Il marchio della strega

di Herondale7
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 

Anno 275 Dalla Ripartizione, 2 Agosto. Shaka, Neblos.

Ero sul tetto di una casa in periferia disabitata da due giorni. I padroni di casa stavano facendo un viaggio ad Ephilia, nella capitale Mishad, per andare a trovare il figlio che si era trasferito da un anno; sarebbero stati via un paio di settimane. Sfortunatamente per loro si era venuto a sapere, perciò io e Joel cogliemmo l’occasione al volo.
“Sbrigati a scendere di lì, ti potrebbero vedere.” Disse lui.
“Agli ordini, signor capitano! Però scenderò con la capriola.”
“Eh no, non ci pro-”
Tutto inutile, ero già saltata cadendo con una capriola per evitare di spezzarmi le gambe. Ero quel genere di bambina a cui piaceva dimostrare che non sempre le cose maschili le potevano fare solo i ragazzi. A Joel questo spesso dava fastidio. Essendo più robusto non era agile quanto me e sarebbe stato colto con le mani nel sacco prima di riuscire ad allontanarsi, perciò compensava il mio aiuto nei furti prendendomi quando saltavo e tenendosi la refurtiva quando le guardie correvano dietro di me.
Ormai gli uomini in uniforme mi conoscevano bene, ogni volta che venivano a cercarmi mi perquisivano ma non trovavano mai nulla oltre qualche mela e la collana che avevo al collo.
“Grazie ancora Briel, non so come faremmo a casa senza di te.” Mormorò guardando il piccolo sacchetto in tela con le gemme preziose da rivendere e quello con l’oro in juta.
“Di nulla fratellone, ma adesso vattene prima che arrivino e questo pomeriggio rivendili, così non avrai nulla di cui preoccuparti. Salutami Elettra.” Sussurrai, poi abbandonammo entrambi il vicolo.
La sua famiglia era abbastanza grande, aveva una sorellina e un fratellino che conoscevo bene, mentre i loro genitori lavoravano spesso a corte dai Reali per racimolare qualcosa, ma non sempre la paga bastava a mantenere tutti e cinque. Joel era mio amico sin da quando indossavamo le pezze, quindi non mi spiaceva affatto aiutarlo ad arrotondare.
A differenza sua io ero figlia unica, quindi era come un fratello maggiore per me. I miei genitori erano delle persone speciali, sempre gentili e disponibili; nei momenti di carestia avevano già invitato a cena da noi diverse volte gli Shade, per evitare che restassero senza cibo. Lavoravano come mercanti, spesso facevano viaggi lunghi con mio zio, e io andavo a stare da mia zia in quei periodi.
Quella mattina quando rientrai a casa li vidi con le valige in mano, pronti per salpare. Mia mamma era indaffarata nel recuperare le ultime cose e infilarle nella sacca, mentre mio papà la attendeva un po’ seccato appoggiato allo stipite della porta d’ingresso.
“Janiris, dobbiamo sbrigarci, soprattutto oggi, che fine hai fatto?” disse papà irritato.
“Sono qua, Malik, e non ho dimenticato nulla stavolta.” Poco dopo si accorsero entrambi della mia presenza e mi salutarono velocemente.
Mia mamma tuttavia quando mi vide iniziò a frugare nella borsa alla ricerca di qualcosa di non meglio definito da darmi. Quando smise ne tirò fuori un chiave brillante, con delle decorazioni floreali; sollevò soddisfatta lo sguardo e si accorse che le stavo andando incontro. Anche papà si mise a guardarmi, e per un secondo vidi nei suoi occhi orgoglio.
Lei me la mise in mano e io la osservai meglio, era fatta d’argento e non era più lunga di sei centimetri, come una di quelle che aprono gli scrigni dei pirati che tanto immaginavo, ma era troppo piccola per poterlo essere. Sembrava invece esser fatta per aprire una piccola serratura, come di un lucchetto.
“Ecco a te amore mio, questo è un regalo da parte mia e di tuo padre. Apparteneva ad una ragazzina come te tanto tempo fa, ed è passato nelle generazioni.”
“Grazie mille mamma, è bellissima.”
“Puoi metterla nella collana che ti abbiamo comprato come ciondolo.” Suggerì mio padre. “Inoltre c’è qualcosa di speciale per te sul tavolo in cucina, ok tesoro?” io annuii.
Passata la soglia di casa mi venne in mente una cosa. Mi aggrappai alla tracolla di mamma e la tirai leggermente. “Tornerete per il mio compleanno, non è vero?” Lei si inginocchiò per parlarmi e nel frattempo mi sistemò il colletto della maglia.
“Certo che sì, nel frattempo puoi andare a stare dalla zia, l’ho avvertita già io ieri.” Lo disse con un tono un po’ più malinconico del solito, ma pensai che fosse solo una mia impressione. “Ti prometto che faremo una bellissima torta quando tornerò, ma ti raccomando, non perdere la chiave, ci è costata cara… per noi è molto importante che la abbia tu.” Non capii perché fossero così strani ma lasciai correre, in fondo mi facevano sempre mille raccomandazioni prima di andarsene.
“Fai tutto ciò che dice la zia Harriet, ok? Ci mancherai.” Disse papà inginocchiandosi anche lui.
“Pure voi.” Risposi, e dopo averli abbracciati andai in cucina a vedere cosa mi avessero lasciato.
Trovai proprio al centro del tavolo un piatto con sopra mezza ciambella con lo zucchero sopra. Solo Elettra la cucinava così, mi ripromisi di passare a ringraziarla prima di arrivare da mia zia, ma si fece tardi così rimandai all’indomani. Presi un borsone e ci misi dentro tutto l’occorrente per passare una settimana da mia zia, più qualche giocattolo in legno per far trascorrere il tempo. Prima di uscire di casa mi tolsi la collana e infilai la chiave come se fosse un ciondolo, poi la rimisi al collo.
Quando uscii di casa mi resi conto che il borsone pesava più di me. Fu difficile arrivare alla spiaggia dove stava mia zia senza cadere per via del peso, ma non voletti fermarmi per paura di addormentarmi dalla stanchezza in mezzo alla strada. Mi era già capitato diverse volte e non ci tenevo ad essere derubata. Insomma, dove si è mai sentito che un ladro rubi ad un altro ladro? Non ci dovrebbe essere una specie di patto tra di loro? Arrivata da mia zia ebbi il mio meritato riposo.
Come avevo promesso a me stessa, l’indomani andai a ringraziare Elettra e la aiutai a tenere impegnato suo fratello. Lei aveva sette anni, otto ad Ottobre, ma nonostante sapesse cucinare ciambelle buonissime, non era molto capace di trattare con i più piccoli.
Passarono due settimane dalla partenza dei miei genitori, e io passavo sempre più tempo al molo e alla via principale fuori città che in casa. Joel quando poteva mi teneva compagnia, ma dopo diversi giorni smise anche lui di attendere. Mia zia era disperata, incinta e sola, nemmeno lo zio era tornato a casa.
Il giorno del mio nono compleanno lo passai sola.
Dovettero passare quasi altre due settimane prima che venisse a bussare a casa di mia zia un messaggero. Sfortunatamente io ero in casa in quel momento. La zia mi disse di salire al piano di sopra e aspettarla lì, ma la mia curiosità premeva e non potei fare a meno di soddisfarla, così al posto di salire le scale di casa, scesi quelle della cantina che spuntava proprio sotto il salotto.
Sentii i passi distinti di due persone calpestare le assi sopra la mia testa e lo spostare di due sedie. Quando l’uomo iniziò a parlare non riuscii a tirare indietro le lacrime.
“Mi spiace davvero, signora Fathix, di doverle riferire delle così oscure notizie. Come messaggero di Shaka mi è stato detto di riferirvi le seguenti parole.” Ci fu qualche secondo di silenzio e sentii lo srotolare di una pergamena. “Come decretato dai referti medici, Janiris Farthix e Malik Jacklyn sono deceduti in data 14 Agosto a causa di intossicazione da gas provenienti dall’incendio della locanda dove avevano pernottato a Qraco, capitale di Egron.”
Potevo sentire le lacrime rigarmi il viso, ero bollente a forza di trattenere i singhiozzi. I miei genitori non sarebbero mai tornati, e tutto ciò che mi restava di loro era una bella chiave d’argento, una casa vuota che sarebbe stata venduta all’asta e infine me stessa.
Si sentirono due pugni sbattere con violenza sul tavolo per la rabbia. “Lei ha un’altra pergamena, la legga subito.” Mia zia non sembrava essere in sé. Un secondo suono di carta preannunciò la seconda lettura.
“Come decretato dal ritrovamento in mare del relitto della nave Fuonne, tutti i passeggeri sono stati dichiarati dispersi in mare.” L’uomo tacque, poi riprese. “Signora Farthix, mi sembra giusto dirle che non sono stati recuperati i corpi e che quelli di sua sorella e il rispettivo marito sono stati cremati.”
“Per quale stramaledetto motivo non avrò un singolo posto dove piangere i miei congiunti? Mio figlio e mia nipote dove andranno a pregare per i loro genitori?” la zia sembrava aspettarsi la morte di suo marito, ma non aveva intenzione di accettarla, così come le altre due.
Pregare? Mia zia non aveva capito nulla allora. L’unica cosa che mi passava nella mente in quel momento era che loro non sarebbero mai tornati, non sarebbero venuti per il mio compleanno. Mamma non avrebbe mai fatto la torta con me, eppure me lo avevano promesso. Come avrei passato la vita pensando che non li avrei più visti tornare?
“I due erano dei magici, lo hanno scoperto dai marchi ma, pace all’anima loro, i regnanti hanno decretato che essendo dei fuorilegge non meritassero la sepoltura.” Fece una pausa per prendere fiato. Allo stesso tempo mia zia scoppiò a piangere. I marchi erano, sono e saranno sempre qualcosa che condannerà il popolo dei magici.
Nel vecchio impero di secoli fa, venne allo scoperto, dopo un evento quasi mitologico, l’esistenza di persone con dei poteri incredibili, capaci di stravolgere la quotidianità e la vita di chiunque. All’inizio erano solo sette persone completamente scelte a caso dalla sorte che furono investite dalla magia, ma quando queste ebbero una famiglia, dei figli, si scoprì che la magia era ereditaria e che chiunque ne avesse nel sangue almeno una goccia sarebbe stato marchiato dalla stessa.
I nati dalle sette famiglie nobili avrebbero avuto il marchio della famiglia di appartenenza, mentre coloro che si mischiavano spesso agli umani avrebbero avuto un marchio comune: un pentacolo con un cerchio attorno, simbolo di protezione.
 “So che starà già soffrendo moltissimo, ma le devo chiedere dov’è la loro figlia, Sabriellen Jacklyn… La bambina non può restare nel regno, e se lei decidesse di accoglierla oggigiorno, questo rappresenterebbe un problema per lei e il suo futuro figlio. Se non erro mi sembra che lei sia incinta.”
“Non sapevo che facessero uso di magia, e in ogni caso la bimba ha solo nove anni, non ha alcun marchio, sarebbe ingiusto esiliare un essere indifeso! Non sa nemmeno se avrà davvero dei poteri!” disse alzando la voce gradualmente, nonostante questa fosse rotta dalle lacrime che stavano continuando ad essere versate.
Una bambina di nove anni, che presto o tardi sarebbe stata cacciata dal regno. Ecco cosa ero. Dovevo solo aspettare che spuntasse il marchio, a meno che non venissi cacciata prima. Loro mi avevano parlato dei magici, ma non mi avevano mai detto di esserlo anche loro, e per questa mancanza non sapevo che ne avrebbero fatto di me. Dato che ero una possibile magica non avrei nemmeno ereditato casa mia, non avrei avuto nulla di ciò che apparteneva ai miei genitori.
“Non la vedo da settimane, mia sorella aveva deciso di non farmi affaticare con Sabriellen, sono in dolce attesa. Probabilmente sarà a casa di alcuni amici di famiglia.”
A quel punto mi permisi di andarmene, avevo sentito abbastanza. Uscii dal retro della casa e corsi fuori città, fino alle spiagge dopo il bosco. Non dissi più una parola, piansi solamente, in silenzio, e come unica confidente con me c’era la tristezza. Qualche ora dopo smisi, avevo sete ed ero accaldata. Mi asciugai le lacrime e tornai a casa dei miei genitori, ma la trovai vuota.
Era così vuota che rispecchiava perfettamente il modo in cui mi sentivo dentro. Sembrava aver perso lo stesso colore acceso. Non c’era nulla della mia famiglia, niente di niente, era stata saccheggiata dalle guardie prima di essere messa all’asta. Per terra, accartocciato, raccolsi il disegno fatto da mia madre della nostra famiglia, un ritratto con il carboncino che rappresentava noi tre.
Lei amava disegnare, i suoi soggetti preferiti erano gli animali dei boschi, e anche noi a volte, la sua sola famiglia. Per tutta la casa c’erano stati quadri, una volta, dipinti con colori accesi, ma adesso rimaneva solo quel piccolo disegno sgualcito all’estremità. Almeno era ancora integro.
Lo raccolsi e vidi che guardando più attentamente si intravedevano dei segni dalla scollatura di mia madre e dalla camicia di mio padre, o meglio, dei marchi. Erano sempre stati lì, ma io non me ne ero mai accorta. È incredibile quanto poco ci si renda conto delle cose, quando non se ne sa nulla. La verità era sotto i miei occhi e io ero stata così cieca; chissà perché nascondermi tutto ciò.
Lo conservai nella tasca dei calzoni e mi misi in cammino per tornare a casa da mia zia. Per la strada molte donne piangevano disperate, alcune erano già vestite di grigio e nero, come prevedeva il lutto. Due donne giovani uscirono di casa contemporaneamente e corsero l’una incontro all’altra. Una delle due teneva per mano una bambina di giusto un paio di anni.
Solamente quando fui più grande capii che nel mio egoismo quel giorno non avevo pensato che la nave Fuonne aveva a bordo anche molti altri uomini e ragazzi di Shaka e dintorni. Non ero l’unica ad aver perso qualcuno. La gente moriva ogni giorno, chi per un motivo, chi per un altro, chi giovane e chi vecchio, ma non c’era alcuna differenza tra un morto e un altro. Il dolore delle persone che lo amavano è lo stesso.
Quando arrivai la vidi intenta a fare le pulizie e riempire una valigia, lo sapevo bene dopo anni, che la prima era l’unica cosa che le svuotava la mente. Mi poggiai alla porta della camera e quando si accorse di me dissi la prima frase dopo ore di imperterrito silenzio. Tutt’oggi non cambierei quelle parole.
“Sento un grande vuoto dentro. Non so cosa farò adesso. Sai zia, sembra tutto così silenzioso e vuoto, ogni singola cosa che abbiamo fatto finora che senso ha avuto? Io non-” mi uscì un verso strozzato. “Io non volevo che morissero.” Lei posò la felpa che aveva in mano, si girò e mi fissò. Dopo un po’ pianse e mi strinse a sé, come se questo potesse farli tornare, o far sì che lo zio fosse ancora vivo.
Magica o no, non mi sentii mai così impotente come in quel momento.
 

Angolo autrice:
Ciau genteh, sono sempre io a rompere, come al solito dopo tempi di attesa epocali ricompaio a fine capitolo.
Come vi è sembrato questo inizio? come avrete ben capito è un flashback dell'evento che ha segnato la mia protagonista per la vita. 
Spero che abbiate letto attentamente, certe cose potrebbero essere più chiare solo avanzando nella lettura.
Aggiorno una volta a settimana, stavolta seriamente ;)
Buona lettura :)

Herondale7

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Anno 283 Dalla Ripartizione, 16 Agosto. Shaka, Neblos.

Odiavo il vestirsi per colori in base al lavoro, creava delle caste che stavano quasi a significare che ognuno dovesse stare al suo posto, come a ricordarci che non esiste veramente la libertà. In effetti c’erano dei precedenti: alcuni uomini anni prima si erano messi in testa di sposare l’ultima discendente dei reali di Ending, caduti quasi in disgrazia. Per evitare tali pretese qui a Neblos, così come in tutti i regni, è stato applicato “l’editto dei costumi”, che prevedeva che un rango superiore potesse rifiutare di sposare un rango inferiore.
A dirla tutta lo odiavo anche perché chi non aveva un lavoro, come me per esempio, era costretto a vestirsi di grigio, come gli schiavi, e di conseguenza ad essere trattato come un essere insignificante e indegno.
Ecco perché storsi il naso vedendo i vestiti verdi di Elettra quella mattina. Il verde era il colore delle cuoche che lavoravano nelle cucine reali per coloro che non potevano permettersi un pasto caldo da sé e per i reali stessi, oltre che per tutta la corte della quale facevano parte i nobili, i dottori, gli scribi, i messaggeri e i comandanti militari. In fin dei conti quello era un buon lavoro, ma solo chi era portato poteva farlo ed Elettra lo era già da bambina.
Fui contenta quando quel pomeriggio venne a trovarmi, avevamo molto da dirci e spesso così poco tempo. Sopra i vestiti indossava ancora il camice da lavoro, e aveva legato i suoi capelli ricci e biondi in due trecce, tuttavia qualche riccio ribelle sembrava saltare fuori dall’acconciatura fatta probabilmente da sua madre.
Aveva un’espressione più stressata che stanca, ma solo quando il sole avrebbe smesso di sorgere sul vecchio impero lei avrebbe perso il sorriso. Era sempre così allegra nonostante tutto.
“Scusa davvero per il ritardo, ma Joel non la smetteva di chiedere dove stessi andando.” Disse un po’ affannata, doveva aver corso. “Piuttosto, Bellamy mi ha mandato uno dei suoi a dirmi che per stasera è tutto pronto.”
“Menomale, stavo iniziando a pensare che l’oro che abbiamo rubato per lui non fosse abbastanza. Non avrei saputo quale altra casa derubare.” La mia amica mi aveva portato anche del pane che poggiai subito in cucina.
Ultimamente ero troppo presa dalla mia piccola famiglia per pensare alle possibili decisioni di qualche pirata, anche se speravo in un sì per la mia recente proposta. Neblos, il regno in cui vivevo, stava per entrare in guerra con il regno di Trule per vecchi conti in sospeso e ragioni accidentali più recenti.
“Tranquilla, sono riuscita a convincerlo che è il giusto prezzo per l’oro rubato che gli abbiamo procurato l’altro giorno in piazza, e il giorno prima, e quello prima ancora… insomma partirete stanotte, ma è abbastanza certo che il suo equipaggio non vorrà una donna a bordo a meno che non sia una magica, perciò entrerai di nascosto con la merce per il Sud.” Fui così felice di quella conferma che non pensai che ciò sarebbe stato anche un rifiuto a tutto quello che avevo. D’altronde ero felice di potermene andare di lì, lo desideravo da tempo, quello era solo un pretesto misto ad un favore ai reali.
“Grazie mille Elettra, non so che cosa avrei fatto senza di te finora.” Le diedi una piccola pacca amichevole sulla spalla. Solo dopo realizzai che effettivamente se quella notte mi fosse comparso il marchio avrei avuto più possibilità di restare a bordo.
“Piuttosto, sai già se tornerai dopo o no?” A volte l’ottimismo della mia migliore amica si tramutava in piena ingenuità, e mi metteva in difficoltà risponderle a cose del genere senza dirle chi ero veramente. Questo era uno di quei casi. Inoltre una guerra non comportava un dopo assicurato: la morte era all’ordine del giorno e, presto o tardi, sarebbe andata incontro a tutti.
“Non ne ho idea, ci sono così tanti fattori in ballo. Potrei essere un problema per Bellamy appena salgo a bordo, potrei essere abbandonata da qualche parte o morire per mano di qualche altro pirata, o ancora potrebbero mandare la zia in guerra se finiscono gli effettivi e io sarei costretta a rientrare. La guerra potrebbe pure scoppiare stanotte per quanto ne sappiamo.” Non mi fece nemmeno continuare.
“Sì, sì, ma se andasse tutto bene cosa accadrebbe?”
“Se andasse tutto bene potrei anche restare tra i pirati, magari trovo anche qualcuno a cui piaccio. Potrei anche trovare un posto migliore dove vivere viaggiando e decidere di stabilirmi lì.” Vedevo entrambe le possibilità estremamente di difficile realizzazione, ma non lo feci capire a lei. “Parlando di cose più realistiche, a me non servirà la mia paga, perciò la regalo tutta a te e alla zia, a te il compito di gestirla quando arriva. Salutami tutti, soprattutto Joel.” So che era un tasto dolente doverle dire di farlo da parte mia, risultava un po’ falso.
“Perché non lo saluti tu prima di andare? Gli dirò di aspettarti all’entrata del mercato se ti va, sarebbe più felice nel vederti.” Disse sorridendo in modo tirato. “Non è mio dovere intromettermi ma potresti non poter tornare più e te ne potresti pentire in tal caso.” Aggiunse dopo.
Risposi con lo stesso tipo di sorriso. “Farmi vedere dopo ormai quasi due anni che lo evito creerebbe in lui aspettative che non posso soddisfare, Elettra. Inoltre rivederlo e dirgli addio sarebbe peggio, come se dovessi avere qualcun altro a cui volto le spalle andandomene, e mi basta averlo fatto una sola volta a lui, non merita il bis.” La mia migliore amica si limitò a fare un piccolo cenno di assenso con il mento e stringere le spalle. Almeno ci aveva provato.
“Allora a quanto pare questo è un addio Sabriel, non mi aspettavo che sarebbe stato così complicato da dire.” Le scese una lacrimuccia che le fece chiudere gli occhi. Prese fiato e poi parlò. “A un’altra vita, Sabriellen Jacklyn. Stammi bene.”
“Oh no.” La strinsi forte a me e lei si limitò a ricambiare l’abbraccio. “A un’altra vita, Elettra Shade.” La consapevolezza di non poterla rivedere mi attanagliò le viscere. Mi sembrò quasi durare un’eternità quella stretta, o forse più semplicemente era quanto volevo che durasse per me.
Poco dopo un urletto si levò dalla cucina: Tori richiedeva attenzioni. Ci separammo. Rientrai chiudendo lentamente la porta alle mie spalle e presi Tori in braccio, andando verso la stanzetta dove mangiavamo, che alla fin fine era la stessa che accoglieva gli ospiti e dava sulla cucina. Non era molto considerato che la nuova casa che potevamo permetterci aveva a malapena quattro stanze, ma era abbastanza, anche se presto a Tori sarebbe servito un letto e non la culla in cui si ostinava a dormire pur di non far dormire me nel pavimento. Testarda come me, la piccola.
“Domani vai via?” mi chiese Tori allacciando le braccine al mio collo. In quello stesso istante io capii come avevano fatto i miei genitori a mentirmi l’ultimo giorno in cui li vidi; in effetti loro non avevano propriamente mentito, ma per il mio bene mi dissero ciò che volevo sentirmi dire in quel momento.
“Si tesoro, ma ti prometto che ritornerò.” Nello stesso momento in cui pronunciai quelle parole ebbi la certezza che l’avrei delusa, ma era meglio una dolce bugia con cui fare i conti dopo, che vederla piangere come un possibile ultimo ricordo. Le sorrisi e la strinsi più forte per rassicurarla.
Tori era come una sorella minore per me. L’avevamo tirata su fino ad allora io e la zia Harriet. Faceva spesso domande su suo padre perché i suoi compagni di giochi parlavano anche di quanto scoccianti fossero i genitori per loro, e lei, quando saltava fuori l’argomento, veniva da me e mi chiedeva dove fosse lo zio. Avrei tanto voluto dirle la verità in quei momenti, ma la zia aveva messo l’obbligo del tabù sull’argomento, proibendo anche a me di dir qualcosa alla piccola. Diceva che quando sarebbe stato il tempo glielo avrebbe detto lei stessa, eppure non faceva che rimandare.
“È tutto pronto Sabriel, ho fatto il tuo piatto preferito.” Harriet mi mostro la piccola tavola imbandita, dove troneggiava una grande scodella con lenticchie e carne di pollo. Mia zia doveva essere molto stanca, ormai cucinare la sfiancava, aveva una qualche lieve malattia sanguigna che le impediva di fare grossi sforzi; i dottori e le cuoche che la conoscevano le raccomandavano la carne di selvaggina, ma costava troppo.
Per compensare compravamo galline e talvolta uova, quando le galline invecchiavano facevamo il brodo. Era facile anche arrivare a comprare le cipolle e i legumi, senz’altro meno costosi, e accompagnarli con pane e acqua. Per concludere rubavo del pesce al mercato nei periodi dove i prezzi del grano salivano e non potevamo dare del cibo a Tori. A volte era capitato che a turni io e la zia digiunassimo per lei, ma da un po’di tempo a questa parte le cose erano andate bene, eppure la guerra avrebbe cambiato nuovamente tutte le carte in tavola.
“Andrà tutto ok, zia, tornerò prima che tu te ne accorga, durante la mia assenza avrete più cibo, Elettra oggi ha lasciato del pane e ha ricevuto dal pirata la mia prima paga, basterà per tre mesi e la dividerete. Inoltre ci sarà meno rischio che le sentinelle si precipitino qui per scortarmi a corte e tagliarmi le mani.” Harriet era poggiata al muro, braccia incrociate e sorriso forzato sul volto. I suoi occhi dorati e nervosi mi incitavano a sedermi con lei a tavola.
Sul suo capo un fazzoletto le teneva indietro i capelli ricci, mentre un ciuffo nero le cadeva sulla guancia. Alcune rughe avevano già iniziato a comparire ai lati dei suoi occhi qualche anno prima. Si trascinò verso la sedia, mentre Tori si sedette sulle mie gambe. Aveva anche lei il grembiule verde delle cuoche, ma rispetto ad Elettra lei lavorava solo il pomeriggio, di conseguenza portava a casa la metà del denaro.
“Sappiamo benissimo entrambe quanto sia difficile che le guardie ti colgano con le mani nel sacco, ma con la pirateria non si scherza, non avresti dovuto nemmeno pensare di imbarcarti sotto una bandiera nera.”
“Spero tu non stia tentando di farmi ritrattare la decisione che ho preso ormai da tempo. Pensaci zia, con i pirati avrei un guadagno sufficiente e duraturo, con le bandiere dorate finirei per morire come lo zio, dispersa in mare, e voi morireste di fame. Vivremo tutte e tre benissimo grazie ai miei nuovi incarichi.” La zia scosse la testa con un sorriso amaro. “In ogni caso ero condannata dalla nascita ad andarmene di qui.” Dissi riferendomi al peso che gravava su di me per via della mia famiglia.
“Vivremo tutte e tre, ma non insieme come tua madre mi aveva pregato di essere.” Amavo davvero quella donna che aveva sostituito mia madre per quasi un decennio, ma a volte non riuscivo a cogliere appieno il suo modo di vedere la vita. Sempre così pacifista e ottimista, a volte era così difficile dissuaderla quando lei ed Elettra si impuntavano su un discorso o una decisione. Era come combattere contro le onde del mare.
“Zia, la mamma è morta tempo fa. Ho quasi diciassette anni e senza quel futuro saremo spacciate in pochi mesi; sta arrivando la guerra e mi chiameranno. Da morta non servo a nessuno.” Tori non sembrava affatto serena a quella prospettiva, mi riserbò un’occhiata truce. “La cittadella di Ember risponderà con il fuoco se necessario, dopo l’oltraggioso errore delle Tre Gemelle di aver affondato una sua nave da carico la scorsa settimana. Il regno di Trule può scusarsi quanto vuole ma tutti sanno che non è stato un incidente, ci sono tensioni da secoli tra Trule e Neblos, finirà chiaramente nel sangue.”
Quelle suddette tensioni risalivano alla Ripartizione. Quando i territori furono suddivisi dall’imperatrice Lia, secondo il volere dell’ormai defunto imperatore, il caso volle che il regno di Trule era in gravi condizioni economiche dalle quali non si sarebbe ripreso da solo. Neblos fece cospicui prestiti che furono sempre più velocemente esauriti, fin quando rifiutò totalmente di assistere il regno alleato. Quel debito non fu mai estinto.
 “Spero non si arrivi a tanto.” Harriet continuava a mescolare le lenticchie nel piatto come se si aspettasse che queste, improvvisamente, si mettessero in bocca da sole.
“Sai bene cosa dice la legge, zia.” La mia voce smise di alzarsi di tono, si ruppe mentre una goccia salata mi solcava il viso.
Sapevo già cosa sarebbe accaduto a breve. Avrebbero chiamato una persona o due per casa tra i diciassette e i quaranta anni e l’avrebbero mandata in guerra a prescindere dal sesso, e nessuna tra Tori e Harriet possedeva i requisiti di età necessari. Non potevo di certo permetter loro di rimanere sole mandando me stessa al macello.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Rinunciai alla cena, mi limitai ad imboccare Tori ogni tanto, quando finii anche lei di mangiare la feci scendere e la accompagnai a letto. Decisi di raccontarle le dieci storie che mia mamma mi raccontava da bambina sui più grandi maghi, veggenti e streghe che ci fossero mai stati. Coloro che nemmeno i regni riuscirono a diffamare.
Lo feci in parte perché avrei voluto che lei mi ricordasse come uno di quei maghi, e in parte perché volevo essere come loro, anche se sarebbe di certo stato solo un sogno il mio. Magari chissà, questo avrebbe aiutato Tori a vedere i Bianchi come persone buone, non solo cattive come i regni volevano far credere. Arrivata all’ultima Tori era già stanca, ma senza pensarci due volte iniziai a narrare, poiché era sempre la sua preferita.
“Era l’anno della Ripartizione, un imperatore buono regnava nel suo territorio con tanti problemi senza riuscire a risolverli, perché il regno si stava ribellando. C’era tanta fame e tanta sete tra le persone, più di quella dei cammelli quando vengono qui a Shaka!” Tori rise piano. “Quando l’uomo, ormai vecchio, venne a mancare, una delle sue figlie più piccole si accorse che la famiglia stava davvero male, l’imperatore era stato una buona guida per tutti ma da quel momento il regno si sarebbe diviso, e nessuno avrebbe potuto compiere miracoli.
La figlia più piccola dell’imperatore, Lexanneu, tuttavia riuscì a riportare un po’ di gioia tre anni dopo. La Ripartizione era ormai avvenuta, ma lei non demorse, e dopo aver pregato allungo Kethani, sei persone tra uomini e donne ottennero dei poteri immensi provenienti da lei che ne tenne una parte, diventando la settima. Nacquero così i Magici, i Bianchi.
Lexanneu non fu ringraziata affatto da coloro che poteri non ne avevano ricevuti, anzi, fu accusata di tradimento e stregoneria, così fu costretta a fuggire. Un giorno si sentì molto male e scomparve all’età di diciannove anni in un posto sconosciuto. Alcuni dicono che nella foresta di Qraco qualche veggente del tempo osservò in una visione ciò che accadde veramente a lei. Si pensa che Kethani, avendo pietà di lei, l’abbia rinchiusa con il suo spirito in un albero, ma nessuno ne ha la certezza.
Nel frattempo le persone che avevano ricevuto dei poteri si ricongiunsero; i sei maghi si insediarono ognuno in un regno fertile, ma nessuno di loro dimenticò la forza della regina Lexanneu e la bellezza di quel dono, così iniziarono a vedersi ogni dieci anni, e di tanto in tanto al loro posto veniva un loro figlio, affinché quell’usanza non si perdesse; purtroppo per quanto se ne sa, da quando non vogliono più i maghi nei regni, il consiglio non si riunisce più.”
“Non mi racconti del cattivo?” Non avevo intenzione di raccontarle del cattivo dai capelli grigi, o avrebbe guardato tutti i veggenti con timore. In fondo sapeva a memoria la storia, ricordava senz’altro che il veggente di corte fu colui che accusò Lexanneu di tradimento.
“Stai già dormendo, e poi la storia finisce così, perché tuttora i maghi sono esiliati nell’arcipelago delle Gusidi e nelle isole del gelo.”
Tori sorrise con uno sguardo quasi di sfida e disse: “Allora perché non si riuniscono ancora di nascosto?” Da probabile magica, non sapevo se realmente si riunissero ancora.
“Non so se e perché lo fanno, Tori, ma sono sicura che i maghi non dimenticheranno Lexanneu. In fondo è stata lei a regalare loro la magia.” La bimba sorrise. Provai a fissare nella mia mente, nel punto più profondo, quel sorriso sdentato che non avrei rivisto per parecchio tempo. “Stasera dormirai nel mio letto perché io sto partendo, e ci dormirai per tanto di quel tempo da abituarti al materasso. Io tornerò e sarò tutta tua, nessuno ci separerà, va bene Tori?” Tori annuì e io le diedi un bacio sulla fronte, poi la vidi chiudere gli occhi e perciò uscii dalla stanza.
Ormai i maghi erano banditi da circa due secoli. Se qualcuno di loro veniva scoperto aveva pochi giorni per trasferirsi con la sua famiglia alle Gusidi o sarebbe stato condannato a morte. In genere i poteri si ottenevano al sedicesimo compleanno, ma per coloro che, come me, avevano almeno un genitore magico di famiglia nobile avevano la possibilità di ereditare la discendenza nobile ed era ciò che sarebbe accaduto solo al diciassettesimo compleanno.
Ma io di tutto ciò non ne sapevo ancora nulla, sarebbe poi stata una mia carissima amica a parlarmene; poi mi sarebbe stato spiegato che erano magici nobili, appartenenti alle famiglie che discendevano dai primi sette magici, quelli della storia che avevo appena raccontato a Tori. Oltre ad avere poteri più forti alcuni potevano trasformarsi in animali dei boschi.
In ogni caso, quando Tori si addormentò, era ormai giunta la notte fredda e non mi serviva altro per andare via da quel mondo che amavo descrivere come la mia stessa prigione. Avevo vissuto fino a quel momento una vita nello stento, e questo mi aveva insegnato tanto, per esempio il modo migliore per rubare il cibo ai buon uomini del molo. Kethani mi avrebbe perdonato, sapeva che i miei gesti sbagliati nascevano da un bisogno e non dall’avidità.
Non preoccupavo di giorno e di sera di girare per Shaka, in fondo era solo una città malandrina, non malfamata, grazie alla presenza dei reali di Neblos. Vivere nella capitale aveva i suoi vantaggi tuttavia passare in piena notte fonda per i vicoli del porto era ben poco affidabile, basti pensare ai mal intenzionati che rimanevano in giro oltre il coprifuoco. Eppure non c’era altro modo per arrivare inosservata al confine marittimo della città, e una volta arrivata lì mi sarei stata nascosta in una cassa da portare al molo.
Ironia della sorte, proprio in mezzo ai pirati mi stavo dirigendo, i malintenzionati per eccellenza. Elettra aveva detto che mi sarei imbarcata sulla Savior, che sarebbe salpata l’indomani mattina, e finalmente avrei cambiato vita; avevo perso molto tempo a credere che la situazione sarebbe cambiata, magari con la sorte a mio favore.
Prima di uscire di casa mi ero assicurata di non sembrare affatto una ragazza; ogni tanto echeggiavano le risate poco rassicuranti di uomini che si intrattenevano con donne che non avevano altro guadagno se non il loro stesso corpo, e i miei pensieri andarono a mia zia. Era stata lei a permettermi di non fare quella fine, come minimo dovevo evitare di essere presa dai mercenari.
Legai i miei capelli del colore del sangue in una treccia ben stretta dietro, indossando sopra un mantello nero con il cappuccio. Misi una vecchia camicia di mio zio e degli stivali da uomo sopra i calzoni, ma prima usai delle bende per stingere il seno e farlo vedere il meno possibile. In questo ebbi non poche difficoltà. Portai con me altre cose: uno stiletto che usavo solo in casi estremi, la collana dei miei genitori con la chiave appesa e il disegno di mia madre della famiglia. Insomma, viaggiavo leggera.
Così, piano piano, le strade fatte di baracche di legno massiccio e mattoni, si trasformarono in solide costruzioni con vero e proprio cemento, che per essere appena nel nuovo secolo erano cosa costosa per i poveri, dopo che la città fu devastata da un terremoto. In fondo il porto era il centro della cittadella, separato dalla terra ferma, da dove le sentinelle non si allontanavano mai, perciò ringraziai per la loro stupidità e passai inosservata come dovevo.
Mi riscossi dai miei pensieri quando una voce mi chiamò dall’angolo della strada:
“Sabriellen Jacklyn?”
“Sì, Lei deve essere il capitano Bellamy o Demien, mi sbaglio?” Strinsi gli occhi. Mi servivano degli occhiali per poter vedere bene, e non potevo permettermeli.
Il giovane di fronte a me sorrise sfacciato, evidentemente avevo detto qualcosa di strano; nonostante Elettra mi avesse ben descritto l’equipaggio, con tutto quel buio, nemmeno la mia vista era così infallibile come avevo creduto. La sua opera di riconoscimento e descrizione era fallita, due interi pomeriggi buttati a vuoto.
“Seguimi, e per la cronaca, io sono Newt, gli altri sconoscono il fatto che stai salendo clandestinamente sulla nave, oltre il capitano, ovviamente… ancora non riesco a credere che due ragazzine lo abbiano convinto.”
Sapevo chi era. Bellamy Silver, un pirata abbastanza noto originario delle vecchie terre di Othesh, si diceva in giro che fosse molto giovane, suo padre era morto durante un assalto alla sua nave da parte della flotta reale di qualche regno a Nord, perciò lasciò tutto a lui. Da un lato potevo immaginare il dolore che poteva aver passato. In fondo io ero rimasta in uno stato comatoso nella mia mente per due settimane, tentando di elaborare quel lutto così pesante. Mi ridestai da quest’ultimo solo per aiutare mia zia e mia cugina Tory. Un passato buio per entrambi, potrei azzardare.
Lo conobbi grazie ad Elettra, ma mai di vista, sempre per sentito dire, era lei che portava l’oro rubato a Bellamy da quando era approdato a Shaka, e lui ce ne lasciava una piccola parte e ci copriva. Insomma, facevamo le staffette ai pirati. Altre volte ci aveva persino spiegato, tramite pergamene, qualche trucchetto per riuscire meglio.
Newt, che scoprii avere i capelli biondo cenere, mi fece salire in una carrozza, per poi chiudermi nella cassa che sarebbe rimasta nella stiva uno o due giorni, il tempo di allontanarci abbastanza da evitare che la ciurma mi scaricasse indietro. Mi fissò con due occhi rabbuiati e disse tre parole:
“Jacklyn, tieni, viveri.”
“Grazie, puoi chiamarmi Sabriel.”
Il viaggio nella carrozza fu scomodo, ma necessario; quando la carrozza si fermò, si poteva già intravedere l’albeggiare dalle fessure della cassa. Poco importava che fossero pirati che non lavoravano per la Corona, se nel futuro sarei stata uccisa a causa di questa scelta, perché alla fine rimanere dov’ero non sarebbe stato vivere, solo un tenue sopravvivere alla vita per poi essere spedita in guerra e morire. L’idea non mi allettava.
Ero a malapena diciassettenne ma nonostante la vita che conducevo avevo dei sogni. Tutte le mie speranze sembrarono frantumarsi quando improvvisamente sentii un soldato, forse della Compagnia delle Terre Occidentali, urlare di non salpare o avrebbero fatto fuoco alle casse con la polvere da sparo, dove segretamente, in una di quelle ammassate sul carro, c’ero io. Per quanto ne sapevo, la polvere da sparo faceva solo una cosa benissimo: esplodeva.
Per un breve momento mi passarono nella mente i volti di tutte le persone che avrei potuto lasciare, sebbene non piagnucolai. Anche se non l’avrei mai ammesso, dopo quelli della mia famiglia vidi quello di Joel. Gli avevo detto addio due anni prima e per assicurarmi di non rivederlo in città cambiai la zona dei furti. Il motivo? Uno dei due aveva iniziato a provare emozioni forti per l’altro e fu brutalmente rifiutato. Che cosa sciocca, che sciocca che ero, non avevo voluto nemmeno salutarlo quel pomeriggio. Infine il pensiero andò ai miei genitori, che avrebbero detto della loro unica figlia, che nel suo egoismo, andava in cerca di miglior terra?
Per salvarmi avrei potuto benissimo dire di essere stata rapita, mi avrebbero creduta, ma non lo avrei fatto. Non era da me dire o fare tali cose.
Senza neanche rendermene conto, un’ondata di energia si impossessò del mio corpo, e nelle vene il sangue iniziò a ribollire che sembrò quasi non potesse rimanere incanalato nel mio corpo un secondo in più. Solo in quel momento mi accorsi di aver sempre trattenuto il fiato e stretto i denti, così espirai, e tutto quel calore mi abbandonò lasciandomi sfinita, mentre sul mio polso, prima di sentirmi venir meno, vidi comparire un marchio nero.
Luci. Ombre. Cicatrici. Armi.
Era tutto ciò che danzava a ripetizione dinanzi al mio sguardo, mentre io rimanevo inerte in un inferno nero, immobile, galleggiante nel vuoto, inginocchiata nel nulla. Vedevo passare davanti a me tutte le persone che conoscevo o che erano quantomeno morte, tutte mostravano almeno una tra le suddette caratteristiche.
Rassomigliavano a fantasmi luminescenti, ma nello stesso tempo vedevo camminare accanto al mio corpo altre persone, persone in carne e ossa, tutte con un unico comune denominatore: vivi, sconosciuti e giovani, e mi fissavano incessantemente, preoccupati come se fossi una loro figlia. Sembravano quasi delle visioni di veggenti, quasi la realtà.
Sapevo dove mi trovavo, era il luogo di transizione dei magici prima di ottenere la magia. Mia zia me ne aveva parlato quando avevo dodici anni, raccontandomi le storie; in questo posto avrei visto spezzetti del mio possibile destino e del mio passato, ma molto spesso la vita dei maghi non si prospettava rose e fiori. Molti di quest’ultimi cedevano al riposo con i propri avi, terrorizzati da quello che poteva essere un possibile futuro. Altri invece accettavano quella vita, consapevoli che il futuro è mutevole; ci possono essere cose inevitabili, ma ciò che conta è come le si vive.
Un’altra visione fu quella di me, decapitata. Ero in una piazza con una piccola fontana. Dinanzi a me la folla chiedeva che la leva fosse abbassata. All’improvviso una lama ghiacciata, nera, tagliò il mio capo da parte a parte. Nell’ultimo istante, prima che la mia testa iniziasse a rotolare via, tra la folla vidi la mia piccola cugina, Tori. Riconobbi perciò lo spiazzo davanti al cancello dei reali, e di conseguenza cosa stesse accadendo. Ero stata scoperta, e fortunatamente, la mia famiglia non era stata ricollegata a me. Almeno una cosa buona l’avrei fatta.
Un’altra scena mostrò varie fughe, non esattamente una prospettiva di vita allegra. Il porto era una di quelle, sarei salpata con quello che, a quanto avevo capito, era Bellamy Silver. Ma non era la Savior quella su cui salivamo, sembrava più un peschereccio ormeggiato, e non c’era nessun altro a bordo. Un’altra fuga invece era quasi avvolta nella nebbia, o nella polvere credo. Difficile a dirsi, vedevo tutto grigio.
Una visione mi incuriosì particolarmente: ero in una stanza ampiamente decorata, una di quelle che apparteneva alle case dei nobili, attorno a me i mobili erano chiari e limpidi ma due figure sfocate erano lì in piedi. Durante quella visione mi sentii intimorita e incuriosita allo stesso tempo perché indossavo un abito veramente simile a un ammasso di stracci e perché quei volti sfocati si continuavano ad avvicinare a me. Solo dopo mi resi conto che ero io ad avanzare.
Improvvisamente tutto sparì e tra i fantasmi ne vidi due molto luminosi, quasi dolenti alla vista. Mi guardavano come un’estranea, e avevano pure loro quello strano simbolo che era appena comparso sul mio polso, ma loro lo avevano proprio sul cuore. Uno era di media altezza e con i capelli neri, l’altro mi era sorprendentemente familiare. Erano pronti ad accogliermi, mi ponevano le braccia a mo’ di invito a seguirli, e allora capii. Proprio come le storie che mia zia, dopo mia madre, mi raccontava sugli stregoni e sulle streghe. Di loro due, se mi fossi risvegliata, non avrei avuto memoria.
Era il momento di prendere una decisione, restare con quegli sconosciuti e avere il marchio per tutta la vita, la maledizione di ogni persona magica bandita dai nove regni, o andare dai miei genitori, e non preoccuparmi più di quel trambusto che c’era fuori, senza dover assumermi le responsabilità di un compito più grande di me.
Sorrisi ai miei fantasmi e un secondo dopo avevo già deciso.
Nonostante la mia prima visione fosse di vera e propria preoccupazione da parte dei visi sconosciuti che mi circondavano, mi risvegliai sputando acqua sul ponte di una nave, dove tutti sembravano avere invece una gran voglia di ammazzarmi.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
“Chi diavolo siete voi? Avete steso quelle guardie troppo velocemente per i miei gusti.” Disse con tono curioso e minaccioso quello che probabilmente era Demien, poiché un qualsiasi capitano non si sarebbe mai precipitato in una situazione in quel modo. Brandiva il mio stiletto contro di me, puntandomelo alla gola. Decisamente non era Bellamy.
“Maledizione, mica sono un demonio.” Sussurrai massaggiandomi la testa e poi mi alzai tenendo le mani in vista. A quel movimento lento venne accompagnata la lama del pirata, ancora puntatami addosso. “Quelle guardie staranno bene, Demien, sono solo svenute per quel che ne so. A meno che la loro testa non sia finita contro un chiodo cadendo, io non ho ucciso nessuno, quindi gradirei che smettessi di minacciarmi.” Il ragazzo si rifiutò categoricamente.
Mi pentii di aver pensato che Elettra non mi fosse stata di aiuto descrivendomi alcuni membri dell’equipaggio, perché dal sussulto che aveva fatto ero sicura di aver azzeccato il suo nome. Nel frattempo il mio capo pulsava come se mi fossi ubriacata, ovvero come non ne avevo idea. L’alcol era troppo difficile da rubare, anche se nella cantina della mia vecchia casa forse ce n’era ancora.
“Kal, Newt, prendete questa strega e legatela all’albero maestro finché il capitano non ci dirà cosa farne; in fondo ci hai risparmiati, potresti tornarci utile.” Disse rivolgendosi ad altri due e poi a me.
Non opposi resistenza, non ne avevo la forza in quel momento, e mi lasciai trascinare per i polsi verso un punto indefinito alla base dell’albero più grande. Fui piacevolmente sorpresa da come ascoltassero con tanto rigore uno al loro stesso livello. Probabilmente era il capitano in seconda, chissà. Elettra non poteva sapere di certo tutto su di loro.
Poco dopo mi ritrovai imprigionata da delle corde robuste su mani e vita, e quasi avrei dovuto ringraziarli per non avere anche la bocca tappata. Iniziai a guardarmi intorno per capire come togliermi da quella situazione, ma non avevo vicino a me nemmeno un chiodo arrugginito per tagliare le corde, figuriamoci degli argomenti convincenti.
A dirla tutta la nave sembrava molto più grande di quella che avevo scorto la sera prima dalle casse sul carro. Avevo già notato i tre alberi della nave e le undici vele, di cui quattro triangolari, ma la sera prima erano tutte spiegate. Guardandole in quel momento invece ce n’erano alcune chiuse. Inoltre la notte prima avevo riconosciuto il veliero grazie alla fiancata su cui era scritto in nero ‘Savior’ in corsivo. Elettra ogni tanto da piccola mi spiegava le lettere, anche se non sapevo leggere benissimo era comunque molto.
Un ragazzo con i capelli neri, mossi e corti uscì dalla cabina di fronte dopo un quarto d’ora durante il quale aveva discusso con Demien. Aveva dei lineamenti rigidi e non era troppo imponente come stazza, anzi era piuttosto magrolino, eppure lo era abbastanza per guardarmi come se fossi un nano, ovvero dall’alto in basso. Anche se fossi stata slegata e in piedi non ero certa di arrivare a guardarlo negli occhi grigi senza dovermi rialzare un po’ sulle punte. Poiché non avevo la minima idea di come comportarmi decisi di buttarmi sul banale.
“Mi scusi, potrei conferire con voi senza finire giù dalla passerella?” lì per lì mi sembrò un ottimo modo per evitare che la sua ciurma sapesse che questo accordo era stato preso molto tempo prima senza il loro consenso. Non ci tenevo proprio a mettermi contro il capitano. Pensai di dover fingere di essere clandestina, come Newt e Elettra mi avevano raccomandato, ma le sue parole dopo mi fecero intuire del cambio di programma. A quanto pareva durante quel lasso di tempo li aveva informati.
“Non sapevo di aver imbarcato una strega ieri notte, ma i miei patti con Elettra erano chiari e, come ben saprai, una strega fa sempre comodo ai pirati, portano prestigio e potere, anche se le donne a bordo non sono esattamente gradite.” Sbeffeggiata, sorrisi a quell’ultima frase, poiché dal mio abbigliamento sembravo ancora un uomo e perché le stesse parole le aveva dette Elettra qualche giorno prima. Nel frattempo il mal di testa stava iniziando a passare, anche se ero ancora intontita da qualche capogiro.
“Bene, gradirei essere liberata, devo ancora imparare come praticare la magia, giuro sul mio marchio di non utilizzarla contro di voi.” Il mio marchio bruciò, e così appresi la prima scottante lezione (nel vero senso della parola): un giuramento sul marchio è molto doloroso e dura per sempre. Ululai il mio dolore ai quattro venti prima che decidessero di slegarmi. La zia me lo aveva detto, ma non ci avevo mai dato peso. Da quel momento non avrei potuto far mai del male a quell’uomo con la magia nemmeno se mi si fosse rivoltato contro.
“Direi che dovremmo iniziare a darci del tu, qui siamo pochi perciò non dovresti confonderti molto, io sono il cap-” non lo lasciai finire.
“Capitano Bellamy Silver, l’avevo intuito, io per voi spero di poter essere Sabriel, in ogni caso il mio nome è Sabriellen Jacklyn.” Sussurrai.
Dopo alcuni minuti mi ritrovai ad attendere impaziente nella cabina del capitano perché Bellamy doveva discutere di me con gli altri. Non mi azzardai a chiedere di che cosa dato che avevano già deciso di farmi restare, così mi limitai a stare seduta lì ad aspettare il suo rientro.
Non si poteva dire bene chi ci abitasse. Nient’altro in più dei mobili ornava quella stanza costosa; era quasi completamente in mogano lucidato, mentre le sedie erano di un legno più scuro, e l’imbottitura rivestita con stoffa dorata scura, fermata al sedile con dei pioli neri. Di fronte a due di queste si trovava una scrivania del medesimo legno, con sopra un calamaio e dei rotoli di pergamena, mentre altri erano arrotolati e messi dentro una cesta di vimini.
Probabilmente erano mappe per i regni a me ancora sconosciuti. Non ero mai uscita da Shaka, lo stesso territorio di Neblos era per me un mistero; inoltre i miei non avevano mai voluto che li accompagnassi nei loro viaggi, e dopo la loro morte non avevo avuto bisogno di muovermi dalla capitale. Vedere una mappa per me era qualcosa di incomprensibile, tanto quanto la medicina e le sue erbe.
Continuando vidi in giro solamente un paio di statuette, modellini in legno rappresentanti delle navi e un paio di stivali neri in un angolo. Per ultima cosa notai che c’era anche un polsino di pelle nero accanto al calamaio ma non volevo essere scortese, perciò non lo presi. Avevo solo visto distrattamente che c’era una scritta all’interno.
Nulla in quella stanza così raffinata suggeriva la reale presenza di qualcuno con un passato come il suo che vi vivesse. Sembrava spoglia dell’umanità e del vissuto personale che contraddistingue una persona da un’altra, spoglia di affetti, simboli, immagini. Spoglia di ricordi.
Bellamy entrò da una porticina vicino gli scaffali con i libri, e non dalla porta che dava sul ponte, come mi sarei aspettata, perciò sobbalzai appena lo vidi. Ciò suscitò in lui un piccolo sorriso. “Permettimi di scusarmi per l’inconveniente sul ponte, Demien ha dovuto farti legare affinché quella banda di scalmanati potesse stare tranquilla, non hanno tenuto conto del tuo potenziale. Di certo quattro funi non ti fermano.”
Fui quasi colpita da quel mezzo complimento, dato che non avevo minimamente pensato ad agire come una Bianca. Avevo invece pensato in maniera strategica a come andarmene di lì. Un po’ come facevo con le guardie.
“A me sembrava lui quello più agitato, ma alla fine ero ancora intontita, avrò visto male.” Il capitano trattenne una risata e provò a ritornare serio poco dopo. “Parlando di cose più serie, discutiamo di ciò che posso fare per ricambiare il fatto che mi lasciate restare, nonostante l’accordo non sia lo stesso di quello stipulato con Elettra.”
Non era una questione di formalità, ma proprio non mi andava giù di dare del tu a uno che aveva lasciato che mi trattassero come una bestia e mi legassero come prima del macello. Non lo lasciavo fare alle guardie, perché sarebbe dovuto essere diverso con lui? Anche se effettivamente sembrava un tipo abbastanza tranquillo.
“Sono felice che tu abbia uscito l’argomento, i pirati, anche se sono pirati, ogni tanto rispettano gli accordi… puoi iniziare a pulire dal ponte.” Mi lanciò uno straccio. “Per continuare potresti sistemare le nostre cabine sottocoperta, e finire con il sistemare le cime, anzi no, non saprai di certo cosa sia una cima, te lo farò spiegare da Newt.”
Spalancai la bocca, mi sciolsi la treccia e finalmente riacquisii alcuni dei miei tratti femminili. Nonostante fossi abbastanza esausta quelle parole mi misero in corpo adrenalina, la sfida lo faceva sempre, anche se non riuscivo a spiegarmi come mai ne avessi così tanta in corpo. Per quanto poco importante potesse essere su una nave, non si trattava così una donna. Tanto meno una strega che non sa controllarsi.
“Dite che io non sappia cosa siano le cime? Beh, probabilmente avete ragione. Ma mi sottovalutate, non avrò bisogno di saperlo per riordinarle. Comunque sono una strega adesso, non una sguattera che pulirà la nave per voi, trovatevi qualcun altro a cui dettare legge.” Come se le leggi imposte nel mio regno le avessi mai seguite. Mi tolsi il mantello, e uscii trascinando il ragazzo per il colletto ingiallito, sconvolto dal mio atteggiamento.
“Ecco il mio primo consiglio dato da pari a pari, osservate.” Forse mi stavo spingendo un po’ troppo oltre con le parole, ma se non avessi messo le cose in chiaro da subito, oltre a lui, tutti ne avrebbero approfittato.
Sentii una forza innata premere da dentro lo stomaco pronta ad uscire, eppure non l’avevo mai provata in tutta la mia vita. Iniziai a riflettere mentre mi dirigevo al centro del pontile, non avevo la minima idea di cosa fare o meno, ma non avrei fallito di fronte a tutti. Pensai che il contatto fosse una buona idea, perciò mi inginocchiaie iniziai a tirarmi su le maniche. Poi poggiai le mie dita sottili nel punto dove il ponte si ricongiungeva all’albero maestro dove fui precedentemente legata.
Dietro di me i ragazzi facevano apprezzamenti sconvenienti, oppure mi prendevano in giro. Non avevano capito che non lo facevo per servire quel capitano da quattro soldi, ma per dimostrargli la mia volontà, nonostante avessi perso molte energie in precedenza.
“Bene bene, la ragazza ubbidisce per una volta.” Disse uno che stava di vedetta. Sentii in me l’energia e il calore crescere incontrollati come la sera prima. Rimasi un po’ intimorita da questo strano cambiamento.
“Non parlare presto!” Ribadì Newt, che si trovava nei paraggi. Capiva in fretta il ragazzo, sembrava uno di quelli che inquadrava la gente dalla prima occhiata.
Non servi nemmeno tutto questo sforzo nell’immaginare cosa fare, sembrò muoversi tutto secondo il mio volere. Il vento si alzò, mentre la mia magia prendeva piede; in quel trambusto le funi frustarono il ponte più volte, le vele si spiegarono verso l’arcipelago delle Gusidi, verso il Mar di Lowlers e la nave acquisii velocità.
Le persone vicino a me corsero sotto coperta, tranne una: Bellamy. Sembrava aver colto il mio suggerimento rimanendo con i piedi ben fermi davanti alla sua cabina, limitandosi a poggiare le mani sulla balconata per reggersi meglio alla brusca virata della nave. Fu tutto così confuso che quando smise di agitarsi il vento non sembrava più di stare sulla Savior. Era talmente diversa, che sembrava nuova e non che avesse salpato così tante volte da non ricordarne il primo capitano.
Io al contrario sembravo non essere più me stessa, quell’onda di magia mi aveva prosciugata, ma per una volta mi ero sentita come mi sentivo anni prima, quando ero alle prese con i miei piccoli furti: inebriata, potente e capace. Avrei voluto crogiolarmi ancora in quella situazione ma con sforzo ritornai in me e mi resi conto che avevo dimostrato quello che volevo, non era necessario continuare, eppure ero agitata al pensiero di dover lasciar perdere. Avrei voluto dimostrare ancora la mia magia.
L’equipaggio uscì da sotto coperta scosso, e io sotto i miei palmi sentivo ancora la nave muoversi, le cime tirarsi, gli oggetti tornare al loro posto e le vele spiegarsi. Sentii solo una grande stanchezza, ma guardando il lato positivo potei dire di aver scoperto la mappatura della nave, la sua struttura, i suoi punti forti e quelli deboli.
Era come se ne avessi il controllo, ma non avessi il controllo sulla mia forza. E proprio questo particolare mi inquietava ma pensai bene di non darlo a vedere. “Hai osservato, Bellamy? Non darmi ordini, posso comunque rivoltare la tua nave contro di te, senza usare la mia magia su di te e perciò venir meno al mio giuramento. Non ti conviene avermi come rivale.” In realtà ero abbastanza certa che anche così lo avrei infranto, ma anche su ciò decisi di tacere.
Mi risollevai da terra scotolando lo sporco dalle mani, e scesi nella stiva affannata, lasciando tutti senza parole. Lo sguardo che aveva non era più sfottente, ma glaciale. “Capitano, quella sì che le darà filo da torcere, le conviene sedurla prima che la uccida mentre dorme!” E tutti scoppiarono a ridere, rompendo il clima freddo. Più o meno tutti. 


Angolo autrice:
Hello, rieccomi qua. Da quando ho iniziato a pubblicare questa storia ci tenevo a sapere le opinioni di voi lettori, perciò ho fatto diversi scambi con altri autori e  ho provato a migliorare certi aspetti del mio modo di scrivere per agevolare la comprensione del testo. Fatemi sapere che ne pensate, alla prossima,
Herondale7.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
Quando scesi sotto coperta mi resi conto che tutto ciò che mi aveva colpito della nave, era ben diverso da come intuivo che fosse. Non c’erano lettighe, ma delle amache giallastre, decisamente vecchie; i cuscini erano inesistenti, ma questo già lo avevo notato dal pisolino gentilmente offertomi dal capitano nella stiva.
Grazie ad alcuni lumi a olio appesi al soffitto potevo pure vedere i vestiti di chi era a bordo (per la maggior parte piegati malamente e lasciati per terra a ondeggiare sulle assi in balia della nave).
Nella mia casupola vicino la spiaggia le cose erano ben diverse. Per prima cosa c’era ben poco caos all’interno, per la maggior parte era tutto in ordine grazie al lavoro di sistemazione giornaliero della zia. Il resto comprendeva le ciabattine della piccola Tory, che non amava mettere, o qualche pezzo di pane da lei smangiucchiato nella culla e poi lasciato in giro per casa.
Scendendo ancora trovai la stiva, un luogo decisamente più organizzato in confronto alle cabine; in fondo, pensai che dovesse essere importante essere pronti a una rotta imprevista, una tempesta, o a qualche spiacevole incontro a largo della costa, che si trattasse di pirati o di reali.
Durante la mia esplorazione pensai che se fossi stata obbligata a convivere con degli uomini avrei certamente creato imbarazzo e spettacolo, e quest’ultime cose non rientravano nei miei obbiettivi della settimana, così sperai di trovare una cabina singola. Mi sarei accontentata pure di uno sgabuzzino.
Dopo circa un’ora del mio girovagare, decisi che sarebbe stato meglio risalire sul ponte e chiedere di persona dove avrei dormito, anche perché l’aria si era rarefatta e non avevo ancora trovato nulla. Salii tutte le scale, o grate, che incontrai, finché non ne aprii una che dava sul ponte di prua e riuscii finalmente a respirare l’aria di mare.
“Raggio di sole! Hai fatto qualche altra stramberia alla nave o galleggerà ancora per un po’?” disse scherzosamente. Ero abbastanza sicura che una volta scesi sottocoperta i membri dell’equipaggio, compreso lui, avessero visto gli oggetti levitare.
“Demien, non so con quale confidenza voi pensiate di potervi rivolgere a me, ma di certo per voi non sono raggio di sole.” Mi tese una mano che rifiutai per arrampicarmi. Mi andava di fare la preziosa, perciò scherzai con lui ancora un po’, fingendomi offesa. “Ed ovviamente no, non farei nulla per danneggiare la nave.” Sorsi leggermente il naso, lo facevo spesso quando ero infastidita.
La camicia che indossava non era vecchia di certo, ma iniziava ad aver cangiante colore dal bianco al giallo come le amache, era aperta sul collo e qualche bottone era saltato via; i calzoni erano di una stoffa nera più pesante, ma non troppo, erano leggermente sgualciti, e ripiegati dentro gli stivali. Sorrisi, i pirati erano come me li figuravo, un po’ rozzi ma con quel fascino che li contraddistingueva.
“Quanto siamo scontrose, raggio di sole, mi sorprendo di come l’altra sera tu mi abbia scambiato per quel mollaccione di Newt e di come oggi tu mi abbia riconosciuto.” Dopo aver osservato il buon rapporto tra lui e Bellamy non mi stupii del fatto che avesse un buon rapporto anche con gli altri sulla nave. Probabilmente era un tipo socievole e sicuro di sé, escludendo la mezza aggressione di qualche ora prima ai miei danni.
“Vi avrò scambiato per Newt perché mi aspettavo che voi foste più affascinante di come siete realmente, ma forse le voci che mi sono giunte non sono poi così veritiere.” Sorrisi innocentemente.
In realtà le indicazioni di Elettra non erano tutte false, la sua carnagione chiara era comunque abbronzata. I suoi capelli erano di un castano molto scuro, quasi nero, lunghi fino al collo e mossi, in quel momento tenuti insieme da un codino, e i suoi occhi verdi. Era abbastanza alto. Solo dopo mi resi conto che aveva un orecchino ad anello piccolo e pieno di brillanti sull’orecchio sinistro in alto.
“Vieni qui, strega, sarai pure un membro della ciurma, ma non sai nulla sul mare, né sulle spade e nemmeno sulla nave nonostante lo spettacolino di poco fa. Bellamy, per quanto duro sia ha accettato di farti rimanere, ma c’è comunque bisogno di qualcuno che ti aiuti a capirne qualcosa, sei pur sempre una novellina.” C’era qualcosa che non quadrava nella sua affermazione.
“Aspettate, chi l’ha proposto? Ne so poco sui pirati ma alle Gusidi, come a Neblos, se i membri trovano un estraneo a bordo possono succedere due cose: o lo gettano in mare con un peso legato al collo, o uno dei membri della ciurma garantisce per lui.” La faccia di Demien si spense un secondo.
“Esatto, ma tu hai un patto con il Capitano.” Disse distogliendo lo sguardo.
“Ma tu potresti aver garantito per me.” Ribadii io.
“Chi ti dice che qualcuno abbia garantito per te?”
“È una prerogativa dei pirati, è il vostro regolamento d’onore.”
“Tu hai sentito troppe fiabe.”
“E tu non lo hai negato.” A quel punto il moro si arrese.
“Va bene, beccato. Siccome non ero l’unico a pensare che una strega fosse utile a bordo abbiamo giocato a dadi per decidere chi avrebbe garantito per te, e io ho perso. E per la cronaca, non c’entra l’onore, è più una questione di fiducia.”
“Hai garantito per me!” ripetei dallo stupore.
“Che deduzione, te l’ho appena detto io! Ma hai smesso di darmi del voi, perciò ho vinto io questa discussione. Domattina un’ora prima dell’alba ti voglio qui e in tenuta, si inizia a duellare, raggio di sole.” E già a metà frase iniziò ad allontanarsi, senza lasciarmi replicare.
Demien alla fine poteva sembrare pure rozzo, ma forse non era del tutto così. A un tratto tornò velocemente indietro e mi mise in mano il mio stiletto facendomi l’occhiolino. “È una bella arma sia per una donna che per una ladra. Se mi ascolterai imparerai ad usarla tanto bene quanto fai le tue stramberie.” Peccato che dovevo ancora capire bene come ‘fare le mie stramberie’. Quello che era accaduto poco prima non mi dava affatto fiducia nei miei poteri.
“Benissimo, Demien.”
Quel discorso mi fece ritornare con la mente a diversi anni prima, quando Joel mi procurò quella lama. Aveva rischiato grosso per prenderla durante uno scontro corpo a corpo con una delle guardie dorate, tuttavia ne era uscito bene, aveva solo qualche taglio opportunamente curato da suo padre.
Quando gli chiesi il perché di quel gesto tanto avventato e incosciente disse che così mi sarei potuta difendere da sola se avessi imparato ad usare lo stiletto in modo corretto. Devo ammettere che ero stata proprio io a chiedergli un’arma, ma non avrei potuto di certo immaginare che avrebbe derubato una guardia per farmela avere.
Me lo aveva donato lo stesso pomeriggio. In effetti avrei voluto aiutarlo io e medicarlo per ricambiarlo del pensiero ma, come ho già detto, io e le erbe medicinali non avremmo mai avuto una buona relazione.
Mi fermai ad osservare quel pugnale per qualche secondo quando mi ripresi da quei pensieri malinconici, ma fu tardi e finii per sbattere contro il capitano. Feci due passi indietro bruscamente per allontanarmi.
“Eccoti qua, strega. Sappi che stamattina ho voluto solo testare i tuoi comportamenti.”
“Facendomi saltare i nervi?” chiesi stizzita.
“Esattamente.”
“E di grazia, cosa avreste capito dopo avermi osservata?”
“Che sei proprio una tipa impulsiva, scostante e che non sei capace di controllare la bestia che hai dentro. Un lupo se non sbaglio.” Istintivamente mi coprì il marchio. Vedendo che non gli risposi riprese a parlare. “C’era qualcosa che volevi sapere?”
“In effetti sì, non mi è stata comunicata una cosa.” Lo dissi con un velo di imbarazzo. “Ero scesa nelle cabine della ciurma per trovare un posto dove dormire, ma ho trovato solo camere doppie occupate, perciò volevo chiederle questo: dove alloggerò?” per il nervoso le mie mani andarono ad attaccarsi alla doppia lama del pugnale che torturai tentando di non tagliarmi.
Il ragazzo assunse un’espressione corrucciata, portò una mano al collo toccandosi i capelli e poi sospirò. “Non ne ho idea, potresti crearti una lettiga nella mia cabina, e dormire lì, io sarò dietro la porta nella mia camera.” Disse con calma.
“Per me va bene, sempre che ciò non vi crei fastidio.” Risposi provando a mantenere un’espressione indifferente e a non torturare più la mia lama. Non sapevo se sentirmi più sicura o l’esatto opposto.
In realtà la sistemazione non era poi tanto migliore di una lettiga con l’equipaggio; sarebbe potuto entrare nella cabina quando voleva per prendere un libro, il calamaio o qualche carta, e avrebbe potuto trovarmi con la sola sottoveste. Ah, giusto, non avevo una sottoveste, probabilmente mi avrebbe trovata con addosso il mantello. Non avevo di certo pensato a portarmi un cambio nella cassa per quando avrei tolto le bende. Mi dissi che in fondo era colpa loro, mi avevano ripetuto di portare poco e nulla con me, ma questo non avrebbe cambiato la situazione.
“Nessun fastidio, e non ne avrei nemmeno se tu smettessi di darmi del lei. Qua non penso andrai molto a genio agli altri se continuerai a mostrare tutta questa indifferenza e questo distacco; è come se ergessi un muro.” Mi guardò in un modo che non riuscii a definire, poi prese una chiave da un mazzo che teneva a mo’ di bracciale e me la porse. “Prendila, così non avrai problemi per entrare in cabina, io userò l’ingresso che dà sul timone per la mia camera.”
La presi e come se fosse una cosa automatica la misi nella collana, accanto a quella dei miei genitori. “Grazie mille, non eri obbligato a farlo.”
“Lo so, ma in qualche modo avrei dovuto risolvere questo problema lo stesso. Diciamo che è un evento più unico che raro che una donna salga a bordo e ci resti fino all’indomani. Sei una bella eccezione.” Mi diede una piccola pacca sulla spalla e poi sorrise. “Spero che ascolterai il mio consiglio, strega.”
“Chiamami Sabriel, suona meglio di quel nomignolo arcigno.” Dissi storcendo il naso. “Grazie Bellamy.”
“Di nulla.” Mi rispose.
Me ne andai con ancora un po’ di imbarazzo addosso e mi resi conto di avere un taglietto sul palmo della mano. Maledetta ansia. Mi diressi rapidamente nella cabina e chiusi la porta dietro di me, per poi poggiarmici con le spalle. Avrei avuto molto da pensare quella notte, sicuramente non avrei dormito. Inoltre non mi ero ancora del tutto abituata all’ondeggiare della nave, probabilmente alla prima sosta avrei baciato terra.
Qualche ora dopo mi lasciai scivolare su una libreria fino a sedermi per terra. Per la noia avevo letto tutti i titoli dei libri esposti e ne avevo tirati fuori una decina perché mi avevano incuriosito, eppure ero ben cosciente che con il mio grado di conoscenza della lettura ci sarei stata un secolo per finirne uno solo. Ne tenni solo due vicino al mio letto improvvisato.
Il primo parlava di favole per bambini. Ero sicura che a Tori sarebbe piaciuto sentirne di nuove quando e se fossi tornata, così avevo deciso di istruirmi un po’ su quest’ultime. Il secondo era un libro di medicina, aveva al suo interno la ricetta per molti rimedi alle più comuni malattie o ferite; insomma, era la mia occasione per provare a comprenderne di più sulle erbe una volta tanto. A bordo non c’erano molte altre cose da fare, così quella era come un’occasione da prendere al volo. O meglio, alla lettera.
Ero decisa se tenerne un altro o meno. Si intitolava ‘Bianco’. Quando avevo provato a leggerlo un sacco di lettere dentro il libro avevano preso a girare. Era chiaramente uno di quei libri per magici che nei nove regni sarebbero stati bruciati senza esitazione, ma tra le mie mani in quel momento mi sembrò di aver un sacco di nuovi assi nella manica per difendermi.
Alla fine optai per metterlo nella sacca con il disegno di mia madre e poche altre cose che mi ero portata dietro in quel viaggio. A un certo punto, mentre ero seduta per terra, sentii il mio stomaco brontolare. Quando uscii dalla cabina mi resi conto che il solo era già tramontato, così scesi sotto coperta e cenai con gli altri. Per la gioia di Bellamy e Demien smisi del dare del voi a tutti, e inaspettatamente si mostrarono molto più amichevoli nei miei confronti di quanto mi sarei potuta mai aspettare.  Ovviamente Newt fu comunque scorbutico.
A quanto pare quello era proprio il suo carattere.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

Il buongiorno non era come quello di casa, proprio no. A casa non sarei stata trasportata malamente in spalla da qualcuno per preparare la colazione. Mi avevano presa di peso quando ancora dormivo e portata in una stanza che in realtà faceva sia da cucina che da sala da pranzo.
Avevo pensato che con la mia dimostrazione del giorno prima avessi per lo meno intimidito il capitano o l'equipaggio, invece no.
A Shaka il massimo sforzo che facevo all'alba era di svegliare Tori e portarla a fare un giro. Qualche volta dovevo anche passare dal mercato e prendere delle cose pagate realmente, altre volte lavoravo come artigiana "in prova" da Mariel, una donna che mi conosceva da piccola e mi faceva guadagnare qualcosa nel suo negozio. Questo ovviamente prima che perdessi il lavoro a causa della chiusura dell'attività.
Dopo aver farfugliato qualche protesta insensata dalle spalle di Kal iniziò la mia giornata. Alle quattro di notte, o mattina. Non sapendo cosa loro mangiassero avevo deciso di preparare per colazione le cose che andavano a male prima, così uscii dei tozzi di pane e il formaggio, accompagnati da vari cesti di frutta come pere o mele.
Non era molto raffinato ma non era nemmeno poco, considerando tutto quello che erano arrivati a caricare a Shaka.
"Perfetto, vedo che tutto è pronto. Sali sul ponte e aspetta un paio di minuti, io cerco un paio di armi e iniziamo."
"E noi non mangiamo? Avremo pur diritto a una razione." Avevo appena finito di apparecchiare per gli altri e non avevo nemmeno toccato cibo.
"Tu guadagnati la tua." Soffiò.
Fu una discussione breve, e anche abbastanza irritante; riuscii quasi a percepire l'astio che emanava. Non sapevo che cosa aveva contro i Magici, ma mi premurai di indagarci su. Il pirata, al contrario mio, prese del pane e lo mangiò per strada, scendendo nella stiva a recuperare qualcosa per me. Tirai qualche imprecazione contro Demien, ma nel frattempo pensai che se mi fossi dovuta guadagnare il cibo lo avrei fatto, avrei zittito quel ragazzo un po' troppo cresciuto.
Salii sul ponte come aveva detto e vidi Newt intento a pulire parte della poppa della nave, inginocchiato con la camicia fuori dai calzoni e gli stivali di una taglia più grandi, e quasi mi rividi in lui il giorno prima, così gli diedi una mano, o almeno, ci tentai silenziosamente. Quando avevo pensato di poter pulire la nave il giorno prima, ci ero riuscita facilmente. Mi era bastato immaginare di poterlo fare per farlo.
Stavolta toccai una delle balaustre, mi concentrai chiudendo gli occhi e focalizzando la nave, ma quando provai a combinare qualcosa non successe nulla. Il niente più assoluto.
Avevo scaricato le batterie? Riuscivo solo in preda alle emozioni? Non ne avevo idea, e probabilmente mi sarebbe servito continuare a tentare prima di capire bene cosa facesse scattare in me la magia. Nel frattempo continuavo a tenere gli occhi chiusi per la concentrazione, volevo riuscirci ma ancora niente.
Un fischio mi fece girare di scatto. "Non si dorme in uno scontro!" urlò poi Demien.
Aprii gli occhi e mi voltai in ritardo, infatti il pirata mi passo una spada al volo. Io ovviamente la schivai al posto di afferrarla, facendola così cadere. Ma ehi, vorrei vedere voi al posto mio! Non ero mica abituata a farmi passare lame affilate lunghe un metro. Fece un gran chiasso e non potei fare a meno di saltare per aria. Davvero, bisogna ringraziare le persone che tengono a te, così tanto da garantirti un'alta pressione ogni qualvolta stai per rilassarti o concentrarti.
"Per i sovrani dei nove regni! Non riesci proprio a non farmi sobbalzare ogni istante?"
"Faccio questo effetto alle donne, e alle ragazzine a quanto pare, raggio di sole." Mi porse un cambio da indossare, qualcosa di più pratico per imparare a duellare, e mi disse di metterlo dall'indomani. "Newt, smettila di strofinare quelle assi, le stai consumando. Se proprio vuoi fare qualcosa di utile vieni qua e aiutami."
"Come vuoi. Chissà quanto riderò domani quando dovrai farlo tu e non ti potrai lamentare dello sporco!"
"Tu non ridi. Tu fai un ghigno malefico!" Demien imprecò sottovoce ma non ci ripensò più. Mi voltai ad osservare Newt mentre si avvicinava a noi e prendeva la spada che avevo fatto cadere, restituendomela.
L'unica e sola volta in cui avevo visto una spada così ben strutturata fu quando un mercante, uno di quelli che vendono solo alle guardie reali, ne aveva portato un carico enorme per rifornire le armate.
Era abbastanza tozzo, di sicuro non un fabbro, ma era evidente che ne aveva uno squadrone che lavorava per lui. Io ero ancora una bambina di dieci anni, e nonostante ciò sapevo a cosa servisse quell'acciaio. Ma la spada che avevo avuto davanti era diversa. Aveva rubini e zaffiri nell'elsa, e delle scanalature erano state fatte al centro. Vidi la vendita da dietro l'angolo di un vicolo. Senz'altro, quella non sarebbe finita in mano a un semplice uomo assoldato dorato.
Difatti un paio di settimane dopo la riconobbi in mano a un nobile vicino alla famiglia reale, le sue vesti erano blu e bianche. Era andato al mercato e in tutta tranquillità si era avvicinato a un mercante e gli aveva tagliato una mano perché lo aveva derubato. O meglio, questa fu la scusa.
L'uomo in realtà aveva visto la possibilità di guadagnare qualche soldo in più su dei tappeti pregiati, quando la settimana prima un uomo vestito allo stesso modo gli si era avvicinato. Solo ai nobili era concesso indossare le vesti blu, ma quelle sue si tinsero di rosso quando il mercante iniziò a sanguinare a fiotti dalla mano. Ci vollero i medici della stessa corte a medicare la ferita, che non mancarono di far notare il taglio preciso e pulito del nobile mentre bendavano il mercante.
La daga che invece avevo davanti era tutt'altro che nobiliare, e meno affilata. In realtà sembrava piuttosto umile, ma era particolare. L'impugnatura era ricoperta da vari giri di una striscia di pelle, mentre il peso alla fine era di piombo, ricoperto poi dal ferro, e teneva ben bilanciata l'arma. Non avrei avuto necessità di affilarla per il momento; aveva una scritta incisa sopra che sembrava quasi brillare, in fleoriano forse.
"Ha un nome?" dissi con un luccichio negli occhi.
"Si, ma non so leggerlo, se non sbaglio l'uomo che ce l'ha venduta ha detto che è 'Solida'. È uno di quegli affarucci di poco conto fatto ai fiordi di Luka, si trovano nei villaggi a Sud del regno di Estrya."
"Puoi descrivermi quei fiordi? Non so nemmeno cosa siano, in effetti non sono mai uscita da Shaka e, più in generale, dal regno di Neblos." Demien sospirò.
"Benissimo. Se Shaka è a Est, i fiordi sono a Ovest dell'intero continente nel regno di Estrya, e sono stretti passaggi e insenature decisamente utili per il commercio e il contrabbando di moltissimi tipi di merce." Annuii convinta.
"Ovviamente a voi fanno molto comodo." Feci finta di ignorare l'occhiata di traverso che ricevetti da Newt, e allora Demien continuò.
"Quelli di Luka sono degli avvallamenti dove le colline dominano il paesaggio, sembrano tanto alte da assomigliare ai monti, ma non c'è niente di più bello che attraversarle d'inverno, quando sono innevate e il mare è quasi gelato. È un vero spettacolo passarci in mezzo nelle belle stagioni."
Sembrava quasi sognare mentre ne parlava, ma evitai di dirglielo; dedussi che probabilmente veniva da lì. Volente o nolente, chiunque parli di casa propria dice solo le cose migliori. "Ma non perdiamoci in chiacchiere da donne, mettiti di fronte a Newt." Lui passò la sua spada a Newt e si mise dietro di me mostrandomi la posizione corretta.
"Non ci siamo completamente, se adesso ti tirasse un fendente finiresti a terra in meno di mezzo secondo, o finiresti per farti ammazzare." Borbottò con fare benevolo.
Misi il piede destro più avanti del sinistro, poiché usavo la destra, il braccio sinistro invece mi serviva per bilanciarmi e non cadere. Anche la mia presa era da rivedere, sembrava tenessi in mano un martello, secondo lui. Mi girò il polso e allineò il pollice con l'impugnatura, le altre dita invece tenevano salde sulla pelle nera.
"Adesso fai attenzione, questa spada è più precisamente una spada da lato, si tiene con una mano e questa è particolarmente leggera rispetto alle altre, è affilata da entrambi i lati perciò tenta di non mozzarti nulla mentre la maneggi. Invece adesso osserva Newt: impugna una sciabola, è più pesante ma meno precisa, fatta per gli scontri vicini e affilata da un solo lato, perciò tienilo a più distanza possibile senza spostare la guardia."
Dopo avermi raccomandato quella montagna di cose di cui tenere conto si allontanò per lasciarci lo spazio per duellare. Inizia io tentando di colpirlo al fianco sinistro che sembrava leggermente scoperto, ma parò velocemente dal basso verso l'alto.
"Quella era una parata di prima!"
Ignorai bellamente le spiegazioni Demien, mi distraevano. Feci un passo indietro per la forza che aveva applicato Newt. Fui troppo lenta nel rimettermi in posizione e ciò gli permise di avvicinarsi e puntarmi la sciabola alla gola. Puntai gli occhi al cielo pronta ai richiami, ma con un semplice gesto della mano usando la magia feci perdere l'equilibrio al mio avversario e poi gli feci uno sgambetto. Dopo svariate volte entrambi perdemmo la pazienza, mentre io mi inebriavo della mia magia, inspiegabilmente attivata dal brivido della sfida.
"A che ti serve saper usare una spada se puoi usare la magia?" Non feci in tempo a fare mezzo giro su me stessa ed esordire che arrivò il mio richiamo. Con decisione e a due centimetri dal mio viso. Avevo parlato a voce alta.
"Senti tesoro, io ho garantito per te solo per il tuo potenziale magico, perciò, o inizi a dimostrare al capitano che con me lavori anche sul potenziale fisico, o sei fuori dalla nave. Non posso permettermi di finire fuori bordo con te." Furono le parole rozze o il suo sguardo che pareva lanciar saette, ma alla fine tutto passò.
Fui invece stranita dal mio comportamento, non era da me voltarmi in questo modo, peraltro senza nemmeno impegnarmi seriamente. L'unica cosa positiva fu che usai di nuovo la magia, anche se non seppi spiegarmi perché la volta prima aveva fatto cilecca.
Dopo quella volta mi spinsi a lavorare sul serio fino all'ora di pranzo, ovvero finché non disarmai Newt per la prima volta, guadagnandomi un pezzo di pane duro. Era pur sempre cibo, ma avevo ben capito che darmi così poco era una sorta di ripicca alle mie maniere ribelli.
Mi chiesi cosa fosse successo a Demien di importante sulla terra ferma per non poter permettersi di abbandonare la pirateria. Poi con riluttanza mi resi conto che tutti coloro che salivano su una nave pirata spesso erano troppo disperati per rimanere alle loro case. Sempre che ne avessero una, di casa.
Al pomeriggio ormai inoltrato pensai fosse una buona idea chiedere al capitano che cosa avrei potuto fare per collaborare, dato che tutti stavano facendo qualcosa. C'era chi sistemava le funi o riordinava l'armeria, o chi reggeva il timone a turno, altri invece erano occupati a dare una vaga sistemata dopo l'imbarco da Shaka dei nuovi carichi. Mi sentivo abbastanza inutile in effetti.
Mentre risalivo dalla stiva notai una figura intenta a parlare nell'ombra dietro una trave, ma la cosa che mi incuriosì fu che chiunque fosse il tale non era in compagnia. Lo spazio era troppo ristretto per due persone. Così feci il giro da dietro e mi posizionai al di sotto delle scale, solo un pannello sottile di legno separava me dallo sconosciuto, ma non era abbastanza da impedirmi di origliare. Certo, non erano affari miei, ma nemmeno ero solita trovare dei pazzi a bisbigliare su una nave pirata.
Quando poggiai l'orecchio al legno sentii un pianto soffocato, seguito da delle parole incomprensibili, quasi straziate da un dolore imminente. Non mi aspettavo di certo una risposta a quelle lacrime ma, a dispetto delle mie previsioni, fu sufficiente concentrarmi un po' per accorgermi che un fischio molto acuto inondava l'ambiente, abbastanza da non essere udibile alle persone comuni. Per quei pochi capaci di sentirlo ugualmente, non era che sintomo di capogiro, ma al mio dono era traducibile con poche e cruenti parole:
Se non fai ciò che ti ho detto, morirà.
Pensai che in quel momento avevo assistito ad abbastanza, troppo forse; quella minaccia aleggiava nei miei pensieri come una costante anche dopo aver abbandonato il mio nascondiglio. Non volevo sapere chi fossero i due interlocutori o per mezzo di cosa parlassero, e tantomeno volevo sapere chi sarebbe morto. Se c'era una cosa che avevo imparato fino ad allora era che se non sapevi il problema, non ti aspettavi il peggio, e se non ti impicciavi, tutto sarebbe andato bene.
Ma oramai il dado era tratto, e sapere della possibile morte di qualcuno non fece altro che tormentare il mio sonno nei giorni seguenti, arrivando al punto di girare di notte per la nave, seguendo lo stesso percorso da prua a poppa, in cerca di risposte che non sarebbero di certo comparse tra le onde o tra le stelle, nonostante io non smettessi di osservarle piena di domande.
Mi chiesi cosa avrei fatto io al posto di quell'uomo della ciurma. Se ci fossero state Elettra, Tori o Harriet sotto minaccia, avrei avuto il coraggio necessario per tradire gli amici di una vita? Probabilmente avrei preferito semplicemente scappare via, liberarmi da quella tortura ed essere la vigliacca che ero sempre stata.
In fondo scappare era diventata la mia specialità.
Quando capii che niente avrebbe potuto aiutarmi, durante la seconda sera arrivai a contare le assi del ponte, le grate per scendere nella stiva, le ancore appese e i nodi di alcune delle funi, imparai addirittura a replicarne alcuni. Tutto pur di non pensare a quell'inquietudine che non osava abbandonarmi, aspettando con ansia che Bellamy si svegliasse per potergli raccontare tutto.
Dopo vari giorni di quella continua tiritera non riuscivo nemmeno a brandire la mia spada dalla spossatezza.
Ciò non faceva altro che irritare Demien.
 

Angolo autrice:

Lettori che continuate a sopportarmi (e anche voi che invece non vedete l'ora di scappare ad ogni angolo autrice) devo dirvi che mi spiace per non aver pubblicato la scorsa settimana, ecco perchè in giornata metterò anche il prossimo capitolo. Sono stata a un campo scout e già è stato molto che una delle mie amiche ha caricato per me questo capitolo su wattpad...
Non vedo l'ora di sapere che ne pensate, a più tardi,
Herondale.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


 Capitolo 6

Durante la quarta notte di insonnia mi decisi e portai tutto il peso di quel segreto nella camera del capitano all’incirca all’alba, forse sarebbe stato l’unico che non mi avrebbe preso per scellerata per poi raccontarlo all’intera ciurma. Ero abbastanza certa di aver sentito quell’uomo subire una minaccia.
“Bellamy, avrei bisogno di conferire con te.” A tale affermazione seguì una risata soffocata.
“Prima che cominci a parlare vorrei sapere come vanno i tuoi tentativi con la spada.”
“Vuoi deridermi? Lo so che ogni tanto esci dal tuo tugurio e ci osservi.” Lui alzò le mani in segno di colpevolezza. “Demien è rozzo nei modi ma è anche un buon maestro, al contrario io sono una pessima allieva. Tutto sommato sto imparando grazie a lui e Newt.” E rise. Invece io non riuscii a unirmi a quella risata leggera, avevo troppa ansia.
 Un attimo di silenzio seguii. “Che mi devi dire, Sabriel?”
“Credo che tu, o meglio che noi tutti, abbiamo un grosso problema…” Gesticolai dal nervosismo. “Qualche giorno fa ho inavvertitamente ascoltato una conversazione che non avrei dovuto sentire.” Iniziai a raccontare ma venni interrotta.
“Il fatto che tu sia una spina nel fianco per alcuni non è novità.” Disse sfottente. Non potei fare a meno di levare gli occhi al cielo.
“Sarcasmo a parte, questa persona stava pregando e discutendo di qualcosa di spaventoso, tanto da portarlo al pianto, ma era completamente solo. Mi spiego meglio, non stava parlando con nessuno di materialmente presente sulla nave. Ho capito solo alcune parole dell’uomo con cui conversava, ed era un ricatto accompagnato da una minaccia di morte.”
Un cipiglio tra l’incredulo e il confuso si faceva largo sul suo volto, mentre mi invitava con un gesto della mano a sedermi di fronte a lui. I suoi occhi si fissarono nel vuoto, forti di rabbia, ma incapaci di incolpare qualcuno con cognizione di causa.
“Stai dicendo che c’è qualcuno a bordo oltre te che fa uso di magia per assecondare un ricattatore?” Io annuii. “Nessun mago o strega, mai, è salito a bordo della Savior. Questa nave conosce tanti di quegli anni, e posso garantirti che nemmeno un membro della mia ciurma ha un marchio come il tuo o similare, i miei antenati hanno sempre disprezzato i Magici. Una sola volta capitò, parecchi anni fa, che una strega salì a bordo. Poi fu gettata in mare per tradimento.” Mi sentii offesa da quell’affermazione ma sorvolai per quel momento.
Mi presi un attimo per osservare il mio marchio, somigliava a un lupo. Il nero era viola scuro nel riflesso dato dalle candele poste sul mobile, ciò lo rendeva vagamente simile al colore che aveva assunto quando giurai su di esso.
“Adesso capisco bene perché hai preteso un giuramento al mio arrivo, ma sono sincera. Non ho detto che a bordo qualcuno è un mago, ho detto solo che utilizza la magia. Molto probabilmente è un’altra persona che possiede il dono della magia e comunica a distanza. Detto ciò, come hai intenzione di procedere?” Con un dito tracciai i contorni neri sulla mia pelle.
“Non lo so davvero. Potrei radunarli tutti e pressarli fino a quando non salta fuori chi è, ma se la minaccia è quella che dici non si mostrerà mai. Potresti scoprirlo tu?” Sollevai lo sguardo dal marchio per notare che mi stava fissando in attesa di risposta.
“Ci proverò, so per certo che non sono Newt, Demien e Kal, erano sul ponte con me poco prima e lì erano rimasti. Altri due, di cui non so il nome erano al timone, uno basso sulla quarantina, con i capelli rossi, un altro abbastanza grasso, è il tizio che ogni tanto saccheggia la cucina e la stiva.”
“Ho capito chi sono, Frayn è il saccheggiatore di cucine.” Disse accennando un sorriso. “L’altro è Léon, loro due sono apposto, a servizio di mio padre da due decenni l’uno, non penso mi tradirebbero mai. Oltre noi sette ci sono altri nove uomini a bordo, probabilmente erano sparsi per la nave, all’armeria o nella stiva a sistemare dopo la partenza movimentata, non di certo a causa tua.” Altro sarcasmo.
Mi chiesi cosa lo avesse spinto a fidarsi di me come strega, una Magica, a bordo della sua nave. Aveva detto che non avevano mai avuto motivo di fidarsi dei Magici, ma avevo intenzione di fargli vedere la parte buona della magia, semmai l’avessi scoperta anch’io. Scoprire chi fosse quell’uomo avrebbe potuto farmi guadagnare punti ai suoi occhi.
“È inutile tentare di indovinare e personalmente voglio dirti una cosa. Sappi che ogni uomo, per quanto fedele possa essere, ha qualcosa a cui tiene più della sua stessa vita. Non sempre tale cosa corrisponde al suo capitano o la sua famiglia. Ricordatelo Bellamy.”  Dissi uscendo da lì e andando ad allenarmi con Demien con la spada, molto più legera nell’animo ma ancora carente di sonno.
Dopo cinque giorni di mare eravamo finalmente arrivati a destinazione. Camminare sulla terra ferma dopo tutto quel tempo a ondeggiare sulla nave fu come tentare di non barcollare durante un terremoto. Sentivo tutti i miei organi sospesi per aria.
Attraccammo al tramonto a qualche chilometro dalla città di Ember, davanti una caverna naturale in modo da non essere avvistati; ne seguì la camminata più sfiancante della mia vita. Nonostante Ember fosse una cittadella fortificata sul livello del mare, le strade secondarie per entrarci erano tutte passanti per fiumiciattoli.
Correre? Datemi un paio di guardie alle costole e vedrete che non c’è cosa in cui vado meglio, ma nella resistenza ero davvero pessima. Avrei preferito mille volte caricare personalmente tutte le merci contrabbandate al ritorno al posto della ciurma. Invece Demien aveva convinto il capitano a portarmi con loro per entrare nel giro della vera e propria pirateria, mostrandomi come la nuova arrivata.
Dicevano che i maghi a bordo non erano difficili da trovare, soprattutto giovani, ma le streghe erano davvero cosa rara. Poche erano infatti quelle che si davano alla pirateria, più che altro per amore o perché erano figlie di pirati importanti. A differenza loro io ci ero stata costretta, ma non me ne stavo pentendo affatto.
La strada fu un po’ lunga, arrivammo in un’oretta nella parte povera della città. Dopo varie cadute, a causa della spada leggermente ingombrante e del mio stiletto nascosto nello stivale sinistro, mi resi conto che avrei dovuto prendere dimestichezza con il nuovo vestiario.
Bellamy doveva concludere delle trattative in corso da mesi, e lasciò me e la maggior parte degli uomini in una taverna, a un centinaio di metri dal luogo di incontro, portandosi dietro quattro uomini tra cui Kal. Quando entrai fui investita dal calore, dall’odore di cinghiale e da un omaccione decisamente ubriaco che biascicando si scusò per essermi finito addosso.
La luce era fornita da lampade ad olio, messe agli angoli delle due stanze in cui il locale era diviso. La prima era quella all’entrata, dove c’erano una decina di uomini seduti a dei tavoli in legno, la maggior parte con dei boccali di birra o vino, in base a ciò che si ci poteva permettere. Una piccola minoranza invece giocava a dadi, intenti a vincere l’uno più monete d’oro dell’altro. Un paio stava mangiando dello stufato in un angolo più appartato.
La seconda stanza era quella dove c’era il bancone, decisamente più grande e con più posti a sedere rispetto alla precedente. Le pareti erano di mattoni, ma conferivano un’aria rustica alla stanza. I tavoli erano per lo più ammassati alle pareti, dove c’erano le torce; effettivamente faceva freddo, e ammisi a me stessa che forse Ember era un po’ più fredda la notte, nonostante fosse più a Sud di Shaka. Probabilmente colpa dell’umidità.
In fondo vicino al bancone c’era una figura esile, una donna con dei morbidi ricci bianchi che le incorniciavano il viso, raggrinzito dalle rughe della vecchiaia, dov’erano incastonati due topazi azzurri. Era difficile incontrare persone sopra i sessanta, ancora in forze per uscire di casa. Le malattie o le epidemie, che di tanto in tanto coglievano le zone più povere del paese, riuscivano perfettamente a dimezzare la popolazione in un paio di mesi. L’età media di vita erano i quarantacinque anni, in alcune zone più interne cinquanta. Quella donna doveva essere davvero fortunata, o davvero previdente.
Mi incuriosii. Mentre gli altri si incamminarono verso la prima stanza, io presi posto accanto a lei al bancone, poggiandoci su una moneta di bronzo chiedendo al locandiere un thè caldo.
“Curiosa scelta per una ragazza giovane. Quando vengo in posti così vedo entrare quelle della tua età sole, si fiondano sugli uomini che stanno vincendo a dadi, o si ubriacano aspettando che qualcuno vada da loro per comprarle.” La sua pelle era piena di rughe, ma la sua voce era quella di una giovane donna.
“Scelta curiosa è quella di non scegliere affatto tra le due opzioni, io sono solo di passaggio.”
La vecchia mi guardò ammiccante, rivelando un sorriso quasi perfetto, continuò a parlare con voce calma. “Cosa porta una strega alla pirateria? A giudicare dal lupo che porti sul braccio, vieni da una delle sette famiglie più influenti di maghi, i Jacklyn, eppure non hai ancora trovato ciò che vuoi.”
Solo dopo mi accorsi che le maniche di quella camicia troppo grande mi erano scese fino ai gomiti, scoprendo di conseguenza il marchio del lupo sull’avambraccio. Mi affrettai a ricoprirlo sconcertata, quella donna sapeva più di quanto dava a credere.  
“La guerra imminente. Da dove vengo è giunta voce degli scontri tra il regno delle isole di Trule e il regno di Neblos per via della nave che è stata affondata un mese fa. Non avevo scelta, persino una strega o un mago di casata influente nascosto può essere chiamato alle armi, e onestamente credo di essere l’ultima della mia casata nobile.”
Forse parlai troppo in fretta, per paura che il locandiere tornasse, o accampai troppe scuse, fatto fu che sembrò indagarmi dentro con lo sguardo. Probabilmente parlando avevo fatto intuire la mia insicurezza riguardo l’argomento, in fondo non sapevo nemmeno se il Consiglio si svolgesse ancora.
“Sai, mi accorgo di molte cose guardando una persona negli occhi, è quasi come se parlassero al posto di quest’ultima. Tu non hai idea del prestigio che hai, dei diritti e dei doveri che ti spettano per essere la nuova discendente, o sbaglio?” ancora quella voce giovane. Mi mise in soggezione. Chiunque fosse non aveva intenzione di farsi riconoscere, forse io stessa ero di fronte a un’illusione.
Mi sentii un po’ scoperta da quella domanda retorica.
“Prima di tutto una piccola precisazione.” Disse, spostando la manica della veste dal polso verso il gomito. Scoprì un marchio simile al mio in quanto stile, ma il suo rappresentava una serpe, subito dopo poggiò il dito sulle labbra a mo’ di segretezza. “Tutti i membri di famiglie influenti, o meglio prescelte, hanno un marchio differente, gli altri sono contrassegnati da un pentagono, simbolo di protezione dal male. Sono sicura che tu abbia già fatto uso della magia, se no non si spiegherebbe la comparsa di quello.” Indicò sorridendo il braccio ricoperto. Poi riprese.
“Il punto è che i nostri simboli sono differenti da quelli dei maghi comuni perché noi siamo più potenti, e possiamo scegliere se cadere in tentazione o meno, potremmo pure divenire il nostro stesso simbolo. Potresti diventare un lupo e io un serpente intelligente, con un po’ di impegno.” Era tutto così confuso, troppe informazioni in una volta. “Non dire ai Blaires che l’ho detto, non concorderebbero nell’incitare i nuovi discendenti a mutare.” Ridacchio. Probabilmente la famiglia del gatto faceva ancora così di cognome, come nelle dieci legende.
“Continuo a non capire cosa intendi con tentazioni, e poi, da quale famiglia vieni?” Nonostante i gatti avessero lo stesso, non tutti i cognomi dopo trecento anni sarebbero rimasti gli stessi.
“Non importa chi sono.” Disse avvicinandosi a me. “Importa che io ti faccia capire che la magia è come il pane per noi, non possiamo farne a meno senza indebolirci, ma dobbiamo usarla correttamente. È un’energia che ti si attacca al corpo e trascina via la tua ragione, ti consuma, ti tenta.”
Solo in quel momento capii cosa era successo sulla Savior, e prima ancora al molo di Shaka. Iniziai a comprendere cosa volesse dire con uso responsabile ma non avevo idea di come farne. “Mi è capitato di usare troppo i poteri e poi rimanere a secco, ma mi sono sentita così viva, così bene. Mi sembrava che nulla potesse abbattermi.”
“Tu non devi assolutamente permetterglielo!” la vecchia battè una mano sul tavolo e poi si calmò. “Devi attaccarti a qualcosa che per te rappresenti molto, davvero tanto. Puoi pensare a un ricordo o tenere in mano un oggetto speciale per te, basta che sia qualcosa o qualcuno che ti faccia ricordare chi sei. Più è importante, meglio è.”
“Non l’ho mai fatto, sarebbe più difficile concentrarsi su due cose.”
“Se non vuoi ammattire, imparerai. Parti dalle piccole cose.” Adesso capii meglio le sue parole, era quello che mi era già successo sulla nave per ben due volte; l’essere inebriata mi voleva far usare la magia ancora una volta, e poi un’altra ancora e così via. Alle mie spalle Kal, uno dei ragazzi della ciurma, mi chiamò e io mi voltai.
“Ehi, strega, che ci fai li tutta sola? Il capitano ti aspetta fuori, deve presentarti a delle persone.” Mi girai quasi affermando di non esserlo quando mi resi conto che il posto occupato dalla vecchia era ormai vuoto, e del thè che avevo ordinato era rimasta solo una tazza vuota. I fondi formavano il disegno inquietante della serpe che aveva la vecchia sul polso. Era scomparsa.
Non sapevo ancora chi fosse, ma non avevo più tempo per pensarci, Bellamy doveva esporre il suo nuovo acquisto.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

Kal mi accompagnò fino a un'altra locanda, dove era andato prima con il comandante, e la proprietaria ci condusse giù per una botola nascosta, probabilmente per non essere visti dalla Compagnia delle Terre Occidentali. I visi dei pirati ricercati erano difficili da dimenticare se i loro ritratti si trovavano affissi in ogni angolo del continente.
“Parla solo se interpellata, non creare casini.”
Scesi dopo il mio accompagnatore, perciò non vidi subito l’ambiente che mi circondava, data la sua statura imponente e i capelli lunghi e mossi sulle spalle. Appena si spostò mi resi conto di quanto fossi fuori luogo in quella stanza piena di uomini sopra i quaranta, invecchiati e avidi di notorietà. Eccezion fatta per Bellamy, Kal e un altro ragazzo che non avevo mai visto.
 Aveva più o meno la mia età, si stava sistemando il ciuffo nero all’indietro, e affiancava un vecchio che discuteva animatamente con Bellamy riguardo le rotte del commercio di sale e olio nel mar di Meledov, centro del commercio marittimo di ben cinque regni su nove. Probabilmente il comandante di qualche altra nave pirata. Nel momento in cui incrociai il suo sguardo la mia vista divenne nera. Forse era un Magico.
Quando tutti si accorsero di me, ammutolirono. Eccomi, il fenomeno tanto atteso. “Signori scusate il disturbo. Capitano, mi avete fatta chiamare?” Decisi di mostrarmi rispettosa, quantomeno per non fare sfigurare la sua importanza durante una trattativa di quel calibro. Ci tenevo a guadagnare anche stima da parte dell’altra ciurma, qualora le cose si mettessero male.
“Eccoti qua! Sabriellen, lui è il Capitano della Baltharen, Alexander Barrow. Barrow, lei è Sabriellen Jacklyn, la Magica di cui ti parlavo poco fa.” Dicendo questo mi mise la mano sulla spalla, invitandomi a sedermi con loro a un tavolino rotondo. Il capitano Barrow mi guardò con espressione compiaciuta nel sentire il mio cognome. Dietro di lui, il ragazzo sorrideva.
“Piacere di conoscerla, sono lieta di essere qui oggi.” Feci un mezzo inchino e poi presi posto con i due. Iniziai a giocherellare con la collana con appese le due chiavi, come sempre quando il nervosismo attecchiva.
“Il piacere è mio, strega. Vedo che vieni dai nobili dei Lupi, mi spiace davvero tanto per ciò che è successo alla tua famiglia.” Lo disse con un’espressione criptica, tanto che arrivai a pensare che ne sapesse qualcosa di più.
“Il lupo non è solo un simbolo, signor Capitano, ma questo voi già lo sapete.” Iniziai a giocarmi tutte le carte possibili che avevo appreso con la vecchia alla locanda poco prima, anche se in effetti dovevo ancora sperimentare pienamente il tutto.
“Come ogni pirata che tratta con i Magici, ovviamente. È un bene avere una ragazza del tuo tipo a bordo, il tuo capitano ti tratterà con riguardo…” Avevo capito dove voleva andare a parare.
Bellamy fece un’inconsueta risatina, pestandomi il piede da sotto il tavolo per incitarmi a rispondere correttamente. “Bellamy mi tratta con i giusti riguardi che si devono a una bianca, non mi piacciono i trattamenti di favore, nonostante essi ogni tanto possano rivelarsi allettanti in un contesto pieno di uomini come la pirateria.” Barrow sorrise da sotto la sua barba incolta, tentando di lisciarsi i ricci che gli arrivavano fino al collo. Spostò il suo peso non indifferente in avanti e puntò una mano sul tavolo.
Con quella domanda dovetti ammettere a me stessa di essere presa in calcio d’angolo, ma mi ero difesa bene. Anche volendo non sarei mai riuscita ad immaginare la faccia di Bellamy alle mie parole, ero troppo intenta a fissare lo sguardo su Barrow e tentare di non arrossire. Se avessi guardato il mio capitano probabilmente avrei iniziato a ridere.
“Silver, potremmo finalmente giungere a un nuovo patto: cedimi anche la strega, oltre all’oro, e io ti lascerò il completo controllo delle rotte per la vendita del sale e olio, in più ti lascerei il controllo delle vendite del vino.” Che vecchio pervertito, trattarmi cosìnon era tollerabile.
“Io chiaramente non me ne intendo di magia, ma non sono così sciocco da cedervela per così poco, conosco il suo valore. In ogni caso ormai il trattato è firmato, per avere lei dovrai offrire di più.” Bellamy tirò indietro le spalle mettendosi a braccia conserte.
Quello che mi fece sobbalzare non fu tanto la proposta, era abbastanza chiaro che quell’uomo stava tentando di convincerlo da quando aveva messo piede in quel seminterrato; in realtà mi innervosii perché Bellamy non rispondeva all’offerta, e per esclusione ciò voleva dire che la stava prendendo in considerazione. Mi alzai in piedi, cosciente di assumere un atteggiamento irrispettoso verso entrambi.
“Scordatevelo, non sono in vendita, e poi cosa vi assicura che non scapperei alla prima occasione?” Tutti risero come se avessi detto una cosa impossibile, poi osservarono il loro magico; lui invece, messo in piedi dietro Barrow, non lo trovò così divertente.
“Sabriellen, parliamone fuori.” Era un semplice ordine, ma fu decisamente irritante il fatto che usò il mio nome per intero.
Bellamy mi portò fuori di lì ed io lo seguii in un angolo un po’ più scuro, per non essere visti. Durante tutto il tragitto mi tenne stretto il polso, ma non per farmi male, più per assicurarsi che non andassi via. Forse non aveva capito che io avevo paura di abbandonare quelle persone, non me ne sarei andata; le conoscevo da poco, certamente, ma mi stavo adattando, mi ero persino affezionata a Demien anche se non lo avrei mai ammesso davanti a lui.
“Bellamy, non farmi questo, io non voglio essere merce di scambio, chi ti aiuterà con quel tizio a bordo, eh? Posso ancora…” Venni zittita bruscamente con un palmo poggiato sulla bocca.
“Non voglio che tu vada con Barrow, sei una risorsa importante. Sappi che non accetterò l’offerta, però dovevo quantomeno fingere di rifletterci. Non era il caso di dire no con i suoi uomini nella stanza, perché lui è il tipo che se non ottiene quel che vuole con le buone, se lo prende con le cattive.” Fece un sospiro e poi mi prese per le spalle, fissando i suoi occhi nei miei.
Rimasi ammutolita un istante. “Hai finto così bene, ci ho creduto veramente.” A quel punto mi chiesi se Bellamy mi avesse mai mentito. Di certo non lo avrei saputo riconoscere.
“Il primo giorno, quando ti sei svegliata a bordo pensavamo che fossi morta affogata. Durante la notte tutti avevano capito da dove era provenuta l’esplosione di energia e quando erano andati a controllare tu non c’eri; un minuto dopo Newt era saltato giù dal pontile perché aveva sentito un corpo scivolare e cadere in acqua da lì. Ti issammo a bordo e tu sputasti molta acqua, dopo poco eri svenuta di nuovo.”
“E questo a cosa dovrebbe essere utile se non a farmi sentire più in debito di quanto già non fossi nei vostri confronti?” il pirata scosse la testa.
“Non è quello il punto Briel, in quel momento avevo già capito che non avrei potuto permettere che una persona con le tue potenzialità ci lasciasse, sarei un folle. E in ogni caso mentre Barrow non guardava ho preso il patto precedente già firmato e controfirmato. Non potrà rimangiarsi ciò che è scritto di suo pugno.” Disse tirando fuori una pergamena piccola dalla tasca sinistra dei calzoni.
“Quindi sono libera di scegliere?” Fui felice di quanto fosse stato facile chiederlo, perché in precedenza avevo iniziato a temere che l’unico motivo per cui fossi ancora a bordo della Savior fosse il mio nome. In fondo Bellamy ne doveva essere a conoscenza già da quando Elettra glielo aveva detto quando avevano parlato a proposito di me.
Il suo sguardo sembrò scurirsi, e dopo un sospiro parlò. “Sono capitano di una nave e di una ciurma ereditate da mio padre, si, ma sono giovane. Non sono esattamente quello che offre di più tra me e Barrow, e se dovesse scoppiare uno scontro vorrei che tu fossi dalla mia parte. In ogni caso sì, sei libera di scegliere.” Non mi resi conto di quanto avessi trattenuto il respiro fino a quando non smisi di farlo. “Adesso l’unico vero problema è che là dentro ci sono quattro dei miei, e non posso lasciarli con Barrow.” Ci pensai bene e l’unica cosa che mi venne in mente era un piano per aiutarlo, non per sabotarlo. Non lo avrei tradito.
Avrei potuto usare la magia, ma non di certo come avevo fatto fino a quel momento, consumando me stessa. Avrei dovuto creare per la prima volta un legame con un oggetto particolarmente importante per me, e non sapevo se ci sarei potuta riuscire a primo tentativo. Una cosa era certa, non avrei rischiato la mia sanità mentale ora che ne sapevo le conseguenze. “Possiamo rientrare, io li rallenterò o ci tenterò, ma ti assicuro che in un modo o in un altro avrete tutti il tempo di uscire da là, io vi seguirò dopo.”
“Puoi fare cose del genere?”
“Posso provarci, per te.”
“Grazie a Kethani sei dalla mia parte, non vorrei mai trovarti in battaglia come nemico.” Istintivamente sorrisi. Solo allora lasciò andare le mie spalle.
“Lo prenderò per un complimento.”
Fece un sorriso sincero e liberatorio, il primo che vidi diverso dalle false risate o dal sarcasmo in generale, che non gli mancava mai. “Dovremmo rientrare, ma prima ho bisogno di qualcosa di tuo, per favore.” Detto ciò si tolse un bracciale in pelle spesso e nero, lo stesso che avevo visto nella sua cabina quando ero stata umiliata. Me lo porse con un po’ di tristezza. Quello era il primo oggetto che mi aveva incuriosito da quando ero salpata da Shaka.
Da quando avevo scelto di proteggere me e la mia famiglia. Tutto della mia vita mi mancava ma dovevo andare avanti, e quello era tutto ciò che contava. Ormai ero legata alla pirateria e presto anche il mio viso sarebbe stato affisso per le strade del vecchio impero.
Presi il polsino con decisione. “Che cosa ne farai?”
“Sento che devo usare meglio la magia, sai, per evitare problemi. Mi serviva qualcosa che mi ricordasse a cosa sono legata adesso. Io sono legata alla pirateria, Bellamy, e soprattutto credo di essermi legata a qualcosa di più grande di me.” Nessuno dei due disse niente, non c’era molto da dire in più, così rientrammo nel seminterrato.
La situazione era ancora molto confusa e si poteva percepire che tutti parlavano solo per tenersi impegnati, aspettando il nostro rientro. Nella stanza c’era una netta divisione tra gli uomini di Barrow e quelli di Bellamy. Il ragazzo affiancava ancora il suo capitano, ma quando entrai mi fece un’occhiata d’intesa che non colsi subito da sotto il ciuffo lungo, ma dopo sentii una voce nella mia testa.
Tranquilla Jacklyn, ti aiuterò. Quell’incantesimo non è ancora alla tua portata, ma sarai forte forse un giorno.
Grazie. Risposi, senza sapere bene cosa aspettarmi. In fondo, cosa puoi dire a uno sconosciuto che ti entra in testa in queste situazioni?
Un ghigno quasi invisibile sembrava essere apparso sul suo viso, ma senza essere esposto del tutto. Probabilmente aveva sentito ciò che avevo detto a Bellamy. Rimasi incredibilmente sorpresa dal suo potenziale, era poco più grande di me e sapeva proiettare i suoi pensieri ad altri, selettivamente. Mi sentì quasi un’incompetente, altro che storie sulla potenza della mia magia da nobile.
Tutto ciò durò meno di una frazione di secondo, dopo il quale Bellamy esordì con il temuto no. Fu allora che indossai il suo bracciale e sollevai leggermente i polsi, tentando di concentrarmi sul battito cardiaco, un metronomo naturale. Il ragazzo di fronte fece lo stesso movimento, quasi impercettibilmente, poi arrivò il difficile: seguire il consiglio della vecchia bevi tazze di thè, ovvero focalizzare qualcosa di importante.
Se si considerano diciassette anni di vita, si presuppone che un ricordo importante a portata di mano lo si abbia, ma in quel momento di panico generale non riuscii a estrapolarne uno in tempo, piuttosto fu un susseguirsi di attimi nei miei pensieri.
Il primo giorno senza i miei genitori, dal quale rimasi chiusa nel mio mutismo per oltre due settimane. La nascita di Tori e la felicità di mia zia tenendola stretta in braccio. Una delle tante volte beccata al mercato a rubare. Il ventiseiesimo compleanno di mamma. Elettra con i furti d’oro. Il mio dono di compleanno. Bellamy e Demien. La spada nuova. Lo stiletto.
Non me ne ero resa conto fino a quando non ero salita a bordo, ma infondo io ero una strega ben da prima, e adesso ero al servizio di un pirata comandante di una nave ed una ciurma. Ero entrata a far parte di quella nuova e complessa famiglia, ero quasi una pirata bella e fatta, quello era ciò a cui tenevo di più. Mi impuntai in un ricordo preciso, il momento in cui impugnai per la prima volta la spada di Estrya, Solida, facendo di me quella che ero, la nuova Sabriellen.
Fui assalita da tutto ciò. Quando riaprii gli occhi erano tutti immobili tranne pochi uomini che stavano ancora correndo verso l’uscita, quelli del mio capitano. Stingevo quasi in modo compulsivo lo stiletto sul mio fianco e il polsino del capitano. Mi girai a guardare il ragazzo, ancora dietro Barrow, ed era nella mia stessa identica posizione ma più rilassato.
Non vieni? Posso proteggerti, te lo devo. Pensai.
Se verrò con te ti inseguiranno più facilmente, corri piuttosto, l’effetto sta scadendo.
Quando mi girai per scappare anch’io, interrompendo l’incantesimo, erano ormai tutti fuori e in salvo, mentre gli uomini di Barrow stavano per finirmi addosso; allora mi resi conto che non si era rallentato il tempo, ma erano stati tutti immobilizzati, beh, almeno fino a poco prima lo erano ancora. In quel momento decisamente no.
Corsi fuori dal seminterrato, mentre un’ultima parola riecheggiava nella mia testa nel momento in cui sbattevo e sprangavo la porta della locanda alle mie spalle.
Kasim. E in qualche modo sentivo che quello era il suo nome.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

Uscita dalla taverna mi ero concentrata nella mia fuga dal quel maledetto covo di malintenzionati precedentemente citato. Il fatto che oltre loro anche la Compagnia delle Terre Occidentali potesse avermi vista in compagnia di pirati, non fu di certo un incentivo a rimanere calma e riflettere sul da farsi.
Dovevo andare via dalla strada principale e allo stesso tempo assicurarmi di non essere vista dalla gente con altri ricercati. Decisi di allontanarmi in solitario rispetto agli altri membri dell’equipaggio di Bellamy; mi orientai con le stelle, veniva facile dopo anni di furti, così seguii il Corvo Nero, costellazione a Sud difficile da individuare, ma mi avrebbe di certo portata vicino alla nave.
Iniziai a correre scegliendo strade strette, dove finii per urtare mendicanti o uomini non troppo furbi. Dopo meno di mezzo minuto sentii un rimbombo alle mie spalle, probabilmente i pirati di Barrow si riversarono per la strada noncuranti delle guardie. Aumentai la velocità e mi tolsi le scarpe, fregandomene del dolore che avrei provato correndo su pietre, oggetti irriconoscibili e appuntiti o quant’altro. La mia priorità era non essere presa, perciò non fare rumore, o l’aver aiutato Bellamy non sarebbe servito a nulla se mi fossi fatta prendere.
Tre pirati mi stavano dietro, e fortunatamente non si erano accorti che erano sulla strada giusta. Presi più incroci possibili, sperando che si dividessero, lanciando pietre dalla parte opposta di dove mi dirigevo, per un po’ non funzionò ma dopo finalmente uno si allontanò dal gruppo, certo che fossi andata verso Ovest, alla spiaggia.
Ripensandoci non sarebbe stata una brutta idea, andando alla spiaggia sarei uscita dalla città, dirigendomi poi verso Sud. Effettivamente scegliendo quella strada avevo commesso un errore, fuori dalla città era campagna aperta, mi avrebbero vista subito, e avrei potuto contare solo sulla mia velocità. Li avevo distanziati un po’, ma ero stanca, e da scoperta la mia astuzia finiva lì, sarei crollata a terra con poco. Non potevo nemmeno aggirarmi per il confine, perché rischiavo di imbattermi in altri di loro.
Ebbi l’idea malata di girarmi, sfilare la spada e affrontarli ma pensai che mi rimaneva ancora un’ultima arma: il fattore sorpresa. Mi accostai a un angolo in attesa della loro comparsa. Dopo due minuti comparvero da un’uscita parallela. Potevo ancora giocarmela bene, uno era minuto. Scartai l’opzione di prenderli da dietro, erano al mio fianco, ma colpirli era ancora possibile. La spada, ripensandoci, era fin troppo pesante, così uscii lo stiletto.
Caricai silenziosamente, e feci un bel taglio a un braccio a quello che sembrava il più debole. Urlò e cadde. Quello accanto a lui uscì a sua volta la spada, una di quelle grandi grosse e pesanti, ma non conoscevo il genere, optai per squilibrarlo con Solida, prendendola alla meno peggio, e ci riuscì rispondendo con forza a uno dei suoi fendenti, dopo averne schivati due. L’allenamento dava i suoi frutti.
“Maledetta! Kasim, riprenditi!”
Diedi un colpo con il manico dello stiletto in testa a quello grosso che cadde a terra svenuto, mentre Kasim mi guardò stupefatto. “Tu!”
“Colpiscimi, penseranno che sei scappata, dirò che ci hai presi di sorpresa.”
“No, tu vieni con me, non è un ordine, te lo sto riproponendo per un’ultima volta, abbiamo poco tempo perciò scegli.”
Il mago girò la testa a destra e sinistra nervoso, mi sfilò la spada dal fodero e la piantò nel cuore di quello che era stato un suo compagno, poi mi prese per un polso e iniziammo a correre per la radura. Ci fermammo solo perché io potessi rivedere il cielo, trovando quel dannato Corvo Nero, poi tirammo dritto senza sosta verso la scogliera, dov’era nascosta la nave. Non ci fermammo nemmeno alle urla e al fragore della battaglia dietro di noi. Il rumore dell’acciaio delle spade risuonava dietro di noi, ma non avevamo tempo.
Le lacrime fecero capolino senza che lo volessi, e a quel punto la vista mi si appannò. Continuai a correre, ma caddi un paio di volte. A causa del dolore ai piedi non stavo molto bene in equilibrio, eppure il Magico si girò e mi rialzò ognuna di quelle volte.
Nel caos generale di quando entrammo a bordo nessuno si rese conto che Kasim non era dei nostri. Eravamo salpati poco dopo gli ultimi arrivati e tutto andò bene fino a quando Demien non se ne accorse. Mi sbraitò contro per aver fatto salire un nemico volontariamente. Tutti ammutolirono mentre Demien continuava imperterrito il suo discorso su come sarebbe stato bello vedermi volare giù dal ponte con la passerella, omettendo che sarebbe potuta essere anche la sua fine. E si sa, chi tace acconsente.
“Pazza! Traditrice! Che cosa hai in quella testa vuota? Lui era lì con loro, col nemico! Ci andrò di mezzo anche io per te. Io mi fidavo, diamine!” Le sue urla si sarebbero potute sentire pure dalla terra ferma.
“Se solo tu sapessi che lui, quello con il nemico, mi ha aiutata nell’incantesimo per permettere al nostro Capitano e agli altri di scappare, forse ci ripenseresti due volte prima di buttare me e lui fuori bordo senza consultare il tuo superiore.” Dissi velocemente e con l’astio negli occhi. In tutto ciò il mio tono andò crescendo.
“Vorrai dire il mio Capitano, non di certo il tuo. Non lo riconosci come tale se non gli obbedisci.” Quella da parte sua fu una vera e propria pugnalata alle spalle.
“Basta voi due.” Bellamy si decise ad intervenire, uscendo finalmente dalla sua cabina. “Qual è il tuo nome, ragazzo?”
“Kasim Bartéz, signore.”
“Sai, Kasim.” iniziò camminando verso di noi con le mani giunte sotto il mento. “Il punto non è averti o meno a bordo. Il punto è che tu hai disertato da Barrow, tradendolo e utilizzando la magia contro di lui, e io non posso permettere che questo succeda anche al mio equipaggio nel caso in cui io ti facessi entrare a bordo definitivamente.” Disse piazzandosi di fronte a me e Demien.
“Ti lascio scegliere, puoi garantirmi che questo non accadrà e firmarmi documenti di lealtà, giurando sul tuo marchio di attenerti a quanto scritto, o puoi scegliere di andartene a nuoto, siamo a solo un chilometro dalla costa, la corrente non è molto forte, ma sono convinto che puoi farcela anche da solo grazie alla magia.” Era pura pazzia nuotare fino alla riva, e lui lo sapeva. Bellamy sapeva perfettamente che così avrebbe guadagnato un mago in più.
Kasim soppesò l’offerta, ma non scelse, piuttosto mi fissò.
“Tu che faresti a parti rovesciate, Jacklyn?” Mi colse alla sprovvista.
“È una scelta difficile, considerando che qui a bordo tutti dubiterebbero e mi maltratterebbero nonostante la promessa mentre lì a terra, sempre ammesso che io ci arrivi, tornerei da una ciurma che mi considera uno schiavo su tutti i punti di vista. Con le diverse scelte puoi risolvere i diversi problemi.” Sorrisi sfacciatamente, incurante degli sguardi puntati contro di me. Non ero del tutto convinta di potermi esporre così tanto per lui, ma ne valse la pena per vendicarmi delle frasi taglienti di Demien e dello sfruttamento in parte motivato di Bellamy.
Il ragazzo, ancora pallido in volto per le energie perse, ricambiò. Si girò verso Bellamy e tese una mano che fu prontamente stretta. “Affare fatto, Capitano Silver.”
All’improvviso esaurii la mia sfrontatezza e mi sentì a disagio, tutti guardavano a me come un’intrusa. Smisi di sorridere, sistemai una ciocca di capelli dietro un orecchio, poi imbarazzata, presi a guardare a terra. “Vieni nella mia cabina, Sabriellen.” Seguii Bellamy, non troppo grata di avermi allontanata dal centro dell’attenzione. Non è sempre un bene essere chiamati dal Capitano.
Fuori si stava alzando il vento e in cielo stava per piovere. Entrando al caldo nella cabina fu meglio, ma non bastò per tirarmi su di morale. Avevo fatto proprio una bravata che mi sarebbe potuta costare la vita.
“Sabriel, non era questo il nostro piano, dovevamo correre tutti fuori e dirigerci alla nave il più in fretta possibile, non far entrare estranei a bordo. Senza offesa per Kasim, ammetto che è stato utile alla causa.” Puntò gli occhi su di me, accusandomi. “Ma per te ho perso tutto oggi, anche i pochi rapporti con Alexander Barrow, e Kethani solo sa quanto altro se non avessi il patto firmato con me.”
“Noi vi abbiamo salvato la vita, e mi spiace che questo venga considerato alla stregua di un crimine dall’equipaggio, ma se fossi stata sola probabilmente non sarei riuscita a salvare nemmeno te.”
“Non è questo il punto. L’equipaggio ha faticato ad abituarsi a te in queste tre settimane e tu fai salire un altro mago. Per quanto mi dispiaccia ammetterlo concordo con Demien, avresti potuto ringraziarlo e lasciarlo lì. Nessuno è mai salito a bordo da anni oltre noi stessi e le nostre compagnie.”
“Per prima cosa chiamale con il loro nome, prostitute. E secondo, mi spiace di star smuovendo l’equilibrio a bordo, ma non è colpa mia se qui non hai mai avuto streghe o maghi, o donne come costanti.  Il mondo va avanti, la società si evolve, ma dato che non siamo altro che un problema sbarcheremo alla prossima tappa.” Minacciai. Sapevo che non lo avrebbe permesso, non dopo essersi accattivato Kasim.
Marciò verso di me e mi inchiodò alla parete con un braccio. Parlò piano e con calma misurata, ma fu abbastanza per innervosirmi. “Smettila di scappare, lo hai già fatto per troppo tempo, Sabriel. Elettra mi ha raccontato tutto di te, ogni singolo comportamento cocciuto, e stavolta non andrai via. Non lo permetterò, non ora che anche tu potresti giurarmi fedeltà.” Spalancai gli occhi, incredula.
“Sai bene che non posso. Ti venderei la mia vita, quando in realtà ti ho solo chiesto un rifugio per la guerra e qualche soldo per vivere. Non scordarti quello che hai detto fuori la locanda, Silver.” Non poteva dire sul serio. Lo spinsi con la magia e ribaltai la posizione, puntandogli Solida alla gola. Un dolore atroce si impossessò del braccio sinistro, scottava per la mia minaccia. Sentii i poteri venire meno ogni istante, così come la mia forza vitale.
“Secondo te non è abbastanza questo dolore che sto provando adesso? Non posso fare nulla contro di te. Non impormi di dover vivere con te, perché sappiamo entrambi che ciò implicherebbe che, se un giorno dovessi chiedermi una mano, io non potrei rifiutarmi. A quel punto a cosa dovrei rinunciare io?” mi cadde una lacrima colma di rabbia sulla camicia e il marchio smise di bruciare lentamente.
Eravamo ad un millimetro di distanza, la lama premeva su entrambi i nostri colli, dei maledetti ricci neri e rossi mi impedivano di guardarlo negli occhi. Lo stavo rifacendo. La magia si stava per impossessare di nuovo di me.
Feci un passo indietro e rifoderai la spada. Quando osservai il braccio vidi che tutti capillari erano sollevati e incredibilmente visibili. “Adesso, Capitano, credo che noi due dovremmo stilare l’accordo tra voi e Kasim, a meno che non siate dell’avviso di farne firmare uno anche a me.” Abbassai lo sguardo e colpevole mi allontanai, girai una sedia e mi ci sedetti scompostamente.
Bellamy riprese fiato, e mi guardò esausto. “No, nessuno ne ha intenzione.”
Rimanemmo ore a scrivere quel dannato accordo per Kasim, ogni tanto Bellamy sollevava gli occhi dal foglio di pergamena e faceva commenti deplorevoli. Altre volte si limitava a sbuffare e intingere la penna nel calamaio.
“Sai una cosa?” Disse a un certo punto. “Fai quello che vuoi, sei indomabile da quando hai questi poteri. Hai dimenticato quanti furti d’oro hai fatto per me? Eri umile.” disse recuperando l’inchiostro e altra carta.
“Ero la vostra staffetta. Per voi spero di non dover fare nulla oltre lo stretto necessario.” Fece quasi più male a me pronunciare quelle parole che a lui sentirle.
Ragionandoci sopra, tra una clausola e un’altra mi resi sempre più conto di essere nel giusto. Quando un giorno avrei avuto un compagno, dei figli, e chissà, un posto stabile al Consiglio del quale ero appena venuta a sapere, non mi sarei potuta permettere di abbandonare tutto solo perché un certo pirata fosse venuto a bussare alla mia porta per aiuto. Eppure essendo stata sopraffatta dai quei modi selvaggi ero passata dalla parte del torto con un nonnulla.  
Qualche ora dopo ero sola nella mia cabina, Bellamy era andato a dormire e nessuno era passato da me, ero stata volontariamente evitata. La pioggia fuori era ormai una tempesta, e il rumore che faceva non rendeva tutto meno triste, semmai aumentava il mio malumore.
Forse ci ero andata giù pesante con Bellamy, di certo il passaggio dal ‘tu’ al ‘voi’ era stata una cosa non calcolata, ma ero sinceramente convinta che la persona che voleva al suo servizio non fosse una strega ma una schiava, e io non conoscevo quel Bellamy. Non ero decisa a vendere la mia libertà già prima, quando potevo essere vincolata alla guerra, perché farlo ora? Perché vincolarmi a qualcuno per un tempo indeterminato?
Certo, i cambiamenti c’erano stati in me, su questo non potevo dare torto a Bellamy, e non ero certa che tutti fossero in positivo. Avevo acquisito un’arroganza che non mi aveva mai caratterizzato, e in secondo luogo le mie priorità non erano più sfuggire alla guerra, ma scoprire qualcosa sui maghi. L’incontro con quella vecchia mi aveva fatto capire che del mio stesso essere moltissime cose mi erano ancora sconosciute.
Avevo capito di essere la discendente di una famiglia magica importante e di non riuscire a controllare la mia stessa natura. Avevo capito di avere degli alleati e di non saperne l’identità. Avevo capito che la mia famiglia non me lo aveva voluto rivelare per tenermi al sicuro, ma mi aveva preparata alla grande per il mio diciassettesimo compleanno spiegandomi cosa mi sarebbe accaduto.
Il fatto che non avessi mai avuto dei genitori a parlarmene rendeva ancora tutto più difficile da digerire. Insomma, non che fosse facile parlarne. Era una parte di me che era nata a distanza di diciassette anni, anche se era sempre stata lì come a ricordarmi di tutto quello che ero. Come se la persona che ero stata fino ad allora non contava.
Contava invece cosa avrei fatto di giusto o sbagliato da quel momento, dato che avevo tutte le facoltà che mi premettevano di cambiare la realtà intorno a me.


 

Spazio autrice:

Mi rendo conto che ho saltato l'aggiornamento la settimana scorsa senza avvertire, e che oggi aggiorno con due giorni di ritardo, ma perdonatemi ugualmente (Ho avuto degli impegni con il mio ragazzo). Ritornando a noi, che ne pensate? Lasciate qualche commento nella storia se qualcosa non vi è chiaro (anche perché sono abbastanza certa di aver scritto qualche periodo in modo assurdo, ma dettagli).
Alla prossima,
Herondale.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9

Kasim entrò nella mia cabina circa un’ora più tardi, quando lo vidi gli feci posto nella lettiga. Non doveva essere stato semplice nemmeno per lui passare quelle ore a bordo.
“Ho visto che hai i piedi martoriati a sangue dalla corsa; ovviamente è stata un’ottima idea quella di non farti sentire, ma non sarai in grado di camminare così domani, perciò ho pensato di portarti delle bende.” Uscì un rotolo biancastro dalla sacca che aveva, insieme a un paio di forbici.
“È stata un’ottima idea, grazie Kasim, inoltre non sono l’unica ferita.” Feci un mezzo sorriso ammiccando al suo braccio tagliuzzato per colpa del mio stiletto. Mi accorsi che aveva rimediato da sé con delle erbe e delle bende. Si scorgevano anche dei punti da sotto quest’ultime.
“Mi spiace averti messo nei casini. Sarei dovuto rimanere dov’ero e lasciarti andare.”
“Scherzi? Ti ho solo aiutato, in ogni caso sistemerò tutto, ho solo bisogno di tempo.” Dopo poco continuai. “Ho garantito per te, sono stata tutta la notte con Bellamy a scrivere quel dannato patto, domani lo firmerai.”
Una piccola smorfia di sofferenza apparve mentre tirava le bende attorno alla caviglia, ma non fu per il dolore. La smorfia era dovuta al ricordo del bruciore del marchio, mi aveva lasciato tutta la parte circostante livida. Quando ebbe finito con le bende lo notò. All’inizio rimase in silenzio, poi con una mano scoprì la sua manica sinistra, mostrandomi il suo marchio, nero e a forma di pentacolo, con un cerchio intorno. Era un marchio comune ai maghi qualsiasi da quanto avevo appreso, eppure pensai che forse sapeva qualcosa sulle famiglie magiche. Iniziò a parlare.
“I maghi e le streghe in genere ricevono il loro marchio a sedici anni, se appartieni ad una famiglia privilegiata a diciassette, come te. Il mio è comparso con un anno in ritardo, ed in quell’anno mi ripetevo che se avevo vissuto senza magia per sedici anni, avrei potuto per tutta la mia vita, ed effettivamente ci avrei solo guadagnato. Non per forza sei un mago se lo sono i tuoi genitori, ancor meno se lo è un solo genitore, come per me.”
“Perché mi dici questo?” dissi puntando il mio sguardo su di lui e lasciando perdere le bende.
“Io sono un bastardo dei privilegiati, delle famiglie nobili. Non ho mai avuto il desiderio incredibile della magia. Prima di averla ero uno con una buona famiglia, un tetto sulla testa, e il cibo in tavola. Me la passavo bene. Adesso ho perso tutto. Sono stato cacciato di casa da mio padre, mia madre è stata esiliata e le mie due sorelle non mi hanno più considerato loro fratello pur di rimanere all’interno del Vecchio Impero. Ora so che ero solo il loro fratellastro; di conseguenza non conosco mio padre, ma vorrei farci due chiacchiere.” Disse con un sorriso amaro.
“Forse non ti meritavano.”
“O forse ero io a non meritare loro, chi lo può dire? Almeno adesso è tutto sistemato.” Per un attimo scorsi uno sguardo crudele nei suoi occhi, ma se andò prima che potessi tirare su una qualsiasi ipotesi su di lui. “A te che è successo? Anche tu sei stata gettata via come me?”
“No, direi di no. Non ero così fortunata come te. Io ora ho una baracca ma non vi farò ritorno, i miei genitori li ho visti solo quando ho ottenuto il marchio durante il passaggio, sono morti anni fa, non ricordo quasi niente di loro. Anzi, una cosa sì, mi chiamavano Briel, e io mi facevo chiamare così solo da loro e da un mio amico.”
“Quando ti sei imbarcata?”
“Poco meno di una settimana fa, l’avevo quasi come obbligo.” Stavolta fui io a fare una smorfia.
“E com’era la tua vita a casa? Stavi bene?” iniziai a stancarmi di tutte quelle domande, ma pensai che infondo mi sarebbe stato utile parlarne con qualcuno. Di certo mi avrebbe capito.
“Vivevo con mia zia e mia cugina fino a poche settimane fa, non ti nascondo che la fame spesso bussa alla porta, e preferisco digiunare per giorni e fare in modo che il cibo basti a loro. Ora che Neblos ha ufficialmente dichiarato guerra a Trule, non sono potuta rimanere a casa. Da morta in guerra non servo a niente per la mia famiglia, qua servo ad assicurare loro soldi e cibo. La stregoneria mi dà addirittura una paga più alta.”
Per un po’ nessuno di noi disse nulla, poi senza motivo scoppiai a piangere. Lui non si scostò, ma mi mise una mano attorno le spalle, chiudendomi in un mezzo abbraccio e carezzandomi i capelli. Dimenticai per un momento la faccenda del bastardo, e rimasi stranita da come mi era venuto facile aprirmi con un ragazzo di cui non sapevo praticamente nulla.
“Oggi ho aggredito un uomo. Eppure io non sono migliore di lui, anche io ho scelto la strada della pirateria.” Sussultai.
“Non sempre è facile fare una cosa sbagliata seppur a fin di bene. L’uomo che ho ucciso stanotte per esempio. La scelta era tra lui e noi, se fosse rimasto vivo avrebbe detto verso dove ci dirigevamo e saremmo stati catturati. Dovevo scegliere la cosa più importante.” Quella frase sembrò non essere rivolta tanto a me, ma più che altro sembrò quasi che la dicesse a se stesso.
“Sai, non sono sicura di essere grande come dici tu, o capace nelle arti magiche come tutti si aspettano, così come non sono sicura che i pochi amici che avevo a bordo domani mi saluteranno. Non so nemmeno se mi riconoscerei se fossi messa davanti a uno specchio.” Affermai tra i singhiozzi. Mi vergognavo delle mie azioni.
“Ehi, non devi sentirti così, tutti passano qualcosa di brutto che li fa cambiare. Chissà se un giorno ti renderai conto che c’è una parte che è ben più radicata in noi di ciò che crediamo.”
“Se fosse davvero così, non sarei più sicura nemmeno di sapere chi sono.” Dissi per poi coricarmi sulla brandina.
Caddi rapidamente addormentata, anche se quello di quella notte era un sonno leggero. L’indomani mattina mi alzai senza problemi, cosciente del fatto che probabilmente Kasim aveva dormito con me, però non trovai né le bende né lui in camera. Un’altra cosa che mancava era il mio stiletto, ma avevo già un’idea su chi l’avesse preso. Mi preparai e mi sciacquai il viso velocemente, poi uscii dall’ex cabina di Bellamy; sinceramente mi aspettavo che dopo la sera precedente mi avrebbe richiesto la chiave indietro, ma non lo aveva fatto. Forse c’era ancora speranza.
Mi pentii del mio stesso pensiero appena chiusi la porta alle mie spalle. Coloro che erano sul ponte mi riserbavano sguardi differenti tra loro. Alcuni facevano trapelare rabbia e delusione, altri invece rassegnazione e delusione; in entrambi i casi quelle persone non si fidavano più di tanto di me. Mi stupii di vedere il mezzo sorriso di Newt tra loro, ma infondo non avevo ancora compreso come ragionasse quel ragazzo.
Girai verso la prua della nave e vidi Demien alle prese con Frayn, il quale reggeva il timone. Sembrava stessero discutendo sulle scorte di cibo rimaste e sulla rotta da prendere per fare provviste. Quando mi videro si ammutolirono, poi Demien sbuffò e si mise braccia conserte dandomi le spalle. Un po’ scocciata dalla situazione gli diedi due colpetti sulla spalla con l’indice.
“Non dovremmo allenarci?” dissi tentando di non rivangare la lite della sera prima.
“Non credo ce ne sia più bisogno, ti fai aiutare da quel nano nella stiva, perché dovresti saper duellare se puoi usare la magia.” Rispose dandomi ancora le spalle e citando la frase detta da me stessa qualche giorno prima.
“Ma voglio duellare! Ridammi il mio stiletto e insegnami, Demien, so che è nella stiva.”
“Mai e poi mai. Potresti darlo a quel Kasim, non mi fido di voi due.” Sputò acido.
Non riuscivo a capire perché, dato che avevano accertato che ero dalla loro parte e non potevo oppormi, non mi si dovesse rendere ciò che era mio di diritto. Sarà pur lecito che una ragazza sappia difendersi da sola. E invece no. Durante la notte qualcuno si era intrufolato e mi aveva sottratto il mio legame magico, quello che mi teneva con i piedi per terra evitandomi di impazzire nel caso usassi la magia. Almeno avevo l’altro, il polsino in pelle.
“Basta voi due.” Ecco comparire Bellamy, secondo me si ci metteva per fare il guastafeste. Non avevamo ancora chiarito nemmeno noi due dopo la lite. “Riavrai il tuo stiletto rubato. Demien, tu lasciala perdere, non è più sotto la tua guida.” Incredibilmente mi sentii stupita. Di certo non era perché avevo dimostrato eccellenti capacità nel duello.
“Ma capitano, è una novellina, per di più non sa usare bene la sua magia, si farà ammazzare in trenta secondi.” Allora credeva comunque che l’addestramento mi servisse.
“Non puoi aiutare qualcuno che non vuole essere aiutato.” Disse stanco.
“Da parte vostra lo reputo un complimento.” Replicai.
Ed eccolo là, il triangolo di sguardi. Bellamy fissava la mano di Demien, che aveva messo sul suo braccio a mo’ di avvertimento. Demien mi fissava esausto di essere scavalcato da me in quanto mio garante per stare a bordo. Infine io mi limitavo ad attendere una risposta esaustiva da Bellamy, una che non comprendesse un insulto. Alla fine quell’atmosfera ridicola si ruppe.
“Bene, vediamo la belva combattere allora.” Disse Demien. “Se sei capace come dici batti il capitano, senza usare la magia se non per creare distrazioni durante il duello.” Sorrisi.
“E ostacoli?”
“Distrazioni si, ostacoli no. Se non lo batti torni a pulire il ponte, e userai le lame solo per tagliare le cipolle in cucina per tutta la prossima settimana, dopo la quale torni ad essere istruita da me senza fiatare.” Mi soffermai a pensare.
“Se vi batto voglio il mio stiletto indietro nel momento stesso in cui finisce lo scontro.” Bellamy si voltò e acconsentì quasi sfottente.
Il marchio bruciò di nuovo, ma stavolta capii che iniziavo a farci il callo, faceva meno male anche se trattenevo ugualmente le urla mordendomi il labbro inferiore a sangue. Ci spostammo dalla poppa all’albero maestro, poi impugnai Solida a due mani incrociando le dita per me. Tra l’equipaggio scorsi anche Kasim.
Bellamy sfoderò subito la sua spada e la fece roteare un paio di volte, a quel punto iniziai a ricredermi sulle mie possibilità di vittoria, o per lo meno, vittoria senza ferite. Io non ero capace di parare nemmeno volendo.
Un fendente mi arrivò quasi addosso, ma indietreggiai abbastanza da schivarlo; ricambiai con un affondo verso la sua spalla, lui lo parò abbassando la guardia a sinistra, così colsi l’occasione e contrattaccai. Gli feci un taglio superficiale sul braccio, ma nell’indietreggiare la sua spada finì per tagliarmi delle ciocche di capelli. Vidi ciuffi rossi portati dal vento fuori bordo.
“Voi! Brutto…” mi concentrai sul bracciale in cuoio e sulla mia spada per poi dividere in due una randa e una fune reggente di una vela. La nave iniziò a cambiare direzione mentre Bellamy non fece in tempo a spostarsi e venne colpito dalla fune che svolazzava vicino al timone. Il clangore delle spade e quello della fune che frustava sul ponte iniziò ad attirare l’attenzione. Capii di averlo fatto arrabbiare quando dal semplice scambio di colpi di spada iniziò ad attaccare sul serio, e io finì quasi attaccata alla balaustra tentando di parare ogni colpo impugnando la spada a due mani.
Ero all’angolo. Era ora di usare il mio svantaggio in altezza come un vantaggio, non che avessi altri vantaggi, così schivai un colpo e gli passai sotto il braccio con uno scatto fulmineo. Corsi lontano per evitare lo scontro fisico, guadagnandomi diverse prese in giro dalla ciurma che si era pian piano accalcata sul ponte.
Avevo avuto un’idea. Nel momento stesso in cui ero quasi arrivata alla balaustra opposta, mi agganciai con una mano a una fune fissata al ponte e ci girai in tondo, finendo per passare fuori dalla zona d’azione della sua spada e arrivare alle spalle di Bellamy, che nel frattempo mi aveva inseguita.
Quando si girò per affrontarmi aveva già la lama puntata alla gola. Sorrisi trionfante, mentre il mio stiletto con tanto di fodero nuovo mi si riallacciava al fianco, la magia lo aveva fatto levitare fino a me. Mi voltai per un istante e incontrai lo sguardo di Demien, un indecifrabile misto di fierezza e diffidenza, poi lo vidi allontanarsi.
“Briel, dobbiamo parlare noi due.” Disse il capitano poggiandomi un braccio sulle spalle che scrollai prontamente. Solo in quel momento mi resi conto che avevo un rivolo di sangue che colava dalla gamba, ma la mia fierezza non fece trasparire nulla.
“Quel nome non mi piace, usatene un altro, comunque parlate.” Lui sorvolò sul mio disagio nel sentire quella sillaba pronunciata da lui e sull’uso ostinato del voi, e continuò.
“Mi è arrivato un messaggio da Elettra dove spiega che la tua decisione di prendere il mare non è stata una scelta, ma più che altro l’ultima spiaggia. Così mi sono chiesto se ti andasse di vedere una vera spiaggia, senza fughe da altre navi, senza trattative, solo attraccare e scendere a terra per una notte. La parte bella della pirateria esiste.” Non doveva essere stato facile
Ed eccoli, i sensi di colpa che attanagliano ogni persona dopo aver realizzato di aver detto o fatto una stupidaggine con i reali fiocchi. Nonostante tutto io non ero assolutamente in vena di perdono, non dopo quello che era successo la sera precedente. Prima mi riempiva di aspettative alla locanda e dopo mi minacciava nella sua cabina. Semplice uscirsene in questo modo.
“Se questo è il vostro modo di porgermi delle scuse, beh, le accetto.” Lui annuii piano, guardando altrove. “Se non vi spiace però adesso dovrei andare.” Lo vidi fermarsi e capii che non aveva ancora finito. Sbuffai. “Perfetto, parlate pure.”
“Hai qualche sospetto su quella persona che stavamo cercando?” Mi fermai pure io e mi guardai intorno.
Non avevo trovato il tempo di capirne di più, ma quando capitava passavo dal luogo dove avevo sentito la discussione, così, per controllare. Infondo erano passati solo due giorni da quell’evento. Uno di quegli uomini stava al servizio di un altro mago, ma avevo avuto poco tempo per conoscerli tutti; il solo pensiero che uno di loro potesse essere un traditore mi rattristava, ma non mi toccava in maniera diretta.
Non osavo immaginare invece che cosa provasse Bellamy. Dal suo canto, quello era solo un altro motivo per temere una rivolta di massa, il che non era rassicurante, per niente, soprattutto ora che il capitano era stato sconfitto da una donna. Certo, una Magica, ma pur sempre una donna. Agli occhi della ciurma doveva essere stato davvero imbarazzante.
“Nessuna novità, ma posso provare a vedere se tra gli oggetti nelle cabine c’è traccia di magia.”
“Puoi odorare la magia? Sei un cane?” Per risposta gli mostrai il marchio.
“No, non sono un cane; sono un lupo, uno di quelli grandi e grossi che mettono paura e ti sbranano la notte.” Lo guardai stizzita, lui sorrise. “Potrei sentire l’odore della magia, sì, ma dovreste tenere impegnata la ciurma intera per una mezz’ora circa.” Vanificati i miei tentativi di sembrare minacciosa e rancorosa, finii per ricadere nello stesso errore: aiutarlo.
“Come diavolo faccio a tenerli tutti davanti a me per mezz’ora? Parlerò loro di cosa?”
“Siete un genio che non ha mai avuto bisogno della magia nella sua vita, giusto? Di certo qualcosa la inventerete.” Mi allontanai subito dopo aver usato il mio tono sfottente migliore.




Angolo autrice:

Se siete arrivati fin qui siete sopravvissuti alle ben 2586 parole di questo capitolo. Non me ne vogliate, non potevo tagliarlo prima. Già con la revisione sto dovendo fare un taglia e cuci pazzesco di tutte le scene (e questa che ho tagliato, per esempio,perde un po'), non ho potuto fare in altro modo. Mi auguro che la storia vi stia piacendo, alla prossima!
Herondale.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10

Alla fine il mio sorriso sarcastico convinse Bellamy a tenere impegnato il suo equipaggio per qualcosa di più di una semplice ora. A malincuore uscì le sue più buone scorte di bevande alcoliche e per cena fece ubriacare tutti, Kasim e Demien compresi, che sembravano esser diventati amiconi. Era matematicamente certa che nessuno dei due avrebbe mai ammesso che quella serata fosse mai esistita l’indomani, al costo di invertire il calendario di un giorno.
Con una scusa uscii dalla stanza, che oramai puzzava quanto una taverna scadente, e dopo di me uscii anche Bellamy. Iniziammo con le cabine più in basso nella nave ma non sentii niente di particolare oltre alla puzza, così quando Kal e Kasim entrarono in quella di Kal, non ci fu nulla in contrario nel lasciarli passare.
“Siamo tutti fradici, come il mare!” esclamò Kal passando.
Avevo sempre visto quel ragazzo come uno che non riusciva a far altro che seguire il proprio capitano alla lettera. Non si era mai lasciato andare da quando ero a bordo, non una battuta allegra. Vederlo per una sera con atteggiamenti meno rigidi e più spensierati fu bello e inaspettato.
“Sì beh, andare a dormire, domani non avrò pietà per voi.”
Quando si allontanarono mi venne istintivo riprenderlo con un tono più leggero di quello che avevamo usato fino alla mattina.
“Fai il duro quando sono ubriachi, per altro per colpa tua, e ti fai battere da me  semplicemente quando sono sobri… C’è qualcosa di sbagliato in questo ragionamento.”
“Mia la ciurma, mie le regole. Adesso non vorrai perdere il prezioso tempo che ho guadagnato per te, ho perso molto buon vino e liquore. Ci conviene muoverci, presuntuosa.”
“Incoerente.” Soffiai. Giurai di scorgere un sorriso.
Girammo le altre cabine, anche quelle sottocoperta, ma ancora niente. Arrivati all’ultima cabina scoprii che esisteva un livello di disordine superiore a quello che si creava dopo un’incursione con cannoni delle Truppe Occidentali. Le brande erano piene di vestiti, in una c’era pure una scarpa che era legata alla sua compagna penzolante per i lacci. Un pettine e delle spugne erano gettate in un angolo impolverato. Probabilmente quello che avrebbero dovuto usare per darsi una sistemata. Il lume era rovesciato per terra, l’olio usato per accenderlo si era riversato nel pavimento, il che era pericoloso nel caso in cui avesse preso fuoco.
Vidi un pezzo di vetro su una delle due brande, uno di quelli acuminati, come se fosse parte di una finestra rotta. Quello era ciò che cercavo, anche se era cosparso da una qualche polvere strana che non conoscevo. Profumava. Sembrava quasi l’odore di salvia mista a menta, eppure c’era qualcos’altro. Forse, iniziai a sospettare, la magia non era solo un qualcosa di fisico. Forse la magia si poteva anche avvertire attorno a noi.
“Questo.” Dissi porgendogli il vetro. “Chi ci dorme qui?”
“Dersh e Farbow” solo dopo aver esaminato meglio la stanza mi resi conto che Bellamy aveva iniziato a stringere il pugno attorno al frammento di vetro, stava sanguinando.
“Capitano, sanguini.” Lui sembrò non averi sentito. “Dovrei fasciarti la mano, vieni con me, avanti Silver.” Feci un piccolo cenno con la testa e lui mi seguì con il capo chinato.
Durante tutto il tragitto dalle cabine alla stiva non smise di stringere quel vetro, sembrava quasi che non riuscisse a parlare. Il suo volto era stravolto in una smorfia di dolore, ma non per la mano, più che altro per il poter constatare da sé che non avevo mentito, che qualcuno lo stava tradendo.
Le bende erano troppo ben conservate, tanto che per quanto cercassi anche consultando l’inventario, non ci fu verso di trovarle; dovetti usare delle vecchie pezze viola; di certo non erano né pulite né disinfettate. Non mi sentivo di provare a curarlo da me con la magia, lo spostare gli oggetti era un conto, ma agire su esseri umani? Non ero certa di voler rischiare, potevo fargli ancora più male, ero troppo inesperta.
Ad un certo punto il silenzio si spezzò. “Dovrei essere un buon Capitano, ma presto metà della mia ciurma sarà troppo vecchia per prendere il mare o per respingere quei maledetti uomini della Corona. L’altra metà troppo inesperta. A quel punto dovrò sostituirli o chiudere bottega. La nave mi farebbe guadagnare abbastanza per vivere bene alle Gusidi. Tra gli stregoni nessuno cercherà i pirati.”
“Questa è la fine della grande dinastia Silver? Rimarrà solo il ricordo di un ragazzino ventenne e inesperto che non ha imparato nulla dalla vita o dal padre?” Mi guardò male. “Non puoi permetterlo, non posso lasciartelo fare. Tuo padre si era creato un nome nella pirateria e quando aveva iniziato era più piccolo di te. Se c’è riuscito lui ce la puoi fare anche tu, ed anche meglio.”
“Sei una strega, non una che fa miracoli. I miei uomini temono più un estraneo che il loro comandante, preferiscono fidarsi di altri anziché di me. Dovrei essere temuto, dovrei essere rispettato, non ridicolizzato.” I suoi occhi mi trasmisero una grande tristezza, ma anche una grande rabbia e frustrazione.
“Devi essere amato, solo così ti rispetteranno. Sei un buono, non uno schiavista, per quanto tu possa aver inavvertitamente fatto sembrare il contrario. Soprattutto nelle ultime ore.” Feci spallucce.
“Sono un pirata, non un buono.” Mi arresi. “Vorrei che mio padre fosse qui, mi manca terribilmente.” Il discorso si era fatto troppo pesante, anche perché non avrei risposto con qualcosa di positivo a quella affermazione, dato il mio passato. In mancanza di altro da dire decretai che la discussione fosse finita lì.
Salii per andare a dormire e vidi Kasim addormentato nella branda accanto alla mia, mi chiesi come avesse fatto a risalire le scale da solo; mi fece un po’ di tenerezza. Mi coricai e iniziai a girarmi e rigirarmi, in cerca di una posizione comoda che non prevedesse un gomito nel fianco o un piede penzolante.
Alla fine diedi le spalle al centro della camera e iniziai quasi a prendere sonno quando qualcuno da dietro mi coprì la bocca e il naso con una delle famose bende che cercavo. Iniziai a dimenarmi come non mai, provando pure a mettere mano alla cinta con lo stiletto o alla spada, ma chiunque fosse aveva una presa ferrea. Non riuscivo a urlare né a respirare.
La benda puzzava di qualcosa di forte e nauseante, alla fine dovetti respirare quell’intruglio, se non lo avessi fatto sarei svenuta in ogni caso; sentii che i miei sensi cedevano come atrofizzati. Ripensandoci, c’era una persona che aveva usato delle bende recentemente. Ecco perché quella sera le bende non erano affatto al loro posto nella stiva.
La presa si fece meno rigida e qualcuno mi prese per le spalle mentre cadevo per terra senza emettere troppo rumore. Una testa corvina era illuminata dal lume appeso al tetto, con orrore mi resi conto che era Kasim quello che mi aveva assalita. Non era poi così ubriaco come io e Bellamy credevamo, probabilmente aveva solo finto di bere a tavola.
“Ci tengo a dirtelo, mi avete servito quest’occasione su un piatto d’argento. E un’altra cosa: non voglio farti del male, ma questa è una di quelle scelte difficili per un bene maggiore.”
“Per chi lavori?” Sussurrai con le ultime energie.
“Il migliore offerente.” Sorrise trionfante.
Ebbi la forza necessaria per lanciare una specie di incantesimo che mi avrebbe aiutata a essere ritrovata prima. Poi mi addormentai velocemente, le armi ancora nel fodero, con la disperazione come sola compagna mentre venivo trascinata fuori. Ingannata dalla mia stessa bontà.
Mi risvegliai su un’imbarcazione. Non la Savior di Bellamy né la Baltharen di Barrow. Era una delle scialuppe di ricognizione di Bellamy. Evidentemente il genio di Kasim Bartèz non aveva nulla in contrario nel viaggiare in economica, nonostante lavorasse per la corona.
Pensai bene di vedere quanto riuscissi a muovermi, solo per poi scoprire che ero legata come un salame e che le cinghie dei foderi non erano a portata di mano. Ovviamente aveva lasciato tutte le mie cose sulla nave. Il rapimento è una pratica faticosa e turbolenta, e non comprende l’armare il nemico.
Nella mia mente risuonavano le peggiori ipotesi per la quale la corona mi volesse parlare, sempre se fosse stata una cosa che si limitava al parlarmi. Potevano esiliarmi, reclutarmi, uccidermi, torturami, farmi lavorare per loro per scovare altri maghi, uccidermi, fare esiliare me e la mia famiglia, uccidermi.
In fondo non avevo rispettato l’esilio dopo i diciassette anni, ma mi ero addirittura arruolata tra i pirati. Il pensiero ricorrente della mia possibile morte mi mandò nel panico come non mai quando riuscii nuovamente a formulare un pensiero di senso compiuto.
Nella migliore delle ipotesi ero riuscita comunque a far capire a Bellamy dove mi trovavo, prima di svenire completamente. Kasim, vedendomi smuovere sulla barca, smise di remare e mi tolse la benda dalla bocca.
“Tu non hai idea di come finirà adesso.” Feci per concentrarmi sul polsino in pelle, ma mi resi conto che, per quanto sforzo facessi, era solo un dispendio di energie tentare di evocare anche una sola fiammella di magia. Spalancai gli occhi. “Cosa mi hai fatto? Che c’era nella benda?”
“Non nella benda, nelle corde.” Disse sorridente. “Ti sorprenderebbe sapere come le stesse erbe che usi per cucinare possano essere temporaneamente usate come barriera contro la magia.”
“Fantastico.” Ringhiai.
“Inoltre ho visto come usi la spada e lo stiletto, sei abbastanza capace, perciò li ho lasciati a bordo. Diciamo che per la fine di questa traversata non sarai in grado di muovere un fiammifero, figurati accenderlo.”
“Mi prendi in giro? Non lascerò che tu mi riporti da Barrow, non esiste.”
“E chi ha detto che ti porterò da lui?”
“Lo farai.”
“No, che non lo farò!”
“Ne sono certa, che altre opzioni avresti?”
“Non ti cerca solo Barrow, e non lo farò.”
“Io ti ho dato la mia fiducia! Ti ho salvato da quel maledetto!”
“Mai dare fiducia a un pirata, perché nessuno lo capisce?” Disse sbuffando. Fui colta da una rivelazione. Come trattenni le imprecazioni non lo seppi nemmeno io.
“Tu mi stai portando alla corte, o sbaglio!? Di sicuro eri un contatto di qualche guardia arruolata, cercavi di sapere qualcosa o trovare qualcuno, ma non so se ne sei al corrente: la pirateria è ripagata con l’impiccagione e tu finirai impiccato come me quando ci vedranno.” Sorrisi beffarda, almeno impaurirlo avrebbe funzionato.
“So quello che succede ai pirati e agli stregoni che non rispettano l’esilio, ma quel marchio che hai sul braccio mi darà salva la vita. Sei stata troppe settimane imbarcata per saperlo, ma chiunque porti un mago o una strega con quel preciso simbolo a corte otterrà una ricompensa cospicua, tanti diamanti da farci il bagno dentro, a prescindere da chi è.” Stavolta fu lui a sorridere, mentre io sbiancavo. Poi continuò.
“Barrow era deciso a risalire alle Gusidi, certo che fosse lì il posto giusto dove cercare. Io ho fatto finta di non saperlo, ma le sette famiglie sono sparse per i regni e il prossimo consiglio è fra due mesi, a Qraco.” Ero abbastanza certa che quella fosse la capitale prima della Ripartizione.
“Perché il regnante cerca i maghi Jacklyn? Hanno avuto quasi trecento anni per trovare i più alti esponenti della magia, che cosa vogliono ora che prima non volevano?”
“Se tu fossi un regnante e iniziassi a scorgere una guerra in un futuro prossimo, che cosa proporresti di fare?” Non avevo idea di dove volesse andare a parare ma risposi lo stesso.
“Le migliori armi vorrei possederle io a tutti i costi. E i migliori uomini, senza quelli non si va lontano, ma per quelli c’è già la pergamena sull’età.”
“Vedila così, tu sei una maga che diventerà potente, te l’ho sempre detto dall’inizio, ma se non metti a frutto le tue capacità non andrai avanti e l’esercito è la migliore via per la tua formazione. Tu ci guadagni in denaro, più sicuro della pirateria, e loro guadagnano armi.” Incrociò le braccia al petto mentre io mi dimenai ancora. Avrei fatto l’impossibile per togliergli quel sorrisetto dalla faccia.
“Hai omesso una cosa, alla fine della guerra certe armi non servono se non vengono duplicate per la successiva e messe in magazzino. Io non voglio avere figli al momento e non voglio finire ammazzata quando sarò del tutto inutile.” Mi distesi sul fondo della scialuppa.
“Non mi importa di quello che ti accadrà. Io penso per me.”
“Fingevi anche quando mi hai raccontato la tua storia?” Si voltò dall’altro lato. Per i due giorni seguenti l’unico motivo per cui aprii bocca fu per mangiare imboccata da quel maledetto, dato che non voleva nemmeno sciogliermi le mani.
Al terzo giorno mi vennero in mente le frasi che aveva detto diverse sere prima. “Non sempre è facile fare una cosa sbagliata seppur a fin di bene. Dovevo scegliere la cosa più importante per la sopravvivenza. Chissà se un giorno ti renderai conto che c’è una parte che è ben più radicata in noi di ciò che crediamo.”
Mi chiesi come diamine non me ne fossi resa conto. In ogni cosa che aveva detto c’era più di quello che aveva dato a vedere. Non mi aveva mai mentito, non ne aveva avuto bisogno, ma era stato perfetto nel nascondere ogni cosa che non voleva che io sapessi.
Era stato, ed era così subdolo da pensare solo a se stesso. Nel salvarmi uccidendo quell’uomo non aveva altro secondo fine se non quello di valutare tra quale delle due opzioni avrebbe ricavato più guadagno. E la notte precedente! Gliela avevamo servita veramente su un piatto d’argento l’occasione perfetta per rapirmi. Non aveva dovuto nemmeno fare congetture o sporcarsi le mani.
Notai che Kasim aveva fatto rotta verso Est, e se non erravo eravamo abbastanza vicini alla costa a Sud di Neblos. Eravamo ancora nelle acque del regno e questa per me non era una buona cosa. Continuavo a sperare che Bellamy notasse l’assenza della mia, a suo dire, irritante voce e facesse inversione per cercarmi, ma anche se ciò fosse accaduto non era detto che mi trovasse, o mi salvasse. Forse voleva solo i diamanti, questo avrebbe spiegato come mai quell’atteggiamento tanto ovvio nel non volermi far andare via dalla nave, proprio come Kasim. E allora perché allontanarsi da Shaka?
La rotta prestabilita non era granché precisa, saremmo potuti giungere in una landa desolata come nel centro di una cittadella abitata. Il terzo giorno esaurimmo le scorte d’acqua e stavamo per terminare quelle di cibo. Io ero sempre più debole e legata, mentre le corde iniziavano a essere l’unica cosa che separava me e quel maledetto dalla salvezza. E si stavano allentando. Avrei potuto portare avanti la barca per varie leghe senza problemi.
Se solo mi avesse slegata.
Se solo avessi mangiato.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11

Avrei giurato di essere su una barchetta in mezzo al mare, ricordavo solo il dolce ondeggiare delle onde e qualche voce che mi suggeriva di riportare dei messaggi. Ricordavo il freddo nelle mani e nelle caviglie, l’umidità dentro le ossa e i lividi delle corde sui polsi. Però appena risvegliata sentivo il sapore sporco di una benda, o un fazzoletto messo tra i denti per non farmi parlare. Kasim non ne aveva uno.
Ero abbastanza stordita e ritrovarmi in un posto ancora più umido e scomodo… non era tra le mie priorità. C’era corrente e sentivo freddo, perciò presi a tremare. Qualcuno si era mosso verso di me, aveva chiamato il mio nome, prendendomi leggermente a schiaffi per farmi rinvenire, ma ero troppo debole e sfinita per aprire gli occhi, come se qualcuno mi avesse prosciugata.
“Sabriel, svegliati dai, non dovresti dormire ancora, mi sto preoccupando.” Ci fu una piccola pausa poi riprese. “Avanti Briel, devi alzarti.”
Immaginavo, quasi ancora sognando, che quelle parole venissero pronunciate con un tono di voce femminile, non potevo sapere se fosse la voce mia madre, erano passati troppi anni per ricordare il dolce suono dei miei genitori. Eppure per quanto quelle richieste mi sembrarono reali, qualcosa non quadrava. Dopo vari secondi iniziai a sentirmi addosso i dolori che percepivo prima di quel cambiamento di luogo, la voce si fece più distinta mentre acquisiva un tono decisamente più noto.
“Non posso lasciare che tu svenga di nuovo, apri gli occhi dai!”
“Non è ancora arrivato il giorno in cui mi libererò di te, non è vero Bellamy?” erano parole pronunciate con poco più di un sussurro, ma questo bastò al giovane Capitano per scoppiare in una risata, un po’ dettata dal nervosismo e un po’ sincera. Quando aprii gli occhi vidi per prima cosa il buio e quando mi abituai, scoprii che eravamo circondati da sbarre; ero sdraiata per terra con Bellamy che mi teneva il capo.
“Da quanto tempo non aprivo gli occhi? Che è successo?” le mie domande smorzarono l’aria quasi di spensieratezza che si era venuta a creare. Intorno a noi calava pesante la realtà.
“Sono venuto per salvarti.”
“E allora perché siamo in una cella?” dissi confusa.
“Perché tu ti sei autoproclamata strega ricercata nel momento stesso in cui hai lasciato che vedessero il marchio. Kasim si sta intrattenendo con il comandante di questa nave da quattro soldi, starà discutendo il suo compenso per averci consegnati vivi alla corona in questo esatto momento, mentre noi siamo nelle celle della stiva. Due dei miei sono stati gettati in mare, suppongo siano morti, d’altronde ti ho chiesto io di riferire a Demien di levare l‘ancora…” Il suo tono di voce peggiorava da una leggera ironia a una tristezza infinita per tutto il suo monologo, così non risposi subito.
Non sapevo cosa dire, tutto ciò era assurdo. Io ero salita su quella nave come una semplice ragazza, e ne ero scesa con un sequestro di persona per poi star per essere trascinata esattamente dove non volevo essere: al cospetto del re Julio e della regina Flarien di Neblos. Tutto ciò per combattere una guerra che volevo evitare, una guerra che era, ironia della sorte, il motivo per cui ero immischiata nel giro della pirateria, ovvero per non essere arruolata nell’esercito. Essere lasciata in pace era chiedere troppo?
“Non avrei mai voluto che venisse ucciso qualcuno così, senza motivo.” Sospirai. “Quando hai saputo che c’era una taglia sul mio nome?”
“Ieri mattina, poco prima di osservare le mappe.” Sorrisi, il mio piano era andato a buon fine allora, c’ero riuscita a lanciare l’incantesimo.
“È per questo che sei venuto a cercarmi nonostante tutto?” Esitai nel pronunciare quelle parole, stringendomi un po’ di più su me stessa.
“Non ti ho cercato per rivenderti al miglior offerente, non vorrei mai e poi mai dover fare una cosa del genere, quante volte te lo devo ripetere? Io non sono quel verme di Kasim, voglio solo il tuo sostegno.” Mi guardò con la tenerezza negli occhi. Decisi di credergli.
“Lo hai, anche se ora come ora sono davvero inutile, non sono capace nemmeno di tenere un braccio sollevato per più di tre secondi. Le corde che mi stringono sono intrise di qualche sostanza schifosa e hanno risucchiato tutte le mie energie magiche. Essendo diventata una strega non è che io viva di molto altro, la magia la ho nel sangue. Ancora una volta, grazie Kasim.” Mi risollevai un po’ poggiando la schiena sulle gambe di Bellamy.
Sentii un rumore di chiavi tintinnanti e metallo stridente, dopo qualche secondo vidi qualcuno avvicinarsi per sollevarmi da terra con due mani robuste e salde e trascinarmi. A nulla valsero le proteste di Bellamy che era stato richiuso dentro con tanto di doppia mandata.
Cercai quantomeno di essere più utile di un semplice peso morto, tentando di memorizzare la strada. Salimmo delle scale, due rampe, e poi andammo dritto per una ventina di metri, altre scale, una sola rampa. Destra e sinistra, altre due rampe ed eravamo già sul ponte.
La nave aveva due alberi e un ponte spazioso, ma pieno di scatole di legno robusto, varie funi erano arrotolate sopra quest’ultime. C’erano delle cassette con del cibo, passando agguantai un tozzo di pane, ancora morbido, e lo infilai nelle tasche. Feci lo stesso con un coltello che preferii infilare negli stivali, facendo finta di inciampare dalla stanchezza. La persona che mi scortava mugolò qualche imprecazione e poi mi condusse in una stanza, con buona probabilità la cabina del Capitano.
Stropicciai gli occhi, non abituata a tutta quella luce, poi venni spintonata verso una sedia dove fui costretta a sedermi. Tutto in quella stanza sembrava immensamente costoso… le rifiniture delle pareti, il tavolo di legno levigato e persino i candelieri laccati, sembravano fatti d’oro. I mobili erano di legno, forse pesco, per via della tonalità leggermente rosata. C’erano persino delle tazze di thè e alcuni biscotti in un vassoio di fronte a me. Decisamente diversa dalla cabina di Bellamy.
Nonostante l’ambiente fosse bellissimo, quasi da non farmi pensare ad altro, iniziai a sentirmi fuori luogo con i miei vestiti lacerati, le corde che mi legavano e i capelli decisamente in disordine; senza contare che non mi lavavo in modo decente da una settimana ed ero stata rapita due volte in quattro giorni. Non ero di certo uno splendore alla vista.
Entrò un uomo, dopo vari minuti, con la divisa blu e un montone rosso porpora, costellato di quelli che credevo fossero distintivi di merito. Era sulla quarantina, un’espressione guardinga si scorgeva nel suo volto, mentre il suo passo era lento.
“Vedo che non avete toccato il thè, non è di vostro gradimento, signorina Jacklyn? Se volete posso chiedere che vi venga portato qualcosa di più… nutriente? Dolce?” lo sconosciuto prese posto di fronte a me e rimase ad attendere una mia risposta per vari secondi.
Quando capì che non avrei detto nulla riprese. “Il mio nome è Ark Rowell, ma chiamatemi pure Ark. Sa, i miei diretti superiori, il re Julio e la regina Flarien, sono ansiosi di incontrare una persona di eccezione come lei. Si starà chiedendo perché non l’ho ancora liberata… le chiedo gentilmente di farlo da sola, il coltello nei suoi stivali sporge un po’ e non vorrei che lei si facesse del male sotto la mia supervisione.”
Mi arresi all’evidenza e sfilai l’arma, tagliando via le corde e il bavaglio ancora appeso al collo, poggiando tutto sul tavolo. “Non ho nulla di speciale, solo un tatuaggio particolare sul braccio e tanto sarcasmo, oltre a una buona qualifica come ladra di mestiere.” Sospirai, ancora fiacca. “La prego, se proprio avete intenzione di usarmi come arma di distruzione di massa lasciate che vi dica una cosa: la magia fa perdere il senno, chissà se dovessi ferire i vostri uomini invece che i soldati di Trule.”
“Chissà invece cosa ne penserebbero i suoi familiari, perché credo che lei abbia intuito cosa succederà ora che sappiamo il suo nome; non sarà difficile scoprire dove abitano i suoi genitori.”
“Disgraziatamente sono morti, ma può sempre cercare tra le ceneri di qualche palazzo bruciato o in rovina presso Qraco, sono certa che collaborerò in cambio di un mucchietto di polveri.” Sorrisi amara.
“Capisco… tuttavia posso proporle un patto. Lei assolda dei maghi e li addestra, e noi le offriremo più di quanto la pirateria potrà mai darle, qualsiasi cosa lei desideri.”
Iniziai a rimuginare su quanto potessi approfittare di quest’offerta, e alla fine qualcosa che ne poteva valere la pena c’era, qualcosa che secondo le favole che raccontavo a Tori faceva parte della collezione delle armi più potenti. Un oggetto mistico citato nei centenari delle Storie dei Maghi e delle Streghe.
“E se il desiderassi qualcosa che si trova nel forziere della famiglia reale di Neblos?”
“Qualcosa tipo?”
“Il diario di Lexanneu Jacklyn. Ark, so per certo che lo ha.”
L’uomo si fece scuro in volto, ammettendo così che si trovava in mano alla corona da secoli. E la parte triste fu che nessuno lo aveva cercato, perché nessuno crede più alle favole, ci si disillude, quando invece è tutto ciò che c’è di più reale. Era l’unica cosa per cui ero certa di poter barattare il mio aiuto.
“Se lo otterrò e lei cancellerà alcuni nomi dai ricercati potrei considerare l’offerta.” Ci furono alcuni istanti di silenzio durante i quali pensai di essere stata una sciocca a pretendere così tanto, e pensai anche di dover ritrovare la mia lealtà, appena persa in un luogo non meglio definito tra sotto il tavolo e il mobile con lo specchio visto nella camera accanto.
“Devo discuterne con la corona, ma intanto sarei curioso di sapere i nomi dei pirati da graziare.”
“Bellamy Silver, Demien Masaru e Newt Gramien sono i primi, ma la lista finisce laddove finisce l’equipaggio della Savior.”
L’uomo rise di gusto, tenendosi con una mano la pancia. “Nessuno sano di mente lascerebbe andare una ventina dei pirati più conosciuti e un tesoro prezioso in cambio di quattro illusioni in guerra! Senza contare che per quanto si possa ripulire la loro taglia, hanno ormai una certa reputazione e alla prima occasione ci sputerebbero nel piatto! Deve ricordarsi, mia cara strega, che un pirata non cambierà mai, resterà sempre un pirata.”
Improvvisamente smise di ridere, e capii le sue ragioni, di sicuro era il classico ammiraglio che aveva passato la vita a lottare contro la pirateria, uno di quelli che ne aveva viste di tutti i colori. Con poche parole mi aveva smosso quel piano folle dalla testa, e non aveva nemmeno considerato che esiste un codice di onore che nessun pirata infrangerebbe.
“Se non c’è modo di trovare un accordo non ho nulla da dirle, Ark.”
“Allora a un’altra vita, Sabriellen Jacklyn.”
Qualche ora dopo mi trovavo in una cabina chiusa dentro, mentre non sapevo nemmeno cosa stesse accadendo a Bellamy. Forse non lo consideravano, o forse gli facevano del male… era tutto un’incognita, mentre sapevo bene dov’era Kasim: da più o meno mezz’ora strillava di voler uscire perché era stato confinato nella stanza accanto la mia. Per quanto si fosse vantato di averci in pugno all’inizio, non gli era andata molto meglio di noi.
Continuai a girare lo sguardo per la camera come facevo oramai da un’infinità di tempo, e alla fine mi sdraiai pure, per poi rendermi conto di un particolare che non avevo ancora notato. Sotto il tavolino che fungeva da divano, qualcuno aveva attaccato una lima, perfetta per rovinare una bella e preziosa serratura come quella della stanza. Avevo ormai memorizzato i turni delle guardie, ne passava una ogni quindici minuti, perciò iniziai a limare prima l’esterno e poi l’interno, sperando di finire prima dell’indomani mattina.
Passò solo un uomo che aprì la stanza e lasciò sul tavolino-divano una ciotola in legno con della zuppa tiepida. Nessun vassoio, nessuna posata. Chiunque avesse lasciato lì la lima sapeva che non avrei ricevuto niente di utile, perché ormai era evidente che c’era qualcuno che mi stava aiutando.
Non mi fidavo ancora così tanto da mandare giù qualsiasi cosa ci fosse in quella scodella, ma decisi quantomeno di dormire, nascondendo la mia piccola speranza formato grattugia tra i vestiti. Tentai di sfruttare quel tempo nonostante tutto. Avevo recuperato le forze abbastanza da azzardare una cosa che andava oltre i miei limiti, ma se c’era riuscito quel fantoccio traditore, ci potevo riuscire io.
Fino al quel momento era stato semplice comandare alle cose di muoversi o di compiere un’azione precisa in un momento preciso, non avevo mai provato a stregare qualcuno, poter invadere la sua mente senza toccare tasti sbagliati. Era magia fuori dalla certezza, la mente umana è infinita, unica per ognuno di noi, non sarebbe stato facile riuscire nel mio intento.
Prima di prendere sonno iniziai a giocherellare con il braccialetto, riuscendo a fargli cambiare colore, facendo diventare la pelle viola nelle striature che componevano il disegno del mio marchio. Volevo ancora ricordare da dove provenivo e cosa mi aveva portata a essere quella che ero.
Quando osservai meglio il suo interno mi ricordai della scritta che c’era. In effetti c’era scritto qualcosa, anche se ormai si leggeva ben poco. Dalle lettere capii che era il nome di Bellamy. Era troppo stretto per lui anche se si era ostinato a tenerlo, evidentemente dovevano averglielo regalato anni prima, quando era un bambino. Con qualche piccolo gesto incisi con la magia il mio nome accanto e riscrissi meglio il suo.
Poi presi a concentrarmi sul serio. Prima di tutto mi figurai in mente Bellamy, alto dieci centimetri in più del mio metro e sessantacinque, capelli neri e ricci, probabilmente poggiati contro una parete o le sbarre della cella, il volto dai lineamenti spigolosi e gli occhi azzurri, non come il mare, ma più chiari come il cielo di primo mattino.
Probabilmente dormiva già perché prima, mentre tentavo di rompere la serratura, era scesa la notte da un pezzo. Quasi immaginavo l’espressione infastidita e un po’ burbera che assumeva quando riposava. E infine immaginavo tutti i suoi modi di pensare, non troppo differenti dai miei. La vita travagliata era più o meno quella.
Tutto sembrò arrivare in automatico dopo. Entrai nel suo sogno, non con violenza, ma con un senso di estraneità. Mi comunicava serenità, freschezza e un po’ di nostalgia.
Alla fine lo vidi in procinto di tuffarsi in un lago un po’ troppo profondo per lui, all’orlo di un attracco per le canoe. Non era il Bellamy adulto che vedevo, ma un bambino di sette anni. Si buttò in acqua, e io provai tutto quello che nel sogno provava lui, prima la sorpresa del freddo, l’acqua era ghiacciata; poi mi colse la consapevolezza di non avere nulla sotto i piedi, infine il terrore.
Quando lo raggiunsi, correndo giù da una collina senza esitazione, era troppo tardi per il bambino, non ero arrivata in tempo per quel Bellamy, era morto dalla paura. Lo scenario cambiò e da una baia al Nord ci ritrovavamo in un parco dell’Est. Era di nuovo lui, maturo e grande; gli andai dietro e poi iniziammo a parlare, come se sapesse che ero già lì.
“Mi sogni spesso?”
“Solo quando sento di non avere più nulla a cui tenere, poi mi ricredo quando ti vedo venire dietro di me, ogni volta in questo parco, sempre più vicino all’estate. Eppure nella realtà stiamo aspettando l’inverno.”
“Tutto è possibile qui, potrei pure dirti che nella realtà ti ho appena tradito, ma sappiamo entrambi che la vera Sabriel non lo farà.” Decisi di prendermi un po’ gioco di lui, fingendo di non essere lì, e ciò che sentii a quelle parole fu amarezza e speranza.
“Spero che lei trovi un modo per farmi uscire di qui, Briel ne è capace, ha salvato i miei uomini a Ember. Potrebbe smuovere le Qracenie se solo volesse, io lo so.” Disse sorridendo e mettendo le mani in tasca.
“Perché il soprannome Briel?”
“Suona bene, ricorda qualcosa di prezioso, ma lei odia essere chiamata così. O meglio, tu lo odi. Però io non sono come Demien, non lo farò se non lo desidera.” Mi avvolse un calore che mi trasmetteva dolcezza.
“Imprimi nella mente questo: Kasim ha avuto in parte quel che si merita, io sto bene, tu starai meglio. Ti giuro che sistemerò tutto…” Poco a poco tutto si dissolse e ritornai in via definitiva nella mia testolina, rendendomi conto che nei miei sogni c’era molta più tristezza, più stanchezza rispetto ai suoi. Mi ripresi in pochi secondi e pensai che era colpa mia tutto quello che stava accadendo, e avrei dovuto trovare un modo per uscirne. E forse lo avevo già avuto sotto il naso da tempo: avrei dovuto ingannare tutti, tradire tutti.
Fortunatamente in quel tutti riuscii a non far rientrare anche Bellamy.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12

Davvero, la situazione in cui mi trovavo era l’evidenza del perché avrei dovuto tenere conto di tutti gli avvertimenti di Demien su Kasim, mi sarei evitata un sacco di casini. Giurai a me stessa che da quel momento avrei sentito quell’ammasso di testardaggine, abbronzatura e diffidenza più spesso.
Quella che avevo avuto durante la mattinata era una pessima idea. Una pessima, pessima idea. Come mi era venuto in mente di fare il doppio gioco? Anzi, non era nemmeno definibile così. Non stavo né con la Corona, né con i pirati, né con i Magici… Era piuttosto definibile come il mio gioco.
Ancora stentavo a credere a ciò che avevo architettato, a tutte le balle che avrei dovuto inventare e a cui ero costretta a ricorrere per tirare fuori dai guai Bellamy e me, tutto a causa di Kasim; nel frattempo salivo le scale mi maledicevo per il rischio che stavo per correre. Ma chi me lo aveva fatto fare ad accettare di aiutare la corona?
Che sia chiaro, non avevo intenzione di fare sul serio con l’offerta di Ark, ma non è che avessi avuto molta altra scelta. Una volta ritornata a Shaka, alla cittadella dei Reali, avrei avuto modo di salvarmi. Ero sempre una maga nelle fughe… beh, si fa per dire.
Avevo accettato di ritrattare la mia posizione con la corona, e sapevo che questo avrebbe distrutto Bellamy appena lo avesse saputo, e per quello che dovevo fare, serviva che il suo odio verso di me fosse autentico quando mi avrebbe vista. Non restava altro che sperare di reggere le sue parole di disprezzo.
Fui condotta dinanzi una porta dentro la quale le guardie reali mi spinsero, la stessa dell’ultima volta quando entrai e mi sedetti sulla sedia. Come la volta precedente ritrovai due tazze di thè fumanti sul tavolo e pensai che avrei dato una buona impressione se lo avessi bevuto; così feci, nonostante non mi fidassi ancora di ciò che poteva esserci dentro.
Quasi mi ustionai la lingua mandandone giù un sorso, ma almeno aveva un sapore dolcissimo, tant’è che bevvi comunque quella bevanda calda. Mi chiesi chi avesse il compito di cucinare nella nave, perché era veramente buona.
Il capitano della nave entrò pochi minuti dopo, con la sua divisa da ufficiale e tanto di cappello, si sedette di fronte a me cominciando a bere dalla sua tazza; mi salutò con un cenno della mano e prese a parlare. “Jacklyn, per caso si è mai chiesta perché il nostro modo di salutare può sembrare quasi macabro?”
“A un’altra vita.” Dissi a voce alta. “I miei genitori mi spiegarono quando ero piccola che questo è il modo in cui si chiarisce che ogni qualvolta ci si incontra, le persone che eravamo non esistono più, perché le persone cambiano sempre e quando le rivediamo non sono più quelle che conoscevamo, ma solo qualcuno che somiglia molto a loro.”
“Beh, quando lei è entrata la prima volta qui mi ha dato l’idea di una selvaggia in cerca di sicurezza. Una persona ben diversa dalla ragazza collaboratrice con un senso di giustizia che ora è seduta di fronte a me, non crede? Vorrei proprio sapere cosa l’ha spinta a cambiare in questi due giorni.” L’uomo si protese in avanti, giungendo le sue manone sotto il mento in segno di ascolto.
“Tecnicamente non sono mai entrata qui come intende lei, mi hanno sempre spinta dentro i suoi uomini. Seconda cosa, io ero, sono e sarò sempre una selvaggia per voi, non credo che esista qualcuno che sappia domare un lupo. Terza cosa, non avete nulla di più forte del thè? Senza togliere nulla a chi l’ha fatto, ovviamente.” Dissi finendo la tazza di thè.
Ark si alzò ammiccante e sorridendo prese una bottiglia di scotch da dietro le sue spalle, nel frattempo io tolsi il coltello dal tavolo e quando lo riposi negli stivali fui ben attenta a non farlo notare. Lui si risiedette e versò una dose abbondante di alcol nel suo bicchiere, mentre nel mio due dita, poi con un sospiro pesante si poggiò allo schienale.
Decisi di spostare il discorso su qualcos’altro, dato che fortunatamente lo avevo distratto abbastanza da non fargli accorgere di aver evitato di rispondergli. “Che altro avete che possa interessarmi?” Chiesi portando avanti la mia farsa.
“Solo quello stupido diario.” Se solo avesse saputo davvero quante cose si potevano fare con quello stupido diario, credo si sarebbe rimangiato tutto alla svelta. “Eppure non vi capisco affatto… Volete oro? Fama? Potremmo pure rendervi la libertà se giuraste di combattere quando vi chiamiamo.” Affermò frustrato.
“Di ciò che mi avete offerto adesso vorrei solo la libertà, ma credo che questa me la possano garantire solo i Reali. E poi che direbbero gli altri pirati se accettassi qualcosa di vostro e poi tornassi da loro?”
“Eppure bevete il mio scotch.”
“Beccata.” Dissi sorridendo e sollevando il bicchiere.
Bevvi tutto il contenuto in pochi sorsi e lo posai accanto alla tazza di prima, e ciò bastò a mandarmi la gola in fiamme. Ma bastò un momento di attenzione in più nel poggiare il bicchiere e mi paralizzai alla vista dei fondi di thè. Feci l’indifferente per non farlo notare al capitano, ma la serpe stilizzata della vecchia alla locanda giaceva sul fondo della mia tazza.
A quel punto iniziai a tirare un sospiro dentro di me; in fondo era possibile che quel famoso aiutante sconosciuto della lima sotto il tavolino fosse lei. Però se ciò fosse stato vero non sarebbe stato altrettanto chiaro come faceva a sapere che ero lì. Tramite la magia? Possibile, ma come?
Dopo varie frasi sconnesse del comandante mezzo ubriaco, mi fu accordato il permesso di girare liberamente per la nave, e di portare avanti le contrattazioni direttamente con i Reali a Shaka.
Appena fui libera di uscire dalla cabina decisi di parlare di persona con Bellamy; avrebbe fatto male sentirlo, non potevo fare altrimenti; non volevo che lo sapesse da altri, ma non potevo nemmeno essere certa che la voce non fosse già girata tra l’equipaggio di Ark.
Quando finalmente raggiunsi le celle trovai due soldati davanti l’entrata. Per quanto potessero sapere della mia alleanza con Ark non mi avrebbero fatto entrare da sola lì, dovevo distrarli un po’. Alla fine entrai facilmente, non fecero troppo caso a me occupati dall’inseguire un topo che stava girando e graffiando alcune casse fragili con la polvere da sparo. Un’ottima illusione visiva e acustica.
Ben presto mi trovai a respirare muffa e umidità. Nonostante la penombra vedevo le sbarre illuminate da qualche raggio del sole che filtrava dal piano di sopra, tramite una grata. Dovetti avanzare per trovarlo in una cella differente dalla prima in cui eravamo entrambi. Era più piccola e non colpita dalla luce, ampia abbastanza da starci solo seduti. Lo volevano umiliare. Un moto di rabbia mi pervase, e non riuscii a non stringere i pugni fino a farmi male.
“Silver!” Dissi correndo verso di lui. “Cosa diavolo ti hanno fatto?” Aveva il viso coperto di lividi e sangue, una ferita aperta sul labbro e una al sopracciglio destro. Era conciato male e la sua pelle era congelata. “Dimmelo, ti prego.” Non ebbi il tempo di finire che lui iniziò a inveire da dietro le sbarre.
“Tu, che cosa hai fatto! Le guardie mi hanno pestato per due giorni. Scommettevano davanti ai miei occhi su quanto tempo ci avresti messo a tradirmi. In ogni caso ha vinto quello alto, nemmeno tre giorni.” Disse schifato e si girò dall’altro lato, anche se dolorante al fianco, eppure gli importava poco del dolore fisico se poteva far a meno di vedermi. La cosa peggiore che potevo fargli era quella che avevo fatto, e questo non lo avrebbe perdonato facilmente se non gli avessi svelato tutto e subito. Ma era ancora troppo presto.
“Non posso dirti perché l’ho fatto, ma non ti tradirò mai, credimi.”
“Come credi che possa concepire una cosa del genere? Lo hai appena fatto! Sei proprio come Kasim, una serpe in seno!” il suo tono avrebbe eguagliato le urle se avesse avuto abbastanza voce.
“No! Io… va bene, sto per fare una cosa stupida e incosciente, ma ti prego ascolta bene, apri le orecchie. Io, Sabriellen Jacklyn, ti giuro sul mio marchio che non farei mai niente che possa farti ferire, nemmeno indirettamente, perché io mi fido di te! Affinché tu possa fidarti di me… diamine!” Sospettai di essermi sbagliata sull’abituarmi al dolore quando iniziò a bruciare il braccio come se lo avessero posto sui carboni ardenti. “…Io te lo giuro, giuro sul mio essere Magica! Adesso mi credi?” Dissi tra una lacrima e l’altra, provocata dagli spasmi di dolore.
“Non riesco a credere che tu abbia fatto quello che hai appena fatto.” Disse rigirandosi appena verso di me.
“Non lo avrei fatto se non fossi stata certa che avresti capito, ma sono delusa esattamente come lo eri tu. Non ti fidi, e posso capirlo, ma in genere dovrebbero essere le persone comuni a non fidarsi dei pirati, non il contrario.” Lui sorrise debolmente, rendendosi conto che avevo ragione e, nonostante tutto, andava bene che non si fidasse di me, io non lo avrei fatto. “Abbiamo un alleato a bordo, non so ancora chi sia, ma non tenteremo di andare da nessuna parte mentre siamo in mare, chiaro?” dissi asciugandomi le gocce salate sul mio viso, singhiozzando appena.
“Ma…”
“Sto patendo le pene peggiori, niente ma, ok? Quando saremo a terra ti mostrerò la nobile arte della fuga.” Bellamy sbuffò, io risi, e le guardie si avvicinarono. Mi nascosi velocemente sotto un sacco di juta, aspettando che la situazione si risolvesse.
Uno dei due inizio a deridere Bellamy. “Ehi, non hai nulla che fare e inizi a parlare solo? Il tradimento scotta, non è vero? Sai che la strega ha deciso di accettare l’offerta di Ark? Ho vinto i dieci jyn scommettendo, e presto ti consegneremo alla corona prima di quanto pensi.” L’altro continuò.
“È ironico che il figlio di uno dei più grandi pirati, diffidenti della magia, finirà con un cappio al collo per essersi fidato troppo di una Magica.” Ed infine quello di prima riprese.
“Sai cos’altro è triste? Che non possiamo ucciderti, ma possiamo sempre giocare un altro po’ di tempo con te.” Mi coprii le orecchie mentre la cella veniva aperta e senza alcuno scrupolo il mio capitano veniva picchiato.
Ero impotente da lì sotto, ma potevo comunque difendere Bellamy senza che lo sapessero. Mi concentrai sulla sua persona come avevo fatto nel sogno due giorni prima, e continuai a cercare di immaginare come si dovesse sentire. A un tratto venni risucchiata nel suo corpo e per un periodo, limitato a qualche minuto, subii io il suo dolore, e giuro che se non fossi stata obbligata a nascondermi l’avrei fatta vedere loro.
Lui se ne accorse ma, nonostante sembrava restio a ciò che stavo facendo, non riuscii a farmi andare via, o forse non si impegnò nemmeno tanto nel farlo. Mentre mi concentravo sulla mia ancora, il polsino, e sul restare e proteggerlo, sentivo tutte le sue emozioni come la volta precedente e più calore avvolgermi. All’ennesimo colpo allo stomaco non mi rimase che cedere il controllo al legittimo proprietario, fortunatamente proprio quando le guardie se ne andarono. Qualche secondo dopo usci da sotto il tessuto di juta e raggiunsi il ragazzo.
“Non dovevi aiutarmi.” Disse duro.
“Sarebbe quello che avrei subito anche io se avessi tenuto conto del tuo piano folle il giorno in cui ci hanno issati sul ponte di questa maledetta nave. Lasciamo perdere in discorso, è meglio.” Sputacchiai sangue. Ero ricoperta di lividi, e mi sentivo davvero a pezzi, a stento stavo in piedi. E questo lui lo notò.
Improvvisamente da sopra si sentii gente correre velocemente, rumori di armi che venivano caricate e ordini gridati a destra e manca. Nemmeno il tempo di riprendersi che già c’era un’altra cosa da affrontare, pensai. “Io vado adesso, ma non osare pensare di fare qualcosa di stupido.” Dissi indicandolo con il dito, poi presi a correre verso il ponte.
Non ebbi modo di attraversare due corridoi che qualcuno mi spintonò e un altro fece quasi finta di non vedermi nemmeno, tanto che finii con il sedere per terra. Mi rialzai in fretta e salii le scale, poi vidi Ark fare avanti e indietro dal ponte come un diavolo in pena.
“Torrez, sali immediatamente su quella dannata vedetta e trovami un posto accanto alla costa dove nasconderci! Bartèz, sto ancora aspettando il cannocchiale! Flitch devi virare verso Nord-Est, adesso!” Dopo poco si accorse di me e con una camminata veloce mi raggiunse. “Jacklyn, hai accettato il patto. Renditi utile e fai muovere questa nave più velocemente. Dei pirati ci inseguono da Sud.”
Quando Kasim si presentò con il cannocchiale non gli diedi nemmeno il tempo di passarlo al capitano, glielo tolsi dalle mani e lo aprii, iniziando a scrutare l’orizzonte, solo per vedere che quelli alle nostre spalle erano Barrow e la sua ciurma.
“So chi sono, in realtà non aspettano altro che rapirmi, potrebbero approfittare di una bonaccia e sbarrarci l’uscita. Ark, fai scendere tutti sotto coperta, tutti tranne il timoniere, la vedetta, le guardie armate e noi due. Prepara i cannoni, meglio affrontarli ora.”
L’uomo mi guardò come se avessi detto le parole più insensate del mondo. “Ragazza, hai visto questa nave? Non sappiamo nemmeno quanti cannoni abbiano loro!” Se mi credeva una stupida si sbagliava di grosso.
“Otto, per lato, carichi e pronti al fuoco, è una nave abbastanza veloce ma con il mio aiuto possiamo fare di meglio che colpirla direttamente, posso curvare i colpi dei nostri cannoni e prendere parti importanti.” Sorrisi sfacciata, “Inoltre abbiamo più armi da fuoco di loro e conosciamo le loro tecniche.” Con un viso angelico mi voltai ancora sorridendo verso Kasim, che era rimasto a sentire l’intera discussione.
Il capitano capii cosa intendevo e prese pure lui a fissarlo. “Tu ci suggerirai, chiaro?” Quest’ultimo iniziò a sentirsi in trappola e spaurito accettò. “Allora è deciso, invertire la rotta, gli andiamo in contro! Tutti sotto coperta tranne quelli armati. Veloci, veloci!” Una ventina di uomini iniziarono a correre, chi da una parte e chi dall’altra, e una decina di questi scesero per caricare i cannoni.
“Io vado con loro, così dirigerò i colpi, voi sparate.” Prima che potessi iniziare a scendere il capitano mi tirò al volo la sua spilla, e mi disse che avrebbero potuto non ascoltarmi senza la prova che ero autorizzata. Dopo mezzo minuto di preparazioni ricordai che Bellamy si trovava nella stiva, così appuntandomi la spilla di Ark mandai un uomo a recuperarlo prima che iniziasse l’attacco, c’era pochissimo tempo ancora, ma c’era.
Bene, era tempo di vendetta.
Mi legai mentalmente alla mia ancora, e poi al tre iniziarono i colpi, e solo allora mi accorsi che sarei potuta impazzire nel sentirli ogni giorno, con tutte le urla e gli spari. La nave su cui stavamo era più bassa della Baltharen, perciò sarebbe stato facile affondare la stiva nemica riducendola a un colabrodo. Sopra di noi i boati echeggiavano e pezzi di legno cadevano alla prima raffica ricevuta.
Direzionai la mira dei cannoni su poppa e prua. Al secondo colpo invece verso il centro della loro nave, poi mi concentrai sul vento per spostarci velocemente, ma la seconda raffica ci colpì comunque. Stavolta era il nostro ponte a essere stato colpito, due finirono a terra, un uomo volò con la palla di cannone sfondando la nave dall’altro lato. Morto nel migliore dei casi, nel peggiore la caduta in acqua con le costole rotte lo avrebbe fatto affogare lentamente.
Se volevano la guerra, l’avrebbero avuta. “Caricate e sparate. Adesso.”
“Siamo fuori raggio di tiro ragazzina, sprecheremmo solamente munizioni.”
“Non è una richiesta da parte di una ragazzina, ma da vostra prossima comandante in quanto strega nobile. Adesso caricate quei dannati cannoni, a meno che non vogliate morire.” Nonostante la mia non fosse una minaccia nei loro confronti, tutti iniziarono a caricare, dopo vari secondi diedi il via al fuoco e curvai la traiettoria di tiro mentre le palle volavano. Finirono per colpire l’intera poppa della Baltharen.
Un urlo di esultanza si levò dagli uomini sotto coperta, mentre quel capolavoro ligneo iniziava a somigliare più a un rottame che a una perla del mare. Passò giusto il tempo di fare inversione e affiancarla, poi mandammo la quarta raffica di colpi, mentre vedevo le assi e i rampini dal ponte invadere e saccheggiare la Baltharen.
In un secondo di euforia generale nessuno si accorse che il prigioniero era stato fatto salire lì. Così approfittai del mio momento di gloria e di rispetto. “Porta Bellamy Silver nella mia cabina, chiudilo a chiave e fatti accompagnare da quello lì accanto a te.” Dissi all’uomo che lo aveva liberato e a quello al suo fianco che stava caricando una nuova raffica. “Perquisitelo e chiudetelo a chiave.” Prima della quinta raffica si erano già arresi.
Mentre si festeggiava io ero intenta a salire sul ponte, dove l’aria era molto più tirata. Stavano scortando i superstiti della ciurma di Barrow nelle celle, mentre i due comandanti discutevano. Due uomini tenevano le mani e le spalle di Barrow, troppo alto e grosso per uno solo. Ark era in piedi di fronte a lui e non sembrava poi tanto intimorito della differenza d’altezza, tanto che gli puntò una balestra contro.
“Complimenti Ark, hai arruolato due disgraziati che è meglio perdere che trovare. Prima che tu decida di spararmi è importante che tu sappia un paio di cose, prima tra tutte che quei due traditori sono peggiori di quello che pensi, e la strega è l’ultima erede Jacklyn che dovrà presenziare al Consiglio, e sarà la vostra rovina. Te lo dico da vecchio amico, e non da pirata.”
“Questo lo sapevo, ma hai detto che hai altro da dire, parla.” Ark sembrava chiedere malvolentieri.
“Sei stato un pirata, ti sei pentito e adesso lavori per questo re e questa regina che reputi onorevoli. Ti dico che succederà a breve: ti daranno un biscottino quando porterai loro la strega e poi ti metteranno a cuccia. Sei solo il loro cane da caccia addomesticato, come lo è solo per adesso quella.” Disse accennando a me, e silenziosamente accettai quel ‘Solo per adesso’ senza sapere se esserne grata o meno. “Ora vorrei sapere una cosa io. Cosa si prova a rinnegare il codice per vivere onestamente? Perché hai rinnegato il tuo comandante?” Concluse quasi con la rabbia addosso.
“Ti ho rinnegato come comandante e come pirata perché non approvavo più i tuoi modi! Non bruci vive delle persone solo perché non accettano le tue condizioni.” Sussultai al concetto di incendio, ripensando ai miei. “Il codice l’ho sempre trovato inutile, alcune cose non dovrebbero nemmeno esistere, come la ripartizione celebrata da duecento ottantatré anni di fila. Che senso ha mandare una scialuppa in pieno mare infinito riempiendola d’oro per un Dio che non esiste?”
“Kethani esiste, Ark. È stato predetto dagli Armati, verrà in mezzo a noi con tutta la sua maestosità, forza e benevolenza per combattere l’insulto dei reali. Uomini che pretendono poteri divini, quando solo la magia, suo dono, dà poteri a pochi prescelti.”  Disse acido.
“Spero di non rincontrarti, in alcuna vita, sarebbe disonorevole.” Urlò Ark con risentimento. E da quel momento si sentirono solo le onde che si infrangevano sui relitti della Baltharen, mentre gli uccelli volavano intorno ai corpi galleggianti sulle assi della ormai distrutta nave.
Si sentì solo uno spiffero di freccia da lontano, poi il silenzio, anche sottocoperta, dove nessuno parlò più. Era così terribile il caos che generava la morte, un caos inumano; era un rumore sordo che si disperdeva sempre più, lasciando dietro di sé un qualcosa di innaturale.
Un silenzio quasi eterno.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13

Il giorno dopo al tramonto arrivammo a Windlake, una delle cittadelle più popolate della costa, più a Nord rispetto a Ember e sempre più vicina alla capitale: Shaka.
Sembrava che non fosse successo nulla il giorno prima, nessun morto e niente sangue sul ponte, mi chiesi chi ripulì l’orrore dell’esecuzione. Non ero scossa per la morte di Barrow, ma era davvero surreale che qualcuno uccidesse a sangue freddo e senza pentimento un altro essere. Era l’azione in se che mi terrorizzava.
Se Ark era capace di ammazzare con una freccia il suo più caro amico e al contempo il suo più acerrimo nemico, cos’altro avrebbe potuto fare alla mia famiglia, che non conosceva nemmeno? Fortunatamente avevo coperto abbastanza bene i rimasugli dei miei affetti, ma sapevo che arrivata a Shaka sarebbe stata solo una questione di tempo prima che fossi scoperta.
Pure la corona aveva le sue cose da sbrigare; nonostante avesse un carico da consegnare –me-, la priorità passava ad altro che non mi era dato sapere. Io e Kasim eravamo stati lasciati liberi di scendere dall’attracco di Windlake se accompagnati. Per quanto la città fosse piccola non era poi così difficile sparire, e perciò tentare la fuga considerate tutte le torrette di controllo. Di quella città si raccontavano storie raccapriccianti, come il fatto che il destino di un uomo era di facile decisione: o veniva venduto come schiavo, o arruolato.
Eppure qualcosa mi sfuggiva, ci avevano dato troppa libertà, ma in quel momento non ci pensai e iniziai a girovagare fino a quando non si fece abbastanza buio da adocchiare qualcuno e derubarlo. Non lo facevo da mesi ma non sarei riuscita ad andare avanti a thè ancora per molto.
Nonostante ormai fossi loro alleata i comandanti sottoposti ai reali non vedevano differenza tra me e uno qualsiasi dei pregiudicati nelle celle, e questo comportava lo scarseggiare del cibo. Ogni tanto qualche membro dell’equipaggio mi portava qualcosa da quando avevamo combattuto Balthazar, ma niente di più che un pezzo di carne e del pane raffermo.
Girando per le vie trovai qualcuno che faceva al caso mio: imbranato, confuso, forse ubriaco e abbastanza giovane per essere raggirato. Il malcapitato girava con un bicchiere in ceramica, il sacco portamonete che fuoriusciva dalla tasca e barcollava. Taglio di capelli da rifare totalmente e camicia abbastanza rovinata.
Veniva dalla mia parte, così spintonai per purissimo sbaglio il ragazzo che mi faceva da guardia contro di lui; quando l’uomo cadde a terra io lo aiutai ad alzarsi, e con la scusa sostituii il suo sacco pieno di monete con il mio, sostanzialmente quasi vuoto.
“Stai attenta…” tentò di dire il mio graditissimo accompagnatore.
“Fammi il favore, non osare chiamarmi strega. Ho un nome, Sabriel, usalo.”
“Stavo per dire ladra. Ho visto questo trucchetto fin troppe volte.” L’uomo sorrise.
“Oh, che paura, scommetto che ora mi arresterai!” dissi con ironia.
“No, se dividi il bottino con me.”
“Wow, altro crimine, corruzione di soldato.” Dissi lanciando l’intero sacchetto alla guardia.
“Non chiamarmi soldato. Ho un nome, Quan, usalo.” Risi sfacciatamente, nessuno si era messo in un testa a testa con me, oltre i pirati. “Ok, sono ridicolo, comunque non mi importa niente delle monete, avrei comunque dovuto fermarlo per quanto era ubriaco.” Disse rilanciandomi il sacchetto, che afferrai e misi velocemente in tasca. Dopo qualche secondo sentimmo dei lamenti dal malcapitato, ancora dove lo avevamo lasciato. Evidentemente si era accorto della truffa.
“Corri, prima che avvisi qualcuno dei vostri!”
Ovviamente non pensai né mi preoccupai di aspettarlo e iniziai la mia sfacchinata fino a quasi l’esterno della città, quando mi fermai mi resi conto di averlo praticamente lasciato indietro. Comparì una decina di secondi dopo con il fiatone, mettendosi le mani sulle ginocchia e piegandosi in avanti per riprendere fiato.
“Sai, vero, che non c’è bisogno che io corra per seminare i miei compagni? In ogni caso vedi di comprare alla svelta quello che ti serve, odierei dover spiegare perché abbiamo la refurtiva in mano.” Non potei fare a meno di guardarlo con uno sguardo tra il colpito e il confuso.
“Spiegami bene… non devi rendere conto a nessuno se tu rubi, ma vuoi fare scomparire il denaro se lo ho io?”
“Purtroppo non sei ben vista. Oltre a essere strega, magica e voltagabbana, ti manca la qualifica di ladra.”
“Ci sono nata con quella.” Sorvolai sul voltagabbana, in fondo non lo ero davvero.
Bastarono poche parole per rimandarmi con la mente a un giorno in particolare dove ero appena dodicenne e mi avevano beccata perché il mio complice non era stato abbastanza furtivo.
Un ragazzo poco più grande ed Elettra vennero in mio soccorso distraendo le due guardie, ci rimisi sei pietre d’onice nella fuga, ma un paio ero riuscita a recuperarle. Solo in quel momento riconobbi il volto cresciuto di Demien in quel ragazzino coraggioso. Era passato così tanto tempo e solo allora lo ricordavo, in un flash di consapevolezza. Che strana la vita. Avrei chiarito pure con lui al momento opportuno, dopotutto era il mio impaziente maestro.
Trascorsi l’ultima mezz’ora d’aria a comprare cibo più decente al piccolo mercato della città. Era un luogo molto frenetico con un sacco di teli azzurri e blu, i più ricchi mercanti avevano anche quelli rossi, o meglio color porpora. Su quelle bancarelle c’era talmente tanta roba da poter vestire, sfamare e armare un esercito, ma non era ancora tempo di guerra aperta, infatti si vedevano ancora passare uomini e donne con figli, anche davanti alle guardie arruolanti.
Mi avvicinai a una delle poche bancarelle rimaste nella mia strada, consapevole che non rimaneva molto tempo per imbarcarci di nuovo, ma fui colpita da una piccola ampolla di vetro verde, tappata con un fazzoletto bianco. All’interno sembrava esserci una sostanza simile alla polvere, ma non capivo perché vendere una cosa del genere.
“Attenta, donna stolta, quella che tieni in mano è una delle cose più preziose che ho! Mettila giù!” un uomo con il capo coperto da una sciarpa mi costrinse a posare la boccetta.
“Che cosa c’è dentro?”
“Si dice che la curiosità uccise il gatto.” Capita l’antifona gli feci dondolare il sacchetto di monete davanti. “Va bene, è polvere rituale dell’albero sacro, il Kethani. L’ho ottenuta da dei rami caduti dall’albero, si dice che simboleggino le persone morte o quelle che perdono la fede.” A quelle parole fissai la boccetta come attratta da qualcosa di proibito. Era la seconda volta che il Dio veniva nominato nel giro di due giorni, speravo che almeno stavolta finisse meglio delle precedenti.
Il culto di Kethani era sacro ed era la religione più diffusa nel vecchio impero. Con la Ripartizione tutto cambiò, le persone si divisero e quel credo antico come il mondo rimase vivo solo in alcuni regni a Est, oltre che nella pirateria.
A Ephilia, dove il potere fu affidato al popolo, dove i regnanti non comandavano realmente, ma erano state affidate loro le leggi da votare.
Subito sotto a Neblos, da noi il regno non era ereditato, ma veniva affidato all’uomo che era votato maggiormente, e solo alla sua morte c’era la votazione successiva (anche se a volte veniva eletto un suo figlio, perché il re aveva regnato bene).
Oltre il confine a Sud c’era Fleoria, l’ultima regione praticante del culto Kethani. Era una terra molto rigogliosa, dove l’Estate non sembrava mai finire e le foglie degli alberi non divenivano mai gialle. O almeno, questo era ciò che si diceva di quella terra fantastica. Lì veniva eletto un sacerdote all‘anno tra i nobili, che avrebbe dovuto passare delle prove religiose per entrare in carica.
Chi aveva visto di persona Kethani ripeteva quanto fosse grande la sua maestosità e come non esistesse albero simile a quello in tutto il mondo. Gli erano attribuiti poteri miracolosi, per tale motivo era sempre tenuto a vista dai sacerdoti della Divinità. Chissà cosa aveva fatto quel mercante per riuscire nel furto di quei rami, insignificanti per i miscredenti.
“Può far spostare chi la usa con il pensiero, o sbaglio?”
“No donna, non sbagli affatto. La morte e la fede indicano uno spostamento talmente duro e difficile che, se ci si crede fervidamente, la polvere di una boccetta può far percorrere a una sola persona la distanza tra qui e Dragonside in meno di un giorno in stato di veglia.”
Quan, incuriosito, mi si era affiancato e aveva convinto l’uomo, con un giro di parole immenso, affinché ci consegnasse le boccette che aveva. Saranno utili alla corona, diceva. Sì, certo, come no. Alla fine venne accanto a me e sollevò la manica della camicia, come per intimorirlo.
Non che non fossi contenta di avere quella benedetta e divina rarità tra le mani, ma non volevo essere riconosciuta per minacce, estorsioni e guerre, per il mio marchio, che per altro non avevo nemmeno richiesto.
Ce ne andammo con tre ampolline piene e coperte dai fazzoletti per evitare l’umidità, ma durante il ritorno non spiccicai una parola, quasi innervosita da quel clima di sfruttamento che aveva avvolto non solo quella serata, ma anche tutta la mia infanzia. Ero cresciuta sempre con il detto che chi ruba a un ladro avrebbe avuto le sue stesse colpe, ma iniziavo a capire che c’era chi lo faceva per piacere e non per esigenza, e quelle persone non erano di certo giustificate.
In generale, pesavo che rubare non fosse giusto, ma da piccola la vita mi aveva rubato padre, madre e zio, inoltre la corona aveva rubato le case che avevamo io e zia Harriet, oltre la possibilità di una vita serena. Aspetto di sentirmi dire che in tutto questo rubare c’è del giusto o dello sbagliato, ma finora nessuno l’ha mai detto.
Nessuno può giudicare oltre la vera Divinità.
Quasi non ci feci caso al passare del tempo che eravamo già ritornati. Adesso si vedeva bene il nome sulla fiancata, Duruche, in uno stile impeccabile. La prima occasione di vedere quel capolavoro di scritta l’avevo persa, ero troppo affaticata per tenere anche solo lo sguardo aperto, e per di più venivo tirata su da una fune legata al mio stomaco.
Potevo comunque dire che il nome rispecchiava perfettamente il capitano: nella lingua fleoriana significava senza anima. Dovevo ancora capire come risultasse facile a certe persone uccidere. Ero abbastanza intimorita da quell’omicidio, ma non era la prima esecuzione a cui assistevo; probabilmente era perché tutti si comportavano come se la cosa più grave accaduta lo scorso giorno fosse stata la rottura di un piatto a terra.
Nonostante tutto avevo preoccupazioni maggiori, e non mi sembrava quasi vero che mancavano solo tre giorni e sarei ritornata alla mia città, con quella mastodontica nave ormeggiata al porto. Con Bellamy e l’equipaggio della Savior era stato molto più lungo il viaggio, dato che quasi ogni giorno dovevamo fermarci in qualche villaggio per poi ripartire solo dopo il tramonto o all’alba.
Era una vera e propria seccatura, provate voi a stare con un tipo come Demien che non fa altro che ripetervi quanti guai creiate nello scaricare le merci o nel non aggiornare l’inventario fino all’ultima spilla… eppure era la prima volta che riflettevo sul tempo passato sulla Savior, e mi resi conto che avevo lasciato non solo la nave e la ciurma, ma anche tutti i miei unici rimasugli di famiglia.
Kasim aveva lasciato a bordo il disegno di mia madre e le mie armi. Non mi ero potuta portare nulla tranne il polsino del capitano e la collana con la chiave argentata regalatami dai miei genitori.
A proposito di chiavi, feci appena in tempo a girare la mia nella toppa della cabina, che venni presa a colpi di qualcosa di morbido, diverse volte, prima di capire che Bellamy non aveva notato che ero solo io, smettendo di fare una tentata aggressione –se così si vuol chiamare- con tanto di fuga. “Per tutto l’oro del mondo, sei tu!” esclamò a voce alta, così gli tappai la bocca con una mano e con l’altra chiusi la porta alle mie spalle, poi iniziai a strillare a bassa voce.
“Dannazione, certo che sono io! Togli le mani dal mio cuscino e vedi di fare meno casino. Sei un pirata e hai il passo di un elefante, in quale mondo possono coesistere cose così?”
“Nel nostro, adesso mi dici che diamine è successo? E perché sono chiuso qui dentro da un giorno intero?”
“Abbiamo affrontato Barrow e la Baltharen.”
“Vorrai dire hanno.” Alzai gli occhi al cielo per la precisazione, si vedeva che lo infastidiva che mi ricollegassi, anche per sbaglio, alla Compagnia delle Terre Occidentali. Qualche secondo dopo riprese. “Com’è andata?”
“Abbiam… hanno vinto, e Ark ha ucciso Barrow. Hanno ripulito il ponte durante la notte, mentre sistemavo i danni alla Duruche.” Bellamy non disse nulla, aveva capito da sé. Probabilmente era felice di non dover competere più per il commercio, ma conoscendolo pensava che non fosse moralmente giusto pensare che la morte di qualcuno potesse giovare a qualcun altro.
“Fammi uscire di qui, non passano per i pasti e non posso darmi nemmeno una ripulita. Per lo più se mi vedessero, ammazzerebbero anche me.” Disse disperato.
“Ho avuto un’idea che potrebbe funzionare, ma non credo ti piacerà.” Affermai quasi ridendo per la mia genialità.
La sua faccia sembrava inorridire sempre più mentre spiegavo accuratamente il mio piano e quello di cui avevo bisogno. La sua espressione sembrava vacillare tra l’indignato e il preoccupato, eppure non disse una sola parola per controbattere fino a quando non terminai, era la migliore idea che avessimo. “Tutto chiaro?”
“Non funzionerà mai, è pura immaginazione, e poi che dovrei fare? No no, non se ne parla nemmeno, Briel.” Sorvolai sul gesticolare frenetico e l’avanti e indietro per la stanza, sorvolai pure sul soprannome per quella volta.
“Davvero? Perché sai bene che potrei farlo comunque e non avresti scelta se non assecondarmi nelle mie follie.” Un sorriso diabolico si allargò sul mio volto.
“Non oseresti.” Disse fermandosi davanti a me. Peccato che la sua altezza non mi spaventasse più come prima.
“Oh sì, invece.” Un sorriso ancora più maligno si allargò sul mio volto. Bellamy cedette e mi fece girare per cambiarsi i vestiti, che molto affettuosamente mi tirò addosso mentre sghignazzavo. Posso dire che provai non poca soddisfazione nel vederlo pochi minuti opo conciato in quel modo, bello e pronto per andare da Ark.
Feci tutto secondo copione. Andai sul ponte appena potei e chiesi a Quan di controllare delle cose prima di salpare, per farlo allontanare. Rimasi lì per vari minuti, in modo che mi notassero sul ponte prima della partenza, e poi andai velocemente nella mia cabina dove gustai il mio costoso pollo arrosto con il mio capitano.
In realtà il capitano non era più un capitano, la cabina era quella di un nemico, e perfino il pollo era stato comprato con soldi non miei. Appunto, suonava quasi come se avessi realmente qualcosa di mio lì.
Un’ora dopo aver salpato, ed essermi assicurata che nessuno avrebbe replicato con il fare marcia indietro, uscii dalla cabina con Bellamy, quasi trascinandolo, pronta per mettere in pratica un metodo già collaudato con Kasim. Pregavo che Ark fosse abbastanza clemente da lasciarlo sulla nave e non buttarlo fuori bordo.
Il ragazzone era terrorizzato dall’idea che fossi incapace di mantenere l’incantesimo che avevo lanciato poco prima, e ogni volta che una guardia o uno dell’equipaggio ci si affiancava lui finiva per stritolarmi il polso dal nervoso, come se potesse influire sull’efficacia della mia illusione su di lui.
Salimmo di tre ponti e bussammo alla cabina privata di Ark, che ci aprì, abbastanza sorpreso di trovarsi davanti me ed un ragazzo di massimo diciassette anni. Grazie ad un ottimo trucco di base e qualche capo rubato dalla stiva, Bellamy sembrava davvero ringiovanito.
Avevo cambiato il colore dei suoi occhi da grigio a celeste chiarissimo, inoltre avevo fatto sembrare il viso meno spigoloso e contornato da più capelli, addolcendolo, ed infine le labbra erano più sottili nell’illusione. L’unico cambiamento che sarebbe avvenuto realmente era quello dei capelli, in parte perché non sapevo come tagliarli, in parte perché dopo averli fatti crescere con la magia mi piacevano di più del suo classico taglio corto.
“Mi aspetto di sapere come mai un brufoloso, incapace, poppante sia sulla mia nave, entro ieri, Jacklyn.” Disse Ark tentando di mantenere la calma.
“Sarò pure vostra alleata, ma non riesco a fare tutto da sola, e da qualcuno dovrò pure iniziare ad addestrare. Lui si chiama Belis, ha assistito alla morte della mia famiglia, dopo la tragedia mi è rimasto accanto, e poi è un mago. Sapevo che si era trasferito qui così, se per Lei va bene, mi farà da assistente.” Dissi tirando su una manica mostrando un marchio finto, fatto con un po’ di grasso e sistemato alla meglio con un’altra illusione.
Sempre con un’espressione tirata ci fece entrare e accomodare a un tavolo, meno prestigioso di quello nella stanza dove lo avevo sempre incontrato, ma funzionale. “Dammi un motivo per non buttarlo fuori bordo.”
“Gliene ho dato…”
“Uno valido, Jacklyn.” Disse acido. “E desidero sapere quando l’hai fatto salire, giusto per capire quali incapaci dovrò punire.” Fui felice di aver preso tutte le possibili precauzioni per crearmi un alibi.
“Circa un’ora e mezzo fa, è salito prima di salpare e l’ho condotto nella mia cabina mentre Quan, la mia guardia, era scesa nella stiva... di sicuro mi hanno vista sul ponte.” Ark diede un pugno di frustrazione sul tavolo. “Giurerà sul suo marchio, e se la corona non si ostinasse a cacciare i Magici saprebbe certamente che siamo vincolati ai giuramenti sul nostro marchio.”
“Tu come hai scoperto quest’affascinante fatto?” Chiese curioso Ark.
“Ha preso a fare molto male, urlavo più di una madre al parto del primo figlio.” Dissi sviando la domanda, che puntava ovviamente a sapere cosa avessi promesso. L’uomo soppesò per molto l’offerta, continuando a fare domande su domande, finché non sembrò farsi convinto dell’utilità di un’assistente. “Allora abbiamo un accordo, Jacklyn?”
“Certamente, resterà a bordo facendo tutto ciò che riterrò necessario, sempre in modo da rispettare la nostra alleanza.” Diedi una gomitata a quello che in realtà era Bellamy. “Giuralo, dai.”
“Lo giuro.” Subito dopo simulò un dolore allucinante, ma non sembrava abbastanza convincente, così feci inavvertitamente alzare le sue urla di un’ottava.
Ero fortemente convinta che una volta finita tutta questa sceneggiata me l’avrebbe fatta pagare, ma la scena era stata davvero memorabile.




 

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