Il balcone delle violette

di _ A r i a
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Segni indelebili ***
Capitolo 2: *** L'inferno in Terra ***



Capitolo 1
*** Segni indelebili ***


Capitolo zero
Segni indelebili



Le porte della metropolitana si aprono di scatto davanti a lei, sollevando una forte corrente che fa ondeggiare appena il peso del suo corpo sul posto.
Chiara si porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio, cercando di far passare quel gesto come un atto casuale. Tuttavia, la sua non è certo nonchalance: chi mai potrebbe essere sereno e tranquillo, quando davanti ai propri occhi si apre uno scenario così ampio, dalle più disparate possibilità?
Si sta mordendo l’interno della guancia, stenta a credere però che qualcuno possa accorgersene: quella città è un perpetuo fermento, tutti corrono da una parte all’altra, persi nei loro pensieri, nei loro impegni. Non hanno tempo di notare una ragazza dall’aria sperduta e in evidente difficoltà – o forse hanno perso il cuore necessario per notarlo.
Magari pensano che sia una dei migliaia di turisti che arriva lì ogni giorno, oppure una ragazza che è scappata di casa. Chiara, invece, è arrivata per restare.
Suo padre gliel’ha detto, sente ancora risuonare quelle parole nella mente – dove credi di andare, da sola? Quella città è selvaggia, crudele, non si ferma nemmeno per respirare. Non durerai un secondo, lì.
Però Chiara non ha voluto ascoltarlo, ha deciso di fare di testa propria, così si è caricata sulle spalle uno zaino contenente libri, un po’ di vestiti e tanti sogni, per poi partire alla volta di quella città immensa.
Anzi, no, eterna.
Spinta dalla calca dei pendolari Chiara si ritrova all’interno del vagone della metropolitana, mentre una mite e sonnacchiosa Roma ammicca nella sua direzione.
E, senza nemmeno accorgersene, Chiara si ritrova a sorridere.



Paolo si massaggia le tempie, trattenendo tra i denti un sospiro esausto.
A volte se lo domanda ancora, cosa gli abbia detto la testa quando ha deciso di chiedere il trasferimento a Roma.
Si dice sempre che è stato il suo animo assetato di giustizia a suggerirglielo, in un crudele mormorio di coscienza – corri nella capitale, in quale altro posto potrebbero esserci così tanti problemi da risolvere?
Peccato che, evidentemente, non aveva tenuto conto delle conseguenze.
Passare giornate intere dietro a quella scrivania era frustrante, soprattutto per uno che aveva fatto della vita d’azione il suo vanto e il suo tratto distintivo.
“Che vai pensando?” mormora a se stesso, rapito da quel flusso di coscienza. Sei tu quello che si è scelto questa vita, arrivato a una certa età. D’altronde, quale sarebbe potuta essere la tua utilità, se fossi rimasto ancora sul campo? Meglio lasciar spazio ai tuoi colleghi più giovani, che sicuramente se la cavano meglio di te, nelle operazioni sottocopertura.
Tutti riconoscevano senza ombra di dubbio quelli che, nel corso degli anni, erano stati i suoi meriti: numerosi criminali erano stati arrestati grazie alle insospettabili doti che aveva dimostrato. Quando era arrivato, giovane ed esuberante, non aveva perso tempo e si era subito fatto notare, proponendosi anche per azioni che, agli occhi degli altri colleghi, erano delle vere e proprie imprese suicide.
E, sorprendentemente, ne era uscito sempre incolume.
Appena arrivato in città, nessuno lo conosceva, aspetto insospettabile – capelli lunghi, pelle baciata dal sole. Decisamente non l’aspetto abituale di uno sbirro.
Col tempo, s’era fatto prendere in simpatia prima da una banda e poi dall’altra, cercando di mantenere sempre un profilo basso, muovendosi nell’ombra, permettendo così la cattura di un numero sorprendentemente alto di malavitosi la cui attività ruotava attorno alla città di Roma.
Poi, però, si era fermato.
Aveva capito che i giochi si stavano facendo troppo grandi per lui – ormai lo conoscevano in troppo. Lettere minatorie, i vetri delle finestre di casa sua infranti… stava rischiando troppo. La sua più grande fortuna – o forse la maggiore disgrazia – era stata quella di non avere famiglia: magari quello l’avrebbe potuto aiutare a capire quale fosse il momento di fermarsi.
Anche se, alla fine, a questo ci aveva pensato il suo comandante.
Gli aveva detto che, se fosse andato avanti, i rischi sarebbero stati troppi – e lui non era disposto a perdere la vita di uno dei suoi uomini migliori per una banalità del genere. Paolo si era opposto, era fin troppo giovane e il pensiero di restare intrappolato dietro una scrivania gli faceva restare il fiato bloccato in gola; Marchi non aveva voluto sentire ragioni, così l’aveva sollevato dal proprio incarico attuale, spedendolo direttamente tra un mare di scartoffie, mentre un collega più giovane si occupava di quello che, nonostante tutto, Paolo si ostinava a considerare il suo caso.
L’unico caso di sua competenza che fosse rimasto irrisolto.
A causa della decisione del suo superiore, il mese successivo il giovane che l’aveva sostituito in quell’indagine e diversi agenti di scorta avevano perso la vita.
Paolo afferra di scatto la sfera vitrea che tiene come soprammobile sulla sua scrivania. Se la passa tra le mani, facendola scorrere sui palmi con movimenti rapidi e nervosi: nonostante tutto, non riusciva a non pensare che almeno parte della colpa fosse sua. Se solo avesse insistito un po’ di più… forse adesso quegli uomini sarebbero ancora vivi.
Grazie alle gesta compiute quando ancora era in servizio come infiltrato, Paolo si era guadagnato una certa fama all’interno della sua caserma, per cui fare carriera anche una volta passato alla vita di scrivania non era stato poi così difficile. Ora, ormai quarantenne, poteva affermare di essere a capo di una delle più importanti caserme di Roma.
Non senza qualche rimpianto, certo.
Il sole filtra tenue attraverso la finestra, colpendo la sfera tra le mani dell’uomo. Migliaia di bolle d’aria all’interno di essa sembrano prendere vita, riempiendo la stanza di infiniti riflessi iridescenti.
Un’atmosfera idilliaca, certamente. Se non fosse per quei colpi alla porta.
Paolo alza lo sguardo e, proprio come immaginarlo, ad attenderlo trova lo sguardo di Francesco Berruti, uno dei suoi sottoposti. Il ragazzo, che ha all’incirca la metà dei suoi anni, lo osserva con occhi grandi come tazzine da tè, iridi verdi rese appena lattiginose dalla paura – o dalla riverenza – che il giovane prova ogni volta che si trova dinanzi a quell’uomo verso cui tutti, nessuno escluso, provano una stima immensa, all’interno di quella caserma. D’altro canto, sarebbe impossibile approcciarsi in un modo differente da quello, verso colui che è diventato ormai una vera e propria leggenda.
Paolo si passa una mano tra i capelli scuri e fini. Non sono più lunghi come un tempo, arrivano a malapena alla base del collo, mentre la parte frontale è rimasta ormai pressoché stempiata, segno dell’età che avanza.
«Che c’è?» domanda stancamente; spera solo che non si tratti di un’ennesima pila di scartoffie da riempire.
Francesco si allenta il colletto della camicia con un dito, deglutendo a fatica.
«Hanno chiamato i colleghi della squadra mobile. Pare che si tratti di un omicidio.»



Via Pavia, 9.
Chiara rilegge una ventina di volte l’indirizzo segnato su quel messaggio, inviatole ormai diversi giorni prima.
Continua a ripetersi che è stata incredibilmente fortunata nel trovare un posto così vicino all’università – e ad una cifra tanto modica.
Inizia giusto a sospettare che si tratti di un qualche scherzo di pessimo gusto e che suo padre avesse ragione. “Lo sapevo” inizia a disperarsi mentalmente “non sarei mai dovuta venire qui, avrei fatto di gran lunga meglio a restarmene a Pristino—”
La ragazza prende un respiro profondo, cercando di non farsi sopraffare dal panico. No, così non riuscirà a combinare niente di buono. Deve concentrarsi, ormai è a un passo dal raggiungere il suo obiettivo, o quantomeno uno dei tanti che si è prefissata. È inutile stare a rimuginare su tutti gli eventuali scenari catastrofici che le si potrebbero parare davanti agli occhi, da un momento. Non deve essere così diffidente: non c’è nessuno stupratore ad attenderla, dall’altra parte – andiamo, questo è il genere di pensieri in cui si lanciava solitamente sua madre – né un omicida o chissà quale altro malintenzionato. L’unica ad accoglierla, peraltro da quanto gli è parso di capire a braccia aperte è una certa Teresa, una studentessa fuorisede originaria di Caserta. Una persona normale, esattamente come lei, insomma.
Oltretutto, Chiara non può certo tirarsi indietro adesso. Ora che è finalmente arrivata fin lì, non ha nessuna intenzione di darla vinta a suo padre: non è un’imbranata, può cavarsela perfettamente da sola anche fuori casa.
Così prende un respiro profondo e, prima di poterci ripensare nuovamente, poggia il dito sul citofono, premendo per un paio di secondi il pulsante desiderato.
Le risponde quasi subito una voce piuttosto allegra, che riconosce essere quello della ragazza con cui ha parlato al telefono.
«Chi è?» le domanda infatti la persona dall’altro capo, con tono caldo e accattivante, oltre che uno spiccato accento campano.
«Ehm, Teresa?» si decide a chiedere allora, nonostante senta le proprie parole uscirle dalle labbra con ancora un po’ d’incertezza «sono Chiara, la ragazza dell’annuncio…»
Teresa non le dà tempo di finire che sta già lanciando una serie di gridolini incomprensibili.
«Nii, Chiara! Vieni, vieni, sali! Terzo piano, appartamento a sinistra!» le comunica l’altra, con un’intensità vocale ancora troppo alta di qualche ottava.
Ciò detto, le chiude in faccia il citofono, mentre ha già provveduto ad aprirle il portone.
Chiara alza gli occhi al cielo, ha già capito che sarà una faccenda più lunga di quanto immaginasse. Ciononostante, si limita a spingere il portone davanti a sé, mentre si lascia scivolare all’interno del vecchio palazzo.
Oltre il pesante portone di legno, una frescura piacevole l’avvolge all’istante, sollievo immediato dal clima afoso e torrido dell’estate romana. Chiara si lascia sfuggire un sospiro, gli occhi socchiusi per quell’improvviso conforto.
Quando torna a sollevare del tutto le palpebre, la prima cosa che le viene spontaneo fare è analizzare l’ambiente che la circonda: la tromba delle scale è ampia e, soprattutto, luminosa, grazie al marmo perlaceo di cui è composta, i gradini invece sono spessi come quelli di un tempio azteco. La ragazza capisce al volo che deve trattarsi di un edificio piuttosto antico, così come la maggior parte delle costruzioni che ha visto finora – è arrivata a Roma da appena qualche ora, avrà visto sì o no un paio di vie, eppure non ha potuto fare a meno di notare l’alternanza eterogenea antico-moderno che avvolge ogni cosa in quella città, dalle abitazioni fino alle persone che ci vivono. A sinistra ti ritrovi un grattacielo, a destra un monumento di duemila anni fa.
Chiara decide che non se la sente di fare a piedi tre piani di scale, non dopo aver camminato a piedi per un isolato intero, sotto il sole cocente di agosto, incapace di trovare il luogo che stava cercando, peraltro trascinandosi dietro anche la sua valigia. Si tratta solo di un piccolo trolley, d’accordo, per giunta pressoché vuoto – andandosene di casa, s’era tristemente resa conto che gli oggetti di sua proprietà da portare via in quel viaggio, con ogni probabilità senza ritorno, scarseggiavano in maniera preoccupante – tuttavia la tratta Pristino-Roma l’aveva lasciata molto più a corto di energie di quanto avrebbe potuto mai immaginare prima di partire. Dannato vecchio treno, così lento da far venire il latte alle ginocchia e permeato da quell’insopportabile caldo asfissiante, a causa dei finestrini rotti che non si potevano neanche abbassare. In effetti si chiede come abbia fatto a non venirle un’emicrania, in tutto ciò.
Si avvicina infine all’ascensore, che occupa il centro dell’immobile. Una vecchia grata arrugginita dipinta di nero circonda la struttura, come a voler proteggere quel che si trova al suo interno. Chiara preme il pulsante di prenotazione della cabina e subito sente un fragoroso clangore metallico provenire da sopra la sua testa. Nonostante la lentezza di quel vecchio trabiccolo, non deve aspettare molto prima di vederlo cominciare a muoversi nella sua direzione, mentre intraprende la sua lenta discesa verso il pianterreno.
Nell’esatto momento in cui arriva, il grosso gigante emette un nuovo rumore meccanico, stavolta più similare al profondo sospiro di un guerriero esausto, dopo anni e anni di combattimenti. Chiara apre la piccola porticina di ferro, mentre spinge le due ante lignee semoventi verso l’interno; la ragazza s’infila nella cabina, trascinando stancamente dietro di sé la valigia. Una volta richiuse entrambe le porte, preme il tasto del terzo piano, lasciandosi trasportare verso l’alto.
Il tragitto in ascensore non dura poi molto, tuttavia nel frattempo Chiara ne approfitta per osservare ogni dettaglio del nuovo ambiente che ora la circonda. I tasti che corrispondono ai piani sono piccoli e tondeggianti, di un bianco reso opaco dallo scorrere del tempo, mentre la vernice nera che contraddistingue i numeri segnati su di essi si è cancellata in più punti. La pedana a terra deve essere stata rivestita un sacco di tempo fa da uno strato di rivestimento plastificato verde acido, solo che col passare degli anni quest’ultimo si è scollato in più punti, rendendo la salita e la discesa dei passeggeri dell’ascensore piuttosto impervia. Le pareti di legno della cabina sono ricoperte di uno strato di tintura lucida trasparente, che avrebbe dovuto preservare lo stato originale del materiale e che invece, a causa degli anni che passano, è ormai liso, mentre hanno fatto la loro comparsa perfino alcuni graffi. Tutto ciò denota una certa vecchiaia e trascuratezza, e Chiara comincia a capire perché abbia trovato un appartamento ad un prezzo tanto stracciato.
D’improvviso l’abitacolo sobbalza, facendo sussultare anche la ragazza. A giudicare da quel movimento intuisce di essere arrivata a destinazione, per cui si affretta ad uscire da lì – sta cominciando a diventare claustrofobica, ora che ci pensa. Prima il viaggio in treno a dir poco soffocante, adesso questo…
Non appena mette piede sul pianerottolo, si accorge che ad attenderla sulla soglia c’è una ragazza. Dev’essere Teresa, valuta in fretta Chiara.
In breve tempo, quasi senza neanche avere il tempo di accorgersene, finisce ad osservare la giovane davanti a sé: una chioma folta e arruffata di ricci neri, apparentemente indomabili, un corpo gentile, forme abbondanti, seno prosperoso e un sorriso amichevole. È esattamente come se l’aspettava, oltre ad essere quel genere di ragazza che sarebbe in grado di far cadere ai propri piedi qualsiasi ragazzo le graviti attorno. È bella, affascinante, tuttavia ha quell’aria di chi, nonostante sia al corrente dei propri pregi, non abbia tutta questa voglia di sfruttandoli, sentendosi quasi in soggezione a causa di essi. Non sa perché, ma ha come l’impressione che finirà per andare molto d’accordo con quella giovane dall’allegria contagioso.
Già, in effetti le è bastato osservare per un solo istante le labbra carnose e dalla piega morbida di Teresa, ovviamente sollevate in un ampio sorriso, per sentirsi immediatamente più felice, come se di colpo tutta la stanchezza che ha accumulato fosse diventata molto meno pesante da sopportare.
«Ciao, benvenuta!» la saluta Teresa, mentre si è già slanciata ad abbracciarla.
Chiara è a dir poco sorpresa da quell’improvviso slancio d’affetto – si sono parlate a malapena un paio di volte, oltretutto senza mai vedersi – senza contare che, nonostante tutto, non può impedire a se stessa di provare una vaga sensazione di fastidio: non è un’amante del contatto fisico, affatto, per cui entrare in collisione con un’altra persona in una maniera così repentina la lascia decisamente contrariata.
Quando Teresa si separa da lei, Chiara non può fare a meno di notare quante differenze – fisiche e non – intercorrano tra di loro: al contrario dell’altra, non possiede certo una chioma leonina o particolarmente voluminosa, bensì solo dei normalissimi capelli castani, lunghi fino alle stalle e dritti e sottili come spaghetti. La carnagione di Teresa è leggermente abbronzata, sicuramente durante l’estate deve aver passato giornate intere a prendere il sole in spiaggia, in qualche bella località di mare, mentre l’incarnato di Chiara è pallido come quello di un morto: passare intere giornate rinchiusa in casa, china a studiare sui suoi tanto amati quanto odiati libri non deve poi averle portato così tanto giovamento, perlomeno da sotto quel punto di vista.
Quanto ad abbigliamento, infine, mentre Teresa sembra aver scelto accuratamente gli indumenti che più mettono in risalto la sua figura – la t-shirt attillata le fascia il seno alla perfezione, senza renderlo volgare, stesso discorso per quanto riguarda le cosce e gli shorts – Chiara preferirebbe di gran lunga scomparire sotto la maglia leggera di flanella e quel pratico paio di jeans. Ecco, lei non ha decisamente nulla che potrebbe interessare ad un ragazzo: niente curve vertiginose, niente labbra sensuali, niente occhi da last diva… insomma, niente di che. Forse è per questo che non ha mai avuto nemmeno un fidanzatino – oppure per la sua attitudine a preferire un pomeriggio passato in compagnia di una piacevole lettura ad un’uscita mondana.
Teresa si volta di scatto, cominciando ad avviarsi verso l’interno dell’appartamento.
«Beh? Che fai lì impalata? Su, vieni!» la esorta, invitandola ad entrare a sua volta con un gesto rapido della mano.
Chiara si limita a seguirla, chiudendo la porta alle proprie spalle, mentre cerca di abbandonare l’ultima remora di riluttanza che ancora l’accompagna.
Le rotelle del trolley strisciano sulle mattonelle a terra, man mano che lei e Teresa avanzano lungo lo stretto corridoio d’ingresso e Chiara comincia a sospettare perché l’affitto di quel luogo sia così basso: nonostante sia estremamente vicino alla sede universitaria, deve ammettere che non sia poi tutto questo granché, in quanto a bellezza o comodità.
«Spero che ti troverai bene qui» nel frattempo Teresa continua a parlare senza sosta – e Chiara capisce al volo che la sua parlantina deve essere sconfinata «il posto non è il massimo, almeno però siamo collegate piuttosto bene un po’ con tutto: qui vicino c’è la fermata della metro, inoltre in giro ci stanno un sacco di negozi carini. La retta mensile, per fortuna, non è altissima: da quel che ne so io, il proprietario di questo posto – non l’ho mai conosciuto di persona – ha in affitto un sacco di altri appartamenti, qui a Roma, per cui può anche permettere di far pagare un po’ meno nei posti che gli interessano un po’ meno. Dunque, questo è il bagno, oh, invece qui… c’è la cucina.»
Con ciò, la ragazza dai ricci corvini si fionda di lato, entrando in una stanza. Chiara fa capolino con la testa sulla soglia, mentre osserva attentamente la situazione.
All’interno della cucina, infatti, è presente un’altra ragazza – con ogni probabilità, la terza coinquilina a cui aveva fatto accenno Teresa, durante i loro contatti online.
Più che una ragazza, sembra quasi uno spettro, una figura evanescente: non dev’essere più alta di lei, eppure è come se conservasse un certo aspetto allampanato. I capelli, di un castano scurissimo, le arrivano fino a metà della schiena, mentre gli occhi sono un po’ troppo infossati in quel suo volto scarnissimo. Nonostante sia ormai giorno inoltrato, ha ancora indosso un vecchio pigiama, mentre, seduta al tavolo della cucina, rimesta svogliatamente i cereali immersi nella sua tazza di latte.
«Lei è Marta» le spiega brevemente Teresa «so che, di primo impatto, può sembrare strana, ti assicuro però che è la ragazza migliore del mondo! La notte resta spesso alzata per leggere manga e tutta quella roba giapponese strana là ma non ha assolutamente nessun altro difetto, perlomeno per quel che ne so io – e sono quasi due anni che conviviamo insieme, ormai…»
Come a voler apostrofare l’amica, dall’altro lato del tavolo Marta si allunga a lasciare una bottarella scherzosa col cucchiaio sulla spalla di Teresa.
«E meno male che avevi detto che avresti cercato di descrivermi come una persona normale…» commenta Marta, con un sorriso sonnacchioso.
«Non darle retta!» replica Teresa, agitando leggermente le mani a mezz’aria «ti garantisco che di solito non è una pazza che se ne va in giro a colpire la gente con dei cucchiai, è molto più educata! A proposito… bleah, Marta, che schifo, mi hai macchiato la maglietta di latte!»
Per tutta risposta, l’interpellata le rifila una linguaccia.
Chiara comincia a temere che l’imbarazzante siparietto tra le due possa andare avanti ancora per molto, fortunatamente tuttavia a venirle in aiuto in quella situazione è proprio Marta.
«Ad ogni modo, benvenuta, Chiara» commenta infatti, con una voce più profonda e assonnata del previsto «Teresa mi ha parlato a lungo di te. Sono felice di avere una nuova coinquilina, anche perché ehi, finché si tratta di pagare un po’ di meno d’affitto fa sempre piacere, no? Se per te non è un problema, avevamo pensato che io e te potremmo condividere la stanza doppia – i letti sono separati, tranquilla – mentre Teresa, giusto per aumentare ancora un altro po’ le sue manie di egocentrismo…»
«Ehi!» protesta debolmente la ragazza dai ricci scuri, tirando una spinta leggera alla spalla dell’amica – di rimando al colpo di cucchiaio di poco prima.
«… dormirà nella stanza singola, non molto distante dalla nostra» riprende poco dopo Marta, ignorando le deboli provocazioni di Teresa «se vuoi nel frattempo puoi andarla a vedere, così magari ti ambienti, poggi le tue cose e ti cambi, mettendoti più comoda, insomma. Oh, quasi dimenticavo: cos’è che studi, tu?»
«Filosofia» risponde Chiara, quasi meccanicamente.
«Oh, figo» valuta Marta, con un tono non troppo convinto – probabilmente avrebbe detto la stessa cosa, qualsiasi fosse stata la risposta della nuova coinquilina «io sono iscritta a Medicina, sebbene il mio sogno segreto – contro ogni volontà dei miei genitori – sia quello di diventare una mangaka, infatti sto seguendo un corso per corrispondenza; quanto a Teresa, lei studia Scienze della Comunicazione, seppur senza alcun genere di vocazione. Beh, adesso ti lasciamo finire il tuo tour della casa in santa pace. Ambientati per bene!»
Chiara sorride di rimando alle due ragazze, sussurrando un flebile grazie. Tuttavia non aggiunge altro, anche perché fa a malapena in tempo a voltarsi che le due hanno già ripreso a battibeccare scherzosamente.
Le ruote del trolley tornano a trascinarsi pigramente lungo quel corridoio angusto, mentre Chiara prosegue, non senza qualche difficoltà, verso la stanza che Marta le ha indicato. Si lascia alle spalle i borbottii sommessi che ancora le giungono alle orecchie dalla cucina, lasciandosi nel frattempo scivolare all’interno di un’altra stanza.
Chiara capisce al volo che deve trattarsi della camera che le è stata indicata, soprattutto grazie alla presenza dei due letti singoli separati. Oltre di essi, l’arredamento è estremamente essenziale: una scrivania è appoggiata alla parete che si trova alla propria sinistra, subito dopo essere entrati, mentre un grosso armadio occupa tutta la parete di estrema destra. Infine, in fondo, davanti a lei, c’è una finestra, graziosamente spalancata verso il mondo all’esterno. Da lì entra una brezza leggera, che porta con sé i più disparati odori: il prevedibile gas di scarico delle automobili è accompagnato da un aroma inebriante di pizza, oltre ad un sacco di altri profumi che Chiara non riesce ancora a distinguere – ma prima o poi, si dice, ci riuscirà. Deve solo farci il callo, tutto qui.
Chiara nota che Marta le ha lasciato il letto accanto alla finestra, così ne approfitta per trasportare la sua valigia fin lì. Da quanto ha capito, dormire non è una delle attività principali della sua compagna di stanza, per cui immagina che lasciarle il posto migliore non debba poi essere stato un sacrificio così insopportabile.
Per un momento gli occhi di Chiara si perdono nel bianco neutro delle pareti, ben presto però il suo sguardo torna a saettare verso la finestra. La ragazza la raggiunge con pochi passi, approfittandone per sedersi sul davanzale: da lì la vista è sorprendentemente suggestiva, può quasi scorgere in lontananza i giardini di Villa Torlonia.
Chiara chiude gli occhi, riempiendosi i polmoni di un’ampia boccata di quell’aria insalubre, mentre un pensiero le attraversa distrattamente la mente, facendole sbocciare un lieve sorriso sul volto.
Cosa potrebbe mai succedere di così terribile in un posto del genere?





Angolo autrice

E... salve. Questa è la prima volta che mi approccio al mondo delle originali, per cui perdonatemi se vi sembrerò completamente imbranata.
Comunque, questa più che una storia è un esperimento di scrittura. Il giallo è un genere che mi ha sempre profondamente affascinata, da qui nasce la mia voglia di provare e di mettermi alla prova in merito. Purtroppo non sarà "giallo" in tutto e per tutto, perché temo che si sentiranno comunque forti e preponderanti influenze romance. È una storia a cui tengo molto, per cui spero davvero di non commettere orrori.
I personaggi sono ispirati a persone esistenti nella vita reale, solo che ho aggiunto o modificato alcuni dettagli del loro backgroud, come ad esempio il nome, credo fondamentalmente per una questione di privacy. Ci tengo a specificare che, invece, i fatti narrati in questa storia sono puramente frutto della mia immaginazione, sebbene i luoghi in cui sono ambientati, invece, esistano realmente.
È in questo che sta il mio "esperimento": scrivere una storia con il più alto tasso di verismo possibile. Abituata come sono alle fanfiction su Anime e manga alquanto "irrealistici", ho pensato che, una volta tanto, un po' più di fedeltà alla realtà non mi avrebbe fatto male, no?
Non credo che aggiornerò in maniera regolare, fondamentalmente perché al momento sto portando avanti anche altri progetti che ho a cuore, per cui interromperli sarebbe per me impossibile. Tuttavia, ho già quasi terminato il prossimo capitolo ed ho intenzione di iniziare a breve anche il successivo, per cui cercherò di essere quanto più presente possibile, perlomeno nei limiti delle mie capacità.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, compresi narrazioni, descrizioni e personaggi ** la trama è ancora un po' oscura, lo so, vedrete però che andando avanti le cose cominceranno a diventare più chiare.
Mi auguro anche che non ci siano errori nel capitolo. Purtroppo questa volta non potrò avvalermi della mia beta di fiducia, per cui incrociamo le dita.
Grazie a chiunque leggerà e a chi decidesse di seguire la storia! Un parere è sempre benaccetto, sono qui per migliorare.
E niente, per stavolta credo che la chiuderò qui, non vorrei darvi una brutta impressione di me già al primo colpo-- sempre che non l'abbia già fatto.

Aria

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Capitolo 2
*** L'inferno in Terra ***


Capitolo uno
L’inferno in Terra



«Ricordami perché questo caso è di nostra competenza, ti prego.»
Francesco si china a terra, un ginocchio poggiato sul suolo polveroso mentre fa scattare di nuovo la macchina fotografica.
«Perché i colleghi della Polizia sono oberati di lavoro e hanno chiesto gentilmente a noi di prendere in carico questo caso» spiega in fretta, cambiando angolazione «adorabili, non è vero?»
Paolo si arrotola le maniche della camicia fino ai gomiti, lasciando scoperti gli avambracci. Non stenta a credere che le vere motivazioni per cui il caso è stato affidato a loro siano ben altre: o per i loro colleghi il caldo afoso di agosto è insopportabile a tal punto da dover rinunciare a parte del loro lavoro – e questo lo dubita fortemente, quegli avvoltoi farebbero qualsiasi cosa per accaparrarsi i meriti delle indagini altrui, figurarsi se addirittura si mettevano a donare gentilmente casi che avrebbero potuto mettere in risalto persone non appartenenti al loro nucleo – oppure sotto a quella storia c’era qualcosa di più grosso.
«Già» commenta Paolo, con un sospiro seccato «proprio degli angeli dal cuore d’oro.»
I colleghi della scientifica, appurato che Francesco ha finito di fotografare vittima e scena del crimine, provvedono a coprire il corpo morto a terra con un lenzuolo bianco, mentre si affrettano a portare il cadavere via da lì. Con le temperature proibitive di quel periodo, c’è anche il pericolo che gli agenti atmosferici provochino delle modifiche molecolari compromettenti nella salma, il che sarebbe abbastanza problematico per la buona riuscita delle indagini.
«Comunque» Francesco si rialza in piedi, spazzando via la polvere dai suoi vestiti «per ora non sappiamo granché della vittima. Non aveva documenti con sé, però avrà avuto al massimo quaranta, quarantacinque anni. Non hanno cercato in alcun modo di cancellargli impronte digitali o altri elementi di riconoscimento, per cui possiamo ipotizzare che…»
«Fosse incensurato» conclude in automatico Paolo. Ha un’espressione corrucciata in volto, lo sguardo ancora fisso sulla pozza di sangue a terra, poco distante dal punto in cui, fino a qualche istante prima, si trovava il corpo della vittima.
«Conosco quello sguardo» Francesco gli si fa vicino, le braccia dietro la schiena «è lo stesso che hai ogni volta che c’è qualcosa che non ti torna.»
Paolo sospira di nuovo. E da quando in qua Francesco passa così tanto tempo ad osservarlo da accorgersi di una cosa del genere?
«Ragiona anche tu: in tutto questa storia non c’è una cosa che abbia senso» afferma infatti, impensierito «perché qualcuno dovrebbe prendersi il disturbo di uccidere un incensurato in un posto dimenticato da Dio come questo? Potevo capire se si fosse trattato di un latitante o di un qualsiasi altro genere di delinquente, se invece si tratta di qualcuno che non è nemmeno schedato capisci anche tu che il tutto comincia a delinearsi in una maniera abbastanza assurda.»
Per sottolineare la paradossalità della situazione, Paolo allarga le braccia, come a voler indicare il luogo tutt’intorno a loro: si trovano infatti in un capannone abbandonato, diversi chilometri fuori Roma, nel bel mezzo del nulla – o quantomeno di una campagna incolta, dove l’incuria la fa da padrona ormai da almeno un decennio, tra erbacce alte quasi due metri e rifiuti ingombranti ammassati in piccoli capannelli a distanza di un paio di metri l’uno dall’altro – tra le lamiere fatiscenti e il tetto mancante per metà. Tutto ciò non ha assolutamente alcun senso.
«Magari invece non è incensurato, anche se non gli hanno cancellato le impronte digitali» ipotizza Francesco, portandosi una mano al mento per riflettere meglio «chi l’ha ucciso potrebbe aver lasciato qui il corpo, impossibilitato in quel momento a spostarlo altrove o a cancellarne le tracce, con la convinzione di tornare qui in seguito per disfarsene definitivamente. Avrà pensato che tanto, essendo questo un posto abbandonato, nessuno avrebbe notato o meno la presenza di un cadavere, per cui avrebbe potuto anche agire con calma…»
«Mi sembra piuttosto azzardato, come scenario» replica Paolo, sempre più impensierito «ammesso e non concesso che il nostro amico qui appartenesse alla malavita, mi spieghi chi correrebbe il rischio di farsi scoprire lasciando il corpo della propria vittima qui, specie se il cadavere in questione appartiene a qualcuno che è schedato? D’accordo, in questo capannone non ci metterà piede anima viva da anni, però nelle campagne qui intorno ci sono alcune aziende agricole e le proprietà di qualche piccolo agricoltore, che porteranno sicuramente le greggi a pascolare qui intorno… per cui è impossibile che prima o poi qualcuno non si sarebbe accorto del puzzo di cadavere proveniente da qui, vento favorevole o meno. A proposito di questo, il caldo di questi giorni rende un po’ difficile stabilire da quanto tempo il cadavere si trovasse qui, tuttavia da quel che possiamo vedere è impossibile dargli meno di due giorni.»
«Beh, oggi è lunedì» riprende Francesco, concentrato al massimo nei suoi ragionamenti «questo apre la scena a nuove possibilità! Se il delitto è stato commesso due giorni fa, in un arco temporale compreso tra venerdì notte e domenica mattina, potrebbe anche essersi trattato di gesto episodico: magari qualche giovane, stordito dall’alcol e da chissà quale altra sostanza, dopo una serata in discoteca… potrebbe starci, dopotutto sono molti i ragazzi che frequentano questa zona un po’ più appartata, specie di sabato.»
«Non vorrei sminuire anche questa tua ipotesi, Francesco, sappi tuttavia che la trovo abbastanza inverosimile» ribatte Paolo, stavolta con un lieve sorriso «una persona in quelle condizioni non avrebbe mai la lucidità necessaria per sparare due colpi di pistola e centrare in entrambi i casi il malcapitato, addirittura in pieno petto. E poi, che motivo avrebbe avuto? D’accordo lo stordimento, mi spieghi però perché un ragazzo dovrebbe essere in possesso di una pistola e, per di più, dopo aver passato una serata in discoteca se ne andrebbe in giro nelle campagne romane ad ammazzare gente a caso?»
«Non lo so, magari anche la vittima si trovava nel locale dell’assassino, ci aveva provato con la fidanzata del ragazzo e questi ha deciso di porre rimedio alla faccenda con un regolamento di conti stile western?» prova Francesco, con l’abbozzo di un sorriso dipinto in volto.
Per tutta risposta, Paolo gli lancia un’occhiataccia.
«Okay, ho detto una cazzata, lo ammetto da solo» si affretta a riparare Francesco, mentre il sorriso scompare dal suo volto. «“Sii serio, Francesco, questo è un caso di omicidio vero, mica un poliziesco in TV”. Va bene.»
Paolo distoglie lo sguardo dal suo collega, tornando a fissare la macchia di sangue a terra; deve essersi allargata parecchio, nel corso dei giorni. È strano: nonostante quel cadavere si trovi lì presumibilmente da diversi giorni, in barba alla calura estiva il liquido non si è seccato. Adesso alcune mosche si aggirano su di esso, conferendo alla scena un’aria ancor più macabra.
«Piuttosto, c’è una cosa che continua a non tornarmi» ammette infine, con una certa dose di frustrazione nella voce.
«Sarebbe a dire?» s’informa subito Francesco, stringendo lievemente la fotocamera tra le mani.
«Se l’omicidio è davvero avvenuto qui, perché la scientifica non ha ritrovato nemmeno un bossolo?» domanda Paolo, consapevole di aver centrato un nodo fondamentale della questione.
«Mhh… l’omicida se li è portati via?» prova a suggerire Francesco, nuovamente in tono sardonico.
Prima che gli possa arrivare una nuova occhiata di traverso da parte di Paolo, si affretta a ritrattare.
«Va bene, la pianto» commenta infatti, scuotendo lievemente la testa.
«Comunque, finché non avremo un riscontro dalla scientifica è inutile stare qui a fare ipotesi» conclude Paolo, non senza una certa dose di rassegnazione «per quanto ne sappiamo noi, l’omicidio potrebbe anche essere avvenuto da un’altra parte e il corpo spostato qui in un secondo momento – anche se lo trovo improbabile per i motivi che ti ho spiegato prima. Ad ogni modo, adesso ci converrà andarcene di qui, quello che dovevamo vedere l’abbiamo visto. E poi questo caldo è davvero insopportabile.»

Chiara si maledice tra sé.
Ancora poco pratica delle strade di Roma, aveva pensato che affidarsi alla metropolitana fosse il metodo più efficace per non finire a Calcutta – o quantomeno evitare di perdersi al suo secondo giorno in quella nuova città.
Ovviamente, aveva sbagliato lato della metropolitana, finendo per andare anziché in direzione della sua nuova “casa” – Chiara nutriva ancora qualche remora nel definire in quel modo l’appartamento malandato dove era approdata giusto il giorno precedente – in quella opposta, ossia sulla linea per Termini. Fantastico.
Almeno così avrebbe imparato a controllare se ci fosse un altro ingresso, la prossima volta. Teresa le aveva detto che la distanza del loro palazzo dall’università era davvero irrisoria, per di più si era perfino prodigata nello spiegarle come tornare facilmente lì – solo che lei, ovviamente, non aveva capito nemmeno una parola della sua delucidazione, ancora troppo ignara in merito al nuovo, magico mondo delle strade di Roma. O almeno, così appaiono davanti ai suoi occhi, abituati alla realtà rurale di Pristino – per cui all’apparenza inconciliabili con l’attuale dimensione in cui si trova.
Un’altra cosa che avrebbe dovuto sicuramente evitare di fare era quella di lanciarsi sul primo treno disponibile, senza nemmeno controllare sulla mappa lì accanto se andasse nella direzione giusta o meno. Solo che vedere il vagone lì, davanti a sé, l’aveva inondata di energia, come se una scarica elettrica avesse percorso da capo a piedi il suo corpo… e se poi non fossero più passati mezzi per delle ore? No, doveva salire su quello, assolutamente.
La verità, constata amaramente Chiara, è che stava ragionando ancora con la mentalità di una ragazza che viveva in un paesino sperduto nel cuore dell’Italia. Ora che si trova a Roma, però, le cose sono notevolmente cambiate. Sembra ricordarsi solo in quel momento, infatti, che tra le altre cose Teresa le aveva detto anche che lì la metropolitana e i treni in generale passano praticamente ogni minuto. Chiara ricorda che a Pristino passava solo un treno, due volte al giorno, al mattino e alla seria. Probabilmente le ci vorrà ancora un po’, prima di abituarsi a quella nuova routine.
Tra l’altro, aveva vissuto tutta la sua – breve – permanenza in metropolitana in maniera estremamente rilassata, le mani strette attorno al sostegno in ferro centrale e lo sguardo perso in quella folla soffocante di persone. Solo quando dagli altoparlanti era stato annunciato che la prossima fermata sarebbe stata quella di Termini, aveva cominciato a farsi venire ben più di qualche dubbio.
“Beh, Termini è una stazione molto grande” aveva valutato tra sé, cogitabonda “se fosse dovuta andare in direzione di un punto di riferimento così importante Teresa me l’avrebbe detto, no?”
A quel punto, aveva alzato lo sguardo, fissandolo sulla piccola mappa della metropolitana fedelmente riportata sopra le porte del vagone. Se lei era salita a Policlinico e adesso stava andando in direzione Termini…
… allora aveva completamente sbagliato.
Prima che le porte del vagone si chiudano, Chiara schizza fuori di lì veloce come una scheggia. Riesce a confondersi in una stazione piccola, figurarsi nel caos che non fatica ad immaginarsi essere presente a Termini.
Così, mentre la metropolitana riparte, Chiara si avvia verso le scale, lasciandosi alle spalle un mezzo di trasporto pieno di turisti intenti a conversare in una lingua per lei incomprensibile e passeggeri d’ogni genere, razza ed età con al seguito enormi valige e trolley da viaggio.
“Sicuramente stanno andando alla stazione, saranno in partenza o qualcosa del genere” commenta mentalmente Chiara.
Nel frattempo, la ragazza sta frugando in maniera affannosa e confusa nella sua borsa, alla ricerca del proprio telefono. D’accordo, è una frana con la tecnologia e riesce a confondersi perfino con la direzione da prendere in treno – e no, essere in una città per lei nuova, immensa e totalmente sconosciuta è solo in parte una giustificazione – però deve pur trovare un modo per tornare all’appartamento.
Sta giusto digitando l’indirizzo dell’abitazione sul navigatore – e si sente immensamente stupida per questo – quando una folata di vento la raggiunge in pieno. Strano, da quello che ne sa lei a Roma non tira un filo d’aria da settimane…
La mappa sul suo telefono le sta segnalando che, per andare dall’università a via Pavia, non avrebbe dovuto prendere alcuna metropolitana, tuttavia Chiara non ha il tempo materiale per accorgersene, perché quel vento le sta portando via i fogli che aveva in mano.
No, i fogli!
È andata all’università, per poi puntualmente perdersi nei sotterranei della metropolitana, al fine di ottenere quei documenti: sono le ultime pratiche da riempire per l’ammissione a Psicologia e lei se l’è appena lasciate portare via così, in quel modo tanto banale.
Chiara non sa se mettersi a piangere. O forse ad urlare dalla frustrazione. Tuttavia, l’opzione che al momento le sembra la più plausibile, quantomeno se ci tiene a preservare la sua sanità mentale, è quella di mettersi ad inseguire quei dannati fogli.
Così, prima di poterci ripensare, inizia a correre dietro ad essi, lo sguardo puntato in alto a seguire la loro traiettoria attraverso il cielo.
Per sua immensa fortuna – o più probabilmente per un ennesimo colpo di malasorte – il vento pare di colpo placarsi, così che la sua pratica inizia a planare lentamente verso il suolo, finendo addosso ad un’altra persona, senza che Chiara possa fare niente per evitarlo.
«Ehi!» grida istintivamente, mentre si affretta a raggiungere il destinatario delle sue parole.
È un uomo, avrà al massimo quarant’anni, i capelli neri d’ebano e la camicia bianca spiegazzata, le maniche arrotolate fino ai gomiti. Al momento sta osservando confuso la sua pratica d’ammissione, la testa leggermente inclinata di lato.
Non appena la voce di Chiara gli giunge alle orecchie, subito alza lo sguardo nella sua direzione, la confusione che, seppur attenuata, stenta ancora ad abbandonare il suo volto.
«È tua questa?» il suo salvatore solleva appena i fogli, tenendoli ben stretti in una mano.
Nel frattempo, Chiara lo raggiunge; tuttavia, prima di potergli rispondere, è costretta a piegarsi su se stessa, le mani poggiate sulle ginocchia, mentre cerca di riprendere faticosamente fiato. Non credeva che la corsa l’avesse sfiancata così tanto.
«S-sì» si costringe a rispondere infine, sollevando il volto arrossato «mi dispiace, una folata di vento improvvisa me l’ha strappata via. Avrei dovuto essere più attenta…»
«Immagino di sì» commenta l’altro, restituendole i fogli «diciamo però che sei stata parecchio fortunata. Ammissione alla facoltà di psicologia, eh?»
«Ehm… già» ammette Chiara, non senza imbarazzo «ha letto?»
«Temo si tratti di “deformazione professionale”» ammette l’uomo, con un sorriso radioso che gl’illumina il volto.
Chiara sta già per domandargli quale sarebbe la sua deformazione professionale, quando d’improvviso sposta lo sguardo di lato, notando solo in quel momento che, appeso al muro di un palazzo poco distante da loro, si trova lo stemma delle forze armate.
Oh.           
«Comunque, piacere» prima che Chiara possa accorgersene, l’altra persona ha già allungato la mano destra nella sua direzione «Paolo.»
Chiara deve fare appello a tutte le sue forze per non lasciarsi sfuggire dei nuovi commenti monosillabici; per un momento quasi non si accorge neanche che l’uomo le ha rivolto di nuovo la parola, tant’è che – quando se ne rende conto – non può fare a meno di arrossire ancora di più.
«Chiara, piacere» si decide finalmente a rispondere, ricambiando lievemente la stretta di mano e limitandosi a tenere ora lo sguardo ben basso, fisso al suolo, decisamente in soggezione.
«Mi pare di capire che tu sia nuova di queste parti» commenta Paolo, con un sorriso bonario «beh, in tal caso benvenuta.»
«Oh, grazie» replica in automatico la ragazza, torturandosi una ciocca di capelli mentre se la sistema dietro l’orecchio «è così evidente, eh?»
«Avevi lo stesso sguardo perso che ho visto negli occhi di tanti turisti in tutti questi anni, da quando mi sono trasferito qui a Roma. E credo che lo avessi anche io, i primi tempi qui» spiega lui, scrollando le spalle. «Questa è una città immensa e piena di sorprese. Vedrai, ti troverai bene.»
«Spero solo di riuscire a trovare il modo di riuscire a tornare a casa e di non perdermi nei labirinti di Termini, adesso» ammette Chiara, mentre sente le guance farsi sempre più rosse e calde. «Incredibile, sono arrivata a Roma da due giorni e mi sono già persa.»
«Ah, non essere troppo dura con te stessa» la rassicura Paolo, lasciandole una pacca sulla spalla «vedrai che col tempo imparerai ad orientarti. In bocca al lupo con l’università, comunque!»
«Ancora grazie! Beh, allora arrivederci!» lo saluta Chiara, voltandosi di scatto e tornando a camminare verso l’imboccatura della via. Probabilmente al momento si stanno chiedendo entrambi cosa li abbia portati a dare confidenza ad un perfetto sconosciuto. Paolo è sempre così sulle sue, mentre Chiara è un’inguaribile timida, invece sono quasi riusciti ad intrattenere una conversazione. Che strano.
“Poco male, tanto questa città è così grande che, con molte probabilità, non lo rivedrò mai più in vita mia…” si sta giusto dicendo Chiara, mentre fa per scendere le scale della metro.
«Ehi!» d’un tratto una voce la richiama, costringendola ad alzare lo sguardo.
“… né tantomeno lo risentirò” finisce in quel momento di mormorare mentalmente, tuttavia Chiara sa già di essersi sbagliata per l’ennesima volta, perché i suoi occhi trovano la conferma a ciò che le orecchie avevano già intuito: la voce rivolta nella sua direzione, infatti, appartiene proprio a Paolo.
«Se non vuoi finire a Termini devi prendere la metro nella direzione opposta» le fa notare, con un sorriso bonario «l’ingresso lo trovi dalla parte opposta della strada.»
Chiara avvampa nuovamente; riesce a biascicare qualcosa di simile a un “grazie” un momento prima che l’imbarazzo prenda il sopravvento su di lei, costringendola a voltarsi e a schizzare in fretta e furia via da lì.
Paolo resta a guardare ancora per qualche secondo il punto in cui ha visto per l’ultima volta quella ragazza, prima che scomparisse, inghiottita dalla folla onnipresente sui marciapiedi romani. Non saprebbe dire nemmeno lui perché, eppure, mentre si volta per rientrare in caserma, pensa distrattamente che la giovane che ha appena incontrato abbia qualcosa di speciale.
I due ancora non lo sanno, eppure le loro strade sono destinate ad incrociarsi ancora.        





Angolo autrice

Odio il fatto di non sapere mai cosa dire in questa parte. Forse dovrei cominciare ad ometterla, eppure è come se  paraddossalmente  ci fossi così affezionata da non riuscire a farne a meno. Oh, perfetto, non ha assolutamente alcun senso.
Bando alle ciance, so già che adesso arriverà la parte in cui risulto assolutamente ridicola, per cui vedò di sbrigarmi e dire subito le cose importanti. Ringrazio anzitutto Gagiord per essersi presa l'onere di betare tutto ciò. È una precious cutie, prima o poi troverò il modo per ripagare tutti i suoi sforzi ♥
Poi, allora, vediamo: finalmente introduciamo la vicenda su cui verterà la storia. Abbiamo un omicidio: cosa sarà successo? Chi è la vittima? E il killer? Oh, beh, credo che sia ancora troppo presto per tutto ciò, se tuttavia qualcuno avesse voglia di lanciarsi in qualche volo pindarico in merito, le ipotesi sono più che benaccette ~
Spero di essere riuscita a far emergere un po' di più il carattere di Paolo: essendo un personaggio a cui tengo molto, è chiaro che più la sua personalità spicca e più me ne sento appagata. Tuttavia mi rendo conto che sia ancora un po' presto per esprimere giudizi in merito, per cui proviamo ad andare avanti e poi magari si vedrà, chi lo sa.
E dell'incontro tra i nostri due protagonisti, invece, cosa ne pensate? Io ne prevedo delle belle, tuttavia non vi anticipo altro.
Sono felice di essere riuscita ad aggiornare ad un mese esatto dalla pubblicazione del prologo, magari fosse sempre così! Nel mio piccolo cercherò sempre di mantenere una certa regolarità con gli aggiornamenti, tuttavia non vorrei mettermi fretta, altrimenti so già che il risultato dei capitoli potrebbe essere scadente, perciò... staremo a vedere ~
E niente, anche per questa volta credo di aver detto tutto. Grazie a chiunque leggerà, un commento è sempre gradito ♥ non so se riuscirò a rispondere perché questo è un periodo un po' incasinato, però come al solito proverò a fare del mio meglio, promesso.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.

A presto
Aria

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