Titanium

di BeautifulMessInside
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


titanium1

A/N:  volevo innanzitutto ringraziare tutti coloro che hanno letto “Deal With My Devil”. Amo scrivere, ma gli impegni quotidiani non mi permettono di dedicare tutto il tempo che vorrei a questa attività. Avevo in mente una storia diversa, di tutt’altro genere, ma mi sono presto resa conto che non sarei riuscita a seguirla come volevo. Ho deciso allora di riprendere questa storia che avevo iniziato da un po’, un progetto differente e forse un po’ più semplice da scrivere tra una cosa e l’altra. Di nuovo una storia di genere “azione” con l’intreccio di due protagonisti forti, nuovamente il mio amato mix di illegalità/amore/odio. Ringrazio tutti quelli che ci daranno uno sguardo e vi amerò se troverete anche il tempo di recensire. Qualsiasi forma di feed-back mi spingerà ad andare avanti.

Avvertimento: il rating è rosso ed ho scelto di marcare col genere “erotico” perché prevedo un certo tipo di interazione tra i miei personaggi, tuttavia non mi spingerò mai nel volgare o nel troppo esplicito.

TITANIUM

 

Quello era di certo il posto più lussuoso in cui avesse messo piede, il ristorante più elegante di tutta la città. Entrando nella piccola sala privata, illuminata dalle candele, non aveva potuto evitare di girarsi intorno con gli occhi spalancati, tovaglie di puro lino, tende suntuose, gli stucchi al soffitto. Sua madre si era accomodata con grazia, fingendo che quella fosse un’abitudine. Suo padre invece, all’altro lato del tavolo, era visibilmente agitato, ancora troppo spaventato dal luccichio delle posate d’argento per riuscire a sfogliare il menu.

“Il Signor Craven è stato davvero gentile a regalarci questa cena.”

Suo padre era scattato sulla sedia, asciugandosi la fronte col polsino della camicia

“Non lo so tesoro, continuo a pensare che ci sia stato un errore. Il mio capo non ha mai regalato premi agli impiegati.”

“Andiamo Bill, dopo vent’anni di servizio alla sua azienda credo che sia un premio del tutto meritato.”

Suo padre continuava a guardarsi intorno, ancora spaventato dall’idea di ordinare la cena.  Chiedere solo un’insalata sarebbe stato un peccato, ma d’altro canto scegliere ostriche e caviale poteva rivelarsi una mossa azzardata. Forse quello era una specie di test, forse il Signor Craven li stava osservando da lontano aspettando che lui commettesse un errore. Del resto il suo capo era conosciuto più per il brusco temperamento che per le sue gentilezze. Non lo aveva mai incontrato di persona in tutti quegli anni, mai avuto alcun segno o messaggio dai piani alti, eppure, due mattine prima, uno dei consiglieri era entrato nel suo piccolo anonimo ufficio e sorridendo gli aveva comunicato della prenotazione alla Salle de Paris. Un premio meritato per un impiegato così efficiente e leale.

“Cosa ordiniamo?” Sua madre era senza dubbio la più entusiasta dei tre.

Bill aveva sfogliato il menu con attenzione, scorrendo i prezzi prima ancora di leggere a quale piatto corrispondessero. Alla fine avevano optato per due filetti ed un piatto di pasta. Da bere acqua, ovviamente. Il cameriere li aveva squadrati senza darlo troppo a vedere, probabilmente avevano scritto chiaro in faccia la loro provenienza. Quartiere residenziale.

“Vado a lavarmi le mani.”

Così si era alzata per raggiungere la toilette, il bagno più grande e splendente che avesse visto nei suoi quindici anni di vita. Tutto in quel posto era “più di quanto avesse mai”. Guardandosi nell’enorme specchio notò quanto quella stanza fosse immacolata, nemmeno l’alone di una goccia d’acqua sulla porcellana bianca. Meglio mangiare con le mani sporche che rovinare quella perfezione. Scrollò le spalle e si avviò verso la porta, abbastanza lentamente da cogliere delle voci sconosciute provenienti dalla sala. Che suo padre avesse ragione? Forse li stavano avvertendo dell’errore. Aprì la porta lo stretto indispensabile per ascoltare e riuscire a cogliere uno spicchio della scena.

“Salve Signori.”

Due uomini in completo scuro se ne stavano dritti davanti al tavolo. Poteva vederli solo di spalle, ma di certo erano sconosciuti.

“Salve. C’è qualche problema?”

Ecco, adesso suo padre stava davvero sudando. Che vergogna essere cacciati da un posto così.

“A dire la verità credo proprio di sì.”

“Che succede?”

Uno dei due si era mosso, circondando il tavolo fino a raggiungere l’altro lato della stanza. Adesso riusciva a vederlo in viso, ma quei tratti così seri non le dicevano niente.

“Aspettavamo il Signor Craven stasera. Avevamo una questione importante da risolvere.”

Bill aveva sollevato le spalle, istintivamente intimorito da quelle facce sconosciute ed impassibili.

“Mi dispiace signori, ma non credo che il capo verrà. Ha regalato questa cena a me e alla mia famiglia quindi…”

“Quindi non verrà...” L’aveva interrotto l’altro arricciando le labbra come se dovesse pensarci su “...E’ davvero un peccato.”

Il tono gentile e liscio come il velluto, da dare i brividi.

“Mi dispiace.”

Il tizio di spalle aveva infilato le mani in tasca “Oh mi creda, dispiace anche a me dover rovinare la vostra cena.”

“Prego?”

Da quel momento tutto era successo in una manciata di secondi, il tizio di spalle aveva tirato fuori la pistola, mentre l’altro aveva messo le mani attorno al collo di sua madre. Bill si era alzato di scatto

“La prego, qualsiasi cosa sia noi non c’entriamo niente.. Davvero.. Sono solo un semplice impiegato.. Bill Phillis.. Un semplice impiegato.. La prego.”

“Davvero non dubito delle sue parole signor Phillis, ma è tempo che Craven impari la sua lezione. Non si sfugge dai Michaelson.”

Uno sparo. Un solo unico sparo. Suo padre era caduto in un tonfo sordo, il rumore del suo corpo coperto dalle urla di sua madre.

Davanti a quella scena si era coperta la bocca con le mani, tanto stretta che non potesse uscirne neanche un suono, nemmeno un respiro. Scostandosi dalla porta aveva cercato appoggio al muro, totalmente paralizzata dal terrore e dal disgusto.

“Bill! No Bill!” La voce stridula di sua madre come unico sottofondo.

Un secondo sparo. Secco. Poi il silenzio.

Di nuovo aveva impedito a sé stessa di urlare, mossa esclusivamente dall’istinto di sopravvivenza. Così era finita dentro la toilette, la porta chiusa a chiave senza via di fuga, arrampicata sul water immacolato, le ginocchia strette al petto ed il viso inondato dalle lacrime. Silenziose lacrime di paura. Ora sarebbe stato il suo turno.

La porta si era aperta lentamente, i passi dello sconosciuto pesanti sul parquet. Il tizio si era guardato intorno, quel bagno non era stato usato di recente, nemmeno una goccia d’acqua nel lavandino. Accovacciandosi lo stretto indispensabile aveva esaminato la fessura sotto la porta della toilette. Nulla anche lì.

“Il bagno è pulito signore!”

“Bene. Andiamocene allora.”

Dopo l’ultimo stridio della porta era passata un’eternità. O forse solamente cinque minuti. Il tempo si era fermato. Il mondo intero si era fermato.

Quindici anni, nessun fratello o sorella. Parenti più prossimi all’altro capo degli Stati Uniti. Cheerleader al secondo anno di liceo, presidentessa nonché stella nascente della classe di recitazione. Testolina bionda e grandi ambizioni.  L’orgoglio di mamma e papà.

Quindici anni. Sola al mondo.

 

///////

 

NOVE ANNI DOPO

 

Cara sorrise a sé stessa trovando finalmente la stanza 127b. Era stato un lungo viaggio quello da New York, ma ora la stanchezza sembrava sparita. Non vedeva Ty da quasi un anno, da quando il suo ragazzo aveva deciso di proseguire gli studi di ingegneria a Jhoannesburg. L’ambizione del resto era una delle tante cose che avevano in comune. Dopo interi mesi di comunicazioni virtuali e sesso da webcam quella di partire era stata un’esigenza naturale, l’idea di fargli una sorpresa una piacevole aggiunta. Già dall’aeroporto pregustava la faccia di Ty non appena avesse aperto la porta, impaziente per quello che sarebbe avvenuto subito dopo. Bussò decisa passando un’ultima volta l’altra mano tra i capelli.

Al di là della soglia il viso deluso ed assonnato di una ragazza dalla chioma scura. Le gambe ed i piedi nudi che spuntavano da una t-shirt da uomo.

“Non sei la mia pizza.”

Cara sollevò un sopracciglio. Di certo aveva sbagliato stanza.

“Scu.. Scusami… Devo aver sbagliato piano, stavo cercando…”

Il nome le morì in bocca. “…Ty.”

Eccolo lì, addosso solamente i pantaloni scoloriti di una tuta e due grosse occhiaie da chiaro dopo sbronza. Se non altro era riuscita ad ottenere la faccia stupita che tanto aveva sognato.

“Cara. Non è come sembra.”

Lei aveva inclinato il viso passando gli occhi dal suo fidanzato alla sconosciuta. Le labbra strette ed il respiro prolungato per evitare di scoppiare in lacrime o peggio, uccidere uno dei due.

“Lascia stare.” Riuscì infine a dire, due sole parole, ruvide in gola come carta vetrata. Strinse la presa intorno al trolley e girò i tacchi senza bisogno di altre spiegazione. Doveva uscire da quel dormitorio il più presto possibile, solo una volta fuori di lì si sarebbe concessa di sentirsi una perfetta idiota.

I passi di Ty la seguivano incerti per i corridoi. Cavolo, doveva davvero essere stata una sbronza epocale se nonostante anni di atletica non riusciva a starle dietro. Meglio così.

“Lasciami in pace!”

“Aspetta! Lascia che ti spieghi!”

Aveva inchiodato i passi davanti all’ultimo portone “Cosa vuoi spiegare Ty? Vuoi forse dirmi che non fai sesso con quella lì?”

I suoi occhi fissi al pavimento avevano risposto. “E’ successo, è semplicemente successo… Ma questo non vuol dire niente, non ho mai pensato di lasciarti… Sarebbe rimasto tutto qui.”

“Ma dici sul serio!?” improvvisamente era salita la voglia di prenderlo a schiaffi.

“Ti prego Cara, lei non significa nulla per me.. Mi sentivo solo e allora…”

Slap. Il suono secco del palmo della sua mano sulla guancia di Ty aveva rapidamente messo fine a quella serie di fandonie. Solo? Si sentiva solo?? E lei allora? Lei che come una stupida si era chiusa a vita monacale? Che aveva speso un intero stipendio per quel viaggio? Che si fidava ciecamente di lui?

Senza degnarlo di un ulteriore sguardo venne fuori dall’edificio e trascinò la valigia fino alla strada. Giustizia divina volle che dopo una simile umiliazione ci fosse almeno un taxi libero ad aspettare. Si lasciò cadere sul sedile.

“All’aeroporto.”

Immediatamente rovistò nella borsa alla ricerca del cellulare. Mai prima di quel momento era stata tanto felice che una delle sue migliori amiche lavorasse per l’American Airlines.

“Ehy! Tutto bene? Sei riuscita a trovare Ty?”

Ignorò il suono odioso di quel nome e la voce trillante di Sonia

“Sto tornando all’aeroporto. Devi trovarmi immediatamente un volo di ritorno per NY.”

“Come dici? Ma che è successo?”

“Ti dico solamente che sono stata io a ricevere la vera sorpresa. Trovami quel volo ti prego.”

“Ma stai bene?”

“Sì Sonia, sto bene. Ho solo bisogno di tornare a casa.”

“Aspetta… Non credo che ci siano voli per New York questa sera.”

“Non credi?”

“No. Dovrai aspettare domani. Ti prenoto un posto sul volo delle dieci.”

“E’ davvero possibile che non parta nulla fino a domani? Ti prego Sonia, non importa quanti lunghi scali dovrò sopportare, non voglio restare in questo maledetto paese un minuto di più!”  Uno sguardo veloce al tassista sperando di non aver offeso il suo spirito patriottico.

“C’è un solo volo stasera, ma non puoi prenderlo.”

“Che vuol dire che non posso prenderlo?”

“Credimi, è meglio aspettare fino a domani.”

“Sonia.” Il tono a metà tra l’ammonimento e la disperazione.

“Parte alle sei, ma non è un normale volo di linea. Ci saranno delle persone a bordo, persone che sarebbe meglio evitare.”

“La smetti con questi misteri per favore?” Un’occhiata all’orologio. Cinque meno dieci. Perfetto. “Prenotami un posto su questo famigerato volo e ti prego, fammi saltare la fila al check in.”

Il sospiro di Sonia all’altro capo era stato lungo ed incerto  “Sei davvero sicura di non poter aspettare?”

“Ho appena trovato il mio ragazzo a letto con un’altra. No, non posso aspettare.”

Di nuovo un sospiro  “Allora è meglio che forse ti spieghi prima... Questo volo sarà usato per un trasporto speciale.”

“Trasporto speciale?”

“Esatto. In casi eccezionali le forze dell’ordine utilizzano i normali voli di linea per trasferire all’estero i detenuti estradati. E questo è uno di quei casi.”

“Vuol dire che il mio aereo sarà pieno di poliziotti? Beh, nella remota ipotesi di un deragliamento aereo suppongo che la cose potrebbe tornarmi utile.”

“Non è così semplice Cara… Non dovrei nemmeno dirti certe cose…” L’ennesimo lungo sospiro “Si tratta di una procedura complessa, utilizzata dalle autorità internazionali solo per il trasferimento dei peggiori criminali… Non so se mi spiego, assassini, attentatori, capi mafiosi…”

Cara sollevò le sopracciglia cercando di trovare un senso logico a quel discorso da film d’azione. Sonia tuttavia sembrava davvero preoccupata.

“Ho capito Sonia. Vedrò di stare lontana dai poliziotti e dal tizio in tuta arancione.”

“E’ questo che mi preoccupa Cara. Non vedrai alcun poliziotto tantomeno divise carcerarie. Saranno tutti vestiti in abiti borghesi e mischiati agli altri passeggeri, compreso il criminale in questione.”

“Uhm… Avrà almeno le manette spero.”

“No...”

A quella risposta secca Cara si tirò su sul sedile, dal finestrino riusciva già a scorgere le piste dell’aeroporto. Tornarsene a casa era ciò che più desiderava, ma il tono preoccupato di Sonia stava cominciando a farla agitare.

“…Lo scopo di questi trasporti è passare totalmente inosservati, senza che la stampa o gli affiliati si accorgano di nulla. Nessuno penserebbe mai di avere un assassino seriale seduto al proprio fianco su un volo in economy class, giusto?”

“Quindi non c’è modo che io possa riconoscerlo e stragli lontano?”

Sonia aveva impercettibilmente abbassato la voce “Sei davvero certa di non poter aspettare fino a domani?” L’immagine della ragazza mora con addosso la maglietta sudata di Ty le si piantò davanti agli occhi “Ti prego Sonia, fammi tornare a casa. Ti prometto che non mi succederà nulla.”

Il tono dell’amica ora ancora più basso “Ok, ascoltami bene però…” Cara aveva stretto il cellulare all’orecchio per riuscire a sentirla nell’improvviso caos della stazione aerea “…Non dovrei dirtelo, ma da quello che so le autorità hanno un idea precisa dell’outfit borghese. Jeans, maglietta chiara e scarpe da tennis… L’unico particolare che rende il detenuto riconoscibile è un braccialetto d’acciaio al polso sinistro.”

Cara sollevò gli occhi rendendosi conto solo in quel momento che il taxi si era fermato, mentre il tassametro continuava a girare.

“Braccialetto ok, starò lontana dai braccialetti. Sono già all’aeroporto, ci sentiamo tra qualche ora.” Allungando tre banconote da cento rand al tassista raccattò i suoi pochi averi e chiuse lo sportello, la comunicazione ancora aperta.

“Sta’ attenta Cara.”

“Grazie Sonia. Sei un’amica, davvero.”

Spinto il tastino rosso si tuffò nella folla vociante del Tampo Airport, accompagnata dal solo pensiero fisso di un braccialetto d’acciaio.

 

///////

 

CENTRO DI POLIZIA DI JOHANNESBURG

 

Il capitano buttò giù il telefono con un gesto di nervosa esasperazione. Si passò le mani sulla faccia dopo un’intera notte insonne. La porta dell’ufficio si aprì di colpo

“Salve capitano.”

“A te Vincent.”

L’altro agente sospirò con un sorriso  “Non riesco a credere che l’abbiamo preso davvero. Non posso credere che il famoso Lupo sia sul serio ammanettato nella stanza accanto.”

Il capitano scosse la testa  “Credi a me, questo è un onore di cui avrei volentieri fatto a meno.”

Vincent aggrottò la fronte  “Ci sono problemi capitano?”

L’altro mandò giù un sorso di caffè nero ignorando per un attimo la mole di carte e documenti sparsi sulla scrivania  “Nessuno lo vuole. Tantomeno io.” Vincent si avvicinò afferrando una cartella a caso “E’ nato a Londra giusto? Contattiamo l’ambasciata inglese.”

“Ho appena concluso un’interessante conversazione con Scotland Yard, non hanno la minima intenzione di immischiarsi in questa faccenda.”

Vincent si grattò il sopracciglio “E se lo processassimo qui?”

Il capitano lo guardò come se gli avesse appena chiesto di ballare nudo di fronte al presidente Zuma  “Sai bene di chi stiamo parlando… Non ho nessuna intenzione di attirare su questo paese l’interesse dei Michaelson.”

“Eppure i giapponesi non si sono fatti troppi problemi quando hanno chiuso in cella suo fratello Caspar.”

Il capitano scosse la testa “Quando si ha a che fare con loro è solo questione di tempo. Dobbiamo liberarci di lui il più presto possibile.”

“E’ ricercato in più di dieci paesi, qualcuno dovrà pur prenderselo.”

In quel momento il telefono squillò di nuovo, all’altro capo del filo Anthony Izzo, Capo Bureau dell’OCCB di New York, ufficio per il controllo del crimine organizzato.

“Salve Capitano Lewis… A quanto mi dicono ha qualcosa che potrebbe interessarmi.”

Il capitano di schiarì la voce “Vi interessa?”

“Certo che ci interessa. Quella famiglia muove i fili della criminalità americana da troppo tempo e mai come ora abbiamo bisogno di un colpo di scena che riporti l’attenzione pubblica sull’efficienza delle nostre autorità.”

“Già… Dimenticavo che siete in campagna elettorale.”

“Quando credi di potercelo consegnare?”

“Anche subito Izzo.”

“Bene, in tal caso mettetelo sul volo EZY5255 delle sei. Solita procedura.”

“Solita procedura.”

La comunicazione si chiuse senza ulteriori saluti, il capitano si lasciò sfuggire un sospiro liberatorio.

“Se lo prendono gli americani. Preparalo per il volo.”

Vincent annuì uscendo dall’ufficio ed entrando poco più tardi nella stanza vicina.

L’aria consumata che stagnava tra quelle quattro mura gli riempì le narici, sapeva di sangue secco e sudore. Lanciò un sacchetto di plastica verso l’angolo e squadrò con ritrovata presunzione l’uomo ammanettato alla sedia. Joseph Michaelson. Il Lupo, l’imprendibile Lupo, killer di precisione e membro di spicco della più potente famiglia filo-mafiosa ancora in circolazione.

Il lupo sollevò la testa, sfinito dai mille colpi ricevuti e dalla dose massiccia di calmanti iniettati direttamente in vena. Il suo viso tuttavia non lo dava a vedere, un’espressione fiera e sicura continuava a campeggiare tra i segni delle percosse. I suoi occhi poi, i suoi occhi azzurro mare fissavano Vincent come se fosse una preda, un povero piccolo agnellino smarrito. Da far alzare le pelle.

“Dobbiamo proprio darti una ripulita…” Esordì Vincent raggiungendolo “…Te ne vai in America.”

Il lupo si raddrizzò sulla sedia, sentir nominare gli Stati Uniti era dolce musica alle sue orecchie, decisamente meglio delle carceri afgane o cinesi. Si schiarì la gola cercando di ignorare che fosse asciutta come il deserto.

“La telefonata.” Disse con voce roca, Vincent aggrottò le sopracciglia “Prego?”  Lui sospirò “Ho diritto ad una telefonata.” L’agente si morse il labbro controllando i nervi, per quanto odiasse quel criminale, non poteva comunque negargli un suo pieno diritto legale.

“Bene.” Replicò stizzito avvicinandosi ulteriormente a lui. Sapeva di correre un rischio incalcolabile, ma non aveva nessun altro modo di compiere il suo dovere pur rispettando la carta dei diritti. Doveva liberargli almeno una mano, consapevole del fatto che, nelle giuste circostanze, la forza di cinque dita sarebbe bastata al killer per spezzargli l’osso del collo in un momento. Fortunatamente aveva in circolo una dose di benzodiazepine tale da stendere un cavallo.

Gli porse l’apparecchio telefonico e si voltò. Maledetto diritto alla privacy.

Il lupo attese di essere solo per comporre velocemente il numero impresso nella sua mente. Da usare solo nelle emergenze. Da usare solo in caso di arresto. Da usare una sola ed unica volta.

Dopo due squilli sentì il respiro di suo fratello maggiore rispondere senza bisogno di parole, trenta secondi appena per parlare prima che la telefonata fosse rintracciabile.

“Volo con l’aquila. Vedo la libertà.”

La linea cadde immediatamente ed il lupo lasciò cadere a terra anche il telefono, approfittando di quel momento per distendere i muscoli del braccio. Incredibile trovarsi in quella situazione, il più brutale dei Michaelson catturato durante la più stupida delle operazioni, un semplice ritiro di crediti nella repubblica sudafricana. Tutta colpa di Nathaniel. L’unica cosa che gli aveva raccomandato quella sera era stata la puntualità. Null’altro, solo la puntualità. Eppure il fratellino minore non si era smentito nella sua congenita incapacità di prendere le cose sul serio. Dieci minuti di ritardo, ben dieci minuti di ritardo! L’avrebbe pagata, questo è certo.

Fortunatamente comunque, in aggiunta ad un fratello immaturo e sconsiderato, il destino gliene aveva fornito un altro, Elia, intelligenza e senso dell’onore sopraffini, un pianificatore perfetto. Il lupo sorrise a sé stesso, sapeva già bene come sarebbe venuto fuori da quel fastidioso contrattempo. Rischioso, ma necessario.      

Vincent spalancò la porta della stanza accompagnato da altre tre persone in divisa, raccolse la busta di poco prima e ne tirò fuori degli abiti puliti. Un paio di jeans, una t-shirt qualunque, un paio di anonime sneakers.

“Vediamo di fare una cosa veloce. Prima ci liberiamo di questo bastardo meglio è.” 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


cap2

Cara era riuscita a salire sull’aereo per prima, saltando la fila grazie al nome di Sonia. Rincuorata dalla solitudine si era trascinata fino ai primi sedili, quelli di rimpetto alla cabina del capitano. Da quella posizione non avrebbe visto nessun altro dei passeggeri e quindi avrebbe evitato di chiedersi in continuazione quale degli sconosciuti fosse l’assassino. Trovata la posizione più comoda possibile tirò fuori dalla borsa un libro, determinata a tuffarsi in una realtà parallela per le prossime diciotto ore. Diciotto ore a migliaia di metri di altezza con un feroce criminale alle spalle. Maledisse Ty ancora una volta.

Diverse voci riempirono l’abitacolo a poco a poco, uomini di mezz’età, una simpatica signora sulla sessantina con un brutto cappello in testa, una coppia di colore. Nonostante l’idea iniziale di estraniarsi totalmente Cara non poté fare a meno di voltarsi e sbirciare più e più volte il portellone dell’aereo. Lo stomaco continuava a contorcersi, incredibile quanti viaggiatori avessero optato per jeans e maglietta. Tornò a fissare la parete grigia davanti ai suoi occhi, prese a tamburellare sui braccioli.

“Tutto bene?”

Di scatto si voltò verso il ragazzo che aveva appena deposto il bagaglio a mano dall’altro lato del corridoio. Cara non poté fare a meno di esaminarlo mentre toglieva anche la giacca. Jeans. Maglietta grigia. Un paio di converse consumate ai piedi. Scattò sul sedile. Che fosse proprio lui?

“Sì…” Rispose incerta “…Tutto bene.”

L’altro sorrise “Anch’io ero terrorizzato all’idea di restare diciotto ore su un aereo la prima volta, ma se riesci a dormire un po’ passeranno molto più in fretta.”

Dormire? E come avrebbe mai potuto dormire sapendo di avere accanto uno spietato criminale?

Il ragazzo tirò su le maniche della maglia prima di accomodarsi ed allacciare la cintura intorno alla vita. Gli occhi di Cara si catapultarono sui suoi polsi. Nessun braccialetto. Riuscì finalmente a respirare. Forse avrebbe dovuto accettare il consiglio di Sonia.

Cinque ore, centosessantadue pagine ed un pessimo pasto dopo, Cara iniziò a sentire le gambe che chiedevano pietà. Provando ad allungare i polpacci capì ben presto di non avere abbastanza spazio. Senza contare che anche la vescica iniziava a brontolare. Inspirò a pieni polmoni, doveva alzarsi e raggiungere l’altro capo dell’aereo fino alla toilette. Doveva andarci per forza, nonostante l’inevitabile consapevolezza che in quei pochi passi sarebbe di certo passata accanto al criminale. Ok. Posso farlo. Devo solo alzarmi e tirare dritto fino al bagno senza alzare gli occhi. Ce la posso fare.

Incoraggiata dalla sua stessa voce interna slacciò la cintura e si mise in piedi, ignorando le dolorose fitte alle ginocchia. Passò le mani tra i capelli, diede una rapida rinfrescata all’abito ormai irrimediabilmente sgualcito, ed iniziò la sua impresa, un passo alla volta, gli occhi tenuti incollati alla moquette.

A metà strada qualcosa bloccò la sua marcia, lo scontro con un altro corpo. Costretta a sollevare la testa si trovò di fronte il sorriso cordiale di un’hostess in divisa blu.

“Tutto bene signora?”

“Sì, devo solo…” Senza specificare altro indicò la toilette con un cenno del viso. La ragazza in tailleur sorrise di nuovo “Certo, prego.” Rispose educatamente spostandosi per lasciarla passare. Un altro passo appena e stavolta fu un vuoto d’aria a bloccarla, lo sbalzo dell’aereo le fece perdere l’equilibrio e finire maldestramente contro un altro dei passeggeri, seduto e beatamente perso nello schermo del proprio pc.

“Oddio, mi scusi!”

Si sentì immediatamente addosso gli occhi di almeno metà delle persone presenti, l’imbarazzo vistosamente dipinto nel rosso delle sue guance. Solita imbranata. Subito sulla difensiva, decise di riprendere la marcia per il bagno a testa alta, dimenticando in un nanosecondo l’accaduto.

Fu solo allora che i suoi occhi incrociarono uno degli sguardi puntati su di lei. Un ragazzo, trent’anni o poco più, rigido contro il sedile, un fastidioso sorrisino divertito in faccia. Cara deglutì respingendo una nuova ondata di vergogna, avrebbe voluto riportare il viso a terra, ma non le riuscì facilmente come avrebbe creduto. Quello era senza dubbio l’uomo più bello che avesse visto in molto, molto tempo. Capelli biondo cenere, non troppo corti, mossi e spettinati. Occhi azzurri, di un azzurro freddo e limpido. Lineamenti angelici, ma incredibilmente virili. Zigomi perfetti e delle labbra… Costrinse sé stessa a guardare altrove per un momento e riprendere fiato. Labbra disegnate, carnose al punto giusto, di un rosa così intenso da… Scosse la testa senza rendersene conto, determinata a tornare alla realtà. Anche lui la stava ancora guardando, fissando, studiando, accarezzando… L’attimo in cui riuscì finalmente a superare il suo sedile sembrò infinito, dopodiché la corsa verso il bagno.

Si guardò immediatamente nel minuscolo specchio. Solita sfortuna. Solita maledetta sfortuna. Il ragazzo più bello che abbia mai visto è lì, sul suo stesso aereo, intrappolato con lei per le prossime dodici ore, ma i suoi capelli sono un casino e la sua faccia porta i segni di due voli extracontinentali in tre giorni. Senza contare che avrebbe dovuto preoccuparsi di ben altre cose, vedi il fallimento della sua storia con Ty o la presenza di uno spietato boss mafioso tra i passeggeri.

Scosse la testa e lasciò scorrere l’acqua sulle mani insaponate, sperando che il liquido freddo lavasse via quei nitidi ed inopportuni pensieri sullo sconosciuto.

 

///////

 

Joseph teneva la schiena dritta contro il sedile, doveva evitare di assumere posizioni innaturali e troppo stancanti per mantenersi pronto a scattare. Le mani poggiate sui braccioli e l’aria più indifferente che mai. I poliziotti erano sparsi per tutto l’aereo, poteva facilmente individuarli anche a distanza. Il resto della marmaglia composto da persone del tutto insignificanti.

Strinse i denti e tese i muscoli del collo tornando a contare il tempo. Ormai dovevano già essere sopra l’oceano. Ormai doveva mancare poco. Trattenne a stento l’istinto di stirarsi, le guardie erano ancora convinte che fosse sedato e lui doveva impegnarsi per mantenere tale convinzione. Nessun poteva sapere che durante l’addestramento gli avevano iniettato pressoché qualsiasi tipo di sedativo, droga o veleno, sempre in piccole quantità affinché il suo organismo ne diventasse immune. Qualsiasi movimento troppo ampio o veloce avrebbe rischiato di compromettere la copertura.

Inspirò. Avrebbero almeno potuto dargli un libro o un lettore mp3. Quel viaggio stava davvero diventando noioso. Fintanto che il piano di Elia non fosse scattato, ogni minuto sarebbe stato lungo il triplo.

L’ingorgo creatosi al centro del corridoio richiamò la sua attenzione, non che qualcuna di quelle persone avesse la minima importanza o attrattiva per lui, ma tanto valeva concentrarsi su altro.

L’hostess in divisa blu gli dava le spalle, anche da dietro era del tutto anonima, una bellezza nella media non degna della sua attenzione. Fu solo quando l’hostess si tolse di mezzo che qualcosa riuscì finalmente a catturare il suo interesse. Qualcuno, ad essere precisi. Una ragazza, una giovane ragazza impacciata alle prese con un vuoto d’aria. Vedendola crollare addosso al tizio con gli occhiali non riuscì a non sorridere, l’accenno di un sorriso genuinamente divertito.

La sconosciuta si era tirata su e le sue guance si erano accese di rosso, un rosso talmente innocente da catalizzare la sua completa concentrazione. Accantonato il piano per un attimo si concesse di osservare la totalità della sua figura, senza che alcun particolare sfuggisse ai suoi occhi esperti. Lunghi capelli color platino, lasciati liberi in morbidi boccoli. Pelle bianca e perfetta, così chiara che i suoi occhi blu sembravano saltare fuori dal viso, grandi ed incerti. Nulla a che vedere col colore freddo delle proprie iridi, quelle della sconosciuta erano scure, intense, gli ricordavano il mare in tempesta dell’Irlanda del Nord. Scorrendo più in giù ne accarezzò la figura minuta sotto il vestito blu scuro, da come le cadeva sui fianchi era certo che il sottile strato di tessuto nascondesse misteri altrettanto interessanti.

Oh, se solo non si fosse trovato in quella situazione, se solo quello fosse stato un semplice viaggio d’affari. Si passò la lingua sulle labbra mentre lei gli sfilava accanto scomparendo alla sua vista. In altre circostanze si sarebbe già alzato e l’avrebbe seguita nella toilette. In altre circostanze l’avrebbe spinta dentro senza nemmeno dirgli il suo nome. In altre circostanze le avrebbe già strappato di dosso quell’insignificante abito blu.

Si irrigidì contro il sedile scoprendo con piacere che, nonostante la situazione, il suo corpo rispondeva ancora benissimo agli stimoli. Peccato non poter sfogare quella voglia improvvisa. L’immagine della ragazza gli riempì la mente. Spinta contro il minuscolo lavandino, le gambe aperte, avvinghiate intorno ai suoi fianchi, le guance tinte dello stesso rosso che le aveva visto addosso poco prima. Non più di vergogna, ma di puro piacere. Il suo nome pronunciato più e più volte come una preghiera. Nelle sue orecchie i miagolii della ragazzina.

Joseph poggiò la testa all’indietro sghignazzando coi suoi stessi pensieri. Se ne avesse davvero avuto modo l’avrebbe scopata come nessun altro prima, sicuro che non se ne sarebbe dimenticata. Nessuna donna dimentica le mani del Lupo. Lui, d’altro canto, l’avrebbe scordato subito dopo, lasciando che il ricordo del suo sapore e dei suoi gemiti si mischiasse a quello di tutte le altre donne passate per il suo letto.

Lo scatto della porta della toilette lo riportò alla realtà, in attesa, con la coda dell’occhio, che la sconosciuta ricomparisse. I suoi passi lenti e leggeri, quasi volesse ritardare l’incontro il più possibile. Joseph sollevò l’angolo della bocca in una smorfia compiaciuta, certo del suo effetto sulle donne, la sua arma preferita dopo i coltelli affilati.

L’intenso profumo dolciastro di fiori e vaniglia raggiunse le sue cellule olfattive, riaccendendo in un istante la fantasia erotica. Doveva essere quello l’odore della sua pelle. Come aveva potuto non notarlo prima? Ed eccola comparire al suo fianco, impossibile resistere alla tentazione di seguirla con gli occhi e sorriderle.  La sconosciuta esitò appena in prossimità del suo sedile, quasi spaventata all’idea di incontralo ancora. Joseph voltò la testa verso di lei, deciso a memorizzare ogni dettaglio prima di lasciarla sfilare via. Lei rispose allo sguardo, un velo d’imbarazzo in viso mentre si sforzava di restare impassibile. I suoi grandi occhi color lapislazzulo brillarono contro quelli di lui, iridescenti come opali. Mai visti occhi così prima. Di colpo l’idea che dovesse morire gli chiuse lo stomaco. Che gran peccato.

Quasi gli avesse letto nel pensiero la ragazza abbassò lo sguardo, seguendo la linea dei suoi muscoli sotto la t-shirt, schiudendo appena le labbra rosse, accarezzandogli il braccio sinistro con gli occhi, fino alla mano, fino alla punta delle dita. L’incontro di pochi passi divenuto una scena a rallentatore per entrambi.

Di colpo la magia si interruppe, Joseph la vide spalancare gli occhi ed irrigidirsi, l’imbarazzo divenuto paura in un secondo. Spiazzato da un simile repentino cambio d’umore, individuò immediatamente il punto preciso che lei stava fissando, la causa di quell’ improvviso, incomprensibile spavento. Le pupille del Lupo finirono a guardare il suo stesso polso, stretto dentro quell’orrendo braccialetto di metallo. Il braccialetto.

Sollevando la testa con un colpo secco si accorse che la ragazza era già in fondo all’aereo, come se dal suo sedile in poi avesse corso verso la sicurezza. Joseph socchiuse le palpebre serrando le labbra. Lei sapeva. La sconosciuta sapeva del braccialetto e di cosa volesse dire. La ragazza dell’aereo conosceva la sua identità. Fissò il sedile davanti quasi potesse attraversarlo ed arrivare fino a lei. Non era una poliziotta, di questo era sicuro, tantomeno un’agente di sicurezza o una diplomatica americana immischiata nel suo caso. Era una ragazza qualunque in volo da Johannesburg. Come poteva conoscere la regola del braccialetto? E come mai lui invece non aveva idea di chi fosse? Si morse piano il labbro inferiore. Elia avrebbe fatto meglio a muoversi col suo piano di fuga, altre tre ore con quel dubbio e avrebbe finito per avere un terribile mal di testa.

 

///////

 

Cara era crollata sul sedile allacciando la cintura immediatamente dopo, quella breve corsa a passi veloci sembrava averla sfinita. Inspirò piano, ripassando a mente ciò che aveva appena vissuto. Lo sconosciuto sexy, i suoi occhi addosso, la sensazione di calore improvvisa, l’impressione di essere nuda davanti a lui. Il suo mezzo sorriso da ragazzo cattivo, i muscoli scolpiti sotto la maglietta bianca, l’avambraccio teso, un braccialetto anonimo al polso, le dita lunghe lasciate riposare sui jeans… Cosa avrebbero mai potuto farle quelle dita?   Aspetta… Il suo cervello si era riacceso in un flash… Jeans.. Braccialetto… Maglietta bianca… Ragazzo cattivo… Braccialetto… Braccialetto d’acciaio… Assassino. Lui. Lui è l’assassino.  Il suo cuore aveva preso a battere come una mitragliatrice ed i piedi l’avevano portata a posto in un secondo. L’atmosfera dell’aereo era mutata immediatamente dopo, l’aria divenuta difficile da respirare. Cara strinse gli occhi chiusi cercando di cancellare completamente la fantasia di essere toccata da quelle mani, rimpiazzandola con l’idea che fosse un mostro. Fantastico. Era riuscita ad attirare l’attenzione del mostro. Probabilmente, mentre lei sognava di rotolare tra lenzuola di seta, lui stava immaginando di squartarla e dipingere un quadro con le sue budella. Le venne da vomitare. Tirò fuori l’Ipod e decise di farsi aiutare dalla musica, per quanto possibile.

Ad occhi chiusi lasciò che la voce di Ed Sheeran compisse il miracolo, permettendo al tempo di scorrere più in fretta, interrompendo il conto mentale di quanti fossero i modi per morire torturata da un assassino psicopatico. Il suo petto andava su e giù come stesse dormendo, l’idea che probabilmente si era fatta l’hostess al suo fianco, intenta a studiarne l’espressione per capire se fosse il caso di disturbarla o meno. Cara spalancò le palpebre sentendosi di colpo osservata, la ragazza dell’American Airlines si ritirò quasi spaventata

“Mi, mi scusi signorina. Gradisce qualcosa?”

Cara roteò in bocca la lingua asciutta “Sì…Un caffè macchiato per cortesia.”

L’altra sorrise ed afferrò immediatamente il bicchiere di cartone, riempiendolo quasi fino all’orlo con la bevanda fumante. Glielo porse senza togliersi dal viso l’irritante espressione di cortesia. Cara fece per afferrarlo, ma la sua mano non strinse abbastanza forte la presa, il bicchiere cadde dritto sulle sue ginocchia, il caffè bollente rovesciato in un’onda su tutto il suo vestito. La prima sensazione fu la pelle che le andava a fuoco, l’estrema necessità di raffreddarsi il prima possibile. Davanti allo sguardo mortificato dell’hostess balzò in piedi cercando di staccare la stoffa bollente dalla pelle sottostante. Il fastidio sparì abbastanza veloce da lasciare il passo alla consapevolezza di avere addosso un vestito completamente impiastricciato di panna e caffè. Cara sbuffò ruotando gli occhi al cielo. Possibile che non ne andasse una dritta? Scosse la testa. Ora avrebbe dovuto di nuovo attraversare l’aereo per raggiungere il bagno e darsi una ripulita, l’odore della miscela già divenuto fastidioso. Con un sospiro vistoso ignorò le scuse superflue dell’hostess e si allungò per recuperare il proprio bagaglio a mano, salviettine una e getta e fazzoletti di carta. Guardò la porticina lontana della toilette e decise che stavolta davvero, davvero non avrebbe distolto lo sguardo dalla meta per nessuna ragione al mondo.

 

///////

 

Eccola di nuovo. Joseph la vide balzare in piedi, la piccola doveva davvero essere imbranata; la sua innocente incapacità, un interruttore per le fantasie più perverse. Sorrise appena guardandola avvicinarsi con sguardo determinato, il suo abito un disastro marrone, la stoffa sintetica appiccicata alla curva del suo seno. La cosa si stava facendo sorprendente, quella ragazza attirava le sue cellule come un magnete, come forse nessuna donna incontrata prima. Di nuovo le sue interiora sembrarono intrecciarsi, che grande spreco lasciarla andare giù con l’aereo.

Se solo lo show potesse cominciare in fretta. Lanciò un’occhiata al finestrino, si era fatta notte e ormai dovevano aver passato il confine delle acque internazionali. Strinse la presa intorno ai braccioli cercando di riguadagnare tutta la concentrazione necessaria. Inspirò a pieni polmoni. Due volte. Tre volte. Eccolo. Il segnale che tutto stava cominciando.

L’odore dolciastro dell’etere etilico diluito con qualche altro gas raggiunse le sue narici esperte prima di tutte le altre, prese a respirare più lentamente, intervallando venti secondi prima di inalare di nuovo. Controllò in maniera impercettibile che tutti i suoi muscoli rispondessero ai comandi e se ne stette ad aspettare. Elia non aveva smentito la sua naturale inclinazione verso veleni e tossine.

Non appena il tizio alla sua sinistra prese a sonnecchiare, del tutto ignaro dell’azione della miscela sui suoi polmoni, Joseph staccò la schiena dal sedile. Gli occhi attenti dell’agente accanto a lui gli piombarono addosso.

“Devo pisciare.”

Specificò senza troppe cerimonie, l’altro rispose con un cenno della testa. Joseph non tentò nemmeno di tradurlo, tutta la polizia a bordo si era fatta forte dietro la presunta impossibilità di fuga a dodicimila metri di altezza. Poveri illusi. Si tirò su lentamente e stirò la schiena smettendo di respirare, poi si voltò verso la toilette.  No. Cazzo. La sconosciuta nel bagno. Imprecò a denti stretti, non poteva perdere tempo, anche se il suo corpo era allenato, non avrebbe potuto resistere al gas narcotico tanto più a lungo degli altri. Raggiunse la porta in pochi passi e bussò cortesemente.

“Occupato!”

Joseph imprecò di nuovo. Bussò una seconda volta.

“Un attimo!”

Bussò una terza volta, stavolta più deciso.

Cara aggrottò la fronte. L’altro passeggero doveva davvero stare per farsela addosso. Oppure era un gran maleducato. Il suo abito faceva comunque schifo, ma almeno era riuscita ad asciugare il salvabile. Di nuovo un colpo secco alla porta.

“Ma che diavolo…”

Non appena girò la serratura la porta le si aprì addosso e qualcuno piombò nella stanzetta chiudendosi a chiave dietro le spalle. Cara si ritrovò schiacciata contro la parete, senza capire cosa stesse succedendo. Sollevò gli occhi cercando di ricavarsi uno spazio vitale. Oh no. No no no no no. Lui. Il mostro. L’assassino crudele. Lo stupratore. Il pazzo maniaco.

Guardandola in viso, sconvolta e pronta a liberare un urlo in grado di svegliare anche i morti, Joseph le premette una mano sulla bocca. Cara prese a scalciare nello spazio ristretto, cercando di colpire un qualunque punto doloroso. Lui sospirò per nulla messo in difficoltà dai suoi movimenti scoordinati. Stretta alle spalle con l’altro braccio la spinse contro il lavandino, sbattendole la testa contro il piccolo specchio. I suoi grandi occhi blu sgranati come se sapesse di stare per morire. Smise di dimenarsi come un’anguilla e Joseph poté allentare la presa. Il suo seno andava su e giù ad un ritmo incredibile, consumando più aria del consentito. Doveva riuscire a calmarla.

“Tranquilla. Non ti farò del male.”

Cara rimase immobile, nessuna emozione diversa dalla paura le attraversò il viso.

“Ti prego, non urlare.”

Aggiunse. Cara restò un pezzo di ghiaccio sotto le sue mani. La presa attorno alla bocca lentamente meno stretta, le sue labbra di nuovo in grado di muoversi e prendere aria. Gli occhi di lui la tenevano inchiodata al muro, lo sguardo vitreo, ma anche impercettibilmente nervoso. Cara studiò le sue carte in silenzio, mentre le dita dell’assassino si allontanavo dal suo viso. Prese fiato e fece appello a tutta la forza della sue corde vocali

“Aiut…”

Il suo cranio si schiantò contro la parete, stavolta in maniera ben poco delicata, la mano di Joseph pressata contro la bocca e l’avambraccio opposto premuto sulla trachea. Respirare le sembrò di colpo impossibile. Scelta sbagliata quella di urlare.

“Ti ho detto di non urlare.”  Ogni parvenza di cortesia sparita dal tono gelido della sua voce. Gli occhi di Cara spalancati ed arrossati dall’ipossia. La paura di morire. Una visione fin troppo conosciuta per lui, tanto scontata che riusciva benissimo ad ignorarla. Più difficile ignorare il suo corpo premuto contro quello della sconosciuta, l’abito sollevato all’altezza delle cosce, le mani di lei premute in difesa contro il suo torace. Un vero peccato essersi incontrati così.

Scosse la testa e le lasciò il respiro libero. Pian piano allontanò di nuovo la mano senza distogliere l’attenzione, neanche per un decimo di secondo. Le labbra della ragazza restarono serrate.

“Brava.”

Joseph riuscì finalmente a guardarsi intorno alla ricerca del punto prestabilito.

“Che succede lì dentro??”

Due colpi alla porta e la voce dell’agente. Joseph imprecò ancora, stavolta a voce alta. Il suo primo pensiero rivolto alla sconosciuta, se avesse provato ad urlare, bellissima o meno, le avrebbe spezzato il collo. Cara rispose al suo sguardo senza muovere un muscolo, le dita strette contro il lavandino, le nocche diventate bianche per la forza impiegata. Sotto sotto doveva essere vero diavolo.

“Tutto bene.”

“Apri la porta! Adesso!”

Lui sbuffò. Perché non era ancora svenuto come gli altri?

“Apri Michaelson! So che stai combinando qualcosa!”

Joseph rimase immobile, fin troppo tranquillo, prendendo a contare a bassa voce. Arrivato più o meno ad otto un tonfo sordo si udì al di là della porta. Lui riprese immediatamente a muoversi, spostando di peso Cara verso la porta.

“Ora puoi urlare quanto vuoi.”

Finalmente lei si decise a parlare

“Che vuoi fare?”

Lui tirò un pugno al soffitto facendo facilmente saltare il rivestimento, allungò un braccio nel buco cercando di tirarsi su sui piedi il più possibile. Ne tirò fuori una specie di zaino marrone. La spinse ancora contro il muro per farsi spazio nella minuscola toilette. Cara si trovò di fronte la porta, la sua mano scivolò immediatamente sulla maniglia.

“Fossi in te non lo farei…”

La avvertì lui senza distogliere lo sguardo da ciò che stava facendo

“…A meno che tu non voglia morire.”

Cara si irrigidì cercando il viso dell’assassino, poteva permettersi di disobbedirgli di nuovo?

“Che cosa vuoi fare?”

Ripeté incerta. Joseph indossò quella specie di zaino e lei riuscì finalmente a capire cosa fosse. Un paracadute.

“Farò precipitare l’aereo.”

Rispose. La sua espressione quasi divertita, come fosse un bambino che sta per rubare un pacchetto di caramelle.

“Cosa?”

Joseph controllò che le cinghie fossero abbastanza strette e finalmente rivolse lo sguardo a Cara. I suoi occhi blu sgranati dal terrore, sul suo viso il chiaro desiderio di chiedere pietà, la terrificante idea di schiantarsi ed esplodere, la determinazione di non supplicare. No. Dopo anni passati ad uccidere ormai poteva leggere qualsiasi espressione negli occhi delle sue vittime. Quella ragazza no, non avrebbe supplicato.

Cara rimase immobile a fissare l’uomo di fronte a lei, consapevole di colpo che sarebbe morta col ricordo di quel viso negli occhi. Nessun addio. Nessun abbraccio. Le lacrime provarono ad affacciarsi, ma le scacciò via di corsa. Inspirò restando in silenzio. Ripensò a Ty e alla ragazza mora, ma non provò niente. Pensò a Sonia che avrebbe atteso invano all’aeroporto. Quanto si sarebbe sentita in colpa? Contemplò l’idea di chiedere pietà, di inginocchiarsi e supplicare per la propria vita. Sarebbe mai riuscita ad impietosirlo? E perché poi? Non si sarebbe lasciata dietro nulla più che un lavoro da cameriera ed un bilocale disordinato. Non ne valeva la pena.

Joseph si mosse lentamente coprendo il piccolo spazio tra loro, di nuovo premette il suo corpo contro quello della ragazza, stavolta senza violenza. Sollevò una mano e lasciò scivolare la punta di un dito contro il suo viso. Quella pelle color latte morbida sotto il suo tocco ruvido. I suoi capelli soffici come seta. Le lunghe ciglia spalancate, decise a non cedergli. L’urgenza di baciare quelle labbra rosse lo colpì come un pugno inaspettato. Qualcosa in lei lo teneva incollato, qualcosa che non aveva mai incontrato prima. Mai provato. Il rimpianto. La consapevolezza che avrebbe vissuto da quel momento in poi senza poter conoscere il tocco ed il sapore di quelle labbra.

“Non hai paura di morire?”

“Non ho molte ragioni per vivere.”

Cara sospirò a pochi centimetri da lui, immobilizzata dalla paura e dalla scia di calore che il dito di lui aveva lasciato dopo il breve percorso. L’ultimo gesto di compassione del suo assassino.

Joseph si staccò di colpo. Era un pazzo per pensare davvero di riuscire a farlo. Comunque ci avrebbe provato.

“Ascoltami bene…”

Di nuovo richiamò l’attenzione della ragazza prendendole il viso tra le mani e costringendola a guardarlo.

“…E fa esattamente come ti dico.”

Senza specificare oltre allentò le cinghie del paracadute e voltò Cara così che la sua schiena fosse premuta contro il proprio torace. La strinse forte a sé, premendo sul diaframma quasi fino a toglierle il respiro, allungò le cinghie e le fece girare intorno alla sua vita sottile. Dopodiché le afferrò le braccia una alla volta, senza troppa delicatezza fece in modo che passassero sotto le bretelle del paracadute. Sì, era davvero un folle.

“Che…che vuoi fare con me?”

Cara si ritrovò a respirare affannosamente, la cinghia del paracadute le stringeva la vita e la posizione innaturale le limitava i movimenti. Tutto il suo corpo era spalmato contro quell’uomo, riusciva a sentire la solidità dei suoi muscoli addosso, il suo respiro lento che le si perdeva tra i capelli. Un nuovo terrore la percorse come un brivido lungo la schiena. Vuole che mi butti con lui?? Improvvisamente l’idea di schiantarsi col resto dell’aereo non le sembrò più tanto male.

“Sta’ zitta.”

Ordinò lui prima di muoversi, forte abbastanza da strascinarla con sé senza alcuno sforzo. I piedi di Cara sembravano non toccare più terra.

Joseph afferrò la maniglia.

“Appena aprirò questa porta smetti di respirare.”

Cara deglutì fissando la porta della toilette. Come avrebbe potuto smettere di respirare? Per quanto tempo poi?

“Io..Non po…”

Prima che riuscisse a completare una frase di senso compiuto la maniglia scattò e lei prese a muoversi senza intenzione, totalmente sollevata e spinta da lui. Nonostante il cervello in completa confusione, serrò le labbra e respinse l’intenso desiderio di riempirsi i polmoni fino all’orlo. Intorno a lei sembravano dormire tutti, l’hostess inopportuna sdraiata e scomposta al centro del corridoio. Joseph la saltò in un solo passo e spalancò la porta della cabina di pilotaggio. I due piloti in divisa bianca avevano gli occhi chiusi e la testa ciondolante come tutti gli altri. Cara sentì in gola la bruciante necessità di prendere aria, senza nemmeno rendersene conto strinse la maglietta di Joseph nei pugni. Lui sembrò ricordarsi solo in quel momento della sua presenza, si sporse avanti e spinse un tasto. Un solo unico tasto.

Di colpo, come se fossero piombati in un gigantesco vuoto d’aria, la pressione nell’aereo aumentò. Cara si portò le mani alle orecchie cercando di uccidere quel dolore improvviso, il suo stomaco si torse ed il suo istinto di sopravvivenza ebbe la meglio su tutto il resto. Spalancando bocca e polmoni, si riempì le vie aeree di un intenso odore dolciastro, in bocca il sapore fastidioso di alcool ed acetone. Stavano precipitando. Stavano precipitando mentre Joseph armeggiava col portellone. Cara chiuse gli occhi, non voleva più sapere come sarebbe finita. Fortunatamente tutto intorno a lei sembrò svanire di colpo, compreso il suo stato di coscienza.

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


cap3

Cara si sentì avvolta in qualcosa di morbido, di caldo e morbido. Non riusciva a capire se stesse ancora respirando o se quella fosse la sensazione della morte. Sembrava avesse la gola in fiamme e che un treno le stesse attraversando il cervello. Sembrava fosse schiacciata sotto una tonnellata di cemento. Tentò di intrattenere una conversazione con i suoi neuroni, cercando di capire se potessero ancora sentirla. Ordinò al suo indice destro di muoversi, almeno un paio di volte prima di percepire che stava toccando qualcosa di liscio. Ordinò alle sue palpebre di sollevarsi, ma la luce al di là sembrò ferirla come una lama incandescente. Le sfuggì un lamento roco.. Se poteva ancora muoversi ed emettere suoni forse non era morta dopotutto, oppure la sua versione di paradiso faceva ancora più schifo della realtà.

Provò ancora una volta ad aprire gli occhi, uno alla volta, il più lentamente possibile. La stanza era avvolta in una luce gialla, i dettagli difficili da cogliere, il suo corpo disteso sotto lenzuola bianche. Era un letto. Era sdraiata in una minuscola stanza sconosciuta. Il letto sembrò muoversi di colpo e Cara emise un altro gemito infastidito cercando di tenere a bada la nausea.

“Buongiorno.”

La voce sconosciuta le arrivò alle orecchie come fosse lontana un chilometro. Cara biascicò cercando di riportare la mente ad un piano di realtà accettabile. Aereo. Assassino. Toilette. Paracadute. Non respirare. Assassino. Spalancò gli occhi e si tirò su in un istante. La vista sembrò mancarle per qualche secondo, poi riuscì finalmente a mettere a fuoco dove si trovava.

La stanza era davvero piccola, dalla finestra tonda alla sua sinistra entrava la fastidiosa luce del sole, le pareti erano color crema, le finiture erano in legno e l’assassino dell’aereo se ne stava seduto su un’anonima sedia nell’angolo. Sulla sua faccia un mezzo sorriso.

Cara indietreggiò sul materasso fino a spalmare la schiena contro la lettiera. Il cambio improvviso di posizione le fece vedere blu e, nel tentativo di non svenire, si portò entrambe le mani alla testa.

Lui inclinò la testa “Vacci piano. E’ stato un viaggio piuttosto impegnativo per te.” Disse con tono sarcastico e divertito, mentre lei cercava di prendere ossigeno e allo stesso tempo fissarlo in assetto da fuga.

Cara rimase immobile dopo un paio di lunghi respiri, rivolgendo l’attenzione a sé stessa. Aveva ancora addosso il vestito macchiato di caffè, mentre i suoi piedi erano scalzi sotto le lenzuola. Tutta la sua pelle sembrava tirare, come se avesse fatto il bagno nel Mar Morto senza poi spalmare l’idratante. Si portò una mano alla testa, le sue dita rimasero incastrate tra i capelli come fossero un fitto ammasso di paglia e lana cardata.

“Dove sono?”

Lui sollevò le sopracciglia “Su una barca. Nel bel mezzo dell’oceano Atlantico.”

Cara cercò di muoversi e venir via dalle coperte. La testa prese a girarle d’improvviso.

“Io te l’avevo detto di trattenere il respiro.”

Cara poggiò i piedi a terra ignorando la sua ironia

“Che mi hai fatto?”

Joseph si alzò dalla sedia, aveva addosso abiti puliti e sembrava stare decisamente meglio di lei.

“Io niente. Ma l’aereo era pieno di gas narcotico.”

Lei cercò di far quadrare tutti i ricordi e le deduzioni logiche, ma si arrese ben presto. Fece forza sulle braccia per tirarsi su. Barcollò vistosamente e Joseph le si avvicinò cercando di afferrarla. Cara sgranò gli occhi e si tirò indietro.

“Non mi toccare.”

Lui sorrise di nuovo. Nonostante il gas, il volo e la “nuotata” in quelle acque gelide, la ragazza aveva ancora abbastanza grinta per difendersi.

“Ti ho salvato la vita. Dovresti essere un po’ più gentile con me.”

“Che ne è stato degli altri passeggeri?”

Joseph sollevò le spalle cercando un modo carino per risponderle. Non gli piacevano le scene di panico e quella risposta beh, avrebbe portato ad un’inevitabile scena di panico. Mentre rifletteva gli occhi della ragazza si strinsero su di lui, scansando la paura per un attimo, al suo posto il giudizio, un profondo sguardo di sdegno e repulsione, il tutto contornato da un alone di pietà per i caduti.

Non fu necessario rispondere. Cara spalancò di nuovo gli occhi

“Oh dio mio li hai uccisi tutti… Ucciderai anche me adesso vero? Mi farai a pezzi!”

Dando il via al tanto preannunciato panico, l’isteria sembrò impossessarsi di lei in un attimo, rendendole tutta la forza persa. Cara balzò in piedi cercando la prima via di fuga accessibile, il respiro affannato ed il preludio di un lungo pianto negli occhi.  Joseph roteò gli occhi al cielo, fin troppo prevedibile, anche se non credeva che la sua ragazza dell’aereo fosse un tipo dalla lacrima facile.

Cara adocchiò la porta dietro di lui come unica possibile salvezza e decise di correre verso la maniglia. Lui non si mosse nemmeno, bloccando la sua breve fuga con un solo braccio. Cara balzò indietro al contatto e scosse la testa, fermamente decisa a non essere una preda facile. Saltò sul letto e passò all’altro lato della stanza, fiondandosi immediatamente contro la porta della cabina. Strinse la mano intorno al metallo, ma prima che potesse fare pressione, la mano di Joseph si spalmò contro la porta annullando qualsiasi suo tentativo di far forza. Cara provò comunque a tirare con tutta sé stessa, arrivando presto alla conclusione che in quel momento le sue risorse erano piuttosto scarse. Mandando giù si voltò verso di lui, trovandosi con la schiena inchiodata all’uscita. Avrebbe voluto intimorirlo con lo sguardo, rendergli presente che non aveva rapito la solita ragazzina indifesa, ma non mosse un muscolo né proferì parola. Joseph la teneva premuta contro la porta col suo corpo, senza neanche il bisogno di toccarla davvero. Quella scintilla di combattività gli aveva ricordato il motivo per cui l’aveva portata giù con sé, anche se solo in quel momento iniziava a domandarsi cosa avrebbe potuto o dovuto farne di lei. Ben presto uno dei suoi fratelli sarebbe venuto a prenderlo e di certo, non sarebbe stato contento di trovare un ospite a bordo. Nessuno ne sarebbe stato contento. La ragazza in fondo aveva ragione, era spacciata.

Tuttavia, oltre ad essere condannata era anche dannatamente bella, perfino con quel disastro di capelli e ricoperta dalla salsedine. Quegli occhi poi, quegli occhi avevano qualcosa di innaturale, mai visto prima… E la forza con cui cercava di combatterlo, la determinazione e l’indignazione… Joseph si morse il labbro al pensiero di quanto gli sarebbe piaciuto portare quella lotta ad un altro livello.

Cara, d’altra parte, ancora confusa e disorientata dallo sguardo predatore con cui lui la fissava, decise di fare un ultimo tentativo. Su quell’aereo l’idea di morire non le era sembrata tanto male, qualche secondo prima di svenire e poi non avrebbe sentito più nulla, ora invece, la sola idea di essere torturata, picchiata, fatta a pezzi, forse perfino stuprata… No, non voleva morire così.

Raccolse tutte le sue forze e ficcò il ginocchio nel basso ventre di Joseph, non era certa di aver preso il punto più sensibile, ma tanto era bastato per farlo scansare da lei. Aprì la porta di fretta e si precipitò su per la scaletta di legno seguendo la luce, continuando a correre da una parte all’altra del piccolo ponte guardando il monotono blu dell’oceano tutt’attorno. Alla fine sbatté contro il parapetto di prua e si fermò a riprendere fiato guardando le onde. Non aveva via d’uscita, nessuna eccetto…

Inspirando strinse le mani tremolanti attorno al parapetto e si decise a scavalcarlo, una gamba alla volta. Meglio annegare che soffrire per ore le torture di quel mostro.

“Fossi in te non lo farei.”

Lui le stava alle spalle, probabilmente già da un po’.  Suonava ancora calmo e tranquillo. Cara non si voltò

“Perché no? Morirò comunque.”

“Quell’acqua è fredda tesoro, molto fredda. E non dimenticare gli squali. Credevo che non volessi finire fatta a pezzi.”

Cara deglutì continuando a guardar giù

“Tu cosa mi farai invece?”

Joseph sorrise, doveva davvero essersi fatta una brutta idea di lui.

“Non ho ancora deciso in realtà.”

Lui iniziò a muoversi e farsi vicino. Cara strinse le mani attorno al metallo freddo del parapetto. Il rumore delle onde poteva già riempirle le orecchie.

“Scendi da lì adesso.”

Stavolta il suo tono si era fatto autoritario, ma non abbastanza da farla demordere. Cara lo sentì sbuffare, ormai era dietro di lei, se voleva davvero suicidarsi doveva farlo in quel momento. Mosse le dita, ma non riuscì a mollare.

“Ok tesoro, visto che non vuoi proprio starmi a sentire, da adesso in poi faremo a modo mio.”

Joseph la afferrò per la vita e la sollevò come fosse fatta d’aria, totalmente indisturbato dai suoi tentativi di scalciare, prenderlo a pugni o strillargli nelle orecchie. Era già stanco di quella commedia, meglio rimettere le cose in chiaro.

La buttò di peso sul letto, lasciandola rimbalzare mentre ricorreva al trattamento pesante. Cara cercò di dimenarsi, ma lui la bloccò col proprio peso, stringendole i polsi sopra la testa. Qualcosa le si strinse attorno alla mano e subito dopo l’assassino sembrò mollare la presa. Cara cercò immediatamente di muoversi di nuovo, ma si ritrovò incatenata alla spalliera del letto per il polso destro, lui le stava ancora sopra e dallo sguardo poteva dirsi abbastanza soddisfatto.

Quel mezzo sorriso compiaciuto, i capelli scompigliati per la lotta, i muscoli tesi per restare in bilico su di lei senza schiacciarla. Cara sospirò guardando altrove. Doveva esserci qualcosa di molto molto perverso nel trovare attraente il proprio assassino.

Joseph si passò la lingua sul labbro, dimostrarsi più forte era un dolce piacere come sempre. Prese coscienza del suo corpo mezzo steso su di lei, della condizione da prigioniera di Cara e delle sue lunghe gambe scoperte. Quello sarebbe stato un buon momento per farla sua, sarebbe stato fin troppo facile e, a giudicare dall’espressione della ragazza rivolta al vuoto, lei non si sarebbe nemmeno lamentata troppo. Joseph sorrise di nuovo ripensando al modo in cui si erano guardati sull’aereo, anche la ragazzina aveva fantasie peccaminose su di lui, poco ma sicuro.

Cedendo alla tentazione passò la mano sulla gamba di Cara, la pelle ruvida per via dell’acqua salata. Lei si irrigidì cercando di tenerlo lontano con la mano libera, provando a spingerlo via. Era questo che l’aspettava? Essere violentata su una barca in mezzo al nulla? La mano dell’assassino proseguì lenta, accarezzando la linea del suo ginocchio e poi a salire lungo la coscia. Il tocco delicato, le sue dita calde contro la pelle, gli occhi azzurri ancora incollati al suo viso. Non sembrava la carezza di un mostro. Cara chiuse gli occhi sperando che lui non si muovesse oltre. Non era certa di come il suo corpo avrebbe reagito.

“Adesso almeno starai buona.”

Joseph si tirò su di colpo sopprimendo il desiderio di proseguire l’esplorazione di quel corpo, la sua circolazione sanguigna già fin troppo accelerata. Si ricompose velocemente e tornò a sedersi sulla sedia all’angolo.

“Come ti chiami?”

Esordì. Cara strinse le gambe al petto, lui continuava a fissarla con i gomiti poggiati alle ginocchia. Deglutì

“Sonia.”

Rispose, cercando il primo nome da dire che non fosse il suo. Joseph sollevò un sopracciglio

“Non mentire.” La ammonì, serio come un funerale. Cara inspirò profondamente chiedendosi se fosse il caso di continuare la commedia, probabilmente il suo era solo un bluff.

“Sonia, Sonia Brown.” Insistette e lo sentì sbuffare rumorosamente in risposta. Joseph si alzò in piedi e le si avvicinò con lo stesso sguardo grave, giocherellando con le sue stesse dita come se si stesse preparando ad usarle. Cara sentì le sue falangi scrocchiare e sussultò nel trovarselo di nuovo tanto vicino, lui si chinò lentamente e le passò i polpastrelli sulla gola, rendendo chiaro quanto il suo collo sarebbe stato fragile nella propria presa.

“Non. Mentire.” Precisò ancora una volta, glaciale.

Cara annuì nervosamente e prese coraggio

“Cara, il mio nome è Cara Phillis.”  

Joseph sorrise allontanandosi  “Come facevi a sapere?”

Lei contrasse la mandibola “Sapere cosa?” Chiese in un mezzo sussurro. Lui sospirò tornando a sedersi

“Sapevi del braccialetto, sapevi chi sono. Come?”

“Io non so chi sei.” Ribatté istintivamente in difesa. Lui chiuse piano le palpebre, odiava dover ripetere le cose.

“Come facevi a sapere?”

Cara prese fiato, la sua inferiorità troppo palese per cercare di improvvisare un castello di bugie. E comunque la realtà era già abbastanza ridicola.

“Una mia amica lavora all’American Airlines. E’ stata lei a dirmi che sul volo ci sarebbe stato un criminale con un braccialetto. Mi aveva anche detto di non prenderlo.. E avrei fatto meglio ad ascoltarla.”

Lui aguzzò lo sguardo, senza lontanamente cogliere il suo tentativo di ironizzare. Cercava di capire se la ragazza stesse mentendo.

“Che ci facevi a Johannesburg?”

Cara abbassò gli occhi, anche se la sua sopravvivenza era ancora in dubbio, stavolta lo stomaco le si torse al solo pensiero. Tutta colpa di Ty.

“Ero andata a trovare il mio fidanzato.”

Joseph sorrise. Naturalmente qualcuno aveva già messo le mani sulla ragazza. Beato lui, benché fosse un dettaglio irrilevante nel suo piano. Improvvisamente un pensiero gli tornò alla mente, cercò di scrutarla ancora più a fondo

“Sull’aereo hai detto di non avere ragioni per vivere. Un fidanzato sembrerebbe una buona ragione invece.”

Cara tornò a guardare le sue stesse mani

“L’ho trovato a letto con un’altra” Confessò senza troppi giri di parole.

Lui rimase basito per un secondo, uno appena. Questo fidanzato doveva essere un vero idiota. Si passò la lingua sui denti curvando la schiena per esserle in qualche modo più vicino

“E’ per questo che volevi morire? Perché il tuo uomo ti ha tradita?”

Stavolta Cara decise di sollevare gli occhi ed incontrare i suoi, l’assassino la stava giudicando. La stava giudicando una stupida. Peccato non sapesse nulla della sua vita.

“Lui è solo l’ultima di una serie di ragioni.”

Joseph sentì il desiderio di scavare in quell’affermazione, ma si bloccò prima di parlare. Quell’interrogatorio si stava lentamente trasformando in una seduta psicanalitica, mentre il suo compito era esclusivamente assicurarsi che la ragazza dell’aereo non fosse una minaccia.

“Beh…” Prese fiato lentamente “…Ti consiglio di trovare un buon motivo per vivere allora.”

Cara avvertì un brivido correrle lungo la schiena

“Che..Che vuoi dire?”

Lui sollevò le sopracciglia

“Presto verranno a prendermi e sinceramente…” DI nuovo una pausa “…Non ho idea di cosa farne di te.”

Cara deglutì

“Mi..Mi ucciderai?” Avrebbe voluto suonare risoluta e coraggiosa, ma la voce le tremò come una foglia.

Joseph prese a fissarla. Su quell’aereo non era riuscito a trattenere l’istinto, cosa assurda per uno come lui, aveva afferrato la ragazza e l’aveva buttata giù con sé senza pensare. Belle donne ne aveva viste a bizzeffe nella sua vita, tutte o quasi pronte a rotolarsi con lui, bionde o more, europee o orientali, tutte piacevoli comparse nei suoi soggiorni di “lavoro”. Quella ragazzina non avrebbe dovuto fare alcuna differenza eppure, ripensando al momento preciso in cui i loro occhi si erano incontrati per la prima volta, qualcosa in lui si era mosso. E nulla smuove mai le viscere del Lupo. Era stato quel secondo a fregarlo, quell’improvviso inaspettato sobbalzo all’altezza dello stomaco.

Cara teneva il suo sguardo, sperando di leggerci dentro una risposta. Se ne stava rannicchiata all’angolo del letto e provava ad immaginare cosa ne sarebbe stato di lei. Joseph contrasse la mandibola, anche in quel momento, consapevole del suo errore, non riusciva a non sentirsi attratto dal suo ostaggio. Dopotutto era quello il motivo per cui l’aveva salvata, giusto? Per poterla avere, per potersi togliere quel prurito e continuare con la sua vita di sempre. L’idea di farlo con la forza, tuttavia, sembrava troppo perfino per lui. Gli venne da sorridere. Il suo stesso codice di condotta lo stava beffando.

Le si avvicinò. Cara cercò di farsi ancora più piccola, consapevole di avere solo un metro di gioco per via della catena che la legava al letto. Gli occhi dell’assassino la stavano accarezzando, caldi come il velluto, intensi come nel primo sguardo, quando lei si era concessa di pensare che fosse l’uomo più bello del mondo. Adesso invece quello stesso pensiero le sembrava inaccettabile, ripugnante, doveva sforzarsi di cacciarlo nell’angolo più remoto della propria mente. Lui poggiò le mani sul materasso e si fece alla sua altezza, scavando con forza nelle sue iridi blu, tanto intensamente che Cara dovette spostare lo sguardo per non sentirsi nuda di fronte a lui.

“No.”

Disse infine con la voce bassa

“Non se mi convincerai a non farlo.”

Cara tornò a ricambiare istintivamente i suoi occhi, colpita dal tono allusivo delle ultime parole. Era così vicino che poteva facilmente notare le poche pagliuzze verdi nell’azzurro delle sue iridi, le piccole righe d’espressione sulla sua fronte, la linea delle barba che non rasava da giorni ed il rosa perfetto delle sue labbra. Cosa le stava chiedendo? Voleva forse che lo pregasse di non ucciderla? Era quel tipo di criminale? La bocca di Cara si aprì lievemente per lasciar passare più aria, non era questo che lui sembrava volere. Al solo pensiero il cuore prese a batterle in gola, una strana sensazione di calore le riempì la pancia. Voleva baciarla?? Quell’idea suonava assurda date le circostanze eppure pareva alquanto difficile fraintendere la sua espressione, il modo in cui le sue ciglia sbattevano lente mentre i suoi occhi indugiavano tra il suo sguardo confuso e le sue labbra socchiuse.  

Cara si sentì paralizzata, ogni muscolo del suo corpo si tese all’istante, incapace di reagire davanti ad un uomo che deteneva il potere completo, un uomo che il suo istinto di sopravvivenza rigettava, al contrario della sua epidermide. Lo sentì avvicinarsi ulteriormente e tutti i suoi pori si aprirono cercando di non lasciarla andare a fuoco, il viso bloccato all’altezza del suo. Joseph indugiò per un secondo mischiando il respiro a quello di lei, meravigliato eppure non sorpreso del fatto che la ragazza non si fosse mossa di un millimetro. Impercettibilmente girò la testa, inclinando il collo appena un po’, le sue labbra sfiorarono finalmente la pelle di Cara, accarezzando la linea della sua mandibola. Sentì il mare e la sabbia sulla bocca.

Lei chiuse gli occhi al contatto, voltando il capo e stringendo le lenzuola nei pugni. Poteva sentire il cuore pulsarle nelle orecchie, scorrerle dentro la testa come un fiume in piena. Avrebbe voluto saltare e colpirlo, avrebbe voluto trovare quel tocco rivoltante, ascoltare la voce nella sua testa che andava facendosi sempre più lontana. Al suo posto un nuovo e sconosciuto formicolio, il risveglio contemporaneo di tutte le sue cellule ricettive.

Joseph inspirò, riempiendosi il naso con l’odore salino della sua pelle. Non resistette alla tentazione ed aprì le labbra, passando la punta della lingua sul sale. In quel momento la sentì tremare e si fermò per un secondo, notando con la coda dell’occhio come la sua presa sulle coperte si fosse allentata. Guardò i suoi occhi chiusi e le sue labbra, ora dipinte di un rosso acceso, i muscoli andavano pian piano rilassandosi e lui le sorrise contro il collo. Se fosse stata di vetro si sarebbe sciolta su quel letto, con così poco.

Il pensiero gli infiammò le mani e allo stesso tempo lo fece gelare, costringendolo a staccarsi bruscamente da lei. Era lui ad avere il potere, era lui a dover mantenere il controllo della situazione, la ragazza era solo un ostaggio, una specie di passatempo, nulla di più. Riprendendo il possesso di sé annullò in un istante il batticuore ed i nodi allo stomaco. Nessun coinvolgimento ripeté a sé stesso. Nessun coinvolgimento, questa è la regola.

Cara balzò sul letto come se si fosse svegliata da un bel sogno, stringendosi in sé per calmare il freddo improvviso. L’assassino era in piedi e guardava il vuoto, rendendole impossibile capire cosa stesse pensando adesso. Forse non aveva capito nulla, forse la lussuria non c’entrava, forse lui era solo una specie di psicopatico. Finì a fissare le proprie mani e sembrò realizzare solo in quel momento le sue condizioni, la pelle tirata, le striature bianche dell’acqua salata, il vestito sporco, i capelli ammatassati. Ovvio che nemmeno uno psicopatico potesse volerla in quelle condizioni. Scosse la testa perché ormai la sua mente stava spaziando nel ridicolo, non solo si stava preoccupando di cosa lui pensasse, ma iniziava a sperare che dopo averla uccisa avrebbe buttato il suo corpo nell’oceano; almeno nessun altro l’avrebbe vista in quelle condizioni.

Joseph riprese a muoversi puntando la porta

“Ti porterò qualcosa da bere.”

Disse con nonchalance, come se il piccolo momento precedente fosse già caduto nel dimenticatoio. Cara lo guardò afferrare la maniglia e si morse il labbro

“Aspetta.”

Lui si inchiodò sulla soglia. Mandò giù e si voltò verso di lei senza proferire parola. Cara inspirò profondamente e decise di tentare la propria fortuna

“Potrei.. Potrei almeno lavarmi per favore?”

Osò chiedere con un filo di voce. Lui aggrottò le sopracciglia, forse spiazzato dalla sua richiesta banale, forse indeciso sulla risposa da dare. Rimase serio tutto il tempo, anche mentre tornava sui suoi passi, facendosi vicino ancora una volta. Cara sentì l’istinto di raggomitolarsi, probabilmente aveva tirato troppo la corda. Lui invece non la guardò nemmeno mentre, con una piccola chiave, apriva la manetta al suo polso. Con un cenno della testa indicò la porta di rimpetto a quella della stanza

“Non più di dieci minuti. E non cercare di combinare qualcosa perché potrei arrabbiarmi.”

Cara annuì massaggiandosi il polso libero, aspettando di vederlo andar via prima di poggiare i piedi a terra e correre verso il minuscolo bagno. Chiuse a chiave restando appoggiata alla parete per qualche minuto. La prima cosa che le tornò alla mente fu la voce di Sonia, ma perché cavolo non l’aveva ascoltata? Sbatté la fronte contro la porta. Stupida. Stupida fino alla fine Cara.

Infilandosi velocemente sotto il debole getto della doccia cercò di raggiungere contemporaneamente il maggior numero di parti del suo corpo, di certo non voleva indispettire l’assassino impiegando più del tempo richiesto. Ficcò tra i capelli il primo shampoo a portata di mano e cercò di tirar via tutta l’acqua salata, quasi fino a graffiarsi la pelle. Chiuse gli occhi e si lasciò ricoprire completamente dall’acqua bollente, lasciando che lavasse via il sapone, lo shampoo e parte della sua incredulità/incapacità di dare un senso a quella situazione. Risentì in bocca il sapore della paura, il gusto metallico del terrore di morire, mischiato all’odore dolciastro dell’aereo. Il blu che riempiva la sua vista, ben presto rimpiazzato dal nero e dall’incoscienza. Non riusciva minimamente a ricordare come fosse finita su quella barca, di certo era stato lui a portarcela, ma come? E perché se ne stavano nel mezzo dell’oceano senza che nessuno li trovasse? Doveva essersi occupato di tutto lui. Lui. Già.. Lui. Senza rendersene conto passò una mano a cavallo tra viso e collo, ricercando il punto preciso su cui aveva poggiato le labbra. Si sentì tremare per un istante. Aveva creduto davvero che lui stesse per baciarla, che l’avrebbe fatto più e più volte. Aveva creduto davvero che lui la desiderasse e che l’avrebbe presa lì, in quel momento, senza sapere nulla più che il suo nome. Aveva sperato davvero che quella sarebbe stata la sua salvezza.

Riaprendo gli occhi temette di aver perso la cognizione del tempo e chiuse il rubinetto venendo fuori dalla doccia in tutta fretta. Afferrò un asciugamano e ci si arrotolò dentro, di colpo terrorizzata all’idea di uscire di lì.  ‘No. Non se mi convincerai a non farlo.’  Le parole si ripeterono nella sua testa cercando un significato, cercando di ignorare il loro implicito contrario. Se non fosse riuscita a convincerlo sarebbe morta, proprio per mano sua.

Lasciò scattare piano la serratura, convinta che se lo sarebbe presto trovato di fronte, ma tutto ciò che vide fu il letto sgualcito dell’altra stanza. Calmò il respiro e si guardò intorno nel silenzio, lui doveva essere di sopra. A destra un’altra porta chiusa attirò la sua attenzione, un rumore insolito simile ad un borbottio sembrava venirne fuori. Cara non aveva idea di come fosse fatta una barca, tantomeno quante stanze potesse avere né cosa dovessero contenere, ma iniziò a sperare che in quella camera chiusa ci fossero armi e telefoni satellitari. Nella sua testa reminescenze di vecchi film d’azione presero forma, se fosse riuscita a trovare una pistola, un coltello o un qualsiasi corpo contundente avrebbe potuto colpire l’assassino a tradimento e metterlo fuori gioco. Dopodiché avrebbe chiesto aiuto o navigato fino alla terra ferma.  Annuì e mosse il primo passo a piedi nudi sul parquet, calibrando ogni piccolo movimento per non fare alcun rumore. La tensione era talmente forte che quasi non riusciva a respirare.

La maniglia della porta venne giù senza intoppi e Cara si gettò nella stanza. Era caldo lì dentro. Il borbottio proveniva da una specie di caldaia o scaldabagno nell’angolo. Girò su sé stessa nella penombra, alla ricerca di qualsiasi cosa potesse afferrare e scagliare contro il suo rapitore. Sulle mensole impolverate se ne stavano diversi oggetti sconosciuti, tutti apparentemente innocui. Scuotendo la testa ed inveendo silenziosamente contro la propria fortuna, Cara si inginocchiò ad ispezionare l’ultimo ripiano. Inaspettatamente le sembrò di avere tra le mani la chiave della sua salvezza, una radio, uno di quei radiotrasmittori vecchio modello in cui basta portarsi alla bocca la trasmittente, premere un pulsante e lanciare un SOS.  La poggiò su una mensola alla sua altezza ed iniziò a premere nervosamente i tasti, ora che vedeva una via d’uscita sembrava non poter aspettare nemmeno un secondo. Una piccola lucina rossa si accese e Cara si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Totalmente priva di nozioni sulla radiocomunicazione decise di girare tutte le manopole e tirar su i cursori poi, tremando e sperando, avvicinò la trasmittente alle labbra, pronta a spingere il pollice sul bottone laterale.

Un fischio stridulo e fastidioso riempì la stanzetta, costringendo Cara a mollare la presa e balzare in piedi. I suoi occhi spalancati si puntarono immediatamente sulla porta, strinse le mani al petto ed accostò l’asciugamano, pregando con tutta sé stessa che lui non avesse sentito. Sarebbe stata la fine.

Un colpo secco spalancò la porta, come se l’assassino l’avesse presa a calci per aprirla. Cara divenne un pezzo di ghiaccio pulsante rendendosi conto solo in quel momento, per la prima volta, di chi avesse davvero di fronte. Joseph era dritto davanti a lei, i pugni chiusi e le labbra strette in una linea sottile, i suoi occhi vuoti come vetro, il corpo mosso da un tremore generale, come se stesse per venir fuori dalla propria pelle. Era arrabbiato. Era vistosamente arrabbiato.

Joseph rimase sulla soglia a fissarla, i suoi muscoli vibravano, l’adrenalina gli faceva ballare il cuore nel petto. Strinse le mani a palla cercando di trattenere l’istinto, bellissima o meno, era riuscita a fargli saltare i nervi e risvegliare il Lupo, la parte di sé più oscura e cattiva, quella che riservava solo alle sue vittime, solo ai nemici della sua famiglia.

Cara indietreggiò sbattendo ben presto contro il muro. Stava per morire. Adesso era certo, stava per morire.

Lui deglutì rumorosamente muovendosi di un solo passo. Se è questo che la ragazzina voleva l’avrebbe presto accontentata. Se aveva bisogno di conoscere il Lupo per capire chi avesse il comando, allora beh, senz’altro lui era  pronto a morderla.  

“Ti avevo detto di non farmi arrabbiare.”

    

  

 

    

 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


cap4

“Ti avevo detto di non farmi arrabbiare.”

La breve distanza tra loro fu coperta in un secondo. Joseph l’afferrò stretta per la vita tappandole la bocca con l’altra mano e la trascinò fuori senza troppa grazia. Appena qualche passo e Cara rimbalzò di nuovo sul letto, stavolta sbattuta con forza contro il materasso. Cercando di tenere l’asciugamano stretto a sé ignorò il dolore alle costole e si tirò su con la schiena.

Il ritmo del suo respiro era diventato frenetico, l’assassino stava dritto di spalle, i muscoli del dorso e delle spalle vistosamente contratti sotto la maglietta. Cara rimase immobile mentre lui chiudeva a chiave la porta, cercando poi di tirar fuori qualcosa dalla tasca dei jeans.

Cara sentì il cuore mancarle un battito, lo scatto del coltello arrivò alle sue orecchie amplificato e forte come lo scoppio di una bomba. Scosse la testa, gli occhi sgranati e la pressione sanguigna a mille, mentre cercava affannosamente una qualsiasi arma di difesa.

Joseph inspirò profondamente fissando l’italian stiletto stretto nella sua mano, il rumore del terrore di Cara un sottofondo appena percepibile, ogni fibra del suo essere assorbita dal riflesso della luce sul metallo. Le lame erano la sua arma prediletta, lo strumento di morte che aveva scelto alla fine del suo lungo addestramento. Ogni volta che teneva tra le mani un coltello, un pugnale o una katana, poteva sentire il gelo dell’acciaio impossessarsi di lui, annullando ogni ombra di sentimento nei confronti della vittima di turno. L’utilizzo delle armi da taglio rendeva il suo lavoro inevitabilmente più lungo, sporco e complicato, ma vi era un innegabile fascino poetico nel poter scegliere come e quanto infliggere ai propri nemici, con la piacevole possibilità di guardarli in viso durante tutto il procedimento.

La ragazza tuttavia non era un nemico della sua famiglia, né una vittima prescelta da suo padre, quell’omicidio sarebbe stato un’eccezione al codice, un atto di puro e necessario sadico piacere. Sospirò stringendo le dita attorno all’impugnatura, non poteva commiserare null’altri che sé stesso per quella situazione. Sentì in bocca il fastidioso sapore di qualcosa simile al rimorso, come sull’aereo. Imprecò in silenzio masticandolo via, decise di voltarsi e guardare la ragazza.

Cara stava iperventilando, inginocchiata sul letto stringeva l’asciugamano al petto con entrambe le mani, così stretto che le sue dita si erano fatte rosse di sangue. Sembrava ancora più pallida, eppure aveva il viso colorato dall’ansia e le labbra scarlatte. I suoi lunghi capelli biondi andavano lentamente asciugandosi in boccoli crespi e scomposti, mentre i suoi occhi blu lo fissavano, lucidi e spalancati.

“No..”

Sussurrò appena al suo primo passo, Joseph inclinò il viso verso di lei con le labbra leggermente protratte in avanti, sul suo volto l’accenno di un broncio sardonico. Cara sentì un brivido freddo correrle lungo la spina dorsale, c’era qualcosa di davvero spaventoso nella sua espressione, la guardava come fosse un patrigno arrabbiato pronto a punire la sua bimba disobbediente, come se cercasse disperatamente di mostrare compassione, ma in realtà stesse per esplodere dall’eccitazione.

“Cosa dovrei fare adesso con te, eh?”

L’assassino finalmente parlò, il tono apparentemente impassibile, la voce morbida e liscia come un liquido caldo pronto a scorrerle addosso. Più si faceva vicino e più sembrava calarsi nei panni del sadico torturatore. Mentre lentamente passava il coltello da una mano all’altra, riprese a fissarla nel modo che lei conosceva, il suo sopracciglio destro si sollevò piano, come se stesse davvero attendendo una risposta.  

Cara rimase lì sul letto a tremare, i suoi occhi dritti in quelli di lui, la pace nella stanza in completa antitesi al subbuglio interiore.

“Dovrei liberarmi di te?”

Un angolo della sua bocca si sollevò in un mezzo sorriso

“O forse dovrei farti male soltanto un po’?...”

Avanzò di un nuovo passo sollevando la lama, l’acciaio rifletteva la luce del tramonto imminente, spandendo un alone arancione per tutta la stanza.

“…Qualcosa che ti ricordi chi è che comanda.”

Ormai era a pochi centimetri, il coltello puntato verso di lei, così che la punta segnasse una linea immaginaria tra l’impugnatura ed il suo petto, in mezzo alle costole, là dove il suo cuore sembrare voler esplodere. Cara deglutì, aveva la gola secca ed il sentore che anche se avesse provato ad urlare, non le sarebbe uscito un filo di voce. Ormai riusciva ad immaginare chiaramente che tipo di dolore avrebbe provato una volta coperta l’ultima breve distanza tra lei e l’assassino, simile alla carta che ti taglia la pelle, rapido, fastidioso, acuto. Il tipo di dolore che svanisce ancor prima di vedere il sangue.

Lui sbatté piano le palpebre, ormai le sue ginocchia toccavano il letto e la ragazza era sempre immobile di fronte a lui, come se, ancora una volta, fosse pronta a morire. Inspirò l’odore della sua paura e sentì il sangue scorrergli più veloce nelle vene, totalmente combattuto tra la sua natura, l’istinto di uccidere e la voglia immensa, lussuriosa, di spingere la ragazza fino al limite.

Sollevò il coltello senza fretta ed avvicinò la curva della lama al viso di Cara, accostando lentamente pelle e metallo. La vide chiaramente fallire nel tentativo di contenere lo spasmo del suo corpo, stringere le spalle e trattenere il respiro.

Cara chiuse gli occhi d’impulso alla sensazione improvvisa di freddo, non solo in faccia, ma in ogni centimetro del suo corpo. Il coltello prese a muoversi lentamente, indugiando con la punta sulle sue labbra schiuse, sulla curva del suo mento, sulla linea della mandibola. Finalmente Joseph si fermò, il coltello pressato sul collo della ragazza, la lama inclinata contro la giugulare. Cara sentì che di lì a poco avrebbe iniziato a tremare, spaventata all’idea che, anche solo respirando o ingoiando, la lama le sarebbe entrata nella pelle. Non era più il dolore a farle paura, bensì l’idea di sanguinare a morte, sentire freddo, assaporare l’aroma ferruginoso del proprio sangue, perdere la vista e l’udito prima ancora di svenire e farla finita.

“Guardami.”

L’ordine dell’assassino la risvegliò dalla trance. Schiuse le palpebre espirando, lui le stava di fronte, gli occhi dritti nei suoi mentre si passava la punta della lingua sulle labbra. Sentì il coltello iniziare a scorrere verso il basso e si lasciò sfuggire un sospiro, la tremante premessa del pianto o forse della preghiera.

Joseph sorrise a labbra strette, in quel momento sentirla supplicare sarebbe stata dolce musica per le sue orecchie. Solitamente non avrebbe impiegato così tanto tempo per uccidere qualcuno, ma in questo caso specifico non aveva alcuna urgenza anzi, ogni secondo passato in quell’impasse accresceva la sua eccitazione. Nel retro della sua mente la tentazione di prolungare all’infinito quella deliziosa tortura.

Tutta la rabbia era scemata senza che nemmeno se ne rendesse conto e solo in quel momento l’assassino realizzò che Cara gli stava davanti, inginocchiata ed avvolta in nulla più che un asciugamano. Le sue pupille scorsero lente lungo la sua figura minuta, accompagnando l’impercettibile carezza con la punta del coltello. L’estremità del metallo, ormai calda del suo tepore corporeo, segnò una linea dritta dalla gola in giù, sbattendo contro la spugna in cui era avvolta.

Cara respirò a pieni polmoni, notando che gli occhi di lui non la stavano più fissando. Seguì il suo sguardo e sentì presto la lama toccarla di nuovo, stavolta in gola e poi più giù, scorrendo sopra il tessuto e lo sterno, nello spazio tra i seni, lungo la linea dell’aorta addominale. Un nuovo sospiro, più simile ad un gemito, sfuggì alle sue labbra. Sotto quell’asciugamano era nuda, completamente nuda e lui, ancora una volta, la stava guardando come fosse una torta di mele calda, come se non vedesse l’ora di addentarla.

Smise di muoversi, Cara riportò immediatamente l’attenzione al suo viso.

“Convincimi.”

Chiese. Lei deglutì cercando di capire.

“Convincimi a non ucciderti.”

Precisò, la voce bassa e vibrante, la richiesta quasi sussurrata. Cara colse un nuovo luccichio negli occhi dell’assassino, impossibile ignorare il modo in cui il suo sguardo le si spalmava addosso, difficile far finta che non ci fosse qualcosa di incredibilmente seducente in ogni sua mossa. Cara comprese di colpo come doveva essersi sentita Cappuccetto Rosso nel bosco con il lupo, perfettamente consapevole che lui l’avrebbe divorata, ma incapace di resistere al suo invito. Lei se ne stava lì, persa nello stesso medesimo dilemma, spaventata fino al midollo, ma attratta dalla sua sfida come un’ape dal miele. Convincimi a non ucciderti.

Cara abbassò il viso bagnandosi le labbra, il suo pugnale si era fermato proprio sotto l’ombelico, la punta rivolta verso quello che sembrava essere il reale desiderio dell’assassino. Inspirò ancora una volta sentendo un brivido correrle lungo la schiena. Si era persa nel bosco ed ora il suo lupo chiedeva pegno in cambio di una via d’uscita. Sollevò il mento per guardarlo dritto negli occhi

“Ti prego…”

Iniziò in un filo di voce

“…Ti prego non uccidermi.”

Joseph rimase saldo nella sua posizione, sollevando appena un sopracciglio. Il suo sussurro tremolava, tuttavia il tono era deciso. La ragazzina non voleva morire. Staccò il coltello dal suo corpo e distese il braccio, lei era bella, troppo bella, con le guance infiammate da una sorta d’imbarazzo e la presunzione di sembrare più coraggiosa di quanto non fosse.

“Convincimi.”

Insistette. Joseph strinse la presa attorno al coltello ancora una volta, stavolta per cercare di contenersi, e non dal pugnalarla. Cara raddrizzò la schiena e si fece più vicina, il respiro le tremava tra le labbra e le sue mani sembravano bollenti. Le sollevò lente, chiudendo gli occhi per un secondo, cercando di arrivare a lui nel tempo più lungo possibile. Gli toccò il viso, sentendo sotto le dita l’ispido della sua barba. L’assassino sussultò al contatto

“Ti supplico…”

Ripeté. Gli era pericolosamente vicino, ormai riusciva a sentire il calore del suo corpo e quello del suo respiro.

“…Farò tutto quello che vuoi… Non uccidermi.”

Joseph sentì tutto il sangue arrivargli nei pantaloni, ormai l’idea di ucciderla era lontana mille miglia. Le sue piccole fragili dita lo stavano toccando, inaspettatamente calde. La sua voce lo stava pregando, dolce come lo zucchero, disperata come il canto di un uccello in gabbia. Non poteva più resistere.

“Non è quello che voglio farti.”

Rispose chiudendo lo spazio. La sua bocca si lanciò contro quella di Cara in un bacio tutt’altro che delicato, lei rischiò di perdere l’equilibrio, ma Joseph la trattenne premendo il suo corpo contro il proprio. Ancor prima che potesse reagire, Cara sentì la lingua dell’assassino spingersi tra le sue labbra cercando accesso, nel suo respiro sapore di menta, fumo e metallo. Lo sentì emettere una specie di lamento e ben presto si sentì afferrata con forza per i capelli, costretta a sollevare il viso ed aprire la bocca. Nemmeno un istante ed ebbe coscienza che la lingua di Joseph stava danzando con la sua, mischiando saliva e sospiri.

Cara si rese conto troppo tardi che stava rispondendo al bacio, solamente dopo aver avvertito un’inaspettata fitta al basso ventre, lì dove non avrebbe mai dovuto. Gli passò le dita tra i capelli stringendo all’altezza della nuca, l’altra mano premuta contro il suo torace, provando con tutte le forze a spingerlo via.     

Joseph si sentì esplodere di aggressiva lussuria non appena le sue labbra l’avevano toccata. Erano carnose, morbide e sapevano ancora di sale. La voleva, la voleva in quel momento più di ogni altra cosa, ma non poteva permettersi di perdere il controllo, non con un ostaggio pronto a tutto per sopravvivere. Sentì la mano di Cara poggiarsi sul suo petto e si staccò dal bacio, ancor più eccitato all’idea di riprendere il potere. Scosse piano il capo afferrandola per i polsi, tenendoli entrambi serrati in una sola mano, mentre l’altra stringeva ancora il coltello. Passò la lama un’ultima volta sulle sue labbra, gonfie ed arrossate per il loro bacio violento, poi la gettò via in un angolo. Ormai non gli serviva più, avrebbe usato ben altre armi per rimettere la signorina al proprio posto.

Ancora bloccata, Cara lo sentì avvicinarsi e lasciare una scia di baci bagnati lungo il collo e la curva della spalla, la mano libera pronta a farsi strada dalla coscia in su. Strinse il labbro tra i denti, anticipando la sensazione delle sue dita tra le gambe. Era sbagliato, tremendamente sbagliato, ma non riusciva più a controllare gli spasmi del suo corpo. La realtà se ne stava lentamente andando, al suo posto la fantasia erotica più perversa, la scena di un film che, sperò, fosse proiettata solo nella sua testa.

Joseph le sollevò i polsi sopra la testa e la baciò di nuovo, cercando di esplorare ogni angolo della sua bocca, quasi fino a toglierle il respiro. L’altra mano era ferma sulla coscia della ragazza e lui determinato a non renderle le cose troppo semplici. Il modo in cui Cara aveva schiuso le gambe, probabilmente senza neanche accorgersene, era un chiaro segno della sua eccitazione. La ragazzina voleva essere toccata, oh sì… Solo che, Joseph sorrise tra sé e sé, la ragazzina non aveva ancora pregato abbastanza.

“Vuoi che ti tocchi, non è vero?”

Sussurrò nel suo orecchio. Cara si irrigidì al suono compiaciuto della sua voce, tese le braccia e cercò di scuotere la testa. Era inammissibile. inammissibile desiderare il proprio aguzzino, inammissibile che lui se ne accorgesse.

“No.”

Rispose, cercando di suonare decisa nonostante la voce bassa. Lui le sfiorò l’orecchio con le labbra.

“Ricordi? Riesco a capire quando stai mentendo.”

Bisbigliando le parole lasciò scivolare le dita sotto l’asciugamano e Cara si tese come una corda contro di lui. La mano continuò lenta la sua risalita, trovando la propria strada tra le cosce, adesso serrate, della ragazza. Non stava cercando di forzare una via, stava sapientemente accarezzando la sua pelle, pregustando il calore che riusciva già a percepire, aspettando che fosse lei a cedere e spalancare le gambe per lui.

“Dillo.”

Ordinò, usando la lingua contro il lobo del suo orecchio. Cara chiuse gli occhi, cercando disperatamente di non reagire a quel piccolo gesto. Poteva sentire le gambe tremare, non più sicura se fosse per paura o desiderio. La situazione era surreale, sconvolgente… Lui era sconvolgente, in ogni suo piccolo movimento, in ogni sillaba pronunciata… Lo stomaco le si annodò al solo pensiero di ammettere quell’inaccettabile voglia, un misto di vergogna, incredulità e repulsione.

“Dillo.”

Chiese di nuovo. Cara provò a pensare razionalmente per almeno un secondo. Stava cercando di salvarsi la vita e quello, in fondo, era solo un modo come un altro per sopravvivere.. Giusto?

“S..sì.”

Joseph riuscì a malapena a sentirla, ma era certo di aver capito. Riportò la faccia davanti a quella di Cara, prendendole il viso nella mano, stringendo quel poco che bastava per catturare la sua completa attenzione.

“Dillo come si deve.”

Scandì. Ed eccola di nuovo, la sua espressione seria, quasi sadica. Questa volta Cara si sentì come una scolaretta che ha sbagliato il compito di grammatica, pronta ad essere bacchettata dal maestro cattivo.

“To..Toccami.”

Disse, incapace di guardarlo negli occhi mentre glielo chiedeva. Le sue guance erano in fiamme.

“Ah. Ah. Ah…”

Obiettò lui, accompagnando le parole con la testa.

“…Hai dimenticato qualcosa.”

Quella era l’ultima, l’ultima goccia del suo autocontrollo. Il gioco era divertente, ma Joseph non sarebbe riuscito ad aspettare un secondo di più.

Cara inspirò a fatica. Era troppo, davvero troppo. Si ritrovò, quasi quanto l’assassino, a desiderare che quella tortura finisse e che lui prendesse finalmente ciò che tanto voleva.   

“…Ti prego.”

Sussurrò guardando a terra, immaginando sul suo viso un grosso sorriso soddisfatto. Joseph la strinse, poggiando la testa nell’incavo del suo collo, lì dove riusciva a sentire il battito accelerato del suo cuore, lì dove nessun sospiro o gemito sarebbe potuto sfuggire alle sue orecchie. Poggiando un ginocchio sul letto lo spinse con decisione tra le gambe della ragazza per obbligarla ad aprirle, la sua mano immediatamente pronta a farsi strada verso la meta.

Cara chiuse gli occhi aspettando il contatto, ormai totalmente spogliata del suo falso coraggio e della sua morale. Lui però non la toccò, bensì la spinse giù con forza, lasciandola cadere di schiena sulle lenzuola sgualcite. Scomposta, agitata e tremante, era l’immagine più invitante su cui mai avesse poggiato gli occhi. Ogni donna della sua vita era stata una conquista facile, senza sforzi o attese, ogni amante pronta e disponibile, ognuna di loro disposta a soddisfare le richieste più scellerate per poi sparire, senza rimorsi o sprazzi di dignità.

Ed eccola lì invece, la ragazzina dell’aereo, incerta, spaventata, accaldata, in attesa come una vergine la sua prima notte di nozze. Joseph rimase immobile in piedi davanti a lei, gli occhi incollati nei suoi, la voglia di esplodere sotto i vestiti. Non riusciva a muoversi, totalmente perso in quel momento di perfezione, l’attimo in cui sai di aver vinto e puoi già pregustare il sapore della vittoria. Il premio gli stava di fronte e lui avrebbe assaporato ogni secondo prima di stringerlo tra le mani.

Cara sentì i suoi muscoli perdere forza, come se gli occhi dell’assassino la stessero lentamente consumando. Nessun uomo l’aveva mai guardata in quel modo.. Dio mio.. Sembrava davvero volesse mangiarla. Ed una parte di lei, una minuscola parte di lei, sorrise in un angolo buio della sua mente.

Joseph sospirò un’ultima volta prima di avvicinarsi, poggiando le mani sulle ginocchia della ragazza, sollevando il tessuto mentre le accarezzava la pelle. Prese a sbottonarsi i pantaloni, deciso ad interrompere il più presto possibile quella specie di incantesimo, sicuro che una volta svuotato, ogni sorta d’emozione che quella ragazzina suscitava in lui sarebbe sparita.

Si spinse tra le sue gambe, pronto a liberarsi dell’asciugamano, pronto a scaricare su di lei tutta la tensione degli ultimi giorni, in qualche modo determinato a punire anche la ragazza per il suo arresto, per l’aereo, per quella stupida scelta, per la sua vita. Per tutta la sua vita.

Al suono improvviso di passi sul ponte Joseph si bloccò immantinente. Premendo una mano sulla bocca di Cara, affinché non avesse la brillante idea di urlare, tese le orecchie verso il rumore e nel giro di pochi secondi riconobbe il peso ed il ritmo di quei piedi. Cara lo sentì imprecare il suo disappunto tra i denti e tirarsi su

“Non provare ad urlare. Nessuno è venuto a salvarti, è solo mio fratello.”

Lei si tirò su in un secondo, memore di ciò che lui le aveva detto in precedenza. I suoi fratelli non sarebbero stati contenti di trovarla lì anzi, si sarebbero subito liberati di lei. Prese a guardarsi attorno nervosamente, senza capire se fosse più delusa o sollevata per l’interruzione. Se avesse fatto l’amore con l’assassino, forse poi, lui si sarebbe sentito in colpa ad ucciderla. Ragionamento idiota. Gli assassini non hanno sensi di colpa.

Joseph sospirò ancora una volta, avvicinandosi ad un cassettone nell’angolo opposto. Ne tirò fuori un ammasso stropicciato di tessuti e colori.

“Tieni. Mettiti qualcosa. E resta qui.”

Ordinò senza darle troppa attenzione, come se avesse completamente dimenticato la sua presenza. Del resto altri pensieri occupavano ora la sua mente, primo fra tutti cosa fare del suo ostaggio. Conoscendo Nathaniel, non l’aspettava nulla di buono.

“Aspetta!”

Cara cercò di bloccarlo prima che sparisse, Joseph inchiodò e sbuffò rivolgendole un’occhiata impaziente. Lei sollevò le spalle per un istante, anche se lui sembrava aver rimosso tutto al volo, lei non riusciva ancora a togliersi dalla testa ciò che stava per fare, rendendosi conto, all’improvviso, di non sapere neppure con chi stesse per farlo.

“Non so nemmeno come ti chiami.”

Precisò a bassa voce, lasciando la domanda implicita. Joseph le rivolse finalmente attenzione, sentendo nel petto il peso del proprio nome, pieno d’orgoglio come ogni singola volta che gli veniva offerta l’opportunità di pronunciarlo. Non era per vanità, ma per rispetto, sempre e comunque fiero di portare  quel cognome. 

“Joseph. Il mio nome è Joseph Michaelson.”

Disse con un lampo negli occhi, sparendo subito dopo. Buona cosa, pensò Cara. Se fosse rimasto lì l’avrebbe vista tremare, se fosse rimasto lì avrebbe senz’altro colto l’ombra di una smorfia di disgusto sul suo viso, l’inevitabile contrazione al suono di quelle parole.

 

////////

 

Nathaniel. Saliti i pochi scalini lo vide di spalle, i capelli scuri mossi dal vento e le mani poggiate sui fianchi. Anche guardandolo da dietro riusciva a vedere il suo perenne sorriso compiaciuto. Lui si voltò quasi immediatamente, come previsto due lunghe file di denti bianchi riflettevano la luce della luna sul suo viso da bambino.

“Fratello!”

Esclamò con entusiasmo allargando le braccia, quasi si aspettasse un caldo abbraccio di benvenuto. La sua voce squillante, ancora forte di accento inglese, riecheggiò in mare aperto. Joseph digrignò i denti afferrandolo per il colletto della camicia e sbattendolo forte contro la cabina di pilotaggio.

“Stupido idiota! Ti avevo chiesto solo una cosa, una soltanto! Tutto quello che dovevi fare era essere puntuale!”

Nathaniel non smise di sorridere, sforzandosi di aggrottare le sopracciglia

“Sono stato puntuale! Voglio dire, lo sarei stato.. Ero già praticamente per strada quando..”

“Quando cosa Nate?”

“Pushkin.”

Fu come se un’incudine da mezza tonnellata fosse piombata tra loro.

“Vladimijr Pushkin?”

“Il solo ed unico! Me lo sono trovato di fronte mentre uscivo dal bar per venire a prenderti…”

Joseph mollò la presa sul fratello e Nathaniel si ricompose immediatamente

“…Inutile dirti che ho dovuto sprecare il mio prezioso tempo per ripetergli, ancora una volta, che non abbiamo idea di dove sia finita quella cagna di sua figlia.”

Quello era ovviamente un eufemismo. Erano stati necessari cinque uomini, due pistole, nonché una spranga di ferro affinché il russo ed il suo entourage mollassero la presa.

Joseph si passò una mano sulla faccia, senza alcun bisogno di pronunciare quel nome ad alta voce. Katrina. Katrina Pushkina. L’unico grande errore di Elia. Il peggiore. La donna in questione era effettivamente la moglie di suo fratello, se non altro legalmente. Il loro matrimonio era stato pianificato da suo padre e Pushkin come una qualsiasi altra transazione di lavoro, il modo perfetto per siglare un’alleanza tra famiglie in vecchio stile regency. Purtroppo però, Elia non era riuscito a trattenersi, si era innamorato della ragazza, sia stato per i suoi grandi occhi scuri o per la crudeltà pura celata dietro il viso d’angelo. Ad ogni modo la stronza aveva deciso di sparire due anni prima, fuggendo nel cuore della notte, senza lasciarsi tracce dietro. Joseph era convinto che suo fratello sapesse più di quanto non volesse ammettere riguardo le ragioni di Katrina, tuttavia lei non sembrava voler essere trovata e alla fine tutti loro avevano smesso di cercare. Tutti eccetto Vladimijr. Quell’uomo era davvero una spina nel fianco.

“Come faceva a sapere che eravamo a Johannesburg?”

Nathaniel sollevò le spalle

“Non ne ho idea. Suppongo che ci spii ancora.”

Joseph afferrò il suo stesso mento come se avesse bisogno di riflettere

“Ed io suppongo che ci sia lui dietro il repentino arrivo degli sbirri.”

Sentì le mani stringersi in due pugni chiusi. Maledetto il giorno in cui quell’arpia sovietica aveva varcato la soglia della loro casa.

Nathaniel sospirò rumorosamente passando le dita tra i capelli

“Beh…Visto che siamo in tema, Elia ci aspetta!”

Esclamò trillando come un ragazzino, entusiasta al pensiero di passare finalmente un po’ di tempo con i suoi fratelli maggiori. Pur sembrando strafottente e vanesio la maggior parte del tempo, aveva davvero un gran senso della famiglia, esattamente come ogni altro Michaelson.

“Lui dov’è?”

“Comodamente seduto in elicottero, sulla spiaggia di una deliziosa isoletta deserta qui vicino.”

Joseph sospirò, sentendo lo stomaco smettere di contorcersi per un po’. Aveva bisogno di rivedere Elia, una grossa dose della sua imperturbabilità gli avrebbe davvero fatto comodo.

 

///////

 

Cara frugò tra gli stracci che aveva in mano, individuando una specie di prendisole bordeaux ed un bikini nero. Non esattamente i suoi colori, ma in mancanza di una boutique e di biancheria intima pulita, sarebbero andati più che bene.  Portò i vestiti al naso e riconobbe profumo di crema solare e cocco. Odoravano di vacanze, pensò, come se fossero stati indossati durante un romantico viaggio alle Hawaii. Iniziò a pensare alla donna cui potessero appartenere e lentamente unì i pezzi del puzzle, sommando quell’odore e quei vestiti ai cosmetici che aveva intravisto nel bagno. La barca doveva appartenere a qualcuno, qualcuno che senza dubbio non era Joseph Michaelson. Lentamente, ma chiaramente, iniziò a tracciare le possibili conclusioni, trovando risposta ai suoi precedenti interrogativi. L’assassino aveva rubato la barca, togliendo di mezzo i legittimi proprietari. Dopodiché aveva navigato il più lontano possibile dal punto d’impatto dell’aereo. O forse i suoi fratelli l’avevano presa per lui, lasciandola a portata di mano dopo il volo in paracadute. Senza dubbio qualcuno ci aveva rimesso la vita.

Il suono distante di una risata mascolina la riportò alla realtà. Cara sospirò ficcandosi velocemente costume ed abitino, poi tese le orecchie al piano di sopra. Non riusciva a cogliere le parole precise, ma si trattava senza dubbio di una chiacchierata amichevole. Quello sarebbe stato il momento migliore per tentare una nuova fuga. Peccato che tutt’intorno ci fosse solo acqua e lei non avesse la minima possibilità di riuscire a nuotare per miglia fino alla terra ferma. Ascoltò ancora una risata e si decise a muoversi, cercando di spiare il nuovo venuto. Suonava contento dopotutto, forse non l’avrebbe uccisa seduta stante.

Presa dall’urgenza di capire almeno che faccia avesse, Cara cercò di sbirciare senza far rumore, sollevando la testa al di sopra della scaletta. Sembrava solo un ragazzo, notò, più giovane del “suo assassino” e dai tratti diametralmente opposti. Capelli scuri e lisci, occhi castani dal taglio vagamente orientale, pelle rasata, tratti delicati, non fosse stato per le folte sopracciglia ed il sorriso beffardo.

Il ragazzo colse la sua presenza quasi immediatamente, interrompendo l’ultima frase a metà e piantandole gli occhi addosso come macigni. Quello non era certo lo sguardo di un ragazzino innocente. 

Nathaniel sollevò le ciglia senza distogliere l’attenzione da Cara

“Oh Oh Oh!”

Esclamò, come una specie di raccapricciante Santa Klaus. I suoi piedi si mossero verso la scala, i passi intervallati da sguardi divertiti ed ammiccanti verso il fratello.

“Cosa abbiamo qui?”

Afferrò la ragazza per il vestito e la costrinse e venir su per gli scalini. Esaminò Cara dalla testa ai piedi per poi rivolgersi a Joseph con un gran sorriso

“Hai preso un souvenir?”

Lui restò serio, cercando di ignorare l’estremamente fastidiosa consapevolezza che la ragazzina aveva ignorato i suoi ordini, ancora una volta. Doveva restarsene sotto fino al suo ritorno. E lui avrebbe fatto meglio a legarla. 

Nathaniel sollevò le mani incapace di togliersi l’espressione compiaciuta dalla faccia

“Tranquillo fratello, non sto giudicando! Lo so che un uomo ha bisogno di tenere le mani occupate in certe situazioni.”

Il suo tono si era fatto allusivo, tornando a guardare la ragazza. Cara trattenne il respiro sentendosi scrutata come sotto ai raggi x. Quella era di certo un’abilità che i Michaelson avevano in comune, ciononostante lo sguardo del più giovane era forse ancor più inquietante. E perverso.

Lui si avvicinò, passandole due dita tra i capelli, portandosi una ciocca al naso. Inspirò profondamente.

“Ha un buon odore.”

Commentò, rivolto al fratello come se lei non ci fosse nemmeno. Cara strinse le labbra e cercò di divincolarsi dalla sua presa.

“E non l’hai ancora domata a quanto vedo.”

Nate ridacchiò al suo tentativo, afferrandola con forza all’altezza del braccio. Serrò la presa e la strattonò verso di sé

“Sta’ buona dolcezza.”

Ordinò, serio di colpo.

Cara sgranò gli occhi avvertendo la sua mano addosso e le dita che giocherellavano col laccetto del suo bikini.

“Ora basta.”

Joseph si decise finalmente a parlare. La vista di suo fratello minore spalmato addosso alla sua ragazza dell’aereo iniziava a dargli la nausea. Nathaniel mollò la presa su Cara pur restandole accanto    

“Oh Joseph…”

Sospirò

“…Sempre così restio a condividere! Toglie punti al tuo fascino, sai?”

“Ho detto basta Nate.”

Il tono ancora fermo, gli occhi puntati sul fratello come un’aquila. L’altro sollevò le mani allontanandosi finalmente dalla ragazza

“Come vuoi…”

Sospirò, passando i palmi sul colletto della camicia per accertarsi che il suo aspetto fosse ancora una volta impeccabile

“…Ad ogni modo, cosa vuoi farne di lei? Come stavo dicendo pocanzi Elia attende.”

Cara divenne di pietra. Il momento era arrivato ed un sospiro le sfuggì dalle labbra. Un assassino appassionato di coltelli ed il suo terrificante fratellino stavano decidendo della sua vita, le sue chance di sopravvivere erano praticamente inesistenti.

Joseph però non lasciò cadere quel suono ed il suo sguardo incontrò subito quello di lei. Era stranamente difficoltoso, per una volta, riuscire a capire cosa stesse pensando. Aveva paura, era evidente, ma una paura diversa…  Come se l’dea di morire per mano di Nathaniel fosse più spaventosa di qualsiasi morte lui potesse offrirle. Tutta la sua attenzione era per lui, come se suo fratello fosse divenuto trasparente, i suoi grandi occhi blu gli brillavano addosso e Joseph sentì finalmente il peso della vita tra le mani. Cara stava aspettando, in religioso silenzio aspettava qualcosa. L’assassino sbatté le palpebre più volte sperando che quell’immagine in qualche modo sparisse.

“Se preferisci me ne occupo io.”

Si offrì “gentilmente” Nathaniel, pronto a tornare sui suoi passi con espressione del tutto ordinaria.

Joseph chiuse i pugni

“No.”

“Ok, pensaci tu allora.”

Mandò giù. Il sapore dolce salmastro delle sue labbra ancora in bocca.

“Non la uccideremo.”

Sentenziò. Sia Nathaniel che Cara gli puntarono gli occhi addosso come se avesse appena detto qualcosa di assurdo.

“Non ancora almeno.”

Si sentì di precisare, rivolgendosi esclusivamente a suo fratello

“Era sull’aereo. Sapeva chi ero e perché mi trovavo lì.”

L’altro arricciò il naso

“Credi sia una spia? La spia di Pushkin magari?”

Cara si morse il labbro per non parlare. Non aveva idea del perché l’assassino stesse mentendo, o se davvero fosse convinto di quello che stava dicendo, ma se ciò voleva dire restare in vita ancora un giorno, certo non avrebbe commesso di nuovo l’errore di proclamarsi del tutto innocente.

Joseph sollevò le spalle, serio ed impassibile

“Non lo so ancora. La ragazzina non è stata molto disponibile al dialogo, ma sono convinto che presto canterà.”

Nathaniel non trattenne il sorriso

“Conoscendo i tuoi modi fratello, non ho dubbi!”

Digrignando i denti, prese a sfregarsi le mani

“Bene…In tal caso prendi pure il tuo nuovo cucciolo e andiamocene. Tutta questa umidità mi rovina i capelli.”

Il più giovane saltò giù dalla barca con agilità, senza nemmeno barcollare, mentre tornava alle redini del motoscafo che l’aveva portato fin lì.

Cara e Joseph si guardarono di nuovo senza dir nulla. Davvero credeva che fosse una spia? O aveva qualche altra incomprensibile ragione per portarla con sé? Lui abbassò gli occhi per primo, si stava chiedendo se non fosse meglio prendere le chiavi della barca e mollarla lì. Non avrebbe avuto nulla da bere, e non mangiava già da due giorni, forse sarebbe morta prima che quelli della guardia costiera si decidessero a controllare come mai la barca degli Schultz non fosse rientrata in porto.

E se invece l’avessero trovata prima? Per il resto del mondo Il Lupo era morto in quell’incidente aereo ed è così che le cose dovevano restare, almeno per un po’. Si leccò le labbra. Se l’avesse lasciata lì si sarebbe per sempre ricordata di lui come del bastardo che l’aveva rapita, quasi violentata, e poi condannata ad una morte di stenti. Sarebbe stato solo quel brutto ricordo per lei e, sicuramente, la ragazzina avrebbe mosso mari e monti purché lo trovassero e ficcassero a vita in una cella senza uscita.

Ma perché se ne stava preoccupando? Poteva spararle, strangolarla, annegarla o tagliarle la gola in qualsiasi momento. Tutto quello che doveva fare era scegliere un’opzione.

“Muoviti Joseph! Non abbiamo tutta la notte!”

No. Non l’avevano. Dopo le prime 24 ore dallo schianto probabilmente stavano allargando la zona di ricerca e ben presto avrebbero notato la loro barca nella stessa medesima posizione. Anche se i coniugi Schultz avevano lasciato il porto con le dovute autorizzazioni ed il permesso di attraversare le acqua internazionali, ormai sarebbero dovuti arrivare a Capo Verde già da un po’.  Senza contare che Elia li avrebbe certamente abbandonati tutti e due al loro triste destino se non fossero tornati nel tempo stabilito.

Indicò al di là del parapetto con un rapido cenno della mano.

“Avanti.”

Cara schiuse le labbra senza emettere suoni. Avrebbe potuto chiedergli di lasciarla lì, ma a che scopo?

Guardò avanti a sé e strinse il metallo tra le dita mentre scivolava sull’altra imbarcazione. Così vicina all’acqua, completamente avvolta dall’oscurità e dai suoi rumori, strinse le braccia al petto. Joseph le fu subito dietro, mollando poi la cima che teneva lo scafo legato alla barca.  Le si sedette accanto, ma non la guardò più, per tutto il tempo di quel viaggio.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


cap5

A/N Chiedo scusa per il ritardo! Giornate impegnate ahimé! Rubo questo spazio per ringraziare chiunque mi stia leggendo e per lasciarvi due parole. Se avete letto il resto ed ora leggete questo capitolo, forse qualcosa potrebbe non quadrarvi.. Ecco, prometto che tutto avrà senso alla fine!

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“Eccoci qui fratello! Come vedi, contrariamente alle tue supposizioni, sono perfettamente capace di portare a termine un compito.”

Elia non mosse gli occhi dal bersaglio mentre il più giovane dei suoi fratelli prendeva posto sull’elicottero. Le sue labbra pronunciarono una risposta, ma il resto del suo viso non si mosse nemmeno.

“Trovi sempre il modo di stupirmi Nathaniel.”

Rimase immobile con le braccia incrociate sul petto, seguendo i movimenti degli altri due passeggeri. Joseph stava strascinando la ragazza, una completa sconosciuta. Per quanto fosse sollevato alla vista del fratello, la presenza del quarto incomodo rischiava di scalfire la sua perenne aplomb.

Joseph stava ricambiando i suoi occhi, anche lui serio, ma coscienti entrambi che dietro quelle maschere stavano sorridendo. Avrebbe volentieri abbracciato Elia, se non avesse avuto la precedente urgenza di trovare una scusa per il suo “bagaglio a mano”.

“Devo essermi perso qualcosa Joseph.”

Esordì il maggiore, lasciando le braccia distese lungo i fianchi, lo sguardo rivolto alla ragazza. Cara sollevò la vista da terra solo per qualche istante, giusto il tempo di capire che aspetto avesse il terzo fratello, l’ennesimo membro della famiglia che avrebbe votato per la sua esecuzione immediata.

Aveva chiaramente qualche anno in più, o almeno così suggeriva il suo viso, la pelle chiara ed i capelli scuri, esattamente come il minore. Era però più alto, composto, totalmente a suo agio nell’elegante completo blu che indossava. Non sembrava affatto un criminale, pensò Cara, aveva più l’aspetto di uno scaltro uomo d’affari, di quelli che incontreresti solamente a Wall Street.

Joseph sollevò gli angoli della bocca

“Grazie per il trucco dell’aereo fratello.”

Elia rimase impassibile

“Hai detto Volo con l’Aquila, il che indicava gli Stati Uniti. E non è stato difficile cogliere il tuo sottile riferimento alla libertà, vedi statua della libertà, vedi New York. Da lì in poi non ho dovuto fare altro che un paio di telefonate…”

Prese fiato

“… E adesso…”

Inclinò lentamente la testa a sinistra

“…Potresti gentilmente spiegarmi l’inaspettata presenza di quest’esausta, senza dubbio incantevole, ma sconosciuta giovane donna?”  

Cara lo guardò di nuovo, momentaneamente distratta dall’utilizzo di tante parole per chiedere semplicemente chi lei fosse. Il suo tono suonava così diverso da quello di Joseph e di suo fratello, riusciva quasi a farle credere che non ci fosse nulla da temere.

Joseph le lanciò un’occhiata veloce

“Era sull’aereo.”

Esordì. Elia sollevò un sopracciglio

“E tu l’hai presa?”

“Io non l’avevo mai vista prima, ma lei sapeva chi sono. Sospetto sia una spia.”

L’altro tornò a guardare la ragazza

“Spia?”

Joseph sospirò

“Esatto. Ho sentito che il tuo amato suocero era a Johannesburg e quindi ho fatto due più due.”

Elia inspirò profondamente, non lasciando trasparire alcuno dei suoi pensieri

“Una spia di Vladimijr quindi.”

Stavolta si mise ad osservare la sconosciuta con più attenzione, tracciando due lenti passi verso di lei. Cara cercò di guardare altrove, ormai stanca di essere il continuo centro dell’attenzione, troppo stanca perfino per preoccuparsi ancora della sua stessa vita. Elia curvò la schiena verso di lei, avvicinando il viso alla sua persona, quasi volesse sentirne l’odore, quasi potesse riconoscere la Russia dal suo profumo. Alzò la mano destra, afferrando delicatamente il mento di Cara tra pollice ed indice, sollevando il suo sguardo senza alcuna fretta

“E dimmi…”

Iniziò, gettando i suoi occhi scuri in quelli di Cara

“…Questa dolce creatura ha anche una voce?”

In quel momento lei capì, nell’istante in cui scoprì, pur volendo con tutte le sue forze, di non poter distogliere la vista dal suo interlocutore. Poteva facilmente sembrare il più gentile ed educato, ma era di gran lunga il più crudele di tutti.

“Come ti chiami?”

Cara annaspò nell’aria per qualche secondo

“Cara.”

Elia mosse piano le dita dal suo mento alla sua gola, sfiorando dolcemente il punto preciso in cui il sangue pulsava freneticamente sotto la pelle. La ragazza aveva paura.

“Non credo che sia una spia.”

Si rivolse a Joseph interrompendo ogni contatto, fisico o visivo, con Cara.

“Sei sicuro? Come faceva a sapere allora?”

Elia si mosse verso l’elicottero

“Non lo so. Chiedilo a lei, dopodiché sbarazzatene.”

Cara chiuse gli occhi, cercando di restare in piedi per la milionesima volta negli ultimi tre giorni. Perché continuava a sperare? Perché? Ormai era ovvio che non ne sarebbe uscita viva, quindi per quale strano motivo nessuno dei tre le aveva ancora sparato un colpo in fronte? Perché nessuno voleva mettere fine alle sue sofferenze?

“Mi ci vorranno tempo e mezzi fratello.”

Elia si bloccò sui suoi passi, voltandosi in un unico, fluido movimento

“Questo implica forse il fatto che vorresti portarla con noi?”

“Voglio solo arrivare in fondo alla questione.”

Il maggiore si avvicinò a Joseph, stavolta rigido e serio

“Stai quindi sottintendendo che vorresti portare una completa insignificante sconosciuta a casa nostra?”

La sua voce sottolineò le ultime parole, implicando l’assurdità del solo pensiero. Cara non riuscì a trattenersi dal lanciargli un’occhiataccia, poteva anche tenere in mano i fili della sua vita, ma nessuno, nessuno al mondo, doveva prendersi il diritto di definirla “insignificante”. Non sapevano nulla di lei. Non ancora almeno.

Joseph strinse i pugni

“Me ne occuperò io.”

Elia sollevò le spalle tornando a voltarsi

“Occupatene ora.”

L’altro gonfiò il petto e sollevò il viso

“E da quando sei tu che dai gli ordini fratello?”

Cara si allontanò impercettibilmente di un passo. Non poteva fuggire, ma senza dubbio non aveva intenzione di trovarsi nel bel mezzo di quel fuoco incrociato. Gli occhi dell’assassino si erano tinti di scuro, i suoi muscoli stavano tremando e dopo la loro piccola discussione sulla barca, sapeva cosa ciò volesse dire.

Elia emise una specie di sospiro, il suono della sua esasperazione

“Non lo so fratello. Forse da quando ho dovuto tirarti fuori dai guai per l’ennesima volta? Sono stanco di ripulire i tuoi casini.”

“I tuoi casini vorrai dire. Se fossi stato in grado di tenerti tua moglie tutto questo non sarebbe successo.”

Elia piombò sul fratello, rapido ed incombente, come se volesse sfondargli la faccia a suon di pugni. Non si mosse più una volta davanti al suo viso, gli occhi stretti in due fessure come se potesse cavargli l’anima dalle orbite.

Joseph rimase immoto, improvvisamente stava davvero desiderando di picchiare suo fratello, non sapeva nemmeno bene perché.

Nathaniel saltò giù dall’elicottero con agilità e raggiunse gli altri due

“Dateci un taglio…”

Ordinò con nonchalance, richiamando l’attenzione di Elia

“La ragazza gli piace ok?” Sorrise divertito  “Lasciagliela portare, tanto sappiamo bene che se ne sarà già stancato tra un paio di giorni.”

Il maggiore guardò di nuovo Joseph, nessun segno di emozioni sul suo viso

“Molto bene…”

Esordì riprendendo la sua postura composta

“…Andiamo via da qui.”

Cara si mosse dietro di loro non appena avvertì la presenza di Joseph al suo fianco, senza bisogno che lui la spingesse o trascinasse. Non era nemmeno sicura di poter sopportare che lui la toccasse di nuovo. Le parole degli altri Michaelson avevano cambiato le corde del suo umore, gran parte della sua angoscia tramutata in fastidio, se non in pura avversione. Per loro era insignificante, inutile, inesistente, come se fosse un cucciolo di una qualche specie tropicale, divertente da osservare per qualche giorno, e poi da buttar via.

Se ne stette stretta in un angolo per tutto il viaggio, cercando di ignorare il rumore assordante dell’elica che non le permetteva nemmeno di pensare. Era stanca. Davvero stanca. Si lasciò trascinare per tutto il tragitto come fosse uno zombie, senza prestare alcuna attenzione a quello che i tre uomini stavano dicendo. Tra loro sembrava essere tornata la pace.

Un paio di volte sentì gli occhi di Joseph su di lei e riuscì ad incrociarne lo sguardo. La sua espressione non diceva nulla, era come guardare una pagina bianca. Cara cercò di immaginare cosa mai potesse star pensando e le sue guance si fecero calde al ricordo delle sue mani addosso e del suo modo così rude di baciare, il primo pensiero che le era tornato alla mente. Avrebbe potuto liberarsi di lei in un istante e invece era ancora lì, viva e vegeta. Ripensò allo scontro tra Joseph e suo fratello, lasciando che l’idea più ingenua e vagamente presuntuosa trovasse spazio nella mente. Possibile che lei gli piacesse davvero?

Joseph stava sorridendo per la prima volta dopo giorni interi. Amava i suoi fratelli, il solo tipo di amore che conosceva e che gli era permesso. La famiglia prima di tutto, la loro unica grande regola, le parole che in ogni momento riecheggiavano nella sua testa. Il grande orgoglio e peso dell’essere un Michaelson. Mentre Nathaniel raccontava della spogliarellista olandese che aveva legato al suo letto qualche sera prima, Joseph guardò Cara con la coda dell’occhio. Se ne stava rannicchiata con le braccia strette al petto, gli occhi fissi al suolo. Forse l’elicottero le dava la nausea. Forse era stremata. Forse si era semplicemente arresa. Voltò la testa per osservarla meglio, cercando di mandar giù. Sperò che non fosse questo, che la ragazzina dell’aereo non avesse già ceduto. Gli piaceva la sua grinta, il modo in cui lo combatteva, cercando di respingerlo e tenerlo lontano. Voleva che lei lo combattesse. Voleva che lei lo respingesse.

Atterrarono su quello che doveva essere il tetto di un edificio, il ronzio dell’elicottero rimbombava ancora nelle orecchie di Cara, incapace di riconoscere dove si trovassero. Il grigio paesaggio intorno a lei, fatto di ombre e grattacieli, non diceva nulla di sé. Avrebbe voluto sporgersi e cercare qualche indizio, ma dovette muoversi non appena sentì la mano di Joseph spingere sulla sua schiena.

Elia consegnò le chiavi dell’apparecchio ad uno sconosciuto, quest’ultimo, occhiali da sole e giacca nera, pronto a sparire nello stesso cielo da cui loro erano arrivati. Nathaniel stirò le braccia con una specie di sbadiglio

“Avrei di gran lunga preferito andare subito a casa. Sai com’è.. Jacuzzi, Champagne, massaggiatrici cinesi.”

Il maggiore passò le mani sulla giacca del suo completo blu, incredibilmente perfetta anche dopo il volo.

“A tempo debito Nate.”

Rispose, i suoi occhi chiaramente diretti verso la ragazza. Joseph la spinse più forte verso la scala di servizio, sempre mantenendo il silenzio. Doveva essere un palazzo abbandonato, forse una specie di hotel in disuso, almeno a giudicare dal gran numero di porte e dai cartelli verdi che segnavano ogni piano con una grande cifra bianca e le indicazioni per l’uscita di sicurezza. Arrivati al numero 3 lui la trascinò attraverso la porta, lungo un corridoio con la moquette blu. Cara respirò il forte odore di polvere, mischiato al rimasuglio di profumo di fiori e detergente. Forse qualcuno aveva cercato di dare una pulita in tempi non troppo remoti.

Joseph aprì per lei una delle tante stanze anonime e la guidò dentro, sempre senza dire una parola. La camera era piuttosto piccola, con la stessa moquette blu e la tappezzeria beige alle pareti. Il poco mobilio sembrava essere lì dagli anni settanta, anche se le lenzuola bianche sul letto erano brillanti e pulite.

Cara inspirò, pronta a parlare per domandargli se l’avrebbe semplicemente chiusa lì dentro o se preferiva legarle i polsi un’altra volta. Aveva ancora qualcosa da perdere dopo tutto? La porta si aprì di nuovo e gli altri due Michaelson vennero dentro, interrompendo sul nascere le parole di Cara.

Nathaniel si piazzò in faccia il solito sorrisetto, indicando il letto con un cenno della mano

“Direi che qui hai tutto quello che ti serve Jo.”

Joseph sospirò scuotendo appena la testa, Elia si avvicinò di nuovo alla ragazza, porgendole una bottiglietta d’acqua comparsa dal nulla.

“Ho immaginato che potessi essere assetata.”

Cara guardò tra le sue mani e poi nei suoi occhi, indecisa su come muoversi. Avrebbe potuto giurare che Elia stesse tentando di sorridere, solo che quel semplice gesto sembrava essergli terribilmente difficile. Stava morendo di sete. Allungò la mano per accettare l’offerta, ma Joseph le tolse la bibita dalle dita prima ancora che potesse afferrarla davvero.

Inclinò la testa verso il fratello maggiore

“Bel tentativo Elia.”

Gli ci era voluto un secondo di troppo per capire, anche se la natura di quell’offerta era più che ovvia. Elia aveva avvelenato l’acqua, impaziente all’idea di liberarsi della sua ragazza dell’aereo. Sua. Ma perché continuava a pensarla sua? Sollevò un sopracciglio rivolto al fratello, il suo sguardo diceva chiaramente che avrebbe deciso lui come e quando liberarsi dell’ostaggio. Elia non mosse un solo muscolo del viso, gli diede le spalle e prese la porta. Dietro di lui Nathaniel ridacchiava ancora tra sé e sé

“Buon divertimento!”

Qualche secondo perché il rumore dei loro passi nel corridoio svanisse e poi il silenzio piombò nuovamente sovrano nella stanza.

Cara cercò di mandar giù. Aveva la gola secca come il Sahara.

“Quindi è questo che vuoi? Lasciarmi morire di fame e di sete?”

Joseph la guardò immediatamente, come se solo in quel momento prendesse piena coscienza della sua presenza. Svuotò la bottiglietta nel lavandino del minuscolo bagno annesso e tornò da lei

“Mai. Non bere o mangiare mai qualcosa che provenga dalle mani di Elia.”

Lei lo guardò per un secondo cercando di dar senso a quel comando. Joseph si mosse verso la porta

“Ha la tendenza ad avvelenare le persone.”

Cara abbassò gli occhi senza rispondere nulla, senza il coraggio di confessare che era comunque terribilmente assetata.

“Ti porterò io qualcosa da bere e da mangiare.”

Aggiunse lui, come se le avesse letto nel pensiero. Uscì dalla stanza chiudendosi la porta dietro le spalle. Lo scatto della chiave nella serratura secco e netto.

Cara si lasciò sfuggire un lungo sospiro. Era finalmente sola, finalmente libera di muoversi, di urlare, piangere o spaccare qualcosa. Non ne avrebbe avuto la forza. Raggiunse piano il letto e si poggiò contro il materasso, troppo duro per i suoi gusti. Una debole luce filtrava dalle finestre, tratteggiata dalle inferriate che ovviamente impedivano ogni tentativo di fuga. Sospirò ancora una volta, quasi uno sbuffo più che un sospiro, accarezzando con le mani le sue stesse ginocchia.

Senza la presenza di un orologio nella stanza non avrebbe potuto dire se erano passati cinque minuti o due ore. Quando Joseph riaprì la porta lei rimase immobile nella sua posizione, voltando solo la testa per avere la non necessaria conferma che fosse lui. L’assassino le porse una bottiglia e Cara l’afferrò senza bisogno di inviti, portandosela immediatamente alle labbra e lasciando che il fresco liquido trasparente le riempisse la bocca. Era dolce, dolciastra come è sempre l’acqua quando ne hai bisogno, come quando ti svegli nel cuore delle notti d’agosto e non desideri altro che un po’ di sollievo.

Joseph rimase lì a guardarla, totalmente assorta in quel gesto naturale, ignorando le gocce che sfuggivano alle sue labbra colando giù lungo il collo, bagnando il vestito troppo grande che aveva addosso. Beveva come se quella fosse la sua ultima possibilità, come se non avesse mai assaggiato nulla di più buono. E lui se ne stava lì, incapace di distogliere lo sguardo, assorbito dalla sua aura. La ragazza aveva qualcosa, una sorta di strano potere, l’abilità di mutare davanti ai suoi occhi, un attimo terrorizzata e l’attimo dopo splendente, forte, come se nulla potesse toccarla.

Cara si fermò per respirare, chiudendo gli occhi per un attimo. Sentì addosso l’ombra di Joseph.

“Sai che non sono una spia…”

Esordì, la voce più nitida dopo aver saziato la sua sete

“…Perché mi hai portata qui?”

Lui si leccò le labbra fissando la parete

“Perché mi hai salvata dall’aereo?”

La seconda domanda pronunciata con meno decisione. Joseph tese la mandibola.

“Non lo so.”

Rispose, sorpreso dalla sua stessa onestà. Ovviamente non poteva dirle che lei gli piaceva, tanto meno che, in qualche incomprensibile modo contorto, sentiva di averne bisogno. La ragazza dell’aereo era bella, coraggiosa… Normale. Joseph inspirò dandole le spalle dopo aver poggiato un sacchetto del take-away sul comodino. Naturalmente, dopo aver saputo il suo nome, aveva scovato ogni possibile fonte alla ricerca di informazioni sulla ragazza. Ventiquattro anni, nata nei sobborghi di New York, una vita del tutto ordinaria fino a nove anni prima. Entrambi i genitori morti in un incidente d’auto, era andata a vivere in Alaska con sua zia. Ora viveva di nuovo a NY da quattro anni, pagando l’affitto di un bilocale a China Town con un lavoro da cameriera di caffetteria. Una donna comune, una boccata d’aria fresca nella sua vita disordinata e solitaria. Tutto quello che lui non aveva e non avrebbe mai potuto avere.

Non poteva dirle che le piaceva guardarla, immaginandola dietro un bancone a servire caffè o sdraiata sul divano davanti alla tv. O nuda sotto la doccia. O stesa su un tavolo da biliardo con lui sopra. No, non poteva.

Cara si prese il tempo di contemplare la sua figura, scorrendo con gli occhi la sua schiena, le spalle larghe e le gambe avvolte nei jeans. Per la prima volta in sua compagnia, sentiva di non essere in pericolo.

“Cosa siete quindi… Mafiosi? Killer su commissione? Stupratori?”

Joseph tornò a guardarla, sul suo viso un accenno di sorriso

“Due su tre, tesoro.”

Cara aggrottò le sopracciglia, non più completamente a suo agio. L’assassino si muoveva lento verso di lei, coprendola a poco a poco con la sua ombra. Dalla sua pelle le saliva alle narici un profumo muschiato e virile, un odore che avrebbe dovuto odiare, ma che non riusciva a non portarsi dentro con piacere ad ogni respiro.

“Quali?”

Chiese, cercando di vincere la lotta per la dominanza di sguardi. Lui sorrise beffardo, di nuovo calato nella sua veste.

“Uccido le persone. E mi piace anche…”

Cara trasalì sentendolo incombere su di sé

“Ma quando si tratta di donne…”

Joseph prese a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli biondi

“…Di certo le preferisco consenzienti. E vive.”

Lei si sforzò di prendere un respiro profondo, cercando di indietreggiare il più possibile senza arrivare a sdraiarsi sul letto.

“Io posso anche essere viva, ma non sarò consenziente.”

 Il ghigno sul viso di Joseph si aprì completamente

“Confesso che avevo avuto tutt’altra impressione.”

Sussurrò. Davanti ai suoi occhi ancora chiara l’immagine di lei, calda e tremolante, pronta ad essere presa e cavalcata.

Cara sollevò il mento

“Stavo solo cercando di salvarmi la vita.”

Lui inclinò la testa, indugiando un paio di secondi prima di poggiare un ginocchio sul letto e prendere posto accanto a lei.  

“Stai mentendo.”

La sicurezza stampata sul suo viso costrinse Cara a guardare il soffitto. Non sarebbe stato saggio farsi saltare i nervi in quella situazione. Joseph si fece più vicino, assorbendo ogni minimo dettaglio del suo viso, cercando conferma ai propri pensieri in ogni più piccolo movimento dei suoi tratti

“Tu mi vuoi.”

Cara riprese immediatamente contatto con le sue iridi azzurre, sconcertata ed intimamente imbarazzata da quell’affermazione.

“Dal primo momento in cui ci siamo incrociati sull’aereo.”

Aggiunse, senza mai interrompere il loro contatto di sguardi. Le pupille della ragazza si dilatarono di colpo, divorando il blu dei suoi occhi, dimostrazione che aveva colto nel segno. Avrebbe voluto sorridere, battere il cinque al proprio ego, ma preferì continuare a fissarla, scavandole dentro, ormai troppo perso per risalire rapidamente a galla.

Lei si morse l’interno della guancia, cercando di non segnare il proprio destino con un risposta troppo istintiva e tagliente. Allungò le mani sul torace dell’assassino e lo spinse via

“Sta’ lontano da me.”

Lui si lasciò guidare, per nulla segnato dal suo rifiuto anzi, quella era probabilmente la parte che preferiva, il piacere agro-dolce del sentirsi negare ciò che desiderava. Il rigetto presupponeva, infatti, che avrebbe goduto il doppio nel prenderselo.

Joseph si alzò in piedi, avvicinandosi lento alla finestra, sbirciando il mondo tra le sbarre, tanto simili a quelle di una prigione.

“E’ piuttosto difficile capirti ragazzina.”

Cara rimase a guardarlo, aspettando che continuasse

“Un attimo sembra che tu non abbia ragioni per vivere, che la tua stessa esistenza non abbia per te alcuna importanza… E l’attimo dopo sei pronta a tirar fuori gli artigli e graffiare…”

Sorrise tra sé e sé

“…Non che non mi piacerebbe sentire le tue unghie conficcarsi nella mia schiena.”

Cara strinse le lenzuola nei pugni. L’ultima ennesima allusione pronunciata dall’assassino le riempì lo stomaco di rabbia e la bocca di bile. Era solo quello il punto? Quella l’unica ragione per cui stava ancora respirando? Contrasse la mandibola e balzò in piedi

“E’ solo questo che vuoi, giusto?”

Lui si voltò, genuinamente spiazzato

“Bene.”

Cara mosse due passi decisi verso di lui, afferrando stretto l’orlo del suo prendisole, pronta a sfilarselo senza troppa grazia.

“Avanti.”

Continuò, buttandolo a terra con forza.

“Fa’ ciò che vuoi…”

Riprese fiato a stento

“…Togliamoci il pensiero.”

Joseph avvertì ogni sfumatura di rabbia ed acidità nella sua voce, sentendosi colpito per la prima volta. Si prese il tempo di guardarla ancora una volta dalla testa ai piedi, apprezzando ogni centimetro scoperto della sua pelle candida. Stavano bruciando entrambi in quella piccola stanza, lei di collera e lui di… Desiderio? L’assassino inspirò profondamente, cercando di capire cosa lo bloccasse dal prenderla, sbatterla al muro e farle rimangiare quell’impeto di sfacciataggine, magari riempiendole la bocca in tutt’altro modo. Se ne stette lì, immobile, ad aspettare che Cara per prima divenisse cenere. Le sue mani ed i suoi piedi avrebbero voluto muoversi per conto loro, ma qualcosa dentro lo tenne inchiodato al pavimento, qualcosa che uno come lui, totalmente sconosciuto ai sentimenti e alle emozioni, non riusciva a decifrare.

“Lo stai facendo di nuovo.”

Riuscì infine a parlare, ricompattando a fatica il proprio controllo, completamente focalizzato sui soli occhi della ragazza.

“Come se nulla avesse importanza.”

In quel momento la ragazzina dell’aereo era come una moneta, un moneta che gira veloce su sé stessa, mostrando ininterrottamente le sue due facce e Joseph era quello che stava a guardare, cercando di resistere all’urgenza di bloccarla e scoprire quale fosse li suo vero volto. Qualcosa in quella donna lo stava incantando contro la sua volontà. Doveva fare in modo che smettesse.

Cara non disse nulla, ma fu la prima a mollare lo sguardo, cercando invano di sprofondare nel pavimento. L’assassino raccolse l’abito bordeaux e glielo porse.

“E’ ora che tu prenda una decisione…”

Lei afferrò piano il tessuto, sentendo la mano di lui sotto la propria per un istante.

“…Vuoi vivere o vuoi morire?”

Con un sospiro sarcastico si rivestì

“Come se fossi io a decidere.”

Lui la catturò con un’occhiata seria, bloccandola a metà del suo gesto

“Certamente sei tu a decidere. Siamo noi i soli artefici del nostro destino.”

Cara aggrottò le sopracciglia. Cosa stava cercando di dire? Stava forse prendendola in giro? Dal momento in cui era salita su quel maledetto volo da Johannesburg tutto della sua vita le era sfuggito dalle mani, tutto dipendeva esclusivamente da lui ora.

Joseph si avvicinò nuovamente alla finestra, svuotato dei pensieri lussuriosi di poco prima. Seguì il profilo delle nuvole sopra New Orleans.

“Cosa faresti se adesso aprissi quella porta e ti lasciassi andare?”

Cara trasalì sentendosi attraversare da un fulmine di nuova energia. Lui invece rimase perso nei propri pensieri, ignorando quel mezzo sospiro speranzoso.

“Dove andresti? Cosa cambieresti se riavessi la tua vita?”

Aggiunse a voce bassa, come se stesse parlando con un interlocutore immaginario piuttosto che con lei. Cara prese a fissare i suoi stessi piedi, scovando la sua mente alla ricerca di una risposta. Chiunque altro al suo posto non sarebbe riuscito a frenare la lingua, elencando decine di familiari ed amici da cui tornare, descrivendo case accoglienti con la staccionata bianca e natali passati tutti insieme davanti al camino. Ma lei? Lei non aveva più nessuno da cui correre.

“Londra.”

Rispose infine tornando a sedersi sul bordo del letto.

“Avrei sempre voluto andarci.”

L’assassino si girò a guardarla, un nuovo e diverso luccichio nei suoi occhi

“Gran bella città. Artistica. Eccentrica. Affascinante.”

“Ci sei stato?”

La domanda le sfuggì dalle labbra spontanea, come se la loro fosse diventata una semplice conversazione. Joseph sollevò un angolo della bocca in un mezzo sorriso

“Non credo ci sia a questo mondo un posto dove non sono ancora stato.”

Ed era vero. Dall’Europa all’Australia. Dai deserti del Nord Africa a quelli del Medio Oriente. Dalle stravaganze giapponesi agli intensi profumi di Cuba.

Cara sbatté gli occhi più di una volta, trattenendo l’istinto di chiedergli di più. Il modo in cui sembrava essersi immerso nei suoi personalissimi ricordi lo faceva sembrare diverso, portava alla luce un nuovo aspetto dell’assassino che la teneva in ostaggio. Era una persona, prima di tutto era anche lui una persona, con un passato, una storia, delle passioni e dei desideri. Forse perfino dei rimpianti.

Rimpianto. Il peso se lo sentì di colpo sulle spalle, il fardello della sua vita, tutta passata nello stesso posto, tutta spesa rincorrendo un solo ed unico scopo.

La suoneria trillante del telefono di Joseph interruppe quell’attimo di silenzio. Il suo viso tornò scuro in un istante. Le voltò le spalle e si portò il cellulare all’orecchio

“Padre.”

Rispose, quell’unica parola pronunciata tra le labbra quasi fosse tagliente. Il suo interlocutore parlò senza bisogno di risposte per una buona manciata di secondi.

“Bene.”

Fu l’unica altra cosa che Joseph disse prima di chiudere la comunicazione. Guardò di sfuggita Cara come se la sua presenza avesse perso improvvisamente d’interesse. Si avviò verso la porta in silenzio. Se ne stava andando senza dir nulla.

“Mi lasci qui?”

Una domanda retorica si potrebbe dire, pronunciata con un brivido d’agitazione. L’assassino le rivolse un ultimo sguardo, la sua mente era già ampiamente fuori da quella stanza e da quell’edificio.

“Ho delle cose da fare.”

Cara sospirò, iniziando inaspettatamente a tremare

“Non voglio stare qui… Chiusa in questo buco ad aspettare di morire.”

Lui sollevò un sopracciglio

“Cosa vorresti? Che ti portassi con me?”

Il tono a metà tra il divertito e l’assurdità.

“Tu sei solo un ostaggio. Una prigioniera. Una preda.”

Lei smise di tremare, inchiodata dalla freddezza di quelle parole, ogni ombra della sua precedente compagnia svanita nel nulla.

Joseph indugiò sulla soglia, stringendo la maniglia con tutta la sua forza

“E credimi… Se hai già paura di me, allora mio padre è davvero l’ultima persona al mondo che vorresti incontrare.”

Concluse prima di sparire sbattendosi la porta dietro le spalle.

Cara attese il familiare scatto della serratura fissando l’uscita. Il suo viso mutò piano d’espressione, ogni timore rimpiazzato dal gelo completo, il lucido dei suoi occhi sostituito da un’inedita oscurità.

“Io non ne sarei tanto sicuro.”

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


cap6

A/N  Ringrazio tutti quelli che leggono, seguono, ricordano, preferiscono e recensiscono! Siete davvero una miracolosa meraviglia nelle mie giornate più noiose!!

Questo capitolo (oltre ad un po' di "sana" interazione tra i protagonisti) racconta qualcosa in più sui Michaelson, anche se c’è ancora moooolto da dire...Dal prossimo invece, credo che la vera azione avrà inizio!

 

-------

 

Il cancello della villa si aprì con il solito fischio. Il viale proseguiva su per la collina in curve lente e sinuose. Le palme sventolavano piano, lasciando intravedere il grande edificio in cima alla strada. Casa, così avrebbe dovuto chiamarlo.

Joseph respirò una lunga boccata d’aria, l’umidità del Mississippi gli era già addosso. Lasciò scorrere gli occhi sui muri color mattone, interrotti dalle grandi finestre bianche in stile vagamente inglese, completamente fuori dall’impronta europea di New Orleans. Al primo piano la grande balconata in ferro battuto era già coperta di fiori e foglie verdi, mentre il colonnato bianco del portico risplendeva al sole, candido e pulito come sempre.

Sua madre avrebbe adorato quella casa, se solo avesse potuto godersela per un po’.

Il suono dei suoi passi sul parquet scuro rimbombò nel grande soggiorno vuoto. Nessun segno del passaggio di Nathaniel ed Elia.

Facendosi coraggio, Joseph proseguì per il lungo corridoio fino alla porta chiusa dello studio. Affrontare suo padre era quella parte di vita che non avrebbe mai rimpianto se fosse rimasto chiuso in una cella per il resto dei suoi giorni. Poteva già sentire il suono acido, intriso di superiorità, della sua voce. Sbatté piano le nocche contro il legno.

“Avanti.”

Joseph varcò la soglia fissando il pavimento, cercando di ritardare al massimo il momento in cui il caro papà gli avrebbe puntato gli occhi addosso, con chiaro e palese disappunto.

“Vieni avanti Joseph.”

Ed eccolo lì. William Michaelson III, comodamente seduto sulla sua poltrona di pelle, seminascosto dietro la scrivania in mogano. La giacca nera rispecchiava il suo solito umore, mentre la barba, lasciata lunga, ma perfettamente curata, copriva a metà il ghigno sul suo viso.

“Felice di riaverti a casa figliolo.”

Sarcastico. Era solo sarcastico. Joseph strinse i pugni cercando di frenare la lingua, quel trattamento gli era riservato dal giorno della nascita, ormai avrebbe dovuto esserci abituato. Il Signor Michaelson era tutto fuorché un padre amorevole.

Dopo aver ereditato il nome ed il business di famiglia, si era concentrato esclusivamente su quest’ultimo, tentando di ampliare gli orizzonti del loro potere. Le origini della casata erano da ricercare in Europa, affondando tra la mafia siciliana e quella francese di Grenoble, mischiatasi pian piano alle altre differenti branche della malavita del nuovo mondo.

L’originale William Michaelson, se questo era stato il suo vero nome, aveva messo piede sul suolo americano all’alba del primo conflitto mondiale, approfittando della confusione generale per piantare il seme della loro famiglia. Inizialmente il piccolo impero criminale aveva raccolto il disappunto di poveri ed analfabeti, dedicati per lo più a rapine ed estorsioni, ma col passare degli anni le tecniche erano state affinate, ed il loro bacino d’azione largamente ampliato.

Oggi William Michaelson III teneva le redini di un’intera organizzazione, traendo profitti non solo dai più comuni illeciti, ma per lo più dal riciclaggio di denaro, dal contrabbando, dal gioco d’azzardo e dal traffico di sostanze. Non vi era settore in cui non avesse ficcato le mani almeno una volta. Anni di scontri ed alleanze l’avevano infine portato a vantare la più grande rete di collaborazione criminale mondiale.

Ciò non vuol dire che non avesse nemici.

Aveva molti nemici.

La grande furbizia ed intelligenza di questo piccolo uomo stava tutta nel non sporcarsi mai le mani in prima persona. C’era sempre qualcun altro che poteva fare il lavoro sporco al suo posto, affiliati, mercenari, corrotti, professionisti del crimine, i suoi figli. Già, i suoi quattro bei ragazzi, i quattro soldati meglio addestrati.

Ognuno di loro era stato cresciuto con questo scopo, perfezionato nelle proprie personali inclinazioni, a servizio della famiglia.

“C’è già Caspar a marcire in galera…”

Riprese

“…Un altro Michaelson dietro le sbarre sarebbe stato a dir poco inopportuno...”

Gracchiando quelle parole, William si sollevò dalla poltrona e raggiunse il mobile bar per versare due dita di Scotch nei bicchieri.

“… Qualcuno potrebbe pensare che i miei figli non siano degni di portare il mio nome.”

Lui. Era lui il primo e forse l’unico a pensarlo.

Joseph cercò con tutte le sue forze di frenare i nervi, buttando giù in un solo sorso l’alcool che suo padre gli aveva offerto. Doveva solo far finta di non sentire. Doveva solo fingere. D’altra parte quel discorso aveva già raggiunto le sue orecchie milioni di volte, replicandosi e ripetendosi con toni e parole ogni volta diversi. Non sarebbe mai stato abbastanza, non per il giudizio del grande William Michaelson III.

C’era una ragione dopotutto, una valida ragione perché lui lo odiasse, ed un’altra altrettanto buona per non aver alcuna considerazione del proprio primogenito. Caspar era rinchiuso in una prigione di massima sicurezza in Giappone e suo padre non aveva ancora mosso un dito per liberarlo.

Troppo debole. Troppo sensibile. Troppo amato. Così lo considerava.

Sin dal momento in cui aveva sposato la madre di Joseph, William aveva deciso che il loro primo figlio sarebbe stato null’altro che un passo obbligato. E’ nella natura delle donne infatti, amare la loro prima creatura con un’intensità senza controllo, che non lascia spazio al dovere e alla disciplina. Tuttavia, troppo amore rende questi figli deboli, fragili, senza alcuna capacità di resilienza, in altre parole inutilizzabili. William sapeva che sua moglie non avrebbe mai rinunciato al piccolo Caspar e così glielo aveva lasciato, facendo finta che nemmeno esistesse. Tutto il suo interesse ed i suoi progetti si erano riversati direttamente su Elia, all’anagrafe William Michaelson IV.  Poca sorpresa che fosse il suo soldato migliore.

“E’ stato Pushkin a far saltare il piano.”

Ribatté Joseph come dato di fatto, senza la minima intenzione di giustificarsi. Non c’era spazio per le giustificazioni in quello studio.

Suo padre gli sventolò la mano davanti alla faccia, come se cercasse di scacciare le sue parole.

“Vladimijr non è il problema…”

Si voltò di spalle e tornò alla sua scrivania, poggiando i palmi sul legno scuro. Joseph trattenne il fiato, spingendo tutta l’energia nei muscoli tesi.

“…Tu sei il problema.”

Aggiunse William, voltandosi in un movimento fluido e mostrandogli il suo mezzo sorriso

“La tua incapacità mi è costata parecchie migliaia di dollari figliolo. Senza contare lo smacco al buon nome della famiglia…”

Si portò il bicchiere alla bocca, bagnando appena le labbra nel liquido ambrato, spendendo una buona manciata dei suoi preziosi secondi assaporandone l’aroma complesso.

“…Ma del resto lo sai, non dovresti nemmeno portarlo il mio cognome.”

Concluse con voce pacata, come se avesse espresso il più naturale e scontato dei pensieri.

L’assassino strinse il pugno attorno al bicchiere, talmente forte da aspettarsi una pioggia di vetri sul parquet da un momento all’altro. Quanto avrebbe voluto schiantarglielo in fronte.

“Vattene adesso.”

Joseph trattenne a stento l’istinto omicida, quello stesso che William aveva coltivato in lui con tanta devozione. Nella sua mente poteva già godere la vista delle budella di suo padre spalmate per la stanza. Girò i tacchi senza proferire sillaba.

“Ah, figliolo?”

Figliolo. Di’ quella parola ancora una volta e giuro che ti sbudello, maledetto bastardo.

Gli tese solo l’orecchio, perché se si fosse voltato, davvero avrebbe rischiato di perdere il controllo.

“Non andare troppo lontano. Se Fitz non paga i suoi debiti entro lunedì, avrai un lavoro da fare.”

Meno male. Avrebbe avuto qualcuno su cui scaricare la rabbia. Fitz non avrebbe mai pagato e lui si sarebbe sfogato facendolo a pezzi. Doveva solo resistere fino a lunedì.

No. Non sarebbe mai riuscito a trattenersi tanto.

 

--------

 

Cara sedeva sul letto, rimirando le briciole del panino che aveva divorato poco prima. Il suo corpo stava ancora ringraziando.

La porta della stanza si aprì di colpo, sbattuta con violenza alle spalle dell’assassino.

Joseph aveva gli occhi scuri, i capelli scompigliati e l’espressione sconvolta.

Lei balzò in piedi, spalancando gli occhi di fronte a tanta rabbia malcelata. Ogni millimetro della sua persona trasudava collera, cattiveria, violenza.

Indietreggiò di un passo, valutando l’idea di dire qualcosa.

Lui le fu addosso prima che potesse parlare, afferrandola per le spalle e sbattendola al muro. Cara rimbalzò contro la parete fredda, incapace di opporre resistenza a quell’attacco inaspettato. Le iridi azzurre di Joseph erano sparite, totalmente ingurgitate dalle pupille dilatate, frutto dell’alcool in cui aveva cercato di annegarsi.

Il suo peso la inchiodò contro l’intonaco, mentre le sue mani tiravano su il vestito senza alcuna cerimonia. Usando i piedi la costrinse ad aprire le gambe, emettendo una specie di grugnito al suo tentativo di resistenza. Le premette l’avambraccio contro la trachea, obbligandola al muro mentre lui, con la mano libera, slacciava la cintura.

Sarebbe stata una cosa veloce. L’unica cosa che voleva era sprofondare in un corpo caldo, stringere qualcosa di vivo tra le mani, entrare nelle sue viscere e lasciarci dentro tutta quella rabbia. Tutto quel dolore. Sporcarla per sentirsi pulito. Farle male per stare meglio.

Cara prese a dimenarsi, stringendo le unghie attorno al braccio che le impediva il respiro, facendolo sanguinare, cercando disperatamente di strapparlo via. L’accenno di umanità che aveva intravisto sembrava sparito, sepolto dietro una furia senza volto.

Joseph esitò per un breve secondo, assaporando quel dolce dolore. Il suo rigetto era piacevole. Rassicurante. La ragazzina in quel momento doveva odiarlo e tutto il suo odio era meritato, anzi, per sicurezza, avrebbe fatto in modo di meritarlo davvero tutto.

Afferrandola ancora una volta con decisione, la spinse sul materasso.

“No…Ti prego no.”

Ignorando completamente la richiesta le si buttò sopra, per nulla disturbato dai suoi pugni sulla schiena.

Cara tirò indietro la testa, cercando di evitare la sua bocca. Le labbra di Joseph, al sapore di doppio malto e sigarette, lasciarono una scia bagnata sul suo collo, mordendo e succhiando ogni porzione di pelle disponibile. Con un movimento deciso di bacino aveva preso posto tra le sue cosce, strusciandosi con violenza contro di lei.

La ragazza cercò di respingerlo ancora una volta, provando in ogni modo a farsi sentire. Tutto ciò che le uscì di bocca fu una lunga scia di no, alcuni urlati, altri appena sussurrati.

Joseph proseguì cercando di ignorare quel suono continuo, strinse uno dei suoi seni nella mano e riuscì finalmente a strapparle un lamento diverso. Ancora una volta raggiunse i pantaloni e provò a venirne fuori. L’ultimo strato che lo separava da lei era quel maledetto bikini nero.

Cara riuscì a portare le mani al petto dell’assassino e spinse più forte che poté. Il peso di lui oscillò appena. Chiudendo gli occhi portò i palmi alle sue spalle e lo chiuse in una specie di abbraccio stonato.

“Ti prego fermati Joseph.”

Lui sembrò paralizzarsi di colpo. Il suono del suo nome di battesimo pronunciato da quelle labbra lo inchiodò al letto.

Cara sospirò. Le parole erano uscite da sole una dietro l’altra. La scelta di chiamarlo Joseph spinta dalla naturale ed istintiva necessità di abbattere qualche barriera in un momento rubato, ma comunque intimo.

Joseph riprese parte del controllo, sentendo ancora viva e vegeta la fiamma del risentimento che lo aveva spinto fin lì. Rimase nella sua posizione di comando, spingendo tutta la sua virilità contro di lei, rendendo ben chiaro che il momento non era sfuggito. Sollevando una mano, strinse il viso di Cara tra le dita e la guardò dritta negli occhi

“Se non mi lasci fare questo, ho paura che potrei farti male davvero.”

Lei riprese fiato, scrutando quegli occhi velati. Parte della rabbia era scemata, lasciando spazio ad una luce scura, più difficile da decifrare. Era come se il suo fosse un bisogno, non fisico, ma spirituale. Non voleva farle male, ma doveva averla, anche contro la sua volontà.

Cara mosse le dita e sentì i suoi muscoli contratti sotto i polpastrelli. Non c’era fibra in lui che non fosse tormentata.

In questo erano più simili che mai.

Sbatté le palpebre lentamente, portando piano le mani fino al suo polso

“Non così…”

Sospirò, spingendo delicatamente via la mano che le teneva il viso

“…Solo non così.”

Ribadì, mentre lui piantava i gomiti ai lati del suo capo, lasciando che fossero faccia a faccia.

Cara si morse piano il labbro, sentendo che qualcosa stava iniziando a muoversi anche dentro di lei. Fece forza sugli addominali e si tirò su, abbastanza da sfiorare le labbra dell’assassino con le proprie, stavolta in un gesto lento e delicato. Il sapore deciso della sua bocca non le sembrò più tanto spiacevole.

Joseph rimase interdetto per un attimo, scoprendo una morbidezza che prima non era riuscito a sentire. Desiderandone ancora. Ardentemente. Ripeté il gesto, catturando il labbro inferiore di Cara tra le sue. Lei rispose al bacio, muovendosi ad un ritmo pacato, riportando piano la schiena sulla coperta, trascinandolo giù con lei.

L’assassino ne tracciò i contorni con la punta della lingua, poi affondò nella sua bocca, prendendosi tutto il tempo per abituarsi a quel calore. Cara spinse impercettibilmente sulle sue spalle attirandolo a sé, perdendosi in un bacio morbido e caldo, finalmente degno di quel nome.

Joseph lasciò scorrere la mano sul suo collo, sulle spalle e poi sul seno, passando delicatamente il pollice sulla parte più sensibile. Cara rispose con un leggero colpo di reni, sorpresa quanto lui della facilità con cui il suo corpo sembrava rispondere alla stimolazione. Si staccò dal bacio per riprendere aria ed infilò le dita sotto la maglietta dell’assassino, svelando una pelle liscia e calda, avvolta su muscoli forti e contratti.

L’azione aumentò presto di ritmo, trovando la mano di Joseph sullo stomaco scoperto di Cara, scosso da brevi respiri affannosi. Il movimento continuò inesorabile, fin quando le sue dita riuscirono finalmente ad infilarsi sotto i confini del bikini, trovando ciò che tanto avevano bramato. Lei sussultò, quel contatto inaspettatamente piacevole, come se lo avesse atteso da altrettanto tempo. Joseph non trattenne un gemito d’apprezzamento, scoprendola già pronta per lui. Decise comunque di regalarle un assaggio della sua maestria, conquistata accumulando piacevoli randez-vous senza alcun significato.

Cara inarcò la schiena schiudendo le labbra. Avrebbe dovuto odiarlo, ma non poteva non ammettere a sé stessa che nessuno mai l’aveva toccata in quel modo. Aveva dentro solo le sue dita e già si sentiva sul punto di esplodere.  

Lo sentì muoversi, spostando il peso del corpo su un solo ginocchio. L’inconfondibile rumore della zip riempì quel secondo di silenzio. Cara rimase a guardarlo, persa ancora una volta nello strazio dei suoi occhi. Gli accarezzò piano il viso, buttando giù un altro mattone dall’enorme muro tra loro. Lo sentì spostare il costume con la punta delle dita ed entrare in lei. Chiuse gli occhi, stringendo d’istinto i muscoli.

“Apri gli occhi.”

La riprese lui, con voce bassa, ma decisa. Aveva bisogno di guardarla in quel momento, bisogno di capire dai suoi occhi se lo stesse odiando, se lo avrebbe respinto, se avrebbe immaginato o desiderato di essere in un qualsiasi altro posto piuttosto che lì, sotto di lui.

Si mosse piano, un centimetro alla volta, sperando, in un angolo non troppo buio della sua mente, che Cara riprendesse a scalciare. In quel caso avrebbe saputo perfettamente cosa fare e come sentirsi… Ma in questo… La ragazzina dell’aereo non era una prostituta, tanto meno una donna da quattro soldi di quelle che era solito rimorchiare nei bar. Lei era vera,  normale, ed inevitabilmente avrebbe letto tra le righe di quell’amplesso, chiedendogli qualcosa in cambio.

Scacciò quel pensiero gustando ogni sensazione che l’interno del suo corpo riusciva a donargli. Il viso di Cara andava tingendosi di un rosso sempre più acceso, i suoi lineamenti ancor più belli di quanto Joseph potesse ricordare. Doveva averla. Dal momento in cui gli era passata accanto sull’aereo lui doveva averla.

Quella consapevolezza spezzò la dolce stasi del loro avvicinamento. L’assassino allontanò da sé le mani della ragazza e le immobilizzò al materasso con le sue sopra, facendo forza sulle ginocchia per aumentare il ritmo delle sue spinte. Joseph nascose il viso nell’incavo del collo di Cara e lei chiuse di nuovo gli occhi, godendo allo stesso tempo della frizione tra i loro corpi e dei suoi gemiti di piacere, ovattati dalla posizione, ma chiari e continui, come una sorta di sensuale canzone a far da sottofondo.

Il cervello sembrava essersi spento, ogni percezione, ogni sensazione, arrivava esclusivamente dalla pelle, dagli organi interni, dalle labbra che riuscivano a sfiorare i suoi capelli.

Joseph la strinse alla vita, attirandola a sé, rendendo quel contatto il più profondo possibile. In quel momento l’odio di suo padre non aveva più importanza, la morte di sua madre sembrava un evento lontano ed i lividi dei colpi presi non bruciavano più. La ragazzina stava prendendosi tutto, non solo il suo corpo, ma anche i suoi tormenti. Si tirò su per guardarla ancora, osservando la sua reazione ad ogni spinta, cercando di carpire e memorizzare ogni piccolo suono che riusciva a sfuggire dalle sue labbra. Stava godendo, godeva anche lei, ma di certo non glielo avrebbe dato a vedere così facilmente. La sua ragazzina ostinata e cocciuta.

Con un’ombra di sorriso in bocca ed incapace di contenersi ancora, Joseph premette tutto sé stesso dentro Cara, congelando ogni altro movimento, per assaporare gli spasmi del proprio corpo che andava svuotandosi. Cara era rimasta immobile insieme a lui, con le palpebre ancora calate e le mani tremanti, casualmente poggiate sui fianchi dell’uomo che l’aveva appena posseduta.

Quello era un momento eterno. Di lì in poi tutto sarebbe stato nuovamente un casino.

Joseph rotolò piano accanto a lei, tirando giù la maglia e su la zip dei jeans. Cara sentì lo stesso immediato bisogno di coprirsi, già convinta che non avrebbe pronunciato parola. Se avesse detto qualcosa, qualsiasi cosa, l’imbarazzo, la vergogna e forse il rimorso, l’avrebbero assalita, facendole desiderare di sparire all’istante.

Lui tornò in piedi, sistemando con nonchalance i propri vestiti. Era fatta. Aveva raggiunto lo scopo, grattato il suo prurito, vinto l’ennesima sfida col suo ego infinito. Nel momento in cui si fosse deciso a guardarla di nuovo, non avrebbe visto nulla più che una donna qualsiasi, senza alcuna attrattiva rimasta. Quel pensiero, tranquillizzante sulla carta, lo teneva di fatto impalato, rivolto alla finestra.

E se invece fosse avvenuto il contrario? Joseph si leccò le labbra, riuscendo ancora a sentire il sapore di Cara. Se ne avesse voluto ancora? Se si fosse trovato a desiderarla una volta in più? E magari un’altra, ed un’altra ancora? Si passò la mano sul viso, indeciso su quale fosse la prospettiva più spaventosa.

Cara si strinse nelle braccia, cercando di farsi piccola. I suoi muscoli interni stavano ancora cercando di riadattarsi al vuoto, mentre lei provava a riordinare le idee. Il pensiero di aver fatto l’amore con lui.. O meglio, sesso con lui, la faceva sentire violata, più in combutta con sé stessa che con l’assassino. D’altra parte era stata proprio lei a cedere, a farsi prendere senza resistenze. Il fatto che Joseph avesse abbassato la guardia, che si fosse comportato più come un uomo che come un carceriere, quello poteva essere un vantaggio per lei, giusto? O probabilmente voleva dire tutto il contrario. Forse, ottenuto ciò che voleva, non avrebbe più avuto ragioni per tenerla in vita.

Quando Joseph si voltò nella sua direzione, il suo sguardo indecifrabile le provocò un brivido improvviso.

Cara alzò piano gli occhi

“Mi ucciderai adesso?”

Domandò in un bisbiglio. Lui parve colpito, addirittura quasi ferito per un secondo. Sollevò le sopracciglia

“Credi davvero che io sia un tale mostro?”

Rispose, restituendole il punto di domanda. Cara abbassò lo sguardo, prendendosi il tempo di pensarci davvero.

“Io…”

Iniziò incerta, quasi in imbarazzo a quel punto

“…Io non so cosa pensare.”

Masticò le sue stesse labbra

“Se non vuoi uccidermi… Allora perché non mi lasci andare a casa?”

Joseph sospirò avvicinandosi di nuovo, sedendosi piano sul letto, accanto a lei, ma stavolta ad una distanza ragionevole.

“Non posso lasciarti andare. Sai troppe cose di me, della mia famiglia, di quello che faccio.”

“Non dirò niente.”

Lui sorrise. Quante volte se l’era sentito dire? Quante persone l’avevano pregato di lasciarle vivere, giurando su dio e sulle loro madri che non avrebbero mai aperto bocca? Se avesse ascoltato qualcuno di loro, sicuramente sarebbe già morto o rinchiuso da tempo.

Restò lì in silenzio, senza bisogno di ribadire il suo no. Cara riempì i polmoni fino all’orlo, guardando in qualsiasi direzione tranne la sua.

“Io non capisco… Mi hai salvata. Più di una volta, ma…Perché?”

Gli occhi di Joseph se li sentiva addosso, a differenza di lei l’assassino non sembrava affatto a disagio anzi, pareva che a stento riuscisse a trattenersi dal sorridere. Non che avesse problemi di autostima, quello era chiaro.

“Io…”

Cara trattenne il labbro superiore tra i denti, valutando se fosse il caso di pronunciare ad alta voce quella scemenza.

“…Io ti piaccio?”

Stavolta lui sorrise davvero

“Sono un Michaelson. A noi non piacciono le persone. Noi non amiamo.. E non teniamo a nessuno. I sentimenti sono solo debolezze.”

Mentre parlava il suo sorriso era scomparso, rimpiazzato da una maschera fredda.

Non hai tutti i torti pensò Cara, ma decise di tenere la bocca ben serrata. Si era già resa abbastanza ridicola con la sua ultima domanda. Annuì in silenzio tornando a fissare il nulla.

Joseph si tirò su, cercando ancora una volta qualcosa di interessante al di là delle inferriate. Con la coda dell’occhio poteva ancora vederla, la testa bassa, i lunghi capelli che scendevano morbidi verso il pavimento, le ginocchia serrate, i piedi nudi poggiati al pavimento solo con la punta. Non riuscì a trattenersi

“Sei bella…”

Esordì senza muoversi

“…Sei forte. Hai l’aspetto di un angelo. Piaceresti a qualsiasi uomo.”

Concluse, senza dare alla sua voce alcun tono particolare, nulla che potesse far trasparire i suoi pensieri.

Cara sollevò piano il viso, sorpresa ed indecisa. Era il tipo di ragazza che snobba i complimenti gratuiti, ma quelle poche parole erano riuscite a sfiorarla, del tutto inattese ed inopportune. Gli angoli della sua bocca si sollevarono in un sorriso solamente accennato

“Grazie.”

Rispose, la voce appena percettibile.

Joseph colse al volo quel piccolo cambio d’espressione, realizzando che era la prima volta, in tutto il loro tempo, che vedeva sul suo viso qualcosa di diverso dalla paura. Lo stomaco gli si torse sotto le costole e solo allora  ne fu certo. Ne voleva ancora. Voleva ancora guardarla, ancora toccarla, sentire di nuovo il calore del suo corpo addosso al proprio.

Strinse gli occhi imprecando contro quel momento, come se avesse appena scoperto che un tumore mortale gli stava crescendo dentro. Quella sensazione gli era del tutto estranea ed il suo organismo avrebbe attivato ogni singola cellula al fine di rigettarla.

Era sbagliato. Inaccettabile. Doveva fare in modo che sparisse, il prima possibile. Doveva uscire di lì.

Mosse i primi passi veloci, ma la porta della stanza gli si aprì contro prima che arrivasse alla soglia.

Nathaniel sporse la testa col suo caratteristico sorriso stampato in volto. Il pullover blue navy ne sottolineava il contrasto tra pelle chiara e capelli scuri, abbinandosi perfettamente alla finitura cromata della mazza da baseball che stringeva nella mano destra.

Si guardò intorno

“Ammetto di essere deluso. Speravo di interrompere una scena ben più interessante…”

Lanciò un’occhiata a Cara

“…Tipo lei nuda e tu…”

Guardò suo fratello per un secondo. Arricciò il naso ed emise un chiaro segno di disgusto

“No. Tutto sommato meglio così.”

Joseph roteò gli occhi al soffitto

“Cosa vuoi Nate?”

Lui giocherellò con la mazza, passandola da una mano all’altra

“Come avrai intuito, ho interrotto il mio allenamento settimanale per venirti a prendere.”

“Perché?”

“Indovina chi è arrivato in città?”

Joseph divenne la personificazione della serietà

“Pushkin.”

Rispose. Più un’affermazione che una domanda. Nathaniel prese a fissare Cara, lasciando che la sua mente vagasse mentre la sua lingua esponeva la questione

“La notizia della tua sfortunata dipartita si è sparsa in fretta e pare che il vecchio muoia dalla voglia di offrire le sue personali condoglianze al nostro affranto papi.”

“Non verrebbe mai qui. Non per questo.”

Il più giovane riportò gli occhi su Joseph

“Lo so.”

Mosse qualche passo nella stanza prima di riprendere

“Date le sfortunate circostanze, potrebbe sembrare che la scomparsa di Katrina e la tua morte rendano pari le nostre famiglie… Personalmente però, credo che un trattato di pace sia l’ultimo punto al suo ordine del giorno, direttamente sotto “massacrarci tutti” e “far tornare di moda il colbacco”.”

Joseph sospirò, palesemente esasperato.

“Quindi?”

“Se ne occuperà il caro papi. Noi ce ne andiamo. Veloci come la luce.”

Joseph annuì. Benché una nuova ragione per innervosirsi fosse l’ultima delle sue necessità, sparire era esattamente ciò di cui aveva bisogno. 

Guardò Cara, rimasta in silenzio per tutto il tempo. Sì, doveva sparire. E così anche lei. Fuori dalla vista, fuori dai pensieri.

“Bene.”

Aggiunse, pronto a seguire suo fratello in capo al mondo. Nathaniel si schiarì la voce indicando l’angolo con un gesto della testa.

“Che ne facciamo della tua bambolina?”

Joseph non la guardò nemmeno

“Lasciamola qui.”

Cara spalancò gli occhi. Morire di stenti in un vecchio palazzo abbandonato?

Nate aggrottò le sopracciglia

“Davvero Jo? Ci metterà almeno una settimana a morire.. E non è divertente se non possiamo stare qui a guardare!”

Cara balzò in piedi d’istinto, nel suo petto il rumore netto di un’esplosione. Per qualche assurda ragione stava davvero aspettando che lui dicesse qualcosa. Joseph le restò di spalle, senza pronunciare alcun suono.

Nathaniel si mosse invece verso di lei. Sollevò un sopracciglio

“Di certo è un peccato…”

Esitò per un secondo, mostrando un’espressione vagamente simile alla pietà. Sparì immediatamente.

“…Ma togliamoci il pensiero!”

Concluse sollevando la mazza sopra la testa per caricare il colpo. Cara spalancò la bocca per urlare, ma nulla ne venne fuori. Istintivamente si coprì il viso con le braccia cercando di indietreggiare. Dio.. Avrebbe davvero fatto male.

“Aspetta.”

Eccola. Finalmente la voce dell’assassino. Nathaniel bloccò il gesto a mezz’aria, voltando la testa con nonchalance

“Cosa?”

Joseph sapeva che sarebbe stato un grosso errore, ma dovette comunque girarsi e guardare. La ragazza si lasciò cadere sul letto, visibilmente sul punto di svenire o vomitare.

Nate sfoderò il sorrisetto, suo marchio di fabbrica

“Ma non mi dire! ...E’ davvero così brava a letto?”

Joseph scosse la testa, cercando di spegnere ogni alito di umanità. Cosa diavolo le aveva fatto quella donna?

“Non puoi farlo qui…”

Si giustificò

“…L’ultima volta Rosalinda ha impiegato tre giorni per togliere il sangue dalla moquette.. E credimi Nate, l’ultima cosa che potrei sopportare adesso è il suo fastidiosissimo accento spagnolo nelle orecchie.”

Nathaniel corrugò la fronte pensando alla chiara immagine della loro corpulenta domestica ultrasessantenne. Odiava sentirla bofonchiare in una lingua sconosciuta.

“Sono d’accordo.”

Concluse tirando giù l’arma.

“Dove allora?”

Joseph impedì a sé stesso di incrociare gli occhi di Cara, fosse stato anche solo per una frazione di secondo.

“La portiamo all’appartamento. Devo comunque fermarmi a prendere un paio di cose.”

Nate ridacchiò afferrando la ragazza per il polso. Doveva essere davvero un bocconcino saporito se suo fratello si stava rammollendo come un adolescente in calore. Magari avrebbe avuto il tempo di “dare un morso alla mela” anche lui prima di fracassarle il cranio.  

Joseph attraversò la porta per primo. Nella sua testa il flashback di una scena appena vissuta

I suoi occhi blu si erano sollevati lentamente da terra

Mi ucciderai adesso?”

Le aveva chiesto in un bisbiglio.

“Credi davvero che io sia un tale mostro?”

Sì, ragazzina. E’ questo quello che sono. Un mostro.

 

 

 

 

  

   

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


cap7

Ciaoooo! Questo capitolo era in sospeso da un po’, ma sto avendo uno dei mesi più incasinati della mia vita! Oggi ho così deciso di mollare tutto il resto, starmene a casa in pigiama e finirlo una volta per tutte.

Vi ringrazio come sempre! Siete la mia motivazione e la mia costanza!

 

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Avevano raggiunto il centro della città in macchina. Adesso era chiaro anche a Cara che si trovavano a New Orleans, era riuscita facilmente a riconoscerla, benché fosse premuta all’angolo del sedile posteriore della berlina scura, il più lontano possibile dal sorrisetto psicotico di Nathaniel.

Scesi in una via qualsiasi, Joseph aveva abbandonato l’auto per primo, sicuro che suo fratello avrebbe provveduto alla ragazza. L’idea che le tenesse le mani addosso, quasi sbavando all’idea di farle del male, era piuttosto fastidiosa, pertanto aveva deciso di restare almeno quattro o cinque passi avanti a loro. Non guardare gli avrebbe consentito di rimanere lucido.

Dopo una breve camminata per la strada deserta si trovarono faccia a faccia con un anonimo palazzo di mattoni rossicci. Al primo piano l’insegna spenta indicava la presenza di uno jazz bar, lo Sweet Lorraine. Appeso alla vetrina dondolava un cartello rosso con la grande scritta CLOSED in bianco.

Joseph spinse comunque sulla porta e questa gli si aprì davanti senza resistenze. Entrò tranquillo e spigliato come fosse a casa sua. Bé, tecnicamente quel posto era davvero casa sua. Nathaniel lo seguì in silenzio strattonando Cara e tenendole la mano libera premuta sulla bocca. Non si sa mai che avesse la stupida idea di urlare e farsi uccidere in mezzo alla strada.

Non appena la porta si richiuse con un breve ticchettio metallico, una voce di uomo li accolse da lontano

“Siamo chiusi!”

Joseph sembrò non farci nemmeno caso, raggiunse il retro del lungo bancone in legno e si versò un’abbondante dose di bourbon.

Dal retro del locale venne fuori questo tizio, lo stesso che aveva parlato poco prima. Era un ragazzo piuttosto alto, dal fisico scolpito e dalla pelle ambrata, probabilmente frutto di una benedetta unione genetica tra bianco e nero.

“Hey, ho detto che siamo…”

Il suo sguardo torvo si sciolse in un sorriso

“Joseph!”

L’assassino ricambiò l’espressione, abbandonando il bicchiere per raggiungere il ragazzo. Scambiarono una specie di stretta segreta da confraternita, concludendo con un amichevole reciproca pacca sulla spalla.

“Si vociferava che avessi tirato le cuoia amico!”

“Così si dice.”

Il ragazzo sbottonò velocemente il bottone più alto della sua camicia bianca e si abbassò per tirar fuori una bottiglia dalla dispensa.

“L’occasione merita qualcosa di speciale.”

Allineando sul bancone tre piccoli bicchieri di vetro da shot, rivolse finalmente l’attenzione alle altre due presenze nel locale. Sollevò la bottiglia a mo’ di saluto, accompagnando il gesto con un cenno della testa

“Nathaniel…”

Riempì i bicchierini e posò i suoi grandi occhi scuri su Cara

“…Uno anche per la vostra ospite?”

Il giovane Michaelson avvicinò la bocca all’orecchio sinistro della ragazza

“Che ne dici tesoro, vuoi farti un goccetto prima del tuo ultimo desiderio?”

Cara non poteva rispondere perché il palmo di lui era ancora saldamente spalmato sulla sua faccia. Si limitò a guardarlo, stavolta più con sdegno che non paura.

Nathaniel ridacchiò prima di spingerla con forza all’angolo della stanza accanto al bancone. Le puntò l’indice dritto in viso

“Se provi a muoverti o a strillare ti farò soffrire il doppio.”

Lei abbassò gli occhi senza rispondere, massaggiando la spalla che aveva sbattuto contro il muro a mattoncini. Joseph le lanciò un’occhiata veloce. Doveva restare calmo. Freddo e razionale.

Mandarono giù un altro paio di shottini lodando, di tanto in tanto, l’amabilità del liquore invecchiato ben trentacinque anni. Il barista spostò qualche bottiglia dalla mensola più alta ed aprì una specie di cassettino nel muro, fermamente serrato. Ne svelò il contenuto porgendo a Joseph due chiavi attaccate ad un cerchietto di metallo.

“Eccoti le chiavi dell’appartamento. Lo troverai esattamente come l’hai lasciato.”

Joseph le strinse nella mano con un mezzo sorriso

“Grazie Xavier.”

Cara era rimasta nell’angolo ad osservare la scena in silenzio, lasciandosi distrarre per qualche secondo dall’atmosfera del posto. I muri in pietra naturale circondavano la piccola sala in parquet lucido, il soffitto aveva la volta a botte ed il grande lampadario di cristalli al centro, tocco elegante benché azzardato, illuminava i piccoli tavoli di legno. All’altro capo della stanza c’era poi il palco, con sopra due sgabelli con l’imbottitura rossa e qualche bottiglia vuota abbandonata. Non poté non immaginare un’improvvisata jam session, il suono sinuoso dei sassofoni e l’intensa puzza di sigari e fumo.

“Muoviti bambolina.”

Nathaniel l’afferrò per il braccio, riportandola alla realtà con un brivido di freddo. Ancora una volta Joseph guidò la marcia tenendosi avanti al gruppo, attraversando il retro del locale fino ad aprire la stretta porta in fondo che dava su una rampa di scale. Salirono almeno trenta gradini nella polvere prima di arrivare al grosso portone in cima. L’assassino sbloccò le due serrature con le chiavi che gli aveva dato Xavier ed entrò, aspettandoli al di là della soglia.

L’ambiente all’interno era diverso da ciò che Cara si sarebbe aspettata, di certo completamente in antitesi all’apparenza trasandata del palazzo e all’atmosfera jazz del bar al piano di sotto. L’entrata apriva infatti su un salotto con i divani bianchi dallo stile moderno, il tutto ovattato dalla semioscurità.

“Casa dolce casa, eh?”

Esordì Nathaniel spingendola dentro ed accomodandosi su uno dei cuscini. Joseph richiuse a chiave la porta. Quello era il suo appartamento. Solo suo. L’unico posto in cui potesse starsene beato in solitudine. Il fatto che si trovasse sopra il club lo rendeva abbastanza anonimo, potendo sempre contare sul controllo e la discrezione di Xavier. In cambio, i Michaelson garantivano ordine e protezione per il suo locale.

“Non metterti troppo comodo, siamo solo di passaggio.”

L’altro sospirò incrociando i piedi sul tavolino

“Esatto. Prendi le armi, uccidi la ragazza, fuggi più veloce della luce.”

L’assassino sparì dietro una delle porte, lasciando Cara in piedi al centro della stanza, vittima delle fantasie sadiche di Nate. Lei se ne stava lì, senza muoversi, non aveva più detto una parola da quando avevano lasciato il vecchio hotel.

“Che succede bambolina? Non vuoi nemmeno provare a pregarmi un po’?”

Cara si strinse nelle braccia

“Servirebbe a qualcosa?”

Lui sfoderò un ghigno compiaciuto. Se non fosse stato per la crudeltà che emanava a fiotti da ogni poro, lo si sarebbe davvero potuto definire un gran bel ragazzo.

“Intelligente. Ottima qualità. Sopravvalutata nelle donne comunque.”

Ecco, se non fosse stato per la crudeltà e per l’ostentato presuntuoso maschilismo congenito. Cara non trattenne un chiaro suono di disgusto. Nathaniel allora aggrottò le sopracciglia e lasciò la sua comoda posizione per venirle vicino. Strinse gli occhi come se la stesse scrutando a fondo

“Dimmi. Com’è che riservi i modi da gattina in calore solo a mio fratello?”

Cara incrociò i suoi occhi scuri e deglutì, facendosi indietro di un passo. Nello stesso momento Joseph riapparve con una specie di valigia in mano, interrompendo sul nascere l’indagine dell’altro Michaelson.

L’assassino aprì la valigetta e guardò con ammirazione i due pugnali che vi riposavano dentro, avvolti nel velluto blu. Uno era più lungo, dalla lama affusolata ed appuntita, l’altro più piccolo, con la lama tonda e l’impugnatura in pelle nera.

“Qualcosa di più pratico magari?”

Nathaniel gli era già vicino. Joseph rimase a fissare le sue due armi preferite, già compagne di tante missioni e testimoni di altrettante morti. Suo fratello non avrebbe mai capito.

“Tu puoi prendere una delle pistole.”

L’altro annuì soddisfatto e si mosse verso il mobile alla sua destra, aprendo un cassetto e scoprendo una ricca collezione di semiautomatiche. Le scorse tutte passando sul metallo con la punta delle dita ed infine optò per la Desert Eagle. Non era una novità. Quel pistolone da quasi due chili era senza dubbio il suo preferito, soprattutto dopo aver visto Bill sparare a Beatrix con la stessa identica arma. Ah, Tarantino, un vero genio.

Calibrò il peso della pistola nella mano e, dopo aver fatto scattare la sicura, la puntò dritta verso Cara. Lei divenne una statua di marmo.

“Ora puoi andare Nate.”

Ancora una volta la voce provvidenziale di Joseph. L’altro ruotò la testa verso il fratello

“Prego?”

Joseph se ne stava di spalle alla scena, passando delicatamente la pelle di daino sui suoi pugnali. Non aveva bisogno di guardare per sapere cosa esattamente si stava svolgendo dietro di lui.

“L’auto ha bisogno del pieno. Vuoi pensarci tu?”

Aggiunse con tono distaccato. Nathaniel strinse le labbra in una linea sottile, spostando velocemente il tono del suo umore da euforico a irritato.

“Ma fai sul serio?!”

Finalmente Joseph interruppe la sia mansione e si voltò, serio ed impassibile. Nate abbassò il braccio ed alzò il tono della voce

“Sei davvero rimbecillito fratello? Guardala…”

Sollevò di nuovo la pistola per indicare Cara

“…E’ solo una troietta qualsiasi!”

Joseph sbatté le palpebre lentamente, avanzando a lunghi passi verso Nathaniel

“Lasciaci. Fratello.”

Scandì una volta arrivato a pochi centimetri dal suo consanguineo. Nate, in risposta, gli lanciò una chiara occhiata di sfida. Adesso, ufficialmente, moriva dalla voglia di uccidere la ragazza. La guardò con la coda dell’occhio per un paio di secondi

“Non mi fido di lei.”

Joseph espirò rumorosamente, tornando sui suoi passi per afferrare uno dei pugnali, quello dalla lama lunga ed affusolata.

“Ci penso io. Tu torna a prendermi tra quindici minuti.”

Nathaniel lasciò cadere gli occhi sulla lama, ammirando la leggiadria con cui ruotava tra le dita del fratello, come fosse un pennello nella mano di un pittore pronto a creare un nuovo capolavoro. Protrasse le labbra cercando di trattenere il primo istinto di rabbia, resistendo alla tentazione di spararle un colpo in fronte e farla finita, fosse anche solo per far dispetto a Joseph.

“Bene…”

Concluse, sollevando il golf blu per piantare la pistola dietro l’orlo dei pantaloni. Di nuovo guardò Cara

“…Ma quando torno voglio vedere il suo sangue. Molto sangue.”

Precisò e prese la porta.

Joseph scosse il capo in silenzio, perso nei suoi pensieri per qualche secondo. Sollevò piano il coltello e sospirò, rivolgendo finalmente gli occhi a Cara. Lei, vicina al muro, resettò immediatamente l’impulso di ringraziarlo. Le sue pupille si persero, accecate dal riflesso della luce sulla lama.

L’assassino sembrò guardarsi brevemente intorno, poi mosse il primo passo verso di lei. Cara si riempì i polmoni, sentendo che dietro di lei non vi era altro che la parete. Incontrò gli occhi di lui

“Avrei preferito la pistola.”

Sarcasmo. Inappropriato, agitato sarcasmo. Le parole le uscirono di getto, spaventata e allo stesso irritata all’idea di dover essere necessariamente fatta a pezzi.

Lui sfoderò un sorriso a labbra strette, altrettanto fuori luogo.

Cara poggiò i palmi alla parete e mosse di fretta gli occhi, cercando di individuare qualsiasi porta, uscita o arma disponibile nel suo campo visivo. Si gettò velocemente verso destra, ma lui non ne sembrò sorpreso. Joseph la seguì con lo sguardo e si avvicinò ancora un po’, trovando immensamente divertenti i suoi tentativi di fuga.

Cara si morse le labbra per riuscire a trattenersi dall’immensa voglia di chiedere cosa cavolo avesse da ridere. Di nuovo si mosse di scatto, infilandosi dietro la prima porta disponibile. La sbatté forte cercando immediatamente la chiave da girare, ma non la trovò. Sollevando gli occhi al cielo decise di spalmarsi contro la porta e utilizzare la sua misera mole per tenerlo fuori.

“Perché vuoi rendere le cose più difficili?”

Lo sentì chiedere dall’altra parte, la sua voce lontana, come se non avesse ancora lasciato il soggiorno. Cara spinse la schiena contro il legno e si guardò attorno. Che stanza era quella? Non troppo grande, una sola piccola finestra chiusa, lunghe pareti completamente occupate da librerie, file e file di volumi perfettamente ordinati, due poltrone ed un tavolino da fumo per terminare l’arredamento.

L’assassino amava leggere, a quanto pare.

Cara sospirò di fronte all’inevitabile realtà, non c’erano mobili che potesse spostare per bloccare l’entrata. Lentamente si scostò dalla porta e raggiunse il centro della stanza. In altre circostanze avrebbe adorato poter passare il dito su quella lunga serie di copertine, apprezzando l’odore di carta e cultura. Non era mai stata una grande studentessa, tuttavia c’erano storie che aveva letto e mai dimenticato. Tragedie per lo più.

La maniglia si abbassò piano e lei ruotò adagio verso la soglia. Joseph le comparve dinanzi senza fretta, tenendo tra le mani il pugnale e qualcos’altro, una specie di groviglio di corda e… Cara socchiuse le palpebre per mettere meglio a fuoco, corda e nastro adesivo, spesso e scuro.

Bene. Ha in mente di legarmi prima.

Lui lasciò cadere a terra il rotolo di nastro e prese a far scorrere la corda tra le dita.

“Non ho mai detto che il coltello fosse per te.”

Precisò, usando la lama per tagliare la giusta misura di fune. Cara sollevò gli occhi nei suoi, ancora una volta incerta su cosa stesse per succederle. Istintivamente indietreggiò, finendo per inciampare in una delle poltrone. Maldestramente riprese l’equilibrio e mosse lo sguardo per capire quale fosse le sua posizione.

“Mettiti pure comoda.”

Aggiunse lui facendosi più vicino. La sua voce ed il suo viso non lasciavano trasparire umana emozione.

Cara rimase in piedi.

“Siediti.”

Insistette Joseph. Chiaramente non era un invito di cortesia.

Lei mandò giù il magone che le impegnava la gola. Le lunghe ciglia le tremavano appena, ma rimase con gli occhi incollati ai suoi per tutto il tempo, cercando la poltrona dietro di sé. Sentendo la pelle fredda della seduta dietro i polpacci, cercò i braccioli con la punta delle dita e lentamente, molto lentamente, si accomodò.

Joseph sembrò annuire. A piccoli passi raggiunse la seduta e poggiò il pugnale sul tavolo, prendendosi una breve pausa per ordinare i pensieri.

Cara non poté non fissare la lama abbandonata sul legno. 

“Non.. Non vuoi uccidermi?”

Domandò. Lui strinse più forte la corda che aveva in mano, la sua espressione si fece ancor più scura

“Voglio.”

Rispose tornando a guardare la ragazza

“Voglio davvero ucciderti. Probabilmente non ho mai desiderato tanto uccidere qualcuno.”

Cara strinse la presa attorno ai braccioli, attraversata dal freddo della sua voce composta. Lui le si pose dritto davanti, incombente come un vero lupo di fronte alla preda

“Ma c’è qualcosa…”

Joseph abbassò lo sguardo su di lei

“…Qualche strana, incomprensibile ragione che mi impedisce di farlo.”

Era semi-perso nei suoi pensieri, cercando di definire le fastidiose sensazioni che gli ribollivano dentro. Non riusciva a comprendere e, se già ciò non fosse abbastanza irritante, le sue presunte emozioni gli stavano impedendo di prendere la decisione più saggia. Saggia, necessaria ed apparentemente, anche più semplice.

 

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Nathaniel si spinse in strada sbuffando, ormai il suo umore e la sua giornata erano ufficialmente rovinati. Stupido Joseph. Un idiota rincoglionito succube dei suoi ormoni impazziti. Ok, a scanso di equivoci anche lui era solito apprezzare le belle donne, ma questo era decisamente troppo. Per i Michaelson le donne non sono altro che un corpo caldo da riempire e rivoltare, questa è una regola. Una regola. Non bastava Elia a sbavare dietro quella stronza di una russa? Adesso doveva cominciare anche lui? E per chi poi? Per una bionda qualunque piovuta dal cielo?

Scosse la testa. Il nuovo passatempo di suo fratello gli dava decisamente sui nervi. La ragazza aveva il viso d’angelo e di certo s’impegnava al massimo per sembrare una fragile creatura indifesa, ma l’idea che sotto sotto nascondesse qualcosa continuava a serpeggiare nella mente di Nate. Il modo in cui lei aveva risposto al suo sguardo quando erano da soli. Lo sdegno che non aveva minimamente nascosto mentre Joseph non guardava. Il velo d’arroganza nei suoi grandi occhioni blu... Mmmh… Doveva essere tolta di mezzo, il prima possibile.

Uno scricchiolio improvviso lo rimise sull’attenti. Nathaniel si irrigidì in mezzo alla strada, guardando rapidamente a destra e sinistra. Nulla. Assolutamente nulla. Raggiunse inconsapevolmente il calcio della pistola con la mano, tutti i suoi sensi allertati dalla netta sensazione di essere osservato. Scrutò a fondo i dintorni, ma non colse segno percettibile di presenza umana.

Quel silenzio pastoso non prometteva nulla di buono. Meglio sparire in fretta.

 

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 “Voglio davvero ucciderti. Probabilmente non ho mai desiderato tanto uccidere qualcuno… Ma c’è qualcosa… Qualche strana, incomprensibile ragione che mi impedisce di farlo.”

Cara sentì netta la tensione che la risaliva, dalla punta dei piedi fino ai capelli. Lui le era vicino, rischiosamente vicino. Il doppio pericolo di quella situazione imbottiva l’ormai minimo spazio tra loro. All’assassino sarebbe bastato allungare le mani per immobilizzarla o, peggio, strangolarla con la sua corda. A Cara sarebbe bastato allungare le mani per toccarlo ancora una volta, prospettiva per lei ancor più terrificante. Il ricordo del suo peso addosso era ancora ben chiaro, spalmato sulla sua pelle come una specie di elisir stupefacente. Era attratta dal suo assassino, attratta dal nemico. Peccato mortale.

Decise di spezzare l’impasse

“Quale…”

Scivolò appena sulla poltrona

“…Quale ragione?”

Domandò sottovoce.

Joseph inspirò profondamente, curvando piano la schiena fintanto che i loro occhi furono alla stessa altezza. Poggiò i palmi sui braccioli, ad un millimetro dalle sue mani.

“I tuoi occhi.”

Rispose, penetrando adagio nelle sue pupille dilatate dall’agitazione e dall’onda d’emozione improvvisa. Cara avrebbe voluto distogliere lo sguardo, ma non le riuscì.

“Non solo il colore…”

Riprese lui, scrutandola con impegno, affascinato dalle contrazioni involontarie delle sue iridi.

“…Hanno qualcosa… E’ come se stessero per rompersi.”

Lei sussultò appena

“Rompersi?”

Sussurrò. Di certo aveva scelto un termine piuttosto insolito per descrivere gli occhi di qualcuno.

Joseph inclinò appena la testa

“Come se avessi qualcosa dentro che preme per uscire. Come se fossi costantemente sul punto di esplodere.”

Cara sbatté più volte le palpebre, cercando di cancellare qualsiasi cosa lui stesse leggendo sulle sue cornee. Tanta minuziosa attenzione la rendeva nervosa, ma allo stesso tempo accarezzava la parte più presuntuosa e seduttiva della sua psiche.

“Che cosa vedi?”

Joseph sollevò appena l’angolo destro delle sue rosee labbra carnose, genuinamente intrigato dalla sua sfida

“Riconosco l’infelicità quando me la trovo davanti, ma non è solo questo…”

Si spinse ancor più vicino, lasciando nulla più che una manciata di centimetri tra i loro nasi

“…Dimmi Cara Phillis.. Qual è il tuo mistero?”

Lei socchiuse le labbra, il suo calore e la scia del suo respiro lento le arrivavano addosso

“Se te lo dico poi vorrai uccidermi davvero.”

Joseph sollevò il sopracciglio. La ragazzina dell’aereo stava forse flirtando con lui? Il rosso dipinto sulle sue guance lo accese come una miccia ancora una volta.

“Qual è il tuo piano allora…”

Si leccò le labbra arrivando a pochi millimetri da lei

“…Preferisci restare mia prigioniera per tutta la vita?”

Cara non disse nulla, ma strinse i braccioli con tutta la forza, respingendo l’urgenza di baciare quella bocca. Se fosse stato l’assassino a cedere per primo bene, avrebbe potuto incolpare lui e le circostanze ancora una volta, ma lei no, lei non poteva arrendersi.

Lasciando in vita quel bacio sospeso Joseph spostò le mani sulle sue e si lasciò cadere piano sulle ginocchia. Il suo viso adesso era più lontano, ma le sue dita erano pronte a riprendere il controllo della situazione. Lasciò girare la corda attorno al polso sinistro di Cara e strinse, spegnendo sul nascere il suo tentativo di ribellione. Lentamente raggiunse anche l’altro polso e lo legò assieme al primo, così che non potesse più muoversi.

 

Cara strattonò la corda cercando di produrre una qualche parola di senso compiuto. Le sue fauci erano completamente asciutte e nulla più ne venne fuori che una specie di infantile lallazione. Conosceva fin troppo bene quello sguardo negli occhi dell’assassino.

Prendendo per tacito consenso il suo silenzio, Joseph decise di trarre il massimo piacere dalla sua posizione di carceriere. Poggiò le mani sulle ginocchia di Cara e le lasciò scivolare giù, fino alle caviglie. Risalì poi lento e, con un gesto secco, la costrinse ad aprire le gambe, trovando posto in quel nuovo spazio. Le sue labbra si posarono subito sulla sua coscia destra, all’altezza della piega col ginocchio, lasciando il primo di una lunga serie di umidi baci.

Cara chiuse gli occhi sentendolo risalire verso il centro, il suo centro già in fiamme. Avrebbe dovuto scacciarlo, stringere e scalciare, ma l’eccitazione di quel momento stava sconvolgendo ogni pensiero razionale. Si lasciò sfuggire il suono a metà tra sospiro e gemito… Ancora una volta, meglio questo che farsi uccidere, giusto?

Joseph indugiò sulla sua pelle candida per sentirla tremare ancora un po’, mordendola appena per rubarle un altro gemito. L’avrebbe davvero volentieri tenuta lì, così, bagnata ed inerme per sempre.

 

Una specie di tonfo sordo proveniente dal piano di sotto interruppe la magia. L’assassino si ritrasse provando a riconoscere le vibrazioni nelle sue orecchie. Si tirò su di colpo cercando nell’orologio appeso alla parte un punto di riferimento temporale. Troppo tempo era passato da che Nathaniel aveva lasciato l’appartamento. Troppo tempo.

Aggrottò le sopracciglia e buttò un’occhiata a Cara.

“Tu resta qui.”

Raccomandò tornando con fatica alla sua espressione e freddezza di sempre. Uscì dalla stanza e si sbatté la porta dietro. Lo scatto della serratura costrinse Cara a corrugare la fronte e balzare in piedi. Afferrò la maniglia con qualche difficoltà, ma trovò la porta irrimediabilmente chiusa. Ma dove cavolo era la chiave quando serviva a lei?

Ancora una volta si ritrovò con la schiena contro l’infisso e sospirò. Stava per farlo, di nuovo. Sesso con l’assassino. Quella storia doveva finire, il prima possibile. Doveva trovare il modo di venirne fuori.

Sollevando lo sguardo trovò risposta alle sue preghiere. Nella fretta Joseph aveva dimenticato il suo pugnale sul tavolino. Sospirando, per una volta di sollievo, Cara si precipitò verso il mobile, più che pronta ad utilizzare la lama per liberarsi, innanzitutto della corda e poi, eventualmente, anche del suo rapitore.

 

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Xavier, intento ad impilare casse di liquori, sentì ancora una volta il ticchettio della porta del locale e ripeté la sua battuta d’esordio

“Siamo chiusi!”

Ottenendo nulla più che silenzio in risposta, lasciò la dispensa e si affacciò nella sala. I due corpulenti sconosciuti appena entrati se ne stavano in piedi di fronte al bancone, con i piedi solidamente piantati a terra.

Il barista tese i muscoli e si sforzò di sfoderare un’espressione cortese

“Apriamo tra un paio d’ore.”

Uno dei due, capelli biondi e lineamenti spigolosi, allentò la cinta dell’impermeabile

“Non siamo qui per bere…”

Esordì col suo accento spiccatamente russo

“…Dove è il lupo?”

Xavier si fece serio

“Siete male informati ragazzi. Il lupo è morto.”

L’altro intruso, grosso e moro, se ne uscì in una risata glaciale, mostrando senza preamboli la sua pistola. Il tizio dai capelli biondi insistette

“Ti consiglio di parlare. Subito.”

Xavier indietreggiò, scattando verso la dispensa per prendere le sue armi. Gli altri gli furono subito dietro e la breve colluttazione si concluse con qualche cassa rovesciata a terra ed il barista in ginocchio in un angolo.

“Parla.”

Ordinò lo sconosciuto sovietico, afferrando Xavier per la nuca così che la sua fronte fosse dritta al buco della pistola. Il ragazzo mandò giù il sapore di sangue e strinse i pugni. Il rapporto che lo legava a Joseph era più che un semplice contratto di collaborazione, era un’amicizia, una sincera amicizia che lo spingeva alla più solida lealtà. Non avrebbe barattato la sua vita con quella del lupo, anche perché, a giudicare dalle facce che aveva di fronte, c’era ben poco da barattare.

“Dove è??”

Gridò il russo dai capelli chiari, stringendo la presa ancora più forte. Xavier lo guardò dritto nelle pupille

“Va’ all’inferno bastardo.”

L’altro non si scompose di un millimetro anzi, accennò un sorriso compiaciuto. Con un gesto della mano invitò il suo complice a venire avanti e quest’ultimo, presa sicura e faccia di cera, piantò la pistola dritto in mezzo agli occhi del giovane barista.

 

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Joseph guardò fuori dalla finestra del soggiorno. Nulla sembrava fuori posto eppure era certo che qualcosa non andasse. Nathaniel doveva già essere lì e tutto doveva esser pronto per sparire. Con Pushkin non c’era da scherzare, ogni momento era fondamentale.

Il suono netto dello sparo lo colpì alle orecchie come un cazzotto. Tutti i suoi recettori risposero alla stimolo simultaneamente e l’istinto del pericolo lo drizzò come fil di ferro. Corse ad afferrare il coltello nella valigetta e si piazzò davanti alla porta dell’appartamento. Doveva essere rapido e silenzioso. Voltare a sinistra il più in fretta possibile, raggiungere la scala d’emergenza e correre fuori. Contrasse la mandibola e chiuse gli occhi per un momento, accarezzato dall’eco dello sparo. Xavier… Nathaniel… Chi c’era lì sotto? Per chi era quella pallottola?

Aprì la porta senza produrre suoni e si riempì i polmoni, pronto a trattenere i fiato e fuggire.

Non appena il pianerottolo si aprì davanti ai suoi occhi, anche le due losche figure gli riempirono la vista, ancora forti dell’adrenalina post-omicidio a sangue freddo.

“Dobryj vecher Lupo.”

Il biondo si prese la briga di salutare nella sua lingua madre, sventolandogli davanti una pistola. Joseph raccolse il saluto e sentì la carica salire, come fosse sul punto di mutare. L’assassino letale si stava risvegliando. Contraendo tutti i muscoli, privo di vero timore, Joseph si scagliò contro il primo russo, brandendo il coltello verso la giugulare. L’altro non si sforzò troppo, schivò appena il colpo e si lasciò sbattere al muro dalla forza del lupo, piantandosi tra lui e la parete con un botto secco.

Joseph lesse immediatamente le sue intenzioni, ma non ebbe il tempo materiale di reagire al secondo agguato da dietro. Il sovietico dai capelli scuri gli piantò un grosso ago nel collo e spinse nel suo sistema il liquido giallastro.

L’assassino si sentì invaso da un insopportabile calore improvviso e lasciò presto cadere il pugnale, incapace di reagire mentre il più grosso dei due lo trascinava dentro. Sembrava che le sue membra non rispondessero più ai comandi.

Una volta sbattuto sul divano come un sacco inerme, il biondo gli si parò davanti

“Miorilassante.”

Joseph imprecò nella sua testa contro tutti i santi che conosceva, il suo corpo era allenato ai farmaci, ma non a simili dosi. Sarebbe stato fuori gioco per un po’, giusto il tempo di smaltire il grosso della tossina.. e farsi massacrare dagli uomini di Pushkin.

“Non avete ancora imparato di non scherzare con mio signore.”

Esordì il tizio dai lineamenti spigolosi

“Voi avete preso Katrina…”

Continuò spostandosi sulla destra per lasciar spazio al compagno

“…Noi ci prenderemo te. E tuoi fratelli.”  

Il sovietico moro venne avanti caricando il colpo e scaricò un potente gancio destro sulla faccia di Joseph. Lui raccolse abbastanza forze per non cadere sul fianco, sputando sangue e saliva contro il suo aggressore. L’altro sorrise, aveva appena cominciato.

 

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Cara smise di roteare i polsi liberi non appena si accorse del trambusto fuori dalla sua stanza. Silenziosamente poggiò l’orecchio alla porta ed ascoltò la voce degli intrusi.

Criminali. Altri criminali. Russi. Crudeli.

Se ne stette lì, immobile contro il legno, presa d’improvviso dalla spirale dei ricordi. Il pericolo, la necessità di restare nascosta, il bisogno di trattenere il respiro per salvarsi la vita… Erano tutte sensazioni che aveva già sperimentato nella sua vita, ancora capaci di farla sentire una bambina indifesa. Quasi riusciva ad immaginarsi ancora dentro quel piccolo bagno immacolato.

Dai colpi era chiaro che stavano massacrando di botte Joseph. Al suono di ogni pugno Cara chiudeva gli occhi ed ammirava la forza e la leggerezza con cui incassava il dolore. Doveva davvero esserci abituato.

Il suo istinto alla compassione fu presto zittito dal fastidioso accento sovietico di uno degli uomini presenti.

Lo chiamavano Lupo.

E stavano cercando una certa Katrina.

Katrina.

Cara si spalmò completamente sulla porta e cercò di capire dove quella conversazione a senso unico volesse parare.

Lo scatto della sicura di una pistola rese chiare le intenzioni dei russi. Volevano uccidere l’assassino. Il suo assassino.

Cara strinse le dita attorno all’impugnatura del coltello di Joseph e poggiò l’altra mano sulla maniglia. La porta era chiusa, gli uomini ignoravano la sua presenza, se non avesse fatto alcun rumore probabilmente l’avrebbe scampata. Stavolta come allora. Purtroppo o per fortuna però, c’era una donna nuova e forte dentro la stanza, non più una bambina spaventata.

Respirò a fondo per tre volte, spingendo il diaframma in avanti, cercando di incamerare più ossigeno possibile.

Era finalmente tempo di fare i conti col passato.

 

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“Tu oggi muori Lupo.”

Sentenziò il biondo, ancora algido ed impettito nonostante la resistenza di Joseph alle loro torture. Poco importa che il bastardo non volesse parlare. Uno di meno sulla lista. Vladimijr ne sarebbe di certo stato contento e lui non aveva altra missione che rendere fiero il proprio signore.

Joseph rimase impassibile, fissando il bestione che gli puntava la pistola dritta in fronte. I suoi muscoli intorpiditi cominciavano a rispondere, se fosse riuscito a guadagnare qualche altro minuto avrebbe potuto ribaltare la situazione.

Lo scatto della sicura gli fece temere che non ci fosse più tempo.

Così finisce il Lupo, con una pallottola in fronte per colpa di una maledetta troia sovietica. Oh Elia, avrai il mio nome sulla coscienza per molto, molto tempo, almeno finché non faranno a pezzi anche te.

 

“Aiuto!”

La voce di donna, accompagnata da colpi disordinati contro la porta, costrinse il tizio ad interrompere la spinta dell’indice sul grilletto. Vistosamente spaesato rivolse lo sguardo al suo complice, ancora immobile con i timpani tesi verso la voce femminile.

“Aprite! Aprite! Fatemi uscire!”

Il russo biondo afferrò Joseph per la mandibola, spingendo forte il pollice contro la guancia tumefatta

“Chi è?”

L’assassino guardò al cielo indeciso. Doveva ringraziarla o assicurarsi che facesse una fine degna della sua stupidità? Possibile che fosse tanto sciocca da farsi scoprire e, peggio ancora, pensare che due animali a sangue freddo come quelli l’avrebbero aiutata?

“Nessuno.”

Rispose tra i denti.

Il russo, insoddisfatto, si avvicinò al richiamo della sconosciuta. Di certo non si trattava di Katrina. Meglio aprire e liberarsi anche di questo impiccio.

Tirò fuori la sua pistola, ruotò la chiave nella serratura e spinse la maniglia in un movimento fluido, per nulla scalfito dall’idea di dover aggiungere un ulteriore cadavere alla sua già lunga lista.

Aprì, nessuna tremante figura di donna gli si parò davanti, bensì il vuoto. Corrugò appena le sopracciglia e mosse un passo verso l’interno, senza avvertire il bisogno di puntare l’arma. Grave errore di valutazione.

Dall’angolo Cara gli balzò addosso come un’arpia, stringendo le unghie della mano sinistra al bavero del suo impermeabile ed affondando la lama, stretta a destra, dritta nella gola del russo. Un taglio netto e preciso delle vie respiratorie. Il biondo sovietico cadde in ginocchio, pronunciando nulla più che un rantolo. Già gonfio per la mancanza d’aria, si portò le dita a gola e viso, macchiandosi gli zigomi col suo stesso sangue. Continuando a rantolare, con le sue ultime forze, cercò di afferrare la ragazza sconosciuta che aveva di fronte.

Cara si limitò ad indietreggiare di un passo, lasciando sgocciolare il coltello sul parquet. Alla rabbiosa rassegnazione del russo rispose con un sorriso, un angelico sorriso compiaciuto.

Joseph riuscì finalmente a muovere tutte le dita, anche se il resto del corpo rifiutava di tirarsi su e scoprire cosa stesse accadendo nella sua piccola biblioteca. I rumori erano confusi e nessuno aveva ancora sparato né parlato, l’energumeno tantomeno Cara, non che la ragazzina dell’aereo avesse qualche remota chance di sopravvivere.

Peccato averla persa così dopo tutto. Una ragione in più per mettere Pushkin al primo posto tra le sue prossime vittime.

Contro ogni sua possibile supposizione, Cara venne fuori dalla stanza per prima, l’abito sporco di sangue ed il suo pugnale stresso nella mano.

Il suo pugnale.

Joseph si maledì, credendo ancora che il sangue fosse suo e che la ragazza stesse sfilando dritta incontro alla morte.

“Hey!”

Cara richiamò l’attenzione del grosso tizio dai capelli scuri nascondendo l’arma dietro la schiena. Questi si voltò e rimase interdetto alla sua presenza, a giudicare dai lineamenti e dal candore della pelle, la sconosciuta avrebbe quasi potuto essere una di loro. Quasi. Il russo sollevò di nuovo la pistola e ruotò la mira verso di lei, pronto ad eliminarla senza secondi pensieri.

Cara sorrise di nuovo, aguzzando lo sguardo e lanciandosi contro l’avversario col pieno delle sue forze, pronta a far saltare la pistola dalla sua presa con un calcio ben assestato.

Joseph sgranò gli occhi davanti alla scena. Nella sua posizione di semi-paralisi si concesse, per una volta nella vita, di essere totalmente, incredibilmente, infinitamente sorpreso.

Rimase a fissare con attenzione e perplessità il film che andava consumandosi davanti a sé. Non riusciva a capire come fosse possibile.

Cara, con tre o quattro colpi ben assestati, mandò giù al tappeto anche il secondo uomo. Prima che potesse provare a rialzarsi di nuovo, gli piantò un calcio nella nuca e si inginocchiò, pronta a ficcare tutta la lama nel suo torace, sempre senza il minimo segno d’esitazione.

Il russo smise ben presto di contorcersi ed agonizzare, lasciando Cara immobile, in piedi accanto al suo cadavere. Lei se ne stette lì a riprendere fiato, il torace su e giù in lenti movimenti, mentre il dolore dei colpi presi iniziava a scemare.

Joseph si irrigidì contro il divano, cercando immediatamente di muovere quanti più muscoli possibile. Ennesimo tentativo inutile. Le sue gambe non avevano intenzione di camminare.

Cara si voltò verso di lui sentendolo muovere. I capelli scompigliati nascondevano i futuri lividi sul suo viso. Venne avanti saltando il corpo e raccolse lentamente la pistola della sua vittima, accovacciandosi e tornando su per guardare ancora l’assassino, gli occhi di lui appena più aperti del normale e le sopracciglia ravvicinate per l’espressione confusa.

Joseph mosse finalmente le braccia, ma non riuscì comunque a tirarsi su. L’incredulità del momento non gli permetteva di affilare pensieri logici.

La ragazzina dell’aereo aveva davvero ucciso i due scagnozzi di Pushkin!? Così, come se nulla fosse?

“Aiutami.”

Le chiese. In fin dei conti era in debito con lui, giusto? Sia che fosse una ragazzina innocente che una specie di Mr Hyde al femminile.

Cara sorrise con un sospiro, la fatica stava lentamente scomparendo, rimpiazzata da una nuova scarica di adrenalina. Lasciò roteare la pistola nella mano guardando il pavimento per qualche secondo

“In realtà…”

Esordì

“…Non credo di poterlo fare.”

Joseph sollevò il mento diventando una specie di blocco di marmo, i pugni stretti a tentare ancora una volta di rimettersi in piedi.

“Che vuoi fare allora?”

Domandò con voce bassa. Gli occhi puntanti sull’arma in suo possesso.

Cara inspirò fino a riempirsi lo sterno, sollevò piano la pistola all’altezza degli occhi di Joseph, la tenne dritta di fronte a sé e buttò fuori l’aria

“Credo che ti ucciderò… Lupo.”

Finalmente in grado di guardarla in viso, fu come scoprire una nuova persona, come se nuovi lineamenti si fossero mostrati sul viso della sua angelica ragazzina, come se un’anima nuova l’avesse abitata di colpo.

Un sorriso genuino, un sorriso compiaciuto, soddisfatto, cattivo.

Quella non era la ragazza maldestra che aveva salvato dall’aereo, il suo non era un mero tentativo di liberarsi e quello non era il colpo di fortuna e ribellione di un ostaggio. Il modo in cui si era mossa, forte e precisa, colpendo quei tizi solo nei punti giusti… Il modo in cui impugnava la pistola, braccia ferme, ginocchia leggermente piegate, gambe divaricate… La posizione di chi sa come si spara, la sicurezza di chi ha già sparato altre mille volte… La luce nei suoi occhi, divenuti di colpo blu come la notte, il sorrisetto difficile da tenere a freno, la completa mancanza di incertezze.

Il cuore gli si fermò nel petto.

Aveva addosso lo sguardo di un killer.

“Chi sei tu?”

 

 

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Et Voilà! Per caso non si è capito nulla alla fine di questo capitolo? Non so se sia un bene oppure un male a questo punto, comunque vi assicuro che darò un senso a tutto!

Questo è il punto di svolta che attendevo sin dall’inizio. Voi che ne pensate? Largo spazio alle vostre ipotesi!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


cap8

Vi chiedo sinceramente scusa per il ritardo! Più il mio esame di abilitazione si avvicina, più il mio tempo e le mie risorse mentali scarseggiano! Vi ringrazio tutti per la pazienza e l’attesa... Risponderò ad ogni recensione appena possibile!

A/N In questo capitolo inizio a spiegare il nuovo lato di Cara, ma ovviamente mancano ancora molti pezzi che svelerò di volta in volta. Sono un po’ distratta ultimamente, quindi, se qualcosa non dovesse filare, fatemelo notare! Grazie ancora!

 

/(/(/(/(/(/(/(

 

Il cuore gli si fermò nel petto.

Aveva addosso lo sguardo di un killer.

“Chi sei tu?”

Cara inclinò la testa da un lato

“Conosci già il mio nome.”

Cara Phillis. Cara Phillis. Cara Phillis. Joseph lo ripeté un milione di volte nella sua testa. Continuava a non dirgli nulla, non aveva nemici o conoscenti che portassero quel nome, nessuno nella malavita che si chiamasse così. Eppure era certo che la ragazza non avesse mentito.

“Sembri perplesso…”

Riprese lei con tono sarcastico, mettendo giù l’arma per concedersi una postura più comoda.

“…per cui proverò ad aiutarti. Cara è il nome che mio padre mi ha dato, ma gli amici mi chiamano Barbie.”

Joseph la vide muoversi per casa sua come se ci fosse già stata una decina di volte. Barbie. Senza dubbio un nome d’arte azzeccato, ma anch’esso del tutto sconosciuto alle sue orecchie. Chi diavolo era la ragazza? Che cazzo stava succedendo? L’assassino prese a muoversi cercando in ogni modo di tornare in piedi. Chiunque fosse quella specie di automa ricondizionato, di certo non si trattava di un’amica ed il groviglio di domande che rapidamente gli stavano intasando il cervello avrebbero atteso per una risposta. Controllo e difesa prima di tutto.

Cara riapparve con la corda in mano, la stessa che Joseph aveva usato con lei. L’assassino tese i muscoli delle braccia. Non amava particolarmente l’idea di picchiare a sangue una donna, ma come si dice, a mali estremi estremi rimedi.

Barbie, se quello era il suo altro nome, si avvicinò di nuovo al cadavere della sua seconda vittima

“Odio i sovietici. Sono così pieni di sé. E per quale motivi poi? Solamente perché bevono fiumi di vodka e riescono comunque ad eseguire un perfetto triplo axel?”

Joseph ne seguì i movimenti senza tener conto del suo sparlare. Cara si abbassò piano e tastò le tasche del defunto

“Ma bisogna dargliene atto…”

Riprese, tirando fuori un’altra siringa, perfettamente identica a quella già svuotata dal russo nelle vene del Lupo.

“…Sono sempre previdenti.”

“No.”

Intimò Joseph, sperando in qualche modo di bloccare le sue evidenti intenzioni. Cara gli sfilò attorno, prima sbattendo delicatamente la punta dell’indice sulla siringa e poi lasciando uscire dall’ago metà del contenuto. Non voleva stenderlo dopotutto, voleva solo tenerlo buono per un altro po’.

Lui prese a respirare affannosamente, quella mancanza di controllo era la peggior tortura che avesse mai subito. Poteva usare le mani, ma non poteva alzarsi ed i suoi muscoli erano ancora troppo intorpiditi per poter contare sui riflessi. Fece per lasciarsi cadere da un lato e sollevare il gomito, ma Cara non si scompose, del resto non mirava al suo collo, bensì alle gambe. Da dietro, con un rapido gesto, gli piantò l’ago nella coscia destra.

Joseph strinse i denti ignorando il dolore, approfittando della vicinanza per afferrare i capelli della ragazza ed immobilizzarla a pochi centimetri dalla sua faccia. Cara sorrise trovandosi così vicina a lui. Era solo questione di attimi, non poteva farle niente. Quasi subito la presa del Lupo iniziò ad allentarsi e lei concluse la manovra storcendogli il polso con uno scatto brusco. Joseph trattenne a stento un lamento e tornò a guardarsi di fronte.

“Bene.”

Mugugnò lei passandogli la corda attorno a polsi e caviglie, realizzando due grossi nodi a prova di Houdini. Soddisfatta della sua opera, tornò a guardare Joseph negli occhi, completamente affascinata e galvanizzata dalla sua candida confusione.

“Non hai ancora capito vero?”

Lui non si mosse. Lei accennò un sorriso

“Ti darò un altro indizio allora…”

Inspirò profondamente con una strana espressione in volto, come se allo stesso tempo stesse per svelare il quarto segreto di Fatima ed annunciare il vincitore dell’oscar per il miglior attore protagonista.

“…Mancini…”

Si spinse avanti quasi fino a poggiare la fronte su quella di lui

“...Merli mancini.”

Joseph spalancò gli occhi facendo appello a qualsiasi briciolo di energia rimasta pur di muoversi. Mancini, la Compagnia dei Merli Mancini. La peggior cosa che potesse capitargli.

Se si dovesse fare una lista dei nemici dei Michaelson bhé, senza dubbio l’elenco sarebbe lungo. Tuttavia, laddove si dovesse assegnare un premio per il più subdolo e pericoloso, il vincitore sarebbe senza dubbio Robert Mancini.

Ultimo membro di una lunga dinastia di mafiosi italo-americani, Robert era stato espulso dalla sua stessa famiglia per, come lo si potrebbe definire, eccesso di zelo forse? La sua infinita sete di potere e totale irrispetto delle regole, lo avevano visto impersonare perfettamente la cacciata di lucifero dal paradiso. Al pari del diavolo stesso infatti, Robert aveva deciso di fondare la sua personale organizzazione di killer professionisti, la “Compagnia dei Merli Mancini” per l’appunto.

Joseph scosse nervosamente la testa. Non aveva comunque senso. Anche i Michaelson, come chiunque altro avesse un po’ di buon senso, evitavano accuratamente di pestare i piedi a Mancini. Perché mai mandare uno dei suoi sicari per ucciderlo? E questa ragazza poi? Chi diavolo era Cara Phillis? Joseph conosceva a memoria tutti i volti della compagnia e la ragazzina dell’aereo di certo non ne faceva parte.

Cara si tirò su e tornò a girovagare per la stanza, stavolta diretta verso la giacca dell’assassino appesa all’entrata. Ne tirò fuori pacchetto ed accendino. Accese una delle sigarette e tirò una lunga, piacevole boccata.

Il fumo le uscì di bocca in un sinuoso intreccio grigiastro

“Aww.. Quanto mi mancava.”

Di nuovo si riempì i polmoni di catrame e nicotina

“Mi spiace propormi così. Secondo il piano avrei dovuto aspettare che ti fidassi di me abbastanza da presentarmi i tuoi, ma devo ammetterlo…”

Stirò i muscoli del collo ruotando lentamente la testa e portando i lunghi capelli sulla spalla sinistra

“…tutti quei sospiri, quelle lagne, ‘no, ti prego Joseph fermati’.. Iniziava a diventare davvero frustrante.”

Concluse mimando ed enfatizzando un’espressione disperata. L’assassino digrignò i denti, la vista era quasi annebbiata ed il suo cervello faceva fatica a seguire il nesso logico delle sue parole. Lei sorrise

“Almeno ho raggiunto lo scopo.”

“Quale scopo?”

Cara si avvicinò stringendo la sigaretta accesa tra indice e medio, curvò la schiena fino alla sua altezza e gli roteò l’indice libero davanti agli occhi

“Entrarti nella testa.”

Gli poggiò il polpastrello freddo sulla fronte mentre lui fremeva, mosso dal barbarico istinto di uscire dalle proprie inutili membra. Gli uscì di bocca una specie di grugnito

“No.”

“No?”

Cara si avvicinò ancora, sfiorandogli la tempia col naso e l’orecchio con le labbra, lasciando una seducente scia di respiro al tabacco

“Un altro paio di giorni insieme e scommetto che avresti anche ucciso per me.”

Joseph scansò la testa il più lontano possibile e strinse i denti. Lei si tirò su buttando la cicca sul pavimento

“Non sentirti in imbarazzo adesso, è esattamente così che sarebbe dovuta andare…”

La schiacciò

“…D’altra parte, ero la stella della classe di recitazione qualche anno fa sai? Certo non pensavo che il mio talento potesse tornare utile in così tanti modi.”

L’assassino strattonò le corde con tutta la forza possibile

“Che cosa vuoi?!”

Sbottò. Il viso angelico di Cara divenne duro come la pietra

“Tuo padre.”

Rispose guardandolo dritto negli occhi

“Lui mi ha tolto qualcosa anni fa e adesso io mi prenderò quel che ha di più prezioso…”

La sua espressione di sciolse in un misto di fascino ed eccitazione

“…Suo figlio.”

Inaspettatamente Joseph sbuffò l’accenno di un sorriso e sollevò il mento nella sua direzione

“Se è a lui che vuoi fare un dispetto, hai preso il figlio sbagliato.”

Barbie sollevò un sopracciglio, genuinamente incuriosita dalle parole di lui. Gli si avvicinò di nuovo

“Che vuoi dire?”

L’assassino cercò di stringere i pugni, bloccato in una sorta di scontro tra incudine e martello. Il suo cognome era la cosa più importante che avesse, ma allo stesso tempo l’idea di poterlo rigettare era un sollievo infinito, una specie di via di fuga sempre aperta che, tuttavia, amava attraversare esclusivamente in solitudine. In quella bizzarra situazione avrebbe finito per rivelarsi un’arma a suo vantaggio.

“Non sono suo figlio…”

Rivelò, lasciando trasparire un’ombra di orgoglio. Odiava William.

“…Non biologicamente almeno.”

Cara sollevò le ciglia. Wow, una rivelazione degna della soap-opera più kitch. In quel momento osservò i lineamenti del lupo ancora una volta con più attenzione, lasciando scorrere la punta delle dita sui suoi zigomi e sulle sue labbra piene, così diversi da quelli degli altri Michaelson.

“Mmm…”

Mugugnò mentre lui cercava di ritrarsi, quasi le sue mani fossero acido muriatico

“…Questo spiega gli insoliti tratti svedesi.”

Si tirò indietro di colpo, mettendosi a camminare su e giù per la stanza e giocherellando con le dita

“Facciamo un riassunto allora…”

Le sue labbra erano protratte in una sorta di broncio, quasi dovesse realmente concentrarsi

“Tuo padre è un mostro… Tu sei un bastardo… E tua madre era una puttana.”

Joseph saltò sul divano come se gli avessero conficcato uno spillo aguzzo nella carne

“Non osare nominare mia madre!”

Urlò, lasciandola sconvolta per un breve secondo

“Hey, quanta foga!”

Tornò accanto a lui e riuscì a stringergli il viso tra le mani

“Non preoccuparti. Potrai non essere utile come speravo, ma per fortuna abbiamo già anche il fratello numero tre.”

Sorrise di gusto mentre lui si dimenava

“Dov’è Nathaniel??”

Cara inspirò profondamente e mollò la presa spingendolo con poca grazia contro lo schienale del divano

“Temo che la tua domanda debba aspettare…”

Si diede un’occhiata passando i palmi sulle macchie di sangue già rappreso

“…Ho bisogno di una doccia.”

 

 

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Nate sputacchiò cercando di riprendere respiro. Le ultime due ore della sua vita le aveva passate con un cappuccio nero in testa, perdendo completamente il senso dello spazio. Sforzando le retine per mettere a fuoco il prima possibile, si vide in una stanza vuota con le pareti di mattoni, i polsi legati ed il viso dolorante per le percosse. L’odore umidiccio di muffa e polvere era quasi insopportabile.

“Una vera topaia, non credi?”

Quella voce profonda, dal tono irrimediabilmente sarcastico, lo colpì come una doccia fredda. Niente russi, tuttavia nessun sollievo, anzi.

“Il posto perfetto per un verme come te.”

Aggiunse la voce, girando piano in circolo fino a pararglisi di fronte. Nathaniel contorse le labbra e tese il collo. Avrebbe davvero preferito essere col sanguinario Vladimijr Pushkin.

Incarnato pallido, ma perfetto, capelli scompigliati color ebano e grandi occhi verde bottiglia, il tutto inscatolato su un fisico esile, tuttavia solido come il marmo. Ghigno da duro e chiodo di pelle. In due sole parole Morgan Pryce, il gemello terribile.

“Dov’è la tua brutta copia?”

Esordì Nate, lasciando scontrare la sua fastidiosa sicurezza contro quella del nemico.

“Aveva delle commissioni da fare, ma non preoccuparti Michaelson, sono sicuro che riusciremo a divertirci anche da soli.”

Nathaniel buttò indietro la testa, già esasperato nel vederlo indossare il pugno di ferro. La sua faccia perfetta, merito di madre natura, della settimanale maschera al polline egiziano e due iniezioni di costoso filler biologico, stava per dirgli addio.

Morgan Pryce del resto, era ben famoso per i suoi modi poco delicati e per il sarcasmo congenito, unico tratto, assieme al taglio di capelli, che lo rendeva distinguibile da Little K, suo fratello gemello. L’ultima volta che Nate si era trovato faccia a faccia con i Pryce, circa cinque anni prima, il tutto era finito in una mega rissa per via di un’auto distrutta. La preziosa Mercury Comet del ’65 con i sedili in pelle rossa che Nate e un altro idiota avevano deciso di rubare. Pessima idea. Joseph era intervenuto in suo aiuto come sempre, ma se non fosse stato per l’intervento delle guardie di William, molto probabilmente i gemelli pazzi avrebbero avuto la meglio.

“Ancora per la storia della macchina? Dopo cinque anni? Andiamo amico, fatti una vita!”

Morgan interruppe la discesa del suo gancio destro

“Giusto. Mi hai appena ricordato che dovrei massacrarti anche per quello. Amico.”

E detto ciò gli sparò in faccia le nocche tese, squarciando la pelle come fosse carta. Nate non trattenne la sua protesta, sentendo il sangue scorrergli fino alle labbra, tuttavia smise di preoccuparsi per il conto del chirurgo plastico ed accese il cervello

“Anche per quello?”

Ripeté le parole del gemello

“Perché sono qui?”

Morgan sfoderò un sorriso obliquo

“Perché sei un idiota, incapace, senza spina dorsale. Ma a parte questo non è stata una mia iniziativa.”

“E di chi allora?”

Il gemello premette i polpastrelli sullo zigomo ferito di Nathaniel, godendo del suo tentativo di mascherare il dolore pungente

“Ti dice niente il nome Mancini?”

Nate spalancò gli occhi facendo del suo meglio per venir fuori dalla presa di Morgan. Bastava quella parola per capire che era finito in guai ben più grossi del previsto.

“Sei uno dei merli adesso?”

Domandò cercando di mantenere un’apparenza più rilassata possibile. Non voleva davvero dargli la soddisfazione di riconoscere il suo immenso vantaggio nell’essere parte della compagnia.

Morgan sorrise ancora

“Cosa credevi? Che il mio talento sarebbe andato sprecato ancora per molto?”

Guardando il nemico brillare di luce propria mentre vantava la nuova posizione, Nate si dette il tempo di respirare e valutare la situazione. Robert Mancini ed i suoi merli erano i più temibili antagonisti che si potesse incontrare, crudeli, decisi, senza scrupolo alcuno. Del resto, tutta l’organizzazione basava proprio su tali principi e dalla mancanza di vincoli traeva la forza. Dopo essere stato rigettato dalla sua stessa famiglia, Robert aveva infatti rivalutato totalmente il valore dei legami di sangue, trovando nel loro esatto opposto una formidabile risorsa. Mentre i Michaelson poggiavano il loro impero proprio sulla condivisione del dna, i merli ingaggiati da Mancini non avevano nulla in comune se non le doti criminali e la gran sete di riscatto. Tutti raccolti negli orfanotrofi, nei riformatori o perfino in strada, i suoi ragazzi creavano un perfetto sistema di isole indipendenti. Letali nel lavoro di squadra, erano in grado di esprimere il loro pieno potenziale esclusivamente in solitaria, totalmente spogliati della necessità di rispettare o difendere qualcun altro. I merli non avevano limiti o regole, ciò li rendeva pressoché imbattibili.

“E che mi dici di Little K, fa anche lui parte della squadra?”

“Ovvio.”

Ottimo, pensò Nathaniel, se non altro poteva ancora contare su un punto debole.

“E non è contro le regole?”

Cercò di indagare, ma Morgan parve presto indispettito dalle sue domande. Si rivestì della sua glaciale perfezione e riportò l’attenzione sul suo ostaggio, massaggiando la mano in prospettiva di un nuovo pugno

“Non ci provare Michaelson. Sai bene che ucciderei anche lui se fosse necessario.”

Nate chiuse gli occhi per un secondo. Morgan era un osso duro, troppo duro. Per capire le motivazioni di una simile personalità antisociale avrebbe dovuto conoscere meglio la storia dei gemelli, ma tutto ciò che sapeva è che i due erano venuti fuori dall’orfanotrofio verso gli undici anni, affidati ad una famiglia da cui erano fuggiti qualche anno più tardi. Da quel momento in poi poteva solo supporre che l’istinto di sopravvivenza avesse loro insegnato tutto ciò che sapevano. Certo, doveva essere stata davvero una vita di merda per ridurli così.

“Che cosa vuoi da me?”

Decise allora di mirare dritto al punto. Morgan si attaccò ad una bottiglia di birra che Nathaniel non aveva notato fino a quel momento. Dio se aveva sete.

“Voglio solo che tu mi faccia un po’ di compagnia…”

Suonò angelico dopo la sua serie di sorsi

“…Almeno finché non arriveranno gli altri.”

Nate sentì la pelle d’oca sulle braccia. La faccenda andava complicandosi. Chi sarebbe dovuto arrivare? Little K? Un’intera squadra di torturatori? Mancini in persona?

“Chi?”

Domandò con la gola già secca. Il gemello sorrise di gusto ancora una volta

“Oh, non temere Michaelson, conosci già tutti gli invitati a questa festa.”

 

 

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“Sta succedendo qualcosa padre.”

Esordì Elia dopo essere piombato nello studio del padre, la sua impeccabile apparenza segnata da un velo di agitazione. William girò sulla sua sedia di pelle e sorseggiò il suo whiskey.

“Vladimjir se n’è appena andato. Temo sia più che consapevole delle nostre menzogne.”

“Appunto…”

Elia avanzò dopo aver sbottonato l’unico bottone della giacca

“…Joseph e Nathaniel non rispondono alle mie chiamate. Dovrebbero essere fuori città ormai.”

William senior abbassò le palpebre scuotendo lentamente il capo. L’incompetenza dei suoi figli minori era come sempre fastidiosa.

“Credi abbiano avuto problemi?”

“Temo di sì padre.”

Lui non parve scosso né preoccupato, ancora una volta si bagnò le labbra perdendosi nei propri pensieri. Mosse la sedia e contemplò una foto della sua famiglia appesa al muro. In perfetta armonia di altezze e proporzioni, il capofamiglia sedeva al centro, con accanto la sua signora, avvolta in una camicia di seta bianca, i lunghi capelli ramati raccolti in uno chignon perfetto. Attorno a loro i quattro ragazzi, impeccabili nei loro abiti puliti. Quell’immagine esprimeva a pieno l’ordine e la gerarchia della famiglia.

“Le donne sono creature semplici figlio mio…”

Elia raggiunse con gli occhi il punto d’attenzione del padre, cercando di star dietro al suo repentino cambio d’argomento

“…Vogliono essere conquistate. Vogliono essere possedute, tenute a freno dai loro uomini…”

Elia fece per rispondere, ma si fermò, finalmente in grado di capire a cosa sua padre stesse riferendosi. Katrina.

“…Tuttavia figliolo, hanno bisogno di illudersi di poter prendere le loro decisioni. Necessitano di essere soddisfatte nelle loro velleità…”

Lanciò un’occhiata al suo secondogenito

“…Dentro e fuori dalle lenzuola.”

Elia distolse d’istinto lo sguardo. Da ormai due anni, ogni notte, si interrogava sui propri errori e tanto bastava, di certo non aveva bisogno che suo padre fra tutti lo accusasse di aver mancato. Fortunatamente William parve reimmergersi nei propri ricordi

“Anche tua madre era così…”

Sospirò

“…Timida e delicata all’apparenza, ma selvaggia come una tigre. Avrei dovuto costruirle una gabbia molto più grande.”

Si perse nella propria metafora, spandendo sale sulla ferita del tradimento subito. Come aveva osato? Portare in casa sua il bastardo di un altro… Sperando per giunta che non se ne accorgesse. Elia ne approfittò per tirarsi fuori

“Perdonami padre, ma credo di dovermi occupare di un altro problema adesso.”

“I tuoi fratelli?”

Elia annuì.

“Cosa intendi fare?”

“Andrò al vecchio hotel e all’appartamento di Joseph. Voglio controllare che tutto sia andato come previsto.”

Il Michaelson più anziano rispose con un gesto di assenso

“Occhi aperti William. Occhi aperti.”

Elia voltò lentamente le spalle e lasciò lo studio. Odiava sentirsi chiamare col proprio nome di battesimo. Odiava essere una semplice copia dell’originale.     

 

 

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Cara venne fuori dal bagno avvolta in un morbido e profumato asciugamano azzurro, seguita da una nuvola di vapore al sandalo indiano. Joseph drizzò muscoli e orecchie sentendola arrivare. Durante l’ultima mezz’ora aveva sforzato le sue cellule celebrali per ricordare quel nome, ma la sua ricerca non aveva dato frutti. Barbie doveva essere un nuovo acquisto della compagnia e lui non aveva idea del perché volesse tanto arrivare a suo padre.

La ragazza gli si parò davanti esaminando attentamente uno dei flaconi che aveva scovato in bagno.

“Dovresti usare un vero idratante. Questa roba è una schifezza per la pelle.”

Joseph sospirò esasperato. Non ricordava minimante come quel cosmetico da donna fosse finito a casa sua e soprattutto, non poteva fregargliene di meno. Cara strizzò la confezione e prese a spalmarsi il fluido bianco sulle gambe con pigri movimenti circolari, quasi stesse improvvisando uno spettacolino sexy. L’assassino sbuffò nervosamente ancora una volta.

“Che c’è?”

Domandò lei innocentemente, sollevando l’asciugamano per stendere la crema sulle cosce.

“Ti piace quello che vedi, non è forse vero?”

Joseph girò gli occhi all’altro lato della stanza, determinato a mantenere la concentrazione. Essere stato ingannato era già abbastanza fastidioso, non c’era bisogno che “Barbie” glielo sbattesse in faccia, tanto meno che le curve del suo candido corpo lo distogliessero dai suoi pensieri, primo fra tutti l’incolumità di Nathaniel.

“Guardami.”

Ordinò lei, ma il lupo non si mosse. Cara allora lo raggiunse e sollevò il piede nudo sul divano, lasciando che un solo angolo di tessuto coprisse l’ultimo spazio tra le sue gambe. Riprese ad accarezzarsi cercando di far assorbire la lozione e piegare la sua resistenza.

“Mi è piaciuto sai? Fare sesso con te.”

Joseph vacillò, preso dal ricordo del loro amplesso e dal profumo del suo doccia schiuma addosso alla ragazza dell’aereo.

“Avrei voluto urlare… Chiederti di spingere più forte.”

Riprese lei con tono seducente e finalmente lui si voltò, risalendo con gli occhi la linea della sua gamba scoperta fin su alle spalle ed al suo viso pulito. Erano state l’ingenuità e la sua infantile ed indifesa innocenza ad attrarlo, entrambe totalmente sparite, ciononostante quell’espressione decisa ed il broncio da poco di buono solleticavano i suoi ormoni. Se la vecchia pudica ragazzina dell’aereo aveva acceso le sue fantasie erotiche, questa nuova versione, malvagia e lasciva, avrebbe meritato i suoi più oscuri, perversi e sadici desideri sessuali. Peccato avere le mani legate e cose più importanti a cui pensare.

“Dov’è Nathaniel?”

“In buone mani.”

Si limitò a rispondere lei chiudendo il flacone.

“Se gli fate qualcosa giuro che…”

“Cosa?”

Lui digrignò i denti

“Ti faccio a pezzi.”

Cara sollevò le spalle allontanandosi dal divano

“Ho già sentito questa minaccia decine di volte. Non hai nulla di meglio?”

Se ne stette immobile al centro del soggiorno per una manciata di secondi poi lasciò cadere l’asciugamano, mostrando a Joseph la schiena nuda e la perfetta rotondità delle sue natiche. L’assassino dovette guardare per forza, sorpreso e allo stesso tempo colpito dal piccolo dettaglio di un tatuaggio a forma di M sotto la sua scapola sinistra. Aveva il marchio, era davvero una dei Merli.

Cara gli lanciò un’occhiata voltando il collo

“E’ possibile che tu abbia dei vestiti da donna decenti qui?”

Joseph non rispose nemmeno

Lei sospirò sollevando le spalle e sparì nell’altra stanza. Tornò da lui una manciata di minuti più tardi. L’armadio dell’assassino era privo di vestiti femminili, per cui aveva arrangiato una delle sue camicie come fosse un mini dress, tenendo sotto nulla più che una t-shirt scura. L’assassino ne accarezzò con gli occhi le gambe nude, inevitabilmente scoperte fin più su di metà coscia. I suoi vestiti addosso ad una donna. Era una novità. Una piacevole novità, se non fosse che la donna in questione era uno dei merli e non vedeva l’ora di strappargli il cuore dal petto.

“Dimmi chi sei e cos’hai fatto a Nathaniel.”

Ordinò secco.

“Una cosa per volta. Nathaniel è con un mio amico, ma non preoccuparti, presto lo raggiungerai anche tu.”

Apostrofò lei puntandogli l’indice e la vista addosso.

L’assassino rispose allo sguardo reggendo i suoi occhi con tutta la decisione possibile. Non vi era più timore in quelli di lei. Nessuna emozione riconoscibile, se non un profondo stato di eccitazione, fosse per la sua nuova posizione di comando, fosse per il piano diabolico che aveva in mente. Se solo avesse potuto allungare le mani le avrebbe strappato quell’espressione compiaciuta dalla faccia, rimettendola al suo posto in men che non si dica.

“Chi sei tu?”

Scandì ed ottenne uno sbuffo in risposta

“Sei ripetitivo.”

“Conosco quelli della compagnia. Tu non sei mai stata con loro.”

“Sbagliato. Innanzitutto non conosci affatto tutti i merli e, secondo, io sono una di loro, da nove anni ormai, il che prova ancora una volta che tu non sai niente sulla compagnia.”

Joseph digrignò i denti. Se la ragazza aveva ragione, i suoi problemi sarebbero diventati ancor più complessi.

“Vediamo…”

Barbie afferrò una sedia e si accomodò dritta di fronte al suo ostaggio

“L’incendio che ha distrutto “La Salle de Paris” di New York due anni fa. Ti dice niente?”

Lui non si scompose. Non era solito seguire la cronaca locale, tantomeno gli affari della microcriminalità della grande mela.

Cara si leccò le labbra

“Forse questo lo ricordi. Gordon Craven, della Craven Enterprise. Trovato carbonizzato nella sua Ferrari dopo un terribile incidente d’auto. Credo fosse amico del tuo caro paparino.”

Craven Enterprise, il nome non gli era nuovo. William aveva prestato una grossa somma al capo, un’operazione di Import-Export che avrebbe dovuto fruttare milioni e si era invece rivelata una completa fregatura. L’idiota in questione si era schiantato contro un palo della luce prima che i sicari di suo padre potessero fargliela pagare.

Cara colse il bagliore di consapevolezza negli occhi di lui e sorrise appena

“Opera mia.”

Joseph la guardò stupito, lei riprese

“E te ne dirò anche un’altra. Ti ricordi di Coleman e Brian?”

Coleman e Brian. Esecutori materiali delle sentenze di William, il primo trovato morto con un colpo in mezzo agli occhi, il secondo sparito nel nulla.

“Sono stata io.”

L’assassino aggrottò le sopracciglia

“Perché?”

Cara spostò lo sguardo. La scena era ancora chiara nella sua mente. I loro completi scuri freschi di tintoria, l’indifferenza dei loro occhi, le mani di Brian addosso a sua madre, gli spari secchi. Il tonfo sordo.

Tentò di ricomporre la propria gelida figura

“Come se ti importasse. A te non importa di nulla. Tu sei come lui…”

Di nuovo gli arrivò vicina, prendendogli il viso nella mano e stringendo con forza

“…E come lui meriti di soffrire.”

Joseph si tese nella sua presa, scavandone lo sguardo alla ricerca di un indizio qualsiasi. La ragazza aveva dentro rabbia e dolore, rimorso e sofferenza. Qualunque motivo l’avesse spinta ad unirsi ai merli, l’organizzazione non era ancora riuscita a succhiare tutta la sua umanità. Quel turbine di emozioni era il punto debole che lui avrebbe dovuto colpire.

“Che cosa ti ha fatto mio padre?”

Lei si staccò, improvvisamente infastidita

“E tu perché lo chiami padre?”

Bella domanda.

Cara si strinse nella camicia che sapeva di lui e mosse qualche passo nella stanza, ritrovando pian piano la sua facciata impassibile. Gran parte di lei fremeva dalla voglia di vomitare addosso a Joseph tutto l’odio che le bruciava dentro, ma la metà più razionale sapeva di non dover scoprire troppe carte. Non ancora almeno.

Gli lanciò un’occhiata micidiale

“Ucciderò te, tuo padre e i tuoi fratelli. Questo è tutto ciò che devi sapere.”

Prese a muoversi verso l’altra stanza, ma la voce di Joseph la bloccò

“Avete preso me e Nate è vero, ma Elia è un’altra storia. Non riuscirete mai a prendere anche lui.”

Cara indugiò appena. E’ vero, Elia era di certo il più difficile dei tre, molto più brutale ed intelligente dal vivo piuttosto che nei dossier. Tuttavia…

Voltò la testa sulla spalla destra, schiudendo le labbra in un mezzo sorriso seducente

“Non preoccuparti. Ho un’arma segreta riposta per lui.”

Joseph rimase a fissare il punto in cui lei era sparita, rimuginando in silenzio sulla situazione. Elia era più furbo di tutti loro messi insieme, qualunque fosse il tranello non avrebbe abboccato, ne era sicuro.

Bussarono alla porta.

Joseph si irrigidì, pressoché certo che si trattasse proprio del fratello giunto in suo soccorso. La ragazzina, merlo o meno, non avrebbe avuto chances.

I colpi alla porta di ripeterono, cadenzati e ritmati così da comporre una specie di melodia. Cara tornò in soggiorno, si riempì i polmoni passando le mani tra i capelli e studiando attentamente la sua figura allo specchio. Quella specie di musichetta ed il sorriso di Cara spensero in Joseph qualsiasi entusiasmo.

“La nostra limousine è qui.”

Scherzò lei.

Non appena la porta di aprì, il tizio sulla soglia venne dentro con passi fluenti. Pelle chiara, capelli d’ebano tenuti su dal gel, grandi occhi color verde bottiglia. L’assassino imprecò contro il cielo, l’ultimo tassello da aggiungere alla lista delle sue disgrazie. Little K. L’altro gemello Pryce.

Il nuovo arrivato si guardò attorno brevemente, poi rivolse gli occhi a Cara. Il suo sguardo la analizzò da capo a piedi

“Hai un aspetto orribile.”

Sentenziò, ma in risposta non ottenne altro che un grosso sorriso. Cara gli si buttò letteralmente addosso e le loro bocche si fusero in un lungo bacio tutt’altro che romantico. Joseph riuscì a cogliere chiaramente l’intreccio delle loro lingue, così come le mani di lui ficcate sotto l’orlo della sua camicia. Quella scena gli chiuse lo stomaco. La sua ragazzina dell’aereo… Quella era tutt’altro che una ragazzina innocente e, soprattutto, era chiaro quanto non fosse sua. Che idiota.

Spostò gli occhi e si sforzò di pensare. Perché Little K era lì? Era anche lui uno dei merli? E Morgan allora? Se i gemelli erano immischiati nella faccenda forse c’era davvero qualcosa di cui preoccuparsi.

L’ombra di Little K su di lui lo riportò al presente. Il suo sorrisetto, in perfetta stonatura con l’aria da bravo ragazzo, gli tese ancor più i nervi. Odiava i gemelli Pryce, così come si odia una scheggia di legno conficcata nel dito. Detestava le loro facce pulite e non sopportava non sapere per cosa stesse quella stupida K. Nessuno lo sapeva.

“Andiamo amico…”

Esordì il gemello

“…Il tuo caro fratellino ci attende alla festa.”

Ad un suo schiocco di dita due possenti energumeni entrarono in casa sua e lo sollevarono di peso, trascinando i suoi piedi molli fuori dal portone. Dietro di lui Cara e Little K, probabilmente di nuovo avvinghiati come piovre in amore.

“Hai lasciato l’invito per Elia?”

Domandò lui a Barbie, continuando a tenere in piedi la metafora celebrativa. Lei si arrotolò una ciocca di capelli attorno al dito, fiera ed impaziente

“Certo. L’invito lo attende… In carne ed ossa.”

   

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


cap9

Ciao!!! Scusate l’immenso ritardo.. Il mio esame di abilitazione si avvicina e le mie risorse scarseggiano! Volevo comunque pubblicare qualcosa per ringraziarvi tutti della lettura e delle vostre splendide parole! Non è molto lungo, ma spero faccia un minimo di chiarezza… A presto! E se avete tempo, pregate un po’ per me!!!

Martina

 

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Quel posto era una vera bettola, i muri gocciolavano e tutta quell’umidità puzzolente iniziava a penetrargli la pelle della schiena. L’effetto del miorilassante era ormai sparito, quindi, ad occhio e croce, erano passate almeno due ore da che gli scagnozzi di Mancini l’avevano depositato in quella stanza scura. Il tizio che aveva di fronte, incaricato di “intrattenerlo”, si era già stancato da un pezzo di prenderlo a pugni ed ora ne stava lì, con gli occhi incollati al suo telefono e la mente rapita da qualche stupido videogame o sito porno.

Joseph stirò i muscoli del collo, prima a destra poi a sinistra, finendo testa al muro nel tentativo di roteare il capo. Era attaccato alla parete di mattoni e cemento, letteralmente incatenato per i polsi come in una sorta di stanza delle torture medioevale, senza poter far altro che allungare e piegare le ginocchia. Il suo cervello era tornato al pieno dell’attivazione e tutti i suoi pensieri giravano attorno all’unica idea di uscire di lì, possibilmente intero. Continuava a chiedersi se Nathaniel fosse da qualche parte nella sua stessa situazione o se la sua assenza significasse che qualcuno di quegli psicopatici aveva osato fargli del male. La sola idea gli fece ribollire il sangue. Finì inevitabilmente per fissare il tizio davanti a lui ed immaginarsi, a chiari colori, l’intreccio delle sue budella sul pavimento. Poco male che non avesse coltelli con sé, avrebbe squartato tutti a mani nude se fosse stato necessario.

La porta della stanza si aprì di colpo mostrando, nella scia di luce dall’esterno, il nuovo aspetto pulito ed ordinato di Cara. Doveva essersi fatta un’altra doccia o magari un idromassaggio con quel coglione di Little K perché l’odore di muschio bianco era stato completamente sovrastato da una nuova fragranza di miele e lavanda. Stucchevole. I suoi capelli rimbalzavano perfetti in morbide onde ed indossava disinvolta un paio shorts e una maglietta.

“Vattene Call.”

Ordinò senza nemmeno guardare l’altra persona nella stanza, i suoi occhi erano fissi, puntati come armi addosso alla miseria di Joseph. Il tizio eseguì senza fiatare. La porta gli si chiuse dietro e Cara rimase in silenzio all’angolo della stanza. Quello era il suo mondo, quelle le sue persone, eppure, dopo solo qualche ora trascorsa tra le dita ruvide di Little K e le risate sguaiate degli altri merli, una specie di forza inconscia l’aveva trascinata fino a quel sotterraneo. Scemata l’onda d’adrenalina ed eccitazione, nel profondo di sé era emerso il bisogno. Bisogno di pace, di silenzio, bisogno di tornare a quella semplice dimensione in cui null’altro importava tranne lei, lei e la sua vendetta, lei ed il suo scopo, lei e Joseph Michaelson.

Non era così che doveva andare. Cara era volata in Sud Africa col solo scopo di monitorare la situazione, seguire le mosse delle autorità, trovare un buco nella sorveglianza che le permettesse di prelevare il Lupo. Ironia della sorte, l’assassino era stato rispedito negli Stati Uniti mezz’ora dopo il suo atterraggio. Aveva dovuto pensare in fretta, disponendo un perfetto piano B nel giro di qualche minuto.

Ty le aveva fornito la scusa e Sonia gli strumenti.

Una volta sull’aereo tutto ciò che avrebbe dovuto fare era attirare la sua attenzione, distrarlo da qualsiasi fuga avesse pianificato, studiare le sue mosse fino all’atterraggio. Arrivati poi a terra, con l’aiuto degli altri merli, avrebbe raggiunto lo scopo originale. Non erano previste conversazioni, non erano previsti contatti diretti, tantomeno era previsto il sesso… Ma cos’altro avrebbe potuto fare in fin dei conti? Lo schianto dell’aereo era fuori da ogni ipotesi e mai, mai, nemmeno trovandocisi in mezzo, Cara avrebbe potuto immaginare che uno come il Lupo l’avrebbe salvata. Da quell’istante in poi non aveva potuto far altro che improvvisare, cercare di calarsi nella parte, usare ogni arma in suo possesso per conquistarne la fiducia e garantirsi la sopravvivenza. Era brava in questo, dopotutto aveva vissuto gli ultimi anni della sua vita fingendo di essere nulla più che una cameriera squattrinata eppure, dopo pochi giorni in quella recita, non avrebbe più saputo indicare con certezza la linea di confine tra finzione e realtà.

Odiava l’uomo che le stava davanti, disprezzava il suo nome, le sue mani sporche di sangue, la sua presunzione. Mosse qualche passo verso il prigioniero, ispezionandolo attentamente con lo sguardo. Detestava i suoi lineamenti marcati, le sue labbra morbide e perfette, i capelli scompigliati, i suoi muscoli scolpiti… Lo odiava così tanto che non aveva resistito più di tre ore senza tornare a guardarlo.

Cara si avvicinò di due passi ancora, guardandolo dall’alto. Dalla tasca posteriore dei pantaloni tirò fuori dell’acqua e piano svitò il tappo.

“Scommetto che hai sete.”

Piegò le ginocchia e gli avvicinò la bottiglia alla bocca solo per vederlo ritrarsi e girare il capo dall’altro lato a labbra serrate.

“Credi che sia davvero così vile? Non copierei mai lo stile di un Michaelson.”

Precisò, mandando giù due sorsi pieni di liquido trasparente. Joseph tornò a guardarla, ancora sospettoso, ma assalito dai bisogni primari. Mosse i polsi cercando ancora una volta di venir fuori dalle catene, ma rinunciò ben presto. Cara gli si inginocchiò di fronte, incrociando le gambe a quelle di lui, portandogli lentamente la bottiglia alla bocca. Il liquido gli scivolò abbondante sulla lingua e sul viso. Joseph si sforzò di mandarne giù quanto più possibile. Quel gesto di pietà avrebbe di certo avuto un caro prezzo.

Cara lasciò cadere il contenitore a terra. Barbie, pensò l’assassino, Barbie, sforzandosi di ricordare il suo vero nome e non più quello della ragazza che aveva salvato e desiderato. Doveva dimenticare quel nome per sempre, anche se la donna di fronte a lui in quel momento, così vicina ed apparentemente inoffensiva, le somigliava tanto.

“Perché sei qui? Perché non mi uccidi e basta?”

Lei gli poggiò le mani sulle cosce.

“Tu sei stato gentile con me. Sto solo cercando di ricambiare il favore.”

“Non voglio la tua pietà.”

“E non ne avrai, sta’ tranquillo.”

Ribatté lei, come se in quell’istante preciso si fosse ricordata di cosa rappresentasse Joseph. La sua vendetta. Si tirò su ed afferrò una sedia. Per almeno cinque minuti nessuno dei due disse nulla.

“Tu e Little K, eh?”

Alla fine fu Joseph a parlare per primo, incapace di resistere alla tentazione di guardarla con sufficienza. Cara sollevò le spalle

“Perché? Credi di essere migliore di lui?”

L’assassino incatenato accennò un sorriso sardonico

“Perfino un cane sarebbe meglio di lui.”

Cara lasciò cadere le sue parole senza degnarle di una risposta, come se fosse troppo impegnata a pensare ad altro per affrontare una simile conversazione.

“Sarebbe lui?”

Incalzò Joseph

“…Il tizio che ti ha tradita, quello per cui avevi perso la voglia di vivere.”

Stavolta lei sollevò gli occhi, colpita dall’incredibile attenzione che lui sembrava aver prestato ad ogni sua parola.

“Non sprecherei mai le mie lacrime per un uomo.”

“Quindi era una bugia… Ogni tua parola lo era.”

Era un’ovvietà, ma Joseph dovette sforzarsi per non suonare disperatamente deluso nell’ammetterlo ad alta voce. Cara gli rivolse uno sguardo più attento, ricercando nel suo aspetto una conferma della vulnerabilità traspirata dalle sue parole. Se ne stava lì, forzatamente fermo ma rilassato, le mani ciondolanti e le gambe allungate, senza ombra di timore in viso.

“In realtà non ti ho mai mentito…”

Lui sollevò il mento. Mai come in quella situazione aveva dubitato della sua capacità di leggere le persone.

“…Cara è il mio nome… E negli ultimi quattro anni ho davvero vissuto un’insulsa vita da cameriera aspettando questo momento, fidanzato traditore incluso…”

Si prese un attimo di pausa, accogliendo alla mente un’immagine di Ty e dei suoi hotdog affogati nella senape

“…Ovviamente sapevo già che si sbatteva un’altra, ma non posso lamentarmi troppo… Dopotutto non sono mai stata una fidanzata appassionata.”

Joseph trattenne tra le labbra un commento sarcastico. Lui riusciva a vedere passione in ogni sua mossa.

“Dimmi come hai fatto.”

La richiesta dell’assassino attirò gli occhi di Cara su di sé, lucidi e brillanti come veri lapislazzuli.

“Fatto cosa?”

“Come sapevi che mi sarei trovato su quell’aereo? Come sapevi cosa fare?”

Lei inspirò. Non è bene aprirsi con le proprie vittime, è vero, la si potrebbe anzi definire una vera mossa da dilettanti eppure, guardando Joseph seduto a terra, sporco di sangue e polvere, quasi crocifisso al muro e coi polsi stretti nel ferro, Cara sentì che le parole le danzavano dentro impazienti di uscire. Averlo lì, dove nessun altro poteva vedere o sentire, proprio come nel minuscolo bagno dell’aereo, risvegliava in lei la voglia di non essere null’altro che il ciclone di emozioni che si portava dentro. Sorrise d’orgoglio, ma di un orgoglio amaro

“Tutta la mia vita negli ultimi nove anni, tutto ciò che ho fatto, detto o anche solo pensato, tutto è stato per arrivare fino a qui, ad un solo passo da William Michaelson.”

“E’ per questo che Mancini ti ha assoldata?”

Cara scosse la testa

“Lui non mi ha assoldata, mi ha salvata.”

Joseph sollevò un sopracciglio perplesso, nella varietà del lessico umano di certo non avrebbe mai definito Robert Mancini un salvatore.

“…Negli ultimi nove anni, mentre mi addestravo e vivevo la mia finta esistenza, ho studiato ogni più piccolo aspetto della tua famiglia, seguito le vostre mosse, cercato i vostri punti deboli… Aspettato pazientemente che arrivasse il momento giusto…”

“Johannesburg.”

Dedusse lui.

“…Non riuscivo a credere che ti fossi fatto fregare dalla polizia, tanto meno che Vladimijr Pushkin fosse riuscito a farmi un simile favore. Il Lupo servito su un piatto d’argento e dietro di lui, inevitabilmente, un fratello dopo l’altro.”

“Non ha senso…”

L’assassino scosse la testa

“…Come potevi sapere che ti avrei salvata?”

Qualcosa si accese nelle iridi della ragazza

“Non lo sapevo. Non sapevo nemmeno che ti avrebbero reimbarcato per New York mezz’ora dopo il mio arrivo a Johannesburg. Se l’avessi saputo mi sarei di certo risparmiata uno scomodo viaggio…”

Prese fiato

“…Nessuno aveva previsto che Elia buttasse giù un intero aereo per te. Tutto quello che dovevo fare era attirare la tua attenzione. Starti dietro. Una volta a terra gli altri merli avrebbero fatto il resto.”

“E come sapevi che avrebbe funzionato?”

Si mosse lentamente raggiungendolo di nuovo. Gli si inginocchiò di fronte

“Perché conosco tutto di te, perfino le tue fantasie più nascoste. E so che tutte o quasi prevedono un piccolo angelo biondo desideroso di sporcarsi le ali...”

Con quegli occhi blu gettati nei suoi, Joseph non trattenne un brivido. Molto probabilmente quella donna sconosciuta avrebbe potuto cavargli l’anima e srotolargliela davanti come un libretto d’istruzioni.

“…Quello che non potevo immaginare è che ti sarei piaciuta tanto da salvarmi.”

Joseph abbassò lo sguardo, sbuffando nel tentativo di sminuire e deridere quella sua assurda convinzione. Riusciva a sentir chiara la vergogna della sua stupidità, ma non le avrebbe di certo concesso un balletto di esultanza.

“Il modo in cui mi hai guardata in quel bagno, come se fossi la creatura più fragile ed innocente del pianeta, come se mi desiderassi più di ogni altra cosa al mondo…”

Cara sentì il cuore battere più veloce

“…Mi hai fatto desiderare di esserlo davvero.”

Eccola. Chiara e terribilmente fastidiosa. La vera ragione per cui si trovava lì.

L’assassino sollevò il viso e se la trovò vicina, di nuovo a pochi centimetri di distanza, candida e delicata come la prima che l’aveva vista, con i suoi grandi occhi color oceano sgranati e luccicanti. La sicurezza di pochi minuti prima svanita nel nulla, il desiderio di vendetta offuscato dalla semplicità della vicinanza.

Cara lasciò scorrere i polpastrelli sul taglio ancora aperto sopra il suo zigomo, delicatamente, quasi non volesse provocargli alcun dolore. Joseph trattenne il respiro stringendo le redini della sua psiche. Lo stava fregando ancora, giocando con la sua mente come un’abile illusionista. La ragazza che aveva davanti non esisteva davvero, la sua ragazzina dell’aereo non era reale, anche se in quel momento sembrava tornata, nulla di lei era reale, nulla. Doveva convincersene una volta per tutte, prima che la voglia di riaverla riuscisse a sgattaiolare fuori dalle barriere della sua ragione.

Quella donna era un mostro. Doveva essere un mostro. Una specie di mutaforma in grado di trasformarsi all’occorrenza, ora una spietata assassina, ora un’innocente ragazzina.

Cara si portò le dita alle labbra, senza nemmeno rendersene conto, assaggiando per la prima volta il gusto di un assassino. L’aveva sempre immaginato amaro, avvelenato dalla rabbia e dalla morte, e invece no… Sulla sua lingua Joseph fu dolce come zucchero filato e salato come il mare.

Lui si irrigidì, spiazzato da quel gesto totalmente inaspettato. Non poteva farci nulla. Nonostante fosse il nemico, nonostante desiderasse ora più che mai spezzarle il collo,  se lei lì, in quel preciso momento, l’avesse toccato ancora una volta, non avrebbe potuto dirsi certo di saper controllare il proprio corpo.

Trattenne a stento la voglia di roteare gli occhi al cielo. Vendetta o meno, quella donna sarebbe stata la sua fine.

La cosa più sicura da fare era cambiare argomento. Immediatamente.

“Che cosa ti ha fatto mio padre?”

Ogni ombra di seduzione le sparì dal viso nell’arco di un secondo. Cara si ritirò nel guscio come una lumaca quando gli si toccano le antenne. Allontanandosi da Joseph il più possibile inspirò a pieni polmoni.

Sapeva come rispondere, ma quel macigno non sembrava proprio voler venir fuori.

 “Ha ucciso la mia famiglia.”

Rispose infine senza guardarlo. Le parole uscirono come lame, come se per la prima volta stesse verbalizzando il suo dolore, come se fino a quel momento le avesse tenute dentro, respinte, rimosse, stipate nel subconscio per non sentirne il peso insopportabile.

Joseph aggrottò le sopracciglia, non aveva idea di cosa c’entrasse la famiglia di Cara Phillis con la sua, ma l’ombra apparsa di colpo sul viso di lei non lasciava adito a dubbi. In qualche modo William era responsabile della morte di queste persone e la ragazza viveva solo per un unico scopo, ripagare la morte con la morte. Vendetta, il più antico dei moventi dopo la gelosia.

“Io ucciderò la sua…”

Aggiunse fissando il nulla, pregustando il sapore dell’espiazione e lasciandosi colare in una specie di realtà parallela.

“…E poi ucciderò anche lui.”

“Il rapporto della polizia dice che i tuoi sono morti in un incidente.”

Cara sorrise a labbra strette

“E’ quello che volevo credessi, ma non è andata così…”

Inevitabilmente i ricordi presero a scorrerle davanti agli occhi

“…I tirapiedi di tuo padre hanno ucciso i miei genitori a sangue freddo, senza pensarci due volte.”

Strinse i pugni e finalmente gli rivolse lo sguardo

“Vuoi sapere qual è il ricordo che ho più nitido di quella sera?”

Joseph non osò rispondere.

Non si sfugge da Michaelson…”

Ripeté cercando di trattenere il disgusto ed imitare lo stesso tono solenne

“…Così hanno detto. Le ultime parole che mio padre ha sentito prima di morire.”

Lui rimase in silenzio, bloccato dall’autenticità di quei pezzi di memoria che lei gli stava offrendo e che lui non riusciva a collegare. Per amor della sua stessa sopravvivenza avrebbe dovuto indagare, cercare di capire, individuare il punto debole della sua motivazione eppure, consapevole di essere nulla più di un assassino, non avrebbe mai potuto mancare di rispetto alla morte. Anche lui aveva perso sua madre qualche anno prima, l’unico genitore biologico che avesse ed unica persona al mondo che mai lo avesse amato.

Era stata una stupida emorragia celebrale a portarla via e Joseph non aveva potuto far altro che accettarlo. Il caso, il destino o Dio, se così lo si vuol chiamare, non sono certo nemici che puoi rincorrere e massacrare. Nessuna vendetta per lui.

Guardando il vuoto negli occhi di Cara in quel momento qualcosa gli si mosse dentro. Se l’assassino di sua madre avesse avuto un nome ed un volto, anche lui avrebbe spaccato le montagne pur di aver giustizia.

Cosa avrebbe potuto mai dire o fare che potesse farle cambiare idea? E perché poi? William meritava di morire, per mano di Cara e di almeno un milione di altre persone.

“Perché vuoi uccidere anche noi?”

Lei sospirò, come se fosse ovvio

“Morire e basta sarebbe troppo semplice. Voglio che prima sappia cosa vuol dire restare soli al mondo.”

 

--------

 

Elia spinse la porta dello Sweet Lorraine seguito da due dei suoi uomini più fidati, troppo nervoso e preoccupato per notare le guardie di Pushkin che lo seguivano ormai da ore.

Il suo olfatto allenato non mancò di cogliere immediatamente l’odore di sangue stagnante che riempiva la sala. Ogni nervo nel suo corpo si tese, ormai era certo che qualcosa fosse andato storto ed il cadavere scomposto di Xavier, imbrattato delle sue stesse cervella, ne fu la conferma.

Salì le scale due gradini alla volta, la pistola stretta nella mano destra.

Dentro l’appartamento di Joseph la puzza di morte divenne quasi insopportabile. Un altro cadavere. Lo raggiunse di fretta, sollevato alla scoperta che non si trattava di uno dei suoi fratelli. Quella faccia sconosciuta portava chiari i lineamenti del suo tormento. Russi.

Notando i segni netti di un’arma da taglio se ne sentì sollevato. Doveva essere opera di Joseph, il che poteva solo dire che suo fratello si era difeso. Tirò fuori il telefono dalla tasca della giacca e compose nuovamente lo stesso numero. Nessun segnale all’altro capo. Idem per il cellulare di Nathaniel.

Senza trattenere l’esasperazione, si rivolse ai suoi compagni

“Controllate il palazzo.”

Loro si mossero e lui rimase lì, fermo ed inerme, totalmente perso nelle supposizioni. Dove diavolo erano finiti? Era così assorto nei propri pensieri che solamente dopo un secondo si rese conto di non essere solo. La presenza era palpabile, vicina, respirava la sua stessa aria in maniera quasi impercettibile.

Strinse l’impugnatura dell’arma e si voltò di scatto, più che pronto a fare fuoco.

Lei.

Il mondo di Elia smise di girare. Il freddo, crudele, intoccabile William Michaelson IV  riuscì chiaramente a sentire il crack del suo cuore di ghiaccio sotto la camicia di cotone italiano.

Lei era lì.

In carne ed ossa davanti ai suoi occhi.

“Sei anche più bello di quanto ricordassi.”

Il dolce suono della sua voce gli piombò addosso come un treno in corsa. Due anni, due interi anni di nottate in bianco, tutte spese a chiedersi dove fosse finita ed eccola lì, comparsa dal nulla come un fantasma, come se non se ne fosse mai andata davvero. I lunghi capelli, scuri e mossi, le incorniciavano il viso, la pelle chiarissima sempre perfetta ed i suoi grandi occhi marroni che sembravano volerne saltar fuori, contornati dal pesante trucco nero.

Katrina.

Sua moglie.

“..Tu?”

Lei sorrise, riempiendo la stanza di luce e togliendo ad Elia ogni forza rimasta. In quel momento non era più uno spietato assassino, tantomeno un soldato addestrato alla peggior guerra. Era solo creta, morbida creta nelle mani di una donna.

Gli fu chiaro più che mai. E’ proprio questo che intendono dire quando descrivono l’amore come la peggiore delle debolezze. 

Katrina, stretta in un paio di aderentissimi pantaloni neri, si mosse a passi lenti verso di lui, costringendolo ad abbassare pistola e difese senza che nemmeno se ne accorgesse.

“E’ davvero passato troppo tempo.”

Aggiunse, lasciandogli notare di non aver mai perso il marcato accento sovietico. Lui non mosse un muscolo, tramutato in pietra dal tocco delle sue dita sottili sul collo della giacca. Poteva sentirla. Era reale.

Lei era reale.

“Dov’eri?”

Katrina sollevò le iridi scure, accarezzando quel viso che credeva d’aver dimenticato.

“Perdonami Elia.”

Sussurrò. Lui chiuse gli occhi per un solo istante.

“Per cosa?”

Anche l’altra mano di Katrina si posò sul suo petto, leggera e morbida contro il lino del vestito

“Per tutto quanto…”

I loro corpi si sfiorarono. Il suo profumo gli riempì le narici. Tuberosa. Lo stesso di sempre.

“…Ma soprattutto…”

Per l’ombra di un secondo sentì il suo respiro sulle labbra

…Per questo.”

Concluse stringendo la presa attorno al bavero della giacca e facendo forza. Il ginocchio destro di Katrina gli si piantò dritto tra le gambe, togliendogli di colpo la vista. Tramortito dal dolore non si accorse nemmeno della sua maestria nel togliergli di mano la pistola.

Un rapido cenno verso la porta ed altri tre, forse più, gli furono addosso. Elia sentì lo scatto consecutivo di almeno tre semiautomatiche. Sollevò piano lo sguardo. Lei era ancora lì.

“Che stai facendo?”

Teneva la sua pistola tra le dita, ma senza puntargliela contro.

“Ti spiegherò tutto Elia…”

Gli girò intorno a debita distanza

“…Ma prima dovrai venire con me.”

Elia seguì i suoi movimenti, registrando con la coda dell’occhio ogni minimo particolare. Quattro uomini armati, di certo non russi. Vicini, ma pur sempre troppo lontani. Nonostante avesse con sé un’arma di riserva sarebbe stato impossibile raggiungerne anche solo uno senza lasciare agli altri il tempo di sparare.

Ma gli avrebbero sparato sul serio? Katrina avrebbe davvero lasciato che gli sparassero?

“Dove?”

Domandò dopo l’attenta valutazione di ogni via di fuga.

“Dove i tuoi preziosi fratelli aspettano.”

Spalancò gli occhi. Se c’era Pushkin dietro quest’attacco e quello di Johannesburg, e se c’era anche Katrina in mezzo, avrebbe solo potuto dire che sua moglie era tornata al padre già da un pezzo. Perché continuare quella faida allora? Perché Pushkin era in città? Perché sembrava non voler dar loro pace?

C’era un solo modo per scoprirlo. Seguirla.

 

-----------

 

Il russo vestito di nero, appollaiato sul tetto come una poiana annoiata, strinse gli artigli attorno al binocolo al primo cenno di movimento. Più figure di quante ne fossero entrate stavano uscendo dal palazzo.

Ruotando l’obiettivo mise a fuoco la silhouette di Elia Michaelson. Non c’era dubbio che fosse lui. La donna che gli sfilava accanto d’altra parte… Consumò il tasto dello zoom cercando di arrivarle il più vicino possibile.

Quei capelli e quel viso, stampati nella sua memoria.

Katrina Pushkina, la figlia perduta del suo signore, camminava a passi svelti nel centro di New Orleans accanto al suo indegno marito.

Che fosse tornata? Che i Michaelson la stessero tenendo nascosta?

Spinse immediatamente il tasto della trasmittente

“Signore?”

All’altro capo il famigerato Vladimijr Pushkin

“Sono tutti morti?”

“Non ancora signore.”

“Allora perché sprechi il mio tempo Dmijtri?”

“Katrina signore.”

L’improvviso silenzio dall’altro lato fu il segno del suo completo interesse

“Perché osi nominare mia figlia?”

L’altro mandò giù calibrando le parole. Due sillabe di troppo ed avrebbe pagato lui le conseguenze di quella scoperta.

“E’ viva. Ed è qui signore, a New Orleans. Con Elia Michaelson.”

Non poteva vederlo, ma riuscì perfettamente ad immaginare la collera che riempiva ogni cellula del suo corpo. Il solo sentir nominare Elia aveva annullato ogni gioia nel saper viva la sua unica erede.

“Seguiteli. Dovunque vadano.”

Quella non era questione per i suoi scagnozzi. Una tal rivelazione meritava il suo intervento in carne, ossa ed esercito completo.

“Dmijtri?”

“Sì signore?”

“Perdili di vista e pagherai con la tua testa.”

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


cap X

Ciao! Lo so… Era ora!!

Pregate per me perché la terza prova del mio esame si avvicina!!

 

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Elia sospirò silenziosamente, lasciando scivolare la cravatta di seta nel tentativo di ottenere un perfetto nodo Windsor. Ad ogni modo non era la sua apparenza a preoccuparlo, bensì il peso di quella responsabilità che lo attanagliava ormai da settimane. Sposare una donna per far piacere a suo padre. Forse era davvero troppo. Non che credesse nell’istituzione matrimoniale, tantomeno nella storia dell’anima gemella, ma l’idea di legarsi a qualcuno solo per siglare un contratto riusciva a renderlo nervoso. Katrina Pushkina, l’ultima ed unica volta che l’aveva vista avrà avuto non più di dodici anni, uno sguardo di pudore ed ansia sul suo giovane viso, nulla più che le sembianze di una bambina spaventata. Altri dodici anni erano passati da quella “vacanza di famiglia” a San Pietroburgo e adesso non aveva idea di cosa aspettarsi, o di cosa dire, o di cosa fare.

“Vuoi farlo davvero?!”

Sarà stata la ventesima volta in quella sola ora che Joseph ripeteva la domanda, incapace di credere che Elia volesse sposarsi. Sposarsi. Non riusciva nemmeno a pensare quella parola senza il desiderio di vomitare.

Elia sistemò il colletto evitando di rispondere. Nathaniel si aggiunse alla conversazione

“Joseph ha ragione. Non vediamo questa ragazza da un secolo! Voglio dire, potrebbe essere grassa come una balena o magari calva…”

Elia sollevò un sopracciglio

“…Vuoi davvero andare a letto con una balena calva?”

Il maggiore scosse la testa, ma senza dubbio anche lui ci stava pensando, seppur in altri termini. Suo padre aveva buttato giù un contratto, aspettandosi un matrimonio ed ovviamente dei sani nipoti che perpetrassero il nome dei Michealson. Ciò voleva dire che avrebbe dovuto dormire con questa donna qualunque fosse il suo aspetto attuale e, soprattutto, qualsiasi fosse il suo stato d’animo. Probabilmente la ragazza era disperata o spaventata e gli sarebbe toccato consumare i suoi doveri coniugali con un corpo freddo ed immobile, solamente per accontentare William, come sempre.

“E’ per la famiglia.”

“E’ solo per lui!”

Ribatté Joseph

“…E’ solo per i suoi sporchi scopi e lo sai bene.”

Non era nemmeno troppo chiaro perché quell’idea gli bruciasse tanto. Suo fratello sposato ad una russa, una russa sconosciuta che avrebbe un giorno ereditato l’intero mercato malavitoso del metano e del petrolio. Il matrimonio. Inutile negare l’ovvietà, se William non avesse sposato sua madre nessuno di loro sarebbe stato lì, eppure l’idea di ripetere i passi dei suoi lo disgustava. Silenzi senza fine. Discussioni agguerrite. Gerarchie intoccabili. Fotografie di sorrisi fasulli appese alle pareti. Come biasimare sua madre per aver dormito un altro?

Katrina avrebbe prima o poi fatto lo stesso, sbattendosi l’autista o il giardiniere alle spalle di suo fratello, finendo per sfornare un altro piccolo bastardo come lui. Elia lo avrebbe odiato, maltrattato, umiliato, trasformandosi lentamente in una nuova copia di William. La storia trova sempre il modo di ripetersi.

La porta della stanza si spalancò, riportando tutti alla realtà. Caspar, relegato al ruolo di annunciatore, rivolse loro un cenno del capo

“Di là ti aspettano.”

Il taciturno primogenito, capelli lisci, naso appuntito e spalle larghe, non aggiunse nulla di più. Stare in secondo piano rispetto ad Elia aveva dei lati positivi dopo tutto, ad esempio il potersi scegliere una donna da solo. Non che William fosse minimamente al corrente della sua liaison con la figlia della governante.

Elia annuì. Era il momento di compiere l’ennesimo dovere. Con un po’ di fortuna Katrina si sarebbe rivelata una moglie silenziosa e lui avrebbe trovato abbastanza improrogabili impegni da non doverle stare vicino troppo a lungo.

Ignorando Joseph e lo scuotere del suo viso, raggiunse a testa alta il grande salotto. Il camino era acceso e l’argenteria brillava sulla tovaglia damascata, segno che suo padre voleva far colpo. E che a lui non era concesso sbagliare.

“Ecco qui il fortunato!”

Tuonò Wiliam raggiungendolo sulla soglia

“Vieni figliolo.”

Poggiandogli una mano sulla spalla, proprio come un vero padre avrebbe fatto, lo condusse al centro della stanza dove Vladijmir sorseggiava vodka pura senza ghiaccio. Un gentile omaggio portato dalla sua terra. Ogni aspetto di quella situazione ricordava fastidiosamente la dinastia Tudor. Il magnate russo sgranò lentamente un sorriso, quasi fosse un gesto innaturale

“Elia.”

Gli porse la mano, gelida come la neve nonostante il fuoco acceso. Il giovane Michaelson rispose alla stretta con altrettanta energia.

“Sto per affidare a te il mio più prezioso tesoro…”

Elia si limitò ad annuire. Il ghigno forzato sul viso pallido del sovietico lasciava intendere tutt’altro avvertimento. Gli avrebbe fatto patire amare sofferenze se non avesse garantito l’incolumità e la soddisfazione della sua unica figlia, sangue del suo sangue.

“…Vieni figlia mia.”

Dall’angolo della stanza, fuori dal rifugio offerto dalla grande libreria di quercia, si rilevò la tanto attesa promessa sposa. Lunghi capelli scuri, mossi e voluminosi sulle spalle minute, grandi occhi d’ebano, lunghe ciglia nere ed una piccola bocca a cuore, carnosa e perfetta su quel viso bianco come latte.

Avanzò abbassando appena lo sguardo, le gambe tornite esposte fino al ginocchio, la vita sottile ed i fianchi rotondi, abbracciati dal raso del vestito nero. Pareva fosse vestita per un funerale piuttosto che per una festa di fidanzamento, non fosse per i piccoli bottoni in madreperla lasciati aperti sulla scollatura. Il seno piccolo e rotondo si lasciava facilmente immaginare.

Nessun dubbio, la piccola Katrina era venuta su bene.

Elia deglutì davanti a quella visione. Si sarebbe aspettato di tutto, ma mai quel vuoto al cuore.

Katrina gli improvvisò un inchino di fronte, mostrando il giusto rispetto al futuro suocero.

“Felice di rivedere voi.”

Azzardò, con l’accento di chi, nonostante l’altissima educazione, non parla spesso la sua seconda lingua.

Elia sentì la gola secca e le mani umide, come mai gli era successo prima, nemmeno quella volta che aveva versato cianuro nel bicchiere dell’ambasciatore cinese, proprio nel bel mezzo del gran gala alla Sotheby’s. La pronuncia marcata, il suono quadrato di qualche vocale in più, non toglieva alcun fascino a quella visione celestiale. La sua futura moglie.

 

------------

 

“Spero non sia necessario incatenare anche te.”

Il suono della sua voce non era cambiato, tantomeno l’abitudine di raccogliere continuamente i capelli sulla spalla sinistra. Elia rimase in piedi, braccia tese sui fianchi e spalle al muro, così da poter monitorare tutti i 180 gradi della sua visuale.

Katrina aveva lo stesso aspetto, lo stesso fuoco negli occhi, le stesse movenze sinuose, tuttavia sembrava una persona del tutto diversa. Continuava a tenergli gli occhi addosso, ma ogni singola volta che rischiava di incrociare quelli di lui, il suo sguardo cambiava immediatamente direzione. Strano, vista la sicurezza con cui gli si era avvicinata nell’appartamento di suo fratello.

Lui, d’altro canto, non riusciva a proferire parola.

Al di là della porta Joseph e Nathaniel attendevano buone nuove seduti su scomode sedie impagliate, le mani legate dietro la schiena. Entrambi segnati in viso dalle percosse subite, si erano intesi alla perfezione con un solo sguardo: nessuna inutile conversazione, nessuna parola di troppo, nessun segno di ribellione o cedimento.

Joseph rivolse un nuovo sguardo ai gemelli con la coda dell’occhio. Rispetto alla sua prima sistemazione quella sedia sembrava morbida come piume d’oca sotto il suo sedere ed aveva almeno due buone ragioni per sentirsi sollevato: prima che lo trascinassero lì, lasciato finalmente solo, era riuscito a concedersi qualcosa come un’ora di sonno Rem. Fondamentale. Seconda e più importante ragione, Nathaniel era ancora vivo, tutto intero ed accanto a lui. Ora non restava che trovare una falla nel piano dei Pryce e non vi era dubbio che ve ne fosse almeno una, specialmente conoscendo la loro impulsività.

L’atmosfera era troppo rilassata lì dentro. Little K era appoggiato alla parete con tutto il proprio peso, la gomma del suo scarpone destro raschiava l’intonaco cadente. Morgan dava loro le spalle, tenendo le mani in tasca mentre sussurrava qualcosa alla sua copia. Nessun altro nella stanza, nessuna traccia di Cara. Joseph strinse i denti di riflesso, non era proprio il caso di pensare a lei adesso, soprattutto dopo l’ultima conversazione. Con tutto quel desiderio di vendetta e quei meccanismi mentali contorti, la ragazza dell’aereo era ormai una causa persa.

La morte dei suoi genitori tuttavia, raccontata attraverso pezzi di flashback che lui poteva solo immaginare, aveva inevitabilmente risvegliato i nitidi ricordi di un’altra dipartita.

Riusciva ancora a vederlo perfettamente, il volto di sua madre addormentato, il suo corpo steso a terra, stranamente privo della sua compostezza, in mezzo ad una nuvola di pillole per il mal di testa sparse sul tappeto. Si era avvicinato lentamente urlando il nome di Elia, per la prima volta in vita sua terrorizzato da qualcosa. Le si era inginocchiato accanto allungando piano la mano, invocando più e più volte “mamma” a mezza voce. Era ancora calda e morbida. I lunghi capelli ramati stesi sul pavimento, il pallore della morte che pian piano si prendeva le sue labbra. In quel momento infinito aveva urlato anche il nome di suo padre, desiderato perfino la sua presenza purché qualcuno condividesse quel dolore, quel taglio al cuore che non poteva, non riusciva a sopportare.

Dopo l’arrivo del fidato medico di famiglia ed una seduta privata in stanza da letto cui William aveva voluto partecipare da solo, il verdetto era stato inimpugnabile. Morte naturale per emorragia subaracnoidea, fatale e del tutto imprevedibile. Pur essendo un Michaelson, un uomo senza amore né sentimenti, quella scena l’avrebbe tormentato per sempre.

La porta si aprì di scatto, spingendo dentro un tizio in completo scuro.

Elia.

I fratelli minori tesero i muscoli contro il legno, Elia era lì presente, senza segni di percosse né catene ai polsi. Dietro di lui il picchiettio di tacchi sul pavimento, una donna dai lunghi capelli scuri che avanzava con la sicurezza di una top model, una scarpa firmata dietro l’altra. Sollevò appena lo sguardo con la sfida tra le ciglia.

Katrina Pushkina. Ancor più troia di quanto ricordasse, stretta nella sua tenuta da film sadomaso.

Non aveva senso, ma comunque resistette alla tentazione di parlare. Con Elia non era necessario. Come se non fosse abbastanza si aggiunse alla scena Cara, sfilandogli davanti con gli occhi al pavimento e le sue belle gambe avvolte nei jeans slavati. I suoi stivali di pelle marrone la portarono fino all’angolo, a mezzo metro almeno da Little K.

“Ecco. Vivi e vegeti.”

Katrina rivolse loro un cenno disinteressato, mantenendo gli occhi su Elia. L’attenzione di quest’ultimo totalmente catalizzata al centro della stanza.

“Liberali.”

Lei si concesse un sorriso sardonico

“Non così semplice.”

Stavolta Elia si voltò a guardarla, sforzandosi di patire la sua concreta presenza

“Che cosa vuoi?”

La stanza era affollata, piena di persone nervose che consumavano ossigeno, eppure la scena pareva svolgersi tra due attori solamente.

“Chiama tuo padre.”

“Perché?”

“Fa’ venire qui tuo padre e ti prometto che almeno uno di tuoi preziosi fratelli uscirà da qui sulle sue gambe.”

Il tono ancora caldo ed avvolgente nonostante le minacce. Elia strinse i pugni

“No.”

Katrina sollevò il viso, scontrandosi con i suoi occhi per la prima volta, ardente dello stesso risentimento che alimentava il marito

“Non ti fidi?... Io mantengo sempre mie promesse.”

“Non sempre.”

La risposta fu immediata ed inevitabile, sfuggita alle sue labbra con uno spasmo di muscoli addominali. Più o meno fasulla che fosse, aveva comunque infranto la più solenne delle promesse. Finché morte non ci separi.  Probabilmente era convinta che con uno come lui la morte non si facesse attendere poi tanto.

Quella piccola provocazione le rimbalzò di fronte, facendo tremare le morbide curve del suo labbro superiore. C’era così tanta rabbia dentro di lei, così tanto risentimento nascosto dall’ostentazione, un bruciore ancora insopportabile. Elia non poteva vederlo, non ne era capace, non si era mai neanche minimamente accorto che fosse lì.

“Chiama William.. Myж.”

Katrina era sempre stata la più brava dei due ad individuare i punti deboli. Non a caso la scelta di chiamarlo “marito” in un russo suadente, così come era solita fare nell’intimità della loro stanza, quando il riverbero dell’orgasmo abbassava le loro difese, facendoli sembrare la più comune delle coppie.

 

 

I suoi fianchi stretti tra le mani, la pelle liscia appena un po’ umida dopo la prolungata frizione tra i loro corpi, i suoi lunghi capelli mossi che gli solleticavano il petto, le ginocchia di lei incollate alla vita, il respiro ancora accelerato e quel sorriso… Quel sorriso.

“Moй Myж.”

Katrina lasciò scorrere le dita sul viso di Elia, indugiando con l’indice sulle sue labbra schiuse.

Elia inspirò accarezzando il suo seno con gli occhi ancora una volta, concedendo a sé stesso il più disarmato dei momenti. La donna che suo padre aveva scelto per lui riusciva a svuotargli corpo e mente, riempiendolo di pensieri che non avrebbe mai pensato di avere. La fredda sconosciuta venuta dall’est portava il fuoco dentro.

“Moя Жeha.”

Rispose lui contraendo gli addominali per tirarsi su, gambe intrecciate tra le lenzuola ed occhi allo stesso livello, scuro contro scuro. Katrina sorrise di nuovo come ogni volta poiché adorava sentirlo usare la sua lingua natia, perché riusciva a sentirsi a casa.  Il sorriso sparì presto lasciando spazio all’emozione del momento, insicura, fragile ed inaspettata. Gli poggiò le mani sulle spalle, avvicinando lentamente la bocca a quella di lui, prendendola in un bacio lento e delicato.

Poteva succedere davvero? Innamorarsi di qualcuno che non abbiamo scelto? Innamorarsi?

La vibrazione del telefono contro il legno del comodino distrusse il momento. Katrina abbassò gli occhi spostandosi nella sua parte di letto, Elia allungò il braccio per afferrare il cellulare

“Padre…”

Una breve attesa silenziosa

“…Va bene. Arrivo subito.”

Sempre così, le telefonate di William non duravano più di trenta secondi. Le sue richieste erano sempre dirette e mai, mai, si era posto il problema di chiedere se Elia avesse qualcosa di più importante da fare.

Non che Elia avesse qualcosa di più importante da fare.

Katrina tirò su le lenzuola che lui aveva scostato e si coprì fino alle spalle. Elia infilò calzini e pantaloni dandole le spalle.

“Che succede?”

Lui raggiunse l’armadio scegliendo una camicia pulita color panna

“Non lo so.”

Rispose. Ogni mattone del suo muro era già tornato al proprio posto. Si infilò la giacca e passò il pettine tra i capelli, rimettendolo nel suo esatto posto sulla mensola di marmo del bagno. Girò attorno al letto e le si avvicinò, curvando la schiena per poggiarle un bacio sulla fronte

“Torno più tardi.”

Non poteva darle indicazione migliore. Katrina sprofondò nel materasso dopo lo sbattere del portone, trovandosi sola col resto della sua giornata ancora una volta.

 

-----------

 

“Chiama William.. Myж.”

Era riuscita a scurirgli lo sguardo

“Perché?”

Non gli piaceva ripetere le domande. Katrina indicò i suoi fratelli ancora una volta

“Perché loro sono l’unica cosa di cui ti importa…”

Sollevò il sopracciglio destro

“…Non è vero?”

Elia strinse i pugni trattenendo l’istinto di afferrarla per il collo e sbatterla al muro.

“Fallo venire qui o muoiono subito.”

A quelle parole Little K si scostò dalla parete, brandendo un coltello finora nascosto sotto la maglietta. Afferrò Nathaniel per i capelli e mostrò le sue chiare intenzioni. Il minore dei Michaelson non si scompose, mentre Joseph gli digrignava i denti accanto.

Quella scena gli spostò un nervo di troppo. Elia espirò rumorosamente e fece per muoversi verso il gemello dai capelli gellati

“Io ti…”

“Fermo Michaelson…”

Lo interruppe Morgan con nonchalance, abbandonando l’angolo per andargli vicino, ruotandogli intorno fino a raggiungere il fianco di Katrina. Le avvolse la vita con un braccio, un gesto semplice che svelava una certa confidenza

“…Ti consiglio di valutare bene la prossima mossa.”

Concluse avvicinando il viso alla chioma di Katrina, inspirando il dolce antico profumo di tuberosa. Lei non si mosse di un millimetro, tesa per la situazione, ma a suo agio nella presa del nemico. Morgan sorrise osservando la reazione di Elia con la coda dell’occhio, godendo della rabbia pura che gli andava dipingendo il viso. Non troppo inconsciamente sperava che l’altro cedesse alla tentazione e gli fornisse una buona scusa per scatenare la rissa. Il suo amore per il sangue non aveva limiti, non gli sarebbe dispiaciuto mandare tutto a monte per lo scrocchio di ossa rotte sotto le sue nocche anzi, avrebbe volentieri organizzato una parata per sbattere in faccia ad Elia ciò che gli aveva preso. Presuntuoso Michaelson.

“Porta qui quel coglione di tuo padre.”

Elia non aveva occhi che per lei mentre lentamente tirava fuori il cellulare dalla tasca. Tutta quella vicinanza tra Pryce e Katrina gli aveva portato alla mente un’immagine insolita, uno strisciante crotalo adamantino. Cosa non avrebbe dato per avere una dose del suo veleno da sputare in faccia a Morgan, cosa non avrebbe dato in quel momento per guardare la sua faccia perfetta decomporsi tra atroci dolori, lasciandolo dissanguare senza pietà.

“Padre, ho bisogno di te qui. Vecchio deposito di Lewis. Capannone 19.”

Era fatta. Con la speranza che William portasse con sé un intero esercito.

Morgan sorrise di nuovo

“Padre.”

Ripeté accentuandone il suono per schernirlo

“Dev’essere alquanto castrante dover ancora sottostare alle regole del vecchio…”

Di nuovo passò le sue sporche mani tra i boccoli della russa, attorcigliando una ciocca attorno al dito e premendo il suo corpo contro il fianco di Katrina

“…Non mi sorprende che tua moglie abbia cercato qualcosa di meglio.”

Colpo basso. Joseph assisteva alla scena dalla sua postazione, sperando che suo fratello non abboccasse all’amo. Per quella troia non valeva davvero la pena. William non si sarebbe mai presentato da solo e le corde attorno ai suoi polsi iniziavano già ad allentarsi per il lento movimento continuo. Sarebbe arrivato anche a slogarseli fosse servito ad uscire vivo da lì. Non poteva certo dare la soddisfazione della sua morte a questi vermi. I suoi occhi si spostarono su Cara, unica anima nella stanza che non aveva ancora aperto bocca. Era visibilmente nervosa, rigida come un palo contro la parete. Poteva vederlo anche da lì, bramava quel finale, bramava l’arrivo di William più di ogni altra cosa al mondo, del resto di loro non le importava assolutamente nulla, alimentata dall’adrenalina più che dall’ossigeno.

Il Lupo si prese un attimo per riflettere, arrivando alla conclusione che quel misero piano faceva acqua da tutte le parti. Per quanto i gemelli fossero stupidi, non potevano aspettarsi davvero che William si presentasse da solo ad un invito inaspettato, benché fosse venuto dal suo figlio preferito. Quattro contro quattro, un incontro alla pari, solo che… Si guardò di nuovo attorno… Morgan e Little K non avevano remore né scrupoli, probabilmente erano pronti a scagliarsi in mezzo a qualsiasi mischia... Cara era una bomba ad orologeria arrivata all’ultimo minuto di conto alla rovescia, un elemento del tutto inaffidabile… Katrina d’altro canto… Non che avesse una qual si voglia ammirazione per le abilità della cognata, ma senz’altro l’effetto sorpresa poteva rivelarsi a loro vantaggio, lasciando il tempo ad uno degli altri tre di sparare un colpo in più.

Ma dov’era Mancini in tutto questo? Non era forse sua l’idea di base di far fuori William e prole? Possibile che lasciasse organizzare ai suoi soldati un piano tanto scadente? A meno che… Gli balenò nel cervello l’idea che anche Robert Mancini fosse lì, attorniato dai migliori cecchini, comodamente seduto da qualche parte ad aspettare l’istante perfetto per la sua entrata in scena. Ecco, quello sì sarebbe stato un buon piano. Wiliam poteva aspettarsi parecchie grane, ma non avrebbe mai pensato che fossero i merli a pestargli i piedi.

Doveva muovere le mani in fretta, dislocando il pollice dalla sua sede naturale per liberarsi il più velocemente possibile. Il tutto senza fare alcun rumore, restando ai margini della scena come fino a quel momento.

 

“Brucia vero Michaelson?”

Morgan non mostrava intenzione d’interrompere la sua tortura, suonando i nervi di Elia in un ritmo veloce e sguaiato, fatto di sorrisetti ammiccanti e strusciatine alla sua donna. Katrina restava immobile, forte di una ritrovata sicurezza. Era anche la sua vendetta dopo tutto.

“Sarà questa l’ultima scena che ricorderai.”

Aggiunse, passando volgarmente la lingua sulla guancia della donna, lasciandogli esclusivamente immaginare quante altre confidenze si fosse preso con la sua consorte. Elia raggiunse il limite, pur essendo un eccellente freddo calcolatore, il suo orgoglio ribolliva nero e pastoso come catrame. Era pronto a scagliare ogni sua arma, pronto a massacrare quell’essere ripugnante. Strinse i pugni e si piegò su sé stesso in un rapido movimento fluido. Dietro di lui la canna di una pistola si tese tra le sue scapole, tenuta dritta e ferma tra le mani della giovane Barbie, l’insignificante biondina che suo fratello aveva ripescato nell’oceano e che lui avrebbe dovuto uccidere immediatamente. C’era da ammetterlo, tra tante capacità e specialità cui erano stati addestrati, proprio nessuno aveva speso una parola con loro sul come comportarsi con le donne.. Che venisse da lì il pessimo gusto nello sceglierle?

Joseph piantò gli occhi sulla scena. Non c’era certo da affidarsi all’autocontrollo di Cara, totalmente sul punto di esplodere non avrebbe pensato due volte prima di fare secco Elia.

“No!”

Le urlò, bloccando il suo dito sottile sul grilletto. Cara sussultò appena, spostando la mira dal maggiore verso il Lupo. Tutta la stanza sembrò tremare, satura di tensione ed eccitazione. Qualcosa doveva succedere lì dentro.

Cara inspirò profondamente sollevando appena le ciglia. I suoi grandi occhi blu oceano sembravano quasi riuscire ad attraversarlo da parte a parte. Aveva condiviso qualcosa con quell’uomo che tanto odiava, singoli momenti in cui aveva concesso a piccoli frammenti di sé di venire a galla. Ora le sembrava quasi di riuscire a sentir qualcosa, qualcosa di simile ad un’emozione vera, una sensazione che non avrebbe potuto decifrare. Joseph Michaelson era l’unica persona a cui avesse raccontato la sua storia. Aveva sempre pensato che il mondo sarebbe crollato se avesse confessato a qualcuno di aver sofferto, di sentire la mancanza dei suoi genitori come una bimba spaurita ed indifesa… Eppure il mondo girava ancora, incasinato come sempre.

Una cosa doveva comunque riconoscergliela, aveva avuto abbastanza umanità e rispetto da non riderle in faccia. Non le aveva risposto nemmeno, nonostante il prezzo da pagare fosse la sua stessa vita. Sorprendente.

Cara sistemò il peso del proprio corpo sulle assi del pavimento allargando leggermente le gambe e decise che avrebbe sparato. Adesso, lì, senza aspettare William, senza ripensamenti. Non poteva sopportare un secondo in più di quell’umano sentire, non poteva tollerare l’idea che il suo subconscio stava suggerendo.. Non l’avrebbe lasciato vivere. No. Riusciva a renderla debole. Non l’avrebbe lasciato vivere.

Trattenne il respiro e strinse la pistola.

Joseph deglutì. Stava succedendo tutto in un secondo, ma sembrava scorrere come un film al rallentatore. La sua mano destra stava lentamente scivolando fuori dal triplo nodo, ma le era comunque troppo lontano, non l’avrebbe mai raggiunta in tempo.

La ragazzina dell’aereo si era rivelata la peggior scelta della sua vita. L’unica buona azione della sua esistenza che gli si ritorceva contro. Che ironia. Tutto per aver ascoltato uno stomaco ed un cuore che credeva ormai morti da tempo, fino all’attimo in cui Cara Phillis gli aveva attraversato la vista.

Gli venne da sorridere ed abbassò lo sguardo.

Solo allora riuscì a notarlo. Il minuscolo puntino rosso luminoso che tremava appena addosso a Cara, più o meno all’altezza del suo fegato. Un mirino laser.

Calcolò in una frazione di secondo l’angolazione e la distanza. Veniva da dietro di lui, dal piccolo lucernaio che lasciava filtrare una lacrima di sole. Qualcuno li stava osservando, qualcuno la teneva sotto tiro.

Possibile che William fosse stato tanto rapido e previdente?

Cara si accorse del repentino cambio d’espressione ed allentò ancora una volta la presa sul grilletto, seguendo con gli occhi lo sguardo di Joseph rivolto alle sue budella.

Puntino rosso. Immediatamente puntò le pupille al lucernaio, facendo gli stessi calcoli di Joseph in una frazione di secondo.

“Ma che…”

Non finì nemmeno la frase. I suoi muscoli scattarono d’istinto e saltò in avanti, finendo dritta contro la sedia di Joseph, facendolo cadere e liberandolo dell’ultimo pezzo di corda senza nemmeno accorgersene.

Il proiettile diretto al suo fegato espose in un mezzo boato e si conficcò nel muro, scatenando in un secondo la più inaspettata confusione. William? Mancini? Un’altra trappola?

Qualcosa si scagliò contro la porta chiusa della stanza, mettendo in seria difficoltà il legno della sua struttura. Un tonfo e un altro ancora, accompagnato dallo scricchiolio del rovere. Le facce di Morgan e Little K  confermarono la loro estraneità alla situazione ed Elia non attese un secondo in più prima di approfittarne. Doveva trattarsi di William, solo lui avrebbe potuto seguirli fin lì.    

Concluse il movimento iniziato poco prima e dall’interno del calzino sinistro tirò fuori una specie di capsula metallica. Premuto solo un tasto la lanciò a terra e l’aggeggio iniziò immediatamente a sputare denso fumo grigiastro dall’odore pungente. Ne aveva sempre un paio con sé, nascoste nei posti più impensati, pronto a lasciarle esplodere per sparire dalle situazioni scomode come un vecchio mago o il ninja di un film di serie b.

A lui quell’odore non dava alcun fastidio, lasciandogli fiato e vista più a lungo che ai merli. Si scagliò contro Morgan mollandogli un pugno sul naso ben assestato, mentre con l’altra mano afferrava l’avambraccio di Katrina in una stretta presa.

Joseph riuscì finalmente a tirarsi su, la mano sinistra era ancora intrecciata alla corda, ma poteva bastargliene una per rubare il coltello di mano a Little K e concludere l’opera silenziosamente iniziata da Nathaniel. Anche l’altro fratello balzò in piedi, bloccato nelle sue intenzioni dallo spalancarsi della porta. Tre tizi incappucciati di nero si gettarono nella stanza coi fucili puntati, accolti dalla nuvola di grigio ed acre.

Non è così che vestono i soldati di William.

La rissa fu inevitabile, seppur inscenata nella semi cecità. Elia voleva solo uscire dì lì il prima possibile, ma uno degli sconosciuti gli bloccava l’uscita e probabilmente una sola mano era davvero troppo poco per fermare un kalashnikov. Poco male, non avrebbe mollato Katrina per nessuna possibile ragione al mondo, nonostante lei continuasse a graffiargli il polso nel tentativo di liberarsi.

Nathaniel mise definitivamente a terra Little K, correndo in aiuto del fratello maggiore preso a disarmare un altro degli imbucati. Quest’ultimo respinse Joseph con un calcio, allontanandolo abbastanza da potergli puntare il fucile in fronte. Ci fu un solo secondo di panico, uno appena prima che Cara sparasse il colpo decisivo con la sua pistola, dritto nella tempia dello sconosciuto.

Joseph rimase di sasso. Sbaglio o la ragazza dell’aereo gli aveva appena salvato la vita?

Cara puntò l’arma verso l’uscita. Le bruciavano gli occhi e non vedeva molto più che sagome in movimento, tuttavia doveva fuggire in fretta e quella era la sola via di fuga possibile. Se avesse preso Elia tanto meglio. Se fosse stata Katrina bhé, comunque non erano mai state troppo amiche.

Sparò tre colpi, uno dietro l’altro, guardando cadere la silhouette scomposta del suo ostacolo. La porta fu libera e tutti, senza distinzione di sesso o fazione, si precipitarono fuori dalla nuvola. Qualcuno riuscì a passare subito, qualcuno forse no.

Elia sbatté contro un corpo duro e gelido appena fuori dalla soglia del capannone 19. Katrina smise di tirare verso la parte opposta.

Pochi secondi per riabituare gli occhi alla luce e gli fu di colpo chiaro chi fossero quelle persone. Quel maledetto viso spigoloso.

Dietro le spalle di Elia Katrina allentò la presa sulla mano che la teneva prigioniera, il suo tocco non più ostile, ma deciso, come se gli si stesse aggrappando per sfuggire da un nuovo pericolo, ben più temibile di un matrimonio fallito.

Fu proprio lei a parlare per prima

“Oteц.”

Sussurrò tra i denti.

Oteц, parola russa che sta per “Padre”.

  

    

 

 

 

 

 

  

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


capXI

CIAO!! Ritardo, ritardassimo! Vi chiedo di perdonarmi perché stare dietro a tutto mi è ultimamente molto difficile.. Grazie per aver atteso e scusate se ci sarà qualche errore… se mi metto a rileggere ancora una volta non pubblico più!

Grazie davvero!!

Martina

 

///////////

 

 

“Oteц.”

Elia mosse un istintivo passo indietro, mollando lentamente la presa sul braccio di Katrina. Lei avanzò tremolando, con gli occhi sbarrati e l’espressione di una bimba scoperta a rubare i biscotti dal vaso sul frigo. Tutta la sua sicurezza, tutta la sua arroganza e l’insolenza si sgretolarono all’istante, incenerite dagli occhi scuri e pesanti di suo padre, avvolto in un cappotto nero dal colletto sollevato. Il vento sembrava soffiargli attorno senza il coraggio di sfiorarlo.

Si gettò sulle ginocchia, prostrata dinanzi a lui.

Elia la guardò piegarsi su sé stessa come una foglia accartocciata, con la testa bassa ed i capelli che sfioravano l’asfalto. Quella rapida caduta era più di quanto avesse mai visto di sua moglie.

“Perdonami padre.”

Le uscì un filo di voce ed Elia socchiuse le labbra. Era davvero tanto terrorizzata o semplicemente una grande attrice?

Valdijmir abbassò lo sguardo sulla figlia, serio e muto come una tomba. Analizzò la sua figura interamente e si sentì disgustato dal suo aspetto volgare, dagli abiti da prostituta, dall’uomo che si portava dietro. Mosse un solo passo, allungando la pallida mano per sollevarle il mento. Incredibilmente riuscì a farsi più cupo di quanto già non fosse, ulteriormente offeso dal trucco pesante sul viso della sua bambina, educata con sforzo e pugno fermo come degna erede del suo impero, protetta come una novizia fino all’ultimo momento.

Col dorso della mano destra le tirò uno schiaffo in viso, tanto forte e tonante da farle perdere l’equilibrio. Elia sobbalzò contro la propria volontà nel vederla crollare sui palmi, ignorando totalmente il cellulare che aveva preso a vibrare nel taschino interno della giacca.

L’atmosfera cambiò in un solo istante. Vladijmir si avvicinò di nuovo a Katrina, stavolta sciolto nei suoi movimenti. Si abbassò alla sua altezza ed afferrandola piano per le spalle la sollevò per stringerla in un abbraccio. Una stretta rigida, muta, ma pur sempre paterna.

“пpoctиtе mehя oteц.”

Lo pregò di nuovo, stavolta nella loro lingua, ricercando un’ulteriore intimità cui, chiaramente, non erano soliti.

“ты moя kpobь.”

Rispose lui tornando dritto davanti alla figlia. Elia doveva ammetterlo, non era mai stato un brillante studente di russo, ma gli arrivò chiara alle orecchie la parola “sangue”, il liquido rosso che scorre nelle vene, che pompa nel cuore e che conserva l’eredità degli antenati. Per persone come loro il sangue è il più forte dei legami, un vincolo che nulla può spezzare, nemmeno l’alto tradimento.

Fu solo allora che il magnate sovietico si rivolse a lui, dopo aver ridato a Katrina il posto che le spettava di diritto, la sua destra.

“Sei un uomo morto Elia Michaelson.”

Cadde il silenzio, venuto giù col macigno di quella sentenza. A far da unico sottofondo il cupo bzzzzz che continuava a vibrare contro il petto di Elia.

 

//////////

 

Joseph stava correndo, sentendosi come se stesse correndo per la sua stessa vita. Più i suoi piedi battevano sul cemento, più le sue anche ruotavano,  più forte sentiva ogni segno di stanchezza e fatica lanciato dal suo corpo. L’aria fresca gli penetrava le narici tagliando come lame nel petto, la gola era ormai secca, ma i suoi occhi continuavano imperterriti a seguire la sagoma saltellante di Nathaniel poco avanti a lui.

Sentiva i passi veloci del fratello, mischiati al suono dell’aria tagliata dal suo corpo e ai lontani rumori della città. Dietro di sé tutto sembrava arrivare più attutito. Avrebbe voluto esser certo che Elia stesse tenendo il suo passo a poca distanza, ma voltarsi sarebbe stata una perdita di secondi ed energie non necessaria. Tese appena l’orecchio ricercando il tonfo secco delle scarpe toscane di Elia sul concreto, ma riuscì a captare solamente il rapido picchiettio di passi ben più corti e ravvicinati. Tacchi di donna, tacchi spessi e suole di gomma, non certo gli stiletti di Katrina.

Cara.

La scena di poco prima si ripropose nel retro dei suoi occhi. La sua materia grigia sarebbe schizzata dappertutto non fosse stato per l’intervento della ragazzina.  La precisione del colpo alla tempia non lasciava dubbi, aveva mirato dritto con lo scopo di uccidere. Non era stato un caso. Sì, ma perché?

Con l’irritante consapevolezza di non saper capire, senza il tempo né la voglia di arrovellarsi il cervello, pressoché sicuro che dopo quell’esperienza avrebbe tenuto a debita distanza Cara Phillis e qualsiasi altra sconosciuta al mondo, Joseph cambiò bruscamente direzione, trovando riparo tra pile di casse e pallet.

Si prese il tempo di respirare a pieni polmoni mentre ascoltava il ticchettio farsi più vicino. Barbie avrebbe dovuto scegliere scarpe diverse se sperava  di passare inosservata. Non appena sentì che le stava per sfilare vicino allungò il braccio, tendendo i muscoli perché le sembrasse di impattare contro un muro di pietra.

 

////////////

 

Cara si sentiva il cuore nelle orecchie. Le sue gambe avanzavano da sole, i suoi capelli andavano annodandosi nel vento polveroso del deposito di Lewis. Tutto a monte. Un’altra volta tutto da rifare. Se si fosse fermata in quel momento di certo avrebbe vomitato, ne era sicura. Tutta la rabbia e tutta la tensione sarebbero venute dritte fuori dal suo stomaco.

Fu come un colpo secco contro il diaframma. All’improvviso le sembrò di perdere il fiato e la nozione dello spazio, come se si fosse spiaccicata sull’asfalto. Un secondo prima di chiudere gli occhi fu certa di non aver davanti niente più dell’orizzonte. Qualcosa l’afferrò alla vita, spostando il suo peso dalla strada e schiantandola nell’angolo più lontano di quello spazio angusto, tra casse e scatoloni.

Tornò a respirare tirandosi su, ignorando totalmente il dolore all’osso sacro sbattuto sul cemento.

“Non così in fretta.”

Riconobbe quella voce all’istante, prendendosi tutto il tempo necessario per sollevare il viso. Joseph la guardava dall’alto, gambe leggermente divaricate e l’aspetto più stravolto che gli avesse mai visto addosso.

“Che vuoi?”

Sputò tirandosi su, mettendo il piede sinistro avanti all’altro in un’istintiva posizione di difesa. Joseph si mosse lentamente, avanzando a passi silenziosi e con la mascella serrata, costretto ad abbassare il mento per tenere gli occhi alla sua altezza. Cara non si mosse di un millimetro, aguzzando lo sguardo contro il suo. Labbra e pugni stretti.

Non era cosa nuova la vicinanza tra loro, fosse per strusciarsi l’uno contro l’altro o cercare di strapparsi le carotidi a morsi. Probabilmente era questa la ragione per cui nessuno dei due sembrava troppo sulle spine. Cara conosceva ormai a memoria le tre rughe che si stringevano sulla fronte di lui quand’era arrabbiato e non le facevano più alcuna paura.

“Mi hai salvato la vita.”

La ragazzina non riuscì a trattenere un sorriso mentre abbassava il viso. Non uno vero, bensì la smorfia di un paio di secondi, sarcastica e lievemente offensiva. Stava ridendo di lui. Joseph strinse i pugni ancor più forte sentendo la pressione salire al cervello. Questo era un lusso che davvero nessuno poteva permettersi.

La spinse indietro con un gesto deciso, di nuovo contro un muro, di nuovo con poca grazia.

“L’hai fatto.”

Ribadì con un tono ben più deciso, pronto a scattare qualora quell’irritante espressione fosse comparsa ancora una volta.

Cara rimase seria

“Perché mai avrei dovuto?”

Quella scintilla di sdegno nei suoi occhi gli riportò alla mente un’altra scena che avevano già vissuto. Le sue insuperabili doti d’attrice.

“Non lo so…”

Intavolò la sua risposta facendosi nuovamente avanti, forte della mancanza di vie d’uscita da quel buco.

“…Perché ti piaccio forse?”

Riuscì a dirlo senza sorridere, consapevole che in un modo o nell’altro stava citando le sue stesse parole. Rimase con gli occhi dritti in quelli di lei, aspettandosi la risata fatale che avrebbe liberato il suo animale interiore. Cara mantenne lo sguardo fermo, ma le sue palpebre si chiusero ed aprirono velocemente.

Tese le braccia lungo i fianchi e piano scosse la testa

“No…”

Si sollevò sulle punte perché gli fosse chiaro

“…E’ perché ti odio…”

Parlò tra i denti, rimarcando quanto stesse stretta in quella perfetta circostanza

“…E sarò solamente io ad ammazzarti.”

Joseph si accorse solo allora del proprio respiro che andava stabilizzandosi, mentre il petto della ragazzina si muoveva su e giù all’impazzata. Stava affondando le dita in una ferita piuttosto fastidiosa. Si leccò le labbra muovendo gli occhi da una pupilla all’altra, addolcì volutamente il tono

“Sai…”

Le respirò in viso

“…L’odio è quasi sempre l’inizio di una storia d’amore.”  

Cara scattò immediatamente, piantandogli un gomito in bocca perché si rimangiasse all’istante quelle parole assurde. Non gli avrebbe permesso di prenderla in giro come un’idiota. Se voleva una dimostrazione dei suoi sentimenti tanto meglio.

Joseph indietreggiò per nulla sorpreso. Erano infinitamente simili dopo tutto. La sola idea di provare una qualche emozione scatenava in loro una specie di reazione immunitaria, mettendo in allarme ogni cellula dell’organismo.

L’amore rende deboli, così è stato loro insegnato.

Distruggi tutto ciò che ti minaccia, ma ancor prima distruggi tutto ciò potresti mai amare.

Riuscì a fermare un altro pugno prima che gli arrivasse allo zigomo, bloccando la mano di Cara nella propria. Il codice morale gli impediva di picchiare le donne, ma stavolta avrebbe forse potuto fare un’eccezione. Per la terza volta la scaraventò contro il cemento con uno spintone deciso.

Lei balzò in piedi e gli caricò contro, spingendo sulle gambe per fargli più male possibile. Joseph intercettò il colpo e riuscì a scansare il suo piede prima che gli arrivasse agli stinchi. La ragazzina non si stava affatto impegnando. Prendendola per il polso e la spalla, la costrinse ad una rotazione del busto e per l’ennesima volta la spinse all’angolo

“Troppo lenta.”

Le suggerì, bloccando il ginocchio che mirava alle sue parti basse

“Troppo prevedibile.”

Aggiunse. Cara tornò a guardarlo negli occhi prendendo un lungo respiro, la rabbia stava offuscando le sue capacità. Mosse lo sguardo rendendosi conto solo in quel momento dei pochi centimetri tra la faccia del lupo e la sua. Poco più in basso i loro corpi si toccavano già e lei, fino a quell’istante, non se n’era accorta, come se per la sua epidermide ed il suo subconscio fosse una cosa del tutto accettabile.

Ingoiò quel momento

“Troppo vicino.”

Ribatté trovando finalmente la forza di spingerlo via. Un pugno nello stomaco ben assestato e riuscì a passare dall’altro lato dello spazio, libera di fuggire verso il nulla. Joseph tuttavia non sembrava dello stesso avviso, pochi secondi gli erano bastati per tornare alle sue calcagna.

“Jo!”

L’urlo arrivava da di fronte. Cara mise a fuoco ed individuò il minore dei Michaelson che si muoveva nella loro direzione. Con la coda dell’occhio si accorse che Joseph aveva rallentato e ne approfittò per voltare verso destra e sparire una volta per tutte.

“Joseph!  C’è una macchina che ci aspetta, corri!”

Gli suggerì Nathaniel con un gesto della mano e lui, per qualche secondo ancora, rimase indeciso su quale direzione seguire. Alla fine optò per il dritto e seguì suo fratello verso il SUV scuro. Forse non l’avrebbe più vista. Forse, nella più rosea delle ipotesi, la ragazza dell’aereo sarebbe rimasta solo un dolce ricordo amaro, una manipolatrice bastarda che gli aveva momentaneamente incasinato il cervello. Già, momentaneamente, poiché era più che deciso a dimenticare, sia il suo viso che gli inaccettabili pensieri ispirati dalla sua pelle candida e dalla sua arroganza. Cara Phillips, una psicopatica, un mix esplosivo di almeno tre diverse personalità, tutte ugualmente incasinate: un soldato assassino al servizio di Mancini, una bimba mai cresciuta, triste per la morte dei genitori, un’innocente cameriera fasulla, in una vita fasulla, recitata senza arte né parte. Una trappola, una trappola dai lunghi capelli biondi.

“Ancora dietro a quella troia?”

Joseph si era meccanicamente seduto sul sedile di pelle ed aveva sbattuto lo sportello, tenendosi alla maniglia mentre l’auto partiva a tutto gas. Nathaniel lo guardava incerto, visibilmente irritato, quasi incredulo.

“Ho un conto in sospeso con lei.”

“Abbiamo…”

Lo corresse l’altro cercando di guardarsi nello specchietto retrovisore

“…Taglierò la gola a lei e a tutti gli altri, compresa la russa.”

Sottolineò mentre passava il dito sui lividi che aveva in viso, sentendo la rabbia ribollire ulteriormente. Joseph drizzò la schiena

“Dov’è Elia?”

Guardò dietro l’auto e nessuno li stava seguendo. Ripensò di non aver mai visto il fratello corrergli appresso. Un brivido lo attraversò da capo a piedi.

“Avrà preso un’altra strada. Il vecchio ha mandato più di una macchina.”

La risposta non servì a farlo rilassare

“Ha mandato più di una macchina.”

Ripeté tra i denti con tono sarcastico. Ovviamente lui non ha mosso il culo dalla sua preziosa poltrona.

“Dammi il tuo telefono.”

Si rivolse all’autista del SUV che li stava sparando a tutta verso casa. Quello gli ubbidì senza fiatare e Joseph compose il numero. Squilli a vuoto. Se non altro stava squillando. Spinse di nuovo il pollice sul tastino verde. Ancora squilli a vuoto.

 

//////////

 

Elia rimase immobile. Negli ultimi due anni della sua vita aveva sentito quelle parole almeno un centinaio di volte. Pushkin l’aveva accusato di aver ucciso sua figlia, di averla fatta sparire, di non aver saputo proteggerla… Perfino di averla venduta come una schiava per riuscire ad infilare un piede nel mercato mediorientale del petrolio. Per la prima volta non gli sarebbero servite arringhe difensive, l’unica prova che poteva scagionarlo era lì, in piedi accanto a loro.

“Katrina è qui. In salute nondimeno.”

Ribatté con un cenno della mano destra a sottolinearne l’ovvietà. L’altro si leccò le labbra

“Tua famiglia rovina tutto ciò che tocca.”

Poteva dargli torto dopo tutto? Una madre morta e depressa, una moglie fuggita, un fratello a marcire in galera ed altri due abbandonati a loro stessi, un padre tiranno ed un esercito di persone asservite e terrorizzate. Tutti con lo stesso futuro segnato.

“Guardala…”

Pushkin guidò gli occhi di Elia verso la figlia. Due sole lacrime cadute le segnavano il viso di nero, ma lì dove Vladijmir vedeva solo immoralità e delusione, lui continuava a vedere la bellissima donna che aveva scaldato il suo letto. Quant’era ancora chiaro nella sua testa il ricordo di quel calore.  Com’era stato strano, seppur sorprendente, sentire quella sensazione lottare contro l’abitudine al gelo, il freddo che aveva patito da bambino tutte le volte che un temporale o un brutto sogno l’avevano spinto fino alla stanza dei suoi. “Non essere codardo William. Torna subito in camera tua!” Così diceva suo padre.

Ed Elia Michaelson non era certo un codardo.

“…Tu hai fatto questo di mia figlia!”

Il suo tono si era sollevato di colpo, la sua ultima frase quasi un urlo. I preliminari erano ufficialmente conclusi.

Del tutto inattesa la sua discendente ruppe il proprio voto di silenzio

“No padre…”

Poggiò lenta una mano sulla spalla del più anziano

“…Non è stato Elia.”

Pushkin la guardò senza muovere un muscolo in viso, impietrito davanti alla figlia così apertamente disdegnata.

“Io sono scappata.”

Concluse sottolineando il soggetto, in attesa di un altro schiaffo meritato. Tutti gli sforzi, tutto il mistero, un’intera guerra messa in piedi solo ed esclusivamente a causa sua.

Elia sollevò le dita, ma solo per chiudere un bottone della giacca. Pushkin meritava l’espressione inebetita che adesso campeggiava sul suo viso spigoloso. Chi è causa del suo mal pianga sé stesso.

Per quale strana ragione Katrina avesse deciso proprio in quel momento di sputare finalmente la verità? Non voleva nemmeno chiederserlo.

 

////////

 

“Dov’è vostro fratello?”

Domandò William guardandoli entrare nello studio con la coda dell’occhio, la sua attenzione rivolta al distruggidocumenti che ingoiava, una alla volta, le prove dell’ultimo appalto truccato.

“Speravamo fosse già qui.”

Rispose Nathaniel senza aggiungere altro. William infilò un sottile foglio rosa nella fessura e rimase a fissarlo mentre la macchina lo divorava.

“Andate a darvi una ripulita. Puzzate come animali.”

Ordinò lasciando cadere la questione, quasi non avesse alcuna importanza.

Joseph sbatté i palmi sulla scrivania richiamando la sua considerazione

“Maledetto bastardo!”

Era stanco, furioso e preoccupato, ma di sicuro non provava vergogna per il pensiero che voleva uscirgli di bocca. Se William fosse andato al deposito ed i merli l’avessero fatto a pezzi, lui avrebbe brindato assieme a loro col miglior champagne in circolazione.

“Tieni a freno la lingua Joseph…” Ribatté l’altro con tono calmo ed un’occhiata di sufficienza “…Tuo fratello sa badare a sé stesso.”

“E’ sempre e solo colpa tua.”

Rispose. Il tono più pacato, ma il disprezzo sempre più evidente. Se fosse successo qualcosa ad Elia… Se fosse successo qualcosa ad Elia mentre il suo surrogato di padre si compiaceva del proprio riflesso nel bicchiere di bourbon, allora bhé, avrebbe fatto lui stesso un favore ai merli, ai russi e probabilmente all’intera umanità.

“C’è Mancini dietro tutto questo, non Pushkin.”

Nathaniel decise di intromettersi, seppur inopportuno, cercando di contenere il fratello. Da come pulsava freneticamente la vena della sua tempia sinistra, mancava davvero poco perché esplodesse.

William sorrise con apparente gusto mentre sfregava i palmi sul panciotto. Si avvicinò al minore dei suoi figli, sangue del suo sangue, e finse d’osservare con apprensione il grosso taglio che occupava la sua guancia

“Devi farti sistemare figliolo…”

Con una pacca sulla spalla lo spinse impercettibilmente verso la porta dello studio

“…Non vorrai certo rovinarti la faccia. Sei quello che mi somiglia di più qui dentro.”

Ed era vero. I lineamenti di Nate ricordavano in maniera evidente quelli di suo padre alla sua età e sicuramente William godeva nel vederlo orgoglioso, ambizioso, al limite del superbo, così come avrebbe voluto che fossero tutti i frutti dei suoi lombi.

Il minore lanciò un occhiata non corrisposta a Joseph. Non era certo fosse una decisione saggia lasciarli soli, ma il sottile invito di suo padre era, come sempre, nulla più che un’imposizione. Annuendo in silenzio prese la porta.

“Quanto a noi…”

Riprese accarezzando la folta barba che gli copriva il mento

“…Se non fossi l’incapace che sei Joseph, sapresti che Robert si trova in Belgio in questo momento. A Mortsel precisamente…”

Gli rivolse un sospiro di sufficienza

“…E sapresti anche, che dopo l’ultima volta vige tra noi un mutuo tacito accordo di rispetto. Almeno finché gli lasceremo campo libero giù al confine.”

Un accordo? Joseph non era a conoscenza di un simile patto e ad ogni modo non credeva nemmeno un po’ alla buonafede dell’italoamericano. Aveva vissuto per trentadue anni accanto ad un uomo come Mancini e proprio da William aveva imparato, suo malgrado, quanto poco vale la parola di un capo se i termini dell’ accordo non si firmano col sangue.

“E tu ci credi? I gemelli Pryce erano lì e Kat…”

William tornò a dedicarsi all’alcool per qualche istante

“Io non credo. Io so.”

Lo interruppe prima di scuotere il capo con fare quasi giocoso. Joseph inspirò profondamente al centro della stanza, i suoi nervi stavano per esser messi a dura prova

“La tua ingenuità è disarmante figlio mio…”

Non passò inosservato il modo in cui quella parola rotolava giù dalla sua lingua, solo per schernirlo

“…Davvero credi che io non sappia tutto quello che stai per dire?”

Volò l’ennesimo sguardo di sfida reciproca

“Ho mandato degli uomini ad indagare, sperando che facciano un lavoro migliore del vostro.. ma posso già assicurarti che Mancini non c’entra niente col piccolo eccesso di zelo dei suoi leccapiedi.”

Joseph aguzzò lo sguardo mirando ad un punto qualsiasi sulla parete opposta, non che stesse davvero concentrandosi su quel che aveva davanti. Se Mancini non era il mandante di quella sciarada, allora si trattava davvero di una maldestra vendetta personale o forse sarebbe meglio dire una doppia vendetta, vista lo concomitante presenza di Cara e Katrina. Quanto ai gemelli invece, probabilmente era bastato che tutt’e due si sfilassero le mutandine per far loro accettare di buon grado l’ammutinamento.

Le donne, che brutta razza! Il commento gli venne spontaneo, cosa mai non riuscirebbe ad ottenere una donna con un bel culo e grandi occhi blu? Proprio lui era stato il primo a cascarci come un idiota.

“Quanto a Katrina…”

Riprese il vecchio recuperando il suo interesse

“…Credo che William abbia ben capito come dovrà comportarsi con lei d’ora in poi.”

D’ora in poi? D’ora in poi?! Non erano abbastanza tutti i casini che quella troia aveva già procurato? Pretendeva forse che Elia se la riprendesse?

Quasi fosse riuscito a leggergli nel pensiero William senior precisò

“E la sua ricomparsa ci toglierà finalmente Vladijmir dai piedi.”

Una lampadina si accese nel cervello di Joseph. Ecco chi aveva mandato quei sicari al deposito, ecco la ragione per cui, nonostante i kalashnikov alla mano, non avevano sparato. Pushkin non aveva mai smesso di seguirli e sapeva che sua figlia era in quella stanza.

Un brivido all’adrenalina lo mise in allarme

“Se Pushkin ha preso Elia potrebbe…”

William lo zittì con un cenno della mano, quasi stesse dicendo la più insignificante stupidaggine

“Come ho già detto pocanzi, tuo fratello è in grado di badare a sé stesso.”

Quel tono indifferente fece saltare Joseph sul posto, strinse i pugni e si rivolse a suo padre con lo stesso sdegno dovuto al più insignificante servitore

“Se succede qualcosa ad Elia io giuro che ti…”

William drizzò la schiena ed arruffò le piume come un pavone irritato, gelando Joseph con una sola occhiata

“Ti consiglio di ponderare la tua prossima scelta di parole Joseph…”

Una specie di ghigno gli comparve in volto

“…Da che tua madre è morta non ho più alcun obbligo verso di te, anzi… forse dovrei decidermi a schiacciarti come l’insetto che sei.”

Il tono monocorde era una delle armi che avevano reso William quello che era. Sembrava non provare più nulla, in nessun momento. I suoi nemici lo trovavano terrificante. Joseph d’altra parte, era più che abituato al suo disprezzo e sebbene non fosse riuscito a finire la frase, l’intenzione restava la stessa. Qualora Pushkin avesse anche solo torto un capello a suo fratello, William si sarebbe ritrovato coi suoi stessi occhi in bocca. 

Joseph allargò le braccia

“Perché sono ancora qui allora?”

Domanda velatamente ironica, ma a dirla tutta se l’era sinceramente chiesto parecchie volte. William sembrò cambiare d’umore, tornando ad essere il genitore orgoglioso dei suoi soldati col perenne ghigno in faccia

“Perché devo ammetterlo figlio…”

Di nuovo quella parola fuori posto, di nuovo quella cadenza. Si allontanò tornando alla scrivania dove un’altra pila di documenti lo attendeva

“…Tu sei un artista coi coltelli, così come tuo padre lo era coi pennelli.”

Lasciò cadere quella frase così, tra un foglio e l’altro, come non avesse detto nulla d’importante. Joseph si gelò all’istante, completamente travolto da emozioni contrastanti. Suo padre, il suo vero padre, un pensiero che raramente gli attraversava il cervello, un’ombra nella sua vita che odiava di cuore, quasi quanto il rimpiazzo senza coscienza che ora aveva di fronte.

Il suo nome era Stig, un pittore svedese che sua madre Amelia aveva conosciuto a Londra durante una mostra. Una relazione proibita durata un paio di mesi, giusto il tempo necessario per mettere in cantiere la sua inutile esistenza. Detestava William per averlo ucciso a sangue freddo dopo l’infausta scoperta, ma ancor più disprezzava quell’altro per non aver lottato, per non averli portati via da Londra e dai maledetti Michaelson. Forse semplicemente non gli importava nulla di sua madre, tantomeno di lui.

Eccola di nuovo, quella terribile rabbia che gli caricava dentro e gli formicolava nelle mani. William non si lasciò sfuggire la scintilla nei suoi occhi, fiero di essere perfettamente riuscito nell’intento desiderato. Piegò un foglio tra le dita e se lo infilò nel taschino della giacca

“A proposito di coltelli… Dick Moreau, sulla Orchard Road.. Non ha pagato questo mese.”

Joseph annuì benché sembrasse totalmente calato in altri pensieri. Uccidere Moreau o chiunque altro, solo questo gli serviva adesso. Dopo tutto lui era il Lupo e come tale doveva tornare a comportarsi.

Si sentì una mano poggiata sulla spalla

“Fa’ questo favore al tuo vecchio e poi va’ pure a cercare Elia se vuoi.”

A scopo raggiunto il tono di William si era ingentilito e sul suo viso campeggiava un mezzo sorriso di soddisfazione.

 

/////////

 

Cara entrò nella stanza 7b del motel François nettamente in ritardo e visibilmente stremata. Neanche s’aspettava che dopo quell’epico fallimento Morgan le facesse recapitare un messaggio per dirle dove s’erano nascosti. Tra i merli solitamente non funziona così, se uno resta indietro gli altri se ne fregano alla grande.

La camera puzzava di vecchio e di stantio, mentre le pareti a righe avranno avuto almeno quarant’anni, se non altro a giudicare dagli strappi della tappezzeria. L’arredamento nel complesso non era male, soprattutto il tavolino shabby-chic che faceva bella mostra delle sue gambe storte accanto al minifrigo degli anni ’80.

Era riuscita a sentire i lamenti di Little K già fuori dalla porta e adesso eccolo lì, con le gambe stese e la schiena poggiata alla testiera del letto, sudato fradicio e con un asciugamano insanguinato spinto contro il fianco.

 “Quel figlio di puttana mi ha accoltellato!”

Precisò davanti allo sguardo perplesso di Cara. Morgan li raggiunse poggiando una mano sulla spalle di lei e porgendo al fratello una birra gelata.

“Non preoccuparti. L’ho già rattoppato per bene… E tu smettila di lamentarti come una femminuccia!”

Preoccuparsi? Non si sarebbe certo strappata i capelli se Little K avesse perso un rene o un paio dei suoi sette metri d’intestino.

“Vieni qui Barbie...”

Il gemello ferito richiamò la sua attenzione e Cara, senza ancor dire una parola, si avvicinò al letto. Little K allungò una mano umidiccia e cercò la sua, stringendola come nel più naturale dei gesti. Gli occhi di Cara caddero dritti su quell’unione di dita e a stento trattenne il bisogno di ritirare il braccio il più in fretta possibile. Certo, lui era un bel ragazzo, con grandi occhi verdi e pettorali scolpiti, e lei c’andava a letto di tanto in tanto, ma questo non li rendeva certo una coppia o qualcosa del genere.

“…Ho davvero bisogno di un po’ di conforto...”

Da come aveva stressato la parola sarebbe stato chiaro perfino ad una monaca di clausura che col termine “conforto” non intendeva certo abbracci e carezze. Cara sollevò il sopracciglio in un arco perfetto, la sola idea di prenderglielo in bocca in quelle condizioni la faceva vomitare. Senza contare che non se l’era guadagnato comunque, dato il fallimento palese del piano.

Inspirò. A pensarci bene, ultimamente anche il solo guardarlo la faceva vomitare.

“…Me lo merito dopo quello che mi ha fatto il tuo amico.”

Continuò a perorare la sua causa mollandole la mano per indicare la profonda ferita al fianco destro, i due gonfi lembi di pelle tenuti insieme da una cucitura maldestra e sangue secco tutt’attorno.

“Fammi vedere.”

Finalmente Cara parlò, cogliendo al volo l’occasione per cambiare argomento. Senza preoccuparsi troppo dei suoi lamenti, spinse le mani gelide sulla pancia del ragazzo e testò quanto il lavoro di Morgan, improvvisato con filo da sarta ed un ago bruciato con l’accendino, potesse tenere.

Una gran bella ferita, Little K avrebbe dovuto ritenersi fortunato di non essere finito a far terra per i vermi. Di nuovo passò le dita sul taglio. Era opera del Lupo dopo tutto.

Le tornò immediatamente in mente l’ultima conversazione al deposito. Avrebbe dovuto spaccargli i denti per la sua arroganza. Credeva di piacerle il pallone gonfiato. Avrebbe mai sentito qualcosa di più ridicolo?

“Lo ucciderò quel coglione.”

Concluse lui immaginandosi la scena sul soffitto e Cara sospirò tornando dritta accanto al letto. Scosse la testa, ma non sentì in bisogno di intavolare una conversazione con Little K sull’argomento. Ammazzarlo era una soddisfazione che spettava a lei, a lei soltanto. Senza degnare il gemello d’ulteriore nota indirizzò i passi stanchi verso il bagno

“Dove vai adesso?”

Si lamentò Little K ancora una volta, allungando il labbro inferiore come un bambino. Cara tirò dritto verso la sua meta.

 

//////////

 

“Ti prego! Ti prego basta! Pagherò! Giuro che pagherò!”

Ormai dalla sua bocca veniva fuori una soluzione continua di suppliche e promesse, impastate tra saliva, sudore, lacrime e paura. Era diventato difficile capire cosa stesse dicendo, ma comunque a Joseph non importava più. Se si fosse fermato in quell’istante, il magro signore dalla pelle olivastra e dalla barba incolta, avrebbe di certo tirato fuori dalla cassa il doppio dei soldi pur di salvarsi la pelle. Tuttavia al Lupo non interessava portare a casa quei quattromila dollari, lui era lì per un solo motivo, tornare a godersi la magia di una morte qualsiasi. Per questo motivo era nel retro di quel negozio da quasi un’ora, godendosi l’attrito tra la punta del suo pugnale e la pelle di Moreau.

“Ti supplico… Ho dei figli… Dei nipoti…”

Ora stava piangendo, cosa che un uomo non dovrebbe mai fare. Giusto Joseph? Poco importa che tua madre sia morta da un giorno all’altro o che le uniche due persone a cui tieni davvero si stiano trasformando sempre più nel padre che odi. Poco importa che tu di figli non ne avrai mai, tanto meno nipoti. E come potresti? Serve una donna per quello, servono amore, rispetto, pazienza, responsabilità. Quale donna al mondo potrebbe mai amare un mostro come te? Quale donna potrebbe mai capire?

L’immagine di Cara gli passò davanti agli occhi come un flash. Sociopatica, sola, arrabbiata. Disperata.

Scosse la testa ed ammazzò quel pensiero, senza nemmeno rendersi conto che nello stesso istante aveva spinto il coltello dritto nel petto dell’uomo dinanzi a lui. Lo sfortunato inadempiente Moreau gli boccheggiava davanti, cercando di afferrare le ultime gocce d’ossigeno della sua esistenza. Joseph mollò la presa e fece un passo indietro restando a guardare.

Quello era il momento, l’unico istante in cui finalmente aveva il controllo. Poteva decidere se finire le sofferenze di quel disgraziato o lasciarlo in agonia fino all’ultimo. Teneva la sua vita tra le mani, la sola cosa al mondo che potesse controllare.

Tutto il resto gli scorreva attorno senza poter essere fermato, William per primo. Eppure, anche se un benaugurato giorno il capofamiglia si fosse tolto di mezzo, ci sarebbero comunque stati i suoi fratelli. Non avrebbe mai abbandonato Elia, senza il suo continuo cinismo e le iniezioni di buonsenso sarebbe potuto diventare uno zerbino al servizio di Katrina in men che non si dica… Per non parlare di Nathaniel, la sua mancanza di limiti e congenita immaturità gli avrebbero riservato nulla più che il posto d’onore in un penitenziario di massima sicurezza.

Moreau rantolò un’ultima volta e venne giù, sbattendo il viso sul pavimento polveroso. Joseph sospirò quasi deluso, preso dai suoi mille pensieri si era perso il momento migliore, l’esatto istante in cui la vita abbandona il corpo e sparisce in un gelido soffio. Guardò dall’alto la sua ultima vittima e quasi sbuffò, ripulire la scena è senza dubbio la parte più noiosa. Si abbassò sulle ginocchia e rivoltò il corpo del povero cristo, imbrattando le proprie mani nel denso liquido carminio.

Era già sul punto di trascinarlo via quando il suo telefono prese a squillare. Lasciò andare le gambe molli del cadavere e si pulì le mani sulla maglietta senza troppe cerimonie. Sul display lampeggiava un ID sconosciuto.

“Pronto?”

Esordì con tono minaccioso, non era certo un buon momento per importunarlo.

“Fratello.”

Joseph raddrizzò la schiena

“Elia. Dove sei? Stai bene?”

Elia inspirò guardandosi attorno, al centro di quella grande stanza con le tende di velluto rosso ed il camino acceso.

“Sto bene.”

“Dove sei?”

“Nella Grand Suite di un hotel a cinque stelle.”

Joseph aggrottò le sopracciglia

“Di che diavolo stai parlando?”

Elia passò la mano libera sul collo della giacca e rivolse lo sguardo alla porta, attirato dal chiaro rumore di un’altra presenza in arrivo

“Il caro Vladijmir mi ha offerto la sua ospitalità.”

Rispose, celando il chiaro sarcasmo con tono sereno, pur potendo immaginare l’espressione nervosa e contrariata del fratello

“Mi prendi in giro? Se quel bastardo ti…”

“Sto bene Joseph…”

Lo interruppe l’altro con decisione

“…Io e Pushkin abbiamo delle cose da chiarire. Farò ritorno presto.”

Tra quelle tre parole Katrina comparve sulla soglia dell’attico, il viso lindo e le curve del suo corpo opportunamente nascoste sotto un abito di cotone bordeaux. A dispetto dell’apparenza pulita, la sua espressione restava un misto di sfida, seduzione e ripugnanza. L’inganno era chiaro, nonostante i lampadari di cristallo, i tappeti orientali e l’intenso profumo di pot-pourri, quelle mura segnavano i confini di una prigione.

“Dimmi dove sei Elia. Vengo immediatamente.”

Il tono determinato non servì allo scopo. Elia interruppe la conversazione lasciando Joseph in un nuovo stato di rabbia ed inutilità. Se Moreau non fosse già morto avrebbe certo sofferto il doppio delle pene a questo punto.

 

//////////

 

Katrina avanzò in silenzio con la mano destra tesa in avanti, nella chiara attesa di vedersi restituire il telefono. Elia assecondò la richiesta.

Nel vederla voltargli le spalle e dirigersi nuovamente verso la porta non riuscì però a frenare la lingua

“Hai avuto la tua occasione.”

Katrina fermò il piede a mezz’aria e lentamente lo riportò giù, voltando il busto verso di lui. Sollevò le sopracciglia come a chiedere di spiegarsi meglio. Elia avanzò di un passo soltanto

“Potevi farmi uccidere da tuo padre, avresti comunque raggiunto metà del tuo scopo... Perché mi reggo ancora in piedi?”

Lei allineò torso e gambe rivolgendogli ora la sua piena figura. Stava resistendo all’urgenza di arricciare le labbra, il che lasciava trasparire la sua rabbia malcelata. Rimase in silenzio per un tempo difficile da calcolare.

“Perché sei scappata da me?”

Ecco, finalmente le sue labbra l’avevano chiesto.

Katrina strinse i pugni e poi abbassò gli occhi scuotendo lentamente la testa. Elia temette, nel più inverosimile dei suoi pensieri, che Pushkin le avesse tagliato la lingua per punirla. Di nuovo fece per andarsene, ma Elia insistette, pronto perfino a far crollare la sua elegante corazza per qualche minuto.

“Katrina di’ qualcosa per l’amor di dio!”

Si girò di nuovo, veloce e rigida come una colonna di marmo

“Non capirai mai!”  

“Capire che cosa?”

Lei invase il suo spazio personale in un secondo, il mento sollevato e l’espressione furiosa

“Io sono stata cresciuta per essere una regina!”

Sbottò mentre il suo viso si contorceva in un’espressione di disgusto

“Tu hai usato me come una delle tue proprietà!”

Si tese ancor di più

“Come una proprietà di tuo padre!”

Finì di urlare, lasciandolo colpito e perplesso di fronte al suo disprezzo.

“Io avrò quello che mi spetta…”

Aggiunse abbassando la voce e aggiungendo qualche centimetro di spazio tra i loro corpi

“…In un modo o nell’altro.”

Elia sentì la bocca dello stomaco serrarsi davanti alla dichiarazione del suo fallimento. Ogni pensiero, ogni dubbio, ogni rimpianto passato per la sua mente in quei due anni era reale. La donna che si era concesso di amare ricambiava i suoi sentimenti con un odio intenso quanto il suo amore. Katrina disprezzava la sua fedeltà, la sua lealtà, la sua totale devozione, ogni dote che per quasi trentaquattro anni aveva costantemente rivolto alla famiglia… E forse mai a lei.

“Che vuoi fare?”

Fu la sua nuova domanda pronunciata sottovoce, ma il tempo delle risposte era già finito. Katrina indietreggiò ulteriormente

“Arrivaci da solo.”

Concluse.

 

///////////

 

L’acqua era così calda che la sua pelle stentava a resistere, il vapore tanto intenso da impastarne il respiro, eppure Cara rimaneva sotto il getto, grattando la spugna contro la schiena nella più innaturale delle posizioni. Voleva togliere quel finto tatuaggio a tutti i costi. Era arrabbiata e nervosa per il risultato dei suoi sforzi, letteralmente incazzata per non essersi guadagnata quello stramaledetto marchio dopo ben nove anni di servizio. L’ultimo tentativo di ribaltare la situazione non era certo andato a buon fine. Quando mai le sarebbe ricapitato di avere tutti i fratelli Michaelson alla sua mercé? Mai, appunto. Poteva solo sperare che al proprio ritorno Robert riuscisse ad apprezzare lo sforzo.

Ma perché cavolo non aveva semplicemente ucciso Joseph alla prima occasione?

Joseph e il suo maledetto modo di guardarla.

Joseph e i suoi odiosi occhi azzurro cielo, in grado di spogliarla senza nemmeno toccarla.

“Barbie? Hai finito?”

Morgan batté insistentemente contro la porta chiusa

“Non ti ho portato qui per farti prosciugare l’intera riserva idrica di New Orleans!”

Cara digrignò i denti e chiuse il rubinetto in un gesto stizzito.

“Che vuoi?”

Venne fuori dalla stanza qualche minuto più tardi con i vestiti appiccicati addosso ed i capelli ancora gocciolanti.

Morgan ghignò osservandola con attenzione

“Sei sexy quando fai la maleducata.”

“Non pensarci nemmeno. Mi fai ribrezzo.”

Ribatté Cara senza filtri tra lingua e cervello. Il gemello ridacchiò

“E chi dice che non abbia già messo le mani sul tuo prezioso culetto?”

Insinuò col suo mezzo sorriso compiaciuto

“Avere un gemello identico ha i suoi lati positivi dopo tutto… Specialmente nella semi oscurità.”

Agitò le sopracciglia su e giù un paio di volte. Cara aguzzò lo sguardo in riposta

“Come mai sei così di buon umore?”

L’altro sorrise puntandole gli indici contro

“Sexy ed anche intelligente.”

“Arriva al punto Morgan.”

Gli sfilò davanti senza dargli ulteriori attenzioni e raggiunse Little K, letteralmente steso dal cocktail di birra ed antidolorifici.

Il gemello le lanciò una cartellina marrone

“Tieni.”

Cara la sfogliò velocemente tra le dita. Fotocopie di una cartella clinica o qualcosa del genere.

“Che cos’è?”

L’altro sembrò emozionarsi ulteriormente

“Non avrai mica pensato che non avessi un piano b?”

Cara esaminò le pagine ancora una volta, cercando il nome del paziente cui appartenessero.

“E chi sarebbe Amelia Fisher in tutto questo?”

Morgan si bagnò le labbra con la lingua e le si fece vicino

“Fisher era il suo nome da ragazza…”

Le indicò un punto preciso a pagina sei

“…Prima che diventasse…”

Gli occhi di Cara furono più veloci della voce di Morgan.

Amelia Michaelson.

A quel punto fu facile fare due più due e quel fascio di fotocopie divenne immensamente interessante, specialmente gli ultimi due fogli.

“Dove li hai presi?”

Lui gongolò gonfiandosi il petto

“Ho i miei mezzi bambola.”

Cara continuò a leggere avidamente, curiosa e al tempo stesso raggelata da quello che il rapporto tra le sue mani lasciava intendere.

Morgan ghignò di nuovo

“Che dici, come pensi che la prenderà il tuo amato lupo?”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


capXII

INCREDIBILE MA VERO SONO TORNATA! NON VI FARO' L'ELENCO DELLE MILLE COSE CHE MI SONO SUCCESSE, PERCHE' COMUNQUE SONO E RESTO UN'AUTRICE TERRIBILE, LO SO! CHIEDO SCUSA A TUTTI!

SEX ALERT: scene di sesso in questo capitolo. Niente di che, ma vi avverto comunque qualora l'idea di leggere vi infastidisse.

A PRESTO!

//////////

Freddo. Faceva un freddo terribile e nonostante la sciarpa stretta attorno al collo Cara continuava a sentire i brividi percorrerle le ossa. Aveva visto vento, pioggia e neve anche a New York, ma nulla di paragonabile alla miseria dell’Alaska. Tutt’attorno le persone sembravano starci dentro benissimo e lei continuava a non capire come fosse arrivata fin lì, seduta sui gradini gelidi di un cinema chiuso, sperando di morire prima della prossima seduta di psicoterapia.

Ancora una volta spinse il pollice sulla rotella dell’accendino sperando che la fiamma riuscisse a sopravvivere. Aveva quella sigaretta in bocca da quasi mezz’ora ed ormai sentiva il sapore del filtro sulla punta della lingua. Non le piaceva fumare, era solo un modo come un altro per sentirsi più grande e più forte dei suoi sedici anni.

L’orologio della chiesa in lontananza segnava le dodici e venti, ancora un paio d’ore prima di poter tornare a casa e fingere che un’altra giornata di scuola fosse finita. Casa… Non sarebbe mai più tornata a casa.

Ancora una volta vide la flebile fiammella spegnersi all’istante davanti ai suoi occhi.

Hai bisogno di accendere?”

Una voce sconosciuta attirò la sua attenzione dalla sinistra. Un uomo sulla quarantina dai capelli castani, avvolto in un cappotto non troppo pesante, lasciato aperto sulla camicia a righe bianche e blu, se ne stava con le mani in tasca ed un mezzo sorriso in faccia. Come faceva a non morire assiderato?

Cara sentì la schiena drizzarsi ed il panico affacciarsi sotto i mille strati di abiti invernali. Non le piacevano gli sconosciuti. Non più.

Lui tirò fuori le mani e le sollevò prima di farsi più vicino. Le porse un accendino verde di quelli che vendono a cinquanta centesimi. Cara rimase impietrita, senza saper decidere se fuggire a gambe levate o cedere al suo imminente attacco di cuore.

Lui sembrò sorridere di nuovo. Si sedette sul suo stesso gradino, qualche metro più in là.

Non sei di qui, vero? Ti si legge scritto in faccia che vorresti essere da tutt’altra parte.”

Esatto. Vorrei essere a casa mia, a New York, litigando il coprifuoco con mia madre mentre aspettiamo che il polpettone sia pronto e che mio padre rincasi dal lavoro.

Cara ingoiò la sua stessa saliva stringendo la borsa tra le mani.

Mi scusi…”

Iniziò in un mezzo sussurro

“…Ma non parlo con gli sconosciuti.”

Lui allargò il sorriso mostrando i denti bianchi ed il loro piacevole contrasto contro l’abbronzatura.

Saggia abitudine…”

Scivolò sul cemento facendosi più vicino, allungò la mano destra

Il mio nome è Robert.”

Cara lo guardò finalmente negli occhi, anonimi occhi castani splendenti di una luce del tutto particolare. Qualcosa nel suo sguardo e nella sua sicurezza abbassò il suo livello di panico.

Potresti comunque essere un serial killer.”

Rispose senza accettare la stretta, sorpresa della sua stessa audacia.

L’altro sollevò un sopracciglio in apprezzamento, ma quasi immediatamente la sua ilarità scomparve

Potrei…”

Abbassò la mano poggiando il palmo sul gradino freddo e sporco

“…Ma lascia che ti dica una cosa…”

Cara tentò di scivolare via, ma rimase inchiodata al suo posto

“…A volte le persone meritano di morire.”

Inclinò la testa intenerendo lo sguardo

Sono comunque certo che non fosse il caso dei tuoi genitori.”

Cara spalancò gli occhi

Come fai a sapere dei miei genitori?”

Lui sembrò ignorare l’ovvia domanda, soffermandosi sul panorama di fronte, attendendo il rintocco delle dodici e trenta. Il suono solenne sovrastò per un secondo tutto il resto.

Io so molte cose Cara Phillis.”

Al suono del suo stesso nome, nome che non aveva mai rivelato allo sconosciuto, il cuore le si gelò nel petto. Non si sfugge dai Michealson.

L’avevano trovata. Avevano scoperto la sua esistenza ed ora l’avrebbero tolta di mezzo.

S…Sei uno di loro?”

Gli domandò in un sussurro, la bocca secca e la lingua attaccata al palato. Lui esplose in una risata genuina, quasi avesse detto la più assurda stupidaggine. Pochi attimi dopo gli piombò in faccia un’espressione a metà tra il disgusto e l’esaltazione

Io odio i Michaelson… esattamente come te.”

Quel nome pronunciato ad alta voce le provocò un brivido ancor più gelato del vento che le soffiava in viso. La paura, il terrore, la rabbia, ogni singola fastidiosa emozione si prese nuovo spazio tra le sue viscere.

Se ti dicessi che puoi avere la tua vendetta…”

Lo sconosciuto riprese a parlare, abbassando il tono benché non ci fosse nessuno attorno

“…Che io posso aiutarti a vendicare la morte dei tuoi genitori…”

I suoi occhi brillavano, la sua voce liscia e morbida come il più abile dei venditori

Che cosa risponderesti?”

La stava fissando, studiando, in attesa di cogliere un qualsiasi barlume d’entusiasmo alla sola idea. La ragazza aveva potenziale, di questo era certo.

Cara mandò giù, accarezzata da quella proposta, lasciando fluire per qualche secondo i suoi pensieri più reconditi. Per quanto fosse sbagliato desiderava la morte di quelle persone, lenta e dolorosa, la desiderava più di ogni cosa.

Scostò lo sguardo da quello di Robert e le parve di tornare improvvisamente alla realtà. Scosse il capo

Sono solo una ragazzina.”

In quella parola tutto il suo senso d’impotenza. Lo sconosciuto si fece qualche centimetro più vicino, la sua voce ed il suo caldo respiro le arrivarono dritti all’orecchio

Ma non sarà sempre così. Presto sarai una donna…”

Con la coda dell’occhio lo guardò ancora, terrorizzata dall’evidenza di come quelle sue parole riuscivano ad incantarla, alla stessa maniera di un flauto magico

“…Una donna forte, coraggiosa, indipendente.. E bellissima lasciami aggiungere.”

La prospettiva sembrò riscaldarla di colpo.

Ti insegnerò tutto quello di cui hai bisogno...”

I loro occhi si incrociarono, il blu intenso di quelli di Cara totalmente divorato dall’oscurità di quell’incantatore. Le parole dello sconosciuto stavano leccando le sue ferite, le stesse che lei cercava di nascondere, le stesse in cui il suo terapeuta sembrava voler ficcare le dita ad ogni costo. Robert riusciva a vederle e le stava offrendo la più miracolosa delle cure.

“…E quando verrà il momento, sarò al tuo fianco mentre la tua vendetta si compie.”

La sola vaga fantasia di quel momento accese in Cara la voglia di sorridere, cosa che non capitava ormai da mesi. Esterrefatta lo guardò alzarsi e scendere l’ultimo gradino

Chi sei tu?”

Domandò. Robert sorrise allungando la mano verso di lei

Vieni con me e ti spiegherò ogni cosa.”

Avrebbe dovuto sentirsi terrorizzata alla sola idea, eppure quell’uomo pareva conoscerla meglio di chiunque altro. Con poche semplici parole le aveva detto tutto ciò che il suo cuore e le sue orecchie bramavano sentire.

Che cosa ti è rimasto ancora da perdere?”

Nulla.

Non ho più nulla da perdere.


--------


Cara entrò nell’appartamento scuotendo la testa. Quel ricordo continuava a tormentarla. Da quando aveva parlato con Morgan, dopo quell’inaspettata scoperta, frammenti della sua infanzia e della sua vita prima della Salle de Paris continuavano a presentarsi senza alcun invito. Dentro la sua mente si combatteva una continua battaglia.

Aveva in mano la più tagliente delle armi, eppure non riusciva a convincersi ad usarla.

Cercando di non far rumore passò la soglia e si guardò attorno. Si sarebbe aspettata una grossa macchia sul pavimento e l’odore di sangue stantio dappertutto, tuttavia ogni cosa sembrava brillare, avvolta in un dolciastro odore di limone ed aceto di mele.

Fissò il punto preciso in cui aveva ucciso il secondo russo. Quasi riusciva ad immaginarle, due cameriere in uniforme francese curvate sul pavimento, impegnate a spazzolare via ogni traccia di sangue. Non si sarebbe aspettata nulla di meno da gente arrogante e pomposa come i Michaelson.

Girò attorno al divano rivivendo il momento in cui si era rivelata. Impagabile.

Ripensandoci meglio forse era stata un po’ troppo teatrale. Troppo drammatica. Troppo volgare.

Eccoli di nuovo. I ricordi della sua infanzia stavano influenzando il suo giudizio. Lo sguardo deluso di suo padre, lo stesso identico sguardo che avrebbe avuto sapendola così, un'assassina sola e senza remore, una donna senza innocenza e senza pudore.

Scosse la testa ancora una volta. Doveva liberarsi di quelle emozioni e tornare lucida. Joseph sarebbe presto tornato e lei non era certa di come giocarsi quell'ultima mano. Guardò i fogli tra le sue dita ancora una volta prima di piegarli e nasconderli sotto uno dei cuscini del divano. Un simile colpo di scena meritava una degna introduzione.

Girò su sé stessa e si avviò verso il mobile bar, forse un po' d'alcool avrebbe sciolto quella tensione. Poteva finirlo, sferrare un colpo talmente potente da destabilizzare la sua intera esistenza. Le fondamenta della famiglia Michaelson si sarebbero sgretolate, un lento ed inesorabile processo di autodistruzione, uno spettacolo da non perdere.


Il cuore le batteva forte e le mani si muovevano da sole nel tentativo di strappare quella carta a strisce il più in fretta possibile. L'odore dei waffle appena staccati dalla piastra le riempiva il naso e si mischiava al pungente odore d'abete. L'albero che aveva scelto insieme a suo padre troneggiava in salotto, completamente ricoperto di luccichi e decorazioni. Il più bell'albero di Natale che avessero mai realizzato.

Mamma! Mamma!”

Alla vista di quella scatola rosa, la casa per le bambole che aveva tanto desiderato, si sentì la persona più felice del mondo. Cos'altro mai potrebbe desiderare una bambina di sette anni?


Cara si portò le mani alla fronte. Basta! Smettetela!

Mandò giù mezzo bicchiere di whisky e finalmente quella scena sparì dalla sua mente.


Già ti mancavo?”


Cara scattò sull'attenti voltandosi verso la porta. Joseph ne stava appoggiato allo stipite con un sorrisetto in faccia ed i vestiti imbrattati di sangue. Non è così che immaginava di vederlo arrivare, non come uno appena uscito dal set di un film splatter.

Di colpo le si chiuse lo stomaco.

Lui varcò la soglia del proprio appartamento a passi lenti, scrutando ogni angolo del suo campo visivo. Non sarebbe stato eccessivo aspettarsi un attacco combinato da quattro fronti, non dopo quello che aveva già visto.

Cara indietreggiò d'istinto, lasciandogli il tempo di realizzare che erano soli. Il suo sguardo non riusciva a staccarsi dalla maglietta insanguinata che aveva appiccicata addosso, dai capelli scompigliati, da quelle mani che non molto tempo prima avevano ucciso qualcuno.

Quanto era sbagliato, se non perverso, volerle toccare?

Quanto era sbagliato, se non patetico, sentire la colpa di ciò che stava per fargli?

Joseph si rese presto conto che non c'era nessun altro. Lui e la ragazza dell'aereo erano soli ancora una volta. Pregò che non fosse per battersi ancora. Non ne aveva alcuna voglia.

Per cos'altro mai poteva essere lì? Per parlare forse? Non avevano molto da dirsi. Si odiavano, punto e basta. Per sbandierare qualche nuova minaccia? Joseph la guardò dall'alto in basso nel suo abito a fiori, coi suoi biondi capelli sciolti e le lunghe gambe scoperte. Cosa mai avrebbe potuto fargli? Nulla. Non lì, non nel suo territorio.

Perché era a casa sua allora?

Che cosa vuoi?”

Esordì, meno minaccioso di quanto avrebbe voluto.

Cara si leccò le labbra, fino a quel momento presa dall'idea perfetta di come quella scena avrebbe dovuto compiersi. La lingua le si bloccò tra i denti. Le parve di sentire la voce di suo padre dritta nell'orecchio, come fosse davvero lì. Scosse il capo, non era il momento per inutili sentimentalismi.

Joseph sollevò il sopracciglio, per la prima volta vedeva aprirsi un varco di vulnerabilità nella gelida corazza della ragazzina.

Lei sospirò forte e riprese la postura fiera e sicura. Leggere quei documenti ed immaginare cosa fosse successo aveva risvegliato i suoi demoni personali. Inutile provarci ancora, se non poteva zittirli, li avrebbe usati contro di lui.

Mio padre era un impiegato. Uno qualsiasi. Uno di quelli che nessuno nota...”

Lui sembrò genuinamente perplesso

...Mia madre invece lavorava part-time in una casa di riposo per arrotondare. Volevano che avessi il meglio. Che diventassi il meglio.”

Senza troppo pensarci si versò un altro dito di liquore e mandò giù, guardando con la coda dell'occhio l'espressione disorientata del suo nemico. Prenditi il mio dolore Michaelson. Prenditelo. Io ho preso il tuo, l'ho trascinato fin qui e l'ho nascosto sotto un cuscino. Proprio come avrei fatto con un cadavere.

Volevano che andassi alla NYU e che diventassi un medico...”

Riprese, riuscendo finalmente a guardarlo

...Erano fieri di me.”

Quell'ultima affermazione riuscì a smuovere Joseph dalla sua immobilità

Perché mi dici queste cose? A me non importa.”

Ed era vero. Non gli importava nulla del suo passato, della vita che aveva vissuto, dei bei ricordi che ancora conservava. Non voleva sapere nulla di chi Cara fosse prima di incontrare suo padre. Non voleva provare pena né compassione. Non voleva provare nulla per lei.

Cara strinse i pugni

Non tutti hanno avuto ogni cosa servita su un piatto d'argento come te.”

Lo stava giudicando, come si giudica lo spocchioso figlio del re, troppo pigro perfino per prendere le proprie decisioni.

Quanto ti sbagli ragazzina.

Ore d'allenamento, addestramento anche sotto la pioggia, prove infinite, mai una carezza, mai un bacio, mai un apprezzamento. Solo il sorriso di sua madre che gli portava di nascosto i biscotti e che gli raccontava di fretta una storia per farlo addormentare quando William non c'era.

I ricordi lo accesero come una miccia, alimentata dal disprezzo che colava a fiotti dalle parole di Cara.

Sta' zitta.”

Intimò una prima volta.

Lei scosse piano la testa, si sentiva meglio dopo aver sputato fuori quel ricordo. Non era diventata un medico, bensì un mostro, proprio come l'uomo sporco di sangue che le stava di fronte, ma almeno aveva avuto una famiglia normale e due genitori che l'amavano. Questo la rendeva più forte di lui, più forte di tutti i Michaelson messi insieme.

Oppure cosa?”

Decise di attizzare la fiamma andandogli incontro. Joseph fremeva e tutta quell'eccitazione la attirava come una falena estiva.

Raccolse i capelli sulla spalla sinistra scoprendo l'altra, inconsapevolmente seducente.

Mi avete già tolto tutto.”

Ti sbagli di nuovo. Mille altre cose potrei toglierti, a cominciare da quell'espressione compiaciuta che ti sei sbattuta in faccia.

Joseph avanzò a sua volta di un passo.

Non hai idea di quanto ti sbagli ragazzina.”

Ribatté serio, resistendo all'urgenza di sfregarsi le mani. Non sarebbe dovuta venire nella sua casa, non vestita così, non con simili arroganti accuse, non mentre il suo corpo affogava ancora nella dopamina post-omicidio.

Quel dolce appellativo le scivolò addosso come il miele. Le piaceva sentirsi chiamare così, la faceva sentire candida, come se avesse ancora una speranza.

Ce l'ho...”

Rispose cercando i suoi occhi

...Ecco perché so che la mia famiglia, per quanto modesta, era mille volte meglio della tua.”

Joseph scattò verso di lei squadrando le spalle

Smetti di parlare della tua vita!”

Le intimò in pieno viso, sovrastandola con la sua altezza e la sua mole possente

Non. Mi. Interessa.”

Scandì con tono più basso, ma con più decisione. Il concetto doveva assolutamente entrarle in testa.

Cara annuì, per nulla toccata dalla sua mancanza di interesse. Si bagnò le labbra con la punta della lingua e si diresse nuovamente verso il mobile bar. Non voleva bere, il sapore del whisky le faceva ancora bruciare la bocca, per cui iniziò a giocherellare col bordo dei bicchieri di cristallo.

Joseph prese un lungo respiro nell'inutile tentativo di calmarsi. Non l'aveva mai guardata con attenzione da quell'angolatura, non aveva mai notato il suo profilo, la linea delle labbra schiuse, la schiena tesa e dritta, il disegno dei fianchi e dei glutei che sollevavano appena il vestito nel punto più giusto. Strinse i pugni perché odiava quella sensazione, ma non riusciva a liberarsene. Continuava a volerla, a desiderarla, esattamente come nel primo istante in cui le aveva posato gli occhi addosso, e poco importa se anche quell'attrazione era frutto di un calcolo attento di Mancini e company al solo fine di fotterlo.

Aveva già sentito quell'esile corpo sotto il suo, aveva accarezzato quella pelle e assaporato quelle labbra rosse. Nonostante i fumi dell'alcool ricordava perfettamente la sensazione di esserle dentro. Stretto e bollente.

Ne voleva ancora. Glielo dicevano le mani e glielo dicevano i pantaloni, diventati improvvisamente troppo stretti.

Lei se ne stava lì, passando i polpastrelli sul vetro, in attesa di non si sa cosa.

Perché sei venuta qui?”

Le domandò, la voce già tradita dal desiderio.

Cara sollevò lo sguardo, notando immediatamente il cambio d'atmosfera. I suoi respiri erano più profondi, i suoi occhi più scuri, i suoi muscoli tesi e la voce più roca. Quell'espressione bramosa e quegli abiti imbrattati si fondevano in una visione magnifica davanti ai suoi occhi, creando l'irresistibile illusione che vita e morte potessero convivere amichevolmente. Che ce ne fosse anche per mostri come loro.

Perché stai ancora temporeggiando? Perché non glielo dici e basta?

Falla finita Cara. Falla finita. Adesso.

Benché lo ripetesse senza sosta era ormai chiaro il motivo per cui le sue labbra volevano disperatamente restare serrate e le sue gambe disperatamente aprirsi.

Rispondimi!”

Stavolta Joseph urlò facendola sussultare. La ragazzina si voltò verso di lui sollevando piano le ciglia scure di rimmel

Te...”

Inspirò quell'aria densa di ormoni

...Sono venuta per te.”

Sembrò onestamente scioccato per la frazione di un secondo. Era forse possibile? La ragazzina aveva cospirato contro di lui addirittura per anni, cercato di ucciderlo in almeno dieci modi, programmato al secondo la morte di ogni suo consanguineo. Possibile che nonostante tutto si sentisse proprio come lui?

Aguzzò lo sguardo e si fece avanti, non le avrebbe permesso di prenderlo in giro ancora una volta.

Ti suggerisco di ponderare attentamente la tua prossima scelta di parole...”

Ad ogni lungo passo silenzioso, Cara indietreggiava verso le parete, lì dove lui la stava sapientemente guidando.

Con la schiena spalmata contro l'intonaco gelido non poté più evitare di guardarlo. Le era quasi appiccicato e riusciva a sentire addosso tutto il suo calore. Joseph poggiò i palmi sulla parete dietro di lei, imprigionandola tra il muro ed il proprio corpo

...Non sono dell'umore giusto per un altro dei tuoi giochetti.”

Il respiro dell'assassino le accarezzò la pelle ed il suo corpo reagì senza remore, diventando bollente sotto la biancheria.

Perché sei venuta qui?”

Chiese di nuovo, stavolta in un mezzo sussurro, già terribilmente vicino al suo viso, respirando a metà tra le sue labbra ed il suo orecchio.

Diglielo. Digli che è stato suo padre.

Quel pensiero non lo sentì nemmeno. Le dita di Joseph giocavano con i piccoli bottoni di madreperla sulla scollatura del suo abito troppo leggero. Cara combatté l'urgenza di chiudere gli occhi e graffiò il muro con le unghie

Ti ho già risposto.”

Riuscì infine a buttar fuori, cercando di far passare una punta di acidità. Il suo ultimo stralcio d'orgoglio. Joseph ribatté con un sorriso a labbra strette, un sorriso di puro compiacimento.

Il tempo di sentirsi uno stupido per lui era finito. La ragazzina dell'aereo che voleva tanto rovinarlo sarebbe ben presto stata rovinata a sua volta. Si sarebbe assicurato di farle dimenticare quel coglione di Little K e qualsiasi altro uomo al mondo.

Stringendo la stoffa tra le dita tirò tanto forte da strappare quella scusa di vestito in un secondo. Lo strappo riempì il silenzio piombato nella stanza mentre l'abito le si apriva addosso fino all'ombelico. Cara poggiò la testa al muro e seguì i suoi occhi mentre prendevano possesso della nuova visuale. Le pupille dell'assassino erano dilatate, i suoi denti serrati, il respiro profondo, ma non ancora accelerato. Stava prendendo il suo tempo, fissando ogni centimetro scoperto, valutando accuratamente quante e quali torture infliggerle.

Cominciò dal seno, ancora nascosto dietro il pizzo azzurro della sua biancheria, stringendolo tra le mani con non troppa delicatezza. Continuava a guardarla in viso mentre lei cercava di resistere all’urgenza d’inarcare la schiena e gemere sotto il tuo tocco. Strinse di nuovo, i suoi piccoli seni gli riempivano le mani a perfezione e per qualche strana ragione, ogni volta che le era così vicino, il viso di Cara tornava a sembrare quello di un angelo, fomentando le sue peggiori fantasie.

Le si spinse addosso, anche contro anche, facendole sentire sulla pancia quanto fosse eccitato alla sola idea di averla di nuovo. Nascose il viso nell'incavo del suo collo abbandonando la dolce tortura per qualche istante, sollecitando la pelle sottile con la barba incolta.

Cara strinse il labbro tra i denti lasciandogli più spazio. La maglietta insanguinata le sfiorava il corpo e le mani di Joseph risalivano lente la curva della sua cosce, sollevando piano ciò che restava del suo vestito. La sua carne pulsava di già.

Dillo ancora.”

Le sussurrò contro l'orecchio. Tono basso ma autoritario.

Le mani di Cara si staccarono finalmente dalla parete e risalirono i suoi bicipiti tesi cercando un appoggio più stabile. Poteva sentire le sue dita tra le gambe, sfiorarla appena nella peggiore delle torture, senza concederle la frizione che tanto desiderava.

Joseph si allontanò di qualche centimetro per poter cercare il suo viso, afferrandolo con una mano per costringerla a guardarlo. L'altra accarezzava ancora l'evidenza bagnata della sua eccitazione, resistendo a malapena all'urgenza di strappare quell'inutile pezzo di stoffa e affondarle dentro.

Dillo ancora.”

Stavolta scostò le sue mutandine mentre lo diceva, ma senza toccarla ancora, godendo del suo disperato tentativo di strusciarsi contro il ruvido dei jeans. Come se non fosse già abbastanza eccitato.

Le mani di Cara raggiunsero la sua nuca, i polpastrelli persi tra i suoi capelli mossi.

Sono qui per te...”

Ribadì a bassa voce ed in tutta risposta sentì due delle sue dita entrarle dentro senza preavviso, costringendola a trattenere il fiato per non buttarglisi addosso. Joseph continuava a fissarla come un lupo affamato mentre lei si contorceva attorno alla sua presa. Era quasi insopportabile.

Cara strinse ancor più forte le mani attorno al suo collo e lo guardò negli occhi un'ultima volta

...Solo per te.”

Concluse, senza sapere se fosse il suo stomaco, il suo cuore o la sua vagina a parlare. Si schiantò contro la sua bocca a palpebre chiuse, sentendo la sua lingua ancor prima delle sue labbra. Baci umidi, baci profondi, una scia di baci bagnati lungo la linea della mandibola e della spalla mentre le mani di Joseph la sollevavano di peso fino alla superficie piana più vicina.

Le piccole mani della ragazzina si insinuarono sotto il bordo della sua maglietta tirando su, costringendolo a staccarsi per il tempo necessario a sfilarla. Subito dopo la sentì attaccare i bottoni dei jeans nel tentativo di liberarlo il prima possibile. Pelle contro pelle riusciva a sentire il calore del suo corpo addosso, così come sentiva la pressione delle sue ginocchia sollevate contro i fianchi. Non c'era più tempo per i preliminari.

Stringendola con forza alla vita la attirò ancor più a sé, spendendo pochi istanti d'attesa per sfilare l'ultimo inutile indumento tra loro. Mischiando il proprio respiro affannato a quello di Cara si posizionò tra le sue gambe e la inchiodò al tavolo mentre, con una sola spinta, finalmente la prendeva.

Il suo primo gemito, simile ad un miagolio, lo costrinse a fermarsi perché tutto non finisse troppo presto. L'interno del suo corpo era esattamente come ricordava, forse anche meglio, ancor più accogliente dell'ultima volta. Le unghie di Cara conficcate nella schiena lo spronavano a muoversi, le sue gambe strette contro le anche chiedevano attrito e la sua bocca attaccata alla spalla, con i denti che gli accarezzavano la carne, soffocava la voglia di ansimare.

Prese a muoversi lento, ma solamente per trovare l'angolo perfetto, quello che la faceva tremare, che l'avrebbe fatta esplodere in pochi secondi. Il ritmo divenne allora frenetico, le sue forti mani la stringevano all'altezza dei fianchi accompagnando ogni spinta, non lasciandole respiro, nemmeno per un attimo.

Cara si stringeva a lui ansimandogli nelle orecchie, in un rapido crescendo di graffi e gemiti che ben presto raggiunse il suo apice. Joseph la sentì stringere la morsa attorno al suo corpo e trattenere il fiato mentre i suoi muscoli si scioglievano in spasmi violenti e ripetuti. Rallentò per qualche istante, godendosi la vista delle sue pupille dilatate e del suo viso arrossato dall'orgasmo, ma prima ancora che potesse rilassarsi spinse di nuovo e più forte, stavolta concentrato sulle sue sole esigenze.

Avrebbe voluto continuare per ore, fino a farle dire basta, ma era troppo anche per lui. Troppa eccitazione, troppo piacere, troppe emozioni tutte in una volta. Le si mosse dentro ancora una volta prima di venire, soffocando una specie di ringhio tra i suoi capelli che sapevano di albicocca.

Rimasero immobili per minuti infiniti, le mani di Cara aggrappate al bordo del tavolo per sostenersi e le sue poco distanti, annaspando alla ricerca d'ossigeno. Joseph si mosse per primo facendosi indietro e tirando su i jeans. Lei scese dal tavolo cercando di coprirsi coi resti del suo abito a fiori, un gesto pudico che non le s'addiceva affatto.

Era strano, quasi imbarazzante, difficile di certo. Nessuno dei due aveva idea di cosa dire adesso. Cara in realtà sapeva benissimo cosa avrebbe dovuto dire, ma tutte quelle endorfine le avevano annebbiato il cervello.

Fu di nuovo lui a muoversi, allontanandosi ancora

Ho bisogno di una doccia.”

Si giustificò prima di lasciare lentamente la stanza, abbandonandola coi suoi pensieri.

Cara guardò allo specchio il disastro che era la sua faccia. Tentò ancora una volta di coprirsi, ma era impossibile con l'abito strappato. Cercò allora le sue mutandine sul pavimento e le infilò velocemente, non riuscendo ad ignorare la sensazione ancora viva delle mani dell'assassino lungo le sue gambe.

Non aveva idea del perché gli avesse detto in quel modo che era lì per lui, come se avesse voluto dirgli che stava morendo all'idea di non vederlo più. Non era una bugia dopotutto, era davvero lì per lui, ma solamente per raccontargli ciò che aveva scoperto, solo per fargli del male.

Buttò gli occhi verso il divano che nascondeva il suo segreto e lasciò cadere le spalle. Chi voleva prendere in giro?

Era lui.

Il motivo per cui la sola idea di sfiorare di nuovo Little K la faceva vomitare.

Il motivo per cui aveva sparato in testa a quel russo, giù al deposito.

Il motivo per cui il ricordo dei suoi genitori e della sua infanzia era di nuovo lì a tormentarla.

Era lui.

Chiuse gli occhi concentrandosi sulle immagini di quella sera alla Salle de Paris.

Lo odiava ancora. Lo odiava da morire. Doveva odiarlo.

Valutò allora l'idea di lasciare quei documenti sullo stesso tavolo dove avevano fatto sesso e andarsene. Avrebbe potuto goderne anche a distanza in fondo, e Joseph era certo abbastanza intelligente da arrivarci da solo.

Raggiunse a passi lenti la camera dell'assassino e raccolse la prima maglia che le capitò davanti agli occhi. Non poteva certo uscire in strada mezza nuda. Indossò la sua t-shirt nera e rimase lì, accanto al suo letto, guardandosi di nuovo in uno specchio.


//////////


Elia uscì dalla suite scortato da due uomini. Nessuno dei due aveva proferito parola, ma quello più alto l'aveva indirizzato verso destra con un gesto della mano ed un cenno del capo. Aveva addosso un nuovo completo italiano ed una camicia bianca inamidata di fresco, un gentile omaggio recapitato nella sua stanza dallo staff dell'hotel. Si stavano dirigendo verso una sala privata per la cena.

Non aveva idea di cosa sarebbe successo una volta lì dentro. Non aveva più parlato direttamente con Pushkin dopo il loro ultimo confronto al deposito di Lewis.

Le parole di Katrina gli erano ancora chiare in mente, sua moglie voleva prendersi ciò che gli spettava, ma non era ben chiaro cosa pensasse di meritare, soprattutto dopo una fuga durata due anni. Il suo disprezzo e la sua rabbia l'avevano colpito profondamente, costringendolo a mettere in discussione il suo intero operato. L'obbedienza ed il rispetto che mostrava verso suo padre per lui non erano altro che lealtà, la sacrosanta lealtà che si deve alla famiglia, la stessa che avrebbe mostrato sia a William che ai suoi fratelli in qualsiasi circostanza. Ed il matrimonio non è nulla più che una circostanza come le altre, giusto? Cosa si aspettava Katrina da un'unione pianificata a tavolino ed un contratto finanziario siglato a quattro mani? Avrà pur sbagliato in mille modi, primo fra tutti innamorandosi di lei, ma restava Katrina quella in torto, era stata lei ad abbandonarlo senza una parola. Se avesse parlato prima magari... Elia sentì lo stomaco chiudersi. Su una cosa sua moglie aveva avuto ragione, se anche avesse chiesto o preteso qualcosa di più, lui di certo non l'avrebbe ascoltata, avrebbe sempre messo al primo posto la famiglia. La sua famiglia.

La grande e spessa porta della sala lo distolse da quel pensiero. E se Pushkin avesse preparato un'esecuzione dall'altra parte? Forse è questo che Katrina intendeva dicendo che si sarebbe presa tutto in un modo o nell'altro, togliendolo di mezzo non sarebbe più stata obbligata a dividere la sua eredità con lui. Di conseguenza non avrebbe mai messo le mani su metà delle proprietà di Elia, ma poco importa, quasi sicuramente disprezzava quelle quote proprio disprezzava lui e tutti i suoi parenti.

Non avrebbe avuto molte possibilità di salvarsi, non stavolta.

Mandando giù la tensione solcò il primo passo nella stanza e si trovò inaspettatamente avvolto in una nuvola di aromi e profumi. L'acre si fondeva con l'odore denso della carne e, solo in sottofondo, riusciva a percepire una nota dolciastra e zuccherina.

Pushkin si tirò su lasciando strisciare la grossa sedia sul pavimento, agghindato nella giacca grigio scuro che contava quattro stelle su ogni spalla, il ricordo dei suoi giorni da generale cui tanto era ancora legato.

Elia.”

Lo salutò col proprio nome ed un mezzo sorriso, invitandolo con un cenno ad unirsi a loro. Accanto a lui sedeva infatti Katrina nel suo abito blu notte, il viso pulito ed i capelli raccolti sulla nuca in uno chignon ordinato.

Elia si avvicinò lentamente e circospetto, scegliendo infine la sedia di fronte, quella che gli dava maggior controllo della situazione. I due tizi che l'avevano accompagnato sparirono chiudendosi la porta alle spalle.

Serviti pure.”

Lo invitò il russo tornando al proprio posto. Elia guardò i vassoi che gli stavano davanti e riconobbe immediatamente zuppa di barbabietole e straganoff di manzo, un menu da grandi eventi e grande tradizione sovietica. Pushkin aveva già un'abbondante dose di spezzatino nel piatto e pareva per nulla scosso dalla sua presenza mentre ammollava grossi tozzi di pane nella salsa. Accanto a lui Katrina giocava col cucchiaio e con la zuppa.

Il più anziano si schiarì la voce dopo aver mandato giù un grosso sorso di vino rosso.

Mi dispiace per nostra piccola incomprensione Elia...”

Esordì, apparentemente sereno, ma non meno inquietante

...Mi spiace di incidenti accaduti in questi anni. E anche di aver fatto arrestare tuo fratello in Johannesburg.”

Elia continuava a guardarlo con sospetto, nemmeno sfiorato dall'illusoria sincerità di quelle parole.

Pushkin rivolse un gesto a sua figlia senza spostare gli occhi da quelli del suo ospite

Mia figlia qui...”

Si interruppe per un altro sorso di vino

...ha spiegato il suo piccolo colpo di testa...”

Di nuovo indicò le pietanze

...Spero tu voglia accettare nostre scuse.”

Raggelato dalla costante presenza delle sue pupille addosso, Elia allungò la mano e si servì della carne che non aveva alcuna intenzione di mangiare.

Il russo parve totalmente preso dal suo pasto per qualche minuto, dopodiché si pulì il viso col tovagliolo e si rivolse nuovamente a lui con tono apparentemente indifferente

Dimmi Elia... Cosa vedi quando guardi mia figlia?”

Domanda da un milione di dollari. Domanda trabocchetto.

Elia spostò immediatamente gli occhi sulla sua consorte, studiando la tenacia con la quale sembrava voler restar zitta ad ogni costo. Lei alzò infine lo sguardo e sollevò un sopracciglio, sfidandolo a trovare una risposta degna, quella che forse gli avrebbe salvato la vita.

Vedo la donna bellissima ed intelligente che ho sposato.”

Rispose con la bocca secca, ma senza interrompere lo scambio di occhiate.

Pushkin annuì mandando giù il suo boccone e sempre con la stessa apparente calma proseguì

Vuoi sapere cosa vedo io?”

Domanda retorica che entrambi ignorarono

Una regina...”

Al suono di quella parola Elia tornò a guardare suo suocero

...Una regina degna del mio regno ed anche di più. Non sei d'accordo?”

In quell'istante tutta la messinscena di compagnia e convivialità crollò, l'espressione del russo nuovamente gelida e ferma come la pietra.

Elia inspirò drizzando la schiena, osservando attentamente i movimenti dell'altro mentre tirava su qualcosa dalla sedia vuota alla sua sinistra. Non era una pistola come poteva aspettarsi, bensì un fascicolo di fogli che il vecchio lasciò scivolare sulla tovaglia di lino.

Credo sia ora di risolvere qualcuna di nostre ostilità...”

Spostò il piatto da una parte poiché il tempo della comunione era finito

...Darai a Katrina la proprietà di tutti tuoi beni in Europa.”

Elia aggrottò le sopracciglia

Abbiamo già un contratto prematrimoniale. Katrina avrà metà dei miei beni ed io metà dei suoi al nostro decimo anniversario.”

L'altro ghignò

Ammiro tua fiducia nel sacro vincolo di matrimonio Elia, ma stavolta prenderò mie precauzioni.”

Il maggiore dei Michaelson afferrò i fogli e tentò di leggerne il contenuto nonostante il nervosismo crescente. Non voleva rinunciare alle sue proprietà cedendole a Pushkin su un piatto d'argento. Era certo infatti che l'unico motivo per cui il russo chiedeva quei beni era per poterli gestire lui, direttamente dal suo comodo trono di San Pietroburgo. Katrina sarebbe stata solo un'utile prestanome.

E lei? Tornerà in Russia con te?”

Pushkin sospirò gesticolando in quell'aria pesante

E' tua moglie Elia. Mi aspetto che tu la tenga con te in vostra casa.”

Oteц!”

Katrina finalmente parlò facendosi dritta sulla sedia. Chiaramente non si aspettava quel piccolo colpo di scena. Suo padre la zittì con un solo sguardo glaciale e tornò a rivolgersi all'alto

Mi occuperò io di sue proprietà in Europa.”

Elia aveva smesso di guardarlo, troppo preso dai tremori di Katrina che, piegata sulla sedia, sembrava voler esplodere da un secondo all'altro. Sfogliò i documenti cercando la conferma nero su bianco che sarebbe stata Katrina, e solo lei, la nuova proprietaria dei suoi beni. Mentre fingeva ulteriore interesse per le clausole di quel contratto, continua solamente a pensare che in cambio di qualche terreno e di pochi milioni di dollari in quote azionarie, avrebbe avuto sua moglie di nuovo a casa. Di certo Katrina non ne sembrava entusiasta, ma lui trovava terribilmente attraente l'idea di chiuderla a chiave in una stanza ed assicurarsi che non potesse più scappare.

Bene...”

Esordì raggiungendo la penna

...Affare fatto.”

Concluse apponendo la sua firma completa sull'ultimo foglio. Katrina lo guardava adesso furibonda, ma a lui non importava, non vedeva l'ora di uscire da quel posto e riportarla, consenziente o meno, nel loro letto.


////////


Joseph si avvolse un asciugamano attorno alla vita e passò le dita tra i capelli bagnati. Si sentiva leggero e pesante allo stesso tempo, soddisfatto nella carne, ma comunque vuoto nell'anima. Era certo che uscendo dal bagno non l'avrebbe più trovata, sicuro che Cara fosse già sparita nel nulla com'era suo solito. Parte di lui sinceramente ci sperava, sperava di non doverla guardare ancora, di non doverle parlare, di non doversi chiedere se davvero provava qualcosa di diverso per lei, qualcosa in più del semplice disprezzo che si deve al nemico.

Continuava a pensare alla ragazzina imbranata che aveva incontrato sull'aereo, quella dall'aria innocente che aveva immaginato tra i banchi di scuola e dietro il bancone di un bar. Aveva fantasticato un'intera vita per lei in pochi minuti, una vita qualsiasi, fatta di impegni insignificanti, amiche un po' puttane e magari un padre bigotto e geloso. Una vita che lui avrebbe sconvolto con un solo breve incontro.

Quella ragazza non esisteva e lui non voleva più pensarci, voleva togliersi dalla mente l'immagine della sua cerimonia di laurea in medicina. Maledetto il momento in cui aveva aperto bocca, costringendolo a conoscere cose di lei che non avevano alcuna importanza.

Si guardò brevemente allo specchio e notò il marchio che i suoi denti gli avevano lasciato sulla spalla sinistra. Benedetto il momento in cui aveva invece aperto le gambe. Contava sulle dita di una mano le donne che si era portato a letto più di una volta e Cara sembrava sovrastarle tutte, forse perché cattiva, forse perché proibita. Forse perché tanto simile a lui, non fosse per i continui voltafaccia e sbalzi d'umore che lo tenevano continuamente sulle spine.

Se anche fosse rimasta, chissà mai che donna avrebbe trovato fuori da quel bagno.

Uscendo notò immediatamente la desolazione del suo soggiorno. Proprio come immaginava. Si avviò silenzioso verso la propria stanza da letto pensando a come avrebbe passato la notte che lo attendeva. Al di là dei suoi drammi relazionali aveva ancora un fratello scomparso a cui pensare.

Di certo non si aspettava di trovarla lì, nel suo piccolo mondo privato, con addosso una delle sue magliette usate. Cara se ne stava poggiata all'armadio persa in chissà quali piani di vendetta, totalmente ignara della sua presenza vicino alla porta.

Joseph aspettava di sentirsi infastidito ed invaso, ma in realtà nessuna delle due parole definiva il suo nuovo inaspettato stato d'animo. Era bella nella luce del tramonto che filtrava dalle tapparelle nella penombra, bella nella sua apparente tranquillità e nei suoi vestiti. Il collo troppo grande le lasciava la spalla scoperta, le maniche troppo lunghe nascondevano le mani e l'idea che il suo odore le sarebbe inevitabilmente rimasto sulla pelle accese di nuovo la sua virilità.

Facendosi avanti rese nota la sua presenza. Cara gli scattò in piedi di fronte. Per quanto tempo era rimasta lì ferma a chiedersi come meglio avrebbe potuto sbattergli in faccia l'amara verità? I suoi occhi non resistettero alla tentazione di accarezzare il torace scoperto di Joseph, la linea degli addominali fino all'ombelico e quei tre numeri tatuati sotto al cuore che per lei non avevano alcun significato.

Il suo viso aveva la stessa espressione di poco prima, come se la sua grande fame non fosse ancora placata. Quegli occhi azzurri riuscivano a spogliarla e toccarla senza nemmeno essergli troppo vicini, ma lei non doveva e non poteva più cedere.

Joseph avanzò di un passo verso Cara e lei sollevò immediatamente le mani

Non farlo.”

Intimò autoritaria, vedendolo rispondere nel più inatteso dei modi. Un sorriso. Cara ingoiò la saliva che le aveva riempito la bocca alla vista del suo corpo seminudo e dei suoi capelli bagnati

Ti odio ancora.”

Specificò stringendo i pugni. Lui rispose annuendo, sempre più vicino.

Ti voglio comunque morto.”

Aggiunse restando rigida in mezzo alla stanza. Joseph annuì di nuovo, ormai a meno di mezzo metro da lei

Intanto però sta' zitta.”

Ribatté, afferrando il suo viso tra le mani e soffocando ogni ulteriore protesta con la sua bocca. Cara cercò di respingerlo con tutte le forze, ma il tocco della sua lingua sul palato era così piacevole che dovette arrendersi. Il suo bassoventre si contraeva di già, seguendo la propria autonoma volontà di accoglierlo di nuovo.

Stavolta fu lui ad infilare le mani sotto la maglietta per aiutare a toglierla di mezzo, spingendo poi giù, lungo le gambe nude, l'abito strappato che non gli era piaciuto dal primo momento. Cara sembrava improvvisamente così piccola e leggera tra le sue mani. Sganciò il reggiseno con la maestria di un veterano e la spinse sul letto, infilando le dita ai lati dei suoi slip per farli scorrere giù il più veloce possibile.

In piedi di fronte a lei tolse di mezzo l'asciugamano che aveva addosso e si godé il piacevole attrito tra umido ed asciutto mentre si sdraiava tra le sue cosce. Le passò le labbra sul seno, lasciando scivolare la lingua sulla pelle più rosa e delicata. Cara inarcò la schiena e chiuse gli occhi. Poteva aspettare, tutto il resto poteva aspettare.

Un lamento le uscì di bocca quando al suo ennesimo tentativo di sollevare le anche ed incontrarlo, lo sentì tirarsi indietro e rallentare. Quest'uomo, quest'insensibile, avido e crudele assassino, si dedica ai preliminari con la stessa accuratezza e grazia che mette nelle sue esecuzioni, torturando con baci e carezze una vittima che ormai sa di non potersi più salvare.

Cara Phillis non è una vittima, non è una donnetta rimediata fuori da un pub, Cara Phillis è un killer spietato, proprio come lui. Con questo pensiero strinse gli addominali e premette sulle sue spalle fino a farlo rotolare dall'altra parte del letto, ovviamente con lei sopra. Joseph sembrò spiazzato per un istante, trovandosi ora in posizione sottomessa, con le sue mani poggiate sulla pancia e la punta dei suoi capelli che gli solleticava il petto. Fu solo un attimo però, giusto il tempo di sentire la sua carne bollente addosso, scendere lentamente su di lui ed avvolgerlo come la più calda delle coperte.

Iniziò a muoversi piano, ondeggiando in un ritmo quasi crudele, il suo ritmo. Joseph sentì le dita dei piedi arricciarsi e trattenne l'istinto di rispondere ai suoi colpi, deciso a gustare quell'immagine ancora per un po'. Cara aveva drizzato la schiena, il suo corpo nudo completamente esposto ai suoi occhi, compresi i due nei vicino all'ombelico che prima non aveva notato. Aveva gli occhi chiusi e la bocca leggermente aperta, la testa rivolta all'indietro ed una mano ancora appoggiata su di lui. Sembrava quasi che all'improvviso lui nemmeno ci fosse ed il pensiero lo fece finalmente muovere, portando le mani attorno alla sua vita sottile ed aiutandola a settare una nuova velocità. Lui era un cavallo da corsa, non da passeggiata nei boschi.

Tirando su la schiena e portandosi alla sua altezza, la afferrò per le ginocchia così da rendere il contatto più profondo possibile e toglierle di nuovo il controllo. Cara lo afferrò per le spalle e si lasciò guidare verso un nuovo orgasmo, troppo stanca e stordita per continuare quella battaglia di potere. Joseph spinse, spinse e spinse fino al punto di non ritorno, tenendola stretta a sé con più forza del necessario, ma senza davvero preoccuparsi dei lividi che probabilmente avrebbe lasciato sul candido della sua pelle.

I loro gemiti lasciarono spazio al silenzio e all'oscurità della stanza. Cara lo sentì mollare finalmente la presa e si lasciò lentamente cadere sul materasso, fissando il soffitto. Senza cercarlo, nemmeno con la coda dell'occhio, allungò le mani fino alle lenzuola sgualcite e coprì la propria nudità. Il sesso è una cosa, l'intimità è tutt'altro.

Erano entrambi sdraiati e nudi, entrambi terrorizzati all'idea di dire qualcosa e far scoppiare la bolla che li aveva inghiottiti nelle ultime due ore. Joseph riprese il controllo del proprio respiro, notando con una punta di piacere il modo con cui Cara si era subito coperta, come se lui non avesse già scattato un milione di foto mentali di ogni centimetro del suo corpo. Era nel suo letto. Dentro il suo letto. Avrebbe potuto allungare la mano e toccarla ancora, avrebbe potuto voltarsi e guardare il suo viso rivolto all'insù, determinato ad ignorarlo. Non ne aveva voglia, non ne aveva la forza. Le sue palpebre sembravano di colpo troppo pesanti da tenere su ed una voce gracchiante ed insistente nella sua testa aveva preso di colpo a parlare di Elia. Perché suo fratello non aveva ancora richiamato? E se avesse avuto bisogno d'aiuto mentre lui stringeva i fianchi della donna che aveva dato inizio a tutto? Perché tutto sembrava di colpo più lontano?

Cara rimase immobile per un tempo senza fine, pensando a com'era arrivata fin lì e a come tutto era cominciato, pensando al bagno immacolato della Salle de Paris e all'orgoglio di sua madre nell'indossare le perle delle nonna almeno per una sera. Ripensò al sudore sulla fronte di suo padre e alla sua convinzione che fosse tutto un equivoco. Aveva ragione come al solito. Ripensò a Robert e alla prima volta che l'aveva fatta sparare, a come aveva immaginato la faccia di William Michaelson dritta davanti ai suoi occhi.

Certo, non era stato William a sparare ai suoi. Quei due insignificanti energumeni erano terra per i vermi già da un po', ma era stato comunque lui a provocare tutto e meritava di pagare fino alla fine.

Il figlio bastardo sdraiato accanto a lei non aveva la minima idea di che faccia avessero i suoi genitori, tanto meno della maniera sporca ed ingiusta in cui erano morti lontani dalla loro casa. Joseph Michaelson non c'entrava nulla con la morte della sua famiglia. Avrebbe anche potuto ammettere che non meritava di morire a causa sua, ma ciò non voleva dire che non dovesse come minimo soffrire.

Cosa stava pensando? Doveva uscire da quel letto. Scivolò sui gomiti cercando di evitare qualsiasi contatto visivo o verbale, ma nulla si mosse accanto a lei. Inevitabilmente finì per guardarlo, ancora supino, ma chiaramente addormentato come un sasso. Cara sentì la rabbia accendersi, due sole scopate e già era così sicuro che non avrebbe provato ad ammazzarlo nel sonno? Pensava davvero che fosse così debole?

Finalmente in piedi raccattò la biancheria e la maglietta che indossava poco prima, correndo fuori da quella stanza per indossarli. I piedi nudi la portarono immediatamente fino al divano e lì si inginocchiò, finalmente decisa a far esplodere quella bomba.

Afferrò i pochi fogli senza preoccuparsi di rimettere a posto i cuscini, tesa e nervosa nella semioscurità. Come poteva pensare così poco di lei? Tutta la sua vita, la vendetta è tutta la sua vita. Non si fermerebbe nemmeno se glielo ordinasse il Signore in persona, figuriamoci rinunciare per un po' di sesso, non importa quanto piacevole.

Iniziò a camminare avanti e indietro stringendo la carta tra le dita, tentata dall'idea di svegliarlo con un pugno per non aspettare ancora, terrorizzata al pensiero che forse il tempo avrebbe spento nuovamente le sue convinzioni.

Per fortuna non dovette aspettare troppo. Joseph, con addosso solo un paio di jeans, accese la luce della lampada e la osservò con sospetto. Ancora non riusciva a credere di essersi davvero addormentato con lei accanto. Desiderava così disperatamente un po' di pace e normalità da mettere a repentaglio la propria esistenza? Davvero?

Che stai facendo?”

Chiese serio dopo aver notato il suo divano scomposto.

Lei strinse i denti

Te l'avevo detto.”

Si stava chiaramente riferendo al fatto che nulla era cambiato e che la sua amata vendetta era ancora in atto.

Invece di partire all'attacco si sentì terribilmente frustrato, tanto da alzare gli occhi al cielo e spalancare le braccia

Non sei ancora stanca?”

Domandò

La tensione costante. La paura. Gli stessi circoli distruttivi ancora, ancora e ancora...”

Cara se ne stava lì, apparentemente intoccata

...Ti fermerai mai?”

Stava cercando di essere onesto, in barba agli insegnamenti di una vita intera. Si sentiva come uno stupido adolescente imbarazzato, ma era stanco di fingere di non sapere ciò che ormai sapeva benissimo

Non posso...”

Gli rispose lei con naturalezza, ma non meno tormentata

...Io non ho niente. Questa vendetta è tutto quello che ho.”

Joseph sospirò cercando di arrivarle più vicino

Hai avuto occasione di uccidermi almeno dieci volte...”

Riprese. Eppure eccomi ancora qui. Concluse nella sua testa senza bisogno di dirlo davvero.

...Crollerebbe davvero il mondo se ammettessi una volta per tutte che provi qualcosa per me?”

Stavolta lei saltò come se le avessero appena conficcato un ago da dieci centimetri tra le scapole

Io non sento niente per te!”

Ribatté secca e decisa, forse anche troppo.

Joseph allungò un altro passo

Anche se mi uccidessi adesso, anche se facessi a pezzi il mio intero albero genealogico, i tuoi genitori resterebbero comunque a marcire sotto terra.”

Lui era quello razionale, lei preferiva continuare a credere che ogni cosa sarebbe tornata a posto e che quel buco in mezzo al suo cuore si sarebbe finalmente chiuso. Le emozioni sono solo un impiccio. Le emozioni lei le ha spente tutte parecchio tempo fa.

Io non provo niente per te. Niente che non sia odio.. o disprezzo.. o compassione.”

Non sembrava così mezz'ora fa.”

Non osare. Non osare credere di conoscermi solo perché sei stato tra le mie gambe.

Cara sentì la rabbia montare ancora una volta come un toro inferocito e senza pensarci due volte gli sbatté i preziosi fogli addosso

Lascia che te lo dimostri allora.”

Joseph afferrò il fascicolo dalle sue mani ed iniziò a sfogliarlo senza capirci troppo, in attesa che le sue pupille riuscissero a mettere a fuoco nella penombra.

Lei non poteva aspettare

E' stato tuo padre.”

Sentenziò senza apparentemente avere la sua attenzione

Tuo padre ha ucciso tua madre.”

Al suono di quelle parole Joseph prese a sfogliare più in fretta, il nome di Amelia Fisher prima, ed Amelia Fisher Michaelson poi, in cima ad ogni pagina. C'erano numeri e paroloni medici che gli annebbiavano la vista, già provata dallo sforzo di metabolizzare quelle parole. Non poteva essere vero. Lui era lì, lui l'aveva trovata sul pavimento, lui l'aveva raccolta dal suo ultimo letto di pillole. Era un bluff, solo uno stupido bluff per fargli perdere la concentrazione.

Cara lo sentì ridere sotto i baffi ed aggrottò le sopracciglia

Davvero pensi di fregarmi con una simile assurdità?”

Era chiaramente in fase di negazione.

Va' all'ultima pagina.”

Joseph era ormai così certo della sua teoria che obbedì senza fiatare. Era il referto dell'autopsia che, tra l'altro, aveva già letto decine di volte.

E' il vero rapporto dell'autopsia, non quello che tuo padre ha fatto stampare per pararsi il culo.”

Non aveva intenzione di crederle, ma nonostante ciò prese a leggere quelle poche righe

Tua madre aveva un tasso altissimo di Midodrine nel sangue, un vasocostrittore comunemente usato per curare l'ipotensione.”

Joseph scosse la testa. Davvero in quel momento pensava di parlarle con un medico di ER?

Considerate quelle dosi, sono sicura che non lo prendesse di sua spontanea volontà.”

Lui sollevò gli occhi per un attimo, confuso e vulnerabile come non l'aveva mai visto

La mia teoria?”

Il momento era arrivato

Tuo padre ha sostituito le sue pillole per il mal di testa col Midodrine facendole salire la pressione alle stelle. I suoi mal di testa saranno diventati terribili, tanto da richiedere almeno quattro o cinque analgesici al giorno.. E più ne prendeva, più stava male.. Più ne prendeva più la pressione saliva.. Fino a che non le è esploso il cervello.”

Lui non si mosse nemmeno, come una statua di pietra in mezzo al soggiorno. Stava diventando più pallido ed i suoi occhi avevano ormai smesso di cercare conferme sulla carta

E perché mai l'avrebbe fatto?”

La domanda gli uscì dalle labbra in un soffio di voce come quella di un bambino. Cara mandò giù, il suo stomaco si torceva sotto lo sterno e doveva sforzarsi di ignorare la voce che le urlava di fermarsi. Lui era già distrutto, ma nemmeno a lei stava piacendo.

Guarda nello specchio.”

Concluse, cattiva come forse, in fondo, non era mai stata prima di quell'istante. E Dio... Dio mio, quanto avrebbe potersi rimangiare ogni parola immediatamente dopo.

Joseph Michaelson, il grande Lupo, l'assassino senza morale, stava cadendo a pezzi davanti ai suoi occhi. Immobile gli si sgretolava davanti. In silenzio scivolava giù, desiderando di diventare tutt'uno con la polvere sul pavimento.

Cara sentì il cuore fermarsi. Se non era un'emozione quella, cos'altro poteva mai essere? Qualcosa dentro bruciava e non era la solita rabbia. Non voleva affatto ridere. Voleva piangere, voleva prendersi a schiaffi, voleva graffiarsi la pelle fino a sanguinare. Voleva toccarlo... Che Robert possa perdonarla, che possano perdonarla i merli.. e perdonarla sua madre e suo padre... Voleva toccarlo.

Nel giro di un istante l'intera atmosfera nella stanza mutò da un estremo all'altro. Joseph uscì dalla sua catatonia ed il tavolo del soggiorno volò in aria con tutte le sue riviste ed il suo posacenere di vetro. Subito dopo le sue mani si chiusero attorno al collo di Cara, spingendola con forza contro la parete attrezzata. Stringeva forte, così forte da sentire sui palmi il battere incessante delle sue carotidi che cercavano ossigeno. Il suo pallido viso diventava più rosso ad ogni secondo, i suoi grandi occhi blu sgranati e le sue unghie conficcate nei polsi, cercando in maniera scoordinata, ma non meno disperata, di farlo smettere.

La stava guardando, ma non la vedeva davvero. Vedeva solo il suo dolore e quello stava cercando di uccidere. Ancora pochi secondi e la ragazzina dell'aereo non sarebbe stata nulla più che un cadavere sul suo tappeto persiano.

Anche lei lo sapeva, lo sapeva perché le sue unghie avevano smesso di graffiare e le sue gambe di dimenarsi. Non l'avrebbe più vista. Non l'avrebbe vista né toccata mai più.

Lasciò la presa. Cara cadde a terra tossendo alla ricerca d'aria, aspettando che la stanza smettesse di girare.

Vattene!”

Ordinò mentre afferrava la bottiglia di bourbon e si preparava a tracannarlo tutto d'un fiato. Lei provò a tirarsi su, con la gola ancora in fiamme ed i polpacci invasi dal formicolio.

VATTENE!”

Stavolta urlò come un dannato. Cara riuscì a mettersi in piedi e raggiungere la porta mentre lui mandava giù mezza bottiglia

ESCI DALLA MIA CASA!”

Aveva già una mano sulla maniglia e l'altra sul collo, ma continuava a guardarlo come un povero cucciolo bastonato. Era davvero troppo.

La bottiglia le si fracassò accanto alla testa in mille piccole schegge di vetro, l'alcool schizzato dappertutto in un momento.

ESCI DALLA MIA VITA!”

Cara ignorò la scheggia che le aveva trafitto la guancia e si decise ad uscire. Aveva vinto.


////////


La terza valigia riempì il cofano dell'auto che Pushkin aveva pronta per loro. Stavano tornando a casa. Elia salutò con un ultimo cenno suo suocere e salì in auto, trovando inevitabilmente posto accanto ad una Katrina immobile e muta. Non gli avrebbe reso le cose semplici, poco ma sicuro.

Incredibile ma vero, delle proprietà perse non gli importava nulla. William non sarebbe certo stato dello stesso parere, ma per una volta, per una sola e singola volta, aveva deciso usando null'altro che la sua testa. La vista alla sua sinistra lo ripagava di ogni perdita. La sua preziosa Katrina, disarmata ed arresa, pronta a pagare le conseguenze di ogni suo stupido gesto.

Per tutto il viaggio cercò qualcosa di brillante da dire, qualcosa che avrebbe potuto scuoterla da quel torpore. Nulla venne fuori dalla sua bocca. Come sempre si confermava il fratello più incapace, con tanta devozione, ma nulla da dire.

Di fronte alla loro casa, poco distante dalla grande proprietà di famiglia, l'auto accostò e l'autista scaricò le valigie di Katrina prima di sparire.

Elia rimase indeciso se prenderle o meno, come probabilmente avrebbe fatto un normale marito. Continuava a chiedersi se sua moglie sarebbe scappata di nuovo appena voltata la testa, magari giusto il tempo di ficcare la chiave nella serratura. Lei si mosse sui gradini del porticato, cercando i piccoli dettagli che non sapeva di non aver dimenticato.

Alla fine si schiarì la voce

Mi spiace che il tuo piano sia finito così.”

Fece per prendere la prima valigia, ma quando Katrina si voltò finalmente verso di lui dovette fermarsi. Un sorriso, quello era un sorriso.

Lei si avvicinò lentamente, sfoderando per lui uno dei suoi magnetici sguardi da cerbiatta. Sollevò una mano verso il suo viso e, con lo stesso sincero sorriso ancora tra le labbra, gli accarezzò la guancia

Il mio dolce, nobile Elia...”

Era senza parole, senza respiro, senza la forza di muoversi

...Questo è solo l'inizio.”














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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


capitolo13

Ciao a tutti! Arrivo come sempre dopo un'eternità e vi chiedo scusa. Ci tengo a continuare e concludere questa storia senza mollare a metà, ma non riesco quasi mai a dedicarle il tempo che merita. Tra il lavoro, i progetti matrimoniali, il master, l'esame da rifare ecc ecc non arrivo più! Spero abbiate pazienza con me...

Vi ringrazio come sempre infinitamente!


PS. Troverete una frase in russo detta da Katrina. Non ho voluto tradurla intenzionalmente. Il traduttore di google potrà aiutarvi a risolvere il mistero :)


Martina



////////


...Questo è solo l'inizio.”


Elia si congelò, sentendosi di colpo più vuoto di prima. Quanto avrebbe voluto stringere quella piccola mano nella sua e portarsela alle labbra. Quanto avrebbe voluto poter credere che quel sorriso fosse vero e quelle parole fossero sincere. Non poteva. Improvvisamente realizzò l'inutilità del suo gesto. A che scopo sacrificare i beni di famiglia se non poteva, non doveva e, soprattutto, non riusciva a crederle? Era lì, davanti a lui, così vicina da avere la sua ombra addosso, eppure c'erano ancora due anni di distanza tra loro. Due lunghi anni di dubbi, incertezze, sensi di colpa e frustrazione. Due anni passati a progettare la disfatta della sua famiglia, ventiquattro mesi e più tra le braccia di Morgan Pryce e chissà quanti altri.


Accennò l'ombra di un sorriso prima di staccarsi dal suo tocco leggero, afferrò le valigie ed aprì la porta della loro casa. L'odore di fiori e pulito era sempre lo stesso, nemmeno un granello di polvere sui mobili di legno antico, nemmeno un'arricciatura sul grande divano color ecru. Tutto ugualmente perfetto. Tutto ugualmente anonimo.


Improvvisamente gli venne da chiedersi perché Katrina non avesse voluto modificare qualcosa in quella calma piatta. Perché, come ogni altra moglie al mondo, non avesse cambiato le tende o comprato qualche tappeto pacchiano, o magari provato a dipingere le pareti della cucina di un improbabile color lavanda.


Poggiò le valigie sul parquet della loro stanza, rimirando per un secondo di troppo quel letto immacolato in cui non aveva più dormito. Katrina gli fu subito dietro. Sembrava che d'un tratto avesse mille cose da dire, proprio ora che lui non aveva alcuna voglia di parlare.


Puoi sistemare le tue cose.”


Disse la prima cosa che gli uscì di bocca, senza alcuna cadenza particolare. Katrina lo seguì nel soggiorno.


Elia...”


Tentò di fermarlo prima che uscisse e ci riuscì. Lui si voltò lentamente


Che c'é?”


Rispose. Gli serviva aria fresca.


...Aspetta.”


Di nuovo gli fu vicina, avvolta nel suo maledetto profumo di tuberosa. Non sorrideva più, ma i suoi grandi occhi brillavano.


C'è voluto tutto questo per avere tua reazione.”


La derise con un sospiro. Reazione. Voleva solo una reazione. Tutto questo casino per avere un po' d'attenzione? Davvero Katrina?


Ciò che hai fatto oggi...”


Abbassò gli occhi ed afferrò la mano di Elia nella sua.


...Adesso sarà diverso.”


Elia guardò le proprie dita intrappolate nella piccola mano di sua moglie. Se solo non avesse già alzato le barricate... Forse a quel punto ci sarebbe caduto davvero. Si ritrasse di nuovo


Poco ma sicuro.”


Ribatté serio, cercando di sfuggirle il più in fretta possibile. Katrina gli bloccò il passaggio.


Per favore. Ho bisogno di uscire da qui.”


La pregò con la più cruda sincerità. Lei scosse piano la testa


Ho bisogno di parlare con te.”


Elia contemplò l'idea per qualche secondo. Chissà cosa sarebbe potuto venir fuori da quella piccola bocca a cuore? Quante storie poteva ancora raccontare?

Stavolta fu lui a farsi vicino, curvando la schiena per farsi alla sua altezza


Risparmia il fiato Katrina...”


La guardò dritto negli occhi, freddo e diretto come solo lui sapeva essere


...Non crederei ad una sola parola.”


Lei scosse la testa cercando il miglior modo di ribattere, Elia non gliene lasciò il tempo


Volevi una reazione, giusto?”


Nuovamente sua moglie cercò di toccarlo, ma stavolta fu lui il più veloce, afferrandole entrambi i polsi in una stretta morsa


Eccola qui.”


Concluse trascinandola quasi di peso verso la camera da letto.


Elia ti prego lasciami!”


La spinse dentro senza troppa delicatezza e, dopo averle lanciato un ultimo sguardo, si chiuse la porta alle spalle. Girò la chiave nella toppa.


Elia!”


Katrina stava già battendo i palmi contro il legno, ma lui decise di ignorarla. Doveva uscire da quella casa e fermarsi a pensare. Aveva bisogno di vedere i suoi fratelli e calmare i nervi, almeno per un po'.


///////


Borderline. Questo è il termine tecnico.”


Cosa?”


Cara sollevò gli occhi dal bicchiere ancora pieno. Non aveva idea di cosa la barista stesse dicendo, aveva smesso d'ascoltare parecchi minuti prima. A dire la verità non sapeva nemmeno perché fosse finita davanti a quel bancone, blaterando della sua vita sessuale con una perfetta sconosciuta.


Senza offesa tesoro, ma credo che tu sia parecchio incasinata.”


Sai che novità. Anche avesse avuto voglia di rispondere, Morgan non gliene avrebbe lasciato il tempo. Piombando alle sue spalle sbatté il bicchiere vuoto sul bancone, facendo cenno alla barista di ricaricare.


Così rovini l'atmosfera Barbie.”


Voglio dormire.”


Non si dorme stanotte. Si festeggia!”


Il gemello afferrò il bicchiere e si scolò l'ennesimo gin lemon tutto d'un fiato. Cara sembrò ricordarsi solo in quell'istante che stava partecipando al party della vittoria. Missione compiuta.


Little K la raggiunse dall'altro lato e le poggiò il braccio attorno alle spalle


Ed io mi sento particolarmente ispirato.”


Sorrise stringendo la presa e poggiando le labbra al sapor di tequila sulla sua tempia. Cara chiuse gli occhi cercando di resistere all'urgenza di spingerlo via. Doveva dimenticare ciò che era successo tra le lenzuola di Joseph, doveva spegnere quell'inutile senso di colpa, doveva smettere di pensare a lui.

Little K cercò il suo viso ed accarezzò col pollice il taglio ancora fresco sulla sua guancia destra


Quanto avrei voluto vedere la faccia di quel bastardo.”


Cara abbassò lo sguardo ancora una volta, sforzandosi di fingere un sorriso compiaciuto.


Dovremmo decisamente continuare i festeggiamenti a letto...”


Parlandole all'orecchio poggiò la mano libera sulla sua coscia scoperta.


...E' passato troppo tempo dall'ultima volta.”


Le sue dita iniziarono a salire di pari passo alla sua ansia. Aveva sperato che una doccia veloce ed un nuovo vestito potessero cancellare le tracce di Joseph dalla sua pelle, ma chiaramente aveva sperato troppo in grande.


Sono troppo stanca.”


Little K si fece serio di colpo


Come al solito.”


Cara cercò di alzarsi dallo sgabello, ma lui le afferrò il braccio e la costrinse a guardarlo in viso


Dovremmo iniziare a sospettare qualcosa Barbie?”


Lei non si lasciò minimamente intimorire


Magari sono solo stufa di fare del sesso mediocre con te.”


Little K improvvisò una risata sarcastica che morì immediatamente. Strinse la presa tanto forte da farle male


Sta' attenta...”


Intimò


...Ricordati che siamo merli, non amici.”


Cara si divincolò dalla morsa ed uscì dal locale senza aggiungere nulla. Era pronta a perdersi nel buio di quella notte.


////////


DIMMELO!”


Era completamente distaccato dalla realtà, non aveva più idea di che ora fosse, tanto meno di quanto alcool avesse in corpo, tutto ciò che riusciva a vedere era il riflesso sulla sua lama piantata contro il collo del dottor Griffith, il caro vecchio medico di famiglia.


L'altro tremava nel suo pigiama grigio, trascinato fuori dal suo letto nel peggiore dei modi. Sapeva di essere condannato, poteva solo ringraziare che quell'incapace di suo figlio fosse ancora fuori e che sua moglie avesse scelto proprio quel week-end per il suo usuale giro di shopping a Parigi.


L'ha uccisa lui?”


Stava sudando, sul punto di piangere, preparandosi a morire come fanno tutti i codardi. Non riusciva a credere che fosse lo stesso uomo che aveva amorevolmente curato il suo braccio rotto e la mononucleosi di Nathaniel.


E' STATO LUI, SI O NO??”


La mano di Joseph gli spinse la testa ancora una volta contro il muro e quel dolore pulsante, mischiato al metallo che lentamente gli tagliava la pelle, lo convinse ad arrendersi. Il dottor Griffith annuì preparandosi a morire. Se lo meritava, meritava una fine del genere. Non avrebbe mai dovuto violare il giuramento di Ippocrate, non avrebbe mai dovuto cedere alle lusinghe del denaro svendendo la sua vocazione ad un bastardo come William Michaelson.


Ogni piccola speranza che Cara stesse solo mentendo svanì in quell'istante, Joseph sentì spegnersi l'interruttore della sua ragione ed urlando contro il nulla prese a sbattere il medico contro la parete bianca, tante volte e tanto forte da vederla presto macchiarsi di rosso. Lasciò cadere il corpo svenuto del dottor Griffith a terra, probabilmente era ancora vivo, ma in quel momento non poteva importargli meno. Qualcun altro meritava di morire ancor più di lui.


Si fermò per qualche istante a respirare, afferrando una bottiglia qualsiasi dalla collezione del dottore. Nessun liquido aveva più sapore, tutto gli bruciava la lingua allo stesso modo. L'importante era non fermarsi, non lasciar modo ai suoi pensieri di farsi sentire, non permettere alla sua mente di immaginare come sarebbe stata la sua vita ora se sua madre non fosse mai morta.


Uscì dalla villa il più in fretta possibile, convinto che la tappa immediatamente successiva sarebbe stata la casa di suo padre. L'aria fresca lo colpì in viso come uno schiaffo, scontrandosi col calore dovuto all'ebrezza. Nathaniel stava sicuramente dormendo tra le sue lenzuola di seta come nulla fosse, cullato dall'idea di assomigliare ad un padre orgoglioso e potente che, nonostante tutto, ammirava ancora. Suo padre. Non si era reso conto fino a quell'istante di quanto la situazione fosse diversa per Nate e per Elia. William era solo un estraneo per lui, ma non certo per i suoi fratelli. Non poteva piombare a casa nel cuore della notte ed ucciderlo come tanto profondamente stava desiderando, non poteva fare questo a Nathaniel e non poteva farlo nemmeno ad Elia. Elia.. Dove diavolo era suo fratello maggiore quando più ne aveva bisogno?


La nuova consapevolezza lo fece urlare di nuovo, stavolta contro il vento. Non poteva fare nulla. Quel dolore terribile lo stava mangiando dall'interno e lui non poteva fermarlo, non poteva cancellarlo, non nell'unica maniera che conosceva, uccidendo e tagliando. Aveva bisogno di bere ancora, di altro alcool che cancellasse i suoi pensieri e zittisse quell'insopportabile sofferenza.


Si diresse a passi veloci verso casa, senza alzare mai lo sguardo da terra, ignorando l'allegro vociare che proveniva dai locali ancora aperti e gli sguardi storti dei pochi passanti. Doveva tornare al suo appartamento. Anche se le sue personali scorte d'alcool erano finite, la dispensa dello Sweet Lorraine doveva essere ancora piena. Dopo la morte di Xavier nessuno era venuto a reclamare il locale e poiché si sa, le voci corrono veloce, né turisti né abitanti fremevano dalla voglia di tornare in un posto dove i russi ti sparano addosso.


Riuscì a trovare due bottiglie di bourbon e si accasciò dietro il bancone, usando i denti per aprirle il più in fretta possibile. Mandò giù finché ci riuscì, poi poggiò la testa contro il legno e chiuse gli occhi. Voleva svenire, voleva solo svenire.


//////////


Joseph...”


Lui si tirò su dal letto con difficoltà, le due costole rotte facevano un male bestiale, tanto che perfino respirare era una gran fatica. Suo padre gli aveva ordinato di affiancare Boss e Jimmy nella sua prima ronda notturna al quartiere francese. Una tranquilla discussione sulla spartizione delle zone di spaccio si era presto trasformata in un'allegra rissa di gruppo. I pugni veri fanno male.


Sua madre entrò nella stanza avvolta nella vestaglia di maglina viola, i capelli ancora sciolti ed il viso pulito da ogni traccia di trucco. Joseph guardò l'orologio, sei e dodici del mattino, sicuramente William stava ancora dormendo. Amelia chiuse piano la porta e si avvicinò al letto, sedendosi sul bordo accanto a lui. Gli esaminò il viso con attenzione ed accarezzò il grosso livido che andava scurendosi sullo zigomo, giù fino al labbro tagliato.


Il mio bambino.”


Sussurrò con voce tremante. Non era poi così grave e, nonostante l'età, Joseph si rendeva già conto che quel tono non era di preoccupazione, bensì di colpa e rimorso.


Ho quasi diciassette anni mamma, non sono più un bambino.”


Ribatté sforzando un mezzo sorriso cui Amelia rispose prontamente. Joseph osservò ancora una volta il volto di sua madre, segnato da più anni di quanti non ne avesse davvero. Era sempre impeccabile, educata e ben vestita, sempre dritta e fiera al braccio di suo padre, sorridente davanti agli amici di famiglia e determinata accanto ad una marito che chissà, forse amava, forse no, forse aveva amato solo tanto tempo fa. In diciassette anni di vita mai, mai aveva visto quello stesso viso illuminato da un'ombra di reale felicità o almeno così gli sembrava. Non aveva ancora un'idea precisa di cosa fosse la felicità, tanto meno di cosa fosse l'amore coniugale.


Si mosse di nuovo cercando di incrociare le gambe nel più sciolto dei movimenti, un mero tentativo di tranquillizzarla e rimandarla a letto prima che William si svegliasse. Purtroppo non riuscì a trattenere quell'unica smorfia di dolore.


Joseph devi stare fermo.”


Raccomandò Amelia, ma lui insistette provando a raggiungere lo scopo che si era prefisso


Tranquilla mamma, tanto devo abituarmi al dolore. Devo imparare ad ignorarlo.”


Lei gli posò una mano sul ginocchio


No tesoro mio...”


Parlò con voce ancor più bassa, quasi stesse per confidargli un segreto


...Non ignorare il dolore. Non ignorare nulla di quello che provi.”


Lui aggrottò le sopracciglia


Ma è questo che papà cerca di insegnarci.”


Non è per questo che mi tratta costantemente come un cane? Concluse nella sua testa. Amelia strinse le labbra, per un attimo sembrò che stesse per piangere, ma presto quell'impressione svanì. Scosse la testa


Non ascoltarlo...”


Inclinò la testa e di nuovo allungò la mano per accarezzargli il viso


...Le tue emozioni sono importanti Joseph.”


Ma io voglio essere forte.”


Sua madre sorrise, forse a malincuore


Tu sei già forte Joseph, più forte di tutti i tuoi fratelli...”


Stavolta sorrise anche lui, abbracciato da quelle parole e dal calore della sua mano sul viso


...Le tue emozioni ti porteranno fuori da qui un giorno.”


Avrebbe voluto ribattere, assicurarle che non voleva affatto andarsene, che non l'avrebbe mai abbandonata e che l'avrebbe resa fiera di lui, ma Amelia lo zittì con un dito sulla bocca


Devo tornare di là prima che tuo padre si svegli...”


Si alzò lisciando le grinze sulla vestaglia


...Tu cerca di non muoverti troppo.”


Era perplesso, genuinamente perplesso, incapace di dare senso a quelle parole in un momento della sua vita in cui non poteva desiderare altro che diventare il soldato perfetto, forte e coraggioso, principe di ghiaccio di un'intera città e di un intero impero. Decise quasi subito che non le avrebbe dato ascolto, non sarebbe mai stato una mammoletta piena di paure e di debolezze. Doveva essere ferreo e tenace, non lasciarsi piegare né scalfire dai pugni dei nemici, non lasciarsi ferire dall'indifferenza e dagli insulti di un padre che sembrava amarlo di meno, o meglio non amarlo affatto. Già dal giorno del suo quindicesimo compleanno aveva promesso di smettere di chiedersi cosa avessero in più Caspar, Elia o Nathaniel e voleva mantenere quella promessa.


///////


Elia sbottonò la giacca mentre l'alba iniziava ad alzarsi su New Orleans. Era stanco, ma non voleva tornare a casa da suo padre, tanto meno da sua moglie. Katrina era forse abbastanza forte da sfondare quella porta, ma non avrebbe mai potuto superare le inferriate alle finestre o il portone blindato che non aveva più la stessa serratura né la stessa combinazione.


Joseph non rispondeva al telefono e non era nel suo appartamento. Dopo averlo cercato in ogni angolo e bar del centro decise di tornare comunque a casa di suo fratello ed aspettare. Se non altro avrebbe finalmente posato le sue stanche membra da qualche parte.


Spinse la porta dello Sweet Lorraine lasciandola poi sbattere su sé stessa, già diretto verso il retro. Fu la scarpa scura che spuntava da dietro al bancone a fermare il suo ultimo passo a mezz'aria, girò la testa e seguì quella traccia umana fino a scoprire il corpo di Joseph privo di sensi sul pavimento. La schiena poggiata al bancone e la testa abbandonata sulla spalle destra, una gamba lunga e l'altra ancora piegata, le braccia stese lungo i fianchi, la bottiglia vuota ancora stretta in una mano.

L'odore d'alcool era così forte che di certo suo fratello non s'era limitato alle due sole bottiglie che poteva vedere. S'inginocchiò davanti a lui e controllò che stesse ancora respirando normalmente, gli afferrò la testa e cercò di svegliarlo.


Joseph non disdegnava bourbon e whisky, ma non era solito stravolgersi fino a tale punto. L'ultima volta che l'aveva visto così risaliva a qualche anno prima, dopo il funerale della loro madre.


Qualcosa come cinque minuti dopo, quand'era ormai pronto a procurarsi un secchio d'acqua gelata e ricorrere alle care vecchie maniere, Joseph aprì un occhio solo, cercando di tener su con fatica la pesantissima palpebra.


La testa pulsava come se lo stessero prendendo a martellate e la nuvola di colori confusi davanti ai suoi occhi stentava a ricomporsi. Sentì una mano forte e calda che lo colpiva in viso, aiutandolo pian piano a tornare alla realtà, prendendo lentamente la forma di suo fratello


Elia?...”


La lingua asciutta raspò contro il palato, mentre le sue pupille s'adattavano alla luce dell'alba


...Stai bene?”


Elia si allontanò restandogli di fronte a ginocchia piegate


Sicuramente meglio di te, fratello.”


Joseph si passò una mano sulla fronte sperando di fermare il continuo tamburellare delle sue tempie. Elia si tirò su e cercò di procurarsi della semplice acqua


Che cosa ti ha ridotto in una condizione così miserabile Joseph?”


Gli domandò porgendogli il bicchiere. L'altro mandò giù trovandosi travolto dalla realtà come da un treno, era reale, ogni avvenimento del giorno prima era reale. Aveva ancora una madre morta ammazzata ed un padre bastardo a cui farla pagare. Tutta la rabbia era sparita, ma il dolore era sempre lì. Il suo stomaco minacciò di volersi svuotare sul pavimento, poggiò le mani sulla pancia e prese un paio di lunghi respiri prima di guardare Elia


La mamma.”


Rispose a bassa voce, cercando inutilmente parole più adatte per dire ciò che doveva dire. Suo fratello sospirò, erano passati anni ormai, ma sapeva benissimo che proprio Joseph era stato il più colpito da quella perdita. Con la scomparsa di Amelia infatti, non solo aveva perso una madre, ma anche ogni legame col suo passato e con le sue origini. Sebbene riuscisse benissimo ad ignorarlo per la maggior parte del tempo, non scorreva alcuna goccia di sangue Michaelson nelle vene di Joseph. Era sì suo fratello, ma solo per metà.


Stavi pensando a lei?”


Domandò con casualità, sperando fosse Joseph ad approfondire la questione se ne aveva bisogno. Quest'ultimo scosse piano la testa


Non è stata una fatalità Elia.”


L'altro sospirò


Che vuoi dire?”


Joseph cercò di tirarsi su, ma non ci riuscì.


Non è stato un malore...”


Guardò suo fratello dal basso


...E' stata punita.”


Elia aggrottò le sopracciglia, probabilmente Joseph era ancora ubriaco e solo per questo ogni sua parola suonava criptica e fuori contesto.


Punita per cosa?”


Me.”


Rispose immediatamente cercando di evitare lo sguardo di Elia che dall'alto lo giudicava ripetitivo, infantile ed auto commiserevole. Non era esattamente questo che il maggiore stava pensando, anche se ormai Elia conosceva bene gli incastri ed i meccanismi nella mente di Joseph. Era brillante, intelligente, non un ottimo stratega, ma comunque affidabile, eppure riusciva a perdersi in così poco, che fosse la pozzanghera della sua solitudine o lo sguardo blu di un'affascinante sconosciuta. A volte aveva bisogno di ricordare che, a dispetto del dna, era comunque cresciuto come uno di loro.


Sei ancora ubriaco Jo. Parliamone più tardi.”


Il tentativo di Elia di lasciar cadere la cosa fallì miseramente


E' stato William. L'ha uccisa lui.”


Elia si bloccò tenendogli le spalle. Questo era decisamente più di quanto si sarebbe aspettato dal post-sbronza di suo fratello. Nonostante il brivido gelido che gli percorse la schiena, lasciò sfuggire una mezza risata


Non so proprio da dove venga fuori quest'assurdità.”


Provò a muoversi di nuovo senza nemmeno voltarsi, lo stava tranquillamente abbandonando su quel pavimento come fosse un pazzo visionario e miserabile. Joseph tornò a sentire la rabbia che fino a quel momento era riuscito ad annegare


Ho le prove.”


Elia stoppò i passi, voltando la testa verso l'altro, lo sguardo affilato in attesa delle prossime parole. Joseph si tirò su ignorando la stanza che gli girava attorno


Ho i documenti dell'autopsia...”


Indicò poco distanti i fogli ormai stropicciati che Cara gli aveva consegnato


...Il Dottor Griffith ha confermato.”


Elia raccolse i documenti e li sfogliò con più attenzione possibile


Dove li hai presi?”


In quel momento Joseph sentì di nuovo addosso gli occhi pietosi di Cara. Non poteva dirgli di lei, del loro incontro, del modo in cui l'aveva lasciata fuggire ancora una volta. Decise di non parlare e quel silenzio ad Elia sembrò bastare, poggiò i documenti sul tavolino e restò impalato senza dire o fare nulla.


Doveva esserci qualcosa di veramente sbagliato in lui. Quella notizia avrebbe dovuto fargli crollare la terra sotto i piedi, farlo infuriare, far cadere le sue certezze. Avrebbe almeno dovuto stringergli il cuore nel petto. Suo padre aveva provocato la morte di sua madre e lui non sentiva niente, assolutamente niente.


Joseph aguzzò lo sguardo, non era certo la reazione che si sarebbe aspettato


Tutto qui?”


Si avvicinò ingoiando la bile che gli risaliva l'esofago


E' questa la tua reazione?”


Elia mandò giù guardando il soffitto per qualche istante, come se quella bomba gli fosse appena esplosa accanto senza sfiorarlo nemmeno. Joseph sentì un nuovo pugno colpirlo allo stomaco


Sembra che quasi te l'aspettassi.”


L'altro sospirò profondamente. William era un vero capo, fiero e senza scrupoli, di quelli che non tollerano il minimo sgarro. Non era forse tanto più strano aspettarsi che perdonasse sua moglie dopo un tradimento come quello? Aveva partorito il figlio di un altro sotto il suo tetto dopotutto.


Scosse piano la testa


Ovviamente no Joseph.”


Allora perché te ne stai lì impalato? Aiutami.”


Aiutarti a fare cosa?”


Joseph strinse i pugni


A vendicare la mamma.”


Elia chiuse gli occhi per un paio di secondi. Se conosceva bene suo fratello, non aveva dubbi sulle parole che sarebbero seguite


Cosa vuoi fare Jo?”


Il più giovane respirò a pieni polmoni, l'alcool stava già lasciando spazio ad una ritrovata energia


Voglio ucciderlo.”


Sentenziò senza dubbi, gustando quelle parole sulla punta della lingua. Non aveva altro desiderio, non vedeva altre possibili punizioni che valessero la vita di sua madre.


Ed eccole lì, esattamente le parole che Elia stava aspettando. C'era un motivo se aveva sempre preferito i veleni alle armi e quel motivo era il tempo, il breve lunghissimo lasso di tempo in cui la vittima si porta il bicchiere alle labbra, i lunghi minuti con la siringa stretta nella mano aspettando che il bersaglio ti passi accanto, gli agonizzanti istanti di dolore in cui resti a guardare, sapendo che hai ancora tempo, che basterebbe una sola dose d'antidoto per rimediare al tuo gesto. Se spari in testa a qualcuno o se gli tagli la gola, non c'è antidoto che tenga.


Joseph vuole tutto e subito. C'è un costante vuoto dentro di lui che nulla riesce a riempire, il continuo desiderio di qualcosa che non sa identificare, l'inutile speranza che un giorno la sua sofferenza sparisca davvero.


Non farai nulla...”


Lo fissò negli occhi, guardandolo dapprima raggelarsi per poi contorcersi in una smorfia di rabbia e d'orgoglio


...Qualsiasi cosa tu stia pensando di fare non riporterà indietro nostra madre.”


Cercò di muoversi di nuovo, stavolta verso la porta d'uscita. Joseph gli si parò davanti squadrando le spalle


Non puoi darmi ordini Elia.”


Era di nuovo furioso ed il tono, basso ma profondo, lasciava benissimo intendere il suo ritrovato stato d'animo. Il più anziano sospirò, stimolando ancor più i suoi nervi scoperti


Quel maledetto ha ucciso mia madre!”


Gli urlò in faccia, cercando di far capire ad Elia quanto la sua reazione fosse dannatamente assurda.


E' colpa sua se io non...”


La frase rimase a metà, interrotta dal repentino movimento di Elia. Joseph si ritrovò in un istante afferrato per il collo della maglia, spinto contro il bancone, inchiodato dagli occhi seri e decisi di suo fratello


Ascoltami bene Joseph. Questo non riguarda solo te, ma tutti noi. Farai esattamente come ti dico io.”


La sola idea d'essere comandato gli fece formicolare le mani. Joseph afferrò i polsi del fratello ed allontanò le sue mani, l'angolo destro della sua bocca si sollevò in un sorriso amaro intriso di sarcasmo


Tutti noi...”


Ridacchiò tra sé e sé


...Tutti voi vorrai dire.”


Guardò Elia con una nuova espressione, gelida e distaccata. L'altro scosse la testa


Non è quello che intendevo.”


Ah no? Non stavi forse cercando di ricordarmi che quel bastardo non è il mio vero padre? Che io non sono uno di voi? Che l'unico a poter dare ordini qui sei tu, il solo ed unico William Michealson quarto?”


Sputò il suo nome completo con sdegno e disprezzo, come mai aveva fatto prima. Elia sospirò lasciando che l'altro continuasse a studiare il suo sguardo. Non aveva mai davvero pensato a Joseph come un fratello a metà, mai prima di quel momento almeno. Per lui William non era altro che un tutore legale, nulla più del capo crudele e manipolatore che per tutta la vita l'aveva trattato da cane bastardo. Per lui William non era mai stato un padre e non c'era in Joseph una sola goccia d'amore o di rispetto nei suoi confronti, nulla più che disprezzo e voglia di riscatto.


Per quanto si sforzasse di ricordare sua madre, Elia non riusciva nemmeno lontanamente a sentirsi allo stesso modo. Amelia aveva sempre preferito Caspar a lui e con l'arrivo di Joseph in famiglia, le cose erano ulteriormente peggiorate. Nessuno più si era preoccupato del piccolo Elia, abbastanza forte ed indipendente da non aver bisogno di niente.


Assassino o meno, suo padre era ancora suo padre. C'erano voluti anni, ma alla fine era riuscito a compiacere le sue aspettative e a guadagnarsi il suo rispetto, tornando finalmente al primo posto. Che fosse un mostro o meno, restava comunque l'unico padre che lui, Caspar e Nathaniel avrebbero mai avuto e non l'avrebbe guardato morire solo per soddisfare i personali desideri di vendetta di Joseph. La famiglia prima di tutto.


Si bagnò le labbra e fissò le pupille del più giovane


Pensa pure ciò che vuoi Jo, ma non farai niente. Intesi?”


L'altro digrignò i denti, frenando il desiderio di picchiarlo a sangue. Era davvero stato uno stupido a cercare il sostegno di suo fratello, avrebbe dovuto aspettarsi quell'immediato cambio di fronti. Elia si sarebbe sempre e comunque schierato dalla parte della famiglia, famiglia di cui lui chiaramente non faceva più parte.


Era solo. Completamente solo al mondo.


Non avrebbe potuto distinguere tra paura e sollievo in quel momento, attraversato da una corrente continua d'emozioni in lotta tra loro. L'uomo davanti a lui non era più suo fratello, ma un altro tra le migliaia di sconosciuti che negli anni avevano incontrato il suo sguardo, un'altra persona al mondo con cui aveva poco in comune, nulla più che qualche cromosoma e spiacevoli ricordi d'infanzia.


William aveva ucciso i suoi genitori e l'aveva condannato all'ignoranza. Non avrebbe mai saputo nulla più della sua nascita, della relazione tra Amelia e Stig o della terra di suo padre. Non era un Michaelson, ma non aveva altro cognome. Non era nessuno, non era più nessuno.


Inspirò un'ultima profonda boccata d'aria stantia


Esci da casa mia.”


Ordinò, ormai protetto dall'invisibile muro di cemento che si era costruito attorno in quei pochi secondi.


Elia si bagnò le labbra, contemplando l'idea di aggiungere qualcosa. Non riusciva a pensare chiaramente. Emozioni che non voleva sentire rischiavano di arrivare in superficie, impegnate nella loro personale rissa tra amore fraterno, orgoglio e paura, un fiume in piena che non avrebbe mai saputo gestire.


Ammonì Joseph con un ultimo sguardo prima di sbattere la porta e sparire.


L'altro rimase immobile nel silenzio per un paio di minuti, il tempo necessario perché tutta la rabbia accumulata lo risalisse lentamente e raggiungesse le sue mani chiuse a pugno. Esplose all'improvviso scaraventandosi contro sedie e tavoli con tutta la sua furia, spaccando e sbattendo senza remore, ignorando il vetro tra le dita ed il peso della solitudine sulle spalle. Chi mai al mondo sarebbe stato dalla sua parte? Chi mai avrebbe potuto capire cosa stava provando? Così solo, respinto, accecato dalla sete di vendetta?


Si accasciò ancora una volta chiudendo gli occhi, sentendo ogni più piccolo dolore che affliggeva il suo corpo stanco, lasciando che la mente vagasse dove voleva.


Era come lei. Adesso era esattamente come lei.


/////////


Trovare casa ancora perfettamente in ordine fu una vera sorpresa. Elia chiuse il grosso portone e digitò rapidamente il codice, lasciando il mondo fuori da quelle spesse mura.


La porta della sua stanza da letto era ancora chiusa ed intatta, nessun pugno sbattuto contro il legno e nessuna protesta. Elia prese a salire le scale verso il piano superiore, diretto verso il suo personale studio, lì dove avrebbe potuto riflettere in pace sulla nuova prospettiva. Joseph si sarebbe calmato alla fine, ne era quasi certo.


A metà rampa il suo passo si bloccò a mezz'aria e guardò con la cosa dell'occhio quella porta chiusa. Katrina era già rimasta lì dentro per ore.


Scese e girò la chiave nella toppa, aspettando che lei gli si parasse di fronte come una furia. Quando nulla successe, qualcosa di simile alla più genuina preoccupazione lo spinse ad entrare.


Con la luce del mattino che filtrava dalle fessure della persiana, Katrina dormiva stesa sul loro letto. Si mosse silenziosamente nella penombra finché non riuscì a guardarla, i capelli ora sciolti e sparsi sul cuscino che stringeva tra le braccia, i piedi nudi abbandonati sulla coperta scura. Non riuscì a non sentire quel battito in più del suo cuore, l'ennesima emozione che spingeva dall'interno. Senza nemmeno accorgersene allungò una mano e spostò delicatamente una ciocca di capelli che le copriva il viso. La sua dolce rovina.


Katrina si mosse nel sonno e lui si scostò subito. Era già di fronte alla porta quando lei aprì gli occhi ed immediatamente si tirò su, le iridi scure ancora velate e la voce più roca del solito.


Elia.”


Lui chiuse le palpebre per un istante, sforzandosi di tornare fermo e deciso. Si voltò verso Katrina e scrollò appena le spalle


Non hai cercato di fuggire.”


Sottolineò. Lei si ricompose appena continuando a guardarlo


Perché non voglio.”


Elia inspirò profondamente. Non era il momento per le sue bugie. Si limitò ad annuire, lasciandole intendere quanto le sue parole suonassero inverosimili. Katrina si alzò in piedi e lo raggiunse, per nulla intimorita dalla sua reazione.


Ti prego, lasciami parlare.”


Stavolta lui scosse il capo.


Non è davvero il momento per i tuoi discorsi Katrina.”


Solo al suono del suo nome la russa riuscì a notare quanto il viso di Elia fosse stanco e stravolto. Aggrottò le sottili sopracciglia


Cosa è successo?”


A lui venne quasi da sorridere


Non giocare a fare la moglie proprio adesso per favore.”


Voltò le grandi spalle ancora avvolte nella giacca e spinse sulla maniglia per andarsene il più lontano possibile


Ancora non capisci, vero?”


Katrina abbandonò la parvenza di dolcezza per la sua tipica determinazione, attendendo, coi piedi ben piantati a terra, che Elia tornasse sui suoi passi. Non ci volle molto perché tornasse a guardarla, un sopracciglio sollevato che la sfidava a stupirlo


Volevo che combattessi.”


Lui aguzzò lo sguardo


Combattere per cosa? Per te?”


Già pregustava il fiammeggiante finale che quella conversazione avrebbe presto raggiunto. Stavolta fu lei a scuotere la testa e stringere i pugni


Volevo essere regina...”


Elia rivolse gli occhi al cielo, quella parola la odiava ormai con tutto il cuore


...Tua regina.”


Il suo sguardo tornò immediatamente sulla figura minuta che gli arrivava a malapena alle spalle, così piccola e così pericolosa


Quello che ho fatto... Ho fatto per noi.”


Quelle parole suonarono assurde, offensive perfino. Se n'era andata, senza nemmeno la decenza di un biglietto, lasciandolo solo a leccare il suo orgoglio ferito, schierandosi dalla parte del nemico senza ripensamenti, godendo sotto il corpo di un altro. Come osava adesso?


Per noi?!”


Suonò ancora più ridicolo venendo fuori dalle sue stesse labbra, mentre squadrava le spalle e l'avvolgeva nella sua minacciosa presenza. Katrina si lasciò coprire d'ombra senza indietreggiare.


Te ne sei andata senza una parola Katrina!”


Le urlò in viso, deciso a farle rimangiare quelle assurdità


Ma tu hai cercato me.”


Ribatté lei senza scomporsi, alimentando la sua incredulità ed il suo nervosismo


Ti sei alleata con i merli di Mancini!”


Perché mi trovassi!”


Anche la voce di lei trovò nuovo corpo. Possibile che non volesse proprio capire?


Elia allungò le mani per afferrarla, ma le ritrasse subito al pensiero di ciò che stava per dire


Sei stata a letto con Pryce per Dio!”


Katrina non ribatté immediatamente, lasciandolo per quegli attimi nella più intensa agonia.

Scosse il capo fissandolo dritto negli occhi


Non mi ha mai toccato.”


Elia indietreggiò d'un passo cercando d'assorbire quelle parole. L'immagine di Morgan spalmato addosso a sua moglie era ancora vivida nella sua testa, così come la sua sporca lingua che ne assaporava la candida pelle. Saltò afferrandola per le spalle e sbattendola contro il muro


Non mentirmi!”


La sorpresa sparì di fretta, Katrina poggiò la mano sul suo polso e lentamente spostò la mano di Elia dalla spalla al collo, lì dove poteva sentire il suo cuore battere


Sai che non è bugia.”


Le vene di Katrina gli pulsavano addosso, anche se lui non avrebbe mai voluto ascoltare quel ritmo lento e costante. Non voleva crederle. Non poteva credere che fosse tutto un piano per portarlo fin lì, per costringerlo ad attraversare l'inferno e tornare al punto di partenza.


Che razza di marito era mai stato?


Perché?”


Domandò, stavolta a mezza voce, la presa ormai allentata. Katrina inspirò profondamente, i grandi occhi scuri ancora sgranati, prendendosi il tempo di scegliere con cura le prossime parole. Il concetto era fin troppo semplice, l'esito imprevedibile.


потому что я люблю тебя.


Suonava sempre meglio nella sua lingua natia, come ogni singola volta che l'aveva detto.


Elia le si pietrificò dinanzi. Era del tutto inaspettato ed era troppo. Troppo presto, troppo per quel momento già così carico di chiassosi sentimenti, troppo per le sue orecchie ormai così diffidenti.

Si staccò da sua moglie indietreggiando immediatamente, lo sguardo perso nel vuoto, ovunque tranne che su di lei. Katrina preparò il suo ultimo tentativo


Elia ti prego...”


Non aggiunse altro, gli occhi di lui restarono piantati a terra.


Katrina aveva tutt'altro aspetto, ma era in quel momento proprio come Joseph. Tutti e due gli chiedevano ascolto, tutti e due volevano attenzione, tutti e due con le loro assurde verità.


Suo fratello e sua moglie, due estranei che non sapeva più come gestire e come accontentare. Due pezzi di sé che non sapeva più come amare.


Decise di fare ciò che gli riusciva meglio. Sollevò lo sguardo per un breve momento, puntando l'indice al cielo perché il concetto ne fosse amplificato


Lasciami in pace Katrina.”


Non fu una gentile richiesta, ma l'ennesimo ordine che aveva sputato in quella giornata, sperando che almeno uno dei due l'ascoltasse.


////////


Era di nuovo notte. Il giorno si era spinto lento e pesante fino alla sua inevitabile fine, trovandola ancora una volta persa per le vie affollate di New Orleans. Perché fosse ancora lì era un mistero perfino per lei, quel chiasso non le era familiare come quello di New York e tutti quegli occhi addosso la facevano sentire continuamente in allerta. Poteva andarsene quando voleva, tutte le sue poche cose erano chiuse in una borsa e l'aspettavano nella stanza di un hotel. Tre stelle stavolta, con le piccole saponette rosa sul bordo della vasca da bagno e la vista sul fiume. Dopo l'ultima discussione con Little K era volata a riprendere i suoi averi, decisa a continuare da sola quel percorso. Nulla era andato come si immaginava, ma aspettava ancora che da un momento all'altro qualcuno per strada mormorasse di una lotta intestina scoppiata tra i famosi Michaelson o magari della morte del grande William, proprio per mano di suo figlio.


Aspettava quel momento per sparire, trovare Robert e sperare che quanto fatto bastasse.


Varcò la soglia di un locale e camminò dritta fino al bancone. Avrebbe preso una birra e nulla più. Non era entrata in quel posto per ubriacarsi infatti, l'aveva fatto seguendo la musica, la calda ed esuberante voce di un uomo che ora poteva vedere in carne ed ossa, un tizio dalla pelle scura che si dimenava sul palco come una vera star.


Li sentì di nuovo in quel momento, occhi puntati addosso come fulmini. Si voltò di scatto senza trovarsi dietro nulla più che un branco di persone intente a vociare rumorosamente, del tutto disinteressate alla sua presenza. Mandò giù ciò che restava nella bottiglia e lasciò pochi dollari sul bancone.


Non le piaceva quella sensazione, il dubbio costante che dietro di lei ci fossero i Pryce o qualche altro merlo, che fosse Robert in persona venuto a punirla, che i russi le fossero ancora addosso o che magari proprio uno dei Michaelson fosse pronto a spararle da un momento all'altro... Magari proprio Joseph... Dopotutto gli aveva spezzato il cuore, esattamente dopo aver scoperto che ne aveva uno.


Era strano. Strano, assurdo e fastidioso. Il pensiero la spaventava giusto un po', ma allo stesso tempo era come se nell'intimo sperasse di vederlo accadere davvero.


Doveva lasciare quella città il più presto possibile.


Salì le scale velocemente e passò la chiave magnetica nella serratura della sua stanza. Sebbene avesse fretta si prese il tempo d'inalare quell'odore di pout-pourri che trovava magnifico. Dolci note di cannella miscelate ad arancia e cedro, col sottile retrogusto di... cos'era quell'odore? Sandalo? Muschio? Dopobarba da uomo? S'irrigidì nel mezzo della camera. Quell'odore non c'era la prima volta.


Senza produrre il minimo rumore indietreggiò d'un solo passo ed allungò la mano verso l'interruttore della luce. Non aveva armi addosso, avrebbe potuto contare solo sulle proprie forze.


La stanza s'illuminò in un singolo istante, rivelando l'intruso comodamente seduto sulla poltrona accanto al suo letto.


Il cuore le saltò in gola.


Come mi hai trovato?”


Lui sollevò solo una mano per rafforzare l'ovvietà della sua risposta


Questa è la mia città. Ho occhi dappertutto.”


Joseph se ne stava lì, apparentemente comodo e rilassato, gli occhi stanchi in contrasto col bianco pulito della sua camicia. Nulla nella sua espressione lasciava intravedere le sue intenzioni.


Cara respirò a pieni polmoni nel tentativo di calmarsi


Pensavo non volessi più vedermi.”


Lui staccò la schiena dalla poltrona continuando a fissarla intensamente


Infatti...”


Rispose tirandosi su senza fatica


...Ma poi ho realizzato...”


Lento e sinuoso coprì i pochi passi tra loro, arrivandole vicino. Il suo respiro sapeva d'alcool, ma il suo sguardo era lucido e deciso


...Sei tutto quello che ho adesso.”


Cara sollevò gli occhi aggrottando leggermente le sopracciglia. Il sangue pompava forte nelle vene e la pancia formicolava.


Lui sollevò la mano e gliela posò delicatamente sulla guancia in una carezza. Il suo palmo era bollente contro la pelle, il pollice ruvido contro la ferita che lui stesso aveva inflitto. Lo stesso dito scivolò poi più giù, a sfiorare le labbra socchiuse


Aiutami ad uccidere William.”

















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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


capitoloXIV

GRAZIE! GRAZIE A TUTTI, PER LA PAZIENZA E PER L'AFFETTO!

Martina


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Pensavo non volessi più vedermi.”


Lui staccò la schiena dalla poltrona continuando a fissarla intensamente


Infatti...”


Rispose tirandosi su senza fatica


... Ma poi ho realizzato...


Sei tutto quello che ho adesso.”


Joseph sollevò la mano e gliela posò delicatamente sulla guancia in una carezza.


Aiutami ad uccidere William.”


Cara spalancò gli occhi contro i suoi e staccò il viso dal suo tocco bollente


Cosa?”


Aveva perfettamente capito le parole, ma non era affatto sicura che facesse sul serio. Poteva essere l'ennesimo trucco, sarebbe stato più che plausibile.


Joseph si mosse nella stanza e lontano da lei, giocherellando coi pendenti dell'improbabile abat-jour, riprendendo a parlare senza guardarla


Mi hai detto la verità... Proprio tu, di tutte le persone al mondo, mi hai detto la verità.”


Gli venne da sorridere.


Cara stette in silenzio limitandosi ad ascoltare quella che sembrava solo una mera introduzione al vero discorso. Non attese molto, Joseph riprese fiato e si spostò nuovamente nelle sue vicinanze


Ero così arrabbiato qualche ora fa. Furioso, sconvolto, disperato...”


Tornò a guardarla negli occhi, ancora senza avvicinarsi. Indicò il nulla con la mano destra


...Quell'uomo ha ucciso l'unica persona che avessi al mondo e mio fratello... beh, quello che consideravo mio fratello, mi ha praticamente riso in faccia...”


Cara sbatté le palpebre un paio di volte cercando di reggere il suo sguardo così acceso


...Sono solo adesso.”


Ammise infine, a metà tra la vergogna e l'orgoglio. I suoi occhi si posarono a terra per qualche istante e si rialzarono di colpo, ancor più ardenti


Ora so esattamente cosa hai sentito mentre guardavi i tuoi genitori morire...”


Stavolta fu Cara a guardare il pavimento, attraversata dal più rapido e tagliente dei flashback. Joseph l'obbligò delicatamente a sollevare il mento, poggiando ancora una volta le dita sul suo viso


...Dopotutto siamo uguali io e te.”


Il respiro iniziava a starle stretto nei polmoni, mentre si perdeva nell'azzurro dei suoi occhi. Riusciva quasi a vedere le immagini e le idee che prendevano forma dietro quelle iridi cristalline, terrificanti e seducenti, esattamente come il loro padrone. Non era il bianco il suo colore, ogni goccia di luce sembrava infrangersi addosso a lui, risucchiando tutta l'aria che Cara avrebbe voluto respirare in quel momento.


Questa ragazzina misteriosa...”


Lasciò passare una ciocca dei suoi capelli color platino tra le dita, sfiorandole appena la pelle col dorso della mano. C'era un mezzo sorriso sul suo viso, non uno di gioia o d'umorismo, bensì un sorriso compiaciuto e beffardo, quello di chi pregusta l'atto finale della propria tragedia


...che è riuscita ad entrarmi nella testa come niente fosse...”


Lasciò scorrere il dito giù lungo il suo braccio sottile, lasciando una scia di piccoli brividi


...che sapeva esattamente cosa volevo...”


Le accarezzò piano il palmo della mano, guardandola tendersi come una corda di violino


...Che sembra conoscermi meglio di chiunque altro al mondo...”


Smise di toccarla e tuffò gli occhi nel blu profondo ed agitato di quelli di Cara


...Dimmi ragazzina. Cos'è che voglio adesso?”


Avrebbe potuto suonare come una domanda retorica, ma non lo era affatto. Dall'alto della sua torre d'avorio, forte della sua armatura di ghiaccio, Joseph sperava davvero che almeno lei potesse leggergli la mente, che almeno lei potesse portare un attimo di chiarezza in quella dolorosa confusione.


Cara si leccò le labbra e si perse nelle sue pupille. Poteva vedere nulla più che il suo stesso riflesso, ma tanto bastava per avere tutte le risposte


Vuoi vendetta...”


Iniziò con la parola più banale


...Vuoi che William muoia...”


Strinse il proprio abito tra le dita


...Vuoi che sia lento... lungo.. E straziante...”


Descriveva il delitto come avrebbe descritto il più erotico degli incontri, con la voce bassa ed il respiro profondo, passando le mani sui fianchi nel tentativo di spegnere il calore che le stava rapidamente crescendo dentro.


...Vuoi che muoia guardandoti negli occhi, sapendo esattamente perché sta morendo...”


Joseph l'ammirava come si ammira il raro capolavoro di un artista, totalmente assorbito dalle sue labbra e dal suo inconsapevole e sensuale ondeggiare


...Vuoi essere libero. Libero da tutto questo.”


Non aggiunse altro e stavolta fu lui a leccarsi le labbra, accarezzandola ancora una volta con gli occhi dall'alto in basso. Forse la ragazzina dell'aereo non aveva tutte le risposte, ma di certo sapeva come portare la sua mente a livelli completamente diversi. William era adesso un pensiero lontano, come fosse già morto, ucciso dalle sue fantasie. Tutto ciò che gli sembrava di sentire in quella stanza era l'odore dell'eccitazione di Cara.


Hai dimenticato una cosa.”


Provocò lui. Cara prese un respiro profondo ed abbassò gli occhi, riprendendo l'aspetto della più innocente creatura. Joseph sentì le mani fremere ed i pantaloni farsi ancor più stretti


Già...”


Lei risollevò lo sguardo col labbro tra i denti


...Vuoi strapparmi i vestiti di dosso.”


////////


Nel corridoio che portava allo studio di suo padre l'aria sembrava improvvisamente farsi fredda. Elia si passò la mano sulla fronte mentre sudava freddo. Era la prima volta che guardava in faccia William dopo le rivelazioni di suo fratello e non aveva idea di come avrebbe reagito. Non sapeva però cosa lo spaventasse di più, l'eventualità di sentirsi paralizzato e disgustato o la più probabile possibilità di non sentir nulla. Quasi certamente era davvero un mostro senza emozioni e varcando quella soglia l'avrebbe presto scoperto.


William l'accolse di spalle mentre sistemava un volume sulla mensola più bassa della libreria


Era ora che ti facessi vedere figliolo.”


Si voltò nella sua mattiniera serietà, avvolto nella giacca di lino grigia che teneva aperta sul gilet dello stesso colore. Dietro di lui il grosso orologio d'ebano batteva ogni secondo come una martellata. Nulla sembrava diverso dal solito.


Sono stato piuttosto impegnato.”


Già...”


William sospirò tamburellando sulla scrivania


... Pare che tu abbia venduto le mie proprie europee al caro Pushkin.”


Elia sollevò un sopracciglio


Le mie proprietà padre.”


L'anziano sospirò tirandosi su dalla poltrona di pelle. Sollevò l'indice


Partiamo da un presupposto figliolo...”


Aggirò il mobile e gli fu di fronte


...Tutto quello che tu e i tuoi fratelli pensate di possedere non è affatto vostro. Tutto proviene da me.”


Una prima ondata d'acidità sembrò riempire la bocca di Elia mentre l'altro continuava


Vuoi spiegarmi la ragione di una simile trattativa?”


Elia si sforzò di respirare a fondo, cercando con tutte le proprie forze di non pensare alle parole di Joseph.


Katrina...”


Rispose ed il vecchio aggrottò le sopracciglia


...L'ho riportata a casa.”


William tornò serio di colpo, come se quella rivelazione fosse del tutto inaspettata. Afferrando i lembi della giacca raggiunse il mobile bar e si versò un dito di buon whisky. Poco importa che la lancetta più corta sfiorasse a malapena le nove. Mandò giù e si voltò nuovamente verso suo figlio


In tutto onestà figliolo, sono deluso.”


Elia spalancò le braccia perdendo la sua aplomb per qualche secondo


Perché? Non era questo che volevi? Che mi riprendessi ciò che è mio?”


L'altro contemplò l'idea d'un secondo bicchiere, ma poi si limitò a sospirare, sfoderando un improbabile sorriso


Spero solo che tu abbia imparato la lezione...”


Passò il dito sul bordo del bicchiere vuoto


...Tieni tua moglie tranquilla. Tienila soddisfatta. Tienila fuori dai tuoi affari.”


Moglie. In quel momento pensare a sua madre fu inevitabile.


Posso farti una domanda padre?”


William sembrò spiazzato per un istante, ma annuì non di meno.


Certo. Chiedi pure.”


Elia inspirò a fondo


Come hai fatto a perdonare la mamma?”


Chiaramente non era la domanda che poteva aspettarsi. Lo sguardo di William si fece più scuro di colpo, ma lo sdegno si tramutò presto in una maschera seria senza ulteriore espressione


L'ho riportata a casa, le ho lasciato tenere il suo piccolo bastardo... ma non ho mai detto di averla perdonata.”


A quelle parole un brivido gelato attraversò Elia dalla punta dei piedi alla cima dei capelli. Aveva perfettamente senso, tutto prendeva perfettamente senso.


Figliolo?”


William lo riportò alla realtà con una pacca sulla spalla. Elia si tirò indietro immediatamente, senza controllo sui propri muscoli.


Ho bisogno che tu stia concentrato Elia...”


A quel punto suo padre tornò a sedersi alla scrivania come nulla fosse


...Sto aspettando un grosso carico d'armi dalla Serbia e mi aspetto che tu sia lì a gestire le trattative con me. Dopotutto sei tu il mio erede.”


Il mio erede. Quelle parole lenivano il suo shock come un balsamo malefico, accarezzando la parte più presuntuosa ed egoista della sua psiche. Elia scosse la testa cercando di tornare lucido.


E saluta tua moglie da parte mia.”


Che fosse sarcastico o meno, Elia prese al volo quel saluto e si avvicinò alla porta. Non riusciva a decifrare il suo stesso stato d'animo. L'aria in quella stanza sembrava irrespirabile, eppure continuava a soffiargli addosso senza nemmeno toccarlo.


Padre?”


Sì Elia?”


Restando di spalle sentì i muscoli tendersi


Tu hai...”


Qualsiasi cosa volesse dire era sparita, fuggita via più veloce della luce


Ho cosa figliolo?”


Tutte quelle domande erano decisamente insolite.


Ucciso nostra madre per caso?


Elia scosse la testa e spinse giù la maniglia


Non importa.”


Corse fuori dallo studio ed incappò nella scia di profumo di Nathaniel.


Hey fratello!”


Eccolo lì, nella sua più completa e vanesia ingenuità


Finalmente facce familiari, iniziavo davvero ad annoiarmi!”


Elia cercò di risvegliare la sua bocca asciutta


Hai visto Joseph ultimamente?”


L'altrò corrugò la fronte di fronte a tanta serietà


Non negli ultimi due o tre giorni. E non risponde nemmeno alle mie chiamate... Suppongo stia ancora smaltendo il suo epico fallimento.”


Elia annuì come se non lo stesse nemmeno ascoltando


Puoi farmi un favore Nate?”


L'altro scrollò le spalle


Certo.”


Se Joseph dovesse venire qui chiamami subito, ok?”


L'altro annusò l'insolita agitazione


Qualcosa che dovrei sapere?”


A cosa sarebbe servito coinvolgere anche il piccolo Nate? Elia scosse il capo e si sforzò di sorridere


Niente d'importante.”


Pur non essendo convinto, Nathaniel sapeva quand'era il caso di star fuori dalle lotte di potere tra i suoi fratelli, quasi potesse già vederli scontrare le corna o mordersi al collo solo per il posto da capobranco.


Ci vediamo fratello.”


Elia sfilò via e Nate riprese la strada verso il salotto, totalmente ignaro dell'orecchio di William attaccato alla porta. Solo quando fu certo che i suoi figli se ne fossero andati prese il telefono e digitò la chiamata breve


Damien sono io... Ho bisogno che sorvegli la casa di mio figlio... Elia, sì... E quella sgualdrina di sua moglie... Chiunque vedessi entrare o uscire chiamami immediatamente.”



//////////



Era lì nuda, coperta di sudore, che fissava il soffitto. Poteva ancora sentire la schiena inarcarsi... Le sue mani erano dappertutto... Le sue labbra sui suoi punti più sensibili... Il suo viso tra le gambe... Cara strinse le lenzuola tra le dita, proprio come aveva stretto i capelli di Joseph mentre lui l'assaporava, lento ed instancabile... Aveva chiuso gli occhi e serrato le labbra per non urlare, determinata a non perdere il controllo, nemmeno per un secondo.


Lui voleva sentirla gridare, voleva che urlasse il suo nome o quello di Dio, che quella voce gli risuonasse nelle orecchie per tutta la vita.


Voleva i suoi graffi sulla pelle, sperando di non vederli mai guarire.


Trovò di nuovo la sua bocca. Il corpo di Cara sembrava così piccolo sotto il suo peso, le sue lunghe gambe l'abbracciavano alla perfezione, così comodamente che, fosse stato capace di resistere, avrebbe prolungato quella tortura all'infinito.


Lei trattenne il fiato quando lo sentì entrarle dentro... Lento... Quasi dolce perfino... Così crudele da farle assaporare ogni istante di quel contatto, costringendola ad ascoltare il tumulto delle sue emozioni.


Quando aprì finalmente gli occhi lui era lì, immobile dentro di lei, le pupille piantate nelle sue.


Spostando il peso su un solo gomito aveva sollevato la mano e le aveva accarezzato il viso, spostandole dalla fronte una ciocca di capelli. Quel semplice gesto le aveva provocato un'esplosione nel petto, più forte di qualsiasi orgasmo, sballo o gioia che avesse mai provato in vita sua.



Aiutami ad ucciderlo.”


Dici davvero?”


Non è quello che volevi dall'inizio?”


Se ne stette lì seduta sul letto e basta, mentre il calore di lui l'avvolgeva lentamente, cercando di capire che razza di trucco fosse... Non era passato molto dall'ultima volta in cui l'aveva visto perdere il controllo, perso e disperato.

Ora sembrava determinato, fermo, di nuovo forte come l'assassino senza pietà che avrebbe dovuto essere.

Sembrava serio.

Sbottonava piano la camicia.

Stregante.


Di nuovo le fu vicino e Cara indietreggiò sulle coperte


Mi hai distrutto la vita...”


Iniziò, seguendo il suo inutile tentativo di star lontana


...Mi hai fatto quasi impazzire...”


La inchiodò alla testiera del letto, rapito per qualche secondo dalla magnifica visione della spallina che le scendeva sul braccio


Eppure ti voglio...”


Si avvicinò proprio a quella spalla ora scoperta


...Ti voglio in continuazione...”


Ora le dormiva accanto, pancia sotto su quel materasso da quattro soldi, le braccia strette al cuscino ed il viso rilassato di chi non chiude occhio da giorni. Respirò a pieni polmoni tracciando la linea dei suoi muscoli e del suo profilo, il suo profilo perfetto.


Non voglio andarmene.

Non voglio fuggire.


Non voglio più fuggire.


Il pensiero le fece sollevare la schiena in un istante, preoccupandosi solo dopo di averlo potuto svegliare. In lontananza l'orologio del campanile rintoccava le prime ore del mattino. Fortunatamente Joseph non si mosse.


Mise i piedi a terra ed afferrò i suoi vestiti sparsi per il pavimento. Si rivestì nel più completo silenzio, senza preoccuparsi di sistemare viso o capelli. Aveva assoluto bisogno di uscire da quella stanza prima che lui si svegliasse, la sua nuda presenza tra quelle quattro mura le impediva di pensare lucidamente.


///////


Quando Joseph finalmente aprì gli occhi, la stanza era quasi completamente inondata di luce, segno che ormai il sole cadeva a picco su New Orleans. Stirò gambe e braccia tra le lenzuola, le lunghe ore di sonno avevano dato sollievo al suo cervello, ma i suoi muscoli pativano ancora la lunga ed appassionata attività della notte prima. Trattenne il ghigno che minacciava di affacciarglisi in viso e constatò l'assenza di Cara dal suo fianco. Nulla di più prevedibile. Nonostante fosse esattamente ciò che s'aspettava non si sentì meno deluso, se non altro nel proprio intimo, perché a voce alta non l'avrebbe mai ammesso, né a lei né a nessun altro.


Sospirando tirò su la schiena ed allungò nuovamente le braccia. Eccola lì, seduta silenziosamente sulla stessa poltrona dove lui l'aveva attesa la sera prima. Aveva il viso pulito ed i lunghi capelli sciolti sulle spalle. Non sembrava felice, tanto meno delusa o arrabbiata. Era semplicemente lì che lo fissava, chissà da quanto.


Joseph non seppe cosa dire, girò gli occhi per la stanza e solo allora si accorse dei bicchieri di carta poggiati sul piccolo tavolo/scrivania accanto alle buste di carta marrone. Ogni singola cosa riportava il marchio del CaFé Noir, una caffetteria non troppo distante dall'hotel.


In quel momento Cara decise finalmente di parlare


Il tuo caffé é freddo ormai.”


Disse atona e lui tornò a guardarla, sentendosi un completo idiota.


Grande Joseph! Per la prima volta quest'essere umano prova ad aprirsi con te e tu, come un coglione, dormi fino a mezzogiorno.


Provò in qualche modo a sorriderle, ma lei non rispose al gesto. Accavallò le gambe e intrecciò le mani sul ginocchio scoperto


Allora, qual è il piano?”


Joseph cercò di accendere il cervello al volo, ma era ancora troppo stordito dal sonno e dalla scena che aveva appena vissuto. Sentiva la bocca impastata e non avrebbe affatto disdegnato una doccia bollente. Si schiarì la voce


Posso almeno lavarmi la faccia prima?”


Lei annuì abbassando lo sguardo e trattenne la voglia di sbirciare mentre Joseph raccoglieva ed indossava boxer e jeans. Che fosse così maledettamente bello anche appena sveglio, coi capelli scompigliati ed i segni del cuscino sul viso, era una vera ingiustizia.


Gli sfilò davanti e stette non più di cinque o dieci minuti chiuso in bagno. Tornando nella stanza, ancora a petto nudo, si bloccò di fronte al tavolo e non si trattenne dal guardare dentro le buste della caffetteria. Dopotutto il suo stomaco brontolava e negli ultimi giorni non aveva visto nulla più che alcool e salatini. Trovò un po' di tutto in quei sacchetti, dai croissant ai muffin, dalle omelette ad un improbabile sandwich che profumava di funghi o salmone affumicato.


Guardò Cara che fissava ancora il pavimento, sentendosi i suoi occhi addosso fu però costretta a ricambiare lo sguardo sorpreso di lui. Scrollò le spalle cercando di non mostrare l'imbarazzo che lottava per tingerle le guance di rosso carminio


Non avevo idea di cosa ti piace.”


Lui addolcì lo sguardo. Era la prima cosa gentile che Cara faceva per lui, la prima cosa gentile che qualcuno faceva per lui da tanto tempo. Forse c'era davvero una speranza per loro.


Grazie.”


Rispose convinto, ma a mezza voce. Non era una parola che diceva spesso. Allungò la mano nel sacchetto e decise di iniziare dal dolce al cioccolato.


Anche se sapeva che non avrebbe dovuto importargli, Cara prese mentalmente nota di quella scelta. Girò rapidamente il volto perché davvero, dopo averlo visto nudo, arrabbiato, disperato o contorto dall'orgasmo, non voleva vederlo anche mangiare. Le azioni più semplici creano confidenza e lei era già convinta che fossero andati troppo in là.


Che cosa vuoi fare?”


Joseph mandò giù l'ultimo boccone seguito da un sorso d'acqua, poi si pulì distrattamente le mani sui jeans e si sedette sul letto


Non posso andare a casa e sparargli un colpo in fronte.”


Appunto.”


Lui sospirò


Elia conosce le mie intenzioni. A questo punto immagino che la villa sia già sorvegliata da cima a fondo.”


Lei scavallò le gambe e raddrizzò la schiena


Credi che abbia detto a William quello che vuoi fare?”


Joseph fissò il nulla per pochi istanti poi scosse la testa


No. Anche se considera William una specie di dio, sono sicuro che cercherà di risolvere le cose nel modo più pacifico possibile.”


Cara prese a masticarsi in labbro


E se invece l'avesse fatto?”


Lui inspirò sollevando le sopracciglia


Non resterei vivo più di cinque minuti una volta uscito da qui.”


I loro occhi si incrociarono ancora una volta. L'entusiasmo era sempre lì, ma realismo, tensione e tristezza cercavano d'ammantarlo. Era pericoloso, unirsi in quel piano ed uscire da quella stanza senza sapere esattamente cosa li attendeva fuori era decisamente pericoloso. Per quanto bastardo William teneva comunque le redini della città ed a quel punto, quando ormai metà delle carte erano già scoperte, sarebbe stato difficile sorprenderlo.


Che facciamo allora?”


Joseph non abbandonò il suo sguardo mentre verbalizzava l'idea più plausibile


Le guardie che Elia avrà piazzato aspettano me. Immagino siano pronte a scattare appena mi avvicinerò alla villa, ma di certo non mi spareranno a vista.”


Che vuoi dire?”


Che darò a loro e ad Elia ciò che esattamente vogliono...”


Lei aggrottò le sopracciglia


...Uscirò da qui ed andrò dritto a casa.”


Cara sembrò ancor più confusa


Tutto qui? L'hai appena detto anche tu, non puoi semplicemente entrare e sparare.”


Joseph sollevò l'angolo della bocca


E qui entri in scena tu...”


Lo sguardo di lei s'aguzzò alla prima ondata d'adrenalina


...Una volta preso me abbasseranno la guardia. Tutti pensano che tu sia ormai fuori dal quadro e di certo non s'aspettano di vederci collaborare.”


Che dovrei fare?”


L'anticipò lei come una bimba impaziente.


Ti dirò esattamente come intrufolarti alla villa senza essere notata e una volta dentro dovrai aspettare il momento giusto per muoverti. Elia avrà sicuramente deciso di isolarmi e farmi il lavaggio del cervello, ma prima o poi si stancherà e mi lascerà solo. Solo allora dovrai raggiungermi e tirarmi fuori...”


Si fermò a prendere fiato


...A quel punto saremo dentro, liberi di agire.”


Il cuore di Cara batteva forte sotto le costole, già la scena le sfilava davanti come in un film.


Quando vuoi farlo?”


Joseph inspirò a pieni polmoni una volta ancora, portando gli occhi alla finestra che dava sulla via gremita e pulsante. Non vedeva l'ora di trovarsi a tu per tu con William, solo loro due ed il suo coltello, tuttavia la bocca dello stomaco si stringeva fuori dal suo controllo. Forse non sarebbe mai nemmeno arrivato alla villa, forse Elia l'aveva davvero tradito nel peggiore dei modi, probabilmente avrebbe perso la vita o comunque tutta la sua famiglia. Sentiva gli occhi di Cara addosso ed il peso di quello sguardo continuava a piacergli, lontano da tutto e tutti, godendo dei loro corpi e delle loro fantasie. Quella bolla di sapone era la più accogliente in cui si fosse mai rifugiato.


Appena avrò calcolato tutto.”


Espressa la sentenza Cara iniziò a sentirsi scomoda nella poltrona. Stava lasciando ogni cosa in mano a lui, come un comune soldato di fronte al proprio comandante. Non poteva fidarsi di lui. Accantonato il fatto di aver più volte indugiato nel piacere carnale erano comunque nemici, giusto? Venivano ancora da pianeti diversi e condividevano nulla più che il desiderio di veder morire un essere spregevole. Una volta ucciso William non sarebbe rimasto nulla tra loro. Così sperava. Così temeva.


Si passò le mani sulle ginocchia fredde, si bagnò le labbra


Pensi di stare qui nel frattempo?”


Lui sollevò le spalle


E' il posto più sicuro per me.”


Cara annuì abbassando gli occhi al pavimento. Non faceva una piega, nessuno lo avrebbe cercato nella sua stanza d'albergo. Si sollevò in silenzio e sollevò la sua borsa sul lato del letto che Joseph non stava occupando. Iniziò a ficcarci dentro i pochi stracci sparsi per la camera


Che stai facendo?”


Le chiese genuinamente sorpreso. Lei sfilò in bagno ad afferrare spazzola e spazzolino.


Li gettò sgraziatamente nella stessa borsa


Se tu starai qui, io mi troverò un altro posto.”


Joseph si alzò e la guardò muoversi alla rinfusa


Puoi anche restare.”


Cara si bloccò di scatto e gli propose la sua espressione più seria


Non voglio stare qui con te.”


Ancora una volta Joseph si sentì uno stupido. Quella risposta secca non avrebbe dovuto provocargli alcuna reazione, di certo non fargli male.


Non ti sei certo lamentata la notte scorsa.”


Ribatté, più sgarbato di quanto avrebbe voluto. Non desiderava certo che lei capisse di averlo ferito.


Cara trattenne il suo sguardo deciso per qualche secondo in più, poi abbandonò la borsa e raggiunse il piccolo tavolo. Gli indicò il caffé ormai gelato ed i sacchetti di carta


Questa non sono io...”


Joseph sospirò. Il problema era sempre lo stesso. Nessuno dei due voleva sentirsi vulnerabile. Nessuno dei due voleva sentire.


...A me non importa cosa ti piace o non ti piace...”


Gli fu di fronte, il braccio sinistro teso lungo il fianco e l'altra mano piantata nello stomaco


...Queste cose che sento non significano niente. Non sono niente...”


Lui si limitò ad annuire lentamente


...Non starò qui con te.”


Ribadì infine, appena prima di tirare la zip della borsa e cercare il suo giubbotto. Joseph non aggiunse o ribatté nulla, diventano una presenza invisibile al centro della stanza.


Ti chiamerò qui, così saprai dove trovarmi.”


Di nuovo nessuna risposta. Cara passò velocemente davanti allo specchio e sistemò i capelli sulla spalla, poi aprì il cassetto del comodino e si infilò in tasca il suo contenuto, all'apparenza nulla più che un documento ed un paio di fogli piegati.


Infilò ai piedi un paio di sneakers senza nemmeno slacciarle e sollevò la borsa che non pesava più di qualche chilo.


Non voleva davvero andarsene, ma il suo codice di valori la obbligava a fuggire. Non poteva davvero provare qualcosa per Joseph Michaelson. Se fosse arrivata a quel punto nessuno avrebbe più potuto salvarla, nemmeno un altro Robert Mancini.


Aprì la porta senza nemmeno salutarlo, ma immediatamente la stessa porta le si richiuse davanti spinta dalla mano di Joseph, più grande, in alto e forte della sua.


Sentiva il peso di lui spinto contro la schiena, il suo respiro deciso nei capelli, poteva vedere ogni muscolo del suo braccio ancora teso contro il legno.


Resta qui.”


Erano le parole di una preghiera, ma gli uscirono di bocca come un ordine.


Cara chiuse gli occhi mentre la barba incolta di Joseph le pizzicava il lato del viso. Col braccio libero le circondò la vita


Non voglio nulla più che il tuo corpo...”


Le sussurrò all'orecchio, un secondo prima di far forza e costringerla a voltarsi verso di lui


...Te lo prometto.”


Non era esattamente vero, ma se lo sarebbe fatto bastare.


///////


Elia entrò in casa sua come una furia, buttando con forza la giacca sul divano. Era così frustrante per lui non sapere cosa fare.


Dove sei stato?”


Da dietro la voce di Katrina lo raggiunse come un macigno dritto sulle spalle. Si voltò verso di lei


Ma non ti stanchi mai?”


Ribatté scocciato con un'altra domanda. Lei, ancora appoggiata allo stipite della porta della cucina, sgranò i grandi occhi scuri


Perché io, in tutta onestà Katrina, sono stanco...”


Allentò la cravatta


...Voglio dormire. Voglio farmi una doccia. Di sicuro non voglio sentire i tuoi sproloqui.”


Si avviò verso le scale


Non so nemmeno perché ti ho riportata qui.”


Quelle parole fecero vacillare la perfetta facciata di sua moglie per un istante. Elia non poté nemmeno vederla tremare, dato che era di spalle, ma ciononostante si fermò dopo pochi gradini. Usare quel tono e quello sdegno non era da lui, il Michaelson famoso per la sua calma, la sua lealtà e la sua gentilezza. Aver già perso un punto fermo era abbastanza, non serviva dare il via all'ennesima orribile giornata.


Tornò giù, guardando la donna a piedi nudi che gli stava di fronte


Ero a parlare con mio padre.”


Si spiegò con poche necessarie parole. Di rigetto vide Katrina tendersi come una corda di violino e trattenere a stento una smorfia.


Rise tra sé e sé


Anche tu...”


Allargò le braccia guardando al cielo


...Possibile che abbiate tutti la stessa reazione? Appena nomino mio padre è come se avessi nominato satana!”


Katrina evitò di usare il suo tono più sprezzante, ma nondimeno rispose


Lui è un mostro.”


Suo marito scosse la testa


Davvero? E a te cos'ha fatto?”


Stavolta lei abbassò lo sguardo tenendo il labbro tra i denti


Come immaginavo.”


Sottolineò Elia davanti al suo silenzio


Non dovresti ascoltare lui.”


Riprese Katrina cercando d'essere il più possibile convincente. Lui sollevò un sopracciglio


E chi dovrei ascoltare? Te? Non mi hai certo mentito meno di lui.”


Fantastico. Il festival dell'ovvietà sembrava pararglisi dinanzi. Esattamente come previsto lei strinse i pugni e si fece avanti


Ti dirò la verità Elia. Stavolta ti dirò la verità.”


Lui scosse la testa


Non sai neanche cosa voglia dire quella parola.”


William non vuole il tuo bene. Vuole solo controllo... E potere.”


Ti prego, dimmi qualcosa che non abbia già sentito un milione di volte.”


Katrina prese fiato


Non ho mai voluto uccidere te o tuoi fratelli...”


Sfoderò lo sguardo ammaliante con cui più e più l'aveva incantato


Volevo uccidere solo tuo padre. Così sarebbe stato fuori da mia vita. Da nostra vita.”


Quel maledetto accento. Come poteva amarlo ed odiarlo allo stesso tempo?


Non è certo lui il nostro problema.”


E' nostro problema!”


Il tono di Katrina si sollevò, richiamando la completa attenzione di Elia


Hai sempre messo lui in primo posto.”


Non sapeva davvero se sentirsi offeso oppure in colpa, ma al momento il rimorso sembrava poter vincere su tutto il resto


Avevo un piano.”


Elia si sedette sul terzo gradino poggiando i gomiti sulle ginocchia


Che piano?”


Il tono era esasperato, non sapeva che altra invenzione aspettarsi da Katrina


Sono andata via. Sono andata dai merli perché sono unici che possono competere con voi...”


Le fece cenno di continuare, non avrebbe saputo come ribattere


...Tu non avresti mai ascoltato mie ragioni, ma loro potevano aiutarmi a togliere tuo padre da nostra strada... Per avere nostra vita.”


Lui scosse di nuovo la testa


Non capisco. Credi davvero che uccidere mio padre sarebbe stata una specie di dimostrazione d'amore?”


Katrina era visibilmente nervosa, tremava tutta senza nemmeno accorgersene


Con padre che tu hai? E' cosa migliore che posso fare per te.”


Stavolta gli venne sul serio da ridere. Cosa poteva mai saperne Katrina di suo padre? Era arrivata dritta dalla Russia pochi anni prima e si erano scambiati a malapena dieci parole in tutto.


Non capisci?”


Riprese lei sbattendo i piedi sul pavimento


Senza di lui avresti più potere di tutti tuoi fratelli. Saresti re di tutto questo!...”


Anche lei spalancò le braccia


...Ma senza un capo che dice tutto quello che devi fare. Senza paura... Senza vergogna di amare tua moglie.”


La sua voce si abbassò di colpo, lasciando Elia nel silenzio a guardarla. Non si era mai vergognato di amarla anzi, era forse stata la più bella scoperta della sua vita. Ne era terrorizzato, questo è vero, ma aveva cercato poco per volta di sgretolare i propri muri. E' anche vero che non lo avrebbe mai urlato ai quattro venti e forse mai nemmeno ammesso davanti a William o ai suoi fratelli, ma nondimeno l'amava.


Katrina, dal suo canto, continuava a pensare a tutte le volte che era rimasta sola tra quelle mura, tutte le volte in cui William aveva chiamato ed Elia era corso via come un cagnolino al richiamo del suo padrone. Amava la lealtà di suo marito, ma avrebbe tanto voluto che quella stessa lealtà fosse stata rivolta a lei e non solamente a quel mostro che lui chiamava padre.


Non mi sono mai vergognato di te.”


Precisò davanti alla rabbia, mista a tristezza, che le tingeva il viso. Katrina tenne i pugni stretti benché improvvisamente sentisse la voglia di piangere


Mi hai nascosta qui, come se fosse mia prigione. Sempre sola. Sempre zitta.”


Quelle parole gli trafissero il petto. Non solo era persona ignobile senza sentimenti, non solo era uno schifo di fratello, era anche il peggiore dei mariti. Ormai oltre i suoi trentacinque anni, non c'era una sola cosa che avesse fatto bene nella sua vita, nemmeno quella che aveva amato di più.


Mi dispiace.”


Riuscì a dire tra le labbra. Avrebbe avuto voglia di raggiungerla e magari toccarla, ma tutto ciò che fece fu afferrare la giaccia ed uscire di nuovo, ripetendo lo stesso schema malato che Katrina gli aveva appena rinfacciato.


Lei sospirò sentendo la porta sbattere. Avrebbe voluto spaccare a pugni ogni cosa che aveva attorno, ma doveva contenersi se sperava prima o poi di recuperare un po' della fiducia persa.


Quando bussarono alla porta pensò immediatamente che Elia fosse tornato sui suoi passi e corse ad aprire.


Divenne bianca come un lenzuolo alla vista di suo suocero, serio come una lapide sull'uscio della sua casa.


Non si sprecò a chiedere il permesso di entrare


Dovrei dire bentornata, ma sai già che non sarà un felice ritorno.”


Katrina chiuse la porta. Aveva imparato qualche trucco o due negli ultimi anni, stavolta poteva difendersi.


Che cosa vuoi?”


Lo sfidò. Per quanto ne sapeva avrebbe tranquillamente potuto avere una pistola in tasca con un colpo in canna destinato a lei, ma la ragione le urlava che non avrebbe mai ucciso la moglie del suo figlio preferito nel loro soggiorno.


Lui divenne una maschera di ghiaccio


Non sei nella posizione di fare domande Pushkina.”


Le si avvicinò minaccioso


Non saresti dovuta tornare.”


Lei sollevò il mento, determinata a mostrare che stavolta non l'avrebbe intimidita


Elia ha pagato per me. Cose avrei dovuto dire? No? Avrei dovuto spiegare lui perché?”


William sembrò sputar fumo dalle orecchie di fronte a tanta audacia. Sentì le mani formicolare al chiaro desiderio di farle del male


Se gli hai raccontato qualcosa ti strangolo con le mie stesse mani.”


Katrina deglutì. Avrebbe potuto farlo, fregandosene di Elia o addirittura inscenando una nuova fuga. Si sforzò di respirare


Pensi che parlerebbe ancora con te se sapesse verità?”


L'altro aguzzò lo sguardo


Bene.”


Come fosse il padrone di casa raggiunse la bottiglia di vino aperta sul bancone dalla sera prima e se ne versò un abbondante bicchiere. Lo mandò giù d'un fiato


Io ho rispettato la mia parte dell'accordo. Tu perché sei di nuovo qui?”


Katrina digrignò i denti e strinse i pugni


Noi non abbiamo accordo! Tu hai obbligato me ad andare via!”


Lui quasi sorrise, ancor più agghiacciante della sua più seria espressione


Questione di semantica cara Katrina... Questione di semantica.”


Le girò attorno come un predatore. Nonostante l'aspetto un po' attempato era ancora perfettamente in grado di mettere in soggezione le sue vittime da solo, senza l'aiuto di schiavi e scagnozzi. Le si parò di fronte e le toccò i capelli sciolti sulle spalle. Katrina si ritrasse sforzandosi di trattenere l'ampio disgusto. Lui sorrise


Mi aspetto che tu sparisca. Stavolta per sempre.”


Lei indietreggiò appena un po'


E se non volessi?”


William tuonò in una fragorosa risate che immediatamente morì tra le sue labbra coperte di barba


Dimmi Katrina, tu vuoi morire?”


La russa respirò a pieni polmoni cercando di ridarsi un tono, nella mente ripassò rapidamente ciò che Morgan Pryce e gli altri merli le avevano insegnato. Drizzò la schiena come una gatta e sfoderò il suo sguardo migliore


E tu vuoi che dica a Elia cosa hai fatto due anni fa?”


William sembrò pietrificarsi. Lei continuò


Anche se uccidi me adesso, Elia saprà che sei stato tu. Lui odierà te. Tutti tuoi figli odieranno te.”


Con uno scatto altrettanto felino William le chiuse la mano destra attorno al collo e la spinse al muro


Non è una guerra che puoi vincere sgualdrina russa.”


Le sussurrò all'orecchio facendola contorcere di disgusto e ribrezzo, cercando con la mano libera dei punti del suo corpo che mai e poi mai Katrina avrebbe voluto sentir toccati dal padre bastardo di suo marito. Si fece di pietra e non si mosse, se l'avesse provocato ancora un po' avrebbe quasi certamente dovuto poi spiegare i suoi lividi ad Elia, non si sa con quali parole.


Sparisci da qui.”


Concluse lui mollandola con un'ultima spinta sgraziata. Con un colpo secco della porta fu finalmente fuori di lì.







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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


capitoloXV

CAPITOLO XV



Quando aveva detto di volere nulla più che il suo corpo, nel momento in cui aveva tacitamente accettato quell'accordo, di certo Cara aveva sottovalutato le capacità dell'uomo che gliel'aveva proposto. Le gambe le facevano male, gli addominali tiravano e sotto le dita riusciva a sentire i due lividi all'altezza del bacino che sembravano non voler più guarire. Sei giorni, sei interi giorni in cui non avevano fatto altro che provare ad evitarsi per poi accoppiarsi come animali sulla prima superficie utile.


Succedeva così, a volte dal nulla, a volte in risposta a qualcuno dei suoi acidi commenti, altre volte alla fine dell'ennesima lite sul da farsi. Qualsiasi cosa significasse, di certo li aiutava a non legare troppo, costretti com'erano sotto lo stesso tetto. Consumavano i pasti in silenzio, condividendo poi lo stesso letto ogni notte, lui dal proprio lato e lei che gli dava le spalle, stringendo sé stessa negli ultimi venti centimetri di materasso. Poteva sentire gli occhi di Joseph che le accarezzavano le spalle per poi tornare a fissare il soffitto, aveva qualcosa da dire, ma continuava a trattenersi, consapevole del fatto che lei non avrebbe voluto ascoltare.


Ci aveva provato. Aveva provato ad accettare la sua presenza tra quelle quattro mura, fingendo che non fosse nulla di diverso dall'avere tra i piedi Morgan o Little K, ma la realtà l'aveva presto smentita. Tre sere prima aveva diviso con lui un sacchetto di patatine davanti alla tv. Il silenzio era esattamente lo stesso. Cara si era voltata distrattamente verso di lui ed era rimasta a guardarlo mentre si leccava il sale dalle dita. Joseph aveva intercettato il suo sguardo curioso e per una volta, senza lussuria e senza malizia, le aveva sorriso. Il suo minuscolo cuore aveva sobbalzato, mettendosi a battere forte. Da quel momento le condivisioni si erano interrotte ed i suoi occhi raramente lasciavano il pavimento. L'unico argomento consentito era il piano per uccidere William.


Il sesso era tutta un'altra storia. Senza vestiti ogni parola era concessa, soprattutto qualsiasi cattiveria potesse venire fuori dalle labbra di Joseph e portarla all'orgasmo ancor più velocemente. Era arrabbiato con lei, così profondamente arrabbiato da farle scontare le sue colpe ogni volta che poteva. Contro il muro, sul pavimento, su quella pidocchiosa poltrona.


Ed eccolo lì, entrare dalla porta interrompendo i suoi pensieri prima che scavassero troppo a fondo. Era uscito nel cuore di quella notte fredda, indossando nulla più che dei jeans ed una t-shirt grigia, per incontrare il suo uomo, una delle guardie di suo padre disposta a rischiare la pelle per consegnargli le mappe dei sotterranei della villa. Conosceva le gallerie sotto quei terreni come il palmo della sua mano, ma non sarebbe potuto essere al fianco di Cara mentre le attraversava e voleva che tutto fosse preparato alla perfezione.


Stese la mappa sul letto dopo aver preso a calci l'ennesimo cartone della pizza che gli intralciava il cammino


Vieni qui.”


Le ordinò piuttosto atono, aspettando che si alzasse dal suo angolino sul pavimento e lo raggiungesse. Cara obbedì al comando senza proteste, portandosi al suo fianco a piedi nudi, scrutando le linee confuse che spiccavano sulla carta giallastra. Joseph si chinò abbastanza da raggiungere un punto preciso del disegno col polpastrello dell'indice


Entrerai da qui...”


Il suo dito prese a scorrere sulla carta


...Destra. Sinistra. Dritta fino al secondo snodo. Destra di nuovo e sali la scala fino alla botola.”


Lei ripercorse la traccia immaginaria lasciata dalla sua mano


Destra. Sinistra. Dritto fino al secondo. Destra.”


Ripeté a mezza voce ancora una volta benché quelle istruzioni fossero già incise a fuoco nella sua mente. Lui continuò invece ad esplorare la cartina, cercando bene che non ci fossero variazioni fatte negli ultimi anni che lui ignorava. Tutto sembrava a posto. Rimasero a fissare il foglio ancora per un minuto, poi lei si allontanò per prima


Sei sicura di avere tutto chiaro?”


Chiese Joseph continuando a darle le spalle. Non gli serviva voltarsi per sapere che stava fissando la moquette con sufficienza.


E' il mio lavoro. Sono capace di farlo.”


Lui strinse i pugni, ormai abituato a sentire i nervi solleticati da quel tono distaccato, quasi saccente. Era cambiato tutto di botto, proprio nel momento in cui pensava di essere riuscito a scalfire la sua solida corazza. L'aveva vista rilassata, riempirsi la bocca di schifezze come se non ci fosse un domani, appallottolarsi tra le lenzuola e cercare più calore avvicinandosi piano al centro del letto. Aveva visto il suo lato umano, apparso lentamente e poi sfuggito in un batter d'occhio. Ora stava andando dritta in bagno, senza più degnarlo di uno sguardo.


Fermati.”


Cara bloccò i passi sulla soglia del bagno, attendendo la sua calda presenza alle spalle. Malgrado i muscoli chiedessero già pietà, non avrebbe disdegnato un altro round. Era tesa, nervosa, perfino spaventata al pensiero dell'ultima missione che di lì a poco avrebbe affrontato. Le serviva una distrazione efficace.


Il braccio di Joseph le cinse la vita e strinse, forte. L'altra mano le afferrò i capelli e tirò. La barba incolta le solleticava l'orecchio e la curva del collo appena scoperti


Non c'è bisogno di fare la stronza...”


Piazzò un primo bacio umido sulla sua pelle


...O l'insolente.”


Il suo tono era suadente, ma autoritario, il suo tocco leggero, ma possessivo. La vide chiudere gli occhi e capì di avere ancora una volta libero accesso. Era il loro gioco e lui doveva giocare. Aveva promesso di non chiedere nulla più di quel corpo e l'orgoglio gli impediva di ammettere che era ormai stanco. Non di lei, no, solo di quella partita, della freddezza, del dover essere dominatore a tutti i costi. Aveva bisogno di qualcosa in più, soprattutto adesso che la sua vita volgeva al punto di svolta. Sarebbe morto o sarebbe stato libero, non c'era via di mezzo.


Allentò la presa appena un po' per sollevare l'orlo della maglietta di Cara e sentire la sua pelle contro la propria. Aveva davanti il lavandino del bagno e decise che proprio lì l'avrebbe presa, da dietro, tanto per testare una nuova variazione sul tema. Prima però l'avrebbe spogliata. Tutta.


Nonostante avesse un gran bel corpo, la ragazzina sembrava avere problemi con la propria nudità. Pareva sempre ritrarsi, cercando di nascondersi nel buio o dietro le proprie mani, quasi riuscisse a provare della genuina vergogna. L'idea lo faceva eccitare.


Strinse di nuovo la presa, mordendo la tenera carne della sua spalla, cercando la zip dei suoi jeans con la mano libera. Cara se li lasciò sfilare lungo i fianchi, calciandoli via non appena sul pavimento. Solo allora lui la spinse dentro la piccola stanza dalle piastrelle color pervinca e contro il bordo della fredda ceramica. Immediatamente poggiò i palmi su quello stesso gelido materiale, aspettando trepidante che lui facesse tutto il resto. Joseph le sollevò velocemente la t-shirt sulle spalle e senza troppa grazia gliela sfilò dalla testa. Cara cercò subito di voltarsi verso di lui, ma Joseph la spinse di nuovo giù sul lavandino, il suo tentativo di protesta presto soffocato dalla sua mano sulla labbra


Nessuna chiacchiera. Guarda e basta.”


Ordinò con un cenno del viso rivolto allo specchio che avevano davanti. Cara incontrò i suoi occhi riflessi sul vetro e rimase immobile mentre lo guardava sbottonare i pantaloni, scuro e freddo come al solito. La guardava ancora con lo stesso disperato desiderio, ma mal celava la rabbia e l'odio che gli si mescolavano dentro. Avrebbe probabilmente provato lo stesso identico piacere nel sbatterle la testa al muro.


Cara sentì il tessuto leggero della biancheria accarezzarle le gambe e si tese come una corda di violino. Abbassò le palpebre appena un attimo, ma immediatamente sentì le sue dita sotto il mento


Ti ho detto di guardare.”


Quel tono glaciale le faceva tremare le ginocchia e contrarre le viscere, ma non era certo eccitante quanto quella scintilla, quell'impeto di passione e speranza che aveva spinto il Lupo a lottare per lei e che adesso sembrava sparito. Per colpa sua.


Le afferrò la vita con le mani ancora una volta, stringendo con fermezza mentre la penetrava con una sola spinta decisa. Cara strizzò gli occhi per un istante e lui non poté non apprezzare quella smorfia di dolore. Non voleva che soffrisse, ma nemmeno che le piacesse troppo. Per avere ancora la sua completa attenzione la ragazzina avrebbe dovuto mettere sul piatto molto più che le sue sole carni. Un paio di gambe tornite ed una vagina calda non erano certo abbastanza per uno nella sua posizione. Joseph voleva scalfire lo spessore del suo orgoglio, voleva veder la sua corazza sanguinare il fuoco delle sue emozioni e convincersi attraverso lei che qualcuno al mondo l'avrebbe finalmente amato di nuovo.


Spinse ancor più forte pensando a Mancini, digrignando i denti al cocente pensiero che proprio lui tra tutti possedeva l'anima di quella donna. Forse l'aveva anche scopata per primo, prendendosi la sua verginità e la sua innocenza per sempre, rendendola inservibile, lasciandogli null'altro che un guscio vuoto in cui riversare le sue inutile fantasie. L'immagine delle mani del vecchio su quella stessa pelle infuocarono l'ira che aveva dentro, trasformando quell'amplesso in una tortura. Conficcò le dita nella carne di Cara fino a toglierle il respiro, spingendo come un forsennato e da un angolo innaturale che sapeva avrebbe fatto null'altro che male contro le sue pareti interne. Lei tentò di sollevarsi , ma la sua forza la teneva giù, con gli occhi piantati contro lo specchio. Joseph non la stava più guardando però, fissava il vuoto perso in non si sa quali pensieri, gli occhi anneriti dalla rabbia e la mascella serrata. Le sue mani la stavano ferendo deliberatamente ed il dolore che sentiva dentro aveva ormai cancellato ogni ombra di passione.


Ba.. Basta.”


Balbettò. Il suo respiro appannò il vetro, ma la sua voce non coprì il rumore dei loro corpi che sbattevano con violenza. Ancora una volta cercò invano di sollevarsi dalla sua morsa e lanciò indietro il braccio destro cerando di colpirlo e riportarlo alla realtà. Un pugno. Due pugni. Un colpo ancora contro il braccio, più forte che poteva.


Fermati.. Ti prego basta!”


Lui si congelò all'istante, finalmente immobile. Nel battere inesorabile del suo cuore poteva ora sentire il lontano ma pesante respiro di Cara. Abbassò lo sguardo lì dove le sue dita avevano ormai lasciato profondi segni rossi ed immediatamente ritrasse le mani. Inaspettatamente lei non si mosse. Teneva di nuovo la testa giù, non abbastanza bassa da nascondere quella sola singola lacrima che pendeva dal monte del suo zigomo, pronta a cadere e sparire tra altre mille gocce d'acqua, come non fosse mai stata lì.


Joseph sentì il mondo fermarsi. Era anche quella un'emozione, ma non certo la stessa che aveva sperato di farle provare.


Mi... Mi dispiace.”


Fu un suono appena udibile. Non abbastanza da farla smuovere. Provò a toccarla di nuovo, ma non ne ebbe il coraggio. Le sue gambe tremavano, ma non accennava a volersi muovere o a voler dire qualcosa. Un nuovo tipo di panico gli si dipinse in volto in quel silenzio assordante. Era davvero un mostro dopo tutto.


Dopo brevi secondi che a lui sembrarono ore finalmente Cara si mosse, sollevandosi piano, facendo ben cura che i loro occhi non si incrociassero più in quel maledetto specchio. Si voltò sentendosi più nuda di quanto già non fosse, incapace di guardarlo in faccia e chiedergli di sparire il più veloce possibile dalla sua vista. Se avesse aperto bocca, fosse stato anche solo per una sillaba, tonnellate di lacrime e singhiozzi si sarebbero riversati senza sosta. Se lo sentiva dentro quel fiume in piena, pronto a trascinarla via.


Mi dispiace.”


Ripeté lui, ancora esitante, ma più convinto di pochi secondi prima, pronto a sollevare piano una mano alla ricerca del suo viso. Cara scosse subito la testa e lui si ritirò, senza sapere che pensieri diametralmente opposti affollavano le loro menti. Non lo stava scacciando per paura di lui, e nemmeno per il dolore fisico, a quello era abituata. Ciò che la teneva incollata a quelle mattonelle era il timore di frantumarsi tra le sue mani, l'immensa sorpresa ed il terrore di desiderare un po' di umano conforto, la voglia di essere abbracciata.


Come quasi potesse leggerle nella mente Joseph fece un altro tentativo, allungando le dita e sfiorandole appena la guancia. Cara chiuse gli occhi, ma stavolta non si mosse, lasciando che pian piano le spostasse una ciocca di biondi capelli arruffati dietro l'orecchio.


Scusami.”


Sussurrò e fuori dalle sue labbra fu una parola così strana e preziosa che quell'onda la travolse ancora, affacciandosi ai suoi occhi ancor più prepotente. Joseph non poté non notare il bordo delle sue ciglia che diveniva lucido e d'improvviso, mentre lo stomaco gli si torceva dietro le costole, si sentì a disagio davanti a quel corpo nudo che tanto amava. Senza chiedere più permessi la sollevò di peso tra le braccia e la portò in stanza, adagiandola sulle lenzuola sgualcite con quanta più delicatezza possibile. Tirò su le coperte fino alle spalle e solo allora lei riaprì gli occhi. Gli fu immediatamente chiaro che tratteneva un singhiozzo di pianto con tutte le sue forze, le labbra serrate e le iridi lucenti che lo fissavano in cerca di qualcosa, non aveva idea cosa.


Fu come un miracolo che gli si palesava davanti, esattamente come il primo momento in cui l'aveva vista. Il suo cuore prese a battere veloce ancora una volta e decise che, proprio come su quell'aereo, anche stavolta avrebbe giocato tutta la sua fortuna.


Delicatamente salì sul letto e le si sdraiò accanto, sopra le coperte ma abbastanza vicino da poter poggiare la testa sul suo stesso cuscino. L'odore dolce dei suoi capelli gli riempì il naso non appena posò le labbra sul suo scalpo. Allungò il braccio e le cinse la vita ancora una volta, nel più inesperto e tremolante abbraccio di sempre. Lo spasmo delle spalle di Cara lo fece quasi ritrarre, ma non gli ci volle molto più di una manciata di secondi per realizzare che non lo stava scacciando. Stava piangendo.


Il suono delle sue lacrime riempì la stanza sovrastando ogni altro rumore, singhiozzava e tremava come una foglia, totalmente spogliata di ogni superbia ed ogni armatura, immensamente piccola e fragile nel suo grande abbraccio.


Era qualcosa di completamente nuovo per tutti e due, lei disperata e lui terrorizzato, del tutto ignaro di cosa avrebbe dovuto dire o fare. Avrebbe voluto accarezzarle i capelli e sussurrarle dolci nonnulla nelle orecchie, ma le sue mani pesavano come massi e la sua lingua era incollata al palato.


Cara aveva ormai le guance infiammate ed il respiro corto, ma non riusciva a fermarsi, neanche provando con tutte le sue forze. Improvvisamente la realtà le era crollata addosso da tutti i punti, colpendola di forza coi macigni del dolore e gli schiaffi sonanti della paura. Era sola ed impaurita come quella sera nella toilette della Salle de Paris, troppo piccola e debole per affrontare i mostri che la circondavano. Le mancava sua madre e le dolevano tutti i lividi e le cicatrici dei colpi presi. Le mancava il suo letto ed il profumo dei panni puliti. Non ne avrebbe più avuti, non avrebbe più avuto nulla eccetto quel vuoto dentro, quell'enorme voragine che inghiottiva tutto ciò che toccava, che minacciava di mandarla giù tutt'intera.


Riusciva bene a sentire il corpo di Joseph accanto al suo e quel calore la faceva sprofondare ancor più in fretta nell'oblio. Non voleva e non poteva aver bisogno di lui. Se l'avesse lasciato entrare, quel pesto buio avrebbe presto masticato anche lui, lasciandola senza cuore e senza più nemici da combattere.


William.


Un altro sussulto l'attraversò da capo a piedi. Il terrore. E se non fosse stata abbastanza forte? E se non fosse stata abbastanza brava? Non era la morte a spaventarla, ma l'idea che forse nulla sarebbe cambiato, quel dubbio strisciante con cui aveva sempre convissuto, ma che solo ora urlava libero nella sua testa. Joseph aveva ragione. I suoi genitori non sarebbero più tornati. Nessuno l'avrebbe più abbracciata.



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Elia spalancò gli occhi di colpo. Gli ci vollero un paio di secondi almeno per mettere a fuoco la stanza e capire che si trovava nel suo studio, con la faccia spalmata sulla scrivania ed il braccio destro addormentato. Si tirò su lentamente, allungando la schiena affinché quelle fitte dolorose sparissero il prima possibile. Non ricordava come e quando si fosse addormentato, l'ultima reminiscenza un sms da uno dei suoi collaboratori che confermava di non aver visto Joseph avvicinarsi alla villa. Prese immediatamente il telefono in mano e controllò che non ci fossero nuovi messaggi. Nulla. Suo fratello sembrava sparito nel nulla. L'aveva cercato dappertutto in quei giorni, in tutti i posti che era solito frequentare, ma niente, nessuno sembrava averlo più visto o sentito. L'idea che si fosse lasciato la vendetta alle spalle non lo sfiorava nemmeno da lontano, temeva piuttosto che stesse preparando un colpo in grande stile e che alla fine della fiera sarebbe riuscito solo a farsi ammazzare.


Si passò una mano sulla faccia cercando di scrollarsi definitivamente il sonno di dosso. Era così frustrato che non riusciva più a mangiare né a riposare decentemente, le sue camicie erano ormai sempre stropicciate e la sua barba non veniva rasata da almeno tre giorni.


Era anche stato alla tomba di sua madre con un mazzo di rose gialle. Aveva fissato la lapide per quasi mezz'ora sperando che il riverbero del sole sul marmo bianco gli illuminasse la mente. Niente. Continuava a sentirsi vuoto ed inerme come al solito.


Si trascinò fino alla doccia e per mezz'ora almeno lasciò che lo scroscio dell'acqua gli riempisse la mente. Dov'era Joseph? Che cosa stava tramando? Sarebbe mai riuscito a fermarlo? E cosa avrebbe fatto William se lui non fosse arrivato in tempo? Gli si torse lo stomaco. Quella domanda aveva già una riposta. Lo avrebbe ucciso senza pensarci due volte e lui avrebbe perso suo fratello. La famiglia viene prima di tutto per un Michaelson ed Elia continuava a chiedersi incessantemente se avesse dovuto seguire solo il sangue o ascoltare il film nella sua testa che continuava a riproporre tutti i ricordi della sua infanzia. Joseph era sempre lì con lui. William no.


Scese le scale e fu avvolto dall'odore forte di qualcosa di caldo e saporito. Fu come entrare nella sua cucina in una domenica mattina nel periodo di Natale, aspettandosi pile di piatti sporchi nel lavandino ed i piatti del servizio buono sulla tovaglia di lino bianco. Katrina gli dava le spalle, tutta indaffarata sul piano di lavoro. I lunghi capelli scuri raccolti in un chignon spettinato ed il corpo avvolto in un grembiule verde che lasciava appena intravedere l'abito chiaro che indossava sotto. Gli si strinse il cuore, sicuro per un attimo di essersi di nuovo addormentato sotto la doccia.


Si schiarì la voce e Katrina si voltò immediatamente, scattando sul posto e quasi rovesciando la ciotola che teneva tra le mani. Prese un lungo respiro e tentò di sorridere, ma quello stesso sorriso le morì subito tra le labbra. Tornò a dargli le spalle


Il pranzo è quasi pronto.”


Esordì, fingendo di essere più interessata allo sportello del forno che a lui. La bocca di Elia salivava di già per la fame, ma era nuovamente incerto sul da farsi. Non era la prima volta che Katrina tentava l'approccio “come se nulla fosse mai successo”, solo che lui non era ancora pronto a lasciar andare l'ascia di guerra


Non dovevi.”


Le rispose restando impalato e continuando a fissare la sua schiena. Lei sembrò scuotere il capo come per ricomporsi e finalmente si voltò di nuovo


Mangia...Per favore.”


Senza aggiungere altro Elia prese posto a tavola e rimase in attesa della sua prossima mossa. C'era qualcosa di diverso in Katrina, qualcosa che ancora non riusciva ad identificare, ma che certamente gli dava un pensiero in più. Aveva smesso con gli attacchi diretti, senza più urlare o pararglisi di fronte come una furia. Aveva lasciato che si rifugiasse ogni notte nel suo studio senza proferire parola, senza più piangere le sue lacrime di coccodrillo. Ciononostante pareva più tesa di prima, sfilava per casa dritta e guardinga come un'aquila, cercando di tenersi impegnata in faccende casalinghe che mai prima l'avevano interessata.


Un piatto traboccante di arrosto e patate gli comparve sotto gli occhi. L'odore intenso della carne e del rosmarino gli riempì le narici. Quando aveva imparato a cucinare? Rimase immobile ancora un po' aspettando che anche lei prendesse posto a tavola, tuttavia Katrina non si mosse dalla sua nuova posizione davanti al lavandino. Sentiva i piatti sporchi scontrarsi violentemente l'uno contro l'altro, ma all'apparenza tutto continuava a sembrava inverosimilmente calmo.


Si ficcò in bocca un primo boccone e rimase immediatamente colpito dal sapore ricco che andava risvegliando le sue papille gustative. Quella donna era davvero un mistero, bella ai suoi occhi come nessun'altra, così tanto che a stento riusciva ancora a trattenersi.


Si alzò piano dopo l'ultimo boccone ed un sorso di vino bianco, stringendo il suo piatto sporco tra le dita. La raggiunse alle spalle e la vide immediatamente irrigidirsi. Katrina bloccò ogni movimento lasciando che l'acqua continuasse a scorrere da sola, in attesa nulla più che dell'ennesima ammonizione da parte di suo marito. Avvertì il suo calore alle spalle ed inaspettatamente sentì la mano di Elia posarsi sul suo fianco sinistro con delicatezza, sfiorandola appena mentre l'altra si allungava a poggiare il piatto ormai vuoto nel lavandino.


Grazie.”


Lo sentì pronunciare in tutta la sua imperturbabile grazia, il suono attutito alle sue orecchie come se provenisse da metri di distanza. Quelle stesse dita le indugiarono addosso abbastanza da farle chiudere gli occhi per un istante e dimenticare tutto ciò che avevano attorno.


Elia aveva pianificato quell'azione della sua mente, un semplice gesto gentile per ricambiare la cortesia di quel pranzo. Non aveva però calcolato quanto sarebbe stato difficile staccarsi da lei, così piccola contro la sua mole e così profumata. Sapeva bene di doversi allontanare il prima possibile, ma non riusciva a muovere mezzo passo. Quando finalmente pensò di farcela, sentì di colpo la mano bagnata di Katrina sulla sua che supplicava di non lasciarla andare proprio adesso. Invece di indietreggiare come avrebbe dovuto fare, rimase attaccato a lei ancora un po', sfiorandole il capo col viso e respirando la sua dolce essenza. Solo allora gli sembrò di riuscire finalmente a sentire qualcosa, solo ora che stringeva tra le mani la stessa donna che gli aveva spezzato il cuore.


Katrina...”


Sussurrò il suo nome in una debole richiesta. Voleva che lo lasciasse andare, ma allo stesso tempo voleva stringerla ancor più forte e trascinarla fino alla loro camera da letto, quello stesso letto che da troppo tempo non vedeva l'intreccio di due corpi caldi. Le mani fremevano contro la stoffa ruvida del suo grembiule e quasi cedettero a quel languido pensiero, giusto un attimo prima che si sentisse battere forte contro la porta d'ingresso della loro casa.


Tump. Tump. Tump.


Elia si staccò immediatamente da quel mezzo abbraccio gettando gli occhi all'orologio. Chi poteva essere? Katrina invece non si mosse nemmeno, quella era la loro fortuna, un destino beffardo che trovava sempre il modo di separarli. Riprese ad occuparsi dei piatti sporchi esattamente da dove aveva lasciato.


Elia lisciò la camicia ed andò ad aprire la porta. Un ragazzo dai capelli biondicci che riconobbe quasi immediatamente come Rob, nuova recluta di suo padre, sorrise porgendogli un cesto avvolto nel cellophane trasparente


Da parte di suo padre Signor Michaelson.”


Osservò scetticamente quell'offerta, ma non di meno la prelevò dalle mani del ragazzo


Grazie Rob.”


L'altro rispose con un nuovo sorriso ed un saluto militare mentre la grande porta gli si chiudeva in faccia. Elia ripose immediatamente il cesto sul tavolo e ne osservò il contenuto. Vino rosso, cioccolatini al caramello e sigari pregiati. Passò allora ad esaminare il biglietto che portava sopra la caratteristica ed irripetibile firma di suo padre. All'interno stava un cartoncino bordato d'oro che portava le sue iniziali ed un messaggio nella sua calligrafia. Erano invitati ad una cena alla villa il prossimo sabato. Elia rivoltò il biglietto tra le dita un paio di volte, strano che suo padre continuasse a mandare omaggi ed inviti a casa anche se si vedevano o sentivano praticamente tutti i giorni. E' vero che la sua mente era stata particolarmente altrove negli ultimi giorni, tuttavia non aveva lasciato trapelare alcun sospetto alla presenza di William.


Solo allora Katrina emerse dalla cucina senza più il grembiule addosso, avvolta solamente nel suo morbido abito color avorio. Le sue iridi si posarono immediatamente sul cesto e senza che proferisse parola Elia chiarì i suoi dubbi


Un altro omaggio da parte di mio padre.”


Katrina respirò a fondo per non sgranare gli occhi di fronte a lui. Quelli non erano gentili omaggi, bensì silenti minacce nei suoi confronti.


Siamo invitati alla villa questo sabato.”


Stavolta sentì le ginocchia minacciarla di interrompere il loro sostegno


Io non verrò.”


Sentenziò. Nulla di più scontato per le orecchie di suo marito, anche se Elia non riusciva ancora a capire da dove venisse tutto quel disprezzo. I regali di William restavano a marcire sul pavimento o finivano diretti nella pattumiera, senza che Katrina avesse mai assaggiato un singolo biscotto o annusato uno solo di quei fiori. Lei sfilò su per le scale lasciandolo solo ancora una volta, del tutto privo della voglia di controbattere.


Katrina si chiuse dietro la porta del bagno girando immediatamente la chiave nella toppa. Le mancava il fiato. William era dappertutto e da ogni angolo si sentiva i suoi occhi addosso. Anche se teneva tutte le porte e le finestre chiuse sapeva che lui la stava osservando e che presto o tardi avrebbe fatto la sua mossa. Aveva solo tre opzioni per risolvere quel problema: chiedere aiuto a suo padre, raccontare la verità ad Elia o fuggire di nuovo, stavolta più lontano e per sempre.


L'idea di contattare Vladijmir l'aveva sfiorata più di una volta, ma non avrebbe portato a nulla più che ad una nuova guerra. Era abbastanza grande da risolvere i suoi problemi da sola, era una regina dopo tutto.


Elia. Se gli avesse raccontato di quell'ultima notte più di due anni prima, se gli avesse raccontato di come William l'aveva convinta a sparire, allora la terra gli sarebbe crollata sotto i piedi. Voleva liberarsi di suo suocero in ogni modo, ma non voleva che fosse proprio Elia a pagarne le conseguenze, senza contare che probabilmente avrebbe di nuovo perso quell'ombra di fiducia che con tanta tenacia e tanta pazienza sembrava essersi riconquistata.


Restava l'opzione numero tre. La fuga senza più ritorno. Ci aveva già provato, ma i suoi stessi piedi l'avevano riportata al punto di partenza. Aveva pensato a suo marito ogni singolo giorno, sentito la mancanza del suo abbraccio forte ogni singola notte. Non avrebbe sopportato quella tortura di nuovo, non sapendo che stavolta sarebbe durata per sempre. Inspirò a fondo. Non poteva permettergli di metterla al tappeto ancora una volta, doveva trovare il modo di reagire. Ed in fondo forse un modo c'era, una quarta opzione che non aveva ancora realisticamente vagliato. Poteva ucciderlo, poteva farlo fuori con le sue stesse mani senza bisogno dei merli o di chiunque altro.


Elia l'avrebbe odiata. Elia non l'avrebbe mai compreso, nemmeno sapendo la verità.



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Era già più che mattina inoltrata quando Joseph sentì quei fastidiosi raggi di sole tentare di ferirgli gli occhi. Ancor prima di aprirli il ricordo della notte precedente gli piombò addosso con tutta la sua pesante mole e solo allora si accorse di essere esattamente nella stessa posizione. Sotto il braccio poteva ancora sentire il corpo di Cara che respirava piano nel silenzio della loro stanza. Mosse appena le dita ed avvertì distintamente di non essere più a contatto con la coperta, ma di avere addosso nulla più che la sua pelle. Nel sonno doveva essersi scoperta.


Valutò l'idea di fingersi addormentato ancora per un po', godendo nel suo intimo di quella vicinanza. Non aveva mai visto nessuno piangere così, nemmeno i tizi che aveva massacrato senza pietà, nemmeno sua madre nei suoi momenti peggiori. Adesso la ragazzina dell'aereo dormiva beata tra le sue braccia e nessun rumore al mondo sembrava più piacevole di quei respiri lenti e cadenzati. Che cosa gli aveva fatto? Dove era finito il famoso Lupo che tutti temevano e rispettavano? Dovunque fosse in quel momento, non ne sentiva la mancanza.


Non resistette all'urgenza di aprire gli occhi ed apprezzare lo spettacolo dei suoi capelli sparsi sul cuscino. Brillavano nel sole ed incorniciavano a meraviglia il pallido profilo del suo viso sprofondato nel cuscino. Il silenzio le donava più di ogni abito avesse mai indossato, vestendola di una luce del tutto sua, la stessa abbagliante luce che aveva risvegliato il cuore sopito di Joseph Michaelson. Se solo fosse rimasta sempre così, ferma e zitta tra le sue braccia. Quella lingua pungente era probabilmente in grado di uccidere più uomini di tutte le sue armi messe insieme.


Controvoglia si mosse piano per risvegliare qualcuno dei suoi muscoli. Aveva dormito un'altra volta vestito e adesso ne avrebbe pagato le conseguenze per tutto il giorno. Solo che oggi non era un giorno come un altro, oggi era il giorno alla cui fine il piano avrebbe preso il via. William sarebbe morto entro la prossima mezzanotte o giù di lì. A quel pensiero una nuova ondata d'adrenalina e piacere lo attraversò da capo a piedi e di nuovo guardò verso Cara. Il suo corpo era ancora nudo sotto le lenzuola e si lasciava intravedere abbastanza da suggerirgli un piacevole modo per farsi perdonare dopo l'ultima volta. I suoi occhi accarezzarono adagio la curva della spalla seguendola lungo il braccio fino al gomito piegato, lì dove i loro arti si sfioravano. Contrastò il bisogno di toccarla per non svegliarla ed interrompere quelle pace, ma i suoi occhi continuarono a rimirare la lattea perfezione della sua schiena. Salì e discese la sua colonna vertebrale un paio di volte prima che quel dettaglio gli saltasse finalmente al naso, bloccando all'istante la lascivia dei suoi pensieri mattutini. Aguzzò lo sguardo, ma non poté avere dubbi. Quel giorno diventava migliore ad ogni secondo che passava.


Cara aprì i suoi occhi, gonfi e pesanti, solo mezz'ora più tardi. Sentiva freddo e pigramente ficcò le braccia di nuovo sotto le coperte. Nel momento in cui riuscì a muoversi senza alcun intralcio, d'improvviso realizzò che le mancava qualcosa, il peso addosso di Joseph. Strizzò le palpebre cercandolo mimeticamente con la coda dell'occhio. Non c'era. Per fortuna. Davvero non se la sentiva di affrontare i suoi occhi pietosi di prima mattina. Si tirò su lentamente riprendendo possesso della stanza e della realtà, gli occhi bruciavano ancora e facevano fatica a restare aperti, nulla di più atteso dopo il piagnisteo della sera prima. Si coprì il volto con le mani scacciando la vergogna che andava annunciandosi sulle sue guance. Come aveva potuto perdere il controllo così vistosamente? Scosse il capo. Si sentiva più leggera e più rilassata, tuttavia poteva solo guardare con terrore la porta della stanza. Aveva dato a Joseph esattamente ciò che voleva, un appiglio per credere che dentro di lei ci fossero ancora sentimenti, che potesse ancora provare ciò che lui sperava... Se fosse stata sincera per una sola frazione di secondo in vita sua, avrebbe anche potuto lasciargli sapere che qualcosa c'era davvero dentro di lei, qualcosa che continuava a bruciare ininterrottamente. Di nuovo scosse la testa. Come l'avrebbe guardata? Cosa avrebbe detto? Come avrebbe potuto continuare a nascondersi da lui? Sospirando scivolò di nuovo sotto le coperte avvolgendosi nel buio. Era il loro grande giorno.


Quando finalmente trovò il coraggio di attraversare quella soglia, Joseph sedeva tranquillamente sulla poltrona reggendo una rivista tra le mani. “Moto e motori”. Cara trattenne l'istinto di sollevare le sopracciglia scetticamente e ringraziò il cielo di essere magicamente invisibile ai suoi occhi. Inspirò più silenziosamente che poteva, sistemò i capelli sulla spalla e decise di attraversare la stanza fino alla prima risorsa d'acqua disponibile. Solo nel momento in cui gli passò materialmente davanti, Joseph lasciò cadere la rivista:


Dormito bene?”


Cara riuscì chiaramente a cogliere il suo tono e, del tutto incredula, voltò lo sguardo verso di lui. Un sorriso beffardo campeggiava sul suo viso, rilassato e splendente come fosse tornato un ragazzino, le iridi luccicanti di palese reale buonumore. Sentì la pressione salire immediatamente alle stelle mentre il suo viso s'infiammava di rabbia ed imbarazzo


No...”


Intimò stringendo i pugni


...Togliti immediatamente quel sorriso dalla faccia se non vuoi che ti prenda a calci.”


Aveva cercato di essere il più minacciosa possibile, ma evidentemente lui la trovava divertente stamane, tanto era difficile trattenere quel fastidioso sorrisetto. Joseph sospirò distogliendo lo sguardo per primo, si schiarì la voce ed indicò le buste sul tavolo. Era stato il suo turno di comprare la colazione.


Oggi è un grande giorno. Ho pensato che un caffè e delle calorie extra potessero farti comodo.”


Cara si rilassò lentamente e raggiunse il fumante bicchiere di cartone. Il primo sorso andò giù come velluto. Doppio zucchero e un goccio di latte. Joseph era senz'altro un osservatore migliore di lei. Era sul punto di ficcare la mano nel sacchetto alla ricerca di una ciambella quando la voce di lui la inchiodò di nuovo


Dov'è finito il tuo tatuaggio?”


Domandò casualmente, quasi non fosse una bomba appena sganciata in territorio nemico. Cara si congelò e stavolta il suo viso passò da roseo a bianco cadavere in pochi istanti


Quale tatuaggio?”


Tentò di mantenere la stessa aplomb, ma dentro andava maledicendosi. Come aveva potuto dimenticarsene e dormire completamente nuda accanto a lui? Era il suo segreto e Joseph non avrebbe mai dovuto scoprirlo, era già abbastanza debole ai suoi occhi. Lui si alzò e la raggiunse lentamente, nelle sue iridi un accenno del predatore che era sempre stato


Il marchio di Mancini...”


Cara gli diede subito le spalle per nascondere il panico che le si dipingeva in volto, ma Joseph non si lasciò sfuggire l'occasione. Poggiò il dito esattamente nel punto in cui l'aveva visto, il ricordo indelebile nella sua mente


Era qui. Ricordo perfettamente il momento in cui l'ho visto, il giorno in cui ti sei rivelata.”


Fece una pausa per riprendere fiato. Quel momento era davvero inciso nella sua memoria.

Lei chiuse gli occhi scoprendo qualcosa di nuovo e di terrificante. Il tocco di Joseph attraversava il suo abito blu come fosse fuoco, facendola ardere non di sola lussuria come al solito, bensì di imbarazzo.. e vergogna.. e timore, incertezza.. e trepidazione. Era quasi insopportabile e Cara scattò voltandosi verso di lui


Non ce l'ho ok?!”


Joseph indietreggiò di un passo e lei riprese allargando le braccia in arresa, segnalando che ormai era rimasto ben poco di cui lui potesse ancora spogliarla


Non me lo sono ancora meritato...”


Le parole le uscirono a forza, quasi ferissero le sue labbra morbide e carnose


...Devo uccidere tuo padre prima.”


Concluse stringendo i pugni ancora una volta e guardando dritto nei suoi occhi azzurri. Era stanca di sentirsi come una bambina, se voleva prenderla ancora in giro bene, l'avrebbe lasciato fare, ma senza lasciargli la soddisfazione di vederla piangere anche una sola singola lacrima in più. Joseph ricambiò quello sguardo con altrettanta tenacia, ma il suo viso si aprì quasi subito in un nuovo sorriso, lasciandola senza parole e senza respiro


Non sei una di loro.”


Diede voce al pensiero che gli affollava la mano da quando era sveglio. Se Mancini non l'aveva ancora marchiata, Cara era ancora libera, libera di fuggire da quella faida continua, libera di appartenere a chiunque volesse. Il nodo nel suo stomaco si sciolse in quella consapevolezza e tentò di raggiungerla, prendendole il viso tra le mani. Cara riprese finalmente contatto con la realtà ed afferrò i polsi di Joseph con le proprie dita, cercando di allontanare i palmi dalle sue guance bollenti


Sono comunque una di loro...”


Avrebbe voluto essere più decisa che mai, ma la speranza che leggeva negli occhi di lui continuava a farle girare la testa


...Quel tatuaggio non cambia niente.”


Fu il suo turno di scuotere il capo, Joseph si mosse di nuovo verso di lei, cercando ancora di toccarla


Non capisci?”


Di nuovo afferrò il suo volto tra le dita trovando quegli stessi occhi blu, grandi e tremolanti


Tu non gli appartieni... Non sei sua... Sei libera...”


Cara si sentì come se stesse entrando in una qualche forma di trance, quegli occhi le scavavano dentro ad ogni respiro, cercando qualsiasi piccolo dubbio o debolezza a cui aggrapparsi. Quel calore addosso e quel suo profumo riuscivano a mandarla completamente in confusione, lasciandole credere che dopotutto avesse ragione, che fosse ancora possibile cambiare le cose. Non lo era, non più. Troppo sangue si era asciugato sulle sue mani e troppa crudeltà avevano visto i suoi occhi.


...Quando tutto questo sarà finito...”


Cara fuggì dal suo tocco lasciando a metà le parole di Joseph


Allora cosa?”


Di nuovo aveva allargato le braccia in rassegnazione, lasciandole cadere senza resistenza sui suoi stessi fianchi


Cosa cambierà? Cosa sarò mai libera di fare...”


Cercò gli occhi di Joseph mandando giù quel fastidioso boccone di paura e d'imbarazzo


...Innamorarmi di te magari?”


Lui trattenne il respiro, pensando che a quel punto sia Cara che l'intero palazzo potessero sentire i potenti colpi del suo cuore contro le costole. Era la prima volta che quell'ipotesi usciva dritta dalla sua bocca senza suonare come uno scherno pietoso, quasi ci stesse pensando davvero. Per la terza volta lui la raggiunse cercando un contatto diretto coi suoi occhi e con la sua pelle


Magari.”


Rispose in un sussurro e lei chiuse le palpebre, respirando quella possibilità per un secondo. Un secondo soltanto. E fece così male e così terrore che le riaprì immediatamente


Non succederà mai.”


Lui sembrò ferito per un istante, ma mise da parte l'orgoglio e strinse la presa attorno al suo viso


Puoi avere una vita tua lontana da tutto questo. Con o senza di me.”


Lei fece cenno di no con decisione


Non la voglio.”


Uscì dalla sua presa e si allontanò raggiungendo l'angolo opposto della stanza


Non ho nulla a parte questo. E nemmeno lo voglio... Sono un'assassina... Un mostro... Non avrò mai nulla più di questo.”


Lui si mosse richiamando l'attenzione di Cara. Rimase lontano abbastanza, ma non di meno attraversò la sua vista


Quindi è solo questo che vedi quando mi guardi? Sono solo un assassino, un mostro che non merita nulla?” Se valeva per lei, per lui era anche peggio.


Cara lo accarezzò con gli occhi dall'alto in basso. Aveva sempre saputo di avere davanti un killer professionista, nondimeno aveva visto i suoi splendidi lineamenti, ascoltato la sua voce vellutata e desiderato la sua pelle addosso. Nondimeno si era lasciata cullare nel sonno, mostrando la parte più fragile di sé proprio a lui. Era pericolosamente più vicina al precipizio di quanto avesse mai davvero realizzato


Sì.”


Gli sputò in viso benché non fosse vero. Joseph incassò il colpo abbassando gli occhi per un solo secondo, passando la lingua sul labbro superiore prima di guardarla di nuovo


Bene. Buono a sapersi.”


Voleva davvero credere che non fosse sincera, ma quel gioco correva troppo velocemente verso il suo estremo e Joseph non voleva finire ancora una volta per sentirsi come il ragazzino con l'apparecchio con cui nessuna ragazza delle superiori vorrebbe uscire. Lui era il Lupo. Poteva avere qualsiasi donna volesse. Fanculo la stronza.


Il silenzio aveva risucchiato la stanza sotto una coltre fredda e pesante. Erano entrambi immobili, freddi come statue. Cara poteva chiaramente vedere la sua schiena tendersi sotto la maglietta nera. Sapeva di essere stata gratuitamente cattiva ed iniziava a sentire la colpa farsi strada sotto i nervi tesi. Lei si sentiva davvero un mostro senza speranza, ma non aveva alcun diritto di proiettare quella paura su Joseph. Lui era chiaramente più forte di lei e chissà, magari avrebbe davvero potuto farcela un giorno. Un giorno dopo questo giorno. Un giorno dopo la vendetta.


Io non...”


Esordì senza sapere cosa avrebbe potuto dire. Fortunatamente lui la bloccò subito sollevando una mano


Ti sarei grato se stessi zitta.”


Il suo tono era diventato freddo come la stanza, le parole affilate come spade. Cara sospirò decidendosi a muovere qualche passo verso la stanza da letto.


E sarei ancor più grato se te ne andassi.”


Aggiunse lui con lo stesso tono, cogliendola totalmente di sorpresa. Cara sollevò un sopracciglio


E dove dovrei andare?”


Finalmente si voltò, il suo viso una maschera di freddo distacco


Onestamente non lo so e non mi interessa.”


Cara sospirò. Aveva chiaramente colpito un punto debole.


Ascolta. So che quello che ho detto...”


Le fu di fronte in un secondo, afferrandole il viso ancora una volta, stavolta stringendolo con una sola mano


Ascolta tu...”


Guardò dritto negli occhi sgranati di Cara. Qualsiasi cosa fosse, rabbia, cattiveria o umiliazione, era scritto a chiare lettere e non lasciava adito a dubbi. La modalità Lupo era di nuovo attiva.


Non sentirò più una sola parola uscita dalla tua bocca.”


Le si avvicinò pericolosamente, tanto che Cara poté sentire il suo respirò dritto in viso. Quegli occhi azzurri scavarono dritto fino a sfiorarle l'anima, quella mano ruvida strinse la presa ancor più forte


Hai ragione. Tu non meriti niente. Nemmeno da un mostro come me.”


Detto ciò mollò sgraziatamente la presa e di nuovo le diede le spalle. Cara riuscì a sentire chiaro il taglio netto nel suo ego e negli stessi sentimenti che con tanto ardore aveva nascosto. Era proprio quello che voleva, no?


Inspirando per l'ultima volta l'aria densa di quella stanza che sapeva di rabbia, di caffè e di sesso, strinse la maniglia nella mano


Ci vediamo stasera.”





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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


capitolo XVI

CAPITOLO XVI



Il sole iniziava a tramontare sulla città. Joseph se ne stava immobile davanti allo specchio. Aveva lavato il viso, lavato i denti, rasato la barba perfino. Fissava la sua stessa faccia, cercando di immaginare che espressione avrebbe avuto una volta in piedi di fronte a William, con la lama del coltello piantata nella sua gola. Poteva sentire i brividi alzargli la pelle e la bocca salivare al solo pensiero.


Un rumore dalla stanza lo fece trasalire ed improvvisamente ripiombò nella realtà


Hey?”


La rossa nel suo letto era rotolata fin quasi al comodino e, col viso appoggiato sulla mano, teneva un gran broncio da troia per attirare la sua attenzione. Non gli erano mai piaciute molto le rosse e questa qui in particolare era decisamente troppo rumorosa e sguaiata. Non aveva certo perso troppo tempo a scegliere del resto. Quand'era entrato in quel bar, scrutando la folla di ninfomani ed ubriachi, stava solo cercando un buco da riempire ed un profumo. Già, un profumo, uno abbastanza forte e pungente da coprire quello di Cara sulle lenzuola. Questo in particolare stava quasi per farlo vomitare ad un certo punto, ma alla fine della fiera la ragazza aveva servito il suo umile scopo.


Fanculo amore e redenzione.


Ignorò completamente la sua presenza scivolandole di fronte per raggiungere la maglietta bianca che aveva intenzione d'indossare per l'occasione. L'altra protruse le labbra e sollevò il sopracciglio, ancora convinta che i suoi zigomi cesellati ed il suo bel nasino alla francese fossero armi abbastanza affilate da ingabbiare qualsiasi uomo.


Era sul punto di parlare ancora, ma lui la precedette


Devi andartene adesso.”


Buttò lì senza nemmeno guardarla con la coda dell'occhio. La rossa sospirò e, suo malgrado, venne fuori dalle lenzuola per raccattare i suoi quattro stracci


E' stato davvero bello, sai?”


Joseph continuava a tenere l'attenzione al livello più basso possibile, cercando solo di concentrarsi su ciò che l'aspettava


Lo so.”


Rispose casualmente, mentre la ragazza giocava con le unghie laccate di rosso. La sua piccola mente era sul punto di andare in fiamme, tanto cercava una frase brillante da dire che potesse convincere il gran figo che aveva davanti a scoparla di nuovo.


Ci vedremo ancora?”


Fu il suo meglio. Joseph si voltò finalmente verso di lei, accendendo in un secondo tutte le speranze della ragazza cresciuta a pane e “Pretty Princess”. Guardò dritto nelle sue iridi scure ed inalò per l'ultima volta quel profumo da quattro soldi


No.”


Sentenziò, poggiando delicatamente la mano sulla curva della sua schiena per poi spingere, stavolta con decisione, verso la porta. La rossa non ebbe tempo di elaborare una risposta, o magari riuscì a trovare una briciola di amor proprio cui aggrapparsi per non dire nulla ed incassare quel colpo con un minimo di dignità. La porta le si chiuse in faccia con un tonfo sordo.


Finalmente era solo di nuovo, pronto ad accarezzare l'unica pelle che in quel momento potesse desiderare, la lama gelida del suo pugnale più affilato. Il cellulare prese presto a vibrare contro il legno scadente del tavolino e lui se lo portò subito all'orecchio


Trovata.”


Dove?”


Non avrebbe dovuto interessargli, ma finse di volersi solo accertare che Cara non si stesse ubriacando in qualche vicolo in preda alla tensione.


Alla biblioteca pubblica.”


Bella scelta pensò, un posto caldo e tanto silenzio per riflettere. L'ombra di un sorriso gli sfiorò le labbra, solo per mezzo secondo. Doveva smettere di ammirarla, di valutare le sue scelte, di cercare d'allentare i meccanismi del suo cervello.


Lasciale la borsa e vattene.”


Quando aveva cacciato la ragazzina dalla stanza, non aveva certo tenuto conto delle necessità del caso. Come avrebbe potuto attraversare il bosco sulla collina, strisciare nei tunnel sotto la proprietà e bypassare le due guardie nel seminterrato con addosso nulla più che quella scusa di vestito? Avrebbe forse potuto sgranare gli occhioni e sorridere, magari avrebbe funzionato.


Tornò alla sua respirazione lenta e costante, aspettando i sette rintocchi dell'orologio sul campanile per uscire finalmente dall'albergo.



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Stretti pantaloni neri, un paio di anfibi ed una maglietta nera. Il portantino di Joseph aveva lasciato la borsa ai suoi piedi senza proferire parola, sparito nello stesso nulla da cui era apparso. E nella toilette della biblioteca pubblica era avvenuta la magia. Aveva raccolto i capelli in una crocchia spettinata ed indossato il giubbotto scuro che il Lupo aveva scelto per lei, abbastanza caldo da non farla rabbrividire nel settembre di New Orleans, ma abbastanza leggero da lasciarle tutta la libertà di movimento necessaria. La pistola in una tasca, la trasmittente nell'altra.


Cara tirò su il cappuccio e si coprì il viso aspettando il settimo rintocco del campanile. Era solo una macchia nera nel buio pesto e, prendendo un lungo respiro, prese a salire la ripida collina che accoglieva in cima la grande reggia dei Michaelson.


L'aria attraversava gelida le sue narici e non riusciva a non stringere forte la pistola che teneva nella tasca destra. Ancora ed ancora le conversazioni con Joseph risuonavano nella sua testa, più forti degli strepitii tra le foglie secche e degli ululati delle civette dopo il crepuscolo. I suoi occhi continuavano a fissare le luci lontane in cima alla salita, nascoste tra i grandi alberi ricoperti di muschio spagnolo e le palme taglienti. Non riusciva a scorgere la strada o i cancelli, ma sapeva che di lì a poco anche Joseph avrebbe attraversato quella soglia e non ci sarebbero più state scappatoie possibili. Gran parte del suo cuore stava battendo erraticamente per l'eccitazione del momento, ma l'altra piccola parte continuava a chiedersi se ce l'avrebbero fatta, se non fossero stati troppo ingenui e frettolosi, se non si fosse fidata troppo a cuor leggero del Lupo e della sua voce dannatamente sensuale.



Salirai la collina con tutta calma...”


Il dito di Joseph aveva risalito piano la curva del suo fianco

accompagnando quelle parole


...piazzerai la trasmittente sull'impianto elettrico...”


Aveva poggiato delicatamente il polpastrello sulla sua pancia,

girando attorno all'ombelico un paio di volte

prima di iniziare a scorrere verso sud


...poi raggiungerai la botola vicino alla grande quercia...”


Lo stesso dito malizioso aveva attraversato i confini della sua biancheria intima


...e scenderai giù...”


Era già bagnata e pronta, cullata nelle sue fantasie erotiche da quel dolce bisbiglio nel suo orecchio...


...aspettando che l'orologio ti indichi il momento di venire...”


Ed era venuta. Oh se era venuta.



Solo adesso, mentre i suoi anfibi calpestavano cose non poteva e non voleva identificare, iniziava a chiedersi se tutto quel piacere sessuale non avesse offuscato la sua mente. Sentì i brividi correrle lungo la schiena benché fosse adeguatamente coperta. Come Joseph riuscisse a farle dimenticare ogni cosa con un sussurro o un singolo tocco era ai suoi occhi ancora un mistero. Se lui fosse stato lì accanto a lei anche adesso, quasi sicuramente non ci sarebbe lo strascico della paura a rallentare i suoi passi. Si era sentita invincibile tra le lenzuola stropicciate, mentre adesso era solo un ammasso di nervi ed ansia anticipatoria. Con tutta la forza possibile teneva a bada l'immagine dei suoi genitori che scalciava dal retro della sua testa. Aveva bisogno di concentrarsi. Un uomo stava per morire e non certo un uomo qualsiasi.


Mentre contava i passi ricordò a sé stessa che non c'erano vie di mezzo, nessuna zona grigia, nessun margine d'errore.


Trentatré. Voltò il capo verso destra e cercò tra gli arbusti la cassetta dell'impianto elettrico a cui attaccare la trasmittente. Al momento debito sarebbe saltata la corrente in tutta la proprietà, creando abbastanza buio ed abbastanza sconcerto da permetterle di raggiungere Joseph e liberarlo dalla “sala delle torture morali”.


Cara inalò una lunga boccata d'aria che sapeva di foglie secche ed umidità. Altri cinquantadue passi ed avrebbe trovato la grande quercia, quella che Joseph le aveva descritto con tanto ardore, il grande albero sotto cui i fratelli Michaelson si erano giurati eterna lealtà. Beata, candida infanzia.


Eccola lì, enorme e maestosa anche nell'oscurità, ruvida ed umida sotto le sue dita. Poggiò il palmo sul tronco per un minuto, respirando a fondo per recuperare in fretta la fatica fatta, facendo scrocchiare le caviglie negli stivali. Poi s'inginocchiò di nuovo, passando le nude mani sul manto di foglie secche, cercando a tentoni la botola di legno che Joseph le aveva indicato, nascosta esattamente sotto il lato più bitorzoluto della grande quercia. I suoi occhi si erano ormai adattati al buio pesto, ma doveva comunque affidarsi a tutti i suoi più basilari sensi per esser certa di non commettere errori. Battendo i palmi sul nudo terreno riuscì finalmente a sentire lo scricchiolio di un materiale diverso e liberò frettolosamente la zona circostante, cercando con fervore l'appiglio che le avrebbe finalmente concesso l'ingresso alle famose gallerie sotto la proprietà.


Qui Joseph ed i suoi fratelli avevano giocato, rincorrendosi come normali ragazzini, fuggendo per qualche ora agli ordini continuamente impartiti da quel mostro di padre. William... Caro William... presto non potrai più vomitare la tua crudeltà e la tua insolenza su nessun altro.


La botola cigolò più forte di quanto Cara avrebbe voluto e per un istante il respiro le si bloccò nel petto, lasciandola avvolta nel silenzio e nell'immobilità. E se ci fosse qualcun altro là fuori insieme a lei? Qualche guardia? Qualche spia? Se si fossero dimenticati di valutare il più insignificante seppur pregnante dei rischi? Il suo cuore prese a battere violentemente ancora una volta. Era Cara Phillis dopo tutto. Uno dei merli. Un'assassina di professione. Cos'era allora quel fastidioso rimestamento nel suo stomaco? Da dove venivano quei pensieri che le affollavano la mente? Cos'erano quelle fitte di eccitazione, paura, dubbio ed entusiasmo che si alternavano nel suo petto?


Emozioni. Chiuse gli occhi per un momento decidendosi a scendere la lunga e gelida scala a pioli, serrando la botola sulla sua testa dopo il passaggio.


Emozioni.


Ed era colpa sua. Maledetto Joseph. Era solo colpa sua.


Hai ragione. Tu non meriti niente. Nemmeno da un mostro come me.”


L'aria nei tunnel era pesante e stantia, costringendola a pensare con più fatica del necessario. Destra, sinistra, secondo snodo, destra di nuovo. Cara mosse un primo passo, ma subito si bloccò, consapevole che se si fosse allontanata troppo non sarebbe più riuscita a sentire il nono rintocco dell'orologio sul campanile.


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Elia stirò le spalle continuando a fissare le ultime luci del tramonto dalla finestra. Riusciva già a sentire la tensione dell'ennesima scomoda notte da passare sulla poltrona del suo studio. Nessun rumore dal resto della casa. Dopo le sue ultime parole Katrina si era mossa come un fantasma per tutto il giorno, sfuggendo volontariamente ad ogni possibile contatto. Ora era probabilmente chiusa a chiave nella loro stanza e la sola idea di bussare a quella porta era un nuovo strazio.


Dopo il breve momento che avevano vissuto in cucina le sue dita formicolavano ancora e l'odore di tuberosa accarezzava persistente le sue narici. Quella situazione avrebbe inevitabilmente finito per farlo uscire di testa e per buttar giù quel pensiero scolò in fretta il suo bicchiere di vino rosso, lo stesso vino che William aveva fatto recapitare la mattina precedente. Il liquido color rubino aveva avvolto il suo palato e riportato la sua mente ad un nuovo costante stato di allerta. Tutta quella gentilezza e tutta quella calma stonavano non poco con il classico stile di vita dei Michaelson. Joseph sembrava sparito nel nulla, Katrina aveva smesso di urlare ed iniziato a cucinare, William ricopriva lui e sua moglie di omaggi senza ragione, proprio lui che non aveva mai nascosto di disprezzarla. La Pushkina era solo merce di scambio per lui e non una volta, non una, s'era trattenuto dal sottolineare la sua debolezza e la sua inettitudine per essersene innamorato. Tienila tranquilla e fuori dai nostri affari, così diceva.


Stava facendo bene adesso? Tenendola chiusa in casa come un giocattolo prezioso con cui aveva paura di giocare, troppo orgoglioso e spaventato per affrontare qualsiasi tipo di conversazione, troppo nervoso e ferito per sperare di poterle star vicino senza scattare ancora una volta.


Stava facendo bene adesso?


Ingoiò un altro sorso di vino passandosi una mano in viso. Tutto quel silenzio suonava proprio come la quiete prima della tempesta.


Bzzzzz

Bzzzzz


Il cellulare vibrò nel taschino sopra il suo cuore


Sì?”


Suo fratello è qui signore.”


Quelle parole gli piombarono addosso come macigni ed improvvisamente, dopo settimane di piani e macchinazioni, non seppe più cosa fare.


Dove?”


Ha appena passato il cancello...”


Risposte la voce piatta all'altro capo della chiamata


...Cosa vuole che facciamo signore?”


Bella domanda. Ancora una volta Elia scrutò il paesaggio fuori dalla finestra, ma non riuscì a scorgere movimenti


Cosa vuole che facciamo signore?”


Ripeté la voce con la stessa atona cadenza. Elia deglutì la sua ansia


Fermatelo. Portatelo nella stanza. Io arrivo.”


La linea cadde immediatamente e lui rimase impalato al centro della stanza. Se il momento fosse davvero arrivato chi avrebbe scelto alla fine? Suo padre o suo fratello? Mettendo da parte il pensiero ancora una volta, lisciò il collo della giacca ed afferrò la prima arma a sua disposizione prima di correre giù per le scale a passi veloci.


Dove stai andando?”


Katrina si era affacciata alla porta della stanza da letto, la sua attenzione richiamata da quella corsa furiosa, così distante dai modi soliti di Elia. Lui non aveva tempo da perdere


Fuori.”


Lei gli lesse la tensione in faccia ed incalzò malgrado l'inopportunità di un'altra domanda in quel momento fosse palese


Fuori dove?”


Elia sentì l'ombra d'allarme nel suo tono di voce e si permise di perdere un secondo per rivolgerle uno sguardo veloce


Non aspettarmi sveglia.”


La porta fu chiusa prima ancora che Katrina potesse anche solo prendere respiro per parlare ancora. Doveva essere qualcosa di importante. Lavoro, come sempre lavoro. Era sola di nuovo ed in quelle condizioni non poteva che esserne felice. Aveva bisogno di tempo per pensare, pensare ancora ed ancora al peso delle sue opzioni. Una nuova idea si era fatta strada nella sua mente durante l'ultima notte insonne, la più semplice eppure la più pericolosa.


Doveva parlare con William. Subito.


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Joseph passò lentamente i cancelli della sua grande casa, mettendo in scena un'entrata d'onore a bordo di una Panamera nera che, con non troppa gentilezza, era riuscito a farsi prestare da JJ del club sulla quinta strada. Parcheggiò davanti al portone principale e spense il motore, guardandosi attorno come un falco dagli specchietti. Da che parte sarebbero arrivati? Destra? Sinistra? Dietro? Sarebbe almeno riuscito a varcare la soglia?


Sapeva che lo stavano aspettando, sentiva i loro occhi addosso senza nemmeno doversi chiedere dove fossero. Respirò a fondo ancora una volta, piazzandosi in volto la calma apparente di un figlio con le migliori intenzioni. Strinse la maniglia nella mano ed in un solo sinuoso movimento venne fuori dall'auto, trovandosi a contatto con l'aria fresca ed appiccicosa della sua città. Attese tre secondi appena prima di dirigersi con nonchalance verso il grosso portone tra le colonne bianche. Azzardò e decise di bussare.


Il viso che gli diede il benvenuto non fu però quello si aspettava. Non fu Berta la cameriera ad aprire la porta, bensì un uomo alto e muscoloso stretto in una giacca nera. Joseph ne osservò con attenzione i tratti e confermò a sé stesso di non averlo mai visto prima. Viso squadrato e mandibola decisa, capelli scuri rasati a pelle ed espressione illeggibile.


Salve Signor Michaelson. La prego di venire con me.”


Era gentile e pacato, ma non di meno suonava deciso e minaccioso.


Joseph sorrise allo sconosciuto, non per cortesia, bensì per l'eccitazione che sentiva nascere dentro ancora una volta. Voleva prenderlo a pugni lì e adesso, voleva tirar fuori la pistola e spararli un colpo nel petto senza secondi pensieri.


Sono qui per parlare con mio padre.”


Rispose con nonchalance conquistando la soglia con una falcata decisa. L'altro non si mosse d'un millimetro, fermo come pietra con la sua mole imponente. Joseph gli respirò in viso sforzandosi di restar calmo.


Il Signor Elia ha dato il preciso ordine di accompagnarla nella stanza. Lui arriverà immediatamente.”


Non c'era alcun bisogno di specificare quale stanza fosse. Quel luogo non aveva mai avuto un titolo preciso o una parola chiave, ma tutti sapevano benissimo a cosa servisse.


Joseph squadrò le spalle


Tu prendi ordini da Elia. Non io.”


Cercò ancora una volta di dribblare il gorilla, più per far fede alla sua parte che per creare veri conflitti. Se avesse voluto liberarsi dello scimmione, sarebbe già steso sul parquet in una pozza di sangue.


Prendo molto sul serio il mio lavoro Signore.”


Il palestrato in giaccia gli parò un braccio davanti


La prego di seguirmi nella stanza ed attendere il Signor Elia.”


Anche la sua calma apparente iniziava a vacillare, dai tremolii della sua voce era ormai chiaro che le mani gli fremevano e che temeva per il suo incarico così come per la sua inutile esistenza.


Bene...”


Joseph inspirò e sospirò a pieni polmoni, fingendosi più menefreghista e sbruffone del solito


...Sentiamo cosa ha da dire quell'idiota di mio fratello.”


Il gorilla fece per muoversi al fine di circuirlo e poterne controllare i movimenti da dietro, ma Joseph sollevò immediatamente le mani e lo bloccò con un'espressione gelida


Conosco la strada.”


Senza degnarlo d'ulteriore attenzione voltò a sinistra verso il lungo corridoio che portava alle scale. In fondo alla scalinata di marmo, dietro la pesante porta d'acciaio, l'attendevano quattro mura insonorizzate. Quante persone avevano pianto tra quelle pareti, quante avevano urlato, quante ancora avevano confessato dubbi e tradimenti imperdonabili.


Non appena fu sulla soglia della grande porta in metallo, dal nulla quattro uomini gli furono addosso. Si aspettava un Elia piuttosto sospettoso e prudente, ma questo andava ben oltre le sue aspettative. Assecondò il suo innato bisogno di ribellione scalciando e brandendo i pugni contro i leccapiedi di Elia. Due colpi andarono a segno, lasciando uno dei quattro a sputare sangue contro lo stipite. Fu necessaria gran parte del suo autocontrollo per tenere a mente il piano, imponendo a sé stesso di non andare oltre. Alla fine si lasciò spingere al centro della stanza e, senza troppa resistenza, permise al più alto dei quattro, capelli castani e mascella squadrata, di legargli le mani dietro la schiena.


Pagherete per questa mancanza di rispetto. Tutti.”


Puntualizzò regalando un'occhiata glaciale ad ognuno dei quattro malcapitati, marcando a fuoco i loro visi nella mente. Il più magro abbassò gli occhi al pavimento, sperando di fuggire agli occhi vitrei del Lupo, mentre un altro, pieno del suo senso di dovere, prese a perquisirlo attentamente, trovando quasi subito il pugnale e la semiautomatica. Poggiò le armi sul tavolo, unica altra mobilia presente, e fece cenno agli altri di farsi indietro. Mentre quelli si avvicinavano alla soglia, i caratteristici passi lenti di Elia venivano verso l'entrata.


Potete andare ora.”


Esordì il fratello maggiore puntando dritto verso il tavolino. Gli uomini eseguirono l'ordine senza fiatare, chiudendosi dietro la porta blindata.


Joseph sospirò visibilmente irritato


Era davvero necessario fratello?”


Elia tolse il caricatore alla pistola continuando a dargli le spalle


Non saprei...”


Ripose l'arma sulla liscia superficie di legno scuro


...Ti presenti qui al calare della notte ed armato fino ai denti. Dimmelo tu.”


A quel punto finalmente si voltò. Indossava una camicia azzurro chiaro sul suo classico completo nero, ma ogni angolo e ruga del suo viso trasudavano stanchezza e nervosismo.


Volevo solo parlare con William.”


Elia sollevò scetticamente il sopracciglio. Siamo davvero qui per prenderci in giro?


Voglio che ammetta quello che ha fatto.”


Incalzò Joseph drizzandosi contro la sedia. L'altro sospirò


Per poi cosa? Sparargli un colpo in fronte?”


Perché no?”


Elia scosse il capo passandosi una mano sul viso


Senti Joseph... Anche a me manca mamma, so come ti senti.”


No, non lo sai.”


Lo interruppe il più giovane con decisione, digrignando i denti di fronte a quel patetico tentativo di ammansirlo con futili parole


So che vuoi giustizia...”


Riprese Elia ignorandolo


...Ma uccidere William non cambierà le cose, anzi... Pensa a Nathaniel, pensa agli affari, pensa a...”


A te?”


Lo interruppe di nuovo Joseph, stavolta con tono di sfida e di sdegno


Al mio caro fratello che per tutta la vita è stato trattato come il prezioso principe del regno?”


Non dirlo...”


Elia si scostò dal tavolo per farsi più vicino, sollevando l'indice a mezz'aria per chiarire il suo punto


...Ho subito soprusi e fatto sacrifici anch'io come tutti voi.”


La sua voce solitamente liscia iniziava a far trasparire rabbia ed agitazione. Joseph ribatté con una mezza risata amara


Sacrifici? Intendi sposare quella troia russa che ti ha fregato come un povero idiota?”


Elia strinse i pugni trattenendo la collera


Non avevo mai realizzato quanto fossi egoista Jo.”


L'altro rimase seduto ed impassibile, cercando di non far trasparire ciò che aveva in mente. Elia era abbastanza furbo da leggergli la mente, se solo non fosse stato così stanco e visibilmente provato. Era solo per colpa sua? Per l'ansia di proteggere William? O forse c'era altro che lui non sapeva?


Voglio solo liberarmi di lui...”


Joseph prese un lungo respiro sollevando la schiena il più possibile


...Liberare tutti noi. Sai bene che William non merita il tuo rispetto e la tua lealtà. Ha ucciso nostra madre cristo santo! Ma prima ancora di quello sai bene cosa ha fatto a tutti noi...”


Riusciva a vedere le spalle del fratello contrarsi di più ad ogni parola


...C'eri anche tu Elia. Gli allenamenti forzati, le urla, gli insulti, le botte prese... C'eri anche tu.”


Il maggiore rimase ancora nel suo angolo di silenzio, cercando le parole giuste per ribattere a quell'appello. Certo che lo ricordava, ricordava ogni livido ed ogni notte passata a consolare il piccolo Nate, ancora troppo piccolo per capire cosa stesse succedendo. Ricordava la paura del buio ed il freddo della notte. Ed il senso di colpa crescergli e crescergli dentro ogni volta che uno schiaffo schioccava sul viso di Joseph e lui restava immobile a guardare, in rispettoso silenzio ed in vile accettazione. Non stava mettendo in dubbio le inesistenti capacità genitoriali di William, stava solo difendendo il sistema, quel grande intruglio di illeciti ed alleanze che garantiva a tutti loro incolumità e benessere. Stava solo difendendo il “piccolo” Nathaniel. Non era più il codardo di un tempo. Non più.


Non hai bisogno di lui.”


Incalzò Joseph interrompendo i quesiti interiori del fratello


Non hai bisogno di lui per essere il re di tutto questo.”


Finalmente Elia si voltò


Non voglio affatto essere il re!”


Certo che lo vuoi!”


Ribatté immediatamente Joseph, prendendo al lazo la crepa nella perfetta armatura dell'altro


...E va bene Elia, va benissimo. Puoi avere tutto questo e di più, io non voglio niente da quel bastardo, voglio solo farla finita.”


Elia scosse la testa


Se ti lascio fare quello che hai in mente la sola cosa che avrà fine sarà questa famiglia.”


Joseph sospirò cercando gli occhi del maggiore


La tua famiglia. Io non ne sono parte. Non più.”


L'altro gli si avvicinò con decisione, reggendo quello sguardo carico di consapevolezza e decisione


Tu sei mio fratello Joseph. Non importa quanto dna condividiamo o quanti dei tuoi casini debba ancora aggiustare. Sto cercando di difendere anche te qui.”


Il Lupo aguzzò lo sguardo


Non ho bisogno di essere difeso. Non ho più dieci anni.”


Ancora una volta sentì la rabbia riversarglisi addosso come una cascata. Per quanto bene volesse all'uomo impettito che gli brandiva l'indice in fronte, non poteva e non voleva vedere al di là dell'unica evidenza della sua vita. Per colpa di William era un essere solo, ormai troppo laido e danneggiato per poter aspirare a qualsiasi forma di riscossa.


Elia incassò la nuova ondata di tagliente senso di colpa, abbassò gli occhi e di nuovo diede le spalle al fratello perché non lo vedesse tentennare.


Perché lo difendi tanto?”


Domandò il più giovane, i polsi ormai doloranti per quanto avesse provato a divincolarsi. Avrebbe voluto usare le mani per sottolineare le sue parole, cercando ancora una volta di convincere Elia di quanto la morte di suo padre fosse l'unica soluzione possibile. Nathaniel era abbastanza giovane, viziato e psicopatico da superare la cosa in men che non si dica. Probabilmente non se ne sarebbe neanche accorto se gli avessero subito messo davanti la sua parte di eredità.


Elia si riempì i polmoni ancora una volta. Non aveva una vera risposta da dargli. Continuava a ripetersi in testa che rispetto e lealtà sono i pilastri di ogni buona famiglia, che non importa cosa sia successo non si può venir contro al proprio preciso dovere di figlio... Ma se avesse potuto esser sincero, avrebbe dovuto ammettere a Joseph e a sé stesso che aveva una paura fottuta. Non era affatto pronto a diventare William Michaelson Quarto. Non avrebbe saputo da dove cominciare e di certo sarebbe stato un fallimento, soprattutto considerato che non riusciva a gestire nemmeno una moglie bugiarda ed un fratello stizzito.


Ascoltami Joseph...”


Gli rivolse gli occhi per l'ennesima volta


...Non intendo perdere tutto il mio tempo cercando di farmi ascoltare da un sordo.”


Si avvicinò al tavolino e prese le armi nelle sue mani. Meglio essere prudenti.


Ti lascerò del tempo per sbollire e ti prego davvero di usarlo per rivedere la tua posizione...”


Joseph lo osservò mentre infilava il suo arsenale nelle tasche. Questo non lo aveva calcolato. Elia portò la sua faccia stanca al livello degli occhi del fratello e gli parlò con la maggior grazia possibile, ricalcando lo stesso ruolo del tempo dell'infanzia


... Non c'è bisogno di arrivare a tanto Jo. Siamo tutti soli, è vero, ma siamo ancora una famiglia. Siamo ancora io, tu e Nathaniel. Questo non è mai cambiato.”


Joseph trattenne a malapena il sarcasmo sulla punta della lingua, gettando lo sguardo al pavimento per non ferire il maggiore. Una parte di lui avrebbe voluto credergli. Avrebbe tanto desiderato poter tornare a quel tempo dell'adolescenza in cui era bello passare le serate ad immaginare come sarebbe stato. Avrebbero avuto un garage pieno di macchine sportive ed una sigaretta alla menta perennemente in bocca. Nathaniel avrebbe riempito casa con le conigliette di playboy ed i rimproveri di Elia avrebbero riecheggiato continuamente tra le stanze, costringendoli a ridere sotto i baffi come stupidi scolari. William sarebbe partito per l'Europa per seguire i suoi affari più da vicino e mamma Amelia sarebbe potuta finalmente uscire di casa a testa alta, senza più doversi vergognare degli insoliti riccioli biondi del suo secondo figlio.


Erano ormai adulti e nulla di quel sogno si era avverato. Perché mai continuare a sperare?


E se non lo facessi?”


Elia si bloccò sulla soglia, voltando appena la testa per guardare Joseph con la coda dell'occhio


Spero davvero che tu non renda la mia decisione ancora più difficile.”


E così, prima che l'altro potesse continuare a girare il dito nella piaga, Elia aprì la grossa porta e ribadì a sé stesso che lasciare suo fratello dietro quel pesante muro di metallo era davvero la cosa migliore per tutti. Se la chiuse dietro riprendendo immediatamente aria. Non aveva idea di cosa stesse facendo. Non poteva certo tenerlo lì dentro per sempre. Senza considerare che se William se ne fosse accorto, sarebbero davvero stati problemi grossi per tutti.


Finalmente solo Joseph cercò di rilassare i muscoli della schiena ed allungare le gambe. Nonostante l'enfasi dello scambio l'avesse distratto per un po', era riuscito chiaramente a sentire gli otto rintocchi del campanile. Era già passato del tempo e ciò poteva solo voler dire che Cara era vicina e che presto sarebbe tornato libero. Lo sguardo carico di Elia era riuscito a farlo vacillare per un attimo, ma nulla al mondo avrebbe cambiato l'idea che si era piantato in testa. Non gli restava che aspettare la ragazzina dell'aereo ancora una volta, sperando che almeno in questa missione gli sarebbe rimasta vicina fino alla fine.


-------


Nell'istante in cui le campane avevano preso a suonare il cuore le era balzato in gola. L'attesa del nono rintocco fu una delle più strazianti della sua vita, con le mani sudate e strette nelle tasche mentre il viso le si gelava nella polvere del tunnel. I piedi le parvero più pesanti del solito mentre si muoveva sul suolo umidiccio e polveroso. Destra, sinistra, secondo snodo, destra di nuovo. Le parole le martellavano le orecchie nel silenzio più assoluto, rotto solo da lontani lamenti notturni e scricchiolii metallici.


Sollevò gli occhi al soffitto non appena seppe di aver raggiunto il punto preposto. La lunga e stretta scala arrugginita portava al seminterrato della casa, lì dove due guardie almeno attendevano di essere stese al suolo dalle sue sole mani. Cara sospirò rumorosamente ruotando i polsi e sperando che le sue nocche fossero abbastanza dure per ciò che si sarebbe trovata davanti. Avrebbe dovuto passare più tempo ad allenarsi piuttosto che a cavalcare il Lupo.


Salì il più silenziosamente possibile. Joseph le aveva assicurato che la botola sarebbe stata aperte e le sue parole non furono smentite. La pesante sfoglia di ferro venne su senza cigolii molesti e Cara sbirciò tutt'intorno trattenendo il respiro. Era buio anche fuori dal tunnel, ma questo non era un problema visto che i suoi occhi erano ormai abituati all'oscurità. Lenta, ma sinuosa come una tigre a caccia, Cara si sollevò fuori dalla botola e guardò ciò che la circondava. Il silenzio sembrava regnare sovrano, tanto che i suoi battiti erano l'unico suono appena percepibile. Dove si trovavano le guardie annunciate? Perché non sentiva il loro vociare da nessuna direzione. Un primo brivido le risalì la schiena. Ancora una volta realizzò dove si trovava e cosa stesse facendo. Era dentro la villa dei Michaelson, nel centro pulsante del covo nemico, a solo un paio di rampe di scale dall'uomo che aveva distrutto la sua famiglia e tutta la sua vita. Presto l'avrebbe guardato in viso e si sarebbe sentita finalmente viva, così viva come non si sentiva da ormai nove lunghi anni. Strinse i pugni e decise di muoversi, riportando a galla ogni tecnica e strategia che aveva appreso nel corso degli anni, spalmata contro il muro e pronta a scattare come un'arma di precisione.


Sbirciò dietro l'angolo e finalmente vide uno degli uomini di spalle. Era appoggiato con la spalla alla parete, la sua attenzione tutta rivolta al cellulare che reggeva nella mano destra. Se tutte le guardie di William svolgevano così il proprio lavoro, sarebbe stato un gioco da ragazzi. Rimanendo attaccata alla parete opposta scivolò verso di lui come come una goccia d'olio sul vetro, preparando le gambe a scattare e le mani a colpire il più forte possibile. Era più alto di lei il malcapitato, ma non abbastanza corpulento da rappresentare una vera minaccia. Non appena gli fu dietro strinse la pistola nel pugno e senza pensarci due volte gli sbatté il calcio dell'arma sulla nuca, potente e precisa come come un colpo d'arma da fuoco. Lo sconosciuto le cadde subito tra le braccia e Cara si appoggiò al muro per accoglierne il peso senza troppo sforzo. Lasciò scivolare il corpo a terra e lo superò con un solo passo. Probabilmente non era morto, ma di certo sarebbe stato fuori dai giochi abbastanza a lungo da non creare problemi.


Riprese la lenta e silenziosa camminata verso l'unica porta che lasciava trasparire luce dai propri spifferi. Joseph le aveva detto di seguire la via sinistra verso le scale ed ancora una volta il suo suggerimento sembrava non fare una piega. Secondo i calcoli una sola altra guardia si sarebbe trovata dall'altra parte, ma Cara non poteva certo esserne sicura. Un solo uomo sarebbe stato semplice, due sarebbero già stati più problematici. Se avesse perso troppo tempo ad occuparsi di uno, l'altro avrebbe avuto abbastanza tempo per avvertire i piani superiori e di certo non poteva permetterlo. Poggiò l'orecchio alla porta e cercò di cogliere quanti più segni possibile. Una televisione o forse una radio sembrava parlare in sottofondo, troppo lontana per capire di che canale si trattasse. Nessuna conversazione, il che lasciava certamente ben sperare.


Hai finito di parlare con la tua troia Don?!”


L'urlo rivolto alla porta la fece saltare sul posto. Adesso, se non altro, era sicura che ci fosse qualcuno dall'altra parte. Nessuna risposta da parte del fantomatico Don.


Stupido coglione senza palle.”


Commentò la voce con tono più basso e non ci volle molto perché Cara facesse due più due. Don era l'uomo che aveva steso poc'anzi, troppo impegnato a mandare messaggi romantici alla sua donna per notare la sua presenza. Rimase ad ascoltare ancora un po', se Don era steso nel corridoio e nessun altro partecipava alla conversazione, poteva solo voler dire che l'uomo dall'altra parte era solo. Buon per lei. Peccato non poter vedere che aspetto avesse e quanta forza ci sarebbe voluta per stenderlo. Peccato non poter sapere prima se aveva anche lui armi a disposizione. Benché avesse una pistola infatti, il piano le imponeva di non sparare finché non fosse stato davvero strettamente inevitabile. Troppe orecchie in quella casa.


Prendendo un lungo respiro si decise a rischiare la partita e bussò alla porta. Sentì lo stridere di una sedia sul pavimento ed il borbottio della stessa voce di prima, mentre passi pesanti le si avvicinavano rapidamente. Quando la porta si aprì incontrò quegli insulsi occhi marroni per un solo secondo prima di avventarsi come un'arpia contro il malcapitato. Un pugno dritto sul naso ed un altro tra le gambe. La guardia si piegò per il dolore, ma cercò di non cedere rispondendo all'attacco con i colpi delle sue lunghe braccia. Cara riuscì a schivarne un paio prima che l'avversario la costringesse al muro


Chi cazzo sei tu?”


Domandò ancora del tutto stralunato. Cara decise di approfittare fino in fondo dell'effetto sorpresa e riprese immediatamente a colpirlo in tutti i punti che conosceva come più dolorosi, finché finalmente riuscì a girargli attorno e mettergli un braccio attorno al collo. Per fortuna non era troppo alto, ma di certo scalciava come un dannato. Nel tentativo di togliersela di dosso le stringeva le costole con tutta la forza possibile, facendole un male del diavolo. Cara strinse i denti e la presa più che poteva, pensando solo a quello che sarebbe venuto dopo. Muori. Muori maledetto. L'altro barcollò verso la parete cercando di sbatterci Cara contro, ma lei non mollò, nemmeno per una frazione di secondo. Quel momento era davvero troppo importante per lasciarsi distrarre da qualche osso incrinato.


Finalmente lo sentì cedere alla mancanza d'ossigeno e barcollare un ultima volta prima di venir giù come un sacco di patate. Cara si prese il tempo di respirare di nuovo a pieni polmoni, cercando di capire se lo stronzo le aveva davvero rotto qualcosa. Nonostante il dolore ogni cosa sembrava al proprio posto e così la ragazzina ne approfittò per sferrare un ulteriore calcio al petto della guardia di William.


Cara attraversò la stanza guardinga la stanza in cui si trovava. La piccola tv quattordici pollici gracchiava ancora, mentre nulla sembrava succedere nel resto della casa, almeno a quanto poteva vedere dai monitor di controllo. Sperò di poter vedere William seduto come un papa presuntuoso nel suo studio, ma apparentemente nessuna telecamera era autorizzata a riprendere l'interno della sua stanza personale. Decise allora di proseguire la scalata verso i piani superiori. L'orologio del monitor segnava ormai le 21e56, confermando che mancavano ormai solo pochi minuti al blackout che lei e Joseph avevano programmato. Approfittando dell'oscurità avrebbe raggiunto ed attraversato il primo piano della villa, correndo a liberare Joseph, prigioniero ormai da un paio d'ore dell'intaccabile falsa morale di Elia.


Fu come un botto. Non sentì null'altro che una botta secca,ma fu presto certo che la trasmittente aveva funzionato. I monitor di controllo si erano spenti così come la piccola tv e tutta la stanza era di nuovo piombata nell'oscurità. Se i calcoli fatti erano esatti, aveva più o meno tredici minuti per raggiungere Joseph prima che i generatori si mettessero in moto ed i programmi di sorveglianza venissero riattivati. Riempiendosi i polmoni d'aria e di adrenalina corse verso le scale e le salì veloce, ma silenziosa. Sopra la sua testa poteva sentire il chiaro trambusto di passi e voci sorprese, tutti presi a ristabilire l'ordine, magari abbastanza da non notare la sua volatile presenza tra i corridoi.


Girò piano la maniglia della porta in cima alla scalinata e buttò l'occhio al di là. Qualcuno le corse davanti, ma non notò nulla. Quella parte di casa era la meno popolata per cui poteva ancora permettersi qualche azzardo. Cara si affacciò nel lungo corridoio scuro, illuminato solo dalla luce della luna e dei lampioni che filtrava dalle grandi vetrate. Proseguì spalmata contro la parete finché non arrivò all'angolo, lì dove la sua strada si diramava in due direzioni. Proseguendo avrebbe presto raggiunto l'altro lato dell'abitazione e trovato lo svincolo per raggiungere Joseph, mentre voltando a sinistra avrebbe imboccato il lungo corridoio che portava alle stanze principali della casa, lì dove William attendeva chiuso nel suo studio.


Schivò una presenza nascondendosi dietro l'angolo opposto e lì i suoi piedi divennero di piombo. Aveva studiato per ore la piantina della villa ed era certa che anche ad occhi chiusi avrebbe potuto raggiungere il salone, bypassare la sala di pranzo e camminare dritta fino alla porta di legno scuro che nascondeva l'uomo responsabile di tutte le sue disgrazie.


Il cuore prese a batterle forte nelle orecchie, tanto da riuscir quasi a coprire gli altri rumori della casa. Quel bastardo aveva fatto uccidere i suoi, lasciato che morissero come animali anche se non avevano fatto nulla, quel mostro le aveva tolto la famiglia ed il futuro, trasformandola nell'essere freddo e vuoto che adesso riempiva i suoi abiti scuri. Quell'uomo meritava la morte dalle sue mani più di quanto non la meritasse da ciascuno dei suoi figli. Era lei ad aver perso più di tutti ed anche se il pensiero di Joseph continuava a strisciarle nella mente, i suoi piedi avevano già preso a muoversi da soli. Quella era la sua vendetta, lo era sempre stata. Sua e di nessun altro.


Tirando qualche pugno ben assestato o nascondendosi nell'ombra più cupa, Cara era riuscita a raggiungere quel lungo corridoio più facilmente di quanto non avesse immaginato. Il pavimento di legno scuro ed i quadri inquietanti alle pareti calzavano a pennello alle sue fantasie di vendetta che prendevano vita. Era davvero lì, così lontana e così vicina dalla svolta della sua esistenza, la pistola stretta nella mano e la via illuminata ad intermittenza da una lampada d'emergenza che sembrava davvero non volergliela dar vinta. Se solo quella porta si fosse aperta...


Mosse un primo passo e poi un secondo, come fosse ipnotizzata dall'andirivieni di quella luce e dall'incredibile di quel momento, tanto risucchiata nella propria realtà da non sentire nemmeno i passi che si avvicinavano veloci alle sue spalle. Ancora qualche secondo e sarebbe stata intrappolata in quel lungo corridoio, non più carnefice, ma di nuovo vittima, sempre dello stesso destino.


Una porta le si aprì di fianco e lunghe braccia la trascinarono dentro in una frazione di secondo. Una mano gelida le si poggiò sulla bocca e finalmente quel freddo la riportò alla realtà, facendola scalpitare nell'oscurità.


Shhhhh. Sta' ferma.”


Quelle tre parola bastarono per bloccarla. Conosceva quella voce. La mano fredda si scostò piano dalle sue labbra e tornò al proprio posto, permettendo finalmente a Cara di mettere a fuoco chi aveva davanti.


Katrina.”


Bisbigliò, ma l'altra fu subito pronta a coprirle la bocca di nuovo. Fuori dalla porta passarono veloci i passi di almeno tre uomini, tutti rivolti verso lo studio di Willliam.


Stiamo risolvendo il problema Signore.

Ancora pochi minuti e tutto il sistema tornerà operativo.”


Cara respirò col naso e riprese il controllo della situazione, abbastanza da sollevare la mano e spingere via dal suo viso quella di Katrina. Sarebbe stata in silenzio fin quando quei passi si fossero allontanati, veloci com'erano arrivati.


Che diavolo ci fai tu qui?”


Iniziò la russa a bassa voce


Potrei farti la stessa domanda.”


Io vivo qui. Ho sposato uno di fratelli Michaelson, ricordi?”


Cara aguzzò lo sguardo in quello scuro dell'altra


E io sono qui per ucciderne uno.”


Vista la loro attuale posizione Katrina non ebbe dubbi su quale membro della famiglia Cara volesse far fuori ed in automatico fu più felice di vederla.


Come hai fatto ad entrare qui?”


Joseph mi ha detto come fare.”


La sovietica sollevò il sopracciglio sottile


Joseph? Voi due siete ancora insieme?”


Cara decise d'ignorare la sottile insinuazione e valutò se e quanto potersi fidare della donna che aveva davanti. Avevano già lavorato insieme e molte delle cose che sapeva dei Michaelson le aveva sentite proprio dalla sua bocca. Odiava William tanto quanto lei e questo era probabilmente già abbastanza.


Avevamo un piano...”


Iniziò, facendosi più vicina per poter tenere la voce il più bassa possibile


... Al momento Joseph si trova chiuso in una stanza al piano di sotto. Con Elia credo...”


L'altra sussultò appena al nome del marito


...Sarei dovuta andare a liberarlo, ma... Posso farlo da sola Katrina. Posso ucciderlo.”


Di nuovo lo sguardo scettico della russa le piombò addosso, mentre l'illuminazione andava lentamente ripristinandosi tutt'attorno.


Posso farlo. Mi preparo da anni per questo momento. Non ho bisogno di Joseph. Né di nessun altro.”


Mentre lo diceva poté sentire la sua stessa voce tremolare. Non era paura. Non doveva essere paura. Non avrebbe avuto altre occasioni come questa.


Sei sicura?”


Katrina di certo non lo era. Il suo piano prevedeva solamente di parlare con William, eppure le ginocchia le tremavano come gelatina. Figuriamoci affrontarlo da sola. Cara lasciò cadere lo sguardo solo per un paio di istanti


So cosa sto rischiando. Per questo non coinvolgerò altre persone. Posso riuscirci da sola.”


Mentre Cara continuava ad auto-convincersi, Katrina poté leggere tra le sue parole ed il suo sguardo si addolcì di colpo


Mi accorgo solo ora che abbiamo più cose in comune di quante pensassi...”


Cara corrugò le sopracciglia nell'incertezza


...Tutt'e due odiamo stesso uomo. Tutt'e due teniamo ad uno di suoi figli.”


Cara sgranò gli occhi sentendo le guance tingersi di rosso. Scosse il capo con decisione.


Questa è la mia vendetta. Solo questo.”


L'altra annuì facendosi indietro appena un po'


Sei davvero sicura?”


Cara tirò fuori la pistola dalla tasca e la strinse forte nella mano. Per quanto inaspettata, la presenza di Katrina le aveva scaldato l'animo. Se da un lato sentiva di nuovo la paura, dall'altro sapeva di avere un mondo intero di ragioni per tentare quella follia. Rivolse gli occhi alla russa e fece cenno di sì con decisione.


Katrina indietreggiò ancora restando a guardarla. Non la conosceva poi così bene, ma aveva intravisto la sua anima travagliata. Tanto dolore e tanta solitudine l'avevano portata fino a lì, fino al giorno in cui i suoi occhi avevano incrociato quelli di Joseph Michaelson. Un piano perfetto, non fosse stato per il fascino di lui e la testardaggine di lei. Un mix perfetto che aveva inevitabilmente portato a quel momento. Poteva davvero lasciarla provare? Se la ragazzina di Mancini fosse riuscita a sparare quel colpo anche la sua vita si sarebbe risolta per sempre. Se invece fosse morta in quella stanza... Chi l'avrebbe rimpianta in fondo? La ragazzina non aveva nessuno al mondo.


Cara prese un lungo respiro e si voltò verso la porta prendendo la maniglia nella mano. Fece per spingerla, ma si bloccò ed ancora una volta rivolse gli occhi a Katrina


So che non siamo mai state amiche, ma ho bisogno che tu mi faccia un favore.”


Di nuovo il sopracciglio di Katrina s'incurvò


Cosa?”


Se Elia o qualcun altro dovesse arrivare mentre sono dentro ti prego, ti prego Katrina, non lasciarlo passare.”


L'altra rimase basita per un secondo


Come?”


Cara scosse piano la testa


Non lo so... Ma per favore, aiutami un'ultima volta.”


La donna dai grandi occhi scuri annuì, scambiando con l'altra un ultimo sguardo d'intesa e speranza. La mano di Cara spinse forte sulla maniglia e lei si ritrovò presto al punto di partenza, faccia a faccia con la porta del suo personale inferno o paradiso.


Le dita le tremarono mentre s'appoggiavano piano sul legno freddo e si preparavano a spingere.


Il momento era arrivato.


La porta le si spalancò sotto le mani e la casa intera le piombò addosso. Eccolo lì. Piccoli occhi scuri la fissavano come fosse un ragno apparso d'improvviso sul muro. Eccolo lì. Giacca grigia e lunga barba a coprirne le labbra avvelenate.


Eccolo lì.


E adesso chi diavolo sei tu?”




























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Capitolo 17
*** Capitolo XVII ***


capitoloXVII

Ciao a tutti! Stavolta mi scuso davvero per l'ennesimo lunghissimo ritardo. La storia va a singhiozzi per mille motivi che non sto qui ad elencare, ma vi assicuro che non ho perso la passione e che arriveremo comunque ad una conclusione. D'altronde ve lo devo, siete così pazienti e numerosi che ogni volta mi riempite di nuova ispirazione. Grazie davvero, di leggere, apprezzare ed aspettare ogni volta.


Martina





CAPITOLO XVII



E adesso chi diavolo sei tu?”


Mille volte aveva visto quel viso. Fotografie. Scatti rubati. Reportage. Telecamere nascoste. Ogni linea ed ogni piccolo dettaglio erano esattamente dove s'aspettava che fossero, ma quegli occhi.. Il vuoto di quei piccoli occhi marroni l'inghiottì come una voragine. Non c'era sorpresa e non c'era paura tra le pagliuzze dorate di quelle iridi, nulla che riconoscesse la sua presenza nella stanza. Era come se non ci fosse, come se non esistesse. Forse la sua vita era davvero finita nove anni prima nel bagno della Salle de Paris. Forse avevano sparato anche a lei quel giorno. Forse si era solo trascinata come uno spirito tra i viventi per tutto quel tempo. Forse era già morta.


William corrugò le sopracciglia mostrandosi basito per un secondo appena. Lisciando il collo della giacca, accarezzò poi il liscio legno della sua scrivania e nascose le mani sulle ginocchia.


E' opera tua questo blackout?”


Di nuovo la sua voce fredda e strafottente. Gli occhi di Cara, incollati a quelli di lui, guardavano una scena totalmente diversa da quella che gli si parava davanti. Il cuore batteva così forte nelle sue orecchie che quasi non riusciva più a distinguerne i battiti, la mano destra, ormai più gelida del metallo, stringeva ancora la pistola, senza più la forza di sollevarla e mirare.


Era davvero il mostro che le avevano descritto, capace di risucchiare tutta l'energia vitale di un essere in un solo sguardo, in grado di renderti una nullità ancor prima d'aprir bocca.


Hai intenzione di parlare o no ragazzina?”


Le dita di Cara si strinsero attorno al ferro ed il suo indice accarezzò piano il grilletto. I suoi occhi si chiusero per un solo secondo, abbastanza lungo da ricordare finalmente perché fosse lì. Il sorriso di sua madre ed il sudore di suo padre. Le carezze della sera e la terribile sveglia del mattino. L'allenamento delle cheerleader e gli scontri a corpo libero. Le costole incrinate e la mano sempre calda di Mancini. I regali di Natale e le lacrime salate. Un funerale doppio e mille scatoloni da riempire.


Mandò giù l'asciutto della sua bocca e finalmente sollevò le braccia, arma stretta tra le dita e piedi ben piantati al terreno. Questa è la fine. Questo è il momento.


Il mio nome è Cara. Cara Phillis.”



E il mostro sfoderò un sorriso, senza neanche degnare la pistola d'uno sguardo.



Ci conosciamo?”



E di nuovo era nessuno. Solo una macchia scura sul tappeto, un'insignificante visino pallido che non spaventava nemmeno le mosche. Il cuore vacillò nel petto, ma i suoi grandi occhi blu non mollarono la presa, nemmeno per una frazione di secondo. Avvolta nella semioscurità le sue guance avrebbero potuto infiammarsi e le sue ginocchia tremolare, ma nessuno se ne sarebbe accorto, nessuno avrebbe mai saputo che aveva paura. Ancora una volta sentì nelle orecchie l'applauso del pubblico dopo lo spettacolo di fine anno alla prima liceo. L'orgoglio era sbocciato nel suo petto ed il sorriso le era esploso in volto. Sentì la carezza di Robert, bollente sulla sua guancia destra



Sei la donna più bella e più forte che abbia mai visto crescere.

Le tue ossa potranno spezzarsi e le tue ferite sanguinare,

ma continua a tenerli fuori Cara...”


Il polpastrello ruvido aveva battuto delicatamente sulla sua tempia


...Tienili fuori da qui...”


Lo stesso dito aveva battuto il suo petto con più decisione


...Tienili fuori da qui ...”


Il suo sorriso aveva brillato fiero


...Tieni tutti fuori e sarai invincibile figlia mia.”




Cara riempì i polmoni d'aria e chiuse i boccaporti del suo povero cuore. Lei era il merlo. Lei era il gelo.


Potrei raccontarti di me e della mia famiglia...”


Con lo sdegno più puro sulla lingua strinse la presa e si preparò a premere il grilletto


...Ma non meriti che io sprechi anche solo un altro secondo parlando con te.”




------------




Elia.”


Elia!”


ELIA!!”


La voce di Joseph rimbombava nella stanza, inutile e stanca contro le pareti insonorizzate. Le mani ormai ferite cercavano ancora di liberarsi, ignare che mai avrebbero potuto sfondare una porta blindata. Il ritorno della luce aveva ferito i suoi occhi come una lama nel petto. Non era arrivata. Cara non era venuta a liberarlo. Eppure la corrente era saltata, quindi lei c'era, aveva seguito il suo piano fino alla casa e poi... L'avevano presa? Erano riusciti a bloccarla? L'avevano già ammazzata? Una voce strisciante nel retro della sua mente continuava a ripetere che no, la ragazzina era ancora viva e vegeta, solo l'aveva tagliato fuori, si era liberata di lui nel momento più opportuno ed era corsa a fare a modo suo.


ELIA!!”


Un altro pugno nello stomaco lo colpì. Non poteva farcela, non da sola. Non dentro quella casa degli orrori. Troppi uomini e troppa tensione. Di nuovo si chiese se non fosse già morta.


ELIAA!!”


La telecamera di fronte al suo viso stava certo trasmettendo l'immagine scomposta dei suoi patetici tentativi di liberarsi, rabbia ed agitazione sul suo viso e nella sua voce.


ELIA!!!”



Finalmente la sentì aprirsi e la grande porta metallica strisciò sul pavimento più lenta di quanto Joseph potesse sopportare


Fammi uscire da qui!”


Urlò prima ancora di vederlo entrare nella stanza. Elia lo guardò stupito e confuso


Ti avevo chiesto di calmarti.”


Joseph si sollevò sulla sedia ancora una volta


Devi farmi uscire da qui immediatamente Elia.”


Il tono assertivo non bastò per convincerlo all'istante


Non ho alcuna intenzione di liberarti in questo stato.”


Joseph grugnì cercando per la millesima volta di venir fuori dalle manette.


DEVI farmi uscire!”


Elia, davanti a tanta foga, mangiò finalmente la foglia. Cercò gli occhi del fratello


Perché?”


Lo scrutò con attenzione cercando di leggergli nella mente mentre l'altro valutava l'idea di lasciargli libero accesso. Quanto fiato avrebbe risparmiato.


Non sono venuto qui da solo Elia.”


Il maggiore corrugò la fronte


Di cosa stai parlando?”


Nemmeno il tempo di finire la frase che già gli ingranaggi della sua mente avevano preso a girare nel verso giusto. Ora tutto quel trambusto prendeva senso.


Che cosa hai fatto Joseph?”


Il Lupo si morse le labbra


Ero qui per distrarti...”


Gli occhi di Elia si strinsero nei suoi


...Ho detto a Cara come far saltare la corrente ed entrare in casa...”


Gli ci volle una manciata di secondi per ricollegare quel nome alla bionda dalla lingua lunga che aveva colpito gli occhi di suo fratello


...Sarebbe dovuta venire a liberarmi quasi mezz'ora fa.”


Elia abbassò gli occhi per un momento


Probabilmente è già morta.”


Joseph ignorò il brivido lungo la schiena e tese i muscoli ancora una volta. Scosse il capo davanti all'altro


Credo abbia deciso di affrontare William da sola.”


Elia sollevò un sopracciglio


Allora è sicuramente già morta.”


Ancora una volta il più giovane scosse la testa, fissando il fratello col suo stesso mix di orgoglio e paura


Non sottovalutarla Elia. Lo odia. Forse anche più di noi.”


Quello sguardo impassibile fece vacillare la pesante armatura del maggiore. Poteva fidarsi di Joseph? Forse la sua era solo l'ennesima montatura per farsi liberare, forse non c'era nessuna Cara Phillis in casa... Ma d'altra parte si trovava lì proprio per difendere suo padre, per evitare che qualcuno montasse un macello e finisse per peggiorare la situazione. Se la ragazza di suo fratello fosse davvero riuscita a raggiungerlo? Se mai fosse riuscita a soddisfare la sua vendetta? Come avrebbe spiegato a Nathaniel che proprio quella sconosciuta era riuscita a distruggere il grande impero dei Michaelson? Lanciò uno sguardo al viso speranzoso di Joseph. La prima minaccia da fermare era li e di certo non ne aveva bisogno per bloccare l'intrusione di una ragazzina di Mancini in casa sua.


Andrò a controllare.”


Sentenziò facendosi vicino alla porta. Joseph tirò ancora forte, sperando che finalmente il pollice si dislocasse e potesse liberarsi per conto suo


Elia fammi uscire!”


L'altro prese un lungo respiro


Non posso fidarmi di te.”


Gli voltò le spalle, ma Joseph insistette dimenandosi sulla sedia


Elia!... Elia ti prego...”


Il maggiore si fermò sulla soglia


...Per favore...”


Era più di una preghiera vuota ed Elia non poté non notare l'onedto tremolio nella voce di Joseph. Si voltò e trovò gli occhi sgranati dell'altro che cercavano i suoi


...Non m'importa del piano. Voglio solo uscire da qui.”


Elia si bagnò le labbra e palesò ciò che finalmente era riuscito a leggere nella testa del fratello, per quanto strano suonasse


Vuoi assicurarti che lei stia bene.”


Joseph abbassò lo sguardo, ma non ribatté. La vergogna in quel momento grattava forte il suo petto, ma non avrebbe perso quell'appiglio per uscire da lì. Cara era da qualche parte in quella casa e per quanto fosse forte e motivata, non poteva affrontare il mostro da sola. Il mostro l'avrebbe schiacciata come un moscerino.


Elia s'avvicinò al fratello ed ancora una volta piegò le ginocchia al suo livello, cercando uno sguardo che sapeva non avrebbe trovato


Sei innamorato di lei.”


C'era meraviglia nella sua stessa voce, al solo pensiero che quel fratello così schivo e cinico avesse provato ciò che anche lui aveva scoperto con sconcerto. La bionda sconosciuta aveva scavato nella testa di suo fratello come una serpe scava la tana nel terreno, ma niente meno era arrivata fino al cuore. Erano entrambi sulla stessa barca adesso e, nonostante il cervello remasse contro, poteva sentire le pene del fratello come fossero le sue.


Joseph prese coraggio e finalmente sollevò la testa


Fammi uscire da qui.”


Saltò a piè pari l'imbarazzo e le giustificazioni, chiedendo ciò che in quel momento importava davvero. Elia prese fiato e finalmente si decise a liberare le mani dolenti di Joseph. Balzarono in piedi e senza bisogno di dire altro presero a correre su per le scale, diretti verso il silenzioso studio di William Michaelson terzo.



-----------




Katrina marciava a passi svelti da un lato all'altro del corridoio, mordendosi le mani come un topo in gabbia. Poteva andarsene. Poteva fregarsene di ciò che Cara aveva chiesto e fuggire il più lontano possibile. Eppure era ancora lì. Il silenzio che proveniva dallo studio era ormai preoccupante. In quella mancanza di suoni continuava a chiedersi cosa avrebbe potuto e dovuto fare. La ragazza di Mancini stava rincorrendo il suicidio per farle un favore, per fare un grosso favore al mondo intero. Aspettava con ansia di sentire almeno uno sparo o due, segno che quella tortura in un modo o nell'altra fosse finita. Se fosse toccato a Cara, beh, avrebbe ancora avuto l'opzione della fuga.


Appena quel pensiero le sfiorava la mente, l'acidità le prendeva lo stomaco. Non sarebbe fuggita ancora una volta per colpa di William. Si voltò verso la porta, forse sarebbe dovuta entrare e darle una mano. Non le sarebbe davvero dispiaciuto strappare la carne di quel verme a mani nude. Le dita fremettero al pensiero di vendicare con le proprie forze quel che lui le aveva tolto.

Fu quasi sul punto di muoversi quando sentì passi svelti alle sue spalle. Ruotò immediatamente il busto e subito le gambe seguirono il movimento. Strinse i pugni ripensando a ciò che Cara ed i gemelli Pryce le avevano insegnato. Dove colpire per rompere un naso, quanto forte calciare per togliere il fiato.


Quando la prima figura voltò l'angolo, i suoi occhi faticarono nel mettere a fuoco la sagoma di Joseph. Subito dietro di lui niente meno che suo marito. Katrina puntò i piedi al centro del corridoio, decidendo di far fede alla promessa fatta alla ragazza sparita, forse per sempre, dietro quella porta.


Katrina...”


Joseph frenò suo malgrado, apostrofandola con sorpresa e palpabile sdegno


...Fammi passare.”


La russa gli si parò davanti in tutta la sua minuta stazza, lo sguardo abbastanza aguzzo da far risuonare l'antifona. Dietro di lui Elia faticò nel trovare da solo una spiegazione plausibile


Che ci fai tu qui Katrina?”


Sua moglie cercò d'ignorare l'incertezza che quella voce le smuoveva dentro e non si mosse d'un millimetro. Joseph avanzò con la sua mole


Togliti di mezzo.”


Katrina ricambiò i suoi occhi con la stessa decisione


E' lì dentro, vero?”


Insistette lui mentre l'ansia montava. Non fosse stato per suo fratello, avrebbe già tolto la russa di mezzo senza troppa delicatezza


Sì... E nessuno può entrare.”


Tanto gli bastava. Cercò di bypassare Katrina, ma lei lo respinse a palmi aperti


Non andrai lì dentro.”


Che stai facendo Katrina?”


Finalmente Elia s'inserì nella conversazione, consapevole che forse anche sua moglie era parte di questo piano alle sue spalle. Ecco il perché delle sue dolci maniere e dell'amore ritrovato. Tutto portava lì ancora una volta, non è vero?


Katrina gli regalò uno sguardo veloce


Aiuto la mia amica.”


Cosa?!”


Elia aggrottò le sopracciglia, onestamente perso nella scena che stava vivendo.


Lasciami passare.”


Di nuovo uno scambio di occhiate come uno scontro di spade, Joseph incalzava premendo contro le piccole mani della cognata, appigliandosi all'ultimo brandello di decenza prima di sbatterla al muro e raggiungere lo studio.


E' sua vendetta.”


Joseph scosse la testa


Non può farcela da sola!”


Non puoi fermarla!”


Lui le afferrò i polsi


Non voglio fermarla.”


Katrina si perse in quella confusione di voci e pensieri cercando di capire cosa dovesse fare. Perché diavolo non succedeva ancora niente? Cosa doveva fare a quel punto? I suoi grandi occhi scuri rimbalzarono da un fratello all'altro prima di fermarsi su Joseph. Sembrava stressato, frustrato, preoccupato perfino. Stando alle parole di Cara era un alleato, non un nemico. Poteva fidarsi di lui? Inconsapevolmente allentò la presa, quasi decisa a farsi da parte.


Il respiro di Joseph si rilassò appena...


BANG. BANG.


...Ed immediatamente gli morì dentro.


Due spari. Due spari forti e ravvicinati.


Era successo. Era finita.


Che si trattasse di William o di Cara, quella lenta agonia era finalmente finita.


A cervello spento e col gelo nel cuore Joseph sorpassò l'ormai minuscola sagoma di Katrina e coprì a lunghi passi la breve infinita distanza tra lui e la sua fine. Spalancò la grande porta ad occhi chiusi, pregando un dio in cui nemmeno credeva affinché riaprendoli potesse vedere solo il sorriso della sua ragazzina.


Elia fissò gli occhi spalancati di sua moglie. Le avrebbe dato la colpa? Sarebbe finalmente riuscito ad odiarla come tanto sperava? Come avrebbero potuto sopravvivere anche a questo?


Decise di seguire suo fratello, ma immediatamente si scontrò contro il corpo rigido di quella donna, la stessa che forse non avrebbe più riconosciuto


No.”


Lei lo spinse indietro con tutte le sue forze


Cosa?!”


Non l'avrebbe sopportato. Non adesso, non senza sapere se quell'impero era davvero improvvisamente caduto tra le sue mani


Non andrai lì dentro.”


Era ferma e gelida, ancor più fredda di quanto non fosse mai stata. I pugni chiusi tremavano contro la curva tornita dei suoi fianchi ed i suoi grandi occhi scuri andavano velandosi di lacrime e paura. Quasi sembrava più spaventata di lui.


Devo sapere cos'è successo!”


Sentenziò spostandola con un colpo di spalla, ma Katrina fu pronta ad afferrarlo per il polso


Spero sia morto.”


La cattiveria delle sue poche parole grondava di lacrime non ancora versate


Tu non sai...”


Elia la bloccò subito liberandosi il polso in malo modo


Non ho tempo per le tue stupidaggini adesso!”


Era già due passi avanti a lei quando finalmente Katrina aprì bocca


Non vuoi sapere verità?”


L'accento sovietico tornò ad arrotarsi prepotente sulla sua lingua, segno che stava perdendo il suo amato controllo. Elia esitò per un momento, ma non si voltò nemmeno


Tu non sei capace di dire alcuna verità.”


Aveva già deciso di lasciarla in quell'angolo e tagliarla fuori. Se William fosse morto non avrebbe perso solo un padre ed un fratello, ma anche una moglie. Katrina guardò la sua schiena allontanarsi veloce e raccolse il suo coraggio


E' stato lui!”


Non fu abbastanza. Suo marito continuava ad avvicinarsi pericolosamente a quella soglia, divenuta ormai il simbolico confine tra il futuro che aveva cercato di costruire e la misera fine di ogni ingenua speranza


Lui ha mandato via me!”


Urlò di nuovo, più forte di prima. Lui s'irrigidì ed i suoi passi rallentarono senza fermarsi. Katrina si riempì i polmoni quasi fino a scoppiare


Non ho lasciato te...”


Forse avrebbe dovuto strillare ancora una volta, ma suo malgrado quelle parole uscirono biascicate e spaventate. Elia finalmente si fermò


...Lui mi ha obbligata.”


Stavolta suo marito si voltò, trovandola piccola e tremante. Le sue labbra schiuse vibravano d'aspettativa.


Vuoi sapere la verità Elia?”


Gli domandò. Lui buttò gli occhi alla porta di suo padre ancora una volta


Adesso o mai più.”


Katrina aveva finito gli appelli ed aveva ragione, una volta varcata quella soglia nulla sarebbe più stato uguale. Se ne avessero trascinato fuori il cadavere di William lui non l'avrebbe più guardata negli occhi in quel modo, forse per mesi, forse per anni, forse per sempre. Se invece fossero finiti a seppellire Cara Phillis ogni sua speranza sarebbe marcita sotto terra assieme a lei. William l'avrebbe fatta presto sparire, ne era più che sicura.


Elia si bagnò nervosamente le labbra e tornò indietro d'un passo


Posso darti un minuto. Niente di più.”


Come poteva tutta la loro vita non vissuta stare in un solo misero minuto?


Annuendo in silenzio lo raggiunse senza toccarlo


Ero appena tornata a casa quella sera...”


Stava piovendo. Le goccioline sbattevano sul parabrezza dell'auto con un ritmo lento ed incessante, spezzato solo dal calmo andirivieni del tergicristalli. L'autista proseguiva verso casa senza fretta, del tutto ignaro del suo cuore, ben più battente della pioggia. Katrina stringeva la bustina tra le mani, trepidante e terrorizzata allo stesso tempo.


Era corsa in casa senza nemmeno aprire l'ombrello, fregandosene dei capelli bagnati e delle impronte sul tappeto persiano. Voleva solo un tè caldo e magari un paio di biscotti in attesa che Elia finalmente rincasasse.


Forse avrebbe dormito fuori anche stanotte.


Scacciando il pensiero poggiò la bustina sul bancone della cucina ed inserì la spina del bollitore.


TOC TOC


Buttò gli occhi all'orologio. Quasi le dieci. Chi poteva essere?


La sua espressione cadde a picco trovando William sotto il suo portico, un sorriso plastico dipinto sul suo viso ed una bottiglia di champagne nella mano destra. Si fece avanti senza chiedere il permesso, riempendo la stanza di gelo come ad ogni sua visita. Katrina mandò giù l'inevitabile timore che lui le suscitava ed accennò un sorriso di circostanza


Cosa potere fare per te William?”


Lui arricciò il naso come avesse sentito lo stridere di una forchetta sul piatto. Con tanto tempo da perdere la cara Pushkina avrebbe almeno potuto perfezionare il suo inglese. Sollevò la bottiglia


Sono qui per festeggiare!”


Lei guardò la bustina marrone ancora in cucina e scosse il capo. Era sì il terzo test che comprava, ma non ne aveva fatta parola né con Elia né con altri. Era impossibile che sapesse. Vero?


Festeggiare cosa?”


La sua falsa ignoranza diede ai nervi del suocero che presto poggiò lo champagne sul tavolo e la fulminò col suo sguardo


Avrò presto un nipote. Non ti sembra un evento da festeggiare?”


Prese a scartare la bottiglia


So che tu non dovresti bere nel tuo stato, ma andiamo, cosa vuoi che succeda per un goccetto?”


Katrina divenne di pietra nell'istante in cui il tappo saltò fuori col suo “pop”.


Come... Come sai?”


La lingua le si era appiccicata al palato e tutta quella sceneggiata sapeva improvvisamente di preludio alla tragedia. Lui sfoderò un altro sorriso, facendo brillare i denti tra la folta barba scura


Davvero credi che non controlli ogni tua mossa?”


Buttò lì con leggerezza, andandosi a cercare un bicchiere degno dell'occasione. Katrina sentì il respiro che accelerava ed istintivamente cercò la porta con gli occhi


Conosco ogni tuo spostamento. Ogni cosa che fai, dove, quando e come la fai...”


Buttò giù d'un fiato la prima flute di bollicine


...Ma devo dartene atto. Questa non me l'aspettavo.”


Katrina portò il palmo sinistro sulla pancia


Io nemmeno.”


Rispose in un sussurro, ma lui scrollò le spalle e mollò il bicchiere per avvicinarla


Piccola dolce Pushkina...”


Katrina indietreggiò fino a raggiungere la parete, lui le fu presto davanti, alto e possente


...Così giovane ed innocente...”


La nocche ruvide di William le sfiorarono il viso e lei si voltò immediatamente per evitare quel fastidioso contatto. Suo suocero le afferrò il mento con decisione e la costrinse a guardarlo


...Credo che tu sia molto più furba di quanto non voglia dare a vedere.”


Lei sgranò gli occhi. Non avrebbe saputo come difendersi se quell'assalto fosse continuato. Fortunatamente William mollò presto la presa e tornò ad abbeverarsi


Ti ho lasciato sposare mio figlio per poter siglare un contratto...”


Di nuovo quel tono pacato l'accarezzava con false attenzioni


...Di certo non volevo che lo trasformassi in un bamboccio malato d'amore.”


Con disprezzo tornò a guardarla, dall'alto in basso. Si leccò le labbra e di nuovo le fu vicino


Sono certo che si stia davvero bene tra le tue gambe Katrina...”


Lei rispose con una smorfia di disgusto, apparentemente gradita. William rise di gusto, stavolta accarezzandole i capelli


...Anche a me piace la carne giovane e profumata.”


Katrina si liberò dalle sue grinfie e corse all'altro lato della stanza


Non toccarmi!”


Lui rise di nuovo versandosi il terzo bicchiere


Sto solo dicendo che capisco Elia. Ma un figlio?”


Buttò giù tutto ancora una volta


Un figlio crea troppe complicazioni, non credi anche tu?”


No.”


Ribatté con decisione. Ne era felice, assolutamente felice, e lui non avrebbe distrutto quel momento. William fu di un'altra opinione, il suo sorriso sparì ed il volto gli si fece nero in un istante


Non stavo davvero chiedendo la tua opinione.”


Stavolta la raggiunse minaccioso. Afferrò una ciocca dei suoi lunghi capelli nel pugno e strattonò senza grazia, ignorando il suo lamento di dolore


Non ti lascerò rovinare mio figlio stupida russa.”


L'atmosfera piombò nel terrore in pochi istanti e Katrina si trovò nuovamente spinta al muro con un tonfo secco


Lui ama me.”


Tentò di difendersi, ovviamente con le parole sbagliate


Lui è il mio figlio migliore...”


Esordì afferrandole la faccia e battendole la testa al muro


...Ho passato anni a plasmarlo a mia immagine e di certo non ti lascerò rovinare tutto.”


Le si avvicinò tanto da sfiorare il naso di Katrina col proprio, mischiando il fiato alcolico a quello di lei


Quindi io e te faremo un accordo adesso, intesi?”


Katrina cercò di dimenarsi, ma lui la inchiodò ancora una volta col suo peso


Lascia che ti elenchi le opzioni...”


Le cinse la vita sottile con la sinistra, stringendo più del dovuto mentre il ruvido della sua barba pizzicava il lobo della nuora


...Puoi avere questo bambino e darlo a me non appena sarà nato. Posso farne un altro ottimo guerriero...”


NO!”


Niente di più scontato. William strinse ancora un po'


Bene. Allora non avrai nessun bambino.”


Katrina si dimenò più forte che poteva leggendo tra le righe di quelle parole. Non avrebbe mai abortito.


Lasciami!”


William stavolta sembrò più scocciato che divertito. Voltò il viso di Katrina perché i loro occhi potessero incrociarsi e si leccò le labbra ancora una volta. La mano che le cingeva la vita mollò la presa per impugnare quanta più stoffa del suo vestito potesse, tirando su con decisione. Lei si mosse disperatamente come un'anguilla, ma non v'era confronto


Di quante settimane sei? Tre? Forse quattro?”


Mentre le scopriva le gambe sembrava tutt'intento a fare i suoi calcoli, sempre e comunque freddo come un robot. Ciò che non sembrava affatto freddo erano le sue mani che cercavano di ficcarsi sotto la gonna e tra le sue gambe


No no no no no.”


I suoi lamenti erano ormai solo un inutile sottofondo. Con la gamba l'aveva già obbligata ad allargare le ginocchia e le sue dita erano inesorabilmente riuscite ad accarezzare la sua parte più privata attraverso la biancheria. Quell'unico gemito di soddisfazione che William pronunciò nel suo orecchio la convinse che presto avrebbe vomitato. I pugni di Katrina sulla schiena lo sfioravano appena


Abbastanza presto da instillare il dubbio...”


L'altra mano di William mollò la presa per cercare uno dei suoi seni


...Potrei scoparti qui ed ora come la troia che sei...”


Le si spalmò addosso tornando a sussurrarle nell'orecchio


...Ti piacerebbe credimi...”


Lei trattenne un conato


...Ma non piacerebbe ad Elia.”


Le sue manovre si bloccarono di colpo e tornò a fissare le sue iridi terrorizzate


Come pensi che ti guarderebbe dovendosi chiedere ogni giorno se porti in grembo suo figlio o suo fratello?”


Katrina approfittò immediatamente di quel piccolo varco e fuggì il più lontano possibile per riprendere fiato


Elia non può credere questo.”


Lui sorrise vittorioso


Ci crederebbe invece. Lui ascolta ogni mia parola e tu lo sai.”


Katrina strinse i denti. Davvero non aveva armi contro quel mostro. Si calmò abbastanza da riuscire a star dritta e tirò su col naso, cercando di riprendere quanto più contegno possibile


Io voglio mio bambino.”


Lui non sbottò nuovamente come poteva immaginarsi, bensì si versò l'ennesimo bicchiere come niente fosse


Benissimo. Vattene allora.”


La russa scosse il capo ancora stordita


Cosa?”


William poggiò il bicchiere per l'ultima volta e le rivolse lo sguardo più autoritario che avesse mai ricevuto


Vattene da qui. Stanotte. Subito. Prendi tutte le tue cose e sparisci il più lontano possibile senza mai tornare. Penserò io ad Elia.”


Katrina aprì la bocca, ma lui la bloccò con un solo cenno dell'indice


Se sarai ancora qui domani, il bastardo che porti in grembo non sarà l'unico a dire addio alla sua vita.”




Non appena ebbe finito quel racconto, durato forse un minuto forse un'ora, le parve di aver finito anche tutte le lacrime che aveva in corpo. Era leggera adesso, era leggera e pulita, non aveva più bisogno di piangere. Cercò Elia e lo trovò più vicino di quanto ricordasse. Anche i suoi piangevano in silenzio, il suo viso rigato per la prima volta di fronte ad una donna che non fosse sua madre. Il pallore sulle sue guance a conferma di aver vissuto quel terribile ricordo con lei. Quel padre che aveva apparentemente distrutto ogni cosa, davvero ogni cosa.


Fu lui a muoversi per primo, provando a toccarle la pancia, ma immediatamente ritraendo la mano


Tu...”


Sussurrò appena. Non c'era bisogno di chiederlo a parole. Katrina abbassò il viso e scosse la testa


No. Ho perso il bambino... Ad undici settimane... Su un treno per il Nevada.”


Elia strinse i denti come se avesse preso un colpo allo stomaco. Lei inspirò


Tutto è finito quella notte. Ha fatto male e...”


Ti prego fermati.”


Lei si zittì, ma solo per una manciata di secondi


Merita di morire.”


Aggiunse per chiudere quel cerchio, scacciando quei terribili ricordi ancora una volta nel buio della sua mente. Era scesa da quel treno vuota e decisa, ripartendo il più presto possibile in senso contrario. Lei non avrebbe potuto far nulla contro William, ma qualcun altro forse sì. I Merli Mancini. Così li chiamava Elia ed a quello strano nome tutta la casata sembrava tremare per un istante. Se erano abbastanza forti da spaventare i Michaelson, allora forse avrebbero potuto aiutarla a schiacciare William come il verme che era. Li avrebbe trovati, li avrebbe trovati e pregati. Sarebbe diventata una di loro fosse stato necessario. Quel crimine non sarebbe rimasto impunito.


Lo so.”


Rispose Elia tornando a guardare la grande porta in fondo al corridoio.





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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII ***


capitolo XVIII

CHI NON MUORE SI RIVEDE! Grazie a tutti, non odiatemi troppo!

CAPITOLO XVIII



A cervello spento e col gelo nel cuore Joseph sorpassò l'ormai minuscola sagoma di Katrina e coprì a lunghi passi la breve infinita distanza tra lui e la sua fine. Spalancò la grande porta ad occhi chiusi, pregando un dio in cui nemmeno credeva affinché riaprendoli potesse vedere solo il sorriso della sua ragazzina.


Non appena le sue palpebre si sollevarono la sua vista fu subito ferita dall'immagine di William, vivo e vegeto, che gli dava le spalle. Stringendo i pugni e prendendo fiato lasciò scorrere gli occhi verso il pavimento e proprio lì, nell'angolo destro, le sue peggiori paure presero vita nella sagoma sdraiata di Cara. Senza troppa grazia se ne stava prona sul pavimento gelido, il viso addormentato e la pistola abbandonata poco distante. Sotto il suo corpo la pozzanghera di sangue carminio andava allargandosi nel silenzio più totale.


Joseph lasciò che lo shock del momento risucchiasse tutta l'aria dai suoi polmoni ed il sangue dal suo cervello. A stento riuscì a voltare di nuovo il capo verso l'altra persona viva nella stanza. William si voltò impassibile come sempre, le mani impegnate a lucidare l'arma che aveva appena usato per sparare, scrutò il viso pallido di Joseph e sollevò il sopracciglio


Ti senti bene figliolo?”


Quella parola lo graffiò come una lama in viso ed i suoi occhi tornarono a fissare la pace di Cara sul pavimento. William seguì pigramente la traiettoria del suo sguardo e ripose l'arma sulla scrivania


Era roba tua?”


Chiese atono, parlando di lei come fosse una cosa qualsiasi gettata a terra. La prima ondata di sangue bollente si riversò nelle mani tremolanti di Joseph, mentre l'altro proseguiva, osando addirittura un sorriso sardonico


Avrei dovuto immaginarlo. Tutti i miei figli hanno pessimo gusto in fatto di donne.”


Stavolta fu un rigurgito di bile ad affacciarsi alla bocca di Joseph, amara com'era amaro e pungente l'odore in quella stanza. William abbandonò la sua posizione di trionfo e raggiunse il carrello degli alcolici per versarsi due dita di whisky.


Ne vuoi?”


Domandò, ma non ottenne risposta. Il figliastro era ormai una statua al centro dello studio, il viso bianco come la maglietta sudata che indossava.


Bella ragazza senza dubbio... Troppo giovane... E sicuramente troppo lenta...”


Continuava a parlarne come se non fosse davvero lì, sdraiata a morire sul suo prezioso parquet, come se non avesse alcuna importanza.


Sei stato tu a mandarla qui?”


Ancora niente.


Avresti potuto almeno insegnarle qualcosa di meglio.”


Joseph si lasciò ferire anche da quel subdolo mascherato tentativo di addossargli la colpa. Le vene del collo iniziarono a pulsargli forte fin dentro le orecchie ed il fischio acuto nella sua testa coprì finalmente la voce fastidiosa di William.


Ti ho addestrato meglio di così.”


Scolata l'ultima lacrima di liquido dorato il più anziano poggiò il bicchiere e finalmente si voltò con l'indice puntato al cielo. I suoi occhi scuri incrociarono lo sguardo in fiamme del killer che aveva cresciuto. Scuro in volto come pece, Joseph digrignava i denti ed espirava fumo invisibile dalle narici. Le mani strette tremavano visibilmente ed il petto andava su e giù, veloce sotto la chiazza di sudore che gli si stendeva sul petto. Le pupille divenute puntini fissavano la meta come un toro fissa il telo rosso prima di caricare. William sollevò nuovamente le sopracciglia, sul suo volto spento campeggiò per un secondo un velo d'autentica ammirazione.


Un ringhio profondo e spaventoso vibrò nella gola di Joseph mentre le sue nocche si facevano bianche. Un urlo di puro disprezzo eruppe dalle sue labbra rimbombando nella stanza chiusa, i suoi piedi si mossero senza controllo ed il suo pugno serrato si scontrò senza remore contro il volto dell'uomo che l'aveva cresciuto. William barcollò cadendo contro la libreria di sinistra. Vetro e legno si frantumarono a terra, mischiando il loro fragore alle urla disperate di Joseph. Un cazzotto ed un altro. Ed un altro ancora. William incassava in silenzio come un vero boss, appiccicandosi in viso il più autentico ed inquietante sorriso divertito. Joseph gli colpì il naso mentre l'altro gli rideva in faccia, deciso a trattarlo come feccia fino all'ultimo.


Questo è per mamma!”


Gli urlò contro assestando l'ennesimo colpo allo zigomo. Ormai non riusciva più a vedere il volto di suo padre sotto la maschera di sangue che andava dipingendo coi suoi pugni, ormai la sua testa era occupata solo dall'andirivieni di immagini, ricordi e fantasie che per quasi trentatré anni aveva represso. Il viso di sua madre, le carezze nascoste, le ronde notturne, il braccio spezzato e l'ipocrita torta delle domenica. Il vestito blu che Cara indossava sull'aereo, lo shampoo all'albicocca e le sue lacrime addosso. Ogni pensiero rifiutato andava riprendendosi il proprio posto, scansando a calci gli ultimi brandelli di rispetto rimasti per quel figlio di puttana che gli aveva dato nulla più che un nome altisonante. Le sue nude mani facevano male, ma non abbastanza da volersi fermare. L'avrebbe ucciso lì e adesso, con le sue sole dita.


E questo è per lei!”


Ancora un altro pugno, ancora le sue nocche contro qualcosa di viscido e croccante allo stesso tempo. Tutto il resto non esisteva più, il suo sogno finalmente si stava realizzando, il suo demone si stava scatenando ed i suoi occhi, i suoi occhi stanchi non avrebbero più visto quel brutto muso. Trattenendo William per il collo della camicia, respirò a fondo sollevando il pugno. Non si sentiva più le dita e tutto il braccio parve dolergli di colpo. L'unico padre che avesse mai conosciuto respirava ancora, l'occhio destro, appena aperto, lo guardava con più rispetto di quanto non ne avesse mai avuto in una vita. La sua folta barba grondava del sangue che aveva sputato ed il suo petto andava su e giù senza sosta


Bravo figliolo...”


Raspò tra sangue e saliva


...Ecco cosa ti ho insegnato.”


Joseph strinse i denti caricando l'unica arma a sua disposizione. Un ultimo colpo ben assestato e gli avrebbe spezzato il collo, liberandosi per sempre dell'uomo che ancora una volta si era preso tutto. Sua madre, la sua gioventù, la donna di cui si era innamorato. Solo un ultimo colpo...


Fermati.”


Elia. La straziante, terribile voce di Elia. Il braccio gli si bloccò a mezz'aria nonostante non volesse


Fermati Joseph.”


La voce lenta, ferma, tranquilla quasi. Il sangue gli ribollì nelle vene ancora una volta.


Merita di morire!”


Urlò in faccia a William, ancora stretto e barcollante nella sua presa


Lo so... Ma non così.”


Joseph voltò il capo senza mollare la stretta, gli occhi atterriti e disperati rivolti al fratello. Elia si fece strada nella stanza e raggiunse le sagome ansimanti degli altri due. Suo padre indossava una maschera sanguinolenta, ma, come sempre nel suo stile, non lasciava trapelare alcun dolore o sentimento.


Credo che abbiamo tutti bisogno di un drink.”


Si avvicinò al carrello degli alcolici, mise tre bicchieri in fila e lentamente li riempì dando le spalle alla scena. Due dita precise in ognuno. Poggiò il primo drink nel disordine della scrivania e poi, calpestando vetri e polvere, arrivò fino a Joseph. Cercò gli occhi di suo fratello e con tutta la calma possibile gli porse il secondo


Lascialo.”


Intimò. Una scintilla gli percorse le pupille, mentre il suo sguardo percorreva la breve strada tra il viso di Joseph e le sue dita strette attorno al collo di William. Tornò a guardare suo fratello con lo stesso fuoco negli occhi. Joseph ingoiò a forza l'adrenalina che ancora gli scorreva dentro. C'era qualcosa in quell'occhiata fiera e decisa, qualcosa che non poteva ancora decifrare, ma che lo spinse comunque a mollare la presa.


William si abbandonò con un tonfo sul legno e, curvo su sé stesso, prese a tossire sangue e bava.


E adesso bevi.”


Joseph afferrò con disdegno il bicchiere dalla mano di Elia e, senza mollare i suoi occhi, digrignò i denti un'ultima volta prima di mandar giù. Il maggiore annuì in maniera impercettibile e tornò indietro per recuperare il proprio scotch. Non voleva darlo a vedere, ma i suoi muscoli fremevano di rabbia ed incredulità, ancora tramortito dalla storia di sua moglie. Avrebbe mai potuto mentire su una cosa del genere? Come poteva fidarsi di lei? Davvero suo padre aveva distrutto la sua famiglia? Davvero aveva ucciso la mamma? Perché Katrina aveva parlato solo ora? Era forse l'ultima disperata mossa del suo piano?


William si tirò finalmente su e si riempì i polmoni a fatica. Gonfio e livido, non mancò comunque di sorridere vittorioso


Ce ne hai messo di tempo Elia...”


Si schiarì la voce cercando di ricomporsi


...Il mio figlio migliore.”


Joseph sentì le mani tremare di nuovo e poco mancò che di nuovo partisse all'attacco, stavolta per finire l'opera


Fermo.”


Nuovamente Elia lo bloccò, avanzando verso di loro. Squadrando le spalle cercò gli occhi dell'uomo che gli aveva dato la vita


Hai ucciso tu nostra madre?”


L'altro sembrò per nulla colto di sorpresa dalla domanda diretta, si passò il dorso della mano sulla bocca


Dopo il modo in cui mi ha mancato di rispetto?”


Il suo occhio buono guardò Joseph con disprezzo


In cui ha disonorato la famiglia?”


Si tirò su all'altezza del suo figlio prediletto


Sì. L'ho uccisa. Ho vendicato il mio nome... ed anche il tuo.”


Elia chiuse gli occhi per un istante o due, ascoltando nel silenzio solo il ringhio di Joseph. Ogni secondo diventava più difficile star fermo e comunque, qualsiasi strana cosa Elia avesse in mente, quel bastardo non sarebbe mai uscito vivo dalla stanza. Mai e poi mai.


Non essere arrabbiato figliolo...”


Riprese William afferrando la poltrona per tenersi in piedi e ridarsi un tono


...Sai bene come funziona. Il perdono rende deboli e noi non siamo deboli... Noi siamo i Michaelson!”


Sottolineò con fierezza accarezzando la pelle sotto il suo palmo, lanciando un'occhiata compiaciuta, quasi divertita, al figlio bastardo che fremeva poco più là. Elia indietreggiò di un passo facendosi più vicino al fratello


Giusto.”


Rispose atono, scatenando ancora una volta il pieno stupore di Joseph


Ma che cazzo stai dicendo?!!”


Il maggiore scrollò le spalle


Ci sono cose che non possono essere perdonate Joseph...”


Mollando lo sguardo del fratello si diresse di nuovo verso William


...Cose che nessun uomo dovrebbe sopportare...”


Si sollevò squadrando le spalle


...soprattutto un Michaelson.”


William storse le labbra livide in un fiero sorriso. Ancora una volta la ruota girava a suo favore. Sapeva di aver cresciuto bene il suo secondogenito, ma le sue convinzioni avevano vacillato al sentir parlare di Amelia, temendo che il ricordo materno potesse oscurare il suo potere. Quella donna l'aveva reso ridicolo in vita, ma fortunatamente ogni sua influenza era stata sepolta tra strati di seta e chiodi d'acciaio. Sollevò finalmente il bicchiere e l'avvicinò al naso per apprezzare dapprima l'odore della vittoria. Un'altra guerra vinta.


Hai costretto Katrina ad andarsene?”


Le labbra di William si serrarono appena prima che potesse assaporare il velluto di quella bevanda pregiata. La puttana aveva cantato alla fine. Collera e disprezzo si riaccesero tra le sue costole doloranti, ma sul suo viso si dipinse nulla più che ilarità


Non crederai mica a quell'arrampicatrice sociale figliolo?”


Elia rimase in piedi, facendosi più rigido di prima, ancor più del fratello sconvolto che gli trafiggeva le spalle con gli occhi


William tornò allora a sedersi sulla sua amata poltrona e, sollevando le mani all'aria, decise di giocare la carta dell'onestà. Si trattava di Elia dopotutto, il figlio placido ed obbediente, quel figlio che pendeva dalle sue labbra come un leone dalla frustra del suo domatore. Poteva sì provare a ribellarsi, ma uno schiocco o magari due l'avrebbero di certo rimesso al proprio posto


Va bene, va bene, va bene...”


Incrociò le mani sullo stomaco


...Ammetto di aver detto delle cose che potrebbero averla spinta ad andarsene.”


Di fronte allo sguardo ancor più vitreo di suo figlio, sbatté i palmi sulla scrivania


Ma l'ho fatto per te figliolo, perché non potevo sopportare che ti trattasse come un burattino, che ti manipolasse come un patetico cucciolo innamorato...”


Col disgusto sulla lingua balzò di nuovo in piedi e puntò l'indice contro Elia


...Tu sei William Michaelson Quarto! Sei l'erede del mio impero, il più forte, il più intelligente... Il figlio che ho cresciuto con orgoglio e dedizione... Tu non sei un debole... Nessuna donna vale più del tuo nome, tanto meno quell'insignificante Pushkina ed i frutti del suo sporco ventre!”


Nonostante le carezze del diavolo, il figlio prediletto non si smosse di un millimetro


Elia...”


Joseph tornò finalmente a farsi sentire. Non capiva più di cosa suo padre stesse parlando, ma doveva assolutamente svegliare suo fratello da quel coma apparente prima che William completasse il suo incantesimo


...non ascoltarlo!”


Come poteva farsi abbindolare ancora una volta? Come poteva?


Ed Elia finalmente si mosse. Sospirando abbassò il capo per guardarlo con la coda dell'occhio


Perché no? In fondo ha ragione...”


A passi lenti, accompagnato dalla sconcerto di Joseph, raggiunse il carrello ed afferrò il proprio drink, finora ignorato


...Sono io, William Michaelson Quarto...”


William sollevò il sopracciglio, nascondendo in maniera maldestra il suo reale stupore


...Ed è tempo che renda onore al mio nome.”


Detto ciò si voltò verso suo padre e con la schiena dritta ed il mento sollevato, innalzò il bicchiere a mezz'aria proponendo un brindisi silenzioso. William si gonfiò il petto d'orgoglio e contrasse le labbra livide in un sorriso pieno. Era talmente fiero di sé che sarebbe potuto scoppiare come la rana dalla bocca larga narrata da Fedro. Raccolse il drink e rispose al gesto senza pensarci due volte


A te figlio mio.”


Tuonò trionfante guardando non Elia, ma Joseph. Quel brindisi era per lui, per sottolineare ancora una volta quanto fosse inutile ed insignificante, quanto ai suoi occhi non valesse nulla. In quella stanza era piccolo ed invisibile, pietoso come il suo misero piano fallito, inerme ed irrilevante come il cadavere della sua donna che si dissanguava sotto i suoi piedi.


Mandò giù in pochi sorsi decisi, senza nemmeno sentirne il sapore. Ma anche se si fosse preso tutto il tempo di assaporare sulla lingua le note di agrumi, mele e vaniglia, fino a scorgere i vaghi sentori di fumo e spezie esotiche, nemmeno allora avrebbe potuto capire cosa stesse per succedergli.


Il tonfo sordo del bicchiere sul legno risuonò nella stanza, forte e vibrante come il gong dell'ultimo round.


Noooo!”


Urlò Joseph pronto a scagliarsi verso William come una furia. Stavolta niente e nessuno l'avrebbe fermato e se fosse servito avrebbe massacrato anche Elia senza pietà, tanto forte da spappolargli il cervello. Non poteva credere che fosse successo, che quella scena orrida e raccapricciante si fosse davvero svolta davanti ai suoi occhi. Non era possibile.


Non era possibile.


Non era possibile.


Il corpo di Elia s'interpose di nuovo tra lui e William, fermando la sua corsa in uno scontro di mani e casse toraciche. Era così che doveva andare allora, non solo suo padre, ma anche suo fratello. Elia gli afferrò i pugni e lo spinse indietro con forza


Deve morire!”


L'ultimo urlo disperato di Joseph si scontrò con la mano gelida di Elia che gli afferrava il volto e lo costringeva a guardarlo


E' già morto.”


La fronte di Joseph s'incurvò di confusione. I suoi muscoli, colmi di sangue e cortisolo, tentarono di muoversi ancora un paio di volte prima che il suo sguardo cadesse sulla scrivania di William ed il cervello ripristinasse il flusso della ragione


E' già morto.”


Ribadì l'altro, scandendo stavolta ogni parola con calma ed un alone di dolcezza. La sua mano, non più fredda, scivolò dal viso di Joseph e tornò morbida lungo il suo fianco. L'occhiata che i due fratelli si scambiarono in quell'istante di realizzazione fu quanto di più intimo avessero mai vissuto, più potente del primo omicidio e più profonda di ogni patto di sangue condiviso. Quel momento cancellava ogni torto, ogni dubbio, ogni gelosia. Quell'attimo li rese finalmente fratelli, non più solo a metà.


Che diavolo stai...”


Le parole di William perirono a mezz'aria. I suoi occhi caddero sul bicchiere vuoto poggiato sulla scrivania


Che cosa hai fatto Elia?”


Domandò in un onesto mix di paura, stupore ed incredulità. Elia prese un lungo respiro ed espirando lentamente osservò per l'ultima volta i tratti dell'uomo che gli aveva dato la vita. Amore e timore. Rispetto e paura. Orgoglio ed incertezza.


Te l'ho detto padre...”


Sentenziò muovendosi finalmente dalla sua posizione. Era ormai chiaro quanto appena successo e quel che ora sarebbe accaduto in quella stanza. L'acido cianidrico sciolto nello scotch di William avrebbe presto iniziato a far effetto e nulla avrebbe più potuto fermare i suoi respiri affannosi, la sua tachicardia e la sua copiosa sudorazione. Poi forse sarebbe arrivato il vomito, seguito dalle convulsioni e dall'inevitabile trapasso.


... Ci sono cose che non possono essere perdonate...”


Che fine misera ed ingrata per un grande comandante come William Michaelson III.


...Cose che nessun uomo dovrebbe sopportare. Soprattutto un Michaelson.”


La consapevolezza innescò nel vecchio i primi colpi di tosse ed il bruciore in gola, ucciso più dall'incredulità che dal veleno.


Aiutami!”


Ordinò William nell'ultimo impeto d'autorità, ma il suo figlio prediletto altro non fece che tornare a fissarlo, con distacco, mentre si abbandonava sulla poltrona. Il suo viso non si mosse di un millimetro. Non provava più nulla, né la rabbia né il rimorso che temeva. Nemmeno Nathaniel lo preoccupava più anzi, era ormai certo di avergli fatto il più grande dei favori.


Elia?”


Di nuovo Joseph pronunciò il suo nome, gli occhi sgranati e le labbra vuote di parole


Pensa alla ragazza.”


Gli rispose lui con fermezza e Joseph corse finalmente verso il corpo di Cara, inginocchiandosi accanto a lei. In quei momenti aveva quasi dimenticato che fosse lì e Dio sa quanto gli sarebbe piaciuto poter ancora credere che quel corpo fosse da tutt'altra parte, caldo e vivo come lo era stato tra le sue braccia. Le mani gli tremavano ancora, fosse per i pugni o per la sceneggiata che aveva appena vissuto, ma sentiva di non aver il coraggio di toccarla. Aveva le guance pallide ed una ciocca di capelli scomposta che le cadeva sulle labbra violacee. Senza nemmeno rendersene conto, allungò la mano e scostò la ciocca ribelle per scoprirle il viso. Era fredda, ma non gelida come un morto. Aveva il viso rilassato, ma non l'espressione di pace assoluta di chi ha già varcato l'estrema soglia. Facendosi coraggio le poggiò i polpastrelli sulla carotide e pregò ancora una volta con tutte le sue forze di sentirla pulsare.


Stavolta Dio l'ascoltò, facendo battere il cuore di Cara contro le sue dita, debole ed incostante, ma d'improvviso più forte di ogni straziante lamento alle sue spalle. Un sorriso del tutto spontaneo s'impossessò del suo viso. La sua ragazzina dell'aereo era viva, più forte della pistola di William e d'ogni pronostico a suo svantaggio. Più dura e determinata di quanto non avesse mai creduto. “Non ho molte ragioni per vivere” Così gli aveva detto durante il loro primo turbolento incontro, ma evidentemente qualche buona ragione l'aveva trovata.


Fece per girarla e cercare il foro d'entrata il più in fretta possibile, provando a sorreggerle la testa per non peggiorare in alcun modo le cose. Non appena fu sulla schiena le palpebre di Cara si mossero in maniera quasi impercettibile e le sue labbra si schiusero in cerca d'aria. Joseph le sollevò immediatamente il capo, continuando con l'altra mano a tastare l'origine di quella copiosa emorragia. Il blu profondo dei suoi occhi s'affacciò sbiadito tra le ciglia umide , il viso immediatamente sconvolto dalla ritrovata coscienza


Shhh... Andrà tutto bene.”


Cercò di rassicurarla lui, premendo con forza all'altezza del fegato. Ecco perché sanguinava tanto


Mi...”


La voce le uscì di bocca più rauca di quanto ricordasse


...Mi dispiace.”


Era un suono basso e spiacevole che gli graffiava le orecchie. Per la prima volta guardava il viso morente di qualcuno che non aveva ferito con le sue stesse mani. Per la prima volta non desiderava che quei lamenti strazianti finissero il prima possibile, bensì che continuassero all'infinito. Per la prima volta il sangue sulle mani gli dava la nausea ed il cuore gli si stringeva nel petto, desiderando di poter vincere contro la morte in persona. La ragazzina dell'aereo non poteva morire, non ora, non proprio adesso che il vecchio bastardo andava crepando. Che si prendesse lui la morte.


Il più delicatamente possibile le poggiò un dito sulle labbra perché non si sforzasse di parlare ancora. Era bella anche in quel momento, innocente ed onesta, sbiadita dalla paura, ma accesa dall'innata inevitabile voglia di vivere che le scalciava dentro.


Poteva capirla la morte. Chi avrebbe scelto il brutto muso di William potendo avere lei? Spinse più forte sulla ferita ignorando la sua smorfia di dolore. Non gliel'avrebbe lasciata prendere, non ora che conosceva bene il sapore di quelle labbra ed il calore di quella pelle. Non gliel'avrebbe lasciata prendere.


Shh...Ci penso io.”


Annuì nei suoi occhi socchiusi e le infilò un braccio sotto le ginocchia per sollevarla. Non l'avrebbe lasciata dissanguare in quella stanza.


Elia si voltò ed incontrò lo sconforto negli occhi del fratello. Reggeva quel peso morto come fosse un inestimabile tesoro, determinato e terrorizzato allo stesso tempo. Il sangue gocciolava dalle sue mani sul pavimento, come il ticchettio di un orologio che gira troppo veloce. Quanto avrebbe voluto poter semplicemente chiamare un'ambulanza o precipitarsi all'ospedale sfrecciando a duecento all'ora sulla statale. Come l'avrebbe spiegato ai medici? Come alla polizia? Per la milionesima volta Joseph maledì il suo nome e la sua vita, oggi con più disprezzo che mai.


Portala di sotto. Chiama Gregory.”


Il tono autoritario di Elia lo riportò alla realtà. Non poteva più permettersi di tremolare come un ragazzino, non aveva più un solo secondo da sprecare.


Suo fratello lo guardò sfrecciare via e tornò presto ad osservare gli spasmi di William sulla sua preziosa poltrona, coperta di sudore. Iniziava a sputare bava bianca dalla bocca ed il suo sguardo, fisso sul figlio, andava perdendo lucidità. Per un attimo soltanto sentì qualcosa di simile al rimorso nascergli dentro. Avrebbe d'ora in poi vissuto da parricida, da traditore, da ingrato... Ma non avrebbe più ricevuto ordini, mai più straziato tra l'obbligo di ubbidire e la voglia di urlare, mai più schiacciato dal peso di dover essere perfetto ad ogni costo, di doversi meritare il regno, quello stesso regno che adesso gli si inginocchiava davanti, pronto a gettarsi nelle sue mani. Avrebbe finalmente smesso di abbassare il viso in vergogna davanti alla tomba di sua madre, davanti al fratello che non aveva difeso abbastanza, davanti alla moglie che aveva trascurato e deluso. Avrebbe avuto Katrina. Avrebbe forse anche avuto il figlio che aveva perso per colpa sua, per colpa del padre tanto onorato, che proprio a lui aveva tolto tutto.


Si mosse verso William, gli occhi lucidi, ma lo sguardo fiero


Lo so che non dovrei dirlo, perché noi Michaelson non diciamo certe cose...”


Nemmeno le sue regole avrebbero più avuto importanza


...ma ti ho voluto bene padre. Davvero.”

Lui gli rispose con un rantolo biascicato. Chissà cosa stesse tentando di dirgli, probabilmente che era un debole, una delusione, un figlio irriconoscente. Magari lo stava solo sonoramente mandando a quel paese. Forse però, quell'ultimo guizzo nei suoi occhi, era invece un'ondata di orgoglio pieno e sincero, così come in vita non l'aveva mai guardato.


Se solo potessi capire...”


Si passò la mano sugli occhi per un momento, cercando di cancellare quella vista


...Perché non ci hai mai voluto bene? Perché...”


Abbassò gli occhi per contenere l'improvvisa ondata d'imbarazzo


...Perché mai, nemmeno una volta, sei riuscito ad essere fiero di noi?”


Il bambino rifiutato e l'adolescente insicuro presero posto accanto a lui in quell'ultimo confronto, tornando alla luce dopo tanto, troppo tempo. Quel dolore premeva ancora alto nello stomaco, quella perenne sensazione di insufficienza che accompagnava ogni sua decisione, quell'insensato bisogno d'approvazione che nessun uomo della sua età dovrebbe trascinarsi dietro come un macigno.


Posso capire perché odi tanto Joseph, ma io... io... Ho sempre fatto ciò che mi hai chiesto, obbedito ad ogni ordine... Ho provato in tutti i modi papà...”


Ancora una volta guardò il pavimento in un sospiro, sentendo scoppiare nel petto quella parola tanto semplice eppure così estranea alle sue labbra


...Perché hai fatto questo a me?”


Il viso di suo padre andava ammorbidendosi, ancora gonfio e paonazzo mentre le rughe sulla sua fronte si distendevano lentamente, accompagnate da un respiro lento, debole e prolungato. I suoi occhi socchiusi sbatterono le palpebre un paio di volte, fissandolo dritto nelle orbite. Non più arrabbiato, non più deluso, non più spaventato.


Si sarebbe tenuto il dubbio.


Ecco come muore un vero Michaelson.


Elia cadde sulle ginocchia, restando ad osservare quel corpo esanime. Suo padre. Il cuore gli ballò tra le costole ancora una volta e delle lacrime non richieste gli bagnarono silenziose le ciglia. Quella voragine che gli si apriva dentro non aveva il sapore della vittoria, bensì graffiava forte come fa il rimorso, come fanno i rimpianti, come fa l'anima macchiata delle persone per bene. Lui non sarebbe mai stato una brava persona, mai dopo questo, eppure quella dolce consapevolezza ne affievolì il dolore. Nonostante tutto c'era ancora un uomo dentro la sua corazza gelida, un uomo vero e capace di soffrire, non il mostro che tanto aveva temuto di essere diventato.


Asciugò quella sola pesante lacrima con un gesto veloce della mano, di colpo conscio della presenza silente alle sue spalle. Guardò la silhouette sfocata di Katrina con la coda dell'occhio, senza nemmeno chiedersi da quanto fosse lì.


E'...?”


Morto. Non vi fu bisogno di pronunciare la parola, le bastò guardare le spalle di suo marito cadere giù in silenzio. Katrina ingoiò in un sol boccone la voglia di saltare dalla gioia e si fece strada verso Elia. Incerta gli posò una mano sulla spalla, un tocco appena accennato. Non si sarebbe stupita affatto di vedere quella stessa mano scacciata in malo modo, era anche colpa sua dopo tutto, soprattutto colpa sua. Ed Elia amava quel padre freddo e crudele, probabilmente più di quanto amasse lei.


Sorprendentemente la sua piccola mano rimase lì, indisturbata su quella matassa di muscoli, nervi e dolore che era suo marito. Katrina respirò quell'aria pregna di sangue e morte, accovacciandosi piano al suo fianco, guardandolo fissare quel cadavere scomposto. Con la mano libera decise allora di interrompere quell'insopportabile trance e raggiunse il viso di Elia, costringendolo con un accenno di forza a rivolgerle lo sguardo. Guardavano in basso i suoi occhi, i suoi occhi stanchi e lucidi, la scia di una lacrima nascosta sui sui tratti stanchi. Col pollice la cancellò, perché non c'era motivo di piangere, e allora lui finalmente la guardò, limpido come mai prima di quel momento, quasi un bambino tra le sue dita affusolate. Venne da piangere anche a lei, ma scansò quel desiderio con lo spettro di un sorriso. Ancora una carezza e poi non riuscì più a resistere, spinse le sue labbra contro quelle di Elia, la sua bocca asciutta, ma ancora morbida come ricordava, il suo respiro caldo, denso di alcool e rammarico. Gli strinse forte il viso tra le mani e da ultimo lo sentì accettare quel bacio, casto all'apparenza, ma carico di passione e significato. Erano liberi. Il re e la regina del regno finalmente liberi dal maleficio dell'orco cattivo.


Elia si staccò piano, le loro labbra ad accarezzarsi per un istante ancora, le sue mani, ora bollenti, finite non si sa come a cingere la vita sottile di quella moglie tanto odiata e tanto desiderata, come se fosse appena tornata da un lungo, lunghissimo viaggio. Si perse nei suoi grandi occhi scuri e di colpo la morte in quella stanza smise di esistere.


L'era di William Michaelson III era finita. In quel caos di vetri, sangue e saliva, iniziava il suo momento. Iniziava la sua vita.



///////////



Qualcosa di caldo e pesante l'avvolgeva completamente. Ciononostante sentiva freddo, un freddo profondo che le attraversava le ossa e le faceva tremare le interiora. I suoi occhi non vedevano altro che buio. I suoi occhi chiusi, realizzò. Cara tentò di muoversi, ma non ci riuscì, un peso enorme all'altezza dello stomaco la teneva giù, incollata come un adesivo a quella superficie liscia. Il suo indice destro si mosse appena accarezzando un tessuto tiepido e levigato. Una netta ed improvvisa sensazione di dejavu la colpì come un macigno. L'aereo. Joseph e la sua nave. Joseph. Il pensiero confortante del Lupo svanì però immediatamente. William. Il suo sorriso che la sfotteva. Le sue mani paralizzate dalla paura. I colpi. Il dolore. Il freddo ancora una volta. La sconfitta.


Con un respiro mozzato si tirò su di colpo, trascinando qualsiasi barriera la stesse trattenendo. Spalancò gli occhi cercando ancora quell'uomo ed i suoi occhi vuoti, ma un dolore improvviso e lancinante le spezzò il fiato. Si portò le mani alla pancia. Era ancora viva? Perché era ancora viva?


Hey, vacci piano.”


Joseph, la sua voce, era lui. Lo cercò immediatamente coi suoi occhi secchi e spalancati, costringendo le pupille a contrarsi finché la sua sagoma sbiadita divenne l'immagine netta e nitida dell'uomo che aveva tradito. Subito il sollievo divenne paura mista a vergogna. Evitò i suoi occhi sentendolo avvicinare, cercò di ritrarsi, ma non ci riuscì per via di quel maledetto pulsante dolore.


E' già un miracolo che tu sia viva, cerca di non strafare.”


Sentì le sue mani calde spingerla giù con delicatezza e di nuovo la sua testa si abbandonò su quel morbido cuscino. Deglutì un po' dell'amaro ferroso che sentiva in bocca e prese a guardarsi intorno. Quella stanza da letto le era del tutto sconosciuta, a differenza dell'odore dolciastro che le accarezzava le narici. Tuberosa. Le pareti beige circondavano una stanza non troppo ampia, di fronte a lei un comò bianco sormontato da un grande specchio incorniciato, uno sgabello in finta pelle e una libreria semivuota. Voltò gli occhi alla sua destra, dove un grande armadio laccato brillava nella flebile luce dell'abat-jour accesa sul comodino. Dietro la sua testa un'enorme testata capitonné, quasi incombente nella freddezza della sua pelle color testa di moro. A sinistra non osò guardare, sentiva gli occhi di Joseph trafiggerla ad ogni mossa e non era ancora pronta ad affrontare le conseguenze della sua debolezza. Strinse gli occhi a quel pensiero cocente. Aveva fallito. Non era stata abbastanza forte. Né abbastanza brava. La sua sconfitta era anche quella del Lupo e, se lo conosceva almeno un po', adesso gliel'avrebbe fatta pagare, così come in fondo meritava.


Come ti senti?”


Lo sentì parlare di nuovo e, a malincuore, voltò il capo verso di lui, evitando ancora accuratamente il suo sguardo. Avrebbe voluto rispondergli, ma in tutta franchezza non aveva idea di cosa dire, a parte le continue coltellate al fianco destro. Si morse le labbra e cercò quel poco di coraggio ed amor proprio che le erano rimasti


Mi dispiace.”


La voce le uscì roca, le corde vocali raspavano l'una contro l'altra. Le fu subito chiaro che non parlava da un po'. Quanto tempo era passato? Di nuovo deglutì


Ho fallito.”


Cercava di parlare con il più assoluto distacco, ma dentro le si muoveva tutto, come fosse una gelatina accanto al fuoco


Volevo fare tutto da sola, ma è abbastanza chiaro che sono troppo debole...E stupida...E...”


A quel primo accenno di autocommiserazione intervenne lui


Hai finito?”


Il suo tono rilassato, quasi divertito, uccise gli insulti per sé stessa che ancora serbava tra le labbra. Da sotto le ciglia buttò una prima occhiata verso Joseph. Aveva il viso riposato, un bel colore roseo sulle guance, una linea appena di barba sul viso e le labbra strette in un accenno di sorriso. Sorriso? Dal collo in giù il suo torso era avvolto in una t-shirt blu, pulita, non troppo scura, ma abbastanza blu da accendere i suoi occhi. Non era certo la faccia di un assassino deluso.


Che è successo?”


Domandò allora Cara, di colpo conscia di non aver la benché minima memoria di cosa fosse accaduto dopo gli spari. Il suo sguardo si fece lentamente più coraggioso e raggiunse quello del Lupo.


Stavolta Joseph non trattenne quel già malcelato sorriso, i suoi denti bianchi si scoprirono appena


E' morto.”


Lei aggrottò le sopracciglia cercando di capire chi, come e quando. Joseph si sedette al suo capezzale


William è morto.”


Precisò e di nuovo Cara si tirò su di colpo, ignorando la botta allo stomaco, il pallido viso ora alla stessa altezza di quello di lui


Tu?”


Il sorriso di Joseph si spese mentre, abbassando gli occhi, scuoteva la testa


Elia.”


Le ci vollero un paio di secondi per rimettere a fuoco l'immagine di quel fratello in giacca e cravatta, lo stesso che avrebbe voluto a tutti i costi fermare il loro piano. Ma allora perché proprio lui?


Come?”


Domandò, candidamente sorpresa. Lui sembrò cercare le parole per qualche istante, poi scrollò le spalle e sospirò


E' una lunga storia, ma non ha importanza. Ciò che importa è che sia finita.”


Davanti all'evidente perplessità dipinta sul volto di Cara, decise di sorridere ancora, stavolta fissandola dritta nelle orbite


E' finita...”


Ribadì


...William non esiste più. Siamo liberi.”


Allora perché continuava a sentirsi intrappolata? Perché il cuore nel suo petto non aveva preso a battere all'impazzata? Perché quegli occhi azzurri che le brillavano addosso non riuscivano a sciogliere il freddo terribile che la paralizzava dall'interno?


Perché non era stata lei. Nessun festeggiamento e nessuna danza della vittoria avrebbero cambiato quell'unico fondamentale fatto. Non era stata lei. Non l'aveva ucciso. Non c'era riuscita.


Cara inspirò a pieni polmoni, ma il suo viso freddo ed immobile non passò inosservato. Joseph si bagnò le labbra cercando altre parole per dirlo, ma lei lo scavalcò, tornando a concentrarsi sull'insopportabile dolore che le contorceva le viscere.


Che mi è successo?”


Lui si scostò di colpo, raffreddato a sua volta dall'algida reazione di Cara


William ti ha sparato. Il proiettile ti ha lacerato il fegato e sei quasi morta dissanguata. C'è voluto un po', ma alla fine Gregory è riuscito a rattopparti.”


Chi è Gregory?”


Come se avesse importanza. Joseph trattenne l'istinto e decise di porle cortese risposta. La ragazza aveva dormito per giorni, probabilmente era del tutto normale quello stato d'alienazione


Il nostro medico a domicilio.”


Di nuovo Cara si guardò attorno, stavolta volgendo la testa da un capo all'altro della stanza


Dove sono?”


Siamo a casa di Elia, nella stanza degli ospiti.”


Per quanto tempo ho dormito?”


Dodici giorni. Dodici giorni e nove ore per l'esattezza.”


Cara annuì distrattamente, passando ad esaminare le coperte tra cui giaceva. Raso di cotone, certamente costoso. Anche il pigiama che aveva addosso non era suo, come vi fosse finita dentro un mistero. Gli ultimi abiti che ricordava erano neri, attillati e scomodi. Gli abiti della missione. La missione. Di nuovo quel colpo allo stomaco.


Riportò gli occhi su Joseph, adesso in piedi, di spalle, affacciato alla finestra. Era sera e si potevano vedere solamente le vibranti luci della città in lontananza.


Sei felice?”


Gli domandò. Lui le gettò un'occhiata senza voltarsi


Non userei proprio quella parola. Direi più sollevato, leggero... Libero.”


Di nuovo quel termine. Ma come si sente la libertà?


Cara rimase ferma ad osservare le linee nette e decise della sua schiena, le lunghe gambe muscolose appena divaricate. C'era davvero qualcosa di diverso in lui. Quella tensione continua, quell'aspetto guardingo e minaccioso, quell'aura di timore e violenza, tutto sembrava svanito.


Finalmente Joseph si girò a guardarla


E tu? Come ti senti tu?”


Era chiaro dai suoi occhi che non parlava dello stato di salute. Voleva sapere se anche lei si sentiva liberata, se anche lei stava assaporando la morte di William in un dolce boccone, se anche lei avrebbe presto sorriso. Cara fissò il vuoto cercando qualcosa dentro di sé, qualcosa che non riuscì a trovare


Niente. Non sento niente.”


Joseph riuscì a mascherare la delusione di quelle parole, ma non di meno si sentì frustato. Cosa voleva ancora? Cosa diavolo voleva ancora quella donna da lui? Che fosse davvero fatta di gesso e sabbia? Che fosse davvero vuota, asciutta, ed insipida? Dov'erano finiti la passione ed il tormento? La rabbia e la sfida? Dov'era la ragazzina dell'aereo?


Tum. Tum.


Due colpi leggeri alla porta lo sollevarono dall'incombenza di quei quesiti. Elia si affacciò alla porta con un vassoio in mano, buttò un'occhiata al fratello accanto alla finestra e decise di entrare. Poggiò le vivande sul comodino e rivolse un sorriso di circostanza alla sua ospite


Vi ho sentiti parlare...”


Si giustificò


...Bentornata tra noi signorina Phillis.”


Cara lo guardò con la stessa incredulità con cui un bambino fisserebbe un babbo natale dalla pancia imbottita e dalla barba artificiale. Anche lui odorava di pulito nella sua camicia bianca, anche lui composto e rilassato come nulla fosse.


Katrina ha preparato del brodo...”


Afferrò la scodella e gliela porse


...Mangia. Devi rimetterti in forze.”


A metà tra l'ordine e la premura, Cara accettò immediatamente l'offerta. Le sue mani gelide ringraziarono non appena avvolsero quel piatto caldo che odorava sorprendentemente di buono.


Katrina?”


Le uscì di bocca senza controllo, sbalordita e malfidente allo stesso tempo. Elia sollevò il sopracciglio destro


Non sai che cucina? Credevo foste amiche.”


Amiche. E chi ha mai potuto permettersi un'amica?


La questione fortunatamente morì lì ed Elia rivolse subito l'attenzione a suo fratello


Vieni Joseph. Lasciamo che Cara si riposi.”


Lo voleva fuori di lì, era chiaro. Evidentemente anche lui aveva notato lo sbalzo d'umore. Il più giovane sospirò rivolgendole lo sguardo ancora una volta, lei tutt'intenta ad analizzare la sua pietanza. Annuì e lo seguì fuori, senza dire una parola.


Finalmente si è svegliata. Dirò a Gregory di passare domattina.”


Elia prese le scale verso il salotto, suo fratello una sagoma silente alle sue spalle


Dovresti riposare anche tu.”


L'altro scrollò le spalle


Sto bene.”


E sta bene anche lei. Smetti di preoccuparti.”


Non era più la sua salute a dargli pensiero, bensì il vuoto con cui aveva accolto la dipartita di William. Nelle sue più infantili fantasie l'aveva vista saltare sul letto e poi saltargli addosso, ridere di gusto come non l'aveva mai sentita. Nella razionalità aveva poi immaginato di vederla almeno sorridere, le spalle più leggere ed i suoi grandi occhi blu limpidi e luminosi. Nell'intimità della solitudine aveva infine sperato che la ritrovata libertà li mettesse insieme, uno accanto all'altro verso nuove mete, lontano per sempre da New Orleans e dai Merli.


Che stupido.


Nell'incastro dei suoi pensieri non si accorse che Elia gli era di nuovo davanti


Dalle un po' di tempo.”


Da dove veniva quell'improvvisa capacità di leggergli la mente? In quale preciso momento della sua vita era diventato così trasparente? Quasi si vergognò.


Basta parlare di lei.”


Sentenziò. Elia acconsentì senza insistere, riprendendo le scale verso il piano di sotto


E di cosa vuoi parlare allora?”


Joseph fece per seguirlo, ma rimase sul pianerottolo, la mano stretta attorno alla fredda balaustra


Di te. Di quello che hai fatto.”


Il rumoroso respiro di suo fratello lasciò intendere che non fosse argomento gradito


Ne abbiamo già parlato abbastanza. Non c'è più niente da dire.”


Raggiunse il salotto, mirando dritto alla poltrona. Sul tavolino fumavano silenziose due tazze di caffè bollente. Dalla cucina arrivava ovattato il rumore delle stoviglie maneggiate da Katrina.


C'è ancora molto di cui parlare invece.”


Joseph gli si sedette di fronte ignorando le bevande, mentre il maggiore afferrava la sua tazza per portarla al naso e respirare quel rassicurante odore di casa.


Te l'ho già detto, ho fatto quel che dovevo...”


Abbandonò il caffè sul tavolo


...Non l'ho fatto per te. Non hai motivo di sentirti in debito.”


Joseph drizzò la schiena


Non mi sento in debito... Mi sento in colpa.”


A quelle parole Elia scossa la testa. Quel peso era suo e di nessun altro. Ed era già abbastanza pesante.


Non devi...”


Lo guardò negli occhi


...E' stata una mia decisione e dovrò conviverci io. Non tu.”


Stavolta fu Joseph a dissentire


Ho dubitato di te Elia. Ho davvero dubitato di te. Le cose che ho detto...”


Avevi ragione.”


Lo interruppe


Non sono stato un bravo fratello. Ho lasciato che nostro padre ti trattasse come spazzatura, che sfogasse su di te e sulla mamma la sua frustrazione. Avrei potuto difendervi e non l'ho fatto. Avevi ragione, avevi ragione su tutto.”


Quelle parole lo spiazzarono, così dirette ed inattese. Avrebbe voluto anche lui svelare il proprio cuore con così tanta facilità, ma per quanto si sforzasse non ne era ancora capace. Fosse colpa della rigida educazione, fosse colpa dei troppi colpi presi, probabilmente non lo sarebbe mai stato.


Hai fatto abbastanza.”


Per spezzare il momento si interessò al caffè, affogando una zolletta nella tazza. Il cuore gli pompava veloce nel petto. Voleva dirlo. Aveva bisogno di dirlo.


Ora lo so...”


Riprese senza spostare gli occhi dal cucchiaino


...Non avrò il sangue dei Michaelson, ma di certo ho un fratello.”


Una botta improvvisa di calore gli raggiunse le guance, quasi fosse un ragazzino alla prima cotta che sperava di non arrossire in pubblico.


Ne hai due!”


Il sorriso sbiancato di Nathaniel illuminò la stanza, lasciandoli sbigottiti. Il più giovane dei Michaelson non aveva infatti preso bene la notizia delle gesta di Elia. Dopo aver ribaltato tavoli, maledetto tutti i santi del paradiso e lasciato di fretta la tenuta di famiglia, nessuno aveva più avuto sue notizie per i seguenti dodici giorni. Nel rombo delle sue imprecazioni non era stato neanche facile capire se fosse più incazzato per la morte del padre, della madre o per non esser stato coinvolto nello scontro tra i fratelli.


Ad ogni modo eccolo lì, splendente come non mai nel suo cardigan di Gucci


Ho fatto un giro in Giappone.”


Esordì. Elia drizzò la schiena perdendo ogni residuo interesse per il caffè


Hai visto Caspar?”


Nathaniel prese posto vicino a loro attorno al tavolo, accavallando le gambe in una posa scomposta, ma rilassata


Pare che le carceri di massima sicurezza non concedano permessi per lutto familiare.”


Scrollò le spalle e tutti e tre piombarono in un religioso silenzio. Erano soli adesso. Niente più ordini dall'alto, niente più urla dal fondo del corridoio, niente più insulti per la loro inettitudine.


Ma nonostante tutto il male, ad ognuno di loro William sarebbe mancato, per un motivo o per l'altro.


Joseph non aveva perso un padre, ma avrebbe dovuto trovare una nuova motivazione. Elia non avrebbe certo sentito la mancanza del confronto continuo, ma anche volendo, non aveva più un “perfetto” capofamiglia con cui specchiarsi. Nathaniel avrebbe continuato a vivere nella sua bolla di lusso e comodità, sapendo però stavolta di non aver più le spalle poi tanto coperte.


Per quanto fosse stato crudele, stronzo o svilente, William era comunque l'uomo che li aveva cresciuti e plasmati. Se si trovavano lì, insieme, ancora vivi, ricchi e potenti, in fin dei conti lo dovevano solo a lui.


Il minore scattò per primo


Caffè? Davvero?”


Balzò in piedi e raggiunse la vetrinetta alla sua sinistra. Tirò fuori una bottiglia dalla collezione di Elia. Rum scuro, distillato alle Barbados ed invecchiato settant'anni almeno. Lo stappò senza chiedere il permesso, prendendo con sé tre bicchierini da shot. Sbattendoli sul tavolino li riempì fino all'orlo e li fece scivolare verso ognuno di loro.


Sollevò il suo a mezz'aria


Ai fratelli Michaelson!”


Elia guardò quella mano alzata con indecisione. Cosa aveva lui da brindare? Era il peggiore degli assassini. Passò lo sguardo su Joseph e di nuovo su Nathaniel. I suoi fratelli erano ancora lì, a brindare col peggiore degli assassini. Sbatté il suo pesante bicchiere contro quello del più giovane


Ai fratelli Michaelson.”


Ripeté ed i loro occhi si posarono dritti su Joseph. Voleva ancora quel nome? Voleva ancora essere uno di loro? La vita misera e violenta che aveva vissuto gli passò davanti in pochi flash. Ad ogni insulto, ad ogni colpo, ad ogni sconfitta e ad ogni vittoria quei due c'erano sempre stati e se non poteva essere il dna a tenerli legati, allora, suo malgrado, sarebbe stato quello stramaledetto cognome a farlo. Il suo drink colpì gli altri


Ai fratelli Michaelson.”







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Capitolo 19
*** Capitolo XIX ***


capitolo IX

E' PASSATO TANTO TEMPO, MA NON MOLLO! ANCORA UN CAPITOLO E ANCHE QUESTA STORIA SARA' FINITA.. CHIEDO SCUSA DI CUORE A TUTTI PER L'ORRENDA TEMPISTICA. MARTINA






CAPITOLO XIX




Toc.Toc.


Ancora una volta qualcuno bussava alla porta della stanza. Cara se ne stava in piedi di fronte allo specchio cercando svogliatamente di sistemarsi. L'abito stretto di maglina, con i suoi colori spenti, non stava davvero rendendo omaggio al suo incarnato. Il cerotto era ben coperto, ma doveva comunque ricordarsi di non alzare il braccio destro troppo in fretta o avrebbe di nuovo sofferto le pene dell'inferno. I lunghi capelli, finalmente puliti, le scendevano sulle spalle in onde morbide ed irregolari.


Sospirò. Non amava ricevere visite.


Fosse stato Joseph non avrebbe saputo cosa dirgli, ma sicuramente non si trattava di lui. Nelle ultime settimane l'aveva evitata come la peste e di certo non poteva biasimarlo. Buttò gli occhi allo specchio. Anche lei avrebbe evitato sé stessa fosse stato possibile. Nel lungo tempo speso tra quelle quattro mura non aveva fatto altro che rimuginare sulla morte di William. Le parole di Joseph risuonavano spesso nella sua testa


E' una lunga storia, ma non ha importanza.

Ciò che importa è che sia finita...

William non esiste più. Siamo liberi.”


William non esiste più.


Come se gli ultimi nove anni della sua vita fossero svaniti in un batter d'occhio, ora si ritrovava con nulla più d'un pugno di mosche in mano. Chi era Cara Phillis senza la sua vendetta? Cosa avrebbe fatto adesso della sua inutile vita? Cosa avrebbe mai potuto fare?


Finì ancora una volta a fissare il pavimento. Nella casa di Elia e Katrina. Nella proprietà della famiglia Michaelson.


Erano una famiglia. Nonostante i mille contrasti erano sempre una famiglia e tolto il padre di mezzo, avrebbero comunque avuto l'un l'altro, le cene di rito attorno ad un tavolo ed il traffico d'armi da organizzare. Lei non aveva nessuno, tanto meno una casa dove tornare. Avrebbe forse potuto avere nuove missioni da compiere, non fosse per il piccolo dettaglio che aveva fallito nel suo unico e fondamentale compito d'ammazzare William Michaelson. Nemmeno Robert l'avrebbe più voluta.


Persa in quei pensieri non s'accorse nemmeno che l'interlocutore alla sua porta aveva bussato di nuovo. Solo lo scricchiolio della maniglia la riportò alla realtà. Voltandosi di scatto maledisse ancora una volta il profondo taglio che andava guarendo sulla sua pancia.


Stai bene?”


Katrina solcò la soglia con la legittima sicurezza di una padrona di casa, buttando immediatamente gli occhi alla pila di vestiti stropicciati sul letto


Hai trovato qualcosa che ti piace?”


Cara sottolineò il suo nuovo outfit con la mano sinistra, ma senza alcun entusiasmo per l'abito a righe, bianco e blu, che le accarezzava la figura fin sotto le ginocchia


Uscirai da questa stanza oggi?”


L'altra sbuffò, iniziando a piegare distrattamente quegli stessi indumenti


Posso dirti che Joseph non c'è, se questo è problema.”


Le pallide guance di Cara s'accesero di colpo, ciò che Katrina andava implicando era del tutto ridicolo. Non era certo Joseph il problema, lei non voleva vedere nessuno, assolutamente nessuno.


Sto bene qui.”


Rispose senza neanche guardarla. Katrina sollevò il sopracciglio seguendo i suoi movimenti raffazzonati.


E' stato qui tutto il tempo...”


Stavolta fu Cara a sollevare uno sguardo confuso


...Finché non ti sei svegliata.”


Ignorando lo scivolone del suo stomaco, scosse il capo e riprese la sua attività


Appena il dottore mi darà l'ok me ne andrò.”


Dove?”


Cara si congelò per un istante. Bella domanda.


Tornerai da lui?”


Robert Mancini. Non c'era bisogno di domandare a chi si riferisse e quella stessa ovvietà le fece saltare i nervi


Non sono affari tuoi.”


Nonostante gli abiti sobri e i capelli raccolti, Katrina sfoderò lo stesso sguardo aguzzo e sicuro di quando lavoravano insieme


Mangi e dormi nella mia casa da settimane. Puoi essere più gentile.”


Il primo istinto fu di ribattere che non aveva chiesto nulla di tutto ciò, ma dopo un lungo respiro realizzò che la russa aveva ragione. Davanti allo studio di William aveva chiesto il suo aiuto e Katrina non si era tirata indietro, difendendo quella porta fino all'ultimo secondo. Ma non l'aveva fatto per lei.


Hai ragione. Ed è l'unico motivo per cui non sto cercando di strangolarti.”


L'altra sollevò le sopracciglia


Ricordati che ho sfidato Joseph ed Elia per te.”


Cara non trattenne una risatina sardonica


Già... Elia... Non mi pare che lo odi poi tanto.”


Katrina tornò presto sull'attenti


Ti ho già raccontato tutto quanto. Non devo altre spiegazioni.”


Nonostante Cara non avesse nessuna voglia o nessun interesse nell'ascoltarla, la russa aveva comunque rivelato tutto il suo passato alla complice, senza tralasciare alcun dettaglio sulla sua gravidanza e sulle minacce di William. Avrebbe dovuto ammorbidirla, ma in realtà tutto ciò che Cara aveva letto tra quelle parole era il tradimento, le bugie con cui Katrina era riuscita ad intrufolarsi nel suo gruppo e portarla fino a quel punto. Non aveva mai avuto una vera intenzione di uccidere i Michaelson, voleva solo liberarsi di William per potersi riprendere regno e marito. Per qualche oscura ragione questa verità le rodeva dentro, così come la placida soddisfazione che ora andava ostentando senza alcuno scrupolo.


Avresti dovuto dirmelo allora.”


Katrina scosse la testa


Se l'avessi detto allora, non mi avresti presa con voi.”


Cara squadrò le spalle di fronte a lei


Esatto. E nulla di tutto questo sarebbe successo.”


Aggiunse sollevando le braccia a mezz'aria per indicare ciò che aveva attorno. Katrina sollevò il mento ed affilò lo sguardo, in casa sua non temeva rivali


Nulla di tutto questo?”


Era palesemente sarcastica


Intendi forse innamorarti di Joseph?”


Smetti di dirlo!”


Le urlò in faccia Cara, con un tono troppo alto e troppo veloce, senza riuscire a controllare le sue emozioni. L'altra sorrise del suo volto arrossato, non solo perché aveva colto nel segno, ma soprattutto per il gusto di rivedere una scintilla accesa negli occhi della donna che aveva di fronte. Cara Phillis, la Barbie forte e letale, era ancora lì da qualche parte, aveva solo bisogno di essere svegliata.


La moglie di Elia indietreggiò tenendosi quell'espressione in viso


Non saremmo mai arrivati a questo punto se non ti avessi incontrata. Tu e tuo implacabile desiderio di vendetta. Non capisco perché ora tu voglia comportarti così.”


Cara schiuse le labbra, ma non disse nulla. Katrina le si parò davanti


Siamo solo io e te. Puoi parlare.”


La bionda arricciò il naso apparentemente disgustata


Non siamo amiche.”


Katrina sospirò


Vero. Ma tu sai del mio matrimonio e di mio bambino... Potresti ricambiare.”


Sai già della mia famiglia. Non c'è altro da dire.”


Cara cercò di scansarla e tornare alla sua precedente occupazione, ma Katrina non mollò il colpo


Perché sei così arrabbiata?”


Non potresti capire. Tu hai avuto quello che volevi.”


E tu no?”


Cara inspirò profondamente e, sgonfiatasi il petto, scosse la testa. Katrina sollevò il suo sopracciglio sottile


Lui è morto. Che altro vuoi?”


Cara ricambiò il suo sguardo curioso col silenzio, sbattendo le palpebre con insistenza. Avrebbe voluto confessare, sputarle in faccia ciò che le bruciava dentro, avrebbe voluto liberarsi di un po' di quel peso insistente, ma Katrina le stava davanti e non sembrava più la complice di un tempo. Niente più abiti aderenti, niente più ombretto scuro ad incorniciarle lo sguardo, nulla più di quella donna arrabbiata e cattiva che riusciva ad uccidere con uno sguardo. Non poteva più dirle ciò che pensava.


Abbassò il viso


Non ha importanza.”


L'altra arricciò le labbra e per un istante quel fuoco si vide ancora, le attraversò gli occhi come un lampo nel mezzo di una notte senza stelle. Katrina squadrò le spalle e la fissò dritta negli occhi


Io so cosa vuoi.”


Le loro pupille s'incrociarono a mezz'aria in quel ritrovato clima di sfida, Cara drizzò il mento accennando un sorriso sarcastico


Davvero?”


Finalmente qualcosa di caldo le stava attraversando le vene, finalmente sentiva le dita calde ed il cuore che batteva. Quell'emozione, quella voglia di stringere i pugni ed azzannare qualcuno, ecco cosa voleva. Ma Katrina non era della stessa opinione


La sola cosa che vuoi...”


E si prese la libertà di avanzare di un passo ancora, perché quelle parole le arrivassero dritte in faccia


...ha occhi azzurri, morbide labbra rosse e addominali scolpiti.”


Stavolta fu lei a sfoderare un sorriso sfottente, ogni parola pronunciata con un'enfasi più che voluta. Cara ingoiò il boccone amaro cercando di trattenere l'onda di rabbia, incredulità o imbarazzo che fosse, che su dai piedi minacciava d'infiammarle le guance. Avrebbe tanto voluto chiudere le dita attorno a quel collo sottile e stringere, stringere tanto forte da farle uscire gli occhi dalle orbite.


Strinse i pugni invece, mordendosi la lingua, aspettando e sperando che Katrina si lavasse dal viso quell'aria di vittoria. Non era ancora abbastanza forte da reggere uno scontro corpo a corpo.


Vattene.”


Fu l'unica risposta che riuscì a darle, permettendole ancora per un po' di galleggiare nella sua bolla di trionfo. Nella sua voce tutto l'odio ed il veleno di cui si sentiva capace. Si era forse tolta la divisa da merlo, ma non era certo meno agguerrita o potente di prima.


Potresti averlo, lo sai vero?”


Cara contrasse la mandibola aguzzando lo sguardo. Nonostante il dolore al fianco che trafiggeva i suoi addominali tesi, stava davvero valutando l'idea di sferrare un pugno sul suo zigomo perfetto


Voglio solo andarmene da qui.”


Rispose tra i denti, fumante come un calderone sul punto di esplodere. Katrina sbatté le palpebre e tutto il suo fervore sembrò svanire in un secondo, le sue spalle si rilassarono e, lisciando l'orlo della sua camicetta bianca, si fece indietro


La rabbia è un'emozione sai?”


Cara aggrottò le sopracciglia, totalmente spiazzata dal repentino cambio d'umore di Katrina. Ingoiò il boccone d'istinto omicida che serbava in gola e la squadrò


Cosa?”


Katrina inspirò


Dici sempre di non avere emozioni, ma se puoi arrabbiarti così, potresti anche essere felice.”


Felicità? La bocca dello stomaco le si strinse. Certo che poteva essere felice, riusciva benissimo a ricordare come ci si sentisse ad essere felici... i regali sotto l'albero, il pigiama party a casa di Brenda Stone, l'applauso finale al musical della scuola, un biglietto di San Valentino infilato nell'armadietto... Ma quelli erano solo i ricordi di una bambina, una bimba ingenua e lontana che ormai non esisteva più. Non è che non sapesse come essere felice, solo non voleva esserlo, non più. L'ultima volta che lo era stata, l'ultima volta che sua madre lo era stata, ogni cosa era svanita in una pozza di sangue. La sua vita era finita in una serata felice, in un bagno immacolato.


In quel momento bussarono delicatamente alla porta. La reverie di Cara s'interruppe immediatamente ed i suoi occhi si rivolsero alla testa scura che faceva capolino dalla soglia. Gregory, il dottor Gregory McCanzie, attese il suo tacito permesso per entrare nella stanza, avvolto nella sua solita camicia a quadri, valigetta nella mano e sorriso sulle labbra. Aveva più o meno quarant'anni e nelle ultime settimane era già passato più volte a visitarla, la sua gentilezza in completa antitesi al loro contesto


Posso visitarti?”


Domandò, perfettamente consapevole di aver interrotto qualcosa. Cara tirò subito un respiro di sollievo ed annuì


Certo. Katrina stava andando.”


Quest'ultima le rivolse un ultimo sguardo affilato ed uscì dalla stanza, conscia di aver perso una battaglia, ma di certo non la guerra.


Cara seguì la solita prassi e subito sfilò le braccia dalle maniche del suo abito e lo arrotolò fino alla vita, abbastanza da poter mostrare al medico la ferita in via di guarigione


Ti senti bene?”


Domandò lui staccando lentamente il cerotto. Nonostante Cara mostrasse la sua biancheria, Gregory non la guardò nemmeno, professionale ed impeccabile come sempre. Non era abituata a uomini così.


Benissimo.”


Rispose, sperando che l'entusiasmo mostrato aiutasse ad avere l'ok da parte del dottore. Lui tastò i bordi della ferita e le tirò un po' la pelle, valutando l'elasticità del tessuto cicatriziale. Spinse poi sul fianco e stavolta, finalmente, Cara non sentì né fitte tremende né troppo dolore.


Direi che anche la ferita va piuttosto bene.”


Vuol dire che posso andarmene?”


Chiese subito senza nemmeno dargli il tempo di finire, lui si tirò indietro facendole cenno di rivestirsi e scosse appena il capo sorridendo


Non vedi l'ora di andartene eh?”


Cara sospirò


Non sai quanto.”


Gregory raccolse le sue cose e gettò i guanti in lattice nel cestino. Perché quella donna fosse lì e perché volesse tanto fuggire non era affar suo, tanto più che a nessun Michaelson sarebbe piaciuta una sua intrusione. Lo pagavano esclusivamente per i suoi servizi e tanto doveva bastare.


Sì...”


Finalmente esordì


...Se stai attenta agli sforzi e ai movimenti repentini, se continui a prendere le medicine e non ti strapazzi troppo, credo tu possa andare.”


Un sorriso spontaneo e vivace le si aprì in viso


Davvero?”


Lui scrollò le spalle


Se pensi di non poter più aspettare, direi di sì.”


Avrebbe tanto voluto abbracciarlo, ma sarebbe stato davvero fuori luogo. Finalmente la sua detenzione poteva finire, addio Michaelson e addio a quella stronza manipolatrice di Katrina.




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Mezz'ora dopo aver salutato Gregory era già fuori dalla stanza, per la prima volta dopo tutte quelle settimane, senza contare il bagno ovviamente. Negli ultimi dieci minuti era rimasta con l'orecchio spalmato contro la porta, aspettando di sentire null'altro che silenzio. Non voleva vedere nessuno, voleva solo uscire da lì e sparire nel nulla, la sua specialità. Nel corridoio, dipinto di bianco, si respirava profumo di pulito. La luce era soffusa e non era certa di che ora fosse, ma si diresse subito, con passo felpato, verso le scale. Non aveva nulla con sé se non l'abito che portava addosso, ogni cosa usata ed indossata negli ultimi tempi proveniva infatti da Katrina e, fortunatamente, quella miseria le avrebbe reso la fuga più rapida e leggera. Le poche cose che possedeva erano rimaste della sua stanza d'albergo e subito prese mentalmente nota di dover passare di lì prima di raggiungere la stazione più vicina.


Un passo dopo l'altro si trovò presto al piano di sotto. La scala scendeva infatti nel salotto, di fronte ad un grande divano beige, accanto a cui si trovava un tavolino basso di vetro, contornato da sedie scomposte ed adornato da bicchieri usati, segno che qualcuno era lì poco prima. Trattenne il respiro gettando gli occhi alla porta d'ingresso. Presto sarebbe stata di nuovo libera, quella libertà che nulla aveva a che vedere con la morte di William, quella stessa libertà che Joseph non poteva capire. Scosse la testa, non era proprio il momento di pensare a lui. Prendendo una grossa boccata d'aria si avviò a grandi passi verso il portone.



Signorina Phillis?”


Si morse le labbra. Stupido pensare che sarebbe stato tanto semplice.


Lieto di vedere che si sente meglio.”


Le sue intenzioni sarebbero state ovvie anche agli occhi di un bambino, ma Elia Michaelson, avvolto nel suo completo nero di Armani, non le sottolineò.


Cara si schiarì la voce. Quell'uomo, impeccabile nella sua postura e nell'utilizzo del lei, la spaventava più degli altri.


Gregory ha detto che posso andare.”


Lui annuì pronunciando un suono di approvazione. Coi suoi occhi scuri e profondi, pareva studiarla attentamente in ogni sua piccola mossa, capace di paralizzarla col suo solo sguardo. L'idea che proprio lui tra tutti, il figlio leale e prediletto, avesse ucciso William, le gelava il sangue.


Non ha intenzione di perdere tempo vedo.”


Credo di aver già approfittato abbastanza della vostra ospitalità.”


Lui sollevò l'angolo della bocca


Ci siamo a malapena accorti della sua presenza in realtà.”


Cara abbassò lo sguardo senza riuscire a controllarsi, Elia continuava a squadrarla come fosse una specie di fenomeno da baraccone.


E' sicura di volerci lasciare così presto?”


Lei inspirò a pieni polmoni. Anche se non lo era, suonava certo come una minaccia. Ciononostante annuì con decisione. Inaspettatamente il maggiore dei Michaelson si limitò a ruotare il busto ed indicarle, con un palmo aperto, la via verso l'uscita. Cara esitò per un secondo, possibile che la lasciasse andare così? Senza alcun ammonimento o avviso? Nessun “Stia lontano dalla mia casa e dalla mia famiglia se desidera continuare a vivere?” Approfittando della sua fortuna resse lo sguardo di Elia per un momento, cercando sul suo viso qualcosa di Joseph che non riuscì a trovare. Sospirò e continuò la sua marcia verso la porta, fermandosi però a mezza strada. Poteva correre lontano da lì più veloce della luce, ma non avrebbe dimenticato ciò ch'era successo. Si voltò lentamente verso Elia


Grazie.”


Lui sollevò un sopracciglio


Per cosa?”


Domandò, come non fosse ovvio. Cara accennò un sorriso che stentava a farsi vedere


Per avermi salvato la vita.”


Elia annuì in silenzio, ripensando al momento in cui era entrato nello studio di suo padre. L'odore pungente di sangue, la furia incontrollata di Joseph, il viso massacrato di William. Voleva prendersene il merito, perché di certo quel po' di gratitudine avrebbe mitigato il peso della sua colpa, ma c'era il cuore di suo fratello in ballo, non solo il suo


Non sono stato io...”


Confessò, guardando il viso di Cara incresparsi di confusione


...E' stato Joseph. Avrebbe ucciso nostro padre a mani nude se non fossi arrivato.”


Quell'immagine la colpì al petto del tutto inattesa. Perché non gliel'aveva detto? Perché le aveva lasciato credere che avesse fatto tutto Elia? Si prese un attimo per assorbire l'informazione e di nuovo annuì


Grazie comunque.”


Stavolta fu lui ad abbassare gli occhi, smettendo finalmente di studiare ogni sua più piccola mossa. Non ne aveva più bisogno, il fremito delle sue palpebre nel momento in cui aveva nominato Joseph abbastanza per lasciarla andare.


Buona fortuna Signorina Phillis.”


E stavolta Cara non si fermò.


Quasi immediatamente Katrina venne fuori dall'angolo della cucina e sospirò appoggiandosi alla parete


Se n'è andata?”


Elia la raggiunse scuotendo il capo in assenso. Sua moglie arricciò le labbra


Codarda.”


Apostrofò Cara, generando un inatteso sorriso sulle labbra del marito


Disse la donna che ha preferito allearsi al mio peggior nemico piuttosto che parlare con me.”


L'espressione di Katrina si rilassò subito e, con un lungo respiro, attese la mano calda di Elia sul suo viso. Tanto era stato detto, ma ancora tanto c'era da dire. Lentamente prese la mano di Elia nella sua e si staccò dal muro


Vieni con me?”


Lui sorrise di nuovo leggendo tra le righe, ma trattenne la voglia di strapparsi i vestiti di dosso ancora per un attimo


Arrivo tra un minuto, devo fare una telefonata.”


Non metterci troppo.”


Guardando sua moglie sfilare verso la stanza da letto ripensò alle parole di suo padre. Costruisci una grande gabbia d'oro attorno alla tua donna e tienicela dentro, così diceva, ma il mondo intero non è forse una prigione troppo grande? Per quanto ancora avrebbe cercato Katrina in lungo e in largo se non fosse stata lei a tornare? Quando si sarebbe finalmente stancato? Cosa non avrebbe mai saputo? E cosa si sarebbe perso? Tirò fuori il cellulare dalla tasca e compose velocemente il numero


Elia?”


La voce di Joseph suonò stanca e preoccupata


Tutto bene fratello?”


All'altro capo il Lupo posò il bicchiere mezzo vuoto sul bancone dello Sweet Lorraine. Negli ultimi giorni l'alcool aveva fatto da compagno alle sue riflessioni, al suo tempo perso e alle sue incertezze. Non sapeva ancora se poteva restare in una città che non gli offriva più nulla se non brutti ricordi e tristi rimpianti.


Tutto bene. Che succede?”


Elia si domandò ancora una volta se parlare o tacere. Sua moglie l'aspettava tra le lenzuola e la vita è troppo breve per restare a guardare. Non sarebbe stato un capo freddo e crudele come suo padre, non avrebbe preso decisioni per nessuno dei suoi fratelli


Se n'è andata.”


Venne dritto al punto, senza bisogno di aggiungere il soggetto. Joseph strinse il bicchiere tra le dita, cercando disperatamente un atteso senso di liberazione che però non riuscì a provare. I suoi maledetti sentimenti non sarebbero spariti con lei galoppando verso il tramonto. Non l'avrebbe più vista. Davvero non l'avrebbe più vista.


Grazie Elia.”


Chiudendo la chiamata balzò in piedi. Non se ne sarebbe andata a modo suo.




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Ed eccola lì, intenta a preparare la milionesima valigia della sua vita. Un paio di telefonate erano bastate per trovarla nella sua vecchia stanza d'hotel. Raccoglieva le sue poche cose una ad una, perdendo il suo tempo a piegare ogni t-shirt ed abito con grazia e pazienza. Era così diversa dall'ultima volta che aveva assistito a quella scena, così calma e distaccata. I lunghi capelli color platino, lasciati sciolti sulle spalle, accompagnavano ogni suo movimento, spiccando come oro contro le righe del suo vestito.


Si mosse piano per non distoglierla ancora da quella lenta attività, ma tanto bastò per farle sollevare lo sguardo verso il suo. Lunghe ciglia nere ornavano i suoi grandi occhi blu, ancora non abbastanza riposati. Smise di piegare l'ennesimo paio di anonimi pantaloni lasciandoli cadere sul letto.


Se solo non fosse stata così dannatamente bella.


Cara pensò per un momento che la sua immaginazione la stesse fregando, quell'immagine una boccata d'aria fresca per i suoi polmoni. Non lo vedeva da giorni, settimane perfino e dio, dio se quel viso le era mancato.


Se solo fosse rimasto così, un'apparizione zitta e ferma, balsamo per i suoi occhi stanchi.


Te ne vai?”


Esordì, sottolineando l'ovvio. Cara rimase in piedi ad assorbire il suono di quella voce. Avrebbe voluto non rispondere, restare ferma lì ad ascoltarlo parlare per ore, poco importa cosa avesse da dire. Era l'ultima volta che sentiva quella voce.


Ma si fece coraggio


Credevo non volessi vedermi.”


Lui accennò un sorriso ironico tra sé e sé ed il cuore di Cara parve rimettersi a battere con un ritmo tutto nuovo. Il sapore di quelle labbra l'avrebbe portato via con sé, concedendosi di tanto in tanto la tentazione di un ricordo.


Non in quel modo. Non volevo vederti così.”


Lei inclinò appena il capo, senza nemmeno rendersene conto


Così come?”


Joseph rivolse gli occhi al pavimento. Fredda? Vuota? Morta dentro?


E' morto da settimane ormai.”


E con quella scelta di parole il clima ovattato e sicuro in cui avevano vissuto fino a quel momento cambiò di colpo. Cara si leccò le labbra e scrollò le spalle


Il fatto che sia morto non vuol dire che sia tutto finito.”


D'istinto riprese i suoi abiti sgualciti tra le mani, stavolta appallottolandoli nervosamente


Non è forse quello che volevi?”


Cara rivolse gli occhi al cielo, quante altre volte avrebbe dovuto rispondere a quella domanda?


Sì”


Rispose secca, senza nemmeno guardarlo. Lui crucciò lo sguardo


Allora cosa? Perché non sei felice?”


Cara mollò la palla di poliestere che stringeva tra le mani e si voltò verso di lui


Felice? Che vuol dire felice?”


Ed ecco che la solita rabbia malcelata tornava a montare tra loro, pronta a farli parlare ancora una volta in due lingue totalmente diverse.


Dimmelo tu.”


La sfidò Joseph, incrociando le braccia sulla sua camicia bianca. Lei scosse la testa nervosamente


Felice non esiste per le persone come me.”


Lui la guardò dall'alto in basso, fermandosi all'altezza delle sue pupille dilatate. Quella risposta non era abbastanza. Cara sospirò


Sollevata...”


Lui sollevò un sopracciglio, come non avesse capito


...Mi sento solo sollevata.”


Era il massimo che poteva concedergli, a lui e a sé stessa.


Joseph lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e le si avvicinò lento


E' davvero tutto ciò che senti?”


Stavolta fu lei ad aguzzare lo sguardo perplessa, indietreggiando inconsapevolmente. Era quello il loro solito copione dopo tutto, lui che si avvicina e lei che gli fugge lontano.


Che vuoi dire?”


Era d'improvviso così vicino che poteva sentirne il profumo, dolce ed intenso come sempre. Così vicino che il suo corpo ne assorbiva il calore fin sotto gli abiti.


Sai cosa voglio dire.”


Sì, lo sapeva. Joseph non stava più parlando di William, ma di sé stesso. Le si seccò la gola. Avrebbe semplicemente potuto prenderla e baciarla, senza mettere in mezzo tutte quelle maledette parole, facendo sembrare ancora una volta che fosse solo colpa sua. Ed i suoi occhi caddero sulla bocca di Cara per un paio di secondi, stringendole la gola ancor di più.


Le sue labbra tremavano, mentre cercava di apparire il più convincente possibile


No...”


Cercò i suoi occhi azzurri


...Non c'è altro.”


Avrebbe dovuto sentirsi ferito e rifiutato ancora una volta, ma il modo in cui il corpo di Cara fremeva davanti ai suoi occhi e l'amara consapevolezza che non l'avrebbe più vista, gli fornirono l'audacia per sollevare il braccio ed accarezzarle il viso con il dorso della mano. Lei non si mosse nemmeno


Te ne andrai per sempre. Puoi anche dirmelo adesso.”


Cara controllò con la coda dell'occhio che quella mano non proseguisse alcun tragitto sulla sua pelle scoperta. Raccolse abbastanza forze per risollevare il suo scudo


Dirti cosa?”


Cosa provi per me.”


L'inconsueta sicurezza con cui le torreggiava davanti riaccese in Cara la fiamma della sfida


Non provo niente per te.”


Sputò immediatamente scuotendo la testa. Lui rimase del tutto impassibile


Allora dillo di nuovo...”


insisté


...guardandomi negli occhi.”


Cara strinse i pugni. Da dove arrivava tanta spavalderia? Dov'era finito l'uomo incerto ed irascibile che era riuscita a smontare pezzo per pezzo? Accolse la sua richiesta


Non provo niente per te.”


Lui non si mosse ancora


Di nuovo...”


Ribatté


...Stavolta senza tremare.”


Aveva già visto quegli occhi sull'aereo. Aveva visto il Lupo e di nuovo lo stava guardando. Il Joseph triste e sconsolato che annegava sé stesso nel sangue e nell'alcool era apparentemente morto e sepolto con William.


Le venne da sorridere. Stava provando a vincere il suo gioco. Ma bisogna essere in due per giocare


Non ho intenzione di farlo.”


Rispose dando voce ai suoi pensieri. Con una mossa fulminea scappò dalla sua morsa.


Lui la guardò fuggire all'altro lato della stanza


Sii onesta per una volta!”


Si fece più forte senza alzare la voce. Non l'avrebbe lasciata allontanarsi di nuovo


Non hai fatto altro che mentire dal momento in cui ti ho incontrata...”


Affilò lo sguardo e la lingua


...Prova ad essere coraggiosa per una volta...”


Incalzò


...coraggiosa come il merlo che vuoi così disperatamente essere.”


Sputò con sdegno e disprezzo. Cara sentì le mani formicolare ed il cuore pulsarle nelle orecchie. E' davvero la verità che vuoi?


E' vero.”


Lui vacillò per un istante appena, tornando immediatamente fermo e vitreo


E' vero...”


Ribadì guardandolo dritto negli occhi


...Ma non ha nessuna importanza.”


E lo lasciò lì, col suo bel contentino.


Joseph raccolse quell'osso da terra come il cane che sentiva di sentire. Come riusciva a sbatterglielo così in faccia senza nemmeno fare una piega? Lui aveva il vento ed il mare che gli si scontravano dentro, violentemente sbattuto tra la voglia di baciarla a sangue e quella di picchiarle la testa contro il muro. Provò a muoversi, ma lei sollevò l'indice e tanto bastò per rimetterlo al suo posto


No...”


Lo bloccò


Non muoverti...”


E finalmente abbassò gli occhi, afferrando qualcosa a caso dal tavolino


...Non saremo mai quello che vorresti.”


Lui si mosse lo stesso, deciso ad ignorare quell'ordine


Perché?”


Cara ficcò quell'inutile qualcosa nella sua valigia, cercando di soffocare la voglia di rispondergli. Possibile che non capisse da solo? L'aveva accontentato, aveva ammesso di provare qualcosa per lui, non era forse sufficiente? Non aveva forse dimostrato abbastanza la sua debolezza? Era fragile, vuota, instabile ed inaffidabile, cosa avrebbe mai potuto farsene di lei?


Smetti di parlare. Devo andarmene.”


Gli sfilò davanti tornando alla sua occupazione originaria, spingendo dentro il trolley le ultime cose prima di tirare la zip


Aspetta.”


Un ordine, non certo una supplica, ma Cara scosse il capo e proseguì


Non capisci... devo andarmene.”


E quella fastidiosa immagine tornò a far capolino nella mente di Joseph. Robert Mancini. Quel pensiero divenne di colpo l'unico nella sua testa e prese a pompargli come un martello pneumatico nelle tempie. Quello stronzo poteva averla, quel vecchio bastardo sì e lui no.


Non sei sua.”


Sentenziò, disgustato dal solo pensiero del contrario. Cara rispose al suo sguardo, c'era il Lupo dentro ai suoi occhi e per un attimo concesse a sé stessa di sentire nella pancia quell'onda di piacere ed eccitazione. Quello era l'uomo che aveva desiderato, per cui aveva vacillato, per cui il suo corpo continuava a scaldarsi.


Mi ha salvato la vita. Gli devo ogni cosa.”


La fiamma della gelosia divampò ancor più alta nel petto di Joseph. Senza timori e senza controllo le si fece di fronte e le afferrò il viso tra le mani


Non sei niente per lui. Nulla più che un soldato sacrificabile.”


Cara provò a scuotere la testa, ma lui non glielo concesse


Ti ha solo usata per il suo scopo, fregandosene del fatto che ti avrebbe resa sola e fredda come il ghiaccio...”


Si bagnò le labbra affondando gli occhi il più a fondo possibile nelle sue iridi blu


...Se torni da lui non cambierà nulla, non avrai nessun futuro.”


Cara sembrò contemplare quell'evenienza, le sue piccole mani fredde si strinsero attorno ai polsi di Joseph


E potrei averne uno con te?”


Domandò, speranzosa e sarcastica allo stesso tempo, come se lui le avesse proposto di fare il giro del mondo a bordo di un elefante volante e lei riuscisse quasi a crederlo possibile. Joseph ammorbidì la presa


Potremmo.”


Totalmente fuori contesto lei sorrise, senza scoprire i denti, e le gambe di Joseph minacciarono di crollare


Sarebbe bello...”


Rispose, accompagnando le mani di lui lontano dal suo viso. Si batté le dita sullo stomaco


...Ma queste cose, queste cose che sento dentro...”


Gli rivolse lo sguardo dell'innocenza


...Io non le voglio.”


Joseph sospirò ancora una volta. Perché diavolo doveva essere così difficile? Stavolta l'afferrò per le spalle, cercando nei suoi occhi quella piccola crepa in cui forse sarebbe riuscito ad insinuarsi


E io voglio te.”


Scandì ogni parola perché le entrassero in quella testa dura. Cara dissentì ancora una volta


Non c'è nessuna me...”


Fece finalmente un passo indietro senza che lui la trattenesse


...Senza la mia vendetta, senza la mia missione... Io non sono niente.”


E lo credeva davvero, sapeva di non avere una casa o una famiglia da cui tornare, nessun titolo di studio da spendere e nessuna esperienza che non contemplasse l'uso delle armi. Non aveva nulla e se si fosse fermata a pensarci davvero, se davvero avesse permesso a sé stessa di realizzare quanto fosse sola, allora sarebbe crollata a terra senza più la forza di alzarsi.


Joseph sollevò le mani a mezz'aria


C'è un intero mondo là fuori.”


Non per me. C'è un solo posto per me.”


Ed il fuoco tornò ad ardere


Vuoi davvero tornare da lui?”


Cara lo guardò


Vuoi davvero far finta di non capire?...”


Scrollò le spalle


...Sei un killer anche tu, anche tu vivi per questo. Sai bene che non posso fuggire alle conseguenze delle mie azioni.”


Joseph aggrottò la fronte. Le rotelle dentro la sua testa giravano e giravano cercando di risolvere l'enigma


Quali conseguenze?”


Lei chiuse le palpebre respirando a fondo, il capo rivolto al pavimento


Avevo un solo compito... Uno soltanto...”


La sua voce sembrò assottigliarsi, quasi volesse piangere


...Ed ho fallito. Ho fallito con William, con Robert, ho fallito con me stessa.”


Ed allora qualcosa nella mente di Joseph si accese


E' solo questo non è vero?”


La vide muoversi nervosamente verso il letto, pronta ad afferrare la sua valigia


Siccome non hai premuto tu il grilletto pensi che la morte di William valga meno?”


Cara rimase a fissare la coperta sgualcita


Non sono stata io.”


Ribadì. Ed ogni volta era come ingoiare un sorso d'acido. Lui scosse la testa


Non conta niente.”


Conta tutto invece!”


Stavolta la sua risposta fu secca e decisa, come un rombo nel silenzio. Strinse il suo bagaglio tra le mani e lo sbatté a terra con forza


Ma tu non puoi capire...”


Riprese con sdegno tornandogli vicino


...Tu hai avuto tutto quello che volevi.”


Joseph sospirò


Non tutto.”


Il suo sguardo, così intenso e potente, la incendiò da capo a piedi. Poteva sentirlo, sentire quanto la desiderasse e con quanto ardore. Anche senza toccarlo riusciva a sentire le sue mani addosso, le sue labbra sulla pelle, le sue parole sconce nelle orecchie. Le viscere le s'intrecciavano dentro ed il suo cuore batteva forte per colpa sua, i suoi principi vacillavano davanti a quegli occhi e a quelle labbra, la voce nella sua mente prendeva ad urlare a gran voce.


Baciami.


Gridava quella stronza insolente


Baciami. Prendimi. Stringimi. Costringimi a restare.


Avrebbe voluto prendersi a pugni da sola pur di farla tacere


Amami. Amami almeno tu in questo mondo.


Si morse il labbro nel tentativo di zittirla e per un momento temette che anche Joseph riuscisse a sentirla. Era sempre lì di fronte a lei, immobile come una statua. No, non poteva più permettersi distrazioni, doveva uscire immediatamente.


Addio.”


Concluse, sfilando di fretta verso la porta della stanza, ma ancor prima di toccare la maniglia si sentì afferrare alle spalle con forza e sbattere contro il muro. Joseph gli piombò addosso con tutta la sua mole, ben poco delicato, le braccia avvolte attorno alla sua fragile figura ed il viso accostato alla curva del suo collo. Cara chiuse gli occhi, riusciva a sentire il pizzico della sua barba addosso, il respiro di Joseph si perdeva tra i suoi capelli, caldo e frenetico


Non ti lascerò tornare da lui.”


Era deciso, fermo e determinato, quasi potesse restare lì per sempre. Cara buttò la testa all'indietro, lasciandogli inconsapevolmente ancor più spazio. Le labbra di Joseph le sfiorarono il collo, accennando l'ombra di un bacio, per poi raggiungere l'orecchio


Non ti lascerò tornare da lui.”


Ripeté, netto quanto prima, la morsa ancora stretta attorno alla sua vita. Lei provò a divincolarsi, ma lui non glielo concesse ancora. Se solo avesse davvero potuto rimanere lì fermo per l'eternità, lontano da tutto e tutti, avvolto soltanto da quel dolce profumo di fiori. Se solo...


Lasciami.”


Cara si mosse ancora, provando a sguisciare come un'anguilla tra le sue braccia. Doveva uscire, doveva uscire di lì veloce come la luce


Lasciami!”


Ripetè contro il muro di gomma che la stringeva. Joseph mollò la presa per un solo secondo, giusto il tempo di voltarla e spingerla ancor più forte contro la parete. Gli occhi di Cara gridavano rabbia, urlavano paura, volevano morderlo e fuggire il più lontano possibile. Le sue gambe scalciavano ed i suoi pugni gli colpivano i fianchi come quelli di una preda spaventata


Lasciami andare bastardo!”


Nemmeno le sue parole, piene d'astio e disprezzo, riuscirono a liberarla. Joseph non si mosse, incassando ogni colpo come niente, fermo ed impassibile finché lei rimase a corto d'insulti e di fiato e solo allora, solamente allora, posò la fronte su quella di Cara. Il suo respiro, corto e accelerato, gli arrivava in viso come una carezza


Non ti lascerò tornare da lui.”


Ripeté ancora una volta, la voce bassa e le parole scandite. Era così vicino che Cara non poteva evitare i suoi occhi, tanto meno ignorare la sua bocca, la sua splendida bocca, così vicina e così disponibile. Era il suo sogno, la sua fantasia più recondita che prendeva vita, l'orlo del precipizio più alto da cui si fosse mai affacciata.


Poteva saltare, poteva lanciarsi e forse lui l'avrebbe afferrata, tenuta stretta come in quel momento.


Maledetto terrore dell'altezza.


Chiuse gli occhi e si riempì il petto di quel respiro fatto di menta, d'alcool e di tentazione. Un invito unico per Joseph, le sue mani ora strette attorno ai suoi fianchi, le sue labbra ad un solo centimetro da quelle schiuse di lei, tanto vicina che già riusciva ad assaporare il gusto della sua lingua. Gli sarebbe bastato muoversi appena per averla nella sua bocca. Conosceva bene quel tremolio tra le sue ciglia e quell'agitazione nel suo respiro, la sua pelle vibrava e sicuramente la sua biancheria era già fradicia, ma no, non era quello che voleva, non stavolta. Cara aveva parlato e adesso Joseph sapeva che si sentiva come lui, ok, forse non proprio come lui, ma era comunque un inizio e non l'avrebbe rovinato per l'ennesima, seppur deliziosa, squallida sveltina. Ora toccava a lei chiudere quel varco.


Di nuovo le si strusciò addosso, senza però toccare nessuno dei posti che lei avrebbe voluto. Perché stava facendo il prezioso? Questo continuava a chiedersi la vocina nella testa di Cara. Perché non si muoveva? Trattenere l'urgenza di sollevarsi sulle punte ed afferrarlo al collo stava diventando difficile, tanto difficile che le caviglie le tremavano. Ma avrebbe significato arrendersi, dargliela vinta, ammettere che lo desiderava almeno quanto lui e non poteva permetterselo, non ora, non sulla soglia di una porta che avrebbe presto chiuso per sempre. Robert poteva forse perdonare il suo fallimento, ma di certo non avrebbe mai potuto sopportare di saperla innamorata di uno di Michaelson.


I suoi occhi si spalancarono di colpo.


Innamorata? Innamorata?? Da dove usciva quella stupida parola?


Joseph notò immediatamente il suo cambio d'umore, ma non riuscì a leggere cosa stesse succedendo nei suoi occhi. Si allontanò appena, ma continuò a stringerla. Era ancora lì e le guance di Cara s'infiammarono di rosso per l'imbarazzo e lo stupore che provava verso sé stessa, quello stesso rosso che incendiava le voglie Lupo più d'ogni altra cosa. Era nei guai, era davvero nei guai. Doveva salvarsi


Io voglio andare da lui.”


Quella scelta di parole non se l'aspettava. E se un secondo prima era sul punto di esplodere fuori dai pantaloni e fregarsene delle sue speranze, adesso Joseph era freddo come la pietra. Mollò la presa quasi immediatamente, indietreggiando per poterla guardare da lontano, ansimante lì dove lui l'aveva lasciata. Provò ad aprire la bocca, ma nulla ne uscì. Mandò giù la voglia di urlare.


Cara ritrovò l'equilibrio senza il suo peso addosso, uno strano freddo sulla pelle. Non voleva andare da Robert o meglio sì, voleva tornare da lui, ma no, non ancora, non senza sapere come l'avrebbe presa. Di certo non voleva restare. O anzi sì, solo non con lui. Che sciocchezze, certo che voleva restare in quella stanza con lui, solo non come voleva lui. Le sue promesse luccicavano come la mela rossa dell'eden, un solo morso e poi cosa sarebbe successo? Sarebbe stata condannata alla sofferenza eterna? Le sarebbe andata di traverso? L'avrebbe divorata tutta fino a scoppiare?


Mentre il suo cervello blaterava, di fronte all'evidenza malcelata della sua delusione, Cara sentì il dovere di pronunciare qualcos'altro


Non è una decisione che puoi prendere tu.”


Lui si limitò ad annuire e l'incanto fu definitivamente spezzato.


Va'. Torna pure dal tuo padrone.”


Indicò la porta che lei aveva alle spalle e, con sdegno, indietreggiò ancora. L'onda di sicurezza e presunzione provocata dalla sua precedente confessione s'infranse, lasciando il posto al vecchio Joseph, quello che se ne fregava, quello perfettamente consapevole che presto o tardi si sarebbe dimenticato anche di lei, come di ogni altra cosa.


Cara provò a muoversi, ma non ci riuscì. Si sentiva sollevata, ma allo stesso tempo qualcosa le mordeva dentro. Teneva a lui. Quegli stupidi sentimenti che aveva maldestramente confessato esistevano davvero, e per quanto non li volesse, odiava l'espressione vuota che ora campeggiava sul viso di lui. Doveva dirgli qualcos'altro, concedergli almeno qualcos'altro


Possiamo aver vissuto allo stesso modo, ma non siamo uguali...”


Non riuscì a guadagnare il suo interesse, non con quelle che all'orecchio di Joseph arrivavano come chiacchiere inutili


...Io sono fastidiosa, e instabile, e provocatoria... Finiresti per uccidermi.”


Lui sollevò finalmente lo sguardo, immaginando quell'evenienza nella sua testa una volta ancora. Quante e quante volte aveva provato e perfino desiderato di ucciderla? Ogni singola volta la sua mano si era fermata, sia che pensasse di avere davanti un'innocente ragazzina, sia che sapesse benissimo di aver di fronte una, se non la peggiore, dei Merli. Dubitava di poter mai riuscire a farle del male, anche contando la sua lingua biforcuta.


Cara mandò giù guardandolo negli occhi


E io non voglio morire. Non prima di aver vissuto.”


Quelle parole gli fecero aggrottare la fronte


Credevo che la morte non ti spaventasse.”


Il ricordo del loro primo incontro balenò nella memoria di entrambi. Gli occhi di Cara caddero sul pavimento


Morire per mano tua mi spaventa.”


E lui parve ancor più confuso di prima. Non era chiaro alle sue orecchie quanto quella morte a cui Cara enigmaticamente accennava, non fosse letterale, ma simbolica, quanto si riferisse a lui e alla sua capacità di farle desiderare cose nuove e terrorizzanti, quanto temesse di perdere la sola sé stessa che conosceva, proprio per causa sua.


Non...”


Sollevò le spalle


...Non ti farei del male.”


Poteva esserne sicuro? Probabilmente no. Lei accennò una specie di sorriso continuando a guardare in basso, ma subito lo mandò giù e tornò a fissare Joseph


Devo andare.”


Non era più una protesta. Era una constatazione. E lui non si mosse. Se tanto teneva a quell'uomo e alla sua opinione, era libera di correre a scoprire quale fosse. La tagliente abilità che aveva quella donna di farlo sentire un mostro ogni singola volta non gli sarebbe certo mancata. La guardò esitare ancora per un momento, ma presto le sue dita si chiusero attorno al manico del trolley e la porta si aprì, presto richiusa dopo l'ultimo fugace scambio di occhi.


Era finita. Andata. Conclusa.


Finita.


Cara si chiuse la porta alle spalle, ma i suoi piedi non si mossero più lontano del pianerottolo. Con lo sguardo basso ed il cuore acceso nel petto si rese conto che davvero non avrebbe più visto gli occhi azzurri di Joseph. Nessun uomo l'avrebbe più guardata così.


Rivide suo padre, i suoi grandi occhiali tondi ed i calli sulle mani. L'unico uomo al mondo capace di farla sentire speciale, fosse anche solo per una B+ al compito di algebra. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, qualsiasi cosa per un suo sorriso.


E lei non aveva più sorriso, non con gli occhi, non con il cuore, non dopo quella notte terribile.


Avrebbe voluto altro per lei, probabilmente qualsiasi altra cosa piuttosto che questo. Il college, i palchi di Broadway, un grande matrimonio in pompa magna, magari un paio di mostriciattoli capricciosi.


Di certo, se poteva vederla, non era fiero di lei, né delle sue mani sporche di sangue, tanto meno del suo cuore di pietra. Proprio lui che di carezze non ne aveva mai risparmiate. Quanto le sarebbero servite ora, col vuoto completo davanti e null'altro che sé stessa da portar via, troppo spaventata per poter anche solo pensare di aver sbagliato tutto, troppo vigliacca per ammettere di amare il figlio del suo peggior nemico.


Non voleva amarlo, davvero non voleva... Ma gli occhi di Joseph la guardavano così, come fosse la creatura più bella e preziosa dell'universo, cosi come solo suo padre era riuscito a farla sentire quand'era bambina.


Aveva bisogno di quegli occhi. Se davvero doveva affrontare l'ignoto sotto forma di Robert Mancini e di un mondo in cui non aveva mai realmente vissuto, allora aveva ancora bisogno di quegli occhi.




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Joseph masticò i primi bocconi di libertà nella polvere di quella stanza vuota, chiedendosi quanto tempo sarebbe passato prima di smettere di sentire il suo profumo ovunque. Nemmeno si accorse che la porta gli si apriva di nuovo alle spalle, riportando dentro la silenziosa silhouette dei suoi problemi



Joseph?”



Cara pronunciò il suo nome con un filo di voce, aspettando immobile che lui si voltasse. Davanti al suo visibile terrore, agli occhi lucidi e all'imbarazzo di una bambina, Joseph trattenne l'esplosione nel suo petto e sorrise



Mi piace quando dici il mio nome. Dovresti dirlo più spesso.”



Ma lei non disse nulla, percorrendo a lunghi passi la distanza che li separava. Gli afferrò il viso tra le mani e lo baciò, premendo le labbra sulle sue ad occhi chiusi, dritta sulle punte. Le era mancata, dio se quella bocca le era mancata, più dell'acqua nel deserto e della sua stessa libertà.


Quando si staccarono il sorriso di Joseph era ancora lì, vivo e genuino come non l'aveva mai visto. I suoi denti, bianchi e perfetti, brillavano allo stesso ritmo dei suoi splendidi occhi azzurri.


In quel momento Cara ne fu certa. Era ancora capace di amare. Nonostante il funerale dei suoi genitori, nonostante le dure lezioni di Robert, la puzza del sangue ed i morti sul suo conto, era ancora capace di amare.


Stavolta fu lui a stringerla forte, cercando le sue labbra con delicatezza. Il terrore non aveva ancora lasciato gli occhi di Cara, ma Joseph decise che sarebbe riuscito a cacciarlo, accarezzando il suo viso come mai prima gli era stato concesso. Con le stesse labbra le baciò le guance, il naso, la fronte.


Le ciglia di Cara si risollevarono, i suoi zigomi coloriti dall'eccitazione e dalla paura. Il petto le andava su e giù senza sosta, mentre le sue piccole mani attaccavano i bottoni della camicia di Joseph. Lui seguì il tremore di quelle dita sottili, sentendosi in fiamme al solo pensiero che presto l'avrebbero toccato.


Quando i suoi occhi incontrarono quelle iridi blu, lucide e spaventate, il suo cuore quasi si sciolse. Tremava, domandando silenziosamente il suo aiuto. Il suo viso, come quello di una vergine, cercava di nascondersi dietro i pochi strati di mascara.


E davvero come una novellina si sentiva, lei che in vita sua non aveva mai fatto l'amore con nessuno, nemmeno la prima volta, la sua verginità venduta ad uno degli scagnozzi di Mancini per qualche lezione extra.


Joseph sorrise ancora, più bravo di lei a celare le proprie paure. Baciandola di nuovo la spinse lentamente verso il letto, sollevando ad ogni passo l'orlo del suo vestito. Più piano che poteva l'aiutò ad alzare le braccia, cercando sul suo viso la più piccola smorfia di dolore. Sollevato che non ve ne fossero gettò l'abito a terra, prendendosi un secondo per apprezzare la bellezza di quel corpo, così chiaro e perfetto per le sue mani. Le sue dita accarezzarono il cerotto sul suo fianco destro, la certezza di averla persa per sempre ancora cocente nel retro della sua mente.


Le mani di Cara gli sfiorarono le spalle, prendendosi il tempo di toccare davvero ogni centimetro della sua pelle, il liscio del suo petto, la tensione dei suoi addominali. Accompagnò i suoi jeans verso il pavimento ed attese che venisse fuori dagli stivali prima di baciarlo di nuovo, ancora ed ancora, raccogliendo uno ad uno tutti i baci che avrebbe portato con sé.


Il letto e le mani erano esattamente gli stessi, ma ogni cosa suonava diversa. Il corpo di Joseph che si muoveva sul suo pesava di più, caldo e sicuro come una coperta d'inverno. Le sue labbra all'orecchio non parlavano più, sospirando profondamente al suo stesso ritmo. Le mani di Cara stringevano forte senza graffiare la schiena, i suoi occhi chiusi ed il suo corpo nudo, abbandonato come mai prima.


Le braccia di Joseph la strinsero contro il suo petto, le dita intrecciate a quelle di lei. Cara poggiò l'orecchio sul suo cuore, lasciandosi cullare da quel ritmo forsennato.


Il rumore dell'amore.



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Quando Joseph riaprì gli occhi, senza nemmeno bisogno di voltarsi dalla sua parte, fu certo che lei non ci fosse più. Se n'era andata nel silenzio, come sapeva fare dannatamente bene. Scostando le lenzuola si tirò su, il ricordo della notte precedente ancora fresco addosso.


La ragazzina dell'aereo era sua.


Indeciso tra l'alzarsi subito o il restare a respirare il loro odore ancora un po', quasi non si accorse del foglio perfettamente piegato che riposava sull'altro cuscino. Immediatamente lo raccolse. La grafia di Cara ne riempiva la metà, piccola ed armoniosa tra vocali tondeggianti e le lettere sottili




Quello che ho detto ieri sera non è cambiato,

devo ancora affrontare le conseguenze delle mie azioni.


Voglio vivere prima di morire...


...preferibilmente per mano tua.




Addio



PS. Grazie per avermi salvato la vita”





E di nuovo Joseph sorrise.

































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Capitolo 20
*** Capitolo XX ***


Capitolo XX

ECCOCI! L'EPILOGO CHE TANTO HA TARDATO AD ARRIVARE E' FINALMENTE QUI, USCITO TUTTO DI GETTO, TUTTO O QUASI IN UN GIORNO.

CHI MI CONOSCE SA QUANTA DIFFICOLTA' ABBIA NEL METTERE LA PAROLA FINE, QUINDI HO ASSECONDATO L'ISPIRAZIONE ED ECCOMI QUI.


GRAZIE, GRAZIE MILLE A TUTTI VOI!!


MARTINA


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CAPITOLO XX



ESSEX, VERMONT



Non c'era voluto molto per scoprire dove fosse Robert. Di certo era strano pensare che il suo destino stesse per compiersi proprio in quella piccola città, appena 20000 anime, con uno dei più bassi indici di criminalità di tutto il paese. Non fosse per le massicce escursioni termiche e l'aria gelida dal Canada, sarebbe stato un posto perfetto per vivere, magari con una grande casa dalla porta rossa ed un'immacolata staccionata bianca.


Davanti ai suoi occhi si apriva il largo viale verso la villa: tre grandi facciate bianche con tetti spioventi, ogni parete ornata da grandi finestre blu. I quattro alti comignoli di mattoni si ergevano come torri di un castello, atte a completare il già maestoso ingresso, con le sue colonne greche ed il suo enorme portone blu.


Cara riprese a camminare sul brecciolino, avvolta dal giallo-verde degli aceri in fiore. Il profumo del giardino sovrastava ogni altro odore, accompagnando i suoi passi nervosi al ritmo del canto degli uccelli.


Quando fu finalmente davanti al portone, lo stesso le si aprì davanti senza che nemmeno bussasse. Stupido pensare che non si fosse ancora accorto della sua presenza. La domestica, rigida nella sua divisa inamidata, accennò un sorriso muto e le fece cenno di entrare


Prego Signorina Phillis.”


La stava aspettando ed il solo pensiero le fece schizzare il cuore in gola. Quanto poteva essere arrabbiato? Abbastanza da spararle un colpo in fronte appena voltato l'angolo? Suo malgrado sorpassò la soglia, ostentando una sicurezza che davvero non le apparteneva. Senza rispondere al saluto respirò l'aria fresca di quella casa, pregna di odori forti e delicati, come se l'aroma di una cucina in opera si fosse mischiato alle rose bianche e gialle sparse in grandi vasi per la stanza.


L'enorme salotto, con la sua perlinatura alle pareti ed i larghi tappeti persiani, l'accoglieva a bocca aperta come le fauci di un leone affamato.


Desidera qualcosa da bere Signorina?”


Cara sussultò voltandosi verso la domestica. Scosse il capo


No grazie.”


L'altra annuì avviandosi verso le cucine


Robert è qui?”


Le uscì di bocca contro la propria volontà, come se la sua paura fosse in grado di parlare da sola. Perché tanto spavento poi? La morte era sempre stata un'opzione negli ultimi anni della sua vita e come tale l'aveva sempre vissuta, senza temerla. Non aveva nulla da perdere dopo tutto. Perché mai adesso la sola idea di farla finita le faceva tremare le ginocchia? Trattenne un lungo sorso d'aria. Maledetto Joseph Michaelson. Era tutta colpa sua e delle sue stupide stramaledette emozioni, della sua idea di un futuro e del suo continuo parlare di libertà. Solo e solamente per colpa sua. Adesso sul suo piatto c'era di nuovo qualcosa da perdere, qualcosa di grosso oltretutto.


Cara?”


La voce avvolgente di Robert vibrò per la stanza, più dolce e stupita di quanto avesse potuto aspettarsi. Bagnando le labbra e respirando a fondo Cara voltò il capo oltre la spalla sinistra. Il più bianco e lucente dei sorrisi si aprì sul volto del suo salvatore, una candida mezzaluna in perfetto contrasto con la pelle liscia ed abbronzata.


Il nodo che teneva strette le corde vocali di Cara si sciolse di colpo restituendole la capacità di respirare. Le sue labbra risposero involontariamente al gesto, immediatamente incantate dalla genuinità di quell'espressione. Che le fosse mancato tanto fino a quel momento era un mistero perfino per lei, l'uomo che le aveva restituito la voglia di vivere, che le aveva donato uno scopo, che l'aveva resa forte e sicura in cambio di nulla o poco più.


Le braccia forti di Mancini la strinsero in un lungo abbraccio, il suo profumo, intenso e muschiato, le riempì le narici come un caldo ricordo d'infanzia. Solo quando si trovò finalmente di fronte quei profondi occhi scuri ricordò il vero motivo che l'aveva portata fin lì e quella meravigliosa sensazione di calore scivolò giù fino a schiantarsi sul gelido pavimento.


Cara fece un passo indietro, di nuovo a corto d'aria


Mi dispiace.”


Le parole graffiarono contro il palato asciutto, ma l'altro parve non scomporsi. Il sopracciglio di Robert si sollevò confuso per un istante


E di cosa? Ti stavo aspettando.”


Ancora una volta Cara mimò la stessa espressione, chiaramente spiazzata da quella reazione. Si schiarì la gola


Ho agito alle tue spalle.”


Già rimpiangeva le forti braccia paterne che non avrebbe più sentito addosso. Robert scoppiò in una genuina risata, la stessa di sempre, quasi avesse detto la più assurda stupidaggine.


Vieni con me.”


Le porse la mano, ma Cara non riuscì ad afferrarla, muovendosi alle sue spalle verso una meta che non conosceva.


Un'altra sala, più piccola e profumata di menta e tabacco, li accolse mentre un gran sole filtrava tra le tapparelle. Robert tirò fuori una bottiglia di champagne bordata d'oro e, sottolineando il gesto con un colpo di sopracciglia, fece saltare il tappo. Un fiotto di schiuma bianca si versò sul parquet lucido, ma nessuno dei due parve badarci. Due flutes vennero immediatamente riempite e Cara si trovò di fronte agli occhi il luccichio delle bollicine e delle iridi di Mancini


Ce l'hai fatta figlia mia!”


Di nuovo il caldo l'avvolse da dentro mentre la mano continuava a tremare. Circondata da orgoglio e soddisfazione non riusciva a gioire nemmeno per un secondo, convinta che quella felicità non le spettasse. La morte di William non le aveva restituito sua madre, tanto meno lunghe notti di sonno profondo e nuova stima per sé stessa.


Bevi.”


A metà tra ordine ed invito, Cara mandò giù il fresco pizzicorìo dello champagne e per un secondo non pensò al vuoto che le si agitava dentro.


Ma ti ho tradito...”


Lui sorrise di nuovo vuotando il bicchiere


Credi davvero che mi importi?”


Altro liquido ambrato si versò nel suo calice


William Michaelson è morto Cara. La nostra vendetta è compiuta.”


Immediatamente lei scosse la testa


Non l'ho ucciso io...”


Le voce le si spezzò in bocca


...Ho fallito.”


Il pollice bollente di Robert la costrinse a sollevare il volto


Tu l'hai reso possibile figlia mia. Non avrai premuto il tuo grilletto, ma non di meno l'hai ucciso...”


Le sue grandi mani le strinsero il viso scaldandola all'istante


...Hai ucciso William Michaelson e diviso i suoi figli. Non potrei essere più fiero di ciò che sei diventata.”


Ogni sua parola suonava strana, nondimeno il suo petto divenne più leggero e per un attimo riuscì a credere che fosse vero, che la sua missione fosse davvero compiuta e che il suo dolore sarebbe sparito per sempre.


L'accenno di un sorriso le si aprì in viso, ricambiato in pieno dall'orgoglio di lui


Seguimi, ho qualcosa per te.”


Di nuovo le parve di fluttuare da una stanza all'altra, mossa solo dalla forza che quell'uomo emanava da ogni singolo poro. Manny venne fuori dall'oscurità con la sua valigetta in mano. Aprendola sulla scrivania tirò su le maniche, ogni suo tatuaggio ben in vista sugli avambracci. Un cobra reale avvolto attorno ad un fucile, puntato contro una donna che sorrideva all'ombra di una luna rossa. Lo sguardo di Cara si fermò lì, sulle bottigliette che andava spandendo sopra il mogano del vecchio mobile. Solo allora realizzò che il tatuatore dei merli era lì di fronte a lei, pronto a fare il suo dovere. Rivolse gli occhi a Robert con un balzo, lui sollevò le spalle


La prima volta che ti ho visto ho saputo all'istante cosa saresti diventata. Quelle fiamme che ti ardevano dentro, sapevo esattamente dove ti avrebbero portato...”


Si appoggiò al tavolo e levò le mani a mezz'aria


...Tutto ciò che ho, tutto quello che ho guadagnato, ogni mattone ed ogni uomo... E' tuo.”


Cara schiuse le labbra genuinamente sconvolta, lui le si fece di nuovo vicino


Sei la figlia che non ho mai avuto Cara Phillis...”


Indicò Manny con l'indice destro senza distogliere lo sguardo da lei


...Da oggi non solo avrai il mio marchio, ma anche il mio nome.”


Lunghe rughe comparvero sulla fronte di lei, totalmente spiazzata da quell'offerta. Stava finalmente accadendo, il suo sogno, la sua meta, la preziosa approvazione che tanto aveva cercato erano lì, nelle mani di un artista sociopatico coi capelli unti.


Manny azionò l'ago e la vibrazione la riportò in vita


Dove lo vuoi?”


Domandò lui con la più piatta naturalezza ed il vuoto le si aprì di nuovo in mente. Sulla schiena? La mano? Magari lo spalla? O forse il petto? Un tempo sarebbe stato così semplice scegliere eppure in quel momento nessun posto sembrava adatto. Scosse leggermente la testa in cerca di una soluzione, ma la nebbia non si dissipò.


Io.. Io...”


Manny interruppe il suo attacco di balbuzie con un suggerimento


Nel dubbio la schiena è sempre il posto migliore. A meno che tu non voglia guardarlo ogni giorno alla specchio.”


Nella sua voce un velo d'impazienza. Cara ripensò al finto tatuaggio che mesi prima campeggiava sotto la sua scapola e meditò di renderlo permanente, ma nemmeno quella soluzione riuscì a soddisfarla. Robert raccolse allora la sua visibile confusione e di nuovo le fu vicino, scrutando il suo viso alla ricerca di qualsiasi fantasma la stesse tormentando


Stai bene?”


Cara mandò giù. No, non stava bene. Quante volta aveva sognato quel preciso momento? Ora era lì, vero e reale, ma non riusciva a viverlo. Mezz'ora o poco più ed un po' d'inchiostro sotto pelle l'avrebbe resa “figlia” di Robert Mancini, sua per sempre.



Dov'è finito il tuo tatuaggio?...Il marchio di Mancini.”

Non ce l'ho ok?!”

Non sei una di loro.”

Sono comunque una di loro.”

Non capisci? Tu non gli appartieni... Non sei sua... Sei libera...”



La voce di Joseph, benché non invitata, riecheggiò nelle sue orecchie.



...Puoi avere una vita tua lontana da tutto questo. Con o senza di me.”


Il muro che così velocemente si era costruita attorno iniziò a scricchiolare.


...Se torni da lui non cambierà nulla, non avrai nessun futuro.”


Ed invece il suo futuro era lì, offerto su un piatto d'argento, più splendente che mai. Non avrebbe più sofferto il freddo, mai più avvolta nelle coperte mediocri di uno squallido motel, mai più nascosta in un angolo ad aspettare di premere un grilletto. Robert le stava offrendo soldi e potere, rispetto e prestigio, lusso e stabilità. Già, ma a che prezzo? Non sarebbe più stata Cara Phillis, non più la figlia di Bill, non più la ragazzina dell'aereo. Voleva davvero smettere di essere la donna paranoica ed instabile a cui avevano ucciso la famiglia? Voleva davvero rinunciare ai ricordi di un'infanzia perfetta ed a quel fondo d'insicurezza che da sempre la faceva arrossire in pubblico?


Il viso inquieto di Robert era ancora lì di fronte a lei, solcato solamente dall'ombra di un sorriso. Lui le afferrò la mano e Cara tornò finalmente alla realtà, accennando appena un sì con la testa. Voltandole la mano, ora col palmo rivolto al soffitto, Mancini passò delicatamente il pollice sul suo polso, lì dove esili vene violacee s'intersecavano a creare un motivo sottile ed intricato


Se posso darti un suggerimento, vorrei che lo avessi qui...”


Incontrò i suoi occhi blu


...Qui dove batte il tuo cuore.”


Cara tornò a fissare quel polso pallido, così fragile nell'abbraccio di quella mano calda. Quello stesso calore, così accogliente, la cullò nell'idea di accettare l'offerta. In quella grande casa non avrebbe mai temuto giudizi, mai più spaventata dall'idea continua di sbagliare, di tentare e fallire, di provare ad amare per poi scoprire di non esserne più capace. Quel calore, così diverso e allo stesso tempo così simile, la riportò per un secondo tra le braccia di Joseph, nella perfezione del silenzio. Cosa gli avrebbe detto, una volta sveglio, se non se ne fosse andata? Con quali parole avrebbe esordito? E dove sarebbero andati da lì?


Non ne aveva idea.


Sapeva invece benissimo che con quella M impressa sulla pelle avrebbe comandato gli eserciti di Mancini, facendo ciò in cui sapeva di essere davvero brava. Diventare di ghiaccio.


Ancora una volta annuì inconsapevolmente e Robert la guidò fino alla postazione di Manny, abbastanza rispettoso da trattenere lo sbuffo di noia che celava per tutte quelle smancerie.


Il dorso della sua mano si posò sul freddo del panno sterile e lei rimase a guardarla, quasi non fosse sua. Mentre Manny armeggiava e l'altro assisteva, la mente di Cara continuò a vagare per quelle semplici fantasie. Se gli occhi di Joseph si fossero aperti per primi, se al suo risveglio l'avesse trovato già desto, cosa avrebbero detto le sue splendide labbra? E sei lei fosse rimasta, senza dire assolutamente nulla, sarebbe bastato accarezzargli il viso e sorridere? E una volta fuori dalla porta, sarebbe stata capace di stringerli la mano e seguirlo per le vie della città? Ridere alle sue battute? Dividere un panino? Scendere a compromessi?


Ancora una volta la pistola di Manny prese a vibrare e Cara sussultò


Cerca di stare ferma, non ci vorrà molto.”


Lei deglutì, ma quell'ago era così vicino, così spaventosamente vicino.


Portami via.


Sentì la sua stessa voce nella testa come se non le appartenesse


Portami via da qui. Da tutto quanto.


I grandi occhi blu di Cara si spalancarono. Ecco cosa avrebbe detto. Se fosse rimasta tra quelle lenzuola, non appena le palpebre di Joseph si fossero sollevate, l'avrebbe guardato dritto in faccia e gliel'avrebbe chiesto.


Portami via.


Appena un secondo prima che l'ago la sfiorasse Cara ritirò di fretta la mano


Io non lo voglio.”


Le uscì dalla bocca senza controllo. Gli occhi ancora spiritati, stavolta di terrore, ma il petto sorprendentemente più leggero.


Cosa?”


Robert cercò il suo sguardo, ora confuso per davvero. Cara cercò di respirare facendo un passo indietro e solo dopo aver raggiunto quella debita distanza, scosse la testa


Non lo voglio.”


Ripeté, a lui e a sé stessa, consapevole di aver messo di nuovo la sua vita nelle mani dell'uomo che gliel'aveva salvata. Con le iridi velate di pianto decise allora di confessare


Io ti voglio bene. Davvero ti voglio bene... E ti sono grata, immensamente grata per quello che hai fatto per me...”


Riprese fiato mentre lui, ancora immobile, assorbiva quelle parole in sommo silenzio


...Tu mi hai salvata. Mi hai resa forte. Mi hai insegnato tutto quello che so ed io...”


La voce si spezzò, ma impose a sé stessa di non piangere


...Io vorrei davvero, davvero volere questo...”


Indicò sgraziatamente Manny, anche lui imbalsamato nell'inverosimiglianza di quella scena


...Ma non è così.”


Cara cadde sulle ginocchia. Se quella era una vera confessione, una che prima non aveva fatto nemmeno a sé stessa, allora meritava una preghiera e una penitenza. Penitenza che non avrebbe tardato ad arrivare.


Robert inspirò col naso


Lasciaci Manny.”


Ordinò e, solo dopo aver sentito la porta sbattere, rivolse lo sguardo alla testa chinata di Cara. Ma il colpo che lei attendeva non arrivò. Mancini si abbassò al suo livello ed ancora una volta le sollevò il viso, la sua espressione ferma, nessun accenno di rabbia o compassione


Sei sicura?”


Lei cercò invano nel vuoto della sua mente


Da qui non si torna più indietro.”


Quella frase le strinse il petto, convinta più che mai che la via di non ritorno fosse la morte. Nondimeno annuì.


E cos'è che vuoi?”


Domandò lui, costringendola a smascherare anche l'ultimo fantasma


Voglio una vita. Una vita reale... Voglio viaggiare, incontrare persone, entrare in una stanza ed uscirne senza che nessuno venga ucciso...”


Posseduta dal demonio dell'onestà, Cara trattenne le lacrime ancora una volta


...Voglio vivere.”


Le uscì come un sussurro e la sua testa si abbassò di nuovo, priva di ogni difesa. Di rimbalzo Robert si alzò, restando a guardarla per qualche istante


Pensi che ti ucciderò?”


Ingoiando le lacrime che non aveva pianto, Cara gli rivolse lo sguardo, gli occhi arrossati pur non avendo pianto


Me lo merito.”


Ed il suo viso si ammorbidì, in un'espressione che lei non aveva mai visto, che non sapeva decifrare. Ancora una volta Mancini si abbassò, stavolta per afferrarle le spalle e sollevarla, i loro occhi portati allo stesso livello, la testa scossa appena


Credi che ti abbia salvata solo per avere un soldato in più?”


Lei non rispose


Posso avere tutti i pazzi che voglio al mio servizio, pronti a dar fuoco ad un condominio per cento dollari o poco più...”


Le strinse il viso tra le mani ancora una volta


...Tu sei diversa Cara Phillis...”


Accompagnò la voce con il volto


...Non ho mai pensato né sperato che saresti stata solo un muto soldato al mio servizio. Ho sempre saputo che un giorno avresti spiegato le tue ali...”


Poggiò la fronte scura alla sua, in uno smaliziato gesto d'affetto del tutto inatteso


...Non è certo questo che mi aspettavo, ma se è una vita normale quello che vuoi, allora sarà quello che avrai.”


A corto di respiro Cara si perse nel nero delle sue pupille


Da.. Davvero?”


Robert sfoderò uno dei suoi magici sorrisi e di nuovo la incantò, così come nell'attimo del loro primo incontro. Aveva perso un padre, ma un altro ne aveva trovato. Quell'uomo, che tutti conoscevano come un mostro, per lei e solo per lei aveva sciolto le nevi perenni.


Quell'uomo, ancora una volta, la riportò in vita.





SEI MESI DOPO



Sei davvero sicuro?”


Elia era seduto sulla poltrona del suo studio, la schiena dritta ed i gomiti posati sul duro legno della scrivania. Coi polsini della camicia piegati fino ai gomiti continuava a strusciare il foglio tra le dita, la carta liscia e pesante contro i suoi polpastrelli. Aveva letto e riletto quel documento fino allo stremo, senza ancora convincersi che lasciarlo firmare a suo fratello fosse la cosa più giusta da fare. La famiglia prima di tutto. Di certo non avrebbe voluto lasciar andare un altro pezzo della sua.


Sono più che sicuro fratello.”


Joseph era in piedi davanti a lui, le spalle rilassate ed il respiro lento. Da mesi ormai riusciva a dormire serenamente e gli si leggeva in faccia, tra il colore roseo delle guance ed il luccichio dei suoi occhi. Era rimasto a New Orleans tutto quel tempo per il bene della sua famiglia, per sistemare gli affari, aiutare Elia a ristabilire l'ordine, assicurarsi che tutto fosse a posto. Ora il suo compito era concluso,


Ma non devi farlo per forza.”


Insistette Elia. Lui scosse la testa


Non si tratta di dovere. Voglio farlo...”


E finalmente afferrò la penna che ormai da lunghi minuti richiamava la sua attenzione. L'altro gli porse lentamente il foglio e Joseph poté finalmente poggiare il palmo sulla sua liberazione. Con quel documento rinunciava all'eredità di William, ogni mattone ed ogni centesimo che quel bastardo aveva accumulato in una vita di sangue e tirannia. Non voleva nulla da lui, nulla più.


...Ho una casa ed abbastanza soldi da poter vivere una vita più che agiata. Non mi serve altro...”


Cercando per l'ultima volta di rassicurare Elia, appose la sua firma con tratto marcato e deciso. Il suo cuore, finora pensante come una roccia, divenne di piuma.


...E così avrai più soldi da lasciare ai tuoi futuri eredi. Fammi solo un favore...”


Gli restituì quel prezioso pezzo di carta sollevando il sopracciglio


...Non chiamarli William.”


In quel momento Nate varcò la soglia, solare come non mai nel suo golfino verde smeraldo


E perché mai dovrebbe quando ha a disposizione scelte ben più di classe. Nathaniel per esempio.”


Katrina lo seguì nella stanza trascinando con sé una nuvola di profumo floreale


Ed ecco perché spero che avremo solo femmine.”


Joseph sorrise, un gesto divenuto così semplice ultimamente. Il lungo viaggio iniziato in quella grande casa era giunto al termine, una strada del tutto nuova gli si apriva davanti.


Tese la mano verso il fratello maggiore

Non sarò suo figlio, ma sono ancora tuo fratello. E lo sarò sempre. Qualsiasi cosa succeda, se hai bisogno di me ti basterà chiamare. Ci sarò.”


Elia la strinse forte e presto trasformò quella stretta di mano in un abbraccio. Il sorriso sincero di suo fratello valeva ogni centimetro d'inferno.



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Fissando il marmo bianco Joseph sorrise ancora. Il volto fiero e sereno di sua madre lo fissava dalla lapide, quasi volesse sorridere anche lei. Joseph passò i polpastrelli su quell'immagine e poggiò a terra le rose gialle che aveva comprato lungo la strada, le sue preferite.


L'unico rammarico della sua prossima partenza, il non poter più portar fiori su quella tomba. Sperò che la vendetta valesse almeno un migliaio di mazzi.


So che non puoi essere orgogliosa di me, non dopo tutto quello che ho fatto...”


Il pensiero bruciò, ma decise di ignorarlo


...So che non c'è nessun purgatorio o paradiso dove potremo rivederci, ma adesso sono felice mamma.”


Sospirò guardandola negli occhi


Per quel che resta della mia vita cercherò di farmi perdonare.”


Poggiò il palmo sul freddo del marmo, sperando che in qualche sovrannaturale maniera, ovunque fosse, potesse sentire il suo calore. Trattenne l'urgenza di abbracciare quella fredda pietra


Le tue emozioni sono importanti. Le emozioni ti porteranno fuori da qui un giorno.


Ripetendo le parole di sua madre a voce alta riuscì a sentire la sua carezza in viso ancora una volta. Annuì alla foto sapendo allora di avere la sua benedizione


Manterrò la promessa che ti ho fatto tanto tempo fa...”


...Non diventerò mai come lui...”


Per l'ultima volta toccò quel viso incorniciato


...Ti prometto che la troverò.”



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OTTO MESI e 12 GIORNI DOPO


Francia, Parigi


Joseph varcò la soglia del club di Pigalle, immediatamente avvolto in una nuvola di alcool e sudore. Le ballerine saltellavano sul palco al ritmo di una melodia che troppo sfacciatamente richiamava il famoso can-can. Le piume bianche dei loro abiti riflettevano iridescenti come polvere la luce dei riflettori, le gambe lanciate in aria con grandi falcate per la gioia degli uomini in prima fila.


Una cameriera in divisa tradizionale, degna di un film porno, tentò d'intercettarlo, ma riuscì a sfuggirle facendosi strada tra la folla. Orde di turisti ubriachi ballavano sgraziatamente sui tavoli, quasi coprendo la musica coi loro passi e le loro fragorose risate. Il pavimento appiccicoso di vomito e drink versati.


Joseph scrutò la folla nella penombra. Troppi corpi e troppi odori pungenti.


La musica sguaiata gli feriva le orecchie. Scansò un ragazzo un po' troppo entusiasta ed evitò d'incappare nel bicchiere di una donna sbronza di mezz'età. Il liquido denso e rosso del suo bicchiere si riversò a terra nella beata ignoranza di quel popolo festaiolo. Riuscì ad avanzare ancora un po', ma senza trovare uno spazio d'aria sufficiente.


Perché proprio quel posto?


La musica ripartì ancor più forte e stonata, facendogli desiderare d'esser fuori il prima possibile. Scostando le mani invadenti di una sconosciuta Joseph rivolse allora gli occhi al lato opposto, verso il bar.


D'improvviso si fece silenzio. Almeno per lui.


Eccola lì, stretta in un abito rosso, troppo aderente perfino per i suoi gusti. Cara se ne stava appoggiata col gomito al bancone, un bicchiere mezzo pieno stretto nell'altra mano. Lo scemo che le stava di fronte continuava a blaterare, probabilmente cercando di conquistarla. Non che i suoi occhi da pesce lesso e la sua camicia sgualcita avessero qualche speranza.


Cara scoppiò a ridere lanciando la testa all'indietro. I suoi lunghi capelli, ancora uguali, rimbalzarono a mezz'aria. Una risata finta, falsa, totalmente diversa da quelle che solo lui aveva sentito.


Lo sfigato pensò allora di potersi avvicinare, poggiando una mano sudaticcia sul suo fianco.


Joseph si trattenne a stento dal correre a fracassargli il cranio, restando suo malgrado coi piedi piantati a terra, la visuale continuamente interrotta dall'andirivieni di tutte quelle inutili comparse.


Lei sapeva che era lì.


Ne fu certo quando il sorriso di Cara si paralizzò, per un solo secondo, uno appena. E se fosse stato più vicino avrebbe potuto vedere la sua pelle d'oca, ogni pelo sollevato in allerta, ne era sicuro.


Pur senza aver mai rivolto lo sguardo dalla sua parte sentiva che era lì.


Considerò allora di muoversi e raggiungerla, se non altro per togliere dalla sua vista quell'inutile figlio di una cagna convinto di poterla toccare.


L'ennesimo turista gli si scagliò addosso, abbastanza ubriaco da non riuscire più a calcolare le giuste distanze


Excuse moi, excuse moi.”


Ripeté senza nemmeno guardarlo in faccia e Joseph lo scansò con una semplice spinta, nemmeno troppo forte.


Quando risollevò gli occhi lei non c'era più, come fosse stata magicamente avvolta dall'ombra e dalla puzza. Il bicchiere abbandonato sul bancone ed il suo stupido spasimante lasciato solo come il cane che era.


Joseph sorrise tra sé e sé senza nemmeno provare a seguirla tra la folla.


La ragazzina non aveva perso il suo tocco.



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2 MESI e 26 GIORNI DOPO


Italia, Firenze



Joseph si fermò nel mezzo di quell'incrocio di vie, pronto ad attraversare Ponte Vecchio ancora una volta. Anche se era completamente circondato da sconosciuti non si sentiva troppo lontano da casa. In mezzo a quel continuo vociare c'era infatti più inglese che italiano.


Nella luce del tramonto guardò la cupola del Brunelleschi affacciarsi all'altro lato e di nuovo si meravigliò di quanto fosse bella quella città. Tutta quell'arte, tutto quel buon cibo, tutta la cultura che trasudava da ogni chiesa ed ogni mattone. Era felice di esser giunto fin lì.


Riportando lo sguardo alla strada si rimise in cammino, deciso a setacciare ogni via ed ogni piazza.


L'Arno scorreva lento sotto i suoi piedi, coppie felici si scattavano foto con quello splendido panorama alle spalle, un bimbo giapponese rideva contento apprezzando il suo gelato. L'oro luccicava dalle vetrine delle oreficerie ed un musicista di strada accordava la chitarra, quasi pronto per lo spettacolo che di lì a poco avrebbe regalato ai passanti.


Quando finalmente sollevò gli occhi la trovò lì, all'altro capo del ponte, ferma, sfiorata appena dal flusso continuo dei turisti. L'abito bianco, le scarpe da tennis ed i capelli raccolti sulla testa la facevano sembrare ancor più giovane di quanto non fosse, bellissima come sempre.


Diversamente da quanto era successo a Parigi, stavolta Cara non finse di non vederlo, anzi, i suoi grandi occhi blu gli si piantarono addosso, bloccando i suoi passi all'istante. Non che non volesse raggiungerla, ma quel viso, quel viso perfetto, diceva in silenzio più di quanto la bocca avesse mai potuto spiegare.


E così rimase fermo a guardarla, loro due gli unici esseri immobili in una città senza sonno.


Il viso pulito e riposato di Cara gli raccontò la sua storia, di quanto amasse quel posto, di quanti piatti di pasta avesse mangiato, di quante giornate tranquille avesse già passato ad osservare gli artisti di strada e a svaligiare i negozi di souvenir.


L'ombra di un sorriso comparve su quel bel viso, così, solo per lui.


Era felice di vederlo.


Felice, ma non pronta.


Joseph rimase fermo ancora una volta mentre lei spariva tra la folla.






10 MESI e 4 GIORNI DOPO


Cuba, L'Avana



Era stato difficile stavolta seguire le sue tracce. La ragazzina si era fatta furba, ma lui aveva pazienza da vendere. Joseph sapeva in cuor suo che Cara non voleva sfuggirli, ma voleva solo tempo. A cosa le servisse, non ne era sicuro. Forse aveva bisogno di scrollarsi di dosso tutti gli anni passati nell'ombra di Mancini e di suo padre, forse voleva fare le sue esperienze, recuperare ciò che aveva perso durante l'adolescenza. Forse voleva sfidarlo, sparire da sotto il suo naso ancora ed ancora per scoprire dopo quanto si sarebbe stufato. Se quello era il caso, non gliel'avrebbe data vinta.


Nella povertà di quella via spoglia, lontano dalle luci del porto e dal chiasso del centro, Joseph seguì il ritmo della musica fino alla piazzetta, sul retro della Bodeguita del Corsario, dalle cui finestre aperte proveniva a gran volume il ritmo incalzante delle chitarre e delle percussioni. La voce di un uomo cantava in spagnolo la sua ennesima disgrazia d'amore. Dall'alto della sua ignoranza l'identificò come salsa.


Come dentro al locale decine di coppie si strusciavano ancheggiando l'una addosso all'altra, così nella piazzetta ballavano i più giovani, cercando di sfiorarsi il più possibile sotto le stelle.


Tra tutti quegli ormoni e quel sudore c'era lei, la sua pelle chiarissima che luccicava alla luce della luna piena.


Ballava Cara, ballava con gli occhi chiusi e le braccia spalancate, quasi come ci fosse solo lei. Con addosso nulla più che un paio di shorts e una maglietta, ballava scalza sulla terra sporca di quella piazzetta.


Nessun ragazzo le ballava vicino e, se qualcuno tentava un approccio, era subito pronta a voltarsi e riprendere il ritmo un po' più in là.


Non l'aveva mai vista così, mai così libera, mai così spensierata, mai così indifesa.


Tanto persa nella musica, stavolta non si accorse nemmeno che lui era lì.


E Joseph tornò da dove era venuto.


Non le avrebbe mai rovinato quel momento. In cuor suo sapeva bene che dall'attimo stesso in cui fosse tornato nella sua vita, quel tipo di serenità non sarebbe più stato possibile. Per quanto l'amasse, per quanto potesse impegnarsi, non avrebbe mai saputo come dargliela.



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1 ANNO, 1 MESE e 19 GIORNI DOPO


Inghilterra, Londra



Il cielo sulla sua città è grigio e le nuvole promettono pioggia come al solito. I giardini di Kensington sono più deserti del solito, probabilmente perché nemmeno i turisti sono interessati a bagnarsi.


Ma a lui non importa.


Riesce già a vederla in lontananza e stavolta è deciso a non lasciarla scappare. Troppo tempo è già passato.


Cara è stretta in un cappotto grigio da cui spuntano dei lucidi stivali neri. Indossa un cappello a falda larga di un rosso denso e scuro, che la fa sembrare più adulta di quanto non sia potuta diventare in un solo anno. I suoi capelli, più corti ma dello stesso biondo di sempre, tentano di resistere al vento.


La raggiunge alle spalle senza dire nulla, già pronto a vederla correre via.


Ma lei non si muove, resta lì immobile, intenta a fissare la statua di bronzo di cui tanto ha sentito parlare.


Ho girovagato in questo stupido parco per ore cercando questa statua...”


Il suono della sua voce sembra cosi diverso


...E guarda, nemmeno assomiglia a Peter Pan.”


Conclude con tangibile sdegno. Joseph sorride, ma nessuno dei due si muove ancora.


Lei solleva le spalle


Ci hai messo parecchio.”


Ovviamente lo stava aspettando, certa che non appena si fosse fermata lui sarebbe comparso.


Scusami ragazzina, sono stato un po' impegnato.”


Quel nomignolo, uscito così naturale dalla bocca di Joseph, le accende le guance e per un momento, nonostante l'inverno, smette di fare freddo.


Dio, quanto le è mancato.


Tu sei nato qui vero?”


Nato e cresciuto, almeno per un po'.”


Cara inspira a pieni polmoni. Non ha paura. Non più. L'unico timore è che le gambe non la reggano nel momento in cui i loro occhi si incontreranno di nuovo.


Bene...”


Rilassa le spalle


...Allora spero che potrai mostrarmi qualcosa di un po' più interessante di questa stupida statua...”


E finalmente si volta verso di lui


...Ti va?”


Il suo viso è sereno, ma i suoi occhi tremano, quasi possa davvero temere un suo rifiuto.


Joseph si perde tra quei tratti per tutto il tempo necessario a riprendere fiato, improvvisamente consapevole di quanto tempo abbiano lasciato passare.


Troppo.


La mano di Cara si tende lenta ed incerta verso di lui, i loro occhi si incontrano ed il mondo si ferma.


Ogni lotta, ogni morte, ogni schiaffo ed ogni ferita è stata per questo. Solo per questo.


Quella piccola mano fredda si perde nella sua mentre la pioggia inizia a cadere.


Joseph la stringe, la stringe forte.


Che dici se inizio mostrandoti la mia stanza d'albergo?”


Cara ride, pura e cristallina, solo per lui.


Ed è il suono più bello che Joseph Michaelson abbia mai sentito.





FINE


















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