Parlami di pace di Mirai No (/viewuser.php?uid=57910)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Solo una ragazza ***
Capitolo 2: *** Mirai ***
Capitolo 3: *** La bella addormentata del mare ***
Capitolo 4: *** Ombre ***
Capitolo 5: *** Gocce di ricordi ***
Capitolo 6: *** Tornare indietro ***
Capitolo 7: *** La forma delle nuvole ***
Capitolo 8: *** Ossessione ***
Capitolo 9: *** Vicina lontananza ***
Capitolo 10: *** Foto e Ricordi ***
Capitolo 11: *** Quel desiderio inespresso ***
Capitolo 12: *** Il sogo di Mirai ***
Capitolo 13: *** Solo acqua ***
Capitolo 14: *** Promessa silenziosa ***
Capitolo 1 *** Solo una ragazza ***
Parlami di pace
CAPITOLO 1 – SOLO UNA RAGAZZA
Trunks inspirò una boccata d’aria gelida, dando al
contempo un’occhiata al paesaggio cupo che si profilava sotto
ai suoi occhi. Macerie. Rovine su rovine di città che un
tempo erano magnifiche.
«Maledetti cyborg» sussurrò tra i denti
il ragazzo, mentre il vento gli scompigliava i capelli lilla.
Si sentiva talmente inutile, ma allo stesso tempo necessario…
Almeno prima c’era Gohan… Allontanò con
decisione il pensiero del suo mentore, prima che tornasse la nostalgia,
prima che tornasse la voglia di piangere.
Saltai giù da quel che restava di un muro. Mi
tremarono le
gambe all’impatto col suolo, ma ignorai la cosa.
Avrei tanto voluto non essere così terrorizzata.
Strinsi con decisione le labbra in modo che non tremassero e ripresi a
camminare.
I piedi mi dolevano ad ogni passo. Le ginocchia minacciavano di cedermi
da un momento all’altro.
Deglutii a fatica. Perfetto. Avevo la gola secca.
«Ciao, mocciosa. Ma non lo sai che è pericoloso
andare in giro a quest’ora sola soletta?»
Mi voltai.
C-17 mi rivolse un sorriso ironico.
Il cuore iniziò a battermi talmente forte che mi parve sul
punto di esplodere.
Trunks capì subito che la zona che stava attraversando era
stata appena attaccata dai cyborg.
Nuvole di fumo aleggiavano nell’aria.
Il ragazzo si guardò attorno e scorse una figura semisepolta
tra le macerie.
Sobbalzò e accorse, traendola fuori.
Era una ragazzina di circa tredici anni.
Ed era viva.
Ridotta male ma viva.
Sollevato, la prese in braccio. Era leggerissima…
La strinse appena, ma tanto bastò per ridarle i sensi. Lei
infatti sobbalzò, aprendo gli occhi a fatica.
Vedendo Trunks trasalì nuovamente, con maggior veemenza, e
si divincolò, costringendo il saiyan a lasciarla.
Una volta coi piedi per terra, scrutai quel ragazzo. Mi si
strinse lo
stomaco.
“Carino”. Non pensai altro, ma quella parola mi
rimbombò nella mente.
«Ciao» mi salutò lui, sorridendomi
appena.
Sentii un groppo in gola. Avrei tanto voluto rispondergli, ma proprio
non ce la facevo. Avrei voluto dirgli che non avevo più un
futuro, ma la voce mi si bloccava in gola.
«Futu..» iniziai. Non riuscii a finire. La gola mi
si chiuse. Non ne ero capace.
Allungai di scatto la mano a prendere la sua.
«Vuoi venire con me?» domandò lui
gentilmente.
Annuii disperata.
E a lui bastò.
Mi fissò per un attimo con quei suoi occhi di un azzurro
sconvolgente, poi mi riprese in braccio.
Successivamente (se avessi potuto avrei urlato di paura e sorpresa) si
alzò in volo.
Ciao!
Sono Mirai No, e questa è la mia prima fan fiction. E su chi
poteva essere, se non sul mio adorato Trunks del futuro?
Sono ansiosa di conoscere il vostro parere. Fa schifo? La devo
continuare?
Ditemi voi.
Un abbraccio,
Mirai No
(Spero si sia capito che la parte in corsivo è narrata in
prima persona dalla ragazzina trovata da Trunks).
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Mirai ***
CAPITOLO
2 – MIRAI
La ragazzina gli si strinse contro. Trunks le carezzò appena
i capelli, tentando di tranquillizzarla.
Notò che lei impiegò poco ad abituarsi
all’idea di star volando. Però sembrava non
gradire l’altezza, e si strinse ancora maggiormente al
giovane.
«Tranquilla» provò a rassicurarla lui.
«Va tutto bene».
Lei alzò la testa a guardarlo negli occhi, e che sguardo!
Era un po’ di tristezza e un po’ di rammarico.
Trunks ne fu colpito. Era la medesima espressione che sarebbe potuta
stare sul viso di una madre mentre il figlio piccolo non vuole capire
che sott’acqua non si respira.
Poi la ragazzina abbassò nuovamente lo sguardo, di colpo.
E finalmente Trunks giunse in vista della propria casa.
Atterrò nel cortile, e subito posò a terra la
ragazzina, la quale parve alquanto lieta.
Guardandola, il saiyan notò che aveva un taglio sul dorso
della mano.
«Ti fa male?» chiese, prendendole delicatamente il
polso. Lei si strinse nelle spalle, chinando la testa in avanti.
Trunks la osservò.
Era magra. Aveva capelli castani che le arrivavano
all’altezza del mento.
Notando di essere scrutata, alzò gli occhi ad incrociare
quelli di Trunks, il quale si ritrovò a guardare in iridi
dal colore strano.
Grigioverdi, o grigioazzurre, forse.
La prese per mano. «Vieni» la invitò.
Entrò in casa con la ragazzina di fianco.
«A proposito» esordì mentre iniziavano a
scendere le scale, «io sono Trunks». Lei non
replicò e i gradini finirono.
Il ragazzo si guardò attorno un attimo.
«Mamma!» chiamò.
Una donna con lunghi capelli azzurri raccolti in una coda di cavallo
comparve in corridoio.
«Ciao, Trunks, sei tor…». Si interruppe
vedendo una bambina sconosciuta accanto al figlio.
«Ciao» la salutò. Lei non rispose,
stringendo maggiormente la mano di Trunks.
Bulma fu intenerita da quel gesto che tradiva un gran smarrimento.
«Come ti chiami?» le chiese, più
gentilmente che poté.
Mi morsi un labbro. Non riuscivo a rispondere e mi dispiaceva
davvero.
«Credo sia muta, mamma» intervenne il ragazzo di
nome Trunks. «Non che sia nata così»
specificò, «ma che la sia diventata».
Si voltò verso di me, abbassandosi in modo da avere gli
occhi alla stessa altezza dei miei.
«Ti va bene se ti chiamiamo Mirai?» mi chiese piano.
Scrollai le spalle, poi annuii.
«Lei è Mirai» dichiarò
Trunks, rivolto a sua madre, rialzandosi.
Lei mi sorrise. «Piacere di conoscerti, Mirai, io sono
Bulma» disse.
Le rivolsi un timido cenno.
«Perché Mirai?» domandò poi
la donna, rivolta a Trunks.
«Perché è l’unica cosa che le
ho sentito dire» rispose il ragazzo.
Lo fissai confusa. Io avevo detto “Futu” in
realtà, ma non obbiettai. Primo, perché non ero
in grado di farlo, secondo non avevo affatto voglia di venir chiamata
Futu.
Poi, improvvisamente, capii. Il ragazzo doveva aver capito che avevo
voluto dire “Futuro”, e perciò mi aveva
chiamata di conseguenza “Mirai”.
Geniale. Mi piaceva.
Poi mi strinsi nelle spalle con un brivido, perché,
nonostante tutto, avevo ancora paura.
Bulma notò il ritorno dello smarrimento sul viso della
bambina, e decise di fare qualcosa per tentare di mitigarlo.
«Hai fame?» le domandò. Sapeva che il
cibo avrebbe sicuramente rincuorato un saiyan, e voleva vedere se
sarebbe valso anche per tranquillizzare una bambina.
La ragazzina annuì timidamente, al che la donna le porse la
mano.
«Coraggio, vieni» la invitò.
Mirai esitò, poi prese la mano di Bulma, la quale, seguita
da Trunks, la condusse in cucina. Lì la fece accomodare.
La ragazzina si sedette, a disagio.
Bulma le servì formaggi, pane e un po’ di
prosciutto, e non si stupì quando la piccola
divorò ogni cosa.
Le servì inoltre del latte e qualche biscotto.
Quando Mirai ebbe trangugiato pure quello, parve rilassarsi
leggermente. Sorrise, grata e impacciata, a Bulma, la quale
ricambiò di buon grado il sorriso.
«Quanti anni hai?» le chiese.
La ragazzina mostrò le dieci dita delle mani tese, poi, dopo
aver richiuso per un momento i pugni, alzò tre dita.
«Tredici?» fece Bulma.
Mirai annuì.
«Trunks ne ha diciassette» aggiunse Bulma. Poi si
accorse del taglio della ragazzina.
Mentre lo curava, le raccontò un po’ di
avvenimenti, tanto per parlarle, e sul viso di Mirai restò
un’espressione educata ma distaccata.
Quando Bulma ebbe finito si rivolse a Trunks: «Io vado a
cercale degli abiti confortevoli» dichiarò,
accennando ai vestiti piuttosto logori della ragazzina. «Tu
intanto falle vedere la casa».
«Ti lascio con Trunks. Se hai bisogno di qualcosa faglielo
notare» disse a Mirai.
Quest’ultima si limitò a stringere le spalle.
Dopo che la signora se ne fu andata presi a fare alcuni
ghirigori sul
tavolo, usando un dito. Continuai sinché Trunks non mi
chiamò. «Mirai?»
Alzai la testa.
«Vuoi vedere un po’ la casa?» mi
domandò il ragazzo.
Contemporaneamente mi pose davanti un foglio e una matita.
«Allora?»
Ci pensai un attimo, poi scrissi: se per te va bene…
Lui sorrise. Lo guardai, notando che aveva un bel sorriso.
Poi mi domandò piano, quasi non fosse sicuro della mia
eventuale risposta: «Puoi scrivermi come ti chiami?»
A quella richiesta mi irrigidii. Mi morsi un labbro, guardando il
foglio bianco, poi lo spinsi lontano.
Il ragazzo osservò quel gesto di rifiuto, ma non disse nulla.
Mi condusse per i corridoi, mostrandomi molte stanze. Per ultima
lasciò la propria.
Me la fece vedere di buon grado. Il mio sguardo, però, fu
subito attratto dai numerosi libri che vi si trovavano.
Trunks guardò in silenzio Mirai avvicinarsi ai libri.
La ragazzina sfiorò col dito il dorso di un volume, con
un’espressione di nostalgia sul viso. Ritraendo la mano
urtò lievemente un portamatite, ed esso cadde.
Mirai arrossì e si chinò verso di esso.
Contemporaneamente Trunks si era avvicinato in fretta. Entrambi tesero
le mani verso l’oggetto, e quelle si sfiorarono.
Mirai si fece scarlatta in volto e ritirò di colpo la
propria, stando poi a guardare Trunks che sistemava il portamatite.
Il ragazzo infine si girò verso di lei, e le vide
un’espressione mortificata sul viso.
«Non preoccuparti» tentò di
rassicurarla, «ho messo tutto a posto».
Gli occhi strani della ragazzina incontrarono desolati quelli del
saiyan.
Non tentare di fare l’impossibile. È inutile, puoi
provare e riprovare quanto vuoi. Gli esseri umani sott’acqua
non respirano.
Rieccomi!
Ringrazio moltissimo vivvina e bellissima90. Spero continuerete a
seguirmi e a recensire! Poi un ringraziamento speciale va a Pepesale,
la mia “cucciola”, che mi ha aiutata tantissimo.
Per ora non è molto interessante, dal momento che anche
questo capitolo è per introdurre i personaggi.
Però prometto che poi si farà più
bello.
Un abbraccio,
Mirai No
ATTENZIONE: fra poco il titolo sarà cambiato in
“PARLAMI DI PACE”. Penso sia meglio... datemi anche
il vostro parere...
N.B. : Son Kla mi ha fatto notare alcuni errori, che ho corretto, la
ringrazio tantissimo. |
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** La bella addormentata del mare ***
CAPITOLO
3 – LA BELLA ADDORMENTATA DEL MARE
Trunks rimase in silenzio per un bel po’, poi
azzardò: «Sei davvero completamente
muta?»
Mirai aprì la bocca un paio di volte, come mettendo alla
prova le proprie corde vocali. Infine annuì.
Trunks non seppe che dire per colmare quel silenzio.
Non era mai stato bravo con le parole.
Solo introverso e malinconico.
«Però sei riuscita a dire
“Futu”…» alluse, incerto.
La ragazzina si strinse nelle spalle (Trunks notò quanto le
fosse frequente quel gesto) poi si voltò, cercando qualcosa.
Prese un foglio e una matita e tracciò alcune parole. Trunks
si sporse e lesse: è l’ultima cosa che sono
riuscita a dire.
Forse qualcun altro le avrebbe chiesto cosa l’avesse
sconvolta al punto da farle perdere la voce, ma Trunks non lo fece.
“Forse anche io, dopo aver trovato Gohan… Forse
anch’io, se non avessi avuto la mamma, dopo
quell’esperienza sarei diventato muto”.
Per essere appena più sicuro della propria teoria, si
rivolse a Mirai.
«Hai… qualcuno?» chiese cautamente.
La ragazzina lo guardò a lungo, come soppesandolo, infine
fece un indifferente cenno di diniego.
Trunks si irrigidì, urtato non tanto da ciò che
quel gesto stava a significare quanto dal distacco col quale lei lo
aveva eseguito.
Stette a guardarla.
Mirai, sempre noncurante, era immersa in chissà quali
pensieri.
Trunks prese un libro e glielo mostrò. «Ti piace
leggere?» le chiese, scrutandola attentamente.
Lei contrasse un momento le sopracciglia.
Se le piaceva leggere?
Di sicuro prima sì, ma
adesso… fece un gesto vago
con la mano.
Trunks distolse lo sguardo da lei.
Il silenzio iniziò a farsi pesante, ma per fortuna giunse
Bulma a colmarlo.
«Eccomi!» esclamò la donna, la quale
reggeva alcuni abiti. «Tieni» aggiunse
affettuosamente, porgendoli a Mirai, la quale li strinse contro il
petto.
«Spero ti piaccia l’azzurro»
mormorò la scienziata. «Non ho trovato altri
colori. Ah, e saranno un po’ larghi… li indossavo
io qualche tempo fa».
Mirai ascoltò tutte le spiegazioni, impassibile.
Poi Bulma osservò: «Forse è meglio se
prima ti fai una bella doccia».
La guidò in bagno, e poco dopo la ragazzina ne
uscì, lavata e vestita ma coi capelli ancora fradici. Bulma
si munì di pettine e phon, e li asciugò con cura.
Quei vestiti erano diversi da quelli che avevo prima. Erano
caldi e
morbidi, e in più la doccia mi aveva piacevolmente
rinfrescata.
Fissai la mia immagine riflessa nello specchio che avevo davanti. Anche
i capelli, dopo tanto tempo, erano a posto.
Forse mi sarei piaciuta, se solo non fosse accaduta quella
cosa…
Tutto sommato non mi importava granché il mio aspetto, non
mi importava granché di nulla, nemmeno di me stessa.
«Dai, vieni» mi esortò Bulma,
«Trunks è già in cucina ad
aspettarci».
La seguii, sistemandomi nervosamente una ciocca di capelli.
Durante la cena non alzai quasi mai gli occhi dal piatto.
“Se sapesse cosa mi è accaduto” pensai,
mentre Trunks mi porgeva un vassoio, “se sapesse
cos’ho fatto… non sarebbe così gentile
con me”.
Non volevo (dopo tanto subire, ora avevo una volontà, e non
volevo) incontrare il suo sguardo, perché io ero sporca, ma
lui… Lui era puro.
«Dovrò sistemarti nella stanza di Trunks, almeno
per ora» mi annunciò Bulma.
Finita la cena, infatti, mi trovai ad infilarmi tra le lenzuola candide
di un letto proprio adiacente a quello di Trunks.
Lui mi sorrise, augurandomi la buonanotte.
In silenzio, mi adagiai sul materasso. Mamma mia, quant’era
morbido.
«Sai che fra poco andrò indietro nel
tempo?» disse d’un tratto Trunks.
Mi voltai a guardarlo.
«È incredibile, vero?»
sussurrò lui, emozionato.
Incredibile.
Ripetei più volte quella parola dentro di me.
Già. Forse un viaggio nel tempo era una cosa alla quale era
difficile da credere.
Però io l’avevo subito presa per vera. Non mi era
proprio passato per la mente di dubitarne.
Forse non ne avevo voglia.
O forse semplicemente non m’importava.
Trunks, però, riprese a raccontare. Ed io, mio malgrado, fui
catturata dalla sua voce, dai fatti che narrava.
Lo sentii tremare pronunciando un nome, Gohan.
Rimasi perplessa.
Però l’idea, in un suo qual modo, mi piaceva. Mi
piaceva sentire tutto quell’affetto a parlare di una persona.
Forse mi piaceva così tanto perché mi era
estraneo.
Quando mi addormentai non ebbi incubi, né sogni che
lasciassero il segno. Come al solito.
Riposai e basta.
Quando Trunks si risvegliò Mirai stava ancora dormendo.
Il ragazzo la osservò.
“Come fa?” si chiese. “Come
può apparire indifferente a tutto anche nel sonno?”
Soprappensiero il ragazzo si alzò. Fuori il sole era
già sorto, seppur da poco.
Stava pensando, con un misto di attesa e apprensione, al viaggio del
tempo che avrebbe compiuto di lì a poco, quando
l’aumento dell’aura di Mirai lo fece voltare.
La ragazzina si stava stiracchiando. Non appena si fu abituata alla
luce si guardò attorno, la solita indifferenza dipinta sul
volto.
I suoi occhi parvero avere una scintilla d’interessamento
solo quando incontrarono Trunks.
«Ciao» la salutò il ragazzo.
«Dormito bene?»
Lei fece un gesto indifferente.
«Dormito bene?» reiterò Trunks,
irrigidendosi.
Mirai gli rivolse un’occhiata come a dire “Ti ho
già risposto”, ma il saiyan specificò,
inflessibile: «Rispondi o sì o no, e che sia una
risposta sincera».
La ragazzina abbassò la testa confusa. A forza di prendere
tutto con superficialità non sapeva più cercare
una risposta precisa, e non le importava.
Però, davanti allo sguardo malinconico e penetrante di
Trunks, il quale attendeva serio un suo gesto, si sentì in
dovere di fare un cenno preciso.
“Ho dormito bene?” si ritrovò a
chiedersi.
Sconvolta, si rese conto di non saperlo. Non sapeva come capirlo.
Trunks la guardò a lungo, poi abbassò gli occhi,
rinunciando ad una risposta.
«Vieni a mangiare» la invitò in tono
piatto.
Lei prese la tonalità del ragazzo come una manifestazione di
delusione, e ne fu ferita.
Lui notò il disagio della ragazzina, e volle rassicurarla.
Memore dello scetticismo con il quale lei aveva preso le sue precedenti
frasi (“Va tutto bene”) si limitò a
porgerle la mano per guidarla in cucina.
Dopo colazione Mirai andò a sedersi sul letto, immersa in
chissà quali pensieri, con una maschera
d’indifferenza sul volto. Trunks la osservava, ma dopo un
po’ non ce la fece più.
Lui, che era diventato orfano a pochi mesi, lui che non aveva mai avuto
un’infanzia, lui che aveva trovato il corpo del proprio
maestro...
Lui si sentiva sconvolto dall’indifferenza di quella bambina.
Allora prese una decisione.
Fatta quella scelta si alzò e disse: «Mirai, vieni
con me».
Dopo averlo guardato per un momento con perplessità, lei
acconsentì scrollando le spalle, e l’indifferenza
tornò sul suo viso.
«Mamma, noi usciamo!»
Bulma arrivò. «D’accordo!»
Poi, quando Trunks era ormai sulla soglia, chiese: «Dove
andate?»
Il saiyan esitò. Poi rispose: «La porto da
Bruck». Uscì.
Bulma restò immobile per un attimo, poi sorrise.
Mirai stava seguendo Trunks, il quale la teneva per mano.
Stavano percorrendo una strada stretta e non particolarmente benmessa,
sulla quale si affacciavano edifici alti e scuri.
La ragazzina iniziò ad udire un sentore salmastro.
Dopo poco infatti la via sbucò in una spiaggia deserta.
Trunks la condusse sul molo.
Al limite di esso vi era la figura di un uomo intento a scrutare il
mare.
Mirai avvertì l’andatura di Trunks farsi incerta,
poi giunsero alle spalle dell’uomo.
Quello si voltò. Aveva un’enorme barba grigia e la
pelle abbronzata. Gli occhi erano scuri e acuti.
«Bruck...» sussurrò Trunks, con un velo
d’incertezza.
Il vecchio sorrise, osservando il ragazzo. «Perbacco,
Trunks!» esclamò. «Quanto sei
cresciuto!»
Si passò le mani sul vecchio giubbotto mimetico.
«Allora, ragazzo mio, è da un bel po’
che non vieni a trovarmi!»
Non c’era alcuna accusa nello sguardo che gli rivolse, ma il
saiyan abbassò gli occhi. «Già... da
quando è morto Gohan» mormorò con voce
appena percettibile.
Bruck gli diede una pacca comprensiva. «Coraggio, la vita
continua...»
«Sì» replicò Trunks, alzando
gli occhi azzurri. «Ma è più
dura».
Mirai ascoltava interessata.
Bruck, dopo una nuova pacca a Trunks, si rivolse a lei.
«Buongiorno, madamigella!» mi
salutò,
osservandomi minuziosamente.
Abbassai lo sguardo, imbarazzata, prendendo a fissarmi i piedi.
«Come ti chiami?» chiese.
Rivolsi uno sguardo implorante a Trunks, che subito comprese.
«Lei è Mirai» dichiarò,
passandomi un braccio attorno alle spalle, protettivo.
La pelle mi s’infiammò a quel contatto. Sentii il
sangue defluirmi un attimo dal viso, per poi inondarlo, facendomi
diventare bollenti le guance.
«È muta» spiegò intanto
Trunks a Bruck, senza lasciarmi.
Bruck annuì, mentre Trunks narrava come mi aveva trovata.
Quando ebbe finito scostò il braccio. Non seppi se sentirmi
delusa o sollevata.
«Può raccontare una leggenda?» chiese
poi il ragazzo all’uomo.
Lui stette pensieroso per un attimo, poi
s’illuminò. «Questa piaceva molto a
Gohan» affermò, «e sono certo che
potrà piacere anche a lei».
Ciò detto iniziò a raccontare una leggenda
intitolata “La bella addormentata del mare”.
Parlava di un pirata, Ottmar, e del suo secondo, il mago Zaig. Un
giorno Ottmar assaltava una nave e lì vi trovava Elisabetta,
per poi invaghirsi della bellezza della ragazza. La ragazza
però aveva una fata, Estella, che la proteggeva dalla sua
nascita.
Alzai il capo, non mi sarebbe dispiaciuta una fata madrina.
Comunque Bruck proseguì a raccontare dei tentativi di
Estella di salvare Elisabetta, tentativi che vennero sempre sventati da
Zaig. Alla fine la fata prese una decisione: trasformò
Ottmar in un cane e fece cadere Elisabetta in un sonno profondo.
Dopodiché evocò una tempesta che fece affondare
la nave. Zaig, soccorso Ottmar, non poté però
annullare la maledizione di Estella.
Il vecchio pescatore fece una pausa, poi riprese. Il mago
donò l’immortalità al padrone, che da
allora stette a vegliare la sua amata.
Bruck si fermò. Lo guardai, catturata mio malgrado dalla
storia.
«Quando il vento soffia meno forte nella baia»
riprese poi, a voce bassa e raccolta, quasi ci stesse confidando un
segreto, «si sente abbaiare un cane. È Ottmar che
fa la guardia. Solo chi saprà domare il cane feroce
potrà svegliare la bella Elisabetta».
Alzai un sopracciglio.
«Non essere scettica» mi rimproverò
bonariamente Bruck. «Su questo puoi essere sicura. Io lo so,
me l’ha detto Estella».
Lo guardai affascinata, pensando che quella frase stava proprio bene.
In quel momento intervenne Trunks. «Perché uno
dovrebbe domare Ottmar?» chiese, scrollando le spalle.
«Mi piace l’idea di questa sua strana
fedeltà. E poi, potrebbe non esserci nessuno così
fedele come il pirata».
Bruck sorrise.
«Sei proprio allievo di Gohan» affermò.
«Lui ha detto le stesse cose».
ATTENZIONE: “La bella addormentata
del mare” esiste
davvero, è una storia tradizionale! Io ne ho fatto un
riassunto, ma ricordo di averla letta su un qualche libro. Non appena
lo troverò inserirò il titolo (o non è
necessario dato che la storia è tradizionale?!).
Ciao! Scusate il ritardo.
Ringrazio moltissimo carol2112 e Heather91, che hanno aggiunto la
storia tra le preferite.
A carol2112: sono felice che questa storia ti abbia interessata. Anche
per me Mirai Trunks è il mio personaggio preferito.
A vivvina: grazie per i complimenti. Per il titolo (che non ho ancora
cambiato) pensavo di farlo diventare “Parlami di
pace” perché quello che c’è
ora è parecchio lungo... però devo pensarci su.
A Pepesale: ciao, carissima. Grazie. Non devi sentirti imbarazzata, mi
hai aiutata davvero moltissimo per questa storia.
A maryana: grazie, fammi sapere (il messaggio vale anche per le altre
ovviamente) se ti è piaciuto anche questo capitolo.
(Ho corretto l’età di Trunks, ha 17 anni, non 16
come avevo scritto prima nel secondo capitolo).
Non so quando potrò aggiornare ancora, mi spiace tanto.
Tengo a specificare (ancora!) che ormai Mirai è quasi
totalmente affidata a Pepesale, i suoi suggerimenti (e i pezzi che ha
scritto) mi sono stati di grande aiuto. Praticamente il personaggio
è suo, anche se non sa perché è muta.
Alla prossima, un abbraccio grande.
Mirai No
P.S. Spero che il capitolo non sia noioso anche se ho deciso di
rimandare (di nuovo!) l’azione.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Ombre ***
CAPITOLO
4 – OMBRE
Trunks osservò Mirai, notando che la ragazzina era risultata
interessata al racconto.
Anche ora che Bruck aveva ormai concluso la sua leggenda da qualche
minuto, sembrava ancora intenta a rifletterci sopra.
“Ho fatto la scelta giusta” rifletté il
saiyan, nonostante Bruck gli ricordasse davvero molto alcuni momenti
passati insieme a Gohan.
Si passò una mano davanti al volto per allontanare un ciuffo
di capelli lilla, e con la coda dell’occhio gli
sembrò di intravedere qualcosa. Non guardò
meglio, sapendola un frutto dell’immaginazione, al massimo un
ricordo, ma l’aveva riconosciuta immediatamente, benissimo.
Richiamò la ragazzina, dicendo: «Forse
è meglio che andiamo a casa, è quasi ora di
pranzo».
Bruck lo salutò, poi diede un buffetto a Mirai, la quale
arricciò appena il naso.
Il saiyan si allontanò, poi, quando i suoi piedi arrivarono
ad affondare nella sabbia tiepida, si voltò appena. Ed
eccola lì, ancora quella visione, quasi non si fosse mai
mossa. Non poteva guardarla direttamente, perché in quel
caso sapeva che sarebbe scomparsa ed al suo posto sarebbe rimasto solo
il mare.
Ma la capì benissimo. Era un suo ricordo, dopotutto.
Un ragazzo moro, seduto su uno scoglio, a guardare il mare. Senza il
braccio sinistro, con il sorriso sulle labbra.
“Gohan...”
Trunks strinse più forte la mano di Mirai, poi volse con
decisione lo sguardo, completamente. La ragazzina lo guardò.
Non con indifferenza, ma con stupore.
Trunks trovò che la sua espressione fosse perfetta.
Quando arrivarono alla Capsule Corporation Bulma aveva già
preparato il pranzo. Mentre mangiavano, Mirai non alzò
nemmeno una volta gli occhi ad incontrare quelli di Trunks. Sembrava
però infastidita dai ciuffi di capelli che le ricadevano
continuamente sul viso, e li spostava seccamente. Stavano sparecchiando
quando la ragazzina sentì il giovane dire: «Mamma,
oggi posso andare a pulire in soffitta, se ti fa piacere».
Bulma gli sorrise. «Grazie, tesoro».
Mirai si passò le mani sui pantaloni, chiedendosi se sarebbe
potuta andare con il ragazzo.
Aiutò Bulma a sistemare i bicchieri, poi andò
vicino ad una finestra, prendendo a guardare fuori, sebbene sul suo
volto non ci fosse traccia di interesse.
Poi Trunks uscì dalla stanza.
La ragazzina si staccò dal vetro, seguendolo con lo sguardo.
Esitò qualche attimo, poi lo seguì
silenziosamente.
Salì i gradini stando attenta a non fare rumore. Non poteva
sapere che Trunks, grazie alla propria abilità nel percepire
le aure, l’aveva già localizzata, pur non
fermandosi.
Mirai fissò la scala, corrugando la fronte. Le sembrava come
di ricordare qualcosa… Tipo un gioco in cui provava a
saltare un gradino restando in equilibrio… Forse. Confusa,
si chiese se fosse un vero ricordo o solo un sogno. Scrollò
le spalle. Non lo sapeva.
Quando le scale finirono si ritrovò davanti ad una porta
aperta. Entrò sicura, guardandosi attorno.
«Ciao» la salutò cordialmente Trunks,
vedendola.
Lei lo guardò e accennò un movimento della mano.
Il ragazzo appoggiò uno scatolone e così facendo
sollevò una tale nuvola di polvere da far tossire Mirai.
«Scusa» fece, imbarazzato, non appena la ragazza
tacque.
Lei agitò la testa, poi gli si avvicinò, spiando
le scatole che aveva attorno.
«Dovrei sistemarle secondo il loro contenuto» le
spiegò Trunks. Abbassò lo sguardo sui recipienti.
«Il problema è che a quanto pare mi
toccherà ordinare anche il contenuto».
“Vuoi una mano?” La frase era lì.
Precisa, ben chiara nella sua mente. Mirai la valutò
timorosamente, non sapendo come fare a comunicarla.
«Mi vorresti aiutare?» chiese però
Trunks, quasi le avesse letto nel pensiero.
Niente gesti vaghi questa volta.
Solo un movimento deciso del capo che significava sì.
Il saiyan sorrise.
«Bene, allora puoi mettere i tessuti, i pezzi di stoffa e le
cose simili qui?»
Lei annuì di nuovo, prendendo la scatola che il saiyan le
porgeva. Poi andò a sedersi in un angolo, circondata da
scatoloni, e iniziò a frugarvi.
Trunks le voltò le spalle, soddisfatto. Pensò che
sembrava proprio che ora le piacesse annuire. Sorridendo appena,
iniziò a sistemare alcune viti.
Stava appunto cercando di recuperare un bullone che si era infilato tra
due travi che lo sguardo gli cadde su Mirai.
Trasalì. La ragazzina stava guardando con grande interesse
una striscia di stoffa blu. Trunks la riconobbe subito: era una delle
tante fasce che erano avanzate a Gohan nel fabbricarsi una tuta uguale
a quella del padre, Son Goku.
«Mirai» la chiamò sommessamente. Lei,
udendolo, si bloccò nell’atto di infilare quella
striscia tra gli altri tessuti radunati.
Il ragazzo le si avvicinò. «Era qui?»
mormorò, togliendole delicatamente la fascia di mano e
mettendosi a palparla pensieroso. La ragazzina annuì
seccamente, poi lo guardò incerta.
«È un po’ sfilacciata»
constatò piano Trunks.
Lo sguardo di Mirai si fece maggiormente perplesso.
“È solo un pezzo di stoffa, solo un
oggetto” sembrava dire la sua espressione.
Trunks sorrise. «Certo, è solo una cosa»
affermò, guardandola teneramente, suscitando ancora
più stupore nel suo sguardo. «Ma, vedi»
proseguì, appoggiando il centro della fascia sulla sua
fronte e tirandone le estremità, «non è
come sono gli oggetti l’importante. Quel che importa
è il significato che si dà loro»
concluse, legando la striscia.
Mirai si toccò esitante quella fascia improvvisata per
capelli. Infine sembrò piacerle. Non sorrise, ma
annuì.
Trunks si sentì più rilassato. Guardò
Mirai e pensò che con la banda a trattenerle i capelli sulla
fronte stava proprio bene.
Di colpo, iniziò a ridere. Il suono della propria risata lo
stupì, non rideva spesso, non ne trovava quasi mai il motivo.
Mirai lo guardò perplessa, poi sorrise a propria volta.
Una grondaia rotta gocciolava ininterrottamente. Il vicolo era stretto
e buio. Per non parlare dell’odore che emanava, il quale non
era certo dei migliori.
Ma lui non se ne curò. Da sempre l’ombra era la
sua casa.
Da sempre si appostava in luoghi che altra gente evitava come la peste.
Annusò l’aria, fremendo come un animale.
Gli mancava l’odore del sangue.
Mirai stava giocherellando con un bicchiere pieno d’acqua.
Trunks era andato ad allenarsi. Veramente l’aveva invitata a
seguirlo, ma lei sapeva di non potergli essere d’aiuto,
perciò aveva rifiutato da subito.
Ora però non sapeva veramente che fare.
Aveva appena finito di formulare tale pensiero quando Bulma
entrò in cucina. «Ho trovato un’altra
felpa della tua misura!» annunciò la donna,
mostrandogliela.
Mirai pensò che molto probabilmente era larga anche quella,
ma non le importava molto. Le piaceva quell’azzurro.
Ringraziò la donna con un cenno e bevve l’acqua.
Bulma sospirò, guardando fuori dalla finestra.
«Ormai è tempo» mormorò.
«Fra poco Trunks farà il viaggio nel
passato» spiegò poi, in risposta allo sguardo
interrogativo di Mirai.
La ragazzina portò il bicchiere dalla lavastoviglie, poi
salì le scale, correndo nella stanza di Trunks. Una volta
entrata si avvicinò alla finestra, pensierosa.
Già, il viaggio nel tempo… l’aveva
quasi scordato…
“Perché vuole andare nel passato?” si
chiese improvvisamente.
Dopotutto, non poteva essere tanto meglio del presente, no?
Tirò appena la felpa (troppo grande per lei) e
incollò il viso alla finestra, guardando fuori. Il vetro era
freddo, ma le piaceva quella sensazione di fresco sulla pelle.
Trunks, intanto, era in una palestra parecchio tecnologica costruita da
sua madre ad allenarsi. Scagliò alcuni pugni
all’aria, poi ne fece seguire una rapida successione di
calci. Dopo essersi deterso il sudore dalla fronte (era da un bel
po’ che si allenava) si fermò per un attimo.
Decise che per quel giorno poteva bastare. Quindi concluse con alcune
flessioni e qualche esercizio con la spada.
Dopodiché prese il fodero con l’arma e si diresse
a fare una bella doccia rinfrescante. Conclusa anche quella
andò in camera.
Quando entrò vide Mirai incollata al vetro. La ragazzina,
appena lo sentì, si scostò.
«Ciao» la salutò lui.
Lei afferrò rapidamente un foglio e una penna, scrisse
qualcosa e poi glielo mise sotto gli occhi.
«Perché voglio andare nel passato?»
chiese Trunks, ripetendo la domanda che aveva letto.
Mirai annuì.
«Be’, per tentare di cambiare il presente, no? O
per creare un mondo migliore» rispose il ragazzo.
«Tu non faresti forse lo stesso se ne avessi la
possibilità?»
Le piaceva annuire, ma a quella domanda non poté porre quel
gesto. Perché non ne era sicura.
Tormentando la felpa, si guardò attorno nervosamente. E di
colpo una sensazione la colpì: odore di sangue, talmente
forte da darle la nausea e farle salire le lacrime agli occhi. Non era
possibile!, implorò. Non adesso! Iniziò a
guardare da una parte e dall’altra, agitata.
Ombre… ombre scure che le si protendevano sulla
visuale… Mani artigliate… quella
sensazione…
«Mirai! Mirai!»
Ritornò al presente. Trunks la teneva saldamente per le
spalle, il letto era tutto in disordine… Doveva aver
scalciato… E anche tanto.
«Che c’è?» le
domandò il ragazzo, ansioso. Lei abbassò lo
sguardo, soffocando le lacrime. Oddio, l’aveva sentito
così vicino.
“Sta arrivando”.
Del resto, l’aveva anche detto, no? “Tu sei parte
di me… io sono parte della tua anima… Ti
troverò dovunque”.
Dovunque… “Anche qui?” si chiese la
ragazzina, sempre senza guardare Trunks che la scrutava apprensivo.
Sperò di no, dato che lei non voleva andarsene.
«Tutto a posto?» chiese cautamente Trunks.
Lei annuì, ma era lampante quanto fosse il contrario.
Il ragazzo non aggiunse nulla.
Quella sera Mirai fece finta di addormentarsi subito, mentre non
riuscì ad appisolarsi, il cuore che batteva
all’impazzata.
Rabbrividii sotto le coperte. Perché ancora?
Aprii gli occhi, stando immobile. Nel letto accanto a me Trunks era
profondamente addormentato, i capelli sparsi sul cuscino. Sentii un
nodo allo stomaco. Io non volevo andare via. Non volevo perdere quel
ragazzo che mi guardava in quel modo… che mi faceva sentire
felice. Né volevo allontanarmi da sua madre, la quale mi
sorrideva sempre, facendomi sentire stranamente calda e rassicurata.
Allontanai quei pensieri. Cercai invece di pensare da quanto andasse
avanti quella storia…
La prima volta che l’avevo sentito… Con
l’odore di sangue che mi irritava il naso e le ombre che mi
si stagliavano davanti agli occhi…
Doveva essere stato quando avevo fatto quell’orrendo errore,
quando avevo smesso di ridere… Poi quando avevo avuto la
forza di compiere quel gesto, disinteressandomi del mondo. E infine la
cosa più terribile. Quando mi ero resa conto che
c’era qualcosa che mi seguiva, lui… Quando le
corde vocali avevano smesso di obbedirmi, non potevo neanche
più urlare.
Affondai la faccia nel cuscino. La federa sapeva di bucato.
“Perché proprio ora che ho ripreso a provare delle
emozioni, che ho scoperto quanto sia strano… e
bello… Perché proprio ora deve
tornare?” mi chiesi stringendo gli occhi.
Guardai di nuovo Trunks. Ascoltai il suo respiro trattenendo il mio.
Era piacevole. Chissà cosa sognava? Con quella domanda in
testa alzai la schiena, sporgendomi verso di lui. Lo scrutai.
Impossibile capirlo dalla sua espressione, che comunque mi piacque.
Mi risdraiai, ma non riuscii a dormire. Tenni gli occhi spalancati a
guardare il soffitto. Avevo troppa paura per lasciare che il sonno si
stendesse tranquillo a rilassarmi i muscoli.
Al mattino sentii Trunks svegliarsi e mi alzai, tremando per la
stanchezza. Lui mi scrutò.
«Non hai dormito?» disse. Forse era più
un’affermazione che una domanda, ma io pensai di rispondere.
Già… ma rispondere cosa?
Non avevo ancora finito di domandarmelo che Trunks mi venne dietro,
circondandomi con le braccia. «Dormi pure» mi
sussurrò all’orecchio. «Io ti
resterò vicino».
Continuò a bisbigliarmi frasi, ma dopo poco mi accorsi di
non capirne più il senso, mentre le palpebre mi si facevano
via a via più pesanti. L’ultima cosa che sentii
prima di addormentarmi fu l’alito del ragazzo sulla mia
guancia.
Trunks stette immobile per qualche attimo, poi sollevò Mirai
e la poggiò sul letto. Era profondamente addormentata.
Sorridendo, il ragazzo le si sedette accanto.
Qualche ora dopo la ragazzina sbadigliò. La sua mano
salì agli occhi e li sfregò con veemenza, poi di
colpo interruppe quel gesto, sollevando le palpebre. Si
drizzò a sedere, guardandosi attorno.
Il saiyan le toccò la spalla, attirandone
l’attenzione.
Lei si voltò. Non poteva parlare, ma il messaggio del suo
sguardo fu chiaro.
«Prego» rispose il ragazzo, scrollando le spalle.
«Potremmo andare a mangiare? È già ora
di pranzo» aggiunse, a mo’ di scusa, «ho
una fame…»
Mirai annuì, poi si guardò attorno e
recuperò la striscia di stoffa blu, legandosela nuovamente
in fronte con l’aiuto di Trunks.
Scesero le scale, e Bulma li accolse calorosamente, seppur stupita da
tanto ritardo. Quando però Trunks le spiegò il
motivo decise che era un’ottima scusa, e li servì
generosamente. Mirai sembrava terribilmente affamata, tanto che,
accanto a lei, il solito appetito di Trunks non risaltava molto.
Bulma osservò stupita la ragazzina. «Non credevo
ci fosse qualcuno in grado di competere con la fame del mio
saiyan!» dichiarò.
Trunks inghiottì un pezzo di pane. “Come se di
saiyan ce ne fossero altri in giro…”
pensò malinconicamente.
Mirai invece sembrava piuttosto perplessa.
Bulma le sorrise. «Trunks non è interamente un
terrestre» dichiarò orgogliosa. «Suo
padre era un saiyan».
La ragazzina non mutò d’espressione. Di certo,
però, un’altra persona avrebbe avuto una smorfia
molto più esterrefatta.
La donna si mise a spiegare qualcosa sui saiyan, le maggiori nozioni,
per lo meno. Si aspettava altre occhiate interrogative, ma Mirai parve
soddisfatta da quel racconto sommario, e perse subito ogni interesse
per l’argomento, lasciando di stucco la scienziata.
«Mirai» la richiamò Trunks, chinandosi
verso di lei. «I saiyan erano un popolo guerriero, abitavano
sul pianeta Vegeta (chiamato così in onore dei loro sovrani,
che portavano tale nome) e non conoscevano la
pietà…»
La ragazzina alzò la testa, parendo di nuovo catturata
dall’argomento. Il saiyan mestizio, lieto del successo
riscosso, continuò il proprio racconto di buon grado. Quando
tacque, Mirai ricambiò il suo sguardo con
un’occhiata soddisfatta.
“Si è interessata” pensò
sollevato il ragazzo.
Aveva appena formulato tale pensiero che la ragazzina
allontanò da sé con decisione la scodella,
rendendo evidente il fatto che non avesse più fame.
«Vieni» la invitò allora Trunks,
«ti faccio vedere la mia spada».
Lei lo seguì su per le scale. Guardò attenta il
fodero, e il suo interesse parve aumentare ulteriormente quando il
ragazzo estrasse l’arma.
«Vuoi tenerla un po’ tu?»
offrì il giovane, ricevendo come risposta un annuire
alquanto deciso. Dopo averle sistemato l’improvvisata banda
per capelli che a tale gesto le era scivolata appena sulla fronte, le
porse cautamente la spada. Mirai la prese timorosa. «Ti
piace?» le chiese il saiyan, scrutando attento la sua
reazione.
Lei stette a guardare per qualche attimo il lucore dell’arma,
come ipnotizzata, poi si volse verso il ragazzo, facendo di
sì con la testa. Infine gliela restituì, seria.
Scusate il ritardo, ma ho avuto un sacco di
problemi, e non avevo quasi
mai tempo per scrivere.
Ringrazio chi ha recensito:
maryana: grazie per la rassicurazione, mi spiace ma anche stavolta
l’azione è carente… In compenso credo
di aver dato qualche elemento di mistero. Anche io sto iniziando ad
affezionarmi a Mirai. Il titolo resterà così
infine, dato che ho notato che piace.
carol2112: ho stuzzicato ulteriormente la tua curiosità?
Spero di sì. (W Mirai Trunks^^)
Pepesale: grazie per il commento e per la mail
d’incoraggiamento. Mi spiace ma ad aggiornare presto non ce
l’ho fatta.
vivvina: contenta che il mio personaggio ti piaccia, ci tenevo davvero
molto a renderlo speciale. Aspetto la tua prossima recensione!
trullitrulli: sono felice che la mia storia ti sia piaciuta.
Tranquilla, alla fine ogni mistero si chiarirà, spero di
aver mantenuta viva la voglia di leggere il seguito. In quanto al
viaggio nel tempo… a dire il vero non ho ancora ben deciso!
Chiarisco: saprei cosa far succedere nel caso Mirai lo accompagnasse
nel passato, ma devo decidere se farcelo stare, se potrebbe
interessare, insomma, in quanto non avrei cambiato molto gli
avvenimenti.
Fatemi sapere il vostro parere su questo capitolo, ci tengo davvero
tanto!
Un abbraccio,
Mirai No
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Gocce di ricordi ***
La leggenda
nominata ad un certo punto da Trunks è ispirata
alla prima One-Shot, intitolata appunto “Gocce di
ricordi”, di una fiction Originale Introspettiva di Pepesale,
“Pioggia”. A scanso di equivoci, chiarisco subito
che ho il consenso dell’autrice
CAPITOLO
5 – GOCCE DI RICORDI
Ansimava.
Era buio, un’ombra pece, raggelante. I suoi muscoli si
fletterono, impazienti di lanciarsi sopra una preda.
Ma tutt’attorno era deserto. Gli abitanti, terrorizzati dai
cyborg, si guardavano infatti dall’uscire di casa la notte.
Il suo corpo flessuoso fremette.
Un odore eccitante lo colpì… paura,
ansia…
I suoi occhi vagarono con ingordigia tutt’attorno. Infine si
posarono su una sagoma poggiata a terra, coperta di sangue.
Brontolò deluso, qualcuno aveva già fatto la
maggior parte del lavoro.
La persona tremava.
Lui indugiò. Che fare? Finirla? Decise di no, tanto
più che quella era già spacciata… non
ci sarebbe stato divertimento.
Ma si avvicinò comunque. L’umano, oramai in preda
al delirio, non si accorse della sua presenza, ed esso poté
affondare il muso nella pozza di sangue. Mugolò di piacere,
poi si rialzò.
Le tracce della sostanza vermiglia brillarono quiete alla luce tenue
della luna.
Per il resto era buio. E il buio era la sua dimora.
Mirai si risvegliò in un bagno di sudore. Si pose le mani
sulle guance, coprendosi gli occhi. Era sempre più vicino.
La ragazzina si alzò e si diresse barcollante in bagno, dove
si risciacquò abbondantemente il volto.
Si passò l’asciugamano sulla faccia e
scrutò il proprio riflesso.
Uno sguardo sorpreso e spaventato ricambiò in modo identico
il suo.
«Ti sei svegliata» osservò una voce alle
sue spalle. Lei si voltò, trovandosi davanti Trunks. Lui si
grattò appena la nuca, imbarazzato.
«Scusa» fece, «ti avevo sentita alzarti e
volevo assicurarmi andasse tutto bene». La fissò
comprensivo. «Incubi?»
Lei pensò che non fosse il termine più adatto, ma
di certo era quello che più si avvicinava alla
realtà, perciò annuì.
«Be’» indugiò Trunks,
«qualunque cosa fosse ora è passata, no?»
“Non esattamente” pensò la ragazzina, ma
si sforzò di fare cenno di sì.
Lui la indagò in silenzio con quel suo sguardo triste e
penetrante.
Mirai spostò nervosamente il proprio peso da una gamba
all’altra. Il ragazzo lo notò, ma non disse nulla,
di nuovo.
Infine la ragazzina, gettandogli un’occhiata, uscì
in fretta dal bagno. Lui lanciò uno sguardo interrogativo
allo specchio, poi sospirò, seguendola.
Quando entrò in cucina la radio era accesa: stavano
trasmettendo un brano di musica. Di colpo si interruppe.
Il ragazzo, consapevole di quanto stavano per annunciare, si
voltò, chiudendo gli occhi, mentre Mirai lo guardava
perplessa.
«Interrompiamo le trasmissioni per dare le ultime notizie
sugli spostamenti dei cyborg…» Trunks si
allontanò, non voleva sentire dove fossero.
La ragazzina invece ascoltò tutto, ma non diede segno di
inquietarsi… sembrava già agitata per un altro
motivo.
Bulma tremò appena, ma non disse nulla. Non voleva
angosciare maggiormente il figlio, anche perché gli leggeva
negli occhi la sofferenza che provava per il fatto di non poter
contrastare la forza degli androidi. Poco tempo prima ci aveva provato
e aveva subito una sconfitta durissima.
Il saiyan incrociò gli occhi della madre e vi lesse quel
ricordo che aveva a sua volta evocato in quell’istante,
quindi si rivolse a Mirai: «Vuoi vedere la macchina del
tempo?» domandò.
Lei si portò una mano alla fascia che le scostava i capelli
dalla fronte. Infine annuì, nonostante nella
realtà non le interessasse più di tanto. Lui la
prese allora per mano, conducendola nell’hangar dove,
circondata da fili e cavi, stava l’incredibile mezzo.
Gli occhi di Mirai vagarono sulla struttura della macchina per qualche
istante, ma mantenne sempre un’aria distaccata.
Trunks mi ricondusse in casa. «Ti è
piaciuta?» domandò.
Esitai.
A dire il vero non mi era parso niente di speciale, ma ero sicura che
dirlo non sarebbe stato per nulla gentile nei confronti del ragazzo, il
quale invece sembrava tenerci davvero molto.
Inghiottii un po’ di saliva e assentii.
«Io vado ad allenarmi» mi annunciò.
Mi lasciò la mano. Stetti a guardarlo mentre scendeva le
scale, con un nodo alla gola. Avrei voluto che non se ne andasse.
Mi sarebbe piaciuto tenere ancora la sua mano, specialmente ora, che
avevo così paura. Era inutile negarlo.
Lui era di nuovo sulle mie tracce. Formulando quel pensiero desiderai
ancora di non aver mai lasciato la mano di Trunks.
Chiusi gli occhi.
Lo vedevo. Non in veri termini di immagini, piuttosto lo percepivo. Lo
sapevo in movimento, e potevo immaginarmelo benissimo… quei
suoi muscoli guizzanti, i contorni sfuggenti… Mi parve
persino di sentire il suo fiato sulla faccia.
A quella sensazione aprii di scatto gli occhi, per assicurarmi che non
fosse realmente davanti a me.
Sospirai di sollievo vedendo solo le scale e i muri della Capsule
Corporation.
Rialzando le palpebre la realtà presente aveva soppiantato
quelle sensazioni di averlo vicino, sensazioni che avevano lasciato di
sé solo un sentore lieve di sangue.
Rabbrividii istintivamente, strofinandomi le braccia tra loro.
Poi, dopo un attimo di esitazione, corsi giù dalle scale,
fino a che non giunsi alla porta che dava sul giardino.
Uscii. Mi guardai attorno. Qualcosa mi suggeriva che un tempo doveva
essere stato un parco molto esteso, mentre ora era tutt’altro
che vasto.
L’erba era di un bel verde. Un sentierino di pietre piatte,
probabilmente costruito per i giorni di pioggia in cui a camminare sul
prato ci si sarebbe di certo impantanati, lo attraversava in tutta la
sua larghezza. Alcuni alberi lo fiancheggiavano. Non ero affatto brava
nel riconoscere le piante, ma era piuttosto sicura che quello
più vicino a me fosse un ciliegio.
Guardai più avanti e vidi un box di scarse dimensioni,
ricoperto da piante rampicanti. Mi avvicinai e scostai una foglia
d’edera.
Notai che il muro doveva essere stato, un tempo, dipinto di bianco, ma
ormai la vernice era sporca e scrostata. Pensai che fosse un peccato.
Indugiai un attimo a guardare la siepe che aderiva al cancello, poi mi
sedetti con la schiena appoggiata al ciliegio.
La sua corteccia ruvida mi irritò appena la pelle, ma non vi
badai, alzando la testa; tenendo gli occhi chiusi rivolti verso i raggi
di sole. Erano timidi, agosto iniziava a farsi sentire: nonostante
fosse ancora estate la temperatura si era decisamente rinfrescata.
Non avrei saputo dire per quanto tempo rimasi lì, seduta
contro il ciliegio. Quella posizione mi piaceva, mi faceva sentire
rilassata.
Mi scostai, aprendo gli occhi, solo quando udii la voce di Trunks
chiamarmi: «Mirai! Mirai!»
Mi alzai, guardandomi attorno, poi rientrai. Lui era davanti
all’ingresso, quasi avesse intuito dove potermi trovare.
Lo salutai agitando la mano, imbarazzata. Lui mi guardò a
lungo.
Infine commentò: «Ti ha fatto bene prendere un
po’ d’aria» e nel suo tono percepii
qualcosa di strano, come se avesse fatto quell’osservazione
solo perché non sapeva che altro dire. Mi grattai un
sopracciglio.
Aveva preso un’arma.
Grugnì divertito dentro di sé.
Quant’erano sciocchi gli umani, terribilmente sciocchi e
fiduciosi nei loro stupidi strumenti.
Possibile che l’esperienza che stavano vivendo coi cyborg non
avesse insegnato loro niente?
Scoprì i denti e l’umano indietreggiò,
spingendo però avanti quel suo oggetto.
Probabilmente l’ultima cosa che vide furono i muscoli
dell’ombra che aveva davanti piegarsi per dare forza al balzo.
Poi più nulla. Solo un liquido scuro che, silenzioso,
formava una pozza nell’ombra.
Mi passai la mano davanti agli occhi, tremante. Ancora quella
sensazione.
Non era pacifico. Ma, dopotutto, lo era forse mai stato?
Sbattei più volte le palpebre per scacciare quella
sensazione di eccitazione che, provata da lui, sentivo ora riecheggiare
nella mia mente.
Accidenti. Accidenti. Lo pensai più volte, con le mani sulla
fronte.
“Smettila” lo apostrofai mentalmente, pur sapendo
che non avrebbe sentito nulla. “Basta. Io non ho nulla da
spartire con te”. Però, appena ebbi finito di
formulare la frase, un brivido mi corse lungo la schiena.
Non avevo nulla da spartire con lui… Ma era davvero
così?
Chinai la testa, sentendomi improvvisamente addosso una terribile
voglia di piangere. Se solo quella volta non avessi fatto
quell’errore…
Strinsi i denti, costringendomi ad allontanare quei pensieri, almeno
per un po’.
Quanto avrei voluto essere ancora aggrappata alla mano di
Trunks…
17 sbuffò seccato. «Che noia»
constatò, guardandosi attorno.
«Avevo detto che avremmo dovuto spostarci!»
sbottò C-18. Il gemello la guardò.
«Forse avevi ragione» sospirò.
«Ma, vedi, io temo che se distruggessimo subito tutto,
finirebbe il nostro divertimento in un attimo… Non potevo
certo immaginare che gli umani ne approfittassero per
nascondersi».
La ragazza allontanò seccata un ciuffo di capelli biondi
dalla fronte.
«Cosa speravi?» lo provocò.
«Che succedesse un caso come quello di otto anni
fa?»
17 contrasse per un attimo le labbra. «Forse».
18 lo guardò. «Scemo» lo
rimproverò, annoiata. «Il mondo non è
fatto tutto da bambine ingenue come quella
là…» Diede un calcio ad un sasso.
L’altro cyborg osservò la traiettoria dipinta
dalla pietra, la quale andò ad infrangere un vetro.
Si strinse nelle spalle. «A proposito, bella mira».
«Sono stufa, andiamo».
Aveva cominciato a piovere.
Era da molto che non succedeva, pensò Trunks, guardando le
gocce che picchiavano insistentemente sui vetri.
Per non parlare del fatto che quella mattina c’era il sole.
Ripensarci guardando il cielo che era ora terso di nubi sembrava
incredibile.
Il ragazzo sospirò appena, rabbrividendo. Non gli piacevano
i temporali, e, nonostante a volte si dicesse che era infantile, la
pioggia gli provocava un certo disagio. Gli ricordava troppo il giorno
in cui aveva trovato Gohan morto. Rabbrividì nuovamente,
tentando di allontanare quel ricordo che gli aveva stretto lo stomaco.
Scosse la testa ed andò nel salotto.
Scorse Mirai, seduta sul divano. La schiena abbandonata sullo
schienale, la ragazzina stava rimirando il soffitto in modo alquanto
disinteressato.
«Ciao» la salutò Trunks, sperando
proprio malgrado di scoprirla inquieta. In quel caso almeno
l’avrebbe potuta consolare, allontanando i propri brutti
ricordi.
Lei lo guardò appena, distogliendo lo sguardo subito dopo
con fare quasi colpevole. Sì, era inquieta. Ma forse la
prima a non capirlo era proprio lei.
Il ragazzo le si sedette accanto. «Non mi piace la
pioggia» si sentì dichiarare.
Mirai lo fissò, appena sorpresa. Non aveva mai pensato che a
qualcuno potesse non piacere un tempo meteorologico. Per lei, che fosse
bello o brutto non faceva differenza. Ma, in qualche modo, seppur non
comprendendolo non poteva consolarlo, si sentì in dovere di
ascoltare le sue stentate spiegazioni.
«Sai… un giorno io…» Trunks
deglutì. La ragazzina lo guardava. Si passò una
mano sulla fronte. «Ho trovato il mio maestro…
senza vita».
Pronunciò in tono normale le ultime due parole, ma,
dall’esitazione che aveva avuto prima di dirle, Mirai
intuì che non avesse voluto usare l’espressione
“morto”. Se ne chiese il perché. Una
parola, dopotutto, non poteva far male.
«Quel giorno pioveva» riprese Trunks. Si
schiarì la gola. «Per questo la pioggia non mi
piace molto. Mi fa tornare in mente quel fatto».
Guardò Mirai, notando che la ragazzina non aveva staccato
gli occhi da lui nemmeno per un momento da quando aveva iniziato a
parlare. Si sentì appena un po’ meglio.
Poi lei distolse gli occhi, tornando ad immergersi nei propri pensieri.
Ma non sembrava le interessassero molto, dato che dal suo viso non
traspariva nulla. Sbatteva le palpebre di tanto in tanto.
Trunks la osservò. Con addosso quei vestiti di una misura di
troppo sembrava ancora più gracile. Le mani erano raccolte
in grembo, mentre sulla fascia blu che le copriva la fronte poggiavano
alcuni ciuffi castani.
Improvvisamente provò una strana sensazione, guardandola
indossare cose che erano appartenute a sua madre e una a Gohan. Era
come se in qualche modo si portasse a dietro i ricordi di quelle due
persone, per lui importantissime.
Sorrise appena a quei pensieri, senza più badare
all’incessante battere della pioggia.
Mirai abbassò un attimo lo sguardo ad incontrare quello
appena rasserenato di Trunks. “Perché non ha
voluto usare la parola ‘morto’?” le
tornò da chiedersi.
Allora si domandò se sarebbe stato meglio avere ancora la
voce per domandarglielo. Strinse le labbra. No. La sua voce aveva
già fatto abbastanza danni. Forse era meglio
così… era meglio che lei non potesse
più parlare.
Si alzò, ma così facendo urtò
incidentalmente contro il tavolino posto al fianco del divano. Uno
degli oggetti che era poggiato lì sopra fino a poco prima
cadde.
Arrossendo, Mirai si chinò a raccoglierlo. Era una foto
incorniciata e, girandola, non poté fare a meno di guardare
cosa rappresentava.
Una donna con capelli turchini, sorridente, reggeva un neonato
imbronciato dai grandi occhi blu.
La ragazzina scrutò il bambino corrugando la fronte. Trunks
sorrise di fronte al suo sguardo. «Ero io da
piccolo» spiegò.
Mirai non cambiò espressione e rimise la foto al suo posto.
Incerta, accennò un passo per andarsene, ma fu bloccata
dalla voce di Trunks. «Sai… quando ero un
bambino… Bruck mi aveva raccontato una leggenda sulla
pioggia».
Lei si voltò per ascoltare.
Trunks proseguì: «Diceva che le gocce sono i
ricordi che le nuvole lasciano sul mondo per ricordare agli umani
com’era questa terra…» Tacque.
«È strana, vero?» domandò poi.
Mirai ne convenne in silenzio. Si avvicinò al vetro della
finestra, tornando ad estraniarsi dal mondo, e guardò a
lungo le gocce che scivolavano su quella superficie liscia.
Non sembravano tracciare strisce bagnate a caso… piuttosto
disegnavano qualcosa che lei non riusciva bene a definire, ma che le
donava una strana inquietudine.
Stette ferma lì, con quelle gocce di ricordi che
somigliavano tanto alle lacrime che una volta le avevano bagnato il
viso.
Mi scuso, con le persone sensibili a questo
argomento, per le varie
volte che ho nominato il sangue. Serviva principalmente per
identificare meglio “la cosa” che segue Mirai, e
penso che il suddetto liquido comparirà molto meno negli
altri capitoli.
Pepesale: eh no, cara, niente anticipazioni sul futuro ^^ sono davvero
felice che la storia ti piaccia. Grazie mille per il permesso di
utilizzare la fiction ^^
Son Kla: alla tua recensione ho già risposto con la e-mail
(e mi ha fatto piacere che tu lo abbia fatto a tua volta),
perciò ora ti ringrazio di nuovo e spero che continuerai a
leggere e a recensire.
Carol2112: ciao!!! Sono felice che ti piacciano anche i pezzi dove
Trunks ricorda il suo maestro, dato che personalmente adoro scrivere
del loro rapporto. E sono contenta anche per essere riuscita a
stuzzicare la tua curiosità, dato che l’obbiettivo
dello scorso capitolo era proprio quello ^^
Maryana: un po’ di mistero non fa mai male, vero? Contenta
che la storia ti piaccia. Seguimi ancora, ci conto!
Un abbraccio a tutti quelli che leggono e, ovviamente, a quelli che
recensiscono,
Mirai No
P.S. Stavo pensando se modificare la grandezza del carattere, o il
carattere stesso, dato che così risulta piuttosto piccolo.
Voi che ne dite?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Tornare indietro ***
CAPITOLO
6 – TORNARE INDIETRO
La sera aveva ben presto cacciato ogni traccia di maltempo, e il giorno
dopo sfoggiò un cielo sgombro da nubi.
Mirai muoveva svogliatamente la colazione che aveva nel piatto con la
forchetta. Era talmente chiusa in sé da non accorgersi di
come Bulma era invece felice. Quando arrivò Trunks la
ragazzina alzò un attimo gli occhi.
«Domani, mamma!» esclamò il ragazzo,
baciando la donna su una guancia. «È
domani!»
Mirai sentì nel suo tono qualcosa di strano, qualcosa che le
era quasi sconosciuto.
Non la riconobbe, quella vibrazione.
Non le diede il suo nome.
Non la chiamò “Speranza”.
Bulma stava riordinando il salotto.
Mirai, seduta su una sedia, la sentiva attraverso al muro. La donna
batteva, in modo quasi ritmico, i cuscini, in modo da farne assumere
una forma ben precisa.
La ragazzina strinse quasi istintivamente il pezzo di stoffa che aveva
in mano. Nervosa, si guardò attorno. Infine
riabbassò la testa, rimproverando il proprio allarme.
Continuava a credere di sentire quell’ansimare, quel fiato
sul collo… Ma soprattutto di ritrovarsi a guardare in quegli
occhi ardenti.
Tremante, si legò la banda che aveva in mano attorno alla
fronte, come ormai era abituata.
Di colpo la colse un pensiero: “Ma cosa deve fare Trunks
domani?” si chiese.
Non si sentiva di andare a domandarlo al ragazzo. Non poteva guardare
come lui si sarebbe illuminato, lieto di tranquillizzarla in qualche
modo. Quella sorta di dovere che lui evidentemente provava nei suoi
confronti le stringeva lo stomaco, facendola sentire ancora
più in colpa. Lui non sapeva, mentre ne
avrebbe avuto pieno
diritto, e le rivolgeva affettuosamente la parola.
Confusa dai propri pensieri, Mirai sbatté più
volte le palpebre.
Si rese conto di non udire più alcun rumore provenire dalla
stanza adiacente. Bulma doveva essersi spostata.
Tese le orecchie, ma non percepì alcun suono. Era tutto
silenzio. Si alzò di colpo, mentre quella paura tornava ad
occuparle il cuore. Una paura che non si sentiva in diritto di avere,
ma che ora era tornata ad invadere la sua vita.
La paura di essere stata abbandonata, di non aver più
nessuno se non se stessa.
Ansiosa, si affacciò alla porta. Il silenzio che regnava
ancora la fece rabbrividire, annodandole lo stomaco.
Immaginò per un istante come sarebbe stato scoprirsi
abbandonata, di nuovo sola, e il nodo le salì alla gola. Si
sedette lentamente a terra, la schiena poggiata contro il muro, poi si
strinse le ginocchia al petto.
Sapeva che né Bulma né Trunks potevano averla
lasciata così, che tutta quella malinconia era assurda. Ma
forse era per quello che si sentiva così disperata.
Perché c’erano due persone oneste, due persone che
avevano lottato e avrebbero continuato a farlo, due persone che non
l’avrebbero mai lasciata sola.
Appunto.
Lei non era sola, non la era mai stata. Lui era sempre sulle sue
tracce, le parlava nei suoi sogni, le trasmetteva ogni sensazione del
suo vivere.
Non era giusto che madre e figlio le volessero bene, convinti che fosse
abbandonata al mondo.
Era quasi un imbroglio, e non le piaceva. Ma al contempo non voleva
essere lasciata sola.
Chinò il mento a sfiorare un ginocchio.
«Mirai!»
Il cuore le balzò in petto, iniziando a battere il ritmo del
sollievo, un sollievo infinito. Lei si sentì lievemente
colpevole, ma non poté impedirsi di essere felice,
terribilmente contenta di aver udito quella voce.
Si alzò. Proprio in quel momento comparve Trunks.
«Ah, eccoti» disse il ragazzo, scrutandola.
«Mi stavo preoccupando» sorrise.
Lei abbassò gli occhi.
Trasalì quando sentì le dita del giovane
prenderle il mento e alzarle il viso. «Non essere triste, per
favore. Domani è un giorno speciale».
Mirai avrebbe voluto chiedere spiegazioni, ma proprio in quel momento
giunse la voce di Bulma. «Trunks! Vieni a darmi una
mano!»
Il giovane ammutolì. «Arrivo!» Si
voltò verso la ragazzina, scusandosi con un cenno.
«Io vado. Se hai bisogno sono nell’hangar con mia
madre». Conclusa la frase si allontanò camminando
rapidamente.
Lei lo seguì con lo sguardo.
Nell’hangar…
Quindi poteva essere che l’evento che evidentemente sarebbe
dovuto accadere il giorno successivo avesse a che fare con la Macchina
del Tempo.
Mirai rigirò il proprio ragionamento nella mente.
Sì, aveva perfettamente senso!
Constatatolo, si sentì stranamente orgogliosa, come non lo
era da tempo. Sentì quanto fosse piacevole percepire un
qualche significato senza farselo spiegare da altri.
Improvvisamente, si sentì un po’ meglio.
Ora li sentiva i rumori. Raschiare di tubi, oggetti che venivano
spostati…
Stette ad ascoltarli, senza sapere nemmeno lei perché le
interessassero.
Dopo un po’, poi, Bulma e Trunks rientravano. Mirai li
sbirciò. Sembravano un po’ stanchi, ma soddisfatti.
Indugiò qualche istante, poi si diresse in cortile, dove
scoprì di aver azzeccato il fatto che la Macchina del Tempo
c’entrasse parecchio.
Il mezzo era stato infatti, coperto da un telone plastificato,
trasportato nel cortile.
La ragazzina decise di allontanarsi un po’. Quando
ritornò nel cortile, si arrestò. Trunks era
vicino alla Macchina del Tempo.
Lei si chiese cosa stesse facendo, ma non riuscì a capirlo.
Quando infine il ragazzo si allontanò, Mirai si
spostò vicino all’ordigno. Sollevò il
telone nel punto in cui aveva visto affannarsi Trunks. E lì
sotto scorse una parola, quattro lettere scritte grandi, sottolineate
dalla presenza di due punti esclamativi.
Trunks aveva tracciato il termine “Hope!!”. Mirai
lo ripeté con il solo movimento delle labbra, immaginando di
mormorarlo.
Quella sera, a cena, la ragazzina sedette al solito posto.
Stava sbocconcellando di malavoglia un pezzo di pane quando
udì Trunks schiarirsi esitante la gola.
A quel suono alzò gli occhi, scoprendo che il ragazzo la
stava guardando.
«Mirai» le sussurrò con la solita
dolcezza. «Domani» e la sua voce si fece densa di
emozione, «viaggio nel tempo! Torno indietro».
La ragazzina scoprì finalmente chiarita
l’atmosfera di aspettativa che aveva aleggiato
nell’abitazione quel giorno e fu soddisfatta.
Inconsapevole del fatto che sarebbe stato normale provare ancora, se
non in modo maggiore, dell’interesse, reclinò il
capo, tornando a dedicarsi al cibo.
Trunks la osservò. C’era una sorta di disperazione
in quella ragazzina, una disperazione che lei cercava, forse senza
rendersene conto, di mascherare con l’indifferenza, una
disperazione che lui non riusciva a capire.
Forse sarebbe stato semplice chiederle di spiegarsi scrivendo, ma di
sicuro non sarebbe stato giusto e certamente le avrebbe impedito di
dare piena forza alle proprie parole.
Alcune cose non si potevano esprimere su un pezzo di carta, a maggior
ragione cose che erano forse impossibili da esprimere parlando.
Passandosi una mano tra i capelli, il saiyan gettò
un’ultima occhiata alla ragazzina.
Finirono ben presto di cenare. Mirai non pareva molto affamata, Bulma
era ansiosa e impaziente, e persino Trunks si sentiva lo stomaco
serrato.
«Buonanotte, mamma» la salutò.
Lei gli indirizzò un sorriso incoraggiante. «Cerca
di dormire» suggerì. «Domani ti aspetta
una grande giornata».
«Già… Già».
Quando salì Mirai era infilata tra le coperte e pareva
assonnata.
Trunks si coricò a sua volta, ma, ad un certo punto
l’ansia divenne troppo soffocante per restare immobile.
Il ragazzo si alzò. Stette un attimo in ascolto. Il respiro
di Mirai era lento e regolare, si era addormentata.
Silenziosamente, si infilò le scarpe.
Poi uscì nella notte.
La città non esprimeva alcun suono, e il ragazzo
acconsentì favorevole e grato a quel modo di vivere la notte.
Il cuore gli rimbombava nelle orecchie. Non voleva pensare alla propria
meta, in qualche modo non poteva. Ma la conosceva con precisione.
Quando infine giunse in vista delle lapidi di marmo di quelle tombe che
riguardavano lui e sua madre il cuore prese a battere un ritmo
più lento e scandito.
Diede uno sguardo stordito a quella del padre, poi si chinò
su quella del mentore.
Sentì un brivido corrergli lungo la colonna vertebrale,
mentre veniva ancora una volta colpito dal pensiero che Gohan giaceva
lì. Poco più grande di lui.
«Domani viaggio nel tempo» sussurrò,
talmente piano da percepire a stento la propria voce. Da una parte la
mente continuava a dirgli che non aveva senso quel che stava facendo,
ma lui la ignorò e aggiunse: «Ricordi?»
Tentando di non pensare al fatto che Gohan era morto e non poteva
più ricordare nulla, né fare qualcosa
d’altro. «Ricordi, Gohan, quanto ho cercato di
lasciarmi il passato alle spalle? E domani tornerò ancora
più indietro. Devo farlo. Devo tornare indietro».
Il cuore gli batté più forte per un attimo.
Sospirò, stringendosi nelle spalle. Alzò gli
occhi al cielo scuro.
Poi si avviò di nuovo verso la Capsule Corporation.
Sfiorò solo appena l’idea di andare a coricarsi.
Pensieroso, si sedette sulla scrivania davanti alla finestra,
mettendosi a guardare fuori, in quel cielo nero trapunto di stelle.
Sbattei le palpebre. Assonnata, mi guardai attorno, il cuore
riprese
pian piano il ritmo abituale. L’avevo di nuovo sentito in
sogno.
Mi alzai a sedere e trasalii. Una sagoma scura si stagliava contro la
finestra. Non mi ci volle molto a riconoscere Trunks. Era ancora
sveglio?
Lo osservai. Una gamba penzolava rilassata, mentre l’altro
ginocchio era piegato e sollevato a sfiorargli il petto. Stava
guardando attraverso il vetro.
Spinsi in avanti le coperte, scendendo dal letto.
Mi avvicinai di qualche passo. Mi fermai, scrutandolo perplessa.
«Sei sveglia…» la sua voce mi colse di
sorpresa. Mi sentii quasi arrossire, senza capirne il motivo.
Dopotutto, non stava mica scritto che la notte potevo solo dormire.
Il ragazzo si voltò a guardarmi. Nella scarsa luce distinsi
a fatica i suoi occhi. Mi fissavano, inquieti come al solito.
Mi strinsi nell’abbondante camicia da notte.
«Vieni qui?» mi chiese. «O torni a
letto?»
Feci confusamente segno verso il materasso. Esitante, lo indicai
dubbiosa. Lui sorrise al mio gesto. «No… io resto
qui a pensare».
Aveva una ruga tra le sopracciglia, la fronte lievemente aggrottata.
Dopo qualche attimo associai la sua espressione all’ansia.
Era ansioso. Incerta, tornai sui miei passi. Mi rinfilai tra le
coperte, e non potei fare a meno di sentire piacevolmente il calore che
si era accumulato nel letto.
Poggiai la testa sul cuscino.
L’ultima cosa che sentii, o che mi sembrò di
sentire, furono alcuni passi precisi, i suoi passi. Poi mi addormentai.
Al risveglio mi ritrovai sola nella stanza.
Lottai per qualche attimo con le lenzuola, riuscendo infine ad alzarmi.
Corsi a piedi nudi giù per le scale.
Trunks e Bulma erano già vestiti. Il ragazzo indossava un
paio di pantaloni grigio scuro, una corta giacca blu sotto la quale si
vedeva una maglia nera. Infine, il fodero della sua spada gli poggiava
sulla schiena.
Feci colazione senza quasi sentire i sapori di quel che mangiavo, ma
non mi interessava.
Di colpo udii Trunks dichiarare: «Allora… si
parte».
Alzai gli occhi. Non se ne accorse. Capii che aveva rivolto a sua madre
quelle parole. «Sì» disse lei.
«Ti accompagno, tesoro».
A quel punto lui si voltò nella mia direzione, incerto.
«Vieni anche tu?»
Mi morsi il labbro, poi scossi decisa la testa. Ne parvero sorpresi. Mi
domandai per quale motivo avessi rifiutato, ma non trovai la risposta.
Spinsi da parte il piatto e corsi al piano superiore, dove mi sedetti
sul letto. Dopo qualche attimo mi alzai e mi diressi alla finestra.
Guardai giù. Un uccellino dal piumaggio quasi azzurro stava
becchettando un po’ d’acqua di una pozzanghera.
Gonfiò le piume e le scosse. Spostai lo sguardo. Osservai
Bulma porgere qualcosa a Trunks. Lo vidi sorridere. Con un balzo, si
portò poi all’interno della Macchina del Tempo.
Salutava la madre. Poi la cupola si chiuse. Guardai il mezzo alzarsi
nel cielo, poi, d’un tratto, scomparire. Ascoltando il
battito accelerato del mio cuore, ritornai vicino al letto, poi presi a
disfarmi del pigiama. Infilai un leggero reggiseno a coprire le mie
forme acerbe da adolescente. Me l’aveva dato Bulma. Prima non
ne avevo mai avuti. Misi una maglia azzurra, la coprii con una felpa
celeste. In pochi attimi indossai anche i pantaloni e le scarpe.
Infine afferrai la fascia che ormai utilizzavo abitualmente per tenere
lontani i capelli dal volto. La legai con decisione dietro la nuca.
Il pensiero che Trunks ora fosse non solo lontano nello spazio ma anche
nel tempo mi faceva uno strano effetto. Scrollai le spalle, imponendomi
di non badarvi.
Dopotutto non mi avrebbe aiutato arrivare ad una conclusione.
Trunks aprì gli occhi. Fuori dalla navicella non si poteva
vedere nulla. Solo un nero che sfiorava l’oblio, a volte
attraversato da lievi scosse di un verde abbacinante. Il ragazzo
sospirò, chiudendo le mani a pugno.
Non gli piaceva ammetterlo, ma aveva paura. Si sentiva tremendamente
fuori posto, inadeguato. Abbassò gli occhi, poi
deglutì, deciso a farsi coraggio.
“Devo farlo” si disse. “Per la mamma, per
Gohan, per mio padre, per Goku” e a quell’ultimo
nome strinse convulsamente il medicinale che teneva nel pugno,
“per tutti i guerrieri che sono stati uccisi dai
cyborg… Anche per Mirai”.
Rabbrividì. Chiuse nuovamente gli occhi, come un bambino che
si alza la notte e non vuole vedere tutte quelle ombre spaventose, e si
sforzò di pensare al sorriso di sua madre.
Quell’immagine mentale gli scaldò il cuore,
tranquillizzandolo. Poteva vedere le sue labbra muoversi nel
descrivergli com’era suo padre.
Già…
“Ti vedrò, papà”.
Rasserenato, sollevò le palpebre.
Sentì uno strano fremere, poi sopra di sé vide il
cielo spruzzato di nuvole bianche. Scese dalla Macchina col cuore che
batteva a mille, e constatò sollevato che il paesaggio era
abbastanza famigliare.
Infilò il prezioso medicinale in una delle tasche della
giacca, poi gettò un ultimo sguardo alla parola scritta sul
veicolo, prima di ridurlo ad una capsula.
Inspirò profondamente.
Era ora di lottare per un futuro migliore.
Mirai si portò una mano alla fascia che le copriva la
fronte. Trunks le mancava terribilmente, era ormai una giornata intera
che non lo vedeva.
E poi sentiva lui. Un ansimare forte, caldo. Le labbra le tremarono.
Ed ecco salirle al naso quell’odore metallico di sangue. Lo
storse, decisa a cacciarlo. Le faceva talmente paura da farla
rabbrividire violentemente. Dopo qualche attimo passò. Lei
sospirò sollevata. Anche quel giorno era riuscita a
sconfiggere quella sensazione.
Trasalì di colpo, sentendo come una sorta di
elettricità nell’aria.
Udì un gran trambusto al piano inferiore. Perplessa, si
diresse giù dalle scale, per poi uscire all’aria
aperta.
«Mamma!»
Trunks stava abbracciando Bulma. Mirai osservò lo sguardo
raggiante del ragazzo, lo vide voltarsi tutt’attorno, come a
cercare qualcosa.
La ragazzina fu quasi sicura del fatto che non riuscì a
trovarla, ma non ne parve turbato. Al contrario, schioccò
sorridente un bacio su ogni guancia di Bulma, la quale, per tutta
risposta, lo abbracciò più forte. Poi Trunks
iniziò a parlare, e l’emozione gli fece
accavallare tutte le frasi. Mirai recepì poca parte del suo
discorso.
«Mio padre!» esclamò il ragazzo,
ridente. «Mamma, ho visto mio padre!»
Bulma gli sorrise, se possibile, con gioia ancora maggiore.
«Oh, mamma, avevi ragione tu! Ha un’aria
così distaccata, così fiera, ma sembra anche
triste».
Lei gli sorrise. «Mi pare che tutto sia andato bene, non
è così?»
Il giovane annuì. «Eccome». In quel
momento si accorse di Mirai. La ragazzina non riusciva a capire il
perché di tutta quella felicità.
«È andato tutto bene, Mirai»
affermò Trunks, più che altro per rivolgerle la
parola, non per vero bisogno di comunicare quelle parole. Bulma lo
abbracciò ancora, sorridendo anche alla ragazzina, poi lo
invitò ad entrare a mettere qualcosa sotto i denti. Lui non
se lo fece ripetere due volte. Seguito da una perplessa Mirai
entrò in casa. Fra un boccone e l’altro
raccontava, a volte accompagnando gesti alle parole. Era emozionato,
euforico, felice, e Mirai non riusciva a capirlo.
«C’era anche Gohan, mamma!»
A quel nome, la ragazzina si portò istintivamente le mani
alla fascia. Poi Trunks riprese a parlare, nominando un tale Freezer e
un certo Re Cold. A quanto pareva, li aveva sconfitti entrambi,
principalmente grazie alla propria spada.
Mirai rievocò la lama dell’oggetto
dall’unica volta che l’aveva vista. La ricordava di
un brillio affilato, letale. Perciò il racconto del ragazzo
non la meravigliò più di tanto.
Notò quanto ripetesse le parole “mio
padre” e “Gohan”. Guardò anche
come sorrideva grato a sua madre, in continuazione, e, per un attimo,
fu assalita da una strana sensazione. Come il desiderio di essere lei
la persona a cui era riservato quell’affetto, accompagnato da
un nodo allo stomaco ed un profondo senso di disagio.
Passò in un attimo, ma la lasciò confusa e
perplessa.
Poi, di punto in bianco, si sentì stanca. Comprese che lui
doveva essersi mosso con rapidità, o comunque aver compiuto
qualcosa, dato che da parte sua lei non aveva fatto granché.
Sbadigliò. Bulma, nonostante fosse presa dal racconto del
figlio, se ne accorse, e le chiese se per caso voleva andare a letto.
Mirai scosse la testa, sentendo di colpo una fitta di paura. Non voleva
allontanarsi da Trunks. Ora più che mai. Temeva, in modo del
tutto irrazionale, che il ragazzo, se solo l’avesse lasciato
per un attimo, avrebbe potuto scomparire in un’altra epoca, o
semplicemente andarsene. Bulma era gentile, ma, con tutto il suo
affetto, non avrebbe mai potuto esserle così vicina. Trunks
invece aveva sofferto quanto lei. Per motivi, era pronta a
scommetterci, completamente diversi dai suoi, ma lo sentiva ugualmente
prossimo a sé. C’era come un baratro che li
divideva, Mirai lo sentiva, era il baratro di quel che lei aveva fatto.
Ma, almeno, lui era lì, dall’altro lato di
quell’abisso, e lei poteva vederlo, magari illudersi di
averlo vicino.
Perciò aveva optato per un rifiuto, e stette seduta ad
ascoltare il narrare del ragazzo.
Non comprese molto, ma una cosa le fu chiara sin da subito.
Ci voleva coraggio, per tornare indietro.
Un
po’ in ritardo, ma eccomi tornata. E così sono
arrivata al punto nel quale Trunks compie il suo primo viaggio. Dato
che già è risaputo cosa sia accaduto, ho ritenuto
fosse meglio non dilungarmi su di esso…
Son Kla: grazie per lo splendido commento. Concordo
con te, anche a me
piace molto il punto in cui Mirai si grattava il sopracciglio.
L’idea è arrivata dal ricordo che ho di un film, o
di una puntata di un telefilm. Infatti, nonostante io non sappia
più il titolo, o qualcosa della trama, in un punto un
personaggio durante un dialogo aveva fatto quel gesto. L’ho
trovato così naturale che mi è rimasto impresso.
Mentre scrivevo il capitolo, allora, mi è venuto naturale
inserirlo. Contenta che abbia fatto il suo lavoro ^_^ Inoltre mi fa
piacere il fatto che continui ad stimare il rapporto tra Mirai e
Trunks, segno che, meno male, riesco a gestirlo. Ti ringrazio davvero
tanto per come apprezzi questa storia, e per come me lo fai sapere.
Pepesale: non preoccuparti per la scarsa lunghezza.
Mi
ricorderò che è il pensiero che conta XD Non
essermi troppo grata, eh, dato che gran parte dello scorso capitolo mi
è venuto in mente leggendo la tua One Shot.
carol2112: non preoccuparti per il ritardo, la
recensione (che ho letto
con gran piacere^^) te l’ha perdonato
automaticamente… La suspence non si allenta, spero. Mi
spiace, ma credo proprio che dovrai conviverci per un po’.
Anche a me piace la parte in corsivo, perché mi fa
immedesimare molto in Mirai, e, in conseguenza, mette meglio in moto il
mio cervello altrimenti in letargo (frase esagerata… spero
O_o). Sulla lentezza del tempo hai ragione, e sono felice che non
diventi pesante, nonostante alcune volte sia un po’ difficile
mantenere quel ritmo alla fine mi soddisfa che è una cosa
piacevolissima^^. Spero che scriverai un poema anche la prossima volta,
non mi spiace, credimi!
cri92: grazie per il commento. Credimi, è
sempre bello
ricevere opinioni da gente nuova. Spero la storia continui a piacerti
^^ In effetti Mirai, nonostante non si dilunghi in segni complicati,
alcuni gesti li fa, e Trunks (grandissimo^^) riesce a comprendere quel
che lei, poco a poco, rivela.
Sono curiosa di sapere la vostra opinione anche su questo
capitolo…
Grazie poi a tutti quelli (scusate se non l’ho scritto prima)
che hanno messo la storia tra le preferite, ossia: carol2112,
Heather91, Pepesale, Son Kla e super vegetina.
Un abbraccio, sperando di risentirci presto,
Mirai No
(Spero la scena del cimitero non risulti troppo esagerata. L'ho scritta
di slancio, e poi mi dispiaceva cancellarla...)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** La forma delle nuvole ***
CAPITOLO
7 – LA FORMA DELLE NUVOLE
Trunks concluse il racconto. Forse ora aveva veramente esaurito i
dettagli, quei dettagli che per tutto il tempo non avevano fatto altro
che emergere, prepotentemente, uno dietro l’altro, facendolo
parlare in modo quasi ininterrotto. Bevve qualche sorso
d’acqua, sbirciando sua madre. Sorrideva, era felicissima.
Poi la vide voltarsi appena e modificare la propria espressione in una
di intenerito stupore.
Trunks, perplesso, seguì il suo sguardo. Capì
subito il motivo di quegli occhi meravigliati. Mirai non aveva
resistito, e, con la testa poggiata sul piano del tavolo, si era
profondamente addormentata, i capelli castani in disordine.
«Forse è meglio che la porti su»
mormorò Bulma, «anzi, intanto che ci sei faresti
bene a dormire a tua volta... Hai avuto una giornata piuttosto
intensa».
Lui annuì, dandole la buonanotte. Si voltò verso
Mirai, e la sollevò più delicatamente che poteva.
Lei continuò a dormire, ma mosse le labbra e
strizzò gli occhi, come se si fosse resa conto del movimento.
Il ragazzo si irrigidì appena a quei gesti. Dopo un attimo,
però, si tranquillizzò, e, con la ragazzina in
braccio, si diresse nella propria camera. La teneva vicina appoggiata a
sé, riuscendo a sentire il torpore del suo corpo sonnolento.
La posò sul letto. Mirai mosse il braccio, portandosi la
mano vicino all’orecchio.
Trunks si chiese se sarebbe stato meglio metterle il pigiama, ma
accattonò subito quell’idea, in quanto il solo
pensiero di toglierle i vestiti lo faceva avvampare.
Infine decise che comunque era bene sfilarle almeno la felpa. Con
delicatezza, precedette dunque a privarla di quell’indumento.
Riportò dunque lo sguardo sulla bambina e si
sentì nuovamente caldo. Il colletto della maglietta,
decisamente largo, le lasciava scoperta una spalla. La pelle,
liscissima, era coperta in un punto da una spallina di un rosa chiaro.
Trunks si sentì sorpreso attraverso l’imbarazzo.
Non credeva che portasse un top di qualche tipo. Vedendola,
specialmente mentre indossava quegli indumenti troppo grandi, le era
parsa completamente piatta. Non che avesse fatto particolare caso a
quel dettaglio, semplicemente l’aveva annotato
nell’inconscio. In quel momento, per la prima volta, gli
parve di rendersi conto che Mirai era certo una bambina spaventata,
smarrita, che lui si sentiva in un qual modo in dovere di proteggere,
ma che prima di tutto era una ragazza.
Confuso dalla piega inaspettata che stavano prendendo i suoi
ragionamenti, Trunks allungò la mano a prendere le coperte,
per poi posarle su Mirai. Si chinò un attimo verso di lei,
sentendo chiaramente il suo fiato sulla guancia, poi si
alzò, dirigendosi nel proprio letto. Col cuore che ancora
batteva accelerato per tutti gli avvenimenti di quella giornata,
posò il capo sul cuscino ad attendere l’arrivo del
sonno. Questo giunse prima di quanto si aspettasse, distogliendolo dai
suoi emozionati ricordi.
Il mattino dopo fu svegliato dal sole che gli pizzicava le palpebre.
Aprì gli occhi a fatica, esitante. Dopo un primo momento di
smarrimento, dovuto al passaggio dal sonno alla veglia, gli si
affacciarono alla mente tutti gli avvenimenti del giorno precedente.
Sorrise fra sé e sé, fiducioso nel fatto che il
futuro sarebbe andato meglio.
Si alzò. Mirai dormiva ancora, raggomitolata su se stessa.
Aveva la bocca semiaperta, ed un pugno chiuso sul cuscino.
Quando lui si mosse, però, la ragazzina si destò
di colpo. I suoi occhi guizzarono tutt’attorno, come se fosse
spaventata dalla prospettiva di trovare qualcosa. Dopo qualche attimo
si tranquillizzò, seppur mantenendo una scintilla di
inquietudine nello sguardo, e si stiracchiò appena,
assonnata.
«Ciao» la salutò a quel punto Trunks.
Lei lo guardò, poi abbassò lo sguardo sui propri
vestiti, che ancora indossava, e corrugò la fronte. Pose
quindi gli occhi su Trunks, evidentemente chiedendo una spiegazione.
«Ehm» esordì il giovane, «ieri
ti sei addormentata, così ti ho portata in camera. Ma non ti
ho messo il pigiama, dato che non volevo svegliarti». Sentì la gola secca, mentre,
imbarazzato, ripensava a quella spallina chiara. Per fortuna lei non
poteva leggergli nel pensiero, e quella risposta parve soddisfarla e
farle perdere ogni altro interesse per l’argomento.
Qualche ora dopo era in cortile ad allenarsi con la spada,
più determinato che mai.
Mirai era seduta poco distante, e lo osservava. Si
meravigliò di come di colpo il ragazzo sembrava quasi
diventare un tutt’uno con la sua arma, muovendola abilmente,
come non fosse stata uno strumento, ma parte del suo corpo.
Indugiò appena sui muscoli tesi del ragazzo, ma distolse lo
sguardo un attimo dopo, tornando a tentare di seguire il brillio della
lama e i suoi rapidi movimenti.
Infine Trunks si fermò, ansimante. Mirai lo
osservò mentre si prendeva cura della spada, per poi
infilarla nel fodero e indossarlo, tranquillo. Compiute quelle azioni,
il giovane si voltò verso la ragazzina, osservandola. Lei
incrociò le braccia sul petto, evitando di incontrare il suo
sguardo. Chiedendosi se lo facesse per imbarazzo o per indifferenza,
Trunks valutò per un attimo il comportamento di Mirai,
distogliendo infine lo sguardo.
Mirai guardò le proprie mani, soffermandosi sul taglio,
ormai rimarginato, che aveva su quella sinistra. Trunks lo
notò, e le prese il palmo, guardandola. «Ormai
è guarita» constatò, per poi alzare gli
occhi su Mirai. «Non andarci accanto, mi
raccomando».
La ragazzina annuì, poi si sentì arrossire appena.
Il saiyan le lasciò la mano.
Lei si voltò. Allora lo sentì di nuovo.
L’odore del sangue le riempì il naso. Dapprima
tentò di respirare solo con la bocca, come se fosse stata
investita da un’improvvisa zaffata di smog e si ritrovasse
ancora dietro all’auto che l’aveva emessa, poi
cercò di prendere altra aria pura. Ma ogni respiro era
impregnato di quel sapore metallico. Terrorizzata, vide delle ombre
scure profilarsi contro i suoi occhi, sottili come scaglie di
ossidiana. Provò, irrefrenabile, l’impulso di
scappare, mosse le gambe... Poi sentì una stretta sul
braccio. Sbatté le palpebre un paio di volte, poi mise a
fuoco il viso di Trunks, a pochi centimetri dal suo. Sembrava ansioso.
«Che è successo?» chiese.
Mirai sentì, per un attimo, la voglia di rispondere. Ma come
spiegarlo dopo aver perso la voce, come narrare mutamente una cosa che
già risultava complicata da dire? Scosse la testa decisa,
più volte, tentando di convincere anche se stessa, cercando
di dirsi che andava tutto bene. Però sapeva che non era
vero, lui era sempre più vicino. Socchiuse gli occhi.
Trunks intanto lasciò la presa sul suo braccio, confuso. Non
riusciva a capire il perché di quello scatto improvviso.
Avrebbe voluto saperne di più, ma non riuscì a
chiederle nulla quando lei lo guardò, apparendo
più smarrita che mai. In quel preciso momento gli
ricordò se stesso, nel periodo dopo la morte di Gohan. Mirai
aveva anche la stessa età che aveva lui quando era successo.
Trunks pensò che anche lui doveva aver avuto quello sguardo,
ricordò quelle giornate in cui non aveva voluto parlare con
nessuno, preferendo di gran lunga il silenzio. Per quel motivo non
chiese nulla di più, per rispettare quel segreto che Mirai
sembrava voler mantenere in maniera quasi disperata.
Sentendosi improvvisamente a disagio, alzò gli occhi al
cielo cobalto, cosparso di nuvole candide. Prestò
più attenzione del solito alle immagini ricamate da quelle
nubi rigonfie, inseguendo il gioco che spesso aveva fatto con il suo
maestro o con sua madre. Ma in quel momento, teso com’era,
non riuscì a decifrare alcuna forma particolare, gli
sembravano solo batuffoli di cotone poggiati a caso qua e là.
Mirai, tremando lievemente, si guardò attorno. Dopo poco
però, riuscì a calmarsi, riacquisendo la solita
distratta posatezza.
La voce di Bulma distolse Trunks dall’imbarazzo che provava.
«Venite dentro, su, voi due!» li invitò
la donna.
Mirai e il ragazzo obbedirono, entrando senza degnare di un ultimo
sguardo le nuvole che, alte nel cielo, si intrecciavano, guidate dal
vento, in forme morbide e precise.
Quel giorno passò rapidamente. Come tutti i dì
privi di accadimenti particolari, sembrava destinato a non lasciare
tracce nella memoria di chi l’aveva vissuto. Eppure, anche a
distanza di molti anni, Trunks non ebbe difficoltà a
rievocare lo sguardo smarrito che Mirai gli aveva rivolto, i capelli
mossi dal vento che tendevano ad andarle verso gli occhi nonostante la
fascia blu…
Si mosse con movimenti fluidi e rapidi. Gettò
un’occhiata tutt’intorno, valutando il paesaggio.
Con uno scatto felino avanzò per un vicolo.
Il suo unico desiderio era il sangue. E lei. Anelava a sentire il suo
calore, voleva vedere di nuovo il suo volto terrorizzato, sentire la
paura nel suo sguardo.
Poi trattenerla, godendo dei suoi disperati tentativi di fuga. Giocare
con la loro anima, farla inorridire… E poi dare di nuovo il
via a quella caccia. Lasciare che si allontanasse, poi mettersi sulle
sue tracce, sgomentandola avvicinandosi lento e inesorabile.
Ringhiò. Ultimamente percepiva una nuova volontà
nella sua mente, e non gli piaceva.
Lei doveva essere sua. Sua e di nessun altro.
Mirai tremava. Si tirò le ginocchia al petto, scossa da
brividi incontrollabili, poi si prese la testa tra le mani.
Chiuse gli occhi, cercando di ignorare le fitte che sentiva al corpo,
brevi ma intense. Come se lui la stesse graffiando, o strattonando.
«Piccola… tutto okay?»
Alzò lo sguardo. Trunks la guardava. “Come
fa?” si domandò la ragazzina. “Come fa
ad esserci sempre quando ho più bisogno?”
Deglutendo, afferrò con disperazione la mano che il giovane
le offriva, quasi ne andasse della sua stessa vita. Il saiyan la
guardò. “Salvami” sembravano dire gli
occhi grigi della ragazza. “Salvami”.
Ce l’aveva sempre nello sguardo, quella muta richiesta. Gli
provocava una stretta allo stomaco, la sentiva come se lei la urlasse.
“Sono stato sempre aiutato, nella mia vita. Ho sofferto, ma
non ero mai veramente solo” pensò. “Lei
la è”.
L’avrebbe sostenuta come Gohan aveva sostenuto lui. Sarebbe
riuscito a comprendere la sua paura, e allora l’avrebbe
consolata.
L’avrebbe protetta. L’avrebbe portata a vedere la
forma delle nuvole.
Finalmente sono riuscita ad aggiornare!
Questa volta niente narrazione da parte di Mirai, mi sono trovata
meglio limitandomi alla terza persona. Il punto che comunque mi piace
di più è quando Trunks si imbarazza davanti a
Mirai
cri92: wow, Cri, sei velocissima! Già… quando ho
dovuto “fare” quel punto ho pensato che di certo
lui non si sarebbe addormentato molto facilmente il giorno prima del
viaggio nel tempo ^_^ baci
Carol2112: carissima, grazie mille per il nuovo poema che mi hai
proposto^^. Come continuerai a vedere, Gohan sarà spesso
ricordato dal “mio” Trunks, difatti devo dire che
è un personaggio che, seppure io lo abbia visto solo una
volta nella sua comparsa nell’Oav “La storia di
Trunks” ha lasciato il segno. Allo stesso tempo sono contenta
del fatto che a quanto pare riesco a comunicare bene quel che provano i
personaggi, a delineare il loro carattere, perché saperlo mi
fa davvero felice^^. Come mi fa piacere di riuscire a catturare la tua
attenzione, e a mantenere viva la voglia di leggere. Baci ricambiati^^
maryana: grazie per il commento e per come apprezzi la storia. Sono
felice che la trama ti incuriosisca e che ti piaccia come caratterizzo
i protagonisti^^
Pepesale: già... quella frase mi è venuta
spontanea, per esprimere quel che io a volte provo ascoltando il
silenzio. Bacione altrettanto grande
Grazie, ripeto, le vostre recensioni mi fanno felicissima^^
Alla prossima,
Mirai No
(ovviamente grazie anche a chi legge e basta)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Ossessione ***
CAPITOLO
8 – OSSESSIONE
Non è un bisogno. Perché, chiunque ne possa
pensare, io non ho bisogno di lei.
Forse è un gioco, un gioco ormai talmente abituale da
diventare ossessione.
Già… è questo. Lei è
ciò per me. È un’ossessione talmente
brutale da farmi fremere di eccitazione quanto il sangue.
So che non le piace, lo sento come tenta di resistere alla mia mente,
alle sensazioni che le comunico automaticamente. Ed è
proprio questo il bello.
Lei non vuole. La terrorizza. Mi diverte da morire, il suo viso
sgomento. So che espressione ha risvegliandosi dagli incubi che le
provoco, e mi piace.
Voglio che soffra ancora, che senta i miei pensieri e la mia
eccitazione allungarsi verso la sua mente come tentacoli. Voglio che le
sia ricordato in ogni momento che non è piena padrona della
sua anima, che non potrà mai liberarsi di me.
Salto giù da un cumulo di macerie. I miei muscoli fremono
all’impatto.
Che non creda di potersi permettere il lusso di un po’ di
tranquillità. Io non potrò mai avere pace
sinché sarà libera di allontanarsi
così da me.
È vero, sono nato con lei, ma è stata la sua
colpa a darmi pienamente un’esistenza. E la mia esistenza
è divenuta il suo terrore. Lei il mio obbiettivo.
Questa caccia non può avere fine.
La seguirò sino in capo al mondo, divertendomi ai suoi
continui tentativi di fuga. Non si arrende facilmente, questo
è vero. Ma perché non rinunciare ad una lotta che
non si può vincere?
So che non avverte l’odore salmastro che occupa le mie
narici, perché non mi dà alcuna emozione. Cosa
dovrei trovarci di bello in quella distesa d’acqua salata
chiamata mare?
Svolto in un vicolo ancora più stretto, silenzioso come
l’oscurità. Io sono oscurità. Sono la
sua ombra, ma non mi può cancellare con la luce del sole,
né con una notte più buia di me.
Io la devo trovare, io la troverò.
È la mia ossessione. Un’ossessione scritta col
sangue.
Scusate la brevità del capitolo.
Onestamente non mi riesce
bene immedesimarmi in quel... ehm... coso, diciamo. Però ho
voluto fare un tentativo^^ Che dite? Non devo pentirmi?
Carol2112: carissima, grazie mille davvero! Le tue
recensioni mi
appagano un sacco^^ Sono felice che quell’immagine della
spallina abbia fatto il suo lavoro. Mi spiego: quel che volevo era
esattamente rendere l’idea di qualcosa che scatta in Trunks,
imbarazzandolo. Hai ragione anche sul rapporto di Mirai e Trunks. Lui
si riconosce in lei, in qualche modo, perciò la rispetta...
Perché la capisce pienamente^^ Ed è anche uno dei
motivi, credo, per i quali lui riesce a comprenderla con
facilità. Un bacione…
Cri92: sì… mi piace Trunks
imbarazzato, lo adoro
*-*
Pepesale: già… il nostro
saiyan è
tenero!!! Spero tu sia ancora viva…
Maryana: anche io voterei per Trunks che prova
qualcosa in
più che affetto fraterno per Mirai^^… Vedremo.
Non
preoccuparti, il rapporto tra Mirai e il “losco
figuro” sarà chiarito gradualmente.
Un abbraccio a tutti,
Mirai No
(scusate ancora per la brevità del capitolo!)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Vicina lontananza ***
CAPITOLO
9 – VICINA LONTANANZA
Mirai era dietro a Trunks, a pochi passi di distanza. Vedeva che il
ragazzo stava lavorando all’assemblaggio di qualcosa. Cosa
fosse il qualcosa, però, non riusciva a capirlo. E,
dopotutto, non le interessava.
Voltò lo sguardo, tenendo però al contempo il
giovane sott’occhio, e sbirciò tutto attorno.
Erano in un magazzino. Disposti lungo le pareti si trovavano mobili
tanto numerosi quanto diversi tra loro: vi erano massicci armadi in
metallo con un po’ di ruggine sulle maniglie, ma anche
comò in legno lucido, seppure un po’ coperti di
polvere.
Su alcuni tavoli dalla superficie piana e larga, poi, erano poggiati
vari strumenti: da cacciaviti a righe e squadre per determinare
progetti sui rotoli di carta da lucido poggiati in un angolo.
La ragazzina udiva il rumore dei componenti che si incastravano nel
lavoro di Trunks, e dopo un po’ quei suoni bruschi e
metallici iniziarono ad apparirle famigliari e, in un qualche modo,
rassicuranti.
Soddisfatta la curiosità per il magazzino, si
voltò verso Trunks, ponendo di nuovo la propria totale
attenzione sul giovane.
Quest’ultimo, quando ebbe finito di lavorare, si
passò il braccio sulla fronte, contemplando la propria
opera, per poi volgersi verso Mirai, pulendosi le mani da un poco di
grasso. La ragazzina lo stava fissando e, quando lui
incrociò i suoi occhi, arrossì lievemente e
voltò la testa.
Trunks, invece, la osservò in silenzio.
Di due cose, per lo meno, era assolutamente certo: innanzitutto Mirai
era sicuramente muta, per un motivo che lui non riusciva a comprendere,
ma che avvertiva a tratti dal suo sguardo, dal suo comportamento. In
secondo luogo, si sentiva in dovere di proteggerla, perché
le voleva davvero bene e aveva l’impressione di esserle in qualche modo
indispensabile.
«Mirai!» la chiamò, provando un senso di
tenerezza quando lei si voltò subito, con un'espressione di
aspettativa sul viso. «Qui io ho
finito, e ora mi andrebbe una bella spremuta d’arancia. Che
ne dici, la vuoi anche tu?»
La ragazzina annuì, poi, quando il ragazzo si diresse in
cucina, lo seguì.
Trunks prese due bicchieri dalla dispensa, spremette due arance rosse e
versò la bibita ottenuta nei recipienti, porgendone uno a
Mirai.
Lei lo prese, poi sorbì una piccola parte del succo. Era un
po’ brusco, ma non le dispiaceva. Scrutò Trunks
che beveva a propria volta e per un attimo sentì il
desiderio di tendere la mano a toccargli il braccio. Non lo fece,
temendo la reazione del giovane e che fosse un gesto sbagliato.
E poi, lei doveva rimanere sola. Era meglio evitare quel contatto, lui
stava iniziando a innervosirsi, lo sapeva, semplicemente
perché avvertiva la presenza di Trunks.
Così tenne le dita ben salde attorno al bicchiere,
rimpiangendo un poco quella mancata vicinanza.
Soffocando il rammarico avvicinò il boccale alle labbra,
bevendo d’un fiato la spremuta rimasta.
Finita la bevuta lo seguii in camera. Iniziavo a sentirmi in
qualche
modo strana quand’ero con lui. Avvertivo una specie di
stretta allo stomaco, di ansia e di felicità.
Non capivo di cosa si trattasse, e mi faceva sentire un po’ a
disagio.
Alla sola idea di smettere di seguire il ragazzo, di perderlo di vista,
percepivo però una sorta di timore che mi faceva preferire
di gran lunga quel caos di strani sentimenti.
Inoltre avevo la sensazione di essere al sicuro, quando Trunks mi era
vicino, ed era bellissimo, nonostante dentro me sapessi che non era
un’emozione veritiera.
Presi a far scorrere il dito sui ricami presenti sulla federa del
cuscino, pensierosa.
Trunks stava riordinando alcuni strumenti. Alzai lo sguardo sulla spada
del ragazzo, la quale, al sicuro nel proprio fodero, era stata da lui
appoggiata contro il muro.
E, per un attimo, giocai a far finta di essere normale. Di non avere
colpe, di poter vivere semplicemente accanto a Trunks, senza avere la
perenne sensazione di essere braccata.
Nessuno poteva dire che non fosse un gioco così
terribilmente bello.
Era bello fingere di essere vicina a quella persona alla quale ero
tanto lontana.
Perdonate
il ritardo pazzesco e la scarsa lunghezza del capitolo.
Son Kla: mi fa davvero piacere aver ricevuto un altro dei tuoi lunghi e stupendi
commenti! In effetti, in un primo momento mi sono chiesta se far andare
Mirai nel passato con Trunks, poi però, ho scelto di no.
Infatti, come hai ben capito, non sarebbe cambiato molto rispetto alla
trama originale, e quindi il capitolo sarebbe risultato (a mio parere)
abbastanza noioso. Mi ha fatto piacere che tu abbia apprezzato il fatto
che, dopo il loro distacco, Mirai si sia sentita sola e
perciò abbia avvertito improvvisamente la paura per
un’eventuale scomparsa di Trunks. Così come mi ha
reso felice il fatto che tu abbia apprezzato il comportamento dei due
sia quando la ragazzina si addormenta sia nel cambiamento nel loro modo
di rapportarsi. In effetti, Trunks sembra un po’ schietto
quando dice a Mirai di non averle messo il pigiama. Tenendo conto che
la domanda implicita della ragazzina non riguardava il fatto di
trovarsi in camera ma quello di avere ancora addosso i vestiti da
giorno, il ragazzo appare un po’ disinvolto. Be’,
rileggendo quel punto la frase mi è sembrata effettivamente
un po’ brusca, perciò l’ho leggermente
cambiata così: “Ma non ti ho messo il pigiama,
dato che non volevo svegliarti”. Solo che non so se avvertire
come ho fatto quando ho cambiato il secondo capitolo, dato che, qui, il
mutamento è davvero lieve. Tu che ne dici? Passando
all’ultimo capitolo, hai di nuovo ragione: mi immedesimo
molto meglio in Mirai, e sono felice che ti sia comunque piaciuto.
maryana: grazie, sono felice che tu abbia trovato intenso e ben scritto
lo scorso capitolo.
Pepesale: ehm, ti dispiace se non mi dilungo nel risponderti? Dopotutto
ti ho già detto che sono d’accordo con te riguardo
al capitolo^^
carol2112: sono felice che ti sia piaciuto il capitolo^^ Altrettanto di
aver reso un po’ l’idea del “losco
figuro”, di averlo definito in modo più
consistente. Ho tentennato un po’, inizialmente, non sapevo
se inserirlo un capitolo del genere. Poi mi è venuto
naturale scriverlo al presente e in prima persona, perché mi
sembrava che potesse in tal modo essere più diretto. Quindi
sono oltretutto contenta che sia valso allo scopo.
cri92: ciao, cara. Grazie per la recensione e gli incoraggiamenti, sono
felice che il “capitolo-lampo” sia stato di tuo
gradimento (azzeccato il fatto che il tizio abbia una mente contorta!).
Già, Trunks ha proprio intenzione di proteggere Mirai...
Scusa se non mi dilungo molto ma ho il tempo contato -.-“
Ora vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo! Grazie
moltissimo!
Mirai No |
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Foto e Ricordi ***
CAPITOLO 10
–
FOTO E RICORDI
Mirai camminava per i corridoi della Capsule Corporation. I suoi passi
leggeri, quasi timorosi, producevano solo un lieve rumore.
Trunks stava dormendo, dopo essersi allenato a lungo, e ciò
l’aveva rassicurata sul fatto che non se ne sarebbe andato
via. Non sarebbe scomparso. Non appena lei sarebbe rientrata in camera
l’avrebbe trovato dove l’aveva lasciato. Era un
pensiero confortante.
Forse era proprio per quello che si era allontanata, per poterlo poi
ritrovare. Per sentire quel sollievo. Per quella sensazione era
disposta ad un po’ di insicurezza, lo smarrimento che stava
vivendo in quei momenti. Aveva una voglia matta di correre subito in
camera e tranquillizzarsi, ma resistette.
Stando lontana per un tempo maggiore, maggiore sarebbe stato anche il
sollievo. Ed era proprio quello che voleva. Voleva sentirsi sollevata,
almeno per un attimo.
Camminò sino alla fine del corridoio. Stava per tornare
indietro quando la attirò un particolare che prima non aveva
mai notato. Già. Lì infondo, vicino a quello
strano quadro (“astratto” doveva averlo chiamato
Trunks quando le aveva fatto fare il giro dell’abitazione)
c’era una porta che, a differenza di tutte le altre nella
casa, era chiusa. Mirai rievocò il giorno nel quale Trunks
le aveva mostrato le stanze.
Non c’era dubbio. Quella non l’aveva vista.
Si chiese il motivo. Poi concluse che forse non se ne ricordava.
Comunque la curiosità aveva iniziato a farle presa sulla
mente. Dopo un attimo di esitazione poggiò la mano sulla
maniglia e la abbassò. Si stupì di quanto fosse
dura, e del rumore cigolante che fece la porta nell’aprirsi.
Le sue narici percepirono subito un odore polveroso, facendola
starnutire. Fece un passo avanti, guardandosi attorno.
Era una stanza grande, come quella di Trunks. C’era un letto
coperto da un telone bianco impolverato. Anche sul comodino
c’era un lieve strato di polvere. La ragazzina
alzò il mento per avere una visione più completa
della camera. Due armadi e una scrivania erano gli unici altri mobili.
Riflettendo, Mirai si passò un dito lungo il naso. Si
avvicinò al tavolo, sul quale era poggiata una lampada.
Provò a cliccare sull’interruttore, ma non accadde
nulla. Non funzionava, evidentemente.
Pensierosa, prese di nuovo visione dell’ambiente in cui si
trovava. Allora si accorse che su una mensola erano sistemate alcune
fotografie. Le sbirciò, senza però osare
avvicinarsi. Alcune rappresentavano Trunks più piccolo, in
altre il ragazzo doveva avere più o meno la sua
età. Un altra persona che compariva spesso era un ragazzo
che lei non conosceva. Occhi neri e capelli altrettanto scuri.
Un’altra foto ancora rappresentava un uomo e una donna,
entrambi neri di iridi e capigliatura. Quest’ultima,
nell’uomo, era davvero strana. E lui aveva
un’espressione un po’ ingenua e infantile, da
bambino, quasi. Ed era un bambino quello che teneva in braccio. Non si
poteva dubitare che fosse suo figlio.
Mirai sfregò un piede infreddolito contro l’altra
gamba, poi si avvicinò appena a guardare il piccolino. Si
teneva aggrappato alla tuta del papà con le manine
grassottelle tipiche di tutti i bimbi piccoli. Sulla testa aveva un
capello sormontato da una buffa pallina arancione.
La ragazzina fece un passo indietro, distogliendo lo sguardo da quelle
foto incorniciate che, per un qualche strano motivo, le trasmettevano
un senso di tristezza misto a malinconia. A quel punto si accorse che
sul pavimento c’erano alcuni pezzi di carta. Ne raccolse uno,
perplessa. Doveva essere stato strappato da un libro, o da un quaderno,
o forse da un semplice block notes.
Mentre si domandava perché mai quei fogli fossero stati
lacerati, udì un rumore alle proprie spalle. Si
girò di scatto.
«Mirai… che ci fai qui?» chiese Trunks,
immobile sulla soglia.
La ragazzina scrollò le spalle, poi gli rivolse
un’occhiata perplessa. Con un gesto della mano, alluse poi
alla stanza in cui si trovavano.
«Questa…?» chiese Trunks. Lei
annuì, seria. Il ragazzo appoggiò una mano sul
muro. «Questa era la stanza di Gohan».
Mirai socchiuse gli occhi… Già. Ancora lui. Il
maestro di Trunks.
Si chinò a raccogliere un pezzo di carta, e lo
mostrò al giovane. Lui parve imbarazzato. «A
strapparlo» disse a bassa voce, «sono stato
io».
Lei corrugò la fronte.
«Vedi, Mirai» iniziò allora a spiegare
il ragazzo, «quando il mio maestro è morto ero
arrabbiato. Per settimane intere ho provato l’impulso di
stracciare libri, di rompere oggetti…» Si
interruppe un attimo. «Sai, era un modo per scaricare la mia
rabbia su qualcosa… mi illudevo di sentirmi meglio, dopo.
Così, un giorno, sono arrivato qui e…»
Non ci fu bisogno che completasse la frase. Quel che voleva dire era
fin troppo chiaro.
Mirai distolse lo sguardo, fissando intorno. Infine, in assenza di
altri spunti per farlo ancora parlare, indicò una foto che
ritraeva quel ragazzo moro, per poi volgere a Trunks uno sguardo
interrogativo.
«Sì» ripose lui. «Quello
è Gohan. Quello era Gohan» si
corresse dopo un
attimo.
Poi la prese per mano, portandola fuori. Si richiuse con delicatezza la
porta alle spalle. «Andiamo in sala?» propose, con
voce forzatamente normale.
Lei annuì.
Arrivati nel salotto Trunks si sedette da un capo del divano, mentre
Mirai sprofondò nei cuscini poggiati sulla parte opposta.
«Che dici, Mirai?» chiese d’un tratto il
giovane. Lei si sistemò in una posizione più
eretta per poterlo guardare meglio. «È solo una
mia impressione che le foto siano strane?» La ragazzina non
fece alcun gesto, non sapendo quale sarebbe stato appropriato, ma
evidentemente Trunks non attendeva una risposta, difatti
proseguì, gli occhi azzurri puntati su di lei.
«Voglio dire, aiutano a rammendare momenti belli, ma danno
anche un senso di malinconia, perché quegli attimi non
possono tornare… Almeno per me è
così» concluse, distogliendo lo sguardo.
Mirai rifletté su quelle parole. Già…
quello che stava in una foto non poteva appartenere al presente. Le
immagini catturate sopra di essa erano perdute. Era come se il passato
mostrasse cosa viveva ancora in lui e mancava al presente.
Perplessa, si appoggiò pesantemente sui cuscini.
Poi si sporse a guardare Trunks, ed un pensiero improvviso la
colpì. “Non mi ha lasciata. Non sono nemmeno
dovuta andarlo a cercare. È venuto lui da me. Non mi ha
abbandonato”. Si sentì un po’ meglio.
Okay,
forse ho esagerato, a continuare a menarla su Gohan del futuro!
Be’, date la colpa alle foto. Io sono innocente. Be’, relativamente
innocente, dato che comunque questo capitolo è nato pur
sempre dalla mia testolina bacata^^”
Son Kla: già, pian piano qualcosa sta cambiando in
ciò che sente Mirai^^ Riguardo a quelle frasi che ti
ricordano “Twilight”, me l’ha fatto
notare anche una mia cugina… Ma io non so dire, dato che non
l’ho letto. Sono felice che ti piaccia il modo in cui ho
corretto quella frase (più la rileggevo, non so se te
l’ho già scritto, più mi sembrava meno
appropriata al carattere di Trunks del futuro). Grazie mille, alla
prossima^^
carol2112: ti capisco benissimo, anche a me, mentre lo scrivevo
(chiarisco: mentre batto sui tasti le cose mi vengono fuori
così, poi me le rileggo per sapere che ho scritto XD)
è piaciuto il fatto di Mirai che arrossisce, l’ho
messo per evidenziare un cambiamento nel rapporto che ha con
Trunks… In quanto al disagio di Mirai… Credo sia
come mi comporterei io ^_-
maryana: non preoccuparti, l’ “elemento”
che rende Mirai in qualche modo diversa salterà fuori poco a
poco (ma dove l’ho preso questo gusto insano a tener la gente
sulle spine?! XD). Anche io ti assicuro che mi ricordo bene le
sensazioni che provavo al mio primo amore… ed ho cercato di
rifletterle nella ragazzina^^ Grazie mille per la recensione lunga
(anche senza contare i tuoi standard, a mio parere)
FullmoonDarkangel: BuonGiorno (modo originale di rispondere ad una
vecchia amica, soprattutto se lei ha esordito nell’identico
modo ^_-). Wew, io te e Pepesale (ci siam capite XP) riunione di
famiglia!!!! Grazie mille^^ Seguirò al massimo il punto tre^^
Cri92: Cri!! Oddio, scusa, non solo non ho ancora recensito
l’ultimo capitolo, non ti ho nemmeno mandato la mail come
promesso (Dio, tutti gli impegni che ho mi fanno impazzire!!) Grazie
davvero per il commento… Sono felice ti piaccia
ciò che desidera Mirai. Gli errori di orografia sono
esclusi, sto sempre a scrivere con il Santo Correttore di Word XD
però nulla mi salva da quelli di sintassi
ç_ç se ne vedi avvertimi ^_-
Pepesale: appena in tempo. Sì, ma lo sapevo già
(comunque recensisci ogni volta è_é mi
raccomando) quel che pensavi. Hai visto a cosa ha fatto nascere la
relazione sulle foto, filosofa maniaca?!
Grazie a tutti, alla prossima!
Mirai No
Infine cambierò davvero il titolo in “Parlami di
pace”. Mi scuso con quelli che avevano detto di preferire il
corrente, ma, andando avanti (almeno mentalmente XD) con la trama lo
trovo infine più azzeccato. Scusatemi ancora… |
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Quel desiderio inespresso ***
CAPITOLO
11 – QUEL DESIDERIO INESPRESSO
Il mattino dopo, quando Trunks riemerse dal sonno sbadigliando, si rese
conto che Mirai era già sveglia.
«Siamo mattiniere, oggi, eh?» le chiese,
sorridendole affettuosamente.
La ragazzina abbassò gli occhi, le guance arrossate.
Dopo essersi vestiti ed aver fatto colazione, uscirono in cortile.
Bulma stava riparando uno strano (almeno agli occhi di Mirai)
meccanismo, e il figlio le passava alcuni strumenti da lei richiesti.
In quanto alla ragazzina, osservava senza vero interesse la scena, in
piedi poco lontana da Trunks.
«Accidenti» borbottò Bulma ad un certo
punto. Trunks si sporse in avanti. «Che
c’è, mamma?»
Lei gli mostrò qualcosa che Mirai non riuscì a
vedere, dicendo: «Serve un componente di ricambio per
questo».
Il ragazzo annuì. «Posso andartelo a prendere,
oggi» offrì. Leggendole negli occhi che la madre
stava per rifiutare, aggiunse accorato: «Per
favore!»
Bulma rise. «D’accordo, penso tu sia abbastanza
grande per badare a te stesso».
Lui scrollò le spalle. «Me la cavo»
replicò, laconico.
La madre gli diede qualche oggetto da barattare in cambio di quello che
serviva davvero.
Mirai lo guardò ringraziare Bulma. Poi lo vide voltarsi e
incamminarsi verso il cancello. Improvvisamente inquieta, gli corse
dietro.
«Che c’è, Mirai?»
domandò lui. La ragazzina lo fissò con gli occhi
di quel bizzarro colore, mordendosi un labbro. Infine
allungò la mano verso Trunks, prendendo il braccio del
giovane. Lui guardò le dita della ragazzina strette attorno
alla manica della sua giacca e sorrise. «Vuoi venire con me,
giusto?»
Lei annuì, con serietà.
Lui le prese la mano. Non ebbe bisogno di comunicare alla madre il
desiderio di Mirai. Bulma, infatti, aveva seguito la conversazione.
Alzò la mano per salutare i due, ma la riabbassò
quasi subito. Sospirando, tornò al lavoro.
Era una bella sensazione. Non sapevo spiegarmi il motivo,
sapevo solo
che tenere la mano in quella calda e forte di Trunks, camminando, mi
piaceva.
O forse “piacere” è una parola
esagerata. Forse semplicemente quel che provavo mi faceva sentire
pienamente viva.
E poi lui parlava. Mi indicava prima quelle piante tanto alte da essere
vicine a sfiorare il cielo, che pure rimaneva indifferente al loro
sforzo, poi quella bottega malmessa, quelle strade piene di
erbacce… e spiegava. Raccontava cose che nemmeno capivo,
troppo presa dalla sua voce.
Lo ascoltavo, e volevo solo quello. Ascoltare la sua voce sino a quando
non mi avrebbe riempita.
Poi la strada disconnessa che stavamo percorrendo
s’inclinò improvvisamente, sfociando in un ampio
dislivello. Guardai giù. Poi iniziammo a scendere. Era
ripida, e più volte rischiai di scivolare, ma Trunks era
pronto ad impedirmelo.
Poi eccoci. Non me lo disse apertamente, eppure lo compresi. Era quella
la nostra meta. Era il mercato.
La prima cosa che mi colpì fu l’odore. Leggero,
appena percepibile, ma talmente presente che era impossibile non
sentirlo. Non lo seppi definire con chiarezza. Era delicato, e non
osavo indagare con l’olfatto, come quando si tiene una rosa
in mano ma non ci si azzarda a stringerne i petali, per paura di
guastarli.
Era pieno di bancarelle. Tutte ricoperte di veli neri. Le persone erano
tese, allarmate, e discutevano sottovoce. Eppure si sentiva talmente
tanto quella sensazione di vitalità che non si poteva
dubitare di quanta gente ci fosse.
I miei piedi producevano uno scricchiolio ad ogni passo, poggiandosi
sulla ghiaia del terreno. Un paio di persone si girarono verso di noi
al nostro passaggio, istintivamente mi strinsi a Trunks, ansiosa di
essere protetta da quelli sguardi indagatori.
Il ragazzo mi guidò sino ad una bancarella. Scrutai il
proprietario: si trattava di una donna dai capelli verdi e lunghi, ma
un po’ ingrigiti dal tempo. Era gracile, eppure dai suoi
gesti traspariva un’energia inaspettata.
«Che vuoi, ragazzo?» apostrofò duramente
Trunks. Nella sua voce avvertii uno strano accento che non seppi
definire.
Abbassai un attimo lo sguardo mentre Trunks spiegava ciò che
desiderava acquistare.
«E ci hai la grana per pagare? ‘Ché non
è mica robina da niente, lo capisci questo, non è
vero? C’hai l’aria del ragazzo intelligente, io
penso».
Guardai Trunks estrarre dalla tasca alcuni oggetti che posò
sul piano del bancone. Erano gioielli piccoli, con alcune pietruzze
azzurre. La donna li scrutò, li prese in mano, li
soppesò.
«Che non c’hai mica qualche cosa
d’altro?» chiese dopo un’attenta
osservazione.
Trunks non si mosse, osservandola seriamente. «Quei gioielli
bastano» affermò, con un mondo di sicurezza nella
voce. Spostai il peso del mio corpo da una gamba all’altra.
«Ehmbé, può darsi che no»
affermò la donna. La scrutai perplessa.
«Io dico che bastano» ribadì Trunks.
«Ma che tu devi capire che mi sono una povera
vecchia… Devo campare poi con il frutto de’ mie
vendite» obbiettò la donna.
«Lo so, signora, che lei deve avere di che vivere»
mormorò Trunks, e per la prima volta in quel dialogo la sua
voce tremò appena. «Ma anche io, mia madre e
lei» (qui fece cenno a me) «dobbiamo
sopravvivere».
Si voltò. «Comunque, ce
l’avrà qualcun altro, ciò che mi serve.
Vieni, Mirai». A quel richiamo gli afferrai la mano.
Iniziammo ad allontanarci.
Avevamo fatto cinque passi contati che la donna ci richiamò
indietro. Trunks le porse nuovamente le collanine che le aveva mostrato
in precedenza, aggiungendo un orecchino piccolo ma bello, e in cambio
la donna gli diede quello che lui aveva acquistato.
Poi, io e lui, ci allontanammo davvero.
Stavo ancora riflettendo su quel che avevo appena visto che Trunks mi
chiamò e disse con un sorriso tirato: «Visto che
lezione di sopravvivenza?»
Sorrisi a mia volta, incerta.
Non avevo ben capito il motivo, però doveva essere la cosa
giusta da fare. Infatti il sorriso del ragazzo assunse una sfumatura
più vera, e lui allungò la mano a scompigliarmi i
capelli in un gesto affettuoso.
Alzai la testa a contemplare le foglie rosse dell’autunno
(presto sarebbero cadute) e di colpo seppi di essere cresciuta. O
meglio, di avere passato il mio quattordicesimo compleanno. Non ero
certa di quando fosse accaduto con precisione, ma sapevo di averlo
superato.
O meglio, lui lo sapeva.
Sembrava sapere tutto di me. Anche le cose che non sapevo io.
Sentii il desiderio di comunicarlo a Trunks. Gli tirai la manica. Lui
mi scrutò perplesso. Io allora mi posai la mano sul petto,
poi tesi le dieci dita delle mani per poi mostrargliene quattro di
quella destra.
Lui mi fissò un attimo, poi un’ombra di
comprensione gli passò sul viso. «Hai quattordici
anni?» Annuii. Lui non mi chiese come potevo esserne certa,
non mi domandò nulla. Si limitò a dire con
naturalezza: «Allora dovremo fare una festa
stasera… Lo dirò alla mamma».
Mi grattai la nuca, perplessa.
Trunks camminava a passo svelto. Ben presto, perciò, fummo
davanti alla Capsule Corporation. Fissai pensierosa
l’abitazione, poi alzai la mano a sfregare appena la punta
del naso, il quale, a forza di stare all’aria aperta, mi
stava divenendo un po’ freddo.
Quando entrammo, perciò, provai un moto di sollievo a
sentire la calda atmosfera che si sentiva già
nell’ingresso.
Trunks mi lasciò la mano (cosa che gli permisi di fare a
malincuore) e camminò rapido sino al magazzino per
appoggiare la borsa con la sua spesa.
Mi chiesi se seguirlo o rimanere ferma dov’ero, e alla fine
optai per la seconda alternativa. Dopo un po’,
però, stavo per lasciarla perdere e correre dal ragazzo, ma
proprio in quel momento tornò. Respirai a fondo, sollevata.
Lui sorrise vedendo che non mi ero mossa da dove mi aveva lasciata.
«Vieni» mi invitò, con quella sua voce
calda e impossibile da rifiutare, «andiamo ad annunciare a
mia madre che stasera si festeggerà un
compleanno». Lo seguii senza fiatare.
Bulma stava lavorando davanti al computer, e il ronzio
dell’elaboratore elettronico riempiva la stanza. Si
voltò subito quando entrammo.
«Sai, mamma?» esordì al mio fianco
Trunks. «Mirai ha quattordici anni, ora».
La donna parve sorpresa. «È il tuo
compleanno?» mi chiese, gentilmente. Alzai le spalle, in
quanto non sapevo se esso fosse proprio quel giorno o qualche
dì precedente.
Lei non parve trovare problemi, e accattonò subito la
questione. «Dovrò fare una bella torta»
disse vivamente, alzandosi dalla scrivania. Si sistemò una
ciocca di capelli azzurri dietro l’orecchio, riflettendo.
Infine si rivolse a me e a Trunks. «Voi due» ci
interpellò sorridendo, «vedete di filare in
giardino in modo da non disturbarmi mentre faccio i preparativi
necessari».
La fissai confusa. Tutto questo... per me?
«Sicura di non volere una mano?» chiese Trunks con
premura.
«Certo» replicò Bulma con un sorriso
sulle labbra, mentre io ascoltavo silenziosamente, «faccio
volentieri a meno di distrazioni» scherzò.
«E poi...» aggiunse, posando su di me gli occhi
«non vorrai lasciare da sola la festeggiata?»
Trunks si girò a guardarmi a propria volta, intensamente.
Avvertii improvvisamente la sensazione di essere al centro
dell’attenzione, insieme ad un’ondata di disagio.
Imbarazzata, chinai la testa in avanti in modo che i capelli mi
coprissero parzialmente il volto in fiamme. La rialzai solo quando udii
la voce di Trunks dirmi: «Okay, Mirai, usciamo».
Battei le palpebre e lo seguii rapidamente all’aria aperta.
Non prima però di aver permesso a Bulma di imbacuccarmi a
dovere.
Il cielo era già scuro, nonostante fossero appena le
diciassette e qualche minuto, e di conseguenza le sagome degli alberi
si stagliavano (ancor più nere) contro di esso,
comunicandomi un sottile senso di paura, il quale svanì il
momento dopo mentre, calpestando foglie cadute, seguivo Trunks per il
giardino.
Il saiyan scrutò dietro di sé con la coda
dell’occhio, e notò divertito che Mirai arrancava
sulla sua scia. Allora rallentò il passo per permetterle di
raggiungere il proprio fianco. Si guardò attorno, poi si
volse appena verso la ragazzina.
Sembrava così piccola, con indosso quegli abiti troppo
larghi, e così indifesa.
Allora, quasi istintivamente, le circondò le spalle con il
braccio. Lei si irrigidì a quel contatto, poi, poco a poco,
tornò a rilassarsi, forse trovando conforto nel calore del
ragazzo.
Passeggiarono per un po’ avanti e indietro, il silenzio rotto
solo dal rumore delle foglie secche che scricchiolavano sotto i loro
passi.
Poi la voce di Bulma li chiamò: «Ragazzi,
è pronto!»
Trunks sobbalzò e si allontanò da Mirai,
più per reazione istintiva che per vera preoccupazione che
la madre li trovasse così.
Perciò rivolse alla ragazzina un sorriso di scusa,
invitandola ad entrare con lui.
Quando arrivarono in cucina, Mirai sbarrò sorpresa gli
occhi. La tavola era stata coperta da una tovaglia bianca. I tovaglioli
erano rossi e di conseguenza spiccavano, anche i bicchieri e i piatti
le sembrava di non averli mai visti prima.
Bulma li fece accomodare. In risposta allo sguardo un po’
stralunato della bambina, disse, accennando alla tavola:
«Sono le stoviglie e la tovaglia per i giorni
speciali».
La cena fu abbondante, ma non troppo diversa da quella degli altri
pasti. La differenza principale stava nell’enorme torta che
la padrona di casa presentò come dessert. Mirai la
fissò, perplessa. Il suo stupore, poi, aumentò
quando Trunks dispose attentamente quattordici candeline su di essa.
Il ragazzo scrutò la propria opera, poi esclamò:
«Ma mamma, sei stata grande!»
Lei agitò la mano, come a rifiutare i complimenti.
«Suvvia, avevo una buona parte del pomeriggio per
lavorarci... E poi, caro, non scordare che tua madre può
fare tutto» aggiunse ridendo, mentre porgeva una scatola di
fiammiferi al figlio.
Lui ne accese uno dopo essersi stretto nelle spalle in risposta alla
dimostrazione di estrema modestia della madre. E dopo qualche attimo le
fiammelle danzavano allegre sulle candeline, illuminando la torta.
Trunks si voltò verso Mirai e la scoprì intenta a
fissare le candele con un’espressione di palese
perplessità.
«Non hai mai... festeggiato un compleanno prima
d’ora?» le chiese sussurrando.
Lei confermò con un gesto, alzando gli occhi grigi sul
giovane. «Be’, non c’è
problema, esiste sempre una prima volta» affermò
lui. «Ora, Mirai» le spiegò, ricevendo
la piena attenzione della ragazzina, «devi semplicemente
spegnere le candeline soffiando sulla fiamma».
Mirai fissò interrogativa il ragazzo. “Ha acceso
le candeline solo per farmele spegnere?” si chiese perplessa,
in quanto le sembrava un gesto insensato.
«È una tradizione» disse allora Trunks,
«in più, si dice che se esprimi un desiderio e poi
riesci a spegnere in un sol fiato tutte le candeline, quel desiderio si
avvera». La sua voce divenne sempre più piatta.
Lui c’era sempre riuscito, a spegnere quelle fiammelle
oscillanti in un colpo. Aveva anche smesso presto di pensare ad un
desiderio, ma alcuni (pochi, tre al massimo) li aveva espressi. E,
naturalmente, non era vera quella storia.
Però non gli sembrava giusto che Mirai non la potesse mai
conoscere. Le voleva dare l’opportunità di
crederci, o, com’era più probabile (dato che la
ragazzina era comunque già grande per avere fede in un
racconto del genere) fingere di crederci.
Mirai si guardò per un attimo attorno, poi
soffiò. Le fiammelle tremolarono, ma alla fine erano spente
tutte.
Trunks sorrise e la ragazzina si chiese se l’avrebbe fatto
anche se avesse saputo che lei non aveva pensato a nessun desiderio,
nonostante ne avesse tanti non esauditi.
Ammetto che ho avuto parecchi
tentennamenti prima di decidere di
inserire questo capitolo, che mi è venuto in mente
così, di colpo... Spero di non dovermi pentire della
decisione^^
Son
Kla: per me l’idea della camera di Gohan non
è
che sia una sistemazione permanente, piuttosto che ci fosse per quelle
volte in cui il ragazzo andava a trovare Bulma e Trunks. Grazie per la
recensione bellissima^^
Pepesale:
eccoti qua! Ma dico, ti ho già detto che fa lo
stesso anche se non recensisci! Ne ho già abbastanza delle
tue chiacchiere, assicurato XD comunque grazie per il pensiero
carol2112:
non preoccuparti se recensisci in ritardo.... Guarda poi che
commenti lunghi mi lasci! Hai ragione, Trunks è bravissimo a
capire quel che prova Mirai^^ Vero, le foto sono assai bizzarre da
questo punto di vista, mamma mia, povero Gohan
maryana:
sono veramente contenta che la storia ti piaccia
così tanto^^ Anche a me piace molto il dialogo
“mentale”, in un certo senso, che
c’è tra Mirai e Trunks, quindi sono doppiamente
felice che lo apprezzi!
cri92:
ciao, cara! No problem per il ritardo, alla fine la recensione
la fai comunque, ed è quel che importa! Sono felicissima di
averti fatto vivere in modo talmente profondo da immedesimarti in
ciò che è accaduto.
Scusate le risposte scritte un po’ in fretta
ç__ç alle vostre bellissime recensioni, ma il mio
tempo al computer si fa sempre più limitato
Alla prossima, Mirai No
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Il sogo di Mirai ***
CAPITOLO
12 – IL SOGNO DI MIRAI
Avevo freddo. Rabbrividii, spaventata, nel mio intimo,
cercando
istintivamente di comunicare al mio corpo quel senso di disagio.
Eppure esso non mi ascoltava.
Le mie gambe si muovevano disinvolte per il vicolo buio, umido e
spoglio, muovevo passi silenziosi, felpati. Ogni mossa era fluida,
l’olfatto e l’udito più acuti del
normale. Anche il modo in cui mi guardavo attorno era diverso.
Poi udii un odore. Cos’era? Perché mi faceva
accapponare la pelle? E cos’era quel brivido? Paura?
No… Piacere…
Senza sapere cosa stessi facendo, scoprii i denti in un brontolio
eccitato e minaccioso.
Vidi di fronte a me un uomo.
Volevo implorarlo, chiedergli dove fossimo, perché io avevo
bisogno di Trunks, un bisogno disperato di lui. Sentivo la gola stretta
in un nodo.
Mossi un passo.
Ma… Perché mi guardava con orrore? Mi sentii
confusa, e in qualche modo ferita. E nel suo sguardo c’era
qualcos’altro… Terrore, perché?
Io avevo paura.
Poi, quando le mie gambe diedero al corpo la spinta necessaria per
spiccare un balzo, e percepii una tensione piacevole in ogni fibra del
corpo, capii. Era lui. Io ero lui.
Cercai di urlare, ma i suoi pensieri mi arrivarono alla mente,
più vicini e nitidi di quanto non fossero mai stati.
“Che hai, piccola?” mi domandava, in tono beffardo.
Ricordai con chiarezza assurda, data la situazione, che anche Trunks a
volte mi chiamava così, ma il tono che usava lui non aveva
nulla del disprezzo che sentivo ora, non aveva niente in comune con
quella vibrazione maniacale che sentivo tremare nella sua voce.
E Trunks? Dov’era Trunks, mi chiesi, con una fitta di panico.
“È un bel gioco, non ti piace?”
I suoi artigli raggiunsero la preda. Ed erano anche i miei artigli.
Sentii la carne lacerarsi sotto le mie dita, e ne fui terrorizzata.
Era l’incubo più orripilante che avessi mai fatto.
Non potevo scappare. Non potevo vomitare, né piangere,
né urlare. Semplicemente, il mio corpo non mi obbediva. Il
suo corpo, precisai, con una nuova ondata di nausea, perché
non era il posto della mia mente.
L’odore di sangue era fortissimo. Metallico, salato, acuto. E
quel che era peggio era che il mio olfatto si crogiolava in esso,
assaporandolo con un gusto immenso.
“Lasciami!” urlai, nella mia mente,
l’unica cosa che mi appartenesse a quel punto.
Percepii la sua essenza che si strusciava, nel senso meno fisico
possibile della parola, contro la mia, come un enorme gatto che fa le
fusa. Un gatto assetato di me. “Perché dovrei, sei
così impaurita” considerò.
“In più, dovresti essere felice”
continuò quella voce inquietante, mentre i nostri denti
laceravano altra carne, e la nostra lingua si posava su quel liquido
vischioso. “Questa è una proiezione di
ciò che, inevitabilmente, accadrà in
futuro”.
Una fitta di terrore mi trapassò la mente.
“Non è vero!” mi dissi disperata, mentre
il corpo che sentivo muoversi giocava con quel che restava della
vittima.
“Io non sarò mai come te! Io… io sono
diversa da te!”
Uno scatto rabbioso, voltai la testa, le narici dilatate dalla rabbia
che provava lui. “E in cosa saresti diversa?!”
Un’ondata di odio, talmente forte che mi parve una botta
fisica.
“Hai ucciso, piccola”, di nuovo quel termine per
farmi sentire maggiormente indifesa, “hai trasgredito regole,
hai dimostrato di essere capace di far del male non solo agli altri,
anche a te stessa!”
Era vero, veramente vero. L’aria fresca della notte mi
accarezzava la pelle.
“Io ho Trunks!” Non sapevo da dove fosse partito
quel mio urlo interiore, seppi solo che sembrava più la
supplica di una bambina spaventata (e cos’altro ero?) che un
grido di rabbia.
Un brontolio, sempre più forte. Mi accorsi che stavo ridendo.
“Il ragazzino?” Il tono scettico del suo pensiero
mi ferì più di quanto avessi creduto fosse ancora
possibile. “Per piacere! Lui… Cosa credi possa
fare per proteggerti?”
“Lui vuole proteggermi!” Era uno stupido, capace di
volermi bene, ma gli ero terribilmente grata per quello.
“Non lo nego… Ma tra volere e potere è
una bella strada”. Piccolo passo ciondolante, pigro, in
avanti. “Esempio. Tu vuoi liberarti di me, ma non
puoi”.
Tenevo gli occhi socchiusi rivolti verso il cielo, il corpo totalmente
rilassato.
“Lui non può seguirti nei sogni. Io sì.
Io non sono solo all’aperto, pronto ad aggredirti, sono anche
nella tua mente. Posso partecipare ad ogni tuo sogno. E, magari, nel
sogno potrei colpire…”
Tentai di scrollarmi di dosso quel corpo, come se fosse stato anche
lontanamente possibile.
“Oppure… Potrei lasciar stare. E allora saresti
tu. Saresti tu a colpirlo, a vedere la sua espressione
stupita”, nuova risata, “mentre si chiede che fai.
Non reggerai a molto, piccola, soprattutto se io non lo
voglio”.
Odiava Trunks, lo odiava moltissimo, capii.
“Però ringraziamo il ragazzetto. Senza di
lui…” Schioccò la lingua.
“Era da un po’ che non gustavo un terrore
così genuino”. Sospirò, mentre mi
sentivo rigida nella mente e rilassata e tranquilla nel corpo.
“Ma sarà una bella cosa, piccola, davvero bella.
Hai visto l’agonia dell’uomo che abbiamo ucciso
insieme. Anche il tuo Trunks potrebbe soffrire così, se non
di più”.
Poi tutto iniziò a girare, avevo la nausea, volevo graffiare
quel corpo, uscirne…
E di colpo spalancai gli occhi, drizzandomi a sedere. Mi guardai
attorno, il respiro affannoso.
Il silenzio calmo della stanza che condividevo con Trunks mi
tranquillizzò appena. Le figure del sogno svanirono poco a
poco, lasciandomi un’inquieta agitazione.
Mi strinsi le ginocchia al petto, desiderando per un attimo di
piangere. Ma non ci riuscii. Stetti semplicemente lì, gli
occhi spalancati, le orecchie tese a percepire il respiro del ragazzo
che dormiva nel letto vicino al mio.
Abbassai la testa. Ero stata una stupida a credere di potermi
allontanare da lui. Aveva ragione, c’erano posti in cui
Trunks non poteva proteggermi. Fra i quali la mia mente.
E, dopo tempo, la sentii di nuovo, forte e soffocante, quella stretta
oppressiva al petto, o forse nella mia testa.
Quella presa che mi comunicava che non avevo scampo. Che lui mi
tratteneva a sé tenacemente. In tutti quei giorni, mi ero
solo illusa.
Almeno era stata una bella illusione.
Come tutti, mi sembra
(e di sicuro sono troppo pigra per andare a
controllare nelle vostre recensioni xD) avevate intuito, ecco che,
conclusi i capitoli della “calma prima della
tempesta”, ci ritroviamo nell’acquazzone.
maryana: mi fa
piacere che tu abbia apprezzato il capitolo precedente
nonostante fosse di passaggio e che ti sia piaciuta
l’atmosfera un po’ tesa che ho cercato di
caratterizzare^^
cri92:
già, Trunks è, come al solito, bravissimo
a capire quello che prova Mirai... x3 Non so se Bulma, nel caso li
avesse trovati ancora “abbracciati” avrebbe avuto
qualcosa da ridire, forse è dell’avviso che suo
figlio dovrebbe mettere su famiglia (se è così,
mi offro volontaria XD) ma Trunks si è cmq allontanato con
un balzo...
Son Kla: sono
felice che tu abbia gradito il capitolo. In effetti,
inizialmente avevo scritto solo del mercato, ma dopo un po’
mi è balenata in mente anche l’idea del compleanno
di Mirai. Onestamente, anche io credo che Trunks un po’ di
decisione, altrimenti non so come sia durato nel mondo in cui ha
vissuto... Hai, ragione, Trunks non può pensare che Mirai
non ricordi il suo compleanno. Più che altro quel
“Lui non mi chiese come potevo esserne certa”
l’avevo inserito perché è Mirai a
parlare e lei, non sapendo quando compie gli anni, non si aspetta che
la gente lo sappia. Lo so ^^” è un ragionamento un
bel po’ contorto... Riguardo a quando escono in giardino,
anche a me suona un po’ troppo ridotto il tempo... Avevo
provato a “estenderlo” ma è venuto su un
casino da far accapponare la pelle. Poi, per come sono, potevo sempre
essere io ad avere una visione distorta del tutto. Non so, magari
più avanti cercherò di aggiustarlo un
po’ (per adesso riesco a stento ad aggiungere nuovi
capitoli...). Ciao^^
carol2112: ciao! Non
preoccuparti, già è tanto
che tu mi abbia lasciato tutte quelle altre lunghe recensioni^^ Mi fa
piacere che ti sia piaciuto. Eh già, stavolta di Gohan non
se n’è parlato. Amen^^
Al prossimo capitolo,
Mirai No
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Solo acqua ***
CAPITOLO
13 – SOLO ACQUA
Il sole iniziò a filtrare dalla finestra, illuminando la
stanza.
Mirai si ritrasse dalla luce, quasi temesse di essere sfiorata da quei
raggi tiepidi e ancora timidi. Si morse il labbro, angosciata.
In quei giorni passati in compagnia di Trunks, aveva ricominciato a
vivere. Forse indispettita dapprima, forse esitante, ma aveva vissuto.
Aveva sorriso, aveva respirato, aveva avuto voglia di ridere. Si era
sentita protetta, e l’esistenza aveva perso un po’
del suo peso.
Ora aveva l’orribile e amara sensazione che tutto fosse
tornato come prima. Si strinse maggiormente alle proprie gambe, quasi
temesse di finire in pezzi se solo avesse allentato la morsa.
In quel momento, Trunks si svegliò. Aprendo gli occhi, si
stiracchiò pigramente, tendendo le braccia. Mirai
sobbalzò.
Il ragazzo alzò su di lei i suoi occhi azzurri e le fece un
sorriso affettuoso. «Dormito bene?»
domandò, per riempire quel silenzio che pareva essere la
maledizione di Mirai.
Lei ripensò con un brivido all’incubo.
Fissò Trunks con aria infelice.
Il giovane le rivolse uno sguardo preoccupato in risposta, ma prima che
potesse dire o fare qualcosa per annullare le distanze, Mirai si
voltò.
Il saiyan fissò la schiena della ragazzina, la sua nuca.
Sospirò, pensando che era incredibile come lei riuscisse a
tagliare fuori il resto del mondo con un semplice movimento. Per un
momento accarezzò l’idea di avvicinarsi a lei e di
voltarla con delicatezza. Si chiese come mai non ne avesse voglia, poi
capì: non era il fatto che Mirai si isolasse dal resto, era
il fatto che la ragazzina desse piena impressione di volersi isolare.
Non sapeva perché, ma percepiva quanto fosse importante per
lei rimanere sola in alcuni momenti. Ed era quello che lo bloccava.
In certi istanti, riusciva a raggiungerla comunque, a decidere, in un
certo qual modo, che non era così che lei doveva stare.
Altri, la volontà di Mirai era troppo disperata, e lui non
riusciva a opporsi.
Perciò rimase in silenzio per qualche attimo. Infine si
alzò, ed allo scricchiolio lieve prodotto dalle molle del
letto Mirai si voltò.
Trunks sorrise appena, tentando di infonderle calore.
La ragazzina si irrigidì.
«Vieni, coraggio» mormorò Trunks,
cercando di utilizzare un tono tranquillizzante. Fece per prenderle la
mano, ma lei si scostò, scendendo dal letto.
Lo seguì in cucina, ma teneva le mani intrecciate tra loro,
scoraggiando ogni contatto.
Bulma li salutò calorosamente, ma le linee di preoccupazione
sul suo viso sembravano essersi moltiplicate, e si mordeva il labbro
con frequenza.
Mirai non volle mangiare nulla. Trunks notò anche che
sembrava maggiormente inquieta del solito. Negli occhi della ragazzina
era evidente un forte nervosismo, e più di una volta la
sorprese con una smorfia (non capì se di tristezza o
sofferenza) sul viso. Il giovane tentò di distrarla
parlandole di Bruck, ma le parole non sortirono l’effetto
desiderato. Mirai lo fissava assente o con la paura nello sguardo,
senza dare l’impressione di prestare davvero attenzione a
ciò che accadeva.
Quando la colazione poté dirsi conclusa, perciò,
Trunks si avvicinò a lei e, prima che la ragazzina potesse
sottrarsi, le posò una mano sulla fronte. Mirai
tremò a quel tocco fresco.
«È bollente» affermò Trunks,
voltandosi verso sua madre. «Mamma»
proseguì, preoccupato, «credo proprio che abbia
l’influenza».
Bulma osservò apprensiva la ragazzina e portò il
termometro. Risultò che Mirai aveva circa trentotto di
febbre. Trunks prese la mano di Mirai. La ragazzina non si sottrasse,
ma lui non lo prese come un buon segno: sembrava infatti solo troppo
esausta e sconfortata per continuare ad imporre la propria solitudine.
La portò in camera e la convinse a sdraiarsi.
La ragazzina prese a scrutare il soffitto con un’espressione
scoraggiata dipinta in viso. Finalmente si addormentò, ma fu
un sonno breve e angoscioso.
Quando si destò Trunks le diede una pillola che lei
inghiottì senza problemi.
Il giovane aveva appena fatto in tempo a constatare sollevato che la
febbre pareva in via di abbassarsi che lei fece una smorfia e corse in
bagno.
Trunks non si fece
attendere, ed un attimo dopo era accanto a me, a
reggermi la fronte mentre vomitavo. In quel momento desiderai come non
mai di strappare le sue mani sollecite dalla mia fronte, ma non potei
far altro che continuare a squassarmi sotto nuovi conati.
Nella mia mente, lui
elencava (con un certo divertimento che mi
raggelò) le possibili sofferenze alle quali avrebbe potuto
sottoporre Trunks. Le possibili torture che io avrei potuto fare al
ragazzo. Presi a tremare con violenza, ed i tremiti non se ne andarono
nemmeno quando il mio stomaco si tranquillizzò.
Ed i tremiti si
trasformarono in violente torsioni, mentre crollavo sul
pavimento cercando di resistere alla sua pressione. Da qualche parte
sopra di me, sentii la voce di Trunks chiamarmi, ed aveva una scintilla
disperata. «Mirai!»
Si chinò su
di me e cercò di circondarmi con le
braccia, ma io mi dimenai più forte, gli occhi pieni di
lacrime. «Mirai, piccola, basta. Sono qui. Ci sono io, non
preoccuparti».
Il contatto fisico mi
quietò, e misi a fuoco il volto di
Trunks, avvilita.
Sì, lui era
accanto a me. C’era sempre, e mi
preoccupava.
Erano tutti preoccupati
per me. Bulma mi chiese se volevo lavare alcuni
panni, e nei suoi occhi azzurri era evidente una scintilla che faceva
capire la sua intenzione. Voleva solo che mi distraessi un poco.
Annuii e accolsi tra le
mani la bacinella che mi porgeva.
Mi voltai verso Trunks.
Lui si aspettava che il mio sguardo gli
rivolgesse la muta richiesta di starmi accanto. E io lo volevo accanto,
ma mi allontanai senza voltarmi indietro.
Uscii in terrazza e
iniziai a inzuppare quei piccoli panni. Osservai
ammutolita, per qualche attimo, i raggi di sole giocare sulla
superficie dell’acqua.
Guardai il cielo e mi
sembrò assolutamente identico agli
occhi di Trunks.
Tornai a guardare a
terra, stordita. Avevo la febbre... Mi domandai
cosa stesse facendo il mio corpo, se stesse cercando di cacciarlo come
un virus. Ma lui non era un virus.
Mi sentivo come se
avessi avuto qualcosa dentro il petto, qualcosa che
graffiava, graffiava, e faceva un male insopportabile.
Guardai la bacinella
colma d’acqua. “È
facile” pensai, fissando come ipnotizzata la superficie del
liquido, increspata dal vento lieve.
Sarebbe stato
semplicissimo.
Con gesti automatici mi
slegai la banda blu che mi ricopriva la fronte.
Non volevo che si bagnasse; la poggiai su una piastrella abbastanza
distante.
Badando appena al cuore
che mi martellava furiosamente tra le costole,
pompando con forza il sangue nelle mie vene, urlandomi
quant’era vivo tutto il mio corpo, mi avvicinai al recipiente.
Fissai ancora
l’acqua riflettere i timidi raggi del sole.
Alzai le spalle. Non
avevo di che perdere. Avrei solo guadagnato. Avrei
chiuso con la sofferenza. Sarebbe stato semplicissimo.
Cosa avrei perso, se non
il suo fiato, i miei brividi, la mia
solitudine?
Inghiottii una boccata
d’aria e tuffai con forza il viso
nell’acqua.
Pian piano scollai una
palpebra, poi l’altra. Non vedevo
molto. Ma che ci sarebbe stato da vedere? Tutti i sensi iniziarono a
farmisi attutiti, mentre le tempie cominciavano a pulsare.
I polmoni reclamavano
aria, ma li ignorai.
Non avrei perduto nulla.
Se non due occhi color del cielo e del male.
“Ti metto al sicuro, Trunks” pensai, ed era un
pensiero leggero, quasi come un profumo svanito nel vento.
Sarebbe stato
semplicissimo, ripeteva la mia mente, in
un’assordante cantilena.
Sarebbe stato solo acqua.
Maryana:
Sono felice che il
capitolo ti sia piaciuto e che ti abbiano
colpito così tanto gli stati d’animo di Mirai...
Non posso che essere felice della tua felicità (sempre che
sia ancora intatta dopo questo capitolo).
Cri92: Ciao^^ In
effetti la situazione non è decisamente
delle migliori, anzi! Si può dire che sia delle peggiori.
Non solo quel mostro fa soffrire Mirai, ma minaccia anche di far
soffrire Trunks... Sì, è proprio lui...
Son Kla: Come al
solito le tue recensioni sono belle dettagliate! Il
distacco è quello che volevo far avvertire maggiormente, la
distanza che torna ad esserci tra Trunks e Mirai, quindi sono
felicissima che tu lo abbia percepito così. Davvero hai
qualche sospetto sul mostro? Ecco, adesso sono io quella curiosa... Hai
individuato perfettamente ciò che Trunks sta donando a
Mirai. Grazie mille
Carol2112: Un
po’ è stata complicata quella parte
del sogno, ma soprattutto il decidere bene cosa poteva farle di orrendo
quel mostro... Una volta scelto, descrivere non è nemmeno
stato molto difficoltoso. Anche io sono una
“fanatica” dell’introspezione. Un bacio
FullmoonDarkangel:
Ti sei ripresa dal raffreddore, ormai? Spero
decisamente di sì. Dato che sarebbe l’obbiettivo
dello scrittore far sì che il lettore si immedesimi, direi
che sono contenta di esserci riuscita! Ciao
Giusiemo291: Grazie
mille. Ecco l’aggiornamento e ti
ringrazio (ti ringraziamo) molto per l’aiuto che hai dato per
far continuare questa storia... Un bacio
Bene, dalla Francia,
con il supporto del portatile, vi saluto. Au revoir
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Promessa silenziosa ***
CAPITOLO
14 – PROMESSA SILENZIOSA
Teneva gli occhi aperti, senza sapere perché.
Dopotutto, non aveva più bisogno di motivi. Non esistevano
più i pensieri. Non contavano più niente.
La vista già sfocata le si stava annebbiando sempre
più, mentre gli occhi bruciavano.
Sentiva l’opprimente desiderio di respirare, ma non si mosse
nemmeno quando i polmoni si fecero arsi, rendendo insopportabile ogni
secondo.
Iniziava ad avere freddo al viso.
Di colpo, senza che nessun suono la avvertisse (perché quale
rumore poteva raggiungere le sue orecchie, ora?), si sentì
afferrare per le spalle, con violenza, e trarre fuori
dall’acqua.
Prima che potesse vietarlo al proprio corpo, inalò
d’istinto un’enorme boccata d’aria.
Sbatté le ciglia bagnate, disorientata, poi si
ritrovò a guardare in faccia Trunks. Notò che il
ragazzo sembrava a dir poco sconvolto.
«Mirai!» esclamò.
La ragazzina pensò che se solo lui le avesse lasciato andare
le braccia avrebbe alzato le mani per tapparsi le orecchie, tanto era
intensa e incrinata la sua voce mentre aveva esalato il suo nome.
Per un momento Trunks parve annaspare alla ricerca di parole, come
messo a tacere dall’orrore, poi però si riprese
subito. «Che stavi facendo?!» urlò, e il
suo tono cambiò radicalmente.
Adesso sembrava veramente infuriato.
La scosse, facendole sbattere i denti.
«Sei impazzita, per caso?!»
Mirai non fece alcun gesto, scrutandolo tra lo stupito e
l’affascinato, con gocce d’acqua che le scivolavano
dai capelli lungo il collo, per andare a bagnare la maglietta.
Di scatto, come se si fosse scottato, Trunks la lasciò
andare. La ragazzina tossì un paio di volte, portandosi
accigliata le mani alla gola bruciante. Per un momento
azzardò un’occhiata verso il giovane che le stava
davanti, poi si voltò, assumendo un’espressione
vaga e sfuggente. Come se non fosse successo nulla.
O forse, pensò il ragazzo, stravolto dall’orrore,
pareva delusa. E ciò era anche peggio. Molto peggio.
La seguì con lo sguardo, sconvolto e con un lieve senso di
nausea. Non riusciva a muoversi. Quando si riebbe mosse la mano e,
deciso, con un gesto solo, capovolse la bacinella, rovesciandola. Gran
parte dell’acqua che essa aveva contenuto gli
inzuppò i pantaloni e i piedi, ma lui non vi badò.
Seguì il rigagnolo con sguardo vuoto.
“Stava...” pensò, debolmente,
raccogliendo tutte le forze per formulare un pensiero coerente.
“Se non fossi arrivato...” Non riusciva a terminare
il pensiero, era troppo stravolto.
Mirai aveva... “Stava quasi per suicidarsi...”
Fissò a fatica la ragazzina.
Lei aveva i capelli fradici e gli occhi lievemente arrossati, e un
tremito la scuoteva. A parte quello, però, sembrava
tranquilla.
“Mi sono illuso” pensò allora,
frustrato. “Mi sono illuso di averle dato qualcosa. Ma non
è così, a quanto pare”.
Sentì un nodo allo stomaco, una sconvolgente sensazione di
vuoto e una percezione del proprio terrore che probabilmente era
sbiadita solo dalla sorda incredulità che provava. Non
riusciva ancora ad accettare quel che aveva visto, la sua mente
sembrava ostinarsi a trovare un’altra risposta.
Già, ma quale?
“Che faccio?” si chiese, con la gola secca e una
fitta di panico.
Per un momento sentì ancora la rabbia, una rabbia minacciosa
e impotente. Quasi l’avesse percepita, Mirai alzò
gli occhi ad incrociare i suoi.
E per una volta, Trunks si ritrovò a guardare in iridi che
non erano solo grigio e azzurro senza nulla dentro. Vi lesse uno
sguardo disperato, impaurito. Batteva i denti più forte,
ora, e sembrava sperduta come non mai.
Contro la propria volontà, perché forse avrebbe
dovuto conservarne un po’, per far capire a Mirai che quello
che aveva fatto era assolutamente sbagliato,
senza via di scampo,
Trunks sentì la rabbia svanire. L’inquietudine e
l’angoscia non la seguirono.
Senza riflettere, improvvisamente si sentiva stanco, troppo stanco
persino per pensare, Trunks attirò a sé Mirai e
la abbracciò. Mirai si oppose stremata, inizialmente, ma poi
si lasciò stringere. Lui premette la testa bagnata della
ragazzina contro il proprio petto. Lo rincuorava, in qualche modo,
forse perché gli faceva sentire che era viva. Era stato
inetto nella propria incapacità di prevenire il gesto di
Mirai, ma almeno era arrivato in tempo. Ringraziò tutte le
divinità delle quali aveva sentito parlare, in libri e da
profughi laceri, perché non era successo nulla di
irreparabile.
Lei era lì, vicino a lui, tremante e spaventata, ma viva.
“Sono arrivato in tempo” pensò. E
improvvisamente quella fu la cosa che valse più di tutte.
Avvertiva come non mai i piccoli movimenti della bambina, che pareva
impacciata da quell’abbraccio.
«Mirai» sussurrò, non appena
trovò il coraggio necessario per farlo. «Non farlo
mai più, okay?» domandò, con voce
tremante. Odiò quanto suonavano patetiche quelle parole. Le
sollevò il mento per guardarla negli occhi. «Me lo
prometti?» chiese, rendendosi conto che
quell’ultima frase sembrava una ridicola supplica.
Temette, per un istante (forse il più lungo della sua vita),
che lei avrebbe distolto lo sguardo, o che avrebbe fatto uno sconsolato
cenno di diniego.
La ragazzina lo guardò in modo strano, serio. Il labbro
inferiore le tremava. Fece cenno di sì.
E lui, per qualche motivo, le credette.
Sospirò, mentre una sfumatura di quello che forse era
sollievo lo invadeva. Le permise di posare nuovamente la testa sul
proprio petto.
La sua mente continuava a lavorare, disperata. Gli balenò in
mente l’idea di insegnarle qualcosa, in modo da darle un
motivo in più per mantenere fede a quella muta promessa.
Infondo gli allenamenti, il concentrarsi sulla propria aura, erano
stati uno degli elementi che l’avevano aiutato a resistere, a
sopravvivere, alla morte di Gohan.
Non che vedesse Mirai sotto i panni di una guerriera. La ragazzina era
così esile, e poi lui non avrebbe mai accettato di spingerla
a confrontarsi con i cyborg... Però gli esercizi riguardanti
la forza spirituale avrebbero potuto interessarle.
Almeno, osava sperarlo.
Ciao a tutti.
Mi rendo conto che il
periodo di assenza è andato oltre i
limiti del ragionevole. Purtroppo ho avuto alcuni problemi in famiglia
(ora tutto è risolto) che mi hanno un po’
bloccata. Un giusto ringraziamento va a Pepesale che mi ha tirato fuori
dalla buca e ha saputo schiaffeggiarmi (anche se in senso figurato)
quando mi autocompativo... E che ha lavorato davvero sodo alla
revisione di questo capitolo.
E un grazie anche a
tutte le vostre recensione, perché
rileggendole mi è tornata la voglia di mettermi a scrivere.
Giusiemo291: Grazie
mille per tutti gli apprezzamenti. In questo
momento non sono con Pepesale, ma sono più che certa che
anche lei è più che grata. Hai saputo proprio
cogliere l’essenza della storia e mi hai dato una grandissima
gioia, anche proponendo questa storia come racconto da inserire tra le
Storie Scelte. A questo punto mi sento io in dovere di dirti grazie
tante e tante volte... Spero di riuscire a riprendere un ritmo
d’aggiornamento un po’ migliore. Grazie!
Carol2112: Sono
felice che il capitolo ti sia piaciuto e, soprattutto,
che sia stato in grado di comunicarti molte emozioni (dopotutto
è questo che si tenta di fare scrivendo, no?^^). In quanto a
Mirai... Si vedrà con il tempo.
Cri92: Tu hai
fatto me una ragazza felice! Purtroppo sono rimasta
indietro nel leggere la tua storia e ti sto ancora facendo aspettare le
recensioni (spero di riuscire a fartene arrivare qualcuna, presto o
tardi, magari ti avviso con un sms quando ci riuscirò). In
questo capitolo ho messo grossomodo le sensazioni di Trunks –
anche se saranno più approfondite più avanti
– ma poi vedrai arrivare anche i pensieri di Mirai. Ciao, un
bacione^^
FullmoonDarkangel: Qualcuno *coughcough* ha manie di grandezza. Non
penso che si possano ancora trovare petali di rose rosse nel futuro
alternativo di Trunks, ma non si sa mai xD Va bene. Io, la tua cugi, e
la nostra creatività ti salutiamo^^ Ciao |
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=283058
|