Zodiak

di TheHellion
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I: Zodiak ***
Capitolo 2: *** Capitolo II : Angelo sul volto, Demone nel cuore ***



Capitolo 1
*** Capitolo I: Zodiak ***


I am a man who walks alone...
 
Dopo l'arpeggio, Bruce Dickinson inizia a cantare le prime strofe di Fear of The Dark, mentre la mia corsa accelera, gradualmente, poco a poco, come il ritmo del mio respiro.
Correre mi aiuta a liberarmi da ogni pensiero. Sento solo il battito del cuore, il rombo del sangue sulle tempie che sovrastano la musica.
 
And when I'm walking a dark road At night or strolling through the park...
 
Le luci delle auto che provengono dalla direzione opposta mi abbagliano. Gli occhi sono troppo abituati al buio. Il marciapiedi è bagnato e scivoloso, inospitale per quelli che sono costretti a viverci. Ormai li conosco tutti, anche se non so i loro nomi. I loro visi sporchi, i capelli ingrigiti e arruffati, gli abiti logori mi raccontano la loro storia in silenzio, mentre passo di corsa. Atene è diventata una città povera per colpa della lunga crisi economica che ha colpito la Grecia. Quelli che una volta erano i quartieri popolari, ora non sono altro che accozzaglie di casupole fatiscenti, palazzoni grigi senza personalità, tomba di sogni di chi non ce la fa più. Sono anni ormai, per l'esattezza cinque, che vedo tutto dal basso e mi sono abituato a essere uno dei tanti invisibili.
 
When the light begins to change I sometimes feel a little strange A little anxious when it's dark...
 
Gente che non rileva né esistendo, né scomparendo. Gente alla quale alcuni pensano di poter far tutto. Dello stesso avviso è il gruppo di ragazzini annoiati che si è radunato attorno a una vecchia senza tetto, una mia sconosciuta conoscenza.
Li conto. Sono in quattro. Avranno su per giù quindici anni, anche se tentano di farsi più grandi con vestiti estrosi e anelli di metallo sul viso.
La corsa si fa camminata fino a che entrambi i piedi si fermano alle spalle di uno dei quattro, il più alto. Ha capelli biondi e corti, rasati dietro la nuca. Quando si volta, gli occhi nocciola si fanno taglienti. Ha le sopracciglia rasate e un pearcing appuntito che gli perfora la pelle sopra l'occhio destro.
«Che cazzo vuoi, riccioli d'oro?» mi irride, provocando l'ilarità molesta degli altri tre. Non mi curo di loro. Gli occhi scorrono sulla figura della donna riversa a terra che punta le mani curve dal tempo sul marciapiede sporco. Do una brusca spinta al biondo che mi ha preso in giro senza controllare la mia forza. Lo faccio compiere due passi barcollanti all'indietro e rovinare a terra. Non bado alle sue imprecazioni e mi concentro nel sollevare l'anziana donna.
«Grazie! Grazie mille, figliolo» esprime la sua gratitudine.
  Le rispondo con un sorriso. Vorrei aggiungere anche qualche parola ma le grida degli energumeni alle mie spalle surclassano tutte le mie buone intenzioni. Mi volto appena, in modo da incontrare uno dei loro sguardi con un'occhiata obliqua.
«Non hai idea di quello che hai fatto, bastardo. Nessuno mi offende né con i gesti né con le parole» replica il ragazzo che ho spinto.
«Tu ci hai provato...» continua.
 
Fear of the dark, fear of the dark...
 
«E per questo motivo pagherai, bastardo!»
Il suo movimento verso di me appare lento e goffo ai miei occhi. Non mi è difficile schivarlo compiendo giusto un passo indietro. Non mi muovo più, nonostante con la coda dell'occhio veda un altro membro della banda che scatta verso di me, con il braccio destro pronto a colpirmi. Tendo il braccio destro lateralmente e fermo il suo pugno all'interno della mia mano. Lo vedo sforzarsi per contrastare la mia forza. Dubito che ci riuscirà mai. I suoi compagni decidono di attaccarmi da tutti i fronti in modo da trovarmi impreparato.
«Stolti» commento il loro comportamento prima di liberare quello che avevo catturato, scaraventandolo contro la vicina vetrina sporca e in disuso. La caduta dei frantumi di vetro copre il rumore dei miei rapidissimi passi quando mi scaglio contro gli altri tre, che respingo con pugni così veloci il cui spostamento è impossibile da seguire per un occhio umano. Ogni mio gesto può raggiungere la velocità della luce. Mi percepiscono come se fossi immobile, per questo motivo la meraviglia dipinge i loro visi quando, sconfitti e a terra, mi fissano con gli occhi sgranati e le labbra tremule.
«Che mostro sei?» chiede il biondo che mi ha affrontato per primo. Mostro?
 Sposto lo sguardo sulle mie stesse mani. Questi pugni sono le zanne del leone. Quella frase attraversa la mia mente come una dolorosa scarica. L’ho già detta e mi basta ripeterla in silenzio. Cerco di scacciare i pensieri chiudendo gli occhi e inspirando profondamente.
«I mostri qui siete voi. Che mai più vi veda alzare un dito su una persona innocente o...»
 Il biondo solleva le braccia in segno di resa. Piagnucola una serie di parole biascicate a causa del sangue che gli inonda la bocca e fuoriesce dalle labbra a corposi rivoli.
«Eviteremo questa zona...lo giuro...»
 Non contento della sua risposta, carico un pugno e faccio per scagliarglielo in faccia, ma blocco i miei movimenti a pochi centimetri da lui.
«Eviterete di fare del male a chicchessia, perché vi terrò d'occhio e se vi vedrò ancora intenti a ferire chi non può difendersi, farò in modo che vi alzerete solo grazie a una barella, chiusi in uno spesso sacco nero. Sono stato abbastanza chiaro?»
«Sì!» dice, prima di scoppiare a piangere e farsi piccolo piccolo nella paura che io lo colpisca.
«Ora andatevene, prima che vi faccia a pezzi» tuono io, minaccioso.
 In qualche modo si raccolgono e si alzano in piedi. Si allontanano come possono, mentre estraggo il mio IPhone dalla tasca dei pantaloni da jogging e cambio canzone. Decido per Acacia Avenue 22, sempre degli Iron Maiden. Prima che possa premere il play, avverto il tocco delicato della mano dell'anziana senza tetto sulla spalla. Mi volto subito verso di lei e rimuovo un'auricolare.
«Serve aiuto?» chiedo con tono affabile.
«No, figliolo. Mi hai salvato la vita, non posso chiederti di più» risponde bonaria, mentre porta la mano sui miei capelli biondi e li accarezza.
«Sembra che mi abbiano mandato un angelo oggi» afferma, sognante.
«No, ma cosa dice?.Non sono un angelo. Sono soltanto un uomo sudato che fa jogging tutte le sere» spiego, ma lei scuote il capo.
«"I loro pugni possono fendere il cielo e i calci frantumare la terra."» dice solenne, come se parlasse di una profezia. Le sue parole mi fanno trasalire, poiché fanno parte di un ricordo lontano, uno di quelli che a tutti i costi voglio rimuovere.
«Dove ha sentito quella frase?» le chiedo, allarmato.
«Ha forse importanza?» mi risponde lei.
«Sì, ne ha e molta» replico bruscamente. Lei sposta lo sguardo sulla via che ci circonda e gli occhi si velano di lacrime.
«Vedendoti lottare contro quei balordi, ho ricordato una cosa, una vecchia favola, ma guardandomi attorno ora...Oh, non pensare alle parole di questa vecchia, figliolo.»
Annuisco appena e le do conforto accarezzandole una spalla. Non insisto per strapparle la verità, poiché come ha detto lei, tanto il suo che il mio ricordo, appartengono a un passato perduto. La saluto cordialmente prima di infilarmi di nuovo l'auricolare e far ripartire la musica, questa volta a un volume più alto di prima. Invece di farmi tutto il giro del quartiere, decido di tagliare corto fino a casa. Senza aprirlo scavalco il basso cancelletto del giardino. L'erba è troppo alta e ha seppellito i fiori e le piante che Castalia ha piantato e coltiva con amore. Ecco il motivo del suo broncio ogni volta che dà un occhio al giardino o alla giungla, dipende dai punti di vista. Mi fermo di fronte alla porta di casa. Dapprima busso, poi mi attacco al campanello, finché lei non viene ad aprirmi. I rossi capelli sciolti e ribelli fanno da contorno al suo viso rotondo e aggraziato. Le labbra morbide e rosee sono imbronciate e assieme alle sopracciglia aggrottate, dipingono un'espressione corrucciata.
«Se è per il giardino, prometto che lo sistemerò domani» la anticipo e riesco a strapparle un sorriso.
«Il tuo domani, Ioria, è un punto indefinibile del futuro» scherza, facendosi fa parte per lasciarmi entrare. Varco l'uscio, ma non compio altri passi, perché cingo tra le braccia la vita di Castalia e dopo aver perso il mio sguardo nel suo, le do un lungo bacio che lei interrompe, allontanandomi con una debole spinta sul petto.
«Non ti perdonerò con così poco» dice, dopodiché è lei a portare una mano sulla mia nuca e accarezzare i miei capelli con le dita. Mi ruba un bacio per poi posare la fronte contro il mio petto.
«Tuttavia il problema non è il giardino, Ioria. So che vuoi evitare quel discorso, ma...»
Mi irrigidisco alle sue parole. Serro i denti e sbuffo, spostando lo sguardo verso l'uscita. Ho già capito di che cosa vuole parlare, poiché è diventato l'argomento scomodo e onnipresente nei nostri ultimi discorsi.
«Dobbiamo fare qualcosa, Ioria.»
Mi allontano da lei, compiendo qualche passo all'indietro. Tolgo le cuffie ormai mute e lancio il cellulare sul divano, prima di dirigermi verso il bagno.
«Non puoi dimenticare chi sei!» mi grida dietro.
Rimango fermo con le mani posate ai lati dell'entrata del bagno. Tiro un profondo respiro e mi volto, riluttante, verso Castalia che mi osserva con uno sguardo determinato.
«Quel giorno, quando il progetto Zodiak è stato cancellato, noi ottantotto ci siamo sparpagliati in tutto il mondo. Ognuno ha iniziato a seguire i suoi interessi e il mio è quello di vivere in pace.»
«Gli interessi di alcuni di loro stanno devastando le vite di intere comunità. Davvero non ti importa?» grida contro di me, facendomi innervosire. Sotto le dita il legno della porta si ammacca e si sgretola. «Ho detto che non interverrò più. Zodiak è scomparso! È un'utopia che fa parte del passato!» la mia voce è più alta della sua. I suoi occhi si assottigliano come le labbra.
«Non ti riconosco più...» vomita fuori quelle parole come se fossero veleno, prima di voltarsi e sfuggire dal mio campo visivo in pochi, veloci passi. Detesto litigare con lei. Quando abbiamo lasciato lo Zodiak ho concentrato tutta la mia attenzione su di lei, considerandola l'unica luce di speranza e non sopporto di suscitarle rabbia o delusione.
Allontano le mani dalla porta e osservo con rammarico il segno che lì ho lasciato solo con la pressione delle dita. Anche se mi nascondo dietro questo alone di normalità, non sono nient'altro che uno degli ottantotto prescelti per cambiare in meglio questo mondo.
Siamo stati selezionati secondo strane norme astronomiche e una volta radunati nello Zodiak siamo stati addestrati a rifiutare gli interessi personali, a resistere a ogni tentazione, a sopportare qualsiasi tipo di dolore fisico e morale. Nessuno di noi conosce il viso e il calore della propria madre. Il primo legame affettivo è stato reciso per toglierci un’ipotetica debolezza.
Io non ero completamente solo, però, perché avevo un fratello e insieme a lui facevamo parte dell'élite: dodici, come dodici segni dello Zodiaco, i vertici di Zodiak.
Siamo stati considerati una sorta di peacekeeper, armi da utilizzare contro i meccanismi sbagliati del mondo. Era questa la volontà degli idealisti di Thule che concepirono la follia in cui crebbi.
«Castalia» la chiamo lungo il corridoio buio. Mi fermo sulla porta della camera. Lei è lì, seduta sul letto con lo sguardo distratto sull'abatjour che illumina fioca la stanza.
 Mi siedo al suo fianco e le cingo le spalle con un braccio, mentre la tiro al mio petto. Lei si lascia guidare, non si oppone ma nemmeno mi rivolge l'attenzione dei suoi occhi.
«Ho scelto te» le sussurro ad un orecchio. «E voglio viverti. Te lo avevo promesso quando eravamo ragazzini.»
«Lo so...» ammette, spostando una mano sul braccio che ho stretto al suo busto. «È solo che...ho ricevuto notizie terribili.»
«Sono lontane» le dico sottovoce, mentre le bacio il capo. «Fuori dalle nostre vite.»
 Si volta verso di me e saggia le mie labbra con un bacio timido.
«Quanto durerà questa calma apparente? Quanto tempo passerà prima che la tempesta raggiunga anche noi?» mormora sulla mia bocca.
«Non lo farà mai, non finché saremo insieme» le sussurro, tra un bacio e l'altro. Vorrei tanto aver ragione, eppure la mente lascia qualche spazio al dubbio che mi tormenta. Lo sedo con il calore dell'amore che provo nei confronti della mia donna. Ho solo lei, voglio solo lei e nell'immensità dei miei sentimenti mi perdo. Smetto di sentirmi come una preda in fuga, adagiandomi sulla sensazione di pace e completezza che mi dona la nostra unione. Più che mai sono convinto che sia questo ciò che ho sempre voluto che ho sempre cercato. Il lavoro modesto alle dipendenze di un falegname, i pasti semplici, la musica che fa da sottofondo ai miei pensieri, le notti di sogno e passione: queste sono le uniche cose di cui un uomo non dovrebbe mai fare a meno. Non serve essere eroi per vivere al massimo, basta la semplice e piccola routine di gesti ripetuti e sicurezze.
Il frinire dei grilli accompagna il mio ritorno a casa. Come sempre, prima di onorare la notte con il riposo, tengo allenato il corpo con una corsa in cui scarico ogni tensione. Sono sudato, visto che l'umidità e la calura non hanno lasciato tregua a questa giornata d'agosto.
Come sempre scavalco il cancello. Proprio ieri ho sistemato il giardino. Se le piantine di Castalia potessero parlare mi ringrazierebbero. O mi insulterebbero per la prolungata incuria. Sorrido a quello sciocco pensiero e busso alla porta che cigolando si apre. La spalanco ed entro. Chiamo a voce alta il nome di Castalia, ma non ricevo risposta. I pochi soprammobili che abbellivano il nostro salotto sono a terra. Alcuni di loro sono rotti. Le pareti sono segnate da evidenti segni di lotta. Castalia non risponde e questo mi fa ghiacciare il sudore sulla fronte, soprattutto quando avverto di non essere solo. C'è qualcuno assieme a me, qualcuno che ridacchia alle mie spalle.
«Chi sei?» chiedo a denti stretti, voltandomi di colpo. I petali di una  rosa rossa danzano sospesi nell'aria per qualche istante, prima di ricadere a terra in un leggero volteggiare.
«Non mi riconosci?» mi chiede una voce di uomo dal timbro piuttosto alto, leggero, dannatamente familiare.
«Aphrodite» affermo deciso, stringendo tutti e due i pugni. «Che cosa hai fatto a Castalia? Dov'è?» chiedo gridando. Sento l'interruttore che scatta e la luce del lampadario illumina la sagoma slanciata del mio interlocutore. I suoi capelli azzurri uniti al viso bello e quasi femminino non lascia dubbi: è Aphrodite, nato sotto il segno dei Pesci.
«Placa la tua ira, Leone. La tua bella è al sicuro. L'abbiamo presa come garanzia» spiega con calma, per nulla impressionato dalla mia rabbia crescente.
«Non hai risposto, Aphrodite. Dov'è Castalia?» scandisco lentamente le parole. Lui tira un profondo sospiro e incrocia le braccia al petto.
«Eh no, non funziona così, Ioria. Puoi rivederla illesa soltanto se mi seguirai.»
Scatto verso di lui a tutta velocità, come non facevo da tempo. Carico e scaglio un pugno in direzione di Aphrodite, ma le nocche affondano tra decine di petali di rose rosse. È sparito dalla mia vista. No, si è spostato veloce come la luce, ma io ero troppo distratto dalla rabbia per accorgermene. La sua mano preme sulla mia spalla.
«Basta. Avrai capito che non voglio combattere contro di te» ribadisce.
«Avresti dovuto pensarci prima di rapire Castalia!» grido mentre mi volto bruscamente pronto a colpire davvero stavolta. Aphrodite cattura il mio polso con entrambe le mani e fa un'immensa fatica a trattenerlo fermo.
«Vuoi ascoltarmi?» chiede esasperato.
«No! Non mi interessa niente di quello che ti riguarda! Voglio riavere indietro la mia donna, adesso!»
 Colpisco l'addome ormai scoperto di Aphrodite con la forza del mio sinistro. Lo costringo a piegarsi in due e allentare la presa sulla mano. Sono libero di compiere un passo indietro e ergermi solenne di fronte a lui. L'ho sconfitto, è chiaro. Sono sempre stato uno dei più forti e veloci del progetto Zodiak. La sua risatina spavalda cerca di demolire la mia convinzione. Lo sento inspirare ed espirare profondamente, mentre un forte profumo di rose si diffonde all'interno della stanza. Mi pizzicano gli occhi e il respiro è sempre più difficile da tirare. Ogni mio arto si appesantisce e si indebolisce per poi finire immobilizzato. Dovevo aspettarmelo da lui, il maestro dei veleni, nato e cresciuto tra fiori carichi di potere venefico. Il suo corpo si è adattato a quelle sostanze tossiche e le utilizza come arma di attacco e difesa.
 La vista mi tradisce sdoppiando i contorni delle figure su cui poso lo sguardo.
«Mi hai costretto a sedarti per farti parlare. Sei sempre il solito testardo» sottolinea, mentre con il gesto di una mano sistema uno dei suoi riccioli azzurri dietro l'orecchio.
«Micene aveva previsto il tuo comportamento, dopotutto. Ecco perché mi ha consigliato di metterti alle strette.»
«Mi...Micene, mio fratello... ti ha...» balbetto incredulo.
«Sì. Mi ha mandato qui a chiedere il tuo aiuto. Sapeva che non mi avresti ascoltato, perciò mi ha consigliato di spaventarti giusto un po'. Doveva avvertirmi che ci avrei rimesso una costola, forse due.» afferma, prima di portare una mano al suo addome e carezzarlo lentamente.
«Non ho più niente a che fare con il progetto Zodiak. Adesso vivo…lontano da tutto...»
La tosse mi sconquassa il petto e la mancanza di forze mi fa cedere in ginocchio.
«Un misero falegname con le mani callose, la segatura tra i capelli e la polvere sui vestiti. La tua ambizione è di un'infinita bruttezza» mi irride, avvicinandosi a me. Si china in modo da potermi sussurrare all'orecchio.
«Sei nato per essere un eroe, Ioria. Vuoi davvero vivere come il resto del mondo?»
«Voglio essere felice. Non me ne faccio nulla dell'eroismo» controbatto.
«Anche così la tua inerzia è dannosa. Il mondo dove vuoi vivere la tua normalità rischia di sparire se non facciamo qualcosa.»
«Il mondo esiste da millenni, non sparirà proprio adesso» replico ironico, stringendo le dita sulla leggera camicia lilla che copre le spalle di Aphrodite. Sto riprendendo padronanza del mio corpo.
«Invece sì, visto che l'uomo che ha preso il posto dei Thule sta meditando di annientare questa realtà dalle fondamenta.»
Rimango in silenzio ad ascoltarlo. Lo invito a proseguire con un cenno del capo.
«Dopo che Zodiak è stato annullato, l'impero dei Thule è andato a finimenti. La notizia che per anni avevano compiuto esperimenti su "bambini speciali" si è diffusa nel mondo a macchia d'olio. Alman è morto, non si sa se lo hanno assassinato o sia passato a miglior vita dopo aver visto il lavoro di una vita andare in fumo. Tuttavia, la sua unica erede, sua nipote, era troppo giovane per prendere il suo posto, così uno sconosciuto che si fa chiamare "l'Uomo Nero" ha rilevato tutto per due soldi. Nessuno lo ha mai visto, né sentito parlare. Si sa che esiste, ma niente di più.»
Aphrodite svincola da me e va a sistemarsi sul divano consunto. Accavalla le gambe e pone ordinatamente le mani sul ginocchio. Mi osserva in silenzio mentre mi rialzo.
«Da quel momento in poi la società di Thule è diventata ufficialmente un'industria di ricerca tecnologica e ha preso il nome di HEL. Ovviamente è una sigla. High Engeneering Logistics. La sua sede principale è qui ad Atene, ma le filiali sono sparse in tutto il mondo.»
«Sono a conoscenza di questo dettaglio» annuisco. «Meglio così, no? Almeno nessuno farà più quello che hanno fatto i Thule. Nessun addestramento, nessuna lotta fratricida, mai più.»
«Eppure noi sappiamo che alcuni dei nostri sono nelle loro mani. La società di Thule ci aiutava a domare i nostri poteri, la HEL cerca di utilizzarli per i suoi intenti. Secondo Micene, lo scopo della HEL è quello di creare un'aberrazione del progetto Zodiak e imporre il suo dominio su ogni nazione fino a conquistare il mondo.»
Premo pollice e indice destri sulle palpebre chiuse. Le parole di Aphrodite mi suonano come l’esagerazione che rende il racconto ridicolo.
«Un aberrazione di Zodiak, dici? Non ci può essere niente di peggio. Eravamo delle macchine da guerra, anche se ci imbottivano di sciocchezze sulla giustizia» controbatto aspramente. Lui si lascia scappare una risata.
«Sei esilarante, Ioria. Non hai capito che Zodiak era un progetto nato per proteggere il mondo intero e noi stessi dai poteri che ci sono toccati in sorte. "C'è un modo per utilizzare il vostro potere a fin di bene. Per comprenderlo dovrete liberarvi delle vostre ossessioni". Ti sei dimenticato delle parole di Alman?»
Fisso lo sguardo irato sul suo e sbuffo nervoso.
«Castalia...dov'è?» chiedo, a denti stretti.
«Vieni con me e la incontrerai.»
Do un pugno al mobiletto prossimo al divano, a poca distanza da Aphrodite senza controllarmi. Il pianale si rompe in due e lascia affondare la mano serrata fino al contenuto morbido di spartani tovagliati.
«Vuoi costringermi a fare una cosa che non farei nemmeno sotto tortura! Non ritornerò mai e poi mai a fare squadra con voi dopo quello che è successo» alzo la voce mentre il respiro affannoso tortura il torace.
«È ora che tu affronti il passato, Ioria, o non avrai un futuro da scrivere. O sei con noi, o non rivedrai Castalia mai più» ribadisce pacato e serio Aphrodite.
 Faccio una fatica titanica a placare la mia ira, ma riesco a contenermi tanto da annuire appena.
«Fai strada. Portami da Micene e chiudiamo questa storia. Appena parlato con lui ritornerò qui con Castalia.»
  Un sorriso sghembo inclina le labbra truccate di Aphrodite, mentre elegantemente si alza dal divano. Passa una mano su una mia spalla e automaticamente il torpore che mi ha inflitto in precedenza scivola via. Lo seguo all'esterno e mi preoccupo di chiudere la porta alle mie spalle ma la serratura è rotta.
«Su! Non prenderla a male! Dubito che tornerai a vivere qui» finge di volermi placare, Aphrodite, alimentando la mia rabbia.
«Prenderò Castalia e tornerò qui. Questo è quanto.»
«Convinto tu...» si arrende sbuffando e mi accompagna fino a una fuoriserie lucida e nera, parcheggiata a duecento metri dal cancello di casa mia. Addirittura si rovina ad aprirmi lo sportello posteriore e farmi salire con un gesto reverenziale che sa di palese presa in giro. Quando si solleva da una sorta di esagerato inchino i nostri sguardi si incontrano nel tentativo di incenerirsi a vicenda.
«Ti ho mai detto che ti detesto?» chiedo retorico.
«Sì, ma mi fa piacere sentirtelo ripetere, ti rende più simpatico.»
 Non vale la pena commentare ciò che dice, perché avrà sempre una risposta pronta che mi farà innervosire ancora di più. Apro ancora un po' la portiera e mi siedo al sedile del passeggero. Con immenso stupore trovo Castalia seduta accanto a me.
«Tu...?» chiedo, interdetto.
«Perdonami, Ioria, ma era l’ unico modo...» mi risponde con un'espressione livida, preoccupata. Non riesco ad aggiungere altro che la portiera del guidatore si apre e si richiude velocemente. Il motore si accende con un potente rombo e prendiamo subito strada.
«Facci scendere, Aphrodite!» ordino. Le chiusure centralizzate scattano, bloccando le portiere. Potrei tranquillamente sfondarle e uscire, ma qualcosa mi trattiene. Non so se sia un piccolo dubbio che ha instillato in me Aphrodite con il suo racconto, oppure il gesto di Castalia. Non mi ha mai mentito, perciò se ha architettato questo teatrino deve esserci una ragione seria. Non farebbe mai niente per ferirmi. Anche con questa consapevolezza non posso non essere arrabbiato con lei.
«No!» mi contrasta Castalia. «Andremo da Micene, adesso. Basta Ioria! Non c'è tempo da perdere in proteste.»
Rimango in silenzio. Lo sguardo assottigliato e le labbra irrigidite dipingono sul mio viso tutta la delusione che provo dopo aver scoperto il raggiro. Il cuore mi si è fermato in gola quando ho visto casa mia a soqquadro. Ho temuto per la vita di Castalia e adesso la trovo qui, tranquilla, come se nulla fosse. Non ho intenzione di continuare a dare in escandescenza, è fiato sprecato. In questo momento mi sento solo contro il mondo, come se fossi l'unico a credere nel valore della serenità.
Usciamo da Atene, lasciandoci alle spalle gli ammassi di abitazioni tipici della zona urbana. Proseguiamo lungo una strada secondaria accompagnati dalla fastidiosa cantilena della musica R'n'B.
«Odio Rihanna» sfogo appena la mia frustrazione con una constatazione idiota.
«Io la adoro e visto che la macchina è mia, puoi solo adeguarti» mi risponde Aphrodite, raggiungendo il mio sguardo con il suo riflesso dallo specchietto retrovisore.
«Tu vai sempre a piedi?» mi chiede a bruciapelo.
«Sì. Con la mia velocità sarebbe uno spreco di denaro investire su mezzi di trasporto come questo» giustifico così la mia scarsità di disponibilità finanziaria. Nonostante le auto mi abbiano sempre affascinato, non ho mai avuto l'occasione di acquistarne una, specialmente così bella. Sbircio il volante per vedere il fregio. Accidenti è una Maserati. Dove avrà preso tutti quei soldi uno come Aphrodite?
«Certo, ma specialmente quando piove o fa caldo, perché non viaggiare comodi?»
Non replico alla sua provocazione e affondo la schiena sul sedile. Castalia prova ad accarezzarmi una mano, ma io ritraggo la mia.
Imbocchiamo una stradina sterrata che ci conduce fino al sentiero privato di una villa. Superiamo il cancello nero e appuntito e ci troviamo su un piazzale ricoperto di ghiaia candida. Con diverse manovre a mio giudizio piuttosto maldestre, Aphrodite parcheggia e scende nervoso. Il suo comportamento mi strappa un sorriso: è un fastidioso neo nella sua immagine di perfezione in ogni cosa.
Lo seguiamo all'interno, percorrendo il porticato illuminato da faretti dalla luce calda, posti sul pavimento. Il grande portale si apre davanti a noi e ci lascia entrare in un'ampia stanza dai pavimenti di marmo nero e bianco. Una rampa di scale sale al centro di essa e porta al piano superiore. Dalla mia posizione vedo, oltre la balaustra, diverse porte chiuse. Sul lato destro del piano terra si trova l'ampia vetrata rivolta al rigoglioso e curato giardino, illuminato minuziosamente da luci chiare, simili a quelle del porticato.
«Ioria, Castalia, finalmente!» mi richiama una voce maschile che suona familiare. Mi guardo intorno, finché il mio sguardo non cade sul ragazzo seduto sul divano, posto al lato sinistro dell'ampia entrata. Ha i capelli castani e voluminosi, la sua corporatura è minuta, ma la muscolatura si è di molto rinforzata dall'ultima volta che l'ho visto.
«Pegasus?» mormoro appena il suo nome. Lui si alza in piedi e ci raggiunge quasi di corsa.
«Vi avevamo dati per dispersi. Nessuno di noi pensava che avreste cambiato idea dopo quello che...» si interrompe, per poi scuotere il capo. «Scusate» afferma a bassa voce.
«Tranquillo, Pegasus. È ora che Ioria smetta di scappare da quello che abbiamo fatto cinque anni fa» tuona la voce di Micene dall'alto. Mi volto verso la scalinata e seguo la sua pacata discesa tra noi. Non è cambiato di una virgola. I suoi capelli castani e folti si arricciano ribelli. Gli occhi verdi hanno la stessa smeraldea intensità dell'ultima volta che si sono incrociati con i miei, solo che ora sono freddi, mi rimproverano. Da bambino temevo quello sguardo, ma ora che sono un uomo lo affronto con il mio. Micene, nato sotto il segno del Sagittario non mi impressiona più.
«Che cosa dovrei fare?» chiedo gelido. «Partecipare a un’allegra rimpatriata tra fratelli e vecchi compagni? Ricreare Zodiak?»
Ridacchio in cagnesco e scuoto il capo.
«Sei ansioso di ritornare a massacrare qualche tuo altro amico? Io no.»
 Sputo sale su una ferita aperta. Il cambio d'espressione di Micene parla chiaro. Si incupisce, ma il suo sguardo non perde di determinazione.
«Non mi pento di quello che è successo con Saga dei Gemelli. Per quanto fu doloroso uccidere il mio migliore amico, era mio dovere farlo» sentenzia, prima di avvicinarsi di più a me e posare una mano sulla mia spalla destra. Vorrei ritrarmi o protestare, ma la verità è che mio fratello, la mia prima e unica guida, mi è mancato nell'ultimo periodo. Ha ancora il potere di incarnare tutto ciò che c'è di giusto al mondo di fronte ai miei occhi.
«Siamo nati per proteggere la pace e dobbiamo farlo finché siamo in tempo.»
Scuoto il capo.
«Micene, siamo solo uomini, benché forti più del normale. La nostra pace è trovare la serenità delle piccole cose. Perché sobbarcarci tutti i mali del mondo? Ti hanno illuso, come hanno illuso me di poter fare qualcosa che esula dal possibile! Possibile che non ti sia chiaro?»
Micene si fa da parte, mentre un rumore leggero di passi risuona all'interno dell'ampia e silenziosa stanza. È una ragazza giovanissima quella che è appena scesa dalle scale. Ha una cascata di lunghi capelli viola che in lunghezza superano il livello della vita. Gli occhi sono di un puro verde pari al colore dell'acqua cheta. Il lungo vestito bianco le copre anche i piedi, strofinando a terra.
«Non può essere...Lei è...» balletto sconvolto.
«Isabel di Thule» risponde lei con voce forte e solenne. «Forse ti ricordi di me come il risultato del progetto "Atena".»
Atena era un progetto di isolamento a cui Alman aveva sottoposto la sua stessa nipote ancora piccolissima. Psicocinesi, telepatia, abilità di rallentare e velocizzare la materia con la forza del pensiero. Il potere di noi dello Zodiak viene condizionato dalle capacità di questa ragazza che anche ora amplia e alimenta il mio vigore.
«Sono passati ben cinque anni dalla chiusura di Zodiak e dalla morte di Saga» mi ricorda lei. «E le cose sono peggiorate di anno in anno. Questo vuol dire che non possiamo stare qui, con le mani in mano mentre il nostro mondo viene distrutto dalle trame del famigerato Uomo Nero, a capo di HEL.»
Isabel mi supera e si avvicina alla vetrata. Posa una mano sulla superficie trasparente e perde lo sguardo verso il piazzale.
«La città di Atene è il ritratto di un mondo in decadenza. L'economia, i meccanismi della società, le guerre tra affamati e disperati, le ingiustizie, stanno demolendo il futuro delle nuove generazioni. La HEL è il massimo esponente di questo degrado. Con i suoi tentacoli avvelenati condiziona ogni cosa in negativo, utilizzando il potere dei vecchi membri di Zodiak per imporre a forza il suo terrore. Di tutti gli ottantotto, sono rimasti dalla parte dei Thule soltanto Micene, Aphrodite, Pegasus, Castalia, il Grande Mur che vive nel Jamir, Il maestro d'arti marziali Dhoko che risiede in Cina assieme all'allievo Sirio, Crystal che abita le fredde terre di Siberia, Phoenix e infine Andromeda, entrambi qui, in terra di Grecia. C'è anche un altro uomo che potrebbe fare la differenza, ma proprio come te, Ioria, non vuole ascoltare.»
Isabel si volta verso di me. Ha lo sguardo acceso di determinazione.
«Aiutaci Ioria. So che per te è stato difficile affrontare la dura prova di cinque anni fa, però unisciti a noi soprattutto per te stesso. Solo quando il male sarà sparito da questa terra, troverai la tua tranquillità al fianco di chi ami. Non farti del male ancora per ciò che foste costretti a fare. Agendo al nostro fianco, puoi evitare che si ripeta.»
La mia espressione si è di molto addolcita. È il mio cuore a surclassare la mente. Forse è il potere di Isabel a schiacciare la mia ostinazione o forse è il rumore del giusto a far tacere i dubbi.
«Ammesso che accetti, siamo pochi contro il mondo intero» dico a bassa voce, quasi mi vergognassi.
«Siamo pochi, ma ricorda: I vostri pugni possono raggiungere il cielo e i calci fendere la terra. Insieme possiamo affrontare qualsiasi sfida.»
  Isabel si avvicina a me e posa una mano sulla mia. Mi costringe a piegare il bracco e afferra il mio polso tra le dita.
«Insieme, Ioria. Questo è Zodiak. Nessuno di noi deve rimanere a lottare da solo o accettare la sconfitta» afferma con tono dolce e rassicurante.
«Allora che farai fratello?» incalza Micene dopo qualche istante.
«Il leone si sveglierà o continuerà a dormire?» chiede ironico Aphrodite.
«Non possiamo più nasconderci, Ioria. Il male attorno a noi è troppo forte» afferma Castalia.
«Torna a essere dei nostri, amico mio!» mi esorta Pegasus. L'insistenza di tutti mi fa sorridere e annuire appena.
«Sarò dei vostri» mi arrendo infine. Le mie parole accendono i visi degli altri si sorrisi di speranza. Il ricordo del passato inizia a sbiadire di fronte alle aspettative per il futuro, un futuro che ho capito di dover proteggere. Non posso sfuggire dal male, perché se continuassi a scappare esso mi troverebbe. Sono Ioria, il Leone, e fino a cinque anni fa sono stato famoso per il mio indomito coraggio. È giunto il momento di tornare ad affilare zanne e artigli, perché il passato non si ripeta. Nessuno deve rimanere a lottare da solo, nessuno deve accettare la sconfitta.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo II : Angelo sul volto, Demone nel cuore ***


Capitolo II : Angelo sul volto , demone nel cuore

 
«Il meccanico?» chiedo a voce alta, cercando di surclassare la voce di Fifty Cents che esce dell'autoradio della Maserati di Aphrodite.
«Sì. A quanto pare si diverte a truccare le macchine che poi sfrecceranno sulle strade di Los Angeles. Dicono che partecipi anche in prima persona alle gare clandestine» mi spiega Micene, gesticolando in modo da enfatizzare ciò che dice e rendermelo più chiaro.
«Stiamo parlando della persona che intendo io?» chiedo incredulo.
«Proprio così» si intromette Aphrodite, prima di parcheggiare di fronte a casa mia.
«Ed è il più lontano?» chiedo, paralizzato dalla sorpresa.
«Anche gli altri che stanno sull'Himalaya non sono esattamente a ...» Micene interrompe la spiegazione per colpa della musica che si è fatta ancora più molesta.
«Vuoi abbassare questa schifezza, Aphrodite?»
Aphrodite alza il braccio destro e scuote l'indice teso.
«Scendete dalla mia macchina se non vi trovate bene. Nessuno vi lega.»
Sbuffo così forte da far sollevare un ciuffo dei miei capelli. Castalia, seduta al mio fianco sul sedile posteriore, si lascia scappare una risata.
«Io scendo sul serio» affermo, sganciando la portiera. «Vieni, Castalia?»
 Lei si volge verso Micene con uno sguardo interrogativo che non comprendo.
«Prendete lo stretto necessario per un bel viaggio. Noi vi aspettiamo» risponde mio fratello, tutto tranquillo.
«Cosa? Viaggio? Per dove?» chiedo io, esterrefatto. «Ho accettato di aiutarti, ma ho un lavoro e...»
«Sopravvivrai anche senza, Ioria. Non sei nato per fare il falegname» mi interrompe Micene.
«Anche gli "eroi" hanno bisogno di mangiare e avere un tetto sulla testa» controbatto, alzando la voce. Esco dall'auto e chiudo la portiera a tutta forza, suscitando le grida nervose di Aphrodite. Supero il cancelletto del giardino e a passo veloce mi avvicino all'uscio. Apro la porta che cigola al mio passaggio e rientro in casa mia.
«Non hai bisogno di sprecare tempo in una falegnameria. Noi abbiamo altre possibilità» insiste mio fratello, dopo avermi seguito.
«Guarda dove vivi, Ioria. In paragone al palazzo nel quale siamo cresciuti, questa è una stalla.»
«Questa stalla» ringhio a denti stretti. «È la casa dove fino a poco fa vivevo in pace con la mia compagna. Anche se è troppo poco per te, per me era una sorta di paradiso.»
«Ioria, smettila. Sai benissimo anche tu che non è il tuo posto.»
«E il mio posto qual è?!» grido. «A fare il killer a pagamento come Deathmask o Shura? Un pacekeeper per i potenti e i loro affari di spionaggio come te e Saga? È questo quello che fanno gli eroi? Gettano via la vita per soldi o ideali che non condividono?»
Prendo mio fratello per il colletto della camicia bianca e lo tiro verso di me in modo da fissare il mio sguardo furente sul suo.
«Ti sei sfogato, Ioria?» mi chiede lui, calmo. «Per quanto tu ti ostini a negarlo, sei uno di noi. Poco fa mi hai dato la tua parola. Smettila di lagnarti, perché non c'è tempo, non te lo puoi permettere, fratello. Sei un uomo, non più un moccioso e alla tua età le persone smettono di fare quello che vogliono. Anche io vorrei essere ai Caraibi, a godermi l'acqua cristallina dell'Oceano, ma sono nato sotto un'altra stella.»
Lo lascio andare, lo respingo e a ampi passi vado in camera. Apro le ante dell'armadio e inizio a tirare fuori i vestiti alla rinfusa. Nervoso, li lancio sul letto dopo averli appallottolati. Solo dopo una manciata di secondi mi accorgo che Castalia mi osserva dalla porta aperta.
«Prendi tutto anche tu. Dubito che torneremo qui» dico, tutto a un fiato senza guardarla negli occhi.
«Ioria, nemmeno io sapevo della partenza, ma mi aspettavo che sarebbe cambiato tutto.»
Si avvicina a me e mi accarezza una spalla. Faccio per respingerla ma non ci riesco. Lei ha troppo potere su di me, difatti riesce a calmarmi.
«Noi non siamo cambiati, però» mi rassicura, lasciando scivolare una mano oltre la mia spalla. «Siamo sempre gli stessi sin da quando ci siamo incontrati»  dice piano, portando il viso a pochi centimetri dal mio. Bisbiglia sulle mie labbra.
«Niente, nemmeno arrivare alla fine del mondo potrà cambiare quello che siamo io e te.»
 Mi bacia e riesce a strapparmi un sorriso. Rimaniamo con le fronti premute l'una contro l'altra.
«Bada, non ti ho ancora perdonato» fingo di rimproverarla.
«Io accetto la punizione, ma non adesso. Non c'è tempo» si morde il labbro prima di baciarmi ancora. Io lascio scivolare le mani fino ai suoi dolci fianchi e l'avvicino a me.
«Non ho tanta voglia di aspettare. Sei stata molto cattiva e non posso lasciar correre.»
 Lei ridacchia mentre i miei baci iniziano a torturarle il collo.
«C'è Micene di là» mormora, spegnendo ogni tipo di entusiasmo e desiderio.
«Un motivo in più per essere in collera con lui» protesto, sciogliendo l'abbraccio a malincuore. Torno a svuotare l'armadio e Castalia mi aiuta a riempire le valige. Portiamo via lo stretto indispensabile, prendendoci in giro con la scusa che ritorneremo e sistemeremo tutto. Le nostre cose riempiono l'esiguo bagagliaio dell'auto e il silenzio accompagna il nostro viaggio verso la villa dei Thule. I preparativi ci tolgono il sonno. Tutti noi siamo abituati a viaggiare, visto che diversi anni fa abbiamo lavorato per le nazioni più disparate in luoghi lontanissimi. La fondazione Thule ci ha fatto vivere il mondo e devo dire che, da quello che ho visto, non è stata una gran esperienza. Los Angeles fa parte di una zona che non ho mai visitato, ma dai racconti di Lady Isabel e Micene appare come la gigantesca metropoli, figlia del caos e della modernità: un luogo completamente diverso da quelli che io apprezzo. Sono per il silenzio, la pace e la tranquillità.
La fondazione non ha più soldi per finanziare lo spostamento di un jet privato, perciò siamo costretti a viaggiare nella classe economica di un volo preso per i capelli all'ultimo minuto.
Approfitto del lungo viaggio per dormire e non pensare, cullato dalla musica dei Muse: il loro rock elettronico ha il potere di calmarmi.
Il fuso orario ci uccide e il caldo di Los Angeles ci toglie l'aria. Ovviamente in Grecia non è fresco di questi tempi, ma non c'è tutta la cappa di smog che qui ci strozza. Anche se usciamo dall'aeroporto alle prime ore del mattino, le strade sono già affollate. Il sole è ancora pallido quando ci sistemiamo in hotel, per modo di dire. In realtà le tre stanze prenotate da Myloch, l'unico essere vivente rimasto a servire i Thule dopo il tracollo, sono unite in un unico androne dove si respira aria stantia, oserei dire puzzolente.
«Che privacy!» afferma Aphrodite, mentre cattura un lembo del lenzuolo con la punta del pollice e l'indice.  Ha scelto il letto posto subito di fianco al mio, visto che sembra il più pulito. «E che pulizia invidiabile. Da quando non lavano questa roba?»
 Lady Isabel stringe una mano nell'altra e strofina il pollice contro il dorso.
«Non pensavo che fosse così...» dice, evidentemente in imbarazzo.
«Fatiscente?» completa la frase Aphrodite. «Non per offendere, ma questo è poco più di uno scantinato.»
«Basta!» irrompe Myloch nel discorso. «Non è semplice come sembra prenotare una stanza all'estero!»
La sua zucca pelata brilla lucida sotto la luce del neon. Mi viene da ridere ne vedere le vene pulsanti sulle tempie. È arrabbiato e il suo viso è rosso come una pentola a pressione sull'orlo dell'esplosione.
Pegasus mi aveva parlato di lui e di quanto fosse pedante, ma non volevo crederci. Ora mi è chiaro quanto quest'uomo in su con gli anni sia testardo e allo stesso tempo fedele a una causa ormai perduta. Lui è un po' come mio fratello e gli altri che, nonostante le lamentele, sono qui al caldo puzzolente di queste quattro mura.
Il jet lag, il cambio del fuso orario e lo stress del viaggio hanno fatto addormentare quasi tutti, nonostante le condizioni pietose dell'alloggio. Mentre Castalia dorme sul mio petto, io rimango sveglio a osservare le pale del ventilatore a soffitto. La luce del sole che filtra dalle tapparelle viene riflessa dal metallo e danza regolarmente sulla parete a ridosso della porta d'entrata. Oltre a me, solo Pegasus è ancora desto. Seduto sulla brandina, sfoglia un volumetto illustrato. Ha uno strano sorriso sulle labbra.
«Che leggi?» gli chiedo a bassa voce. Lui si alza e si avvicina a me. Mi porge il libricino illustrato e io lo prendo con la mano libera. Guardo la copertina con un'occhiata veloce.
«I Cavalieri dello Zodiaco» dico, sollevando un angolo della bocca, prima di sfogliare difficoltosamente le pagine. È un fumetto che conosco molto bene, come i visi di coloro che vengono ritratti in quelle pagine.
«La corsa verso le stanze del perfido Arles che si rivela essere il Cavaliere d'Oro dei Gemelli, Saga. Una pessima storia, non credi?» dico, restituendo il volumetto a Pegasus.
«Simile all'originale» replica lui.
«Non ci sono ritorni in vita, dei benevoli o gesta eroiche nella realtà. Masami Kurumada ha una fervida immaginazione, non c'è che dire. Si incontra bene con le manie di grandezza dei Thule. Insieme hanno creato una mitologia. Ci sono centinaia di ragazzini che amerebbero essere al posto di quegli eroi, al nostro posto» commento, infastidito. Sospiro profondamente e stringo i denti, soffocando un moto di rabbia.
«Queste pagine parlano di perdono e speranza» cerca di mitigarmi.
«Peccato che nella realtà il perdono non esista. Chi sbaglia così tanto, paga con la vita e non torna più a scusarsi- chiudo il discorso assieme agli occhi.
«Guarda il lato positivo. Io non ho ucciso tutta questa gente e nemmeno tu» ridacchia, sfogliando le pagine.
«Pensa che qui Aphrodite muore per mano di Andromeda, Deathmask per quella di Sirio e...Micene...»
«Per favore, basta. Non c'è niente di grandioso nell'essere vivi in questo modo.»
 Pegasus sospira e richiudendo il libretto, ritorna sui suoi passi.
«Invece sì, Ioria. È bello essere vivi piuttosto che sottoterra» commenta. Piuttosto che dargli ragione, taccio e mi volto appena verso Castalia. Ho appena detto una pessima ingiustizia. Vorrei rimangiarmi le parole, ma so benissimo che rimarranno chiuse nel buio umido di questa stanza.
Vengo svegliato nel tardo pomeriggio. La luce del sole si riflette rossa sulle pareti. Sono rimasto il solo ancora disteso. Mi tiro in piedi velocemente e vado a chiedere spiegazioni a mio fratello.
«Si può sapere dove state andando così di fretta?»
«Secondo te?» replica lui con un'altra domanda.
«Dov'è Castalia?» chiedo allarmato, non trovandola con lo sguardo.
«In un luogo migliore di questo. Lei, Isabel e Myloch stanno cercando una sistemazione per i prossimi giorni.»
«E noi?»
«Abbiamo una missione da portare a termine, no?» risponde Pegasus, sistemando le polsiere rosse.
Non mi sono dimenticato dello scopo della nostra presenza, ma pensavo che ci saremmo mossi con più strategia e soprattutto tutti insieme. Non voglio stare separato da Castalia. Questa è una grande metropoli e due donne assieme a un uomo imbelle e attempato non sono al sicuro.
«Vestiti in modo decente, Ioria, e soprattutto pettinati» si intromette Aphrodite, sbattendomi in faccia i vestiti puliti che senza permesso ha cacciato fuori dalla valigia. Gli rivolgo uno sguardo assassino prima di stringere il tessuto tra le dita e raggiungere il bagno senza dire una parola.
La piccola stanza emana un odore nauseabondo reso ancora più insopportabile dall'aroma di rose che tenta di coprirlo. Sicuramente è stata un'ideona di Aphrodite quella di spruzzare del deodorante sopra la puzza.
 Mi vesto in fretta e furia, e ancora più frettolosamente sistemo i capelli con un colpo di spazzola. Rivolgo uno sguardo fugace allo specchio e  contemplo la mia immagine per qualche secondo.
Per pochi istanti sovrappongo ciò che vedo riflesso a ciò che vidi prima dell'ultima missione nello Zodiak. Manca una cosa essenziale: la scintillante corazza d'oro, reliquia antica ormai perduta dopo la caduta del progetto. Ci avevano detto che per nulla al mondo potevamo affrontare un nostro simile senza indossarla.
Bastano il mio sguardo e la mia angoscia a far incrinare la superficie riflettente. È il potere di Zodiak, il Cosmo, che le persone comuni non possiedono.
La porta alle mie spalle si apre e da essa entra Micene. Il suo sguardo preoccupato sembra aver letto correttamente tutti i miei pensieri.
«Ioria, sei pronto?» chiede debole.
«No» rispondo. «Ma se deve essere fatto, ciò che sono io non rileva.»
 Faccio apposta a ripetere la medesima frase che affermai prima di affiancare mio fratello nello scontro con Saga dei Gemelli.
«Stavolta non morirà nessuno» controbatte lui.
«Lo dicesti anche allora.»
«Non avevamo scelta.»
«Già... Ci sono cose che vanno fatte e basta per il bene del mondo.»
Mi volto verso di lui e a passo veloce supero la sua posizione, dopo averlo scansato dalla porta. Sistemandomi il colletto della maglia affianco Pegasus e Aphrodite di fronte all'entrata. Nessuno dei due osa dirmi nulla. Si limitano a scambiarsi sguardi preoccupati. È Micene a parlare per primo.
«Andiamo. L'obiettivo non è tanto lontano. Siamo già a South Los Angeles. Secondo la fondazione il garage che stiamo cercando si trova a poche centinaia di metri. Apre i battenti solo al calar del sole.»
«Questo sta a significare che è questione di minuti» completa la frase Aphrodite, prima di aprire la porta e uscirne. Fisso il suo allontanamento verso il corridoio rovente che ci porta fino alla reception. Non ho idea di come faccia a resistere con i pantaloni lunghi classici e la camicia nera arrotolata sulle braccia, nonché tutti quei capelli sciolti e selvaggi che gli gravano sulla schiena. Non facciamo che seguirlo e fermarci di fronte al banco sudicio. Il legno del pianale è scorticato e consumato, per non parlare del vestiario bizzarro dell’oste dai capelli rosa shock. La ricrescita nera li fa ancora più orribili. I denti mancanti e la corporatura non proprio esile rendono il quadro terrificante, uniti ai vestiti aderenti e neri, in puro stile goth. Non l’avevo notato quando siamo arrivati questa mattina. Ero troppo stanco e spossato. Trattengo a stento una risata, assottigliando le labbra e nascondendomi dietro le spalle di Aphrodite. Anche Pegasus non è molto bravo con l’autocontrollo, tuttavia, nonostante la strana smorfia, riesce a contenersi molto meglio di me. In fretta e furia Micene restituisce le chiavi e ci conduce fuori, dove finalmente liberiamo le risa.
«Ma l’hai visto quello?» mi dice Pegasus, poggiandomi una mano sulla spalla. «Ti giuro, Ioria, io ne ho viste di stranezze ma quel tipo…E poi hai visto come si atteggiava a padrone di casa?»
«Era il padrone di casa» specifico io, asciugandomi la lacrima che mi esce dagli occhi a causa delle risa, con il dorso della mano.
«Ma era tronfio! Impettito, come se si considerasse così tanto bello!»
«Ve la smettete?» ci riprende Micene. «Siete ancora dei ragazzini? Possibile che non cresciate mai?»
Mio fratello ha il potere di cancellarmi il sorriso dal viso in ogni momento e rendersi dannatamente odioso. Sbuffo e tiro indietro i capelli con il colpo di una mano. Il sole basso è ancora caldo e insopportabile, unito all’umidità e alla puzza di smog. Le macchine passano veloci su questa stradina secondaria, sembra ancora di più adesso che la sera divora il giorno.
Micene controlla il display del cellulare ogni cinque secondi. Sembra che stia aspettando un messaggio o una chiamata importante. Sposto lo sguardo attorno a me dopo averlo assottigliato. I palazzi di questa zona non sono molto alti e le loro facciate sono macchiate di smog e graffiti. I marciapiedi si sono spopolati, e su di essi camminano soltanto persone decisamente fuori dagli schemi, gente con facce che parlano chiaramente delle loro intenzioni. Questo luogo non è molto diverso dai sobborghi di Atene. Sono abituato a muovermi nel degrado e conosco bene le sue insidie, per questo sono sempre più preoccupato per Castalia. Tiro fuori il telefono dalla tasca e inizio a scriverle un messaggio. Non faccio in tempo a finirlo, però. Micene richiama la mia attenzione.
«Ho le indicazioni precise. Oltre quel palazzo, a ridosso della via parallela.»
Sbuffo, sollevando una ciocca di capelli, mentre concludo in fretta e furia il messaggio per Castalia.
Ti prego, fammi sapere dove ti trovi. Sono preoccupato. Tuo, Ioria.
Il luogo dove ci conduce Micene è ancora più lugubre di quelli che ci siamo lasciati alle spalle. Entriamo all’interno di un locale segnalato al passaggio da un’insegna al neon verde e bruciata per metà. I tavoli sono occupati da pochissimi avventori che fischiano appena ci vedono entrare.
«Ehi, signorina. Quanto costi?» chiede uno di loro, tenendo gli occhi fissi su Aphrodite. Me lo aspettavo. Non sono mai stato un suo grandissimo amico, ma sono uscito in missione con lui un paio di volte e si è verificata sempre la stessa storia. Indipendentemente dal fatto che glielo dicessero in russo, in tedesco o in inglese, a lui toccava sempre lo stesso insulto. I tratti femminini del suo viso sono la pietra dello scandalo, tutte le volte.
«Oh, sono molto caro, fidati. E a patto che tu non sia una bella donna, io non accetto l’incarico» afferma senza nemmeno voltarsi.
«E voi? Che cazzo volete?» così richiama la nostra attenzione il gentilissimo commesso del bar. «Il locale è chiuso.»
«Eppure siete pieni di gente» replica Pegasus. Lo sconosciuto non risponde e fa cenno agli altri, dietro di noi, di uscire. Quelli, seppur imprecando, eseguono l’ordine.
«Ora non c’è più nessuno, quindi fuori.»
Micene allunga un braccio verso l’addetto al bar e stringe le dita sulla stoffa della maglietta inumidita dal sudore.
«Non abbiamo voglia di scherzare. Facci strada fino al garage che nascondi sotto il locale. Sappiamo che lì si trova un nostro vecchio compagno, anzi, che lo gestisce lui di persona.»
Leggo il terrore negli occhi negli occhi dell’uomo che abbiamo di fronte. I bicchieri e le bottiglie vanno in frantumi a causa del potere di mio fratello che con sempre più violenza si libera.
«Non posso…Non posso dirvi niente. Se io lo facessi, lui mi ucciderebbe. Non vuole essere cercato da nessuno, specialmente da…voi.»
«Portaci da lui, o saremo noi a ucciderti» controbatte Micene. Il barista si lascia scappare un grido decisamente poco virile, mentre una pozzanghera di maleodorante urina si forma sotto di lui.
«Sì…» si arrende e annuisce nervoso. «Sì…vi porterò da lui.»
«Perfetto» afferma Micene, lasciandolo andare. Tremebondo e con passo malfermo, il barista abbandona il retro del banco e raggiunge una porticina posta sulla parete dietro di lui. Gli è difficile sganciare la serratura con le mani che tremano e le lacrime agli occhi, ma alla fine ce la fa e ci apre la strada verso uno stretto corridoio illuminato dalle luci sterili del neon.
Proseguiamo al seguito dell’uomo che tuttavia inizia a essere riluttante a metà strada.
«Ne va della mia vita. Io non vi ho fatto niente e non voglio morire. Vi prego…»
«Dacci le chiavi e torna indietro. Scappa se più t’aggrada» replica mio fratello, tendendogli una mano.
«Ma io…»
«O così o la morte per mano nostra. Immagino che tu sappia bene quali siano i poteri di chi ha fatto parte del progetto Zodiak.»
Lo sconosciuto annuisce e dopo aver frugato nelle tasche, tira fuori un mazzo di chiavi. Ce le porge, spaventato e Aphrodite gliele toglie dalle mani e gli rivolge un “grazie” tutto soddisfatto.
Non ho mai visto nessuno della stazza del barista correre così velocemente. Seguo i suoi movimenti finché Pegasus non richiama la mia attenzione e mi invita a proseguire. È Aphrodite ad aprire la porta.
«Apriti Sesamo!» afferma divertito, mentre essa cigola sui cardini, liberando il passaggio che ci porta dritti dritti in un ampio deposito di auto nuove e lucide, di grossa cilindrata. La radio posta chissà dove, passa una vecchia canzone di Ozzy Osbourne: è indubbiamente Crazy Train. Un uomo fischietta al ritmo della chitarra, mentre il rumore di un compressore tenta di coprire tutto il resto.
Alto più di me, spalle larghe e capelli blu cobalto lunghi oltre i fianchi, ribelli, folti e spettinati. Le braccia atletiche sono scoperte, mentre il dorso è fasciato da una leggera canotta bianca, sporca di olio di motore. Le ampie mani sono fasciate in spessi guanti da lavoro. In una di esse tiene la pistola a spruzzo che sta distribuendo un velo di vernice blu sulla fiancata di una grossa fuoriserie.
«I'm going off the rails on a crazy train» canta a squarciagola, non proprio intonato.
«Oh! Una Jaguar F-TYPE. Bell’acquisto, Kanon» esordisce Aphrodite, richiamando l’attenzione del meccanico che lentamente si volta verso di noi. I suoi occhi verdi ci fissano spalancati, ma solo per qualche istante. Da stupiti si fanno gelidi, mentre la mano lascia cadere la pistola per la verniciatura.
«E voi che diavolo volete?» ci chiede.
«Vedi di non essere così scontroso» inizio io. «Veniamo da Atene, abbiamo dormito in una bettola, orinato in una fogna, soltanto per trovarti.»
«Placa il miagolio, micetto. Non mi hai ancora risposto. Che cosa volete? Una macchina, per caso? Avreste potuto comprarle in Grecia senza scomodarvi tanto. Conosco un paio di persone che sanno fare il mio stesso lavoro da quelle parti.»
Il mio Cosmo inizia ad appesantire l’atmosfera, a comprimere le lamiere e i vetri delle auto, ma viene subito vincolato, equivalso da un altro identico, anzi, forse anche più forte. È il potere di Kanon, intatto rispetto all’ultima volta che l’ho visto in azione.
«Kanon dei Gemelli, siamo venuti a chiederti aiuto» afferma Micene, diplomatico, al contrario di me.
«Allora tornate sui vostri passi, perché me ne sbatto di voi e dei vostri bisogni. Avete una gran bella faccia tosta a venire proprio da me dopo aver assassinato mio fratello gemello.»
«Andava…»
«Non dirmi sciocchezze. Me ne frego della solita tiritera. “Andava fatto per il bene del mondo”, stavi per dirmi, no? No, non andava fatto per il bene del mondo. Andava fatto per voi stessi.»
Gli sguardi di mio fratello e di Kanon si sostengono a vicenda senza alcun cedimento. Micene ha la sua stessa età, una forza simile e la determinazione a non arrendersi.
«Il tuo rancore è infondato, Kanon. Dopotutto è stata colpa tua, sei stato tu a far impazzire tuo fratello con il tuo odio. Se è morto è solo ed unicamente colpa tua.»
Cala il silenzio, pesante come un velo di piombo. L’aria calda si fa irrespirabile e quasi benedico il rumore stridulo della saracinesca che si solleva, aprendoci la vista sulla strada affollata. Chi diavolo è tutta questa gente?
«Non ci voleva» afferma Kanon a denti stretti, portando lo sguardo su un uomo che, vestito in maniera bizzarra, si avventura all’interno del garage con la stessa disinvoltura del suo proprietario. La pelliccia stona con i pantaloncini e le infradito, esattamente come i pesanti catenacci d’oro che pendono dal suo collo. Non riesco a trattenere un sorriso che fiorisce palese sulle labbra.
«Guarda guarda, capelli blu ha degli ospiti. Disturbiamo per caso?» chiede, con un tono di voce stridulo e biascicato. Non ci vuole molto a capire che sia ubriaco come una spugna.
«No, non disturbi» gli risponde Kanon. «Alla fine questo schifo è tuo, no?»
Quello annuisce più volte e punta l’indice destro contro di lui. «Dai a Ceasar ciò che è di Ceasar. Per questo sono venuto a esigere lo sfratto. Mi dispiace davvero per i tuoi ospiti.»
«E questo buffone chi sarebbe?» chiede Pegasus, per nulla impressionato dall’entrata a effetto di questo Ceasar.
«Buffone? Mi hai chiamato buffone?» ripete quello, sconvolto. Immagino che non si sia mai messo di fronte a uno specchio e nessuno gli abbia mai dato un parere sincero su come appare.
«Esatto. Uno conciato così non si vede nemmeno a carnevale, dalle nostre parti.»
«Sta’ zitto, Pegasus» tuona Kanon, rivolgendogli un’occhiata fiammeggiante.  Si volta poi verso Ceasar e schiocca la lingua sul palato, prima di parlare.
«Riprenderai questa baracca solo quando lo deciderò io. Ho un lavoro da finire che gioverà a entrambi.»
«Di che si tratta?»
«Di questa» indica la Jaguar nuova sulla quale stava lavorando. «Non potrai avere di meglio in cent’anni. Chiunque dei tuoi uomini non riuscirebbe ad accaparrarsi un esemplare simile. Veloce, pregiata, truccata e maledettamente bella. Che cosa vuoi di più?»
«Ci sarebbe molto di più, sì. Come la tua vecchia Viper. Che ne dici?»
«Non te la darei mai, nemmeno morto.»
Cala ancora una volta il silenzio. Noto che lo sguardo di Kanon si sposta dalla figura di Ceasar agli occhi di una ragazza dai lunghi e morbidi capelli biondi. Ha un corpo a dir poco mozzafiato, anche se non può competere con quello della mia Castalia, e indossa un tubino rosso, che mette in risalto tutte le sue forme. Il trucco pesante evidenzia le labbra con un tono rosso scuro e rende ancora più fredda la sua espressione. Anche lei scruta Kanon come se volesse dirgli qualcosa. È probabile che si conoscano. Scommetto che anche Micene abbia notato questo particolare. Ma sì, lo ha fatto anche Aphrodite che sorride e annuisce come un idiota.
«Due giorni e tornerò a farti la stessa domanda, ma nel frattempo…»
Ceasar si permette di avvicinarsi alla macchina su cui Kanon stava lavorando, la apre e sale alla guida. Gira le chiavi sul quadrante e accende il motore che produce un potente rombo.
«Se non ti dispiace, questa la prendo subito.»
Kanon non controbatte e osserva senza far nulla l’auto che si allontana con a bordo lo strano energumeno. Quando raggiunge la ragazza, lei apre la portiera e siede al suo fianco. La piccola folla si disperde tra gli schiamazzi e si riversa in strada. Il rumore di diversi motori ci raggiunge in lontananza.
«E tu, ti fai derubare così? Eri o no un membro di Zodiak?» chiede Pegasus esterrefatto.
«Non mi importa di un pezzo di ferro» controbatte Kanon, mentre abbassa la saracinesca che torna a produrre un rumore infernale.
«Kanon, chi è quello?» chiede mio fratello.
«Un inopportuno, tanto quanto lo siete voi.»
«Gli darai la tua vecchia Viper?»
Kanon rivolge un’occhiata tagliente a Micene in risposta a quella domanda. Io non seguo il discorso, ma sono sicuro che mio fratello sappia qualcosa su quella macchina.
«Non dovreste farmi il terzo grado. Siete voi che siete piombati qui senza permesso, privi di una spiegazione. Parla Micene, che diavolo vuoi?»
«Torna a combattere per il progetto Zodiak.»
«Che cosa?» grida Kanon esterrefatto. «Dopo quello che…Dopo quello che avete fatto cinque anni fa io dovrei…? No, sei completamente uscito di senno, Micene» dice con un sorriso incredulo sulle labbra.
«Questo mondo sta collassando sotto le ambizioni della H.E.L. I governi stanno cedendo al potere che questa multinazionale può dare loro, le società vengono corrotte da essi.  La criminalità, i soprusi, stanno annegando l’umanità intera nel sangue.»
«Non sono il paladino di nessuno. Andate a cercare i veri eroi altrove, poiché qui non ne troverete. Avete ucciso il fratello buono, tutto quello che rimane dei Gemelli è rancore.»
«E amore, a quanto pare» si intromette Aphrodite. «Soltanto un imbecille non si sarebbe accorto di come guardavi quella donna. Andiamo. Non sei mai stato indifferente al fascino femminile.»
«Dove vuoi andare a parare?»
«Se facciamo una cosa per te, tu ne farai un’altra per noi?» chiede Aphrodite, con un sorriso divertito sulle labbra.
«Non potete fare niente per me, tranne andarvene fuori di qui e alla svelta.»
«No, no, no. Lasciami spiegare. Da quello che ho capito tu vuoi la donna del capo di una banda criminale e lei vorrebbe te, però se solo provasse a cambiare letto, lui la ucciderebbe. Ora, tu potresti compiere una strage e portarla via, ma non vuoi che lei ti veda con le mani sporche di sangue, perché si sa, il protagonista di una storia romantica non uccide mai.»
Aphrodite disegna un quadrato immaginario con gli indici di entrambe le mani.
«E tutto torna.»
«Non ve lo ripeto più, lasciatemi in pace.»
«Ho ragione, vero?» chiede insistente, Aphrodite.
«Non sono affari tuoi» grida Kanon, prima di spostarsi velocemente verso Aphrodite e colpirlo duramente all’addome, nello stesso punto in cui l’ho colpito io.
«Fuori, ho detto» afferma a denti stretti, senza accorgersi che mio fratello sta per attaccarlo a sua volta. Kanon è veloce, tanto che riesce a voltarsi in tempo in modo da parare i colpi alla velocità della luce di Micene e fermare le sue mani nella morsa delle proprie.
«Non puoi sfuggire da quello che sei, Kanon!»
«E cosa sono? Dimmi!»
«Un mio alleato» grida Micene, riuscendo a respingere Kanon, facendogli fare qualche passo indietro, fino a costringerlo a cadere a terra.
«Abbiamo bisogno del tuo aiuto. Non puoi rifiutarcelo, perché sai che siamo nel giusto.»
Micene addolcisce il tono di voce e agli porge la mano per aiutarlo a rialzarsi. Kanon lo osserva in silenzio indeciso su cosa fare.
«In questi cinque anni mi sono costruito una vita qui e non sono pronto a mandarla al diavolo per voi. Non mi importa di giusto o sbagliato...» spiega, per poi colpire la mano di Micene con il dorso della sua. «Per prima cosa vengo io, poi il resto del mondo. Ora vattene da qui, Micene, con la tua allegra brigata» aggiunge, mentre si tira in piedi.
«Non mi sono difeso per non danneggiare le auto. Sai bene che la forza dei Gemelli non è tutta qui, perciò non sfidatemi mai più.»
«Chi ti credi di essere?» ringhio io, compiendo un passo verso di lui. Aphrodite mi impedisce di avanzare, allungando un braccio davanti a me.
«Calmati, Ioria. Kanon è davvero molto pericoloso e a dirla tutta non è indispensabile. È stato sempre un tipo inaffidabile e problematico, la rovina di suo fratello e dello Zodiak. Non mi stupisce che ci volti le spalle.»
Kanon ci ha davvero voltato le ampie spalle e ignora tutte le nostre parole.
«Fuori adesso» si limita a dire.
«Ma...Kanon, aspetta» prova a insistere Pegasus.
«Basta, Pegasus. Non c'è altro da aggiungere» conclude Micene, per poi ripercorrere i passi che ci hanno portato fin qui.
«Se vedrò quella Viper in giro, guidata da quell'imbecille, verrò a cercarti, Kanon, e non te la caverai con qualche graffio» sentenzia mio fratello, prima di scomparire verso il corridoio. Io lo seguo, ma prima di andarmene do un ultimo sguardo al viso di Kanon. I suoi occhi fissi a terra sono arrossati e lucidi. Detesto non sapere le cose come stanno, ma chiedere a uno come lui non avrebbe alcun senso, perciò non mi resta che lasciarmi tutto alle spalle con la sicurezza di aver fatto un viaggio a vuoto.
Il bar è ormai vuoto e gli uomini che lo occupavano al nostro arrivo si servono tranquillamente da soli con quel poco che è rimasto fruibile. Mentre esco controllo il cellulare. Castalia non solo mi ha risposto, ma mi ha inviato anche l’indirizzo del nuovo alloggio. Mostro il messaggio a Micene, che sembra l’unico pratico della zona. Lui gli dà un’occhiata distratta, perché l’attenzione è catturata dal rumore degli schiamazzi e il rombo di diversi motori. Non mi ci vuole molto a tirare le somme: corse clandestine. Hanno fatto film e servizi sulla peculiare propensione della gente di qui per il rischio su quattro gomme. Ammetto che non mi dispiacerebbe provare l’ebbrezza, ma la mia posizione non me lo consente. Volente o nolente non sono come tutti gli altri. Il potere con cui sono nato mi ha sempre maledetto e vincolato.
«Non lo avvertite anche voi?» chiede Micene.
«Sì» risponde Aphrodite senza spiegarmi niente. Provo a concentrarmi per vedere se c’è qualcosa che è sfuggito ai miei sensi ed effettivamente è così. Percepisco una forte energia ostile e pungente. Viene da quel gruppo di uomini e motori. Se la memoria non mi inganna proviene da uno dei vecchi membri di Zodiak.
«Giocherei tutto quello che ho sul suo nome. Questo è…» inizia Aphrodite.
«Shaka» continuo io. «Shaka della Vergine. L’uomo con lo sguardo che uccide.»
«Andiamo a controllare?» si intromette Pegasus.
«No. Non adesso» decide Micene. «Dobbiamo prima parlarne con Lady Isabel. Ho sentito strane voci su Shaka e sul suo coinvolgimento nella H.E.L. e prima di muovere contro di loro, vorrei fare il punto della situazione.»
Pegasus alza le braccia in segno di resa. «Sei tu il capo, Micene.»
Mio fratello scuote la testa e sorride appena. «Non c’è nessun capo nello Zodiak. Prendiamo ordini dall’umanità intera.»
Nessuno ha altro da ridire, nemmeno io che mi scaglio sempre contro le frasi a effetto. È come se la loro voglia di credere in quest’utopia mi abbia contagiato. Siamo pochi, ma facciamo fronte compatto contro il mondo intero. La razionalità dovrebbe gridarmi che sono un’idiota, ma tace e lascia vincere il cuore. Da quando è morto Saga ho iniziato a vedere Zodiak come una setta di fanatici, senza accorgermi che il vero fanatico ero io, che avevo venduto l’anima per un po’ di serenità finta. Avevo voltato le spalle a mio fratello, smesso di ascoltare Castalia e ignorato Lady Isabel e Pegasus, anche se sapevo benissimo che tutti avevamo intrapreso lo stesso cammino, riso e pianto allo stesso modo. Ora che siamo tutti insieme mi sento terribilmente ingiusto. Mi ritiro per primo. Fortunatamente ora abbiamo stanze divise, anche se dobbiamo questo lusso alla disponibilità economica di Aphrodite. Devo assolutamente sapere che lavoro fa per avere tutti questi soldi. Castalia non si è ancora decisa a lasciare il fianco di Pegasus e Lady Isabel. Sono sempre stati amici, anzi, forse il rapporto che ha con il più giovane di noi è diverso. Da quando lui è entrato a far parte di Zodiak, Castalia se ne è sempre presa cura come fosse una sorella maggiore, dando ascolto a un istinto quasi materno.
I pensieri che affollano la mia mente non mi lasciano tempo da dedicare a considerazioni piacevoli sui miei cari. Kanon e Shaka, due veri e propri mostri di potenza che potrebbero essere nostri nemici. Se è vero che la H.E.L. si è estesa fino all’uomo dallo sguardo che uccide, allora significa che anche gli altri potrebbero aver ceduto alle sue lusinghe.
L’Uomo Nero ha davvero così tanto potere sulle menti di persone eccelse come Shaka? Da quando conosco il nato sotto il segno della Vergine l’ho sempre guardato dal basso verso l’alto, come una creatura che non fa parte di questo mondo, quasi trascendentale. Alcuni di noi dicono che sia l’anello congiungente tra gli uomini e le divinità. Il suo potere immenso ha nutrito questa fama che finora non si è mai smentita. Possibile che un uomo puro come  lui abbia venduto l’anima ai distruttori di H.E.L.? Era un fanatico della giustizia, eppure le ricerche di Isabel e della fondazione parlano proprio di questo. Fortunatamente le sue scelte non sono collegate a Kanon , almeno non direttamente.
Il gemello di Saga ha scelto l’esilio in una terra lontana dove nessuno lo conosceva per ricostruirsi una vita seguendo la sua grande passione per i motori. Ha iniziato come meccanico di quartiere, poi, inspiegabilmente è finito a lavorare per un criminale della zona, un tale Ceasar Hemett, un ometto privo di qualsiasi qualità ma fradicio di soldi e fratello della bella Tethis Hemett. Entrambi i gemelli erano tipi emotivi e non mi stupisce che Kanon si sia invischiato in una relazione sentimentale pericolosa, non tanto per lui, ma per tutti quelli che gli si sono stretti attorno. La sua calma apparente non mi piace, perché il suo sguardo e la sua espressione parlavano di rabbia e cose non dette. Forse è come dice Aphrodite, probabilmente non farà mai del male a Ceasar per non far vedere a Tethis quanto mostruoso sia il suo potere, però c’è il rischio che perda il controllo della situazione, che si arrabbi e che faccia fuori Hemett e il suo gruppo di balordi senza battere ciglio. Abbiamo visto quello che può fare il potere dei Gemelli, quando Saga ha sterminato un intero paese in una notte. Kanon non è diverso da lui in quanto a capacità.
«Ioria, disturbo?» mio fratello mi trascina via dalle mie riflessioni.
«No, figurati», rispondo, sollevandomi dalla balaustra del balcone alla quale sono stato appoggiato finora. L’aria della sera tarda è più gradevole anche se sempre maleodorante. Mi sfiora il viso e i capelli come carezza consolatoria.
«Che fai da solo? Non vieni a cena?» mi chiede lui.
«Perdonami, me ne ero dimenticato. Ero troppo preso da…»
«Ancora ripensamenti?» non mi lascia finire.
«No, finalmente ho accettato il mio ruolo» rispondo con un sorriso. «E mi sono reso conto che un po’ questo clima mi mancava.»
«Anche a me. Riunire Zodiak mi dà soddisfazione, mi fa sentire un po’ più vicino a quello che ero in passato. È come ritrovare amici, fratelli perduti.»
La sua espressione si rabbuia, mentre gli occhi si perdono verso l’orizzonte reso incerto dalle ombre.
«Spiegami la storia della Viper» dico io tutto a un tratto, dando voce al flash che mi ha invaso la mente.
«La Dodge Viper che ha Kanon è un regalo, forse l’unico, che gli fece suo fratello. Anche se era gelido come il marmo e famoso per essere un assassino a sangue freddo, Saga era attento alle persone che gli erano vicine. Non eravamo in molti, a dire il vero, perché lui erigeva un muro attorno a sé e pochi hanno osato superarlo.»
Micene tira un lungo sospiro, mentre socchiude gli occhi lucidi.
« Siamo stati i primi a essere allevati secondo le direttive di Zodiak. Siamo cresciuti come fratelli, abbiamo avuto più o meno gli stessi problemi di adattamento, gli stessi drammi sentimentali…»
Si lascia andare a una breve risata.
«Eravamo innamorati di due sorelle. Ridevamo spesso sul fatto che saremmo diventati cognati.»
«Quindi Penelope e Silvia…erano sorelle? Perché non me l’hai mai detto?» chiedo sorpreso.
«Sì, erano sorelle e avevano pressappoco anche lo stesso carattere intrattabile. Loro non ritenevano importante quel dettaglio. Tutte le donne all’interno di Zodiak si sono sempre considerate sorelle.»
«Allora tutto si spiega…»
Già, tutto si spiega. La notte in cui fummo costretti a uccidere Saga, togliemmo la vita anche a Silvia, la donna che mai lasciava il suo fianco. Penelope si frappose tra noi e lei per evitare che venisse colpita. Fu proprio Micene, l’uomo che avrebbe dovuto sposarla a toglierle la vita. La freccia d’oro le trapassò il cuore senza lasciarle tempo di dire le sue ultime parole. Non lasciammo scampo a nessuna delle due, poiché Silvia, superstite, cercò di fermarci fino alla fine. Dovevamo scegliere: vivere o lasciar vivere, portare la pace o lasciare  il mondo sul baratro del caos.
«Tutto si spiega... Non proprio tutto, fratello. Ma non voglio addentrarmi in queste elucubrazioni. Voglio ricordarmi solo le parti più belle della mia vita.»
Annuisco. «Perdonami.»
«Non devi chiedermi perdono, sai bene che te lo concederei sempre. Sei mio fratello. Non mi devi ringraziare, non mi devi chiedere scusa.»
Sorrido e assottiglio le labbra per trattenere a tutti i costi le lacrime che vogliono scapparmi dagli occhi. Le sue parole sono bellissime e rievocative. Me le avrà ripetute un migliaio di volte, ma hanno sempre lo stesso effetto. Lui è mio fratello maggiore, la mia guida, l’uomo che si è fatto carico di me facendomi anche da padre. Per quanto mi faccia arrabbiare e tante volte si renda difficile da comprendere, lui è comunque uno degli affetti più forti che ho.
«Anche tra Saga e Kanon c’era questo tipo di rapporto, benché l’avere la stessa età li metteva spesso in conflitto sulle cose più svariate. La Viper di cui mi hai chiesto prima, costò oltre due anni di retribuzione a Saga. Girò in lungo e in largo l’America per trovarla e donarla il fratello al suo diciottesimo compleanno. Proprio come me non ne capiva un fico secco di macchine, difatti ci prendemmo una grossa cantonata. Scegliemmo un’auto che Saga pagò per buona e ci ritrovammo un catorcio. Quando arrivò in Grecia, facemmo di tutto per nasconderla, ma Kanon la trovò lo stesso. Fummo sorpresi della sua reazione: era felice, come se il fratello gli avesse regalato il mondo. Fu lui a sistemarla e a cavarne fuori una meraviglia, la stessa che ha portato con sé fin qui.
Ora sai perché gli ho detto quelle cose. Se dovesse cedere quell’oggetto, non sarebbe più degno di far parte di Zodiak. Non vorrei al mio fianco un uomo che ha calpestato il ricordo dell’affetto più caro.»
La sua scelta non è ottimale in termini di strategia, ma non posso che appoggiarlo. Nemmeno io combatterei al fianco di una persona che getta via un regalo così importante.
«E che cosa farai con lui in quel caso?»
«Se non sarà mio alleato sarà mio nemico» dice con tono grave, per poi voltarsi verso di me e sorridermi. «Tuttavia non penso che dovremmo porci il problema. Testardo, impulsivo, quello sì, ma nel cuore di Kanon non c’è mai stata malvagità. Sono sicuro che sarà dalla nostra parte, soprattutto quando avremmo risolto il suo problema con Hemett.»
«Intendi far fuori Ceasar?» chiedo sorpreso.
«Farlo fuori no, sono più propenso a farlo pentire di essere nato.»
 
 

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