Until the end

di Martybido
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La lettera ***
Capitolo 2: *** Posta via gufo ***
Capitolo 3: *** Il compleanno ***
Capitolo 4: *** La festa ***
Capitolo 5: *** La tempesta ***



Capitolo 1
*** La lettera ***





LA LETTERA

Fu il forte odore di pancake a svegliarmi. Mi stavo nascondendo da un uomo misterioso che mi inseguiva; non aveva palesato le sue intenzioni, semplicemente iniziò a seguirmi con fare minaccioso e ciò mi fece intuire le sue idee poco amichevoli. Ero appiattita contro una roccia, sentivo i suoi passi avvicinarsi, quando una scia di un profumo a me noto si fece largo. Nel momento in cui realizzai “Sono i pancake!” aprii gli occhi.
La stanza era avvolta nel buio. Sbattei le palperebbe un paio di volte prima di tornare con la mente nella realtà. Non che fossi dispiaciuta di aver abbandonato la mia fuga, insieme al misterioso inseguitore. Ormai sogni come quello accadevano spesso e tutti finivano allo stesso modo. Non riuscivo a capire chi mi inseguisse, vedevo solo una scura figura, avvolta in un mantello. Non parlava, le uniche volte che apriva la bocca era per ansimare a causa della folle corsa.
Stropicciai gli occhi, mi misi a sedere sul bordo del letto e mi stiracchiai. Contemporaneamente la porta si aprì lentamente rivelando il familiare viso di mia madre.
“Madison, tesoro...” si stupì nel vedermi già alzata. Di solito ci servono diversi suoni di sveglia. Contenta di come si sia rivelata facile la missione ‘svegliamo-Madison’, riprese. “Bene, sei già in piedi! La colazione è pronta e visto che oggi è una giornata importante ti ho preparato la tua preferita.”
“Ciao mamma, grazie arrivo subito.” Salutai, socchiudendo gli occhi verso la luce che filtrava dall’uscio e accesi la bajour .
Mi sorrise un’ultima volta e se ne andò.
Allontanai del tutto l’ultimo rimasuglio di inquietudine pensando a come questa dovesse essere una giornata fantastica. Non solo perché era il mio compleanno, ma perché compivo sedici anni. Nella mia testa era sempre stata una tappa importante, una specie di rito di passaggio, dove iniziavi a contare qualcosa e le persone smettevano di guardarti con un misto di tenera comprensione che di solito rivolgevano ai cuccioli di gattini.
Tuttavia non era l’unico motivo. Esattamente il 24 giugno di due anni fa ricevetti la lettera che cambiò la mia vita e quella della mia famiglia.

Proprio come oggi, anche allora iniziai la mia giornata con la chiamata di mia mamma. Solo che le notti non erano tormentate da questi incubi ricorrenti. In pigiama, mi avviai in cucina, dove mi sedetti a fare colazione. Pancake (le fragole sistemate come un sorriso), uova fritte, bacon e succo di arancia. Tutto procedeva come ogni mattina, finché mio padre non andrò alla porta a ritirare la posta e tornò con l’aria assai preoccupata.
“Mary, è arrivata...” disse mio padre con voce seria.
Mamma, che stava sistemando gli ultimi addobbi, si bloccò. Si girò rapidamente per fissare quello che mio padre le porgeva. Entrambi mi lanciarono occhiate fugaci.
Furono i comportamenti alquanto sospetti dei miei genitori a distrarmi dai miei pensieri, incentrati sui bei regali che avrei voluto ricevere. Cosa c’era di strano in una lettera? Papà ne riceva parecchie: tra la banca, le bollette, abbonamenti e i parenti, non era certo una novità ricevere posta. Mi bloccai con la forchetta a mezz'aria e fissai entrambi con aria interrogativa.
Mio padre teneva gli occhi fissi su mia madre, la quale passava i suoi in rassegna da lui alla busta, come incapace di decidere il da farsi. Tutta la scena durò una decina di secondi, durante i quali feci attenzione a non muove un muscolo per paura di perdere qualcosa delle loro occhiate colme di significato. Capii che stavano comunicando con lo sguardo, senza proferire parola, per evitare di ammettere ciò che li turbava.
Mia madre sembrò decidersi, allungò una mano tremante verso la busta...
“Potevate anche svegliarmi eh?!” L’urlo di Victoria arrivò forte e chiaro dalle nostre spalle, rompendo l’atmosfera e riportandoci tutti alla realtà. Mamma ritirò immediatamente la mano e nello stesso istante mio padre infilò la busta in mezzo alle altre.
Distolsi con delusione lo sguardo e salutai mia sorella con una punta di amarezza nella voce.
“Buongiorno tesoro...” iniziò mamma, ma mia sorella la interruppe “Mamma ho diciassette anni e tesoro lo si dice a chi ne ha cinque!”
“Victoria, non parlare così a tua madre. Quando non ci saremo più rimpiangerai le nostre premure.” La rimproverò papà.
Sbuffando, Vicky si sedette accanto a me prese la sua parte di colazione. “Buon compleanno Maddy.” Mi augurò, dando giusto un’occhiata di sbieco verso la mia direzione.
Non ne fui stupita. Vicky non era propensa a mostrare grandi slanci di affetto. E se in quel momento, mentre la ringraziavo, sorridendole, nutrivo una vaga speranza che la nostra relazione potesse migliorare, qualche ora più tardi dovetti ricredermi.
La giornata proseguì allegra: alla colazione seguirono le solite telefonate di auguri dei parenti, che confermavano l’ora di arrivo per la festa pomeridiana. Alle 17 eravamo tutti riuniti per scartare i regali e mangiare il dolce.
Il panico scatenato dalla lettera di stamane sembrava non esserci mai stato. I miei genitori si comportavano normalmente: papà salutava, chiacchierava e rideva rumorosamente mentre nonno Richard raccontava un aneddoto divertente, nonna Anne e nonna Patty si davano da fare ad aiutare mamma con gli spuntini e il dolce.
Per un attimo mi illusi che i comportamenti ambigui dei miei genitori fossero solo frutto della mia immaginazione. Finché a mia madre non saltarono i nervi.
“Mary, la tua torta è una meraviglia!” Si complimentò nonna Anne, dopo averne assaggiato un pezzo. “Dico davvero, ha un gusto magico.”
La bottiglia di coca cola che reggeva si rovesciò tutta sul tappeto del salotto. Fissò la nonna con occhi vitrei. Ci furono gridolini, un accavallarsi di voci e diverse persone si prodigarono per sistemare.
Fu la conferma di non essermi inventata niente. Fissai la scena, cercando di non perdere nessun momento chiave.
“Cosa vi agitate? È solo della coca cola.” Riprendeva con fare saccente Vicky.
Mamma si scusò, mortificata. Mentre spostava le sedie, papà le lanciò uno sguardo di rimprovero. Me lo aspettavo.
Ciò che non avevo previsto fu l’occhiata penetrante che nonna Patty rivolse a sua figlia per poi dirigerla verso di me. Piena di rancore e delusione. Nonostante nonna Patty fosse famosa per la sua disciplina a freddezza (Victoria aveva preso sicuramente da lei), sopratutto da dopo la morte del nonno Edgar, il suo caratteraccio si riversava su tutta la famiglia, ad esclusione di mia madre. Cosa può averla spinta ad agire in questo modo? Che sapesse della busta?
Le risposte che volevo, o almeno una buona parte, arrivarono con la dipartita dei nonni, poco dopo cena.
“Mamma, hai un momento?” Riuscii a trovarla sola, in cucina, mentre stava caricando la lavastoviglie. Non fu un’impresa facile. Per tutta la durata della festa, entrambi i miei genitori fecero in modo di non trovarsi mai soli. Ne approfittai ora: mia sorella era a guardare la TV in camera sua e papà stava buttando la spazzatura.
“Maddy, sto sistemando le stoviglie e vorrei andare a letto presto sta sera. È stata una giornata impegnativa.” Mamma cercò di liquidarmi così. Ma non volevo arrendermi.
“Capisco. Volevo solo ringraziarti per la bella festa” continuai “e per la raccolta completa della saga che sto leggendo”.
Si voltò e con una nota di sollievo nella voce disse “Sapevo che la desideravi tanto.”, poi si avvicinò mi abbracciò.
Non mi lasciai fuggire l’occasione. “Mamma, puoi dirmi cosa c’è che non va con quella busta che papà ha ricevuto sta mattina?”. La sentii irrigidirsi dentro il mio abbraccio. “Non negare. Ho visto le occhiate che vi siete scambiati e nonna Patty per poco non mi fulminava.”
Ci sciogliemmo dall’abbraccio. La guardai negli occhi e ripresi “Ho capito che mi riguarda, ma non ho idea del perché. E visto che è ancora il mio compleanno vorrei sapere di cosa si tratta.”
Le labbra le tremarono. Avvicinò il mio viso al suo e mi bacio sulla fronte. Riportando il mio volto alla sua altezza, disse “Madison, hai tutto il diritto di sapere.”
Una lacrima le solcò il volto.
Ci accomodano in salotto, attendendo il ritorno di papà.
Appena entrò, la mamma lo chiamò a sè “Joseph, caro, vieni qui.”
Papà arrivò e appena vide me e mia madre insieme, uno sguardo sospettoso lo attraversò. Un’occhiata veloce agli occhi lucidi della mamma e ai miei accesi di curiosità, gli bastò. Disse solo “Mary, sei sicura? Una volta detto non si torna indietro.”
“Sì, deve saperlo. Prima o poi lo saprà comunque.” Ammise lei.
Mio padre andò nel suo studio e tornò con la famosa busta.
“Aprila.” Me la porse.
Mi tremavano le mani. Dopo un’intera giornata era finalmente mia.
Era pergamena. Pensai a come fosse strano (chi usa la pergamena oggigiorno?) Un sigillo di ceralacca rossa con inciso uno stemma di una grande H ornava la parte frontale; nel retro, una calligrafia obliqua in inchiostro verde (e chi usa ancora il pennino?), aveva scritto il mio indirizzo:

Miss Madison Elisabeth Evans
Seconda camera, primo piano
246 Notting Hill
Londra
Gran Bretagna

Stupefatta guardai mia mamma.
“Seconda camera? Come fanno a sapere dove dormo?” Dovetti ammettere che era un fatto curioso, oltre che inquietante. Immaginai un postino accampato nell’albero di fronte la mia camera che prendeva nota della sua posizione.
“Apri la busta, ti spiegherò dopo.” Rispose trattenendo il fiato. Papà le prese la mano.
Eseguii. Voltai la busta e ruppi la ceralacca. Ne estrassi tre fogli di pergamena.
Nel primo ritrovai la calligrafia obliqua che aveva scritto il mio indirizzo. In centro campeggiava uno stemma: la grande H circondata da uno scudo, suddiviso in quattro parti. In ognuna c’era disegnato un animale: un leone su sfondo rosso, un serpente su sfondo verde, un tasso su sfondo giallo e un corvo su sfondo blu. Nel fondo, un cartiglio recitava il motto: draco dormiens nunquam titillandus.
Se la pergamena, la scrittura con il pennino e l’esatta posizione della mia cameretta, mi lasciarono basita, niente era in confronto con quanto stavo per leggere.

SCUOLA DI MAGIA E STREGONERIA DI HOGWARTS
Direttore: Albus Silente
(Ordine di Merlino, Prima Classe, Grande Esorcista, Stregone Capo, Supremo Pezzo Grosso, Confed. Internaz. Dei Maghi)

Cara signorina M. Maple,
Siamo lieti di informarLa che Lei ha diritto a frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Qui accluso troverà l’elenco di tutti i libri di testo e delle attrezzature necessarie.
I corsi avranno inizio il 1º settembre. Restiamo in attesa della Sua risposta via gufo entro e non oltre il 31 luglio p.v.
Con ossequi
Minerva McGranitt
Vicedirettrice

Mentre proseguivo nella lettura la mia bocca si spalancava sempre più, lasciandomi un’espressione inebetita.
“Scuola di magia...?” Dissi più tra me e me che rivolta a qualcuno dei presenti.
Sentii mio padre muoversi nervosamente sul divano. Ero consapevole di avere gli occhi di entrambi puntati addosso.
“...stregoneria di...?”, controllai la prima riga, non ricordavo ancora quel nome difficile, “Hogwarts.”.
Finalmente alzai lo sguardo sui miei genitori. Proprio come avevo sospettato, papà aveva un’espressione nervosa, mamma era tesa come una corda di violino, intenta a calibrare ogni mia emozione e a valutare ogni mia mossa. Le mani ancora intrecciate.
“Mi hanno invitato ad andarci...” li informai. Ero stordita. Incredula. Non poteva essere. La magia non esiste. Poi realizzai una palese realtà: loro lo sapevano. Ecco perché mi nascondevano la lettera. Appena formulai la teoria, fu come ricevere un dizionario sulla testa.
Come se cercassi una qualche via di uscita da quella situazione, controllai febbrilmente i fogli restanti.
Il secondo recitava una serie di oggetti necessari per iniziare l’anno scolastico.

Uniforme
Gli studenti del primo anno dovranno avere:
Tre completi da lavoro in tinta unita (nero)
Un cappello a punta in tinta unita (nero) da giorno
Un paio di guanti di protezione (in pelle di drago o simili)
Un mantello invernale (nero con alamari d’argento)
N.B. Tutti gli indumenti degli allievi devono essere contrassegnati da una targhetta con il nome.

Libri di testo
Tutti gli allievi dovranno avere una copia dei seguenti testi:
Manuale degli Incantesimi, Volume primo, di Miranda Gadula
Storia della Magia, di Bathilda Bath
Teoria della Magia, di Adalbert Incant
Guida pratica alla trasfigurazione per principianti, di Emeric Zott
Mille erbe e funghi magici, di Phyllida Spore
Infusi e pozioni magiche, di Arsenius Brodus
Gli animali fantastici: dove trovarli, di Newt Scamander
Le Forze Oscure: guida all’autoprotezione, di Dante Tremante

Altri accessori
1 bacchetta
1 calderone (in peltro, misura standard 2)
1 set di provette di vetro o cristallo
1 telescopio
1 bilancia d’ottone
Gli allievi possono portare anche un gufo, OPPURE un gatto, OPPURE un rospo.
SI RICORDA AI GENITORI CHE AGLI ALLIEVI DEL PRIMO ANNO NON È CONSENTITO L’USO DI MANICI DI SCOPA PERSONALI.

Il terzo era il biglietto di un treno.
Madison Elisabeth Evans, Espresso di Hogwarts, binario 93/4, King’s Cross, Londra.

“Perché?...” riuscii soltanto a bisbigliare senza voce.
Fu il mio sguardo pieno di orrore a spingere mia madre ad essere diretta.
“Madison, tu sei una strega.”
Mi correggo, due dizionari.


******


Nota dell'autrice.
Ciao a tutti! Questa è la mia prima fanfiction e vorrei precisare un paio di cosette affinchè possiate capire meglio lo spirito che avrà questa storia.
Innanzi tutto è importante premettere che è stata concepita per essere una storia ad uso personale, solo da qualche giorno ho deciso di renderla pubblica e, se le cose vanno come le ho immaginate, dovrebbe suddividersi in due parti piuttosto corpose. Non nascondo che il mio modo di scrivere è molto tranquillo e rilassato, perciò tutti i lettori abituati ad avere capitoli pieni di colpi di scena dovranno avere pazienza... oppure si dirotteranno verso altri racconti :)! Until the end seguirà la storia dei libri della saga, ma con dei necessari cambiamenti. Per esempio, vedremmo dei Dissennatori fare la guardia durante lo svolgimento del Torneo Tremaghi e i GUFO si terranno alla fine del terzo anno. Alcune diversità sono dettate dalla mia volontà, altre sono propedeutiche alla pubblicazione. Ciò vuol dire che ci saranno avvenimenti che si svolgeranno e finiranno come nei libri; alcuni si evolveranno diversamente per giungere alla medesima fine; altri saranno totalmente rivoluzionati.
Non mancheranno avvenimenti che strizzano l'occhio alla storia originale, dando quel senso di familiarità  (che era lo spirito principale della mia storia), come il Ballo del Ceppo e il suo svolgersi e le varie prove del Torneo.
Disclaimer: cercherò di ridurre al minimo tutte le citazioni e i riferimenti all'opera originale, dove ciò non fosse possibile, come nel caso della canzone di inizio anno del Cappello Parlante, di alcuni dialoghi, descrizioni, certe lezioni (Occlumanzia in particolare), lo segnalo già ora (se ce ne fosse bisogno, pure sotto ai singoli capitoli) che non sono di mia proprietà e non sono pubblicate per scopo di lucro.
Passando ai protagonisti, ho deciso di crearli prendendo spunto da persone che conosco (amici, familiari, me stessa) e da quelli creati dalla Rowling. Il motivo è semplice: per me Harry Potter è solo quello dei libri e fa solo le cose in essi descritte. Se gli avessi fatto compiere azioni diverse da quelle canoniche, mi sentivo come si stessi tradendo il testo. Sì, non ha senso, ma non ci dormivo la notte e solo questo mix mi ha fatto trovare il giusto compromesso! Ciò giustifica la scelta di dare nomi diversi, anche se Madison ricalca le imprese di Harry , Matthew Hermione e Francine Ron. Non solo: alcuni nomi sono stati cambiati (quelli che mi seguiranno lo vedranno) per necessità, in quanto potevano creare dei problemi più avanti con la trama; per rendere omaggio alle persone che me l'hanno chiesto, data la tanta affinità con il personaggio cartaceo; o, semplicemente, il nome nuovo denota una persona totalmente inventata che non ha un corrispettivo dentro al volume.  In ogni caso, cercherò di spiegare le mie scelte sotto al capitolo che introduce il personaggio.
Nonostante la maggior parte dei personaggi secondari mantengano il loro nome e il carattere, per uno in particolare avremo un OOC: da buono diventerà cattivo.

Attualmente sono arrivata a scrivere 260 pagine di Until the End e sono ancora alla prima parte, che terminerà con la fine dell'anno scolastico di Madison. La trama è ancora work in progress perciò se avete dei suggerimenti non esitate a scriverli.
Questa doveva essere una piccola introduzione e invece mi sono dilungata troppo. Se avete domande commentate, io cercherò di spiegare di volta in volta sotto ai capitoli i vari risvolti.
Buona lettura!

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Capitolo 2
*** Posta via gufo ***


POSTA VIA GUFO

Fu con il sorriso sulle labbra che ricordai il momento in cui scoprii di essere una strega.
Andai in bagno a sciacquarmi il viso, prima di scendere a colazione. Fuori dal bagno incrociai mia sorella.
“Giorno, Vicky” salutai.
“Sì, ciao e tanti auguri eh.” Fu la sua breve risposta. Mi oltrepassò, i lisci capelli neri che svolazzavano sopra alla maglietta del pigiama.
Considerai un enorme traguardo il fatto che non mi avesse apostrofato con il suo solito ‘megera-Maddy’. Era di buon auspicio.
Purtroppo, aver ricevuto la lettera di Hogwarts, aveva incrinato ancora di più il nostro rapporto. E il fatto che ne ricevessi una uguale ogni estate non aiutava.
Vicky scoprì il giorno dopo di me la mia peculiarità. Mamma e papà dovettero pregarla per riuscire a ritagliare qualche momento in sua compagnia, sconfiggendo i suoi “I miei amici mi stanno aspettando! Vi rendete conto che è estate?!” Come prevedibile, non reagì bene. All’inizio pensò ad uno scherzo di cattivo gusto. Poi ipotizzò che si trattasse dell’ennesimo tentativo dei nostri genitori di farci andare d’accordo.
Alla fine fu la lettera, riletta ben sette volte, insieme ad una dimostrazione pratica da parte di mia madre, a convincerla che la magia esiste e che ero una strega.
Quando fui pronta raggiunsi la cucina.
Mi intercettò mio padre, ai piedi delle scale.
“Tantissimi auguri, Madison”, mi abbracciò forte e aggiunse sottovoce, “Appena hai un attimo ti devo parlare” mi face l’occhiolino.
“Grazie, papà. Ok, poi vengo” confermai sorridendo.
Entrammo insieme in cucina, dove mia mamma stava sistemando sul tavolo la colazione tipica del mio compleanno.
“Buon compleanno, tesoro!” mi baciò su entrambe le guance. Risposi al suo affettuoso augurio e mi fiondai sulla colazione.
I miei genitori presero posto appena prima che arrivasse mia sorella.
“Semestre duro per la borsa. Le banche stentano a dare liquidità” ci informò papà leggendo il Financial Times, mentre sorseggiava del succo.
“Madison, oggi esci con i tuoi amici? Ricordati che questa sera festeggeremmo il compleanno con i nonni” ricordò mamma.
“No, mamma, li vedrò sabato, mi hanno organizzato una festa di compleanno. Ci sarà anche Matthew” risposi con la bocca piena.
“Bene. Victoria, oggi resti a casa? Che dici se domani iniziamo a vedere qualche annuncio di lavoro? Così ti do una mano. Adesso che sei diplomata è il momento di diventare indipendenti” disse rivolta a mia sorella.
“Non c’è fretta, mamma. Il lavoro non scappa mica” rispose masticando il suo bacon.
Un fruscio d’ali annunciò l’arrivo di un gufo. Nonostante fossero passati due anni da quando appresi che il mezzo di comunicazione preferito tra maghi fosse affidato a gufi, civette e barbagianni, ancora guardavo affascinata il loro andirivieni.
Papà sollevò appena gli occhi dal giornale, per vedere quale gufo fosse; Vicky emise uno sbuffo di disappunto.
A consegnare il proprio bottino fu un gufo della Posta, reggeva nel becco una copia della Gazzetta del Profeta. Mamma lo prese, mise cinque zellini di bronzo nella saccoccia legata alla zampa e, mentre il volatile volava via, iniziò subito a sfogliare l’interno del giornale, mentre io fissavo le immagini in prima pagina che si muovevano.
Vedendo mia madre intenta a leggere le notizie del mondo magico, capii quanto dovette costarle fingere di condurre una vita normale. Incantesimi di Disillusione e di Apparenza erano all’ordine del giorno.

“Io sono una strega?” domandai sconvolta.
“Sì, tesoro, lo sei” confermò mia madre con voce flebile. “Proprio come lo sono io.”
“TU SEI COSA?!” era troppo da assimilare.
Papà intervenne in suo soccorso: la pressione di quella rilevazione la stava schiacciando.
“Madison, capisco che sia difficile per te da comprendere. Ci sono passato anche io vent’anni fa, quando tua madre mi rivelò chi era”. La sua voce era ferma. Il suo sguardo si puntò sul mio volto: potevo vedere i miei occhi azzurri, grandi, spalancati, riflessi sui suoi occhiali. “È una storia complicata, difficile da riassumere e tanto più da comprendere, specie alla tua età. Ascolta la mamma senza interrompere. Alla fine potrai fare tutte le domande che vorrai.”
Mi voltai a guardarla, lei chiuse gli occhi e inspirò a fondo. Quando li riaprì vidi i miei stessi occhi che mi fissavano di rimando. Iniziò il racconto con voce sorprendentemente decisa.
“Devi sapere, Maddy, che tu discenti da un’antica famiglia di maghi. Affinché tu capisca come mai sei cresciuta nel mondo babbano, cioè di gente priva di magia, senza sapere nulla di me e delle tue origini, devo raccontare dall’inizio.
Nonno Edgar e nonna Patty erano due maghi molto potenti, oserei direi i migliori di quel tempo. Diverse decine di anni fa, il mondo magico entrò in guerra e loro furono in prima linea a combattere il Mago Oscuro, Grindelwald. Grindelwald voleva dominare sopra ogni cosa. Le modalità e le sue teorie non ci interessano adesso” vedendo che stavo per intervenire, alzò una mano e proseguì “quello che ti serve sapere, ora, è conoscere come è morto tuo nonno, poco prima della tua nascita. Non è morto per una malattia: è stato assassinato da Grindelwald. Grindelwald stava perseguitando tutte le famiglie che osavano opporsi al suo controllo ed era questione di tempo prima che arrivasse a noi. Ci fu una feroce battaglia… tuo nonno, alla fine, ebbe la meglio e riuscì a salvarci tutti, ma ad un caro prezzo…”
A questo punto, mio padre le strinse la spalla. “Per l’intera comunità magica tuo nonno è un eroe, era riuscito dove tutti avevano fallito: sconfiggere il più grande Mago Oscuro di tutti i tempi.”
La testa mi stava scoppiando. Avevo troppe domande da fare. Scelsi la più ovvia.
“Anche Victoria è una strega come me?”
Fu sempre lei a rispondere. “No, tua sorella è una Babbana, chiamiamo così le persone senza poteri magici. Proprio come tuo padre”.
“Papà non è un mago?” domandai senza capire.
“No, tesoro...Il destino ha voluto che mi innamorassi del ragazzo della porta accanto, quello con cui ero cresciuta assieme: il Babbano curioso, che da piccolo era attratto dai miei giochi magici”, sorrise al ricordo. “Appena finii la scuola cominciammo a frequentarci” mia madre lanciò un’occhiata a suo marito, che rispose con uno sguardo dolce. Poi riprese. “Tuo padre conosceva le mie origini, era sempre stato attratto dalla magia. Per lui non rappresentava un problema. Tuttavia in quegli anni Grindelwald era al massimo del suo potere e i contatti con i Babbani (che tanto disprezzava) erano ridotti al minimo. Lo informai subito della situazione in cui versava l’intero mondo magico ed ero pure disposta a chiudere la relazione, ma lui insistette e volle starmi vicino.”
Papà rise di gusto, nel ricordare quel momento. “Non fu certo facile: la nonna non ne era contenta, fu il nonno a farle cambiare idea.”
“Perché?” volli sapere. Era la prima volta che ascoltavo la vera storia di come si erano conosciuti.
“Patty disapprovava la scelta di tua madre di correre un tale rischio, disse che era più saggio attendere tempi migliori, semmai ce ne fossero stati. Non voleva mettere a mettendo a repentaglio le nostre famiglie e il gruppo di ribelli del quale facevano parte per sconfiggere l’Oscuro. La verità è che era molto preoccupata per la sorte della sua unica figlia. Non sopportava l’idea di perderla. A tuo nonno ero sempre piaciuto e riteneva che questa fosse una guerra da combattere insieme, Babbani e maghi, in quanto coinvolgeva tutti.”
 “Ma voi lo sapevate che ero una strega, vero?”
Papà prese la parola. “Certo, è dall’età di un anno che pratichi la magia” sorrise al mio sguardo attonito.
“Questo è molto soggettivo”, precisò la mamma, “Ci sono maghi che sviluppano i poteri nei primi anni di vita ed altri più tardi, intorno agli undici anni. Con tua sorella non siamo stati sicuri che fosse una Babbana, finché al suo quattordiesimo compleanno non arrivò nessuna lettera di Hogwarts e questo tolse ogni dubbio.”
“Io so fare magie?” chiesi meravigliata.
“I maghi minorenni non hanno il pieno controllo dei propri poteri, questo lo si impareranno ad Hogwarts, e finiscono con usare la magia in modo inconsapevole, per le cose più disparate. Come quella volta che hai colorato la neve di rosa, solo per renderla più interessante” un sorriso le si allargò sul viso.
Ricordai subito quell’avvenimento. Avevo tre anni e non appena puntai il dito verso un cumulo di neve, quello divenne rosa acceso. Papà giustifico l’avvenimento al vicino con il fatto che una boccetta di colorante gli era caduta un attimo prima che si voltasse.
“O quando feci parlare Honey” Honey era il nostro gatto bianco a strisce rosse. Era nella mia famiglia da quando lo trovai in vacanza al mare all’eta di due anni. Un giorno gli domandai se volesse una caramella, mi rispose con un ‘No, grazie’ molto gutturale. Sbalordita lo feci presente alla mamma che subito attribuì la cosa alla mia fervida immaginazione.
“Esatto” annuì lei.
“È importante che ci sia sempre la massima segretezza sul nostro mondo. I babbani non devono sapere di noi. Con i maghi e le streghe piccole è molto difficile giustificare continuamente gli avvenimenti magici. Prima o poi qualcuno si accorge” lanciò uno sguardo molto eloquente a mio padre.
“Ah ah ah! Io l’avevo capito subito che i tuoi giochetti di prestigio erano frutto di vera magia!” Rise lui “nessun altro era in grado di fare quelle cose. È un miracolo che quelli del Ministero non mi abbiano modificato la memoria...”
“Solo perché mio padre era un membro molto influente dell’Ufficio Applicazione della Legge Magica, capo dell’Ufficio per l’Uso Improprio delle Arti Magiche e Membro Onorario del Wizengamot, il triunale magico. Aveva capito che la tua era una semplice curiosità e i tuoi genitori sono sempre state brave persone” spiegò la mamma.
“Quindi per tutti questi anni avete finto di condurre una vita normale?” chiesi, dato che mi erano venuti in mente altri avvenimenti strani.
“Sì. Era necessario. In più non volevamo escludere tua sorella. Anche ora non sarà facile spiegarle...” in un attimo si rabbuiò, pensierosa.
Pensai a come sarebbe cambiata la mia vita. Decisi di fare la domanda che più mi tormentava.
“Se le cose stanno così…perché non mi avete mai detto che ero una strega? Perché non volevate dirmi della lettera? E dall’occhiata che nonna Patty, mi sa che neppure lei voleva che lo sapessi...”
“Volevamo tenerti al sicuro.”
“Da chi? Grindelwald, o come si chiama, è stato sconfitto.”
Entrambi si scambiarono uno sguardo d’intesa. Mia madre mi prese la mano prima di parlare.
“Madison, tu non sai com’è stato vivere perennemente attanagliati dalla paura e ti auguro di non saperlo mai. Tuttavia, questo ti lascia un segno dentro e impari che la prudenza non è mai troppa. Avevamo deciso di dirtelo non appena fossi stata più grande e avessi ricevuto la lettera. Non si è mai troppo cauti…”
Non seppi cosa dire. In quell’istante ancora non lo sapevo, ma di lì a poco, un'ombra avrebbe iniziato ad occupare buona parte dei miei sogni.

“Certo che mettere le immagini in movimento dei criminali appena arrestati, non è una cosa molto rassicurante” fece presente Victoria, osservando la prima pagina della Gazzetta del Profeta.
“È successo qualcosa di grave, cara?” domandò mio padre sollevando gli occhi dal giornale babbano.
“Un altro arresto. Un fanatico andava in giro a tormentare dei Babbani, inneggiando ai tempi oscuri. Se si continua così Azkaban si ritroverà senza celle libere nel giro di poco tempo” mamma rispose con fare noncurante, ma io sapevo che voleva solo non farci preoccupare. Dopo la sua istruzione ad Hogwarts e una dura gavetta, era stata assunta all'Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, lo stesso ufficio che era appartenuto a mio nonno molti anni prima. Dato il talento che dimostrava e per onorare il sacrificio di Edgar Evans, il Ministro decise di assegnarle un compito anche all'Ufficio Misteri. Chi lavorava in quel settore era chiamato Indicibile ed era tenuto al segreto più assoluto: nessuno, a parte un Indicibile, poteva entrare al nono piano, e solo loro sapevano che tipo di ricerche o di studi venivano condotti. Non gli era permesso dirlo neppure la loro famiglia. Voci dicevano che si studiavano fenomeni potenti ad arcaici, talmente antichi da trascendere la magia stessa, come il tempo, la vita, la morte, il pensiero e l’amore.
Finita la colazione, Victoria ci salutò e andò in centro a raggiungere i suoi amici; mamma iniziò a rassettare la cucina e papà si avviò verso il giardino. Lo accompagnai fuori, curiosa di sapere cosa mi dovesse dire.
“Papà, cosa volevi dirmi?”
Stava prendendo le cesoie per sistemare le siepi. “Oh non è questo il momento per parlarne. È una cosa importante” disse guardandomi concentrato. “Te lo dirò alla festa di compleanno.”
“Uff...va bene. Allora vado a prepararmi” aggiunsi un po' delusa e lo lasciai al giardinaggio.
Tornai in casa. Ripercorrendo le scale e il corridoio, indugiai a guardare le fotografie di famiglia. Le più vecchie, statiche, quelle recenti, in movimento. Dovetti ammettere che mi dispiaceva per mia sorella e mio padre: il loro essere Babbani li accomunava tanto quanto li distanziava da me e mia madre. Per papà non era un problema; la magia lo affascinava, ma non tanto da desiderare di avere sangue magico. In più il suo lavoro al Ministero Babbano lo metteva sempre in stretto rapporto con i maghi, in quanto marito di una strega. Così entrambi i mondi, magico e non, potevano cooperare con discrezione. Per mia sorella non fu così semplice. Col tempo la gelosia si era placata, ma non era sparita. Per questo i nostri genitori si prodigavano affinché non si sentisse messa da parte. La tecnologia, di cui mia madre poteva farne tranquillamente a meno, veniva usata come in una “normale” famiglia. Gli spostamenti avvenivano in macchina, salvo qualche rara eccezione in cui il camino del salotto veniva usato con la Metroplovere o qualche caso di Smaterilizzazione. Per lo più era invidiosa della mia vita ad Hogwarts, restare via da casa per mesi interi era il suo sogno: massima libertà senza genitori che ti controllassero. Solo la quantità di studio e l’assenza di strumenti tecnologici all'interno del castello (la troppa concentrazione di magica non li fa funzionare a dovere) riusciva a darle un piccolo riscatto morale.
Raggiunsi la mia camera. Era una stanza quadrata, con le pareti di un lilla tenue, ricoperte di foto di gatti, poster della mia squadra di Quidditch e di paesi che mi sarebbe piaciuto visitare. Una grande finestra, che dava sul cortile, stava davanti all’entrata. La scrivania, piena di libri di scuola, si trovava sul lato destro; il grande armadio a sinistra, vicino al letto dove era rannicchiato un gattone rosso e bianco.
“Ciao, Honey. Non sei sceso per colazione” dissi, grattandogli le orecchie. Honey emise un verso di approvazione, continuando a tenere gli occhi chiusi.
Lo lasciai dormire e andai ad aprire la finestra. La giornata si prospettava calda. Mentre guardavo le nuvole, scorsi dei gufi sopra ai tetti delle case. Li guardai avvicinarsi, le figure sempre più nitide. Appena furono abbastanza vicini, mi spostai dalla finestra, lasciandoli passare. Si posarono chi sul letto, chi sulla scrivania.
Mi diressi prima verso una grande civetta bianca, che al mio arrivo mi appoggiò la testa sulla mano. Era Hermes, la nostra civetta delle nevi. Portava una lettera scritta su quella che aveva tutta l’aria di essere carta da pacchi marrone e un pacchettino avvolto nella medesima. Riconobbi subito la grafia disordinata di Hagrid, il guardacaccia di Hogwarts. Precisamente: il custode delle chiavi e dei luoghi ad Hogwarts, come a lui piaceva ricordare. Lessi gli auguri di buon compleanno 'Tantissimi auguri Madison! Forse ci si becca a Diagon Halley. In ogni caso ti aspetto la prima settimana di lezione per un thè'. Sorridendo, scartai il pacchetto: conteneva i soliti biscotti rocciosi e le caramelle mou fatte a mano che ti cementavano la bocca. Le misi con cura da parte. La cucina di Hagrid non era certo il massimo, però mi fece molto piacere.
Il guardiacaccia era un amico di famiglia di lunga data, ma lo conobbi solo al mio primo anno ad Hogwarts. Anche lui rientrava tra le compagnie da tenere nascoste nel piano di mia madre, per non far scoprire a me ed a mia sorella il mondo magico. Come avrebbe potuto giustificare la presenza di un mezzo gigante, alto due metri e mezzo, barbuto, dentro casa nostra? Proprio per le sue origini di gigante, non poteva prendere la pozione Polisucco, diventando momentaneamente un'altra persona, e gli incantesimi Apparenti non funzionavano a dovere. Ad Hogwarts si occupava principalmente degli animali e, siccome sono anche la mia passione, si instaurò subito una bella amicizia.
Salutai Hermes che si librò in aria diretto al giardino, dove il suo trespolo lo stava aspettando. Un piccolo gufo delle foreste venne verso di me a tutta velocità, tubando allegro. Era Piuma, il gufetto che Matt aveva acquistato l’anno scorso. Anche lui portava una busta. 'Buon compleanno Maddy! Francine mi ha avvertito della festa di sabato sera, ci vediamo lì, così ti do il mio regalo' La calligrafia ordinata, leggermente ondulata, dava un’ottima idea di come fosse Matt di persona: il classico studente tendente alla perfezione, tanto da risultare petulante, ma con un gran cuore. Era figlio unico e, nonostante la sua famiglia fosse Purosangue, non condividevano le ideologie puriste tipiche di quelle casate.
Piuma aspettò una carezza prima di partire in picchiata verso casa. Sta volta fu il turno di un vecchio gufo marrone, con le piume tutte arruffate. Becco era il gufo di famiglia della mia amica Francine e come gli altri recava gli auguri. 'Auguri Maddy, non vedo l’ora di passare del tempo assieme, è da quando che è finita la scuola che non abbiamo fatto in tempo a vederci! Ti lascio un’anticipazione di ciò che ti spetta. A sabato!' Rovesciai la busta e una scatolina ne rotolò fuori. Era una Cioccorana. La scartai, afferrai al volo la Cioccorana prima che se la desse a gambe, ne staccai un pezzo con un morso e controllai la figurina attaccata alla carta.
Ancora Silente.’ Pensai. Era il nostro preside, una persona tra le più importanti dell’ultimo secolo.
Rivolsi il mio sguardo all’ultimo barbagianni, che con aria pomposa aspettava il suo turno. Allungò elegantemente la zampa, dove erano legati una busta e un pacco regalo. Avevo una vaga idea a chi appartenesse. Nella busta era scritto, con una calligrafia ordinata, 'Sig.na Maple Madison, Notting Hill, Londra'. Presi la lettera al suo interno e lessi l’ennesimo augurio. 'Cara Madison, ti porgo i più sinceri auguri di buon compleanno. Spero che il mio barbagianni giunga in tempo, in caso contrario me ne rammarico. Se ti fa piacere, potremmo uscire un giorno di questi, così da festeggiare, insieme. Fammi sapere con un congruo preavviso che giorno vorresti e dove preferiresti andare. Ti allego un piccolo pensierino, con la speranza di renderti felice. Ti mando un abbraccio, tuo Zachary.' Mentre leggevo la lettera sentii le guance arrossire. Aprii il suo regalo: una copia nuova di zecca di Il Quidditch attraverso i secoli. Nella prima pagina c’era una dedica 'Alla mia cercatrice preferita, spero ti possa servire'. Era proprio quello che volevo, dall’istante in cui lo vidi nella libreria Il Ghirigoro. Posai il libro nello scaffale sopra la scrivania.
Dopo che anche l’ultimo postino piumato fu volato via, corsi verso l’armadio a scegliere i vestiti. Da quando erano iniziate le vacanze estive, nove giorni fa, non vedevo i miei migliori amici.
Francine la conoscevo dalle scuole medie, era la penultima di cinque sorelle e un fratello. La sua famiglia era purosangue, ma a differenza delle altre non era ricca, le loro disponibilità erano talmente limitate da dover ricorrere a libri e vestiti di seconda mano. Francy sapeva di essere una strega, praticava incantesimi da quando ne aveva memoria. Molte volte, quando ero ospite a casa sua, mi capitava di vedere cose strane, come sua sorella saltare oltre la rete di pallavolo, appena glielo facevo presente, lei rideva di gusto e mi rispondeva che me l’ero immaginata o di sicuro era uno scherzo delle sue sorelle. Le nostre famiglie si conoscevano di vista, come ogni famiglia di maghi era importante sapere chi fossero i vicini non babbani più prossimi. Così si sapeva a chi chiedere aiuto in caso di difficoltà e a controllare che tutti rispettassero il dovere di segretezza. Per Francy fu un sollievo sapere che avevo ricevuto la lettera di Hogwarts e avessi scoperto le mie origini. Mi confidò che se lo aspettava, ma non ne era convinta, visto che Vicky era una Babbana, e che appena le era arrivata la lettera di ammissione, il 7 gennaio, sperava tanto che andassi pure io ad Hogwarts. Fu mamma a consentirmi di raccontare tutto sulla magia alla mia amica, assicurandomi che avrebbe capito.
La storia con Matthew fu diversa. Ci incontrammo per caso sull’Espresso per Hogwarts e la prima impressione non fu delle migliori. Per fortuna, imparammo a conoscerci durante le prime settimane di scuola, iniziando a legare. Il fatto che con il suo carattere, a primo impatto saccente e puntiglioso, gli avesse reso difficile farsi degli amici, contribuì non poco a cercare di smussare la sua natura autoritaria.
Grata per come era iniziata la giornata, decisi di sistemare velocemente la mia camera, così da avere più tempo per fare un bagno rilassante e preparami per questa sera.

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Nota dell'autrice.
Ri-ciao a tutti :D!
Questi capitoli introduttivi sono sempre un po' piatti, ma servono a dare un background alla protagonista e a far conoscere il mondo di magico anche a chi non ha letto il romanzo. Ma arriviamo al motivo principale della mia nota: il villain. Come si fa a fare una fanfiction su Harry Potter senza includere Voldemort? Devo essere sincera: ci ho pensato molto. Come ho spiegato nella nota precedente, includere un personaggio principale, per me, significa prenderlo così come confezionato dalla Rowling, senza cambiare una virgola. Scegliere Voldermort significava riportare alla luce tutto il suo passato, la faccenda degli Horcrux e via dicendo. Allo stesso tempo come si fa ad avere Voldemort senza Harry Potter? Includerli entrambi avrebbe significato ricopiare l'intera saga, così ho deciso di  utilizzare un cattivo nuovo. Non avendo una mente brillante come quella della Rowling, ho preferito prendere in prestito un Mago Oscuro, che non fosse stato trattato in maniera approfondita nella saga, così da potere intervenire liberamente sul suo sviluppo. In più, per gusto personale, i Doni della Morte mi hanno sempre affascinato, molto più degli Horcrux. Da quello che la Rowling ha dichiarato, Grindelwald era ossessionato da loro e questo fa proprio al caso mio.
Repetita iuvant: Grindelwald sarà comunque una commistione tra Voldemort (sopratutto nella prima parte della storia) e pura immaginazione (a partire dalla seconda parte, che devo ancora scrivere), così da mantenere il filo principale degli avvenimenti.

Buon proseguimento :)!

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Capitolo 3
*** Il compleanno ***


IL COMPLEANNO

Indossai una tuta, pronta a rimboccarmi le mani. Come ogni inizio estate, la camera era un disastro, sembrava fosse esplosa una bomba. Il baule era aperto ai piedi del letto, rigurgitando fogli di pergamena, penne d’oca e vestiti. Il calderone giaceva in bilico sopra ai libri, al suo interno fiale vuote e ampolle sporche minacciavano di uscire, solo la bilancia di ottone le tratteneva. La divisa della scuola spiegazzata era sopra alla poltrona, quella della squadra di Quidditch era appesa alla mia Nimbus 2001, la scopa che i miei genitori mi avevano regalato il primo anno, appoggiata alla parete.
Ne avrò fino a pranzo.’ Pensai storcendo la bocca.
Iniziai raccogliendo i vestiti e le divise, mi diressi verso la lavanderia e, passando davanti alla porta aperta della camera di mia sorella, la sentii parlare al cellulare. Il tono di voce era tutto uno zucchero.
“Ah ah ah, ma che dici, sciocco? Lo sai che per me conti solo tu...”
Mi bloccai di colpo. Sapevo che origliare era sbagliato, ma fu più forte di me. Victoria era sempre così sfuggente, che non potevo sprecare un’occasione del genere per sapere un po' di più della sua vita personale.
E poi forse posso prendere spunto per Zachary.
Non appena lo pensai, scossi subito la testa, imbarazzata. Accantonai il proposito, lasciando mia sorella alla sua telefonata amorosa e proseguii nel corridoio.
Tre ore abbondanti dopo, avevo finito. Honey aveva abbandonato la postazione poco dopo l’inizio dei lavori, alla ricerca di un luogo tranquillo dove continuare a riposare. Il baule, vuoto, era stato riposto sotto al letto. I vestiti ancora puliti, sistemati nell’armadio. Le pergamene dentro al cassetto; le boccette d’inchiostro con le penne d’oca sopra alla scrivania; i libri giacevano ordinati negli scaffali della libreria; i biscotti rocciosi e le caramelle mou di Hagrid gettate nel cestino. La bacchetta sopra al comodino. Le uniche cose ancora da sistemare erano il calderone, che avrei affidato a mio padre per la pulizia, prima di riporlo nello scantinato insieme alle fiale delle pozioni; e la Nimbus 2001 da sistemare nel capanno in giardino.
La porta della mia camera si aprì, lasciando entrare un delizioso profumino di pasta al forno, seguito da mia mamma.
“Madison, hai sistemato tutto?” domandò raggiante.
“Sì, così mi sono tolta il pensiero” risposi sorridendo.
Il suo sguardo passò in rassegna la stanza.
“Hai fatto un buon lavoro. Queste cose le portiamo a papà”, continuò indicando la scopa e il calderone, “Oh, hai ricevuto posta! Sono gli auguri dei tuoi amici?” aggiunse non appena scorse le lettere impilate sopra al tavolo.
“Esatto, sono di Hagrid, Francine e Matthew” omisi di proposito Zachary. Non me la sentivo di parlarle di lui, pur non essendoci molto da dire, dato che ci frequentavamo da poco prima che finisse il trimestre.
“Scommetto che Hagrid ti ha regalato qualche dolce fatto da lui” indovinò lei, scoppiando a ridere. Annuì ridendo a mia volta.
Prese il calderone e prima di uscire mi informò che il pranzo era quasi pronto.
Decisi che la Nimbus poteva aspettare, il profumo della pasta al forno era troppo invitante.
Papà e Vicky erano già seduti a tavola, mamma era andata a prendere la teglia in cucina. Mi sedetti davanti a mia sorella, alla sinistra di mio padre. La TV era accesa, il telegiornale trasmetteva il resoconto delle prime code estive che intasavano le autostrade.
“Una cosa positiva di avere in famiglia di maghi è il fatto di non dover più fare le code se dobbiamo spostarci” affermò risoluta mia sorella.
La guardai sgranando gli occhi. Frasi gentili rivolte al mondo magico erano eventi molto rari. Di solito snobbava tutto con aria di superiorità.
Papà sorseggiò del vino prima di precisare che, anche se sapere aggiustare le cose con un colpo di bacchetta era estremante utile, che si poteva vivere tranquillamente senza magia, come la nostra famiglia cercava di fare nei limiti del possibile.
Dal canto mio, non potevo fare altrimenti: ai maghi minorenni era proibito utilizzare la magia fuori da Hogwarts. Prima di venire ammessi alla Scuola di Magia e Stregoneria, il Ministero non predeva provvedimenti verso i minori che praticavano la magia, dato che non ne avevano il controllo. Una volta iniziato il percorso scolastico, le cose cambiavano radicalmente. Ogni minorenne aveva addosso la Traccia, una sorta di ‘allarme magico’ che avvertiva l’addetto alla Restrizione delle Arti Magiche tra i Minorenni che quella determinata persona aveva fatto un incantesimo. Se ricevevi una sua lettera, potevi tranquillamente evitare di presentarti per il nuovo anno scolastico. La Traccia svaniva automaticamente al compimento della maggiore età.
Il pranzo e il primo pomeriggio trascorsero tranquilli. Mamma si dedicò alla pulizia a fondo della casa, in particolare del salotto e del camino, dove, grazie alla Polvere Volante sarebbero arrivati i parenti della mamma. Mio padre ritornò in giardino e, dopo aver riposto la Nimbus 2001 nel capanno, montò un gazebo, uno striscione ‘Buon compleanno Madison’, diversi palloncini che, grazie al contributo di mia madre, galleggiavano sospesi in aria senza nessun filo a trattenerli, ognuno conteneva una fiamma, ncessaria ad illiminare il giardino con l’arrivo della sera. Victoria assecondava il suo lato artistico di primadonna appendendo i festoni per tutta la casa, così da ricevere i complimenti dagli invitati.
Io rimasi di sopra, dando a tutti il tempo di sistemare la casa e i regali. Feci un bagno rilassante ascoltando le Sorelle Stravagarie alla radio. Una volta ristorata, andai in camera e indossai dei semplici jeans e maglietta.
Mentre mi stavo specchiando per l’ultima volta, il mio sguardo cadde sulle buste ricevute in mattinata. In particolare su quella di Zachary. Il suo invito attendeva una risposta. Passai distrattamente un dito tra i capelli, attorcigliando una ciocca mossa castana, mordendo il labbro, piccolo vizio che palesava il mio stato d’ansia. Forse si aspettava una risposta oggi stesso, ma non sapevo cosa scrivergli.
Che giorno posso dire? Dove voglio andare?
Decisi che rimuginarci su proprio adesso non avrebbe portato a niente. Avrei chiesto consiglio a Francine.
Forse è meglio a Matt’ riflettei, ridendo, visto il temperamento impulsivo della mia amica.
In quel mentre, suonarono il campanello, segno che i primi ospiti erano arrivati.
“Joseph, caro, come stai? Ti trovo bene.”
“Sera, Joseph, hai bisogno di una mano per cucinare?”
Erano nonno Richard e nonna Anne. Guardai fuori dalla finestra, la loro auto era parcheggiata nel vialetto. Mi affrettai a scendere al piano inferiore per salutare gli invitati.
“Ciao nonna!”
La trovai in cucina, le piastrelle rosse alle pareti brillavano, riflettendo la luce del sole.
“Ciao Maddy, tantissimi auguri, nipotina mia!” disse, scoccandomi due enormi baci sulle guance. “Ma dov’è tua sorella?” domandò, guardando dietro le mie spalle.
“Probabilmente si starà truccando, non esce mai dalla sua stanza se non è perfettamente in ordine" constatai.
Tanto più ora che ha un nuovo ragazzo.
“Benedetta ragazza” sospirò nonna e si girò per aiutare la mamma a portare in giardino dei vassoi ricolmi di tramezzini, pizzette e tartine.
Presi la direzione del giardino, facendomi guidare dalla possente voce del nonno che risuonava gioviale, mentre aiutava mio papà con la grigliata. Ero arrivata a metà del salotto quando dal camino provenne un forte botto. Alla nonna Anne, che ancora non sia era abituata alla Metropolvere, scappò uno strillo e per poco non fece cadere gli antipasti.
“Anne, stai bene?” nonno Richard era entrato velocemente per controllare la causa di tutto quel baccano. Nonna Patty era appena atterrata sul tappeto e si stava rialzando, togliendosi dei leggeri residui di fuliggine trovati nella canna fumaria.
“Buonasera, Patty, bene arrivata!” salutò lui allegro. La confusione e le cose più strane erano pane per i suoi denti.
“Ah Mary, questa volta ti sei ricordata di pulire il camino” disse con voce autoritaria nonna Patty. “Buona sera, Anne, mi dispiace averti spaventata. Richard” si voltò verso di me “Madison, auguri, ormai hai sedici anni, dobbiamo iniziare ad aspettarci grandi cose da te” e con un’occhiata d’intesa si diresse in giardino.
Gli ultimi ospiti ad arrivare furono il fratello maggiore di mio papà, Jon, i entrambi avevano capelli mossi e neri, nonché lo stesso carattere del nonno che li accomunava tutti e tre; con sua moglie, Dotty; e i miei cugini, Thomas di ventun’anni, e Jessica di diciassette. Non li vedevo spesso, abitavano nel Galles è solo durante le feste scendevano a farci visita.
Com’era prevedibile, papà, Jon e il nonno furono l’anima della festa. Vederli ridere, felici, un po' per la gioia di stare assieme dopo un anno di lontananza, un po' per gli effetti del Whisky Incendiario (“Joseph, questa roba è proprio una bomba! Spediscimi una cassa, appena torno in Galles”), contagiarono tutti. Mamma e nonna Patty fecero alcuni incantesimi per non insospettire il vicinato, così ai loro occhi le fiammate che uscivano dalle orecchie e dalla bocca, dopo aver sorseggiato il digestivo, non davano nell’occhio.
Victoria era raggiante. I suoi addobbi avevano fatto colpo su tutti e si era concessa ben volentieri ai complimenti, con un sorriso che illuminava il volto. Adesso era seduta a fianco di Thomas, conversavano fitto, attenti a non farsi sentire. Da quanto riuscivo a captare, l’argomento era il nuovo ragazzo, Tom, che Vicky aveva conosciuto la Pasqua scorsa, quando era andata in vacanza a Cardiff dagli zii, ed era il migliore amico di nostro cugino.
Le donne di casa sedevano tutte vicine. Dotty raccontava alla suocera le ultime novità, e nonna Patty parlava con la mamma del suo lavoro. Capivo che mamma non poteva sbilanciarsi molto, nel raccontare cosa succedeva all’Ufficio Misteri, ma la nonna sembrava capire molto più di quanto dicesse.
Io e mia cugina Jessica sedevamo vicine. Eravamo molto diverse fisicamente, io ero alta, con i capelli castani, mossi e gli occhi azzurro cielo, Jessy era qualche centimetro più bassa di me, capelli biondi, come la madre, ed occhi castani, come lo zio Jon. Da piccole, la sua famiglia abitava nel nostro quartiere, perciò siamo cresciute assieme. All’eta di dieci anni, lo zio Jon ottenne una promozione presso la ditta in cui lavorava e venne trasferito a Cardiff. Zia Dotty era casalinga, quindi tutta la famiglia lo seguì senza intoppi. Io, Jessica e Victoria giocavamo sempre insieme, il nostro gioco preferito era, ironia della sorte, fare le streghe. Entrambe mi chiedevano sempre di fare ‘quella cosa’, io le accontentavo, facendo qualche piccolo incantesimo che i bambini creano senza averne consapevolezza, come cambiare colore ad un fiore. Jessica strillava estasiata, Victoria  mi chiedeva di insegnarle come si faceva e quando non ci riusciva diventava triste e scontrosa. Come sorella maggiore era sempre stata lei ad insegnare a noi più piccole. Ora le cose erano cambiate, ero veramente una strega. Il nostro legame, pur restando speciale, era cambiato, come se ci fosse un muro, sottile ma consistente, a divedere le nostre vite. Entrambe ci interessavamo delle vicissitudini reciproche, tuttavia non nascondo che mi sentivo più a mio agio a confidarmi con Francine e Matthew. Mi sentivo capita meglio.
Gli antipasti finirono in un baleno. Subito venne portata la grigliata, orgoglio di mio padre, e varie portate di insalata di riso, insalata di patate, involtini alle verdure.
La cena trascorse serenamente. All’imbrunire tutti i palloncini si accesero suscitando sospiri ammirati e un applauso per l’idea originale.
Finalmente arrivò l’ora di scartare i regali. Mia madre tornò dalla cucina con una enorme torta alla frutta che fluttuava in aria, insieme a mio padre, le braccia cariche di regali. Nonna Patty, vedendo che faticava, si offrì di aiutarlo, agitando la bacchetta con fare esemplificativo.
“No, no, grazie Patty, ce la faccio. Fatemi fare almeno questo” disse, scoppiando a ridere.
La torta si posò esattamente al centro della tavola, sopra la tovaglia color miele. Nonna Patty dovette ripiegare il suo contributo ad accendere le candeline che aveva fatto apparire. Il nonno si era impadronito della macchina fotografica magica, divertendosi a scattare istantanee per vedere poi le immagini che si muovevano.
Alla fine della canzoncina, espressi un desiderio e soffiai. Un istante dopo, papà appoggiò sul tavolo tutti i regali. Ricevetti un kit di manutenzione per manici di scopa, completo di cera per lucidare il manico, una speciale forbice per potare i ramoscelli, una bussola da montare, un panno per lucidare, diversi accessori colorati in oro da attaccare per personalizzarla. Una penna d’aquila, marrone con un triangolino bianco sulla cima e il pennino in oro. La trilogia di Gilderoy Allock: Thè con lo Yeti; A spasso con il Troll; Picnic con il Vampiro. Un paio di magliette, un vestitino a fiori e delle scarpe con il tacco.
Ringraziai singolarmente gli invitati. Avevo ancora le scarpe in mano quando mio padre esordì “Aspetta, Maddy, non è finita qui. Abbiamo ancora un regalo per te.”
Si diresse in salotto e tornò con un pacco lungo, rettangolare, ingombrante. Mia mamma mi fissava con il suo sorriso contagioso.
Incuriosita, mi alzai in piedi e tendetti le mani, afferrando il regalo che mi veniva offerto. Lo scartai, lentamente, gustando l’attesa piena di speranze. Ciò che fece capolino dalla carta regalo mi lasciò senza fiato. Istintivamente portai le mani alla bocca.
“Per la barba di Merlino!” esclamai, quasi strillando. Ero arrivata a scoprire appena la metà del regalo, ma questo mi bastava. “È una Firebolt!” dissi guardando i miei genitori con tanto d’occhi. “La scopa più veloce del mondo! E pure la più costosa!”
Il cartellino attaccato al manico recitava:

FIREBOLT
Questa scopa da corsa all’avanguardia è fornita di un raffinato, aerodinamico manico di frassino, trattato con vernice adamantina e numerato a mano. I ramoscelli di betulla che formano la coda, selezionati uno per uno, sono stati sfrondati e lavorati fino a raggiungere un perfetto design per offrire alla Firebolt un ineguagliabile equilibrio e una precisione millimetrica. La Firebolt ha un’accelerazione da 0 a 250 km orari in dieci secondi. In dotazione un Incantesimo Frenante indistruttibile.

Corsi ad abbracciare entrambi e piansi dalla gioia.
“Suvvia, siamo ad un compleanno o ad un funerale?” disse il nonno, sorridendo, appoggiandomi una mano sulla spalla. “Facci vedere questa nuova scopa, che a quanto sembra deve essere meravigliosa.”
Mentre la scopa passava di mano in mano e i miei genitori ne spiegavano le caratteristiche ai commensali, Victoria mi venne vicino “Bella scopa, di sicuro quest’anno vincerete la coppa” disse, con un sorriso gentile.
Annuì, rispondendo al sorriso. “Lo spero. Di sicuro non è una scopa per spazzare, che usavamo da piccole per giocare.”
“Già...ne è passato di tempo...Ma noi siamo ancora qui, a festeggiare il tuo compleanno, come se nulla fosse cambiato” disse, malinconica.
“Vorrei che fosse veramente così” ammisi, fissandola.
Victoria alzò la testa e rispose al mio sguardo. Restammo qualche secondo in silenzio, fissandoci dentro. Fu lei a romperlo. “Sono sempre stata gelosa della tua magia. Volevo essere speciale come te, per continuare ad avere qualcosa in comune.”
“Possiamo ugualmente avere qualcosa in comune. Innanzitutto siamo sorelle e dividiamo lo stesso sangue. Detta così, può sembrare una cosa banale, ma ti assicuro che non lo è. Per me è importante” dissi, cercando di rassicurarla.
“Che ne dici se proviamo ad avere anche qualcos'altro da condividere?” domandò e cominciò a ridere per spezzare la tensione.
“Certo, possiamo provare” risposi.
Arrivò di corsa Jessica, reggendo il suo secondo pezzo di torta. “Maddy, ma davvero cavalcherai quella scopa?” si informò, curiosa come sempre.
Mia sorella si alzò e la guardai allontanarsi verso i nonni.
“Ma certo! Cosa pensi che dovrei farci? Spazzare per terra?” domandai sarcastica.
“No, ma fa sempre un certo che abituarsi a questa tua nuova vita. A volte dimentico che non ti sposti usando il motorino" disse fissandomi con uno sguardo pensieroso.
“Quando sono in vacanza, mi sposto come tutti i Babbani. Visto che sono minorenne non mi è concesso fare incantesimi fuori dalla scuola, quindi se non posso rendere invisibile la mia scopa, chiunque potrebbe vedermi sorvolare la città” spiegai.
“Perchè non puoi?...” chiese perplessa.
“Tutti i maghi e le streghe minorenni hanno la Traccia addosso nell’istante in cui iniziano la scuola: è un incantesimo che consente al Ministero di sapere quando un minorenne pratica la magia.”
“Immagino sia bello...Poter fare incantesimi, anche se solo dietro le mura scolastiche, stare con i tuoi amici tutto l’anno, vedere e imparare cose che la gente normale nemmeno concepisce nei propri sogni”. Elencò il tutto sulla punta delle dita, con aria sognante. Poi si riscosse improvvisamente e mise su un finto broncio “Ecco sei contenta? Mi è venuta voglia di andarci!”
Scoppiai a ridere. Non potei darle torto, il mio primo anno ad Hogwarts fu magico, ogni giorno che passavo nel castello mi ci affezionavo sempre di più. Mi sentivo perfettamente a mio agio da non sentire la mancanza di casa. Ero nata per essere una strega.

Era quasi mezzanotte quando la serata giunse al termine. Dopo un giro in cui mi venivano rinnovati gli auguri, i nonni e gli zii si avviarono verso le rispettive auto (nonna Patty puntò al camino) e se ne andarono.
Portai gli ultimi piatti in cucina e già meditavo su come avrei potuto utilizzare il mio kit di manutenzione per i manici di scopa sulla Firebolt, quando mio padre mi chiamò.
“Madison, vieni qua un momento.”
Entrò nel suo studio e lo seguii.
“Chiudi la porta, per piacere.”
Mi voltava le spalle e il suo tono di voce era serio.
Richiusi l’uscio. Sembrava che mio padre stesse reggendo qualcosa tra le mani. Non appena si voltò ne ebbi la conferma: era un pacco grande una trentina di centimetri e visto come seguiva la forma delle sue mani doveva contenere qualcosa di morbido.
“Sai quando sta mattina ti chiesi di parlare?” domandò, fissandomi intensamente.
Feci un cenno di assenso con la testa.
“Era per darti questo” allungò il misterioso pacchetto verso di me ed entrambi lo fissammo.
Visto che non davo segno di volerlo prendere, mio padre mi incoraggiò, con voce più dolce “Su, prendilo, non avere paura.”
Presi il pacco e cominciai a togliere la carta. Lentamente ne scivolò fuori un mantello.
Lo guardai perplessa. A giudicare dalla trama ricamata doveva essere molto antico, anche se era tenuto molto bene. La cosa che più mi incuriosiva però era la sua consistenza
Sembra acqua solida’ dissi tra me e me.
Perché mio padre me lo stava regalando? Di sicuro non per andarci in giro visto che sarebbe stato adatto per una settantenne.
“Grazie, papà. Ma non credo sia il mio genere” aggiunsi con fare mortificato.
La bocca di mio padre si allargò in un enorme sorriso, quasi si aspettasse la mia reazione.
“Maddy, questo non è un mantello qualunque. È un Mantello dell’Invisibilità. O per meglio dire il Mantello dell’Invisibilità, visto che è unico nel suo genere. Apparteneva a tuo nonno ed ora apparterrà a te.”
Sgranai immediatamente gli occhi.
Un Mantello dell’Invisibilità?’ Ci rimuginai su, facendomi scorrere il tessuto tra le mani.
“Come ha fatto il nonno ad averlo? E se era suo, come mai ce lo avevi te?” chiesi confusa.
“Alla prima domanda non posso risponderti. Non so come tuo nonno ne sia entrato in possesso, non ha fatto in tempo a raccontarmi la storia. Posso solo desumere che non sia stato facile, visto la sua unicità” si passò una mano sul mento, pensieroso. “Io l’ho avuto direttamente da lui. Ti ricordi quando due anni fa, io e tua madre, ti raccontammo di come era venuto a mancare il nonno Edgar?”
“Sì” risposi, attenta.
“Tuo nonno conosceva Grindelwald, sapeva che si era messo sulle nostre tracce. Era consapevole di dover fare tutto ciò che era in suo potere per sconfiggerlo e che questa impresa poteva risultargli fatale. Il Mago Oscuro non si sarebbe fermato finchè non avesse ottentuo ciò che voleva…”
Inevitabilmente mi salì un groppo alla gola.
“Qualche giorno prima dello scontro con Grindelwald, Edgar mi prese da parte e mi consegnò il Mantello. Mi fece promettere che te l’avrei consegnato non appena fossi stata abbastanza grande da conoscere la verità. Sopratutto, mi fece giurare di non far mai sapere a tua madre l’esistenza di questo oggetto.”
“Perché?” sussurrai a mezza voce.
Scosse la testa. “Non ha voluto dire di più in merito…Continuava a ripetere di promettergli che avrei mantenuto queste due promesse. Non ho ritenuto opportuno dirtelo due anni fa, eri troppo piccola… In verità, ai miei occhi, lo sei anche adesso, ma le parole di Edgar mi sono tornate alla mente e non potevo più rimandare.”
Non sapevo cosa dire. Strinsi il Mantello tra le mani, fissandolo, stordita. Dovetti lasciar trasparire molto bene il mio stato d’animo perché papà mi mise una mano sulla spalla, consigliandomi di dormirci su. Mi avviai in camera proprio quando l’orologio del camino batteva mezzanotte e mezzo.


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Nota dell'autrice.
Salve lettori! Eccoci al terzo capitolo di questa lunga avventura. Avete incontrato la famiglia di Madison al completo e, finalmente, inzia a muoversi qualcosa... un Mantello di nostra conoscenza ha fatto la sua apparizione. Senza spoilerare nulla, vi dico che questo dono avrà un ruolo centrale, molto più di quello che aveva nella saga originale.
Spero che la storia vi stia piacendo almeno un po'. Fatemelo sapere nei commenti :)!

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Capitolo 4
*** La festa ***


LA FESTA

Quella sera feci fatica ad addormentarmi. Mi rigiravo nel letto, immersa nei miei pensieri. Pure Honey lasciò il solito posto alla mia sinistra, lanciandomi un’occhiata di traverso. Passai dalla realtà al mondo dei sogni senza rendermene conto.

Il cuore batteva forte come non mai.
Un corridoio!
Lo imboccai immediatamente. Mi fermai rasente al muro, le orecchie tese.
Mi sta ancora seguendo?
Dei passi echeggiarono in risposta. Mi irrigidì, cercando di schiacciarmi ancora di più al muro; la mente che lavorava all’impazzata per cercare una via di fuga. Chi o cosa mi stava dando la caccia? Perché di questo si trattava: un cacciatore deciso a catturare la sua preda, non importa dove andasse o quanto corresse, lui l’avrebbe raggiunta.
Tutto intorno regnava il buio più assoluto. Non riuscivo a vedere la fine del corridoio, ma proseguire era l’unica soluzione.
Prima o poi dovrà esserci un’uscita.
Ero ancora in balia dell’incertezza, quando un fruscio ai miei piedi mi fece sobbalzare. Sgranai gli occhi il più possibile, cercando di vedere attraverso le tenebre, alterate solo dalla tenue foschia che sembrava pervadere l’intero posto. Una sfumatura liquida attraversò il mio campo visivo. Mi accucciai allungando subito una mano e raccolsi l’oggetto.
Non può essere! Chi l'ha portato qua?
Stavo reggendo il mantello di mio nonno.
Stranamente, possedere una cosa familiare in un momento come quello, mi diede una nuova energia e determinazione, riportandomi alla realtà e all’impellente bisogno di allontanarmi da quel posto.
Feci un respiro profondo, cercando tutto il coraggio che avevo e ripresi la mia corsa verso l’ignoto.

Dagli sguardi che mi seguirono per tutta la mattina successiva, doveva trapelare palesemente la mia nottata insonne. Mio padre mi chiese come stavo, facendomi capire che se avessi avuto bisogno di parlare con qualcuno lui mi avrebbe ascoltato. Lasciò intendere implicitamente che riteneva responsabile la nostra conversazione avuta la sera precedente.
In realtà ciò che mi dava maggiormente il tormento fu l’incubo. Ricorreva spesso nei miei sogni, ma era sempre uguale, mentre adesso era successo qualcosa di nuovo che mi ha spiazzato: era comparso il Mantello dell’Invisibilità. Cosa potesse significare tutto questo non lo sapevo.
Passai i giorni seguenti a cercare di comportarmi normalmente con la mia famiglia, senza lasciar trasparire le mie preoccupazioni. Solo quando riuscivo a ritagliarmi dei momenti di pace e di solitudine, la mia mente ritornava puntualmente all’incubo e al mantello di nonno Edgar.
Le due cose erano collegate? Può darsi, visto che sono apparsi entrambi nel mio sogno.
Potevo parlarne a mio padre? Meglio di no, non volevo farlo impensierire per qualcosa di astratto.
Cosa significava tutto questo? Non ne avevo idea.

Sabato arrivò velocemente. Stavo quasi per dimenticare la festa di compleanno organizzata a casa della mia amica Francine e me ne ricordai solo quando, la mattina stessa, mentre facevo colazione, stavo rimuginando sull’idea di confidarmi con i miei amici la prossima volta che li avrei visti. Spalancai gli occhi e smisi di imburrare il pane tostato.
“Che hai?” domandò Vichy notando la mia espressione.
“Oggi c’è la festa a casa di Francine” risposi cadendo dalle nuvole.
“Sì, cerca di vestirti meglio del solito, sei la festeggiata” mi consigliò, mentre si alzava dalla sedia.
Fino al pomeriggio dovetti accantonare tutti i pensieri ricorrenti e concentrarmi per la serata. Non intendevo passarla pensierosa.
Quel pomeriggio mi preparai con uno spirito allegro, cosa rara negli ultimi giorni, indossando leggins, una canotta larga e le mie Converse rosse. Niente vestiti particolari o trucchi sofisticati, conoscendo la mia amica di sicuro la festa sarebbe stata informale. Raccolsi la borsa con l'occorrente per trascorre la notte fuori e una giacchetta per combattere la frescura della sera; dopo un’ultima occhiata allo specchio lasciai la stanza.
I miei genitori erano in giardino. Mamma stava sistemando i fiori e papà era intento ad estirpare delle erbacce piuttosto ostili. Salutai entrambi, rassicurandoli che avrei portato via il cellulare.
“E in ogni caso potete mandare Hermes”.
Francine abitava in periferia e il modo migliore per raggiungerla, senza fare ricorso alla magia, era utilizzare la metropolitana di Londra.
Durante le vacanze estive passavo molto tempo nella Londra babbana. Era il luogo in cui sono cresciuta, la conoscevo come le mie tasche e aggirarmi tra i Babbani mi dava un senso di tranquillità. Sapevo che i pericoli più ricorrenti per la gente comune non potevano nuocermi, anche se ai minorenni non era permesso fare magie, esisteva una deroga in caso di pericolo per la propria o altrui incolumità. Sapevo, inoltre, che molti maghi si aggiravano per le città, senza dare nell’occhio, mescolandosi tra i Babbani per il puro gusto di vedere come vivevano senza magia. Mi divertiva guardare le persone e immaginare come sarebbe potuta essere la mia vita se non fossi stata una strega.
Tanto per cominciare avrei avuto un solo cognome, quello di mio padre’ pensai distrattamente.
Fino all’età di quattordici anni, prima di scoprire di essere una strega, il mio cognome era Right. Ciò cambio con l’avvento della lettera di Hogwarts: per il Ministero della Magia conta solo il cognome del ramo magico della famiglia, per questo motivo i miei genitori dovettero aggiungere anche Evans, diventando così Evans-Right. Entrando pienamente nel mondo alla quale ero destinata, il cognome paterno passò in secondo piano, tanto da non essere mai menzionato.
Ormai per tutti ero Madison Evans.
Il cognome di mia madre, come imparai nella mia prima visita a Diagon Alley, era conosciuto da tutta la comunità magica, pure al di fuori del Regno Unito. Tutti conoscevano le imprese di Edgar Evans: colui che sconfisse il Mago Oscuro, che, in nome della supremazia del Sangue Puro, cercò di instaurare un dominio dittatoriale su Babbani, Nati Babbani e Mezzosangue. Il nome Evans lo si insegnava ai bambini ancora pima che iniziassero Hogwarts. Non appena mi presentavo, subito il mio interlocutore si stampava in faccia un’aria di sorpresa e di reverenza. Ero continuamente osservata e sotto ai riflettori. Per mia nonna Patty ciò era motivo di grande orgoglio, mia madre invece era riservata come me e capiva il mio imbarazzo.
Praticamente stavo vivendo due vite, quella magica sempre al centro delle attenzioni e quella babbana dove ero una ragazza normale, con un passato ordinario. Per questi motivi non mi pesava vivere come una di loro: prendere i mezzi pubblici, usare il cellulare, il computer o andare al cinema.
Per Francine valeva la stessa cosa. Certo, non aveva un passato pesante alle spalle, ma avendo frequentato le scuole babbane come me, era abituata a fare a meno della magia. Matthew invece partecipava a questa nostra vita parallela solo per pura curiosità. Era divertente vedere come si entusiasmasse per cose come o smartphone, l'iPod o gli allarmi delle auto.
Entrai dentro alla metropolitana, seguendo la folla che si accalcava ai tornelli. Passai il badge e poco dopo le scale mobili mi portarono diversi metri sotto il livello del suolo.
I pendolari che aspettavano il treno erano dei più vari. C’erano i lavoratori di ritorno dagli uffici della City: gli uomini stretti nei loro completati gessati, che con un dito cercavano di allentarsi la cravatta che il sudore estivo aveva incollato al collo; le donne in tailleur e tacchi, che reggevano saldamente le costose borse, guardano sospettosamente chi avevano vicino. I turisti facilmente riconoscibili dall’enorme zaino issato sulle spalle, la macchina fotografica appesa al collo e dal modo in cui brandivano la cartina della città. Come inevitabilmente succedeva, un francese mi chiese informazioni su come raggiungere Buckingham Palace. I più chiassosi erano sicuramente gli studenti in vacanza. Bermuda, sandali, pallone e borsone, l’occorrente giusto per una giornata al parco o lungo il Tamigi.
Il treno arrivò in orario. Ci stipammo tutto dentro.
Per fortuna c’è l’aria condizionata’ pensai sollevata.
Trovai posto davanti ad un turista spagnolo che durante il viaggio continuò a contare le varie fermate.
Dopo 45 minuti di viaggio (il vagone si era quasi svuotato completamente), arrivai a destinazione. Francy abitava nei dintorni di Greenwich, un grazioso villaggio caratterizzato dai tipici cottage di campagna. Il villaggio era formato da sole famiglie di maghi e per scoraggiare futuri insediamenti babbani, il centro non veniva mantenuto al passo con i tempi, risultando così molto antico. Ovviamente per i maghi ciò non costituiva un peso: con la magia potevano fare tutto e più semplicemente, ma per i Babbani ritrovarsi a vivere in un villaggio così rustico era scomodo e preferivano spostarsi verso centri più grandi.
Fuori i grandi centri abitati era usuale trovare comunità interamente magiche, più o meno grandi. Aiutava le persone a vivere liberamente secondo la loro natura, senza preoccuparsi di essere visti.
Lasciai la stazione al centro dirigendomi due isolati ad est. Ed ecco spiccare in lontananza la casa della mia amica.
La costruzione era originale come i proprietari: alta tre piani, incastrati in modo tale da sfidare le leggi della gravità; un capanno degli attrezzi, pieno delle cianfrusaglie babbane che il signor Parcker tanto amava, e per finire l’enorme giardino che si perdeva fino al limitare del bosco.
Più mi avvicinavo e più una musica allegra si faceva forte.
Ero arrivata quasi all’ingresso quando la mia amica mi corse incontro.
“Ciao festeggiata!” Francine mi butto le braccia al collo. “Vieni, vedrai che festa abbiamo preparato!” disse prendendomi per il braccio, facendo rotta verso casa.
Tutto era incredibile. Palloncini, un enorme grammofono che trasmetteva la musica che avevo sentito già dalla strada, un grande tavolo imbandito di panini, patatine, pizzette, montagne di gelato e altre leccornie.
Guardavo tutto a bocca aperta, non mi aspettavo una tale abbondanza.
“Allora, che te ne pare, cara?” la signora Parcker venne verso di me, sorridendo calorosamente.
“È tutto fantastico, signora Parcker, ma non volevo arrecarle un tale disturbo, qualche patatina sarebbe stato più che sufficiente” risposi mentre mi baciava le guance.
“Sciocchezze” disse scuotendo una mano come per scacciare quel pensiero poco consono “Sei una brava ragazza e la tua famiglia è una delle più rispettabili. Una festa di compleanno come si deve è più che giustificata. E poi…” improvvisamente la signora Parcker abbassò la voce, le orecchie rosso fuoco, e con fare imbarazzato continuò “Tod ha appena ricevuto una promozione e Edith ha passato i MAGO, così abbiamo colto l’occasione di fare una festa unica per tutti.”
Capii al volo che le loro ristrettezze economiche gli impedivano di festeggiare separatamente ed ammetterlo apertamente era sempre una fonte di imbarazzo ai genitori della mia amica.
“Edith non ha ancora ricevuto i suoi MAGO! Che ne sai se li ha passati? Tod lavorava già alla Gringott e questa decantata promozione gli consente solo di seguire il suo superiore mentre contratta con vecchi Goblin rugosi!” puntualizzò la figlia.
La signora Parcker, abbandonata ogni forma di imbarazzo, si erse in tutta la sua statura e la con un cipiglio battagliero.
“Non mi serve la lettera di Hogwarts per saperlo! Tua sorella ha ricevuto tutti i GUFO che si aspettava, ottenendo ben due Eccezionale in Divinazione ed Astronomia! Vediamo quanti GUFO riceverai te l’anno prossimo!”
“Capirai…voto massimo in Divinazione...”
“Pensa alla tua situazione scolastica! Il tuo atteggiamento e i tuoi voti parlano chiaro!” ormai la voce di Hollie Parcker stava raggiungendo il livello degli ultrasuoni. “Per quanto riguarda tuo fratello ha ricevuto una targhetta come premio per i Servizi Resi alla Scuola, attualmente esposta ad Hogwarts affinché tutti la possano vedere e prenderlo ad esempio! La sua promozione gli consentirà di viaggiare ed incontrare persone molto importanti, ed ha solo ventun’anni! Quindi prima di criticare i tuoi fratelli, pensa a quali conquiste hai raggiunto” concluse la ramanzina con un tono che non ammetteva repliche.
“Signora Parcker, non si preoccupi, ha fatto bene a riunire tutti i festeggiamenti” intervenni io, cercando di smorzare la tensione.
“Grazie Madison, cara” mi sorrise tornando al tono caramelloso di poco fa. Poi, rivolgendo uno sguardo obliquo a sua figlia, aggiunse “Speriamo tutti che la tua sana influenza possa modificare il temperamento ribelle di Francine” detto ciò, alzò i tacchi diretta alla cucina.
“Ma per favore…. temperamento ribelle… e Gwen allora? Non ha mai combinato niente e scommetto che se porterà a casa due GUFO sarà già un successo…” disse Francy, ancora rabbuiata per lo scontro con la madre, mentre ci dirigevamo verso gli altri membri della famiglia.
Decisi deliberatamente di non dire la mia opinione. Conoscevo Francine fin troppo bene e sapevo quando era il momento di tacere per non peggiorare la situazione.
La sua era una famiglia molto povera e con tanti figli, va da sé come non fosse stato facile crescerli tutti e sette dandogli le migliori opportunità. Per i genitori era motivo di grande orgoglio vedere come, nonostante tutte le difficoltà, avessero conquistato un posto nel mondo. Joanna, la figlia maggiore, di ventiquattro anni, era stata Capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro e adesso lavorava con i draghi in Romania. Come tutti quelli della sua famiglia aveva lunghi capelli corvini, che portava racchiusi in varie ciocche rasta; tatuaggi e piercing completavano il quadro. Tod, l’unico figlio maschio, appena terminata la scuola era stato assunto immediatamente alla Gringott, nonostante il lavoro di grande responsabilità era un ragazzo molto allegro e gioviale. Edith aveva completato la sua istruzione la settimana scorsa, il suo sogno era diventare giornalista presso il Settimanale delle Streghe (il periodico che preferiva) nella sezione moda e consigli d’amore, era la più bella e graziosa della famiglia e si poteva tranquillamente paragonare a Victoria. Rosalie frequentava l’ultimo, faceva parte della nostra Casa (come tutta la famiglia Parcker), era una ragazza seria, senza grilli per la testa, attualmente Prefetto, con una predilezione per le materie complesse che tutti evitavano il più possibile. La sua ambizione era diventare una Guaritrice e lavorare al San Mungo, il più grande ospedale magico del paese. Gwendoline aveva un anno in più di me e, insieme a Francine, era la testa calda della famiglia. Faceva parte della squadra di Quidditch come Cacciatrice già da qualche anno, quando passai le selezioni di Cercatrice e sua sorella come Cacciatrice, ne fu davvero entusiasta. Nessuno conosceva le sue ambizioni, lei compresa, e non se ne preoccupava. La piccola della casa era Cassiopea ed avrebbe iniziato il primo anno questo settembre. Non la conoscevo molto bene, visto il poco tempo passato assieme, ma era una ragazzina timida e riservata.
“Buon pomeriggio signor Parcker, come sta?” domandai appena raggiunsi la comitiva.
“Madison, che piacere vederti, buon compleanno” mi strinse la mano, sorridendo gioviale. “Va sempre tutto bene, tra alti e bassi” rise di gusto e si girò con fare interrogativo verso sua figlia “Perché mamma stava urlando?”
“Perché non sono brava come Edith e talentuosa come Tod” rispose Francine, come se quella fosse una frase che diceva spesso.
Suo padre scosse la testa divertito.
“Suvvia, la mamma è sempre stata di carattere forte, ma vuole bene ed apprezza tutti i suoi figli allo stesso modo. Comunque pensiamo a festeggiare le belle novità che ci sono arrivate. Tra poco si mangia” e ci lasciò per dirigersi al capanno.
“Cosa sta progettando là dentro?” chiesi curiosa.
“È meglio se non lo sai…” la mia amica scosse la testa, rassegnata. “Ogni tanto sentiamo delle esplosioni. Mamma è molto irascibile anche per questo, crede che se continua a trafficare con gli aggeggi babbani perderà il posto al Ministero visto che lui lavora nell’Ufficio per l’Uso Improprio di Manufatti Babbani.”
Risi, trovando tutta la faccenda davvero surreale.
“Sarà meglio che non gli porti niente di ciò che ho a casa” dissi con voce ironica.
“No, per carità. Non ce la faccio più ad avere mamma così sul filo del rasoio” poi aggiunse, ridendo “Ma preparati perché attualmente è interessato alle papere di gomma.”
Scoppiamo entrambe a ridere e andai a salutare il resto della famiglia.

Eravamo tutti seduti sulle sedie di plastica in giardino, la musica andava a tutto volume (un Incantesimo Muffliato ne attutiva il suono all’orecchio dei Babbani). Tod e Rosalie discutevano sulle carriere a cui i vari MAGO ti potevano permettere di accedere.
Il MAGO (acronimo di Magie Avanzate Grado Ordinario) era il più alto titolo scolastico al quale un mago poteva aspirare, corrispondeva alla laurea babbana, e si otteneva alla fine del quinto anno, dopo aver superato una serie di esami difficili. Ma prima di questo, bisognava superare un altro esame alla fine del terzo anno il terzo anno: il GUFO (Giudizio Unico per Fattucchieri Ordinari), si poteva considerare il diploma babbano. Le votazioni andavano da: Eccellente, Oltre Ogni Previsione e Accettabile, la insufficienza iniziava con Scadente, passando per Desolante e finendo con Troll, voto che raramente veniva assegnato. I vari giudizi ottenuti nei GUFO erano propedeutici ai MAGO che si sarebbero seguiti gli ultimi due anni ed ogni professione richiedeva un certo numero di MAGO e una determinata votazione finale affinché si potesse fare richiesta per il praticantato.
Edith stava aggiungendo dei fiori, rendendo il giardino più colorato. Il capofamiglia era ancora rintanato nel capanno. Cassiopea seguiva la madre, aiutandola con le ultime cose. Gwendoline e Francine mi supplicavano da qualche minuto di tornare a casa con la Metropolvere a prendere la mia Firebolt, affinché potessero provarla, mentre Joanna mi guardava ammirata.
“Wow una Firebolt…non ne ho mai toccata una…non ne ho mai vista una…”
“Ragazze, non torno a casa solo per prendere una scopa, chiaro?” ribadii un po' stanca.
“Una…una scopa?!” Gwen si portò una mano alla bocca con fare teatrale, esprimendo tutto lo sdegno possibile.
“A volte penso che vivere tutti questi anni in mezzo ai Babbani, fingendoti una di loro, ti abbiano fatto troppo male” constatò sconsolata Francine.
La guardai di sottecchi, sapendo che mi stava prendendo in giro. “Dai, la prossima volta che verrò la porterò con me e faremo una partita, che ne dite?”
“Adesso va meglio” mi strizzo l’occhio Gwen.
All’improvviso mi tornò alla mente il Mantello, con tutto ciò che ne derivava. Da quando ero arrivata non pensai minimamente al sogno e a quello che mio padre mi aveva rivelato, ma l’aver parlato della Firebolt aveva riaperto quel cassetto della mente. Avrei dovuto parlarne ai miei amici? O forse era meglio tacere?
Decisi di non rimuginarci su in quel momento e guardai l’orologio che portava al polso Joanna.
“Francine, a che ora hai detto di venire a Matthew?”
“Per le 18, mi pare” rispose pensierosa.
Erano le 18:15.
“Strano, non è da lui fare tardi…”
“Di sicuro avrà perso la cognizione del tempo mentre stava studiando” tagliò corto Francy.
“Ah ah ah! Studiando cosa?” risi “Le vacanze sono appena iniziate!”
Francine prese la palla al balzo: adorava tormentare Matt, in qualche modo la tirava su di morale. Dal canto mio, trovavo i loro bisticci molto comici. Tranne quando mi mettevano in mezzo, il che capitava di rado, fortunatamente.
“Lo sai com’è fatto” disse con aria di chi la sa lunga “Appena vede un libro, lo deve leggere tutto, subito. Studia talmente tanto che, secondo me, vuole che venga istituita una nuova votazione massima: il Voto Matthew” e mentre lo diceva aprì le mani a ventaglio sollevandole al cielo. Trovammo tutte e tre la cosa molto divertente.
“Il tuo voto, invece, esiste già: si chiama Troll e se ne prendi un altro, nei prossimi compiti appiccicheranno la tua faccia al posto di scrivere la T”.
Mi voltai e vidi Matthew venire verso di noi con un sorriso beffardo in viso.
“Matt, finalmente!” ci salutammo abbracciandoci.
Francine colse l’occasione per rispondere facendo un gestaccio con la mano, che lui elegantemente ignorò, ma, purtroppo per lei, non sfuggi alla vista di sua madre.
“FRANCINE PARCKER supera un’altra volta il limite, oggi, e resterai in punizione fino alla maggiore età!” minacciò, mentre stava portando una enorme torta alla panna con le fragole.
Joanna capì al volo la situazione e si affrettò ad aiutarla.
“Mamma, ci sono altre cose da prendere in cucina?” domandò sorridendo benevolmente.
Ottenne l’effetto sperato, la signora Parcker lasciò perdere la maleducazione della figlia.
“Oh, sì, cara, in cucina sul tavolo c’è il punch alla frutta” mentre Joanna si stava dirigendo nel luogo indicato, aggiunse “Visto che ci sei, prova a chiedere ad Edith se riesce a sistemarti quei capelli disordinati.”
“No, mamma, mi vanno bene così” rispose senza voltarsi.
“Per Paracelso…” sospirò arrendevolmente sua madre.

La serata proseguì piacevolmente. Tutte le leccornie preparate dalla signora Parcker furono apprezzate, ci furono balli piuttosto goffi e pittoreschi, non mancarono le risate e ci fu pure uno scontro tra due vecchi tavoli guidati magicamente da Gwen e Joanna: la più giovane aveva perso una scommessa sul risultato dell’ultima partita del Campionato ed era decisa ad ottenerne la rivincita, Tod faceva da arbitro mentre il signor Parcker teneva il conteggio dei danni: avrebbe vinto il tavolo che ne aveva subiti di meno. Tutto questo sotto agli occhi di una sconsolata Hollie Parcker, e della piccola Cassie che rideva e batteva le mani di gusto.
Arrivò il momento di aprire i regali. Tod ricevette una valigetta per andare a lavorare, di finta pelle; Edith ottenne una penna d’oca che, come fece presente sua madre, era colorata talmente bene da sembrare una piuma d’aquila; mentre a me regalarono diversi tipi di dolciumi: Apri Frizzole, Calderotti, Torroni Sanguinolenti e Matt un set di pergamene di papiro di alta qualità.
“Allora, cosa ti hanno regalato i tuoi parenti?” domandò curioso Matt.
“Qualche vestito, uno paio di scarpe, la trilogia di Allock…” cominciai, elencando sulla punta delle dita i vari oggetti.
“Quella me la devi prestare!” Matt spalancò gli occhi con fare supplichevole “Ѐ diventata un best seller in poco tempo, ne parlano tutti!”
“Certo, te la presto volentieri. Comunque, ho ricevuto anche una piuma di aquila, un kit per il mio manico di scopa, la Firebolt dai miei genitori…”
Francine, vedendo che il ragazzo non batteva ciglio, balzò sulla sedia e si mise a strattonargli il braccio. “Hai capito o no? Una F-I-R-E-B-O-L-T! Vinceremo di sicuro la coppa quest’anno!”
“Sì, sì, ho capito, non sono mica sordo” replicò Matt, cercando di farle mollarle la presa.
Francy lasciò andare il braccio alzando gli occhi al cielo e si accasciò sulla sedia di plastica. “Basta, ci rinuncio…Sei l’unico ragazzo al quale non importa niente del Quidditch. Dovremmo farcene una ragione”.
“E con questo cosa vorresti insinuare?” Matthew si irrigidì all’istante, scoccando un’occhiata di sfida alla ragazza. “Che non sono abbastanza maschio? Che dobbiamo essere tutti dei trogloditi che inseguono una Pluffa per essere considerati veri maschi?”
Il suo viso divenne di un brillante color porpora che faceva a pugni con i capelli rosso acceso, gli occhi verde prato mandavano lampi pericolosi.
Francine capì di averla detta grossa. Si tirò su a sedere, imbarazzata, cercando di rimediare “No, certo che no…cosa vai a pensare…” bofonchiò con la testa bassa.
“Dai, Matthew, Francine ce l’ha con me perché non ho portato la Firebolt alla festa e la voleva provare.” Intervenni cercando di porre fine alla discussione. “Comunque grazie per avermi definita una troglodita che insegue una Pluffa.” e lo spinsi giocosamente per il braccio.
Un sorriso si fece largo nel suo viso, addolcendogli lo sguardo. “Su, forza, che altro ti hanno regalato?”
Ci misi un secondo in più del normale a rispondere e in quel frangente di tempo decisi di tralasciare il particolare del Mantello, accantonando la questione per un altro momento. Per fortuna nessuno si accorse della mia espressione combattuta e della pausa troppo lunga: il grammofono aveva appena iniziato ad intonare la canzone preferita della signora Parcker Un Calderone Pieno di Amor Bollente, ed insieme al marito si stava esibendo in un valzer, attirando gli sguardi di tutti.
“Allora, Hagrid mi ha inviato un pacchetto di caramelle mou fatte da lui”, dissi non appena gli sguardi di miei amici tornarono su di me.
Entrambi sogghignarono. “Utili per tramortire le persone antipatiche” rise Francine.
Tutti e tre avevamo sperimentato la cucina del buon Hagrid e continuamente ci dovevamo ingegnare per trovare un modo con il quale nascondere i biscotti rocciosi e le sue caramelle che ti cementavano la bocca. Ogni volta che lasciavamo la sua capanna le nostre tasche traboccavano di cibo provvidenzialmente nascosto.
Annuì ridendo a mia volta.
“E per finire Il Quidditch Attraverso i Secoli di Zachary” conclusi l’elenco pensando ancora all’immagine di tirare le caramelle a mo’ di granata.
“Chi? Zachary, chi?” domandò precipitosamente Francine, sporgendosi talmente tanto dalla sedia che per poco non cadde a faccia in giù.
“Ma dai, lo conosci bene pure te: Zachary Cohen, diciassette anni, Corvonero, Prefetto” spiegai, spalancando gli occhi piuttosto sorpresa dalla sua reazione esagerata.
Matthew si rivolse a Francine, lanciandomi uno sguardo malizioso “Ma sì che lo conosciamo, Francy: capelli neri, ben tenuti, occhi castani, bel viso proporzionato…”
Francine si battè una mano sulla fronte, come se avesse scoperto chissà che novità. “Adesso ricordo! Zachary! Zachary il CARCIOFO! Quello che ti pedinava gli ultimi giorni di scuola!”
“Cosa vai farneticando?! Zachary non è un…un carciofo! E non mi stava affatto pedinando!” risposi con un tono diverse ottave più alto di quanto avessi voluto.
“Come no? Veniva sempre in Biblioteca a farti la posta!” ribatté lei con il tono di chi sta spiegando qualcosa di molto semplice ad una persona piuttosto ottusa. “Ed è venuto pure a salutarti mentre eravamo sull’Espresso di ritorno a Londra!”
“Questo…questo…non vuol dire nulla!” sentivo le mie guance farsi sempre più rosse e la cosa mi mandava sui gangheri. “È un Corvonero, Francine! Ti ricordi che è la Casa delle persone intelligenti, sì? Era più che normale trovarlo in Biblioteca! E per la storia del treno, si è comportato da persona gentile! Tutto qui, nulla di che!” conclusi la mia arringa tutta d’un fiato.
Matthew intervenne per sedare lo scontro. “Zachary è un ragazzo davvero brillante. È un prefetto, partecipa a diversi club della scuola, ha una media alta e sono sicuro che l’anno prossimo verrà eletto Caposcuola” disse tutto questo fissandomi con un sorriso incoraggiante.
“Fammi prendere nota…” Francine non era dell’idea di lasciar perdere la cosa così facilmente e iniziò a mimare per aria l’atto di prendere appunti su un blocchetto fantasma. “Prefetto-perfetto, secchione, sempre in ordine, potenziale Caposcuola, potenziale Primo Ministro, non gioca a Quidditch e non ne capisce un’acca, ma regala libri sulla materia” e qua lanciò uno sguardo veloce in direzione di Matt, che non fece una piega, “Oh sì, il ragazzo ideale, per niente noioso e banale. Vi ci vedo bene insieme” concluse fissandomi di sottecchi.
Sbuffai esausta. Era inutile continuare a discuterne. “Non lo conosco, non abbiamo avuto modo di parlarci molto durante gli ultimi giorni di scuola e a parte questa lettera di auguri non ci siamo mai sentiti. Te l’ho detto, non è niente di che.”
 La ragazza sembrò accettare la cosa diplomaticamente. “Ad ogni modo, lo hai già ringraziato per il regalo?” domandò con fare noncurante.
“A dire la verità no, perché…”
“Ecco, brava, lascia perdere! Siamo ancora in tempo per arginare la sua cotta: se lo ignorerai te lo puoi togliere di dosso senza intoppi” spiegò tutta contenta.
“…perché mi ha chiesto di uscire con lui e devo dirgli una data” finì la frase nascondendo il viso tra le mani per l’imbarazzo, la voce tornata piccola per la vergogna.
Nel frattempo la canzone d’amore era finita e dai rumori che ne presero il posto, si direbbe che un’altra gara con i tavoli incantati era in corso.
Una mano si appoggiò al mio braccio e una voce maschile disse “Maddy, fai quello che ti senti. Vuoi uscire con lui? Esci, vedi come va, puoi sempre cambiare idea.”
Tolsi le mani e fissai Matthew che mi sorrideva. Sorrisi a mia volta: sapevo che su di lui potevo contare, nonostante avessimo la stessa età, era molto maturo e sapeva sempre fare la cosa giusta. Diressi la mia attenzione a Francy, attendendo un suo commento.
“Ma sì… esci pure con lui” disse, fissando per terra “Al massimo dovremmo solo abituarci all’idea di avere il carciofo tra i piedi più spesso, ma nulla di irrimediabile.”
“Grazie, Francine” dissi con il cuore più leggero.

******

Buondì :)! Vorrei dire due parole su Matthew e Francine, i miglior amici di Madison.
Quando iniziai a leggere Harry Potter avevo 9 anni e mi ripetevo sempre che da grande avrei avuto anche io due amici come Ron ed Hermione. Qualcuno deve avermi sentito e, un paio di anni più tardi, il mio desiderio si avverò: oltre ad essere stati buoni amici, caratterialmente ricalcavano Ron ed Hermione. Essendo esistiti per davvero ed avendo avuto un ruolo fondamentale nella mia vita, sono particolarmente affezionata ai due protagonisti. Scrivere di loro, giocando a ripercorrere le tracce delle copie cartacee, mi diverte molto e mi viene naturale. Se dovessi stilare una classifica personale dei personaggi che preferisco maggiormente trattare, loro due occupano tranquillamente il secondo posto. La medaglia d'oro spetta a  qualcuno che varrà introdotto più avanti ;)!

Buon proseguimento!

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Capitolo 5
*** La tempesta ***


LA TEMPESTA


“Qualcuno mi puoi spiegare, ancora una volta, perché siamo qui?”

Era una calda mattina del 4 luglio. Fuori dalla finestra, il sole colpiva implacabile, friggendo tutto ciò su cui si posavo i suoi raggi bollenti; l’erba era secca, bruciata e ben poco di verde era rimasto per le strade e dall’asfalto si levava una calura ondeggiante.
Francine era distesa sopra al mio letto, palleggiando distrattamente per aria un cuscino, in attesa di una risposta.
“Perché, Francine, oggi esco con Zachary” le risposi in piedi davanti all’armadio, mentre adagiavo diversi vestiti sopra la mia figura e mi guardavo riflessa nello specchio.
“E cosa centriamo noi in tutto questo?” continuò con voce monotona.
“Oltre che come sostegno morale, io sono qui perché devo andare al Ghirigoro in cerca di alcuni volumi interessanti e all’Emporio del Gufo per comperare del cibo per Piuma” rispose pazientemente Matthew, seduto sopra alla mia sedia, intento a sfogliare Picnic col Vampiro  “Te, invece, sei qua perché non volevi disinfestare il giardino dagli gnomi, come tua madre ti aveva chiesto di fare dieci giorni fa, e ti sei inventata la scusa di dover andare in Farmacia a fare scorta di alcuni ingredienti di pozioni.” La vena di rimprovero nella sua voce non molto velata.
“Uff hai ragione…” ammise Francine e si lasciò cadere il cuscino sopra la faccia con fare rassegnato.
Alla fine avevo accettato di uscire con Zachary, come consigliato da Matt. Qualche giorno dopo il mio compleanno, decisi che era arrivato il momento di replicare alla sua missiva e stabilii l’incontro per la mattina del 4 luglio a Diagon Alley. Era un modo per conoscerlo meglio e capire come sarebbero andate le cose.
“Ma proprio il 4 luglio dovevi scegliere? Fa un caldo infernale!”
Mi girai a guardare la mia amica con aria infastidita.
“E chi lo sapeva che avrebbe fatto così caldo? Se l’avessi saputo avrei rimandato. E non ti azzardare a dire che sono ancora in tempo!” la precedetti puntandole contro un dito con fare minaccioso. Le parole le rimasero in gola mentre richiudeva la bocca con un sospiro. “Lo sai meglio di me che questo è l’unico modo per chiarire la situazione. Pure io odio il caldo. Mi fa sudare, i vestiti mi si appiccicano alla pelle e nessun trucco riesce a restare al suo posto per più di dieci minuti” dissi sconsolata nel mentre che mi avvicinavo allo specchio per controllare meglio il viso.
“Secondo me, dovresti indossare l’abito a fiori che ti hanno regalato per il compleanno e le scarpe basse. Sarai comoda e il più fresca possibile. Per il trucco non sarà un problema, non ti trucchi mai, quindi puoi farne a meno pure ora” Francine si era messa seduta e stava accarezzando Honey acciambellato sul letto. Di sicuro pensava che non aveva senso insistere sull’argomento.
Contemplai il vestito, appoggiandolo sopra di me. Effettivamente aveva ragione, non mi si sarebbe attaccato addosso ed era così leggero da lasciar traspirare l’aria.
“Mi hai convinta! Matthew…” esclamai decisa, girando sui tacchi e indicando la porta.
“Sissignora, vado giù con tuo padre, mi farò mostrare qualche aggeggio babbano” e lasciò la stanza contento come un bambino.
“Davvero andrai in Farmacia a fare scorta? Io ho finito il fegato di ratto…” pensai, dopo un po', infilandomi l’abito nuovo.
“Ma ti pare? Quel posto puzza di chimico e di marcio!” rispose disgustata. “No, andrò da Broomstix e da Accessori di Qualità per il Quidditch. Avremmo tutto il tempo di riempire le scorte prima di tornare a scuola.”
“Secondo te, tra quanto arriverà la lettera?” domandai, aggiustandomi una collanina che si abbinava al vestito. Conoscevo la mia media e sapevo di essere stata ammessa al terzo anno, ma ero impaziente di vedere l’elenco delle materie facoltative da scegliere e i nuovi libri di testo. Non ero una secchiona come Matthew, però mi piaceva andare bene a scuola.
“Mmm, non lo so…credo la settimana prossima. Hai già iniziato a fare i compiti?”
Francine si era alzata e mi stava ispezionando con fare certosino.
“Ho letto solo il capitolo di Incantesimi. Devo iniziare a darmi da fare.”
Mi diede una sistemata alla gonna e disse “Ecco qua, per me sei perfetta! E…visto che dovrai uscire con un Prefetto-Perfetto… direi che è fantastico!”
Mi scappò una sana risata.
“Dai, andiamo giù e sentiamo che ne pensano gli altri.”
“Fermatevi, tutte e due! Mi dite che state complottando?”
Ero appena arrivata a metà del corridoio quando venni placcata da mia sorella che mi guardava sospettosamente.
“Niente, dobbiamo andare a fare spese per la scuola” risposi angelicamente.
“Sì, come no” un ghigno malizioso le attraverso la faccia. “Quindi mi stai dicendo che non ti sei preparata in vista di un appuntamento con un ragazzo, dico bene?”
Sfortunatamente passai dieci secondi di orologio ad elaborare una scusa, senza riuscirci, e non appena abbassai gli occhi con aria colpevole, Vicky si illuminò raggiante.
“Dai, entrate dentro, che ti do un’occhiata!”
Entrammo rassegnate. Victoria si mise a girarmi in torno, un dito le tamburellava il mento e i suoi occhi mi passavano ai raggi x.
“Devo dire che avete fatto un buon lavoro: il vestito è semplice, ma carino, la collana dà quel tocco di eleganza e le scarpe sono sportive. Un mix giusto” approvò, annuendo. Lentamente mi guardò negli occhi, un cipiglio allusivo le si fece strada “Giusto, sì, ma bisogna vedere che tipo di appunto sarà, per non correre il rischio di essere fuori luogo.”
Che impicciona! Non può semplicemente lasciarmi andare?
“È solo un primo appuntamento. Anzi, una normalissima uscita. Nulla di galante o di formale” esclamai reticente.
“Bene, allora questo è il look giusto!” replicò soddisfatta. Poi corse verso il suo beauty-case ed estrasse una piccola forcina a forma di cuore. “Ecco, così ti leghi i ciuffi della frangetta dietro alla testa” e la sistemò sul capo.
Francine, che era rimasta tutto il tempo a giocherellare con la sua lunga treccia domandò se potessimo andare. Victoria ci diede il via libera e così scendemmo in salotto.
Papà e Matthew erano intenti a fissare il climatizzatore attaccato alla parete che, visto il caldo afoso di questi giorni, lavorava ormai a pieno regime.
“Adesso, se premi questo pulsante”, ne seguì un click, “il bocchettone da cui esce l’aria inizia a sposarsi, vedi?”
Matthew fissava a bocca aperta il climatizzatore.
“Sì, lo vedo. Sale e scende da solo, facendo muovere l’aria.”
Mio papà lo guardò orgoglioso. A quanto sembrava, aveva preso molto sul serio il suo ruolo di insegnante improvvisato.
“Esatto. Se premi ancora il bottone grande, vedrai che si spegnerà.”
Click. “È vero, l’ho spento!” gioì entusiasta il ragazzo.
“Ah ah ah, bravo Matthew, impari in fretta!” gli assestò qualche pacca di incoraggiamento sulla schiena. “La prossima volta potremmo passare a cose più complesse del semplice premere un pulsante, come la caffettiera elettrica” promise, strizzandogli l'occhio con fare complice.
Matt arrossì, imbarazzato “Sì, signor Evans, mi piacerebbe molto.”
“Ehm ehm”, mi schiarii la voce per annunciare il mio arrivo, “noi siamo pronti e vista l’ora dobbiamo andare.”
Francine stava combattendo una lotta interiore per evitare di scoppiare a ridere senza ritegno, ma gli occhi scintillanti fissi su Matt tradivano la scarsa volontà di reprimere l’impulso. L’amico se ne accorse all’istante e si affrettò a riacquistare l’aria composta e pacata di sempre.
“Tesoro, ma sei bellissima! Fatti vedere bene” si complimentò mio padre, facendomi fare una piroetta sul posto. Una volta che ebbe finito, si rivolse a tutti e tre “Dove andrete di bello?”
“Mah in giro… Ghirigiro, Farmacia, Broomstix... il solito insomma. Probabilmente pranzeremo fuori, quindi non apparecchiate per me” risposti evasivamente.
Ovviamente i miei genitori non sapevano nulla della mia uscita con Zachary. Finché non ci fosse stato veramente qualcosa da raccontare non aveva senso renderli partecipi.
“Ottimo, forza, tutti in macchina!” e si diresse a prendere le chiavi appese vicino alla porta.
Lo guardai perplessa.
“Scusa, papà, ma non andiamo con la Polvere Volante?” chiesi indicando il camino.
“No, meglio di no. Preferisco accompagnarvi io, tanto devo recarmi a Shaftsbury Avenue in ogni caso per una commissione di lavoro. Poi per tornare potete prendere i mezzi pubblici, senza che vi infilate in qualche camino.”
Nonostante la risposta sembrasse sincera, conoscevo troppo bene mio padre: non mi era sfuggito il modo in cui aveva distolto lo sguardo prima di parlare. Come avevo fatto caso pure al fatto che mia madre rimaneva sempre più spesso al lavoro, andando in ufficio anche di sabato.
I miei amici mi stavano guardando incuriositi. Decisi di condividere con loro le mie preoccupazioni una volta giunti a Diagon Alley
“Va bene, andiamo allora” acconsentii e ci dirigemmo alla macchina.

Diagon Alley era un rione interamente magico nel cuore di Londra. Oltre che per Metropolvere e Smaterializzazione, ci si poteva accedere da un vecchio pub, Il Paiolo Magico, situato nel pieno quartiere di Soho. Per evitare che qualche Babbano decidesse di esplorare il locale, il Ministero lo avevo dotato di un incantesimo di Disillusione, in questo modo qualsiasi persona senza sangue magico si fosse fermata all’ingresso, avrebbe visto una vecchia costruzione, chiusa, caduta in disuso, e semmai gli fosse passato per la testa di lamentarsi con il Sindaco affinché un tale orrore venisse abbattuto, improvvisamente si ricordava di dover fare qualcosa di molto importante da non poter essere rimando, tanto da archiviare l'intera faccenda.
Non che alla vista di un mago il pub apparisse molto diversamente: la costruzione era in stile vittoriano, di legno e pietra scura, l’insegna di un calderone fumante cigolava sopra all’ingresso. Il gestore era Tom, un signore molto allegro, abituato ad incontrare ed ospitare nelle camere ai piani superiori i più diversi avventori. Per accedere a Diagon Alley, bastava superare l’intera sala, destreggiandosi tra gli innumerevoli tavoli, tutti di forma e dimensioni diversi; si arrivava al piccolo giardino del retro, dove il locandiere accatastava le cose inutilizzate, e battendo con la bacchetta, secondo un certo ordine, sui mattoni dell’unica parete presente, si apriva un arco che immetteva nella via principale affiancata dai negozi.
Ed era proprio in quel posto che io ed i miei amici eravamo appena giunti.
“Dove vi siete dati appuntamento?” si informò Matthew guardandosi in giro.
“Davanti Olivander” risposi nervosamente seguendo lo sguardo di Matt che si perdeva nella folla.
“Scusa ma te lo devo chiedere Maddy: da quando non possiamo andare a Diagon Alley da soli?” Francine era molto perspicace, nonostante il suo lato esuberante e goliardico.
La guardai negli occhi.
“Ne parliamo dopo, sono successe alcune cose strane, in questi giorni.”
Tra i quali il Mantello e il mio incubo ricorrente che si era fatto più tenebroso.
Ci lanciammo uno sguardo di intesa tutti e tre. Il nostro legame di amicizia era talmente forte che in alcuni istanti capivamo al volo i rispettivi pensieri, senza il bisogno di esternarli.
“Bene, allora siamo arrivati al punto di svolta!” Francine mi sorrise allegramente e mi diede una pacca sulla spalla “Forza leonessa, sii audace, fiera e coraggiosa, proprio come una vera Grifondoro! Sbranali tutti!”
Ascoltando la frase di incoraggiamento che era solita usare con me, colsi il coraggio a due mani e decisi di andare.
“Maddy, ci troviamo al Paiolo Magico quando hai finito” Matt mi salutò con la mano.
Feci un respiro profondo.
Andiamo e vediamo che succederà.

L’appuntamento era alle 10:15 davanti ad Olivander, il più grande venditore di bacchette del Regno Unito. Ero in ritardo di cinque minuti quando giunsi all’entrata del negozio, ma anche Zachary non era ancora arrivato. Scrutai la folla errante, cercandolo, il che risultava molto difficile visto l’enorme quantità di gente che stava affollando Main Street. Maghi e streghe con tuniche colorate e cappelli appariscenti si mescolavano fra di loro, neppure il caldo li aveva scoraggiati dal fare shopping, andare in banca o gustarsi una bevenda in compagnia. Ovviamente per loro il problema del caldo era relativo, bastava un incantesimo Frescafrescura per trovare refrigerio.
“Ehi, ciao Madison.”
Una voce maschile alla mia destra attirò la mia attenzione.
Zachary era arrivato, i capelli corvini ordinati, polo blu elettrico, pantaloni bianchi fino al ginocchio e scarpe basse.
“Ciao, Zachary.”
All’improvviso tutta la storia della leonessa mi sembrò una stupidaggine colossale e non riuscii a dire null’altro.
Lui dovette accorgersene perché subito interruppe quel silenzio.
“Scusa, ho fatto un po’ tardi, sai la Metropolvere era intasata a causa del traffico ed ora me ne spiego la ragione” sorrise accennando alla folla che ci passava accanto.
Colsi la battuta e mi sciolsi un po’.
“Già, anche io ho fatto tardi, ma sono arrivata attraverso l’entrata Babbana. Mi ha accompagnato mio padre, visto che passava per Soho.”
Mi dispensò un altro sorriso, ma questa volta era di gratitudine per aver rotto il ghiaccio.
“Dove vogliamo andare?”, chiese educatamente, “Vuoi vedere qualche negozio in particolare?”
Ci pensai su un istante.
“Vorrei passare al Serraglio Stregato a prenderei dei Biscottini Felini per il mio gatto, ne va pazzo.”
“E Serraglio Stregato sia” Approvò Zachary.

Il Serraglio Stregato il negozio di animali magici e, per me, il più interessante dell’intera Diagon Alley. Si poteva trovare qualsiasi tipo di animale: topi salterini, che giocavano a saltare la corda usando la propria coda, rospi viola, gatti di ogni genere, lumache velenose e pure un coniglio bianco che si divertiva a trasformarsi in un cilindro. L’intero locale era piuttosto angusto e rumoroso per via delle gabbie che arrivavano fino al soffitto e dei loro occupanti chiassosi.
La tappa successiva fu la libreria Il Ghirigoro. Passando davanti alle vetrine ci fermammo istintivamente per controllare se fossero arrivati nuovi libri. Appena ce ne accorgemmo ridemmo per la medesima abitudine. Il negozio era suddiviso in due piani, tutti riempiti di scaffali e pile di volumi pericolanti. Era il paradiso di ogni lettore: libri grossi come lastroni di pietra o piccoli come un francobollo, pieni di simboli strani ed indecifrabili oppure con le pagine completamente vuote, foderati in pelle o in seta. Un poster campeggiava vicino all’ingresso e sponsorizzata il nuovo volume Il Libro Invisibile sull’Invisibilità. Dato che entrambi eravamo curiosi di vederlo, Zachary domandò al commesso se si potevamo consultarne una copia.
“Purtroppo non riusciamo a trovare neanche un singolo volume! Ce ne hanno consegnato un’intera cassa e una volta aperta non siamo riusciti a trovare i libri invisibili” rispose amareggiato il dipendente. “E si che li abbiamo pagati diversi Galeoni. Mi sa che non è stato un buon affare.”
Non vidi i miei amici in nessun negozio, ma la cosa non mi dispiacque, ero in buona compagnia.
Abbastanza provati dal caldo afoso che imperversava e data l’ora di pranzo, decidemmo di dirigerci alla Gelateria di Florian Fortebraccio. Il posto era piuttosto affollato, a quanto pareva molti avevano avuto la nostra idea, tuttavia riuscimmo a trovare un tavolino per noi.
“Finalmente, non ce la facevo più” sbuffai stancamente, passandomi una mano sulla fronte.
“Hai ragione, in questi giorni il caldo si è fatto più intenso. Ho sentito che non raggiungevamo queste temperature da quasi quindici anni” concordò Zachary.
“Meglio prendere qualcosa di fresco che ci tiri su” dissi allegramente.
Ordinammo due coppe gelato: io una esplosione di frutta (la frutta esplodeva veramente una volta in bocca) e Zachary un assortimento di creme varie.
Dopo averne mangiato qualche boccone, iniziammo a parlare inevitabilmente di Hogwarts.
“I risultati dei miei GUFO dovrebbero arrivare a breve, questioni di giorni. Se avrò ottenuto un Eccezionale in Antiche Rune farò richiesta alla professoressa Babbling di diventare il suo assistente” mi spiegò con tono professionale. “Certo, dovrò conciliare questo nuovo impegno, con lo studio, il lavoro di Prefetto e qualche club che ancora non ho scelto.”
“Che lavoro vorresti fare?” chiesi curiosa e una piccola parte di me sperò che non fosse il Ministro.
“Mi piacerebbe lavorare nel settore di mio padre: Ufficio di Cooperazione Magica Internazionale, settore Commercio Internazionale. Sarà molto difficile però… al tirocinio accettano solo studenti con MAGO in Storia della Magia, Antiche Rune, Aritmanzia, Pozioni ed Incantesimi.”
Il suo sguardo si rabbuiò leggermente e si chiuse in un silenzio riflessivo.
“Sei un ragazzo sveglio, hai ottimi voti, sono sicura che ce la farai” gli sorrisi incoraggiante e lui contraccambiò.  
Volle sapere delle mie aspirazioni, la materia che preferivo e quella in cui riuscivo meno. L’ultima domanda era facile: l’insegnamento in cui eccellevo di meno era Pozioni, non tanto a causa mia, ma per colpa del professore. Il professor Piton, alto, magro e con una cortina di uniti capelli neri, era in grado di mettere in soggezione tutti gli alunni con i suoi modi superbi e freddi, in più essendo, essendo responsabile della Casa di Serpeverde, non perdeva occasione per premiare gli studenti che vi appartenevano, divertendosi a togliere punti alle Case restanti. Soprattutto a Grifondoro.
D’altro canto adoravo Difesa Contro le Arti Oscure. Il professor Lupin era un vecchio amico di famiglia, aveva frequentato Hogwarts insieme a mia madre, con il suo animo gentile e ben disposto riusciva a far apprendere una materia così complicata in modo divertente ed inusuale, diversa dalla classica lezione frontale. Pure Trasfigurazione mi interessava, ma la professoressa McGranitt non indorava la pillola: la Trasfigurazione era pericolosa e doveva essere affrontata seriamente e professionalmente. Lei era la rappresentante della mia Casa, ma, a differenza di Piton, non faceva preferenze e non esisteva togliere punti ai Grifondoro se lo riteneva opportuno.
Per quanto riguardava le mie aspirazioni, la faccenda era complicata. Non avevo un’idea precisa di cosa volessi diventare, ero ancora aperta a tutte le opportunità che si potevano presentare, ma dentro di me cominciavo ad accarezzare l’idea di diventare un Auror. Gli Auror erano un corpo speciale di maghi scelti del Ministero, il loro compito consisteva nel dare la caccia e catturare i maghi oscuri, seguaci di Grindelwald: i Mangiamorte. Nonostante fossero passati quasi vent’anni anni dalla caduta del Signore Oscuro, molti maghi gli rimanevano fedeli, confidando in un suo ritorno. La maggior parte dei Mangiamorte furono spediti ad Azkaban nel giro di pochi anni, alcuni si nascosero o fuggirono all’estero, questo destino era riservato per lo più a famiglie Purosangue di rango minore. Le Casate più antiche e ricche che ebbero un importante ruolo decisionale e logistico durante gli Anni Bui, trovarono la salvezza dichiarando di essere sotto la Maledizione Imperius e di non eseguire gli ordini per loro volere, ottenendo così una seconda possibilità. Come ripeteva sempre mia nonna: dovevano la loro libertà solo alle loro amicizie strette con membri molto influenti del Ministero.
I Mangiamorte erano una setta molto chiusa e consentivano l’ingresso solo a persone Purosangue da tante generazioni, ciò per prevenire l’ingresso di eventuali spie Auror. Una volta ucciso e torturato un numero sufficiente di Babbani, si veniva marchiati nell’ avanbraccio sinistro con il Marchio Nero, il simbolo di Grindewald: un teschio con un serpente attorcigliato che gli esce dalla bocca. Il Marchio Nero serviva al Mago Oscuro per contattare i suoi seguaci, ovunque fossero, bastava che toccasse il suo simbolo affinché quello di tutti cominciasse a bruciare, facendosi più nero e definito. Dopo aver svolto il compito che gli veniva assegnato, i Mangiamorte proiettavano il Marchio Nero nel cielo, ad indicare che la morte aveva appena trovato un’altra vittima. Anche uccidere i Nati Babbani e i Mezzosangue era motivo di stima, essendo considerati traditori del loro sangue.
Oggigiorno essere Auror non era pericoloso come allora, ma di sicuro non poteva considerarsi un lavoro indenne da rischi.

Finito il gelato, riprendemmo la passeggiata, fino ad arrivare da Wiseacre Equipaggiamento Magico. Il negozio vendeva tutti gli oggetti magici inventati fino ad allora. La vetrina era affollata da visitatori incuriositi che fissavano i vari strumenti a bocca aperta additandoli.
La mia attenzione fu attirata da un oggetto piccolo, simile ad una trottola, ma tutta di vetro, che stava girando all’impazzata e sibilava sonoramente. Avvicinai la faccia alla vetrina e domandai “Zach, sai cos’è?”
Il ragazzo si fece più vicino per vedere meglio, ma la voce maschile che mi rispose non fu la sua.
“È uno Spioscopio tascabile.”
Mi alzai, curiosa di vedere chi stesse parlando. L’interlocutore era un ragazzo alto, slanciato, aperto di spalle, capelli biondo scuro, pelle candida e freddi occhi grigi. Il suo viso non mi era nuovo, ma non riuscivo a ricordare chi fosse.
“Un Detector Oscuro che dovrebbe rivelare quando qualcuno nelle vicinanze ha cattive intenzioni.” Proseguì con il tono lento e distaccato di prima, fissandomi con aria superiore. “Ma da come gira impazzito, direi che è rotto.”
“Ciao, Gherin” anche Zachary si era voltato e lo stava osservando con una fredda espressione.
“Cohen” salutò il ragazzo rivolgendo lo sguardo verso Zach “Stiamo facendo shopping?” e un ghigno obliquo gli attraverso il viso, quasi sarcastico.
“Pressappoco” rispose lapidario. “Te, invece? Come mai sei qui?”
“Pressappoco per il tuo motivo, diciamo così. Adesso devo andare, buona passeggiata, Cohen” e prima di incamminarsi mi lanciò un’ultima rapida occhiata.
Il forestiero era ormai sparito tra la folla, ma Zach continuava a guardare fisso nella sua direzione.
“È un tuo amico?” domandai incerta.
Finalmente si decise a volgere l’attenzione su di me.
“No, siamo solo compagni di classe.”
Dalla risposta secca, capii al volo che non ne voleva più parlare.
Evidentemente si accorse di essere stato troppo brusco perché mi regalò un altro dei suoi sorrisi cordiali e disse “Forza, continuiamo il giro.”

Erano quasi le 17 quando decidemmo di salutarci.
“Eccoci qua” disse.
Eravamo in piedi, uno di fronte all’altra.
Il ragazzo prese di nuovo la parola.
“Maddy, non te l’ho detto prima, ma stai molto bene vestita così. Sei veramente carina.”
Subito sentii le guance farsi più rosse e non riuscì più a reggere il suo sguardo.
“Grazie, sei gentile, Zach” biascicai fissando un punto imprecisato della sua polo.
All’improvviso ci fu un movimento inaspettato. Allungò il braccio e mi prese delicatamente la mano. Istintivamente tornai a fissarlo, stupita. I miei occhi azzurro-grigio incontrarono i suoi nocciola e sostennero lo sguardo.
“Sai, prima di trovare il coraggio di parlarti, quel giorno in Biblioteca, ho passato diverso tempo ad osservarti, senza mai decidermi di fare la prima mossa. Ora me ne pento amaramente. Il tempo che abbiamo passato assieme ad Hogwarts lo scorso anno è stato poco, così mi piacerebbe rimediare e iniziare a frequentarci più spesso, se sei d’accordo.”
Il modo in cui lo disse, senza tradire nessuna insicurezza, mi fece capire che si era preparato il discorso prima del nostro incontro.
Stava aspettando una risposta.
“Zach, quel poco tempo trascorso insieme è stato piacevole anche per me, ma non mi sento di impegnarmi in qualcosa di più. Insomma…non ci conosciamo così bene…” cercai di essere diplomatica come lo era stato lui, ma mentre parlavo mi resi conto che l’effetto non era lo stesso.
Il ragazzo annuì, comprensivo.
“Certo, non ti sto chiedendo niente di impegnativo. Pensaci, va bene? Approfitta di queste settimane prima dell’inizio della scuola per riflettere. Una volta tornati ad Hogwarts avremmo modo di passare molto tempo insieme e vorrei che le cose fossero già definite tra noi due.”
“Lo farò” promisi. “Grazie della bella giornata, sono stata bene.”
Si avvicinò e mi scocco un bacio sulla guancia.
“Anche io, Madison.”

“Eccola la nostra leonessa, tornata vincitrice!”
Francine accolse così il mio arrivo al Paiolo Magico. Lei e Matthew erano pieni di buste e stavano bevendo qualcosa che avevano ordinato.
“Vuoi l’Acquaviola di Francine o la mia Lemonsoda?” offrì Matt.
“Lemonsoda?” domandai divertita mentre prendevo posto nel loro tavolo.
“Si, dato che Tom serve anche bevande Babbane ho deciso si assaggiare questa. Non è male”, rispose facendo schioccare la bocca in segno di approvazione.
“Prenderò un po' di Acquaviola.”
“Allora, non farti pregare: sputa il rospo!” esclamò Francine mentre mi passava il bicchiere.
Bevetti un sorso e raccontai la giornata.
“Non è andata male. Abbiamo passato delle ore rilassanti, caldo a parte. Abbiamo visitato qualche negozio e pranzato da Florian Fortebraccio.
Il viso lentigginoso di Matthew si fece avanti con un sorriso malizioso “Tutti qui? Non è successo niente?”
“Solo che vorrebbe qualcosa di più, una volta tornati ad Hogwarts” lo dissi con una mezza smorfia poco convinta. “Ho detto che ci devo pensare perché non voglio nulla di serio.”
Francine svuoto in sorso il resto della bibita. “Non c’è molto da pensare: o ti piace o non ti piace.”
“Grazie, Sherlock” la schernì “Ma non è così semplice. È un bravo ragazzo, preferisco conoscerlo di più prima di sbilanciarmi.”
Rimanemmo tutti e tre in silenzio, pensierosi.
“Comunque, prima di andare a casa, vorrei parlarvi di una cosa strana che mi sta capitando.” Enunciai dopo un minuto.
I miei amici mi guardarono concentrati.
“Ha a che fare con il passaggio di tuo padre?” si informo Matthew.
“Non lo so con certezza, ma credo che le due cose possano essere collegate.”
Fu così che gli raccontai dell’incubo misterioso che da due anni tormentava le mie notti, di come questo si fosse evoluto una volta ricevuto il Mantello di nonno Edgar e del lavoro supplementare che teneva sempre di più impegnata mia madre al Ministero.
La prima a commentare tutte le informazioni fu Francine.
“I Mantelli invisibili non sono rari, anche Wiseacre li vende. Certo, costano 50 Galeoni, ma forse tuo nonno ha potuto permetterselo in gioventù.”
“Quei mantelli sono giocattoli, roba da quattro soldi per spennare i creduloni. Non ti rendono invisibile per davvero, hanno un Incantesimo di Disillusione o una Fattura Abbacinante oppure sono intessuti di lana da Camuflone, dopo qualche anno l’incantesimo tende a sbiadire fino a consumarsi completamente e il tessuto diventa grigio” la corresse lui, aggrottando la fronte concentrato. “Qua stiamo parlando di un mantello che per ha conservato la capacità di rendere invisibili le persone, per arco di tempo indefinito. È magia complessa. Molto complessa. Non ne avevo mai sentito parlare prima d’ora.”
La faccenda stava prendendo una piega che non mi piaceva.
“Veramente non ho ancora provato il mantello… non so se è ancora in grado di rendere invisibile” provai a ridimensionare la cosa.
I verdi occhi di Matt mandarono un bagliore infervorato.
“L’unica cosa per capirlo è provarlo. Questa sera te lo metti e vedi che succede”. Vedendo la mia espressione preoccupata si affrettò a rassicurami “Stai tranquilla, non ti capiterà niente di strano. Se è un mantello giocattolo, solo alcune parti di te non saranno visibili. Se è vero, basterà che te lo tolga per apparire di nuovo. Non avrai nessun effetto collaterale.”
“Va bene. Vi manderò Hermes per farvi sapere” annuì.
“Perché non ce lo hai detto prima di questo mantello? Perché non ne hai parlato alla festa di compleanno?” il tono di Francine era triste, quasi fosse delusa per essere stata esclusa.
“Ero spaventata. Non sapevo cosa significasse. Volevo solo del tempo per rimettere ordine nelle mie idee” presi le mani di entrambi tra le mie “Non volevo escludervi. Ne abbiamo passate tante insieme e l’istinto mi dice che ne passeremo molte altre ancora” sorrisi. Gli volevo davvero bene.
Matthew riprese la parola.
“Per il comportamento strano di tua madre e tuo padre, l’unica cosa è stare all’erta. Non mi è sfuggito che la Gazzetta del Profeta ultimamente riporta casi di incarcerazione ad Azkaban sempre più spesso. I miei genitori non mi dicono nulla di particolare di ciò che succede nei loro uffici, al Ministero” ci guardò una ad una “Francy, prova a sentire se tuo padre fa menzione di attacchi contro i Babbani, anche se non diretti, tipo manomettere oggetti di uso comune che feriscano gravemente i malcapitati.”
“D’accordo.”
“Maddy, prova il mantello e controlla altri comportamenti sospetti.”
Annuì silenziosa.
“Io farò lo stesso e controllerò quotidianamente il giornale.”
Fu con questo discorso serio, carico di presagi, che ci salutammo diretti ognuno a casa propria.

Come era prevedibile, mamma non era ancora arrivata quando varcai l'ingresso di casa.
Victoria e papà erano dietro ai fornelli, intenti a la preparare la cena.
“Madison, la cena è quasi pronta.”
“Ok, papà, salgo un attimo a cambiarmi e arrivo.”
Non vedevo l’ora di provare il Mantello e chiudere la faccenda.
Il Mantello giocava dentro al baule di scuola, nascosto sotto a qualche pergamena. Lo raccolsi ed ebbi la medesima sensazione di quando lo toccai la prima volta: aria liquida. Il che è strano a dirsi, non potendo toccare l’aria, ma la consistenza leggera e liscia la richiamava alla mente.
Mi posizionai davanti allo specchio. I miei occhi azzurro-grigi esprimevano tutta la determinazione che avevo in corpo.
Avanti, allora. Uno, due e tre.
Alla fine del conteggio me lo gettai sulle spalle e rimasi sbigottita. Riflesso sullo specchio c’era la mia testa che, apparentemente, galleggiava nel vuoto.
Repentinamente, senza pensare a nulla, tirai su il cappuccio sopra alla nuca. Adesso ero sparita del tutto.
“Accidenti…” boccheggiai stralunata.
Quasi mi prese un colpo quando la voce di mio padre risuonò su per le scale, fino in camera mia.
“Maddy, è pronto, vieni a tavola!”
“S-sì, papà…arrivò!” urlai in risposta.
Avevo cercato di togliermi il Mantello talmente di scatto, per paura che qualcuno mi vedesse, o meglio non mi vedesse, che rimasi aggrovigliata. Dopo una breve lotta, ebbi la meglio e lo riposi al sicuro nel baule.
Vista l’ora e per non far insospettire nessuno, decisi di scrivere dopo cena ai miei amici per comunicare la strabiliante notizia.
 La cena passò tranquilla. Mentre mio padre era intento a prendere l’arrosto, Victoria mi aveva sussurrato all’orecchio di passare poi in camera sua per sapere com’era andata l’appuntamento.
Alla fine mia madre arrivò giusto in tempo per il contorno.
“Mi dispiacere tanto per non essere arrivata prima, ma avevo tanto di quel lavoro da sbrigare in ufficio” si scusò, mentre si toglieva la fuliggine dal vestito.
“Che cosa ti ha trattenuto?” domandò Vicky.
“Ah le solite cose, impiegati svogliati, buontemponi che si divertono ad incantare gli idranti, qualche disputa per un tappeto volante non a norma. Nulla di interessante” rispose sedendosi a tavola, servendosi dell’arrosto ormai diventato freddo, e provvide a scaldare con un getto di aria calda dalla bacchetta.
Chissà perché in quei giorni la frase ‘nulla di interessante’ sembra tutto fuorché non interessante.
Appena arrivai in camera mia, spalancai immediatamente la finestra per chiamare Hermes, appollaiato sull’albero del giardino, e fu una fortuna visto che una pallina piumata si precipitò a tutta velocità dentro la stanza. Era Piuma, e quella che reggeva tra le zampe era una lettera di Matthew.

Maddy,
appena sono arrivato a casa mia madre mi ha raccomandato di non usare nessun mezzo di trasporto magico. Non è stata molto loquace, ma ha detto che è per precauzione per alcuni disfunzioni dovuti al servizio. Mi raccomando, finché non ne sapremo di più, non usare Metropolvere e Passaporte che non siano state autorizzate prima da tua madre e non viaggiare da sola.
Teniamoci aggiornati.
Matthew

Fissai il foglietto, assorbendo l’impatto di quelle poche frasi. Sua madre era la responsabile dell’Ufficio del Trasporto Magico, non avrebbe dato un falso allarme a suo figlio.
Non c’era un minuto da perdere. Non potevano essere tutte strane coincidenze.
Raccolsi un pezzo di pergamena, lo strappai in due, e scrissi due brevi messaggi identici: ‘Ho provato il Mantello. Funziona alla perfezione. Non ci sono buchi o scuciture.’ In quello per Matt aggiunsi se poteva informarsi meglio informarsi meglio sulla natura del Mantello dell’Invisibilità.
Attaccai le missive ad Hermes e Piuma, che nel frattempo mi aveva aspettato senza fare rumore, e li guardai volare lontano.
Poco dopo, mi buttai a pancia all’aria sul letto, le braccia distese.
Uff, che sta succedendo?
Quasi come se Honey mi avesse letto nel pensiero, si avvicinò facendo le fusa e strusciò il musetto sul mio viso. Rimasi a coccolarlo qualche minuto, giovando dell’effetto rilassante che il suo pelo morbido mi dava.
“Dai, vecchio mio, vado a farmi un bagno per togliermi di dosso le ultime preoccupazioni” lo informai dandogli un buffetto sulla testa.
Uscita in corridoio vidi la camera di Vicky, vuota, di sicuro era andata dai suoi amici, e notai il famigliare bagliore provenire dal fondo delle scale, segno che il caminetto era accesso.
Mi bloccai di colpo.
Cosa…il caminetto è acceso?
In una frazione di secondo capii che qualcosa non andava. Chi accendeva il camino in piena estate? Se vivevi in una famiglia di maghi, questo poteva significare una cosa sola: avevamo visite. Dovevo scendere a controllare, se questo qualcuno era disposto ad utilizzare la Polvere Volante nonostante il disservizio di cui parlava la signora Leary, doveva avere un buon motivo.
Depositai il pigiama e il mio cambio in bagno, facendo attenzione a non fare rumore. Vagliai l’ipotesi di ricorrere al Mantello per spiare in tranquillità, ma scartai subito l’idea. Checchè ne dicesse Matthew, non mi fidavo di un potere talmente grande, preferivo conducesse qualche indagine approfondita prima.
Con nient’altro che la mia paura di essere scoperta e una grande forza di volontà di scoprire cosa c’era sotto a tutto ciò, cominciai a scende le scale, il cuore che mi rimbalzava nel petto.
“È così, Mary! I segnali ci sono tutti: il caldo anomalo, gli strani incidenti minimizzati, le famiglie che preferiscono emigrare, tutti questi arresti... Solo uno sciocco non se ne renderebbe conto. Non sono venuta fin qui, infrangendo il coprifuoco della Metropolvere, solo per delle astratte congetture!”
“Non lo so, Patty… oggi sono stato in centro per accompagnare Madison a Diagon Alley e non ho visto nulla di strano…”
“Non c’è da stupirsi! I Babbani sono sempre gli ultimi a capire cosa sta succedendo! Abbiamo intere squadre di Obliviatori che se ne assicurano. Mary, pure te hai detto che il tuo ufficio è sommerso di lavoro e sappiamo tutti e tre che i tappeti volanti importati di contrabbando c'entrano ben poco!”
“Shhh abbassa la voce, mamma, Madison è in camera sua, non voglio che ti senta.”
Ci fu una pausa.
“Sì, attualmente gli Auror stanno lavorando il doppio del normale e i casi per uso improprio della magia crescono proporzionalmente. Ma è già successo in passato, sono focolai destinati a spegnersi...”
“Quando è già successo, Mary?! Quando?! Non lasciare che la tua paura ti renda cieca!”
“Su, su, Patty, manteniamo tutti la calma d’accordo? Mary ha ragione, ci sono stati diversi episodi isolati. Basta chiedere a Donald Parcker e ti confermerà che molti maghi fanno scherzi ai Babbani. Sono goliardie, di cattivo gusto, certo, ma nulla di preoccupante.”
“Non sto parlando di stupidi scherzi fatti da maghi perditempo! Sto parlando di attentati veri e propri camuffati da burle! Sto parlando di decine di persone condannate dal Wizengamot intero a marcire ad Azkaban! Nessuno finisce ad Azakban per aver stregato un tostapane affinché insegua il proprietario!”
Nessuno parlò per qualche momento.
“Lo sapete bene, tutti e due. Mi sto riferendo agli eventi di sedici anni fa, di quando si sparse la voce che era nata la secondogenita Evans. L’eterna lotta del bene contro il male giunse ad un punto di svolta cruciale, in nome di quella piccina che non poteva comprendere il peso dell’eredità che le gravava sulle fragili spalle. Tutto si concluse come ben sappiamo… grazie al sacrificio di mio marito… Ma adesso è diverso, Madison è grande, non le si può tenere nascosto tutto senza che se ne accorga e le voci di un’ombra oscura che si aggira nei Paesi dell’Est Europa, non è da sottovalutare. Proteggetela finché potete, ma non lasciate che la vostra preoccupazione di genitori vi ottenebri il raziocinio. Qualcosa si sta muovendo e quando arriverà porterà con sé la tempesta.”
Un crepitio del fuoco rivelò che la visitatrice aveva lasciato la casa.
Mi accorsi solo in quell’istante che stavo trattenendo il fiato. Inspirai e espirai, rimanendo seduta per terra con la schiena appoggiata al muro, aspettando che le mani smettessero di tremare.

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