Di entrate in punta di piedi e uscite rumorose.

di TwistedDreamer
(/viewuser.php?uid=373934)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Attenzione: questa storia è puramente frutto della mia fantasia, i protagonisti non hanno mai fatto quello che io racconto, non intendo nuocere loro in alcun modo (nè essere bannata dai loro concerti, quindi, Brian e Matt, se siete capitati qui per sbaglio, USCITE SUBITO). 


Prologo.

Lo chiamo. Ora prendo il telefono e faccio il numero.
No, non lo chiamo, magari mi chiama lui. Magari gli manco e decide che vale la pena chiamarmi.
No, quello è un testardo patologico, non si piegherà.
Ma posso farlo piegare io. Quindi lo chiamo.
No, non risponderebbe.
No, ora vado alla sua porta e busso finché non mi apre, anche solo per mandarmi a 'fanculo.
È inutile anche andare, non sarà a casa. Figurati se è rimasto così a portata di mano. Come minimo se ne sarà andato a Parigi, o in India. O su Marte... Potrei chiedere al portiere se l’ha visto...
Mi manca.
Lo voglio.
Avrà incontrato qualcun altro. O qualcun'altra.
No, non è possibile, ci siamo visti l'ultima volta due giorni fa.
Che cavolo, Brian. Stava andando tutto bene.
Ok, non eravamo una coppia nel vero senso della parola, ma a un certo punto avremmo anche potuto diventarlo, se tu non fossi così dannatamente cocciuto.
Anche se forse una relazione con Brian Molko è una delle cose che nella vita vanno evitate.
Il sesso no, quello va provato. E riprovato. Non si può morire prima di aver fatto sesso con Brian Molko.
Però una relazione… non credo che avrei saputo reggerla. Non credo che avrei saputo reggere lui.
È testardo, maniaco, stronzo, dittatore, cattivo, possessivo, vendicativo, freddo, bugiardo.
Saremmo stati di sicuro una pessima coppia.
Sarebbe finita male.
No, non è vero.
Saremmo stati una coppia bellissima.
Quando fa cadere la maschera che ama mostrare al mondo è la persona migliore del mondo, basta vederlo quand'è con Cody. E non è freddo. Uno che ti fa mancare un battito con uno sguardo è tutto meno che freddo.
E non è neanche cattivo.
È possessivo, ma mi piace quando lo è con me.
No, basta ora lo chiamo.
Rispondi, Brian, rispondi.
Rispondi, cazzo.
Di nuovo la segreteria, riattacco.





NOTE SULLA COMPOSIZIONE DELLA STORIA CHE POTETE ANCHE SALTARE A PIE' PARI :
Probabilmente non interessa a nessuno, ma ho cominciato a scrivere questa storia nel 2013. Sono andata avanti a spizzichi e mozzichi, un po' per vari impegni, un po' perchè ogni tanto mi arenavo, poi ci si è messo il destino che mi ha fatto bloccare il pc durante un capitolo venuto particolarmente bene, che non sono più riuscita a scrivere come avevo fatto e mi ha fatto abbandonare la storia per mesi. Poi l'ho ripresa e ci ho aggiunto una linea temporale, poi ne ho aggiunta un'altra, insomma... è un casino. Alla fine, sono riuscita a portarla a termine nell'agosto 2015 e in questi (quasi) due anni mi sono sbattuta qua e là per trovarle un titolo. Non che io sia pienamente soddisfatta di quello che le ho dato ora, ma comunque è meglio di "Untitled" che le avrei dato per disperazione. 
Insomma, ci ho messo così tanto tempo a postarla, che ora il Mollamy sembra essere andato alla deriva. C'è qualcuno che lo legge ancora? Se sì, spero vi piaccia (e spero che qualcuno batta un colpo!).

Questa storia è dedicata a MySkyBlue182, che ringrazio per l'ispirazione, i consigli, il supporto e per l'aver trasformato la nostra chat di whatsapp nel mio block notes personale.
Ulteriori ringraziamenti a Enny_in_Wonderwall per avermi aiutata col titolo e per aver betato con pignoleria <3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


 

Nota preliminare: se non ci capite niente con i tempi, alla fine del capitolo troverete una legenda, che se non vi interessa potete saltare.


Capitolo 1

Nel buio assoluto della sua camera da letto, una luce intermittente e fastidiosa martella nel cervello di Brian Molko, attraversando le sue palpebre chiuse. Lui infila la testa sotto il cuscino per cercare di ignorarla, godendo dei centimetri freschi di lenzuolo che ha appena scoperto, ma quel dannato led del cellulare continua a lampeggiare nella sua mente. Dopo appena un minuto, con un ringhio frustrato, maledicendo se stesso e la propria curiosità, allunga un braccio alla cieca, lasciandolo vagare sul comodino finché non incontra la superficie liscia e fredda del telefono. Se lo trascina sotto il cuscino e dà un'occhiata allo schermo.
Stefan gli chiede di richiamarlo e ha due messaggi vocali in segreteria.
Non ha voglia di ascoltarli, ne conosce già il mittente e il contenuto. Lancia un'occhiata alle tende spesse, tirate davanti alla finestra, poi, con un sospiro stanco, si alza e le scosta.
L'accecante luce di un mezzogiorno estivo lo colpisce in pieno volto, costringendolo a strizzare le palpebre per abituare gli occhi gradualmente. Davanti a lui si dipana l'immagine di una Parigi frenetica, inondata di lavoratori e di turisti. Sposta lo sguardo dalle piramidi del Louvre al Jardin des Tuileries, quindi prosegue per osservare in lontananza gli Champs-Élysées e fa un respiro profondo, riempiendo i polmoni dell'aria fresca del condizionatore acceso.
Uno dei vantaggi di un conto in banca stratosferico, pensa, è quello di avere un po' di case sparse per il mondo e, di conseguenza, quello di avere tanti posti in cui rifugiarsi quando la sua casa principale non è più frequentabile. Certo, dovrà tornare a Londra, prima o poi, ma per il momento preferisce cullarsi nella sensazione di pace e calore che Parigi gli dà. Richiude la tenda e si lancia di nuovo sul letto. Non appena la temperatura all'esterno diventerà più tollerabile, uscirà; farà una lunga passeggiata, mangerà un pacchetto intero di macarons e poi cercherà qualche mostra interessante da visitare. Al momento, però, il pensiero di uscire da quell'oasi fresca che ha creato - mettendo a repentaglio le sue corde vocali e non curandosene minimamente ‐ lo scoraggia enormemente. Il caldo estivo di una città continentale e metropolitana non è qualcosa che si affronta, a meno che non vi si sia proprio costretti, e lui è in vacanza. Da solo.
Nessuno può costringerlo a fare alcunché.
 
***
 
Dominic Howard dà un lungo tiro alla sua sigaretta, poi si pizzica la fronte.
«Fammi capire, Brian Molko?»
«Sì, Dom, ma…»
«Quel Brian Molko? Il cantante dei Placebo?»
«Dom…»
«Quello che appena siamo diventati più famosi di lui ha cominciato a sparlare di noi con chiunque gli capitasse a tiro?»
«Sì, ma…»
«Quello che una volta a una festa si è avvicinato, ubriaco, e ti ha sputato nel cocktail dicendoti che magari la sua saliva magica ti avrebbe aiutato a smettere di strillare nel microfono?»
«Dom, non è questo il punto.»
«Come non è questo il punto? Vai con le donne da quando ti conosco, poi mi annunci di avere una pseudo relazione segreta e ora che cerco di capire perché sei a pezzi mi riveli che Brian Molko, la versione più vicina a un bullo in gonnella che hai incontrato in età adulta, ti ha spezzato il cuore? Quale credi che sia il punto?»
«Ok, hai ragione. Comunque sono passati anni, siamo cresciuti, siamo cambiati e sinceramente avevo anche rimosso l'episodio dello sputo. Possiamo tornare all'argomento principale?»
Il batterista annuisce, socchiudendo gli occhi.
«Ok. Quindi Brian Molko ti ha spezzato il cuore.»
«Non mi ha spezzato il cuore, Dom. La smetti di trattarmi come se fossi tua nipote quindicenne che ha deciso di frequentare un teppista?»
«Va bene, va bene.» si arrende quello. «Allora magari mi racconti tutto dall'inizio?»
Matt sospira, sprofonda nel divano e comincia a raccontare.

*
 
Sei mesi prima.
20 gennaio.
Matt aprì il portone col piede a fatica e, attraverso la roba che spuntava dallo scatolone che portava in braccio, vide chiudersi in lontananza le porte dell'ascensore.
«Un attimo!!» gridò, dando una spallata alla porta e cominciando a correre.
Dalle due porte ormai quasi chiuse spuntò una mano che le fermò e le costrinse a separarsi di nuovo.
«Grazie.» ansimò, arrancando fino all'ascensore. Entrato nel piccolo abitacolo, abbassò lo scatolone che gli copriva la vista e per poco non lo lasciò cadere a terra.
«Molko!» esclamò «Che ci fai qui?»
Brian Molko gli stava davanti e lo fissava con un misto di alterigia e sorpresa.
Pigiò con noncuranza il pulsante numero sette, senza minimamente accennare a fargli la cortesia di chiedergli a che piano fosse diretto lui, e poi si rivolse a lui con tutta la flemma di cui era capace.
«Dovrei essere io a chiederlo a te, Bellamy. Questa è casa mia.»
«Ma dai!» esclamò quello in risposta «Ho appena comprato l'appartamento al quinto piano! Che coincidenza inaspettata!»
«Mh.» accennò l'altro, inespressivo. Matt ebbe un brivido e cominciò a percepire l'imbarazzo del trovarsi in un ambiente tanto piccolo con una persona che non intendeva contribuire alla conversazione. E quando Matthew Bellamy era imbarazzato, di solito diceva idiozie che lo imbarazzavano ancora di più.
«Allora se avrò bisogno di un po' di zucchero saprò a chi suonare.» tirò fuori con un sorriso a trentadue denti.
Ecco, appunto.
«Non ti azzardare. Ma chi ti conosce?» fu la sprezzante risposta.
Matt lo fissò attonito; l'imbarazzo aveva fatto un po' di posto allo sbigottimento.
«Te l'ha mai detto nessuno che fai paura?»
«Molte persone in realtà. Sono arrivato, buona permanenza.» annunciò con una formalità che sfiorava l'insulto, poi si dileguò.
Matthew rimase a guardare il punto dov'era sparito Brian, mentre inconsapevolmente rilassava le spalle e premeva il tasto numero cinque, assorto.
Il cantante dei Placebo aveva la fama di essere una persona terribile con la maggior parte degli esseri viventi e una persona meravigliosa con i pochi che gli andavano a genio. Evidentemente, lui non rientrava nella cerchia degli eletti. Non che avessero mai avuto tutte queste occasioni di incontrarsi, in passato, a parte il backstage di qualche festival e una premiazione di MTV che pesava come un macigno.
Ad ogni modo, mentre girava la chiave nella toppa del suo nuovo appartamento, Matt fu improvvisamente contento di aver scelto proprio quel palazzo. La sfida insita nel cercare di piacere a Brian Molko lo allettava.
Brian Molko lo allettava, a dirla tutta.

 
***
 
Brian ringrazia in francese la donna paffutella che gli porge il sacchetto pieno di dolci da sopra il bancone ed esce dalla piccola pasticceria, addentrandosi in un parco per cercare una panchina all'ombra su cui sedersi e divorare il contenuto ipercalorico dell'involto, che sta minacciando di farlo svenire col suo profumo. Proprio mentre addenta un dolcetto ripieno, sente la tasca vibrare. Controlla il nome sul display e poi, con un sospiro, risponde.
«Lo so, lo so. Avrei dovuto richiamarti, sono una persona orribile…»
«Brian.» lo interrompe una voce che fatica a contenere la collera «Dove cazzo sei?»
«Mmh…» fa quello, con una noncurante quanto finta ingenuità «al momento sono su una panchina parigina a gustare una cosa che avrà almeno mille calorie per ogni morso.»
«Parigi?» gli fa eco l'altro, strozzato.
«Stefan, so che ormai hai assunto questo ruolo, ma smetti per una volta di comportarti come se fossi mia madre.»
«Ok, allora mi comporto come un tuo collega di lavoro. Fra tre giorni si parte per il tour, fatti trovare pronto davanti al portone di casa alle 9 del mattino, non mi interessa altro.»
Il tono del bassista non lo preoccupa più di tanto: la rabbia di Stefan è sempre un fuoco di paglia e quella, nello specifico, è solo la maschera di tanta preoccupazione.
«Mi conosci, Stef. Sono nato pronto.» replica piatto.
«Sì, come no… ah, Brian?»
«Mmh?»
«Ovviamente intendo la tua casa di Londra, non quella di Calcutta.» e chiude la conversazione.

***
 
«Quindi è stato un colpo di fulmine?»
«No Dom. Non lo so. Non è che pensassi a lui in questi termini, in quel momento.»
«Mh, ne sei sicuro?»
«No.»
Il sorriso del batterista la dice lunga.
«Dom, continui a non cogliere il senso principale del racconto.»
«Scusa, scusa. Continua!» dice, alzando le braccia in segno di resa.

*
 
2 febbraio.
Mentre suonava il terzo giro di accordi, Matt si rese conto che qualcosa non quadrava. C'era un suono sbagliato che rovinava tutta l'armonia che aveva creato, ma non riusciva proprio a capire da dove provenisse.
Le dita erano nella posizione giusta. La chitarra era collegata bene.
Smise un attimo di suonare e improvvisamente tornò alla realtà. Tornò a vedere la stanza e i mobili intorno a sé e si rese conto che il suono che lo disturbava era quello del campanello.
Si sfilò con calma la tracolla di dosso e si diresse nell'ingresso per aprire la porta. Sulla soglia trovò davanti una delle Furie incarnata nel corpo di Brian Molko.
«Cosa. Cazzo. Credi. Di. Fare?!?!?»
Matt sgranò gli occhi shockato e accennò un: «Io?»
«Sì, tu, pezzo di deficiente. Sai che ore sono?» riprese l'altro spingendolo dentro con una manata in pieno petto.
«Ehm, saranno le dieci e mezza.» fece Matt guardando distrattamente l'orologio a muro.
«Sono le dieci e venticinque! Esattamente mezz'ora dopo che sono riuscito a convincere mio figlio ad andare a dormire, comincia a risuonare per il palazzo un rumore terribile di animali alieni agonizzanti e ho passato almeno dieci minuti a chiedermi chi potesse essere a produrlo, finché non mi sono ricordato che ti sei trasferito qui. Fai insonorizzare la stanza o tutta la dannata casa, ma non rompere l'anima agli altri! Non hai mai vissuto in un condominio?»
Matt lo guardò mortificato.
«Scusa, hai ragione. Non mi sono reso conto dell'orario e ancora non ho avuto il tempo di fare insonorizzare lo studio. Però sai com'è quando ti parte l'ispirazione,» fece con aria complice sperando che forse, tirando fuori un argomento comune, sarebbe riuscito a farlo scendere dal piedistallo «non potevo trattenermi, non capivo più niente. Succederà anche a te, immagino.»
Brian affilò lo sguardo.
«Anche se mi succedesse, saprei trattenermi, perché io, a differenza tua, ho un cervello funzionante!»
«Ehi!» fece Matt, quasi offeso, aggrottando le sopracciglia.
«Te lo meritavi. E ora smetti di produrre inquinamento acustico, mentre io vado a cercare di far riaddormentare mio figlio.» l'attacco non accennò a diminuire di intensità, anche mentre Brian si voltava e faceva per andar via.
«Se vuoi posso venire a suonargli una ninnananna, per farmi perdonare.»
Matt ricevette uno sguardo scandalizzato.
«Non se ne parla, Bellamy. La ninnananna gliela so suonare anch'io.»
«Al pianoforte no, però.» lo rimbeccò con un sorriso sornione.
«Mi basta una chitarra.»
«Dai, voglio farmi perdonare.»
«Ti farai perdonare evitando rumori molesti.»
«Ok, dai. Vorrà dire che vi inviterò a cena, una sera di queste.»
«Non contarci Bellamy. Addio.»
Matt, sghignazzando, lo guardò salire le scale.
«Quanto sei melodrammatico.» mormorò rientrando in casa e chiudendo la porta.
Andò a spegnere l'amplificatore sentendosi leggermente in colpa.

 
*
 
«Ti sei messo a suonare alle dieci di sera con gli amplificatori al massimo?»
Matt assume un'aria imbarazzata.
«Sì, Dom, che vuoi? Mi sentivo ispirato!»
«Lo sapevo che non sarebbe stata una buona idea per te, vivere in mezzo alla civiltà. Dovevi tenerti la tua casa in campagna nel mezzo del nulla inglese, con le galline, le pecore e tutto il resto.» Matt lo guarda risentito.
«Posso continuare o hai ancora osservazioni inutili da fare?»
«Vai. Continua. Anche se ho quasi paura di sapere dove ci porterà questo racconto…»
«Ci porterà a oggi, quando hai fatto irruzione in casa mia ordinandomi di raccontarti tutto "perché così non si può continuare".» conclude scimmiottandolo.

***
 
Il sole è ormai tramontato e il cielo si appresta a diventare completamente nero quando Brian rientra in casa. Sale fino al suo attico, si richiude la porta dietro le spalle e, ignorando completamente la cucina, ancora sazio di tutti i dolci ingurgitati durante il pomeriggio, si dirige in camera e si lascia cadere sul letto a braccia spalancate.
Quanto ama l'aria condizionata! Tutto il calore e l'umidità dell'esterno si annullano nel momento in cui entra in casa, perché, sì, lascia sempre il condizionatore acceso. Odia troppo il caldo per non riservarsi quel paradiso di freschezza e tenerlo sempre pronto.
Improvvisamente, nella sua testa compare l'immagine di un paio di occhi impossibilmente blu che lo guardano con aria di rimprovero e di una voce familiare che lo sgrida per tutti i danni all'ambiente che lui e quelli come lui procurano. Scuote la testa e decide di far cambiare rotta ai suoi pensieri, non tanto per mettere a tacere la coscienza quanto per la forma che quella coscienza aveva assunto.
Partire per il tour sarà sicuramente positivo, pensa. Tante cose da fare, zero tempo per pensare.
Tempo prima aveva concordato con Helena che Cody sarebbe partito con lui per quei due mesi in giro per l'Europa, ma poi non hanno mai definito i dettagli. Si ripropone di chiamarla il giorno dopo, preparandosi a una sfuriata esasperata per quella mancanza di preavviso e per il solito poco riguardo verso i programmi degli altri. Sospira, insofferente al solo pensiero. Se c'è una cosa bella dell'essere in tour, è la totale assenza di incombenze, a parte salire sul palco all'ora stabilita. La sua vita, i suoi pasti, le sue ore di sonno, persino la quantità di mutande pulite nella sua valigia sono completamente gestite da altri.
I tour estivi, poi, in giro per i festival europei, sono un grande raduno di amici e colleghi, di buona musica, di chiacchiere e risate. Dentro di lui comincia a farsi strada un certo entusiasmo al pensiero della gente che incontrerà, finché la realtà non lo colpisce in pieno: anche i Muse saranno in tour quest'estate. Tra gli amici e i colleghi che incontrerà, cercare di evitare Matt Bellamy sarà davvero molto difficile.



Legenda:
Come anticipato nelle note del prologo, questa storia è costruita su tre livelli temporali, che ora vi indicherò (perchè entrambe le persone che hanno letto in anteprima hanno trovato molto difficile capirci qualcosa, quindi spero con questo di rendervi tutto più facile):

1- linea temporale presente, in carattere Arial (questo che vedete qui), dal POV di Brian e con tempi al presente. Si svolge da giugno in poi.

2- flashback, in carattere Courier New in grassetto, caratterizzata da una data prima di ogni paragrafo compresa tra gennaio e maggio (se non c'è la data, è perchè prosegue il racconto dell'ultima data indicata), dal POV di Matt e dai tempi al passato

3- un'unica, lunga, scena, che percorre tutta la storia e che si svolge orientativamente a fine maggio/inizio giugno, costituita da un dialogo tra Matt e Dom in cui Matt racconta all'amico ciò che leggete nei paragrafi di flashback (che per questo sono visti dal suo POV). Anche questa è scritta con 
Courier New in grassetto.

Detto ciò, spero ci capiate qualcosa. Se avete problemi a raccapezzarvi, scrivetemi anche in privato o chiedete delucidazioni in una recensione oppure, male che vada, aspettate che io finisca di pubblicarla e leggete prima tutto ciò che è scritto in Courier New e poi tutto ciò che è scritto in Arial XD
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


 

Capitolo 2

Il palazzo rosso svetta alto tra i tetti londinesi. Brian si sofferma a guardare in alto più del dovuto. Al quinto piano le finestre sono aperte.
Sospira.
Infila la chiave nel portone ed entra nell'atrio, salutando distrattamente il portiere.
Chiama l'ascensore e prega di riuscire a percorrere indenne la piccola distanza che lo separa dal suo appartamento. Dalla salvezza.
Si dà mentalmente dell'idiota, perché neanche da adolescente, quando cercava di rientrare più tardi del dovuto senza farsi scoprire, si sentiva così ansioso.
L'ascensore sale, lento, mentre il suo respiro accelera impercettibilmente.
Primo piano.
Quella è ancora una zona neutra, terreno pacifico.
Secondo piano.
Il secondo piano è in attesa di essere affittato, quindi non può ancora costituire un problema. Brian fa un respiro profondo.
Terzo piano.
Si chiede distrattamente se Brix sia in casa, se sia a Londra. Hanno questa bizzarra tradizione della "cena di addio" prima di ogni tour dei Placebo, come se Brian stesse partendo per la guerra o qualcosa di simile.
Quarto piano.
Il battito accelera, l'aria non sembra abbastanza.
Vorrebbe poter scendere sotto la cabina e spingere l'ascensore per farlo accelerare.
Quinto piano.
Sali, sali, sali, sali. Non ti fermare, non ti fermare, non ti fermare.
Quanto cazzo sei lento.
Sali.
Più veloce, cazzo.
Sesto piano.
Il respiro comincia a regolarizzarsi, il cuore rallenta, l’espressione del volto si rilassa.
Settimo piano. Le porte si separano, rivelando un pianerottolo vuoto e in penombra.
Tenendo stretta in mano la chiave, Brian esce dalla cabina, trascinandosi dietro il trolley e, dopo aver disinserito l'allarme, sgattaiola in casa il più in fretta possibile.
Salvo.
Trasporta la valigia direttamente nella lavanderia e comincia a svuotarla e a buttare alla rinfusa vari capi di abbigliamento in lavatrice. Lancia un'occhiata critica ai vestiti che ha addosso e poi, scuotendo la testa, se li toglie e ficca in lavatrice anche quelli, prima di farla partire. Soddisfatto, si dirige in camera da letto, nudo e scalzo, con indosso solo un paio di boxer bianchi, e pesca una tuta dall'armadio, gettandola sul letto prima di indossarla, quando sente un rumore.
Dei piccoli tonfi.
Rizza le orecchie. I tonfi si ripetono.
Qualcuno sta bussando alla porta.
Il cuore accelera.
È lui.
Rimane paralizzato accanto al letto, indeciso. Altri tre colpetti.
Potrebbe essere Brix.
Si riscuote un attimo. È assurdo avere così tanta paura di una persona.
Di un ex.
Di un'ex s c o p a t a.
In ogni caso, Brian è dentro e Matt, ammesso che sia davvero lui, è fuori. E senza il suo benestare, non entrerà.
Ancora nudo, scalzo, si dirige verso l'ingresso, stando attento a non fare il più piccolo rumore.
Sente il parquet scricchiolare leggermente sotto i piedi, ma sa che da fuori sarebbe impossibile sentirlo. Si avvicina cautamente alla porta e si alza sulle punte per sbirciare dallo spioncino.
Il suo cuore manca un colpo e poi prende a battere così velocemente da stordirlo. È Matt, ovviamente. Ma il cuore ha accelerato solo per la sorpresa, non c’è altro motivo valido. Non prova niente per Matthew, se non la bruciante voglia di evitare un’ultima conversazione e, conseguentemente, di evitare lui.
Scende lentamente dalle punte e resta immobile a fissare la porta, sperando che Matt desista quanto prima. Non osa neanche respirare per paura di essere scoperto.
Altri tre colpi.
Nella penombra dell'ingresso, Brian cerca di imprimersi nella mente la trama delle venature del legno della porta, attento a non produrre il più piccolo rumore. Sente un fischio alle orecchie, i rumori esterni gli arrivano ovattati.
Non ce la fa più a trattenere il fiato, quindi cerca di respirare il più lentamente possibile per non farsi sentire, ma anche così l’ossigeno che arriva al cervello è troppo poco, gli manca l'aria.
«Lo so che ci sei.» sente mormorare da dietro la porta.
Trasalisce una volta di troppo.
«Brian?»
Brian esala tutta l'aria che aveva trattenuto.
«Brian, per favore. Possiamo parlare come persone civili?»
La battuta pungente è lì, su un piatto d'argento. Rispondergli che lui non è una persona civile e, quindi, non è in grado di intrattenere una conversazione sarebbe fin troppo facile. Ma una risposta del genere non avrebbe senso, se non quello di provocarlo una volta di troppo, e li porterebbe a una sequela infinita di botte e risposte che porterebbero a loro volta Brian ad aprire quella dannata porta. E lui non ne ha la minima intenzione.
«Lo so che sei là dietro.»
Ha un "Vai via, Matthew" sulla punta della lingua, che minaccia di uscire, ma i denti si serrano sul labbro inferiore, per impedirgli di articolare anche un piccolo suono.
«Sai che non potrai sfuggirmi per sempre, vero?»
***
 
«Entrate! Ciao cucciolo.» dice Brian, spalancando la porta per fare entrare Helena e Cody. Il bambino lo saluta distrattamente ed entra spedito in casa, trascinando in camera sua un piccolo trolley verde. La madre lo segue poco dietro con una valigia più grande e si avvicina a Brian per posargli un bacio sulla guancia.
«Ti va un tè freddo?» le chiede. Lei accetta con un sorriso e si dirige in cucina, dove si accomoda su uno degli sgabelli d'acciaio posti intorno alla penisola.
Brian si sta affaccendando a prendere i bicchieri, aprire il frigorifero, versare il tè, tutto in rigoroso silenzio, mentre sente gli occhi della sua ex perforargli la schiena da un punto imprecisato dietro di lui. Prima di servire le bibite, lancia uno sguardo allo schermo del cellulare: una chiamata persa e un messaggio. Cerca con tutte le sue forze di trattenersi dal leggerlo, ma poi cede.
“Lo so che c’eri, ieri sera. Potresti degnarti di rispondermi, per favore?”
Helena si schiarisce la voce.
«Allora, hai intenzione di dirmi perché la settimana scorsa sei sparito nel nulla?»
Brian finge di pensarci un po' su, mentre cancella il messaggio e posa il cellulare, poi si gira verso di lei con in mano i due bicchieri colmi di tè e, tirando fuori un gran sorriso, le risponde: «No!»
La donna prende la sua bibita e la sorseggia, pensierosa, mentre lui si accomoda di fronte a lei.
«Devo tirare a indovinare?»
Il sorriso di Brian si fa più largo e più tirato: «Preferirei di no.»
«Non ce n'è bisogno» sentenzia lei «Tanto lo so già. Hai mandato tutto a puttane, come al solito, e poi sei scappato…» posa il bicchiere e lo inchioda con lo sguardo, prima di concludere rassegnata «… come al solito.»
«Primo, non c'era niente da mandare a puttane; secondo, ti ricordi cosa significa "no", vero?»
«E tu ricordi che dei tuoi "no" non mi è mai importato niente?» chiede di rimando, con un sorriso sarcastico.
Brian ride brevemente e si appoggia allo schienale basso dello sgabello.
Sospira.
«Ho semplicemente evitato che la situazione si complicasse e poi sono andato a Parigi per evitare di incontrarlo.»
«E per non rischiare di cambiare idea…» aggiunge lei, con perspicacia.
È impossibile parlare con Helena.
«Va bene, hai finito di analizzare la mia situazione sentimentale e psicologica? Possiamo parlare di cose serie?»
Cody entra in cucina proprio in quel momento e si arrampica su uno sgabello libero, aiutato dal padre.
«Quando partiamo?» chiede, tutto allegro.
«Domani mattina.»
Gli occhi del bambino si illuminano. Ha sempre amato andare in tour con lui; dormire in un autobus che sembra una reggia è, per lui, la migliore delle avventure, e poi entrare a far parte così a fondo della vita del padre lo inorgoglisce moltissimo.
«Allora,» Helena riprende il discorso «partite domani, io vi raggiungo a Barcellona e resto con voi fino a Parigi.»
Brian riporta lo sguardo su di lei e annuisce.
«Sai che puoi rimanere anche di più, se vuoi.»
«Dieci giorni sono più che sufficienti.» gli risponde «E poi io non ho più l'età!» prosegue ridacchiando.
«Papi…» si intromette il bambino tirandogli un lembo della maglietta «Più tardi possiamo andare a salutare Matt?»
Brian sussulta impercettibilmente.
 
***
 
10 febbraio.
Matthew Bellamy aveva sempre pensato che mettere i cassonetti della spazzatura in piena vista sulle strade principali fosse una cosa di estremo cattivo gusto, nonché sicuramente frutto di qualche complotto governativo, magari volto a far ammalare l'enorme quantità di persone che sicuramente sarebbe passata là davanti, in modo da far vendere di più alle case farmaceutiche. Ad ogni modo, i cassonetti non gli erano mai piaciuti, tantomeno quelli davanti casa sua. Perciò, quando sentì un rumore sospetto provenire da uno di quelli vicino al suo cancello, mentre si apprestava a rientrare, lanciò verso il suddetto cassonetto un'occhiata sospettosa ma, suo malgrado, incuriosita. Il rumore in questione era composto di una serie di piccoli tonfi e Matt era quasi tentato di ignorarli finché ai tonfi non si aggiunse un debole guaito.
Restò un attimo fermo, incerto sul da farsi, dopodiché sospirò e si decise a lanciare un'occhiata all'interno del cassonetto, già pronto ad andare in farmacia a fare una scorta di antibiotici ad ampio spettro.
In mezzo a sacchi e buste varie c'era una scatola di cartone con dentro un minuscolo cucciolo di cane che lo osservava incuriosito. Era completamente bianco, fatta eccezione per una macchia marrone tutta intorno all’occhio sinistro e un’altra sulla punta della coda. Cane e cantante rimasero a fissarsi in silenzio per qualche istante, finché Matt mormorò, rassegnato: «E va bene.»
Cominciò ad arrabattarsi per riuscire a raggiungere lo scatolone cercando di entrare in contatto il meno possibile con la spazzatura tutta intorno. Si issò sulle punte, tenendo aperto il cassonetto con un piede sul pedale, si sporse al suo interno allungando le braccia, ma niente: il cane era troppo lontano per essere raggiunto senza toccare il bordo di quel ricettacolo di malattie. Ad un certo punto sentì una vocetta dietro di lui.
«Papà, perché quello lì cerca di entrare nella spazzatura?»
Si girò appena in tempo per vedere Brian Molko, in compagnia di un bambino con una cresta di riccioli neri a incorniciargli il viso, che lo guardava con aria esasperata, sospirando.
«Non lo so, Cody. Quello è un tipo strano.»
Matt scoppiò a ridere.
«Non perdi mai l'occasione di insultarmi, tu, eh? C'è un cucciolo di cane abbandonato qui dentro e vorrei provare a salvarlo, prima che muoia di fame o di freddo. Perché non mi date una mano?»
«Non ci penso nemmeno. Co… Cody, dove vai?»
Il bambino non sembrava pensarla come lui, perché aveva abbandonato la mano del padre e si era avvicinato a Matt in tutta fretta.
«Papà, dai, aiutiamolo! Dobbiamo salvare il cane!»
Brian alzò gli occhi al cielo, visibilmente maledicendo dentro di sé tutti i cani, tutti i cassonetti e soprattutto tutti i Matt Bellamy del mondo, dopodiché si avvicinò cautamente, arricciando il naso per la puzza.
«Santo cielo, Bellamy, come fai a stare con la testa ficcata in quel coso?»
«I veri eroi sanno sopportare le sofferenze.» rispose quello, con fare stoico, mentre finalmente tirava fuori la testa dal cassonetto. Occhieggiò l'uomo di fronte a lui e poi riprese: «Dato che mi pare palese che tu non abbia voglia di entrare là dentro…»
«Ma va…» lo interruppe Brian.
«… e che io non riesco ad arrivare al cane da solo, propongo che Cody tenga aperto il cassonetto col piede sul pedale, mentre tu mi sollevi un po' per permettermi di avvicinarmi di più.»
Il bambino sembrava entusiasta di aver appena ricevuto un incarico ufficiale nella missione "Salviamo il Cucciolo", ma Brian non sembrava dello stesso avviso.
«Dovrei prenderti in braccio, Bellamy?» chiese con una punta di disgusto e scandendo bene le parole, come se stesse parlando a un idiota. «Non ce la farò mai, sei troppo pesante.» sentenziò.
«Capisco che la virilità non è la tua caratteristica principale, Molko, ma se vuoi essere un eroe anche tu dovrai sforzarti un po'.» rispose Matt, ammiccando perfidamente. L'aveva messo in trappola: sapeva che a quel punto Brian non avrebbe potuto dimostrarsi meno che un eroe agli occhi del figlio, per cui avrebbe dovuto aiutarlo per forza.
Brian, infatti, si avvicinò a lui sospirando e gli sibilò fra i denti: «Non ti facevo così calcolatore, Bellamy.»
Quello scoppiò a ridere di gusto, girandosi verso il cassonetto e dandogli le spalle.
«Ok, allora al mio tre Cody spingi il pedale e tu, Brian, sollevami, ok?»
«Ok!» fece il bambino, entusiasta.
«Ok.» gli fece eco il padre, rassegnato.
Matt cominciò a contare.
«Uno…»
Le mani di Brian si poggiarono sulla sua vita e lui ebbe un brivido che non aveva niente a che fare con la temperatura esterna.
«Due…»
Brian si fece più vicino, Matt poteva sentire il suo respiro sul collo e percepì un brivido di allerta risalirgli lungo la schiena.
Cody, nel frattempo, aveva messo un piede sul pedale, pronto ad eseguire il suo compito nella "missione".
«Tre!»
Cinque minuti più tardi lo scatolone e il suo vivace contenuto erano stati tratti in salvo e giacevano al centro del marciapiede, Cody era accoccolato là davanti e osservava il cucciolo senza toccarlo, perché il padre gliel'aveva categoricamente vietato, Matt aveva un bernoccolo in più e Brian prevedeva di dover restare a letto col mal di schiena per una settimana.
«Ecco, Bellamy, dopo avermi procurato un'ernia del disco, cosa intendi farne, di questo sacco di pulci?»
«E io che ti credevo un animo sensibile… per prima cosa lo porto da un veterinario per farlo pulire, spulciare e vaccinare e poi me lo porto a casa!»

 
*
 
«Cioè, Brian Molko ti aiuta a salvare il tuo cane e tu quando me lo racconti lo classifichi solo come "un vicino di casa"? Ma che avevi in testa?»
«Non so perché non te l'ho detto in quel momento. Mi imbarazzava.»
«Le cose che vediamo come normali non ci imbarazzano, Matt. Ci sentiamo imbarazzati solo quando c'è qualcosa sotto. Ti piaceva, ammettilo!»
«Non mi piaceva! Al massimo mi intrigava… mi interessava…»
«E quindi hai trovato una scusa per farti prendere in braccio.»
«Ok, hai ragione. Forse mi piaceva già allora. O forse non te l'ho detto perché mi imbarazzava rendere pubblico il disgusto con cui mi trattava. O magari sapevo già che reazione avresti avuto.»
«Matt, con chi credi di stare parlando? Ti piaceva, non lo negare.»
«Dom, ti ho già detto che la cosa non è rilevante, al momento.»
«Va bene, va bene. Sto zitto. Vai avanti.»

***

«Cody, credo che Matt sia partito.»
«Oh.» commenta il bambino, deluso. «E dov'è andato?»
Brian fa appello a tutta la pazienza che ha, continuando a ripetersi che Cody non sa, né ha colpa di quello che è successo tra lui e Matt.
«Anche Matt è un musicista, è partito per il tour.»
Il figlio assume un'espressione rassegnata, finché non realizza una cosa. Sgranando gli occhi, preoccupato, gli chiede: «E Angus?»

***
 
14 febbraio.
L'ascensore arrivò al quinto piano e le porte si aprirono, rivelandogli un Brian Molko spazientito e al telefono con Cody piagnucolante appeso al braccio.
«Daaaaaaaiiiii papàààà ti preeeeegooooooo!!!!» stava dicendo il bambino.
Matt entrò nell'abitacolo e premette lo zero, salutando il collega con un cenno del capo.
«Cody, ho detto di no. Smetti di fare i capricci. È solo per una sera.»
«Ma papà io non voglioooooo!!! Voglio venire con teeee!!!!»
La lamentela non accennava a finire. Matt conosceva quel tono, era quello che adottava Bing quando aveva dentro un misto di fame, sonno e voglia di fare i capricci.
«Dai, Hannah ti è sempre piaciuta! Vi divertite sempre insieme!» disse convincente «Certo, per prima cosa dovrebbe rispondermi, però…» aggiunse poi borbottando.
Matt si intromise: «C'è qualche problema?»
Evidentemente Brian era troppo impegnato e assorto per ricordarsi di dover essere scostante con lui, perché rispose in tono neutro: «La baby sitter non risponde e io devo uscire fra un'ora.»
«Daiiii papiii!! Resta a casaaaaa!!»
«Non posso, Cody.» fece Brian spazientito, ricomponendo il numero per chiamare un'altra volta.
Nel frattempo l'ascensore era arrivato al piano terra.
«Ehi, Cody,» disse abbassandosi all'altezza del bambino «che ne dici se invece di far venire Hannah venissi a casa mia stasera? Ordiniamo una pizza e giochiamo alla Wii. E poi c'è Angus!» concluse la proposta con un occhiolino.
Il piccolo lo guardò con un misto di curiosità, desiderio e diffidenza, mentre il padre sembrò ricordarsi di chi aveva di fronte e assunse un'espressione di terrore.
«Bellamy, ma che vai dicendo? E chi è Angus?»
Il Bellamy in questione si rialzò in piedi e lo guardò negli occhi.
«Angus è il mio cane. E poi perché, scusa? Non trovi la baby sitter, tu devi uscire, io mi preparavo a una tranquilla serata casalinga. E poi so che Cody muore dalla voglia di giocare con Angus dal giorno in cui l'abbiamo salvato. Inoltre, sai che non sono un maniaco» Brian alzò un sopracciglio come a indicare che non ne era poi tanto sicuro «e mi sembri abbastanza disperato.» continuò Matt imperterrito, col tono di chi sta esprimendo un'ovvietà.
Brian, effettivamente disperato, lanciò un'occhiata al figlio che in realtà sembrava aver accantonato la lagna e osservava il padre, dubbioso.
«Vuoi andare, Cody? Hannah non risponde…»
Il bambino lanciò un'occhiata a Matt e disse: «Solo se posso avere anche le patatine.»
Il cantante dei Muse scoppiò in una fragorosa risata.
«Ma guarda tu che piccolo dittatore. Se papà è d'accordo, per me va bene.»
Brian sospirò.
«E patatine siano.»

 
*

Matt aveva fatto le sue commissioni alla velocità della luce per poter rientrare in casa in tempo.
Quando, un'ora prima, aveva intravisto un'opportunità di far calare il muro di gelo tra lui e Brian e di farsi perdonare per la faccenda della chitarra di qualche giorno prima, l'aveva colta al volo. Una piccola parte calcolatrice della sua mente aveva pensato che lavorarsi il bambino sarebbe stato un ottimo modo di ammorbidire il padre, ma effettivamente nel momento in cui si era offerto di tenere Cody per la serata, lo aveva fatto davvero contento di avere una piccola peste con cui fare casino per una sera.
A volte, la solitudine dell'ultimo periodo era difficile da sopportare; forse era per quello che aveva deciso di tenere Angus e di non portarlo al canile. Non che fosse sempre solo, perché di impegni e gente da incontrare, ne aveva anche fin troppi, ma una volta tornato a casa, quella che gli pesava era più una solitudine emotiva. La verità era che gli mancava Bing, la quotidianità di essere un padre a tempo pieno, i piccoli impegni familiari. Sospirò, sperando che la scelta di trasferirsi di nuovo in Inghilterra non si rivelasse troppo negativa per suo figlio.
Stava giusto appendendo il cappotto e rimuginando tra quei pensieri quando Brian e Cody bussarono alla porta.
«Arrivo!» gridò dal corridoio, precipitandosi ad aprire, cercando di non inciampare nel cucciolo scodinzolante che lo seguiva dappertutto.
Brian Molko gli stava davanti in tutta la sua eleganza, avvolto in un cappotto nero probabilmente tagliato su misura che contrastava con la sua pelle diafana, le ciglia nerissime e allungate dal mascara, la linea degli occhi sottolineata dalla matita scura e i capelli con una piega perfetta. Matt rimase un attimo di troppo a fissarlo, stordito.
«Non mi dire che ti eri già dimenticato.»
Matt si riscosse.
«No, no, figurati. Sono rientrato in fretta appositamente! Prego, accomodatevi!» disse, facendosi da parte.
«Ok.» fece Brian entrando e tenendo per mano il figlio. «Allora, è allergico ai peperoni, quindi non li mettere sulla pizza. Ho acconsentito alle patatine, ma dividetevi una porzione, perché altrimenti mangia solo quelle e poi sta male. Qui c'è il mio numero» fece allungandogli un bigliettino «per qualsiasi emergenza, che spero non abbiate. È abituato ad andare a letto alle 22.00, quindi potrebbe crollare prima del mio rientro. In questa borsa c'è il suo pigiama, se glielo metti dopo cena, per favore, mi eviti di doverlo svegliare quando arrivo a riprenderlo.»
Matt ascoltò tutto e annuì.
«Perfetto. Allergia ai peperoni, metà porzione di patatine, pigiama dopo cena. Ricevuto capo.» ripeté sorridendo e facendo un occhiolino a Cody.
«Ok. Dovrei tornare massimo entro le due, è un problema?»
«No, tranquillo. Vieni quando vuoi.»
Brian si abbassò a dare un bacio al piccolo.
«Ci vediamo più tardi, cucciolo. Mi raccomando, fai il bravo.» quello annuì e il padre gli scompigliò i capelli, mentre si rialzava. Matt sentì una fitta di nostalgia.
Brian si avviò verso la porta, poi si girò un attimo, indeciso, e aggiunse quasi impacciato: «Matt… grazie.»
«Figurati! Divertiti!» gli rispose.
Richiusasi la porta, Matt girò lo sguardo verso Cody e si accorse che il bambino lo fissava con gli occhi sgranati, come aspettandosi qualcosa.
Per un attimo ebbe un brivido gelido lungo la schiena, dannati sguardi dei Molko, sanno sempre metterti a disagio, ma poi tirò fuori il suo sorriso più smagliante e chiese: «Allora, Cody… cosa ci facciamo mettere sulla mega pizza?»

 
***

Brian sospira e si passa una mano tra i capelli.
«Cody, che vuoi che ne sappia io di dove ha messo il suo cane? L'avrà lasciato a sua madre o, pazzo com'è, se lo sarà portato in tour!»
Gli occhi del bambino si illuminano.
«Possiamo portare anche noi un cane in tour? Ti prego, ti prego, ti prego!» esclama, tirando fuori uno sguardo implorante.
Il padre sospira, esasperato.
«Cody, ti risulta che io sia pazzo? C'è già abbastanza da fare in tour, senza aggiungere un cane a cui badare.»
«Ma lo terrei io!»
«No, Cody. Quando dico di no è no.»
«Uffa…» brontola il piccolo.»
Helena si intromette: «Cody, ne abbiamo già parlato. Quando sarai più grande e potrai davvero gestirlo, se lo vorrai ancora, prenderemo un cane. Nel frattempo, magari potresti incontrare Matt e Angus in giro per l'Europa, quest'estate!»
Brian la fulmina con lo sguardo, mentre il broncio sparisce dal viso di Cody, sostituito da un'espressione speranzosa.
 
***
 
«Hai fatto il baby sitter la sera di San Valentino?»
«Sì. Ti dirò che mi sono anche divertito.»
«Non è questo il punto.» fa Dom, stizzito. «Mi avevi detto di avere un appuntamento, quella sera.»
«E infatti ce l'avevo. Con un bambino di nove anni.» risponde Matt serafico. Dom immagina un'aureola spuntare sulla testa dell'amico e cancella subito la visione, scrollando la testa.
«Bells, sei un coglione.»
«Dom, continui a farmi perdere il filo del racconto. Comunque, nel caso ti interessasse, Cody è un bambino simpaticissimo e quella sera ha mangiato tutto con gusto. Ha giocato fino allo sfinimento con Angus e poi si sono addormentati vicini sul mio divano.»
«Va bene, ma tutto questo che c'entra col racconto principale?»
Matt decide di averne abbastanza.
«Se evitassi di interrompermi ogni due secondi, lo capiresti, Dom!»
Dom finge di tirare una cerniera immaginaria a chiudergli le labbra, poi si appoggia allo schienale del divano, incrocia le braccia e lo fissa in attesa.

 
***

Mentre Cody ed Angus dormivano insieme, accoccolati sul divano, Matt si mise a ripulire la cucina dalle macerie della cena: patatine sparse ovunque, cartoni della pizza, bicchieri e posate e, naturalmente, i croccantini di Angus tutti sparsi per terra. Cody si era messo in testa di voler creare un percorso di croccantini per far fare al cane lo slalom tra le gambe del tavolo, ma quello si era arreso al quarto boccone e se n'era andato a sgranocchiare il suo osso. Ovviamente, Cody non aveva tollerato di essere snobbato così dal cucciolo, per cui aveva abbandonato il suo progetto ed aveva rubato l'osso ad Angus, cominciando a correre in giro per casa, inseguito dal cane. Matt sospirò di nostalgia ripensando al prototipo di robot che aveva comprato anni prima in Giappone e che era stato l'unica vera vittima della serata.
Quando la cucina ebbe un aspetto più decente, si decise a dare un'occhiata più attenta al cadavere di Charlie, il piccolo robot. Seduto al tavolo della cucina fissava alternativamente il cacciavite e Charlie, cercando di capire come farli interagire senza combinare ulteriori danni, ma anche al suo occhio inesperto pareva chiaro che ormai le sue condizioni erano troppo gravi per poterlo riportare in vita con un intervento. Proprio quando si preparava a dire definitivamente addio ad uno dei suoi souvenir preferiti, sentì bussare piano alla porta.
Si alzò in silenzio e andò ad osservare dallo spioncino: era Brian. Guardò un attimo l'orologio a muro prima di aprire la porta e vide che era passata da poco mezzanotte.
«Brian, ciao! Non ti aspettavo così presto. Entra pure.» bisbigliò.
«Sì, ho fatto prima del previsto.» rispose a voce bassa «Com'è andata la serata?»
Matt pensò che quel tono di voce avrebbe dovuto essere dichiarato illegale, ma cercò di riscuotersi, reprimendo il brivido che gli aveva scatenato e gli indicò in silenzio la cucina.
«È andata bene. Cody ed Angus sono crollati insieme circa un'oretta fa.» rispose ridacchiando e indicandogli, attraverso una fessura della porta, cane e bambino sul divano, nella penombra del soggiorno.
Brian accennò a un sorriso intenerito e poi si trasse indietro. Gli cadde lo sguardo sul cadavere di Charlie, che giaceva ancora sul tavolo.
«E quello?»
Matt sospirò e rispose con aria tragica: «Beh, diciamo che se chiedessi a lui com'è andata la serata, non ti darebbe la mia stessa risposta.»

 
*
 
«Matt, ti spiacerebbe andare al dunque? Tutti i dettagli sulla morte di Charlie sono poco rilevanti!»
«Scusa, hai ragione… mi ero fatto prendere dalla narrazione…»
«Ok, insomma, è venuto a prendere il figlio, e poi?»
«Gli ho offerto qualcosa da bere prima di andare via.»
«Mh.»
«Non mi guardare così. Ok, volevo passare un po' di tempo con lui, che c'è di male?»
«Matt, stavi praticamente tentando di sedurlo!»
«Dom, se mi facessi continuare col racconto non salteresti a queste conclusioni affrettate e totalmente erronee.»
Dominic lo guarda con aria scettica e Matt riprende: «Ok, ok. Forse non totalmente erronee, ma non è che volessi proprio sedurlo. Posso continuare a raccontare o devi fare altri commenti insinuanti?»

 
*

Seduto al tavolo della cucina di Matt, Brian Molko osservava con aria critica i resti di un mini robot, mentre il padrone di casa gli dava le spalle, affaccendato.
«Quindi l'avevi comprato in Giappone?»
«Sì, la prima volta che ci sono andato in tour. Era più il valore affettivo di quello commerciale, senza dubbio, ma pazienza.» rispose, mentre si girava per mostrargli una bottiglia di vino e guardarlo con aria interrogativa. Brian scosse la testa.
«Niente alcolici per me, grazie»
Matt annuì e sostituì la bottiglia con due lattine di Coca Cola.
«Mi dispiace per il robot.»
«Non preoccuparti, sono cose che capitano.» Matt si sedette di fronte a lui e cominciò a sorseggiare la sua bevanda.
Brian lo guardò, in preda a un improvviso attacco di ironia.
«Insomma, il grande Matt Bellamy, frontman dei Muse, rockstar internazionale, non ha niente di meglio la sera di San Valentino che fare il baby sitter a un bambino?»
Il "grande" Matt Bellamy si appoggiò allo schienale e accavallò le gambe, fissandolo.
«Beh, e allora che dovrei dire del grande Brian Molko, frontman dei Placebo, rockstar internazionale, che esce e torna a casa poco dopo mezzanotte?»
Brian scoppiò a ridere e diede un sorso alla Coca Cola.
«Touché. Il mio appuntamento è stato effettivamente un disastro. Ho colto la prima occasione per tornare a casa. In questi casi, avere un figlio è un'ottima rete di salvataggio.» concluse ammiccando.
Matt rise con lui.
«Terrò la scusa a mente. Ma era la prima volta che ci uscivi?»
«Sì. Errore mio: quando l'ho invitata non ho pensato che oggi fosse proprio San Valentino. Lei, a quanto pare, si era fatta qualche strana idea.»
Matt si accigliò: «Del tipo?»
Brian distolse lo sguardo.
«Del tipo che appuntamento significasse intenzioni "serie" da parte mia.»
«Ma se non avevi intenzioni serie, perché l'hai invitata a cena?»
«Matt… ma tu ti trasformi da baby sitter a psicologo nel giro di un minuto?»
Scoppiarono a ridere insieme. Effettivamente, Matt pensò di essersi spinto un po' oltre: in fondo non erano poi così in confidenza.
Non ancora.
«Potrei stupirti con tutte le mie qualità, Molko.» rispose ammiccando.
Brian sgranò gli occhi e diede un sorso alla sua Coca Cola.
«Se non ti conoscessi, direi che ci stai provando.»
«Infatti non mi conosci.» fu la risposta. L'aveva detto semplicemente, buttato lì con sincerità, ma con un piccolo sottointeso che Brian poteva scegliere di accogliere o ignorare. Scelse una via di mezzo.
«Vero.» disse sorridendo lievemente.

 
*
 
Dom scoppia a ridere fragorosamente.
«E tu continui a sostenere che non stessi tentando di sedurlo?»
Matt lo guarda stizzito.                           
«Mah, più che altro il mio intento era tastare la sua reazione.»
«E come ha reagito?»
«Ovviamente, meglio di quanto mi aspettassi, altrimenti non saremmo qui oggi.»
«Giusto, perché se avesse reagito male non saresti ancora qui per raccontarlo… quello, quando si incazza, può essere davvero spaventoso.»
Matt si sfila un cuscino da dietro il sedere e lo lancia sulla testa del suo migliore amico.
«Dom, se hai finito di dire cretinate…»
«E dai, l'hai detto anche tu che fa paura!»
«Non l'ho mai detto.»
«Come no? L'hai detto a lui la prima volta che vi siete incontrati in ascensore.»
«Ah, ma allora stai prestando attenzione alla storia?»
«…»
«Quindi vuoi che continui?»
«…»
«Ok…»

 
*

Sedettero per un po' in silenzio a sorseggiare le rispettive bevande. La conversazione si era arenata troppo in fretta e Brian sembrava una di quelle persone che non si trovavano a loro agio in silenzio, perché continuava a muoversi nervosamente sulla sedia, volgendo lo sguardo qua e là per la cucina: le tende, il tavolo, le sedie, il piano cottura, tutto tranne che lui. Sembrava assurdo come una persona che si dimostrava sempre pronta a divorare il mondo potesse essere messa in imbarazzo da un po' di silenzio. Questo avvalorava ancora di più le sue teorie sulla personalità dell'altro.
A un certo punto, Brian sembrò non farcela più.
«Matt?» finalmente lo guardò.
«Mmh?»
«Che hai da fissare?»
«Sei interessante.»
«E tu sei inquietante. Smettila. Hai l'aria di uno che sta per sbattermi sul tavolo e vivisezionarmi per studiarmi.»
Un lampo d'ilarità attraversò gli occhi blu del cantante dei Muse.
«Beh, potrebbe non essere niente male come idea, in effetti.» rispose ridacchiando.
«Oddio, ma davvero ho lasciato mio figlio con te per una serata intera? Dovevo essere davvero disperato…»
La risata di Matt divenne più acuta e si rilassò contro lo schienale.
«Ok…» riprese Brian con fare circospetto, alzandosi in piedi «si è fatto tardi. Grazie per aver fatto compagnia a Cody e…»
«No, dai!» lo interruppe «Scusa. Dom dice sempre che solo la gente strana può trovarsi a suo agio in mia compagnia… certo, questo non credo che volga molto a suo vantaggio.» si perse un attimo nelle sue considerazioni. «Comunque, resta ancora un po', prometto di non sbatterti sul tavolo. Almeno non per vivisezionarti.» concluse con un sorriso a trentadue denti.
Brian gli lanciò un'occhiata scettica.
«E questo perché dovrebbe farmi sentire meglio?»
Matt scoppiò a ridere.
«Va bene, va bene, la smetto.» disse, alzando le braccia. «Guarda, chiudo gli occhi. Magari ti rilassi.»
E lo fece davvero. Chiuse gli occhi, la testa leggermente protesa in avanti verso Brian, attendendo la sua prossima mossa.
Il cantante dei Placebo scosse la testa e tornò a sedersi con aria perplessa.
«Tu sei davvero tutto strano.»
Matt tornò ad aprire gli occhi.
«Sai di non essere il primo a dirmelo, vero?»
«Posso immaginarlo, sì.»
Matt sorrise e poi sospirò.
«Probabilmente è questo il motivo per cui il grande Matt Bellamy si è ritrovato a fare il baby sitter a San Valentino.»
«Terrorizzi le donne?»
«Ehi, non sono mica Jack lo Squartatore!»
«No, solo Matt il Vivisezionatore.»
«Ah-ah» mimò quello.
Brian lo guardò con un'espressione ilare e Matt si trovò a pensare che quel sorriso era proprio bello. Gli sembrò assurdo non averlo mai notato, finché non si rese conto che Brian, probabilmente, non gli aveva mai veramente sorriso fino a quel momento.
«Matt…»
«Mmh?»
«Lo stai facendo di nuovo.»
«Scusa.»

 
*

«Quindi se n'è andato o no?»
«No, è rimasto lì con me a chiacchierare un'altra ora.»
«E di che avete parlato?»
«Mah, niente. Cazzate, fondamentalmente. Man mano che andavamo avanti, ci rilassavamo sempre di più e entravamo più in sintonia.»
«Questo vuol dire che a un certo punto hai smesso di fissarlo come un maniaco?»
«Mmh… non proprio. Diciamo che sono diventato più bravo a non farglielo notare.» Matt ridacchiò.
«Insomma, poi a un certo punto ci hai provato?»
«Cosa? Dom, ma sei scemo?»
«Beh, insomma… voi due… San Valentino… i drink… le tue battutine fuori luogo… non vorrai farmi credere che non volessi provarci!»
«I drink analcolici… Dom, tu non capisci proprio niente.»
«Ti capisco molto più di quanto vorrei, credimi.»
«Per tua informazione, non ci ho provato. A un orario imprecisato fra l'una e le due, Brian mi ha detto che si era fatto davvero troppo tardi, mi ha ringraziato, ha preso in braccio Cody ed è tornato a casa sua.»
«Così? Neanche un bacio?»
«Ma la vuoi finire e lasciarmi raccontare?»
«Scusa.»
«Non so che farmene delle tue scuse. Non riesci a tenere la bocca chiusa neanche ai funerali.»







Piccola nota finale: ovviamente Charlie è un omaggio a Charles, il robot del tour di The 2nd Law (che era in giro mentre scrivevo questa parte della storia, nel neolitico quindi... XD). Altra nota (per il capitolo successivo), sempre dovuta al fatto che ho scritto nel neolitico più o meno la prima metà della storia, è il fatto che Steve Forrest faccia ancora parte dei Placebo (all'epoca non c'era alcun segno della sua futura dipartita!). Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Nel mezzo di una trafficata strada londinese, davanti a un grosso palazzo, si staglia un grosso autobus nero con i finestrini completamente oscurati, attirando parecchi sguardi incuriositi. Il portellone è aperto, ma non c'è nessuno lì intorno.
Finalmente, una figura completamente vestita di nero, con un paio di occhiali scuri, esce dal cancello del palazzo trascinando una grossa valigia e un bambino minuto che fatica a tenergli dietro.
Brian Molko deposita la valigia nel portabagagli dell'autobus e poi entra per fare accomodare il bambino, prima di tornare in casa a prendere un'altra valigia.
Nella zona giorno del tour bus, Steve Forrest sta pescando un cornetto da un grosso sacchetto, mentre Stefan Olsdal sorseggia un caffè, tutto compìto.
Finito di caricare le valigie, Brian fa il suo ingresso in quella che per i prossimi mesi sarà la loro casa, proprio mentre Steve sta passando un muffin a Cody.
‐ Buongiorno, ciurma! ‐ esclama, con un largo sorriso.
Stefan gli lancia un'occhiata breve e fredda da sopra la sua tazza di caffè, mentre Cody alza in aria un pugno e trilla: «Buongiorno, Capitano!»
Il cantante lancia la sua borsa a tracolla sul divanetto e si avvicina al suo migliore amico, posandogli una mano sui capelli e carezzandoglieli lievemente.
«Dai, mammina, non fare così. Lo sai che a volte viene il ciclo anche a me…»
«Molko, non migliori la tua posizione.»
«Sicuro?» gli chiede, sedendosi sulle sue gambe, passandogli un braccio intorno al collo e guardandolo con un gran sventolare di ciglia truccate. «Non ci sentiamo da giorni e io avrei tanto bisogno di parlare con te, di esprimere quello che provo...» fa, simulando un lamento, mettendo una mano sul cuore e assumendo un’aria tragica.
Stefan continua a rimanere impassibile, tentando di ignorare Brian più che può, compatibilmente col fatto che questi gli si è seduto in braccio.
«Steeeef?»
Cody e Steve li guardano in silenzio, in attesa.
«E dai, Stef!» riprende Brian, cominciando a strusciare la testa sul collo del bassista, avanti e indietro, come un gatto.
Bambino e batterista scoppiano a ridere fragorosamente, finché Stefan strilla: «Va bene, va bene. Ti parlo. Ora scendi e fammi bere il mio caffè in pace.»
«Grazie!» esclama Brian, schioccandogli un bacio sonoro sulla guancia e alzandosi in piedi. «Ora possiamo partire!» grida all'autista.
«Papà, si dice "salpare"!»

***
 
15 febbraio.
«Non è possibile, mi perseguiti anche al supermercato!»
Matt si voltò. Brian gli sorrideva ironico, tra una cassetta di mele e una di arance. Era bello anche alla luce dei neon mentre faceva la spesa, constatò. Non era truccato e i soliti vestiti neri erano stati rimpiazzati da un paio di jeans e un cappotto grigio, ma aveva un'aria rilassata che gli donava parecchio.
«Possibile che debba incontrarti ovunque?» riprese Brian, sempre sorridendo e avvicinandosi a Matt per afferrare una lattina di ananas sciroppato dietro di lui. Non era più il sarcasmo dei primi giorni, quello amaro e ostile che gli aveva sempre riservato. Questo, piuttosto, era un modo di scherzare diverso, che sembrava tirato fuori appositamente per lui.
Sorrise di rimando.
«Sai com'è, Molko… se questo è il supermercato più vicino a casa tua è anche quello più vicino a casa mia!»
«Mi copi la casa, mi copi il supermercato, mi copi l'orario per andare a fare la spesa… presto comincerai a copiare anche le mie canzoni! Ah, no, scusa… quello lo fai già!» lo rimbeccò l'altro ridendo apertamente, mentre cominciava a spingere il carrello tra gli scaffali piantandolo lì. Matt rimase un attimo interdetto, poi si mosse per seguirlo.
«Come scusa? Io copierei te?» sbottò scandalizzato, contro la schiena di Brian che si allontanava. Matt accelerò il passo per stargli dietro.
«Oh, tranquillo.» rispose l’altro, agitando una mano all’indietro, con noncuranza, «So che non lo ammetterai mai, facciamo finta che io non ti abbia smascherato!»
«Brian!» tuonò.
Un paio di persone li osservarono, curiose, mentre Brian si girava e lo fulminava con lo sguardo.
«Bellamy, potresti evitare di farci notare da tutto il vicinato, cortesemente?»
Il tono scherzoso con cui aveva parlato fino a quel momento era improvvisamente scomparso. Matt sorrise imbarazzato, tentando di ignorare il sudore ghiacciato che si era istantaneamente formato sulla sua spina dorsale, e si avvicinò.
«Scusa.»
«Beh, ci vediamo.» lo liquidò l'altro, voltandosi e riprendendo a camminare.
Mentre guardava la sua schiena allontanarsi, Matt si diede mentalmente dell'idiota. Lo osservò svoltare a sinistra, nel reparto surgelati, e decise in un lampo di fare dietrofront e andare a destra, per arrivare a trovarglisi di fronte.
Brian lo guardò sconcertato.
«Che fai stasera?»
Le parole gli erano uscite di bocca prima di passare attraverso il cervello, evidentemente. Lo sguardo di Brian si assottigliò.
«Che ti interessa?»
«È un modo criptico per evitare di dirmi che non hai niente da fare?»
«Ma perché rispondi a una domanda con un'altra domanda?»
«E perché, tu che stai facendo?»
«Ciao Bellamy, torno a fare la spesa.»
Brian si piegò per afferrare dal grosso freezer un sacchetto di fragole surgelate, le ripose nel carrello e si allontanò. Matt lo seguì.
«Non dovresti comprare certe schifezze, lo sai? Fanno male.»
Con uno sbuffo esasperato, l'altro gli rispose: «Ma la vuoi finire?»
Matt lo ignorò.
«E poi le fragole surgelate perdono il loro potere afrodisiaco.» disse con aria saccente.

*
 
«Matt!»
«Che c'è?»
«Ma tu lo stavi praticamente molestando!»
«No. Il fatto è che volevo restare a parlare con lui, ma cercava in tutti i modi di andarsene e quindi dicevo le prime cose che mi passavano per la testa solo per trattenerlo.»
«E ha funzionato?»
«Mmh più o meno. Abbiamo continuato così per un po', finché lui è arrivato alla cassa per pagare e siamo stati separati da cause di forza maggiore.»
«Cioè?»
«Lui aveva finito di fare la spesa e il mio carrello era pressoché vuoto…»
«Ah…»
«…»
«Matt, seriamente… ora posso farti una domanda?»
«Dimmi.» fa quello, rassegnato.
«Ma tu te lo volevi scopare?»
Matt sospira.
«In realtà ci ho pensato davvero per la prima volta quella sera. Quando sono tornato a casa ho avuto tutto il tempo di riflettere sulle cazzate che gli avevo detto spontaneamente e sull'effetto che mi faceva la sua presenza. Volevo stare con lui; quando se ne andava, mi sembrava che avessimo avuto poco tempo per parlare, per conoscerci. Mi ero fermato fin troppe volte a guardarlo imbambolato, a pensare che fosse attraente. Lo trovavo bello, mi interessava, mi intrigava e allora, una volta solo a casa, ho deciso di mettere a fuoco bene tutto quello che avevo dentro e sono riuscito ad ammettere che mi sentivo attratto da lui. Ho provato ad andare più a fondo, ho pensato di baciarlo e l'idea non mi dispiaceva affatto. Poi sono andato oltre e ho stabilito che, in fondo, il pensiero di andare a letto con lui mi intrigava.»
Matt tace, sondando l'espressione dell'amico, che però è immobile e impassibile.
«Non hai niente da dire, a riguardo?» indaga alla fine.
«No, Matt. È da quando hai iniziato a parlare che aspettavo che arrivassi a questo punto. Quindi poi che è successo?»
«Sono andato a casa sua, ovviamente.»

 
*

Brian aprì la porta con un'espressione costernata e Matt cercò di tirare fuori il sorriso più sfacciato possibile.
«Ho voglia di fragole.» disse, intrufolandosi in casa.
«Fammi capire: dopo avermi rotto le palle per mezz'ora elencandomi tutti i modi orribili in cui potrei morire se mangiassi le dannate fragole surgelate, ti presenti qui dicendomi che ne hai voglia?»
«Sai, ho pensato che, evitandoti di mangiarle tutte, avrei potuto salvarti la vita.»
«Bellamy, tu sei folle!»
«Non sei il primo a dirmelo.» rispose con noncuranza.
Matt si addentrò nell'appartamento, guardandosi intorno, aggiungendo piccoli tasselli a quel puzzle che Brian Molko era diventato nella sua mente. Era tutto così ordinato che sembrava maniacale, ma poi spuntava qualcosa della sua vera personalità, come una coperta lasciata sul divano e degli spartiti sparsi sul tavolino, che davano alla stanza un aspetto vissuto.
Sentì il padrone di casa sospirare dietro di lui e interrompere così il suo esame silenzioso.
«Matthew, seriamente. Che ci fai qui?»
Si girò a guardarlo. Brian sembrava completamente spaesato e quell'espressione non si addiceva assolutamente al suo personaggio.
«Ho fame.» gli rispose semplicemente «Mi inviti a cena?»
Un silenzio strano calò fra di loro, mentre il sole tramontava fuori dalla finestra. Restarono a studiarsi a lungo, Matt non avrebbe saputo dire per quanto tempo, né cosa infine indusse Brian ad alzare le braccia in segno di resa e a dire: «E va bene. Resta.»
Un largo sorriso si delineò sul suo volto, incassando la piccola vittoria mentre seguiva Brian in cucina.
«Il tuo arredamento è molto… maschile.» osservò, dopo essersi guardato intorno, quasi sorpreso.
L'altro lo guardò con un sopracciglio inarcato.
«Sto cercando di decidere se prendere quest'affermazione come un insulto o un complimento.»
«Non era né l'uno né l'altro. Pensavo che avessi gusti diversi, ecco.»
«Unicorni rosa?» lo provocò Brian.
Matt ridacchiò, continuando a perlustrare la stanza e i suoi mobili interamente laccati di bianco, toccando qualcosa qua e là.
«No, semplicemente qualcosa di più "caldo".»
Si girò a guardarlo e notò che quell'ultima frase aveva intaccato l'ennesima barriera di Brian, che ora lo ricambiava con un'espressione sorpresa.
«Che c'è?» gli chiese.
«Niente.» rispose quello, scrollando le spalle e distogliendo lo sguardo. «Sei molto attento.» constatò poi.
«Solo alle cose che mi interessano.» rispose Matt con un mezzo sorriso.
Ricevette in risposta un'occhiata turbata, dopodiché vide Brian afferrare il pacchetto di sigarette dalla penisola e uscire sul balcone. Lo raggiunse in tempo per vederlo, sigaretta poggiata mollemente tra le labbra, tirare fuori uno zippo dalla tasca dei jeans e farlo scattare per accendere. Era un accendino particolare, creato appositamente per lui, con una Fender Jaguar rossa incisa sopra.
«Non ci credo!» esclamò Matt, quasi deluso «Hai l'accendino con una chitarra sopra? È un tale cliché…»
«Questa non è una chitarra. Questa è la mia chitarra, vedi?» gli chiese, avvicinandogli l'accendino per permettergli di scorgere una piccola scritta nera che diceva "Bitch".
«Credo che sia ancora peggio… che delusione!» ridacchiò.
Brian aspirò dalla sigaretta e rivolse lo sguardo ai tetti londinesi, mormorando con un mezzo sorriso: «Cercherò di farmene una ragione, Bellamy.»
«Me ne offri una?» chiese Matt, dopo un po', tanto per dire qualcosa e per avere una scusa per staccare gli occhi dalla mano che teneva l'accendino.
L'altro accennò con la testa al pacchetto poggiato sul parapetto, come a dirgli di servirsi e lui si portò una sigaretta alle labbra. Brian fece scattare di nuovo lo zippo per permettergli di accendere e Matt gli si avvicinò con la testa, assecondandolo. Aspirò una boccata di fumo, mentre l'altro ritirava il braccio.
Svelto, Matt si sporse in avanti e afferrò l'accendino. Brian, per reazione istintiva, lo strinse più forte e cominciò a tirare.
«Bellamy, che cazzo fai? Lascialo subito!»
«Regalamelo.» rispose semplicemente.
«Non se ne parla proprio, è il mio preferito.» lo rimbeccò l'altro, continuando a cercare di liberarsi dalla presa di Matt.
«Dai, te ne compro uno più bello.» provò quello.
«Mollalo!» insistette Brian.
Per tutta risposta, Matt tirò più forte e, improvvisamente, si sbilanciò all'indietro tanto da dover fare due passi per non perdere del tutto l'equilibrio e cadere. Aveva in mano l'accendino. Lo guardò incredulo per un momento, perché non avrebbe mai pensato di riuscire a strapparglielo così facilmente. Per un momento ebbe il sospetto che Brian avesse ceduto volontariamente e lo sondò con lo sguardo per averne conferma. Il volto dell'altro era indecifrabile, come se pensieri opposti lo attraversassero in un susseguirsi caotico: rabbia, divertimento, rassegnazione, curiosità, dispetto… malizia?
«Idiota.» mormorò Brian, espirando una boccata di fumo e distogliendo lo sguardo, puntandolo sui palazzi londinesi, mentre con un sorriso soddisfatto Matt riponeva il pegno nella tasca posteriore dei suoi jeans e dava un altro tiro alla sigaretta.

 
***

Brian è seduto all'ombra di un enorme albero e guarda in lontananza suo figlio giocare a pallone con Steve e Nick. Il cellulare vibra nella sua tasca per una chiamata in arrivo, lui controlla il nome sul display e ripone il telefono in tasca, senza rispondere. Sarà la terza chiamata nel giro di due ore, gli sembra impossibile che Matt persista ancora.
Sente dei passi in avvicinamento, ma non ha bisogno di girarsi per controllare chi sia. Quando il rumore cessa, proprio accanto a lui, sospira ed esordisce con: «A volte mi sento davvero… anziano
Stefan scoppia a ridere e si lascia cadere sull'erba, poggiando la schiena al tronco dell'albero.
«Brian, tu non giocavi a pallone neanche quando eri giovane
«No, hai ragione.»  gli concede «Ero troppo occupato a giocare con altri tipi di palle.» ridacchia.
Stefan lo guarda di traverso.
«Certo, come se ora tu abbia intrapreso improvvisamente la via della castità.»
Il cantante scrolla le spalle, sperando di far cadere l'argomento.
«Prima o poi dovrai raccontarmi che è successo, lo sai, vero?»
Brian afferra un filo d'erba e lo divelle dal terreno. Fa la stessa cosa con un secondo e poi con un terzo.
«Non credo che ci sia qualcosa da raccontare.» risponde, infine.
«Mi pare di capire che non sarà questo il momento in cui lo farai.» prosegue il bassista, serenamente rassegnato. L'altro ridacchia e tira fuori le sigarette. Ne sfila una dal pacchetto insieme ad un anonimo accendino arancione.
«Che fine ha fatto il tuo zippo?» chiede Stefan, quasi scandalizzato.
«L'ho buttato.»
***
 
«Brian, dovevi metterci la cipolla, prima!»
Matt si sporse ad osservare con aria critica i funghi che giacevano soli soletti nella padella e si vide fulminare da uno sguardo indispettito.
«Bellamy, non so che dirti. La prossima volta che ti autoinviti a cena da qualcuno, assicurati che questo qualcuno sappia cucinare.»
«Spostati.» disse, imperativo, spingendolo di lato e prendendogli il coltello dalle mani.
Tolse i funghi dal fuoco, affettò la cipolla e la mise a soffriggere in un'altra padella. Brian lo guardava scettico e lui sogghignò.
«Se non sai cucinare una cosa elementare come un risotto, non oso immaginare come te la cavi col resto!» lo schernì.
«Io non so cucinare niente che vada oltre un caffè.» ammise quello, tranquillo.
«Questo dovrebbe farti smettere di lamentarti del mio autoinvito e, invece, farti cominciare a ringraziare la tua buona stella che stasera ti ha dato l'opportunità di mangiare come si deve». Brian alzò lo sguardo al cielo e si allontanò dal piano cottura; Matt, attento a mettere i funghi sul fuoco al momento giusto, non poteva vedere dove fosse andato, ma lo sentì ritorcere ironico: «Oh, hai ragione. Non so come ho fatto prima di incontrare te, Bellamy. Sposami! Anzi, meglio, ti assumo come cuoco personale!»
Qualche secondo dopo si diffuse nell'aria una musica delicata e accattivante. Matt non riusciva a capire di chi fosse, ma gli piaceva; si curò di non darlo a vedere, perché cadere in una conversazione con Brian che si pavoneggiava per propri gusti musicali e che si vantava di insegnargli qualcosa non era proprio in cima alle sue priorità.
«Sarei tentato di accettare l'offerta, ma ho già un lavoro.» gli rispose sorridendo.
Brian tornò ad avvicinarglisi e aprì lo sportello accanto ai fornelli per prendere due piatti.
«Ma pensaci! Oltre a fare un favore a me, faresti un favore al resto dell'umanità evitando di produrre inquinamento acustico!» ribatté tutto serio, mentre tornava verso il tavolo.
Matt si girò, una mano sul fianco, l'altra intenta a mescolare il risotto; il padrone di casa gli dava le spalle, tutto intento ad apparecchiare.
«Brian… ma tu davvero credi che io non sappia che di là, da qualche parte, hai tutti i nostri album? E che stai morendo dalla voglia di farmi autografare Origin Of Symmetry?»
La risata sarcastica dell'altro si unì allo sfrigolio del risotto che chiedeva altra acqua e alla musica, che ora era diventata più incalzante.
«Mi hai scoperto, Matt. Vi ho seguiti in tour per anni, perché non riesco a stare lontano dalla tua musica.»
«Piuttosto, ammetti che non riesci a stare lontano da me.» lo corresse, sorridendo, ilare, a se stesso e ai fornelli.
«Guarda che sei tu quello che ci sta provando.» si sentì rimbeccare.
Ammetterlo avrebbe comportato una dose di coraggio eccessiva anche per uno che era entrato volontariamente nella tana del leone. Negarlo, d'altra parte, avrebbe richiesto una notevole dose di falsità e di impegno. Convincere di una bugia un maestro delle bugie…
«Io non ci sto provando.» disse infine, debolmente.
Brian si riavvicinò al piano cottura e si fermò un attimo a guardarlo, con due bicchieri a mezz'aria. Matt evitò accuratamente di incrociare il suo sguardo, fingendosi concentrato sulla pentola, ma sentì un calore familiare irradiarsi sulle sue gote. Percepì, più che vedere, un sorriso trionfante distendersi sul viso di Brian, che scrollò le spalle e tornò a dirigersi verso il piano dell'isola.
«Va bene, Bellamy. Facciamo finta che sia così.»
Il riso era pronto. Spense il fuoco e fece fare al mestolo un ultimo giro della pentola, per tenere le mani occupate e avere una scusa per non girarsi. Brian stava reagendo decisamente meglio di quanto si fosse aspettato. Non lo incoraggiava, forse, ma di certo non lo scoraggiava e questo, per essere lui, era già tanto.
Matt afferrò un sottopentola e portò il risotto sull'isola, dove Brian aveva già preso posto. In silenzio, lo divise tra i due piatti e poi si sedette anche lui.
«Vorresti che ci provassi?» chiese, sorridendo apertamente.
Brian lo guardò perplesso, lasciando la forchetta a metà strada tra il piatto e la sua bocca.
«Ma tu ti ascolti, quando parli?»
«Perché non rispondi?» lo rimbeccò, affilando lo sguardo.
«Perché non c'è niente da rispondere.» sembrava quasi esasperato.
«Ho avuto la mia risposta.» gongolò Matt, prestando ora piena attenzione al suo piatto.
«Ho il terrore di scoprire cosa accidenti credi di aver scoperto.» borbottò l'altro.
Matt sospirò. Quella cena non poteva continuare senza neanche un goccio di vino. Lo comunicò al padrone di casa che, per tutta risposta, si alzò per prendere una bottiglia di Cabernet Sauvignon. Brian gli porse la bottiglia insieme ad un cavatappi e lui prese un coltello per aiutarsi a togliere la pellicola che ricopriva il tappo.
L'operazione richiedeva tutta l'attenzione dei suoi occhi e lui si sentì abbastanza tranquillo da continuare il discorso di prima.
«Ricordi quando avevi paura che ti vivisezionassi?»
«Matt, posa il coltello, mi metti ansia.»
«Cretino.» gli disse ridendo, ma lo mise comunque giù.
«Grazie.»
«Comunque avevi ragione, stavo cercando di capire» proseguì, mentre si versava una generosa dose di vino, evitando di offrirlo a Brian «se sei davvero il rompicoglioni che fingi di essere.»
Brian inarcò un sopracciglio con aria di sufficienza e Matt aggiunse: «Per tua informazione, ho capito che non lo sei. È solo che ogni tanto ti accorgi che stai quasi per instaurare un rapporto normale e allora tiri fuori una maschera o costruisci un muro. O dai risposte vuote, come poco fa.»
«Bellamy, a te piace troppo la psicanalisi. Torna a mangiare, che è meglio.»

 
*

«Matt, ma sei scemo? Perché hai fatto un passo indietro?»
«Non so, Dom. Ho avuto un momento di panico. Lui sembrava così… indifferente.»
«Vuoi dire che era immune al fascino dei Bellamy? Sono sconvolto.»
«Cretino!» ride Matt «Col senno di poi, non credo affatto che fosse immune. Però, in quel momento, sì, lo sembrava.»
«E quindi poi che è successo?»
«Ho deciso di rallentare un attimo, di farlo rilassare per poi prenderlo in contropiede. Abbiamo cominciato a parlare di tutt'altro e per il resto della cena è filato tutto liscio.»
«E alla fine della cena?»
«Beh, alla fine lui ha preso le fragole…»

***
 
Brian si sveglia nella penombra della zona notte del tour bus. Sente la strada scorrere sotto le ruote e si chiede vagamente che ore siano. È quasi sicuro che sia pomeriggio. Scosta faticosamente la tendina e barcolla verso la zona giorno alla ricerca di un caffè.
Al di fuori dal riparo oscuro delle cuccette, la luce lo colpisce fastidiosamente e lui strizza le palpebre, infastidito.
Distingue alle estremità del suo campo visivo le figure di suo figlio e del suo batterista seduti a tavolino e chini su un'iPad.
«… e qui è quando gli insegnavo a dare la zampa.» sta dicendo Cody mentre col ditino sfoglia le immagini nella galleria del dispositivo.
Brian li ignora e si dirige verso la macchina per l'espresso, tentando di concentrarsi solo sui gesti meccanici che deve compiere e sui rumori del liquido scuro che cade nella tazza.
Tutto ciò, però, non vale a distrarlo dalla conversazione che va avanti alle sue spalle.
«Bravo! È così piccolo e già ha imparato tutte queste cose?»
«Nooo. Ora non è piccolo, è cresciuto. Qui era proprio all'inizio.»
«Ma da quant'è che l'avete preso?»
«Non è che l'abbiamo proprio preso. È di Matt. Lui l'ha salvato.» sente replicare al bambino, con una voce orgogliosa che gli scatena una fitta di gelosia.
Decide di intromettersi: «Beh, non ha fatto proprio tutto lui. Senza di noi non sarebbe mai riuscito a salvarlo.» ricordò al figlio.
«Sì, vero!» esclama Cody. Poi, rivolgendosi al batterista: «Papà ha dovuto prenderlo in braccio!»
Steve inarca un sopracciglio, confuso. «Il cane?»
«Ma no!» ride Cody, «Matt!»
«Ah, ma quindi Matt è un bambino?»
«No! È grande…»
Il biondo esplode in una fragorosa risata.
«Brian, vorresti dirmi che sei in grado di sollevare un uomo adulto?»
Brian ingolla un sorso di caffè bollente, imprecando mentalmente quando il calore gli invade l'esofago, e risponde piccato: «Sul fatto che Bellamy sia adulto avrei qualche obiezione.»
«Bellamy?» ripete Steve, a quel punto davvero shockato. «Mi stai dicendo che il co‐padrone del cane, insieme a tuo figlio, è il cantante dei Muse?»

***

Matt pescò una fragola dalla coppetta al centro del tavolo e cominciò a studiarla con aria critica. Era grande, rossa, lucida, perfetta. Continuò a rigirarla tra le lunghe dita, cercando di trovarle qualche difetto, qualche imperfezione, qualcosa che indicasse il suo essere naturale e non l'essere un perfetto prodotto artificiale.
Sentiva lo sguardo di Brian su di sé.
«Guarda che non le spunteranno gli artigli…»
«Magari le spuntassero…» borbottò.
Gli occhi verdi lo fissavano perplessi.
«Che c'è?»
«Non ti faccio notare le tue stranezze solo perché, a lungo andare, risulterei ripetitivo.»
Matt gli sventolò la fragola sotto il naso.
«Guardala!»
«La vedo.»
«È perfetta!»
«E quindi? Mangiala!»
«Non è naturale. Non mi piace.»
«Bellamy, capisco che tu debba per forza di cose aver imparato ad apprezzare le cose asimmetriche…»
«Certo.» lo interruppe, «La simmetria è troppo banale e artefatta. Tra l'altro, in questo caso specifico, sto tentando di capire quanti e quali trattamenti possa aver subito questa fragola per venir fuori così.»
Brian sbuffò, alzando gli occhi al cielo; allungò un braccio, gli prese la fragola dalle mani e la addentò.
«Ehi!» esclamò Matt, oltraggiato.
«Ti fai troppi problemi.» gli disse Brian a bocca piena, masticando soddisfatto. L'angolo sinistro della bocca tratteneva una goccia di succo rosso, che lui si affrettò a tergere con la lingua prima che decidesse di colargli sul mento. «Chiudi gli occhi e mangia.» gli intimò, porgendogli il resto del frutto.
L’aria intorno a loro si caricò improvvisamente di una tensione che sembrava ormai dimenticata. Matt rimase un attimo interdetto a fissare alternativamente Brian e la sua mano, poi socchiuse gli occhi con aria diffidente, si sporse sul tavolo e mangiò il resto del frutto che l'altro teneva tra le dita. Registrò con una piccola parte della mente che la fragola effettivamente era dolcissima, mentre, ancora stupito da quell'atteggiamento, guardava Brian pulirsi le mani con aria soddisfatta.
«È buona, vero?» si sentì chiedere.
La tensione si dileguò con la stessa velocità con cui si era creata, tanto che Matt ebbe la vaga impressione che fosse stato tutto frutto della sua immaginazione. Si riscosse in fretta e borbottò un assenso.
«Questo non vuol dire, però, che io abbia cambiato idea. Siamo a febbraio, siamo in Inghilterra e quella fragola era surgelata. La sua dolcezza è solo l'ennesima prova dei processi chimici a cui è stata sottoposta.»
«Matt, la vita è una sola. Se dovessimo preoccuparsi di queste cose, dovremmo smettere di mangiare del tutto e magari anche di bere. Rilassati, non morirai per una fragola.»
«Mezza.» lo corresse, «L'altra metà, me l'hai rubata tu.»
«Dovevo dimostrarti che addentarla non avrebbe scatenato uno tsunami.» gli rispose Brian, scrollando le spalle con aria innocente.
Matt si sorprese a pensare che quell'indifferenza era artefatta tanto quanto la fragola. Brian non l'avrebbe mai… imboccato. Con una fragola già morsa, per giunta. Non l'avrebbe mai fatto, a meno che non avesse deciso di cedere.
Cedere a un corteggiamento pressoché inesistente, peraltro.
Lo osservò alzarsi e cominciare a sparecchiare e non sopportò di rimanere seduto, per cui lo imitò e fece per aiutarlo, ma Brian intervenne: «Lascia stare, faccio io.»
«Come vuoi.» gli rispose, incrociando braccia e poggiandosi all’indietro contro la penisola. Il ripiano era proprio al livello delle tasche posteriori dei suoi pantaloni e lui avvertì la durezza dell’accendino di Brian che riposava lì, al sicuro.
Mentre il padrone di casa si affaccendava per sistemare i piatti in lavastoviglie, Matt continuava a rimuginare.
«Bellamy, che ti succede?» si sentì apostrofare a un certo punto
«Niente, perché?»
«Non stai mai zitto per più di trenta secondi di seguito, stavo cominciando a pensare che quella fragola ti avesse fatto male veramente.»
«Ah ah.» mimò.
Brian si sciacquò le mani e, dopo averle asciugate su uno strofinaccio, afferrò il pacchetto di sigarette accanto al frigorifero e ne pescò una. Poggiò la schiena al lavello e si ritrovarono a fronteggiarsi.
«Che c'è, Brian? Il silenzio ti imbarazza?» lo provocò, con un sorriso sarcastico.
«Affatto, Bellamy. Stavo effettivamente godendomelo, quando mi sono reso conto che, forse, la tua assenza di sproloquio avrebbe potuto essere preoccupante.»
Brian si rigirava la sigaretta tra le dita, distratto, ma non distoglieva lo sguardo da lui. Matt sentiva che era giunto il momento di tornare all'attacco, di provocarlo, di capire.
«Vuol dire che ti preoccupi per me?»
«In realtà per me stesso.» precisò, «Ho paura di sapere a cosa stessi pensando.»
«Se vuoi te lo dico.» sorrise Matt.
«No, grazie.» rispose Brian, cauto «Se non l'hai fatto finora vuol dire che è meglio che io non lo…»
«Stavo cercando di capire il tuo comportamento a cena.» lo interruppe.
«… ma immagino che me lo dirai lo stesso.» concluse l'altro. Poi sospirò e proseguì: «So che mi pentirò di avertelo chiesto, ma che comportamento?»
Quell'indifferenza era quasi un insulto.
«La fragola.» sputò fuori.
«Ah, quella…» sorrise Brian. Quel sorriso aveva un che di malizioso, gli occhi verdi sembravano nascondere un che di perverso e Matt sentì un brivido corrergli lungo la spina dorsale. Sentiva di essere sempre più vicino al cuore del discorso e che, questa volta, l'altro non avrebbe potuto tirarsi indietro.
Sperò che non avrebbe voluto, neanche.
«Quella.» confermò, inchiodandolo con lo sguardo.
Brian incastrò la sigaretta fra indice e medio della mano destra.
«Beh, mi sembra chiaro che tu voglia giocare, quindi perché non farlo?»
Parlava gesticolando con quella sigaretta ancora spenta e il polso molle che conferiva ai movimenti della mano una grazia innaturale. Matt si perse ad osservarla e per un attimo immaginò di averla addosso.
Si riscosse subito.
«Cosa vuoi dire?» gli chiese.
«Esattamente quello che credi.»
«Vuoi… giocare?» tentennò.
«Ho pensato che non sarebbe male, sì. Dobbiamo continuare ad analizzare tutto, Dawson?»
Il riferimento al teen-drama era troppo, ma Matt dovette ammettere che sembrava fin troppo azzeccato.
«No, no…» mormorò imbarazzato, distogliendo lo sguardo e sorridendo debolmente al pavimento.
La voce di Brian si fece più bassa e più profonda: «Tu vuoi giocare, Matthew?»
Riportò lo sguardo in quegli occhi verdi e si trovò improvvisamente intrappolato.
Gli occhi sembravano più grandi e dopo un attimo si accorse che probabilmente Brian aveva fatto un passo avanti. Sentì la gola riarsa e il battito cardiaco accelerare.
«Io… credo di sì.»
«Credo è un po' poco.» disse Brian avvicinandosi ancora, sempre guardandolo negli occhi.
Quello sguardo era in grado di fargli dimenticare che esistesse un mondo oltre quegli occhi. Improvvisamente, tutto ciò che vedeva era verde.
Sentì la mano di Brian, quella che reggeva la sigaretta ancora spenta, posarsi sul suo torace, mentre vedeva lo spazio tra i loro visi ridursi drasticamente.
«Voglio giocare.» sussurrò, quasi a corto di fiato. Per un folle istante pensò di aver parlato con l'aria che Brian aveva esalato, e avrebbe anche potuto essere vero.
Sentì una mano insinuarsi nella tasca posteriore dei suoi jeans, e percepì una sensazione di vittoria accompagnarsi all'eccitazione crescente.
«Stai attento a quello che desideri.» gli mormorò Brian a fior di labbra, «Consideralo il mio unico avvertimento.»
E, in un attimo, sfilò la mano dalla sua tasca e si allontanò.
Per Matt, fu come ricevere una doccia gelata in una giornata di caldo torrido e non poté arginare il respiro profondo e spontaneo che i suoi polmoni gli imposero di prendere, come se volessero appropriarsi di tutto l'ossigeno rimasto nella stanza. Come se avessero dovuto sopportare un'apnea ai limiti della sopravvivenza.
Brian gli aveva dato le spalle e, sbirciando oltre la sua spalla, intravide la luce riflettersi su una superficie argentea e poi un lampo di rosso. L'accendino, che fino a qualche secondo prima giaceva indisturbato nella sua tasca, ora era tra le mani di Brian.
Che troia.
Lo vide girarsi e soffiare via verso l'alto il fumo della sigaretta appena accesa, con un sorriso sornione, e tutto quello che riuscì a pensare fu: "Non te la caverai così facilmente."
Il braccio che teneva la sigaretta era un po' discosto dal resto del corpo; Matt lo afferrò, lo trasse a sé e incollò le labbra alle sue.






Doverosi credits: tutta la faccenda dell'accendino non è interamente farina del mio sacco... quello che ho fatto io è stato rimescolare nella mia testa e "mollamyzzare" un'ode di Orazio (libro I, ode 9) e una scena di una delle mie puntate preferite di Buffy (6x11).

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


 
 
 

Capitolo 4

Matt si avventò su Brian famelico, frustrato, sfogando quel velo di irritazione che Brian aveva coltivato in lui per tutta la sera. Sentiva le labbra dell'altro che non riuscivano ad adattarsi a quel bacio violento e infatti non passò molto tempo prima che Brian lo scostasse e gli dicesse, scocciato, mentre si girava per spegnere la sigaretta: «Ma si può sapere chi ti ha insegnato a baciare? Un branco di iene?»
Matt assunse un'espressione offesa, ma non riuscì a pensare ad una risposta adeguata che non lo facesse sembrare un bambino capriccioso, perché nel frattempo Brian l'aveva fatto indietreggiare di nuovo fino all'isola e gli stava sussurrando, con la bocca quasi sulla sua: «Ora ti faccio vedere io come si fa.»
Le labbra di Brian erano morbide, delicate ma decise, la sua bocca sapeva di fragole e di tabacco e la mano che gli aveva infilato tra i capelli li carezzava pigramente.
Matt pensò che avrebbe volentieri passato tutta la vita a baciare Brian - o a farsi baciare da lui, comunque.
Ma in quel momento c'erano pensieri più importanti e Brian doveva essere sulla sua stessa lunghezza d'onda, perché cominciò ad indietreggiare e gli afferrò la camicia per tirarselo dietro e trascinarlo in camera da letto.

 
*

«Ok, stop, STOP. Puoi risparmiarmi il resto.»
«Ma come?!? Pensavo che volessi sapere tutto!» lo prende in giro Matt.
«Ho cambiato idea. Voglio sapere tutto, tranne le scene a luci rosse. Solo il pensiero di quella… quello… nudo…» Dominic rabbrividisce.
«Non sai che ti perdi…» sospira Matt.
Dom lo guarda scandalizzato.

 
***

Stefan si lascia cadere pesantemente accanto a Brian sul divanetto del tour bus.
«Che fai?» gli chiede.
«Niente, controllavo le e-mail.»
«Che pensa il tuo computer, stamattina?» scherza il bassista.
Brian accenna a un sorriso, ma scatta sull'attenti. Non è da Stefan cercare di fare conversazione spicciola, a meno che non stia cercando di tastare il terreno o di indorare qualche pillola.
«Spara.» gli dice, quindi. Meglio saperlo subito, qualunque cosa sia.
Stefan si gratta la nuca, chiaramente a disagio.
«Sai dove stiamo andando?»
«Mmmh… no. Dovrei?»
«Stasera suoniamo al Werchter.»
«E quindi?»
«Lo sai che anche i Muse suonano lì, stasera?» butta lì casualmente.
Brian cerca di rimanere impassibile, ma il suo cuore ha appena deciso che è una buona idea precipitare nelle viscere e poi risalire per pompargli sul viso una quantità spropositata di sangue, in modo da vanificare tutti i suoi sforzi.
Ovviamente sapeva che sarebbe successo, prima o poi, ma aveva pensato con logica inappuntabile che allontanare il pensiero avrebbe fatto sparire il problema.
«Stef… ma tu… come…?» non riesce ad articolare la domanda fino in fondo. Come accidenti aveva fatto Stefan a sapere di Matt?
Riceve un'occhiata esasperata.
«Ti conosco da vent'anni, Steve ha la bocca larga e so fare due più due. Comunque, se può consolarti, dovremmo suonare su palchi diversi.»

***

Con la testa poggiata sullo stomaco di Brian, Matt si guardava intorno nella camera da letto e sentiva nascere un sorriso spontaneo. I mobili erano di legno chiaro, le tende bianche celavano la vista della camera alle enormi finestre e la moquette era di un morbido azzurrino.
«Sapevo che eri più un tipo da legno.» commentò.
Brian si mosse un po', forse infastidito, e sbuffò una nuvola di fumo.
«Io non sono più un tipo da legno. Smetti di far finta di conoscermi.»
Matt si girò per guardarlo negli occhi e con un sorriso malizioso ribatté: «Oh, io credo di conoscerti abbastanza a fondo. Anzi, se proprio dobbiamo essere precisi, ho passato l'ultima ora della mia vita a conoscerti
Brian non riuscì, suo malgrado, a trattenere un sorriso, ma cercò di darsi un tono alzando gli occhi al cielo.
«Tieni fuori da questa stanza i sensi biblici, per cortesia.»
Matt ridacchiò sommessamente, poggiando la fronte su Brian e chiudendo gli occhi.
«Se proprio vuoi saperlo, ho gusti molto vari e ho arredato ogni stanza della casa con uno stile diverso, a seconda dell’uso a cui è destinata.»
«Mmh… e la stanza con l’altarino per i Muse com’è arredata?» chiese Matt, ironico.
Brian scoppiò a ridere e gli diede un colpetto sul braccio nudo, mentre lui lo seguiva a ruota. Era piacevole stare lì, così; la tensione che avevano sentito per tutta la sera si era finalmente dissolta, facendo spazio ad un’atmosfera rilassata e complice.
Il sesso con Brian era stato molto, molto più di quello che si era aspettato, più intenso, travolgente. Brian aveva uno strano modo di porsi, nella vita e sotto le lenzuola: per la maggior parte del tempo sembrava tenere in mano la situazione, guidare qualsiasi cosa e aspettarsi di essere seguito in tutto e per tutto, senza neanche contemplare la possibilità di incontrare un no e poi, all'improvviso, mollava le redini, allentava gli effetti di quel carisma opprimente che esercitava su ogni cosa e si lasciava andare, spensierato e quasi… innocente. Matt si ritrovava affascinato da entrambi i lati della sua personalità. Il Brian carismatico lo attraeva, lo incuriosiva, gli faceva venire in mente mille modi per metterlo alla prova, per stuzzicarlo, per tentarlo, mentre il Brian più spontaneo gli faceva provare sensazioni da tempo dimenticate, lo faceva sentire un ragazzino, lo avrebbe facilmente fatto arrossire. Così, dopo averlo trascinato in camera da letto e avergli praticamente strappato i vestiti di dosso, si era seduto ed aveva intrecciato le dita alle sue, piantando gli occhi nei suoi con un'espressione che Matt avrebbe definito dolce, se non si fosse trattato di Brian Molko.
Comunque quegli occhi sembravano aspettarsi qualcosa, e Matt si era avvicinato di un passo e l'aveva baciato, spingendolo indietro sul letto e salendogli sopra.
***
 
Il sole di inizio estate picchia forte sulla radura sterrata che è stata adibita al parcheggio dei tour bus degli artisti e che ora brulica di gente che va avanti e indietro. Non appena il bus dei Placebo si ferma nell'area riservata a loro, Steve salta giù stiracchiandosi rumorosamente e scrollandosi di dosso le nove ore di viaggio ininterrotto, seguito a ruota da Nick, Bill e Fiona. Stefan dorme, mentre Brian è seduto sul divanetto della zona giorno, in posa apparentemente rilassata, con le braccia allargate sullo schienale, la testa voltata verso il finestrino e l'espressione assorta. Solo l'immobilità del collo e la rigidità delle mani ne tradiscono la tensione. Matt ha smesso di chiamarlo da una settimana. Brian non sa che cosa sia successo o come abbia deciso di desistere, può solo immaginare che a un certo punto l’altro si sia rassegnato.
Sente il passo leggero di Cody che si avvicina.
«Papà, non scendiamo?»
«No, Cody, fa troppo caldo per scendere ora.»
«Io non ho caldo. Ti pregooo, andiamo a fare una passeggiata! Non ce la faccio più a stare qui dentro!» si lagna il bambino.
Brian lo guarda incerto. Il parcheggio è grande, ci sono oltre cento autobus parcheggiati, quindi almeno un migliaio di persone in giro. La possibilità di incontrare Matt c'è, ma non è così concreta, anche perché i Muse potrebbero essere ancora in viaggio, o Matt potrebbe essere andato a rilasciare qualche intervista.
Inoltre, costringere Cody a rimanere rintanato in un autobus solo per il suo timore infantile di incontrare Matt non lo fa certo sentire il padre migliore del mondo.
«E va bene.» acconsente quindi, in fondo troppo desideroso anche lui di prendere una boccata d'aria e di sgranchirsi un po' le gambe.
L'afa estiva lo investe in pieno, facendogli subito rimpiangere il fresco del bus, ma suo figlio si sta già dirigendo a passo spedito verso Steve che sembra assorto in una conversazione telefonica.
Il bambino raggiunge il batterista e gli tira gentilmente la camicia per attirare la sua attenzione.
«Cody, lascialo stare, non vedi che sta parlando al telefono?» gli grida, cominciando ad avvicinarsi anche lui. Quello lo ignora bellamente e dice qualcosa al batterista che annuisce e poi torna alla sua conversazione.
Il bambino si dirige nuovamente verso Brian.
«Steve viene con noi.» gli dice, tutto allegro, «Finisce la telefonata e poi andiamo.»
«Ok.» risponde Brian. E poi un brivido gli corre lungo la schiena.
Lo sguardo di Cody si illumina, fissandosi su un punto imprecisato dietro di lui e Brian sa esattamente cosa sta guardando suo figlio.
Come uscito dal peggiore dei suoi incubi, Cody grida eccitato: «Angus!» e fugge in quella direzione.
Brian valuta per un momento l'idea di non girarsi, di far finta di niente e continuare per la sua strada, ma si rende conto che sembrerebbe troppo ridicolo anche per lui. Inoltre, non può dare a vedere quanto sia realmente sconvolto.
D'altra parte, lui e Matt non hanno litigato. Certo, Brian l’ha evitato come la peste senza alcun apparente motivo per l'ultimo mese, ma non gli risulta che ci fosse una regola che lo obbligasse a rispondere al telefono quando Matt Bellamy lo chiamava. O a richiamarlo. O a rispondere ai suoi messaggi.
O ad aprirgli la porta quando lui era fuori da casa sua.
Nessuna regola.
Non erano amici e sicuramente non erano una coppia; non erano mai stati una coppia, Brian l'aveva messo in chiaro fin da subito.

***

«Matt, ti prego, ti prego, puoi arrivare al punto della storia?»
«Dom, se tu smettessi di interrompermi in continuazione sapresti che il punto è quasi arrivato.»
«L'hai detto anche due ore e mezza fa!»
«Ma ti serviva l'antefatto!»
«Mi sarei accontentato del riassunto.»
«No che non ti saresti accontentato, avresti continuato ad interrompermi per farmi domande.»
«Forse hai ragione…»

*
 
«Bellamy, non per sembrare inospitale, ma credo che sia ora che tu te ne vada.»
Matt guardò Brian di sbieco, cercando di capire cosa significasse quella frase.
«Che c'è?» si sentì domandare.
«Sbaglio o mi stai cacciando come si fa con una prostituta?»
«Sbagli. Le prostitute vengono pagate.» rispose Brian con un sorriso sornione.
«E se volessi restare?» gli chiese a bruciapelo.
«Noi non dormiremo insieme, Matthew. Non ci conosciamo abbastanza bene e soprattutto non siamo una coppia.»
«Beh, no, ma…»
«Niente ma. Sono stato chiaro, per me è un gioco. Facciamo sesso perché ci va, ma non pensare che ci sarà mai altro tra noi due.»
Matt sentì una fitta. Non intendeva certo diventare una coppia: la sua rottura con Kate era troppo recente e lui doveva ancora capire come adattarsi alla sua nuova vita, prima di pensare di lanciarsi in un'altra storia. Con un uomo, per giunta. Non aveva mai contemplato la possibilità di avere effettivamente una relazione con Brian, ma il vedersela negare a priori lo ferì, in qualche modo.
Si sentiva stupido a prendersela per un rifiuto del genere, ma era sicuro che darlo a vedere non l'avrebbe aiutato. Brian l'avrebbe con tutta probabilità preso in giro e poi sbattuto fuori per non farlo entrare mai più e questo non era quello che Matt voleva.
Così ingoiò il rospo e tirò fuori un sorriso.
«Ma chi la vuole una relazione con te, Molko? È solo il sonno che al momento mi fa passare la voglia di rivestirmi e alzarmi di qua.» gli disse, «Però hai ragione. Dormire insieme è troppo intimo.» confermò, alzandosi e mettendosi alla ricerca dei suoi vestiti sparsi qua e là per evitare di incrociare il suo sguardo.

 
***

Finalmente, Brian si gira. Strizza gli occhi per mettere a fuoco la figura accanto al cane, ma quello decisamente non è Matt: troppo alto, troppo grosso, troppo coordinato.
Tira un sospiro di sollievo e comincia ad avvicinarsi. Man mano che la figura si ingrandisce, Brian riconosce Christopher Wolstenholme, il bassista dei Muse che, con aria estremamente annoiata, trattiene il guinzaglio e guarda perplesso Cody e Angus che si fanno le feste reciprocamente.
Non appena Brian raggiunge il gruppetto, Christopher alza lo sguardo e sgrana gli occhi sorpreso, quando lo riconosce.
«Brian!» esclama, tendendogli la mano.
«Christopher.» risponde, stringendogliela cordialmente.
«Papà, guarda, mi dà la zampa!» esclama Cody, «Si ricorda!»
«Certo che si ricorda, Cody.» fa Brian, pazientemente, cercando di reprimere il disagio che lo irrigidisce. Non sa quanto il bassista dei Muse sappia di quello che è successo tra lui e Matt e sicuramente non vuole essere lui a rivelargli più del dovuto.
«Ma scusa, tuo figlio conosce il cane di Matt?»
Eccola, la domanda più spontanea di tutte, fatta con l’ingenuità di uno che, decisamente, non sa.
Si rassegna a dover rivelare qualcosa.
«Sì, Matt abita nel mio stesso palazzo e così Cody ha avuto modo di giocare col suo cane, qualche volta.»
Brian cerca di comportarsi con naturalezza davanti all’espressione di genuina sorpresa di Chris.
«Diciamo che è un po’ anche mio.» borbotta il bambino e Brian finge di non accorgersene, per evitare altre rivelazioni scomode.
Il vibrare del cellulare nella sua tasca lo salva da ulteriori interazioni e gli fa tirare mentalmente un sospiro di sollievo. Controlla il numero sul display: è Helena.
«Cody, sta chiamando la mamma, sicuramente vorrà parlare anche con te.» lo richiama. Fa un cenno di saluto e di scuse al bassista di fronte a lui e poi risponde al telefono.
«Pronto?»
«Brian! Come va?» gli chiede la voce serena della sua ex.
Cody nel frattempo ha messo su un broncio lunghissimo perché non vuole saperne di separarsi dal cane, ma Brian gli lancia una di quelle occhiate da padre che, ha capito, riescono ancora a incutere a suo figlio un certo timore reverenziale e vede il bambino staccarsi riluttantemente dal cane e seguirlo in direzione del tour bus.
«Tutto bene, tu?»
«Eh, sai, solita Londra d’estate: caldo atroce e umidità peggio.»
Brian ridacchia.
«Voi dove siete?» gli chiede.
«In Belgio. Werchter.» risponde stringato Brian.
«Ma al Werchter…» comincia subito Helena.
«Sì.»
«L’hai…»
«No.»
«Hai intenzione di lasciarmi finire una frase?»
«Solo se cambiamo argomento.» tenta di scherzare lui.
Helena sospira.
«Ok… Cody come sta?»
«Sta bene, è qui. Te lo passo?»
«Sì, grazie. Noi ci vediamo fra tre giorni.»
«Perfetto. Ho già detto ad Alex di mandare una macchina a penderti.»
«Oh, non dovevi disturbarti.»
«Nessun disturbo. Ti passo Cody.»
«Ciao.»
«Ciao.»

***
 
«Cioè, fammi riassumere un attimo la situazione. Il famoso "punto" della questione è che Brian voleva solo scopare e tu ti sei innamorato?»
«Dom, perché nei tuoi riassunti io sembro sempre la ragazzina sedotta e abbandonata?»
«Perché lo sei, Matt!!! Sei una fottuta ragazzina! Come ti salta in mente di innamorarti di Brian Molko? Dopo che lui ti ha chiaramente intimato di non farlo, per di più!»
Matt si sgonfia come un palloncino bucato e finalmente il suo migliore amico può vedere la profonda tristezza che lo pervade.
«Non si può scegliere chi amare, Dom. E lui… io so che provava qualcosa di più.»

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

«Ok.» sospira Dominic Howard rassegnato, «Raccontami il resto. Giuro che non ti interrompo più.»
Matthew Bellamy lo guarda inarcando un sopracciglio con aria scettica.
«Non fare promesse che non puoi mantenere.»
Dom ci pensa un po' su.
«Ok, diciamo allora che ti interromperò solo se non potrò proprio farne a meno.»

*

18 febbraio.
Matt entrò in garage con la macchina, spense il motore e premette il pulsante del telecomando per far chiudere la saracinesca. Afferrò il cellulare e le chiavi e fece per uscire, quando sentì il telefono vibrare nella sua mano. Si bloccò con un piede fuori dal veicolo e controllò il numero sul display prima di rispondere.
«Ti manco già?»
Una risatina nasale gli rispose dall'altro capo della cornetta.
«Ora non esageriamo. Dove sei?»
La sua voce. Quella voce…
«Sono appena rientrato, a dire la verità.»
«Che coincidenza, anch'io. Come mai non ti vedo davanti all'ascensore?»
«Perché ho appena parcheggiato in garage.»
«Mmh…»
Matt poté intuire un sorriso in quel verso. Brian aveva il dono di far sembrare oscena qualunque cosa uscisse dalla sua bocca. Sorrise anche lui.
«Che c'è?»
«Sai, non ho mai visto il tuo garage…»
«Vuoi venire a vedere il mio garage?» chiese perplesso, grattandosi la testa.
«Che numero è?» questa volta sentì la voce di Brian provenire dall'esterno, oltre che dalla cornetta.
«È il 21. Aspetta, vengo ad aprirti.»
Scese dalla macchina e andò alla porta interna che dava sul corridoio.
Dietro la porta, Brian lo aspettava inguainato nel solito cappotto nero che gli calzava a pennello, i capelli perfettamente in ordine, un trucco leggero in viso e un sorriso malizioso.
Era bello da togliere il fiato.
Matt sbatté un paio di volte le palpebre per cercare di recuperare un po' di lucidità. Doveva decisamente smettere di imbambolarsi quando lo vedeva.
«Ciao!»
Brian non si preoccupò di rispondere, sorridendogli ed entrando nel garage. Era piuttosto grande, per essere un garage nel centro di Londra, ed era invaso da una quantità spropositata di scatoloni, oltre a contenere le due auto londinesi di Matt: la Porsche e…
«… una Mini Cooper?» chiese Brian, incredulo.
Matt sorrise, mentre lo guardava avanzare con passo lento e cadenzato fra gli scatoloni. Ogni tanto si avvicinava a qualcosa, lo sollevava e poi lo rimetteva giù.
«Cercare di parcheggiare a Londra con qualcosa di appena più grande è un'impresa titanica.»
«Ci saranno macchine piccole più carine di quella… cosa! - si sentì rispondere, mentre Brian sollevava un'orrenda M di metallo che oscillava su una molla e gliela mostrava con aria di scherno.
«Molko, non far finta di intenderti di auto.» gli disse, raggiungendolo e togliendogli il premio dalle mani per riporlo nello scatolone "trofei" che ancora non aveva avuto modo di sistemare nel nuovo appartamento.
«Inoltre,» proseguì, «se proprio vuoi saperlo, al momento ne ho cinque, per cui ho smesso di preoccuparmi di trovare la macchina più bella in circolazione.»
Brian gli diede le spalle e continuò a vagare per il garage, senza meta, passando tra le due auto affiancate.
«Come se tu avessi mai avuto un grammo di senso estetico.»
Matt lo raggiunse da dietro, gli afferrò i fianchi e lo spinse contro lo sportello rosso della Mini Cooper.
«Se sono venuto a letto con te, un po' ce l'avrò, no?» gli soffiò nell'orecchio.
«Bellamy!» Brian si finse shockato, «Era un complimento, per caso?» continuò, spingendosi un po' all'indietro per assicurarsi di aderire al suo corpo.
Matt sorrise e abbassò la testa per insinuare il naso tra il collo del cappotto di Brian e la sua sciarpa.
«Solo un dato di fatto.» mormorò.
Brian emise uno sbuffo divertito e Matt sentì la sua mano muoversi all'indietro e insinuarsi tra le sue cosce, fino a fermarsi sul cavallo. Gli si fermò il respiro in gola, mentre percepiva un lieve sbilanciamento in avanti e poggiava entrambe le mani sul fianco della Mini, ai due lati di Brian, per evitare di perdere l'equilibrio.
«Brian…» espirò.
«Mmh?» si sentì rispondere con aria innocente. La mano cominciò a muoversi.
«… che…» non riusciva ad articolare, i suoi pensieri erano completamente assorbiti da quello che stava avvenendo in un posto ben lontano dal suo cervello.
«Dov'eri?» chiese casualmente Brian. La mano riuscì - con destrezza ammirevole - a sbottonargli i pantaloni.
Matt ci mise qualche secondo a capire che avrebbe dovuto rispondere.
Ma non aveva capito il senso della domanda.
La mano si insinuò dentro i pantaloni e lui inarcò la schiena istintivamente.
«… dove? … Cosa?» rantolò. Brian si divincolò un po' e riuscì a girarsi per fronteggiarlo. La mano scostò l'elastico dei boxer e si insinuò al loro interno. Era fresca, a contatto col suo calore che in confronto sembrava incandescente.
«Da dove rientravi?» ripeté Brian tranquillo, guardandolo negli occhi, come se fossero seduti tranquillamente davanti a una tazza di tè, «Ti ho cercato ieri, ma non c'eri.» buttò lì.
Verde. Era tutto verde. Cangiante. Non poteva continuare a guardare quegli occhi, ad ascoltare quella voce e a sentire quella mano - che nel frattempo continuava a muoversi - e cercare anche di rispondere. Era tutto… troppo. Così nascose la testa sulla spalla di Brian, vicino al suo collo, e strizzò gli occhi.
Dov'era stato?
«Teignmouth. Mia madre.» riuscì ad articolare.
«Mmmh. Peccato.» la mano lo accarezzava su e giù, leggera, «Ero passato da casa tua per giocare un po'.» continuò.
«Ah…» fu tutto quello che riuscì a replicare. E non era proprio sicuro che fosse una risposta e non un verso spontaneo. Quella dannata mano lo stava facendo impazzire. Si spinse ancora di più su Brian, per cercare più aderenza e sentì una risatina nell'orecchio. Il bastardo si divertiva.
«Brian!» ringhiò.
La risata si fece più piena, mentre la stretta si rafforzava e il ritmo della mano incalzava assieme al respiro di Matt.
«Quindi direi che potremmo giocare un po' stasera, che dici?» propose Brian.
Matt non era più in condizione di articolare un pensiero, figurarsi una risposta.
«Matt?» chiamò Brian, allentando la presa.
La sensazione di mancanza fu quasi una doccia gelida. Matt alzò la testa guardando Brian con aria spaurita.
Quello ghignò, leccandosi lentamente le labbra.
«Stasera. Dopo cena.» scandì, come se stesse parlando con un bambino un po' tonto.
Matt annuì, senza afferrare ancora del tutto i concetti. Non riusciva proprio a concentrarsi e quella lingua e quelle labbra erano state la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Si spinse ancora più avanti, così stretto che, se avesse voluto avanzare ancora, avrebbero dovuto fondersi, e lo baciò, accarezzando quella lingua impertinente con la sua e mettendola finalmente a tacere.
Brian riprese a muoversi e Matt si fece sfuggire un sospiro, mentre si lasciava andare tra quelle dita.

***
 
La truccatrice si sta affaccendando intorno a lui da più di mezz’ora per riuscire ad eliminare i segni degli ultimi cinque anni e a dargli l’aspetto fresco e riposato che i 37 gradi all’esterno e le troppe notti passate su un autobus gli impediscono di avere. Sono ancora le cinque del pomeriggio e i Placebo saliranno sul palco alle nove di sera, ma il festival gli ha imposto per contratto una serie di interviste che lo impegneranno per il resto della giornata. Il poster con la line-up dietro di lui si riflette nello specchio e lui vede al primo posto, allineati, i nomi delle band che faranno da headliner, con la suddivisione sui vari palchi. La programmazione dei due palchi principali è sfasata di mezz’ora e legge che i Muse suoneranno alle 21.30.
È stata pura fortuna evitare di incontrare Matt, prima. Ora si sente relativamente al sicuro, perché è certo che i camerini dei Muse siano molto lontani dal suo, ma non riesce comunque a rilassarsi. Pensa distrattamente che, oltre alla truccatrice, dovrebbe portarsi in tour anche una massaggiatrice, per farsi aiutare in momenti come quello.
«Fatto!» esclama Samantha, rimirandolo con un gran sorriso, come se fosse un’opera d’arte.
Brian le sorride e la ringrazia, proprio mentre Alex fa il suo ingresso nel camerino per comunicargli che è già in ritardo di 4 minuti sulla tabella di marcia; lui alza gli occhi al cielo e segue la sua manager nei meandri del backstage.
All’interno di un prato verdissimo, inaccessibile al pubblico, si stagliano una decina di padiglioni bianchi che ospitano divanetti e sorridenti intervistatrici pronte a registrare le risposte standard che Brian tirerà fuori.
La noia al pensiero di sopportare due ore di domande tutte uguali gli fa quasi dimenticare l’ansia di poter incontrare Matt da un momento all’altro, così che, quando vede un gruppetto di persone assiepato in lontananza, non si accorge subito di chi sia la persona che gli dà le spalle. È Dominic Howard a notarlo per primo e Brian lo vede affrettarsi a dire qualcosa a denti stretti all’uomo che gli sta di fronte, entrando immediatamente a far parte nella lista delle persone che sanno, che Brian sta compilando nella sua mente. Lentamente, Matt si gira e lo guarda.
Ogni fibra del suo essere si tende. I loro occhi si incastrano, anche a quella distanza, e il respiro di Brian si blocca da qualche parte a metà strada tra la gola e i polmoni. Riesce a distinguere perfettamente il blu intenso di quelle iridi piantate su di lui, riesce a ricordarne nel dettaglio le venature e le pagliuzze. Gli sono sempre piaciuti gli occhi di Matt, gli hanno sempre trasmesso una sensazione di… freschezza, come un respiro profondo ad alta quota. E non è solo il colore, no, è l’espressione che è limpida, genuina, che offre l’accesso ai recessi più profondi della sua anima. Tante volte, guardandolo negli occhi, ha provato l’impulso di scuoterlo, di dirgli di smettere di offrirsi così al primo che capita, che prima o poi qualcuno ne avrebbe approfittato, ma poi non l’aveva mai fatto, perché un discorso del genere avrebbe lasciato trasparire più interesse di quanto lui avrebbe mai ammesso di provare.
La necessità di mantenere una parvenza di controllo lo spinge ad alzare una mano in un cenno di saluto. Vede Matt sgranare gli occhi, incredulo e furente al tempo stesso, ma poi, come una secchiata d’acqua gelida, Alex lo richiama all’ordine e lo trascina nel padiglione alla sua destra, strappandolo a quel contatto e a quella comunicazione silenziosa.
Brian sbatte le palpebre per mettere a fuoco il mondo che lo circonda. Ha ancora in mente quell’espressione, quegli occhi impossibilmente blu che lo fissano con un misto di sbigottimento e accusa.

***

22 febbraio.
16.07
Bellamy, che fai stasera?
 
16.10
Scusa, Brian. Sto partendo per Los Angeles. :/
 
16.11
Ah, peccato.
 
16.15
Vuoi venire con me? :D
 
16.17
Sei completamente impazzito?
 
16.18
La speranza è l'ultima a morire. :P Saranno due settimane mooolto lunghe!
 
16.21
Vai a fare il padre anche tu, ogni tanto. Ci vediamo quando torni.
 

7 marzo.
Los Angeles, 12.33
Domani torno. Ritieniti impegnato per tre giorni. ;)
 
Londra, 20.45
Bellamy, capisco che la cosa ti possa sembrare assurda, ma io ho una vita e non ho intenzione di rinchiudermi in casa con te per tre giorni appena tu decidi che ne hai voglia.
 
Los Angeles, 12.48
Dai, sono serio.
 
Londra, 20.50
Anch'io. Domani ho un impegno.
 
Los Angeles, 12.51
Allora dopodomani? :)
 
Londra, 20.52
Dopodomani c'è Cody da me.
 
Los Angeles, 12.55
Perfetto, vengo a salutarlo così ci mettiamo d'accordo di persona.
 
Londra, 20.57
C'è bisogno che io ti dica che disapprovo completamente l'amicizia fra te e mio figlio?
 
Los Angeles, 13.00
Non essere ipocrita. Ci vediamo fra due giorni :D

 
***

Dopo l’ultima intervista del pomeriggio, Brian esce dall’ennesimo padiglione e, guardandosi intorno, tira un sospiro di sollievo: nessun Matthew Bellamy in vista.
Mancano ancora due ore alla sua entrata in scena e lui si avvia stancamente verso il suo camerino, dove lo attendono Cody e Steve in versione baby sitter. In quel momento si stanno esibendo i Kasabian, ma sono sull’altro palco, quello dei Muse, e Brian non rischia di uscire dal proprio territorio. Sa che sta solo rimandando l’inevitabile, ma non ha proprio voglia di affrontare una discussione con Matt sui perché e per come ha deciso di troncare la loro relazione, se di relazione si può parlare.
Non ha voglia di essere sincero.
Tra l’altro, Matt sembra aver smesso di tentare di chiamarlo e la sua espressione di poco prima non lasciava presagire niente di buono. Trattare con un Bellamy aggressivo è proprio l’ultimo tra i suoi desideri.
Evidentemente, il Fato o chi per lui non ha molto a cuore i suoi desideri, perché proprio davanti alla porta del suo camerino trova Matt pazientemente in attesa.
Jeans troppo larghi, un'anonima polo bianca e occhiali da sole ripiegati e appesi al colletto della maglietta, lo attende a braccia conserte, la schiena appoggiata alla parete bianca accanto alla porta d’ingresso in una posa troppo perfetta per non essere studiata.
Brian si congela sul posto, ma non c’è modo di invertire la rotta: ormai Matt l’ha visto. L’unica cosa che gli resta da fare è affrontarlo, quindi riprende a camminare, lentamente, come uno che ha tutto il tempo del mondo. Finalmente lo raggiunge. L’espressione di Matt non è affatto cordiale, ma Brian Molko, cascasse il mondo, non ha intenzione di cedere terreno. E l’attacco è sempre stato la miglior difesa.
«Bellamy! Che coincidenza incontrarti qui.» esordisce con un sorriso che non riesce a raggiungere gli occhi.
Matt inarca le sopracciglia i suoi occhi blu sono infiammati da stupore e rabbia.
«Molko!» quasi ringhia, «È una vera coincidenza, pensavo che fossi stato rapito dagli alieni.»
Il tono è ilare, ma Brian capisce che Matt è furioso.
Non l’ha mai visto così arrabbiato; anzi, pensava che una persona come Matt non si arrabbiasse mai, per lo meno non sul serio, perché davanti a tutte le sue provocazioni non aveva mai mostrato altro che una risata.
Brian valuta l’idea di rientrare in camerino, per avere Cody e Steve come rete di salvataggio, ma sa che rimandare ancora lo scontro sarebbe troppo.
Matt riprende: «Rispondere al telefono ogni tanto non ti farebbe venire l'orticaria, lo sai?»
Brian fa un sorriso tirato e distoglie lo sguardo, fingendo di controllare che non ci sia nessuno a portata d’orecchio. La verità è che non saprebbe cosa ribattere, perché qualsiasi risposta tradirebbe un coinvolgimento maggiore di quello che vorrebbe lasciare intendere.
«Potresti avere almeno la decenza di rispondere qualcosa ora!» incalza Matt.
«Che vuoi che ti dica, Bellamy? Dovevo partire e non avevo tempo di parlarne con te.»
«Non mi prendere per il culo.» sibila.
Ha ragione, ovviamente, ma Brian morirebbe prima di ammetterlo ad alta voce.
«Matt,» riprende con voce soave, girandosi di nuovo a guardarlo, «questa conversazione somiglia un po' troppo a una scenata. Sembra quasi che tu creda di avere dei diritti, come ad esempio sapere dove io sia o cosa io stia facendo. Ti ho già detto, tempo fa, che non siamo una coppia e che non lo saremmo mai stati, quindi tutte queste pretese te le puoi ficcare su per il culo. Mi andava di partire. Non mi andava di giustificarmi. Non volevo risponderti o richiamarti o, per quel che può valere, ascoltare i tuoi messaggi in segreteria. Mi dispiace se questo ti ha fatto preoccupare o rispolverare qualche teoria del complotto a cui non pensavi da tempo, ma questo è esclusivamente un problema tuo, e…»
«Brian.» lo interrompe, «Ti ho già detto di non prendermi per il culo. Tu sei chiaramente scappato perché le cose tra di noi stavano cambiando. Io l'ho capito e l'avrei anche accettato, ma tu l'hai capito e hai deciso di non parlarmi più. Bene, è un tuo diritto, puoi fare quello che vuoi, ma per lo meno avresti dovuto dimostrare la maturità dei tuoi anni e parlarmene, invece di fuggire chissà dove e rintanarti nel mutismo. 'Fanculo, Brian, hai dodici anni, non uno di più!» e con quest'uscita gira i tacchi e se ne va.

***
 
9 marzo.
Matt era nervoso. Non sentiva Brian da due giorni, perché non aveva voluto rischiare che tirasse fuori qualche scusa per evitare di vederlo. Quando gli aveva detto che sarebbe partito per Los Angeles si era aspettato che Brian facesse qualche battuta sull'astinenza forzata a cui lo condannava e invece aveva ottenuto una strana tranquillità. Non si erano più sentiti fino al momento di rientrare, intanto perché quando Matt andava in California veniva subissato da mille impegni e non aveva materialmente il tempo di restare in contatto neanche con sua madre, e poi, quando qualche sera si era ritrovato a pensare a Brian e avrebbe voluto mandargli un messaggio o chiamarlo, se lo era sempre impedito, perché sapeva che il destinatario non avrebbe gradito.
Poi, però, quando gli aveva scritto per annunciargli il suo ritorno, si era dovuto scontrare con un'ostilità che aveva creduto seppellita da tempo. Dal suo punto di vista, Brian non aveva alcun motivo per trattarlo con freddezza o cercare delle scuse per non incontrarlo, quindi magari la verità era semplicemente che aveva davvero degli impegni improrogabili.
Sospirando, suonò il campanello.
Sentì un gran fragore provenire dall'interno dell'appartamento e poi la porta venne aperta da un emozionatissimo Cody. Il sorriso del bambino si spense subito.
«E Angus??» gli chiese con espressione delusa, ancora prima di salutarlo.
Prima che Matt trovasse il coraggio di rispondere, una voce proveniente dalla cucina ammonì: «Cody, saluta!»
Quello lanciò un'occhiata semi-infastidita alle sue spalle e poi recitò cantilenando: «Ciao, Matt.»
«Ciao, Cody.» gli rispose sorridendo. «Sono appena tornato da un viaggio e quindi Angus è ancora da mia madre, dove l'avevo lasciato per il periodo in cui sono stato fuori.»
L'espressione del bambino si fece rassegnata.
«Ok…» disse con una vocina piccola, facendosi da parte per farlo entrare.
«Papà è in casa?» chiese Matt e Cody sollevò un braccio a indicare la cucina, mentre gli faceva strada.
Brian era seduto su un alto sgabello ed esaminava fogli su fogli con un'espressione concentrata e al loro ingresso alzò distrattamente lo sguardo per salutarlo.
Matt fu colto da un moto di irritazione. Non che si aspettasse che Brian gli facesse le feste, ma per lo meno un po' di considerazione al posto di quella finta indifferenza. Non riusciva proprio a capire cosa gli passasse per la testa e, sorridendo a se stesso, ammise che neanche le donne l'avevano mai messo così in difficoltà.
Quando Brian gli aveva proposto di "giocare" non aveva capito che volesse giocare a fare i dodicenni, pensò irritato, però se era questo che voleva l'avrebbe accontentato.
Si accomodò sullo sgabello di fronte a Brian e cominciò a parlare con Cody. Gli chiese della scuola, poi gli raccontò dei progressi che aveva fatto nell'educazione di Angus e gli disse che poteva passare a trovarlo ogni volta che avesse voluto. Nel frattempo, osservava Brian di sottecchi: faceva finta di ignorarli, ma i suoi fogli erano sempre nella stessa posizione e lui sembrava essere concentrato sempre sullo stesso rigo. Ad un certo punto, lo vide alzare la testa.
«Cody, ma hai finito i compiti?» chiese inquisitore. Il figlio lo guardò con aria colpevole.
«Ecco, allora vai, su, altrimenti te li trascini dietro fino a stasera!»
Il bambino sgusciò via dallo sgabello sospirando.
«Allora posso venire domani pomeriggio?» chiese a Matt.
«Certo,» gli rispose quello, sorridendo, «dalle quattro in poi dovrei essere a casa.»
Sul viso del piccolo passò l'ombra di un sorriso speranzoso.
«Ok!» esclamò; poi si girò e con un: «A domani…» sparì nel corridoio, in direzione della sua stanza.
Nel frattempo, Brian era tornato a scrutare le sue carte e gli chiese con aria annoiata: «Allora, Bellamy, cosa posso fare per te?»
Matt valutò e scartò subito l'ipotesi di una battuta a sfondo sessuale, optando per un po' di sincerità che, aveva notato, riusciva spesso a fare breccia in Brian.
«Intanto gradirei che tu smettessi di ignorarmi.» gli rispose.
«Non ti sto ignorando, Matt, ho da fare e te l'avevo detto.»
«Potrai anche dedicarmi qualche minuto. Ci mettiamo d'accordo e poi vado via. O vuoi forse farmi capire che il nostro accordo è scaduto?»
Brian finalmente alzò lo sguardo su di lui, poggiando la testa sul polso.
«Non lo so. Tu vuoi che scada?»
Matt inarcò un sopracciglio.
«Se volessi chiuderlo non sarei qui ora, non ti pare?»
«Non lo so…» fece Brian vago, «Non riesco a capire quanto possa essere vantaggioso, questo accordo.»
Matt si accigliò.
«Scusa, ma non hai ottenuto esattamente le condizioni che volevi?»
«Sì. Quasi. Più o meno.»
«Che intendi?»
«Niente…» lo liquidò Brian, tornando alle sue carte.
A Matt venne un’improvvisa voglia di prenderlo a schiaffi, ma si trattenne. Per essere sicuro che il suo corpo non prendesse decisioni avventate ed autonome, afferrò con forza il bordo della penisola.
«No, ora me lo dici.»
La sua voce tradiva un’irritazione che si stava trasformando in rabbia.
«È che vorrei poterci fare affidamento.»
Matt inarcò un sopracciglio, ma Brian, tutto intento a fingere di leggere, non se ne accorse.
«Cioè vorresti più di una semplice relazione sessuale?» lo incalzò, quindi.
Brian, finalmente, rialzò lo sguardo.
«No, ma vorrei poter essere sicuro che quando ho voglia tu ci sia.»
«Ma io ci sono!» protestò Matt, «È proprio per questo che sono qui adesso!»
«Beh, non ci sei se vai in America per due settimane ogni volta che io…» si interruppe, poi corresse: «…che ti va.»
Finalmente, Matt afferrò il nocciolo della questione e cominciò a sghignazzare.
«Che tu cosa?» gli chiese, lo sguardo acceso da una brillante ilarità.
«Niente, ho sbagliato.»
Brian tornò a guardare i suoi fogli. Matt scese dallo sgabello e fece il giro della penisola, per andare a trovarsi proprio accanto a lui, una mano sul fianco.
«Non hai sbagliato, hai ritrattato.» il suo sorriso era sempre più sornione.
«Non è vero. Smettila.» protestò Brian, irritato, agitando una mano verso di lui come a volerlo scacciare.
Matt gli passò le braccia intorno alla vita e poggiò il mento sulla sua spalla, con un sorrisetto di scherno.
«Mi vuoi forse dire che ti sono mancato?»
Brian fece un debole tentativo di divincolarsi.
«Neanche per sogno, Bellamy. Lasciami!»
«Mmh…» gli mormorò nell’orecchio «Non credo che lo farò.»
«Matt, lasciami sub…»
Brian si interruppe. Matt gli aveva preso il lobo tra le labbra e si stava spostando verso il retro dell’orecchio, nel punto di congiunzione col collo che, a quanto aveva capito, per Brian era un bottone di accensione, per così dire. Infatti lo sentì irrigidirsi e trattenere il fiato.
«Allora» gli mormorò, senza muoversi di un millimetro, «ci vediamo domani sera? Potrei anche farmi perdonare per queste due settimane di castità…»
Brian sospirò e mugugnò un verso che Matt decise di interpretare come un assenso. Spostò le labbra verso il collo e gli diede un bacio lieve, prima di allontanarsi. L’altro lo guardava con un misto di desiderio e accusa.
Ben ti sta, Brian, è un gioco che ho imparato da te, pensò.
«Allora ci vediamo domani.» gli disse, e si fiondò sulla porta, prima che l’altro avesse il tempo di replicare.
«Ciao, Cody!» gridò, con la porta già aperta. Sentì il bambino che gli lanciava un saluto e poi uscì.

 
*
 
«Mmmh.» mormora Dom, pensieroso.
«Che c’è?!?» gli chiede Matt, esasperato.
«Gli eri mancato?»
«Non proprio…»
«Ma ti ha fatto una vera e propria scenata di gelosia! Di quelle che fanno le donne!»
«Non era gelosia…» riflette Matt, «era più… un senso di possesso.»
«Possesso?»
«Sì. Brian era sincero quando diceva che non voleva una storia con me, niente sentimenti in mezzo, eccetera, però dal momento in cui abbiamo stretto quell’accordo ha cominciato a considerarmi una cosa sua. Il fatto che io mi fossi allontanato, che avessi frequentato altre persone, che non fossi stato disponibile quando voleva lui, l’ha mandato su tutte le furie.»
«Quel tipo ha dei problemi.»
«E non pochi!» conferma Matt, con un sorriso amaro.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


 

Capitolo 6

“Hai dodici anni, non uno di più”.
Ma come si permette?
Ma lui che ne sa?
Non può sapere, non può giudicare.
Brian cammina senza meta e senza sosta all’interno dell’area backstage, perché dopo la sfuriata di Matt non se l’è sentita di rientrare in camerino e fingere che non fosse successo niente davanti a Cody e a Steve. Oltretutto, non lo ammetterebbe mai, ma vederlo così da vicino, parlargli, guardarlo negli occhi, gli ha scatenato qualcosa di troppo simile alla nostalgia, per i suoi gusti. Di andare a sfogarsi con Stefan, neanche a parlarne. Potrebbe chiamare Helena, ma c’è un limite alle cose di cui puoi parlare con la tua ex e lui è certo che raccontarle nei dettagli i suoi problemi con Matt oltrepasserebbe inesorabilmente quel limite.
Per la prima volta, da un sacco di tempo, si sente solo.
Il desiderio di qualcosa di forte da bere si manifesta prepotentemente dentro di lui e lo fa arrestare di colpo; poggia una mano sul muro bianco che ha accanto respirando velocemente, quasi ansimando.
Non può bere. Non dopo tutto quello che ha passato. Non tocca un goccio d’alcool da sette anni, otto mesi e tredici giorni e non sarà una stupida discussione con Matt Bellamy che gli dà del bambino a farlo ricominciare.
Si gira e torna indietro verso il suo camerino. Restare solo in momenti come questo è l’ultima cosa che deve fare, ha bisogno di un’ancora di salvezza. Ha bisogno di suo figlio, di guardarlo e di ricordarsi perché non può andare a svuotare il portafogli al bancone di un bar.

***

29 marzo
Brian era disteso prono, il busto poggiato su quello di Matt che stava giocando distrattamente con i suoi capelli. Lanciò uno sguardo distratto alla sveglia sul comodino e poi sbuffò.
«Che c’è?» gli chiese Matt, la voce appena un sussurro.
Brian affondò il viso nello stomaco dell’altro.
«Tra un’ora devo essere dall’altro lato della città.»
Il movimento delle sue labbra a contatto con la pelle di Matt e le vibrazioni della voce stavano per dare il via a qualcosa che si era appena concluso. Matthew ridacchiò e si divincolò.
«Che fai?» gli chiese, mentre Brian lo bloccava col proprio peso, intrappolandolo con le mani contro il materasso.
«Brian, se non la smetti non ti faccio più uscire da questa stanza.»
Vide un sorriso malizioso dipingersi sugli occhi verdi che erano puntati nei suoi.
«Bene. Non me ne vado.» mugugnò, sporgendosi per baciarlo.
Il bacio si approfondì.
Le mani di Brian cominciarono a vagare.
Matt voltò la testa repentinamente.
«Brian!» esclamò, «Devi andare a lavorare, su!»
Gli diede una pacca sul sedere e sgusciò definitivamente a quell’abbraccio. Brian si mise supino e si trascinò un cuscino sulla faccia.
«Non ho voglia.» si lamentò.
«Ma cos’è che devi fare?»
«Sono ospite di un programma alla XFM.»
«Va bene che è solo audio, Brian, ma dovresti per lo meno renderti presentabile…»
«Ecco, quest’aggettivo mi ha appena impedito di prendere in prestito dei vestiti dal tuo armadio.»
«Non te li avrei prestati comunque, li avresti fatti puzzare da battona.»
Brian sgranò gli occhi, fingendosi offeso.
«Come ti permetti?» strillò, lanciandogli contro il cuscino e mancandolo miseramente.
«Brian, non vuoi davvero che la tua manager ti trovi qui. Fila a casa tua a prepararti.» lo ammonì col suo miglior tono da genitore, tirandogli addosso i vestiti che precedentemente lui stesso aveva disseminato per la stanza.

***
 
«Cody, guarda, è arrivata la mamma!»
Helena sta scendendo da un minivan con i finestrini oscurati proprio davanti alla porta d’ingresso del loro hotel. Un usciere in livrea prende le sue valigie e la scorta all’interno, dove Cody e Brian la stanno aspettando. Il bambino alza gli occhi dal suo videogioco e corre ad abbracciare la madre, che si sta togliendo gli occhiali da sole per adeguarsi alla penombra della hall. Liberatasi dall’abbraccio del figlio, Helena si avvicina a salutare Brian, ma si congela sul posto non appena è abbastanza vicina da vederlo bene in viso.
«Merda.» si lascia sfuggire a mezza voce, «Brian, non credere di riuscire a svignartela anche stavolta.» gli intima, sventolandogli contro un dito, «Hai un’espressione terribile e io voglio sapere per filo e per segno cos’è successo.»
Lui riesce a tirar fuori una risata poco convinta e tenta di scherzare: «Sì, cara, hai portato lo smalto e le maschere anti-age?»
Lei gli tira un colpetto sulla spalla e poi lo abbraccia, posandogli un bacio delicato sulla guancia.
«Ma quando imparerai, Brian?» sospira.

*
 
A gambe incrociate sull’enorme letto matrimoniale che troneggia nella suite, Helena Berg ascolta attenta il racconto strascicato di un Brian Molko seduto su una sedia di fronte a lei, la testa poggiata pigramente su una mano, il busto semi riverso sul tavolo accanto a lui e lo sguardo distante, come se non gli importasse davvero quello che sta dicendo.
Non che speri di ingannarla: lei lo conosce fin troppo bene e sanno entrambi che riuscirebbe a smascherarlo in ogni caso. D’altro canto, non c’è bisogno di entrare nei dettagli di tutta la storia: lei ha avuto modo, attraverso i racconti innocenti di Cody e grazie al poco che ha potuto constatare di persona, di farsi un’idea abbastanza precisa di quello che è capitato a Brian negli ultimi sei mesi. Le mancano solo le novità degli ultimi giorni ed è facile riempire il vuoto con poche frasi ben bilanciate. Ora Brian si ostina ad aspirare lunghe boccate di fumo dalla sigaretta elettronica – quelle vere non sono permesse all’interno dell’hotel – e a guardare nel vuoto, evitando accuratamente lo sguardo della sua ex.
Ad un certo punto, lei sbotta: «Ma si può sapere qual è il problema?»
«Lo sai, il problema. È sempre lui, solo che stavolta ho qualcosa da perdere.»
«L’avevi anche prima.» mormora la donna.
Lui alza uno sguardo colpevole e sofferente sul suo volto, ma prima che possa scusarsi per l’ennesima volta lei agita una mano nella sua direzione, come a voler dissipare le parole sospese a mezz’aria tra loro.
«Dacci un taglio, Molko. So che tu sai già quello che sto per dirti, ma te lo ripeterò lo stesso, tanto per essere sicura che non ti dimentichi i concetti fondamentali. Per cui apri bene le orecchie.»
Con un gemito sofferente, Brian si gira per fronteggiarla con tutto il corpo, ma fa come gli è stato detto. A volte ha bisogno di qualcuno che lo scuota, perché oltre a liberarlo dal peso dei suoi pensieri, risveglia in lui l’infantile sensazione di essere accudito ed amato.
«Non possiamo scegliere di chi innamorarci. Non possiamo neanche scegliere di non farlo. Ci sono persone che passano la propria vita a cercare l’amore e non riescono a trovarlo, quindi io non ti permetterò di arrenderti a priori, soprattutto quando hai qualcosa di così bello che ti sta nascendo tra le mani.»
«Come…» prova a intervenire lui.
«Lo so che è bello!» esclama esasperata, alzando le braccia per sottolineare il concetto e poi lasciandole ricadere ai suoi fianchi, «Non saresti scappato se non fosse stato qualcosa di spaventosamente rischioso per la tua sanità mentale. E allora doveva essere bello per forza.»
«Sì, ma tu non stai mettendo a fuoco il soggetto in questione.» sbotta lui, alzandosi in piedi e cominciando a vagare a vuoto nella stanza. «È Matt Bellamy, cazzo! È come un bambino, prende quello che vuole, ci gioca e lo butta via. Un giorno gli piace il pianoforte e il giorno dopo è solo chitarra, un giorno si fa una modella e il giorno dopo ci prova con me… e non ha mai avuto storie con uomini prima d’ora. Magari dopo qualche mese decide che gli mancano un paio di tette da strizzare e mi pianta.»
Helena scoppia a ridere di gusto.
«A parte il fatto che le tette le hai anche tu, vorrei farti aprire gli occhi sul fatto che non c’è bisogno di un’identità sessuale confusa per essere piantati.»
«Ecco!»
«Ecco il cazzo, Brian. Anche se ti mettessi con qualcuno con le idee più chiare, un giorno potresti venire piantato malamente e il fatto che Matt Bellamy sia Matt Bellamy non costituisce una maggiore fonte di rischio per te. Certo,» valutò ad alta voce «voi due come coppia dareste un boccone succulento ai giornalisti, ma a un certo punto si stancherebbero anche loro.»
«Hel, non lo so. È che lui ha un bagaglio piuttosto pesante. Ha un figlio con un’attrice di Hollywood che vive dall’altra parte del mondo, stare con lui significherebbe accettare di abbandonare la mia presunta vita normale.»
«Brian, se avessi davvero voluto una vita normale avresti fatto il contabile.»
Lui le sorride.
«Touché.»

***
 
Matt stava guidando nel traffico londinese, chiedendosi distrattamente che cosa l’avesse spinto ad uscire in macchina quel pomeriggio, sapendo benissimo di dover andare in centro. Fortunatamente, era riuscito a parcheggiare nelle vicinanze del negozio di sartoria dove avrebbe dovuto ritirare una serie di completi, ma adesso, proprio nell’orario di punta in cui tutti gli uffici chiudono e le persone rincasano, anche percorrere pochi metri gli richiedeva un tempo eccessivo.
Sospirò. Di questo passo non sarebbe mai arrivato a casa in tempo e si agitò sul sedile, insofferente al solo pensiero della sfuriata che Brian gli avrebbe fatto, perché come puoi essere sempre in ritardo?
A proposito di Brian…
Si sporse in avanti, accese la radio e si sintonizzò su XFM. Una risata fanciullesca, una voce nasale e Matt si ritrovò a sorridere come un cretino.
«Nelle vostre canzoni l’amore è un tema ricorrente» stava dicendo lo speaker, «ma com’è la vita amorosa di Brian Molko?»
Matt tese le orecchie mentre Brian gracchiava una risatina sarcastica.
«Non ti aspetterai davvero che risponda a questa domanda…» fu l’evasiva risposta.
L’interlocutore rise con lui, poi riprese: «Dai, non lasciare in sospeso tutti i nostri ascoltatori. Per esprimere concetti così potenti, dovrai pur avere qualcuno nella tua vita.» (“Infatti!” pensò Matt, “Come fai a scrivere quelle cose e poi a comportarti come ti comporti?”)
«Beh, il fatto è questo: non devi necessariamente essere innamorato, per scrivere una canzone d’amore. Quello che è importante, è che tu sia stato innamorato almeno una volta nella vita. (“Mmh. Vero. Questo te lo concedo.”) Poi puoi sempre scrivere di quel ricordo, rivivere quelle emozioni. Per quanto riguarda me, diciamo che sono in astinenza. (“COSA?”) Astinenza da storie d’amore. (“Ah, allora ok. Sì, ma di chi è la colpa?”) Non credo di essere abbastanza maturo per poterne gestire una seria, quindi aspetterò di diventarlo.»
Matt rimuginò su quelle parole. Sì, decise, Brian era decisamente immaturo dal punto di vista relazionale, il che gli sembrava abbastanza assurdo. Comunque, anche i ragazzini hanno storie d’amore, che problemi aveva, lui? A volte, Matt aveva l’impressione che Brian avesse una sorta di blocco mentale, ma non avrebbe saputo dire a cosa fosse dovuto.
Lo speaker, intanto, continuava a parlare.
«Capisco. Bene, Brian, grazie per essere stato con noi.»
«Grazie a te.»
«Amici, per questa sera è tutto, io e Brian vi lasciamo con l’ultimo singolo dei Placebo. A domani!»
Matt pensò distrattamente che gli studi di XFM erano poco distanti da dove si trovava in quel momento.
E che deviare in quella direzione l’avrebbe allontanato dalle incasinatissime strade principali.
E che Brian potrebbe aver avuto bisogno di un passaggio.
Mise la freccia e svoltò a sinistra. Secondo i suoi calcoli, tra la fine del programma e il momento in cui Brian fosse riuscito ad uscire dagli studi dell’emittente radiofonica, sarebbe passata almeno mezz’ora e a lui servivano quindici minuti per raggiungere l’edificio. Non aveva calcolato, ovviamente, l’impossibilità di parcheggiare. Non c’era un posto neanche a pagarlo a peso d’oro, neanche un buchino in cui infilare la sua piccola Mini Cooper. Valutò la possibilità di darsi per vinto e tornare a casa, ma poi pensò che ormai era lì, tanto valeva restarci altri pochi minuti. Decise di fare il giro del palazzo, per vedere se da qualche parte si fosse liberato un posto auto e, passando davanti alla porta principale, vide assiepato uno sparuto gruppetto di ragazzine. Saranno state sei o sette, stimò, e sicuramente erano lì per Brian. Palesarsi davanti al portone non sarebbe stata una mossa saggia: non solo potevano essere (e, probabilmente, lo erano!) anche fan dei Muse, ma era sicuro che farsi vedere insieme a Brian sarebbe stato deleterio sotto talmente tanti punti di vista che anche contarli era faticoso.
Sospirando, sprofondò un poco nel sedile e accelerò; svoltato l’angolo, si allungò per prendere nel cruscotto il cappellino e gli occhiali da sole che teneva sempre lì per emergenza. Accantonata la possibilità di parcheggiare e scendere, pensò che la sua unica possibilità era riuscire a prelevare Brian al volo, per cui accelerò di nuovo, svoltò un altro angolo e un altro ancora, fino a trovarsi di nuovo nella strada in cui si trovava l’ingresso principale.
La situazione era cambiata. La prima cosa che notò fu che il gruppo di ragazzine si era spostato e si stava muovendo, compatto, venendo nella sua direzione. Poco davanti a quella piccola folla, c’era una figura incappucciata, con gli occhiali da sole ben saldi sul viso, che camminava alla massima velocità consentita dalle sue piccole gambe senza sfociare in una corsa vera e propria.
Quelle piccole gambe. Magre. Affusolate. Armoniose. Femminee.
Matt si riscosse. Era Brian, ovviamente.
Premette sull’acceleratore e inchiodò proprio accanto a lui, aprendo lo sportello del passeggero e intimandogli: «Presto, sali.»
Brian si girò verso l’auto con aria allarmata, ma poi, anche attraverso le lenti scure, fu possibile individuare il cambio d’espressione sul suo viso e la sua netta virata verso il più spontaneo e genuino sollievo che Matt sarebbe mai riuscito a immaginare.
Brian si fiondò in macchina, si chiuse dietro lo sportello e, mentre si allacciava la cintura, gli disse: «Vai! Vai! Vai!»
Matt ripartì sgommando.
Quando furono abbastanza distanti, Brian si rilassò sul sedile e tirò un sospiro di sollievo, sfilandosi il cappuccio e togliendosi gli occhiali da sole. Matt fece lo stesso e cominciò a ridacchiare, subito seguito da un Molko semi traumatizzato.
«Che ci facevi là?» fu la prima domanda che si sentì rivolgere.
Matt si agitò sul sedile, a disagio, gli occhi fissi sulla strada. Sperava che il sollievo di Brian sarebbe bastato ad evitare uno scontro, ma con lui non si poteva mai dire…
Optò comunque per la verità.
«Ero nei paraggi e ho pensato che ti potesse servire un passaggio…»
Pur senza guardarlo, poté intuire il sorriso sul volto dell’altro e si rilassò.
«Che tempismo!» mormorò Brian.
«Dai, erano solo fan! Se ti fossi fermato a firmare due autografi se ne sarebbero andate dopo qualche minuto e saresti stato libero.»
«Non ne avevo voglia.» borbottò.
Matt intuì che c’era dell’altro e che Brian non ne voleva parlare, per cui decise di chiudere l’argomento.
«Per tua fortuna è arrivato il principe sul cavallo bianco a salvarti!» scherzò.
«La prossima volta porta una calzamaglia.» si sentì rispondere, con tono di voce basso e allusivo, mentre una mano si posava sulla sua coscia, «Potrebbe piacermi la vista.»

***
 
«Allora,» esordisce Helena sedendosi accanto a Brian sul divanetto del tour bus e aspettandosi naturalmente che lui smetta di fare qualsiasi cosa stia facendo al computer e la ascolti. Lui le lancia un’occhiata infastidita che lei non si scomoda a registrare, mentre gli sottopone un block notes.
«Ho stilato una lista delle vostre prossime tappe estive e l’ho incrociata con il piano estivo dei Muse. Secondo i miei calcoli, la prima data utile per parlare con Matt è fra quattro giorni a Les Vieilles Charrues.»
«Helena, cosa ti fa pensare che io voglia parlare con Matthew?»
Sul viso di lei dardeggia un sorriso letale e poi la sua mano si avvicina a carezzargli i capelli con fare materno. «Tesoro, cosa ti fa pensare che io ti lasci una scelta?»
«Nel caso ti fosse sfuggita l’essenza del mio racconto di ieri, Matt mi ha praticamente mandato a ‘fanculo l’ultima volta che ci siamo visti. Non credo abbia voglia di parlare con me.» si difende.
Helena lo guarda con aria comprensiva.
«Brian, sei sparito nel nulla senza dargli uno straccio di spiegazione, né curarti di rispondergli al telefono. Che pretendevi? La pazienza di chiunque ha un limite!»
«Io non pretendevo niente. Doveva solo uscire dalla mia vita con la stessa facilità con cui ci è entrato.» insiste, con piglio caparbio e mettendo su un broncio. L’espressione della donna si vena di dolore, con una nota di compassione.
«Oh, Brian, sei così preoccupato del male che potrebbero farti gli altri da non accorgerti minimamente di quello che tu fai loro. Se hai deciso che non vuoi rischiare di proseguire in questa… cosa che hai con Matthew, va bene, è una scelta che puoi fare solo tu, ma per lo meno dovresti scusarti e dargli una spiegazione.»
Gli schiocca un sonoro bacio sulla guancia e si allontana; Brian fa passare qualche minuto, quel tanto che basta per non far sembrare che le sue azioni siano anche solo vagamente influenzate dall’invadenza prepotente della madre di suo figlio, poi afferra il suo iPod e si rintana nella cuccetta.
Certo, a guardare la situazione con occhio oggettivo, Helena ha ragione su tutti i fronti, soprattutto quando gli fa notare il suo egoismo. Forse, effettivamente, Matt avrebbe meritato un po’ di sincerità. E ora meriterebbe di certo delle scuse, ma questo è più di quanto Brian riuscirà mai anche solo a pensare di fare, quindi non ne considera neanche la possibilità. Una spiegazione, forse, potrebbe trovare la forza di dargliela, sperando che lui capisca e non tenti di forzargli la mano. Ma il fatto è che nessuno può capire davvero quello che ha dentro. Non è semplice paura di tuffarsi, è un vero e proprio blocco e lui non sa se e quando riuscirà mai a superarlo. Si chiede se Matt Bellamy valga qualche sforzo in quel senso e viene assalito dal ricordo di sorridenti occhi blu, di clavicole sporgenti, di dita lunghe e abili che sanno riempire di attenzioni esperte un corpo quanto uno strumento musicale. Gli si ferma il respiro in gola e istintivamente si raggomitola in posizione fetale, come se avesse bisogno di contenere fisicamente tutto quello che gli si agita dentro.

***
 
«Prima ho ascoltato l’intervista.»
«Mmh?» la voce di Brian era assonnata, quasi un sussurro.
«Mi è quasi venuto un colpo quando hai detto di essere in astinenza.» ridacchiò, facendo scivolare la lingua lungo l’addome dell’altro, «Fortuna che poi hai specificato…»
«Non credevo che avresti ascoltato, altrimenti non avrei mai dato un tale colpo alla tua autostima.» si sentì rispondere pigramente. Avvertì una mano passare leggera tra i suoi capelli e continuò la sua esplorazione, fermandosi appena sotto l’ombelico. Si interruppe perché sapeva che nessuno dei due aveva davvero la forza di ricominciare, per cui si sistemò un po’ più su, le gambe intrecciate a quelle di Brian, e abbracciò il cuscino, portandoselo sotto il mento.
«Anch’io a volte mi sento troppo immaturo per gestire delle storie.»
«E come ne esci?»
«Intanto mi ricordo che sono un padre e che quindi ho teoricamente fatto la più profonda esperienza di amore che un uomo possa mai provare.»
«Mmh. Hai ragione.»
«E poi, per quanto riguarda le relazioni d’amore vere e proprie, penso che forse, se continuerò ad avere nuove esperienze, prima o poi riuscirò a capire come farne funzionare una.»


«Brian?»


«Dormi?»

*
 
«… e quella è stata la prima sera in cui si è fermato a dormire da me.»
«L’ha fatto di proposito?»
«Mah. Brian non lascia mai niente al caso. Diciamo che l’ha fatto passare come un casuale addormentarsi dopo il sesso, ma non so…»
«Come avrebbe potuto essere casuale, se ogni volta appena finivate uno dei due si alzava e se ne andava?»
«No, aspetta. Il “momento coccole”, se così si può chiamare, era stato istituito già da tempo. Non avevamo più quella fretta di sparire dell’inizio, restavamo un po’ a letto a rilassarci, riprendere fiato, cose così… Se era pomeriggio capitava che sonnecchiassimo, ma di sera non era mai capitato prima. Credo che avessimo entrambi paura di addormentarci per davvero.»
«E cos’è cambiato, quella volta?»
«Mi piace illudermi e pensare che lui si stesse lasciando andare, che ricambiasse l’interesse che io provavo ogni giorno di più. Ma non so, Dom… è dannatamente difficile avere una relazione con un uomo!»

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


 

Capitolo 7

25 aprile
Cody gli aprì la porta senza la solita aria vivace che lo accompagnava sempre, ma gli fece comunque un debole sorriso.
«Ciao Matt.»
«Ciao Cody!» gli rispose, «C’è papà?»
«Sì, è in cucina a parlare con mamma.» gli disse piano, facendolo entrare.
Matt si guardò intorno circospetto. La porta della cucina era chiusa e da dentro arrivavano delle voci sommesse, ma lui non riusciva ad afferrare una parola. L’istinto gli diceva che sarebbe stato meglio aspettare con Cody, intrattenere il bambino che a quanto pareva si sentiva un po’ escluso, e stare in disparte finché Brian non si fosse liberato, ma era oltremodo curioso di conoscere la madre di Cody. L’ex di Brian.
E voleva farsi vedere da lei, anche. Far sapere a qualcuno di lui e Brian. A qualcuno di importante, soprattutto.
«Vieni, Cody, andiamo a dirgli che sono arrivato e poi possiamo andare ad aspettarlo in camera tua.»
«Io devo andare via con mamma… però va bene.» acconsentì il bimbo.
Certo, pensò Matt, Brian non avrebbe preso accordi con lui se avesse avuto Cody in casa, ovviamente.
Bussò piano alla porta della cucina e l’aprì un poco senza aspettare di avere il permesso.
Brian era seduto davanti a una donna minuta e bellissima. Capelli scuri, una pelle così liscia da non farne indovinare l’età e due occhi a mandorla che lo guardarono prima incuriositi e poi, quando l’ebbero riconosciuto, sorpresi. Brian guardò verso la porta e lo fissò con un’espressione che Matt non riuscì a decifrare. Nei suoi occhi poteva percepire qualcosa di profondo e… oscuro. Non era il solito Brian rilassato e padrone di sé. Si sentì immediatamente un intruso e in imbarazzo, ma non poteva continuare a stare lì senza dire niente, quindi esordì con un impacciato: «Ehm… buonasera. Brian, volevo dirti che sono qui, ti aspetto di là con Cody.»
Brian sembrò ritrovare il controllo.
«Sì… sì, va bene. Arrivo tra poco. Matt, ti presento Helena, la madre di Cody.»
Helena si alzò elegantemente e andò a stringergli la mano, sorridendo.
«E io che pensavo che vi odiaste…» fu la prima cosa che disse.
Matt ridacchiò.
«Era lui a odiare me.» poi assunse un’aria cospiratrice e sussurrò: «In realtà era solo invidioso del mio incommensurabile talento.»
«Ah-ah» mimò Brian, «Bellamy, non fai ridere nessuno. Aspettami nello studio, ti raggiungo.»
Matt rivolse un sorriso a entrambi e si ritrasse, chiudendo la porta e dirigendosi verso lo studio con Cody.
L’arredamento di quella stanza era qualcosa che Matt aveva sempre trovato pesante: mobili in legno massello scuro e antico - una scrivania enorme e una libreria che ricopriva interamente due pareti - e poi tappeti persiani a ricoprire tutto il pavimento. Al centro della stanza troneggiavano un divano e due poltrone di velluto rosso, dall’intelaiatura sempre in legno scuro e completavano l’arredamento un antico pianoforte a muro e almeno una decina di chitarre diverse sparse per la stanza. Dietro la scrivania si spalancava un’enorme vetrata che dava sulla città e che celava una vista mozzafiato dietro spesse tende rosso scuro.
Pesante, opprimente. Matt si chiedeva come si potesse comporre musica in un luogo del genere, ma a quanto pareva Brian ci riusciva, e anche piuttosto bene.
Si sedettero entrambi sul divano e si lanciarono in una lunga conversazione su Angus, che la settimana prima aveva dovuto fare gli ultimi vaccini e che poi aveva avuto un po’ di otite, ma che nel complesso stava imparando un sacco di cose. Cody, qualche mese prima, si era documentato scrupolosamente sui metodi migliori per addestrare i cuccioli e ci aveva dato dentro tre pomeriggi alla settimana, in modo da creare una routine col cane. Erano ancora immersi nel discorso, quando Brian ed Helena entrarono nello studio.
«Allora, Cody, andiamo? Saluta papà.» disse la donna.
Il bambino si alzò, diede un bacio al padre e andò a prendere il suo zaino, prima di seguire la madre nell’ingresso. Brian li accompagnò alla porta, seguito a poca distanza da Matt.
Helena si girò verso di loro, lo zaino di Cody su una spalla e una mano sulla maniglia.
«Allora, piacere di averti conosciuto, Matt. Spero che la prossima volta avremo il tempo di fare due chiacchiere.» disse, inchiodando Brian con lo sguardo.
Matthew sorrise automaticamente e la salutò, chiedendosi perplesso cosa Brian le avesse detto di loro due, poi si fece più avanti per dare il cinque a Cody e in men che non si dica si ritrovò solo col padrone di casa.
Il suddetto padrone di casa si girò verso di lui con un’espressione rapace che lo inchiodò sul posto, facendogli sentire le gambe stranamente pesanti e un fiotto di sangue dirigersi a tutta velocità verso il basso ventre. Brian fece due passi e gli fu addosso. La bocca sulla sua, le mani dappertutto, lo spinse violentemente verso la camera da letto e cominciò a spogliarlo con movimenti febbrili, senza mai smettere di baciarlo. Con un micro brandello di lucidità, Matt si accorse che nei modi di Brian c’era qualcosa di strano, ma accantonò il pensiero, perché la sua attenzione fu catturata dalle dita esigenti che lo stringevano, lo accarezzavano, lo esploravano. Decise che per qualche minuto – o qualche ora – avrebbe anche potuto smettere di pensare.

***

Brian passeggia accanto a Stefan per le viuzze dell’anonimo paesino francese dove alloggia, poco lontano dalla venue del festival Les Vieilles Charrues. Inala il profumo del sole e guarda Cody ed Helena, fermi davanti alla vetrina di una pâtisserie, indicare tutti i dolcetti che hanno intenzione di mangiare. Sorride guardandoli e per qualche momento si culla nella falsa idea che loro tre siano ancora una famiglia nel vero senso del termine, e che non ci sia una voragine di vuoto che si spalancherà di fronte a lui di lì a qualche ora. Perché, sì, ha accettato il fatto che prima o poi dovrà interagire con Matt – non foss’altro che alla fine dell’estate si ritroveranno a vivere di nuovo nello stesso condominio – ed è certo che, se non dovesse incrociarlo casualmente al festival, ci penserà Helena a metterci uno zampino.
Vede la donna e il bambino tornare verso di loro con espressione raggiante e due buste piene zeppe di dolciumi e dà una gomitata a Stefan quando questi lo avverte che assumere troppe calorie alla sua età potrebbe diventare nocivo per la loro immagine di rockstar.
«… già sei “quello basso” della band, non vorrai anche diventare “quello grasso”.»
«Stef, tesoro, tu sì che sai come adulare una ragazza.»
«Papà!» strilla Cody non appena si trova abbastanza vicino, «Abbiamo comprato un sacco di cose buonissime!»
«Spero vi siate ricordati di comprare qualcosa anche per me…» ironizza Brian.
«Sì, guarda!» risponde serio il bambino, aprendo una busta e uno dei sacchetti al suo interno e rivelando macarons di tutti i colori. Brian tira fuori un sorriso felino e allunga una mano per afferrarne uno, ma Cody allontana la busta per metterla fuori dalla sua portata, ridendo.
«Mamma dice che possiamo assaggiarli solo dopo pranzo, altrimenti poi non mangiamo. E dice che vale anche per te.»
Il sorriso di Brian si trasforma in un broncio.
«E allora torniamo in fretta in hotel a pranzare!» esclama, facendo dietrofront e incamminandosi.
«Ma papà!» esclama Cody, ridendo di gusto e correndo per stargli dietro, «Sono ancora le undici!»
Stefan, dietro di loro, sospira e si stropiccia gli occhi tra pollice e indice.

*
 
Rientrati in hotel, Brian decide di fare una doccia nell’attesa che arrivi l’ora di pranzo, anche per lavar via tutto il caldo appiccicoso che gli si è incollato addosso durante la mattina. Cody ed Helena sono tornati nella loro stanza, al piano subito sotto il suo, ed hanno appuntamento con gli altri all’una al ristorante dell’albergo – dalla loro esplorazione mattutina non hanno trovato alcun ristorante che promettesse meglio di quello dell’hotel e comunque fa davvero troppo caldo per uscire di nuovo a quell’ora.
L’acqua fresca della doccia gli scivola addosso facendolo sospirare di sollievo. La giornata gli sta sembrando lentissima, ogni minuto che lo separa dall’incognita che sarà quella serata gli pare un’eternità.
I Muse suoneranno subito dopo di loro, sullo stesso palco, per chiudere la serata. Se la consapevolezza che incrocerà Matt nel backstage, anche solo per sbaglio, non assorbisse tutte le sue preoccupazioni, è certo che riuscirebbe ad essere estremamente scocciato dal dover fare da apripista a quei mocciosetti.
Finita la doccia, si veste velocemente e scende nella hall. Stefan è seduto su un divanetto e legge Le Monde con un’espressione così concentrata che a malapena registra la sua presenza quando gli si siede vicino.
«Stef?»
«Mmh?»
«Che leggi?»
«Politica estera.» gli risponde distratto.
«Che succede nel mondo reale?»
«Mah, niente di rilevante.» mette via il giornale, rassegnato al fatto che Brian non gli permetterà di finire il suo articolo.
«Helena e Cody?»
«Non sono ancora scesi.»
Brian tira fuori la sigaretta elettronica e dà una lunga boccata. Stefan siede rigido accanto a lui, come quando vuole dirgli qualcosa e non sa da dove cominciare. Brian sa esattamente qual è l’oggetto dell’argomento che vuole tirare fuori e sbuffa rumorosamente al solo pensiero del suo migliore amico e della sua ex che spettegolano come comari alle sue spalle.
«Insomma, che c’è?» gli chiede infine, esasperato.
«Niente, niente.» fa retromarcia quello.
Nel frattempo, la porta dell’ascensore si apre e, vedendo Cody uscirne, Brian decide che non incoraggerà Stefan a fargli la predica, il discorsetto di incoraggiamento o qualunque cosa abbia in serbo per lui.
Il bambino gli corre incontro raggiante, gridando: «Pààà! Non indovinerai mai chi abbiamo incontrato!»
Un brivido gelato gli corre lungo la schiena. Solleva gli occhi a incrociare quelli di Helena, che lo guarda con aria imbarazzata. Intuisce che avrebbe voluto dirglielo lei, magari con un po’ più di tatto e soprattutto in un momento in cui la sua reazione avrebbe potuto essere più spontanea del sorriso falso che tira fuori ad esclusivo beneficio di suo figlio, mentre gli chiede con cortese curiosità: «Chi?»
«Matt e Angus!!!»  esclama quello, aggiungendo subito dopo: «Stanno proprio nella camera accanto alla nostra!»
Brian non riesce a trovare niente di meglio da dire che un: «Pensa che coincidenza!»

*
 
Il pranzo era stato un susseguirsi di portate che Brian aveva piluccato senza appetito mentre Cody gli raccontava entusiasta che Matt l’aveva fatto entrare in camera per giocare con Angus. Si era chiesto distrattamente se gli hotel di lusso ammettessero animali al loro interno, ma era certo che Matt aveva saputo essere piuttosto persuasivo. Ora il pranzo era finito e lui si era rintanato in camera con la scusa di voler dormire un po’ prima del concerto, solo che fissava il soffitto da più di venti minuti senza riuscire a chiudere occhio. Il vibrare del cellulare lo riscuote: Helena gli chiede se è sveglio e se Cody può passare a prendere l’iPad che ha lasciato nella sua valigia. Risponde laconicamente con un “sì” e cinque minuti dopo sente un lieve bussare alla sua porta. Si alza per aprire a suo figlio e gli cade lo sguardo sulla coppetta di fragole che la direzione dell’hotel gli ha fatto trovare in camera come benvenuto. Scuote la testa, sperando, con quel movimento, di cacciar via anche i pensieri molesti, e va alla porta.
Cody entra spedito e va a prendere il tablet dalla valigia.
«Pà, visto che vuoi dormire, i macarons li mangi più tardi?»
«Sì, grazie. Che programmi avete tu e la mamma ora?»
«Lei voleva riposare, io guardo un film.»
«Va bene, ci vediamo dopo.» lo saluta, guardandolo uscire e chiudere la porta dietro di sé.
Brian sospira e si lascia cadere di nuovo sul letto, quando sente bussare di nuovo.
Sorride tra sé e sé e va ad aprire pensando: “Cosa avrà dimenticato, stavolta?”.
Appena apre la porta, il sorriso gli muore sulle labbra: davanti a lui, in una posa distaccata che vuole celare l’imbarazzo, c’è Dominic Howard, il batterista dei Muse.
***
 
Matt tirò un sospiro e riemerse a stento da uno stato di sonno profondo. La prima cosa che percepì, con gli occhi ancora chiusi, fu il vuoto accanto a sé, una sensazione di assenza. Socchiuse le palpebre e individuò la sagoma di Brian davanti alla finestra. Indossava solo un paio di boxer – neri, come sempre – e gli dava le spalle. Stava fumando una sigaretta, perso nella vista mozzafiato della città che si dipanava di fronte a lui e apparentemente assorto in chissà quali pensieri.
Lentamente, badando a non far troppo rumore per non disturbarlo, ma a farne abbastanza per fargli capire che era sveglio, si districò dal groviglio di lenzuola, coperte e cuscini in cui era avvolto e si alzò; mosse qualche passo incerto verso Brian e gli si avvicinò più che poté, confondendo il calore dei loro corpi, ma senza sfiorarlo neanche per sbaglio. Lui non si mosse, né fece qualcosa che indicasse che avesse notato presenza alle sue spalle, ma continuò a fumare e a guardare fuori.
Non si toccavano mai, se non quando facevano sesso, e anche se avevano cominciato a dormire insieme a volte, lo facevano a debita distanza, eppure Matt sentiva il peso delle braccia inermi che avrebbero tanto voluto sollevarsi ad abbracciarlo. Lo trattenne per qualche minuto il pensiero di una probabile reazione scostante di Brian, ma quella sera c’era qualcosa che non andava e Matt non riusciva a scrollarsi di dosso questa sensazione. Brian era come un cucciolo, pensò, bisognava approcciarglisi con cautela.
Chinò leggermente la testa, infilando il naso tra i suoi capelli e inalò il suo odore, che sapeva di fumo e cosmetici costosi; lui non reagì. Con un piccolo passo in avanti, quindi, colmò la distanza fra loro, decidendosi infine a passargli le braccia intorno alla vita. Sentì il corpo di Brian irrigidirsi impercettibilmente, ma non si vide scostare e la considerò già una vittoria. Rimasero così, naso contro nuca, schiena contro petto, gambe intrecciate, per un lasso di tempo sufficiente a che Brian tornasse a rilassarsi. Quando si sporse in avanti per spegnere la sigaretta nel posacenere sul davanzale e scelse di fare di nuovo un passo indietro per tornare tra le sue braccia, Matt si sentì abbastanza tranquillo da sussurrargli: «Non mi vuoi dire che è successo?»
Brian non si mosse, né diede segno di aver registrato la domanda; restarono semplicemente così, abbracciati, in silenzio, a guardare le luci della città sotto di loro finché, dopo un lasso di minuti indefinito, Brian disse con un filo di voce: «Helena e Ben stanno pensando di andare a vivere insieme.»
Matt ebbe un tuffo al cuore. Non aveva idea di chi fosse Ben, ma immaginò che fosse il nuovo compagno dell’ex di Brian. Riuscì a imbrigliare il caos di emozioni che gli si era scatenato dentro e a chiedergli: «E tu sei geloso?»
«No…» rispose con tono pensoso, sciogliendo inconsapevolmente il nodo dentro Matt, «Ho accettato da tempo il fatto che per me ed Helena non ci sarà mai un’altra possibilità. Abbiamo trovato il nostro equilibrio e stiamo bene così.»
«E allora cosa c’è?»
«Cody.»
«Ah.» Matt capì all’improvviso. Cody avrebbe avuto un altro uomo in casa, che non sarebbe stato suo padre, ma che sicuramente, dal punto di vista di Brian, gli si sarebbe avvicinato fin troppo. Era una cosa che aveva sperimentato in prima persona, quando viveva con Kate. Kate che aveva un altro figlio, oltre a Bing, che lui aveva trattato come se fosse il suo, per non creare disparità tra fratelli e per non perdere il calore della famiglia che avevano costruito. Non gli mancava Kate, la loro storia era finita, ma quando ripensava alle cose belle che aveva perso sentiva una fitta al cuore. E poteva capire come si sentisse Brian, perché al solo pensiero di essere sostituito da un uomo senza volto nel suo ruolo genitoriale si sentiva sprofondare in un abisso senza uscita. Non riuscì a trovare parole di conforto da offrirgli, in quel momento, non credeva che ci fosse qualcosa che avrebbe potuto dirgli e che lo avrebbe mai fatto sentire meglio, per cui lo strinse di più, affondò la testa nell’incavo del suo collo e gli diede un bacio leggero, restando così, davanti alla finestra e alle luci della città, testa contro spalla, schiena contro petto, gambe intrecciate.
Il giorno successivo prenotò un volo per Los Angeles.

 
***
 
Dominic Howard si aggira per la sua camera in vistoso imbarazzo, osservando gli arredi qua e là.
«Questa stanza è più grande della mia.» osserva con una vena di disappunto, «Dovrò farlo presente agli organizzatori del festival.»
Brian non sa cosa rispondere, le chiacchiere vuote con un semisconosciuto non sono proprio il suo forte e quindi resta in silenzio, aspettando che l’altro si decida a tirar fuori il motivo che l’ha spinto a cercarlo.
«Allora… ehm…» Dom si gira per fronteggiarlo, grattandosi la nuca, «Matt mi ha raccontato un po’ quello che è successo.»
Affatto sorpreso da quello che sente, Brian si siede su letto e accavalla le gambe, fissando il suo interlocutore.
«E… ?»
«Ascolta, Brian,» sospira quello, «io non vorrei assolutamente entrare in questa storia, però da quando vi siete… lasciati» ad un minimo accenno di Brian di interromperlo per correggere questa scelta di termini che lui trova infelice, agita una mano e aggiunge velocemente «o comunque da quando tu sei sparito, Matt mi sembra una ragazzina adolescente alle prese con il suo primo amore non corrisposto.» sbuffa una risata che non raggiunge gli occhi, poi prosegue «È diventato insopportabile, mi sembra di essere tornati al liceo e non è una cosa che accetto di buon grado. Ti prego, parlagli. Risolvete qualunque cosa sia successa, nel bene o nel male. Quest’assenza di comunicazione lo sta facendo diventare pazzo e non gli permette di rassegnarsi, quindi se non vuoi avere più niente a che fare con lui, per favore, diglielo chiaro e tondo, magari spiegandogli il perché, così che tutti possiamo andare avanti con le nostre vite, specialmente io!»
Brian tace. È esattamente quello che ha detto Helena, è talmente preoccupato di quello che possono fargli gli altri da non rendersi conto del male che infligge. L’immagine di Matt che Dominic gli sta descrivendo non corrisponde a quella nella sua testa, ma crede di potersi fidare della persona che, a quanto gli risulta, lo conosce meglio di chiunque altro. Avverte una punta di fastidio, da qualche parte nel suo stomaco, che accantona in fretta, ancora prima di capire a cosa sia dovuta. Non sa cosa rispondere al batterista che gli sta di fronte, e lui sceglie di rendergli le cose più semplici, proseguendo nel suo monologo e congedandosi: «Ecco, beh, era tutto quello che ti volevo dire. Matt non sa della mia presenza qui e ti sarei grato se non gliela rivelassi.» si avvia verso la porta, «A dopo, Brian.»



Note finali:
[Assolutamente inutili, ma ogni tanto mi piace comunicare col "pubblico" (ovvero quelle poche decine di persone che ancora frequentano EFP XD)]
Questo capitolo contiene la mia scena preferita di tutta la storia. A parte quella, purtroppo lo ritengo un noiosissimo capitolo di passaggio... beh, capitano! Spero che non vi abbia fatto annoiare troppo! See yaaa
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

Il backstage del festival è immenso ed è, ovviamente, un gran casino di gente che va e viene, trasportando le cose più varie, da vassoi pieni di cibo a immensi gomitoli di cavi elettrici. Brian siede su una delle casse che contengono gli strumenti e l’attrezzatura dei Placebo, in silenzio. Finge di ascoltare il gruppo francese che sta per concludere la sua esibizione, ma in realtà fissa il vuoto, l’ansia crescente tradita solo dal nervoso agitare dei piedi penzoloni. Stefan, in piedi accanto a lui, non trova di meglio che offrirgli una presenza silenziosa ma solida e lui gliene è estremamente grato. Steve, Nick e Fiona stanno chiacchierando poco distanti da loro e devono aver intuito che quella è una delle giornate in cui è meglio lasciarlo stare. È grato anche a loro.
Ogni piccolo movimento inaspettato alle estremità del suo campo visivo lo fa sobbalzare, si aspetta che Matt spunti da un momento all’altro, ma i minuti passano e lui non arriva. Ovviamente, perché dovrebbe arrivare due ore prima del previsto? Non di certo per ascoltare lui cantare, né sperando di incontrarlo prima dell’esibizione dei Placebo.
Brian sbuffa, irritato dai suoi stessi pensieri, guadagnandosi un’occhiata interrogativa da Stefan.
È quasi tentato di andare a fare un giro, ma il pensiero di incontrare Matthew lo terrorizza quanto quello di non incontrarlo, quindi afferra saldamente il bordo della cassa e lo stringe, tanto per ricordare a se stesso di non scendere.
 
***
 
8 maggio
Matt fece un sonoro sbadiglio e allungò le gambe davanti a sé, socchiudendo gli occhi e godendosi il piacevole calore del sole che aveva appena fatto capolino da una nuvola. Brian, seduto accanto a lui sulla panchina del grande giardino condominiale, fece un verso di disapprovazione.
«Ma si può sapere perché non te ne vai a casa a dormire?»
Aveva ragione, ovviamente. Era rientrato quella mattina da Los Angeles dopo troppe ore di volo e invece di cedere alla stanchezza e al jet lag – il suo corpo credeva fossero circa le due di notte – aveva deciso di onorare la promessa fatta a Cody prima della sua partenza e aveva portato Angus in giardino per farlo giocare col bambino, che infatti cercava da una buona mezz’ora di farsi riportare una palla senza alcuna speranza di successo.
«Non ho così tanto sonno.» replicò, ma la bugia fu smascherata da un altro sonoro sbadiglio. Brian inarcò le sopracciglia e lo guardò scettico. Evidentemente decise di lasciar perdere, perché cambiò argomento.
«Com’è andata a Los Angeles?»
«Bene…!»
«Sembri sorpreso.»
Matt ridacchiò, vagamente a disagio.
«No, è che prima di arrivare ho sempre il terrore che Bing non mi riconosca.»
«Come fa a non riconoscerti? Ti vede quasi ogni mese!»
«Sì, ma…» si interruppe. «Lascia stare, so che è una paura stupida, ma non mi sento proprio il padre dell’anno, ecco.»
«Ci provi, Matt.» cercò di consolarlo. Poi, lanciando uno sguardo a Cody in lontananza, aggiunse: «Ci proviamo tutti.»
«Vorrei solo che si trasferissero qui.» sospirò Matt, passandosi una mano sugli occhi.
«È una possibilità?»
«Non al momento. Forse fra qualche anno, quando Bing comincerà ad andare a scuola. L’istruzione europea è sempre migliore di quella americana.»
«Hai ragione.» convenne Brian.
Il discorso fu troncato dall’arrivo di un sudatissimo Cody, seguito da Angus, sempre scodinzolante.
«Matt, secondo me questa palla non gli piace.» borbottò, sedendosi tra loro sulla panchina.
«Davvero? Credevo fosse la sua preferita!»
«No! La sua preferita è quella gialla con l’odore particolare!»
«Eh, Matt! Come fai a non ricordartelo?» rincarò la dose Brian, sarcastico.
«Credo che quella gialla si sia persa.»
«No!» esclamò il bambino, sinceramente dispiaciuto, come se si fosse perso uno dei suoi giocattoli preferiti. «Come ha fatto a perdersi?»
«Un pomeriggio, al parco, è finita nel laghetto.»
«E tu l’hai lasciata lì?» fu la domanda accusatoria, neanche avesse abbandonato un essere vivente.
«Matt, sei proprio un teppista! Dopo tutte quelle canzoni sul rispetto dell’ambiente!» continuò Brian con tono ilare, per il puro piacere di affondare il coltello.
Dannati Molko.
«Va bene, va bene, domani pomeriggio andiamo a comprarne un’altra, ok? Vieni con me, così la scegli tu.» propose, issando bandiera bianca.
Cody cambiò improvvisamente espressione, distogliendo lo sguardo, e mormorò: «Domani non posso.»
Brian si accigliò.
«Perché non puoi?»
«Mamma e Ben vogliono andare allo zoo…» borbottò.
Brian incassò il colpo trasformandosi in una statua di cera e congelando l’espressione sul suo viso prima che potesse mostrare segni di disappunto. Matt gli invidiò quella capacità di controllo e lo invidiò ancora di più quando gli sentì chiedere, con la voce più tranquilla del mondo: «E perché lo dici con quella voce? Non sei contento?»
«Sì, sì.» fece il bambino, poi cambiò subito argomento, rivolgendosi a Matt: «Allora possiamo andarci lunedì?»
«Certo.» rispose quello, gli occhi fissi su Brian che ora era concentrato su un punto imprecisato di fronte a lui. Era chiaro che Cody non amava parlare di Ben davanti al padre, doveva aver capito quanto la cosa lo ferisse e cercava di nascondergli, a modo suo, quanto quel piccolo nucleo familiare si stesse rafforzando. Il bambino che proteggeva il padre. Matt pensò che fosse la cosa più tenera e allo stesso tempo più triste a cui gli capitasse di assistere da molto, molto tempo.
Più tardi, rientrato a casa, poco prima di andare – finalmente - a dormire, afferrò d’istinto il cellulare e scrisse un messaggio: “Non vorrei intromettermi, perché so che il rapporto con tuo figlio è forse la cosa di cui sei più geloso sulla faccia della terra, ma voglio dirti una cosa. Non importa chi lo porti allo zoo, Brian. Sei presente ogni giorno della sua vita, vi adorate a vicenda nessuno potrà mai rimpiazzarti. Tu sei bravo a controllarti, ma Cody è fin troppo perspicace. Non costringerlo a tenerti lontano da una parte della sua vita, cerca di accettare la situazione. Buonanotte”.
Matt interpretò l’assenza di una risposta pungente come il segnale che Brian avesse deciso di valutare seriamente il contenuto del messaggio.

 
***

Un movimento di Stefan, alla sua sinistra, gli fa alzare lo sguardo. Il bassista sta salutando qualcuno che gli viene incontro e che Brian, dalla sua angolazione, non riesce a vedere finché questi non entra nel suo campo visivo, rivelandosi essere un altro bassista: Christopher Wolstenholme.
Cazzo.
Se lui è qui, sarà qui anche LUI.
Chris si avvicina a Stefan e gli porge la mano in segno di saluto, poi la agita in direzione di Brian. Qualcosa nella sua espressione è cambiata, rispetto a quando si sono incontrati nel parcheggio del Werchter e dalla consapevolezza nel suo sguardo Brian capisce che deve essere stato messo al corrente della situazione.
«Chris!» sta intanto dicendo Stefan, «Siete già arrivati?»
Brian ringrazia mentalmente il suo migliore amico, perché sa che quella domanda è stata fatta a suo esclusivo beneficio.
«Sì, in hotel non c’era più niente da fare e abbiamo pensato di venire a goderci un po’ il festival prima di suonare. Matt e Dom sono laggiù» dice, indicando la zona dalla parte opposta del palco, Brian fa del suo meglio per non seguire con lo sguardo la direzione del suo braccio, «io stavo andando a prendere qualcosa da bere.»
«La zona catering è ben fornita.» commenta Stefan.
«Infatti stavo andando proprio là.» ribatte l’altro con un sorriso, «A più tardi.»
«Ciao.»
«Ciao.» fa eco Brian.
Attende che il bassista se ne vada, poi lancia furtivamente uno sguardo che attraversa il retro del palco e si posa su una cassa nera con una figura magrolina seduta sopra. Gli scappa un risolino incredulo: sono seduti esattamente nella stessa posizione. Da dove si trova non riesce a vedere Dominic, ma è sicuro che sia nei paraggi.
Stefan segue la direzione del suo sguardo e si unisce alla sua risata.
«Certo che siete proprio fatti l’uno per l’altro.» commenta, guadagnandosi una gomitata infastidita.
«Non siamo un bel niente, Stef, non dire idiozie.»
«Certo, certo.» lo rabbonisce, «Comunque, lo sai che tocca a te andare a parlare con lui, vero?»
Brian strabuzza gli occhi e lo guarda come se fosse impazzito.
 
***

 
12 maggio.
Il pallore delle loro mani faceva a gara col candore delle piastrelle su cui erano premute; sulle braccia intrecciate finivano le gocce d’acqua, dopo aver percorso la linea delle spalle, in caduta libera dai capelli che si mischiavano - nero contro castano - confondendo i loro colori. Matthew stava tracciando una scia di baci che dalla punta della spalla di Brian muovevano verso il suo collo. Il rumore dell’acqua che cadeva su di loro era sovrastato da quello dei loro gemiti che andavano all’unisono, al ritmo delle spinte che li allontanavano e immediatamente riavvicinavano, come se anche la più piccola distanza tra loro non fosse tollerabile. L’orgasmo li colse all’improvviso, le gambe tremanti li fecero sbilanciare all’indietro e accasciare a terra senza forze, ancora scossi dalle ultime ondate di piacere.
Qualche minuto prima, Matthew si stava godendo la potenza del getto d’acqua sulla pelle, sentendo i muscoli rilassarsi dopo un intero pomeriggio passato nel letto di Brian, quando il padrone di casa aveva ben pensato di intrufolarsi nella doccia di soppiatto con la scusa più vecchia del mondo.
Posso lavarti la schiena?
Brian, quella non è la mia schiena…
 
L’acqua della doccia continuava a scendere, ignorata dalle due figure aggrovigliate che riprendevano fiato sotto il getto. Matt sedeva con la schiena addossata al muro e le gambe distese, Brian era scompostamente adagiato su di lui, i lunghi capelli neri, resi leggermente ondulati dall’umidità, si aprivano sul petto di Matt, continuando a disperdere acqua. Entrambi i loro toraci si alzavano e abbassavano insieme, rallentando gradualmente il ritmo.
Il braccio destro di Brian era abbandonato su quello di Matt, le loro mani si sfioravano e nessuno dei due faceva niente né per interrompere quel contatto, né per intensificarlo. Lo sguardo di Matt si posò sulla linea nera che si stagliava sulla pelle diafana del polso dell’altro e mosse appena la mano per poterne seguire il contorno col pollice. Un triangolo equilatero inscritto in un cerchio.
«Non mi hai mai detto cosa significhi.»
«Non me l’hai mai chiesto.» rispose Brian, alzando il braccio per fargli osservare meglio il disegno del tatuaggio.
«Ho sempre immaginato che fosse qualcosa con un significato più complesso di quanto tu potessi ricordare.» lo prese in giro, e subito un gomito finì contro le sue costole, trasformando la risata in colpi tosse.
«L’ho fatto per celebrare i miei cinque anni di sobrietà.» lo informò, poi. «È un simbolo che ha moltissimi significati, alcuni piuttosto complessi, ma diciamo che per me rappresenta il ritrovato equilibrio della mente e del corpo.»
«Cazzo, Brian, se non ti conoscessi penserei che sei un tipo new age che fa solo sesso tantrico e comunica con le foglie degli alberi.»
 
*
 
«Matt, tu sei un idiota.»
Dominic si dà una manata sulla fronte e poi scende a stropicciarsi gli occhi.
«Lui ti fa queste confessioni così intime e personali e tu rispondi la prima cazzata che ti viene in mente? Ci credo che è scappato.»
«Ma io non mi sarei mai aspettato una confidenza del genere!» protesta Matt, «Mi ha colto alla sprovvista, mi sono sentito vagamente a disagio e come ogni volta…»
«Come ogni volta, quando sei a disagio spari la prima cazzata che ti viene in mente.» conclude Dominic.

 
***
 
Matt è sempre seduto nella stessa posizione, fissa il palco e dondola i piedi, le mani saldamente ancorate al bordo della cassa. C’è un po’ di spazio accanto a lui ed è lì che Brian va a sedersi, in silenzio, guardando il palco anche lui. Sa che Matthew si è irrigidito non appena ha registrato la sua presenza, ma non è niente che non avesse previsto.
«Ma guarda, è proprio Brian Molko che mi onora della sua attenzione.»
Continua a guardare in lontananza. Il sarcasmo che usa è debole, quasi forzato, e lascia trapelare un velo di amarezza, ma nonostante ciò Brian deve mordersi la lingua per trattenere una risposta a tono. Si aspettava che Matt fosse ancora risentito nei suoi confronti e sapeva che non gli avrebbe reso le cose facili.
«La gente intorno a me è stata tanto carina da farmi notare che ti dovevo delle scuse…» esordisce.
Matthew finalmente posa su di lui quello sguardo cristallino, gli occhi blu accesi da una scintilla di irritazione, e inarca un sopracciglio.
«Ah, la gente intorno a te?»
«Helena.» specifica tranquillo, cercando di non lasciarsi intimorire «E Stefan.»
«Quindi mamma e papà ti hanno sgridato e hai deciso di fare il bravo e venire a chiedere scusa?»
Brian sospira. Decisamente Matt non gli sta rendendo le cose facili. Fissa lo sguardo sul palco e comincia a raccontare, quasi assorto.
«Per quindici anni non ho quasi avuto momenti di sobrietà. Tu mi hai conosciuto davvero da pochi mesi, per cui probabilmente tendi a dimenticare o non hai mai capito davvero in che stato mi trovassi… prima. Annegavo nell’alcool e nella cocaina tutte le mie insicurezze, le paure, i dolori, i cuori infranti. Sai come succede, ti ritrovi ad avere troppi soldi all’improvviso, troppa gente che si interessa a te, troppa pressione dai “pezzi grossi”. So che sembra il classico cliché della rockstar e in gran parte lo ero, ma ciò non ha reso meno grave la mia dipendenza. È successo che ho saltato a piè pari un periodo di vita in cui la gente normale impara a coltivare i rapporti con gli altri e anche le relazioni d’amore.» arrischia un’occhiata verso di lui e incontra il suo sguardo attento, che gli fa perdere un battito. Riprende a parlare prima che l’altro intervenga: «Non sto dicendo tutto questo per giustificarmi, voglio solo che tu capisca.» accenna a un sorriso timido, poi abbassa lo sguardo a osservare gli anfibi che ha ai piedi. Sono graffiati, usurati, ma restano i suoi preferiti, li indossa sul palco da tempo immemorabile e non riesce a decidere di buttarli.
«Comunque,» prosegue, «poi, nove anni fa, è nato Cody. Ho passato circa un anno e mezzo a promettere ad Helena che mi sarei disintossicato del tutto per lui, per loro, ma ogni sera puntualmente la deludevo, finché non è stato troppo. Non avevo mai creduto davvero che l’avrebbe fatto, nonostante le continue minacce, ma mi ha lasciato e mi ha messo davanti a un ultimatum: o Cody o lo sballo. Ho scelto Cody, ovviamente. Mi sono disintossicato da tutto, anche da ciò che mi poteva indurre in tentazione come le feste e i locali notturni. Non credo che tu possa immaginare il contraccolpo che ho avuto quando, dopo oltre un decennio di emozioni anestetizzate, mi sono ritrovato ad affrontarle tutte in una volta e a combattere con la fine dell’amore della mia vita e la lontananza forzata da mio figlio.» gli trema la voce al solo ricordo di quel periodo buio, della stanza della clinica in cui si era volontariamente relegato, delle crisi di astinenza, dell’assenza di contatto umano se non con psicologi e dottori, della voglia spasmodica di spegnere tutto, di fuggire, di farla finita, di arrendersi. Si ferma un attimo per ricomporsi e Matthew - gli è grato – attende. La sua presenza lì, la sua attenzione discreta, la sua disponibilità lo commuovono profondamente.
«Non so come io abbia fatto a superare tutto questo. L’unica cosa che so è che allora mi sono ripromesso che non mi sarei mai più trovato in una situazione che anche lontanamente potesse spingermi a tornare in quello stato e, conseguentemente, mi sono sempre tenuto alla larga da nuove relazioni, perché se finissero male, se io dovessi rimanerne deluso o soffrirne, so che il mio primo istinto sarebbe attaccarmi a una bottiglia e non me lo posso più permettere.»
Fa un respiro profondo e si passa le mani sui jeans scuri. Matt continua a tacere, lui ingoia un rospo immaginario e conclude: «Mi dispiace essere sparito in quel modo. Hai ragione quando dici che sono un adolescente, a volte, e ora ti ho spiegato il perché. Le cose tra di noi stavano superando il confine che ho deciso di tracciare intorno a me e non avevo intenzione di lasciarlo accadere. Forse avrei dovuto parlartene prima o sul momento, o rispondere al telefono.» gli scappa una risatina totalmente inopportuna, ma deve sfogare la tensione in qualche modo.
«Grazie». Tra tutte le risposte possibili, Matt ha dato quella che Brian meno si sarebbe aspettato e non riesce a trattenere un’occhiata perplessa nella sua direzione. Incontra il blu di quegli occhi e cede, per un attimo si abbandona, pensa che sarebbe facile arrendersi, scavalcare i confini, provare a stare con Matthew senza inibizioni, vedere dove li porteranno la chimica che hanno sempre avuto, l’intesa che hanno creato e l’affetto che stava nascendo, ma poi si riscuote. È tutto un bel sogno, ma lui non ha il coraggio di provare a farlo avverare. La sua vita ha raggiunto un equilibrio quasi perfetto e rischierebbe troppo a tentare di rivoluzionarlo.
«Grazie per avermi spiegato tutto questo.» prosegue l’altro, «So che non dev’essere stato facile. Certo, avrei preferito che tu me l’avessi detto qualche mese fa, ma non so a quanto sarebbe servito, credo che ci troveremmo lo stesso in questa situazione.»
Brian fa per dire qualcosa, ma Matt lo interrompe: «Ti prego, fammi finire, voglio dirti come la penso. Ho capito quello che mi hai detto, ho capito perché te ne sei andato e perché non tornerai, però devo dirti anche che mi sembra una cosa assurda e allo stesso tempo tristissima il voler rinunciare a priori a innamorarsi, anzi, ad approfondire qualsiasi rapporto umano per paura di innamorarsi. E non lo dico solo perché sono di parte, lo penso in generale, per quanto il motivo che ti ha spinto a prendere questa decisione sia serio. Sono passati anni da quel periodo, Brian, e prima o poi dovrai ricominciare ad avere una vita normale.»
«Forse.» replica, «Ma non credo di poter ricominciare oggi, Matt, mi dispiace.»
Sa che deve alzarsi di là, sa che deve tornare dalla sua band e smettere di importunare lo sfortunato Matt Bellamy che è finito tra le sue grinfie. A parte tutto, i loro tecnici hanno quasi finito di allestire il palco e i Placebo dovranno entrare in scena entro qualche minuto, quindi è decisamente l’ora di tornare.
Scivola lentamente verso il bordo della cassa e fa un piccolo saltello per scendere, atterrando senza fare rumore. Matthew sembra assorto in mille elucubrazioni e non può dargli torto: sicuramente gli ha dato molto a cui pensare.
«Ora devo andare, tra poco tocca a noi. Buon concerto.» gli augura.
«Grazie» risponde quello, automaticamente. Poi, quando Brian è ormai di spalle e sta già muovendo qualche passo, riprende a parlare. «Vorrei che tu ci ripensassi.» gli dice, tutto d’un fiato, lui si volta a guardarlo, per una volta senza parole. «Vorrei che tu lo facessi per me. Non devi decidere ora, però per favore, contempla la possibilità.»




Note di servizio:
Il prossimo capitolo è l'ultimo e poi c'è un piccolo epilogo. Verranno postati insieme, quindi se cliccherete su "ultimo capitolo", andate di un capitolo indietro ^__^
Grazie a chi passa di qui, a presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9

Brian si aggira nervosamente nel backstage, aspettando che l’intro che hanno scelto per cominciare i loro concerti estivi gli dia l’attacco giusto per entrare. Dopo la chiacchierata con Matt, dopo aver rievocato quei pensieri tetri e quel periodo orribile della sua vita, salire su un palco davanti a cinquantamila fan – che aspettano i Muse, tra l’altro – è l’ultimo dei suoi desideri, ma gli tocca.
Steve entra in scena e la folla grida un urlo collettivo molto più forte di quanto Brian si aspetterebbe. All’ingresso di Stefan l’urlo sale di livello e quando, finalmente, entra anche lui e va a prendere il suo posto davanti al microfono, i decibel che provengono dal pubblico raggiungono il picco massimo. Brian è sinceramente stupito, ma forse avrebbe dovuto aspettarsi che molti dei suoi fan e di quelli dei Muse coincidessero, anche se, davvero, non è mai riuscito a spiegarselo.
Gli capita raramente di non aver voglia di tenere un concerto e salire sul palco come un automa gli ha sempre dato l’impressione di truffare il pubblico, ma tant’è. Le emozioni non si possono provare a comando e lui in quel momento avrebbe solo voglia di scappare e buttarsi a letto con la testa sotto il cuscino, non di gridare a tutta quella gente la carrellata dei suoi fallimenti che nel tempo ha sfogato nelle canzoni. Ha brevettato un metodo per quando la folla lo mette a disagio, per quando deve inserire il pilota automatico e cantare dalla prima all’ultima canzone senza assecondare i suoi istinti di fuga: trova una persona nel pubblico e ci si concentra, fingendo che non ci sia nessun altro ad ascoltarlo. Il metodo di scelta della persona in questione varia a seconda del luogo e dello stato d’animo. I palchi dei festival generalmente sono abbastanza lontani dal pubblico, creano un’atmosfera meno intima e non gli permettono di vedere bene neanche i visi in prima fila, per cui la ricerca stasera gli offrirà meno scelta, per non parlare del fatto che proprio davanti a lui c’è, appoggiata alla transenna, una bandiera spagnola con scritto “I LOVE MATT BELLAMY” che gli strappa un sorriso amaro.
Poco a destra della bandiera, appena fuori dalla sua portata, c’è una ragazza con i capelli verdi. Non sa se a colpirlo siano i capelli o il modo in cui lo sta guardando – con aria attenta, in attesa, emozionata, ma senza l’espressione adorante e innamorata che non manca mai di metterlo a disagio -, ma decide che è lei: è a lei che canterà questo concerto.

***
 
«Matt, non per metterti fretta, ma sono le tre di notte. Quanto è lontana la fine di questa storia?»
«Vorrei ricordarti che sei stato tu a chiedermi di raccontartela.»
«Ok, va bene, ma arriviamo al dunque, ti prego.»
«Non è che potevo raccontarti solo la fine, non avresti capito!»
«Se lo dici tu… A me sembrava di aver capito già prima di chiederti i dettagli.»

*
 
20 maggio
Kate Hudson si aggirava per l’appartamento di Matt osservando gli arredi con aria curiosa. «Mi piace come hai sistemato qui» disse, indicando una parete occupata da un’enorme libreria. Lui annuì distrattamente, mentre Bing continuava a blaterare qualcosa di poco intelligibile che aveva a che fare con una macchinina rossa e una gialla che si scontravano sulle sue gambe. Angus trotterellava indisturbato in giro per la stanza, annusando allegro tutte quelle cose e persone nuove che avevano invaso i suoi spazi.
«Papi bau!» disse Bing il bambino, accorgendosi finalmente della bestiola che era andata a fermarsi vicino a loro.
«Caro bau!»
«Lo vuoi accarezzare?» gli chiese Matt, rimettendo il bambino a terra, in modo da farlo trovare alla stessa altezza del cane. Angus era sempre stato un esserino affabile e dopo tutte le interazioni con Cody – e dopo tutti i tormenti che Cody gli aveva inferto senza riportare neanche un graffio – Matt si sentiva abbastanza tranquillo da farlo interagire con suo figlio. Infatti il cane reagì alla tirata di orecchie che il bambino gli inferse con una sonora leccata e uno strusciamento della testa sulla mano.
Kate andò a sedersi sul divano accanto a lui.
«Sicuro che non è un problema se restiamo? Ho già prenotato l’albergo.»
«Non dire sciocchezze. Sono contento che siate qui.»
Lo era davvero. Vedere la casa piena, vedere suo figlio aggirarsi tra le sue cose, giocare col cane, chiamarlo da una stanza all’altra era una boccata d’aria fresca.
«Mmh… non vorrei crearti problemi con la tipa che stai frequentando» ammiccò lei, togliendosi le scarpe e incrociando le gambe sul divano.
«La… persona che sto frequentando ha deciso di non arrogarsi il diritto di interferire con la mia vita»
La donna si accigliò. «In che senso?»
«Nel senso che la nostra relazione, se di relazione si può parlare, è di quelle che cominciano e finiscono in camera da letto.»
Kate scoppiò in una sonora risata.
«Certo!» gli disse, sarcastica, «Come se tu fossi in grado di reggere una situazione del genere, Mr. Miaffezionoancheallacartadacucina.»
«Ehi!» protestò Matt, fingendosi oltraggiato, «Quella carta era bellissima e in edizione limitata!»
Scoppiarono a ridere entrambi, di gusto. Era bello riuscire a parlare amichevolmente con lei, riuscire a lasciarsi alle spalle ciò che non aveva funzionato tra di loro per ritrovare il bel rapporto che avevano, l’amicizia che li legava. Non era solo per avere Bing vicino che Matt le aveva proposto di fermarsi da lui per quella decina di giorni che lei avrebbe dovuto passare a Londra per lavoro, gli faceva piacere che anche lei fosse lì, che la casa fosse piena e che si respirasse aria di famiglia.
Non avevano ancora ripreso fiato, che qualcuno bussò alla porta.

 
***
 
Capelli Verdi è una presenza stranamente tranquilla per essere a un festival. Non balla, non salta, sta semplicemente lì a cantare insieme a lui senza sbagliare neanche una sillaba. Non sembra intimorita dall’essere fissata con insistenza da Brian, anzi, ricambia lo sguardo quietamente: nel tempo di una canzone sono riusciti a creare una strana sintonia e ora sono perfettamente a loro agio a fissarsi reciprocamente. Le sorride, riconoscente.
Durante la parte strumentale di Every You Every Me, lui e Stefan hanno l’abitudine di scambiarsi di posto sul palco per un po’, prima di ritornare ai rispettivi microfoni, per andare a far visita all’altra parte di pubblico. Staccarsi dalla sua àncora verde, quella sera, è come uscire da una bolla protettiva ed entrare in un universo caotico, fatto di decine di migliaia di persone che gridano e agitano le braccia verso di lui. Torna a includere nel suo campo visivo quell’”I LOVE MATT BELLAMY” e istintivamente, nel camminare verso la parte sinistra del palco, lancia un’occhiata dietro le quinte.
Avrebbe dovuto immaginare che l’avrebbe trovato lì, seduto esattamente sulla cassa su cui l’aveva lasciato, ma non era pronto a sentirsi il suo sguardo addosso aderirgli come un guanto. Quegli occhi blu lo fissano come se volessero imprimerselo nel cervello, come se non volessero più lasciarlo andar via. Come se lui gli appartenesse. È insostenibile, Brian si sente soffocare, avverte un principio di attacco di panico e si ritrova ad avere nostalgia dello sguardo fermo ed emozionato di Capelli Verdi, che ora si trova dall’altro lato del palco rispetto a lui e non può riportarlo in quell’atmosfera riparata che Brian ha dovuto abbandonare. Per evitare di cedere al panico che lo assale, si concentra sulla musica, le corde della chitarra contro i suoi polpastrelli, il plettro nella mano destra e i tasti che sente con la mano sinistra. Gli accordi che deve suonare scorrono sotto le sue dita come se la mano li eseguisse ormai di sua spontanea volontà, senza bisogno di ordini impartiti dal cervello. La Fender Jaguar rossa tra le sue braccia è, ancora una volta, il salvagente a cui aggrapparsi quando il mondo esterno minaccia di sopraffarlo.
In pochi secondi, la parte strumentale finisce e lui deve tornare al suo microfono per cantare il ritornello finale, finalmente può tornare a concentrarsi su Capelli Verdi e dimenticare gli occhi blu che, adesso lo sa, non lo mollano un attimo, lasciando tra le sue scapole la sensazione di un brivido di allerta che non riesce a mandar via.
Si sistema davanti al microfono e torna a cercare la ragazza con lo sguardo, ma ora, al posto della tranquilla persona che cantava e basta, c’è una furia che balla e si dimena, privandolo di quel contatto visivo che l’aveva tenuto al sicuro per tutta la prima parte del concerto. Non capisce proprio cosa le sia successo rispetto a trenta secondi prima, quando l’ha lasciata, sa solo che quella strana danza lo disturba, non va a tempo e gli lascia una sensazione di disagio. Fa avanti e indietro con tutto il busto, riversa sulla transenna, attirandosi le occhiate infastidite delle persone intorno a lei, ma è quando batte la testa sul ferro davanti a lei e nonostante tutto non accenna a fermarsi che Brian capisce. La canzone è ormai finita e lui rimane congelato sul posto, impietrito, a osservarla senza sapere cosa fare. Non stava ballando: ha le convulsioni.
Si gira verso Stefan con aria allarmata, ma il bassista non capisce, non vede.
Istintivamente, prima che Steve attacchi la canzone successiva, si avvicina al microfono e chiama la sicurezza.

***
 
Cazzo, fu il suo primo pensiero quando vide Brian davanti alla porta, ho dimenticato un appuntamento?
Riuscì a fare mente locale e decise che no, non aveva dimenticato niente, almeno per questo era al sicuro. Brian doveva aver avuto improvvisamente del tempo libero, o qualcosa del genere.
«Matt, chi è?» chiese intanto Kate. Sul viso di Brian si dipinse un’espressione stupita e di allerta.
Ovviamente si era completamente dimenticato di avvertire l’altro dell’arrivo della sua ex. Ben fatto, Bells, si complimentò.
«Vieni, Brian, accomodati» gli disse, facendosi da parte per farlo entrare.
«Non importa, posso ripassare.»
«No, dai, vieni» insistette. Aveva l’impressione che lasciarlo andare via in quel momento, dopo avergli fatto sentire una voce di donna in casa e senza chiarirgli la situazione, non sarebbe stata una mossa vincente.
Riluttantemente, Brian varcò la soglia d’ingresso e lo seguì in soggiorno, dove Kate era ancora seduta sul divano a gambe incrociate e Bing e Angus giocavano sul tappeto. Matt sapeva che l’altro si era irrigidito, che nonostante tutte le belle parole e i buoni propositi, in fondo, era geloso e possessivo e l’arrivo di una ex non poteva che irritarlo a morte, ma sapeva anche che quello sarebbe effettivamente morto prima di darlo a vedere.
«Kate Hudson, questo è Brian Molko, il mio…» si interruppe. Il mio cosa? Panico.
«Vicino di casa» completò Brian per lui, con un sorriso di circostanza.
Sullo sguardo di Kate si dipinse uno sguardo dapprima stupito, poi di comprensione, che sparì immediatamente, mentre si alzava con grazia per venir loro incontro a stringere la mano al nuovo arrivato.
«Però, Matt! Non mi avevi detto che stavi fraternizzando con la concorrenza.»
«Non preoccuparti, non fraternizzerei mai con lui» si intromise Brian, «ero solo venuto a chiedergli una cosa riguardo alla prossima riunione condominiale» improvvisò.
«Oh, capisco». Kate decise di stare al gioco, nonostante quella fosse la scusa più improbabile dell’universo, «Allora, fate pure con comodo, io intanto vado a sistemare la mia roba. Matt, ci hai preparato la stanza degli ospiti, vero?» chiese.
«Sì, certo. La prima porta a sinistra è tutta vostra.»
La donna sparì nel corridoio, lasciando nell’aria una scia di Chanel.
Brian lo guardò inarcando un sopracciglio.
«Scusa, avevo dimenticato di avvisarti!» sussurrò Matt, per evitare di farsi sentire dal figlio, «È in città per degli scatti promozionali e mi ha portato Bing, così ho pensato che sarebbe stato meglio farli alloggiare qui.»
«Tranquillo, Bellamy, non devi giustificarti» fu la serena risposta, «Piuttosto, stai attento! Angus sta per rotolarsi su tuo figlio…» disse accennando ai due con un movimento del capo.
Matt si girò di scatto e, vedendo cane e bambino impegnati in una specie di contorsione generale, decise che per il momento la socializzazione tra i due poteva fermarsi lì. Raggiunse Bing e lo prese in braccio, tornando poi da Brian.
«Volevo presentartelo da tanto,» gli disse, sorridendo, «Brian, questo è Bing. Bing, questo signore è un mio amico. Dici Brian!»
Il piccolo allungò una mano ad afferrare una ciocca di lunghi capelli neri e disse uno stentato: «BAAA-IAAA»
A Brian sfuggì un sorriso intenerito e, accarezzando la testa bionda del bambino, gli disse: «Ciao, piccolo Bellamy.»
Bing emise un risolino e afferrò la mano di Brian con entrambe le sue manine, facendo su e giù e continuando a ripetere canticchiando il suo “BAAA-IAAA”. A vederli insieme, Matt provò un senso di completezza che gli era da tempo sconosciuto e gli sembrò anche che Brian si stesse rilassando. Quando incontrò i suoi occhi, li vide sereni e, per una volta, sinceri. Era incredibile l’effetto che un bambino poteva avere su di lui, quasi non riusciva a capacitarsene. Sorrise.
«Vuoi qualcosa da bere? Una tazza di tè?» gli chiese.
Brian sembrò riscuotersi. Fu questione di un istante, Matt non avrebbe saputo dire se fosse stata colpa del contenuto della frase, dell’attimo di pura sintonia e serenità che avevano condiviso o della sua voce che aveva spezzato l’incantesimo, ma vide qualcosa cambiare negli occhi verdi che lo guardavano, come se si fossero improvvisamente trincerati dietro un enorme portone.
«No…» mormorò, «No, grazie. Ora devo andare.»
Sfilò la mano dalla presa di Bing e fece un passo indietro.
«Ma sei appena arrivato!» protestò Matthew. Com’era possibile passare da un momento di assoluta perfezione a questo gelido dietrofront?
«Sì, ma sembra che oggi l’attività per cui ero passato sia impraticabile» sorrise Brian, la malizia nello sguardo a celare tutto il resto. «Ci sentiamo quando sarai più libero» gli disse, e in un attimo fu sul pianerottolo. La porta si chiuse dietro di lui.

 
*

«Ed è finita lì.»
«Finita cosa?»
«Tutto. È stata l’ultima volta che l’ho visto e che gli ho parlato. Ho provato a chiamarlo il giorno dopo e non mi ha risposto, quando Kate è andata via mi ci sono messo d’impegno: chiamate, messaggi, sono andato persino a casa sua, ma era come se si fosse dileguato nel vuoto.»
«Mmh. Hai provato ad aspettarlo fuori? Prima o poi uscirà di casa!»
«Il portiere mi ha detto che è partito.»
«… cazzo!»
«Ecco.»

 
***
 
L’area del festival adibita al pronto soccorso è in un angolo del backstage ed è costituita da un’anonima tenda bianca. Brian tentenna davanti all’ingresso, ma sa di non avere molto tempo a disposizione prima di essere riconosciuto da qualcuno di passaggio.
Dopo l’arrivo dei soccorsi e dopo che Capelli Verdi è stata portata via, ha dovuto proseguire il suo concerto senza un riparo morale, per di più cosciente dello sguardo di Matthew dietro di lui. Certo, avrebbe potuto trovare il modo di isolarsi di nuovo, ma per qualche strano motivo non aveva avuto voglia di sostituire la ragazza che aveva scelto, gli sembrava di farle un torto a rimpiazzarla solo perché era stata male, quindi si era fatto forza ed era arrivato alla fine del set consapevole di ogni paio di occhi che lo guardavano dal pubblico.
Una volta finito il concerto, si era fiondato in camerino a fare una doccia e cambiarsi prima di avere il tempo di assecondare quella strana voglia di rimanere nel backstage a guardare il concerto dei Muse. Si era abbandonato sotto il getto fresco che lavava via l’umidità e il sudore di quell’estate francese, ripercorrendo mentalmente gli avvenimenti di quella giornata che non sembrava finire mai – né migliorare, peraltro. Il pensiero di Capelli Verdi l’aveva ossessionato per tutto il concerto, forse a causa dell’istinto paterno o per il senso di colpa di aver aspettato troppo prima di chiamare aiuto. Non riusciva ancora a credere di aver pensato che stesse ballando, se avesse riportato danni permanenti non se lo sarebbe mai perdonato e quindi, dopo la doccia, contro ogni prassi del post concerto, aveva afferrato il cellulare e si era diretto all’area pronto soccorso.
Ora è lì davanti alla fessura nella tenda che funge da entrata e deve trovare il coraggio di affrontare le conseguenze della sua idiozia. Un rumore di passi e delle voci in avvicinamento gli fanno rompere ogni indugio e, prima che qualcuno lo veda, si fionda nella tenda.
L’interno è scarno e anonimo quanto l’esterno, c’è una flebile luce al neon in alto, qualche banale attrezzatura – siringhe, cerotti, ghiaccio sintetico… -  su un mobiletto traballante e il resto è nascosto da un séparé che giace nel mezzo della stanza. Brian avanza e lo aggira, per rivelare un lettino e una serie di macchinari dall’aria vagamente più professionale.
Almeno sono elettronici, pensa con un pizzico di sollievo.
Sul letto, attaccata a una flebo e a qualcosa che a lui sembra un elettrocardiogramma, giace scompostamente Capelli Verdi. Ha gli occhi chiusi, ma lui non saprebbe dire se stia dormendo o se sia solo troppo stanca per aprirli. Il fatto che l’abbiano tenuta lì e non l’abbiano trasferita in un ospedale serve a rassicurarlo sulle sue condizioni, ma vorrebbe tanto poter parlare con un’infermiera o con chi l’ha presa in cura. Un mugolio proveniente dalla ragazza lo distoglie ai suoi pensieri e gli fa riportare lo sguardo sul suo viso. Ha la fronte aggrottata in una lieve espressione di disappunto e mugola uno: «Merde.»
Brian, allarmato, le chiede piano, in francese: «Tutto bene? Chiamo qualcuno?»
«No… no…» è la debole risposta.
Segue un silenzio tanto lungo che Brian crede che si sia addormentata, finché la ragazza non mormora: «Tanti anni da fan ed ecco come sono ridotta quando incontro il mio cantante preferito.»
Brian sbuffa una risata, sollevato dal fatto che Capelli Verdi riesca a pronunciare delle frasi di senso compiuto, e si avvicina al letto.
«Posso sedermi?»
Lei annuisce, sempre con gli occhi chiusi, e lui occupa il più piccolo spazio possibile in fondo al letto.
«Allora, ehm…» esordisce Brian, «come ti senti?»
«Non troppo male. Ci sono abituata.»
Lui strabuzza gli occhi.
«Come abituata?»
La ragazza si muove a disagio, come a cercare una posizione più confortevole e poi sputa fuori: «Epilessia fotosensibile.»
«… cazzo!»
Brian conta fino a dieci prima di chiederle che cazzo ci faccia una ragazza che soffre di epilessia fotosensibile ad un festival rock - considerato che i cartelli che avvertono della potenziale dannosità delle luci sono ovunque - solo perché deve ricordarsi che lui non è nessuno per giudicare le scelte di quella ragazzina sconosciuta. Però, che cazzo!!!
«Come ti salta in mente di venire a un concerto?»
No, non è riuscito a reprimere del tutto il rimprovero nella sua voce e alla fine, se nessuno ha mai detto a Capelli Verdi che deve stare un po’ più attenta alla sua vita, è bene che glielo faccia presente lui. In qualità di “cantante preferito” dovrà pur avere una qualche influenza.
Lei apre gli occhi e posa su di lui uno sguardo fin troppo consapevole.
«La musica è l’unica cosa che mi fa andare avanti nella vita.»
«Sì, ma avresti potuto morire. O peggio…» obietta.
«Non si può rinunciare a vivere perché si ha paura di morire» è la lapidaria risposta che lo colpisce come un pugno nello stomaco. Brian non ha il tempo di assimilare quel concetto, che la ragazza riprende a parlare con voce flebile, probabilmente usando tutte le forze che le sono rimaste.
«Ascolto la vostra musica da anni, la tua voce è con me ogni giorno. Ho sempre desiderato venire a un vostro concerto, ma i miei mi stanno addosso a causa dell’epilessia e non mi farebbero mai viaggiare da sola per andare ai concerti. Quando hanno aggiunto il vostro nome al programma del festival che si tiene a tre chilometri da casa mia non potevo farmi sfuggire l’occasione… anche se, alla fine, me la sono fatta sfuggire lo stesso.» termina il discorso con una nota di rabbia nella voce. Brian si sente travolgere da un’ondata di tristezza per il sogno infranto di quella ragazza, per la lezione di vita che lei gli sta regalando nel peggiore dei modi, per quanto le sue parole da quattro soldi devono aver inciso nella sua vita, tanto da farle rischiare grosso pur di assistere a un suo concerto.
«Mi sbaglierò,» riprende lei, «ma non mi sembravi particolarmente in forma, stasera.»
Non solo questa ragazza ha rischiato letteralmente la vita per venire a un concerto che poi le è stato negato a metà, ma ha avuto anche la sfortuna di beccarlo in una delle serate peggiori della sua vita.
«Non sbagli: dire che ho avuto una giornata di merda è poco, anche se forse, paragonata alla tua, non fa così schifo.»
«Non è stata così male. Ho avuto mezzo concerto dei Placebo e una visita da Brian Molko… poteva andare peggio!» scherza lei.
Brian sorride. Non capisce come sia possibile, ma quella ragazza, attaccata alle macchine e distesa scompostamente su un tristissimo lettino, gli dimostra una voglia di vivere e una serenità che lui con tutte le sue accortezze e meditazioni non è mai riuscito a trovare.
Non da solo, per lo meno, è il perfido promemoria di una vocina nella sua testa.
È vero, ammette, ci sono stati momenti nel suo recente passato, particolari momenti in compagnia di Matthew, che gli hanno fatto vedere dei piccoli barlumi di speranza. Certo, prima che ricordasse a se stesso chi effettivamente fosse Matt Bellamy e che, rockstar o non rockstar, sarebbe stato meglio per tutti se la loro relazione fosse rimasta relegata alle lenzuola. Il peso di quella scelta, presa anni fa, lo schiaccia come non mai in quel momento. Non sa perché, ma parlare con quella ragazzina gli sta rendendo tutto più difficile.
Non si può rinunciare a vivere perché si ha paura di morire.
«Quindi anche i cantanti hanno giornate di merda.»
«Più spesso di quanto credi.»
«Ti dispiace se ne godo un po’? Almeno so di non essere la sola.»
«Tutti hanno dei problemi. Il fatto che io sia bello, ricco e famoso non mi grazia.»
«Ah-ah.»
«Chi c’è qua dentro?» irrompe una voce agitata, scostando il séparé. Brian si volta e vede un donnone in un camice da infermiera. Alta il doppio di lui e larga altrettanto, sfoggia un caschetto biondo, un rossetto rosso e un’espressione oltraggiata, come se l’avesse sorpreso a commettere atti di vandalismo.
«Chi è lei? Come si permette di disturbare questa ragazza?»
Chi è lei, Brian sghignazza internamente.
«Scusi, sono quello che ha chiamato i soccorsi, volevo accertarmi che stesse bene.»
«Può essere anche il papa, ma lei non può stare qui.» è la secca risposta, «La ragazza deve riposare e tra poco sarà trasferita in ospedale. La prego di andare via.» il suo tono è di quelli che non ammettono repliche e, onestamente, Brian non se la sente proprio di discutere con un tipo del genere.
«Vado via subito.» la rassicurò, «Ha un foglio e una penna?»
L’infermiera si allontana di qualche passo per prendergli quello che lui ha chiesto e glieli porge. Brian scarabocchia sul pezzo di carta un numero di telefono e lo passa alla ragazza: «Questo è il numero di Alex, la mia manager. Quando ti sarai ripresa, chiamala e ti farà avere un posto nel backstage per un concerto che vorrai.»
Capelli Verdi sgrana gli occhi, senza parole.
«Non fare quella faccia,» si schermisce lui, «ti devo un concerto. E speriamo che da dietro il palco le luci non ti diano fastidio.»
Il sorriso che accompagna il suo “Grazie!” vale ad accendere una scintilla di calore nel suo petto, poterla ricompensare per quel fallimento di serata è una piccola cosa che serve a migliorargli l’umore. È quasi all’uscita della tenda, quando si rende conto di un piccolo particolare.
«Non mi hai detto come ti chiami!» le dice d’istinto, voltandosi.
«Saphire.»
«Ciao, Saphire. E stai attenta!»
«Ciao, Brian. Spero che la tua giornata migliori.»
Appena fuori dalla tenda, con la coda dell’occhio percepisce un’ombra poco distante. Sussulta spaventato, il cuore a mille, finché l’ombra non entra nel cono di luce che proviene da quell’improvvisato pronto soccorso.
«Cazzo, Bellamy!» sfiata, portandosi una mano sul cuore a cercare di fermare dei battiti che, invece di rallentare, stanno accelerando. «Tu mi vuoi morto! Che cazzo ci fai qui?»
«Ti cercavo.» dice col tono di un’ovvietà, come se la rabbia dei giorni precedenti e il discorso di qualche ora prima fossero stati cancellati dalla sua memoria.
«Ma non hai un concerto?» chiede astioso, incamminandosi verso la roulotte. Matt lo segue.
«Ho appena finito. Ti avevo visto particolarmente scosso da quello che era successo durante il vostro set e sono venuto a cercarti in camerino appena ho potuto. Non trovandoti, ho fatto due più due e sono venuto qui.»
Brian non dice più niente. Vorrebbe cacciarlo, ma non ne ha il coraggio: le parole di Saphire gli riecheggiano in testa come un mantra. Non si può rinunciare a vivere perché si ha paura di morire. Ha ragione, non c’è dubbio. Ma se la posta in gioco non fosse solo la morte? Se lui rischiasse la sua salute, la sua sanità mentale, suo figlio?
«Allora, come sta?» Matt lo distoglie dai quei pensieri.
«Bene. Le è andata di lusso. Avrebbe potuto riportare seri danni al cervello.» il solo pensiero gli fa mancare il fiato. La verità è che ancora non riesce a credere che una persona possa rischiare tanto pur di sentirlo cantare, anche se sotto sotto sa che la questione è molto più profonda: è il principio di non lasciarsi schiacciare dal destino, è la lotta quotidiana per vivere, per non lasciarsi andare al corso degli eventi, per avere voce in capitolo.
Sono arrivati davanti alla porta del camerino di Brian.
Matt commenta: «Cazzo!», mentre entrambi si fermano.
«Sì. Pensa che ha corso il rischio coscientemente.»
«Cosa?» esclama l’altro.
«Dice che non si può rinunciare a vivere per paura di morire.» Brian lo dice facendo spallucce, fingendo che il concetto non abbia niente a che fare con loro due, ma sa che Matt non crederà neanche per un secondo al suo atteggiamento distaccato.
«Oh, oh! Abbiamo ricevuto una lezione di vita da una ragazzina.»
«Qualcosa del genere, sì.» risponde, aprendo la porta. Sale gli scalini che lo separano dall’ingresso e improvvisamente si sente spingere dentro. Matt lo fa girare, lo preme contro il muro e gli si avvicina pericolosamente, gli occhi negli occhi, le loro labbra separate solo da un respiro.
«Vivi, Brian. Cazzo, vivi! Com’è possibile che una bambina sia più saggia di te?»
Brian volta la testa per sottrarsi a quel contatto, per evitare di respirare l’aria di Matthew, per cercare un po’ di lucidità alla fine di una giornata che non ha fatto altro che scuoterlo ripetutamente.
«Ti prego...» lo implora con un filo di voce.
«Non hai neanche la forza di guardarmi negli occhi.» mormora Matt, allentando leggermente la presa sulle sue braccia.
Brian pensa a Saphire, all’ago nel suo braccio, allo schermo dell’elettrocardiogramma e a quello che gli ha detto. Fa appello a tutte le sue forze per tornare a guardarlo negli occhi, ma non riesce a trovare le parole per mandarlo via. Non riesce a trovare una ragione sensata per mandarlo via.
E quindi decide che, forse, è il caso di migliorare quella giornata.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Epilogo ***


Attenzione:
se non avete ancora letto il capitolo 9, tornate indietro di uno.





Epilogo.

Le tue labbra sono esattamente come le ricordavo.
Quando mi spingo in avanti per colmare quel piccolo spazio che separa le nostre bocche, quasi indietreggi spaventato. Stupido. Pensi che voglia azzannarti?
Ci metti pochissimo a realizzare che la mia è una resa. Senza condizioni, senza ripensamenti.
Hai vinto, Matthew, complice una ragazza capitata nel posto giusto al momento giusto. Dovresti mandarle dei fiori, davvero. Forse dovrei mandarglieli anch’io. Magari, quando verrà ad assistere a un concerto dal backstage, glieli portiamo insieme.
Le tue mani sono più avide di quanto ricordassi. Forse sono mancato a loro quanto loro sono mancate a me. I vestiti sono di troppo, voglio sentire la tua pelle sotto le mie dita, voglio percorrere di nuovo questo corpo che ormai conosco a memoria.
Vorrei che fosse la nostra prima volta, che potessimo cominciare tutto così, con questa speranza di un futuro che mi terrorizza. E un po’ è come se lo fosse, perché sento qualcosa di diverso. C’è una strana dolcezza che pervade l’aria, ha un sapore di miele e vaniglia, il sapore di qualcosa di ritrovato. E c’è il calore di qualcosa di atteso, qualcosa che avevo creduto di aver perso per sempre.
Chi l’avrebbe mai detto, che a ridarmelo fossi proprio tu?
I tuoi baci sono più lenti del previsto. Sembra che tu voglia prenderti tutto il tempo del mondo – tempo che non abbiamo, Matt, tra un po’ qualcuno ci verrà a cercare. O forse sono lenti perché vuoi goderti il momento. Sì, sembra che tu non abbia fretta di arrivare in fondo, è come se volessi prolungare quest’attimo per sempre. E io vorrei che tu ci riuscissi, che non ci fosse più niente oltre a noi, qui e ora.
Rivedo nella mia mente tutti i momenti che ci hanno portato qui, quanto facevi il cretino con quelle fragole surgelate, quanto eri goffo mentre cercavi di tastare il terreno, tutte le volte che mi accorgevo di come la mia presenza ti turbasse e ne godevo, e cercavo di turbarti sempre un po’ di più, il fastidio di vederti socializzare con mio figlio credendo che fosse un bieco modo per arrivare a me e il nodo al cuore quando ho capito che lo facevi perché in fondo ti mancava il tuo, di figlio. E il tuo sguardo orgoglioso quando finalmente mi hai presentato Bing, i tuoi occhi blu che mi rivelavano una gioia quasi selvaggia a vederci insieme. Sono stati quegli occhi a farmi scappare, Matt, il fatto che io riuscissi a percepire dentro le mie viscere l’esatta felicità che leggevo in quel blu, come se me l’avessi trasmessa per osmosi.
Non sono ancora convinto di poter reggere tutto questo, le premesse che ci sono per questo rapporto non lasciano presagire nulla di buono. Tu promettimi solo che verrai a riprendermi se dovessi scappare ancora, promettimi che mi bacerai sempre come stai facendo adesso – come ti ho insegnato io, tra l’altro -, che le tue mani non saranno mai sazie di essere su di me e che il blu dei tuoi occhi mi riporterà sempre a casa.
E, ti prego, fa’ che io non mi penta mai di questa bandiera bianca.






Note finali:

Ma ho davvero qualcosa da dire? In realtà no. Però ringrazio ancora una volta chi ha seguito la storia fino a qui e chi deciderà di leggerla in seguito. Il Mollamy sembra essere un genere in calo (a voler essere generosi), ma io spero sempre in una sua resurrezione (di autori e di lettori).
Bye bye for now,
TD

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3653500