Inquadrature danzanti

di Ordinaryswan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Piatti a confronto ***
Capitolo 3: *** Passaggi ***
Capitolo 4: *** La coperta ***
Capitolo 5: *** Trailer ***
Capitolo 6: *** Distrazione ***
Capitolo 7: *** Primo ballerino ***
Capitolo 8: *** Dividendo e divisore ***
Capitolo 9: *** Cappuccino doppio ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Salve! Sono Cri e probabilmente molti dei miei lettori mi conoscevano con il nick Cri_6277, perdonate per il cambio. Avevo pubblicato i primi due capitoli di questa storia un anno e mezzo fa quasi ma poi per mancanza di tempo non avevo più continuato, stavolta mi sono decisa di rileggere e rielaborare la storia per completarla anche perché non scrivo una storia da tantissimo tempo e mi manca farlo. Scusate l'introduzione noiosissima, anzi di solito cerco di evitare ma stavolta devo perché non posso garantirvi troppa costanza, spero di pubblicare un capitolo a settimana ma essendo sotto stesura della tesi non voglio promettervi niente. 
È veramente bello tornare su questo sito e spero davvero che vi piaccia questa piccola idea che mi è venuta in mente vedendo uno spettacolo di danza due anni fa e da quello spettacolo non ho mai smesso di seguire la danza a teatro, me ne sono innamorata! 
Ok, ok la smetto di rubarvi tempo. Buona lettura e spero davvero vi piaccia, in caso contrario o meno, fatemelo sapere perché una recensione (soprattutto dopo così tanto tempo) non mi farebbe male ahah

PROLOGO

Sapevo che sarebbe arrivato il giorno in cui sarei stata in spaventoso ritardo.
E quel giorno, era il giorno che determinava la mia iscrizione al tirocinio del terzo anno universitario. Grazie tempismo per essere sempre così perfetto. 

Studiavo Montaggio video, in tutte le sue forme e in tutte le arti.
Sapevo che ci sarebbe stata la corsa per aggiudicarsi il tirocinio nell'ambito puramente cinematografico, andando sui set televisivi e cinematografici.
Poi c'era il tirocinio in ambito musicale, con regia e montaggio musicale.
L'ambito teatrale, ed infine quello della Danza. L'ordine, beh, era il mio ordine di preferenze, ma quel giorno ero in ritardo; il gatto era uscito dalla porta di casa mentre stavo uscendo e nel tentativo di recuperarlo e riportarlo in casa avevo perso l'autobus per la sede universitaria.
Di solito andavo ovunque in bicicletta, ma la sede per i tirocinanti era troppo lontana. Tutto quello che potei fare fu aspettare l'autobus successivo che passò dopo mezz'ora. Una mezz'ora fondamentale. 

Arrivai di corsa ed accaldata davanti ai fogli delle iscrizioni.
Nessun posto disponibile né per cinema né per musica. Mi sentii male. Erano mesi che speravo di poter lavorare in quei campi ed ancora una volta mi ero lasciata sfuggire tra le mani un'occasione importante.
Guardai l'ambito teatrale ma l'unico posto rimasto era con un certo regista che tutti non sopportavano per i suoi metodi bruschi. E no, ci mancava solo di passare tre mesi un qualcuno che potenzialmente avrebbe potuto schiacciarmi come se fossi una formica ogni santissimo giorno, no grazie. 

I posti liberi erano nelle compagnie di danza. Cosa ne sapevo io della danza? Meno di zero. Avevo passato un esame sulla storia della danza, ma per quanto riguardava gli aspetti della regia e del montaggio dei video per la danza, beh non me ne ero mai occupata e neanche mi interessava farlo. Nonostante questo misi il mio nome e cognome sulla compagnia che aveva bisogno di una sola tirocinante, perlomeno data la mia poca voglia di socializzare sarei rimasta da sola. 

Firmai, ARIA SIGNORINI.

Feci un respiro e mi voltai amareggiata, andando verso la fermata dell'autobus.
In tre anni all'università avevo stretto pochi legami, non ero una ragazza che amava uscire, o meglio prima mi piaceva ma poi ci sono eventi nella vita che portano a rivedere le proprie priorità: uscire non era una di quelle. 

Mi legai i capelli ormai spettinati dalla corsa, una volta seduta sulla panchina ad aspettare il bus. I miei capelli mossi erano molto sensibili all'umidità e al sudore, non sapevo mai come gestirli, motivo per cui avevo decine di elastici ai polsi per poterli legare ogni volta che ne avevo bisogno. L'alternativa era mettermi un cappello. Amavo i cappelli. 

Vidi il mio riflesso sulla porta del bus che si stava aprendo, la pelle pallida, gli occhi grandi e marroni e le labbra carnose. Era tutto troppo grande sul mio viso, qualcosa stonava decisamente. Senza contare che ero il ritratto dell'ansia per il primo giorno di lavoro. 

Tornavo a casa da mia nonna e mia mamma. Mio padre mi abbandonò quando ero appena nata come se la mia presenza gli causasse qualche problema, forse era anche per questo che avevo problemi a relazionarmi soprattutto con il sesso opposto. Ma poco importava. Ero stata cresciuta dai miei nonni e da mia mamma, con tantissimo amore e potevo esserne solo che fiera. 

Mia madre lavorava praticamente tutto il giorno, faceva le pulizie in un palazzo congressi, e la nonna era la mia compagna della giornata. Studiava anche con me pur di farmi compagnia. Era fantastica. 

Avevo appena finito gli esami ed ero così esaltata da quest'idea del tirocinio, e avrei invece dovuto confidare a mia nonna che non ero riuscita ad iscrivermi al corso che volevo. 

Ansia e dispiacere a parte, però, ero sempre stata una persona positiva e sapevo che tutto accade per una ragione. Speravo che anche in questo caso fosse così. Avevo bisogno di qualcosa di nuovo nella mia vita, di qualcosa che potesse cambiare la mia quotidianità. 

 

Arrivata a casa presi il mio pc e andai a googlare la compagnia di ballo in cui avrei iniziato a lavorare : Vincenzo Sale's company.

BALLERINI INTERNAZIONALI, BALLETTO CLASSICO RIVISITATO IN CHIAVE MODERNA SECONDO LE TECNICHE DI MERCE CUNNINGHAM (. . .) REGIA A CURA DI ALAN NEWMAN. 

 

Fu nel momento in cui lessi il nome del regista che tirai un urlo atroce e cominciai a saltare per casa con mia nonna che mi guardava interdetta nascondendo però un mezzo sorriso. 

 

“Alan Newman, nonna!” l'abbracciai. 

“Beh sì Aria, lo conosco talmente bene che ci ho preso un caffè stamani” Fece una pausa dopo questa uscita ironica “Esprimiti come le persone normali, per favore” concluse. 

“E' il regista che si occuperà del mio tirocinio, e regista delle migliori performance in ambito televisivo, a Hollywood è famosissimo ed è un genio e non so cosa ci faccia in Italia ma mi farà da insegnante” ripresi fiato. Mia madre entrò in quel momento e spiegai anche a lei il perché di tanto entusiasmo. 

Non restava che iniziare il mio nuovo percorso l'indomani.


Presi la mia bicicletta dopo che il mio corpo aveva preso la sua dose (estremamente abbondante) di caffeina, dopotutto avevo dormito molto poco quella notte. 

Il teatro era a dieci minuti dalla mia abitazione, era tutto perfetto come mai mi sarei aspettata dopo aver firmato quel foglio. Prima di partire ricontrollai la borsa: libretto universitario, carta d'identità, pc e quaderno per appunti. C'era tutto. 

Una volta arrivata dovetti firmare qualche carta e poi fui accompagnata al mio camerino. 

Sarebbe rimasto mio per tutta la durata del tirocinio. Era una stanza rettangolare con un bagno, uno specchio un tavolo e una sedia. Non era il classico camerino, forse perché ero solo un'addetta al video-making. Mi misi a sedere aspettando Newman. Sarebbe arrivato a momenti. 

 

“Buongiorno Aria” Si aprì la porta, e un uomo dai capelli brizzolati pronunciò il mio nome con accento americano. 

“Signor Newman” mi alzai e andai a stringergli la mano, ricambiò sorridente. 

“Diamoci subito del tu, e non ti preoccupare non ti mangio” mi strappò un sorriso, probabilmente aveva notato quanto fossi tesa. “Aria, voglio che per ora tu sia la mia ombra, inizialmente ti chiederò di fare cose semplici e manuali, poi più avanti ti lascerò libera sul montaggio video.. Ho deciso per questa compagnia di non prendere un editor video professionista perché voglio sfruttare la creatività di voi giovani universitari con tanto entusiasmo e spero sia così signorina Aria”

“Certo signore” annuii e sorrisi subito dopo. Non vedevo l'ora di iniziare. 

 

Era tutto fantastico, l'attrezzatura, il teatro, gli operatori.. insomma, tutto. 

Dopo una lunga spiegazione su dove trovare tutto l'occorrente che mi sarebbe servito, Newman congedò tutti gli operatori per la pausa pranzo.
La compagnia di ballo sarebbe arrivata nel pomeriggio e tutto era pronto per iniziare le riprese.
Andai con la mia bici in un bar vicino per un pranzo veloce e poi mi rintanai nel camerino fino all'orario di incontro col regista e il coreografo.
Il camerino mi rilassava e mi dava modo di pensare a tutto. Feci un elenco dei compiti che dovevo svolgere e poi mi presentai nella platea del teatro. Sul palco vi erano già tutti i ballerini che si scaldavano prima di iniziare a ballare, chi con la tuta chi già in calzamaglia o tutù. 

“Potresti installare questa telecamera su quel palchetto lassù?” mi chiese Newman dandomi porgendomi la telecamera su una mano e una scatola con l'attrezzatura con l'altra. Era tutto pesante per le mie esili braccia ma non potevo dire di no al mio primo giorno di lavoro. 

Cominciai a camminare cercando di non fare danni con questa scatola che mi copriva quasi interamente la visuale. 

“Permesso” cominciai a chiedere quando passai nel corridoio dei camerini, anche se non ci fosse stato nessuno era meglio per la mia salute mentale prevenire possibili danni. 

Detto fatto.
Finii quasi a gambe all'aria. Qualcosa o qualcuno mi era venuto addosso. 

“Ehi, attento a dove guardi” pronunciai scocciata mentre la scatola ormai si era rovesciata per terra. La telecamera era ancora sana e salva e stretta nelle mie mani.
“Sul serio? Io dovrei stare attento?” alzai lo sguardo verso quella voce arrogante e quell'accento straniero. Sembrava altissimo, o forse ero io che ero col sedere a terra che vedevo tutto da un'altra prospettiva. Beh forse un po' arroganza se la poteva permettere visto il fisico e il bel viso che si ritrovava. I suoi occhi azzurri mi fulminarono con lo sguardo. 

“Non ha visto che avevo le mani occupate?” mi trapassò con lo sguardo, forse non amava  che le persone rispondessero alle sue frasi arroganti. Alzai un sopracciglio quasi di sfida.
“No” concluse scavalcandomi e andandosene.
Maleducato, pure. 

Rimasi interdetta. Guardai per terra tutta l'attrezzatura che avrei dovuto raccogliere e rimettere nella scatola, ma prima dovevo alzarmi senza fare ulteriori danni. 

Mi girai, e lo vidi entrare sul palco. Dovevo ammettere che era un ragazzo assurdamente bello. 

Rimasi un attimo incantata finché una ragazzina dai tratti bellissimi e estremamente elegante corse in mio aiuto.
“Ti sei fatta male?” cominciò a raccogliere con me le cose per terra. 

“No, ma grazie.. almeno qualcuno qui è gentile”

“Come sei caduta?”

“Uno dei tuoi colleghi mi è venuto addosso e non si è degnato neanche di aiutarmi” Alzò gli occhi al cielo e scoppiò in una risata.
“Sono Maria, e scommetto che tu abbia appena fatto la conoscenza di Jaime, mio fratello”.

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Capitolo 2
*** Piatti a confronto ***


Piatti a confronto

Installai l’attrezzatura mentre ero persa a domandarmi come fosse possibile che Jaime e Maria fossero due ragazzi così belli. Dovevo stringere la mano al padre e alla madre, decisamente. Io in confronto a loro ero una banana dai capelli neri con i connotati facciali troppo grandi, un peluche, ecco cos’ero. Mi trovavo carina, nonostante questo ma non da togliere il fiato come quelle due statue greche che avevo appena incontrato.

Tornai a svolgere le altre mansioni fino a quando il coreografo non richiamò tutti, operatori compresi per l'ora di cena.
Dimenticavo che era la sera del primo spettacolo di prova della compagnia e quindi avremmo mangiato tutti insieme. 

Guardai l'orologio ed erano solo le 18.30. Forse il coreografo aveva abitudini londinesi per aver bisogno di mangiare a quest'ora.
Mi diressi alla mensa, agitata come non mai.
Non avevo assolutamente pensato al fatto che sarei entrata in una sala piena di ballerini, probabilmente snob, che neanche volevano avermi intorno e piena di operatori professionisti e avanti con l'età con cui avrei potuto scambiare al massimo due parole. 

Entrai tra gli ultimi e mi sentii molto osservata, o forse era solo la mia timidezza ossessiva compulsiva che mi faceva sentire al centro dell'attenzione.
Andai al bancone e presi un hamburger e delle patatine senza fare davvero molto caso alla mia scelta, perché i miei occhi erano alla ricerca di un posto vuoto e possibilmente isolato dove potermene stare, ma c'erano solo due enormi tavoli. 

Stavo dirigendomi verso un posto nel tavolo in cui si trovava il regista quando mi sentii chiamare. 

Era Maria. 

Grazie. 

Feci un sospiro di sollievo che subito fu interrotto quando vidi il posto che mi stava indicando la ragazza. 

Aveva tenuto un posto per me, accanto a lei...ma davanti a Jaime. 

Non so per quale motivo mi metteva pressione trovarmelo davanti e  immaginare i suoi modi poco educati. Erano davvero fratelli?

Feci un timido sorriso e mi sedetti accanto a Maria e in quel momento tutti i ballerini e le ballerine si girarono verso di me quasi all'unisono. Non sapevano che era maleducazione fissare la gente?

“Ciao” mormorai verso di loro, Jaime era l'unico disinteressato se non per il fatto che stava fissando il mio vassoio. 

“Lei è Aria, Aria ti presento i miei compagni” Maria mi fece le presentazioni di tutti. Mi ricordai solo alcuni nomi, Andrea, Richard, Julia e Mark. Sembravano tutti molti simpatici, forse il mio era un pregiudizio poco fondato. 

“Lui è mio fratello, Jaime” allungai la mano come feci con tutti gli altri ma lui si limitò a un cenno con la testa. 

“Abbiamo già fatto la nostra conoscenza” lo ignorai totalmente tornando a guardare gli altri.

Avevano tutti un portamento educato, e anche nel quotidiano erano eleganti. 

Stavano tutti mangiando del pesce bollito e patate arrosto, quasi mi vergognai guardando il mio piatto. A quel punto ridacchiai capendo perché Jaime stava fissando il mio piatto e nel mio ridacchiare attirai la sua attenzione, o meglio mi degnò di una rapida occhiata annoiata. 

“Mangiate sempre così presto?” Domandai a Maria che era alle prese con un pezzo di pesce. 

“Quando abbiamo lo spettacolo sì, in modo che per le nove siamo in gran forma”
Accavallai la gamba in modo naturale ma nel farlo mi scontrai col ginocchio del ragazzo che mi era difronte. Immediatamente mi feci un po' indietro con la sedia e lui capì che non l'avevo urtato apposta e fece una specie di ghigno divertito ma tornò a mangiare e scambiare due chiacchiere col ragazzo vicino a lui, Andrea. 

“Sei fidanzata?” quello che mi pareva fosse Richard puntò lo sguardo su di me. Quasi mi cadde la patatina dalla bocca.

“Non gli rispondere, ha la brutta abitudine di provarci con tutte le belle ragazze” aggiunse Julia ridacchiando e tirando a Richard un pugnetto. 

Notai che tutti si erano girati verso di me in attesa di una risposta, anche Jaime mi stava osservando in quel suo modo curioso di osservare le persone quasi a farmi una radiografia. 

“Ehm..” Mi veniva solo in mente ehi non ho mai avuto una relazione che durasse più di 10 giorni e poi, ho smesso del tutto di relazionarmi “Al momento sono single” conclusi diplomatica. 

“Impossible” dichiarò Richard e mi venne da ridere per il tono serio con cui l'aveva detto. “Quei momenti sono finiti, se vuoi, bellezza” Arrossii ma scossi la testa in segno di disappunto e tutti i ragazzi poi risero con me. 

Pochi secondi dopo tutti i ballerini furono richiamati e pure io fui chiamata a lavoro. 

 

Finito lo spettacolo, raccolsi tutte le mie cose e uscii dal teatro. 

La mia bici era ancora là fuori ma completamente bagnata. Stava diluviando.
Bello quando le previsioni del tempo dicevano una cosa al posto dell'altra.
Non avevo l'ombrello. Non avevo il mio amato k-way. Avevo solo il cappello di lana che si sarebbe inzuppato. La fortuna era sempre e costantemente dalla mia parte, e speravo che leggesse l’ironia.

Mi diedi 10 secondi prima di precipitarmi sotto la pioggia. Ormai se ne stavano andando tutti senza badare a me, poi ero anche uscita dalla porta sul retro.
Nel momento esatto in cui stavo per fare il primo passo in avanti fui strattonata per il polso. 

“Vuole forse ammalarsi il primo giorno di lavoro?” Girandomi notai solo quegli occhi di ghiaccio che mi stavano nuovamente fissando quasi arrabbiati.
“Non mi ammalerò, mi lasci andare … me la so cavare”

“Non mi sembra visto che non sa mettere nella borsa neanche un ombrello per ripararsi, sa com'è l’inverno... lo conosce?” Faceva davvero ironia con me? Alzai gli occhi al cielo e andai verso la mia bicicletta inzuppandomi d'acqua. Non sopportavo neanche quel falso Lei che continuavamo a darci. 

Quali pretese voleva avere? Forse voleva aver ragione a tutti i costi.

E per un momento non sentii più l'acqua bagnarmi perché si era precipitato anche lui dove ero io, tenendo un ombrello grande abbastanza per coprirci entrambi. 

“Lascia che le offra un passaggio” stavo per girare la chiave per togliere il lucchetto ma ci ripensai. Mi sarei risparmiata davvero un raffreddore se avessi accettato. Avrei dovuto poi fare troppo rumore una volta a casa se avessi dovuto farmi un bagno caldo e asciugarmi i capelli, non potevo. 

Annuii e mi lasciai condurre alla sua macchina. 

Dovevo immaginare dai suoi modi che non era uno da utilitaria di seconda mano, anzi, aveva una BMW nera e sportiva.
Mi aprì lo sportello ed entrai accennando un grazie. 

“Sua sorella, Maria?” provai a chiedere quando si posizionò dal lato del guidatore. 

“Preferiamo essere indipendenti l'uno dall'altro, lei ha la sua macchina”

“Potrei scommettere su di chi è questa idea” commentai quasi più tra me e me, ma Jamie sentì bene visto che ridacchiò mettendo in moto. 

“Mi dica dove andare a meno che non voglia che perda la pazienza e mi fermi a casa mia” non sapeva proprio aspettare il ragazzo, o forse non era stato abituato. Non era ancora uscito dal parcheggio che già voleva scaricarmi a casa. 

“Sono 5 minuti in macchina, riesce a sopportarli?” gli indicai la strada, soddisfatta per essere riuscita a rispondergli senza insultarlo. 

“Fanno entrare davvero chiunque ultimamente nella compagnia” rallentò al semaforo. 

“So fare il mio lavoro, si preoccupi di ballare come deve” poteva urtarmi così tanto la sua arroganza. Solo perché si allenava 6-7 ore al giorno pensava di essere superiore ad ogni altra persona della sua stessa età. Non volevo partire coi classici pregiudizi, ma non mi lasciava molto altro da pensare. 

D'altra parte, mi incuriosivano i suoi modi di fare. Era particolare, e in qualche modo gentile e cortese. Anche se lo dimostrava una volta su cento durante la giornata. 

“Può accostare qua” la mia voce uscì fuori stanca. Effettivamente era stata una lunga giornata. 

Jaime scrutò a lungo la mia casa e poi me. 

“Domani come ha intenzione di raggiungere il teatro?”

“Oh.. la bici, giusto, camminando suppongo”

“Puntuale, alle 9.00... Se mi fa aspettare anche solo un secondo la lascio a piedi”

“Non le ho chiesto niente, non mi deve niente. Grazie per il passaggio.” Fui coincisa e uscii dalla macchina per rintanarmi in casa, lontano da quegli occhi di ghiaccio. 

 

Salii in camera mia, mia madre e mia nonna dormivano già ma le avevo avvertite. 

Amavo questa casa perché il piano superiore era unicamente mio, c'era lo studio (che prima era del nonno), un bagno e la mia camera. Insomma era perfetto per me che amavo stare tranquilla.
Mi misi nel letto e tutto quello che riuscii a ricordare della giornata fu il ragazzo moro dagli occhi di ghiaccio.
Non dovevo lasciarmi condizionare così tanto. Ero là per imparare e lavorare. 

Dovevo tenerlo ben presente. Spensi la luce della camera e quasi sentii un motore accendersi e ripartire. Ero curiosa di scattare alla finestra e vedere se il presentimento fosse vero, ma ero troppo stanca. Che avesse davvero aspettato che arrivassi in camera mia?

Scossi la testa e risi di me stessa per tutta la considerazione che mi stavo dando, sicuramente era la stanchezza a confondermi.




Salve!! Sono di poche parole di solito ma ci tengo particolarmente alla storia perché mi ha portato a scrivere di nuovo queste piccole cose senza pretese a differenza delle continue relazioni che devo consegnare all'università quindi vorrei proseguire e vorrei farlo con voi. Fatemi sapere se vi piace o meno. 

Grazie, Cri <3

 

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Capitolo 3
*** Passaggi ***


Passaggi
 

Non seppi bene perché ma alle 8.59 ero fuori dal portone e in lontananza vidi arrivare la macchina nera di Jaime. Mia madre era già uscita mentre sapevo che mia nonna era affacciata alla finestra. Le avevo accennato qualcosa riguardo all'imprevisto della pioggia. Invece che rimproverarmi di essere andata in macchina con uno sconosciuto, sembrava tutta esaltata dall'idea che potessi avere un “amico”. 

Parcheggiò davanti al vialetto di casa mia. Le 9.00 in punto. Incredibile quanto fosse preciso. 

Uscì per aprirmi lo sportello. Così mi avviai verso di lui. 

“Buongiorno” magari se partivo col piede giusto l'avrei trovato di buonumore. 

Ignorata totalmente mi sedetti sul sedile perfetto della sua macchina. 

Oggi per fortuna dovevo solo rimanere in mattinata in teatro perché la sera non c'era nessuno spettacolo. Dovevo fare qualche ripresa a tutti i ballerini. Mi sarebbe servita poi per il video che avevo in mente. 

Era bello poter avere quasi carta bianca in quella che era la mia prima esperienza di lavoro.  

“Qualcosa la preoccupa?” notai solo in quel momento che stavo tenendo strette le mani sul mio cappotto. 

“Ehm, solo in ansia per il lavoro” risposi cercando di rilassarmi. “Da quanto tempo balla?” 

“Da quando avevo quattro anni”

“E ora ne ha?”

“Ventuno, ragazzina” avevo quasi la sua età, era più grande di me di un anno. “Abbiamo finito con le domande?” era scocciato. 

Mi voltai verso il finestrino e finalmente arrivammo. 

Constatai che la bici era ancora lì, ma ormai era asciutta. Marzo era davvero un mese imprevedibile. 

Quando feci per entrare mi accorsi che ero di nuovo sola, Jaime doveva essere già entrato. 

Mi faceva strano anche solo pensare il suo nome dato che neanche ci davamo del tu. 

Arrivata al camerino presi la telecamera e mi posizionai al centro della platea.
Entrarono i ballerini uno ad uno, presentandosi ognuno con i movimenti che preferivano, così come avevo lasciato detto.
Maria fu la prima, bellissima, indossava un semplice vestito e si muoveva a piedi nudi. Al centro una sedia con cui componeva la sua coreografia.
Controllavo scrupolosamente il computer per vedere se le riprese stavano venendo bene, e con l'altro occhio controllavo Newman che sorrideva soddisfatto. 

Cercai di rilassarmi dopo il terzo ballerino. 

Poi fu il turno di Jaime. 

La sera prima, concentrata sul lavoro affidatomi, non mi ero neanche soffermata a guardarlo per un secondo e non mi ero resa conto di quanta bellezza ci fosse nel suo corpo. 

Era tutto al posto giusto. Una sorta di perfezione geometrica, non mi sarei sorpresa se misurandolo sarebbe uscito il rapporto aureo.
E poi c'era il viso. La passione che esprimeva ballando era qualcosa di potente. I suoi occhi penetravano l'obbiettivo e lasciavano senza respiro. 

I capelli invece, non erano troppo lunghi ma abbastanza da essere portati indietro col gel. Ogni lineamento era unico. 

Fu lì che mi resi conto che non stavo più osservando né il pc né la telecamera ma solo lui, mi aveva catturato coi suoi movimenti e letteralmente lasciato a bocca aperta. 

“Cerca di concentrarti” mi disse Newman ad alta voce così che sentissero tutti. Arrossii terribilmente e tornai a fissare la telecamera, ma lui finì dopo neanche un secondo. 

Andai avanti con tutti gli altri. Andrea, Julia ed infine altre due ballerine. 

Avevo fatto un lavoro discreto tutto sommato. 

Fui rimandata a casa, mentre i ballerini continuavano le prove. 

Quasi mi dispiacque non stare a vederli.

 

La mattina seguente ero di nuovo a lavoro.
Era venerdì e non vedevo l'ora di godermi il week-end. Con godermi il week-end intendevo passarlo a fare maratone di serie tv. D'altronde era pure la mia materia di studio, univo l'utile al dilettevole. Almeno, così lo giustificavo a mia madre che mi vedeva sempre chiusa in casa. In generale, mia madre non commentava neanche più di tanto visto che tutti i miei risparmi li spendevo sempre per l’università quindi non avevo neanche la possibilità di uscire la sera pure se avessi avuto una vita sociale.

Mi posizionai su una sedia nella prima fila della platea, con un caffè alla mia destra e il pc sulle mie gambe già aperto su il programma di editing video. 

Cominciai ad unire tutti i file.

Nel frattempo i ballerini arrivarono sul palco a scaldarsi.

Stavolta però non mi feci distrarre neanche un secondo, non volevo essere ripresa come il giorno precedente. 

Avevo ancora lo sguardo fisso sul computer. Stavo per finire una parte del lavoro. Il video per la pubblicità dello spettacolo.

“Pausa! Pausa! Andiamo a mangiare!” Guardai l'orologio, il tempo era volato e non me ne ero accorta. 

“Anche tu, hai lavorato abbastanza per oggi” Newman mi chiuse il pc e fece cenno di alzarmi. Ringraziai il salvataggio automatico del macbook.  

Mi diressi verso la mensa e sentii il mormorio di tutti i ragazzi che già avevano preso posto. Com'era che ero sempre in ritardo quando si trattava della mensa. 

A quel turno guardai meglio il bancone. Presi solo un'insalata e del pollo alla griglia.
Mi ritrovai di nuovo accanto a Maria, ma molto lontana da Jaime per fortuna. 

“Stasera che fai?” deglutii e cercai mentalmente una scusa carina per far capire che non avevo intenzione di uscire “Anzi, stasera vieni con noi al Combo ..è un locale tranquillo dove mettono buona musica” prima che potessi rispondere Maria parlò per me. 

“Io non so se posso accettare..” ero in imbarazzo, insomma non conoscevo nessuno bene ancora ed ero una ragazza molto timida con chi non conoscevo. 

“Ci farebbe molto piacere che tu ci fossi” Aggiunse Andrea serio. Gli sorrisi di rimando. 

Cosa poteva mai succedere?

Forse per una sera potevo accettare. Era da prima della sessione di esami che non uscivo una sera. Anche se era stata una cena dell'università.

Sì, dovevo uscire. 

Non potevo mummificarmi sempre nel letto di casa con il computer. Okay, ce la potevo fare.

Tornata a casa corsi in doccia.
Cosa. Potevo. Mettermi.
Feci profondi respiri. Aria, respira. Quanto ero simpatica. Quei ballerini erano ricchi e frequentavano posti di classe. Sicuramente si sarebbero vestiti anche molto bene. 

Io faticavo ad arrivare a fine mese, visto che c'era solo mia madre che lavorava ma qualche vestito di mia nonna o mia mamma da giovane era davvero bello. E pure io avevo qualcosa. 

 

Andai a ricercare negli angoli più nascosti dell'armadio per tirar fuori i vestiti che ormai non mettevo più. 

Tirai fuori un vestito nero che era una specie di tuta elegante che avrebbe fasciato tutte le mie parti del corpo. L'altro vestito invece era il mio preferito, ma ormai troppo usato, era un vestito corto color pesca ma non era né la stagione né la serata per metterlo.
Optai quindi per il vestito nero. Mia nonna diceva che mi stava benissimo, ma per lei sarei stata bene anche con un sacco di iuta addosso. 

Ero sempre stata magra, ma non piatta ma non avevo mai portato un vestito che fasciasse così tanto il mio fisico. Solitamente indossavo cose larghe. In confronto al fisico delle ballerine sembravo comunque una balena spiaggiata.

Scesi a cena ed entrambe le mie donne spalancarono gli occhi. 

“Questa la chiami un'uscita tranquilla!” mia nonna scoppiò in una risata. 

“Ho esagerato?”  le sorrisi di rimando. 

“No, se mi dici che andate in un bel locale sei perfetta”

Mia madre si offrì di accompagnarmi al locale. Mi ero totalmente scordata di chiedere il numero di telefono a Maria per organizzarmi con lei. Il locale era in centro e avevo fissato per le 22 con loro. Non potevo certo chiedere a mia madre anche di riprendermi.
Scesi dalla macchina, quel tacco 11 mi impediva di essere agile come volevo.

Vidi da una parte i ballerini, e poi Maria, Jamie e Andrea.
Camminai verso di loro e Maria mi venne incontro abbracciandomi. 

“Sei venuta!” Quasi mi faceva cadere, io non avevo il loro fisico perfetto e i tacchi mi erano completamente estranei. 

Salutai tutti con un sorriso e un cenno della mano e una volta che furono arrivati tutti entrammo. 

I ragazzi avevano riservato una sala solo per noi. 

Scoprii che loro non bevevano alcolici. Presero tutti dei cocktail particolari o delle tisane, mentre io, giusto per farmi riconoscere presi un Long Island.
L'alcool aiuta l'arte ed io in un certo senso ero un'artista, e questo mi portava a giustificarmi dallo sguardo sempre scocciato di Jaime che probabilmente mi vedeva come qualcosa che non doveva stare insieme a loro.

Partecipai alle diverse conversazioni fino a quando tutti non decisero di alzarsi e ballare un po'. Guardavo le mie mani e il mio cellulare. 

Al tavolo eravamo rimasti io, Maria e Jaime. Non seppi per quale assurdo motivo ma Maria sparì nell'altra sala e io mi ritrovai sola con lui. 

“Vuole ballare?” mi chiese con quel tono cortese che mi faceva da una parte adorare i suoi modi di fare. 

“Non credo di saperlo fare, non come lei” Mi porse la mano, e la presi. La scossa che provai fu inaspettata. O forse erano i suoi occhi a fulminarmi ogni volta. 

“Avrebbero voluto tutti ballare con lei stasera, ma non sapevano se la cosa avesse potuto darle fastidio” aggrottai la fronte quasi incredula e poi scossi la testa. 

Come per la prima volta in mensa mi sentii osservata. 

“Devo ammettere che ha un fisico atletico come quello di una ballerina, a parte il seno, beh quello stasera è stato apprezzato da tutti” Disse avvolgendomi il bacino con il braccio e tenendo sempre la mia mano. 

“Potrebbe essere meno indiscreto, sa, neanche la conosco e parla del mio seno” misi la mia mano sulla sua spalla e lui cominciò a portarmi con estrema leggerezza, e mi sembrò di scorgere un sorriso.

Praticamente non facevo nulla se non seguire i suoi movimenti. Era davvero piacevole ballare così. 

Davvero. 

“Magari se iniziamo a darci del tu, potrò dire queste cose senza preoccuparmi di essere indiscreto” aggiunse senza smettere di roteare intorno alla sala. Quasi a voler dimostrare che lui era più bravo. 

“Visto che mi sta facendo ballare, possiamo darci del tu… Non ricordo quando è stata l’ultima volta che ho ballato”

Perché avevo fatto quella piccola confessione? Dovevo ricordarmi che lui era sempre il solito sgarbato ragazzino viziato che il primo giorno mi aveva scavalcato pur di non aiutarmi. 

“Non sarai mica in bici con quei tacchi?” cambiò argomento, giusto per ricordarmi che a lui non gliene fregava niente di quello che dicevo.

“No, ma ancora non mi sono organizzata su come tornare a casa” Si fermò e tenendomi per mano, quasi come se fosse un gesto naturale mi riaccompagnò a sedere dove adesso c’era ancora qualcuno. 

“Maria, puoi riaccompagnare questa ragazzina a casa” La sorella annuì e mi abbracciò. 

Per il resto della serata continuai a fare amicizia con tutti i ragazzi del gruppo. Trovai davvero piacevole la serata e scoprii che la bevanda mi era stata offerta dai ragazzi. 

Forse Jaime non aveva tutti i torti quando diceva che in qualche modo piacevo a questi ragazzi.
Magari in quel momento ero solo un’attrazione, d’altronde questi ragazzi e ragazze si vedevano tutti giorni a tutte le ore e si conoscevano da anni. Erano una famiglia. Anche Julia, era arrivata l’anno precedente nella compagnia e mi aveva detto di aver trovato una vera e propria famiglia. 

Quando uscii fuori con Maria, notai una ragazza che non era con noi salire sulla BMW di Jaime e capii perché non poteva accompagnarmi lui a casa. 

Non ero l’unica a cui dava passaggi.



Buonasera! È tardissimo per pubblicare un capitolo ma la tesi sta risucchiando le mie risorse e le mie capacità performative su un documento scritto. Tralasciando questo, spero che il capitolo vi piaccia!! Cri 

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Capitolo 4
*** La coperta ***


La coperta

Il lunedì successivo sapevo che Newman non ci sarebbe stato, ergo, non potevo lavorare sul mio video ma dovevo continuare le sue riprese.
Speravo di essere all’altezza.
Arrivai prima in teatro appunto perché volevo sistemare tutto prima che arrivassero i ballerini.
Impostata la telecamera principale, decisi di fare a modo mio. Smontai quella sul palchetto che avevo messo il primo giorno di lavoro e molto lentamente portai la telecamera sul palco. La misi in un angolo in cui ero sicura che non avrebbe dato noia.
Il parquet del palco mi fece ricordare la casa che avevo al mare qualche anno fa e che fummo costretti a vendere, era così liscio e pulito che mi sedetti a contemplarlo e perdermi nel tipico odore di chiuso che caratterizzava i teatri.
“Piace anche a me” sobbalzai sentendo la sua voce.
Jaime si sedette accanto a me. 

“Come?” Ero sorpresa e stordita allo stesso tempo, perché mi ero alzata così presto?

“Mi piace quando sono solo a teatro, è bello” annuii, dandogli ragione. 

“Devo mettermi a lavoro” mi alzai controvoglia perché non sapevo neanche come comportarmi da sola con quel ragazzo.

Arrivarono tutti gli altri e tutti si disposero in posizione. Io rimasi in quell’angolo del palco a fare le riprese. Quella prospettiva mi piaceva in particolare modo. Speravo che Newman avrebbe apprezzato un po’ di iniziativa. Mi sentivo una Degas dei tempi odierni, anche se probabilmente questa affermazione avrebbe offeso il pittore. 

“Signorina Aria?” mi sentii chiamare dal coreografo. Mi voltai. “Visto che è sul palco, le dispiacerebbe andare un attimo da Andrea, oggi ci manca una ballerina e devo concludere questo disegno” Okay, niente Degas del ventunesimo secolo.

Mi morsi il labbro nervosa, Andrea mi accolse con un sorrisetto e per l’ennesima volta mi sentii sotto i riflettori, e stavolta potevo dirlo davvero. 

Con lo sguardo cercai quello di Jaime, aveva un sopracciglio alzato, innervosito da quella breve pausa. 

Andrea mi guidò nei movimenti che il coreografo suggeriva. 

Quando ebbi finito, quasi a scherzo mi prese sulle spalle e mi fece fare qualche giravolta rivoltando il mio corpo con una facilità che non pensavo fosse possibile. 

“Abbiamo un spettacolo a breve, smettiamola di giocare” Jaime riprese Andrea, che mi mise giù. Ogni volta sembrava lui il capobranco. Tutti seguivano quello che diceva. Forse lo era sul serio. 

“Tranquilla, è fatto così” cercò di spiegarmi mentre mi accompagnava al camerino. 

Alzai le spalle come se mi importasse poco di tutto ciò.
“A r i a!” sorrisi divertita, quella ragazza non mi mollava mai. 

“Maria dimmi” avevo scoperto che aveva appena 17 anni, ma era comunque di una grazia e bellezza che facevano di lei già una giovane donna. 

“Ti andrebbe di vedere un film a casa mia stasera, poi rimani da me… Per favore, domani abbiamo il giorno libero e te sei l’unica che non parla solo di danza qui dentro”

“Se ti dicessi di no probabilmente non mi rivolgeresti la parola per giorni, quindi va bene”
Tornai nel camerino, dovevo assolutamente passare da casa per avvertire la nonna e per prepararmi uno zaino per la notte. 

Mi stavo letteralmente facendo travolgere dagli eventi. 

E non capivo perché a quei ragazzi non riuscivo mai a dire di no, oppure era il fatto che mi sentivo più in un contesto lavorativo che mi portava a fare più quello che dovevo che quello che mi sentivo. 

Suonai il campanello di Maria. Abitava in un appartamento in affitto, in un edificio nuovo e moderno, probabilmente anche costoso.

Quando arrivai alla porta però mi scontrai contro i pettorali di un ragazzo. 

“Ancora tu, dillo che cerchi un contatto con me” ridacchiò ma poi mi immobilizzò con lo sguardo. Mi ero totalmente scordata che Maria avesse quel fratello, anzi da una parte pensavo che abitassero in appartamenti diversi ma mi sbagliavo. 

Anche lui stava rientrando in casa. 

Mi aprì la porta e mi fece strada. Maria corse ad abbracciarmi, e dallo sguardo che si scambiarono i due capii che il ragazzo non era stato avvertito della mia presenza. 

“Allora, noi non sappiamo cucinare.. abbiamo solo verdure surgelate e qualcosa in frigo” Mi venne da ridere. Effettivamente cosa potevo aspettarmi da due ragazzi americani probabilmente viziati. Jaime era già sparito dalla mia visuale. 

“Posso preparare qualcosa io” Aprii il frigorifero. Notai delle verdure. “Voi esseri danzanti potete mangiare il riso?” Maria scoppiò a ridere e mi diede il permesso di cucinare il riso.
Un risotto alle verdure era quello che potevo fare. Controllai se avessero spezie e fortunatamente qualcosa avevano. Cominciai a cucinare e ordinai alla ragazzina di aiutarmi con le verdure.
Sapevo di essere brava, la nonna mi aveva insegnato praticamente tutto quello che sapeva di cucina. 

Dopo una ventina di minuti era tutto pronto e nei piatti. 

Jaime arrivò in cucina, vestito con solo un pantalone di tuta. Non poteva stare a petto nudo mentre mangiavo. Non sapevo se ci sarei riuscita, a mangiare. Non potevo negarlo, era perfetto. Come si muoveva, i muscoli si muovevano in armonia col suo corpo. 

Mi concentrai sul piatto e misi una forchettata in bocca per aver qualcos’altro a cui pensare. 

“Dovrei invitarti ogni sera, è delizioso” Maria quasi saltellava sulla sedia mentre Jaime scettico mise la forchetta in bocca. 

“Non male” lui al contrario, non si scomponeva mai. 

“Stasera è il tuo turno di pulire Jaime” fece la sorella facendogli una linguaccia dopo aver finito il suo riso.
Io e Maria ci sedemmo sul divano del salone.
Un salone grandissimo con un finto camino ed un televisore immenso. Questo mi confermò che due ragazzi vivevano in una famiglia benestante. Il divano era uno di quelli estremamente morbidi che prendevano la forma del proprio corpo. Mi passò una coperta, aveva un forte profumo maschile e quasi inconsciamente me la avvolsi intorno al corpo. 

Maria mise Interstellar. Era uno dei miei film preferiti, ed ero felice di poterlo vedere in alta qualità e non in streaming come sempre facevo. 

I film potevo vederli solo in quel modo, spendere soldi per il cinema non mi era concesso.
“Posso sedermi con voi, mi annoio” si sedette senza neanche aspettare una risposta e mi rubò metà coperta.
Si era messo una maglietta e riuscii a guardarlo senza perdermi in tutti i dettagli del suo corpo. Il ragazzo viziato era annoiato. 

“Vuoi un tè caldo?” Maria si alzò e andò in cucina. Le dissi di sì, anche se mentre guardavo i film di solito mangiavo le peggiori schifezze da supermercato, ma per questa volta un tè andava bene. 

“Ti piace il film?” Jaime si sistemò meglio sul divano e per potermi rubare altra coperta si avvicinò a me, lo guardai male. 

“È il mio preferito, lo adoro” 

“No spoiler, grazie”

“Li avrai se continui a prendermi la coperta” gli lanciai uno sguardo di sfida. 

“La mia coperta, sono sicuro che vorrebbe stare col proprio proprietario.. stai invadendo la sua privacy” Risi per un attimo, oddio, Jaime spiritoso. Forse fuori dal teatro non era così male. 

Me la tolsi e gliela diedi per orgoglio, ma in realtà trovavo tutta la situazione molto divertente. 

“Metto in pausa, intanto che Maria prepara il tè, mettiti comoda in pigiama” Lo guardai strano. Non capivo se era più una frase da despota o una gentilezza che mi stava concedendo.
Così feci, misi gli shorts del pigiama e una maglia che avevo preso random dall’armadio.
Tornai nel salone e Jaime alzò la coperta e fece cenno di mettermi accanto a lui ma in quel momento arrivò Maria con le tazze così decisi, maldestra come ero, di non fare danni. 

Mi sedetti sulla punta del divano e appoggiai la tazza sul tavolino di fronte a me. Continuai a vedere il film e sorseggiare tè, mentre sentivo quegli occhi blu puntati su di me e sulle mie gambe. Sentivo quasi bruciare le mie gambe scoperte. 

“Dio mio, che stronzo” commentò Maria una scena del film e io sorrisi. Era totalmente assorta. Effettivamente Nolan aveva fatto un bel lavoro. Per non parlare degli effetti speciali, del montaggio, dei dialoghi. Tutto al suo posto. Un po’ come Jaime. 

Non potevo aver fatto quel paragone. 

Finito il tè mi accorsi di sentire leggermente freddo e fui costretta a rintanarmi in quell’angolo di coperta che il ragazzo mi aveva concesso. Lui sorrise soddisfatto.
Una volta finito il film, Maria mise un talent show che mostrava cantanti e ballerini ed iniziò a commentare con Jaime tutti i ballerini in gara. Mi piaceva ascoltarli parlare di danza e soprattutto mi stava piacendo questa disciplina come non mai.
Io mi chiusi nella mia ignoranza in materia ma guardai curiosa il programma. Ogni tanto Maria mi suggeriva qualche passo che i concorrenti facevano per farmi capire meglio. 

“Le bambine dovrebbero andare a dormire a quest’ora” concluse massaggiandosi il mento

“No, io e Aria andremo in camera mia a parlare di cose da donne” si alzò con orgoglio e mi trascinò via. 

Sapevo che non avremmo parlato di cose da donne ma piuttosto sarebbe stato un interrogatorio. 

Così fu, appena fui nel suo letto matrimoniale, a luce soffusa cominciò a tempestarmi di domande sulla mia vita. 

Non amavo parlare di me però qualcosa riuscì a tirarmi fuori, ma niente che fosse strettamente personale. 

“Mentre per quanto riguarda Jaime?” tossii alla sua domanda. 

“Ehm, è più educato della prima volta che l’ho conosciuto” La ragazza ridacchiò. 

“È solo un muro che mette davanti alle persone, col tempo scoprirai un ragazzo diverso”

“Non saprei, e comunque non credo neanche di andargli a genio” risposi. 

“Al contrario, non si era mai seduto con me quando invito una ballerina della compagnia o un’amica” Fortuna che era buio perché avevo appena spalancato gli occhi. 

Dentro di me qualcuno stava dando una festa,  sentii lo stomaco andarmi in subbuglio a quella notizia. 

Cambiai immediatamente argomento, rivolgendo qualche domanda a lei. 

Maria era una ragazza davvero dolce e avevo appena scoperto che aveva una cotta per un certo ballerino, di un’altra compagnia che però era amico di Julia. Si chiamava Filippo.
Poi mi parlò di New York. Le mancava, si sentiva da come ne parlava. 

Io non l’avevo mai visitata, era la città in cui si era formato Martin Scorsese e questo mi portava a voler magari un giorno fare un master proprio lì, nella sua scuola. 

Seguendo questi sogni mi addormentai.
Quando aprii gli occhi era ancora tutto buio, Maria stava beatamente dormendo. Al contrario di Jaime aveva i capelli castano chiari ma aveva gli stessi occhi azzurri.
Mi alzai per andare in bagno e cercai di fare meno rumore possibile. 

Al buio però tutte le stanze mi sembravano uguali e feci fatica a distinguere quale porta aprire. Con cautela ne aprii una e accesi la luce. Stanza giusta.
Feci un sospiro di sollievo.
Visto che non ero ancora soddisfatta me ne andai in cucina per un bicchiere d’acqua. 

“Ahia” mi scontrai nuovamente con qualcosa e solo quando mi sentii spostare, mi resi conto di aver a che fare con qualcuno e non con qualcosa. Poteva essere così muscoloso da sembrare un oggetto.
“Ragazzina la devi smettere di venirmi addosso” sussurrò arrabbiato. Accese la luce della cucina accecandomi. 

“Tu sei sempre nel posto sbagliato” non si era allontanato, si era limitato ad inveirmi contro mentre la sua fisicità mi sovrastava. Prese un bicchiere dal ripiano sopra di me e mi schiacciò contro la mensola. Stesso fece per l’acqua in frigo. Rimanendo sempre dov’era, versò l’acqua nel bicchiere e me lo passò. 

Stupefatta lo ringraziai. Era un mix tra l’essere scontroso ed essere la persona più premurosa che avessi conosciuto. Quella vicinanza però mi stava dando alla testa. Mi girai per bere e lui si allontanò capendo che volevo i miei spazi. 

 

La mattina seguente andò tutto liscio, se non fosse che prima o poi avrei rischiato di fare qualche commento volgare. Poteva quell’essere girare seminudo per casa come se fosse niente? Maria in compenso mi aveva già invitata per il lunedì successivo. Forse poteva diventare un’abitudine piacevole.
Avere la giornata libera mi fece bene, feci le cose che facevo di solito. E ripresi un po’ di quotidianità che questi ballerini mi stavano portando via.


Sono in ritardo, lo so, perdonatemi ma sto per partire quindi sparirò per un'altra settimana ma se avrò un po' di connessione vedo di aggiornare la storia prima possibile. Magari in vacanza scrivo un po'.
E niente, spero vi piaccia (:


 

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Capitolo 5
*** Trailer ***


Trailer


Avevo passato tutti i giorni a lavorare sul video per la pubblicità della compagnia che non mi ero neanche accorta che era nuovamente Venerdì e che la settimana si stava già concludendo. 
Non solo, Newman voleva mostrare il mio lavoro a tutti prima di pranzo ed io ero tesa come una corda di violino.
Misi il video sul canale YouTube della pagina della compagnia. Era bello leggere il proprio nome sul copyright del video. Era qualcosa di mio. Un lavoro fatto, finito e riconosciuto. Ora dovevo solo avere l’approvazione del coreografo e dei ballerini. 
Seduta in prima fila insieme a tutti gli altri feci partire il video che veniva proiettato sul telo posto sul palco. 
Sapevo di aver messo tutta me stessa, e cercai nei volti di quei ragazzi qualche sorriso o una qualsiasi espressione compiaciuta. 
Tutti, però, erano seri e concentrati. Allora tornai a puntare gli occhi sullo schermo, avevo scelto la musica di Clint Mansell come sottofondo. I movimenti dei ballerini erano rallentati dal mio montaggio a volte, e in altre le immagini prendevano un ritmo vorticoso. Cercando sempre un equilibrio. D’altronde, come un vero musicista, ero stata un “ladro gentiluomo”: se rubavo il tempo, lo restituivo dopo. 
Quei tre minuti si conclusero troppo in fretta e nessuno pronunciava una parola. Io non volevo interrompere quel silenzio chiedendo se era piaciuto, mi sembrava poco professionale. Poi, invece, il coreografo si alzò. 
“T u t t i. Dovete tutti condividere questo video. Complimenti Newman, un lavoro perfetto” Ma leggere i crediti era un optional? No, non capivo. 
“I complimenti vanno alla piccoletta del gruppo” GRAZIE NEWMAN PER AVERMI LETTO NEL PENSIERO, stavo letteralmente urlando nella mia testa. 
“Scambiatevi i contatti con Aria, e condividetelo ovunque. Grazie, e ora in mensa. Stasera abbiamo la Prima e voglio che questo video sia proiettato fuori il teatro tutti i giorni. Forza!”  Grazie a lei per aver riconosciuto il mio lavoro, pensai. 
I ragazzi a mensa mi guardavano come se avessero visto un fantasma o simili, però tutti mi chiesero il contatto YouTube e Facebook.
“L’etoille dei video” un ragazzo di nome Cole venne a stamparmi un bacio sulla guancia e ringraziarmi. Da lì partì una specie di processione di ballerini e ballerine che con movimenti eleganti e passi di danza vennero a baciarmi sulla guancia. Ero un pomodoro. 
Maria mi saltò praticamente addosso, anche perché era convinta che l’avessi resa più bella nel video, ma non era così .. lei era davvero fotogenica.
Jaime era seduto davanti a me e guardò attentamente tutte quelle persone che venivano da me. Cercai di non farmi notare mentre indagavo sul suo sguardo. Finita quella lunga processione, si allungò verso di me piegandosi sul tavolo. 
“Brava” la sua voce era bassissima e percepii solo il calore del suo fiato sulla mia guancia, infatti si avvicinò alla guancia quasi con precisione millimetrica, senza però toccarla ma mi fece ugualmente socchiudere la bocca. La reazione fu totalmente inconscia. Avevo sempre il controllo del mio corpo. Sempre. Poi doveva arrivare questa specie di Apollo/ragazzo americano, con un accento terribilmente sensuale, una voce calda, un corpo perfetto a smuovere ogni parte del mio corpo. Ma, fortunatamente e per grazia divina aveva un atteggiamento talmente insopportabile che mi faceva stare con i piedi ben piantati in terra. Per quanto sembrasse, non ero quel tipo di ragazzina che cedeva alla vista di qualche addominale, ma dei lineamenti così belli non mi era mai capitato di vederli.
In quei secondi persi a riflettere sulla mia reazione, Jaime si rimise al suo posto compiaciuto. Mi ricomposi subito. 
“Grazie, è bello sentirlo dire dal ragazzo che mi stava per calpestare il primo giorno” mi stavo per fare un applauso da sola, un po’ di ironia non faceva male.
“Rimani sempre una ragazzina, infatti” Alzai le spalle e scossi la testa decisa ad ignorarlo. 
Il pranzo si esaurì poi subito. I ballerini dovevano fare le prove finali e generali, con scenografia e luci. 
La serata fu lunga e fui invitata a restare per la Prima senza dover lavorare. Avevo un posto in primafila, avrei voluto invitare mia nonna ma me l’avevano detto troppo tardi per riuscire ad organizzarmi. Ci sarebbero state altre occasioni nella quale avrei portato mia nonna a teatro.

Verso mezzanotte, dopo essermi complimentata con quei giovani ragazzi, andai verso la mia amata bicicletta, sorpresa di trovare mister perfezione appoggiato su di essa. Certo, con comodo. 
“Esci, devo tornare a casa” borbottai stanca, ci mancava solo una conversazione impegnata a tarda notte dopo aver passato l’intero giorno chiusa là dentro.
“Ti accompagno. Non è sicuro girare da sola”
“Su una bici sono al sicuro, non ho bisogno del cavaliere azzurro”
“Il principe non ti piaceva?” se la rise di gusto.
“Mi piace Kandinskij, Der blaue Reiter è il cavaliere azzurro e pure un quadro che mi piace”
“Allora vedi che vuoi farti accompagnare” tolsi il lucchetto alla mia bici ma lui mi precedette  prendendola e trascinandola dietro di sè, andando nella direzione di casa mia.
“Sei prepotente ed antipatico” si girò alzando un sopracciglio e continuò a camminare lasciandomi indietro.
Dovetti fare diversi passi veloci per raggiungerlo e gli strappai di mano la bici, dandogli accidentalmente una leggera spinta. 
“Come vuoi, dolcezza” alzò le mani sorridente. Sembrava di buon umore anche se rimaneva il solito prepotente.
Ringraziai che il tragitto fosse breve, perché si era creato un silenzio imbarazzante interrotto dal cigolare della catena della mia bici.
Quando arrivai al cancello mi resi conto che lui era a piedi e si era fatto il tragitto esclusivamente per accompagnarmi e l’avrebbe dovuto fare al ritorno per raggiungere la sua macchina. Ero decisamente in imbarazzo. Misi la bici dentro.
“Ti ringrazio davvero, ma per favore non c’è bisogno che tu mi accompagni ogni volta che faccio tardi… Me la sono sempre cavata”
“Non ti capisco” si avvicinò.
“Sono cinque minuti a piedi” di riflesso mi schiacciai contro il cancello.
“Sono tanti” strinse la mascella e per la prima volta vidi un’espressione poco piacevole sul suo volto. Continuavo a non capire ma non volevo continuare a discutere in tarda serata per questa cosa, alla fine dovevo solo ringraziarlo anche se non ero abituata a certe gentilezze. Nessuno mi aveva mai aiutata.
“Grazie, non volevo dire che non apprezzo solo non capisco” conclusi.
“Un giorno forse te lo spiego, ragazzina” si abbassò a darmi un bacio sulla fronte e se ne andò. Questi ballerini si prendevano troppe libertà con i baci.
Ero esausta ma comunque mi rigiravo nel letto ripensando a Jamie, e in generale a tutta la giornata che era stata pesante ma soddisfacente. Stavo snobbando i compagni dell’università, tra le altre cose, ma non tanto perché mi sentivo molto meglio con i ragazzi della compagnia ma semplicemente perché mi mancava proprio il tempo.
Il giorno successivo Newman mi spedì nel magazzino a rimettere a posto, dopo la gloria del giorno prima effettivamente l’egocentrismo del regista si faceva sentire ed era anche giusto così. Non potevo montarmi la testa da tirocinante.
Passai la mattinata tra gli scatoloni a dividere tutti i led per colore e gradazione, solo nel momento in cui tornai nel mio camerino vidi Maria e andai a salutarla.
“Stiamo andando a pranzo, ci raggiungi?” Questa routine cominciava a piacermi. Pensavo in realtà di tornare a casa ma il pensiero di stare in compagnia stavolta non mi dispiacque.
Seguii la ragazza con il mio passo da elefante rispetto al suo e mi accomodai alla mensa.
Quel giorno c’era del petto di pollo.
Jamie era accanto ad Andrea, aveva il volto cupo e pieno di tensione come quello che avevo visto la sera prima. Stavano parlando tranquillamente quando mi sedetti di fronte a loro insieme a Maria. 
“Bellezza, posso sedermi accanto a te?” Richard domandò ma praticamente si era già seduto al mio fianco.
“Prossima settimana c’è lo Spring break, sei dei nostri Aria?” ero distratta a pensare quanto fosse triste mangiare il pollo quando nonna aveva preparato la lasagna, ma Julie interruppe quel pensiero.
“Cosa, scusa?” ero confusa, sarà stato il pensiero della lasagna.
“Due settimane di pausa e vacanza, e abbiamo deciso di andare in montagna da Andrea almeno quattro o cinque giorni tutti insieme” mi spiegò.
“Ah, io non lo so”
“Dai, dai Aria non puoi non venire” Maria mugolava dietro.
“Andrea?” Chiesi, non volevo autoinvitarmi in primis e poi mia mamma non avrebbe approvato. Non mi aveva visto mai uscire o andare in vacanza, e ora tutto all’improvviso. Poi lasciare nonna da sola non era una buona idea.
“Perdoname, davo per scontato che tu fossi invitata” si guardò intorno cercando approvazione dagli altri ragazzi che sembravano troppo felici all’idea. Tutti tranne uno, che fissava il suo piatto, indifferente.
 
Corsi a casa. Nonna stava cucendo una mia vecchia maglietta. 
Come potevo dirle che andavo in vacanza, quando la vacanza probabilmente serviva proprio a lei o a mia madre. Aspettai infatti di essere a cena per aprire l’argomento. Non portavo a casa nessun soldo, vivevamo del lavoro di mamma e della pensione del nonno.
“Da lunedì sono in ferie” me ne uscii, finalmente prendendo un boccone di ragù.
“Come mai?” mia mamma era già sull’attenti.
“In America esiste quella che loro chiamano pausa primaverile” iniziai “E i ragazzi della compagnia mi hanno invitato nella casa in montagna”
“Vuoi andare?”
“Sì, ma non so i costi che potrebbero esserci … Non voglio farvi pesare una mia vacanza” Vedevo che entrambe avrebbero voluto dire o fare qualcosa ma non mi risposero sapendo che avevo ragione.
Ci pensai tutto il fine settimana e decisi di chiamare Maria per dirle che non sarei andata.
“Hello?” mi rispose una voce maschile.
“Jaime? Sono Aria” ero confusa, ero sicura di aver chiamato Maria. 
“Oh, tu. Maria è in doccia, ho risposto perché pensavo fosse qualcosa di importante” Quanto era arrogante, pure al telefono.
“Volevo solo avvertire che non posso venire domani con voi, mi dispiace” dissi diretta senza fare caso alla sua frase. Mi chiedevo se sul telefono di Maria apparisse il mio nome o meno.
“Hai di meglio da fare suppongo” ne seguì il mio silenzio. Non ero una persona che si apriva facilmente e non volevo far sapere quelle che io ritenevo le mie debolezze a quel ragazzo. Ma il silenzio fu troppo lungo, e se ne accorse. “C’è qualcosa che non va, Aria?” Era la prima volta che mi chiamava per nome. 
“Non posso proprio, voi avete organizzato la vacanza secondo le vostre possibilità giustamente ma non sono le mie” parlai così veloce che temetti che non avrebbe capito niente.
“Ti passo a prendere domani alle 9, verrai in macchina con me e Maria. Fai la valigia” mi riattaccò senza che potessi rispondere. 
Non aveva capito niente, infatti.
E non capivo perché doveva essere così prepotente con le persone tanto da non capire che non ero nella sua situazione e non doveva permettersi di fare in questo modo quando si trattava di cose serie.
Scesi a parlarne con la nonna che quasi stava per andare a dormire e ormai a tarda serata preparai anche io la valigia e mi rifugiai nel letto. 
Non dormii affatto tra ansia e confusione.


Eccomi! So che è un capitolo un po' di passaggio ma soprattutto essendo al mare e con poco internet sono riuscita a recuperare questo e non volevo lasciare passare troppo tempo tra un capitolo e l'altro. Lascia un po' in sospeso, ma il prossimo vi assicuro che ne succederanno. 
A presto, Cri

 

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Capitolo 6
*** Distrazione ***


Alle nove puntuale come un orologio, i due ballerini mi aspettavano davanti al cancello. Maria anche in tuta sembrava una dea e indossava un paio di enormi occhiali da sole probabilmente per nascondere il fatto che non aveva il trucco.
A me importava ben poco, anzi avevo gli occhiali da vista perché con le occhiaie che avevo non me l’ero sentita di mettermi le lenti a contatto.
I miei capelli erano spettinati ed ero in tuta anche io, una visione tutt’altro che celestiale. 

Jamie venne incontro a prendermi la valigia, indossava anche lui un paio di occhiali da sole.
“Buongiorno” balbettai mentre prendevo posto dopo aver salutato Maria. 

Non volevo dormire in macchina, ma i due davanti parlavano di cose strettamente personali e sentivo  poco con la radio accesa, ma soprattutto non volevo essere invadente dato il favore che mi stavano facendo. Anche dormire però non era carino ma mi addormentai come un sasso fino all’arrivo dalla stanchezza accumulata. 

“Bell’addormentata?” aprii gli occhi e trovai Jaime piegato su di me che mi stava sganciando la cintura.
“Scusatemi, non sono stata di compagnia” ogni volta che ero nervosa parlavo troppo veloce e vidi Jaime aggrottare la fronte, non aveva capito, ma poi mi sorrise e mi fece scendere.
Non sapevo nemmeno quanto tempo fosse passato ma sentivo le gambe completamente indolenzite e addormentate.
Senza che però dicessi niente, il ragazzo si chinò verso le mie cosce fortunatamente coperte dalla tuta e ci mise le mani prima intorno a una e cominciò a fare dei movimenti veloci orizzontali e sentii la circolazione ripartire e poi, lo stesso dall’altra. Non riuscii a dire molto perché ero mezza addormentata ma neanche senza chiedere mi aveva praticamente circondato le cosce con le sue mani.
In compenso vidi ballerini che facevano questo gesto per conto loro, in quel parcheggio dietro ad una villa. Jaime non era il solo benestante tra quei ballerini. 

Mi sentii un po’ lo sguardo di tutti addosso visto che Jaime era ancora abbassato sulle mie gambe.
“Non siamo tanto alti qui, ma non vorrei poi raccoglierti da terra perché ti si abbassa la pressione sanguigna” Mi sembrava di essere tornata al liceo a lezione di ginnastica in cui mi sentivo terribilmente a disagio con tutti i compagni e compagne perché non sapevo fare un esercizio senza che qualcuno mi aiutasse.
Andai a prendere la mia valigia, per mostrare, più a me stessa, che ce la facevo anche da sola e che anche se non avevo il fisico che avevano loro potevo cavarmela. 

Mi bloccai però dopo un istante, la villa davanti a noi non era enorme ma era davvero, troppo, bella. 

Mi passò in mente il concetto di chi ha troppo e chi troppo poco, e non sapevo per quale motivo, non solo ero stata abbandonata ma non avevo neanche la tranquillità economica che mi faceva stare bene, solo perché avevo deciso di studiare all’università quando non potevo permettermela e quindi, dovevo stringere i denti e far stringere i denti a mia madre tornando a vivere a casa di nonna.
Vorticavo in quei pensieri mentre Andrea fece fare il giro della casa, fino a mostrarci le stanze. Io ero con Maria e Julia fortunatamente. Avevo un letto matrimoniale tutto per me e un piccolo mobile dove mettere la mia roba. Cominciai quindi a disfare la valigia e in seguito riposarmi fino all’ora di cena.
Decisero tutti di ordinare una pizza ma al momento di pagare fui fulminata dallo sguardo di Jaime, quando ci trovammo tutti riuniti in salotto. Non sapevo nemmeno se quello sguardo fosse stato un mio presentimento o volesse dire davvero qualcosa. Stava di fatto che nessuno mi chiese un centesimo.
Per quella sera nessuno aveva voglia di uscire, così, decisero di sfruttare l’intera sala con tanto di proiettore per vedere un film.
Andrea mi prese per il braccio e mi mise davanti ad una libreria piena di dvd. Stavo letteralmente implodendo dentro. Era il mio sogno poter avere una bacheca piena di dvd ma purtroppo non era un lusso che potevo permettermi, li scaricavo piuttosto.
Scegliere non era semplice, io poi, avevo gusti raffinati nel cinema quindi decisi di andare sulla tecnica, anzi su una delle migliori regie al mondo ma con una storia che potesse prendere tutti. Presi il cofanetto di Shining di Kubrick con orgoglio e lo passai ad Andrea che mi guardò strano. 

“Spero possa andare bene” mi sentivo osservata come al solito. 

“Mi fido dei gusti di Aria” Maria intervenne. “Ma non fa paura vero?” Ridacchiai un po’. 

“È un po’ inquietante ma niente che possa turbarvi” mi posizionai poi in un angolo del divano per evitare troppe attenzioni.
Così iniziammo a vedere il film, ma sapendolo a memoria, mi persi un po’ di più a guardare le reazioni dei ragazzi, molto concentrati a capire cosa potesse succedere poco dopo. Infine notai Jaime con il braccio intorno ad una delle ballerine più giovani che se ne stava rannicchiata al suo petto. Potevo aspettarmelo che quella vacanza era una buona scusa per divertirsi con le ragazze.
Tornai a fissare lo schermo, ma le immagini quasi mi risultarono sfocate perché la mia testa era da tutt’altra parte e non ne capivo il motivo. Cosa mi legava a quel ballerino così spocchioso? Forse nessuno prima di allora mi avevo mostrato tanta premura, ma premura di cosa se neanche esistevo per lui?

Cercai di non farne un dramma mentale ma una volta che il film si concluse volevo solo andarmene a dormire e così feci, seguita dalle due ragazze che erano in camera con me.
“Aria, mi devi fare una lista di film assolutamente” Julie si stava mettendo sotto le coperte.
“Volentieri” la mia risposta uscì un po’ monotona ma cercai di riprendermi “Siete davvero un bel gruppo e non so come ringraziarvi” mi uscì spontanea come una confessione notturna sotto le coperte. 

“Siamo una famiglia” Maria lo disse con un tono dolcissimo. 

“Ed è bellissimo, ci sono mai stati amori dentro il gruppo?” e anche la domanda mi venne spontanea facendo uscire quella parte che voleva risposte su Jaime. 

“No, mai. Cerchiamo di volerci bene come fratelli e sorelle, niente di più… Si potrebbero creare conflitti svantaggiosi che creerebbero disarmonia nel gruppo. Anche i cosiddetti nuovi del gruppo sanno che non ci devono essere coinvolgimenti emotivi sennò uno dei due nella coppia dovrebbe lasciare la compagnia” La ragazza mi spiegò un po’ la filosofia del gruppo e mi disse che fino a quel momento non si era creata mai una situazione simile e sperava che le cose continuassero così. Tutto ciò mi consolò. D’altra parte, io non danzavo con loro. Non facevo parte del gruppo.
Gli occhi mi si chiusero consolata dalle parole di Maria e cullata dalle immagini di Jaime. 

Forse, un briciolo, un millesimo di un miliardo, mi piaceva.

La mattina successiva girai tutta la cucina alla ricerca di una moka per farmi un caffè che non fosse acqua colorata, ma dopo un po’ ci rinunciai e optai per un tè caldo. La casa era viva, i ragazzi erano sparsi da una parte all’altra a fare colazione ancora in pigiama e l’atmosfera era davvero serena.
Io in compenso tornai al salone della sera prima a godermi il panorama dato che quel salone aveva un’ampia finestra su uno scorcio di montagna.
Mi misi a sedere con le mani che circondavano la tazza calda, era sempre una cosa che mi aveva dato conforto. Era un mio modo di rilassarmi. 

Dopo qualche secondo notai che non ero stata la sola ad avere questa idea. Jaime si sedette accanto a me e mi spuntò un piccolo sorriso tra le labbra. 

“Non male ragazzina” e anche in questo caso mi chiedevo a cosa si riferisse, se alla scelta del posto per godermi il mio tè o al pigiama coi gatti. 

Non risposi, accennai un timido sorriso nella sua direzione. 

“Oggi gli altri vanno a scalare al centro sportivo, vieni o vogliamo fare altro?” mi domandò notando che me ne stavo in silenzio. 

Centro sportivo e scalare. Mi era salito il panico.
“Andrea mi ha mostrato la piscina ieri, io adoro nuotare penso che ne approfitterò della solitudine della casa. Tu, al contrario, puoi fare quello che vuoi” Il fatto che lui stesse parlando al plurale da una parte mi dava noia, dall’altra mi faceva sorridere. 

“Non amo rischiare di rompermi una gamba con loro, penso che verrò a vederti nuotare” sorrise compiaciuto e uscì dalla stanza.

Ah. In piscina con mr. perfezione. Fantastico. 

Il panico cominciò pian piano a salire così corsi in camera a prepararmi, a controllare che la depilazione fosse perfetta e a scegliere il costume.
Se c’era un’altra passione oltre al cinema, era il nuoto. Abitando vicino al mare poi nei mesi estivi il nuoto libero era l’unica cosa che potevo permettermi. 

Misi un costume intero, nero e sportivo che lasciava la mia schiena nuda. 

Presi un asciugamano e l’accappatoio e mi diressi verso la piscina al piano inferiore. 

Era una piscina riscaldata, non grandissima ma abbastanza per potermi muovere come meglio volessi. 

Trovai, a sedere a bordo piscina, il ragazzo dalla schiena perfetta. Cosa non aveva di perfetto dovevo ancora capirlo. 

Appoggiai la mia roba su un lettino e mi tolsi l’accappatoio consapevole che lui non mi stava guardando e non mi sarei potuta sentire in imbarazzo. Non amavo avere molta pelle scoperta ma non potevo neanche nuotare con la tuta da ginnastica.
Il rumore delle mie ciabatte lo fece comunque girare, i suoi occhi non incontrarono i miei se non per una frazione di secondo visto che poi si posarono sulle cosce, sulla pancia sul petto e sui piedi pure ma quella forse era una fissazione da ballerino quale era. A quel punto non potevo far altro che entrare in acqua per coprirmi e così feci. Scesi le scalette e mi confortai nell’acqua tiepida della piscina. Per un attimo non pensai a nulla, né all’università, né a mio padre o mia madre, ma neanche a Jaime che era lì che probabilmente pensava che fossi molto strana a chiudere gli occhi e lasciarmi trasportare dalle carezze dell’acqua che massaggiava lenta la mia pelle. Era dalla scorsa estate che non mi sentivo così bene. Nuotare mi aveva sempre aiutato, ogni volta che la mia testa sprofondava nell’acqua la mia mente si liberava e la tensione del mio corpo veniva rilasciata.
Cominciai a fare qualche bracciata fino a nuotare poi per le corsie della piscina come se fosse l’unica cosa che davvero contasse. Dovevo ringraziare Andrea per l’opportunità.
“Ti piace davvero, nuotare dico” la sua sembrava più un’affermazione. Mi aveva appena destato dal mio mondo ed era sempre lì, immobile, come se il tempo si fosse fermato.

“Non mi pare di aver detto il contrario” mi avvicinai al bordo dove lui era seduto. “A te non piace?”

“Mi piace più muovermi nell’aria che nell’acqua” Era stupido pensare che avesse detto una cosa del genere con malizia, ma il suo tono era sempre così tremendamente sensuale che senza volerlo quella frase l’aveva sentita pure il mio stomaco e le mie gambe sotto l’acqua. “Magari un’altra volta mi insegnerai a nuotare” si alzò e se ne andò un’altra volta scocciato. Era difficile capirlo, forse anche lui come me non era una persona capace di aprirsi.
Decisi di continuare a stare in piscina il più tempo possibile e solo quando sentii i miei muscoli e i miei polmoni stanchi, uscii dall’acqua per una doccia. La casa era ancora deserta ma per pranzo sarebbero tornati tutti. Feci una doccia veloce poiché volevo cucinare e contribuire per quanto potessi a quella vacanza preparando il pranzo. Il frigo straboccava di cibo tanto da poter scegliere qualsiasi ingrediente. Ormai avevo imparato le abitudini alimentari dei ragazzi: niente fritto, niente grassi e tante proteine. Optai per un cous cous ed un insalata di pollo. 

Avevo il brutto vizio di canticchiare in cucina, soprattutto nella convinzione di essere sola ma udii una leggera risata e la porta del corridoio principale chiudersi. Potevo ben immaginare di chi fosse quella risata. 

Dopo il pranzo la giornata trascorse veloce, i ragazzi erano entusiasti del pranzo e mi chiesero se potevo farlo sempre e non potevo fare a meno di accettare dato tutto quello che mi stavano regalando.
La sera ero stanca però, la piscina mi aveva distrutto e mi ero rifugiato in camera sotto lo sguardo dispiaciuto di tutti gli altri che invece uscivano a divertirsi, comprese le mie compagne di stanza.

In quella casa non poteva mancare una sala da ballo, i ragazzi continuavano infatti ad allenarsi e mantenersi in forma durante quei giorni mentre io sfruttavo i dvd e poltrivo sul divano. Fui trascinata qualche giorno dopo da Julia e Maria con loro poiché pensavano che avessi la capacità di imparare qualcosa.
Io ero totalmente negata. Non sapevo andare a ritmo. Non avevo musicalità. Ma soprattutto le mi gambe al massimo si alzavano da terra di un quarto di centimetro da quanto ero poco agile. 

Mi ritrovai davanti allo specchio enorme, ognuno ballava per conto suo, non solo la danza classica ma anche altri stili. Io continuavo a guardare la mia faccia mentre Maria mi mostrava i movimenti. 

“Siete gentilissime, ma rischio di finire con un muscolo stirato se solo provo a fare una cosa simile” annunciai a voce alta per sovrastare la musica.

“Ha ragione” Jamie intervenne avvicinandosi “Lascia che i ballerini si allenino in santa pace”

“Che problemi hai con me?” mi girai quasi furiosa, okay che non facevo parte della compagnia come avrebbero voluto, okay che ero un’intrusa, okay tutto ma era stato lui a trascinarmi lì senza darmi possibilità di controbattere e non capivo perché doveva essere un tale stronzo ogni volta che facevo qualcosa.
In tutta risposta Jamie mi prese per il polso e mi trascinò in un’altra stanza. 

“Tu, come si dice, sei una distraction per tutti i ragazzi”

“Distrazione” tradussi a maestrina prima di capire il significato effettivo della frase “Come potrei mai?” mi ripresi cercando di tenere il filo del discorso. 

“Ragazzina, non capisci proprio” e si girò andandosene con tutto il suo belvedere messo in mostra da quella tutina attillata che portava.

Aveva ragione, non capivo.
 

Eccomi di nuovo! Cominciano a scoprirsi (per dire) un po' di carte di Jaime, o meglio, cominciate a conoscerlo. Ma, non fatevi ingannare. 
Niente anche questa volta sono di fretta e sono sempre di poche parole. Spero vi continui a piacere. 
Cri

 

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Capitolo 7
*** Primo ballerino ***


Primo ballerino


L’ultima sera di quella vacanza decisero di uscire e di andare in un locale in cui c’era una band che suonava dal vivo. I giorni dopo quell’episodio erano trascorsi tranquillamente, poiché ero stata più lontana possibile da quel ragazzo presuntuoso e avevo invece approfondito la conoscenza con gli altri ragazzi che al contrario sembravano adorarmi.

Volendo sprofondare in qualcosa di blu che non fossero gli occhi di ghiaccio di Jaime che ogni tanto incrociavo, decisi di ordinare un “angelo azzurro” e sprofondare nel blu dell’alcool. Non avevo mangiato quasi nulla quindi il liquido alcolico entrò in circolo ben presto tanto che mi feci trascinare sulla pista da Richard che non smetteva mai di provarci con me in modo tenero e scherzoso. 

“Avresti proprio bisogno di qualche lezione” mi disse cercando di farmi capire come si ballasse una salsa. I passi non erano complicati ma lui andava troppo veloce e anche il pavimento, forse. 

Questo non mi fermò da ordinare ancora da bere, avevo un’insana voglia di sprofondare in un abisso per una sera e lasciarmi anche andare ma non fu neanche una scelta molto matura e saggia farlo davanti a questi ragazzi perfetti e ben educati.
Cominciai a muovermi al centro del palco fino a salire sul tavolo, avevo visto troppe volte 10 cose che odio di te per non essere condotta a farlo solo che quando iniziai a barcollare non vi era alcun Heath Ledger pronto ad accogliermi tra le sue braccia ma tutt’altro, sul tavolino si aggiunse Andrea che facendo finta di ballare mi portò via strattonandomi poco gentilmente.
Continuavo a blaterare scuse sul mio comportamento poco fine e per essermi messa in mostra ma Andrea se la rideva e mi scaricò sul divanetto. “Non c’era bisogno di questo per attirare l’attenzione di Jaime” mi sussurrò appoggiandomi la testa meglio sul divano. Che avesse capito qualcosa? Solo lui o tutta la compagnia?
Sprofondai nell’imbarazzo più totale quando un conato di vomito mi colse all’improvviso e corsi al bagno. Arrivai a stento a lavandino ma cercando di appoggiarmi alla squallida mensola di quel bagno per sostenermi quasi scivolai se non fosse stato per il braccio forte di un ragazzo che mi teneva a mezzo tra l’essere per terra e l’essere coperta di vomito.
Ero un totale schifo ed ero talmente confusa che volevo solo cadere in un sonno profondo così mi lasciai andare. 

Sentii un schiaffo, anzi diversi schiaffi, sulle mie guance e quando aprii gli occhi mi ritrovai su una macchina. Non sapevo con chi ero o forse lo sapevo ma non ero troppo lucida per rendermene seriamente conto. L’auto parcheggiò nel giardino della casa di Andrea, almeno non ero stata rapita da qualcuno che non conoscessi, ma sempre di rapimento si trattava. 

“Immaginavo fossi tu, prepotente guastafeste” quando aprii lo sportello vidi la figura muscolosa dell’etoille prendermi in braccio. Puzzavo e la mia maglietta era macchiata dal mio stesso vomito. Come poteva anche solo starmi accanto?

“Il prepotente guastafeste ti ha salvata da una situazione sconveniente ed imbarazzante per te stessa” entrò e si diresse subito al bagno. “Devi darti una ripulita”

“Mh” chiusi gli occhi nuovamente e sentivo le parole ovattate che mi dicevano che mi avrebbe spogliata lui se non mi fossi svegliata per infilarmi in doccia. 

Probabilmente fu l’imbarazzo a destarmi e decisi con quel briciolo di forza che mi rimaneva di farmi una doccia. 

Quando uscii trovai un accappatoio, probabilmente di Jaime, un asciugamano e un bicchiere d’acqua. Mi sentivo leggermente meglio. Annaspai al buio per trovare la mia stanza quando, ancora una volta e forse sarebbe stato sempre così, mi scontrai col biondo nel mezzo del corridoio. Jaime però non si mosse, mi sovrastava col suo corpo, le sue spalle, la sua altezza, tutto di lui mi fece in quel momento sentire piccola.
“Ti piace venirmi addosso o sbaglio?” in realtà stava sorridendo, non era scocciato, per una volta.
“È il tuo accappatoio, dovrei ridartelo” feci per spogliarmi davanti a lui talmente inconsapevole dei miei gesti ancora per colpa dell’alcool ma Jaime mi bloccò le mani e mi spinse nella mia camera accendendo la luce.
“Sei nuda” constatò. L’accappatoio era semi aperto e si intravedevano le curve dei miei seni e le cosce nude.
Mi carezzò il viso, passando il pollice sulle mie labbra e si chinò quasi per baciarmi. 

“Sei una distraction” mi soffiò sulle labbra.
In quel momento crollai provata dalla situazione e dalla stanchezza e lo mandai via mettendomi a letto a dormire. Avevo bisogno solo di quello. E di Jaime. Nel mio letto. Non potevo averlo pensato.

 

La mattina seguente eravamo tutti in macchina pronti a ripartire ed io ero consapevole che stavolta non avevo nessuna scusa per dormire in macchina, anzi, la sera prima ero crollata sul letto e avevo dormito beatamente. Il problema era solo uno, che, del poco che mi ricordavo, ricordavo bene le sensazioni accanto a Jaime e l’unico pensiero che avevo in testa era mi piaci. Per orgoglio e conoscendo come era fatto non glielo avrei mai detto perché si sarebbe messo a ridere o peggio mi avrebbe ignorato come sempre. Salii nel posto davanti in macchina poiché Maria, a differenza mia, aveva fatto molto tardi la sera prima e voleva solo dormire. 

Accennai un breve sorriso a Jaime che non sembrava stanco ma nemmeno moriva dalla voglia di guidare come era successo per l’andata. 

“Se sapessi ballare probabilmente l’unico ruolo che ti calzerebbe a pennello sarebbe quello della bella addormentata” borbottò partendo. Spiritoso.
“Ho esagerato tanto ieri sera?” domandai per riempire il silenzio. 

“Potevi fare peggio, non ricordi nulla?”

“Qualcosa” restai vaga perché tutto quello che mi ricordavo erano i momenti con lui e non era il caso di renderlo partecipe della mia fissazione momentanea, perché doveva per forza essere una cotta momentanea.
Di solito andava diversamente, erano sempre gli altri a provarci con me e se mi piacevano dicevo di sì ma poi mancava sempre quel qualcosa in più che mi spingeva a continuare la conoscenza, ma non mi era mai capitato di prendermi una cotta se non consideriamo quelle a 14-15 anni in cui i ragazzi più grandi sembravano delle divinità. Accettai qualche flirt solo per non sentirmi da meno rispetto alle mie amiche ma non mi ero mai aperta con un ragazzo, l’avevo sempre considerata un’esperienza fisica.

Non ero più un’adolescente per quanto mi sarebbe piaciuto tornare ad avere meno responsabilità.

La musica riempì tutto il viaggio direttamente dalla mia playlist di spotify, ogni tanto commentavo le canzoni. Sembravano piacergli. Ascoltavo tanta musica strumentale ma anche tante band alternative e qualcosa anche di particolarmente heavy, ma questo sembrò sorprenderlo più che lasciarlo basito. 

Parcheggiò nel vialetto di casa mia. Mia nonna era nel piccolo giardino a rimettere in ordine quando, vedendomi, venne verso di me.
Jaime prese la mia valigia e poi si mise al mio fianco, davanti a mia nonna. 

“Ciao ragazzi” disse con tono entusiasta.

“Buongiorno signora, sono Jaime, un collega di Aria” e porse la mano in avanti. 

“Piacere ragazzo, io sono la nonna di Aria e sarei ben felice di averti a cena stasera dato che hai portato sana e salva la mia nipotina” Quello era il momento in cui mi volevo sotterrare, ma tanto, tantissimo.
“Nonna, magari è stanco” balbettai alternando lo sguardo tra lui e mia nonna. 

“No va bene, mi porto anche la sorellina” disse a me “La ringrazio tanto” si rivolse poi a mia nonna che sorrise soddisfatta. 

 

Riposai qualche ora prima di mettermi a cucinare mentre mia mamma lavorava ancora. L’odore del ragù riempì tutta la cucina. Per una volta i ballerini avrebbero mangiato un bel po’ di carboidrati, d’altronde alle lasagne di mia nonna non si poteva dire di no.
Alle otto, puntualissimi, suonarono al cancello. Mia mamma si era addirittura truccata e anche mia nonna si era preparata al meglio. Non capitava di avere ospiti da quando il nonno era ancora vivo. Avrei voluto non pensarci ma vederle così belle mi portò subito ad essere malinconica. Abitavamo lontano da altri parenti e comunque erano parenti lontani, c’eravamo solo noi tre e così poteva essere. Io mi ero lasciata un jeans e una maglietta per comodità. 

Quando furono al portone li accolse mia mamma che si presentò, mentre io, poco accanto, ero già rossa come un peperone. Vidi Maria porgere dei pasticcini a mia mamma e poi corse ad abbracciarmi e si presentò infine a mia nonna.
Jaime invece salutò prima le signore e poi si chinò a lasciarmi un bacio sulla guancia ma i secondi che le sue labbra toccarono la mia pelle sembrarono infiniti.
Ci accomodammo subito senza troppi indugi. 

Dire che fu tutto perfetto era dire poco, ogni conversazione era spontanea ed era davvero tanto tempo che non vi era una cena così festosa nonostante l’aria fredda che trasmetteva Jaime, ma quella sera era meno fredda del solito. 

“Come si comporta Aria a lavoro, è professionale?” mia mamma ficcanasava sempre nelle mie cose. 

“Ogni tanto le capita di andare a sbattere contro delle cose” Prese la parola Jaime guardandomi “Ma a parte questo è brava” e sorrise a mia madre che già mi lanciava occhiate sospettose. Avendomi cresciuta lei, ero sempre come un libro aperto. 

“È perfetta! Assolutamente perfetta!” squillò Maria sovrastando la voce di Jaime. 

“Posso cortesemente chiedere dov’è il bagno?” Jaime si alzò scostando la sedia. I suoi modi risultavano sempre eleganti. Non ero esperta di uomini e non avevo mai avuto un uomo in casa ma ero sicura che lui fosse un ragazzo come se ne vedevano pochi. Galante, educato e rispettoso in tutti i suoi modi e anche nel modo di parlare.
“Ti accompagno” mi alzai subito come pronta a prendere una pausa con lui dall’interrogatorio di mia madre.
Lo accompagnai al piano di sopra e accesi la luce del bagno.
“Se hai bisogno di qualcosa…” 

“Non ho bisogno del tuo aiuto per fare pipì, a meno che tu non abbia voglia di sganciarmi i pantaloni” interruppe la mia frase scoppiando a ridere e mi offesi tremendamente per come si prendeva gioco di me. Volevo solo essere gentile. Mi girai ma mi fermò il polso e come la sera prima mi sovrastò con la sua altezza nonostante non fosse così tanto più alto di me, quei centimetri li sentivo eccome. 

“Non volevo insinuare qualcosa” provò a scusarsi. 

“No eh? Forse quello che ha voglia di sganciarsi i pantaloni sei tu” alzai il mento come a sentirmi superiore. Eravamo davvero tanto vicini. 

“C’è troppa tensione, capisci perché voglio che tu non sia più una distraction

“Ti prego smettila con questa parola” abbassai lo sguardo perché avevo paura di quello che poteva dirmi successivamente. “Ho capito che sono di troppo nella vostra compagnia”

“Tu non sarai più quella parola là se soddisfiamo, come si dice, certe esigenze fisiche” lo spinsi via con violenza. Offesa e arrabbiata. Cosa voleva dire? Sarei dovuta andare a letto con lui perché tra me e lui c’era tensione? Era questo il succo del discorso.
“Tu hai qualche problema” salì il disprezzo. Scesi le scale e quella fu l’ultima cosa che gli dissi in tutta la serata che si concluse poco dopo.

L’indifferenza era tutto quello che volevo provare, ma non ci riuscii, né il giorno dopo né quelli dopo ancora. Il lunedì seguente ero dentro il teatro presa a risistemare tutte le attrezzature tecniche che per la pausa primaverile erano state rimesse al suo posto. Ritrovare le stesse inquadrature non fu un’operazione semplice. Dovevo anche correggere tutte le luci. Quel giorno Newman mi aveva messo molta pressione per tutte le faccende che mi aveva affidato ma perlomeno era un modo per nascondermi dietro le quinte a lavorare e non pensare a nulla. Così me la raccontavo almeno. 

Per quel giorno non rimasi neanche a pranzo poiché avevo tante cose da fare all’università, pratiche burocratiche noiose.
Ne approfittai però per rivedere Valentina, amica e collega dal primo anno universitario.
“Finalmente ti vedo” mi disse lei porgendomi un tazza di caffè. Da quando avevo iniziato il tirocinio ero totalmente sparita ed i miei orari non corrispondevano con quelli di Valentina. 

“Tesoro, perdonami, il tirocinio mi sta rubando direttamente la vita”

“Possibile che tu faccia tutte queste ore?”
“Purtroppo sì, poi la compagnia è sempre piena di iniziative e finisco per essere coinvolta costantemente da quei ballerini” risposi girando il caffè nella tazzina. 

“E cosa mi dici di questi ballerini?” Disse maliziosa. Era bello parlare con un’amica.
Le raccontai tutto, dal primo giorno ad oggi. Ogni singolo dettaglio. I ballerini erano tutti fantastici ma il mio racconto si focalizzò solo su uno di loro.
“Voglio conoscerlo, è il primo ragazzo di cui mi racconti qualcosa da quando ci conosciamo… Deve aver qualcosa di speciale” scherzò la mia amica, ma questo mi fece riflettere.
Valentina mi ascoltò e cercai anche io di tornare sul pianeta Terra dove mi trovavo prima. L’ambiente universitario mi mancava e dopo il tirocinio ci sarebbe stata la laurea. Ero emozionata e mi saliva la malinconia, avrei messo finalmente un punto alla mia vita.


Buongiorno! Non sono sparita, ma ero in vacanza e la vacanza si è prolungata. Spero che l'attesa ne valga la pena ( Credici, sì ahah)
Ancora non l'ho fatto e vorrei ringraziare tutti coloro che stanno mettendo la mia storia tra le seguite, ricordate e preferite. Non sapete quanto lo apprezzo! 
Come sempre fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo :)
Cri

ps. Per impegni lavorativi ed universitari sparirò per altri 15 giorni, abbiate pazienza 😩

 

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Capitolo 8
*** Dividendo e divisore ***


Dividendo e divisore

Avevo smesso di pranzare in mensa. Non avevo voglia di mangiare davanti ad una persona che mi riteneva una distrazione per lui e per gli altri. Non ero un oggetto sessuale e non volevo essere vista in quel modo. L’unico modo plausibile per lavorare al meglio era non essere più partecipe della vita privata della compagnia. Avevo abolito la mensa, il lunedì sera da Maria e anche i passaggi in macchina.
“Signorina Aria, posso parlarti?” Newman mi venne incontro. Avevo il caffè in una mano e la telecamera nell’altra. Alzai lo sguardo verso la sua direzione.

“Non vorrei criticarti, ma mi sembri assente. Le prime settimane eri così vivace, piena di voglia e passione e mi hai consegnato tutti i lavori anche in anticipo, voglio dire, anche ora sei puntuale, attenta e precisa ma manchi di entusiasmo e questo non mi piace. Se le cose non cambiano dovrò fare una nota all’università. Ho bisogno davvero del tuo aiuto, te l’ho detto, ho scelto un tirocinante come montatore perché volevo freschezza non farmi pentire della scelta sennò dovrai fare solo l’addetta alle telecamere e questo mi dispiacerebbe molto.” Il discorso fu molto serio e Newman mi parlava con sincero affetto. Probabilmente l’indifferenza l’avevo trasferita nel lavoro invece che su Jaime. Dovevo far qualcosa, aveva ragione.

“Ha perfettamente ragione, ci tengo tantissimo al lavoro e al suo lavoro … farò del mio meglio per recuperare” parlai veloce, nervosa.

“Andiamo a pranzo, è tardi”

“Voglio continuare a lavorare, poi ho già il pranzo con me … La ringrazio” e liquidai il regista che invece si diresse verso la mensa.

Riguardai il mio lavoro, effettivamente non stavo valutando bene quello che stavo facendo. Era tutto confuso, come la mia testa. Uscii dal teatro e mi diressi su una panchina per mangiare il mio panino. Erano giorni che facevo così, mi rifiutavo di affrontare la situazione e Jaime era sopportabile solo quando ballava e io ormai per i corridoi giravo poco.

Sentii il legno della panchina piegarsi al peso di un’altra persona ma continuai a guardare la mia bottiglietta d’acqua che avevo in mano.

“Aria, perché sei qui da sola?” Maria mi offrì uno yogurt.

“Avevo bisogno di starmene per conto mio” presi lo yogurt.

“È per qualcosa che abbiamo fatto?” La sua voce suonò come quella di una bambina.
“Nono assolutamente, voi siete fantastici con me… Dovevo solo pensare” le feci un sorriso per tranquillizzarla e rientrai con lei.
Il pomeriggio lo passai in sala di regia a seguire le indicazioni del regista per non deluderlo, fu molto lento ma almeno non dovevo vedere nessuno.

 

Pov Jaime

“Maria, you’re late” la rimproverai. Presi il cappotto e uscii di casa senza di lei, eravamo indipendenti è vero ma di solito uscivamo insieme da casa per andare a teatro. Quel mattino ero così irascibile. Erano giorni che a teatro era tutto uguale, noioso e ripetitivo. Stavamo riprovando lo stesso atto dall’inizio della settimana solo perché Julia e Mark non riuscivano ad eseguire alcuni passi perfettamente a tempo. Il tempo mi aveva sempre tormentato. Ero sempre preciso, curato e nel tempo giusto. Stentavo la perfezione. Pretendevo la perfezione soprattutto sul tempo. Organizzavo la mia vita, secondo per secondo e anche il mio corpo rispondeva al ritmo e ai miei tempi. In quei giorni però, questo, poco valeva. La mia bocca aveva tradito il mio tempo. Avevo pronunciato parole dettate dall’istinto e non dalle regole. Istinto, poi, no, non si trattava di quello. Ero nervoso per colpa di Aria, mi faceva un effetto strano. Mi faceva perdere il tempo. Mi distraeva e questo non doveva capitare. Anche se tutto di me voleva che capitasse, e non solo lo stimolo fisico.

Arrivai al teatro puntuale e andai a cambiarmi. Intravidi Aria parcheggiare la sua bici, indossava un cappellino di lana alla francese che lasciava che i capelli le incorniciassero quel viso pallido. Prese il suo zainetto e si diresse all’entrata sul retro. Non voleva proprio vedermi, anzi era proprio sparita tra il suo lavoro e il suo silenzio.

Preparai le punte e cominciai a scaldarmi. Mi sentivo troppo irrequieto quel giorno e la situazione sul palco non era delle migliori. Erano tutti nervosi e stressati per la nuova coreografia che era particolarmente difficile.

A metà mattinata fummo interrotte dal telefono di Newman che trillò diverse volte, alla fine il regista decise di prendere la chiamata. Sentivo bisbigliare qualcosa su Aria ma non capivo.

“Aria?” Newman chiamò la ragazza e prima che lei potesse anche inspirare continuò “È urgente” e le passò il telefono. Smisi anche di muovermi sulle punte perché ora la ragazza aveva tutta la mia attenzione.

Si allontanò dietro le quinte e tornò due minuti dopo con una faccia sconvolta e ancora più pallida. Tremava?

In automatico mi avvicinai al proscenio.
“Avrei bisogno di un permesso per andare via se non è un problema” ma dicendo quello si appoggiò su una sedia della platea per non crollare. Le tremavano le gambe. La sua voce era isterica ed io ero estremamente preoccupato.
Dove voleva andare in quelle condizioni?

Scesi dal palco e parlai col coreografo. Io ero in pari con la coreografia. Potevo accompagnarla. Ovunque dovesse andare. Dovevo. E dovevo rimediare alle mie parole. Non intendevo quello che avevo detto. Era ovvio sì che ci fosse attrazione fisica ma se fosse stato solo quello sarebbe passato immediatamente. Davo sfogo alle mie esigenze almeno una volta a settimana quando uscivo in qualche locale, ma da quando avevo litigato con Aria non riuscivo neanche più a pensare di uscire con altre. Ero infastidito da questo, ma il fastidio passò appena vidi la sua faccia così triste. Il coreografo mi diede il permesso e corsi dalla ragazza.

“Ti prego fatti accompagnare” mi imposi bloccandole l’uscita.

“Con le punte?” Un velo di ironia le era rimasto ma cercò di sfuggirmi.

“Dammi due minuti, per favore, e poi ti porto ovunque tu debba andare” aspettai trepidante una risposta.

“Mia mamma … ha avuto un incidente. Io non so neanche come raggiungerla, che figlia egoista che sono. Non lavoro e faccio pesare il mio studio sulle sue spalle e ora che lei ha bisogno di me io non posso neanche raggiungerla, capisci? Quanto posso fare schifo.” Le presi il volto fra le mani a quelle parole e presi col pollice una lacrima. Io non potevo neanche immaginare cosa volesse dire rinunciare a qualcosa per dei problemi. Ero così viziato in confronto a lei.

Si placò per poco e corsi a cambiarmi.

La ritrovai alla porta con gli occhi spalancati ma nessuna lacrima. Si fece trasportare in macchina.

“Tua madre starà bene, Aria, ascoltami, starà bene” si girò a guardarmi ma il suo sguardo era così assente. Avrebbe voluto essere consolata ma non da me probabilmente.

“Sono una delusione per mia madre, dovrei lavorare anche io ed aiutarla e sto invece a teatro dalla mattina alla sera pensando di poter un giorno diventare brava in quello che faccio” continuava a blaterare frasi denigranti verso se stessa.
L’ospedale era lontano, in bici si sarebbe persa, in qualsiasi altro modo si sarebbe persa perché si era già persa dentro i suoi sensi di colpa. Ogni tanto cercavo di dire qualcosa per farla stare meglio ma mi sembrava tutto inutile.

Arrivati all’ospedale Aria sfuggì dalla mia visuale e dalla macchina. Entrò nell’edificio lasciandomi alle sue spalle.

 

Pov Aria

 

L'ultima volta che mi ero trovata in ospedale avevo 9 anni ed avevo la tonsillite. Mi ero scordata di quanto l’ospedale odorasse di disinfettante. Secondo piano, corridoio a destra, stanza 7, me lo ripetevo nella testa mente salivo le scale. Ero senza fiato, i pensieri e le preoccupazioni si accavallavano una sopra l’altra facendomi girare la testa. Non capivo perché doveva essere tutto sempre così difficile.
Ero pure scappata da Jaime che ancora una volta si era mostrato premuroso, ma con quale scopo? Scacciai via il pensiero, anzi quello era l’ultimo dei miei pensieri. Volevo vedere mia madre.

Quando raggiunsi la stanza vidi mia nonna con un viso teso e corsi ad abbracciarla.

“Nonna?” La mia voce uscì rotta dal pianto.

“Tra poco uscirà il medico, ma è stabile Aria, non è grave .. ti prego calmati”
“L’università mi ha chiamato d’urgenza, ho avuto paura nonna” le risposi cercando di regolare il mio respiro. Dietro di me arrivò Jaime, aveva anche lui il fiato corto. Il ballerino si era scomposto per una volta.

Non so cosa mi fece scattare, forse il sollievo, ma gli corsi incontro e lo abbracciai. Volevo solo sprofondare nelle sue braccia e dimenticarmi tutta la paura provata. Io ero provata. Avevo pensato al peggio.

Lui appoggiò le sue labbra sulla mia fronte facendomi sentire la sua fisicità ma nel modo più dolce possibile. Muoveva le sue mani dietro la mia schiena lentamente.

Il dottore uscì e io mi sentii quasi male ad abbandonare il calore delle sue braccia. Cosa mi era preso?

Il dottore si rivolse prima a mia nonna e poi a me e spiegò la situazione. L’incidente era avvenuto sul lavoro, mia madre aveva la gamba rotta, e aveva battuto la testa ma il colpo era stato attutito dalle mani e quindi non era niente di grave. Doveva riposare. Il mattino dopo l’avrebbero dimessa.

“Aria, resti tu con tua madre?” Mia nonna era stanca e voleva tornare a casa, come biasimarla.

“La riaccompagno io, Teresa” Jaime si intromise e si rivolse a mia nonna. “Torno a prenderti domattina” mi accarezzò la guancia. Pensava che fosse tutto risolto così, per una gentilezza.

“Domani devi andare a teatro Jaime, prenderemo un taxi” dissi fredda e mi staccai dal suo tocco per poi chiudermi in stanza con mia madre che stava dormendo.

 

Il pensiero dell’abbraccio di Jaime continuava a tormentarmi profondamente mentre ero nella stanza di ospedale a passare una notte insonne per stare vicino a mia madre.

Quell’abbraccio mi aveva fatta sentire bene, protetta e scaldata. Ero tranquilla che Jaime portasse mia nonna a casa, e non sapevo come ero riuscita a donargli questo grado di fiducia ma questo non toglieva il fatto che fosse stato uno stronzo ed io e lui dovevamo parlare.

Avevo bisogno di chiarire prima che il mio cervello esplodesse dalle paranoie.

La mattina seguente riaccompagnai in taxi mia madre e la lasciai riposare a letto, avrei avuto anche la mattina libera ma non riuscivo a stare a casa con i sensi di colpa. Stavo scappando.
Sapevo benissimo che la scelta di fare l’università sarebbe stata un problema in caso di necessità. In questo caso era andata bene, e mia mamma era in malattia e continuava a guadagnare … ma se fosse successo il peggio?

Non ci dovevo pensare ma ero tormentata da questa cosa.

Essendo venerdì, Newman mi aveva concesso l’intera mattinata per riprendermi dal giorno prima e decisi quindi di andare a perdermi in biblioteca. Avevo bisogno dell’odore dei libri e di leggere tante altre storie, il più possibile lontane dalla mia.

Mentre ero nella mia bolla di felicità temporanea mi arrivò un messaggio, pronto a distruggerla.

 

Hello, parliamo. Please. Pranza con me. Jaime

 

Avevo un debole per la lingua inglese e questo non aiutava la mia situazione. Voleva parlare ed anche io. Il fatto che mi avesse scritto lui per primo mi faceva ben sperare anche se era molto difficile capire cosa passasse nella mente di quel ragazzo.

 

Ciao, va bene. Dimmi dove e l’ora e ti raggiungo. Aria

 

Mi rispose indicandomi un ristorante poco lontano dal teatro. Dopo aver terminato qualche altra pagina di Io prima di te mi avviai.

Ero tesa ma quella tensione che solitamente mi portava ad essere diplomatica e sicura di me stessa.

Quando arrivai davanti al portone del ristorante trovai Jaime con indosso la tuta e sulla spalla il borsone di danza.
Si avvicinò a salutarmi e mi diede un leggero bacio sulla guancia prima di farmi strada al ristorante.
Ci fecero accomodare. L’ambiente era molto informale, avrei detto quasi quotidiano.

“Come è andata questa mattina a teatro?” Domandai per rompere il ghiaccio, cosa che lui al momento sembrasse non riuscire a fare.

“Meglio di ieri, forse riusciamo ad andare avanti con la coreografia oggi pomeriggio” mi sorrise e cominciò a versare l’acqua nel mio bicchiere. Sorrisi di rimando. Un’altra gentilezza.
Fummo interrotti dal cameriere che ci disse quali erano i piatti del giorno ed entrambi optammo per del branzino.

“Tu come stai? Hai le occhiaie” pronunciò inclinando il capo ed avvicinandosi leggermente come a studiare meglio il mio viso.

“Io … mia mamma sta meglio e anche io” il mio nervosismo a quella domanda però mi tradì e il mio corpo gesticolando diceva tutt’altro.

“Non hai dormito, dimmi la verità, per favore” mi sussurrò cercando la mia mano

“Anche se volessi, non ti meriti la verità … Come posso aprirmi con te?” Mi scagliai contro di lui sottovoce. Poi arrivarono i piatti e finsi un sorriso.

“Lo so, quella sera io non volevo dire quello. Io non penso quello di te. Ero stanco e nervoso, insoddisfatto”

“Tu insoddisfatto? Intendi sessualmente insoddisfatto? Mi sembrava di vederti spesso con delle ragazze in macchina” alzai le spalle terminando quella accusa. Jaime prese un respiro e si appoggiò allo schienale. Non avevo torto allora.

“È vero, ma non da quando sono interessato a te e non sessualmente, cioè anche … Ma vorrei conoscerti, frequentarti.”

“E non sono più una distrazione per l’etoille?” Stavamo arrivando al punto centrale. Si prese qualche secondo.

“Quando mi ignori, quando non ci sei, io ballo peggio” si confessò ancora sottovoce ma stavolta guardandomi dritto negli occhi. Tutta la prepotenza dei giorni passati insieme era sparita come anche la tensione, era crollato un mattone del suo muro.
Feci un mezzo sorriso e lasciai che mi prendesse la mano e giocasse con le mie dita. L’appetito stava scomparendo ma cominciai a mangiare quel piatto ormai freddo e così fece lui. Volevo dargli una risposta.
“Vorrei anche io, esserci, non ignorarti e frequentarti. So di essere complicata però, but so do you

“Da quando conosci la mia lingua?” Mi prese in giro ma stavolta in modo tenero “Penso che tu mi piaccia proprio perché sei rare, e poi hai gli occhi più belli che io abbia mai visto” A quella frase, però, mi misi a ridere scuotendo la testa. Mr. perfezione aveva visto in me gli occhi più belli? Ma si era visto allo specchio?

“La tua lingua mi affascina”

“Anatomicamente parlando?” Mi interruppe prima che potessi finire la frase e lo guardai male.

“Stavo dicendo, lingua a parte, che ricambio il pensiero, soprattutto quello degli occhi visto che mi pare che tu non ti sia visto allo specchio per dire che i miei sono più belli” ci alzammo per dirigerci al teatro. Jaime mi teneva una mano sulla schiena e riuscivo a sentire tutto il calore anche attraverso il cappotto primaverile.

“Beh effettivamente i miei sono degli occhi stupendi soprattutto se mi permettono di ammirare i tuoi” mi bloccò sul marciapiede costringendomi a girarmi. Non ero pronta. Troppe cose tutte insieme, troppi sentimenti ed emozioni in pochi giorni. Ci guardammo negli occhi per minuti interi o così mi era sembrato. Le sue iridi chiare erano contornate da un cerchio più scuro. Ci stavamo completamente perdendo nei nostri sguardi fino a che l’imbarazzo non prese piede e distolsi lo sguardo andando a cercare la sua mano. Forse era esagerato da parte mia prenderlo per mano da subito ma mi sentivo protetta.

A teatro arrivammo mano nella mano, erano tutti dentro in mensa e concordai con Jaime che era veramente troppo presto per mostrare qualcosa in pubblico visto che non c’era niente da mostrare per ora. Era tutto un grande forse.

Era venerdì e mi sentii sollevata che quella settimana stava finendo e finendo così bene.

Lavorai tranquilla nel pomeriggio mentre i ragazzi e le ragazze continuavano le prove. Erano davvero bravi. Il sabato successivo ci sarebbe stato un evento di beneficenza dove i ragazzi ballavano direttamente alla mia università ed ero molto felice di questo, avevo invitato anche le mie due donne.
A fine pomeriggio salutai tutti e sorrisi a Jaime prima di uscire e tornarmene a casa in bici.

Una volta a casa, sistemai tutte le faccende domestiche mentre controllavo ogni dieci minuti mia madre. Dal giorno seguente avrebbe avuto le stampelle così da poter essere indipendente.

Stava meglio, aveva anche ripreso un po’ di colore.

Presi il cellulare dopo ed andai in camera da letto. Ero stanchissima e volevo solo dormire.

 

Ero caduta in un sonno profondissimo appena toccato il letto e quando mi svegliai trovai dei messaggi su whatsapp.

 

23.14 Hello darling

00.03 Okay, forse sei andata a dormire, eri così stanca. Buonanotte in questo caso, o buongiorno visto che leggerai questo messaggio domattina. Volevo sapere se domani ti andava di accompagnarmi a fare shopping.

00.11 Nel pomeriggio se puoi, so che hai da studiare e devi dormire. Dimmi tu l’ora.

 

Sorrisi come una scema nel letto. Rilessi almeno tre o quattro volte per capire se avevo inteso bene.

Cercai di avere la lucidità necessaria per scrivere parole con un senso logico in italiano ed inviai.

 

10.03 Scusa per l’attesa, ero tra le braccia di Morfeo. Buongiorno. Alle 15?

 

10.05 Sto invidiando la tua figura retorica. Alle 15 ti passo a prendere allora.

 

Studiare non era mai risultato così difficile in preda all’ansia da appuntamento, che poi non era neanche un appuntamento.

Quando scesi a dirlo alle mie due donne mi sembrò di tornare alla seconda liceo al mio primo appuntamento col mio primo ragazzo. Anche se quella volta andò male, ma ero anche più piccola.

 

Alle 15 ero alla finestra aspettando la sua macchina che puntuale parcheggiò davanti casa mia. Sorrisi ed uscii dal portone. Jaime mi aprì lo sportello della macchina dal lato del passeggero e mi baciò la mano prima di farmi accomodare.

Se era così gentile solo togliendo un mattoncino dal suo muro non volevo sapere come fosse se le mura avessero ceduto.

Arrivammo al centro commerciale, era più pratico in questo modo che girare per i negozi della città anche se non mi sarebbe dispiaciuto passeggiare insieme a lui in qualunque altro posto.

“Cosa ti ha fatto cambiare idea su di me?” domandai mentre scendevo dalla macchina. Esitò per qualche secondo raggiungendomi per poi andare insieme all’entrata.

“Tu, cioè per una volta ho voglia di provarci davvero con te. C’è qualcosa … Comunque in ordine ho bisogno di biancheria intima, delle magliette, uno smoking e le punte” mi prese la mano mentre ci dirigevamo verso il negozio di intimo. Non volevo fargli troppa pressione perciò apprezzai anche quel poco.

“Uno smoking? Posso chiederti per cosa?”

“I miei genitori dovrebbero venire a trovare me e Maria, una di queste sere” Annuii cercando di capire se potevo entrare nel tema genitori.

“Cosa fanno i tuoi?” Domandai ed intanto il ragazzo aveva abbandonato la mia mano per guardare un paio di boxer bianchi.

“Mio padre è un medico e mia madre dirige una rivista di moda molto importante in America, e così posso permettermi la vita che faccio”

“Capisco” gli sorrisi, era notevole da parte sua esserne consapevole ma generalmente Jaime non aveva mai ostentato ricchezza.

“Queste vanno bene?” Chiese prendendo in mano delle mutande blu, feci cenno di sì con la testa mentre ero abbastanza in imbarazzo. Non ero sicura di poter dare pareri sulla biancheria maschile.

“Posso chiederti perché vivi solo con tua madre? Sono separati?” Mi chiese appena fuori dal negozio tornando a tormentare la mia mano.

"Non proprio, mio padre se ne è andato quando avevo appena un anno. Credo di non essergli mai piaciuta o forse voleva un’altra vita. Ha abbandonato me e mia madre. Siamo state costrette a vivere con i miei nonni" mi tormentai il labbro dicendo ciò, speravo non se ne accorgesse ma mi diede una carezza sulla guancia.

“Mi dispiace, tua madre è adorabile e tu sei sopportabile, non siete state voi il problema” Si rivolse con tono scherzoso per stemperare la situazione ma poi riprese serio “È per questo che preferisci spesso startene per conto tuo?” Entrammo in un negozio di abbigliamento casual per le maglie.

“Sì, le persone tendono ad andarsene e a volte preferisco tenerle lontane … Sarà anche per questo che non ho mai avuto un ragazzo” mi sotterrai nel mio maglione dicendo ciò e lui annuì senza indagare ulteriormente sul mio passato o su quello che provassi.

Andò a provarsi diverse maglie ma tutte gli calzavano a pennello. Era inutile dirgli che stava bene, perché effettivamente stava bene con tutto. Era difficile capire come poter trovare qualcosa che potesse stonare addosso a lui. Forse i colori pastello. Non sembrava uno da maglie arancioni o rosa chiaro. Approvai ogni cosa in adulazione.

Lo step successivo fu trovare il negozio per le punte, lo smoking doveva aspettare perché Jaime non aveva troppa voglia di cambiarsi continuamente.
Andammo al piano superiore e una volta comprate le punte, Jaime mi offrì il caffè mentre lui prese una camomilla. Diceva che serviva a distendere i muscoli.

Presi nota delle sue scelte sul benessere del corpo. Avevo davvero voglia di conoscerlo oltre la coltre fredda che si creava intorno a sé.

Il negozio in cui voleva comprare lo smoking era uno di quei tipici negozi di abbigliamento in cui tutto è ordinato perfettamente, colore, taglia e tessuto. C’era la parte dedicata agli uomini e dal lato opposto quella alle donne.
Jaime mi trascinò con sé nella scelta del colore dello smoking. Optai per il grigio che a mio parere faceva risaltare il colore dei suoi occhi ed il suo fisico muscoloso ma snello.

Entrò nel camerino con diverse giacche, camice e pantaloni così nell’attesa andai a curiosare qualche vestito rimanendo a distanza perché non mi potevo permettere neanche un filo di quei vestiti. In ogni caso essere così elegante non era mai stato il mio genere, ero cresciuta in altro ambiente.
“Come here” mi fece cenno di avvicinarmi al camerino “Come ti sembro?”

“Ti preferisco con il tulle rosa, in giacca e cravatta potrebbero scambiarti per una persona seria” cercai di farlo ridere e per una volta rise con me.
Si rivestì per poi infine andare alla cassa.

“Ti piaceva qualcosa in particolare?” mi chiese mentre ci allontanavamo dal negozio.

“No, non credo di star bene con un abito del genere”

“Io penso che tu ti sottovaluti, ragazzina” continuò a tenermi la mano per tutto il tempo e la cosa stava diventando troppo naturale per potermene staccare facilmente.

“Stasera Maria vuole uscire con quel Filippo, e non mi piace che vada con dei ragazzetti da sola a giro. Se ti va puoi accompagnarmi al Panic per una birra e per tenerla d’occhio” sorrisi per la premura nella sua voce.

“Posso darti conferma più tardi, dovrei capire come sta mia mamma” mi morsi il labbro e cercai di fargli capire che ci tenevo ad andare ma che dovevo vedere la situazione a casa.


Rientrata a casa sistemai tutti i lavoretti che dovevo fare in giardino e dentro casa. Preparai velocemente la cena e a tavola chiesi il permesso per uscire.

“Ti piace davvero eh?” il tono gongolante di mia madre mi fece capire che la più anziana della casa le aveva detto quanto era successo all’ospedale con Jaime.

“Potrebbe” risposi solo accennando un sorriso. Era vero, poteva essere finalmente la conoscenza giusta. Qualcuno con cui potermi aprire e stare bene.

Inviai un messaggio a Jaime che avrei potuto accompagnarlo. Il Panic era un locale tutt’altro che elegante. Vi suonavano spesso band indie e sarebbe stato interessante vedere Jaime all’interno di quel posto lontano da lui ma molto più vicino al mio genere e probabilmente vicino al genere di questo Filippo che piaceva Maria.

Arrivai al locale a piedi per quanto fosse vicino a casa mia, non volevo altri passaggi per la giornata se non il ritorno che obbligatoriamente Jaime mi imponeva. Sedemmo ad un tavolino non molto lontano da Maria ma alla fine Jaime non tenne gli occhi puntati su di lei tutta la serata.
“Birra? Sul serio?” dissi appena il cameriere andò via. Il ragazzo aveva appena ordinato due birre, una per lui ed una per me. Non faceva male al suo essere costantemente un ragazzo in splendida forma?

“Ogni tanto posso godermi la vita anche io, con una bella donna e della -quasi- buona musica” scoppiai a ridere non tanto per la frase in sé che aveva anche senso ma su quel “bella donna” doveva seriamente scherzare.

“E con questa -quasi- buona musica pensi che potresti far ballare me?” Prese un sorso di birra scrutandomi attentamente.

“Ti dovrei insegnare le basi prima che tu definisca ballare quello che fai, o meglio lo spettacolo che hai dato sul tavolino qualche sera fa”

“Insopportabile. E lo spettacolo, ovvero il ballo, ti è piaciuto pure” sottolineai l’ultima frase facendo la finta offesa ma poi scoppiammo a ridere.

La serata trascorse tra frecciatine e qualche contatto fisico che svelava qualcosa di più delle parole. Una volta terminata la birra, Jaime mi prese la mano per alzarmi e ballare ma in quel momento Maria se ne andò nel parcheggio col ragazzo. Fu quello il momento in cui uscì tutto il lato protettivo di Jaime.

Lo rincorsi praticamente nel parcheggio e lo trovai a fare una ramanzina alla sorella. Il succo del discorso era che dovevano comportarsi bene ed essere responsabili. Era la prima volta che Maria andava in macchina con un altro ragazzo che non fosse Jaime probabilmente. Io anzi ero pienamente soddisfatta della ragazza mentre ero altrettanto in imbarazzo perché ero da sola nel parcheggio con un Jaime un po’ alterato.

“È tardi, ti va di dormire a casa mia?” Mi presi qualche secondo di troppo per ripassarmi la frase in testa ma prima che potessi dire qualcosa aggiunse “Non dobbiamo dormire together, ma resta con me” quello mi fece cedere ed annuii. Era tardi effettivamente e io avevo solo voglia di stendermi nel letto.

“Okay, ma non ho un pigiama” sorrise e mi trascinò alla macchina

 

Entrati nel suo appartamento, Jaime mi mostrò dove poter trovare tutto e mi diede una sua maglietta per dormire. Preparò il divano che poteva diventare un comodo divano letto ma mi fece ben intendere che non era affatto per me e che non dovevo obiettare. Io avrei dormito nel suo letto. La cosa mi imbarazzava da una parte mentre dall’altra non vedevo l’ora di immergermi in quel calore, anche se platonico delle lenzuola dove lui stesso aveva dormito.

Ci stava andando piano con me e questo lo apprezzavo più di ogni altra cosa. Stava rispettando i miei tempi anche se a breve questo timore avrebbe avuto la data di scadenza. Era timore di finire troppo dentro e troppo in fretta in una cosa troppo grande. Avevo bisogno di realizzare la cosa. Non ero capace ad instaurare una relazione, dovevo imparare e solo non buttandomi a capofitto potevo evitare di risultare una quattordicenne alla prima cotta.

Nel bagno trovai tutto ciò di cui avessi bisogno e così anche nella sua camera.
“Grazie per essere qui, con me” si fermò sulla porta mentre io mi ero appena infilata la sua maglia. Mi girai, e con solo la maglia e le mutande indosso, mi avvicinai leggermente.

“Mi stai facendo diventare accondiscendente” ridacchiai mentre lui si avvicinò a me.

“Accondicosa?”
“Lascia fare, buonanotte Jaime” gli sorrisi cercando di avvicinarmi alla sua guancia ma lui mi fermò e mi diede un bacio sulla fronte e poi sulla guancia, e ancora un altro vicino alla palpebra.

“Buonanotte Aria, il nuovo pigiama ti dona” uscì dalla stanza e chiuse dietro di sé la porta.
Mi lasciò sola come aveva detto. Quasi mi dispiacque.

 

Aprii gli occhi, disorientata per almeno i primi 5 secondi. Avevo avuto un incubo e mi ero svegliata. Realizzai di essere nel letto di Jaime e provai inutilmente a riaddormentarmi. Come mi era venuto in mente di accettare di dormire a casa sua, separati?
Presa da un momento di sonnambulismo o appannamento della realtà andai alla ricerca di Jaime nel salotto. Dormiva sotto il piumone. Mi chiesi se era giusto svegliarlo per la mia incapacità di rimettermi a letto normalmente, ma saperlo nell’altra stanza di certo non aiutava. Anzi, non aiutava per nulla.
Cercai dolcemente di stendermi accanto a lui ma non appena alzai la coperta si girò strusciandosi gli occhi.

“Aria?” mugugnò aprendo le braccia per accogliermi. Mi infilai in quell’abbraccio e mi resi conto che quello era un posto dove potevo stare veramente bene.
“Non riuscivo a dormire” sussurrai così vicina alle sue labbra. Mi fece un mezzo sorriso e mi strinse a sé.
Sleep” e mi diede un bacio a stampo richiudendo gli occhi. Per qualche minuto lo fissai mentre dormiva, pensando solo a quel tocco morbido e dolce. Dopo un po’ crollai pure io e l’unica cosa che mi fece risvegliare il mattino dopo fu il vuoto, ma un dolce profumo di caffè.



Ciao! Perdonate l'enorme ritardo, e grazie per la pazienza se state leggendo questo :')
Spero con questo capitolo di essermi fatta perdonare! Ho aggiunto anche il Pov di Jaime perché lo ritenevo necessario, fatemi sapere. 
Grazie, grazie ancora. 
Cri

 

 

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Capitolo 9
*** Cappuccino doppio ***


Cappuccino doppio


Non mi aveva abbandonato sul divano, non del tutto. Era uscito per dieci minuti per prendere la colazione, cosa che mi fece letteralmente impazzire. Prima che potesse anche solo accorgersi che mi ero svegliata, sgattaiolai nel bagno a darmi una ripulita. Non avevo dormito benissimo ma non avevo neanche un aspetto così orribile. Tornai in cucina e trovai due fette di apple pie sul tavolo e due bevande da asporto. “Buongiorno” mi sorrise allungando la mano a spostarmi una ciocca davanti agli occhi “Cappuccino doppio, right?” mi porse la tazza. Annuii incerta. “Ho visto che quando vieni a teatro ne hai sempre uno in mano” si affrettò a dire capendo il mio leggero disagio di fronte a quella sorpresa. Non c’è neanche da indovinare il fatto che lui la mattina bevesse del thé, ma fu notevole scoprire che a teatro mi aveva osservato. 
“Non so che dire, è una cosa che ti capita spesso di fare? Comprare la colazione fuori, dico” chiesi bevendo un grande sorso del cappuccino che più amavo della città. 
“Dici che è troppo? Non so, non volevo avvelenarti col mio caffè” ridacchiò per un secondo ma tornò subito serio. Anche lui sembrava non essere abituato ad avere a che fare con una ragazza se non per questioni strettamente anatomiche. 
“Non è troppo, è molto piacevole. È il risveglio più bello che si possa avere” appena uscirono queste parole dalla mia bocca, arrossii tremendamente. Mi ero trasformata in uno zuccherino tempo tre ore passate a dormire col ragazzo. 
Non mi potei trattenere oltre la colazione, la domenica era sempre una giornata piena. Dovevo recuperare tante cose da fare e volevo anche prendere le distanze per capire cosa mi stava succedendo. 
“Vuoi che ti accompagni?” mi chiese gentilmente alla porta. “Sai che prima di incontrarti, come le persone normali, prendevo i mezzi pubblici?” scherzai ma lui rimase serio. 
“Non mi piace sapere che torni a casa da sola” era una frase che continuava a ripetere in situazioni e contesti diversi, ma non ne capivo il motivo. “Ti scrivo appena sono a casa”
“Bene” disse ancora più serio e mi diede un bacio sulla fronte. Non che mi aspettassi il grande bacio sul portone di casa ma era stato tutto perfetto fino a quel momento e non sapevo cosa lo aveva turbato. Il suo volto era teso, ma me ne andai. 

Il giorno seguente a lavoro dovetti rimanere chiusa nel camerino a compilare pratiche burocratiche per tutte le questioni di copyright di musica e video. Sembravano infinite e non mi avevano lasciato molto tempo per poter aggirarmi in teatro. Sabato ci sarebbe stata la serata di beneficenza e doveva essere tutto perfetto, così mi ero impegnata a leggere riga per riga e norma per norma. 
Il lunedì come spesso capitava facevo mezza giornata.
“Ehi, è un po’ di tempo che non vieni a vedere un film da me?” Ero arrivata alla porta di uscita quando venni placcata letteralmente da Maria. Film da lei significava anche film con Jaime e non era qualcosa che al momento riuscivo a rifiutare. 
“Penso proprio che possa andare bene” corsi a casa a studiare. Ero rimasta indietro con tutto. Avevo invitato Valentina per darmi una mano. Dopo aver pranzato insieme iniziammo a studiare, ognuna per il proprio argomento di laurea. Eravamo prossime al grande evento ma non poi così tanto consapevoli a cosa stavamo andando incontro. Speravo in una collaborazione con Newman o con qualsiasi altro teatro nel futuro prossimo ma non avrei potuto mai dire cosa poteva succedere da lì a qualche mese. 
“Facciamo un pausa, un caffè?” Proposi e scendemmo in cucina. La casa quel giorno era praticamente deserta. Mia nonna e mia madre erano dal medico per visite di routine per entrambe. 
Preparai la moka mentre l’argomento sempre più si stava spostando dall’università alla nostra vita da tirocinanti. Valentina era inserita in una compagnia musicale, il suo lavoro si limitava a controllare le apparecchiature audio e video. Mi ritenevo molto fortunata a lavorare con Newman ed avere tanta libertà. 
“Insomma, col ragazzo, quello un po’ insopportabile… Come sta andando?” Uscì fuori questa domanda all’improvviso e diventai rossa subito. 
“Meglio, credo che mi piaccia. E ci stiamo frequentando, cioè in un modo molto strano” dissi esitando un po’. 
“Credi che ti piaccia? Finalmente abbiamo il candidato giusto. Di solito neanche ti interessava instaurarci un dialogo … Vabbé ma quello lo fai con le persone in generale” ridacchiò dandomi una spinta. 
“Non è vero!” E risi con lei. Un fondo di verità c’era ma non pensavo di dare un’impressione così drammatica della mia capacità di comunicazione. Anzi, pensavo all’università in qualche modo di essermi sbloccata sempre se si parlava di studio ovviamente. Per un esame avevo addirittura provato a studiare in gruppo e la cosa non mi dispiacque. 
Prima di mandare via Valentina mi feci consigliare, non che mi interessasse apparire agli occhi di Jaime ma avevo voglia e bisogno di sentirmi un po’ femminile ai suoi occhi. Non cercai vestiti provocanti perché andavo a vedere un film, ma misi un rossetto rosso sulle labbra. Non lo facevo mai, anzi l’ultima volta che avevo messo un rossetto probabilmente avevo quattordici anni e avevo scoperto i trucchi di mia madre, ma avendo già una bocca molto carnosa a mio avviso, risultavo volgare. 
Stavolta riprovai e l’effetto del rossetto scuro non mi dispiacque. Per il resto mi lascia al naturale, con la chioma nera che ormai mi arrivava al seno e gli occhi verdi senza un minimo di trucco. 

Una volta scesa alla mia fermata mi avviai verso la casa dei due ballerini. 
Quando bussai alla porta dell’appartamento, mi trovai davanti entrambi. A sinistra la piccoletta che mi venne ad abbracciare per un istante e alla mia destra, Jaime che teneva la porta e con un leggero imbarazzo mi diede un bacio sulla guancia e mi prese lo zaino. Indossava solo una canotta e dei pantaloncini mostrandomi per la prima volta le sue cosce nude. Ecco se volevo risultare provocante avevo completamente fallito visto che quella sedotta in un millesimo di secondo ero io, nuovamente.
“Abbiamo ordinato chinese food, spero non ti dispiaccia” mi disse il ragazzo facendomi cenno di seguirlo al tavolo. Scossi la testa. In realtà mi piaceva, ma ero ancora stordita da tutti i miei pensieri. Perché ero così nervosa? E lui, così freddo. 
Mangiammo praticamente ascoltando Maria parlare di come si trovasse bene con Filippo e del fatto che quella sera, mentre io ero a dormire nel letto di Jaime, i due si erano dati da fare. 
“Voi italiani lo fate sempre così?” Si rivolse a me e quasi mi strozzai con un noodle. 
“Cosa Maria?” Sentii Jaime ridacchiare. Mi morsi il labbro, ricordandomi solo dopo del rossetto sparso sulla mia bocca. 
“Sesso, voglio dire, avrai provato diversi ragazzi italiani. Sono così passionali vero?” Spalancai gli occhi. Sì li avevo provati anche se non avrei utilizzato quelle parole. 
“Non so voi americani come lo fate” e guardai per un attimo Jaime “Ma mi pare che dipenda da persona a persona … Ma tu la lasci raccontare così tutti i dettagli, cioè dico come fratello n-non" Mi rivolsi a Jaime alla fine ma non sapevo come finire la frase e lui scoppiò a ridere. 
“Non che salti di gioia nel sapere che mia sorella scopa, ma lo farebbe anche se non fossi d’accordo quindi meglio parlarne che farne un tabù” mi disse serio e Maria annuì. Non volevo affatto giudicarla e mi spiegai infatti che ero io molto in imbarazzo ma che è bello il rapporto che ha col fratello. 
Beh io a diciassette anni stavo appena scoprendo il mio corpo, ma ognuno ha i suoi tempi. 
Finita la cena, con ancora più tensione tra me e Jaime ci mettemmo tutti e tre sul divano, ma Jaime si sedette all’angolo opposto così cercai di concentrarmi sul film. 
Per quella sera avevo scelto Prisoners, un thriller che mi avrebbe concentrato per almeno un paio d’ore. Non ci furono pause infatti. 
Alla fine del film ero praticamente con la testa che mi penzolava dalla stanchezza. Mi ero alzata presto e poi non avevo fatto che altro che lavorare e studiare. 
“Noi andiamo a letto” annunciò Maria trascinandomi per il polso, ma fui agganciata per l’altro polso dal ragazzo. 
“Posso rubartela per cinque minuti, poi te la riporto in stanza tutta intera promesso” scherzò ma mi svegliai di un colpo dall’ansia che mi era appena arrivata dalle sue parole. 
Appena entrai nella sua stanza mi ritrovai schiacciata alla sua porte con le sue mani che bloccavano le mie. 
“Sei bellissima stasera, non so neanche come mi sto trattenendo dal saltarti addosso”
“No aspetta, prima mi allontani, a teatro neanche mi saluti e ora vuoi saltarmi addosso? Posso chiederti che ti è preso l’altra mattina.. Io ero così felice di averla trascorsa con te” Il suo viso si rabbuiò di nuovo e tese la mascella. 
Non mi parlava e non sapevo cosa avevo fatto di male. 
“È che non mi piace quando vai a giro da sola, so che non è un buon motivo per comportarmi da stronzo ma non sono abituato a pensare costantemente ad una persona” si avvicinò e il suo respiro andava a riempire il mio tanto che non seppi come ritrovare lucidità per rispondergli. 
“Non mi succederà niente se ogni tanto prendo un mezzo pubblico, lo sai no?”
“No, tu non lo puoi sapere” scosse la testa e mi liberò le mani. Andai subito a cercare il suo volto e lo guardai dritto negli occhi. Ero così sincero e dispiaciuto. 
“Prima o poi dovremo parlare di questa cosa che ti turba” annuì alla mia richiesta sottintesa e mi regalò un sorriso. 
Ero ancora schiacciata tra lui e la porta e se ne rese conto pure lui che la situazione era particolarmente accaldata. 
“Quindi saresti curiosa di sapere come gli americani lo fanno?” Si chinò a darmi una bacio sul collo dopo quella domanda. 
“Potrei … Una sera di queste” accarezzai le sue mani che si erano ricongiunte alle mie. 
“Vorrei baciarti” tornò a fissarmi negli occhi con le sue iridi azzurre “Vorrei toglierti quel rossetto, ti prego di metterlo più spesso, anche se è puro masochismo da parte mia dirtelo” ridacchiai ma poi tornai seria e mi avvicinai alle sue labbra fino a toccarle. 
Una mano teneva la mia e l’altra si stava spostando sulla testa. E avevo bisogno di essere sorretta. Appena schiusi la bocca la sua irruenza e prepotenza mi colse impreparata ma fu anche tremendamente dolce. Posò le labbra più volte sulle mie carezzandole, prima di mandarmi definitivamente da Maria che mi stava aspettando.
Tornai nella camera della sorella in una situazione piuttosto imbarazzante ma lei non disse nulla ed io mi misi a dormire. 

Al risveglio Maria mi guardava con un sorrisetto soddisfatto. 
“Jaime sta ancora dormendo, vai dai, ti lascio libera” realizzai la cosa e pian piano mi alzai. Ero un po’ impacciata ma aprii la camera di Jaime e lo vidi sdraiato nel suo letto. La maglia era per terra ed era coperto solo dal piumone. Prima che si svegliasse uscii a preparargli una tazza di tè e quando fu tutto pronto tornai nella sua camera. Si era girato leggermente verso la porta ma stava dormendo così beatamente che mi sentivo in colpa a svegliarlo. Posai la tazza sul suo comodino e feci per andarmene quando sentii il mio polso stretto nella sua mano. 
“Scusami io, volevo…” provai a balbettare qualcosa di senso compiuto. 
“Vieni qua” mi rispose il ragazzo alzando la coperta e mostrandosi in tutta la sua bellezza. Indossava solo dei boxer neri e quello bastò a farmi cedere da entrare nel suo letto. Se avessi saputo che la mia forza di volontà si sarebbe annullata così facilmente non avrei mai pensato all’idea di svegliarlo. Dovevo cercare un briciolo di lucidità per non fare qualcosa, spinta dall’istinto e dagli ormoni.
“Ti ho fatto un tè, e volevo darti il buongiorno” mi accomodai fra le sue braccia calde ma non mi sdraiai con lui, anzi lo costrinsi ad alzarsi leggermente. 
“Buongiorno” mi diede un bacio sulle labbra. “Vuoi proprio che ci alziamo?” mugolò in un italiano masticato.  Gli passai la tazza. 
“Tra poco devo andare via, devi alzarti per salutarmi” dissi con un tono leggermente provocatorio. 
“Ti va di farmi compagnia mentre mi riscaldo?” lo guardai inizialmente male dopo la sua frase ma il tono non era malizioso, anzi era piuttosto serio e capii che il riferimento era alla danza che evidentemente era il suo primo pensiero. 
“E ti posso aiutare nel riscaldamento?” continuavo senza volerlo davvero ad essere maliziosa. Fece un sorrisetto avendo avuto il mio stesso pensiero e poi fece cenno di sì con la testa. 
Dopo esserci alzati e vestiti, Jaime rigorosamente in tuta, tornammo in camera sua. Vi era un tappetino disteso per terra ed iniziai ad osservarlo mentre scaldava i muscoli, prima le braccia e poi sedendosi, le gambe. In realtà non ero molto utile se non per passargli gli attrezzi. Si appoggiò poi alla finestra utilizzandola come sbarra. “Posso provare anche io?” mi uscì spontaneo vedendolo così agile ed elegante tanto da farmi venir voglia di imparare qualcosa anche io. Ero negata per lo sport e soprattutto per la danza ma forse, con Jaime, potevo rimediare. 
“Vieni qua, partiamo dalle basi miss muovo il sedere sul tavolo” disse leggermente serio ma d’altronde, lui, con la danza, non scherzava mai. Mi posizionai di fronte a lui in imbarazzo. In cosa mi stavo cacciando? Risi di me stessa. 
Seguii i suoi movimenti: la prima posizione, le gambe e poi le mani davanti a me. Poi, passammo alla seconda ma mi fu difficile mantenere la corretta posizione con le spalle. 
“Il petto in fuori, ma non troppo e il sedere in dentro. Spingi gli addominali e plie” Per dieci minuti buoni andammo avanti con questa piccola lezione mentre questo gli permetteva di mettere le mani ovunque e stuzzicarmi ogni volta che sbagliavo. Era incredibile che queste cose difficilissime o forse, per un ballerino facili, come le posizioni, fossero così esaustive. Ero stanca dopo dieci minuti mentre Jaime si allenava per ore. Cominciavo a capire come mai una passione del genere in qualche modo assorbisse la propria vita fino a far sì che tutto giri intorno a quella disciplina. 
Andai via troppo presto, ma dovevo. La situazione non stava precipitando, ma sentivo comunque che stavamo correndo. Certo, non avevamo fatto sesso ma eravamo passati da scambiarci poche frasi ogni tanto a volerci l’uno per l’altra. Spesso però i gesti valgono molto di più delle parole e con Jaime potevo ben dirlo.


Eccomi ancora. Stavolta parlo poco e vi lascio il capitolo. 
Grazie ancora a chi mi sta seguendo, vi adoro. 
A presto,

Cri

 

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