La vera storia dei Malandrini - The End -

di kishal
(/viewuser.php?uid=2722)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Avalon ***
Capitolo 2: *** Sul treno ***
Capitolo 3: *** Il festino ***
Capitolo 4: *** La casa in campagna ***
Capitolo 5: *** Gli allenamenti hanno inizio ***
Capitolo 6: *** Sirius ***
Capitolo 7: *** Inizia il lavoro! ***
Capitolo 8: *** Divinazione ***
Capitolo 9: *** Di nuovo insieme ***
Capitolo 10: *** Un passo avanti ***
Capitolo 11: *** Rivelazioni ***
Capitolo 12: *** Scoperto ***
Capitolo 13: *** E' meglio riderci sopra, no? ***
Capitolo 14: *** Il segreto di Narcissa ***
Capitolo 15: *** Voldemort ***
Capitolo 16: *** Matrimonio ***
Capitolo 17: *** Blacknimbus ***
Capitolo 18: *** Il giorno dopo... ***
Capitolo 19: *** The End ***
Capitolo 20: *** Una dura scelta ***
Capitolo 21: *** In attesa dei nascituri... ***
Capitolo 22: *** Finalmente sono nati... ***



Capitolo 1
*** Avalon ***


Pochi minuti dopo che Sirius era andato via dalla sua casa attraverso una passaporta, lasciandola con un tremendo nodo alla go

Pochi minuti dopo che Sirius era andato via dalla sua casa attraverso una passaporta, lasciandola con un tremendo nodo alla gola ma con la consapevolezza che quella era la cosa giusta da fare, Solaria vide davanti a comparire una specie di nebbiolina bianca. All’inizio molto fioca, poi la sua consistenza iniziò ad appesantirsi, fino a che non apparvero in essa i lineamenti di una donna, vestita come una dea greca, e con uno strano simbolo in mezzo alla fronte. Era bella, davvero molto bella, alta e con profondi occhi neri, ma la sua bellezza era resa quasi imperscrutabile a causa della freddezza e della durezza del suo sguardo, della severità del suo volto, della rigidità del suo corpo.

La sacerdotessa di Avalon. La dama del Lago era lì davanti a lei in tutta la sua magnificenza.

Solaria, ben sapendo con che persona avrebbe dovuto avere a che fare, alzò gli occhi al cielo per un’ultima preghiera chiedendo a chiunque la potesse sentire di fornirla di molta, molta, molta pazienza, perché da quel momento in poi ne avrebbe avuto assai bisogno.

“Pensavo che il dolore ti avesse ridotto nelle stesse condizioni di uno straccio vecchio e sporco, e invece noto che hai ancora una buona dose di insolenza.” Disse la donna, alzando un sopracciglio e assumendo un’espressione ancora più arcigna.

“E dire vi chiamavano addirittura fate…” Fu il commento ironico di Solaria.

La donna ridusse gli occhi a delle fessure. Non aveva digerito quell’ultimo insulto. “Ti ricordo che ti potrei tranquillamente mollare qui. E’ solo una gentilezza quella che ti sto facendo, dunque dovresti sentirti in debito con me.”

“Più che in debito, la parola che voleva usare era in soggezione… Ma, mi dispiace per lei, nessuno ha mai avuto questo grande potere su di me.”

“Nessuno?!” Disse lei, sarcastica.

“Tom Riddle non mi fa paura. Tom Riddle mi provoca solo un enorme disprezzo, e alle volte è riuscito a farmi sentire impotente: ma mai l’ho temuto. E, ritornando a noi, se proprio non le va di portarmi via con lei, può anche lasciarmi qua.

Oh, stia tranquilla, lo so che se fosse per lei lo farebbe molto tranquillamente. Anzi, se fosse per lei non mi avrebbe nemmeno invitato ad Avalon. Ma purtroppo, non è lei che comanda, non è così? Lei è solo una schiava della Dea.”

“Non osare prenderti queste libertà con me- disse la sacerdotessa, pronunciando le parole a denti stretti- il rispetto prima di tutto. Sei solo una ragazzina!”

“Una ragazzina che però ha più potere nelle sue mani perfino della Dama del Lago in persona. E questo non le fa molto piacere, non è vero?” Le disse, con un sorrisetto malizioso in volto.

 

Penso che molti di voi si stiano chiedendo il motivo di quest’estrema acidità di Solaria, di questo suo attacco alla donna: beh, è meglio che sappiate che negli ultimi periodi, insieme al dolore, si era acuito in maniera inverosimile anche il suo potere. Infatti l’empatia aveva iniziato a persistere anche dopo le visioni percettive, e non c’era ormai incantesimo che potesse impedirle di leggere i sentimenti e i pensieri di qualsivoglia persona come un libro. E, oltretutto, ultimamente si era accorta che anche la telestesia, ossia la visione o percezione di un fatto o di un oggetto a distanza, non era una dote a lei estranea…

Non pensiate che tutti questi poteri non la preoccupassero: aveva la sensazione di non essere più una creatura, ossia un essere ben definito nelle sue forme, ma di starsi come sciogliendo in ogni componente vitale dell’universo. E questa sensazione le aveva fatto capire che la fine della sua esistenza da veggente, ma contemporaneamente anche da essere umano, era oramai vicina…

 

Tornando al fatto in questione, i sentimenti che aveva scorto nella dama non le erano piaciuti affatto. Era una donna che aveva sempre amato il potere che aveva perché lo considerava il superiore, una donna pericolosa, ambiziosa, decisa e sicura nei suoi progetti, che seguiva ciecamente i voleri della sua Dea, a cui era profondamente devota. Ma questo non le aveva impedito di provare una grande antipatia nei confronti di Solaria fin da quando la Dea le aveva parlato di lei e dei suoi poteri, e le aveva ordinato di aiutarla. Era gelosa, gelosa marcia. E Solaria poteva vedere alla perfezione nella sua mente perfida cosa le avrebbe fatto se non fosse stata così dedita al volere della sua padrona.

Con quel comportamento Solaria le voleva far capire che lei non le rappresentava assolutamente nulla, che si sarebbe dovuta limitare ad ospitarla e accudirla nei suoi bisogni, come la Dea le aveva detto. Ogni intromissione nella sua vita privata, nelle sue azioni, nelle sue intenzioni, era assolutamente da escludersi. E, se non avrebbe fatto così, non l’avrebbe passata liscia.

 

Nell’udire quelle parole, la donna divenne rossa come il fuoco, il viso imbronciato, gli occhi minacciosamente socchiusi. Probabilmente, se avesse avuto in mano una saetta, gliel’avrebbe lanciata addosso senza molti problemi…

Dopo alcuni secondi però i suoi lineamenti si distesero, e fissandola con sguardo perfido le disse, in tono tagliente: “C’è sempre un lato negativo in tutto, però. E il tuo, è che morirai giovane.”

Il sorriso trionfante che le vide in volto le fece totalmente perdere le staffe.

“Vivrò più io in questi pochi anni che lei in tutta la sua immensa vita. Le dirò di più, se mi avessero dato l’opportunità di scegliere fra le nostre due esistenze, per nulla al mondo avrei accettato di finire al posto suo. E penso anche lei avrebbe fatto la mia stessa scelta…”

Ti sbagli…” Disse quella, quasi in un sibilo. Ma il corpo tremante manifestava il profondo turbamento interiore che quella dichiarazione le aveva provocato.

“Non le serve a niente mentire. Io – Vedo – Tutto!” Concluse lei, perfida. “E ora, sarebbe il caso che lei obbedisse alla sua Dea e mi conducesse ad Avalon, invece che stare lì a rimuginare su quanto fossero vere le mie parole. Avrà molto tempo da spendere a non fare nulla, una volta che avrà compiuto il suo dovere. Che aspetta a muoversi? Dalla Prima Sacerdotessa della Dea mi sarei aspettata molta più prontezza e devozione alla causa.”

 

 

 

Una volta imbarcata su quella piccola gondola che avevano trovato al largo di quella radura dove si erano materializzate, la sacerdotessa le diede una piccola bottiglietta: conteneva un liquido che, a suo dire, le avrebbe ridato le forze in un batter di ciglia.

Solaria lo guardò, titubante: era possibilissimo che là dentro ci fosse il veleno più potente e letale esistente sulla faccia dell’universo. Poi tuttavia, chiusi gli occhi, ingoiò la bevanda fredda e argentea in un sol fiato. Capì solo dopo cos’era: sangue di unicorno, una rarissima, nonché proibita, panacea per il corpo. Proibita perché, essendo gli unicorni gli animali più puri, più innocenti, più divini esistenti in tutto il creato, ucciderli era considerato uno dei peggiori delitti che un uomo potesse compiere. Chissà come quella megera se l’era procurato…

 

Quando la Grande Sacerdotessa scostò le nebbie che circondavano Avalon come una grande e impenetrabile muraglia, Solaria spalancò la bocca per lo stupore. Mai avrebbe pensato che quel posto fosse così fantastico. Sì, certo, se lo era immaginato come un luogo divino, ma non fino a quel punto.

Divino. Davvero, divino era l’unico aggettivo con cui lo si poteva descrivere senza ridurne la bellezza e il fascino. Era un luogo pieno di vita, dove la natura fioriva incantevole e dove gli animali vivevano in pace. E, perfettamente a tono con l’ambiente che lo circondava, il palazzo di Avalon era una struttura armoniosa, dai colori tenui, invasa dalla vivace vegetazione.

Senza contare poi che in quel momento l’isola le sembrò ancora più meravigliosa per il semplice motivo che, appena avevano oltrepassato le coltri di nebbia che la proteggevano, il angue di unicorno aveva cominciato a farle effetto e ogni suo dolore era svanito nel nulla, e con esso anche le visioni percettive. Perfino la sua empatia si era ridotta assai, si era subito accorta che non si presentava più come un dono imposto, ma piuttosto come un dono di cui poteva usufruire quando più le piaceva. Fantastico, insomma, davvero fantastico! Meraviglioso!!!

Scese dalla barca, e appena pose piede su quella nera terra, l’entusiasmo la colse, e inspirò profondamente facendo entrare quella fresca aria pura nei suoi polmoni, un alito che la riempì di vita.

“L’oblio a cui spinge la nostra terra è molto pericoloso, e penso che tu in particolar modo ne debba fare attenzione.” Le disse una voce tagliente alle sue spalle. Si voltò per incrociare gli occhi della sacerdotessa, ma quando provò a leggerle la mente i suoi tentativi fallirono miseramente, provocando un sorrisetto trionfante nella Dama del Lago. “Qui i miei poteri sono molto più forti, Solaria. Qui sono io che comando.”

“Mi dispiace, ma è la Dea che ha il potere su questa terra, non lei. Ed in fondo, non sarà poi un male così grande non poterle leggerle la mente: non è una delle attività più piacevoli da fare, anzi, tutt’altro. Mi immaginavo molta più semplicità e bontà da una che sta nella sua posizione. A quanto pare, però, la corruzione dell’essere umano colpisce anche le grandi persone come lei.

E, per quanto riguarda l’oblio… stia tranquilla, riuscirò a sconfiggerlo. Ammetto che alcune presenze sgradite preferirei scordarmele, ma penso che nemmeno il potere obliante di questo luogo mi potrà aiutare a dimenticare qualcosa, o qualcuno, che sarò costretta a vedere assai spesso da questo momento in poi…” Rispose lei. Vecchia racchia, ma chi si credeva di essere?!

La Grande Sacerdotessa le lanciò un ultimo, profondo, violento, infuocato sguardo stizzito, per poi andarsene all’interno del palazzo, raggiunta immediatamente da alcune ancelle che si inginocchiarono per salutarla.

Solaria si fermò un attimo a guardare quella scena a lei inconsueta, poi, vinta dal desiderio di usare le forze che molto velocemente le stavano tornando, si mise a passeggiare lentamente per i giardini che ricoprivano quell’incantevole terra.

Un sorriso le comparve sulle labbra: era impossibile non provare felicità nel trovarsi in un luogo di tal genere. Eppure, sapeva bene che non era lì per dilettarsi, e la Dama del Lago glielo aveva ricordato con molta finezza. Là fuori c’erano persone che soffrivano, e che avrebbero continuato a soffrire ancora per molto tempo. Il suo compito era quello di aiutarle. E prima sarebbe stata pronta ad affrontare Tom Riddle, prima avrebbe potuto… o dovuto… lasciare Avalon. Dovuto... già, proprio dovuto. Un ammaliante pensiero infatti le aveva sfiorato la mente, passeggiando per quei posti: se fosse rimasta lì, il suo destino, che per ora si prospettava fra i più neri, sarebbe completamente mutato.

Un’altra immagine però, assai presuntuosa, le aveva levato quel pensiero dalla testa: il suo amato Sirius.

Già, valeva la pena di andarsene da quell’Eden solo per stare con lui un’ultima volta, solo per poterlo ancora baciare ed abbracciare, per poterlo accarezzare, per fare ancora l’amore con lui sussurrandogli all’orecchio dolci parole… o solo per poter giocare con lui, per compiere i misfatti più divertenti e pazzi, per ridere insieme e divertirsi come folli. Le era anche venuta in mente l’interessante idea che avrebbero potuto scorticare la Mascott dei Serpeverde e appendere nella loro sala grande un grifone che teneva la sua pelle fra gli uncini delle sue zampe… una metafora molto esplicita ed efficace, no?!

E poi, dopo di lui, le immagini degli amici le avevano inondato la mente. Lily, James, Remus, Peter, Narcissa… oh, come poteva lasciarli?!

La sua coscienza si fece di nuovo, improvvisamente, viva, e subito si mise a pensare a ciò che sarebbe accaduto a tante persone, alla terribile morte a cui potevano andare incontro, e che lei poteva evitare.

Avrebbe perso la sua vita, è vero, ma l’avrebbe data a molti altri.

Lei, in fondo, come aveva già detto alla sacerdotessa, aveva già vissuto in quei brevi tempi ciò che un uomo normali vive nel corso di un’intera esistenza. E tutto questo, soprattutto a causa dei suoi poteri…

Già, lei aveva già vissuto… a diciassette anni aveva già quasi concluso la sua esperienza di vita….

Diamine, possibile che ogni qual volta si metteva a ragionare finiva sempre con l’incasinarsi in quel tremendo ciclo di cause ed effetti che le sue idee provocavano?! Basta! Era un’idiota, doveva smetterla! Avrebbe fatto ciò che doveva fare, e tutto sarebbe andato come doveva andare. Stop. Fine della storia.

Forse ora era il caso di andare a vedere in che stanza quella racchia aveva intenzione di farla alloggiare… Sì, forse era proprio il caso…

E così si diresse verso il grande palazzo. Beh, la facciata non era male, quindi gli interni non potevano essere da meno… a meno che quella brutta megera non avesse deciso di rinchiuderla in qualche sotterraneo buio e puzzolente, con la sola compagnia di topi che, all’occorrenza, sarebbero serviti anche per pasto… Eheheh, solo lei, Solaria Nimbus, era in grado di immaginarsi idiozie del genere!

 

 

 

“Caspiterina, è bella almeno quanto la mia…” Fu l’esclamazione di Solaria, dopo che l’ancella che la Dama del Lago aveva messo a suo servizio l’aveva condotta in quella stanza. Stanza… beh, stanza è un eufemismo. Là c’erano almeno quattro stanze fra salotto, biblioteca, soggiorno, stanza da letto… e il quinto era il bagno. Senza contare la grande vetrata che dal soggiorno immetteva in uno splendido giardinetto privato con un’incantevole vista sul lago…

E poi, tutto era immerso in quell’atmosfera…come descriverla… nebulosa, che intorpidiva i sensi e provocava quel piacevole stato di benessere interiore, di calma psichica e alleggerimento fisico. Una droga… a cui lei avrebbe dovuto resistere!

Si voltò a guardare, con un sorriso divertito, la ragazza che se ne stava ferma, anzi impalata, sullo stipite della porta. E quella, appena si accorse del suo sguardo, abbassò il capo e impallidì leggermente.

“Stai tranquilla, ho già mangiato, e anche piuttosto abbondantemente!” Le disse ironica, scotendo la testa per il divertimento che l’ingenuità e il timore della ragazza avevano provocato in lei.

Visto che però l’ancella, che probabilmente non aveva capito la sua battuta, continuava a starsene lì impietrita, rischiando di divenire del colore e della freddezza del marmo, sbuffò sonoramente e le andò incontro.

“Ma su, coraggio, stavo scherzando! Un po’ di vita, avanti! E caspita, manco fossi un mostro!” Non aveva ancora formulato del tutto la frase che cambiò direttamente traiettoria dirigendosi verso lo specchio più vicino nella stanza, dove si fermò a lungo, controllando il suo corpo e il suo volto da ogni angolazione.

“Beh… non sono nemmeno un vero e proprio splendore… effettivamente, se mi vedessi allo specchio di notte all’improvviso, mi farei paura da sola!” Sbottò, portandosi gli indici sulle occhiaie e calando la pelle per vedere meglio le condizioni degli occhi. Arrossati pure quelli! Caspita, era un rottame da riciclare! Ma come aveva fatto Sirius a starle vicino quando era in quelle condizioni?! La risposta le arrivò subito, e la fece sorridere maliziosamente: beh, Sirietto la amava…!

Fece una mezza rotazione intorno a se stessa, e si bloccò proprio nella posizione in cui riusciva a vedere meglio l’altra ragazza. Prima di proferire parola però, ripensò a quanto le piaceva sentirsi di nuovo in forze e avere il pieno controllo del suo corpo… oh, ma era davvero meraviglioso! Vediamo se riusciva ancora a fare la ruota!

Andò in mezzo alla stanza, e ne fece una perfetta. Sì, ci riusciva ancora! E due di seguito?!

“Come ti chiami?” Le chiese poi, proprio mentre aveva intenzione di farne tre di fila.

“Gardenia…”Disse quella con un filo di voce, inchinando ancora di più il capo verso terra. Solaria ebbe la sensazione, quando si ritrovò forzatamente a fissarla dopo essere andata a sbattere contro un alto armadio mentre finiva la sua quarta ruota di fila, che se davanti a lei ci fosse stata una fossa, ci si sarebbe gettata dentro e sotterrata senza molti problemi…

Beh, forse smettere di fare l’idiota e andarla a toglierla da quel mare d’imbarazzo in cui stava annegando non era un’idea così cattiva.

Si rimise in piedi - cavoli, s’era fatta male ad un gomito! – e andò diritto verso di lei, vincendo il desiderio di provare a verificare se ce la faceva ancora a fare il salto mortale in aria prendendo lo slancio dal braccio del grosso divano che, posizionato là davanti, sembrava servire proprio a quello scopo…

“Molto piacere!” Le disse, porgendole la mano e mostrandole un sorrisino a trentadue denti.

Quella alzò un paio di volte gli occhi, guardandola quasi spaventata, per poi retrocedere di un passo e chiudersi ancora più in se stessa.

Solaria si guardò la mano: beh, era pulita…

“Scusa, tu a cosa dovresti servirmi?” Le disse poi, acida.

“A prestarla servizio, signorina Solaria.”

“Io non ho bisogno di gente che mi serve. Perciò, te ne puoi anche andare.” Disse, chiudendole la porta in faccia.

“No!” Gridò quella, arrossendo all’improvviso e alzando un paio di occhi supplicanti verso di lei. Bene, stava riuscendo nel suo scopo…

“No cosa?!”

“La prego, non mi faccia questo! La Dama del Lago mi punirà!”

“E a me cosa può importarmene? Io non voglio ancelle nelle mie stanze!”

“Ma…” Borbottò quella, quasi in lacrime. “…ci sarà…qualcosa… che potrò fare…per lei!”

Solaria finse di pensarci. “Ma, non saprei… sai, essendo qui tutta sola soletta, gradirei la compagnia di qualcuno. Sei disposta a compiere questo difficilissimo compito?!”

“Certo! Qualunque cosa, pur di obbedire alla Grande Sacerdotessa!”

“Ma guarda che dovrai comportarti come un’amica, e questo significa che dovrai parlare liberamente, ridere liberamente, fare quello che vuoi, anche insultarmi se è ciò che ti va. E, soprattutto, dovrai chiamarmi semplicemente Solaria e darmi del tu. Pensi di riuscirci?!” Le disse poi, ironica. Gardenia questa volta parve capire l’intento della ragazza, e arrossendo ancora più, fece sì col capo e sorrise a sua volta.

“Benissimo!” Esclamò Solaria. “Allora possiamo riprendere da dove avevamo lasciato. Molto piacere, io sono Solaria Nimbus!” Le disse, porgendole la mano.

“Piacere mio: io sono Gardenia.” Rispose quella, stringendogliela.

“Sei nata qui?” Disse Solaria, facendola entrare e chiudendo la porta alle sue spalle.

“Sì, io sono nata ad Avalon! Tutti coloro che abitano questa dimora sono nati qui! Oramai non è più il tempo dei prescelti…” Disse, con tristezza.

“Beh, e io cosa sarei?! Esiste qualcuno più dannatamente prescelto di me?! Anzi, mi stupisco che a undici anni mi sia arrivata la lettera di Hogworts e non quella di Avalon!” Disse Solaria.

Gardenia la guardò in volto: il sorriso che le inarcava le labbra, si accorse, era amaro e triste, e negli occhi brillava una luce di rassegnazione. La fissò con dispiacere, fatto che non piacque per nulla a Solaria. Nessuno doveva provare pena per lei, non l’aveva mai tollerato, nemmeno da parte degli amici, che infatti non si erano mai sognati di considerarla in quel modo. La sola che poteva permettersi un sentimento del genere nei suoi confronti era  se stessa. Lei si faceva pena da sola. Ma gli altri… gli altri avrebbero dovuto solo esserle grati.

Gardenia abbassò lo sguardo arrossendo, imbarazzata per aver appena causato un dispiacere nei confronti della sua ospite.

“Tu sei diversa. Il tuo compito non era servire la Dea, tu dovevi rimanere lì affinché si compisse il tuo destino. Sei una prescelta, sì, ma non per divenire sacerdotessa.” Le disse, tentando di mettere a posto le cose mettendo un sasso sopra quel brutto momento precedente.

Un attimo di pausa. Gardenia attese, sempre a capo chino, la reazione della straniera. L’avrebbe perdonata?!

Rialzò il capo solo quando si accorse che oramai Solaria sorrideva, divertita, e le chiedeva: “Tu diverrai una sacerdotessa della Dea?” Le chiese Solaria.

Sorrise a sua volta. Per fortuna non era così permalosa… “Io diverrò la futura Dama del Lago, se tutto va bene e se la Dea lo vorrà.”

Solaria la fissò stupefatta. “Davvero?! Sei la figlia di quella… della Grande Sacerdotessa?!”

“Sì, sono sua figlia!”

“E perché mai ti ha mandato a servirmi, allora?!”

“Perché dice che sono troppo debole, che la devo smettere di essere così dolce e buona con tutti. E ha aggiunto che mi devo fare le ossa… e così, mi ha dato un incarico che secondo lei sarebbe stato davvero molto gravoso…”

Solaria rise di cuore. “Ehehhe, quella donna è assurda! E per fortuna che tu non le assomigli!…”

“Vedo che mia madre non ti ha fatto un buon effetto…”

“Beh, penso che un buon effetto non l’abbia mai fatto a nessuno, a dire il vero…” Commentò ironica la Nimbus.

“Non è sempre così. Se la conosci bene, ti accorgi che in fondo ha anche i suoi lati positivi.”

“Sì, capisco… avrò il tempo di conoscerla meglio, in tutto il tempo che dovrò passare qui!”

“Rimarrai a lungo?”

“Un anno come minimo…”

“Solo? La mamma parlava di cinque.”

“Che?! Cinque anni? Non posso starmene via così tanto… là fuori ci sono troppi casini che devo risolvere!”

“Ci penseranno gli altri. Non sei l’unica che può porre fine alla parola Orrore.” Le disse Gardenia, fissandola acutamente negli occhi.

“Il mio compito è essere unica, gardenia… altrimenti, a cosa servo?” Le disse un filo di voce. E, mentre la ragazza, piuttosto confusa, meditava su quella risposta, Solaria si voltò di scatto e corse fino alla parete opposta della stanza. Poi rincominciò a correre, con un sorrisetto furbo in viso.

Gardenia la fissò allibita.

“Ma cosa fai?!”

“Voglio vedere se riesco ancora a fare il salto mortale all’indietro!” Le disse quella, un attimo prima di saltare sul braccio del divano e fare una doppia capriola all’indietro per aria.

Quando però toccò terra, i piedi non la ressero, e cadde giù di peso sbattendo la testa sullo schienale del grosso divano.

“Solaria!” Gridò Gardenia, sbiancando di colpo e correndo ad aiutarla. Ma si bloccò quando sentì la risata divertita della sua ospite.

“Eheheheh… troppo bello! Troppissimo! Ora lo rifaccio! E vedrai che non cadrò!” Le disse quella pazza, alzandosi in piedi e andando a posizionarsi, come prima, nella parete opposta della stanza.

Pazza, non c’era altro modo di descriverla… completamente pazza.

Ma questo non voleva dire che non fosse simpatica, anzi…!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Sul treno ***


Dopo una bella chiacchierata con gli amici nel loro vagone, Sirius era uscito con James a cercare la signora dei dolci: aveva

Dopo una bella chiacchierata con gli amici nel loro vagone, Sirius era uscito con James a cercare la signora dei dolci: aveva l'intenzione di comprarle tutto quello che possedeva su quel carrello, qualsiasi cosa fosse e di qualunque natura, per conservarne poi una buona parte per il festino abituale che si sarebbe svolto nella sua stanza quella stessa notte. Non aveva fatto due passi che sentì una voce chiamarlo da dietro:

"Ehi, Sirius, vuoi compagnia?" Gli chiese James, uscito dalla cabina.

Sirius gli sorrise. "Non mi dispiacerebbe. Anche perché tu hai un occhio più acuto del mio!"

"Ehehehe! Non per niente sono il miglior cercatore che il mondo magico abbia mai visto!" Gli rispose l'amico, affiancandolo.

"Allora, che hai fatto tu quest'estate?" Gli chiese Sirius, mentre passeggiavano per i corridoi.

"Sono rimasto a casa con i miei: papà stava meglio, e la mamma anche. Ma non me la sentivo di lasciarli soli."

"Ha ripreso il lavoro tuo padre?"

"Lui vorrebbe, ma il dottore glielo ha sconsigliato. Non può più sforzarsi tanto, se non vuole rischiare di rimanerci fritto. E poi mamma non glielo permette. E' totalmente terrorizzata. C'è mancato poco che le venisse un infarto quando è venuta a sapere dell'incidente di papà." Disse James, con amarezza.

"E tu James... come stai?"

"Oh... bene." Ma lo sguardo ironico di Sirius gli fece capire che non aveva creduto per nulla a quell'affermazione. "No, stai tranquillo, davvero, sto bene. Certo, all'inizio, quando l'ho saputo, mi sono sentito mancare... ma ora che la situazione è migliorata... è tutto ok. E poi Lily mi è stata molto vicino."

"Immagino..." Rispose malizioso il giovane Black.

"Non farti strane idee, non ci sono andato a letto."

"Come no?! E quest'estate cosa avete fatto?!" Gridò Sirius, sconvolto.

"Ti dispiacerebbe abbassare la voce, cretino?"

"Dai, scusami... allora?!"

"Tse, come al solito la privacy non è il tuo forte... sono andato a trovarla un paio di volte. I genitori sono molto simpatici, ma ha una sorella... mamma mia quant'è odiosa quella ragazzina! Peggio di lei quando... quando era 'la Evans'!"

"Mi sembra un pò impossibile..."

"Sì, solo perché non l'hai vista. Le ho chiesto come fa a sopportarla, ma..." James divenne rosso.

"Ma?!"

"Ma mi ha detto che quando ha deciso di sopportare me, è diventata una sciocchezza sopportare lei!"

Sirius scoppiò a ridere. "Questa è proprio una risposta degna della Evans!"

"Ehehehe...lo so! E ti giuro che mi ha lasciato un pò spiazzato!"

"Immagino! Ma poi avrà riparato il danno..."

"Lo vuoi capire che non ci ho fatto niente?!"

"Ma perché?!"

"Perché.... perché non è il momento per lei. Non ancora... deve essere sicura di ciò che prova per me, e di ciò che io provo per lei. Non è come per te e Solaria: lei ti leggeva la mente, lei sapeva sempre tutto. E lei è comunque sempre stata pronta a rischiare. Lilian no. Lilian deve essere certa che il terreno dove poggia i piedi sia ben saldo, prima di fare un passo avanti."

Sirius lo fissò con gli occhi che gli brillavano. "Sei cambiato davvero..."

James, stupito da quell’affermazione, si voltò a guardare in faccia l’amico, per capire se stava scherzando o se era serio. E no, Sirius non scherzava affatto, era tremendamente serio.

"Prima non ti saresti fatto tutti questi scrupoli. Sei cambiato davvero, come diceva Solaria. E io che non ci volevo credere..."

"Non sono cambiato poi così tanto, Sirius. Ho solo smesso di essere un bambino, come dice Lily."

Un cigolio li costrinse a guardare davanti a loro: e un sorriso di vittoria comparve sulle labbra di entrambi quando videro la signora grassa col suo carrello pieno di dolciumi camminare a fatica per lo stretto corridoio del vagone.

Si incamminarono verso di lei, chiudendo lì quel discorso troppo serio che stava incominciando a farli imbarazzare… non erano abituati ad essere così profondi, così seri tra di loro. Erano sempre stati due tremendi combina guai, che non facevano altro che ridere e scherzare, ed ora che la situazione era cambiata gli occorreva del tempo per adattarsi.

Anche se alcune cose non sarebbero potute mai cambiare, come ad esempio….

Ad un tratto James tirò la manica della divisa di Sirius, costringendolo a fermarsi.

"Che c'è?"

"Vieni qua!" Fece James, un ghigno divertito sul volto e due occhi che luccicavano come stelle.

Sirius si affacciò alla finestra della cabina indicata da James, e quello che vide lo fece sorridere nello stesso modo dell'amico.

"Beh, ma non avevi smesso di essere un bambino?!"

"Che centra? Adesso Lily non c'è!" Rispose quello, aprendo silenziosamente la porta ed intrufolandosi dentro lo stanzino, seguito dall'amico.

Là, davanti a loro, coricato sgraziatamente su due sedili, c'era un Severus Piton totalmente addormentato, con i capelli neri e schifosamente unti che gli ricadevano sul viso.

James e Sirius lo fissavano, un ghigno malefico sul volto. Eheheh, la signora dei dolcetti poteva anche aspettare qualche secondo...

 

Remus e Peter sorrisero allegri quando videro i loro due amici ritornare nella cabina con quattro sacchi colmi di ogni ben di Dio. Quella sera si sarebbe fatta una grande, grandissima festa nel dormitorio!!!

Lily invece non pareva così felice. Anzi, lo sguardo che aveva negli occhi era alquanto infastidito.

"Che avreste intenzione di fare voi, questa notte, nella vostra stanza?" Chiese loro con un broncio tremendo in viso e le braccia conserte, mentre i ragazzi, ormai accomodati nei rispettivi sedili, assaggiavano quelle delizie.

"Una festa!" Disse Peter, tranquillamente. Ma lo sguardo agghiacciante di Lily gli fece capire che non gli conveniva più pronunciare quella parola.

"E dai, Lily, è come sempre: una festa di bentornati a scuola! Non sei felice di essere di nuovo ad Hogworts?!" Le chiese maligno Sirius, mentre afferrava rapidamente una cioccorana saltellante e se la portava alla bocca.

"Certo. E non sai quanto io sia ancora più felice al solo pensiero che già da questa notte riprenderò a sabotare i vostri piani!" Rispose acida lei. "Non si possono fare festini a scuola senza il permesso dei professori."

"Uff... è proprio questo il divertimento, non farsi scoprire!"

"Oh, certamente. E finché ci riuscite, io non ho nulla contro. Ma vi ricordo che c'è il 50% di possibilità che qualche professore, la McGranitt ad esempio, si accorga di tutto e vi cacci via dalla scuola! E on mi pare una mossa intelligente farsi espellere l'anno dei M.A.G.O."

"Mamma mia, ma quanto sei rompipalle... ma perché non le tappi la bocca?!" Sbottò Sirius, esasperato. James, a cui era rivolta quell'ultima domanda, lo guardò biecamente: aveva per caso intenzione di farlo litigare con la ragazza?!

Ramoso finì di masticare la sua cioccorana, poi, dopo averla ingoiata, guardò Lily, seduta davanti a se, e le chiese:

"Che ne dici di venire anche tu?"

Per tutta risposta, Sirius scoppiò in una sonora risata, Remus scosse la testa e Peter rimase a bocca spalancata. Lily ad una festa dei Malandrini?! No... è assurdo! Ma come potevano venire quelle idee in mente a James?!

"Ma stai scherzando?!" Fu la risposta allibita della ragazza, che fece ridere ancora di più Sirius.

"Affatto. Senti un pò: tu sei il prefetto della nostra casa, insieme a Remus, anche quest'anno. Voi due ora andate dalla McGranitt è le chiedete il permesso di fare una piccola festa, questa notte, nella Sala Comune della nostra casa, invitando anche qualche membro delle altre case. Se vorrà, la festa sarà perfettamente legale e tu protrai venirci con me tranquillamente. Se non vorrà... beh, la faremo lo stesso nel dormitorio maschile!" Concluse, con un sorrisino furbesco in volto.

Le risate cessarono, e tutti presero a guardare interrogativamente prima James, poi Lily, che continuava a stare muta a fissare il fidanzato, ragionando sulla proposta che le aveva fatto.

"Non mi sembra una cattiva idea." Concluse poi, rivolgendo un sorriso dolce a James. "Avanti Remus, andiamo: mi è sembrato di scorgere prima la McGranitt in una cabina vicina a quella di un paio di Serpeverde del primo anno particolarmente nevrotici." E, dopo aver stampato un bacio sulle labbra del fidanzato, uscì dalla stanzetta seguita da un Lunastorta che sorrideva allegramente: beh, finalmente si era riusciti ad arrivare ad un compromesso!

In quel momento anche Peter si alzò, dicendo che doveva uscire pure lui, e se ne andò dalla stanza insieme agli altri due. Nessuno li chiese nulla, sapevano che non avrebbe risposto alle loro domande: e così, si facevano tranquillamente gli affari loro.

E così i due amici rimasero da soli.

"Complimenti, vedo che hai imparato a tenerla buona!" Fu ciò che poi Sirius disse a James, divertito dall'accaduto.

"Eh beh... necessità!" Rispose quello, prima di scoppiare insieme all'amico in una sonora risata.

 

Quando tornarono, Remus e Lilian avevano un sorriso di vittoria stampato sulle labbra: ce l'avevano fatta, erano riusciti a convincere la McGranitt. Ma la professoressa aveva comunque apportato alcuni limiti: niente membri delle altre case, niente bevande alcoliche o stupefacenti di alcun tipo. Richieste queste che erano sembrate alquanto giuste ai due prefetti, e che invece avevano fatto impallidire i due Malandrini. Beh, in qualche modo sarebbero riusciti a fare di testa loro, come sempre del resto…no?!

 

 

Sirius, fra i primi a scendere dal vagone una volta che il treno era arrivato a destinazione, alzò il viso per vedere se qualcosa era cambiato da come se lo ricordava.

No, non era cambiato nulla. E ancora una volta fu accecato dalla meravigliosa vista che gli si parava davanti. Hogworts. Quel castello fantastico, pieno di magia, di notte era a dir poco stupefacente, con tutte le luci che illuminavano le finestre, e che evidenziavano quel sentimento di protezione, di calore, di tranquillità di cui già la località era pregna. Casa. Hogworts era l'unico luogo che avrebbe mai potuto chiamare casa. Là stavano i suoi amici, là stavano le persone che lo avevano davvero protetto, amato ed aiutato durante tutta la sua vita. La villa dei Nimbus, al confronto della sua scuola, era solo un riparo, un luogo appartato dove lui si era rifugiato più volte insieme alla sua amata, ma troppo impregnato di dolore per poter essere chiamato casa, ed ora se ne rendeva conto pienamente. Era un luogo di morte, come lo era la casa dov'era nato, a Grimmauld Place. Solo che, a sua differenza, aveva conosciuto anche cos'era la vita, ispirata da tutto l'amore delle persone che per anni ci avevano vissuto.

Ancora una volta si ritrovò a ringraziare Solaria per la scelta che aveva fatto, anzi, per l'ordine che gli aveva imposto di ritornare ad Hogworts. Ancora una volta si ritrovò a sorridere al pensiero che Solaria aveva sempre ragione, in un modo o nell'altro, sempre ragione...

Solaria. Alzò gli occhi al cielo, fissando la mezzaluna che vi brillava. Anche lei la poteva vedere dal luogo ove era?

 

I suoi nostalgici pensieri furono interrotti da un coro di risate proveniente dagli alunni appena scesi dai vagoni. Si voltò curioso a guardare cosa le avesse provocate, ben sapendo però che c'era un'alta possibilità che fosse....

Non si trattenne! Scoppiò a ridere a crepapelle pure lui! Era troppo ridicolo, per carità! Ma come si faceva?! Vabbè, affettivamente era tutto merito loro, di lui e di James!

In quell'esatto momento, Lily pose piede fuori dal vagone, con dietro Remus che sbatté contro di lei non essendosi accorto che si era bloccata. Cercò di guardarla in faccia, e si accorse che aveva uno sguardo totalmente allibito. Perché? Seguì i suoi occhi per scoprirne il motivo. Beh, effettivamente non era poi così difficile da rintracciare, era praticamente... fosforescente.

Davanti a lui, in mezzo alla folla che arretrava per farlo passare, c'era un Severus Piton più pallido e irritato del solito. E il perché era dovuto sicuramente a quella criniera da ultimo dei mohicani che portava sulla testa, color rosso acceso, che rifletteva come un catarifrangente la poca luce che c'era in quel posto.

Prima che fosse troppo tardi, Remus si scostò di un passo da Lily, e si mise le mani sulle orecchie per tapparle nel miglior modo possibile.

Per la barba di Merlino, appena in tempo!

"JAAAAAAAAAMEEEEESSSSSSSSS!" Fu l'urlo terribile che uscì dalla bocca della Grifondoro.

Liberò le orecchie dalle sue mani, e scosse un poco il capo per liberarsi dalla sensazione d’intontimento che l’urlo tremendo gli aveva provocato. Oddio, non osava immaginare cosa sarebbe successo a quel disgraziato del suo amico! Quando Lily si arrabbiava (ed ora era davvero furiosa), era un pericolo ambulante!

Guardò la folla di ragazzi spaventati davanti a se: dov’era James? Poi si accorse di qualcuno che correva fra gli altri in direzione delle carrozze. Cavoli, era un vero fulmine… e Lily doveva aver pensato lo stesso, perché con un salto scese dal vagone e come un’amazzone inferocita si mise a correre alla caccia della sua preda, mentre gli altri alunni, temendola, si ritraevano al suo passaggio.

Con calma, Remus scese dal vagone: dato che Lily non era disponibile momentaneamente, avrebbe dovuto accompagnare da solo i ragazzi del primo anno da Hagrid che, ora che era stata ripristinata la tradizione del viaggio in barca sul lago, avrebbe fatto loro da guida.

Uff…peccato però che lui non riuscisse mai a farsi dare ascolto da quei marmocchi emozionati e impauriti, che pensavano a tutto tranne che all’ordine.

Dopo un paio di tentativi andati a vuoto, sbuffò sonoramente. E fu in quel momento che sentì una mano poggiarsi amichevolmente sulla sua spalla. Si voltò e si ritrovò davanti un Sirius sorridente, che guardava divertito la folla di bambini davanti a lui.

“Vuoi una mano?”

“Ti ringrazio… Lily purtroppo…”

“Stai tranquillo, ho visto tutto! E per evitare che lei mi scotennasse, ho preferito stare alla larga dalla zona carrozze!”

“Avete esagerato, comunque!” Gli disse Remus, lasciandosi però sfuggire un sorrisino di compiacimento.

“Sì sì, come no, tanto lo so che ti sei divertito pure tu! Quindi… Adesso dobbiamo richiamare tutti i marmocchi del primo anno?”

“Esatto.”

“Dai, ci penso io!” E così dicendo salì su un masso là vicino e, dopo essersi schiarito la voce, gridò: “Tutti i mocciosi del primo anno vengano da questa parte entro cinque secondi se non si vogliono trovare espulsi da Hogworts seduta stante!

Immediatamente, una folla di ragazzini con gli occhi sbarrati per la paura accorse verso di loro.

Ultimo richiamo! Tutti i mocciosi del primo anno vengano qui se non vogliono tornarsene a casa immediatamente!

Ed un ultimo gruppetto di ritardatari, col fiatone, giunse al luogo dell’incontro.

“Bene marmocchi, se ci siete tutti possiamo andare! Seguite il grande Sirius Black, giungerete ad Hogworts dopo un fantastico giro turistico sul lago ove si trova una piovra gigante che vi mangerà tutti in un sol boccone! Waaaaa!” Disse lui, scendendo agilmente dalla roccia e terrorizzando un paio di bambine che, già nervose per la piega che la situazione stava prendendo, non riuscirono a trattenersi e gridarono come delle gallinelle impaurite.

Remus scosse la testa… e figurati se non si metteva a fare il buffone!

“Ti sbagli, la piovra gigante non ci farà nulla, perché col buio si addormenta. E il viaggio non è affatto pericoloso, serve solamente a mostrare i meravigliosi territori che circondano la scuola ai nuovi arrivati!” Disse una bimbetta con fare saccente.

Sirius la guardò stizzito. “Le secchione saranno le prime ad essere spolpate vive!” Gridò poi, dirigendosi verso il lago seguito da molti bambini che, dopo quell’ultima affermazione del Grande Sirius, parevano essersi un poco tranquillizzati…!

 

Sirius, e Remus, che dopo aver accompagnato i bambini erano tornati indietro a prendere l’ultima carrozza rimasta ad aspettarli, ora distavano i loro bagagli nella stanza del dormitorio maschile nella torre di Grifondoro. Con loro c’era anche Peter che, probabilmente stanco per il viaggio, si era addormentato non appena aveva toccato con la testa il cuscino.

La porta si aprì, e tutti sorrisero nel vedere entrare un James totalmente sconvolto. Chissà dov’era finito… lui era arrivato prima di loro al castello, verso le otto e mezza, ed ora erano già le nove, e fra mezz’ora sarebbe cominciata la cerimonia dello smistamento. Avevano chiesto notizie di lui ai compagni Grifondoro, ma nessuno lo aveva visto. Anche se una Corvonero del terzo anno aveva affermato di averlo visto schiantato contro un muro dopo che una tizia furiosa dai capelli come il fuoco gli aveva gettato addosso strani e complessi incantesimi…

“Ciao!” Disse Sirius, con un sorrisetto divertito in faccia.

“Dov’eri?” Gli chiese invece Remus.

“A cercare di calmare Lily!” Disse quello, sbottonandosi il primo bottone della camicia per poter respirare più liberamente.

“E com’è andata?” Chiese Sirius.

“Dopo che mi ha lanciato addosso qualche centinaio di maledizioni, ha deciso che forse mi poteva dare un’opportunità.”

“Ah, e quale?”

“Voleva che andassi a chiedere scusa a Mocciosus…”

“L’hai fatto?!” Chiese Sirius, ora preoccupato.

“Tse, ma secondo te?! Non sono affatto dispiaciuto per quello che gli ho fatto!”

“E lei come ha reagito?” Chiese Remus.

“Dopo avermi fatto la solita ramanzina che sono un moccioso egoista ed egocentrico, che dovrei avere più cura del prossimo, ed evitare che i pregiudizi sui Serpeverde mi facciano comportare da vigliacco offendendo un membro di quella casa più debole di me… mi ha detto che mi perdona. E stasera viene alla festa con me. – tutti sorrisero felici. Ma Potter non aveva ancora finito – In qualità di Controllore. Se si accorgerà che anche uno solo dei limiti imposti dalla McGranitt verrà oltrepassato, andrà dalla prof e denuncerà l’accaduto, interrompendo così seduta stante il divertimento.”

“Ma è proprio una stronza!” Gridò Sirius, accigliato. “Tu adesso vai da lei, in camera sua, e la tieni impegnata per tutta la notte!”

“Sirius!” Gridò Remus, in tono di rimprovero.

“Avanti, ragazzi, magari si calma…” Disse James, non credendo però nemmeno lui a quella possibilità.

Sospirarono tutti insieme, mentre un sorriso divertito comparire subito dopo sulle labbra di ognuno di loro. Bene, ora la situazione si faceva ancora più emozionante: chissà se sarebbero riusciti a scampare alla Evans e a sorvolare i limiti della McGranitt… un’impresa davvero emozionante!

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Il festino ***


Sirius si sedette su un divano nella sala Comune dei Grifoni, in una posizione tale che riusciva a guardare tutta la grande sa

Sirius si sedette su un divano nella sala Comune dei Grifoni, in una posizione tale che aveva la completa visuale di ogni membro che partecipava alla festa.

Un sorriso divertito gli illuminava il volto. Erano riusciti fino ad ora a fare entrare un buon numero di ragazze e ragazzi Corvonero e Tassorosso (i Serpeverde erano stati esclusi a priori), semplicemente trasfigurando le insegne nella loro divisa della loro casate in quelle rosso – oro dei grifoni; lo stesso metodo era servito anche per nascondere le bottiglie di alcolici e le sostanze stupefacenti (tutte di origine magica). E il bello era che Lily non si era accorta di niente! Già, perché James alla fine si era ‘sacrificato’ e l’aveva costretta a rimanere in camera sua con lui per spiegargli l’intero programma dell’anno passato di Pozioni, dicendo che non se lo ricordava minimamente e non voleva prendersi un’insufficienza già dalla prima verifica. Naturalmente Lily aveva fiutato l’inganno (anche perché era assolutamente impossibile che James si preoccupasse delle prime verifiche dell’anno, specie se si trattava di quelle di Pozioni, ben sapendo che poi, come usava fare ormai da tempo, avrebbe potuto recuperare tutto quanto nelle ultime due settimane dell’ultimo quadrimestre…) e si era opposta, ma le preghiere di James e i suoi rimbecchi (Sei davvero antipatica! Allora non è vero che mi vuoi bene! Mi sento offeso! Reputi tutta quella marmaglia più importante di me…) l’avevano costretta a rimanere, sebbene controvoglia.

Per quanto riguarda Remus… beh, lui chiudeva entrambi gli occhi quando si trattava degli amici, perché sapeva che in fondo ciò che facevano era solo votato al divertimento e non a fare del male a qualcuno. Lo cercò nella sala, e lo trovò in un angolino tranquillo impegnato in una piacevole conversazione con una Tassorosso della sua età… eheeheheh… caro il buon vecchio Lupin! Oramai aveva capito quali erano le gioie della vita!

Insomma, i due Capi – Scuola erano completamente passivi nei confronti della festa.

Beh…si ritrovò a pensare… se ci fosse stata Solaria, neanche lui avrebbe preso parte attiva, preferendo andare con lei a divertirsi privatamente in qualche ala isolata del castello…!

Solaria. Quel giorno non aveva fatto altro che pensare a lei, e se le cose fossero continuate così, quell’anno a scuola sarebbe stato davvero tremendo. Ricordava in che condizioni era quando lei, durante il quarto anno, se n’era rimasta in Francia per recuperare il programma scolastico perso e soprattutto stare vicino ai familiari dopo quello shock derivato dalla sua catatonia… certo, le condizioni erano un po’ diverse. In quel momento lui non voleva riconoscere i suoi sentimenti per lei, e aveva intrapreso una vera e propria lotta contro se stesso… Ma ora che li conosceva, era anche peggio. Sapeva ciò che si stava perdendo, e lo sopportava solo perché lei gli aveva assicurato che ad Avalon sarebbe guarita, e poi sarebbe tornata da lui… e avrebbero vissuto insieme, fino al giorno fatidico in cui il suo Destino avrebbe avuto compimento.

Sentì immediatamente una morsa allo stomaco, e le lacrime salirgli agli occhi. Ancora non riusciva a sopportare quella prospettiva orribile che lei gli aveva presentato. Ancora non poteva accettare che, un giorno, si sarebbe dimenticato tutti quegli splendidi momenti passati con lei. No, la situazione era anche peggiore. Si sarebbe dimenticato perfino lei, la sua Solaria, colei che gli aveva fatto palpitare per la prima volta il cuore facendogli capire che anche lui ne possedeva uno, nonostante la famiglia abbietta da cui proveniva. Colei che oramai era diventata un elemento necessario nella sua esistenza… cosa sarebbe stato il mondo senza Solaria?! Un carcere terribile, peggio di Azkaban e dei suoi spaventosi custodi. Un luogo così devastante che nemmeno la presenza degli amici sarebbe riuscita a sanare.

Perché doveva capitare proprio a lei?! Perché lei doveva sottoporsi a tali supplizi? Perché non mollava tutto e, mostrando un po’ di egoismo (che alle volte non faceva affatto male), lasciava perdere il suo ‘compito’ e si salvava la pelle? Lui probabilmente lo avrebbe fatto al posto suo… o no? Lo avrebbe fatto?!

No, non lo avrebbe fatto. Perché, com’era vero che Solaria era la sua metà perfetta, si sarebbe comportato al suo stesso modo.

Ma non era giusto…

“Ehi, a che pensi?” Chiese una vocina, che lui nemmeno sentì.

“Sto parlando con te!” Niente.

“Ti svegli?!” Quell’ultima frasetta, accompagnata da una leggera scrollata alle spalle, lo fece ritornare alla realtà. Si voltò impassibile a fissare l’esserino che gli stava seduto al fianco. Era una bimbetta magra, ossuta, con due grandi occhioni azzurri e i capelli color rosso, striati da ciuffi dorati.

Sirius arretrò sbalordito: quella mocciosa aveva in testa la bandiera dei Grifondoro!

“Oh, era ora! Pensavo ti fossi addormentato!”

“Che hai in testa?” Le chiese Sirius con faccia schifata.

La bambina sorrise compiaciuta. “Ti piace? Ero così contenta di essere finita a Grifondoro che ho deciso di abbinare i capelli al colore della nostra bandiera!”

“Ma è davvero terribile!” Sbottò Sirius, che non riusciva a staccare lo sguardo da quella testolina buffa.

“A me piace!” Rispose tranquilla lei.

“Non penserai di fare colpo su di me con una testa del genere, spero!”

“Ma non ho nessuna intenzione di fare colpo su di te!” Rispose sbalordita lei, guardandolo con tanto d’occhi.

“Ah no? E perché saresti qui, altrimenti?” Chiese lui, alzando gli occhi al cielo esasperato.

“Non ti ricordi di me?” Gli chiese invece la bimba.

Sirius la fissò in volto… sì, gli pareva di aver visto quei lineamenti… nasino all’insù, occhietti simpatici, boccuccia a cuore… ma certo! Era quella smorfiosetta che aveva osato contraddire ciò che lui aveva detto riguardo alla piovra nella palude… la secchiona del primo anno!

“Sei quella rottura di balle del lago!” Concluse poi, sardonico.

“Esatto! Sono proprio io!”

“Eh, che bello!” Fece lui ironico, voltandosi dall’altra parte a guardare la festa. Ci mancava solo una mocciosa petulante e secchiona a rovinargli la serata…

E per giunta anche opprimente!” Si ritrovò a pensare quando vide la manina della piccola davanti al suo volto, che aspettava di essere stretta dalla sua per una presentazione ufficiale. Si voltò a guardarla col miglior sguardo di disgusto che riuscisse a presentare, ma quella, che a quanto pare era immune a qualsiasi sorta di commento tagliente o comportamento affatto gentile (probabilmente ne era abituata… pensò Sirius, cattivo), gli mostrò il suo miglior sorriso e gli disse: “Piacere! Io sono Nimphadora Tonks!”

Quel cognome… l’aveva già sentito! La guardò sospettoso, cercando di riconoscere i suoi lineamenti… poi un lampo gli illuminò la mente.

“Non dirmi che sei…”

“La figlia di Andromeda Black, tua cugina!” Concluse entusiasta lei.

Un sorriso lentamente iniziò a delinearsi sulle labbra di Sirius. Quella poppante arrogante, petulante, opprimente e secchiona, con una testa che era battuta in mostruosità solo dal suo nome, era la figlia di quella sua cara parente che, come lui, era stata rinnegata dalla sua famiglia per aver sposato un babbano. Un’altra pecora nera della famiglia Black insomma, che però aveva incontrato solo un paio di volte da bambino (e in condizione tutt’altro che allegre), e di cui aveva perso le tracce per tutto quel tempo. Tanto che non aveva saputo nemmeno di aver avuto una cugina…

La guardò ancora. Era davvero buffissima! Chissà che reazione avrebbe avuto sua madre se l’avesse vista, soprattutto in quel momento con quei capelli osceni! Scoppiò a ridere divertito! Ehi, perché diamine non aveva conosciuto prima quel lato della sua famiglia?!

“Ehi, ma che hai da ridere tanto?” Gli chiese serafica la bimba, dopo cinque minuti di interminabili risate da parte del cugino. “Se me lo dici rido anch’io!”

“Pensa a mia madre… che faccia farebbe… se ti vedesse con quella testa!” Le rispose Sirius, tentando di parlare fra le risate, che rincominciarono subito dopo peggio di prima, tanto che alcuni ragazzi fra la folla si voltarono e lo guardarono interrogativamente.

“Spero di non vedere mai tua madre! Né tanto meno tuo padre!” Rispose la piccola.

“Non sarà un problema, penso che nemmeno loro muoiano dalla voglia di conoscerti!” Rispose pungente Sirius, calmandosi lentamente.

“Oh, lo so! Hanno una tale fissa per il sangue puro, che il mio mezzo - babbano non gli piacerà di certo! Comunque, sei diverso da tuo fratello!”

Sirius si voltò a guardarla, ora era rimasto solo un sorriso amaro sulle sue labbra. “Hai incontrato mio fratello?”

“Sì! Per caso, un giorno, a Diagon Alley… mamma lo aveva indicato e mi aveva detto che quello era un mio parente. Io tutta felice ero andata a salutarlo, e lui mi aveva guardato malissimo… me lo ricordo ancora. E io mi ero offesa e mi ero vendicata.” Disse la piccola, a cui quello spiacevole incontro era rimasto particolarmente impresso nella memoria. Lei era così felice di aver finalmente incontrato un suo parente, che era semplicemente corsa verso di lui pronta ad abbracciarlo. E quella reazione del ragazzo… l’aveva distrutta.

Quello stesso giorno, una volta rientrate a casa, la mamma le aveva spiegato le divergenze che c’erano con la sua famiglia d’origine. Da quel momento lei, sebbene molto dispiaciuta perché quelli erano i soli parenti che aveva, prese ad odiarli. E aveva solo cinque anni…

“E come ti saresti vendicata, sentiamo!”

“Beh, ho fatto una cosa che l’ha spaventato!”

“E cosa, di grazia?”

Lei lo guardò furbescamente. “Questo!” Disse poi.

Ciò che accadde in seguito, fu di un orrore indicibile. Perfino Sirius, sbalordito, si alzò di scatto dalla poltrona e guardò con occhi sbarrati la cugina che… non era più la cugina! Cioè, spieghiamo meglio… aveva iniziato a… mutare faccia… a velocità allucinanti! E poi, non facce normali… erano spaventose, tipo facce di zombie, di lupi mannari (non c’è alcun insulto rivolto direttamente o indirettamente a Remus!), di Troll, di Ba Bau, e di demoni oscuri dall’aspetto terrificante.

Dopo circa trenta secondi d’incroci strani tra creature orripilanti, la faccia di Dora tornò normale.

Anzi, per l’esattezza, la bimba era spudoratamente divertita!

“Brutta lattante folle che non sei un’altra! Prima mi fai prendere un colpo, e poi mi ridi in faccia!” Gridò Sirius, fulminandola con lo sguardo. “Complimenti, sei davvero degna di essere mia cugina!” Aggiunse poi, allungando una mano che Dora strinse allegramente. Poi si risedette e, curioso, le domandò: “Ma come fai?! Cioè… se l’avessi saputo fare io, l’avrei usato spesso con Regulus!”

“Oh, mi dispiace, è un dono di natura!”

“Vuoi dire che non ti bevi ogni giorno un centinaio di pozioni polisucco al posto dell’acqua?”

“Già! Sono una Metamorphomagus!”

“Che saresti tu?!”

“Posso cambiare il mio corpo semplicemente desiderandolo!”

Sirius la fissò sbigottito. “Ma mi stai prendendo per i fondelli?”

“No! L’hai visto!”

Sirius rimase in silenzio per un poco, digerendo quella notizia bomba che la cugina gli aveva appena dato. “Ma allora perché non ti trovi una capigliatura più decente?”

“Te l’ho già detto, questa si abbina alla bandiera dei Grifoni!” Rispose la bimba, a modo di cantilena.

“Pfiu…” Fu il commento di Sirius, mentre guardava ancora una volta la testa della piccola. “Comunque, passando ad argomenti più… interessanti, come mai non mi hai evitato quando hai capito che facevo parte della Terribile Famiglia Black?!”

“Perché la mamma mi ha presentato tutti i rinnegati, e fra quelli mi sono ricordata che c’eri anche tu! Anche se questa sera ne ho dubitato molto dopo la battutina pungente sulla piovra…”

“Te la sei meritata in pieno, bamboccia!”

“Mi stavi dando ai nervi!”

“Anche tu!”

“Ma hai cominciato tu!”

“Ed infatti ho anche finito!”

“Sai, in fondo non sei poi così diverso da tuo fratello…” Sbottò Tonks, che stava iniziando a perdere la pazienza.

“Ti sbagli di grosso! Io sono molto più bello, più buono, più intelligente, più affascinante, più accattivante…”

“…più pedante, più vanitoso e più presuntuoso!”

“E tu sei una grandissima rottura di palle! Fila immediatamente in camera tua!” Gridò Sirius, indicando con un braccio il dormitorio femminile.

“Manco per sogno!”

“Sei una primina, e le primine possono rimanere alla festa solo fino alle undici!”

“Adesso sono le undici!”

“No, erano le undici tre secondi fà! Fila immediatamente in camera tua!”

“No!”

“Ti farò mettere in punizione! Ricordati che sono un Prefetto…”

“Tu non sei un tubo! Remus Lupin e Lilian Evans sono i prefetti di Grifondoro!”

“E io sono il loro amico, pertanto ciò che dico vale quanto le loro stesse parole!”

“Ma vai a buttarti giù da una torre!”

 

Dall’altro lato della sala, Remus, vedendo i due individui estremamente nervosi (ci mancava poco che giungessero alle bacchette…), si scusò per un attimo con la ragazza con cui stava parlando e corse da loro.

“Ehi, che succede qua?” Chiese, guardando alternativamente i due, che ora sembravano aver intrapreso una lotta all’ultimo sangue con lo sguardo.

Sirius si voltò dall’amico e, con un sorriso, gli disse: “Guarda! Questa è mia cugina!”

Al che la ragazzina, allegra, si voltò dalla sua parte e mostrandogli la mano, gli disse: “Molto piacere, io sono Nimphadora Tonks!”

Remus, rimasto piuttosto spiazzato dal repentino cambiamento d’umore dei due ragazzi (nonostante fosse un comportamento frequente sia di Sirius sia di Solaria, non era mai riuscito ad abituarcisi), si risvegliò giusto in tempo per stringere la mano che la bimba gli porgeva e mormorare un debole: “Remus Lupinpiacere!” Poi, schiaritosi la voce, aggiunse: ”Non sapevo avessi una cugina!” E dopo aver detto questo capì la somiglianza di caratteri dei due.

“Non lo sapevo nemmeno io!” Rispose ironico Sirius.

“E tu sei la figlia di…”

“Andromeda Black!” Rispose Tonks.

“Oh, ho capito!”

“Ed è anche una Metamorphomagus!” Aggiunse Sirius, orgoglioso.

“Davvero?” Chiese Remus, incuriosito da questo particolare. “Allora le mutazioni sono una prerogativa dei dissidenti della vostra famiglia! Sirius è un Animagus!”

“Oh, non lo sapevo!” Fu la risposta della bimba, che si voltò a guardare ammirata il cugino.

“Eh sì, modestamente la natura è stata molto generosa con me…” Rispose quello.

“Sei una Grifondoro, non è vero?” Chiese poi Remus alla primina.

“Sì!”

“E sei del primo anno.”

“Già!”

“Allora, mi dispiace dirtelo, ma devi tornare ai dormitori! Gli altri tuoi coetanei sono già saliti un quarto d’ora fa! Ora la festa è aperta solo ai ragazzi dal secondo anno in su! Mi dispiace!”

“Ma allora non stavi dicendo idiozie!” Disse Tonks, rivolta a Sirius.

“Io sono la bocca della verità!” Rispose Sirius, con aria solenne.

“Va beh, allora io salgo! Ci vediamo domani, Buonanotte a tutti!”

“Ciao Nimphadora!” Disse Remus.

“No, chiamami Tonks! Preferisco!”

“Certo che non pensavo che tua madre avesse gusti così osceni in fatto di nomi…” Commentò il cugino, gentile come sempre.

“Che io sappia, non c’è nessuno tra i Black che abbia gusti decenti in fatto di nomi!” Sbottò la primina, dirigendosi verso il suo dormitorio.

“C’era per caso qualche riferimento implicito al sottoscritto?!” Le gridò Sirius, mentre lei saliva le scale. E per tutta risposta ottenne una risatina ben poco rassicurante.

“Ma cos’ha in testa tua cugina?” Chiese Remus, poco dopo.

“Poverina, è nata col cervello posto al contrario…”

“No, io veramente mi riferivo ai capelli…”

“Oh! Li ha abbinati alla bandiera dei Grifoni!” Disse Sirius, alzandosi dalla poltrona.

“Cosa?!”

“E, te l’ho detto!”E così dicendo si batté un dito sulla tempia. Poi si voltò e si diresse verso i dormitori maschili.

“Dove vai ora?”

“Questa festa è uno scassamento di palle. Torno in stanza, lì mi divertirò molto di più. Buonanotte!”

Remus lo guardò salire le scale che conducevano ai reparti maschili. Aveva la sua solita camminata superba, le spalle diritte, la testa alta e lo sguardo sicuro davanti a sé. Sorrise: anche se Sirius ce la stava mettendo tutta per mostrarsi sempre lo stesso, non sarebbe mai riuscito ad ingannare lui. Stava soffrendo. E qualcosa gli diceva che il motivo di quest’angoscia non era solo la lontananza di Solaria. C’era qualcosa di molto più grande sotto.

Qualcosa che lui però non avrebbe mai scoperto. Perché, conoscendo bene Sirius, non gliel’avrebbe mai detta…

“Ehi, Remus, tutto ok?” Chiese una voce di ragazza. Remus si voltò, incrociando gli occhi azzurri della fanciulla che, al suo fianco, lo guardava con un sorriso.

“Sì, certo Cassandra, tutto a posto. Scusami se ti ho lasciato per così tanto tempo, pensavo di sbrigarmela in breve.”

“No, non preoccuparti, non fa niente.” Rispose gentile lei, guardandolo con affetto.

Remus le sorrise a sua volta. Era davvero gentilissima, una ragazza meravigliosa, per giunta molto carina. Dalla fine dell’anno passato usciva con lei, e si trovava davvero bene.

Lei, come avrebbe detto James, era davvero ‘cotta marcia’ di lui, e gli sarebbe piaciuto tanto ricambiare il suo stesso sentimento… ma non ce la faceva.

Ogni volta che le stava vicino il suo pensiero correva immediatamente a Narcissa. E, anche se sapeva che mai avrebbe potuto averla ora che se n’era andata, il suo cuore continuava a sperare… Sciocco, tutto questo era davvero sciocco. Ma non poteva farne a meno. Aveva tentato in tutti i modi di non pensare a lei, di farsi una vita propria come Narcissa stessa gli aveva consigliato, ma era impossibile.

Guardò Cassandra. No, non poteva continuare ad illuderla così, doveva lasciarla. Non poteva mancarle di rispetto in questo modo, stando con lei e pensando ad un’altra. Era orribile.

Gliene avrebbe parlato, magari quella sera stessa, e le avrebbe spiegato che loro potevano essere solo amici.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La casa in campagna ***


L’ottavo anno, in fondo, non ebbe dunque un inizio così negativo

L’ottavo anno, in fondo, non ebbe un inizio così negativo. Certo, la tristezza aleggiava ovunque, ma questo era un fatto inevitabile per il periodo in cui si ritrovavano a vivere. La cosa più bella era vedere che c’era qualcuno che, nonostante tutto sembrasse precipitare, tentava ancora di tenere i piedi saldi a terra, cercando perfino di divertirsi. Ma questi tentativi spesso andavano perduti quando, tramite una lettera o un colloquio col preside, si veniva avvertiti di spiacevoli perdite avvenute in famiglia… e questa sorte toccò a parecchie persone. Gli unici che riuscirono nei loro intenti furono dunque coloro che non avevano nulla da perdere. O coloro che avevano già perso tutto. Nel primo caso potremmo senza dubbio riconoscere gran parte della popolazione Serpeverde. Nel secondo caso… beh, penso che Sirius Black fosse l’unico membro di quella categoria. Non poteva temere ciò che là fuori facevano i Mangiamorte, perché se anche avessero eliminato la sua famiglia, certamente non sarebbe stato dolore ciò che avrebbe provato. E Solaria poi, sebbene lontana, era al sicuro, in un posto in cui nemmeno Voldemort poteva avere accesso.

Al massimo poteva temere per le famiglie dei suoi amici. Vedeva ogni mattina Lily, James e Remus afferrare con ansia la Gazzetta del Profeta e scorrere l’elenco delle nuove vittime (i giornalisti avevano oramai rinunciato a mettere la foto di ognuna di esse perché erano divenute troppo numerose) in cerca di un nome conosciuto. Ed ogni mattina, per loro fortuna, non lo trovavano.

Dopo di che stavano in ansia tutto il giorno aspettando il giornale del giorno successivo.

Sirius, immerso fino al collo in questa situazione, aveva avuto due reazioni completamente opposte, che però avendo la stessa intensità, gli avevano impedito di compiere sciocchezze che lo avrebbero messo in seri guai con gli amici.

La prima reazione era stata quella di solidarietà nei confronti degli amici: sapeva bene cosa si provasse ad avere nella testa il pensiero fisso che la persona (o le persone) che ami di più stiano correndo un pericolo mortale. E’ una sensazione opprimente, che impedisce di vivere serenamente… anzi no, che impedisce di vivere e basta, distruggendo lentamente la sua vittima dall’interno.

E fin qui, tutto ok.

Ma la seconda reazione…la seconda reazione era stata quella dettata dal suo egoismo: perché cavolo non la smettevano di pensare a tutto ciò e provavano a godersi la vita, di cui la durata era alquanto precaria visti gli ultimi avvenimenti?

Orribile, non è vero? Già. E di questo se n’era accorto pure lui, tant’è che aveva tentato in tutti i modi di eliminare un tale pensiero dalla sua mente. Ma non c’era riuscito, e per questo si era odiato ancora di più. Perché quell’egoismo era un’eredità impostagli dal sangue Black, e lui la disprezzava con tutto il suo essere.

 

 

L’anno fu però reso più piacevole per quasi tutta Hogworts (e poi capirete perché dico quasi) da una nuova figura che era entrata ben presto nel loro circolo di amici, e di cui potrete anche immaginarvi l’identità: Nimphadora Tonks.

La giovane Grifondoro era ormai divenuta, suo malgrado, il giullare della scuola. A parte i suoi scioccanti cambiamenti di capigliatura, dovuti alla sua mania di abbinarne il colore a tutto ciò che la circondava, ad esempio il colore della minestra a pranzo (e non sempre il risultato era piacevole, soprattutto quando si trattava di pasticcio di carciofi e salsiccia tritata; Sirius naturalmente con la sua solita gentilezza gliel’aveva fatto notare, ma Tonks non si lasciava dissuadere mai da nessuno nei suoi propositi… purtroppo!), erano soprattutto i disastri che combinava a lasciare tutti esterrefatti. Sirius era riuscito perfino a sapere che, il primo giorno di scuola, mentre era seduta nella barca che attraversava il lago, voltandosi per tranquillizzare una compagna che gridava disperata per timore della Piovra Gigante, aveva urtato il compagno al fianco, che era caduto in acqua e che probabilmente sarebbe affogato se Hagrid non se ne fosse accorto in tempo.

Ma questo fu solamente l’inizio di una lunga serie di avvenimenti, irripetibili per quanto assurdi. Ad esempio, durante la pratica di pozioni, per ben tre volte aveva sbagliato ingredienti facendo scoppiare il contenuto del suo calderone e trasformando i suoi compagni e il professore: la prima volta in lumache (non vi dico la fatica di Silente per rintracciarle tutte e riportarle alle loro forme e dimensioni normali), la seconda volta in orridi schiopodi sparacoda (fortunatamente questa volta il professore era riuscito a proteggersi e aveva immediatamente ritrasformato i suoi allievi in esseri umani), e la terza volta… beh, ecco… la terza volta il miscuglio da lei creato si era rivelato essere un potente incantesimo di prurito, pertanto tutti i coinvolti, in attesa di un antidoto, erano stati costretti a grattarsi incessantemente per una settimana di seguito…

Ma l’episodio più spettacolare accadde in biblioteca.

Come ogni sera, dopo le lezioni Dora si recava in biblioteca insieme alle sue amiche per studiare. E come ogni sera, vedendola arrivare, la bibliotecaria (temendo la sua fama) la teneva d’occhio incessantemente.

Quel giorno però, dopo circa dieci minuti dal suo arrivo, era giunta una gran massa di ragazzi del quinto anno che chiedevano alla bibliotecaria centinaia di volumi su cui prepararsi per gli imminenti esami. E dunque, la signora non aveva potuto volgere la sua totale attenzione alla giovane Tonks. Ma in fondo, fino ad allora non aveva combinato nulla di male, dunque si poteva permettere di non preoccuparsi più di tanto…

 

I fatti andarono più o meno così.

 

A Ninfa serviva un libro di Antiche Rune per la ricerca che l’insegnante le aveva assegnato per il giorno successivo. E, purtroppo, il libro era proprio un piccolo volume posto in fondo all’ultimo ripiano in alto dell’ultimo scaffale in fondo alla biblioteca.

Tonks, tranquillamente, appoggiò la scala allo scaffale ed iniziò a salirne i gradini, senza accorgersi però che l’aveva appoggiata male al pavimento. Quando si sporse per prendere il libro desiderato, questa iniziò a traballare pericolosamente. Spaventata, si gettò con tutto il suo peso sullo scaffale che, urtato così violentemente, iniziò a traballare anch’esso. Sempre più terrorizzata, Dora afferrò la sua bacchetta, tentando di farsi un incantesimo di levitazione, ma probabilmente (a causa del terrore e della posizione non proprio comoda in cui si trovava) sbagliò qualcosa, e invece di farsi levitare in alto, provocò uno scoppio alla base dello scaffale, facendolo rovinosamente cadere in avanti. Proprio nel momento in cui stava per essere schiacciata fra i due scaffali, qualcuno la fece levitare in aria. Si voltò il giro in cerca del suo salvatore, e scorse suo cugino che la guardava dall’altra parte della biblioteca con un ghigno divertito e la bacchetta in mano. E in quel momento sentì di adorarlo con tutta se stessa!

Ciò che accadde dopo la riportò alla realtà… dall’alto della sua posizione, infatti, poté seguire in maniera assai più panoramica il distruttivo effetto domino che aveva creato fra tutti le scansie della biblioteca. L’ultimo scaffale di libri andò a cadere proprio sul gruppetto di ragazzi del quinto anno che stavano attorno alla bibliotecaria e non avevano fatto in tempo a spostarsi…!

Allora, il rapporto dei danni totali fu questo: trenta feriti, centomila libri rovinati, duecento andati perduti, e tutti e sette gli scaffali completamente da ricostruire.

Ovviamente, Dora non fu punita, in quanto non aveva provocato volontariamente quell’incidente… ma questo piccolo dettaglio non fu affatto considerato dalla bibliotecaria (che aveva riportato un trauma cranico e cervicale e una frattura al polso destro), che da quel momento aggiunse ai cartelli all’entrata della sua biblioteca che dicevano “No Foods”, “No Drinks”, “No Pets”, anche quello con su scritto “No Tonks”!

 

 

Quando l’anno finì, e ci fu finalmente l’esame dei M.A.G.O., Lily riuscì a prenderli tutti e dodici, James solo sei (grazie all’aiuto di Lily), Sirius dieci e Remus undici. Peter fu promosso, e Tonks riuscì a cavarsela con un debito in Pozioni (il professore Stronzus proprio non riusciva a sopportarla).

L’ultimo giorno di scuola si ritrovarono dunque tutti quanti seduti sotto la loro quercia, da cui potevano ammirare lo splendido panorama del lago, a parlare di ciò che sarebbe successo poi.

“Io e mamma partiamo per l’Italia!” Disse Nimphadora felice.

“E io che pensavo ti avrebbero rinchiuso in casa per evitare altri danni…!” Commentò Sirius.

“Stai zitto, antipatico!” Fu la risposta della cuginetta.

“Sirius, tu vieni a casa mia, non è vero?” Chiese James.

“Se non disturbo…”

“Ma scherzi? Mia madre non faceva altro che chiedermi quanto saresti tornato. E poi, così le farai compagnia quando io andrò a stare un paio di settimane a casa di Lily!”

“Ah, adesso capisco il motivo della tua gentilezza!”

“Molto spiritoso! Sai bene che non è così!”

“Beh, se ci sono problemi, puoi sempre venire a casa mia, Sirius.” Disse Remus.

“Ma… e tua nonna?” Chiese Felpato. La nonna di Lunastorta non aveva mai gradito l’euforia degli amici del nipote…

Remus rimase in silenzio e abbassò lo sguardo. Il cuore di tutti iniziò ad accelerare il proprio ritmo. Cosa era accaduto che loro non sapevano?

“Remus, che è successo?” Chiese Lily, in un soffio.

“E’ stata ricoverata tre mesi fa. Le sue condizioni oramai erano precarie. Diamine! Aveva novant’anni… me lo sarei dovuto aspettare e sarei dovuto rimanere con lei.”

“Come sta?” Chiese Peter.

“E’ morta due settimane fa.” Disse Remus, con voce rotta. Lily corse subito da lui e lo abbracciò. Piano piano, sebbene fossero ancora sconvolti dalla notizia, anche James, Peter e Sirius si unirono a loro in quell’abbraccio consolatorio. Povero Remus… sapevano quanto ci tenesse a quella nonna. Era l’unico membro della sua famiglia ancora in vita, dopo che i suoi familiari erano stati uccisi dal licantropo che poi, quando era bambino, ferendolo gli aveva contagiato la sua maledizione.

Capivano anche perché Remus non ne avesse fatto parola con nessuno: era il ragazzo più orgoglioso che conoscessero. Non ostentava mai il dolore, forse anche perché ne aveva così tanto dentro che mostrarlo avrebbe significato semplicemente accrescerlo. E sapeva bene che, se avesse rivelato quella notizia agli amici, non avrebbe fatto a meno di piangere. Come del resto stava facendo ora.

“Grazie, amici…” Disse Remus con un sorriso, asciugandosi le lacrime, ancora circondato dalle braccia dei compagni.

“Ci siamo sempre noi, Remus… siamo qui per questo. Non ringraziarci!” Gli disse Lily, baciandolo sulla guancia. E Sirius, Peter e James confermarono le parole della ragazza con un cenno del capo.

Poi, lentamente, tutti tornarono alle loro posizioni, chi sospirando, chi sorridendo commosso, chi ancora con una lacrimuccia di commozione sugli occhi.

“Ehi Dora, che hai?!” Furono le parole pronunciate ad un certo punto da Sirius, che portarono l’attenzione di tutti sulla bambina.

Tonks, inginocchiata sull’erba, teneva i pugni chiusi sulle ginocchia e il viso nascosto tra le spalle. In più, tremava tutta.

Ad un certo punto, sotto lo sbalordimento di tutti, alzò il viso, che si rivelò essere completamente rosso e rigato dalle lacrime, e si gettò come una furia su Remus, che cadde all’indietro a causa del suo impeto.

Allibito, il ragazzo guardò la bambina che si stringeva al suo petto, i capelli corti e di un rosa shocking che brillavano alla luce del sole.

“Mi dispiace Remus! Mi dispiace tanto! Tanto tantissimo! Io non lo sapevo! Poverino! Mi dispiace!” Gridò la bimba, continuando a piangere a dirotto.

Ben presto, lo stupore lasciò spazio alla tenerezza, facendo comparire un sorriso dolce nelle labbra di Remus, che si mise ad accarezzare i capelli della bimba per tranquillizzarla.

Anche tutti gli altri membri del gruppo, inteneriti, fissavano ridenti la bambina fra le braccia di Lunastorta.

“Ehi, piccola peste, va tutto bene! Tranquilla!” Le disse Remus.

“Come devi essere triste! Mi dispiace davvero tanto!” Continuava a dire Tonks.

“Non preoccuparti, adesso va meglio. Però calmati!” Le disse ancora, ridendo, e tentando di risollevarsi da terra.

Tonks, che ormai si era ritrovata accoccolata fra le sue braccia, si scostò un poco e lo fissò. Vedendolo calmo e sorridente, si asciugò le lacrime e sorrise a sua volta.

“Davvero va tutto bene?”

“Certo!”

“Sicuro?”

“Sì!”

“Non ti sentirai da solo ora in quella casa?”

“No, non preoccuparti!”

“Io verrei da te, ma devo andare in Italia!”

Tutto il gruppo scoppiò a ridere, e Remus si dovette trattenere per non fare lo stesso. “Va benissimo così, tranquilla!”

“Allora ti manderò una cartolina da ogni città che visiterò!” Disse poi felice, la bambina.

“Piccolo demonio, vieni qui adesso!” Le disse Sirius ridendo, invitandola ad andare fra le sue braccia.

“Allora va bene?” Domandò quella a Remus, mentre si stava infilando fra le braccia del cugino. Remus fece sì col capo.

“Ma guarda quanto è sentimentalista questa birba!” Disse dolcemente Sirius, guardando la cugina negli occhietti blu mentre le scarmigliava i capelli.

“Anche tu sei sentimentalista!” Le disse lei, con un sorriso.

Queste parole o presero alla sprovvista, e lo fecero pensare.

Non era una domanda, si trovò a riflettere Sirius mentre stava per dire qualche idiozia tanto per avere l’ultima parola; era un’affermazione. Ed era stata detta da quella creatura innocente, la cui purezza si poteva vedere riflessa nelle iridi color del mare.

“Sì?” Le chiese.

“Sì!” Confermò lei, appoggiando la testa sul suo capo.

Beh, se lo diceva un angelo, non poteva essere che vero.

E questo significava che lui non era quel mostro che credeva di essere a causa della presenza di puro sangue Black nelle sue vene.

“Senti Remus, se ti va, potrei stabilirmi da te, per poi spostarmi per breve tempo dai Potter quando Ramoso sarà da Lily.” Propose Sirius, continuando ad accarezzare la testa della cugina che, vinta da tutte quelle coccole, stava iniziando a sonnecchiare.

“Perfetto!” Disse James.

“E chi stava parlando con te?!”

“Hai citato anche me, dunque dovevo essere d’accordo pure io!”

“Tu saresti d’accordo con qualunque piano ti permettesse di andare da Lily e non lasciare i tuoi genitori soli!” Sbottò Felpato.

“Mmm... E’ vero anche questo!”

“Per carità Ramoso, sei senza speranze… allora, Lunastorta?”

“Per me va benissimo Sirius, non chiedo di meglio!” Rispose lui, solare.

 

 

Quell’estate inizialmente passò piuttosto tranquilla. Sirius si trasferì con tutti i suoi averi a casa di Remus, una villa sperduta nelle campagne del Galles, che distava dieci minuti di autobus dal primo centro abitato babbano.

Era un luogo niente male, davvero, immerso nel verde, con uno splendido giardino curato. Però, c’era un aspetto di quella casa che Sirius non riusciva a sopportare: era quel sapore di vecchio, di passato, di trascurato, che emanava ogni stanza, ogni mobile, ogni piccolo oggetto. Non che fosse un luogo sporco e trasandato, tutt’altro. Ma produceva in Sirius una strana sensazione di soffocamento, assai simile a quella che provava stando rinchiuso nella sua stanza Grimmauld Place, che lo portavano a desiderare di scappare, di evadere. Ma non poteva: altrimenti avrebbe fatto un torto ad uno dei suoi migliori amici.

E così, ogni notte, prima di andare a dormire rimaneva ore e ore seduto sul tetto della casa, ad ammirare il cielo stellato e pensare alla sua Solaria.

Una volta però fu raggiunto da Remus e, volente o nolente, l’amico lo costrinse a rivelate tutti questi suoi angoscianti pensieri.

“Sta’ tranquillo Sirius, è la stessa sensazione che ho sempre avuto io stando in questa casa. Poi però, col passare del tempo, mi sono dovuto abituare…

Se mi aiuti tu, comunque, potremmo cercare di migliorare la situazione!”

E così, a partire dal giorno successivo, si misero all’opera per apportare cambiamenti a quella villa. Spostarono mobili, imbiancarono pareti, tolsero quadri… il risultato fu un vero e proprio casino, giacché in fatto di gusti i due ragazzi erano uno peggio dell’altro, e la comunione delle loro idee non fu propriamente un evento piacevole da vedere…

Senza contare che la situazione era resa più drammatica dai gufi che entravano ed uscivano in continuazione da qualunque buco della casa per portare miriadi di cartoline dall’Italia mandate da Tonks, ed i giorni in cui erano proprio sfortunati arrivavano anche due o tre lettere, resoconti delle avventure vissute dalla bambina…

Proprio però quando erano convinti di aver toccato il fondo, una voce dolce e cristallina si udì rimbombare fra le squallide stanze della villa, ed i loro cuori ripresero finalmente a pompare sangue al resto del corpo.

“Lily!” Gridarono i due amici, correndo (più che altro precipitandosi) giù dalle scale per andare ad aprire la porta all’ingresso.

Le avevano scritto una settimana prima, chiedendole consigli sull’arredamento, ma a quanto pare la giovane Evans aveva preferito venire a pianificare la situazione dal vivo. Insieme a James, naturalmente…

“Salve ragazzi!” Disse Lily, entusiasta, appena gli aprirono la porta. “Ma che casino!” Fece poi, inorridita, dopo aver sbirciato gl’interni.

“Avanti, vieni, ci devi aiutare!” Disse Sirius, prendendola per un braccio.

“Già! Prima di tutto, la cucina! E’ da settimane che non riusciamo a mangiare in modo decente per il caos che c’è!” Continuò Remus, prendendola dall’altro braccio e trascinandola via senza che lei potesse opporre alcun tipo di resistenza.

“Ehi…beh…ciao ragazzi!” Sbottò James, ancora sulla soglia della porta. Che begli amici, non l’avevano manco visto…!

Nel giro di un mese, la casa fu arredata in modo splendido, con gli stessi mobili ristrutturati dalla mano sapiente di James secondo le indicazioni di Lily. E, finalmente, quell’atmosfera opprimente che prima aleggiava in tutto l’ambiente fu portata via.

 

Una sera, seduti sulla veranda a bersi una burrobirra e godersi lo spettacolo di tutto il loro lavoro, chiacchierarono animatamente del più e del meno.

“Ma come mai sei venuto anche tu, James? Pensavo non volessi lasciare i tuoi da soli.” Disse Sirius.

“Sì, è vero. Ed infatti non li ho lasciati soli!” Rispose James, con un ampio sorriso sulle labbra. Sirius lo guardò divertito: cos’era riuscito a combinare questa volta quella catastrofe del suo migliore amico?!

“Non ci crederete mai, ma è riuscito a convincere Malocchio Moody a stare appostato nei dintorni della sua villa fino al suo ritorno!” Disse Lily, ridendo.

“E come hai fatto?!” Gli chiese Remus, sebbene qualcosa gli dicesse che non doveva aver utilizzato metodi del tutto legali… ma, se Lily era così tranquilla, forse lui si sbagliava.

“Già, è vero, come hai fatto? Non me l’hai ancora detto!” Domandò Lily, sempre con un sorriso sulle labbra. Tutti si misero a fissare James interrogativamente.

Ma lui, a quanto pare, non aveva intenzione di rispondere.

“James… come hai fatto?” Domandò di nuovo Lily, mostrando un sorriso nervoso sul volto.

JAMES!” Gridò poi, facendo sussultare sia Sirius sia Remus, che furono percorsi per un momento da brividi.

“Gli ho nascosto l’occhio finto in giardino!” Disse tutto d’un fiato Ramoso.

Il silenzio e la calma di Lily succedute a quella rivelazione posero in grave angoscia tutti i presenti: James incominciava a preoccuparsi seriamente per la sua incolumità, mentre Sirius e Remus per quella della loro casa appena rinnovata.

“Allora, l’anno prossimo io, questo stronzo (è così sottolineato perché le singole parole furono pronunciate con un tono cinque volte più basso, profondo e gutturale del normale, nonché con evidente irritazione), e Sirius saremmo al Ministero per fare il corso di Auror! Tu Remus dove farai il tirocinio come insegnante? Sempre ad Hogworts?” Chiese Lily, con uno splendido sorriso nel viso da fata. Sirius e Remus la fissarono spaventati, in particolar modo Remus, che non sapeva se rispondendo a quella domanda avrebbe causato l’ira della rossa.

“Remus, ci sei?!” Chiese di nuovo quella.

“Ah… sì…. Beh, e-ecco, starò ad Hogworts!” Balbettò lui, schiarendosi subito dopo la voce. Sirius gli batté una mano sulla spalla in segno d’incoraggiamento, e quello fece sì col capo.

“Che materia t’interessa insegnare?”

“Difesa da Li… dalle Arti Oscure!” Mugugnò Remus, con la voce più sicura che riuscì a tirare fuori.

“Oh, benissimo! Sai, non so perché ma ero sicura che avresti scelto Trasfigurazione! Invece mi sbagliavo!”

“Eh…sì!”

“Qualcosa non va?”

“No, tutto ok!…”

“Parlando di altri argomenti… l’altro giorno, sul Cavillo, è apparso un indice dei probabili Mangiamorte della nobile società purosangue dell’Inghilterra.”

“Il Cavillo? Ma non è un giornale propriamente affidabile…” Disse James, dimenticandosi di tenere la bocca chiusa per evitare di incorrere.

Proprio perché non è una rivista su cui molte persone fanno affidamento, i suoi giornalisti possono permettersi di pubblicare un elenco dei Mangiamorte senza che il Ministero, o i soggetti in questione, gli si rivoltino contro!

Un altro brivido percorse la stanza, e James decise di tapparsi la bocca per non aprirla più quel giorno.

Lily si schiarì la voce.”Comunque, fra i soggetti indicati, oltre che i nostri cari compagni di scuola Malfoy, Tiger, Goyle, Nott, Mc Nair, Bellatrix Black e Rodolphous Lestrange, c’era anche Regulus Black…” Appena pronunciò quel nome, fissò i suoi verdi occhi su Sirius, che però non parve per nulla meravigliato.

“E che ti aspettavi da un figlio degno della mia famiglia? Che si schierasse dalla parte di babbani, Mezzosangue e Sanguesporco?” Chiese Sirius, sarcastico.

“Non usare quei termini, li odio… sembra che stiano ad indicare delle bestie, non esseri umani che in realtà sono perfino migliori di loro…”

“Scusami Lily… non l’ho fatto con l’intenzione di…”

“Sì, ho capito, lascia perdere, non importa. Mi dispiace però per te. Non ti meriti tutto questo.”

“A me non fa né caldo né freddo. E poi, c’è forse qualcuno in questo mondo che si merita quello che sta accadendo ora?!”

“Lotterò, anche fino alla morte se necessario, per evitare che i nostri figli abbiamo un futuro del genere.”

James, dimenticatosi di nuovo del suo voto di silenzio, si voltò dalla parte di Lily e le chiese: “Anche i nostri figli?!”

Sirius e Remus scossero la testa: ma se le andava proprio a cercare, allora?!

Non so se vivrai a lungo per averne! “ Rispose Lily, acida. “A proposito di bambini- disse poi, voltandosi dalla parte degli altri due- ve la ricordate Molly Weasly?”

“La moglie di Arthur?” Chiese Sirius.

“Esatto!”

“Chi sono?” Chiese Remus.

“Non ti ricordi Arthur Weasly? Quel Grifondoro con la passione per i babbani!” Spiegò Sirius.

“Ah, quello che aveva tentato di installare la luce eclettica ad Hogworts! Sì, me lo ricordo!” Disse Remus, sorridendo al ricordo del comico tentativo di quel ragazzo dai capelli rossi di infilare strani tubi all’interno delle mura del castello. Alla fine, però, era rimasto fulminato da una potente scarica eclettica e si era salvato per un pelo…

“Si dice luce elettrica, non eclettica!” Commentò Lily. Quanto erano ignoranti i suoi amici!

“Va bene lo stesso!” Commentò Sirius.

“Non va bene per niente, sono due concetti completamente differenti! In ogni caso… mi ha mandato u gufo da poco, e mi ha detto che ha già avuto due figli ed attente il terzo!”

Sirius rimase a bocca spalancata. “Ma non aveva solo tre anni in più di te?!”

“Già!”

“E quindi… ha avuto il primo bambino… alla tua età?!”

“Esattamente!”

“Vedi, anche noi potremmo fare così, tesoro!” Disse James. Tutti si voltarono dalla sua parte. Ora era sicuro che non l’avrebbe passata liscia…

Lily si alzò. James, Sirius e Remus rabbrividirono.

Si avvicinò al fidanzato, con una mano lo costrinse ad alzarsi.

“Bene ragazzi, noi andiamo a dormire!” Disse poi.

“Oh, allora sei d’accordo con me!” Disse James, al settimo cielo. Subito dopo però iniziò a boccheggiare… la mano intorno al suo braccio nudo si era stretta parecchio, davvero parecchio… e soprattutto le unghie nella sua carne non erano propriamente piacevoli…!

“Domani mattina dobbiamo alzarci presto per preparare i bagagli! Accompagnerò James a casa sua e poi tornerò a casa mia, e non ci rivedremo per molto, molto, molto, molto, molto tempo. Vero James?!” Gridò infine, trascinando il ragazzo all’interno della casa. Quello, appena passò davanti agli amici, chiese loro aiuto, ma loro si limitarono a sorridere divertiti e a scuotere la testa. Peggio per lui! Se lo meritava!

“Io dico che un giorno o l’altro lo ammazza!” Disse Sirius, scoppiando subito dopo a ridere.

“Ma non aveva imparato a tenerla a bada?!”

“Che idiota che è!”

Dopo aver insultato per un altro quarto d’ora l’amico, ed essersi bevuto nel frattempo altre due burrobirre a testa, si alzarono, decisi ad andare a dormire anche loro.

Proprio in quel momento però giunse un gufo, che, senza nemmeno fermarsi, scaraventò loro una lettera.

“Che ci fa qua un gufo a quest’ora?!” Chiese Remus, divenendo più pallido del solito.

Sirius si affrettò ad aprire la pergamena. Portava la firma del Ministro della Magia. Era un documento ufficiale. E questo non faceva altro che peggiorare i loro più oscuri sospetti.

La lessero insieme, ed in fretta per il nervoso. Quando ebbero finito, la rilessero altre due o tre volte temendo di aver capito male.

No, non avevano capito male. Purtroppo il significato della lettera era esposto anche fin troppo chiaramente in quelle poche righe.

I loro occhi iniziarono a riempirsi di lacrime.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Gli allenamenti hanno inizio ***


Era passato un anno da quando aveva lasciato la sua casa in Francia

Era passato un anno da quando aveva lasciato la sua casa in Francia.

Da un anno non sentiva più le sfuriate di Lily, non rideva delle burle fatte da James, non chiacchierava con Remus, non criticava Peter Minus.

Da un anno non vedeva più il suo Sirius. E, nonostante questo, continuava ad amarlo.

Più il tempo passava più lei sentiva l’oblio farsi maggiormente ponderoso, come un peso che scendeva lentamente sulle sue spalle ed ogni giorno che passava la costringeva a lottare per non farsi schiacciare. Quel luogo era un paradiso, certamente, ma non poteva permettergli di sopraffare l’inferno di passioni che bollivano nel suo animo, ricordo dei tempi in cui viveva fra i comuni esseri viventi.

Chissà come andavano le cose laggiù…

Aveva tentato tantissime volte di avere qualche informazione, di vedere cosa accadeva ai suoi amici, ma non c’era riuscita. Lì non poteva. Lì era una semplice strega, con un potere empatico marginato dall’atmosfera divina del luogo.

Gardenia le aveva detto che c’era un pozzo nelle radure, un pozzo attraverso le cui acque si poteva vedere il mondo esterno. Oh, ricordò quanto fu felice nel sentire una notizia così meravigliosa… e ricordò quanto fu triste nell’apprendere che solo le sacerdotesse potevano utilizzarlo. E lei, non lo era. Si sarebbe dovuta accontentare, dunque… per la prima volta viveva come un normale essere magico. Com’era? Beh, da un lato era magnifico, non aveva più dolori, ma dall’altro… non sapeva più cosa combinavano le persone più importanti della sua vita.

Per fortuna che quell’anno non era passato così male. Anzi, era stato… una vacanza. Lei e Gardenia erano diventate grandi amiche. Parlavano di tutto e di più. Ricordò divertita la reazione di stupore di Gardenia quando lei le aveva raccontato di essere fidanzata.

“Con un… uomo?!” Le chiese lei, gli occhi spalancati per lo stupore e le guance che arrossivano sempre di più.

“No, con una scimmia.” Rispose sarcastica Solaria. Ma visto che l’amica, che purtroppo non era così pronta di mente da capire le battute, la guardava sempre più sbalordita, si decise a rispondere con un: “Sì, con un uomo! E con chi se no?!”

“E…e lo vedi?”

“Adesso no purtroppo!”

“Non intendevo ora… cioè, ci uscivi insieme?!”

“Certamente. Anche se, a dire il vero, preferivamo stare sempre al calduccio…”

“Cioè?”

A quella domanda, dato che Gardenia non aveva capito nemmeno la sua metafora precedente, aveva deciso di chiudere lì il discorso per evitare di rispondere con quella frasetta cattiva che, prepotente, voleva a tutti i costi uscire fuori dalla sua bocca, e che suonava più o meno così: ”Facevamo sesso sfrenato dalla mattina alla sera, Gardenia, hai capito?!”. Ma si era trattenuta, sapendo che purtroppo l’ingenuità della sua amica non era dovuta alla sua stupidità (perché altrimenti le avrebbe dato chiare e dettagliate delucidazioni su ciò che faceva col ragazzo) quanto piuttosto alla sua educazione. Certo, Avalon era un paradiso, ma purtroppo era anche pur sempre un monastero femminile. Da quanto aveva capito, gli unici rapporti che le sacerdotesse del luogo avevano con qualche individuo di sesso maschile era durante il Bensalem, una cerimonia (da lei considerata squallidissima) in cui un uomo e una donna, di segreta identità, concepivano insieme una nuova vita da consacrare alla Dea.

Era così che era nata Gardenia, e probabilmente anche sua madre (presumibilmente il giovane sconosciuto doveva essere stato qualche demone oscuro. Un Malfoy, ad esempio! O un Riddle…), così come anche tutto il resto della popolazione dell’isola sacra.

 

Solaria si alzò dal suo letto. Che strano, dovevano essere già le sei del mattino e Gardenia non era venuta a svegliarla. Che stesse male? No, ipotesi assurda: là non esisteva la malattia, non esisteva alcuna forma di dolore. Specie per chi vi era nato. E allora? Ma… !

Si lavò lentamente, come ogni mattina, godendosi il profumo del sapone e il caldo getto dell’acqua sulla sua pelle. Con un colpo di bacchetta poi si asciugò, e andò a vestirsi.

Già, vestirsi. La cosa che più le piaceva in assoluto, in quel posto era divenuta un dramma. E sapete perché? Perché i vestiti erano un casino! Non che non fossero belli… Per la barba di Merlino, erano fantastici! Soprattutto i suoi, che, da quanto Gardenia le aveva detto, erano gli abiti che identificavano un’ospite

Si iniziava mettendo la biancheria, composta da un aderentissimo body sgambato senza spalline (e beh, e che ci posso fare, il bikini non l’avevano ancora scoperto!). Sopra di esso trovava posto una sorta di sottoveste priva di maniche, così aderente da riuscire a mettere in risalto la minima curva di un corpo. Dopo la sottoveste, era la volta di almeno tre strati di tuniche lunghe di un tessuto molto simile al voile, i cui riflessi provocati dalla luce erano una vera delizia per gli occhi. Il tutto era finito da una cinta di seta, le cui estremità cadeva giù fino a toccare il suo; da un mantello, che copriva le spalle delle donne; e da sandali alla schiava. Poi era la volta dei gioielli, pesanti monili da appendere intorno al collo e ai polsi. Ed, infine, la capigliatura, che non veniva mai lasciata sciolta ma che era raccolta nei molti più fantasiosi, unica libertà lasciata dopo tutto quel rigore.

Solaria, che dopo tutto il casino fatto per vestirsi aveva ben poca voglia di pensare a qualche straordinaria acconciatura, si faceva solitamente una semplice treccia. Poi, finito il tutto, andava a guardarsi allo specchio. Ed ogni volta evitava di fare dei commenti al risultato finale, per paura di non riuscire a trattenere il desiderio di apportare delle modifiche con lo scopo di migliorarlo… modifiche di carattere prettamente eliminatorio, mi sembra ovvio!

Finalmente pronta, uscì dalle sue stanze diretta ai giardini, dove probabilmente avrebbe trovato Gardenia.

Si guardò intorno. Già dalle sette del mattino lì c’erano molte sacerdotesse che passeggiavano, apprendiste che ultimavano i loro lavori all’aria aperta: la vita si risvegliava agli albori in Avalon. Ma non c’era traccia di Gardenia.

Stava per volarsi e andare a cercare l’amica da qualche altra parte, l’isola era gigantesca e poteva trovarsi ovunque, ma la percezione di una presenza la bloccò.

Era da molto che non la vedeva. Ed ora era lì, dietro di lei, e la sua aura non presagiva niente di buono. L’aveva incontrata qualche volta, nelle sale principali della villa, ma non l’aveva mai nemmeno degnata di uno sguardo: finché non fosse giunto il momento in cui sarebbe stata costretta la convivenza, preferiva scordarsi di lei.

Ma ora era lì. E questo poteva significare semplicemente che la sua bella vacanza era finita.

Dopo aver sospirato per tenere i nervi sotto controllo, si voltò e fissò la Dama del Lago negli occhi.

“Buongiorno Solaria.”

“Buongiorno, Dama.”

“E’ da molto che non ci vediamo.”

“Cosa vuole che le dica, qualche volta c’è qualcuno lassù che ascolta anche le mie preghiere…!” Rispose sarcastica lei.

“Iniziamo male Solaria: avevo deciso di darti una possibilità, ma con il tuo comportamento mi fai pentire di questa mia scelta.” Rispose dura la donna, guardando la ragazza davanti a sé con gli occhi divenuti brillanti e pericolose fessure.

“Ancora con questa storia? E’ davvero ottusa, sa? Le ho già detto che lei non mi deve dare alcuna possibilità, perché il suo solo compito è quello di eseguire i voleri della sua Dea. E deve farlo al meglio. Dov’è Gardenia?”

“La cosa non ti riguarda.”

“Mi riguarda eccome. Dove l’ha mandata?”

“Ti ho detto che non ti riguarda.”

“Per caso ha paura che la mia compagnia riesca a svegliare sua figlia dall’ingenuità in cui lei la ha immersa per diciotto anni?”

“Oh no, la ho mandata da te proprio per questo. Sapevo che ci avresti pensato tu a farle capire com’è il mondo di fuori… a farglielo temere… e perché no, anche odiare!” Disse con un ghigno la donna.

Solaria la guardò schifata. “La figlia del demonio non può che stupirsi di sapere che non è l’unica a cui batte un cuore: penso che questa sia stata una piacevole sorpresa per Gardenia, e lei, Dama del Lago, temendo che sua figlia si affezionasse troppo a questa novità, ha deciso di evitare di correre il rischio di avere qualcuno che mi assomigliasse una volta che tornerò a casa mia.

E così l’ha allontanata da me. ”

“Mia figlia non diventerà mai come te, lei è diversa.” Rispose la donna, tremando e distogliendo lo sguardo da Solaria. La quale, naturalmente, captò il nervoso della donna e ghignò ancora più profondamente.

“Non mi dica che questo le dispiace. Sarebbe un grande colpo per il mio povero cuoricino!

Ah no, ma che vado a pensare La questione è ben più complessa! Lei vorrebbe che sua figlia fosse come me perché questo significherebbe che a sua volta lei avrebbe le mie stesse potenzialità, e questa modalità di pensiero ha un risvolto molto più egoistico, molto più…da lei! Non trova? Ho azzeccato, vero?

Non c’è che dire, sono un genio!”

La Dama del Lago volse nuovamente lo sguardo verso di lei. Era rossa in volto, e i lineamenti erano resi ancora più duri dall’ira.

“Mi chiedo ancora come mai la tua perfidia non ti abbia condotto ad allontanarti dalla strada che il tuo sangue ti ha imposto e crearti una vita lunga e piacevole lontano dalla tua terra natia.”

“Non ha trovato risposta a questa domanda in quanto le premesse stesse erano errate.- Rispose con calma Solaria: e la calma era solitamente presagio di tempesta. Non che le parole della Dama l’avessero colpita, ma nessuno si doveva permettere di parlarle in quel modo. Nessuno; non dopo quello che lei faceva per il mondo. –

Io non sono perfida. Io sono semplicemente intelligente. O, non mi sto vantando delle mie doti naturali, Madama. E’ semplicemente una constatazione di fatto: sono intelligente, perché il mio ruolo, il mio compito… e più ancora i fatti che ho vissuto, mi hanno costretto ad esserlo.

Sono intelligente, ed in quanto tale posso consapevolmente scegliere di essere buona o cattiva. E la mia scelta solitamente è influenzata dalla situazione in cui mi trovo, e dalle persone che mi circondano…

Ora che le ho spiegato questo, potrà al massimo cambiare la sua domanda e chiedersi perché sono perfida con lei. Ma penso che non sia necessario: la risposta la conosce già, non è vero?

Io sono perfida perché disprezzo fin dal profondo del mio essere il suo spirito: lei è corrotta, infettata dalla malvagità fin nel profondo della sua anima, e la salva dall’essere un demonio il semplice fatto di essere sottomessa alla Dea.

Sa, c’è una cosa che mi incuriosisce: lei cosa crede di essere, buona? O semplicemente ha lasciato perdere i concetti di buono e cattivo ed è passata direttamente a quello di divinità, che li comprende entrambi? Lei è divina, Madama? Lei si crede potente come una Dea?

Immagino di sì. O, perlomeno, era così la prima volta che l’ho incontrata: adesso, con me intorno, penso che i suoi limiti le siano ben presenti. E penso anche che mi odi tantissimo per questo. Mi detesti. Mi invidi.

Lei è maligna, e non sa di esserlo, talmente è immersa nella contemplazione della sua immaginaria grandezza indefinibile.

E mi fa davvero tanta pena questo: la sua ingenuità, la sua ignoranza, la sua stupidità.

Lei mi fa pena.

E odio dover dipendere da una persona che non sarebbe degna nemmeno di leccare il suolo dove sono passata.”

La Dama del Lago rimase a dir poco sconvolta da quelle parole. Ispirò profondamente per tre o quattro volte, ed infine, con gli occhi lucidi, si voltò e, con voce stizzita ma con tono perentorio, le disse: ”Seguimi!”

 

Solaria rimase un attimo immobile. Forse aveva esagerato. Forse quella volta aveva davvero oltrepassato il limite. La Dama del Lago, quantunque fosse una spregevole persona, non era così forte, così decisa, così inumana da poter parare un colpo del genere senza battere ciglio. Insomma, non era una sua pari. E lei l’aveva trattata come se lo fosse. E’ vero, voleva darle una lezione che non si sarebbe mai più dimenticata: ma aveva esagerato.

La Dama non sarebbe passata sopra ad un avvenimento del genere: la sua mente perversa lo avrebbe ben registrato, e col tempo avrebbe preparato una vendetta. Sì, era poco ma sicuro, si sarebbe vendicata.

Non che questo la preoccupasse: stava solamente guardando le carte in tavola, con il distacco e la tranquillità di un giocatore che sa che, anche se i numeri che si ritrova davanti sono pessimi, riuscirà a vincere comunque.

Era meglio che cambiasse modo di atteggiarsi con lei. Eventi del genere non dovevano più accadere. Non che si sarebbe lasciata mettere i piedi in faccia, questo è da escludere! Semplicemente si sarebbe limitata a risponderle a tono (badando bene di avere sempre lei l’ultima parola) se qualcosa del suo modo di fare non le fosse piaciuto.

Sospirò e, con passo deciso, seguì la Dama del Lago che stava allontanandosi dal giardino.

Al suo passaggio le sue discepole si inchinavano, portando reverenza alla prescelta della Dea.

Ma che aveva la Dea in testa quando l’ha scelta?!” Mugugnò Solaria fra i denti, mentre raggiungeva la donna.

 

 

“Avanti, dimmi cosa sto pensando.” Disse la Dama del Lago. Davanti a lei, a meno di cinquanta passi, nella spiaggia deserta illuminata dal caldo sole, c’era Solaria.

“Non lo so.”

“Ti ho detto di dirmelo!”

“Lei apra la mente e io glielo dico!”

“Smettila di dire scempiaggini. Concentrati, e prova! Controlla la tua forza, concentrala, e usala come una chiave per aprire il lucchetto che sigilla le porte della mia mente!”

Solaria, accigliata, inspirò e chiuse gli occhi, mentre una delle gocce di sudore che le imperlavano la fronte le scendeva lungo le tempie, dove era appena distinguibile la colorazione leggermente più chiara di quattro lunghi graffi.

Era l’ennesima volta che provava a fare ciò che la Dama le diceva, e che falliva.

Si concentrò. Sentiva le forze del suo corpo fluttuare intorno a lei, raggruppandosi in un unico punto, che era la mente. Con decisione poi mandò questo grande concentrato di energia in direzione della sua preda, tentando di penetrare la luce che vedeva brillare nella sua mente. Ma ancora una volta non ci riuscì, e fu scagliata dal luogo in cui veniva, come spinta da una forte marea.

Cadde per terra. Quella volta il fallimento era stato più duro, riflettendosi nella sfera fisica. Si alzò in piedi, guardando con odio la donna che ghignava davanti a lei.

“E’ così divertente?”Le gridò, furiosa.

“Non sai quanto.”

“Bene, si diverta ora: perché quando avrò imparato, non ne avrà più modo.”

“Bando alle ciance: il tuo veleno non ti aiuterà di certo a raggiungere questo obiettivo. Non siamo qui per discorrere, in quello sei già brava grazie alla tua lingua biforcuta: ma noi siamo qui per agire. Quindi vedi di darti una smossa.”

“Me ne sono accorta che siamo qui per agire. Stavo solo tentando di farle abbassare le barriere: quando si è nervosi, si è più deboli.” Disse con un sorrisetto cattivo Solaria.

“Prendere delle scorciatoie danneggerà solo te stessa.”

“Non mi serve a niente un tale allenamento.”

“Ah no?”

“No.”

“Allora non hai capito nemmeno quale sia il suo scopo.”

“Il suo scopo l’ho capito: posso leggere la sua mente. E considerando che in questo momento lei chiude il suo pensiero col potere di Avalon, se riuscissi a compiere un atto del genere, sarei poi capace di usare la telepatia per controllare le persone senza avere nemmeno il bisogno di concentrarmi.

Anzi, non è esatto: potrei controllare i poteri delle persone, e prenderli in me, usandoli come più m’aggrada.

Ma io non voglio un tale potere.

“Ti servirà.”

“No, non mi servirà: Riddle non è così forte.”

“Lo è invece. Per questo hai la capacità di giungere ad un tale livello di onnipotenza: perché devi contrastarlo con i suoi stessi mezzi. E devi essere migliore di lui, per poterlo vincere. Provaci ancora!” Ordinò la Dama.

“No, non voglio.”

“Devi volerlo, stupida! Devi volerlo, o non riuscirai in niente!”

“Sono molto più forte ora, potrei ucciderlo in questo stesso momento, uscendo da Avalon.”

“No, non potresti.”

Solaria rimase un poco in silenzio, scrutando intensamente i lineamenti del volto della Grande Sacerdotessa. “C’è qualcosa che dovrei sapere?”

La donna sorrise: la riempiva d’immenso piacere sapere qualcosa che lei ignorava. Lei che era così forte, così onnipotente, ora era costretta a dipendere dal suo aiuto. E questo significava che era più forte di lei: per questo Solaria la odiava. Perché sapeva di non potere andare avanti senza il suo aiuto. Lei le era necessario. E questo piccolo dettaglio glielo avrebbe evidenziato per tutto il soggiorno ad Avalon...

Solaria si accorse, dallo sguardo della donna, di cosa le passava per la mente, e si irritò assai: ma aveva promesso di trattenersi, ed ora era il momento di tener fede a questo giuramento.

“Voldemort è riuscito a trovare gli antichi testi che parlavano dell’incantesimo di rigenerazione. Ti spiego subito cos’è: è un sortilegio che permette di divenire più forti assumendo direttamente nel proprio corpo le forze di un altro essere vivente.”Disse la Dama.

“Attraverso cosa?”

“Attraverso il sangue. Voldemort si nutre del sangue delle sue vittime, e ne assume i poteri.”

“Il mio amichetto sta cadendo davvero in basso…”

“Ti teme- disse, con uno strano tono di voce, quasi la cosa le dispiacesse-Sa che tu sei qui, e ha paura.”

“Voldemort non ha paura di me.”

“Credi che abbia dimenticato il giorno in cui tu lo hai quasi ucciso?

No! Non lo ha dimenticato! E se prima ancora una briciola di cervello funzionava nella sua mente, ora il desiderio di sopraffarti lo ha annientato. Non si pone limiti, fa tutto ciò che la sua ingordigia di potere lo spinge a compiere!”

Questa descrizione mi ricorda tanto qualcun altro…” Disse Solaria, a bassa voce.

“Cos’hai detto, Nimbus?!”

“… Che non andrà ancora così: lo fermerò.” Disse con decisione Solaria. E poi aggiunse: “Avanti, riproviamo!”

Chiuse gli occhi, concentrando di nuovo tutte le forze nella mente. Quando si sentì pronta, spinse quella palla d’energia verso l’altra che il suo intelletto scorgeva davanti a se.

Ci fu una lotta. E, questa volta, l’avversaria non riuscì a vincere. Le sue mura di difesa caddero, e lei entrò in quella città finora proibita, scorgendone ogni minimo particolare.

Ma quello non le interessava. Il suo obiettivo era portare quella luce, che aveva appena conquistato, nella sua dimora, ed usarla a suo piacimento.

La trascinò, vincendo le sue resistenze, e una volta arrivata, la obbligò ad eseguire i suoi voleri.

Solaria aprì gli occhi. Davanti a lei, la Dama del Lago, pallidissima e sudata, la fissava con impotenza.

La giovane Nimbus, con volto concentrato e sguardo impenetrabile, alzò una mano al cielo. E, poco dopo, cadde la pioggia.

Sì, era riuscita a far piovere, e questo era uno dei poteri che solo le Grandi Sacerdotesse della Dea avevano: il controllo degli elementi. Era riuscita nel suo intento.

Sciolse il nodo che legava lo spirito della Dama al suo, ed in quello stesso momento la donna, davanti a lei, cadde a terra in ginocchio, mentre la pioggia la bagnava, sciupando il suo aspetto perfetto e facendola sembrare ancora più debole.

Solaria la vide respirare a fatica; poi, sempre con grande sforzo, la vide alzarsi e traballare un poco sulle sue gambe.

Trovato l’equilibrio, la Dama alzò un braccio al cielo, e la pioggia lasciò il posto al caldo sole di prima.

“Ci sei… riuscita. Allora… possiamo passare al prossimo livello, che…t’impegnerà molto di più.” Disse, riprendendo ancora fiato.

“Come, non mi permette più di fare questo incantesimo? Il fatto che io ci sia riuscita potrebbe semplicemente essere frutto della pura fortuna.”Disse lei, ma dal suo sguardo si poteva capire quanto quelle parole fossero ipocrite.

La Dama stabilizzò il suo respiro, poi, acida come sempre, le rispose: “Per quanto ti possa piacere vedermi soggetta al tuo volere, quella magia non sarà più da te usata in questo luogo. E’ una magia proibita, una magia pericolosa, una magia potente.”

“E’ Magia Nera.” Disse lei, semplicemente.

“Come tutte quelle che sarai costretta ad usare per difenderti da Voldemort e dai tuoi stessi poteri. Ora t’insegnerò come proteggerti dalle visioni, come non esserne preda, ma guardiana.”

“C’è un metodo?!”

“Mi pare ovvio. E sarà assai complicato da imparare.”

“Non ne dubito.” Disse lei, stringendo le mani in pugno al ricordo della sofferenza fisica che provava durante le percezioni.

“E anche doloroso.”

“Questo era fin troppo ovvio.”

“Sei pronta?”

“Certamente.”

“Bene…” Fece la donna, in tono poco rassicurante. Solaria non fece in tempo a chiedersi cosa le stava frullando per la mente, che un dolore lancinante la colpì, costringendola a cadere in ginocchio, mentre la mente le si riempiva di orribili immagini.

“Opponiti ad esse! Non lasciarti dominare!” Le gridò la Sacerdotessa.

Ma era inutile: in quella lotta aveva già perso.

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sirius ***


Remus cadde seduto sulla poltrona, mentre le lacrime iniziavano a scorrergli lungo il viso

Lily trascinò su per le scale il ragazzo. Poi, una volta arrivati davanti alla stanza di James, aprì la porta e, dopo averlo fatto ruzzolare dentro con uno spintone, la richiuse, dirigendosi in camera sua.

Ma era appena entrata che la porta si riaprì immediatamente, richiudendosi poi dietro James.

“Vattene.” Gli disse acida Lily senza nemmeno voltarsi a guardarlo, ma prendendo la sua valigia e iniziando a riempirla con la sua roba.

“Lily, per favore…”

“Vai a prepararti la valigia.”

“Non la preparo, perché noi non ci muoviamo da qui.”

Non riuscendo a trattenere più la rabbia, la ragazza si voltò. Era rossa in viso, gli occhi luccicavano per l’ira, e i capelli sembrava essere divenuti vere e proprie fiamme. James deglutì nel vederla, e, nonostante la tentazione fosse grande, si impose di non scappare dalla stanza.

Noi domani partiamo da qui e andiamo a casa tua, così tu potrai scusarti di quello che hai fatto con Moody di fronte a me, dopo di che io me ne torno in Scozia e ci rimango – da sola con la mia famiglia- fino a quando non sarò costretta a scendere di nuovo a Londra per il corso da Auror.

James deglutì di nuovo. Basta, se si faceva vedere in difficoltà lei non avrebbe fatto altro che continuare a sovrastarlo. Doveva cercare di fronteggiarla.

“Perché te la sei presa così tanto?! Non ha senso! Era uno scherzo innocente!”

No, non era uno scherzo innocente, altrimenti mi sarei limitata a mollarli quattro ceffoni! Non era uno scherzo innocente James, e questo non riesci ancora a capirlo.

Qualcuno avrebbe potuto avere bisogno di lui. Ma Malocchio non sarebbe potuto accorrere perché gli mancava un piccolo particolare: l’occhio! E sai bene quanto i sensi siano necessari per affrontare i Mangiamorte.

 

James rimase spiazzato da quelle parole. Continuò a fissare Lily, mentre la consapevolezza di quella realtà lo faceva sentire profondamente in colpa.

Come poteva essere stato così stupido?! Come aveva potuto compiere un errore così grande? Aveva messo in serio rischio la vita di un sacco di innocenti. E se a qualcuno di loro fosse successo qualcosa, lui ne sarebbe stato il colpevole. Perché lui aveva impedito che uno dei miglior Auror, anzi il migliore in circolazione, li proteggesse.

La rabbia prese il posto nel suo cuore. Perché era così…infantile? Perché si comportava sempre come uno sciocco bambinetta dispettoso? Perché non riusciva a crescere? Ora capiva perché Lily era così furiosa con lei. La capiva, e l’appoggiava completamente.

“Infantile. Stupido e infantile, ecco cosa sono. Mi dispiace di averti deluso, Lily. Fai bene a starmi alla larga.” Balbettò, uscendo dalla stanza.

“No, basta così.” Queste parole lo bloccarono. E il tono dolce e comprensivo con cui erano dette lo toccò nel profondo. Cos’era successo? Si era perso qualcosa? Cosa significava ora basta?!

Si voltò. Il rossore nel viso della ragazza si era leggermente placato, e gli occhi, seppur sempre lucidi, ora sembravano tranquilli.

“Basta...così?!”

“Sì, basta così. Non sarà necessario evitarti. Hai capito. Hai capito tutto e hai imparato la lezione. La colpa che ti senti è una punizione emotiva già abbastanza grande, che non necessita di una mia punizione fisica.”

“Mi…perdoni?!” Chiese interrogativamente lui.

“Devi porgere le stesse scuse anche al diretto interessato: Alastor Moody.

Per quanto mi riguarda…non sono orgogliosa di quello che tu hai combinato, e il fatto che abbia capito il tuo errore non servirà certamente a bilanciare la gravità della tua azione. Ma io non sono qui per giudicarti, o non solo per quello… sono qui soprattutto per darti una mano a fare la cosa giusta. Per darti fiducia.

E mi fido del fatto che tu non farai mai più. Dunque sì, ti perdono!”

 

James, lentamente, sorrise, e Lily fece lo stesso. Si guardarono intensamente, a lungo.

“Tu mi hai fatto capire che nella vita non c’è solo il dovere. E io sono qui per farti capire che non c’è nemmeno solo il piacere.”

“Allora, insieme siamo una coppia davvero fantastica!” Disse James, allargando ancor più il suo sorriso.

“E già!” Rispose lei, abbassando lo sguardo e arrossendo nelle guance.

James si avvicinò, sempre sorridente, a lei. Le accarezzò delicatamente una guancia, mentre lei tremava al solo contatto del suo dolce tocco.

“Mi piace quando arrossisci per me…non a causa mia, ma solo e semplicemente per me.” Le disse, sollevandole con l’indice il mento e guardandola negli occhi.

Non guardandola. Perdendosi nei suoi occhi. Era incredibile la sensazione di vertigini che lo invadeva ogni volta che lei lo fissava con quegli scintillanti occhi color smeraldo. Così limpidi, così profondi, così infiniti… e tutti per lui.

Si chinò leggermente, e la baciò. Ben presto lei gli circondò il collo con le braccia, e lui, provocato da quel contatto, la spinse ancora più verso di se, stringendo le mani intorno ai suoi fianchi.

La morbidezza del suo corpo, la sua vicinanza, non fecero altro che aumentare la sua passione. E, senza nemmeno pensarci, la spinse verso il letto, senza che lei opponesse alcuna resistenza.

 

Quando aprì gli occhi, Lily vide il volto di James sopra di lei, mentre il corpo di lui aderiva perfettamente al suo. Era così bello sentirlo sopra di se, così piacevole…

Lui le accarezzò ancora una volta il viso, sorridendole mentre le fissava i verdi occhi, e pronunciando in un soffio il suo nome. La baciò ancora una volta, distruggendole completamente qualsiasi capacità intellettiva che le era rimasta dopo l’impeto precedente. Poi però si scostò, di malavoglia, lasciandola con un senso di vuoto dentro.

“Scusami… è meglio che vada ora.” Disse lui. “Non credo riuscirei a trattenermi.” Aggiunse poi, con uno strano senso di colpa che si poteva percepire perfino nel tono della voce.

Lily gli sorrise. “Grazie perché mi rispetti. Ma non ho più problemi, non preoccuparti. Io mi fido di te. Sarai pure duro di comprendonio, e alle volte davvero sciocco, ma… cavoli, James Potter, ti amo così come sei!”

James, a sentire quelle parole, ebbe la lieta sensazione che due ali gli fossero cresciute sulle spalle, permettendogli di volare libero ovunque volesse andare.

“Mi ami?!” Le chiese, con gli occhi che gli brillavano per la felicità, come un bambino… così puramente, innocentemente, veramente.

“Sì!” Disse Lily, ridendo per la sua reazione. Anche James scoppiò a ridere, per la gioia, interrompendosi ogni tanto per baciare passionalmente il suo tesoro.

“Tiamotiamotiamotiamotiamotiamo!” Le disse poi James, tutto d’un fiato, ed entrambi scoppiarono di nuovo a ridere.

 

 

Remus cadde seduto sulla poltrona, mentre le lacrime iniziavano a scorrergli lungo il viso.

“Perché tutto questo?! Perché diamine sta accadendo tutto questo?!” Sibilò, non riuscendo a tenere un tono di voce decente per via del dolore che provava.

Sirius fu colpito da quelle parole. Già, perché stava succedendo tutto quello? Perché ad un certo punto il destino aveva preso una svolta così devastante per tutti? Perché? Perché centinaia di persone erano costrette a soffrire, senza causa alcuna, in quel modo atroce? Perché stava succedendo tutto quello? Che necessità c’era?

Ripensò a Solaria, e poi a Riddle. Erano stati creati- si, proprio creati – dal destino semplicemente per essere uno l’antidoto all’altro.

Ma che necessità c’era di fare tutto quello? Che bisogno c’è di fare un nodo su una corda, se poi lo si scioglie subito dopo?

Perché tutto deve cambiare affinché nulla cambi? Non ha senso.

E se il destino non ha senso, non ha senso nemmeno la vita, che da lui viene guidata. Non ha senso niente.

 

Niente…

 

Sì sentì svuotato. Non ha senso, niente ha senso… Ma poteva essere davvero così? Possibile che fosse stato creato tutto senza un senso?! No. Nemmeno lui poteva accettare una cosa del genere. Non era possibile.

Solaria: Solaria esisteva per un motivo ben preciso, che non era solo quello di distruggere Voldemort. Non era solo quello, se no non sarebbe stata ciò che è.

Solaria era lì anche per illuminare l’esistenza di tutti coloro che la circondavano, primo fra tutti lui. Se lei non ci fosse stata, lui cosa sarebbe divenuto?

Pensò subito a Malfoy. Arrogante, egocentrico, egoista, superbo, narcisista, annoiato dalla vita da cui aveva avuto tutto, e che pertanto seguiva degli ideali con il solo scopo di movimentarsi un po’ l’esistenza. Che cosa aveva di diverso da lui? Esattamente niente. Nulla. Anzi, in un certo qual senso era addirittura peggio di lui: perché lui, Sirius Black, per movimentarsi la vita aveva scelto di allontanarsi dalla sua famiglia, così patetica, così noiosa, così seguace di idee di purezza e orgoglio della razza magica che non avevano né capo né coda, e si era aggrappato a delle figure, che poi lo avevano considerato loro amico.

Ecco, lui sarebbe divenuto peggio di Malfoy. Sarebbe divenuto un vero e proprio mostro senza di lei.

Guardò il ragazzo seduto davanti a lui, che piangendo dava finalmente sfogo a tutto il dolore che aveva dentro. Ma non era un pianto liberatorio, o no… era un pianto devastante, un pianto che lo annientava da dentro. Un pianto che esprimeva il senso di soffocamento provocato dalla vita infernale che stava vivendo: devastamento dovuto al dolore per la morte di persone a lui care; al costante e opprimente pensiero di non vedere la luce del domani; alla consapevolezza di non poter fare nulla per proteggere se stesso e i suoi amici.

Piangi Remus, sì, piangi… piangi come io feci quando seppi che l’unica luce della mia vita si sarebbe poi spenta, lasciandomi nell’oscurità più totale. Piangi Remus. Vorrei farlo anch’io ma non ci riesco più. Non riesco a piangere. Non ci sono mai riuscito, d’altronde. Non per nessuno che non fosse me stesso… non per nessuno che non fosse la luce che mi permette di vivere.

Le mie lacrime sono riservate ad una sola persona, per cui le ho versate già tante volte, e per cui continuerò a versarne, fino a non lasciare una goccia d’acqua nel mio corpo. Piangerò per lei fino a svuotarmi di ogni essenza vitale.

O non piangerò affatto, perché avrò dimenticato la sua esistenza quando lei se ne andrà.

Piangi Remus. Piangi anche per me, che sono così egoista da non riuscire a provare un vero e profondo dolore per altri che non siano me.

 

Un pugno in volto ben assestato lo fece risvegliare dal torpore in cui era caduto senza rendersene conto.

Sbalordito, e anche piuttosto arrabbiato, Sirius si voltò a guardare Remus che, in piedi davanti a lui, lo fissava adirato, rosso il volto per il pianto.

“Smettila!”

“Di fare cosa?! Tu dovresti smetterla di fare il pazzo!” Gridò Sirius, con tono di minaccia.

“Cosa pensi, che non sappia cosa ti passa per la mente? Pensi che non sappia che razza di pensieri hai in quella tua testaccia maledetta?! Ti conosco troppo bene, Sirius Black, per non capire una cosa così semplice!”

“E cosa, di grazia?!” Sirius gli lanciò uno sguardo di sfida. Cosa poteva saperne lui? Ma cosa voleva?! Non era niente!

 

Nella stanza calò il silenzio.

“Sei un fesso se pensi davvero di essere così ignobile.”

 

Sirius sbarrò gli occhi. Che… che cosa aveva appena detto?! Che cosa aveva appena detto Remus?

“Sorpreso che sia riuscito a fare centro? Non lo saresti, se avessi capito che noi siamo davvero tuoi amici. E ti capiamo.

Abbiamo capito che tutto ciò che ti accadeva intorno ti stava distruggendo. Primo fra tutti l’odio verso una famiglia di cui non condividevi idee, costumi e tradizioni, che non faceva altro che tentare in tutti i modi di rovinarti la vita, e che ti ritrovavi sempre in mezzo ai piedi. Poi il dolore per la stupida consapevolezza di essere sempre stato causa di male per coloro che ti circondano. E, ancora, il senso d’impotenza dato dalla situazione di Solaria.

Io e James abbiamo tentato di aiutarti, varie volte, ma inutilmente. Tu ti allontanavi sempre più da noi, se non fisicamente, psichicamente. E quando ci capitavano situazione dolorose, ti rifugiavi nella tua mente, usando quello scudo di gelida indifferenza verso quel mondo che ti feriva così profondamente. Non volevi soffrire anche per gli altri, non ce la facevi, era troppo per te.

Ci metterei la mano sul fuoco che Solaria è riuscita a distruggere quello scudo. Questa è una sua dote, riesce sempre a dominare completamente le persone a cui è cara- disse con un sorriso – e tu la ami.

Ma noi non abbiamo tale capacità. Noi siamo comuni esseri viventi. Ci siamo dovuti fermare alla pura consapevolezza del tuo stato interiore, senza poter fare nulla per cambiarlo, o per farti capire che puoi cambiarlo.

Ora però sono stanco, e dato che tu non ti rendi ancora conto della tua stupidità, te la faccio notare io.

Tu non vuoi provare dolore, e ti chiudi in te stesso per proteggerti. Poi però capisci che questo non è giusto nei confronti delle persone che ti circondano, e allora ti senti un meschino, e pensi di essere una persona spregevole, un essere che in fondo non ha mai provato veri sentimenti, e per cui gli altri sono solamente degli appigli da utilizzare quando se ne ha bisogno.

Ha senso tutto questo? Ha senso questo modo di agire, Sirius?”

 

Sirius, immobile davanti a lui, con gli occhi grigi terribili come tempeste puntati su Remus, lo fissava duramente. “No, non ha senso. Però, dato che tu sei così portato per lo studio della mia psiche, mi saprai dire in quale altro cazzo di modo dovrei agire, Remus Lupin.”

                  

 

Non so a che limite sarebbero giunti quella sera; anche se, presumibilmente, limiti non se ne sarebbero posti… Ma ci fu qualcosa che richiamò la loro attenzione: delle grida. E non grida qualunque: quelle che sentirono erano proprio grida di rabbia, e provenivano dai loro amici al piano inferiore. James e Lily, dopo essersi lanciati uno sguardo d’intesa, capirono che era meglio andare a vedere cosa stava succedendo. Cavoli, non era nemmeno da mezz’ora che li avevano lasciati, e già avevano trovato modo di movimentare la serata! Che cosa poteva aver provocato quelle urla, così cariche di astio?

 

Remus scosse la testa. “Non ti chiedo di caricarti anche del nostro dolore. Ti chiedo di smetterla di crederti un essere così ignobile, perché, a lungo andare, rischieresti anche di diventarlo.”

“Non ci riesco.”

“Provaci, diamine!”

“Questo sono io, Remus, non posso cambiare una parte di me.”

“Questo parte non ti appartiene davvero! E tu devi liberartene! Fallo per te stesso, se non puoi farlo per noi!”

“E’ per me stesso che sono così, per nessun altro.”

“Cavoli Sirius… perché?! Diamine…” Gridò Remus, portandosi una mano al capo disperato.

“Remus, forse sei arrivato troppo tardi… magari io sono già divenuto quella persona ignobile che tanto temevo di essere.”

“Non ci credo. A parte il fatto che tu non sei una serpe, ma ci sono le prove che dichiarano che tu stai dicendo solo un mare di frottole: tu ti sei comportato da vero amico quando hai saputo… quando hai saputo della morte dei miei genitori. Mi hai abbracciato, mi hai consolato, mi sei stato vicino. E hai scelto di venire qua ad aiutarmi.”

“Magari mi sono comportato così semplicemente perché andava a mio vantaggio. Semplicemente perché sapevo che ci avrei guadagnato: in fondo, non ho altro luogo in cui andare.”

“Queste parole non ti appartengono, Sirius.”

“Eppure sono io a pronunciarle.”

“Posso dire di essere un orso, ma questo non significa che sia vero.” Gli rispose Remus. “L’indifferenza, la malvagità, l’opportunismo, l’iniquità… non è un buon modo per nascondersi dal mondo circostante, Sirius.”

“Non me ne sbatte un corno, è l’unico che ho al momento… non ce la faccio più… non ha più senso ciò che accade.”

“E tu cosa ne puoi sapere? Non vedi il futuro, non sai come le cose andranno a finire.”

“Una somma di zeri non può che dare zero. E se finora le cose non hanno avuto senso, e pare che non ne abbiano nemmeno in futuro, significa che in collusione niente ha senso.”

“Non essere così matematico. La vita non è una somma di addendi, la vita è molto di più.”

“La vita non è niente… soffro fin dalla nascita, eppure la vita non fa altro che continuare a bastonarmi, portandomi via le persone che mi stavano accanto. Beh, io ho deciso di fare un passo davanti a lei: sarò io il primo a lasciare le persone che mi circondano, così lei non mi potrà fare soffrire.”

“E con Solaria, come la metti?”

“Oh… per quello ha già vinto la vita.” Disse con estrema amarezza Sirius, facendo storcere il naso a Remus.

“Io non so… non ha senso quello che dici! Cavoli, ma nemmeno il pensiero di Solaria, nemmeno il pensiero che, presto o tardi, tutte queste sofferenze finiranno grazie lei riesce a farti cambiare idea?!”

“Io non voglio che finiscano, Remus.”

Lunastorta, sempre più perplesso, fissò l’amico in silenzio. “Che...che vorresti dire? Che non vuoi che ritorni la pace?”

“Il giorno in cui tornerà la pace, io la perderò.”

Remus non ci capiva più niente. Ma di che diavolo stava parlando l’amico? Il giorno in cui tornerà la pace, io la perderò… la perderò. Chi? La pace? O… oppure…

“Questo discorso idiota comunque ci ha distratto dal nostro compito.” Disse Sirius, prendendo in mano la lettera. “Andiamo da loro. E diciamoglielo.”

 

“Cosa ci dovreste dire?” Chiese James, comparendo nella veranda preso per mano a Lily, che invece chiese loro: “Perché stavate gridando in quel modo?”

Nella stanza cadde il silenzio. Poi Sirius, con calma invidiabile, passò la pergamena nelle mani di James, che lo guardò con gli occhi pieni di dubbio.

Ramoso aprì con rapidità la pergamena e, insieme a Lily, la lesse.

 

La reazione non tardò. Lily, senza dire nulla, gettò le braccia intorno al collo di James, mentre lui si lasciava andare in quell’abbraccio consolatorio, piangendo tutte le lacrime che aveva dentro.

Ben presto anche Remus, con le lacrime che gli scendevano sul viso, andò ad abbracciare l’amico, a consolarlo come solo una persona cara può fare.

 

Sirius invece, dall’alto della sua testardaggine, rimase a guardare la scena, fermo, immobile ed impassibile come solo lui poteva essere capace di essere: perché lui era un mostro, e voleva dimostrarlo a tutti quanti.

 

Poi però accadde una cosa strana. James, rosso in viso e con gli occhi che erano due pozzanghere di dolore, si liberò gentilmente dagli abbracci dei due amici, e si mise a fissare il ragazzo che stava davanti a lui.

Sirius, anche se esteriormente pareva continuasse ad essere calmo e distaccato, nel suo cuore iniziò a tremare.

Perché James lo stava guardando così? Sì, ma così come? Che sguardo era quello? Cosa…cosa significava? E perché gli faceva venire i brividi?

E perché ora si avvicinava, che intenzioni aveva?!

 

“Ti voglio bene Sirius. Ti voglio bene.” Gli disse James, pochi istanti prima di abbracciarlo.

La fortezza che aveva costruito intorno a sé cadde rovinosamente, distrutta dal suo cuore che aveva ripreso a battere nel suo petto.

Ricambiò l’abbraccio con enfasi, mentre una piccola lacrima gli rigava il viso.

James Potter, non esisterà mai nessuno come te.

 

Sciolto l’abbraccio, guardò finalmente in faccia i suoi amici. Remus sorrideva, mentre Lily, ancora con le lacrime agli occhi, gli faceva un cenno d’assenso col capo, come per dargli il bentornato.

 

 

I funerali dei coniugi Potter furono celebrati a Londra tre giorni dopo, all’interno del cimitero magico inglese.

Non ci furono molti presenti, soprattutto perché la maggior parte degli amici e conoscenti dei Potter era impiegata nel Ministero, specialmente nel ruolo di Auror. E, in quel momento, nessuno poteva perdere tempo in faccende differenti dai propri compiti, anche se queste riguardavano il dare l’ultimo saluto a due cari amici.

James Potter, affiancato dalla sua ragazza e dai suoi amici, guardando con le lacrime agli occhi la bara dei genitori che lentamente veniva calata sottoterra, pronunciò l’ultimo addio ai genitori: due semplici frasi che contenevano una promessa, una minaccia, una vendetta, e che fecero vibrare l’aria circostante col loro sapore profetico.

Due frasi che il Destino segnò nella sua ruota, continuando a farla girare nel suo modo perverso.

 

Voldemort vi ha ucciso, Voldemort ha fatto bere alla terra il vostro sangue innocente. E lui, che mi sia testimone Iddio, perirà soffocato da quello stesso sangue.

 

 

Silente, che aveva preso parte alla cerimonia, nonostante fosse lontano dai ragazzi riuscì a percepire quelle parole. E qualcosa, dentro di lui, lo fece temere.

Il Destino è un cavallo selvaggio, è vero. Ma quando gli vengono poste due briglie intorno al collo, si rabbonisce e segue i comandi che gli vengono imposti.

Li segue, però, in un modo tutto suo: un modo perverso, maligno, malefico, funesto molte volte, quasi sempre crudele e spietato.

Stai attento a quello che desideri, perché potresti anche ottenerlo.” Furono le parole che il vecchio preside di Hogworts pronunciò fra se e se pochi attimi prima di scomparire nel nulla smaterializzandosi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Inizia il lavoro! ***


“Buongiorno a tutti, ragazzi

“Buongiorno a tutti, ragazzi!

Mi fa piacere vedere che siete arrivati tutti puntuali. Come sapete la precisione è una dote molto pregiata, e assai gradita dalla sottoscritta, e dopo la giornata di oggi oserei sperare che ogni giorno che trascorreremo insieme inizi allo stesso modo. Al contrario dell’anno scorso che, per quanto ricordo, è passato in modo assai differente…

Naturalmente spero anche che questa vostra puntualità sia indice di una nuova, grande dedizione allo studio della mia materia… Bene- aggiunse poi la professoressa, vedendo le facce annoiate dei suoi allievi del secondo anno- mi resta ancora una piccola premessa da fare.

Quest’anno farà tirocinio nella vostra classe un promettente futuro professore – nonché uno dei miei migliori alunni-, Remus Lupin. Passerà con noi ogni lezione, e a fine anno avrà il compito di impostarvi e seguirvi durante una verifica finale.”

Disse la Professoressa McGranitt, indicando il giovane ragazzo biondino in piedi al suo fianco, leggermente imbarazzato di essere il centro dell’attenzione di quei piccoli marmocchietti.

“La ringrazio per la sua gentilezza, professoressa McGranitt… Per quanto riguarda la classe, spero che faremo presto conoscenza…”

“Non ci contare, non ci tengo ad avere rapporti con un Lupo Mannaro.” Disse la voce di un allievo. Nella classe cadde subito il silenzio, e gli occhietti degli alunni iniziarono a vagare nervosi prima su Remus, che era arrossito visibilmente per l’imbarazzo, poi su un ragazzetto dai capelli neri e dal viso superbo su cui aleggiava una chiara nota di malizia, e che aveva appuntato sul petto la spilla dei Serpeverde.

“Signor Kroik…” Iniziò la McGranitt, rossa per l’imbarazzo e per la rabbia. Ma la sua frase fu fermata da un grido disumano che partì dal lato opposto della classe. Tutti si voltarono per capire cosa stava accadendo, in tempo per vedere una ragazzetta dai capelli blu elettrico scagliarsi come una furia su Kroik, che si accorse in ritardo del pericolo che incombeva su di lui e non riuscì dunque a proteggersi dall’intensa terapia di pugni allo stomaco a cui la giovane lo sottopose, probabilmente per fargli sputare tutto il veleno che aveva dentro…

Remus la riconobbe immediatamente: Tonks. Non l’aveva notata appena entrato in classe, doveva essere davvero in soprappensiero per non essersi reso conto di quella testolina blu che stava tentando in tutti i modi di attirare la sua attenzione. Ma ora… beh, ora era meglio bloccarla prima che la McGranitt la espellesse da Hogworts!

Corse fra i banchi della classe, seguito dalla professoressa, e prese per le spalle Tonks allontanandola dal suo povero ‘paziente’, che oramai aveva quasi perso conoscenza. Ma non riuscì ad impedire che questa, impugnata la bacchetta, gettasse un’ultima e decisiva fattura sul suo nemico.

Purtroppo però, con grande sbalordimento di tutti, la fattura sbagliò destinatario e andò a colpire… la… professoressa… McGranitt…

La donna, sentendosi la faccia piena di centinaia di fastidiosi, nonché dolorosi, piccoli brufoli rossi, iniziò a guardare torvo Tonks, che si era improvvisamente calmata fra le braccia di Lupin, e ad inspirare profondamente dal naso, come fa un toro prima di lanciarsi contro il suo provocatore.

SIGNORINA TONKS, LEI RIMARRA’ IN PUNIZIONE PER TUTTO IL MESE DI SETTEMBRE!” Gridò poco dopo la McGranitt con quanto fiato aveva in corpo (e ne doveva avere davvero tanto, tanto, tanto…). “ED ORA VADA SUBITO VIA DALLA CLASSE! FUOOOORIIIIIIIIIIIII!

Remus, sentendo Nimphadora completamente passiva fra le sue braccia, e vedendo che la professoressa iniziava ad infuriarsi ancora di più, con uno strattone trascinò la ragazzina fuori dalla classe, chiudendo poi la porta dietro di se.

Arrivato nel corridoio, la fece sedere sul davanzale della finestra, guardandola preoccupato in viso.

Dora, finalmente lontana dalle urla assordanti e intontenti della professoressa, parve riprendersi ed iniziò a scuotere la testa per liberarsi dall’apatia in cui era caduta.

Pochi secondi dopo mostrò uno splendido sorriso sul visino birichino e, con la voce più allegra che aveva, disse:

“Ciao!”

“Ciao Tonks! Già nei guai dal primo giorno di scuola, eh? Non c’era bisogno che te la prendessi tanto!”

“Quel Kroik è una testa di cipolla tremenda, gliel’ho detto un sacco di volte di non fare l’idiota, che prima o poi mi avrebbe fatto incavolare, ma non mi ha voluto dare retta! Peggio per lui, spero che gli rimanga la nausea per il resto della sua vita!”

“Ehi ehi ehi, senti un po’ che lingua lunga che ha la nostra piccola malandrina!” Disse Remus, divertito. “Mi sembra di sentire tuo cugino!”

“Oh, grazie!” Disse lei, tutta orgogliosa.

“Mmm, non essere così contenta! Adesso come farai con la professoressa? Ti sei beccata un mese di punizione!”

“Oh, per quello- fece una pernacchia, scotendo la testa in segno di indifferenza- stai tranquillo, ne sono abituata!”

Remus la guardò, sempre più divertito. Quella bambina era una vera catastrofe! “Come sarebbe a dire, ne sei abituata?!”

“Beh, l’anno scorso sono stata in punizione per non so quanto tempo dopo tutti i guai che ho combinato! Mi pare che su nove mesi di scuola, circa quattro li abbia passati assolvendo qualche castigo… o quattro e mezzo?! No, forse erano cinque… caspita, non me lo ricordo!” Esclamò, facendo una smorfia che evidenziava la confusione che aveva in quella testolina buffa.

Lunastorta la guardò teneramente: povera piccola, non era colpa sua se era così imbranata, non lo faceva apposta, non ne poteva proprio fare a meno, eppure c’erano persone che continuavano a prendersela con lei per questo. Senza capire che così facendo la ferivano nel profondo, perché la facevano sentire sbagliata.

“Mi dispiace, piccola birba.” Le disse. A quelle parole, la maschera buffa nel volto di Tonks lasciò lo spazio ad un'altra, di stupore.

Lui la capiva.

Era la prima volta che qualcuno riusciva ad andare oltre le facce buffe che lei faceva per nascondere i suoi veri sentimenti, e le leggeva così apertamente l’animo. Già, era la prima volta che qualcuno non la derideva per i guai che inconsapevolmente e involontariamente combinava.

Remus Lupin. Sapeva che lui era un malandrino tutto speciale, perché era buono, non combinava sempre guai come gli altri, e aveva degli ottimi voti a scuola. E poi, era sempre stato tanto dolce con lei! Ma non aveva mai pensato che lui l’avesse capita così a fondo. Pensava che la considerasse semplicemente come ‘la piccola birba’, la tremenda cuginetta di Sirius a cui piaceva cambiare il colore dei capelli a seconda della minestra che aveva sul piatto.

“Grazie Lunastorta. Sei molto gentile!” Gli disse, mostrandogli uno dei più grandi e sinceri sorrisi che fosse capace a fare.

“Non è gentilezza! Noi due siamo amici, no?”

“Certo che sì! Siamo due malandrini! Va beh, io sono una malandrina giovane, tu invece sei un malandrino vecchio! Accipicchia però! Sai cosa mi è venuto in mente? Che io sono una malandrina sola! Non ho un gruppo! E come faccio a fare le malandrinate da sola? Non ha senso! Mi devo cercare dei compagni!”

In quel momento attirò la loro attenzione la porta della classe, che si aprì facendo uscire un ragazzino dolorante, che si diresse immediatamente verso l’infermeria senza nemmeno voltarsi a guardarli. Ninfa gli rivolse un fugace sguardo schifato, per poi voltarsi di nuovo da Remus e sentire ciò che lui aveva da dirle.

“Beh, penso che adesso avrai abbastanza tempo libero a tua disposizione: esattamente una giornata priva di lezioni, dato che laMcGranitt ti ha appena cacciato dalla classe. Potresti usarla per cercare i tuoi colleghi!”

“Già, e devo farlo in fretta, perché ho intenzione di dare una bella lezioncina a quella canaglia di Kroik!”

“No, aspetta… Tonks, calmati, lui lascialo perdere, non ti ha fatto nulla!”

“Sì invece, ha insultato un mio amico!”

“Un tuo amico che è abbastanza grande da potersi difendere da solo!”

“Pfiu, questi sono solo dettagli!”

“Tonks, per favore!”

“Ma dai, Kroik mi ha rotto le scatole così spesso che questa è stata solamente la goccia che ha fatto traboccare il vaso! Mi chiama Sanguesporco, mi chiama Ibrida, mi chiama Rinnegata, ed ora mi sono davvero rotta le palle di lui.” Disse lei con amarezza. Remus la guardò, incapace di dire qualunque cosa: sapeva quanto facesse male sentirsi dire tutte quelle cose. Era il modo più semplice e cattivo di far capire ad una persona che non era nulla, che sarebbe stato meglio che non fosse mai nata talmente era sbagliata. Farla sentire uno schifo, insomma.

“Secondo te mi stanno bene i capelli blu?” Remus rimase spiazzato dalla domanda. Incredibile quanto quella bambina somigliasse a Sirius da piccolo! Come lui, Tonks non riusciva a parlare seriamente per più di cinque minuti, la tentazione di passare a futilità era sempre troppo grande…

“Beh, sì, non sono così male…” Balbettò lui piuttosto in imbarazzo.

“Stamattina stavo pensando seriamente di farmeli celesti, ma…”

La porta della classe si aprì, ed apparve sulla soglia una McGranitt piuttosto spazientita, che squadrando in modo poco rassicurante Remus, gli chiese:

“Signor Lupin, si è forse scordato il motivo per cui lei è qua?!”

“No, mi dispiace, io…” Iniziò a balbettare Remus, preso alla sprovvista. Caspita, e ora cosa le diceva? Che idiota che era stato a lasciarsi trascinare da quella furia blu elettrico senza ricordarsi che lui era lì per lavorare… non per chiacchierare con gli amici.

“Il signor Lupin mi ha convinto ad andare a chiedere scusa a quella serpe di Kroik, ed ora mi sta accompagnando in Infermeria… perché, ovviamente, non si fida di lasciarmi da sola con lui… pfiu, questi adulti! E meno male che ci chiamate giovani di belle speranze… come potremmo essere giovani di belle speranze se nemmeno vi fidate di noi, io non lo so… vi contraddite sempre!” Disse Tonks, saltando giù dal davanzale della finestra e dirigendosi verso l’infermeria, seguita da un Remus sempre più stupito.

Quando poi il ragazzo passò davanti alla professoressa, questa lo guardò piena d’orgoglio e gli fece i complimenti per il buon lavoro svolto.

 

“Sei un’ottima attrice, nonché un vero e proprio genio, Tonks! Complimenti!” Le disse poi una volta rimasti soli per i corridoi.

“Tse, lascia stare! Sono solo abituata a scenate di questo genere, e se non menti, qui non campi!”

“Mi sembra di sentire tuo cugino…”

“Come sta il caruccio Sirius?!”

“Oh, bene. E’ a Londra con Lily e James, per il corso da Auror. Da quanto ho saputo, James è il migliore.”

“E te ne stupisci anche?! Se riesce ad affrontare Lily Evans, è capace perfino di distruggere un intero esercito di Mangiamorte!” Disse Tonks, scoppiando a ridere, e Remus non poté fare a meno di imitarla, sapendo bene quanto quelle parole in un certo senso fossero veritiere…!

“E Solaria?”

“Noi non ne sappiamo niente, lo sai.”

“Come? Sirius non ha ancora aperto bocca?”

“No… ogni tanto dice strane cose, che non si capisce se siano riferite a lei o… o a chissà cosa. Però, di Solaria non dice nulla, se non che le manca.”

“E’ triste?”

“Molto.”

“Poverino. Io non mi innamorerò mai, non voglio soffrire!” Disse sicura la bimba.

“Ma sei ancora così piccola, non c’è bisogno che pensi già a questo! Vedrai che crescendo cambierai idea!” Disse Remus, divertito.

“Nemmeno per sogno. Perché dovrei perdere la testa per qualcuno che è estraneo a me? Io ho già me stessa a cui pensare, e devo dire che è una grande faticaccia visto i casini che combino ogni cinque secondi… non voglio pensare anche ad altri! Gli amici però li voglio, sì! Perché a quelli non devo prestare molta attenzione!”

“E che razza di modo di pensare sarebbe questo?! Agli amici ci devi tenere come a te stessa, piccola birba!”

“Ah sì?!” Fece lei, assai sorpresa.

“Certamente!”

“Bene! Allora non voglio più nemmeno amici! Dunque tu non sei mio amico, capito?”

“O…Ok!” Balbettò Lunastorta, tentando di trattenere le risate. Ma che diavolerie stava dicendo quel tappo che le camminava al fianco?!

“Sei solo un conoscente per me. Però io per te sono un’amica, ok?”

“Come sarebbe a dire?!”

“Mi piace essere considerata un’amica!”

“Dunque… non vuoi amici però vuoi essere amica?”

“Sì! Così è più facile!”

“E già…” Bisbigliò Remus: sapeva bene che, seppur lei pensava queste cose, nella realtà la situazione era ben diversa. Tonks nei suoi pensieri si vedeva dura, forte, severa, intransigente, ma nella realtà era una ragazzina dolce, socievole, simpaticissima e con una incredibile inclinazione per i guai. Un vero e proprio tesoro, insomma.

Piccola birba, spero che tu rimanga sempre così… spero che nessuno ti rovini la vita costringendoti a divenire uguale a quel cugino a cui tanto assomigli e che tanto apprezzi…spero che tu possa continuare ad essere felice.

 

 

Tutti gli apprendisti Auror alloggiavano in un grande edificio, nei pressi di King’s Cross Road nella Londra babbana, dove ciascuno aveva un piccolo appartamentino privato da dividere con altri due colleghi.

Naturalmente, Lily, James e Sirius erano insieme, e questo, sebbene da un punto di vista fosse assai positivo, da un altro, lo era molto meno…

 

Lily si svegliò di malavoglia dal letto in cui stava. Aveva passato una notte splendida e tremendamente passionale fra le braccia del suo amato James, e ora si stava gustando un meritato, nonché necessario, riposo.

Ma qualcuno, di cui lei sospettava l’identità, continuava a bussare incessantemente alla porta della loro stanza.

“James…” Mugugnò, ancora insonnolita.

“Mmmh?!” Fece lui, nella sua stessa condizione.

“…chi diamine è?”

“Non lo so… “ E così dicendo si alzò in piedi, completamente nudo, e senza prendersi la briga di coprirsi andò ad aprire la porta.

“Buongiorno…” Disse, a chiunque gli stesse davanti, sbadigliando sonoramente.

“Sono le otto e quarantacique, Ramoso, e tu sei ancora completamente nudo e del tutto addormentato?!” Gli gridò un Sirius piuttosto alterato.

“Ciao Sirius.” Fu tutto quello che lui disse prima di sbattere la porta in faccia all’amico e andare a coricarsi di nuovo vicino a Lily.

“Che ha detto?” Chiese quella, così afflitta dal sonno da non essere riuscita a cogliere nemmeno un frammento della loro breve conversazione.

James sbadigliò di nuovo, poi le disse: “…che sono le otto e quarantacinque”

 

Nella stanza cadde il silenzio totale. E fu grazie a quell’atmosfera di calma che i due riuscirono finalmente, nonostante il sonno, a fare due più due e capire in che casino si trovavano.

“Le otto e quarantacinque?!” Gridarono contemporaneamente, alzandosi di scatto dal letto e dirigendosi di corsa verso il bagno.

 

 

Sirius aspettò altri dieci minuti davanti alla stanza, ossia fino a quando la porta non si riaprì e sulla soglia apparvero i suoi amici… Appena li vide, l’ira che già gli era nata dentro a causa del ritardo con cui lo costringevano ad andare all’addestramento aumentò ancora di più e, divenendo rosso come il fuoco, gridò loro:

“Vi siete messi le divise l’una dell’altro, idioti!”

Quei due, che purtroppo erano ancora sconvolti per essere stati svegliati in maniera così brutale dal loro piacevole sonnellino, si squadrarono per un attimo da capo a piedi, arrossendo vistosamente. Poi rientrarono dentro e ne uscirono poco dopo ciascuno con la propria divisa.

“Siete dei cretini! Possibile che non riusciate mai a svegliarvi in orario?! Per colpa vostra arrivo sempre in ritardo!” Gridò loro Sirius.

“Beh- gli fece notare un calmissimo James, mentre sbadigliava e si stiracchiava a dovere- jawn!… potresti anche andare da solo…mmh..! Sì, così va molto meglio!”

Un lampo maligno passò negli occhi di Sirius, mentre il suo volto diveniva troppo improvvisamente calmo. “Questa era tutta gentilezza, James. Ma se proprio ci tieni, le prossime volte non vi aspetterò…”

“Sì…bravo!” Disse James, prendendo la bacchetta che aveva lasciato nel tavolo della cucina.

“… e risponderò con perizia di particolare a chi mi chiede perché diamine siete in ritardo!” Gridò l’ultima parte, ritornando d’improvviso furioso come una belva.

“Beh sì… allora forse sarebbe meglio che incominciassimo a metterci una sveglia, che dici tesoro?” Chiese James a Lily, che stava al suo fianco tentando di svegliarsi.

“Sì… va bene!” Rispose lei, con noncuranza.

“Bene, ora si presume possiamo andare!” Gridò Sirius, ancora incavolato. E, tutti insieme, con un leggerissimo ‘pof’, si smaterializzarono nella sede degli Auror, dove avrebbero dovuto iniziare, alle nove in punto, il loro quotidiano, faticoso, snervante allenamento.

 

Appena giunti, non fecero in tempo a battere ciglio che un ometto grosso e grasso, dallo sguardo furioso ed un occhio che incuteva terrore solamente a guardarlo, gli si parò davanti. Rimase immobile per tre secondi, poi alzò un braccio e, prendendo Sirius e James per una basetta, iniziò a trascinarli verso il centro della stanza, sotto gli occhi sbigottiti di tutti i ragazzi presenti.

“Cosa vi avevo detto?! Puntualità! La puntualità prima di tutto!”

“Ehm… veramente aveva detto SORVEGLIANZA COSTANTE!” Sbottò James, ma fu costretto a stare zitto quando la presa dell’uomo su quel punto delicato della testa si fece più forte.

“James Potter! Sempre in ritardo, insieme al tuo amichetto! Ma questo sarà l’ultimo ritardo che farete, vi avverto! Al prossimo, vi invio in una jungla equatoriale e lì vi lascio per il resto della vostra vita a combattere con serpenti e gorilla!” Con un ultimo strattone li fece cadere al centro della stanza.

“James, inizia a scavarti la fossa perché oggi io ti ammazzo!” Sibilò Sirius all’amico al suo fianco, il quale era troppo intontito dal dolore per poter connettere il cervello e capire la minaccia che gli era stata appena fatta.

“Non è colpa mia…! Stavo dormendo!”Rispose, dopo aver scosso la testa un paio di volte  e aver ripreso contatto con la realtà.

“Bene, allora siccome la colpa è di quel piccolo particolare anatomico ultimamente in costante eccitazione, ti taglierò quello!” Gli sibilò ancora più furioso Felpato, alzandosi in piedi e facendo rabbrividire il povero Ramoso.

“Signorina Evans, lei non è da meno! Mi sarei aspettato che perlomeno tenesse a bada i suoi amici, ma a quanto pare mi ero sbagliato!” Gridò in quel momento Malocchio, dirigendosi verso la povera Lily che, un poco sconcertata per il sonno e per il guazzabuglio appena accaduto, non sapeva dove caspita voltare gli occhi. Oddio, e adesso che le avrebbe fatto?! Mamma mia, si stava avvicinando sempre di più….

 

Un altro ‘pof’ nella stanza attirò l’attenzione di tutti, ed anche quella di Malocchio. Lily riprese a respirare, quando, finalmente, vide l’ira dell’Auror indirizzata verso qualcun altro che non fosse lei… già… poverini i Paciock! Erano nella stessa situazione di lei e James, completamente addormentati, e sicuramente le urla di Malocchio non erano un buon modo per risvegliarsi…

Moody riservò al giovane Paciock lo stesso trattamento usato per i due Malandrini, strattonandolo per la basetta e mollandolo con poca grazia al centro della stanza… guarda caso proprio sopra Sirius che si ritrovò di nuovo a terra, trascinando nella sua rovinosa caduta anche James che stava dietro di sé.

La stanza si riempì di risolini mal repressi, mentre Lily andava a consolare la giovane ragazza, completamente allibita per l’accaduto.

“CHE SIA L’ULTIMA VOLTA, SONO STATO CHIARO?! CI VUOLE VIGILANZA COSTANTE! NON MI SERVONO DELLE SCHIAPPETTE ANCORA INTONTITE DAL SONNO! UN ALTRO RITARDO E VI CACCIO VIA A CALCI NEL SEDERE DAL CORSO, AVETE CAPITO?!” Gridò Moody, mettendo a tacere tutti quanti.

Dopo aver lanciato un ultimo sguardo infuocato a tutta la stanza, il vecchio Auror iniziò l’allenamento, tirando (ma guarda un po’ che coincidenza) uno schiantesimo addosso al gruppetto dei tre ragazzi che si stavano rialzando, e facendoli nuovamente cadere a terra.

Sirius guardò di sbieco James, mentre quello lì gli rispose con una risatina, tentando di convincerlo, invano, che in fondo non era così grave ciò che stava succedendo.

Ti rompo tutte le ossa, ti scotenno, ti faccio a pezzi e poi ti do da mangiare a Malfoy!” Gli gridò un attimo prima di spostarsi per scansare un secondo schiantesimo.

James deglutì, abbassando la testa per evitare di prendersi uno schiantesimo in piena faccia: “Dai Sirius, non prenderla così male…!”

“Sei tu che la prenderai così male! Fai finire l’allenamento e vedi...- si scansò di nuovo- vedi che diamine ti succede!”

“La volete finire per una buona volta?! Siamo tutti nella stessa barca!” Gridò Paciock in quel momento, finendo sopra James per scansare un altro colpo.

“Anche tu problemi col sonno, Paciock?!” Gli chiese James.

“Già… sai com’è…” Iniziò lui, arrossendo vistosamente.

“Già, sai com’è: il sesso vi ha rammollito l’unico neurone che avevate in testa! Vi volete abbassare, razza d’idioti?!” Gridò loro Sirius, spingendo le loro teste in basso giusto in tempo per evitare che facessero una brutta fine.

“BRUTTE PAPPAMOLLE, QUANDO VI DECIDERETE AD AGIRE INVECE DI CINCISCHIARE COME DONNICIUOLE?!” Gridò in quel momento Alastor, e i tre ragazzi decisero finalmente di tapparsi una volta per tutte la bocca, tenendo per dopo le loro chiacchere e le loro minacce.

 

 

 

Questo, dunque, è in sintesi ciò che accadeva al gruppo di amici, ormai separato per motivi di lavoro. Si sentivano spesso, via camino o mandandosi missive via gufo, informandosi di come andava la vita a ciascuno di loro.

Però, purtroppo, non riuscirono a vedersi nulla per quell’anno. A Natale James, Lily e Sirius erano stati ingaggiati per una missione di tirocinio contro un gruppo di Mangiamorte di bassa lega in Irlanda; per Pasqua Remus non aveva vacanze e a giugno tutti erano impegnati con le ultime fatiche del loro apprendistato.

 

Riuscirono a vedersi solamente verso la fine di agosto, quando oramai James, Lily e Sirius erano stati proclamati Auror.

 

Il giorno della cerimonia Remus si smaterializzò dalla sua casetta nel Galles alle otto e un quarto precise in piena Londra, nella zona del binario nove e tre quarti a King’s Cross Station, dove Sirius sarebbe venuto a prenderlo.

E, difatti, dopo pochi attimi vide un cagnolino nero avanzare saltellante verso di lui, e trasformarsi poco dopo in uomo.

“Sirius!” Disse Remus, correndo ad abbracciarlo.

“Ma chi si rivede! Come stai?!” Gli chiese Sirius, ancora fra le braccia dell’amico.

“Benone!” Rispose quello. Sirius si scostò un attimo e lo squadrò da capo a piedi. Remus indossava un vecchio cappotto e sotto, una linda camicetta beige dentro i pantaloni neri.

Col tempo si era un po’ irrobustito, la carnagione pallida non dava più quella sensazione di malaticcio che invece emanava quando il ragazzo era ancora piccolo e alle prese con la difficile condizione che comportava la trasformazione in lupo mannaro una volta al mese, e ora mostrava in viso uno splendido, allegro sorriso. Sirius sapeva bene a cosa quel sorriso fosse dovuto: al desiderio di nascondere la sofferenza che celava nel suo cuore a causa di tutte quelle tragedie da cui era stato colpito; ma non era un modo per nasconderla agli altri, non solo perlomeno. Portando quel sorriso in volto Remus voleva auto-convincersi di essere felice, di aver messo una pietra sopra tutta quella sofferenza e continuare a godersi la vita che gli era stata data. In fondo, ora le cose andavano molto meglio: aveva un lavoro, una bella casa; gli amici, seppur lontani, li sentiva spesso, e sapeva che erano al sicuro… insomma, cosa poteva desiderare di più?

“Sì, confermo: ti trovo bene!” Gli disse Sirius, sorridendogli.

“E tu? Che mi combini?”

“Io?! Beh, io oggi diventerò un Auror, amico mio!”

“Ehe he he, si, questo lo sapevo!”

“Per il resto… sto benone anch’io!”

“E James?! Lily?”

“Sarebbero venuti anche loro a prenderti, solamente che… da quando dormono insieme, hanno un po’ di difficoltà ad alzarsi in orario! Anche se oggi…ehehehehe…” Sirius concluse il suo discorso ridendo. Una risata poco rassicurante a dire il vero, e Remus sapeva che voleva dire che il suo amico ne aveva combinato una delle sue!

“Sirius?! Che gli hai fatto?” Chiese, mentre un sorrisino divertito iniziava a comparirgli in viso.

Sirius si guardò l’orologio al polso. Le otto e venticinque: facevano ancora in tempo!

“Vieni, ti faccio vedere!” Disse, prendendo l’amico per un braccio e smaterializzandosi.

 

Remus si ritrovò in un piccolo appartamento, arredato in maniera molto semplice e essenziale, e tenuto in ordine (si poteva ben vedere) dalle mani di una donna.

“E’ casa vostra?”

“Sì! Avanti, vieni!” Disse Sirius, conducendo l’amico davanti ad una porta. Però, stranamente, non la aprì. Rimase ad aspettare.

“Felpato?!” Chiese Remus, che guardava perplesso la lastra di legno scuro davanti a se.

“Shh… mancano esattamente… tre secondi!”

Nella stanza calò un pesante silenzio d’attesa. In un lampo i tre secondi volarono, e…

 

DRINNNNNNN DRONNNNNNN DRIN DRIN DRIN DROOOON TIK TAK TIK TAK SPASH SPASH GONG GONG TIK TIK TIK TIK TIK DRINNNNNNNNNNNNNN

 

Un fracasso tremendo, prodotto da qualsiasi tipo di sveglia esistente sulla Terra, si sentì alle otto e trenta precise. E, subito dopo, due urla che di umano avevano ben poco….

Waaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!

Sirius, ridendo a crepapelle, aprì la porta.

Ciò che Remus si ritrovò davanti aveva dell’incredibile: la stanza era totalmente ricoperta da sveglie di qualunque tipo, magico e babbano, appese ai muri, alle pareti, alcune poste sui vetri della finestra, altre per terra, e molte volavano per tutta la stanza, facendo un baccano tremendo con i loro suoni.

Ma ciò che faceva più ridere era la faccia di James che, spaventato da tanto baccano, era mezzo caduto dal letto, e quella della povera Lily, che se ne stava raggomitolata su se stessa, tutta nascosta dalle coperte, senza curarsi di nascondere il suo ragazzo che era rimasto totalmente nudo. Erano completamente terrorizzati! Pallidi come lenzuoli!

Quando James vide Sirius gli avvenimenti incominciarono ad avere un ordine e un senso, ma per la confusione finì per cadere definitivamente a terra. Iniziò a respirare profondamente, per recuperare l’ossigeno che gli era mancato nel momento in cui aveva gridato come un matto per lo spavento. Poi, dopo essersi infilato i boxer, si diresse verso l’amico.

“VOLEVI FARMI VENIRE UN COLPO, DEFICIENTE?!”

Ma Sirius non rispose, si allontanò dalla stanza scompisciandosi dalle risate.

James, pronto a scagliarsi come una furia su di lui, si fermò quando notò un’altra presenza vicino alla porta.

“Remus?!” Chiese, stupito, grattandosi la testa arruffata per il disappunto. Poi parve ricollegare finalmente tutti i pensieri, e gettandosi sopra l’amico, gli urlò un allegro: “REMUS!”

Anche Lily, dopo essersi infilata la vestaglia, andò a salutare Lupin, e quando si rese conto che James stava pensando a tutto tranne che ad iniziarsi a preparare, lo prese per un braccio e lo condusse nuovamente in stanza, per cambiarsi.

Alle nove meno cinque i due uscirono, perfettamente vestiti con la divisa da Auror.

“Avete visto che grazie a me riuscirete oggi ad arrivare puntuali?!” Disse Sirius, quando li vide uscire dalla stanza.

“Stai zitto cagnaccio pulcioso, con te facciamo i conti dopo!” Gli disse James, che però in fondo era divertito anche lui per il tiro mancino che l’amico era riuscito a fargli sotto il naso. E no, caro Felpato, questa prima o poi te la farò pagare!

“Avanti, andiamo tutti quanti! Altrimenti finisce che Alastor ci butta fuori proprio oggi!” Disse Lily, prendendo per mano Remus per guidarlo nella smaterializzazione.

 

 

Si trattò di una cerimonia molto semplice, durante la quale furono dati ai ragazzi il mantello e lo stemma da Auror.

Alla fine, tutti i nuovi adepti si raggrupparono nel cortile dell’edificio, per fare la foto ricordo.

Fu Remus a scattarla: erano davvero un gran bel gruppo di persone, e alcuni di loro già formavano delle coppie, come il giovane Paciock e la sua ragazza, e come Lily e James, che se ne stavano seduti a parlottare in un angolino come due piccioncini in amore.

 

Quando, dopo aver scattato la foto, si fermò a guardare il gruppo, uno strano sentimento lo pervase. Timore? Forse. E se non era quello, era qualcosa di molto simile, che lo fece rabbrividire.

Quei ragazzi a partire da quel giorno avrebbero preso parte attiva nella guerra contro Voldemort. Avrebbero combattuto, salvando persone e rischiando la loro vita.

Già, la loro vita… quanti di loro sarebbero riusciti a tenerla stretta?

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Divinazione ***


In quel secondo anno le fatiche erano divenute il pane per i suoi denti

In quel secondo anno le fatiche erano divenute il pane per i suoi denti.

La Dama del Lago non le aveva risparmiato niente, né dolori, né sforzi inauditi, né malesseri continui, né tanto meno lacrime di dolore per le cose orribili che vedeva. Aveva lasciato che le visioni percettive la colpissero con tutta la loro violenza, dicendole semplicemente di respingerle con i suoi poteri. Facile da dire, vero? Molto facile. Semplicissimo. Brutta stronza, possibile che non capisse che era impossibile?

O almeno, di questo era convinta fino a quel giorno.

Già, quel giorno, e come faceva a dimenticarlo?! Si era preparata a fondo, come sempre, per tentare di sovrastare la potenza delle visioni. E come sempre aveva fallito, rimanendone preda. Fu così che vide essere torturati ed uccisi due persone di indubbia identità: i signori Potter, i genitori di James.

Il sangue le si gelò nelle vene, mentre il ricordo di quello che era avvenuto ai suoi genitori le si faceva spazio di nuovo nella mente, insieme alla consapevolezza che, se quella volta non avrebbe agito, il suo cuore non sarebbe stato in grado di reggere un tale dolore.

Con tutte le forze che aveva in corpo, con tutta la sua determinazione ad uccidere Voldemort, cercò allora di allontanare quelle sensazioni.

Ci riuscì. E, insieme ad esse, anche le immagini lentamente se ne andarono dalla sua mente.

Quando riuscì a focalizzare di nuovo la sabbia della spiaggia su cui si era contorta per il dolore, sentì un’ultima lacrima caderle lungo la guancia. Ultima sì, ma solo perché mai più avrebbe permesso che le visioni le provocassero tali dolori.

Alzò lo sguardo verso la Sacerdotessa, che la guardava con occhi imperscrutabili. Ce l’aveva fatta, ce l’aveva fatta, ed ora nulla l’avrebbe più potuta ferire nel mondo esterno.

 

Dopo quell’episodio gli allenamenti si fecero di ben altro genere: lanciare incantesimi senza bacchetta e creare una proiezione astrale di sé che fosse in grado di scagliare magie come la vera copia furono una passeggiata, non la impegnarono nemmeno per un mese intero.

Infatti, per quanto riguarda il primo punto, era molto avvantaggiata grazie alla potenza dei suoi poteri psichici. L’aveva già fatto anche in precedenza: aveva invocato un pugnale usando le magie del desiderio.

Creare una proiezione astrale le occupò molto più tempo: riusciva sempre e solo a proiettare altrove la sua mente, sentendosi esattamente come quando era catatonica, tant’è che una volta la Sacerdotessa dovette riportarla alla realtà con uno schiantesimo.

Era già dell’idea che probabilmente sarebbe rimasta tutta la vita a tentare invano, oppure che sarebbe finita di nuovo in stato catatonico e nemmeno il più potente degli schiantesimi sarebbe riuscito a farla rinsavire, quando, una notte, cambiò tutto.

Era più stanca del solito, si era davvero dovuta impegnare molto, sia con la magia, sia con la mente e la lingua per rimettere a cuccia la Grande Sacerdotessa che si stava divertendo troppo a vederla fallire. Sarebbe semplicemente voluta andare in camera sua, a parlare con Gardenia e così rilassarsi un poco.

Ma Gardenia non c’era, dovette ricordarsi con amarezza. Quell’arpia la teneva da qualche parte, lontano da lei.

Dove sei Gardenia? Voglio sapere dove quell’indigna di tua madre ti ha rinchiuso. Voglio che tu ritorni qua. Ho bisogno di un’amica, non ce la faccio più.

E, mentre questo pensiero le dominava la mente, aveva incominciato a vedere nella sua testa l’immagine dell’intera isola. La percorreva tutta, dall’alto, come un uccello. Ed era perfettamente cosciente di tutto quello che si trovava sotto di lei.

Individuò subito Gardenia.

Era da sola, triste, in una cella di un tempio della Dea dall’altro lato dell’isola, molto lontano dal palazzo dove alloggiava lei. Nelle altre stanze, fungevano da guardie delle vecchie e severe (delle super racchione) sacerdotesse. Poverina, anche lei non era messa molto bene.

Voleva essere lì, con lei. Voleva che lei la vedesse. Voleva confortarla.

“Solaria!” Gridò ad un certo punto Gardenia, alzandosi in piedi dal letto su cui era seduta. Le andò incontro e l’abbracciò, con le lacrime agli occhi.

“Come… come hai fatto?!” Le chiese poi. “Non ci si può smaterializzare nell’isola!”

“Oh… caspita… che bello! Ho preso due piccioni con una fava!” Disse Solaria, saltando per la gioia. Gardenia si scostò un attimo da lei e la guardò interrogativamente.

“Ma sì, ti spiego subito ora: sono finalmente riuscita a trovare te e a compiere perfettamente una mia proiezione astrale! Era quasi un mese che ci provavo! Non sono troppo brava?!” Le disse, saltellando per la stanza come una matta.

Gardenia si mise a ridere, asciugandosi le lacrime che continuavano a caderle dagli occhi.

“Mi sei mancata tanto, Solaria!”

La Nimbus si bloccò all’improvviso. “Anche tu! Perché sei qua?”

“Mi ha mandato mia madre.”

“Perché?”

“Non lo so.”

“Allora lo so io: voleva farmi esaurire, la racchia. Ma me la paga questa. Prepara i bagagli, perché ora vado a dirne quattro alla signora Grande Sacerdotessa.”

E, così dicendo, scomparve, lasciando di nuovo sola Gardenia, che andò a raggomitolarsi fra le coperte del suo letto in attesa che le parole di Solaria divenissero realtà

 

Quando riprese coscienza, guardò con occhi che mandavano scintille la donna davanti a se.

Quel ghigno strafottente che aveva in viso fino a poco prima era scomparso: sicuramente aveva capito che lei era riuscita nell’intento di creare una proiezione astrale. Questo piccolo particolare diede ancora più forza a Solaria che, alzatasi in piedi, si diresse con passo deciso verso la sua strozzina.

“Ci sono riuscita.” Le disse.

“Me n’ero accorta.” Replicò la donna, dedicandole il suo solito sguardo carico di rabbia e di disprezzo. Nonché di quella gelosia che continuava a roderla dall’interno e che non riusciva a placare.

“E ho trovato Gardenia.” Aggiunse poi, con voce furiosa. Nonostante l’oscurità, le parve di vedere la Sacerdotessa impallidire a quelle parole. Il suo falso e maligno gioco era stato scoperto.

“Ora, che le piaccia o no, lei la fa tornare immediatamente qui.”

“Gardenia non è affar tuo, te l’ho già detto.” Disse, a labbra strette.

“Non mi piace ripetermi: la conduca qui, altrimenti lo farò io. E penso che un fatto del genere possa causarle un grave scandalo, non trova? La Grande Sacerdotessa di Avalon che si fa mettere pubblicamente i piedi in testa da una mocciosa venuta dal mondo esterno! Roba da matti!”

Ora il cambiamento fu fin troppo palese: la donna divenne livida in volto per la rabbia, e gli occhi si ridussero a due fessure. “Non preoccuparti… era già previsto che la prossima luna lei tornasse.”

“Lo spero bene. Non che mi dispiacia crearle un po’ di fastidi nel suo ambiente, ma non posso sopportare che Gardenia rimanga ancora a lungo là, da sola, con per sola compagnia quelle vecchie cornacchie acide. Senza contare che non riuscirei a sopportarla, Dama, ancora a lungo senza qualcuno che mi dia una mano. Ringrazi sua figlia se il più delle volte sono riuscita a trattenermi dall’attuare i miei simpatici piani vendicativi!” Aggiunse, con un sorriso sbruffoncello stampato in faccia.

La donna non resse oltre. Si voltò e, col suo solito andamento deciso, fiero, veloce, entrò nel palazzo.

 

Dopo essere riuscita a creare una vera proiezione astrale di se, riuscire ad usare con essa i suoi poteri fu abbastanza semplice, bastava solo un po’ di concentrazione. Con l’allenamento poi sarebbe diventato un gioco da ragazzi.

 

Però, dopo che ebbe appreso anche questi nuovi incanti, la Grande Sacerdotessa decise di avviarla verso un’altra strada, ben più contorta e impegnativa. La divinazione.

Solaria scoppiò a ridere appena glielo disse: se l’era forse dimenticato che lei era una veggente? Ma il sorriso compiaciuto della donna le fece capire che lei aveva in mente qualcosa di diverso. E, difatti, aveva ragione: la Dama del Lago voleva che lei imparasse a vedere il futuro che le interessava, non solo quello che le visioni le imponevano. Vedere il futuro di ciò che la riguardava. Ad esempio, osservare un oggetto e prevedere cosa gli sarebbe accaduto, se qualcuno l’avesse rotto e come, in che momento, perché… se poi quest’arte veniva applicata alle persone, si rivelava ancora più utile delle previsioni in sé.

Ma molto difficile da imparare, anche per lei che era già predisposta per natura.

 

 

 

C’era qualcosa in lei che la faceva sorridere, che la rendeva felice. Le era familiare, in qualche modo sapeva di conoscerla.

Guardò ancora quel volto. Non riusciva a discernerlo precisamente a causa dell’oscurità che lo inghiottiva, però poteva percepire com’era fatto.

Viso perfetto, dal mento aguzzo, zigomi sporgenti, bocca grande e rossa, naso piccolo e diritto; oltre le arcuate sopracciglia d’ebano, l’oscurità non permetteva di vedere, nascondendo la bella fronte. Tuttavia si potevano scorgere i capelli, neri anch’essi come la notte, che ricadevano in morbide onde attorno al capo, formando un piacevole contrasto con la pelle di porcellana. E poi, c’erano gli occhi, grandi e perfettamente a mandorla… di uno splendore indefinibile. Di che colore erano quegli occhi? Grigi? Sì, sembrava grigio. Ma era un grigio strano, molto simile al chiaro argento, così stranamente luminoso… Ciò che la colpiva di più però era il loro sguardo. Triste. Rassegnato. Colpevole. Le ricordava tanto… tanto il suo. Quando guardava Sirius.

La conosceva dunque questa dama della notte? No… non poteva conoscerla, non la ricordava…

Sirius. Assomigliava tanto a Sirius. Una sua parente? Può darsi… un’altra rinnegata certamente, perché quello sguardo non si sarebbe mai potuto leggere sugli occhi di una vera Black.

Io so chi sei… ma non riesco a capirlo. Perché sei sempre nei miei sogni? Cosa significhi?

 

Solaria si svegliò lentamente nel suo letto. Si portò una mano alla testa, levandosi dal volto i capelli che le ricadevano davanti offuscandole la vista.

Da tre mesi, ossia da quando era iniziata la pratica della divinazione, lei era afflitta da quel sogno. Sempre lo stesso. Sempre quella giovane dama vestita di nero, immersa nel buio, triste e malinconica. Sempre quello sguardo, così simile al suo. Ma chi era? Che senso aveva tutto quello?

“Ciao Solaria!” Le disse l’amica entrando nella stanza. Solaria la vide avvicinarsi, sempre con la sua aria felice e semplice in volto. Dopo le sue ‘richieste’, la madre era stata costretta a riportarla al palazzo centrale dell’isola, rinunciando così al suo infame piano di opprimere Solaria lasciandola senza amici con cui confidarsi.

Gardenia si sedette al suo fianco, scrutandole il viso.

“Qualcosa non va?”

“…sempre quel sogno.” Rispose Solaria, esasperata.

“Che sogno?”

“Scusami, non te ne ho parlato. Ma, sai com’è, non pensavo fosse nulla di grave.”

“Perché, ora lo è?!”

“No no! Stai tranquilla! Cioè, non so cosa sia in realtà… sogno una ragazza, immersa nel buio, che assomiglia tantissimo al mio fidanzato. Però il suo sguardo… il suo sguardo è uguale al mio. Lo so, perché me lo leggevo in faccia ogni volta che mi guardavo allo specchio e per caso pensavo a Sirius…”

“Sirius è il nome del tuo promesso?”

“Mio cosa?!”

“Tuo promesso! Se siete fidanzati, vi sposerete sicuramente!”

“Ah… sì, è possibile...” Rispose Solaria, tanto per tagliare corto. “In ogni caso… è qualcosa di inaudito! Perché mi appare in sogno da un mese un viso a me sconosciuto?”

“Non è possibile che sia vostra figlia?”

“Nostra…figlia?!” Chiese Solaria, sempre più perplessa.

“Certo! Hai detto che assomiglia al tuo promesso, e che però ha il tuo sguardo. Gli occhi della madre, gli occhi di una veggente: avendo ereditato questa tua dote, lei guarda il mondo con i tuoi stessi occhi.”

“Io non avrò figli, Gardenia: non posso averne, non voglio averne. Non voglio che il sangue del mio sangue soffra la mia stessa pena. Se io non riuscirò a portare a conclusione il mio compito, non voglio che questo cada nelle mani di mia figlia o mio figlio, rovinandogli la vita!” Sbottò Solaria, estremamente amareggiata.

“Queste sono le tue intenzioni. Ma cosa puoi saperne tu di quello che il destino ha in serbo per te?”

“Oh, ne so anche fin troppo… ne ho sempre saputo troppo. E accadrà ciò che voglio.”

“Non intestardirti col destino: è una lotta persa, ha sempre ragione lui, non te.”

“Io sono in grado di maneggiarlo, non scordartelo! Pertanto, avrò ragione io su di lui. Non avrò figli, dunque il volto di quella ragazza non può essere quello di mia figlia.” Disse in tono perentorio, e anche piuttosto arrabbiato. Forse era meglio chiudere quel discorso lì, la piega che stava prendendo già non le piaceva…

“Allora perché mai ti sarebbe apparsa in sogno, se non per farti capire qualcosa d’importante?”

“ E cosa, di grazia? Che assomiglierà al padre e avrà la stessa maledizione della madre?! Molto interessante, davvero! Come se non me lo aspettassi!”

“Forse lei influenzerà il tuo destino.”

“Lei, in qualità di figlia della sottoscritta, non farà proprio nulla perché non esisterà mai. Dunque lascia perdere quest’ipotesi, è un vicolo cieco, non ci condurrà da nessuna parte.”

“Perché, se prendessimo in esame l’ipotesi che lei sia una parente del tuo fidanzato, cosa cambierebbe?”

“Beh… forse… ma non lo so! In fondo, tutto ciò che ho visto è il suo viso, e non ho visto tanto bene manco quello…! Non posso arrivare a precise conclusioni avendo solo un elemento del genere!”

“Parlane con mia madre.”

“COSA?!”

“Ho detto: parlane con mia madre!”

“Sì, l’avevo capito!”

“E allora perché…”

“Perché non se ne parla nemmeno! Con tua madre?! Manco per sogno! Questi sono affari privati, a lei non riguardano e non devono riguardare!”

Gardenia la guardò seriamente. “Nulla che ti appartiene è un affare privato. Purtroppo, è affare di tutti, in quanto tu stessa appartieni al mondo intero.”

Mentre Solaria ascoltava quelle parole, un nodo iniziava a serrarle la gola. Lei apparteneva al mondo. Non era niente di per se stessa; era qualcosa- nemmeno qualcuno – solamente se c’erano gli altri. Era un oggetto che apparteneva a tutti coloro che la circondavano. E dunque, anche tutto ciò che le era proprio apparteneva agli altri.  Una cosa. Ecco c’sera: semplicemente una cosa. Un fazzoletto da buttar via una volta usato: questo appellativo le calzava a pennello.

“Và via.” Disse secca in un sussurro, lo sguardo perso nel vuoto.

Gardenia, presa alla sprovvista, chiese: “Che cosa?!”

“ESCI DA QUESTE STANZE!” Gridò allora Solaria, chiudendo gli occhi per trattenere la rabbia. Gardenia non se lo fece ripetere di nuovo: spaventata e dispiaciuta per aver ferito l’amica, scese dal letto su cui era seduta e scappò via, chiudendosi la porta alle spalle.

 

Solaria rimase da sola. Iniziò a singhiozzare, poi fredde lacrime di dolore le scesero lungo le guance: perché?! Perché capitava tutto a lei? Perché il destino era stato così crudele? Perché non era una comune ragazza, di quelle che hanno in testa solamente il pensiero di come truccarsi e di come far colpo sul ragazzo amato? Perché doveva soffrire così tanto, perché doveva far soffrire quelli che la circondavano, e perché doveva vederli soffrire?!

“Sirius… dove sei, Sirius?!…” Gridò, accasciandosi sul letto. “Ti voglio qui… ti amo… ti amo tantissimo! Sirius…!”

Ma purtroppo Sirius non giunse, e lei rimase lì, da sola, a piangere tutta la disperazione della sua esistenza.

 

Molti di voi si chiederanno: come, era al colmo della disperazione, immersa nei suoi pensieri che riguardavano in gran parte il male che procurava alle persone amate standogli semplicemente vicino, e si mette ad invocare il nome di Sirius?!

Sì, proprio così. Perché? Perché non ne poteva fare a meno. Solaria, come vi ho già fatto notare varie volte, è pur sempre una ragazza, un essere umano. E quando è disperata, ha bisogno di una spalla su cui piangere, di braccia che la cingano e la facciano sentire protetta dal male che l’assale. Ha bisogno della persona che ama di più, anche se si rende conto di farle del male.

Sirius.

Qualcuno classificherà questo gesto come proprio dell’egoismo: io preferisco interpretarlo come bisogno naturale di un essere umano. Non gli voglio dare una definizione precisa, non me la sento: perché altrimenti, se lo facessi, starei dando un giudizio su questo comportamento. E non è il caso di farlo.

E’ troppo umano.

 

 

 

 

“Sei in ritardo.” Le fece notare la Dama del Lago. “E oltretutto ti sei dimenticata gran parte degli abiti nell’armadio. Vatti a vestire.”

Beh, effettivamente Solaria era in grande ritardo, dato che l’orario degli allenamenti era fissato per le sei del mattino e lei era arrivata alle otto e un quarto… per quanto riguarda gli abiti… indossava semplicemente la lunga ‘sottoveste’ aderente, con un velo che le copriva le spalle.

“Non avevo voglia di venire prima, e per quanto riguarda gli abiti: mi sono davvero scocciata di indossare strati su strati di tonache da suora, sto molto meglio così.” Rispose secca, senza nemmeno guardarla in faccia, quasi la donna non fosse degna di avere i suoi occhi su di se.

“Non m’importa cosa sia passato per la tua mente depravata: il modo in cui ci si veste qua non è una scelta, è un obbligo. Come lo è la puntualità: che non accada mai più una cosa del genere.”

“E invece la informo che continuerà ad accadere, perché non ho alcuna intenzione di stare ad ascoltare le sue parole, e quindi di dare peso a ciò che dice. Farò di testa mia, come ho sempre fatto.”

“Stanno così le cose?”

“Gliel’ho appena detto, e non ho intenzione di ripetermi.”

“Benissimo: allora da questo momento in poi io non ti aiuterò più negli allenamenti, mi limiterò a dirti ciò che devi sapere fare, per non fare un torto alla Dea.”

“Se avessi saputo prima che sarei riuscita a levarvi dalla mia strada semplicemente facendo di testa mia, l’avrei già fatto.” Disse Solaria con un ghigno in volto, alzandosi finalmente a guardare in faccia la donna.

“Andrà solamente a tuo discapito: non riuscirai a raggiungere i massimi livelli senza di me.”

“Li ho già raggiunti i massimi livelli di tutti gli insegnamenti che lei aveva il dovere di darmi: per quanto riguarda la divinazione, penso proprio di potercela fare da sola. Non per niente sono una veggente!”

La Sacerdotessa non si trattenne oltre: sollevò la lunga e ingombrante gonna del suo abito e se ne andò via, lasciando Solaria da sola, nella spiaggia deserta.

 

Si sedette sulla sabbia: la tristezza del giorno prima era passata, rimaneva solo una profonda amarezza che non si sarebbe mai potuta togliere via. Ma, in fondo, gli avvenimenti del giorno le avevano fatto venire il buon umore: non solo ora poteva vestirsi come le pareva, ma addirittura non avrebbe più avuto tra i piedi quella rottura di scatole della Dama!

Chiuse gli occhi: ora doveva impegnarsi in divinazione.

Su cosa voleva concentrarsi? Su quell’albero di mele, stracarico di frutti, che dal giardino sporgeva verso la spiaggia.

Cosa gli sarebbe accaduto? Qual’era il suo futuro?

 

Rimase concentrata a lungo, ma invano. Niente appariva nella sua mente.

Quando il sole fu alto sopra la sua testa e iniziò a bruciarle la pelle del corpo, stanca si alzò in piedi e si diresse verso le sue stanze: doveva a tutti i costi riposarsi, non ce la faceva più, era distrutta. E per giunta non era riuscita nel suo intento.

 

Un altro mese era passato da quel giorno. La condizione di Solaria in Avalon era assai mutata: ora faceva esattamente quello che voleva, stava per i fatti suoi per gran parte del giorno, e nessuno osava dirle nulla. Qualche sacerdotessa, e anche qualche apprendista, la guardava biecamente per il suo modo di vestire, ma nessun tipo di rimprovero le veniva rivolto verbalmente.

Dopo lo spiacevole avvenimento avvenuto quella lontana mattina nella sua stanza, Solaria non aveva più parlato con Gardenia: la vedeva raramente, e tutte le volte lei abbassava lo sguardo e arrossiva, dispiaciuta e in imbarazzo per ciò che aveva combinato.

Solaria sapeva che, in quanto amica, sarebbe dovuta andarle a parlare e rassicurarla che, nonostante ciò che aveva detto, non ce l’aveva con lei, il loro rapporto non doveva cambiare per così poco e lei non si doveva sentire in colpa. Anche perché, ma questo era sottinteso, ciò che aveva detto era la pura verità… Tuttavia, non aveva voglia di farlo: per ora voleva stare sola. Sarebbe giunto il momento in cui avrebbe rimesso a posto tutto quanto.

 

Anche quella mattina, come tutte da ormai un mese, si sedette sulla spiaggia, concentrandosi su quel diamine di albero di melo e tentando di capire quale futuro avrebbe avuto. Certo, le era passata per la mente l’idea che fra breve tempo sarebbe finito sradicato per mano sua, ma purtroppo sapeva che quella previsione non sarebbe stata propriamente legittima…

 

Sospirò, serrando ancora di più le palpebre degli occhi per concentrarsi meglio.

Come al solito, il nulla pervase la sua mente.

Poi però accadde qualcosa di diverso: l’immagine dell’albero incominciò ad avere consistenza, finché non le parve di averlo davvero dentro la sua testa. Quell’immagine, così nitida e solitaria, durò poco: infatti giunse ben presto una donna, un’apprendista a intendere dalla leggera tunica di cotone azzurro che indossava, dagli strani capelli biondi, un po’ ingrigiti dall’età avanzata, raccolti in molteplici trecce intorno alla testa. Apprendista da una vita… già, purtroppo la società di Avalon era formata da caste chiuse, per cui chi veniva selezionato ad un certo campo, non poteva mutare la sua condizione.

La donna aveva un cestino, che teneva appoggiato alla vita con una mano: con l’altra, invece, afferrava le mele e ve le metteva dentro. Riempito il contenitore, fece per andarsene: ma una mela le cadde a terra, così si chinò a raccoglierla e poi scomparve lontano.

L’albero rimase di nuovo solo. E la visione, da nitida qual’era, lentamente divenne sempre più sfocata, fino a lasciare nella sua mente solamente il buio.

Solaria aprì gli occhi di scattò: era stata davvero una visione? Era riuscita davvero, e finalmente dopo un mese di tentativi andati a vuoto, ad eseguire una divinazione?!

Come faceva ad esserne sicura? Se comunque c’era riuscita, non l’aveva fatta in modo perfetto: infatti non sapeva quando questo sarebbe accaduto.

Si levò in piedi: voleva rientrare in stanza e farsi una doccia, per rilassare le ossa arrugginite dal troppo star ferma.

Voltandosi però, vide qualcosa che la colpì profondamente: appoggiata sulla balconata del palazzo che dava al giardino, immersa nei suoi pensieri, c’era Gardenia.

Sospirò: era giunto il momento di andare a chiarire il malinteso.

 

Con calma si diresse verso il palazzo, e salì le scale, fino a giungere al suo fianco. Gardenia lentamente si voltò a guardarla, occhi tristi nel magro visino abbronzato.

“Ciao.” Le disse Solaria.

“Ciao.” Rispose timidamente lei, abbassando lo sguardo.

“Come stai? E’ da un po’ che non ci sentiamo.”

“Sto bene, grazie. E tu?” Chiese ansiosamente, rialzando gli occhi e guardandola con sguardo implorante perdono. 

“Io sto bene, Gardenia: mi dispiace per quello che è accaduto ultimamente. So di averti fatto rimanere in pena per tanto tempo, ma non preoccuparti: non mi sono arrabbiata con te. Anche perché, da un certo punto di vista, avevi ragione…! Ti sono stata alla larga perché avevo voglia di rimanere da sola: dovevo rimettere a posto alcune faccende con me stessa, e non volevo nessuno in mezzo ai piedi… scusami, non è un comportamento propriamente da amica, ma non ne potevo fare a meno.”

Gardenia rimase a guardarla con occhi pieni di speranza. “Allora… non sei arrabbiata con me?!”

“Ma no, te l’ho detto!” Disse Solaria, mostrandole uno dei suoi più bei sorrisi. In quel momento, spianta da uno strano impeto che le veniva dal profondo, distolse lo sguardo dall’amica e vide un’anziana donna, vestita d’azzurro, dirigersi con un cesto verso l’albero di mele, in guardino.

“Dunque… è tutto a posto?! Siamo sempre amiche?”

Solaria si voltò a guardarla di nuovo negli occhi, ma ogni tanto si voltava a guardare con attenzione ciò che succedeva nel giardino. “Ma certo!”

“Ti prometto che non mi comporterò più così!”

“Non mi devi promettere niente del genere! Ricordi? Il primo giorno ti avevo detto che potevi dirmi tutto quello che pensavi, perché così fanno le vere amiche! E, se ti preoccupa la mia reazione… sta tranquilla, non succederà mai più una cosa del genere!” La donna si era poggiata il cestino su un fianco e, avvicinatasi all’albero di mele, aveva allungato una mano verso il ramo più basso.

“Grazie Solaria!” Disse Gardenia, abbracciandola con affetto.

“Grazie a te per non essertela presa!” Fisse Solaria, ricambiando il gesto con un sorriso dolce. Davanti a lei, la donna nel giardino riempiva il cesto di mele.

“Cosa è successo con la Grande sacerdotessa? L’ho vista più nervosa del solito nell’ultimo mese!” Le chiese poi Gardenia.

“Beh, diciamo che abbiamo avuto un piccolo dibattito, e…” la donna aveva riempito il cestino, e si stava allontanando. “…e così lei non mi starà più tra i piedi…”

“Mi dispiace che non andiate affatto d’accordo. Sì, è vero, mia madre ha un carattere piuttosto.. chiuso, severo, opprimente, ma…”

Una mela cadde dal cesto, e la donna si chinò per raccoglierla, poggiandola poi sul cesto e allontanandosi. “L’HA FATTO! SIIIIIIIIII! L’HA FATTO! E IO LO SAPEVO! L’HA FATTO, DIAMINE! L’HA FATTO!EHEHHEHEHE!” Gridò Solaria, scoppiando a ridere e spaventanto Gardenia, così immersa nel tentativo di giudicare la madre.

“So…Soly?!” Chiese.

“Ci sono riuscita! Ahhhh, è meraviglioso! Dopo un mese ci sono riuscita a sapere che diamine sarebbe accaduto a quell’albero! Certo, devo ancora migliorare, ma…CI SONO RIUSCITA!” Gridò di nuovo, saltando al collo dell’amica e stringendola forte. Poi, improvvisamente, lasciò la presa e con un po’ di difficoltà dovuta al vestito troppo aderente salì sul cornicione della balconata, e aprì le braccia come fossero ali. “AVALOOOOOONNNNNNN!!! CE L’HO FATTAAAA!” Gridò di nuovo. Gardenia, sempre più sbalordita, vide alcune apprendiste e sacerdotesse uscire dal palazzo e guardare biecamente la ragazza, e altre uscire dal giardino per vedere cosa stesse accadendo. Quello era un luogo di silenzio, non c’erano solitamente rumori diversi da quelli della natura…

Ma Solaria non parve accorgersi di tutte quelle attenzioni che le venivano rivolte. Anzi, ad un certo punto abbassò le braccia e si mise a saltellare allegramente per tutta la lunghezza del muretto intonando con quanto fiato aveva in corpo: ”Aleeeeeee oh ohhhhh, aleeeeee, oh ohhh!”

Si fermò di botto, e si voltò con in viso un sorriso sincero a guardare Gardenia: “Ce l’ho fatta Gardenia! Sono riuscita a fare una divinazione!” Le disse poi, con gli occhi che le scintillavano, ma con voce assai più calma di prima.

Gardenia scoppiò subito a ridere. Com’era buffa quella ragazza! Riusciva a fare una stranezza dietro l’altra con una spensieratezza invidiabile!

“Cosa succede qui? Cos’è tutto questo baccano?” Disse una voce rude e severa, e ben presto apparve sulla soglia della porta la temibile figura della Dama del Lago, il cui volto si accigliò ancora più del normale quando vide Solaria.

“Immagino sia tu la causa di tutto questo caos. E voi cosa ci fate qui a guardare? Tornate subito ai vostri compiti!” Ordinò alle donne che si erano radunate sul balcone e sulla spiaggia per guardare cosa accadeva; e quelle, impaurite, non se lo fecero ripetere due volte e scomparvero dalla scena. “Si può sapere cosa ci fai là sopra?”

“Stavo esultando!” Disse Solaria, mantenendo il suo splendido sorriso in volto.

“Qua è d’obbligo osservare il silenzio.”

“Ok, tanto ho finito! Ah, e per sua informazione: sono riuscita a fare una divinazione quasi perfetta. E riuscirò a migliorare in breve tempo, da sola, senza il suo aiuto.” Le disse, e questa volta gli occhi le brillarono per lo scherno.

“Buon per te.” Fu la secca risposta della sacerdotessa.

 

In quel momento il sole iniziò a calare sull’orizzonte, tingendo le acque del lago di un rosso fuoco fiammante.

Quella calda luce dorata illuminò la figura di Solaria alle spalle. La sua pelle, i suoi capelli, brillarono come fossero pervasi da infiniti brillantini, mentre le sue forme perfette venivano risaltate dall’ombreggiatura.

La Dama del Lago dilatò gli occhi, mentre un triste, doloroso, amaro ricordo le tornava in mente, dandole una spiacevole sensazione di dejà vu. E il sorriso che Solaria fece in quel momento le spaccò il cuore.

Si voltò di scatto, mentre l’ira la pervadeva più che mai, e si allontanò dalle due ragazze senza aggiungere altro.

Solaria scese dal muretto, fissando la porta attraverso cui era appena passata la Dama.

“Che cosa è successo?” Chiese all’amica, senza però voltarsi a guardarla.

“Non lo so. Ma qualcosa che ha visto non le è piaciuto.” Rispose Gardenia, assai preoccupata.

“Che io non le fossi di gradimento lo sapevo già. Ma lei ha scorto dell’altro. E qualcosa mi dice che devo iniziare a preoccuparmi.”

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Di nuovo insieme ***


“Ehi, professor Lupin

“Ehi, professor Lupin!” Gridò una voce ben conosciuta alle sue spalle. Remus, che camminava tranquillamente diretto verso la sua stanza dopo aver finito le lezioni quotidiane, si voltò a guardare con un sorriso sulle labbra la ragazzina del terzo anno che gli correva incontro.

“Ciao Tonks!” Le disse.

“Buongiorno professore, come va?” Gli chiese divertita Ninfa, dopo essergli arrivata al fianco.

“Abbastanza bene, grazie! Se non fosse per il piccolo avvenimento di stamattina…”

“Ma dai, sei tu che hai richiesto che una coppia di noi studenti duellasse per mettere in pratica gli incantesimi di Difesa Contro le Arti Oscure imparati!”

“Ma non era il caso che tu schiantassi Kroik! Anche perché non stavi lottando con lui!”

“E sì, va beh… ma lui era lì vicino! E il suo respiro mi urtava!”

“Va beh… tanto sarà l’ultima volta che vi faccio fare una cosa del genere, ho capito la lezione!”

“Ma no, dai Remus, ci siamo divertiti tanto!”

“Kroik di meno!”

“Ma chi se ne frega di Kroik!”

“Io, Tonks! E ci mancava poco che tu gli rompessi l’osso del collo!”

“Ma non è vero, non gli avrei mai causato una morte così veloce!”

“Puf… lasciamo perdere! Allora… oggi cosa hai combinato con la McGranitt? L’ho sentita gridare il tuo nome dalla mia classe!”

“Oh nulla….”

“Sei sicura?”

“No.”

“Allora?!” Chiese Remus, divertito. Era impossibile fare una conversazione con Tonks senza scoppiare prima o poi a ridere, quella bambina era assurdamente esilarante!

“Beh… ecco…io… non te lo dico, perché poi tu ti arrabbi!”

“Tonks?! Che hai fatto?”

“Prometti che non ti arrabbi?!” Le chiese lei con occhi da cucciolo.

Remus, ridendo, fece sì col capo, e nel contempo aprì la porta della sua stanza, facendovi entrare la bambina.

“Allora? Racconta!” Le chiese, mentre andava a poggiare i suoi libri sulla scrivania e si toglieva la lunga tonaca nera da insegnante, rimanendo in camicia e pantaloni.

Si sedettero insieme sul letto, posto sotto la grande finestra, e Tonks, sebbene ancora poco convinta di stare facendo la cosa giusta, iniziò il suo racconto.

“Beh… ecco… stamattina Kroik con il suo gruppetto sono riusciti a bloccarmi non appena uscita dalla Sala Grande dopo la colazione. Mi hanno insultato, e io naturalmente ho risposto a tono, così la situazione ha cominciato a degenerare… e loro volevano picchiarmi!”

“Tonks! Non ti avranno fatto del male, spero!” Disse Remus, visibilmente preoccupato per la giovane amica.

“No… o meglio, quelle erano le loro intenzioni, solo che non hanno fatto a tempo ad attuarle, perché sono riuscita a scappare via.

Però, siccome mi sono sentita una vigliacca, prima dell’ora di Trasfigurazione mi sono messa ad aspettarli davanti alla porta, e quando sono arrivati naturalmente mi hanno circondato con il sano proposito di farmi a pezzi… e io… ehm… Non t’ha detto nulla la McGranitt?!”

“No! Era così furiosa che avevo paura ad avvicinarla!”

“Beh… sai, avevo appena letto la leggenda della Medusa in babbanologia, e così…”

“Ninfa, non dirmi che….”Fece lui, sbarrando gli occhi.

“E sì, va bene, lo ammetto, mi sono fatta crescere i serpenti in testa, e siccome quelli lì erano terrorizzati (che belle serpi, per carità…), gli ho lanciato addosso un incantesimo di petrificus totalis… solo che in quel momento è uscita la McGranitt e ha visto tutto… e come si è avvicinata per levarmi la bacchetta di mano, i miei serpenti l’hanno morsa al naso…”

Remus, sebbene sapesse che era un comportamento non propriamente responsabile, non riuscì a trattenersi dallo scoppiare in sonore risate, mentre Tonks lo guardava con gli occhi scintillanti.

Poi, ripresa un po’ di fermezza, decise di tentare di rimediare al latte versato. “Eh ehm… Tonks, cosa ti è saltato in mente?! La prossima volta, evita di fare queste sceneggiate con la McGranitt, altrimenti finirai seriamente con l’essere sospesa!”

“ Ok, allora aspetterò la tua ora prima di dare una sana lezione di educazione a Kroik e alla sua cricca di idioti, la prossima volta!” Disse decisa lei.

“No… ma… io non intendevo proprio questo!”

“Ehi Lunastorta, non dirmi che volevi consigliarmi di porgergli l’altra guancia!”

“Difenditi se è necessario, ma non attaccare, altrimenti cadi nel torto!”

“Uff… è solo perché non ho trovato dei tipi abbastanza tosti per divenire Malandrini, altrimenti a quest’ora quelle serpi sarebbero già sepolte sotto terra! E dire che O’Connor baciava così bene, avrebbe potuto esser un buon collega sotto tutti i punti di vista…” Esclamò lei, al colmo dello sconforto.

“Ma… Tonks!” Esclamò Remus, rosso per l’imbarazzo. Ci mancavano solo le confidenze di un’adolescente delusa in amore!

“Remus, me lo dici perché faccio questo effetto ai ragazzi? Cioè… dopo che mi conoscono meglio, scappano via a gambe levate. Remus, io spavento i ragazzi!” Gli chiese, con gli occhi da cucciolo.

Beh, in fondo erano grandi amici, perché si doveva imbarazzare di parlare con lei anche di quello? E poi, non era possibile resisterle quando faceva quel visino così dolce e buffo!

Le sorrise, accarezzandole i capelli lunghi, lisci e neri ravvivati da ciuffi rossi.

“Ma no… devi solo trovare quello giusto!”

“Ma io voglio solo un fidanzatino con cui divertirmi un poco, non un marito! Non voglio già avere quello giusto! Perché non posso fare come tutte le atre ragazze?! Sono così orribile?”

“Tu orribile?! Piccola birba, tu sei fantastica!” Le disse sinceramente.

“E allora perché…”

“Perché tu metti soggezione ai ragazzi, li fai sentire inferiori con la tua spontaneità, la tua forza, il tuo carattere ribelle…- i casini che combini, m questo non lo disse- dovresti trovare qualcuno che ti assomigli!”

“Ma non si dice che gli opposti si attraggono?”

“Sì, ma si dice anche che gli uguali si comprendono!”

“Ah…Ohhhh!” Esclamò lei.

Nella stanza calò il silenzio, mentre Dora, immersa nei suoi pensieri, ragionava su quello che il suo migliore amico le aveva appena detto.

Improvvisamente, facendo spaventare anche Remus, saltò giù dal letto e, dopo aver fatto una piroetta su se stessa, si fermò a guardarlo con decisione negli occhi.

“Ho capito!”

“Cosa?!” Chiese lui preoccupato. Quello sguardo non preannunciava nulla di buono.

“Chiedo a Kroik se si vuole mettere con me! In fondo, noi due siamo uguali, no? Va beh, lui è un purosangue, è un serpeverde, è un pezzo di stronzo… però può darsi che staremmo bene insieme! Ma certo, sì! Lui è l’uomo perfetto: siamo opposti e uguali insieme!

Grazie del consiglio Remus! Ci vediamo dopo la mia impresa, verrò a dirti com’è andata! Ciau!” Disse, scomparendo dalla stanza, e lasciando un Remus completamente perplesso seduto sul suo letto.

Ok, oggi Tonks aveva superato ogni limite! Per la barba di Merlino, se Sirius fosse venuto a sapere che a causa dei suoi consigli sua cugina aveva chiesto ad un Serpeverde di uscire con lei, poteva anche iniziare a scavarsi da solo la fossa!

Ma come facevano certe idee assurde a nascere in quella piccola testolina buffa?! Possibile che poi non riuscisse a valutare i lati positivi e negativi dei pensieri che le saltavano in mente?! Cavoli, Kroik era sempre un Serpeverde, e della peggior specie addirittura! L’avrebbe rifiutata di sicuro, solamente perché non si sarebbe voluto sporcare le mani con una sudicia ibrida di sanguesporco, e perfino rinnegata! Certo, bisogna considerare che comunque Tonks aveva il suo caratterino e, proprio come Sirius, non avrebbe di certo accettato una sconfitta e si sarebbe fatta in quattro pur di vincere… o pur di vendicarsi.

Beh, a fine serata avrebbe saputo com’era andata l’avventura della sua amica: e avrebbe saputo anche se doveva consolarla, o semplicemente congratularsi con lei perché era riuscita nei suoi intenti, anche se non li condivideva affatto.

 

Tik tik

 

Un leggero bussare lo distolse dai suoi pensieri. Si volse a vedere la finestra, e si stupì nel ritrovarsi davanti uno splendido esemplare di aquila reale.

Forse era meglio accontentare il grande animale e aprire le ante della finestra, se non voleva che qualche vetro gli andasse in frantumi sopra la testa…

“Ehi… vieni qua!” Disse Remus all’animale, che si avvicinò mostrandogli la zampa attorno a cui stava avvolta una pergamena.

Il giovane uomo la prese, e l’animale volò via subito dopo aver ricevuto i suoi ringraziamenti.

Che stranezza, a chi poteva appartenere quell’aquila messaggera? Chi gli poteva aver mandato quella missiva?

Con grande curiosità la aprì, ed iniziò a leggerla.

 

Ad ogni parola, il cuore sembrava balzargli fuori dal petto.

 

Salve Remus, come stai?

Immagino che non ti ricordi a chi appartiene questa calligrafia, non è vero? Effettivamente, è da lungi che i nostri rapporti sono stati tagliati, in modo così violento e doloroso.

Sono io, Narcissa Black. Sarebbe più esatto dire che ora sono Narcissa Mlalfoy, ma questo nome non mi ha mai identificata veramente, ne mai lo farà. E’ un nome che incute terrore e soggezione a chiunque lo senta, a me provoca invece solo grande disprezzo e odio… Ma non era questo il motivo per cui ti ho scritto questa lettera.

La verità è che mi mancavi davvero tanto. In questa grande casa sono sempre sola, lui non c’è mai, torna solamente qualche rara notte, con le mani sporche di sangue e una maschera d’argento in viso.

Vi ho pensato a lungo, tutti quanti, ma soprattutto ho pensato a te: non voglio risvegliare nel tuo cuore tristi ricordi che forse sei finalmente riuscito a dimenticare. Ti vorrei porgere solo una domanda: vuoi essere mio amico? Ho bisogno di sentirmi qualcuno vicino, qualcuno che mi voglia bene davvero… e immagino tu sappia quanto è difficile trovarlo quando hi una casa piena di Mangiamorte.

Qualunque sia la tua decisione, io l’accetterò.

Se si tratterà di un no, brucia subito questa lettera e scordati il suo contenuto. Ma se sarà un sì, questa sera vieni a Malfoy Manor: io sarò lì ad attenderti.

Con affetto,

                                                                                                 Narcissa

 

Remus, impallidito d’improvviso e con la tachicardia a livelli massimi, richiuse silenziosamente la pergamena, poggiandola poi con cura sul letto dove era seduto.

Era un incubo vero? Quello era un orribile sogno venuto a frantumare la piacevole esistenza che ormai conduceva da anni.

Come… come poteva essere?! Proprio ora che lui riusciva a non pensarla continuamente, a non piangerla, a non devastarsi al pensiero che lei ogni notte giacesse fra le braccia dell’uomo che odiava di più, ecco che Narcissa ricompariva.

L’immagine della ragazza gli riapparve in mente. Bella, incredibilmente bella, serafica in ogni sua forma. Ricordava ancora bene quei lunghi capelli color oro dalla piacevole morbidezza; gli occhi, azzurri e profondi come il mare, sempre così dolci e comprensivi, sempre così buoni; le labbra, rosse e finemente cesellate… quelle labbra che aveva baciato così poche volte.

 

Si alzò, prese il logoro cappotto di panno dall’armadio, e uscì dalla stanza.

La risposta a quella domanda non poteva altro essere che un sì.

 

 

 

Uscì dalle sue stanze. Il palazzo, una delle più meravigliose strutture architettoniche esistenti per grandezza, minuzia di particolari e materiali pregiati, le dava un senso di soffocamento e di nausea. Soprattutto quando era così, tristemente vuoto. Il male che lo riempiva diveniva quasi palpabile, e alle volte, temendo che riuscisse ad afferrarla, era scappata fuori in quel giardino bellissimo per trovare riparo.

Già, quel giardino bellissimo… era l’unico luogo della villa dove le piaceva davvero rimanere.

Quando l’aveva visto la prima volta, era un luogo abbastanza triste, solitario, dove gli unici fiori ad esser presenti erano i crisantemi. I fiori dei morti. E proprio pensando a tutti quei morti, caduti per mano di quella spregevole famiglia, aveva chiesto e ricevuto il permesso dal suo signore e marito di occuparsi di quel posto.

Aveva subito fatto estirpare tutti quei tristi fiori, e al loro posto aveva fatto crescere bellissimi cespugli di rose bianche, circondate da gigli, calle, margherite… ed ogni tipo di fioritura dal niveo colore.

Non poteva più tollerare la vista del rosso, le causava un profondo disgusto, ricordandole il sangue innocente di cui erano sempre intrise le mani e le vesti del suo sposo.

Al centro del giardino aveva fatto porre una statua di grandezza umana raffigurante una donna angelo che guardava verso la villa con sguardo sicuro, deciso, quasi di sfida. Al marito erano piaciuti i suoi cambiamenti: diceva che quel bianco ben rifletteva la purezza del sangue Malfoy, e quella statua la forza e la potenza della sua dinastia. Un interpretazione completamente differente dal verso significato dell’opera, ma che l’artista non si preoccupò di correggere. Meglio così: suo marito almeno avrebbe incominciato a fidarsi di lei, e a lasciarle sempre più mano libera.

 

Si sedette su una graziosa panchina in stile imperiale davanti alla statua.

Chissà se sarebbe venuto.

Era stata sincera nella lettera, lui le mancava davvero tanto. Lo amava ancora, e molto anche. Era stato il suo unico appiglio di salvezza in quegli anni d’orrore. E su di lui aveva plasmato quel piano che forse, quella sera, avrebbe avuto inizio. Lo sapeva, si stava comportando come una vera serpe; ma non ne poteva fare a meno, era necessario. Era indispensabile per la sua vendetta.

“Narcissa!”

Una voce alle sue spalle pronunziò il suo nome. Era calda, dolce, piena di sentimenti ed emozioni, totalmente diversa da quelle che sentiva solitamente in quel luogo. Avvertì il cuore mancare un colpo, e il fiato mozzarlesi nel petto.

Si alzò in piedi, lentamente e nervosamente, e quando si voltò, non appena lo vide, le lacrime le inondarono gli occhi. Lui era lì: Remus era lì davanti a lei, bello, buono e dolce come sempre.

Si avvicinò a lei rapidamente, e in un lampo furono immersi l’uno nelle braccia dell’altro.

“Remus!” Bisbigliò lei, chiudendo gli occhi per assaporare meglio l’intensità di quel momento.

“Mi sei mancata… mi sei mancata così tanto!” Le disse lui, continuando a tenerla stretta a sé e ad accarezzarle i lunghi, setosi capelli biondi.

Si scostarono leggermente, e lui la prese per le mani, guardandola in viso col sorriso più dolce che Narcissa avesse mai visto. Il sorriso di Remus… si rese conto che il ricordo che ne aveva era solamente uno sbiadito riflesso della realtà.

“Sei bella… bella come sempre. Come stai?” Le disse lui.

 Narcissa sorrise, asciugandosi una lacrime ed invitandolo a sedersi con lei sulla panchina.

“Sto bene, grazie. E tu?”

“Anche io. Ora sono professore di Difesa Contro le Arti Oscure ad Hogworts, e la mia vita finalmente ha preso una svolta ben precisa.”

“Io invece sono la moglie del secondo uomo più orribile di tutto il mondo magico dopo il Signore Oscuro. Anche la mia vita ha preso una svolta ben precisa, eppure ora siamo qui, di nuovo insieme.”

“Lui… com’è? Ti fa del male?!” Chiese, con una certa ansia nella voce.

“No, non mi fa del male. Non fisicamente almeno. Si limita a distruggermi in cuore, lentamente e dolorosamente. La mia anima ormai è puro dolore, pura sofferenza, pura tragedia.” Gli disse, mentre una lacrima le rigava il bel volto, già arrossato per l’emozione precedente. Remus, con una carezza dolce ma decisa, la scostò via.

“Ora ci sono io, non piangere angelo mio.”

 

 

 

 Remus rientrò ad Hogworts al calare della notte. La serata che aveva passato con Narcissa era stata a dir poco fantastica: avevano chiacchierato a lungo e passeggiato in quel piccolo giardino che lei aveva detto di aver creato con le sue graziose manine, tutto come se non si fossero mai lasciati, immersi in quella strana pace che derivava dalla felicità dei loro cuori di nuovo vicini.

Poi, prima che giungesse la notte, l’aveva lasciata: poteva ritornare suo marito, e se li avesse visti assieme… quella serata sarebbe stata l’epilogo della loro esistenza.

Arrivò davanti alla sua stanza, pronto ad aprirla con il solito ‘alohomora’, ma si accorse che la porta era socchiusa.

Entrò preoccupato con la bacchetta puntata minacciosamente in mano nel caso in cui l’avesse dovuta adoperare per proteggersi.

Ma quando vide chi era l’intruso, sospirò di sollievo e chiuse la porta alle sue spalle.

“Ciao!” Gli disse Tonks senza guardarlo in faccia, immersa nella contemplazione di una ciocca dei suoi capelli verde smeraldo.

“Mi hai fatto preoccupare… non devi entrare in camera mia quando non ci sono!” Gli disse lui, togliendosi il giubbotto e andandosi a sedere al suo fianco, sul letto.

Finalmente lei lo degnò di uno sguardo, voltandosi a guardarlo in volto.

“Com’è andata la serata con Narcissa?”

“Ben… ma tu come fai a saperlo?! Non dirmi che…”

“Non ci posso fare niente, era qui sul letto e per caso una mia mano l’ha afferrata e…”

“… e l’hai letta!”

“Beh, mi pare ovvio: tanto il più era fatto. Allora, ti sei divertito?”

“Sono stato bene, sì.”

“Narcissa è mia cugina, lo sai?”

“Lo so.”

“Ed è anche sposata con Lucius Malfoy.”

“So anche questo…”

“Oh. Era tua compagna di classe per caso?”

“Sì.”

“E avete avuto una storia.”

“Già.”

“Ma lo sai che se Malfoy ti scopre a letto con lei ti ammazza?”

“Tonks… non preoccuparti, non ci spingeremo così lontano! Siamo solo amici!” Disse lui, in grande imbarazzo. Ma quella bambina i freni non li conosceva?!

“Se se, anche io dicevo così con Kroik: lui è solo un nemico, non staremo mai insieme! Ed invece…”

“Ninfa, che cosa hai combinato?!” Chiese Remus, sbiancando di colpo. Questa era la volta che Sirius gli rimetteva la luna a posto davvero…

“Beh, sono andata lì e l’ho baciato.”

“Così, di punto in bianco?!”

“Certo, non sapevo cosa dirgli!”

“E lui…?!”

“Sì, devo dire che baciare è una delle poche cose in cui eccelle.”

“Ah, quindi non ti ha respinta…”

“Avevi dubbi forse?!” Gli chiese aspramente lei, guardandolo torvo.

“No…no scusami, non intendevo… comunque, congratulazioni!”

“Aspetta, non ho ancora finito.”

“Cosa?! Che altro è… successo?!”

“Mi voleva portare a letto.”

Remus divenne esattamente bianco come il lenzuolo su cui era seduto. Sirius… in fondo era suo, amico, no? Non gli poteva fare così tanto male…

“Ehi Lunastorta, sta tranquillo, non ci sono andata!”

“Uff… cavoli, per fortuna!”

“Ha la fama di non essere molto dotato, e non volevo rimanere delusa.”

Nella stanza calò il silenzio. Remus, ritornato alla normalità, fissava profondamente gli occhi di Tonks, senza dire una parola.

“Ti sei inventata tutto?”

“Sì.”

“Volevi farmi prendere un colpo.” Disse Remus, con consapevolezza.

“Esatto.”

“Com’è andata davvero?”

“Quando l’ho visto mi sono resa conto che era davvero brutto, e così ho voltato i tacchi e me ne sono andata.

Poi però, mentre camminavo tranquillamente tornando nella mia stanza, sono inciampata fra i miei stessi piedi e sono caduta addosso ad un ragazzo Tassorosso del quarto anno. Molto carino, davvero.”

“Oh… non tutti i mali vengono per nuocere!”

“Già! E domani andremo insieme ad Hogsmead!” Disse lei, mostrando un sorrisone a trentadue denti. Poi, senza alcun preavviso, gli saltò addosso circondando il suo collo con le sue braccia e strozzandolo quasi.

“Grazie grazie grazie grazie grazie! Se non fosse stato per i tuoi consigli, non l’avrei mai conosciuto!”

Poi gli schioccò un sonoro bacio sulla guancia, e dopo averlo salutato, scappò via dalla stanza.

Remus, dopo aver ripreso fiato, si mise a fissare la porta da cui lei era uscita. Caspita, questa volta l’aveva davvero rischiata brutta! Se Dora avesse seguito i suoi consigli nel modo in cui lei li aveva interpretati, a quest’ora lui si sarebbe dovuto mettere in ginocchio a pregare la Grazia di Sirius. Insomma, il Caso lo aveva salvato…

 

Si sdraiò nel letto, portando le braccia dietro la nuca: era stata davvero una giornata memorabile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Un passo avanti ***


Lily entrò nella stanza: erano già tutti presenti, Silente, la McGranitt, i Paciock, i Canon, Alastor Moody con la sua schiera

Lily si materializzò nel camino di casa Weasly: erano già tutti presenti, Silente, la McGranitt, i Paciock, i Canon, Alastor Moody con la sua schiera di Auror scelti, e da un lato c’erano anche Sirius e James, che le fece segno di andare a sedersi nella sedia libera fra loro due. Arthur Weasly, il padrone di casa, scese dalle scale che conducevano al piano superiore in quel momento, sedendosi vicino a Moody.

Appena si fu accomodata, la riunione dell’Ordine della Fenice, una sezione particolare del gruppo degli Auror che aveva il compito di programmare il da farsi e aveva il monopolio delle informazioni più segrete e importanti, ebbe inizio. Vi facevano parte anche uomini che, nonostante non facessero parte delle forze armate magiche del regno, occupavano posizioni importanti in luoghi che era meglio tenere sotto controllo: questo, ad esempio, era il caso di Arthur, che lavorava al Ministero nel reparto riguardante le relazioni con i babbani, e pertanto aveva notizia di ciò che accadeva nel mondo non magico, e di ciò che i piani alti della legislazione avevano in mente.

L’Ordine della Fenice, insomma, era una società segreta votata alla causa del popolo.

 

Albus Silente, seduto al centro della stanza, prese la parola.

“Purtroppo ho lo spiacevole compito di avvertirvi che la situazione è degenerata. Il periodo di relativa pace in cui eravamo immersi ultimamente, come avevamo sospettato era foriero di disgrazie.

Abbiamo appena avuto conferma dai nostri inviati che Voldemort è riuscito a trovare nuovi alleati. In Francia- e appena disse questo nome Sirius ebbe un piccolo sobbalzo, di cui si accorsero solo James e Lily, che gli tenne stretta una mano in segno di conforto- i giganti si sono schierati dalla sua parte. E, come penso che avrete capito, non sono un nemico da prendere alla leggera.”

“I giganti sono dei grandi idioti! Basterà ammansirli con un paio di incantesimi!” Commentò un Auror della schiera di Malocchio.

“Jess, sta zitto: non sai quello che dici. Ti metterebbero a tacere per sempre prima che riesca a pronunciare per intero un qualsiasi, anche ridicolissimo, incantesimo.” Sbottò Moody, deluso dalla stupidità dell’amico.

“Ho paura che Alastor abbia ragione, signor Stone. I giganti sono molto forti, e a causa della loro stazza bisogna pronunciare l’incantesimo vicino ad essi affinché abbia effetto, rischiando così di incorrere nella loro furia pericolosa. “ Disse Silente. “Dovremmo cercar di riuscire a portarli dalla nostra parte con le buone, non con le cattive. Ed è per questo che Hagrid è già andato là: tenterà, insieme ad una schiera di Auror specifici nel campo delle relazioni tra le varie creature del mondo magico, di patteggiare con loro.”

“Quand’è partito Hagrid?” Chiese Lily.

“Questa mattina, con una passaporta che lo conduceva direttamente a casa Nimbus.” Rispose la McGranitt.

Appena sentì ciò, Sirius balzò in piedi per lo stupore. “Cosa?! Casa Nimbus? Intendete dire che la villa di Solaria è diventata in quartiere generale francese degli Auror?!”

“Sì Sirius. – disse Silente, pacato come sempre- Ci dispiace non averti avvertito prima, ma gli eventi sono precipitati e l’unico luogo a disposizione era Villa Nimbus.”

“Ma non avevate alcun permesso del proprietario.”

“E’ vero, ma Solaria non avrebbe mai rifiutato la nostra richiesta, perché combatte per la nostra stessa causa.”

“E’ ridicolo…” Concluse Sirius, cadendo a sedere nella sua sedia.

“Sono d’accordo con Sirius: non potevate permettervi di invadere una proprietà privata che non vi apparteneva. Al massimo, avreste dovuto chiedere il permesso a lui, essendo quello che si potrebbe considerare il ‘parente’ più vicino a Solaria.” Disse Lily. Sirius si voltò a guardarla riconoscente: non si aspettava che la Evans reagisse, e tuttavia era stata una piacevole sorpresa.

“E’ vero: quando mai sono stati calpestati i diritti di qualcuno, qui? E’ una vera e propria mancanza di rispetto, resa ancora più grave dal fatto che Solaria sta dando tutto per la nostra causa, e questo è il modo in cui voi la ringraziate.” Aggiunse James.

Nella stanza calò il silenzio. Perfino Albus Silente rimase senza parole, a fissare i tre giovani amici davanti a lui.

“Chiedo scusa allora a nome di tutti coloro che, insieme a me, hanno accettato tale decisione: spero tuttavia che tu non intenda toglierci il permesso di stare in quella casa. E’ un punto strategico molto importante, ci danneggerebbe assai perderlo.”

Sirius rimase un attimo a pensare. Non gli era andato giù l’accaduto: si erano presi troppe libertà nei confronti di Solaria. L’avevano trattata di nuovo come se non avesse altro valore se non quello di un oggetto utile per lo scontro con il nemico, sempre disponibile a tutti e a tutto, sempre sacrificabile.

Eppure, non poteva negare loro quel punto strategico. Era troppo importante per controllare le mosse di Voldemort e dei suoi alleati.“Vi cedo la casa, ma ad una condizione: nessuno dovrà mettere piede nella stanza d’oro. Quella è e rimarrà per sempre proprietà privata. Inoltre, chiedo di poter fare parte della squadra scelta francese.”

“I membri sono al completo, Potter.” Disse Alastor, guardandolo con quell’occhio orribile che aveva sostituito l’altro perso durante una battaglia.

“Allora non avrete il permesso di entrare in quella dimora.”

“Le pare il momento di fare ricatti?” Gli chiese la McGranitt.

“Siete voi che mi avete messo nella condizione di farli, sbagliando per primi. Non portando rispetto a Solaria.

Ed ora, in qualche modo dovete farvi perdonare.”

“Oh, ma questo è inconcepibile!” Gridò la professoressa, rossa per la rabbia.

“Professoressa, non mi irriti. Non voglio mancarle di rispetto.” Sibilò Sirius fra i denti. Come si permetteva quella vecchia racchia di comportarsi a quel modo?! Ancora non si era resa conto di ciò che lei e i suoi cari amichetti avevano fatto?! Possibile che non nutrisse altro che indifferenza nei confronti di Solaria?!

Spostò lo sguardo, e si ritrovò a fissare gli occhietti azzurri di Silente: il più grande mago che Hogworts avesse mai visto dai tempi dei tempi, ora era triste. Non solo, era anche dispiaciuto.

L’ira di Sirius si placò lentamente. Almeno c’era qualcuno che considerava la sua Solaria una persona umana.

“Per favore, fate silenzio. Non è il caso di degenerare in un litigio. Siamo in guerra, e come ben sapete, l’unità fa la forza. Non dobbiamo dividerci.

E, in fondo, la richiesta del signor Black non mi pare così assurda. Anzi, conoscendo la zona lui potrà essere d’aiuto ai nostri uomini.” Disse Silente, facendo tacere immediatamente tutti.

“Dunque, si farà come lei ha chiesto, signor Black.

Ma ora, dobbiamo riprendere il nostro discorso.

I giganti non sono gli unici abitanti del mondo magico ad essere scesi al fianco di Voldemort. C’è qualcun altro, addirittura più pericoloso di loro, che dovremmo davvero temere e dovremmo adoperarci per riportarlo all’ordine.

I Dissennatori.”

A queste parole di Silente, la stanza si riempì di brusii concitati, voci spaventate, volti pallidi, occhi sbarrati dal terrore. I Dissennatori… erano i demoni più terribili che si potessero conoscere. Potevano essere identificate come maligne anime in pena, che trovavano la pace solamente succhiando via l’anima degli esseri viventi che gli capitavano per mano. Il loro Bacio era mortale. Il solo modo per sconfiggerli era invocare l’Incanto Patronus, un forte incantesimo alimentato di colui che l’aveva creato.

Essi erano i terribili guardiani del carcere magico di Hogworts, da cui nessuno era mai riuscito a scappare.

“Come… come può essere?!” Chiese la fidanzata di Paciock, sconvolta.

“Voldemort ha promesso loro una lauta ricompensa.” Disse Silente.

“E quale?” Chiese James.

“Vagare liberi per il mondo umano.” Rispose la McGranitt senza alzare lo sguardo, immersa com’era nei suoi pensieri. Un altro brivido scosse la stanza.

Bisognava porre veloce rimedio a ciò: altrimenti, altre numerose vite innocenti sarebbero state perdute.

“Come possiamo riportare i Dissennatori fra le nostre schiere, Silente?” Chiese Moody.

“Non lo so, mi dispiace. So solo che dovremmo tenerli a bada, per il bene nostro e di tutti coloro che abitano questa Terra.”

 

 

Finita la riunione, i membri dell’Ordine della Fenice si radunarono intorno all’abbondante bouffet che la padrone di casa, che ancora non si era presentata al gruppo, aveva preparato per loro.

Lily, non avendo molta fame, dopo aver spizzicato di qua e di là chiese a Arthur dove fosse sua moglie, e lui la invitò a salire al piano superiore.

E così la giovane Evans, sebbene con un po’ di difficoltà dovuta al tremendo trambusto di quella casa magica, salì le scale.

Appena arrivata al primo pianerottolo, un tremendo baccano le fece spalancare gli occhi per lo stupore urla, grida, risate, pianti di bambini provenivano da lassù. Sicuramente, per poter fare la riunione in pace, Arthur era stato costretto a proteggere la stanza con un forte incantesimo in sonorizzazione.

Continuò a salire, e seguendo la scia delle grida, entrò in una stanza.

Lo spettacolo che le si presentò le fece rizzare i capelli sulla testa.

La camera (scusate i termini ma sono i più appropriati ed espliciti per descrivere la sensazione che essa poteva dare) era un tremendo casino: giocattoli di qualsiasi genere vagavano ovunque, per terra, per aria, per le pareti, e molti di questi si schiantavano addosso a tre bambini, tutti con i capelli rossi, che sembravano litigare tra loro.

Da un lato della stanza, una giovane donna dai capelli rossi tentava di tenere buoni altri due marmocchi, i piccoli di casa sicuramente, due gemelli. Senza molti successi però, dato che quando ne acciuffava uno, l’altro scappava, e quando riprendeva questo, non si ritrovava più l’altro.

“Molly!” Esclamò Lily. Le voci per un attimo cessarono, e tutte le testoline rosse presenti nella stanza si voltarono a guardarla.

“Ciao Lily!” Gridò Molly, mostrando un bel sorriso sul volto pasciuto.

Avvenuti i convenevoli, i bambini si sentirono liberi di continuare a farsi gli affari loro, e così ripresero la loro cagnara.

 “Come stai?!” Le chiese Molly, mentre lei si avvicinava, scansando i trenini che le camminavano tra i piedi e gli aeroplani che le volavano intorno alla testa.

“Tutto bene! Tu, invece, mi sembri un po’ in difficoltà!” Disse Lily, sorridendole e afferrando uno dei due piccoli che, approfittando dell’attimo di distrazione della mamma, stava tentando di fuggire via.

“Come si chiama questa piccola peste? Ma… sono gemelli?!” Chiese poi, guardando l’altro bambino che la giovane mamma teneva in mano.

“Eh sì!”

“Molly, ti stai dando da fare sul serio!”

“Adoro i bambini, anche se qualche volta sono… beh, un po’ catastrofici!” Disse l’amica, sorridendo felice.

“Sì, l’avevo notato!” Disse Lily, schivando per un pelo una palla che il bambino più grande aveva tirato addosso al fratellino con gli occhiali, che però la schivò, lasciando che questa continuasse la sua corsa.

“Allora! Lui è George!” Le disse, indicando il bimbo che lei teneva in mano. “Quello che hai tu in braccio invece è Fred. Poi c’è Billy, il primogenito e il più alto fra tutti; Pearcy, il terzogenito, è il bambino con gli occhiali; e il secondogenito è…. Oh! E’ sotto quel letto! CHARLIE WEASLY, NON PERMETTERTI DI TIRARE QUELLA RANA ADDOSSO A TUO FRATELLO PEARCY!”

“Sono davvero… beh…numerosi!”

Molly si voltò a guardarla, con un sorriso condiscendente in volto.“Lo so Lily che tu non hai mai avuto la passione per i bambini! E, certamente, vedere me in queste condizioni non potrà aver avuto un effetto benefico!

Ma non sai quanta gioia possano dare queste piccole pesti. Quando ne avrai una tutta tua, potrai capirmi. E allora, ripensando al passato, non potrai fare a meno di ridere e dire quanto eri sciocca a pensarla in quella maniera.”

Lily, con un nodo alla gola, si voltò a guardare l’amica. “Non credo di poter essere una buona madre…” Le disse poi. “Ho avuto dei genitori fantastici, ma io non sono come loro. Sono sempre stata diversa…”

“Sì, diversa perché nelle tue vene scorre la magia. Ma il cuore, mia cara, il cuore non cambia!”

“Non l’ho mai usato tanto il cuore, sai? Ho sempre preferito il cervello…”

“Possibile che in questi anni non ci sia stato nessuno che ti ha fatto cambiare idea?!” Chiese Molly, con un sorriso malizioso in volto.

 

Toc Toc

 

La porta si aprì senza che nessuno avesse dato l’Avanti, ed entrò un giovane uomo dai tremendi capelli arruffati e gli occhiali grandi e rotondi. Si guardò intorno con fare circospetto, e dopo aver individuato Lily, si decise a raggiungerla facendo a slalom fra i giocattoli dei bambini che, divertiti dalle sue esclamazione di stupore, iniziarono a tirargli addosso qualsiasi cosa avessero in mano.

“Ciao Molly!” Disse il ragazzo in mezzo alla stanza, capendo che era meglio stare fermo e affrontare il pericolo.

“Ciao James! Come stai?”

“Io benissimo! Oh, ma sono splendidi questi demonietti! Lily, ne voglio avere almeno una decina, ok?! Qua c’è da divertirsi da matti!” Disse, scoppiando a ridere e bloccando con mosse tipiche delle arti marziali, che provocarono grande meraviglia e ammirazione nei bambini, i giocattoli che loro gli tiravano addosso.

“Ti do al massimo due anni di tempo, prima di cambiare idea su questo argomento!” Disse Molly, guardando con occhi scintillanti prima James e poi Lily.

La giovane Evans sorrise. “Mi sa tanto che questa scommessa la vincerai tu!”

“Lily, vieni, dobbiamo andare! Ahi, piccola peste…. Ecco bravo! No, tu capellone, non fare ingoiare la rana a quattrocchi, altrimenti poi gracchia pure lui!” Disse James.

“Vengo subito! Ciao Molly, ci vediamo presto!”

“Ci conto, eh?”

“Certo! Ciao piccolo Fred! Fai da bravo, mi raccomando!” Disse, mettendo il bimbo fra le braccia della mamma, accanto al gemellino.

“Ciao Molly!” Disse James che, raggiunto dalla ragazza, aveva iniziato ad allontanarsi verso la porta.

“Ciao James!” Lo salutò la mamma, mentre toglieva dalla bocca di George le dita di Fred che lo stavano letteralmente affogando.

 

 

 

“Ehi, stasera mi aiuti in trasfigurazione? Non ho capito un tubo dell’ultima lezione!” Disse Tonks, cercando di levarsi dal piede il secchio delle pulizie che Gazza aveva lasciato per i corridoi, e che lei, naturalmente, aveva centrato in pieno mentre camminava di fianco a Remus.

“Ma Tonks, sono un professore, e di un’altra materia per giunta: non posso permettermi di fare una cosa del genere! Non rientra nei miei doveri!” Disse Remus, fermandosi e aspettando che lei finisse di liberarsi dell’odioso aggeggio e lo gettasse da una parte, senza molta cura. Dopo pochi secondi, ripresero a camminare velocemente verso la stanza di Remus.

“Che centra? E i doveri da amico dove li lasci, eh? Quelli te li sei scordato?!” Disse Ninfa, arrabbiata.

“Ok, va bene, ti dico quello che vuoi sapere: non ci sono stasera.”

“Non è giusto, sei sempre da lei! E’ un mese che sei fisso a casa sua! E vuoi continuare a farmi credere che parlate e basta?! Dopo un mese?! Io dico che siete ormai in fase mooolto avanzata!”

“Tonks, ti prego, non farmelo dire.”

“Cosa?”

“Che non sono affari tuoi!”

“Sì che lo sono, lei è mia cugina e tu sei il mio migliore amico. Senza contare che a me piace un sacco ficcare il naso nella vita privata altrui!”

“Mi sembra di sentire Sirius…” Disse lui, esasperato.

“Grazie! Per stasera allora?”

“Niente!”

“Come niente?! Io ho bisogno di quelle ripetizioni, domani ho un compito importantissimissimo!”

“Ma le ho promesso che sarei andato da lei!”

“Quando torni… per favore!”

“Uff… e va bene!”

Si sentì un fracasso tremendo nel corridoio che avevano appena attraversato. Entrambi si bloccarono e corsero a vedere cosa era successo: Remus perché era un professore e doveva accertarsi della salute dei suoi alunni, Tonks perché era una tremenda curiosa, nonché una pettegola DOC, per cui era d’obbligo presentarsi in momenti del genere.

“Cos’è successo?!” Chiese Remus, avvicinandosi al gruppetto di ragazzi che stava fermo intorno a qualcuno. Lunastorta si fece largo nella massa, finché non vide quello che era successo e sospirò, sempre più esasperato.

Per terra, dolorante e piuttosto confuso, c’era un giovane Corvonero, con il secchio di Gazza che gli rotolava affianco.

“Tonks…” Disse Remus.

“Eh sì… ho visto!” Fece quella, completamente rossa in viso. Poi si chinò ad aiutare il ragazzo ad alzarsi.

“Ciao! Scusami, è colpa mia, ho tirato il secchio per terra senza pensare alle ovvie conseguenze…”

Il bambino si fermò a guardare, ancora sconvolto, il viso della giovane che stava davanti a lui, scrutando in particolar modo i capelli rosa a pallini fucsia.

“Sei Tonks, non è vero?” Le chiese.

“Già!”

“Dovevo aspettarmelo che c’eri di mezzo tu!”

“Ehi, e questo cosa vorrebbe dire?!” Chiese lei, divenendo pericolosamente rossa in viso.

“Che sei una calamità ambulante!” Disse quello, rialzandosi in piedi. Ma uno spintone della ragazza lo fece ricadere a terra.

“Ninfa!” Gridò Remus, spostandosi subito dal suo fianco per aiutare il ragazzo a rimettersi in piedi.

“Peccato che non ti sei rotto l’osso del collo!” Gridò quella, correndo via furiosa, mentre i capelli cambiavano vorticosamente colore sotto lo stupore generale.

“Cinque punti in meno a Grifondoro!” Si trovò Remus a dire quando la ragazza sparì dietro l’angolo. Doveva evitare di mostrarsi troppo parziale, fatto che purtroppo gli era stato già rimproverato numerose volte dai professori e dagli alunni stessi. Purtroppo Tonks il danno l’aveva fatto, e doveva anche pagarlo.

 

 

 

Remus bussò alla porta della villa di Malfoy Manor.

Fu lei ad aprire, mostrandogli uno dei suoi splendidi sorrisi. Quella sera era particolarmente bella, tutta vestita di damasco di seta color bianco e oro, ed i capelli sciolti sulle spalle nude.

“Ciao Remus!” Disse lei, facendolo entrare e chiudendo la porta alle sue spalle.

“Ciao Narcissa.”

Si fermarono un attimo a guardarsi, sempre con quel sorriso, silenzioso eppure così carico d’emozione, dipinto sul volto.

“Oggi sei particolarmente bella. Chi aspetti?” Le chiese, in un sussurro.

Lo sguardo di lei fu anche fin troppo eloquente. Remus deglutì: no, non potevano osare di… non potevano… non avrebbe resistito… no…

“Te.” Fu la sua semplice, cristallina risposta, che come un sasso lanciato sullo specchio di un lago frenò gli ingranaggi del suo cervello.

Si avvicinarono lentamente, continuando a fissarsi negli occhi. Poi lei gli accarezzò il viso con una delle sue candide mani, e lui, trafitto da quel contatto tanto desiderato ed ora finalmente raggiunto, non riuscendo a trattenersi le circondò la vita con le braccia, facendola avvicinare ancora più a se e baciandola con dolcezza e ardore.

 

Continuarono a baciarsi, seguendo un’invisibile sentiero all’interno della casa senza che Remus se ne accorgesse.

Capì dove si trovava solamente quando si ritrovò sopra di lei, su di un soffice letto di piume. La stanza di Narcissa.

Lei lo aveva condotto là? Altrimenti, come c’erano arrivati?!

Ma ogni interrogativo fu stroncato da un altro bacio di lei, che lo riempì di immenso desiderio e lo svuotò di qualsivoglia forma di razionalità.

Si spogliarono lentamente e vicendevolmente, fino a ritrovarsi l’uno sull’altra, completamente nudi, resi un tutt’uno dallo stesso, incredibile, candore della pelle.

“Ti amo.” Le disse Remus in un sussurro, prima di entrare in lei.

“Anche io.” Fu la sua risposta.

Si risvegliarono a notte fonda, nello stesso istante, uniti in un dolce abbraccio. Si guardarono intensamente, sorridendosi con dolcezza.

“Non me ne andrei mai da qui.” Le disse Remus, scostando con una carezza una ciocca bionda caduta sulla fronte di lei.

“E io non ti lascerei mai andare.” Gli rispose Narcissa.

Remus si chinò, baciandole lentamente una guancia, scendendo poi ad incontrare la curva di quelle labbra perfette.

“Ma lui potrebbe ritornare. Non voglio che ti faccia del male, devo lasciarti.” Le disse, appena si sentì pervadere di nuovo desiderio. Si alzò e, velocemente, iniziò a vestirsi.

“Allora vai. Ti aspetterò domani, amore mio.”

“Buona notte, mia stella.” Disse lui baciandole la fronte, e scomparendo un attimo dopo con un leggero ‘pof’.

 

 

 

Si smaterializzò davanti ai cancelli di Hogworts, e una volta dentro corse fino ad arrivare al castello.

Era felice, felice come non mai. Nemmeno quella luna, quasi piena, che occhieggiava nel cielo sereno notturno, riusciva a mettergli malinconia.

Non era in grado di pensare ad altro se non a lei, alle sue carezze, alla sua dolcezza, al suo corpo perfetto. All’amore che li univa.

Era tutto così meravigliosamente perfetto, così sconvolgentemente giusto…

Percorse sempre di corsa i corridoi di Hogworts, e si fermò solamente, con un sospiro, davanti alla porta della sua stanza.Era già pronto ad aprila con il solito incantesimo, ‘alohomora’, quando si accorse che era già schiusa.

Spalancò il battente lentamente, puntando la bacchetta davanti a se con fare minaccioso, quando, rivolti gli occhi in direzione del letto, si accorse che non era il caso di preoccuparsi.

Entrò nella stanza, richiudendosi la porta alle spalle, e gettando il cappotto su una sedia. E beh, era ovvio, e chi altri poteva essere se non Tonks?!

La ragazzina dormiva tranquillamente nel suo letto, con un libro tenuto saldamente dalle braccia sul petto.

Quasi accorgendosi di essere osservate, Dora sbatté un paio di volte le palpebre e saltò su a sedere, guardandosi intorno un poco spaesata e piuttosto arrabbiata. Si stropicciò gli occhietti azzurri, poi, finalmente, poggiò il suo sguardo carico di rimprovero su Remus, in piedi davanti a lei.

“Avevi promesso che mi avresti aiutato.” Gli disse. Il suo tono era duro, sebbene la voce fosse ancora un po’ rauca per il sonno. “Se sapevi di non dover tornare questa notte, potevi anche dirmelo così avrei tentato di arrangiarmi da sola nel pomeriggio.”

Remus si sentì perduto. La delusione e la rabbia che sentiva nella voce della bambina lo avevano improvvisamente riportato alla realtà, facendogli capire tutti gli errori che aveva commesso. Primo fra tutti, non sarebbe mai dovuto andare così oltre con Narcissa: diamine, era una donna sposata, e se il marito fosse venuto a conoscenza di ciò che era successo, probabilmente l’avrebbe uccisa.

Senza contare che poi si era completamente scordato della sua piccola amica, e lei, naturalmente, da brava Black, era a dir poco furiosa.

“Non ti ho mentito: pensavo che sarei tornato assai prima… Mi dispiace.”

“Che cosa avete fatto?”

“Se vuoi, possiamo ancora porre rimedio: ti posso aiutare a…”

“Ci sei andato a letto.”

Remus sospirò. “Sì Tonks, ci sono andato a letto.” Confessò, sedendosi di fianco a lei.

“Come è stato?” Chiese di nuovo lei. Questa volta però la voce aveva perso totalmente la rabbia di cui era carica prima: un altro di quegli assurdi cambiamenti d’umore di cui Remus non riusciva ancora a capacitarsi. Ora era curiosa. E questo lo mise in imbarazzo.

“Tonks… ma che domande fai?!”

“E dai, confidami i tuoi pensieri post-sessum!”

“Post- ses… ma lo sai che sei peggio di Sirius, quando ti ci metti?!”

“No, questo è impossibile: Sirius è il top dei top!”

“Già, è vero…” Mugugnò lui.

“Allora?”

“Allora cosa?!”

“Allora dimmelo! Hai visto il Paradiso oppure sei sceso giù fino all’inferno? O tutti e due?!” Fece lei, mentre un sorriso divertito e malizioso le si allargava sul bel visino.

“Ma guarda un po’ questa piccola civettuola! Ma domani non avevi il compito di trasfigurazione?!”

“No!”

“Come no?!”

“Io non lo faccio!”

“Perché?”

“Perché non ci vado!”

“Come non ci vai?!”

“Mi fingo malata e me ne rimango a letto!”

“Ma non puoi!”

“Sì che posso, ed infatti è quello che farò! Dunque, questa notte posso rimanere alzata quanto mi pare e piace!”

“Fila via e mettiti a dormire, perché domani mattina vengo da te e ti trascino a lezione!” Magari con un po’ di polso riusciva anche a farsi obbedire…

“Oh, ma quanto coraggio professor Lupin! Dunque, uno dei sintomi post-sessum è la temerarietà! Qualcos’altro?!”

“Ma tu non stavi dormendo?!” Escalmò Remus, allibito. Come poteva essere così vispa e vitale un secondo dopo essersi svegliata?!

“Osservazione molto attenta: cavoli, il sesso migliora la vista!”

“Come diamine fai a cambiare umore così in fretta?! Prima sembravi un angioletto dormiente, poi una furia omicida, e adesso una pettegola incallita!” Gridò Remus, esasperato.

“Oh, ecco il primo sintomo negativo: confusione. Molta confusione!”

“Tonks! Finiscila!”

“Intolleranza…”

“Basta!”

“…Ira…”

“Per la barba di Merlino, non ti sopporto più!”

“…Esasperazione! Professor Remus, mi viene da pensare che lei sia in un avanzato stato depressivo! Mi ascolti bene: il sesso le fa male. Non lo faccia più!”

Ninfa!”

“Guarda che sono io a dover essere arrabbiata con te, non il contrario!”

“Questo l’avresti potuto dire cinque minuti fa, ma non ora!”

“Posso dormire qua?”

“Cosa?!”

“Dai… non ho voglia di andare in dormitorio! Senza contare che se Gazza mi trova, mi spenna e mi manda dalla McGranitt, che mi odia, e mi farà fare il compito anche se avrò la febbre a cinquanta domani!”

“Ti accompagno io!”

“Noooo, non ho voglia di muovermi!” Confessò lei.

“Hai mosso la bocca dicendo così tante scempiaggini, e adesso non hai voglia di muovere i piedi e tornartene in camera tua?! Non ci credo.”

“Credici.”

“Ninfa, va in camera tua subito!”

“Vacci tu! Te la lascio! A me non piace. E poi c’è quella stronzetta che dorme con me…”

Remus sospirò, esasperato, e preso il pigiama, andò nel bagno per cambiarsi.

Quando ritornò, la ritrovò già sdraiata sotto le coperte, nella parte del letto che aderiva al muro. Dormiva. Già, adesso stava dormendo. Spiazzante, non c’è che dire!

Si avvicinò lentamente, e si mise sotto le coperte.

La guardò in viso.

Quando dormiva, poteva anche rassomigliare ad un angioletto, con quelle guanciotte pasciute, le labbra morbide, e gli occhietti piccoli. Certo, naturalmente non si dovevano considerare i capelli a strisce nere e gialle… Oddio, ma come le era venuto in mente un simile assemblaggio di colori?! Sembrava la testa di un’ape…

Piccola, dolce Tonks. Era l’unica persona al mondo che riusciva a farlo arrabbiare e poi ridere subito dopo, come se niente fosse. La sua migliore amica.

No, non solo. Lei occupava nel suo cuore il posto che prima era stato del suo fratellino.

Tonks era come una sorella per lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Rivelazioni ***


I cinerei occhi la fissavano

I cinerei occhi la fissavano. Lei era lì, immersa in quell’oscurità, magnifica come una regina, forte come una quercia, potente e triste come solo una veggente poteva esserlo. Conosceva il suo destino, e lo accettava in silenzio. Coraggio? No. Solo voglia di porre in fretta una fine a quella vita senza senso.

Io so chi sei… ma non riesco a capirlo. Perché sei sempre nei miei sogni? Cosa significhi?

Cos’è quella gemma che ti brilla nella fronte, circondata da due ali di nere lacrime?

 

Si svegliò lentamente sul suo letto, rimanendo sdraiata sotto le calde e confortanti coperte, la testa poggiata sul morbido cuscino.

Un anno. Era passato un altro anno. Da trentasei lune oramai stava ad Avalon. E da circa dieci continuava a fare quel sogno.

Ogni notte si aggiungeva un piccolo particolare. All’inizio era stato il lungo abito di velluto nero, raffinato ed aristocratico. Poi le sue mani, lunghe, sottili, dalle belle unghie curate. Infine, poche settimane prima, era apparsa la sua fronte. E con essa, quel simbolo.

Si trattava di una pietra di colore blu scuro, incastonata nella candida pelle della ragazza, circondata da due volute create con piccole gocciole nere tatuate nella sua carne.

 

Ciò che più l’aveva preoccupata, era che quel simbolo, da circa tre mesi, era presente anche nella fronte di Gardenia. Due spirali di gocciole nere. Quando gliele aveva viste, era sbiancata di colpo: nulla stava avendo più senso.

Aveva saputo dall’amica che quel simbolo veniva tatuato nella fronte della futura Dama del Lago il giorno che ella compiva il suo diciannovesimo compleanno. Inutile chiederle se ci potessero essere nell’isola altre ragazze che potevano aspirare a tale carica: si diventava Grande Sacerdotessa soprattutto per linea di sangue. E Gardenia non aveva sorelle.

Senza contare che poi, sapeva per certezza che anche lei era una veggente. Non sapeva come, ma n’era consapevole. La dama dei sogni era una veggente come lei.

L’identità di quella fanciulla dei sogni si faceva sempre più misteriosa, e stava incominciando ad innervosirla davvero. Non le piaceva essere all’oscuro di qualcosa. Non n’era abituata. Certo, alle volte aveva desiderato ardentemente di non avere quei suoi terribili poteri… ma ora ne sentiva la mancanza.

Si alzò, indossò la vestaglia poggiata sulla sedia accanto al letto, ed uscì dalle sue stanze.

A piedi nudi, nella pace più immensa e obliante che solo nell’isola della Dea si può trovare, si mise a passeggiare sulla riva del lago. Teneva lo sguardo fisso davanti a se, anche se in realtà non guardava il paesaggio che le si presentava di fronte, ma cercava di riporre ordine a tutti i pensieri che aveva in mente, a tutte le immagini. A tutti i ricordi.

C’era qualcosa che non andava. Quella ragazza che sognava sempre era l’anello finale di una catena, di cui però le mancavano ancora alcuni pezzi. Sì, ma di cosa? C’era qualcosa che doveva scoprire del suo passato, oppure si trattava di esperienze che ancora doveva vivere?

 

 

Sirius guardò la villa. L’erbaccia invadeva il giardino, e i bei colori della facciata erano leggermente sbiaditi. Da tre anni nessuno se ne prendeva cura, e gli Auror che da poco si erano sistemati lì certamente non si sarebbero curati di rimettere ordine.

Quando lei non c’è, tutto decade…

Sospirò. Quanta amarezza gli metteva in cuore quel luogo, così pieno di ricordi teneri, dolci, ma anche tristi…

“Avanti Sirius Black, andiamo.” Gli disse una calda voce al suo fianco. Sirius si voltò a guardare Silente, che aveva sul viso uno dei suoi soliti sorrisi pieni di calore e comprensione. L’aveva sempre sorpreso quel vecchio, era una vecchia quercia nel cui cuore regnava tutta la conoscenza del mondo. Sapeva sempre tutto di tutti, come un caro angelo custode che veglia sulla vita di coloro che lo circondano.

Lo aveva voluto accompagnare a tutti i costi, dicendo che gli interessava controllare la situazione francese.

Ma, conoscendo il suo vecchio Preside, probabilmente aveva ben altro in mente.

 

Si diressero verso l’interno della casa. L’Auror all’ingresso della proprietà Nimbus aveva detto loro che i suoi compagni erano riuniti nella sala da pranzo. Quando vi arrivarono, trovarono una decina di uomini con la divisa da Auror intorno ad una cartina, che parlavano animatamente di nuove strategie d’attacco. Vedendoli entrare però, si voltarono tutti e li accolsero con un sorriso.

“Silente e il giovane Black! Finalmente siete giunti!” Disse un uomo dallo spiccato accento francese, avvicinandosi a loro. “Avanti, venite e dateci una mano! Hagrid è uscito con una schiera di sette per controllare i nuovi movimenti del gruppo di giganti nelle montagne del centro. Per ora, comunque, la situazione è questa!” Disse l’uomo, conducendoli verso il tavolo.

C’era su di esso, come ho già detto, una grande cartina che ritraeva l’intera Europa. In essa erano segnati con dei triangoli i luoghi di natura magica e i centri abitati da streghe e stregoni. Con puntini viola, invece, erano indicate le posizioni degli Auror. In quel momento un bel gruppetto era posto intorno ad un triangolino particolarmente grande al centro dell’esagono che rappresentava la Francia.

“Per ora com’è la situazione, Julien?” Chiese Silente.

“Esattamente com’era un mese fa, quando ci siamo trasferiti qua. I giganti sono lì, fermi, e non si muovono ancora. Sicuramente stanno aspettando gli ordini da… da Tu-Sai-Chi.” Disse poi, in un flebile bisbiglio.

A quelle parole Sirius, che erano intento ad osservare con interesse la cartina, alzò di scatto il viso e rivolse uno sguardo di fuoco all’uomo che aveva davanti.

Gli era appena ritornata in mente la lettera che Lily aveva mandato a Solaria, e che lei gli aveva letto in uno di quei pochi giorni in cui stava bene. Ormai molti chiamavano Voldemort, o meglio, Tom Riddle, Tu-Sai-Chi, temendo non solo la sua persona, ma perfino il nome stesso che lo identificava. Dare un tale onore ad un verme del genere…

“Per caso intendevate Voldemort?” Chiese con voce secca e aria torva. L’uomo lo fissò, mentre i suoi occhi si riempivano di paura.

La stanza cadde nel silenzio.

“Dire il suo nome può portare gravi sciagure…” Assentì poi, con un filo di voce. E dal silenzio che gli altri continuavano a mantenere, si poteva dedurre che fossero pienamente d’accordo con lui.

Sirius li fissò ad uno ad uno, posando su di loro uno sguardo pieno di rabbia. Poi, ad un certo punto, con violenza gettò per terra la cartina che aveva davanti, gridando:

“E voi sareste coloro che dovrebbero sconfiggere Voldemort?! Da quando in qua si accettano esseri così vili fra gli Auror?! SIAMO CADUTI COSI’ IN BASSO?!”

E, senza aggiungere altro, si voltò e se ne andò dalla stanza a passo di guerra.

 

Iniziò a vagare per i corridoi della villa, lasciandosi guidare dalla sua mente, senza essere consapevole del luogo in cui si stava recando.

Erano davvero caduti così in basso? Davvero si erano trasformati in delle povere pecorelle che attendevano solo che il lupo cattivo le azzannasse? Come potevano uomini del genere far parte degli Auror, impiegare la loro vita a proteggere i loro simili sventando gli attacchi del nemico, e poi avere paura di pronunciare perfino il nome di colui che dovevano eliminare?! Assurdo… stava diventando tutto assurdo. Sciocco. Insensato. Se si continuava così, combattere non avrebbe più avuto senso.

Possibile che oltre a lui, ai Canon, ai Paciock, a James e Lily, a Remus, non ci fosse nessuno davvero in grado di combattere il loro nemico?

Solaria, abbiamo davvero un pazzo bisogno di te. La sua mente formulò questo pensiero. Ed immediatamente, pensando a ciò che esso significava, arrestò subito la corsa del suo corpo.

Loro avevano bisogno di Solaria… avevano bisogno di… Solaria… avevano bisogno di lei, della veggente che c’era in lei, delle sue capacità, della sua forza… del suo sacrificio?! Avevano bisogno anche di quello? No, di quello ne avrebbero anche fatto a meno…se non fosse che era necessario.

Mentre una morsa di fuoco gli stringeva il cuore inondandolo di dolore, fu per la prima volta consapevole del significato dell’esistenza di Solaria. No, non di Solaria, ma di quella della veggente che era in lei.

Era nata perché la sua morte era necessaria.

Era nata per morire.

Era nata morta.

Lei era la Morte.

E lui la amava.

“Incredibile come la morte possa risiedere in una creatura tanto vitale, non è vero? Anche io me ne stupii, quando incontrai sua madre. Tentai di eliminare quella sua essenza, ma non ci riuscii.

Con Solaria però sarà diverso.

Vieni Sirius, noi dobbiamo parlare. E tutto quello che ci diremo, dovrà rimanere tra noi. Lei non lo deve sapere. Non è necessario. Anche perché, altrimenti, mi metterebbe i bastoni fra le ruote come fece sua madre tempo fa, pur di proteggermi.”

Sirius fissò interdetto Silente davanti a se, e quando vide dove voleva entrare, rimase piuttosto sbigottito: la soffitta. Come c’era giunto là?! Possibile che fosse così sopprapensiero? In fondo, con Solaria non c’era mai stato, e per un motivo ben preciso.

“Silente, ma è chiusa. E’ stata bloccata con potenti incantesimi.”

“Lo so Sirius, li ho fatti io.” Disse l’uomo, dandogli le spalle e pronunciando strane parole con la sua bacchetta tesa verso la porta di legno della stanza. Si sentì un leggero schiocco, e la porta si aprì.

Sirius deglutì, sempre più allibito. Che stava succedendo?

 

 

“Come mai già in piedi? Sono appena le quattro del mattino.” Disse una voce fredda alle sue spalle. Solaria nemmeno si voltò. Non aveva voglia di litigare con lei, aveva altre cose ben più importanti a cui pensare.

Così, tentò di liquidarla con la prima sciocchezza che le saltò in mente. “Volevo vedere l’alba.”

“E per questo passeggi verso l’Ovest?!” Fu la risposta irrisoria.

“In questo luogo succedono cose così incredibili che non mi stupirei addirittura di vedere il tramonto scambiare posto con l’alba.” Biascicò lei.

Nonostante il tono di voce basso, la Grande Sacerdotessa sentì la sua replica, e non capire a cosa quella smorfiosetta si stesse riferendo la irritò troppo. Tanto che le chiese: “Di cosa parli?”

“Del fatto che lei sia diventata la Grande sacerdotessa di Avalon. La Dea doveva essere impazzita il giorno…”Rispose con tono più alto, continuando la sua passeggiata. Oh, finalmente le aveva detto anche quel piccolo pensiero che già da tempo le aleggiava nella sua lesta mente!

La bocca della Dama si ridusse ad una fessura. “Non era la Dea ad essere impazzita quel giorno, quanto qualcun altro.”

Questa volta Solaria si bloccò. Il tono della voce della donna non le era piaciuto. Sembrava stesse facendo un esplicito e insolente riferimento a qualcuno che lei doveva conoscere. “C’è qualcosa che mi deve dire?” Le chiese, con un sopracciglio alzato.

“Ieri notte ho sentito Gardenia che parlava con te di alcuni tuoi sogni.”

Ha mai provato a farsi gli affari suoi?!”

“Questi sono affari miei! Tu non potresti avere visioni qua, ed invece ne hai, per giunta durante il sonno!” Gridò stizzita la Grande sacerdotessa. Era furiosa. Solaria, già arrabbiata per l’invadenza della donna, ora era anche piuttosto confusa. Ci mancava solo lei quella mattina a peggiorarle il casino che già aveva in testa. Possibile che non trovasse altro da fare se non metterle sempre i bastoni fra le ruote?!

“Uff… che problemi ha? Se fosse più esplicita magari potremmo interrompere questo sgradito dibattito velocemente e andare ciascuna per la propria strada. Ho di meglio da fare.”

“Uhmpf! Anche lei era arrogante e altezzosa come te!”

“Lei chi?!” Gridò, esasperata. “Ma di cosa sta parlando?! Lei è completamente impazzita! Cosa centrano ora le mie visioni con… questa che mi assomiglia?!”

Cadde il silenzio. Un ghigno brillava nel volto della Dama. Solaria, se avesse potuto, l’avrebbe presa a pugni fino a ridurla in polvere. Che diamine aveva architettato stavolta la sua mente malata?

“Le visioni in Avalon possono essere solo un dono della Dea.” Disse la donna, con voce calma.

“Allora le dica che non voglio i suoi regali.”

“La dea parla solamente con le prescelte.”

Solaria, appena colse il significato di ciò che le era stato appena detto, rimase senza parole. Sì, lei era una prescelta, ma del Destino. Le prescelte della Dea erano ben altra cosa. Erano le future Dame del Lago. Che cosa centrava questo con lei?

Il ghigno sul volto della donna si allargò. Le piaceva vederla in difficoltà, alla sua mercé per giunta.

“Continui.” Le disse Solaria, irritata da quel silenzio derisorio della Sacerdotessa.

“Ti vedo interessata.”

“Come lei voleva, del resto.”

“Sì, è vero. Voglio che tu capisca bene ciò che sto per dirti.”

“Bene, prosegua allora.”

“Cosa hai intuito fino ad ora?”

“Poco e nulla.”

“Niente sospetti?!”

“Sì, un sospetto. E non mi piace affatto.” Rispose con voce gelida. Se per caso stava tentando di farla infuriare, ci stava riuscendo alla perfezione.

Calò di nuovo il silenzio tra loro. Gli sguardi delle due donne si sfidavano a vicenda, in una battaglia di cui chissà chi sarebbe stata la vincitrice. Probabilmente la Dama: era lei in quel momento ad avere il coltello dalla parte del manico. Solaria doveva aspettare le sue mosse prima di poter reagire.

“Avevo una cugina.” Iniziò la Dama, con voce solenne. “Nonostante fossimo parenti, lei era sempre stata molto diversa da me, sia d’aspetto che d’animo. Inoltre, lei era la prescelta, ed io no.”

“O povera cara…” Commentò Solaria, senza farsi sentire dalla donna.

“Aveva sempre avuto un comportamento terribile: non seguiva le regole, faceva sempre di testa sua, come se avesse l’intero mondo ai suoi piedi. Era sgarbata, superba, egocentrica, vanitosa, nonché estremamente egoista. E lo divenne ancora più quando, morta sua madre, la Grande Dama del Lago, lei dovette prendere il suo posto.

Non volle più rimanere qui ad Avalon, ed una sera, al tramonto del sole, se ne andò, aprendo le acque del lago con gli insegnamenti che le erano stati dati.”

“Oh, che storia commovente!” Disse Solaria, fingendo di asciugarsi una lacrima inesistente dal volto. “Qualcuno allora c’è la fatta a fuggire!”

La Dama del Lago la fissò ancora, in silenzio. Ora il suo ghigno si era trasformato in una smorfia di disgusto, e i suoi occhi erano pieni d’odio. “Scappò via perché, essendo come molte di noi una veggente, aveva visto ciò che sarebbe potuto accadere al mondo, però a nostra differenza non riusciva a tollerare di dover rimanere indifferente a ciò che sarebbe accaduto là fuori, in quella terra devastata dalla malvagità umana.

Idiota! Lasciò Avalon, la terra sacra, il paradiso terrestre, nella confusione più terribile. Tutte le sacerdotesse se la presero con me e mia madre, perché non eravamo riuscite a bloccarla e le avevamo così permesso di abbandonare l’isola sacra lasciando la Dea senza la sua prescelta.

Mia madre, per la vergogna e il disonore, morì.

Io fui costretta ad uscire nel mondo esterno e cercarla. Ma quella vipera era riuscita a far perdere le sue tracce… del resto, c’era da aspettarselo: era sempre stata una strega molto potente.

Quando tornai, fui proclamata Dama del Lago, in attesa che colei che doveva assumere questo ruolo tornasse. Ero l’unica abbastanza colta e potente da poter investire tale incarico.”

“Oh, adesso capisco allora… non siete stata selezionata di certo per le vostre doti, ma perché non c’era altra scelta.” Disse Solaria, un ghigno perfido in viso.

La donna impallidì. Quello era il suo punto debole… quella tremenda consapevolezza di essere stata semplicemente una seconda scelta per la Dea. Seconda, soprattutto, rispetto alla cugina. Rispetto a quella ragazza così boriosa, così piena di sé, che non aveva mai preso in seria considerazione il servizio ad Avalon e il sacerdozio divino.

Ma ora si sarebbe presa la rivincita. Avrebbe rovinato la vita perlomeno alla degna erede di quella sua odiata parente. Non le avrebbe permesso di fare ciò che invece la madre aveva fatto quella sera… al tramonto del sole… col suo solito sorriso stampato sulle labbra.

 

 

Nella soffitta c’erano numerosi bauli. E, aprendoli, Sirius era rimasto a dir poco sbalordito del tesoro che vi era rinchiuso dentro. Centinaia e centinaia di foto, molte delle quali magiche, che rappresentavano sempre la stessa, identica, coppia.

E, ogni tanto, non mancava di comparire in esse anche il vecchio mago barbuto che ora lo stava fissando, posto davanti a lui nella grande e vecchia stanza, le mani incrociate innanzi al petto e gli occhialini a mezzaluna leggermente calati sul naso.

“Silente…” Esclamò ad un certo punto Sirius: le sue parole era una sorta di richiesta d’aiuto. Voleva sapere che cosa stava succedendo… lì nelle sue mani teneva il ricordo di un passato di cui non sapeva nulla.

La foto babbana che teneva stretta rappresentava Silente, il padre di Solaria in versione giovane (lo aveva riconosciuto dal sorriso, così simile a quello della sua ragazza), e poi… e poi una splendida fanciulla, probabilmente della sua stessa età, dal viso simpatico ed abbronzato, le labbra rosse e voluttuose, gli occhi azzurri e i capelli biondo scuro. Costei aveva un’aria molto familiare. Assomigliava a qualcuno che conosceva, ma non sapeva chi.

“Prima di spiegarti chi è quella dama, voglio che tu sappia tutto dall’inizio, Sirius.

Io derivo da una nobile famiglia. Sono quello che viene considerato un mago a tutti gli effetti… un purosangue, se preferisci questo termine.

La casata Silente è sempre stata molto nota, e la sua fama non era dovuta certamente alla sua malvagità o potenza nelle arti oscure, ma alla sua abilità nell’usare la magia bianca, soprattutto per il bene delle persone che conoscevano o che giungevano per chiedere aiuto.

Per questi motivi, quando avevo circa vent’anni, fui richiamato dalla Dama del Lago, la Grande Sacerdotessa che serve l’antica Dea Madre nella terra sacra di Avalon.

Mi chiesero di partecipare ad una cerimonia denominata Bensalem, nella quale, col ruolo di Re Cervo, avrei dovuto concepire una nuova vita insieme alla Vergine Cacciatrice. Una nuova vita che sarebbe andata a servire la Dea.

Inizialmente rifiutai. Ma poi, ancora giovane, mi lasciai convincere dalle parole dei miei genitori, che consideravano tale richiesta un onore a cui non si potesse rifiutare. E così, alla fine, acconsentii e compii il mio dovere. –

A questo punto Silente si fermò, prendendo aria con un grande respiro. Parlare di quegli eventi lo turbava tantissimo, e Sirius se ne accorse.

Quella storia lo stava preoccupando, già da quando aveva sentito parlare di Avalon, e aveva capito che ci andava di mezzo la sua amata Solaria.

-Passarono altri vent’anni da quel giorno. Io, oramai, ero già professore ad Hogworts.

Un giorno, mentre passeggiavo tranquillamente per le strade di Hogsmead durante una gita con gli alunni della scuola, mi ritrovai davanti una ragazza, la fanciulla della foto che tieni in mano.”

Silente sorrise a quel ricordo, e Sirius lo guardò leggermente preoccupato.

“E le disse che era sua figlia, vero?” Chiese, poggiando di nuovo gli occhi sulla foto babbana.

Silente lo fissò, sempre sorridente. “Sì. Mi disse proprio così, ostentando uno dei suoi splendidi sorrisi che mi lasciarono a dir poco senza fiato… lei era mia figlia.

Ma la felicità di quel momento durò ben poco. Lei sarebbe dovuta essere ad Avalon, e dai tatuaggi che portava sulla fronte, avrebbe dovuto ricoprire l’incarico di Dama del Lago. Allora perché era lì ad Hogsmead in quel momento?

Rispose alla mia domanda tre mesi dopo, quando, giunte le vacanze, venne di nuovo a trovarmi, ad Hogworts questa volta. E non da sola. Era in compagnia di un uomo, un magonò, figlio di un’importante famiglia francese di maghi purosangue, che più o meno aveva la sua stessa età.

In più, dalla curva della sua pancia si poteva tranquillamente capire che era in dolce attesa.”

Silente si fermò ancora una volta, voltandosi a fissare Sirius, ce lo guardava sempre più preoccupato. Aveva capito dove Silente voleva arrivare.

 

 

“Ride bene chi ride ultimo, Solaria. Pertanto, ti conviene mettere da parte tutta la tua sbruffoneria, e stare attenta a ciò che sto per dirti. La mia storia non è ancora finita, e ciò che ora ti rivelerò non ti piacerà così tanto.”

“Volete dire che c’è anche qualcosa che mi riguarda? Pensavo mi stesse raccontando solo una piacevole favoletta…”

“Questa, arrogante mocciosa, è la favola della vita della tua stupida madre! Della tua vera madre, di quell’obbrobrio che il destino mi ha assegnato come cugina, dandogli perfino il potere di rovinarmi la vita! Ma ora, com’è vero che la fortuna gira, la situazione finalmente si è ribaltata. Sarò io a rovinare la vita a lei. O, perlomeno a te, la sua degna discendente!”

 

Lentamente, il ghigno di scherno sul volto di Solaria lasciò il posto ad un’espressione d’ira; e i suoi occhi, divenuti pericolosamente ardenti, avrebbero messo timore a chiunque li avesse guardati.

“Stia attenta a ciò che dice. La avverto, stia attenta a ciò che dice…” Disse con voce fredda e tagliente.

“Oh, adesso non sei più così indifferente, giovane Nimbus, non è vero? Ora che sai che la donna che hai considerato tua madre per più di vent’anni non era veramente tale, la tua arroganze è scemata finalmente!

Ti ho riconosciuta subito, quella sera, al tramonto. Avevi lo stesso sorriso che mi rivolse lei prima di scappare da Avalon. La stessa espressione. Lo stesso aspetto.

E la Dea, questa notte, me l’ha confermato.

Mi ha detto che sei tu la figlia di Urania.

Tu sei la discendente della Dama del Lago scelta dalla Dea Madre.

Tu devi prendere il posto che tua madre lasciò.”

 

 

Silente, con le punta delle dita unite in quel gesto così elegante che lo caratterizzava da sempre, continuò il suo discorso. Un ruga gli solcava la fronte, segno esteriore del dolore che provava all’interno del suo cuore.

“Mi disse che, quando aveva visto con i suoi poteri divinatori cosa sarebbe accaduto in questo mondo, non aveva potuto indugiare oltre ad Avalon, ed era scappata via, usando potenti magie affinché nessuno la ritrovasse.

Ed era andata da lui. Dal ragazzo con cui aveva condiviso il suo Bensalem.

Un Bensalem molto differente dagli altri dato che lei lo aveva costretto ad imitarla e togliersi la maschera che proteggeva la sua identità, perché non tollerava l’idea di andare a letto con un uomo di cui non conosceva nemmeno il volto.

Gli aveva raccontato tutto. E lui aveva accettato di aiutarla ad allevare il figlio che teneva in grembo. Un bambino molto particolare, che avrebbe potuto frenare la furia distruttrice di un mostro che di lì a poco sarebbe comparso nel ‘mondo esterno’… come lei chiamava il nostro mondo.

 

“Passammo mesi incantevoli assieme, divertendoci come non mai.

Poi, una sera, quando ormai il parto era questione di giorni, lei mi si avvicinò e mi abbracciò. Un gesto comune, certo. Ma quella volta c’era qualcosa di diverso.

Non feci in tempo a chiederle cosa non andava che lei, con le lacrime agli occhi, mi disse che presto sarebbe morta.”

Silente era palesemente emozionato. E, probabilmente, se non avesse ormai razionalizzato quel dolore, in quel momento si sarebbe messo a piangere.

“Non oso dirti cosa provai nel sentirle dire quelle parole. Lei era così solare, così piena di vita, così pura… e doveva morire.

Le chiesi il perché, e se c’era qualche modo per evitarlo.

Mi disse che il parto l’avrebbe uccisa. Perché il bambino le avrebbe rubato tutti i suoi poteri, ed insieme ad essi anche la sua linfa vitale.

Solo ad Avalon avrebbe potuto evitare una tale morte, aiutata dalle sacerdotesse della Dea.

 

“La pregai in tutti i modi di tornare là e farvi nascere il figlio. Ma non volle: perché, disse, altrimenti non l’avrebbero lasciata andare, trattenendola in quell’isola a compiere compiti che non sarebbero certamente serviti per salvare tante persone da una morte così certa e dolorosa, nel futuro.

‘E’ preferibile perdere una sola vita invece che mille’ mi disse.

Ovviamente non la ascoltai, e tentai di portarla al sicuro.

Ma lei era una strega molto forte… in fondo, aveva ereditato tutte le mie capacità… ed infatti riuscì a tenermi testa con molta facilità, bloccando ogni mio tentativo di soccorrerla.

Mi diede tuttavia una fiala, e mi ordinò di berla.

Era l’Anti Oblivius.

Fu così che, quando la sua bambina nacque, io fui l’unico a ricordarmi di lei. Della mia Urania. Della vera madre di Solaria.

La neonata andò nelle mani del giovane Nimbus, che nel frattempo si era sposato con una babbana francese; la tenne con se, anche perché la moglie non poteva, purtroppo, avere figli;

Era consapevole che fosse sua figlia, ma non si ricordava chi fosse la madre.

Ma dimenticò ben presto questo piccolo particolare. Solaria, con la sua allegria e vitalità, riusciva a scacciare dal cuore di chiunque qualsivoglia preoccupazione.”

Sirius poggiò di nuovo lo sguardo sulla donna della foto. Aveva la stessa aria di Solaria. Quel volto pieno di allegria, di dolcezza, di forza, che nascondeva però la tristezza che la consapevolezza della propria imminente morte le procurava.

 

 

“Lei è una pazza! Ora ne ho le prove! Lei è completamente folle!” Gridò Solaria con viso di scherno, senza riuscire a celare però la rabbia, che le trapelava tremenda dagli occhi.

“No Solaria, non sono una pazza. E tu lo sai bene. In fondo, ti sei sempre chiesta come mai i tuoi genitori non si meravigliarono così tanto quando giunse la lettera da Hogworts. Oppure quando, ancora piccola, facevi levitare gli oggetti per il semplice piacere di guardarli roteare intorno a te. O per tutte le altre stranezze che compivi…

Conoscevano la magia. Tuo padre, anche se non te lo ha mai detto, era un magonò, erede di un’importante famiglia di purosangue francese. Perché credi che fu scelto lui per il Bensalem di tua madre?! Perché, anche se non poteva usare la sua magia, il suo sangue era molto potente. Era perfettamente magico.

E le sacerdotesse della Dea devono avere sangue completamente e perfettamente magico per potere avere le visioni.

Come vedi, tutti i tasselli tornano al loro posto.

E tu non puoi fare altro che accettare la tua realtà.”

“Che sarebbe?”

“Diverrai Dama del Lago, e rimarrai a servire la Dea qui, ad Avalon, per il resto della tua vita. Allo scadere di questo anno sarai iniziata per il sacerdozio e donerai una vita alla Dea come pegno per l’incarico che stai per addossarti.”

Solaria rimase immobile, impassibile per un attimo.

Quelle rivelazioni, senza dubbio, l’aveva sconvolta. Sapere la sua vera identità era stato davvero una pugnalata al cuore.

Ma mai avrebbe dato alla Grande Sacerdotessa la delizia di vederla in preda al suo dolore interiore. Né, tanto meno, le avrebbe lasciato man libera sul suo futuro.

Se la sua vera madre aveva compiuto un atto del genere, poteva significare soltanto che ne valeva la pena. E lei non avrebbe certamente vanificato i suoi sforzi.

Riprese subito la sua solita compostezza, mentre nel suo viso le si allargava il solito, sfottente, sorrisetto malizioso che faceva irritare assai spesso chi le stava davanti.

“E lei pensa che io rimarrò qui?!”

“Sarai obbligata. Nessuno ti aprirà le acque del Lago per poter lasciare la Sacra Isola!”

“Si ricordi che io ottengo sempre ciò che voglio. Ed ora, io voglio andarmene da qui.”

“Non ti sarà permesso! Sprecherai fatiche invano.”

“Glielo ripeto, ottengo sempre ciò che voglio. E poi, sono più che mai intenzionata ad allontanarmi da lei, soprattutto ora che ho saputo che è una mia parente! Che schifo! Bleah…!” Esclamò Solaria, tremando tutta per il disgusto e facendo una gigantesca boccaccia, simile a quelle dei bambini quando hanno ingoiato una cattiva medicina.

La sacerdotessa si incupì, e corrugò la fronte per la rabbia. “Non ce la farai.”

“Io sono Solaria Nimbus, ce la faccio sempre!” E, così dicendo, se ne andò via, lasciando la Sacerdotessa immobile come un palo in mezzo alla spiaggia.

 

L’alba oramai era sorta, e Avalon era illuminata dalla luce dorata del sole.

Mentre saliva le scale che la conducevano alle sue stanze, in cui sicuramente avrebbe passato tutta la giornata a rimuginare sulle nuove rivelazioni, Solaria si voltò per un attimo a guardare lo splendido paesaggio del lago illuminato dalle prime luci del giorno.

Un giorno nuovo, diverso da tutti gli altri.

Ora la catena era al completo. Ora capiva tutto.

Ora davvero la sua conoscenza era totale.

E nemmeno quel lago le avrebbe impedito di compiere il suo destino.

 

 

“Lei, dunque, è il nonno di Solaria.” Disse Sirius, riponendo nel baule la foto e alzandosi in piedi.

“Proprio così.”

“Perché non vuole che lei lo sappia? Perché ha svelato solo a me tutti questi segreti?”

“Non sono segreti, Sirius. Probabilmente a quest’ora Solaria saprà di essere figlia di una Dama del Lago e di essere una purosangue.

Voglio solo che però non sappia di me, di quello che sono per lei. Altrimenti, come ti ho già detto, mi metterà i bastoni fra le ruote e non mi permetterà di aiutarla.”

“In che modo vorrebbe aiutarla?”

“Impedendole di morire, Sirius. Anche a costo della mia vita.

Non posso più sopportare che tali creature perdano la loro dolce vita per difenderci dal Male. Sta oramai divenendo un circolo di morte quello che caratterizza la vita delle mie discendenti. Non posso permetterlo che continui. Solaria deve essere diversa.

Ti ho svelato tutto perché così, se conoscerai le tue intenzioni, me le rivelerai. So che lo farai. La ami troppo. Come me. E come me non vuoi che le succeda nulla.

Io sono l’unico che la può aiutare.”

Sirius rimase in silenzio, soppesando le parole del vecchio mago. Poi, con un gesto secco, fece cadere il coperchio del baule e lo sigillò con la magia.

“Ecco perché questi ricordi erano sigillati quassù. Ecco perché la soffitta era chiusa. Ed ecco perché continuerà ad esserlo.”

E, così dicendo, uscì dalla stanza.

 

Forse, mia cara Solaria, non tutto è perduto.

Forse potrò continuare ad amarti per tutto il resto della mia vita.

Forse la morte non ti porterà via da me.

Forse…

             Forse…

                         Forse.    

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Scoperto ***


Era il terzo anno che frequentava Hogworts

Era il terzo anno che frequentava Hogworts. Il terzo anno.

Ed erano due anni ormai che era diventata la migliore amica di Remus Lupin. Due anni.

Tutto sarebbe stato davvero perfetto, se non fosse che durante quei due anni di amicizia aveva dovuto lottare contro quella stronza di sua cugina, che si portava a letto il suo caro Remus.

 

E, se fosse stato per amore, lei non avrebbe avuto assolutamente nulla da dire.

 

MA NON ERA AMORE!

Come faceva a saperlo?! Puro e semplice intuito femminile, unito alla conoscenza della mentalità dei componenti di sangue Black.

Quella donna era una serpe travestita da grifone, ed era riuscita con questo losco travestimento a plagiare la mente troppo buona, troppo fiduciosa, - e sì, anche troppo debole – di Remus Lupin, aiutata anche dal fatto che lui era ancora appassionatamente innamorata di lei…

 

Quindi, come migliore amica, lei aveva l’ASSOLUTO OBBLIGO di aiutare il povero Lunastorta.

Che piano aveva in mente?

Beh… mi pare ovvio:

Siccome da sola non era riuscita a persuaderlo ad abbandonare quella malefica maliarda, avrebbe a sua volta dovuto chiedere soccorso ad una persona che Remus NON avrebbe potuto ignorare.

 

Sì, è vero, questo era un colpo basso. Ma era pronta a fare carte false per il suo migliore amico.

 

Sirius scendeva le scale che lo avevano condotto in soffitta. Dietro di lui faceva altrettanto Albus Silente.

Entrambi erano immersi in complicati pensieri.

 

Silente aveva la strana sensazione, concretizzata in un groppo al cuore, che quella rivelazione avesse messo una marcia in più al destino, obbligandolo a giungere il più in fretta possibile al momento cruciale della vicenda che stavano vivendo.

Proverbi come Chi va piano, va sano e va lontano, o La fretta è una cattiva consigliera continuavano a ronzargli in mente, ed insieme ad essi il brutto presentimento che, anche quella volta, se fossero precipitati i tempi come con Urania, non sarebbe riuscito a salvare colei che teneva nelle sue vene il sangue del suo sangue.

 

Sirius, invece, non faceva altro che ripensare alle parole del preside: alcune di esse l’avevano particolarmente scosso… e voleva a tutti i costi chiedere maggiori informazioni. Ne aveva bisogno… per poter sperare. Per potere sperare ancora di più di poter salvare la vita della persona che... che… che rappresentava Tutto per lui.

No, sbagliato. Non per sperare.

Per potere avere qualche certezza, qualche punto fisso su cui aggrapparsi. Qualcosa che potesse farlo sorridere quando pensava alla sua amata, e al loro futuro.

 

“Preside… lei prima ha parlato di un Anti-Oblivius.” Chiese ad un certo punto, fermandosi in un pianerottolo e voltandosi a guardare con occhi scintillanti il vecchio uomo davanti a lui.

Silente lo fissò un attimo, ben consapevole di dove il giovane volesse andare a parare.

Sospirò, e con la sua voce dolce disse:

“Sirius, un Anti -Oblivius è una pozione molto difficile da creare. Specie se l’Oblivius in questione è di antica data, e ancor più se è stato prodotto da un mago potente quale Merlino era.

In più, il siero usato da Urania non potrebbe comunque essere usato da Solaria, perché esso deve essere prodotto dalla vittima della maledizione, ponendo fra gli ingredienti anche una goccia del proprio sangue.”

“Capisco… ma lei non conosce gli ingredienti?”

“La pergamena che li conteneva è andata perduta. O meglio, non è leggibile.

Mia figlia aveva in sé l’esperienza delle veggenti di Avalon, ed è lì che ha imparato a creare la pozione.”

“Solaria potrebbe impararlo?”

“Solaria non è una sacerdotessa, quindi non ha accesso a queste conoscenze.”

Sirius abbassò lo sguardo, facendo sì col capo. Sì, aveva capito, anche quella strada era impercorribile…

Silente sospirò ancora.

“La speranza è l’ultima a morire, Sirius.”

Il giovane uomo alzò i suoi grigi occhi su di lui. Era triste, profondamente triste, e pieno di sconforto. “Lo so. Ma sono stufo di vivere di sola speranza.

La speranza mi sta distruggendo.”

“E’ il dubbio che la tua speranza venga infranta che ti sta distruggendo, Sirius.”

“Ma tale dubbio è una necessaria conseguenza di un sentimento come la speranza… non posso sperare senza avere dubbi, né potrei avere dubbi senza sperare.

Non riesco più a vivere senza certezze, soprattutto… soprattutto ora che lei non c’é…

Mi guardi, preside! Sto diventando patetico!

E pensare che, qualche anno fa, sentimenti come paura, tristezza, dolore… speranza… non avrebbero nemmeno fatto parte del mio vocabolario.”

“Ma nemmeno sentimenti come Amore, fedeltà, felicità. Solaria ti ha dato tutto, Sirius. Ti ha fatto divenire un uomo vero, con tutti i pregi e difetti associati.”

“Già… Solaria è sempre stata una totalità di cose insieme… Se ripenso a come ci siamo conosci, a quello che io ero allora e quello che sono divenuto poi stando al suo fianco… E’ grazie a lei che sono riuscito a liberarmi della mia famiglia…

-Detto questo, rimase un attimo in silenzio. Solaria era tutto per lui in tutti i sensi. Insomma, se non l’avesse mai conosciuta… cosa diamine sarebbe divenuto?!

Era meglio non pensarci. L’ultima volta che l’aveva fatto, si era beccato un bel pugno in faccia da Remus, e aveva litigato a lungo con lui, riuscendo a rappacificare l’animo solamente grazie all’intervento di James.

Ora, doveva continuare con le sue domande. -

Le volevo chiedere anche un’altra cosa, se non le spiace.”

“Affatto.”

“Non teme che Solaria scopra ciò che lei mi ha detto? E’ pur sempre un’empatica.”

Silente lo guardò con un sorrisino malizioso in viso, che per la prima volta Sirius paragonò a quello della sua ragazza. Ecco un altro piccolo elemento in comune fra i due! Ecco da chi lei aveva preso quel sorrisino malizioso!

“Se le cose sono andate come penso, una volta tornata qui Solaria sarà perfettamente in grado di controllare il suo potere, senza dover necessariamente sentire i pensieri e i sentimenti di tutti coloro che la circondano. Tutt’al più, ti basterà l’Occlumantia che conosci.”

“Ho capito.”

 

“Qualcos’altro, Sirius?” Chiese di nuovo Silente, vedendolo ancora indugiare.

Sirius fece sì col capo.

Quella domanda gli premeva molto, forse ancor più delle altre che aveva posto a Silente.

“Perché, nonostante Urania sia morta, gli oggetti che le appartenevano o la ritraevano sono ancora integri? Non sarebbero dovuti scomparire insieme a lei per effetto dell’Oblivius?”

“Basta che anche solo una persona si ricordi di lei, e allora nulla può scomparire.”

“E non è possibile che quegli oggetti, rivisti dalle persone che li conoscevano, facciano ritornare in mente gli avvenimenti nascosti dalla maledizione?” Chiese, con un nodo alla gola.

Silente abbassò lo sguardo, addolorato per ciò che gli stava per dire. Ancora una volta aveva capito i suoi pensieri… voleva sapere se, qualora tutto fosse andato nel peggiore dei modi e Solaria fosse morta, lui, rivedendo qualcosa che le apparteneva, sarebbe riuscito a ricordarla.

“No Sirius. L’Oblivius è troppo potente.

Nemmeno il padre di Solaria, vedendo la figlia, è riuscito a ricordare chi fosse la madre.”

“MA LUI NON L’AMAVA!”

Silente scosse il capo. “Era rimasto a malapena nove mesi con lei, e l’aveva amata più della donna che conosceva da una vita e con cui ben presto si sarebbe sposato.”

“Non…non c’è proprio speranza?”

“In questo caso… no.”

 

Sirius rimase immobile, lo sguardo fisso a terra, le labbra strette e le mani chiuse a pugno.

“La ringrazio Silente.” Disse poi, mentre scendeva le scale.

“Di niente, giovane Black… di niente.”

 

Sirius scese in fretta dai piani superiori, e accelerando ancor più il passo, che alle volte diveniva vera e propria corsa, giunse davanti alla Porta.

La Porta della Stanza d’Oro, il santuario dell’amore tra lui e Solaria.

 

Vi entrò, aprendo la porta lentamente e chiudendola altrettanto lentamente, tenendo però sempre gli occhi fissi davanti a se.

 

Quel luogo era sacro.

Perché era stato il tempio del loro amore, del loro dolore, della loro vita felice e triste. Era stato il tempio di loro due. Il tempio della loro Unione.

 

“Sirius?!”

 

Il flusso di pensieri che la sua mente stava percorrendo si bloccò di colpo.

Cosa?! Da dove proveniva quella voce? Apparteneva ad una ragazza, senza dubbio… e gli era pure familiare.

 

“SIRIUS?!”

 

Ancora. Corrugò la fronte e si guardò intorno, con la bacchetta davanti a se. Si nascondeva qualcuno lì? Se così era, avrebbe pagato davvero molto cara quell’intrusione.

 

“Diamine razza di un c******e rompiballe spara – idiozie, mi vuoi rispondere o vuoi che ti lanci un Cruciatus da qui per farti svegliare?!”

 

Sirius sospirò, facendo ricadere il capo indietro e abbassando il braccio che teneva minacciosamente la bacchetta.

Ecco chi era.

Ninfadora Tonks, quella capra di sua cugina.

Ma perché diamine, prima di partire, le aveva dato quello specchio per ‘tenersi in contatto’? Era del tutto rimbecillito?!

 

Sbuffò un paio di volte mentre prendeva dalla tasca dei pantaloni il piccolo aggeggio rotondo. E, quando se lo portò davanti, una smorfia di disgusto gli comparve in volto.

Davanti a lui, nello specchio, stava un’individua dai tremendi capelli acconciati a rasta di color fucsia brillante, con un piercing nel naso e matita nera intorno agli occhi.

“Ma che diamine ti sei fatta, pazza?! Sei sempre più grezza, non c’è che dire!” Gridò.

Dora sbuffò, voltando gli occhi indietro.

“Mi sembra di sentire la McGranitt…”

“Per la prima volta sono d’accordo con lei. Sembri la versione moderna di una pigmea… certo che ti manca proprio il senso del gusto!”

“Puff, che rottura di balle che sei! Pensa però che io, comunque sia, posso sempre porre rimedio alle mie condizioni… mentre tu sei costretto a tenerti quella brutta faccia da schiaffi per il resto della tua vita!”

“La mia faccia è bellissima!”

“E chi lo dice?!”

Sirius ghignò. “Tutte le ragazze che sono venute a letto con me, ad esempio…”

“Questa gliela dico a Solaria quando torna.”

“Ci sono stato prima che fossi con lei, cretina.”

“Sì sì, certo…”

“Nessuna è in grado di sostituirla, ricordatelo! E non sopporto che le persone insinuino cose del genere.” Gridò, furioso.

Ninfadora, tornata seria, rimase a lungo a fissare i suoi azzurri occhietti su quelli tempestosamente grigi del cugino. Forse era meglio non scherzare su quell’argomento, Sirius diveniva troppo irascibile…

“A proposito di ragazze e di letti… dovrei parlarti di Remus.”

“Lunastorta?”

“Sì, Lunastorta.”

“Perché? E’ libero di portarsi a letto chi vuole! Anzi, è ora che si diverta un po’, quel ragazzo si è privato di troppo divertimento da giovane!”

“Sono d’accordo con te.”

“E allora, cosa c’è che non va?”

“Solo il fatto che da due anni si sta portando a letto nostra cugina Narcissa.”

 

Silenzio.

 

Ancora Silenzio.

 

Sirius finalmente riprese a respirare, e sbatté un paio di volte le palpebre che aveva lasciato immobili e aperte per lo stupore.

“E’ uno scherzo, Tonks?” Chiese con voce piatta.

“No.

Ma prima che tu ti faccia strane idee, voglio spiegarti la situazione.”

“No, aspetta, vengo da te e mi dici tutto dal vivo.”

“Bene, speravo in questa tua reazione. Bisogna che tu aiuti Remus a liberarsi da quella megera.”

Sirius, che si stava già dirigendo verso la porta per uscire dalla stanza e andare ad avvertire Silente che doveva a tutti i costi tornare ad Hogworts, si bloccò.

Narcissa una megera? Cosa?!

Cosa?!” Gridò quasi.

“La nostra cara cuginetta si è rivelata una perfetta Black, mio caro. Una degna figlia della nostra nobile casata.”

“Arrivo.” Fu tutto quello che riuscì a dire, prima di riporre lo specchietto in tasca e uscire di corsa dalla stanza, dirigendosi verso la cucina dove sicuramente avrebbe incontrato Silente.

 

Allora… quello che Solaria gli aveva detto… sul fatto che solo momentaneamente Narcissa era riuscita a liberarsi dall’influenza della malvagità del suo sangue… era vero?

Possibile che quello ad essere davvero in pericolo fosse Remus?

Possibile che… Narcissa…

No. La sua cara Narcissa.

L’aveva considerata come una sorella. Anzi, la considerava come una sorella, tant’è che non aveva voluto dare ascolto agli avvertimenti di Solaria e ai sospetti di Lily.

 

Possibile che si fosse sbagliato?

Ma allora, se così fosse stato, chi gli sarebbe rimasto della sua famiglia se… Solaria se ne fosse andata via per sempre? Chi avrebbe occupato il suo cuore?

 

Tonks?!

Sì… Tonks. Quella bimbetta rompipalle che tanto gli ricordava Solaria da piccola. Ninfadora Tonks.

 

 

 

 

Remus attraversò, come suo solito, i corridoi bui col solo ausilio della luce della bacchetta.

Era stata una serata bellissima, come tutte quelle che trascorreva con lei, del resto.

Avevano passeggiato per i prati di Malfoy Manor, erano andati nel White Garden, il giardino di Narcissa, ed infine avevano fatto più volte l’amore nella sua stanza da letto…

 

Perfetto… era tutto così perfetto…

 

Un sorriso amaro però gli comparve in volto. L’ultima volta che aveva pensato una cosa del genere, la sua vita era stata improvvisamente sconvolta da un imprevisto.

Sarebbe stato così anche quella volta?

 

Arrivò davanti alla porta della sua stanza. Era dischiusa.

Sospirò: quella piccola pazza di Tonks probabilmente si era rifugiata nel suo letto e lo attendeva per fargli una delle sue solite e insensate ramanzine.

Entrò in stanza, pronto a ridere nel vederla col solito buffo broncio che aveva quando tornava a scuola dopo essere stato con Narcissa.

Ma ciò che trovò gli fece gelare il sangue nelle vene.

 

Seduto sul suo letto, le braccia incrociate e lo sguardo torvo, c’era Sirius.

 

Sa tutto fu il primo pensiero che gli passò per la mente, mentre chiudeva la porta alle sue spalle.

“Salve Sirius.” Disse, freddo.

“Ciao Remus.”

“Cosa ci fai qui?”

“Non lo immagini?”

“Tonks.”

“Sì, Tonks.” Confermò Felpato.

Sempre più inquieto, Remus andò a poggiare il suo mantello sulla sua scrivania. Perché, se Sirius sapeva tutto, non era incavolato con lui? Perché era così calmo? O perlomeno, perché tratteneva la sua rabbia?

Possibile che Tonks fosse riuscita a convincerlo con le sue pazze idee?

 

“Lasciala Lunastorta, ha qualcosa in mente.” Gli disse Sirius, ancora seduto sul letto.

Remus sospirò. Sì, Tonks era riuscita a convincere Felpato con le sue pazze idee. “Lei mi ama e io la amo, Sirius. Non può avere nulla di malvagio in mente.”

“Non ho dubbi che tu la ami, e sono sicuro che anche lei ti ami. Ma c’è un altro fattore di cui tu non hai tenuto il conto.”

“E cosa, Sirius?”

“La vendetta. Narcissa è pronta a tutto pur di vendicarsi del male che le è stato fatto. E sai che, quando imbocca una strada, la percorre fino a giungere alla sua meta, a qualunque costo…”

“Mi stai dicendo che, pur di vendicarsi, lei passerebbe sopra il mio cuore?”

“Sì Remus, ti sto dicendo esattamente questo.”

Remus, un sorriso amaro in volto, scosse la testa, e mugugnò un no.

“Che razza di vendetta dovrebbe essere poi, se ci sono in mezzo anche io?! Oh, forse ho capito! La vendetta è amarmi alle spalle di quel branco di mangiamorte da cui è circondata! Beh, se le cose stanno così, non ho nulla in contrario!” Sbottò alquanto stizzito da quella situazione.

“Se le cose stessero davvero così, non avrei nulla in contrario nemmeno io.

Ma lei è una Black, Remus. E i Black si vendicano in maniera molto più… sofisticata, elegante, complessa… Ho reso l’idea? Sì, penso che tu abbia capito. In fondo, sei sempre stato il più intelligente del gruppo.”

“Stai dicendo solo sciocchezze…”

“Tienile strette le mie sciocchezze Remus, perché potrebbero rivelarsi molto più veritiere dei tuoi pensieri razionali.

Conosco la mia famiglia. So di cosa i suoi membri sono capaci.”

 

Remus prese a camminare nervosamente per la stanza.

“Sirius… io la amo!” Disse poi, quasi come se con queste parole potesse eliminare qualunque dubbio esistente riguardo agli avvenimenti.

“Tu la ami. Lei vuole vendetta. Questi sono i vostri sentimenti più forti.”

“Ma tu non l’hai nemmeno vista… come puoi dire una cosa del genere!”

“Remus, dammi ascolto, sono tuo amico e voglio solo il tuo bene.

Ti dico semplicemente che, quando Tonks mi ha detto che tu e lei stavate andando a letto insieme, e per giunta da due anni, senza che io ne sapessi nulla… sarei voluto venire qua solo per spaccarti la faccia, perché col tuo comportamento idiota stavi mettendo in serio pericolo la vita di Narcissa e anche la tua.

Ma quando lei mi ha raccontato le vicende, a partire da quella lettera che Narcissa ti mandò… l’unico pensiero è stato: Narcissa Black in Malfoy. Come ho potuto pensare che quell’angelo si potesse salvare dalla malvagità dei demoni che la circondano e che possiedono, purtroppo, il suo stesso sangue? L’ho persa… ho perso quella fata che tanto amavo e ammiravo, per la sua dolcezza, per la sua forza, la sua serenità, e il suo coraggio.

E anche tu l’hai persa, Remus. Quella che ami non è la vera Narcissa, la Narcissa che ti ha fatto innamorare da ragazzo.

O, almeno, non è tutta la vera Narcissa.

E la parte che tu non conosci, o non vuoi conoscere, è purtroppo la parte dominante e la più orribile di lei.

Dunque, ora sono qui per un altro motivo: salvare te da lei. E, anche, salvarvi tutti e due dall’eventualità che Malfoy, scoprendo la verità, decida di annientarvi entrambi in maniera molto dolorosa.”

“Sirius… non… io non….io… diamine! L’hai capito che mi puoi dire tutto quello che vuoi, perché l’unica cosa che ho in mente è quanto la amo?!”

“Sì Lunastorta, l’ho capito. In fondo, se qualcuno mi dicesse una cosa del genere sulla mia Solaria, non solo non gli presterei la minima attenzione, ma probabilmente gli spaccherei la bocca per aver osato pronunciare simili blasfemie!

Ma con te è diverso. Tu non sei mai stato reattivo quanto me, per tua fortuna. Dunque, so che terrai a mente le mie parole. Perché io sono un tuo amico, e voglio solo il bene per te.

Sappi dunque che, qualunque cosa succeda, io, e James quando lo verrà a sapere (non sognarti che io non glielo dica), saremo al tuo fianco.

Sta attento, Remus.”

E, così dicendo, si alzò e abbracciò l’amico senza però essere ricambiato. Remus era totalmente perso nei suoi pensieri.

Sirius gli batté una mano sulla spalla, poi si diresse verso la porta.

“Arrivederci Lunasorta, devo tornare alla missione, è già tanto se sono riuscito ad avere il permesso di venire qua per un po’ di tempo… salutami tu Tonks, le avevo detto che sarei passato da lei, ma ormai starà dormendo.”

“Va bene.” Gli disse Remus con voce piatta, sempre immobile in mezzo alla sua stanza.

“Ciao.”

“Ciao.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** E' meglio riderci sopra, no? ***


Quando, quella mattina, Gardenia era entrata nelle sue stanze, l’aveva trovata accoccolata nell’erba del suo giardino privato,

Quando, quella mattina, Gardenia era entrata nelle sue stanze, l’aveva trovata accoccolata nell’erba del suo giardino privato, col sole che le illuminava i bei boccoli, dando loro riflessi dorati.

Era triste, questo l’aveva immediatamente capito. E quando Solaria, dopo dieci minuti di completo silenzio, si decise a rispondere alle sue domande sul perché del suo umore nero, rivelandole molto tranquillamente, anzi quasi con una certa indifferenza, tutta la verità appena scoperta, Gardenia scoppiò in lacrime.

La sentì piangere seduta al suo fianco, ma non si voltò per guardarla. Non ne aveva voglia. Quella mattinata l’aveva lasciata del tutto priva di forze.

Però, questo fatto la colpì non poco.

Gardenia stava piangendo. Sì, lei stava piangendo…

Di felicità? Può darsi: in fondo aveva appena scoperto che la sua migliore amica era anche sua cugina.

Di tristezza? Sì, per Solaria che purtroppo veniva a conoscere solo ora la verità sulla sua famiglia.

Ma non era importante il perché piangeva.

Era importante il fatto in sé che piangeva.

Cosa che non aveva fatto nemmeno lei.

Non una lacrima le aveva rigato il volto per la tristezza che quelle rivelazioni le avevano messo in corpo. Non una lacrima… che fosse diventata apatica? No, difficile credersi… probabilmente oramai era così abituata al dolore che non riusciva nemmeno più a sfogarsi con le lacrime.

 

Patetico, davvero patetico.

 

Ma poi, in fondo, che senso avrebbe avuto piangere? Non sarebbe servito a nulla.

Era meglio prendere la vita con filosofia, e soprattutto, era meglio mettersi subito all’opera per contrastare i piani di quella megera della… zia… No, questo era fuori discussione: non l’avrebbe mai e poi mai chiamata zia! Che orrore! Quella lì sarebbe rimasta sempre la Grande e Stronza Dama del Lago per lei, nient’altro…

“Tua madre vuole che io diventi sacerdotessa al posto tuo.” Disse poi, quando sentì che i singhiozzi di Gardenia stavano oramai dileguandosi.

Cosa?!” Chiese questa con un filo di voce, al colmo dello stupore.

“Già, quell’essere ignobile vuole tenermi qua per tutto il resto della mia vita. L’anno prossimo mi ordinerà sacerdotessa.”

“O benedetta Dea! Ma non può farlo!”

“Certo che non può, io non lo voglio! Senza contare che ha già programmato perfino il mio Bensalem…tsé! Povera sciocca! Il ruolo di Vergine Cacciatrice non mi si addice proprio… soprattutto perché NON sono vergine!”

Gardenia, nel sentire quelle parole, arrossì un poco. Certo, lo sapeva che la sua amica, anzi, la sua unica cugina, aveva già avuto delle esperienze con gli uomini… ma quel pensiero la metteva costantemente in imbarazzo!

 

“Mi devi aiutare, Gardenia.” Disse poi Solaria.

Gardenia la fissò, cercando di incrociare il suo sguardo per capire cosa le stesse passando per la mente. Ma lei era sempre sdraiata pancia in giù sull’erba, la testa appoggiata fra le braccia incrociate, gli occhi fissi davanti a se che non tradivano la minima emozione.

“Mi devi aiutare a scappare da Avalon. Solo tu puoi.”

Gardenia sentì il sangue gelarlesi nelle vene.

“Ma… io non posso!” Biascicò.

“Quello che tua madre sta facendo non è giusto, e tenendomi qua danneggerà numerose persone la fuori.”

“Sì lo so… ma io non sono capace di aprire le acque!”

“Non importa, per quello c’è tempo… con un po’ di pratica, ci riuscirai. Senza contare che riceverai anche l’aiuto della Dea.”

A quelle parole lo stupore di Gardenia crebbe ancora. “Cosa?! E tu come fai a dire una cosa del genere?!”

“Perché è stata la Dea a volermi portare qua ad Avalon affinché io divenissi più forte. E sarà dunque la Dea ad aiutarmi a terminare il mio compito.”

“Se è davvero così… va… va bene…” Biascicò lei, tuttavia ancora poco convinta. Era giusto che la aiutasse? O forse era meglioa spettare un ordine da parte della Dea stessa?

Non che non si fidasse della cugina, ma… rischiava di offendere la Dea se le supposizioni di Solaria non fossero state esatte.

 

Era così concentrata nei suoi pensieri che, quando Solaria con uno scatto felino saltò a sedere davanti a lei, sobbalzò e si portò una mano al cuore che aveva preso a battere in maniera spropositamente veloce… perché doveva sempre cambiare umore, comportamento,c carattere, mentalità… perché doveva sempre cambiare tutto quanto così velocemente? Non lo capiva che rischiava di mettere a serio rischio la salute delle persone che la circondavano?! O Santa Dea Madre, chissà ora cosa aveva in mente… quegli occhietti scintillanti non preannunciavano nulla di buono…

“Però prima- disse Solaria, tutta allegra- mi devi aiutare a fare un’altra cosetta!”

Il tono che usò nel pronunciare queste ultime parole, la sicurezza che emanava e il sorrisetto malizioso fecero aumentare i sospetti di Gardenia riguardanti la liceità della proposta che la cugina stava per farle. La guardò con gli occhi sbarrati, preparandosi al peggio.

“Mi devi aiutare a creare una pozione AntiOblivius!”

 

Bene. Il messaggio era passato attraverso le orecchie di Gardenia, era giunto velocemente al suo cervello che lo aveva elaborato trasformando quei suoni in qualcosa di molto più evoluto, come ad esempio una sensazione di freddo che le percorse la colonna vertebrale o come una sorta di morsa congelante che le strinse il cuore facendogli mancare qualche battito.

 

Quando riuscì finalmente ad articolare di nuovo le parole, chiese:

Cosa?!” con voce strozzata.

“Tu conosci la formula, non è vero?”

“Ma… ma è un segreto di Avalon! Non si può dare quella bevanda a degli estranei! A degli…esterni!”

“Sì che si può, a me serve per quello! Dai Gardy, per favoooore! Negheresti un piacere del genere alla tua cuginetta preferita?!” Fece Solaria, congiungendo le mani in segno di preghiera e mostrando due splendidi, dolcissimi, commoventi occhi da cucciolo.

“Soly, io…”

“Gardy! Per favooore!”

“Uff… e va bene!”

“Evviva! Sai che sei un tesoro?! Hai preso tutto da me!”

“Certo, come no… guarda che sarà molto complicato comunque, è una pozione molto difficile da fare e richiede molto tempo e ancora più applicazione!”

“Sono pronta anche a non dormire per un mese intero pur di averla!”

“Bene… allora preparati!” Disse Gardenia, alzandosi e dirigendosi verso l’uscita del giardino.

“Cosa?! Ma non stavi scherzando?!”

“No Solaria. L’Anti Oblivius è molto, molto, molto impegnativo!”

“O Santo Godric! E dove vai ora?”

“A cercare gli ingredienti!”

“Vuoi aiuto?”

“No, rimani qui, e riposati.”

“Sai, questo consiglio ha un retroscena poco carino…” Disse Solaria. “E come se mi stessi dicendo: riposati ora, perché poi non lo farai mai più.

Non è così, non è vero?!”

“E’ possibile…” Fu la sola risposta che le giunse dall’interno della sua stanza, prima di sentire la porta di accesso aprirsi e chiudersi al passaggio della giovane sacerdotessa.

 

Si alzò in piedi, sorridente.

Avrebbe passato insonne anche un anno intero, se fosse stato necessario perché quella pozione fosse perfettamente pronta.

All’inizio, aveva seriamente guardato positivamente l’Oblivius: certo, le doleva assai sapere che il ragazzo che amava, una volta morta, non si sarebbe più ricordato di lei… ma almeno così non avrebbe sofferto, e sarebbe stato capace di crearsi una nuova vita.

Ma ora che sapeva che avrebbe dato a Sirius una figlia, non avrebbe permesso che lui si dimenticasse di lei, come era successo per suo padre con la sua vera madre. Non avrebbe permesso un orrore del genere…

E poi, la figlia doveva conoscere cosa la aspettava, e Sirius era l’unico che l’avrebbe potuta aiutare nell’affrontare le difficile prove che il futuro le avrebbe riservato.

Già, il futuro…

Sarebbe stato una dannazione anche per lei, anche per la sua cara bambina.

Ma, chissà… magari con lei le cose sarebbero andate in modo diverso.

 

 

 

“Gardy, ho sonno…” Biascicò Solaria. Era seduta per terra, nel giardino, davanti ad un fuoco su cui bolliva, in un gigantesco calderone, una strana pozione dal dolce profumo.

Naturalmente, era notte. Tarda notte. Per la precisione, era la settima notte di fila che non dormiva, da quando cioè aveva iniziato a preparare quell’orrore, che oramai era diventato il suo incubo: ogni volta che tentava di chiudere occhio per qualche istante, immaginava subito che la pozione scoppiasse in aria e tutte le sue fatiche andassero in fumo… orribile, davvero orribile...

“Lo so. E’ da una settimana che non fai altro che ripetermelo.” Disse Gardenia, tranquillamente, mentre mescolava ancora una volta il contenuto del calderone. Possibile che lei non si stancasse mai?!

“Certo, è da una settimana che non dormo.”

“Anche io.”

“Ma tu sei abituata.”

“Sì, è vero.”

“Allora non rompere. Io ho sonno.”

“Bene.”

“Bene?!”

“Non so che altro dirti, Solaria.” Continuò Gardenia, calma come sempre.

“Io sto sclerando, l’hai capito?! Sclerando! S – C – L – E – RANDO!” Gridò, alzandosi in piedi e iniziando a camminare nervosamente in circolo intorno a Gardenia. “Roba da pazzi, da pazzi! Una settimana che non dormo! Ma Merlino questa me la paga, vecchio bisbetico barbuto! Ahhhhhhh!”

“Non gridare Soly.”

“Perché?! Perché no? Perché, eh? Perché?” Ok, stava davvero dando di matto, poverina…

“Perché se ci scoprono…”

“… ci buttano fuori?! Benissimo! Allora GRIDO ANCORA DI PIU’!”

“No. Se ci scoprono ci rinchiudono nelle celle sotterranee per tre mesi, come punizione.”

“Beh, almeno lì potrei dormire…”

“Ma così avresti solo nove mesi di tempo per prepararti a scappare prima della tua iniziazione. E dubito ti basterebbero, dato che per preparare questa pozione ci vogliono in tutto tre mesi, e i restanti dovrai impegnarli a trovare un modo per scappare da qui.”

“Tre mesi?! Questa pozione dura tre mesi? E per tre mesi io non dovrei dormire?! Nooooooooooooooo!” Disse Solaria, gettandosi a terra in ginocchio, il volto disperato.

“No, la pozione va controllata attentamente solo per il primo mese, durante il quale ogni giorno va aggiunto un pizzico degli ingredienti che servono. Nel secondo mese tu dovrai aggiungere all’impiastro, in una notte di luna piena, una goccia del tuo sangue. E alla fine del terzo mese, quando la pozione avrà raggiunto un colorito aranciato, l’Anti – Oblivius sarà pronto.”

“Oh, che bello… senti…”

“Sì?”

“…ma se tanto la pozione la mescoli tu…”

“Te lo concedo solo perché non sei abituata, Solaria! Avanti, va a dormire! Rimango io qua!”

“Grazie tesoro, sei la mia salvezza!” Disse Solaria, saltandole addosso e facendola cadere a terra, strozzandola letteralmente nel suo abbraccio caloroso di ringraziamento.

Soly… ma se mi strozzi… come faccio a….”

“Oh, scusami Gardy!” Disse Solaria ridendo, aiutandola ad alzarsi.

 

Una volta in piedi l’una davanti all’altra, le due cugine si guardarono dritte negli occhi, quelli azzurri di Gardenia e quelli dorati di Solaria… e si sorrisero.

Fu Solaria che parlò per prima.“Sono felice di averti conosciuta. In fondo, il destino non è stato poi così maligno con me: mi ha dato una vita terribile, ma è riuscita a renderla ugualmente fantastica facendomi incontrare le persone più meravigliose del mondo.

Prima i miei genitori… una madre che non era tale ma che mi amava come se lo fosse, e un padre che, nonostante non si ricordasse nulla della donna con cui mi aveva concepito, mi aveva accettato e amato.

Poi i miei amici, fantastici sotto ogni punto di vista, pronti a rischiare la vita pur di aiutarmi.

Sirius… il ragazzo più terribile che io abbia mai conosciuto… e l’unico che io abbia mai amato.

Ed infine, tu: l’unico parente a cui voglio un mondo di bene che mi è rimasto in vita.

Se non ci foste stati voi…”

Gardenia avvicinò un dito davanti al suo viso.

“Shhh… non dirlo. Non considerare ciò che sarebbe potuto essere, ma solo ciò che è. Nessuno può cambiare il passato, Solaria. Ciò che hai avuto sarà tuo per sempre, e di questo devi esserne felice.

Basta così.”

Solaria sorrise ancora, poi si stiracchiò e sbadigliò sonoramente. “Va bene…Yawwwwwnn… buonanotte Gardy!” Disse, ed entrò in casa.

“Buonanotte Solaria. Sogni d’oro.”

“Già, speriamo…!” Commentò quella, un secondo prima di gettarsi letteralmente sul suo letto e addormentarsi pochi istanti dopo.

 

 

 

 

Avevano finito la pozione.

Dopo tre mesi di incessante lavoro, la pozione finalmente era pronta. E nessuno le aveva scoperte, nemmeno quella racchia della Grande Sacerdotessa.

 

Ora Solaria era lì, in piedi davanti alla spiaggia, che guardava le acque del lago con occhi severi.

Aveva trasfigurato il calderone che conteneva la sua pozione in una piccola collana, che ora portava legata al collo.

 

Era pronta, insomma.

Pronta ad andarsene.

 

No.

Pronta a provare ad andarsene, giacché non sapeva se ci sarebbe riuscita.

 

Si voltò: Gardenia la stava guardando dal balcone del palazzo, e con un gesto del capo le fece capire che quello era il momento giusto: non c’era nessuno nei paraggi.

 

Solaria sospirò, e poi salutò la cugina con un cenno della mano.

 

Entrò lentamente nelle acque del lago.

 

Poi chiuse gli occhi: doveva trasfigurarsi, e per una magia del genere c’era bisogno di molta concentrazione.

 

Sentì il corpo rimpicciolirsi lentamente, e gli arti appiccicarsi al busto creando una sorta di sfera. La pelle poi, si ricopriva di strane e solleticanti pagliuzze celestine… ora era un pesce. Ce l’aveva fatta! Era un pesce! La McGranitt sarebbe stata fiera di lei per la prima volta! Già, quella vecchiaccia non l’aveva mai sopportata, le diceva sempre che il cappello aveva sbagliato Casa inserendola in Grifondoro e non in Serpeverde.

Bah, ma lasciamo perdere questi discorsi, non era il caso di farsi venire il nervoso per quella megera. Ora doveva scappare dall’altra che la teneva prigioniera ad Avalon.

 

Aprì gli occhi, pronta ad ammirare lo splendore del lago per l’ultima volta, e magari sospirare pensando alla pace che abbandonava lì.

 

Però quello che si vide davanti le fece gelare il sangue nelle vene.

 

Un enorme, gigantesco, orribile, pesciolone grigio le stava venendo in contro, e pareva essere davvero molto, molto molto molto affamato.

 

La prima cosa che fece fu aprire la bocca e gridare. Ma invece del WAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!

Che si era immaginata uscire dalle sue labbra, vide comparire davanti a sé solo un numero spropositato di piccole bollicine.

Terrorizzata, iniziò a correre verso la riva. Doveva ritornare umana, doveva ritornare umana, doveva ritornare umana… e come diamine faceva se non riusciva a concentrarsi?!

 

Chiuse gli occhi. Sì, bene, ci stava riuscendo. Avanti, Solaria, ce la puoi fare, non puoi morire in modo così patetico, per diamine!

 

Quando aprì gli occhi, era tutta grondante d’acqua, la catenina ancora appesa al collo… e un fastidioso pesciolino grigio che le addentava il dito medio del piede.

Se lo staccò con un gesto secco e lo buttò via.

Razza di stupido, le aveva rovinato tutto il piano.

 

Certo, anche lei poteva trasformarsi in un pesce leggermente più grande, questo è vero… che so, un delfino! Oppure un leone! No, il leone non è un pesce… Beh, allora una tartaruga!

Va beh, vista la sua fantasia, era logico che l’unica cosa che le fosse venuta in mente fosse stata quel ridicolo, minuscolo pesciolino rosso da acquario…

 

“Solaria!”

La ragazza si voltò, e vide la cugina correrle incontro, preoccupata.

“Sì?” Chiese.

“O Santa Madre Terra! Che ti è successo?! Perché non sei…”

“Un pesce mi stava per mangiare.” Disse secca lei.

 

Gardenia rimase un attimo lì, in piedi, imbambolata, a guardarla.

E nemmeno tre secondi dopo scoppiò a ridere.

Solaria si alzò in piedi, e con uno sbuffò si allontanò dalla spiaggia, seguita dalla cugina che continuava a ridere.

“Scusami…” balbettò, cercando di calmarsi… ma invano. “Soly, davvero, scusami! Ma… io mi ero preoccupata immaginandomi chissà cosa, ed invece…” E scoppiò di nuovo a ridere.

“Non c’è niente di divertente, Gardenia! Ho fallito!” Disse Solaria, furiosa, salendo le scale che conducevano alla sua stanza.

“Sì, lo so.” Disse quella, con calma. Ma pochi attimi dopo scoppiò di nuovo a ridere, portandosi una mano alla bocca per tentare di contenersi.

“Mi stava per mangiare un pesce! Te ne rendi conto?! Adesso prendo una canna da pesca e vado a cercarlo, quel brutto mostriciattolo… e me lo mangio! Mi ha rovinato tutti i piani!” Disse ancora.

 

Era finalmente arrivata davanti alla porta della sua stanza.

Sì voltò e guardò Gardenia con le braccia incrociate e il muso lungo.

Ma quella, invece di bloccarsi, si mise a ridere ancora di più, tenendosi lo stomaco che ormai le faceva male per la troppa ilarità: era caduta in una di quelle condizioni che, qualunque cosa ti capiti davanti, ti fa scoppiare dalle risate…

Risate molto contagiose, naturalmente…

Tant’è che Solaria, non riuscendo più a fare la seria, scoppiò a ridere anche lei.

 

Beh, il primo tentativo purtroppo era finito male… e la cosa più saggia da fare, era riderci sopra, no?!

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Il segreto di Narcissa ***


Narcissa aprì gli occhi, lentamente… e altrettanto lentamente un sorriso sornione le comparve sulle labbra

Narcissa aprì gli occhi, lentamente… e altrettanto lentamente un sorriso sornione le comparve sulle labbra. Qualcuno la stava accarezzando.

 

C’era modo migliore di risvegliarsi delle tenere carezze dell’uomo amato?!

 

 Uomo amato…

 

 Ma non poteva essere, era mattino… Remus non poteva ancora trovarsi a letto con lei.

 

 Guardò attentamente la figura che si trovava davanti a lei, cercando di mettere a fuoco la vista ancora annebbiata dal sonno.

 

I capelli erano troppo biondi, il corpo troppo muscoloso, gli occhi troppo maliziosi per poter essere quelli di Remus.

 

 

Ma il sorriso non se ne andò dalle sue labbra. Doveva resistere, altrimenti il suo piano sarebbe andato in fumo.

Doveva continuare a sorridere all’uomo che più odiava, e che purtroppo era diventato suo marito.

 

 “Buongiorno…” Disse lui, chinandosi a baciarla sulle labbra.

“Buongiorno mio signore.” Disse lei, mettendogli le braccia attorno al collo, e spingendolo verso di se per approfondire il bacio.

 

 Lucius sorrise malizioso. “Vedo che ti sono mancato.” Disse poi, accarezzandole il volto con quella mano che, probabilmente, la sera prima aveva ucciso tante persone innocenti.

“Sì, mi sei mancato. Era da molto che non tornavi a casa.” Mentì lei. Non c’è che dire, se fosse stata una babbana la carriera da attrice le sarebbe calzata a pennello…

“Dovere.” Disse lui, sconstandole le coperte di dosso e iniziando a spogliarla della sua candida veste.

“E’ giunto allora il momento del piacere dopo tanto sforzo?” Chiese lei, continuando a sorridere.

 

 Incredibile quanto questa donna potesse essere dolce… e pensare che qualche anno prima gli avrebbe tirato addosso un Avada Kedavra senza pensarci molto sopra.

Bene, finalmente l’influenza di quelle cattive compagnie che aveva frequentato in gioventù era scomparsa. Aveva fatto davvero un buon lavoro. Ora era una vera Black, degna di un Malfoy.

Peccato, però, che dopo cinque anni di matrimonio, non le avesse ancora dato un erede…

 

 “Sei perfetta.” Le disse entrando in lei, e accarezzandola con delicatezza.

Lei ansimò. “Sono tua.” Riuscì a dire.

“Sarai una brava madre per nostro figlio.” Disse lui, continuando a guardarla in viso mentre spingeva in lei.

Lei aprì gli occhi, stupita, e si aggrappò alle sue spalle.

“Potrò educarlo io?”

“Sì… però prima, dobbiamo impegnarci a metterlo al mondo, non credi?!” Disse, mentre ormai anche lui stava perdendo concezione della realtà.

 

 Sì, sì… ora poteva impegnarsi a concepire un figlio con quel mostro. Ora poteva. Ora che era riuscita ad avere tutta la sua piena fiducia, poteva.

Anche perché non sarebbe stato figlio suo. Non solo perlomeno.

Si abbandonò a lui con più trasporto di quanto avesse mai fatto, mentre nella sua mente appariva il dolce volto di Remus.

 

 

Lucius si era addormentato al suo fianco.

Quando dormiva, poteva essere scambiato quasi per un angelo: così perfetto, così candido, così bello… Incredibile quanto l’aspetto esteriore potesse essere esattamente il contrario di ciò che si ha dentro.

 

 Le venne immediatamente in mente Lucifero: era il più bell’angelo del Paradiso, ma era geloso di Dio e per questo era stato cacciato dal Regno dei cieli e catapultato sulla Terra.

Lucifero. Bello e perfido. Incantevolmente dannato. Il fascino del male.

A lui dovevano avere pensato i genitori quando chiamarono così Lucius. Già… Lucius… una luce che ti attira nell’oscurità. La prosopopea del Male, ancora più di Voldemort… perché quel mostro era un pazzo, mentre suo marito era perfettamente cosciente di ciò che faceva.

 

 Si alzò dal letto, coprendosi con la vestaglia di seta bianca depositata sulla sedia al suo fianco, e prese la bacchetta. Percorse la stanza silenziosamente, camminando col le punta dei piedi per non fare il benché minimo rumore, fino a che non giunse nel bagno.

 

Una volta lì, aprì lo sportello del mobiletto sopra il lavandino, e prese una boccetta di profumo. Toccandola, come al solito, quella si trasformò in un contenitore cilindrico di strane pastiglie a forma di stella... era l'intruglio che fino ad allora aveva usato per non rimanere incinta.

Con un colpo di bacchetta fece evanescere il prodotto. D'ora in avanti non ne avrebbe più avuto bisogno.

 

Ora, il suo piano poteva avere inizio.

 

Allungò un braccio, e lentamente portò fuori dall'armadietto un altro oggetto... un fermacapelli in madreperla...

 Dopo pochi istanti che lo teneva in mano, il prezioso ornamento si trasformò in qualcos'altro... due boccette, piccole e rotondeggianti, una di colore rosso e l'altra di colore bianco.

 

Da quanto erano pronte quelle pozioni? Da anni ormai, da quando quel piano le era saltato in mente... e solo ora finalmente l'avrebbe potuto mettere in pratica.

 

Aprì la boccetta rossa e la bevette in un solo fiato, stringendo poi gli occhi per sopportare meglio l’asprezza del liquido.

Poi ripose l'altra nell'armadietto, dopo averla trasfiguarata in un fermaglio.

 

La prima parte del piano era andata.

La seconda, invece, l'avrebbe portata a termine quella sera stessa, quando, partito il marito, avrebbe di nuovo incontrato Remus.

 

E così finalmente avrebbe avuto la sua vendetta.

 

 

 

Remus arrivò da lei al tramonto del sole, ossia non appena il marito se ne fu andato.

 

Narcissa, vestita con un leggero abito di seta bianco e rosa, corse incontro a lui che le sorrideva, e dopo essergli letteralmente caduta fra le braccia, lo baciò con trasporto.

“Ehi!” Esclamò Remus, con un dolce sorriso sulle labbra, guardando la donna che teneva stretta al suo petto.

“Ciao Remus!” Gli disse lei, con gli occhi scintillanti.

 

L’uomo la fissò per un poco. No, come poteva essere che tutto quello che Sirius… e Tonks… gli avevano detto fosse vero?! Loro non l’avevano vista… lei era così… lei era così…

Lei era un angelo!

 

“Cosa c’è?” Le chiese, accarezzandole i morbidi capelli biondi. Non che l’accoglienza gli fosse spiaciuta, ma sapeva che era dovuta a qualcosa…

“Lui è tornato questa mattina.” Disse lei, continuando a fissarlo negli occhi.

 

A quelle parole, lui la strinse ancora più a se.

 

“Ti ha fatto del male?”

“Quello che mi fa sempre mostrandomi la sua sola presenza.” Disse in un sussurro lei, abbassando il capo.

 

Remus però glielo risollevò, e rimase in silenzio a fissarla negli occhi.

 

“Adesso ci sono io, amore mio. Adesso ci sono io.” Le disse poi, baciandole il nasino.

 

Lei sorrise.

 

Si presero per mano e, insieme, andarono a passeggiare per i giardini curati di Malfoy Manor, ancora più splendidi illuminati dalla luce del sole calante.

Ogni tanto si accarezzavano, ogni tanto si abbracciavano, ogni tanto si baciavano… era tutto così meraviglioso quando stavano assieme, tutto così veramente … magico!

 

Poi lei gli prese la mano, e lentamente lo condusse verso le sue stanze, quando oramai il sole era calato.

“Questa notte puoi rimanere.” Gli disse lei “Lui non tornerà per molto tempo.”

 

E così fecero l’amore più e più volte, finché, stanchi, si addormentarono l’uno fra le braccia dell’altro, in un abbraccio che riempiva entrambi di dolcezza, serenità, pace, sicurezza.

 

 

Narcissa, silenziosamente, si alzò dal letto, e si diresse verso il bagno tenendo la bacchetta in mano.

 

Aprì lo sportellino, e prese il fermacapelli, che si trasformò subito in boccetta bianca.

 

Se la rigirò più e più volte fra le mani.

 

Quella boccetta… l’avrebbe vendicata.

Suo figlio avrebbe avuto lo spirito di Remus, non quello di Malfoy… suo figlio sarebbe stato buono, giusto, e loro non avrebbero potuto fare nulla. Non avrebbero potuto farlo diventare un mostro.

Suo figlio non sarebbe mai diventato un mangiamorte. Non l’avrebbe mai fatta soffrire, ma l’avrebbe resa fiera di lui.

E lei lo avrebbe amato, come amava il padre da cui avrebbe ereditato il dolce cuore… Remus.

 

Aprì la boccetta, e se la portò alle labbra. Il sapore di quel liquido era diverso dal precedente, era dolce… un piacere nutrirsene.

 

Remus, sveglio, cercò con una mano il caldo colpo della sua amata, ma non trovandolo accanto a se, preoccupato, si alzò.

La luce del bagno era accesa, e penetrava nella stanza dalla porta semi chiusa: doveva essere lì. Che non stesse bene?

Si alzò e si diresse lentamente verso la sua meta.

 

Sì, poteva vederla: Narcissa era lì. Aveva appena aperto uno sportellino, e preso un fermaglio… che subito si era trasfigurato in una boccetta bianca.

 

Remus corrucciò la fronte: perché Narcissa aveva nascosto con la magia quella boccetta, trasfigurandola? Cosa conteneva al suo interno.

 

La vide guardarla con interesse, sorridere, e poi aprirla, iniziando a berne il contenuto.

 

Un sospetto gli si disegnò nella mente.

 

Aprì la porta.

 

Narcissa scostò la boccetta dalla sua bocca, e lentamente alzò lo sguardo verso di lui.

 

I suoi occhi… i suoi occhi gli dissero che aveva ragione a sospettare.

 

Le andò vicino, e senza fretta le prese la boccetta dalle mani, continuando a fissarla con disappunto negli occhi. Si portò al naso il piccolo contenitore, odorandone il dolce profumo.

 

“Narcissa… cos’è?” Le chiese poi.

Lei indugiò un poco. “Una pozione.” Disse poi.

“Questo l’avevo capito.” Disse con voce rauca. “E avevo capito anche che è una pozione molto potente, non semplice da produrre, e soprattutto… una pozione di magia nera. Hai avuto bisogno del sangue di un satiro e di quello di una ninfa per produrla, è così?”

“Sì.” Rispose lei, continuando a guardarlo negli occhi.

“A cosa… a cosa serve?”

“Remus…” Disse lei, tentando di fare cadere l’argomento.

Ma Remus era fin troppo determinato ad andare fino in fondo. “A cosa serve, Narcissa?” Chiese in tono perentorio… un tono usato così rade volte da lui, che la donna quasi si spaventò.

 

“E’…”

“E’?”

“E’ per mio figlio.” Disse poi lei.

“Tu non hai figli!”

“No… finora no. Ho cercato di non averne.”

Remus la guardò sbalordito. “Hai usato una pozione di sterilità?!”

“Sì. Per sette anni. E lui non mi ha scoperto.”

“Sai cos’hai rischiato?! Per Merlino… se ti scopriva, come minimo ti ammazzava! Come minimo! Perché avrebbe potuto anche decidere di divertirsi prima a torturarti…”

“Lo so. Ma sono pronta a tutto pur di salvare la vita al mio bambino.”

“E questa-  disse, intendendo la boccetta bianca stretta convulsamente nella sua mano- dovrebbe aiutarti?!”

“Sì.” Disse lei, abbassando lo sguardo.

“Spiegati.” Disse lui, con tono fintamente calmo.

 

L’aria intorno a loro stava diventando sempre più tesa.

 

Narcissa sospirò. “Mio figlio non avrà speranze di diventare una buona persona se avrà Malfoy come padre…”

“Non si nasce malvagi.”

“Io non voglio rischiare. Non posso permettere che il mio bambino diventi un mostro. Non riuscirei a sopportarlo.”

“Tu sei buona, Narcissa, tuo figlio non potrà non avere qualcosa di te…”

 

Narcissa alzò di scatto gli occhi verso di lui. Ora sembrava arrabbiata. “Io sono buona, è vero. O, perlomeno, lo sono stata. Ma il mio sangue Remus, il mio dannatissimo sangue è pura marca Black! Sai cosa significa questo? Che il mio bambino avrà molte più possibilità di nascere più simile a Malfoy che a me! E io non voglio! Non sopravvivrei se sapessi che anche lui, il sangue del mio sangue, è un mostro… come tutte le altre persone che hanno fatto parte della mia famiglia.-

Sospirò, guardandolo negli occhi e cercando un minimo di comprensione in lui-

Non ce la faccio Remus, non sono più così forte. Il mio cuore vuole vendetta. E l’unico mezzo che ho per metterla in atto, è il mio bambino.”

 

Remus la fissò con sguardo truce, ma quando parlò, come al solito, la sua voce era calma. “Ti rendi conto di quanto sia orribile ciò che tu hai appena detto?”

“Sì, lo so. Lo so molto bene.

Ma, in fondo, sono arrivata a credere che ciò che faccio sia la cosa giusta, sia per me, sia per mio figlio.

Lui avrà la certezza di non diventare un mostro… e io, la felicità di vedere il mio bambino diverso da tutti coloro che lo circondano.

Tutti quei mostri… non potranno fare niente per trascinarlo dalla loro parte…”

“E allora lo uccideranno.”

“Lui si difenderà, o comunque avrà voi che lotterete insieme a lui.”

 

Remus scosse la testa. Tutto quello era assurdo…

 

“E come pensavi di ottenere ciò? A cosa ti serviva questa pozione?” Le chiese.

 

Narcissa si mise a sedere sulla poltroncina color panna davanti allo specchio.

“Remus, ho fatto cose tanto orribili, ma in fondo, le ho fatte per una causa relativamente buona.

Ma tu ora sai.

E io non posso continuare tranquillamente col mio piano: tutto dipende da te.

Dunque, ascolta ciò che sto per dirti. E decidi poi cosa fare.”

Detto questo alzò lo sguardo per incontrare il suo. Remus, ancora sconvolto e arrabbiato, fece sì col capo, e lei iniziò il suo racconto.

“Iniziò tutto quel pomeriggio, quando ti mandai quella lettera dicendoti che volevo rivederti…

Lucius voleva un figlio, ma io avevo deciso che il mio bambino non sarebbe mai e poi mai stato il figlio di Malfoy, ma il figlio dell’uomo che amo.

Poi però mi resi conto che questo era assurdo: dalla somiglianza Lucius avrebbe sicuramente scoperto il tradimento, uccidendo sia me che il mio bambino.

E così, mentre la relazione fra me e te si evolveva sempre più, ideai un piano più complesso, aiutata dall’immensa biblioteca di magia oscura che si trova in questo palazzo.

C’era una pozione in particolare, difficile da preparare, ma perfetta per il mio scopo.

Permetteva di creare in pieno una persona, dando ad essa il corpo e lo spirito dell’uomo che si preferisce.

 

La preparai, ma non era ancora il tempo di usarla: dovevo avere la certezza che Lucius si fidasse di me, che lui mi lasciasse il permesso di educare mio figlio… e per questo c’è voluto molto, molto tempo.

Questa mattina la mia attesa è stata premiata.

E così, dopo essere stato a letto con lui, ho bevuto il contenuto della prima boccetta.

Il primo incantesimo permetterà che il mio bambino abbia i geni fisici di mio marito. Ma ha una durata limitata: deve essere presto integrato con questo- disse, indicando la boccetta bianca- che delineerà lo spirito della persona; altrimenti il suo effetto svanisce.”

 

Remus rimase ancora lì, immobile, a guardare la donna che amava con occhi vuoti.

 

“Mi hai ingannato... tu mi hai ingannato… era tutto uno sporco gioco per assecondare la tua voglia di vendetta.” Disse, in un sussurro.

Narcissa scosse il capo, mentre le lacrime iniziavano ad inumidirle gli occhi. “Io ti amo davvero Remus… ti ho sempre amato… e lo sai… lo sai che non ti sto mentendo.”

“Però eri pronta a sacrificarmi.”

“Sì… sì… ero pronta a sacrificarti. Per il mio bambino. Non potevo permettere che lui divenisse un mostro. Volevo dargli almeno una chance. Mi puoi odiare per questo?”

“Non puoi costruire un essere umano a tuo piacimento, Narcissa. Non è un giocattolo.”

“Non l’ho mai pensato. Lo stavo facendo solo per il suo bene.”

“Il suo bene dici? E cosa gli avresti detto, una volta cresciuto? Che in realtà lui era figlio di due uomini diversi?! Che era una sorta di scherzo della natura?!”

“Non gli avrei detto nulla…”

“Gli avresti mentito!”

“No, avrei solo taciuto parte della verità.”

“E a me Narcissa, a me cosa avresti detto? Che il bambino era anche figlio mio? O non avresti detto nulla nemmeno a me?” Disse, irato.

Lacrime scesero copiose dagli occhi di lei.

 

Anche Remus, ora, piangeva. “Perché mi hai fatto questo… perché sei diventata come tutti loro?!”

 

Nel sentir ciò Narcissa si portò le mani alla bocca, e iniziò a piangere con più veemenza, mentre il suo petto era scosso da violenti singulti. Quelle parole… erano una vera e propria pugnalata al suo cuore.

Soprattutto perché erano pronunciate da lui… da Remus… dal suo amore.

 

Remus scosse la testa, piangendo come un bambino per la terribile rivelazione che aveva appena avuto.

“Credevi di dare la libertà a tuo figlio, e invece gli stavi solo mettendo delle catene ai polsi.

Credevi di fare la cosa giusta, ed invece hai fatto l’errore più grande che potessi compiere.

Ma, soprattutto, credevi di fare tutto questo per amore: ed invece, l’hai fatto solo per egoismo.-

Prese la boccetta e con un gesto secco la fece cadere a terra, rompendola. Poi, con la bacchetta che teneva in mano, fece evanescere il tutto-

La mia decisione è questa Narcissa. I tuoi piani hanno qui fine.” E, così dicendo, voltò le spalle e se ne andò.

 

Narcissa continuò a piangere, a lungo. E pianse ancora di più quando lo sentì smaterializzarsi via.

Non sarebbe più tornato, di questo era sicura. Non sarebbe mai più tornato.

 

La mattina dopo, il sole, sorgendo, illuminò le stanze da bagno in cui Narcissa aveva passato la notte.

Era accucciata su quella poltrona, con una mano a sostenere il capo, ancora arrossato per le troppe lacrime versate.

 

Lentamente si portò l’altra mano al ventre, ancora perfettamente piatto. E guardò il pavimento davanti a lei, dove, poche ore prima, era stata scagliata la boccetta bianca.

 

Remus però era arrivato troppo tardi… lei ne aveva già bevuto un sorso.

 

Un lieve sorriso le apparve, timido, sulle labbra, mentre una silenziosa e solitaria lacrima le cadeva sul viso: il suo bambino avrebbe almeno avuto una speranza.

 

Aveva capito il suo errore. Aveva capito che la sua azione non sarebbe stata sbagliata se non fosse stata volta alla vendetta.

Vendetta…

Proprio a causa di questa aveva perso la persona che più amava in assoluto, e che avrebbe continuato ad amare ancora a lungo.

 

Ora, doveva fare in modo che quel sacrificio servisse a qualcosa. Avrebbe dovuto impegnarsi con tutta se stessa affinché il suo bambino non scegliesse di seguire la strada del padre… e lo avrebbe dovuto fare solo per il suo bene, non per dare una lezione alla sua famiglia. Non per vendicarsi.

Il suo bambino… lo avrebbe amato con tutta se stessa.

Sarebbe stata tutta la sua vita.

 

E se avesse fallito in questo… se suo figlio fosse diventato come suo padre… allora lei non avrebbe più avuto altre ragioni di stare su questo mondo.

Perché la sua vita, ora, era consacrata a quella creaturina che cresceva lentamente nel suo ventre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Voldemort ***


Si erano trasferiti nella villa della famiglia Potter subito dopo la partenza di Sirius per la missione in Francia

 

Si erano trasferiti nella villa della famiglia Potter subito dopo la partenza di Sirius per la missione in Francia. Era un periodo piuttosto difficile, pieno di tensione, Voldemort non si faceva vedere spesso ma dietro l’apparente calma stava progettando un piano grandiosamente maligno e perfetto per realizzare i suoi sogni.

In più, alla tensione del mondo magico si era aggiunta, in Lily, quella dovuta agli affari di famiglia: la mamma e il papà erano in costante stato di depressione, per la paura che avevano di saperla morta da un momento all’altro.

Non approvavano che lei fosse un Auror. Già la condizione di strega mezzobabbana la metteva a rischio in quel periodo di guerra che stavano vivendo, e se poi lei addirittura andava a cercarsi i guai… cavoli, loro erano pur sempre i suoi genitori, come diamine potevano vivere ogni giorno tranquillamente con il terrore per la loro figlia (più) adorata?!

Aveva tentato di tranquillizzarli in tutti i modi, ma aveva capito che era assolutamente impossibile. E così, per evitare che ad uno dei due (o ad entrambi) prendesse un crepacuore, andava appena possibile a far loro visita, o altrimenti telefonava per fargli capire che, per il momento, era ancora su quel mondo…

 

Da un paio di giorni comunque la tensione in casa Evans era un poco diminuita: infatti tutti erano impegnati ad organizzare la festa per l’imminente matrimonio di Petunia con un certo Vernon Dursley, il figlio di un vecchio amico di famiglia che non stava particolarmente simpatico a Lily.

E così, dato che l’attenzione dei genitori le lasciava un poco di tregua, Lily aveva ripreso a vivere tranquillamente: l’essere così assillata da genitori, da lavoro, da morte imminente e da tutti i casini che incombono naturalmente nella vita di ciascun uomo la stava letteralmente facendo uscire di senno.

Basti pensare che, nell’ultimo scontro aperto contro un gruppo di Mangiamorte (nemmeno due settimane prima) aveva trasfigurato uno di loro in un pupazzo gonfiabile, e poi si era messa a prenderlo a pugni inveendo come una dannata… e solo per un pelo Sirius era riuscito a convincere il comandante degli Auror a non sottoporla agli arresti militari per omissione dei diritti di un prigioniero… eheheh, però, in fondo la scena, da un certo qual punto di vista, era stata pure divertente…

 

James era sdraiato sul grande lettone matrimoniale di quella accogliente stanza che un tempo era appartenuta ai coniugi Potter. Aveva sempre adorato quel posto… quell’aria di antico, di ospitale, di confortevole, di vissuto, data dai dolci tessuti fioriti e dal legno di cedro dei mobili l’aveva sempre fatto sorridere fin da bambino, l’aveva fatto sentire al sicuro, protetto dalle due persone che dormivano su grande letto di fronte all’ampia vetrata coperta da preziose tende di damasco.

Ora quelle persone non c’erano più.

E quel letto era rimasto vuoto per lungo tempo… fino a che dei nuovi occupanti non erano giunti in quella graziosa villa di periferia.

Lui e la sua Lily.

 

La guardò. Era ancora addormentata, lì, sdraiata fra le sue braccia, i capelli rossi che gli solleticavano il petto.

Aveva un sorriso sul volto da ninfa. Sognava.

O, forse, pensò maliziosamente, era un piccolo rimasuglio della notte appena passata…!

Le accarezzò il viso, provando piacere a toccare quella pelle così liscia e morbida… appena la sentì mugugnare, però, levò subito la mano e continuò a fissarla, con un dolce sorriso sulle labbra.

 

Non si sarebbe mai stancato di lei. Non si sarebbe mai stancato di guardarla, di desiderarla, di starle accanto… L’amava. Per la barba di Merlino se l’amava! Cavoli! L’amava con tutto se stesso… l’amava addirittura più di se stesso, e questa è una considerazione davvero notevole, dato che è stata fatta da un ragazzo che ha passato gran parte della sua esistenza davanti allo specchio a rimirare la sua bellezza, o davanti ad un pubblico che lo acclamava per la sua bravura, per la sua agilità.

Lui si credeva un Dio.

Ed invece quella ragazza gli aveva fatto capire che era un semplice uomo, uno dei tanti idioti che abitano questa terra… e, tanto per dargliene una prova, con la sua faretra gli aveva trapassato il cuore, aprendogli una ferita che giammai si sarebbe richiusa. Anche perché, naturalmente, lui non voleva che si richiudesse…

 

Lily Lily Lily Lily.

Chissà cosa avrebbe avuto in serbo il destino per loro.

Chissà se, un giorno, sarebbero stati risvegliati dal caldo abbraccio di un bambino che, correndo per la stanza, si era gettato fra le loro braccia per cercare conforto dopo aver fatto un incubo.

E, magari, il bimbo avrebbe avuto degli splendidi occhi verdi, proprio come quelli della mamma… sì, voleva che suo figlio avesse gli occhi di Lily. Voleva che quegli occhi continuassero a guardare il mondo, anche quando loro non ci sarebbero più stati. Voleva che quel verde intenso continuasse a risplendere, illuminando l’anima delle persone che avevano la fortuna di trovarselo davanti.

 

“Ciao.” Disse James, vedendo Lily stiracchiarsi.

La ragazza sbadigliò sonoramente, e dopo aver sbattute un paio di volte le lunghe ciglia castane che le ornavano i begli occhi, lo abbracciò, mentre il sorriso sulle sue labbra si ampliava ancor più.

“Ciao…!” Mugugnò, stringendosi ancora più a lui.

“Dormito bene?” Chiese James, chinando a baciarle uno zigomo.

“Sì… non tanto… ma bene!” Disse lei, poco prima che James passasse a baciarle sensualmente le labbra.

“Non tanto? E come mai?!” Chiese poi, facendo il povero ingenuo.

“Ma… qualcuno mi ha tenuta sveglia per gran parte della notte…” Disse lei, rimanendo al gioco.

“E ti è dispiaciuto?!”

“Affatto…!” Disse, con un sorriso deliziato sul volto.

James rise, poi calò di nuovo su di lei, baciandola con fare sapiente, per farle capire meglio le sue intenzioni.

“Beh, allora non ti dispiacerà ripetere l’esperienza!” Disse, mentre una mano scendeva ad accarezzare il corpo nudo della ragazza, che non si curò nemmeno di rispondere, tanto le carezze di lui la facevano impazzire.

E James, ovviamente, prese il suo silenzio per un sì.

In fondo, quel famoso proverbio babbano non recitava ‘Chi tace acconsente’?!

 

 

Lily uscì dal bagno asciugandosi i capelli. Era quasi l’ora di pranzo, e lei e James erano ancora lì, nella stanza da letto. Da un momento all’altro gli elfi domestici avrebbero bussato alla loro porta chiedendo il permesso di entrare per portare loro il pranzo.

 

Vide James seduto sul bordo del letto, malamente coperto da un lenzuolo. Stava guardando con strano interesse il Trasmettitore Auror.

 

“C’è qualcosa che non va?” Chiese la ragazza, avvicinandoglisi.

“C’è qualcosa di strano.”

“Cioè?!”

“Malocchio dice che si è appena creato un campo magnetico che annulla il rintracciamento della magia non lontano da Canterbury.”

Rimasero un attimo in silenzio. Lily fece cadere per terra l’asciugamano che teneva in mano.

“Voldemort” Disse poi.

James alzò lo sguardo e la fissò. Si leggeva paura nei suoi occhi.

Ma non era la paura di affrontare quel mostro, no… era la paura di perdere lei.

E Lily aveva lo stesso sguardo.

 

“Stai attento. Io ti guarderò le spalle.” Gli disse semplicemente, mentre lui si alzava in piedi davanti a lei.

“Io farò lo stesso. Sarò la tua ombra.” Le disse, e subito dopo l’abbracciò.

 

Dieci minuti dopo, indossata in tutta fretta la divisa da Auror, presa la bacchetta, ripassati mentalmente gli incantesimi più complessi (James…), si smaterializzarono nel posto indicato.

 

 

 

 

Sembrava non ci fosse nessuno.

Un gruppetto di Auror era già sul posto, e, con cautela, James e Lily si avvicinarono a loro.

Non avevano avvistato nulla manco loro. Però quel campo magnetico preannunciava la venuta di qualcuno.

Qualcuno di grosso, sicuramente. Era un incantesimo troppo potente perché un semplice mangiamorte fosse in grado di farlo.

 

“Ma… non avremmo dovuto già trovare qualcuno qui? Non ha senso.” Fece notare Paciock.

“Sì che ha senso.” Disse Malocchio Moody, con un sospiro, mentre il suo occhio magico roteava nervosamente ovunque.

Il gruppetto rimase un poco perplesso a quelle parole.

Poi Lily, il cui volto era diventato improvvisamente più duro, disse: “E’ una trappola.”

Il sangue si gelò nelle vene di tutti, mentre la comprensione si faceva spazio nella sua mente.

Sì, certo, era ovvio: quell’incantesimo era solo l’esca che li aveva attirati. E l’oro c’erano caduti in pieno.

“Cosa facciamo ora?! Non possiamo andarcene, se non trovano noi faranno una strage!” Disse Alice, la fidanzata di Paciock, con un tono isterico nella voce.

“Rimaniamo qui… finché la trappola non scatta. E speriamo, se Merlino ci aiuta, di avere noi la meglio.” Disse Malocchio, semplicemente. 

 

Si guardarono intorno di nuovo.

 

La tensione aumentava.

 

Voldemort si divertiva a giocare a nascondino… bene, quando sarebbe venuto fuori loro si sarebbero divertiti a fargli la festa.

 

Ad un certo punto il cielo si fece scuro. Nubi nere incominciarono a ricoprire quella zona, e a scendere pericolosamente verso il suolo, rendendo la vista assai difficile.

 

Gli Auror si misero ancora più all’erta.

 

“State attenti!” Gridò Moody.

 

Poi avvenne. Uno scoppio tremendo, e Paciock fu schiantato lontano. Alice, inviperita, si voltò a vedere chi aveva osato fare del male al suo amato, e il suo desiderio fu realizzato.

Dal nulla erano comparse dieci figure nere, più oscure del fumo che ormai quasi impediva loro di usare la vista.

Dieci. Caspita. Erano dieci. Loro invece solo cinque. E se si contava il fatto che probabilmente la maschera che scintillava dorata sulla figura più alta era quella di quel rifiuto della natura… erano davvero messi molto, molto molto male.

 

Il combattimento iniziò subito. Raggi di vari colori, rossi, gialli, azzurri… verdi… iniziarono a saettare da una parte e dall’altra in mezzo a quell’oscurità, accompagnati da parole sussurrate con odio e disprezzo.

 

Lily aveva riconosciuto, dietro una maschera argentata illuminata da un bagliore verdastro, il volto di Malfoy, e si era diretta subito verso di lui per affrontarlo.

Non gli avrebbe mai perdonato ciò che aveva fatto alla sua amica… a Narcissa. Era colpa sua se lei era tanto cambiata. Lui l’aveva traviata. Aveva fatto cadere quello splendido angelo che era una volta. Aveva rovinato il suo cuore puro.

Lucius sorrise nel vederla.

“Evans.” Disse, con tono di disprezzo.

“Ti ricordi di me, Malfoy?!” Chiese acida, Lily.

Iniziarono a camminare in circolo, la bacchetta puntata davanti in posizione difensiva, l’oscurità che a malapena permetteva di vedere l’altro.

Lui rise. “Mi ricordo perfettamente tutti i mezzosangue che frequentavano Hogworts. Mi ricordo la loro puzza, la loro ignobiltà, l’infamia che gettavano sul nostro nobile mondo di magia, … davvero insopportabili.”

“Già, insopportabili… soprattutto quando sei stato costretto a riconoscere che siamo nettamente superiori ad un verme bianco, liscio e purosangue come te, Malfoy.” Disse Lily, con un tono ironico che fece saltare i nervi all’uomo.

Subito una luce rossa si diresse verso di lei, che la scansò facilmente.

“Fa male la verità, vero?” Disse Lily, trattenendo a stento una risatina. Un’altra luce rossa, seguita da una azzurra e da un’altra rossa partirono dalla bacchetta dell’avversario. Ma anche questa volta la ragazza le scansò, e passò al contrattacco: nemmeno mezzo minuto dopo Lucius si ritrovò con un profondo taglio nel petto, e un dolore che andava a pompare sangue nei suoi nervi che vibravano già in maniera fin troppo pericolosa. Si accasciò a terra… diamine, allora non aveva usato un semplice incantesimo di taglio… si sentiva il dorso a pezzi… doveva aver aggiunto qualche fattura sfibrante alla sua maledizione… se lo doveva aspettare. La Evans era sempre stata una secchiona a scuola.

Lily sorrise soddisfatta. “Pezzo di merda… questo è per Narcissa.” Gli disse, e subito dopo gli mollò un violento calcio sul mento, che lo fece cadere all’indietro col sapore del sangue anche il bocca.

“Narcissa è felice di stare dov’é… finalmente ha ciò che merita.” Disse, con un ghigno strafottente in volto che, percepito da Lily, la fece infuriare ancora di più.

“Non ha mai avuto ciò che merita davvero. Anzi, apre che il destino si sia divertito a farla soffrire… ma ora ho posto rimedio io.” Disse, avvicinandosi a lui con un ghigno in volto. “Non hai molto da vivere ancora, lo sai, verme?” E, così dicendo, gli mollò un altro violento calcio in uno stinco, rompendogli dolorosamente l’osso della gamba. Lucius trattenne a stento un grido di dolore.

“Ma guarda un po’… e meno male che sei dalla parte dei buoni!” disse, sforzandosi di mantenere un tono ironico nonostante ormai il suo cervello fosse in tilt per il troppo male che si espandeva velocemente per tutto il suo corpo.

“Sai, da un po’ di tempo sono dell’idea che la filosofia dei nostri antichi progenitori, occhio per occhio – dente per dente, non fosse poi così sbagliata… e se i miei nemici non rispettano me, perché io dovrei rispettare loro?!”

Si posizionò sopra di lui, e aveva tutta l’intenzione di schiacciare il piede sul suo petto, tanto per accelerare il processo di smembramento messo in atto dal suo incantesimo, quando improvvisamente il Mangiamorte scomparve.

 

Lily si guardò intorno, preoccupata. Non si sentivano più grida, non si vedevano più le luci degli incantesimi.

Poi qualcuno la prese ad un braccio. Si voltò, spaventata, puntando la bacchetta direttamente sulla gola di colui che le stava davanti… ma poi fu costretta a riabbassarla, riconoscendo James.

Era ferito, sangue gli usciva dalla narice destra, e aveva anche un profondo taglio nel labbro… ma, cosa ancora più importante, era la preoccupazione che si leggeva nel suo sguardo.

“Che è successo?!” Le chiese.

“Non lo so… non c’è più nessuno, né Auror, né mangiamorte…” Disse lei, continuando a guardarsi intorno.

 

“Hai perfettamente ragione. Non ci sono più né Auror, né Mangiamorte. Ci sono solo io – e voi, ma ancora per poco.”

Disse una voce.

 

Lily e James rabbrividirono. Sapevano a chi apparteneva quella voce fredda, distaccata, serpentina, così intrisa di malvagità da far provare un tonfo al cuore di qualunque persona la ascoltasse.

Si voltarono entrambi nel punto da cui l’avevano sentita provenire.

E subito lì apparve, tranquillo nella sua fierezza, Voldemort. Nagini, il suo amato serpente, era al suo fianco.

 

I due ragazzi capirono subito… sì, quella era stata solo una sporca trappola… ma non aveva lo scopo solo di eliminare dalla faccia della terra i migliori Auror in circolazione… sarebbe dovuta servire, anche e soprattutto, per uccidere loro.

Perché?

Beh, la risposta era alquanto ovvia…

 

Voldemort puntò la bacchetta contro di loro. “Chissà che così Solaria non si decida a tornare da me.” Disse, con uno strano tono beffardo che fece loro gelare il sangue nelle vene.

 

Solaria. Sempre lei. Solaria.

Lui la voleva. Voleva farla tornare dal luogo in cui si stava preparando per distruggerlo. Voleva impedire che lei lo surclassasse ancora una volta. Voleva impedirle di compiere il suo destino, voleva rendere inutile tutta la sua esistenza.

Voleva farle del male.

 

“Stronzo…” Sibilò James, stringendo forte i pugni.

Nello stesso istante, Lily pronunciò alcune parole e uno strano scudo dalle argentee luminescenze comparve dal nulla.

Magia Nera.

Lily non si sarebbe limitata ad usare solo una parte delle sue conoscenze per proteggersi e per attaccare quel mostro. Avrebbe dato tutta se stessa.

 

Voldemort sorrise, e Lily ghignò. Ormai la paura se n’era andata, così come anche in James, e aveva lasciato posto alla solita rabbia cieca che li dominava quando combattevano quei pezzenti senza cervello.

“Cosa ti fa ridere, Tom? Non mi pare che ci sia niente di così ilare qui… a parte il piccolo particolare costituito da un povero mezzosangue idiota che ha deciso di eliminare tutti coloro che gli assomigliano semplicemente perché sono il ritratto di ciò che è lui. Un impuro. Un ibrido. Un miscuglio infame. Un mezzo babbano.

E non un mezzo babbano qualunque… addirittura un bastardo! Già, perché tua madre non ti ha voluto, non è vero Tom? E tuo padre…” Un raggio giallo le sfiorò la guancia, graffiandogliela. Ma lei non si fermò: era furiosa. “… tuo padre l’hai ucciso tu.”

 

James, sebbene fosse rimasto allibito dalle parole infuocate della ragazza, continuava guardare con circospezione davanti a se. Non era proprio un bene provocare quel demone incarnato, ma se Lily lo stava facendo, significava solo che aveva un piano in testa. E non sarebbe stato di certo lui a bloccare il suo genio.

 

Un raggio verde partì dalla bacchetta di Voldemort, e Lily riuscì a scansarlo per un pelo… la barriera, sebbene potente, non difendeva dalle maledizioni di morte.

Perché, semplicemente, la morte non poteva essere fermata.

 

“Ci sei rimasto male, Tom Riddle?! Poverino… chissà come ci rimarrai male quando Solaria ti ficcherà di nuovo un pugnale nello stomaco…” Disse Lily, sempre più acida.

“Sta attenta a te, Mezzosangue: hai sorpassato il limite.” Disse Voldemort, con la sua stessa voce fintamente calma.

 

Ma Lily, per tutta risposta, puntò la bacchetta su di lui e, con un flebile raggio rosso, gli fece cadere la maschera dal volto.

Un grido d’orrore la pervase quando lo vide.

Orrendo.

Disgustoso.

Terrificante.

Maligno.

In una parola: mostruoso.

Non era più un viso umano. Era così deformato dai rituali oscuri che Tom faceva per rendersi più forte che aveva assunto caratteristiche serpentine.

E gli occhi… gli occhi erano rossi, iniettati di sangue. E la rabbia che ora esprimevano li faceva divenire ancora più pericolosamente raggelanti.

 

“Che schifo!” Non fece a meno di gridare James. (E, se ci fosse stata Solaria, non so con cosa tutto se ne sarebbe uscita fuori…!).

Il Signore Oscuro aggrottò la fronte. Il commento non doveva sicuramente avergli fatto piacere.

Scomparì.

E ricomparve poco dopo, dietro i due ragazzi. Colpì Lily con un violento pugno dietro la nuca, e puntò la bacchetta dietro le spalle di James.

Cruciatus!” Disse poi, in un sibilo. E poco dopo James cadde a terra, contorcendosi per il dolore che gli attanagliava ogni piccola fibra del suo essere.

Lily, stordita dal forte colpo che aveva ricevuto in quella zona così delicata, lo guardava senza riuscire a fare niente, mormorando il suo nome mentre calde lacrime iniziavano a riempirle gli occhi.

 

“Guardalo, piccola insolente, perché il dolore che prova ora non sarà nulla rispetto a quello che lo distruggerà veramente, quando ti vedrà mia.” Disse Voldemort, inchinandosi su di lei e voltandola con un gesto brusco.

 

James, attanagliato dal dolore, sentiva che il cuore gli sarebbe scoppiato nel petto se avesse davvero visto ciò che Voldemort diceva di voler fare.

 

Lily fissò il suo verde sguardo su quello rosso dell’uomo.

Era come se due luci si scontrassero.

Una verde, l’altra rossa.

E, nel mondo magico, la luce verde è assai più pericolosa di quella rossa. E’ la luce dell’Avada Kedavra, mentre quella rossa lo è di uno Schiantesimo.

Una uccide, l’altra provoca solo dolore, stordimento.

Da una non si può sfuggire. Dall’altra sì.

 

E, in quel momento, la luce verde era più luminosa che mai.

 

Voldemort la spinse per terra, bloccandole le braccia con una mano, mentre con l’altra scendeva a slacciarle i pantaloni.

 

Lily, che ormai stava rinsavendo, lo spinse via con una forza che lui non avrebbe mai immaginato risiedere in una ragazza dall’aspetto così fragile.

“Hai sottovalutato la tua preda, stronzo.” Gli disse lei, mollandogli un forte pugno in faccia. Poi, velocemente, gli prese la bacchetta dalle mani e corse via per aiutare James, liberato dal Cruciatus.

Gli indirizzò una magia di cura, e appena lui fu in grado di stare in piedi, si voltò a guardare Voldemort.

 

Si era rizzato in piedi, e li guardava con un pauroso sorriso sulle labbra.

“Degna amica della veggente, non c’è che dire.” Disse poi. “Ma anche tu mi hai sottovalutato: credi davvero che io abbia bisogno della bacchetta per usare la magia?”

 

E, mentre il sangue stava iniziando a gelarsi nelle vene dei due ragazzi, una voce calda e solare permise al loro cuore di tornare a battere tranquillamente.

“No, non hai bisogno della bacchetta, anche se alcuni incantesimi sono troppo complessi perché qualunque mago riesca a lanciarli senza essa.”

Silente si fece spazio in quell’oscurità, illuminando finalmente il luogo con un po’ di luce.

 

Voldemort gli lanciò uno sguardo di fuoco, per poi andare a fissare di nuovo i due ragazzi.

Lily, che teneva ancora in mano la sua bacchetta, appena incontrò lo sguardo rosso di lui se la portò davanti e la spezzò.

 

Il Signore Oscuro sorrise.

“La mia prossima bacchetta sarà inaugurata con la vostra morte.” Disse prima di scomparire.

 

 

 

“Ahia!” gridò James, mentre l’infermiera di Hogworts, frettolosamente arrivata al quartiere generale degli Auror, gli curava la ferita sul labbro.

 

Erano tutti salvi. Nessuno, di coloro che erano caduti nella trappola, era stato ucciso. Certo, c’era chi era stato conciato davvero male, con parecchie ossa rotte e qualche spiacevole fattura ancora in circolo nel corpo (come ad esempio Alice), ma non era niente di fatale. Una settimana di cure intensive al San Mungo e sarebbero tornati come nuovi!

Molti erano stati salvati da quella sorta di onda che li aveva cacciati via dalla zona magnetica e che aveva trasferito altrove i Mangiamorte; Lily e James, invece, dovevano la vita a Silente.

Il vecchio preside poi, dopo aver riportato la situazione alla normalità, li aveva accompagnati al reparto degli Auror, andandosene poco dopo per ritornare nella sua scuola: non poteva lasciare i suoi cari alunni senza protezione.

 

“Come Potter, sei riuscito ad affrontare Voldemort e non puoi sopportare un ridicolo balsamo curativo?! Sei una contraddizione vivente, figliolo!” Disse Moody, seduto su una sedia a riempire il resoconto dell’accaduto da dare ai suoi superiori.

“Ma fa male!” Si lagnò lui.

Lily scoppiò a ridere. “Sempre il solito!” Disse poi, scotendo la testa e fissandolo con sguardo pieno d’affetto e amore.

 

James si zittì subito.

Per Merlino… aveva rischiato di perderla. Aveva rischiato di vederla morire sotto i suoi occhi, senza che lui potesse fare qualcosa per impedirlo.

 

Scostò gentilmente l’infermiera, che iniziò a blaterale sul fatto che non poteva comportarsi così, che lei doveva curarlo, che una ferita doveva essere medicata per evitare spiacevoli conseguenze… ma lui non l’ascoltava. Si dirigeva con decisione verso quello sguardo, che ora lo fissava un po’ interrogativamente, e pareva che nessuno potesse fermarlo.

 

La abbracciò di slancio. La strinse al suo petto con forza, appoggiando il volto nell’incavo del suo collo e accarezzandole i capelli con una mano.

Lily, all’inizio allibita, ricambiò subito dopo la stretta.

“Ho rischiato di perderti. Quando lui ha detto di… quando lui ha… stavo per morire, te lo giuro. Non mi sentivo più il cuore.” Le disse.

Poi, mentre lei, emozionata da quelle parole, stava per rispondergli, lui fece un’altra cosa che la lasciò di sasso: impugnò la sua bacchetta e, con un semplice incantesimo di levitazione, la poggiò sopra il tavolo.

 

Ora, tutta la sala li fissava. Tutti gli Auror lì presenti, perfino Malocchio Moody, avevano smesso le loro occupazioni per guardare la scena. Conoscendo James, erano sicuri che ne avrebbe combinata una delle sue….

 

Lily, rossa in viso, scuoteva allibita la testa guardando con un punto interrogativo in faccia il suo ragazzo.

E quello, come se non si fosse accorto di niente, continuò a fissarla per un poco.

Poi, cosa ancora più sbalorditiva, si inginocchiò a terra.

 

“Io non sono degno di te… questo lo ho sempre saputo. Mi viene in mente ogni volta che ti guardo, quando l’unica cosa che oso chiedermi è: cosa ci fa una ragazza del genere con me?

Provo a darmi mille e mille risposte, ma la meta che raggiungo è sempre la stessa: e che ne so?! – gran parte della sala a questo punto si mise a ridere – Già, non lo posso sapere. Non sono mai – o quasi mai- riuscito a capire cosa passi per la tua mente geniale. Sono però sempre stato sicuro di una cosa: lei sa sempre quello che fa. E lei fa sempre la cosa giusta.

Ti chiederai cosa la mia mente idiota stia tentando di fare ora…- disse lui, arrossendo leggermente- beh… ho provato a raffigurare concretamente la differenza che intercorre fra noi due. Tu stai molto più in alto di me, Lily, in tutto: tu sei brava, buona, bella… tu sei tutto ciò che un uomo potrebbe desiderare nella donna che ama.

E io… beh… purtroppo non ho potuto scavare una fossa per mettermi ancora più in basso di così, perché altrimenti Moody mi avrebbe fatto la pelle peggio di Voldemort- e a queste parole, alcuni sorrisero, altri invece tremarono impercettibilmente per la paura che quel nome imprimeva in loro; ma James come sempre, non se ne curò- e così mi sono dovuto accontentare di inginocchiarmi per terra.

Ma arriviamo al dunque… cavoli, non sono mai stato bravo con i giri di parole!…

Lilian Evans, vuoi tu accettare questo povero scorfano imbecille come tuo legittimo sposo?!”

 

La sala si ammutolì. Tutti quanti iniziarono a muovere vorticosamente lo sguardo fra i due ragazzi.

Lily fissava in silenzio James, e lui la guardava con gli occhi limpidi, in cui si leggeva chiaramente il desiderio che quella risposta fosse positiva.

 

Lily si inginocchiò sul tavolo, allungò un braccio e porse la mano a James.

“No.” Disse, e il cuore di James mancò di un battito. Lily se ne accorse, e si mosse a finire la frase prima che il ragazzo che amava le morisse davanti “Non accetto come sposo un povero scorfano imbecille, te lo puoi scordare!”

James riprese a respirare.

“Io voglio James Potter per sempre al mio fianco. Voglio il ragazzo che amo. Hai capito?!” Disse poi, mostrando un incantevole sorriso che le illuminò il volto.

James, scoppiando a ridere insieme al resto della sala, prese la sua mano, e salì con lei sopra il tavolo.

Le cinse la vita con le braccia, mentre lei circondava il suo collo in un tenero abbraccio.

“Sei mia…” Disse lui.

“Per sempre.” Disse lei.

E il bacio passionale che firmò quella promessa fu salutato dal clamore dei loro colleghi, che iniziarono ad esultare e a gridare:

“Viva i futuri sposi!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Matrimonio ***


La Sala Grande di Hogworts non era mai stata così splendida

La Sala Grande di Hogworts non era mai stata così splendida. La volta lasciava passare all’interno la calda luce del sole estivo, e in quella deliziosa luminosità volteggiavano deliziosi amorini, lanciando per aria le loro frecce, che scoppiavano poi in un mare di pagliuzze dorate.

I muri erano stati coperti con grandi veli bianchi, arricchiti da fiori freschi quali rose e gigli, che riempivano la sala di dolce profumo. Altri fiori erano disposti poi, in gigantesche e quanto mai fantastiche composizioni, in ogni angolo della stanza, e la grande porta d’ingresso, completamente spalancata, era stata ricoperta da un gigantesco tendone di un luccicante tessuto bianco, legato ai lati del muro con grandi cordoni d’oro.

Al posto dei soliti quattro filari di banchi, ce n’erano invece due opposti di sedie, occupate da persone vestite molto elegantemente; fra questi stava un lungo tappeto bianco e oro, che conduceva dritto verso quel luogo che, in periodo scolastico, sarebbe stato destinato ai professori: ora invece c’era uno splendido altare di marmo bianco, con un bacino d’oro in mezzo.

Dietro di esso un sacerdote attendeva l’avvento di una sposa alquanto ritardataria per iniziare la sua funzione, lanciando ogni tanto qualche torva occhiata al giovane che gli stava davanti, vestito come un antico patrizio romano di una preziosa tunica bianca e dorata, la cui solennità era però rotta dai capelli che, irti in capo, prendevano le direzioni più disparate, e da quello sguardo da pesce lesso che aveva in volto.

 

“Perché non arriva?!” Chiese James, sempre più nervoso, facendo schioccare rumorosamente le dita mentre guardava sempre più preoccupato davanti a se.

Sirius, al suo fianco, sbuffò. Se lo avesse chiesto ancora una volta, gli avrebbe mollato un ceffone così forte da lasciarlo intontito per almeno una settimana… “E che ne so, magari ha deciso di scappare con un altro…” Rispose, acidissimo.

James si voltò a guardarlo col terrore negli occhi nocciola. “Cosa?!” Chiese, con voce soffocata.

Pochi attimi dopo Sirius si ritrovò con le mani dell’amico chiuse intorno al suo forte collo, mentre gli occhi folli di lui penetravano i suoi.

“Cosa?! Cosa diamine hai detto?! Se sai qualcosa, parla subito!” Disse.

“Ehm… James… penso che Felpato stesse scherzando…” Disse Lunastorta vicino a loro.

Ramoso si voltò a guardarlo, sempre tenendo stretto il collo dell’amico. Piano piano quella luce folle scomparve, e la comprensione prese spazio in lui.

“Ah…” Disse, liberando l’amico e voltandosi di nuovo a guardare là, in fondo, davanti a lui.

Sirius invece sbuffò di nuovo ancora più vistosamente… aveva fatto appello a tutta la sua pazienza (e si era scoperto ad averne davvero tanta…) per non tramortirlo. Ma, poverino, in fondo doveva capirlo, era una giornata molto importante per lui…

“Comunque non è stato uno scherzo divertente.” Disse serio James, voltandosi di nuovo a guardare severamente l’amico.

Sirius gli lanciò uno sguardo infuocato. “Mi hai fatto letteralmente cadere le palle a terra oggi, Ramoso: è da quando siamo arrivati che non fai altro che comportarti come uno stupido idiota.”

“Sirius, usa un linguaggio meno colorito, gli ospiti ci sentono…” Disse Remus, sorridendo ben poco rassicurante ad una vecchia signora che, seduta in prima fila, doveva aver sentito tutto a vedere dal suo viso esterrefatto.

“Sirius, quella è la prozia materna del cognato di Lily! Non mi vorrai far fare brutta figura, vero?!” Gridò James, rivolto al suo migliore amico.

“Me lo dici che c***o te ne sbatte della prozia materna di Vernon Dursley, se non puoi sopportare nemmeno quel c******e di babbano che s’è sposato la sorella della tua ragazza?!”

James parve rifletterci per un po’. Poi disse, mostrando uno degli sguardi più torvi che riuscì a fare: “Nulla! Però è una questione di principio!”

“E quale principio sarebbe?”

James aprì e richiuse più volte la bocca, senza che alcun suono ne uscisse fuori. Poi però, irritato dall’espressione beffarda che stava assumendo il volto dell’amico, si incupì ancora di più e disse: “Sono nervoso, ok?! Mi pare normale, è la prima volta che mi sposo!”

Sirius rise, facendo scivolare così gran parte della tensione che l’amico gli aveva trasmesso col suo nervosismo. Anche James, sentendolo ridere, parve tranquillizzarsi un poco, e il broncio che teneva scomparve lentamente, lasciando spazio ad un espressione di completa innocenza e a due occhi scintillanti per l’emozione.

“Sirius, Remus: io mi sto sposando!” Disse poi, guardando alternativamente gli amici negli occhi.

Remus trattenne a stento una risata. “Lo sappiamo James!” Disse, guardando pieno di dolcezza l’amico.

“E se lei non venisse? E se avesse cambiato idea?! E se…” Non finì la frase.

 

Una figura era apparsa là, all’ingresso di quel grande portale, e guardava con uno splendido sorriso davanti a se, dritta verso lui, incurante degli sguardi ammirati di tutte quelle persone che si erano volte subito verso lei.

Guardava solo lui.

 

Fu come se il cervello del ragazzo si fosse bloccato, fermando così anche tutte le funzioni principali del proprio corpo: come respirare ad esempio… e anche il battito cardiaco diventò pericolosamente anomalo…

 

Appena il sistema nervoso ritornò dalle sue ferie, James si mise a boccheggiare, e le guance gli si colorarono di rosso mentre il sangue riprendeva a pulsare: continuò però a tenere fissi gli occhi sulla ragazza, che ora stava avanzando lentamente nella sala, con lo sguardo sicuro e radioso sempre su di lui.

 

Divina.

 

Indossava un abito di pizzo bianco privo di spalline, perfettamente aderente alla sua esile figura. Il petto era coperto da un prezioso collare di filigrana d’oro finemente decorata, assai simile a quello delle antiche principesse celtiche, e i capelli, ricci e rossi, erano tenuti in alto da un’elaborata acconciatura.

E poi, nelle mani, candide come la neve… teneva un giglio. Il suo fiore. Il fiore da cui Lily aveva preso nome. Così bello, puro, innocente… eppure dall’aspetto così dolcemente selvaggio, così vigorosamente delicato.

 

Quando lei, accompagnata dal padre, giunse al suo fianco, tutta la paura che prima James aveva, scomparve subito.

Si sorrisero a vicenda.

Poi James gli porse una mano, e Lilian la prese.

 

Arrivarono davanti all’altare, e s’inginocchiarono, mentre il prete, dopo essersi schiarito la voce ancora irritato per il ritardo, iniziò a recitare la messa di matrimonio.

 

Sirius e Remus seguirono la cerimonia con attenzione, un sorriso lieto sulle loro labbra.

 

Felicità.

Da quanto oramai non la provavano?

Quell’evento era il più meraviglioso che potesse capitare.

Il coronamento di un grande amore rappresentava la speranza nel futuro.

A guardare quei due, si sarebbe anche potuto pensare che niente avrebbe mai potuto fargli del male… niente avrebbe potuto dividerli, talmente grande era la forza dell’amore che li univa. Si poteva percepire, quasi era tangibile.

I loro cuori, le loro anime, sarebbero state sempre unite, anche quando i loro corpi sarebbero stati distrutti dalla morte.

E il loro amore sarebbe stato così grande da distruggere qualunque male avesse la malaugurata idea di andargli contro.

 

 

 

La cerimonia era stata preparata ad Hogworts perché era il luogo più sicuro: dopo l’affronto che avevano fatto a Voldemort, era quasi una certezza che lui decidesse di rovinare il più bel giorno della loro vita.

E così Silente, molto gentilmente, dato che la loro vecchia scuola era così silenziosa e spoglia in estate, aveva offerto quella che si poteva considerare essere la sua casa e il suo regno per un così bel fine.

Ultimata la cerimonia, la festa si era spostata in giardino, dove c’era stato un lauto banchetto preparato dagli elfi domestici di Hogworts.

Avevano mangiato, avevano brindato, avevano riso e avevano scherzato… quel giorno era stato meraviglioso per molte persone.

Serviva qualche diversivo per spezzare la tensione dovuta a quel periodo di guerra.

 

Remus si guardò intorno, sempre sorridente. Non era più abituato a vedere tante face allegre. A parte Tonks… lei, cascasse il mondo, riusciva sempre ad ilarizzare tutto. Ed ora infatti era lì, divertendosi come una pazza a fare spaventare Vernon Dursley, ed insieme a lui Petunia Evans, la sorella di Lily, cambiando in continuazione faccia.

Vernon stava mettendocela tutta per sopportare quelle obbrobriosità che gli si erano proposte alla vista, ma, a dire dal colore grigiastro che il suo volto aveva assunto, la magia non gli doveva piacere molto…

 

Lunastorta trattenne a stento una risata quando Tonks, che probabilmente non sapeva più cosa inventarsi, era rimasta per un attimo a fissare con aria corrucciata il viso del suo ‘nemico’, per poi trasformarsi completamente in qualcosa… no, vabbé, qualcuno… che fece fare all’uomo un vero e proprio ruzzolone giù dalla sua sedia.

E sì, vedere la sua stessa faccia così improvvisamente lo doveva aver terrorizzato… poverino, era comprensibile: chi avrebbe reagito in modo differente?!

 

Se ne andò lentamente dalla zona banchetti, dirigendosi verso il lago.

Ormai i parenti avevano preso a chiacchierare armoniosamente tra loro, gli Auror stavano parlando di future missioni, Sirius era scomparso e così anche Lily e James: non che si sentisse a disagio a stare fra loro, però aveva voglia di sgranchirsi le gambe… e di pensare.

Probabilmente questo stesso motivo aveva indotto Sirius ad allontanarsi… conoscendolo, e avendo visto il suo sguardo durante la cerimonia, ora era in qualche luogo solitario a pensare alla sua Solaria.

E come poteva dargli torto?

Lui ora stava pensando alla sua lei.

O a quello che, per lo meno, fino a poco tempo fa lo era.

La sua lei. Che strano modo di definirla… così melodioso, così armonioso, così dolce… come era stato il rapporto che li aveva uniti.

 

Narcissa…

 

Non la rivedeva da quel giorno terribile. Il giorno in cui aveva scoperto tutto, in cui si era reso conto del marciume che aveva colto pure lei.

Per amore, è vero… per amore si era fatta inghiottire dal male che la circondava. Senza pensare che però, così facendo, l’amore si sarebbe trasformato in qualcos’altro. In qualcosa di meno puro e di più empio.

Vendetta…

E con essa non aveva portato dolore solo a se stesa, ma anche a lui…

 

Sospirò, guardando il sole che velocemente stava intraprendendo il suo cammino calante.

Chissà come stava ora…

Aveva saputo che era incinta, e che il bambino sarebbe nato in inverno, verso gennaio.

 

Deglutì. Gli esperti dicevano che quello sarebbe stato uno degli inverni più freddi degli ultimi cinquant’anni.

Una stagione adatta a fare nascere un Malfoy modello, insomma. Fredda, insopportabilmente fredda, mortalmente fredda… così gelante da fare divenire il cuore un pezzo di ghiaccio duro e brillante come un diamante.

 

 

Un sasso percorse la superficie del lago, rimbalzando su di essa per infinite volte.

 

 

Remus, distolto dai suoi pensieri, si voltò a guardare il responsabile di tale azione.

Sulla riva, le gambe poggiate sull’acqua tiepida, c’era una fanciulla.

Aveva corti capelli neri, tagliati a caschetto, e quando si voltò incrociando i suoi occhi, si accorse che erano azzurri come il mare, così innocenti e profondi, così dolci, che Remus non poté fare a meno di sorridere a tale semplicità.

La giovane donna sorrise a sua volta, abbassando lo sguardo e arrossendo.

 

Lentamente, Lunastorta si avvicinò a lei, sedendosi infine poco distante dal suo fianco.

Avvicinandosi, aveva notato anche il suo strano abbigliamento: indossava una sorta di lunga casacca, in un tessuto sicuramente molto prezioso, pieno di ricami e dai riflessi dell’arcobaleno, stretto al fianco da una delicata corda di seta.

 

“Ciao.” Disse Remus.

“Ciao…” Rispose lei, senza voltarsi a guardarlo.

Remus capì subito di averla messa in imbarazzo, doveva essere molto timida. “Disturbo?!”

“O… no!” Si affrettò a rispondere lei, scotendo la testa e lanciandogli di sfuggita uno sguardo rassicurante.

“Sei una parente di Lily?!” Chiese Remus. Magari la sua titubanza era dovuta al suo timore verso il mondo magico, essendo una babbana.

“Lily?!” Chiese lei, voltandosi e mostrando uno sguardo di disappunto. Poi parve capire, e scosse la testa. “Oh, no… sono qui per caso…. Sono… un’amica di una sua amica….”

“Oh, ho capito. Ed ora lei non c’è e tu sei rimasta sola.”

La ragazza fece sì col capo.

“Più o meno quello che è successo a me: e così sono venuto qui, al lago. Ti è piaciuta la cerimonia?”

“Non l’ho vista…Non ero in sala!”

“Oh, ho capito… Comunque, io sono Remus Lupin!” Disse l’uomo, porgendole la mano. Lei la guardò un poco titubante, poi allungò la sua e la strinse con ben poca decisione, interrompendo il lieve contatto molto frettolosamente.

“E tu… come ti chiami?” Chiese Remus, un po’ spiazzato dall’atteggiamento della ragazza.

“Gardenia.” Disse.

“Gardenia?”

“Gardenia… del Lago.” (n.d.a. è più carino Gardeny By the Lake?!)

 

Remus, impercettibilmente, corrugò la fronte. Quel cognome… l’aveva già sentito… ricordava Ruf, il professore di storia della magia, pronunciarlo… ma durante quale lezione? Si ricordava solo che il racconto del professore relativo a quella parola lo aveva fatto vibrare di curiosità. Ma anche di rabbia. Perché? Qual’era il mistero?!

 

“Mi è sembrato di aver già sentito il tuo cognome…” Disse Remus. In fondo, non gli pareva di intraprendere un discorso troppo impertinente.

La ragazza si voltò a guardarlo, con il suo sguardo semplice che ora esprimeva diniego. “No, non penso. E’ assai improbabile.” Disse, con un amaro sorriso sulle grandi labbra. 

 

Remus studiò meglio il suo volto. Era grazioso, semplice come il suo sguardo, dolce e timido. Il viso era lungo, il naso piccolo e leggermente schiacciato, le labbra grandi a cuore, gli occhi a mandorla di un intenso azzurro pastello.

La fronte era coperta da una folta frangia nera, che però lasciava intravedere l’ombra di un disegno. Un tatuaggio forse? O un gioiello?

No, un tatuaggio… sembravano due ali di perle nere…

 

Assomigliava a qualcuno. Sì, assomigliava a qualcuno, ma lui non riusciva a capire chi.

“Scusa la mia sfrontatezza” Disse, quando la ragazza, accortasi di essere da lui studiata, si voltò, sistemando di nuovo la frangia per nascondere il suo segreto ”ma mi ricordi qualcuno.”

A quelle parole lei si voltò di nuovo a guardarlo, sorridente. “E’ possibile.” Disse poi.

 

Remus era sempre più confuso.

Chi era costei?

 

 

 

 

Sirius era fuggito poco dopo il banchetto.

Gli doleva comportarsi in quel modo, ma non avrebbe resistito oltre a fare l’ipocrita con i suoi amici. Non avrebbe resistito oltre a sorridere (o addirittura ridere), fare battute, chiacchierare allegramente con chiunque come se nulla fosse… quando invece il suo cuore aveva iniziato un lento declino non appena, durante la cerimonia, aveva visto l’incontro degli sguardi fra Lily e James.

 

E così ora era lì, sulla cima di quel colle boscoso, da cui poteva vedere lo splendido spettacolo del castello di Hogworts illuminato dal sole che a breve sarebbe calato.

 

Solaria, dove sei?! Solaria… non ce la faccio più, non ce la faccio più… più… io…

Solaria non riesco più a resistere senza di te. Sto per impazzire.

Era già difficile così com’era: mi alzo dal letto e tu non sei lì, al mio fianco, che dormi tranquilla o che mi guardi furbescamente pronta a fare una delle tue solite birbonate… Durante la giornata non incontro il tuo sguardo, non sento la tua allegra risata, non vedo il tuo malizioso sorriso…

Già, il tuo malizioso sorriso… quanto mi manca.

E quanto mi manchi prima di andare a letto, quanto mi manca il tuo morbido corpo fra le mie braccia, i tuoi capelli che ricadono pittorici sulla pelle dorata del tuo petto…

Merlino! Come faccio a pensare cose del genere, sembro uno di quegli idioti pappamolle babbani che non fanno altro che scrivere banali poesie sull’amore….

Ma tu mi hai reso così! Tu mi hai fatto del tutto rimbecillire…

 

Era già difficile prima… era già difficile, ma sapevo che così era giusto.

Ora però, non ce la faccio più.

Vorrei che ci fossimo stati noi su quell’altare.

Vorrei essere stato io a guardarti con quegli occhi felici, e tu a rispondermi nello stesso modo.

Vorrei che fossi stata tu ad entrare da quella porta, coperta in quel meraviglioso abito.

Vorrei averti atteso io su quell’altare, pieno di timore ma allo stesso tempo felice per ciò che di lì a poco sarebbe accaduto.

 

Vorrei sposarti, Solaria… vorrei farti divenire mia moglie, amarti per tutto il resto della mia vita e creare una famiglia con te.

 

Ma…

Ma non posso.

 

Perché non potrò amarti mai per tutto il resto della mia vita. Appena tu te ne andrai, io non mi ricorderò nemmeno della tua esistenza.

A che servirebbe dunque sposarci? O creare una famiglia? O… avere dei figli?

A niente… niente niente niente niente…

Sarebbe tutta una grandissima, stupida, menzogna. Un’illusione.

C***o!

Perché?! Perché?! Perché deve essere così? Perché non posso averti?! Pensò Sirius, colpendo con furore il fusto di un giovane albero davanti a lui, che vibrò, facendogli cadere qualche fogliolina secca addosso.

 

 

 

“Perché sono tornata solo ora.”

 

 

 

Sirius rimase immobile, il pugno che si trascinava con forza sul tronco, togliendo la pelle staccata dal forte colpo.

 

Aveva sentito davvero quelle parole? Aveva sentito davvero quelle parole? Le aveva udite realmente? Erano state pronunciate sul serio? Erano state dette da quella voce davvero? Si stava sognando tutto? Di chi era la presenza che sentiva poco distante da lui? Era pazzo?! Era pazzo?!

Sì, era pazzo.

E non si voleva voltare a guardare.

Perché lui era pazzo… e si era inventato tutto.

Il cuore gli faceva troppo male. No… no…

Non poteva essere… non poteva…

 

Il cuore… il cuore gli faceva male… e i polmoni gli producevano dolore mentre respirava.

 

 

Si voltò, molto lentamente, lo sguardo sconvolto.

E il pugno si strinse ancora di più quando la vide.

 

Era una donna.

Bellissima.

Divina.

I suoi capelli erano… biondi, dolcemente dorati, come il miele.

La sua pelle color nocciola.

I suoi occhi erano pura ambra.

 

Un raggio di sole. Bella, calda, avvenente, fascinosa, amabile, ridente, gioiosa, vitale come il sole.

 

Solaria per definizione. E per nome.

 

Era lei?

 

La vide, scioccato ancora dalle emozioni che provava, correre verso di lui e abbracciarlo con forza.

 

Era lei.

 

La strinse forte, ridendo e piangendo assieme, accarezzandole il corpo fasciato da quello stretto bustino e i capelli, sciolti docilmente sulle sue spalle.

E lei fece lo stesso… piangeva e rideva assieme… piangeva e rideva…

 

Eros: invincibile belva dolce-amara. Saffo lo disse. E dopo così tanti secoli, noi continuiamo a confermare la veridicità di queste parole e la realtà di quell’ossimoro. 

 

Sirius la scostò un attimo da se, per guardarle meglio negli occhi… continuava a piangere, e lui stava facendo lo stesso.

Tentò di dire qualcosa.

Ma non ci riuscì.

E lei sorrise. Si alzò sui piedini, prese con delicatezza il suo viso fra le mani, e lo costrinse ad abbassarsi fino ad incontrare il suo… fino ad accarezzare le sue labbra. Fino ad unirsi a lei in quel tenero, tanto ambito, primo bacio dopo tanto tempo di separazione.

 

E dopo il primo bacio, ne venne un altro. E dopo quello, un altro ancora. Le carezze sui loro corpi si fecero sempre più intense, più bramose. 

Sirius, con estrema calma, iniziò a calarle il vestito dal corpo, lasciandola poi con un semplice body. Solaria, invece, gli tolse giacca e cravatta, e gli sfilò la camicia, lasciandolo a torso nudo.

 

Com’era bello… quasi non se lo ricordava quanto fosse davvero avvenente. Sirius era l’uomo più meraviglioso che conoscesse, sotto ogni punto di vista.

 

Gli sorrise, passandogli le mani sul petto in una carezza quasi impercettibile. Sirius tremò, ma non osò chiudere gli occhi per assaporare meglio quella sensazione… non voleva correre il rischio che lei non ci fosse più. Voleva continuare a guardarla, eternamente, riempiendosi totalmente della sua bellezza.

 

Fecero l’amore lì, abbracciati dall’erba estiva e dalle foglie dorate che cadevano dai rami, coperti solo dai raggi del sole del tramonto, senza staccare mai lo sguardo l’uno dagli occhi dell’altro.

 

E, quando entrambi ebbero raggiunto l’orgasmo, lui, ancora dentro lei, le sussurrò, accarezzandole il volto sudato:

“Ti amo.”

Lei, birbante, lo fissò col suo sorriso malizioso. “Lo so!” Gli disse poi, ed entrambi scoppiarono a ridere.

“Ti amo anch’io!” Gli disse poi baciandolo di nuovo con dolcezza.

Sirius si sdraiò al suo fianco, tenendosi la testa con un braccio e con l’altro la vita di lei, accoccolata sul suo corpo.

 

“Sei cambiata.” Gli disse lui, sfiorandole i capelli, più biondi di prima, e la pelle, più abbronzata.

“Sono passati quattro anni.” Gli disse lei, con amarezza. “Sei cambiato anche tu. E sono cambiati tutti gli altri. Però non è giusto, siete tutti alti come giganti mentre io sono rimasta una nanerottola!”

“Ma tu sei sempre stata una nanerottola!” Gli disse lui, beffardo.

“Mi dovrei offendere?!”

“No… mi sei sempre piaciuta così come sei.”

“Mmm… non sempre…” Rispose Solaria, sorridendo maliziosa.

“Beh, sai, era difficile trovarti adorabile dopo che mi avevi legati come un salame davanti a tutta la scuola!”

“Macché tutta la scuola, c’era a malapena una cinquantina di studenti su quel vagone!”

“Lasciamo perdere…! Sei come al solito testarda come un mulo!”

“E’ una delle tante cose che abbiamo in comune questa, signor Sirius Black!”

 

“Perché sei tornata?” Le chiese di botto lui, prendendole una mano e stringendogliela con forza.

“Perché ora sono pronta.” Rispose lei, con il solito sorriso sulle labbra.

Lo sguardo di Sirius si oscurò.

Lei gli accarezzò il volto.

“E… perché ora c’è una possibilità che noi possiamo stare assieme.”

 

A quelle parole Sirius quasi sobbalzò, e la trasse ancora più vicina a sé, stringendola al suo petto.

“Davvero?” Chiese, con gli occhi scintillanti di speranza.

“Sì, davvero… o, perlomeno, c’è un’alta possibilità che tu riesca a ricordarti per sempre di me, qualunque cosa mi succeda.”

 

Lui la baciò.

 

“Allora sposami.” Le disse poi, con impeto.

Lei gli portò le braccia al collo, coricandosi sopra di lui ridendo come una matta per la felicità. “Sì!” Gli disse poi, e, ridendo, baciandosi, accarezzandosi, rotolarono per quel verde prato, mentre la luna risplendeva alta nel cielo notturno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Blacknimbus ***


Era successo tutto all’improvviso: lei stava tranquillamente guardando la luna, comodamente distesa fra le sue braccia; ad un

Era successo tutto all’improvviso: lei stava tranquillamente guardando la luna, comodamente distesa fra le sue braccia; ad un certo punto si era voltata verso di lui e lo aveva guardato.

Sirius aveva subito corrugato la fronte: quel sorrisetto malizioso e quello sguardo birbante non preannunciavano mai nulla di buono.

Ed infatti tre secondi dopo Solaria si era alzata in piedi, si era infilata fra mille schiamazzi la biancheria, e aveva preso a saltare di qua e di la come una talpa impazzita mentre tentava di portarsi su lo stretto tubino che formava il suo vestito, e contemporaneamente gli intimava di vestirsi.

E lui le aveva dato ascolto, naturalmente, senza però smettere di guardarla con un gigantesco punto interrogativo stampato in faccia…

Una volta pronti, lei lo aveva afferrato per una mano e trascinato giù dal colle in cui erano, continuando a gridare come una forsennata.

 

Aveva tentato di fermarla, mi sembra ovvio, soprattutto perché aveva rischiato più di una decina di volte di trovarsi senza testa o senza qualche arto a causa dei rami appuntiti degli alberi che intralciavano il loro cammino. Ma lei niente, continuava ad intimargli di muoversi e di stare zitto…

 

Non sapeva neanche lui quante volte ormai aveva ringraziato la Sorte per non avergli messo in mezzo alla via qualche bastone o qualche sasso che lo avrebbero sicuramente fatto arrivare al lago a suon di ruzzoloni…

 

Ora però erano finalmente giunti alla valle, e davanti a loro risplendeva di luce lunare il grande specchio d’acqua.

Solaria mollò la presa, lasciandolo libero di riprendere fiato, mentre lei saltellava, gridava, correva ovunque per la gioia.

“Dai Sirius, muoviti!” Gli disse poi ad un certo punto, guardandolo spazientita.

 

Sirius la fissò, torvo, una mano ancora appoggiata all’alberello mentre tentava di riprendersi da quella terribile sfacchinata.

Come diamine poteva essere ancora così fresca e pimpante dopo una corsa del genere?! E soprattutto, come si permetteva di mostrarsi spazientita dopo che gli aveva quasi fatto rompere l’osso del collo?!

 

“Muoviti un corno, sto morendo!” Le disse.

“Uffa! Sei proprio palloso, lo sai?!”

“Solaria, ti rendi conto che stavi correndo come una pazza in un terreno boscoso e scosceso, tirandomi poi dietro di te senza lasciarmi nemmeno il tempo di capire cosa come quando perché stessimo tentando il suicidio?!”

“Bah, quante storie per due passi…”

 

Sirius, finalmente tornato alla normalità, la guardò con tanto d’occhi. Due passi?! Per lei quelli erano stati due passi?!

“Un vecchietto si sarebbe smosso più facilmente…” Aggiunse lei.

 

Sirius iniziò a vedere rosso.

 

“Pappamolle!” Concluse Solaria.

 

“Ah, io sarei un pappamolle?!”

“Sì!”

“Se io sono un pappamolle, tu sei una pazza furiosa! Sembravi una banshee mentre saltellavi e gridava a destra e a manca senza alcun motivo!”

“Zitto, scansafatiche!”

“Stregaccia!”

“Vecchietto!”

“Pazza squilibrata!”

“Dovresti andare in un ospizio…”

“Ti dovrebbero rinchiudere in un manicomio.”

 

“…”

“…”

 

Sirius scosse il capo, e sorrise… quanto gli erano mancati quei battibecchi con lei… Certo, adesso lo aveva fatto dannare, però… era una dannazione cui si sarebbe sottoposto per tutto il resto della sua vita pur di starle accanto.

“Allora, cosa avevi in mente, razza di psicopatica omicida?!”

“Sei sicuro che il tuo vecchio cuoricino regga una notizia del genere?”

“Sputa il rospo!”

“Volevo andarmi a sposare!” Disse, col sorriso più grande e radioso che riuscisse a fare.

 

“…”

 

“Vedi, io lo sapevo che non avresti retto…”

“…No… no no, aspetta un attimo… che… che hai detto?!”

“Vado - a – sposarmi… con te, mi pare ovvio!”

“Non ha propriamente un fondamento logico ciò che stai dicendo, lo sai?!”

“Si che ce l’ha!”

“Soly: non abbiamo sacerdote, non ci sono gli invitati… e poi non abbiamo gli abiti!”

“Il sacerdote… o meglio, la sacerdotessa, ce l’abbiamo. Ci sono tutte le persone a noi più care, e per quanto riguarda gli abiti: chi se ne frega! Voglio sposare te, non un damerino impomatato!”

“Certo sono anch’io del parere che gli abiti non fanno il monaco… ma…” Disse lui, guardandosi e facendo una smorfia di disgusto per il modo in cui era conciato il suo bell’abito da cerimonia: era tutto pieno di strappi e sporco in più punti, sempre a causa della corsa che LEI gli aveva fatto fare.

“Benissimo, allora andiamo!” Si limitò a rispondere Solaria, prendendolo di nuovo per mano e trascinandolo verso il luogo in cui prima aveva sede il banchetto.

 

Se n’erano ormai quasi tutti andati: perfino Tonks; Andromeda era venuta a prenderla, dicendo che non poteva rimanere otre le dieci fuori casa perché era in punizione, a causa della media disastrosa con cui aveva concluso quell’anno scolastico…. Della grande folla di ospiti, babbani e non, erano rimasti qualche auror (i Paciock e Moody), Silente, e naturalmente Remus e Gardenia, che sedevano vicino ai due sposini, parlando del più e del meno (o meglio, James, Lily e Remus chiacchieravano animatamente, e tentavano invano di fare entrare nella loro discussione anche la timida nuova arrivata).

 

James, appena riuscì a distinguere un visino a lui molto familiare che si avvicinava velocemente verso loro, si alzò dalla sedia e gli corse incontro gridando:

“LUCCIOLINAAAAAAAAAAAAAA!”

 

Solaria mollò subito Sirius, e dopo aver lanciato un gridolino emozionato, corse incontro al suo grande amico.

 

Ancora molti si chiedono come quei due fossero riusciti a sopravvivere dopo un incontro – scontro del genere… fatto sta che, subito dopo la botta, Ramoso prese Solaria in braccio e, continuando a ridere, le fece fare un giro in aria.

E quando lo raggiunse la ragazza, che gli raccomandava che forse era il caso di stare più calmo, mollò Solaria e fece fare una giravolta anche a lei, dopo averle schioccato un sonoro bacio.

Solaria scoppiò a ridere, e appena arrivò Sirius al suo fianco, gli saltò addosso abbracciandolo calorosamente.

“Che bello essere di nuovo fra voi!” Gli disse, con gli occhi luminosi come due stelle.

Sirius le sorrise dolcemente.

“Non sai quanto ci sei mancata!” Le disse.

“Voi non tanto!” Rispose lei, un po’ vaga.

“Che?! E perché no?!”

“Beh, c’era una strana atmosfera obliante laggiù… se mi fossi lasciata andare, probabilmente mi sarei dimenticata di tutto. Però non vi potevo scordare!”

“Lo credo bene!”

 

“Ehi, Solaria!” Disse una voce.

La ragazza si voltò, e sorrise nel vedere Remus che le veniva incontro, raggiante per la gioia.

“Lunastorta!” disse abbracciandolo.

“Ma allora e tutto vero! Per Merlino, quanto sei stata via! Fatti vedere: sei cambiata!”

“Un pochino, sì… anche tu però! Ma come sei caruccio!”

“Eehhehe, si dice che col tempo si migliori!”

“Ma, effettivamente!”

 

“Solaria!” Gridò di nuovo James, strappandola dalle braccia di Remus e stringendola a se di nuovo.

 

“E dire che l’ha vista anche prima!” Esclamò Lily, scotendo la testa con un sorriso rassegnato sulle labbra.

“Come, l’ha vista anche prima?!” Chiese Sirius, sorpreso.

“Eh sì… vedi, Soly è arrivata stamani mentre mi stavo vestendo, ed è per quello che ho fatto ritardo… poi, questo pomeriggio, l’ho incontrata con James. Dopo lei ci ha lasciato per andare da te.”

 

“Mi sei mancata!” Disse in quel momento Ramoso all’amica appena tornata.

“L’avevo capito!” Disse lei, ridendo a crepapelle.

“Ramoso, lascia la mia ragazza e va da tua moglie!” Gli gridò Felpato, riappropriandosi di Solaria, che ormai non la finiva più di ridere, e cacciando via l’amico.

 

James si avvicinò a Lily e la baciò, dicendole: “Mi sei mancata anche tu!”

“Mi sa che ti stai un po’ confondendo, caro mio: troppe emozioni in una volta sola fanno male al tuo povero neurone!”

“Ehi, ma l’avete sentita?! E’ di nuovo acida come prima!” Gridò James, a tutti gli altri, che subito si misero a ridere.

“E adesso te la sei pure sposata!” Gli disse Sirius.

 

Attirati da tutta quell’allegria, si avvicinarono a loro anche Silente, Moody e i Paciock, che appena riconobbero Solaria, la salutarono calorosamente con un caldo abbraccio.

Soprattutto Silente… era particolarmente felice di rivederla.

“Come stai?” Le chiese, tenendola fra le braccia.

“Bene! E anche lei, vedo che è sempre in forma!”

“Oh beh, non c’è male…! E’ andato tutto bene lì?!”

“Sì, più o meno… diciamo che ho scoperto di essere imparentata con la Dama del Lago, un’assurda bisbetica, la quale aveva bene in mente di lasciarmi nella sua adorata isola per il resto della mia vita! Per fortuna, grazie a… ehi, ma dov’è Gardenia?!” Esclamò Solaria, allontanandosi da Silente per guardarsi attorno, e non notando dunque l’amaro sospiro che fece l’uomo.

 

Appena vide la cugina, che probabilmente aveva sentito chiamarla, avvicinarsi, Solaria le andò incontro e la tirò per un braccio, conducendola in mezzo alla folla d’amici.

“Vi presento a tutti Gardenia, la mia cara cuginetta!”

“Oh, avevo notato una certa somiglianza!” Disse Remus, guardando sorridente Gardenia, che abbassò il viso arrossendo immediatamente.

“Lunastorta, non mettere in soggezione la mia cugina preferita! E’ molto timida!” Lo rimproverò Solaria, e ovviamente sentendola dire ciò la ragazza arrossì ancora di più.

“Ma tu non fai di meglio!” Le fece notare Sirius, avvicinandosi alla straniera e porgendole una mano. “Felice di conoscerti: io sono Sirius Black!”

La ragazza, finalmente, alzò il viso e scrutò con sguardo attento il suo interlocutore. Poi gli strinse la mano, sorridendo amabilmente. “Sono lieta di conoscere l’uomo di Solaria.”

“Oh, allora le hai parlato di me!” Disse Sirius alla fidanzata.

“Certo che sì! Le ho fatto la testa come un pallone parlandole di te!” Rispose quella. “Ma adesso passiamo al dunque: Gardy, avrei un favore grande grande da chiederti.”

“Certo.” Disse quella, voltandosi a guardarla.

“Sposa me e Sirius, questa notte: consacraci alla Dea. Un matrimonio benedetto da lei salverà la mia progenie dalle maledizioni.”

 

A quelle parole, James, Lily, Remus e i due Paciock guardarono le due ragazze interrogativamente: di quali maledizioni parlavano? E chi era la Dea?

Fra loro, solo Remus parve capire, perlomeno parzialmente: o comunque nacquero in lui alcuni sospetti piuttosto fondati.

Silente e Moody invece, che già sapevano, avevano ascoltato tutto con grande interesse.

 

Gardenia assentì col capo. “Va bene: il cielo è limpido e la luna non è ancora nel suo punto più alto. Facciamo ancora in tempo. Venite, andiamo al lago, serve l’acqua per purificare le vostre anime.”

 

E così tutti quanti, in silenzio, si diressero verso il lago, mentre James continuava a saltare da una parte e dall’altra abbracciando chiunque perché quello stesso giorno si sarebbe celebrato anche il matrimonio dei suoi due migliori amici. Più volte Moody lo cacciò via in malo modo, minacciandolo addirittura che, se non si fosse calmato, gli avrebbe lanciato un Tomacina(N.D.A: per chi non si ricordasse, è l’incantesimo aggrovigliante fatto da Solaria a Sirius il primo anno in treno…)

 

 

Arrivati davanti al lago, i due futuri sposi si disposero ai fianchi di Gardenia, in modo da poterla guardare entrambi in faccia.

“Solitamente, i due promessi s’immergono nel lago completamente nudi, sussurrandosi promesse di amore eterno, mentre la sacerdotessa benedice dalla sponda la loro unione.

Ma non mi sembra il caso di farvi spogliare davanti ad un pubblico…”

“Io non mi vergogno!” Disse tranquillamente Solaria.

“Ma io non voglio che ti veda nessun’altro!” Le rispose Sirius.

 

“Ragazzi, se siamo di disturbo possiamo allontanarci!” Disse Remus, comprensivo come sempre.

 

“Mi pare un buon compromesso, non ti pare Sirius?” Disse Solaria.

“Puff… e va bene.”

“Grazie amici, potete seguire la nostra cerimonia da lontano!” Gridò loro Solaria, e gli altri obbedirono, retrocedendo di circa cento passi. Poi si voltò dal ragazzo e, con il suo solito sorrisetto malizioso, gli sussurrò: “E tu che ti stavi tanto preoccupando dei vestiti…!”

 

Ora erano rimasti relativamente soli: Sirius, Solaria, e la loro sacerdotessa: Gardenia.

 

 

Si spogliarono rapidamente, poi entrambi, presi per mano, entrarono nelle acque del lago, calde, immergendosi fino alla vita.

 

Gardenia, nella sponda, si era messa in ginocchio e con le mani giunte davanti al volto pregava sommessamente.

 

Sirius prese le mani di Solaria, e le strinse sul suo cuore.

“Il mio cuore, la mia anima, la mia vita… ti appartengono, Solaria Nimbus. Ti amerò finché mi sarà permesso di farlo, anche oltre la morte se è possibile.

Va bene così…?!”

 

Solaria gli sorrise, mentre una leggera brezza li colpiva in una dolce e fresca carezza. “Sì, va bene. La Dea ci osserva. Ed ora attende la mia risposta.”

“E quale sarà?”

“Io sono tua, e lo sarò per sempre. Ho posto prima te della mia stessa natura. Sei più importante della mia stessa vita, Sirius Black. Proteggerò te e i figli che nasceranno dalla nostra unione a costo della mia esistenza.”

“In qualunque guerra, io ti starò vicino, combatterò al tuo fianco.”

“Non permetterò a nessuno di farti del male, finché vivrò. E anche dopo…”

 

“La Dea è soddisfatta delle vostre parole.” Disse Gardenia.

Sirius e Solaria si voltarono a guardarla: si era rialzata in piedi, sempre con le mani giunte, e il venticello scuoteva i suoi capelli, facendo vedere il tatuaggio che aveva in mezzo alla fronte: due volute di piccole gocce nere, nella cui intercapedine c’era una mezza luna, ora illuminata della stessa luce di cui risplendeva quella nel cielo.

La falce di luna era da sempre il simbolo della Dama del Lago. Gardenia, dunque, aveva finalmente preso il poso della madre…

 

Gardenia dispose le mani a calice, e subito due fiori, staccati da una mano invisibile dal verde prato, vi si erano andati a poggiare.

Erano due margherita.

La nuova Grande Sacerdotessa di Avalon sorrise, mentre sempre quella mano invisibile faceva avvolgere i fiori ad anello attorno a se stessi, trasformandoli poi in cristallo. Allungò le mani verso gli sposi, e le due piccole fedi, con loro grande stupore, andarono a poggiarsi sui loro palmi.

 

“Questo anello è il simbolo della vostra unione benedetta dalla Dea.” Disse Gardenia. “scambiatevelo.”

 

Solaria e Sirius si guardarono un attimo negli occhi, pieni di emozione.

Ne avevano passate di tutti i colori, erano stati lontani per tanto tempo, avevano lottato contro quel male che ogni giorno li affliggeva: ma nulla aveva avuto il potere di separarli.

Nulla.

Ed ora, finalmente, con la stessa gioia con cui si accoglie la realizzazione di un sogno insperato, loro stavano per divenire marito e moglie.

 

“Con questo anello, io ti sposo.” Disse Sirius, ponendo l’oggetto di cristallo nell’anulare sinistro di Solaria.

“Con questo anello, io ti sposo.” Ripeté lei, facendo gli stessi gesti del ragazzo.

 

Si abbracciarono, e poi si voltarono a guardare Gardenia.

Lei sorrideva.

“La Dea veglierà su di voi, e la Sua protezione non mancherà mai sulla vostra Casa.

Da questo momento in poi ha origine la casata Blacknimbus” Disse.

 

Sirius e Solaria si sorrisero. Poi, per sigillare quel fantastico momento, si baciarono, mentre da lontano si udivano le grida di gioia del piccolo pubblico. 

 

La luna, alta nel cielo, sorrideva della loro unione.

 

 

 

 

 

“Selene.” Disse Sirius.

 

Solaria, che iniziava a prendere sonno, sentendolo pronunciare quella parola alzò il viso per guardarlo meglio.

“Come?” Chiese, con voce impastata.

Il ragazzo, disteso al suo fianco sul letto del suo appartamento a Londra, si voltò dal suo lato.

Sorrideva.

Chissà a cosa stava pensando…

 

“Voglio chiamare nostra figlia Selene.”

 

Solaria impallidì, e il sonno le scivolò addosso, svegliandola improvvisamente. Non gli aveva detto nulla dei suoi sogni, come poteva sapere che…

“Cosa?!” Chiese, cercando di nascondere la preoccupazione.

“Intendevo dire che… se avremmo una figlia, voglio che si chiami Selene.”

La ragazza, tranquillizzata dalla sua risposta, distese finalmente i nervi e si accucciò ancora più fra le sue braccia. “Ma potremmo anche avere un maschio…”

“No, io voglio che sia una femmina.”

“E perché?”

“Perché voglio che sia uguale a te.”

“Non è una bella cosa…”

“Nessuna maledizione cadrà sul suo capo, non è questo che diceva Gardenia?”

“Sì, Gardenia diceva questo. Ma ciò non significa che, qualora io non riesca nel mio compito, lei non sarà costretta a morire per salvare tutti coloro che la circondano.”

“Ciò non accadrà mai.”

“Perché?”

“Perché io lo impedirò. E se non ci sarò io, ci sarà qualcun altro pronto a morire al suo posto.”

“Come puoi essere sicuro di ciò?!”

“Lo sento.”

“Ma…”

“Selene… si chiamerà Selene. E vivrà, Solaria, vivrà nel vero senso della parola. Lei vivrà. Perché noi vogliamo così.”

 

Rimasero un attimo in silenzio, l’uno stretto all’altro, persi ad ammirare il vuoto pensando a quel dolce futuro, le loro mani che s’intrecciavano continuamente, formando sempre figure diverse.

 

“Perché questo nome?” Gli chiese Solaria.

“Perché brillava la luna quando ci siamo sposati. Ed era così bella… Non ho mai visto una luna così chiara e splendente in tutta la mia vita.

Nostra figlia sarà come lei.”

“Già…” Fu la risposta di Solaria.

 

Sì, sarebbe stata proprio come la luna. Il suo volto ancora le compariva in sogno, e oramai conosceva a memoria ogni suo singolo lineamento: capelli neri come il cielo della notte, pelle diafana come i raggi della luce lunare… occhi grigi e scintillanti come l’atmosfera d’irrequieta pace che solo l’astro notturno riusciva a creare.

 

Urania. Solaria. Selene.

 

Questi tre nomi si susseguirono nella sua mente, mentre un altro triste pensiero li affiancava.

Il pensiero dei loro significati.

 

Cielo. Sole. Luna.

 

Urania era stata colei che aveva rinunciato alla sua vita per dare al mondo la speranza di sconfiggere il male che l’avrebbe trafitto. Col suo sacrificio aveva posto le basi per lo splendore della figlia.

 

Solaria era l’astro che avrebbe frenato il Mostro.

 

Selene… cosa sarebbe stata lei?

 

Una lacrima solcò il viso della giovane sposa.

 

Lei, come la luna, sarebbe stata solo un povero pianeta, solo e disabitato, la cui luce dipendeva dal sole e il cui tragitto dalla Terra.

 

In altre parole, sua figlia sarebbe stata costretta a rinunciare alla sua vita a causa di ciò che lei non era riuscita a compiere, senza avere nemmeno la libertà di scelta come era stato per lei. Avrebbe dovuto vivere della sua luce riflessa, rinunciando alla sua libertà per salvare la vita di coloro che la circondavano.

Una schiava del destino.

 

Sarebbe stato giusto dare la vita ad una creatura del genere?

 

No.

 

Ma purtroppo, i suoi continui sogni la avvertivano che, qualunque cosa fosse successo, Selene sarebbe nata.

Era Necessità che nascesse.

 

E lei non avrebbe potuto impedirlo, nemmeno con i suoi immensi poteri.

                  

“Ehi, va tutto bene?” Le chiese Sirius, sentendo il suo respiro affannoso.

Solaria deglutì, e si schiarì la voce prima di parlare. “Sì, sono solo un po’ stanca…”

“Ah, ma allora le batterie si scaricano anche a te ogni tanto…” Commentò lui, e la ragazza riuscì a percepire il suo sorriso birbante attraverso il buio.

Sorrise a sua volta. Sirius, anche se inconsciamente, riusciva sempre a farle passare il cattivo umore. “Sì, ma io resisto molto più di te!”

“Io mi sono del tutto ripreso! Riuscirei perfino a sopportare fino al mattino grandi e piacevoli fatiche passionali…” Fece lui vago, accarezzando il profilo del corpo di lei.

“Non ho nessuna intenzione di trovarti morto al mio fianco domattina, signor Blacknimbus! Dunque, penso che ora dovremmo riposarci!”

“A proposito di Blacknimbus… che cos’è questa storia?!”

“Oh, niente di che: è nata un’altra casata di purosangue!”

“L’avevo intuito… ma perché?!”

“Devi sapere che solitamente i matrimoni fra un mago e una sacerdotessa si facevano per creare nuove famiglie di sangue puro i cui discendenti spesso andavano ad arricchire le schiere degli iniziati ad Avalon.”

“Mmm... interessante… e questo cosa centra con noi? Tu mica sei una sacerdotessa!”

“No, ma sono figlia di una Dama del Lago. Il che è quasi lo stesso. Considerando che poi ho rischiato di rimanere là per occupare l’antico posto di mia madre…”

“COSA?!”

“…e che solo grazie a Gardy sono riuscita a scappare…”

“Soly, tu mi devi fare un bel raccontino di questi ultimi quattro anni…”

“Certo amore mio, ma adesso chiudi il becco e lasciami dormire…” Bofonchiò lei, chiudendo gli occhi e appoggiando il capo sul suo petto.

“No, aspetta, voglio sapere… Soly, ma dormi sul serio?!”

“mm…”

“Dai, dimmi qualcosa!”

“s..cas…ple..”

« Eh ?! »

«…scassapalle… »

« No, intendevo qualcosa di serio… »

“Dr…mi.”

“Cosa?!”

“DORMI RAZZA DI ROTTURA DI SCATOLE CHE NON SEI ALTRO! DORMI E LASCIA DORMIRE! TI DICO TUTTO DOMANI MATTINA!” Gridò lei, prendendosi tutte le coperte e girandosi dall’altra parte del letto, ben lontano da lui.

 

Sirius sorrise e, dopo essere riuscito a strapparle un lembo di lenzuolo, la abbracciò alle spalle, e dandole un bacio sui capelli, le disse

“Ti amo…”

“Va bene, basta che mi lasci dormire…” Gli rispose lei, con la voce impastata. E Sirius, sempre sorridente, appoggiò la testa sul cuscino dietro di lei e chiuse gli occhi.

 

 

Quella era la notte più bella di tutta la sua vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Il giorno dopo... ***


“Buongiorno

“Buongiorno!”

Sirius si voltò, ancora insonnolito, e distinse la figura seduta sul divano, che sorseggiava una tisana calda dal sapore invitante.

“Buongiorno!” Disse, stiracchiandosi.

Gardenia lo guardò con un sorriso.

“Stanco?”

“Oh, ma è una congiura qui: fra te e tua cugina non fate altro che ripetermi quanto sono stanco…!” Mugugnò il giovane uomo, fingendosi esasperato. Non contava più tutte le volte che quella pazza della moglie gli aveva detto che era un vecchietto, e che per i vecchietti è d’obbligo il riposo…

“Oh, scusami… mi pareva che fossi un po’ spossato, tutto qui…” Disse la ragazza, abbassando il volto e arrossendo per la vergogna.

 

Sirius corrugò la fronte. Decisamente Gardenia non assomigliava nulla alla cugina! Era così timida, così per le sue, sempre intenta a cercare di non dire parole sbagliate… le entrate in scena di Solaria, invece, erano sempre estremamente rumorose, festose, incasinate e incasinanti, e di certo la ragazza non si metteva molti problemi a dire a chiare lettere qualunque cosa passasse per il suo squilibrato cervellino!

Erano abbastanza diverse anche d‘aspetto fisico. Avevano però la stessa aria, data forse dalle grandi labbra e le guance rotonde e rosse. Gardenia però aveva un aspetto più aristocratico, più delicato, più fine… Solaria invece era selvaggia: la sua bellezza era soprattutto qualcosa d’interiore piuttosto che di fisico. I suoi lineamenti non emanavano dolcezza e innocenza, ma forza e sensualità.

E oltretutto Gardenia era molto alta, mentre Solaria era davvero un tappo… Ehehehe, se l’avesse sentito pensare cose del genere, probabilmente gliela avrebbe fatta pagare molto cara! Per fortuna lei aveva chiuso la sua mente, lo aveva capito quella mattina, quando aveva tentato di entrare in essa e l’aveva trovata completamente sbarrata.

E per fortuna! Anche perché non si ricordava quante volte ormai era riandato col pensiero al volto di Urania, notando l’incredibile somiglianza con Gardenia. Probabilmente Solaria aveva preso molto dal padre, mentre le caratteristiche della famiglia della madre erano capelli scuri, pelle diafana e occhi azzurri.

 

“Stai tranquilla, non mi sono offeso. Stavo solo...scherzando!” Si affrettò a dire, per togliere dall’imbarazzo la donna.

“Oh… va bene. Ehm... dov’è Solaria?”

 

“Sono qui!” Gridò quella.

 

“E’ sotto la doccia.” Puntualizzò Sirius, andando a prendersi una tazza di caffè. Cosa c’era di meglio la mattina per svegliarsi e iniziare una dura giornata d’ozio insieme alla propria famiglia? Un’ottima dose di caffeina! Anche perché per tenere testa alla novella sposa doveva essere bello sveglio…

“Ti sbagli di grosso, un quarto d’ora fa ero dentro la doccia, mentre tu ti chiedevi se era il caso di alzarsi dal letto o meno; ora sono pronta!” Disse la biondina, entrando nel piccolo soggiorno vestita di tutto punto, e dirigendosi verso la cucina.

“Buongiorno!” Disse poi a Sirius, schioccandogli un sonoro bacio a fior di labbra e rubandogli poi la tazza intatta di caffè che aveva in mano.

“Quella è mia!” Protestò lui, corrugando la fronte.

La donna lo fissò interrogativamente, scostando la tazza dalle labbra senza averne bevuto un sorso. “Cosa?!” Chiese poi. Pareva davvero non capisse…

“Quella!”

“Quella…cosa?!”

“La tazza di caffè!”

“E perché?”

“Come perché?! L’ho preparata io!”

“Ma ce l’ho io in mano!”

“…e allora?”

“E allora la POSSIEDO io non tu!”

“Già, ma la POSSEDEVO io prima che tu me la prendessi!”

“Chi dorme non piglia pesci, Sirius, dovresti saperlo… ormai questa tazza è MIA!” Disse lei, in tono annoiato.

 

Sirius alzò gli occhi al cielo e se ne preparò un’altra: brutta approfittatrice stregaccia seccante.

 

Solaria andò a sedersi a gambe incrociate nel divano della cugina, al suo fianco, girando il caffè fumante e guardando con un sorriso Gardenia.

“Ciao Gardy! Dormito bene la prima notte fuori dal monastero?”

“Sì, grazie!”

“Allora, sentiamo un po’: cosa ne pensi dei miei amici?”

 

Sirius si sedette davanti a loro, bevendo tranquillamente il SUO caffè e guardando alternativamente l’una e l’altra, come uno spettatore a teatro.

 

“O beh… sembrano molto simpatici. E sono molto affezionati a te. Soprattutto …J…James?!”

“Sì, si chiama James! Si è vero, io e lui siamo sempre stati molto uniti! Forse avrei dovuto sposarmi lui…”

 

Cof cof…”

 

“Sirius, va tutto bene?” Chiese candidamente Solaria, girandosi a guardare il ragazzo che continuava a tossicchiare.

Sirius fece con la mano segno d’assenso. “Tut..to be…ne, m’è solo andato di traverso il caf..fè…” Disse,con voce ancora soffocata.

“Io dico che t’è andata di traverso la mia osservazione, invece!” Disse tutta contenta lei, sorridendogli maliziosamente.

“No, e perché mai? In fondo, se mi fossi sposato Lily avrei avuto finalmente qualcuno alla mia ‘altezza’…” Rispose vago, riprendendo a sorseggiare la SUA amata bevanda.

“Già… e poi, chissà quali follie avremmo fatto io e James a cavallo della sua adorata scopa… mi vengono i brividi al solo ricordo delle acrobazie di Ramoso durante le partite di Quidditch!”

“Non quante ne avremmo fatte io e Lily in biblioteca! Conoscendo la sua perizia negli studi, chissà quanto sarà brava a porre in atto tutte le varie mosse del Kamasutra…”

 

Rimasero a guardarsi in cagnesco, mentre Gardenia, cercando di fare il meno rumore possibile, si alzava dal divano e andava a riporre sul lavandino la tazza della tisana che aveva appena finito.

 

“Peccato che gli avvenimenti siano andati così…” Commentò Solaria, senza staccare gli occhi infuocati da quelli metallici di Sirius.

“Già.”

“Però… in fondo… non mi dispiace tanto…”

A quelle parole sul volto di Sirius comparve un ghigno… eheheheheh, si era fregata da sola la ragazza, lui non aveva nessuna intenzione di cedere, soprattutto dopo che lei gli aveva rubato il SUO caffè!

Stava giusto per dire che invece a lui dispiaceva molto quella terribile situazione, quando un’occhiata particolarmente torva della donna, che doveva aver intuito le sue intenzioni, gli fece cambiare repentinamente idea. Era meglio non fare arrabbiare Solaria! “Ma… neanche a me…”

 

“E’ finita qui?” Chiese lei, sorridendo.

“Sì, penso di sì… a meno che tu non voglia continuare…” Commentò lui, scotendo la testa e sorridendo. Assurda. Solaria era Assurda. Illogica irragionevole irrazionale insensata impossibile inconcepibile inammissibile contraddittoria paradossale incoerente inimmaginabile inspiegabile indefinibile… pazzesca… e se volete dirlo in altri modi, sono ben accetti i suggerimenti! Solaria era davvero terribile…

“Nooo- disse lei, dondolando la testa come una bambina- mi va bene così!”

“Sì, anche a me!”

 

Si voltarono entrambi, sempre felicemente sorridenti, a guardare Gardenia, che arrossì subito per le troppe attenzioni rivoltele.

 

“Io volevo però sapere se tra loro c’era qualcuno che ti piaceva!” Chiese Solaria, riagganciandosi al discorso di prima. “Vabbé che effettivamente non c’era molta scelta… solo Remus! Dei malandrini però ci sarebbe ancora disponibile anche Peter, non è vero Mari?”

 

“…”

 

“Mari?!” Chiese Sirius, allibito. Chi era Mari?!

 

Solaria sbuffò, e guardò il giovane sposo in cagnesco. “Sei o non sei mio marito?!”

“Certo!”

“E cosa vuoi che ti chiami ‘marito’ per intero? E’ troppo lungo, non rompere le scatole!”

Sirius si portò una mano sulla fronte, chiudendo per un attimo gli occhi e pensando a quanto potesse essere folle la sua ragazza. No… sua moglie, dalla sera prima!

“Perché non provi a continuare a chiamarmi Sirius?!” Le disse poi, con tono ragionevole.

“Boh… Sirius sa di vecchio… è passato! Il solito… volevo cambiare un po’!”

“Ma i nomi non sono una moda, Solaria!”

“E chi lo dice questo?! Nel periodo del fascismo, in Italia, la maggior parte dei bambini che nascevano venivano chiamati Benito, come Mussolini!”

“Ma quella era una questione di denaro! Venivano pagati per farlo!”

“Beh, adesso non cercare l’ago nel pagliaio, per favore! E rispondi alla mia domanda: Peter è ancora libero?”

“Sì!”

“E come mai non c’era?!”

“Boh… aveva degli impegni…”

“Quindi- disse Solaria, voltandosi di nuovo dalla parte della cugina- solo Remus è disponibile!”

 

“Ma io ti ho detto che anche Peter è libero..” Puntualizzò Sirius, perplesso.

“Sì, ma Peter non fa al caso suo!” Rispose velocemente Solaria, senza nemmeno voltarsi a guardarlo in faccia, e chiedendo subito dopo a Gardenia, che ormai aveva assunto una bella colorazione carminia: “Che ne dici?! Io l’ho trovato molto carino!”

“Ma allora perché mi hai chiesto se era ancora libero?!” Perseverò Sirius.

“Sirius, possibile che tu sia così ottuso?! Era tutta una questione di principio! Dovevo farle credere che almeno avesse una possibilità di scelta!

Allora Gardy?!”

“Beh… ecco…” Iniziò Gardenia, che ci mancava poco ormai si mettesse a fumare anche dalle orecchie.

 

“Ricordami di farti conoscere Tonks… incredibile quanto vi assomigliate!” Le interruppe nuovamente Sirius, e Gardenia si voltò a guardarlo con gratitudine: altrimenti sarebbe stata costretta a rispondere a quella domanda della cugina.

“Chi è Tonks?” Chiese la giovane donna, voltandosi incuriosita a guardare il marito.

“La figlia di Andromeda.”

“Quella tua cugina che si è sposata con un babbano?”

“Sì.”

“Oh! Ha avuto una bambina?!”

“Sì, ma non immaginarti una lattante! La piccola ha già quindici anni! Ed è un vero e proprio demonio!”

“Ma non si chiama Tonks?!” Esclamò Solaria, storcendo il naso.

“No, si chiama Nimphadora…”

“Oddio, povera cara!”

“Già…”

 

“Ritornando a noi…” Disse la sposa, voltandosi di nuovo a guardare la sua preda, che aveva iniziato a retrocedere nel divano. Sirius corse di nuovo subito in aiuto della cognata… incredibile quanto la moglie fosse tremendamente assediante, alle volte!

 

“Ehm… Soly, ieri hai detto che mi avresti raccontato tutto del tuo soggiorno ad Avalon, ed in particolare della tua fuga! Allora? Non ho intenzione di aspettare oltre! Anche perché c’è il rischio che il Dipartimento Generale faccia una chiamata da un momento all’altro!”

“Oh, è vero che sei un Auror ora!”

“Già…”

“Benissimo… da dove posso cominciare?!”

“Beh… prova dall’inizio!”

“No, troppo lungo!”

“… Dal mezzo?!”

“Macché!”

“Beh, allora inizia dalla fine…”

“No.”

 

“Solaria, ti vuoi decidere?!” Sbottò Sirius, esasperato.

 

Solaria fece un sospiro. “Allora… il primo anno è stato una sorta di passeggiata, una vacanza vera e propria all’insegna del benessere… soprattutto perché non mi capitava spesso di avere in mezzo ai piedi quell’arpia.”

“Chi sarebbe?”

“Mia zia.”

“Tua zia?”

“Sì… la Dama del Lago. La madre di Gardenia. La sorella della mia vera madre: Urania.” Disse Lucciola, tutto d’un fiato.

 

Sirius la fissò negli occhi, che erano divenuti subito cupi e si erano persi in un mare di ricordi.

Aveva sofferto. Già… la sua Solaria aveva sofferto quando aveva conosciuto quella verità.

“Sol…” Iniziò lui, con voce comprensiva.

“No Sirius…” Disse la donna, riprendendosi immediatamente e scotendo il capo. “Non dire nulla, va tutto bene. E’ naturale che abbia provato tristezza quando ho saputo chi ero in realtà… chi era mia madre.

Ma poi, invece, mi sono ritenuta molto fortunata.

Non è da tutti avere due madri, ed essere fiera di entrambe!

La mia vera madre ha sacrificato la sua vita per mettermi al mondo, per darmi la libertà che poi mi avrebbe concesso di compiere il mio destino. Come potrei odiarla per questo?

L’altra mia madre invece… quella che ho conosciuto, la sposa di mio padre… lei è stata un modello per me, coraggiosa, intelligente, amabile. Quale donna avrebbe mai accettato di accogliere nella sua famiglia una bambina che, oltre ad essere figlia adulterina del marito, era di maternità completamente ignota? E soprattutto… quale donna sarebbe riuscita ad amare tale figlio come se fosse il proprio?!

Il Destino, in fondo, non è stato poi così crudele con me…”

 

Sirius sorrise, con un groppo alla gola. Solaria ne aveva passate di tutti i colori, eppure non accennava nemmeno a perdere un briciolo del coraggio che l’aveva sempre caratterizzata, anzi, giorno per giorno diveniva più forte. Riusciva a trovare la felicità anche nella tristezza, la luce nel buio… non si abbatteva mai, nemmeno quando il destino, assai spesso, le tirava addosso una forte randellata. Era sempre in grado di rialzare il capo e proseguire per la sua strada, traendo insegnamenti utili da tutto ciò che viveva.

 

Impulsivo com’era, si alzò dalla sua poltrona e, dopo aver tirato su Solaria, la abbracciò di slancio, nascondendo la testa fra i suoi morbidi capelli biondi.

Lei rise.

“Non ti facevo così sentimentale, Sirius Black!” Gli disse poi, guardandolo negli occhi.

Lui, per tutta risposta, la baciò.

“Lo sono sempre stato con te.” Le rispose, con gli occhi scintillanti e un piccolo sorriso che gl’increspava le labbra, mentre con una mano continuava ad accarezzarle la pelle del viso.

 

Lo sguardo di Solaria si addolcì. E rimasero muti, così silenziosamente, a fissarsi.

Non era facile che nei loro occhi comparisse la dolcezza… c’era sempre divertimento, malizia, furbizia, o sentimenti molto più forti come rabbia, allegra pazzia, dolore, entusiasmo. E così, quando accadeva, quelli erano momenti indimenticabili, sacri, immortali…

 

Gardenia, la nuova Grande Sacerdotessa della Dea Madre, tremò impercettibilmente quando assistette a quella scena.

Si dice che l’uomo, di fronte alla divinità, non possa fare altro che rimanere profondamente sconcertato e sbalordito, a causa della sua immensità e della sua forza.

 Fu considerando questo principio che Gardenia definì l’amore fra loro due divino.

Perché?

Perché, per l’appunto, era così immenso, così forte, da risultare addirittura sconcertante…

 

Aveva fatto davvero la cosa giusta nell’unire quell’uomo e quella donna in matrimonio. E, soprattutto, nel consacrare la loro unione alla Dea.

La loro stirpe sarebbe stata molto potente, e chissà… forse anche immortale.

 

Si alzò silenziosamente dal divano, e con passo felpato si diresse verso la sua stanza.

Solaria e Sirius avevano bisogno di stare da soli. E lei non necessitava di certo di sentire il suo racconto: conosceva già molto bene gli avvenimenti, dato che li aveva vissuti anche lei!

 

 

“Stamattina sono rimasto a letto a lungo perché stavo pensando… mi sembrava impossibile che fosse tutto vero: che tu fossi tornata, e che ci fossimo finalmente sposati.

Pensavo di aver sognato tutto, il più bel sogno della mia vita… E non volevo aprire gli occhi, perché altrimenti avrei scoperto la terribile verità e sarei piombato di nuovo nella tristezza più assoluta.”

Disse Sirius, continuando a fissare con dolcezza negli occhi Solaria, che sorrideva.

 

Il sorriso di Sirius si allargò ancora di più, e lo sguardo dolce lasciò il posto ad uno furbo e divertito. “Poi però ti ho sentito cantare sotto la doccia, e allora, oltre ad aver capito che era tutto vero, sono dovuto scappare via dal letto per evitare che mi rompessi i timpani!”

“Ehi! Traditore! Non puoi porre fine al più dolce momento della mia vita in questo modo!” Gridò lei, ridendo, dandogli un colpetto sul petto.

“Ti dovevo fare pagare il brusco ritorno alla realtà di stamattina, Lucciola!”

“Ah sì, è così?! Questo era il tuo scopo principale?!”

“No! Però, sai com’è, dato che c’ero…!”

“Bah! Signor Felpato, mi faccia il piacere di tappare quella sua boccaccia rognosa e sedersi qua al mio fianco ad ascoltare il racconto dei miei ultimi quattro anni!” Disse lei, sprofondando nel divano e facendo segno all’uomo di fare altrettanto.

E Sirius, naturalmente obbedì.

 

Così Solaria continuò col suo racconto. Nessuno dei due, però, si accorse dell’assenza di Gardenia… erano troppo presi da loro stessi per poter badare anche al mondo circostante!

 

“In ogni caso, sono venuta a conoscenza della mia vera natura solamente al terzo anno di permanenza ad Avalon.

Come ti ho già detto, non corre buon sangue fra me e mia zia. Ci siamo odiate fin dal primo momento che ci siamo incontrare.

Non ho mai conosciuto una donna così perfida… alla stregua di tua cugina Bellatrix… è malvagia fin nel midollo, e ama il potere più di se stessa. La sola differenza con Bella è che lei, essendo nata ad Avalon, è stata abituata a servire la Dea e non quel pezzo di escremento di sorcio qual’è Riddle.

Ho perso spesso il controllo con lei… diamine, è incredibile il modo in cui riesce a farmi saltare i nervi…

Tornando a noi, a partire dal secondo anno lei ha iniziato a farmi da insegnante nell’apprendimento di nuove magie e nel rafforzamento delle mie capacità.

Non puoi nemmeno immaginarti cosa io sia in grado di fare ora… mi irrita quasi tutto il potere che è nella mie mani. Mi fa sentire sempre più vulnerabile, anziché invincibile.”

 

Sirius corrugò la fronte a quelle parole, mentre Solaria rimaneva in silenzio. Aveva capito cosa la faceva sentire vulnerabile.

Non si poneva il problema dell’esito della battaglia contro il suo nemico, vittoria e sconfitta avevano lo stesso peso.

Perché, tanto, la Morte sarebbe sempre giunta.

E contro di essa lei non poteva nulla. Contro di essa lei era uguale ad ogni altro essere vivente esistente sulla faccia dell’universo.

 

Solaria riprese a parlare, interrompendo così quel mare di tristezza che pochi secondi prima aveva tentato di affogarli. “Il secondo anno, in sua compagnia, fu un tormento infernale.

Durante il terzo anno però riuscii a togliermela da mezzo, imparando da sola ciò di cui necessitavo.

Fu in quello stesso periodo, più o meno, che lei riuscì a capire che ero la figlia della sua odiata cugina, Urania, che era scappata quando ancora mi teneva in grembo lasciando Avalon priva di una Grande Sacerdotessa e gettando lei e la madre nel disonore.”

“Perché? Non capisco…”

Solaria sospirò. “Le sacerdotesse della Grande Madre Dea sono quasi tutte veggenti e sibille. Sanno cosa accadrà in futuro nel mondo da cui loro si sono alienate, ma non fanno nulla per porvi rimedio perché considerano tutto come una punizione per l’estrema corruzione e immoralità che ci domina.

Sapevano dell’avvento di un Signore Oscuro. Lo sapevano da tempo. Ma erano pronte a non muovere un dito.

Mia madre però era diversa… mia madre non avrebbe lasciato morire tanta gente, innocente o meno, sapendo di poterla salvare.

E così scappò via, nascondendosi da loro, in modo da poter dare alla vita me.

Io avrei avuto la forza per sconfiggere il terribile futuro.”

 

Sirius fece sì col capo. Conosceva bene quella storia, gliel’aveva raccontata Silente. Ma i particolari di cui era venuto a conoscenza da Solaria la rendevano molto più terribile.

 

Solaria allora riprese la sua narrazione. “Voleva vendicarsi di mia madre, della vergogna che aveva gettato su di lei. E così, quello stesso giorno, mi disse che di lì ad un anno io avrei seguito l’allenamento per divenire Grande Sacerdotessa di Avalon, e per compensare la vita di cui Urania aveva privato la Terra sacra, sarei stata sottoposta al Bensalem per partorire un figlio che fosse consacrato alla Dea.”

“CHE COSA?!” Gridò Sirius, divenendo rosso come il fuoco.

Il sorriso malizioso comparve sulle labbra di Solaria. “Vedo che sei ben informato sulle pratiche delle sacerdotesse!”

“Io quella l’ammazzo!” Fu tutto ciò che riuscì a sibilare Sirius come risposta.

“L’avrei ammazzata anche io se fossi stata costretta a eseguire il suo volere. – disse lei, con un tono di voce così duro e pregno d’odio che stupì Sirius-

Per sua fortuna, però, sono riuscita a scappare. Non subito, è vero… ci ho messo un bel po’ di tempo e numerosi tentativi sono andati a male.

Però, proprio alle soglie del quarto anno di permanenza ad Avalon, la mia fuga finalmente si è portata a compimento.”

 

 

 

 

Solaria uscì dalle sue stanze, e di soppiatto, con la pozione anti – oblivius  trasfigurata in pendaglio appesa al collo, si diresse verso la spiaggia.

Gardenia, appostata sul balcone della facciata principale del palazzo, le fece segno col capo di proseguire tranquilla: nessuno in vista.

 

Appena i suoi piedini toccarono la dolce acqua del lago, Solaria sospirò: forse questa volta ce l’avrebbe fatta.

Avanzò nel lago, e quando l’acqua le arrivò alle spalle, si trasfigurò in delfino (ormai aveva capito che non le conveniva diventare un piccolo pesciolino rosso da acquario…).

 

Filava tutto liscio, quando, improvvisamente, iniziò a sentirsi mancare il respiro.

Si guardò meglio, e ciò che scoprì la fece sudare freddo: la trasfigurazione non era permanente, a tratti si ritrasformava in essere umano… Diamine! Che cosa c’era adesso che non andava?!

Ritornò in superficie, e appena il suo capo emerse la trasfigurazione terminò definitivamente.

Iniziò a nuotare verso la spiaggia, abbastanza lontana, e quando vi giunse capì il motivo del suo nuovo fallimento.

 

La Grande Sacerdotessa stava lì, in piedi davanti al suo palazzo, con un sorriso soddisfatto e maligno sul volto aristocratico.

Gardenia, sul balcone, circondata da vecchie sacerdotesse, la guardava con le lacrime agli occhi.

 

La ragionevolezza scomparve dalla mente di Solaria, che guardando il suo nemico con occhi di fuoco, gli lanciò addosso uno schiantesimo.

La Dama del Lago fu scagliata con violenza verso il muro del palazzo, dove sbatté malamente una spalla.

 

“Vi odio…” Sibilò Solaria, continuando a fissarla con sguardo pregno di rabbia.

 

La donna si rialzò, tenendosi la spalla dolorante, e il suo sguardo ghiacciato andò di nuovo a poggiarsi sulla nipote. “Non te ne andrai da qui. A costo di ucciderti, non te ne andrai da qui.” Le disse.

 

“L’unica a morire qua sarete voi!” Gridò Solaria. Chiuse gli occhi, e concentrandosi sulla sua preda, riuscì a penetrare nella sua forza vitale e rubarle il potere che le serviva.

Quando li riaprì, un’onda spaventosa si stava abbattendo sulla zia, che però, senza troppa difficoltà, la frenò e la fece tornare al suo posto.

 

“Non ti è concesso usare quella magia!” Le gridò.

 

Avada Kedavra!” Fu la risposta di Solaria. Un raggio verde partì dalla mano che teneva puntata verso di lei, e la Grande Sacerdotessa riuscì a scansarsi appena in tempo, ruzzolando a terra poco distante e fissando la nipote con stupore e rabbia.

 

Non pensava che sarebbe arrivata a tanto. E ora, arrabbiata per essere impotente nei suoi confronti, la temeva.

 

Solaria, ancora fradicia, si diresse con passo deciso verso la zia, decisa a porre fine a quell’essere che per quattro anni le aveva rovinato la vita, e che tentava di rovinarle anche il futuro.

 

Avrebbe compiuto un delitto, lo sapeva… ma non gliene importava nulla. Lei voleva… lei DOVEVA tornare a casa. A qualsiasi costo.

 

Ma, quando si ritrovò a meno di tre passi da lei, un urlo lancinante la bloccò e subito dopo si ritrovò scaraventata a terra.

Che diamine stava succedendo, di nuovo?!

Quando si rialzò, più furiosa che mai, la rabbia che aveva negli occhi lasciò spazio allo sbigottimento.

 

Gardenia, la sua cara cugina, era lì, in piedi di fronte alla madre, e lacrime agli occhi e l’esile corpo scosso dai singulti.

 

“No…non puoi… ucciderla- le disse – è mia madre!”

 

Dopo aver sentito ciò, Solaria si poggiò una mano sulla fronte, quasi temesse di non poter reggere la violenza della consapevolezza che aveva finalmente raggiunto.

Gardenia amava la madre.

Dopo tutto quello che lei le aveva fatto, Gardenia l’amava ugualmente. Anche se era un mostro, anche se era l’essere più odioso sulla faccia della Terra, lei l’amava perché era sua madre. Perché era sicura di aver visto del buono in lei.

Ma di buono nella Grande Sacerdotessa non c’era nemmeno un atomo. Gardenia, innocente e ingenua come una bambina, non riuscendo a credere alla terribile verità se ne era creata una tutta sua.

 

Scosse la testa, e si rialzò. “Non l’ammazzo… solo perché me lo chiedi tu. Ma lei non è ciò che pensi. Lei non è ciò che pensi, Gardenia…” E, dopo averle detto ciò, si diresse di nuovo verso il lago, pronta a trasformarsi di nuovo e tentare la fuga.  

Gardenia la seguì, e appena si ritrovarono, l’una di fianco all’altra di fronte al lago illuminato dalle luci del tramonto, la giovane dai capelli neri disse:

“Io ho concluso la mia preparazione per divenire Grande sacerdotessa. Mi manca solo la prova finale, ossia aprire le acque di Avalon.

Fammi provare, Solaria.”

“Sei sicura? E’ molto difficile, e richiede molte energie.”

“Per te sarei pronta anche a morire.” Fu la risposta di Gardenia.

La giovane sacerdotessa chiuse gli occhi, e alzò le mani al cielo, pregando la Dea Madre di esaudire la sua richiesta.

 

Ben presto il sudore le imperlò la fronte, e il suo corpo iniziò a tremare.

Solaria, sempre al suo fianco, la guardava preoccupata, pronta ad intervenire se qualcosa fosse andato storto.

 

Intanto, un gran numero di sacerdotesse adepte si era radunato nella spiaggia, dietro di loro, e le più anziane erano andate a prestare soccorso alla Dama del Lago.

 

Erano passati già cinque minuti, e nulla succedeva.

Solaria oramai era pronta a chiedere alla cugina di smetterla. Lo sforzo per richiamare il potere della Dea le stava rubando tutta la linfa vitale.

 

Ma, improvvisamente, un forte vento colpì l’isola, e le nebbie che la circondavano furono scagliate lontano, permettendo addirittura a coloro che stavano sulla spiaggia di vedere la riva opposta, la terra esterna.

 

Gardenia aprì finalmente gli occhi, e quando si voltò a vedere la cugina, la trovò sorridente, e con le lacrime agli occhi.

“Grazie, nuova Grande Sacerdotessa di Avalon. Grazie…” Le disse Solaria.

Gardenia, sentendo ciò, si tastò la fronte. E fu felice di sentire, fra le due volute di gocce nere, la presenza di un terzo simbolo: la mezzaluna.

 

Si voltò verso le sacerdotesse, che subito s’inchinarono di fronte alla nuova prescelta della Dea.

 

Una sola persona rimase in piedi.

 

La madre.

 

Fremeva di rabbia, il suo viso altero era macchiato dall’odio, i pugni erano stretti sui suoi fianchi con forza.

Nella sua fronte, la falce di luna era scomparsa.

 

Solaria sorrise maligna, e prima di voltarsi e andarsene, le disse: “Impari ad inginocchiarsi di fronte a sua figlia, ora: Gardenia è superiore a lei, si è dimostrata assai migliore, tant’è che perfino la Dea è stata costretta ad accettarlo. E, oltre a questo, le deve anche la vita.

Se fossi in lei, mi metterei a strisciare come il più umile verme ogni volta che sentissi la sua aura nelle vicinanze!

Addio!”

 

Ma, mentre stava ormai effettuando su se stessa l’incantesimo di levitazione per abbandonare l’isola, sentì dietro di se degli schiamazzi.

Quando si voltò, la scena le fece pietrificare il sangue nelle vene.

 

L’ex Dama del Lago era tenuta per braccia e gambe dalle altre sacerdotesse, mentre invano tentava ancora di liberarsi.

Davanti a lei, Gardenia la fissava orripilata, mentre ciocche di capelli neri le cadevano dalla testa e un taglio dietro il collo iniziava a sanguinare.

 

L’ha colpita alle spalle… l’ha colpita alle spalle!- Gardenia si voltò, fissandola con gli occhi lucidi pieni di delusione e spavento- TI HA COLPITO ALLE SPALLE!” Gridò Solaria, gettandosi con furia verso l’odiata zia.

 

Ma, ancora una volta, Gardenia la trattenne.

“Perché?! Perché fai così?! Ti voleva uccidere! Ti ha quasi tagliato la testa!”Gridò con rabbia la Nimbus.

“Perché è mia madre… e non voglio che tu ti macchi del suo sangue. Se mai giungerà il momento, sarò io a compiere l’atto sacrilego, non tu.”

 

Si fissarono a lungo. E Solaria non ebbe il coraggio di ribattere: la determinazione nel tono della cugina l’aveva spiazzata.

Era cresciuta. Nel giro di quei pochi istante, la bambina che ancora dominava il suo cuore aveva lasciato il posto ad una donna adulta, razionale, coraggiosa, forte…

Tutto era avvenuto così improvvisamente però… tutto per colpa di quella donna mostruosa…

 

“Vieni con me.” Le disse, calma e sicura.

“Cosa?!”

“Le tue sacerdotesse manterranno l’ordine per te. Vieni con me nel Mondo Esterno.”

“Perché?!”

“Perché tu sei la nuova Grande Sacerdotessa. Perché devi vedere qual’è il mondo che voi avete rinunciato a proteggere. Perché devi cambiare la legge di Avalon… e perché ti voglio al mio fianco.” Disse poi, con un sorrisetto birbante in viso.

 

“Va bene.” Fu la risposta di Gardenia. Ed, insieme, levitarono lontano dall’Isola Sacra.

Una volta toccata l’altra sponda, le nebbie di richiusero celando Avalon alla vista degli esterni.

 

Appena aveva lasciato l’Isola, Solaria aveva sentito la forza delle visioni percettive invaderla con violenza.

Toccata terra, cadde in ginocchio, chiudendo gli occhi e poggiando le mani sulla testa per concentrarsi meglio.

Riuscita a cacciarle, chiudendo la sua mente, ancora un po’ barcollante si voltò, cercando Gardenia.

Era poco lontana da lei, e si guardava intorno incuriosita e spaesata.

“Questo è il mondo esterno?!”Le chiese.

Solaria sorrise. “Sì, è questo!”

“Non sembra molto diverso dal nostro…”

“Beh, non hai ancora visto nulla!”

“Andiamo allora!”

“Ehi ehi ehi, quanta fretta! Aspetta un attimo, prima devo sistemarti un po’!”

“Cioè?!”

“Tua madre non ti ha proprio fatto un taglio all’ultima moda, sai?!” Spiegò Solaria.

 

Fece sedere la cugina su una delle tante rocce che si stagliavano sulla riva del lago, e dopo averle curato il taglio dietro il collo, perfezionò la sua capigliatura, creando un perfetto baschetto corto, e coprendo i simboli sacri nella sua fronte con una folta frangia.

 

“Fatto?!” Chiese Gardenia, vedendo la cugina che di fronte a lei sorrideva soddisfatta.

“Fatto!”

“Allora, dove andiamo?” Chiese poi, alzandosi in piedi e togliendosi con la mano le ciocche che erano rimaste appiccicate alle sue vesti.

“Mmmm… ad Hogwarts! Ho sentito delle presenze molto interessanti laggiù…!”

 

 

“Vorresti dirmi che eri ad Hogwarts già dalla sera prima e hai aspettato un giorno intero prima di venire da me?!”

“Ehm… no…”

“No?!”

“No…”

“E allora cosa hai fatto?!”

“Beh… ecco… sai com’è… era da molto che non mangiavo una pizza, e così sono andata da Madama Rosmerta a prenderne una insieme a Gardy…”

 

“Sei andata a… prenderti una pizza?! Il tuo primario pensiero è stato la pizza?!”

“Ma no, certo che no, imbecille! Ho pensato prima a te! Ma siccome volevo farti una bella sorpresa, però non avevo voglia di raggiungerti in Francia, ho preferito mangiarmi una pizza! E poi, siccome fra una burrobirra e l’altra si è fatto tardi…”

“Vi siete anche ubriacate?!”

“No, Gardy no, non le piace l’alcool- poi, vedendo il viso allibito del marito, aggiunse- ma nemmeno io mi sono ubriacata! Che vai a pensare?! Ne ho bevuto solo due… forse tre… e poi quello che rimaneva della burrobirra di Gardenia…

Non ero brilla!”

 

Sirius le prese il viso fra le mani, e le schioccò un forte bacio sulle labbra. “Sei la ragazza più assurda che io conosca! Ti adoro!” Le disse poi, scoppiando a ridere. E Solaria, dopo avergli mollato un pugno sul petto, si mise a ridere insieme a lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** The End ***


Erano passati quasi due mesi da quel giorno, quasi due mesi… e per tutto quel tempo Solaria si era portata stretta al cuore la

Erano passati quasi due mesi da quel giorno, quasi due mesi… e per tutto quel tempo Solaria si era portata stretta al cuore la pozione anti – oblivius.

Perché?

Perché non gliela aveva ancora data?

Semplice.

La distruggeva il pensiero che quel sorriso che gli illuminava sempre il volto, e che addolciva quegli occhi grigi che altrimenti sarebbero stati duri come il metallo, scomparisse per sempre dopo la sua morte.

La consapevolezza ha un duro prezzo. A volte è meglio stare nell’ignoranza.

Perché dunque avrebbe dovuto riservare al suo amato un futuro decisamente triste, mentre poteva dargliene uno assai più gradevole? Al diavolo il suo desiderio egoistico di pretendere che qualcuno si ricordasse di lei anche dopo la morte e piangesse sulle sue ceneri… Lei era nata per non esistere, e così sarebbe stato. Non poteva essere insieme spettatrice e attrice della tragedia della Vita, si era presa un ruolo che non le competeva…

 

Ma ora c’era in gioco anche la figlia, diamine… cosa ne sarebbe stato di lei se Sirius si fosse dimenticato della sua esistenza? Avrebbe accettato di tenere una figlia di cui non conosceva la madre?

Suo padre l’aveva fatto…

Ma Sirius non era come lui. Sirius era completamente diverso. Sirius assomigliava a lei. E lei, come si sarebbe comportata?

Indugiò un pochino sulla risposta, cercando varie attenuanti, mentre la realtà alla fine le pulsò dolorosamente nella mente: lei non avrebbe mai tenuto un figlio del genere.

E’ brutto dirlo, è vero: ma questa era la verità. Non si sarebbe mai tenuta un figlio di cui non conosceva il padre. Lo avrebbe dato via, lasciato a qualche altra famiglia che certamente lo avrebbe amato più di lei.

 

Si ritrovò addirittura a pensare che, in fondo, non sarebbe stata una cosa così negativa fare crescere la figlia in un’altra famiglia… così Sirius avrebbe potuto vivere tranquillamente, e lei, Selene, avrebbe compiuto il suo destino portando a termine ciò che la cara mamma purtroppo non aveva avuto la forza di fare.

Sarebbe stata un’idea perfetta, senza dubbio, se lei on avesse avuto un cuore che le faceva provare, purtroppo, sentimenti troppo forti che le impedivano di agire in modo obiettivo e distaccato.

 

Diamine! E’ vero che le maledizioni di Merlino avevano lo scopo di rendere le veggenti una sorta di macchina a servizio dell’umanità… ma loro non erano macchine, erano esseri umani! Come poteva pretendere così che la figlia accettasse di buon grado la sua situazione, avviandosi verso il suo destino di morte senza battere ciglio?

Avrebbe sofferto… avrebbe sofferto tanto…

E il solo ricordo di quei tristi occhi grigi le fece venire una stretta al cuore.

Non poteva pensare solo al bene di Sirius o solo al bene di Selene.

Doveva pensare ad entrambi.

E, allora, forse la decisione migliore era dare a Sirius l’anti – oblivius. E magari anche ai suoi amici… così avrebbero potuto stargli vicino e aiutarlo nel dolore.

Sì, questa era la cosa giusta da fare. E doveva muoversi ad agire.

Perché, oramai, la Morte era pronta a bussare alla sua porta.

 

 

 

Erano nel piccolo salottino privato di casa Potter. Lily era seduta sulle gambe di James, davanti al cammino ormai acceso, mentre Remus cercava di avviare una discussione con Gardenia, tentando di non farla arrossire ad ogni parola, ma invano…

Sirius era poggiato sullo stipite della porta che dava alla cucina, sorbendosi la fervente chiacchierata di una ragazzina magra, vestita con abiti senza dubbio babbani, e con una tremenda testa color… boh… che colore era? Prato d’estate… già, i capelli sembravano tanti fili d’erba verdi e gialli… incredibile quanto una persona potesse essere pazza!

Pazza…

Oh, forse era lei Tonks! Quella cugina eccentrica di cui lui le aveva tanto parlato! E sì, effettivamente le stava già simpatica! Però, Andromeda poteva anche cercarle un nome leggermente più ‘normale’, invece che Nimphadora… oddio, povera cara!

 

Appena Lily si accorse di lei, si alzò dalle gambe di James e le andò incontro, abbracciandola e salutandola affettuosamente.

“Ciao Solaria!”

“Ciao Lily! Come stai?”

“Oh… bene, grazie! Ti stavamo aspettando! Sirius ci ha detto che avresti ritardato perché lui non poteva passare a prenderti, essendo in servizio e non sapendo quando avrebbe finito il turno!” Disse la giovane donna, prendendole il giubbotto e poggiandolo sull’appendiabiti.

“Quindi anche il mio caro maritino è già arrivato…

Puff, sempre con questa storia… io riesco ad arrivare in orario anche se non c’è lui, e che continuo a comportami così per fargli credere che abbia ragione: sai, non voglio farlo sentire completamente inutile, poverino: mi fa pena…” Rispose lei, acidissima.

“Oh, ma come sei perfida, Soly!” La rimproverò Lily, tenendo però un sorriso sulle labbra.

 “Ciao a tutti, comunque!” Disse in quel momento la biondina, rivolgendosi a tutta la sala.

 

Mentre tutti rispondevano, la ragazza dai capelli strani le si avvicinò, guardandola con gli occhi di una bambina curiosa.

“Finalmente ti conosco!” Gridò poi, mostrando l’espressione più felice che fosse riuscita a trovare nel suo repertorio.

“Sei Tonks, vero?!”

“Sì! E tu sei Solaria?!”

“Sì!”

“Che piacere conoscerti!” Gridò la ragazzina, buttandosi letteralmente sulle sue braccia.

“Non sai per me! Sirius mi ha parlato tanto della sua cara cuginetta!”

“Oh, anche a me ha parlato tanto della sua dolce fidanzata!”

 

Si guardarono negli occhi in silenzio per un attimo, poi scoppiarono a ridere.

“A dire il vero ha detto che sei una pazza egocentrica rompiscatole dai gusti pessimi in fatto di moda!” Disse Solaria.

“E a me ha detto che sei una terribile casinista rompiscatole, e che riesce a sopportarti a malapena!” Disse Tonks.

 

“Ehi, l’avete finita voi due?!” Gridò loro Sirius, stizzito, mentre si avvicinava alla sua cara mogliettina e la allontanava da Tonks.

“Sta lontano da quella, altrimenti peggiori!” le disse, serissimo.

“Oh, ma piantala!”

“Sì Sirius, piantala!” Le fece l’eco Tonks.

“Per Merlino, ma chi mi ha fatto fare di farle incontrare… Remus, perché hai portato mia cugina!” Gridò Felpato, esasperato.

“E dai, non vedeva l’ora di conoscere tua moglie!” Rispose Remus, tranquillamente.

“E poi non penso che Soly possa peggiorare più di così…” Puntualizzò divertito James, mentre Lily tornava a sedersi sulle sue ginocchia.

 

“Ramoso, da te un commento del genere non me lo sarei mai aspettata!” Lo rimproverò Solaria.

“Oh, Lucciola, ma era un complimento!”

“Sei sicuro?! Guarda che se no ti tolgo tua moglie per un mese intero!”

“Sicurissimo!” Assentì con decisione il giovane dai capelli perennemente in disordine. Stare un mese senza la moglie… oddio… Sarebbe impazzito!

 

“Comunque, penso sia meglio parlare del perché siamo qui, non trovi Soly? Prima si fa, meglio è!” Disse Gardenia in quel momento, guardando con decisione la cugina.

 

Il silenzio pervase la sala. Le parole della sacerdotessa avevano riportato tutti alla triste realtà, e più visi si fecero scuri mentre Solaria e Tonks, insieme a Sirius, prendevano posto davanti a loro su delle sedie.

 

“Vi è stato detto tutto?” Chiese tranquillamente Solaria.

“Sì, tutto quanto.” Disse James, con voce flebile.

“Mi dispiace avervi fatto pervenire notizie così tristi tanto improvvisamente… ma era giusto che anche voi sapeste. Ed era giusto dunque che anche voi beveste questa pozione.” Disse la ragazza, tirandosi la catenina appesa al collo e poggiandola sul pavimento in mezzo a loro. Dopo aver pronunciato alcune parole, subito il piccolo oggetto si trasfigurò in un grande calderone, pieno di una strana sostanza fumosa.

 

Gardenia si avvicinò ad esse, facendo comparire un lungo bicchiere nelle sue mani, e riempiendolo della sostanza. “Alla pozione manca un solo ingrediente: il vostro sangue. Perché dovrà essere nutrita dei vostri stessi ricordi, affinché essi possano perdurare anche dopo…anche dopo la morte di Solaria.”

Tutti ebbero un sussulto a quelle parole, mentre le lacrime, che Lily era riuscita a malapena a scacciare prima, durante il racconto della sacerdotessa, riprendevano a scorrere sul suo bel viso. James le poggiò una mano sulla spalla, e lei scosse la testa mestamente.

“Scusami Soly, scusami tanto… ma non riesco ad essere forte come te.” Disse la ragazza.

“La mia forza è solo frutto dell’abitudine, Lily.” Disse tranquillamente la Nimbus, tenendo lo sguardo fisso a terra. “Comunque, se la notizia ti può aiutare a stare un po’ meglio… lascerò una piccola traccia della mia presenza prima di andarmene!”

Gardenia, che stava versando l’ultimo bicchiere di pozione destinato a se stessa, rimase immobile e voltò lo sguardo verso la cugina, come del resto tutti gli altri nella sala.

Anche Sirius la fissava interrogativamente, anche se un barlume di cognizione splendeva nei suoi occhi.

“Sono incinta!” Disse poi, con un sorrisone a trentadue denti.

 

All’inizio sei facce sbigottite la fissarono… poi, lentamente, la consapevolezza che quella era davvero una bella notizia raggiunse il cervello di ognuno di loro, e Sirius per primo le saltò addosso, prendendola in braccio e baciandola in continuazione senza lasciarle nemmeno la possibilità di respirare, mentre gli altri facevano baccano tutt’intorno.

“Da quanto lo sai?!” Le chiese Sirius, allegro.

“Beh… esattamente dal nostro primo incontro dopo tanti anni di separazione!” Gli disse Solaria, sorridendo.

“Cosa?! E hai tardato così tanto a dirmelo?!”

“Beh, non ne ero sicura!”

 

“Mollala subito, cagnaccio rognoso!” Gridò James in quel momento. Sirius non fece nemmeno in tempo a voltarsi e guardarlo torvo che un paio di mani gli strapparono letteralmente la moglie dalle braccia, chiudendola in uno stretto abbraccio.

“Oh, Soly, mi hai reso l’uomo più felice della Terra!” Gridò, facendola volteggiare per la stanza mentre lei rideva divertita.

 

“Mi hai reso l’uomo più felice della Terra un corno, Ramoso! Molla subito mia moglie o ti stacco le braccia a morsi!” Gridò Sirius, furioso.

“Sei solo geloso!” Disse James, fermandosi e guardandolo con un musone.

“Ma geloso di cosa?! Sono io il padre!”

“Sì ma io sono lo zio!”

“No, tu sei solo un grande rompipalle! Torna da tua moglie e vedi di darti da fare con lei!”

 

“Ma lui si da da fare…” Disse una vocetta in fondo alla sala.

Tutti si voltarono, fissando Lily che diveniva lentamente sempre più rossa, consapevole che i presenti avevano inteso male il senso delle sue parole.

 “Per caso hai deciso di descriverci le prestazioni a letto di tuo marito, Lilian?!” Gli chiese infatti pungente Sirius, con un ghigno in faccia.

“No Felpato, anche se so che ti piacerebbe ricevere lezioni per migliorare le tue.” Rispose provocatoriamente la ragazza, fissandolo accigliata. Purtroppo, ogni tanto, fra la Evans e Black continuava a non scorrere propriamente del buon sangue…”Intendevo dire semplicemente che anche io aspetto un bambino, che dovrebbe nascere esattamente… verso la fine di luglio!” Disse lei, dopo aver fatto mentalmente il calcolo.

 

Silenzio.

 

Waaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!” Gridò James, mollando Solaria, che non cadde a terra solo grazie al repentino intervento di Sirius (il quale ormai era pronto a scagliare una Maledizione Senza Perdono a quello che fino a pochi attimi prima considerava il suo migliore amico), e correndo ad abbracciare la moglie.

“tiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamo…”

 

“James, e togli il disco!” Gli gridò Tonks, mezzo stordita da quel fiume di parole.

 

“James, penso che dovresti dare ascolto a Dora…!” Gli disse Lily, sorridente.

“Tiamotiamotiamotiamotiamotiamo…”

E dato che il marito non accennata a smettere con la sua cantilena, interruppe il flusso infinito di parole con un passionale bacio, che lasciò James completamente senza fiato.

 

“Che schifo…” Commentò Sirius, sedendosi e facendo accomodare la moglie sulle sue gambe.

“Sono così carini!” Disse invece Solaria.

“Sembrano due polipi.”

“Anche noi lo sembriamo quando ci baciamo!”

“No, noi abbiamo molta più grazia di loro!”

“Non è vero, siamo esattamente identici!”

“Non dire scempiaggini… e poi guardali… MA VI SIETE SCORDATI CHE NON SIETE SOLI IN CAMERA DA LETTO?!” Gridò Sirius, vedendo che il bacio continuava a perdurare e James aveva iniziato ad accarezzare in modo provocante la moglie.

Subito i due si staccarono, Lily rossa per l’imbarazzo e James allegro come non mai, e dopo aver chiesto scusa ai presenti tornarono a sedersi nel loro posto.

 

“Finalmente! Siete davvero disgustosi!” Gridò Sirius.

“Quanto sei noioso!” Gli disse Tonks.

“Sta zitta, peste.”

 

“Ehm…” Mugugnò Gardenia, schiarendosi la voce e arrossendo subito quando l’attenzione di tutti si fu di nuovo voltata verso loro.P-Penso che dobbiate i-iniziare a preparare la vostra personale pozione…

 

Nella stanza calò di nuovo il silenzio, e ciascuno dei presenti prese il proprio bicchiere, aggiungendo al liquido già presente una goccia del proprio sangue.

 

“Solaria, consiglierei anche a te di berlo.” Disse Gardenia, dopo aver bevuto il suo.

“Perché, Gardy?”

“Perché così tua figlia si ricorderà di te.”

 

“Sai già che è una femmina?!” Chiese Sirius, gli occhi scintillanti, mollando subito la sua pozione.

“Ehm… sì, sarà una bambina!” Rispose Solaria, mentre Gardenia le versava la pozione in un nuovo bicchiere.

“Allora la chiameremo Selene davvero!”

“Certo, se è questo che vuoi…” Disse, afferrando il bicchiere e mettendoci dentro una goccia di sangue.

“Come fai a saperlo?” Le chiese Sirius, mentre lei si scolava tutto l’anti – oblivius.

 

Broooooooooooooowwwww Craaaaaaaaaaash Sdreeeeeeeennnnnnnnn

 

 

La stanza si riempì di strana polvere nera, mentre una presenza aleggiava maligna in essa.

 

Poi ci furono due lampi verdi, e due corpi caddero sul pavimento.

 

Sirius costrinse Solaria dietro di se, proteggendola da ciò che nemmeno lui riusciva a vedere.

Un raggio azzurro lo colpì, e Sirius stramazzò a terra, immerso nei dolori più atroci che mai avesse trovato.

Solaria gridò.

 

“Mia piccola veggente, ci rincontriamo finalmente.” Disse una voce strascicata. Solaria alzò gli occhi, mentre il terrore lasciava velocemente spazio all’ira. Due occhi rossi, come fari, risplendevano nel buio più immenso.

“Pezzo di stronzo!” Gridò poi, lanciandogli subito un Avada Kedavra, che Voldemort riuscì a scansare molto velocemente. Subito però, la colpì uno schiantesimo, proveniente da un’altra direzione.

Solaria finì scaraventata per terra. “Troppo vigliacco per venire da solo, non è vero Riddle?”

“Volevo solo darti il bentornato che ti meritavi, Nimbus.” Rispose lui. “Ti do un’ultima possibilità. Se ti unisci a me, il tuo amato avrà salva la vita. Altrimenti, morirà anche lui, come già i tuoi stupidi amichetti.”

 

Solaria quasi soffocò nel sentire quelle parole. I suoi amici… erano morti.

Un brivido freddo la percorse.

Non poteva stare a piangerli ora. Doveva agire.

 

Si rialzò in piedi.

Era l’ora della battaglia finale.

 

“LUMOS” Gridò, e subito la luce tornò nella stanza.

C’erano quattro Mangiamorte, e, davanti a loro, Voldemort. I cadaveri di tutti i suoi amici erano riversi in strane posizioni per terra, mentre Sirius si contorceva ancora per terra.

 

“Saremo solo io… e te.” Sibilò Solaria, e subito i quattro Mangiamorte si accasciarono per terra privi di vita. Poi guardò un attimo Sirius, alzando una mano verso di lui, e i suoi dolori cessarono, mentre il suo corpo veniva rinchiuso in una bolla azzurra.

 

“Cosa gli hai fatto?!” Gridò Riddle. La sua voce tradiva il suo nervosismo.

“Ciò che farò ora anche a te.” Disse semplicemente Solaria, fissando i suoi occhi d’ambra su quelli rossi suoi.

Si concentrò, e tenendo fissi gli occhi sul nemico cercò di invadere la sua mente con i suoi poteri, per prenderne completo possesso.

 

Voldemort scosse un paio di volte, con violenza, la testa, cercando di scacciare l’intruso captato. Lanciò anche un’Avada a Solaria, ma questa riuscì a scansarlo e a mantenere perfetto il contatto.

Dopo poco, la mente di Voldemort cedette. E, una volta dentro essa, Solaria pronunciò finalmente il mortale incantesimo.

 

“Sei una stupida se pensi che io me ne andrò così…” Riuscì però a sibilare Riddle.

E, pochi istanti dopo, qualcosa bloccò il flusso del suo potere che tornava nella sua mente.

Riddle era riuscito a creare un contatto.

 

E con grande orrore della ragazza, era riuscito anche a trasmetterle l’infausto tarlo che ora lo stava rodendo.

 

Ma mentre Voldemort oramai moriva, lei rimase distesa a terra, scossa da violenti brividi.

Questa volta la sua mente non ce l’avrebbe fatta a respingere un’Avada Kedavra, non tanto facilmente almeno

 

 

 

L’ultima immagine che ebbe Solaria prima di svegliarsi fu quella di Sirius, solo, rinchiuso per il resto della sua vita in una stanza del san Mungo, mentre invano i medi-medici cercavano di curare la pazzia che il Cruciatus lasciava sulle sue vittime.

Sirius era solo. Pazzo. E non si ricordava di lei, perché non aveva finito di bere la sua pozione.

 

Al suo capezzale, una ragazza dai lunghi capelli neri e i tristi occhi argentei lo guardava piangendo.

Anche lei era sola, senza madre né padre.

Sola, con un immenso potere da controllare.

Sola, con un nemico ancora da distruggere.

                                                                                                  

Perché Voldemort non era morto, no… il suo spirito, troppo forte, era riuscito a salvarsi e aveva ritrovato un corpo grazie ai suoi adepti.

E ora, stava riprendendo potere.

 

 

 

 

 

%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%

 

Ciao a tutti quelli che ancora mi seguono!!!! Allora, volevo dare delle piccole spiegazioni:

i ragazzi si sono riuniti tutti quanti a casa Potter, perché Solaria si è decisa a rivelare tutto di se stessa (loro non sapevano ancora nulla), e ha lasciato questo duro compito a Gardenia, che essendo una sacerdotessa di Avalon è molto più abile di lei nel descrivere la condizione delle veggenti dopo le maledizioni di Merlino.

 

Voldemort è riuscito a sopravvivere, come del resto è successo con Harry Potter, perché è diventato forte più o meno come Solaria, e come lei, riesce a sopportare il peso del primo Avada Kedavra che gli viene rivolto. Il secondo debilita troppo l’apparato nervoso, costringendo il malcapitato ad una lenta morte cerebrale, com’è poi successo per Solaria.

Prima di morire però Lucciola è riuscita a portare innanzi la gravidanza (soprattutto grazie ai Medimedici), e così Selene è riuscita a nascere ugualmente.

Quel pirlone di Sirius, siccome non ha bevuto tutta la pozione, non si ricorda nulla di Solaria, né tanto meno di avere una figlia. E così, nemmeno nei momenti di lucidità riesce a riconoscerla.

Selene dunque è completamente da sola, non c’è nessuno della sua famiglia che possa aiutarla.

E, alla sua vita già di per se orribile, si aggiunge il suo destino di morte sicura.

 

Maggiori esplicitazioni nel prossimo capitolo!!!!!!!! Ciaoooooooooo!!!!!

 

E, come sempre, GRAZIE INFINITE A JOY E DONNASOLE CHE CONTINUANO IMPERTERRITE A SEGUIRE E RECENSIRE LA MIA FF!

Grazieeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!!!!!!!

E grazie, naturalmente, anche a coloro che continuano solo a leggerla: se potete, commentate anche, grazie!!!!!

 

Kishal

 

(P.S x Joy: il mio Nick non ha un senso particolare… è lo stravolgimento del nome di un personaggio di una mia vecchia storia, Shakil. Sai, adoro i nomi che iniziano per s, o che contengono suoni sh… non so perché, li trovo semplicemente deliziosamente musicali!!!! Ciaooo! ;P)

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Una dura scelta ***


Che… che… che diamine…

 

 

Capitolo 19

 

Una Dura Scelta

 

 

 

Che… che… che diamine…. Cosa… Cos’era quello… cosa significava… che diamine stava succedendo?!

Calmati, Solaria, calmati… era solo uno stupido sogno.

Non è morto nessuno, i tuoi amici sono ancora tutti vivi, Tu sei ancora viva! Sirius non è in un manicomio, Selene non è una povera sfigata senza nessuno con la falce della Morte puntata al collo…

Calmati Solaria, calmati…

Era solo… era solo…

…Uno stupido sogno…

Col cavolo che era solo uno stupido sogno! Una persona normale poteva considerarlo uno stupido sogno, non una strega, né tanto meno una veggente!

Per Merlino… Per Merlino!

Come… come poteva… Perché tutte a lei?! Adesso come diamine faceva?!

 

“Mmmm… Soly…” Mugugnò Sirius, rigirandosi fra le coperte.

 

Solaria si voltò a guardarlo, ancora il magone addosso.

Sirius…

Le veniva quasi da piangere. Quello era il destino che sarebbe toccato ai suoi cari? No, non poteva accettarlo….

 

Sirius si rigirò di nuovo nel letto, cercando una posizione che lo soddisfacesse, senza però trovarla. Gli mancava qualcosa… Già, qualcosa di morbido e caldo da abbracciare… Dov’era la moglie?!

Si levò su un gomito, sbattendo più volte le palpebre.

“Soly!” Disse poi, mentre un attimo dopo sbadigliava sonoramente e si grattava la testa confuso. “Che ci fai sveglia?”

Per fortuna era buio, si ritrovò a pensare Solaria, e non poteva vederla bene in viso… altrimenti avrebbe capito che…

“Qualcosa non va?”

Appunto! Diamine, e adesso che gli dico…

“No, tutto a posto.” Disse, tentando di tenere un tono calmo e tranquillo, ma apparendo invece fredda e scostante.

Sirius, però, non ci fece caso. “Va bene, allora vieni qui.” Le disse, sbattendo un paio di volte la mano sul materasso davanti a se.

Solaria obbedì, e appena gli fu vicino Sirius la strinse a se, circondandole la vita con il braccio e poggiando la testa sul cuscino sopra di lei.

“Perché sei sveglia?” Le chiese poi, l’ultimo dubbio prima di tornare a crollare nel mondo dei sogni.

“Nulla… un brutto sogno.” Rispose, vaga, con lo stesso tono di prima.

 

A quelle parole però Sirius parve ridestarsi del tutto.

“Soly, un brutto sogno?!” Chiese, palesemente preoccupato. “Uno dei tuoi brutti sogni?!”

Solaria tardò a rispondere. E che gli diceva?! Non voleva farlo preoccupare… era lei la veggente: lei vedeva il futuro e lei doveva porvi rimedio, senza intromettere nessun’altro, tanto meno le persone che più le stavano a cuore, se non voleva farle stare male.

Ma non voleva nemmeno mentirgli, diamine! Si sentiva un vero schifo ogni volta che non gli rivelava la verità, figurarsi quando invece la contraffaceva!

“S-No!” Si ritrovò alla fine a rispondere. Basta, non doveva farlo soffrire!

“Sno?!”

“N-sì!” Ma non poteva mentirgli!

“Nsì?!?!”

“…boh…” Rispose alla fine.

“Soly!” Gridò allora Sirius. “Ma che dici?!”

“Non lo so Sirius, ho sonno… lasciami dormire!”

“Lucciola, se c’è qualcosa…”

“C’è solo la tua chiacchiera continua che non mi lascia chiudere occhio. Ti dispiace tapparti?!”

“Pfiu, e io che cercavo di essere gentile… mai più! Ricordatelo, da domani cambiamo musica!”

“Ma sta’ zitto… e dormi!”

“Sì sì…” Mugugnò Sirius, in un tono che doveva essere minaccioso ma che invece risultò semplicemente assonnato.

 

Appena lo sentì addormentato, Solaria sospirò.

Cosa avrebbe fatto? Doveva impedire quel massacro… E aveva tutti i mezzi per farlo. Sì, aveva tutti i mezzi per mettere i bastoni nelle ruote a Riddle ancora una volta. Sarebbe bastato un piccolo cambiamento a quel susseguirsi di azioni, che tutto il futuro sarebbe stato stravolto.

Ce l’avrebbe fatta… quel domani che aveva visto non sarebbe mai avvenuto… sì, ce l’avrebbe fatta…

E, con questi ultimi pensieri confortanti, mentre la speranza iniziava a nascere nel suo cuore, si addormentò. 

 

 

Cavoli, ci mancavano solo le nausee mattutine adesso… Aveva delle vite da salvare, non poteva permettersi di rimanere tutta la mattina in bagno a vomitare! Uffa, quella bambina era un vero tormento già ora che era un piccolo microbo, figurarsi cosa sarebbe divenuta crescendo…

Anche se questo, purtroppo, non l’avrebbe mai saputo: in ogni prospettiva futura che le si era mostrata, lei moriva sempre dopo aver dato alla luce la figlia… Non l’avrebbe mai vista crescere, non le avrebbe mai sentito pronunciare le prime paroline, non l’avrebbe mai vista ridere e giocare con altri bambini, non l’avrebbe vista il suo primo giorno di scuola, e nemmeno avrebbe potuto vedere la sua gioia quando le sarebbe arrivata la lettera da Hogwarts.

Probabilmente, non l’avrebbe mai nemmeno vista!

 

Solaria, più triste che mai, uscì dal bagno, finendo di pulirsi il viso con il morbido asciugamano.

Si bloccò quasi subito, quando vide Sirius, seduto sul letto, fissarla con la fronte corrugata.

“Qualcosa non va?” Le chiese.

“Perché?” Rispose lei.

 

“Ma non saprei… Ho iniziato a pensare che qualcosa non andasse stanotte, quando stranamente ti sei svegliata invece che dormire tranquillamente vicino a me. Ma tu hai detto che non era nulla, e così non ci ho fatto caso.

Stamattina però, sono accadute troppe cose strane: prima di tutto ti sei alzata all’alba; poi non hai cantato sotto la doccia costringendomi a fuggire dalla stanza da letto; a colazione non mi hai rubato il caffè, ma hai preferito che ti facessi un tea e te lo sei scolato tutto ugualmente senza battere ciglio nonostante avessi messo, per caso, il sale al posto dello zucchero.”

“Cosa avresti fatto?!” Gridò quasi Solaria, guardandolo con tanto d’occhi. Ora le veniva qualche dubbio riguardo alla sua nausea mattutina…

“Beh, non è colpa mia! Tu hai messo lo zucchero nel barattolino del sale e il sale in quello dello zucchero!”

“Ah sì, è vero… me n’ero accorta ma poi non avevo voglia di rimetterli a posto…”

“La solita pigrona. Allora, c’è qualcosa che non va? Stai male per caso? E’ da un po’ che rimetti tutta la colazione la mattina.”

 

Solaria rimase muta, con gli occhi sbarrati, l’asciugamano ancora in mano, a fissarlo.

E se avesse iniziato a stravolgere il futuro da ora? Gli esiti dei suoi movimenti li avrebbe poi potuti controllare con le visioni volontarie, come sua zia (la sua carissima zietta adorata che aveva quasi ucciso) le aveva insegnato…

 

“Forse se le chiamassi nausee mattutine riusciresti a capire meglio che cos’ho?” Disse con un sorriso sulle labbra, un attimo prima che Sirius le chiedesse nuovamente se stava bene.

L’uomo la fissò interrogativamente. Sì, quella parola gli ricordava qualcosa… ma di preciso nulla…

 

Solaria sbuffò. “Sei più citrullo di quanto pensassi, maritino mio caro!”

“Ehi, e io che ne so!” Si lamentò lui.

“Dovresti saperlo!”

“Beh, dato che non lo so dimmelo tu allora, genia!”

 

“Dannazione a voi genere maschile! Per l’esiguo contributo che date al mantenimento della specie umana, potreste anche non esistere! Al posto vostro avrebbero anche potuto inventare degli spermatozoi volanti!” Sbottò la ragazza, gesticolando vivacemente.

“Ehi, no, aspetta… ma che diamine stai dicendo?! Che centra questo? E poi guarda che noi maschi diamo un solido contributo al mantenimento della specie umana: considera che altrimenti non sarebbe così piacevole…”

“Piacevole un corno! Alla maggior parte di noi, povere sfigate, capita un animale che ha soltanto voglia di sfogare i suoi istinti oppure un povero idiota che non sa nemmeno da dove s’incomincia…”

“Sì, va bene, ok… ma ripeto: che centra questo?!”

 

“Ancora non l’hai capito?”

“No.”

“Sono incinta Sirius. Suvvia, svegliati!”

“E per questo mi hai fatto un casin… COSA?!” Urlò, balzando in piedi.

Solaria, a quel punto, iniziò a guardarsi con soddisfazione le unghie della mano. “Già!” Mugugnò poi, senza guardarlo in faccia.

 

Sirius le si avvicinò lentamente, gli occhi scintillanti, un insicuro sorriso sulle labbra. Le sollevò il viso con un dito, e la costrinse a guardarlo.

“Aspettiamo un bambino, Soly?” Chiese in un sussurro.

“No, aspettiamo una bambina, Sirius. Una splendida bambina che tu hai deciso di chiamare Selene.”

                                                                                                                     

Il sorriso di Sirius, da incerto qual’era, divenne sicuro e molto più ampio, e gli occhi, lucidi per l’emozione, si spostavano in continuazione dal viso di Solaria al suo ventre ancora piatto.

L’uomo vi poggiò una mano sopra.

“Sta qua?”

“Beh, ti facevo molto più esperto in fatto di anatomia umana, soprattutto di quella femminile! Certo che sta lì!”

“Ma io sono esperto, e mi pare di avertelo dimostrato più volte…” Rispose lui, malizioso.

“Mmmm, sì… più o meno…” Disse lei, vaga.

 

Sirius la baciò. Un bacio leggero, sensuale, che la scosse da capo a piedi facendole desiderare molto di più.

“Se non fossi già in ritardo, rimarrei qua a dimostrarti la mia bravura in quella materia…” Le disse, sfiorandole ad ogni parola le labbra con le sue. “Ti amo.” Aggiunse poi.

“Anche io… e anche Selene, molto…”

 

Crak

 

Appena Sirius scomparve, Solaria sospirò, poggiandosi una mano sulle labbra. Quando il marito faceva così la lasciava stordita per molto, molto tempo…

Ma ora si doveva riprendere in fretta! Aveva un futuro da modificare!

 

Si sedette sul letto e chiuse gli occhi. Vediamo ora cosa sarebbe accaduto…

 

 

 

Gardenia accorse correndo nella stanza della cugina, da cui aveva sentito provenire il suo urlo di dolore.

Aperta la porta, la vide: era sul letto, il capo nascosto fra i cuscini, e il corpo scosso dai singhiozzi.

La Sacerdotessa le si sedette vicino, e, sebbene un po’ titubante, le accarezzò una spalla.

“Soly… che c’è?” Le chiese poi.

 

Solaria si levò velocemente a sedere, prendendo con furia le mani di Gardenia e guardandola col viso rigato di lacrime.

“Cos’è successo, Solaria?!” Chiese allora la ragazza, sempre più preoccupata.

“C’è che sei morta! Tu, Sirius, Lily, James e Remus! La piccola Tonks è al San Mungo in fin di vita ! E io… io muoio dopo il parto! »

 

Dapprima, alla Dama del Lago si gelò il sangue nelle vene, mentre un brivido freddo la percorreva tutta.

Morti, tutti morti…

Poi capì… il tono, l’uso del presente nel parlare… Non potevano essere che “Visioni?”

“Sì! Visioni! Visioni catastrofiche! Muoiono sempre tutti! E’ da stanotte, dopo quel sogno, che sto tentando di stravolgere il futuro! Ma non ci riesco! Prima ho provato a dire a Sirius che ero incinta, ma niente, morivano sempre tutti… Allora ho chiamato Lily e le ho detto di dire al marito che era incinta, altrimenti lo avrei fatto io- ma niente, anche ora muoiono sempre tutti! Gardy, che devo fare?!” Gridò, al colmo dell’esasperazione.

“Raccontami il sogno.”

“No, è troppo brutto!”Disse la giovane sposa, scotendo veementemente la testa.

“Nel tuo sogno io sapevo cosa sarebbe accaduto?”

“No… erano tutti ignari, perfino io, del fatto che Voldemort ci avrebbe presto uccisi! UCCISI TUTTI!”

“Allora raccontamelo: è un altro dettaglio differente, potremmo continuare a modificare il futuro!”

 

Solaria la fissò, il viso ancora rosso e lo sguardo incerto. “Va bene.” Disse poi. “Nel sogno siamo a casa di Lily, questa sera, nel suo salotto.”

“Perché?”

“Perché l’ho voluto io… Per essere più esatti, tu, per mio volere, hai raccontato a tutti loro- Tonks, Remus, James e Lily- cosa sono e qual è il mio destino, in modo da potergli dare l’anti-oblivius.

Arriva Sirius, poi arrivo io. Dico di essere incinta, poi anche Lily lo dice… e dopo arriva Voldemort e ci uccide tutti!”

“Allora, ora prova a chiudere gli occhi e a concentrati per avere un’altra visione. Magari è cambiato qualcosa.”

 

Solaria fece sì col capo, e sempre tenendo le mani della cugina ben strette nelle sue, chiuse gli occhi e, dopo un sospiro, si preparò ad avere una nuova visione. Magari questa volta sarebbe cambiato qualcosa in meglio…

 

Un quarto d’ora dopo la biondina stava di nuovo piangendo, con la testa poggiata sulla spalla di Gardenia: questa volta solo la sacerdotessa e Tonks erano sopravvissute, Sirius era pazzo al San Mungo e Remus in fin di vita. Lily e James, insieme al loro bambino, erano sempre morti. E la stessa fine toccava a Solaria, dopo aver dato alla luce la figlia.

 

“Beh, però stiamo avendo dei miglioramenti…” Disse Gardenia, accarezzandole la testa per farla calmare.

“Un corno di miglioramenti! E’ sempre una strage!” Gridò lei.

 

Poi, un attimo dopo, si staccò dalla cugina e balzò in piedi, portandosi davanti a lei e guardandola con un risoluto sguardo che non prometteva nulla di buono.

Ecco, il dolore iniziava già a darle alla testa… E quando una come Solaria, già pazza di natura, impazzisce oltremodo per cause esterne… beh… non si può sapere quali inimitabili cavolate possa compiere…

“Bene, ho capito! Vado da lui e lo ammazzo ora!”

“Cosa?!” Sussurrò Gardenia, sbalordita.

“Sì, perfetto! Così non potrà venire ad uccidere tutta la mia famiglia! Lo precederò nell’azione!”

“Non fare sciocchezze, Soly! Potresti peggiorare di gran lunga le cose! Voldemort è forte! Se fosse tutto davvero così semplice, l’avresti potuto eliminare tempo fa! Prova a vedere nel futuro! ”

 

“Hai ragione…” le disse un attimo dopo.

“Cos’è accaduto?”

“E’ accaduto che io e Voldy ci siamo uccisi a vicenda, solo che i suoi seguaci si sono presi mia figlia e l’hanno allevata come una Mangiamorte, e quella li ha aiutati a fare sorgere di nuovo l’Oscuro Signore ed, insieme a lui, vi ha uccisi tutti!

Splendido, di male in peggio!                                               

Adesso ho anche una figlia dannata e assassina!” Gridò, mentre le lacrime ricominciavano a percorrere il suo viso.

 

Diamine, perché accadeva tutto quello? Proprio mentre pensava di essere finalmente felice, proprio mentre ormai era dell’idea che, in fondo, il Destino non fosse stato così crudele con lei… tutto il mondo le si rivoltava contro.

Forse… forse in fondo tutto ciò se lo meritava, perché lei apparteneva ad una stirpe maledetta. E sarebbe dovuta rimanere lontana da tutte quelle persone, non si sarebbe mai dovuta affezionare a nessuno, per il loro bene…

O, cavolo, ma che senso aveva pensare al passato e a quello che avrebbe dovuto fare ma che non aveva fatto? Il latte era versato oramai, e bisognava porvi rimedio.

Ma in che modo?!

Era distrutta… tutto ciò che vedeva ogni volta in quelle visioni la annientava dal profondo, le distruggeva il cuore.

 

“Solaria, io penso che tu non stia procedendo nel migliore dei modi.” Disse in quel momento la cugina. Il suo tono era deciso, sicuro, e riuscì a scuotere Solaria dal suo uragano di pensieri.

 “Cosa vuoi dire?!” Chiese l’interpellata, con la voce rotta dal pianto.

“Ti stai scordando qualcosa… qualche elemento importante che permane sempre nelle tue visioni. Anche nell’ultima. Un elemento che è la chiave di tutto. La causa della strage. Il motivo per cui tutto questo avverrà.

Avanti, prova a pensare: cos’è che si ripete?”

 

Solaria smise di camminare avanti e indietro nervosamente per la stanza, e, mordendosi un dito, iniziò a pensare a quale poteva essere il punto fisso.

“Il luogo forse?! La casa dei Potter?” Disse poi.

Ma Gardenia scosse la testa. “Non penso. Nell’ultima visione, dove tua figlia tradiva il suo stesso sangue, non eravate lì, o sbaglio?”

“No, infatti, eravamo nel castello dell’Oscuro…”

“Pensaci bene… un punto fisso…”

 

“Ci sono: in tutte le visioni il figlio di Lily non nasceva mai! Nell’ultima, Lily ha avuto un aborto per via del troppo dolore…”

“Ok, e questo è uno… Ma noi non lo possiamo evitare: è la conseguenza di qualcos’altro.”

“E’ vero… noi dobbiamo evitare anche l’aborto…

Diamine…

Un altro punto fisso…

Ecco! Mia figlia! In tutte le visioni mia figlia c’è sempre!”

“Anche lei, la sua essenza, la vita che condurrà, è una conseguenza di ciò che avverrà…

Un momento, ci sono: tu! Tu ci sei sempre nelle tue visioni!”

“Già, è vero… ma è anche logico: o no?!”

“No, non è logico! Tu devi stare lontano da loro! Così Voldemort eviterà di trovarci tutti assieme e ucciderci!”

“E’ vero!” Disse Solaria sorridendo e gettandosi fra le braccia della cugina. “Sei un genio, Gardy!”

“Ehehehe… adesso calmati… Soly…. Calmati! Mi strozzi…!” Esclamò la sacerdotessa allontanando delicatamente la donna da se.

“Ops, è vero! Scusami! Ma sai, è tutta la mattina che non faccio altro che vedere morti, e sapere che finalmente tutti quanti voi siete in salvo… Oh, è fantastico!”

 

Gardenia, sentendo ciò, abbassò lo sguardo. “Non per deluderti… ma non penso sia finita qui.”

“Perché no?” Chiese Solaria, stupita.

“E’ solo un presentimento Soly, niente di che…”

“Gardenia, tu ne sai molto più di futuro e di visioni di me: sei cresciuta in un mondo dove la preveggenza era cosa comune! Che cosa pensi, dunque?”

Gardenia sospirò, e continuando a non guardare la cugina negli occhi, disse: “Non stare insieme a loro è qualcosa di molto precario, Soly. Non possiamo considerarlo come un punto fermo. Capiterà prima o poi che proprio quel gruppo si riunisca di nuovo, e in quell’occasione ci sarà il rischio che Voldemort attacchi.

Siamo arrivati solo ad una condizione… Tenendo questa, saremo in grado di posticipare quasi infinitamente la disgrazia, ma non saremo in grado di evitarla. La nostra ricerca non è ancora finita. C’è ancora un elemento che presiede a tutto.

Pensaci bene Soly. Pensaci.

Perché hai avuto quel sogno? Avevi preso qualche decisione specifica? E’ accaduto qualcosa di particolare?”

 

A quelle parole, Solaria ebbe un sussulto, e i suoi occhi divennero inespressivi, mentre si rituffava in complicati pensieri.

“Avevo deciso di dare a tutti l’Anti Oblivius… Nella prima visione, tutti coloro che l’hanno bevuto sono morti, e Sirius, che invece ne aveva mandato giù solo una parte, è rimasto pazzo…”

 

Silenzio.

 

Gardenia si sollevò dal letto dove ancora era seduta e andò ad abbracciare la cugina.

“Penso che abbiamo trovato il nostro punto fermo, Solaria.

Ora, prova a vedere cosa accadrà. Perché, sono certa, Voldemort ha in ogni caso in mente di attaccare qualcuno di noi, anche se il suo piano andrà in fallimento.”

 

Solaria fece sì col capo, respingendo a malapena le lacrime che volevano a tutti i costi scivolare giù sul suo viso.

 

Certo, fino allora aveva sperato di poter essere ricordata dai suoi cari… e adesso era duro vedere le proprie speranze infrante.

Ma… era solo un desiderio egoistico… già…

E non doveva piangere per una cosa così sciocca…

Anche se era doloroso…

Ora, doveva pensare ai suoi cari. Come sempre del resto… doveva pensare solo agli altri, non a se stessa: lei non esisteva, lei era sempre e solo stata un burattino nelle mani dell’umanità. Lei era nata per morire, e pertanto il suo sacrificio non sarebbe nemmeno mai stato ricordato da qualcuno…

Ora doveva concentrarsi…

Sì, doveva pensare a ciò che sarebbe successo… e basta.

 

 

 

                                                                     

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** In attesa dei nascituri... ***


James era disperato

James era disperato. Era da tre ore di fronte a quella dannatissima stanza di rianimazione, e nessuno dei medimedici che entravano e uscivano in continuazione si decideva a rispondere alle sue domande.

 

Solaria, il viso stravolto dalla preoccupazione, arrivò al suo fianco poco dopo, insieme a Sirius e Gardenia.

“James!” Gridò la ragazza abbracciandolo, mentre Sirius gli dava una pacca sulla spalla.

Ramoso parve calmarsi un attimo, e il viso, che prima era rosso per l’ira, iniziò ad avere un colorito più normale.

Gli occhi, però, erano sempre uguali: sbarrati dalla preoccupazione, circondati da occhiaie e lucidi per la febbre che stava iniziando a salire.

“Vi giuro che se il prossimo non mi risponde gli mordo un braccio!” Disse, quando l’ennesimo medimedico passò davanti a lui ignorando bellamente le sue domande sulla salute di Lily.

“Da quanto sta lì?” Chiese Sirius, preoccupato anche lui.

“Tre ore. Dannazione, tre ore intere! E io non so nemmeno in che condizioni sia… Ehi.. ehi, tu! Come sta l’Auror Evans, mia moglie?!” Chiese, ad un vecchio medimago che stava uscendo dalla stanza con un taccuino in mano.

Quello però parve nemmeno averlo sentito, cosicché James, ormai completamente pazzo, lo afferrò per una manica e iniziò a mordergli il braccio, facendogli cadere il taccuino, i cui fogli si sparpagliarono per tutto il pavimento circostante.

E, mentre l’uomo gridava per lo spavento e Gardenia, Sirius e Solaria tentavano di calmare il loro amico, giunse nella sala l’unica persona che forse aveva il potere di rappacificare la situazione.

“James, il Medimedico sta facendo del suo meglio per aiutare Lily, non dovresti ringraziarlo in questa maniera…”

 

Tutti si immobilizzarono, guardando verso la direzione da cui proveniva quella vecchia e calda voce: il medimedico era ancora stravolto, James aveva ancora i denti ben sigillati attorno all’esile braccio dell’uomo, Sirius, Solaria e Gardenia tentavano invano di staccare il loro amico dalla morsa ferrea con cui teneva il povero uomo.

Silente si fece avanti, un tiepido sorriso sulle labbra, le mani dietro la schiena e la barba bianca che rifletteva in un leggero bagliore le immacolate luci del corridoio. 

James lasciò finalmente libero il vecchio medimedigo, il quale, con un facile incantesimo raccolse i suoi fogli e se ne andò via stizzito, borbottando qualcosa sulla maleducazione dei giovani d’oggi, mentre i tre amici continuavano a guardare Silente, felici che anche lui fosse giunto.

“Ha ragione… è solo che nessuno mi dice come sta la mia Lily, e… sto letteralmente perdendo il controllo.” Disse esasperato James.

“Questo l’avevo notato! – commentò il preside – Non preoccuparti per Lily, lei sta bene oramai.”

“Lei come fa a saperlo?” Chiese Solaria, corrugando la fronte.

“Ho parlato con il responsabile di questo reparto…” Mugugnò l’anziano uomo, massaggiandosi la barba proprio sotto il mento, e aspettandosi quella reazione che non tardò a venire…

“COSA?! PERCHE’ A LEI HANNO DATO NOTIZIE E A ME NO?!” Gridò James.

“Ehm… il medimedigo in questione, che mi ha dato notizie, è un mio vecchio amico nonché ex compagno di scuola… Ed è stato così gentile da perdere trenta secondi del suo preziosissimo tempo per spiegarmi le condizione della sua paziente.

Non prendertela, James: l’importante è che tutto sia a posto.”

“Ma io quello l’ammazzo… mi ha fatto diventare pazzo!… E’ tutta una questione di soldi, non è vero?! Mi hanno fatto impazzire apposta per ricoverarmi e spillarmi un sacco di soldi per le cure, non è vero?! Oh, Mondo corrotto! Lo sapevo io, lo sapevo! Questi con i disastri del caro Voldy ci campano! Siete tutti degli schifosissimi approfittatori, dovreste finire ad Azkaban per quello che fate! Mangiamorte travestiti da guaritori! Pfiu! Come se poi non si capisse quello che avete dentro…” Gridò infine James, proprio in faccia ad una giovane medimaga che passava velocemente di lì, la quale però lo ignorò completamente… scene del genere dovevano essere piuttosto usuali in quel reparto.

 

“L’hai finita, razza di idiota? Oppure vuoi che ti mettano una camicia di forza e ti rinchiudano veramente in una stanza imbottita?” Gli sibilò freddo Sirius, con gli occhi ridotti a fessure. Non era mai riuscito a sopportare James quando iniziava a dire sciocchezze su sciocchezze… gli incasinavano la testa tutto quel mare di frottole prive di senso. E adesso c’era andato giù pesante…

 

James sospirò, e fissò il suo migliore amico con gli occhi di un cucciolo bastonato. “Sirius, cosa diamine faresti tu al posto mio?! Mia moglie è lì dentro, e quando ce l’ho portata stava rischiando di perdere la vita, e con lei anche mio figlio… Mio figlio… Per Merlino! Mio figlio! Come sta mio figlio?!” Gridò di nuovo il ragazzo, mentre lo sguardo folle si riappropriava dei suoi occhi, ora rivolti verso Silente.

 

Ma, proprio mentre il vecchio preside apriva bocca per rispondere, la porta della stanza in cui Lily era ricoverata si aprì nuovamente, e un’anziana guaritrice, grassottella e con un dolce sguardo materno, si portò davanti a loro, guardando severa James.

“Lei è il signor Potter?” Chiese.

“Sì, sono io!” Rispose lui.

“Sua moglie sta meglio, le sue condizioni sono molto migliorate, oramai non è più in pericolo di vita. A dire il vero non lo è mai stata del tutto. Lo schiantesimo che… che Voi – Sapete – Chi le ha lanciato addosso ha solo provocato il suo svenimento.”

“E allora perché l’avete tenuta rinchiusa qua dentro per tre ore, senza che io potessi nemmeno avvicinarmi a lei?!”

“Perché ci sono stati dei problemi col bambino, signor Potter.” Rispose la donna, guardando il suo interlocutore dritto negli occhi.

 

Solaria, con una morsa allo stomaco, si avvicinò a James, e prima che lui potesse dire o fare qualunque cosa, chiese:

“Il bambino è salvo?!”

“Per ora sì… ci sono state complicazioni, e ho paura che continueranno ad esserci per i prossimi tre mesi almeno. Pertanto, la signora Potter verrà esentata dall’incarico di Auror e tenuta sotto stretta sorveglianza al reparto maternità di quest’ospedale, dove verrà trasferita a breve.”

“Grazie, Grazie, grazie! Vi adoro! Siete le persone più splendide di questo Mondo! Degli angeli in terra! Cosa faremo noi semplici esseri umani senza di voi?! Divini… siete divini! Dei santi! Grazie, grazie grazie!” Gridò James, mettendosi in ginocchio e innalzando le braccia verso la donnetta, che alzò gli occhi al cielo e iniziò ad andarsene, mentre il ragazzo continuava a gridare in sua direzione le parole più dolci e gli epiteti più nobili che riuscì a trovare nel suo esiguo repertorio mentale, fino a che Sirius, completamente esasperato, lo prese per il colletto della divisa da Auror che ancora indossava e lo trascinò nella stanza in cui stava riposando la moglie, seguito immediatamente da tutti gli altri.

 

Una volta dentro, si sedettero tutti intorno a Lily. Stava dormendo.

Sulla fronte era presente ancora un lieve taglio, accuratamente disinfettato dai guaritori: doveva esserselo fatto urtando qualcosa mentre veniva scagliata lontano dallo schiantesimo di Voldemort.

James le prese la mano, e rimase dieci minuti buoni in silenzio, guardandola in viso, sperando che si svegliasse da un momento all’altro.

 

“Silente… non la ho ancora ringraziata per averci salvato la vita da Voldemort. Per la seconda volta, per giunta…” Disse James, senza distogliere lo sguardo dalla moglie.

“Oh ragazzo, non devi ringraziare me: è stata Solaria ad avvertirmi.” Rispose l’anziano preside.

James, incuriosito, si voltò a guardare l’amica. “Lucciola, come facevi a saperlo? Hai avuto una visione?!”

 

“Sì… Vi ho visti mentre Riddle vi attaccava intanto che ritornavate con la scopa a casa, e così ho contattato velocemente Silente, prima che i fatti degenerassero. E, a quanto pare, ci sono riuscita.”

“Nella tua visione… noi… noi ce la facevamo a salvarci?” Chiese Ramoso, dopo un attimo di titubanza.

“Voi sì. Ma il bambino no… è per questo che credo che, nonostante il rischio che corra durante i prossimi tre mesi, vostro figlio si salverà e riuscirà a nascere.”

 

James sorrise, poi si alzò e si diresse verso la sua amica, gli occhi lucidi per la commozione. “Allora è te che devo ringraziare se diventerò padre.” Le disse, abbracciandola.

Lily sorrise, stringendosi forte all’amico. “Beh, sai com’è, volevo a tutti i costi che mia figlia avesse un compagno di giochi!”

 

“Cosa?!” Esclamò James, allontanando un poco da se l’amica e fissandola felice. “Anche tu aspetti un piccolo marmocchio, Lucciolina?!”

“E’ una marmocchia, James.” Commento Sirius, con orgoglio.

“Sapete già che è femmina?! Ma allora complimenti! Wow! E’ fantastico! Così se il mio bambino è un maschietto, potremmo anche combinare qualcosa!”

“Forse sarebbe meglio lasciare decidere loro, non credi?!” 

“Certo Felpato! Però, se ci mettiamo un poco lo zampino noi…”

“Guarda, ti posso assicurare che se tuo figlio avrà lo stesso numero di neuroni di tua moglie, sarò felice di aiutarti in quest’impresa!” Risolse Sirius, sorridendo all’amico, che invece lo guardò incerto.

“Non so perché, ma non mi pare proprio un complimento questo…”

 

“Certamente non lo era per te… Però è il primo complimento che Mister Felpato mi rivolge: dovrei iniziare a preoccuparmi?!” Disse una leggera voce femminile.

Tutti quanti, contemporaneamente, si voltarono verso il lettino, dove una Lily sorridente li fissava, gli occhi ancora semi chiusi per la stanchezza.

James si fiondò immediatamente su di lei, prendendole la mano e baciandogliela in continuazione, senza mai smettere di chiederle come stava, come si sentiva, se qualcosa non andava…

“Se non calmi questa parlantina penso che il mal di testa mi verrà ora, James…” Lo interruppe lei, continuando a sorridergli. “Sto bene adesso, non preoccuparti!”

“I dottori dicono che devi stare a riposo qui in ospedale, nel reparto maternità, per tre mesi. Abbiamo rischiato di perdere il bambino, Lily.”

“Sì, me lo sono immaginata… Ma, tu come stai? E chi è che ci ha portato in salvo?!”

“Sto bene, giusto qualche graffio… è venuto Silente, lo aveva avvertito Solaria perché sapeva già cosa sarebbe accaduto: sai, le sue visioni…

Però scusa, com’è, non credevi che forse fossi stato io a cacciare quel mostriciattolo e portarti in salvo?!”

“Non per offenderti, James: ma né io né te siamo in grado di competere con Voldemort, nemmeno se uniamo le nostre forze. E dovresti già saperlo, non era la prima volta che ci scontravamo con lui.”

“Mmm, va bene, per questa volta mi hai convinto, donna di poca fede… Sai che anche Soly aspetta una bambina?!“

 

“Davvero?! Soly! Non mi avevi detto nulla!”

“Beh, aspettavo il momento più opportuno… l’ho detto solo a Sirius, questa mattina…” Rispose l’interpellata.

“Sai già quando nascerà?”

“Secondo i miei calcoli, dovrebbe nascere verso l’ultima settimana di maggio.”

“Il nostro invece nascerà a luglio…”

“E dobbiamo ancora decidere il nome! Voi l’avete già scelto?” Disse James.

“Sì, certo: Sirius la vuole chiamare Selene.”

“E noi come lo chiamiamo, Lily? Che ne dici di Gustavo? Florenzo? Arnoldo? Poseidone?!”

 

Lily fece una faccia schifata. “Ma da dove li togli fuori questi obbrobri?! Mio figlio non avrà mai un nome del genere, James Potter, mettitelo bene in testa! A parte che non sappiamo ancora se sia maschio o femmina…”

“Certo che è maschio.”

“E perché?”

“Perché, modestamente, sono troppo virile per non avere un figlio maschio…”

 

A quelle parole, Silente scoppiò a ridere, e insieme a lui anche Gardenia. Solaria e Sirius si trattennero a malapena, mentre Lily, completamente rossa in viso, fissava il marito divertita.

“Che c’è da ridere?! E’ la verità!” Borbottò James, piuttosto contrariato da quella reazione. “Siete solo gelosi, soprattutto tu, Sirius!”

“No, a me va benissimo una bambina!”

“Se se, frase di circostanza, non vuoi ammettere la mia superiorità in campo! Anche ad Hogwarts ero io il Malandrino più prolifico!”

“Peccato che però tutti i tuoi piani erotici fossero troncati dalla Evans!” Sbottò Sirius, scoppiando a ridere.

“James, ti conviene chiudere la bocca prima di passare MOLTI guai!” Sibilò Lily, guardando biecamente il marito.

 

“Già… e penso che dovrò aumentare i controlli nelle varie Case, la notte…” Commentò Silente, massaggiandosi la barba sul mento.

 

“Poveri ragazzi, non potranno più divertirsi!” Disse James. Poi, cambiando improvvisamente discorso, aggiunse: “Che ne dici se lo chiamiamo James in mio onore il piccolo?!”

“Al massimo lo chiamiamo Lilium, in mio onore, dato che la fatica la faccio tutta io…”

“Ma non è vero tesoro, io ci metto il sostegno morale!”

“E io tutto il resto!”

 

“Che ne dite di Harry?”

 

Tutti si voltarono verso Gardenia, che fino ad allora era rimasta muta, seduta vicino a Silente. La ragazza subito arrossì e abbassò il volto, pentendosi di aver aperto bocca. Lily, invece, sorrise. “Harry mi piace. E, se è una bambina, potremmo sempre chiamarla Harriet, è molto grazioso.”

 

 

 

Il periodo successivo a quest’evento fu, per Sirius e James, il più stancante che avessero mai vissuto.

Sopportare le loro moglie in pieno bombardamento ormonale si rivelò molto più difficile di quanto avessero immaginato. Soprattutto per Sirius… Se James aveva a che fare solamente con una donna nevrotica che andava in escandescenza due o tre volte al giorno, il povero Felpato invece doveva badare ad una vera e propria pazza! Non passava giorno che la giovane Nimbus non facesse qualche acuta osservazione verso il marito, rimproverandogli questo o quello, o accusandolo di cose in cui lui purtroppo non centrava nulla (come, ad esempio, perché piovesse e non facesse invece bel tempo. Sirius aveva tentato di dirle che in inverno è molto difficile che in Inghilterra compaia il sole, e lei aveva risposto dicendogli che era colpa sua perché quella mattina non le aveva fatto il caffè… Naturalmente Sirius aveva provato ad obbiettare dicendo che il caffè faceva male alle donne incinte, e che la sua osservazione non centrava nulla con quello che stavano dicendo precedentemente… e Solaria lo aveva buttato fuori di casa urlandogli contro che le faceva venire mal di testa con tutte quelle frottole…).

Dopo i primi tre mesi di ricovero, superati i rischi di aborto, Lily era stata portata a casa sua: per evitare che rimanesse da sola, Solaria spesso andava a trovarla, insieme a Gardenia. E quando non ce la faceva perché il pancione troppo pesante la stancava, era la sacerdotessa a fare le sue visite quotidiane curandosi poi di controllare anche la salute del bambino.

Verso il quinto mese di gravidanza Gardenia aveva anche aiutato i Potter a fare un piccolo incantesimo per sapere il sesso del nascituro.

E non vi dico la gioia e l’orgoglio di James quando vennero a conoscenza che avrebbero davvero avuto un figlio maschio!

Naturalmente però, per il fatto del nome, Lily rimaneva sempre ottusamente ferma sulla sua scelta: Harry. Ma siccome James voleva per forza avere un qualche merito in questa faccenda, alla fine la signora Potter si ammorbidì e gli concesse, come secondo nome per il bambino, James.

Harry James Potter. Suonava bene, no?

 

 

 

 

Era stato deciso che per il parto Solaria e Gardenia si sarebbero trasferite ad Avalon, per evitare troppe complicazioni. L’idea di ritornare là però non piaceva affatto alla Nimbus. Aveva tentato di opporsi, ma Sirius e Gardenia, e perfino Silente (che centrava lui? Continuava a chiedersi…) erano più che decisi a farla partorire ad Avalon, anche se fossero stati costretti a portarcela con la forza.

In fondo, era soprattutto per il suo bene che lo facevano: la bambina le avrebbe succhiato via tutte le energie, e dunque avrebbe avuto il bisogno di tutta la magia possibile, nonché dell’aiuto della Dea.

 

Oramai era giunto Aprile, con le sue piogge leggere che portavano la primavera.

Solaria, rinchiusa in casa, era più nervosa che mai, soprattutto perché non poteva muoversi, essendo il pancione troppo grande e pesante (secondo Gardenia anche piuttosto preoccupante) ed in più era basso e le causava spesso dolori.

Così era costretta a rimanersene tutto il giorno a letto o sulla poltrona del soggiorno, guardando la televisione che Sirius le aveva comprato in un negozio babbano a Londra per tenerla buona.

 

“Sirius, sei andato a letto con altre donne mentre io ero ad Avalon?!” Chiese un mattino Solaria al marito. Si stava annoiando più del solito, alla tivù non c’era nulla da fare e Felpato era comodamente seduto nel divano davanti a lei leggendo la Gazzetta del profeta, in attesa che gli arrivasse qualche chiamata dalla Sede Centrale degli Auror.

Almeno così poteva smuovere un po’ la situazione…

 

Il giovane uomo alzò lentamente gli occhi dal giornale, lanciando uno sguardo allibito alla moglie, mentre Gardenia, capito che stava iniziando uno dei soliti dibattiti insensati, se la filava in camera sua per evitare di essere coinvolta.

“No Soly.” Le rispose semplicemente. Rimase a guardarla ancora un po’, e visto che pareva che fosse finito tutto lì, riprese a leggersi la Gazzetta.

 

“Nemmeno con uomini?” Chiese un attimo dopo Solaria.

 

Sirius alzò di nuovo gli occhi, tentando di trattenere la calma che purtroppo gli stava fuggendo via… Doveva saperlo che quella prima domanda avrebbe avuto un continuo poco simpatico…

“No Soly! Come ti saltano in mente certe cose?!”

“Beh, che ne so: magari non volevi andare a letto con altre donne per non tradirmi, e così hai pensato che una notte con un uomo non si potesse definire tradimento…”

“Mi dispiace ma non ho mai fatto ragionamenti del genere! E tu invece?!”

“Io cosa?!”

“Sei andata a letto con altri uomini?”

“No!”

“E con altre donne?!”

“Ma lo sai che sei uno schifoso pervertito?! Ma come ti vengono in mente certe cose?! Sirius Black, non mi aspettavo una domanda del genere da te! E tu dovresti essere un futuro padre?! Se non ti decidi a cambiare, te lo scordi che io ti permetta di educare nostra figlia!”

 

“Cosa?! Ti ricordo che hai iniziato tu a fare domande assurde!” Gridò Felpato, non riuscendo più a trattenersi.

“A sì, e cosa ti avrei chiesto?”

“Come cosa?! Se ti avevo tradito con altre donne o con degli uomini!”

“Dalla mia bocca non sono mai uscite parole del genere! Sei un bugiardo spudorato!” Sbottò lei, girando la faccia con fare offeso e iniziando a mordicchiarsi le unghie.

 

Sirius sospirò più volte, cercando di riprendere l’autocontrollo. Calmo, doveva stare calmo… la moglie era una pazza scatenata, non doveva dare peso alle sue parole…

 

“Voglio un caffè.”

“Il caffè ti fa male, Soly.”

“Dì pure che non hai voglia di farmelo, invece che nasconderti dietro queste banali scuse!”

“Solaria il caffè sono anche pronto a fartelo, ma tanto non te lo lascio bere perché fa male alla bambina!”

“Pfiu, fa male un corno: anche lei ne vuole…”

“Non dire sciocchezze…”

“Sì! La sento! Io e tua figlia abbiamo un ottimo rapporto, e siamo d’accordo nel dire che tu sei un vero idiota.”

 

“Ah sì?”

“Proprio così.”

“Allora incomincia a dire a tua figlia che ha già due mesi di punizione da scontare.”

“Sei un ingiusto!”

“No no, sono giustissimo! Lei mi ha insultato!”

“Lei non ha fatto proprio niente!”

“Sei tu che l’hai detto!”

“Ah sì? E tu ti fidi di tutto quello che ti dice il primo pinco pallino che capita?!”

“Mi sono fidato di te, non del primo pinco pallino che…”

“…fa lo stesso…”

“Allora non devo dare più peso alle tue parole?!”

“Ma come ti permetti? Il fatto che io sia tua moglie non significa che tu abbia diritto di vita o di morte su di me! Tu non mi puoi controllare! Non siamo mica più nel Medioevo, caspita…

Ma guarda un po’ se dovevo sposarmi proprio un despota stupido e ottuso…”

“Io non ho detto nulla del genere, hai fatto tutto da sola…”

“Ah, è così? Ora dai tutte le colpe a me? Quando invece… Oh…

Oh caspita…” Disse la ragazza, tenendosi una mano sul ventre e rizzando la schiena contro la poltrona.

 

“…”

 

“Soly?!… Che c’è?”

 

“Sirius…”

“Sì?!” Disse il ragazzo, mollando da una parte il giornale e avvicinandosi alla moglie.

“Mi si sono rotte le acque…”

 

 

 

Inutile descrivere lo spavento in cui quella notizia gettò Sirius e Gardenia: a quanto pare la bambina sarebbe nata un mese prima del previsto, senza nessun preavviso per giunta, e questo impediva loro di spostarsi ad Avalon, dove sarebbero arrivati troppo tardi.

L’unica scelta era dunque fare nascere Selene al San Mungo, sperando che la Dea la proteggesse lo stesso e soprattutto aiutasse la madre a superare le doglie del parto.

 

Si smaterializzarono in fretta lì, e un infermiere, viste le condizioni di Solaria, li indirizzò immediatamente nel reparto maternità.

Quando vi arrivarono, a causa dei dolori troppo forti e delle visioni che giungevano incontrastate alla sua mente priva di difese, Solaria perse i sensi.

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Finalmente sono nati... ***


Era da più di tre mesi che Solaria era rinchiusa in quella stanza d’ospedale

 

 

Era da più di tre mesi che Solaria era rinchiusa in quella stanza d’ospedale.

Subito dopo il difficoltoso parto, avvenuto con tecniche magiche a causa dello stato d’incoscienza della giovane donna, i medimedici l’avevano portata nel reparto di rianimazione, le avevano messo una flebo e l’avevano attaccata ad una macchina che le permetteva di respirare: le sue funzioni vitali erano ai livelli minimi, e probabilmente, se non avessero agito in quel modo, sarebbe morta.

Sirius le era stato accanto ogni singolo istante, assieme a Gardenia. Molto spesso, quasi ogni pomeriggio, veniva anche a trovarli Remus, non appena aveva concluso le lezioni di Difesa Contro le Arti Oscure ad Hogwarts, e con lui qualche volta portava anche la piccola Tonks, che riusciva sempre a risollevare il morale a tutti… o a fare perdere definitivamente le staffe a Sirius, combinando uno dei suoi soliti, involontari, pasticci, e permettendogli comunque così di sfogare tutta la sua frustrazione…(N.d.A.: povera Tonks…per fortuna ha un animo d’acciaio!)

Anche James, quando poteva, veniva a trovarli: ma non era facile per lui ritagliare uno sprazzo di tempo libero, preso com’era dal lavoro (mancando un Auror dal servizio, gli altri dovevano lavorare di più) e dalla moglie, che si avvicinava sempre più al parto e diveniva pertanto ogni giorno più nervosa e irascibile.

 

Nelle ultime settimane però c’erano stati dei miglioramenti. La febbre, che aveva devastato Solaria per tutto quel tempo, era scomparsa, e l’attività del suo organismo era tornata a livelli normali, tanto che i medimedici, ottimisti, l’avevano perfino staccata dal respiratore e avevano assicurato Sirius che, entro pochi giorni, finalmente la moglie si sarebbe risvegliata e sarebbe tornata come nuova, grazie soprattutto a tutte le pozioni ricostituenti che le avevano somministrato.

 

 

Gardenia, seduta al capezzale di Solaria, accarezzò con dolcezza i capelli della cugina, che sembrava dormire di un sonno beato.

Quando finalmente si sarebbe risvegliata, avrebbero dovuto parlare di molte novità… la maggior parte delle quali probabilmente l’avrebbero sorpresa parecchio. Altre, invece, l’avrebbero semplicemente fatta sorridere.

Come, ad esempio, la nascita del figlio di Lily un paio di settimane prima, uno splendido bambino dai grandi occhioni verdi, che guardava con curiosità tutto ciò che gli stava accanto.

Harry James Potter.

Il bambino che non sarebbe dovuto nascere ma, che grazie a Solaria, era comunque riuscito a venire al mondo sconfiggendo il duro destino.

A questo pensiero la giovane sacerdotessa sorrise amaramente: solitamente coloro che illudevano i piani che il destino aveva in serbo per loro, poi venivano tartassati da esso per tutto il resto della loro vita.

 

Un sospiro la fece voltare, e i suoi occhi ricaddero sull’uomo seduto ai piedi del letto, che teneva le mani strette intorno alla testa con aria distrutta.

Sirius.

Come soffriva quel ragazzo.

Era rimasto al capezzale della moglie, ininterrottamente, per quei tre mesi, dormendo sì e no due ore al giorno, tant’è che i medimedici di quel reparto si erano preoccupati tantissimo. Ma nemmeno i consigli e le proteste di questi esperti erano valse a farlo riposare un attimo, a staccare per più di qualche ora lo sguardo dalla moglie.

Aveva accettato di dormire solamente quando le condizioni di Solaria erano migliorate, ossia poche settimane prima, e questo gli aveva giovato parecchio, anche se gli occhi tristi, la barba incolta ormai da tempo, i capelli in disordine e gli abiti trasandati non gli davano certamente un aspetto florido.

 

“Sirius, avanti, vai a dormire. Sei sveglio dalle quattro del mattino, e ora sono le undici di notte. E’ meglio che ti riposi un poco anche tu… anche perché, se Solaria quando si risveglia ti trova così, non oso immaginare cosa tutto ti dirà!” Aggiunse poi, con tono ironico.

Sirius sollevò il capo dalle mani, e le sorrise. “Non vedo l’ora che lo faccia… non sopporto vederla in queste condizioni. Mi ricorda troppo…” Non finì la frase, portandosi una mano sugli occhi con fare disperato. Gli ricordava troppo quando Solaria era entrata in stato catatonico per quasi un anno… quando era diventata una sorta di bambola di porcellana, seduta su quel letto d’oro, con quegli occhi vuoti che fissavano tutto ma in realtà nulla.

Una tortura per il suo cuore.

 

Gardenia sospirò: così non andava, in queste condizioni Sirius avrebbe passato di nuovo una notte insonne.

Con calma la Grande sacerdotessa di Avalon si alzò dalla sedia su cui era seduta, dirigendosi lentamente verso il marito di sua cugina. Una volta al suo fianco, gli poggiò una mano sulla spalla, sussurrando contemporaneamente, con la sua dolce voce, parole in runico, l’antica lingua scritta attraverso geroglifici di cui ancora Avalon si serviva.

Subito Sirius si accasciò sul letto ai piedi di Solaria, colto da un improvviso e profondo sonno.

Gardenia sorrise. Dormi Sirius, e riposa il tuo cuore. Presto la tua sposa tornerà da te.

 

Uscì dalla stanza: era ora di andare a visitare qualcuno…

Appena mise piede fuori dalla porta però, i suoi occhi incontrarono quelli dorati di una figura che si apprestava ad avvicinarsi proprio alla sua stanza. Un uomo giovane, dai capelli biondicci e il viso dolce, vestito in maniera molto semplice.

Gli sorrise.

Anche oggi Remus era venuto, seppure più tardi del solito.

“Buonasera Gardenia.” Le disse il ragazzo, sorridendole lievemente.

“Buonasera Remus. Come stai?”

“Bene, ti ringrazio… anche se ho avuto una giornataccia. Alcuni studenti sono usciti dalle loro stanze oltre l’orario del coprifuoco e sono stati scoperti dal custode, così sono stato richiamato dal Preside, giacché uno di questi piccoli delinquenti era Tonks!”

“Ormai sei divenuto l’angelo custode della cugina di Sirius!”

“Più che altro sono l’unico a cui da ascolto… Ma, tornando a noi: come stanno? Solaria è al solito?”

“Migliora a vista d’occhio.”

“E Sirius?” Chiese Remus, con un po’ d’apprensione. “Immagino che lui peggiori a vista d’occhio, invece…”

Gardenia sospirò, e rivolse all’uomo un piccolo sorriso. “Ora dorme. Lo ho fatto addormentare io con un piccolo incantesimo. Solaria si sta per risvegliare, e voglio che quando accada, Sirius stia bene.”

Remus assentì col capo, e abbassò lo sguardo, immerso nei suoi pensieri. “Allora penso che non entrerò a salutarlo... non voglio disturbarlo.” Mugugnò poi.

Gardenia rimase a guardarlo, mentre lui era indeciso sul da farsi. In quell’ultimo periodo erano entrati in stretto contatto, tanto che ora riusciva a tollerare la sua presenza senza sentirsi in imbarazzo. Aveva capito che era un bravo ragazzo, molto dolce, che voleva un bene dell’anima ai suoi amici. Niente in lui faceva presagire che una volta al mese, con la luna piena, se non avesse avuto la sua miracolosa pillola si sarebbe trasformato in licantropo, in un orrendo mostro dalla natura violenta, assetato di sangue e di carne viva.

Incredibile come le due facce di una stessa medaglia potessero essere così differenti.

 

“Se vuoi, puoi venire con me al reparto maternità. Dovrebbe essere l’ora della poppata notturna.” Consigliò Gardenia, e Remus alzò il capo, sorridendole e assentendo.

“Andiamo a vedere i marmocchi!” Disse poi, con un sorriso in volto.

 

 

 

“Posso farti una domanda? E’ da tempo che questa idea mi gira per la testa e…” Chiese Remus, con voce titubante, mentre camminavano per i corridoi diretti al reparto maternità.

“Certo Remus.” Rispose immediatamente lei, tranquilla.

“Ecco… ho scorto da parecchio tempo il simbolo che tu hai in mezzo alla fronte, e… e poi, quella notte, hai sposato Sirius e Solaria nelle acque del lago di Hogwarts. Senza contare che conosci bene gli elementi della natura, e quasi sembra che tu la domini…”

Gardenia sorrise. “Cosa mi vuoi chiedere?”

“Non voglio essere scortese…”

“Non lo sei, infatti. Solaria è stata costretta a tacere per motivi superiori, ma se tu hai capito, sono lieta di spiegarti.” Disse Gardenia, bloccandosi in mezzo al corridoio e guardandolo negli occhi.

“Sei una sacerdotessa di Avalon?”Chiese subito il ragazzo, con uno strano nervosismo evidente sia nel suo tono di voce che nel suo sguardo.

“Sì. Sono la Grande Sacerdotessa della Dea Madre, la Dama del Lago di Avalon.”

Remus rilasciò con uno strano senso di sollievo il respiro che fino ad allora aveva trattenuto. “Ma, se tu sei qua… significa che voi sacerdotesse avete deciso di aiutare il nostro mondo con le vostre visioni?”

Gardenia rimase in silenzio, guardando i suoi occhi come se volesse vedervi dentro il suo stesso spirito. “Tu ci odiavi, non è vero? Tu odiavi il nostro Ordine.” Disse poi.

Remus si portò una mano ai capelli, nervosamente. “Io... io non potevo soffrire che delle persone, che avevano il potere di evitare tante disgrazie, lasciassero volontariamente morire tanta gente. Fin da bambino, da quando ho saputo dell’esistenza di Avalon e delle sibille e veggenti che vi vivevano, ho odiato questo loro comportamento… Pensavo sempre che…”

“…che…?” Chiese Gardenia, con un sorriso bonario sulle labbra, che incoraggiò Remus ad andare avanti.

“Che se qualcuno… fosse intervenuto… quella notte… io …

…io non sarei un licantropo…

…e i miei genitori sarebbero ancora vivi.” Abbassò subito lo sguardo, mentre il dolore di quei ricordi si riappropriava del suo animo.

 

Gardenia, timidamente, gli prese una mano, e la strinse nella sua, mentre con l’altra alzava delicatamente il viso del giovane uomo, costringendolo a guardarla nei suoi begli occhi azzurri.

“Il mio Ordine era da tempo amministrato da donne che condividevano l’idea che, essendo il mondo esterno sempre più corroso dalla malvagità, non si meritava il nostro aiuto. Così si limitavano ad adorare la Dea, rinchiuse nell’isola sacra, subendo le terribili visioni di futuri catastrofici e lasciando che esse divenissero realtà.

Non capivano che, se avessero fatto ciò per cui erano nate, il mondo che loro tanto criticavano sarebbe anche potuto migliorare…

Sì Remus… mi dispiace dirti che, se le mie antenate avessero eseguito davvero i loro compiti, tu probabilmente ora saresti un semplice mago, e la tua famiglia sarebbe ancora viva.

Tante disgrazie si sarebbero potute evitare.

Ma… mi duole affermarlo… non serve a niente guardare il passato con rimpianto.

Esso non può essere modificato.

Io, come Solaria e tutte coloro che condividono il nostro dono, possiamo solamente modificare il futuro.

E ti posso assicurare che farò di tutto affinché, nell’avvenire, non accada mai più nulla del genere. Non riusciremo magari a riparare i danni che col passare del tempo si sono accumulati… ma faremo del nostro meglio per evitare che nuovi compaiano.

Solaria in primis. Solaria darà la vita per tutti noi. Lei pagherà il prezzo dell’errore di Avalon.”

 

Remus la fissava, gli occhi sbarrati dalla tristezza. “Allora è vero quello che lessi nella biblioteca proibita di Hogwarts riguardo le veggenti… Solaria morirà e nessuno si ricorderà di lei?!”

Gli occhi della sacerdotessa si riempirono di lacrime. “Forse… forse Remus, forse… nessuno sa con esattezza come andranno le cose… nemmeno il Destino.

E ti prego, non raccontare nulla di tutto ciò agli altri: soffrirebbero troppo. E Solaria non vuole.”

“Va… va bene.”

 

Ripresero a camminare, mano nella mano, in silenzio, dirigendosi quasi meccanicamente verso la loro meta.

Quando vi arrivarono, e videro dietro quel grande muro di vetro del Reparto maternità tutti i bambini accoccolati nelle loro culle, che dormivano dopo il meritato pasto, non poterono fare a meno che sorridere.

“Lotteremo per loro.” Disse Gardenia, poggiando la testa sulla spalla di Remus. “Sperando che ciascuno di loro possa vivere la propria vita.”

“La bimba avrà il dono di Solaria?”

“Probabilmente sì… il dono può essere trasmesso solo alle figlie femmine… o almeno, sono rari i casi in cui i maschi diventano veggenti.”

“Lei… soffrirà?”

Gardenia sospirò. “E’ molto probabile Remus… è molto probabile che la sua vita sarà più difficile di quella della madre. Soprattutto… soprattutto perché sarà sola.”

 

“Non sarà sola, Gardenia. Non sarà sola. E lo puoi vedere bene anche tu.”

 

I due ragazzi rivolsero lo sguardo verso una culla in fondo alla stanza.

Al suo interno, avvolta in una coperta rosa, stava una bambina con una folta chioma nera.

Dormiva.

Al suo fianco, vispo, e sorridente, si trovava un bambino, con la copertina celeste arrotolata ai suoi piedi. Rideva allegramente, battendo le manine davanti a se, e guardando con i suoi lucenti occhi color dell’ambra un’infermiera che, attirata dalla sua vivacità, gli si era accostata.

 

 

 

 

Sirius iniziò a sbattere le ciglia… cavoli, si era addormentato, e non se ne era nemmeno reso conto.

Si passò una mano in faccia… ci doveva essere qualcosa, forse una mosca, che gli stava in continuazione punzecchiando il viso: proprio un bel risveglio, non c’è che dire.

Chiuse gli occhi e aprì la bocca per respirare, portando le braccia dietro al collo per stiracchiarsi: certamente non aveva dormito in una posizione comodo, aveva la schiena a pezzi…

 

“Cof cof…”

 

Iniziò a tossire. Mentre stava sbadigliando, qualcosa… qualcosa di grosso… era volato dentro la bocca, e ci mancava poco che lo soffocasse!

Si infilò una mano in bocca, con gli occhi che continuavano a lacrimare, e ne tolse fuori… beh ecco… era un aeroplanino di carta… piccolo piccolo e fatto davvero male…

Una risata lo costrinse ad alzare lo sguardo.

E rimase del tutto basito quando vide Solaria, bella pimpante, dondolarsi sul letto con le gambe incrociate, presa da una vera e propria crisi d’ilarità.

 

“Avresti dovuto vedere la faccia che hai fatto! Sembravi un TUCANO!” Disse poi, continuando a ridere come una pazza.

 

Sirius non perse altro tempo, si alzò di scatto dalla sedia su cui si era addormentato quella notte e si gettò letteralmente sopra la moglie, stringendola in un caldo abbraccio.

Solaria smise subito di ridere, e con un sorriso felice si godette quella calda e affettuosa stretta, che da tanto ormai non sentiva più attorno al suo corpo.

 

“Mi sei mancato…” Gli disse lei. “Ti sentivo. Sentivo che eri vicino a me, ma non riuscivo a raggiungerti. Mi spiace averti fatto soffrire un’altra volta così tanto.”

Sirius la scostò un poco da se, il tanto giusto per poterla guardare negli occhi, tuffandosi poi con estremo ardore a baciare le sue grandi labbra rosse.

Poco dopo Solaria si scostò, mettendosi a ridere. “La tua barba mi fa il solletico!” Spiegò poi, guardandolo divertita.

Anche Sirius sorrise, accarezzandole quelle guance tonde e rubiconde, che tanto la facevano assomigliare ancora ad una bambina.

“Non riuscivo ad allontanarmi da te…” Commentò lui.

“Mi dispiace, davvero… se fossi stata più attenta e avessi dato ascolto a Gardenia, permettendole di controllare lo stato della gravidanza, tutto questo non sarebbe successo.”

“Non importa Soly… non importa. Ora voglio solo averti vicino.” Rispose il ragazzo, stringendola di nuovo a se. “Anche se hai tentato di ammazzarmi!” Aggiunse poi, sorridendole.

La giovane donna scoppiò subito di nuovo a ridere. “Mi sono svegliata e non sapevo che fare! Così, dopo che la medimaga mi ha tolto la flebo, mi sono messa a guardarti sperando che ti alzassi in fretta.

Ma tu non ti sbrigavi e così ho iniziato a fare dei mostriciattoli con la pergamena che ho trovato qua vicino, e te li ho tirati addosso!”

“Me li hai…” Sirius si voltò, guardando il posto in cui prima era seduto.

Tutta l’estremità del letto, nonché lo spazio intorno ad esso e intorno alla sedia su cui si era addormentato, era letteralmente ricoperto da un mare di animaletti di pergamena.

Ecco cos’erano quei pizzichi fastidiosi che l’avevano svegliato… altro che mosche!

Non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere a lacrime, per le pazze idee che venivano alla moglie e anche per la felicità di riaverla di nuovo al suo fianco, viva e allegra.

“Ehi, che c’è da ridere?!” Chiese questa, facendo finta di essersi offesa.

“Sei assurda, Soly!”

“Senti chi parla… ti posso dire che sembri davvero un orso?”

“No.”

“Va bene, allora non te lo dico. – assentì lei, tranquillamente. Tanto l’aveva già detto…- Però mi spieghi tu dov’è finito il mio ripieno?” Sbottò poi, guardando interrogamene il marito, che per tutta risposta la fissò con la sua stessa espressione

Solaria sbuffò. “Ma sì, Sirius! Possibile che tu non capisca mai nulla? Te lo ricordi che per otto mesi interi avevo una pancia gigantesca?”

“Già, sembravi una palla…”

“Magari fossi stata una palla! Almeno per muovermi mi sarebbe bastato rotolare… No, comunque: dov’è il mio ripieno?”

“Non è un bel modo per chiamare i tuoi figli!”

“Vabbè, dov’è la marmocchia?”

 

La porta si aprì, e una giovane infermiera si affacciò, con un piccolo involucro di coperte in mano. Sirius sorrise e, alzandosi dal letto, ringraziò la donna e le prese il pacco dalle mani.

“L’altra arriva subito. Ce l’ha la signorina Gardenia.” Disse l’infermiera, prima di andarsene.

 

Sirius si avvicinò al letto, tenendo fissi gli occhi, incredibilmente dolci, sull’involucro che teneva in mano, da cui si iniziavano a sentire provenire risate divertite.

Poi passò il piccolo pacco a Solaria, che lo guardava con un sorriso sulle labbra e gli occhi scintillanti per la commozione.

 

Appena lo vide, il sorriso si allargò ancora di più. Le erano sempre piaciuti i bambini! E quello era così tenero…

Aveva grandi occhi color ambra, un incredibile ciuffo biondo sulla testa e pelle d’albicocca. Senza contare che era così dolce mentre sorrideva con quella sua sottile bocca sdentata e portava le manine in avanti, tentando di toccare il viso di Solaria, che si divertiva a farlo ridere facendo delle incredibili boccacce.

 

 “Che tesoro! Chi è?!” Chiese, guardando il marito con sincerità.

Sirius si leccò le labbra, divertito. “E’ nostro figlio.” Disse poi, con gli occhi scintillanti per la felicità.

 

Solaria lo fissò stranita. “Cosa?!” Gridò poi.

“Hai avuto due gemelli, Soly! Non dirmi che non lo sapevi, perché lo ho capito che volevi farmi una sorpresa!- disse Sirius, avvicinandosi a lei- e devo dire che è stata davvero ben accetta!” Aggiunse il ragazzo, coinvolgendo la moglie in un bacio passionale.

Ma Solaria, ancora molto scossa dalla novità, non rispose per niente al gentile ringraziamento del marito; anzi, si staccò poco dopo e riprese a guardare il bambino che teneva in braccio con la bocca aperta e gli occhi spalancati per lo stupore.

Si voltò infine da Sirius, che la fissava con un sopracciglio alzato, e fece una risatina isterica.

 

Subito dopo la porta si aprì, ed entrò nella stanza Gardenia, che teneva in mano un altro fagotto. Non appena vide la cugina sveglia, e soprattutto, l’espressione che aveva sul volto mentre teneva il bambino in mano, le si avvicinò con un sorriso sulle labbra.

“Soly! Come stai?!” Le chiese, dolce.

 

“L’hai visto questo?!” Chiese invece la ragazza indicando il bambino che continuava a ridere.

“Certo che l’ho visto! E ho visto anche lei!” Disse Gardenia, sedendosi al suo fianco e mostrandole il piccolo contenuto del suo involucro.

Era una bambina… una bellissima bambina, dalla pelle rosata e i grandi occhi grigi, che la fissavano curiosi mentre la piccola si assaporava le ditina della mano infilandole nella grande bocca rossa a cuore.

Sulla fronte, poi, erano disegnate due volute di lacrime nere, che partendo dal centro si diramavano all’esterno, dando maggiore profondità a quello sguardo metallico: era il simbolo delle future sacerdotesse di Avalon, o perlomeno, di coloro che avrebbero potuto diventare dame del Lago.

Tutte le bambine nate da un matrimonio benedetto dalla Dea avevano quel simbolo.

“E già… lei l’avevo vista anche io…” Commentò Soly, mentre un sorriso le compariva sulle labbra. “La piccola Selene… mamma mia quant’è bella il mio tesorino!” Disse, avvicinandosi alla bimba e schioccandole un sonoro bacio sulla guancia.

Poi ritornò a guardare il bambino, prendendolo sotto le ascelle e portandolo davanti ai suoi occhi.

Rimase in silenzio per un po’, mentre Gardenia e Sirius la fissavano interrogativamente, poi scosse la testa.

“No, non va bene! Anche lui è tutto a suo padre!” Disse poi.

“Ma non è vero! Guarda, è biondo come te! E ha il colore dei tuoi occhi… senza contare che anche la pelle è uguale alla tua, io non ce l’ho così scura!” Disse subito Sirius, prendendole il bambino dalle mani e tenendolo sul suo grembo.

“Sì, ma ha i tuoi lineamenti! Guarda, ha le tue labbra invisibili, e il visino, sono certa, è proprio il tuo! Soprattutto il naso…”

“Ah sì, per fortuna anche Selene ha il naso uguale al mio! Ci mancherebbe altro che fossero nati col tuo naso a patata…”

“Ehi! Il mio naso è bellissimo!”

“…e speriamo che abbiano preso da me anche l’altezza…”

“Pfiu! Sirius Black, ti disconosco come padre di questi due bambini! Li ho fatti con un altro!”

“Mi dispiace, hanno già fatto l’analisi del sangue! Hanno tutti e due il tuo stesso gruppo sanguigno!”

“Questo dimostra che sono figli miei e non tuoi!” 

“Va bene, come vuoi tu. Allora, come hai deciso di chiamare il nostro marmocchio?!” Chiese subito dopo Sirius.

 

“Cosa?!”

 

“Sì Soly: io ho scelto il nome della bambina, tu devi scegliere quello del piccolo Blacknimbus!”

 

Solaria rimase senza parole. Cosa doveva fare lei?! Dare un nome a quel piccolo marmocchio?! Ma… ma no… non poteva… cavoli, non sapeva nemmeno che sarebbe venuto al mondo! Lui… lui era nessuno fino a poco tempo prima… ed ora invece…

“Allora, come lo chiami?” Chiese Sirius, guardando divertito il bambino che si dilettava a mangiucchiare il dito del padre.

“Boh…” Disse Solaria. “Gardy, come lo chiamo?!” Disse poi, rivolgendosi verso la cugina.

“Niente suggerimenti!” Ordinò però Sirius.

Solaria sbuffò, e prese la piccola Selene dalle braccia di Gardenia. “Selene… come chiamiamo il tuo fratellino, eh?!”

“Ti ho detto nessun suggerimento…”

“E se lo chiamiamo Sirius?”

“Che fantasia che hai, Soly!”

“Antinoo.”

“Ma come ti è saltato in testa?!” Sbottò Sirius, guardandola orripilato.

“Già, è vero… gli starebbe meglio Odisseo…” Commentò Solaria, ricordando che il nome Odisseo significava per l’appunto ‘nessuno’. “Che ne dici se lo chiamiamo Nemo?!” Aggiunse poi.

“Che nome anonimo!”

“Invece gli calza a pennello…”

“Solaria, muoviti! Sono tre mesi che nostro figlio vive senza sapere nemmeno come si chiama!”

“Beh... potremmo lasciarlo senza nome... così quando abbiamo bisogno di chiamarlo, ne spariamo uno a caso, tu quello che preferisci, io il primo che mi salta in testa; e lui ci ringrazierà perché, quando vorrà fare finta di non averci sentito chiamarlo, dirà che quello non era il suo nome…”

“Muoviti…” Ordinò Sirius, perentorio. Era meglio troncare in fretta il fiume di cavolate che la moglie stava per riversare…

 

Solaria sbuffò di nuovo, reclinando la testa sullo schienale del letto e portandosi Selene sul petto. Lei non era mai stata molto brava con i nomi… in questo campo non aveva mai avuto tanta fantasia, senza contare che spesso si dimenticava i nomi delle persone che conosceva…

E ora, doveva decidere addirittura il nome del figlio. Con Selene era stato facile, aveva fatto tutto Sirius e lei non aveva avuto nulla da obiettare. Ma, a quanto pare, questa volta il marito pretendeva che fosse lei a scegliere come chiamare il loro bambino.

Non voleva che fosse un nome banale. Tutti, nella sua famiglia e nella famiglia di Sirius, avevano un nome con un significato particolare.

E anche per quel bambino inatteso doveva essere lo stesso.

 

Guardò Selene, poi il bel fratellino. Infine, guardò di nuovo Selene.

Perché era nato quel bambino se non per proteggere sua sorella? Altrimenti, non si sarebbe potuto spiegare in altro modo questo nuovo gioco del destino. Quel bambino sarebbe diventato l’angelo custode di Selene, colui che l’avrebbe aiutata in qualunque momento, colui che le avrebbe indicato le vie giuste da scegliere. Colui che le sarebbe rimasto per sempre vicino.

Colui che l’avrebbe difesa.

 

“Alèxandros.” Disse Solaria, gli occhi fissi su quelli grigi della figlia.

 

“Aléxandros? Niente male… ma perché non Alexànder?” Chiese Sirius.

“Perché Alexander è troppo comune, e ci vuole un nome speciale per un bambino speciale nato da una mamma specialissima.” Spiegò Solaria.

Sirius sorrise: in fondo, la modestia non era mai stata una delle sue doti… e questa era l’ennesima caratteristica che loro due avevano in comune!

“Va bene. Allora: Benvenuto in famiglia, Alèxandros Blacknimbus.”

 

“Colui che protegge il suo popolo.” Sussurrò Gardenia, fissando la cugina negli occhi.

Solaria assentì col capo, voltandosi poi a guardare il bambino. “E’ questo il suo destino.”

 

 

 

 

Nemmeno una settimana dopo Solaria fu rispedita a casa insieme ai bambini.

Fatto sta che il piccolo appartamento di King’s Cross Road sembrava essere divenuto troppo stretto per accogliere cinque persone, senza contare che il dipartimento Principale degli Auror lo richiedeva per ospitare nuovi allievi.

Per fortuna Remus Lupin, comparendo un giorno in mezzo al salotto durante una fragorosa lite fra Sirius e Solaria sul colore delle lenzuola della culla dei bambini, offrì gentilmente loro la sua casa di campagna nel Galles: lui avrebbe vissuto in loro compagnia solo durante l’estate, dato che, con l’arrivo di settembre, si spostava ad alloggiare ad Hogwarts.

E Solaria e Sirius, alla fine, dopo tanta insistenza del loro amico, accettarono.

Anche perché, l’unica alternativa, sarebbe stata ritornare alla villa Nimbus in Francia. E nessuno di loro, tanto meno Solaria, voleva rientrare in quel posto, pieno di ricordi troppo tristi… senza contare che la presenza di una piccola schiera di Auror dell’ordine della Fenice non avrebbe certamente garantito tranquillità e sicurezza per la famigliola.

 Così, ad Agosto inoltrato, si ritirarono tutti nella villa dei Lupin.

Sirius e Remus raccontarono a Solaria e Gardenia come loro e James l’avessero rimessa a posto, qualche anno prima, grazie soprattutto all’aiuto di Lily. Se non ci fosse stata lei, probabilmente alla fine sarebbero morti di stenti giacché la casa era così caotica che i mobili impedivano l’accesso a qualsiasi stanza, soprattutto quella per loro più vitale: la cucina.

Insomma, l’estate passò piuttosto allegramente e, prima dell’avvento di settembre, a casa Lupin fu programmata un’allegra cenetta fra amici, a cui avrebbero partecipato i Potter, Tonks e Peter Minus, che Solaria non aveva ancora avuto il piacere di rivedere dopo il suo rientro.

 

 

Solaria passeggiava per il giardino, sotto i grandi alberi che riparavano dal sole e lasciavano godere un po’ di frescura, tanto ambita in quell’estate stranamente torrida.

I bambini dormivano. Sirius era a lavoro. Gardenia e Lupin stavano preparando la cena: incredibile quanto quei due fossero diventati uniti negli ultimi tempi.

Sorrise a questo pensiero: erano davvero una coppia perfetta. Tutti e due molto pacati, semplici, intelligenti, altruisti. Tutti e due così timidi… si chiedeva quando Remus si decidesse a fare la prima mossa con sua cugina… perché, se aspettava che Gardenia facesse qualcosa, l’attesa sarebbe durata fin’oltre la tomba…

 

Si sedette sotto un albero, fra l’erba alta.

La testa le faceva lievemente male.

Trattenere tutte quelle visioni era piuttosto difficile, le costava molte energie, senza contare che comunque esse si accumulavano nella sua mente come una pila di compiti non fatti sulla scrivania di uno studente poco dedito al suo lavoro…

Ogni tanto, era meglio affrontare anche quella difficile faccenda. Altrimenti la testa, prima o poi, le sarebbe scoppiata perché troppo piena…!

 

Chiuse gli occhi e sospirò. Lentamente, molto lentamente, abbassò le difese, tenendo comunque sotto controllo la sua empatia: non poteva permettere che le visioni le procurassero dolore fisico, perché altrimenti riprendere il dominio sopra esse sarebbe stato molto difficile e avrebbe corso seri rischi di rimanere stecchita dalla loro aggressività.

Subito un mare di immagini e di sentimenti invasero la sua mente, come un fiume in piena irrompe su una diga appena crollata. Solo, questa volta gli effetti devastatori erano molto limitati.

Lievi fitte alla testa furono il danno di quell’irruenza.

 

Eppure, molte di quelle immagini le causarono forte dolore al cuore.

Come ad esempio la triste storia dell’amore fra Remus e Narcissa. Leggeva nella mente del suo amico quanto fosse stata difficile la fine di quel rapporto, il suo rancore verso la donna che per tanto tempo aveva amato. La sua delusione per ciò che aveva fatto.

Non poteva credere che Narcissa fosse cambiata così tanto. Sì, è vero, prima di partire aveva sentito che il suo cuore si era indurito molto. Ma Narcissa non era un mostro… non lo era mai stata, e anche se il male delle famiglie in cui viveva le aveva avvelenato il sangue, era abbastanza forte per uscire vincitrice anche da un tale attacco.

Cercò dunque la dolce cugina di Sirius con la mente. E la trovò ben presto, seduta in un candido giardino di una splendida villa che sicuramente doveva essere Malfoy Manor.

Era triste. Il suo cuore ancora soffriva per ciò che aveva fatto all’unico uomo che avesse mai amato. Aveva capito il suo errore. Aveva capito di essere stata debole a farsi soggiogare in tal modo dalla vendetta.

Ma non si era pentita di ciò che aveva fatto. Era fiera di ciò che aveva offerto al bambino che ora teneva in braccio, il piccolo Draco, che guardava con curiosità una margherita che la madre gli aveva messo in mano.

La possibilità di essere libero.

Sperava solo che la malvagità del padre non oscurasse anche il suo cuore, riducendolo schiavo dei suoi ideali.

Draco era un bambino molto particolare… quando stava in compagnia della madre, si comportava normalmente, come ogni altro bimbo: curioso, molto curioso, attento, sempre vigile, sorridente e allegro.

Quando era col padre, cambiava… non rideva più, i suoi occhi rimanevano immobili, vitrei, fissi sulle cose orribili che gi venivano mostrate, senza alcun sentimento espresso sopra.

Come quando Lucius lo aveva fatto assistere alla decapitazione di un elfo domestico. Del sangue era schizzato dappertutto, e un po’ era andato a macchiare il viso del bel bambino, che era rimasto impassibile, ancora gli occhi fissi sulla testa mozzata della brutta creatura.

Dopo quell’evento, per un’intera settimana aveva continuato a schiacciare con particolare studio e freddo divertimento tutti gli insetti, tutti i piccoli animaletti che gli passavano vicino in giardino.

Voleva vedere il sangue: Narcissa lo aveva definitivamente capito un giorno che, dopo aver afferrato e strappato le ali ad una farfalla, il bambino l’aveva messa sotto i piedi e l’aveva schiacciata per bene contro il pavimento, finché non aveva visto un poco di quella ambita sostanza rossastra.

Narcissa, allibita, lo aveva preso in braccio e gli aveva gridato che non doveva più fare cose del genere. E il bambino era rimasto così, immobile, a fissarla.

Pochi giorni dopo, finalmente, pareva essere tornato quello di sempre.

 

Il marito aveva una cattiva influenza su di lui. Influenza che, comunque, era sempre maggiore di quella sua su Draco. Lucius faceva più danni rimanendo pochi istanti con il figlio, che Narcissa cose buone rimanendo perennemente al suo fianco.

Era dunque giunta ad una conclusione: Draco aveva bisogno di amici. Di semplici bambini… che riuscissero a sedare con la loro ingenua allegria il mostro che il padre lentamente stava risvegliando in lui.

 

Appena si allontanò dalla mente di Narcissa, nuove immagini le apparvero.

Provenivano da Sirius.

Sicuramente il marito era appena rientrato da lavoro, ecco perché la sua aura era così vicina.

 

Lesse in lui la sua gran voglia di rivederla, e di rivedere i suoi due marmocchi, e sorrise.

Quanto li adorava! Anche se il piccolo Alex stava diventando ogni giorno più simile, caratterialmente, alla madre… incredibile come qualsiasi cosa riuscisse a farlo divertire, rideva per tutto e per tutti!

Selene, invece, era più pacata. Forse, assomigliava di più a lui… anche se anche lui non era propriamente uno stinco di santo…

Magari aveva ereditato i geni della famiglia di Solaria. In fondo, Gardenia era una ragazza tranquilla e intelligente…. Ed effettivamente, negli occhi di Selene leggeva la stessa amara rassegnazione, lo stesso peso… che aveva letto negli occhi della sua Solaria, ed in quelli di Urania. Eppure era solo una bambina…

 

Urania?!

 

Solaria corrugò la fronte, concentrandosi più a fondo sui ricordi del marito.

Fu così che venne a conoscenza del suo piccolo incontro con Silente… della storia di sua madre… e della vera identità del preside.

 

Albus Silente era suo nonno.

 

Aprì gli occhi di scatto, richiudendo subito la sua mente. Era meglio finirla così, le scoperte di cui era entrata a conoscenza erano davvero troppo pesanti…

Narcissa un angelo rinchiuso nell’inferno… Draco un piccolo demone in quarantena… Silente suo nonno…

Bah… a quante cose doveva porre rimedio, prima di lasciare definitivamente questo mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=36828