Until the end di Martybido (/viewuser.php?uid=1006139)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La lettera ***
Capitolo 2: *** Posta via gufo ***
Capitolo 3: *** Il compleanno ***
Capitolo 4: *** La festa ***
Capitolo 5: *** La tempesta ***
Capitolo 1 *** La lettera ***
LA LETTERA
Fu il forte
odore di pancake a svegliarmi. Mi stavo nascondendo da un uomo
misterioso che mi inseguiva; non aveva palesato le sue intenzioni,
semplicemente iniziò a seguirmi con fare minaccioso e
ciò mi fece intuire le sue idee poco amichevoli. Ero
appiattita contro una roccia, sentivo i suoi passi avvicinarsi, quando
una scia di un profumo a me noto si fece largo. Nel momento in cui
realizzai “Sono i pancake!” aprii gli occhi.
La stanza era avvolta
nel buio. Sbattei le palperebbe un paio di volte prima di tornare con
la mente nella realtà. Non che fossi dispiaciuta di aver
abbandonato la mia fuga, insieme al misterioso inseguitore. Ormai sogni
come quello accadevano spesso e tutti finivano allo stesso modo. Non
riuscivo a capire chi mi inseguisse, vedevo solo una scura figura,
avvolta in un mantello. Non parlava, le uniche volte che apriva la
bocca era per ansimare a causa della folle corsa.
Stropicciai gli occhi,
mi misi a sedere sul bordo del letto e mi stiracchiai.
Contemporaneamente la porta si aprì lentamente rivelando il
familiare viso di mia madre.
“Madison,
tesoro...” si stupì nel vedermi già
alzata. Di solito ci servono diversi suoni di sveglia. Contenta di come
si sia rivelata facile la missione
‘svegliamo-Madison’, riprese. “Bene, sei
già in piedi! La colazione è pronta e visto che
oggi è una giornata importante ti ho preparato la tua
preferita.”
“Ciao mamma,
grazie arrivo subito.” Salutai, socchiudendo gli occhi verso
la luce che filtrava dall’uscio e accesi la bajour .
Mi sorrise
un’ultima volta e se ne andò.
Allontanai del tutto
l’ultimo rimasuglio di inquietudine pensando a come questa
dovesse essere una giornata fantastica. Non solo perché era
il mio compleanno, ma perché compivo sedici anni. Nella mia
testa era sempre stata una tappa importante, una specie di rito di
passaggio, dove iniziavi a contare qualcosa e le persone smettevano di
guardarti con un misto di tenera comprensione che di solito rivolgevano
ai cuccioli di gattini.
Tuttavia non era
l’unico motivo. Esattamente il 24 giugno di due anni fa
ricevetti la lettera che cambiò la mia vita e quella della
mia famiglia.
Proprio come oggi,
anche allora iniziai la mia giornata con la chiamata di mia mamma. Solo
che le notti non erano tormentate da questi incubi ricorrenti. In
pigiama, mi avviai in cucina, dove mi sedetti a fare colazione. Pancake
(le fragole sistemate come un sorriso), uova fritte, bacon e succo di
arancia. Tutto procedeva come ogni mattina, finché mio padre
non andrò alla porta a ritirare la posta e tornò
con l’aria assai preoccupata.
“Mary,
è arrivata...” disse mio padre con voce seria.
Mamma, che stava
sistemando gli ultimi addobbi, si bloccò. Si girò
rapidamente per fissare quello che mio padre le porgeva. Entrambi mi
lanciarono occhiate fugaci.
Furono i comportamenti
alquanto sospetti dei miei genitori a distrarmi dai miei pensieri,
incentrati sui bei regali che avrei voluto ricevere. Cosa
c’era di strano in una lettera? Papà ne riceva
parecchie: tra la banca, le bollette, abbonamenti e i parenti, non era
certo una novità ricevere posta. Mi bloccai con la forchetta
a mezz'aria e fissai entrambi con aria interrogativa.
Mio padre teneva gli
occhi fissi su mia madre, la quale passava i suoi in rassegna da lui
alla busta, come incapace di decidere il da farsi. Tutta la scena
durò una decina di secondi, durante i quali feci attenzione
a non muove un muscolo per paura di perdere qualcosa delle loro
occhiate colme di significato. Capii che stavano comunicando con lo
sguardo, senza proferire parola, per evitare di ammettere
ciò che li turbava.
Mia madre
sembrò decidersi, allungò una mano tremante verso
la busta...
“Potevate
anche svegliarmi eh?!” L’urlo di Victoria
arrivò forte e chiaro dalle nostre spalle, rompendo
l’atmosfera e riportandoci tutti alla realtà.
Mamma ritirò immediatamente la mano e nello stesso istante
mio padre infilò la busta in mezzo alle altre.
Distolsi con delusione
lo sguardo e salutai mia sorella con una punta di amarezza nella voce.
“Buongiorno
tesoro...” iniziò mamma, ma mia sorella la
interruppe “Mamma ho diciassette anni e tesoro lo si dice a
chi ne ha cinque!”
“Victoria,
non parlare così a tua madre. Quando non ci saremo
più rimpiangerai le nostre premure.” La
rimproverò papà.
Sbuffando, Vicky si
sedette accanto a me prese la sua parte di colazione. “Buon
compleanno Maddy.” Mi augurò, dando giusto
un’occhiata di sbieco verso la mia direzione.
Non ne fui stupita.
Vicky non era propensa a mostrare grandi slanci di affetto. E se in
quel momento, mentre la ringraziavo, sorridendole, nutrivo una vaga
speranza che la nostra relazione potesse migliorare, qualche ora
più tardi dovetti ricredermi.
La giornata
proseguì allegra: alla colazione seguirono le solite
telefonate di auguri dei parenti, che confermavano l’ora di
arrivo per la festa pomeridiana. Alle 17 eravamo tutti riuniti per
scartare i regali e mangiare il dolce.
Il panico scatenato
dalla lettera di stamane sembrava non esserci mai stato. I miei
genitori si comportavano normalmente: papà salutava,
chiacchierava e rideva rumorosamente mentre nonno Richard raccontava un
aneddoto divertente, nonna Anne e nonna Patty si davano da fare ad
aiutare mamma con gli spuntini e il dolce.
Per un attimo mi
illusi che i comportamenti ambigui dei miei genitori fossero solo
frutto della mia immaginazione. Finché a mia madre non
saltarono i nervi.
“Mary, la
tua torta è una meraviglia!” Si
complimentò nonna Anne, dopo averne assaggiato un pezzo.
“Dico davvero, ha un gusto magico.”
La bottiglia di coca
cola che reggeva si rovesciò tutta sul tappeto del salotto.
Fissò la nonna con occhi vitrei. Ci furono gridolini, un
accavallarsi di voci e diverse persone si prodigarono per sistemare.
Fu la conferma di non
essermi inventata niente. Fissai la scena, cercando di non perdere
nessun momento chiave.
“Cosa vi
agitate? È solo della coca cola.” Riprendeva con
fare saccente Vicky.
Mamma si
scusò, mortificata. Mentre spostava le sedie,
papà le lanciò uno sguardo di rimprovero. Me lo
aspettavo.
Ciò che non
avevo previsto fu l’occhiata penetrante che nonna Patty
rivolse a sua figlia per poi dirigerla verso di me. Piena di rancore e
delusione. Nonostante nonna Patty fosse famosa per la sua disciplina a
freddezza (Victoria aveva preso sicuramente da lei), sopratutto da dopo
la morte del nonno Edgar, il suo caratteraccio si riversava su tutta la
famiglia, ad esclusione di mia madre. Cosa può averla spinta
ad agire in questo modo? Che sapesse della busta?
Le risposte che
volevo, o almeno una buona parte, arrivarono con la dipartita dei
nonni, poco dopo cena.
“Mamma, hai
un momento?” Riuscii a trovarla sola, in cucina, mentre stava
caricando la lavastoviglie. Non fu un’impresa facile. Per
tutta la durata della festa, entrambi i miei genitori fecero in modo di
non trovarsi mai soli. Ne approfittai ora: mia sorella era a guardare
la TV in camera sua e papà stava buttando la spazzatura.
“Maddy, sto
sistemando le stoviglie e vorrei andare a letto presto sta sera.
È stata una giornata impegnativa.” Mamma
cercò di liquidarmi così. Ma non volevo
arrendermi.
“Capisco.
Volevo solo ringraziarti per la bella festa” continuai
“e per la raccolta completa della saga che sto
leggendo”.
Si voltò e
con una nota di sollievo nella voce disse “Sapevo che la
desideravi tanto.”, poi si avvicinò mi
abbracciò.
Non mi lasciai fuggire
l’occasione. “Mamma, puoi dirmi cosa
c’è che non va con quella busta che
papà ha ricevuto sta mattina?”. La sentii
irrigidirsi dentro il mio abbraccio. “Non negare. Ho visto le
occhiate che vi siete scambiati e nonna Patty per poco non mi
fulminava.”
Ci sciogliemmo
dall’abbraccio. La guardai negli occhi e ripresi
“Ho capito che mi riguarda, ma non ho idea del
perché. E visto che è ancora il mio compleanno
vorrei sapere di cosa si tratta.”
Le labbra le
tremarono. Avvicinò il mio viso al suo e mi bacio sulla
fronte. Riportando il mio volto alla sua altezza, disse
“Madison, hai tutto il diritto di sapere.”
Una lacrima le
solcò il volto.
Ci accomodano in
salotto, attendendo il ritorno di papà.
Appena
entrò, la mamma lo chiamò a sè
“Joseph, caro, vieni qui.”
Papà
arrivò e appena vide me e mia madre insieme, uno sguardo
sospettoso lo attraversò. Un’occhiata veloce agli
occhi lucidi della mamma e ai miei accesi di curiosità, gli
bastò. Disse solo “Mary, sei sicura? Una volta
detto non si torna indietro.”
“Sì,
deve saperlo. Prima o poi lo saprà comunque.”
Ammise lei.
Mio padre
andò nel suo studio e tornò con la famosa busta.
“Aprila.”
Me la porse.
Mi tremavano le mani.
Dopo un’intera giornata era finalmente mia.
Era pergamena. Pensai
a come fosse strano (chi usa la pergamena oggigiorno?) Un sigillo di
ceralacca rossa con inciso uno stemma di una grande H ornava la parte
frontale; nel retro, una calligrafia obliqua in inchiostro verde (e chi
usa ancora il pennino?), aveva scritto il mio indirizzo:
Miss
Madison Elisabeth Evans
Seconda camera, primo piano
246 Notting Hill
Londra
Gran Bretagna
Stupefatta guardai mia
mamma.
“Seconda
camera? Come fanno a sapere dove dormo?” Dovetti ammettere
che era un fatto curioso, oltre che inquietante. Immaginai un postino
accampato nell’albero di fronte la mia camera che prendeva
nota della sua posizione.
“Apri la
busta, ti spiegherò dopo.” Rispose trattenendo il
fiato. Papà le prese la mano.
Eseguii. Voltai la
busta e ruppi la ceralacca. Ne estrassi tre fogli di pergamena.
Nel primo ritrovai la
calligrafia obliqua che aveva scritto il mio indirizzo. In centro
campeggiava uno stemma: la grande H circondata da uno scudo, suddiviso
in quattro parti. In ognuna c’era disegnato un animale: un
leone su sfondo rosso, un serpente su sfondo verde, un tasso su sfondo
giallo e un corvo su sfondo blu. Nel fondo, un cartiglio recitava il
motto: draco dormiens nunquam titillandus.
Se la pergamena, la
scrittura con il pennino e l’esatta posizione della mia
cameretta, mi lasciarono basita, niente era in confronto con quanto
stavo per leggere.
SCUOLA DI MAGIA E STREGONERIA
DI HOGWARTS
Direttore: Albus
Silente
(Ordine di Merlino,
Prima Classe, Grande Esorcista, Stregone Capo, Supremo Pezzo Grosso,
Confed. Internaz. Dei Maghi)
Cara signorina M.
Maple,
Siamo lieti di
informarLa che Lei ha diritto a frequentare la Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts. Qui accluso troverà
l’elenco di tutti i libri di testo e delle attrezzature
necessarie.
I corsi avranno
inizio il 1º settembre. Restiamo in attesa della Sua risposta
via gufo entro e non oltre il 31 luglio p.v.
Con ossequi
Minerva McGranitt
Vicedirettrice
Mentre proseguivo
nella lettura la mia bocca si spalancava sempre più,
lasciandomi un’espressione inebetita.
“Scuola di
magia...?” Dissi più tra me e me che rivolta a
qualcuno dei presenti.
Sentii mio padre
muoversi nervosamente sul divano. Ero consapevole di avere gli occhi di
entrambi puntati addosso.
“...stregoneria
di...?”, controllai la prima riga, non ricordavo ancora quel
nome difficile, “Hogwarts.”.
Finalmente alzai lo
sguardo sui miei genitori. Proprio come avevo sospettato,
papà aveva un’espressione nervosa, mamma era tesa
come una corda di violino, intenta a calibrare ogni mia emozione e a
valutare ogni mia mossa. Le mani ancora intrecciate.
“Mi hanno
invitato ad andarci...” li informai. Ero stordita. Incredula.
Non poteva essere. La magia non esiste. Poi realizzai una palese
realtà: loro lo sapevano. Ecco perché mi
nascondevano la lettera. Appena formulai la teoria, fu come ricevere un
dizionario sulla testa.
Come se cercassi una
qualche via di uscita da quella situazione, controllai febbrilmente i
fogli restanti.
Il secondo recitava
una serie di oggetti necessari per iniziare l’anno scolastico.
Uniforme
Gli
studenti del primo anno dovranno avere:
Tre
completi da lavoro in tinta unita (nero)
Un
cappello a punta in tinta unita (nero) da giorno
Un
paio di guanti di protezione (in pelle di drago o simili)
Un
mantello invernale (nero con alamari d’argento)
N.B.
Tutti gli indumenti degli allievi devono essere contrassegnati da una
targhetta con il nome.
Libri
di testo
Tutti
gli allievi dovranno avere una copia dei seguenti testi:
Manuale
degli Incantesimi, Volume primo, di Miranda Gadula
Storia
della Magia, di Bathilda Bath
Teoria
della Magia, di Adalbert Incant
Guida
pratica alla trasfigurazione per principianti, di Emeric Zott
Mille
erbe e funghi magici, di Phyllida Spore
Infusi
e pozioni magiche, di Arsenius Brodus
Gli
animali fantastici: dove trovarli, di Newt Scamander
Le
Forze Oscure: guida all’autoprotezione, di Dante Tremante
Altri
accessori
1
bacchetta
1
calderone (in peltro, misura standard 2)
1
set di provette di vetro o cristallo
1
telescopio
1
bilancia d’ottone
Gli
allievi possono portare anche un gufo, OPPURE un gatto, OPPURE un rospo.
SI
RICORDA AI GENITORI CHE AGLI ALLIEVI DEL PRIMO ANNO NON È
CONSENTITO L’USO DI MANICI DI SCOPA PERSONALI.
Il terzo era il
biglietto di un treno.
Madison
Elisabeth Evans, Espresso di Hogwarts, binario 93/4, King’s
Cross, Londra.
“Perché?...”
riuscii soltanto a bisbigliare senza voce.
Fu il mio sguardo
pieno di orrore a spingere mia madre ad essere diretta.
“Madison, tu
sei una strega.”
Mi correggo, due
dizionari.
******
Nota dell'autrice.
Ciao a tutti! Questa è la mia prima fanfiction e vorrei
precisare un paio di cosette affinchè possiate capire meglio
lo spirito che avrà questa storia.
Innanzi tutto è importante premettere che è stata
concepita per essere una storia ad uso personale, solo da qualche
giorno ho deciso di renderla pubblica e, se le cose vanno come le ho
immaginate, dovrebbe suddividersi in due parti piuttosto corpose. Non
nascondo che il mio modo di scrivere è molto tranquillo e
rilassato, perciò tutti i lettori abituati ad avere capitoli
pieni di colpi di scena dovranno avere pazienza... oppure si
dirotteranno verso altri racconti :)! Until
the end seguirà la storia dei libri della saga, ma con dei
necessari cambiamenti. Per esempio, vedremmo dei Dissennatori fare la
guardia durante lo svolgimento del Torneo Tremaghi e i GUFO si terranno
alla fine del terzo anno. Alcune diversità sono dettate
dalla mia volontà, altre sono propedeutiche alla
pubblicazione. Ciò vuol dire che ci saranno avvenimenti che
si svolgeranno e finiranno come nei libri; alcuni si evolveranno
diversamente per giungere alla medesima fine; altri saranno totalmente
rivoluzionati.
Non mancheranno avvenimenti che strizzano l'occhio alla storia
originale, dando quel senso di familiarità (che
era lo spirito principale della mia storia), come il Ballo del Ceppo e
il suo svolgersi e le varie prove del Torneo.
Disclaimer: cercherò di ridurre al minimo tutte le citazioni e i
riferimenti all'opera originale, dove ciò non fosse
possibile, come nel caso della canzone di inizio anno del Cappello
Parlante, di alcuni dialoghi, descrizioni, certe lezioni (Occlumanzia
in particolare), lo segnalo già ora (se ce ne fosse bisogno,
pure sotto ai singoli capitoli) che non sono di mia
proprietà e non sono pubblicate per scopo di lucro.
Passando ai protagonisti, ho deciso di crearli prendendo spunto da
persone che conosco (amici, familiari, me stessa) e da quelli creati
dalla Rowling. Il motivo è semplice: per me Harry Potter
è solo quello dei libri e fa solo le cose in essi descritte.
Se gli avessi fatto compiere azioni diverse da quelle canoniche, mi
sentivo come si stessi tradendo il testo. Sì, non ha senso,
ma non ci dormivo la notte e solo questo mix mi ha fatto trovare il
giusto compromesso! Ciò giustifica la scelta di dare nomi
diversi, anche se Madison ricalca le imprese di Harry , Matthew Hermione e
Francine Ron. Non solo: alcuni nomi sono stati cambiati (quelli che mi
seguiranno lo vedranno) per necessità, in quanto potevano
creare dei problemi più avanti con la trama; per rendere
omaggio alle persone che me l'hanno chiesto, data la tanta
affinità con il personaggio cartaceo; o, semplicemente, il
nome nuovo denota una persona totalmente inventata che non ha un
corrispettivo dentro al volume. In ogni caso,
cercherò di spiegare le mie scelte sotto al capitolo che
introduce il personaggio.
Nonostante la maggior parte dei personaggi secondari mantengano il loro
nome e il carattere, per uno in particolare avremo un OOC: da buono diventerà cattivo.
Attualmente sono arrivata a scrivere 260 pagine di Until the End e sono
ancora alla prima parte, che terminerà con la fine dell'anno
scolastico di Madison. La trama è ancora work in progress
perciò se avete dei suggerimenti non esitate a scriverli.
Questa doveva essere una piccola introduzione e invece mi sono
dilungata troppo. Se avete domande commentate, io cercherò
di spiegare di volta in volta sotto ai capitoli i vari risvolti.
Buona lettura!
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Capitolo 2 *** Posta via gufo ***
POSTA VIA
GUFO
Fu con il sorriso
sulle labbra che ricordai il momento in cui scoprii di essere una
strega.
Andai in bagno a
sciacquarmi il viso, prima di scendere a colazione. Fuori dal bagno
incrociai mia sorella.
“Giorno,
Vicky” salutai.
“Sì,
ciao e tanti auguri eh.” Fu la sua breve risposta. Mi
oltrepassò, i lisci capelli neri che svolazzavano sopra alla
maglietta del pigiama.
Considerai un enorme
traguardo il fatto che non mi avesse apostrofato con il suo solito
‘megera-Maddy’.
Era di buon auspicio.
Purtroppo, aver
ricevuto la lettera di Hogwarts, aveva incrinato ancora di
più il nostro rapporto. E il fatto che ne ricevessi una
uguale ogni estate non aiutava.
Vicky
scoprì il giorno dopo di me la mia peculiarità.
Mamma e papà dovettero pregarla per riuscire a ritagliare
qualche momento in sua compagnia, sconfiggendo i suoi “I miei
amici mi stanno aspettando! Vi rendete conto che è
estate?!” Come prevedibile, non reagì bene.
All’inizio pensò ad uno scherzo di cattivo gusto.
Poi ipotizzò che si trattasse dell’ennesimo
tentativo dei nostri genitori di farci andare d’accordo.
Alla fine fu la
lettera, riletta ben sette volte, insieme ad una dimostrazione pratica
da parte di mia madre, a convincerla che la magia esiste e che ero una
strega.
Quando fui pronta
raggiunsi la cucina.
Mi
intercettò mio padre, ai piedi delle scale.
“Tantissimi
auguri, Madison”, mi abbracciò forte e aggiunse
sottovoce, “Appena hai un attimo ti devo parlare”
mi face l’occhiolino.
“Grazie,
papà. Ok, poi vengo” confermai sorridendo.
Entrammo insieme in
cucina, dove mia mamma stava sistemando sul tavolo la colazione tipica
del mio compleanno.
“Buon
compleanno, tesoro!” mi baciò su entrambe le
guance. Risposi al suo affettuoso augurio e mi fiondai sulla colazione.
I miei genitori
presero posto appena prima che arrivasse mia sorella.
“Semestre
duro per la borsa. Le banche stentano a dare
liquidità” ci informò papà
leggendo il Financial Times, mentre sorseggiava del succo.
“Madison,
oggi esci con i tuoi amici? Ricordati che questa sera festeggeremmo il
compleanno con i nonni” ricordò mamma.
“No, mamma,
li vedrò sabato, mi hanno organizzato una festa di
compleanno. Ci sarà anche Matthew” risposi con la
bocca piena.
“Bene.
Victoria, oggi resti a casa? Che dici se domani iniziamo a vedere
qualche annuncio di lavoro? Così ti do una mano. Adesso che
sei diplomata è il momento di diventare
indipendenti” disse rivolta a mia sorella.
“Non
c’è fretta, mamma. Il lavoro non scappa
mica” rispose masticando il suo bacon.
Un fruscio
d’ali annunciò l’arrivo di un gufo.
Nonostante fossero passati due anni da quando appresi che il mezzo di
comunicazione preferito tra maghi fosse affidato a gufi, civette e
barbagianni, ancora guardavo affascinata il loro andirivieni.
Papà
sollevò appena gli occhi dal giornale, per vedere quale gufo
fosse; Vicky emise uno sbuffo di disappunto.
A consegnare il
proprio bottino fu un gufo della Posta, reggeva nel becco una copia
della Gazzetta del Profeta. Mamma lo prese, mise cinque zellini di
bronzo nella saccoccia legata alla zampa e, mentre il volatile volava
via, iniziò subito a sfogliare l’interno del
giornale, mentre io fissavo le immagini in prima pagina che si
muovevano.
Vedendo mia madre
intenta a leggere le notizie del mondo magico, capii quanto dovette
costarle fingere di condurre una vita normale. Incantesimi di
Disillusione e di Apparenza erano all’ordine del giorno.
“Io sono una
strega?” domandai sconvolta.
“Sì,
tesoro, lo sei” confermò mia madre con voce
flebile. “Proprio come lo sono io.”
“TU SEI
COSA?!” era troppo da assimilare.
Papà
intervenne in suo soccorso: la pressione di quella rilevazione la stava
schiacciando.
“Madison,
capisco che sia difficile per te da comprendere. Ci sono passato anche
io vent’anni fa, quando tua madre mi rivelò chi
era”. La sua voce era ferma. Il suo sguardo si
puntò sul mio volto: potevo vedere i miei occhi azzurri,
grandi, spalancati, riflessi sui suoi occhiali. “È
una storia complicata, difficile da riassumere e tanto più
da comprendere, specie alla tua età. Ascolta la mamma senza
interrompere. Alla fine potrai fare tutte le domande che
vorrai.”
Mi voltai a guardarla,
lei chiuse gli occhi e inspirò a fondo. Quando li
riaprì vidi i miei stessi occhi che mi fissavano di rimando.
Iniziò il racconto con voce sorprendentemente decisa.
“Devi
sapere, Maddy, che tu discenti da un’antica famiglia di
maghi. Affinché tu capisca come mai sei cresciuta nel mondo
babbano, cioè di gente priva di magia, senza sapere nulla di
me e delle tue origini, devo raccontare dall’inizio.
Nonno Edgar e nonna
Patty erano due maghi molto potenti, oserei direi i migliori di quel
tempo. Diverse decine di anni fa, il mondo magico entrò in
guerra e loro furono in prima linea a combattere il Mago Oscuro,
Grindelwald. Grindelwald voleva dominare sopra ogni cosa. Le
modalità e le sue teorie non ci interessano
adesso” vedendo che stavo per intervenire, alzò
una mano e proseguì “quello che ti serve sapere,
ora, è conoscere come è morto tuo nonno, poco
prima della tua nascita. Non è morto per una malattia:
è stato assassinato da Grindelwald. Grindelwald stava
perseguitando tutte le famiglie che osavano opporsi al suo controllo ed
era questione di tempo prima che arrivasse a noi. Ci fu una feroce
battaglia… tuo nonno, alla fine, ebbe la meglio e
riuscì a salvarci tutti, ma ad un caro
prezzo…”
A questo punto, mio
padre le strinse la spalla. “Per l’intera
comunità magica tuo nonno è un eroe, era riuscito
dove tutti avevano fallito: sconfiggere il più grande Mago
Oscuro di tutti i tempi.”
La testa mi stava
scoppiando. Avevo troppe domande da fare. Scelsi la più
ovvia.
“Anche
Victoria è una strega come me?”
Fu sempre lei a
rispondere. “No, tua sorella è una Babbana,
chiamiamo così le persone senza poteri magici. Proprio come
tuo padre”.
“Papà
non è un mago?” domandai senza capire.
“No,
tesoro...Il destino ha voluto che mi innamorassi del ragazzo della
porta accanto, quello con cui ero cresciuta assieme: il Babbano
curioso, che da piccolo era attratto dai miei giochi magici”,
sorrise al ricordo. “Appena finii la scuola cominciammo a
frequentarci” mia madre lanciò
un’occhiata a suo marito, che rispose con uno sguardo dolce.
Poi riprese. “Tuo padre conosceva le mie origini, era sempre
stato attratto dalla magia. Per lui non rappresentava un problema.
Tuttavia in quegli anni Grindelwald era al massimo del suo potere e i
contatti con i Babbani (che tanto disprezzava) erano ridotti al minimo.
Lo informai subito della situazione in cui versava l’intero
mondo magico ed ero pure disposta a chiudere la relazione, ma lui
insistette e volle starmi vicino.”
Papà rise
di gusto, nel ricordare quel momento. “Non fu certo facile:
la nonna non ne era contenta, fu il nonno a farle cambiare
idea.”
“Perché?”
volli sapere. Era la prima volta che ascoltavo la vera storia di come
si erano conosciuti.
“Patty
disapprovava la scelta di tua madre di correre un tale rischio, disse
che era più saggio attendere tempi migliori, semmai ce ne
fossero stati. Non voleva mettere a mettendo a repentaglio le nostre
famiglie e il gruppo di ribelli del quale facevano parte per
sconfiggere l’Oscuro. La verità è che
era molto preoccupata per la sorte della sua unica figlia. Non
sopportava l’idea di perderla. A tuo nonno ero sempre
piaciuto e riteneva che questa fosse una guerra da combattere insieme,
Babbani e maghi, in quanto coinvolgeva tutti.”
“Ma
voi lo sapevate che ero una strega, vero?”
Papà prese
la parola. “Certo, è dall’età
di un anno che pratichi la magia” sorrise al mio sguardo
attonito.
“Questo
è molto soggettivo”, precisò la mamma,
“Ci sono maghi che sviluppano i poteri nei primi anni di vita
ed altri più tardi, intorno agli undici anni. Con tua
sorella non siamo stati sicuri che fosse una Babbana, finché
al suo quattordiesimo compleanno non arrivò nessuna lettera
di Hogwarts e questo tolse ogni dubbio.”
“Io so fare
magie?” chiesi meravigliata.
“I maghi
minorenni non hanno il pieno controllo dei propri poteri, questo lo si
impareranno ad Hogwarts, e finiscono con usare la magia in modo
inconsapevole, per le cose più disparate. Come quella volta
che hai colorato la neve di rosa, solo per renderla più
interessante” un sorriso le si allargò sul viso.
Ricordai subito
quell’avvenimento. Avevo tre anni e non appena puntai il dito
verso un cumulo di neve, quello divenne rosa acceso. Papà
giustifico l’avvenimento al vicino con il fatto che una
boccetta di colorante gli era caduta un attimo prima che si voltasse.
“O quando
feci parlare Honey” Honey era il nostro gatto bianco a
strisce rosse. Era nella mia famiglia da quando lo trovai in vacanza al
mare all’eta di due anni. Un giorno gli domandai se volesse
una caramella, mi rispose con un ‘No, grazie’
molto gutturale. Sbalordita lo feci presente alla mamma che subito
attribuì la cosa alla mia fervida immaginazione.
“Esatto”
annuì lei.
“È
importante che ci sia sempre la massima segretezza sul nostro mondo. I
babbani non devono sapere di noi. Con i maghi e le streghe piccole
è molto difficile giustificare continuamente gli avvenimenti
magici. Prima o poi qualcuno si accorge” lanciò
uno sguardo molto eloquente a mio padre.
“Ah ah ah!
Io l’avevo capito subito che i tuoi giochetti di prestigio
erano frutto di vera magia!” Rise lui “nessun altro
era in grado di fare quelle cose. È un miracolo che quelli
del Ministero non mi abbiano modificato la memoria...”
“Solo
perché mio padre era un membro molto influente
dell’Ufficio Applicazione della Legge Magica, capo
dell’Ufficio per l’Uso Improprio delle Arti Magiche
e Membro Onorario del Wizengamot, il triunale magico. Aveva capito che
la tua era una semplice curiosità e i tuoi genitori sono
sempre state brave persone” spiegò la mamma.
“Quindi per
tutti questi anni avete finto di condurre una vita normale?”
chiesi, dato che mi erano venuti in mente altri avvenimenti strani.
“Sì.
Era necessario. In più non volevamo escludere tua sorella.
Anche ora non sarà facile spiegarle...” in un
attimo si rabbuiò, pensierosa.
Pensai a come sarebbe
cambiata la mia vita. Decisi di fare la domanda che più mi
tormentava.
“Se le cose
stanno così…perché non mi avete mai
detto che ero una strega? Perché non volevate dirmi della
lettera? E dall’occhiata che nonna Patty, mi sa che neppure
lei voleva che lo sapessi...”
“Volevamo
tenerti al sicuro.”
“Da chi?
Grindelwald, o come si chiama, è stato sconfitto.”
Entrambi si
scambiarono uno sguardo d’intesa. Mia madre mi prese la mano
prima di parlare.
“Madison, tu
non sai com’è stato vivere perennemente
attanagliati dalla paura e ti auguro di non saperlo mai. Tuttavia,
questo ti lascia un segno dentro e impari che la prudenza non
è mai troppa. Avevamo deciso di dirtelo non appena fossi stata
più grande e avessi ricevuto la lettera. Non si è
mai troppo cauti…”
Non seppi cosa dire.
In quell’istante ancora non lo sapevo, ma di lì a
poco, un'ombra avrebbe iniziato ad occupare buona parte dei miei sogni.
“Certo che
mettere le immagini in movimento dei criminali appena arrestati, non
è una cosa molto rassicurante” fece presente
Victoria, osservando la prima pagina della Gazzetta del Profeta.
“È
successo qualcosa di grave, cara?” domandò mio
padre sollevando gli occhi dal giornale babbano.
“Un altro
arresto. Un fanatico andava in giro a tormentare dei Babbani,
inneggiando ai tempi oscuri. Se si continua così Azkaban si
ritroverà senza celle libere nel giro di poco
tempo” mamma rispose con fare noncurante, ma io sapevo che
voleva solo non farci preoccupare. Dopo la sua istruzione ad Hogwarts e
una dura gavetta, era stata assunta all'Ufficio Applicazione
della Legge sulla Magia, lo stesso ufficio che era appartenuto a mio
nonno molti anni prima. Dato il talento che dimostrava e per onorare il
sacrificio di Edgar Evans, il Ministro decise di assegnarle un compito
anche all'Ufficio Misteri. Chi lavorava in quel settore era
chiamato Indicibile ed era tenuto al segreto più assoluto:
nessuno, a parte un Indicibile, poteva entrare al nono piano, e solo
loro sapevano che tipo di ricerche o di studi venivano condotti. Non
gli era permesso dirlo neppure la loro famiglia. Voci dicevano che si
studiavano fenomeni potenti ad arcaici, talmente antichi da trascendere
la magia stessa, come il tempo, la vita, la morte, il pensiero e
l’amore.
Finita la colazione,
Victoria ci salutò e andò in centro a raggiungere
i suoi amici; mamma iniziò a rassettare la cucina e
papà si avviò verso il giardino. Lo accompagnai
fuori, curiosa di sapere cosa mi dovesse dire.
“Papà,
cosa volevi dirmi?”
Stava prendendo le
cesoie per sistemare le siepi. “Oh non è questo il
momento per parlarne. È una cosa importante” disse
guardandomi concentrato. “Te lo dirò alla festa di
compleanno.”
“Uff...va
bene. Allora vado a prepararmi” aggiunsi un po' delusa e lo
lasciai al giardinaggio.
Tornai in casa.
Ripercorrendo le scale e il corridoio, indugiai a guardare le
fotografie di famiglia. Le più vecchie, statiche, quelle
recenti, in movimento. Dovetti ammettere che mi dispiaceva per mia
sorella e mio padre: il loro essere Babbani li accomunava tanto quanto
li distanziava da me e mia madre. Per papà non era un
problema; la magia lo affascinava, ma non tanto da desiderare di avere
sangue magico. In più il suo lavoro al Ministero Babbano lo
metteva sempre in stretto rapporto con i maghi, in quanto marito di una
strega. Così entrambi i mondi, magico e non, potevano
cooperare con discrezione. Per mia sorella non fu così
semplice. Col tempo la gelosia si era placata, ma non era sparita. Per
questo i nostri genitori si prodigavano affinché non si
sentisse messa da parte. La tecnologia, di cui mia madre poteva farne
tranquillamente a meno, veniva usata come in una
“normale” famiglia. Gli spostamenti avvenivano in
macchina, salvo qualche rara eccezione in cui il camino del salotto
veniva usato con la Metroplovere o qualche caso di Smaterilizzazione.
Per lo più era invidiosa della mia vita ad Hogwarts, restare
via da casa per mesi interi era il suo sogno: massima
libertà senza genitori che ti controllassero. Solo la
quantità di studio e l’assenza di strumenti
tecnologici all'interno del castello (la troppa
concentrazione di magica non li fa funzionare a dovere) riusciva a
darle un piccolo riscatto morale.
Raggiunsi la mia
camera. Era una stanza quadrata, con le pareti di un lilla tenue,
ricoperte di foto di gatti, poster della mia squadra di Quidditch e di
paesi che mi sarebbe piaciuto visitare. Una grande finestra, che dava
sul cortile, stava davanti all’entrata. La scrivania, piena
di libri di scuola, si trovava sul lato destro; il grande armadio a
sinistra, vicino al letto dove era rannicchiato un gattone rosso e
bianco.
“Ciao,
Honey. Non sei sceso per colazione” dissi, grattandogli le
orecchie. Honey emise un verso di approvazione, continuando a tenere
gli occhi chiusi.
Lo lasciai dormire e
andai ad aprire la finestra. La giornata si prospettava calda. Mentre
guardavo le nuvole, scorsi dei gufi sopra ai tetti delle case. Li
guardai avvicinarsi, le figure sempre più nitide. Appena
furono abbastanza vicini, mi spostai dalla finestra, lasciandoli
passare. Si posarono chi sul letto, chi sulla scrivania.
Mi diressi prima verso
una grande civetta bianca, che al mio arrivo mi appoggiò la
testa sulla mano. Era Hermes, la nostra civetta delle nevi. Portava una
lettera scritta su quella che aveva tutta l’aria di essere
carta da pacchi marrone e un pacchettino avvolto nella medesima.
Riconobbi subito la grafia disordinata di Hagrid, il guardacaccia di
Hogwarts. Precisamente: il custode delle chiavi e dei luoghi ad
Hogwarts, come a lui piaceva ricordare. Lessi gli auguri di buon
compleanno 'Tantissimi
auguri Madison! Forse ci si becca a Diagon Halley. In ogni caso ti
aspetto la prima settimana di lezione per un thè'.
Sorridendo, scartai il pacchetto: conteneva i soliti biscotti rocciosi
e le caramelle mou fatte a mano che ti cementavano la bocca. Le misi
con cura da parte. La cucina di Hagrid non era certo il massimo,
però mi fece molto piacere.
Il guardiacaccia era
un amico di famiglia di lunga data, ma lo conobbi solo al mio primo
anno ad Hogwarts. Anche lui rientrava tra le compagnie da tenere
nascoste nel piano di mia madre, per non far scoprire a me ed a mia
sorella il mondo magico. Come avrebbe potuto giustificare la presenza
di un mezzo gigante, alto due metri e mezzo, barbuto, dentro casa
nostra? Proprio per le sue origini di gigante, non poteva prendere la
pozione Polisucco, diventando momentaneamente un'altra persona, e gli
incantesimi Apparenti non funzionavano a dovere. Ad Hogwarts si
occupava principalmente degli animali e, siccome sono anche la mia
passione, si instaurò subito una bella amicizia.
Salutai Hermes che si
librò in aria diretto al giardino, dove il suo trespolo lo
stava aspettando. Un piccolo gufo delle foreste venne verso di me a
tutta velocità, tubando allegro. Era Piuma, il gufetto che
Matt aveva acquistato l’anno scorso. Anche lui portava una
busta. 'Buon compleanno
Maddy! Francine mi ha avvertito della festa di sabato sera, ci vediamo
lì, così ti do il mio regalo' La
calligrafia ordinata, leggermente ondulata, dava un’ottima
idea di come fosse Matt di persona: il classico studente tendente alla
perfezione, tanto da risultare petulante, ma con un gran cuore. Era
figlio unico e, nonostante la sua famiglia fosse Purosangue, non
condividevano le ideologie puriste tipiche di quelle casate.
Piuma
aspettò una carezza prima di partire in picchiata verso
casa. Sta volta fu il turno di un vecchio gufo marrone, con le piume
tutte arruffate. Becco era il gufo di famiglia della mia amica Francine
e come gli altri recava gli auguri. 'Auguri Maddy, non vedo
l’ora di passare del tempo assieme, è da quando
che è finita la scuola che non abbiamo fatto in tempo a
vederci! Ti lascio un’anticipazione di ciò che ti
spetta. A sabato!' Rovesciai la busta e una scatolina ne
rotolò fuori. Era una Cioccorana. La scartai, afferrai al
volo la Cioccorana prima che se la desse a gambe, ne staccai un pezzo
con un morso e controllai la figurina attaccata alla carta.
‘Ancora Silente.’
Pensai. Era il nostro preside, una persona tra le più
importanti dell’ultimo secolo.
Rivolsi il mio sguardo
all’ultimo barbagianni, che con aria pomposa aspettava il suo
turno. Allungò elegantemente la zampa, dove erano legati una
busta e un pacco regalo. Avevo una vaga idea a chi appartenesse. Nella
busta era scritto, con una calligrafia ordinata, 'Sig.na Maple Madison, Notting
Hill, Londra'. Presi la lettera al suo interno e lessi
l’ennesimo augurio. 'Cara
Madison, ti porgo i più sinceri auguri di buon compleanno.
Spero che il mio barbagianni giunga in tempo, in caso contrario me ne
rammarico. Se ti fa piacere, potremmo uscire un giorno di questi,
così da festeggiare, insieme. Fammi sapere con un congruo
preavviso che giorno vorresti e dove preferiresti andare. Ti allego un
piccolo pensierino, con la speranza di renderti felice. Ti mando un
abbraccio, tuo Zachary.' Mentre leggevo la lettera sentii
le guance arrossire. Aprii il suo regalo: una copia nuova di zecca di Il Quidditch attraverso i secoli.
Nella prima pagina c’era una dedica 'Alla mia cercatrice preferita,
spero ti possa servire'. Era proprio quello che volevo,
dall’istante in cui lo vidi nella libreria Il Ghirigoro.
Posai il libro nello scaffale sopra la scrivania.
Dopo che anche
l’ultimo postino piumato fu volato via, corsi verso
l’armadio a scegliere i vestiti. Da quando erano iniziate le
vacanze estive, nove giorni fa, non vedevo i miei migliori amici.
Francine la conoscevo
dalle scuole medie, era la penultima di cinque sorelle e un fratello.
La sua famiglia era purosangue, ma a differenza delle altre non era
ricca, le loro disponibilità erano talmente limitate da
dover ricorrere a libri e vestiti di seconda mano. Francy sapeva di
essere una strega, praticava incantesimi da quando ne aveva memoria.
Molte volte, quando ero ospite a casa sua, mi capitava di vedere cose
strane, come sua sorella saltare oltre la rete di pallavolo, appena
glielo facevo presente, lei rideva di gusto e mi rispondeva che me
l’ero immaginata o di sicuro era uno scherzo delle sue
sorelle. Le nostre famiglie si conoscevano di vista, come ogni famiglia
di maghi era importante sapere chi fossero i vicini non babbani
più prossimi. Così si sapeva a chi chiedere aiuto
in caso di difficoltà e a controllare che tutti
rispettassero il dovere di segretezza. Per Francy fu un sollievo sapere
che avevo ricevuto la lettera di Hogwarts e avessi scoperto le mie
origini. Mi confidò che se lo aspettava, ma non ne era
convinta, visto che Vicky era una Babbana, e che appena le era arrivata
la lettera di ammissione, il 7 gennaio, sperava tanto che andassi pure
io ad Hogwarts. Fu mamma a consentirmi di raccontare tutto sulla magia
alla mia amica, assicurandomi che avrebbe capito.
La storia con Matthew
fu diversa. Ci incontrammo per caso sull’Espresso per
Hogwarts e la prima impressione non fu delle migliori. Per fortuna,
imparammo a conoscerci durante le prime settimane di scuola, iniziando
a legare. Il fatto che con il suo carattere, a primo impatto saccente e
puntiglioso, gli avesse reso difficile farsi degli amici,
contribuì non poco a cercare di smussare la sua natura
autoritaria.
Grata per come era
iniziata la giornata, decisi di sistemare velocemente la mia camera,
così da avere più tempo per fare un bagno
rilassante e preparami per questa sera.
******
Nota dell'autrice.
Ri-ciao a tutti :D!
Questi capitoli introduttivi sono sempre un po' piatti,
ma servono a dare un background alla protagonista e a far
conoscere il mondo di magico anche a chi non ha letto il romanzo.
Ma arriviamo al motivo principale della mia nota: il villain. Come si
fa a fare una fanfiction su Harry Potter senza includere Voldemort?
Devo essere sincera: ci ho pensato molto. Come ho spiegato nella nota
precedente, includere un personaggio principale, per me, significa
prenderlo così come confezionato
dalla Rowling, senza cambiare una virgola. Scegliere Voldermort
significava riportare alla luce tutto il suo passato, la faccenda degli
Horcrux e via dicendo. Allo stesso tempo come si fa ad avere Voldemort
senza Harry Potter? Includerli entrambi avrebbe significato ricopiare
l'intera saga, così ho deciso di utilizzare un
cattivo nuovo.
Non avendo una mente brillante come quella della Rowling, ho preferito
prendere in prestito un Mago Oscuro, che non fosse stato trattato in
maniera approfondita nella saga, così da potere intervenire
liberamente sul suo sviluppo. In più, per gusto personale, i
Doni della Morte mi hanno sempre affascinato, molto più
degli Horcrux. Da quello che la Rowling ha dichiarato, Grindelwald era
ossessionato da loro e questo fa proprio al caso mio.
Repetita iuvant: Grindelwald sarà comunque una commistione
tra Voldemort (sopratutto nella prima parte della storia) e pura
immaginazione (a partire dalla seconda parte, che devo ancora
scrivere), così da mantenere il filo principale degli
avvenimenti.
Buon proseguimento :)!
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Capitolo 3 *** Il compleanno ***
IL COMPLEANNO
Indossai
una tuta, pronta a rimboccarmi le mani. Come ogni inizio estate, la
camera era un disastro, sembrava fosse esplosa una bomba. Il baule era
aperto ai piedi del letto, rigurgitando fogli di pergamena, penne
d’oca e vestiti. Il calderone giaceva in bilico sopra ai
libri, al suo interno fiale vuote e ampolle sporche minacciavano di
uscire, solo la bilancia di ottone le tratteneva. La divisa della
scuola spiegazzata era sopra alla poltrona, quella della squadra di
Quidditch era appesa alla mia Nimbus 2001, la scopa che i miei genitori
mi avevano regalato il primo anno, appoggiata alla parete.
‘Ne avrò fino a pranzo.’
Pensai storcendo la bocca.
Iniziai raccogliendo i
vestiti e le divise, mi diressi verso la lavanderia e, passando davanti
alla porta aperta della camera di mia sorella, la sentii parlare al
cellulare. Il tono di voce era tutto uno zucchero.
“Ah ah ah,
ma che dici, sciocco? Lo sai che per me conti solo tu...”
Mi bloccai di colpo.
Sapevo che origliare era sbagliato, ma fu più forte di me.
Victoria era sempre così sfuggente, che non potevo sprecare
un’occasione del genere per sapere un po' di più
della sua vita personale.
‘E poi forse posso prendere
spunto per Zachary.’
Non appena lo pensai,
scossi subito la testa, imbarazzata. Accantonai il proposito, lasciando
mia sorella alla sua telefonata amorosa e proseguii nel corridoio.
Tre ore abbondanti
dopo, avevo finito. Honey aveva abbandonato la postazione poco dopo
l’inizio dei lavori, alla ricerca di un luogo tranquillo dove
continuare a riposare. Il baule, vuoto, era stato riposto sotto al
letto. I vestiti ancora puliti, sistemati nell’armadio. Le
pergamene dentro al cassetto; le boccette d’inchiostro con le
penne d’oca sopra alla scrivania; i libri giacevano ordinati
negli scaffali della libreria; i biscotti rocciosi e le caramelle mou
di Hagrid gettate nel cestino. La bacchetta sopra al comodino. Le
uniche cose ancora da sistemare erano il calderone, che avrei affidato
a mio padre per la pulizia, prima di riporlo nello scantinato insieme
alle fiale delle pozioni; e la Nimbus 2001 da sistemare nel capanno in
giardino.
La porta della mia
camera si aprì, lasciando entrare un delizioso profumino di
pasta al forno, seguito da mia mamma.
“Madison,
hai sistemato tutto?” domandò raggiante.
“Sì,
così mi sono tolta il pensiero” risposi sorridendo.
Il suo sguardo
passò in rassegna la stanza.
“Hai fatto
un buon lavoro. Queste cose le portiamo a papà”,
continuò indicando la scopa e il calderone, “Oh,
hai ricevuto posta! Sono gli auguri dei tuoi amici?” aggiunse
non appena scorse le lettere impilate sopra al tavolo.
“Esatto,
sono di Hagrid, Francine e Matthew” omisi di proposito
Zachary. Non me la sentivo di parlarle di lui, pur non essendoci molto
da dire, dato che ci frequentavamo da poco prima che finisse il
trimestre.
“Scommetto
che Hagrid ti ha regalato qualche dolce fatto da lui”
indovinò lei, scoppiando a ridere. Annuì ridendo
a mia volta.
Prese il calderone e
prima di uscire mi informò che il pranzo era quasi pronto.
Decisi che la Nimbus
poteva aspettare, il profumo della pasta al forno era troppo invitante.
Papà e
Vicky erano già seduti a tavola, mamma era andata a prendere
la teglia in cucina. Mi sedetti davanti a mia sorella, alla sinistra di
mio padre. La TV era accesa, il telegiornale trasmetteva il resoconto
delle prime code estive che intasavano le autostrade.
“Una cosa
positiva di avere in famiglia di maghi è il fatto di non
dover più fare le code se dobbiamo spostarci”
affermò risoluta mia sorella.
La guardai sgranando
gli occhi. Frasi gentili rivolte al mondo magico erano eventi molto
rari. Di solito snobbava tutto con aria di superiorità.
Papà
sorseggiò del vino prima di precisare che, anche se sapere
aggiustare le cose con un colpo di bacchetta era estremante utile, che
si poteva vivere tranquillamente senza magia, come la nostra famiglia
cercava di fare nei limiti del possibile.
Dal canto mio, non
potevo fare altrimenti: ai maghi minorenni era proibito utilizzare la
magia fuori da Hogwarts. Prima di venire ammessi alla Scuola di Magia e
Stregoneria, il Ministero non predeva provvedimenti verso i minori che
praticavano la magia, dato che non ne avevano il controllo. Una volta
iniziato il percorso scolastico, le cose cambiavano radicalmente. Ogni
minorenne aveva addosso la Traccia, una sorta di ‘allarme magico’
che avvertiva l’addetto alla Restrizione delle Arti Magiche
tra i Minorenni che quella determinata persona aveva fatto un
incantesimo. Se ricevevi una sua lettera, potevi tranquillamente
evitare di presentarti per il nuovo anno scolastico. La Traccia svaniva
automaticamente al compimento della maggiore età.
Il pranzo e il primo
pomeriggio trascorsero tranquilli. Mamma si dedicò alla
pulizia a fondo della casa, in particolare del salotto e del camino,
dove, grazie alla Polvere Volante sarebbero arrivati i parenti della
mamma. Mio padre ritornò in giardino e, dopo aver riposto la
Nimbus 2001 nel capanno, montò un gazebo, uno striscione
‘Buon compleanno Madison’, diversi palloncini che,
grazie al contributo di mia madre, galleggiavano sospesi in aria senza
nessun filo a trattenerli, ognuno conteneva una fiamma, ncessaria ad
illiminare il giardino con l’arrivo della sera. Victoria
assecondava il suo lato artistico di primadonna appendendo i festoni
per tutta la casa, così da ricevere i complimenti dagli
invitati.
Io rimasi di sopra,
dando a tutti il tempo di sistemare la casa e i regali. Feci un bagno
rilassante ascoltando le Sorelle Stravagarie alla radio. Una volta
ristorata, andai in camera e indossai dei semplici jeans e maglietta.
Mentre mi stavo
specchiando per l’ultima volta, il mio sguardo cadde sulle
buste ricevute in mattinata. In particolare su quella di Zachary. Il
suo invito attendeva una risposta. Passai distrattamente un dito tra i
capelli, attorcigliando una ciocca mossa castana, mordendo il labbro,
piccolo vizio che palesava il mio stato d’ansia. Forse si
aspettava una risposta oggi stesso, ma non sapevo cosa scrivergli.
‘Che giorno posso dire? Dove
voglio andare?’
Decisi che rimuginarci
su proprio adesso non avrebbe portato a niente. Avrei chiesto consiglio
a Francine.
‘Forse è meglio a
Matt’ riflettei, ridendo, visto il temperamento
impulsivo della mia amica.
In quel mentre,
suonarono il campanello, segno che i primi ospiti erano arrivati.
“Joseph,
caro, come stai? Ti trovo bene.”
“Sera,
Joseph, hai bisogno di una mano per cucinare?”
Erano nonno Richard e
nonna Anne. Guardai fuori dalla finestra, la loro auto era parcheggiata
nel vialetto. Mi affrettai a scendere al piano inferiore per salutare
gli invitati.
“Ciao
nonna!”
La trovai in cucina,
le piastrelle rosse alle pareti brillavano, riflettendo la luce del
sole.
“Ciao Maddy,
tantissimi auguri, nipotina mia!” disse, scoccandomi due
enormi baci sulle guance. “Ma dov’è tua
sorella?” domandò, guardando dietro le mie spalle.
“Probabilmente
si starà truccando, non esce mai dalla sua stanza se non
è perfettamente in ordine" constatai.
‘Tanto più ora che ha
un nuovo ragazzo.’
“Benedetta
ragazza” sospirò nonna e si girò per
aiutare la mamma a portare in giardino dei vassoi ricolmi di
tramezzini, pizzette e tartine.
Presi la direzione del
giardino, facendomi guidare dalla possente voce del nonno che risuonava
gioviale, mentre aiutava mio papà con la grigliata. Ero
arrivata a metà del salotto quando dal camino provenne un
forte botto. Alla nonna Anne, che ancora non sia era abituata alla
Metropolvere, scappò uno strillo e per poco non fece cadere
gli antipasti.
“Anne, stai
bene?” nonno Richard era entrato velocemente per controllare
la causa di tutto quel baccano. Nonna Patty era appena atterrata sul
tappeto e si stava rialzando, togliendosi dei leggeri residui di
fuliggine trovati nella canna fumaria.
“Buonasera,
Patty, bene arrivata!” salutò lui allegro. La
confusione e le cose più strane erano pane per i suoi denti.
“Ah Mary,
questa volta ti sei ricordata di pulire il camino” disse con
voce autoritaria nonna Patty. “Buona sera, Anne, mi dispiace
averti spaventata. Richard” si voltò verso di me
“Madison, auguri, ormai hai sedici anni, dobbiamo iniziare ad
aspettarci grandi cose da te” e con un’occhiata
d’intesa si diresse in giardino.
Gli ultimi ospiti ad
arrivare furono il fratello maggiore di mio papà, Jon, i
entrambi avevano capelli mossi e neri, nonché lo stesso
carattere del nonno che li accomunava tutti e tre; con sua moglie,
Dotty; e i miei cugini, Thomas di ventun’anni, e Jessica di
diciassette. Non li vedevo spesso, abitavano nel Galles è
solo durante le feste scendevano a farci visita.
Com’era
prevedibile, papà, Jon e il nonno furono l’anima
della festa. Vederli ridere, felici, un po' per la gioia di stare
assieme dopo un anno di lontananza, un po' per gli effetti del Whisky
Incendiario (“Joseph, questa roba è proprio una
bomba! Spediscimi una cassa, appena torno in Galles”),
contagiarono tutti. Mamma e nonna Patty fecero alcuni incantesimi per
non insospettire il vicinato, così ai loro occhi le fiammate
che uscivano dalle orecchie e dalla bocca, dopo aver sorseggiato il
digestivo, non davano nell’occhio.
Victoria era
raggiante. I suoi addobbi avevano fatto colpo su tutti e si era
concessa ben volentieri ai complimenti, con un sorriso che illuminava
il volto. Adesso era seduta a fianco di Thomas, conversavano fitto,
attenti a non farsi sentire. Da quanto riuscivo a captare,
l’argomento era il nuovo ragazzo, Tom, che Vicky aveva
conosciuto la Pasqua scorsa, quando era andata in vacanza a Cardiff
dagli zii, ed era il migliore amico di nostro cugino.
Le donne di casa
sedevano tutte vicine. Dotty raccontava alla suocera le ultime
novità, e nonna Patty parlava con la mamma del suo lavoro.
Capivo che mamma non poteva sbilanciarsi molto, nel raccontare cosa
succedeva all’Ufficio Misteri, ma la nonna sembrava capire
molto più di quanto dicesse.
Io e mia cugina
Jessica sedevamo vicine. Eravamo molto diverse fisicamente, io ero
alta, con i capelli castani, mossi e gli occhi azzurro cielo, Jessy era
qualche centimetro più bassa di me, capelli biondi, come la
madre, ed occhi castani, come lo zio Jon. Da piccole, la sua famiglia
abitava nel nostro quartiere, perciò siamo cresciute
assieme. All’eta di dieci anni, lo zio Jon ottenne una
promozione presso la ditta in cui lavorava e venne trasferito a
Cardiff. Zia Dotty era casalinga, quindi tutta la famiglia lo
seguì senza intoppi. Io, Jessica e Victoria giocavamo sempre
insieme, il nostro gioco preferito era, ironia della sorte, fare le
streghe. Entrambe mi chiedevano sempre di fare ‘quella
cosa’, io le accontentavo, facendo qualche piccolo
incantesimo che i bambini creano senza averne consapevolezza, come
cambiare colore ad un fiore. Jessica strillava estasiata,
Victoria mi chiedeva di insegnarle come si faceva e quando
non ci riusciva diventava triste e scontrosa. Come sorella maggiore era
sempre stata lei ad insegnare a noi più piccole. Ora le cose
erano cambiate, ero veramente una strega. Il nostro legame, pur
restando speciale, era cambiato, come se ci fosse un muro, sottile ma
consistente, a divedere le nostre vite. Entrambe ci interessavamo delle
vicissitudini reciproche, tuttavia non nascondo che mi sentivo
più a mio agio a confidarmi con Francine e Matthew. Mi
sentivo capita meglio.
Gli antipasti finirono
in un baleno. Subito venne portata la grigliata, orgoglio di mio padre,
e varie portate di insalata di riso, insalata di patate, involtini alle
verdure.
La cena trascorse
serenamente. All’imbrunire tutti i palloncini si accesero
suscitando sospiri ammirati e un applauso per l’idea
originale.
Finalmente
arrivò l’ora di scartare i regali. Mia madre
tornò dalla cucina con una enorme torta alla frutta che
fluttuava in aria, insieme a mio padre, le braccia cariche di regali.
Nonna Patty, vedendo che faticava, si offrì di aiutarlo,
agitando la bacchetta con fare esemplificativo.
“No, no,
grazie Patty, ce la faccio. Fatemi fare almeno questo” disse,
scoppiando a ridere.
La torta si
posò esattamente al centro della tavola, sopra la tovaglia
color miele. Nonna Patty dovette ripiegare il suo contributo ad
accendere le candeline che aveva fatto apparire. Il nonno si era
impadronito della macchina fotografica magica, divertendosi a scattare
istantanee per vedere poi le immagini che si muovevano.
Alla fine della
canzoncina, espressi un desiderio e soffiai. Un istante dopo,
papà appoggiò sul tavolo tutti i regali.
Ricevetti un kit di manutenzione per manici di scopa, completo di cera
per lucidare il manico, una speciale forbice per potare i ramoscelli,
una bussola da montare, un panno per lucidare, diversi accessori
colorati in oro da attaccare per personalizzarla. Una penna
d’aquila, marrone con un triangolino bianco sulla cima e il
pennino in oro. La trilogia di Gilderoy Allock: Thè con lo Yeti;
A spasso con il Troll;
Picnic con il Vampiro.
Un paio di magliette, un vestitino a fiori e delle scarpe con il tacco.
Ringraziai
singolarmente gli invitati. Avevo ancora le scarpe in mano quando mio
padre esordì “Aspetta, Maddy, non è
finita qui. Abbiamo ancora un regalo per te.”
Si diresse in salotto
e tornò con un pacco lungo, rettangolare, ingombrante. Mia
mamma mi fissava con il suo sorriso contagioso.
Incuriosita, mi alzai
in piedi e tendetti le mani, afferrando il regalo che mi veniva
offerto. Lo scartai, lentamente, gustando l’attesa piena di
speranze. Ciò che fece capolino dalla carta regalo mi
lasciò senza fiato. Istintivamente portai le mani alla bocca.
“Per la
barba di Merlino!” esclamai, quasi strillando. Ero arrivata a
scoprire appena la metà del regalo, ma questo mi bastava.
“È una Firebolt!” dissi guardando i miei
genitori con tanto d’occhi. “La scopa
più veloce del mondo! E pure la più
costosa!”
Il cartellino
attaccato al manico recitava:
FIREBOLT
Questa
scopa da corsa all’avanguardia è fornita di un
raffinato, aerodinamico manico di frassino, trattato con vernice
adamantina e numerato a mano. I ramoscelli di betulla che formano la
coda, selezionati uno per uno, sono stati sfrondati e lavorati fino a
raggiungere un perfetto design per offrire alla Firebolt un
ineguagliabile equilibrio e una precisione millimetrica. La Firebolt ha
un’accelerazione da 0 a 250 km orari in dieci secondi. In
dotazione un Incantesimo Frenante indistruttibile.
Corsi ad abbracciare
entrambi e piansi dalla gioia.
“Suvvia,
siamo ad un compleanno o ad un funerale?” disse il nonno,
sorridendo, appoggiandomi una mano sulla spalla. “Facci
vedere questa nuova scopa, che a quanto sembra deve essere
meravigliosa.”
Mentre la scopa
passava di mano in mano e i miei genitori ne spiegavano le
caratteristiche ai commensali, Victoria mi venne vicino
“Bella scopa, di sicuro quest’anno vincerete la
coppa” disse, con un sorriso gentile.
Annuì,
rispondendo al sorriso. “Lo spero. Di sicuro non è
una scopa per spazzare, che usavamo da piccole per giocare.”
“Già...ne
è passato di tempo...Ma noi siamo ancora qui, a festeggiare
il tuo compleanno, come se nulla fosse cambiato” disse,
malinconica.
“Vorrei che
fosse veramente così” ammisi, fissandola.
Victoria
alzò la testa e rispose al mio sguardo. Restammo qualche
secondo in silenzio, fissandoci dentro. Fu lei a romperlo.
“Sono sempre stata gelosa della tua magia. Volevo essere
speciale come te, per continuare ad avere qualcosa in comune.”
“Possiamo
ugualmente avere qualcosa in comune. Innanzitutto siamo sorelle e
dividiamo lo stesso sangue. Detta così, può
sembrare una cosa banale, ma ti assicuro che non lo è. Per
me è importante” dissi, cercando di rassicurarla.
“Che ne dici
se proviamo ad avere anche qualcos'altro da condividere?”
domandò e cominciò a ridere per spezzare la
tensione.
“Certo,
possiamo provare” risposi.
Arrivò di
corsa Jessica, reggendo il suo secondo pezzo di torta.
“Maddy, ma davvero cavalcherai quella scopa?” si
informò, curiosa come sempre.
Mia sorella si
alzò e la guardai allontanarsi verso i nonni.
“Ma certo!
Cosa pensi che dovrei farci? Spazzare per terra?” domandai
sarcastica.
“No, ma fa
sempre un certo che abituarsi a questa tua nuova vita. A volte
dimentico che non ti sposti usando il motorino" disse fissandomi con
uno sguardo pensieroso.
“Quando sono
in vacanza, mi sposto come tutti i Babbani. Visto che sono minorenne
non mi è concesso fare incantesimi fuori dalla scuola,
quindi se non posso rendere invisibile la mia scopa, chiunque potrebbe
vedermi sorvolare la città” spiegai.
“Perchè
non puoi?...” chiese perplessa.
“Tutti i
maghi e le streghe minorenni hanno la Traccia addosso
nell’istante in cui iniziano la scuola: è un
incantesimo che consente al Ministero di sapere quando un minorenne
pratica la magia.”
“Immagino
sia bello...Poter fare incantesimi, anche se solo dietro le mura
scolastiche, stare con i tuoi amici tutto l’anno, vedere e
imparare cose che la gente normale nemmeno concepisce nei propri
sogni”. Elencò il tutto sulla punta delle dita,
con aria sognante. Poi si riscosse improvvisamente e mise su un finto
broncio “Ecco sei contenta? Mi è venuta voglia di
andarci!”
Scoppiai a ridere. Non
potei darle torto, il mio primo anno ad Hogwarts fu magico, ogni giorno
che passavo nel castello mi ci affezionavo sempre di più. Mi
sentivo perfettamente a mio agio da non sentire la mancanza di casa.
Ero nata per essere una strega.
Era quasi mezzanotte
quando la serata giunse al termine. Dopo un giro in cui mi venivano
rinnovati gli auguri, i nonni e gli zii si avviarono verso le
rispettive auto (nonna Patty puntò al camino) e se ne
andarono.
Portai gli ultimi
piatti in cucina e già meditavo su come avrei potuto
utilizzare il mio kit di manutenzione per i manici di scopa sulla
Firebolt, quando mio padre mi chiamò.
“Madison,
vieni qua un momento.”
Entrò nel
suo studio e lo seguii.
“Chiudi la
porta, per piacere.”
Mi voltava le spalle e
il suo tono di voce era serio.
Richiusi
l’uscio. Sembrava che mio padre stesse reggendo qualcosa tra
le mani. Non appena si voltò ne ebbi la conferma: era un
pacco grande una trentina di centimetri e visto come seguiva la forma
delle sue mani doveva contenere qualcosa di morbido.
“Sai quando
sta mattina ti chiesi di parlare?” domandò,
fissandomi intensamente.
Feci un cenno di
assenso con la testa.
“Era per
darti questo” allungò il misterioso pacchetto
verso di me ed entrambi lo fissammo.
Visto che non davo
segno di volerlo prendere, mio padre mi incoraggiò, con voce
più dolce “Su, prendilo, non avere
paura.”
Presi il pacco e
cominciai a togliere la carta. Lentamente ne scivolò fuori
un mantello.
Lo guardai perplessa.
A giudicare dalla trama ricamata doveva essere molto antico, anche se
era tenuto molto bene. La cosa che più mi incuriosiva
però era la sua consistenza
‘Sembra acqua solida’
dissi tra me e me.
Perché mio
padre me lo stava regalando? Di sicuro non per andarci in giro visto
che sarebbe stato adatto per una settantenne.
“Grazie,
papà. Ma non credo sia il mio genere” aggiunsi con
fare mortificato.
La bocca di mio padre
si allargò in un enorme sorriso, quasi si aspettasse la mia
reazione.
“Maddy,
questo non è un mantello qualunque. È un Mantello
dell’Invisibilità. O per meglio dire il Mantello
dell’Invisibilità, visto che è unico
nel suo genere. Apparteneva a tuo nonno ed ora apparterrà a
te.”
Sgranai immediatamente
gli occhi.
‘Un Mantello
dell’Invisibilità?’ Ci
rimuginai su, facendomi scorrere il tessuto tra le mani.
“Come ha
fatto il nonno ad averlo? E se era suo, come mai ce lo avevi
te?” chiesi confusa.
“Alla prima
domanda non posso risponderti. Non so come tuo nonno ne sia entrato in
possesso, non ha fatto in tempo a raccontarmi la storia. Posso solo
desumere che non sia stato facile, visto la sua
unicità” si passò una mano sul mento,
pensieroso. “Io l’ho avuto direttamente da lui. Ti
ricordi quando due anni fa, io e tua madre, ti raccontammo di come era
venuto a mancare il nonno Edgar?”
“Sì”
risposi, attenta.
“Tuo nonno
conosceva Grindelwald, sapeva che si era messo sulle nostre tracce. Era
consapevole di dover fare tutto ciò che era in suo potere
per sconfiggerlo e che questa impresa poteva risultargli fatale. Il
Mago Oscuro non si sarebbe fermato finchè non avesse
ottentuo ciò che voleva…”
Inevitabilmente mi
salì un groppo alla gola.
“Qualche
giorno prima dello scontro con Grindelwald, Edgar mi prese da parte e
mi consegnò il Mantello. Mi fece promettere che te
l’avrei consegnato non appena fossi stata abbastanza grande
da conoscere la verità. Sopratutto, mi fece giurare di non
far mai sapere a tua madre l’esistenza di questo
oggetto.”
“Perché?”
sussurrai a mezza voce.
Scosse la testa.
“Non ha voluto dire di più in
merito…Continuava a ripetere di promettergli che avrei
mantenuto queste due promesse. Non ho ritenuto opportuno dirtelo due
anni fa, eri troppo piccola… In verità, ai miei
occhi, lo sei anche adesso, ma le parole di Edgar mi sono tornate alla
mente e non potevo più rimandare.”
Non sapevo cosa dire.
Strinsi il Mantello tra le mani, fissandolo, stordita. Dovetti lasciar
trasparire molto bene il mio stato d’animo perché
papà mi mise una mano sulla spalla, consigliandomi di
dormirci su. Mi avviai in camera proprio quando l’orologio
del camino batteva mezzanotte e mezzo.
******
Nota dell'autrice.
Salve lettori! Eccoci
al terzo capitolo di questa lunga avventura. Avete incontrato la
famiglia di Madison al completo e, finalmente, inzia
a muoversi qualcosa... un Mantello di nostra conoscenza ha
fatto la sua apparizione. Senza spoilerare nulla, vi dico che questo
dono avrà un ruolo centrale, molto più di quello
che aveva nella saga originale.
Spero che la storia vi stia piacendo almeno un po'. Fatemelo sapere nei
commenti :)!
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Capitolo 4 *** La festa ***
LA FESTA
Quella sera feci
fatica ad addormentarmi. Mi rigiravo nel letto, immersa nei miei
pensieri. Pure Honey lasciò il solito posto alla mia
sinistra, lanciandomi un’occhiata di traverso. Passai dalla
realtà al mondo dei sogni senza rendermene conto.
Il cuore batteva forte
come non mai.
‘Un
corridoio!’
Lo imboccai
immediatamente. Mi fermai rasente al muro, le orecchie tese.
‘Mi sta ancora seguendo?’
Dei passi echeggiarono
in risposta. Mi irrigidì, cercando di schiacciarmi ancora di
più al muro; la mente che lavorava all’impazzata
per cercare una via di fuga. Chi o cosa mi stava dando la caccia?
Perché di questo si trattava: un cacciatore deciso a
catturare la sua preda, non importa dove andasse o quanto corresse, lui
l’avrebbe raggiunta.
Tutto intorno regnava
il buio più assoluto. Non riuscivo a vedere la fine del
corridoio, ma proseguire era l’unica soluzione.
‘Prima o poi dovrà
esserci un’uscita.’
Ero ancora in balia
dell’incertezza, quando un fruscio ai miei piedi mi fece
sobbalzare. Sgranai gli occhi il più possibile, cercando di
vedere attraverso le tenebre, alterate solo dalla tenue foschia che
sembrava pervadere l’intero posto. Una sfumatura liquida
attraversò il mio campo visivo. Mi accucciai allungando
subito una mano e raccolsi l’oggetto.
‘Non può essere! Chi
l'ha portato qua?’
Stavo reggendo il
mantello di mio nonno.
Stranamente, possedere
una cosa familiare in un momento come quello, mi diede una nuova
energia e determinazione, riportandomi alla realtà e
all’impellente bisogno di allontanarmi da quel posto.
Feci un respiro
profondo, cercando tutto il coraggio che avevo e ripresi la mia corsa
verso l’ignoto.
Dagli sguardi che mi
seguirono per tutta la mattina successiva, doveva trapelare palesemente
la mia nottata insonne. Mio padre mi chiese come stavo, facendomi
capire che se avessi avuto bisogno di parlare con qualcuno lui mi
avrebbe ascoltato. Lasciò intendere implicitamente che
riteneva responsabile la nostra conversazione avuta la sera precedente.
In realtà
ciò che mi dava maggiormente il tormento fu
l’incubo. Ricorreva spesso nei miei sogni, ma era sempre
uguale, mentre adesso era successo qualcosa di nuovo che mi ha
spiazzato: era comparso il Mantello
dell’Invisibilità. Cosa potesse significare tutto
questo non lo sapevo.
Passai i giorni
seguenti a cercare di comportarmi normalmente con la mia famiglia,
senza lasciar trasparire le mie preoccupazioni. Solo quando riuscivo a
ritagliarmi dei momenti di pace e di solitudine, la mia mente ritornava
puntualmente all’incubo e al mantello di nonno Edgar.
Le due cose erano
collegate? Può darsi, visto che sono apparsi entrambi nel
mio sogno.
Potevo parlarne a mio
padre? Meglio di no, non volevo farlo impensierire per qualcosa di
astratto.
Cosa significava tutto
questo? Non ne avevo idea.
Sabato
arrivò velocemente. Stavo quasi per dimenticare la festa di
compleanno organizzata a casa della mia amica Francine e me ne ricordai
solo quando, la mattina stessa, mentre facevo colazione, stavo
rimuginando sull’idea di confidarmi con i miei amici la
prossima volta che li avrei visti. Spalancai gli occhi e smisi di
imburrare il pane tostato.
“Che
hai?” domandò Vichy notando la mia espressione.
“Oggi
c’è la festa a casa di Francine” risposi
cadendo dalle nuvole.
“Sì,
cerca di vestirti meglio del solito, sei la festeggiata” mi
consigliò, mentre si alzava dalla sedia.
Fino al pomeriggio
dovetti accantonare tutti i pensieri ricorrenti e concentrarmi per la
serata. Non intendevo passarla pensierosa.
Quel pomeriggio mi
preparai con uno spirito allegro, cosa rara negli ultimi giorni,
indossando leggins, una canotta larga e le mie Converse rosse. Niente
vestiti particolari o trucchi sofisticati, conoscendo la mia amica di
sicuro la festa sarebbe stata informale. Raccolsi la borsa con
l'occorrente per trascorre la notte fuori e una giacchetta per
combattere la frescura della sera; dopo un’ultima occhiata
allo specchio lasciai la stanza.
I miei genitori erano
in giardino. Mamma stava sistemando i fiori e papà era
intento ad estirpare delle erbacce piuttosto ostili. Salutai entrambi,
rassicurandoli che avrei portato via il cellulare.
“E in ogni
caso potete mandare Hermes”.
Francine abitava in
periferia e il modo migliore per raggiungerla, senza fare ricorso alla
magia, era utilizzare la metropolitana di Londra.
Durante le vacanze
estive passavo molto tempo nella Londra babbana. Era il luogo in cui
sono cresciuta, la conoscevo come le mie tasche e aggirarmi tra i
Babbani mi dava un senso di tranquillità. Sapevo che i
pericoli più ricorrenti per la gente comune non potevano
nuocermi, anche se ai minorenni non era permesso fare magie, esisteva
una deroga in caso di pericolo per la propria o altrui
incolumità. Sapevo, inoltre, che molti maghi si aggiravano
per le città, senza dare nell’occhio, mescolandosi
tra i Babbani per il puro gusto di vedere come vivevano senza magia. Mi
divertiva guardare le persone e immaginare come sarebbe potuta essere
la mia vita se non fossi stata una strega.
‘Tanto per cominciare avrei avuto
un solo cognome, quello di mio padre’ pensai
distrattamente.
Fino
all’età di quattordici anni, prima di scoprire di
essere una strega, il mio cognome era Right. Ciò cambio con
l’avvento della lettera di Hogwarts: per il Ministero della
Magia conta solo il cognome del ramo magico della famiglia, per questo
motivo i miei genitori dovettero aggiungere anche Evans, diventando
così Evans-Right. Entrando pienamente nel mondo alla quale
ero destinata, il cognome paterno passò in secondo piano,
tanto da non essere mai menzionato.
Ormai per tutti ero
Madison Evans.
Il cognome di mia
madre, come imparai nella mia prima visita a Diagon Alley, era
conosciuto da tutta la comunità magica, pure al di fuori del
Regno Unito. Tutti conoscevano le imprese di Edgar Evans: colui che
sconfisse il Mago Oscuro, che, in nome della supremazia del Sangue
Puro, cercò di instaurare un dominio dittatoriale su
Babbani, Nati Babbani e Mezzosangue. Il nome Evans lo si insegnava ai
bambini ancora pima che iniziassero Hogwarts. Non appena mi presentavo,
subito il mio interlocutore si stampava in faccia un’aria di
sorpresa e di reverenza. Ero continuamente osservata e sotto ai
riflettori. Per mia nonna Patty ciò era motivo di grande
orgoglio, mia madre invece era riservata come me e capiva il mio
imbarazzo.
Praticamente stavo
vivendo due vite, quella magica sempre al centro delle attenzioni e
quella babbana dove ero una ragazza normale, con un passato ordinario.
Per questi motivi non mi pesava vivere come una di loro: prendere i
mezzi pubblici, usare il cellulare, il computer o andare al cinema.
Per Francine valeva la
stessa cosa. Certo, non aveva un passato pesante alle spalle, ma avendo
frequentato le scuole babbane come me, era abituata a fare a meno della
magia. Matthew invece partecipava a questa nostra vita parallela solo
per pura curiosità. Era divertente vedere come si
entusiasmasse per cose come o smartphone, l'iPod o gli allarmi delle
auto.
Entrai dentro alla
metropolitana, seguendo la folla che si accalcava ai tornelli. Passai
il badge e poco dopo le scale mobili mi portarono diversi metri sotto
il livello del suolo.
I pendolari che
aspettavano il treno erano dei più vari. C’erano i
lavoratori di ritorno dagli uffici della City: gli uomini stretti nei
loro completati gessati, che con un dito cercavano di allentarsi la
cravatta che il sudore estivo aveva incollato al collo; le donne in
tailleur e tacchi, che reggevano saldamente le costose borse, guardano
sospettosamente chi avevano vicino. I turisti facilmente riconoscibili
dall’enorme zaino issato sulle spalle, la macchina
fotografica appesa al collo e dal modo in cui brandivano la cartina
della città. Come inevitabilmente succedeva, un francese mi
chiese informazioni su come raggiungere Buckingham Palace. I
più chiassosi erano sicuramente gli studenti in vacanza.
Bermuda, sandali, pallone e borsone, l’occorrente giusto per
una giornata al parco o lungo il Tamigi.
Il treno
arrivò in orario. Ci stipammo tutto dentro.
‘Per fortuna
c’è l’aria condizionata’
pensai sollevata.
Trovai posto davanti
ad un turista spagnolo che durante il viaggio continuò a
contare le varie fermate.
Dopo 45 minuti di
viaggio (il vagone si era quasi svuotato completamente), arrivai a
destinazione. Francy abitava nei dintorni di Greenwich, un grazioso
villaggio caratterizzato dai tipici cottage di campagna. Il villaggio
era formato da sole famiglie di maghi e per scoraggiare futuri
insediamenti babbani, il centro non veniva mantenuto al passo con i
tempi, risultando così molto antico. Ovviamente per i maghi
ciò non costituiva un peso: con la magia potevano fare tutto
e più semplicemente, ma per i Babbani ritrovarsi a vivere in
un villaggio così rustico era scomodo e preferivano
spostarsi verso centri più grandi.
Fuori i grandi centri
abitati era usuale trovare comunità interamente magiche,
più o meno grandi. Aiutava le persone a vivere liberamente
secondo la loro natura, senza preoccuparsi di essere visti.
Lasciai la stazione al
centro dirigendomi due isolati ad est. Ed ecco spiccare in lontananza
la casa della mia amica.
La costruzione era
originale come i proprietari: alta tre piani, incastrati in modo tale
da sfidare le leggi della gravità; un capanno degli
attrezzi, pieno delle cianfrusaglie babbane che il signor Parcker tanto
amava, e per finire l’enorme giardino che si perdeva fino al
limitare del bosco.
Più mi
avvicinavo e più una musica allegra si faceva forte.
Ero arrivata quasi
all’ingresso quando la mia amica mi corse incontro.
“Ciao
festeggiata!” Francine mi butto le braccia al collo.
“Vieni, vedrai che festa abbiamo preparato!” disse
prendendomi per il braccio, facendo rotta verso casa.
Tutto era incredibile.
Palloncini, un enorme grammofono che trasmetteva la musica che avevo
sentito già dalla strada, un grande tavolo imbandito di
panini, patatine, pizzette, montagne di gelato e altre leccornie.
Guardavo tutto a bocca
aperta, non mi aspettavo una tale abbondanza.
“Allora, che
te ne pare, cara?” la signora Parcker venne verso di me,
sorridendo calorosamente.
“È
tutto fantastico, signora Parcker, ma non volevo arrecarle un tale
disturbo, qualche patatina sarebbe stato più che
sufficiente” risposi mentre mi baciava le guance.
“Sciocchezze”
disse scuotendo una mano come per scacciare quel pensiero poco consono
“Sei una brava ragazza e la tua famiglia è una
delle più rispettabili. Una festa di compleanno come si deve
è più che giustificata. E
poi…” improvvisamente la signora Parcker
abbassò la voce, le orecchie rosso fuoco, e con fare
imbarazzato continuò “Tod ha appena ricevuto una
promozione e Edith ha passato i MAGO, così abbiamo colto
l’occasione di fare una festa unica per tutti.”
Capii al volo che le
loro ristrettezze economiche gli impedivano di festeggiare
separatamente ed ammetterlo apertamente era sempre una fonte di
imbarazzo ai genitori della mia amica.
“Edith non
ha ancora ricevuto i suoi MAGO! Che ne sai se li ha passati? Tod
lavorava già alla Gringott e questa decantata
promozione gli consente solo di seguire il suo superiore mentre
contratta con vecchi Goblin rugosi!” puntualizzò
la figlia.
La signora Parcker,
abbandonata ogni forma di imbarazzo, si erse in tutta la sua statura e
la con un cipiglio battagliero.
“Non mi
serve la lettera di Hogwarts per saperlo! Tua sorella ha ricevuto tutti
i GUFO che si aspettava, ottenendo ben due Eccezionale in Divinazione
ed Astronomia! Vediamo quanti GUFO riceverai te l’anno
prossimo!”
“Capirai…voto
massimo in Divinazione...”
“Pensa alla tua situazione
scolastica! Il tuo atteggiamento e i tuoi voti parlano
chiaro!” ormai la voce di Hollie Parcker stava raggiungendo
il livello degli ultrasuoni. “Per quanto riguarda tuo
fratello ha ricevuto una targhetta come premio per i Servizi Resi alla
Scuola, attualmente esposta ad Hogwarts affinché tutti la
possano vedere e prenderlo ad esempio! La sua promozione gli
consentirà di viaggiare ed incontrare persone molto
importanti, ed ha solo ventun’anni! Quindi prima di criticare
i tuoi fratelli, pensa a quali conquiste hai raggiunto”
concluse la ramanzina con un tono che non ammetteva repliche.
“Signora
Parcker, non si preoccupi, ha fatto bene a riunire tutti i
festeggiamenti” intervenni io, cercando di smorzare la
tensione.
“Grazie
Madison, cara” mi sorrise tornando al tono caramelloso di
poco fa. Poi, rivolgendo uno sguardo obliquo a sua figlia, aggiunse
“Speriamo tutti che la tua sana influenza possa modificare il
temperamento ribelle di Francine” detto ciò,
alzò i tacchi diretta alla cucina.
“Ma per
favore…. temperamento ribelle… e Gwen allora? Non
ha mai combinato niente e scommetto che se porterà a casa
due GUFO sarà già un
successo…” disse Francy, ancora rabbuiata per lo
scontro con la madre, mentre ci dirigevamo verso gli altri membri della
famiglia.
Decisi deliberatamente
di non dire la mia opinione. Conoscevo Francine fin troppo bene e
sapevo quando era il momento di tacere per non peggiorare la situazione.
La sua era una
famiglia molto povera e con tanti figli, va da sé come non
fosse stato facile crescerli tutti e sette dandogli le migliori
opportunità. Per i genitori era motivo di grande orgoglio
vedere come, nonostante tutte le difficoltà, avessero
conquistato un posto nel mondo. Joanna, la figlia maggiore, di
ventiquattro anni, era stata Capitano della squadra di Quidditch di
Grifondoro e adesso lavorava con i draghi in Romania. Come tutti quelli
della sua famiglia aveva lunghi capelli corvini, che portava racchiusi
in varie ciocche rasta; tatuaggi e piercing completavano il quadro.
Tod, l’unico figlio maschio, appena terminata la scuola era
stato assunto immediatamente alla Gringott, nonostante il lavoro di
grande responsabilità era un ragazzo molto allegro e
gioviale. Edith aveva completato la sua istruzione la settimana scorsa,
il suo sogno era diventare giornalista presso il Settimanale delle
Streghe (il periodico che preferiva) nella sezione moda e consigli
d’amore, era la più bella e graziosa della
famiglia e si poteva tranquillamente paragonare a Victoria. Rosalie
frequentava l’ultimo, faceva parte della nostra Casa (come
tutta la famiglia Parcker), era una ragazza seria, senza grilli per la
testa, attualmente Prefetto, con una predilezione per le materie
complesse che tutti evitavano il più possibile. La sua
ambizione era diventare una Guaritrice e lavorare al San Mungo, il
più grande ospedale magico del paese. Gwendoline aveva un
anno in più di me e, insieme a Francine, era la testa calda
della famiglia. Faceva parte della squadra di Quidditch come
Cacciatrice già da qualche anno, quando passai le selezioni
di Cercatrice e sua sorella come Cacciatrice, ne fu davvero entusiasta.
Nessuno conosceva le sue ambizioni, lei compresa, e non se ne
preoccupava. La piccola della casa era Cassiopea ed avrebbe iniziato il
primo anno questo settembre. Non la conoscevo molto bene, visto il poco
tempo passato assieme, ma era una ragazzina timida e riservata.
“Buon
pomeriggio signor Parcker, come sta?” domandai appena
raggiunsi la comitiva.
“Madison,
che piacere vederti, buon compleanno” mi strinse la mano,
sorridendo gioviale. “Va sempre tutto bene, tra alti e
bassi” rise di gusto e si girò con fare
interrogativo verso sua figlia “Perché mamma stava
urlando?”
“Perché
non sono brava come Edith e talentuosa come Tod” rispose
Francine, come se quella fosse una frase che diceva spesso.
Suo padre scosse la
testa divertito.
“Suvvia, la
mamma è sempre stata di carattere forte, ma vuole bene ed
apprezza tutti i suoi figli allo stesso modo. Comunque pensiamo a
festeggiare le belle novità che ci sono arrivate. Tra poco
si mangia” e ci lasciò per dirigersi al capanno.
“Cosa sta
progettando là dentro?” chiesi curiosa.
“È
meglio se non lo sai…” la mia amica scosse la
testa, rassegnata. “Ogni tanto sentiamo delle esplosioni.
Mamma è molto irascibile anche per questo, crede che se
continua a trafficare con gli aggeggi babbani perderà il
posto al Ministero visto che lui lavora
nell’Ufficio per l’Uso Improprio di Manufatti
Babbani.”
Risi, trovando tutta
la faccenda davvero surreale.
“Sarà
meglio che non gli porti niente di ciò che ho a
casa” dissi con voce ironica.
“No, per
carità. Non ce la faccio più ad avere mamma
così sul filo del rasoio” poi aggiunse, ridendo
“Ma preparati perché attualmente è
interessato alle papere di gomma.”
Scoppiamo entrambe a
ridere e andai a salutare il resto della famiglia.
Eravamo tutti seduti
sulle sedie di plastica in giardino, la musica andava a tutto volume
(un Incantesimo Muffliato ne attutiva il suono all’orecchio
dei Babbani). Tod e Rosalie discutevano sulle carriere a cui i vari
MAGO ti potevano permettere di accedere.
Il MAGO (acronimo di
Magie Avanzate Grado Ordinario) era il più alto titolo
scolastico al quale un mago poteva aspirare, corrispondeva alla laurea
babbana, e si otteneva alla fine del quinto anno, dopo aver superato
una serie di esami difficili. Ma prima di questo, bisognava superare un
altro esame alla fine del terzo anno il terzo anno: il GUFO (Giudizio
Unico per Fattucchieri Ordinari), si poteva considerare il diploma
babbano. Le votazioni andavano da: Eccellente, Oltre Ogni Previsione e
Accettabile, la insufficienza iniziava con Scadente, passando per
Desolante e finendo con Troll, voto che raramente veniva assegnato. I
vari giudizi ottenuti nei GUFO erano propedeutici ai MAGO che si
sarebbero seguiti gli ultimi due anni ed ogni professione richiedeva un
certo numero di MAGO e una determinata votazione finale
affinché si potesse fare richiesta per il praticantato.
Edith stava
aggiungendo dei fiori, rendendo il giardino più colorato. Il
capofamiglia era ancora rintanato nel capanno. Cassiopea seguiva la
madre, aiutandola con le ultime cose. Gwendoline e Francine mi
supplicavano da qualche minuto di tornare a casa con la Metropolvere a
prendere la mia Firebolt, affinché potessero provarla,
mentre Joanna mi guardava ammirata.
“Wow una
Firebolt…non ne ho mai toccata
una…non ne ho mai vista
una…”
“Ragazze,
non torno a casa solo per prendere una scopa,
chiaro?” ribadii un po' stanca.
“Una…una
scopa?!”
Gwen si portò una mano alla bocca con fare teatrale,
esprimendo tutto lo sdegno possibile.
“A volte
penso che vivere tutti questi anni in mezzo ai Babbani, fingendoti una
di loro, ti abbiano fatto troppo
male” constatò sconsolata Francine.
La guardai di
sottecchi, sapendo che mi stava prendendo in giro. “Dai, la
prossima volta che verrò la porterò con me e
faremo una partita, che ne dite?”
“Adesso va
meglio” mi strizzo l’occhio Gwen.
All’improvviso
mi tornò alla mente il Mantello, con tutto ciò
che ne derivava. Da quando ero arrivata non pensai minimamente al sogno
e a quello che mio padre mi aveva rivelato, ma l’aver parlato
della Firebolt aveva riaperto quel cassetto della mente. Avrei dovuto
parlarne ai miei amici? O forse era meglio tacere?
Decisi di non
rimuginarci su in quel momento e guardai l’orologio che
portava al polso Joanna.
“Francine, a
che ora hai detto di venire a Matthew?”
“Per le 18,
mi pare” rispose pensierosa.
Erano le 18:15.
“Strano, non
è da lui fare tardi…”
“Di sicuro
avrà perso la cognizione del tempo mentre stava
studiando” tagliò corto Francy.
“Ah ah ah!
Studiando cosa?” risi “Le vacanze sono appena
iniziate!”
Francine prese la
palla al balzo: adorava tormentare Matt, in qualche modo la tirava su
di morale. Dal canto mio, trovavo i loro bisticci molto comici. Tranne
quando mi mettevano in mezzo, il che capitava di rado, fortunatamente.
“Lo sai
com’è fatto” disse con aria di chi la sa
lunga “Appena vede un libro, lo deve leggere tutto, subito.
Studia talmente tanto che, secondo me, vuole che venga istituita una
nuova votazione massima: il Voto Matthew” e mentre lo diceva
aprì le mani a ventaglio sollevandole al cielo. Trovammo
tutte e tre la cosa molto divertente.
“Il tuo
voto, invece, esiste già: si chiama Troll e se ne prendi un
altro, nei prossimi compiti appiccicheranno la tua faccia al posto di
scrivere la T”.
Mi voltai e vidi
Matthew venire verso di noi con un sorriso beffardo in viso.
“Matt,
finalmente!” ci salutammo abbracciandoci.
Francine colse
l’occasione per rispondere facendo un gestaccio con la mano,
che lui elegantemente ignorò, ma, purtroppo per lei, non
sfuggi alla vista di sua madre.
“FRANCINE
PARCKER supera un’altra volta il limite, oggi, e resterai in
punizione fino alla maggiore età!”
minacciò, mentre stava portando una enorme torta alla panna
con le fragole.
Joanna capì
al volo la situazione e si affrettò ad aiutarla.
“Mamma, ci
sono altre cose da prendere in cucina?” domandò
sorridendo benevolmente.
Ottenne
l’effetto sperato, la signora Parcker lasciò
perdere la maleducazione della figlia.
“Oh,
sì, cara, in cucina sul tavolo c’è il
punch alla frutta” mentre Joanna si stava dirigendo nel luogo
indicato, aggiunse “Visto che ci sei, prova a chiedere ad
Edith se riesce a sistemarti quei capelli disordinati.”
“No, mamma,
mi vanno bene così” rispose senza voltarsi.
“Per
Paracelso…” sospirò arrendevolmente sua
madre.
La serata
proseguì piacevolmente. Tutte le leccornie preparate dalla
signora Parcker furono apprezzate, ci furono balli piuttosto goffi e
pittoreschi, non mancarono le risate e ci fu pure uno scontro tra due
vecchi tavoli guidati magicamente da Gwen e Joanna: la più
giovane aveva perso una scommessa sul risultato dell’ultima
partita del Campionato ed era decisa ad ottenerne la rivincita, Tod
faceva da arbitro mentre il signor Parcker teneva il conteggio dei
danni: avrebbe vinto il tavolo che ne aveva subiti di meno. Tutto
questo sotto agli occhi di una sconsolata Hollie Parcker, e della
piccola Cassie che rideva e batteva le mani di gusto.
Arrivò il
momento di aprire i regali. Tod ricevette una valigetta per andare a
lavorare, di finta pelle; Edith ottenne una penna d’oca che,
come fece presente sua madre, era colorata talmente bene da sembrare
una piuma d’aquila; mentre a me regalarono diversi tipi di
dolciumi: Apri Frizzole, Calderotti, Torroni Sanguinolenti e Matt un
set di pergamene di papiro di alta qualità.
“Allora,
cosa ti hanno regalato i tuoi parenti?” domandò
curioso Matt.
“Qualche
vestito, uno paio di scarpe, la trilogia di
Allock…” cominciai, elencando sulla punta delle
dita i vari oggetti.
“Quella me
la devi prestare!” Matt spalancò gli occhi con
fare supplichevole “Ѐ diventata un best seller in poco tempo,
ne parlano tutti!”
“Certo, te
la presto volentieri. Comunque, ho ricevuto anche una piuma di aquila,
un kit per il mio manico di scopa, la Firebolt dai miei
genitori…”
Francine, vedendo che
il ragazzo non batteva ciglio, balzò sulla sedia e si mise a
strattonargli il braccio. “Hai capito o no? Una
F-I-R-E-B-O-L-T! Vinceremo di sicuro la coppa
quest’anno!”
“Sì,
sì, ho capito, non sono mica sordo”
replicò Matt, cercando di farle mollarle la presa.
Francy
lasciò andare il braccio alzando gli occhi al cielo e si
accasciò sulla sedia di plastica. “Basta, ci
rinuncio…Sei l’unico ragazzo al quale non importa
niente del Quidditch. Dovremmo farcene una ragione”.
“E con
questo cosa vorresti insinuare?” Matthew si
irrigidì all’istante, scoccando
un’occhiata di sfida alla ragazza. “Che non sono
abbastanza maschio?
Che dobbiamo essere tutti dei trogloditi che inseguono una Pluffa per
essere considerati veri
maschi?”
Il suo viso divenne di
un brillante color porpora che faceva a pugni con i capelli rosso
acceso, gli occhi verde prato mandavano lampi pericolosi.
Francine
capì di averla detta grossa. Si tirò su a sedere,
imbarazzata, cercando di rimediare “No, certo che
no…cosa vai a pensare…”
bofonchiò con la testa bassa.
“Dai,
Matthew, Francine ce l’ha con me perché non ho
portato la Firebolt alla festa e la voleva provare.”
Intervenni cercando di porre fine alla discussione. “Comunque
grazie per avermi definita una troglodita
che insegue una Pluffa.” e lo spinsi
giocosamente per il braccio.
Un sorriso si fece
largo nel suo viso, addolcendogli lo sguardo. “Su, forza, che
altro ti hanno regalato?”
Ci misi un secondo in
più del normale a rispondere e in quel frangente di tempo
decisi di tralasciare il particolare del Mantello, accantonando la
questione per un altro momento. Per fortuna nessuno si accorse della
mia espressione combattuta e della pausa troppo lunga: il grammofono
aveva appena iniziato ad intonare la canzone preferita della signora
Parcker Un Calderone
Pieno di Amor Bollente, ed insieme al marito si stava
esibendo in un valzer, attirando gli sguardi di tutti.
“Allora,
Hagrid mi ha inviato un pacchetto di caramelle mou fatte da
lui”, dissi non appena gli sguardi di miei amici tornarono su
di me.
Entrambi
sogghignarono. “Utili per tramortire le persone
antipatiche” rise Francine.
Tutti e tre avevamo
sperimentato la cucina del buon Hagrid e continuamente ci dovevamo
ingegnare per trovare un modo con il quale nascondere i biscotti
rocciosi e le sue caramelle che ti cementavano la bocca. Ogni volta che
lasciavamo la sua capanna le nostre tasche traboccavano di cibo
provvidenzialmente nascosto.
Annuì
ridendo a mia volta.
“E per finire Il Quidditch Attraverso i Secoli
di Zachary” conclusi l’elenco pensando ancora
all’immagine di tirare le caramelle a mo’ di
granata.
“Chi?
Zachary, chi?”
domandò precipitosamente Francine, sporgendosi talmente
tanto dalla sedia che per poco non cadde a faccia in giù.
“Ma dai, lo
conosci bene pure te: Zachary Cohen, diciassette anni, Corvonero,
Prefetto” spiegai, spalancando gli occhi piuttosto sorpresa
dalla sua reazione esagerata.
Matthew si rivolse a
Francine, lanciandomi uno sguardo malizioso “Ma sì
che lo conosciamo, Francy: capelli neri, ben tenuti, occhi castani, bel
viso proporzionato…”
Francine si
battè una mano sulla fronte, come se avesse scoperto
chissà che novità. “Adesso ricordo!
Zachary! Zachary il CARCIOFO! Quello che ti pedinava gli ultimi giorni
di scuola!”
“Cosa vai
farneticando?! Zachary non è un…un carciofo! E non mi
stava affatto pedinando!” risposi con un tono diverse ottave
più alto di quanto avessi voluto.
“Come no?
Veniva sempre in Biblioteca a farti la posta!”
ribatté lei con il tono di chi sta spiegando qualcosa di
molto semplice ad una persona piuttosto ottusa. “Ed
è venuto pure a salutarti mentre eravamo
sull’Espresso di ritorno a Londra!”
“Questo…questo…non
vuol dire nulla!” sentivo le mie guance farsi sempre
più rosse e la cosa mi mandava sui gangheri.
“È un Corvonero,
Francine! Ti ricordi che è la Casa delle persone
intelligenti, sì? Era più che normale trovarlo in
Biblioteca! E per la storia del treno, si è comportato da
persona gentile! Tutto qui, nulla di che!” conclusi la mia
arringa tutta d’un fiato.
Matthew intervenne per
sedare lo scontro. “Zachary è un ragazzo davvero
brillante. È un prefetto, partecipa a diversi club della
scuola, ha una media alta e sono sicuro che l’anno prossimo
verrà eletto Caposcuola” disse tutto questo
fissandomi con un sorriso incoraggiante.
“Fammi
prendere nota…” Francine non era
dell’idea di lasciar perdere la cosa così
facilmente e iniziò a mimare per aria l’atto di
prendere appunti su un blocchetto fantasma.
“Prefetto-perfetto, secchione, sempre in ordine, potenziale
Caposcuola, potenziale Primo Ministro, non gioca a Quidditch e non ne
capisce un’acca, ma regala libri sulla materia” e
qua lanciò uno sguardo veloce in direzione di Matt, che non
fece una piega, “Oh sì, il ragazzo ideale, per
niente noioso
e banale. Vi ci vedo bene insieme” concluse fissandomi di
sottecchi.
Sbuffai esausta. Era
inutile continuare a discuterne. “Non lo conosco, non abbiamo
avuto modo di parlarci molto durante gli ultimi giorni di scuola e a
parte questa lettera di auguri non ci siamo mai sentiti. Te
l’ho detto, non è niente di che.”
La ragazza
sembrò accettare la cosa diplomaticamente. “Ad
ogni modo, lo hai già ringraziato per il regalo?”
domandò con fare noncurante.
“A dire la
verità no, perché…”
“Ecco,
brava, lascia perdere! Siamo ancora in tempo per arginare la sua cotta: se lo
ignorerai te lo puoi togliere di dosso senza intoppi”
spiegò tutta contenta.
“…perché
mi ha chiesto di uscire con lui e devo dirgli una data”
finì la frase nascondendo il viso tra le mani per
l’imbarazzo, la voce tornata piccola per la vergogna.
Nel frattempo la
canzone d’amore era finita e dai rumori che ne presero il
posto, si direbbe che un’altra gara con i tavoli incantati
era in corso.
Una mano si
appoggiò al mio braccio e una voce maschile disse
“Maddy, fai quello che ti senti. Vuoi uscire con lui? Esci,
vedi come va, puoi sempre cambiare idea.”
Tolsi le mani e fissai
Matthew che mi sorrideva. Sorrisi a mia volta: sapevo che su di lui
potevo contare, nonostante avessimo la stessa età, era molto
maturo e sapeva sempre fare la cosa giusta. Diressi la mia attenzione a
Francy, attendendo un suo commento.
“Ma
sì… esci pure con lui” disse, fissando
per terra “Al massimo dovremmo solo abituarci
all’idea di avere il carciofo
tra i piedi più spesso, ma nulla di irrimediabile.”
“Grazie,
Francine” dissi con il cuore più leggero.
******
Buondì :)! Vorrei dire due parole su Matthew e Francine, i
miglior amici di Madison.
Quando iniziai a leggere Harry Potter avevo 9 anni e mi ripetevo sempre
che da grande avrei avuto anche io due amici come Ron ed Hermione.
Qualcuno deve avermi sentito e, un paio di anni più tardi,
il mio desiderio si avverò: oltre ad essere stati buoni
amici, caratterialmente ricalcavano Ron ed Hermione. Essendo esistiti
per davvero ed avendo avuto un ruolo fondamentale nella mia vita, sono
particolarmente affezionata ai due protagonisti. Scrivere di loro,
giocando a ripercorrere le tracce delle copie cartacee, mi diverte
molto e mi viene naturale. Se dovessi stilare una classifica personale
dei personaggi che preferisco maggiormente trattare, loro due occupano
tranquillamente il secondo posto. La medaglia d'oro spetta a
qualcuno che varrà introdotto più avanti ;)!
Buon proseguimento!
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Capitolo 5 *** La tempesta ***
LA TEMPESTA
“Qualcuno mi puoi spiegare, ancora una volta,
perché siamo qui?”
Era una calda mattina
del 4 luglio. Fuori dalla finestra, il sole colpiva implacabile,
friggendo tutto ciò su cui si posavo i suoi raggi bollenti;
l’erba era secca, bruciata e ben poco di verde era rimasto
per le strade e dall’asfalto si levava una calura ondeggiante.
Francine era distesa
sopra al mio letto, palleggiando distrattamente per aria un cuscino, in
attesa di una risposta.
“Perché,
Francine, oggi esco con Zachary” le risposi in piedi davanti
all’armadio, mentre adagiavo diversi vestiti sopra la mia
figura e mi guardavo riflessa nello specchio.
“E cosa
centriamo noi in tutto questo?” continuò con voce
monotona.
“Oltre che
come sostegno morale, io
sono qui perché devo andare al Ghirigoro in cerca di alcuni
volumi interessanti e all’Emporio
del Gufo per comperare del cibo per Piuma”
rispose pazientemente Matthew, seduto sopra alla mia sedia, intento a
sfogliare Picnic col
Vampiro “Te, invece, sei qua
perché non volevi disinfestare il giardino dagli gnomi, come
tua madre ti aveva chiesto di fare dieci giorni fa, e ti sei inventata
la scusa di dover andare in Farmacia a fare scorta di alcuni
ingredienti di pozioni.” La vena di rimprovero nella sua voce
non molto velata.
“Uff hai
ragione…” ammise Francine e si lasciò
cadere il cuscino sopra la faccia con fare rassegnato.
Alla fine avevo
accettato di uscire con Zachary, come consigliato da Matt. Qualche
giorno dopo il mio compleanno, decisi che era arrivato il momento di
replicare alla sua missiva e stabilii l’incontro per la
mattina del 4 luglio a Diagon Alley. Era un modo per conoscerlo meglio
e capire come sarebbero andate le cose.
“Ma proprio
il 4 luglio dovevi scegliere? Fa un caldo infernale!”
Mi girai a guardare la
mia amica con aria infastidita.
“E chi lo
sapeva che avrebbe fatto così caldo? Se l’avessi
saputo avrei rimandato. E non ti azzardare a dire che sono ancora in
tempo!” la precedetti puntandole contro un dito con fare
minaccioso. Le parole le rimasero in gola mentre richiudeva la bocca
con un sospiro. “Lo sai meglio di me che questo è
l’unico modo per chiarire la situazione. Pure io odio il
caldo. Mi fa sudare, i vestiti mi si appiccicano alla pelle e nessun
trucco riesce a restare al suo posto per più di dieci
minuti” dissi sconsolata nel mentre che mi avvicinavo allo
specchio per controllare meglio il viso.
“Secondo me,
dovresti indossare l’abito a fiori che ti hanno regalato per
il compleanno e le scarpe basse. Sarai comoda e il più
fresca possibile. Per il trucco non sarà un problema, non ti
trucchi mai, quindi puoi farne a meno pure ora” Francine si
era messa seduta e stava accarezzando Honey acciambellato sul letto. Di
sicuro pensava che non aveva senso insistere sull’argomento.
Contemplai il vestito,
appoggiandolo sopra di me. Effettivamente aveva ragione, non mi si
sarebbe attaccato addosso ed era così leggero da lasciar
traspirare l’aria.
“Mi hai
convinta! Matthew…” esclamai decisa, girando sui
tacchi e indicando la porta.
“Sissignora,
vado giù con tuo padre, mi farò mostrare qualche
aggeggio babbano” e lasciò la stanza contento come
un bambino.
“Davvero
andrai in Farmacia
a fare scorta? Io ho finito il fegato di ratto…”
pensai, dopo un po', infilandomi l’abito nuovo.
“Ma ti pare?
Quel posto puzza di chimico e di marcio!” rispose disgustata.
“No, andrò da Broomstix
e da Accessori di
Qualità per il Quidditch. Avremmo tutto il
tempo di riempire le scorte prima di tornare a scuola.”
“Secondo te,
tra quanto arriverà la lettera?” domandai,
aggiustandomi una collanina che si abbinava al vestito. Conoscevo la
mia media e sapevo di essere stata ammessa al terzo anno, ma ero
impaziente di vedere l’elenco delle materie facoltative da
scegliere e i nuovi libri di testo. Non ero una secchiona come Matthew,
però mi piaceva andare bene a scuola.
“Mmm, non lo
so…credo la settimana prossima. Hai già iniziato
a fare i compiti?”
Francine si era alzata
e mi stava ispezionando con fare certosino.
“Ho letto
solo il capitolo di Incantesimi. Devo iniziare a darmi da
fare.”
Mi diede una sistemata
alla gonna e disse “Ecco qua, per me sei perfetta!
E…visto che dovrai uscire con un
Prefetto-Perfetto… direi che è
fantastico!”
Mi scappò
una sana risata.
“Dai,
andiamo giù e sentiamo che ne pensano gli altri.”
“Fermatevi,
tutte e due! Mi dite che state complottando?”
Ero appena arrivata a
metà del corridoio quando venni placcata da mia sorella che
mi guardava sospettosamente.
“Niente,
dobbiamo andare a fare spese per la scuola” risposi
angelicamente.
“Sì,
come no” un ghigno malizioso le attraverso la faccia.
“Quindi mi stai dicendo che non ti sei preparata in vista di
un appuntamento con un ragazzo, dico bene?”
Sfortunatamente passai
dieci secondi di orologio ad elaborare una scusa, senza riuscirci, e
non appena abbassai gli occhi con aria colpevole, Vicky si
illuminò raggiante.
“Dai,
entrate dentro, che ti do un’occhiata!”
Entrammo rassegnate.
Victoria si mise a girarmi in torno, un dito le tamburellava il mento e
i suoi occhi mi passavano ai raggi x.
“Devo dire
che avete fatto un buon lavoro: il vestito è semplice, ma
carino, la collana dà quel tocco di eleganza e le scarpe
sono sportive. Un mix giusto” approvò, annuendo.
Lentamente mi guardò negli occhi, un cipiglio allusivo le si
fece strada “Giusto, sì, ma bisogna vedere che
tipo di appunto sarà, per non correre il rischio di essere
fuori luogo.”
‘Che impicciona! Non
può semplicemente lasciarmi andare?’
“È
solo un primo appuntamento. Anzi, una normalissima uscita. Nulla di
galante o di formale” esclamai reticente.
“Bene,
allora questo è il look giusto!”
replicò soddisfatta. Poi corse verso il suo beauty-case ed
estrasse una piccola forcina a forma di cuore. “Ecco,
così ti leghi i ciuffi della frangetta dietro alla
testa” e la sistemò sul capo.
Francine, che era
rimasta tutto il tempo a giocherellare con la sua lunga treccia
domandò se potessimo andare. Victoria ci diede il via libera
e così scendemmo in salotto.
Papà e
Matthew erano intenti a fissare il climatizzatore attaccato alla parete
che, visto il caldo afoso di questi giorni, lavorava ormai a pieno
regime.
“Adesso, se
premi questo pulsante”, ne seguì un click,
“il bocchettone da cui esce l’aria inizia a
sposarsi, vedi?”
Matthew fissava a
bocca aperta il climatizzatore.
“Sì,
lo vedo. Sale e scende da solo, facendo muovere
l’aria.”
Mio papà lo
guardò orgoglioso. A quanto sembrava, aveva preso molto sul
serio il suo ruolo di insegnante improvvisato.
“Esatto. Se
premi ancora il bottone grande, vedrai che si
spegnerà.”
Click.
“È vero, l’ho spento!”
gioì entusiasta il ragazzo.
“Ah ah ah,
bravo Matthew, impari in fretta!” gli assestò
qualche pacca di incoraggiamento sulla schiena. “La prossima
volta potremmo passare a cose più complesse del semplice
premere un pulsante, come la caffettiera elettrica” promise,
strizzandogli l'occhio con fare complice.
Matt
arrossì, imbarazzato “Sì, signor Evans,
mi piacerebbe molto.”
“Ehm
ehm”, mi schiarii la voce per annunciare il mio arrivo,
“noi siamo pronti e vista l’ora dobbiamo
andare.”
Francine stava
combattendo una lotta interiore per evitare di scoppiare a ridere senza
ritegno, ma gli occhi scintillanti fissi su Matt tradivano la scarsa
volontà di reprimere l’impulso. L’amico
se ne accorse all’istante e si affrettò a
riacquistare l’aria composta e pacata di sempre.
“Tesoro, ma
sei bellissima! Fatti vedere bene” si complimentò
mio padre, facendomi fare una piroetta sul posto. Una volta che ebbe
finito, si rivolse a tutti e tre “Dove andrete di
bello?”
“Mah in
giro… Ghirigiro,
Farmacia, Broomstix... il
solito insomma. Probabilmente pranzeremo fuori, quindi non
apparecchiate per me” risposti evasivamente.
Ovviamente i miei
genitori non sapevano nulla della mia uscita con Zachary.
Finché non ci fosse stato veramente qualcosa
da raccontare non aveva senso renderli partecipi.
“Ottimo,
forza, tutti in macchina!” e si diresse a prendere le chiavi
appese vicino alla porta.
Lo guardai perplessa.
“Scusa,
papà, ma non andiamo con la Polvere Volante?”
chiesi indicando il camino.
“No, meglio
di no. Preferisco accompagnarvi io, tanto devo recarmi a Shaftsbury
Avenue in ogni caso per una commissione di lavoro. Poi per tornare
potete prendere i mezzi pubblici, senza che vi infilate in qualche
camino.”
Nonostante la risposta
sembrasse sincera, conoscevo troppo bene mio padre: non mi era sfuggito
il modo in cui aveva distolto lo sguardo prima di parlare. Come avevo
fatto caso pure al fatto che mia madre rimaneva sempre più
spesso al lavoro, andando in ufficio anche di sabato.
I miei amici mi
stavano guardando incuriositi. Decisi di condividere con loro le mie
preoccupazioni una volta giunti a Diagon Alley
“Va bene,
andiamo allora” acconsentii e ci dirigemmo alla macchina.
Diagon Alley era un
rione interamente magico nel cuore di Londra. Oltre che per
Metropolvere e Smaterializzazione, ci si poteva accedere da un vecchio
pub, Il Paiolo Magico,
situato nel pieno quartiere di Soho. Per evitare che qualche Babbano
decidesse di esplorare il locale, il Ministero lo avevo dotato di un
incantesimo di Disillusione, in questo modo qualsiasi persona senza
sangue magico si fosse fermata all’ingresso, avrebbe visto
una vecchia costruzione, chiusa, caduta in disuso, e semmai gli fosse
passato per la testa di lamentarsi con il Sindaco affinché
un tale orrore venisse abbattuto, improvvisamente si ricordava di dover
fare qualcosa di molto importante da non poter essere rimando, tanto da
archiviare l'intera faccenda.
Non che alla vista di
un mago il pub apparisse molto diversamente: la costruzione era in
stile vittoriano, di legno e pietra scura, l’insegna di un
calderone fumante cigolava sopra all’ingresso. Il gestore era
Tom, un signore molto allegro, abituato ad incontrare ed ospitare nelle
camere ai piani superiori i più diversi avventori. Per
accedere a Diagon Alley, bastava superare l’intera sala,
destreggiandosi tra gli innumerevoli tavoli, tutti di forma e
dimensioni diversi; si arrivava al piccolo giardino del retro, dove il
locandiere accatastava le cose inutilizzate, e battendo con la
bacchetta, secondo un certo ordine, sui mattoni dell’unica
parete presente, si apriva un arco che immetteva nella via principale
affiancata dai negozi.
Ed era proprio in quel
posto che io ed i miei amici eravamo appena giunti.
“Dove vi
siete dati appuntamento?” si informò Matthew
guardandosi in giro.
“Davanti Olivander”
risposi nervosamente seguendo lo sguardo di Matt che si perdeva nella
folla.
“Scusa ma te
lo devo chiedere Maddy: da quando non possiamo andare a Diagon Alley da
soli?” Francine era molto perspicace, nonostante il suo lato
esuberante e goliardico.
La guardai
negli occhi.
“Ne parliamo
dopo, sono successe alcune cose strane, in questi giorni.”
‘Tra i quali il Mantello e il mio
incubo ricorrente che si era fatto più tenebroso.’
Ci lanciammo uno
sguardo di intesa tutti e tre. Il nostro legame di amicizia era
talmente forte che in alcuni istanti capivamo al volo i rispettivi
pensieri, senza il bisogno di esternarli.
“Bene,
allora siamo arrivati al punto di svolta!” Francine mi
sorrise allegramente e mi diede una pacca sulla spalla “Forza
leonessa, sii audace, fiera e coraggiosa, proprio come una vera
Grifondoro! Sbranali tutti!”
Ascoltando la frase di
incoraggiamento che era solita usare con me, colsi il coraggio a due
mani e decisi di andare.
“Maddy, ci
troviamo al Paiolo
Magico quando hai finito” Matt mi
salutò con la mano.
Feci un respiro
profondo.
‘Andiamo e vediamo che
succederà.’
L’appuntamento
era alle 10:15 davanti ad Olivander,
il più grande venditore di bacchette del Regno Unito. Ero in
ritardo di cinque minuti quando giunsi all’entrata del
negozio, ma anche Zachary non era ancora arrivato. Scrutai la folla
errante, cercandolo, il che risultava molto difficile visto
l’enorme quantità di gente che stava affollando
Main Street. Maghi e streghe con tuniche colorate e cappelli
appariscenti si mescolavano fra di loro, neppure il caldo li aveva
scoraggiati dal fare shopping, andare in banca o gustarsi una bevenda
in compagnia. Ovviamente per loro il problema del caldo era relativo,
bastava un incantesimo Frescafrescura per trovare refrigerio.
“Ehi, ciao
Madison.”
Una voce maschile alla
mia destra attirò la mia attenzione.
Zachary era arrivato,
i capelli corvini ordinati, polo blu elettrico, pantaloni bianchi fino
al ginocchio e scarpe basse.
“Ciao,
Zachary.”
All’improvviso
tutta la storia della leonessa mi sembrò una stupidaggine
colossale e non riuscii a dire null’altro.
Lui dovette
accorgersene perché subito interruppe quel silenzio.
“Scusa, ho
fatto un po’ tardi, sai la Metropolvere era intasata a causa
del traffico ed ora me ne spiego la ragione” sorrise
accennando alla folla che ci passava accanto.
Colsi la battuta e mi
sciolsi un po’.
“Già,
anche io ho fatto tardi, ma sono arrivata attraverso
l’entrata Babbana. Mi ha accompagnato mio padre, visto che
passava per Soho.”
Mi dispensò
un altro sorriso, ma questa volta era di gratitudine per aver rotto il
ghiaccio.
“Dove
vogliamo andare?”, chiese educatamente, “Vuoi
vedere qualche negozio in particolare?”
Ci pensai su un
istante.
“Vorrei
passare al Serraglio
Stregato a prenderei dei Biscottini Felini per il mio
gatto, ne va pazzo.”
“E Serraglio Stregato
sia” Approvò Zachary.
Il Serraglio Stregato
il negozio di animali magici e, per me, il più interessante
dell’intera Diagon Alley. Si poteva trovare qualsiasi tipo di
animale: topi salterini, che giocavano a saltare la corda usando la
propria coda, rospi viola, gatti di ogni genere, lumache velenose e
pure un coniglio bianco che si divertiva a trasformarsi in un cilindro.
L’intero locale era piuttosto angusto e rumoroso per via
delle gabbie che arrivavano fino al soffitto e dei loro occupanti
chiassosi.
La tappa successiva fu
la libreria Il Ghirigoro.
Passando davanti alle vetrine ci fermammo istintivamente per
controllare se fossero arrivati nuovi libri. Appena ce ne accorgemmo
ridemmo per la medesima abitudine. Il negozio era suddiviso in due
piani, tutti riempiti di scaffali e pile di volumi pericolanti. Era il
paradiso di ogni lettore: libri grossi come lastroni di pietra o
piccoli come un francobollo, pieni di simboli strani ed indecifrabili
oppure con le pagine completamente vuote, foderati in pelle o in seta.
Un poster campeggiava vicino all’ingresso e sponsorizzata il
nuovo volume Il Libro
Invisibile sull’Invisibilità. Dato
che entrambi eravamo curiosi di vederlo, Zachary domandò al
commesso se si potevamo consultarne una copia.
“Purtroppo
non riusciamo a trovare neanche un singolo volume! Ce ne hanno
consegnato un’intera cassa e una volta aperta non siamo
riusciti a trovare i libri invisibili” rispose amareggiato il
dipendente. “E si che li abbiamo pagati diversi Galeoni. Mi
sa che non è stato un buon affare.”
Non vidi i miei amici
in nessun negozio, ma la cosa non mi dispiacque, ero in buona compagnia.
Abbastanza provati dal
caldo afoso che imperversava e data l’ora di pranzo,
decidemmo di dirigerci alla Gelateria
di Florian Fortebraccio. Il posto era piuttosto affollato,
a quanto pareva molti avevano avuto la nostra idea, tuttavia riuscimmo
a trovare un tavolino per noi.
“Finalmente,
non ce la facevo più” sbuffai stancamente,
passandomi una mano sulla fronte.
“Hai
ragione, in questi giorni il caldo si è fatto più
intenso. Ho sentito che non raggiungevamo queste temperature da quasi
quindici anni” concordò Zachary.
“Meglio
prendere qualcosa di fresco che ci tiri su” dissi
allegramente.
Ordinammo due coppe
gelato: io una esplosione di frutta (la frutta esplodeva veramente una
volta in bocca) e Zachary un assortimento di creme varie.
Dopo averne mangiato
qualche boccone, iniziammo a parlare inevitabilmente di Hogwarts.
“I risultati
dei miei GUFO dovrebbero arrivare a breve, questioni di giorni. Se
avrò ottenuto un Eccezionale in Antiche Rune farò
richiesta alla professoressa Babbling di diventare il suo
assistente” mi spiegò con tono professionale.
“Certo, dovrò conciliare questo nuovo impegno, con
lo studio, il lavoro di Prefetto e qualche club che ancora non ho
scelto.”
“Che lavoro
vorresti fare?” chiesi curiosa e una piccola parte di me
sperò che non fosse il Ministro.
“Mi
piacerebbe lavorare nel settore di mio padre: Ufficio di Cooperazione
Magica Internazionale, settore Commercio Internazionale.
Sarà molto difficile però… al
tirocinio accettano solo studenti con MAGO in Storia della Magia,
Antiche Rune, Aritmanzia, Pozioni ed Incantesimi.”
Il suo sguardo si
rabbuiò leggermente e si chiuse in un silenzio riflessivo.
“Sei un
ragazzo sveglio, hai ottimi voti, sono sicura che ce la
farai” gli sorrisi incoraggiante e lui
contraccambiò.
Volle sapere delle mie
aspirazioni, la materia che preferivo e quella in cui riuscivo meno.
L’ultima domanda era facile: l’insegnamento in cui
eccellevo di meno era Pozioni, non tanto a causa mia, ma per colpa del
professore. Il professor Piton, alto, magro e con una cortina di uniti
capelli neri, era in grado di mettere in soggezione tutti gli alunni
con i suoi modi superbi e freddi, in più essendo, essendo
responsabile della Casa di Serpeverde, non perdeva occasione per
premiare gli studenti che vi appartenevano, divertendosi a togliere
punti alle Case restanti. Soprattutto a Grifondoro.
D’altro
canto adoravo Difesa Contro le Arti Oscure. Il professor Lupin era un
vecchio amico di famiglia, aveva frequentato Hogwarts insieme a mia
madre, con il suo animo gentile e ben disposto riusciva a far
apprendere una materia così complicata in modo divertente ed
inusuale, diversa dalla classica lezione frontale. Pure Trasfigurazione
mi interessava, ma la professoressa McGranitt non indorava la pillola:
la Trasfigurazione era pericolosa e doveva essere affrontata seriamente
e professionalmente. Lei era la rappresentante della mia Casa, ma, a
differenza di Piton, non faceva preferenze e non esisteva togliere
punti ai Grifondoro se lo riteneva opportuno.
Per quanto riguardava
le mie aspirazioni, la faccenda era complicata. Non avevo
un’idea precisa di cosa volessi diventare, ero ancora aperta
a tutte le opportunità che si potevano presentare, ma dentro
di me cominciavo ad accarezzare l’idea di diventare un Auror.
Gli Auror erano un corpo speciale di maghi scelti del Ministero, il
loro compito consisteva nel dare la caccia e catturare i maghi oscuri,
seguaci di Grindelwald: i Mangiamorte. Nonostante fossero passati quasi
vent’anni anni dalla caduta del Signore Oscuro, molti maghi
gli rimanevano fedeli, confidando in un suo ritorno. La maggior parte
dei Mangiamorte furono spediti ad Azkaban nel giro di pochi anni, alcuni
si nascosero o fuggirono all’estero, questo destino era
riservato per lo più a famiglie Purosangue di rango minore.
Le Casate più antiche e ricche che ebbero un importante
ruolo decisionale e logistico durante gli Anni Bui, trovarono la
salvezza dichiarando di essere sotto la Maledizione Imperius e di non
eseguire gli ordini per loro volere, ottenendo così una
seconda possibilità. Come ripeteva sempre mia nonna:
dovevano la loro libertà solo alle loro amicizie strette con
membri molto influenti del Ministero.
I Mangiamorte erano
una setta molto chiusa e consentivano l’ingresso solo a
persone Purosangue da tante generazioni, ciò per prevenire
l’ingresso di eventuali spie Auror. Una volta ucciso e
torturato un numero sufficiente di Babbani, si veniva marchiati
nell’ avanbraccio sinistro con il Marchio Nero, il simbolo di
Grindewald: un teschio con un serpente attorcigliato che gli esce dalla
bocca. Il Marchio Nero serviva al Mago Oscuro per contattare i suoi
seguaci, ovunque fossero, bastava che toccasse il suo simbolo
affinché quello di tutti cominciasse a bruciare, facendosi
più nero e definito. Dopo aver svolto il compito che gli
veniva assegnato, i Mangiamorte proiettavano il Marchio Nero nel cielo,
ad indicare che la morte aveva appena trovato un’altra
vittima. Anche uccidere i Nati Babbani e i Mezzosangue era motivo di
stima, essendo considerati traditori del loro sangue.
Oggigiorno essere
Auror non era pericoloso come allora, ma di sicuro non poteva
considerarsi un lavoro indenne da rischi.
Finito il gelato,
riprendemmo la passeggiata, fino ad arrivare da Wiseacre Equipaggiamento Magico.
Il negozio vendeva tutti gli oggetti magici inventati fino ad allora.
La vetrina era affollata da visitatori incuriositi che fissavano i vari
strumenti a bocca aperta additandoli.
La mia attenzione fu
attirata da un oggetto piccolo, simile ad una trottola, ma tutta di
vetro, che stava girando all’impazzata e sibilava
sonoramente. Avvicinai la faccia alla vetrina e domandai
“Zach, sai cos’è?”
Il ragazzo si fece
più vicino per vedere meglio, ma la voce maschile che mi
rispose non fu la sua.
“È
uno Spioscopio tascabile.”
Mi alzai, curiosa di
vedere chi stesse parlando. L’interlocutore era un ragazzo
alto, slanciato, aperto di spalle, capelli biondo scuro, pelle candida
e freddi occhi grigi. Il suo viso non mi era nuovo, ma non riuscivo a
ricordare chi fosse.
“Un Detector
Oscuro che dovrebbe rivelare quando qualcuno nelle vicinanze ha cattive
intenzioni.” Proseguì con il tono lento e
distaccato di prima, fissandomi con aria superiore. “Ma da
come gira impazzito, direi che è rotto.”
“Ciao,
Gherin” anche Zachary si era voltato e lo stava osservando
con una fredda espressione.
“Cohen”
salutò il ragazzo rivolgendo lo sguardo verso Zach
“Stiamo facendo shopping?” e un ghigno obliquo gli
attraverso il viso, quasi sarcastico.
“Pressappoco”
rispose lapidario. “Te, invece? Come mai sei qui?”
“Pressappoco
per il tuo motivo, diciamo così. Adesso devo andare, buona
passeggiata, Cohen” e prima di incamminarsi mi
lanciò un’ultima rapida occhiata.
Il forestiero era
ormai sparito tra la folla, ma Zach continuava a guardare fisso nella
sua direzione.
“È
un tuo amico?” domandai incerta.
Finalmente si decise a
volgere l’attenzione su di me.
“No, siamo
solo compagni di classe.”
Dalla risposta secca,
capii al volo che non ne voleva più parlare.
Evidentemente si
accorse di essere stato troppo brusco perché mi
regalò un altro dei suoi sorrisi cordiali e disse
“Forza, continuiamo il giro.”
Erano quasi le 17
quando decidemmo di salutarci.
“Eccoci
qua” disse.
Eravamo in piedi, uno
di fronte all’altra.
Il ragazzo prese di
nuovo la parola.
“Maddy, non
te l’ho detto prima, ma stai molto bene vestita
così. Sei veramente carina.”
Subito sentii le
guance farsi più rosse e non riuscì
più a reggere il suo sguardo.
“Grazie, sei
gentile, Zach” biascicai fissando un punto imprecisato della
sua polo.
All’improvviso
ci fu un movimento inaspettato. Allungò il braccio e mi
prese delicatamente la mano. Istintivamente tornai a fissarlo, stupita.
I miei occhi azzurro-grigio incontrarono i suoi nocciola e sostennero
lo sguardo.
“Sai, prima
di trovare il coraggio di parlarti, quel giorno in Biblioteca, ho
passato diverso tempo ad osservarti, senza mai decidermi di fare la
prima mossa. Ora me ne pento amaramente. Il tempo che abbiamo passato
assieme ad Hogwarts lo scorso anno è stato poco,
così mi piacerebbe rimediare e iniziare a frequentarci
più spesso, se sei d’accordo.”
Il modo in cui lo
disse, senza tradire nessuna insicurezza, mi fece capire che si era
preparato il discorso prima del nostro incontro.
Stava aspettando una
risposta.
“Zach, quel
poco tempo trascorso insieme è stato piacevole anche per me,
ma non mi sento di impegnarmi in qualcosa di più.
Insomma…non ci conosciamo così
bene…” cercai di essere diplomatica come lo era
stato lui, ma mentre parlavo mi resi conto che l’effetto non
era lo stesso.
Il ragazzo
annuì, comprensivo.
“Certo, non
ti sto chiedendo niente di impegnativo. Pensaci, va bene? Approfitta di
queste settimane prima dell’inizio della scuola per
riflettere. Una volta tornati ad Hogwarts avremmo modo di passare molto
tempo insieme e vorrei che le cose fossero già definite tra
noi due.”
“Lo
farò” promisi. “Grazie della bella
giornata, sono stata bene.”
Si avvicinò
e mi scocco un bacio sulla guancia.
“Anche io,
Madison.”
“Eccola la
nostra leonessa, tornata vincitrice!”
Francine accolse
così il mio arrivo al Paiolo
Magico. Lei e Matthew erano pieni di buste e stavano
bevendo qualcosa che avevano ordinato.
“Vuoi
l’Acquaviola di Francine o la mia Lemonsoda?”
offrì Matt.
“Lemonsoda?”
domandai divertita mentre prendevo posto nel loro tavolo.
“Si, dato
che Tom serve anche bevande Babbane ho deciso si assaggiare questa. Non
è male”, rispose facendo schioccare la bocca in
segno di approvazione.
“Prenderò
un po' di Acquaviola.”
“Allora, non
farti pregare: sputa il rospo!” esclamò Francine
mentre mi passava il bicchiere.
Bevetti un sorso e
raccontai la giornata.
“Non
è andata male. Abbiamo passato delle ore rilassanti, caldo a
parte. Abbiamo visitato qualche negozio e pranzato da Florian Fortebraccio.”
Il viso lentigginoso
di Matthew si fece avanti con un sorriso malizioso “Tutti
qui? Non è successo niente?”
“Solo che
vorrebbe qualcosa di più, una volta tornati ad
Hogwarts” lo dissi con una mezza smorfia poco convinta.
“Ho detto che ci devo pensare perché non voglio
nulla di serio.”
Francine svuoto in
sorso il resto della bibita. “Non c’è
molto da pensare: o ti piace o non ti piace.”
“Grazie,
Sherlock” la schernì “Ma non
è così semplice. È un bravo ragazzo,
preferisco conoscerlo di più prima di
sbilanciarmi.”
Rimanemmo tutti e tre
in silenzio, pensierosi.
“Comunque,
prima di andare a casa, vorrei parlarvi di una cosa strana che mi sta
capitando.” Enunciai dopo un minuto.
I miei amici mi
guardarono concentrati.
“Ha a che
fare con il passaggio di tuo padre?” si informo Matthew.
“Non lo so
con certezza, ma credo che le due cose possano essere
collegate.”
Fu così che
gli raccontai dell’incubo misterioso che da due anni
tormentava le mie notti, di come questo si fosse evoluto una volta
ricevuto il Mantello di nonno Edgar e del lavoro supplementare che
teneva sempre di più impegnata mia madre al Ministero.
La prima a commentare
tutte le informazioni fu Francine.
“I Mantelli
invisibili non sono rari, anche Wiseacre
li vende. Certo, costano 50 Galeoni, ma forse tuo nonno ha potuto
permetterselo in gioventù.”
“Quei
mantelli sono giocattoli,
roba da quattro soldi per spennare i creduloni. Non ti rendono
invisibile per davvero, hanno un Incantesimo di Disillusione o una
Fattura Abbacinante oppure sono intessuti di lana da Camuflone, dopo
qualche anno l’incantesimo tende a sbiadire fino a consumarsi
completamente e il tessuto diventa grigio” la corresse lui,
aggrottando la fronte concentrato. “Qua stiamo parlando di un
mantello che per ha conservato la capacità di rendere
invisibili le persone, per arco di tempo indefinito. È magia
complessa. Molto
complessa. Non ne avevo mai sentito parlare prima
d’ora.”
La faccenda stava
prendendo una piega che non mi piaceva.
“Veramente
non ho ancora provato il mantello… non so se è
ancora in grado di rendere invisibile” provai a
ridimensionare la cosa.
I verdi occhi di Matt
mandarono un bagliore infervorato.
“L’unica
cosa per capirlo è provarlo. Questa sera te lo metti e vedi
che succede”. Vedendo la mia espressione preoccupata si
affrettò a rassicurami “Stai tranquilla, non ti
capiterà niente di strano. Se è un mantello
giocattolo, solo alcune parti di te non saranno visibili. Se
è vero, basterà che te lo tolga per apparire di
nuovo. Non avrai nessun effetto collaterale.”
“Va bene. Vi
manderò Hermes per farvi sapere” annuì.
“Perché
non ce lo hai detto prima di questo mantello? Perché non ne
hai parlato alla festa di compleanno?” il tono di Francine
era triste, quasi fosse delusa per essere stata esclusa.
“Ero
spaventata. Non sapevo cosa significasse. Volevo solo del tempo per
rimettere ordine nelle mie idee” presi le mani di entrambi
tra le mie “Non volevo escludervi. Ne abbiamo passate tante
insieme e l’istinto mi dice che ne passeremo molte altre
ancora” sorrisi. Gli volevo davvero bene.
Matthew riprese la
parola.
“Per il
comportamento strano di tua madre e tuo padre, l’unica cosa
è stare all’erta. Non mi è sfuggito che
la Gazzetta del Profeta
ultimamente riporta casi di incarcerazione ad Azkaban sempre
più spesso. I miei genitori non mi dicono nulla di
particolare di ciò che succede nei loro uffici, al
Ministero” ci guardò una ad una “Francy,
prova a sentire se tuo padre fa menzione di attacchi contro i Babbani,
anche se non diretti, tipo manomettere oggetti di uso comune che
feriscano gravemente i malcapitati.”
“D’accordo.”
“Maddy,
prova il mantello e controlla altri comportamenti sospetti.”
Annuì
silenziosa.
“Io
farò lo stesso e controllerò quotidianamente il
giornale.”
Fu con questo discorso
serio, carico di presagi, che ci salutammo diretti ognuno a casa
propria.
Come era prevedibile,
mamma non era ancora arrivata quando varcai l'ingresso di casa.
Victoria e
papà erano dietro ai fornelli, intenti a la preparare la
cena.
“Madison, la
cena è quasi pronta.”
“Ok,
papà, salgo un attimo a cambiarmi e arrivo.”
Non vedevo
l’ora di provare il Mantello e chiudere la faccenda.
Il Mantello giocava
dentro al baule di scuola, nascosto sotto a qualche pergamena. Lo
raccolsi ed ebbi la medesima sensazione di quando lo toccai la prima
volta: aria liquida. Il che è strano a dirsi, non potendo
toccare l’aria, ma la consistenza leggera e liscia la
richiamava alla mente.
Mi posizionai davanti
allo specchio. I miei occhi azzurro-grigi esprimevano tutta la
determinazione che avevo in corpo.
‘Avanti, allora. Uno, due e tre.’
Alla fine del
conteggio me lo gettai sulle spalle e rimasi sbigottita. Riflesso sullo
specchio c’era la mia testa che, apparentemente, galleggiava
nel vuoto.
Repentinamente, senza
pensare a nulla, tirai su il cappuccio sopra alla nuca. Adesso ero
sparita del tutto.
“Accidenti…”
boccheggiai stralunata.
Quasi mi prese un
colpo quando la voce di mio padre risuonò su per le scale,
fino in camera mia.
“Maddy,
è pronto, vieni a tavola!”
“S-sì,
papà…arrivò!” urlai in
risposta.
Avevo cercato di
togliermi il Mantello talmente di scatto, per paura che qualcuno mi
vedesse, o meglio non
mi vedesse, che rimasi aggrovigliata. Dopo una breve lotta, ebbi la
meglio e lo riposi al sicuro nel baule.
Vista l’ora
e per non far insospettire nessuno, decisi di scrivere dopo cena ai
miei amici per comunicare la strabiliante notizia.
La cena
passò tranquilla. Mentre mio padre era intento a prendere
l’arrosto, Victoria mi aveva sussurrato
all’orecchio di passare poi in camera sua per sapere
com’era andata l’appuntamento.
Alla fine mia madre
arrivò giusto in tempo per il contorno.
“Mi
dispiacere tanto per non essere arrivata prima, ma avevo tanto di quel
lavoro da sbrigare in ufficio” si scusò, mentre si
toglieva la fuliggine dal vestito.
“Che cosa ti
ha trattenuto?” domandò Vicky.
“Ah le
solite cose, impiegati svogliati, buontemponi che si divertono ad
incantare gli idranti, qualche disputa per un tappeto volante non a
norma. Nulla di interessante” rispose sedendosi a tavola,
servendosi dell’arrosto ormai diventato freddo, e provvide a
scaldare con un getto di aria calda dalla bacchetta.
Chissà
perché in quei giorni la frase ‘nulla di
interessante’ sembra tutto fuorché non
interessante.
Appena arrivai in
camera mia, spalancai immediatamente la finestra per chiamare Hermes,
appollaiato sull’albero del giardino, e fu una fortuna visto
che una pallina piumata si precipitò a tutta
velocità dentro la stanza. Era Piuma, e quella che reggeva
tra le zampe era una lettera di Matthew.
Maddy,
appena
sono arrivato a casa mia madre mi ha raccomandato di non usare nessun
mezzo di trasporto magico. Non è stata molto loquace, ma ha
detto che è per precauzione per alcuni disfunzioni dovuti al
servizio. Mi raccomando, finché non ne sapremo di
più, non usare Metropolvere e Passaporte che non siano state
autorizzate prima da tua madre e non viaggiare da sola.
Teniamoci
aggiornati.
Matthew
Fissai il foglietto,
assorbendo l’impatto di quelle poche frasi. Sua madre era la
responsabile dell’Ufficio del Trasporto Magico, non avrebbe
dato un falso allarme a suo figlio.
Non c’era un
minuto da perdere. Non potevano essere tutte strane coincidenze.
Raccolsi un pezzo di
pergamena, lo strappai in due, e scrissi due brevi messaggi identici: ‘Ho provato il
Mantello. Funziona alla perfezione. Non ci sono buchi o scuciture.’
In quello per Matt aggiunsi se poteva informarsi meglio informarsi
meglio sulla natura del Mantello dell’Invisibilità.
Attaccai le missive ad
Hermes e Piuma, che nel frattempo mi aveva aspettato senza fare rumore,
e li guardai volare lontano.
Poco dopo, mi buttai a
pancia all’aria sul letto, le braccia distese.
‘Uff, che sta succedendo?’
Quasi come se Honey mi
avesse letto nel pensiero, si avvicinò facendo le fusa e
strusciò il musetto sul mio viso. Rimasi a coccolarlo
qualche minuto, giovando dell’effetto rilassante che il suo
pelo morbido mi dava.
“Dai,
vecchio mio, vado a farmi un bagno per togliermi di dosso le ultime
preoccupazioni” lo informai dandogli un buffetto sulla testa.
Uscita in corridoio
vidi la camera di Vicky, vuota, di sicuro era andata dai suoi amici, e
notai il famigliare bagliore provenire dal fondo delle scale, segno che
il caminetto era accesso.
Mi bloccai di colpo.
‘Cosa…il caminetto
è acceso?’
In una frazione di
secondo capii che qualcosa non andava. Chi accendeva il camino in piena
estate? Se vivevi in una famiglia di maghi, questo poteva significare
una cosa sola: avevamo visite. Dovevo scendere a controllare, se questo
qualcuno era disposto ad utilizzare la Polvere Volante nonostante il disservizio di cui
parlava la signora Leary, doveva avere un buon motivo.
Depositai il pigiama e
il mio cambio in bagno, facendo attenzione a non fare rumore. Vagliai
l’ipotesi di ricorrere al Mantello per spiare in
tranquillità, ma scartai subito l’idea.
Checchè ne dicesse Matthew, non mi fidavo di un potere
talmente grande, preferivo conducesse qualche indagine approfondita
prima.
Con
nient’altro che la mia paura di essere scoperta e una grande
forza di volontà di scoprire cosa c’era sotto a
tutto ciò, cominciai a scende le scale, il cuore che mi
rimbalzava nel petto.
“È
così, Mary! I segnali ci sono tutti: il caldo anomalo, gli
strani incidenti minimizzati, le famiglie che preferiscono emigrare,
tutti questi arresti... Solo uno sciocco non se ne renderebbe conto.
Non sono venuta fin qui, infrangendo il coprifuoco della Metropolvere,
solo per delle astratte congetture!”
“Non lo so,
Patty… oggi sono stato in centro per accompagnare Madison a
Diagon Alley e non ho visto nulla di strano…”
“Non
c’è da stupirsi! I Babbani sono sempre gli ultimi
a capire cosa sta succedendo! Abbiamo intere squadre di Obliviatori che
se ne assicurano. Mary, pure te hai detto che il tuo ufficio
è sommerso di lavoro e sappiamo tutti e tre che i tappeti
volanti importati di contrabbando c'entrano ben poco!”
“Shhh
abbassa la voce, mamma, Madison è in camera sua, non voglio
che ti senta.”
Ci fu una pausa.
“Sì,
attualmente gli Auror stanno lavorando il doppio del normale e i casi
per uso improprio della magia crescono proporzionalmente. Ma
è già successo in passato, sono focolai destinati
a spegnersi...”
“Quando
è già successo, Mary?! Quando?! Non lasciare che
la tua paura ti renda cieca!”
“Su, su,
Patty, manteniamo tutti la calma d’accordo? Mary ha ragione,
ci sono stati diversi episodi isolati. Basta chiedere a Donald Parcker
e ti confermerà che molti maghi fanno scherzi ai Babbani.
Sono goliardie, di cattivo gusto, certo, ma nulla di
preoccupante.”
“Non sto
parlando di stupidi scherzi fatti da maghi perditempo! Sto parlando di
attentati veri e propri camuffati da burle! Sto parlando di decine di
persone condannate dal Wizengamot intero a marcire ad Azkaban! Nessuno
finisce ad Azakban per aver stregato un tostapane affinché
insegua il proprietario!”
Nessuno
parlò per qualche momento.
“Lo sapete
bene, tutti e due. Mi sto riferendo agli eventi di sedici anni fa, di
quando si sparse la voce che era nata la secondogenita Evans.
L’eterna lotta del bene contro il male giunse ad un punto di
svolta cruciale, in nome di quella piccina che non poteva comprendere
il peso dell’eredità che le gravava sulle fragili
spalle. Tutto si concluse come ben sappiamo… grazie al
sacrificio di mio marito… Ma adesso è diverso,
Madison è grande, non le si può tenere nascosto
tutto senza che se ne accorga e le voci di un’ombra oscura
che si aggira nei Paesi dell’Est Europa, non è da
sottovalutare. Proteggetela finché potete, ma non lasciate
che la vostra preoccupazione di genitori vi ottenebri il raziocinio.
Qualcosa si sta muovendo e quando arriverà
porterà con sé la tempesta.”
Un crepitio del fuoco
rivelò che la visitatrice aveva lasciato la casa.
Mi accorsi solo in
quell’istante che stavo trattenendo il fiato. Inspirai e
espirai, rimanendo seduta per terra con la schiena appoggiata al muro,
aspettando che le mani smettessero di tremare.
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