Inori ~ la preghiera dell'amore

di Echocide
(/viewuser.php?uid=925448)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.212 (Fidipù)
Note: E sì, eccomi qua con una nuova storia dall'atmosfera decisamente allegra (sì, sono altamente ironica, sì.). Scherzi a parte, questa è una storia inspirata all'ultimo lavoro di ceejles che, a sua volta, è inspirato a Romeo X Juliet (e sì, il titolo l'ho rubato alla opening dell'anime, altrimenti non avrei saputo come chiamare questa storia, se non Marinette X Adrien, quindi...) e quindi...
Beh, non aspettatevi niente di allegro (o, almeno, io ci provo a scrivere qualcosa di triste e ricco di pathos).
Detto questo, vi lascio immediatamente al capitolo, ringraziando chiunque commenterà e/o inserirà questa storia in una delle sue liste.
Grazie grazie grazie.
E buona lettura!



Due famiglie, nobili del pari, nella bella Verona,
ove è la scena, per antica rivalità, rompono in una nuova lite
e il sangue dei cittadini imbratta le mani dei cittadini.
Dai lombi fatali di questi due nemici
toglie vita una coppia d'amanti avventurati,
nati sotto maligna stella,
le cui pietose vicende seppelliscono,
mediante la lor morte,
la guerra d'odio dei loro genitori.
[Intro – Romeo e Giulietta]



Il rumore delle spade giungeva fino alla stanza patronale, assieme all’odore acre del fumo: Sabine si strinse nella cappa rossa, che il marito le aveva messo amorevolmente sulle spalle, quando si era alzato ed era uscito dalla camera; la balia stava cullando la sua bambina, il cui pianto sommesso si univa ai suoni della battaglia.
Cosa stava succedendo?
Perché Tom non tornava?
«Mia signora…» mormorò la donna, allungandole timidamente la piccola, avvolta nella copertina cremisi e il cui volto era rigato dalle lacrime: «Forse, stare fra le braccia della madre calmerà Marinette.»
«Sì, grazie.» bisbigliò la donna, prendendola la figlia e stringendola forte contro il seno generoso: «Tua figlia dov’è, Marlena?» domandò, ricordandosi solo in quel momento che anche la balia aveva una bambina, di qualche mese più grande della sua Marinette: «E tuo marito? Oh, Marlena…»
«Mia signora, si calmi.» mormorò Marlena, posandole timidamente le mani sulle spalle e sorridendo dolcemente: «La mia Alya è da mia madre, giù a Paris, mentre mio marito…» si fermò, voltandosi verso la pesante porta che le separava dall’inferno che c’era fuori e scosse il capo: «Prego che la nostra Protettrice lo protegga, come proteggerà sempre chiunque appartiene ai Dupain.»
Sabine annuì, posando le labbra sul capino scuro della bambina: «Che la nostra Protettrice vegli su chiunque stanotte.» dichiarò, inspirando profondamente e stringendo la figlia contro di sé, quando il rumore di passi pesanti le giunse alle orecchie.
Chi poteva essere arrivato fin lassù?
Chi…
Aumentò maggiormente la presa sul fagotto che teneva fra le braccia, mentre Marlena le si parava davanti, pronta a proteggerla da chiunque avesse varcato la soglia della stanza; la pesante maniglia di ottone si girò e la figura imponente di Tom Dupain, patriarca di una delle tre famiglie più importanti di Paris, fece il suo ingresso: l’uomo entrò con la giubba e i pantaloni sporchi di sangue, la spada ben salda nella mano destra; si guardò un attimo attorno e, infine, posò lo sguardo sulla moglie e la serva: «Dobbiamo scappare, Sabine.» dichiarò spiccio, scuotendo con quelle poche parole le due donne: «Ora.»
Marlena annuì e recuperò un mantello, mettendolo sulle spalle della sua signora e sospingendola verso l’esterno della camera; Sabine si fece guidare fuori, ascoltando il clangore delle spade e le urla degli uomini, che giungevano dai piani inferiori: «Tom, cosa sta succedendo?» domandò, osservando la figura del marito davanti a lei: «Chi…»
«Gabriel Agreste.» un nome, pronunciato con odio, uscì dalle labbra di Tom: «Ci ha attaccato.»
«Ma perché? Gli Agreste…»
«Non lo so, Sabine. L’unica cosa che so è che metterò in salvo nostra figlia e te.» dichiarò l’uomo, voltandosi e allungando una mano, carezzando la guancia della moglie: «Non permetterò che ti succeda niente. Che non vi succeda niente.»
Sabine annuì, tirando su con il naso e impedendosi di piangere: doveva dimostrarsi forte, come signora dei Dupain e moglie di Tom; un sorriso piegò le labbra del marito e, voltandosi in avanti, riprese la sua marcia fino alle scale, che conducevano al piano inferiore, dove l’inferno si era scatenato: «Aspettate qui.» ordinò l’uomo, indicando alle due donne una rientranza del muro poi, spada alla mano, scese velocemente i gradini.
Sabine e Marlena rimasero in silenzio, timorose di venire scoperte da un soldato nemico o che la piccola potesse da un momento all’altro iniziare a piangere, ma Marinette con i grandi occhioni celesti si guardava attorno seria, quasi conscia che non doveva assolutamente fare nessun rumore: «E’ una bambina intelligente.» bisbigliò la balia, carezzando il capino nero e sobbalzando al rumore di passi, che anticiparono la venuta di Tom.
«La via è libera.» dichiarò l’uomo, tenendo una mano sul fianco e sorridendo alle due donne: «Dovremmo prendere il passaggio che porta alla cucina.»
Marlena annuì, seguendo il suo signore giù per le scale e subito imitata da Sabine: il sangue sulle vesti di Tom era aumentato, segno che aveva dovuto uccidere o ferire altri soldati per permettere a tutti loro di uscirne illesi; con la spada insanguinata, quell’immagine di Tom cozzava con l’uomo dolce e gentile che lei aveva in mente.
Il buon signore, amato dai paesani di Paris, dalla risata sempre pronta e dal cuore gentile.
Perché? Perché Gabriel Agreste aveva costretto un uomo come lui a combattere e uccidere per proteggere la sua famiglia?
Cosa voleva Gabriel Agreste?
«Di qua, mia signora.» la voce di Marlena la riscosse, mentre la donna le indicava una direzione alla fine delle scale e Sabine si affrettò sugli ultimi gradini, trattenendo il respiro e osservando la morte presente nel corridoio: quelle mura dove i bambini si rincorrevano e le sguattere chiacchieravano allegre, adesso erano disseminate di cadaveri.
«Oh mio…»
«Dammi Marinette, Sabine.» le ordinò Tom, allungando le mani e prendendo la piccola dalle braccia della madre, tenendola contro il petto muscoloso e sorridendo alla piccola, mentre avanzava a passo deciso nella prima stanza del piano: «Marlena, il passaggio.» comandò, voltandosi un attimo verso la balia che, alacremente, entrò nella camera e si avvicinò alla porta nascosta nel muro, tornando poi da Sabine e sospingendola verso l’ingresso del passaggio.
Tom annuì, tornando a osservare la figlia e sorridendole dolcemente: «Ho sempre pensato che saresti diventata una fanciulla bellissima, sai? Hai preso così tanto da tua madre e niente da me, ma di questo sono grato: tua madre è bellissima, mentre io no.» dichiarò, avvicinando le labbra al capo della figlia e baciandolo: «Avrei tanto voluto vederti crescere, Marinette. Vedere la donna che diventerai, ma ciò non mi è concesso…»
«Tom?»
«Proteggi tua madre. Sempre.» L’uomo sorrise mestamente, avvicinandosi all’entrata e osservando la moglie: «Ti amo, Sabine.» dichiarò, passando la figlia alla donna e, una volta che questa l’ebbe presa fra le braccia, allungò una mano, carezzandole il volto: «Fin dalla prima volta che ti ho vista, ti ho amata mia Sabine.»
«Tom, cosa…»
«Marlena, proteggi mia moglie e mia figlia. Io te le affido.»
«Mio signore?»
Tom inspirò profondamente, sospingendo le due donne dentro e chiudendo la porta del passaggio, addossandosi poi contro: «Che la nostra Protettrice vi protegga.» dichiarò, ascoltando i rumori dietro di sé e voltandosi, con lo sguardo carico d’odio, mentre il suo nemico entrava nella stanza: alto ed elegante, Gabriel Agreste non sembrava uscito da un massacro: «Perché, Gabriel?» domandò Tom, osservando i soldati dell’uomo circondarlo: «Le nostre famiglie erano in pace, Gabriel. Perché?»
Tom inspirò profondamente, mentre l’altro uomo rimaneva in uno stoico silenzio e osservò i soldati nemici caricare contro: combatté, fermando gli assalti dei nemici, bloccando ed evitando i fendenti che giungevano da ogni dove, ma le ferite che aveva riportato, mentre combatteva per la sua vita e quella della sua famiglia, furono svantaggio; presto cadde in ginocchio e la spada di un soldato, lo trafisse inesorabile: «Pe…per…ché…Ga…ga…briel?» mormorò, mentre si accasciava a terra, la lama infilzata nello stomaco e lo sguardo carico di odio e domanda: «Per…»
Gabriel Agreste osservò la vita abbandonare Tom Dupain: mentre l’imponente figura crollava a terra e il sangue macchiava il pavimento,  lo sguardo indirizzato verso di lui, una mano allungata e quella domanda ferma fra le labbra.
Perché? Perché stava facendo tutto quello? Perché…
«Perché è l’unico modo per riavere ciò che ho perso, Tom.» mormorò all’uomo senza vita, voltandosi e uscendo dalla stanza: «Uccideteli tutti. Uccidete ogni Dupain. A Paris non deve rimanerne nessuno.»

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.212 (Fidipù)
Note: Finalmente, dopo eoni, riesco ad aggiornare anche questa storia! Sembrava davvero che fosse maledetta (un po' come me, durante il periodo natalizio, dato che non c'è storia: ogni anno mi ammalo!). Comunque si continua e, come ben si capisce (o almeno lo spero), c'è stato un bel timeskip rispetto al prologo e...
Beh, chi sono io per spoilerarvi ciò che succederà?
Come sempre, voglio ringraziare tutti voi che leggete, commentate, inserite questa storia in una delle liste, mi supportate e quant'altro.
Grazie di tutto cuore!



In tutta Paris esisteva un nome che portava a morte certa: il popolo lo sussurrava, ricordando vecchi tempi in cui il signore della città, con mano benevola, aiutava il volgo e lo faceva prosperare; veniva detto a bassa voce, lontano dalle guardie, poiché ogni persona che veniva additata come imparentata o legata a quella famiglia trovava morte certa.
Un nome che, in quel negozio, era tabù ancor più che nel resto di tutta Paris.
«Al tempo dei Dupain non avrei pagato simili cifre per del pane.» sentenziò una donna dai tratti appuntiti del volto si guardò attorno, sbuffando alla vista del conto, abbassando la voce sul nome maledetto e osservando la ragazza che, diligentemente, stava sistemando il pane nella cesta: «A quei tempi…»
«Madame Mendeleiev.» la riprese la padrona della panetteria, avvicinandosi alla donna e sorridendo: «Potrebbe smettere di dire quel nome nel mio negozio? Non voglio guai con le guardie degli Agreste.»
«Le guardie non vengono fino a qua, Sabine.» dichiarò madame Mendeleiev, sistemandosi gli occhiali con un gesto stizzito della mano: «Quindi non dovresti preoccuparti dei nomi che dico.»
«Preferisco non rischiare.» continuò Sabine, pulendosi le mani sporche di farina al grembiule e fissando l’altra: «Come ben sa, l’altro giorno monsieur Hapréle ha…»
«Lo so, lo so.» sbuffò la donna, con un gesto stizzito della mano ossuta e scuotendo il capo: «I piagnistei della figlia sono giunti fino alla mia casa. E per cosa? Per qualche mobile rotto…»
«Fosse solo quello…» bisbigliò la ragazza, rimasta in silenzio fino a quel momento, mentre posava il cesto del pane sul banco e sorrideva alla cliente: «Le sue baguette, madame.»
Madame Mendeleiev inspirò l’aria, assottigliando lo sguardo e passando in rassegna il volto dai lineamenti fini, gli occhi azzurri e i capelli mori: «Tua figlia è bella.» sentenziò, massaggiandosi il mento e sorridendo: «Potresti darla in sposa a qualche nobilotto, ultimamente ne girano parecchi da queste parti. Forse c’è scarsità di fanciulle fra le casate ricche…» spostò nuovamente l’attenzione sulla ragazza, sbuffando: «Certo,  quei capelli così corti e quelle mani così rovinate non aiutano la causa ma…»
«Madame Mendeleiev, immagino avrete molto da fare oggi.» sentenziò Sabine, prendendo il cesto con il pane e consegnandolo alla donna, spintonandola poi leggermente verso la porta con il sorriso sulle labbra: «Una donna come lei, così facoltosa, non ha di certo tempo da perdere con delle semplici panettiere.»
«Sì, ovviamente.» dichiarò la donna, sistemandosi i vestiti, scoccando un’occhiata da dietro le lenti all’altra: «Ci vediamo domani, Sabine. Mettimi da parte il solito.»
«Certamente. A domani, madame Mendeleiev.» la salutò Sabine, sorridendo e osservando la figura secca farsi largo fra la calca della strada: alcuni bambini corsero nella direzione opposta a quella della donna, non accorgendosi della pozzanghera e schizzando il vestito, rimediando rimbrotti.
Sabine ridacchiò, osservando i bambini correre via e additare la Mendeleiev come spirito demoniaco: «Non la sopporto quando parla di me come se fossi una vacca.» sbottò sua figlia dall’interno del negozio; Sabine chiuse la porta, voltandosi verso la giovane e sorridendo, vedendola piegata sul bancone, con il volto fra le mani e le guance gonfie: «Non lo sopporto. Perché non va a comprare il pane da un’altra parte? Viene ogni giorno e si lamenta sempre del prezzo…»
«Marinette.»
«E oggi che fa? Dice quel nome! Ma non lo sa che gli Agreste uccidono chiunque lo dica?»
«Tesoro, gli Agreste non uccidono chiunque dica quel nome…»
«Sì, che lo fanno.» sbottò Marinette, battendo le mani sul banco: «Non ti ricordi l’altra settimana? Quando hanno preso quel vecchio, solo perché aveva detto qualcosa riguardo a quella famiglia?»
Sabine inspirò, trotterellando verso il retro del negozio e riprendendo a lavorare la pasta del pane: conosceva l’uomo di cui sua figlia parlava e sapeva benissimo perché era giunta la sentenza di morte. Non perché aveva osato dire, da ubriaco, qualcosa sui Dupain ma perché lui faceva parte dei Dupain: senza saperlo, sua figlia stava parlando della morte dello zio del padre.
«Mi stai ascoltando?»
«Sì, Marinette.» dichiarò Sabine, voltandosi e sorridendo alla figlia: per lei aveva rinnegato l’uomo che aveva amato, abbandonando ogni legame che avevano avuto con i Dupain; erano giunte in quel quartiere, uno dei più poveri della città, e nessuno aveva fatto domande a quella donna con una bambina: è qualcosa di abituale, le aveva detto Marlena, molte prostitute giungono qui, cacciate dai bordelli e con un figlio o due al seguito.
Sabine aveva storto la bocca, odiando che, chiunque la guardasse, potesse vedere in lei una prostituta al termine della sua carriera ma per salvare la figlia aveva ingoiato tutto; abbandonata la vita agiata, aveva iniziato a lavorare, imparando il mestiere di panettiere e creando ciò che adesso le permetteva di mantenere entrambe.
«Mamma?»
Sabine si riscosse, scuotendo il capo: «Mi hai detto qualcosa?» le domandò, abbozzando un sorriso e voltandosi, incontrando lo sguardo celeste preoccupato.
«Stai lavorando troppo.»
«Non può del solito.»
«Più del solito.» sentenziò la figlia, negando con il capo: «Non ti stai riposando a sufficienza, pensi che non me ne accorga? Oltre al negozio, adesso stai anche aiutando Marlena con le pulizie presso quei nobili e…»
«Marinette.» Sabine la interruppe, con il sorriso sulle labbra: «Sto bene, tesoro. E dobbiamo lavorare, lo sai. Soprattutto adesso che il pane è stato tassato.»
«Potrei andare io con Marlena.»
«No, tu rimani al negozio.»
«Ma perché?»
«Perché lo dico io.» E perché non voglio che qualcuno ti riconosca, per quanto impossibile. Non voglio correre il rischio di perdere anche te.
«Io non capisco.» mormorò Marinette, stringendo nelle braccia e inspirando profondamente: «Perché non vuoi? Posso farlo, posso toglierti quel peso…»
«Marinette, ma per me non è un peso.» dichiarò Sabine, avvicinandosi e prendendo il viso della figlia fra le mani: «Prendermi cura di te non è mai stato un peso e mai lo sarà. E adesso porta le brioches al signor Fu, immagino che sbufferà perché sei già in ritardo con la consegna.»
«E’ vero!» sentenziò Marinette, saltando su e preparando velocemente il cestino di dolci per l’anziano uomo, che viveva nel quartiere: «Vado!» esclamò alla fine, sistemandosi il vestito e sorridendo alla madre, che la osservò uscire velocemente dal negozio.
Andava bene.
Marinette sarebbe rimasta nel quartiere e non sarebbe mai stata notata dagli Agreste.
Sapeva che la stavano cercando.
Le stavano cercando.
Ma lei l’avrebbe protetta, in modo che la vita di suo marito non fosse andata persa inutilmente.



La sua vita sembrava perfetta dall’esterno, Adrien Agreste lo sapeva bene: cosa poteva chiedere di più, il figlio del signore della città?
Aveva servitori per ogni cosa, i piatti della sua tavola erano i più ricercati e gli indumenti che indossava erano delle stoffe più pregiate.
Adrien Agreste aveva tutto eppure, al contempo, non aveva nulla.
La sua vita dorata era all’interno di una gabbia, creata apposta dal padre: non poteva uscire dal castello, non poteva avventurarsi nel mondo esterno e tutta la sua vita si limitava a ciò che avveniva dentro quelle mura.
Presto avrebbe compiuto diciotto anni, ma del mondo non sapeva assolutamente nulla.
«Ti vedo pensieroso.» lo riprese Nino, mentre gli passava un calice contenente qualcosa: Adrien spostò la sua attenzione dalla porzione di città, che si vedeva dalla finestra nel suo studio, all’amico e sorseggiò la bevanda offerta, storcendo la bocca.
Vino.
A quanto pareva, Nino aveva deciso di introdurlo ai piaceri dell’alcool per fargli dimenticare la sua vita da prigioniero?
«Qualcosa mi dice che non ti piace.» sentenziò il ragazzo, passandosi una mano fra i corti capelli castani e alzando il proprio calice in gesto di brindisi: «E non capisco perché. Ho scelto la migliore annata fra quelle offerte dalla cantina di tuo padre.»
«Tu finirai nei guai.»
«Se continuo a dirmelo, uccello del malaugurio, è certo che finirò nei guai.» sentenziò Nino, buttando giù una generosa sorsata di vino: «Sai cosa si dice dei guai, no? Che chiamandoli, arrivano.»
Adrien sorrise, abbassando lo sguardo e facendo ondeggiare il liquido cremisi all’interno del calice: «La prossima settimana compio diciotto anni.»
«In effetti, stavo pensando di festeggiare la cosa.» dichiarò Nino, sorridendogli: «Una festicciola e, magari, una bella uscita da questo maniero.»
«Sai che è impossibile, Nino.»
«Per Adrien Agreste sì.» dichiarò il ragazzo, posando il calice sul tavolo e avvicinandosi ad un baule: «Fortunatamente, il tuo fido amico e servitore ha pensato a tutto. E se Adrien non fosse Adrien per una sera?»
«Cosa hai in mente?»
Nino sorrise, chinando leggermente la testa: «Devi sapere che, il giorno del tuo compleanno, c’è una festa in città e tutti si mascherano per l’occasione e, grazie a mio padre, ho saputo che le porte del castello verranno aperte e…»
«E quindi noi potremmo uscire per andare in città.» concluse allegro Adrien, posando il calice e avvicinandosi al baule anche lui, curiosando l’interno pieno di maschere e costumi: «Posso travestirmi e uscire finalmente.»
«Vedo che il mio piano ti piace.»
Adrien annuì, afferrando una maschera nera e un mantello dello stesso colore, provandoli: «Sarò un’altra persona, quel giorno.» dichiarò con le iridi verdi che brillavano da dietro la maschera: «E sarà una giornata memorabile!»
«Ti porterò nella mia taverna preferita. E’ nella zona povera della città, ma la birra che servono lì è buonissima. E poi c’è Alya.»
«Chi è Alya?»
«La più bella ragazza di tutta Paris.»
«Interessante.»
«E mia futura moglie. Se mai accetterà di sposarmi, quindi non ci pensare nemmeno e trovati qualcun’altra.»
Adrien sorrise, togliendosi la maschera scura e tenendola fra le mani: non gli interessava trovarsi una fanciulla, sapeva bene che il suo destino sarebbe stato sposare la figlia dei Bourgeois, ciò che gli interessava era uscire finalmente da quelle mura.
Essere libero, almeno per un giorno.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.526 (Fidipù)
Note: Ed eccoci a un nuovo capitolo di Inori, dove scopriremo parentele interessanti, animali curiosi e soprannomi discutibili. E ci avviciniamo sempre di più all'incontro della nostra Marinette e del suo Adrien...beh, che altro dire? Penso che ormai sia cosa nota che della storia sheakespeariana (e dell'adattamento anime) ho preso solo l'ispirazione e che, quindi, troverete una storia completamente diversa da queste parti.
Beh, che posso dire? Come sempre voglio ringraziare chiunque legga, commenta (Fatevi sentire!), inserisca in una delle sue liste questa storia e mi supporti!
Grazie di tutto cuore e buon capitolo (a voi! A me tocca tornare sui libri: sessione invernale is coming!)



Osservò il proprio riflesso, sorridendo alla vista degli abiti scuri che gli calzavano perfetti: «Che ne dici?» domandò Adrien, incontrando lo sguardo del suo migliore amico nello specchio: «Con una maschera posso…?»
Nino storse la bocca, inclinando la testa e dopo un attento esame dell’aspetto del giovane, annuì convinto: «Una maschera, un cappello e potrai camminare tranquillo per le strade di Paris.» assentì, sorridendo e saltando giù dalla cassapanca ove si era accomodato, mentre Adrien indossava gli abiti scuri: «Il problema sarà…»
«Sarà uscire dal castello.» sentenziò Adrien, sospirando sconsolato: «Mio padre ha invitato i Bourgeois e…»
«E Chloé sarà attaccata a te come un sanguisuga.» concluse per lui l’amico, grattandosi la testa con fare pensieroso: «Mh. Forse ho una soluzione, però.»
«Rinchiuderla da qualche parte?»
«Nah.» Nino negò, sorridendo: «Cosa ti hanno fatto di male i secondini?» domandò divertito, avvicinandosi all’amico e passandogli un braccio attorno alle spalle: «No, penso che sfrutteremo il tuo adorato cuginetto. Ovviamente, adorato in senso ironico.»
«Nathaniel?» domandò Adrien, portando alla mente la figura del parente: Nathaniel Kurtzberg era una figura che contornava ogni suo ricordo, qualsiasi evento o occasione del palazzo, lo ricordava ai margini di questo, una figura silenziosa, con la testa rossa china su un blocco da disegno e lo sguardo perso in contemplazione di qualcosa ignota ai comuni mortali.
Suo cugino era un artista, ma nessuno lo comprendeva: non suo padre e nemmeno Gabriel Agreste, suo zio.
«Esattamente. Proprio lui.» decretò Nino, riportandolo alla realtà: «Diremo alla cara Chloè che vuole ritrarla e la molleremo a Nathaniel.»
«Questa è cattiveria.»
«Questo è l’unico piano che mi è venuto in mente.» dichiarò Nino, lasciando andare l’amico e recuperando la machera nera e il cappello, dello stesso colore, passandoli ad Adrien: «Hai già trovato un nome da dire, in caso qualche bella fanciulla voglia sapere con chi sta amoreggiando?»
«Non penso che…»
«Tu non pensi? Oh, andiamo! Andremo per Paris, troverai sicuramente qualche ragazza desiderosa di passare un po’ di tempo in compagnia di un affascinante e misterioso forestiero.»
Adrien sorrise, scuotendo il capo biondo e mettendosi la maschera e il capello: «Chat Noir.» dichiarò, toccandosi la falda larga del cappello: «Il mio nome per quel giorno sarà Chat Noir.»
Nino lo fissò un secondo, scuotendo poi il capo: «Ne sei sicuro? No, perché nel caso mi sono fatto una bella lista di…»
«Sì, sono sicurissimo.»
«Quindi mi stai dicendo che quel giorno passeggerò per le strade di Paris con il Signor Gatto Nero al mio fianco?»
«Sì.»
«Tu mi odi, dimmelo.»
Adrien rise, gettando il capo all’indietro: «No, amico.» dichiarò, voltandosi nuovamente verso lo specchio e sorridendo alla sua figura: i vestiti scuri, la maschera nera che gli copriva metà volto e il cappello che gettava un’ombra sul suo sguardo: «Piuttosto, non pensi che sarò esagerato così?»
«Amico. Tutta Paris sarà mascherata quel giorno.» dichiarò Nino, allargando le braccia: «Non preoccuparti. Sarai solo uno dei tanti.»
«Lo spero.»


Marinette sistemò alcune baguette in una delle ceste, voltandosi verso le finestre del negozio e osservando la strada messa a festa per la giornata: «Ti vedo…» iniziò l’altra ragazza presente nella stanza, poggiando i gomiti contro il bancone e sorridendo: «Direi arrabbiata.»
«Non sono arrabbiata, Alya.» dichiarò Marinette, negando con la testa e tornando al suo lavoro, cercando di ignorare lo sguardo persistente dell’altra: «Davvero, sono tranquillissima. Come ogni giornata.»
«Se un’occhiata potesse distruggere…» iniziò Alya, muovendo una mano per aria e indicando gli addobbi della strada: «Avresti fatto razzia dei fiori e dei fiocchi che sono stati…»
«Sono stati messi per festeggiare quell’idiota del principe!» sbottò Marinette, gettando le baguette nel cesto con violenza e voltandosi verso l’amica: «Solo perché quel fesso fa diciotto anni dobbiamo festeggiare? E festeggiare cosa? Dato che tutti noi lavoriamo!»
«Beh, è il compleanno del principe, nonché futuro erede del trono di Paris.»
«Yuuh! Festeggiamo il fatto che il nostro futuro tiranno raggiunge la maturità.» sbottò Marinette, incrociando le braccia al seno e scuotendo il capo: «Dovremmo piangere, altro che far festa.»
Alya ridacchiò, allungandosi sul banco e dando un buffetto sul naso all’amica: «Ma noi stasera non festeggeremo il compleanno del principe.» dichiarò, ritornando al suo posto e fissando l’altra con un sorriso deciso sulle labbra: «Noi stasera, alla festa che faranno in piazza, festeggeremo i diciotto anni di madamoiselle Marinette, colei che ci guiderà con la sua baguette ben salda nella mano!»
Marinette sorrise, inspirando profondamente e tornando a sistemare il pane: «E’ così strano.»
«Cosa?»
«Il fatto che sono nata nello stesso giorno del principe.» mormorò Marinette, inclinando la testa e portandosi indietro un ciuffo che era sfuggito all’acconciatura: «Ti ricordi quando eravamo piccole?»
«Quando credevamo che tutta Paris festeggiasse il tuo compleanno invece che quello di sua maestà?»
«Sì.»
Alya annuì, sorridendo mentre lo sguardo si perdeva nei ricordi: «Quando tua madre lo scoprì, si arrabbiò molto.» sentenziò, negando con la testa: «Mi sono sempre chiesta perché.»
«Non so.» mormorò Marinette, mettendo a posto le ultime baguette e sospirando: «Mamma è sempre strana, quando si parla degli Agreste o…» si fermò, guardandosi attorno e inspirando profondamente: «O anche di quel nome.»
«Beh, su quel nome posso capirla, è fautore di morte. E lo sai.»
«Lo so.»
«Non capisco perché arrabbiarsi sul compleanno della figlia, però.» borbottò Alya, scuotendo il capo: «Non ti ha mai permesso di festeggiarlo, nemmeno quando eri piccola.»
«Beh, se lo festeggiavo io come faceva poi sua maestà?»
Alya sorrise, scuotendo poi il capo e sospirando: «Devo andare a lavoro.» sentenziò, allungando le mani verso Marinette: «Promettimi che stasera andremo alla festa in piazza, Marinette.»
«Te lo prometto.» dichiarò Marinette, stringendo le dita dell’amica e sorridendo: «Magari è la volta buona che mi presenti quel nobile che ti fa la corte.»
«Quello spera solo di infilarsi nel mio letto.» sbuffò Alya, con il sorriso sulle labbra: «Ma è bello essere corteggiate. No, stasera andremo alla festa e troveremo i nostri grandi amori. E’ deciso.»
«Ovviamente.»
«Non mi sembri convinta, sai?»
«Perché forse non lo sono?»
«Piantala di rovinarmi i sogni a occhi aperti.» sbottò Alya, sciogliendo la stretta e fissando male l’altra: «Voglio sperare di trovare un amore vero, di sposarlo e di farci tanti figli. Per il momento, invece, andrò alla taverna a mettere in riga un po’ di ubriachi…»
«Sia mai che non facciano un po’ di brindisi in onore del principe.»
«Giustamente. Quale occasione, migliore di oggi, c’è per bere?» sbottò Alya, scuotendo la testa: «A stasera, Marinette. E fatti bella.»
«A stasera, Alya.»


Adrien trattenne il respiro, osservando Nino aprire la porta e sorridere alla nuova venuta: ferma sulla soglia della camera Chloé Bourgeois era un tripudio di seta e pizzo, mentre i lunghi capelli biondi era raccolti in maniera elaborata sulla sommità della testa: «Come non c’è?» sbottò, alzando la voce di qualche tono: «Sapeva che sarei venuta!» dichiarò, pestando stizzita un piede per terra.
«C’è stata un’emergenza nelle stalle.» mentì Nino, con il sorriso sulle labbra: «Sai bene come il suo cavallo, Plagg, non si faccia avvicinare da nessuno…»
«Quello stupido cavallo fissato con il camembert…»
«Non sarebbe Plagg altrimenti.» buttò lì Nino, sospingendo Chloé nel corridoio: «Comunque, prima ho visto Nathaniel e mi ha chiesto se avresti voglia di posare per lui. Sta pensando di fare un dipinto in onore di Venere, la dea della bellezza, e ha pensato a te come modella.»
«A me?» Adrien si poteva tranquillamente immaginare Chloé con lo sguardo acceso di eccitazione, una mano premuta contro il petto e le labbra piegate in un sorriso luminoso: «Beh, immagino che non ci sia nessuno migliore di me per impersonare la dea della bellezza e dell’amore.»
«Sì. Certo.» dichiarò lapidale Nino, sorridendole: «Perché non lo raggiungi? Si trova in giardino.»
«Ma…»
«Dirò ad Adrien di raggiungerti, appena tornerà.»
Ci fu un momento di silenzio e Adrien quasi temette che Chloé li avesse smascherati: «D’accordo.» sentenziò la ragazza, voltandosi e andandosene velocemente, mentre Nino chiudeva la pesante porta della sua camera.
«Mi chiedo cosa succederà quando sarà da Nathaniel e scoprirà che non…»
«Oh, ma il caro Nathan ha in mente davvero di fare quel quadro.» dichiarò Nino, recuperando velocemente la propria maschera e il cappello: «Solo che aveva un’altra modella per la testa.»
«Nino…»
«Ehi, è per il tuo bene!»
Adrien annuì, indossando la maschera e il cappello: «Come la mettiamo con mio padre?» domandò, mentre la figura del padre balenava nella sua mente: «Sicuramente…»
«Ho già sistemato tutto.» dichiarò Nino, sorridendogli: «Sei andato a far visita a tua nonna e tornerai in tempo per la festa al palazzo. Poi…» il ragazzo si fermò, scrollando le spalle: «Non è colpa mia se la carrozza ha avuto un guasto.»
«E mia nonna?»
«Tua nonna è stata informata. Se mai arriverà un messaggero al convento dove vive sa cosa dire.»
«Ottimo.»
Nino indossò la maschera e il cappello, sistemandosi poi la cappa sulle spalle e sorridendo all’amico: «Se tu stasera sei Chat Noir, io sono le Bubbler.»
«Le Bubbler?»
«Esatto.» dichiarò Nino, allargando le braccia e inchinandosi con fare galante: «Siete pronto, amico mio, a conquistare Paris e il cuore di qualche bella fanciulla?»
Adrien osservò la finestra della sua camera, annuendo con la testa: «Sì, sono pronto.»

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.462 (Fidipù)
Note:Nuovo capitolo di Inori e la storia, lentamente, va avanti: conoscendo il finale, pure io non è che ci voglia arrivare subito.
Scherzi a parte, purtroppo posso dedicare poco tempo a questa storia, motivo per cui i capitoli sono così brevi e la storia va a rilento...ma prima o poi finirà la sessione invernale ed io sarò nuovamente libera di scrivere!
Detto ciò, come al solito, voglio ringraziare tutti coloro che leggono, commentano, inseriscono la storia in una delle loro liste...
Beh, grazie mille a tutti voi!



Adrien inspirò profondamente, mentre lo sguardo vagava per la via della città colma di bancarelle e un sorriso luminoso gli piegava le labbra: «Che cosa magnifica, eh?» commentò Nino, passandogli un braccio attorno alle spalle e guardando anche lui la città: «L’intera Paris al nostro volere.» dichiarò, enfatizzando le parole con un gesto ampio della mano: «Devi solo chiedere e avrai.»
«Davvero?»
«Ovvio.» continuò l’altro, sorridendo e battendo una mano sul sacchetto, che gli pendeva dalla cintura, facendo tintinnare il contenuto: «Abbiamo il dio denaro con noi.» decretò, chinandosi con fare cavalleresco: «La città è vostra, monsieur Chat Noir. Dove volete andare?»
«Alla panetteria.»
«Cosa?» domandò l’amico, alzando la testa e osservando l’amico, come se gli fosse spuntata una seconda testa: «Mi stai prendendo in giro?»
Adrien sorrise, grattandosi la guancia sotto la maschera scura: «Ricordi quando, qualche tempo fa, hai portato quei dolci a palazzo?» domandò, avanzando di qualche passo e avvicinandosi a una bancarella, studiando assorto i monili esposti e sorridendo all’anziana dall’altra parte.
«Quelle che avevo preso al negozio di…» mormorò Nino, scuotendo il capo e portandosi subito una mano al volto, sistemandosi meglio la maschera: «Sì, ho presente.»
Ricordava benissimo l’avvenimento: era andato in una piccola panetteria dei bassifondi, molto tempo addietro, innamorato della graziosa commessa ma lei non l’aveva considerato, rispondendo ai suoi tentativi di corteggiamento con sorrisi di circostanza e pacate risposte educate.
Era frequentando il negozio che aveva conosciuto Alya, della quale si era perdutamente innamorato anche se la ragazza era ben lontana dal comprendere quanto loro due fossero perfetti assieme: la costanza è il vero mezzo per ottenere qualcosa, diceva sempre suo padre e Nino aveva preso alla lettera quell’insegnamento, andando ogni giorno al locale dove Alya lavorava come cameriera.
«Vorrei andarci.» dichiarò Adrien, riportando l’amico alla realtà: «Vorrei prendere quelle brioches che mi avevi portato e vedere cos’altro offrono.»
Nino osservò l’amico per un secondo e, con un sospiro, annuì: «Solo tu potevi chiedermi una cosa del genere.» dichiarò, indicandogli con un cenno del capo la direzione e precedendolo: «Solo tu.»


Nathaniel Kurtzberg odiava le feste che si teneva al palazzo Agreste, in vero odiava ogni occasione che lo faceva uscire dai suoi appartamenti: voltò il foglio del blocco e si osservò attorno, studiando la piccola folla che riempiva il giardino interno della villa.
Sarebbe voluto andare a casa, ma sapeva benissimo che suo padre non gliel’avrebbe mai permesso.
Enrique Kurtzberg viveva per entrava nelle grazie del fratello acquisito e, ogni sera, malediceva Gabriel Agreste perché non lo reputava degno: ha sposato mia sorella, sono suo cognato. Dovrebbe trattarmi con più rispetto, diceva e poi buttava giù bicchieri di alcool fino a che non era troppo intontito e si addormentava.
Nathaniel spostò lo sguardo, notando il padre che camminava al fianco di Gabriel: il primo chiassoso anche da lontano, che enfatizzava ogni cosa che diceva con ampi gesti delle mani; il secondo freddo e austero come sempre, rimaneva in silenzio e ascoltava con poca tolleranza l’uomo al suo fianco.
Lo vedeva benissimo, Nathaniel, abituato com’era a studiare il prossimo mentre suo padre era cieco e continuava a importunare il cognato.
«Nathaniel Kurtzberg!» esclamò una voce femminile, facendolo sobbalzare: strinse il blocco contro il petto, alzandosi e osservando la fanciulla che si era palesata al suo fianco: «Ho saputo della tua idea e accetto.» dichiarò senza tanti preamboli Chloé, incrociando le braccia al seno e alzando il mento con fare orgoglioso.
La sua idea?
«Temo di non capire…» bisbigliò il ragazzo, aumentando la presa sul blocco e alzando titubante lo sguardo, fino a quel momento tenuto basso: «Quale idea, madamo…?»
«Ma quella di Venere, ovviamente.» lo interruppe Chloé, fissandolo con le iridi celesti e regalandogli un sorriso: «Sono disposta a farti da modella. In fondo…» la ragazza agitò una mano, con fare galante: «Chi meglio di me è perfetta per dare un volto alla dea dell’amore e della bellezza?»
Chi meglio di lei…
Nathaniel studiò la quasi-fidanzata del cugino e annuì, domandandosi mentalmente come fosse venuta a conoscenza della sua idea, ma non trovando una risposta degna di essere tale: «Pensi che ad Adrien possa…» iniziò, vedendola irrigidirsi e pestare la terra stizzita.
«Non parlarmi di lui.» sbottò Chloé, avviandosi a lunghi passi e, quando si accorse che lui non la seguiva, si fermò e gli fece un cenno imperioso: «Preferisce quello stupido cavallo fissato con il formaggio a me.» continuò, quando Nathaniel fu giunto al suo fianco e il giovane fu costretto ad assentire a quell’ultima frase: Adrien preferiva tante cose rispetto alla quasi-fidanzata.
E lui non capiva proprio il perché.


Marinette sospirò, accasciandosi contro il bancone e osservando madame Mendeleiev uscire dal negozio in un tripudio di rosso: ci aveva messo un po’ a capire che sotto i metri di trina rossa, che avvolgevano il volto equino della donna, c’era la loro cliente abituale.
Ovviamente la donna le aveva fatto notare immediatamente questa sua mancanza di spirito di osservazione.
Il rumore della porta che si apriva la portò via dalle sue elucubrazioni e Marinette alzò lo sguardo sui due nuovi clienti: due ragazzi, vestiti a festa e con le maschere ben calate sul volto, per celare la loro identità.
Ma perché per quella stupida festa dovevano tutti mascherarsi?
Uno dei due, completamente vestito di nero, si voltò verso di lei e le sorrise: «Buonasera.» la salutò, chinando lievemente il capo e facendolo benvolere da Marinette: almeno il tipo sapeva cosa era l’educazione, rispetto al suo amico che, con un abbigliamento molto variopinto, sembrava trovare interessante sostare sulla porta del negozio.
«Posso fare qualcosa per voi?»
Il giovane si tolse il cappello, rivelando la capigliatura bionda e spettinata, tenendolo poi per la falda e indicando, con un cenno del capo, l’altro: «Il mio amico, tempo addietro, mi portò delle brioches buonissime ed ero venuto a comprarne alcune.» spiegò, sorridendole e rivolgendole la completa attenzione.
«Quali?» domandò Marinette, allungando il collo e rivolgendosi all’altro: «Abbiamo parecchi tipi di brioches.»
«I croissant. Quelli senza niente.» bofonchiò il variopinto messere, facendo annuire la ragazza che, con efficienza, si avvicinò al vassoio ove aveva posto le brioches: «Quante?»
«Cosa?»
Marinette sorrise, scuotendo il capo: «Quante brioches?» domandò nuovamente, divertita dallo sguardo smarrito del biondo.
«Ah…» il ragazzo si voltò all’indietro in cerca di una risposta dall’altro, ricevendo in cambio solo un’alzata di spalle: «Quante ne avete?»
«Una decina. Più o meno.» rispose la mora, dopo aver contato velocemente le brioches: «Allora?»
«Le prendo tutte.»
«Davvero?»
«Non posso?»
«Potete, potete.» mormorò la ragazza, recuperando una busta e sistemandoci i croissant: «Spero non vi venga il mal di pancia.»
«Lo sopporterò.» dichiarò il biondo, sorridendole: «Io mi chiamo Adr…cioè, volevo dire, il mio nome è Chat Noir.»
Marinette sorrise, scuotendo il capo: «Penso che fare la vostra conoscenza non porti fortuna.» dichiarò, alzando lo sguardo e incontrando quello verde: «I gatti neri sono simbolo di sfortuna da queste parti, sapete?»
«Pensate che sia un forestiero?»
«Non vi ho mai visto.» dichiarò la ragazza, tornando al suo lavoro: «Sebbene posso dire che non so chi c’è dietro quella maschera. Però avete detto che il vostro amico vi ha portato le brioches e quindi…»
«Sono di Paris.» dichiarò il biondo, abbozzando un sorriso: «Anche se, posso dire, non esco molto.»
«Come mai?»
«Impegni.» rispose evasivo il ragazzo, tenendo lo sguardo fisso su di lei: «E tu?»
«Cosa?»
«Sei di Paris?»
«Sono nata e cresciuta in questo quartiere.» dichiarò Marinette, mettendo nel sacchetto anche l’ultimo croissant: «Le mie uniche uscite sono per andare a consegnare gli ordini, invece.»
«Siamo simili.»
«Non credo.»
«Perché lo dici?»
Marinette chiuse il sacchetto, passandolo al giovane che, costretto, appoggiò il proprio cappello sul bancone per prendere il suo acquisto: «Perché io lavoro in un giorno di festa, mentre voi…» la ragazza additò con un gesto della mano l’intera figura di Chat Noir: «Voi non sembrate altro che un nobile, che ha deciso di venire a divertirsi nei quartieri poveri.»
«Dobbiamo andare.» dichiarò l’altro, parlando per la prima volta da quando erano entrati: «Siamo in ritardo, Chat Noir.»
«Sì, sì.» mormorò il biondo, mentre l’amico pagava il suo acquisto: «Come ti chiami?»
«Io?» domandò Marinette, additandosi e guardandosi attorno, come se dal nulla fosse comparsa un’altra persona.
«Sì, tu.» L’amico sbuffò, afferrando Chat Noir per un braccio e, preso il sacchetto con i croissant, lo trascinò verso la porta: «Il tuo nome?» domandò nuovamente, aggrappandosi allo stipite della porta e ignorando il fatto che l’altro lo stava tirando con tutta la forza che aveva.
«Marinette…»
Chat Noir sorrise e si arrese all’amico che, con un nuovo strattone, lo portò in strada: Marinette li osservò mentre riprendevano la loro strada e, solo allora, si accorse che lo strano biondo aveva dimenticato il proprio cappello. Afferrò l’accessorio, correndo fuori dalla porta ma dei due giovani non c’era più traccia.




Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.462 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua con un nuovo capitolo, la storia ormai ha preso una piega diversa dall'opera di Shakespeare, vero? E anche dall'anime giapponese, andato in onda qualche anno fa. Ma non temete, i richiami alla tragedia di Romeo e Giulietta ci saranno...più in qua. Intanto continuiamo a goderci questi calma, in attesa dei risvolti drammatici.
Detto ciò, come sempre, vi ringrazio tutti per leggere, commentare, inserire questa storia in una delle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!



«Sei antipatica.» sentenziò Alya, mettendo le mani sui fianchi e osservando l’amica: «Perché non hai messo la maschera che ti ho portato?»
«Perché non avevo voglia?» sentenziò Marinette, scuotendo il capo e facendo ondeggiare così le corte ciocche more: «E’ così stupido mascherarsi; in fondo sappiamo benissimo che ci sarà stasera alla festa: le stesse persone che incontriamo tutti i giorni per strada.»
«Sei una guastafeste.»
«Oh, perdonami.» sentenziò Marinette, facendo un inchino e agitando le mani nell’aria: «Non volevo offendervi, Lady Alya.»
«E invece ci siete riuscita.» decretò l’altra ragazza, aprendo con un secco schiocco il ventaglio e alzando il mento con fare altezzoso: «Penso che quest’affronto vi costerà la testa!»
«No! La testa no!» squittì Marinette, portandosi le mani alla gola e facendo finta di boccheggiare: «Abbiate pietà di me, Lady Alya!» continuò, gettandosi addosso all’amica e ridendo allegra con lei, attirando così l’attenzione di alcuni ragazzi lì vicino.
«Mai sentito scherzare, Max?» domandò Alya, scuotendo il capo e osservando il giovane magro e basso: «Ho promesso di ballare con lui.»
«Vai pure.» assentì la mora, mettendosi alle spalle e sospingendo l’altra: «Non piangerò.»
«Io sì. Max è un pessimo ballerino.»
«Colpa tua che fai promesse.» cantilenò allegra Marinette, lanciando l’amica fra le braccia del ragazzo e osservandoli raggiungere la pista: ridacchiò, osservando Alya alzare gli occhi al cielo e mettersi in posizione per il nuovo ballo.
Max l’avrebbe tenuta impegnata per un bel po’, dato che tendeva a sequestrare la sciagurata che aveva l’ardire di ballare con lui, e lei sarebbe rimasta da sola a girovagare per la festa.
La mora sospirò, osservando alcune bancarelle e cercando di far mente locale su quante monete aveva portato con sé: un piccolo regalo avrebbe giocato in suo favore, quando l’amica sarebbe riuscita a sfuggire dal suo aguzzino, dato che l’aveva letteralmente gettata fra le braccia del nemico?
Forse.
Si avvicinò al primo banchetto, osservando i pettinini ben allineati: «Nessuno ti invita a ballare?» domandò una voce maschile stranamente familiare: non poteva riconoscerla così bene, dato che l’aveva sentita per la prima volta solo quel pomeriggio, eppure era così.
Marinette si voltò, incontrando lo sguardo divertito di Chat Noir che, comodamente poggiato contro il palo della bancarella, la fissava allegro: «Monsieur Chat Noir.» mormorò, sorridendo al giovane: «Vedo che le brioches non vi hanno fatto venire il mal di pancia.»
Il giovane sorrise, chinando lieve la testa: «Ne ho mangiata solo una. Anzi no, due.» dichiarò, rialzando lo sguardo e facendole l’occhiolino: «Vorrei tenerle, per quando tornerò nel luogo da cui non posso uscire spesso.»
«Oh, certo. Dimenticavo: voi non uscite.»
«Perché non balli?» le domandò Chat Noir, indicando con un cenno del capo le coppie danzanti poco lontano: «E perché non indossi una maschera? La portano tutti.»
Marinette sospirò, voltandosi verso la pista da ballo improvvisata e scosse il capo: «Succedono le peggio cose, quando ballo.» mormorò, chinando la testa e tornando a studiare i pettinini: «Per questo non ballo. E non indosso la maschera perché penso sia stupido.»
«Le peggio cose?»
«L’anno scorso è inciampata nella gonna…» si mise in mezzo il venditore, ridacchiando al ricordo di ciò che era successo: «E andò a finire addosso a uno dell’orchestra e questo poveraccio si infilzò la gola con la tromba.»
«Davvero?»
«Oh sì, signore! Marinette è una calamità naturale! Dove c’è lei è certo che qualcuno si fa male.»
«Come se lo facessi apposta.» borbottò la ragazza, andandosene velocemente dalla bancarella e raggiungendo quella vicina: mh. Rimedi naturali per la stitichezza. Alya le avrebbe lanciato contro qualsiasi cosa avesse comprato lì, decretò Marinette, continuando il suo giro e fermandosi alla successiva, osservando interessata i gioielli esposti.
«E se io volessi correre il rischio?»
«Vi piace rischiare la vita?» domandò Marinette stizzita, voltandosi verso Chat Noir: «Non avete un po’ di spirito di sopravvivenza?»
«A quanto pare no, altrimenti non sarei qui adesso.» decretò il giovane, voltandosi verso la merce esposta e aggrottando lo sguardo alla vista di un paio di orecchini: «La coccinella…» mormorò, allungando la mano per prendere il gioiello, ma venendo fermato dal commerciante.
«Per-perdonate. Io non…io non…»
«La coccinella era il simbolo dei Du…» iniziò Chat Noir, trovandosi le mani di Marinette alla bocca e lo sguardo celeste che lo fissava impaurito; lui aggrottò il proprio, quasi a domandarle il perché del suo gesto.
«Non va detto quel nome.» borbottò la ragazza, guardandosi attorno: «Si può venire uccisi.»
«Solo per averlo detto?»
«Al nostro sovrano non piace tanto. Non lo sai?»
Chat Noir annuì, ricordando bene come il genitore diventava particolarmente violento quando i suoi consiglieri facevano quel nome: i Dupain erano banditi da tutta Paris, eppure sua nonna gli aveva raccontato di Thomas Dupain e di come governava con saggezza e mano giusta.
Un racconto che cozzava con quello che il padre diceva a sua volta.
«Anche tu credi che il vecchio re fosse un tiranno?»
Marinette sospirò, alzando gli occhi al cielo: «Non avete proprio spirito di sopravvivenza.» dichiarò, sorridendogli leggermente: «Non vi risponderò. Io voglio ancora vivere.» sentenziò, alzando le spalle: «Che sia vecchio o nuovo, sono tutti tiranni. Non credete? E oggi festeggiamo i diciotto anni di quello stupido principe, che non fa niente per il suo popolo. Quando mai l’abbiamo visto a giro per la città che un giro dovrebbe governare?»
«Forse perché, essendo un principe, non può esporsi ai pericoli?»
«Oh. Andiamo. Ha guardie su guardie che lo proteggono. Una passeggiatina non gli farebbe male.»
Il commerciante ridacchiò, facendo voltare stizzito Chat Noir: com’è che tutti trovavano divertente intromettersi nelle loro conversazioni?
«Non fate caso a Marinette.» dichiarò il venditore, voltandosi e recuperando un braccialetto di corda, dandolo poi alla ragazza: «Oggi è anche il suo compleanno e fa sempre così.»
«Perché non mi piace essere nata nello stesso giorno del principe stupido.» borbottò la ragazza, sorridendo poi al dono: «E’ per me, Theo?»
«Ovviamente.» sentenziò l’uomo, facendole l’occhiolino: «Buon compleanno, Marinette.»
La ragazza gli regalò un nuovo sorriso, infilando il braccialetto al polso e guardandolo un attimo: «Grazie, Theo.» mormorò, stringendosi la mano al petto e sorridendo nuovamente: «Grazie, grazie, grazie.»
«Ti è piaciuto. Ho capito.» sentenziò Theo, ricambiando il sorriso e indicando con un cenno del capo la pista: «Va a salvare Alya. Mi sembra che non regga ancora per molto Max.»
«Vado subito.»
Chat osservò la scena, notando poi Marinette allontanarsi da lui: «Mi dia quelli.» sentenziò, indicando gli orecchini della coccinella e gettando sul banchetto il sacchetto pieno di monete; quando si accorse che Theo non si muoveva, sbuffò e afferrò il gioiello da solo, raggiungendo poi la ragazza: «Aspetta.» mormorò, afferrandola per un braccio e impendendole di proseguire. Marinette si fermò, voltandosi e studiandolo serio: «Bu-buon compleanno.» balbettò, maledicendosi per quanto doveva sembrare impacciato e stupido.
«Gr-grazie.»
Chat sorrise, alzando il pugno chiuso: «Oggi è anche il mio compleanno, sai?»
La ragazza ridacchiò, scuotendo la testa: «E’ un giorno affollato o sbaglio?» domandò, mentre Chat annuì, abbozzando una smorfia divertita: «Bene. Siamo nati entrambi lo stesso giorno dello stupido principe.»
«Ti darò il tuo regalo se mi regalerai un bacio.»
«Cosa?»
Chat indicò con un cenno del capo il pugno: «Solo un bacio, Marinette.» sentenziò, facendole l’occhiolino e notando la ragazza adocchiare la sua mano chiusa; poi si avvicinò e poggiò le labbra sulla guancia del biondo: «Cosa?»
«Dovevate specificare dove volevate il bacio, monsieur Chat Noir.»
«Touché.»
Marinette sorrise, allungando la mano e forzando un poco la stretta del ragazzo, ritrovandosi poi in mano gli orecchini a forma di coccinella: «Ma questi…»
«Penso che ti  staranno bene.»
«Non voglio morire.»
«Indossali domani sera e vieni alla Chiesa di Notre Dame.»
«Cosa?»
«Ti aspetterò lì.» sentenziò Chat, facendole l’occhiolino e un passo indietro: «Penso di essermi innamorato di te, Marinette.»


«Penso di essermi innamorato di te.» borbottò Nino, osservando l’amico sdraiato sul letto: «Le hai davvero detto così?»
«Sì.»
«Tu hai dei problemi, amico.»
«E’ bella e ha quello sguardo che ti tiene testa.»
«Tu sei fin troppo abituato a Chloé, lasciatelo dire. Trovare una che non ti cade ai piedi perché sei il principe…»
«Ah. Mi odia.»
«Cosa?»
«Odia il principe Adrien.»
Nino sbatté le palpebre, assimilando quell’informazione: «Beh, è una vera fortuna che non la incontrerai più. Immaginati, cosa succederebbe se scoprisse che Chat…»
«Le ho chiesto di vederci. Domani sera, per la precisione.»
«Cosa?»
«A Notre Dame.» continuò Adrien, balzando in piedi e sorridendo al ragazzo: «E tu mi aiuterai a uscire di nuovo.»
«Hai una minima idea di quello in cui ti stai infilando? Se tuo padre…»
«Per questo ci sarai tu, che mi aiuterai.»
«Tuo padre mi ucciderà; poi rinchiuderà te da qualche parte e getterà la chiave.» borbottò Nino, scuotendo il capo: «Anzi no, la darà a Chloé che ti aprirà solo il giorno in cui tuo padre morirà e tu dovrai diventare re con lei come tua regina.»
«Mi aiuterai?»
«Ovviamente sì.» bofonchiò Nino, scuotendo la testa al viso dell’altro: «Che io sia dannato, ma lo farò.»
«Grazie, amico.»


Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.797 (Fidipù)
Note: Bene, bene, bene! Eccomi qua con l'appuntamento che ho saltato la scorsa settimana ma...beh, avevo iniziato da un po' la storia La sirena ed ero curiosa del parere dei lettori. Ma passiamo a Inori che, lentamente, si snocciola fra le strade di Paris e la faida fra gli Agreste e i Dupain, una guerra che ancora non è sfociata in nulla, dato che i secondi non hanno ancora un vero e proprio capo, mentre i primi sono ancora i capi indiscussi di Paris. Ma tutto a suo tempo...che posso dire a mia discolpa? Sono di narrazione lenta.
Come sempre voglio ringraziarvi per il fatto che leggete le mie storie, le commentate (anche se non rispondo ai commenti mi fa sempre piacere sapere cosa pensate di quello che scrivo!), le inserite nelle vostre liste e inserite me fra gli autori preferiti.
Grazie di tutto cuore!



La donna si strinse nel mantello logoro mentre, con molta fatica, arrancava sulla collina: del mondo che lei aveva conosciuto, rimanevano solo rovine e ricordi. Si appoggiò a una delle due colonne che, incuranti del tempo e delle intemperie, delimitavano ancora l’ingresso del maniero dei Dupain.
Ricordava la prima volta che aveva varcato quell’ingresso: il padre era stato invitato a un ricevimento indetto dai Dupain e lei lo aveva seguito, rimanendo incantata dalla sfarzosità dell’abitazione dei regnanti di Paris; aveva danzato con giovani gentiluomini, finché il suo sguardo non si era posato su Tom che, in disparte, osservava silenzioso la sala.
Tom non era mai stato bello, eppure lei era rimasta incantata da quel ragazzone dal cuore d’oro.
L’aveva conquistata con la sua dolcezza e la sua bontà, facendola ridere con la sua imbranataggine.
Si era innamorata e aveva avuto un matrimonio d’amore, ben diverso da quello delle sue conoscenti che, molto spesso, erano state costrette a sposare uomini per rinsaldare i legami fra le famiglie di Paris.
Eppure tutto era finito…
Non sentiva più la risata di Tom, se non nei suoi ricordi.
E né vedeva il suo viso sorridente, le labbra carezzate da un paio di baffi per cui lei lo aveva preso molto spesso in giro.
Tutto ciò che le rimaneva del suo amore era la loro figlia, ignara sulla sua vera identità e costretta a vivere una vita dura e faticosa.
Sabine chiuse gli occhi, sentendo la rabbia montarle dentro: Gabriel Agreste le aveva tolto tutto. E per cosa poi? Per il potere? Per controllare la città di Paris?
La donna strinse la mandibola, sentendo i denti dolerle e riprese a camminare, diretta al cuore di quelle rovine: la torre ove si trovava la camera padronale, il luogo in cui aveva visto per l’ultima volta il suo amore.
Si avvicinò al muro, brandello della magnificenza di un tempo, e poggiò il palmo della mano contro la pietra fredda e umida: «Nostra figlia ha compiuto diciotto anni» mormorò, alzando la testa verso l’alto: «Mi ero ripromessa che, il giorno in cui avesse compiuto quest’età, le avrei detto tutto la verità. Su di lei, su di me e su di te. Ma ho paura, Tom. L’ho fatta vivere così tanto nella menzogna che…» si fermò, scuotendo il capo e lasciando andare un lugubre sospiro: «Mastro Fu dice di non avere timore, che Marinette capirà e prenderà il suo ruolo fra gli accoliti dei Dupain. Ma se non fosse così? Se lei…se lei…»
Non poteva continuare.
Non poteva dire a voce alta le paure che le imbrigliavano il cuore: se sua figlia fosse scappata da tutto ciò? Se lei avesse rinunciato al suo vero ruolo a Paris?
Era la figlia di Tom Dupain, l’unica vera erede al trono che Gabriel Agreste aveva usurpato.
Era lei che doveva governare, non quell’uomo e tantomeno suo figlio.
«Sabine Dupain-Cheng» mormorò una stanca voce femminile, facendo voltare la donna: Clotilde Agreste era in piedi davanti a lei, madre dell’attuale regnante di Paris, e la fissava con gli acquosi occhi chiari: «Quanto tempo…»
«Che cosa fai qui?» domandò Sabine, alzando il mento con fare orgoglioso, stringendosi il mantello addosso e fissando l’altra con astio: era un’Agreste e, come tale, nemica della sua famiglia.
«Immagino che la tua vera domanda sia ‘che cosa fa un Agreste qui’, vero?» chiese di rimando Clotilde, avvicinandosi lentamente e con il passo stanco della vecchiaia: «Ciao, Tom» mormorò, ignorando Sabine e avvicinandosi al muro con un sorriso sereno sulle labbra: «Scusami se non sono venuta a trovarti di recente.»
«Non ti voglio qui.»
«Io non sono colpevole delle azioni di mio figlio, Sabine» mormorò Clotilde, voltandosi verso la donna e fissandola seria: «Né mio nipote. La colpa è unicamente di Gabriel e della sua sciocca sete di potere: io non l’avevo educato così, lui non era così…»
Sabine strinse i pugni, voltandosi di lato: «Tuo figlio mi ha portato via tutto ed io lo farò con lui» dichiarò decisa, riportando l’attenzione sull’anziana donna: «Non tutti i Dupain sono stati decimati nella persecuzione di Gabriel e neanche i loro sostenitori: siamo più di quanto lui pensi e quando mia figlia…»
«Vuoi davvero coinvolgerla in tutto questo?»
«Gabriel ha ucciso suo padre!»
«Marinette non sa neppure chi era suo padre!»
«E di chi credi sia la colpa? Gabriel Agreste morirà per mano di mia figlia! Solo così la memoria di Tom sarà vendicata!»
«Pensi davvero che tuo marito voglia questo? Pensi davvero che Tom avrebbe voluto tutto questo? Mio figlio spadroneggia per tutta Paris dando un nome funesto agli Agreste, i Dupain che bramano sangue…» Clotilde si fermò, scuotendo la testa: «Questa faida che nascerà non porterà a niente di buono, Sabine. Ti prego, accorgiti di ciò che succederà! Chi pensi che prenderà in mano la carcassa di questa città, quando tutto finirà? Chi ne trarrà profitto?»
«Noi. Perché saremo noi a vincere!» dichiarò Sabine, voltandosi e andandosene sotto lo sguardo sconsolato dell’anziana.
Clotilde rimase a fissarla, finché la figura piccola non sparì e, solo allora, l’anziana tornò a posare lo sguardo sulla torre in rovina: «Nessuno vede più in là del proprio naso» mormorò, posando una mano sulla nuda pietra: «Tu avevi visto, Tom. Avevi notato chi era il burattinaio dietro Gabriel e hai cercato di fermarlo, ma cosa hai trovato in cambio? Morte, nient’altro che morte data da quel mio figlio così ossessionato dal ricordo della moglie. Cosa dovrei fare? Adrien e Marinette sono innocenti, eppure verranno coinvolto in tutto questo. Come posso salvare quei due sventurati giovani?»


Marinette sospirò, mentre si lasciava andare sul letto: la giornata in negozio era stata pesante e sua madre, dopo aver preparato tutto, era sparita da qualche parte lasciandola completamente sola nella gestione dei clienti. Non che questo la sorprendesse dato che, di tanto in tanto, la donna se ne andava per qualche ora, senza spiegarle alcunché.
La ragazza si girò su un fianco, osservando il cappello nero che aveva abbandonato sulla toeletta, assieme al pacchetto con il regalo che il misterioso Chat Noir le aveva fatto: quello stupido cialtrone non le aveva dato nessun orario, solo un appuntamento indefinito per quella sera.
Non ci sarebbe andata.
Non voleva problemi, voleva solo continuare la sua vita come sempre.
Un rumore dabbasso la fece balzare a sedere e, rimase in ascolto, finché la porta della camera non si aprì e il viso dolce della madre apparve nel piccolo spiraglio: «Com’è andata?» le domandò, sorridendole e aprendo un poco di più l’uscio: «Ci sono stati problemi?»
«Il solito: Madame Mandeliev che brontola, la signora Césaire che ti ricorda che domani siamo a cena da lei. Niente di nuovo.»
«Capisco» mormorò Sabine, spostando lo sguardo e notando il cappello scuro sulla toeletta: «E quello?»
«Un giovane l’ha lasciato ieri in negozio» spiegò Marinette, non andando tanto lontana dalla realtà: in fondo Chat Noir aveva veramente dimenticato il cappello nella panetteria: «Se non viene a reclamarlo, è mio.»
«E’ un cappello da uomo, Marinette.»
«E’ bello.»
Sabine sbuffò, scuotendo il testa e alzando lo sguardo verso l’alto: «Vado a dormire e anche tu dovresti. E’ stata una giornata pesante per entrambe.»
«Stavo andando» spiegò la ragazza, allargando le braccia e facendole notare dove era: non sarebbe andata a nessun appuntamento notturno, quell’idiota l’avrebbe aspettata invano, sempre se fosse veramente andato all’appuntamento. Chat Noir le aveva dato l’idea di uno che ci sapeva fare e che regalava appuntamenti a destra e a manca.
«Buonanotte, Marinette.»
«Buonanotte, mamma.»


Adrien sospirò, alzando la testa e osservando il soffitto alto della Chiesa, sorridendo quando sentì la pesante porta aprirsi alle sue spalle: aveva pagato profumatamente il sacrestano per avere un po’ di intimità e l’uomo aveva accettato con gioia il sacchetto di monete che lui gli aveva messo davanti.
Si voltò, osservando la figura minuta che avanzava orgogliosamente verso di lui: «Quello è mio!» esclamò, riconoscendo il cappello che Marinette aveva in testa: «Devo…»
«Lo avete dimenticato ieri al negozio» dichiarò la ragazza, togliendosi il copricapo e offrendolo a lui: «Sono venuta solo per rendervelo» continuò decisa, tenendo il braccio teso davanti a lei: «Prendetelo.»
Adrien fece vagare lo sguardo dall’offerta di lei agli occhi azzurri che lo fissavano decisi: «Sono innamorato di te» dichiarò per la seconda volta e notando che le sue parole avevano provocato qualcosa: Marinette aveva trattenuto il respiro e lo sguardo era ora velato da una lieve nota triste.
«Prendete il vostro cappello.»
«Non vuoi darmi nemmeno una possibilità?»
«Non potete essere innamorato di me!» sbuffò Marinette, posando il cappello su una delle panche e scuotendo il capo: «Non sapete chi sono, non mi conoscete…»
«Tu…»
«Io sono la figlia di una prostituta, che non sa chi è suo padre e deve lavorare nella panetteria che sua madre ha faticosamente aperto, per permettermi un lavoro migliore di quello che lei faceva un tempo» sbottò Marinette, voltandosi e dandogli le spalle: «Io…»
«Tu sei veramente interessante. Hai un carattere che…» Adrien si fermò, scuotendo il capo: «Beh, non riesco a comprendere appieno ma voglio e ti amo. Sì, penso proprio di amarti.»
«Monsieur Chat Noir, ve l’hanno mai detto che avete dei problemi?»
Chat Noir?
Adrien si portò le mani al volto, sentendo la maschera sotto i polpastrelli: giusto. Era Chat Noir e lei parlava al suo alter ego. Sorrise mesto, chinando la testa: «Anche il mio migliore amico me lo dice, ma penso di non essere mai stato sicuro come lo sono su di te: mi hai stregato e voglio…voglio…»
Un nitrito si levò da fuori della chiesa e i due corsero immediatamente all’esterno, osservando la scena di un cavallo nero come la notte che girava attorno a una giumenta dal pelo fulvo: «Plagg…» sospirò Adrien, mentre il proprio cavallo muoveva la coda e dava lievi colpi con il muso all’altra.
«Il vostro cavallo sta infastidendo la mia.»
«Più che altro ci sta provando…»
«Tikki non è interessata, mi pare.»
«Sta solo facendo la difficile. Come la sua proprietaria.»
«Io non faccio la difficile.»
«Oh sì. Vi ho dichiarato il mio amore e me lo avete sbattuto in faccia, nonostante io vi piaccia.»
Marinette sbuffò, raggiungendo la propria cavalla e regalando un’occhiataccia allo stallone nero: «Ci vediamo domani sera, Marinette?» le domandò il biondo, avvicinandosi e prendendo le briglie del focoso cavallo, trattenendolo dal correre dietro alle due e rendersi più ridicolo.
«Sapete, quando date un appuntamento, dovreste essere più preciso con gli orari.»
Adrien sorrise, tenendo la presa ferma sulle briglie e ignorando gli strattoni di Plagg: «Domani, quando la campana della chiesa farà dieci rintocchi, alle rovine poco fuori Parigi.»
«Non ci sarò.» dichiarò risoluta Marinette, con un sorriso sulle labbra dando una lieve spronata alla giumenta e andandosene, lasciandolo solo il giovane.
«Ci sarà» dichiarò Adrien, sorridendo: Marinette sarebbe venuta la sera successiva, lo sapeva bene: «Lei ci sarà.»

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.947 (Fidipù)
Note: Buon salve! Eccoci qua con un nuovo capitolo di Inori e...beh, lasciatemelo dire: ogni capitolo di questa storia è un parto! Un po' perché so, che più mi avvicino alla fine e più arriverà una certa scena (che non ho molta voglia di scrivere) e poi...beh, è una storia che sta andando lenta e quindi anche la fase di realizzazione la segue di pari passo. Ma però, eccomi qua, pronta come sempre per l'aggiornamento!
Detto questo, vi lascio subito al capitolo, non senza ringraziarvi tutti quanti: grazie a chi legge, commenta, inserisce questa storia in una delle sue liste e me fra gli autori preferiti.
A voi tutti...
Grazie!!!



Clotilde Agreste si affrettò lungo i corridoio del convento, aumentando l’andatura del passo e sollevando le gonne, in modo da facilitarsi nella camminata: quando la novizia era giunta alla sua camera con la notizia che il nipote era giunto in visita, l’anziana si era allarmata, ancora scossa dalle parole che Sabine Dupain le aveva rivolto non molto tempo prima.
Possibile che quella donna, assetata di vendetta, avesse già mosso i primi passi?
Velocemente, uscì nel chiostro del convento e si fermò, notando il nipote chino davanti la pianta che lei curava personalmente un sorriso le piegò le labbra: «Sto curando personalmente quel roseto…» commentò, attirando l’attenzione del giovane e guardandolo mentre si alzava e la sovrastava con la sua altezza: «Buon dio, ragazzo! Non mi vieni a trovare da un po’ e…che cosa ti danno da mangiare in quel castello? Per caso la notte ti piantano in giardino e ti annaffiano?»
«Sono delle rose bellissime, nonna.» dichiarò Adrien, chinandosi e baciando l’anziana sulla guancia: «La perfezione fatta fiore.»
«Sentilo come adula…» mormorò la donna, prendendo il nipote sottobraccio e scortandolo verso un piccolo gazebo posto in una zona nascosta del chiostro: «Tuo padre ha aperto la porta della sua gabbia e tu sei volato via in cerca di libertà? E’ veramente raro vederti qui da solo, senza nessuno…»
«Nino mi sta attendendo nella carrozza fuori.»
«Potevi portarlo con te, povero ragazzo.»
«E’ rimasto traumatizzato dalla madre superiora, l’ultima volta che è venuto.»
«Per caso è lui il demone che è apparso dal nulla e ha visto…»
«Le intimità della superiora? Sì, nonna. E’ proprio Nino.» dichiarò Adrien, sorridendo al luccichio divertito che aveva attraversato lo sguardo dell’anziana: «Si stava annoiando e stava passeggiando per i corridoi, non pensava di esser giunto in una certa zona del convento…»
«Quel ragazzo…» sospirò Clotilde, allontanandosi dal nipote e sorridendo alla novizia che aveva sistemato sul tavolo un vassoio: «Un po’ di the, mio caro?»
«Certamente.»
L’anziana annuì, prendendo la teiera e versando la bevanda nelle due tazze che erano state fornite: «Qual è il tuo problema?» domandò, allungandone una al nipote e osservando lo sguardo verde posarsi su di lei: «Non pensare che non abbia notato quanto i tuoi occhi siano immersi in chissà quali pensieri. Riguarda tuo padre? Oppure Chloé Bourgeois?»
«Nessuno dei due.»
«Se non vuoi questo matrimonio, devi solo dirlo, Adrien. Sono certa che tuo padre…»
«Mio padre possa vedermi come una persona e non come uno strumento per aumentare il suo potere? Ne sei veramente convinta, nonna?»
«Quanto vorrei che tu avessi conosciuto tuo padre come era un tempo…» sospirò Clotilde, scuotendo il capo e accomodandosi sull’altra sedia: «Quando ancora non era così assetato di potere e Bourgeois non aveva questa presa su di lui. Pensi davvero che il matrimonio con Chloé accrescerà il potere di tuo padre? No, serve solo per avvicinare di un passo André Bourgeois al trono di Paris.»
Adrien chinò il capo, osservando il liquido aranciato nella sua tazza e sospirò: «Alle volte vorrei non essere nato principe...» mormorò, voltandosi indietro e fissando il punto in cui era il roseto della nonna: «Perché una rosa? Il fiore della nostra famiglia è il giglio.»
«Per ricordarmi di un vecchio amico.» mormorò Clotilde, sorridendo tristemente: «E ricordarmi della sua famiglia.»
«Se ben ricordo non esiste nessun casato che abbia come fiore la rosa.»
«Perché è un casato che è stato estinto dalla spada di tuo padre, Adrien.»
«I…»
«I Dupain, sì.» mormorò la donna con fare stanco: «La vera famiglia che dovrebbe governare Paris.»
Adrien assentì, chinando il capo e sorseggiando in silenzio il proprio the, sentendo la nonna sospirare: «Perché mio padre ha decimato i Dupain?» domandò, dopo una buona manciata di minuti in silenzio: «Da quel che ho sentito dal padre di Nino e da te, Tom Dupain era…»
«Perché quel povero disgraziato di mio figlio è entrato in un turbine di disperazione, dopo la morte di tua madre. Ed è stato allora che Andrè Bourgeois ha iniziato a usarlo come una marionetta, portando alla fine del casato dei Dupain.»
«E presto io dovrò sposare la figlia di Bourgeois.»
Clotilde sorrise, posando la tazza sul tavolo: «Sembra che questa prospettiva non ti aggrada, mio caro nipote. E non penso centri molto quello che ti ho detto…»
«Sono di così facile interpretazione, nonna?»
«Solamente per me.» dichiarò l’anziana, accentuando il sorriso: «Che cosa ti è successo, Adrien?»
«Ho incontrato una ragazza.»
«Oh, bene. Mi piace come inizia questa storia…»
«Ma lei…» Adrien si fermò, sospirando pesantemente: «Non credo che mi ricambi. L’ho incontrata durante i festeggiamenti del mio compleanno e le ho dato un appuntamento per il giorno seguente, lei è venuta ma…beh, non è andata come speravo. Le ho dato un altro appuntamento, ma non si è presentata…»
«Questa ragazza mi piace. Non cade sotto al fascino degli Agreste.»
«Sì, credo ti piacerebbe: non si fa problemi a dire quel che pensa ed è molto buffa. E poi…poi…»
«E’ bella?»
«Oh sì, è bellissima.»
«Perché non senti tuo padre, allora? Potresti…»
«E’ una popolana, nonna.»
«Oh, Adrien…»
«E’ la figlia di una prostituta in pensione, che fa la fornaia per vivere…» mormorò Adrien, socchiudendo gli occhi: «Ed io posso solamente sognare di stare con lei perché non è del mio stato sociale e dio solo sa cosa succederebbe se potessi…potessi…»
Clotilde rimase in silenzio, osservando il giovane prendersi la testa fra le mani e rimanere immobile: allungò una mano titubante, cercando le parole adatte per consolarlo. Ma esistevano? Il suo unico nipote aveva finalmente conosciuto quel sentimento che era l’amore ma, per colpa di quelle stupide regole sociali, non poteva viverlo.
Per colpa del padre che anelava a quel potere che non gli serviva, non poteva stare accanto alla persona che desiderava.
Non poteva vivere.
«Come si chiama, Adrien?» mormorò dolcemente Clotilde, poggiando la mano sulla spalla del ragazzo e riscuotendolo, l’osservò mentre posava lo sguardo verde su di lei: «Il suo nome?»
«Marinette…»
Clotilde inspirò profondamente, ascoltando quel nome: «E’ un bel nome.» mormorò, cercando di non pensare a un’altra fanciulla che si chiamava nello stesso esatto modo: quante probabilità c’erano che suo nipote avesse incontrato proprio la figlia di quella famiglia disgraziata?
«E sai la cosa buffa, nonna? Abbiamo la stessa età e siamo nati nello stesso giorno…»


Marinette sbuffò, posando il cesto con il pane sul tavolo e osservando il vecchio ometto che, abbandonato su una sedia, se la dormiva della grossa: «Monsieur Fu.» mormorò, avvicinandosi e strattonandolo leggermente: «Sono Marinette. Vi ho portato il pane…»
«Oh, ben arrivata, mia signora.» biascicò l’uomo, aprendo stancamente un occhio e osservando la giovane: «Mettete tutto sul tavolo e lasciate questo povero uomo con la compagnia del suo amato vino.»
La ragazza sbuffò, eseguendo l’ordine e uscendo velocemente dalla casa: di tanto in tanto, l’anziano si andava al piacere e all’oblio del vino e, in quelle occasioni, le parlava con tono ossequioso.
Per quanto poteva esserlo uno che dava ordini dandole del voi.
Si strinse nel mantello, alzando la testa e osservando il cielo plumbeo: dieci giorni. Non vedeva Chat Noir da dieci giorni.
Si era costretta a non andare al secondo appuntamento  che il giovane le aveva dato, domandandosi per tutto il tempo cosa lui aveva fatto e quanto l’aveva aspettata fra le rovine che, sfidando le intemperie, si ergevano poco fuori Parigi: era rimasto per tutta la notte, attendendola? Oppure poco dopo se n’era andato, sbuffando e mandandola al diavolo?
Non lo sapeva.
Il giorno successivo lo aveva aspettato inconsciamente, sobbalzando ogni volta che la porta della panetteria si apriva ma del giovane dai capelli biondi e gli occhi verdi non c’era stata ombra; era rimasta in attesa anche il giorno successivo e quello ancora dopo, ma Chat Noir sembrava essere scomparso nel nulla…
E lei…
Lei aveva iniziato a vivere dei ricordi che aveva del giovane: il sorriso che le aveva regalato più e più volte, gli occhi arguti e di quella tonalità di verde che le ricordava un immenso prato, il calore che le aveva dato la sua vicinanza...
Si era sentita una sciocca a struggersi per un ricordo, eppure così era, e aveva iniziato anche a maledirsi per non essere andata all’appuntamento: sarebbe cambiato qualcosa se, quella sera, lei fosse andata? Oppure il giovane sarebbe scomparso lo stesso dalla sua vita?
Sospirò, tenendo lo sguardo basso e sentendo gli occhi pizzicarle per via delle lacrime trattenute: stupida, stupida, stupida. Era stata una stupida.
Ed era ancora una stupida perché sentiva la mancanza e quasi piangeva per…per…
Oh, solo un’idiota come lei poteva accorgersi di essersi innamorata di qualcuno proprio quando questi era completamente sparito dalla sua vita.
Quanto poteva essere stupida e masochista? Quanto?
Innamorata di  chi, poi? Di un ragazzo che aveva visto solo due, tre volte e con cui, certamente, non avrebbe mai potuto avere una storia perché appartenenti a classi troppo diverse.
No, non poteva essere innamorata di Monsieur Chat Noir. Assolutamente no.
Lei…
Lei…
A lei era piaciuto quel corteggiamento sfrontato, ecco.
In fondo quale ragazza non avrebbe avuto piacere in quelle lusinghe che lui le aveva fatto e, adesso che ne sentiva la mancanza, aveva iniziato a vivere nei ricordi che aveva di lui.
Sì, era senza dubbio così.
Assolutamente sì.
«Marinette!» la voce allegra di Alya la riscosse dai suoi pensieri, facendole alzare la testa e notare la figura della ragazza nel vano di una porta: «Che ci fai qua?» le domandò, dopo che l’ebbe raggiunta e Marinette si accorse solo in quel momento che, mentre pensava a Monsieur Chat Noir, aveva vagato nel quartiere finendo davanti la taverna dove Alya lavorava.
«Pensavo…» mormorò la mora, agitando una mano: «Niente di importante.»
«Beh, è una fortuna che tu sia qui! E’ passata Myléne poco fa e non crederai mai a quello che mi ha detto!»
«Cosa?»
«Suo padre dovrà lavorare al palazzo reale la prossima settimana! A quanto pare c’è una festa o qualcosa del genere e Myléne mi ha chiesto se avevamo voglia di andare con lei ed io ho detto sì!»
«Cosa? A palazzo?»
«Sì!» strillò Alya, prendendole le mani e saltellando sul posto: «Pensa, noi due a palazzo.»
«Vestite così?»
«Myléne ci recupera degli abiti, non temere.»
«Mia madre non mi farà mai venire, sai che…»
«Ma noi non glielo diremo, no?»
«Alya…»
«Oh. Andiamo! Non hai voglia di vedere il palazzo reale dentro? Oppure di vedere il famoso principe Adrien contro cui ti piace tanto inveire? Andiamo, andiamo, andiamo! Non puoi lasciarmi andare da sola.»
Marinette osservò l’amica, lo sguardo nocciola speranzoso e sospirò: «D’accordo.» mormorò, scuotendo il capo e abbozzando un sorriso: «Ma mia madre non deve mai venire a saper nulla.»
«Promesso!» sentenziò Alya, ridacchiando: «Magari puoi incontrare il tuo bel Chat Noir e dirgliene quattro per averti lasciata qui, a struggerti d’amore per lui.»
«Alya!»


Clotilde inspirò profondamente, stringendosi nello scialle e osservando il roseto che, con tanto amore, curava ogni giorno: «Il destino è un bastardo divertente.» commentò, ascoltando distrattamente il singulto proveniente dalla novizia: «E non sconvolgerti, mia cara. Dovresti sapere che so esprimermi anche peggio di così…»
«Mia signora, siamo in un convento.»
«Non penso che l’Altissimo si scandalizzi, non se riesce a sentire ciò che penso…»
«Madame Agreste!»
«Quante probabilità c’erano che mio nipote incontrasse la figlia di Tom e se ne innamorasse in un batter d’occhio? Paris è grande e ci sono tante belle ragazze, eppure Adrien ha scelto proprio l’ultima di quella casata…»
«Mia signora, questo…»
La donna sbuffò, scuotendo il capo e allungando una mano, carezzando le foglie scure della pianta: «Il figlio degli Agreste innamorato della figlia dei Dupain…» mormorò, strusciando il pollice sulla parte superiore della foglia: «A che cosa mai ci porterà tutto questo?»


Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.648 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua con il nuovo capitolo di Inori che, dopo un progresso iniziale lento, ha cominciato a carburare e a muoversi: un capitolo interamente dedicato a Marinette questo, perché...beh, dovevo concentrarmi su di lei e su ciò che le sarebbe successo (o meglio rivelato). E adesso? Adesso cosa succederà? Chi lo sa.
Vado un po' di fretta oggi perché, prima di tutto devo fare un secondo aggiornamento, e poi devo tornare a studiare (ahimè), quindi passo subito ai ringraziamenti: grazie a tutti voi che leggete, commentate, inserite le mie storie nelle vostre liste, mipiacciate i post sul gruppo facebook di Ladybug e...
Beh, grazie di tutto cuore!



Marinette si sistemò il cappuccio del mantello, osservando la madre di qualche passo più avanti a lei: la piccola figura rotonda di Sabine si muoveva velocemente fra gli stretti vicoli di Paris, immersi nell’oscurità notturna, quasi come se la donna fosse abituata a percorrere quelle strade: «Dove stiamo andando?» domandò nuovamente alla madre, ricevendo in cambio un borbottio incomprensibile.
Quando sua madre aveva chiuso la panetteria, quella sera, invece di trascorrere la serata tranquillamente come ogni altro giorno, l’aveva esortata a seguirla fuori.
Perché?
Inciampò in una pietra e storse la bocca, fermandosi e appoggiandosi al muro di una casa per massaggiarsi la caviglia dolorante: «Marinette, non abbiamo tutta la serata» mormorò sua madre, fermandosi poco più avanti e sospirando: «Dobbiamo andare.»
«Ma dove?»
«Capirai tutto quando arriveremo.»
La ragazza osservò la madre riprendere il proprio cammino, incurante di ciò che le voleva chiedere e sospirò, poggiando il piede per terra e seguendola, stando ben attenta alla strada per quanto la luce fioca della luna glielo permetteva; Sabine svoltò un angolo e si fermò poco più avanti, davanti a una porta di legno di un edificio in pietra che aveva visto giorni migliori.
In vero, Marinette sapeva che quell’abitazione era abbandonata.
Madame Mandeliev se ne lamentava sempre…
«Mamma?» mormorò la ragazza, avvicinandosi alla donna e osservandola mentre bussava tre volte contro il legno marcio, rimanendo poi in attesa: «Mamma?»
«Silenzio, Marinette.» le intimò Sabine, facendo un passo indietro e osservando l’uscio aprirsi un poco: «Sono io. La rosa è con me.» dichiarò seria, Marinette vide la porta chiudersi di nuovo e poi alle sue orecchie giunse il suono metallico di una catena che veniva tolta e la porta si spalancò.
Riconobbe immediatamente l’uomo che aveva aperto loro e rimase a fissarlo mentre si faceva da parte, chinando la testa quando Sabine passo davanti a lui: «Monsieur Césaire…» mormorò, fissando Otis Césaire, il padre di Alya, che si chinava al suo cospetto: «Ma cosa…?»
«La prego di entrare, mia signora.»
«Cosa?»
«Marinette, entra.»
La ragazza annuì e osservò Otis chiudere la porta alle sue spalle, sistemando nuovamente il catenaccio e abbozzando un sorriso nella sua direzione: «Sono così felice che stasera…»
«Otis, non ora.»
«Sì, certamente.»
Che stava succedendo?
Otis non era mai stato così accondiscente con sua madre. Perché lo era adesso? Perché lo era con la donna che lavorava con sua moglie?
«Marinette, andiamo.»
«No.» mormorò la ragazza, fissando la donna in volto e notando la tensione di Sabine: «Non farò un passo finché non mi dici cosa sta succedendo, mamma.»
«E’ per questo che siamo qui, per spiegarti tutto.» dichiarò la donna, avvicinandosi e prendendo la figlia per le spalle: «Hai compiuto diciotto anni, è giusto che adesso tu sappia. Devi sapere chi veramente sei, chi era tuo padre e cosa gli Agreste ci hanno fatto.»
«Mamma, ma…»
«Vieni, Marinette.» ordinò Sabine, voltandole le spalle e proseguendo per il piccolo corridoio, sparendo nella stanza alla fine di questo.
Marinette si voltò, osservando Otis che, con un cenno del capo, la esortò ad andare: la ragazza annuì, stringendo il mantello che indossava e avanzando lentamente verso la stanza ove era sparita sua madre, sentendo voci che borbottavano fra di loro e avvertendo la presenza dell’uomo alle sue spalle; inspirò profondamente, fermandosi davanti la porta e poggiando la mano sulla maniglia.
Doveva entrare.
Se voleva sapere il perché dello strano comportamento di sua madre, doveva entrare in quella stanza.
Lasciò andare l’aria e abbassò la maniglia, aprendo la porta e guardando le persone riunite nella stanza: molte facce erano sconosciute per lei, ma alcuni volti no.
Monsieur Fu.
Theo.
Alya e sua madre.
Madame Bustier, una cliente gentile che veniva ogni giorno alla panetteria.
Marinette rimase ferma sulla soglia, osservando le persone che la fissavano e cercando con lo sguardo la madre che, le braccia aperte, e un sorriso dolce in volto le andò incontro: «Marinette, mia dolce e preziosa Marinette.» mormorò Sabine, prendendola per le spalle come aveva fatto poco prima e fissandola in volto: «Io ti ho fatto vivere nella menzogna, figlia mia.»
«Cosa?»
«Vostra altezza, con calma.» mormorò Fu, facendosi largo e raggiungendole: «Non potete…»
«Vostra altezza? Mamma? Cosa…»
«Sono così lieto di potervi parlare in modo consono, mia signora.» mormorò Fu, chinando la testa e sorridendole dolcemente,  facendole cenno di andare verso una parte della stanza ove un allegro fuoco stava scoppiettando nel caminetto: «Vorrei spiegarvi il motivo per cui siete qui.»
Marinette lo seguì, osservando coloro che la circondavano e incrociando lo sguardo Alya che, con un sorriso di scuse in volto, la fissava a testa alta: «Perché mi state parlando così?»
«Mi sarebbe molto piaciuto farvi questo discorso nel luogo in cui siete nata, in cui è nato vostro padre…» mormorò Fu, fermandosi davanti al fuoco: «Sapete che un tempo, Paris era governata dai Dupain, no? Vostra madre vi avrà sicuramente detto della famiglia maledetta…»
«Il cui nome porta solo morte per mano degli Agreste. Sì, so che Gabriel Agreste li uccise tutti e prese il dominio di Paris.»
«Diciassette anni fa, il capo dei Dupain venne assassinato da Gabriel Agreste» continuò Fu, come se lei non avesse parlato, voltandosi poi verso di lei: «Tom Dupain, il precedente reggente di Paris, era vostro padre.»
«Cosa?»
«Non avevi nemmeno un anno, quando Agreste dette l’assalto al palazzo ove vivevo con mio marito, Tom.» mormorò Sabine, facendo voltare la ragazza verso di lei: «Tom non si era mai accorto della sete di potere di Gabriel, altrimenti sono certa che avrebbe fatto qualcosa; quella notte, mio marito – tuo padre, Marinette – sacrificò la sua vita per permettermi di fuggire con te e di non far uccidere a Gabriel l’unica che avrebbe potuto reclamare il trono di Paris.»
«Gabriel Agreste sa benissimo che Sabine si nasconde a Paris e per questo che ha cercato, in ogni modo possibile, di soffocare quel nome e di uccidere chiunque fosse legato alla famiglia dei Dupain.»
«Ma è stato ingenuo.» dichiarò sprezzante Sabine, sorridendo: «Non ha mai pensato che mi sarei nascosta nel quartiere povero di Paris e avrei vissuto come una panettiera, in attesa che mia figlia compisse l’età adulta per rivelarle tutto quanto.» continuò la donna, avvicinandosi alla figlia e prendendole il volto fra le mani: «Ti ho cresciuta, alimentando l’odio per quella famiglia che ti ha portato via tuo padre e la tua vita, la tua vera vita. Tu sei l’unica che può guidare coloro che sono ancora fedeli alla nostra famiglia e tingere le strade di Paris del sangue degli Agreste. Impugna la spada di tuo padre e vendica il nome dei Dupain, Marinette.»
La ragazza scosse il capo, facendo un passo indietro e scacciando con un gesto della mano quelle della madre, fissandola sconvolta: «Io…»
«E’ il tuo destino, Marinette. Io ti ho cresciuta per questo.»
«Io…» Marinette fece vagare lo sguardo per la stanza, portandosi le mani al collo e scuotendo la testa: «Io…»
«Vostra altezza.» mormorò Fu, facendo un passo verso di lei mentre Marinette continuava a indietreggiare, negando con la testa: «Principessa Marinette…»
«Io non sono una principessa.»
«Lo sei, Marinette. Sei la figlia di Tom Dupain, l’unico che avrebbe dovuto governare Paris. Tu sei…»
Marinette fece un altro passo indietro, scontrandosi contro qualcosa: si voltò, osservando Otis chinare la testa in segno di rispetto e, alla vista di quell’uomo burbero che aveva sempre ripreso lei e la figlia, qualcosa si ruppe; Marinette si voltò, correndo nello stretto corridoio e raggiungendo la porta d’ingresso dell’abitazione, armeggiando con il catenaccio e cercando di aprirlo.
«Marinette.»
La voce di Alya la fece voltare e si trovò a osservare l’amica, a pochi passi da lei: «Tu sapevi tutto?» domandò, fissando lo sguardo nocciola venire attraversato da una luce colpevole: «Sapevi tutto?»
«Mia madre mi ha informato, quando ero piccola. Io dovevo proteggerti, stare attenta a te quando noi…»
«Mi hai mentito.»
«No! Io ti voglio bene, Marinette. Sono grata di essere la tua migliore amica…»
«Ma non hai pensato a informarmi?»
«Non potevo, Marinette.» mormorò Alya, abbassando le spalle e scuotendo la testa: «Non potevo.»
La mora scosse il capo, riprendendo a lavorare sul catenaccio e, una volta riuscito a togliere, aprì la porta di legno e si gettò fuori, iniziando a correre per i vicoli di Paris: lei era la figlia di Tom Dupain? Lei faceva parte della famiglia maledetta, la famiglia il cui nome portava solo morte?
Nessuno le aveva detto niente.
Tutti l’avevano fatta vivere in una menzogna e ora, di punto in bianco, volevano che lei accettasse tutto e prendesse il suo ruolo nello spettacolino che avevano organizzato.
Sua madre. Alya. I Césaire.
Tutti quelli che conosceva le avevano mentito.
Si fermò, voltandosi indietro e sentendo alcune voci.
L’avevano seguita? L’avrebbero riportata in quella stanza?
Scosse il capo, riprendendo a correre e allontanandosi, quanto più poteva, da tutto ciò che aveva sempre conosciuto: il luogo dove era cresciuta, il luogo dove tutti le avevano mentito.
Si tirò su il cappuccio del mantello, sfiorando con i mignoli gli orecchini che aveva indossato quella sera e che aveva nascosto alla vista della madre, sistemando le ciocche dei capelli: «Chat Noir…» mormorò, ricordando il ragazzo mascherato che le aveva fatto quel dono, il giorno del suo compleanno.
Lo stesso che le aveva dato appuntamento a Notre Dame e le aveva dichiarato il suo amore.
L’unico che, nonostante il mistero che gli aleggiava attorno, non le aveva mentito.
Strinse la stoffa del mantello all’altezza del cuore, sentendo l’aria mancarle: avrebbe voluto piangere, avrebbe voluto gridare, sarebbe voluta tornare indietro e dire a sua madre tutto quello che stava pensando.
Avrebbe voluto…
Avrebbe voluto rivedere quel ragazzo dagli occhi verdi e i capelli biondi.
Avrebbe voluto…
Scivolò per terra, mentre le prime lacrime le bagnarono le guance e lei rimase lì, con le braccia strette all’addome, il cuore che le doleva per le menzogne della sua vita e per quel ragazzo che, volutamente, aveva allontanato da sé.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.648 (Fidipù)
Note: E salve a tutti! Eccomi qua con un nuovo capitolo di Inori e, come ho detto nello scorso capitolo, la storia ha finalmente cominciato a carburare, dopo una parte iniziale leggermente lenta e siamo al tanto agognato ballo, dove qualcuno farà scoperte e...Beh, vi lascio al capitolo, come sempre!
Prima di passare ai ringraziamenti di rito, vi lascio ai consueti aggiornamenti della settimana: venerdì ci sarà un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3, mentre sabato verrà aggiornato Scene.
E detto ciò, come sempre, ringrazio tutti coloro che leggo, commentano, inseriscano la mia storia in una delle loro liste e me fra gli autori preferiti!
Grazie di tutto cuore!



Marinette si voltò verso il finestrino della carrozza, osservando la strada illuminata fiocamente e ascoltando distratta il chiacchiericcio eccitato di Mylène, mentre Alya rispondeva di tanto in tanto alla ragazza: «E tu, Marinette?» domandò la loro ospite, facendola voltare verso di lei.
Mylène era seduta davanti a lei, in un tripudio di stoffa verde e trina dello stesso colore, che fasciava la figura grassottella della ragazza senza renderla ridicola: «Cosa?» mormorò la mora, accorgendosi di non aver ascoltato le ultime frasi che gli altri occupanti si erano scambiati.
«La nostra Marinette era persa nel mondo dei sogni?» domandò Fred Hapèle, sorridendo: «Spero che stasera qualcosa si smuova qualcosa ed io possa finalmente scrivere la storia con la esse maiuscola.»
«Avete qualche idea?»
«Una tragedia d’amore, Alya. Questo voglio scrivere, ma ancora non ho trovato quel je ne sais quoi che la fa innescare…»
«Chissà, forse stasera…» mormorò Alya, voltandosi verso Marinette: «Forse stasera molte persone troveranno quel qualcosa che le fa innescare» Marinette sostenne lo sguardo, sapendo benissimo a cosa si riferissero le parole dell’altra: «La maschera, Marinette.»
«Sì, certo» mormorò la ragazza, indossando la piccola maschera rosso cremisi come l’abito che portava: un chiaro affronto al reggente di Paris indossare il colore portante della casata dei Dupain; si portò una mano alle orecchio destro, carezzando l’orecchino e inspirando profondamente mentre la carrozza si avvicinava sempre di più al maniero degli Agreste.
Sussultò, quando il mezzo si fermò e la porta venne aperta da un valletto: Mylène balzò fuori, ignorando la mano che il servitore le aveva offerto, seguita dal padre e dalle altre due ragazze: «Marinette» mormorò Alya, prendendola per un braccio e voltandola verso di lei: «Lo so  che ce l’hai con me: avrei voluto dirti la verità da tanto tempo, ma non potevo…»
«Non potevi?»
«Dirti tutto era compito di tua madre, non mio.»
«Eri mia amica, Alya.»
«E lo sono ancora» dichiarò la ragazza, alzando il mento e fissandola: «Ti sarò sempre fedele e sarò sempre al tuo fianco, qualunque decisone prenderai: puoi scegliere di mandare tutto al diavolo ed io sarò con te, ma ciò che vedremo da questo momento in poi…» Alya sospirò, scuotendo la testa: «…tutto ciò è stato portato via alla tua famiglia.»
«Io non so più chi sono, Alya. Tutto ciò che ho vissuto è stata una menzogna.»
«Non la mia amicizia, non l’amore di tua madre e non certo l’odio per loro» dichiarò la ragazza, indicando con la testa il palazzo illuminato: «Ricordati questo: forse adesso non sei più soltanto Marinette, la figlia della panettiera, ma ciò che io, tua madre e tutti gli altri proviamo per te, è reale. Così come è reale…»
«Non dire altro, Alya. Siamo in territorio nemico.»
«Sì.»
Marinette sospirò, indicando il palazzo e prendendo a braccetto l’altra: «Non ti ho ancora perdonato…» mormorò, mentre si avviavano verso l’entrata: «…ma non posso farcela da sola» concluse, superando il grande portone e osservando l’immensa sala dalle mura candide e dallo sfarzo ostentato, come il grosso lampadario di cristallo dominava il centro del soffitto e illuminava da solo l’intero luogo.
La mora si guardò attorno, osservando a bocca aperta la magnificenza e la ricchezza che gli Agreste mostravano, posandosi di tanto in tanto sulle dame ingioiellate e sui signori vestiti che seguivano i dettami della moda attuale; continuò a guardarsi attorno fino a che il suo sguardo non venne catturato da un uomo: alto e vestito di nero, risaltava in mezzo a tutto il resto, mentre dal balconcino del piano superiore scandagliava la folla sottostante.
«Alya?»
«Sì?»
«Chi è quello?» domandò Marinette, portando l’attenzione dell’amica sull’uomo e vedendola irrigidirsi: «Alya?»
«Quello è Gabriel Agreste.»
Marinette osservò l’uomo, il regnante di Paris, lo stesso che aveva disprezzato e che sua madre odiava: era lui che aveva ucciso suo padre? Lui che aveva costretto sua madre a una vita misera?
Perché aveva dovuto uccidere?
Il potere accecava così tanto le persone?
«Devo prendere una boccata d’aria» mormorò la ragazza, voltandosi e guardando attorno a sé, individuando una porta aperta che dava su un giardino; sollevò leggermente la gonna e si diresse verso l’uscita, respirando pesantemente e sentendo la gola serrarsi: aveva vissuto una vita misera, fin da quando aveva memoria, le sue giornate erano sempre state scandite dal lavoro e aveva creduto che sua madre si prostituisse e suo padre fosse stato uno dei suoi tanti clienti.
La realtà le era piombata addosso e, dal giorno in cui le era stata rivelata, ogni suo pensiero riguardava il padre: che tipo d’uomo era stato? Come sarebbe stato il loro rapporto? Avrebbero litigato spesso? Sarebbero andati d’accordo?
Gabriel Agreste le aveva portato via, non solo il titolo, ma anche la possibilità di avere un padre nella sua vita.
Un padre buono, a quanto le aveva narrato Fu in quei pochi giorni.
E adesso aveva visto quell’uomo e non capiva ciò che provava: disprezzo? Sì, era stata cresciuta per questo e non poteva non disprezzarlo.
Lo odiava? Forse non come la madre, ma di certo non provava sentimenti buoni verso quell’uomo dallo sguardo predatore.
Era il nemico.
Ecco.
Questo era vero.
Continuò a camminare, fino a che non si fermò nei pressi di una fontana in marmo e osservò la statua al centro, seguendo con lo sguardo le figure morbide del soggetto femminile, cercando di trovare un senso alla confusione nella sua mente: odiava gli Agreste? Gli erano indifferenti? Cosa provava?
Cosa sentiva?
Cosa avrebbe fatto?
Sospirò, scivolando a terra e poggiando la fronte contro il marmo bianco, socchiudendo gli occhi: gli Agreste erano il nemico.
Gli Agreste le avevano portato via tutto.
Gli Agreste avrebbero potuto portarle via altro, se avessero saputo chi lei era veramente.
Forse non poteva combatterli per quello che aveva perso, ma poteva farlo per quello che non voleva perdere.
Poteva impugnare la spada del padre per difendere ciò che aveva adesso e proteggerlo.
Gabriel Agreste cercava sua madre e l’avrebbe uccisa una volta trovata.
E questo non poteva succedere.
«Marinette?»
La voce familiare di Chat Noir la fece voltare, incontrando la figura di un ragazzo in abiti sontuosi che la fissava con lo sguardo sorpreso: «Ah…io…» l’osservò portarsi una mano alla bocca, mentre lei fissava il volto senza maschera di quel ragazzo che, nei momenti di pace, aveva popolato i suoi pensieri di normale ragazza.
Aveva lasciato la mente scorrere, ripensando all’appuntamento mancato e domandandosi cosa sarebbe successo: Chat l’avrebbe corteggiata come le altre volte? Si sarebbe dichiarato ancora? L’avrebbe baciata?
Era arrossita, nella solitudine della sua camera, mentre pensava a tutto ciò.
E adesso lui era davanti a lei.
«Chat Noir.»
«Eh già…» mormorò il biondo, portandosi una mano alla nuca e sorridendo impacciato: «Non ho pensato prima di parlare.»
Marinette sorrise, rialzandosi e sorridendogli: «Avrei riconosciuto comunque la tua voce: hai miagolato troppo perché io non potessi riconoscerla.»
«Oggi sei tu che indossi una maschera, però » dichiarò il giovane, avvicinandosi e fissandola negli occhi: «Eppure ti ho riconosciuta subito» dichiarò, allungando una mano e carezzando la curva della maschera cremisi: «Non sei mai venuta…»
«No»
«Ti ho aspettato»
«Lo immaginavo»
«Ho anche provato a dimenticarti»
«Invece tu sei stato fin troppo presente nei miei pensieri»
Il giovane sorrise, chinandosi appena e mantenendo lo sguardo in quello della ragazza, carezzando con le nocche la guance lievemente arrossata: «Posso sperare nelle tue parole?» domandò, chinandosi appena e aspirando il profumo di lei: rose, sapeva di rose.
«Sperare?»
«Penso di averti già detto che sono innamorato di te, Marinette» mormorò lui, riducendo ancora la distanza: «Le tue parole…»
«Io credo…»
«Tu credi…»
«Penso di provare…»
«Per me?»
«Io…»
«Ad…» una voce maschile la interruppe e Chat Noir si voltò verso il giovane giunto in quel momento lì: «Ah, non mi ero accorto che eri in compagnia» dichiarò mestamente, mentre Marinette l’osservava: lo ricordava, era un giovane nobile che era venuto per un certo periodo alla panetteria e aveva cercato un approccio con lei.
«Che c’è?»
«Tuo padre ti vuole»
«Arrivo» dichiarò Chat, voltandosi verso di lei e sorridendole: «Dopodomani sera. A Notre Dame. Se ti do appuntamento lì, non mi lasci aspettare invano…»
Marinette annuì, osservandolo sorridere e poi voltarsi, raggiungendo l’altro e rientrando all’interno del maniero, mentre lei rimaneva immobile, lasciando andare l’aria che inconsapevolmente aveva trattenuto e sorrise: aveva reincontrato Chat Noir, l’aveva visto senza maschera e l’avrebbe incontrato nuovamente.
Aveva così tanto da dirgli e voleva sapere il suo vero nome.
Chi era in verità Chat Noir? Cosa faceva?
Scosse il capo, inspirando profondamente l’aria della notte e poi, lentamente, rientrò all’interno del maniero, cercando di godersi la festa a cui era stata portata; una volta entrata si guardò attorno, cercando di trovare Alya fra la folla ma, ciò che vide, fu invece la figura di Chat Noir: era in un angolo e stava parlando con il giovane che era venuto a chiamarlo, poco dopo una giovane dama dai capelli dorati si avvicinò a lui e, allungandosi, gli sussurrò qualcosa all’orecchio.
Marinette vide Chat Noir annuire e seguire la dama, dicendo qualcosa all’altro ragazzo: «Marinette!» la voce di Alya la fece sobbalzare, portando l’attenzione sull’amica che la fissava irata: «Dove eri andata?»
«Dovevo uscire» mormorò Marinette, tornando a guardare Chat Noir e accorgendosi di averlo perso: dov’era andato? Dove?
Guardò le dame e i signori, cercando di vedere il giovane biondo e sorrise, quando lo trovò mentre saliva le scale diretto al balconcino del piano superiore: lo vide avvicinarsi a Gabriel Agreste e chinare la testa in segno rispettoso verso quest’ultimo, parlando poi tranquillamente con il reggente di Paris, mentre la dama dai capelli biondi era aggrappata al suo braccio: «Chi è quello?» domandò, afferrando Alya per un braccio e indicando la coppia.
«Quello che sta parlando con Gabriel Agreste?»
«Sì.»
«E’ il figlio, Marinette» dichiarò la ragazza, osservando l’attuale principe di Paris: «Adrien Agreste. E quella attaccata come una sanguisuga è la sua fidanzata, Chloé Bourgeois.»
Chat Noir era Adrien Agreste?
Un Agreste.
Marinette si portò le mani al volto, osservando il giovane voltarsi verso la fidanzata e sorriderle come aveva fatto con lei poco prima: «E’ fidanzato?» mormorò, non accorgendosi di aver dato voce ai propri pensieri.
«Da quando era nella culla: i padri hanno fatto un accordo, sebbene la moglie defunta di Gabriel ne avesse fatto un altro.»
«Cosa?»
«Niente, lascia stare.»
Marinette annuì, riportando l’attenzione sulla coppia e osservando Chat Noir – no, anzi, Adrien – voltarsi verso la sala e fissarla dall’alto, esattamente come aveva fatto il padre poco prima, mentre lei rimaneva immobile, incapace di provare alcunché: il cuore le faceva male, voleva piangere eppure non aveva lacrime: «Il mio unico amore…» mormorò, portandosi le mani al volto e notando Adrien voltandosi verso di lei e notarla, spalancando appena lo sguardo: «…nasce dal mio unico odio.»

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.626 (Fidipù)
Note: E salve a tutti! Eccomi qua con un nuovo capitolo di Inori e la storia va, finalmente va e si scoprono cose, accordi, burrattinai vari...insomma, vi lascio al capitolo per non spoilerarvi niente!
Prima di passare ai ringraziamenti di rito, vi lascio ai consueti aggiornamenti della settimana: domani sarà il turno di Laki Maika'i,  venerdì ci sarà un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3, mentre sabato verrà aggiornato Lemonish.
Mentre vi ricordo che Inori verrà aggiornata il 21 giugno.
E detto ciò, come sempre, ringrazio tutti coloro che leggo, commentano, inseriscano la mia storia in una delle loro liste!
Grazie di tutto cuore!



Adrien abbozzò un sorriso alle cameriere, mentre queste gli sistemavano la colazione e rimase a osservare i piatti pieni di leccornie: aveva passato l’intera notte in bianco e, in quel momento, non aveva poi molta fame.
Abbassò lo sguardo sulla tazza e il piatto che aveva davanti senza vederli veramente: il volto di Marinette, fiocamente illuminato dalla luce lunare e poi di nuovo nel salone, mentre lo guardava dabbasso con le iridi sgranate e sorprese.
Forse aveva scoperto chi era.
Forse aveva capito che l’aveva veramente corteggiata, sotto la maschera di Chat Noir.
Ma non gli importava: lui la voleva, la amava, e avrebbe fatto ogni cosa in suo potere per realizzare ciò.
Durante quella notte insonne aveva deciso che Marinette, la dolce e bella panettiera, sarebbe stata sua moglie.
E per far ciò doveva parlare con il padre e annullare il fidanzamento con Chloé Bourgeois.
Sorrise, prendendo una brioche e spiluccandola, mentre solo il pensiero di porre fine a quella relazione claustrofobica lo metteva di buon umore e gli faceva tornare un po’ di appetito: senza il legame con la figlia di André, sarebbe stato libero di corteggiare in maniera consona Marinette.
Certo, sarebbe stato strano che una popolana salisse alla reggenza di Paris ma tutto era possibile e Marinette, con la sua buona conoscenza delle sofferenze del volgo, avrebbe potuto aiutarlo a regnare con saggezza e giustizia.
Doveva semplicemente convincere suo padre e, sebbene sarebbe stato difficoltoso, era certo di riuscire in ciò.
Quasi come se i suoi pensieri l’avessero invocato, Gabriel Agreste entrò nella stanza, posando lo sguardo di ghiaccio su di lui: «Buongiorno, padre» esclamò Adrien, balzando in piedi e osservando il genitore prendere posto a capotavola: «E’ una giornata splendida, non trovate?»
«Sei stato così tanto tempo con i cortigiani che adesso parli di cose futili?» Gabriel lo fissò austero, mentre i servitori gli servivano la colazione: «Se non hai cose importanti da dire, rimani in silenzio.»
«Perdonatemi, padre» mormorò Adrien, sedendosi e riportando lo sguardo sui propri piatti: doveva farcela, doveva dire quello che aveva in mente al genitore: «Padre, io…»
«E’ qualcosa di importante?»
«Sì, padre.»
«Parla.»
«Io…» si fermò, inspirando profondamente e alzando la testa, in modo da dare un’aria sicura al genitore: «Io vorrei sciogliere il fidanzamento con Chloé.»
Gabriel lo fissò, abbassando poi lo sguardo e iniziando a mangiare la propria colazione: «Se ti sei infatuato di qualche fanciulla, puoi tranquillamente farne la tua amante.»
«Io l’amo, padre. E intendo…»
«Tu farai ciò che dico, Adrien. Il tuo compito è sposare Chloé Bourgeois e lo farai» decretò Gabriel, alzando la testa e fissandolo con astio: «Sei uno strumento…»
«Io non sono un oggetto, padre!» sbottò Adrien, alzandosi in piedi e facendo rovinare la sedia per terra: «E non sposerò mai Chloé Bourgeois. Io non la amo e non la voglio al mio fianco.»
«E allora muori. Se non mi sei utile, non sei mio figlio» dichiarò l’uomo, picchiando il pugno sul tavolo e alzandosi: «Se non intendi eseguire ciò che ti chiedo, vattene e non tornare mai più qui.»
Adrien osservò il genitore andarsene dalla stanza, respirando pesantemente e sentendo le parole che l’uomo gli aveva rivolto una per una: quale uomo parlava così al proprio figlio? Quale uomo usava in quel modo il sangue del suo sangue?
Picchiò i pugni sul tavolo, stringendo i denti: se suo padre non accettava ciò che voveva fare? Andarsene come gli aveva detto? E cosa avrebbe fatto? Era inutile, non sapeva fare niente.
Ma nemmeno poteva rimanere lì e lasciare che quell’uomo lo usasse a proprio piacimento.
«Sono arrivato in un momento inopportuno?» domandò la voce di Nathaniel, facendo rialzare la testa: il cugino era fermo sulla soglia della sala, indeciso se entrare o meno, con l’album stretto al petto: «Posso…»
«E’ tutto tuo» dichiarò Adrien, raggiungendolo velocemente e uscendo dalla stanza, decretando con quelle parole ciò che avrebbe fatto da adesso in poi.
Tutto sarebbe stato di Nathaniel: la mano di Chloé, il ruolo all’interno della famiglia Agreste e anche l’essere il successore di Gabriel.


Marinette sorrise impacciata all’anziano che sedeva dall’altra parte, abbassando poi lo sguardo sulla tazza di the che le aveva offerto: «Avete qualche problema, vostra signoria?» le domandò Fu, facendole alzare di scatto la testa e fissarlo con lo sguardo celeste sgranato: «Siete pensierosa. Certo, immagino che la verità sulle vostre vere origini vi abbia colpito e sorpreso» dichiarò, vedendo la ragazza annuire appena con la testa: «Non ci aspettiamo che prendiate il vostro ruolo immediatamente ma…»
«Voi avete conosciuto mio padre?»
«Sì, mia signora» dichiarò Fu, sorridendo nostalgicamente: «Sono stato al fianco di vostro padre mentre regnava su Paris» continuò, sistemandosi comodamente sulla sedia e poggiando le spalle contro lo schienale, intrecciando le mani sull’addome: «Vostro padre aveva un fratello maggiore e, per molto tempo, Tom Dupain non aveva mai pensato che sarebbe stato il reggente di Paris, ma poi suo fratello spirò per una terribile malattia e…» si fermò, lasciando andare un sospiro: «…il peso dell’intera città finì addosso a Tom Dupain: non si sentiva adeguato e non era stato preparato, oltretutto. Era un uomo saggio e onesto, forse parecchio ingenuo ma ha sempre cercato di fare la miglior cosa per Paris. Poi conobbe tua madre e…»
«Si amavano?»
«Sì. E anche tanto» Fu ridacchiò, socchiudendo gli occhi: «Tom rimase folgorato da Sabine, la prima volta che la vide e lo stesso valse per vostra madre: si amavano così tanto ed erano così felici…»
Marinette sorrise mestamente, socchiudendo gli occhi e cercando di non pensare al ragazzo che aveva subito invaso i suoi pensieri: Chat Noir – Adrien Agreste – non poteva essere il protagonista dei suoi pensieri. Era il figlio dell’uomo che aveva ucciso suo padre e, sebbene sapesse benissimo che le colpe dei genitori non ricadevano sui figli, era anche a conoscenza del fatto che chiunque dalla parte dei Dupain non l’avrebbe mai accettato.
Inoltre era fidanzato con la bionda con cui l’aveva visto alla festa.
Non doveva pensare ad Adrien.
Doveva bandirlo dalla sua mente e dal suo cuore.
«Perché Agreste l’ha ucciso?» domandò, alzando la testa e fissando intensamente Fu: «Voi dovreste saperlo…»
«Non so cosa è successo, Gabriel Agreste è molto cambiato dopo la morte della moglie, la cara Sophie: era una donna di buon cuore e molto amica di vostra madre; la sua perdita ha segnato tutti e, in special modo, il marito ed è stato in quel periodo che si è avvicinato ad André Bourgeois…»
«André Bourgeois?»
Fu annuì, sospirando pesantemente: «Quello è stato l’inizio della rovina: non so cosa Bourgeois abbia messo in testa a Gabriel, ma da quel momento l’uomo ha iniziato ad allontanarsi dai Dupain e si è rinchiuso nel suo maniero, impedendo al figlio di avere contatti con il mondo esterno, tranne che con la nonna che vive in un convento poco fuori Paris; è diventato sempre più avido di potere, fino a quando…»
«Fino a quando non ha assaltato la magione dei Dupain, vero?»
«Esattamente, mia signora»
«Ha ucciso vostro padre e sterminato la vostra famiglia, tutto in nome del potere» dichiarò Fu, battendo il pugno sul tavolo: «E quel povero ragazzo non è altro che una pedina nelle sue mani…»
«Quel povero…»
«Adrien Agreste» mormorò Fu, sorridendole dolcemente: «Tua madre odia chiunque porti il nome Agreste e posso capirlo benissimo, ma quel povero ragazzo non ha nessuna colpa: è semplicemente un tassello nel piano del padre o meglio nel piano di André Bourgeois. Padre e figlio sono solo marionette nelle sue mani e anche il cognato di Gabriel c’entra qualcosa. Chloé, prima di essere fidanzata con Adrien, era la promessa di Nathaniel Kurtzberg ma questo bloccava la scalata al potere di André.»
«E quindi…»
«Quindi hanno sciolto il fidanzamento con Nathaniel Kurtzberg e intessuto un nuovo accordo» spiegò Fu, annuendo con la testa: «Ignorando quello fatto in precedenza da Sophie Agreste.»
«Alya…»
«Cosa?»
«Alya me ne aveva accennato.»
«Lo immagino. Il precedente accordo riguardava voi, Marinette.»
«Cosa?»
«Sophie Agreste e vostra madre avevano stipulato un fidanzamento fra voi e Adrien Agreste» le spiegò l’anziano, alzandosi dalla sedia e andando al camino: «Ma, ovviamente, il giorno in cui Gabriel Agreste uccise vostro padre quell’accordo andò alle ortiche» continuò, allungandosi e prendendo la spada che aveva appeso al muro, stringendola con entrambe le mani e voltandosi verso la ragazza: «Ma oggi non vi ho chiamato qui per tutto questo. Volevo darvi questa» sentenziò, allungando l’arma verso la ragazza.
«Questa…»
«E’ la spada di vostro padre, Marinette.»
La ragazza osservò il fodero rosso scuro e l’elsa finemente decorata, al cui centro era stata incisa una rosa: «Io…»
«So molto bene che voi non sapete usarla, ma Theo vi insegnerà» le spiegò l’anziano, allungandola verso di lei: «E’ vostra di diritto. Voi siete il nuovo capofamiglia dei Dupain e solo voi potete brandirla e ridare l’onore e la gloria a questa famiglia sciagurata.»
«Che cosa devo fare? Uccidere Gabriel Agreste?»
«Solo se volete, mia signora. Io vi chiedo solo di combattere quell’uomo che opprime questa città: se ucciderlo o meno, quello lo rimetto alla vostra saggezza.»


«E’ un follia» decretò Nino, osservando l’amico sistemare una sacca sulla sella e controllare poi che quest’ultima fosse salda: «Davvero, Adrien, tu…»
«Io non posso rimanere qui, Nino. Non voglio sposare Chloé e non voglio che mio padre mi usi come una pedina.»
«Ma dove andrai?»
«Da qualche parte.»
Nino sbuffò, togliendosi il berretto con la piuma che indossava e grattandosi la testa: «Ti darò un nome» decretò alla fine, guardandosi attorno: «Tu sai che mio padre era…beh, era uno dei nobili che appoggiavano i Du…»
«Lo so. Si è dichiarato alleato di mio padre solo per proteggere la sua famiglia.»
«Ha ancora qualche contatto.»
«Cosa?»
«Vai nella Paris bassa e chiedi di maestro Fu. D’accordo?»
«Ok. Grazie, Nino.»

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.876 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua con un nuovo capitolo di Inori e semplicemente non ho niente da dire, come ogni aggiornamento del mercoledì: dovrei scrivere altre storie dove tocco luoghi reali, così da allungare un po' queste note.
Evvabbè, in compenso vi lascio le solite informazioni di rito: vi ricordo che Inori vedrà il nuovo aggiornamento il 12 luglio e, come sempre, vi rimando la pagina facebook per ricevere piccole anteprime e restare sempre aggiornati.
Vi ricordo che domani  ci sarà un nuovo capitolo di Laki Maika'i, mentre venerdì sarò il turno di Miraculous Heroes 3 e sabato, invece, verrà aggiornata Scene.
E, dulcis in fundo, voglio ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste!
 


«Che cosa vuol dire che Adrien è scomparso?» domandò Gabriel, stringendo con forza i braccioli della poltrona, ove era seduto, e osservando glaciale i servitori, mentre chinavano la testa davanti a lui e indietreggiando di qualche passo: l’enorme uomo, che aveva assoldato come guardia personale del figlio, si prostrò ai suoi piedi con la testa bassa mentre la donna al suo fianco inspirò profondamente, sollevando appena lo sguardo e riabbassandolo: «Trovatelo. Immediatamente.»
I due servitori annuirono, andandosene poi subito e chiudendo la porta dietro di loro, mentre Gabriel teneva fisso lo sguardo su questa: andato. Scomparso. Suo figlio era sparito dal castello e nessuno sapeva niente.
L’uomo inspirò, sentendo il cuore battere più veloce e la sensazione di soffocare che prendeva possesso, mentre si portava le mani alla gola, allentando i nodi della camiciola e cercando di darsi un po’ di sollievo.
Dove era? Che cosa gli era successo?
E se anche lui…
Lasciò andare un respiro lento, sperando così di trovare un poco di calma ai suoi pensieri e lasciandoli vagare, ricordando lo screzio che aveva avuto con il figlio pochi giorni prima: «Lui…» mormorò, poggiando le mani sui braccioli e alzandosi in piedi, rimanendo fermo e indeciso sul da farsi.
Adrien non aveva parlato della giovane di cui si era invaghito, non aveva fatto alcun accenno al nome o al luogo in cui vivesse.
Non aveva nulla in mano per trovare il figlio, se questi aveva trovato rifugio presso la sua innamorata.
I passi pesanti al di là dell’uscio lo riscossero dai suoi pensieri e Gabriel alzò la testa, in tempo per osservare la porta aprirsi e la figura abbondante di Andrè Bourgeois entrare nella stanza e posare lo sguardo su di lui: «Bourgeois» commentò serafico l’uomo, osservando il suo ospite accomodarsi come se fosse il padrone di tutto: «A cosa devo la tua visita?»
«Chloé è venuta a trovare Adrien, ieri» buttò lì André, posando le mani sulla pancia prominente e sorridere bonario: «Ma dice di non averlo trovato.»
«Sicuramente era da madame Clotilde Agreste» commentò una voce divertita, facendo voltare i due uomini verso la porta e osservando il nuovo arrivato: Armand Lahiffe sorrise a entrambi, mentre si sistemava le maniche della giubba marrone, una tinta leggermente più scura di quella della propria pelle: «Sapete quanto il principe è affezionato alla nonna, no?»
«Dovrebbe star qui a far compagnia alla sua fidanzata.»
«Se fosse interessato alla fanciulla in questione» commentò Armand, con un sorriso indolente sulle labbra: «Penso che ribadirò il pensiero che dissi molto tempo fa.»
«Sappiamo bene il tuo pensiero, Lahiffe» sibilò André a denti stretti, fissando l’altro: «L’hai ripetuto costantemente per questi ultimi diciotto anni.»
«Forse perché, mantenendo la promessa di sua signoria, avremmo potuto evitare molti problemi a Paris» decretò Armand, abbozzando un sorriso: «Se fosse ancora viva…»
«Ora basta» mormorò Gabriel quasi sottovoce, interrompendo l’uomo senza spostare lo sguardo da André Bourgeois: «Volevate chiedermi qualcosa, Lahiffe?»
«Ero venuto a palazzo per un semplice saluto, vostra signoria» mormorò compito il nobile, sorridendo appena: «In verità sono qua per mio figlio e ho colto l’occasione per incontrarvi.»
«Potete andare adesso, Bourgeois ed io dobbiamo parlare di affari.»
«Ceramente, ma se mi permettete una piccola opinione: ripristinate gli antichi accordi, in modo che le famiglia Bourgeois e Kurtzberg si alleino e gli Agreste possano portare in seno…»
«Nessun Dupain entrerà in questo luogo, finché io sarò il reggente di Paris.»
Armand strinse le labbra, sollevando gli angoli in un sorriso incerto: «Come desiderate, vostra signoria» mormorò l’uomo, chinando la testa e scoccando un’occhiata all’altro, prima di voltarsi e uscire dalla stanza, sotto lo sguardo contrariato di Bourgeois: l’uomo fece schioccare le labbra, scuotendo la testa e inspirando profondamente, pulendosi la giubba dorata e sorridendo pigro a Gabriel.
«Mio figlio tornerà a breve.»
«Lo spero bene. Dovremmo muoverci per il matrimonio, non credi? Ormai hanno l’età giusta.»
«Sì.»
«E dovremmo fare qualcosa anche per quel Lahiffe» continuò André, guardandosi le dita intrecciate: «In fondo è sempre stato un sostenitore di Dupain e il suo voltafaccia è stato – come dire? – repentino? E se fosse una spia al soldo di Sabine Dupain?»
«Lo pensi?»
«Ne sono sicuro, devo dire» mormorò André, piegando le labbra in un sorriso: «Certa gente dovrebbe solo morire. Lui e tutta la sua famiglia.»


Adrien si portò il boccale di birra alle labbra, sorseggiando lentamente la bevanda e storcendo la bocca al sapore, mentre si guardava intorno, portandosi una mano al cappuccio e tirandolo leggermente, in modo da coprire meglio il volto: Nino lo aveva indirizzato a quella taverna, dicendo di chiedere di Fu e lui l’aveva fatto, domandando dell’uomo all’oste e ricevendo in cambio l’ordine di attenderlo al tavolo dove sedeva in quel momento.
Erano due giorni che aspettava e ancora non aveva avuto nessuna nuova.
Fu era stato un fedele sostenitore dei Dupain e forse non voleva incontrare uno come lui, l’altra alternativa era che il padre era giunto all’uomo e quindi Adrien non l’avrebbe mai e poi mai incontrato; il ragazzo sospirò, portandosi due dita al setto nasale e prendendolo fra esse: doveva tornare al castello? Doveva continuare ad aspettare? Doveva scappare e provare a vivere con i pochi mezzi che aveva?
Che cosa doveva fare?
«Vi chiedo perdono per l’attesa» mormorò una voce stanca, facendo riprendere Adrien che si ritrovò a osservare un piccolo ometto, mentre si sedeva nel posto avanti al suo: «Purtroppo non potevo muovermi come volevo» continuò l’anziano, sorridendogli calorosamente: «Sono felice di vedervi in salute, vostra signoria.»
«Voi siete…»
«Fu, per servirvi.»
Adrien aprì la bocca, scuotendo il capo e cercando qualcosa da dire, passandosi la lingua sulle labbra e rimanendo indeciso su quali parole usare: «Io…»
«Non abbiate timore, mio signore.»
«Non sono il vostro signore, quello era…»
«Tom Dupain, sì. Ma ciò non toglie che voi siete un nobile e meritate che io mi riferisca a voi con i giusti onorifici.»
«Io non sono più niente» mormorò Adrien, stringendo il boccale fra le mani e osservando il liquido al suo interno: «Io ho rinunciato al nome degli Agreste: io non volevo seguire quello che era il mio percorso e…»
«Posso immaginare» mormorò Fu, massaggiandosi la barbetta sul mento e annuendo con la testa: «Gabriel è sempre stato un uomo intransigente.»
«Il mio amico Nino, lui mi ha fatto il vostro nome ed io…»
«Nino è stato intelligente» decretò l’anziano, sorridendo: «Cosa volete fare, mio signore?»
«Io devo trovare una ragazza»
«Oh. Una ragazza?»
«Lei è…» Adrien si fermò, sentendo le guance farsi improvvisamente calde e, portata una mano al cappuccio, lo tirò appena per nascondere il volto: «Io mi sono innamorato di lei e voglio trovarla.»
«E poi?»
«Non so, sinceramente» mormorò Adrien, sospirando e scrollando le spalle, mentre fissava l’uomo davanti a lui come se avesse ogni risposta alle sue domande: «Che cosa potrei offrirle? Io…» si fermò, scuotendo il capo e chinando la testa sotto al peso della sua inettitudine, mentre teneva con più forza il boccale fra le mani.
Che cosa poteva fare per lei?
Che cosa poteva offrirle, se non solo sé stesso?
Le sarebbe bastato? Oppure avrebbe voluto ciò che aveva visto a palazzo?
No, lei non era così.
L’anziano annuì, guardando il ragazzo con il capo chino e si ritrovò a sorridere di fronte a quella dimostrazione di affetto e di incapacità: «Posso sapere il suo nome?» domandò, vedendo le iridi verdi alzarsi  velocemente e posarsi nuovamente su di lui: «Questa fanciulla che tanto amate avrà un nome, no?»
«Il suo nome è Marinette.»
Fu incassò quel nome, tenendo il sorriso in volto come se fosse dipinto e poi si abbandonò contro lo schienale della sedia: «Interessante» mormorò, portandosi una mano al volto e massaggiandosi la linea della mascella: «La fanciulla di cui siete innamorato è Marinette. Molto, molto interessante.»
«La conoscete?»
«Sì. E anche bene, oserei aggiungere.»


La spada pesava fra le sue dita e i muscoli delle braccia le dolevano per la fatica di tenerla su: inspirò profondamente, alzando nuovamente la lama e fissando il suo insegnante, mentre intrecciava la propria arma con la sua; Theo si mosse rapido e lei indietreggiò, parando i colpi meglio che poteva, tenendo la lama diritta davanti al volto, incapace di sferrare un attacco: «Così non andiamo da nessuna parte, mia signora» commentò l’uomo, abbassando l’arma e fissandola mentre scivolava a terra, la spada poggiata in grembo e le spalle che si muovevano sotto il respiro ansante: «Voi…»
«Devo solo riposarmi» mormorò Marinette, massaggiandosi il polso destro e alzandosi con fatica, osservando la lama del padre scivolare per terra; si chinò a raccoglierla, ignorando le fitte di dolore alla schiena e, una volta ripresa la lama fra le mani, ne pulì un poco l’elsa con le dita, indugiando sullo stemma con la rosa della sua casata: «Possiamo riprendere fra un poco?»
«Fra un poco sarà peggio, perché il vostro corpo sentirà più dolore di ora.»
«Sopporterò» mormorò la ragazza, rinfoderando l’arma e sospirando, mentre Theo faceva altrettanto; lentamente alzò una mano, portandola alla nuca e sciogliendo il nastro con cui si era raccolta i capelli, sentendo le ciocche solleticargli la gola, lasciata scoperta dalla camicia di foggia maschile che indossava.
Doveva imparare e alla svelta, lo sapeva bene.
Come sapeva altrettanto bene che, chiunque passava per la casa di Fu, si aspettava qualcosa da lei: lo vedeva negli sguardi di ammirazione e fiducia incondizionata che le indirizzavano, lo sentiva nella nota orgogliosa della voce di chi era lieto di servirla.
E lei?
Lei cosa pensava di tutto ciò?
Aveva smesso di interrogarsi, agendo come tutti si aspettavano da lei: era l’ultima Dupain rimasta, l’unica che avrebbe potuto guidarli.
La volevano? Bene, era lì. Che la usassero come più faceva comodo loro.
Poggiò la lama contro il muro, meravigliandosi dei suoi stessi pensieri e non riconoscendosi per niente: non era lei quella che stava pensando tutto ciò, non era Marinette ma semplicemente l’ombra di sé stessa; inspirò, portandosi una mano al volto e scacciando stizzita alcuni ciuffi, ascoltando la pesante porta di ingresso aprirsi e la voce di Fu risuonare nella casa.
Lasciò andare un lungo sospiro, abbassando lo sguardo sulle braghe e sulla camicia che indossava, scuotendo poi la testa: si stava addestrando e Fu non poteva certo pensare che lo facesse con uno scomodo vestito addosso; sentì i passi lenti dell’uomo, accompagnati da altri più frettolosi, che si avvicinavano.
Un altro affiliato dei Dupain?
Un altro sostenitore della causa?
Marinette alzò lo sguardo, osservando Fu uscire nel cortile interno con il suo ospite: rimase a bocca aperta, mentre il secondo si toglieva il cappuccio del mantello, rivelando la capigliatura bionda e un volto che lei conosceva bene; il suo sguardo incontrò quello verde e notò che non c’era sorpresa nel suo.
Lui sapeva dunque.
Fece un passo indietro, portandosi una mano alle labbra, mentre Adrien si avvicinava a lei con passo deciso e un sorriso timido in volto: «Sono felice di fare la vostra conoscenza, principessa Marinette Dupain-Cheng» dichiarò il giovane, piegando il ginocchio e inchinandosi davanti a lei: «Il mio nome è Adrien Agreste e sono il figlio dell’uomo che ha ucciso vostro padre. Io…» il biondo si fermò, alzando la testa e incontrando il suo sguardo: «Io mi rimetto a voi: la mia vita o la mia morte è nelle vostre mani.»

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.367 (Fidipù)
Note: Salve salvino, vicini! Eccoci qua con un nuovo aggiornamento di Inori (vi ricordo che il prossimo sarà il 1 agosto) e...beh, non è che abbia molto da dire come sempre, quando si tratta delle storie del mercoledì: la storia va, più o meno, capitolo dopo capitolo verso la sua naturale conclusione.
E quindi parto subito con le solite informazioni di rito: come sempre, vi rimando la pagina facebook per ricevere piccole anteprime e restare sempre aggiornati. Vi ricordo che domani ci sarà un nuovo capitolo di Laki Maika'i, mentre venerdì sarò il turno di Miraculous Heroes 3 e sabato, invece, verrà aggiornata Lemonish.
E, dulcis in fundo, voglio dire grazie a tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste!



La ragazza inspirò, sentendo l’aria bloccarsi in gola mentre il suo sguardo si alternava dalla testa del giovane china, in attesa del suo giudizio, verso l’anziano che, con un sorriso in volto, la fissava in attesa di un verdetto che quasi sembrava già conoscere: «Io…» mormorò, sentendo la voce tremare su quella breve parola: «Io…» ripeté, facendo un passo indietro e negando con la testa, lo sguardo celeste sgranato e fisso sul ragazzo davanti a lei.
Perché era lì?
Perché, fra tutti i luoghi di Paris, Adrien Agreste si trovava proprio davanti a lei?
Perché aveva parlato in quel modo?
Le domande affollavano la sua mente, rimbalzando da un punto a un altro, senza darle tregua mentre continuava a scuotere il capo, come a voler scacciare tutto, continuando a indietreggiare e seguendo quella voce insistente che le diceva di fuggire, andarsene da quel posto.
Allontanarsi da lui.
«Principessa.»
Una parola e la voce ferma di Fu la bloccarono, quasi ancorandola al suolo: deglutì, sentendo difficoltoso mandare giù la saliva, mentre il suo sguardo saettava per tutto il cortile, quasi come se stesse valutando e cercando una possibile via di fuga, scuotendo la testa poi di fronte a ciò che stava solo pensando.
Non poteva fuggire.
Non era…
Da lei.
Socchiuse gli occhi, lasciando andare un sospiro breve e riaprì le palpebre, osservando il giovane ancora chino davanti a lei: «Perché sei qui?» mormorò con un filo di voce, insicura che lui avesse sentito le sue parole, fino a quando non lo vide alzare la testa e lo sguardo verde incontrò il suo: «Tu…»
«Il principe Adrien…»
«Non sono più un principe» dichiarò secco il ragazzo, voltandosi e fermando l’anziano dal continuare: «Io ho abbandonato il mio ruolo al fianco di mio padre» Adrien si fermò, storcendo le labbra in un sorriso che nulla aveva di allegro: «Per quanto quella posizione non sia mai stata della famiglia Agreste, ma rubata e macchiata nel sangue dei Dupain» continuò, riportando la sua completa attenzione su Marinette: «Per questo, mi rimetto a voi, vostra altezza.»
«Sei…» Marinette si fermò, mordendosi il labbro inferiore e respirando pienamente: «Siete il benvenuto in questa casa» mormorò, traballando sulle proprie parole, voltandosi prima che lui rialzasse la testa e sentendo lo sguardo verde trafiggerle la schiena: «Mi ritiro nella mia camera, maestro Fu» mormorò, girando appena la testa e guardando gli uomini dietro di lei da sopra la spalla: «C-ci vediamo per la cena.»
«Come desiderate, vostra maestà» bisbigliò l’uomo, chinando appena il capo e osservando la giovane raggiungere velocemente l’interno dell’abitazione e sparirne all’interno; vagliò il cortile interno con lo sguardo, notando la spada dei Dupain abbandonata contro il muro lì vicino: «Theo, puoi occuparti della lama della principessa?»
Il giovane annuì con la testa, recuperando velocemente l’arma sotto lo sguardo vigile di Adrien che, rialzatosi, osservava in silenzio il tutto: «La spada della principessa?» domandò, ripetendo le parole di Fu e fissando l’uomo: «Che cosa vuol dire?»
«Abbiamo bisogno di un condottiero, mio signore» decretò l’ometto, raggiungendolo e facendogli cenno di seguirlo all’interno dell’abitazione: «E chi meglio di una Dupain? Il popolo la seguirà, ricordando il regno del padre.»
«E poi? Assalterete il palazzo? Farete ciò che fece mio padre?» la sequela di domande uscì dalle labbra di Adrien, mentre scuoteva la testa, quasi voglioso di mandare ogni cosa all’inferno: «Marinette è una ragazza! Ha solo diciotto anni, non può…»
«Pensate che non ci abbia pensato? Che non comprenda il peso che le ho messo addosso?» Fu si fermò, posizionandosi davanti a lui con la testa alzata e lo sguardo che lo sfidava, fermandolo appena dopo la porta che dava sul cortile: «Ma la regina Sabine è decisa e Marinette è l’unica scelta che abbiamo: vorrei avere un’altra opzione, vorrei davvero poter toglierle tutto di dosso e farla vivere come ha vissuto finora, ma non posso. Semplicemente non posso.»
«Usate me.»
«Non posso, Adrien» bisbigliò Fu, scuotendo la testa e sorridendogli mesto: «Lo farei volentieri, ma Sabine vorrà la tua testa, non appena saprà che sei alla sua portata: quella donna, ormai è accecata dall’odio e dal bisogno di sangue…»
«Ricorda incredibilmente mio padre» mormorò Adrien, inspirando l’aria e avvertendo l’odore di polvere che impregnava il luogo, alzò la testa e osservò i muri, fissando le crepe che lo attraversavano: «E tutto questo per cosa?»
«Voi sapete di André Bourgeois?»
«Il mio futuro suocero?» domandò Adrien, storcendo le labbra in un ghigno: «Ho sempre saputo delle sue mire al trono di Paris. Farmi sposare Chloé per poi manovrarmi come un burattino? Sì, avevo un certo presentimento.»
«Siete più intelligente di…»
«Di quel che sembro, vero?» continuò il ragazzo, scuotendo la testa e posandosi le mani sui fianchi, mentre un sorrisetto divertito gli attraversava le labbra: «Ho imparato velocemente a fingere che non m’importasse niente dell’operato di mio padre, ma in verità ascoltavo tutto ciò che si diceva a palazzo…»
«Quindi è così che siete giunto fino a me?»
«In verità no» Adrien si fermò, sorridendo all’uomo e poggiandosi con le spalle al muro: «E’ stato il mio amico Nino a dirmi di voi. A palazzo non si parla molto dei Dupain e di chi vuole rovesciare il governo.»
«Posso immaginare.»
Adrien poggiò la testa contro la parete, notando le scale poco lontane da dove loro stavano parlando e alzò lo sguardo verso il soffitto, quasi immaginando Marinette che, nella sua stanza, stava cercando di ritrovare la calma per la sua comparsa in quel modo.
Era agitata quanto lui?
Anche lei aveva sentito il cuore battere furioso nel petto?
Non sapeva ancora doveva aveva trovato la calma, come avessero fatto le sue gambe a condurlo fin davanti a lei e inginocchiarsi sotto il suo sguardo: quando l’anziano gli aveva rivelato il nome della principessa dei Dupain non aveva voluto crederci, non aveva voluto unire quel nome maledetto alla dolce e preziosa panaia che aveva ghermito il suo cuore.
Eppure se l’era trovata davanti: bellissima e maestosa, nonostante gli abiti umili e dal taglio maschile che indossava.
L’istinto gli aveva suggerito di correre da lei, stringerla fra le braccia e baciarla con tutto sé stesso, ma aveva messo velocemente a tacere quella voce, dando a lei la scelta di accettarlo o rinnegarlo.
E lei lo aveva accolto.
«Lei…»
«I vostri sentimenti sono dunque cambiati, adesso che conoscete la verità?» domandò Fu, assottigliando lo sguardo e lisciandosi la barba: «Certo, finché si trattava di una sguattera di una panetteria era molto più facile.»
«Io l’amo» decretò Adrien, incontrando lo sguardo dell’altro: «Che sia una panaia o la legittima erede al trono di Paris a me non importa: lei è la donna che voglio al mio fianco e che voglio proteggere con tutto me stesso.»
Fu accolse le parole, annuendo con la testa e lasciando andare un lento sospiro: «Ah, l’amore» mormorò, scuotendo il capo e alzando lo sguardo verso il cielo: «Il sentimento che muove ogni cosa: è per amore che tuo padre e sua madre sono così assetati di sangue, sai? Gabriel non riesce a perdonare il mondo per la morte della sua amata Sophie e Sabine non perdonerà mai gli Agreste per avergli portato via Tom. E’ questo l’amore che cerchi?»
«E’ forse amore questo?» domandò Adrien, sorridendo appena: «Oppure è odio o vendetta? Forse mio padre e Sabine amavano veramente i loro rispettivi compagni, ma quell’amore si è macchiato e adesso non posso più dire che si tratti veramente di quello. Non è il sentimento che io provo…»
«Ti ho veramente sottovalutato.»
Adrien sorrise appena, chinando il capo in segno di accettazione di quelle parole e poi voltandosi, quando il rumore di passi affrettati giunse alle sue orecchie: «Un messaggio» mormorò Theo, comparendo alle sue spalle e attirando su di sé le attenzioni dei due: «Da palazzo Agreste. Un nostro informatore non ha belle notizie per noi.»



Marinette si lisciò la lunga gonna, osservando la sua figura nei vetri della finestra aperta: abbandonati gli abiti con cui si era allenata, aveva indossato qualcosa di più consono e legato, meglio che poteva, i capelli scuri; si avvicinò, poggiando la mano sul vetro sporco e osservando il suo riflesso, fra le macchie di pioggia e terra: Adrien era lì, Adrien sapeva chi era.
La sorpresa ancora abitava nel suo sguardo, mentre lei cercava di assimilare il tutto.
Perché?
Che cosa era successo mentre lei era rintanata nell’abitazione di Fu?
E il suo fidanzamento? Gli accordi di suo padre con i Bourgeois?
Che cosa pensava adesso di lei?
Che cosa provava adesso per lei?
Era ancora invaghito della giovane popolana oppure tuto ciò era morto, non appena aveva scoperto che lei apparteneva alla famiglia rivale della sua?
L’aveva accettata come erede al trono di Paris, si era chinato davanti a lei, offrendogli il più completo controllo sulla sua vita o sulla sua morte: se avesse voluto, si sarebbe lasciato uccidere lì davanti ai suoi occhi, senza combattere e senza ribellarsi.
E lei? Sarebbe stata capace di farlo uccidere? No e, forse, Adrien lo sapeva, proprio per questo si era rimesso alle sue mani e alla sua volontà.
Il sommesso bussare alla sua porta la strappò dalle sue elucubrazioni e, velocemente, si avvicinò all’uscio, poggiando la mano sulla maniglia e, dopo aver inspirato lentamente l’aria, aprì: Theo le sorrise dolce, mentre lei faticava a ricambiarlo, sentendo un dolore sordo al cuore.
Aveva veramente sperato che Adrien salisse da lei?
«Che cosa c’è?» domandò la giovane, mentre usciva dalla propria stanza e si chiudeva la porta dietro di sé, tenendo entrambe le mani sulla maniglia, quasi fosse un’ancora di salvezza: «E’ successo qualcosa…»
«E’ giunto un messaggio da palazzo Agreste, mia signora» mormorò Theo, scuotendo il campo mentre il suo volto diventava impassibile: «Un nostro uomo ci ha informato sull’intenzione di uccidere la famiglia Lahiffe.»
«La famiglia Lahiffe?»
«E’ la famiglia di Nino» mormorò la voce di Adrien, facendo voltare entrambi nella direzione da cui questa era giunta: il biondo era fermo in cima alle scale, una mano ferma sulla balaustra di legno e lo sguardo rivolto verso Theo: «Penso io a informarla» mormorò, avvicinandosi con lentezza e tenendo lo sguardo sul giovane uomo.
Theo annuì, chinando lieve il capo in direzione di Marinette e poi verso Adrien, raggiungendo velocemente le scale e scendendo dabbasso: «Nino era con me, il giorno in cui ci siamo incontrati» riprese Adrien, avvicinandosi a lei e si fermò a pochi passi da lei, le mani intrecciate dietro la schiena: «Ti ricordi dell’altro ragazzo, vero? Oppure la tua attenzione era completamente concentrata sul sottoscritto?» si fermò, osservandola piegare le labbra in un sorriso che le raggiungeva anche lo sguardo e, nonostante la situazione, si ritrovò a ridacchiare: «Sì, direi che ricordi…»
«Un po’ difficile non farlo, non credi?» lo rimbeccò la ragazza, sorridendo e voltandosi poi di lato e lasciando andare un sospiro; avvertì il corpo di Adrien farsi più vicino e sentì il suo respiro sulla tempia, mentre le guance le erano diventate di fuoco: «Perché li vogliono morti?» riuscì a domandare, con la voce che faceva fatica a uscire.
«Non so dirti» mormorò Adrien, allungando l’altra mano e catturandole una ciocca, strusciandosela sui polpastrelli della mano: «Possibile che mio padre sia venuto a sapere che Nino mi abbia aiutato nella fuga? Però in quel caso avrebbe giustiziato solo lui…» mormorò fra sé, leccandosi il labbro inferiore: «No, c’è qualcosa di più grosso: i Lahiffe erano sostenitori di tuo padre…»
«Cosa?» domandò Marinette, voltandosi e portando l’attenzione sul giovane, accorgendosi di quanto vicino si era fatto, tanto che le loro labbra quasi si sfioravano: «Come…»
«Alcune delle famiglie nobili erano alleate a tuo padre e cambiarono vessillo quando il mio prese il trono» le spiegò Adrien, avvicinandosi ancora di più e tenendo lo sguardo celeste incatenato al suo: «Per salvare i propri cari o i propri averi. Armand Lahiffe voleva proteggere la moglie e il figlio, per questo si dichiarò alleato di mio padre.»
«Forse per questo, adesso…»
«No. Non avrebbe senso ora. A meno che…»
«A meno che la mia fuga non abbia messo un po’ di agitazione in Bourgeois: sai, il fatto che non voglio sposare la figlia, che sia scappato di casa…» Adrien storse la bocca, sorridendo divertito: «Conoscendo Armand avrà sicuramente fatto un commento di troppo e quel grassone adesso esige la sua testa.»
«E tuo padre? Non muoverà un dito?»
«Se non è di suo interesse no» mormorò Adrien, chinandosi appena con il desiderio di baciare quelle labbra che tanto lo tentavano, ma venendo fermato dalle dita di Marinette che si frapposero fra loro: «Voglio baciarti» bisbigliò contro i suoi polpastrelli.
«L-lo so» bisbigliò la giovane, socchiudendo con forza le palpebre al suono della sua voce che tentennava sulle parole: «Ma tu sei fidanzato con…»
«Nessuno. Sono libero dal momento che ho varcato i cancelli del palazzo e rinnegato il nome degli Agreste.»
«Non puoi…»
«Sì, che posso» decretò Adrien con la sicurezza nella voce: «Ho chiesto di sciogliere quel fidanzamento che non volevo, per poter chiedere te come mia moglie ma mio padre non me l’ha permesso e allora me ne sono andato.»
«Co-cosa?»
Adrien le sorrise dolcemente, sistemandole una ciocca dietro l’orecchio e fissandola poi negli occhi: «Sono tuo, anima e corpo» le bisbigliò, prendendole la mano che si frapponeva fra le loro bocche e posandosela sul cuore: «La mia vita o la mia morte dipendono da te, mia dolce principessa» le sfiorò le labbra con le proprie, assaporando appena il dolce sapore di Marinette: «Ma questo non è il momento di dimostrarti la mia devozione» borbottò, allontanandosi un poco e tenendo la mano di lei sul petto: «Anche se non sono d’accordo, tu sei l’unica con abbastanza potere da poter salvarli, quindi ti chiedo di aiutare Nino e la sua famiglia, per favore. Salva il mio amico.»
Marinette annuì, sbattendo le labbra e fissandolo in volto: il suo sguardo era sofferente e le linee del volto tese mentre le chiedeva ciò.
Annuì, avvicinandosi a lui e allungò l’altra mano, fermandosi poco prima di toccarlo: piegò le dita su sé stesse, rilasciandole poi e portando indietro le ciocche bionde, che ricadevano sulla fronte di Adrien: «Lo farò» decretò con tutta la decisione che aveva: «Non permetterò che Gabriel Agreste – o Bourgeois – abbia le loro vite.»


Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.226 (Fidipù)
Note: Buon pomeriggio! Eccoci qua con un nuovo aggiornamento di Inori (vi ricordo che il prossimo sarà il 30 di agosto) e...beh, in effetti non è che abbia molto da dire, se non che in questo capitolo sarà presente una scena classica della tragedia di Sheakespeare che, ovviamente, ho rivisitato. Scusami, Willie. Non volevo rovinare la tua opera.
Detto ciò, parto subito con le classiche informazioni di rito: come sempre, vi rimando la pagina facebook per ricevere piccole anteprime e restare sempre aggiornati. Vi ricordo che domani ci sarà un nuovo capitolo di Laki Maika'i, mentre venerdì sarò il turno di Miraculous Heroes 3 e sabato, invece, verrà aggiornata Scene.
E, dulcis in fundo, voglio dire grazie a tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste!


 

Armand Lahiffe lesse nuovamente l’invito ricevuto poche ore prima, attendendo con pazienza la moglie nell’androne della propria abitazione e cercando di comprendere la sensazione che aveva avuto da quando aveva aperto la busta: era uno strano senso di attesa, quello che l’aveva posseduto, dal momento in cui aveva letto le prime parole della breve lettera, in cui era invitato a palazzo, assieme alla moglie e al figlio; una strana sensazione era serpeggiata lungo la schiena, rendendogli impossibile stare fermo in un punto e, allo stesso tempo, difficoltoso muoversi.
C’era qualcosa di profondamente sbagliato in tutto ciò, sebbene non fosse nemmeno una cosa così rara venir richiamati a castello dal reggente.
Che cosa lo stava mettendo in allarme?
Che cosa non gli faceva pregustare il piacere di incontrare il suo signore e magari perorare la causa del disfacimento del fidanzamento con i Bourgeois?
Scosse il capo, lasciando andare un lungo sospiro e si voltò, osservando il figlio mentre giocherellava distratto con i bottoni dorati della giubba, perso completamente in un mondo tutto suo; Armand sorrise, alzando la testa e osservando la tromba delle scale che portava al piano superiore e domandandosi mentalmente quanto tempo sarebbe stato necessario, prima che sua moglie fosse pronta.
Strinse le dita, lasciandole poi andare e scuotendo le mani, quasi a scacciare così ciò che lo possedeva senza riuscire nel suo intento.
C’era qualcosa che non gli quadrava in tutta quella storia e il suo istinto sembrava metterlo in allarme.
Forse sarebbe dovuto andare da solo.
Forse avrebbe dovuto lasciare la sua famiglia lì, a casa, al sicuro.
Un rumore di passi gli fece alzare lo sguardo verso l’alto, mentre sua moglie scendeva con calma la scalinata, bellissima nell’abito dalle tinte calde; sorrise appena, allungando una mano e aiutandola a scendere gli ultimi gradini e portandosi poi le dita nude alle labbra, posando un bacio sulle nocche: «Possiamo andare, mia diletta?» domandò, notando Nino avvicinarsi a loro.
«Quando vuoi, mio signore.»


Marinette osservò la figura completamente vestita di nero che la precedeva, seguendola fra i cespugli e ringraziando la pallida luna piena che donava un po’ di luce: «Saresti dovuta rimanere a casa di Fu» mormorò la voce del suo accompagnatore, mentre questi si abbassava e si nascondeva fra la vegetazione, facendo poi guizzare lo sguardo verde sulla zona e annuire a qualcosa che solo lui aveva visto.
Marinette lo imitò senza rispondergli e ricordando le poche ore che erano passate da quando avevano ricevuto la notizia dell’attentato alle vite dei Lahiffe: non era riuscita a pensare lucidamente, lasciando all’anziano il compito di ordinare agli uomini ogni cosa e osservando la figura silenziosa di Adrien, ammantarsi sempre più di una rabbia repressa.
Non era sembrato d’accordo su tante cose e la sua presenza lì sembrava essere quella che, più di tutte, lo aveva fatto infuriare.
«E’ u-un mio compito» mormorò Marinette, chinando la testa e storcendo le labbra, sentendo la sua voce incerta e traballante sulle parole: «Io…» il rumore della carrozza la fermò dal continuare, rimanendo in silenzio e ascoltando il suono delle ruote che viaggiavano sulla strada dissestata, congiunto a quello degli zoccoli dei cavalli che macinavano velocemente il terreno.
Come era il piano?
Fermare la carrozza e poi?
Sospirò, scuotendo il capo e lasciando andare il respiro, cercando di ricordare cosa era stato detto nella veloce riunione che avevano fatto prima di mettersi in moto: avrebbero dovuto fermare i Lahiffe, prima che questi arrivassero nel punto in cui li stavano attendendo i sicari, parlare con Armand Lahiffe e poi scortare tutta la famiglia nell’abitazione di Fu e da lì decidere il da farsi.
Era stato in quel momento che Adrien aveva parlato, opponendosi al fatto che anche lei dovesse essere presente.
Fu l’aveva ascoltato, negando poi con il capo e ricordandogli chi lei era: non semplicemente Marinette ma il capo dei Dupain e il suo compito era essere proprio lì, in quel momento.
Marinette alzò una mano, spostando leggermente un rametto e osservando la strada ancora deserta, in attesa della carrozza che era preannunciata dal rumore: sarebbe andato tutto bene, n’era certa.
Non ci sarebbe stato nulla di cui preoccuparsi.
Spostò leggermente lo sguardo sul giovane accanto a lei, alzando appena gli angoli nella bocca in un sorriso tenue, mentre osservava la maschera che copriva il volto e gli abiti scuri: Chat Noir era tornato, sebbene adesso sapesse chi si celava sotto l’identità fittizia che l’aveva corteggiata e fatta innamorare così velocemente.
Un vero e proprio colpo di fulmine.
Adrien spostò lo sguardo su di lei un secondo, prima di tornare a fissare davanti a sé: «Stai vicino a me» dichiarò perentorio, quasi fosse abituato a farsi obbedire e, in un certo senso, era così: era stato cresciuto come un principe ed era abituato a dare ordine, alla fine.
Marinette annuì, mentre i cavalli e la carrozza facevano capolino all’inizio della strada e lei rimase in silenzio, osservando alcuni uomini uscire dal loro nascondiglio e fermarsi in mezzo alla strada, in modo da bloccare così il viaggio dei Lahiffe: si issò in piedi, uscendo anche lei dal suo rifugio, sentendo i movimenti di Adrien alle sue spalle e palesò la sua presenza, mentre Armand Lahiffe apriva lo sportello e si affacciava: «Che cosa sta succedendo?» domandò, facendo un passo sul pedalino e guardando gli uomini riuniti, fermandosi poi sull’anziano uomo che era avanzato: «Fu. Che sta succedendo?»
«Sembra che tu abbia fatto arrabbiare Gabriel, Armand.»
«Cosa?»
«Ti stiamo salvando dalla morte. Tua e dei tuoi parenti.»
Armand Lahiffe aprì la bocca ma nessuna parola uscì dalle labbra e scosse il capo, saltando giù dalla carrozza e guardandosi attorno, osservando uno a uno gli uomini lì riuniti e fermando lo sguardo sulla giovane coppia, poco distante: «E’ un onore per me incontrarvi, principessa» dichiarò, facendo un passo verso i due giovani e inginocchiandosi davanti a Marinette e Adrien: «Mio principe. La mia vita è nelle vostre mani e vi ringrazio.»
«Armand…» Adrien iniziò a parlare, venendo interrotto dal suo nome detto da una voce familiare: alzò la testa, notando Nino fare capolino dalla carrozza con un sorriso allegro in volto, un’espressione di gioia che anche lui ricambiò, scuotendo poi il capo e avanzando, chinandosi e poggiando le mani sulle spalle dell’uomo: «Armand, io non sono niente. L’unica davanti che merita la tua devozione e fedeltà è la principessa Dupain. Solo ed esclusivamente lei.»


La luna piena era alta nel cielo, che dominava con la sua figura pallida e illuminava appena il giardino, altrimenti immerso nelle ombre della notte: Marinette poggiò le mani sulla balaustra di pietra, osservando l’oscurità che si estendeva sotto di lei e chinandosi poi, fino a poggiare il mento contro i polsi intrecciati, mentre i ricordi della giornata scivolavano nella sua mente e la stanchezza sembrava averla posseduta.
Da qualche parte nell’abitazione, Fu stava sicuramente parlando con i Lahiffe, spiegando loro la situazione in cui vertevano i giochi di equilibrio di tutta Paris: sarebbe dovuta essere partecipe, essere presente e ascoltare, dimostrando così di essere la vera erede di Tom Dupain ma tutto ciò che aveva voluto, invece, era starsene sola e in tranquillità.
Fu non aveva obiettato e l’aveva lasciata fare.
Sembrava fosse passata un’eternità da quando aveva aperto gli occhi quella mattina, eppure così tante cose erano successe in quella giornata: avevano salvato i Lahiffe, Gabriel Agreste sicuramente era venuto a conoscenza della sua identità e Adrien…
Adrien.
Adrien adesso era lì con lei.
Socchiuse gli occhi, lasciando andare il respiro che aveva trattenuto e non sapendo come collocare il giovane nella sua nuova vita: era un Agreste e ciò l’avrebbe condotto a morte certa, non appena sua madre l’avesse scoperto: «Adrien…» mormorò, assaporando per la prima volta il nome del ragazzo: non l’aveva mai detto a voce alta, troppo timorosa di rendere reale ogni cosa.
L’identità del giovane.
L’odio fra le loro due casate.
Si rialzò, socchiudendo gli occhi e offrendo la testa alla luna, mentre un lieve sorriso le piegava le labbra: «Adrien» bisbigliò per una seconda volta, scuotendo poi il capo e sentendosi l’imbarazzo salirle e ghermirle le guance in una morsa di fuoco: che senso aveva ripetere il nome di qualcuno che era così odiato dalla sua famiglia? Fu e Theo l’avevano accolto bene, come anche Alya.
Ma il resto dei sostenitori dei Dupain?
L’avrebbe accettato così facilmente oppure avrebbe solamente visto in tutto ciò l’opportunità di togliere di mezzo l’unico erede di Gabriel?
«Ma perché sei un Agreste?» domandò rivolta verso alla luna e sentendo il cuore dolerle di fronte a tutto ciò che sarebbe successo, non appena l’identità del giovane fosse stata rivelata: «Se tu non lo fossi, io…»
«Non sono più un Agreste» Marinette sobbalzò al suono della voce decisa di Adrien, voltandosi e osservandolo mentre rimaneva fermo sulla porta del balcone, un sorriso incerto in volto: «Perdono. Ero venuto per parlare e ho sentito la tua voce, sono entrato e…» si fermò, chinando la testa mentre accorciava la distanza fra loro: «Hai detto il mio nome.»
«Sì»
«Ma il mio nome è tuo nemico.»
«Sì»
Adrien annuì con il capo, tenendo lo sguardo basso e lasciando andare un sospiro, prima di alzare la testa e sorridere, notando che entrambi avevano parlato con gli occhi rivolti al pavimento: «Non sarò più Adrien o un Agreste, allora. Puoi chiamarmi come più preferisci, mia signora» si fermò, sorridendo allo sguardo celeste che si era alzato e adesso lo fissava con sorpresa: «Anche Chat Noir.»
«Chat Noir?»
Adrien alzò le spalle, sorridendo appena e appoggiandosi con i fianchi alla balaustra di pietra, chinando lieve la testa verso di lei: «E’ un nome come un altro, non credi?» le domandò, incrociando le braccia al petto e annuendo deciso: «Oltretutto mi sta anche bene.»
Marinette sorrise, posando gli avambracci sulla pietra e osservando il giardino immerso nella notte, sentendo il calore del corpo di Adrien vicino al suo: «N-non dovresti stare qui: se mia madre ti scopre, ti ucciderà» storcendo le labbra di fronte alla titubanza che sentiva nella sua voce, mentre si tratteneva dal farsi aria al volto, completamente in fiamme.
«Non ho altro posto dove andare» dichiarò Adrien, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé: «E l’unico posto dove voglio stare è qui, al tuo fianco» si fermò, sciogliendo le braccia e voltandosi verso di lei, poggiando una mano sulla pietra: «Se tu mi ami, nient’altro ha importanza per me. Preferisco morire per mano dell’odio di tua madre, che sopravvivere senza il tuo amore.»
«I-io…»
«Devo forse giurare per dimostrarti quanto ti amo?» le domandò il ragazzo, guardandosi attorno e alzando poi la testa, mentre lo sguardo verde si calamitava sulla luna piena; Adrien annuì, tornando a voltarsi verso la ragazza e alzando una mano, carezzando con le nocche la linea della mandibola: «Mia signora, per quella sacra luna che inargenta le cime di quegli alberi, giuro...»
Due dita si posarono lievi sulle sue labbra, impedendogli di continuare a parlare e rimase immobile, vedendo Marinette negare con la testa e posare su di lui lo sguardo limpido e cristallino: «N-non sai cosa s-si dice sui giuramenti sulla luna?» gli domandò, incespicando sulle parole, quasi fosse difficoltoso parlare per lei. Adrien negò appena, facendola sorridere appena: «Non si giura sulla luna, perché è incostante e si trasforma. Se giuri sulla luna, anche il tuo amore sarà uguale: incostante e mutevole.»
Adrien prese le dita di Marinette fra le sue, voltando il palmo e posando le labbra al suo centro, mentre lo sguardo verde era fisso su di lei: «Su cosa dovrei giurare?» domandò, tirandola appena e accorciando la distanza fra loro: «Dimmelo e lo farò.»
«N-non giurare.»
Adrien rimase immobile, annuendo poi lentamente con la testa e posando nuovamente le labbra sul palmo di lei: «Non giurerò allora» bisbigliò contro la pelle, baciandola e serrando maggiormente la presa, quando la sentì muoversi fra le sue dita, cercando di liberarsi: «Non giurerò su niente e nessuno.»
Il viso era ormai incandescente, mentre la carezza delle labbra di Adrien le provocava brividi che si dipanavano per tutto il corpo, serpeggiando lungo la schiena e riunendosi tutti in un solo punto del suo corpo; strattonò il braccio, che lui teneva prigioniero, riuscendo a liberarsi e portandosi poi la mano all’altezza del cuore, il respiro diventato improvvisamente affannato e lo sguardo che non riusciva a staccarsi da lui: «Io vado» mormorò, cercando in lui la stessa agitazione che aveva lei nel cuore e nel corpo.
Arretrò di qualche passo, voltandosi e dirigendosi decisa verso la porta: «Vuoi lasciarmi così insoddisfatto?» la voce di Adrien la fermò, facendola voltare e osservare il giovane: teneva stretto la balaustra di pietra, lo sguardo verde rivolto verso di lei e quasi sentiva la sua carezza sul corpo, mentre il suo respiro era affannato proprio come quello di lei.
Marinette sorrise, voltandosi completamente e inclinando appena la testa, vittoriosa nel fatto che anche lui sentiva la sua stessa agitazione: «Che soddisfazione vuoi avere stanotte?» gli domandò, osservandolo mentre vagava con lo sguardo in ogni luogo della terrazza, prima di posarsi su di lei e un sorriso malizioso gli piegò le labbra, arrivando dritto al suo cuore che aumentò i battiti, e il calore scivolò lungo le sue guance, catturandole l’intero viso: «Buona notte, Adrien» mormorò la ragazza, balbettando un poco su quelle poche parole, e arretrando di un passo e sgusciando all’interno dell’abitazione, sentendo fino all’ultimo le iridi verdi su di sé.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.347 (Fidipù)
Note: Prima o poi ritornerò alla vecchia gloria, quando sapevo cosa postare e in che giorni, magari non appena mi sarò un po' ripresa e il mio unico pensiero fisso non sia dormire. E dormire. E dormire. Intanto, altalenante come solo un dondolo sa essere, continuo ad aggiornare le storie con un po' di fatica. Ma lo faccio. E si ritorna in quel di Paris, sulle note di You raise me up cantata dalla bravissima Lena Park con un capitolo che è un po' di collegamento e ci porta un poco avanti nella storia: qualcuno decide, qualcuno ha un confronto e altri...beh, sono semplicemente in balia degli eventi.
Come sempre, vi rimando la pagina facebook per ricevere piccole anteprime e restare sempre aggiornati. E vi do appuntamento a ciò che aggiornerò in questi giorni, dato che sono un genio e ho lasciato tutto alla fine della settimana
Per concludere, voglio dire grazie a tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste!
 

L’incessante chiacchiericcio del cognato era diventato una fonte di sofferenza per Gabriel e più volte si era domandato se il cognato fosse cosciente di quanto dolore gli arrecassero le sue ciarle continue: incurante di tutto, compreso il fatto di trovarsi a teatro nel balcone privato degli Agreste, l’uomo continuava inesorabile a parlare.
E parlare.
«Ho sentito una voce» mormorò a un certo punto il cognato, mentre Gabriel cercava di concentrarsi sul dramma in atto sul palcoscenico e domandandosi di quale disturbo fosse affetto il parente e perché, fino a quel momento, nessuno aveva pensato di curarlo.
«Che voce?» domandò Gabriel, più per inerzia che vera e propria curiosità, poggiando il viso contro il pugno chiuso e tenendo lo sguardo fisso sul palco, mentre la mente vagava e ai rapporti che i mandanti dell’assassinio di Armand Lahiffe avevano lasciato: l’uomo e la sua famiglia erano ancora vivi, protetti dai sostenitori dei Dupain.
Coloro che erano ancora devoti a Tom Dupain, avevano impedito a lui di uccidere un personaggio scomodo.
Ma ciò che lo impensieriva, ben più di un possibile nemico politico ancora in piedi, era la dichiarazione di una fanciulla fra i sostenitori dei Dupain.
Possibile che fosse la figlia di Tom Dupain? Possibile che quel fantasma era tornato dal passato proprio ora?
«Alcuni si stavano domandando cosa farà adesso che Adrien se n’è andato, voltando le spalle alla corona…»
La voce di suo cognato penetrò i suoi pensieri, riportandolo al presente mentre puntava lo sguardo chiaro sull’uomo e notava il sorriso fasullo che gli piegava le labbra: «Adrien è…» si fermò, non trovando parole che non fossero una scusa alle sue stesse orecchie: «…un traditore» concluse, serrando con forza la mascella e fissando avanti a sé, senza voltarsi verso il cognato.
Non voleva vedere il sorriso che aveva in volto l’altro.
«Immagino che non sarà più il vostro erede» Gabriel non rispose, continuando a tenere lo sguardo avanti a sé: «E chi se non meglio di un parente?»
«Dove volete andare a parare?»
«Beh, mio figlio è un congiunto della vostra defunta moglie, mia sorella» Gabriel strinse la presa sui braccioli della poltrona, inspirando profondamente a alzando il mento: «Non è forse più consono dichiarare Nathaniel come vostro erede piuttosto che uno sconosciuto qualsiasi?» l’uomo si fermò e sogghignò appena: «In fondo l’avete detto voi stesso, che vostro figlio è un traditore.»
Gabriel socchiuse gli occhi, respirando appieno l’aria del teatro e poi riaprendo le palpebre, osservando gli attori che si muovevano sul palcoscenico: «Sì, mio figlio non può essere il mio erede» dichiarò, voltandosi con lentezza verso il parente e piegando le labbra in un sorriso: «Nathaniel potrebbe anche essere meglio di lui. Lo nominerò mio erede.»
«Sono felice di ciò. E lo sarà anche Nathaniel. Ne sono certo.»


Nino rimase sulla soglia della stanza, le mani intrecciate dietro la schiena, mentre spostava il peso da un piede all’altro e lo sguardo seguiva febbrilmente la ragazza che si affaccendava nella stanza: «Posso dare una mano?» domandò titubante, stirando le labbra in un sorriso incerto che traballò quando la ragazza si fermò, al centro della camera, con lo sguardo rivolto verso di lui: «Vorrei rendermi utile, finché staro qui…»
Si fermò, ben sapendo cosa significano quelle parole: l’anziano mentore dei Dupain, aveva avvisato lui e i suoi genitori del pericolo che correvano lì a Paris.
Armand Lahiffe aveva compreso appieno la portata di tutto ciò e così aveva deciso di sparire dalla circolazione, fino a che il governo della città non fosse stato soverchiato, decidendo di andare nella lontana Marsiglia e rimanere lì, fino a che le acque non si fossero calmate e il ritorno dei Dupain al potere non fosse divenuto reale.
Nino si era preparato a dover dire addio al suo migliore amico, a lasciarlo a Paris mentre lui fuggiva assieme ai suoi genitori, ma così non era stato e Armand aveva pensato bene di lasciare Nino lì, protetto dagli accoliti dei Dupain: «Magari puoi renderti utile non stando lì impalato» sbottò la ragazza, posando delle lenzuola piegate sulla sedia che, assieme a letto e armadio, completava lo spartano arredamento della stanza: «E aiutarmi a rifare il letto dove tu dormirai.»
Il giovane annuì veloce, avvicinandosi e osservando i teli, rimanendo poi immobile e cercando di ricordare cosa facessero con quelli le serve: le aveva viste tante volte affaccendarsi per la sua camera, mentre il valletto lo aiutava a finire di prepararsi, ma doveva ammettere che non era per nulla sicuro di come muoversi.
In un letto c’erano due lenzuola: uno sopra e uno sotto.
E fin lì non dovevano esserci problemi.
Doveva semplicemente prendere uno e metterlo sopra il materasso, poi un altro e posarlo sopra al primo.
Non sembrava complicato.
Prese uno dei teli, aprendolo e, con le braccia aperte, si voltò verso il materasso, addossato in un angolo della stanza: «Non hai mai rifatto un letto, vero?» gli domandò la voce della ragazza, parole seguite poi da un sospiro; Nino abbozzò un sorriso imbarazzato, conscio della sua inettitudine e osservando la giovane togliergli di mano il lenzuolo: «Voi ricchi siete tutti uguali» continuò lei, scuotendo la stoffa e lasciandola scivolare sopra il materasso, chinandosi poi in avanti e iniziando a togliere le pieghe che si erano formate, rincalzando poi gli angoli sotto al materasso: «Pensate di essere i padroni del mondo, ma in verità non sapete nemmeno vestirvi senza servitori.»
«So vestirmi» dichiarò piccato Nino, portandosi le mani alla giacca e strattonandola leggermente: «Certo, Remier è il migliore nell’allacciare le cravatte, però…» si fermò, stirando le labbra e abbassando le spalle, rimanendo in silenzio mentre la ragazza sistemava il letto in cui lui avrebbe dormito.
Non vedeva Alya Césaire da parecchio tempo, eppure lei non era cambiata: diretta come quando era alla taverna, seccata dalla sua presenza come ogni volta che lo vedeva.
Era rimasto stupito quando, una volta giunto in quella casa, l’aveva scorta fra i volti di chi li avevano accolti e lo stesso poteva dire di lei: aveva visto lo sguardo nocciola sgranarsi e la bocca disegnare un O mentre lui faceva la sua entrata nella stanza; Adrien gli aveva poi battuto una mano sulla spalla, attirando su di sé l’attenzione e, una volta che Nino si era nuovamente voltato, la fanciulla era sparita.
Non l’aveva più rivista, almeno fino a quella mattina: dopo aver salutato i suoi genitori, scortati a Marsiglia da uno degli uomini di Fu, l’anziano padrone di casa l’aveva poi affidato alle gentili cure di Alya che, fra uno sbuffo e l’altro, l’aveva accompagnato fino a quella che era la sua futura stanza.
«Invece di stare immerso nei tuoi pensieri, potresti osservare come si fa» borbottò Alya, riportandolo nuovamente al presente e fissandolo con il secondo lenzuolo fra le mani: «Non so quanto rimarrai qui e puoi sognarti che venga a rifarti il letto ogni mattina.»
«Sì. Certo.»
Alya lo fissò, quasi Nino poteva vedere l’esasperazione materializzarsi come un’entità separata, e subito si mise a studiare i movimenti della giovane che, pratica e veloce, stava sistemando anche il secondo telo: «Theo è un bravo uomo» dichiarò, tirando appena la stoffa candida: «Ed un ottimo soldato, sono certa che terrà al sicuro i tuoi genitori.»
«Grazie» mormorò il giovane, stirando un poco le labbra e poggiandosi con gli avambracci al bandone del letto: «E’ tutto così strano, fino a poco tempo fa la mia vita era tranquilla e quasi monotona: ero il miglior amico del principe, andavo a palazzo a trovarlo, mi divertivo con lui…»
«Venivi a disturbare in taverna.»
«Poi dal diciottesimo compleanno di Adrien tutto è cambiato.»
«E’ perché era il diciottesimo compleanno anche della principessa» mormorò Alya, prendendo il cuscino e stringendolo a sé, lo sguardo fisso in avanti: «Il giorno in cui avrebbe compiuto diciotto anni, la verità le sarebbe stata detta e tutto sarebbe cambiato. Lo sapevo, eppure non ero preparata» si fermò, inspirando profondamente e voltandosi verso il ragazzo: «Così come te, non ero pronta a tutto ciò che sarebbe venuto…»
Nino annuì, inspirando e voltandosi verso la finestra aperta, ascoltando i rumori che provenivano da fuori e riconoscendo il suo metallico delle spade che s’incontravano: «Sapevo di mio padre, sapevo che era un accolito dei Dupain e, per questo, ho suggerito ad Adrien di venire qui, quando è fuggito.»
«Hai fatto bene. Hai salvato il tuo amico così.»
«Mi chiedo se non dovevo fare altro, se non avessi dovuto agire diversamente.»
«Ti penti di ciò che hai fatto? Così tanto da toglierti il sonno?»
«No. Non credo.»
«E allora significa che hai fatto la cosa giusta» dichiarò Alya, sorridendo appena e sistemando il cuscino, avvicinandosi poi all’armadio e tirandone fuori due coperte: «Fu dice sempre che i rimpianti non portano a nulla se non a scelte future dettate dalla paura.»
«Mi chiedo quando tutto tornerà alla normalità…»
«Il mondo che conoscevi, mi dispiace dirtelo, ma non tornerà mai più.»


Marinette inspirò profondamente, sentendo il dolore correrle lungo le braccia mentre teneva lo sguardo sul suo avversario che, completamente rilassato, roteava la spada con la mano destra, prima di sistemarsi nuovamente in posizione: «Sei già stanca, principessa?» le domandò Adrien, piegando le labbra in un sorriso e facendo un passo di lato, lo sguardo verde che seguiva ogni movimento della ragazza: «Sinceramente preferirei che tu non dovresti mai avere a che fare con situazioni che richiedono la spada…»
«Hai detto che volevi insegnarmi» lo riprese la giovane, inspirando profondamente e cercando di ignorare la fatica che faceva nella semplice azione di sollevare la spada.
«Sì, perché tu sembri determinata a metterti in pericolo. Come è successo qualche giorno fa per i Lahiffe.»
«Io…»
«Posso comprendere che, in qualità di unica erede di Tom Dupain, tu debba guidare i tuoi sostenitori, ma…» Adrien si fermò e sorrise dolcemente, mentre Marinette sapeva benissimo quale discorso stava per iniziare, sicura che le parole sarebbero state le stesse che le ripeteva da quando si erano incontrati sul balcone subito dopo aver salvato i Lahiffe: «…potresti delegare a me la questione, soprattutto se ci sposassimo ed io entrassi nella cerchia dei Dupain.»
«Ti ho già spiegato che mia madre non accetterebbe mai una cosa del genere.»
«Ma io non sono un Agreste» ribatté tranquillo Adrien, rilassando la propria postura e poggiando il piatto della spada sulla spada sinistra: «Ho rinnegato il mio nome, ricordi?»
«Sinceramente mi piacerebbe sposarmi ed essere certa che mia madre non mi renda vedova il minuto dopo» borbottò Marinette, infilzando la spada nella terra brulla, inclinando poi il capo e intrecciando le braccia al seno: «Hai davvero delle tendenze suicide, lo sai?»
«Il tuo discorso…»
«Adrien.»
«Praticamente hai accettato a sposarmi, ma vuoi accertarti che tua madre non mi uccida e ti renda una vedova» il ragazzo annuì con la testa, sorridendo divertito: «Beh, in effetti, anche a me non piacerebbe morire subito, almeno dopo la prima notte di nozze. Se proprio devo scegliere un momento per la mia dipartita.»
«Co-co-co-cosa?»
«Calma, principessa. Stavo scherzando» dichiarò Adrien, avvicinandosi a lei e fermandosi a pochi passi: le punte delle loro scarpe si toccavano e Marinette poteva sentire il respiro di lui sulla pelle del volto, rendendosi conto per l’ennesima volta di quanto era sensibile alla sua presenza: «Avevo pensato di sposarti anche quando pensavo che tu fossi una semplice fornaia, per te ho abbandonato il mio nome, quindi non pensare che le tue reticenze o tua madre mi possano fermare, Marinette.»
«Hai tendenze suicide…» mormorò la ragazza, quasi come se fosse una constatazione di fatto, tenendo lo sguardo fisso sul petto di Adrien e sentendosi incapace di incontrare il suo sguardo in quel momento, nemmeno quando lo sentì ridacchiare piano e poi il calore del suo corpo più vicino e le labbra poggiarsi delicate sulla sua guancia.
«Andiamo, principessa. Hai un allenamento con la spada da finire.»
«Non era finito?»
«Non sperare di distrarmi con queste proposte di matrimonio, signorina. Il mio maestro, D’argencourt, diceva sempre che lo spadaccino che si distraeva facilmente era uno spadaccino morto.»
«Hai fatto tutto da solo.»
«Oh? Davvero? Sbaglio o eri tu quella che parlava di vedove subito dopo il matrimonio?»


Nathaniel osservò il padre, sbattendo le palpebre e assimilando le parole che l’uomo aveva pronunciato da poco, incapace di comprendere se fosse tutto reale o semplicemente un parto nato dalla sua mente, un incubo: «Potete ripetere, padre?» domandò, sentendo la propria voce titubante mentre cercava un qualcosa a cui poggiarsi: fece un passo indietro, sentendo il letto contro le gambe e lasciandosi andare sopra di queste, la mano che si reggeva a una delle colonne del baldacchino e lo sguardo puntato sulle scarpe del genitore.
«Tu sarai il nuovo erede al trono di Paris…»
«Ma io…»
«Quello sciocco di Adrien ci ha fornito l’occasione su un piatto d’argento» Nathaniel strinse le labbra, osservando il sorriso sul volto del padre mentre parlava: «Gabriel non reggerà ancora per molto, e finalmente saremo noi Kurtzberg a regnare su Paris, com’è giusto che sia.»
«Se andiamo a vedere ciò che è giusto o sbagliato, padre, la famiglia che dovrebbe avere quel ruolo è…»
«La nostra» dichiarò il padre, fissandolo in volto e sorridendo, quasi Nathaniel poteva scorgere nei suoi occhi la luce della follia: «Solo la nostra.»
«Sì, padre» mormorò, chinando la testa e sentendo il silenzio calare nella stanza: una manciata di minuti bastarono al padre per sentirsi a disagio e andarsene senza dire una parola: Nathaniel rimase immobile mentre sentiva i passi dell’uomo allontanarsi, la porta aprirsi e richiudersi, infine nuovamente il silenzio.
Con un profondo respiro, alzò la testa e lo sguardo si posò sulla tela che, poggiata sul cavalletto, dominava la zona vicino alla finestra della propria camera da letto; con calma si alzò dal letto, avvicinandosi al dipinto ancora incompiuto e lo sguardo carezzò le forme del viso e del corpo che, lentamente, stava prendendo vita: essere l’erede di Gabriel, non solo significa prendere il posto di Adrien nella vita politica della città, ma diventare anche una pedina nei giochi che regolavano le relazioni fra le famiglie importanti di Paris.
Significava diventare il promesso di lei, della fanciulla che stava disegno.
Di Chloé Bourgeois.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.942 (Fidipù)
Note: Ed eccoci di nuovo qua in quel della bella Paris: nuovo capitolo di Inori e intanto si smuovono un po' le cose, anche se non sembra...eeeh, a voi! Ma io ho mosso le mie pedine...vabbè, vabbè. Non sto a disturbarvi oltre con le mie chiacchiere senza senso: e mentre ci avviciniamo di più alla fatidica data della seconda stagione (per chi non lo sapesse, il 26 ottobre torna Miraculous), come sempre si passa alle informazioni di rito: vi rimando la pagina facebook per ricevere piccole anteprime e restare sempre aggiornati e al gruppo facebook Two Miraculous Writers, gestito con la bravissima e talentuosa kiaretta_scrittrice92.
Per concludere, voglio dire grazie a tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste!

 

Adrien si sistemò meglio il cappuccio sulla testa, vagando poi con lo sguardo su ciò che lo circondava: i ricordi che aveva di una Paris in festa, piena di addobbi, cozzavano con ciò che adesso gli si proponeva davanti agli occhi.
Non c’erano più gli striscioni colorati appesi alle case che attraversavano le vie da muro a muro, le maschere variopinte avevano lasciato il posto a visi adombrati: non c’erano sorrisi o chiacchiericci e le persone tenevano lo sguardo basso, le labbra stretta in una linea sottile, completamente assorti in quello che facevano per dedicarsi agli altri.
Si fermò, osservando una donna seduta fuori casa, seduta per terra e con le braccia scarne allungate in avanti e una bambina che piangeva, tenuta sulla schiena da un intricato gioco di fasce: «Lei era una prostituta» mormorò Marinette, affiancandolo e tenendo lo sguardo sulla protagonista dell’attenzione di Adrien, gli angoli della bocca piegati all’ingiù: «Il padrone del bordello l’ha cacciata dopo che è rimasta incinta per la terza volta. E lei non ha di che mangiare adesso» dichiarò, avvicinandosi alla donna e lasciando cadere una moneta fra le dita.
«Che la dea vi protegga, mia signora.»
«Io non sono una signora» mormorò Marinette, stringendosi nel mantello e ripercorrendo i pochi passi che la separavano da Adrien, scoccando un’occhiata fugace al giovane e vedendo le linee del volto teso: «Questa è la realtà di Paris: io sono stata più fortunata, poiché mia madre ha aperto un’attività e questa è fiorita, ma avrei potuto essere tranquillamente come quella donna.»
«Mio padre non sa di tutto questo?» domandò Adrien, riprendendo a camminare al fianco della giovane e notando adesso cose che prima gli erano sfuggite o che, forse, non aveva voluto vedere: l’anziano mendicante dai logori stracci che, senza una gamba, sostava in un angolo della strada a pochi passi dagli escrementi di un cavallo; un bambino che addentava un pezzo di pane raffermo, gli abiti sporchi e in più punti lisi…
C’era povertà a Paris e lui non se n’era mai accorto.
In vero, quanto sapeva della città che avrebbe dovuto governare un giorno, al fianco di Chloé?
Quanto si era preoccupato di ciò che c’era al di là delle mura del castello che, alte e solide, lo proteggevano da tutto ciò?
Aveva sempre vissuto protetto da tutto ciò, al riparo dalla verità che era semplicemente a pochi passi: avrebbe potuto prendere il suo cavallo in un giorno qualsiasi e i suoi occhi avrebbero visto quella realtà che, invece, Marinette aveva vissuto per diciotto anni.
La ragazza che adesso camminava al suo fianco aveva visto tutto ciò ogni giorno, aveva vissuto quelle condizioni di miseria sulla propria pelle, comprendeva ciò che il popolo soffriva e quanta indifferenza ci fosse da parte di chi regnava: non aveva forse decantato il suo odio per il principe Adrien, la prima volta che si erano incontrati?
Ed era forse così in torto?
Aveva avuto ragione a odiarlo, mentre viveva in tutto ciò?
Inspirò, buttando fuori l’aria e si guardò attorno, adocchiando un vicolo e, presa la mano di Marinette, la trascinò verso di questo, sentendola fare resistenza e le rimostranze che arrivavano alle sue orecchie: la tirò a sé, mentre si addossava contro il muro e le circondò la vita con le braccia, stringendola con forza e affondando il volto contro il suo collo: «Io non sapevo…» bisbigliò, mentre sentiva la presa di lei sulle maniche della camicia, le piccole dita stringevano la stoffa e usavano tutta la loro forza per allontanarlo, ma Marinette era più debole di lui e non sarebbe mai riuscita nell’impresa: «Io…»
«Lo so» mormorò la ragazza, nello stesso istante in cui smise di rifiutare il suo abbraccio, partecipando attivamente e passandogli le braccia attorno al collo, stringendosi a lui: «Io lo so. Adesso lo so.»
«Avevi ragione a parlare male di me quando ci siamo conosciuti» mormorò Adrien, voltando appena la testa e sfiorandole il collo con le labbra, sentendola irrigidirsi appena nel suo abbraccio prima di lasciarsi andare e sciogliersi come se fosse burro; Adrien trovò maggior stabilità contro il muro, inspirando il profumo della ragazza e allontanando il viso, osservando il volto arrossato e lo sguardo celeste che sembrava posarsi ovunque, tranne che su di lui: «Io ho già rinunciato al mio titolo e farò tutto ciò che è in mio potere per permetterti di salire su quel trono: Paris non ha bisogno che la tirannia prosegua e solo una Dupain può mettere fine a tutto ciò.»
«Co-cosa?»
Adrien le sorrise dolcemente, allungando una mano e carezzandole lo zigomo con le nocche: «Tu sai cosa significa soffrire, hai vissuto qua e conosci quello che prova il popolo, Marinette. Ora comprendo perché vuoi combattere, io…»
«Io pensavo solo a proteggere chi mi è caro» bisbigliò la ragazza, chinando il capo e nascondendosi alla vista di lui: «Non sono così nobile come tu credi, io sono egoista e ho pensato solo che…»
«Qualsiasi motivazione ti ha spinto a muoverti, è sempre migliore di ciò che anima mio padre.»
«Non so neanche cosa significa governare» mormorò la ragazza, stringendo le labbra: «Alle volte mi chiedo se il cammino che ho intrapreso è quello giusto: come posso essere d’aiuto a queste persone se io non so cosa fare?»
«Io sono stato educato a governare, fin da piccolo la mia istruzione è servita per far sì che un giorno potessi sedere sul trono di Paris e la governassi» si fermò, sorridendo allo sguardo che si era puntato su di lui: «Quindi se tu mi sposassi avresti un perfetto consigliere al tuo fianco…»
«Tu non demordi mai, vero?» un sorriso tranquillo fu la sola risposta che la rabazza ebbe: «Dobbiamo andare» mormorò, muovendosi e cercando di liberarsi dall’abbraccio del giovane: Adrien storse appena la bocca, allentando la stretta e liberando la giovane; la osservò mentre si sistemava il mantello, portandosi le mani al cappuccio, tirandolo appena in modo da coprirsi il viso il più possibile.
Le tremavano le dita mentre si sistemava il pezzo di stoffa e teneva lo sguardo basso: «Dove dobbiamo andare?» le domandò Adrien, cecando di rammentare ciò che aveva detto loro Fu prima di farli uscire di casa ma ricordando poco o nulla, stringendo le dita a pugno e reprimendo così il bisogno di stringerla nuovamente a sé.
«Ah…» Marinette s’interruppe, voltandosi verso la strada principale e aggrottando le sopracciglia, inclinando la testa e stringendo le labbra l’una con l’altra; Adrien alzò il capo, ascoltando lo sferragliare che aveva interrotto la giovane: riconosceva quel suono, lo aveva sentito molte volte al castello, mentre le guardie attraversavano i corridoi o i giardini.
Si tirò il mantello sul volto, cercando di nasconderlo il più possibile, allungando poi una mano e afferrando quella di Marinette, avvicinandosi lento e il più possibile silenzioso all’apertura del vicolo in cui aveva portato la giovane, voltandosi verso di lei e sorridendole appena in modo da rassicurarla; si affacciò oltre il muro, osservando due soldati che, tronfi, camminavano per la strada.
Un’anomalia con le loro armature dorate in quel posto fatto di miseria.
Adrien sentì Marinette trattenere il fiato alle sue spalle, mentre le due guardie si avvicinavano al mendicante che aveva attirato, per un breve momento l’attenzione di Adrien poco prima, e risero mentre lo colpivano con la punta dei loro stivali: «Miei signori» mormorò l’anziano, alzando il volto segnato dal tempo e dalla vita dura, passandosi poi la lingua sulle labbra sottili e rovinate: «Siate generosi, datemi una moneta per mangiare…»
Le risate delle due guardie aumentarono di intensità, sguaiate e stridenti si spargevano per la strada gelando chiunque; Adrien avvertì un brivido lungo la schiena, mentre osservava uno dei due mettere mani all’elsa della spada: «Ti togliamo il problema» sentenziò l’uomo, sfilando lentamente la spada dal fodero.
Sapeva cosa stava per succedere.
Lo sapeva.
Eppure il suo corpo non riusciva a muoversi mentre vedeva la consapevolezza apparire sul volto dell’anziano, insinuarsi nello sguardo e nella bocca che si spalancava, mentre la punta della spada entrava nel suo corpo, attraversandolo da parte a parte; un singulto si levò da Marinette e solo quello riscosse Adrien dalla visione del mendicante che, come un insetto, veniva ucciso dalla guardia mentre il suo compagno rideva.
Si voltò, riportando la ragazza nel vicolo e addossandola contro al muro, appoggiandosi a lei e nascondendo entrambi con il proprio mantello, mentre il rantolo dell’anziano arrivava forte e chiaro alle sue orecchie, quasi un’accusa per la sua inerzia: cosa stava facendo? Perché non li aveva fermati? Perché non era nella strada adesso a fare…
Qualcosa.
Qualunque cosa.
Strinse gli occhi, come se questo potesse far sparire la crudeltà a cui aveva appena assistito, ma le risate delle due guardie non riuscivano a farlo andare lontano da quel posto: suo padre lasciava che i suoi sottoposti facessero ciò al popolo che doveva proteggere.
Suo padre non stava proteggendo Paris, non la stava governando…
No, aveva semplicemente lasciato la città a se stessa, arroccato nel suo palazzo e completamente dimentico di ciò che accadeva oltre le mura.
Come…
Come lo era stato anche lui: cullato e protetto in una vita fatta di oro e lussi, ignaro di ciò che c’era fuori.
Ma adesso sapeva. Adesso aveva visto e non poteva più rimanere cieco di fronte a ciò, non poteva più far finta che ciò che aveva visto non esistesse: qualcosa andava fatto, Paris andava cambiata e il più grande cambiamento sarebbe stato mettere la ragazza, che adesso era con lui, sul trono della città.
Una regina giusta e saggia, per quanto Marinette si sentisse incapace.
Ma fino ad allora…
Doveva fare qualcosa.
Adesso ne sentiva il bisogno fin dentro le viscere.
Il suo intero essere reclamava qualcosa.
Strinse le dita, colpendo le pietre del muro con un pugno e sentendo gli occhi pizzicare per via delle lacrime che, inconsciamente, stava trattenendo; piccole dita gli sfiorarono il volto e scivolarono attorno al suo collo, stringendolo in un abbraccio e Adrien lasciò fare, incapace di reagire alla dolce comprensione di Marinette.


Nathaniel non alzò la testa dal disegno, osservando le dita sporche di nero che si muovevano veloci sulla carta e tracciavano le linee che erano state create nella sua mente: non gli importava delle grida isteriche che si levavano dalla camera attigua a quella dove era lui, non gli interessava ascoltare il rifiuto deciso di quella che era, adesso, la sua promessa sposa.
Era abituato ai modi di fare di Chloé, avvezzo alla sua isteria che, di solito, era blandita dalla presenza del principe Agreste: ma Adrien, suo cugino, non era più lì e la figlia di Bourgeois si sentiva in dovere di fare come più gli pare.
Di esternare le proprie rimostranze nel modo più rumoroso e fastidio possibile.
Storse le labbra, quando uno strillo più acuto gli fece sbagliare la linea dell’occhio e rimase a fissare il proprio errore: era piccolo, avrebbe potuto eliminarlo velocemente, eppure non faceva altro che guardarlo mentre l’irritazione montava dentro di lui.
Strinse la mano, sentendo il carboncino contro il palmo e avvertendo poi il dolore della stretta: avrebbe dovuto aprire le dita, lasciare andare l’oggetto e pulirsi, ma tutto ciò che faceva era rimanere immobile, lo sguardo fisso sull’errore che aveva fatto per colpa della voce stridula e isterica di Chloé.
Era colpa di Chloé.
No, non era vero.
Tutto era iniziato da quando Adrien se n’era andato, ignorando ciò che avrebbe lasciato: egoisticamente aveva fatto finta di non vedere l’amore fedele di Chloé e aveva seguito la sottana di una meretrice, costringendo il re a nominare lui suo successore e Chloé a legarsi a qualcuno che non amava.
Era Adrien l’errore.
Era lui che andava corretto, per far sì che tutto quadrasse.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.231 (Fidipù)
Note: E si ritorna con un nuovo capitolo di Inori: si spostano le pedine per iniziare a muoversi verso il finale della storia che vedrà gli Agreste contro i Duapin. Ma i Bourgeois rimarranno tranquilli a guardare oppure no? E mentre io inizio a sognare il letto, come sempre, passo alle informazioni di rito: vi rimando la pagina facebook per ricevere piccole anteprime e restare sempre aggiornati e al gruppo facebook Two Miraculous Writers, gestito con la bravissima e talentuosa kiaretta_scrittrice92.
Per concludere, voglio dire grazie a tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste!

 

Fu osservò il giovane seduto davanti a lui, notando le mani che artigliavano la tazza e lo sguardo completamente perso nella bevanda: «Se non lo bevi, si raffredderà» mormorò, attirando così l’attenzione del giovane e osservandolo annuire, serrando maggiormente la presa: «Ah, perdonatemi per tanta familiarità.»
«Non importa» mormorò Adrien, senza distogliere lo sguardo dal liquido ambrato all’interno della tazza e stringendo le labbra: «Le commissioni che ci avete dato oggi, a me e a Marinette, servivano per farci vedere in che stato versasse Paris, non è vero?» domandò senza tanti preamboli, alzando finalmente lo sguardo e posandolo sull’anziano: «Per aprire gli occhi a me. Marinette è cresciuta in quell’ambiente e…»
«In un certo qual modo» Fu lasciò andare un sospiro e sorseggiando poi un po’ del suo the: «Tuo padre vi ha tenuto segregato al castello, direzionando le tue uscite e rendendoti così ignorante di quello che era realmente il mondo esterno.»
«Io sono stato educato a governare. Io…»
«Tu sei stato educato a essere come tuo padre» sentenziò Fu, bevendo nuovamente un sorso della bevanda calda: «Ciò che è lui, saresti stato tu.»
«Io non sarei mai stato un tiranno.»
«E invece sì» dichiarò Fu, posando la tazza sul tavolo e fissandolo: «Pensi che tuo padre sia a conoscenza di ciò che c’è al di fuori delle mura della sua reggia? Di quello che le guardie fanno ogni giorno al popolo? Della dura vita di coloro che pagano le tasse?» si fermò, scuotendo appena la testa e osservando il giovane alzarsi e iniziare a muoversi per la stanza: l’anziano ne seguì i movimento con lo sguardo, rimanendo in silenzio. Più e più volte Adrien si fermò, le braccia abbandonate lungo il corpo, aprendo la bocca e richiudendola, scuotendo la testa e riprendendo a muoversi con irrequietudine: «Forse non avrei dovuto parlare.»
«No. Avete fatto bene» Adrien si fermò e strinse i pugni, osservando le proprie dita ripiegate su se stesse e scosse il capo, riportando poi l’attenzione sull’uomo seduto davanti a lui: «Io…» si fermò, spostando lo sguardo di lato e sentendosi incapace di sostenere quello di Fu: «Io non pensavo che la situazione, fuori dal castello fosse così. Io…»
«Tu non credevi che tuo padre avesse abbandonato la città che, invece, doveva proteggere e governare?» continuò per lui Fu, vedendo il giovane annuire e chinare poi la testa, nascondendo lo sguardo con i ciuffi della frangia: «Gabriel è un uomo tormentato, immerso nel proprio dolore e non credo che qualcosa all’infuori di lui lo interessi. Ha voluto il trono di Paris…»
«Per cosa? Per lasciare marcire la città in questo modo?»
«Non so darti una risposta, Adrien. Mi dispiace» dichiarò Fu, riprendendo la tazza fra le mani e fissandone il bordo: «Ma sono contento del tuo spirito ribello: è grazie a esso che qualcosa è cambiato. Se adesso sei qui è solo perché non volevi seguire il percorso che era stato stabilito.»
«Perché volevo sposare un’umile fornaia piuttosto che la figlia di un nobile.»
Fu sorrise, assaporando un sorso di the e annuendo: «Tua madre era così» dichiarò, piegando le labbra in un sorriso mentre posava lo sguardo: «La famiglia Agreste non era importante, eppure lei si era innamorata di Gabriel e ha fatto di tutto per seguire il suo amore.»
«La conosceva?»
«Ho avuto questo onore sì» Fu annuì, alzando lo sguardo e incontrando quello di Adrien, adesso attento e completamente dedito a lui: «Era una donna forte e decisa ma, allo stesso tempo, dolce e gentile. Era una madre affettuosa e tu eri il suo tesoro più prezioso, Adrien.»
Il giovane sorrise appena, un’espressione che si dissolse subito dal suo volto: «Io devo andare» mormorò, avvicinandosi alla porta sotto lo sguardo attento di Fu.
«Adrien» la voce dell’anziano lo fermò, mentre posava la mano sul pomello della porta: «Ti chiedo di restare nella tua stanza per oggi. Avrò una visita…» Fu si bloccò, inspirando profondamente e stringendo la presa sulla tazza mentre un sorriso senza vitalità apparve sul suo volto: «Qualcuno che è meglio se non incontri.»

 

Chloè storse la bocca, osservando la testa fulva che non sembrava essere intenzionata ad alzarsi dal blocco da disegno, mentre la mano si muoveva veloce e linee scure prendevano vita dando forma a un volto: Nathaniel aveva un grande talento, anche lei lo ammetteva, ma non era assolutamente all’altezza di prendere il posto di Adrien.
Non aveva il carisma, il fascino e la bella presenza del cugino.
Adrien era sempre parte attiva a quei ricevimenti, Nathaniel se ne stava in disparte, la testa rivolta ai fogli bianchi e lo sguardo che, di tanto in tanto, si alzava febbrile per cogliere quel particolare dettaglio che solo lui notava: «Perché lui? Perché lui è l’erede di Gabriel?» sbottò la ragazza, posando con forza il ventaglio sul tavolo e facendo sobbalzare Sabrina dallo spavento, mentre posava lo sguardo sul padre: «Io non voglio sposare Nathaniel! Io voglio Adrien, solo lui è degno di stare al mio fianco.»
«Tesorino mio…» André tirò fuori un fazzoletto candido, asciugandosi il sudore sulla nuca e abbozzando un sorriso: «Devi solo conoscerlo.»
«Io non voglio conoscere Nathaniel, so quanto serve per capire che è una nullità. Non sarà mai degno del trono di Paris, padre.»
«Lo so, ma…» André si fermò, scivolando con lo sguardo verso Gabriel che, non molto distante da loro, sorseggiava a piccoli sorsi il liquido vermiglio dal calice che teneva in mano: «…devi solo pazientare e avrai ciò che vorrai.»
Chloé fissò il padre, stringendo le labbra in una smorfia e scuotendo il capo, portando poi le mani all’elaborata acconciatura e accertandosi che tutto fosse a posto, scoccando poi un’occhiataccia a Sabrina che, in silenzio, si mise all’opera per sistemare le forcine che erano scivolate via e rimediare al danno che aveva fatto.
Chloè sbuffò, incrociando le braccia e voltandosi nuovamente verso Nathaniel: la testa era ancora china sul foglio ma la mano non si muoveva più veloce ma era ferma, le dita strette attorno al carboncino e quasi sembrava che il giovane volesse spezzarlo usando tutte le sue forze. Rimase a fissarlo, finché Sabrina non le assicurò che tutto era a posto e, solo allora, Chloé distolse lo sguardo da Nathaniel, allungando la mano verso il bicchiere che un servitore aveva riempito di vino annacquato e cercò di non badare più di tanto al brivido che le era corso lungo la schiena.


Fu osservò la donna che passeggiava avanti a lui, domandandosi per l’ennesima volta dove fosse finita la giovane Sabine che aveva conosciuto: della fanciulla pacata e sorridente era rimasto veramente poco, aveva intravisto qualche sprazzo di quella donna solo quando questa interagiva con la figlia e prima che rivelasse a Marinette chi era veramente.
Da quando era stato rivelato alla giovane il suo lignaggio, Sabine aveva fatto suo l’odio che aveva covato per tutto quel tempo e ne aveva usufruito per aizzare le folle contro Gabriel, ammantandosi nuovamente del suo status di Dupain e lasciando la figlia lì: «Che cosa ne pensi?» domandò Sabine, riportando l’attenzione di Fu sulla situazione attuale: «Un nuovo erede? E il figlio dove l’ha messo? Ha ucciso anche lui?»
«Sabine…» Fu mormorò pacato il nome della donna, allungando una mano verso di lui e notando lo sguardo azzurro completamente arso dal fuoco dell’odio: «Il principe Adrien è…» si fermò, ben conscio che non poteva rivelare la verità: conosceva Sabine da tempo, aveva visto il suo dolore trasformarsi in odio e furia, ed era certo che il giovane rampollo degli Agreste ne sarebbe stato vittima.
No, non poteva permettere che Sabine mettesse le mani su Adrien.
«Che cosa sai, Fu?»
«Quello che sai anche tu» dichiarò l’anziano, chinando la testa e scuotendola appena: «Adrien Agreste è sparito e Gabriel ha dichiarato suo erede Nathaniel Kurtzberg, figlio della sorella defunta.»
«E’ l’occasione ideale» mormorò Sabine, storcendo le labbra in un sorriso: «Il popolo non ce la fa più e invoca il nome dei Dupain: Marinette potrebbe…»
«Marinette non è pronta.»
«Se aspettiamo te, Fu, lei non sarà mai pronta.»
«Sabine, ricordi l’accordo con la moglie di Gabriel…»
«Nessun accordo con gli Agreste è valido» dichiarò Sabine, interrompendolo e fissandolo quasi con disprezzo: «Non legherò il nome dei Dupain a quello degli Agreste. Fu, non possiamo permettere che coloro che hanno ucciso mio marito la passino liscia.»
«Non tutti gli Agreste sono colpevoli, Sabine.»
La donna lo fissò, rimanendo immobile per una buona manciata di secondi, poi alzò il mento e indietreggiò di un passo: «Ti sei rammollito, Fu» bisbigliò, indietreggiando e tenendo sempre lo sguardo sull’anziano: «Un tempo non avresti detto così.»
«Un tempo non mi sarei fatto problemi a spargere sangue innocente e tu lo sai, ma adesso…»
«Che cosa è cambiato, Fu?»
«Tutto, Sabine» bisbigliò l’anziano, scuotendo la testa: «Non possiamo provare a risolvere questa cosa in maniera pacifica? Per il bene di Paris, per il bene di tua figlia…»
«Farò da sola» la voce di Sabine, glaciale come le notti d’inverno, fermò Fu dal continuare: «Farò tutto da sola e nessuno mi fermerà.»


Marinette sorrise, osservando lo stallone nero nel proprio box che cercava di avvicinarsi, per quanto poteva, alla parete di legno che lo separava dalla cavalla dal manto fulvo: Plagg sembrava avere un carattere molto simile a quello del suo cavaliere e, per quanto Tikki lo rifiutasse, lui continuava imperterrito a provare con lei.
Non era la prima volta che lo vedeva irrequieto da quando, assieme al proprio padrone, si era stabilito nell’abitazione di Fu.
Tikki sbuffò, allontanandosi per quanto poteva dal muro che divideva i due box e scosse il capo, battendo il terreno con le zampe anteriori: un atteggiamento che Marinette conosceva bene ma sembrava non far desistere lo stallone che nitrò allegro.
«Non sa quando è l’ora di smettere» commentò la voce di Adrien, facendo sobbalzare appena la ragazza: Marinette si voltò lentamente verso l’entrata e osservando la figura del giovane che, in maniche di camicia e braghe, ricordava più un garzone piuttosto che il principe che era.
«Co-come il suo padrone» balbettò la giovane, riportando l’attenzione sui due destrieri e provando, con tutta se stessa, a ignorare la presenza di Adrien: lo sentì muoversi per la stalla e poi il tiepido calore della vicinanza del corpo di lui: «Hai parlato con Fu?» domandò, dopo una buona manciata di secondi in silenzio e, non avendo risposta, si voltò verso Adrien: stava fissando i due cavalli, lo sguardo verde che sembrava essere da tutt’altra parte che lì.
Lontano da lei.
Distante.
Si girò, posandogli una mano sul braccio e vedendolo riscuotersi appena, le labbra che si piegarono in un piccolo sorriso e le iridi verdi brillare appena: «Va tutto bene?» gli domandò Marinette, inclinando appena la testa e guardandolo mentre si poggiava alla recinzione del box di Tikki e allungava la mano verso la cavalla: «Fu ha…»
«Ho parlato con lui e, per l’ennesima volta, mi sono accorto della gabbia dorata in cui vivo» dichiarò Adrien, poggiando gli avambracci sulla porta del recinto e chinando la testa, nascondendo lo sguardo con le ciocche bionde della frangia: «Un vero e proprio principino.»
«Oh. Quello è vero.»
Adrien si voltò verso di lei, assottigliando lo sguardo e imbronciandosi appena: «Era…» si fermò, scuotendo il capo e voltandosi, incrociando le braccia al petto e fissandola con un sorriso in volto: «Non c’era bisogno di inferire, mia principessa.»
«Io non…»
«Non puoi dire di non essere una principessa» decretò Adrien, scostandosi dalle pareti del box e muovendo una mano per aria: «Essendola per nascita: vorrei ricordarti che tuo padre e tua madre erano i reggenti di Paris, prima che mio padre…beh, sappiamo quel che ha fatto.»
Marinette sbuffò, avvicinandosi ad alcune casse di legno e accomodandosi su queste, lisciando la gonna del vestito e poi posando lo sguardo sul giovane: «C’è un fine a tutto questo discorso?» domandò, mentre Adrien le si avvicinava, posando le mani vicino ai suoi fianchi e diventando pericolosamente vicino: sentì l’aria iniziare a mancarle dai polmoni, mentre il suo respiro si mischiava a quello del giovane e il volto diventava incandescente.
Avrebbe voluto muoversi, sfuggire da quello sguardo verde che era fisso nel suo e le impediva di distogliere il proprio: «Sposami» mormorò Adrien per l’ennesima volta mentre riduceva ancora la vicinanza fra loro; le sue labbra erano pericolosamente vicine alle sue e Marinette boccheggiò come un pesce fuor d’acqua: «Sposami, Marinette» le bisbigliò nuovamente, sfiorandole appena la bocca con la propria e poggiando poi la fronte contro quella della ragazza: «Tu sei l’unica che voglio, dal momento in cui sono entrato nella tua panetteria. Mi hai stregato anima e corpo. Sono tuo.»
Non riusciva a muoversi.
Non riusciva a fare niente.
Inspirò profondamente, stringendo le labbra e alzando una mano, sentendo il braccio tremare appena: e lei? Lei cosa prova per quel ragazzo che aveva perso tutto, che si era ritrovato a fare i conti con una realtà che non conosceva, con un mondo che pensava completamente differente?
Sorrise appena, mentre sfiorava con le punte delle dita la guancia di Adrien e lo vedeva aprire le palpebre, che aveva chiuso mentre si dichiarava, e lo sguardo verde posarsi su di lei: aveva davvero bisogno di domandarselo? Aveva davvero bisogno di continuare quella farsa, quando sapeva già la risposta a quella proposta che lui le aveva fatto tante volte.
«Sì» bisbigliò con la voce che tremava, il volto che le bruciava e lo sguardo di Adrien nel proprio: «Sì.»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.536 (Fidipù)
Note: Nuovo aggiornamento di Inori e posso dire che questo capitolo è veramente sfigato: prima è stato vittima di un aggiornamento del pc, che mi ha fatto perdere gran parte del lavoro, poi essendo un capitolo di collegamento con il prossimo...beh, io ho problemi con i capitoli che collegano e anche questo non ne è esente. Ad ogni modo, finalmente!, eccolo qua! E la storia si sta muovendo per dirigersi verso le battute finali: Adrien e Marinette sono ormai decisi a sposarsi, Sabine ha iniziato il suo piano, Nathaniel...beh, ha anche lui i suoi problemi.
Detto questo, come sempre, passo alle informazioni di rito: vi rimando la pagina facebook per ricevere piccole anteprime e restare sempre aggiornati e al gruppo facebook Two Miraculous Writers, gestito con la bravissima e talentuosa kiaretta_scrittrice92.
Per concludere, voglio dire grazie a tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste!

 

Marinette sbadigliò, portandosi una mano al volto e strusciandosi gli occhi, cercando così di scacciare i postumi del sonno: «Perché ci siamo dovuti svegliare all'alba?» domandò, scuotendo la testa e abbassando le dita, iniziando a trafficare con il laccio del mantello e regalando uno sguardo di rabbia al giovane al suo fianco: aveva dormito poco o nulla, la mentre troppo impegnata a rielaborare la proposta di matrimonio di Adrien – l'ennesima proposta, in verità – e il fatto che lei aveva acconsentito a sposarlo.
Diventare la moglie del figlio del nemico.
Una scelta che avrebbe avuto ripercussioni su tutto ciò che sarebbe successo nelle loro vite, lo sapeva fin troppo bene: tutto sarebbe cambiato.
In meglio o peggio non poteva determinarlo.
«Voglio farti conoscere una persona» Adrien le si avvicinò, portandole le mani alla gola e aiutandola con i lacci del mantello, sfiorando con i polpastrelli la linea della mascella e sorridendo al rossore che era subito apparso sulle guance della giovane: «E’ importante per me. Per gran parte della mia vita è stata l’unica che mi ha accettato per ciò che ero: non Adrien, il principe. Adrien, la pedina da usare, ma semplicemente Adrien, suo nipote.»
«Suo nipote?»
«Stiamo andando a incontrare mia nonna» le bisbigliò, chinandosi in avanti e sfiorandole le labbra con le proprie, poggiando poi la fronte contro quella di Marinette e ascoltando i passi alle sue spalle: socchiuse gli occhi, baciando per la seconda volta la giovane e poi si voltò verso i due individui che stavano entrando nella stalla dell’abitazione di Fu, accompagnati dal rumore degli zoccoli di Plagg sul terreno, fin troppo impaziente di muoversi e uscire dal box.
Alya camminava con passo di marcia e il mento alto, lo sguardo completamente rivolto verso di loro: «Spero che la mia sveglia abbia una motivazione valida» decretò, incrociando le braccia e fermandosi davanti ad Adrien, indicando con un cenno del capo Nino, fermatosi accanto a lei.
Adrien fece vagare lo sguardo sull’amico, reprimendo il sorriso che stava nascendo di fronte alla differenza di comportamento che c’era fra i due: Nino si era bloccato pochi passi indietro rispetto ad Alya, la testa china e le mani strette al cappello di stoffa che stringeva spasmodico.
Un atteggiamento ben diverso da quello di Alya, quasi pronta a dar battaglia a chiunque: «Spero che ci sia un buon motivo per questa levataccia» dichiarò, storcendo le labbra e voltandosi verso Nino: «Tu, sella Trixx e Wayzz.»
«E quali sono Trixx e Wayzz?»
«Trixx è quel cavallo dal manto bruno e Wayzz quello lì, grigio» sbottò Alya, prendendo Nino per un braccio e portandolo verso due box: «Possibile che devo spiegarti tutto?»


«Paris è al limite» dichiarò Sabine, osservando il piccolo gruppo di uomini riuniti davanti a lei, si fermò attendendo che le parole che aveva appena pronunciato venissero assimilate e, non appena vide i lineamenti indurirsi, si trattenne dal piegare le labbra in un sorriso soddisfatto: «Gabriel Agreste ci ha portato via il nostro sovrano, ha ucciso mio marito e avrebbe fatto lo stesso con me e mia figlia. Ha distrutto la famiglia portante di Paris e per cosa? Per lasciare che la città morisse davanti ai suoi occhi» si bloccò nuovamente, stringendo le mani l’una con l’altra e alzando il mento: «A Gabriel Agreste interessa se i nostri figli muoiono di fame? Fa qualcosa per quegli uomini della sua guardia che violentano le nostre figlie e usano i nostri beni a proprio piacimento? Quante volte abbiamo visto persone uccise perché avevano semplicemente rivolto una parola di troppo a un soldato? Quante volte abbiamo dovuto girare la testa, mentre una giovane veniva stuprata? Troppe. Troppe volte.»
Sabine si fermò, mentre il dissenso iniziava a serpeggiare fra le persone che la stavano ascoltando: non erano tanti, pochi ma fedeli e stanchi della linea di azione di Fu, troppo tranquilla.
Paris aveva bisogno di una rivolta.
Paris aveva bisogno di un nuovo capo.
Fu non lo capiva e sua figlia non era pronta per prendersi quel ruolo.
Toccava a lei, solo a lei.
Socchiuse gli occhi, chinando la testa e stringendo entrambe le mani a pugno, sentendo le unghie conficcarsi nel palmo delle mani: che cosa avrebbe pensato Tom della donna che era diventata? Della rabbia che l’alimentava ogni giorno e le aveva permesso di sopravvivere fino a quel momento?
Non l’avrebbe riconosciuta, lo sapeva.
Era cambiata dalla fanciulla che aveva conosciuto, dalla giovane donna a cui aveva detto di andare con la loro bambina fra le braccia: la rabbia, l’odio e il dolore l’avevano trasformata ma non gliene importava.
Non esisteva più nulla se non la sua vendetta.
La sua intera vita era ormai consacrata a ciò.
Non esisteva null’altro.

 

Clotilde osservò la giovane che si muoveva nel piccolo giardino interno del convento, studiandone i movimenti e sorridendo appena quando la vide fermarsi davanti a un roseto: «Volete sposarvi, quindi» mormorò, voltandosi verso il nipote, poggiato a uno dei pilastri del colonnato che circondava il cortile: lo guardò, rendendosi conto che le parole non erano giunte fino alla sua mente e che era totalmente impegnato nella visione della propria promessa: «Adrien?»
«Cosa?»
Clotilde sorrise, portandosi le mani al grembo e intrecciando le dita: «Volete sposarvi?» domandò nuovamente e scandendo bene le due parole, notando lo sguardo del giovane sgranarsi appena e un lieve rossore colorargli le guance: «Oh. Ho finalmente trovato qualcosa che ti mette in imbarazzo?» domandò la donna, sciogliendo le mani e battendole fra loro: «Sei venuto qui, trascinando quella poveretta e quasi urlando all’intero convento il tuo imminente matrimonio, e adesso che ti chiedo conferma, cosa fai? Arrossisci?»
«Nonna.»
«Devo essere sincera: questo matrimonio mi piace, molto più di quello con la figlia di Bourgeois.»
«Quindi possiamo contare su di te?»
«Contare su di me per cosa?» Clotilde si portò una mano al cuore, inclinando il capo e piegando le labbra in un sorriso tranquillo: «Non ho assolutamente idea di cosa potrei fare per te, mio caro nipote.»
«Intercedere per noi presso il prete che celebra messa qui al convento?» domandò Adrien, incrociando le braccia al petto: «Vogliamo sposarci il prima possibile.»
«Volete o vuoi?»
«Io…» Adrien si fermò, passandosi la lingua sulle labbra e spostando lo sguardo su Marinette che, distante da loro, osservava con interesse il giardino a cui Clotilde dava amore e cure: «Io voglio darle la protezione del mio nome, per quanto questa poi valga e poi...» nuovamente si bloccò, incapace di andare avanti, e chinò il capo, nascondendo la vista del proprio sguardo.
«Hai in mente di tornare al castello?»
«Mio padre deve rendersi conto di cosa sta succedendo a Paris, deve abdicare in favore di Marinette» scosse il capo, stringendo le labbra e riportando lo sguardo sulla donna: «Ho visto quello che sta succedendo a Paris, nonna. Il popolo non sopporterà ancora per molto l’indifferenza del suo regnante.»
«Tuo padre è immerso nel suo mondo, lo sai bene.»
«E’ tempo che ne esca.»
Clotilde rimase in silenzio, voltandosi verso il giardino e socchiudendo gli occhi: «Puoi andare a vedere dove sono spariti Nino e quella poveretta?» domandò Clotilde, sorridendo appena al nipote e indicando con un cenno del capo Marinette: «Io andrò a parlare con la tua promessa. Non la spaventerò, promesso.»
«Che cosa hai in mente, nonna?»
«Assolutamente niente: così come tu non mi dici il piano che hai in mente, io farò lo stesso con il mio.»
«Quando dici così…»
«Vai, Adrien.»


Alya sbuffò, palesando così la sua rimostranza mentre fissava l’enorme corridoio in pietra dove Nino l’aveva condotta: non capiva perché il giovane, non appena messo piede nel convento, era voluto correre in quella zona del complesso, quasi come se avesse il diavolo che lo inseguiva, trascinandola con lui: «Dove mi stai portando?» domandò, fermandosi incrociando le braccia al seno, storcendo poi le labbra e guardando la schiena che s’irrigidiva appena; lentamente il giovane nobile si voltò, portandosi una mano alla testa e togliendosi il berretto: «Sinceramente non amo queste visite in corridoi bui e freddi» continuò Alya, allargando le braccia come a mostrare l’ambiente che li circondavano.
«Avevo paura di incontrare la madre superiora.»
«Cosa?»
Nino strinse le labbra, chinando la testa e lasciando andare un sospiro, scuotendo poi il capo: «L’ultima volta che sono venuto qui» si fermò, passandosi la lingua sulla bocca e facendo scivolare lo sguardo da un muro all’altro, quasi come se questi potessero improvvisamente trasformarsi in qualcosa: «Ho inavvertitamente visto la madre superiora, senza niente.»
«Cosa? Tu…tu…mostro maniaco…»
«Mi ero perso per il convento! Stavo cercando Adrien e…»
«Ti eri perso?»
«Sì» Nino si fermò, scuotendo con vigore il capo e inspirando profondamente: «Non mi ero reso conto che ero finito nella parte del convento adibito agli alloggi e poi ho visto quel che ho visto e…»
«Quante notti non hai dormito?» Alya inclinò la testa, avvicinandosi al ragazzo e piegando le labbra in un sorriso, mentre la voce era carica della risata trattenuta: «Immagino che fosse uno spettacolo…»
«Raccapricciante, orrendo, un qualcosa che avrei voluto togliere dalla mia mente e dai miei occhi. Ho quasi cercato di cavarmeli, sai?»
«Povero, piccolo, innocente Nino…»
«Sento la presa in giro nella tua voce, madamoiselle.»
«Oh. Davvero. E dire che ho fatto di tutto per mascherarla.»
«Com’è che non ti credo?»
«Perché sei un nobile poco fiducioso del prossimo.»
«Cosa centra il fatto che io sia nobile?»
«Centra sempre, Nino. Centra sempre.»


«Dovresti essere là fuori e fare conversazione con i tuoi ospiti»
Nathaniel alzò la testa, osservando la ragazza sulla soglia dei suoi appartamenti: Chloé non faceva un passo, non entrava, rimaneva immobile sulla soglia e faceva vagare lo sguardo su ciò che arredava la sua stanza, appuntandosi di tanto in tanto su un disegno o su un qualche dettaglio.
Chissà come vedeva quella stanza?
L’antro di un artista oppure semplicemente un luogo mefitico dove non sarebbe mai entrata?
«Sono gli ospiti di Gabriel, non miei.»
«Sei il nuovo erede» sbottò Chloé, facendo un passo all’interno della camera e picchiando il ventaglio, che teneva nella mano destra, contro il fianco: «Sono anche tuoi ospiti: Adrien sarebbe stato là fuori a sorridere e fare presenza, non si sarebbe di certo rintanato qua dentro. Sei inutile, se fai così.»
Inutile.
Inadatto.
Nathaniel chinò la testa sul foglio da disegno, ritornando al suo mondo fatto di linee e colori, muovendo velocemente il carboncino e ignorando la presenza di Chloé; attese fino a quando non la sentì sbuffare con fare poco elegante e il rumore dei tacchi delle sue scarpe allontanarsi.
Aspettò un’altra manciata di minuti, prima di posare il blocco e alzarsi, osservando la porta lasciata aperta: no, non avrebbe raggiunto gli ospiti che gozzovigliavano nei giardini e nelle stanze del castello, sapendo benissimo quanto era incapace di riuscire ad avere un contatto con il suo prossimo.
Preferiva rimanere lì, in solitudine, con la compagnia dei suoi disegni.
Alzò la testa, muovendosi per la stanza e raggiungendo la scrivania ove erano impilati, l’uno sopra l’altro, alcuni album da cui strabordavano alcuni disegni: ne carezzò il bordo con l’indice, fermandosi su quello a metà della pila e lo prese, stando ben attento a non far cadere nulla, a non fare rumori che portassero qualcuno lì da lui.
Aprì la cartella di pelle, voltando veloce le pagine con i disegni, fino a quando non trovò quello che cercava: non ricordava perché lo aveva fatto, catturato forse dal momento aveva immortalato il sorriso del cugino in quel foglio di carta.
Lui che era sempre stato l’erede, il principe.
Lui che era la perfezione assoluta.
Lui a cui era sempre stato paragonato, venendo distrutto impietosamente ogni volta.
Nathaniel strinse le labbra, muovendo la mano sulla scrivania e sentendo sotto le dita il freddo del metallo di uno stiletto, stringendo le dita attorno all’elsa e alzando la mano, calandola poi verso il disegno e infilzando il volto di Adrien con la lama sottile e affilata.
Era tutta colpa sua.
Era solo per colpa di Adrien.
Lo ripeté a se stesso, mentre infilzava più e più volte il ritratto, trovando un po’ di pace e sentendo qualcosa sciogliersi: ogni peso, ogni dovere, ogni impegno svanivano uno dopo l’altro mentre pugnalava il disegno; non c’era più quel cappio che gli stringeva la gola, i suoi polsi erano liberi dalle catene.


«Non assomigli per nulla a tuo padre» mormorò Clotilde, sorridendo allo sguardo azzurro che si era posato su di lei pieno di curiosità, non appena si era avvicinata: «Sei molto più simile a tua madre, eppure non posso far a meno di vedere Tom in te.»
«Lo conoscevate bene?»
Clotilde annuì alla domanda, posando lo sguardo sul roseto e piegando le labbra in un sorriso: «Questa pianta è stata il suo ultimo regalo» le spiegò, allungando una mano e carezzando una foglia: «Il giorno in cui venne reso ufficiale il fidanzamento tra Adrien e te: Tom mi portò questo piccolo arbusto con un’unica rosa rossa sbocciata, mentre tua madre lo riprendeva dicendo che non era un regalo adeguato» si fermò, socchiudendo gli occhi e tornando indietro nel tempo: «Mio figlio era rimasto in silenzio, commentando il tutto con quel suo solito sorriso tranquillo che lo contraddistingueva all’epoca, mentre Sophie – la madre di Adrien – aveva applaudito e aveva dichiarato che non c’era regalo più bello. Questa pianta è stata l’unica cosa che ho portato con me, dopo che mi sono ritirata qua.»
«Io…»
«C’è un grande peso sulle tue spalle, Marinette.»
«Mia madre vorrebbe che io guidassi i nostri uomini e il popolo, che riportassi al nome dei Dupain il giusto onore e…»
«E che la tua spada si conficcasse nel cuore di Gabriel» Clotilde assentì con la testa, osservando la giovane: «Ma tu non ne sei capace: lo vedo nei tuoi occhi, nei tuoi gesti. Sei come Adrien, un cuore troppo buono e puro per concepire la morte di qualcuno, anche se questo è un tuo nemico.»
«Mia madre…»
«Sabine è come Gabriel: entrambi accecati dalla rabbia e bisognosi di vendetta, senza rendersi conto che questo non porta che ad altro odio e ad altra vendetta. Sono immersi nella loro disperazione e dubito fortemente che ne usciranno» si fermò, allungando le mani e prendendo quelle di Marinette, stringendole appena: «Ma tu e Adrien potete distruggere tutto questo. Il fatto che vi siete incontrati, che vi siete innamorati…signorina, tu ami mio nipote?»
«E’ possibile amare qualcuno in così poco tempo? Io…io non so come comportarmi, ogni volta mi ritrovo con la lingua pesante e le parole che faticano a uscire, mentre lui…lui…io…»
«L’amore può essere lento e crescere giorno per giorno, oppure arrivare improvviso e distruggere ogni certezza…»
«Io…»
Clotilde annuì, allargando le braccia e studiando l’abito della ragazza: «Hai un bel fisico e non sei tanto alta, forse possiamo trovare qualcosa per te fra gli effetti personali delle novizie.»
«Cosa?»
«Non vorrai sposarti con questo brutto abito fatto di cenci?»
«Io…»
«Adrien ti ama, l’ho capito non appena siete arrivati qui al convento e ogni tua parola mi ha confermato che anche tu provi lo stesso sentimento per lui» Clotilde sorrise, chinando la testa e avvicinandola a quella di Marinette: «Il vostro amore, la vostra unione, forse è l’unica cosa che serve a Paris adesso: non una guerra fra due famiglie dettata dall’odio e dalla vendetta, ma l’unione di queste nell’amore.»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.310 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua con un nuovo aggiornamento di Inori - in ritardo come sempre! - e ci avviciniamo inesorabili verso la fine! Una piccola informazione di servizio: per questo mese, Inori avrà una cadenza settimanale: tutti i mercoledì verrà postato un capitolo, fino a quando non si concluderà la storia, cosa che avverrà con il capitolo 25.
Detto questo, non vi disturbo più di tanto e passo alle informazioni di rito: vi rimando la pagina facebook per ricevere piccole anteprime e restare sempre aggiornati e al gruppo facebook Two Miraculous Writers, gestito con la bravissima e talentuosa kiaretta_scrittrice92.
Per concludere, voglio dire grazie a tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste!

 

Era stato tutto improvviso.
In vero, quando quella mattina si era alzata o, per meglio dire, era stata buttata giù dal letto dal bussare insistente di Adrien alla porta, non aveva mai pensato che quella giornata si sarebbe conclusa con il suo matrimonio: certo, si sarebbe sposata con il giovane rampollo degli Agreste.
Lo sapeva.
Aveva accettato la sua proposta.
Semplicemente non credeva che questo sarebbe successo così presto.
Si portò le mani al ventre, carezzando la stoffa del corpetto e avvertendo sotto ai polpastrelli le linee del richiamo e le pietre che l'adornavano: non aveva mai indossato niente di così prezioso e bello, e mai nei suoi sogni aveva pensato di farlo.
Quando mai la figlia di una fornaia avrebbe potuto indossare qualcosa di simile?
«Stai benissimo» commentò Clotilde, comparendo nel riflesso dello specchio e posandole le mani sulle spalle, regalandole un sorriso attraverso: «Nonostante quest'abito sia stato abbozzato sul momento, ma per questo possiamo solo ringraziare quel disgraziato di mio nipote e la sua tendenza a voler fare le cose senza avvisare.»
«Va besissimo…cioè, volevo dire…benimismo…beni…»
«Quello che vuole dire» s'intromise Alya, avvicinandosi a Marinette e chinandosi per sistemare l'orlo della gonna candida come la neve: «Che va benissimo.»
«Lo stavo dicendo da sola, Alya.»
«Lo stavi balbettando, veramente: ho solo facilitato le cose a madame Clotilde, traducendo per lei.»
Clotilde ridacchiò, arretrando di un passo e sistemandosi su una delle poltroncine, mentre Marinette sbuffava, scostando appena la gonna e regalando un sorriso pieno di innocenza allo sguardo di fuoco dell'altra, tornando a fissare il proprio riflesso e passandosi nuovamente le mani sul ventre: «Mi chiedo se sto facendo la cosa giusta…» bisbigliò, allungando le dita verso lo specchio e toccando con la punta il proprio volto: «Io…»
«Stai per sposare il figlio del tuo nemico, all'insaputa di tua madre che vorrebbe tutti gli Agreste morti, in un convento fuori da Paris, senza avvisare nessuno tranne me e Nino, ma solo perché siamo qui e dobbiamo farvi da testimoni» Alya si alzò, spazzolandosi la gonna e inclinando la testa: «Beh, direi che la bilancia pende a favore del 'non stai facendo la cosa giusta, amica mia'.»
«Grazie.»
«Sono la voce della tua coscienza» dichiarò Alya, avvicinandosi e prendendo la mano di Marinette, portandola sul cuore della ragazza e sorridendo: «Ma la coscienza non sempre dice la cosa giusta da fare, alle volte va ascoltato anche questo» si fermò, inclinando la testa e osservando l'amica: «Cosa dice il tuo, Marinette?»
La ragazza chiuse gli occhi, sorridendo appena: «L-lo amo» mormorò, incespicando sulle parole e inspirando profondamente, aprendo nuovamente le palpebre e fissando l'altra: «Lui è…è…tutto ciò che voglio.»
«Allora, mia cara ragazza, stai facendo la cosa giusta» dichiarò Alya, lasciando andare la mano di Marinette e sistemandole la coroncina di fiori candidi che portava in capo: «Sinceramente, non so cosa pensare a qualcosa di più giusto di quest'unione e, lo sai, io odio i nobili e ancor di più gli Agreste, ma prima ancora di essere una servitrice di casa Dupain, io sono tua amica e voglio solo la tua felicità.»
«Grazie, Alya.»

 

Sabine osservò la piccola folla che si era avvicinata al carro, sul quale era salita per avere una posizione sopraelevata, incuriosita e attratta dalla sua persona: il popolo di Paris la conosceva, sapeva chi era, sebbene negli ultimi anni si era nascosta per sopravvivere: «Popolo di Paris» sorrise, alzando il mento e portandosi le mani al ventre, attirando su di sé l'attenzione di tutti coloro che popolavano la piccola piazzetta ove si erano fermati: «Io sono Sabine Dupain-Cheng» si fermò, lasciando che il suo nome attecchisse nelle mente di tutti, spostando lo sguardo verso l'uomo al suo fianco e trovando quasi di conforto la presenza di Otis Césaire, anche se al suo fianco ci sarebbe dovuto essere qualcun altro.
Sua figlia sarebbe dovuta essere lì con lei, essere al suo fianco e prendere il posto che le spettava diritto ma, invece, era da qualche parte, lontana dai doveri del suo nome: «Popolo di Paris» ripeté, scadendo bene ogni parola e inspirando: «Mio marito era Tom Dupain, unico vero reggente di questa città e brutalmente ucciso da Gabriel Agreste, ma non c'è bisogno che vi ricordi quella notte di sangue e fiamme? Paris cadde in mano di quell'uomo che, ebbro di potere non guardò in faccia il suo migliore amico e lo trafisse con la propria spada» si acquietò, chinando appena la testa e ascoltando il mormorare che si levava dalle persone più vicine al popolo: «Sono una vedova, madre di una figlia a cui il padre è stato strappato via, sono stata costretta a nascondermi e rinnegare chi ero: per cosa? Per vedere la città che mio marito tanto amava venire spremuta da quell'uomo che si fa chiamare reggente? Cosa ha fatto Gabriel Agreste per tutti voi? Per tutti noi? Cosa fa se chiedere sempre più tasse, toglierci ogni bene, anche la vita stessa, per soddisfare il suo bisogno di potere. Popolo di Paris! Quanto vuoi ancora soffrire?» si fermò, il respiro affaticato e la gola che le doleva leggermente per le parole che aveva sempre più urlato nel suo discorso: «Qui, in questo luogo, nel nome di mio marito, io vi chiedo di combattere al mio fianco! Combattete per i vostri cari, uomini e donne di Paris, combattete per riprenderci questa città! Volete continuare a vivere così o volete combattere per qualcosa di migliore? Pensate ai vostri figli, uomini e donne di Paris, pensate a ciò che volete per loro. Combatterete o vivrete da schiavi?»
Sabine si fermò, voltandosi e osservando nuovamente Otis, notando il sorriso che piegava le labbra dell'uomo e si voltò nuovamente verso la folla, guardando gli uomini e le donne che parlottavano fra loro, notando i volti segnati e gli abiti dimessi: anni di stenti, di soprusi, avevano fiaccato quel popolo di cui Tom Dupain era sempre stato orgoglioso.
Forse era tutto inutile e nessuno avrebbe combattuto per lei. Con lei.
Strinse i denti, serrando la stretta delle mani e chinando la testa, socchiudendo gli occhi: era un popolo troppo stanco, troppo abituato a soffrire e non si sarebbe rialzato; Gabriel agreste lo aveva fiaccato, reso il fantasma di se stesso e lei avrebbe combattuto la sua guerra in solitaria, con solo i pochi fedeli al nome della sua famiglia.
«A morte l'usurpatore!»
Una voce femminile si levò, zittendo i mormori e facendo alzare la testa a Sabine: una donna, non molto distante da lei, teneva il braccio sinistro alzato e il pugno chiuso, il vostro irrigidito e lo sguardo che fissava avanti a sé: «A morte l'uomo che ha ucciso i miei bambini! A morte Gabriel Agreste!»
Sabine aprì le bocca, passandosi la lingua sulle labbra e lasciando andare appena l'aria, deglutendo e ascoltando altre voci che si alzavano sopra le altre, unendosi in un unico grido, aumentando sempre più: «A morte l'usurpatore!» gridò lei stessa, alzando il pugno destro e sollevando il mento, lo sguardo che fissava il popolo: «A morte gli Agreste!»


Adrien sorrise alla ragazza davanti a lui, stringendo le sue dita nelle proprie e carezzandole le nocche con il pollice, cercando di rimanere concentrato sul presente e non perdersi nella contemplazione di Marinette: non aveva un abito sontuoso, nessuno strascico o maniche a sbuffo, nessuna gonna ampia e nessun velo; indossava un semplice vestito candido e una coroncina di fiori bianchi. Non c'erano gioielli che l'adornavano, tranne gli orecchini che lui stesso le aveva regalato eppure era bellissima.
Come lo era sempre stata, fin dal primo momento che l'aveva vista, nella panetteria e mentre inveiva contro di lui, ancora ignara della sua vera identità: si era innamorato subito di lei e, ogni volta che l'aveva incontrata, quell'amore si era rinnovato ed era cresciuto.
Il parroco tossì appena, facendolo scuotere leggermente e si schiarì la voce, inspirando profondamente e cercando di riportare alla mente ciò che doveva recitare: «Io, Adrien Agreste, accolgo te, Marinette Dupain, come mia sposa. Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e in malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.»
«Io, Marinette Dupain, accolto te, Adrien Agreste, come mio sposo. Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita» Marinette sorrise, socchiudendo le palpebre e lasciando andare un respiro: «L'ho detto senza sbagliare, vero?»
«L'hai detto senza sbagliare» commentò Adrien, chinando la testa verso di e poggiando la fronte contro quella di Marinette, sorridendo: «Sei stata perfetta.»
«Davanti a queste persone, io vi dichiaro marito e moglie» dichiarò il parroco, trattenendo nella voce una risata: «Possano i vostri giorni essere pieni di amore e felicità, finché morti non vi separi» si fermò, schiarendosi la voce e chinando la testa verso Adrien: «Adesso puoi baciare la sposa.»
Adrien annuì, posando le mani sui fianchi di Marinette e tirandola verso di sé, sfiorandole le labbra con le proprie e sentendola sospirare contro la sua bocca, quasi come se agognasse a qualcosa di più: «Siamo in una chiesa» bisbigliò, osservandola sgranare appena lo sguardo e diventare rossa in volto: «Avremo tempo stanotte per certe cose, mia sposa perversa.»
«Co-cosa? I-io n-non…»
«Stai diventando rossa» cantilenò Adrien, passandole un braccio attorno alla vita e tirandola verso di sé, posandole labbra sulla tempia: «Stavi veramente facendo…»
«I-i-io…»
«Adrien, tesoro di nonna, sei sposato da neanche cinque minuti e già metti in imbarazzo tua moglie. E non fare certe cose in chiesa!» Clotilde sospirò, scuotendo la testa e voltandosi verso Nino: «Cosa potremmo mai fare con questo ragazzo?»
«Lo chiede a me? E' lei che l'ha tirato su!»


André Bourgeois sollevò il calice di vino, osservando il liquido scuro e facendolo ondeggiare, spostando poi con indolenza lo sguardo sui giovani che passeggiavano non molto distante da dove era seduto: la sua amata figlia passeggiava a braccetto con la sua dama, chinandosi di tanto e tanto e sussurrando qualcosa alla ragazza, gettando poi uno sguardo al giovane che camminava a pochi passi di distanza dietro di loro.
Nathaniel Kurtzberg era veramente diverso dal cugino, rendendolo perfetto per il suo piano.
Ancora più perfetto di un uomo distrutto dal dolore.
Alzò il bicchiere sorseggiando appena il vino e passandosi la lingua sulle labbra: «Mi domando se ho ancora bisogno di Gabriel…» mormorò, rilassandosi contro la spalliera della poltrona e osservando l'erede acquisito degli Agreste: con quella scelta, Gabriel, aveva messo tutto su un piatto d'argento. La fortuna della famiglia Agreste, il governo di Paris, tutto era concentrato in quel timido ragazzo che disegnava sempre e che avrebbe sposato Chloé.
Una pedina ben più facile da giocare rispetto all'uomo che adesso regnava su Paris: il destino gli aveva fornito una mano interessante, doveva solo giocarsela bene e presto sarebbe stato tutto tuo.
Sorrise, alzando appena il bicchiere e ridendo fra sé: «Alla tua salute, Gabriel. Possano i tuoi ultimi giorni essere lieti» commentò, bevendo generosamente il vino e portando a metà il bicchiere.


Il dolore la fece boccheggiare, stringendo i fianchi attorno a quelli di Adrien e inspirò profondamente, facendo scivolare i polpastrelli sulla pelle nuda della schiena del ragazzo: «Scusa. Scusa. Scusa. Scusa» lo sentì ripetere la parola, intervallata da lievi baci sul volto e Marinette si rilassò appena, sentendo il dolore scemare leggermente: «Marinette?»
«Sto bene» bisbigliò, muovendo appena i fianchi e invitandolo a continuare, stringendosi a lui e adattandosi ai suoi movimenti finché l'eccitazione non arrivò al suo culmine e scemò, lasciandola completamente senza forze e con il peso del neo-marito addosso.
Rimasero in silenzio, riempiendo la stanza solo con i loro respiri affrettati: «Ti chiedo scusa» bisbigliò Adrien, dopo un po', scivolando sul materasso e accomodandosi, accogliendola poi nel suo abbraccio e sfiorandole la testa con le labbra: «Beh, era la prima volta anche per me e non ero…»
«Va bene» Marinette sorrise, poggiando la testa contro la spalla del giovane e posando una mano all'altezza del suo cuore: «Mi piace.»
«Cosa?»
«D-di…» si fermò, socchiudendo gli occhi e lasciando andare un profondo sospiro, cercando di tenere sotto controllo l'imbarazzo improvviso: «Di essere l'unica per te.»
Adrien annuì, sfiorandole con pigrizia le spalle nude e guardando il soffitto della camera, sentendo le palpebre farsi pesanti: «Domani, appena torniamo, dovremmo dirlo a Fu.»
«Che non siamo…»
«No, signorina. Che siamo sposati. Ma cosa ho sposato? Una donna perversa?»
«T-tu…» Marinette si tirò su, tenendo il lenzuolo contro il seno e guardandosi attorno con gli occhi spalancati e il respiro affrettato, facendo saettare lo sguardo da una parte all'altra della camera: «Oh no. Oh no. Oh no. Oh no.»
«Cosa c'è?» le domandò Adrien, mettendosi seduto anche lui e cercando di capire cosa stava sconvolgendo in quel modo la ragazza: forse il dire a Fu, esponente importante al servizio dei Dupain, che lei aveva sposato il figlio di Gabriel Agreste? Ma sapeva benissimo che Fu era a favore di quell'unione.
Forse riguardava la madre?
«Siamo in un convento!»
Adrien batté le palpebre, aprendo la bocca e richiudendola, cercando di capire dove la sua sposa volesse andare a parare: «Ehm…sì. Mia nonna vive in un convento e quindi…»
«Io ho fatto certe cose in un convento.»
«A quanto pare?»
«Mi spieghi come fai a essere così calmo? Hai una minima idea di quello che vuol dire per le nostre anime?»
Il giovane sorrise, passandole un braccio attorno alle spalle e scuotendo la testa, ridacchiando appena: «Marinette, sono stato ripudiato da mio padre, vivo in casa di un alleato della famiglia rivale della mia, mia suocera sicuramente vorrà uccidermi non appena mi vedrà…» Adrien si fermò, allungando una mano e scostando una ciocca dalla fronte di Marinette: «Senza offesa, tesoro, ma l'essere andato a letto con la mia sposa, in un convento, è l'ultimo dei miei problemi.»

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.310 (Fidipù)
Note: Nuovo appuntamento con Inori che, vi ricordo, per tutto il mese di Gennaio avrà cadenza settimanale. Che dire? I fili si stanno tirando e la storia sta convergendo verso la sua fine: Sabine infiamma il popolo, André intessa le sue trame e Gabriel che fa? Chi lo sa!
Scemenze a parte, passiamo subito alle informazioni di rito: vi rimando la pagina facebook per ricevere piccole anteprime e restare sempre aggiornati e al gruppo facebook Two Miraculous Writers, gestito con la bravissima e talentuosa kiaretta_scrittrice92.
Per concludere, voglio dire grazie a tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste!

 

Sorrise, osservando la pelle nuda delle spalle della ragazza e facendo scivolare lo sguardo sul volto, ancora immerso nel sonno: i capelli creavano un contrasto con la stoffa del cuscino, lingue scure che si estendevano in una terra completamente bianca.
Si puntellò contro il materasso, senza riuscire a distogliere lo sguardo: possibile che non riusciva a ricordare la vita prima di lei? Se chiudeva gli occhi, tutto cominciava da quel giorno nel panificio, dove l'aveva vista per la prima volta.
Non c'era niente prima, se non il nulla.
Le palpebre di Marinette fremettero e lentamente si aprirono, gli occhi azzurri si posarono su di lui e le sorrise, mentre allungava la mano libera dal proprio peso e le scostava una ciocca dalla guancia: «Buongiorno, mia sposa» mormorò, chinandosi verso di lei e sfiorandole con le labbra la spalla nuda.
La sentì irrigidirsi appena nel loro letto, guardandola veloce in volto e notando il rossore che si diffondeva velocemente sulle guance, mentre si stringeva il lenzuolo al corpo nudo; Adrien scivolò vicino a lei, posandole una braccio sui fianchi e carezzandola con lentezza, sentendola rilassarsi velocemente sotto al suo tocco: «Per essere due inesperti, stiamo facendo passi da gigante. Non trovi, principessa?»
«Pa-passi da gigante?» balbettò Marinette, girandosi sulla schiena e permettendogli così di scivolarle sopra: si chinò, baciandola sulla gola, sentendola sospirare mentre risaliva lungo la mascella e si accomodava fra le sue gambe, carezzandole i fianchi e inducendola a stringerli attorno a lui.
«Decisamente sì. Siamo diventati più bravi, rispetto alla nostra prima notte di nozze» le bisbigliò, posando la bocca sull'angolo di quella di lei e succhiando appena la pelle: «Molto più bravi.»
«Rispetto a due giorni?»
«Siamo sposati da così poco? Mi sembrava più tempo» commentò Adrien, spingendo i fianchi e osservandola aprire la bocca, assecondando i suoi movimenti e ansimando, passando le braccia attorno al suo collo e stringendolo contro di sé, abbandonandosi al piacere.


Alya osservò l'anziano, posandogli davanti la tazza fumante di ceramica e storcendo appena la bocca: «Sembrate aver preso bene la notizia del matrimonio» commentò la giovane, posando i palmi delle mani sul tavolo e chinandosi in avanti, scrutando il volto dell'uomo: «Non mi aspettavo una simile reazione.»
«Diciamo che era qualcosa che stavo attendendo» mormorò Fu, allungando le mani e circondando la tazza, piegando le labbra in un sorrisetto: «Ma in fondo, cosa puoi aspettarti da un giovane uomo che ha abbandonato la propria famiglia, il proprio ruolo, per seguire la fanciulla di cui è innamorato?» la ragazza annuì, chinando il capo e inspirando profondamente, rimanendo in silenzio e ascoltando i rumori che provenivano dall'esterno: «Che cosa ti preoccupa, Alya?» le domandò dopo un po' Fu, posando la tazza sul tavolo e fissandola.
«Sono stata cresciuta…» cominciò la giovane, fermandosi e chiudendo la bocca, negando con la testa: «Mia madre, lady Sabine mi hanno insegnato a odiare gli Agreste, a considerarli il nemico ma…»
«Ma adesso che hai conosciuto il figlio di Gabriel, ti riesce difficile.»
«Lui è…» Alya si fermò, inspirando e scuotendo la testa: «E' diverso. Non è il mostro che mi aspettavo, il principe viziato di cui ha sempre parlato Sabine, lui è…è…è un nobile, certo, ma è esattamente come immagino fossero i Dupain.»
«In effetti ha un modo di fare molto simile a quello che aveva Tom» dichiarò l'anziano, piegando le labbra in un sorriso: «Sarebbe un buon governante: sa ascoltare il popolo e cercare di fare la cosa giusta per questo e non per se stesso.»
«Cosa che non si può dire del padre.»
«Sai, sono rimasto stupito quando ho saputo che li hai lasciati sposare senza interferire, Alya. Conoscendo il tuo pensiero, ero certo che avresti fatto il diavolo a quattro e impedito queste nozze.»
«Ma come…?»
«Nino.»
«Oh» Alya si portò una mano alla bocca, sospirando e abbassando le spalle, scuotendo il capo: «Marinette è felice con lui. Lo vedo dal suo sguardo e cosa sono io per impedirgli di avere un po' di felicità? Ancor prima di essere una fedele dei Dupain, sono sua amica. L'ho detto a lei e lo ribadisco a voi, ser Fu.»
«E ti ringrazio per questo» commentò l'uomo, piegando le labbra in un sorriso e portandosi la tazza alla bocca: «Quella ragazza avrà, d'ora in poi, più bisogno di amici che di alleati politici.»
«E' successo qualcosa?»
«Una donna pazza di dolore e desiderosa di vendetta sta incitando il popolo di Paris alla rivolta» mormorò Fu, soffiando appena sul the: «E' come avere davanti a sé un piccolo falò e sapere che presto divamperà in un incendio ed io non so assolutamente cosa fare per fermarlo.»
«Sua signoria sta…»
«Sta facendo quello che era il piano originale» bofonchiò l'uomo, scuotendo la testa: «Quello che era il nostro progetto, quando il giovane rampollo degli Agreste se ne stava rinchiuso nel suo castello ed io cercavo un modo di arginare il bisogno di sangue di una donna piena di dolore.»
«Pensare che sua signoria sia nella ragione?»
«Sabine è molte cose, ma ora come ora, non è nella ragione: una rivolta non porterà altro che sangue da entrambe le parti, ma è troppo sorda e rinchiusa nel proprio dolore per ascoltare.»
«E cosa possiamo fare?»
«Abbiamo un principe e una principessa, sposati nel sacro vincolo del matrimonio, entrambi legittimi eredi al trono di Paris. C'è una sola cosa da fare, Alya, ed è agire prima che Sabine possa fare qualcosa che distruggerà tutto e tutti.»


«Sai, io sarei sposato da due giorni» commentò Adrien, osservando l'amico che camminava al suo fianco e teneva lo sguardo rivolto alla lista che aveva fra le mani, senza degnarlo di attenzione: «E in questo momento dovrei essere a letto con la mia sposa, piuttosto che a comprare…ma cosa dobbiamo prendere?»
«Carne. Farina. Se troviamo della verdura. Quella ragazza scrive malissimo» commentò Nino, togliendosi il berretto rosso dalla testa e passandosi il braccio sulla fronte: «Servirebbe un traduttore per capire cosa ha scritto.»
Adrien si allungò, osservando il foglio e le parole vergate sopra, storcendo la bocca e dando ragione all'amico: «Qui c'è scritto…stoffa? Possibile?»
«Per quel che capisco, ci potrebbe anche essere scritto formaggio.»
Adrien ridacchiò, barcollando in avanti e voltandosi, osservando un uomo voltarsi indietro e alzare la mano destra, quasi come a scusarsi per il fatto di averlo spintonato: «Ma cosa sta succedendo?» domandò il giovane, guardandosi attorno e notando che in molti si stavano dirigendo verso la piazza alla fine della strada.
«Là ci fanno le esecuzioni» commentò Nino, scambiandosi un'occhiata con lui e annuendo poi, sistemandosi nuovamente il berretto in testa e osservando Adrien coprirsi con il cappuccio del mantello, seguendo la massa e raggiungendo la piazza dalla forma circolare, al cui centro torreggiava una pedana di legno con un palo al centro, adatta per le impiccagioni.
Ma non c'era nessuno pronto a venire ucciso sul posto.
Nessun criminale pronto a subire la pena più severa.
«Mi scusi» mormorò, posando la mano su un uomo e sorridendo allo sguardo di pura curiosità che questi gli rivolse: «Che cosa sta succedendo?»
«La nostra signora è tornata!»
«La vostra signora?»
L'uomo rise, portandosi le mani ai fianchi e scuotendo la testa, quasi divertito dalla domanda: «Immagino che siete troppo giovani per ricordare i tempi in cui gli Agreste non tiranneggiavano su Paris e al comando della città c'era Tom Dupain. Sua moglie adesso è qui, Lady Sabine ci porterà giustizia.»
Adrien annuì, facendo un passo indietro e osservando Nino mentre scuoteva il capo, indicando poi con un cenno di questo la pedana: tre persone erano salite, due uomini e una donna, sistemandosi al centro di essa e rivolgendo l'attenzione verso la folla riunita.
La madre di Marinette.
Adrien si sistemò meglio il cappuccio, nascondendo il volto e alzando appena lo sguardo, osservando la figura della donna sulla pedana sopraelevata: quel luogo di morte, quel punto dove venivano giustiziati i nemici di Paris, adesso era pieno di fermento e vitalità.
«Non dobbiamo stare qui» mormorò Nino, avvicinandosi a lui e posandogli una mano sulla spalla, tirandolo appena, ma senza riuscire: doveva vederla, doveva osservare come era la madre di sua moglie, la donna che l'aveva allevata.
La donna che suo padre aveva reso vedova.
Scivolò fra la folla, mischiandosi fra i tanti, e si avvicinò alla pedana di legno, osservando la figura in carne e non tanto alta: non era come Marinette, non trovava assolutamente nulla della sua sposa in Sabine Dupain-Cheng. Il volto dai lineamenti tirati, lo sguardo che mostrava la sua freddezza anche da quella distanza, la posa che esprimeva tutta la sua autorità.
No. Non vedeva nulla di Marinette in quella donna.
Non c'erano la dolcezza e la gentilezza, tipiche della figlia.
In quella donna rivedeva suo padre.
«Adrien, dobbiamo andarcene» mormorò Nino alle sue spalle, nascosto dalla sua figura: «Avrai anche sposato Marinette, ma se quella ti vede, ti uccide.»
Adrien rimase a fissare Sabine, guardarla mentre faceva vagare lo sguardo sugli uomini sotto di lei, e annuì: «Sì. Andiamo a casa.»


«Molto brava!»
Marinette sorrise all'elogio di Theo, serrando la presa sull'elsa della spada e parando un colpo del suo avversario, liberando poi la sua spada con un movimento del polso e provando un affondo a sua volta: «State veramente migliorando, mia signora.»
«Grazie» mormorò la ragazza, allontanandosi e portandosi una mano al fianco, avvertendo i muscoli dolerle: l'allenamento con la spada e i 'doveri' coniugali sembravano aver fatto a pezzi il suo corpo che, in quel momento, sembrava chiederle pietà.
«Per oggi finiamo qui» dichiarò Theo, infilando la spada nel fodero e sorridendole: «Immagino che con un marito come Adrien…beh, le tue energie siano al minimo. Eh, Marinette?»
«Theo!»
«Sai che dovreste portarle rispetto?» commentò Alya, avvicinandosi con le mani sui fianchi: «Posso comprendere che ci hai visto crescere ma Marinette resta sempre…»
«Marinette» completò la ragazza, scuotendo la testa: «Alya, questa storia è qualcosa che…»
«Alya ha ragione, mia signora. Non dovevo permettermi simili confidenze. La prossima volta mi tratterrò e tormenterò direttamente vostro marito» decretò Theo, chinando la testa e nascondendo il sorriso: «A proposito: dov'è? Insomma, siete sposati da pochi giorni e dovreste stare relegati in camera vostra e non…»
«Alya l'ha spedito con Nino a fare acquisti per la casa.»
«Alya…»
«Non mi fido di quel nobile.»
«Del principe o dell'altro? Perché è un po' complicato capire di quale nobile stai parlando.»
«Dell'altro, Theo!» Alya strinse le mani a pugno, tenendole vicino al viso e storcendo la bocca: «E' riuscito a fare più danni che altro: ha bruciato la colazione, distrutto vasi mentre spazzava il pavimento…Spero che almeno le compere sia riuscito a farle.»
Theo sorrise, osservando la ragazza sbuffare e poi voltarsi, andandosene a passo di marcia, diretta verso la porta della cucina: «Le piace, non è vero?» domandò, chinandosi verso Marinette e osservandola mentre annuiva appena con la testa: «Lo sapevo! Meno sopporta uno e più le piace!»
«Theo, se tieni alla vita…»
«Non sono così pazzo da dirlo con lei presente.»
«Ottimo.»


André Bourgeois osservò il giovane dall'altro capo del tavolo e sorrise: teneva la testa china, incapace di guardare lui o sua figlia, raramente l'alzava e solo quando uno dei servitori lo interpellava su una possibile bis di uno dei piatti serviti.
Era perfetto, ancor più di Gabriel.
Infilzò un pezzo di carne con la forchetta, alzandolo e contemplando la cottura perfetta, prima di portarselo alla bocca e masticarlo: «Mia figlia mi ha detto che disegni, Nathaniel» mormorò, attirando su di sé le iridi smeraldine del giovane: «Un grande talento. Ho visto alcuni tuoi quadri e non posso che inchinarmi di fronte alla tua bravura.»
«I-io non sono niente di speciale.»
«Permetto di dissentire» mormorò André, sorridendo e regalando una breve occhiata alla figlia, osservandola portarsi alle labbra il calice di vino e alzare gli occhi al cielo: «Vuoi dire qualcosa, Chloé?»
«Posso alzarmi, padre?»
«Come vuoi, tesoro mio» decretò l'uomo, annuendo con la testa e osservando la ragazza alzarsi velocemente da tavola, senza degnare di una parola quello che era il suo promesso; Nathaniel la seguì con lo sguardo, tornando poi a dedicarsi al suo piatto e giocherellando appena con i pezzi di carne tagliata e le verdure: «Mia figlia è come sua madre: incapace di stare ferma per tanto a lungo.»
«Certamente.»
«Immagino che per te sia ancora tutto surreale, non è vero? Insomma, ritrovarsi a essere l'erede di Paris, il futuro marito del mio tesoro…» André inspirò profondamente, scuotendo la testa: «E tutto per colpa degli Agreste.»
«Come scusi?»
«Beh, se non fosse stato per Adrien e suo padre, adesso tu avresti potuto continuare a disegnare e dipingere, coltivare il tuo enorme talento…» si fermò, scuotendo la testa e schioccando la bocca: «Ah, che grande spreco. E tutto perché Adrien è fuggito e Gabriel non ha saputo tener meglio al guinzaglio suo figlio. Convieni?»
Nathaniel annuì con la testa, chinando lo sguardo sul piatto e rielaborando le parole dentro di sé: era vero. Era tutto vero. Era solamente colpa di quei due se lui non poteva continuare la sua vita, se era stato trascinato in tutto ciò.
Solo ed esclusivamente colpa loro.
«Sarebbe bello se potessero sparire, vero?»
«Sì.»
«Se loro non ci fossero più, tu saresti libero.»
Libero? Sarebbe veramente potuto essere libero?
Non avere più le catene degli Agreste attorno a sé?
Sorrise, alzando lo sguardo e incontrando quello del suo futuro suocero: «E' vero» mormorò, annuendo con la testa: «E' tutto vero.»

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.310 (Fidipù)
Note: Un po' in ritardo, ma ecco qua un nuovo capitolo di Inori e, con questo, posso dire che mancano cinque capitoli alla conclusione della storia che, vi ricordo, avrà cadenza settimanale fino a conclusione. E non sto tanto a tormentarvi con chiacchiere senza senso, passando subito alle solite informazioni di servizio: come sempre vi rimando la pagina facebook per ricevere piccole anteprime e restare sempre aggiornati e al gruppo facebook Two Miraculous Writers, gestito con la bravissima e talentuosa kiaretta_scrittrice92, per tutto i miei social, invece, vi rimando alle note del mio profilo.
Per concludere, voglio dire grazie a tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste!


 

 

Marinette si portò il cucchiaio alle labbra, azzardandosi a dare un'occhiata al ragazzo seduto davanti a lei e trovandolo con lo sguardo completamente rivolto verso il proprio piatto, per nulla intenzionato a mangiare la propria cena: Adrien stava muovendo la posata, creando onde nella minestra quasi come se stesse giocando: «Va tutto bene?» gli domandò, guardando lo sguardo verde spostarsi dal piatto a lei: «E-ecco, io…» cominciò, stringendo le labbra e deglutendo, trovandosi a corto di parole: «Sembri pensieroso…»
Adrien stirò le labbra in un sorriso appena accennato, che non arrivò agli occhi, posando il cucchiaio e lasciando andare un sospiro: «Oggi sono stato in città con Nino…»
«Lo so.»
«Ho visto tua madre» mormorò Adrien, osservando lo sguardo di Marinette sgranarsi appena e la luce della sorpresa illuminarle lo sguardo: «Non mi ha visto e quindi…» si fermò, allargando le braccia: «Beh, puoi vederlo. No? Sono ancora vivo.»
«Lei…»
«Sta istigando il popolo di Paris a rivoltarsi contro Gabriel» continuò Adrien, osservando la ragazza e annuendo: «Ma immagino che tu lo sapevi. Vero?»
Marinette annuì, poggiando anche lei le posate e prendendo il bordo del tavolo con entrambe le mani: «Era il piano di mia madre fin dall'inizio, anche se colei che doveva istigare il popolo, che doveva essere il suo portavoce…»
«Eri tu. La figlia perduta dei Dupain» dichiarò Adrien, annuendo e comprendendo il progetto che era stato creato all'inizio: «Avrebbe avuto senso, ancor più di tua madre, tu saresti stata un simbolo contro l'egemonia degli Agreste, un qualcosa in cui riporre le speranze…»
«Non sarei mai stata all'altezza di tutto ciò…»
«Alle volte, basta semplicemente la presenza» Adrien sorrise, poggiandosi contro lo schienale della sedia e osservando la ragazza: «Perché non avete messo in atto quel piano? Considerato lo stato in cui è Paris, sarebbe bastata qualche tua apparizione per avere il controllo del popolo e assaltare tranquillamente il castello.»
«Fu dice che non sono pronta.»
«Per cosa? Per comandare una rivoluzione o per governare?»
«Penso entrambe» mormorò Marinette, alzando appena lo sguardo e sorridendo: «Insomma, fino a qualche tempo la mia vita era fatta solamente di pane e brioche…» si fermò, bloccata dal mugugno di Adrien e l'osservò, aggrottando lo sguardo: «Che ho detto?»
«Quelle brioches. Le sogno ancora. Erano buonissime.»
Marinette ridacchiò, portandosi una mano alla bocca e scuotendo il capo: «Beh, visto quante ne hai comprate quel giorno…»
«Il giorno del nostro compleanno» Adrien sorrise, allungando una mano e sfiorando le dita di Marinette, di sua moglie: «E' strano essere nati lo stesso giorno dello stesso anno, non è vero?»
«E pensare che odiavo il fatto di essere nata lo stesso giorno del principe.»
«Sì. Ricordo che mi hai detto qualcosa del genere…»
Marinette sgranò gli occhi, portandosi le mani alla bocca e Adrien sorrise, mentre le guance di lei diventavano di una tonalità rossa: «Io…io…oddio, cosa ho detto?»
«Niente di irrecuperabile, principessa» decretò lui, muovendo una mano per aria come per relegare così la questione: «Che cosa hai in mente di fare con tua madre?»
Marinette lo fissò, scuotendo il capo e lasciando andare un sospiro: «Non lo so. Io non so…» si fermò, passandosi la lingua sulle labbra e voltandosi di lato: «Lei vorrebbe che fossi io a guidare il tutto e…»
«Fu non lo permetterebbe. Non ora che abbiamo…»
«Ed io non vorrei farlo.»
Adrien la fissò, osservando lo sguardo di lei e la decisione che vi leggeva dentro: sì, Marinette non avrebbe mai istigato il popolo contro gli Agreste, lo poteva dire con assoluta certezza, ma Sabine…
Beh, la donna era tutta un'altra questione.



Fu osservò la donna davanti a lui, studiandone i movimenti: teneva le dita strette attorno al calice, mentre se lo portava alle labbra con un movimento lento del braccio e buttava giù, in un unico sorso, il vino speziato, schioccando poi le labbra e posando il bicchiere sul tavolo: «Di cosa volermi parlarmi, Fu?» gli domandò, la voce che graffiava da quanto era stata dura.
«Che cosa ti è successo, Sabine?»
«Sai bene cosa mi è successo…» la donna sorrise, voltandosi di lato e facendogli domandare, per l'ennesima volta, quando fosse avvenuto quel cambiamento: Sabine non era mai stata così desiderosa di vendetta e sangue, come nell'ultimo periodo.
Da quando Marinette aveva compiuto diciotto anni, Sabine si era trasformata completamente.
«Ho saputo quel che stai facendo a Paris» commentò, stringendo le mani e fissandola: «Non penso che questa sia la soluzione.»
«E quale sarebbe?»
«Paris non ha bisogno di una rivolta, non ha bisogno di altro sangue che macchi le sue strade.»
«E cosa te lo fa dire?»
«Il fatto che ci siano troppe morti, Sabine. A che cosa pensi che porterà il tuo gioco? Ad altro dolore e ad altre morti. Tu non eri così…»
«Sono stati loro a farmi diventare così, il giorno in cui hanno ucciso mio marito!»
«Sabine…»
«Tu non vuoi muoverti, non vuoi fare assumere a mia figlia il ruolo che le spetta» Sabine si alzò, stringendo le labbra in una smorfia: «Ma io non rimarrò in silenzio, non ora che il popolo sa che i Dupain non sono stati annientati completamente e Gabriel Agreste avrà ciò che si merita.»



Si girò nel letto, muovendosi lentamente per non svegliare la moglie che dormiva profondamente e osservò il buio che regnava nella camera: le parole di Sabine l'avevano segnato, gli avevano instillato mille dubbi e provocato altrettante domande. La donna sembrava avere un certo ascendente sul popolo, sapeva dove toccare per scatenare la rabbia nascosta di persone ormai alla fame, che si erano visti portare via tutto.
Se tutto continuava così, presto ci sarebbe stata una sommossa e il popolo avrebbe combattuto contro l'esercito: era incapace di predire chi avrebbe vinto, se il primo con la forza della sua disperazione o il secondo, forte delle armi.
Non riusciva a trovare un modo per bloccare tutto ciò, non c'era una via che impedisse quello spargimento sicuro di sangue: Sabine sembrava cieca a ogni richiamo, ed era impossibile che avrebbe ascoltato lui, il figlio del suo nemico.
Forse il suo stesso sangue?
Da come Marinette si era comportata, aveva compreso che neanche lei aveva gran voce in capitolo sulle decisioni della madre.
E allora come fare? Come proteggere il popolo e fare qualcosa perché quella situazione cambiasse, si evolvesse?
Inspirò, tirandosi su e passandosi una mano sul volto, portandosi indietro la frangia: suo padre l'avrebbe ascoltato? Sarebbe stato capace di uscire dal suo mondo e rendersi finalmente conto di ciò che lo stava circondando?
Poteva essere una soluzione, forse l'unica nella sua mano, ma parlare con lui significava anche tornare al castello e non era certo di potersene andare una seconda volta: se era riuscito nell'impresa la prima volta, lo doveva anche a Nino.
Se fosse andato, se fosse tornato da suo padre, c'era la possibile che non sarebbe più potuto tornare indietro.
Tornare da Marinette.
Socchiuse gli occhi, inspirando e lasciando andare l'aria, voltandosi poi e scivolando fuori dalle coltri: si era abituato al buio e ciò gli permise di muoversi per la stanza senza particolari intoppi, avvicinandosi alla sedia e infilandosi le braghe e la camicia velocemente.
Doveva agire adesso, sotto l'impulso del momento.
Se avesse continuato a pensare, a tergiversare, non avrebbe combinato nulla e questo non se lo poteva permettere: ancor più di non poter tornare da lei, era preoccupante il pensiero di vederla invischiata maggiormente in quella faida.
Doveva fare la sua mossa.
Si allungò verso il tavolo vicino e afferrò un pezzo di carta che fuoriusciva da uno dei libri di Marinette e, allungando la mano, prese la piuma, intingendola nella boccetta dell'inchiostro e vergando veloce il proprio messaggio.
Non se ne sarebbe andato silenziosamente.
Piegò la carta e poi tornò verso il letto, posando il biglietto nel suo posto, certo che Marinette lo avrebbe trovato appena sveglia: sorrise, guardandola dormire e rimase un attimo fermo, quasi deciso a non seguire quell'idea.
Scosse il capo, tornando indietro e si infilò la giubba, allacciando alla bell'e meglio i nastri e poi afferrò il cinturone, poggiandoselo attorno ai fianchi e chiudendo la fibbia con un gesto secco; gli stivali lo attendevano vicino la porta della camera e, silenziosamente, attraversò la stanza e li infilò.
Veloce. Doveva essere veloce, se non voleva tornare ai ripensamenti.
Un mugolio lo fermò, mentre stava tornando verso la sedia e gli ultimi suoi indumenti, facendolo voltare verso il letto e osservare sua moglie: si era mossa nel sonno, girandosi verso la porta e aveva biascicato alcune parole senza senso.
Nelle poche notti che avevano trascorso assieme, aveva imparato quella sua abitudine, trovandola adorabile. Come tutto in lei.
Si avvicinò al letto, osservandola mentre era distesa, completamente ignara di ciò che lui aveva deciso, e sentendo il cuore pungolargli nel petto: non voleva lasciarla sola, ma sapeva anche che non aveva altra soluzione. Se voleva trovare un modo per risolvere tutta quella situazione doveva andare a parlare con suo padre.
Non c'era nient'altro.
Si avvicinò, accucciandosi accanto a lei e fissandola mentre dormiva, ignara di tutto, e cercò di imprimersi il volto di lei nella sua memoria, già piena di lei: il loro primo incontro nella panetteria, il suo sguardo durante la festa dove le aveva comprato gli orecchini, la sua espressione quando si erano rivisti a palazzo, la sua figura quando l'aveva rivista lì, proprio in quella casa, e il suo sorriso il giorno in cui si erano sposati.
«Sarai sempre il mio unico amore» bisbigliò, allungando una mano e scostandole una ciocca dal viso, portandola verso l'orecchio, osservandola storcere la bocca ma continuando a dormire ignara: «Qualsiasi cosa mi succederà, io non amerò nessun'altra che te.»
Socchiuse gli occhi, inspirando e alzandosi, facendo vagare lo sguardo nella stanza e posandolo sulla sua spada e il mantello, abbandonati sull'unica sedia; si avvicinò e si assicurò l'arma al cinturone, indossando poi il mantello e lasciando andare un sospiro.
Doveva andare.
Doveva farlo, ma i suoi piedi lo tenevano ancorato lì.
Strinse le mani, facendo un passo e sentendo il corpo affaticarsi, quasi come se quel semplice gesto gli avesse prosciugato ogni energia; s'impedì di non girarsi verso il letto, mentre un passo dopo l'altro, si avvicinava alla porta della camera: se si fosse girato, ogni sua buona intenzione sarebbe scemata, alla vista di lei.
No. Non poteva.
Appoggiò la mano sulla maniglia, abbassandola e aprendo così la porta, uscendo nel corridoio e richiudendola dietro di sé; si fermò, voltandosi e poggiando la fronte contro il legno, socchiudendo gli occhi: «Avevo…» mormorò, scuotendo il capo e allontanandosi dalla stanza. Percorse velocemente l'abitazione, aiutato dal semplice fatto che tutti erano a letto, e raggiunse le stalle, sorridendo al proprio cavallo: Plagg sembrava quasi attenderlo, battendo nervosamente uno zoccolo per terra e muovendo il capo.
«Ehi, amico» si avvicinò all'animale, recuperando l'occorrente per sellarlo e cominciando il lavoro, mentre il cavallo si girava, picchiettando il muso contro la sua spalla: «No, non ho camembert per te» dichiarò Adrien, stringendo le cinghie della sella e assicurandosi il tutto.
Serrò la presa delle dita attorno alle cinghie, carezzando l'animale con la mano libera: «In verità non voglio andare, Plagg» bisbigliò, scivolando sul manto scuro: «Ma è l'unica cosa che io posso fare. Se parlo con lui, se provo a farlo ragionare, forse c'è ancora una speranza per questa città. Senza…» si fermò, lasciando andare il respiro e guardando il muso del cavallo: «Senza che ci sia bisogno di arrivare alle armi. Non credi, amico?»



Marinette aprì gli occhi, osservando la stanza immersa ancora nell'oscurità della notte: che ore erano?
Si portò una mano al volto, scostandosi alcune ciocche e trattenendole contro l'orecchio, socchiudendo di nuovo le palpebre e cercando di trovare nuovamente ristoro nel sonno. Anche se c'era qualcosa di diverso nella stanza…
Inspirò, voltandosi nel letto e allungando una mano verso Adrien, tastando solo il materasso freddo: si alzò di scatto, accigliandosi e cercando di vedere nel buio, toccando il letto e trovando solo il nulla.
Adrien non era lì.
Fece scivolare le dita sul letto, carezzando solo il lenzuolo e le coperte, fino a che il suo mignolo non toccò qualcosa di diverso; posò la mano su quell'elemento stonante, avvertendo la consistenza familiare della carta: strinse la presa sul foglietto e corse verso il tavolo, accedendo con non poca fatica la candela e, una volta riuscita, divorò le poche righe vergate.
Riconosceva la scrittura, aveva imparato a farlo nel poco tempo in cui erano stati assieme, e rilesse più e più volte quell'unica parola, vergata nero su bianco.
Tornerò.
Non c'era nient'altro. Solo quella parola.
Si portò una mano all'addome, massaggiandoselo e avvertendo un dolore sordo che si stava propagando in tutto il corpo, non comprendendo il perché di quel messaggio.
Dove era andato?
Perché era andato via?
Quando sarebbe tornato?
Fece un passo indietro, e poi un altro ancora, continuando a tenere lo sguardo su quell'unica parola, quel messaggio breve, che lui le aveva lasciato: «Adrien…» mormorò, continuando a indietreggiare e cozzando contro il letto: «Adrien. Che cosa…?»



Gabriel osservò il caminetto spento, le braci ancora odoravano di fumo e un poco di calore si levava da queste; la porta alle sue spalle si aprì e lui si voltò, osservando la figura ammantata di nero, rimasta ferma sulla soglia: lo sguardo verde, quello che aveva ereditato da lei, lo fissava con serietà, mentre entrava nella camera e si portava le mani alla gola, slacciandosi il nodo del mantello: «Dobbiamo parlare, padre.»

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.124 (Fidipù)
Note: E dopo lo switch con L'Agenzia Mariti Perfetti, ecco qua il nuovo capitolo di Inori! E vi informo che mancano esattamente quattro capitoli al finale che, come si può leggere da questo capitolo, comincia a delinearsi. Detto questo, come sempre vi ricordo la pagina facebook per ricevere piccole anteprime e restare sempre aggiornati e al gruppo facebook Two Miraculous Writers, gestito con la bravissima e talentuosa kiaretta_scrittrice92, per tutto i miei social, invece, vi rimando alle note del mio profilo.
Per concludere, voglio dire grazie a tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste!

 

 

Avanzò nella stanza, ascoltando il rumore delle suole degli stivali sul pavimento di marmo, storcendo la bocca e trovando quel rumore così estraneo all'ambiente: «Padre» bisbigliò, chinando lievemente la testa e avvicinandosi all'uomo che, nonostante il suo appello, non si era mosso. Gli aveva concesso un'occhiata, prima di tornare nel suo mondo fatto di indifferenza; inspirò e lasciò andare l'aria, facendosi così coraggio e cercando le parole che avrebbero potuto smuovere il genitore: «Padre, io non so…»
«Perché sei tornato?»
Tre parole erano tutto ciò che Gabriel gli aveva rivolto, una domanda e un'accusa assieme quasi, Adrien non era neanche certo di averle sentite perché le labbra dell'uomo si erano mosse appena: «Perché siete in pericolo, padre. Paris…Paris è allo stremo. In questo periodo, io ho visto come vive il nostro popolo e come viene trattato: non resisterà ancora per molto e Sabine Dupain…» si zittì, osservando lo sguardo del genitore posarsi su di lui e una furia omicida attraversagli il volto non appena aveva pronunciato il nome della donna: «Sabine Dupain sta istigando il popolo contro di voi.»
«Che lo faccia, non mi spaventa.»
«Dovresti, padre» Gabriel lo fissò, spostando poi nuovamente lo sguardo verso il fuoco morente e senza spostarlo: «Non è tardi per trovare…un accordo. Ecco sì, trovare un compromesso con i Dupain, magari potremmo…» Adrien si zittì, ascoltando lo sferragliare che stava provenendo dall'esterno della camera: si voltò, fissando con orrore la porta della stanza e ascoltando quella cacofonia farsi sempre più vicina, fino a quando i soldati non irruppero con le spade sguainate e puntate verso di lui.
«Vostra altezza Adrien, siete pregato di non opporre resistenza» dichiarò uno dei soldati, avvicinandosi con le mani alzate e i palmi rivolti verso di lui, quasi ad assicurargli che non gli avrebbero fatto alcunché; Adrien si portò la mano destra al cinturone, chiudendo le dita nell'aria e storcendo la bocca quando si ricordò di aver lasciato la spada con Plagg: non aveva preventivato di averne bisogno nel luogo in cui era cresciuto e, di certo, non durante un colloquio con il genitore.
Lasciò andare un sospiro, abbandonando la posizione difensiva che aveva inconsciamente assunto e fece vagare lo sguardo dalle guardie al padre, ancora immobile davanti il camino: «Immagino che verrò spedito nelle mie stanze…» mormorò, avvicinandosi ai soldati e lasciando che questi lo prendessero per i polsi.
Ci sarebbe voluto più di quanto aveva pensato, ma sarebbe riuscito a convincere il padre e a cercare un accordo con Sabine Dupain; inoltre era già fuggito dalla sua camera una volta, poteva farlo una seconda.
«Portatelo nelle segrete» dichiarò Gabriel, fermando le guardie che già lo stavano scortando fuori dalla stanza: «E' un estraneo che si è introdotto in questo castello, niente più e niente di meno di un comune ladruncolo…»
«Padre!» Adrien strattonò le braccia, cercando di liberarsi dalla presa delle guardie e voltando la testa per quanto poteva, cercando di vedere il genitore: «Lasciatemi andare! E' un ordine!» dichiarò, osservando i due uomini indecisi su quale ordine eseguire: quello del loro reggente o quello del principe.
«Chi sei tu per dare ordini ai miei uomini?» Gabriel si avvicinò, fissando il figlio e storcendo la bocca: «Ho ripudiato la tua esistenza nel momento stesso in cui hai abbandonato il castello» continuò, tenendo lo sguardo in quello verde del ragazzo e poi spostandolo sui suoi sottoposti: «Portatelo in cella. Subito.»
 
 
 
Marinette si strinse al petto il foglietto, posando la mano libera sul corrimano e scendendo la scala con calma, sebbene dentro di sé sentiva il bisogno di correre, di saltare due a due i gradini e giungere velocemente al piano inferiore, ma la luce fioca delle lampade non le permetteva ciò.
Non aveva senso cadere e potersi ammazzare.
Non in quel momento.
Arrivò alla fine della gradinata, percorrendo il corridoio che, sapeva benissimo, l'avrebbe condotta alla parte posteriore dell'abitazione, quella che Fu aveva adibito a suo uso personale ma il chiacchiericcio sommesso che le giunse dalla parte opposta la fece fermare dopo pochi passi.
Si voltò indietro, dirigendosi verso il vociare che sentiva, giungendo fino alla porta del salottino dove Fu era solito ricevere gli ospiti; sollevò la mano, bloccandosi a metà gesto e domandandosi se era il caso di disturbare il suo anziano ospite e la persona con la quale stava parlando.
Scosse la testa, relegando ogni dubbio e insicurezza, stringendo il foglietto contro il seno e abbattendo la mano sul legno, bussando e attendendo una risposta; aspettò poco, vedendo la porta aprirsi e la figura minuta di Fu comparire: «Vostra altezza…» bisbigliò, guardandosi indietro per una manciata di secondi e poi riportando l'attenzione su di lei: «Siete arrivata al momento giusto.»
«E'-è successo qualcosa?» domandò Marinette, trovandosi incapace di capire: forse Fu sapeva della sparizione di Adrien, forse stavano operando assieme e lui era lì, forse…
Fu aprì completamente la porta, mettendo fine ad ogni suo pensiero: seduto al tavolo, con un boccale davanti a sé, Otis Césaire la fissò per un attimo, prima di chinare la testa in segno di saluto; dietro di lui, Alya si stava torcendo le mani e teneva lo sguardo preoccupato sul genitore.
«Che cosa…?»
«Mia principessa» mormorò Otis, alzandosi e raggiungendola, inginocchiandosi al suo cospetto e tenendo chino il capo: «Vostra madre ha deciso di assaltare il castello degli Agreste appena il sole sorgerà. Il popolo di Paris è con lei e tutto ciò…»
«Tutto ciò darà inizio a un bagno di sangue, ecco!» dichiarò Fu, quasi sputando fuori le parole e fissando l'uomo: «Il tuo compito era tenere calma la sete di sangue di Sabine, non alimentarla.»»
«Io non ho fatto niente…»
«Lo vedo che non hai fatto niente.»
Marinette strinse le dita, accartocciando il foglietto e guardando i due uomini, incapace di comprendere quello che stava succedendo o che avrebbero voluto da lei: non le interessava, non le importava neanche dei piani della madre, tutto ciò che il suo intero essere sembrava reclamare era il riavere Adrien.
«Se n'è andato» mormorò, attirando su di sé l'attenzione di Fu e mostrandogli il pezzo di carta che aveva tormentato fino a quel momento: «Io non so dove…»
«Mi dispiace» mormorò Fu, leggendo quell'unica parola vergata e scuotendo il capo: «Non so dove il principe sia potuto andare e, vostra altezza, questo è il nostro ultimo pensiero al momento.»
«Il principe?»
«Più tardi, Otis. Ora dobbiamo rimediare al danno.»
«E come pensi di rimediare? Mentre parliamo, sicuramente Sabine sta già marciando verso il castello!»
 
 
 
Adrien poggiò la fronte contro le ginocchia, inspirando l'aria fredda che gli solleticò le narici, facendogli storcere il naso: non era mai stato in quell'area del castello, non che al principe servisse a qualcosa andar nelle cantine e nelle segrete del castello.
Neanche nelle perlustrazioni, dettate dalla noia, che aveva fatto con Nino si era azzardato a scendere fin laggiù. E invece ora c'era, come un criminale era stato gettato là dentro, senza la possibilità di spiegarsi, di poter far comprendere al padre quello che, a breve, sarebbe accaduto.
Sabine Dupain avrebbe continuato ad aizzare il popolo e poi l'avrebbe spinto contro il reggente di Paris, contro suo padre.
Strinse le mani a pugno, sentendosi un idiota per aver pensato che tutto si sarebbe potuto risolvere con una semplice chiacchierata, che solo così avrebbe potuto far comprendere qualcosa a suo padre, per poi tornare tranquillamente dalla sua Marinette.
Che cosa stava facendo?
Si era svegliata e aveva trovato il suo biglietto?
Addossò la nuca contro la pietra, rendendosi conto che non sapeva neanche che ore fossero e non era capace di quantificare da quanto tempo fosse stato gettato lì: minuti? Ore? Gli era impossibile capirlo.
Marinette.
Era preoccupata per lui?
Che cosa aveva pensato non trovandolo?
O forse era ancora immersa nel sonno, tranquilla e certa di trovarlo al suo fianco una volta sveglia?
Inspirò, socchiudendo gli occhi e riportando alla mente il viso dai lineamenti delicati, gli occhi azzurri che lo fissavano sempre con quel misto di imbarazzo e adorazione, le labbra rosee piegate in un sorriso e i capelli scuri come la notte che le carezzavano il collo.
Sì, così l'avrebbe sempre ricordata, anche se il suo gesto lo avrebbe condannato a rimanere lì e morirci.
«Sai, è sempre stato facile manovrare tuo padre…» la voce lenta e cadenzata di André Bourgeois lo riscosse, facendogli aprire le palpebre e strappandolo dai suoi pensieri, si voltò osservando l'uomo che lo fissava con un sorriso di compiacenza in volto: «E' sempre bastato gettargli qualche boccone e lui imbastiva il tutto, senza farmi faticare troppo.»
«Che cosa?»
André si avvicinò, allungando una mano e carezzando le sbarre di metallo, lo sguardo che quasi si perdeva nel nulla: «Paris doveva essere mia. Non di Dupain, non di tuo padre. Mia. Mia solamente, ma i Dupain erano i regnanti da secoli e quanto ho sperato di avere un figlio maschio da dare in sposa alla giovane rampolla dei Dupain ma, come ben sai, sono stato condannato dall'avere una femmina. Come poter usare ciò che avevo fra le mani per raggiungere ciò che bramavo? Tu eri già stato promesso alla figlia di Dupain, e non vedevo nessuna possibilità, finché…»
«Finché?»
André scosse il capo, portandosi le mani alla cintura e sistemandosela a modo: «Beh, non penso ci sia bisogno che ti spieghi. Non credi?»
Adrien lo fissò, annuendo con la testa e inspirando: lui. Era sempre stato lui.
Dalla morte di sua madre, André Bourgeois aveva sfruttato suo padre e lo aveva rivolto contro i Dupain, sancendo così la fine della famiglia regnante di Paris, aveva fatto sì che la promessa fra le due famiglie venisse meno e che ne fosse allacciata una nuova, quella del matrimonio fra lui e l'erede dei Bourgeois.
Tutto tornava e s'incastrava alla perfezione nella sua testa adesso.
Una faida tra due famiglie nata dal niente, creata e alimentata dall'uomo che aveva davanti.
Adrien si alzò veloce, avvicinandosi alle sbarre e stringendole con tutta la forza che aveva, osservando l'uomo dall'altra parte mentre si muoveva per la stanza, la figura imponente che quasi sembrava riempire l'intera stanza: André Bourgeois non gli era mai sembrata una minaccia, non gli aveva mai provocato nessuna sensazione di pericolo.
Non come ora.
Il marionettista dietro tutto.
Come poteva essere stato tanto cieco da non capirlo? Da non comprendere che dietro quell'aria bonacciona, si nascondeva il vero artefice di tutto.
«Sai, ho sempre pensato che saresti stato una pedina più semplice da usare» continuò André, sistemandosi contro la parete opposta alla cella: «Eri così succube di tuo padre, che ho sempre pensato che saresti stato l'ideale: un reggente alla mia completa mercé, ma la tua ribellione mi ha portato qualcosa di migliore fra le mani.»
«Sabine Dupain sta per far rivoltare l'intera Paris.»
«Oh. Lo so» l'uomo si portò una dito alla bocca, massaggiandosi le labbra e sorridendo: «E sarà veramente la miglior soluzione per tutti: Sabine Dupain e Gabriel Agreste periranno entrambi in questa rivolta, così come i loro eredi, e gli unici che ne usciranno illesi saranno i Bourgeois: Paris avrà bisogno di una guida e una volta sancito l'unione fra mia figlia e Nathaniel Kurtzberg, attuale erede del trono, io sarò colui che riporterà la città all'antico splendore, eliminando ogni traccia di quelle due famiglia che, seguendo i loro egoistici scopi, non hanno fatto altro che affamare e distruggere la nostra gente.»
«Tu…»
André sorrise, avvicinandosi alle sbarre e fissandolo negli occhi: «Ma non è ancora il momento. Ti lascerò qui, con la consapevolezza che questi saranno i tuoi ultimi momenti e che non potrai fare assolutamente nulla per i tuoi cari. Niente di niente. Tuo padre morirà e tu sarai qui, il tuo migliore amico e anche la fanciulla per quale sei fuggito…tutti, nessuno escluso. Mi chiedo solo: riuscirò ad ucciderti io oppure ti suiciderai?»
 
 
 
Sabine si mosse, avvertendo il peso dell'armatura che indossava, sentendolo a ogni movimento che faceva: non era mai stata una combattente, non era mai stata una guerriera, ma c'erano cose che andavano fatte e comandare la rivolta, essere a capo di tutto, era una di quelle.
Si portò una mano al collo, stringendo con forza la fede che aveva sempre portato con sé, quasi come assimilando la forza da questa.
Era arrivata l'ora in cui la sua vendetta si sarebbe compiuta, in cui il sangue di Tom sarebbe stato ripagato con quello degli Agreste.
Era giunto il momento.
Si portò una mano al fodero della spada, stringendo la mano sull'elsa e sguainandola con lentezza, avvertendo il peso del metallo fra le dita: «Popolo di Paris» esclamò, alzando il mento e guardando con lo sguardo le persone riunite davanti a lei: «Quest'oggi sarà il nostro giorno! Quest'oggi scacceremmo il tiranno dalla nostra terra! Quest'oggi riporteremo alla gloria il nome dei Dupain!»
 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.172 (Fidipù)
Note: Mi sto meravigliando di me stessa: questa settimana sono riuscita a fare tutti gli aggiornamenti (aspetta a dirlo, Echo. Ne hai ancora uno da fare!) ed eccoci qui con un nuovo capitolo di Inori e siamo a meno tre dal finale. Uao, mi sembra strano che anche questa storia si concluderà...ed io che farò? Come se non avessi altre millemila storie da fare, da concludere e...vabbè, lasciamo perdere e passiamo alle solite, classiche, informazioni di rito: la pagina facebook per ricevere piccole anteprime e restare sempre aggiornati, trovare curiosità e miei scleri e al gruppo facebook Two Miraculous Writers, gestito con la bravissima e talentuosa kiaretta_scrittrice92, per tutto i miei social, invece, vi rimando alle note del mio profilo.
Per concludere, voglio dire grazie a tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste!
Grazie tantissimo!

 

 

Marinette si sistemò vicino al caminetto, ascoltando senza particolare attenzione alla discussione fra Otis e Fu, tenendo lo sguardo fermo sulle fiamme: «Forse Nino sa dove può essere andato» mormorò Alya, attirando su di sé l'attenzione della ragazza e indicando, con un cenno del capo, il biglietto che quest'ultima stringeva ancora fra le mani, quasi fosse un tesoro che non avrebbe ceduto a nessuno: «Sono cresciuti assieme, no?» buttò lì, osservando un lampo di consapevolezza attraversare lo sguardo dell'amica: «Sicuramente avrà un'idea di quello che gli è passato per la mente e dove potrebbe essersi diretto.»
Marinette annuì, scoccando un'occhiata veloce a Fu e Otis, posandolo poi su Alya: «Andiamo» mormorò, chinando la testa e avviandosi verso la porta: «Torno nella mia camera» mormorò, fermandosi nei pressi dell'uscio e fissando i due uomini: «Appena avrete…»
«Appena avremo deciso che cosa fare, ti avviseremo» dichiarò Fu, sorridendole e avvicinandosi, stringendole le mani con le sue: «Andrà tutto bene» le mormorò, accentuando un poco la stretta prima di lasciarla andare; Marinette annuì e si voltò verso la porta, lasciando che Alya la scortasse fuori.
Avanzarono lungo il corridoio, raggiungendo le scale che portavano al piano superiore: «Nino dovrebbe essere nella sua stanza» bisbigliò Alya, superandola e salendo veloce alcuni gradini: «Spero veramente che il principino non abbia fatto qualche sciocchezza.»
«Lo spero anche io» mormorò Marinette, seguendo l'amica e arrivando al piano superiore, vedendola mentre marciava decisa verso una delle porte in fondo al corridoio e si fermava, bussando con fare imperioso.
«Nino! In piedi!» urlò e Marinette rimase a fissarla, mentre dall'interno della stanza arrivano rumori confusi, poco dopo la porta si aprì prepotentemente e Nino osservò la ragazza che l'aspettava con le braccia conserte: «Abbiamo bisogno di te.»
«C-che devo fare?» domandò il ragazzo, facendo vagare lo sguardo fino a Marinette e salutandola con un cenno del capo: «Cosa è successo? Dov'è Adrien?»
«Questo devi dirlo tu a noi» Alya si voltò verso Marinette, indicando il giovane con un cenno del capo: «Quando Marinette si è svegliata, poco fa, ha trovato solo questo e, di sotto, mio padre e Fu stanno parlando: a quanto pare Sabine ha deciso che è tempo di una rivolta.»
Nino annuì, prendendo il foglio spiegazzato fra le mani di Marinette e leggendo l'unica parola vergata, scuotendo poi il capo: «Io non so proprio dove…» si fermò, facendosi passare la lingua sulle labbra: «Aspetta» scosse la testa, portandosi una mano alla nuca e massaggiandosela: «Conoscendolo, dopo ciò che ha visto nel paese…sicuramente è andato a parlare con suo padre.»
«Ma è scemo?»
«Forse, Alya» commentò Nino, sorridendo appena: «Ma sono certo che sta pensando che questa sia l'unica cosa che può fare lui…»
«Devo andare» mormorò Marinette, attirando l'attenzione di entrambi su di lei: «Io devo andare da lui.»
«Oh. Fantastico! Sono circondata da stupidi.»
«Alya…» Marinette si avvicinò all'amica, prendendole una mano fra le sue e sorridendole appena: «Io…»
«Distrarrò Otis e Fu» dichiarò Alya, inspirando e scuotendo il capo: «Non penso che Fu sarà felice di sapere che lo stupido principe è tornato al castello e mio padre…» si fermò, sbuffando e posando le mani sui fianchi: «Beh, meglio che non sappia niente.»
«Vado a preparare i cavalli» Nino sorrise a entrambe, rientrando nella camera e uscendo con il suo cappello rosso in testa: «Ti attendo di sotto, Marinette.»
La ragazza annuì, osservandolo mentre percorreva a passo svelto il corridoio e svoltava, sparendo dalla sua vista: «Non sei d'accordo» mormorò, voltandosi verso Alya e fissandola negli occhi: «Ti conosco da una vita, lo so quando fai qualcosa controvoglia.»
«No, non sono d'accordo. Penso che sia una sciocchezza ma so che tu andrai con o senza il mio volere» Alya le si avvicinò, passandole le braccia attorno al collo e stringendola: «Ho il terrore che non ti rivedrò più, Marinette» bisbigliò, tirando su con il naso e accentuando la stretta dell'abbraccio: «Che se ti lascio andare, tu…»
«Tornerò, Alya» Marinette sorrise appena, alzando le braccia e ricambiando l'abbraccio dell'amica: «E porterò Adrien con me, così potrai dirgli tutto quello che ti pare.»
Alya annuì, tirando su con il naso e allontanandosi, passandosi una mano sulle guance e sorridendo appena, nonostante gli occhi lucidi e la traccia delle lacrime: «Gli sentiranno le orecchie a furia di ascoltare tutte le mie urla: è uno stupido, che si è messo in pericolo e mette anche te in una brutta posizione.»
«Alya…»
«Portamelo intero, mi raccomando. Ci penso io a fargli qualche ferita: nulla di debilitante o che non gli permetta di fare figli, o che gli rovini quel bel faccino che si ritrova.»
 
 
Adrien alzò la testa, voltandosi verso la piccola inferriata, unica apertura della cella e rimase in silenzio, ascoltando il vociare che proveniva da fuori. Che cosa stava succedendo? Si issò appena, poggiando la mano contro la parete e avvicinandosi alla finestrella, inclinando appena la testa: «Sembra che abbiano in mente di assaltare il castello» mormorò una voce alle sue spalle; Adrien si voltò, osservando il volto familiare del cugino, illuminato dal basso dalla luce tremula della lanterna che teneva in mano: «A quanto pare Bourgeois aveva ragione, Sabine Dupain ha fatto la sua mossa.»
«Nathaniel» bisbigliò Adrien, voltandosi completamente verso il congiunto e osservandolo mentre, con un sorriso tranquillo, si avvicinava alla porta della sua cella: «Che stai facendo?»
«Ti libero» dichiarò tranquillo Nathaniel, poggiando la lanterna per terra e sorridendo all'altro: «Sono certo che non vuoi essere qui quando il popolo entrerà.»
Adrien annuì, osservandolo l'altro armeggiare con la serratura e poi il rumore dello scatto arrivò alle sue orecchie, seguito subito da quello cigolante della porta che si apriva: «Andiamo?» domandò Nathaniel, indicando con un cenno del capo la scalinata di pietra che, da davanti la sua cella, portava verso l'alto e verso la libertà.
Adrien annuì, uscendo dalla cella e osservando le scale: «Mio padre…»
«Sicuramente sarà al sicuro» commentò Nathaniel chinando la testa e nascondendo lo sguardo con i ciuffi dei capelli: «Andiamo, non c'è tempo da perdere.»
«No. Hai ragione.»
 
 
Marinette smontò da cavallo, tenendo le redini di Tikki e osservando la folla che si accalcava davanti l'ingresso principale del maniero dei Dupain: «Che cosa…?» mormorò, tirando appena a sé la cavalla fulva e facendo vagare lo sguardo su ciò che aveva davanti a sé: «Nino?»
«Penso che tua madre sia da qualche parte» commentò il ragazzo, allungando una mano e prendendole le redini dalle dita: «Vai a cercarla, io resto qui con Tikki e Wayzz» dichiarò, indicando con un cenno del capo i due cavalli.
La ragazza annuì, posando una mano sull'elsa della spada che teneva in vita e che si era portata dietro dopo aver seguito un capriccio momentaneo; avanzò, mentre cercava con lo sguardo la madre, trovandosi a confrontarsi con facce sconosciute.
Dov'era lei?
Doveva essere lì? Quello non era ciò che aveva sempre agognato? Che aveva sempre desiderato?
Marinette si fermò, stringendo i pugni e chinando la testa: se lei non avesse incontrato Adrien, adesso sarebbe stata lì ma al fianco della madre? Oppure Fu avrebbe cercato di tenerla lontana da tutto ciò?
Scosse il capo, cercando di non pensare ai se e ai ma che erano implicati in quella vicenda, non doveva lasciarsi distrarre da come sarebbe potuta andare la sua vita, la sua unica priorità era Adrien e portarlo al sicuro da tutto ciò: «Scusate» mormorò, posando una mano su un uomo vicino a lei, e vedendolo voltarsi, i lineamenti della faccia distorti dalla rabbia e dalla tensione: «Dove posso trovare Sabine Dupain?»
L'uomo la fissò alcuni secondi, prima di indicare con un cenno del capo un punto e Marinette lo ringraziò con un sorriso, marciando velocemente e scivolando fra la folla, trovando sua madre poco distante da lei.
Sabine Dupain teneva lo sguardo rivolto verso il maniero degli Agreste, il mento alzato e i lineamenti resi duri dall'espressione impassibile e le appariva completamente diversa dalla donna che era solita vedere: non c'era nulla di sua madre, in quella guerriera infilata in un'armatura lucente e la cui mano destra era fissa sul pomo della spada.
Quasi richiamata dal suo sguardo, Sabine si voltò verso di lei e il volto le si addolcì un poco grazie al sorriso che le comparve sulle labbra: «Marinette» esclamò, avvicinandosi a lei e posandole le mani ricoperte dai guanti in cotta sulle braccia: «Io non credevo che saresti venuta, non sapevo nemmeno che…»
«Otis è venuto ad avvisarmi» mormorò Marinette, chinando la testa: «Mamma tutto questo…»
«Finirà a breve, il tempo di prendere Gabriel Agreste e giustiziarlo.»
«Mamma non è questo il modo.»
«Cosa?»
«Così non risolveremo niente» mormorò Marinette, osservando la donna lasciarla come se si fosse scottata e allontanarsi di qualche passo: «Ti prego, mamma, ascoltami. Questo non è ciò che ha bisogno il popolo di Paris, questo non è il modo per cambiare le cose in questa città. Noi dovremmo…»
«Che cosa dovremmo fare, eh? Che cosa vuoi fare tu, che sei stata finora tenuta nella bambagia?» Sabine fissò la figlia, scuotendo la testa e stirando le labbra fino a ottenere una linea sottile: «Che cosa hai fatto tu per il popolo di tuo padre? Ti sei nascosta a casa di Fu, hai ignorato ogni cosa e adesso vieni qui e mi chiedi di ignorare tutto ciò per cui ho lottato e sopravvissuto in questi anni?»
Marinette aprì la bocca, richiudendola e scuotendo la testa, trovandosi incapace di dire alcunché: non riusciva a farla ragionare, non riusciva a comunicare con quella donna che aveva solo le sembianze di sua madre.
Si strinse nelle braccia e si voltò, osservando il popolo di Paris addossarsi contro i cancelli del palazzo, le voci che si mischiavano e sembravano diventare un unico urlo mentre le armi improvvisate, i bastoni e i ferri del lavoro venivano alzati verso il cielo, e le persone si accalcavano l'una all'altra, spingendo quelle più avanti e urlando quasi nelle orecchie degli altri.
Non poteva sapere quello che stava accadendo nella prima linea, ma poteva immaginare i soldati con le picche alzate e pronti a colpire chiunque facesse un passo più del dovuto, pronti a uccidere se necessario: «Ferma tutto questo, mamma» si voltò, sentendo la supplica nella sua voce: «Non è questo che va bene per la nostra città e tu lo sai, lo sapresti se…»
«Cosa vuoi saperne tu» Sabine sputò fuori quelle parole, fissandola negli occhi e Marinette non vide altro che gelida determinazione: non c'era più la madre dolce che l'aveva cresciuta, accudendola e facendola sentire sempre amata e protetta; non c'era più la donna che, di tanto in tanto, le appariva debole e sepolta dai pesi della vita.
Davanti a lei ora c'era solo un'algida regina che voleva semplicemente la sua vendetta e non avrebbe guardato in faccia nessuno pur di averla: non le importava se molti sarebbero morti per darle ciò che voleva.
Un urlo si levò dalla calca di persone e Marinette osservò i cancelli tremare e poi cadere sotto la furia del popolo, che irruppe nel piazzale antistante il palazzo e cominciò a correre verso la struttura principale: uomini del volgo e soldati si scontrarono, determinando subito la supremazia nell'arte bellica dei secondi, ma il popolo era più numeroso e, dopo le prime perdite, cominciò a sovrastare il piccolo esercito a protezione del castello degli Agreste.
«Dobbiamo andarcene da qui» le bisbigliò Nino, posandole una mano sull'avambraccio e serrando la presa attorno a questo: «E' pericolo per voi.»
«Lui è là dentro» mormorò Marinette, storcendo le labbra e strattonando il braccio, liberandosi dalla presa del giovane: «Io devo andare.»
«Non penso proprio che Adrien ti voglia là, Marinette» Nino alzò la testa, aprendo appena le labbra e fissando due uomini immobilizzare una delle guardie e impalarla sulla sua stessa arma: «Ti prego, Marinette. Andiamocene, parliamo con Fu e…»
La ragazza scosse il capo, allontanandosi di qualche passo e fissando l'amico con un sorriso sulle labbra: «Occupati di Alya, va bene?»
«Marinette…»
«E se non torno…»
«Marinette, per favore…»
«Se non torno, assicurati che sia felice. So che tu puoi farlo, Nino» Marinette sorrise, avvicinandosi al ragazzo e posandogli una mano sulla guancia: «Vorrei aver passato più tempo con te, Nino. Averti conosciuto come lui e…»
«Ti prego, non parlare così. Non…»
«Fa quello che ti ho chiesto» continuò la ragazza, arretrando di qualche passo e fissandolo: «E grazie per tutto» concluse, voltandosi e correndo verso il palazzo, ignorando il richiamo dell'amico e tutto ciò che la stava circondando; arrivò con facilità al grande portone di legno e che era stato aperto in parte: inspirò, osservando l'interno e non trovando niente di differente rispetto all'esterno.
La gente del popolo stava lentamente arraffando tutto, distruggendo tutto ciò che trovava sul suo cammino e uccidendo chi lo intralciava; alcune urla femminili le arrivarono alle orecchie ma le ignorò, alzando il capo verso la grande scalinata di marmo che dominava il tutto e sapendo immediatamente dove sarebbe dovuta andare.
Alzò il capo, avanzando e ignorando il caos che la circondava, avvicinandosi un passo dopo l'altro alla sua meta, ad Adrien.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.215 (Fidipù)
Note: Con questo capitolo cominciano, ufficialmente, gli ultimi momenti della storia e...beh, fazzoletti alla mano. Credo. Suppongo. Sì, insomma, non è un capitolo allegrissimo questo. Non dico altro e vi lascio subito alle classiche informazioni di rito,ricordandovi la pagina facebook, l'account instagram e quello twitter dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri, trovare i link delle playlist delle storie e tanto altro ancora. E il gruppo Two Miraculous Writers gestito con kiaretta_ scrittrice92.
Per concludere, un grazie grosso quanto una montagna a tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste!
Grazie tantissimo!

 

 

Fu storse il naso, solleticato dall'odore del fumo che si stava diffondendo per le strade di Paris: sembrava che il delirio avesse colto chiunque in quella città e il bisogno di distruggere era esploso. L'uomo marciava spedito, ignorando gli sciacalli che si gettavano nelle case altrui e ne uscivano trionfanti con qualche tesoro fra le mani.
Non era di suo interesse fermare tutto ciò.
Alzò il mento, tirando avanti e ascoltando distrattamente l'ansito dell'uomo e il rumore delle scarpe della giovane che lo seguivano: «Dovevi dirmelo» ringhiò, voltando appena la testa verso questa e fissandola da sopra la spalla: «Sono due incoscienti.»
«Di Adrien ho saputo troppo tardi anche io» commentò Alya, affiancando l'anziano e fissandolo: «Mentre per Marinette» si fermò, storcendo la bocca e tornando a guardare avanti a sé: «Ero certa che avreste voluto fermarla e lei era così decisa ad andare…»
«Ovvio che l'avrei fermata» Fu sbottò, sistemandosi meglio il mantello attorno alle spalle e continuando a marciare spedito: «Non dovrebbe essere lì, dovrebbe essere al sicuro e…»
«E cosa? Attendere che tutto sia finito? Che Adrien possa non tornare da lei?»
«Questo…»
Alya si fermò, posando una mano sulla spalla dell'uomo e costringendolo a bloccarsi: «Lei non è una vostra pedina, non lo è mai stata: ha agito seguendo ciò che le ha detto il suo cuore, anche se questo ha significato seguire suo marito nel posto più pericoloso di tutta Paris.»
«Marito?» Otis si fermò, osservando i due e passandosi una mano sulla fronte stempiata e portandosi indietro le ciocche corte: «Alya, cosa significa che la principessa Marinette ha seguito suo marito?»
«Marinette si è sposata qualche giorno fa» decretò Alya, continuando a tenere lo sguardo in quello di Fu: «Con il principe Adrien» continuò, voltandosi verso il padre e abbozzando un sorriso: «Loro…loro si sono conosciuti poco prima che Marinette scoprisse chi era veramente e si sono innamorati, Adrien ha rinnegato ogni cosa per stare con lei e…»
«E la loro unione è stata il frutto di un gesto d'amore e non un meccanismo politico» concluse Fu, chinando la testa e inspirando profondamente: «Un qualcosa di totalmente ignaro a tutti noi.»
«Sua altezza…» mormorò Otis, fermandosi e portandosi una mano alla bocca, abbassandola e negando con la testa: «Sabine non sa niente, vero?»
«Ovviamente no» Fu si voltò verso l'uomo, portandosi una mano alla gola e stringendo appena i lacci del mantello: «Se le avessi detto che ospitavo il figlio di Gabriel, avrebbe voluto uccidere il ragazzo subito. O peggio. L'ho tenuto nascosto e ho lasciato che loro due si avvicinassero: non c'era niente di male, alla fin fine, e prima che tutto questo scoppiasse, prima che Gabriel impazzisse dal dolore, loro due erano promessi.»
«Amore…» Otis biascicò quella parola, lasciandola andare poi nell'aria: «Mi sembra di essere in una di quelle ballate che ogni tanto recitano durante le feste.»
«Le vecchie storie hanno sempre un qualche collegamento con la realtà» commentò Fu, voltandosi in avanti e riprendendo a marciare spedito, lo sguardo rivolto verso la parte alta della città: «E spero veramente di esser in una di quelle commedie che finiscono bene, piuttosto che in una tragedia.»



Si addossò contro la porta, piegando verso il basso la maniglia e sgusciando all'interno della stanza, chiudendo dietro di sé l'uscio e addossandosi contro di esso, portandosi poi una mano al petto e sentendo i battiti del cuore che gli rimbombavano nelle orecchie; le gambe tremavano e quasi non sostenevano il peso del suo corpo, mentre lo sferragliare di armature si avvicinava sempre di più, facendole elevare una preghiera e sperare che nessuno l'avesse vista entrare in quella camera.
Socchiuse gli occhi, portandosi una mano alla bocca e trattenendola lì, quasi timorosa che il solo respirare potesse smascherarla: non sapeva in che parte del castello era finita, si era mossa evitando le aree più caotiche e a rischio, infilandosi nei corridoi più vuoti e silenziosi, giungendo fino a lì.
Dove fosse quel lì però non lo sapeva.
Rimase immobile, ascoltando le guardie del palazzo superare la porta dove si era nascosta e continuare lungo il corridoio, lasciando dietro di loro solo il silenzio: Marinette rimase in ascolto, aspettando da un momento all'altro che qualcuno tornasse indietro e lasciando andare un sospiro, quando questo non avvenne.
Si portò la mano al cuore, stringendo la blusa e dando una prima occhiata alla stanza nella quale si era nascosta: era grande e dai soffitti alti, completamente spoglia di ogni mobilia e con alcune panche addossate ai lati. Un sorriso le piegò le labbra, mentre faceva alcuni passi in quella che, a tutti gli effetti, gli ricordava l'ampio giardino dove Theo l'allenava all'uso della spada.
Forse era nel luogo dove Adrien si era allenato lì al castello.
Forse…
Un movimento la mise in allerta, facendole portare la mano all'elsa della spada che teneva appesa alla vita, mentre osservava le ombre muoversi e Gabriel Agreste uscire da queste: l'uomo la fissava, quasi stupito di trovare qualcuno lì e si fermò a pochi passi da lei, osservandola e quasi studiando il suo comportamento.
«Io…»
«Non mi serve che tu mi dica chi sei» mormorò Gabriel, alzando una mano e interrompendola: «Riconosco il tuo sguardo, è quello fiero dei Dupain. Immagino sei la figlia di Tom. Sì, il tuo sguardo è proprio uguale al suo, anche se il colore…beh, quello lo hai preso da tua madre.»
«Sì.»
Gabriel assentì, piegando le labbra in un sorriso e annuendo con la testa: «Immagino che sei qui per compiere la vendetta della tua famiglia, non è vero?»
«Sono qui per discutere i termini di un accordo, in verità.»
«Io non faccio accordi con i Dupain» dichiarò Gabriel, avvicinandosi a una delle rastrelliere e prendendo una spada: «Non parlo con gli assassini di mia moglie.»
«Io non sono un'assassina» esclamò Marinette, alzando il mento e fissando l'uomo: «E neanche i miei. Non so cosa è accaduto in passato, ma…»
«Lei è morta per mano vostra ed io non avrò pace finché tutti i Dupain non saranno morti» dichiarò Gabriel, caricando verso di lei con la spada alzata e Marinette si costrinse a sguainare la propria, usandola per proteggersi dall'assalto dell'uomo.
Il rumore delle lame che cozzarono ferì le orecchie di Marinette e il riverbero del colpo le scivolò lungo i muscoli delle braccia: tutto l'allenamento fatto con Theo se n'era andato in fumo, mentre cercava di combattere con l'uomo che la voleva morta. Parò un nuovo assalto, stringendo maggiormente la presa sull'elsa della spada e sentendola quasi cadere: senza un'arma sarebbe morta. Gabriel Agreste non avrebbe avuto pietà di lei e l'avrebbe uccisa non appena avesse abbassato la guardia.
Doveva sopravvivere. Doveva ritrovare Adrien e andarsene da quel luogo con lui
Strinse la presa sulla guardia, mettendosi in posizione e cercando di ricordare ogni oncia delle sue ore di allenamento con Theo, bloccando un affondo di Gabriel e scivolando all'indietro e quasi cadendo ma recuperando veloce l'equilibrio, storcendo la bocca quando una fitta di dolore le giunse dalla caviglia destra: doveva aver messo male un piede nel momento in cui aveva impedito a se stessa di cadere.
Gabriel Agreste avanzò, portando la mano armata sopra la testa e cercando di colpirla con un fendente dall'alto: alzò la sua lama, usandola quasi come uno scudo e ascoltò il suo delle due lame che s'incontravano nuovamente, serrando la presa sull'elsa e stringendo i denti agli spasmi che si riversarono lungo le sue braccia.
Se fosse stato un allenamento avrebbe chiesto a Theo una tregua, ma quello non era una di quella sessioni e l'uomo davanti a lei era intenzionato ad avere la sua vita; si riportò in posizione, osservando il suo avversario e respirando con lentezza, ponderando bene l'attacco da fare mentre Gabriel la fissava come se fosse un gatto con il topo e quasi sembrava assaporare il sapore della vittoria sulla sua bocca.
Non sarebbe morta lì.
Mise un piede in avanti, affondando la stoccata e osservando Gabriel pararsi troppo in ritardo per evitare appieno il colpo, facendola sorridere quando lo ferì al polso e lo vide perdere la presa sulla spada che cadde a terra: il rumore dell'acciaio risuonò nella stanza vuota e Marinette sfruttò il vantaggio appena ricevuto, calciando lontano la spada dell'avversario, trovandolo completamente alla sua mercé.
Si avvicinò, alzando la spada verso l'alto e bloccandosi a metà del gesto, sentendosi totalmente inadatta a sferrare quel colpo: se sua madre fosse stata lì, fosse stata al suo posto, avrebbe abbassato senza indugio la lama.
Ma lei…
Lei…
Marinette osservò l'uomo davanti a lei, incapace di calare la sua spada: era il padre di Adrien, era un uomo distrutto dal proprio dolore e, nonostante tutto quello che le aveva, tutto quello che le aveva portato via, non riusciva a ucciderlo.
Non voleva essere come lui.
Abbassò il braccio armato, chinando la testa e socchiudendo gli occhi: «Fu mi ha sempre detto che la giustizia è un qualcosa di collettivo, che diventa vendetta quando la si attua da soli» mormorò, ricordando uno dei primi insegnamenti dell'uomo: «Ecco, perché io vi risparmierò oggi: non per pietà, ma perché voglio che siate giudicato dal popolo di Paris e…»
Marinette si fermò, osservando la figura uscire dalle ombre della stanza e avvicinarsi lentamente, la lama che teneva in mano rifulgeva alla luce delle candele: «Una principessa davvero inutile» dichiarò l'uomo, accucciandosi alle spalle di Gabriel Agreste e portandogli la lama alla gola: lei continuò a fissare la scena, incapace di muoversi, mentre la lama tagliava la pelle dell'uomo e il sangue che usciva copioso.
Gabriel si portò le mani alla gola, aprendo e chiudendo le labbra, incapace di dire alcunché mentre si voltava e osservava il suo assassino: «Sai molto bene che ho sempre pensato che le cose fatte da soli sono sempre le migliori» commentò l'uomo, chinandosi in avanti e sorridendo: «Grazie, però, per aver ucciso per me Tom Dupain. Non sai che favore mi hai fatto» continuò, dando una lieve spinta all'altro e osservandolo mentre cadeva a terra, la vita che stava scivolando via dal corpo: «Ah, Gabriel. Gabriel. Avresti dovuto tenere gli occhi aperti, stare attento a ciò che ti circondava.»
Marinette fece un passo indietro, stringendo la presa sull'elsa della spada e osservando l'uomo rialzarsi e scavalcare con facilità il corpo ormai senza vita di Gabriel Agreste, nonostante il corpo per nulla atletico: «Chi siete voi?» domandò, portando la lama davanti a sé e stringendo la guardia con entrambe le mani: «Perché lo avete ucciso?»
«Lasciate che mi presenti, madamoiselle» si fermò, sorridendo appena: «O forse dovrei dire principessa Marinette. Vabbè, non è che questo sia importante: il mio nome è André Bourgeois, consigliere dell'ormai defunto reggente di Paris e…» si chinò leggermente, continuando a piegare le labbra in un'espressione di pura soddisfazione: «futuro possessore di quella carica, ovviamente non appena avrò ucciso voi e il giovane principe Adrien.»


Il rumore dei combattimenti stava giungendo alle sue orecchie, facendogli portare la mano all'elsa della spada e stare attento a ogni passo: da quel momento in poi sarebbe stato complicato avanzare nel castello e avvicinarsi all'uscita; nessuno sapeva della sua rinuncia al titolo e, cosa ancora più importante, del suo matrimonio con Marinette.
Nessuno lo legava al nome dei Dupain, ma tutti lo associavano a quello degli Agreste, rendendolo così un loro nemico.
«Stammi vicino» mormorò, voltandosi appena e osservando Nathaniel parecchi passi dietro a lui, la testa china e incassata nelle spalle: «Va tutto bene?» domandò, avvicinandosi di qualche passo al cugino e notando, solo a quella distanza, del tremore che gli scuoteva le spalle: Nathaniel era totalmente estraneo a tutto ciò e quindi era possibile che si sentisse spaventato da ciò che avvertiva: «Non preoccuparti…» mormorò, facendo qualche altro passo verso di lui e posandogli una mano sulla spalla, voltandosi leggermente indietro e cercando di capire come avrebbe fatto ad attraversare quel putiferio, occupandosi della propria incolumità e di quella del cugino.
Doveva portarlo in salvo con lui, non poteva abbandonarlo lì.
Strinse le labbra, inghiottendo il fiotto di saliva e voltandosi verso l'altro: «Nath…» cominciò, interrompendosi a metà nome e avvertendo un dolore al ventre, come se qualcosa fosse entrato nel suo stomaco: abbassò lo sguardo, osservando quasi come se appartenesse a qualcun altro il proprio corpo e la lama che lo infilzava, spostando poi l'attenzione sulla mano che stringeva l'elsa.
Nathaniel lo aveva pugnalato: il suo mite cugino, colui che era sempre dedito al disegno, lo aveva ferito. Strinse le labbra, alzando stringendo le spalle dell'altro e sentendo la lama farsi strada nella sua carne, giungere ancora più in profondità e poi venire mossa in orizzontale, in modo che venisse fatto ancora più danno.
Serrò la mascella, sentendo i denti dolere e il sapore ferrigno del sangue in bocca: «Nathaniel» mormorò, la voce spezzata e lo sguardo che non riusciva ad alzarsi e a fissarsi in quello del suo carnefice: non voleva crederci, non doveva essere così, non…
Abbassò una mano, posandola su quella di Nathaniel e cercando di tirar fuori il pugnale dal suo corpo, riuscendo invece a farlo piantare ancora più a fondo; Adrien boccheggiò, stringendo le dita dell'altro e osservando le iridi smeraldine, completamente prive di ogni forma di interesse: «Cugino…» mormorò, accentuando inutilmente la presa delle dita e storcendo la bocca, quando la lama del pugnale affondò maggiormente nella sua carne: «Perché?»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.045 (Fidipù)
Note: Penultimo capitolo ed anche quello che conclude la vicenda principale della storia (l'ultimo sarà un epilogo dove...beh, lo leggerete la prossima settimana) e non so che dire. Veramente non ho parole per questo capitolo, quindi vi lascio alle solite e noiose informazioni di rito, ricordandovi la pagina facebook, l'account instagram e quello twitter dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri, trovare i link delle playlist delle storie e tanto altro ancora. E il gruppo Two Miraculous Writers gestito con kiaretta_ scrittrice92.
Per concludere, un grazie grosso quanto una montagna a tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste!
Grazie tantissimo!

 

Marinette inspirò, tenendo la spada davanti a sé e fissando l'uomo, cercando di non prestare particolare attenzione al corpo ormai senza vita di Gabriel: «Perché fate tutto questo?» domandò, sebbene dentro di sé fosse già a conoscenza della risposta: «Per il potere? Per governare su tutta Paris?»
«Che dire? Vedo che siete sveglia» commentò André, portandosi una mano al volto e massaggiandosi il mento flaccido: «Sì, voglio il potere. Voglio che il mio nome sia l'unico che i parisien ricorderanno: niente Tom Dupain, niente Gabriel Agreste. Solo André Bourgeois.»
«Solo il fatto che quei due uomini siano esistiti, che i parisien li abbiano conosciuti, farà sì che essi verranno ricordati, nel bene o nel male.»
«La storia si può cambiare, mia piccola principessina, ed è compito dei vincitori» André sorrise, allargando le braccia e facendo un passo verso di lei: «Quando salirò al trono di Paris, nessuno ricorderà i Dupain o gli Agreste, nessuno farà nome alle due famiglie, la cui sciocca faida ha dato vita alla tragedia di due amanti, segnati da una cattiva stella. Sto parlando di te e Adrien, mia principessina. Quasi quasi sentirò un menestrello, forse potrò far ricordare questa storia con una ballata ed io riderò ogni volta che l'ascolterò.»
«Voi siete malato.»
«Io sono sano, mio giovane fiore» André piegò gli angoli della bocca verso l'alto, muovendo un passo nella sua direzione e tenendo il pugnale ben stretto nella mano, cercando di eseguire un affondo; Marinette lo parò, facendo cozzare la propria lama con quella del nemico, tentando poi di eseguire un affondo a sua volta ma fallendo quando, nonostante la mole, l'uomo scattò di lato: «Vedo che siete stata addestrata all'uso dell'arma bianco.»
«Ho avuto un ottimo insegnante» dichiarò Marinette, serrando maggiormente la presa attorno alla guardia e passandosi la lingua sulle labbra, avvertendo qualcosa di diverso in quello scontro: quell'uomo voleva la sua morte, esattamente come Gabriel Agreste, ma lei si sentiva capace di macchiarsi dell'uccisione, cosa che non aveva avuto il coraggio di fare con l'altro.
«Mi dispiace che tutto finirà così, però» dichiarò André, muovendosi ancora una volta molto velocemente rispetto al proprio fisico e affondando il pugnale: Marinette lo parò nuovamente, sentendosi però mancare il pavimento sotto ai piedi e cadendo, avvertendo il dolore irradiarsi dal suo fianco destro che aveva cozzato sulle mattonelle.
Cercò di alzarsi, ma si ritrovò solo a scivolare con le mani sul suolo, sentendo la viscosità del sangue sulle dita e notando il corpo di Gabriel vicino a lei: «Morirai per colpa del sangue del tuo nemico» dichiarò André, calando su di lei e prendendola per un braccio, infilzando il pugnale nelle sue carne e facendola boccheggiare, muovendo il pugnale nel petto, poco sopra il seno destro e osservandola in volto, socchiudendo gli occhi quando urlò dal dolore: «Addio, mia piccola principessa» le bisbigliò, posandole la mano sulla spalla e spingendola all'indietro.
Marinette osservò il soffitto della stanza, ascoltando i passi dell'uomo che si allontanavano da lei e voltando appena la testa, guardando la figura imponente del suo carnefice andarsene, senza curarsi della sua vita o della sua morte.
 
 
Delirio.
Nino si tolse il cappello, passandosi il braccio sulla fronte e osservando ciò che si palesava davanti a lui e non riuscendo a comprendere come la situazione potesse essere degenerata in così poco tempo: della sommossa più o meno tranquilla che aveva visto, quando era giunto in quel luogo con Marinette, non c'era più niente. La gente sembrava impazzita e, dopo aver preso e ucciso le guardie del palazzo assieme ad alcuni nobili, ora combattevano gli uni contro gli altri come se tanti piccoli demoni stessero aizzando l'intera folla: «Perché non fate niente?» domandò alla donna al suo fianco e notando che anche lei fissava con crescente sorpresa e paura ciò che aveva scatenato: «Marinette e Adrien non avrebbero mai lasciato che si giungesse a tutto questo» decretò, voltandosi quando le urla si fecero più forti.
Un uomo era uscito dal castello, un braccio alzato e qualcosa che penzolava nella sua mano, marciando fra il caos e il delirio, Nino notò come la gente si fosse calmata, quasi che quel gesto avesse fatto comprendere loro qualcosa: non capiva cosa lo sconosciuto teneva in mano, almeno fino a quando non fu a pochi passi da lui.
Ringraziò il fatto di essere a stomaco vuoto e di non poter rimettere nulla, mentre si portava una mano alla bocca e fissava inorridito la testa di André Bourgeois che penzolava fra le dita dello sconosciuto: il collo era stato tagliato e la ferita frastagliata faceva intendere che c'era stato bisogno più di un colpo.
Indietreggiò, pensando a ciò che l'uomo aveva sofferto nei suoi ultimi momenti di vita: non era stato un buon uomo, uno di quelli di cui suo padre si fidava, ma una morte del genere non l'avrebbe data a nessuno, neanche al suo peggior nemico.
«E Gabriel Agreste?» domandò la donna, osservando quasi con malcelato disgusto la testa che gli era stata offerta: «Dov'è?»
«Morto, mia regina» dichiarò l'uomo, chinando la testa: «Lo abbiamo trovato in una delle stanze del secondo piano con la gola tagliata.»
Nino distolse l'attenzione dalla testa, voltandosi verso Sabine e osservandone i lineamenti del volto tirati, lo sguardo senza alcuna emozione: suo padre gli aveva parlato tante volte di quella donna, enfatizzando la sua dolcezza e gentilezza, eppure adesso si trovava incapace di collimare l'idea che aveva avuto di Sabine Dupain con l'algida regina che aveva davanti a sé.
«Avete per caso visto Marinette e Adrien?» domandò, continuando a fissare la donna e sperando in un qualcosa che la rendesse umana, incapace di osservare il boia di Bourgeois e, dopo una mancata risposta, deglutì e portò l'attenzione sull'uomo, cercando di guardare il meno possibile la testa mozzata: «Il principe Adrien e la principessa Marinette.»
«No. Se avessi visto il principe, ci sarebbero state due teste nella mia mano» dichiarò l'uomo, accompagnando le parole con una risata sguaiata e venendo imitato da coloro che lo circondavano: «Perché? Sei un Agreste?»
«Non sono un Agreste, sono…» Nino scosse il capo, osservando il castello e stringendo i pugni: «…nessuno.»
 
 
Si accasciò, tossendo e avvertendo sulla lingua il sapore metallico del sangue, le orecchie erano piene dei suoi respiri pesanti e affannati, mentre l'odore di morte, che aleggiava ovunque, le aveva invaso le narici; inspirò, stringendo le dita e socchiudendo gli occhi, ascoltando distratta i rumori che provenivano da fuori e le urla concitate: dopo che André se n'era andato, anche lei aveva lasciato la stanza, sopportando il dolore della ferita e cercando di allontanarsi il più possibile, con la paura che quell'uomo potesse tornare e finirla.
Non che ci fosse un destino ben diverso per lei.
Stava morendo. Lo sentiva, lo avvertiva di più a ogni passo: era troppo il sangue che aveva perso e non ce l'avrebbe mai fatta a sopravvivere; solo arrivare all'entrata del palazzo sarebbe stato un qualcosa di impossibile per lei, in quelle condizioni.
Chinò la testa, mordendosi le labbra per impedire ai singhiozzi di uscire, sapendo benissimo che non era quello il momento di lasciarsi andare, di perdere ogni speranza e voglia di combattere: doveva andare avanti, doveva continuare a credere in una qualche sorta di miracolo.
Poteva farcela, perché lei non voleva morire.
Non voleva andarsene senza aver visto Adrien, almeno per un'ultima volta.
Voleva rivedere i suoi occhi, carezzare il suo viso e sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene, che lei sarebbe sopravvissuta e avrebbe continuato la sua vita al fianco di lui.
Strinse i denti, posando la mano sul muro e inspirando a fondo, cercando di ignorare le fitte di dolore che si palesavano a ogni suo respiro: Si rialzò e mosse un piede, poi l'altro, avanzando con lentezza lungo il corridoio, spinta da quel bisogno di lottare che era nato in lei.
Non si sarebbe arresa, non in quel momento.
Si fermò, tenendo la mano sempre ben ferma sul muro e inspirò a fondo l'aria, tossendo appena e portandosi una mano alla bocca, mentre abbassava il capo e osservava alcune gocce del suo sangue macchiare il marmo candido del pavimento: «Marinette?» il suo nome, quel richiamo appena accennato, le fece alzare la testa e rimase immobile, mentre osservava il giovane che, la camicia chiara completamente imbrattata di sangue, avanzava verso di lei con una mano premuta sull'addome.
«Adrien?» bisbigliò, quasi non credendo a ciò che aveva davanti a sé e rimanendo immobile, mentre lui si affrettava a raggiungerlo: «Sei ferito» bisbigliò, allungando una mano e cercando di scostare quella del ragazzo.
«Anche tu» dichiarò Adrien, tenendo lo sguardo verde sulla camiciola di Marinette, in gran parte zuppa di sangue: «Che cosa è successo? Perché sei qui?»
«Per te.»
«Non dovevi venire» bisbigliò il giovane, lasciandosi cadere per terra e venendo imitato da Marinette: la guardò mentre lei allungava la mano verso di lui e le carezzava il volto: «Mio cugino mi ha ferito» riuscì a dirle, stringendo appena le labbra e continuando a tenere le dita premute sull'addome: «Io non credo che…»
Marinette scosse il capo, sistemandosi fra le gambe di Adrien e poggiandosi contro di lui, sapendo benissimo cosa le avrebbe detto: non voleva semplicemente sentirlo, non voleva ascoltare quella verità che già sapeva. Posò la testa contro la spalla, inspirando e lasciando andare l'aria.
Sarebbe rimasta lì con lui.
Non aveva più senso continuare ad andare avanti. Non aveva più forze per farlo e tutto ciò che voleva era semplicemente abbandonarsi.
«Fu non la prenderà bene» bisbigliò, la voce rotta dai respiri, e sorridendo appena al pensiero che aveva avuto e alla sua mente che andava a posarsi sulle sciocchezze: «E neanche Alya o Nino.»
Adrien sorrise appena, scostando una ciocca di capelli dal volto della ragazza e poi passandole il braccio attorno alla vita, posandole entrambe le mani in grembo: «Non volevo che finisse così» bisbigliò, sentendo le palpebre farsi pesanti e trovandosi incapace di combattere ancora per molto la voglia di abbandonarsi: «Avrei voluto vivere con te per sempre.»
Marinette sorrise, osservando la finestra davanti a sé e notando il cielo rosato che si vedeva al di là del vetro: quella notte maledetta era dunque finalmente giunta alla sua conclusione.
«Dovresti andare» le mormorò Adrien, il respiro pesante e affannato: «Se ti trova qualcuno potresti salvarti…»
«No.»
«Marinette…»
«Non ho più forze, Adrien» bisbigliò la ragazza, alzando con lentezza una mano e portandola al petto, scostandosi non senza dolore la camiciola e vedendo che, in parte, si era attaccata alla ferita: «Non ce la farò.»
«Non doveva finire così.»
«L'hai già detto.»
Adrien annuì appena, alzando la testa e poggiandola contro il muro, inspirando profondamente e lottando contro il suo stesso corpo che, ormai, era giunto al limite: «Ricordi il giorno in cui ci siamo conosciuti?»
«Come dimenticarlo?»
«Ti ho amata fin dal primo istante» bisbigliò Adrien, lasciando andare un sospiro e abbandonando la presa attorno alla sua vita; Marinette rimase immobile, chiudendo con forza le labbra quando si accorse che non c'era più nessun fiato caldo che le provocava brividi lungo la schiena e che il petto contro cui era poggiata non si muoveva più.
Si portò una mano alla bocca, soffocando il proprio gemito e lasciò che le lacrime scorressero lungo le sue guance; strinse i denti, respirò profondamente più volte e cercò di voltarsi, impedita dal corpo che cominciava a non risponderle e a trovare faticoso il più minimo movimento.
Adrien teneva gli occhi chiusi e le labbra leggermente aperte, la testa era reclinata di lato e i capelli completamente spettinati: avrebbe potuto dire che stava dormendo, mentre allungava le dita e sfiorava la sua bocca ancora calda. La morte non aveva portato via il suo calore, né la sua bellezza: «Vorrei averti incontrato in un mondo dove fossimo stati felici» bisbigliò, carezzandogli il volto e stringendosi più a lui, posando il volto contro la spalla e inspirando il profumo di Adrien, misto all'odore del sangue: «Un posto dove ci saremmo potuto amare ed essere felici» si allungò, sfiorandogli la guancia con le labbra: «Possano le nostre anime, ritrovarsi ancora una volta.»
Lo fissò, carezzandogli il volto e posando nuovamente la testa contro la sua spalla, chiudendo gli occhi e lasciando andare un sospiro: non aveva più voglia di lottare o combattere, semplicemente il bisogno e la voglia di lasciarsi andare.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Epilogo ***


Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.045 (Fidipù)
Note: Ci vediamo a fine capitolo!


Pestò con forza la terra attorno alla base dell'albero di rosa, lasciando andare poi un sospiro mentre si batteva le mani, l'una con l'altra, per ripulirle dalla terra rimasta sulla pelle: «Vuole una mano?» le domandò una voce di ragazzo, prima che delle dita entrarono nella sua visuale e la fecero sorridere.
Clotilde posò le sue in quelle che la invitavano, lasciandosi tirare su e fissando in volto il giovane: «Certe accortezze dovresti averle per tua moglie, Nino» dichiarò, uscendo dall'aiuola e osservando il ragazzo fare altrettanto: «Soprattutto in questo periodo: ricordo bene quanto era faticoso muoversi negli ultimi mesi.»
«Alya non ha di che lamentarsi» decretò Nino, battendosi la mano sul petto con fare orgoglioso: «Sono stato un allievo diligente e, mentre vivevamo con Fu, ho imparato tutto quello che c'è da sapere sulla gestione della casa. La mia signora non deve muovere un muscolo.»
«E adesso dov'è?»
«Ci sta aspettando all'interno» dichiarò Nino, voltandosi verso la porta che conduceva a quel giardinetto nascosto, che tanto era amato da Clotilde, e lasciando andare un sospiro: «Ogni volta che vengo qui, mi aspetto di vederlo apparire da qualche parte.»
Clotilde annuì, tirando su con il naso: «Anche io» bisbigliò, chinandosi e sistemando gli arnesi per il giardinaggio nella bisaccia: «Ogni volta che sento il rumore di passi, alzo il capo e aspetto di vedere quella faccia da schiaffi di mio nipote. Sono una povera illusa e forse ancora non ho accettato ciò che è successo.»
«Oggi sarebbe stato il loro primo anniversario di matrimonio» mormorò Nino, tenendo lo sguardo sulla pianta e togliendosi il cappello rosso, socchiudendo gli occhi e lasciando andare: «E a breve sarà passato un anno da quella notte maledetta.»
«Ho sentito che Fu ha in mente di organizzare qualcosa per commemorare i caduti…»
Nino annuì, rimettendosi il cappello: «Sì, come nuovo governatore di Paris ha dichiarato che non intende dimenticare ciò che c'è stato e ciò che è successo, che quella notte sia di monito a tutto il popolo.»
«Secondo te sarebbe potuta andare diversamente?» domandò Clotilde, tirandosi su e portandosi le mani alla schiena: «Forse le nostre famiglie sono state troppo attaccate al dolore e…»
«Gabriel Agreste non vedeva altro che vendetta e anche Sabine Dupain» Nino si fermò, scuotendo il capo e tenendo lo sguardo basso: «Io ho vissuto con Gabriel e ho visto la sua vita venire consumata dal dolore, ho visto Sabine quella notte ed era una donna che non aveva più niente se non il sentimento di vendetta: non credo che ci sarebbe potuto essere un altro epilogo.»
«Avrei solo voluto che loro due non venissero coinvolti» Clotilde allungò una mano, sfiorando una foglia della pianta: «Non avevano fatto niente di male, se non essere nati in quelle due sciagurate famiglie; volevano solo amarsi e cosa hanno trovato? Nient'altro che dolore e morte.»
«Almeno erano insieme…» Nino inspirò, lasciando le braccia ciondolanti e scuotendo il capo: «Mi sarebbe piaciuto trovare i loro corpi, avere qualcosa da piangere ma invece…Io ero lì e non ho…»
«Sarebbe piaciuto a tutti, ma purtroppo hanno distrutto tutto.»
Nino annuì, incapace di dire altro: «Madame Sabine come sta?» domandò, cercando di cambiare argomento e di togliere la mente di entrambi da quell'infausta notte: «Mi hanno detto che è stata portata qui.»
«Non parla, mangia solo se assistita, ormai è semplicemente un guscio vuoto» Clotilde scrollò le spalle, alzando la testa e fissando alcune finestre dell'edificio che li circondava: «Stamattina è venuto un messaggero per me, da La Santé.»
Nino sbatté più volte le palpebre, aprendo la bocca e cercando di capire perché la donna avrebbe dovuto ricevere un messaggero della prigione: «Chi…» cominciò, bloccandosi subito e ricordando Nathaniel: era stato imprigionato qualche giorno dopo la caduta del regno di Agreste e subito aveva dichiarato di aver ucciso Adrien Agreste. Nino aveva seguito la vicenda ed aveva accettato la condanna dell'amico, il quale avrebbe scontato il resto della sua vita nel carcere di Paris: «Che cosa gli è successo?»
«Stamattina l'hanno trovato impiccato» dichiarò Clotilde, senza nessun sentimento nella voce: «A quanto pareva era da tempo che dava segni di squilibri e questo è stato il suo gesto estremo. Sono venuti ad avvisarmi perché, sebbene acquisita, sono la sua unica parente rimasta. La sua promessa sembra essere scomparsa, invece. Sono certa che André l'ha spedita oltre la Manica, prima che tutto scoppiasse.»
«Era stato plagiato da André, era…»
«Tutto ciò mi sta scivolando via» continuò la donna, stringendosi nelle braccia e abbozzando un sorriso: «Alle volte mi sveglio e mi chiedo se quest'ultimo anno non sia stato solo un grande, immenso e terribile incubo.»
«Sono le stesse parole che dice Alya.»
Clotilde piegò le labbra, avvicinandosi al ragazzo e sfiorandogli la guancia con la mano: «Perdona questa vecchia, che non fa altro che parlare di cose tristi. Come sta andando con Alya? Siete pronti al lieto evento?»
«Quanto lo sarebbe ogni coppia che aspetta il primo figlio» commentò Nino, porgendole il gomito e sorridendo, quando Clotilde posò la mano nell'incavo: «In compenso abbiamo già i nomi.»
«Posso solo immaginare quali sono.»
«Era il minimo.»
Clotilde annuì, camminando al fianco del giovane e lasciandosi scortare all'interno del chiostro, rabbrividì appena alla frescura che c'era fra le mura vecchie e grandi, uno dei tanti motivi per cui andava in giardino ogni volta che le era possibile: «Buon Dio» esclamò, accorgendosi della mancanza della sua bisaccia con gli attrezzi e battendosi la mano sulla fronte: «Inizio veramente a invecchiare se perdo gli attrezzi del mestiere» dichiarò, ridendo della sua stessa disattenzione: «Tu va pure da tua moglie, Nino. Vi raggiungo appena ho preso la bisaccia.»
Il ragazzo annuì, riprendendo la sua camminata e Clotilde lo seguì con lo sguardo, fino a quando non svoltò nel corridoio, sparendo completamente dalla sua vista: era un bravo ragazzo e sperava che, un giorno, la luce della colpa se ne sarebbe andata dal suo sguardo. Si sentiva colpevole di un qualcosa che non aveva commesso, di un qualcosa che era stato smosso da poteri più grandi di lui e non era giusto.
Scosse il capo, ritornando sui suoi passi e fermandosi sulla porta dell'edificio, osservando il piccolo giardino dove era solita riceve Adrien, lo stesso dove aveva accolto anche Marinette: era piccolo e facilmente raggiungibile dall'esterno attraverso un piccolo arco nel muro e, per lei, era il luogo più bello di tutto il convento.
Si voltò verso la pianta di rosa, sobbalzando appena alle due figure incappucciate davanti l'arbusto e osservandole in silenzio mentre, dopo un piccolo momento di raccoglimento, si dirigevano verso l'uscita del giardino e salutavano due novizie che rientravano in quel momento.
Clotilde scese gli scalini, avvicinandosi alla rosa e raccogliendo la sua bisaccia, sorridendo alle due ragazze che erano giunte davanti a lei: «Li conoscete?» domandò, indicando con un cenno del capo la coppia che se n'era andata.
«Oh no» mormorò una delle due novizie, scuotendo il capo e facendo ondeggiare appena il velo nero, che copriva la capigliatura: «Sicuramente saranno dei pellegrini: da quando il governatore Fu ha informato che in questa convento si sono sposati il principe Adrien e la principessa Marinette, molti giovani vengono qui per coronare il loro sogno di amore.»
Clotilde annuì, sorridendo alle due ragazze: «Grazie mille» mormorò, passandosi la lingua sulle labbra: «Eravate andate in paese?»
«Stavamo facendo solo una passeggiata per i dintorni» le rispose la novizia, voltandosi verso la pianta e allungando una mano, sfiorando un piccolo bocciolo di rosa bianca: «Che splendida pianta.»
«E' un simbolo.»
«Un simbolo? E di cosa?»
«Il simbolo dell'amore e della vita di Marinette e del suo Adrien.»


Avete presente quando non volete tirarla tanto per le lunghe e attendere un'intera settimana vi sembra una sciocchezza? Ecco, è stato il mio caso con questo capitolo (e non centra assolutamente il fatto che non avevo voglia di correggere Ogni volta che ti vedevo, che doveva essere aggiornata oggi! Eh! Non centra!).
Inori si conclude ed è un altro pezzetto del 2017 che se ne va: questa storia, come La bella e la bestia, mi è stata quasi 'imposta' dalla stessa persona - non è vero! Nel caso non avrei mai scritto niente! - mentre mi passava le fantastiche immagine di ceejles che hanno dato il via a tutto. Inutile dire che anche il rewatch che avevo fatto da poco di Romeo X Juliet ha avuto il suo effetto.
Questa fanfiction è stata croce e delizia: mi piaceva scrivere su una storia classica, allo stesso tempo però immaginavo il caro Willie che apriva la bara, veniva da me e, prendendomi per il collo della maglia mi diceva 'Holy crap! Cosa state facendo con la mia opera?'; è stato anche il primo lavoro dove sono sfociata nell'OOC - no, non è vero. Io sfocio sempre nell'OOC - ma era complicato adattare senza modificare i caratteri dei personaggi e Sabine, più di tutti, ha subito questa sorte.
E' stato un bel viaggio, in una Parigi o, per meglio dire, Paris perché in francese faceva più figo completamente diversa a quella cui sono abituata ed è stata una sfida perché volevo ricordare e discostarmi, allo stesso tempo, dall'opera originale e dal famosissimo anime.
Che dire? Sono contenta di come sia venuta e di come sia andato questo viaggio e, sul finale, io non ho risposte se non un 'non lo so'.
Grazie tantissimo a tutti voi che mi avete fatto compagnia, che avete sperato fino all'ultimo in un lieto fine - e forse c'è stato. Chi lo sa. Io non di certo -, che mi avete supportato e sopportato per quest'anno e qualche mese che è durata Inori.
Un grazie di tutto cuore e, come ogni volta che chiudo un viaggio, ci vediamo nella prossima avventura!
Echocide
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3560453