Giorno 28 di Focolare
Siamo finalmente arrivati al Lago Canulus, ed è incredibile vedere
come non ci sia rimasto praticamente nulla del Monastero. La Guerra
della Virtù è stata crudele e sanguinosa, ma non avrei immaginato che
ci fosse stata una tale dedizione nell'obliterare ogni traccia
dell'Ordine Alessiano. Spero ardentemente di trovare qualcosa che sia
sfuggito a quella furia distruttiva.
Il mago abbassò la penna e si guardò intorno. Il paesaggio della Valle
del Niben era veramente rilassante. La vegetazione tutt'intorno aveva
una caratteristica sfumatura verde brillante, e lo specchio del lago,
che rifletteva il sole del meriggio, era appena increspato da una brezza
leggera. Non c'era da stupirsi che l'Ordine Alessiano avesse scelto quel
posto per edificare il suo più grande monastero, il luogo era magnifico,
era isolato, ed avere a disposizione l'acqua del lago certamente era una
comodità non da poco.
Richiuse il diario con delicatezza, quindi lo ripose nella sua
tracolla, assieme alla piuma ed alla boccetta d'inchiostro.
«Ehi, Aberius!»
Sentendo chiamare il suo nome, il mago si alzò dalla roccia su cui si
era seduto. Nonostante il breve riposo, i suoi piedi protestavano ancora
per la lunga camminata. Cercò di capire da dove lo avessero chiamato.
Aveva riconosciuto la voce del suo compagno di viaggio, ma intorno
vedeva solo alberi.
«Adrian! Cosa succede?» chiese ad alta voce.
«Vieni qui, credo di aver trovato qualcosa di strano».
Stavolta con l'udito riuscì ad capire la direzione e, preso
dall'eccitazione, si incamminò. A quanto pareva il suo compagno si era
allontanato un poco dalle sponde del lago, e si era messo a girovagare
nella foresta.
Arrivò in una piccola radura e, quasi al centro, vi trovò un uomo
vestito di un'armatura d'acciaio, inginocchiato sul tappeto erboso.
«Ah, eccoti» disse questi, vedendolo arrivare.
«Cosa hai trovato?»
«Guarda un po'» gli disse Adrian, quindi si alzò in piedi e diede un
calcetto a mezz'aria sfiorando appena i corti fili d'erba. A metà corsa,
però, la punta dello stivale rimbalzò su qualcosa di concreto, ma del
tutto invisibile.
Aberius sgranò gli occhi e si precipitò accanto al suo compagno. Si
inginocchiò e allungò una mano, esitante. Le sue dita sfiorarono una
superficie ruvida, ma i suoi occhi non avevano alcun riscontro di cosa
stesse effettivamente toccando.
«L'ho trovato per caso, ci sono quasi inciampato contro» disse Adrian.
Il mago si affidò al tatto per esplorare e, muovendosi intorno, scoprì
che quell'oggetto invisibile era un basamento quadrato, con un lato di
circa quattro piedi ed un'altezza di una spanna dal terreno.
«Credo che ci sia qualcosa di importante qui, altrimenti non si
sarebbero disturbati a nasconderlo» mormorò tra sé.
«Non è che sia nascosto così bene» osservò Adrian. «Anche se è
invisibile è comunque tangibile».
«Hai ragione» disse l'altro, mentre continuava a tastare. «Ma se
davvero sono stati gli Alessiani a nasconderlo, può darsi che
l'incantesimo abbia perso efficacia negli anni. Se fosse stato ancora a
pieno potere, probabilmente avresti inciampato e ti saresti convinto di
averlo fatto da solo».
«Quindi è una magia di Illusione?»
Aberius annuì distrattamente. Sfiorando la superficie del basamento,
gli sembrò di toccare delle assi di legno, poi dei chiodi, dei cardini e
infine una maniglia di metallo.
«Questa è una botola» disse, affascinato.
«Ti serve una mano per aprirla?»
«Sì... ma aspetta un momento. Devo assicurarmi che non ci siano
trappole magiche».
Chiuse gli occhi e si concentrò. Proiettò il suo magicka sulla botola,
nei dintorni, e al di sotto. Percepì un altro incantesimo, oltre a
quello di Illusione, che era dormiente ma pronto a scattare.
«Allontanati per favore» disse, e Adrian non se lo fece ripetere.
Anche il mago indietreggiò di qualche passo, e con un gesto della mano,
come a voler tirare un invisibile filo d'inciampo, fece scattare la
trappola.
Ci fu una conflagrazione di scariche elettriche, proprio in
corrispondenza della botola, grande abbastanza da provocare un urlo di
sorpresa da Adrian.
«Per gli Otto, questi Alessiani facevano sul serio» commentò.
«Già, non andavano per il sottile» disse Aberius, mentre con cautela si
riavvicinava alla botola.
Indagò di nuovo con il suo magicka, per scoprire se
l'incantesimo-trappola si era innescato di nuovo.
«Bene, a quanto pare la trappola si è esaurita» disse, sollevato, poi
si rivolse ad Adrian «Vieni, proviamo a sollevarla».
Si posizionarono ai lati opposti ed afferrarono la maniglia.
«Apriamola piano» disse Adrian. «Non sappiamo cosa ci sia qua sotto».
L'altro annuì e, dopo un cenno di intesa, iniziarono a tirare verso
l'altro.
La botola fece resistenza all'inizio, ma a poco a poco riuscirono a
sollevarla, accompagnati dal cigolio dei cardini.
«Questa sì che è una vista strana» commentò Adrian. Infatti, anche se
la botola era ancora invisibile, l'apertura che avevano appena scoperto
era ben visibile. I raggi del sole penetrarono nell'oscurità,
probabilmente indisturbata da secoli, rivelando ai loro occhi una scala
a pioli che scendeva verso il basso.
Aberius evocò un globo di luce e lo spedì nel pozzo. Questo viaggiò in
verticale fino a quando non illuminò il fondo.
«Ci sono circa venti piedi di discesa» osservò Adrian, sporgendosi.
«Spero che non dovremo trovarci costretti ad uscire di fretta, perché
sarebbe un bel problema».
«Oh sì, con quella ferraglia che ti porti addosso saresti parecchio
lento» scherzò il compagno.
«Che mi tocca sentire» rispose, stando al gioco. «Allora perché non vai
prima tu, mio agile mago in gonnella?»
Aberius rise di gusto, punzecchiarsi con Adrian era uno spasso.
«Ho un'idea migliore» disse. Fece un semplice gesto, ed un piccolo
daedra si materializzò davanti a loro. La creatura era piccola, con la
pelle bluastra, dalla forma e dalle proporzioni umanoidi, con un paio di
corna, una coda robusta e due ali minute sulla schiena.
«Coraggio Kupkin» ordinò il mago. «Scendi nel pozzo e facci strada,
avvisaci se trovi trappole o pericoli».
«D'accordo» ringhiò il daedra, con una vocetta stridula, prima di
balzare dentro l'apertura.
«Che cos'è quel... coso?» domandò Adrian, basito.
«Quello è Kupkin, è un banekin».
«E sa parlare la nostra lingua?»
«Certo, i banekin sono molto intelligenti» disse il mago, mentre si
apprestava a scendere.
Adrian non era sicuro che farsi guidare da un demone fosse una buona
scelta. D'altra parte conosceva Aberius da anni, e certamente si fidava
del suo giudizio.
La testa del mago riaffiorò dall'apertura «Allora? Non vieni?»
Adrian si riscosse dai pensieri «Sì, arrivo».
Quando arrivarono sul fondo, la luce magica gli permise di vedere che
si trovavano davanti un corridoio stretto, che proseguiva nell'oscurità.
«Comincia ad essere promettente» disse il mago.
«Spero che non prometta nulla di male» commentò Adrian.
«Non fare il menagramo ora» lo rimbeccò, poi parlò al piccolo daedra
«Vai avanti con prudenza, Kupkin, noi ti seguiamo».
Kupkin rispose con un semplice grugnito, e si incamminò.
La prima cosa che si notava, era che la galleria non era semplicemente
scavata nella terra o nella roccia. Era rivestita in muratura, e ad
intervalli regolari, sulla parete destra, sporgevano alcuni supporti
metallici, adatti probabilmente a sorreggere delle torce.
Il corridoio era largo abbastanza perché i due potessero procedere
l'uno affianco all'altro, senza alcuna difficoltà.
Mentre camminavano, Adrian osservava con curiosità il piccolo banekin.
La creatura camminava sulle mani e sui piedi, con un'agilità
sorprendente, tastando il pavimento, annusando l'aria ed osservando
attentamente le pareti ed il soffitto. Sembrava che sapesse molto bene
quello che stava facendo.
«Fermi!» ringhiò Kupkin ad un certo punto. I due compagni lo videro
toccare con cautela alcuni mattoni del pavimento, fino a quando, al suo
tocco, uno di quelli non si affossò leggermente.
«Trappola!» esclamò soddisfatto il daedra. «Non camminate qui» disse,
quindi con un dito artigliato sfiorò il mattone, ed una runa blu
scintillante comparve sulla superficie. Adrian spalancò gli occhi per la
sorpresa.
«Allora? Che ne dici?» disse Aberius, dando di gomito al compagno.
«Sono sbalordito» ammise. «Sei molto bravo, Kupkin».
Il banekin gli rivolse un sorriso inquietante, mostrando la sua
chiostra di piccoli denti aguzzi, quindi ritornò al suo compito. I due
lo seguirono di nuovo, facendo attenzione a non calpestare il mattone
contrassegnato.
«Sei stato tu ad insegnargli queste cose?» chiese Adrian.
«No, sono stati alcuni colleghi della Gilda, io ho chiesto solo di
poterlo chiamare per questa ricerca» spiegò il mago.
«Capisco. Beh, anche nella Gilda dei Guerrieri abbiamo alcuni esperti
di trappole, ma di certo non sono così... particolari».
Proseguendo nel corridoio, trovarono anche una scalinata che li fece
scendere ancora più in basso.
«E se questo posto fosse solo una catacomba?» disse Adrian. «Sarebbe
una bella delusione».
«Non credo. Anche se lo fosse, potremmo comunque trovare dei
documenti».
«O dei non-morti» suggerì il guerriero.
«Bah, al massimo sarà qualche scheletro ammuffito, per noi due non sarà
un problema» replicò con sicumera.
«Sei oltremodo ottimista oggi».
«Sì, e voglio credere che troveremo qualcosa di interessante. Immagina,
magari questa potrebbe essere la vera tomba di Sant'Alessia» disse
Aberius, entusiasta.
«Non volare troppo in alto con la fantasia, ché qua il soffitto è
basso» scherzò Adrian.
Il mago rise. «Vedremo... vedremo...»
Il percorso sotterraneo non fu molto lungo, e dopo altre tre trappole
evitate, finalmente si ritrovarono sulla soglia di una sala,
completamente immersa nell'oscurità.
«Devo entrare?» domandò il piccolo daedra.
«Aspetta un momento, prima voglio fare un po' di luce» disse Aberius.
Il globo di luce, che fino ad ora li aveva guidati nel corridoio, entrò
nella sala e incominciò a splendere con maggiore intensità, illuminando
l'ambiente circostante.
Quello che videro fu una sala che si allungava in una pianta
rettangolare, con una fila di colonne su ciascun lato, e un tappeto
rosso che evidenziava il percorso fino al lato opposto.
«Mi sembra un po' spoglia» commentò Adrian, quasi deluso. «Nemmeno un
arazzo, od una decorazione».
«Non è poi così strano, l'austerità e la sobrietà erano legge per gli
Alessiani».
«Quindi pensi che questo posto sia opera loro?»
«A questo punto, direi che è molto plausibile» rispose, continuando ad
osservare la sala. Ad un certo punto, qualcosa catturò la sua
attenzione.
«C'è qualcosa laggiù» mormorò il mago.
Effettivamente, sulla parete in fondo alla sala era visibile un'alcova,
al cui interno si ergeva un altare di pietra. Nonostante i circa venti
passi di distanza, potevano vedere chiaramente che l'altare non era
vuoto.
«Molto bene» Aberius prese un profondo respiro, per tenere
l'eccitazione sotto controllo. «Facci strada, Kupkin».
Il banekin entrò, ma evitò di passare sul tappeto, tenendosi invece sul
lato destro.
«Furbo il piccoletto» commentò Adrian, mentre entravano anche loro
nella sala. «Evita il tappeto perché non gli permette di controllare
bene il pavimento».
L'esplorazione procedette senza problemi, ma quando arrivarono a cinque
passi dall'altare, un sussurro indistinto riecheggiò nella sala,
ghiacciando loro il sangue.
«L'hai sentito?» domandò Adrian.
Il compagno non fece in tempo a rispondere "Sì", che davanti all'altare
apparve una figura evanescente. Sembrava un monaco, vestito con un saio,
e con il volto nascosto da un cappuccio. Nello stesso istante, una
barriera magica si era materializzata davanti all'alcova, sigillandola.
Kupkin emise un verso di sorpresa. «Mi dispiace! Mi dispiace!» si
affrettò a dire, aggrappandosi alla veste di Aberius.
«Stai calmo, Kupkin, non è colpa tua» gli disse il mago, con tono
comprensivo. Si rivolse al compagno, che aveva già la mano sull'elsa
della spada «Quell'arma è d'argento, vero?»
«Sì, la porto sempre con me» rispose, guardandosi attorno. Tuttavia,
non c'era altra presenza nella sala.
«Chi sei?» domandò al monaco spettrale.
«Chi sono ha poca importanza» rispose quello, con una voce echeggiante
e lontana. «Io sono solo il custode di questo luogo e di ciò che vi
dimora, per volere del mio ordine».
«Facevi parte dell'Ordine Alessiano?»
«Sì».
Stava parlando con lo spettro di un membro dell'Ordine Alessiano,
Aberius non riusciva a credere alle sue orecchie.
«Cosa custodisci?» gli domandò.
«Non mi è concesso rivelarne il nome» rispose il monaco. «Posso dirvi
che ciò che riposa qui non ha eguali nel Mundus. È un artefatto,
prodotto ma non costruito, perché dalla magia e dalla terra proviene la
sua forma e la sua sostanza».
«Chiarissimo» commentò sarcastico Adrian, a mezza voce. Il compagno lo
zittì con gesto nervoso della mano.
«Possiamo prendere quell'artefatto?» chiese.
«Posso cedere l'artefatto solo agli iniziati delle Settantasette
Inflessibili Dottrine, a coloro che perseguono la Vita-Corretta
attraverso lo stato del monopensiero. Per verificare se siete degni, vi
porrò tre domande. Se risponderete correttamente, potrete avere accesso
a ciò che custodisco».
In sostanza, il monaco voleva verificare se erano "seguaci" delle
Dottrine Alessiane. Dato che Aberius aveva studiato approfonditamente
l'argomento, si sentiva abbastanza sicuro di voler sostenere la prova,
tuttavia, non poté fare a meno di chiedere: «E se non rispondessimo
correttamente?»
«In quel caso, non potrete più uscire da qui. Agli eretici non sarà
concesso altro fuorché la morte» annunciò il monaco, sepolcrale. «Se
decideste di non affrontare la prova, potrete uscire di qui illesi, a
voi la scelta».
Certamente non aveva difficoltà a credere alle parole del fantasma,
bastava un po' di immaginazione per scoprire che in quella sala,
sottoterra, era veramente semplice morire. Anche conoscendo le
conseguenze, non voleva tirarsi indietro, quindi si voltò verso il
compagno, per dirgli di andarsene, di mettersi al sicuro, ma quello negò
con il capo «So quello che stai per dirmi, e la risposta è no»
gli disse con fermezza, «quindi risparmia il fiato e vedi di rispondere
a quelle domande, perché ora sono veramente curioso di vedere cosa ci
aspetta».
Il mago sorrise e scosse il capo a sua volta «Non pensavo ci tenessi
così poco alla tua vita».
«Non meno di te, questo è certo».
Risero entrambi, e sentirono la tensione sciogliersi un poco. Anche se
alla fine fossero morti in quel posto, almeno non sarebbero stati soli.
«Vogliamo sostenere la prova» annunciò Aberius al monaco.
«Così avete deciso, la prova ha inizio» proclamò questi, alzando le
braccia verso l'alto. Si udì un brontolio sordo, e il pavimento iniziò a
vibrare, mentre un meccanismo vecchio di secoli si stava attivando.
Guardandosi attorno nervosamente, Aberius vide che, nel corridoio da cui
erano arrivati, una porzione del pavimento si stava sollevando fino al
soffitto, chiudendo l'uscita con uno spesso strato di roccia.
«Dannazione» imprecò tra i denti. Non immaginava che il monaco li
avrebbe chiusi lì fin da subito.
«Credo che non sia finita qui» disse Adrian.
In alto, sulle pareti, si stavano rivelando delle aperture larghe e
strette. In pochi istanti, cascate d'acqua proruppero dalle aperture,
cominciando ad allagare il pavimento.
«Da dove arriva quell'acqua?» domandò Aberius, stupefatto e
terrorizzato.
«Dal lago, probabilmente» rispose Adrian, tetro. «Odio ripetermi, ma
questi Alessiani facevano maledettamente sul serio».
Aberius provò a congelare le cascate d'acqua con la magia, per bloccare
le aperture, ma non ci riuscì. Semplicemente non riusciva ad attingere
al suo magicka, era come se stesse cercando di respirare con la bocca ed
il naso chiusi.
«Non riesco ad usare la magia!» esclamò, preso dal panico. «C'è un
incantesimo di Silenzio che copre questa sala!» Cominciò a frugare nella
tracolla «Non ho neanche una pergamena incantata! Non posso fare nulla!»
In quanto mago aveva sempre fatto affidamento alla magia per risolvere
le situazioni di pericolo, ma ora la sua arma e difesa gli era stata
tolta. Ora era come un guerriero, nudo, senza spada e senza scudo
davanti ad un avversario.
Adrian lo afferrò per le spalle «Aberius, non perdere il sangue freddo!
È evidente che tutto questo fa parte della prova! Non farti
deconcentrare, non ti serve la magia!»
Il mago guardò il suo amico negli occhi, e si calmò. Non vide paura,
Adrian si fidava ciecamente di lui.
Annuì, risoluto «Hai ragione. Devo solo rispondere alle domande, non
devo pensare a nient'altro».
«Ben detto!» sorrise Adrian.
L'acqua gli aveva raggiunto le caviglie, ed Aberius si sentì tirare la
veste dal basso in modo insistente. Abbassò lo sguardo, e vide il
piccolo banekin che mostrava evidenti segni di disagio.
«Mi dispiace, Kupkin, purtroppo non posso congedarti ora. Su, vieni»
gli disse, porgendogli un braccio. Quello si arrampicò subito, fino a
posizionarsi sulle sue spalle.
«L'acqua scorre, e così il vostro tempo» disse il monaco, richiamando
la loro attenzione. «Non indugiate, siete pronti alla prima domanda?»
«Sì, siamo pronti» rispose Aberius.
«Bene, ecco a voi la prima domanda: sono il profeta dalla sembianza
scimmiesca, saggio nella sofferenza, sempre vero nelle parole. Qual è il
mio nome?».
Quando si parlava dell'Ordine Alessiano, esisteva un solo profeta: «Il
nome è Marukh».
«Corretto. Ecco la seconda domanda: sono il dio del tempo, purificato
dalla Macchia Aldmeri, risplendente del fulgore della Sacra
Cancellazione. Qual è il mio nome?»
Questa domanda lo lasciò un momento spiazzato. Nonostante avesse
studiato l'Ordine Alessiano, non aveva mai sentito parlare della
"Macchia Aldmeri" o della "Sacra Cancellazione". Tuttavia, avendo
menzionato il dio del tempo, la risposta non poteva essere che una: «Il
nome è Akatosh».
«Corretto. Ecco la terza e ultima domanda: sono il campione della
libertà contro la tirannia, primo della mia razza, la rovina del
dominio degli elfi. Qual è il mio nome?»
Questa era veramente difficile. Il primo ed il terzo indizio potevano
riferirsi sia a Pelinal che a Morihaus, ed era evidente che erano stati
pensati per depistare. Tuttavia, il secondo indizio, sebbene molto più
criptico, dava la giusta chiave di lettura. "Primo della razza", o
Paravant, era uno dei numerosi titoli della Regina Schiava.
Aberius sospirò, tremante per l'emozione, ed enunciò: «Il nome è Alessia».
Ci furono alcuni secondi di silenzio che sembrarono un'eternità, mentre
l'acqua nel frattempo aveva raggiunto le loro ginocchia. Possibile che
avesse sbagliato?
«Corretto» pronunciò infine il monaco. «La vostra conoscenza vi rende
degni di ciò che custodisco, la prova è superata».
Il monaco chinò il capo e scomparve, e la stanza prese a vibrare di
nuovo. Le aperture sulle pareti si chiusero, e il livello dell'acqua
cominciò ad abbassarsi, defluendo in qualche punto non precisato. Quando
sul pavimento rimase solo qualche pozza d'acqua, un brontolio annunciò
che il corridoio si stava riaprendo. Allo stesso momento, davanti
all'alcova, la barriera magica si dissolse.
«Misericordia di Stendarr» esalò Aberius, sollevato. Ora più che mai,
ringraziava le ore spese a studiare sui libri. Solo in quel momento si
rese conto di quanto fosse preziosa quella conoscenza.
Kupkin balzò a terra «Posso andare ora?» gli chiese.
Aberius sentì di poter di nuovo attingere al suo magicka, quindi anche
l'incantesimo di Silenzio si era dissolto. Si abbassò, rivolgendosi al
piccolo daedra «Grazie per l'aiuto, Kupkin. Ora puoi andare, sei
congedato». Quello annuì, e scomparve in una bolla violacea.
Quando si rialzò, si ritrovò improvvisamente stretto nell'abbraccio di
Adrian «Bravo, amico mio, sei un fenomeno» gli disse, ridendo.
«Non esagerare ora» sorrise. «Ma grazie per essere rimasto, e per
avermi dato una "scrollata" quando ne avevo bisogno».
«Sono rimasto perché sapevo che ce l'avresti fatta».
«Davvero? Quindi se tu avessi avuto qualche dubbio mi avresti lasciato
qui?» gli chiese, scherzando.
«No. Se avessi avuto qualche dubbio ti avrei trascinato via di peso»
gli rispose Adrian, con una sonora pacca sulla schiena. «Dai, andiamo a
vedere cosa ti sei guadagnato».
Si avvicinarono all'altare, dato che non temevano più trappole.
L'artefatto di cui aveva parlato il monaco era adagiato su due supporti
metallici.
«È un bastone» mormorò Aberius.
Non osò toccarlo, ma si avvicinò per osservarlo meglio. Sembrava
composto da otto pezzi, ma allo stesso tempo sembrava un pezzo unico. Il
suo solo aspetto sembrava un enigma.
«Non avevo mai sentito di un bastone con questo aspetto» disse il mago,
rapito da ciò che aveva davanti.
«Forse qui c'è qualcosa che può aiutarti» disse Adrian, indicando la
base dell'altare.
Aberius si abbassò, e vide ciò che intendeva il suo compagno: sulla
superficie di pietra c'erano delle iscrizioni.
«"Questo è il bastone che percuote il Tamburo del Destino, con il
suono temibile delle otto Torri."» lesse. «"Questo è il
martello che ha diviso il Frammento del Drago, con la potenza
inarrestabile della Media Alba."».
«Ho l'impressione che abbiamo per le mani qualcosa di veramente
importante» disse Adrian.
«Lo credo anch'io, ma al momento sono molto confuso» si rialzò e fece
per prendere il bastone, ma in quel momento si accorse che c'erano
quattro pergamene arrotolate, disposte sull'altare. «E queste?» esclamò,
sorpreso, afferrandone una.
«Conoscendoti, credevo le avessi notate».
«Affatto, il bastone aveva concentrato tutta la mia attenzione. Vediamo
un po'...» srotolò con trepidazione la prima pergamena. Dopo gli
artefatti magici, i documenti storici erano la sua più grande passione.
Cominciò a leggere, e la sua espressione si fece seria. Senza dire una
parola, prese anche la seconda e la lesse, quindi prese la terza.
«Incredibile» mormorò, dopo averla letta. «Questi sono documenti
importantissimi sui Selettivi Marukhati, una setta estrema dell'Ordine
Alessiano» spiegò all'amico.
«Non li avevi mai letti?»
«No, non esiste nulla del genere negli archivi della Gilda». Prese
l'ultima pergamena e l'aprì. Mano a mano che la leggeva, l'espressione
si fece sempre più corrucciata. Tuttavia, quando lesse le parole una
seconda volta, e un'intuizione fulminò i suoi pensieri, gli occhi si
spalancarono per la meraviglia ed il terrore. Fece istintivamente un
passo indietro, coprendosi la bocca.
«Aberius!» lo chiamò il compagno, per riscuoterlo dallo stupore. «Che
ti prende?»
«Quello...» mormorò, indicando l'artefatto, «quello è il Bastone delle
Torri!»
Adrian guardò il bastone, confuso, poi si rivolse di nuovo all'amico
«Non ne ho mai sentito parlare».
Aberius scosse il capo, frastornato «È normale, anche i pochi che lo
conoscono, lo considerano una leggenda».
«È molto potente?»
«Oh sì... se solo la metà di quello che ho sentito è vera, potrebbe
essere il bastone più potente che si conosca».
Adrian incrociò le braccia, accigliato «Dalla tua espressione, deduco
che non è così positivo come sembra».
«Non lo è affatto!» esclamò, concitato. «Quel bastone è semplicemente troppo
potente, un semplice mago come me non potrebbe mai sperare di
controllarlo».
«Puoi sempre darlo alla tua Gilda, no?» suggerì il compagno. «Sono
sicuro che il tuo capo saprebbe come trattarlo».
«Intendi l'Arcimago Vanus Galerion?» scosse ancora il capo. «Lui è una
persona assennata, ma tutti gli altri? Se finisse nelle mani di un pazzo
sarebbe la fine!»
«Non stai esagerando ora?»
«Quel bastone ha il potenziale per abbattere le barriere dell'Oblivion
con un solo colpo, e forse anche peggio. Ora dimmi, ti sembra che stia
esagerando?»
Adrian sbiancò «Mi hai convinto» disse, alzando le mani. «Dunque cosa
vuoi farne?»
«Non lo so» rispose, passandosi una mano tra i capelli. Cominciò a
camminare aventi e indietro, davanti all'altare, cercando di trovare una
soluzione. Adrian non aveva tutti i torti, il Bastone delle Torri
avrebbe potuto rivelarsi una risorsa inestimabile per la Gilda, non
poteva lasciare che la sua paura impedisse una riscoperta così
clamorosa. Chi era lui per decidere di sottrarre al mondo un artefatto
così prezioso? Dopotutto, il Bastone non era malvagio di per sé, non era
nemmeno di origine daedrica. Anche se era pericoloso da usare, avrebbe
potuto comunque essere un oggetto di studio, sarebbe bastato usare un
po' di buonsenso.
Si fermò di colpo.
No, sarebbe stato troppo facile pensare che sarebbe bastato un po' di
buonsenso per evitare un disastro. In quel momento si rese conto che
l'ambizione stava offuscando il suo giudizio, ed era un grande errore.
Il pensiero di ricevere un riconoscimento per aver ritrovato quel
bastone leggendario, aveva guidato i suoi pensieri senza che se ne
accorgesse. Sarebbe stato troppo comodo prendersi i meriti, e delegare
ad altri le responsabilità. La verità era che il peso della decisione
gravava sulle sue spalle, e se lui per primo non era in grado di
scongiurare tutti i pericoli che ne sarebbero derivati, allora non
rimaneva che una cosa da fare.
«Lo lasceremo qui» disse, quasi a sé stesso, per poi rivolgersi ad
Adrian: «Non dovremo farne parola con nessuno».
Il guerriero annuì, serio in volto «D'accordo, farò finta di non aver
mai visto questo posto».
Aberius sorrise. In quel momento ebbe la sensazione che l'enorme peso
che aveva sentito sulle spalle si fosse alleggerito. «Mi dispiace di
trascinarti così spesso in queste situazioni difficili» disse con
sincero rammarico.
«Ah, non pensarci» scrollò le spalle con noncuranza. «A me dispiace che
dovremo tornarcene a mani vuote».
«Non è detto...» si riavvicinò all'altare e prese le pergamene. «Queste
non sono pericolose, e sono sicuro che il nostro Maestro degli
Incunaboli sarà soddisfatta» disse, infilandole nella tracolla. «Le dirò
che le abbiamo trovate miracolosamente intatte in uno scrigno tra
alcune macerie».
Adrian ridacchiò «Mentire spudoratamente eh? E la tua integrità
accademica dove la metti?»
«La metto a tacere, per questa volta. Forza, usciamo di qui».
Fecero il percorso inverso molto più in fretta, dato che le trappole
erano già state scoperte da Kupkin, ed erano ancora contrassegnate.
Arrivarono ai piedi della scala a pioli, e furono entrambi grati della
luce del sole che arrivava dall'alto. Quando furono entrambi fuori, ed
ebbero richiuso la botola, l'entrata per quel luogo tornò ad essere
invisibile. Aberius, tuttavia, rimase fermo a "guardarla", meditabondo.
«C'è qualcosa che ti preoccupa?» gli chiese Adrian.
«Sì. Sono preoccupato che qualcun altro, come te, potrebbe inciampare
in questa botola».
«Capisco cosa vuoi dire: qualcun altro potrebbe trovare quel bastone».
«Esatto».
«Beh, hai detto che la magia che la nascondeva si è deteriorata.
Potresti... rinnovarla, o qualcosa del genere?»
«Nelle condizioni attuali non sono in grado di infondere un incantesimo
che possa durare a lungo».
Rimasero entrambi in silenzio, cercando di trovare una soluzione.
«Ah!» fece Aberius, colto da un'idea. «Nell'attrezzatura che abbiamo
portato ci sono anche delle pale, giusto?»
«Sì, ci sarebbero dovute servire per scavare tra le macerie. Cos'hai in
mente?»
Il mago sogghignò «Non lo intuisci?»
Adrian rimase interdetto per qualche secondo, poi capì «Vorresti
ricoprire la botola con la terra?»
«Hai un'idea migliore?»
«No, credo di no» disse con sconforto, già stanco all'idea di spalare
tutta quella terra.
«Comunque è solo una soluzione temporanea. Dovremo tornarci con la
giusta attrezzatura, e allora la nasconderò per bene con un
incantesimo».
«Quindi mi stai dicendo che anche se adesso la sotterriamo, poi dovremo
tornare qui e dissotterrarla?»
«Suvvia, non fare storie» tagliò corto, mentre si incamminava per
prendere le pale. «Ti offrirò da bere quando torneremo alla locanda».
«Non so se ci tornerò vivo» disse Adrian, melodrammatico.
A
coloro che hanno aperto questa fanfiction per la prima volta, vi ringrazio
per averla letta. Se siete subito saltati a leggere questo capitolo,
allora nel primo trovarete il testo di una di quelle quattro pergamene,
inventato da me, dateci un'occhiata se vi va.
A coloro che avevano già letto questa storia, che inizialmente prevedeva
solo il primo capitolo, vi chiedo scusa per avervi proposto un contenuto
non idoneo a questo sito, dato che non era né un racconto e né una storia,
e vi ringrazio ovviamente per aver letto anche questo secondo capitolo. In
particolare, ringrazio Curse_My_Name per la tirata d'orecchie (tutta
meritata) che mi ha fatto, e per avermi dato lo spunto per scrivere questa
storia. Ringrazio anche suinogiallo per la sua disponibilità, per avermi
concesso di riparare al mio errore senza dover cancellare la fanfiction.
Angolino noioso delle spiegazioni: da dove cominciare? Partiamo
dall'ambientazione. Forse non tutti sanno che, nei file di gioco di The
Elder Scrolls Online, ci sono alcune tracce di una versione vecchia della
main quest (potete leggerle qui).
In quella versione, ad un certo punto si doveva recuperare il Bastone
delle Torri dal Rifugio Canulus, rispondendo a tre domande scritte su
altrettante statue. Questo diciamo che è stato l'incipit su cui ho
costruito la storia, per il resto ho lavorato di fantasia, anche se ho
citato un paio di frasi qua e là. Riguardo alle quattro pergamene: come
già detto, una di quelle l'ho inventata io, le altre tre sono canoniche,
potrete trovarle qui,
qui
e qui
(vi avviso, è roba molto strana). Diciamo che mi sono inventato che
vengono ritrovate tutte assieme, perché sono tutti testi brevi, adatti ad
essere scritti su semplici pergamene (e per chi se lo fosse chiesto: la
pergamena in genere resiste molto tempo senza deteriorarsi). Riguardo al
Bastone delle Torri: non viene menzionato solo in quelle tracce non usate,
quindi canonicamente esiste, ma curiosamente in quelle tracce viene
chiamato anche Balac Thurm, che però sarebbe il nome del Bastone
dell'Unità e del Caos (quello usato da Jagar Tharn, per intenderci).
Stando alle fonti ufficiali, i due bastoni sono stati costruiti in periodi
differenti, quindi non dovrebbero essere la stessa cosa. Riguardo al
periodo in cui è ambientata questa storia, basta dire che è ambientato
prima dei fatti di The Elder Scrolls Online, ma penso che fosse intuibile.
Detto questo, fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va.
Ciao e alla prossima :)
Nota del 23/11/2017: ho editato un poco i dialoghi ed ho aggiunto la
parte in cui Aberius si interroga su cosa fare del Bastone. That's all.
P.S.: so che questa storia non spiega molto il legame tra gli Alessiani
ed il Bastone delle Torri, quindi vi lascio con una versione
"alternativa" della scena in cui Aberius capisce di averlo
effettivamente trovato. Spero che sia illuminante in qualche modo.
«Quello...» mormorò, indicando l'artefatto, «quello è il Bastone delle
Torri!»
Adrian guardò il bastone, perplesso, poi si rivolse di nuovo all'amico
«Perdonami, ma non ne so quanto te. Vorresti spiegarmi?»
Aberius cercò di ricomporsi, e recuperare un po' di calma. «Lo sapevi
che gli Alessiani erano monoteisti?» chiese.
Il guerriero si grattò il mento, pensoso «Sì, veneravano una divinità
che chiamavano l'Unico, giusto? Se non ricordo male, il Tempio
dell'Unico alla Città Imperiale l'hanno costruito loro».
«Sì, esatto. Dopo aver letto queste pergamene, però, sono piuttosto
convinto che l'Unico fosse in realtà Akatosh. Infatti qua c'è
scritto...» e lesse di nuovo dalla pergamena che aveva ancora in mano «"Lo
Spirito Supremo Akatosh è di essenza unitaria"».
«Ah, capisco. "Essenza unitaria"... "Unico"... sì, ha senso, ma cosa
c'entra con quel bastone?»
«C'entra eccome!» disse, animatamente. «Ora fai finta di essere un
Alessiano estremista: odii gli elfi, e sei convinto che Akatosh sia
l'unico dio da venerare. Ad un certo punto scopri che Akatosh non è poi
così unico, perché c'è un'altro dio simile che si chiama Auriel, ma
talmente simile che forse sono quasi la stessa divinità. Il problema è
che Auriel è un dio elfico, e a te che odii gli elfi questo fatto
proprio non va giù. Cosa faresti quindi?»
«Beh, proverei a fare pace con gli elfi» rispose, ironico. «O in
alternativa, proverei a fare pace con il cervello».
Aberius rise «Fattelo dire: hai poca fantasia. Se invece fossi io un
Alessiano estremista, sai che farei? Mi procurerei un artefatto
potentissimo, e proverei a dividere Auriel da Akatosh, una volta per
tutte».
Adrian rimase interdetto «Aspetta... stai scherzando, o davvero hanno
provato a dividere un dio?»
«Mi sembra ovvio. Non a caso ho detto "estremista"»
«Appunto. Hai detto "estremista", non "stupido"» osservò Adrian.
Il mago alzò le spalle «E che differenza c'è?»
«Giusto» concesse. «E l'artefatto potentissimo sarebbe...» indicò il
bastone con un cenno del capo.
«Esatto. Ora che hai un chiaro indizio di quale sia il potenziale di
quel bastone... che ne dici se lo lasciamo qui?»