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Pochi minuti dopo che Sirius era andato via dalla sua casa attraverso
una passaporta, lasciandola con un tremendo nodo alla go
Pochi minuti dopo che Sirius era andato via dalla sua casa
attraverso una passaporta, lasciandola con un tremendo nodo alla gola ma con la
consapevolezza che quella era la cosa giusta da fare, Solaria vide davanti a
comparire una specie di nebbiolina bianca. All’inizio molto fioca, poi la sua
consistenza iniziò ad appesantirsi, fino a che non apparvero in essa i
lineamenti di una donna, vestita come una dea greca, e con uno strano simbolo
in mezzo alla fronte. Era bella, davvero molto bella, alta e con profondi occhi
neri, ma la sua bellezza era resa quasi imperscrutabile a causa della freddezza
e della durezza del suo sguardo, della severità del suo volto, della rigidità
del suo corpo.
La sacerdotessa
di Avalon. La dama del Lago era lì davanti a lei in tutta la sua magnificenza.
Solaria,
ben sapendo con che persona avrebbe dovuto avere a che fare, alzò gli occhi al
cielo per un’ultima preghiera chiedendo a chiunque la potesse sentire di fornirla
di molta, molta, molta pazienza, perché da quel momento in poi ne avrebbe avuto
assai bisogno.
“Pensavo
che il dolore ti avesse ridotto nelle stesse condizioni di uno straccio vecchio
e sporco, e invece noto che hai ancora una buona dose di insolenza.” Disse la
donna, alzando un sopracciglio e assumendo un’espressione ancora più arcigna.
“E
dire vi chiamavano addirittura fate…” Fu il commento ironico di Solaria.
La
donna ridusse gli occhi a delle fessure. Non aveva digerito quell’ultimo
insulto. “Ti ricordo che ti potrei tranquillamente mollare qui. E’ solo una
gentilezza quella che ti sto facendo, dunque dovresti sentirti in debito con
me.”
“Più
che in debito, la parola che voleva usare era in soggezione… Ma, mi dispiace
per lei, nessuno ha mai avuto questo grande potere su di me.”
“Nessuno?!”
Disse lei, sarcastica.
“Tom
Riddle non mi fa paura. Tom Riddle mi provoca solo un enorme disprezzo, e alle
volte è riuscito a farmi sentire impotente: ma mai l’ho temuto. E, ritornando a
noi, se proprio non le va di portarmi via con lei, può anche lasciarmi qua.
Oh,
stia tranquilla, lo so che se fosse per lei lo farebbe molto tranquillamente.
Anzi, se fosse per lei non mi avrebbe nemmeno invitato ad Avalon. Ma purtroppo,
non è lei che comanda, non è così? Lei è solo una schiava della
Dea.”
“Non
osare prenderti queste libertà con me- disse la sacerdotessa, pronunciando le
parole a denti stretti- il rispetto prima di tutto. Sei solo una ragazzina!”
“Una
ragazzina che però ha più potere nelle sue mani perfino della Dama del Lago in
persona. E questo non le fa molto piacere, non è vero?” Le disse, con un
sorrisetto malizioso in volto.
Penso
che molti di voi si stiano chiedendo il motivo di quest’estrema acidità di
Solaria, di questo suo attacco alla donna: beh, è meglio che sappiate che negli
ultimi periodi, insieme al dolore, si era acuito in maniera inverosimile anche
il suo potere. Infatti l’empatia aveva iniziato a persistere anche dopo le
visioni percettive, e non c’era ormai incantesimo che potesse impedirle di leggere
i sentimenti e i pensieri di qualsivoglia persona come un libro. E, oltretutto,
ultimamente si era accorta che anche la telestesia, ossia la visione o
percezione di un fatto o di un oggetto a distanza, non era una dote a lei
estranea…
Non
pensiate che tutti questi poteri non la preoccupassero: aveva la sensazione di
non essere più una creatura, ossia un essere ben definito nelle sue forme, ma
di starsi come sciogliendo in ogni componente vitale dell’universo. E questa
sensazione le aveva fatto capire che la fine della sua esistenza da veggente,
ma contemporaneamente anche da essere umano, era oramai vicina…
Tornando
al fatto in questione, i sentimenti che aveva scorto nella dama non le erano
piaciuti affatto. Era una donna che aveva sempre amato il potere che aveva
perché lo considerava il superiore, una donna pericolosa, ambiziosa, decisa e
sicura nei suoi progetti, che seguiva ciecamente i voleri della sua Dea, a cui
era profondamente devota. Ma questo non le aveva impedito di provare una grande
antipatia nei confronti di Solaria fin da quando la Dea le aveva parlato di lei
e dei suoi poteri, e le aveva ordinato di aiutarla. Era gelosa, gelosa marcia.
E Solaria poteva vedere alla perfezione nella sua mente perfida cosa le avrebbe
fatto se non fosse stata così dedita al volere della sua padrona.
Con
quel comportamento Solaria le voleva far capire che lei non le rappresentava
assolutamente nulla, che si sarebbe dovuta limitare ad ospitarla e accudirla
nei suoi bisogni, come la Dea le aveva detto. Ogni intromissione nella sua vita
privata, nelle sue azioni, nelle sue intenzioni, era assolutamente da
escludersi. E, se non avrebbe fatto così, non l’avrebbe passata liscia.
Nell’udire
quelle parole, la donna divenne rossa come il fuoco, il viso imbronciato, gli
occhi minacciosamente socchiusi. Probabilmente, se avesse avuto in mano una
saetta, gliel’avrebbe lanciata addosso senza molti problemi…
Dopo
alcuni secondi però i suoi lineamenti si distesero, e fissandola con sguardo
perfido le disse, in tono tagliente: “C’è sempre un lato negativo in tutto,
però. E il tuo, è che morirai giovane.”
Il
sorriso trionfante che le vide in volto le fece totalmente perdere le staffe.
“Vivrò
più io in questi pochi anni che lei in tutta la sua immensa vita. Le dirò di
più, se mi avessero dato l’opportunità di scegliere fra le nostre due
esistenze, per nulla al mondo avrei accettato di finire al posto suo. E penso
anche lei avrebbe fatto la mia stessa scelta…”
“Ti
sbagli…” Disse quella, quasi in un sibilo. Ma il corpo tremante manifestava
il profondo turbamento interiore che quella dichiarazione le aveva provocato.
“Non
le serve a niente mentire. Io – Vedo – Tutto!” Concluse lei, perfida. “E ora,
sarebbe il caso che lei obbedisse alla sua Dea e mi conducesse ad Avalon,
invece che stare lì a rimuginare su quanto fossero vere le mie parole. Avrà
molto tempo da spendere a non fare nulla, una volta che avrà compiuto il suo
dovere. Che aspetta a muoversi? Dalla Prima Sacerdotessa della Dea mi sarei
aspettata molta più prontezza e devozione alla causa.”
Una
volta imbarcata su quella piccola gondola che avevano trovato al largo di
quella radura dove si erano materializzate, la sacerdotessa le diede una
piccola bottiglietta: conteneva un liquido che, a suo dire, le avrebbe ridato
le forze in un batter di ciglia.
Solaria
lo guardò, titubante: era possibilissimo che là dentro ci fosse il veleno più
potente e letale esistente sulla faccia dell’universo. Poi tuttavia, chiusi gli
occhi, ingoiò la bevanda fredda e argentea in un sol fiato. Capì solo dopo cos’era:
sangue di unicorno, una rarissima, nonché proibita, panacea per il corpo.
Proibita perché, essendo gli unicorni gli animali più puri, più innocenti, più
divini esistenti in tutto il creato, ucciderli era considerato uno dei peggiori
delitti che un uomo potesse compiere. Chissà come quella megera se l’era procurato…
Quando
la Grande Sacerdotessa scostò le nebbie che circondavano Avalon come una grande
e impenetrabile muraglia, Solaria spalancò la bocca per lo stupore. Mai avrebbe
pensato che quel posto fosse così fantastico. Sì, certo, se lo era immaginato come
un luogo divino, ma non fino a quel punto.
Divino.
Davvero, divino era l’unico aggettivo con cui lo si poteva descrivere senza
ridurne la bellezza e il fascino. Era un luogo pieno di vita, dove la natura
fioriva incantevole e dove gli animali vivevano in pace. E, perfettamente a
tono con l’ambiente che lo circondava, il palazzo di Avalon era una struttura
armoniosa, dai colori tenui, invasa dalla vivace vegetazione.
Senza
contare poi che in quel momento l’isola le sembrò ancora più meravigliosa per
il semplice motivo che, appena avevano oltrepassato le coltri di nebbia che la
proteggevano, il angue di unicorno aveva cominciato a farle effetto e ogni suo
dolore era svanito nel nulla, e con esso anche le visioni percettive. Perfino
la sua empatia si era ridotta assai, si era subito accorta che non si presentava
più come un dono imposto, ma piuttosto come un dono di cui poteva usufruire
quando più le piaceva. Fantastico, insomma, davvero fantastico! Meraviglioso!!!
Scese
dalla barca, e appena pose piede su quella nera terra, l’entusiasmo la colse, e
inspirò profondamente facendo entrare quella fresca aria pura nei suoi polmoni,
un alito che la riempì di vita.
“L’oblio
a cui spinge la nostra terra è molto pericoloso, e penso che tu in particolar
modo ne debba fare attenzione.” Le disse una voce tagliente alle sue spalle. Si
voltò per incrociare gli occhi della sacerdotessa, ma quando provò a leggerle
la mente i suoi tentativi fallirono miseramente, provocando un sorrisetto
trionfante nella Dama del Lago. “Qui i miei poteri sono molto più forti,
Solaria. Qui sono io che comando.”
“Mi
dispiace, ma è la Dea che ha il potere su questa terra, non lei. Ed in fondo,
non sarà poi un male così grande non poterle leggerle la mente: non è una delle
attività più piacevoli da fare, anzi, tutt’altro. Mi immaginavo molta più semplicità
e bontà da una che sta nella sua posizione. A quanto pare, però, la corruzione
dell’essere umano colpisce anche le grandi persone come lei.
E,
per quanto riguarda l’oblio… stia tranquilla, riuscirò a sconfiggerlo. Ammetto
che alcune presenze sgradite preferirei scordarmele, ma penso che nemmeno il
potere obliante di questo luogo mi potrà aiutare a dimenticare qualcosa, o qualcuno,
che sarò costretta a vedere assai spesso da questo momento in poi…” Rispose
lei. Vecchia racchia, ma chi si credeva di essere?!
La
Grande Sacerdotessa le lanciò un ultimo, profondo, violento, infuocato sguardo
stizzito, per poi andarsene all’interno del palazzo, raggiunta immediatamente
da alcune ancelle che si inginocchiarono per salutarla.
Solaria
si fermò un attimo a guardare quella scena a lei inconsueta, poi, vinta dal
desiderio di usare le forze che molto velocemente le stavano tornando, si mise
a passeggiare lentamente per i giardini che ricoprivano quell’incantevole
terra.
Un
sorriso le comparve sulle labbra: era impossibile non provare felicità nel
trovarsi in un luogo di tal genere. Eppure, sapeva bene che non era lì per
dilettarsi, e la Dama del Lago glielo aveva ricordato con molta finezza. Là
fuori c’erano persone che soffrivano, e che avrebbero continuato a soffrire
ancora per molto tempo. Il suo compito era quello di aiutarle. E prima sarebbe
stata pronta ad affrontare Tom Riddle, prima avrebbe potuto… o dovuto… lasciare
Avalon. Dovuto... già, proprio dovuto. Un ammaliante pensiero infatti le aveva
sfiorato la mente, passeggiando per quei posti: se fosse rimasta lì, il suo
destino, che per ora si prospettava fra i più neri, sarebbe completamente
mutato.
Un’altra
immagine però, assai presuntuosa, le aveva levato quel pensiero dalla testa: il
suo amato Sirius.
Già,
valeva la pena di andarsene da quell’Eden solo per stare con lui un’ultima
volta, solo per poterlo ancora baciare ed abbracciare, per poterlo accarezzare,
per fare ancora l’amore con lui sussurrandogli all’orecchio dolci parole… o solo
per poter giocare con lui, per compiere i misfatti più divertenti e pazzi, per
ridere insieme e divertirsi come folli. Le era anche venuta in mente
l’interessante idea che avrebbero potuto scorticare la Mascott dei Serpeverde e
appendere nella loro sala grande un grifone che teneva la sua pelle fra gli
uncini delle sue zampe… una metafora molto esplicita ed efficace, no?!
E
poi, dopo di lui, le immagini degli amici le avevano inondato la mente. Lily,
James, Remus, Peter, Narcissa… oh, come poteva lasciarli?!
La
sua coscienza si fece di nuovo, improvvisamente, viva, e subito si mise a
pensare a ciò che sarebbe accaduto a tante persone, alla terribile morte a cui
potevano andare incontro, e che lei poteva evitare.
Avrebbe
perso la sua vita, è vero, ma l’avrebbe data a molti altri.
Lei,
in fondo, come aveva già detto alla sacerdotessa, aveva già vissuto in quei
brevi tempi ciò che un uomo normali vive nel corso di un’intera esistenza. E
tutto questo, soprattutto a causa dei suoi poteri…
Già,
lei aveva già vissuto… a diciassette anni aveva già quasi concluso la sua
esperienza di vita….
Diamine,
possibile che ogni qual volta si metteva a ragionare finiva sempre con
l’incasinarsi in quel tremendo ciclo di cause ed effetti che le sue idee
provocavano?! Basta! Era un’idiota, doveva smetterla! Avrebbe fatto ciò che
doveva fare, e tutto sarebbe andato come doveva andare. Stop. Fine della
storia.
Forse
ora era il caso di andare a vedere in che stanza quella racchia aveva
intenzione di farla alloggiare… Sì, forse era proprio il caso…
E
così si diresse verso il grande palazzo. Beh, la facciata non era male, quindi
gli interni non potevano essere da meno… a meno che quella brutta megera non
avesse deciso di rinchiuderla in qualche sotterraneo buio e puzzolente, con la
sola compagnia di topi che, all’occorrenza, sarebbero serviti anche per pasto…
Eheheh, solo lei, Solaria Nimbus, era in grado di immaginarsi idiozie del
genere!
“Caspiterina,
è bella almeno quanto la mia…” Fu l’esclamazione di Solaria, dopo che l’ancella
che la Dama del Lago aveva messo a suo servizio l’aveva condotta in quella
stanza. Stanza… beh, stanza è un eufemismo. Là c’erano almeno quattro stanze
fra salotto, biblioteca, soggiorno, stanza da letto… e il quinto era il bagno.
Senza contare la grande vetrata che dal soggiorno immetteva in uno splendido
giardinetto privato con un’incantevole vista sul lago…
E
poi, tutto era immerso in quell’atmosfera…come descriverla… nebulosa, che
intorpidiva i sensi e provocava quel piacevole stato di benessere interiore, di
calma psichica e alleggerimento fisico. Una droga… a cui lei avrebbe dovuto
resistere!
Si
voltò a guardare, con un sorriso divertito, la ragazza che se ne stava ferma,
anzi impalata, sullo stipite della porta. E quella, appena si accorse del suo
sguardo, abbassò il capo e impallidì leggermente.
“Stai
tranquilla, ho già mangiato, e anche piuttosto abbondantemente!” Le disse
ironica, scotendo la testa per il divertimento che l’ingenuità e il timore
della ragazza avevano provocato in lei.
Visto
che però l’ancella, che probabilmente non aveva capito la sua battuta,
continuava a starsene lì impietrita, rischiando di divenire del colore e della
freddezza del marmo, sbuffò sonoramente e le andò incontro.
“Ma
su, coraggio, stavo scherzando! Un po’ di vita, avanti! E caspita, manco fossi
un mostro!” Non aveva ancora formulato del tutto la frase che cambiò
direttamente traiettoria dirigendosi verso lo specchio più vicino nella stanza,
dove si fermò a lungo, controllando il suo corpo e il suo volto da ogni
angolazione.
“Beh…
non sono nemmeno un vero e proprio splendore… effettivamente, se mi vedessi
allo specchio di notte all’improvviso, mi farei paura da sola!” Sbottò,
portandosi gli indici sulle occhiaie e calando la pelle per vedere meglio le
condizioni degli occhi. Arrossati pure quelli! Caspita, era un rottame da
riciclare! Ma come aveva fatto Sirius a starle vicino quando era in quelle
condizioni?! La risposta le arrivò subito, e la fece sorridere maliziosamente:
beh, Sirietto la amava…!
Fece
una mezza rotazione intorno a se stessa, e si bloccò proprio nella posizione in
cui riusciva a vedere meglio l’altra ragazza. Prima di proferire parola però,
ripensò a quanto le piaceva sentirsi di nuovo in forze e avere il pieno
controllo del suo corpo… oh, ma era davvero meraviglioso! Vediamo se riusciva
ancora a fare la ruota!
Andò
in mezzo alla stanza, e ne fece una perfetta. Sì, ci riusciva ancora! E due di
seguito?!
“Come
ti chiami?” Le chiese poi, proprio mentre aveva intenzione di farne tre di
fila.
“Gardenia…”Disse
quella con un filo di voce, inchinando ancora di più il capo verso terra.
Solaria ebbe la sensazione, quando si ritrovò forzatamente a fissarla dopo
essere andata a sbattere contro un alto armadio mentre finiva la sua quarta
ruota di fila, che se davanti a lei ci fosse stata una fossa, ci si sarebbe
gettata dentro e sotterrata senza molti problemi…
Beh,
forse smettere di fare l’idiota e andarla a toglierla da quel mare d’imbarazzo
in cui stava annegando non era un’idea così cattiva.
Si
rimise in piedi - cavoli, s’era fatta male ad un gomito! – e andò diritto verso
di lei, vincendo il desiderio di provare a verificare se ce la faceva ancora a
fare il salto mortale in aria prendendo lo slancio dal braccio del grosso
divano che, posizionato là davanti, sembrava servire proprio a quello scopo…
“Molto
piacere!” Le disse, porgendole la mano e mostrandole un sorrisino a trentadue
denti.
Quella
alzò un paio di volte gli occhi, guardandola quasi spaventata, per poi
retrocedere di un passo e chiudersi ancora più in se stessa.
Solaria
si guardò la mano: beh, era pulita…
“Scusa,
tu a cosa dovresti servirmi?” Le disse poi, acida.
“A prestarla
servizio, signorina Solaria.”
“Io
non ho bisogno di gente che mi serve. Perciò, te ne puoi anche andare.” Disse,
chiudendole la porta in faccia.
“No!”
Gridò quella, arrossendo all’improvviso e alzando un paio di occhi supplicanti
verso di lei. Bene, stava riuscendo nel suo scopo…
“No
cosa?!”
“La
prego, non mi faccia questo! La Dama del Lago mi punirà!”
“E
a me cosa può importarmene? Io non voglio ancelle nelle mie stanze!”
“Ma…”
Borbottò quella, quasi in lacrime. “…ci sarà…qualcosa… che potrò fare…per lei!”
Solaria
finse di pensarci. “Ma, non saprei… sai, essendo qui tutta sola soletta,
gradirei la compagnia di qualcuno. Sei disposta a compiere questo
difficilissimo compito?!”
“Certo!
Qualunque cosa, pur di obbedire alla Grande Sacerdotessa!”
“Ma
guarda che dovrai comportarti come un’amica, e questo significa che dovrai
parlare liberamente, ridere liberamente, fare quello che vuoi, anche insultarmi
se è ciò che ti va. E, soprattutto, dovrai chiamarmi semplicemente Solaria e
darmi del tu. Pensi di riuscirci?!” Le disse poi, ironica. Gardenia questa
volta parve capire l’intento della ragazza, e arrossendo ancora più, fece sì
col capo e sorrise a sua volta.
“Benissimo!”
Esclamò Solaria. “Allora possiamo riprendere da dove avevamo lasciato. Molto
piacere, io sono Solaria Nimbus!” Le disse, porgendole la mano.
“Piacere
mio: io sono Gardenia.” Rispose quella, stringendogliela.
“Sei
nata qui?” Disse Solaria, facendola entrare e chiudendo la porta alle sue
spalle.
“Sì,
io sono nata ad Avalon! Tutti coloro che abitano questa dimora sono nati qui!
Oramai non è più il tempo dei prescelti…” Disse, con tristezza.
“Beh,
e io cosa sarei?! Esiste qualcuno più dannatamente prescelto di me?! Anzi, mi
stupisco che a undici anni mi sia arrivata la lettera di Hogworts e non quella
di Avalon!” Disse Solaria.
Gardenia
la guardò in volto: il sorriso che le inarcava le labbra, si accorse, era amaro
e triste, e negli occhi brillava una luce di rassegnazione. La fissò con
dispiacere, fatto che non piacque per nulla a Solaria. Nessuno doveva provare
pena per lei, non l’aveva mai tollerato, nemmeno da parte degli amici, che
infatti non si erano mai sognati di considerarla in quel modo. La sola che
poteva permettersi un sentimento del genere nei suoi confronti era se stessa. Lei si faceva pena da sola. Ma gli
altri… gli altri avrebbero dovuto solo esserle grati.
Gardenia
abbassò lo sguardo arrossendo, imbarazzata per aver appena causato un
dispiacere nei confronti della sua ospite.
“Tu
sei diversa. Il tuo compito non era servire la Dea, tu dovevi rimanere lì
affinché si compisse il tuo destino. Sei una prescelta, sì, ma non per divenire
sacerdotessa.” Le disse, tentando di mettere a posto le cose mettendo un sasso
sopra quel brutto momento precedente.
Un
attimo di pausa. Gardenia attese, sempre a capo chino, la reazione della
straniera. L’avrebbe perdonata?!
Rialzò
il capo solo quando si accorse che oramai Solaria sorrideva, divertita, e le
chiedeva: “Tu diverrai una sacerdotessa della Dea?” Le chiese Solaria.
Sorrise
a sua volta. Per fortuna non era così permalosa… “Io diverrò la futura Dama del
Lago, se tutto va bene e se la Dea lo vorrà.”
Solaria
la fissò stupefatta. “Davvero?! Sei la figlia di quella… della Grande
Sacerdotessa?!”
“Sì,
sono sua figlia!”
“E
perché mai ti ha mandato a servirmi, allora?!”
“Perché
dice che sono troppo debole, che la devo smettere di essere così dolce e buona
con tutti. E ha aggiunto che mi devo fare le ossa… e così, mi ha dato un
incarico che secondo lei sarebbe stato davvero molto gravoso…”
Solaria
rise di cuore. “Ehehhe, quella donna è assurda! E per fortuna che tu non le
assomigli!…”
“Vedo
che mia madre non ti ha fatto un buon effetto…”
“Beh,
penso che un buon effetto non l’abbia mai fatto a nessuno, a dire il vero…”
Commentò ironica la Nimbus.
“Non
è sempre così. Se la conosci bene, ti accorgi che in fondo ha anche i suoi lati
positivi.”
“Sì,
capisco… avrò il tempo di conoscerla meglio, in tutto il tempo che dovrò
passare qui!”
“Rimarrai
a lungo?”
“Un
anno come minimo…”
“Solo?
La mamma parlava di cinque.”
“Che?!
Cinque anni? Non posso starmene via così tanto… là fuori ci sono troppi casini
che devo risolvere!”
“Ci
penseranno gli altri. Non sei l’unica che può porre fine alla parola Orrore.”
Le disse Gardenia, fissandola acutamente negli occhi.
“Il
mio compito è essere unica, gardenia… altrimenti, a cosa servo?” Le disse un
filo di voce. E, mentre la ragazza, piuttosto confusa, meditava su quella
risposta, Solaria si voltò di scatto e corse fino alla parete opposta della
stanza. Poi rincominciò a correre, con un sorrisetto furbo in viso.
Gardenia
la fissò allibita.
“Ma
cosa fai?!”
“Voglio
vedere se riesco ancora a fare il salto mortale all’indietro!” Le disse quella,
un attimo prima di saltare sul braccio del divano e fare una doppia capriola
all’indietro per aria.
Quando
però toccò terra, i piedi non la ressero, e cadde giù di peso sbattendo la
testa sullo schienale del grosso divano.
“Solaria!”
Gridò Gardenia, sbiancando di colpo e correndo ad aiutarla. Ma si bloccò quando
sentì la risata divertita della sua ospite.
“Eheheheh…
troppo bello! Troppissimo! Ora lo rifaccio! E vedrai che non cadrò!” Le disse
quella pazza, alzandosi in piedi e andando a posizionarsi, come prima, nella
parete opposta della stanza.
Pazza,
non c’era altro modo di descriverla… completamente pazza.
Ma
questo non voleva dire che non fosse simpatica, anzi…!
Dopo una bella chiacchierata con gli amici nel loro vagone, Sirius era
uscito con James a cercare la signora dei dolci: aveva
Dopo una
bella chiacchierata con gli amici nel loro vagone, Sirius era uscito con James
a cercare la signora dei dolci: aveva l'intenzione di comprarle tutto quello
che possedeva su quel carrello, qualsiasi cosa fosse e di qualunque natura, per
conservarne poi una buona parte per il festino abituale che si sarebbe svolto
nella sua stanza quella stessa notte. Non aveva fatto due passi che sentì una
voce chiamarlo da dietro:
"Ehi,
Sirius, vuoi compagnia?" Gli chiese James, uscito dalla cabina.
Sirius gli sorrise.
"Non mi dispiacerebbe. Anche perché tu hai un occhio più acuto del
mio!"
"Ehehehe!
Non per niente sono il miglior cercatore che il mondo magico abbia mai
visto!" Gli rispose l'amico, affiancandolo.
"Allora,
che hai fatto tu quest'estate?" Gli chiese Sirius, mentre passeggiavano
per i corridoi.
"Sono
rimasto a casa con i miei: papà stava meglio, e la mamma anche. Ma non me la
sentivo di lasciarli soli."
"Ha
ripreso il lavoro tuo padre?"
"Lui
vorrebbe, ma il dottore glielo ha sconsigliato. Non può più sforzarsi tanto, se
non vuole rischiare di rimanerci fritto. E poi mamma non glielo permette. E'
totalmente terrorizzata. C'è mancato poco che le venisse un infarto quando è
venuta a sapere dell'incidente di papà." Disse James, con amarezza.
"E tu James...
come stai?"
"Oh...
bene." Ma lo sguardo ironico di Sirius gli fece capire che non aveva
creduto per nulla a quell'affermazione. "No, stai tranquillo, davvero, sto
bene. Certo, all'inizio, quando l'ho saputo, mi sono sentito mancare... ma ora
che la situazione è migliorata... è tutto ok. E poi Lily mi è stata molto
vicino."
"Immagino..."
Rispose malizioso il giovane Black.
"Non
farti strane idee, non ci sono andato a letto."
"Come
no?! E quest'estate cosa avete fatto?!" Gridò Sirius, sconvolto.
"Ti
dispiacerebbe abbassare la voce, cretino?"
"Dai,
scusami... allora?!"
"Tse,
come al solito la privacy non è il tuo forte... sono andato a trovarla un paio
di volte. I genitori sono molto simpatici, ma ha una sorella... mamma mia
quant'è odiosa quella ragazzina! Peggio di lei quando... quando era 'la
Evans'!"
"Mi
sembra un pò impossibile..."
"Sì,
solo perché non l'hai vista. Le ho chiesto come fa a sopportarla, ma..." James divenne rosso.
"Ma?!"
"Ma mi
ha detto che quando ha deciso di sopportare me, è diventata una sciocchezza
sopportare lei!"
Sirius
scoppiò a ridere. "Questa è proprio una risposta degna della Evans!"
"Ehehehe...lo so! E ti giuro che mi ha lasciato un pò spiazzato!"
"Immagino!
Ma poi avrà riparato il danno..."
"Lo
vuoi capire che non ci ho fatto niente?!"
"Ma
perché?!"
"Perché....
perché non è il momento per lei. Non ancora... deve essere sicura di ciò che
prova per me, e di ciò che io provo per lei. Non è come per te e Solaria: lei
ti leggeva la mente, lei sapeva sempre tutto. E lei è comunque sempre stata
pronta a rischiare. Lilian no. Lilian deve essere certa che il terreno dove
poggia i piedi sia ben saldo, prima di fare un passo avanti."
Sirius lo
fissò con gli occhi che gli brillavano. "Sei cambiato davvero..."
James, stupito
da quell’affermazione, si voltò a guardare in faccia l’amico, per capire se
stava scherzando o se era serio. E no, Sirius non scherzava affatto, era
tremendamente serio.
"Prima
non ti saresti fatto tutti questi scrupoli. Sei cambiato davvero, come diceva
Solaria. E io che non ci volevo credere..."
"Non
sono cambiato poi così tanto, Sirius. Ho solo smesso di essere un bambino, come
dice Lily."
Un cigolio
li costrinse a guardare davanti a loro: e un sorriso di vittoria comparve sulle
labbra di entrambi quando videro la signora grassa col suo carrello pieno di
dolciumi camminare a fatica per lo stretto corridoio del vagone.
Si
incamminarono verso di lei, chiudendo lì quel discorso troppo serio che stava
incominciando a farli imbarazzare… non erano abituati ad essere così profondi,
così seri tra di loro. Erano sempre stati due tremendi combina guai, che
non facevano altro che ridere e scherzare, ed ora che la situazione era
cambiata gli occorreva del tempo per adattarsi.
Anche se
alcune cose non sarebbero potute mai cambiare, come ad esempio….
Ad un tratto
James tirò la manica della divisa di Sirius, costringendolo a fermarsi.
"Che
c'è?"
"Vieni
qua!" Fece James, un ghigno divertito sul volto e due occhi che luccicavano
come stelle.
Sirius si affacciò
alla finestra della cabina indicata da James, e quello che vide lo fece
sorridere nello stesso modo dell'amico.
"Beh,
ma non avevi smesso di essere un bambino?!"
"Che
centra? Adesso Lily non c'è!" Rispose quello, aprendo silenziosamente la
porta ed intrufolandosi dentro lo stanzino, seguito dall'amico.
Là, davanti
a loro, coricato sgraziatamente su due sedili, c'era un Severus Piton
totalmente addormentato, con i capelli neri e schifosamente unti che gli
ricadevano sul viso.
James e
Sirius lo fissavano, un ghigno malefico sul volto. Eheheh, la signora dei
dolcetti poteva anche aspettare qualche secondo...
Remus e
Peter sorrisero allegri quando videro i loro due amici ritornare nella cabina
con quattro sacchi colmi di ogni ben di Dio. Quella sera si sarebbe fatta una
grande, grandissima festa nel dormitorio!!!
Lily invece
non pareva così felice. Anzi, lo sguardo che aveva negli occhi era alquanto infastidito.
"Che
avreste intenzione di fare voi, questa notte, nella vostra stanza?" Chiese
loro con un broncio tremendo in viso e le braccia conserte, mentre i ragazzi,
ormai accomodati nei rispettivi sedili, assaggiavano quelle delizie.
"Una
festa!" Disse Peter, tranquillamente. Ma lo sguardo agghiacciante di Lily
gli fece capire che non gli conveniva più pronunciare quella parola.
"E dai,
Lily, è come sempre: una festa di bentornati a scuola! Non sei felice di essere
di nuovo ad Hogworts?!" Le chiese maligno Sirius, mentre afferrava
rapidamente una cioccorana saltellante e se la portava alla bocca.
"Certo.
E non sai quanto io sia ancora più felice al solo pensiero che già da questa
notte riprenderò a sabotare i vostri piani!" Rispose acida lei. "Non
si possono fare festini a scuola senza il permesso dei professori."
"Uff...
è proprio questo il divertimento, non farsi scoprire!"
"Oh,
certamente. E finché ci riuscite, io non ho nulla contro. Ma vi ricordo che c'è
il 50% di possibilità che qualche professore, la McGranitt ad esempio, si
accorga di tutto e vi cacci via dalla scuola! E on mi pare una mossa
intelligente farsi espellere l'anno dei M.A.G.O."
"Mamma
mia, ma quanto sei rompipalle... ma perché non le tappi la bocca?!" Sbottò
Sirius, esasperato. James, a cui era rivolta quell'ultima domanda, lo guardò
biecamente: aveva per caso intenzione di farlo litigare con la ragazza?!
Ramoso finì
di masticare la sua cioccorana, poi, dopo averla ingoiata, guardò Lily, seduta
davanti a se, e le chiese:
"Che ne
dici di venire anche tu?"
Per tutta
risposta, Sirius scoppiò in una sonora risata, Remus scosse la testa e Peter
rimase a bocca spalancata. Lily ad una festa dei Malandrini?! No... è assurdo!
Ma come potevano venire quelle idee in mente a James?!
"Ma
stai scherzando?!" Fu la risposta allibita della ragazza, che fece ridere
ancora di più Sirius.
"Affatto.
Senti un pò: tu sei il prefetto della nostra casa, insieme a Remus, anche
quest'anno. Voi due ora andate dalla McGranitt è le chiedete il permesso di
fare una piccola festa, questa notte, nella Sala Comune della nostra casa,
invitando anche qualche membro delle altre case. Se vorrà, la festa sarà
perfettamente legale e tu protrai venirci con me tranquillamente. Se non
vorrà... beh, la faremo lo stesso nel dormitorio maschile!" Concluse, con
un sorrisino furbesco in volto.
Le risate
cessarono, e tutti presero a guardare interrogativamente prima James, poi Lily,
che continuava a stare muta a fissare il fidanzato, ragionando sulla proposta
che le aveva fatto.
"Non mi
sembra una cattiva idea." Concluse poi, rivolgendo un sorriso dolce a
James. "Avanti Remus, andiamo: mi è sembrato di scorgere prima la
McGranitt in una cabina vicina a quella di un paio di Serpeverde del primo anno
particolarmente nevrotici." E, dopo aver stampato un bacio sulle labbra
del fidanzato, uscì dalla stanzetta seguita da un Lunastorta che sorrideva allegramente:
beh, finalmente si era riusciti ad arrivare ad un compromesso!
In quel
momento anche Peter si alzò, dicendo che doveva uscire pure lui, e se ne andò
dalla stanza insieme agli altri due. Nessuno li chiese nulla, sapevano che non
avrebbe risposto alle loro domande: e così, si facevano tranquillamente gli
affari loro.
E così i due
amici rimasero da soli.
"Complimenti,
vedo che hai imparato a tenerla buona!" Fu ciò che poi Sirius disse a
James, divertito dall'accaduto.
"Eh
beh... necessità!" Rispose quello, prima di scoppiare insieme all'amico in
una sonora risata.
Quando
tornarono, Remus e Lilian avevano un sorriso di vittoria stampato sulle labbra:
ce l'avevano fatta, erano riusciti a convincere la McGranitt. Ma la
professoressa aveva comunque apportato alcuni limiti: niente membri delle altre
case, niente bevande alcoliche o stupefacenti di alcun tipo. Richieste queste
che erano sembrate alquanto giuste ai due prefetti, e che invece avevano fatto impallidire
i due Malandrini. Beh, in qualche modo sarebbero riusciti a fare di testa loro,
come sempre del resto…no?!
Sirius, fra
i primi a scendere dal vagone una volta che il treno era arrivato a
destinazione, alzò il viso per vedere se qualcosa era cambiato da come se lo
ricordava.
No, non era
cambiato nulla. E ancora una volta fu accecato dalla meravigliosa vista che gli
si parava davanti. Hogworts. Quel castello fantastico, pieno di magia, di notte
era a dir poco stupefacente, con tutte le luci che illuminavano le finestre, e
che evidenziavano quel sentimento di protezione, di calore, di tranquillità di
cui già la località era pregna. Casa. Hogworts era l'unico luogo che avrebbe
mai potuto chiamare casa. Là stavano i suoi amici, là stavano le persone che lo
avevano davvero protetto, amato ed aiutato durante tutta la sua vita. La villa
dei Nimbus, al confronto della sua scuola, era solo un riparo, un luogo
appartato dove lui si era rifugiato più volte insieme alla sua amata, ma troppo
impregnato di dolore per poter essere chiamato casa, ed ora se ne rendeva conto
pienamente. Era un luogo di morte, come lo era la casa dov'era nato, a
Grimmauld Place. Solo che, a sua differenza, aveva conosciuto anche cos'era la
vita, ispirata da tutto l'amore delle persone che per anni ci avevano vissuto.
Ancora una
volta si ritrovò a ringraziare Solaria per la scelta che aveva fatto, anzi, per
l'ordine che gli aveva imposto di ritornare ad Hogworts. Ancora una volta si
ritrovò a sorridere al pensiero che Solaria aveva sempre ragione, in un modo o
nell'altro, sempre ragione...
Solaria.
Alzò gli occhi al cielo, fissando la mezzaluna che vi brillava. Anche lei la
poteva vedere dal luogo ove era?
I suoi
nostalgici pensieri furono interrotti da un coro di risate proveniente dagli
alunni appena scesi dai vagoni. Si voltò curioso a guardare cosa le avesse
provocate, ben sapendo però che c'era un'alta possibilità che fosse....
Non si
trattenne! Scoppiò a ridere a crepapelle pure lui! Era troppo ridicolo, per
carità! Ma come si faceva?! Vabbè, affettivamente era tutto merito loro, di lui
e di James!
In
quell'esatto momento, Lily pose piede fuori dal vagone, con dietro Remus che sbatté
contro di lei non essendosi accorto che si era bloccata. Cercò di guardarla in
faccia, e si accorse che aveva uno sguardo totalmente allibito. Perché? Seguì i
suoi occhi per scoprirne il motivo. Beh, effettivamente non era poi così
difficile da rintracciare, era praticamente... fosforescente.
Davanti a
lui, in mezzo alla folla che arretrava per farlo passare, c'era un Severus
Piton più pallido e irritato del solito. E il perché era dovuto sicuramente a
quella criniera da ultimo dei mohicani che portava sulla testa, color rosso
acceso, che rifletteva come un catarifrangente la poca luce che c'era in quel
posto.
Prima che
fosse troppo tardi, Remus si scostò di un passo da Lily, e si mise le mani
sulle orecchie per tapparle nel miglior modo possibile.
Per la barba
di Merlino, appena in tempo!
"JAAAAAAAAAMEEEEESSSSSSSSS!"
Fu l'urlo terribile che uscì dalla bocca della Grifondoro.
Liberò le
orecchie dalle sue mani, e scosse un poco il capo per liberarsi dalla
sensazione d’intontimento che l’urlo tremendo gli aveva provocato. Oddio, non
osava immaginare cosa sarebbe successo a quel disgraziato del suo amico! Quando
Lily si arrabbiava (ed ora era davvero furiosa), era un pericolo ambulante!
Guardò la
folla di ragazzi spaventati davanti a se: dov’era James? Poi si accorse di
qualcuno che correva fra gli altri in direzione delle carrozze. Cavoli, era un
vero fulmine… e Lily doveva aver pensato lo stesso, perché con un salto scese
dal vagone e come un’amazzone inferocita si mise a correre alla caccia della sua
preda, mentre gli altri alunni, temendola, si ritraevano al suo passaggio.
Con calma,
Remus scese dal vagone: dato che Lily non era disponibile momentaneamente,
avrebbe dovuto accompagnare da solo i ragazzi del primo anno da Hagrid che, ora
che era stata ripristinata la tradizione del viaggio in barca sul lago, avrebbe
fatto loro da guida.
Uff…peccato
però che lui non riuscisse mai a farsi dare ascolto da quei marmocchi
emozionati e impauriti, che pensavano a tutto tranne che all’ordine.
Dopo un paio
di tentativi andati a vuoto, sbuffò sonoramente. E fu in quel momento che
sentì una mano poggiarsi amichevolmente sulla sua spalla. Si voltò e si ritrovò
davanti un Sirius sorridente, che guardava divertito la folla di bambini
davanti a lui.
“Vuoi una
mano?”
“Ti
ringrazio… Lily purtroppo…”
“Stai
tranquillo, ho visto tutto! E per evitare che lei mi scotennasse, ho preferito
stare alla larga dalla zona carrozze!”
“Avete
esagerato, comunque!” Gli disse Remus, lasciandosi però sfuggire un sorrisino
di compiacimento.
“Sì sì, come
no, tanto lo so che ti sei divertito pure tu! Quindi… Adesso dobbiamo
richiamare tutti i marmocchi del primo anno?”
“Esatto.”
“Dai, ci
penso io!” E così dicendo salì su un masso là vicino e, dopo essersi schiarito
la voce, gridò: “Tutti i mocciosi del primo anno vengano da questa parte
entro cinque secondi se non si vogliono trovare espulsi da Hogworts seduta
stante!”
Immediatamente,
una folla di ragazzini con gli occhi sbarrati per la paura accorse verso di
loro.
“Ultimo
richiamo! Tutti i mocciosi del primo anno vengano qui se non vogliono
tornarsene a casa immediatamente!”
Ed un ultimo
gruppetto di ritardatari, col fiatone, giunse al luogo dell’incontro.
“Bene
marmocchi, se ci siete tutti possiamo andare! Seguite il grande Sirius Black,
giungerete ad Hogworts dopo un fantastico giro turistico sul lago ove si trova una
piovra gigante che vi mangerà tutti in un sol boccone! Waaaaa!” Disse lui, scendendo
agilmente dalla roccia e terrorizzando un paio di bambine che, già nervose per
la piega che la situazione stava prendendo, non riuscirono a trattenersi e gridarono come delle gallinelle impaurite.
Remus
scosse la testa… e figurati se non si metteva a fare il buffone!
“Ti sbagli,
la piovra gigante non ci farà nulla, perché col buio si addormenta. E il viaggio
non è affatto pericoloso, serve solamente a mostrare i meravigliosi territori
che circondano la scuola ai nuovi arrivati!” Disse una bimbetta con fare
saccente.
Sirius la
guardò stizzito. “Le secchione saranno le prime ad essere spolpate vive!” Gridò
poi, dirigendosi verso il lago seguito da molti bambini che, dopo quell’ultima
affermazione del Grande Sirius, parevano essersi un poco tranquillizzati…!
Sirius, e
Remus, che dopo aver accompagnato i bambini erano tornati indietro a prendere l’ultima
carrozza rimasta ad aspettarli, ora distavano i loro bagagli nella stanza del
dormitorio maschile nella torre di Grifondoro. Con loro c’era anche Peter che,
probabilmente stanco per il viaggio, si era addormentato non appena aveva
toccato con la testa il cuscino.
La porta si
aprì, e tutti sorrisero nel vedere entrare un James totalmente sconvolto.
Chissà dov’era finito… lui era arrivato prima di loro al castello, verso le
otto e mezza, ed ora erano già le nove, e fra mezz’ora sarebbe cominciata la
cerimonia dello smistamento. Avevano chiesto notizie di lui ai compagni
Grifondoro, ma nessuno lo aveva visto. Anche se una Corvonero del terzo anno
aveva affermato di averlo visto schiantato contro un muro dopo che una tizia
furiosa dai capelli come il fuoco gli aveva gettato addosso strani e complessi
incantesimi…
“Ciao!”
Disse Sirius, con un sorrisetto divertito in faccia.
“Dov’eri?”
Gli chiese invece Remus.
“A cercare
di calmare Lily!” Disse quello, sbottonandosi il primo bottone della camicia
per poter respirare più liberamente.
“E com’è
andata?” Chiese Sirius.
“Dopo che mi
ha lanciato addosso qualche centinaio di maledizioni, ha deciso che forse mi
poteva dare un’opportunità.”
“Ah, e
quale?”
“Voleva che andassi
a chiedere scusa a Mocciosus…”
“L’hai
fatto?!” Chiese Sirius, ora preoccupato.
“Tse, ma
secondo te?! Non sono affatto dispiaciuto per quello che gli ho fatto!”
“E lei come
ha reagito?” Chiese Remus.
“Dopo avermi
fatto la solita ramanzina che sono un moccioso egoista ed egocentrico, che
dovrei avere più cura del prossimo, ed evitare che i pregiudizi sui Serpeverde
mi facciano comportare da vigliacco offendendo un membro di quella casa più
debole di me… mi ha detto che mi perdona. E stasera viene alla festa con me. –
tutti sorrisero felici. Ma Potter non aveva ancora finito – In qualità di
Controllore. Se si accorgerà che anche uno solo dei limiti imposti dalla
McGranitt verrà oltrepassato, andrà dalla prof e denuncerà l’accaduto,
interrompendo così seduta stante il divertimento.”
“Ma è
proprio una stronza!” Gridò Sirius, accigliato. “Tu adesso vai da lei, in
camera sua, e la tieni impegnata per tutta la notte!”
“Sirius!”
Gridò Remus, in tono di rimprovero.
“Avanti, ragazzi,
magari si calma…” Disse James, non credendo però nemmeno lui a quella
possibilità.
Sospirarono
tutti insieme, mentre un sorriso divertito comparire subito dopo sulle labbra
di ognuno di loro. Bene, ora la situazione si faceva ancora più emozionante:
chissà se sarebbero riusciti a scampare alla Evans e a sorvolare i limiti della
McGranitt… un’impresa davvero emozionante!
Sirius si sedette su un divano nella sala Comune dei Grifoni, in una
posizione tale che riusciva a guardare tutta la grande sa
Sirius
si sedette su un divano nella sala Comune dei Grifoni, in una posizione tale
che aveva la completa visuale di ogni membro che partecipava alla festa.
Un sorriso divertito gli illuminava il volto. Erano
riusciti fino ad ora a fare entrare un buon numero di ragazze e ragazzi
Corvonero e Tassorosso (i Serpeverde erano stati esclusi a priori),
semplicemente trasfigurando le insegne nella loro divisa della loro casate in
quelle rosso – oro dei grifoni; lo stesso metodo era servito anche per
nascondere le bottiglie di alcolici e le sostanze stupefacenti (tutte di
origine magica). E il bello era che Lily non si era accorta di niente! Già,
perché James alla fine si era ‘sacrificato’ e l’aveva costretta a rimanere in
camera sua con lui per spiegargli l’intero programma dell’anno passato di
Pozioni, dicendo che non se lo ricordava minimamente e non voleva prendersi
un’insufficienza già dalla prima verifica. Naturalmente Lily aveva fiutato
l’inganno (anche perché era assolutamente impossibile che James si preoccupasse
delle prime verifiche dell’anno, specie se si trattava di quelle di Pozioni,
ben sapendo che poi, come usava fare ormai da tempo, avrebbe potuto recuperare
tutto quanto nelle ultime due settimane dell’ultimo quadrimestre…) e si era
opposta, ma le preghiere di James e i suoi rimbecchi (Sei davvero antipatica!
Allora non è vero che mi vuoi bene! Mi sento offeso! Reputi tutta quella
marmaglia più importante di me…) l’avevano costretta a rimanere, sebbene
controvoglia.
Per quanto riguarda Remus… beh, lui chiudeva entrambi gli
occhi quando si trattava degli amici, perché sapeva che in fondo ciò che
facevano era solo votato al divertimento e non a fare del male a qualcuno. Lo
cercò nella sala, e lo trovò in un angolino tranquillo impegnato in una
piacevole conversazione con una Tassorosso della sua età… eheeheheh… caro il
buon vecchio Lupin! Oramai aveva capito quali erano le gioie della vita!
Insomma,
i due Capi – Scuola erano completamente passivi nei confronti della festa.
Beh…si
ritrovò a pensare… se ci fosse stata Solaria, neanche lui avrebbe preso parte
attiva, preferendo andare con lei a divertirsi privatamente in qualche ala
isolata del castello…!
Solaria.
Quel giorno non aveva fatto altro che pensare a lei, e se le cose fossero
continuate così, quell’anno a scuola sarebbe stato davvero tremendo. Ricordava
in che condizioni era quando lei, durante il quarto anno, se n’era rimasta in
Francia per recuperare il programma scolastico perso e soprattutto stare vicino
ai familiari dopo quello shock derivato dalla sua catatonia… certo, le
condizioni erano un po’ diverse. In quel momento lui non voleva riconoscere i suoi
sentimenti per lei, e aveva intrapreso una vera e propria lotta contro se
stesso… Ma ora che li conosceva, era anche peggio. Sapeva ciò che si stava
perdendo, e lo sopportava solo perché lei gli aveva assicurato che ad Avalon
sarebbe guarita, e poi sarebbe tornata da lui… e avrebbero vissuto insieme,
fino al giorno fatidico in cui il suo Destino avrebbe avuto compimento.
Sentì
immediatamente una morsa allo stomaco, e le lacrime salirgli agli occhi. Ancora
non riusciva a sopportare quella prospettiva orribile che lei gli aveva
presentato. Ancora non poteva accettare che, un giorno, si sarebbe dimenticato
tutti quegli splendidi momenti passati con lei. No, la situazione era anche
peggiore. Si sarebbe dimenticato perfino lei, la sua Solaria, colei che gli aveva
fatto palpitare per la prima volta il cuore facendogli capire che anche lui ne
possedeva uno, nonostante la famiglia abbietta da cui proveniva. Colei che
oramai era diventata un elemento necessario nella sua esistenza… cosa sarebbe
stato il mondo senza Solaria?! Un carcere terribile, peggio di Azkaban e dei
suoi spaventosi custodi. Un luogo così devastante che nemmeno la presenza degli
amici sarebbe riuscita a sanare.
Perché
doveva capitare proprio a lei?! Perché lei doveva sottoporsi a tali supplizi?
Perché non mollava tutto e, mostrando un po’ di egoismo (che alle volte non
faceva affatto male), lasciava perdere il suo ‘compito’ e si salvava la pelle?
Lui probabilmente lo avrebbe fatto al posto suo… o no? Lo avrebbe fatto?!
No,
non lo avrebbe fatto. Perché, com’era vero che Solaria era la sua metà
perfetta, si sarebbe comportato al suo stesso modo.
Ma
non era giusto…
“Ehi,
a che pensi?” Chiese una vocina, che lui nemmeno sentì.
“Sto
parlando con te!” Niente.
“Ti
svegli?!” Quell’ultima frasetta, accompagnata da una leggera scrollata alle
spalle, lo fece ritornare alla realtà. Si voltò impassibile a fissare
l’esserino che gli stava seduto al fianco. Era una bimbetta magra, ossuta, con
due grandi occhioni azzurri e i capelli color rosso, striati da ciuffi dorati.
Sirius
arretrò sbalordito: quella mocciosa aveva in testa la bandiera dei Grifondoro!
“Oh,
era ora! Pensavo ti fossi addormentato!”
“Che
hai in testa?” Le chiese Sirius con faccia schifata.
La
bambina sorrise compiaciuta. “Ti piace? Ero così contenta di essere finita a
Grifondoro che ho deciso di abbinare i capelli al colore della nostra
bandiera!”
“Ma
è davvero terribile!” Sbottò Sirius, che non riusciva a staccare lo sguardo da
quella testolina buffa.
“A
me piace!” Rispose tranquilla lei.
“Non
penserai di fare colpo su di me con una testa del genere, spero!”
“Ma
non ho nessuna intenzione di fare colpo su di te!” Rispose sbalordita lei,
guardandolo con tanto d’occhi.
“Ah
no? E perché saresti qui, altrimenti?” Chiese lui, alzando gli occhi al cielo
esasperato.
“Non
ti ricordi di me?” Gli chiese invece la bimba.
Sirius
la fissò in volto… sì, gli pareva di aver visto quei lineamenti… nasino
all’insù, occhietti simpatici, boccuccia a cuore… ma certo! Era quella
smorfiosetta che aveva osato contraddire ciò che lui aveva detto riguardo alla
piovra nella palude… la secchiona del primo anno!
“Sei
quella rottura di balle del lago!” Concluse poi, sardonico.
“Esatto!
Sono proprio io!”
“Eh,
che bello!” Fece lui ironico, voltandosi dall’altra parte a guardare la festa.
Ci mancava solo una mocciosa petulante e secchiona a rovinargli la serata…
“E
per giunta anche opprimente!” Si ritrovò a pensare quando vide la manina
della piccola davanti al suo volto, che aspettava di essere stretta dalla sua
per una presentazione ufficiale. Si voltò a guardarla col miglior sguardo di
disgusto che riuscisse a presentare, ma quella, che a quanto pare era immune a
qualsiasi sorta di commento tagliente o comportamento affatto gentile
(probabilmente ne era abituata… pensò Sirius, cattivo), gli mostrò il suo
miglior sorriso e gli disse: “Piacere! Io sono Nimphadora Tonks!”
Quel
cognome… l’aveva già sentito! La guardò sospettoso, cercando di riconoscere i
suoi lineamenti… poi un lampo gli illuminò la mente.
“Non
dirmi che sei…”
“La
figlia di Andromeda Black, tua cugina!” Concluse entusiasta lei.
Un
sorriso lentamente iniziò a delinearsi sulle labbra di Sirius. Quella poppante
arrogante, petulante, opprimente e secchiona, con una testa che era battuta in
mostruosità solo dal suo nome, era la figlia di quella sua cara parente che,
come lui, era stata rinnegata dalla sua famiglia per aver sposato un babbano.
Un’altra pecora nera della famiglia Black insomma, che però aveva incontrato
solo un paio di volte da bambino (e in condizione tutt’altro che allegre), e di
cui aveva perso le tracce per tutto quel tempo. Tanto che non aveva saputo
nemmeno di aver avuto una cugina…
La
guardò ancora. Era davvero buffissima! Chissà che reazione avrebbe avuto sua
madre se l’avesse vista, soprattutto in quel momento con quei capelli osceni!
Scoppiò a ridere divertito! Ehi, perché diamine non aveva conosciuto prima quel
lato della sua famiglia?!
“Ehi,
ma che hai da ridere tanto?” Gli chiese serafica la bimba, dopo cinque minuti
di interminabili risate da parte del cugino. “Se me lo dici rido anch’io!”
“Pensa
a mia madre… che faccia farebbe… se ti vedesse con quella testa!” Le rispose
Sirius, tentando di parlare fra le risate, che rincominciarono subito dopo
peggio di prima, tanto che alcuni ragazzi fra la folla si voltarono e lo
guardarono interrogativamente.
“Spero
di non vedere mai tua madre! Né tanto meno tuo padre!” Rispose la piccola.
“Non
sarà un problema, penso che nemmeno loro muoiano dalla voglia di conoscerti!”
Rispose pungente Sirius, calmandosi lentamente.
“Oh,
lo so! Hanno una tale fissa per il sangue puro, che il mio mezzo - babbano non
gli piacerà di certo! Comunque, sei diverso da tuo fratello!”
Sirius
si voltò a guardarla, ora era rimasto solo un sorriso amaro sulle sue labbra.
“Hai incontrato mio fratello?”
“Sì!
Per caso, un giorno, a Diagon Alley… mamma lo aveva indicato e mi aveva detto
che quello era un mio parente. Io tutta felice ero andata a salutarlo, e lui mi
aveva guardato malissimo… me lo ricordo ancora. E io mi ero offesa e mi ero
vendicata.” Disse la piccola, a cui quello spiacevole incontro era rimasto
particolarmente impresso nella memoria. Lei era così felice di aver finalmente
incontrato un suo parente, che era semplicemente corsa verso di lui pronta ad
abbracciarlo. E quella reazione del ragazzo… l’aveva distrutta.
Quello
stesso giorno, una volta rientrate a casa, la mamma le aveva spiegato le
divergenze che c’erano con la sua famiglia d’origine. Da quel momento lei,
sebbene molto dispiaciuta perché quelli erano i soli parenti che aveva, prese
ad odiarli. E aveva solo cinque anni…
“E
come ti saresti vendicata, sentiamo!”
“Beh,
ho fatto una cosa che l’ha spaventato!”
“E
cosa, di grazia?”
Lei
lo guardò furbescamente. “Questo!” Disse poi.
Ciò
che accadde in seguito, fu di un orrore indicibile. Perfino Sirius, sbalordito,
si alzò di scatto dalla poltrona e guardò con occhi sbarrati la cugina che… non
era più la cugina! Cioè, spieghiamo meglio… aveva iniziato a… mutare faccia… a
velocità allucinanti! E poi, non facce normali… erano spaventose, tipo facce di
zombie, di lupi mannari (non c’è alcun insulto rivolto direttamente o
indirettamente a Remus!), di Troll, di Ba Bau, e di demoni oscuri dall’aspetto
terrificante.
Dopo
circa trenta secondi d’incroci strani tra creature orripilanti, la faccia di
Dora tornò normale.
Anzi,
per l’esattezza, la bimba era spudoratamente divertita!
“Brutta lattante folle che non sei un’altra! Prima mi fai
prendere un colpo, e poi mi ridi in faccia!” Gridò Sirius, fulminandola con lo
sguardo. “Complimenti, sei davvero degna di essere mia cugina!” Aggiunse poi,
allungando una mano che Dora strinse allegramente. Poi si risedette e, curioso,
le domandò: “Ma come fai?! Cioè… se l’avessi saputo fare io, l’avrei usato
spesso con Regulus!”
“Oh,
mi dispiace, è un dono di natura!”
“Vuoi
dire che non ti bevi ogni giorno un centinaio di pozionipolisucco
al posto dell’acqua?”
“Già!
Sono una Metamorphomagus!”
“Che
saresti tu?!”
“Posso
cambiare il mio corpo semplicemente desiderandolo!”
Sirius
la fissò sbigottito. “Ma mi stai prendendo per i fondelli?”
“No!
L’hai visto!”
Sirius rimase in silenzio per un poco, digerendo quella
notizia bomba che la cugina gli aveva appena dato. “Ma allora perché non ti
trovi una capigliatura più decente?”
“Te
l’ho già detto, questa si abbina alla bandiera dei Grifoni!” Rispose la bimba,
a modo di cantilena.
“Pfiu…”
Fu il commento di Sirius, mentre guardava ancora una volta la testa della
piccola. “Comunque, passando ad argomenti più… interessanti, come mai non mi
hai evitato quando hai capito che facevo parte della TerribileFamigliaBlack?!”
“Perché
la mamma mi ha presentato tutti i rinnegati, e fra quelli mi sono ricordata che
c’eri anche tu! Anche se questa sera ne ho dubitato molto dopo la battutina pungente
sulla piovra…”
“Te
la sei meritata in pieno, bamboccia!”
“Mi
stavi dando ai nervi!”
“Anche
tu!”
“Ma
hai cominciato tu!”
“Ed
infatti ho anche finito!”
“Sai,
in fondo non sei poi così diverso da tuo fratello…” Sbottò Tonks, che stava
iniziando a perdere la pazienza.
“Ti
sbagli di grosso! Io sono molto più bello, più buono, più intelligente, più affascinante,
più accattivante…”
“…più
pedante, più vanitoso e più presuntuoso!”
“E
tu sei una grandissima rottura di palle! Fila immediatamente in camera tua!”
Gridò Sirius, indicando con un braccio il dormitorio femminile.
“Manco
per sogno!”
“Sei
una primina, e le primine possono rimanere alla festa solo fino alle undici!”
“Adesso
sono le undici!”
“No,
erano le undici tre secondi fà! Fila immediatamente in camera tua!”
“No!”
“Ti
farò mettere in punizione! Ricordati che sono un Prefetto…”
“Tu
non sei un tubo! Remus Lupin e Lilian Evans sono i prefetti di Grifondoro!”
“E
io sono il loro amico, pertanto ciò che dico vale quanto le loro stesse parole!”
“Ma
vai a buttarti giù da una torre!”
Dall’altro
lato della sala, Remus, vedendo i due individui estremamente nervosi (ci
mancava poco che giungessero alle bacchette…), si scusò per un attimo con la
ragazza con cui stava parlando e corse da loro.
“Ehi, che succede qua?” Chiese, guardando alternativamente
i due, che ora sembravano aver intrapreso una lotta all’ultimo sangue con lo
sguardo.
Sirius
si voltò dall’amico e, con un sorriso, gli disse: “Guarda! Questa è mia cugina!”
Al
che la ragazzina, allegra, si voltò dalla sua parte e mostrandogli la mano, gli
disse: “Molto piacere, io sono Nimphadora Tonks!”
Remus,
rimasto piuttosto spiazzato dal repentino cambiamento d’umore dei due ragazzi
(nonostante fosse un comportamento frequente sia di Sirius sia di Solaria, non
era mai riuscito ad abituarcisi), si risvegliò giusto in tempo per stringere la
mano che la bimba gli porgeva e mormorare un debole: “RemusLupin…piacere!”
Poi, schiaritosi la voce, aggiunse: ”Non sapevo avessi una cugina!” E dopo aver
detto questo capì la somiglianza di caratteri dei due.
“Non
lo sapevo nemmeno io!” Rispose ironico Sirius.
“E
tu sei la figlia di…”
“Andromeda Black!” Rispose Tonks.
“Oh,
ho capito!”
“Ed
è anche una Metamorphomagus!” Aggiunse Sirius, orgoglioso.
“Davvero?”
Chiese Remus, incuriosito da questo particolare. “Allora le mutazioni sono una
prerogativa dei dissidenti della vostra famiglia! Sirius è un Animagus!”
“Oh,
non lo sapevo!” Fu la risposta della bimba, che si voltò a guardare ammirata il
cugino.
“Eh
sì, modestamente la natura è stata molto generosa con me…” Rispose quello.
“Sei
una Grifondoro, non è vero?” Chiese poi Remus alla primina.
“Sì!”
“E
sei del primo anno.”
“Già!”
“Allora,
mi dispiace dirtelo, ma devi tornare ai dormitori! Gli altri tuoi coetanei sono
già saliti un quarto d’ora fa! Ora la festa è aperta solo ai ragazzi dal
secondo anno in su! Mi dispiace!”
“Ma
allora non stavi dicendo idiozie!” Disse Tonks, rivolta a Sirius.
“Io
sono la bocca della verità!” Rispose Sirius, con aria solenne.
“Va
beh, allora io salgo! Ci vediamo domani, Buonanotte a tutti!”
“Ciao
Nimphadora!” Disse Remus.
“No,
chiamami Tonks! Preferisco!”
“Certo
che non pensavo che tua madre avesse gusti così osceni in fatto di nomi…”
Commentò il cugino, gentile come sempre.
“Che
io sappia, non c’è nessuno tra i Black che abbia gusti decenti in fatto di
nomi!” Sbottò la primina, dirigendosi verso il suo dormitorio.
“C’era
per caso qualche riferimento implicito al sottoscritto?!” Le gridò Sirius,
mentre lei saliva le scale. E per tutta risposta ottenne una risatina ben poco
rassicurante.
“Ma
cos’ha in testa tua cugina?” Chiese Remus, poco dopo.
“Poverina,
è nata col cervello posto al contrario…”
“No,
io veramente mi riferivo ai capelli…”
“Oh!
Li ha abbinati alla bandiera dei Grifoni!” Disse Sirius, alzandosi dalla
poltrona.
“Cosa?!”
“E,
te l’ho detto!”E così dicendo si batté un dito sulla tempia. Poi si voltò e si
diresse verso i dormitori maschili.
“Dove
vai ora?”
“Questa
festa è uno scassamento di palle. Torno in stanza, lì mi divertirò molto di
più. Buonanotte!”
Remus
lo guardò salire le scale che conducevano ai reparti maschili. Aveva la sua
solita camminata superba, le spalle diritte, la testa alta e lo sguardo sicuro
davanti a sé. Sorrise: anche se Sirius ce la stava mettendo tutta per mostrarsi
sempre lo stesso, non sarebbe mai riuscito ad ingannare lui. Stava soffrendo. E
qualcosa gli diceva che il motivo di quest’angoscia non era solo la lontananza
di Solaria. C’era qualcosa di molto più grande sotto.
Qualcosa
che lui però non avrebbe mai scoperto. Perché, conoscendo bene Sirius, non
gliel’avrebbe mai detta…
“Ehi,
Remus, tutto ok?” Chiese una voce di ragazza. Remus si voltò, incrociando gli
occhi azzurri della fanciulla che, al suo fianco, lo guardava con un sorriso.
“Sì,
certo Cassandra, tutto a posto. Scusami se ti ho lasciato per così tanto tempo,
pensavo di sbrigarmela in breve.”
“No,
non preoccuparti, non fa niente.” Rispose gentile lei, guardandolo con affetto.
Remus
le sorrise a sua volta. Era davvero gentilissima, una ragazza meravigliosa, per
giunta molto carina. Dalla fine dell’anno passato usciva con lei, e si trovava davvero
bene.
Lei,
come avrebbe detto James, era davvero ‘cotta marcia’ di lui, e gli sarebbe
piaciuto tanto ricambiare il suo stesso sentimento… ma non ce la faceva.
Ogni
volta che le stava vicino il suo pensiero correva immediatamente a Narcissa. E,
anche se sapeva che mai avrebbe potuto averla ora che se n’era andata, il suo
cuore continuava a sperare… Sciocco, tutto questo era davvero sciocco. Ma non
poteva farne a meno. Aveva tentato in tutti i modi di non pensare a lei, di
farsi una vita propria come Narcissa stessa gli aveva consigliato, ma era
impossibile.
Guardò
Cassandra. No, non poteva continuare ad illuderla così, doveva lasciarla. Non
poteva mancarle di rispetto in questo modo, stando con lei e pensando ad un’altra.
Era orribile.
Gliene
avrebbe parlato, magari quella sera stessa, e le avrebbe spiegato che loro
potevano essere solo amici.
L’ottavo anno, in fondo, non ebbe dunque un inizio così negativo
L’ottavo anno, in fondo, non ebbe un inizio così negativo.
Certo, la tristezza aleggiava ovunque, ma questo era un fatto inevitabile per
il periodo in cui si ritrovavano a vivere. La cosa più bella era vedere che
c’era qualcuno che, nonostante tutto sembrasse precipitare, tentava ancora di
tenere i piedi saldi a terra, cercando perfino di divertirsi. Ma questi
tentativi spesso andavano perduti quando, tramite una lettera o un colloquio
col preside, si veniva avvertiti di spiacevoli perdite avvenute in famiglia… e
questa sorte toccò a parecchie persone. Gli unici che riuscirono nei loro
intenti furono dunque coloro che non avevano nulla da perdere. O coloro che
avevano già perso tutto. Nel primo caso potremmo senza dubbio riconoscere gran
parte della popolazione Serpeverde. Nel secondo caso… beh, penso che Sirius
Black fosse l’unico membro di quella categoria. Non poteva temere ciò che là
fuori facevano i Mangiamorte, perché se anche avessero eliminato la sua
famiglia, certamente non sarebbe stato dolore ciò che avrebbe provato. E
Solaria poi, sebbene lontana, era al sicuro, in un posto in cui nemmeno
Voldemort poteva avere accesso.
Al
massimo poteva temere per le famiglie dei suoi amici. Vedeva ogni mattina Lily,
James e Remus afferrare con ansia la Gazzetta del Profeta e scorrere l’elenco
delle nuove vittime (i giornalisti avevano oramai rinunciato a mettere la foto
di ognuna di esse perché erano divenute troppo numerose) in cerca di un nome
conosciuto. Ed ogni mattina, per loro fortuna, non lo trovavano.
Dopo
di che stavano in ansia tutto il giorno aspettando il giornale del giorno
successivo.
Sirius,
immerso fino al collo in questa situazione, aveva avuto due reazioni
completamente opposte, che però avendo la stessa intensità, gli avevano
impedito di compiere sciocchezze che lo avrebbero messo in seri guai con gli
amici.
La
prima reazione era stata quella di solidarietà nei confronti degli amici:
sapeva bene cosa si provasse ad avere nella testa il pensiero fisso che la
persona (o le persone) che ami di più stiano correndo un pericolo mortale. E’
una sensazione opprimente, che impedisce di vivere serenamente… anzi no, che
impedisce di vivere e basta, distruggendo lentamente la sua vittima
dall’interno.
E
fin qui, tutto ok.
Ma
la seconda reazione…la seconda reazione era stata quella dettata dal suo
egoismo: perché cavolo non la smettevano di pensare a tutto ciò e provavano a
godersi la vita, di cui la durata era alquanto precaria visti gli ultimi
avvenimenti?
Orribile, non è vero? Già. E di questo se n’era
accorto pure lui, tant’è che aveva tentato in tutti i modi di eliminare un tale
pensiero dalla sua mente. Ma non c’era riuscito, e per questo si era odiato
ancora di più. Perché quell’egoismo era un’eredità impostagli dal sangue Black,
e lui la disprezzava con tutto il suo essere.
L’anno
fu però reso più piacevole per quasi tutta Hogworts (e poi capirete perché dico
quasi) da una nuova figura che era entrata ben presto nel loro circolo
di amici, e di cui potrete anche immaginarvi l’identità: Nimphadora Tonks.
La giovane Grifondoro era ormai divenuta, suo malgrado, il
giullare della scuola. A parte i suoi scioccanti cambiamenti di capigliatura,
dovuti alla sua mania di abbinarne il colore a tutto ciò che la circondava, ad
esempio il colore della minestra a pranzo (e non sempre il risultato era
piacevole, soprattutto quando si trattava di pasticcio di carciofi e salsiccia
tritata; Sirius naturalmente con la sua solita gentilezza gliel’aveva fatto
notare, ma Tonks non si lasciava dissuadere mai da nessuno nei suoi propositi…
purtroppo!), erano soprattutto i disastri che combinava a lasciare tutti
esterrefatti. Sirius era riuscito perfino a sapere che, il primo giorno di
scuola, mentre era seduta nella barca che attraversava il lago, voltandosi per
tranquillizzare una compagna che gridava disperata per timore della Piovra
Gigante, aveva urtato il compagno al fianco, che era caduto in acqua e che
probabilmente sarebbe affogato se Hagrid non se ne fosse accorto in tempo.
Ma
questo fu solamente l’inizio di una lunga serie di avvenimenti, irripetibili
per quanto assurdi. Ad esempio, durante la pratica di pozioni, per ben tre
volte aveva sbagliato ingredienti facendo scoppiare il contenuto del suo
calderone e trasformando i suoi compagni e il professore: la prima volta in
lumache (non vi dico la fatica di Silente per rintracciarle tutte e riportarle
alle loro forme e dimensioni normali), la seconda volta in orridi schiopodisparacoda (fortunatamente questa volta il professore era riuscito a
proteggersi e aveva immediatamente ritrasformato i suoi allievi in esseri
umani), e la terza volta… beh, ecco… la terza volta il miscuglio da lei creato
si era rivelato essere un potente incantesimo di prurito, pertanto tutti i
coinvolti, in attesa di un antidoto, erano stati costretti a grattarsi
incessantemente per una settimana di seguito…
Ma
l’episodio più spettacolare accadde in biblioteca.
Come
ogni sera, dopo le lezioni Dora si recava in biblioteca insieme alle sue amiche
per studiare. E come ogni sera, vedendola arrivare, la bibliotecaria (temendo
la sua fama) la teneva d’occhio incessantemente.
Quel
giorno però, dopo circa dieci minuti dal suo arrivo, era giunta una gran massa
di ragazzi del quinto anno che chiedevano alla bibliotecaria centinaia di
volumi su cui prepararsi per gli imminenti esami. E dunque, la signora non
aveva potuto volgere la sua totale attenzione alla giovane Tonks. Ma in fondo,
fino ad allora non aveva combinato nulla di male, dunque si poteva permettere
di non preoccuparsi più di tanto…
I
fatti andarono più o meno così.
A
Ninfa serviva un libro di Antiche Rune per la ricerca che l’insegnante le aveva
assegnato per il giorno successivo. E, purtroppo, il libro era proprio un
piccolo volume posto in fondo all’ultimo ripiano in alto dell’ultimo scaffale
in fondo alla biblioteca.
Tonks,
tranquillamente, appoggiò la scala allo scaffale ed iniziò a salirne i gradini,
senza accorgersi però che l’aveva appoggiata male al pavimento. Quando si
sporse per prendere il libro desiderato, questa iniziò a traballare pericolosamente.
Spaventata, si gettò con tutto il suo peso sullo scaffale che, urtato così
violentemente, iniziò a traballare anch’esso. Sempre più terrorizzata, Dora
afferrò la sua bacchetta, tentando di farsi un incantesimo di levitazione, ma
probabilmente (a causa del terrore e della posizione non proprio comoda in cui
si trovava) sbagliò qualcosa, e invece di farsi levitare in alto, provocò uno
scoppio alla base dello scaffale, facendolo rovinosamente cadere in avanti.
Proprio nel momento in cui stava per essere schiacciata fra i due scaffali,
qualcuno la fece levitare in aria. Si voltò il giro in cerca del suo salvatore,
e scorse suo cugino che la guardava dall’altra parte della biblioteca con un
ghigno divertito e la bacchetta in mano. E in quel momento sentì di adorarlo
con tutta se stessa!
Ciò
che accadde dopo la riportò alla realtà… dall’alto della sua posizione,
infatti, poté seguire in maniera assai più panoramica il distruttivo effetto
domino che aveva creato fra tutti le scansie della biblioteca. L’ultimo
scaffale di libri andò a cadere proprio sul gruppetto di ragazzi del quinto
anno che stavano attorno alla bibliotecaria e non avevano fatto in tempo a
spostarsi…!
Allora,
il rapporto dei danni totali fu questo: trenta feriti, centomila libri rovinati,
duecento andati perduti, e tutti e sette gli scaffali completamente da
ricostruire.
Ovviamente,
Dora non fu punita, in quanto non aveva provocato volontariamente
quell’incidente… ma questo piccolo dettaglio non fu affatto considerato dalla
bibliotecaria (che aveva riportato un trauma cranico e cervicale e una frattura
al polso destro), che da quel momento aggiunse ai cartelli all’entrata della
sua biblioteca che dicevano “No Foods”, “No Drinks”, “No Pets”, anche quello
con su scritto “No Tonks”!
Quando
l’anno finì, e ci fu finalmente l’esame dei M.A.G.O., Lily riuscì a prenderli
tutti e dodici, James solo sei (grazie all’aiuto di Lily), Sirius dieci e Remus
undici. Peter fu promosso, e Tonks riuscì a cavarsela con un debito in Pozioni
(il professore Stronzus proprio non riusciva a sopportarla).
L’ultimo
giorno di scuola si ritrovarono dunque tutti quanti seduti sotto la loro
quercia, da cui potevano ammirare lo splendido panorama del lago, a parlare di
ciò che sarebbe successo poi.
“Io
e mamma partiamo per l’Italia!” Disse Nimphadora felice.
“E
io che pensavo ti avrebbero rinchiuso in casa per evitare altri danni…!”
Commentò Sirius.
“Stai
zitto, antipatico!” Fu la risposta della cuginetta.
“Sirius,
tu vieni a casa mia, non è vero?” Chiese James.
“Se
non disturbo…”
“Ma
scherzi? Mia madre non faceva altro che chiedermi quanto saresti tornato. E
poi, così le farai compagnia quando io andrò a stare un paio di settimane a
casa di Lily!”
“Ah,
adesso capisco il motivo della tua gentilezza!”
“Molto
spiritoso! Sai bene che non è così!”
“Beh,
se ci sono problemi, puoi sempre venire a casa mia, Sirius.” Disse Remus.
“Ma…
e tua nonna?” Chiese Felpato. La nonna di Lunastorta non aveva mai gradito
l’euforia degli amici del nipote…
Remus
rimase in silenzio e abbassò lo sguardo. Il cuore di tutti iniziò ad accelerare
il proprio ritmo. Cosa era accaduto che loro non sapevano?
“Remus,
che è successo?” Chiese Lily, in un soffio.
“E’
stata ricoverata tre mesi fa. Le sue condizioni oramai erano precarie. Diamine!
Aveva novant’anni… me lo sarei dovuto aspettare e sarei dovuto rimanere con
lei.”
“Come
sta?” Chiese Peter.
“E’
morta due settimane fa.” Disse Remus, con voce rotta. Lily corse subito da lui
e lo abbracciò. Piano piano, sebbene fossero ancora sconvolti dalla notizia, anche
James, Peter e Sirius si unirono a loro in quell’abbraccio consolatorio. Povero
Remus… sapevano quanto ci tenesse a quella nonna. Era l’unico membro della sua
famiglia ancora in vita, dopo che i suoi familiari erano stati uccisi dal
licantropo che poi, quando era bambino, ferendolo gli aveva contagiato la sua
maledizione.
Capivano
anche perché Remus non ne avesse fatto parola con nessuno: era il ragazzo più
orgoglioso che conoscessero. Non ostentava mai il dolore, forse anche perché ne
aveva così tanto dentro che mostrarlo avrebbe significato semplicemente
accrescerlo. E sapeva bene che, se avesse rivelato quella notizia agli amici,
non avrebbe fatto a meno di piangere. Come del resto stava facendo ora.
“Grazie,
amici…” Disse Remus con un sorriso, asciugandosi le lacrime, ancora circondato
dalle braccia dei compagni.
“Ci
siamo sempre noi, Remus… siamo qui per questo. Non ringraziarci!” Gli disse
Lily, baciandolo sulla guancia. E Sirius, Peter e James confermarono le parole
della ragazza con un cenno del capo.
Poi,
lentamente, tutti tornarono alle loro posizioni, chi sospirando, chi sorridendo
commosso, chi ancora con una lacrimuccia di commozione sugli occhi.
“Ehi
Dora, che hai?!” Furono le parole pronunciate ad un certo punto da Sirius, che
portarono l’attenzione di tutti sulla bambina.
Tonks,
inginocchiata sull’erba, teneva i pugni chiusi sulle ginocchia e il viso
nascosto tra le spalle. In più, tremava tutta.
Ad
un certo punto, sotto lo sbalordimento di tutti, alzò il viso, che si rivelò
essere completamente rosso e rigato dalle lacrime, e si gettò come una furia su
Remus, che cadde all’indietro a causa del suo impeto.
Allibito,
il ragazzo guardò la bambina che si stringeva al suo petto, i capelli corti e
di un rosa shocking che brillavano alla luce del sole.
“Mi
dispiace Remus! Mi dispiace tanto! Tanto tantissimo! Io non lo sapevo!
Poverino! Mi dispiace!” Gridò la bimba, continuando a piangere a dirotto.
Ben
presto, lo stupore lasciò spazio alla tenerezza, facendo comparire un sorriso
dolce nelle labbra di Remus, che si mise ad accarezzare i capelli della bimba
per tranquillizzarla.
Anche
tutti gli altri membri del gruppo, inteneriti, fissavano ridenti la bambina fra
le braccia di Lunastorta.
“Ehi,
piccola peste, va tutto bene! Tranquilla!” Le disse Remus.
“Come
devi essere triste! Mi dispiace davvero tanto!” Continuava a dire Tonks.
“Non
preoccuparti, adesso va meglio. Però calmati!” Le disse ancora, ridendo, e
tentando di risollevarsi da terra.
Tonks,
che ormai si era ritrovata accoccolata fra le sue braccia, si scostò un poco e
lo fissò. Vedendolo calmo e sorridente, si asciugò le lacrime e sorrise a sua
volta.
“Davvero
va tutto bene?”
“Certo!”
“Sicuro?”
“Sì!”
“Non
ti sentirai da solo ora in quella casa?”
“No,
non preoccuparti!”
“Io
verrei da te, ma devo andare in Italia!”
Tutto
il gruppo scoppiò a ridere, e Remus si dovette trattenere per non fare lo
stesso. “Va benissimo così, tranquilla!”
“Allora
ti manderò una cartolina da ogni città che visiterò!” Disse poi felice, la
bambina.
“Piccolo
demonio, vieni qui adesso!” Le disse Sirius ridendo, invitandola ad andare fra
le sue braccia.
“Allora
va bene?” Domandò quella a Remus, mentre si stava infilando fra le braccia del
cugino. Remus fece sì col capo.
“Ma
guarda quanto è sentimentalista questa birba!” Disse dolcemente Sirius,
guardando la cugina negli occhietti blu mentre le scarmigliava i capelli.
“Anche
tu sei sentimentalista!” Le disse lei, con un sorriso.
Queste
parole o presero alla sprovvista, e lo fecero pensare.
Non
era una domanda, si trovò a riflettere Sirius mentre stava per dire qualche
idiozia tanto per avere l’ultima parola; era un’affermazione. Ed era stata
detta da quella creatura innocente, la cui purezza si poteva vedere riflessa
nelle iridi color del mare.
“Sì?”
Le chiese.
“Sì!”
Confermò lei, appoggiando la testa sul suo capo.
Beh,
se lo diceva un angelo, non poteva essere che vero.
E
questo significava che lui non era quel mostro che credeva di essere a causa
della presenza di puro sangue Black nelle sue vene.
“Senti
Remus, se ti va, potrei stabilirmi da te, per poi spostarmi per breve tempo dai
Potter quando Ramoso sarà da Lily.” Propose Sirius, continuando ad accarezzare
la testa della cugina che, vinta da tutte quelle coccole, stava iniziando a
sonnecchiare.
“Perfetto!”
Disse James.
“E
chi stava parlando con te?!”
“Hai
citato anche me, dunque dovevo essere d’accordo pure io!”
“Tu
saresti d’accordo con qualunque piano ti permettesse di andare da Lily e non
lasciare i tuoi genitori soli!” Sbottò Felpato.
“Mmm...
E’ vero anche questo!”
“Per
carità Ramoso, sei senza speranze… allora, Lunastorta?”
“Per
me va benissimo Sirius, non chiedo di meglio!” Rispose lui, solare.
Quell’estate
inizialmente passò piuttosto tranquilla. Sirius si trasferì con tutti i suoi
averi a casa di Remus, una villa sperduta nelle campagne del Galles, che
distava dieci minuti di autobus dal primo centro abitato babbano.
Era
un luogo niente male, davvero, immerso nel verde, con uno splendido giardino
curato. Però, c’era un aspetto di quella casa che Sirius non riusciva a
sopportare: era quel sapore di vecchio, di passato, di trascurato, che emanava
ogni stanza, ogni mobile, ogni piccolo oggetto. Non che fosse un luogo sporco e
trasandato, tutt’altro. Ma produceva in Sirius una strana sensazione di soffocamento,
assai simile a quella che provava stando rinchiuso nella sua stanza Grimmauld
Place, che lo portavano a desiderare di scappare, di evadere. Ma non poteva:
altrimenti avrebbe fatto un torto ad uno dei suoi migliori amici.
E
così, ogni notte, prima di andare a dormire rimaneva ore e ore seduto sul tetto
della casa, ad ammirare il cielo stellato e pensare alla sua Solaria.
Una
volta però fu raggiunto da Remus e, volente o nolente, l’amico lo costrinse a
rivelate tutti questi suoi angoscianti pensieri.
“Sta’
tranquillo Sirius, è la stessa sensazione che ho sempre avuto io stando in
questa casa. Poi però, col passare del tempo, mi sono dovuto abituare…
Se
mi aiuti tu, comunque, potremmo cercare di migliorare la situazione!”
E
così, a partire dal giorno successivo, si misero all’opera per apportare
cambiamenti a quella villa. Spostarono mobili, imbiancarono pareti, tolsero
quadri… il risultato fu un vero e proprio casino, giacché in fatto di gusti i
due ragazzi erano uno peggio dell’altro, e la comunione delle loro idee non fu
propriamente un evento piacevole da vedere…
Senza
contare che la situazione era resa più drammatica dai gufi che entravano ed
uscivano in continuazione da qualunque buco della casa per portare miriadi di
cartoline dall’Italia mandate da Tonks, ed i giorni in cui erano proprio
sfortunati arrivavano anche due o tre lettere, resoconti delle avventure
vissute dalla bambina…
Proprio
però quando erano convinti di aver toccato il fondo, una voce dolce e
cristallina si udì rimbombare fra le squallide stanze della villa, ed i loro
cuori ripresero finalmente a pompare sangue al resto del corpo.
“Lily!”
Gridarono i due amici, correndo (più che altro precipitandosi) giù dalle scale
per andare ad aprire la porta all’ingresso.
Le
avevano scritto una settimana prima, chiedendole consigli sull’arredamento, ma
a quanto pare la giovane Evans aveva preferito venire a pianificare la
situazione dal vivo. Insieme a James, naturalmente…
“Salve
ragazzi!” Disse Lily, entusiasta, appena gli aprirono la porta. “Ma che
casino!” Fece poi, inorridita, dopo aver sbirciato gl’interni.
“Avanti,
vieni, ci devi aiutare!” Disse Sirius, prendendola per un braccio.
“Già!
Prima di tutto, la cucina! E’ da settimane che non riusciamo a mangiare in modo
decente per il caos che c’è!” Continuò Remus, prendendola dall’altro braccio e
trascinandola via senza che lei potesse opporre alcun tipo di resistenza.
“Ehi…beh…ciao
ragazzi!” Sbottò James, ancora sulla soglia della porta. Che begli amici, non
l’avevano manco visto…!
Nel
giro di un mese, la casa fu arredata in modo splendido, con gli stessi mobili
ristrutturati dalla mano sapiente di James secondo le indicazioni di Lily. E,
finalmente, quell’atmosfera opprimente che prima aleggiava in tutto l’ambiente
fu portata via.
Una
sera, seduti sulla veranda a bersi una burrobirra e godersi lo spettacolo di
tutto il loro lavoro, chiacchierarono animatamente del più e del meno.
“Ma
come mai sei venuto anche tu, James? Pensavo non volessi lasciare i tuoi da
soli.” Disse Sirius.
“Sì,
è vero. Ed infatti non li ho lasciati soli!” Rispose James, con un ampio
sorriso sulle labbra. Sirius lo guardò divertito: cos’era riuscito a combinare
questa volta quella catastrofe del suo migliore amico?!
“Non ci crederete mai, ma è riuscito a convincere Malocchio
Moody a stare appostato nei dintorni della sua villa fino al suo ritorno!”
Disse Lily, ridendo.
“E come hai fatto?!” Gli chiese Remus, sebbene qualcosa
gli dicesse che non doveva aver utilizzato metodi del tutto legali… ma, se Lily
era così tranquilla, forse lui si sbagliava.
“Già,
è vero, come hai fatto? Non me l’hai ancora detto!” Domandò Lily, sempre con un
sorriso sulle labbra. Tutti si misero a fissare James interrogativamente.
Ma
lui, a quanto pare, non aveva intenzione di rispondere.
“James…
come hai fatto?” Domandò di nuovo Lily, mostrando un sorriso nervoso sul volto.
“JAMES!” Gridò poi, facendo
sussultare sia Sirius sia Remus, che furono percorsi per un momento da brividi.
“Gli
ho nascosto l’occhio finto in giardino!” Disse tutto d’un fiato Ramoso.
Il silenzio e la calma di Lily succedute a quella
rivelazione posero in grave angoscia tutti i presenti: James incominciava a
preoccuparsi seriamente per la sua incolumità, mentre Sirius e Remus per quella
della loro casa appena rinnovata.
“Allora,
l’anno prossimo io, questo stronzo (è così sottolineato perché
le singole parole furono pronunciate con un tono cinque volte più basso,
profondo e gutturale del normale, nonché con evidente irritazione), e Sirius saremmo al
Ministero per fare il corso di Auror! Tu Remus dove farai il tirocinio come
insegnante? Sempre ad Hogworts?” Chiese Lily, con uno splendido sorriso nel
viso da fata. Sirius e Remus la fissarono spaventati, in particolar modo Remus,
che non sapeva se rispondendo a quella domanda avrebbe causato l’ira della
rossa.
“Remus,
ci sei?!” Chiese di nuovo quella.
“Ah…
sì…. Beh, e-ecco, starò ad Hogworts!” Balbettò lui, schiarendosi subito dopo la
voce. Sirius gli batté una mano sulla spalla in segno d’incoraggiamento, e
quello fece sì col capo.
“Che
materia t’interessa insegnare?”
“Difesa
da Li… dalle Arti Oscure!” Mugugnò Remus, con la voce più sicura che riuscì a
tirare fuori.
“Oh,
benissimo! Sai, non so perché ma ero sicura che avresti scelto Trasfigurazione!
Invece mi sbagliavo!”
“Eh…sì!”
“Qualcosa
non va?”
“No,
tutto ok!…”
“Parlando
di altri argomenti… l’altro giorno, sul Cavillo, è apparso un indice dei
probabili Mangiamorte della nobile società purosangue dell’Inghilterra.”
“Il
Cavillo? Ma non è un giornale propriamente affidabile…” Disse James, dimenticandosi
di tenere la bocca chiusa per evitare di incorrere.
“Proprio
perché non è una rivista su cui molte persone fanno affidamento, i suoi
giornalisti possono permettersi di pubblicare un elenco dei Mangiamorte senza
che il Ministero, o i soggetti in questione, gli si rivoltino contro!”
Un
altro brivido percorse la stanza, e James decise di tapparsi la bocca per non
aprirla più quel giorno.
Lily
si schiarì la voce.”Comunque, fra i soggetti indicati, oltre che i nostri cari
compagni di scuola Malfoy, Tiger, Goyle, Nott, Mc Nair, Bellatrix Black e
Rodolphous Lestrange, c’era anche Regulus Black…” Appena pronunciò quel nome,
fissò i suoi verdi occhi su Sirius, che però non parve per nulla meravigliato.
“E
che ti aspettavi da un figlio degno della mia famiglia? Che si schierasse dalla
parte di babbani, Mezzosangue e Sanguesporco?” Chiese Sirius, sarcastico.
“Non
usare quei termini, li odio… sembra che stiano ad indicare delle bestie, non
esseri umani che in realtà sono perfino migliori di loro…”
“Scusami
Lily… non l’ho fatto con l’intenzione di…”
“Sì,
ho capito, lascia perdere, non importa. Mi dispiace però per te. Non ti meriti
tutto questo.”
“A
me non fa né caldo né freddo. E poi, c’è forse qualcuno in questo mondo che si
merita quello che sta accadendo ora?!”
“Lotterò,
anche fino alla morte se necessario, per evitare che i nostri figli abbiamo un
futuro del genere.”
James,
dimenticatosi di nuovo del suo voto di silenzio, si voltò dalla parte di Lily e
le chiese: “Anche i nostri figli?!”
Sirius
e Remus scossero la testa: ma se le andava proprio a cercare, allora?!
“Non
so se vivrai a lungo per averne! “ Rispose Lily, acida. “A
proposito di bambini- disse poi, voltandosi dalla parte degli altri due- ve la
ricordate Molly Weasly?”
“La
moglie di Arthur?” Chiese Sirius.
“Esatto!”
“Chi
sono?” Chiese Remus.
“Non
ti ricordi Arthur Weasly? Quel Grifondoro con la passione per i babbani!”
Spiegò Sirius.
“Ah,
quello che aveva tentato di installare la luce eclettica ad Hogworts! Sì, me lo
ricordo!” Disse Remus, sorridendo al ricordo del comico tentativo di quel
ragazzo dai capelli rossi di infilare strani tubi all’interno delle mura del
castello. Alla fine, però, era rimasto fulminato da una potente scarica
eclettica e si era salvato per un pelo…
“Si
dice luce elettrica, non eclettica!” Commentò Lily. Quanto erano ignoranti i
suoi amici!
“Va
bene lo stesso!” Commentò Sirius.
“Non
va bene per niente, sono due concetti completamente differenti! In ogni caso…
mi ha mandato u gufo da poco, e mi ha detto che ha già avuto due figli ed
attente il terzo!”
Sirius
rimase a bocca spalancata. “Ma non aveva solo tre anni in più di te?!”
“Già!”
“E
quindi… ha avuto il primo bambino… alla tua età?!”
“Esattamente!”
“Vedi,
anche noi potremmo fare così, tesoro!” Disse James. Tutti si voltarono dalla
sua parte. Ora era sicuro che non l’avrebbe passata liscia…
Lily
si alzò. James, Sirius e Remus rabbrividirono.
Si
avvicinò al fidanzato, con una mano lo costrinse ad alzarsi.
“Bene
ragazzi, noi andiamo a dormire!” Disse poi.
“Oh,
allora sei d’accordo con me!” Disse James, al settimo cielo. Subito dopo però
iniziò a boccheggiare… la mano intorno al suo braccio nudo si era stretta
parecchio, davvero parecchio… e soprattutto le unghie nella sua carne non erano
propriamente piacevoli…!
“Domani
mattina dobbiamo alzarci presto per preparare i bagagli! Accompagnerò James a
casa sua e poi tornerò a casa mia, e non ci rivedremo per molto, molto, molto,
molto, molto tempo. Vero James?!” Gridò infine,
trascinando il ragazzo all’interno della casa. Quello, appena passò davanti
agli amici, chiese loro aiuto, ma loro si limitarono a sorridere divertiti e a
scuotere la testa. Peggio per lui! Se lo meritava!
“Io
dico che un giorno o l’altro lo ammazza!” Disse Sirius, scoppiando subito dopo
a ridere.
“Ma
non aveva imparato a tenerla a bada?!”
“Che
idiota che è!”
Dopo
aver insultato per un altro quarto d’ora l’amico, ed essersi bevuto nel
frattempo altre due burrobirre a testa, si alzarono, decisi ad andare a dormire
anche loro.
Proprio
in quel momento però giunse un gufo, che, senza nemmeno fermarsi, scaraventò
loro una lettera.
“Che
ci fa qua un gufo a quest’ora?!” Chiese Remus, divenendo più pallido del
solito.
Sirius
si affrettò ad aprire la pergamena. Portava la firma del Ministro della Magia.
Era un documento ufficiale. E questo non faceva altro che peggiorare i loro più
oscuri sospetti.
La
lessero insieme, ed in fretta per il nervoso. Quando ebbero finito, la
rilessero altre due o tre volte temendo di aver capito male.
No,
non avevano capito male. Purtroppo il significato della lettera era esposto
anche fin troppo chiaramente in quelle poche righe.
Era passato un anno da quando aveva lasciato la sua casa in Francia
Era
passato un anno da quando aveva lasciato la sua casa in Francia.
Da
un anno non sentiva più le sfuriate di Lily, non rideva delle burle fatte da
James, non chiacchierava con Remus, non criticava Peter Minus.
Da
un anno non vedeva più il suo Sirius. E, nonostante questo, continuava ad
amarlo.
Più
il tempo passava più lei sentiva l’oblio farsi maggiormente ponderoso, come un
peso che scendeva lentamente sulle sue spalle ed ogni giorno che passava la
costringeva a lottare per non farsi schiacciare. Quel luogo era un paradiso,
certamente, ma non poteva permettergli di sopraffare l’inferno di passioni che
bollivano nel suo animo, ricordo dei tempi in cui viveva fra i comuni esseri
viventi.
Chissà
come andavano le cose laggiù…
Aveva
tentato tantissime volte di avere qualche informazione, di vedere cosa
accadeva ai suoi amici, ma non c’era riuscita. Lì non poteva. Lì era una
semplice strega, con un potere empatico marginato dall’atmosfera divina del
luogo.
Gardenia
le aveva detto che c’era un pozzo nelle radure, un pozzo attraverso le cui
acque si poteva vedere il mondo esterno. Oh, ricordò quanto fu felice nel
sentire una notizia così meravigliosa… e ricordò quanto fu triste
nell’apprendere che solo le sacerdotesse potevano utilizzarlo. E lei, non lo
era. Si sarebbe dovuta accontentare, dunque… per la prima volta viveva come un
normale essere magico. Com’era? Beh, da un lato era magnifico, non aveva più
dolori, ma dall’altro… non sapeva più cosa combinavano le persone più
importanti della sua vita.
Per
fortuna che quell’anno non era passato così male. Anzi, era stato… una vacanza.
Lei e Gardenia erano diventate grandi amiche. Parlavano di tutto e di più.
Ricordò divertita la reazione di stupore di Gardenia quando lei le aveva
raccontato di essere fidanzata.
“Con
un… uomo?!” Le chiese lei, gli occhi spalancati per lo stupore e le guance che
arrossivano sempre di più.
“No,
con una scimmia.” Rispose sarcastica Solaria. Ma visto che l’amica, che
purtroppo non era così pronta di mente da capire le battute, la guardava sempre
più sbalordita, si decise a rispondere con un: “Sì, con un uomo! E con chi se
no?!”
“E…e
lo vedi?”
“Adesso
no purtroppo!”
“Non
intendevo ora… cioè, ci uscivi insieme?!”
“Certamente.
Anche se, a dire il vero, preferivamo stare sempre al calduccio…”
“Cioè?”
A
quella domanda, dato che Gardenia non aveva capito nemmeno la sua metafora
precedente, aveva deciso di chiudere lì il discorso per evitare di rispondere
con quella frasetta cattiva che, prepotente, voleva a tutti i costi uscire
fuori dalla sua bocca, e che suonava più o meno così: ”Facevamo sesso sfrenato
dalla mattina alla sera, Gardenia, hai capito?!”. Ma si era trattenuta, sapendo
che purtroppo l’ingenuità della sua amica non era dovuta alla sua stupidità
(perché altrimenti le avrebbe dato chiare e dettagliate delucidazioni su ciò
che faceva col ragazzo) quanto piuttosto alla sua educazione. Certo, Avalon era
un paradiso, ma purtroppo era anche pur sempre un monastero femminile. Da
quanto aveva capito, gli unici rapporti che le sacerdotesse del luogo avevano
con qualche individuo di sesso maschile era durante il Bensalem, una cerimonia
(da lei considerata squallidissima) in cui un uomo e una donna, di segreta
identità, concepivano insieme una nuova vita da consacrare alla Dea.
Era
così che era nata Gardenia, e probabilmente anche sua madre (presumibilmente il
giovane sconosciuto doveva essere stato qualche demone oscuro. Un Malfoy, ad
esempio! O un Riddle…), così come anche tutto il resto della popolazione
dell’isola sacra.
Solaria
si alzò dal suo letto. Che strano, dovevano essere già le sei del mattino e
Gardenia non era venuta a svegliarla. Che stesse male? No, ipotesi assurda: là
non esisteva la malattia, non esisteva alcuna forma di dolore. Specie per chi
vi era nato. E allora? Ma… !
Si
lavò lentamente, come ogni mattina, godendosi il profumo del sapone e il caldo
getto dell’acqua sulla sua pelle. Con un colpo di bacchetta poi si asciugò, e
andò a vestirsi.
Già,
vestirsi. La cosa che più le piaceva in assoluto, in quel posto era divenuta un
dramma. E sapete perché? Perché i vestiti erano un casino! Non che non fossero
belli… Per la barba di Merlino, erano fantastici! Soprattutto i suoi, che, da
quanto Gardenia le aveva detto, erano gli abiti che identificavano un’ospite
Si iniziava mettendo la biancheria, composta da un
aderentissimo body sgambato senza spalline (e beh, e che ci posso fare, il
bikini non l’avevano ancora scoperto!). Sopra di esso trovava posto una sorta
di sottoveste priva di maniche, così aderente da riuscire a mettere in risalto
la minima curva di un corpo. Dopo la sottoveste, era la volta di almeno tre
strati di tuniche lunghe di un tessuto molto simile al voile, i cui riflessi
provocati dalla luce erano una vera delizia per gli occhi. Il tutto era finito
da una cinta di seta, le cui estremità cadeva giù fino a toccare il suo; da un
mantello, che copriva le spalle delle donne; e da sandali alla schiava. Poi era
la volta dei gioielli, pesanti monili da appendere intorno al collo e ai polsi.
Ed, infine, la capigliatura, che non veniva mai lasciata sciolta ma che era
raccolta nei molti più fantasiosi, unica libertà lasciata dopo tutto quel
rigore.
Solaria,
che dopo tutto il casino fatto per vestirsi aveva ben poca voglia di pensare a
qualche straordinaria acconciatura, si faceva solitamente una semplice treccia.
Poi, finito il tutto, andava a guardarsi allo specchio. Ed ogni volta evitava
di fare dei commenti al risultato finale, per paura di non riuscire a
trattenere il desiderio di apportare delle modifiche con lo scopo di
migliorarlo… modifiche di carattere prettamente eliminatorio, mi sembra ovvio!
Finalmente
pronta, uscì dalle sue stanze diretta ai giardini, dove probabilmente avrebbe
trovato Gardenia.
Si
guardò intorno. Già dalle sette del mattino lì c’erano molte sacerdotesse che
passeggiavano, apprendiste che ultimavano i loro lavori all’aria aperta: la
vita si risvegliava agli albori in Avalon. Ma non c’era traccia di Gardenia.
Stava
per volarsi e andare a cercare l’amica da qualche altra parte, l’isola era
gigantesca e poteva trovarsi ovunque, ma la percezione di una presenza la
bloccò.
Era
da molto che non la vedeva. Ed ora era lì, dietro di lei, e la sua aura non
presagiva niente di buono. L’aveva incontrata qualche volta, nelle sale
principali della villa, ma non l’aveva mai nemmeno degnata di uno sguardo:
finché non fosse giunto il momento in cui sarebbe stata costretta la
convivenza, preferiva scordarsi di lei.
Ma
ora era lì. E questo poteva significare semplicemente che la sua bella vacanza
era finita.
Dopo
aver sospirato per tenere i nervi sotto controllo, si voltò e fissò la Dama del
Lago negli occhi.
“Buongiorno
Solaria.”
“Buongiorno,
Dama.”
“E’
da molto che non ci vediamo.”
“Cosa
vuole che le dica, qualche volta c’è qualcuno lassù che ascolta anche le mie preghiere…!”
Rispose sarcastica lei.
“Iniziamo
male Solaria: avevo deciso di darti una possibilità, ma con il tuo
comportamento mi fai pentire di questa mia scelta.” Rispose dura la donna,
guardando la ragazza davanti a sé con gli occhi divenuti brillanti e pericolose
fessure.
“Ancora
con questa storia? E’ davvero ottusa, sa? Le ho già detto che lei non mi deve
dare alcuna possibilità, perché il suo solo compito è quello di eseguire i
voleri della sua Dea. E deve farlo al meglio. Dov’è Gardenia?”
“La
cosa non ti riguarda.”
“Mi
riguarda eccome. Dove l’ha mandata?”
“Ti
ho detto che non ti riguarda.”
“Per
caso ha paura che la mia compagnia riesca a svegliare sua figlia dall’ingenuità
in cui lei la ha immersa per diciotto anni?”
“Oh
no, la ho mandata da te proprio per questo. Sapevo che ci avresti pensato tu a
farle capire com’è il mondo di fuori… a farglielo temere… e perché no, anche
odiare!” Disse con un ghigno la donna.
Solaria
la guardò schifata. “La figlia del demonio non può che stupirsi di sapere che
non è l’unica a cui batte un cuore: penso che questa sia stata una piacevole
sorpresa per Gardenia, e lei, Dama del Lago, temendo che sua figlia si
affezionasse troppo a questa novità, ha deciso di evitare di correre il rischio
di avere qualcuno che mi assomigliasse una volta che tornerò a casa mia.
E
così l’ha allontanata da me. ”
“Mia
figlia non diventerà mai come te, lei è diversa.” Rispose la donna, tremando e
distogliendo lo sguardo da Solaria. La quale, naturalmente, captò il nervoso
della donna e ghignò ancora più profondamente.
“Non
mi dica che questo le dispiace. Sarebbe un grande colpo per il mio povero
cuoricino!
Ah
no, ma che vado a pensare La questione è ben più complessa! Lei vorrebbe che
sua figlia fosse come me perché questo significherebbe che a sua volta lei
avrebbe le mie stesse potenzialità, e questa modalità di pensiero ha un
risvolto molto più egoistico, molto più…da lei! Non trova? Ho azzeccato, vero?
Non
c’è che dire, sono un genio!”
La
Dama del Lago volse nuovamente lo sguardo verso di lei. Era rossa in volto, e i
lineamenti erano resi ancora più duri dall’ira.
“Mi
chiedo ancora come mai la tua perfidia non ti abbia condotto ad allontanarti
dalla strada che il tuo sangue ti ha imposto e crearti una vita lunga e
piacevole lontano dalla tua terra natia.”
“Non
ha trovato risposta a questa domanda in quanto le premesse stesse erano
errate.- Rispose con calma Solaria: e la calma era solitamente presagio di
tempesta. Non che le parole della Dama l’avessero colpita, ma nessuno si doveva
permettere di parlarle in quel modo. Nessuno; non dopo quello che lei faceva
per il mondo. –
Io
non sono perfida. Io sono semplicemente intelligente. O, non mi sto vantando
delle mie doti naturali, Madama. E’ semplicemente una constatazione di fatto:
sono intelligente, perché il mio ruolo, il mio compito… e più ancora i fatti
che ho vissuto, mi hanno costretto ad esserlo.
Sono intelligente, ed in quanto tale posso consapevolmente
scegliere di essere buona o cattiva. E la mia scelta solitamente è influenzata
dalla situazione in cui mi trovo, e dalle persone che mi circondano…
Ora
che le ho spiegato questo, potrà al massimo cambiare la sua domanda e chiedersi
perché sono perfida con lei. Ma penso che non sia necessario: la
risposta la conosce già, non è vero?
Io
sono perfida perché disprezzo fin dal profondo del mio essere il suo spirito:
lei è corrotta, infettata dalla malvagità fin nel profondo della sua anima, e
la salva dall’essere un demonio il semplice fatto di essere sottomessa alla
Dea.
Sa,
c’è una cosa che mi incuriosisce: lei cosa crede di essere, buona? O
semplicemente ha lasciato perdere i concetti di buono e cattivo ed è passata
direttamente a quello di divinità, che li comprende entrambi? Lei è divina,
Madama? Lei si crede potente come una Dea?
Immagino
di sì. O, perlomeno, era così la prima volta che l’ho incontrata: adesso, con
me intorno, penso che i suoi limiti le siano ben presenti. E penso anche che mi
odi tantissimo per questo. Mi detesti. Mi invidi.
Lei
è maligna, e non sa di esserlo, talmente è immersa nella contemplazione della
sua immaginaria grandezza indefinibile.
E
mi fa davvero tanta pena questo: la sua ingenuità, la sua ignoranza, la sua
stupidità.
Lei
mi fa pena.
E
odio dover dipendere da una persona che non sarebbe degna nemmeno di leccare il
suolo dove sono passata.”
La
Dama del Lago rimase a dir poco sconvolta da quelle parole. Ispirò
profondamente per tre o quattro volte, ed infine, con gli occhi lucidi, si
voltò e, con voce stizzita ma con tono perentorio, le disse: ”Seguimi!”
Solaria
rimase un attimo immobile. Forse aveva esagerato. Forse quella volta aveva
davvero oltrepassato il limite. La Dama del Lago, quantunque fosse una
spregevole persona, non era così forte, così decisa, così inumana da
poter parare un colpo del genere senza battere ciglio. Insomma, non era una sua
pari. E lei l’aveva trattata come se lo fosse. E’ vero, voleva darle una
lezione che non si sarebbe mai più dimenticata: ma aveva esagerato.
La
Dama non sarebbe passata sopra ad un avvenimento del genere: la sua mente
perversa lo avrebbe ben registrato, e col tempo avrebbe preparato una vendetta.
Sì, era poco ma sicuro, si sarebbe vendicata.
Non
che questo la preoccupasse: stava solamente guardando le carte in tavola, con
il distacco e la tranquillità di un giocatore che sa che, anche se i numeri che
si ritrova davanti sono pessimi, riuscirà a vincere comunque.
Era
meglio che cambiasse modo di atteggiarsi con lei. Eventi del genere non
dovevano più accadere. Non che si sarebbe lasciata mettere i piedi in faccia,
questo è da escludere! Semplicemente si sarebbe limitata a risponderle a tono
(badando bene di avere sempre lei l’ultima parola) se qualcosa del suo modo di
fare non le fosse piaciuto.
Sospirò
e, con passo deciso, seguì la Dama del Lago che stava allontanandosi dal
giardino.
Al
suo passaggio le sue discepole si inchinavano, portando reverenza alla
prescelta della Dea.
“Ma
che aveva la Dea in testa quando l’ha scelta?!” Mugugnò Solaria fra i
denti, mentre raggiungeva la donna.
“Avanti,
dimmi cosa sto pensando.” Disse la Dama del Lago. Davanti a lei, a meno di
cinquanta passi, nella spiaggia deserta illuminata dal caldo sole, c’era
Solaria.
“Non
lo so.”
“Ti
ho detto di dirmelo!”
“Lei
apra la mente e io glielo dico!”
“Smettila
di dire scempiaggini. Concentrati, e prova! Controlla la tua forza,
concentrala, e usala come una chiave per aprire il lucchetto che sigilla le
porte della mia mente!”
Solaria,
accigliata, inspirò e chiuse gli occhi, mentre una delle gocce di sudore che le
imperlavano la fronte le scendeva lungo le tempie, dove era appena
distinguibile la colorazione leggermente più chiara di quattro lunghi graffi.
Era
l’ennesima volta che provava a fare ciò che la Dama le diceva, e che falliva.
Si
concentrò. Sentiva le forze del suo corpo fluttuare intorno a lei,
raggruppandosi in un unico punto, che era la mente. Con decisione poi mandò
questo grande concentrato di energia in direzione della sua preda, tentando di
penetrare la luce che vedeva brillare nella sua mente. Ma ancora una volta non
ci riuscì, e fu scagliata dal luogo in cui veniva, come spinta da una forte
marea.
Cadde
per terra. Quella volta il fallimento era stato più duro, riflettendosi nella
sfera fisica. Si alzò in piedi, guardando con odio la donna che ghignava
davanti a lei.
“E’
così divertente?”Le gridò, furiosa.
“Non
sai quanto.”
“Bene,
si diverta ora: perché quando avrò imparato, non ne avrà più modo.”
“Bando
alle ciance: il tuo veleno non ti aiuterà di certo a raggiungere questo
obiettivo. Non siamo qui per discorrere, in quello sei già brava grazie alla
tua lingua biforcuta: ma noi siamo qui per agire. Quindi vedi di darti una
smossa.”
“Me
ne sono accorta che siamo qui per agire. Stavo solo tentando di farle abbassare
le barriere: quando si è nervosi, si è più deboli.” Disse con un sorrisetto
cattivo Solaria.
“Prendere
delle scorciatoie danneggerà solo te stessa.”
“Non
mi serve a niente un tale allenamento.”
“Ah
no?”
“No.”
“Allora
non hai capito nemmeno quale sia il suo scopo.”
“Il
suo scopo l’ho capito: posso leggere la sua mente. E considerando che in questo
momento lei chiude il suo pensiero col potere di Avalon, se riuscissi a
compiere un atto del genere, sarei poi capace di usare la telepatia per
controllare le persone senza avere nemmeno il bisogno di concentrarmi.
Anzi, non è esatto: potrei controllare i poteri delle
persone, e prenderli in me, usandoli come più m’aggrada.
Ma
io non voglio un tale potere.”
“Ti
servirà.”
“No,
non mi servirà: Riddle non è così forte.”
“Lo
è invece. Per questo hai la capacità di giungere ad un tale livello di
onnipotenza: perché devi contrastarlo con i suoi stessi mezzi. E devi essere
migliore di lui, per poterlo vincere. Provaci ancora!” Ordinò la Dama.
“No,
non voglio.”
“Devi
volerlo, stupida! Devi volerlo, o non riuscirai in niente!”
“Sono
molto più forte ora, potrei ucciderlo in questo stesso momento, uscendo da
Avalon.”
“No,
non potresti.”
Solaria
rimase un poco in silenzio, scrutando intensamente i lineamenti del volto della
Grande Sacerdotessa. “C’è qualcosa che dovrei sapere?”
La
donna sorrise: la riempiva d’immenso piacere sapere qualcosa che lei ignorava.
Lei che era così forte, così onnipotente, ora era costretta a dipendere dal suo
aiuto. E questo significava che era più forte di lei: per questo Solaria la
odiava. Perché sapeva di non potere andare avanti senza il suo aiuto. Lei le
era necessario. E questo piccolo dettaglio glielo avrebbe evidenziato per tutto
il soggiorno ad Avalon...
Solaria
si accorse, dallo sguardo della donna, di cosa le passava per la mente, e si
irritò assai: ma aveva promesso di trattenersi, ed ora era il momento di tener
fede a questo giuramento.
“Voldemort
è riuscito a trovare gli antichi testi che parlavano dell’incantesimo di
rigenerazione. Ti spiego subito cos’è: è un sortilegio che permette di divenire
più forti assumendo direttamente nel proprio corpo le forze di un altro essere
vivente.”Disse la Dama.
“Attraverso
cosa?”
“Attraverso
il sangue. Voldemort si nutre del sangue delle sue vittime, e ne assume i
poteri.”
“Il
mio amichetto sta cadendo davvero in basso…”
“Ti
teme- disse, con uno strano tono di voce, quasi la cosa le dispiacesse-Sa che
tu sei qui, e ha paura.”
“Voldemort
non ha paura di me.”
“Credi
che abbia dimenticato il giorno in cui tu lo hai quasi ucciso?
No!
Non lo ha dimenticato! E se prima ancora una briciola di cervello funzionava
nella sua mente, ora il desiderio di sopraffarti lo ha annientato. Non si pone
limiti, fa tutto ciò che la sua ingordigia di potere lo spinge a compiere!”
“Questa
descrizione mi ricorda tanto qualcun altro…” Disse Solaria, a bassa voce.
“Cos’hai
detto, Nimbus?!”
“…
Che non andrà ancora così: lo fermerò.” Disse con decisione Solaria. E poi
aggiunse: “Avanti, riproviamo!”
Chiuse
gli occhi, concentrando di nuovo tutte le forze nella mente. Quando si sentì
pronta, spinse quella palla d’energia verso l’altra che il suo intelletto
scorgeva davanti a se.
Ci
fu una lotta. E, questa volta, l’avversaria non riuscì a vincere. Le sue mura
di difesa caddero, e lei entrò in quella città finora proibita, scorgendone
ogni minimo particolare.
Ma
quello non le interessava. Il suo obiettivo era portare quella luce, che aveva
appena conquistato, nella sua dimora, ed usarla a suo piacimento.
La
trascinò, vincendo le sue resistenze, e una volta arrivata, la obbligò ad
eseguire i suoi voleri.
Solaria
aprì gli occhi. Davanti a lei, la Dama del Lago, pallidissima e sudata, la
fissava con impotenza.
La
giovane Nimbus, con volto concentrato e sguardo impenetrabile, alzò una mano al
cielo. E, poco dopo, cadde la pioggia.
Sì,
era riuscita a far piovere, e questo era uno dei poteri che solo le Grandi
Sacerdotesse della Dea avevano: il controllo degli elementi. Era riuscita nel
suo intento.
Sciolse
il nodo che legava lo spirito della Dama al suo, ed in quello stesso momento la
donna, davanti a lei, cadde a terra in ginocchio, mentre la pioggia la bagnava,
sciupando il suo aspetto perfetto e facendola sembrare ancora più debole.
Solaria
la vide respirare a fatica; poi, sempre con grande sforzo, la vide alzarsi e
traballare un poco sulle sue gambe.
Trovato
l’equilibrio, la Dama alzò un braccio al cielo, e la pioggia lasciò il posto al
caldo sole di prima.
“Ci
sei… riuscita. Allora… possiamo passare al prossimo livello, che…t’impegnerà
molto di più.” Disse, riprendendo ancora fiato.
“Come,
non mi permette più di fare questo incantesimo? Il fatto che io ci sia riuscita
potrebbe semplicemente essere frutto della pura fortuna.”Disse lei, ma dal suo
sguardo si poteva capire quanto quelle parole fossero ipocrite.
La
Dama stabilizzò il suo respiro, poi, acida come sempre, le rispose: “Per quanto
ti possa piacere vedermi soggetta al tuo volere, quella magia non sarà più da
te usata in questo luogo. E’ una magia proibita, una magia pericolosa, una
magia potente.”
“E’
Magia Nera.” Disse lei, semplicemente.
“Come
tutte quelle che sarai costretta ad usare per difenderti da Voldemort e dai
tuoi stessi poteri. Ora t’insegnerò come proteggerti dalle visioni, come non
esserne preda, ma guardiana.”
“C’è
un metodo?!”
“Mi
pare ovvio. E sarà assai complicato da imparare.”
“Non
ne dubito.” Disse lei, stringendo le mani in pugno al ricordo della sofferenza
fisica che provava durante le percezioni.
“E
anche doloroso.”
“Questo
era fin troppo ovvio.”
“Sei
pronta?”
“Certamente.”
“Bene…”
Fece la donna, in tono poco rassicurante. Solaria non fece in tempo a chiedersi
cosa le stava frullando per la mente, che un dolore lancinante la colpì,
costringendola a cadere in ginocchio, mentre la mente le si riempiva di
orribili immagini.
“Opponiti
ad esse! Non lasciarti dominare!” Le gridò la Sacerdotessa.
Remus cadde seduto sulla poltrona, mentre le lacrime iniziavano a
scorrergli lungo il viso
Lily
trascinò su per le scale il ragazzo. Poi, una volta arrivati davanti alla
stanza di James, aprì la porta e, dopo averlo fatto ruzzolare dentro con uno
spintone, la richiuse, dirigendosi in camera sua.
Ma era
appena entrata che la porta si riaprì immediatamente, richiudendosi poi dietro
James.
“Vattene.”
Gli disse acida Lily senza nemmeno voltarsi a guardarlo, ma prendendo la sua
valigia e iniziando a riempirla con la sua roba.
“Lily,
per favore…”
“Vai
a prepararti la valigia.”
“Non
la preparo, perché noi non ci muoviamo da qui.”
Non riuscendo a trattenere più la rabbia, la ragazza si
voltò. Era rossa in viso, gli occhi luccicavano per l’ira, e i capelli sembrava
essere divenuti vere e proprie fiamme. James deglutì nel vederla, e, nonostante
la tentazione fosse grande, si impose di non scappare dalla stanza.
“Noi
domani partiamo da qui e andiamo a casa tua, così tu potrai scusarti di quello
che hai fatto con Moody di fronte a me, dopo di che io me ne torno in
Scozia e ci rimango – da sola con la mia famiglia- fino a quando non
sarò costretta a scendere di nuovo a Londra per il corso da Auror.”
James
deglutì di nuovo. Basta, se si faceva vedere in difficoltà lei non avrebbe
fatto altro che continuare a sovrastarlo. Doveva cercare di fronteggiarla.
“Perché
te la sei presa così tanto?! Non ha senso! Era uno scherzo innocente!”
“No,
non era uno scherzo innocente, altrimenti mi sarei limitata a mollarli quattro
ceffoni! Non era uno scherzo innocente James, e questo non riesci ancora a
capirlo.
Qualcuno
avrebbe potuto avere bisogno di lui. Ma Malocchio non sarebbe potuto accorrere
perché gli mancava un piccolo particolare: l’occhio! E sai bene quanto i sensi
siano necessari per affrontare i Mangiamorte.”
James rimase spiazzato da quelle parole. Continuò a
fissare Lily, mentre la consapevolezza di quella realtà lo faceva sentire
profondamente in colpa.
Come
poteva essere stato così stupido?! Come aveva potuto compiere un errore così
grande? Aveva messo in serio rischio la vita di un sacco di innocenti. E se a
qualcuno di loro fosse successo qualcosa, lui ne sarebbe stato il colpevole.
Perché lui aveva impedito che uno dei miglior Auror, anzi il migliore in
circolazione, li proteggesse.
La
rabbia prese il posto nel suo cuore. Perché era così…infantile? Perché si
comportava sempre come uno sciocco bambinetta dispettoso? Perché non riusciva a
crescere? Ora capiva perché Lily era così furiosa con lei. La capiva, e
l’appoggiava completamente.
“Infantile.
Stupido e infantile, ecco cosa sono. Mi dispiace di averti deluso, Lily. Fai
bene a starmi alla larga.” Balbettò, uscendo dalla stanza.
“No,
basta così.” Queste parole lo bloccarono. E il tono dolce e comprensivo con cui
erano dette lo toccò nel profondo. Cos’era successo? Si era perso qualcosa?
Cosa significava ora basta?!
Si
voltò. Il rossore nel viso della ragazza si era leggermente placato, e gli
occhi, seppur sempre lucidi, ora sembravano tranquilli.
“Basta...così?!”
“Sì,
basta così. Non sarà necessario evitarti. Hai capito. Hai capito tutto e hai
imparato la lezione. La colpa che ti senti è una punizione emotiva già
abbastanza grande, che non necessita di una mia punizione fisica.”
“Mi…perdoni?!”
Chiese interrogativamente lui.
“Devi
porgere le stesse scuse anche al diretto interessato: Alastor Moody.
Per
quanto mi riguarda…non sono orgogliosa di quello che tu hai combinato, e il
fatto che abbia capito il tuo errore non servirà certamente a bilanciare la
gravità della tua azione. Ma io non sono qui per giudicarti, o non solo per
quello… sono qui soprattutto per darti una mano a fare la cosa giusta. Per
darti fiducia.
E
mi fido del fatto che tu non farai mai più. Dunque sì, ti perdono!”
James,
lentamente, sorrise, e Lily fece lo stesso. Si guardarono intensamente, a
lungo.
“Tu
mi hai fatto capire che nella vita non c’è solo il dovere. E io sono qui per
farti capire che non c’è nemmeno solo il piacere.”
“Allora,
insieme siamo una coppia davvero fantastica!” Disse James, allargando ancor più
il suo sorriso.
“E
già!” Rispose lei, abbassando lo sguardo e arrossendo nelle guance.
James
si avvicinò, sempre sorridente, a lei. Le accarezzò delicatamente una guancia,
mentre lei tremava al solo contatto del suo dolce tocco.
“Mi
piace quando arrossisci per me…non a causa mia, ma solo e semplicemente per
me.” Le disse, sollevandole con l’indice il mento e guardandola negli occhi.
Non
guardandola. Perdendosi nei suoi occhi. Era incredibile la sensazione di
vertigini che lo invadeva ogni volta che lei lo fissava con quegli scintillanti
occhi color smeraldo. Così limpidi, così profondi, così infiniti… e tutti per
lui.
Si
chinò leggermente, e la baciò. Ben presto lei gli circondò il collo con le
braccia, e lui, provocato da quel contatto, la spinse ancora più verso di se,
stringendo le mani intorno ai suoi fianchi.
La
morbidezza del suo corpo, la sua vicinanza, non fecero altro che aumentare la sua
passione. E, senza nemmeno pensarci, la spinse verso il letto, senza che lei
opponesse alcuna resistenza.
Quando
aprì gli occhi, Lily vide il volto di James sopra di lei, mentre il corpo di
lui aderiva perfettamente al suo. Era così bello sentirlo sopra di se, così
piacevole…
Lui
le accarezzò ancora una volta il viso, sorridendole mentre le fissava i verdi
occhi, e pronunciando in un soffio il suo nome. La baciò ancora una volta,
distruggendole completamente qualsiasi capacità intellettiva che le era rimasta
dopo l’impeto precedente. Poi però si scostò, di malavoglia, lasciandola con un
senso di vuoto dentro.
“Scusami…
è meglio che vada ora.” Disse lui. “Non credo riuscirei a trattenermi.”
Aggiunse poi, con uno strano senso di colpa che si poteva percepire perfino nel
tono della voce.
Lily
gli sorrise. “Grazie perché mi rispetti. Ma non ho più problemi, non
preoccuparti. Io mi fido di te. Sarai pure duro di comprendonio, e alle volte
davvero sciocco, ma… cavoli, James Potter, ti amo così come sei!”
James,
a sentire quelle parole, ebbe la lieta sensazione che due ali gli fossero
cresciute sulle spalle, permettendogli di volare libero ovunque volesse andare.
“Mi
ami?!” Le chiese, con gli occhi che gli brillavano per la felicità, come un
bambino… così puramente, innocentemente, veramente.
“Sì!”
Disse Lily, ridendo per la sua reazione. Anche James scoppiò a ridere, per la
gioia, interrompendosi ogni tanto per baciare passionalmente il suo tesoro.
“Tiamotiamotiamotiamotiamotiamo!”
Le disse poi James, tutto d’un fiato, ed entrambi scoppiarono di nuovo a
ridere.
Remus
cadde seduto sulla poltrona, mentre le lacrime iniziavano a scorrergli lungo il
viso.
“Perché
tutto questo?! Perché diamine sta accadendo tutto questo?!” Sibilò, non
riuscendo a tenere un tono di voce decente per via del dolore che provava.
Sirius
fu colpito da quelle parole. Già, perché stava succedendo tutto quello? Perché
ad un certo punto il destino aveva preso una svolta così devastante per tutti?
Perché? Perché centinaia di persone erano costrette a soffrire, senza causa
alcuna, in quel modo atroce? Perché stava succedendo tutto quello? Che
necessità c’era?
Ripensò
a Solaria, e poi a Riddle. Erano stati creati- si, proprio creati – dal destino
semplicemente per essere uno l’antidoto all’altro.
Ma che necessità c’era di
fare tutto quello? Che bisogno c’è di fare un nodo su una corda, se poi lo si
scioglie subito dopo?
Perché tutto deve cambiare
affinché nulla cambi? Non ha senso.
E se il destino non ha
senso, non ha senso nemmeno la vita, che da lui viene guidata. Non ha senso
niente.
Niente…
Sì
sentì svuotato. Non ha senso, niente ha senso… Ma poteva essere davvero così?
Possibile che fosse stato creato tutto senza un senso?! No. Nemmeno lui poteva
accettare una cosa del genere. Non era possibile.
Solaria:
Solaria esisteva per un motivo ben preciso, che non era solo quello di
distruggere Voldemort. Non era solo quello, se no non sarebbe stata ciò che è.
Solaria
era lì anche per illuminare l’esistenza di tutti coloro che la circondavano,
primo fra tutti lui. Se lei non ci fosse stata, lui cosa sarebbe divenuto?
Pensò
subito a Malfoy. Arrogante, egocentrico, egoista, superbo, narcisista, annoiato
dalla vita da cui aveva avuto tutto, e che pertanto seguiva degli ideali con il
solo scopo di movimentarsi un po’ l’esistenza. Che cosa aveva di diverso da
lui? Esattamente niente. Nulla. Anzi, in un certo qual senso era addirittura
peggio di lui: perché lui, Sirius Black, per movimentarsi la vita aveva scelto
di allontanarsi dalla sua famiglia, così patetica, così noiosa, così seguace di
idee di purezza e orgoglio della razza magica che non avevano né capo né coda,
e si era aggrappato a delle figure, che poi lo avevano considerato loro amico.
Ecco,
lui sarebbe divenuto peggio di Malfoy. Sarebbe divenuto un vero e proprio
mostro senza di lei.
Guardò
il ragazzo seduto davanti a lui, che piangendo dava finalmente sfogo a tutto il
dolore che aveva dentro. Ma non era un pianto liberatorio, o no… era un pianto
devastante, un pianto che lo annientava da dentro. Un pianto che esprimeva il
senso di soffocamento provocato dalla vita infernale che stava vivendo:
devastamento dovuto al dolore per la morte di persone a lui care; al costante e
opprimente pensiero di non vedere la luce del domani; alla consapevolezza di
non poter fare nulla per proteggere se stesso e i suoi amici.
Piangi
Remus, sì, piangi… piangi come io feci quando seppi che l’unica luce della mia vita
si sarebbe poi spenta, lasciandomi nell’oscurità più totale. Piangi Remus.
Vorrei farlo anch’io ma non ci riesco più. Non riesco a piangere. Non ci sono
mai riuscito, d’altronde. Non per nessuno che non fosse me stesso… non per
nessuno che non fosse la luce che mi permette di vivere.
Le
mie lacrime sono riservate ad una sola persona, per cui le ho versate già tante
volte, e per cui continuerò a versarne, fino a non lasciare una goccia d’acqua
nel mio corpo. Piangerò per lei fino a svuotarmi di ogni essenza vitale.
O
non piangerò affatto, perché avrò dimenticato la sua esistenza quando lei se ne
andrà.
Piangi
Remus. Piangi anche per me, che sono così egoista da non riuscire a provare un
vero e profondo dolore per altri che non siano me.
Un
pugno in volto ben assestato lo fece risvegliare dal torpore in cui era caduto
senza rendersene conto.
Sbalordito,
e anche piuttosto arrabbiato, Sirius si voltò a guardare Remus che, in piedi
davanti a lui, lo fissava adirato, rosso il volto per il pianto.
“Smettila!”
“Di
fare cosa?! Tu dovresti smetterla di fare il pazzo!” Gridò Sirius, con tono di
minaccia.
“Cosa
pensi, che non sappia cosa ti passa per la mente? Pensi che non sappia che
razza di pensieri hai in quella tua testaccia maledetta?! Ti conosco troppo
bene, Sirius Black, per non capire una cosa così semplice!”
“E
cosa, di grazia?!” Sirius gli lanciò uno sguardo di sfida. Cosa poteva saperne
lui? Ma cosa voleva?! Non era niente!
Nella
stanza calò il silenzio.
“Sei
un fesso se pensi davvero di essere così ignobile.”
Sirius
sbarrò gli occhi. Che… che cosa aveva appena detto?! Che cosa aveva appena
detto Remus?
“Sorpreso
che sia riuscito a fare centro? Non lo saresti, se avessi capito che noi siamo
davvero tuoi amici. E ti capiamo.
Abbiamo
capito che tutto ciò che ti accadeva intorno ti stava distruggendo. Primo fra
tutti l’odio verso una famiglia di cui non condividevi idee, costumi e
tradizioni, che non faceva altro che tentare in tutti i modi di rovinarti la
vita, e che ti ritrovavi sempre in mezzo ai piedi. Poi il dolore per la stupida
consapevolezza di essere sempre stato causa di male per coloro che ti
circondano. E, ancora, il senso d’impotenza dato dalla situazione di Solaria.
Io
e James abbiamo tentato di aiutarti, varie volte, ma inutilmente. Tu ti allontanavi
sempre più da noi, se non fisicamente, psichicamente. E quando ci capitavano
situazione dolorose, ti rifugiavi nella tua mente, usando quello scudo di
gelida indifferenza verso quel mondo che ti feriva così profondamente. Non
volevi soffrire anche per gli altri, non ce la facevi, era troppo per te.
Ci
metterei la mano sul fuoco che Solaria è riuscita a distruggere quello scudo.
Questa è una sua dote, riesce sempre a dominare completamente le persone a cui
è cara- disse con un sorriso – e tu la ami.
Ma
noi non abbiamo tale capacità. Noi siamo comuni esseri viventi. Ci siamo dovuti
fermare alla pura consapevolezza del tuo stato interiore, senza poter fare
nulla per cambiarlo, o per farti capire che puoi cambiarlo.
Ora
però sono stanco, e dato che tu non ti rendi ancora conto della tua stupidità,
te la faccio notare io.
Tu
non vuoi provare dolore, e ti chiudi in te stesso per proteggerti. Poi però
capisci che questo non è giusto nei confronti delle persone che ti circondano,
e allora ti senti un meschino, e pensi di essere una persona spregevole, un
essere che in fondo non ha mai provato veri sentimenti, e per cui gli altri
sono solamente degli appigli da utilizzare quando se ne ha bisogno.
Ha
senso tutto questo? Ha senso questo modo di agire, Sirius?”
Sirius,
immobile davanti a lui, con gli occhi grigi terribili come tempeste puntati su
Remus, lo fissava duramente. “No, non ha senso. Però, dato che tu sei così
portato per lo studio della mia psiche, mi saprai dire in quale altro cazzo di
modo dovrei agire, Remus Lupin.”
Non so a che limite sarebbero
giunti quella sera; anche se, presumibilmente, limiti non se ne sarebbero posti…
Ma ci fu qualcosa che richiamò la loro attenzione: delle grida. E non grida
qualunque: quelle che sentirono erano proprio grida di rabbia, e provenivano
dai loro amici al piano inferiore. James e Lily, dopo essersi lanciati uno
sguardo d’intesa, capirono che era meglio andare a vedere cosa stava
succedendo. Cavoli, non era nemmeno da mezz’ora che li avevano lasciati, e già
avevano trovato modo di movimentare la serata! Che cosa poteva aver provocato
quelle urla, così cariche di astio?
Remus
scosse la testa. “Non ti chiedo di caricarti anche del nostro dolore. Ti chiedo
di smetterla di crederti un essere così ignobile, perché, a lungo andare,
rischieresti anche di diventarlo.”
“Non
ci riesco.”
“Provaci,
diamine!”
“Questo
sono io, Remus, non posso cambiare una parte di me.”
“Questo
parte non ti appartiene davvero! E tu devi liberartene! Fallo per te stesso, se
non puoi farlo per noi!”
“E’
per me stesso che sono così, per nessun altro.”
“Cavoli
Sirius… perché?! Diamine…” Gridò Remus, portandosi una mano al capo disperato.
“Remus,
forse sei arrivato troppo tardi… magari io sono già divenuto quella persona
ignobile che tanto temevo di essere.”
“Non
ci credo. A parte il fatto che tu non sei una serpe, ma ci sono le prove che
dichiarano che tu stai dicendo solo un mare di frottole: tu ti sei comportato
da vero amico quando hai saputo… quando hai saputo della morte dei miei
genitori. Mi hai abbracciato, mi hai consolato, mi sei stato vicino. E hai
scelto di venire qua ad aiutarmi.”
“Magari
mi sono comportato così semplicemente perché andava a mio vantaggio.
Semplicemente perché sapevo che ci avrei guadagnato: in fondo, non ho altro
luogo in cui andare.”
“Queste
parole non ti appartengono, Sirius.”
“Eppure
sono io a pronunciarle.”
“Posso
dire di essere un orso, ma questo non significa che sia vero.” Gli rispose
Remus. “L’indifferenza, la malvagità, l’opportunismo, l’iniquità… non è un buon
modo per nascondersi dal mondo circostante, Sirius.”
“Non
me ne sbatte un corno, è l’unico che ho al momento… non ce la faccio più… non
ha più senso ciò che accade.”
“E
tu cosa ne puoi sapere? Non vedi il futuro, non sai come le cose andranno a
finire.”
“Una
somma di zeri non può che dare zero. E se finora le cose non hanno avuto senso,
e pare che non ne abbiano nemmeno in futuro, significa che in collusione niente
ha senso.”
“Non
essere così matematico. La vita non è una somma di addendi, la vita è molto di
più.”
“La
vita non è niente… soffro fin dalla nascita, eppure la vita non fa altro che
continuare a bastonarmi, portandomi via le persone che mi stavano accanto. Beh,
io ho deciso di fare un passo davanti a lei: sarò io il primo a lasciare le
persone che mi circondano, così lei non mi potrà fare soffrire.”
“E
con Solaria, come la metti?”
“Oh…
per quello ha già vinto la vita.” Disse con estrema amarezza Sirius, facendo
storcere il naso a Remus.
“Io
non so… non ha senso quello che dici! Cavoli, ma nemmeno il pensiero di
Solaria, nemmeno il pensiero che, presto o tardi, tutte queste sofferenze
finiranno grazie lei riesce a farti cambiare idea?!”
“Io
non voglio che finiscano, Remus.”
Lunastorta,
sempre più perplesso, fissò l’amico in silenzio. “Che...che vorresti dire? Che
non vuoi che ritorni la pace?”
“Il
giorno in cui tornerà la pace, io la perderò.”
Remus
non ci capiva più niente. Ma di che diavolo stava parlando l’amico? Il
giorno in cui tornerà la pace, io la perderò… la perderò. Chi? La pace? O…
oppure…
“Questo
discorso idiota comunque ci ha distratto dal nostro compito.” Disse Sirius,
prendendo in mano la lettera. “Andiamo da loro. E diciamoglielo.”
“Cosa
ci dovreste dire?” Chiese James, comparendo nella veranda preso per mano a
Lily, che invece chiese loro: “Perché stavate gridando in quel modo?”
Nella
stanza cadde il silenzio. Poi Sirius, con calma invidiabile, passò la pergamena
nelle mani di James, che lo guardò con gli occhi pieni di dubbio.
Ramoso
aprì con rapidità la pergamena e, insieme a Lily, la lesse.
La
reazione non tardò. Lily, senza dire nulla, gettò le braccia intorno al collo
di James, mentre lui si lasciava andare in quell’abbraccio consolatorio,
piangendo tutte le lacrime che aveva dentro.
Ben
presto anche Remus, con le lacrime che gli scendevano sul viso, andò ad
abbracciare l’amico, a consolarlo come solo una persona cara può fare.
Sirius
invece, dall’alto della sua testardaggine, rimase a guardare la scena, fermo,
immobile ed impassibile come solo lui poteva essere capace di essere: perché
lui era un mostro, e voleva dimostrarlo a tutti quanti.
Poi
però accadde una cosa strana. James, rosso in viso e con gli occhi che erano
due pozzanghere di dolore, si liberò gentilmente dagli abbracci dei due amici,
e si mise a fissare il ragazzo che stava davanti a lui.
Sirius,
anche se esteriormente pareva continuasse ad essere calmo e distaccato, nel suo
cuore iniziò a tremare.
Perché
James lo stava guardando così? Sì, ma così come? Che sguardo era quello? Cosa…cosa
significava? E perché gli faceva venire i brividi?
E perché
ora si avvicinava, che intenzioni aveva?!
“Ti
voglio bene Sirius. Ti voglio bene.” Gli disse James, pochi istanti prima di
abbracciarlo.
La
fortezza che aveva costruito intorno a sé cadde rovinosamente, distrutta dal
suo cuore che aveva ripreso a battere nel suo petto.
Ricambiò
l’abbraccio con enfasi, mentre una piccola lacrima gli rigava il viso.
James
Potter, non esisterà mai nessuno come te.
Sciolto
l’abbraccio, guardò finalmente in faccia i suoi amici. Remus sorrideva, mentre
Lily, ancora con le lacrime agli occhi, gli faceva un cenno d’assenso col capo,
come per dargli il bentornato.
I
funerali dei coniugi Potter furono celebrati a Londra tre giorni dopo, all’interno
del cimitero magico inglese.
Non
ci furono molti presenti, soprattutto perché la maggior parte degli amici e
conoscenti dei Potter era impiegata nel Ministero, specialmente nel ruolo di
Auror. E, in quel momento, nessuno poteva perdere tempo in faccende differenti dai
propri compiti, anche se queste riguardavano il dare l’ultimo saluto a due cari
amici.
James
Potter, affiancato dalla sua ragazza e dai suoi amici, guardando con le lacrime
agli occhi la bara dei genitori che lentamente veniva calata sottoterra, pronunciò
l’ultimo addio ai genitori: due semplici frasi che contenevano una promessa,
una minaccia, una vendetta, e che fecero vibrare l’aria circostante col loro
sapore profetico.
Due
frasi che il Destino segnò nella sua ruota, continuando a farla girare nel suo
modo perverso.
Voldemort vi ha ucciso, Voldemort ha fatto bere alla
terra il vostro sangue innocente. E lui, che mi sia testimone Iddio, perirà
soffocato da quello stesso sangue.
Silente, che aveva preso
parte alla cerimonia, nonostante fosse lontano dai ragazzi riuscì a percepire
quelle parole. E qualcosa, dentro di lui, lo fece temere.
Il Destino è un cavallo
selvaggio, è vero. Ma quando gli vengono poste due briglie intorno al collo, si
rabbonisce e segue i comandi che gli vengono imposti.
Li segue, però, in un
modo tutto suo: un modo perverso, maligno, malefico, funesto molte volte, quasi
sempre crudele e spietato.
“Stai attento a
quello che desideri, perché potresti anche ottenerlo.” Furono le parole che il vecchio preside di Hogworts pronunciò fra se
e se pochi attimi prima di scomparire nel nulla smaterializzandosi.
Mi
fa piacere vedere che siete arrivati tutti puntuali. Come sapete la precisione
è una dote molto pregiata, e assai gradita dalla sottoscritta, e dopo la
giornata di oggi oserei sperare che ogni giorno che trascorreremo insieme inizi
allo stesso modo. Al contrario dell’anno scorso che, per quanto ricordo, è
passato in modo assai differente…
Naturalmente
spero anche che questa vostra puntualità sia indice di una nuova, grande
dedizione allo studio della mia materia… Bene- aggiunse poi la professoressa,
vedendo le facce annoiate dei suoi allievi del secondo anno- mi resta ancora
una piccola premessa da fare.
Quest’anno
farà tirocinio nella vostra classe un promettente futuro professore – nonché
uno dei miei migliori alunni-, Remus Lupin. Passerà con noi ogni lezione, e a
fine anno avrà il compito di impostarvi e seguirvi durante una verifica
finale.”
Disse
la Professoressa McGranitt, indicando il giovane ragazzo biondino in piedi al
suo fianco, leggermente imbarazzato di essere il centro dell’attenzione di quei
piccoli marmocchietti.
“La
ringrazio per la sua gentilezza, professoressa McGranitt… Per quanto riguarda
la classe, spero che faremo presto conoscenza…”
“Non
ci contare, non ci tengo ad avere rapporti con un Lupo Mannaro.” Disse la voce
di un allievo. Nella classe cadde subito il silenzio, e gli occhietti degli
alunni iniziarono a vagare nervosi prima su Remus, che era arrossito
visibilmente per l’imbarazzo, poi su un ragazzetto dai capelli neri e dal viso
superbo su cui aleggiava una chiara nota di malizia, e che aveva appuntato sul
petto la spilla dei Serpeverde.
“Signor
Kroik…” Iniziò la McGranitt, rossa per l’imbarazzo e per la rabbia. Ma la sua
frase fu fermata da un grido disumano che partì dal lato opposto della classe.
Tutti si voltarono per capire cosa stava accadendo, in tempo per vedere una
ragazzetta dai capelli blu elettrico scagliarsi come una furia su Kroik, che si
accorse in ritardo del pericolo che incombeva su di lui e non riuscì dunque a
proteggersi dall’intensa terapia di pugni allo stomaco a cui la giovane lo
sottopose, probabilmente per fargli sputare tutto il veleno che aveva dentro…
Remus
la riconobbe immediatamente: Tonks. Non l’aveva notata appena entrato in
classe, doveva essere davvero in soprappensiero per non essersi reso conto di
quella testolina blu che stava tentando in tutti i modi di attirare la sua
attenzione. Ma ora… beh, ora era meglio bloccarla prima che la McGranitt la
espellesse da Hogworts!
Corse
fra i banchi della classe, seguito dalla professoressa, e prese per le spalle
Tonks allontanandola dal suo povero ‘paziente’, che oramai aveva quasi perso
conoscenza. Ma non riuscì ad impedire che questa, impugnata la bacchetta,
gettasse un’ultima e decisiva fattura sul suo nemico.
Purtroppo
però, con grande sbalordimento di tutti, la fattura sbagliò destinatario e andò
a colpire… la… professoressa… McGranitt…
La
donna, sentendosi la faccia piena di centinaia di fastidiosi, nonché dolorosi,
piccoli brufoli rossi, iniziò a guardare torvo Tonks, che si era
improvvisamente calmata fra le braccia di Lupin, e ad inspirare profondamente
dal naso, come fa un toro prima di lanciarsi contro il suo provocatore.
“SIGNORINA
TONKS, LEI RIMARRA’ IN PUNIZIONE PER TUTTO IL MESE DI SETTEMBRE!” Gridò
poco dopo la McGranitt con quanto fiato aveva in corpo (e ne doveva avere
davvero tanto, tanto, tanto…). “ED ORA VADA SUBITO VIA DALLA CLASSE!
FUOOOORIIIIIIIIIIIII!”
Remus,
sentendo Nimphadora completamente passiva fra le sue braccia, e vedendo che la
professoressa iniziava ad infuriarsi ancora di più, con uno strattone trascinò
la ragazzina fuori dalla classe, chiudendo poi la porta dietro di se.
Arrivato
nel corridoio, la fece sedere sul davanzale della finestra, guardandola
preoccupato in viso.
Dora,
finalmente lontana dalle urla assordanti e intontenti della professoressa,
parve riprendersi ed iniziò a scuotere la testa per liberarsi dall’apatia in
cui era caduta.
Pochi
secondi dopo mostrò uno splendido sorriso sul visino birichino e, con la voce
più allegra che aveva, disse:
“Ciao!”
“Ciao
Tonks! Già nei guai dal primo giorno di scuola, eh? Non c’era bisogno che te la
prendessi tanto!”
“Quel
Kroik è una testa di cipolla tremenda, gliel’ho detto un sacco di volte di non
fare l’idiota, che prima o poi mi avrebbe fatto incavolare, ma non mi ha voluto
dare retta! Peggio per lui, spero che gli rimanga la nausea per il resto della
sua vita!”
“Ehi
ehi ehi, senti un po’ che lingua lunga che ha la nostra piccola malandrina!”
Disse Remus, divertito. “Mi sembra di sentire tuo cugino!”
“Oh,
grazie!” Disse lei, tutta orgogliosa.
“Mmm,
non essere così contenta! Adesso come farai con la professoressa? Ti sei
beccata un mese di punizione!”
“Oh,
per quello- fece una pernacchia, scotendo la testa in segno di indifferenza-
stai tranquillo, ne sono abituata!”
Remus
la guardò, sempre più divertito. Quella bambina era una vera catastrofe! “Come
sarebbe a dire, ne sei abituata?!”
“Beh,
l’anno scorso sono stata in punizione per non so quanto tempo dopo tutti i guai
che ho combinato! Mi pare che su nove mesi di scuola, circa quattro li abbia
passati assolvendo qualche castigo… o quattro e mezzo?! No, forse erano cinque…
caspita, non me lo ricordo!” Esclamò, facendo una smorfia che evidenziava la
confusione che aveva in quella testolina buffa.
Lunastorta
la guardò teneramente: povera piccola, non era colpa sua se era così imbranata,
non lo faceva apposta, non ne poteva proprio fare a meno, eppure c’erano
persone che continuavano a prendersela con lei per questo. Senza capire che
così facendo la ferivano nel profondo, perché la facevano sentire sbagliata.
“Mi
dispiace, piccola birba.” Le disse. A quelle parole, la maschera buffa nel
volto di Tonks lasciò lo spazio ad un'altra, di stupore.
Lui
la capiva.
Era
la prima volta che qualcuno riusciva ad andare oltre le facce buffe che lei
faceva per nascondere i suoi veri sentimenti, e le leggeva così apertamente
l’animo. Già, era la prima volta che qualcuno non la derideva per i guai che
inconsapevolmente e involontariamente combinava.
Remus
Lupin. Sapeva che lui era un malandrino tutto speciale, perché era buono, non
combinava sempre guai come gli altri, e aveva degli ottimi voti a scuola. E
poi, era sempre stato tanto dolce con lei! Ma non aveva mai pensato che lui
l’avesse capita così a fondo. Pensava che la considerasse semplicemente come
‘la piccola birba’, la tremenda cuginetta di Sirius a cui piaceva cambiare il
colore dei capelli a seconda della minestra che aveva sul piatto.
“Grazie
Lunastorta. Sei molto gentile!” Gli disse, mostrandogli uno dei più grandi e
sinceri sorrisi che fosse capace a fare.
“Non
è gentilezza! Noi due siamo amici, no?”
“Certo
che sì! Siamo due malandrini! Va beh, io sono una malandrina giovane, tu invece
sei un malandrino vecchio! Accipicchia però! Sai cosa mi è venuto in mente? Che
io sono una malandrina sola! Non ho un gruppo! E come faccio a fare le
malandrinate da sola? Non ha senso! Mi devo cercare dei compagni!”
In
quel momento attirò la loro attenzione la porta della classe, che si aprì
facendo uscire un ragazzino dolorante, che si diresse immediatamente verso
l’infermeria senza nemmeno voltarsi a guardarli. Ninfa gli rivolse un fugace
sguardo schifato, per poi voltarsi di nuovo da Remus e sentire ciò che lui
aveva da dirle.
“Beh,
penso che adesso avrai abbastanza tempo libero a tua disposizione: esattamente
una giornata priva di lezioni, dato che laMcGranitt ti ha appena cacciato dalla
classe. Potresti usarla per cercare i tuoi colleghi!”
“Già,
e devo farlo in fretta, perché ho intenzione di dare una bella lezioncina a
quella canaglia di Kroik!”
“No,
aspetta… Tonks, calmati, lui lascialo perdere, non ti ha fatto nulla!”
“Sì
invece, ha insultato un mio amico!”
“Un
tuo amico che è abbastanza grande da potersi difendere da solo!”
“Pfiu,
questi sono solo dettagli!”
“Tonks,
per favore!”
“Ma
dai, Kroik mi ha rotto le scatole così spesso che questa è stata solamente la
goccia che ha fatto traboccare il vaso! Mi chiama Sanguesporco, mi
chiama Ibrida, mi chiama Rinnegata, ed ora mi sono davvero rotta
le palle di lui.” Disse lei con amarezza. Remus la guardò, incapace di dire
qualunque cosa: sapeva quanto facesse male sentirsi dire tutte quelle cose. Era
il modo più semplice e cattivo di far capire ad una persona che non era nulla,
che sarebbe stato meglio che non fosse mai nata talmente era sbagliata. Farla
sentire uno schifo, insomma.
“Secondo
te mi stanno bene i capelli blu?” Remus rimase spiazzato dalla domanda.
Incredibile quanto quella bambina somigliasse a Sirius da piccolo! Come lui,
Tonks non riusciva a parlare seriamente per più di cinque minuti, la tentazione
di passare a futilità era sempre troppo grande…
“Beh,
sì, non sono così male…” Balbettò lui piuttosto in imbarazzo.
“Stamattina
stavo pensando seriamente di farmeli celesti, ma…”
La
porta della classe si aprì, ed apparve sulla soglia una McGranitt piuttosto
spazientita, che squadrando in modo poco rassicurante Remus, gli chiese:
“Signor
Lupin, si è forse scordato il motivo per cui lei è qua?!”
“No,
mi dispiace, io…” Iniziò a balbettare Remus, preso alla sprovvista. Caspita, e
ora cosa le diceva? Che idiota che era stato a lasciarsi trascinare da quella
furia blu elettrico senza ricordarsi che lui era lì per lavorare… non
per chiacchierare con gli amici.
“Il signor Lupin mi ha convinto ad andare a chiedere scusa
a quella serpe di Kroik, ed ora mi sta accompagnando in Infermeria… perché,
ovviamente, non si fida di lasciarmi da sola con lui… pfiu, questi adulti! E
meno male che ci chiamate giovani di belle speranze… come potremmo essere
giovani di belle speranze se nemmeno vi fidate di noi, io non lo so… vi
contraddite sempre!” Disse Tonks, saltando giù dal davanzale della finestra e
dirigendosi verso l’infermeria, seguita da un Remus sempre più stupito.
Quando
poi il ragazzo passò davanti alla professoressa, questa lo guardò piena
d’orgoglio e gli fece i complimenti per il buon lavoro svolto.
“Sei
un’ottima attrice, nonché un vero e proprio genio, Tonks! Complimenti!” Le
disse poi una volta rimasti soli per i corridoi.
“Tse,
lascia stare! Sono solo abituata a scenate di questo genere, e se non menti,
qui non campi!”
“Mi
sembra di sentire tuo cugino…”
“Come
sta il caruccio Sirius?!”
“Oh,
bene. E’ a Londra con Lily e James, per il corso da Auror. Da quanto ho saputo,
James è il migliore.”
“E
te ne stupisci anche?! Se riesce ad affrontare Lily Evans, è capace perfino di
distruggere un intero esercito di Mangiamorte!” Disse Tonks, scoppiando a
ridere, e Remus non poté fare a meno di imitarla, sapendo bene quanto quelle
parole in un certo senso fossero veritiere…!
“E
Solaria?”
“Noi
non ne sappiamo niente, lo sai.”
“Come?
Sirius non ha ancora aperto bocca?”
“No…
ogni tanto dice strane cose, che non si capisce se siano riferite a lei o… o a
chissà cosa. Però, di Solaria non dice nulla, se non che le manca.”
“E’
triste?”
“Molto.”
“Poverino.
Io non mi innamorerò mai, non voglio soffrire!” Disse sicura la bimba.
“Ma
sei ancora così piccola, non c’è bisogno che pensi già a questo! Vedrai che
crescendo cambierai idea!” Disse Remus, divertito.
“Nemmeno
per sogno. Perché dovrei perdere la testa per qualcuno che è estraneo a me? Io
ho già me stessa a cui pensare, e devo dire che è una grande faticaccia visto i
casini che combino ogni cinque secondi… non voglio pensare anche ad altri! Gli
amici però li voglio, sì! Perché a quelli non devo prestare molta attenzione!”
“E
che razza di modo di pensare sarebbe questo?! Agli amici ci devi tenere come a
te stessa, piccola birba!”
“Ah
sì?!” Fece lei, assai sorpresa.
“Certamente!”
“Bene!
Allora non voglio più nemmeno amici! Dunque tu non sei mio amico, capito?”
“O…Ok!”
Balbettò Lunastorta, tentando di trattenere le risate. Ma che diavolerie stava
dicendo quel tappo che le camminava al fianco?!
“Sei
solo un conoscente per me. Però io per te sono un’amica, ok?”
“Come
sarebbe a dire?!”
“Mi
piace essere considerata un’amica!”
“Dunque…
non vuoi amici però vuoi essere amica?”
“Sì!
Così è più facile!”
“E
già…” Bisbigliò Remus: sapeva bene che, seppur lei pensava queste cose, nella
realtà la situazione era ben diversa. Tonks nei suoi pensieri si vedeva dura,
forte, severa, intransigente, ma nella realtà era una ragazzina dolce,
socievole, simpaticissima e con una incredibile inclinazione per i guai. Un
vero e proprio tesoro, insomma.
Piccola
birba, spero che tu rimanga sempre così… spero che nessuno ti rovini la vita
costringendoti a divenire uguale a quel cugino a cui tanto assomigli e che
tanto apprezzi…spero che tu possa continuare ad essere felice.
Tutti
gli apprendisti Auror alloggiavano in un grande edificio, nei pressi di King’s
Cross Road nella Londra babbana, dove ciascuno aveva un piccolo appartamentino
privato da dividere con altri due colleghi.
Naturalmente,
Lily, James e Sirius erano insieme, e questo, sebbene da un punto di vista
fosse assai positivo, da un altro, lo era molto meno…
Lily
si svegliò di malavoglia dal letto in cui stava. Aveva passato una notte
splendida e tremendamente passionale fra le braccia del suo amato James, e ora
si stava gustando un meritato, nonché necessario, riposo.
Ma
qualcuno, di cui lei sospettava l’identità, continuava a bussare
incessantemente alla porta della loro stanza.
“James…”
Mugugnò, ancora insonnolita.
“Mmmh?!”
Fece lui, nella sua stessa condizione.
“…chi
diamine è?”
“Non
lo so… “ E così dicendo si alzò in piedi, completamente nudo, e senza prendersi
la briga di coprirsi andò ad aprire la porta.
“Buongiorno…”
Disse, a chiunque gli stesse davanti, sbadigliando sonoramente.
“Sono
le otto e quarantacique, Ramoso, e tu sei ancora completamente nudo e del tutto
addormentato?!” Gli gridò un Sirius piuttosto alterato.
“Ciao
Sirius.” Fu tutto quello che lui disse prima di sbattere la porta in faccia
all’amico e andare a coricarsi di nuovo vicino a Lily.
“Che
ha detto?” Chiese quella, così afflitta dal sonno da non essere riuscita a
cogliere nemmeno un frammento della loro breve conversazione.
James
sbadigliò di nuovo, poi le disse: “…che sono le otto e quarantacinque”
Nella
stanza cadde il silenzio totale. E fu grazie a quell’atmosfera di calma che i
due riuscirono finalmente, nonostante il sonno, a fare due più due e capire in
che casino si trovavano.
“Le
otto e quarantacinque?!” Gridarono contemporaneamente, alzandosi di scatto dal
letto e dirigendosi di corsa verso il bagno.
Sirius
aspettò altri dieci minuti davanti alla stanza, ossia fino a quando la porta non
si riaprì e sulla soglia apparvero i suoi amici… Appena li vide, l’ira che già
gli era nata dentro a causa del ritardo con cui lo costringevano ad andare
all’addestramento aumentò ancora di più e, divenendo rosso come il fuoco, gridò
loro:
“Vi
siete messi le divise l’una dell’altro, idioti!”
Quei
due, che purtroppo erano ancora sconvolti per essere stati svegliati in maniera
così brutale dal loro piacevole sonnellino, si squadrarono per un attimo da
capo a piedi, arrossendo vistosamente. Poi rientrarono dentro e ne uscirono
poco dopo ciascuno con la propria divisa.
“Siete
dei cretini! Possibile che non riusciate mai a svegliarvi in orario?! Per colpa
vostra arrivo sempre in ritardo!” Gridò loro Sirius.
“Beh-
gli fece notare un calmissimo James, mentre sbadigliava e si stiracchiava a
dovere- jawn!… potresti anche andare da solo…mmh..! Sì, così va molto meglio!”
Un
lampo maligno passò negli occhi di Sirius, mentre il suo volto diveniva troppo
improvvisamente calmo. “Questa era tutta gentilezza, James. Ma se proprio ci
tieni, le prossime volte non vi aspetterò…”
“Sì…bravo!”
Disse James, prendendo la bacchetta che aveva lasciato nel tavolo della cucina.
“…
e risponderò con perizia di particolare a chi mi chiede perché diamine siete
in ritardo!” Gridò l’ultima parte, ritornando d’improvviso furioso come una
belva.
“Beh
sì… allora forse sarebbe meglio che incominciassimo a metterci una sveglia, che
dici tesoro?” Chiese James a Lily, che stava al suo fianco tentando di
svegliarsi.
“Sì…
va bene!” Rispose lei, con noncuranza.
“Bene,
ora si presume possiamo andare!” Gridò Sirius, ancora incavolato. E, tutti
insieme, con un leggerissimo ‘pof’, si smaterializzarono nella sede degli
Auror, dove avrebbero dovuto iniziare, alle nove in punto, il loro quotidiano,
faticoso, snervante allenamento.
Appena
giunti, non fecero in tempo a battere ciglio che un ometto grosso e grasso,
dallo sguardo furioso ed un occhio che incuteva terrore solamente a guardarlo,
gli si parò davanti. Rimase immobile per tre secondi, poi alzò un braccio e,
prendendo Sirius e James per una basetta, iniziò a trascinarli verso il centro
della stanza, sotto gli occhi sbigottiti di tutti i ragazzi presenti.
“Cosa
vi avevo detto?! Puntualità! La puntualità prima di tutto!”
“Ehm…
veramente aveva detto SORVEGLIANZA COSTANTE!” Sbottò James, ma fu costretto a
stare zitto quando la presa dell’uomo su quel punto delicato della testa si
fece più forte.
“James
Potter! Sempre in ritardo, insieme al tuo amichetto! Ma questo sarà l’ultimo
ritardo che farete, vi avverto! Al prossimo, vi invio in una jungla equatoriale
e lì vi lascio per il resto della vostra vita a combattere con serpenti e
gorilla!” Con un ultimo strattone li fece cadere al centro della stanza.
“James,
inizia a scavarti la fossa perché oggi io ti ammazzo!” Sibilò Sirius all’amico al
suo fianco, il quale era troppo intontito dal dolore per poter connettere il
cervello e capire la minaccia che gli era stata appena fatta.
“Non
è colpa mia…! Stavo dormendo!”Rispose, dopo aver scosso la testa un paio di voltee aver ripreso contatto con la realtà.
“Bene,
allora siccome la colpa è di quel piccolo particolare anatomico ultimamente in
costante eccitazione, ti taglierò quello!” Gli sibilò ancora più furioso Felpato,
alzandosi in piedi e facendo rabbrividire il povero Ramoso.
“Signorina
Evans, lei non è da meno! Mi sarei aspettato che perlomeno tenesse a bada i
suoi amici, ma a quanto pare mi ero sbagliato!” Gridò in quel momento
Malocchio, dirigendosi verso la povera Lily che, un poco sconcertata per il
sonno e per il guazzabuglio appena accaduto, non sapeva dove caspita voltare
gli occhi. Oddio, e adesso che le avrebbe fatto?! Mamma mia, si stava
avvicinando sempre di più….
Un
altro ‘pof’ nella stanza attirò l’attenzione di tutti, ed anche quella di
Malocchio. Lily riprese a respirare, quando, finalmente, vide l’ira dell’Auror
indirizzata verso qualcun altro che non fosse lei… già… poverini i Paciock!
Erano nella stessa situazione di lei e James, completamente addormentati, e
sicuramente le urla di Malocchio non erano un buon modo per risvegliarsi…
Moody
riservò al giovane Paciock lo stesso trattamento usato per i due Malandrini,
strattonandolo per la basetta e mollandolo con poca grazia al centro della
stanza… guarda caso proprio sopra Sirius che si ritrovò di nuovo a terra,
trascinando nella sua rovinosa caduta anche James che stava dietro di sé.
La
stanza si riempì di risolini mal repressi, mentre Lily andava a consolare la
giovane ragazza, completamente allibita per l’accaduto.
“CHE
SIA L’ULTIMA VOLTA, SONO STATO CHIARO?! CI VUOLE VIGILANZA COSTANTE! NON MI
SERVONO DELLE SCHIAPPETTE ANCORA INTONTITE DAL SONNO! UN ALTRO RITARDO E VI
CACCIO VIA A CALCI NEL SEDERE DAL CORSO, AVETE CAPITO?!” Gridò Moody,
mettendo a tacere tutti quanti.
Dopo aver lanciato un ultimo sguardo infuocato a tutta la
stanza, il vecchio Auror iniziò l’allenamento, tirando (ma guarda un po’ che
coincidenza) uno schiantesimo addosso al gruppetto dei tre ragazzi che si
stavano rialzando, e facendoli nuovamente cadere a terra.
Sirius
guardò di sbieco James, mentre quello lì gli rispose con una risatina, tentando
di convincerlo, invano, che in fondo non era così grave ciò che stava
succedendo.
“Ti
rompo tutte le ossa, ti scotenno, ti faccio a pezzi e poi ti do da mangiare a
Malfoy!” Gli gridò un attimo prima di spostarsi per scansare un secondo
schiantesimo.
James
deglutì, abbassando la testa per evitare di prendersi uno schiantesimo in piena
faccia: “Dai Sirius, non prenderla così male…!”
“Sei
tu che la prenderai così male! Fai finire l’allenamento e vedi...- si scansò di
nuovo- vedi che diamine ti succede!”
“La
volete finire per una buona volta?! Siamo tutti nella stessa barca!” Gridò
Paciock in quel momento, finendo sopra James per scansare un altro colpo.
“Anche
tu problemi col sonno, Paciock?!” Gli chiese James.
“Già…
sai com’è…” Iniziò lui, arrossendo vistosamente.
“Già,
sai com’è: il sesso vi ha rammollito l’unico neurone che avevate in testa! Vi
volete abbassare, razza d’idioti?!” Gridò loro Sirius, spingendo le loro teste
in basso giusto in tempo per evitare che facessero una brutta fine.
“BRUTTE
PAPPAMOLLE, QUANDO VI DECIDERETE AD AGIRE INVECE DI CINCISCHIARE COME
DONNICIUOLE?!” Gridò in quel momento Alastor, e i tre ragazzi decisero
finalmente di tapparsi una volta per tutte la bocca, tenendo per dopo le loro
chiacchere e le loro minacce.
Questo,
dunque, è in sintesi ciò che accadeva al gruppo di amici, ormai separato per
motivi di lavoro. Si sentivano spesso, via camino o mandandosi missive via
gufo, informandosi di come andava la vita a ciascuno di loro.
Però,
purtroppo, non riuscirono a vedersi nulla per quell’anno. A Natale James, Lily
e Sirius erano stati ingaggiati per una missione di tirocinio contro un gruppo
di Mangiamorte di bassa lega in Irlanda; per Pasqua Remus non aveva vacanze e a
giugno tutti erano impegnati con le ultime fatiche del loro apprendistato.
Riuscirono
a vedersi solamente verso la fine di agosto, quando oramai James, Lily e Sirius
erano stati proclamati Auror.
Il giorno della cerimonia Remus
si smaterializzò dalla sua casetta nel Galles alle otto e un quarto precise in
piena Londra, nella zona del binario nove e tre quarti a King’s Cross Station,
dove Sirius sarebbe venuto a prenderlo.
E,
difatti, dopo pochi attimi vide un cagnolino nero avanzare saltellante verso di
lui, e trasformarsi poco dopo in uomo.
“Sirius!”
Disse Remus, correndo ad abbracciarlo.
“Ma
chi si rivede! Come stai?!” Gli chiese Sirius, ancora fra le braccia
dell’amico.
“Benone!”
Rispose quello. Sirius si scostò un attimo e lo squadrò da capo a piedi. Remus
indossava un vecchio cappotto e sotto, una linda camicetta beige dentro i
pantaloni neri.
Col
tempo si era un po’ irrobustito, la carnagione pallida non dava più quella
sensazione di malaticcio che invece emanava quando il ragazzo era ancora
piccolo e alle prese con la difficile condizione che comportava la
trasformazione in lupo mannaro una volta al mese, e ora mostrava in viso uno
splendido, allegro sorriso. Sirius sapeva bene a cosa quel sorriso fosse
dovuto: al desiderio di nascondere la sofferenza che celava nel suo cuore a
causa di tutte quelle tragedie da cui era stato colpito; ma non era un modo per
nasconderla agli altri, non solo perlomeno. Portando quel sorriso in volto
Remus voleva auto-convincersi di essere felice, di aver messo una pietra
sopra tutta quella sofferenza e continuare a godersi la vita che gli era stata
data. In fondo, ora le cose andavano molto meglio: aveva un lavoro, una bella
casa; gli amici, seppur lontani, li sentiva spesso, e sapeva che erano al
sicuro… insomma, cosa poteva desiderare di più?
“Sì,
confermo: ti trovo bene!” Gli disse Sirius, sorridendogli.
“E
tu? Che mi combini?”
“Io?!
Beh, io oggi diventerò un Auror, amico mio!”
“Ehe
he he, si, questo lo sapevo!”
“Per
il resto… sto benone anch’io!”
“E James?! Lily?”
“Sarebbero
venuti anche loro a prenderti, solamente che… da quando dormono insieme, hanno
un po’ di difficoltà ad alzarsi in orario! Anche se oggi…ehehehehe…” Sirius
concluse il suo discorso ridendo. Una risata poco rassicurante a dire il vero,
e Remus sapeva che voleva dire che il suo amico ne aveva combinato una delle
sue!
“Sirius?!
Che gli hai fatto?” Chiese, mentre un sorrisino divertito iniziava a
comparirgli in viso.
Sirius
si guardò l’orologio al polso. Le otto e venticinque: facevano ancora in tempo!
“Vieni,
ti faccio vedere!” Disse, prendendo l’amico per un braccio e
smaterializzandosi.
Remus
si ritrovò in un piccolo appartamento, arredato in maniera molto semplice e
essenziale, e tenuto in ordine (si poteva ben vedere) dalle mani di una donna.
“E’
casa vostra?”
“Sì!
Avanti, vieni!” Disse Sirius, conducendo l’amico davanti ad una porta. Però,
stranamente, non la aprì. Rimase ad aspettare.
“Felpato?!”
Chiese Remus, che guardava perplesso la lastra di legno scuro davanti a se.
“Shh…
mancano esattamente… tre secondi!”
Nella
stanza calò un pesante silenzio d’attesa. In un lampo i tre secondi volarono,
e…
DRINNNNNNN DRONNNNNNN DRIN DRIN DRIN DROOOON TIK TAK TIK
TAK SPASH SPASH GONG GONG TIK TIK TIK TIK TIK DRINNNNNNNNNNNNNN
Un fracasso tremendo, prodotto da qualsiasi tipo di
sveglia esistente sulla Terra, si sentì alle otto e trenta precise. E, subito
dopo, due urla che di umano avevano ben poco….
Ciò
che Remus si ritrovò davanti aveva dell’incredibile: la stanza era totalmente
ricoperta da sveglie di qualunque tipo, magico e babbano, appese ai muri, alle
pareti, alcune poste sui vetri della finestra, altre per terra, e molte volavano
per tutta la stanza, facendo un baccano tremendo con i loro suoni.
Ma
ciò che faceva più ridere era la faccia di James che, spaventato da tanto
baccano, era mezzo caduto dal letto, e quella della povera Lily, che se ne
stava raggomitolata su se stessa, tutta nascosta dalle coperte, senza curarsi
di nascondere il suo ragazzo che era rimasto totalmente nudo. Erano
completamente terrorizzati! Pallidi come lenzuoli!
Quando
James vide Sirius gli avvenimenti incominciarono ad avere un ordine e un senso,
ma per la confusione finì per cadere definitivamente a terra. Iniziò a
respirare profondamente, per recuperare l’ossigeno che gli era mancato nel
momento in cui aveva gridato come un matto per lo spavento. Poi, dopo essersi
infilato i boxer, si diresse verso l’amico.
“VOLEVI
FARMI VENIRE UN COLPO, DEFICIENTE?!”
Ma
Sirius non rispose, si allontanò dalla stanza scompisciandosi dalle risate.
James,
pronto a scagliarsi come una furia su di lui, si fermò quando notò un’altra
presenza vicino alla porta.
“Remus?!”
Chiese, stupito, grattandosi la testa arruffata per il disappunto. Poi parve
ricollegare finalmente tutti i pensieri, e gettandosi sopra l’amico, gli urlò
un allegro: “REMUS!”
Anche
Lily, dopo essersi infilata la vestaglia, andò a salutare Lupin, e quando si
rese conto che James stava pensando a tutto tranne che ad iniziarsi a
preparare, lo prese per un braccio e lo condusse nuovamente in stanza, per
cambiarsi.
Alle
nove meno cinque i due uscirono, perfettamente vestiti con la divisa da Auror.
“Avete
visto che grazie a me riuscirete oggi ad arrivare puntuali?!” Disse Sirius,
quando li vide uscire dalla stanza.
“Stai
zitto cagnaccio pulcioso, con te facciamo i conti dopo!” Gli disse James, che
però in fondo era divertito anche lui per il tiro mancino che l’amico era
riuscito a fargli sotto il naso. E no, caro Felpato, questa prima o poi te
la farò pagare!
“Avanti,
andiamo tutti quanti! Altrimenti finisce che Alastor ci butta fuori proprio
oggi!” Disse Lily, prendendo per mano Remus per guidarlo nella smaterializzazione.
Si
trattò di una cerimonia molto semplice, durante la quale furono dati ai ragazzi
il mantello e lo stemma da Auror.
Alla
fine, tutti i nuovi adepti si raggrupparono nel cortile dell’edificio, per fare
la foto ricordo.
Fu
Remus a scattarla: erano davvero un gran bel gruppo di persone, e alcuni di
loro già formavano delle coppie, come il giovane Paciock e la sua ragazza, e
come Lily e James, che se ne stavano seduti a parlottare in un angolino come
due piccioncini in amore.
Quando,
dopo aver scattato la foto, si fermò a guardare il gruppo, uno strano
sentimento lo pervase. Timore? Forse. E se non era quello, era qualcosa di
molto simile, che lo fece rabbrividire.
Quei
ragazzi a partire da quel giorno avrebbero preso parte attiva nella guerra contro
Voldemort. Avrebbero combattuto, salvando persone e rischiando la loro vita.
Già,
la loro vita… quanti di loro sarebbero riusciti a tenerla stretta?
In quel secondo anno le fatiche erano divenute il pane per i suoi denti
In
quel secondo anno le fatiche erano divenute il pane per i suoi denti.
La
Dama del Lago non le aveva risparmiato niente, né dolori, né sforzi inauditi,
né malesseri continui, né tanto meno lacrime di dolore per le cose orribili che
vedeva. Aveva lasciato che le visioni percettive la colpissero con tutta la
loro violenza, dicendole semplicemente di respingerle con i suoi poteri. Facile
da dire, vero? Molto facile. Semplicissimo. Brutta stronza, possibile che non
capisse che era impossibile?
O
almeno, di questo era convinta fino a quel giorno.
Già,
quel giorno, e come faceva a dimenticarlo?! Si era preparata a fondo, come
sempre, per tentare di sovrastare la potenza delle visioni. E come sempre aveva
fallito, rimanendone preda. Fu così che vide essere torturati ed uccisi due
persone di indubbia identità: i signori Potter, i genitori di James.
Il
sangue le si gelò nelle vene, mentre il ricordo di quello che era avvenuto ai
suoi genitori le si faceva spazio di nuovo nella mente, insieme alla
consapevolezza che, se quella volta non avrebbe agito, il suo cuore non sarebbe
stato in grado di reggere un tale dolore.
Con
tutte le forze che aveva in corpo, con tutta la sua determinazione ad uccidere
Voldemort, cercò allora di allontanare quelle sensazioni.
Ci
riuscì. E, insieme ad esse, anche le immagini lentamente se ne andarono dalla
sua mente.
Quando
riuscì a focalizzare di nuovo la sabbia della spiaggia su cui si era contorta
per il dolore, sentì un’ultima lacrima caderle lungo la guancia. Ultima sì, ma
solo perché mai più avrebbe permesso che le visioni le provocassero tali
dolori.
Alzò
lo sguardo verso la Sacerdotessa, che la guardava con occhi imperscrutabili. Ce
l’aveva fatta, ce l’aveva fatta, ed ora nulla l’avrebbe più potuta ferire nel
mondo esterno.
Dopo
quell’episodio gli allenamenti si fecero di ben altro genere: lanciare
incantesimi senza bacchetta e creare una proiezione astrale di sé che fosse in
grado di scagliare magie come la vera copia furono una passeggiata, non la
impegnarono nemmeno per un mese intero.
Infatti,
per quanto riguarda il primo punto, era molto avvantaggiata grazie alla potenza
dei suoi poteri psichici. L’aveva già fatto anche in precedenza: aveva invocato
un pugnale usando le magie del desiderio.
Creare
una proiezione astrale le occupò molto più tempo: riusciva sempre e solo a
proiettare altrove la sua mente, sentendosi esattamente come quando era
catatonica, tant’è che una volta la Sacerdotessa dovette riportarla alla realtà
con uno schiantesimo.
Era
già dell’idea che probabilmente sarebbe rimasta tutta la vita a tentare invano,
oppure che sarebbe finita di nuovo in stato catatonico e nemmeno il più potente
degli schiantesimi sarebbe riuscito a farla rinsavire, quando, una notte,
cambiò tutto.
Era
più stanca del solito, si era davvero dovuta impegnare molto, sia con la magia,
sia con la mente e la lingua per rimettere a cuccia la Grande Sacerdotessa che
si stava divertendo troppo a vederla fallire. Sarebbe semplicemente voluta
andare in camera sua, a parlare con Gardenia e così rilassarsi un poco.
Ma
Gardenia non c’era, dovette ricordarsi con amarezza. Quell’arpia la teneva da
qualche parte, lontano da lei.
Dove sei Gardenia? Voglio sapere dove quell’indigna di tua
madre ti ha rinchiuso. Voglio che tu ritorni qua. Ho bisogno di un’amica, non
ce la faccio più.
E, mentre questo pensiero le dominava la mente, aveva
incominciato a vedere nella sua testa l’immagine dell’intera isola. La
percorreva tutta, dall’alto, come un uccello. Ed era perfettamente cosciente di
tutto quello che si trovava sotto di lei.
Individuò
subito Gardenia.
Era
da sola, triste, in una cella di un tempio della Dea dall’altro lato
dell’isola, molto lontano dal palazzo dove alloggiava lei. Nelle altre stanze,
fungevano da guardie delle vecchie e severe (delle super racchione)
sacerdotesse. Poverina, anche lei non era messa molto bene.
Voleva
essere lì, con lei. Voleva che lei la vedesse. Voleva confortarla.
“Solaria!”
Gridò ad un certo punto Gardenia, alzandosi in piedi dal letto su cui era
seduta. Le andò incontro e l’abbracciò, con le lacrime agli occhi.
“Come…
come hai fatto?!” Le chiese poi. “Non ci si può smaterializzare nell’isola!”
“Oh…
caspita… che bello! Ho preso due piccioni con una fava!” Disse Solaria,
saltando per la gioia. Gardenia si scostò un attimo da lei e la guardò
interrogativamente.
“Ma
sì, ti spiego subito ora: sono finalmente riuscita a trovare te e a compiere
perfettamente una mia proiezione astrale! Era quasi un mese che ci provavo! Non
sono troppo brava?!” Le disse, saltellando per la stanza come una matta.
Gardenia
si mise a ridere, asciugandosi le lacrime che continuavano a caderle dagli
occhi.
“Mi
sei mancata tanto, Solaria!”
La
Nimbus si bloccò all’improvviso. “Anche tu! Perché sei qua?”
“Mi
ha mandato mia madre.”
“Perché?”
“Non
lo so.”
“Allora
lo so io: voleva farmi esaurire, la racchia. Ma me la paga questa. Prepara i
bagagli, perché ora vado a dirne quattro alla signora Grande Sacerdotessa.”
E, così
dicendo, scomparve, lasciando di nuovo sola Gardenia, che andò a raggomitolarsi
fra le coperte del suo letto in attesa che le parole di Solaria divenissero
realtà
Quando
riprese coscienza, guardò con occhi che mandavano scintille la donna davanti a
se.
Quel
ghigno strafottente che aveva in viso fino a poco prima era scomparso:
sicuramente aveva capito che lei era riuscita nell’intento di creare una
proiezione astrale. Questo piccolo particolare diede ancora più forza a Solaria
che, alzatasi in piedi, si diresse con passo deciso verso la sua strozzina.
“Ci
sono riuscita.” Le disse.
“Me
n’ero accorta.” Replicò la donna, dedicandole il suo solito sguardo carico di
rabbia e di disprezzo. Nonché di quella gelosia che continuava a roderla dall’interno
e che non riusciva a placare.
“E
ho trovato Gardenia.” Aggiunse poi, con voce furiosa. Nonostante l’oscurità, le
parve di vedere la Sacerdotessa impallidire a quelle parole. Il suo falso e
maligno gioco era stato scoperto.
“Ora,
che le piaccia o no, lei la fa tornare immediatamente qui.”
“Gardenia
non è affar tuo, te l’ho già detto.” Disse, a labbra strette.
“Non
mi piace ripetermi: la conduca qui, altrimenti lo farò io. E penso che un fatto
del genere possa causarle un grave scandalo, non trova? La Grande Sacerdotessa
di Avalon che si fa mettere pubblicamente i piedi in testa da una mocciosa
venuta dal mondo esterno! Roba da matti!”
Ora
il cambiamento fu fin troppo palese: la donna divenne livida in volto per la
rabbia, e gli occhi si ridussero a due fessure. “Non preoccuparti… era già
previsto che la prossima luna lei tornasse.”
“Lo
spero bene. Non che mi dispiacia crearle un po’ di fastidi nel suo ambiente, ma
non posso sopportare che Gardenia rimanga ancora a lungo là, da sola, con per
sola compagnia quelle vecchie cornacchie acide. Senza contare che non riuscirei
a sopportarla, Dama, ancora a lungo senza qualcuno che mi dia una mano.
Ringrazi sua figlia se il più delle volte sono riuscita a trattenermi dall’attuare
i miei simpatici piani vendicativi!” Aggiunse, con un sorriso sbruffoncello
stampato in faccia.
La
donna non resse oltre. Si voltò e, col suo solito andamento deciso, fiero,
veloce, entrò nel palazzo.
Dopo essere riuscita a creare una vera proiezione
astrale di se, riuscire ad usare con essa i suoi poteri fu abbastanza semplice,
bastava solo un po’ di concentrazione. Con l’allenamento poi sarebbe diventato
un gioco da ragazzi.
Però,
dopo che ebbe appreso anche questi nuovi incanti, la Grande Sacerdotessa decise
di avviarla verso un’altra strada, ben più contorta e impegnativa. La
divinazione.
Solaria
scoppiò a ridere appena glielo disse: se l’era forse dimenticato che lei era
una veggente? Ma il sorriso compiaciuto della donna le fece capire che lei
aveva in mente qualcosa di diverso. E, difatti, aveva ragione: la Dama del Lago
voleva che lei imparasse a vedere il futuro che le interessava, non solo quello
che le visioni le imponevano. Vedere il futuro di ciò che la riguardava. Ad
esempio, osservare un oggetto e prevedere cosa gli sarebbe accaduto, se
qualcuno l’avesse rotto e come, in che momento, perché… se poi quest’arte
veniva applicata alle persone, si rivelava ancora più utile delle previsioni in
sé.
Ma
molto difficile da imparare, anche per lei che era già predisposta per natura.
C’era qualcosa in lei che la faceva sorridere, che la
rendeva felice. Le era familiare, in qualche modo sapeva di conoscerla.
Guardò ancora quel volto. Non riusciva a discernerlo
precisamente a causa dell’oscurità che lo inghiottiva, però poteva percepire
com’era fatto.
Viso perfetto, dal mento aguzzo, zigomi sporgenti, bocca
grande e rossa, naso piccolo e diritto; oltre le arcuate sopracciglia d’ebano,
l’oscurità non permetteva di vedere, nascondendo la bella fronte. Tuttavia si
potevano scorgere i capelli, neri anch’essi come la notte, che ricadevano in
morbide onde attorno al capo, formando un piacevole contrasto con la pelle di
porcellana. E poi, c’erano gli occhi, grandi e perfettamente a mandorla… di uno
splendore indefinibile. Di che colore erano quegli occhi? Grigi? Sì, sembrava
grigio. Ma era un grigio strano, molto simile al chiaro argento, così
stranamente luminoso… Ciò che la colpiva di più però era il loro sguardo.
Triste. Rassegnato. Colpevole. Le ricordava tanto… tanto il suo. Quando
guardava Sirius.
La conosceva dunque questa dama della notte? No… non poteva
conoscerla, non la ricordava…
Sirius. Assomigliava tanto a Sirius. Una sua parente? Può
darsi… un’altra rinnegata certamente, perché quello sguardo non si sarebbe mai
potuto leggere sugli occhi di una vera Black.
Io
so chi sei… ma non riesco a capirlo. Perché sei sempre nei miei sogni? Cosa
significhi?
Solaria si svegliò lentamente
nel suo letto. Si portò una mano alla testa, levandosi dal volto i capelli che
le ricadevano davanti offuscandole la vista.
Da tre mesi, ossia da quando
era iniziata la pratica della divinazione, lei era afflitta da quel sogno. Sempre
lo stesso. Sempre quella giovane dama vestita di nero, immersa nel buio, triste
e malinconica. Sempre quello sguardo, così simile al suo. Ma chi era? Che senso
aveva tutto quello?
“Ciao Solaria!” Le disse
l’amica entrando nella stanza. Solaria la vide avvicinarsi, sempre con la sua
aria felice e semplice in volto. Dopo le sue ‘richieste’, la madre era stata
costretta a riportarla al palazzo centrale dell’isola, rinunciando così al suo infame
piano di opprimere Solaria lasciandola senza amici con cui confidarsi.
Gardenia si sedette al suo
fianco, scrutandole il viso.
“Qualcosa non va?”
“…sempre quel sogno.” Rispose
Solaria, esasperata.
“Che sogno?”
“Scusami, non te ne ho
parlato. Ma, sai com’è, non pensavo fosse nulla di grave.”
“Perché, ora lo è?!”
“No no! Stai tranquilla! Cioè,
non so cosa sia in realtà… sogno una ragazza, immersa nel buio, che assomiglia tantissimo
al mio fidanzato. Però il suo sguardo… il suo sguardo è uguale al mio. Lo so,
perché me lo leggevo in faccia ogni volta che mi guardavo allo specchio e per
caso pensavo a Sirius…”
“Sirius è il nome del tuo
promesso?”
“Mio cosa?!”
“Tuo promesso! Se siete
fidanzati, vi sposerete sicuramente!”
“Ah… sì, è possibile...”
Rispose Solaria, tanto per tagliare corto. “In ogni caso… è qualcosa di
inaudito! Perché mi appare in sogno da un mese un viso a me sconosciuto?”
“Non è possibile che sia
vostra figlia?”
“Nostra…figlia?!” Chiese
Solaria, sempre più perplessa.
“Certo! Hai detto che
assomiglia al tuo promesso, e che però ha il tuo sguardo. Gli occhi della
madre, gli occhi di una veggente: avendo ereditato questa tua dote, lei guarda
il mondo con i tuoi stessi occhi.”
“Io non avrò figli, Gardenia:
non posso averne, non voglio averne. Non voglio che il sangue del mio sangue
soffra la mia stessa pena. Se io non riuscirò a portare a conclusione il mio
compito, non voglio che questo cada nelle mani di mia figlia o mio figlio,
rovinandogli la vita!” Sbottò Solaria, estremamente amareggiata.
“Queste sono le tue
intenzioni. Ma cosa puoi saperne tu di quello che il destino ha in serbo per
te?”
“Oh, ne so anche fin troppo…
ne ho sempre saputo troppo. E accadrà ciò che voglio.”
“Non intestardirti col
destino: è una lotta persa, ha sempre ragione lui, non te.”
“Io sono in grado di
maneggiarlo, non scordartelo! Pertanto, avrò ragione io su di lui. Non avrò
figli, dunque il volto di quella ragazza non può essere quello di mia figlia.”
Disse in tono perentorio, e anche piuttosto arrabbiato. Forse era meglio
chiudere quel discorso lì, la piega che stava prendendo già non le piaceva…
“Allora perché mai ti sarebbe
apparsa in sogno, se non per farti capire qualcosa d’importante?”
“ E cosa, di grazia? Che
assomiglierà al padre e avrà la stessa maledizione della madre?! Molto
interessante, davvero! Come se non me lo aspettassi!”
“Forse lei influenzerà il tuo
destino.”
“Lei, in qualità di figlia
della sottoscritta, non farà proprio nulla perché non esisterà mai. Dunque
lascia perdere quest’ipotesi, è un vicolo cieco, non ci condurrà da nessuna
parte.”
“Perché, se prendessimo in
esame l’ipotesi che lei sia una parente del tuo fidanzato, cosa cambierebbe?”
“Beh… forse… ma non lo so! In
fondo, tutto ciò che ho visto è il suo viso, e non ho visto tanto bene manco
quello…! Non posso arrivare a precise conclusioni avendo solo un elemento del
genere!”
“Parlane con mia madre.”
“COSA?!”
“Ho detto: parlane con mia
madre!”
“Sì, l’avevo capito!”
“E allora perché…”
“Perché non se ne parla
nemmeno! Con tua madre?! Manco per sogno! Questi sono affari privati, a lei non
riguardano e non devono riguardare!”
Gardenia la guardò seriamente.
“Nulla che ti appartiene è un affare privato. Purtroppo, è affare di tutti, in
quanto tu stessa appartieni al mondo intero.”
Mentre Solaria ascoltava
quelle parole, un nodo iniziava a serrarle la gola. Lei apparteneva al mondo.
Non era niente di per se stessa; era qualcosa- nemmeno
qualcuno – solamente se c’erano gli
altri. Era un oggetto che apparteneva a tutti coloro che la circondavano. E
dunque, anche tutto ciò che le era proprio apparteneva agli altri.Una cosa. Ecco c’sera: semplicemente una
cosa. Un fazzoletto da buttar via una volta usato: questo appellativo le
calzava a pennello.
“Và via.” Disse secca in un
sussurro, lo sguardo perso nel vuoto.
Gardenia, presa alla
sprovvista, chiese: “Che cosa?!”
“ESCI DA QUESTE STANZE!” Gridò
allora Solaria, chiudendo gli occhi per trattenere la rabbia. Gardenia non se lo
fece ripetere di nuovo: spaventata e dispiaciuta per aver ferito l’amica, scese
dal letto su cui era seduta e scappò via, chiudendosi la porta alle spalle.
Solaria rimase da sola. Iniziò
a singhiozzare, poi fredde lacrime di dolore le scesero lungo le guance:
perché?! Perché capitava tutto a lei? Perché il destino era stato così crudele?
Perché non era una comune ragazza, di quelle che hanno in testa solamente il
pensiero di come truccarsi e di come far colpo sul ragazzo amato? Perché doveva
soffrire così tanto, perché doveva far soffrire quelli che la circondavano, e
perché doveva vederli soffrire?!
“Sirius… dove sei, Sirius?!…”
Gridò, accasciandosi sul letto. “Ti voglio qui… ti amo… ti amo tantissimo!
Sirius…!”
Ma purtroppo Sirius non
giunse, e lei rimase lì, da sola, a piangere tutta la disperazione della sua
esistenza.
Molti di voi si chiederanno:
come, era al colmo della disperazione, immersa nei suoi pensieri che
riguardavano in gran parte il male che procurava alle persone amate standogli
semplicemente vicino, e si mette ad invocare il nome di Sirius?!
Sì, proprio così. Perché?
Perché non ne poteva fare a meno. Solaria, come vi ho già fatto notare varie
volte, è pur sempre una ragazza, un essere umano. E quando è disperata, ha
bisogno di una spalla su cui piangere, di braccia che la cingano e la facciano
sentire protetta dal male che l’assale. Ha bisogno della persona che ama di
più, anche se si rende conto di farle del male.
Sirius.
Qualcuno classificherà questo
gesto come proprio dell’egoismo: io preferisco interpretarlo come bisogno
naturale di un essere umano. Non gli voglio dare una definizione precisa, non
me la sento: perché altrimenti, se lo facessi, starei dando un giudizio su
questo comportamento. E non è il caso di farlo.
E’ troppo umano.
“Sei in ritardo.” Le fece
notare la Dama del Lago. “E oltretutto ti sei dimenticata gran parte degli
abiti nell’armadio. Vatti a vestire.”
Beh, effettivamente Solaria
era in grande ritardo, dato che l’orario degli allenamenti era fissato per le
sei del mattino e lei era arrivata alle otto e un quarto… per quanto riguarda
gli abiti… indossava semplicemente la lunga ‘sottoveste’ aderente, con un velo
che le copriva le spalle.
“Non avevo voglia di venire
prima, e per quanto riguarda gli abiti: mi sono davvero scocciata di indossare
strati su strati di tonache da suora, sto molto meglio così.” Rispose secca,
senza nemmeno guardarla in faccia, quasi la donna non fosse degna di avere i
suoi occhi su di se.
“Non m’importa cosa sia
passato per la tua mente depravata: il modo in cui ci si veste qua non è una
scelta, è un obbligo. Come lo è la puntualità: che non accada mai più una cosa
del genere.”
“E invece la informo che
continuerà ad accadere, perché non ho alcuna intenzione di stare ad ascoltare
le sue parole, e quindi di dare peso a ciò che dice. Farò di testa mia, come ho
sempre fatto.”
“Stanno così le cose?”
“Gliel’ho appena detto, e non
ho intenzione di ripetermi.”
“Benissimo: allora da questo
momento in poi io non ti aiuterò più negli allenamenti, mi limiterò a dirti ciò
che devi sapere fare, per non fare un torto alla Dea.”
“Se avessi saputo prima che
sarei riuscita a levarvi dalla mia strada semplicemente facendo di testa mia,
l’avrei già fatto.” Disse Solaria con un ghigno in volto, alzandosi finalmente
a guardare in faccia la donna.
“Andrà solamente a tuo
discapito: non riuscirai a raggiungere i massimi livelli senza di me.”
“Li ho già raggiunti i massimi
livelli di tutti gli insegnamenti che lei aveva il dovere di darmi: per quanto
riguarda la divinazione, penso proprio di potercela fare da sola. Non per
niente sono una veggente!”
La Sacerdotessa non si
trattenne oltre: sollevò la lunga e ingombrante gonna del suo abito e se ne
andò via, lasciando Solaria da sola, nella spiaggia deserta.
Si sedette sulla sabbia: la
tristezza del giorno prima era passata, rimaneva solo una profonda amarezza che
non si sarebbe mai potuta togliere via. Ma, in fondo, gli avvenimenti del
giorno le avevano fatto venire il buon umore: non solo ora poteva vestirsi come
le pareva, ma addirittura non avrebbe più avuto tra i piedi quella rottura di
scatole della Dama!
Chiuse gli occhi: ora doveva
impegnarsi in divinazione.
Su cosa voleva concentrarsi?
Su quell’albero di mele, stracarico di frutti, che dal giardino sporgeva verso
la spiaggia.
Cosa gli sarebbe accaduto?
Qual’era il suo futuro?
Rimase concentrata a lungo, ma
invano. Niente appariva nella sua mente.
Quando il sole fu alto sopra
la sua testa e iniziò a bruciarle la pelle del corpo, stanca si alzò in piedi e
si diresse verso le sue stanze: doveva a tutti i costi riposarsi, non ce la
faceva più, era distrutta. E per giunta non era riuscita nel suo intento.
Un altro mese era passato da
quel giorno. La condizione di Solaria in Avalon era assai mutata: ora faceva
esattamente quello che voleva, stava per i fatti suoi per gran parte del
giorno, e nessuno osava dirle nulla. Qualche sacerdotessa, e anche qualche
apprendista, la guardava biecamente per il suo modo di vestire, ma nessun tipo
di rimprovero le veniva rivolto verbalmente.
Dopo lo spiacevole avvenimento
avvenuto quella lontana mattina nella sua stanza, Solaria non aveva più parlato
con Gardenia: la vedeva raramente, e tutte le volte lei abbassava lo sguardo e
arrossiva, dispiaciuta e in imbarazzo per ciò che aveva combinato.
Solaria sapeva che, in quanto
amica, sarebbe dovuta andarle a parlare e rassicurarla che, nonostante ciò che
aveva detto, non ce l’aveva con lei, il loro rapporto non doveva cambiare per
così poco e lei non si doveva sentire in colpa. Anche perché, ma questo era
sottinteso, ciò che aveva detto era la pura verità… Tuttavia, non aveva voglia
di farlo: per ora voleva stare sola. Sarebbe giunto il momento in cui avrebbe
rimesso a posto tutto quanto.
Anche quella mattina, come
tutte da ormai un mese, si sedette sulla spiaggia, concentrandosi su quel
diamine di albero di melo e tentando di capire quale futuro avrebbe avuto.
Certo, le era passata per la mente l’idea che fra breve tempo sarebbe finito
sradicato per mano sua, ma purtroppo sapeva che quella previsione non sarebbe
stata propriamente legittima…
Sospirò, serrando ancora di
più le palpebre degli occhi per concentrarsi meglio.
Come al solito, il nulla
pervase la sua mente.
Poi però accadde qualcosa di
diverso: l’immagine dell’albero incominciò ad avere consistenza, finché non le
parve di averlo davvero dentro la sua testa. Quell’immagine, così nitida e
solitaria, durò poco: infatti giunse ben presto una donna, un’apprendista a
intendere dalla leggera tunica di cotone azzurro che indossava, dagli strani
capelli biondi, un po’ ingrigiti dall’età avanzata, raccolti in molteplici
trecce intorno alla testa. Apprendista da una vita… già, purtroppo la società
di Avalon era formata da caste chiuse, per cui chi veniva selezionato ad un certo
campo, non poteva mutare la sua condizione.
La donna aveva un cestino, che
teneva appoggiato alla vita con una mano: con l’altra, invece, afferrava le
mele e ve le metteva dentro. Riempito il contenitore, fece per andarsene: ma
una mela le cadde a terra, così si chinò a raccoglierla e poi scomparve
lontano.
L’albero rimase di nuovo solo.
E la visione, da nitida qual’era, lentamente divenne sempre più sfocata, fino a
lasciare nella sua mente solamente il buio.
Solaria aprì gli occhi di
scattò: era stata davvero una visione? Era riuscita davvero, e finalmente dopo
un mese di tentativi andati a vuoto, ad eseguire una divinazione?!
Come faceva ad esserne sicura?
Se comunque c’era riuscita, non l’aveva fatta in modo perfetto: infatti non
sapeva quando questo sarebbe accaduto.
Si levò in piedi: voleva
rientrare in stanza e farsi una doccia, per rilassare le ossa arrugginite dal
troppo star ferma.
Voltandosi però, vide qualcosa
che la colpì profondamente: appoggiata sulla balconata del palazzo che dava al
giardino, immersa nei suoi pensieri, c’era Gardenia.
Sospirò: era giunto il momento
di andare a chiarire il malinteso.
Con calma si diresse verso il
palazzo, e salì le scale, fino a giungere al suo fianco. Gardenia lentamente si
voltò a guardarla, occhi tristi nel magro visino abbronzato.
“Ciao.” Le disse Solaria.
“Ciao.” Rispose timidamente
lei, abbassando lo sguardo.
“Come stai? E’ da un po’ che
non ci sentiamo.”
“Sto bene, grazie. E tu?”
Chiese ansiosamente, rialzando gli occhi e guardandola con sguardo implorante
perdono.
“Io sto bene, Gardenia: mi
dispiace per quello che è accaduto ultimamente. So di averti fatto rimanere in
pena per tanto tempo, ma non preoccuparti: non mi sono arrabbiata con te. Anche
perché, da un certo punto di vista, avevi ragione…! Ti sono stata alla larga
perché avevo voglia di rimanere da sola: dovevo rimettere a posto alcune
faccende con me stessa, e non volevo nessuno in mezzo ai piedi… scusami, non è
un comportamento propriamente da amica, ma non ne potevo fare a meno.”
Gardenia rimase a guardarla
con occhi pieni di speranza. “Allora… non sei arrabbiata con me?!”
“Ma no, te l’ho detto!” Disse
Solaria, mostrandole uno dei suoi più bei sorrisi. In quel momento, spianta da
uno strano impeto che le veniva dal profondo, distolse lo sguardo dall’amica e
vide un’anziana donna, vestita d’azzurro, dirigersi con un cesto verso l’albero
di mele, in guardino.
“Dunque… è tutto a posto?!
Siamo sempre amiche?”
Solaria si voltò a guardarla
di nuovo negli occhi, ma ogni tanto si voltava a guardare con attenzione ciò
che succedeva nel giardino. “Ma certo!”
“Ti prometto che non mi
comporterò più così!”
“Non mi devi promettere niente
del genere! Ricordi? Il primo giorno ti avevo detto che potevi dirmi tutto
quello che pensavi, perché così fanno le vere amiche! E, se ti preoccupa la mia
reazione… sta tranquilla, non succederà mai più una cosa del genere!” La donna
si era poggiata il cestino su un fianco e, avvicinatasi all’albero di mele,
aveva allungato una mano verso il ramo più basso.
“Grazie Solaria!” Disse
Gardenia, abbracciandola con affetto.
“Grazie a te per non essertela
presa!” Fisse Solaria, ricambiando il gesto con un sorriso dolce. Davanti a
lei, la donna nel giardino riempiva il cesto di mele.
“Cosa è successo con la Grande
sacerdotessa? L’ho vista più nervosa del solito nell’ultimo mese!” Le chiese
poi Gardenia.
“Beh, diciamo che abbiamo
avuto un piccolo dibattito, e…” la donna aveva riempito il cestino, e si stava
allontanando. “…e così lei non mi starà più tra i piedi…”
“Mi dispiace che non andiate
affatto d’accordo. Sì, è vero, mia madre ha un carattere piuttosto.. chiuso,
severo, opprimente, ma…”
Una mela cadde dal cesto, e la
donna si chinò per raccoglierla, poggiandola poi sul cesto e allontanandosi.
“L’HA FATTO! SIIIIIIIIII! L’HA FATTO! E IO LO SAPEVO! L’HA FATTO, DIAMINE! L’HA
FATTO!EHEHHEHEHE!” Gridò Solaria, scoppiando a ridere e spaventanto Gardenia,
così immersa nel tentativo di giudicare la madre.
“So…Soly?!”
Chiese.
“Ci sono riuscita! Ahhhh, è meraviglioso!
Dopo un mese ci sono riuscita a sapere che diamine sarebbe accaduto a
quell’albero! Certo, devo ancora migliorare, ma…CI SONO RIUSCITA!” Gridò di
nuovo, saltando al collo dell’amica e stringendola forte. Poi, improvvisamente,
lasciò la presa e con un po’ di difficoltà dovuta al vestito troppo aderente
salì sul cornicione della balconata, e aprì le braccia come fossero ali.
“AVALOOOOOONNNNNNN!!! CE L’HO FATTAAAA!” Gridò di nuovo. Gardenia, sempre più
sbalordita, vide alcune apprendiste e sacerdotesse uscire dal palazzo e
guardare biecamente la ragazza, e altre uscire dal giardino per vedere cosa
stesse accadendo. Quello era un luogo di silenzio, non c’erano solitamente
rumori diversi da quelli della natura…
Ma Solaria non parve
accorgersi di tutte quelle attenzioni che le venivano rivolte. Anzi, ad un
certo punto abbassò le braccia e si mise a saltellare allegramente per tutta la
lunghezza del muretto intonando con quanto fiato aveva in corpo: ”Aleeeeeee oh
ohhhhh, aleeeeee, oh ohhh!”
Si fermò di botto, e si voltò
con in viso un sorriso sincero a guardare Gardenia: “Ce l’ho fatta Gardenia!
Sono riuscita a fare una divinazione!” Le disse poi, con gli occhi che le
scintillavano, ma con voce assai più calma di prima.
Gardenia scoppiò subito a
ridere. Com’era buffa quella ragazza! Riusciva a fare una stranezza dietro
l’altra con una spensieratezza invidiabile!
“Cosa succede qui? Cos’è tutto
questo baccano?” Disse una voce rude e severa, e ben presto apparve sulla
soglia della porta la temibile figura della Dama del Lago, il cui volto si
accigliò ancora più del normale quando vide Solaria.
“Immagino sia tu la causa di
tutto questo caos. E voi cosa ci fate qui a guardare? Tornate subito ai vostri
compiti!” Ordinò alle donne che si erano radunate sul balcone e sulla spiaggia
per guardare cosa accadeva; e quelle, impaurite, non se lo fecero ripetere due
volte e scomparvero dalla scena. “Si può sapere cosa ci fai là sopra?”
“Stavo esultando!” Disse
Solaria, mantenendo il suo splendido sorriso in volto.
“Qua è d’obbligo osservare il
silenzio.”
“Ok, tanto ho finito! Ah, e
per sua informazione: sono riuscita a fare una divinazione quasi perfetta. E
riuscirò a migliorare in breve tempo, da sola, senza il suo aiuto.” Le disse, e
questa volta gli occhi le brillarono per lo scherno.
“Buon per te.” Fu la secca
risposta della sacerdotessa.
In quel momento il sole iniziò
a calare sull’orizzonte, tingendo le acque del lago di un rosso fuoco
fiammante.
Quella calda luce dorata illuminò
la figura di Solaria alle spalle. La sua pelle, i suoi capelli, brillarono come
fossero pervasi da infiniti brillantini, mentre le sue forme perfette venivano
risaltate dall’ombreggiatura.
La Dama del Lago dilatò gli
occhi, mentre un triste, doloroso, amaro ricordo le tornava in mente, dandole
una spiacevole sensazione di dejà vu. E il sorriso che Solaria fece in quel
momento le spaccò il cuore.
Si voltò di scatto, mentre
l’ira la pervadeva più che mai, e si allontanò dalle due ragazze senza aggiungere
altro.
Solaria scese dal muretto,
fissando la porta attraverso cui era appena passata la Dama.
“Che cosa è successo?” Chiese
all’amica, senza però voltarsi a guardarla.
“Non lo so. Ma qualcosa che ha
visto non le è piaciuto.” Rispose Gardenia, assai preoccupata.
“Che io non le fossi di
gradimento lo sapevo già. Ma lei ha scorto dell’altro. E qualcosa mi dice che
devo iniziare a preoccuparmi.”
“Ehi,
professor Lupin!” Gridò una voce ben conosciuta alle sue spalle. Remus, che
camminava tranquillamente diretto verso la sua stanza dopo aver finito le
lezioni quotidiane, si voltò a guardare con un sorriso sulle labbra la
ragazzina del terzo anno che gli correva incontro.
“Ciao
Tonks!” Le disse.
“Buongiorno
professore, come va?” Gli chiese divertita Ninfa, dopo essergli arrivata al
fianco.
“Abbastanza bene, grazie! Se non fosse per il piccolo avvenimento di
stamattina…”
“Ma
dai, sei tu che hai richiesto che una coppia di noi studenti duellasse per
mettere in pratica gli incantesimi di Difesa Contro le Arti Oscure imparati!”
“Ma
non era il caso che tu schiantassi Kroik! Anche perché non stavi lottando con
lui!”
“E
sì, va beh… ma lui era lì vicino! E il suo respiro mi urtava!”
“Va
beh… tanto sarà l’ultima volta che vi faccio fare una cosa del genere, ho
capito la lezione!”
“Ma
no, dai Remus, ci siamo divertiti tanto!”
“Kroik
di meno!”
“Ma
chi se ne frega di Kroik!”
“Io,
Tonks! E ci mancava poco che tu gli rompessi l’osso del collo!”
“Ma
non è vero, non gli avrei mai causato una morte così veloce!”
“Puf…
lasciamo perdere! Allora… oggi cosa hai combinato con la McGranitt? L’ho
sentita gridare il tuo nome dalla mia classe!”
“Oh
nulla….”
“Sei
sicura?”
“No.”
“Allora?!”
Chiese Remus, divertito. Era impossibile fare una conversazione con Tonks senza
scoppiare prima o poi a ridere, quella bambina era assurdamente esilarante!
“Beh…
ecco…io… non te lo dico, perché poi tu ti arrabbi!”
“Tonks?!
Che hai fatto?”
“Prometti
che non ti arrabbi?!” Le chiese lei con occhi da cucciolo.
Remus,
ridendo, fece sì col capo, e nel contempo aprì la porta della sua stanza,
facendovi entrare la bambina.
“Allora?
Racconta!” Le chiese, mentre andava a poggiare i suoi libri sulla scrivania e
si toglieva la lunga tonaca nera da insegnante, rimanendo in camicia e
pantaloni.
Si
sedettero insieme sul letto, posto sotto la grande finestra, e Tonks, sebbene
ancora poco convinta di stare facendo la cosa giusta, iniziò il suo racconto.
“Beh…
ecco… stamattina Kroik con il suo gruppetto sono riusciti a bloccarmi non
appena uscita dalla Sala Grande dopo la colazione. Mi hanno insultato, e io
naturalmente ho risposto a tono, così la situazione ha cominciato a degenerare…
e loro volevano picchiarmi!”
“Tonks!
Non ti avranno fatto del male, spero!” Disse Remus, visibilmente preoccupato
per la giovane amica.
“No…
o meglio, quelle erano le loro intenzioni, solo che non hanno fatto a tempo ad
attuarle, perché sono riuscita a scappare via.
Però,
siccome mi sono sentita una vigliacca, prima dell’ora di Trasfigurazione mi
sono messa ad aspettarli davanti alla porta, e quando sono arrivati
naturalmente mi hanno circondato con il sano proposito di farmi a pezzi… e io…
ehm… Non t’ha detto nulla la McGranitt?!”
“No!
Era così furiosa che avevo paura ad avvicinarla!”
“Beh…
sai, avevo appena letto la leggenda della Medusa in babbanologia, e così…”
“Ninfa,
non dirmi che….”Fece lui, sbarrando gli occhi.
“E sì,
va bene, lo ammetto, mi sono fatta crescere i serpenti in testa, e siccome
quelli lì erano terrorizzati (che belle serpi, per carità…), gli ho lanciato
addosso un incantesimo di petrificustotalis… solo che in quel
momento è uscita la McGranitt e ha visto tutto… e come si è avvicinata per
levarmi la bacchetta di mano, i miei serpenti l’hanno morsa al naso…”
Remus,
sebbene sapesse che era un comportamento non propriamente responsabile, non
riuscì a trattenersi dallo scoppiare in sonore risate, mentre Tonks lo guardava
con gli occhi scintillanti.
Poi,
ripresa un po’ di fermezza, decise di tentare di rimediare al latte versato.
“Eh ehm… Tonks, cosa ti è saltato in mente?! La prossima volta, evita di fare
queste sceneggiate con la McGranitt, altrimenti finirai seriamente con l’essere
sospesa!”
“
Ok, allora aspetterò la tua ora prima di dare una sana lezione di educazione a
Kroik e alla sua cricca di idioti, la prossima volta!” Disse decisa lei.
“No…
ma… io non intendevo proprio questo!”
“Ehi
Lunastorta, non dirmi che volevi consigliarmi di porgergli l’altra guancia!”
“Difenditi
se è necessario, ma non attaccare, altrimenti cadi nel torto!”
“Uff…
è solo perché non ho trovato dei tipi abbastanza tosti per divenire Malandrini,
altrimenti a quest’ora quelle serpi sarebbero già sepolte sotto terra! E dire
che O’Connor baciava così bene, avrebbe potuto esser un buon collega sotto
tutti i punti di vista…” Esclamò lei, al colmo dello sconforto.
“Ma…
Tonks!” Esclamò Remus, rosso per l’imbarazzo. Ci mancavano solo le confidenze
di un’adolescente delusa in amore!
“Remus,
me lo dici perché faccio questo effetto ai ragazzi? Cioè… dopo che mi conoscono
meglio, scappano via a gambe levate. Remus, io spavento i ragazzi!” Gli chiese,
con gli occhi da cucciolo.
Beh,
in fondo erano grandi amici, perché si doveva imbarazzare di parlare con lei
anche di quello? E poi, non era possibile resisterle quando faceva quel visino
così dolce e buffo!
Le
sorrise, accarezzandole i capelli lunghi, lisci e neri ravvivati da ciuffi
rossi.
“Ma
no… devi solo trovare quello giusto!”
“Ma
io voglio solo un fidanzatino con cui divertirmi un poco, non un marito! Non
voglio già avere quello giusto! Perché non posso fare come tutte le atre
ragazze?! Sono così orribile?”
“Tu
orribile?! Piccola birba, tu sei fantastica!” Le disse sinceramente.
“E
allora perché…”
“Perché
tu metti soggezione ai ragazzi, li fai sentire inferiori con la tua
spontaneità, la tua forza, il tuo carattere ribelle…- i casini che combini,
m questo non lo disse- dovresti trovare qualcuno che ti assomigli!”
“Ma
non si dice che gli opposti si attraggono?”
“Sì,
ma si dice anche che gli uguali si comprendono!”
“Ah…Ohhhh!”
Esclamò lei.
Nella
stanza calò il silenzio, mentre Dora, immersa nei suoi pensieri, ragionava su
quello che il suo migliore amico le aveva appena detto.
Improvvisamente,
facendo spaventare anche Remus, saltò giù dal letto e, dopo aver fatto una
piroetta su se stessa, si fermò a guardarlo con decisione negli occhi.
“Ho
capito!”
“Cosa?!”
Chiese lui preoccupato. Quello sguardo non preannunciava nulla di buono.
“Chiedo
a Kroik se si vuole mettere con me! In fondo, noi due siamo uguali, no? Va beh,
lui è un purosangue, è un serpeverde, è un pezzo di stronzo… però può darsi che
staremmo bene insieme! Ma certo, sì! Lui è l’uomo perfetto: siamo opposti e
uguali insieme!
Grazie
del consiglio Remus! Ci vediamo dopo la mia impresa, verrò a dirti com’è andata!
Ciau!” Disse, scomparendo dalla stanza, e lasciando un Remus completamente
perplesso seduto sul suo letto.
Ok,
oggi Tonks aveva superato ogni limite! Per la barba di Merlino, se Sirius fosse
venuto a sapere che a causa dei suoi consigli sua cugina aveva chiesto ad un
Serpeverde di uscire con lei, poteva anche iniziare a scavarsi da solo la
fossa!
Ma
come facevano certe idee assurde a nascere in quella piccola testolina buffa?!
Possibile che poi non riuscisse a valutare i lati positivi e negativi dei
pensieri che le saltavano in mente?! Cavoli, Kroik era sempre un Serpeverde, e
della peggior specie addirittura! L’avrebbe rifiutata di sicuro, solamente
perché non si sarebbe voluto sporcare le mani con una sudicia ibrida di
sanguesporco, e perfino rinnegata! Certo, bisogna considerare che comunque
Tonks aveva il suo caratterino e, proprio come Sirius, non avrebbe di certo
accettato una sconfitta e si sarebbe fatta in quattro pur di vincere… o pur di
vendicarsi.
Beh,
a fine serata avrebbe saputo com’era andata l’avventura della sua amica: e
avrebbe saputo anche se doveva consolarla, o semplicemente congratularsi con
lei perché era riuscita nei suoi intenti, anche se non li condivideva affatto.
Tik tik
Un leggero
bussare lo distolse dai suoi pensieri. Si volse a vedere la finestra, e si
stupì nel ritrovarsi davanti uno splendido esemplare di aquila reale.
Forse
era meglio accontentare il grande animale e aprire le ante della finestra, se
non voleva che qualche vetro gli andasse in frantumi sopra la testa…
“Ehi…
vieni qua!” Disse Remus all’animale, che si avvicinò mostrandogli la zampa
attorno a cui stava avvolta una pergamena.
Il
giovane uomo la prese, e l’animale volò via subito dopo aver ricevuto i suoi ringraziamenti.
Che
stranezza, a chi poteva appartenere quell’aquila messaggera? Chi gli poteva
aver mandato quella missiva?
Con
grande curiosità la aprì, ed iniziò a leggerla.
Ad
ogni parola, il cuore sembrava balzargli fuori dal petto.
Salve Remus, come stai?
Immagino che non ti ricordi a chi
appartiene questa calligrafia, non è vero? Effettivamente, è da lungi che i
nostri rapporti sono stati tagliati, in modo così violento e doloroso.
Sono io, Narcissa Black. Sarebbe più
esatto dire che ora sono Narcissa Mlalfoy, ma questo nome non mi ha mai
identificata veramente, ne mai lo farà. E’ un nome che incute terrore e
soggezione a chiunque lo senta, a me provoca invece solo grande disprezzo e
odio… Ma non era questo il motivo per cui ti ho scritto questa lettera.
La verità è che mi mancavi davvero
tanto. In questa grande casa sono sempre sola, lui non c’è mai, torna solamente
qualche rara notte, con le mani sporche di sangue e una maschera d’argento in
viso.
Vi ho pensato a lungo, tutti quanti,
ma soprattutto ho pensato a te: non voglio risvegliare nel tuo cuore tristi
ricordi che forse sei finalmente riuscito a dimenticare. Ti vorrei porgere solo
una domanda: vuoi essere mio amico? Ho bisogno di sentirmi qualcuno vicino,
qualcuno che mi voglia bene davvero… e immagino tu sappia quanto è difficile
trovarlo quando hi una casa piena di Mangiamorte.
Qualunque sia la tua decisione, io
l’accetterò.
Se si tratterà di un no, brucia subito questa lettera e
scordati il suo contenuto. Ma se sarà un sì, questa sera vieni a Malfoy Manor:
io sarò lì ad attenderti.
Con affetto,
Narcissa
Remus,
impallidito d’improvviso e con la tachicardia a livelli massimi, richiuse
silenziosamente la pergamena, poggiandola poi con cura sul letto dove era
seduto.
Era
un incubo vero? Quello era un orribile sogno venuto a frantumare la piacevole
esistenza che ormai conduceva da anni.
Come…
come poteva essere?! Proprio ora che lui riusciva a non pensarla continuamente,
a non piangerla, a non devastarsi al pensiero che lei ogni notte giacesse fra
le braccia dell’uomo che odiava di più, ecco che Narcissa ricompariva.
L’immagine
della ragazza gli riapparve in mente. Bella, incredibilmente bella, serafica in
ogni sua forma. Ricordava ancora bene quei lunghi capelli color oro dalla
piacevole morbidezza; gli occhi, azzurri e profondi come il mare, sempre così
dolci e comprensivi, sempre così buoni; le labbra, rosse e finemente cesellate…
quelle labbra che aveva baciato così poche volte.
Si
alzò, prese il logoro cappotto di panno dall’armadio, e uscì dalla stanza.
La
risposta a quella domanda non poteva altro essere che un sì.
Uscì
dalle sue stanze. Il palazzo, una delle più meravigliose strutture
architettoniche esistenti per grandezza, minuzia di particolari e materiali
pregiati, le dava un senso di soffocamento e di nausea. Soprattutto quando era
così, tristemente vuoto. Il male che lo riempiva diveniva quasi palpabile, e
alle volte, temendo che riuscisse ad afferrarla, era scappata fuori in quel
giardino bellissimo per trovare riparo.
Già,
quel giardino bellissimo… era l’unico luogo della villa dove le piaceva davvero
rimanere.
Quando
l’aveva visto la prima volta, era un luogo abbastanza triste, solitario, dove
gli unici fiori ad esser presenti erano i crisantemi. I fiori dei morti.
E proprio pensando a tutti quei morti, caduti per mano di quella spregevole
famiglia, aveva chiesto e ricevuto il permesso dal suo signore e marito di
occuparsi di quel posto.
Aveva
subito fatto estirpare tutti quei tristi fiori, e al loro posto aveva fatto
crescere bellissimi cespugli di rose bianche, circondate da gigli, calle,
margherite… ed ogni tipo di fioritura dal niveo colore.
Non
poteva più tollerare la vista del rosso, le causava un profondo disgusto,
ricordandole il sangue innocente di cui erano sempre intrise le mani e le vesti
del suo sposo.
Al
centro del giardino aveva fatto porre una statua di grandezza umana
raffigurante una donna angelo che guardava verso la villa con sguardo sicuro,
deciso, quasi di sfida. Al marito erano piaciuti i suoi cambiamenti: diceva che
quel bianco ben rifletteva la purezza del sangue Malfoy, e quella statua la
forza e la potenza della sua dinastia. Un interpretazione completamente
differente dal verso significato dell’opera, ma che l’artista non si preoccupò
di correggere. Meglio così: suo marito almeno avrebbe incominciato a fidarsi di
lei, e a lasciarle sempre più mano libera.
Si
sedette su una graziosa panchina in stile imperiale davanti alla statua.
Chissà
se sarebbe venuto.
Era
stata sincera nella lettera, lui le mancava davvero tanto. Lo amava ancora, e
molto anche. Era stato il suo unico appiglio di salvezza in quegli anni
d’orrore. E su di lui aveva plasmato quel piano che forse, quella sera, avrebbe
avuto inizio. Lo sapeva, si stava comportando come una vera serpe; ma non ne
poteva fare a meno, era necessario. Era indispensabile per la sua vendetta.
“Narcissa!”
Una
voce alle sue spalle pronunziò il suo nome. Era calda, dolce, piena di
sentimenti ed emozioni, totalmente diversa da quelle che sentiva solitamente in
quel luogo. Avvertì il cuore mancare un colpo, e il fiato mozzarlesi nel petto.
Si
alzò in piedi, lentamente e nervosamente, e quando si voltò, non appena lo
vide, le lacrime le inondarono gli occhi. Lui era lì: Remus era lì davanti a
lei, bello, buono e dolce come sempre.
Si
avvicinò a lei rapidamente, e in un lampo furono immersi l’uno nelle braccia
dell’altro.
“Remus!”
Bisbigliò lei, chiudendo gli occhi per assaporare meglio l’intensità di quel
momento.
“Mi
sei mancata… mi sei mancata così tanto!” Le disse lui, continuando a tenerla
stretta a sé e ad accarezzarle i lunghi, setosi capelli biondi.
Si
scostarono leggermente, e lui la prese per le mani, guardandola in viso col
sorriso più dolce che Narcissa avesse mai visto. Il sorriso di Remus… si rese
conto che il ricordo che ne aveva era solamente uno sbiadito riflesso della
realtà.
“Sei
bella… bella come sempre. Come stai?” Le disse lui.
Narcissa sorrise, asciugandosi una lacrime ed
invitandolo a sedersi con lei sulla panchina.
“Sto
bene, grazie. E tu?”
“Anche
io. Ora sono professore di Difesa Contro le Arti Oscure ad Hogworts, e la mia vita
finalmente ha preso una svolta ben precisa.”
“Io
invece sono la moglie del secondo uomo più orribile di tutto il mondo magico
dopo il Signore Oscuro. Anche la mia vita ha preso una svolta ben precisa,
eppure ora siamo qui, di nuovo insieme.”
“Lui…
com’è? Ti fa del male?!” Chiese, con una certa ansia nella voce.
“No,
non mi fa del male. Non fisicamente almeno. Si limita a distruggermi in cuore,
lentamente e dolorosamente. La mia anima ormai è puro dolore, pura sofferenza,
pura tragedia.” Gli disse, mentre una lacrima le rigava il bel volto, già
arrossato per l’emozione precedente. Remus, con una carezza dolce ma decisa, la
scostò via.
“Ora
ci sono io, non piangere angelo mio.”
Remus rientrò ad Hogworts al
calare della notte. La serata che aveva passato con Narcissa era stata a dir
poco fantastica: avevano chiacchierato a lungo e passeggiato in quel piccolo
giardino che lei aveva detto di aver creato con le sue graziose manine, tutto
come se non si fossero mai lasciati, immersi in quella strana pace che derivava
dalla felicità dei loro cuori di nuovo vicini.
Poi,
prima che giungesse la notte, l’aveva lasciata: poteva ritornare suo marito, e
se li avesse visti assieme… quella serata sarebbe stata l’epilogo della loro
esistenza.
Arrivò
davanti alla sua stanza, pronto ad aprirla con il solito ‘alohomora’, ma
si accorse che la porta era socchiusa.
Entrò
preoccupato con la bacchetta puntata minacciosamente in mano nel caso in cui l’avesse
dovuta adoperare per proteggersi.
Ma
quando vide chi era l’intruso, sospirò di sollievo e chiuse la porta alle sue
spalle.
“Ciao!”
Gli disse Tonks senza guardarlo in faccia, immersa nella contemplazione di una
ciocca dei suoi capelli verde smeraldo.
“Mi
hai fatto preoccupare… non devi entrare in camera mia quando non ci sono!” Gli
disse lui, togliendosi il giubbotto e andandosi a sedere al suo fianco, sul
letto.
Finalmente
lei lo degnò di uno sguardo, voltandosi a guardarlo in volto.
“Com’è
andata la serata con Narcissa?”
“Ben…
ma tu come fai a saperlo?! Non dirmi che…”
“Non
ci posso fare niente, era qui sul letto e per caso una mia mano l’ha afferrata
e…”
“…
e l’hai letta!”
“Beh,
mi pare ovvio: tanto il più era fatto. Allora, ti sei divertito?”
“Sono
stato bene, sì.”
“Narcissa
è mia cugina, lo sai?”
“Lo
so.”
“Ed
è anche sposata con Lucius Malfoy.”
“So
anche questo…”
“Oh.
Era tua compagna di classe per caso?”
“Sì.”
“E
avete avuto una storia.”
“Già.”
“Ma
lo sai che se Malfoy ti scopre a letto con lei ti ammazza?”
“Tonks…
non preoccuparti, non ci spingeremo così lontano! Siamo solo amici!” Disse lui,
in grande imbarazzo. Ma quella bambina i freni non li conosceva?!
“Se
se, anche io dicevo così con Kroik: lui è solo un nemico, non staremo mai
insieme! Ed invece…”
“Ninfa,
che cosa hai combinato?!” Chiese Remus, sbiancando di colpo. Questa era la
volta che Sirius gli rimetteva la luna a posto davvero…
“Beh,
sono andata lì e l’ho baciato.”
“Così,
di punto in bianco?!”
“Certo,
non sapevo cosa dirgli!”
“E
lui…?!”
“Sì,
devo dire che baciare è una delle poche cose in cui eccelle.”
“Ah,
quindi non ti ha respinta…”
“Avevi
dubbi forse?!” Gli chiese aspramente lei, guardandolo torvo.
“No…no
scusami, non intendevo… comunque, congratulazioni!”
“Aspetta,
non ho ancora finito.”
“Cosa?!
Che altro è… successo?!”
“Mi
voleva portare a letto.”
Remus
divenne esattamente bianco come il lenzuolo su cui era seduto. Sirius… in fondo
era suo, amico, no? Non gli poteva fare così tanto male…
“Ehi
Lunastorta, sta tranquillo, non ci sono andata!”
“Uff…
cavoli, per fortuna!”
“Ha
la fama di non essere molto dotato, e non volevo rimanere delusa.”
Nella
stanza calò il silenzio. Remus, ritornato alla normalità, fissava profondamente
gli occhi di Tonks, senza dire una parola.
“Ti
sei inventata tutto?”
“Sì.”
“Volevi
farmi prendere un colpo.” Disse Remus, con consapevolezza.
“Esatto.”
“Com’è
andata davvero?”
“Quando
l’ho visto mi sono resa conto che era davvero brutto, e così ho voltato i
tacchi e me ne sono andata.
Poi
però, mentre camminavo tranquillamente tornando nella mia stanza, sono
inciampata fra i miei stessi piedi e sono caduta addosso ad un ragazzo
Tassorosso del quarto anno. Molto carino, davvero.”
“Oh…
non tutti i mali vengono per nuocere!”
“Già!
E domani andremo insieme ad Hogsmead!” Disse lei, mostrando un sorrisone a
trentadue denti. Poi, senza alcun preavviso, gli saltò addosso circondando il
suo collo con le sue braccia e strozzandolo quasi.
“Grazie
grazie grazie grazie grazie! Se non fosse stato per i tuoi consigli, non l’avrei
mai conosciuto!”
Poi
gli schioccò un sonoro bacio sulla guancia, e dopo averlo salutato, scappò via
dalla stanza.
Remus,
dopo aver ripreso fiato, si mise a fissare la porta da cui lei era uscita.
Caspita, questa volta l’aveva davvero rischiata brutta! Se Dora avesse seguito
i suoi consigli nel modo in cui lei li aveva interpretati, a quest’ora lui si sarebbe
dovuto mettere in ginocchio a pregare la Grazia di Sirius. Insomma, il Caso lo
aveva salvato…
Si
sdraiò nel letto, portando le braccia dietro la nuca: era stata davvero una
giornata memorabile.
Lily entrò nella stanza: erano già tutti presenti, Silente, la
McGranitt, i Paciock, i Canon, Alastor Moody con la sua schiera
Lily si materializzò nel camino di casa Weasly: erano già
tutti presenti, Silente, la McGranitt, i Paciock, i Canon, Alastor Moody con la
sua schiera di Auror scelti, e da un lato c’erano anche Sirius e James, che le
fece segno di andare a sedersi nella sedia libera fra loro due. Arthur Weasly,
il padrone di casa, scese dalle scale che conducevano al piano superiore in
quel momento, sedendosi vicino a Moody.
Appena
si fu accomodata, la riunione dell’Ordine della Fenice, una sezione particolare
del gruppo degli Auror che aveva il compito di programmare il da farsi e aveva
il monopolio delle informazioni più segrete e importanti, ebbe inizio. Vi
facevano parte anche uomini che, nonostante non facessero parte delle forze
armate magiche del regno, occupavano posizioni importanti in luoghi che era
meglio tenere sotto controllo: questo, ad esempio, era il caso di Arthur, che
lavorava al Ministero nel reparto riguardante le relazioni con i babbani, e
pertanto aveva notizia di ciò che accadeva nel mondo non magico, e di ciò che i
piani alti della legislazione avevano in mente.
L’Ordine
della Fenice, insomma, era una società segreta votata alla causa del popolo.
Albus
Silente, seduto al centro della stanza, prese la parola.
“Purtroppo
ho lo spiacevole compito di avvertirvi che la situazione è degenerata. Il
periodo di relativa pace in cui eravamo immersi ultimamente, come avevamo
sospettato era foriero di disgrazie.
Abbiamo
appena avuto conferma dai nostri inviati che Voldemort è riuscito a trovare
nuovi alleati. In Francia- e appena disse questo nome Sirius ebbe un piccolo
sobbalzo, di cui si accorsero solo James e Lily, che gli tenne stretta una mano
in segno di conforto- i giganti si sono schierati dalla sua parte. E, come
penso che avrete capito, non sono un nemico da prendere alla leggera.”
“I
giganti sono dei grandi idioti! Basterà ammansirli con un paio di incantesimi!”
Commentò un Auror della schiera di Malocchio.
“Jess,
sta zitto: non sai quello che dici. Ti metterebbero a tacere per sempre prima
che riesca a pronunciare per intero un qualsiasi, anche ridicolissimo,
incantesimo.” Sbottò Moody, deluso dalla stupidità dell’amico.
“Ho
paura che Alastor abbia ragione, signor Stone. I giganti sono molto forti, e a
causa della loro stazza bisogna pronunciare l’incantesimo vicino ad essi
affinché abbia effetto, rischiando così di incorrere nella loro furia
pericolosa. “ Disse Silente. “Dovremmo cercar di riuscire a portarli dalla
nostra parte con le buone, non con le cattive. Ed è per questo che Hagrid è già
andato là: tenterà, insieme ad una schiera di Auror specifici nel campo delle
relazioni tra le varie creature del mondo magico, di patteggiare con loro.”
“Quand’è
partito Hagrid?” Chiese Lily.
“Questa
mattina, con una passaporta che lo conduceva direttamente a casa Nimbus.”
Rispose la McGranitt.
Appena
sentì ciò, Sirius balzò in piedi per lo stupore. “Cosa?! Casa Nimbus? Intendete
dire che la villa di Solaria è diventata in quartiere generale francese degli
Auror?!”
“Sì
Sirius. – disse Silente, pacato come sempre- Ci dispiace non averti avvertito
prima, ma gli eventi sono precipitati e l’unico luogo a disposizione era Villa
Nimbus.”
“Ma
non avevate alcun permesso del proprietario.”
“E’
vero, ma Solaria non avrebbe mai rifiutato la nostra richiesta, perché combatte
per la nostra stessa causa.”
“E’
ridicolo…” Concluse Sirius, cadendo a sedere nella sua sedia.
“Sono
d’accordo con Sirius: non potevate permettervi di invadere una proprietà
privata che non vi apparteneva. Al massimo, avreste dovuto chiedere il permesso
a lui, essendo quello che si potrebbe considerare il ‘parente’ più vicino a
Solaria.” Disse Lily. Sirius si voltò a guardarla riconoscente: non si
aspettava che la Evans reagisse, e tuttavia era stata una piacevole sorpresa.
“E’
vero: quando mai sono stati calpestati i diritti di qualcuno, qui? E’ una vera
e propria mancanza di rispetto, resa ancora più grave dal fatto che Solaria sta
dando tutto per la nostra causa, e questo è il modo in cui voi la ringraziate.”
Aggiunse James.
Nella
stanza calò il silenzio. Perfino Albus Silente rimase senza parole, a fissare i
tre giovani amici davanti a lui.
“Chiedo
scusa allora a nome di tutti coloro che, insieme a me, hanno accettato tale
decisione: spero tuttavia che tu non intenda toglierci il permesso di stare in
quella casa. E’ un punto strategico molto importante, ci danneggerebbe assai
perderlo.”
Sirius
rimase un attimo a pensare. Non gli era andato giù l’accaduto: si erano presi
troppe libertà nei confronti di Solaria. L’avevano trattata di nuovo come se
non avesse altro valore se non quello di un oggetto utile per lo scontro con il
nemico, sempre disponibile a tutti e a tutto, sempre sacrificabile.
Eppure,
non poteva negare loro quel punto strategico. Era troppo importante per
controllare le mosse di Voldemort e dei suoi alleati.“Vi cedo la casa, ma ad
una condizione: nessuno dovrà mettere piede nella stanza d’oro. Quella è e
rimarrà per sempre proprietà privata. Inoltre, chiedo di poter fare parte della
squadra scelta francese.”
“I
membri sono al completo, Potter.” Disse Alastor, guardandolo con quell’occhio
orribile che aveva sostituito l’altro perso durante una battaglia.
“Allora
non avrete il permesso di entrare in quella dimora.”
“Le
pare il momento di fare ricatti?” Gli chiese la McGranitt.
“Siete
voi che mi avete messo nella condizione di farli, sbagliando per primi. Non
portando rispetto a Solaria.
Ed
ora, in qualche modo dovete farvi perdonare.”
“Oh,
ma questo è inconcepibile!” Gridò la professoressa, rossa per la rabbia.
“Professoressa,
non mi irriti. Non voglio mancarle di rispetto.” Sibilò Sirius fra i denti.
Come si permetteva quella vecchia racchia di comportarsi a quel modo?! Ancora
non si era resa conto di ciò che lei e i suoi cari amichetti avevano fatto?!
Possibile che non nutrisse altro che indifferenza nei confronti di Solaria?!
Spostò
lo sguardo, e si ritrovò a fissare gli occhietti azzurri di Silente: il più
grande mago che Hogworts avesse mai visto dai tempi dei tempi, ora era triste.
Non solo, era anche dispiaciuto.
L’ira
di Sirius si placò lentamente. Almeno c’era qualcuno che considerava la sua
Solaria una persona umana.
“Per
favore, fate silenzio. Non è il caso di degenerare in un litigio. Siamo in
guerra, e come ben sapete, l’unità fa la forza. Non dobbiamo dividerci.
E, in
fondo, la richiesta del signor Black non mi pare così assurda. Anzi, conoscendo
la zona lui potrà essere d’aiuto ai nostri uomini.” Disse Silente, facendo
tacere immediatamente tutti.
“Dunque,
si farà come lei ha chiesto, signor Black.
Ma
ora, dobbiamo riprendere il nostro discorso.
I
giganti non sono gli unici abitanti del mondo magico ad essere scesi al fianco
di Voldemort. C’è qualcun altro, addirittura più pericoloso di loro, che
dovremmo davvero temere e dovremmo adoperarci per riportarlo all’ordine.
I
Dissennatori.”
A
queste parole di Silente, la stanza si riempì di brusii concitati, voci
spaventate, volti pallidi, occhi sbarrati dal terrore. I Dissennatori… erano i
demoni più terribili che si potessero conoscere. Potevano essere identificate
come maligne anime in pena, che trovavano la pace solamente succhiando via
l’anima degli esseri viventi che gli capitavano per mano. Il loro Bacio era
mortale. Il solo modo per sconfiggerli era invocare l’Incanto Patronus,
un forte incantesimo alimentato di colui che l’aveva creato.
Essi
erano i terribili guardiani del carcere magico di Hogworts, da cui nessuno era
mai riuscito a scappare.
“Come…
come può essere?!” Chiese la fidanzata di Paciock, sconvolta.
“Voldemort
ha promesso loro una lauta ricompensa.” Disse Silente.
“E
quale?” Chiese James.
“Vagare
liberi per il mondo umano.” Rispose la McGranitt senza alzare lo sguardo,
immersa com’era nei suoi pensieri. Un altro brivido scosse la stanza.
Bisognava
porre veloce rimedio a ciò: altrimenti, altre numerose vite innocenti sarebbero
state perdute.
“Come
possiamo riportare i Dissennatori fra le nostre schiere, Silente?” Chiese
Moody.
“Non
lo so, mi dispiace. So solo che dovremmo tenerli a bada, per il bene nostro e
di tutti coloro che abitano questa Terra.”
Finita
la riunione, i membri dell’Ordine della Fenice si radunarono intorno
all’abbondante bouffet che la padrone di casa, che ancora non si era presentata
al gruppo, aveva preparato per loro.
Lily,
non avendo molta fame, dopo aver spizzicato di qua e di là chiese a Arthur dove
fosse sua moglie, e lui la invitò a salire al piano superiore.
E
così la giovane Evans, sebbene con un po’ di difficoltà dovuta al tremendo
trambusto di quella casa magica, salì le scale.
Appena
arrivata al primo pianerottolo, un tremendo baccano le fece spalancare gli
occhi per lo stupore urla, grida, risate, pianti di bambini provenivano da
lassù. Sicuramente, per poter fare la riunione in pace, Arthur era stato
costretto a proteggere la stanza con un forte incantesimo in sonorizzazione.
Continuò
a salire, e seguendo la scia delle grida, entrò in una stanza.
Lo
spettacolo che le si presentò le fece rizzare i capelli sulla testa.
La
camera (scusate i termini ma sono i più appropriati ed espliciti per descrivere
la sensazione che essa poteva dare) era un tremendo casino: giocattoli
di qualsiasi genere vagavano ovunque, per terra, per aria, per le pareti, e
molti di questi si schiantavano addosso a tre bambini, tutti con i capelli
rossi, che sembravano litigare tra loro.
Da
un lato della stanza, una giovane donna dai capelli rossi tentava di tenere
buoni altri due marmocchi, i piccoli di casa sicuramente, due gemelli. Senza
molti successi però, dato che quando ne acciuffava uno, l’altro scappava, e
quando riprendeva questo, non si ritrovava più l’altro.
“Molly!”
Esclamò Lily. Le voci per un attimo cessarono, e tutte le testoline rosse
presenti nella stanza si voltarono a guardarla.
“Ciao
Lily!” Gridò Molly, mostrando un bel sorriso sul volto pasciuto.
Avvenuti
i convenevoli, i bambini si sentirono liberi di continuare a farsi gli affari
loro, e così ripresero la loro cagnara.
“Come stai?!” Le chiese Molly, mentre lei si
avvicinava, scansando i trenini che le camminavano tra i piedi e gli aeroplani
che le volavano intorno alla testa.
“Tutto
bene! Tu, invece, mi sembri un po’ in difficoltà!” Disse Lily, sorridendole e
afferrando uno dei due piccoli che, approfittando dell’attimo di distrazione
della mamma, stava tentando di fuggire via.
“Come
si chiama questa piccola peste? Ma… sono gemelli?!” Chiese poi, guardando
l’altro bambino che la giovane mamma teneva in mano.
“Eh
sì!”
“Molly,
ti stai dando da fare sul serio!”
“Adoro
i bambini, anche se qualche volta sono… beh, un po’ catastrofici!” Disse
l’amica, sorridendo felice.
“Sì,
l’avevo notato!” Disse Lily, schivando per un pelo una palla che il bambino più
grande aveva tirato addosso al fratellino con gli occhiali, che però la schivò,
lasciando che questa continuasse la sua corsa.
“Allora!
Lui è George!” Le disse, indicando il bimbo che lei teneva in mano. “Quello che
hai tu in braccio invece è Fred. Poi c’è Billy, il primogenito e il più alto
fra tutti; Pearcy, il terzogenito, è il bambino con gli occhiali; e il
secondogenito è…. Oh! E’ sotto quel letto! CHARLIE WEASLY, NON PERMETTERTI DI
TIRARE QUELLA RANA ADDOSSO A TUO FRATELLO PEARCY!”
“Sono
davvero… beh…numerosi!”
Molly
si voltò a guardarla, con un sorriso condiscendente in volto.“Lo so Lily che tu
non hai mai avuto la passione per i bambini! E, certamente, vedere me in queste
condizioni non potrà aver avuto un effetto benefico!
Ma
non sai quanta gioia possano dare queste piccole pesti. Quando ne avrai una
tutta tua, potrai capirmi. E allora, ripensando al passato, non potrai fare a
meno di ridere e dire quanto eri sciocca a pensarla in quella maniera.”
Lily,
con un nodo alla gola, si voltò a guardare l’amica. “Non credo di poter essere
una buona madre…” Le disse poi. “Ho avuto dei genitori fantastici, ma io non
sono come loro. Sono sempre stata diversa…”
“Sì,
diversa perché nelle tue vene scorre la magia. Ma il cuore, mia cara, il cuore
non cambia!”
“Non
l’ho mai usato tanto il cuore, sai? Ho sempre preferito il cervello…”
“Possibile
che in questi anni non ci sia stato nessuno che ti ha fatto cambiare idea?!”
Chiese Molly, con un sorriso malizioso in volto.
Toc Toc
La
porta si aprì senza che nessuno avesse dato l’Avanti, ed entrò un giovane uomo
dai tremendi capelli arruffati e gli occhiali grandi e rotondi. Si guardò
intorno con fare circospetto, e dopo aver individuato Lily, si decise a
raggiungerla facendo a slalom fra i giocattoli dei bambini che, divertiti dalle
sue esclamazione di stupore, iniziarono a tirargli addosso qualsiasi cosa
avessero in mano.
“Ciao
Molly!” Disse il ragazzo in mezzo alla stanza, capendo che era meglio stare
fermo e affrontare il pericolo.
“Ciao James! Come stai?”
“Io
benissimo! Oh, ma sono splendidi questi demonietti! Lily, ne voglio avere
almeno una decina, ok?! Qua c’è da divertirsi da matti!” Disse, scoppiando a
ridere e bloccando con mosse tipiche delle arti marziali, che provocarono
grande meraviglia e ammirazione nei bambini, i giocattoli che loro gli tiravano
addosso.
“Ti
do al massimo due anni di tempo, prima di cambiare idea su questo argomento!”
Disse Molly, guardando con occhi scintillanti prima James e poi Lily.
La
giovane Evans sorrise. “Mi sa tanto che questa scommessa la vincerai tu!”
“Lily,
vieni, dobbiamo andare! Ahi, piccola peste…. Ecco bravo! No, tu capellone, non
fare ingoiare la rana a quattrocchi, altrimenti poi gracchia pure lui!” Disse
James.
“Vengo
subito! Ciao Molly, ci vediamo presto!”
“Ci
conto, eh?”
“Certo!
Ciao piccolo Fred! Fai da bravo, mi raccomando!” Disse, mettendo il bimbo fra
le braccia della mamma, accanto al gemellino.
“Ciao
Molly!” Disse James che, raggiunto dalla ragazza, aveva iniziato ad
allontanarsi verso la porta.
“Ciao
James!” Lo salutò la mamma, mentre toglieva dalla bocca di George le dita di
Fred che lo stavano letteralmente affogando.
“Ehi,
stasera mi aiuti in trasfigurazione? Non ho capito un tubo dell’ultima lezione!”
Disse Tonks, cercando di levarsi dal piede il secchio delle pulizie che Gazza
aveva lasciato per i corridoi, e che lei, naturalmente, aveva centrato in pieno
mentre camminava di fianco a Remus.
“Ma
Tonks, sono un professore, e di un’altra materia per giunta: non posso
permettermi di fare una cosa del genere! Non rientra nei miei doveri!” Disse
Remus, fermandosi e aspettando che lei finisse di liberarsi dell’odioso
aggeggio e lo gettasse da una parte, senza molta cura. Dopo pochi secondi,
ripresero a camminare velocemente verso la stanza di Remus.
“Che
centra? E i doveri da amico dove li lasci, eh? Quelli te li sei scordato?!”
Disse Ninfa, arrabbiata.
“Ok,
va bene, ti dico quello che vuoi sapere: non ci sono stasera.”
“Non
è giusto, sei sempre da lei! E’ un mese che sei fisso a casa sua! E vuoi
continuare a farmi credere che parlate e basta?! Dopo un mese?! Io dico che
siete ormai in fase mooolto avanzata!”
“Tonks,
ti prego, non farmelo dire.”
“Cosa?”
“Che
non sono affari tuoi!”
“Sì
che lo sono, lei è mia cugina e tu sei il mio migliore amico. Senza contare che
a me piace un sacco ficcare il naso nella vita privata altrui!”
“Mi
sembra di sentire Sirius…” Disse lui, esasperato.
“Grazie!
Per stasera allora?”
“Niente!”
“Come
niente?! Io ho bisogno di quelle ripetizioni, domani ho un compito importantissimissimo!”
“Ma
le ho promesso che sarei andato da lei!”
“Quando
torni… per favore!”
“Uff…
e va bene!”
Si
sentì un fracasso tremendo nel corridoio che avevano appena attraversato.
Entrambi si bloccarono e corsero a vedere cosa era successo: Remus perché era
un professore e doveva accertarsi della salute dei suoi alunni, Tonks perché
era una tremenda curiosa, nonché una pettegola DOC, per cui era d’obbligo
presentarsi in momenti del genere.
“Cos’è
successo?!” Chiese Remus, avvicinandosi al gruppetto di ragazzi che stava fermo
intorno a qualcuno. Lunastorta si fece largo nella massa, finché non vide
quello che era successo e sospirò, sempre più esasperato.
Per
terra, dolorante e piuttosto confuso, c’era un giovane Corvonero, con il
secchio di Gazza che gli rotolava affianco.
“Tonks…”
Disse Remus.
“Eh
sì… ho visto!” Fece quella, completamente rossa in viso. Poi si chinò ad
aiutare il ragazzo ad alzarsi.
“Ciao!
Scusami, è colpa mia, ho tirato il secchio per terra senza pensare alle ovvie
conseguenze…”
Il
bambino si fermò a guardare, ancora sconvolto, il viso della giovane che stava
davanti a lui, scrutando in particolar modo i capelli rosa a pallini fucsia.
“Sei
Tonks, non è vero?” Le chiese.
“Già!”
“Dovevo
aspettarmelo che c’eri di mezzo tu!”
“Ehi,
e questo cosa vorrebbe dire?!” Chiese lei, divenendo pericolosamente rossa in
viso.
“Che
sei una calamità ambulante!” Disse quello, rialzandosi in piedi. Ma uno
spintone della ragazza lo fece ricadere a terra.
“Ninfa!”
Gridò Remus, spostandosi subito dal suo fianco per aiutare il ragazzo a
rimettersi in piedi.
“Peccato
che non ti sei rotto l’osso del collo!” Gridò quella, correndo via furiosa,
mentre i capelli cambiavano vorticosamente colore sotto lo stupore generale.
“Cinque
punti in meno a Grifondoro!” Si trovò Remus a dire quando la ragazza sparì
dietro l’angolo. Doveva evitare di mostrarsi troppo parziale, fatto che
purtroppo gli era stato già rimproverato numerose volte dai professori e dagli
alunni stessi. Purtroppo Tonks il danno l’aveva fatto, e doveva anche pagarlo.
Remus
bussò alla porta della villa di Malfoy Manor.
Fu
lei ad aprire, mostrandogli uno dei suoi splendidi sorrisi. Quella sera era
particolarmente bella, tutta vestita di damasco di seta color bianco e oro, ed
i capelli sciolti sulle spalle nude.
“Ciao
Remus!” Disse lei, facendolo entrare e chiudendo la porta alle sue spalle.
“Ciao
Narcissa.”
Si
fermarono un attimo a guardarsi, sempre con quel sorriso, silenzioso eppure
così carico d’emozione, dipinto sul volto.
“Oggi
sei particolarmente bella. Chi aspetti?” Le chiese, in un sussurro.
Lo
sguardo di lei fu anche fin troppo eloquente. Remus deglutì: no, non potevano
osare di… non potevano… non avrebbe resistito… no…
“Te.”
Fu la sua semplice, cristallina risposta, che come un sasso lanciato sullo
specchio di un lago frenò gli ingranaggi del suo cervello.
Si
avvicinarono lentamente, continuando a fissarsi negli occhi. Poi lei gli
accarezzò il viso con una delle sue candide mani, e lui, trafitto da quel
contatto tanto desiderato ed ora finalmente raggiunto, non riuscendo a
trattenersi le circondò la vita con le braccia, facendola avvicinare ancora più
a se e baciandola con dolcezza e ardore.
Continuarono
a baciarsi, seguendo un’invisibile sentiero all’interno della casa senza che
Remus se ne accorgesse.
Capì
dove si trovava solamente quando si ritrovò sopra di lei, su di un soffice
letto di piume. La stanza di Narcissa.
Lei
lo aveva condotto là? Altrimenti, come c’erano arrivati?!
Ma
ogni interrogativo fu stroncato da un altro bacio di lei, che lo riempì di
immenso desiderio e lo svuotò di qualsivoglia forma di razionalità.
Si
spogliarono lentamente e vicendevolmente, fino a ritrovarsi l’uno sull’altra,
completamente nudi, resi un tutt’uno dallo stesso, incredibile, candore della
pelle.
“Ti
amo.” Le disse Remus in un sussurro, prima di entrare in lei.
“Anche io.” Fu la sua risposta.
Si
risvegliarono a notte fonda, nello stesso istante, uniti in un dolce abbraccio.
Si guardarono intensamente, sorridendosi con dolcezza.
“Non
me ne andrei mai da qui.” Le disse Remus, scostando con una carezza una ciocca
bionda caduta sulla fronte di lei.
“E
io non ti lascerei mai andare.” Gli rispose Narcissa.
Remus si chinò, baciandole lentamente una guancia,
scendendo poi ad incontrare la curva di quelle labbra perfette.
“Ma lui potrebbe ritornare. Non voglio che ti faccia del
male, devo lasciarti.” Le disse, appena si sentì pervadere di nuovo
desiderio. Si alzò e, velocemente, iniziò a vestirsi.
“Allora
vai. Ti aspetterò domani, amore mio.”
“Buona
notte, mia stella.” Disse lui baciandole la fronte, e scomparendo un attimo
dopo con un leggero ‘pof’.
Si
smaterializzò davanti ai cancelli di Hogworts, e una volta dentro corse fino ad
arrivare al castello.
Era
felice, felice come non mai. Nemmeno quella luna, quasi piena, che occhieggiava
nel cielo sereno notturno, riusciva a mettergli malinconia.
Non
era in grado di pensare ad altro se non a lei, alle sue carezze, alla sua
dolcezza, al suo corpo perfetto. All’amore che li univa.
Era
tutto così meravigliosamente perfetto, così sconvolgentemente giusto…
Percorse
sempre di corsa i corridoi di Hogworts, e si fermò solamente, con un sospiro,
davanti alla porta della sua stanza.Era già pronto ad aprila con il solito
incantesimo, ‘alohomora’, quando si accorse che era già schiusa.
Spalancò
il battente lentamente, puntando la bacchetta davanti a se con fare minaccioso,
quando, rivolti gli occhi in direzione del letto, si accorse che non era il
caso di preoccuparsi.
Entrò
nella stanza, richiudendosi la porta alle spalle, e gettando il cappotto su una
sedia. E beh, era ovvio, e chi altri poteva essere se non Tonks?!
La
ragazzina dormiva tranquillamente nel suo letto, con un libro tenuto saldamente
dalle braccia sul petto.
Quasi
accorgendosi di essere osservate, Dora sbatté un paio di volte le palpebre e
saltò su a sedere, guardandosi intorno un poco spaesata e piuttosto arrabbiata.
Si stropicciò gli occhietti azzurri, poi, finalmente, poggiò il suo sguardo
carico di rimprovero su Remus, in piedi davanti a lei.
“Avevi
promesso che mi avresti aiutato.” Gli disse. Il suo tono era duro, sebbene la
voce fosse ancora un po’ rauca per il sonno. “Se sapevi di non dover tornare
questa notte, potevi anche dirmelo così avrei tentato di arrangiarmi da sola
nel pomeriggio.”
Remus
si sentì perduto. La delusione e la rabbia che sentiva nella voce della bambina
lo avevano improvvisamente riportato alla realtà, facendogli capire tutti gli
errori che aveva commesso. Primo fra tutti, non sarebbe mai dovuto andare così
oltre con Narcissa: diamine, era una donna sposata, e se il marito fosse venuto
a conoscenza di ciò che era successo, probabilmente l’avrebbe uccisa.
Senza
contare che poi si era completamente scordato della sua piccola amica, e lei,
naturalmente, da brava Black, era a dir poco furiosa.
“Non
ti ho mentito: pensavo che sarei tornato assai prima… Mi dispiace.”
“Che
cosa avete fatto?”
“Se
vuoi, possiamo ancora porre rimedio: ti posso aiutare a…”
“Ci
sei andato a letto.”
Remus
sospirò. “Sì Tonks, ci sono andato a letto.” Confessò, sedendosi di fianco a
lei.
“Come
è stato?” Chiese di nuovo lei. Questa volta però la voce aveva perso totalmente
la rabbia di cui era carica prima: un altro di quegli assurdi cambiamenti
d’umore di cui Remus non riusciva ancora a capacitarsi. Ora era curiosa. E
questo lo mise in imbarazzo.
“Tonks…
ma che domande fai?!”
“E
dai, confidami i tuoi pensieri post-sessum!”
“Post-
ses… ma lo sai che sei peggio di Sirius, quando ti ci metti?!”
“No,
questo è impossibile: Sirius è il top dei top!”
“Già,
è vero…” Mugugnò lui.
“Allora?”
“Allora
cosa?!”
“Allora
dimmelo! Hai visto il Paradiso oppure sei sceso giù fino all’inferno? O tutti e
due?!” Fece lei, mentre un sorriso divertito e malizioso le si allargava sul
bel visino.
“Ma
guarda un po’ questa piccola civettuola! Ma domani non avevi il compito di
trasfigurazione?!”
“No!”
“Come
no?!”
“Io
non lo faccio!”
“Perché?”
“Perché
non ci vado!”
“Come
non ci vai?!”
“Mi
fingo malata e me ne rimango a letto!”
“Ma
non puoi!”
“Sì
che posso, ed infatti è quello che farò! Dunque, questa notte posso rimanere
alzata quanto mi pare e piace!”
“Fila
via e mettiti a dormire, perché domani mattina vengo da te e ti trascino a
lezione!” Magari con un po’ di polso riusciva anche a farsi obbedire…
“Oh,
ma quanto coraggio professor Lupin! Dunque, uno dei sintomi post-sessum
è la temerarietà! Qualcos’altro?!”
“Ma
tu non stavi dormendo?!” Escalmò Remus, allibito. Come poteva essere così vispa
e vitale un secondo dopo essersi svegliata?!
“Osservazione
molto attenta: cavoli, il sesso migliora la vista!”
“Come
diamine fai a cambiare umore così in fretta?! Prima sembravi un angioletto
dormiente, poi una furia omicida, e adesso una pettegola incallita!” Gridò
Remus, esasperato.
“Oh,
ecco il primo sintomo negativo: confusione. Molta confusione!”
“Tonks!
Finiscila!”
“Intolleranza…”
“Basta!”
“…Ira…”
“Per
la barba di Merlino, non ti sopporto più!”
“…Esasperazione!
Professor Remus, mi viene da pensare che lei sia in un avanzato stato
depressivo! Mi ascolti bene: il sesso le fa male. Non lo faccia più!”
“Ninfa!”
“Guarda
che sono io a dover essere arrabbiata con te, non il contrario!”
“Questo
l’avresti potuto dire cinque minuti fa, ma non ora!”
“Posso
dormire qua?”
“Cosa?!”
“Dai…
non ho voglia di andare in dormitorio! Senza contare che se Gazza mi trova, mi
spenna e mi manda dalla McGranitt, che mi odia, e mi farà fare il compito anche
se avrò la febbre a cinquanta domani!”
“Ti
accompagno io!”
“Noooo,
non ho voglia di muovermi!” Confessò lei.
“Hai
mosso la bocca dicendo così tante scempiaggini, e adesso non hai voglia di
muovere i piedi e tornartene in camera tua?! Non ci credo.”
“Credici.”
“Ninfa,
va in camera tua subito!”
“Vacci
tu! Te la lascio! A me non piace. E poi c’è quella stronzetta che dorme con me…”
Remus
sospirò, esasperato, e preso il pigiama, andò nel bagno per cambiarsi.
Quando
ritornò, la ritrovò già sdraiata sotto le coperte, nella parte del letto che
aderiva al muro. Dormiva. Già, adesso stava dormendo. Spiazzante, non c’è che
dire!
Si
avvicinò lentamente, e si mise sotto le coperte.
La
guardò in viso.
Quando
dormiva, poteva anche rassomigliare ad un angioletto, con quelle guanciotte
pasciute, le labbra morbide, e gli occhietti piccoli. Certo, naturalmente non
si dovevano considerare i capelli a strisce nere e gialle… Oddio, ma come le
era venuto in mente un simile assemblaggio di colori?! Sembrava la testa di un’ape…
Piccola,
dolce Tonks. Era l’unica persona al mondo che riusciva a farlo arrabbiare e poi
ridere subito dopo, come se niente fosse. La sua migliore amica.
No,
non solo. Lei occupava nel suo cuore il posto che prima era stato del suo
fratellino.
I
cinerei occhi la fissavano. Lei era lì, immersa in quell’oscurità, magnifica
come una regina, forte come una quercia, potente e triste come solo una
veggente poteva esserlo. Conosceva il suo destino, e lo accettava in silenzio.
Coraggio? No. Solo voglia di porre in fretta una fine a quella vita senza
senso.
Io so chi sei… ma
non riesco a capirlo. Perché sei sempre nei miei sogni? Cosa significhi?
Cos’è quella
gemma che ti brilla nella fronte, circondata da due ali di nere lacrime?
Si svegliò lentamente sul suo
letto, rimanendo sdraiata sotto le calde e confortanti coperte, la testa
poggiata sul morbido cuscino.
Un anno. Era passato un altro
anno. Da trentasei lune oramai stava ad Avalon. E da circa dieci continuava a
fare quel sogno.
Ogni notte si aggiungeva un
piccolo particolare. All’inizio era stato il lungo abito di velluto nero,
raffinato ed aristocratico. Poi le sue mani, lunghe, sottili, dalle belle
unghie curate. Infine, poche settimane prima, era apparsa la sua fronte. E con
essa, quel simbolo.
Si trattava di una pietra di
colore blu scuro, incastonata nella candida pelle della ragazza, circondata da
due volute create con piccole gocciole nere tatuate nella sua carne.
Ciò che più l’aveva
preoccupata, era che quel simbolo, da circa tre mesi, era presente anche nella
fronte di Gardenia. Due spirali di gocciole nere. Quando gliele aveva viste,
era sbiancata di colpo: nulla stava avendo più senso.
Aveva saputo dall’amica che
quel simbolo veniva tatuato nella fronte della futura Dama del Lago il giorno
che ella compiva il suo diciannovesimo compleanno. Inutile chiederle se ci
potessero essere nell’isola altre ragazze che potevano aspirare a tale carica:
si diventava Grande Sacerdotessa soprattutto per linea di sangue. E Gardenia non
aveva sorelle.
Senza contare che poi, sapeva
per certezza che anche lei era una veggente. Non sapeva come, ma n’era consapevole. La dama dei sogni
era una veggente
come lei.
L’identità di quella fanciulla
dei sogni si faceva sempre più misteriosa, e stava incominciando ad
innervosirla davvero. Non le piaceva essere all’oscuro di qualcosa. Non n’era
abituata. Certo, alle volte aveva desiderato ardentemente di non avere quei
suoi terribili poteri… ma ora ne sentiva la mancanza.
Si alzò, indossò la vestaglia
poggiata sulla sedia accanto al letto, ed uscì dalle sue stanze.
A piedi nudi, nella pace più
immensa e obliante che solo nell’isola della Dea si può trovare, si mise a
passeggiare sulla riva del lago. Teneva lo sguardo fisso davanti a se, anche se
in realtà non guardava il paesaggio che le si presentava di fronte, ma cercava
di riporre ordine a tutti i pensieri che aveva in mente, a tutte le immagini. A
tutti i ricordi.
C’era
qualcosa che non andava. Quella ragazza che sognava sempre era l’anello finale
di una catena, di cui però le mancavano ancora alcuni pezzi. Sì, ma di cosa?
C’era qualcosa che doveva scoprire del suo passato, oppure si trattava di
esperienze che ancora doveva vivere?
Sirius guardò la villa.
L’erbaccia invadeva il giardino, e i bei colori della facciata erano
leggermente sbiaditi. Da tre anni nessuno se ne prendeva cura, e gli Auror che
da poco si erano sistemati lì certamente non si sarebbero curati di rimettere
ordine.
Quando lei non c’è, tutto decade…
Sospirò. Quanta amarezza gli
metteva in cuore quel luogo, così pieno di ricordi teneri, dolci, ma anche
tristi…
“Avanti Sirius Black,
andiamo.” Gli disse una calda voce al suo fianco. Sirius si voltò a guardare
Silente, che aveva sul viso uno dei suoi soliti sorrisi pieni di calore e
comprensione. L’aveva sempre sorpreso quel vecchio, era una vecchia quercia nel
cui cuore regnava tutta la conoscenza del mondo. Sapeva sempre tutto di tutti, come
un caro angelo custode che veglia sulla vita di coloro che lo circondano.
Lo aveva voluto accompagnare a
tutti i costi, dicendo che gli interessava controllare la situazione francese.
Ma, conoscendo il suo vecchio
Preside, probabilmente aveva ben altro in mente.
Si diressero verso l’interno
della casa. L’Auror all’ingresso della proprietà Nimbus aveva detto loro che i
suoi compagni erano riuniti nella sala da pranzo. Quando vi arrivarono,
trovarono una decina di uomini con la divisa da Auror intorno ad una cartina,
che parlavano animatamente di nuove strategie d’attacco. Vedendoli entrare però,
si voltarono tutti e li accolsero con un sorriso.
“Silente e il giovane Black!
Finalmente siete giunti!” Disse un uomo dallo spiccato accento francese,
avvicinandosi a loro. “Avanti, venite e dateci una mano! Hagrid è uscito con
una schiera di sette per controllare i nuovi movimenti del gruppo di giganti
nelle montagne del centro. Per ora, comunque, la situazione è questa!” Disse
l’uomo, conducendoli verso il tavolo.
C’era su di esso, come ho già
detto, una grande cartina che ritraeva l’intera Europa. In essa erano segnati
con dei triangoli i luoghi di natura magica e i centri abitati da streghe e
stregoni. Con puntini viola, invece, erano indicate le posizioni degli Auror.
In quel momento un bel gruppetto era posto intorno ad un triangolino
particolarmente grande al centro dell’esagono che rappresentava la Francia.
“Per ora com’è la situazione,
Julien?” Chiese Silente.
“Esattamente com’era un mese
fa, quando ci siamo trasferiti qua. I giganti sono lì, fermi, e non si muovono ancora.
Sicuramente stanno aspettando gli ordini da… da Tu-Sai-Chi.” Disse poi, in un
flebile bisbiglio.
A quelle parole Sirius, che
erano intento ad osservare con interesse la cartina, alzò di scatto il viso e
rivolse uno sguardo di fuoco all’uomo che aveva davanti.
Gli era appena ritornata in
mente la lettera che Lily aveva mandato a Solaria, e che lei gli aveva letto in
uno di quei pochi giorni in cui stava bene. Ormai molti chiamavano Voldemort, o
meglio, Tom Riddle, Tu-Sai-Chi, temendo non solo la sua persona, ma perfino il
nome stesso che lo identificava. Dare un tale onore ad un verme del genere…
“Per caso intendevate
Voldemort?” Chiese con voce secca e aria torva. L’uomo lo fissò, mentre i suoi
occhi si riempivano di paura.
La stanza cadde nel silenzio.
“Dire il suo nome può portare
gravi sciagure…” Assentì poi, con un filo di voce. E dal silenzio che gli altri
continuavano a mantenere, si poteva dedurre che fossero pienamente d’accordo
con lui.
Sirius li fissò ad uno ad uno,
posando su di loro uno sguardo pieno di rabbia. Poi, ad un certo punto, con
violenza gettò per terra la cartina che aveva davanti, gridando:
“E voi sareste coloro che
dovrebbero sconfiggere Voldemort?! Da quando in qua si accettano esseri così
vili fra gli Auror?! SIAMO CADUTI COSI’ IN BASSO?!”
E, senza aggiungere altro, si
voltò e se ne andò dalla stanza a passo di guerra.
Iniziò a vagare per i corridoi
della villa, lasciandosi guidare dalla sua mente, senza essere consapevole del
luogo in cui si stava recando.
Erano davvero caduti così in
basso? Davvero si erano trasformati in delle povere pecorelle che attendevano
solo che il lupo cattivo le azzannasse? Come potevano uomini del genere far
parte degli Auror, impiegare la loro vita a proteggere i loro simili sventando
gli attacchi del nemico, e poi avere paura di pronunciare perfino il nome di
colui che dovevano eliminare?! Assurdo… stava diventando tutto assurdo.
Sciocco. Insensato. Se si continuava così, combattere non avrebbe più avuto
senso.
Possibile che oltre a lui, ai
Canon, ai Paciock, a James e Lily, a Remus, non ci fosse nessuno davvero in
grado di combattere il loro nemico?
Solaria, abbiamo davvero un pazzo bisogno di te.
La sua mente formulò questo pensiero. Ed
immediatamente, pensando a ciò che esso significava, arrestò subito la corsa
del suo corpo.
Loro avevano bisogno di
Solaria… avevano bisogno di… Solaria… avevano bisogno di lei, della veggente
che c’era in lei, delle sue capacità, della sua forza… del suo sacrificio?!
Avevano bisogno anche di quello? No, di quello ne avrebbero anche fatto a
meno…se non fosse che era necessario.
Mentre una morsa di fuoco gli
stringeva il cuore inondandolo di dolore, fu per la prima volta consapevole del
significato dell’esistenza di Solaria. No, non di Solaria, ma di quella della
veggente che era in lei.
Era nata perché la sua morte
era necessaria.
Era nata per morire.
Era nata morta.
Lei era la Morte.
E lui la amava.
“Incredibile come la morte
possa risiedere in una creatura tanto vitale, non è vero? Anche io me ne
stupii, quando incontrai sua madre. Tentai di eliminare quella sua essenza, ma
non ci riuscii.
Con Solaria però sarà diverso.
Vieni Sirius, noi dobbiamo
parlare. E tutto quello che ci diremo, dovrà rimanere tra noi. Lei non lo deve
sapere. Non è necessario. Anche perché, altrimenti, mi metterebbe i bastoni fra
le ruote come fece sua madre tempo fa, pur di proteggermi.”
Sirius fissò interdetto
Silente davanti a se, e quando vide dove voleva entrare, rimase piuttosto
sbigottito: la soffitta. Come c’era giunto là?! Possibile che fosse così
sopprapensiero? In fondo, con Solaria non c’era mai stato, e per un motivo ben
preciso.
“Silente, ma è chiusa. E’
stata bloccata con potenti incantesimi.”
“Lo so Sirius, li ho fatti
io.” Disse l’uomo, dandogli le spalle e pronunciando strane parole con la sua
bacchetta tesa verso la porta di legno della stanza. Si sentì un leggero
schiocco, e la porta si aprì.
Sirius deglutì, sempre più
allibito. Che stava succedendo?
“Come mai già in piedi? Sono appena
le quattro del mattino.” Disse una voce fredda alle sue spalle. Solaria nemmeno
si voltò. Non aveva voglia di litigare con lei, aveva altre cose ben più
importanti a cui pensare.
Così, tentò di liquidarla con
la prima sciocchezza che le saltò in mente. “Volevo vedere l’alba.”
“E per questo passeggi verso
l’Ovest?!” Fu la risposta irrisoria.
“In questo luogo succedono
cose così incredibili che non mi stupirei addirittura di vedere il tramonto
scambiare posto con l’alba.” Biascicò lei.
Nonostante il tono di voce
basso, la Grande Sacerdotessa sentì la sua replica, e non capire a cosa quella
smorfiosetta si stesse riferendo la irritò troppo. Tanto che le chiese: “Di
cosa parli?”
“Del fatto che lei sia
diventata la Grande sacerdotessa di Avalon. La Dea doveva essere impazzita il
giorno…”Rispose con tono più alto, continuando la sua passeggiata. Oh,
finalmente le aveva detto anche quel piccolo pensiero che già da tempo le
aleggiava nella sua lesta mente!
La bocca della Dama si ridusse
ad una fessura. “Non era la Dea ad essere impazzita quel giorno, quanto qualcun
altro.”
Questa volta Solaria si
bloccò. Il tono della voce della donna non le era piaciuto. Sembrava stesse
facendo un esplicito e insolente riferimento a qualcuno che lei doveva
conoscere. “C’è qualcosa che mi deve dire?” Le chiese, con un sopracciglio
alzato.
“Ieri notte ho sentito
Gardenia che parlava con te di alcuni tuoi sogni.”
“Ha mai provato a farsi gli
affari suoi?!”
“Questi sono affari miei! Tu
non potresti avere visioni qua, ed invece ne hai, per giunta durante il sonno!”
Gridò stizzita la Grande sacerdotessa. Era furiosa. Solaria, già arrabbiata per
l’invadenza della donna, ora era anche piuttosto confusa. Ci mancava solo lei
quella mattina a peggiorarle il casino che già aveva in testa. Possibile che
non trovasse altro da fare se non metterle sempre i bastoni fra le ruote?!
“Uff… che problemi ha? Se
fosse più esplicita magari potremmo interrompere questo sgradito dibattito
velocemente e andare ciascuna per la propria strada. Ho di meglio da fare.”
“Uhmpf! Anche lei era
arrogante e altezzosa come te!”
“Lei chi?!” Gridò, esasperata.
“Ma di cosa sta parlando?! Lei è completamente impazzita! Cosa centrano
ora le mie visioni con… questa che mi assomiglia?!”
Cadde il silenzio. Un ghigno
brillava nel volto della Dama. Solaria, se avesse potuto, l’avrebbe presa a
pugni fino a ridurla in polvere. Che diamine aveva architettato stavolta la sua
mente malata?
“Le visioni in Avalon possono
essere solo un dono della Dea.” Disse la donna, con voce calma.
“Allora le dica che non voglio
i suoi regali.”
“La dea parla solamente con le
prescelte.”
Solaria, appena colse il
significato di ciò che le era stato appena detto, rimase senza parole. Sì, lei
era una prescelta, ma del Destino. Le prescelte della Dea erano ben altra cosa.
Erano le future Dame del Lago. Che cosa centrava questo con lei?
Il ghigno sul volto della
donna si allargò. Le piaceva vederla in difficoltà, alla sua mercé per giunta.
“Continui.” Le disse Solaria,
irritata da quel silenzio derisorio della Sacerdotessa.
“Ti vedo interessata.”
“Come lei voleva, del resto.”
“Sì, è vero. Voglio che tu
capisca bene ciò che sto per dirti.”
“Bene, prosegua allora.”
“Cosa hai intuito fino ad
ora?”
“Poco e nulla.”
“Niente sospetti?!”
“Sì, un sospetto. E non mi piace
affatto.” Rispose con voce gelida. Se per caso stava tentando di farla
infuriare, ci stava riuscendo alla perfezione.
Calò di nuovo il silenzio tra
loro. Gli sguardi delle due donne si sfidavano a vicenda, in una battaglia di
cui chissà chi sarebbe stata la vincitrice. Probabilmente la Dama: era lei in
quel momento ad avere il coltello dalla parte del manico. Solaria doveva
aspettare le sue mosse prima di poter reagire.
“Avevo una cugina.” Iniziò la
Dama, con voce solenne. “Nonostante fossimo parenti, lei era sempre stata molto
diversa da me, sia d’aspetto che d’animo. Inoltre, lei era la prescelta, ed io
no.”
“O povera cara…” Commentò
Solaria, senza farsi sentire dalla donna.
“Aveva sempre avuto un
comportamento terribile: non seguiva le regole, faceva sempre di testa sua,
come se avesse l’intero mondo ai suoi piedi. Era sgarbata, superba,
egocentrica, vanitosa, nonché estremamente egoista. E lo divenne ancora più
quando, morta sua madre, la Grande Dama del Lago, lei dovette prendere il suo
posto.
Non volle più rimanere qui ad
Avalon, ed una sera, al tramonto del sole, se ne andò, aprendo le acque del
lago con gli insegnamenti che le erano stati dati.”
“Oh, che storia commovente!”
Disse Solaria, fingendo di asciugarsi una lacrima inesistente dal volto.
“Qualcuno allora c’è la fatta a fuggire!”
La Dama del Lago la fissò
ancora, in silenzio. Ora il suo ghigno si era trasformato in una smorfia di
disgusto, e i suoi occhi erano pieni d’odio. “Scappò via perché, essendo come
molte di noi una veggente, aveva visto ciò che sarebbe potuto accadere al
mondo, però a nostra differenza non riusciva a tollerare di dover rimanere
indifferente a ciò che sarebbe accaduto là fuori, in quella terra devastata
dalla malvagità umana.
Idiota! Lasciò Avalon, la
terra sacra, il paradiso terrestre, nella confusione più terribile. Tutte le
sacerdotesse se la presero con me e mia madre, perché non eravamo riuscite a
bloccarla e le avevamo così permesso di abbandonare l’isola sacra lasciando la
Dea senza la sua prescelta.
Mia madre, per la vergogna e
il disonore, morì.
Io fui costretta ad uscire nel
mondo esterno e cercarla. Ma quella vipera era riuscita a far perdere le sue
tracce… del resto, c’era da aspettarselo: era sempre stata una strega molto
potente.
Quando tornai, fui proclamata
Dama del Lago, in attesa che colei che doveva assumere questo ruolo tornasse.
Ero l’unica abbastanza colta e potente da poter investire tale incarico.”
“Oh, adesso capisco allora…
non siete stata selezionata di certo per le vostre doti, ma perché non
c’era altra scelta.” Disse Solaria, un ghigno
perfido in viso.
La donna impallidì. Quello era
il suo punto debole… quella tremenda consapevolezza di essere stata
semplicemente una seconda scelta per la Dea. Seconda, soprattutto, rispetto
alla cugina. Rispetto a quella ragazza così boriosa, così piena di sé, che non
aveva mai preso in seria considerazione il servizio ad Avalon e il sacerdozio
divino.
Ma
ora si sarebbe presa la rivincita. Avrebbe rovinato la vita perlomeno alla
degna erede di quella sua odiata parente. Non le avrebbe permesso di fare ciò che
invece la madre aveva fatto quella sera… al tramonto del sole… col suo solito
sorriso stampato sulle labbra.
Nella soffitta c’erano
numerosi bauli. E, aprendoli, Sirius era rimasto a dir poco sbalordito del
tesoro che vi era rinchiuso dentro. Centinaia e centinaia di foto, molte delle
quali magiche, che rappresentavano sempre la stessa, identica, coppia.
E, ogni tanto, non mancava di
comparire in esse anche il vecchio mago barbuto che ora lo stava fissando,
posto davanti a lui nella grande e vecchia stanza, le mani incrociate innanzi
al petto e gli occhialini a mezzaluna leggermente calati sul naso.
“Silente…” Esclamò ad un certo
punto Sirius: le sue parole era una sorta di richiesta d’aiuto. Voleva sapere
che cosa stava succedendo… lì nelle sue mani teneva il ricordo di un passato di
cui non sapeva nulla.
La foto babbana che teneva
stretta rappresentava Silente, il padre di Solaria in versione giovane (lo
aveva riconosciuto dal sorriso, così simile a quello della sua ragazza), e poi…
e poi una splendida fanciulla, probabilmente della sua stessa età, dal viso
simpatico ed abbronzato, le labbra rosse e voluttuose, gli occhi azzurri e i
capelli biondo scuro. Costei aveva un’aria molto familiare. Assomigliava a
qualcuno che conosceva, ma non sapeva chi.
“Prima di spiegarti chi è
quella dama, voglio che tu sappia tutto dall’inizio, Sirius.
Io derivo da una nobile
famiglia. Sono quello che viene considerato un mago a tutti gli effetti… un
purosangue, se preferisci questo termine.
La casata Silente è sempre
stata molto nota, e la sua fama non era dovuta certamente alla sua malvagità o
potenza nelle arti oscure, ma alla sua abilità nell’usare la magia bianca,
soprattutto per il bene delle persone che conoscevano o che giungevano per
chiedere aiuto.
Per questi motivi, quando
avevo circa vent’anni, fui richiamato dalla Dama del Lago, la Grande
Sacerdotessa che serve l’antica Dea Madre nella terra sacra di Avalon.
Mi chiesero di partecipare ad
una cerimonia denominata Bensalem, nella quale, col ruolo di Re Cervo, avrei
dovuto concepire una nuova vita insieme alla Vergine Cacciatrice. Una nuova
vita che sarebbe andata a servire la Dea.
Inizialmente rifiutai. Ma poi,
ancora giovane, mi lasciai convincere dalle parole dei miei genitori, che
consideravano tale richiesta un onore a cui non si potesse rifiutare. E così,
alla fine, acconsentii e compii il mio dovere. –
A questo punto Silente si
fermò, prendendo aria con un grande respiro. Parlare di quegli eventi lo
turbava tantissimo, e Sirius se ne accorse.
Quella storia lo stava
preoccupando, già da quando aveva sentito parlare di Avalon, e aveva capito che
ci andava di mezzo la sua amata Solaria.
-Passarono altri vent’anni da
quel giorno. Io, oramai, ero già professore ad Hogworts.
Un giorno, mentre passeggiavo
tranquillamente per le strade di Hogsmead durante una gita con gli alunni della
scuola, mi ritrovai davanti una ragazza, la fanciulla della foto che tieni in
mano.”
Silente sorrise a quel
ricordo, e Sirius lo guardò leggermente preoccupato.
“E le disse che era sua
figlia, vero?” Chiese, poggiando di nuovo gli occhi sulla foto babbana.
Silente lo fissò, sempre
sorridente. “Sì. Mi disse proprio così, ostentando uno dei suoi splendidi
sorrisi che mi lasciarono a dir poco senza fiato… lei era mia figlia.
Ma la felicità di quel momento
durò ben poco. Lei sarebbe dovuta essere ad Avalon, e dai tatuaggi che portava
sulla fronte, avrebbe dovuto ricoprire l’incarico di Dama del Lago. Allora
perché era lì ad Hogsmead in quel momento?
Rispose alla mia domanda tre
mesi dopo, quando, giunte le vacanze, venne di nuovo a trovarmi, ad Hogworts questa
volta. E non da sola. Era in compagnia di un uomo, un magonò, figlio di un’importante
famiglia francese di maghi purosangue, che più o meno aveva la sua stessa età.
In più, dalla curva della sua
pancia si poteva tranquillamente capire che era in dolce attesa.”
Silente
si fermò ancora una volta, voltandosi a fissare Sirius, ce lo guardava sempre
più preoccupato. Aveva capito dove Silente voleva arrivare.
“Ride bene chi ride ultimo,
Solaria. Pertanto, ti conviene mettere da parte tutta la tua sbruffoneria, e
stare attenta a ciò che sto per dirti. La mia storia non è ancora finita, e ciò
che ora ti rivelerò non ti piacerà così tanto.”
“Volete dire che c’è anche
qualcosa che mi riguarda? Pensavo mi stesse raccontando solo una piacevole favoletta…”
“Questa, arrogante mocciosa, è
la favola della vita della tua stupida madre! Della tua vera madre, di quell’obbrobrio
che il destino mi ha assegnato come cugina, dandogli perfino il potere di
rovinarmi la vita! Ma ora, com’è vero che la fortuna gira, la situazione
finalmente si è ribaltata. Sarò io a rovinare la vita a lei. O, perlomeno a te,
la sua degna discendente!”
Lentamente, il ghigno di
scherno sul volto di Solaria lasciò il posto ad un’espressione d’ira; e i suoi
occhi, divenuti pericolosamente ardenti, avrebbero messo timore a chiunque li
avesse guardati.
“Stia attenta a ciò che dice.
La avverto, stia attenta a ciò che dice…” Disse con voce fredda e tagliente.
“Oh, adesso non sei più così
indifferente, giovane Nimbus, non è vero? Ora che sai che la donna che hai
considerato tua madre per più di vent’anni non era veramente tale, la tua arroganze
è scemata finalmente!
Ti ho riconosciuta subito,
quella sera, al tramonto. Avevi lo stesso sorriso che mi rivolse lei prima di
scappare da Avalon. La stessa espressione. Lo stesso aspetto.
E la Dea, questa notte, me l’ha
confermato.
Mi ha detto che sei tu la
figlia di Urania.
Tu sei la discendente della Dama
del Lago scelta dalla Dea Madre.
Tu
devi prendere il posto che tua madre lasciò.”
Silente, con le punta delle
dita unite in quel gesto così elegante che lo caratterizzava da sempre,
continuò il suo discorso. Un ruga gli solcava la fronte, segno esteriore del
dolore che provava all’interno del suo cuore.
“Mi disse che, quando aveva
visto con i suoi poteri divinatori cosa sarebbe accaduto in questo mondo, non
aveva potuto indugiare oltre ad Avalon, ed era scappata via, usando potenti
magie affinché nessuno la ritrovasse.
Ed era andata da lui. Dal
ragazzo con cui aveva condiviso il suo Bensalem.
Un Bensalem molto differente
dagli altri dato che lei lo aveva costretto ad imitarla e togliersi la maschera
che proteggeva la sua identità, perché non tollerava l’idea di andare a letto
con un uomo di cui non conosceva nemmeno il volto.
Gli aveva raccontato tutto. E
lui aveva accettato di aiutarla ad allevare il figlio che teneva in grembo. Un
bambino molto particolare, che avrebbe potuto frenare la furia distruttrice di
un mostro che di lì a poco sarebbe comparso nel ‘mondo esterno’… come lei
chiamava il nostro mondo.
“Passammo mesi incantevoli
assieme, divertendoci come non mai.
Poi, una sera, quando ormai il
parto era questione di giorni, lei mi si avvicinò e mi abbracciò. Un gesto
comune, certo. Ma quella volta c’era qualcosa di diverso.
Non feci in tempo a chiederle
cosa non andava che lei, con le lacrime agli occhi, mi disse che presto sarebbe
morta.”
Silente era palesemente
emozionato. E, probabilmente, se non avesse ormai razionalizzato quel dolore,
in quel momento si sarebbe messo a piangere.
“Non oso dirti cosa provai nel
sentirle dire quelle parole. Lei era così solare, così piena di vita, così pura…
e doveva morire.
Le chiesi il perché, e se c’era
qualche modo per evitarlo.
Mi disse che il parto l’avrebbe
uccisa. Perché il bambino le avrebbe rubato tutti i suoi poteri, ed insieme ad
essi anche la sua linfa vitale.
Solo ad Avalon avrebbe potuto
evitare una tale morte, aiutata dalle sacerdotesse della Dea.
“La pregai in tutti i modi di
tornare là e farvi nascere il figlio. Ma non volle: perché, disse, altrimenti
non l’avrebbero lasciata andare, trattenendola in quell’isola a compiere
compiti che non sarebbero certamente serviti per salvare tante persone da una
morte così certa e dolorosa, nel futuro.
‘E’ preferibile perdere una
sola vita invece che mille’ mi disse.
Ovviamente non la ascoltai, e
tentai di portarla al sicuro.
Ma lei era una strega molto
forte… in fondo, aveva ereditato tutte le mie capacità… ed infatti riuscì a
tenermi testa con molta facilità, bloccando ogni mio tentativo di soccorrerla.
Mi diede tuttavia una fiala, e
mi ordinò di berla.
Era l’Anti
Oblivius.
Fu così che, quando la sua
bambina nacque, io fui l’unico a ricordarmi di lei. Della mia Urania. Della
vera madre di Solaria.
La neonata andò nelle mani del
giovane Nimbus, che nel frattempo si era sposato con una babbana francese; la
tenne con se, anche perché la moglie non poteva, purtroppo, avere figli;
Era consapevole che fosse sua
figlia, ma non si ricordava chi fosse la madre.
Ma dimenticò ben presto questo
piccolo particolare. Solaria, con la sua allegria e vitalità, riusciva a
scacciare dal cuore di chiunque qualsivoglia preoccupazione.”
Sirius
poggiò di nuovo lo sguardo sulla donna della foto. Aveva la stessa aria di
Solaria. Quel volto pieno di allegria, di dolcezza, di forza, che nascondeva
però la tristezza che la consapevolezza della propria imminente morte le
procurava.
“Lei è una pazza! Ora ne ho le
prove! Lei è completamente folle!” Gridò Solaria con viso di scherno, senza
riuscire a celare però la rabbia, che le trapelava tremenda dagli occhi.
“No Solaria, non sono una
pazza. E tu lo sai bene. In fondo, ti sei sempre chiesta come mai i tuoi
genitori non si meravigliarono così tanto quando giunse la lettera da Hogworts.
Oppure quando, ancora piccola, facevi levitare gli oggetti per il semplice
piacere di guardarli roteare intorno a te. O per tutte le altre stranezze che
compivi…
Conoscevano la magia. Tuo
padre, anche se non te lo ha mai detto, era un magonò, erede di un’importante
famiglia di purosangue francese. Perché credi che fu scelto lui per il Bensalem
di tua madre?! Perché, anche se non poteva usare la sua magia, il suo sangue
era molto potente. Era perfettamente magico.
E le sacerdotesse della Dea
devono avere sangue completamente e perfettamente magico per potere avere le
visioni.
Come vedi, tutti i tasselli
tornano al loro posto.
E tu non puoi fare altro che
accettare la tua realtà.”
“Che sarebbe?”
“Diverrai Dama del Lago, e
rimarrai a servire la Dea qui, ad Avalon, per il resto della tua vita. Allo
scadere di questo anno sarai iniziata per il sacerdozio e donerai una vita alla
Dea come pegno per l’incarico che stai per addossarti.”
Solaria rimase immobile,
impassibile per un attimo.
Quelle rivelazioni, senza
dubbio, l’aveva sconvolta. Sapere la sua vera identità era stato davvero una
pugnalata al cuore.
Ma mai avrebbe dato alla
Grande Sacerdotessa la delizia di vederla in preda al suo dolore interiore. Né,
tanto meno, le avrebbe lasciato man libera sul suo futuro.
Se la sua vera madre aveva
compiuto un atto del genere, poteva significare soltanto che ne valeva la pena.
E lei non avrebbe certamente vanificato i suoi sforzi.
Riprese subito la sua solita
compostezza, mentre nel suo viso le si allargava il solito, sfottente,
sorrisetto malizioso che faceva irritare assai spesso chi le stava davanti.
“E lei pensa che io rimarrò
qui?!”
“Sarai obbligata. Nessuno ti
aprirà le acque del Lago per poter lasciare la Sacra Isola!”
“Si ricordi che io ottengo
sempre ciò che voglio. Ed ora, io voglio andarmene da qui.”
“Non ti sarà permesso!
Sprecherai fatiche invano.”
“Glielo ripeto, ottengo sempre
ciò che voglio. E poi, sono più che mai intenzionata ad allontanarmi da lei,
soprattutto ora che ho saputo che è una mia parente! Che schifo! Bleah…!”
Esclamò Solaria, tremando tutta per il disgusto e facendo una gigantesca
boccaccia, simile a quelle dei bambini quando hanno ingoiato una cattiva
medicina.
La sacerdotessa si incupì, e
corrugò la fronte per la rabbia. “Non ce la farai.”
“Io sono Solaria Nimbus, ce la
faccio sempre!” E, così dicendo, se ne andò via, lasciando la Sacerdotessa
immobile come un palo in mezzo alla spiaggia.
L’alba oramai era sorta, e
Avalon era illuminata dalla luce dorata del sole.
Mentre saliva le scale che la
conducevano alle sue stanze, in cui sicuramente avrebbe passato tutta la
giornata a rimuginare sulle nuove rivelazioni, Solaria si voltò per un attimo a
guardare lo splendido paesaggio del lago illuminato dalle prime luci del
giorno.
Un giorno nuovo, diverso da
tutti gli altri.
Ora la catena era al completo.
Ora capiva tutto.
Ora
davvero la sua conoscenza era totale.
E
nemmeno quel lago le avrebbe impedito di compiere il suo destino.
“Lei, dunque, è il nonno di
Solaria.” Disse Sirius, riponendo nel baule la foto e alzandosi in piedi.
“Proprio così.”
“Perché non vuole che lei lo
sappia? Perché ha svelato solo a me tutti questi segreti?”
“Non sono segreti, Sirius.
Probabilmente a quest’ora Solaria saprà di essere figlia di una Dama del Lago e
di essere una purosangue.
Voglio solo che però non
sappia di me, di quello che sono per lei. Altrimenti, come ti ho già detto, mi
metterà i bastoni fra le ruote e non mi permetterà di aiutarla.”
“In che modo vorrebbe
aiutarla?”
“Impedendole di morire,
Sirius. Anche a costo della mia vita.
Non posso più sopportare che
tali creature perdano la loro dolce vita per difenderci dal Male. Sta oramai
divenendo un circolo di morte quello che caratterizza la vita delle mie
discendenti. Non posso permetterlo che continui. Solaria deve essere diversa.
Ti ho svelato tutto perché
così, se conoscerai le tue intenzioni, me le rivelerai. So che lo farai. La ami
troppo. Come me. E come me non vuoi che le succeda nulla.
Io sono l’unico che la può
aiutare.”
Sirius rimase in silenzio,
soppesando le parole del vecchio mago. Poi, con un gesto secco, fece cadere il
coperchio del baule e lo sigillò con la magia.
“Ecco perché questi ricordi
erano sigillati quassù. Ecco perché la soffitta era chiusa. Ed ecco perché
continuerà ad esserlo.”
E, così dicendo, uscì dalla
stanza.
Forse, mia cara Solaria, non tutto è perduto.
Forse potrò continuare ad amarti per tutto il
resto della mia vita.
Era
il terzo anno che frequentava Hogworts. Il terzo anno.
Ed
erano due anni ormai che era diventata la migliore amica di Remus Lupin. Due
anni.
Tutto
sarebbe stato davvero perfetto, se non fosse che durante quei due anni di
amicizia aveva dovuto lottare contro quella stronza di sua cugina, che si
portava a letto il suo caro Remus.
E,
se fosse stato per amore, lei non avrebbe avuto assolutamente nulla da dire.
MA
NON ERA AMORE!
Come
faceva a saperlo?! Puro e semplice intuito femminile, unito alla conoscenza
della mentalità dei componenti di sangue Black.
Quella
donna era una serpe travestita da grifone, ed era riuscita con questo losco
travestimento a plagiare la mente troppo buona, troppo fiduciosa, - e sì, anche
troppo debole – di Remus Lupin, aiutata anche dal fatto che lui era ancora
appassionatamente innamorata di lei…
Quindi,
come migliore amica, lei aveva l’ASSOLUTO OBBLIGO di aiutare il povero
Lunastorta.
Che
piano aveva in mente?
Beh…
mi pare ovvio:
Siccome
da sola non era riuscita a persuaderlo ad abbandonare quella malefica maliarda,
avrebbe a sua volta dovuto chiedere soccorso ad una persona che Remus NON
avrebbe potuto ignorare.
Sì,
è vero, questo era un colpo basso. Ma era pronta a fare carte false per il suo
migliore amico.
Sirius
scendeva le scale che lo avevano condotto in soffitta. Dietro di lui faceva
altrettanto Albus Silente.
Entrambi
erano immersi in complicati pensieri.
Silente
aveva la strana sensazione, concretizzata in un groppo al cuore, che quella
rivelazione avesse messo una marcia in più al destino, obbligandolo a giungere
il più in fretta possibile al momento cruciale della vicenda che stavano
vivendo.
Proverbi
come Chi va piano, va sano e va lontano, o La fretta è una cattiva
consigliera continuavano a ronzargli in mente, ed insieme ad essi il brutto
presentimento che, anche quella volta, se fossero precipitati i tempi come con
Urania, non sarebbe riuscito a salvare colei che teneva nelle sue vene il
sangue del suo sangue.
Sirius,
invece, non faceva altro che ripensare alle parole del preside: alcune di esse
l’avevano particolarmente scosso… e voleva a tutti i costi chiedere maggiori
informazioni. Ne aveva bisogno… per poter sperare. Per potere sperare ancora di
più di poter salvare la vita della persona che... che… che rappresentava Tutto
per lui.
No,
sbagliato. Non per sperare.
Per
potere avere qualche certezza, qualche punto fisso su cui aggrapparsi. Qualcosa
che potesse farlo sorridere quando pensava alla sua amata, e al loro futuro.
“Preside…
lei prima ha parlato di un Anti-Oblivius.” Chiese ad un certo punto, fermandosi
in un pianerottolo e voltandosi a guardare con occhi scintillanti il vecchio
uomo davanti a lui.
Silente
lo fissò un attimo, ben consapevole di dove il giovane volesse andare a parare.
Sospirò,
e con la sua voce dolce disse:
“Sirius,
un Anti -Oblivius è una pozione molto difficile da creare. Specie se l’Oblivius
in questione è di antica data, e ancor più se è stato prodotto da un mago
potente quale Merlino era.
In
più, il siero usato da Urania non potrebbe comunque essere usato da Solaria,
perché esso deve essere prodotto dalla vittima della maledizione, ponendo fra
gli ingredienti anche una goccia del proprio sangue.”
“Capisco…
ma lei non conosce gli ingredienti?”
“La
pergamena che li conteneva è andata perduta. O meglio, non è leggibile.
Mia
figlia aveva in sé l’esperienza delle veggenti di Avalon, ed è lì che ha
imparato a creare la pozione.”
“Solaria
potrebbe impararlo?”
“Solaria
non è una sacerdotessa, quindi non ha accesso a queste conoscenze.”
Sirius
abbassò lo sguardo, facendo sì col capo. Sì, aveva capito, anche quella strada
era impercorribile…
Silente
sospirò ancora.
“La
speranza è l’ultima a morire, Sirius.”
Il
giovane uomo alzò i suoi grigi occhi su di lui. Era triste, profondamente
triste, e pieno di sconforto. “Lo so. Ma sono stufo di vivere di sola speranza.
La
speranza mi sta distruggendo.”
“E’
il dubbio che la tua speranza venga infranta che ti sta distruggendo, Sirius.”
“Ma
tale dubbio è una necessaria conseguenza di un sentimento come la speranza… non
posso sperare senza avere dubbi, né potrei avere dubbi senza sperare.
Non
riesco più a vivere senza certezze, soprattutto… soprattutto ora che lei non
c’é…
Mi
guardi, preside! Sto diventando patetico!
E
pensare che, qualche anno fa, sentimenti come paura, tristezza, dolore…
speranza… non avrebbero nemmeno fatto parte del mio vocabolario.”
“Ma
nemmeno sentimenti come Amore, fedeltà, felicità. Solaria ti ha dato tutto,
Sirius. Ti ha fatto divenire un uomo vero, con tutti i pregi e difetti associati.”
“Già…
Solaria è sempre stata una totalità di cose insieme… Se ripenso a come ci siamo
conosci, a quello che io ero allora e quello che sono divenuto poi stando al
suo fianco… E’ grazie a lei che sono riuscito a liberarmi della mia famiglia…
-Detto
questo, rimase un attimo in silenzio. Solaria era tutto per lui in tutti i
sensi. Insomma, se non l’avesse mai conosciuta… cosa diamine sarebbe divenuto?!
Era
meglio non pensarci. L’ultima volta che l’aveva fatto, si era beccato un bel
pugno in faccia da Remus, e aveva litigato a lungo con lui, riuscendo a rappacificare
l’animo solamente grazie all’intervento di James.
Ora,
doveva continuare con le sue domande. -
Le
volevo chiedere anche un’altra cosa, se non le spiace.”
“Affatto.”
“Non
teme che Solaria scopra ciò che lei mi ha detto? E’ pur sempre un’empatica.”
Silente
lo guardò con un sorrisino malizioso in viso, che per la prima volta Sirius
paragonò a quello della sua ragazza. Ecco un altro piccolo elemento in comune
fra i due! Ecco da chi lei aveva preso quel sorrisino malizioso!
“Se
le cose sono andate come penso, una volta tornata qui Solaria sarà
perfettamente in grado di controllare il suo potere, senza dover necessariamente
sentire i pensieri e i sentimenti di tutti coloro che la circondano. Tutt’al
più, ti basterà l’Occlumantia che conosci.”
“Ho
capito.”
“Qualcos’altro,
Sirius?” Chiese di nuovo Silente, vedendolo ancora indugiare.
Sirius
fece sì col capo.
Quella
domanda gli premeva molto, forse ancor più delle altre che aveva posto a
Silente.
“Perché,
nonostante Urania sia morta, gli oggetti che le appartenevano o la ritraevano
sono ancora integri? Non sarebbero dovuti scomparire insieme a lei per effetto
dell’Oblivius?”
“Basta
che anche solo una persona si ricordi di lei, e allora nulla può scomparire.”
“E
non è possibile che quegli oggetti, rivisti dalle persone che li conoscevano,
facciano ritornare in mente gli avvenimenti nascosti dalla maledizione?”
Chiese, con un nodo alla gola.
Silente
abbassò lo sguardo, addolorato per ciò che gli stava per dire. Ancora una volta
aveva capito i suoi pensieri… voleva sapere se, qualora tutto fosse andato nel
peggiore dei modi e Solaria fosse morta, lui, rivedendo qualcosa che le
apparteneva, sarebbe riuscito a ricordarla.
“No
Sirius. L’Oblivius è troppo potente.
Nemmeno
il padre di Solaria, vedendo la figlia, è riuscito a ricordare chi fosse la
madre.”
“MA
LUI NON L’AMAVA!”
Silente
scosse il capo. “Era rimasto a malapena nove mesi con lei, e l’aveva amata più
della donna che conosceva da una vita e con cui ben presto si sarebbe sposato.”
“Non…non
c’è proprio speranza?”
“In
questo caso… no.”
Sirius
rimase immobile, lo sguardo fisso a terra, le labbra strette e le mani chiuse a
pugno.
“La
ringrazio Silente.” Disse poi, mentre scendeva le scale.
“Di niente, giovane Black… di niente.”
Sirius
scese in fretta dai piani superiori, e accelerando ancor più il passo, che alle
volte diveniva vera e propria corsa, giunse davanti alla Porta.
La
Porta della Stanza d’Oro, il santuario dell’amore tra lui e Solaria.
Vi
entrò, aprendo la porta lentamente e chiudendola altrettanto lentamente,
tenendo però sempre gli occhi fissi davanti a se.
Quel
luogo era sacro.
Perché
era stato il tempio del loro amore, del loro dolore, della loro vita felice e
triste. Era stato il tempio di loro due. Il tempio della loro Unione.
“Sirius?!”
Il
flusso di pensieri che la sua mente stava percorrendo si bloccò di colpo.
Cosa?!
Da dove proveniva quella voce? Apparteneva ad una ragazza, senza dubbio… e gli
era pure familiare.
“SIRIUS?!”
Ancora.
Corrugò la fronte e si guardò intorno, con la bacchetta davanti a se. Si
nascondeva qualcuno lì? Se così era, avrebbe pagato davvero molto cara
quell’intrusione.
“Diamine
razza di un c******e rompiballe spara – idiozie, mi vuoi rispondere o vuoi che
ti lanci un Cruciatus da qui per farti svegliare?!”
Sirius
sospirò, facendo ricadere il capo indietro e abbassando il braccio che teneva
minacciosamente la bacchetta.
Ecco
chi era.
Ninfadora
Tonks, quella capra di sua cugina.
Ma
perché diamine, prima di partire, le aveva dato quello specchio per ‘tenersi in
contatto’? Era del tutto rimbecillito?!
Sbuffò
un paio di volte mentre prendeva dalla tasca dei pantaloni il piccolo aggeggio
rotondo. E, quando se lo portò davanti, una smorfia di disgusto gli comparve in
volto.
Davanti
a lui, nello specchio, stava un’individua dai tremendi capelli acconciati a
rasta di color fucsia brillante, con un piercing nel naso e matita nera intorno
agli occhi.
“Ma
che diamine ti sei fatta, pazza?! Sei sempre più grezza, non c’è che dire!”
Gridò.
Dora
sbuffò, voltando gli occhi indietro.
“Mi sembra di sentire la McGranitt…”
“Per
la prima volta sono d’accordo con lei. Sembri la versione moderna di una
pigmea… certo che ti manca proprio il senso del gusto!”
“Puff, che rottura di balle che sei! Pensa però che io,
comunque sia, posso sempre porre rimedio alle mie condizioni… mentre tu sei
costretto a tenerti quella brutta faccia da schiaffi per il resto della tua
vita!”
“La
mia faccia è bellissima!”
“E chi lo dice?!”
Sirius
ghignò. “Tutte le ragazze che sono venute a letto con me, ad esempio…”
“Questa gliela dico a Solaria quando torna.”
“Ci
sono stato prima che fossi con lei, cretina.”
“Sì sì, certo…”
“Nessuna
è in grado di sostituirla, ricordatelo! E non sopporto che le persone insinuino
cose del genere.” Gridò, furioso.
Ninfadora,
tornata seria, rimase a lungo a fissare i suoi azzurri occhietti su quelli
tempestosamente grigi del cugino. Forse era meglio non scherzare su
quell’argomento, Sirius diveniva troppo irascibile…
“A proposito di ragazze e di letti… dovrei parlarti di
Remus.”
“Lunastorta?”
“Sì, Lunastorta.”
“Perché?
E’ libero di portarsi a letto chi vuole! Anzi, è ora che si diverta un po’,
quel ragazzo si è privato di troppo divertimento da giovane!”
“Sono d’accordo con te.”
“E
allora, cosa c’è che non va?”
“Solo il fatto che da due anni si sta portando a letto
nostra cugina Narcissa.”
Silenzio.
Ancora
Silenzio.
Sirius
finalmente riprese a respirare, e sbatté un paio di volte le palpebre che aveva
lasciato immobili e aperte per lo stupore.
“E’
uno scherzo, Tonks?” Chiese con voce piatta.
“No.
Ma prima che tu ti faccia strane idee, voglio spiegarti
la situazione.”
“No,
aspetta, vengo da te e mi dici tutto dal vivo.”
“Bene, speravo in questa tua reazione. Bisogna che tu
aiuti Remus a liberarsi da quella megera.”
Sirius, che si stava già dirigendo verso la porta per
uscire dalla stanza e andare ad avvertire Silente che doveva a tutti i costi
tornare ad Hogworts, si bloccò.
Narcissa
una megera? Cosa?!
“Cosa?!” Gridò quasi.
“La nostra cara cuginetta si è rivelata una perfetta
Black, mio caro. Una degna figlia della nostra nobile casata.”
“Arrivo.”
Fu tutto quello che riuscì a dire, prima di riporre lo specchietto in tasca e
uscire di corsa dalla stanza, dirigendosi verso la cucina dove sicuramente
avrebbe incontrato Silente.
Allora…
quello che Solaria gli aveva detto… sul fatto che solo momentaneamente Narcissa
era riuscita a liberarsi dall’influenza della malvagità del suo sangue… era
vero?
Possibile
che quello ad essere davvero in pericolo fosse Remus?
Possibile
che… Narcissa…
No.
La sua cara Narcissa.
L’aveva
considerata come una sorella. Anzi, la considerava come una sorella, tant’è che
non aveva voluto dare ascolto agli avvertimenti di Solaria e ai sospetti di
Lily.
Possibile
che si fosse sbagliato?
Ma
allora, se così fosse stato, chi gli sarebbe rimasto della sua famiglia se…
Solaria se ne fosse andata via per sempre? Chi avrebbe occupato il suo cuore?
Tonks?!
Sì… Tonks. Quella bimbetta rompipalle che tanto gli
ricordava Solaria da piccola. Ninfadora Tonks.
Remus
attraversò, come suo solito, i corridoi bui col solo ausilio della luce della
bacchetta.
Era
stata una serata bellissima, come tutte quelle che trascorreva con lei, del
resto.
Avevano
passeggiato per i prati di Malfoy Manor, erano andati nel White Garden, il
giardino di Narcissa, ed infine avevano fatto più volte l’amore nella sua
stanza da letto…
Perfetto…
era tutto così perfetto…
Un
sorriso amaro però gli comparve in volto. L’ultima volta che aveva pensato una
cosa del genere, la sua vita era stata improvvisamente sconvolta da un imprevisto.
Sarebbe
stato così anche quella volta?
Arrivò
davanti alla porta della sua stanza. Era dischiusa.
Sospirò:
quella piccola pazza di Tonks probabilmente si era rifugiata nel suo letto e lo
attendeva per fargli una delle sue solite e insensate ramanzine.
Entrò
in stanza, pronto a ridere nel vederla col solito buffo broncio che aveva
quando tornava a scuola dopo essere stato con Narcissa.
Ma
ciò che trovò gli fece gelare il sangue nelle vene.
Seduto
sul suo letto, le braccia incrociate e lo sguardo torvo, c’era Sirius.
Sa
tutto fu il
primo pensiero che gli passò per la mente, mentre chiudeva la porta alle sue
spalle.
“Salve
Sirius.” Disse, freddo.
“Ciao
Remus.”
“Cosa
ci fai qui?”
“Non
lo immagini?”
“Tonks.”
“Sì,
Tonks.” Confermò Felpato.
Sempre
più inquieto, Remus andò a poggiare il suo mantello sulla sua scrivania.
Perché, se Sirius sapeva tutto, non era incavolato con lui? Perché era così
calmo? O perlomeno, perché tratteneva la sua rabbia?
Possibile
che Tonks fosse riuscita a convincerlo con le sue pazze idee?
“Lasciala
Lunastorta, ha qualcosa in mente.” Gli disse Sirius, ancora seduto sul letto.
Remus
sospirò. Sì, Tonks era riuscita a convincere Felpato con le sue pazze idee.
“Lei mi ama e io la amo, Sirius. Non può avere nulla di malvagio in mente.”
“Non
ho dubbi che tu la ami, e sono sicuro che anche lei ti ami. Ma c’è un altro
fattore di cui tu non hai tenuto il conto.”
“E
cosa, Sirius?”
“La
vendetta. Narcissa è pronta a tutto pur di vendicarsi del male che le è stato
fatto. E sai che, quando imbocca una strada, la percorre fino a giungere alla
sua meta, a qualunque costo…”
“Mi
stai dicendo che, pur di vendicarsi, lei passerebbe sopra il mio cuore?”
“Sì
Remus, ti sto dicendo esattamente questo.”
Remus,
un sorriso amaro in volto, scosse la testa, e mugugnò un no.
“Che
razza di vendetta dovrebbe essere poi, se ci sono in mezzo anche io?! Oh, forse
ho capito! La vendetta è amarmi alle spalle di quel branco di mangiamorte da
cui è circondata! Beh, se le cose stanno così, non ho nulla in contrario!”
Sbottò alquanto stizzito da quella situazione.
“Se
le cose stessero davvero così, non avrei nulla in contrario nemmeno io.
Ma
lei è una Black, Remus. E i Black si vendicano in maniera molto più…
sofisticata, elegante, complessa… Ho reso l’idea? Sì, penso che tu abbia
capito. In fondo, sei sempre stato il più intelligente del gruppo.”
“Stai
dicendo solo sciocchezze…”
“Tienile
strette le mie sciocchezze Remus, perché potrebbero rivelarsi molto più veritiere
dei tuoi pensieri razionali.
Conosco
la mia famiglia. So di cosa i suoi membri sono capaci.”
Remus
prese a camminare nervosamente per la stanza.
“Sirius…
io la amo!” Disse poi, quasi come se con queste parole potesse eliminare
qualunque dubbio esistente riguardo agli avvenimenti.
“Tu
la ami. Lei vuole vendetta. Questi sono i vostri sentimenti più forti.”
“Ma
tu non l’hai nemmeno vista… come puoi dire una cosa del genere!”
“Remus,
dammi ascolto, sono tuo amico e voglio solo il tuo bene.
Ti
dico semplicemente che, quando Tonks mi ha detto che tu e lei stavate andando a
letto insieme, e per giunta da due anni, senza che io ne sapessi nulla… sarei
voluto venire qua solo per spaccarti la faccia, perché col tuo comportamento
idiota stavi mettendo in serio pericolo la vita di Narcissa e anche la tua.
Ma
quando lei mi ha raccontato le vicende, a partire da quella lettera che
Narcissa ti mandò… l’unico pensiero è stato: Narcissa Black in Malfoy. Come ho
potuto pensare che quell’angelo si potesse salvare dalla malvagità dei demoni che
la circondano e che possiedono, purtroppo, il suo stesso sangue? L’ho persa… ho
perso quella fata che tanto amavo e ammiravo, per la sua dolcezza, per la sua
forza, la sua serenità, e il suo coraggio.
E
anche tu l’hai persa, Remus. Quella che ami non è la vera Narcissa, la Narcissa
che ti ha fatto innamorare da ragazzo.
O,
almeno, non è tutta la vera Narcissa.
E
la parte che tu non conosci, o non vuoi conoscere, è purtroppo la parte
dominante e la più orribile di lei.
Dunque,
ora sono qui per un altro motivo: salvare te da lei. E, anche, salvarvi tutti e
due dall’eventualità che Malfoy, scoprendo la verità, decida di annientarvi
entrambi in maniera molto dolorosa.”
“Sirius…
non… io non….io… diamine! L’hai capito che mi puoi dire tutto quello che vuoi,
perché l’unica cosa che ho in mente è quanto la amo?!”
“Sì
Lunastorta, l’ho capito. In fondo, se qualcuno mi dicesse una cosa del genere
sulla mia Solaria, non solo non gli presterei la minima attenzione, ma
probabilmente gli spaccherei la bocca per aver osato pronunciare simili
blasfemie!
Ma
con te è diverso. Tu non sei mai stato reattivo quanto me, per tua fortuna.
Dunque, so che terrai a mente le mie parole. Perché io sono un tuo amico, e
voglio solo il bene per te.
Sappi
dunque che, qualunque cosa succeda, io, e James quando lo verrà a sapere (non
sognarti che io non glielo dica), saremo al tuo fianco.
Sta
attento, Remus.”
E,
così dicendo, si alzò e abbracciò l’amico senza però essere ricambiato. Remus
era totalmente perso nei suoi pensieri.
Sirius
gli batté una mano sulla spalla, poi si diresse verso la porta.
“Arrivederci
Lunasorta, devo tornare alla missione, è già tanto se sono riuscito ad avere il
permesso di venire qua per un po’ di tempo… salutami tu Tonks, le avevo detto
che sarei passato da lei, ma ormai starà dormendo.”
“Va
bene.” Gli disse Remus con voce piatta, sempre immobile in mezzo alla sua
stanza.
Quando, quella mattina, Gardenia era entrata nelle sue stanze, l’aveva
trovata accoccolata nell’erba del suo giardino privato,
Quando,
quella mattina, Gardenia era entrata nelle sue stanze, l’aveva trovata
accoccolata nell’erba del suo giardino privato, col sole che le illuminava i
bei boccoli, dando loro riflessi dorati.
Era
triste, questo l’aveva immediatamente capito. E quando Solaria, dopo dieci
minuti di completo silenzio, si decise a rispondere alle sue domande sul perché
del suo umore nero, rivelandole molto tranquillamente, anzi quasi con una certa
indifferenza, tutta la verità appena scoperta, Gardenia scoppiò in lacrime.
La
sentì piangere seduta al suo fianco, ma non si voltò per guardarla. Non ne
aveva voglia. Quella mattinata l’aveva lasciata del tutto priva di forze.
Però,
questo fatto la colpì non poco.
Gardenia
stava piangendo. Sì, lei stava piangendo…
Di
felicità? Può darsi: in fondo aveva appena scoperto che la sua migliore amica
era anche sua cugina.
Di
tristezza? Sì, per Solaria che purtroppo veniva a conoscere solo ora la verità
sulla sua famiglia.
Ma
non era importante il perché piangeva.
Era
importante il fatto in sé che piangeva.
Cosa
che non aveva fatto nemmeno lei.
Non
una lacrima le aveva rigato il volto per la tristezza che quelle rivelazioni le
avevano messo in corpo. Non una lacrima… che fosse diventata apatica? No,
difficile credersi… probabilmente oramai era così abituata al dolore che non
riusciva nemmeno più a sfogarsi con le lacrime.
Patetico,
davvero patetico.
…
Ma
poi, in fondo, che senso avrebbe avuto piangere? Non sarebbe servito a nulla.
Era
meglio prendere la vita con filosofia, e soprattutto, era meglio mettersi
subito all’opera per contrastare i piani di quella megera della… zia… No,
questo era fuori discussione: non l’avrebbe mai e poi mai chiamata zia! Che
orrore! Quella lì sarebbe rimasta sempre la Grande e Stronza Dama del Lago per
lei, nient’altro…
“Tua
madre vuole che io diventi sacerdotessa al posto tuo.” Disse poi, quando sentì
che i singhiozzi di Gardenia stavano oramai dileguandosi.
“Cosa?!”
Chiese questa con un filo di voce, al colmo dello stupore.
“Già,
quell’essere ignobile vuole tenermi qua per tutto il resto della mia vita.
L’anno prossimo mi ordinerà sacerdotessa.”
“O
benedetta Dea! Ma non può farlo!”
“Certo
che non può, io non lo voglio! Senza contare che ha già programmato perfino il
mio Bensalem…tsé! Povera sciocca! Il ruolo di Vergine Cacciatrice non mi si
addice proprio… soprattutto perché NON sono vergine!”
Gardenia,
nel sentire quelle parole, arrossì un poco. Certo, lo sapeva che la sua amica,
anzi, la sua unica cugina, aveva già avuto delle esperienze con gli uomini… ma
quel pensiero la metteva costantemente in imbarazzo!
“Mi
devi aiutare, Gardenia.” Disse poi Solaria.
Gardenia
la fissò, cercando di incrociare il suo sguardo per capire cosa le stesse
passando per la mente. Ma lei era sempre sdraiata pancia in giù sull’erba, la
testa appoggiata fra le braccia incrociate, gli occhi fissi davanti a se che
non tradivano la minima emozione.
“Mi
devi aiutare a scappare da Avalon. Solo tu puoi.”
Gardenia
sentì il sangue gelarlesi nelle vene.
“Ma…
io non posso!” Biascicò.
“Quello
che tua madre sta facendo non è giusto, e tenendomi qua danneggerà numerose
persone la fuori.”
“Sì
lo so… ma io non sono capace di aprire le acque!”
“Non
importa, per quello c’è tempo… con un po’ di pratica, ci riuscirai. Senza
contare che riceverai anche l’aiuto della Dea.”
A
quelle parole lo stupore di Gardenia crebbe ancora. “Cosa?! E tu come fai a
dire una cosa del genere?!”
“Perché
è stata la Dea a volermi portare qua ad Avalon affinché io divenissi più forte.
E sarà dunque la Dea ad aiutarmi a terminare il mio compito.”
“Se
è davvero così… va… va bene…” Biascicò lei, tuttavia ancora poco convinta. Era
giusto che la aiutasse? O forse era meglioa spettare un ordine da parte della
Dea stessa?
Non
che non si fidasse della cugina, ma… rischiava di offendere la Dea se le
supposizioni di Solaria non fossero state esatte.
Era
così concentrata nei suoi pensieri che, quando Solaria con uno scatto felino
saltò a sedere davanti a lei, sobbalzò e si portò una mano al cuore che aveva
preso a battere in maniera spropositamente veloce… perché doveva sempre
cambiare umore, comportamento,c carattere, mentalità… perché doveva sempre
cambiare tutto quanto così velocemente? Non lo capiva che rischiava di mettere
a serio rischio la salute delle persone che la circondavano?! O Santa Dea
Madre, chissà ora cosa aveva in mente… quegli occhietti scintillanti non
preannunciavano nulla di buono…
“Però
prima- disse Solaria, tutta allegra- mi devi aiutare a fare un’altra cosetta!”
Il
tono che usò nel pronunciare queste ultime parole, la sicurezza che emanava e
il sorrisetto malizioso fecero aumentare i sospetti di Gardenia riguardanti la
liceità della proposta che la cugina stava per farle. La guardò con gli occhi
sbarrati, preparandosi al peggio.
“Mi
devi aiutare a creare una pozione Anti – Oblivius!”
Bene.
Il messaggio era passato attraverso le orecchie di Gardenia, era giunto
velocemente al suo cervello che lo aveva elaborato trasformando quei suoni in
qualcosa di molto più evoluto, come ad esempio una sensazione di freddo che le
percorse la colonna vertebrale o come una sorta di morsa congelante che le
strinse il cuore facendogli mancare qualche battito.
Quando
riuscì finalmente ad articolare di nuovo le parole, chiese:
“Cosa?!” con voce strozzata.
“Tu
conosci la formula, non è vero?”
“Ma…
ma è un segreto di Avalon! Non si può dare quella bevanda a degli estranei! A
degli…esterni!”
“Sì
che si può, a me serve per quello! Dai Gardy, per favoooore! Negheresti un
piacere del genere alla tua cuginetta preferita?!” Fece Solaria, congiungendo
le mani in segno di preghiera e mostrando due splendidi, dolcissimi, commoventi
occhi da cucciolo.
“Soly,
io…”
“Gardy!
Per favooore!”
“Uff…
e va bene!”
“Evviva!
Sai che sei un tesoro?! Hai preso tutto da me!”
“Certo,
come no… guarda che sarà molto complicato comunque, è una pozione molto
difficile da fare e richiede molto tempo e ancora più applicazione!”
“Sono
pronta anche a non dormire per un mese intero pur di averla!”
“Bene…
allora preparati!” Disse Gardenia, alzandosi e dirigendosi verso l’uscita del
giardino.
“Cosa?!
Ma non stavi scherzando?!”
“No
Solaria. L’Anti Oblivius è molto, molto, molto impegnativo!”
“O
Santo Godric! E dove vai ora?”
“A cercare
gli ingredienti!”
“Vuoi
aiuto?”
“No,
rimani qui, e riposati.”
“Sai,
questo consiglio ha un retroscena poco carino…” Disse Solaria. “E come se mi
stessi dicendo: riposati ora, perché poi non lo farai mai più.
Non
è così, non è vero?!”
“E’
possibile…” Fu la sola risposta che le giunse dall’interno della sua stanza,
prima di sentire la porta di accesso aprirsi e chiudersi al passaggio della
giovane sacerdotessa.
Si
alzò in piedi, sorridente.
Avrebbe
passato insonne anche un anno intero, se fosse stato necessario perché quella
pozione fosse perfettamente pronta.
All’inizio,
aveva seriamente guardato positivamente l’Oblivius: certo, le doleva assai
sapere che il ragazzo che amava, una volta morta, non si sarebbe più ricordato
di lei… ma almeno così non avrebbe sofferto, e sarebbe stato capace di crearsi
una nuova vita.
Ma
ora che sapeva che avrebbe dato a Sirius una figlia, non avrebbe permesso che
lui si dimenticasse di lei, come era successo per suo padre con la sua vera
madre. Non avrebbe permesso un orrore del genere…
E
poi, la figlia doveva conoscere cosa la aspettava, e Sirius era l’unico che
l’avrebbe potuta aiutare nell’affrontare le difficile prove che il futuro le
avrebbe riservato.
Già,
il futuro…
Sarebbe
stato una dannazione anche per lei, anche per la sua cara bambina.
Ma,
chissà… magari con lei le cose sarebbero andate in modo diverso.
“Gardy,
ho sonno…” Biascicò Solaria. Era seduta per terra, nel giardino, davanti ad un
fuoco su cui bolliva, in un gigantesco calderone, una strana pozione dal dolce
profumo.
Naturalmente,
era notte. Tarda notte. Per la precisione, era la settima notte di fila che non
dormiva, da quando cioè aveva iniziato a preparare quell’orrore, che oramai era
diventato il suo incubo: ogni volta che tentava di chiudere occhio per qualche
istante, immaginava subito che la pozione scoppiasse in aria e tutte le sue
fatiche andassero in fumo… orribile, davvero orribile...
“Lo
so. E’ da una settimana che non fai altro che ripetermelo.” Disse Gardenia,
tranquillamente, mentre mescolava ancora una volta il contenuto del calderone.
Possibile che lei non si stancasse mai?!
“Certo,
è da una settimana che non dormo.”
“Anche
io.”
“Ma
tu sei abituata.”
“Sì,
è vero.”
“Allora
non rompere. Io ho sonno.”
“Bene.”
“Bene?!”
“Non
so che altro dirti, Solaria.” Continuò Gardenia, calma come sempre.
“Io
sto sclerando, l’hai capito?! Sclerando! S – C – L – E – RANDO!” Gridò,
alzandosi in piedi e iniziando a camminare nervosamente in circolo intorno a
Gardenia. “Roba da pazzi, da pazzi! Una settimana che non dormo! Ma Merlino
questa me la paga, vecchio bisbetico barbuto! Ahhhhhhh!”
“Non
gridare Soly.”
“Perché?!
Perché no? Perché, eh? Perché?” Ok, stava davvero dando di matto, poverina…
“Perché
se ci scoprono…”
“…
ci buttano fuori?! Benissimo! Allora GRIDO ANCORA DI PIU’!”
“No.
Se ci scoprono ci rinchiudono nelle celle sotterranee per tre mesi, come
punizione.”
“Beh,
almeno lì potrei dormire…”
“Ma così avresti solo nove mesi di tempo per prepararti a
scappare prima della tua iniziazione. E dubito ti basterebbero, dato che per
preparare questa pozione ci vogliono in tutto tre mesi, e i restanti dovrai
impegnarli a trovare un modo per scappare da qui.”
“Tre
mesi?! Questa pozione dura tre mesi? E per tre mesi io non dovrei dormire?!
Nooooooooooooooo!” Disse Solaria, gettandosi a terra in ginocchio, il volto
disperato.
“No,
la pozione va controllata attentamente solo per il primo mese, durante il quale
ogni giorno va aggiunto un pizzico degli ingredienti che servono. Nel secondo
mese tu dovrai aggiungere all’impiastro, in una notte di luna piena, una goccia
del tuo sangue. E alla fine del terzo mese, quando la pozione avrà raggiunto un
colorito aranciato, l’Anti – Oblivius sarà pronto.”
“Oh,
che bello… senti…”
“Sì?”
“…ma
se tanto la pozione la mescoli tu…”
“Te
lo concedo solo perché non sei abituata, Solaria! Avanti, va a dormire! Rimango
io qua!”
“Grazie
tesoro, sei la mia salvezza!” Disse Solaria, saltandole addosso e facendola
cadere a terra, strozzandola letteralmente nel suo abbraccio caloroso di
ringraziamento.
“Soly…
ma se mi strozzi… come faccio a….”
“Oh,
scusami Gardy!” Disse Solaria ridendo, aiutandola ad alzarsi.
Una
volta in piedi l’una davanti all’altra, le due cugine si guardarono dritte
negli occhi, quelli azzurri di Gardenia e quelli dorati di Solaria… e si
sorrisero.
Fu Solaria che parlò per prima.“Sono felice di
averti conosciuta. In fondo, il destino non è stato poi così maligno con me: mi
ha dato una vita terribile, ma è riuscita a renderla ugualmente fantastica
facendomi incontrare le persone più meravigliose del mondo.
Prima i miei genitori… una madre che non era tale ma
che mi amava come se lo fosse, e un padre che, nonostante non si ricordasse
nulla della donna con cui mi aveva concepito, mi aveva accettato e amato.
Poi i miei amici, fantastici sotto ogni punto di
vista, pronti a rischiare la vita pur di aiutarmi.
Sirius… il ragazzo più terribile che io abbia mai
conosciuto… e l’unico che io abbia mai amato.
Ed infine, tu: l’unico parente a cui voglio un mondo
di bene che mi è rimasto in vita.
Se non ci foste stati voi…”
Gardenia avvicinò un dito davanti al suo viso.
“Shhh… non dirlo. Non considerare ciò che sarebbe
potuto essere, ma solo ciò che è. Nessuno può cambiare il passato, Solaria. Ciò
che hai avuto sarà tuo per sempre, e di questo devi esserne felice.
Basta così.”
Solaria sorrise ancora, poi si stiracchiò e
sbadigliò sonoramente. “Va bene…Yawwwwwnn… buonanotte Gardy!” Disse, ed entrò
in casa.
“Buonanotte Solaria. Sogni d’oro.”
“Già, speriamo…!” Commentò quella, un secondo prima
di gettarsi letteralmente sul suo letto e addormentarsi pochi istanti dopo.
Avevano finito la pozione.
Dopo tre mesi di incessante lavoro, la pozione
finalmente era pronta. E nessuno le aveva scoperte, nemmeno quella racchia
della Grande Sacerdotessa.
Ora Solaria era lì, in piedi davanti alla spiaggia,
che guardava le acque del lago con occhi severi.
Aveva trasfigurato il calderone che conteneva la sua
pozione in una piccola collana, che ora portava legata al collo.
Era pronta, insomma.
Pronta ad andarsene.
No.
Pronta a provare ad andarsene, giacché non sapeva se
ci sarebbe riuscita.
Si voltò: Gardenia la stava guardando dal balcone del
palazzo, e con un gesto del capo le fece capire che quello era il momento
giusto: non c’era nessuno nei paraggi.
Solaria sospirò, e poi salutò la cugina con un cenno
della mano.
Entrò lentamente nelle acque del lago.
Poi chiuse gli occhi: doveva trasfigurarsi, e per
una magia del genere c’era bisogno di molta concentrazione.
Sentì il corpo rimpicciolirsi lentamente, e gli arti
appiccicarsi al busto creando una sorta di sfera. La pelle poi, si ricopriva di
strane e solleticanti pagliuzze celestine… ora era un pesce. Ce l’aveva fatta!
Era un pesce! La McGranitt sarebbe stata fiera di lei per la prima volta! Già,
quella vecchiaccia non l’aveva mai sopportata, le diceva sempre che il cappello
aveva sbagliato Casa inserendola in Grifondoro e non in Serpeverde.
Bah, ma lasciamo perdere questi discorsi, non era il
caso di farsi venire il nervoso per quella megera. Ora doveva scappare dall’altra
che la teneva prigioniera ad Avalon.
Aprì gli occhi, pronta ad ammirare lo splendore del
lago per l’ultima volta, e magari sospirare pensando alla pace che abbandonava
lì.
Però quello che si vide davanti le fece gelare il
sangue nelle vene.
Un enorme, gigantesco, orribile, pesciolone grigio
le stava venendo in contro, e pareva essere davvero molto, molto molto molto
affamato.
La prima cosa che fece fu aprire la bocca e gridare.
Ma invece del WAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!
Che si era immaginata uscire dalle sue labbra, vide
comparire davanti a sé solo un numero spropositato di piccole bollicine.
Terrorizzata, iniziò a correre verso la riva. Doveva
ritornare umana, doveva ritornare umana, doveva ritornare umana… e come diamine
faceva se non riusciva a concentrarsi?!
Chiuse gli occhi. Sì, bene, ci stava riuscendo.
Avanti, Solaria, ce la puoi fare, non puoi morire in modo così patetico, per
diamine!
Quando aprì gli occhi, era tutta grondante d’acqua,
la catenina ancora appesa al collo… e un fastidioso pesciolino grigio che le
addentava il dito medio del piede.
Se lo staccò con un gesto secco e lo buttò via.
Razza di stupido, le aveva rovinato tutto il piano.
Certo, anche lei poteva trasformarsi in un pesce
leggermente più grande, questo è vero… che so, un delfino! Oppure un leone! No,
il leone non è un pesce… Beh, allora una tartaruga!
Va beh, vista la sua fantasia, era logico che l’unica
cosa che le fosse venuta in mente fosse stata quel ridicolo, minuscolo
pesciolino rosso da acquario…
“Solaria!”
La ragazza si voltò, e vide la cugina correrle incontro,
preoccupata.
“Sì?” Chiese.
“O Santa Madre Terra! Che ti è successo?! Perché non
sei…”
“Un pesce mi stava per mangiare.” Disse secca lei.
Gardenia rimase un attimo lì, in piedi, imbambolata,
a guardarla.
E nemmeno tre secondi dopo scoppiò a ridere.
Solaria si alzò in piedi, e con uno sbuffò si
allontanò dalla spiaggia, seguita dalla cugina che continuava a ridere.
“Scusami…” balbettò, cercando di calmarsi… ma
invano. “Soly, davvero, scusami! Ma… io mi ero preoccupata immaginandomi chissà
cosa, ed invece…” E scoppiò di nuovo a ridere.
“Non c’è niente di divertente, Gardenia! Ho fallito!”
Disse Solaria, furiosa, salendo le scale che conducevano alla sua stanza.
“Sì, lo so.” Disse quella, con calma. Ma pochi
attimi dopo scoppiò di nuovo a ridere, portandosi una mano alla bocca per
tentare di contenersi.
“Mi stava per mangiare un pesce! Te ne rendi conto?!
Adesso prendo una canna da pesca e vado a cercarlo, quel brutto mostriciattolo…
e me lo mangio! Mi ha rovinato tutti i piani!” Disse ancora.
Era finalmente arrivata davanti alla porta della sua
stanza.
Sì voltò e guardò Gardenia con le braccia incrociate
e il muso lungo.
Ma quella, invece di bloccarsi, si mise a ridere
ancora di più, tenendosi lo stomaco che ormai le faceva male per la troppa
ilarità: era caduta in una di quelle condizioni che, qualunque cosa ti capiti
davanti, ti fa scoppiare dalle risate…
Risate molto contagiose, naturalmente…
Tant’è che Solaria, non riuscendo più a fare la
seria, scoppiò a ridere anche lei.
Beh, il primo tentativo purtroppo era finito male… e
la cosa più saggia da fare, era riderci sopra, no?!
Narcissa aprì gli occhi, lentamente… e altrettanto lentamente un sorriso
sornione le comparve sulle labbra
Narcissa
aprì gli occhi, lentamente… e altrettanto lentamente un sorriso sornione le
comparve sulle labbra. Qualcuno la stava accarezzando.
C’era
modo migliore di risvegliarsi delle tenere carezze dell’uomo amato?!
Uomo amato…
Ma non poteva essere, era mattino… Remus non
poteva ancora trovarsi a letto con lei.
Guardò attentamente la figura che si trovava
davanti a lei, cercando di mettere a fuoco la vista ancora annebbiata dal
sonno.
I
capelli erano troppo biondi, il corpo troppo muscoloso, gli occhi troppo
maliziosi per poter essere quelli di Remus.
Ma
il sorriso non se ne andò dalle sue labbra. Doveva resistere, altrimenti il suo
piano sarebbe andato in fumo.
Doveva
continuare a sorridere all’uomo che più odiava, e che purtroppo era diventato
suo marito.
“Buongiorno…” Disse lui, chinandosi a
baciarla sulle labbra.
“Buongiorno
mio signore.” Disse lei, mettendogli le braccia attorno al collo, e spingendolo
verso di se per approfondire il bacio.
Lucius sorrise malizioso. “Vedo che ti sono mancato.”
Disse poi, accarezzandole il volto con quella mano che, probabilmente, la sera
prima aveva ucciso tante persone innocenti.
“Sì,
mi sei mancato. Era da molto che non tornavi a casa.” Mentì lei. Non c’è che
dire, se fosse stata una babbana la carriera da attrice le sarebbe calzata a
pennello…
“Dovere.”
Disse lui, sconstandole le coperte di dosso e iniziando a spogliarla della sua
candida veste.
“E’
giunto allora il momento del piacere dopo tanto sforzo?” Chiese lei,
continuando a sorridere.
Incredibile quanto questa donna potesse
essere dolce… e pensare che qualche anno prima gli avrebbe tirato addosso un
Avada Kedavra senza pensarci molto sopra.
Bene,
finalmente l’influenza di quelle cattive compagnie che aveva frequentato in
gioventù era scomparsa. Aveva fatto davvero un buon lavoro. Ora era una vera
Black, degna di un Malfoy.
Peccato,
però, che dopo cinque anni di matrimonio, non le avesse ancora dato un erede…
“Sei perfetta.” Le disse entrando in lei, e
accarezzandola con delicatezza.
Lei
ansimò. “Sono tua.” Riuscì a dire.
“Sarai
una brava madre per nostro figlio.” Disse lui, continuando a guardarla in viso
mentre spingeva in lei.
Lei
aprì gli occhi, stupita, e si aggrappò alle sue spalle.
“Potrò
educarlo io?”
“Sì…
però prima, dobbiamo impegnarci a metterlo al mondo, non credi?!” Disse, mentre
ormai anche lui stava perdendo concezione della realtà.
Sì, sì… ora poteva impegnarsi a concepire un
figlio con quel mostro. Ora poteva. Ora che era riuscita ad avere tutta la sua
piena fiducia, poteva.
Anche
perché non sarebbe stato figlio suo. Non solo perlomeno.
Si
abbandonò a lui con più trasporto di quanto avesse mai fatto, mentre nella sua
mente appariva il dolce volto di Remus.
Lucius
si era addormentato al suo fianco.
Quando
dormiva, poteva essere scambiato quasi per un angelo: così perfetto, così
candido, così bello… Incredibile quanto l’aspetto esteriore potesse essere
esattamente il contrario di ciò che si ha dentro.
Le venne immediatamente in mente Lucifero:
era il più bell’angelo del Paradiso, ma era geloso di Dio e per questo era
stato cacciato dal Regno dei cieli e catapultato sulla Terra.
Lucifero.
Bello e perfido. Incantevolmente dannato. Il fascino del male.
A
lui dovevano avere pensato i genitori quando chiamarono così Lucius. Già…
Lucius… una luce che ti attira nell’oscurità. La prosopopea del Male, ancora
più di Voldemort… perché quel mostro era un pazzo, mentre suo marito era
perfettamente cosciente di ciò che faceva.
Si alzò dal letto, coprendosi con la
vestaglia di seta bianca depositata sulla sedia al suo fianco, e prese la
bacchetta. Percorse la stanza silenziosamente, camminando col le punta dei
piedi per non fare il benché minimo rumore, fino a che non giunse nel bagno.
Una
volta lì, aprì lo sportello del mobiletto sopra il lavandino, e prese una
boccetta di profumo. Toccandola, come al solito, quella si trasformò in un
contenitore cilindrico di strane pastiglie a forma di stella... era l'intruglio
che fino ad allora aveva usato per non rimanere incinta.
Con
un colpo di bacchetta fece evanescere il prodotto. D'ora in avanti non
ne avrebbe più avuto bisogno.
Ora,
il suo piano poteva avere inizio.
Allungò
un braccio, e lentamente portò fuori dall'armadietto un altro oggetto... un
fermacapelli in madreperla...
Dopo pochi istanti che lo teneva in mano, il
prezioso ornamento si trasformò in qualcos'altro... due boccette, piccole e
rotondeggianti, una di colore rosso e l'altra di colore bianco.
Da
quanto erano pronte quelle pozioni? Da anni ormai, da quando quel piano le era
saltato in mente... e solo ora finalmente l'avrebbe potuto mettere in pratica.
Aprì
la boccetta rossa e la bevette in un solo fiato, stringendo poi gli occhi per
sopportare meglio l’asprezza del liquido.
Poi
ripose l'altra nell'armadietto, dopo averla trasfiguarata in un
fermaglio.
La
prima parte del piano era andata.
La
seconda, invece, l'avrebbe portata a termine quella sera stessa, quando,
partito il marito, avrebbe di nuovo incontrato Remus.
E così finalmente avrebbe avuto la sua vendetta.
Remus
arrivò da lei al tramonto del sole, ossia non appena il marito se ne fu andato.
Narcissa,
vestita con un leggero abito di seta bianco e rosa, corse incontro a lui che le
sorrideva, e dopo essergli letteralmente caduta fra le braccia, lo baciò con
trasporto.
“Ehi!”
Esclamò Remus, con un dolce sorriso sulle labbra, guardando la donna che teneva
stretta al suo petto.
“Ciao
Remus!” Gli disse lei, con gli occhi scintillanti.
L’uomo
la fissò per un poco. No, come poteva essere che tutto quello che Sirius… e
Tonks… gli avevano detto fosse vero?! Loro non l’avevano vista… lei era così…
lei era così…
Lei
era un angelo!
“Cosa
c’è?” Le chiese, accarezzandole i morbidi capelli biondi. Non che l’accoglienza
gli fosse spiaciuta, ma sapeva che era dovuta a qualcosa…
“Lui
è tornato questa mattina.” Disse lei, continuando a fissarlo negli occhi.
A
quelle parole, lui la strinse ancora più a se.
“Ti
ha fatto del male?”
“Quello
che mi fa sempre mostrandomi la sua sola presenza.” Disse in un sussurro lei,
abbassando il capo.
Remus
però glielo risollevò, e rimase in silenzio a fissarla negli occhi.
“Adesso
ci sono io, amore mio. Adesso ci sono io.” Le disse poi, baciandole il nasino.
Lei
sorrise.
Si
presero per mano e, insieme, andarono a passeggiare per i giardini curati di
Malfoy Manor, ancora più splendidi illuminati dalla luce del sole calante.
Ogni
tanto si accarezzavano, ogni tanto si abbracciavano, ogni tanto si baciavano…
era tutto così meraviglioso quando stavano assieme, tutto così veramente …
magico!
Poi
lei gli prese la mano, e lentamente lo condusse verso le sue stanze, quando
oramai il sole era calato.
“Questa
notte puoi rimanere.” Gli disse lei “Lui non tornerà per molto tempo.”
E
così fecero l’amore più e più volte, finché, stanchi, si addormentarono l’uno
fra le braccia dell’altro, in un abbraccio che riempiva entrambi di dolcezza,
serenità, pace, sicurezza.
Narcissa,
silenziosamente, si alzò dal letto, e si diresse verso il bagno tenendo la
bacchetta in mano.
Aprì
lo sportellino, e prese il fermacapelli, che si trasformò subito in boccetta
bianca.
Se
la rigirò più e più volte fra le mani.
Quella
boccetta… l’avrebbe vendicata.
Suo
figlio avrebbe avuto lo spirito di Remus, non quello di Malfoy… suo figlio
sarebbe stato buono, giusto, e loro non avrebbero potuto fare nulla. Non
avrebbero potuto farlo diventare un mostro.
Suo
figlio non sarebbe mai diventato un mangiamorte. Non l’avrebbe mai fatta
soffrire, ma l’avrebbe resa fiera di lui.
E
lei lo avrebbe amato, come amava il padre da cui avrebbe ereditato il dolce
cuore… Remus.
Aprì la boccetta, e se la portò alle labbra. Il
sapore di quel liquido era diverso dal precedente, era dolce… un piacere
nutrirsene.
Remus,
sveglio, cercò con una mano il caldo colpo della sua amata, ma non trovandolo
accanto a se, preoccupato, si alzò.
La
luce del bagno era accesa, e penetrava nella stanza dalla porta semi chiusa:
doveva essere lì. Che non stesse bene?
Si
alzò e si diresse lentamente verso la sua meta.
Sì,
poteva vederla: Narcissa era lì. Aveva appena aperto uno sportellino, e preso
un fermaglio… che subito si era trasfigurato in una boccetta bianca.
Remus
corrucciò la fronte: perché Narcissa aveva nascosto con la magia quella
boccetta, trasfigurandola? Cosa conteneva al suo interno.
La
vide guardarla con interesse, sorridere, e poi aprirla, iniziando a berne il
contenuto.
Un
sospetto gli si disegnò nella mente.
Aprì
la porta.
Narcissa
scostò la boccetta dalla sua bocca, e lentamente alzò lo sguardo verso di lui.
I suoi occhi… i suoi occhi gli dissero che aveva
ragione a sospettare.
Le
andò vicino, e senza fretta le prese la boccetta dalle mani, continuando a
fissarla con disappunto negli occhi. Si portò al naso il piccolo contenitore,
odorandone il dolce profumo.
“Narcissa…
cos’è?” Le chiese poi.
Lei
indugiò un poco. “Una pozione.” Disse poi.
“Questo
l’avevo capito.” Disse con voce rauca. “E avevo capito anche che è una pozione
molto potente, non semplice da produrre, e soprattutto… una pozione di magia
nera. Hai avuto bisogno del sangue di un satiro e di quello di una ninfa per
produrla, è così?”
“Sì.”
Rispose lei, continuando a guardarlo negli occhi.
“A
cosa… a cosa serve?”
“Remus…”
Disse lei, tentando di fare cadere l’argomento.
Ma
Remus era fin troppo determinato ad andare fino in fondo. “A cosa serve,
Narcissa?” Chiese in tono perentorio… un tono usato così rade volte da lui, che
la donna quasi si spaventò.
“E’…”
“E’?”
“E’
per mio figlio.” Disse poi lei.
“Tu
non hai figli!”
“No…
finora no. Ho cercato di non averne.”
Remus
la guardò sbalordito. “Hai usato una pozione di sterilità?!”
“Sì.
Per sette anni. E lui non mi ha scoperto.”
“Sai
cos’hai rischiato?! Per Merlino… se ti scopriva, come minimo ti ammazzava! Come
minimo! Perché avrebbe potuto anche decidere di divertirsi prima a torturarti…”
“Lo
so. Ma sono pronta a tutto pur di salvare la vita al mio bambino.”
“E
questa-disse, intendendo la boccetta
bianca stretta convulsamente nella sua mano- dovrebbe aiutarti?!”
“Sì.”
Disse lei, abbassando lo sguardo.
“Spiegati.”
Disse lui, con tono fintamente calmo.
L’aria
intorno a loro stava diventando sempre più tesa.
Narcissa
sospirò. “Mio figlio non avrà speranze di diventare una buona persona se avrà
Malfoy come padre…”
“Non
si nasce malvagi.”
“Io
non voglio rischiare. Non posso permettere che il mio bambino diventi un
mostro. Non riuscirei a sopportarlo.”
“Tu
sei buona, Narcissa, tuo figlio non potrà non avere qualcosa di te…”
Narcissa
alzò di scatto gli occhi verso di lui. Ora sembrava arrabbiata. “Io sono buona,
è vero. O, perlomeno, lo sono stata. Ma il mio sangue Remus, il mio
dannatissimo sangue è pura marca Black! Sai cosa significa questo? Che il mio
bambino avrà molte più possibilità di nascere più simile a Malfoy che a me! E
io non voglio! Non sopravvivrei se sapessi che anche lui, il sangue del mio
sangue, è un mostro… come tutte le altre persone che hanno fatto parte della
mia famiglia.-
Sospirò,
guardandolo negli occhi e cercando un minimo di comprensione in lui-
Non
ce la faccio Remus, non sono più così forte. Il mio cuore vuole vendetta. E
l’unico mezzo che ho per metterla in atto, è il mio bambino.”
Remus
la fissò con sguardo truce, ma quando parlò, come al solito, la sua voce era
calma. “Ti rendi conto di quanto sia orribile ciò che tu hai appena detto?”
“Sì,
lo so. Lo so molto bene.
Ma,
in fondo, sono arrivata a credere che ciò che faccio sia la cosa giusta, sia
per me, sia per mio figlio.
Lui
avrà la certezza di non diventare un mostro… e io, la felicità di vedere il mio
bambino diverso da tutti coloro che lo circondano.
Tutti
quei mostri… non potranno fare niente per trascinarlo dalla loro parte…”
“E
allora lo uccideranno.”
“Lui
si difenderà, o comunque avrà voi che lotterete insieme a lui.”
Remus
scosse la testa. Tutto quello era assurdo…
“E
come pensavi di ottenere ciò? A cosa ti serviva questa pozione?” Le chiese.
Narcissa
si mise a sedere sulla poltroncina color panna davanti allo specchio.
“Remus,
ho fatto cose tanto orribili, ma in fondo, le ho fatte per una causa
relativamente buona.
Ma
tu ora sai.
E
io non posso continuare tranquillamente col mio piano: tutto dipende da te.
Dunque,
ascolta ciò che sto per dirti. E decidi poi cosa fare.”
Detto
questo alzò lo sguardo per incontrare il suo. Remus, ancora sconvolto e
arrabbiato, fece sì col capo, e lei iniziò il suo racconto.
“Iniziò
tutto quel pomeriggio, quando ti mandai quella lettera dicendoti che volevo
rivederti…
Lucius voleva un figlio, ma io
avevo deciso che il mio bambino non sarebbe mai e poi mai stato il figlio di
Malfoy, ma il figlio dell’uomo che amo.
Poi
però mi resi conto che questo era assurdo: dalla somiglianza Lucius avrebbe
sicuramente scoperto il tradimento, uccidendo sia me che il mio bambino.
E
così, mentre la relazione fra me e te si evolveva sempre più, ideai un piano
più complesso, aiutata dall’immensa biblioteca di magia oscura che si trova in
questo palazzo.
C’era
una pozione in particolare, difficile da preparare, ma perfetta per il mio
scopo.
Permetteva
di creare in pieno una persona, dando ad essa il corpo e lo spirito dell’uomo
che si preferisce.
La
preparai, ma non era ancora il tempo di usarla: dovevo avere la certezza che
Lucius si fidasse di me, che lui mi lasciasse il permesso di educare mio
figlio… e per questo c’è voluto molto, molto tempo.
Questa
mattina la mia attesa è stata premiata.
E
così, dopo essere stato a letto con lui, ho bevuto il contenuto della prima
boccetta.
Il
primo incantesimo permetterà che il mio bambino abbia i geni fisici di mio
marito. Ma ha una durata limitata: deve essere presto integrato con questo-
disse, indicando la boccetta bianca- che delineerà lo spirito della persona;
altrimenti il suo effetto svanisce.”
Remus
rimase ancora lì, immobile, a guardare la donna che amava con occhi vuoti.
“Mi
hai ingannato... tu mi hai ingannato… era tutto uno sporco gioco per
assecondare la tua voglia di vendetta.” Disse, in un sussurro.
Narcissa
scosse il capo, mentre le lacrime iniziavano ad inumidirle gli occhi. “Io ti
amo davvero Remus… ti ho sempre amato… e lo sai… lo sai che non ti sto
mentendo.”
“Però
eri pronta a sacrificarmi.”
“Sì…
sì… ero pronta a sacrificarti. Per il mio bambino. Non potevo permettere che
lui divenisse un mostro. Volevo dargli almeno una chance. Mi puoi odiare per
questo?”
“Non
puoi costruire un essere umano a tuo piacimento, Narcissa. Non è un
giocattolo.”
“Non
l’ho mai pensato. Lo stavo facendo solo per il suo bene.”
“Il
suo bene dici? E cosa gli avresti detto, una volta cresciuto? Che in realtà lui
era figlio di due uomini diversi?! Che era una sorta di scherzo della natura?!”
“Non
gli avrei detto nulla…”
“Gli
avresti mentito!”
“No,
avrei solo taciuto parte della verità.”
“E
a me Narcissa, a me cosa avresti detto? Che il bambino era anche figlio mio? O
non avresti detto nulla nemmeno a me?” Disse, irato.
Lacrime
scesero copiose dagli occhi di lei.
Anche
Remus, ora, piangeva. “Perché mi hai fatto questo… perché sei diventata come
tutti loro?!”
Nel
sentir ciò Narcissa si portò le mani alla bocca, e iniziò a piangere con più
veemenza, mentre il suo petto era scosso da violenti singulti. Quelle parole…
erano una vera e propria pugnalata al suo cuore.
Soprattutto
perché erano pronunciate da lui… da Remus… dal suo amore.
Remus
scosse la testa, piangendo come un bambino per la terribile rivelazione che
aveva appena avuto.
“Credevi di dare la libertà a tuo figlio, e invece gli
stavi solo mettendo delle catene ai polsi.
Credevi
di fare la cosa giusta, ed invece hai fatto l’errore più grande che potessi
compiere.
Ma,
soprattutto, credevi di fare tutto questo per amore: ed invece, l’hai fatto
solo per egoismo.-
Prese
la boccetta e con un gesto secco la fece cadere a terra, rompendola. Poi, con
la bacchetta che teneva in mano, fece evanescere il tutto-
La
mia decisione è questa Narcissa. I tuoi piani hanno qui fine.” E, così dicendo,
voltò le spalle e se ne andò.
Narcissa
continuò a piangere, a lungo. E pianse ancora di più quando lo sentì
smaterializzarsi via.
Non sarebbe più tornato, di questo era sicura. Non
sarebbe mai più tornato.
La
mattina dopo, il sole, sorgendo, illuminò le stanze da bagno in cui Narcissa
aveva passato la notte.
Era
accucciata su quella poltrona, con una mano a sostenere il capo, ancora
arrossato per le troppe lacrime versate.
Lentamente
si portò l’altra mano al ventre, ancora perfettamente piatto. E guardò il
pavimento davanti a lei, dove, poche ore prima, era stata scagliata la boccetta
bianca.
Remus
però era arrivato troppo tardi… lei ne aveva già bevuto un sorso.
Un
lieve sorriso le apparve, timido, sulle labbra, mentre una silenziosa e
solitaria lacrima le cadeva sul viso: il suo bambino avrebbe almeno avuto una
speranza.
Aveva
capito il suo errore. Aveva capito che la sua azione non sarebbe stata
sbagliata se non fosse stata volta alla vendetta.
Vendetta…
Proprio
a causa di questa aveva perso la persona che più amava in assoluto, e che
avrebbe continuato ad amare ancora a lungo.
Ora,
doveva fare in modo che quel sacrificio servisse a qualcosa. Avrebbe dovuto
impegnarsi con tutta se stessa affinché il suo bambino non scegliesse di
seguire la strada del padre… e lo avrebbe dovuto fare solo per il suo bene, non
per dare una lezione alla sua famiglia. Non per vendicarsi.
Il
suo bambino… lo avrebbe amato con tutta se stessa.
Sarebbe
stata tutta la sua vita.
E
se avesse fallito in questo… se suo figlio fosse diventato come suo padre…
allora lei non avrebbe più avuto altre ragioni di stare su questo mondo.
Perché
la sua vita, ora, era consacrata a quella creaturina che cresceva lentamente
nel suo ventre.
Si erano trasferiti nella villa della famiglia Potter subito dopo la
partenza di Sirius per la missione in Francia
Si
erano trasferiti nella villa della famiglia Potter subito dopo la partenza di
Sirius per la missione in Francia. Era un periodo piuttosto difficile, pieno di
tensione, Voldemort non si faceva vedere spesso ma dietro l’apparente calma stava
progettando un piano grandiosamente maligno e perfetto per realizzare i suoi
sogni.
In
più, alla tensione del mondo magico si era aggiunta, in Lily, quella dovuta
agli affari di famiglia: la mamma e il papà erano in costante stato di
depressione, per la paura che avevano di saperla morta da un momento all’altro.
Non
approvavano che lei fosse un Auror. Già la condizione di strega mezzobabbana la
metteva a rischio in quel periodo di guerra che stavano vivendo, e se poi lei
addirittura andava a cercarsi i guai… cavoli, loro erano pur sempre i suoi
genitori, come diamine potevano vivere ogni giorno tranquillamente con il
terrore per la loro figlia (più) adorata?!
Aveva
tentato di tranquillizzarli in tutti i modi, ma aveva capito che era
assolutamente impossibile. E così, per evitare che ad uno dei due (o ad
entrambi) prendesse un crepacuore, andava appena possibile a far loro visita, o
altrimenti telefonava per fargli capire che, per il momento, era ancora su quel
mondo…
Da
un paio di giorni comunque la tensione in casa Evans era un poco diminuita:
infatti tutti erano impegnati ad organizzare la festa per l’imminente
matrimonio di Petunia con un certo Vernon Dursley, il figlio di un vecchio
amico di famiglia che non stava particolarmente simpatico a Lily.
E
così, dato che l’attenzione dei genitori le lasciava un poco di tregua, Lily
aveva ripreso a vivere tranquillamente: l’essere così assillata da genitori, da
lavoro, da morte imminente e da tutti i casini che incombono naturalmente nella
vita di ciascun uomo la stava letteralmente facendo uscire di senno.
Basti pensare che, nell’ultimo scontro aperto contro
un gruppo di Mangiamorte (nemmeno due settimane prima) aveva trasfigurato uno
di loro in un pupazzo gonfiabile, e poi si era messa a prenderlo a pugni
inveendo come una dannata… e solo per un pelo Sirius era riuscito a convincere
il comandante degli Auror a non sottoporla agli arresti militari per omissione
dei diritti di un prigioniero… eheheh, però, in fondo la scena, da un certo
qual punto di vista, era stata pure divertente…
James
era sdraiato sul grande lettone matrimoniale di quella accogliente stanza che
un tempo era appartenuta ai coniugi Potter. Aveva sempre adorato quel posto…
quell’aria di antico, di ospitale, di confortevole, di vissuto, data dai dolci
tessuti fioriti e dal legno di cedro dei mobili l’aveva sempre fatto sorridere
fin da bambino, l’aveva fatto sentire al sicuro, protetto dalle due persone che
dormivano su grande letto di fronte all’ampia vetrata coperta da preziose tende
di damasco.
Ora
quelle persone non c’erano più.
E
quel letto era rimasto vuoto per lungo tempo… fino a che dei nuovi occupanti
non erano giunti in quella graziosa villa di periferia.
Lui
e la sua Lily.
La
guardò. Era ancora addormentata, lì, sdraiata fra le sue braccia, i capelli
rossi che gli solleticavano il petto.
Aveva
un sorriso sul volto da ninfa. Sognava.
O,
forse, pensò maliziosamente, era un piccolo rimasuglio della notte appena
passata…!
Le
accarezzò il viso, provando piacere a toccare quella pelle così liscia e
morbida… appena la sentì mugugnare, però, levò subito la mano e continuò a
fissarla, con un dolce sorriso sulle labbra.
Non
si sarebbe mai stancato di lei. Non si sarebbe mai stancato di guardarla, di
desiderarla, di starle accanto… L’amava. Per la barba di Merlino se l’amava!
Cavoli! L’amava con tutto se stesso… l’amava addirittura più di se stesso, e
questa è una considerazione davvero notevole, dato che è stata fatta da un
ragazzo che ha passato gran parte della sua esistenza davanti allo specchio a
rimirare la sua bellezza, o davanti ad un pubblico che lo acclamava per la sua
bravura, per la sua agilità.
Lui
si credeva un Dio.
Ed
invece quella ragazza gli aveva fatto capire che era un semplice uomo, uno dei
tanti idioti che abitano questa terra… e, tanto per dargliene una prova, con la
sua faretra gli aveva trapassato il cuore, aprendogli una ferita che giammai si
sarebbe richiusa. Anche perché, naturalmente, lui non voleva che si
richiudesse…
Lily Lily Lily Lily.
Chissà
cosa avrebbe avuto in serbo il destino per loro.
Chissà
se, un giorno, sarebbero stati risvegliati dal caldo abbraccio di un bambino
che, correndo per la stanza, si era gettato fra le loro braccia per cercare
conforto dopo aver fatto un incubo.
E,
magari, il bimbo avrebbe avuto degli splendidi occhi verdi, proprio come quelli
della mamma… sì, voleva che suo figlio avesse gli occhi di Lily. Voleva che
quegli occhi continuassero a guardare il mondo, anche quando loro non ci
sarebbero più stati. Voleva che quel verde intenso continuasse a risplendere,
illuminando l’anima delle persone che avevano la fortuna di trovarselo davanti.
“Ciao.”
Disse James, vedendo Lily stiracchiarsi.
La
ragazza sbadigliò sonoramente, e dopo aver sbattute un paio di volte le lunghe
ciglia castane che le ornavano i begli occhi, lo abbracciò, mentre il sorriso
sulle sue labbra si ampliava ancor più.
“Ciao…!”
Mugugnò, stringendosi ancora più a lui.
“Dormito
bene?” Chiese James, chinando a baciarle uno zigomo.
“Sì…
non tanto… ma bene!” Disse lei, poco prima che James passasse a baciarle
sensualmente le labbra.
“Non
tanto? E come mai?!” Chiese poi, facendo il povero ingenuo.
“Ma…
qualcuno mi ha tenuta sveglia per gran parte della notte…” Disse lei, rimanendo
al gioco.
“E
ti è dispiaciuto?!”
“Affatto…!”
Disse, con un sorriso deliziato sul volto.
James
rise, poi calò di nuovo su di lei, baciandola con fare sapiente, per farle
capire meglio le sue intenzioni.
“Beh,
allora non ti dispiacerà ripetere l’esperienza!” Disse, mentre una mano scendeva
ad accarezzare il corpo nudo della ragazza, che non si curò nemmeno di
rispondere, tanto le carezze di lui la facevano impazzire.
E
James, ovviamente, prese il suo silenzio per un sì.
In
fondo, quel famoso proverbio babbano non recitava ‘Chi tace acconsente’?!
Lily
uscì dal bagno asciugandosi i capelli. Era quasi l’ora di pranzo, e lei e James
erano ancora lì, nella stanza da letto. Da un momento all’altro gli elfi
domestici avrebbero bussato alla loro porta chiedendo il permesso di entrare
per portare loro il pranzo.
Vide
James seduto sul bordo del letto, malamente coperto da un lenzuolo. Stava
guardando con strano interesse il Trasmettitore Auror.
“C’è
qualcosa che non va?” Chiese la ragazza, avvicinandoglisi.
“C’è
qualcosa di strano.”
“Cioè?!”
“Malocchio
dice che si è appena creato un campo magnetico che annulla il rintracciamento
della magia non lontano da Canterbury.”
Rimasero
un attimo in silenzio. Lily fece cadere per terra l’asciugamano che teneva in
mano.
“Voldemort”
Disse poi.
James
alzò lo sguardo e la fissò. Si leggeva paura nei suoi occhi.
Ma
non era la paura di affrontare quel mostro, no… era la paura di perdere lei.
E
Lily aveva lo stesso sguardo.
“Stai
attento. Io ti guarderò le spalle.” Gli disse semplicemente, mentre lui si alzava
in piedi davanti a lei.
“Io
farò lo stesso. Sarò la tua ombra.” Le disse, e subito dopo l’abbracciò.
Dieci
minuti dopo, indossata in tutta fretta la divisa da Auror, presa la bacchetta,
ripassati mentalmente gli incantesimi più complessi (James…), si
smaterializzarono nel posto indicato.
Sembrava
non ci fosse nessuno.
Un
gruppetto di Auror era già sul posto, e, con cautela, James e Lily si
avvicinarono a loro.
Non
avevano avvistato nulla manco loro. Però quel campo magnetico preannunciava la venuta
di qualcuno.
Qualcuno
di grosso, sicuramente. Era un incantesimo troppo potente perché un semplice
mangiamorte fosse in grado di farlo.
“Ma…
non avremmo dovuto già trovare qualcuno qui? Non ha senso.” Fece notare
Paciock.
“Sì
che ha senso.” Disse Malocchio Moody, con un sospiro, mentre il suo occhio
magico roteava nervosamente ovunque.
Il
gruppetto rimase un poco perplesso a quelle parole.
Poi
Lily, il cui volto era diventato improvvisamente più duro, disse: “E’ una
trappola.”
Il
sangue si gelò nelle vene di tutti, mentre la comprensione si faceva spazio
nella sua mente.
Sì,
certo, era ovvio: quell’incantesimo era solo l’esca che li aveva attirati. E
l’oro c’erano caduti in pieno.
“Cosa
facciamo ora?! Non possiamo andarcene, se non trovano noi faranno una strage!”
Disse Alice, la fidanzata di Paciock, con un tono isterico nella voce.
“Rimaniamo qui… finché la trappola non scatta. E
speriamo, se Merlino ci aiuta, di avere noi la meglio.” Disse Malocchio,
semplicemente.
Si guardarono
intorno di nuovo.
La
tensione aumentava.
Voldemort
si divertiva a giocare a nascondino… bene, quando sarebbe venuto fuori loro si
sarebbero divertiti a fargli la festa.
Ad
un certo punto il cielo si fece scuro. Nubi nere incominciarono a ricoprire
quella zona, e a scendere pericolosamente verso il suolo, rendendo la vista
assai difficile.
Gli
Auror si misero ancora più all’erta.
“State
attenti!” Gridò Moody.
Poi
avvenne. Uno scoppio tremendo, e Paciock fu schiantato lontano. Alice, inviperita,
si voltò a vedere chi aveva osato fare del male al suo amato, e il suo
desiderio fu realizzato.
Dal
nulla erano comparse dieci figure nere, più oscure del fumo che ormai quasi
impediva loro di usare la vista.
Dieci.
Caspita. Erano dieci. Loro invece solo cinque. E se si contava il fatto che
probabilmente la maschera che scintillava dorata sulla figura più alta era
quella di quel rifiuto della natura… erano davvero messi molto, molto molto
male.
Il
combattimento iniziò subito. Raggi di vari colori, rossi, gialli, azzurri…
verdi… iniziarono a saettare da una parte e dall’altra in mezzo a
quell’oscurità, accompagnati da parole sussurrate con odio e disprezzo.
Lily
aveva riconosciuto, dietro una maschera argentata illuminata da un bagliore
verdastro, il volto di Malfoy, e si era diretta subito verso di lui per
affrontarlo.
Non
gli avrebbe mai perdonato ciò che aveva fatto alla sua amica… a Narcissa. Era
colpa sua se lei era tanto cambiata. Lui l’aveva traviata. Aveva fatto cadere
quello splendido angelo che era una volta. Aveva rovinato il suo cuore puro.
Lucius
sorrise nel vederla.
“Evans.”
Disse, con tono di disprezzo.
“Ti
ricordi di me, Malfoy?!” Chiese acida, Lily.
Iniziarono
a camminare in circolo, la bacchetta puntata davanti in posizione difensiva,
l’oscurità che a malapena permetteva di vedere l’altro.
Lui
rise. “Mi ricordo perfettamente tutti i mezzosangue che frequentavano Hogworts.
Mi ricordo la loro puzza, la loro ignobiltà, l’infamia che gettavano sul nostro
nobile mondo di magia, … davvero insopportabili.”
“Già,
insopportabili… soprattutto quando sei stato costretto a riconoscere che siamo
nettamente superiori ad un verme bianco, liscio e purosangue come te, Malfoy.”
Disse Lily, con un tono ironico che fece saltare i nervi all’uomo.
Subito
una luce rossa si diresse verso di lei, che la scansò facilmente.
“Fa
male la verità, vero?” Disse Lily, trattenendo a stento una risatina. Un’altra
luce rossa, seguita da una azzurra e da un’altra rossa partirono dalla bacchetta
dell’avversario. Ma anche questa volta la ragazza le scansò, e passò al
contrattacco: nemmeno mezzo minuto dopo Lucius si ritrovò con un profondo
taglio nel petto, e un dolore che andava a pompare sangue nei suoi nervi che
vibravano già in maniera fin troppo pericolosa. Si accasciò a terra… diamine,
allora non aveva usato un semplice incantesimo di taglio… si sentiva il dorso a
pezzi… doveva aver aggiunto qualche fattura sfibrante alla sua maledizione… se
lo doveva aspettare. La Evans era sempre stata una secchiona a scuola.
Lily
sorrise soddisfatta. “Pezzo di merda… questo è per Narcissa.” Gli disse, e
subito dopo gli mollò un violento calcio sul mento, che lo fece cadere
all’indietro col sapore del sangue anche il bocca.
“Narcissa
è felice di stare dov’é… finalmente ha ciò che merita.” Disse, con un ghigno
strafottente in volto che, percepito da Lily, la fece infuriare ancora di più.
“Non
ha mai avuto ciò che merita davvero. Anzi, apre che il destino si sia divertito
a farla soffrire… ma ora ho posto rimedio io.” Disse, avvicinandosi a lui con
un ghigno in volto. “Non hai molto da vivere ancora, lo sai, verme?” E, così
dicendo, gli mollò un altro violento calcio in uno stinco, rompendogli
dolorosamente l’osso della gamba. Lucius trattenne a stento un grido di dolore.
“Ma
guarda un po’… e meno male che sei dalla parte dei buoni!” disse, sforzandosi
di mantenere un tono ironico nonostante ormai il suo cervello fosse in tilt per
il troppo male che si espandeva velocemente per tutto il suo corpo.
“Sai,
da un po’ di tempo sono dell’idea che la filosofia dei nostri antichi
progenitori, occhio per occhio – dente per dente, non fosse poi così sbagliata…
e se i miei nemici non rispettano me, perché io dovrei rispettare loro?!”
Si
posizionò sopra di lui, e aveva tutta l’intenzione di schiacciare il piede sul
suo petto, tanto per accelerare il processo di smembramento messo in atto dal
suo incantesimo, quando improvvisamente il Mangiamorte scomparve.
Lily
si guardò intorno, preoccupata. Non si sentivano più grida, non si vedevano più
le luci degli incantesimi.
Poi
qualcuno la prese ad un braccio. Si voltò, spaventata, puntando la bacchetta
direttamente sulla gola di colui che le stava davanti… ma poi fu costretta a
riabbassarla, riconoscendo James.
Era
ferito, sangue gli usciva dalla narice destra, e aveva anche un profondo taglio
nel labbro… ma, cosa ancora più importante, era la preoccupazione che si
leggeva nel suo sguardo.
“Che
è successo?!” Le chiese.
“Non
lo so… non c’è più nessuno, né Auror, né mangiamorte…” Disse lei, continuando a
guardarsi intorno.
“Hai
perfettamente ragione. Non ci sono più né Auror, né Mangiamorte. Ci sono solo
io – e voi, ma ancora per poco.”
Disse
una voce.
Lily e James rabbrividirono. Sapevano a chi apparteneva
quella voce fredda, distaccata, serpentina, così intrisa di malvagità da far
provare un tonfo al cuore di qualunque persona la ascoltasse.
Si
voltarono entrambi nel punto da cui l’avevano sentita provenire.
E
subito lì apparve, tranquillo nella sua fierezza, Voldemort. Nagini, il suo
amato serpente, era al suo fianco.
I
due ragazzi capirono subito… sì, quella era stata solo una sporca trappola… ma
non aveva lo scopo solo di eliminare dalla faccia della terra i migliori Auror
in circolazione… sarebbe dovuta servire, anche e soprattutto, per uccidere
loro.
Perché?
Beh,
la risposta era alquanto ovvia…
Voldemort
puntò la bacchetta contro di loro. “Chissà che così Solaria non si decida a
tornare da me.” Disse, con uno strano tono beffardo che fece loro gelare il
sangue nelle vene.
Solaria.
Sempre lei. Solaria.
Lui
la voleva. Voleva farla tornare dal luogo in cui si stava preparando per
distruggerlo. Voleva impedire che lei lo surclassasse ancora una volta. Voleva
impedirle di compiere il suo destino, voleva rendere inutile tutta la sua
esistenza.
Voleva
farle del male.
“Stronzo…”
Sibilò James, stringendo forte i pugni.
Nello
stesso istante, Lily pronunciò alcune parole e uno strano scudo dalle argentee
luminescenze comparve dal nulla.
Magia
Nera.
Lily
non si sarebbe limitata ad usare solo una parte delle sue conoscenze per
proteggersi e per attaccare quel mostro. Avrebbe dato tutta se stessa.
Voldemort
sorrise, e Lily ghignò. Ormai la paura se n’era andata, così come anche in
James, e aveva lasciato posto alla solita rabbia cieca che li dominava quando
combattevano quei pezzenti senza cervello.
“Cosa
ti fa ridere, Tom? Non mi pare che ci sia niente di così ilare qui… a parte il
piccolo particolare costituito da un povero mezzosangue idiota che ha deciso di
eliminare tutti coloro che gli assomigliano semplicemente perché sono il
ritratto di ciò che è lui. Un impuro. Un ibrido. Un miscuglio infame. Un mezzo
babbano.
E
non un mezzo babbano qualunque… addirittura un bastardo! Già, perché tua madre
non ti ha voluto, non è vero Tom? E tuo padre…” Un raggio giallo le sfiorò la
guancia, graffiandogliela. Ma lei non si fermò: era furiosa. “… tuo padre l’hai
ucciso tu.”
James,
sebbene fosse rimasto allibito dalle parole infuocate della ragazza, continuava
guardare con circospezione davanti a se. Non era proprio un bene provocare quel
demone incarnato, ma se Lily lo stava facendo, significava solo che aveva un
piano in testa. E non sarebbe stato di certo lui a bloccare il suo genio.
Un
raggio verde partì dalla bacchetta di Voldemort, e Lily riuscì a scansarlo per
un pelo… la barriera, sebbene potente, non difendeva dalle maledizioni di
morte.
Perché,
semplicemente, la morte non poteva essere fermata.
“Ci
sei rimasto male, Tom Riddle?! Poverino… chissà come ci rimarrai male quando
Solaria ti ficcherà di nuovo un pugnale nello stomaco…” Disse Lily, sempre più
acida.
“Sta
attenta a te, Mezzosangue: hai sorpassato il limite.” Disse Voldemort, con la
sua stessa voce fintamente calma.
Ma
Lily, per tutta risposta, puntò la bacchetta su di lui e, con un flebile raggio
rosso, gli fece cadere la maschera dal volto.
Un
grido d’orrore la pervase quando lo vide.
Orrendo.
Disgustoso.
Terrificante.
Maligno.
In
una parola: mostruoso.
Non
era più un viso umano. Era così deformato dai rituali oscuri che Tom faceva per
rendersi più forte che aveva assunto caratteristiche serpentine.
E
gli occhi… gli occhi erano rossi, iniettati di sangue. E la rabbia che ora
esprimevano li faceva divenire ancora più pericolosamente raggelanti.
“Che
schifo!” Non fece a meno di gridare James. (E, se ci fosse stata Solaria, non
so con cosa tutto se ne sarebbe uscita fuori…!).
Il
Signore Oscuro aggrottò la fronte. Il commento non doveva sicuramente avergli
fatto piacere.
Scomparì.
E ricomparve
poco dopo, dietro i due ragazzi. Colpì Lily con un violento pugno dietro la
nuca, e puntò la bacchetta dietro le spalle di James.
“Cruciatus!”
Disse poi, in un sibilo. E poco dopo James cadde a terra, contorcendosi per il
dolore che gli attanagliava ogni piccola fibra del suo essere.
Lily, stordita dal forte colpo che aveva ricevuto in
quella zona così delicata, lo guardava senza riuscire a fare niente, mormorando
il suo nome mentre calde lacrime iniziavano a riempirle gli occhi.
“Guardalo,
piccola insolente, perché il dolore che prova ora non sarà nulla rispetto a
quello che lo distruggerà veramente, quando ti vedrà mia.” Disse Voldemort,
inchinandosi su di lei e voltandola con un gesto brusco.
James,
attanagliato dal dolore, sentiva che il cuore gli sarebbe scoppiato nel petto
se avesse davvero visto ciò che Voldemort diceva di voler fare.
Lily
fissò il suo verde sguardo su quello rosso dell’uomo.
Era
come se due luci si scontrassero.
Una
verde, l’altra rossa.
E,
nel mondo magico, la luce verde è assai più pericolosa di quella rossa. E’ la
luce dell’Avada Kedavra, mentre quella rossa lo è di uno Schiantesimo.
Una
uccide, l’altra provoca solo dolore, stordimento.
Da
una non si può sfuggire. Dall’altra sì.
E,
in quel momento, la luce verde era più luminosa che mai.
Voldemort
la spinse per terra, bloccandole le braccia con una mano, mentre con l’altra
scendeva a slacciarle i pantaloni.
Lily,
che ormai stava rinsavendo, lo spinse via con una forza che lui non avrebbe mai
immaginato risiedere in una ragazza dall’aspetto così fragile.
“Hai
sottovalutato la tua preda, stronzo.” Gli disse lei, mollandogli un forte pugno
in faccia. Poi, velocemente, gli prese la bacchetta dalle mani e corse via per
aiutare James, liberato dal Cruciatus.
Gli
indirizzò una magia di cura, e appena lui fu in grado di stare in piedi, si
voltò a guardare Voldemort.
Si
era rizzato in piedi, e li guardava con un pauroso sorriso sulle labbra.
“Degna
amica della veggente, non c’è che dire.” Disse poi. “Ma anche tu mi hai
sottovalutato: credi davvero che io abbia bisogno della bacchetta per usare la
magia?”
E,
mentre il sangue stava iniziando a gelarsi nelle vene dei due ragazzi, una voce
calda e solare permise al loro cuore di tornare a battere tranquillamente.
“No,
non hai bisogno della bacchetta, anche se alcuni incantesimi sono troppo
complessi perché qualunque mago riesca a lanciarli senza essa.”
Silente
si fece spazio in quell’oscurità, illuminando finalmente il luogo con un po’ di
luce.
Voldemort
gli lanciò uno sguardo di fuoco, per poi andare a fissare di nuovo i due
ragazzi.
Lily,
che teneva ancora in mano la sua bacchetta, appena incontrò lo sguardo rosso di
lui se la portò davanti e la spezzò.
Il
Signore Oscuro sorrise.
“La
mia prossima bacchetta sarà inaugurata con la vostra morte.” Disse prima di
scomparire.
“Ahia!”
gridò James, mentre l’infermiera di Hogworts, frettolosamente arrivata al
quartiere generale degli Auror, gli curava la ferita sul labbro.
Erano
tutti salvi. Nessuno, di coloro che erano caduti nella trappola, era stato
ucciso. Certo, c’era chi era stato conciato davvero male, con parecchie ossa
rotte e qualche spiacevole fattura ancora in circolo nel corpo (come ad esempio
Alice), ma non era niente di fatale. Una settimana di cure intensive al San
Mungo e sarebbero tornati come nuovi!
Molti
erano stati salvati da quella sorta di onda che li aveva cacciati via dalla
zona magnetica e che aveva trasferito altrove i Mangiamorte; Lily e James,
invece, dovevano la vita a Silente.
Il
vecchio preside poi, dopo aver riportato la situazione alla normalità, li aveva
accompagnati al reparto degli Auror, andandosene poco dopo per ritornare nella
sua scuola: non poteva lasciare i suoi cari alunni senza protezione.
“Come
Potter, sei riuscito ad affrontare Voldemort e non puoi sopportare un ridicolo
balsamo curativo?! Sei una contraddizione vivente, figliolo!” Disse Moody,
seduto su una sedia a riempire il resoconto dell’accaduto da dare ai suoi
superiori.
“Ma
fa male!” Si lagnò lui.
Lily
scoppiò a ridere. “Sempre il solito!” Disse poi, scotendo la testa e fissandolo
con sguardo pieno d’affetto e amore.
James
si zittì subito.
Per
Merlino… aveva rischiato di perderla. Aveva rischiato di vederla morire sotto i
suoi occhi, senza che lui potesse fare qualcosa per impedirlo.
Scostò
gentilmente l’infermiera, che iniziò a blaterale sul fatto che non poteva
comportarsi così, che lei doveva curarlo, che una ferita doveva essere medicata
per evitare spiacevoli conseguenze… ma lui non l’ascoltava. Si dirigeva con
decisione verso quello sguardo, che ora lo fissava un po’ interrogativamente, e
pareva che nessuno potesse fermarlo.
La
abbracciò di slancio. La strinse al suo petto con forza, appoggiando il volto nell’incavo
del suo collo e accarezzandole i capelli con una mano.
Lily,
all’inizio allibita, ricambiò subito dopo la stretta.
“Ho
rischiato di perderti. Quando lui ha detto di… quando lui ha… stavo per morire,
te lo giuro. Non mi sentivo più il cuore.” Le disse.
Poi,
mentre lei, emozionata da quelle parole, stava per rispondergli, lui fece
un’altra cosa che la lasciò di sasso: impugnò la sua bacchetta e, con un
semplice incantesimo di levitazione, la poggiò sopra il tavolo.
Ora,
tutta la sala li fissava. Tutti gli Auror lì presenti, perfino Malocchio Moody,
avevano smesso le loro occupazioni per guardare la scena. Conoscendo James,
erano sicuri che ne avrebbe combinata una delle sue….
Lily,
rossa in viso, scuoteva allibita la testa guardando con un punto interrogativo
in faccia il suo ragazzo.
E
quello, come se non si fosse accorto di niente, continuò a fissarla per un
poco.
Poi,
cosa ancora più sbalorditiva, si inginocchiò a terra.
“Io
non sono degno di te… questo lo ho sempre saputo. Mi viene in mente ogni volta
che ti guardo, quando l’unica cosa che oso chiedermi è: cosa ci fa una ragazza
del genere con me?
Provo
a darmi mille e mille risposte, ma la meta che raggiungo è sempre la stessa: e
che ne so?! – gran parte della sala a questo punto si mise a ridere – Già, non
lo posso sapere. Non sono mai – o quasi mai- riuscito a capire cosa passi per
la tua mente geniale. Sono però sempre stato sicuro di una cosa: lei sa sempre
quello che fa. E lei fa sempre la cosa giusta.
Ti
chiederai cosa la mia mente idiota stia tentando di fare ora…- disse lui,
arrossendo leggermente- beh… ho provato a raffigurare concretamente la
differenza che intercorre fra noi due. Tu stai molto più in alto di me, Lily,
in tutto: tu sei brava, buona, bella… tu sei tutto ciò che un uomo potrebbe
desiderare nella donna che ama.
E
io… beh… purtroppo non ho potuto scavare una fossa per mettermi ancora più in
basso di così, perché altrimenti Moody mi avrebbe fatto la pelle peggio di
Voldemort- e a queste parole, alcuni sorrisero, altri invece tremarono
impercettibilmente per la paura che quel nome imprimeva in loro; ma James come
sempre, non se ne curò- e così mi sono dovuto accontentare di inginocchiarmi
per terra.
Ma
arriviamo al dunque… cavoli, non sono mai stato bravo con i giri di parole!…
Lilian
Evans, vuoi tu accettare questo povero scorfano imbecille come tuo legittimo
sposo?!”
La
sala si ammutolì. Tutti quanti iniziarono a muovere vorticosamente lo sguardo
fra i due ragazzi.
Lily
fissava in silenzio James, e lui la guardava con gli occhi limpidi, in cui si
leggeva chiaramente il desiderio che quella risposta fosse positiva.
Lily
si inginocchiò sul tavolo, allungò un braccio e porse la mano a James.
“No.”
Disse, e il cuore di James mancò di un battito. Lily se ne accorse, e si mosse
a finire la frase prima che il ragazzo che amava le morisse davanti “Non
accetto come sposo un povero scorfano imbecille, te lo puoi scordare!”
James
riprese a respirare.
“Io
voglio James Potter per sempre al mio fianco. Voglio il ragazzo che amo. Hai
capito?!” Disse poi, mostrando un incantevole sorriso che le illuminò il volto.
James,
scoppiando a ridere insieme al resto della sala, prese la sua mano, e salì con
lei sopra il tavolo.
Le
cinse la vita con le braccia, mentre lei circondava il suo collo in un tenero
abbraccio.
“Sei
mia…” Disse lui.
“Per
sempre.” Disse lei.
E
il bacio passionale che firmò quella promessa fu salutato dal clamore dei loro
colleghi, che iniziarono ad esultare e a gridare:
La Sala Grande di Hogworts non era mai stata così splendida
La
Sala Grande di Hogworts non era mai stata così splendida. La volta lasciava
passare all’interno la calda luce del sole estivo, e in quella deliziosa
luminosità volteggiavano deliziosi amorini, lanciando per aria le loro frecce,
che scoppiavano poi in un mare di pagliuzze dorate.
I
muri erano stati coperti con grandi veli bianchi, arricchiti da fiori freschi
quali rose e gigli, che riempivano la sala di dolce profumo. Altri fiori erano
disposti poi, in gigantesche e quanto mai fantastiche composizioni, in ogni
angolo della stanza, e la grande porta d’ingresso, completamente spalancata,
era stata ricoperta da un gigantesco tendone di un luccicante tessuto bianco,
legato ai lati del muro con grandi cordoni d’oro.
Al
posto dei soliti quattro filari di banchi, ce n’erano invece due opposti di
sedie, occupate da persone vestite molto elegantemente; fra questi stava un
lungo tappeto bianco e oro, che conduceva dritto verso quel luogo che, in
periodo scolastico, sarebbe stato destinato ai professori: ora invece c’era uno
splendido altare di marmo bianco, con un bacino d’oro in mezzo.
Dietro di esso un sacerdote attendeva l’avvento di
una sposa alquanto ritardataria per iniziare la sua funzione, lanciando ogni
tanto qualche torva occhiata al giovane che gli stava davanti, vestito come un
antico patrizio romano di una preziosa tunica bianca e dorata, la cui solennità
era però rotta dai capelli che, irti in capo, prendevano le direzioni più
disparate, e da quello sguardo da pesce lesso che aveva in volto.
“Perché
non arriva?!” Chiese James, sempre più nervoso, facendo schioccare
rumorosamente le dita mentre guardava sempre più preoccupato davanti a se.
Sirius,
al suo fianco, sbuffò. Se lo avesse chiesto ancora una volta, gli avrebbe
mollato un ceffone così forte da lasciarlo intontito per almeno una settimana…
“E che ne so, magari ha deciso di scappare con un altro…” Rispose, acidissimo.
James
si voltò a guardarlo col terrore negli occhi nocciola. “Cosa?!” Chiese,
con voce soffocata.
Pochi
attimi dopo Sirius si ritrovò con le mani dell’amico chiuse intorno al suo
forte collo, mentre gli occhi folli di lui penetravano i suoi.
“Cosa?!
Cosa diamine hai detto?! Se sai qualcosa, parla subito!” Disse.
“Ehm…
James… penso che Felpato stesse scherzando…” Disse Lunastorta vicino a loro.
Ramoso
si voltò a guardarlo, sempre tenendo stretto il collo dell’amico. Piano piano
quella luce folle scomparve, e la comprensione prese spazio in lui.
“Ah…”
Disse, liberando l’amico e voltandosi di nuovo a guardare là, in fondo, davanti
a lui.
Sirius
invece sbuffò di nuovo ancora più vistosamente… aveva fatto appello a tutta la
sua pazienza (e si era scoperto ad averne davvero tanta…) per non tramortirlo.
Ma, poverino, in fondo doveva capirlo, era una giornata molto importante per
lui…
“Comunque
non è stato uno scherzo divertente.” Disse serio James, voltandosi di nuovo a
guardare severamente l’amico.
Sirius
gli lanciò uno sguardo infuocato. “Mi hai fatto letteralmente cadere le palle a
terra oggi, Ramoso: è da quando siamo arrivati che non fai altro che
comportarti come uno stupido idiota.”
“Sirius,
usa un linguaggio meno colorito, gli ospiti ci sentono…” Disse Remus,
sorridendo ben poco rassicurante ad una vecchia signora che, seduta in prima
fila, doveva aver sentito tutto a vedere dal suo viso esterrefatto.
“Sirius,
quella è la prozia materna del cognato di Lily! Non mi vorrai far fare brutta
figura, vero?!” Gridò James, rivolto al suo migliore amico.
“Me
lo dici che c***o te ne sbatte della prozia materna di Vernon Dursley, se non
puoi sopportare nemmeno quel c******e di babbano che s’è sposato la sorella
della tua ragazza?!”
James
parve rifletterci per un po’. Poi disse, mostrando uno degli sguardi più torvi
che riuscì a fare: “Nulla! Però è una questione di principio!”
“E
quale principio sarebbe?”
James
aprì e richiuse più volte la bocca, senza che alcun suono ne uscisse fuori. Poi
però, irritato dall’espressione beffarda che stava assumendo il volto
dell’amico, si incupì ancora di più e disse: “Sono nervoso, ok?! Mi pare
normale, è la prima volta che mi sposo!”
Sirius
rise, facendo scivolare così gran parte della tensione che l’amico gli aveva
trasmesso col suo nervosismo. Anche James, sentendolo ridere, parve
tranquillizzarsi un poco, e il broncio che teneva scomparve lentamente,
lasciando spazio ad un espressione di completa innocenza e a due occhi
scintillanti per l’emozione.
“Sirius,
Remus: io mi sto sposando!” Disse poi, guardando alternativamente gli amici
negli occhi.
Remus
trattenne a stento una risata. “Lo sappiamo James!” Disse, guardando pieno di
dolcezza l’amico.
“E
se lei non venisse? E se avesse cambiato idea?! E se…” Non finì la frase.
Una
figura era apparsa là, all’ingresso di quel grande portale, e guardava con uno
splendido sorriso davanti a se, dritta verso lui, incurante degli sguardi
ammirati di tutte quelle persone che si erano volte subito verso lei.
Guardava
solo lui.
Fu
come se il cervello del ragazzo si fosse bloccato, fermando così anche tutte le
funzioni principali del proprio corpo: come respirare ad esempio… e anche il
battito cardiaco diventò pericolosamente anomalo…
Appena
il sistema nervoso ritornò dalle sue ferie, James si mise a boccheggiare, e le
guance gli si colorarono di rosso mentre il sangue riprendeva a pulsare:
continuò però a tenere fissi gli occhi sulla ragazza, che ora stava avanzando
lentamente nella sala, con lo sguardo sicuro e radioso sempre su di lui.
Divina.
Indossava un abito di pizzo bianco privo di spalline,
perfettamente aderente alla sua esile figura. Il petto era coperto da un
prezioso collare di filigrana d’oro finemente decorata, assai simile a quello
delle antiche principesse celtiche, e i capelli, ricci e rossi, erano tenuti in
alto da un’elaborata acconciatura.
E poi, nelle mani, candide come la neve… teneva un
giglio. Il suo fiore. Il fiore da cui Lily aveva preso nome. Così bello, puro,
innocente… eppure dall’aspetto così dolcemente selvaggio, così vigorosamente
delicato.
Quando lei, accompagnata dal padre, giunse al suo
fianco, tutta la paura che prima James aveva, scomparve subito.
Si sorrisero a vicenda.
Poi James gli porse una mano, e Lilian la prese.
Arrivarono davanti
all’altare, e s’inginocchiarono, mentre il prete, dopo essersi schiarito la
voce ancora irritato per il ritardo, iniziò a recitare la messa di matrimonio.
Sirius e Remus seguirono la cerimonia con
attenzione, un sorriso lieto sulle loro labbra.
Felicità.
Da quanto oramai non la provavano?
Quell’evento era il più meraviglioso che potesse
capitare.
Il coronamento di un grande amore rappresentava la
speranza nel futuro.
A guardare quei due, si sarebbe anche potuto pensare
che niente avrebbe mai potuto fargli del male… niente avrebbe potuto dividerli,
talmente grande era la forza dell’amore che li univa. Si poteva percepire,
quasi era tangibile.
I loro cuori, le loro anime, sarebbero state sempre
unite, anche quando i loro corpi sarebbero stati distrutti dalla morte.
E il loro amore sarebbe stato così grande da
distruggere qualunque male avesse la malaugurata idea di andargli contro.
La cerimonia era stata preparata ad Hogworts perché
era il luogo più sicuro: dopo l’affronto che avevano fatto a Voldemort, era
quasi una certezza che lui decidesse di rovinare il più bel giorno della loro
vita.
E così Silente, molto gentilmente, dato che la loro
vecchia scuola era così silenziosa e spoglia in estate, aveva offerto quella
che si poteva considerare essere la sua casa e il suo regno per un così bel
fine.
Ultimata la cerimonia, la festa si era spostata in
giardino, dove c’era stato un lauto banchetto preparato dagli elfi domestici di
Hogworts.
Avevano mangiato, avevano brindato, avevano riso e
avevano scherzato… quel giorno era stato meraviglioso per molte persone.
Serviva qualche diversivo per spezzare la tensione
dovuta a quel periodo di guerra.
Remus si guardò intorno, sempre sorridente. Non era
più abituato a vedere tante face allegre. A parte Tonks… lei, cascasse il mondo,
riusciva sempre ad ilarizzare tutto. Ed ora infatti era lì, divertendosi come
una pazza a fare spaventare Vernon Dursley, ed insieme a lui Petunia Evans, la
sorella di Lily, cambiando in continuazione faccia.
Vernon stava mettendocela tutta per sopportare
quelle obbrobriosità che gli si erano proposte alla vista, ma, a dire dal
colore grigiastro che il suo volto aveva assunto, la magia non gli doveva
piacere molto…
Lunastorta trattenne a stento una risata quando
Tonks, che probabilmente non sapeva più cosa inventarsi, era rimasta per un
attimo a fissare con aria corrucciata il viso del suo ‘nemico’, per poi
trasformarsi completamente in qualcosa… no, vabbé, qualcuno… che fece fare
all’uomo un vero e proprio ruzzolone giù dalla sua sedia.
E sì, vedere la sua stessa faccia così
improvvisamente lo doveva aver terrorizzato… poverino, era comprensibile: chi
avrebbe reagito in modo differente?!
Se ne andò lentamente dalla zona banchetti,
dirigendosi verso il lago.
Ormai i parenti avevano preso a chiacchierare
armoniosamente tra loro, gli Auror stavano parlando di future missioni, Sirius
era scomparso e così anche Lily e James: non che si sentisse a disagio a stare
fra loro, però aveva voglia di sgranchirsi le gambe… e di pensare.
Probabilmente questo stesso motivo aveva indotto
Sirius ad allontanarsi… conoscendolo, e avendo visto il suo sguardo durante la
cerimonia, ora era in qualche luogo solitario a pensare alla sua Solaria.
E come poteva dargli torto?
Lui ora stava pensando alla sua lei.
O a quello che, per lo meno, fino a poco tempo fa lo
era.
La sua lei. Che strano modo di definirla… così
melodioso, così armonioso, così dolce… come era stato il rapporto che li aveva
uniti.
Narcissa…
Non la rivedeva da quel giorno terribile. Il giorno
in cui aveva scoperto tutto, in cui si era reso conto del marciume che aveva
colto pure lei.
Per amore, è vero… per amore si era fatta
inghiottire dal male che la circondava. Senza pensare che però, così facendo,
l’amore si sarebbe trasformato in qualcos’altro. In qualcosa di meno puro e di
più empio.
Vendetta…
E con essa non aveva portato dolore solo a se stesa,
ma anche a lui…
Sospirò, guardando il sole che velocemente stava
intraprendendo il suo cammino calante.
Chissà come stava ora…
Aveva saputo che era incinta, e che il bambino
sarebbe nato in inverno, verso gennaio.
Deglutì. Gli esperti dicevano che quello sarebbe
stato uno degli inverni più freddi degli ultimi cinquant’anni.
Una stagione adatta a fare nascere un Malfoy
modello, insomma. Fredda, insopportabilmente fredda, mortalmente fredda… così
gelante da fare divenire il cuore un pezzo di ghiaccio duro e brillante come un
diamante.
Un sasso percorse la superficie del lago,
rimbalzando su di essa per infinite volte.
Remus, distolto dai suoi pensieri, si voltò a
guardare il responsabile di tale azione.
Sulla riva, le gambe poggiate sull’acqua tiepida,
c’era una fanciulla.
Aveva corti capelli neri, tagliati a caschetto, e
quando si voltò incrociando i suoi occhi, si accorse che erano azzurri come il
mare, così innocenti e profondi, così dolci, che Remus non poté fare a meno di
sorridere a tale semplicità.
La giovane donna sorrise a sua volta, abbassando lo
sguardo e arrossendo.
Lentamente, Lunastorta si avvicinò a lei, sedendosi
infine poco distante dal suo fianco.
Avvicinandosi, aveva notato anche il suo strano
abbigliamento: indossava una sorta di lunga casacca, in un tessuto sicuramente
molto prezioso, pieno di ricami e dai riflessi dell’arcobaleno, stretto al
fianco da una delicata corda di seta.
“Ciao.” Disse Remus.
“Ciao…” Rispose lei, senza voltarsi a guardarlo.
Remus capì subito di averla messa in imbarazzo,
doveva essere molto timida. “Disturbo?!”
“O… no!” Si affrettò a rispondere lei, scotendo la
testa e lanciandogli di sfuggita uno sguardo rassicurante.
“Sei una parente di Lily?!” Chiese Remus. Magari la
sua titubanza era dovuta al suo timore verso il mondo magico, essendo una
babbana.
“Lily?!” Chiese lei, voltandosi e mostrando uno
sguardo di disappunto. Poi parve capire, e scosse la testa. “Oh, no… sono qui
per caso…. Sono… un’amica di una sua amica….”
“Oh, ho capito. Ed ora lei non c’è e tu sei rimasta
sola.”
La ragazza fece sì col capo.
“Più o meno quello che è successo a me: e così sono venuto
qui, al lago. Ti è piaciuta la cerimonia?”
“Non l’ho vista…Non ero in sala!”
“Oh, ho capito… Comunque, io sono Remus Lupin!”
Disse l’uomo, porgendole la mano. Lei la guardò un poco titubante, poi allungò
la sua e la strinse con ben poca decisione, interrompendo il lieve contatto
molto frettolosamente.
“E tu… come ti chiami?” Chiese Remus, un po’
spiazzato dall’atteggiamento della ragazza.
“Gardenia.”
Disse.
“Gardenia?”
“Gardenia… del Lago.” (n.d.a. è più carino Gardeny
By the Lake?!)
Remus, impercettibilmente, corrugò la fronte. Quel
cognome… l’aveva già sentito… ricordava Ruf, il professore di storia della
magia, pronunciarlo… ma durante quale lezione? Si ricordava solo che il
racconto del professore relativo a quella parola lo aveva fatto vibrare di
curiosità. Ma anche di rabbia. Perché? Qual’era il mistero?!
“Mi è sembrato di aver già sentito il tuo cognome…”
Disse Remus. In fondo, non gli pareva di intraprendere un discorso troppo
impertinente.
La ragazza si voltò a guardarlo, con il suo sguardo semplice
che ora esprimeva diniego. “No, non penso. E’ assai improbabile.” Disse, con un
amaro sorriso sulle grandi labbra.
Remus studiò meglio il suo volto. Era grazioso,
semplice come il suo sguardo, dolce e timido. Il viso era lungo, il naso
piccolo e leggermente schiacciato, le labbra grandi a cuore, gli occhi a
mandorla di un intenso azzurro pastello.
La fronte era coperta da una folta frangia nera, che
però lasciava intravedere l’ombra di un disegno. Un tatuaggio forse? O un
gioiello?
No, un tatuaggio… sembravano due ali di perle nere…
Assomigliava a qualcuno. Sì, assomigliava a
qualcuno, ma lui non riusciva a capire chi.
“Scusa la mia sfrontatezza” Disse, quando la
ragazza, accortasi di essere da lui studiata, si voltò, sistemando di nuovo la
frangia per nascondere il suo segreto ”ma mi ricordi qualcuno.”
A quelle parole lei si voltò di nuovo a guardarlo,
sorridente. “E’ possibile.” Disse poi.
Remus era sempre più confuso.
Chi era costei?
Sirius era fuggito poco dopo il banchetto.
Gli doleva comportarsi in quel modo, ma non avrebbe
resistito oltre a fare l’ipocrita con i suoi amici. Non avrebbe resistito oltre
a sorridere (o addirittura ridere), fare battute, chiacchierare allegramente
con chiunque come se nulla fosse… quando invece il suo cuore aveva iniziato un
lento declino non appena, durante la cerimonia, aveva visto l’incontro degli
sguardi fra Lily e James.
E così ora era lì, sulla cima di quel colle boscoso,
da cui poteva vedere lo splendido spettacolo del castello di Hogworts
illuminato dal sole che a breve sarebbe calato.
Solaria, dove sei?!
Solaria… non ce la faccio più, non ce la faccio più… più… io…
Solaria non riesco
più a resistere senza di te. Sto per impazzire.
Era già difficile
così com’era: mi alzo dal letto e tu non sei lì, al mio fianco, che dormi
tranquilla o che mi guardi furbescamente pronta a fare una delle tue solite
birbonate… Durante la giornata non incontro il tuo sguardo, non sento la tua
allegra risata, non vedo il tuo malizioso sorriso…
Già, il tuo malizioso
sorriso… quanto mi manca.
E quanto mi manchi
prima di andare a letto, quanto mi manca il tuo morbido corpo fra le mie
braccia, i tuoi capelli che ricadono pittorici sulla pelle dorata del tuo
petto…
Merlino! Come
faccio a pensare cose del genere, sembro uno di quegli idioti pappamolle
babbani che non fanno altro che scrivere banali poesie sull’amore….
Ma tu mi hai reso
così! Tu mi hai fatto del tutto rimbecillire…
Era già difficile
prima… era già difficile, ma sapevo che così era giusto.
Ora però, non ce la
faccio più.
Vorrei che ci
fossimo stati noi su quell’altare.
Vorrei essere stato
io a guardarti con quegli occhi felici, e tu a rispondermi nello stesso modo.
Vorrei che fossi
stata tu ad entrare da quella porta, coperta in quel meraviglioso abito.
Vorrei averti
atteso io su quell’altare, pieno di timore ma allo stesso tempo felice per ciò
che di lì a poco sarebbe accaduto.
Vorrei sposarti,
Solaria… vorrei farti divenire mia moglie, amarti per tutto il resto della mia
vita e creare una famiglia con te.
Ma…
Ma non posso.
Perché non potrò
amarti mai per tutto il resto della mia vita. Appena tu te ne andrai, io non mi
ricorderò nemmeno della tua esistenza.
A che servirebbe
dunque sposarci? O creare una famiglia? O… avere dei figli?
A niente… niente
niente niente niente…
Sarebbe tutta una
grandissima, stupida, menzogna. Un’illusione.
C***o!
Perché?! Perché?!
Perché deve essere così? Perché non posso averti?! Pensò Sirius, colpendo con
furore il fusto di un giovane albero davanti a lui, che vibrò, facendogli
cadere qualche fogliolina secca addosso.
“Perché sono tornata solo ora.”
…
Sirius rimase immobile, il pugno che si trascinava con
forza sul tronco, togliendo la pelle staccata dal forte colpo.
Aveva sentito davvero quelle parole? Aveva sentito davvero
quelle parole? Le aveva udite realmente? Erano state pronunciate sul serio?
Erano state dette da quella voce davvero? Si stava sognando tutto? Di chi era
la presenza che sentiva poco distante da lui? Era pazzo?! Era pazzo?!
Sì, era pazzo.
E non si voleva voltare a guardare.
Perché lui era pazzo… e si era inventato tutto.
Il cuore gli faceva troppo male. No… no…
Non poteva essere… non poteva…
Il cuore… il cuore gli faceva male… e i polmoni gli
producevano dolore mentre respirava.
Si voltò, molto lentamente, lo sguardo sconvolto.
E il pugno si strinse ancora di più quando la vide.
Era una donna.
Bellissima.
Divina.
I suoi capelli erano… biondi, dolcemente dorati, come il
miele.
La sua pelle color nocciola.
I suoi occhi erano pura ambra.
Un raggio di sole. Bella, calda, avvenente, fascinosa,
amabile, ridente, gioiosa, vitale come il sole.
Solaria per definizione. E per nome.
Era lei?
La vide, scioccato ancora dalle emozioni che provava,
correre verso di lui e abbracciarlo con forza.
Era lei.
La strinse forte, ridendo e piangendo assieme,
accarezzandole il corpo fasciato da quello stretto bustino e i capelli, sciolti
docilmente sulle sue spalle.
E lei fece lo stesso… piangeva e rideva assieme… piangeva
e rideva…
Eros: invincibile belva dolce-amara. Saffo lo disse. E dopo così tanti
secoli, noi continuiamo a confermare la veridicità di queste parole e la realtà
di quell’ossimoro.
Sirius la scostò un attimo da se, per guardarle
meglio negli occhi… continuava a piangere, e lui stava facendo lo stesso.
Tentò di dire qualcosa.
Ma non ci riuscì.
E lei sorrise. Si alzò sui piedini, prese con
delicatezza il suo viso fra le mani, e lo costrinse ad abbassarsi fino ad
incontrare il suo… fino ad accarezzare le sue labbra. Fino ad unirsi a lei in
quel tenero, tanto ambito, primo bacio dopo tanto tempo di separazione.
E dopo il primo bacio, ne venne un altro. E dopo
quello, un altro ancora. Le carezze sui loro corpi si fecero sempre più
intense, più bramose.
Sirius, con estrema calma, iniziò a calarle il
vestito dal corpo, lasciandola poi con un semplice body. Solaria, invece, gli
tolse giacca e cravatta, e gli sfilò la camicia, lasciandolo a torso nudo.
Com’era bello… quasi non se lo ricordava quanto fosse
davvero avvenente. Sirius era l’uomo più meraviglioso che conoscesse, sotto
ogni punto di vista.
Gli sorrise, passandogli le mani sul petto in una
carezza quasi impercettibile. Sirius tremò, ma non osò chiudere gli occhi per
assaporare meglio quella sensazione… non voleva correre il rischio che lei non
ci fosse più. Voleva continuare a guardarla, eternamente, riempiendosi
totalmente della sua bellezza.
Fecero l’amore lì, abbracciati dall’erba estiva e
dalle foglie dorate che cadevano dai rami, coperti solo dai raggi del sole del
tramonto, senza staccare mai lo sguardo l’uno dagli occhi dell’altro.
E, quando entrambi ebbero raggiunto l’orgasmo, lui,
ancora dentro lei, le sussurrò, accarezzandole il volto sudato:
“Ti amo.”
Lei, birbante, lo fissò col suo sorriso malizioso.
“Lo so!” Gli disse poi, ed entrambi scoppiarono a ridere.
“Ti amo anch’io!” Gli disse poi baciandolo di nuovo
con dolcezza.
Sirius si sdraiò al suo fianco, tenendosi la testa
con un braccio e con l’altro la vita di lei, accoccolata sul suo corpo.
“Sei cambiata.” Gli disse lui, sfiorandole i
capelli, più biondi di prima, e la pelle, più abbronzata.
“Sono passati quattro anni.” Gli disse lei, con
amarezza. “Sei cambiato anche tu. E sono cambiati tutti gli altri. Però non è
giusto, siete tutti alti come giganti mentre io sono rimasta una nanerottola!”
“Ma tu sei sempre stata una nanerottola!” Gli disse
lui, beffardo.
“Mi dovrei offendere?!”
“No… mi sei sempre piaciuta così come sei.”
“Mmm… non sempre…” Rispose Solaria, sorridendo
maliziosa.
“Beh, sai, era difficile trovarti adorabile dopo che
mi avevi legati come un salame davanti a tutta la scuola!”
“Macché tutta la scuola, c’era a malapena una
cinquantina di studenti su quel vagone!”
“Lasciamo perdere…! Sei come al solito testarda come
un mulo!”
“E’ una delle tante cose che abbiamo in comune
questa, signor Sirius Black!”
“Perché sei tornata?” Le chiese di botto lui,
prendendole una mano e stringendogliela con forza.
“Perché ora sono pronta.” Rispose lei, con il solito
sorriso sulle labbra.
Lo sguardo di Sirius si oscurò.
Lei gli accarezzò il volto.
“E… perché ora c’è una possibilità che noi possiamo
stare assieme.”
A quelle parole Sirius quasi sobbalzò, e la trasse
ancora più vicina a sé, stringendola al suo petto.
“Davvero?” Chiese, con gli occhi scintillanti di
speranza.
“Sì, davvero… o, perlomeno, c’è un’alta possibilità
che tu riesca a ricordarti per sempre di me, qualunque cosa mi succeda.”
Lui la baciò.
“Allora sposami.” Le disse poi, con impeto.
Lei gli portò le braccia al collo, coricandosi sopra
di lui ridendo come una matta per la felicità. “Sì!” Gli disse poi, e, ridendo,
baciandosi, accarezzandosi, rotolarono per quel verde prato, mentre la luna
risplendeva alta nel cielo notturno.
Era successo tutto all’improvviso: lei stava tranquillamente guardando
la luna, comodamente distesa fra le sue braccia; ad un
Era successo tutto all’improvviso: lei stava
tranquillamente guardando la luna, comodamente distesa fra le sue braccia; ad
un certo punto si era voltata verso di lui e lo aveva guardato.
Sirius
aveva subito corrugato la fronte: quel sorrisetto malizioso e quello sguardo
birbante non preannunciavano mai nulla di buono.
Ed
infatti tre secondi dopo Solaria si era alzata in piedi, si era infilata fra
mille schiamazzi la biancheria, e aveva preso a saltare di qua e di la come una
talpa impazzita mentre tentava di portarsi su lo stretto tubino che formava il
suo vestito, e contemporaneamente gli intimava di vestirsi.
E
lui le aveva dato ascolto, naturalmente, senza però smettere di guardarla con
un gigantesco punto interrogativo stampato in faccia…
Una
volta pronti, lei lo aveva afferrato per una mano e trascinato giù dal colle in
cui erano, continuando a gridare come una forsennata.
Aveva
tentato di fermarla, mi sembra ovvio, soprattutto perché aveva rischiato più di
una decina di volte di trovarsi senza testa o senza qualche arto a causa dei
rami appuntiti degli alberi che intralciavano il loro cammino. Ma lei niente,
continuava ad intimargli di muoversi e di stare zitto…
Non
sapeva neanche lui quante volte ormai aveva ringraziato la Sorte per non
avergli messo in mezzo alla via qualche bastone o qualche sasso che lo avrebbero
sicuramente fatto arrivare al lago a suon di ruzzoloni…
Ora
però erano finalmente giunti alla valle, e davanti a loro risplendeva di luce
lunare il grande specchio d’acqua.
Solaria
mollò la presa, lasciandolo libero di riprendere fiato, mentre lei saltellava,
gridava, correva ovunque per la gioia.
“Dai
Sirius, muoviti!” Gli disse poi ad un certo punto, guardandolo spazientita.
Sirius
la fissò, torvo, una mano ancora appoggiata all’alberello mentre tentava di
riprendersi da quella terribile sfacchinata.
Come
diamine poteva essere ancora così fresca e pimpante dopo una corsa del genere?!
E soprattutto, come si permetteva di mostrarsi spazientita dopo che gli aveva
quasi fatto rompere l’osso del collo?!
“Muoviti
un corno, sto morendo!” Le disse.
“Uffa!
Sei proprio palloso, lo sai?!”
“Solaria,
ti rendi conto che stavi correndo come una pazza in un terreno boscoso e
scosceso, tirandomi poi dietro di te senza lasciarmi nemmeno il tempo di capire
cosa come quando perché stessimo tentando il suicidio?!”
“Bah,
quante storie per due passi…”
Sirius,
finalmente tornato alla normalità, la guardò con tanto d’occhi. Due passi?! Per
lei quelli erano stati due passi?!
“Un
vecchietto si sarebbe smosso più facilmente…” Aggiunse lei.
Sirius
iniziò a vedere rosso.
“Pappamolle!”
Concluse Solaria.
“Ah,
io sarei un pappamolle?!”
“Sì!”
“Se
io sono un pappamolle, tu sei una pazza furiosa! Sembravi una banshee mentre saltellavi
e gridava a destra e a manca senza alcun motivo!”
“Zitto,
scansafatiche!”
“Stregaccia!”
“Vecchietto!”
“Pazza
squilibrata!”
“Dovresti
andare in un ospizio…”
“Ti
dovrebbero rinchiudere in un manicomio.”
“…”
“…”
Sirius
scosse il capo, e sorrise… quanto gli erano mancati quei battibecchi con lei…
Certo, adesso lo aveva fatto dannare, però… era una dannazione cui si sarebbe
sottoposto per tutto il resto della sua vita pur di starle accanto.
“Allora,
cosa avevi in mente, razza di psicopatica omicida?!”
“Sei
sicuro che il tuo vecchio cuoricino regga una notizia del genere?”
“Sputa
il rospo!”
“Volevo
andarmi a sposare!” Disse, col sorriso più grande e radioso che riuscisse a
fare.
“…”
“Vedi,
io lo sapevo che non avresti retto…”
“…No…
no no, aspetta un attimo… che… che hai detto?!”
“Vado
- a – sposarmi… con te, mi pare ovvio!”
“Non
ha propriamente un fondamento logico ciò che stai dicendo, lo sai?!”
“Si
che ce l’ha!”
“Soly:
non abbiamo sacerdote, non ci sono gli invitati… e poi non abbiamo gli abiti!”
“Il
sacerdote… o meglio, la sacerdotessa, ce l’abbiamo. Ci sono tutte le persone a
noi più care, e per quanto riguarda gli abiti: chi se ne frega! Voglio sposare
te, non un damerino impomatato!”
“Certo
sono anch’io del parere che gli abiti non fanno il monaco… ma…” Disse lui,
guardandosi e facendo una smorfia di disgusto per il modo in cui era conciato
il suo bell’abito da cerimonia: era tutto pieno di strappi e sporco in più
punti, sempre a causa della corsa che LEI gli aveva fatto fare.
“Benissimo,
allora andiamo!” Si limitò a rispondere Solaria, prendendolo di nuovo per mano
e trascinandolo verso il luogo in cui prima aveva sede il banchetto.
Se
n’erano ormai quasi tutti andati: perfino Tonks; Andromeda era venuta a prenderla,
dicendo che non poteva rimanere otre le dieci fuori casa perché era in
punizione, a causa della media disastrosa con cui aveva concluso quell’anno
scolastico…. Della grande folla di ospiti, babbani e non, erano rimasti qualche
auror (i Paciock e Moody), Silente, e naturalmente Remus e Gardenia, che
sedevano vicino ai due sposini, parlando del più e del meno (o meglio, James,
Lily e Remus chiacchieravano animatamente, e tentavano invano di fare entrare
nella loro discussione anche la timida nuova arrivata).
James,
appena riuscì a distinguere un visino a lui molto familiare che si avvicinava
velocemente verso loro, si alzò dalla sedia e gli corse incontro gridando:
“LUCCIOLINAAAAAAAAAAAAAA!”
Solaria
mollò subito Sirius, e dopo aver lanciato un gridolino emozionato, corse
incontro al suo grande amico.
Ancora molti si chiedono come quei due fossero riusciti a
sopravvivere dopo un incontro – scontro del genere… fatto sta che, subito dopo
la botta, Ramoso prese Solaria in braccio e, continuando a ridere, le fece fare
un giro in aria.
E
quando lo raggiunse la ragazza, che gli raccomandava che forse era il caso di
stare più calmo, mollò Solaria e fece fare una giravolta anche a lei, dopo
averle schioccato un sonoro bacio.
Solaria
scoppiò a ridere, e appena arrivò Sirius al suo fianco, gli saltò addosso
abbracciandolo calorosamente.
“Che
bello essere di nuovo fra voi!” Gli disse, con gli occhi luminosi come due
stelle.
Sirius
le sorrise dolcemente.
“Non
sai quanto ci sei mancata!” Le disse.
“Voi
non tanto!” Rispose lei, un po’ vaga.
“Che?!
E perché no?!”
“Beh,
c’era una strana atmosfera obliante laggiù… se mi fossi lasciata andare,
probabilmente mi sarei dimenticata di tutto. Però non vi potevo scordare!”
“Lo
credo bene!”
“Ehi,
Solaria!” Disse una voce.
La
ragazza si voltò, e sorrise nel vedere Remus che le veniva incontro, raggiante
per la gioia.
“Lunastorta!”
disse abbracciandolo.
“Ma
allora e tutto vero! Per Merlino, quanto sei stata via! Fatti vedere: sei
cambiata!”
“Un
pochino, sì… anche tu però! Ma come sei caruccio!”
“Eehhehe,
si dice che col tempo si migliori!”
“Ma,
effettivamente!”
“Solaria!”
Gridò di nuovo James, strappandola dalle braccia di Remus e stringendola a se
di nuovo.
“E dire
che l’ha vista anche prima!” Esclamò Lily, scotendo la testa con un sorriso
rassegnato sulle labbra.
“Come,
l’ha vista anche prima?!” Chiese Sirius, sorpreso.
“Eh
sì… vedi, Soly è arrivata stamani mentre mi stavo vestendo, ed è per quello che
ho fatto ritardo… poi, questo pomeriggio, l’ho incontrata con James. Dopo lei
ci ha lasciato per andare da te.”
“Mi
sei mancata!” Disse in quel momento Ramoso all’amica appena tornata.
“L’avevo
capito!” Disse lei, ridendo a crepapelle.
“Ramoso,
lascia la mia ragazza e va da tua moglie!” Gli gridò Felpato, riappropriandosi
di Solaria, che ormai non la finiva più di ridere, e cacciando via l’amico.
James
si avvicinò a Lily e la baciò, dicendole: “Mi sei mancata anche tu!”
“Mi
sa che ti stai un po’ confondendo, caro mio: troppe emozioni in una volta sola
fanno male al tuo povero neurone!”
“Ehi,
ma l’avete sentita?! E’ di nuovo acida come prima!” Gridò James, a tutti gli
altri, che subito si misero a ridere.
“E
adesso te la sei pure sposata!” Gli disse Sirius.
Attirati
da tutta quell’allegria, si avvicinarono a loro anche Silente, Moody e i
Paciock, che appena riconobbero Solaria, la salutarono calorosamente con un
caldo abbraccio.
Soprattutto
Silente… era particolarmente felice di rivederla.
“Come
stai?” Le chiese, tenendola fra le braccia.
“Bene!
E anche lei, vedo che è sempre in forma!”
“Oh
beh, non c’è male…! E’ andato tutto bene lì?!”
“Sì,
più o meno… diciamo che ho scoperto di essere imparentata con la Dama del Lago,
un’assurda bisbetica, la quale aveva bene in mente di lasciarmi nella sua
adorata isola per il resto della mia vita! Per fortuna, grazie a… ehi, ma dov’è
Gardenia?!” Esclamò Solaria, allontanandosi da Silente per guardarsi attorno, e
non notando dunque l’amaro sospiro che fece l’uomo.
Appena
vide la cugina, che probabilmente aveva sentito chiamarla, avvicinarsi, Solaria
le andò incontro e la tirò per un braccio, conducendola in mezzo alla folla
d’amici.
“Vi
presento a tutti Gardenia, la mia cara cuginetta!”
“Oh,
avevo notato una certa somiglianza!” Disse Remus, guardando sorridente
Gardenia, che abbassò il viso arrossendo immediatamente.
“Lunastorta,
non mettere in soggezione la mia cugina preferita! E’ molto timida!” Lo
rimproverò Solaria, e ovviamente sentendola dire ciò la ragazza arrossì ancora
di più.
“Ma
tu non fai di meglio!” Le fece notare Sirius, avvicinandosi alla straniera e
porgendole una mano. “Felice di conoscerti: io sono Sirius Black!”
La
ragazza, finalmente, alzò il viso e scrutò con sguardo attento il suo
interlocutore. Poi gli strinse la mano, sorridendo amabilmente. “Sono lieta di
conoscere l’uomo di Solaria.”
“Oh,
allora le hai parlato di me!” Disse Sirius alla fidanzata.
“Certo
che sì! Le ho fatto la testa come un pallone parlandole di te!” Rispose quella.
“Ma adesso passiamo al dunque: Gardy, avrei un favore grande grande da
chiederti.”
“Certo.”
Disse quella, voltandosi a guardarla.
“Sposa
me e Sirius, questa notte: consacraci alla Dea. Un matrimonio benedetto da lei
salverà la mia progenie dalle maledizioni.”
A
quelle parole, James, Lily, Remus e i due Paciock guardarono le due ragazze
interrogativamente: di quali maledizioni parlavano? E chi era la Dea?
Fra
loro, solo Remus parve capire, perlomeno parzialmente: o comunque nacquero in
lui alcuni sospetti piuttosto fondati.
Silente
e Moody invece, che già sapevano, avevano ascoltato tutto con grande interesse.
Gardenia
assentì col capo. “Va bene: il cielo è limpido e la luna non è ancora nel suo
punto più alto. Facciamo ancora in tempo. Venite, andiamo al lago, serve
l’acqua per purificare le vostre anime.”
E
così tutti quanti, in silenzio, si diressero verso il lago, mentre James
continuava a saltare da una parte e dall’altra abbracciando chiunque perché
quello stesso giorno si sarebbe celebrato anche il matrimonio dei suoi due
migliori amici. Più volte Moody lo cacciò via in malo modo, minacciandolo
addirittura che, se non si fosse calmato, gli avrebbe lanciato un Tomacina…
(N.D.A: per chi
non si ricordasse, è l’incantesimo aggrovigliante fatto da Solaria a Sirius il
primo anno in treno…)
Arrivati
davanti al lago, i due futuri sposi si disposero ai fianchi di Gardenia, in
modo da poterla guardare entrambi in faccia.
“Solitamente,
i due promessi s’immergono nel lago completamente nudi, sussurrandosi promesse
di amore eterno, mentre la sacerdotessa benedice dalla sponda la loro unione.
Ma
non mi sembra il caso di farvi spogliare davanti ad un pubblico…”
“Io
non mi vergogno!” Disse tranquillamente Solaria.
“Ma
io non voglio che ti veda nessun’altro!” Le rispose Sirius.
“Ragazzi,
se siamo di disturbo possiamo allontanarci!” Disse Remus, comprensivo come
sempre.
“Mi
pare un buon compromesso, non ti pare Sirius?” Disse Solaria.
“Puff…
e va bene.”
“Grazie
amici, potete seguire la nostra cerimonia da lontano!” Gridò loro Solaria, e
gli altri obbedirono, retrocedendo di circa cento passi. Poi si voltò dal
ragazzo e, con il suo solito sorrisetto malizioso, gli sussurrò: “E tu che
ti stavi tanto preoccupando dei vestiti…!”
Ora
erano rimasti relativamente soli: Sirius, Solaria, e la loro sacerdotessa:
Gardenia.
Si spogliarono
rapidamente, poi entrambi, presi per mano, entrarono nelle acque del lago,
calde, immergendosi fino alla vita.
Gardenia,
nella sponda, si era messa in ginocchio e con le mani giunte davanti al volto
pregava sommessamente.
Sirius
prese le mani di Solaria, e le strinse sul suo cuore.
“Il
mio cuore, la mia anima, la mia vita… ti appartengono, Solaria Nimbus. Ti amerò
finché mi sarà permesso di farlo, anche oltre la morte se è possibile.
Va
bene così…?!”
Solaria
gli sorrise, mentre una leggera brezza li colpiva in una dolce e fresca
carezza. “Sì, va bene. La Dea ci osserva. Ed ora attende la mia risposta.”
“E
quale sarà?”
“Io
sono tua, e lo sarò per sempre. Ho posto prima te della mia stessa natura. Sei
più importante della mia stessa vita, Sirius Black. Proteggerò te e i figli che
nasceranno dalla nostra unione a costo della mia esistenza.”
“In
qualunque guerra, io ti starò vicino, combatterò al tuo fianco.”
“Non
permetterò a nessuno di farti del male, finché vivrò. E anche dopo…”
“La
Dea è soddisfatta delle vostre parole.” Disse Gardenia.
Sirius
e Solaria si voltarono a guardarla: si era rialzata in piedi, sempre con le
mani giunte, e il venticello scuoteva i suoi capelli, facendo vedere il
tatuaggio che aveva in mezzo alla fronte: due volute di piccole gocce nere,
nella cui intercapedine c’era una mezza luna, ora illuminata della stessa luce
di cui risplendeva quella nel cielo.
La
falce di luna era da sempre il simbolo della Dama del Lago. Gardenia, dunque,
aveva finalmente preso il poso della madre…
Gardenia
dispose le mani a calice, e subito due fiori, staccati da una mano invisibile
dal verde prato, vi si erano andati a poggiare.
Erano
due margherita.
La
nuova Grande Sacerdotessa di Avalon sorrise, mentre sempre quella mano
invisibile faceva avvolgere i fiori ad anello attorno a se stessi,
trasformandoli poi in cristallo. Allungò le mani verso gli sposi, e le due
piccole fedi, con loro grande stupore, andarono a poggiarsi sui loro palmi.
“Questo
anello è il simbolo della vostra unione benedetta dalla Dea.” Disse Gardenia.
“scambiatevelo.”
Solaria
e Sirius si guardarono un attimo negli occhi, pieni di emozione.
Ne
avevano passate di tutti i colori, erano stati lontani per tanto tempo, avevano
lottato contro quel male che ogni giorno li affliggeva: ma nulla aveva avuto il
potere di separarli.
Nulla.
Ed
ora, finalmente, con la stessa gioia con cui si accoglie la realizzazione di un
sogno insperato, loro stavano per divenire marito e moglie.
“Con
questo anello, io ti sposo.” Disse Sirius, ponendo l’oggetto di cristallo
nell’anulare sinistro di Solaria.
“Con
questo anello, io ti sposo.” Ripeté lei, facendo gli stessi gesti del ragazzo.
Si
abbracciarono, e poi si voltarono a guardare Gardenia.
Lei
sorrideva.
“La
Dea veglierà su di voi, e la Sua protezione non mancherà mai sulla vostra Casa.
Da
questo momento in poi ha origine la casata Blacknimbus” Disse.
Sirius
e Solaria si sorrisero. Poi, per sigillare quel fantastico momento, si
baciarono, mentre da lontano si udivano le grida di gioia del piccolo
pubblico.
La
luna, alta nel cielo, sorrideva della loro unione.
“Selene.”
Disse Sirius.
Solaria,
che iniziava a prendere sonno, sentendolo pronunciare quella parola alzò il
viso per guardarlo meglio.
“Come?”
Chiese, con voce impastata.
Il
ragazzo, disteso al suo fianco sul letto del suo appartamento a Londra, si
voltò dal suo lato.
Sorrideva.
Chissà
a cosa stava pensando…
“Voglio
chiamare nostra figlia Selene.”
Solaria
impallidì, e il sonno le scivolò addosso, svegliandola improvvisamente. Non gli
aveva detto nulla dei suoi sogni, come poteva sapere che…
“Cosa?!”
Chiese, cercando di nascondere la preoccupazione.
“Intendevo
dire che… se avremmo una figlia, voglio che si chiami Selene.”
La
ragazza, tranquillizzata dalla sua risposta, distese finalmente i nervi e si
accucciò ancora più fra le sue braccia. “Ma potremmo anche avere un maschio…”
“No,
io voglio che sia una femmina.”
“E
perché?”
“Perché
voglio che sia uguale a te.”
“Non
è una bella cosa…”
“Nessuna
maledizione cadrà sul suo capo, non è questo che diceva Gardenia?”
“Sì,
Gardenia diceva questo. Ma ciò non significa che, qualora io non riesca nel mio
compito, lei non sarà costretta a morire per salvare tutti coloro che la
circondano.”
“Ciò
non accadrà mai.”
“Perché?”
“Perché
io lo impedirò. E se non ci sarò io, ci sarà qualcun altro pronto a morire al
suo posto.”
“Come
puoi essere sicuro di ciò?!”
“Lo
sento.”
“Ma…”
“Selene…
si chiamerà Selene. E vivrà, Solaria, vivrà nel vero senso della parola. Lei
vivrà. Perché noi vogliamo così.”
Rimasero
un attimo in silenzio, l’uno stretto all’altro, persi ad ammirare il vuoto
pensando a quel dolce futuro, le loro mani che s’intrecciavano continuamente,
formando sempre figure diverse.
“Perché
questo nome?” Gli chiese Solaria.
“Perché
brillava la luna quando ci siamo sposati. Ed era così bella… Non ho mai visto
una luna così chiara e splendente in tutta la mia vita.
Nostra
figlia sarà come lei.”
“Già…”
Fu la risposta di Solaria.
Sì,
sarebbe stata proprio come la luna. Il suo volto ancora le compariva in sogno,
e oramai conosceva a memoria ogni suo singolo lineamento: capelli neri come il
cielo della notte, pelle diafana come i raggi della luce lunare… occhi grigi e
scintillanti come l’atmosfera d’irrequieta pace che solo l’astro notturno
riusciva a creare.
Urania. Solaria. Selene.
Questi
tre nomi si susseguirono nella sua mente, mentre un altro triste pensiero li
affiancava.
Il
pensiero dei loro significati.
Cielo.
Sole. Luna.
Urania
era stata colei che aveva rinunciato alla sua vita per dare al mondo la
speranza di sconfiggere il male che l’avrebbe trafitto. Col suo sacrificio
aveva posto le basi per lo splendore della figlia.
Solaria
era l’astro che avrebbe frenato il Mostro.
Selene…
cosa sarebbe stata lei?
Una
lacrima solcò il viso della giovane sposa.
Lei,
come la luna, sarebbe stata solo un povero pianeta, solo e disabitato, la cui
luce dipendeva dal sole e il cui tragitto dalla Terra.
In
altre parole, sua figlia sarebbe stata costretta a rinunciare alla sua vita a
causa di ciò che lei non era riuscita a compiere, senza avere nemmeno la
libertà di scelta come era stato per lei. Avrebbe dovuto vivere della sua luce
riflessa, rinunciando alla sua libertà per salvare la vita di coloro che la
circondavano.
Una
schiava del destino.
Sarebbe
stato giusto dare la vita ad una creatura del genere?
No.
Ma
purtroppo, i suoi continui sogni la avvertivano che, qualunque cosa fosse
successo, Selene sarebbe nata.
Era
Necessità che nascesse.
E
lei non avrebbe potuto impedirlo, nemmeno con i suoi immensi poteri.
“Ehi,
va tutto bene?” Le chiese Sirius, sentendo il suo respiro affannoso.
Solaria
deglutì, e si schiarì la voce prima di parlare. “Sì, sono solo un po’ stanca…”
“Ah,
ma allora le batterie si scaricano anche a te ogni tanto…” Commentò lui, e la
ragazza riuscì a percepire il suo sorriso birbante attraverso il buio.
Sorrise
a sua volta. Sirius, anche se inconsciamente, riusciva sempre a farle passare
il cattivo umore. “Sì, ma io resisto molto più di te!”
“Io
mi sono del tutto ripreso! Riuscirei perfino a sopportare fino al mattino
grandi e piacevoli fatiche passionali…” Fece lui vago, accarezzando il profilo
del corpo di lei.
“Non
ho nessuna intenzione di trovarti morto al mio fianco domattina, signor
Blacknimbus! Dunque, penso che ora dovremmo riposarci!”
“A
proposito di Blacknimbus… che cos’è questa storia?!”
“Oh,
niente di che: è nata un’altra casata di purosangue!”
“L’avevo
intuito… ma perché?!”
“Devi
sapere che solitamente i matrimoni fra un mago e una sacerdotessa si facevano
per creare nuove famiglie di sangue puro i cui discendenti spesso andavano ad
arricchire le schiere degli iniziati ad Avalon.”
“Mmm...
interessante… e questo cosa centra con noi? Tu mica sei una sacerdotessa!”
“No,
ma sono figlia di una Dama del Lago. Il che è quasi lo stesso. Considerando che
poi ho rischiato di rimanere là per occupare l’antico posto di mia madre…”
“COSA?!”
“…e
che solo grazie a Gardy sono riuscita a scappare…”
“Soly,
tu mi devi fare un bel raccontino di questi ultimi quattro anni…”
“Certo
amore mio, ma adesso chiudi il becco e lasciami dormire…” Bofonchiò lei,
chiudendo gli occhi e appoggiando il capo sul suo petto.
“No,
aspetta, voglio sapere… Soly, ma dormi sul serio?!”
“mm…”
“Dai,
dimmi qualcosa!”
“s..cas…ple..”
« Eh ?! »
«…scassapalle… »
« No,
intendevo qualcosa di serio… »
“Dr…mi.”
“Cosa?!”
“DORMI
RAZZA DI ROTTURA DI SCATOLE CHE NON SEI ALTRO! DORMI E LASCIA DORMIRE! TI DICO
TUTTO DOMANI MATTINA!” Gridò lei, prendendosi tutte le coperte e girandosi dall’altra
parte del letto, ben lontano da lui.
Sirius
sorrise e, dopo essere riuscito a strapparle un lembo di lenzuolo, la abbracciò
alle spalle, e dandole un bacio sui capelli, le disse
“Ti
amo…”
“Va
bene, basta che mi lasci dormire…” Gli rispose lei, con la voce impastata. E
Sirius, sempre sorridente, appoggiò la testa sul cuscino dietro di lei e chiuse
gli occhi.
Quella era la notte più
bella di tutta la sua vita.
Sirius
si voltò, ancora insonnolito, e distinse la figura seduta sul divano, che
sorseggiava una tisana calda dal sapore invitante.
“Buongiorno!”
Disse, stiracchiandosi.
Gardenia
lo guardò con un sorriso.
“Stanco?”
“Oh,
ma è una congiura qui: fra te e tua cugina non fate altro che ripetermi quanto
sono stanco…!” Mugugnò il giovane uomo, fingendosi esasperato. Non contava più
tutte le volte che quella pazza della moglie gli aveva detto che era un
vecchietto, e che per i vecchietti è d’obbligo il riposo…
“Oh,
scusami… mi pareva che fossi un po’ spossato, tutto qui…” Disse la ragazza,
abbassando il volto e arrossendo per la vergogna.
Sirius
corrugò la fronte. Decisamente Gardenia non assomigliava nulla alla cugina! Era
così timida, così per le sue, sempre intenta a cercare di non dire parole
sbagliate… le entrate in scena di Solaria, invece, erano sempre estremamente
rumorose, festose, incasinate e incasinanti, e di certo la ragazza non si
metteva molti problemi a dire a chiare lettere qualunque cosa passasse per il
suo squilibrato cervellino!
Erano
abbastanza diverse anche d‘aspetto fisico. Avevano però la stessa aria, data
forse dalle grandi labbra e le guance rotonde e rosse. Gardenia però aveva un
aspetto più aristocratico, più delicato, più fine… Solaria invece era
selvaggia: la sua bellezza era soprattutto qualcosa d’interiore piuttosto che
di fisico. I suoi lineamenti non emanavano dolcezza e innocenza, ma forza e
sensualità.
E
oltretutto Gardenia era molto alta, mentre Solaria era davvero un tappo…
Ehehehe, se l’avesse sentito pensare cose del genere, probabilmente gliela
avrebbe fatta pagare molto cara! Per fortuna lei aveva chiuso la sua mente, lo
aveva capito quella mattina, quando aveva tentato di entrare in essa e l’aveva
trovata completamente sbarrata.
E
per fortuna! Anche perché non si ricordava quante volte ormai era riandato col
pensiero al volto di Urania, notando l’incredibile somiglianza con Gardenia.
Probabilmente Solaria aveva preso molto dal padre, mentre le caratteristiche
della famiglia della madre erano capelli scuri, pelle diafana e occhi azzurri.
“Stai
tranquilla, non mi sono offeso. Stavo solo...scherzando!” Si affrettò a dire,
per togliere dall’imbarazzo la donna.
“Oh…
va bene. Ehm... dov’è Solaria?”
“Sono
qui!” Gridò quella.
“E’
sotto la doccia.” Puntualizzò Sirius, andando a prendersi una tazza di caffè.
Cosa c’era di meglio la mattina per svegliarsi e iniziare una dura giornata
d’ozio insieme alla propria famiglia? Un’ottima dose di caffeina! Anche perché
per tenere testa alla novella sposa doveva essere bello sveglio…
“Ti
sbagli di grosso, un quarto d’ora fa ero dentro la doccia, mentre tu ti
chiedevi se era il caso di alzarsi dal letto o meno; ora sono pronta!” Disse la
biondina, entrando nel piccolo soggiorno vestita di tutto punto, e dirigendosi
verso la cucina.
“Buongiorno!”
Disse poi a Sirius, schioccandogli un sonoro bacio a fior di labbra e
rubandogli poi la tazza intatta di caffè che aveva in mano.
“Quella
è mia!” Protestò lui, corrugando la fronte.
La
donna lo fissò interrogativamente, scostando la tazza dalle labbra senza averne
bevuto un sorso. “Cosa?!” Chiese poi. Pareva davvero non capisse…
“Quella!”
“Quella…cosa?!”
“La
tazza di caffè!”
“E
perché?”
“Come
perché?! L’ho preparata io!”
“Ma
ce l’ho io in mano!”
“…e
allora?”
“E
allora la POSSIEDO io non tu!”
“Già,
ma la POSSEDEVO io prima che tu me la prendessi!”
“Chi
dorme non piglia pesci, Sirius, dovresti saperlo… ormai questa tazza è MIA!”
Disse lei, in tono annoiato.
Sirius
alzò gli occhi al cielo e se ne preparò un’altra: brutta approfittatrice
stregaccia seccante.
Solaria
andò a sedersi a gambe incrociate nel divano della cugina, al suo fianco,
girando il caffè fumante e guardando con un sorriso Gardenia.
“Ciao
Gardy! Dormito bene la prima notte fuori dal monastero?”
“Sì,
grazie!”
“Allora,
sentiamo un po’: cosa ne pensi dei miei amici?”
Sirius
si sedette davanti a loro, bevendo tranquillamente il SUO caffè e guardando
alternativamente l’una e l’altra, come uno spettatore a teatro.
“O
beh… sembrano molto simpatici. E sono molto affezionati a te. Soprattutto
…J…James?!”
“Sì,
si chiama James! Si è vero, io e lui siamo sempre stati molto uniti! Forse
avrei dovuto sposarmi lui…”
“Cofcof…”
“Sirius,
va tutto bene?” Chiese candidamente Solaria, girandosi a guardare il ragazzo
che continuava a tossicchiare.
Sirius
fece con la mano segno d’assenso. “Tut..to be…ne, m’è solo andato di traverso
il caf..fè…” Disse,con voce ancora soffocata.
“Io
dico che t’è andata di traverso la mia osservazione, invece!” Disse tutta
contenta lei, sorridendogli maliziosamente.
“No,
e perché mai? In fondo, se mi fossi sposato Lily avrei avuto finalmente
qualcuno alla mia ‘altezza’…” Rispose vago, riprendendo a sorseggiare la SUA
amata bevanda.
“Già…
e poi, chissà quali follie avremmo fatto io e James a cavallo della sua adorata
scopa… mi vengono i brividi al solo ricordo delle acrobazie di Ramoso durante
le partite di Quidditch!”
“Non
quante ne avremmo fatte io e Lily in biblioteca! Conoscendo la sua perizia
negli studi, chissà quanto sarà brava a porre in atto tutte le varie mosse del
Kamasutra…”
Rimasero
a guardarsi in cagnesco, mentre Gardenia, cercando di fare il meno rumore
possibile, si alzava dal divano e andava a riporre sul lavandino la tazza della
tisana che aveva appena finito.
“Peccato
che gli avvenimenti siano andati così…” Commentò Solaria, senza staccare gli
occhi infuocati da quelli metallici di Sirius.
“Già.”
“Però…
in fondo… non mi dispiace tanto…”
A
quelle parole sul volto di Sirius comparve un ghigno… eheheheheh, si era
fregata da sola la ragazza, lui non aveva nessuna intenzione di cedere,
soprattutto dopo che lei gli aveva rubato il SUO caffè!
Stava
giusto per dire che invece a lui dispiaceva molto quella terribile situazione,
quando un’occhiata particolarmente torva della donna, che doveva aver intuito
le sue intenzioni, gli fece cambiare repentinamente idea. Era meglio non fare
arrabbiare Solaria! “Ma… neanche a me…”
“E’
finita qui?” Chiese lei, sorridendo.
“Sì,
penso di sì… a meno che tu non voglia continuare…” Commentò lui, scotendo la
testa e sorridendo. Assurda. Solaria era Assurda. Illogica irragionevole
irrazionale insensata impossibile inconcepibile inammissibile contraddittoria
paradossale incoerente inimmaginabile inspiegabile indefinibile… pazzesca… e se
volete dirlo in altri modi, sono ben accetti i suggerimenti! Solaria era
davvero terribile…
“Nooo-
disse lei, dondolando la testa come una bambina- mi va bene così!”
“Sì,
anche a me!”
Si
voltarono entrambi, sempre felicemente sorridenti, a guardare Gardenia, che
arrossì subito per le troppe attenzioni rivoltele.
“Io
volevo però sapere se tra loro c’era qualcuno che ti piaceva!” Chiese Solaria,
riagganciandosi al discorso di prima. “Vabbé che effettivamente non c’era molta
scelta… solo Remus! Dei malandrini però ci sarebbe ancora disponibile anche
Peter, non è vero Mari?”
“…”
“Mari?!”
Chiese Sirius, allibito. Chi era Mari?!
Solaria
sbuffò, e guardò il giovane sposo in cagnesco. “Sei o non sei mio marito?!”
“Certo!”
“E
cosa vuoi che ti chiami ‘marito’ per intero? E’ troppo lungo, non rompere le
scatole!”
Sirius
si portò una mano sulla fronte, chiudendo per un attimo gli occhi e pensando a
quanto potesse essere folle la sua ragazza. No… sua moglie, dalla sera prima!
“Perché
non provi a continuare a chiamarmi Sirius?!” Le disse poi, con tono
ragionevole.
“Boh…
Sirius sa di vecchio… è passato! Il solito… volevo cambiare un po’!”
“Ma
i nomi non sono una moda, Solaria!”
“E
chi lo dice questo?! Nel periodo del fascismo, in Italia, la maggior parte dei
bambini che nascevano venivano chiamati Benito, come Mussolini!”
“Ma
quella era una questione di denaro! Venivano pagati per farlo!”
“Beh,
adesso non cercare l’ago nel pagliaio, per favore! E rispondi alla mia domanda:
Peter è ancora libero?”
“Sì!”
“E
come mai non c’era?!”
“Boh…
aveva degli impegni…”
“Quindi- disse Solaria, voltandosi di nuovo dalla parte
della cugina- solo Remus è disponibile!”
“Ma io ti ho detto che anche Peter è libero..” Puntualizzò
Sirius, perplesso.
“Sì, ma Peter non fa al caso suo!” Rispose velocemente
Solaria, senza nemmeno voltarsi a guardarlo in faccia, e chiedendo subito dopo
a Gardenia, che ormai aveva assunto una bella colorazione carminia: “Che ne
dici?! Io l’ho trovato molto carino!”
“Ma allora perché mi hai chiesto se era ancora libero?!”
Perseverò Sirius.
“Sirius, possibile che tu sia così ottuso?! Era tutta una
questione di principio! Dovevo farle credere che almeno avesse una possibilità
di scelta!
Allora Gardy?!”
“Beh…
ecco…” Iniziò Gardenia, che ci mancava poco ormai si mettesse a fumare anche
dalle orecchie.
“Ricordami
di farti conoscere Tonks… incredibile quanto vi assomigliate!” Le interruppe nuovamente
Sirius, e Gardenia si voltò a guardarlo con gratitudine: altrimenti sarebbe
stata costretta a rispondere a quella domanda della cugina.
“Chi
è Tonks?” Chiese la giovane donna, voltandosi incuriosita a guardare il marito.
“La
figlia di Andromeda.”
“Quella
tua cugina che si è sposata con un babbano?”
“Sì.”
“Oh!
Ha avuto una bambina?!”
“Sì,
ma non immaginarti una lattante! La piccola ha già quindici anni! Ed è un vero
e proprio demonio!”
“Ma
non si chiama Tonks?!” Esclamò Solaria, storcendo il naso.
“No,
si chiama Nimphadora…”
“Oddio,
povera cara!”
“Già…”
“Ritornando
a noi…” Disse la sposa, voltandosi di nuovo a guardare la sua preda, che aveva
iniziato a retrocedere nel divano. Sirius corse di nuovo subito in aiuto della
cognata… incredibile quanto la moglie fosse tremendamente assediante, alle
volte!
“Ehm…
Soly, ieri hai detto che mi avresti raccontato tutto del tuo soggiorno ad
Avalon, ed in particolare della tua fuga! Allora? Non ho intenzione di
aspettare oltre! Anche perché c’è il rischio che il Dipartimento Generale
faccia una chiamata da un momento all’altro!”
“Oh,
è vero che sei un Auror ora!”
“Già…”
“Benissimo…
da dove posso cominciare?!”
“Beh…
prova dall’inizio!”
“No,
troppo lungo!”
“…
Dal mezzo?!”
“Macché!”
“Beh,
allora inizia dalla fine…”
“No.”
“Solaria,
ti vuoi decidere?!” Sbottò Sirius, esasperato.
Solaria
fece un sospiro. “Allora… il primo anno è stato una sorta di passeggiata, una
vacanza vera e propria all’insegna del benessere… soprattutto perché non mi
capitava spesso di avere in mezzo ai piedi quell’arpia.”
“Chi
sarebbe?”
“Mia
zia.”
“Tua
zia?”
“Sì…
la Dama del Lago. La madre di Gardenia. La sorella della mia vera madre:
Urania.” Disse Lucciola, tutto d’un fiato.
Sirius
la fissò negli occhi, che erano divenuti subito cupi e si erano persi in un
mare di ricordi.
Aveva
sofferto. Già… la sua Solaria aveva sofferto quando aveva conosciuto quella
verità.
“Sol…”
Iniziò lui, con voce comprensiva.
“No
Sirius…” Disse la donna, riprendendosi immediatamente e scotendo il capo. “Non
dire nulla, va tutto bene. E’ naturale che abbia provato tristezza quando ho
saputo chi ero in realtà… chi era mia madre.
Ma
poi, invece, mi sono ritenuta molto fortunata.
Non
è da tutti avere due madri, ed essere fiera di entrambe!
La
mia vera madre ha sacrificato la sua vita per mettermi al mondo, per darmi la
libertà che poi mi avrebbe concesso di compiere il mio destino. Come potrei
odiarla per questo?
L’altra
mia madre invece… quella che ho conosciuto, la sposa di mio padre… lei è stata
un modello per me, coraggiosa, intelligente, amabile. Quale donna avrebbe mai
accettato di accogliere nella sua famiglia una bambina che, oltre ad essere
figlia adulterina del marito, era di maternità completamente ignota? E
soprattutto… quale donna sarebbe riuscita ad amare tale figlio come se fosse il
proprio?!
Il
Destino, in fondo, non è stato poi così crudele con me…”
Sirius
sorrise, con un groppo alla gola. Solaria ne aveva passate di tutti i colori,
eppure non accennava nemmeno a perdere un briciolo del coraggio che l’aveva
sempre caratterizzata, anzi, giorno per giorno diveniva più forte. Riusciva a trovare
la felicità anche nella tristezza, la luce nel buio… non si abbatteva mai,
nemmeno quando il destino, assai spesso, le tirava addosso una forte
randellata. Era sempre in grado di rialzare il capo e proseguire per la sua
strada, traendo insegnamenti utili da tutto ciò che viveva.
Impulsivo
com’era, si alzò dalla sua poltrona e, dopo aver tirato su Solaria, la
abbracciò di slancio, nascondendo la testa fra i suoi morbidi capelli biondi.
Lei
rise.
“Non
ti facevo così sentimentale, Sirius Black!” Gli disse poi, guardandolo negli
occhi.
Lui,
per tutta risposta, la baciò.
“Lo
sono sempre stato con te.” Le rispose, con gli occhi scintillanti e un piccolo
sorriso che gl’increspava le labbra, mentre con una mano continuava ad
accarezzarle la pelle del viso.
Lo
sguardo di Solaria si addolcì. E rimasero muti, così silenziosamente, a
fissarsi.
Non era facile che nei loro occhi comparisse la
dolcezza… c’era sempre divertimento, malizia, furbizia, o sentimenti molto più
forti come rabbia, allegra pazzia, dolore, entusiasmo. E così, quando accadeva,
quelli erano momenti indimenticabili, sacri, immortali…
Gardenia,
la nuova Grande Sacerdotessa della Dea Madre, tremò impercettibilmente quando
assistette a quella scena.
Si dice
che l’uomo, di fronte alla divinità, non possa fare altro che rimanere
profondamente sconcertato e sbalordito, a causa della sua immensità e della sua
forza.
Fu considerando questo principio che Gardenia
definì l’amore fra loro due divino.
Perché?
Perché,
per l’appunto, era così immenso, così forte, da risultare addirittura
sconcertante…
Aveva
fatto davvero la cosa giusta nell’unire quell’uomo e quella donna in
matrimonio. E, soprattutto, nel consacrare la loro unione alla Dea.
La
loro stirpe sarebbe stata molto potente, e chissà… forse anche immortale.
Si
alzò silenziosamente dal divano, e con passo felpato si diresse verso la sua
stanza.
Solaria
e Sirius avevano bisogno di stare da soli. E lei non necessitava di certo di
sentire il suo racconto: conosceva già molto bene gli avvenimenti, dato che li
aveva vissuti anche lei!
“Stamattina
sono rimasto a letto a lungo perché stavo pensando… mi sembrava impossibile che
fosse tutto vero: che tu fossi tornata, e che ci fossimo finalmente sposati.
Pensavo
di aver sognato tutto, il più bel sogno della mia vita… E non volevo aprire gli
occhi, perché altrimenti avrei scoperto la terribile verità e sarei piombato di
nuovo nella tristezza più assoluta.”
Disse
Sirius, continuando a fissare con dolcezza negli occhi Solaria, che sorrideva.
Il
sorriso di Sirius si allargò ancora di più, e lo sguardo dolce lasciò il posto
ad uno furbo e divertito. “Poi però ti ho sentito cantare sotto la doccia, e
allora, oltre ad aver capito che era tutto vero, sono dovuto scappare via dal
letto per evitare che mi rompessi i timpani!”
“Ehi!
Traditore! Non puoi porre fine al più dolce momento della mia vita in questo
modo!” Gridò lei, ridendo, dandogli un colpetto sul petto.
“Ti
dovevo fare pagare il brusco ritorno alla realtà di stamattina, Lucciola!”
“Ah
sì, è così?! Questo era il tuo scopo principale?!”
“No!
Però, sai com’è, dato che c’ero…!”
“Bah!
Signor Felpato, mi faccia il piacere di tappare quella sua boccaccia rognosa e
sedersi qua al mio fianco ad ascoltare il racconto dei miei ultimi quattro
anni!” Disse lei, sprofondando nel divano e facendo segno all’uomo di fare
altrettanto.
E
Sirius, naturalmente obbedì.
Così
Solaria continuò col suo racconto. Nessuno dei due, però, si accorse
dell’assenza di Gardenia… erano troppo presi da loro stessi per poter badare
anche al mondo circostante!
“In
ogni caso, sono venuta a conoscenza della mia vera natura solamente al terzo
anno di permanenza ad Avalon.
Come
ti ho già detto, non corre buon sangue fra me e mia zia. Ci siamo odiate fin
dal primo momento che ci siamo incontrare.
Non
ho mai conosciuto una donna così perfida… alla stregua di tua cugina Bellatrix…
è malvagia fin nel midollo, e ama il potere più di se stessa. La sola
differenza con Bella è che lei, essendo nata ad Avalon, è stata abituata a
servire la Dea e non quel pezzo di escremento di sorcio qual’è Riddle.
Ho
perso spesso il controllo con lei… diamine, è incredibile il modo in cui riesce
a farmi saltare i nervi…
Tornando
a noi, a partire dal secondo anno lei ha iniziato a farmi da insegnante
nell’apprendimento di nuove magie e nel rafforzamento delle mie capacità.
Non
puoi nemmeno immaginarti cosa io sia in grado di fare ora… mi irrita quasi tutto
il potere che è nella mie mani. Mi fa sentire sempre più vulnerabile, anziché
invincibile.”
Sirius
corrugò la fronte a quelle parole, mentre Solaria rimaneva in silenzio. Aveva
capito cosa la faceva sentire vulnerabile.
Non
si poneva il problema dell’esito della battaglia contro il suo nemico, vittoria
e sconfitta avevano lo stesso peso.
Perché,
tanto, la Morte sarebbe sempre giunta.
E
contro di essa lei non poteva nulla. Contro di essa lei era uguale ad ogni
altro essere vivente esistente sulla faccia dell’universo.
Solaria
riprese a parlare, interrompendo così quel mare di tristezza che pochi secondi
prima aveva tentato di affogarli. “Il secondo anno, in sua compagnia, fu un
tormento infernale.
Durante
il terzo anno però riuscii a togliermela da mezzo, imparando da sola ciò di cui
necessitavo.
Fu
in quello stesso periodo, più o meno, che lei riuscì a capire che ero la figlia
della sua odiata cugina, Urania, che era scappata quando ancora mi teneva in
grembo lasciando Avalon priva di una Grande Sacerdotessa e gettando lei e la
madre nel disonore.”
“Perché?
Non capisco…”
Solaria
sospirò. “Le sacerdotesse della Grande Madre Dea sono quasi tutte veggenti e
sibille. Sanno cosa accadrà in futuro nel mondo da cui loro si sono alienate,
ma non fanno nulla per porvi rimedio perché considerano tutto come una
punizione per l’estrema corruzione e immoralità che ci domina.
Sapevano
dell’avvento di un Signore Oscuro. Lo sapevano da tempo. Ma erano pronte a non
muovere un dito.
Mia
madre però era diversa… mia madre non avrebbe lasciato morire tanta gente,
innocente o meno, sapendo di poterla salvare.
E
così scappò via, nascondendosi da loro, in modo da poter dare alla vita me.
Io
avrei avuto la forza per sconfiggere il terribile futuro.”
Sirius
fece sì col capo. Conosceva bene quella storia, gliel’aveva raccontata Silente.
Ma i particolari di cui era venuto a conoscenza da Solaria la rendevano molto
più terribile.
Solaria
allora riprese la sua narrazione. “Voleva vendicarsi di mia madre, della
vergogna che aveva gettato su di lei. E così, quello stesso giorno, mi disse
che di lì ad un anno io avrei seguito l’allenamento per divenire Grande
Sacerdotessa di Avalon, e per compensare la vita di cui Urania aveva privato la
Terra sacra, sarei stata sottoposta al Bensalem per partorire un figlio che
fosse consacrato alla Dea.”
“CHE
COSA?!” Gridò Sirius, divenendo rosso come il fuoco.
Il
sorriso malizioso comparve sulle labbra di Solaria. “Vedo che sei ben informato
sulle pratiche delle sacerdotesse!”
“Io quella l’ammazzo!” Fu tutto ciò che riuscì a
sibilare Sirius come risposta.
“L’avrei ammazzata anche io se fossi stata costretta
a eseguire il suo volere. – disse lei, con un tono di voce così duro e pregno
d’odio che stupì Sirius-
Per sua fortuna, però, sono riuscita a scappare. Non
subito, è vero… ci ho messo un bel po’ di tempo e numerosi tentativi sono
andati a male.
Però, proprio alle soglie del quarto anno di
permanenza ad Avalon, la mia fuga finalmente si è portata a compimento.”
Solaria uscì dalle sue stanze, e di soppiatto, con la
pozione anti – oblivius trasfigurata in
pendaglio appesa al collo, si diresse verso la spiaggia.
Gardenia, appostata sul balcone della facciata principale
del palazzo, le fece segno col capo di proseguire tranquilla: nessuno in vista.
Appena i suoi piedini toccarono la dolce acqua del lago,
Solaria sospirò: forse questa volta ce l’avrebbe fatta.
Avanzò nel lago, e quando l’acqua le arrivò alle spalle,
si trasfigurò in delfino (ormai aveva capito che non le conveniva diventare un
piccolo pesciolino rosso da acquario…).
Filava tutto liscio, quando, improvvisamente, iniziò a
sentirsi mancare il respiro.
Si guardò meglio, e ciò che scoprì la fece sudare freddo:
la trasfigurazione non era permanente, a tratti si ritrasformava in essere
umano… Diamine! Che cosa c’era adesso che non andava?!
Ritornò in superficie, e appena il suo capo emerse la
trasfigurazione terminò definitivamente.
Iniziò a nuotare verso la spiaggia, abbastanza lontana, e
quando vi giunse capì il motivo del suo nuovo fallimento.
La Grande Sacerdotessa stava lì, in piedi davanti al suo
palazzo, con un sorriso soddisfatto e maligno sul volto aristocratico.
Gardenia, sul balcone, circondata da vecchie
sacerdotesse, la guardava con le lacrime agli occhi.
La ragionevolezza scomparve dalla mente di Solaria, che
guardando il suo nemico con occhi di fuoco, gli lanciò addosso uno
schiantesimo.
La Dama del Lago fu scagliata con violenza verso il muro
del palazzo, dove sbatté malamente una spalla.
“Vi odio…” Sibilò Solaria, continuando a fissarla con
sguardo pregno di rabbia.
La donna si rialzò, tenendosi la spalla dolorante, e il
suo sguardo ghiacciato andò di nuovo a poggiarsi sulla nipote. “Non te ne
andrai da qui. A costo di ucciderti, non te ne andrai da qui.” Le disse.
“L’unica a morire qua sarete voi!” Gridò Solaria. Chiuse
gli occhi, e concentrandosi sulla sua preda, riuscì a penetrare nella sua forza
vitale e rubarle il potere che le serviva.
Quando li riaprì, un’onda spaventosa si stava abbattendo sulla
zia, che però, senza troppa difficoltà, la frenò e la fece tornare al suo
posto.
“Non ti è concesso usare quella magia!” Le gridò.
“Avada Kedavra!” Fu la risposta di Solaria. Un
raggio verde partì dalla mano che teneva puntata verso di lei, e la Grande
Sacerdotessa riuscì a scansarsi appena in tempo, ruzzolando a terra poco
distante e fissando la nipote con stupore e rabbia.
Non pensava che sarebbe arrivata a tanto. E ora,
arrabbiata per essere impotente nei suoi confronti, la temeva.
Solaria, ancora fradicia, si diresse con passo deciso
verso la zia, decisa a porre fine a quell’essere che per quattro anni le aveva
rovinato la vita, e che tentava di rovinarle anche il futuro.
Avrebbe compiuto un delitto, lo sapeva… ma non gliene
importava nulla. Lei voleva… lei DOVEVA tornare a casa. A qualsiasi costo.
Ma, quando si ritrovò a meno di tre passi da lei, un urlo
lancinante la bloccò e subito dopo si ritrovò scaraventata a terra.
Che diamine stava succedendo, di nuovo?!
Quando si rialzò, più furiosa che mai, la rabbia che
aveva negli occhi lasciò spazio allo sbigottimento.
Gardenia, la sua cara cugina, era lì, in piedi di fronte
alla madre, e lacrime agli occhi e l’esile corpo scosso dai singulti.
“No…non puoi… ucciderla- le disse – è mia madre!”
Dopo aver sentito ciò, Solaria si poggiò una mano sulla
fronte, quasi temesse di non poter reggere la violenza della consapevolezza che
aveva finalmente raggiunto.
Gardenia amava la madre.
Dopo tutto quello che lei le aveva fatto, Gardenia l’amava
ugualmente. Anche se era un mostro, anche se era l’essere più odioso sulla
faccia della Terra, lei l’amava perché era sua madre. Perché era sicura di aver
visto del buono in lei.
Ma di buono nella Grande Sacerdotessa non c’era nemmeno
un atomo. Gardenia, innocente e ingenua come una bambina, non riuscendo a
credere alla terribile verità se ne era creata una tutta sua.
Scosse la testa, e si rialzò. “Non l’ammazzo… solo perché
me lo chiedi tu. Ma lei non è ciò che pensi. Lei non è ciò che pensi, Gardenia…”
E, dopo averle detto ciò, si diresse di nuovo verso il lago, pronta a
trasformarsi di nuovo e tentare la fuga.
Gardenia la seguì, e appena si ritrovarono, l’una di
fianco all’altra di fronte al lago illuminato dalle luci del tramonto, la
giovane dai capelli neri disse:
“Io ho concluso la mia preparazione per divenire Grande
sacerdotessa. Mi manca solo la prova finale, ossia aprire le acque di Avalon.
Fammi provare, Solaria.”
“Sei sicura? E’ molto difficile, e richiede molte
energie.”
“Per te sarei pronta anche a morire.” Fu la risposta di
Gardenia.
La giovane sacerdotessa chiuse gli occhi, e alzò le mani
al cielo, pregando la Dea Madre di esaudire la sua richiesta.
Ben presto il sudore le imperlò la fronte, e il suo corpo
iniziò a tremare.
Solaria, sempre al suo fianco, la guardava preoccupata,
pronta ad intervenire se qualcosa fosse andato storto.
Intanto, un gran numero di
sacerdotesse adepte si era radunato nella spiaggia, dietro di loro, e le più
anziane erano andate a prestare soccorso alla Dama del Lago.
Erano passati già cinque minuti, e nulla succedeva.
Solaria oramai era pronta a chiedere alla cugina di
smetterla. Lo sforzo per richiamare il potere della Dea le stava rubando tutta
la linfa vitale.
Ma, improvvisamente, un forte vento colpì l’isola, e le
nebbie che la circondavano furono scagliate lontano, permettendo addirittura a
coloro che stavano sulla spiaggia di vedere la riva opposta, la terra esterna.
Gardenia aprì finalmente gli occhi, e quando si voltò a
vedere la cugina, la trovò sorridente, e con le lacrime agli occhi.
“Grazie, nuova Grande Sacerdotessa di Avalon. Grazie…” Le
disse Solaria.
Gardenia, sentendo ciò, si tastò la fronte. E fu felice
di sentire, fra le due volute di gocce nere, la presenza di un terzo simbolo:
la mezzaluna.
Si voltò verso le sacerdotesse, che subito s’inchinarono
di fronte alla nuova prescelta della Dea.
Una sola persona rimase in piedi.
La madre.
Fremeva di rabbia, il suo viso altero era macchiato dall’odio,
i pugni erano stretti sui suoi fianchi con forza.
Nella sua fronte, la falce di luna era scomparsa.
Solaria sorrise maligna, e prima di voltarsi e andarsene,
le disse: “Impari ad inginocchiarsi di fronte a sua figlia, ora:
Gardenia è superiore a lei, si è dimostrata assai migliore, tant’è che perfino
la Dea è stata costretta ad accettarlo. E, oltre a questo, le deve anche la
vita.
Se fossi in lei, mi metterei a strisciare come il più
umile verme ogni volta che sentissi la sua aura nelle vicinanze!
Addio!”
Ma, mentre stava ormai effettuando su se stessa l’incantesimo
di levitazione per abbandonare l’isola, sentì dietro di se degli schiamazzi.
Quando si voltò, la scena le fece pietrificare il sangue
nelle vene.
L’ex Dama del Lago era tenuta per braccia e gambe dalle
altre sacerdotesse, mentre invano tentava ancora di liberarsi.
Davanti a lei, Gardenia la fissava orripilata, mentre
ciocche di capelli neri le cadevano dalla testa e un taglio dietro il collo
iniziava a sanguinare.
“L’ha
colpita alle spalle… l’ha colpita alle
spalle!- Gardenia si voltò, fissandola con gli occhi lucidi pieni di
delusione e spavento- TI HA COLPITO ALLE SPALLE!” Gridò Solaria, gettandosi con
furia verso l’odiata zia.
Ma, ancora una volta, Gardenia la trattenne.
“Perché?! Perché fai così?! Ti voleva uccidere! Ti ha
quasi tagliato la testa!”Gridò con rabbia la Nimbus.
“Perché è mia madre… e non voglio che tu ti macchi del
suo sangue. Se mai giungerà il momento, sarò io a compiere l’atto sacrilego,
non tu.”
Si fissarono a lungo. E Solaria non ebbe il coraggio di
ribattere: la determinazione nel tono della cugina l’aveva spiazzata.
Era cresciuta. Nel giro di quei pochi istante, la bambina
che ancora dominava il suo cuore aveva lasciato il posto ad una donna adulta,
razionale, coraggiosa, forte…
Tutto era avvenuto così improvvisamente però… tutto per
colpa di quella donna mostruosa…
“Vieni con me.” Le disse, calma e sicura.
“Cosa?!”
“Le tue sacerdotesse manterranno l’ordine per te. Vieni
con me nel Mondo Esterno.”
“Perché?!”
“Perché tu sei la nuova Grande Sacerdotessa. Perché devi
vedere qual’è il mondo che voi avete rinunciato a proteggere. Perché devi
cambiare la legge di Avalon… e perché ti voglio al mio fianco.” Disse poi, con
un sorrisetto birbante in viso.
“Va bene.” Fu la risposta di Gardenia. Ed, insieme,
levitarono lontano dall’Isola Sacra.
Una volta toccata l’altra sponda, le nebbie di richiusero
celando Avalon alla vista degli esterni.
Appena aveva lasciato l’Isola, Solaria aveva sentito la
forza delle visioni percettive invaderla con violenza.
Toccata terra, cadde in ginocchio, chiudendo gli occhi e
poggiando le mani sulla testa per concentrarsi meglio.
Riuscita a cacciarle, chiudendo la sua mente, ancora un po’
barcollante si voltò, cercando Gardenia.
Era poco lontana da lei, e si guardava intorno
incuriosita e spaesata.
“Questo è il mondo esterno?!”Le chiese.
Solaria sorrise. “Sì, è questo!”
“Non sembra molto diverso dal nostro…”
“Beh, non hai ancora visto nulla!”
“Andiamo allora!”
“Ehi ehi ehi, quanta fretta! Aspetta un attimo, prima
devo sistemarti un po’!”
“Cioè?!”
“Tua madre non ti ha proprio fatto un taglio all’ultima
moda, sai?!” Spiegò Solaria.
Fece sedere la cugina su una delle tante rocce che si
stagliavano sulla riva del lago, e dopo averle curato il taglio dietro il
collo, perfezionò la sua capigliatura, creando un perfetto baschetto corto, e
coprendo i simboli sacri nella sua fronte con una folta frangia.
“Fatto?!” Chiese Gardenia, vedendo la cugina che di
fronte a lei sorrideva soddisfatta.
“Fatto!”
“Allora, dove andiamo?” Chiese poi, alzandosi in piedi e
togliendosi con la mano le ciocche che erano rimaste appiccicate alle sue
vesti.
“Mmmm…
ad Hogwarts! Ho sentito delle presenze molto interessanti laggiù…!”
“Vorresti dirmi che eri
ad Hogwarts già dalla sera prima e hai aspettato un giorno intero prima di
venire da me?!”
“Ehm… no…”
“No?!”
“No…”
“E allora cosa hai
fatto?!”
“Beh… ecco… sai com’è…
era da molto che non mangiavo una pizza, e così sono andata da Madama Rosmerta
a prenderne una insieme a Gardy…”
“Sei andata a… prenderti
una pizza?! Il tuo primario pensiero è stato la pizza?!”
“Ma no, certo che no,
imbecille! Ho pensato prima a te! Ma siccome volevo farti una bella sorpresa,
però non avevo voglia di raggiungerti in Francia, ho preferito mangiarmi una
pizza! E poi, siccome fra una burrobirra e l’altra si è fatto tardi…”
“Vi siete anche
ubriacate?!”
“No, Gardy no, non le
piace l’alcool- poi, vedendo il viso allibito del marito, aggiunse- ma nemmeno
io mi sono ubriacata! Che vai a pensare?! Ne ho bevuto solo due… forse tre… e poi
quello che rimaneva della burrobirra di Gardenia…
Non ero brilla!”
Sirius le prese il viso
fra le mani, e le schioccò un forte bacio sulle labbra. “Sei la ragazza più
assurda che io conosca! Ti adoro!” Le disse poi, scoppiando a ridere. E
Solaria, dopo avergli mollato un pugno sul petto, si mise a ridere insieme a
lui.
Erano passati quasi due mesi da quel giorno, quasi due mesi… e per tutto
quel tempo Solaria si era portata stretta al cuore la
Erano
passati quasi due mesi da quel giorno, quasi due mesi… e per tutto quel tempo
Solaria si era portata stretta al cuore la pozione anti – oblivius.
Perché?
Perché
non gliela aveva ancora data?
Semplice.
La
distruggeva il pensiero che quel sorriso che gli illuminava sempre il volto, e
che addolciva quegli occhi grigi che altrimenti sarebbero stati duri come il
metallo, scomparisse per sempre dopo la sua morte.
La
consapevolezza ha un duro prezzo. A volte è meglio stare nell’ignoranza.
Perché
dunque avrebbe dovuto riservare al suo amato un futuro decisamente triste,
mentre poteva dargliene uno assai più gradevole? Al diavolo il suo desiderio
egoistico di pretendere che qualcuno si ricordasse di lei anche dopo la morte e
piangesse sulle sue ceneri… Lei era nata per non esistere, e così sarebbe
stato. Non poteva essere insieme spettatrice e attrice della tragedia della
Vita, si era presa un ruolo che non le competeva…
Ma
ora c’era in gioco anche la figlia, diamine… cosa ne sarebbe stato di lei se
Sirius si fosse dimenticato della sua esistenza? Avrebbe accettato di tenere
una figlia di cui non conosceva la madre?
Suo
padre l’aveva fatto…
Ma
Sirius non era come lui. Sirius era completamente diverso. Sirius assomigliava
a lei. E lei, come si sarebbe comportata?
Indugiò
un pochino sulla risposta, cercando varie attenuanti, mentre la realtà alla
fine le pulsò dolorosamente nella mente: lei non avrebbe mai tenuto un figlio
del genere.
E’
brutto dirlo, è vero: ma questa era la verità. Non si sarebbe mai tenuta un
figlio di cui non conosceva il padre. Lo avrebbe dato via, lasciato a qualche
altra famiglia che certamente lo avrebbe amato più di lei.
Si
ritrovò addirittura a pensare che, in fondo, non sarebbe stata una cosa così
negativa fare crescere la figlia in un’altra famiglia… così Sirius avrebbe
potuto vivere tranquillamente, e lei, Selene, avrebbe compiuto il suo destino
portando a termine ciò che la cara mamma purtroppo non aveva avuto la forza di
fare.
Sarebbe
stata un’idea perfetta, senza dubbio, se lei on avesse avuto un cuore che le
faceva provare, purtroppo, sentimenti troppo forti che le impedivano di agire
in modo obiettivo e distaccato.
Diamine!
E’ vero che le maledizioni di Merlino avevano lo scopo di rendere le veggenti
una sorta di macchina a servizio dell’umanità… ma loro non erano macchine,
erano esseri umani! Come poteva pretendere così che la figlia accettasse di
buon grado la sua situazione, avviandosi verso il suo destino di morte senza
battere ciglio?
Avrebbe
sofferto… avrebbe sofferto tanto…
E
il solo ricordo di quei tristi occhi grigi le fece venire una stretta al cuore.
Non
poteva pensare solo al bene di Sirius o solo al bene di Selene.
Doveva
pensare ad entrambi.
E,
allora, forse la decisione migliore era dare a Sirius l’anti – oblivius. E
magari anche ai suoi amici… così avrebbero potuto stargli vicino e aiutarlo nel
dolore.
Sì,
questa era la cosa giusta da fare. E doveva muoversi ad agire.
Perché,
oramai, la Morte era pronta a bussare alla sua porta.
Erano nel piccolo salottino privato di casa
Potter. Lily era seduta sulle gambe di James, davanti al cammino ormai acceso,
mentre Remus cercava di avviare una discussione con Gardenia, tentando di non
farla arrossire ad ogni parola, ma invano…
Sirius era poggiato sullo stipite della porta
che dava alla cucina, sorbendosi la fervente chiacchierata di una ragazzina
magra, vestita con abiti senza dubbio babbani, e con una tremenda testa color…
boh… che colore era? Prato d’estate… già, i capelli sembravano tanti fili
d’erba verdi e gialli… incredibile quanto una persona potesse essere pazza!
Pazza…
Oh, forse era lei Tonks! Quella cugina
eccentrica di cui lui le aveva tanto parlato! E sì, effettivamente le stava già
simpatica! Però, Andromeda poteva anche cercarle un nome leggermente più
‘normale’, invece che Nimphadora… oddio, povera cara!
Appena Lily si accorse di lei, si alzò dalle
gambe di James e le andò incontro, abbracciandola e salutandola
affettuosamente.
“Ciao Solaria!”
“Ciao Lily! Come stai?”
“Oh… bene, grazie! Ti stavamo aspettando!
Sirius ci ha detto che avresti ritardato perché lui non poteva passare a
prenderti, essendo in servizio e non sapendo quando avrebbe finito il turno!”
Disse la giovane donna, prendendole il giubbotto e poggiandolo
sull’appendiabiti.
“Quindi anche il mio caro maritino è già
arrivato…
Puff, sempre con questa storia… io riesco ad
arrivare in orario anche se non c’è lui, e che continuo a comportami così per
fargli credere che abbia ragione: sai, non voglio farlo sentire completamente
inutile, poverino: mi fa pena…” Rispose lei, acidissima.
“Oh, ma come sei perfida, Soly!” La rimproverò
Lily, tenendo però un sorriso sulle labbra.
“Ciao
a tutti, comunque!” Disse in quel momento la biondina, rivolgendosi a tutta la
sala.
Mentre tutti rispondevano, la ragazza dai
capelli strani le si avvicinò, guardandola con gli occhi di una bambina
curiosa.
“Finalmente ti conosco!” Gridò poi, mostrando
l’espressione più felice che fosse riuscita a trovare nel suo repertorio.
“Sei Tonks, vero?!”
“Sì! E tu sei Solaria?!”
“Sì!”
“Che piacere conoscerti!” Gridò la ragazzina,
buttandosi letteralmente sulle sue braccia.
“Non sai per me! Sirius mi ha parlato tanto
della sua cara cuginetta!”
“Oh, anche a me ha parlato tanto della sua
dolce fidanzata!”
Si guardarono negli occhi in silenzio per un
attimo, poi scoppiarono a ridere.
“A dire il vero ha detto che sei una pazza
egocentrica rompiscatole dai gusti pessimi in fatto di moda!” Disse Solaria.
“E a me ha detto che sei una terribile
casinista rompiscatole, e che riesce a sopportarti a malapena!” Disse Tonks.
“Ehi, l’avete finita voi due?!” Gridò loro
Sirius, stizzito, mentre si avvicinava alla sua cara mogliettina e la
allontanava da Tonks.
“Sta lontano da quella, altrimenti peggiori!”
le disse, serissimo.
“Oh, ma piantala!”
“Sì Sirius, piantala!” Le fece l’eco Tonks.
“Per Merlino, ma chi mi ha fatto fare di farle
incontrare… Remus, perché hai portato mia cugina!” Gridò Felpato, esasperato.
“E dai, non vedeva l’ora di conoscere tua
moglie!” Rispose Remus, tranquillamente.
“E poi non penso che Soly possa peggiorare più
di così…” Puntualizzò divertito James, mentre Lily tornava a sedersi sulle sue
ginocchia.
“Ramoso, da te un commento del genere non me
lo sarei mai aspettata!” Lo rimproverò Solaria.
“Oh, Lucciola, ma era un complimento!”
“Sei sicuro?! Guarda che se no ti tolgo tua
moglie per un mese intero!”
“Sicurissimo!” Assentì con decisione il
giovane dai capelli perennemente in disordine. Stare un mese senza la moglie…
oddio… Sarebbe impazzito!
“Comunque, penso sia meglio parlare del perché
siamo qui, non trovi Soly? Prima si fa, meglio è!” Disse Gardenia in quel
momento, guardando con decisione la cugina.
Il silenzio pervase la sala. Le parole della
sacerdotessa avevano riportato tutti alla triste realtà, e più visi si fecero
scuri mentre Solaria e Tonks, insieme a Sirius, prendevano posto davanti a loro
su delle sedie.
“Vi è stato detto tutto?” Chiese
tranquillamente Solaria.
“Sì, tutto quanto.” Disse James, con voce
flebile.
“Mi dispiace avervi fatto pervenire notizie
così tristi tanto improvvisamente… ma era giusto che anche voi sapeste. Ed era
giusto dunque che anche voi beveste questa pozione.” Disse la ragazza,
tirandosi la catenina appesa al collo e poggiandola sul pavimento in mezzo a
loro. Dopo aver pronunciato alcune parole, subito il piccolo oggetto si
trasfigurò in un grande calderone, pieno di una strana sostanza fumosa.
Gardenia si avvicinò ad esse, facendo
comparire un lungo bicchiere nelle sue mani, e riempiendolo della sostanza.
“Alla pozione manca un solo ingrediente: il vostro sangue. Perché dovrà essere
nutrita dei vostri stessi ricordi, affinché essi possano perdurare anche
dopo…anche dopo la morte di Solaria.”
Tutti ebbero un sussulto a quelle parole,
mentre le lacrime, che Lily era riuscita a malapena a scacciare prima, durante
il racconto della sacerdotessa, riprendevano a scorrere sul suo bel viso. James
le poggiò una mano sulla spalla, e lei scosse la testa mestamente.
“Scusami Soly, scusami tanto… ma non riesco ad
essere forte come te.” Disse la ragazza.
“La mia forza è solo frutto dell’abitudine,
Lily.” Disse tranquillamente la Nimbus, tenendo lo sguardo fisso a terra.
“Comunque, se la notizia ti può aiutare a stare un po’ meglio… lascerò una
piccola traccia della mia presenza prima di andarmene!”
Gardenia, che stava versando l’ultimo
bicchiere di pozione destinato a se stessa, rimase immobile e voltò lo sguardo
verso la cugina, come del resto tutti gli altri nella sala.
Anche Sirius la fissava interrogativamente,
anche se un barlume di cognizione splendeva nei suoi occhi.
“Sono incinta!” Disse poi, con un sorrisone a
trentadue denti.
All’inizio sei facce sbigottite la fissarono…
poi, lentamente, la consapevolezza che quella era davvero una bella notizia
raggiunse il cervello di ognuno di loro, e Sirius per primo le saltò addosso,
prendendola in braccio e baciandola in continuazione senza lasciarle nemmeno la
possibilità di respirare, mentre gli altri facevano baccano tutt’intorno.
“Da quanto lo sai?!” Le chiese Sirius, allegro.
“Beh… esattamente dal nostro primo incontro
dopo tanti anni di separazione!” Gli disse Solaria, sorridendo.
“Cosa?! E hai tardato così tanto a dirmelo?!”
“Beh, non ne ero sicura!”
“Mollala subito, cagnaccio rognoso!” Gridò
James in quel momento. Sirius non fece nemmeno in tempo a voltarsi e guardarlo
torvo che un paio di mani gli strapparono letteralmente la moglie dalle
braccia, chiudendola in uno stretto abbraccio.
“Oh, Soly, mi hai reso l’uomo più felice della
Terra!” Gridò, facendola volteggiare per la stanza mentre lei rideva divertita.
“Mi hai reso l’uomo più felice della Terra un
corno, Ramoso! Molla subito mia moglie o ti stacco le braccia a morsi!” Gridò
Sirius, furioso.
“Sei solo geloso!” Disse James, fermandosi e
guardandolo con un musone.
“Ma geloso di cosa?! Sono io il padre!”
“Sì ma io sono lo zio!”
“No, tu sei solo un grande rompipalle! Torna
da tua moglie e vedi di darti da fare con lei!”
“Ma lui si da da fare…” Disse una vocetta in
fondo alla sala.
Tutti si voltarono, fissando Lily che diveniva
lentamente sempre più rossa, consapevole che i presenti avevano inteso male il
senso delle sue parole.
“Per
caso hai deciso di descriverci le prestazioni a letto di tuo marito, Lilian?!”
Gli chiese infatti pungente Sirius, con un ghigno in faccia.
“No Felpato, anche se so che ti piacerebbe ricevere
lezioni per migliorare le tue.” Rispose provocatoriamente la ragazza,
fissandolo accigliata. Purtroppo, ogni tanto, fra la Evans e Black continuava a
non scorrere propriamente del buon sangue…”Intendevo dire semplicemente che
anche io aspetto un bambino, che dovrebbe nascere esattamente… verso la fine di
luglio!” Disse lei, dopo aver fatto mentalmente il calcolo.
Silenzio.
“Waaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!”
Gridò James, mollando Solaria, che non cadde a terra solo grazie al repentino
intervento di Sirius (il quale ormai era pronto a scagliare una Maledizione
Senza Perdono a quello che fino a pochi attimi prima considerava il suo
migliore amico), e correndo ad abbracciare la moglie.
“James, e togli il disco!” Gli gridò Tonks,
mezzo stordita da quel fiume di parole.
“James, penso che dovresti dare ascolto a Dora…!”
Gli disse Lily, sorridente.
“Tiamotiamotiamotiamotiamotiamo…”
E dato che il marito non accennata a smettere
con la sua cantilena, interruppe il flusso infinito di parole con un passionale
bacio, che lasciò James completamente senza fiato.
“Che schifo…” Commentò Sirius, sedendosi e
facendo accomodare la moglie sulle sue gambe.
“Sono così carini!” Disse invece Solaria.
“Sembrano due polipi.”
“Anche noi lo sembriamo quando ci baciamo!”
“No, noi abbiamo molta più grazia di loro!”
“Non è vero, siamo esattamente identici!”
“Non dire scempiaggini… e poi guardali… MA VI
SIETE SCORDATI CHE NON SIETE SOLI IN CAMERA DA LETTO?!” Gridò Sirius, vedendo
che il bacio continuava a perdurare e James aveva iniziato ad accarezzare in
modo provocante la moglie.
Subito i due si staccarono, Lily rossa per l’imbarazzo
e James allegro come non mai, e dopo aver chiesto scusa ai presenti tornarono a
sedersi nel loro posto.
“Finalmente! Siete davvero disgustosi!” Gridò
Sirius.
“Quanto sei noioso!” Gli disse Tonks.
“Sta zitta, peste.”
“Ehm…” Mugugnò Gardenia, schiarendosi la voce
e arrossendo subito quando l’attenzione di tutti si fu di nuovo voltata verso
loro. “P-Penso
che dobbiate i-iniziare a preparare la vostra personale pozione…”
Nella stanza calò di nuovo il silenzio, e
ciascuno dei presenti prese il proprio bicchiere, aggiungendo al liquido già
presente una goccia del proprio sangue.
“Solaria, consiglierei anche a te di berlo.”
Disse Gardenia, dopo aver bevuto il suo.
“Perché, Gardy?”
“Perché così tua figlia si ricorderà di te.”
“Sai già che è una femmina?!” Chiese Sirius,
gli occhi scintillanti, mollando subito la sua pozione.
“Ehm… sì, sarà una bambina!” Rispose Solaria,
mentre Gardenia le versava la pozione in un nuovo bicchiere.
“Allora la chiameremo Selene davvero!”
“Certo, se è questo che vuoi…” Disse,
afferrando il bicchiere e mettendoci dentro una goccia di sangue.
“Come fai a saperlo?” Le chiese Sirius, mentre
lei si scolava tutto l’anti – oblivius.
La stanza
si riempì di strana polvere nera, mentre una presenza aleggiava maligna in
essa.
Poi ci
furono due lampi verdi, e due corpi caddero sul pavimento.
Sirius
costrinse Solaria dietro di se, proteggendola da ciò che nemmeno lui riusciva a
vedere.
Un raggio
azzurro lo colpì, e Sirius stramazzò a terra, immerso nei dolori più atroci che
mai avesse trovato.
Solaria
gridò.
“Mia
piccola veggente, ci rincontriamo finalmente.” Disse una voce strascicata. Solaria
alzò gli occhi, mentre il terrore lasciava velocemente spazio all’ira. Due
occhi rossi, come fari, risplendevano nel buio più immenso.
“Pezzo di
stronzo!” Gridò poi, lanciandogli subito un Avada Kedavra, che Voldemort riuscì
a scansare molto velocemente. Subito però, la colpì uno schiantesimo,
proveniente da un’altra direzione.
Solaria
finì scaraventata per terra. “Troppo vigliacco per venire da solo, non è vero
Riddle?”
“Volevo
solo darti il bentornato che ti meritavi, Nimbus.” Rispose lui. “Ti do un’ultima
possibilità. Se ti unisci a me, il tuo amato avrà salva la vita. Altrimenti,
morirà anche lui, come già i tuoi stupidi amichetti.”
Solaria
quasi soffocò nel sentire quelle parole. I suoi amici… erano morti.
Un brivido freddo
la percorse.
Non poteva
stare a piangerli ora. Doveva agire.
Si rialzò
in piedi.
Era l’ora
della battaglia finale.
“LUMOS”
Gridò, e subito la luce tornò nella stanza.
C’erano
quattro Mangiamorte, e, davanti a loro, Voldemort. I cadaveri di tutti i suoi
amici erano riversi in strane posizioni per terra, mentre Sirius si contorceva
ancora per terra.
“Saremo
solo io… e te.” Sibilò Solaria, e subito i quattro Mangiamorte si accasciarono per
terra privi di vita. Poi guardò un attimo Sirius, alzando una mano verso di
lui, e i suoi dolori cessarono, mentre il suo corpo veniva rinchiuso in una
bolla azzurra.
“Cosa gli
hai fatto?!” Gridò Riddle. La sua voce tradiva il suo nervosismo.
“Ciò che
farò ora anche a te.” Disse semplicemente Solaria, fissando i suoi occhi d’ambra
su quelli rossi suoi.
Si
concentrò, e tenendo fissi gli occhi sul nemico cercò di invadere la sua mente
con i suoi poteri, per prenderne completo possesso.
Voldemort
scosse un paio di volte, con violenza, la testa, cercando di scacciare l’intruso
captato. Lanciò anche un’Avada a Solaria, ma questa riuscì a scansarlo e a
mantenere perfetto il contatto.
Dopo poco,
la mente di Voldemort cedette. E, una volta dentro essa, Solaria pronunciò
finalmente il mortale incantesimo.
“Sei una
stupida se pensi che io me ne andrò così…” Riuscì però a sibilare Riddle.
E, pochi
istanti dopo, qualcosa bloccò il flusso del suo potere che tornava nella sua
mente.
Riddle era
riuscito a creare un contatto.
E con
grande orrore della ragazza, era riuscito anche a trasmetterle l’infausto tarlo
che ora lo stava rodendo.
Ma mentre
Voldemort oramai moriva, lei rimase distesa a terra, scossa da violenti
brividi.
Questa
volta la sua mente non ce l’avrebbe fatta a respingere un’Avada Kedavra, non
tanto facilmente almeno
L’ultima
immagine che ebbe Solaria prima di svegliarsi fu quella di Sirius, solo,
rinchiuso per il resto della sua vita in una stanza del san Mungo, mentre
invano i medi-medici cercavano di curare la pazzia che il Cruciatus lasciava
sulle sue vittime.
Sirius
era solo. Pazzo. E non si ricordava di lei, perché non aveva finito di bere la
sua pozione.
Al
suo capezzale, una ragazza dai lunghi capelli neri e i tristi occhi argentei lo
guardava piangendo.
Anche
lei era sola, senza madre né padre.
Sola,
con un immenso potere da controllare.
Sola,
con un nemico ancora da distruggere.
Perché
Voldemort non era morto, no… il suo spirito, troppo forte, era riuscito a
salvarsi e aveva ritrovato un corpo grazie ai suoi adepti.
Ciao a tutti
quelli che ancora mi seguono!!!! Allora, volevo dare delle piccole spiegazioni:
i ragazzi si
sono riuniti tutti quanti a casa Potter, perché Solaria si è decisa a rivelare
tutto di se stessa (loro non sapevano ancora nulla), e ha lasciato questo duro
compito a Gardenia, che essendo una sacerdotessa di Avalon è molto più abile di
lei nel descrivere la condizione delle veggenti dopo le maledizioni di Merlino.
Voldemort è
riuscito a sopravvivere, come del resto è successo con Harry Potter, perché è
diventato forte più o meno come Solaria, e come lei, riesce a sopportare il
peso del primo Avada Kedavra che gli viene rivolto. Il secondo debilita troppo
l’apparato nervoso, costringendo il malcapitato ad una lenta morte cerebrale, com’è
poi successo per Solaria.
Prima di
morire però Lucciola è riuscita a portare innanzi la gravidanza (soprattutto
grazie ai Medimedici), e così Selene è riuscita a nascere ugualmente.
Quel pirlone
di Sirius, siccome non ha bevuto tutta la pozione, non si ricorda nulla di
Solaria, né tanto meno di avere una figlia. E così, nemmeno nei momenti di
lucidità riesce a riconoscerla.
Selene dunque è
completamente da sola, non c’è nessuno della sua famiglia che possa aiutarla.
E, alla sua
vita già di per se orribile, si aggiunge il suo destino di morte sicura.
Maggiori
esplicitazioni nel prossimo capitolo!!!!!!!! Ciaoooooooooo!!!!!
E, come
sempre, GRAZIE INFINITE A JOY E DONNASOLE CHE CONTINUANO IMPERTERRITE A SEGUIRE E RECENSIRE
LA MIA FF!
Grazieeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!!!!!!!
E grazie,
naturalmente, anche a coloro che continuano solo a leggerla: se potete,
commentate anche, grazie!!!!!
Kishal
(P.S x Joy: il mio Nick non ha un senso particolare… è lo
stravolgimento del nome di un personaggio di una mia vecchia storia, Shakil.
Sai, adoro i nomi che iniziano per s, o che contengono suoni sh… non so perché,
li trovo semplicemente deliziosamente musicali!!!! Ciaooo! ;P)
Che…
che… che diamine…. Cosa… Cos’era quello… cosa significava… che diamine stava
succedendo?!
Calmati,
Solaria, calmati… era solo uno stupido sogno.
Non
è morto nessuno, i tuoi amici sono ancora tutti vivi, Tu sei ancora viva!
Sirius non è in un manicomio, Selene non è una povera sfigata senza nessuno con
la falce della Morte puntata al collo…
Calmati
Solaria, calmati…
Era
solo… era solo…
…Uno
stupido sogno…
Col
cavolo che era solo uno stupido sogno! Una persona normale poteva considerarlo uno
stupido sogno, non una strega, né tanto meno una veggente!
Per
Merlino… Per Merlino!
Come…
come poteva… Perché tutte a lei?! Adesso come diamine faceva?!
“Mmmm…
Soly…” Mugugnò Sirius, rigirandosi fra le coperte.
Solaria
si voltò a guardarlo, ancora il magone addosso.
Sirius…
Le
veniva quasi da piangere. Quello era il destino che sarebbe toccato ai suoi
cari? No, non poteva accettarlo….
Sirius
si rigirò di nuovo nel letto, cercando una posizione che lo soddisfacesse,
senza però trovarla. Gli mancava qualcosa… Già, qualcosa di morbido e caldo da
abbracciare… Dov’era la moglie?!
Si
levò su un gomito, sbattendo più volte le palpebre.
“Soly!”
Disse poi, mentre un attimo dopo sbadigliava sonoramente e si grattava la testa
confuso. “Che ci fai sveglia?”
Per
fortuna era buio, si ritrovò a pensare Solaria, e non poteva vederla bene in
viso… altrimenti avrebbe capito che…
“Qualcosa
non va?”
Appunto! Diamine, e adesso che gli dico…
“No,
tutto a posto.” Disse, tentando di tenere un tono calmo e tranquillo, ma
apparendo invece fredda e scostante.
Sirius,
però, non ci fece caso. “Va bene, allora vieni qui.” Le disse, sbattendo un
paio di volte la mano sul materasso davanti a se.
Solaria
obbedì, e appena gli fu vicino Sirius la strinse a se, circondandole la vita
con il braccio e poggiando la testa sul cuscino sopra di lei.
“Perché
sei sveglia?” Le chiese poi, l’ultimo dubbio prima di tornare a crollare nel
mondo dei sogni.
“Nulla…
un brutto sogno.” Rispose, vaga, con lo stesso tono di prima.
A
quelle parole però Sirius parve ridestarsi del tutto.
“Soly,
un brutto sogno?!” Chiese, palesemente preoccupato. “Uno dei tuoi brutti
sogni?!”
Solaria
tardò a rispondere. E che gli diceva?! Non voleva farlo preoccupare… era lei la
veggente: lei vedeva il futuro e lei doveva porvi rimedio, senza intromettere
nessun’altro, tanto meno le persone che più le stavano a cuore, se non voleva
farle stare male.
Ma
non voleva nemmeno mentirgli, diamine! Si sentiva un vero schifo ogni volta che
non gli rivelava la verità, figurarsi quando invece la contraffaceva!
“S-No!”
Si ritrovò alla fine a rispondere. Basta, non doveva farlo soffrire!
“Sno?!”
“N-sì!”
Ma non poteva mentirgli!
“Nsì?!?!”
“…boh…”
Rispose alla fine.
“Soly!”
Gridò allora Sirius. “Ma che dici?!”
“Non
lo so Sirius, ho sonno… lasciami dormire!”
“Lucciola,
se c’è qualcosa…”
“C’è
solo la tua chiacchiera continua che non mi lascia chiudere occhio. Ti dispiace
tapparti?!”
“Pfiu,
e io che cercavo di essere gentile… mai più! Ricordatelo, da domani cambiamo
musica!”
“Ma
sta’ zitto… e dormi!”
“Sì
sì…” Mugugnò Sirius, in un tono che doveva essere minaccioso ma che invece
risultò semplicemente assonnato.
Appena
lo sentì addormentato, Solaria sospirò.
Cosa
avrebbe fatto? Doveva impedire quel massacro… E aveva tutti i mezzi per farlo.
Sì, aveva tutti i mezzi per mettere i bastoni nelle ruote a Riddle ancora una
volta. Sarebbe bastato un piccolo cambiamento a quel susseguirsi di azioni, che
tutto il futuro sarebbe stato stravolto.
Ce
l’avrebbe fatta… quel domani che aveva visto non sarebbe mai avvenuto… sì, ce
l’avrebbe fatta…
E,
con questi ultimi pensieri confortanti, mentre la speranza iniziava a nascere
nel suo cuore, si addormentò.
Cavoli,
ci mancavano solo le nausee mattutine adesso… Aveva delle vite da salvare, non
poteva permettersi di rimanere tutta la mattina in bagno a vomitare! Uffa,
quella bambina era un vero tormento già ora che era un piccolo microbo,
figurarsi cosa sarebbe divenuta crescendo…
Anche
se questo, purtroppo, non l’avrebbe mai saputo: in ogni prospettiva futura che
le si era mostrata, lei moriva sempre dopo aver dato alla luce la figlia… Non l’avrebbe
mai vista crescere, non le avrebbe mai sentito pronunciare le prime paroline,
non l’avrebbe mai vista ridere e giocare con altri bambini, non l’avrebbe vista
il suo primo giorno di scuola, e nemmeno avrebbe potuto vedere la sua gioia
quando le sarebbe arrivata la lettera da Hogwarts.
Probabilmente,
non l’avrebbe mai nemmeno vista!
Solaria,
più triste che mai, uscì dal bagno, finendo di pulirsi il viso con il morbido
asciugamano.
Si bloccò
quasi subito, quando vide Sirius, seduto sul letto, fissarla con la fronte
corrugata.
“Qualcosa
non va?” Le chiese.
“Perché?”
Rispose lei.
“Ma
non saprei… Ho iniziato a pensare che qualcosa non andasse stanotte, quando
stranamente ti sei svegliata invece che dormire tranquillamente vicino a me. Ma
tu hai detto che non era nulla, e così non ci ho fatto caso.
Stamattina
però, sono accadute troppe cose strane: prima di tutto ti sei alzata all’alba; poi
non hai cantato sotto la doccia costringendomi a fuggire dalla stanza da letto;
a colazione non mi hai rubato il caffè, ma hai preferito che ti facessi un tea
e te lo sei scolato tutto ugualmente senza battere ciglio nonostante avessi
messo, per caso, il sale al posto dello zucchero.”
“Cosa
avresti fatto?!” Gridò quasi Solaria, guardandolo con tanto d’occhi. Ora le
veniva qualche dubbio riguardo alla sua nausea mattutina…
“Beh,
non è colpa mia! Tu hai messo lo zucchero nel barattolino del sale e il sale in
quello dello zucchero!”
“Ah
sì, è vero… me n’ero accorta ma poi non avevo voglia di rimetterli a posto…”
“La
solita pigrona. Allora, c’è qualcosa che non va? Stai male per caso? E’ da un
po’ che rimetti tutta la colazione la mattina.”
Solaria
rimase muta, con gli occhi sbarrati, l’asciugamano ancora in mano, a fissarlo.
E
se avesse iniziato a stravolgere il futuro da ora? Gli esiti dei suoi movimenti
li avrebbe poi potuti controllare con le visioni volontarie, come sua zia
(la sua carissima zietta adorata che aveva quasi ucciso) le aveva insegnato…
“Forse
se le chiamassi nausee mattutine riusciresti a capire meglio che cos’ho?” Disse
con un sorriso sulle labbra, un attimo prima che Sirius le chiedesse nuovamente
se stava bene.
L’uomo
la fissò interrogativamente. Sì, quella parola gli ricordava qualcosa… ma di
preciso nulla…
Solaria
sbuffò. “Sei più citrullo di quanto pensassi, maritino mio caro!”
“Ehi,
e io che ne so!” Si lamentò lui.
“Dovresti
saperlo!”
“Beh,
dato che non lo so dimmelo tu allora, genia!”
“Dannazione
a voi genere maschile! Per l’esiguo contributo che date al mantenimento della
specie umana, potreste anche non esistere! Al posto vostro avrebbero anche
potuto inventare degli spermatozoi volanti!” Sbottò la ragazza, gesticolando
vivacemente.
“Ehi,
no, aspetta… ma che diamine stai dicendo?! Che centra questo? E poi guarda che
noi maschi diamo un solido contributo al mantenimento della specie umana:
considera che altrimenti non sarebbe così piacevole…”
“Piacevole
un corno! Alla maggior parte di noi, povere sfigate, capita un animale che ha
soltanto voglia di sfogare i suoi istinti oppure un povero idiota che non sa
nemmeno da dove s’incomincia…”
“Sì,
va bene, ok… ma ripeto: che centra questo?!”
“Ancora
non l’hai capito?”
“No.”
“Sono
incinta Sirius. Suvvia, svegliati!”
“E
per questo mi hai fatto un casin… COSA?!” Urlò, balzando in piedi.
Solaria,
a quel punto, iniziò a guardarsi con soddisfazione le unghie della mano. “Già!”
Mugugnò poi, senza guardarlo in faccia.
Sirius
le si avvicinò lentamente, gli occhi scintillanti, un insicuro sorriso sulle
labbra. Le sollevò il viso con un dito, e la costrinse a guardarlo.
“Aspettiamo
un bambino, Soly?” Chiese in un sussurro.
“No,
aspettiamo una bambina, Sirius. Una splendida bambina che tu hai deciso di
chiamare Selene.”
Il
sorriso di Sirius, da incerto qual’era, divenne sicuro e molto più ampio, e gli
occhi, lucidi per l’emozione, si spostavano in continuazione dal viso di
Solaria al suo ventre ancora piatto.
L’uomo
vi poggiò una mano sopra.
“Sta
qua?”
“Beh,
ti facevo molto più esperto in fatto di anatomia umana, soprattutto di quella femminile!
Certo che sta lì!”
“Ma
io sono esperto, e mi pare di avertelo dimostrato più volte…” Rispose lui,
malizioso.
“Mmmm,
sì… più o meno…” Disse lei, vaga.
Sirius
la baciò. Un bacio leggero, sensuale, che la scosse da capo a piedi facendole
desiderare molto di più.
“Se
non fossi già in ritardo, rimarrei qua a dimostrarti la mia bravura in quella
materia…” Le disse, sfiorandole ad ogni parola le labbra con le sue. “Ti amo.”
Aggiunse poi.
“Anche
io… e anche Selene, molto…”
Crak
Appena
Sirius scomparve, Solaria sospirò, poggiandosi una mano sulle labbra. Quando il
marito faceva così la lasciava stordita per molto, molto tempo…
Ma
ora si doveva riprendere in fretta! Aveva un futuro da modificare!
Si
sedette sul letto e chiuse gli occhi. Vediamo ora cosa sarebbe accaduto…
Gardenia
accorse correndo nella stanza della cugina, da cui aveva sentito provenire il
suo urlo di dolore.
Aperta
la porta, la vide: era sul letto, il capo nascosto fra i cuscini, e il corpo
scosso dai singhiozzi.
La
Sacerdotessa le si sedette vicino, e, sebbene un po’ titubante, le accarezzò una
spalla.
“Soly…
che c’è?” Le chiese poi.
Solaria
si levò velocemente a sedere, prendendo con furia le mani di Gardenia e
guardandola col viso rigato di lacrime.
“Cos’è
successo, Solaria?!” Chiese allora la ragazza, sempre più preoccupata.
“C’è
che sei morta! Tu, Sirius, Lily, James e Remus! La piccola Tonks è al San
Mungo in fin di vita ! E io… io muoio dopo il parto! »
Dapprima,
alla Dama del Lago si gelò il sangue nelle vene, mentre un brivido freddo la
percorreva tutta.
Morti,
tutti morti…
Poi
capì… il tono, l’uso del presente nel parlare… Non potevano essere che “Visioni?”
“Sì!
Visioni! Visioni catastrofiche! Muoiono sempre tutti! E’ da stanotte, dopo quel
sogno, che sto tentando di stravolgere il futuro! Ma non ci riesco! Prima ho
provato a dire a Sirius che ero incinta, ma niente, morivano sempre tutti…
Allora ho chiamato Lily e le ho detto di dire al marito che era incinta,
altrimenti lo avrei fatto io- ma niente, anche ora muoiono sempre tutti! Gardy,
che devo fare?!” Gridò, al colmo dell’esasperazione.
“Raccontami
il sogno.”
“No,
è troppo brutto!”Disse la giovane sposa, scotendo veementemente la testa.
“Nel
tuo sogno io sapevo cosa sarebbe accaduto?”
“No…
erano tutti ignari, perfino io, del fatto che Voldemort ci avrebbe presto
uccisi! UCCISI TUTTI!”
“Allora
raccontamelo: è un altro dettaglio differente, potremmo continuare a modificare
il futuro!”
Solaria
la fissò, il viso ancora rosso e lo sguardo incerto. “Va bene.” Disse poi. “Nel
sogno siamo a casa di Lily, questa sera, nel suo salotto.”
“Perché?”
“Perché
l’ho voluto io… Per essere più esatti, tu, per mio volere, hai raccontato a
tutti loro- Tonks, Remus, James e Lily- cosa sono e qual è il mio destino, in
modo da potergli dare l’anti-oblivius.
Arriva
Sirius, poi arrivo io. Dico di essere incinta, poi anche Lily lo dice… e dopo
arriva Voldemort e ci uccide tutti!”
“Allora,
ora prova a chiudere gli occhi e a concentrati per avere un’altra visione.
Magari è cambiato qualcosa.”
Solaria
fece sì col capo, e sempre tenendo le mani della cugina ben strette nelle sue,
chiuse gli occhi e, dopo un sospiro, si preparò ad avere una nuova visione.
Magari questa volta sarebbe cambiato qualcosa in meglio…
Un
quarto d’ora dopo la biondina stava di nuovo piangendo, con la testa poggiata
sulla spalla di Gardenia: questa volta solo la sacerdotessa e Tonks erano
sopravvissute, Sirius era pazzo al San Mungo e Remus in fin di vita. Lily e
James, insieme al loro bambino, erano sempre morti. E la stessa fine toccava a
Solaria, dopo aver dato alla luce la figlia.
“Beh,
però stiamo avendo dei miglioramenti…” Disse Gardenia, accarezzandole la testa
per farla calmare.
“Un
corno di miglioramenti! E’ sempre una strage!” Gridò lei.
Poi,
un attimo dopo, si staccò dalla cugina e balzò in piedi, portandosi davanti a
lei e guardandola con un risoluto sguardo che non prometteva nulla di buono.
Ecco,
il dolore iniziava già a darle alla testa… E quando una come Solaria, già pazza
di natura, impazzisce oltremodo per cause esterne… beh… non si può sapere quali
inimitabili cavolate possa compiere…
“Bene,
ho capito! Vado da lui e lo ammazzo ora!”
“Cosa?!”
Sussurrò Gardenia, sbalordita.
“Sì,
perfetto! Così non potrà venire ad uccidere tutta la mia famiglia! Lo precederò
nell’azione!”
“Non fare sciocchezze, Soly! Potresti peggiorare di
gran lunga le cose! Voldemort è forte! Se fosse tutto davvero così semplice, l’avresti
potuto eliminare tempo fa! Prova a vedere nel futuro! ”
“Hai
ragione…” le disse un attimo dopo.
“Cos’è
accaduto?”
“E’
accaduto che io e Voldy ci siamo uccisi a vicenda, solo che i suoi seguaci si
sono presi mia figlia e l’hanno allevata come una Mangiamorte, e quella li ha
aiutati a fare sorgere di nuovo l’Oscuro Signore ed, insieme a lui, vi ha
uccisi tutti!
Splendido, di male in peggio!
Adesso
ho anche una figlia dannata e assassina!” Gridò, mentre le lacrime
ricominciavano a percorrere il suo viso.
Diamine,
perché accadeva tutto quello? Proprio mentre pensava di essere finalmente
felice, proprio mentre ormai era dell’idea che, in fondo, il Destino non fosse
stato così crudele con lei… tutto il mondo le si rivoltava contro.
Forse…
forse in fondo tutto ciò se lo meritava, perché lei apparteneva ad una stirpe
maledetta. E sarebbe dovuta rimanere lontana da tutte quelle persone, non si
sarebbe mai dovuta affezionare a nessuno, per il loro bene…
O,
cavolo, ma che senso aveva pensare al passato e a quello che avrebbe dovuto
fare ma che non aveva fatto? Il latte era versato oramai, e bisognava porvi
rimedio.
Ma
in che modo?!
Era
distrutta… tutto ciò che vedeva ogni volta in quelle visioni la annientava dal
profondo, le distruggeva il cuore.
“Solaria,
io penso che tu non stia procedendo nel migliore dei modi.” Disse in quel
momento la cugina. Il suo tono era deciso, sicuro, e riuscì a scuotere Solaria
dal suo uragano di pensieri.
“Cosa vuoi dire?!” Chiese l’interpellata, con
la voce rotta dal pianto.
“Ti
stai scordando qualcosa… qualche elemento importante che permane sempre nelle
tue visioni. Anche nell’ultima. Un elemento che è la chiave di tutto. La causa
della strage. Il motivo per cui tutto questo avverrà.
Avanti,
prova a pensare: cos’è che si ripete?”
Solaria
smise di camminare avanti e indietro nervosamente per la stanza, e, mordendosi
un dito, iniziò a pensare a quale poteva essere il punto fisso.
“Il
luogo forse?! La casa dei Potter?” Disse poi.
Ma
Gardenia scosse la testa. “Non penso. Nell’ultima visione, dove tua figlia
tradiva il suo stesso sangue, non eravate lì, o sbaglio?”
“No,
infatti, eravamo nel castello dell’Oscuro…”
“Pensaci
bene… un punto fisso…”
“Ci
sono: in tutte le visioni il figlio di Lily non nasceva mai! Nell’ultima, Lily
ha avuto un aborto per via del troppo dolore…”
“Ok,
e questo è uno… Ma noi non lo possiamo evitare: è la conseguenza di qualcos’altro.”
“E’
vero… noi dobbiamo evitare anche l’aborto…
Diamine…
Un
altro punto fisso…
Ecco!
Mia figlia! In tutte le visioni mia figlia c’è sempre!”
“Anche
lei, la sua essenza, la vita che condurrà, è una conseguenza di ciò che avverrà…
Un
momento, ci sono: tu! Tu ci sei sempre nelle tue visioni!”
“Già,
è vero… ma è anche logico: o no?!”
“No,
non è logico! Tu devi stare lontano da loro! Così Voldemort eviterà di trovarci
tutti assieme e ucciderci!”
“E’
vero!” Disse Solaria sorridendo e gettandosi fra le braccia della cugina. “Sei
un genio, Gardy!”
“Ehehehe…
adesso calmati… Soly…. Calmati! Mi strozzi…!” Esclamò la sacerdotessa
allontanando delicatamente la donna da se.
“Ops,
è vero! Scusami! Ma sai, è tutta la mattina che non faccio altro che vedere
morti, e sapere che finalmente tutti quanti voi siete in salvo… Oh, è
fantastico!”
Gardenia,
sentendo ciò, abbassò lo sguardo. “Non per deluderti… ma non penso sia finita
qui.”
“Perché
no?” Chiese Solaria, stupita.
“E’
solo un presentimento Soly, niente di che…”
“Gardenia,
tu ne sai molto più di futuro e di visioni di me: sei cresciuta in un mondo
dove la preveggenza era cosa comune! Che cosa pensi, dunque?”
Gardenia
sospirò, e continuando a non guardare la cugina negli occhi, disse: “Non stare
insieme a loro è qualcosa di molto precario, Soly. Non possiamo considerarlo
come un punto fermo. Capiterà prima o poi che proprio quel gruppo si riunisca
di nuovo, e in quell’occasione ci sarà il rischio che Voldemort attacchi.
Siamo
arrivati solo ad una condizione… Tenendo questa, saremo in grado di posticipare
quasi infinitamente la disgrazia, ma non saremo in grado di evitarla. La nostra
ricerca non è ancora finita. C’è ancora un elemento che presiede a tutto.
Pensaci
bene Soly. Pensaci.
Perché
hai avuto quel sogno? Avevi preso qualche decisione specifica? E’ accaduto
qualcosa di particolare?”
A
quelle parole, Solaria ebbe un sussulto, e i suoi occhi divennero inespressivi,
mentre si rituffava in complicati pensieri.
“Avevo
deciso di dare a tutti l’Anti Oblivius… Nella prima visione, tutti coloro che l’hanno
bevuto sono morti, e Sirius, che invece ne aveva mandato giù solo una parte, è
rimasto pazzo…”
Silenzio.
Gardenia
si sollevò dal letto dove ancora era seduta e andò ad abbracciare la cugina.
“Penso
che abbiamo trovato il nostro punto fermo, Solaria.
Ora,
prova a vedere cosa accadrà. Perché, sono certa, Voldemort ha in ogni caso in
mente di attaccare qualcuno di noi, anche se il suo piano andrà in fallimento.”
Solaria
fece sì col capo, respingendo a malapena le lacrime che volevano a tutti i
costi scivolare giù sul suo viso.
Certo,
fino allora aveva sperato di poter essere ricordata dai suoi cari… e adesso era
duro vedere le proprie speranze infrante.
Ma…
era solo un desiderio egoistico… già…
E
non doveva piangere per una cosa così sciocca…
Anche
se era doloroso…
Ora,
doveva pensare ai suoi cari. Come sempre del resto… doveva pensare solo agli
altri, non a se stessa: lei non esisteva, lei era sempre e solo stata un
burattino nelle mani dell’umanità. Lei era nata per morire, e pertanto il suo
sacrificio non sarebbe nemmeno mai stato ricordato da qualcuno…
Ora
doveva concentrarsi…
Sì,
doveva pensare a ciò che sarebbe successo… e basta.
James era disperato. Era da tre ore di fronte a quella
dannatissima stanza di rianimazione, e nessuno dei medimedici che entravano e
uscivano in continuazione si decideva a rispondere alle sue domande.
Solaria,
il viso stravolto dalla preoccupazione, arrivò al suo fianco poco dopo, insieme
a Sirius e Gardenia.
“James!”
Gridò la ragazza abbracciandolo, mentre Sirius gli dava una pacca sulla spalla.
Ramoso
parve calmarsi un attimo, e il viso, che prima era rosso per l’ira, iniziò ad
avere un colorito più normale.
Gli
occhi, però, erano sempre uguali: sbarrati dalla preoccupazione, circondati da
occhiaie e lucidi per la febbre che stava iniziando a salire.
“Vi
giuro che se il prossimo non mi risponde gli mordo un braccio!” Disse, quando
l’ennesimo medimedico passò davanti a lui ignorando bellamente le sue domande
sulla salute di Lily.
“Da
quanto sta lì?” Chiese Sirius, preoccupato anche lui.
“Tre
ore. Dannazione, tre ore intere! E io non so nemmeno in che condizioni sia…
Ehi.. ehi, tu! Come sta l’Auror Evans, mia moglie?!” Chiese, ad un vecchio
medimago che stava uscendo dalla stanza con un taccuino in mano.
Quello
però parve nemmeno averlo sentito, cosicché James, ormai completamente pazzo,
lo afferrò per una manica e iniziò a mordergli il braccio, facendogli cadere il
taccuino, i cui fogli si sparpagliarono per tutto il pavimento circostante.
E, mentre
l’uomo gridava per lo spavento e Gardenia, Sirius e Solaria tentavano di
calmare il loro amico, giunse nella sala l’unica persona che forse aveva il
potere di rappacificare la situazione.
“James,
il Medimedico sta facendo del suo meglio per aiutare Lily, non dovresti
ringraziarlo in questa maniera…”
Tutti
si immobilizzarono, guardando verso la direzione da cui proveniva quella
vecchia e calda voce: il medimedico era ancora stravolto, James aveva ancora i
denti ben sigillati attorno all’esile braccio dell’uomo, Sirius, Solaria e
Gardenia tentavano invano di staccare il loro amico dalla morsa ferrea con cui
teneva il povero uomo.
Silente
si fece avanti, un tiepido sorriso sulle labbra, le mani dietro la schiena e la
barba bianca che rifletteva in un leggero bagliore le immacolate luci del
corridoio.
James
lasciò finalmente libero il vecchio medimedigo, il quale, con un facile
incantesimo raccolse i suoi fogli e se ne andò via stizzito, borbottando
qualcosa sulla maleducazione dei giovani d’oggi, mentre i tre amici
continuavano a guardare Silente, felici che anche lui fosse giunto.
“Ha
ragione… è solo che nessuno mi dice come sta la mia Lily, e… sto letteralmente
perdendo il controllo.” Disse esasperato James.
“Questo
l’avevo notato! – commentò il preside – Non preoccuparti per Lily, lei sta bene
oramai.”
“Lei
come fa a saperlo?” Chiese Solaria, corrugando la fronte.
“Ho
parlato con il responsabile di questo reparto…” Mugugnò l’anziano uomo,
massaggiandosi la barba proprio sotto il mento, e aspettandosi quella reazione
che non tardò a venire…
“COSA?!
PERCHE’ A LEI HANNO DATO NOTIZIE E A ME NO?!” Gridò James.
“Ehm…
il medimedigo in questione, che mi ha dato notizie, è un mio vecchio amico
nonché ex compagno di scuola… Ed è stato così gentile da perdere trenta secondi
del suo preziosissimo tempo per spiegarmi le condizione della sua paziente.
Non
prendertela, James: l’importante è che tutto sia a posto.”
“Ma
io quello l’ammazzo… mi ha fatto diventare pazzo!… E’ tutta una questione di
soldi, non è vero?! Mi hanno fatto impazzire apposta per ricoverarmi e
spillarmi un sacco di soldi per le cure, non è vero?! Oh, Mondo corrotto! Lo
sapevo io, lo sapevo! Questi con i disastri del caro Voldy ci campano! Siete
tutti degli schifosissimi approfittatori, dovreste finire ad Azkaban per quello
che fate! Mangiamorte travestiti da guaritori! Pfiu! Come se poi non si capisse
quello che avete dentro…” Gridò infine James, proprio in faccia ad una giovane
medimaga che passava velocemente di lì, la quale però lo ignorò completamente…
scene del genere dovevano essere piuttosto usuali in quel reparto.
“L’hai
finita, razza di idiota? Oppure vuoi che ti mettano una camicia di forza e ti
rinchiudano veramente in una stanza imbottita?” Gli sibilò freddo Sirius, con
gli occhi ridotti a fessure. Non era mai riuscito a sopportare James quando
iniziava a dire sciocchezze su sciocchezze… gli incasinavano la testa tutto
quel mare di frottole prive di senso. E adesso c’era andato giù pesante…
James
sospirò, e fissò il suo migliore amico con gli occhi di un cucciolo bastonato.
“Sirius, cosa diamine faresti tu al posto mio?! Mia moglie è lì dentro, e
quando ce l’ho portata stava rischiando di perdere la vita, e con lei anche mio
figlio… Mio figlio… Per Merlino! Mio figlio! Come sta mio figlio?!” Gridò di
nuovo il ragazzo, mentre lo sguardo folle si riappropriava dei suoi occhi, ora
rivolti verso Silente.
Ma,
proprio mentre il vecchio preside apriva bocca per rispondere, la porta della
stanza in cui Lily era ricoverata si aprì nuovamente, e un’anziana guaritrice,
grassottella e con un dolce sguardo materno, si portò davanti a loro, guardando
severa James.
“Lei
è il signor Potter?” Chiese.
“Sì,
sono io!” Rispose lui.
“Sua
moglie sta meglio, le sue condizioni sono molto migliorate, oramai non è più in
pericolo di vita. A dire il vero non lo è mai stata del tutto. Lo schiantesimo
che… che Voi – Sapete – Chi le ha lanciato addosso ha solo provocato il suo
svenimento.”
“E
allora perché l’avete tenuta rinchiusa qua dentro per tre ore, senza che io potessi
nemmeno avvicinarmi a lei?!”
“Perché
ci sono stati dei problemi col bambino, signor Potter.” Rispose la donna,
guardando il suo interlocutore dritto negli occhi.
Solaria,
con una morsa allo stomaco, si avvicinò a James, e prima che lui potesse dire o
fare qualunque cosa, chiese:
“Il
bambino è salvo?!”
“Per
ora sì… ci sono state complicazioni, e ho paura che continueranno ad esserci
per i prossimi tre mesi almeno. Pertanto, la signora Potter verrà esentata
dall’incarico di Auror e tenuta sotto stretta sorveglianza al reparto maternità
di quest’ospedale, dove verrà trasferita a breve.”
“Grazie,
Grazie, grazie! Vi adoro! Siete le persone più splendide di questo Mondo! Degli
angeli in terra! Cosa faremo noi semplici esseri umani senza di voi?! Divini… siete
divini! Dei santi! Grazie, grazie grazie!” Gridò James, mettendosi in ginocchio
e innalzando le braccia verso la donnetta, che alzò gli occhi al cielo e iniziò
ad andarsene, mentre il ragazzo continuava a gridare in sua direzione le parole
più dolci e gli epiteti più nobili che riuscì a trovare nel suo esiguo
repertorio mentale, fino a che Sirius, completamente esasperato, lo prese per
il colletto della divisa da Auror che ancora indossava e lo trascinò nella
stanza in cui stava riposando la moglie, seguito immediatamente da tutti gli
altri.
Una
volta dentro, si sedettero tutti intorno a Lily. Stava dormendo.
Sulla
fronte era presente ancora un lieve taglio, accuratamente disinfettato dai
guaritori: doveva esserselo fatto urtando qualcosa mentre veniva scagliata
lontano dallo schiantesimo di Voldemort.
James
le prese la mano, e rimase dieci minuti buoni in silenzio, guardandola in viso,
sperando che si svegliasse da un momento all’altro.
“Silente…
non la ho ancora ringraziata per averci salvato la vita da Voldemort. Per la
seconda volta, per giunta…” Disse James, senza distogliere lo sguardo dalla
moglie.
“Oh
ragazzo, non devi ringraziare me: è stata Solaria ad avvertirmi.” Rispose
l’anziano preside.
James,
incuriosito, si voltò a guardare l’amica. “Lucciola, come facevi a saperlo? Hai
avuto una visione?!”
“Sì…
Vi ho visti mentre Riddle vi attaccava intanto che ritornavate con la scopa a
casa, e così ho contattato velocemente Silente, prima che i fatti
degenerassero. E, a quanto pare, ci sono riuscita.”
“Nella
tua visione… noi… noi ce la facevamo a salvarci?” Chiese Ramoso, dopo un attimo
di titubanza.
“Voi
sì. Ma il bambino no… è per questo che credo che, nonostante il rischio che
corra durante i prossimi tre mesi, vostro figlio si salverà e riuscirà a nascere.”
James
sorrise, poi si alzò e si diresse verso la sua amica, gli occhi lucidi per la
commozione. “Allora è te che devo ringraziare se diventerò padre.” Le disse,
abbracciandola.
Lily
sorrise, stringendosi forte all’amico. “Beh, sai com’è, volevo a tutti i costi
che mia figlia avesse un compagno di giochi!”
“Cosa?!”
Esclamò James, allontanando un poco da se l’amica e fissandola felice. “Anche
tu aspetti un piccolo marmocchio, Lucciolina?!”
“E’
una marmocchia, James.” Commento Sirius, con orgoglio.
“Sapete
già che è femmina?! Ma allora complimenti! Wow! E’ fantastico! Così se il mio
bambino è un maschietto, potremmo anche combinare qualcosa!”
“Forse
sarebbe meglio lasciare decidere loro, non credi?!”
“Certo
Felpato! Però, se ci mettiamo un poco lo zampino noi…”
“Guarda,
ti posso assicurare che se tuo figlio avrà lo stesso numero di neuroni di tua
moglie, sarò felice di aiutarti in quest’impresa!” Risolse Sirius, sorridendo
all’amico, che invece lo guardò incerto.
“Non
so perché, ma non mi pare proprio un complimento questo…”
“Certamente
non lo era per te… Però è il primo complimento che Mister Felpato mi rivolge:
dovrei iniziare a preoccuparmi?!” Disse una leggera voce femminile.
Tutti
quanti, contemporaneamente, si voltarono verso il lettino, dove una Lily
sorridente li fissava, gli occhi ancora semi chiusi per la stanchezza.
James
si fiondò immediatamente su di lei, prendendole la mano e baciandogliela in
continuazione, senza mai smettere di chiederle come stava, come si sentiva, se
qualcosa non andava…
“Se
non calmi questa parlantina penso che il mal di testa mi verrà ora, James…” Lo
interruppe lei, continuando a sorridergli. “Sto bene adesso, non preoccuparti!”
“I
dottori dicono che devi stare a riposo qui in ospedale, nel reparto maternità, per
tre mesi. Abbiamo rischiato di perdere il bambino, Lily.”
“Sì,
me lo sono immaginata… Ma, tu come stai? E chi è che ci ha portato in salvo?!”
“Sto
bene, giusto qualche graffio… è venuto Silente, lo aveva avvertito Solaria
perché sapeva già cosa sarebbe accaduto: sai, le sue visioni…
Però
scusa, com’è, non credevi che forse fossi stato io a cacciare quel
mostriciattolo e portarti in salvo?!”
“Non
per offenderti, James: ma né io né te siamo in grado di competere con
Voldemort, nemmeno se uniamo le nostre forze. E dovresti già saperlo, non era
la prima volta che ci scontravamo con lui.”
“Mmm,
va bene, per questa volta mi hai convinto, donna di poca fede… Sai che anche
Soly aspetta una bambina?!“
“Davvero?!
Soly! Non mi avevi detto nulla!”
“Beh,
aspettavo il momento più opportuno… l’ho detto solo a Sirius, questa mattina…”
Rispose l’interpellata.
“Sai
già quando nascerà?”
“Secondo
i miei calcoli, dovrebbe nascere verso l’ultima settimana di maggio.”
“Il
nostro invece nascerà a luglio…”
“E
dobbiamo ancora decidere il nome! Voi l’avete già scelto?” Disse James.
“Sì,
certo: Sirius la vuole chiamare Selene.”
“E
noi come lo chiamiamo, Lily? Che ne dici di Gustavo? Florenzo? Arnoldo?
Poseidone?!”
Lily
fece una faccia schifata. “Ma da dove li togli fuori questi obbrobri?! Mio
figlio non avrà mai un nome del genere, James Potter, mettitelo bene in testa!
A parte che non sappiamo ancora se sia maschio o femmina…”
“Certo
che è maschio.”
“E
perché?”
“Perché,
modestamente, sono troppo virile per non avere un figlio maschio…”
A
quelle parole, Silente scoppiò a ridere, e insieme a lui anche Gardenia.
Solaria e Sirius si trattennero a malapena, mentre Lily, completamente rossa in
viso, fissava il marito divertita.
“Che
c’è da ridere?! E’ la verità!” Borbottò James, piuttosto contrariato da quella
reazione. “Siete solo gelosi, soprattutto tu, Sirius!”
“No,
a me va benissimo una bambina!”
“Se
se, frase di circostanza, non vuoi ammettere la mia superiorità in campo! Anche
ad Hogwarts ero io il Malandrino più prolifico!”
“Peccato
che però tutti i tuoi piani erotici fossero troncati dalla Evans!” Sbottò
Sirius, scoppiando a ridere.
“James,
ti conviene chiudere la bocca prima di passare MOLTI guai!” Sibilò Lily,
guardando biecamente il marito.
“Già…
e penso che dovrò aumentare i controlli nelle varie Case, la notte…” Commentò
Silente, massaggiandosi la barba sul mento.
“Poveri
ragazzi, non potranno più divertirsi!” Disse James. Poi, cambiando
improvvisamente discorso, aggiunse: “Che ne dici se lo chiamiamo James in mio onore
il piccolo?!”
“Al
massimo lo chiamiamo Lilium, in mio onore, dato che la fatica la faccio tutta
io…”
“Ma
non è vero tesoro, io ci metto il sostegno morale!”
“E
io tutto il resto!”
“Che
ne dite di Harry?”
Tutti
si voltarono verso Gardenia, che fino ad allora era rimasta muta, seduta vicino
a Silente. La ragazza subito arrossì e abbassò il volto, pentendosi di aver
aperto bocca. Lily, invece, sorrise. “Harry mi piace. E, se è una bambina, potremmo
sempre chiamarla Harriet, è molto grazioso.”
Il
periodo successivo a quest’evento fu, per Sirius e James, il più stancante che
avessero mai vissuto.
Sopportare
le loro moglie in pieno bombardamento ormonale si rivelò molto più difficile di
quanto avessero immaginato. Soprattutto per Sirius… Se James aveva a che fare
solamente con una donna nevrotica che andava in escandescenza due o tre volte
al giorno, il povero Felpato invece doveva badare ad una vera e propria pazza!
Non passava giorno che la giovane Nimbus non facesse qualche acuta osservazione
verso il marito, rimproverandogli questo o quello, o accusandolo di cose in cui
lui purtroppo non centrava nulla (come, ad esempio, perché piovesse e non
facesse invece bel tempo. Sirius aveva tentato di dirle che in inverno è molto
difficile che in Inghilterra compaia il sole, e lei aveva risposto dicendogli
che era colpa sua perché quella mattina non le aveva fatto il caffè…
Naturalmente Sirius aveva provato ad obbiettare dicendo che il caffè faceva
male alle donne incinte, e che la sua osservazione non centrava nulla con
quello che stavano dicendo precedentemente… e Solaria lo aveva buttato fuori di
casa urlandogli contro che le faceva venire mal di testa con tutte quelle
frottole…).
Dopo
i primi tre mesi di ricovero, superati i rischi di aborto, Lily era stata
portata a casa sua: per evitare che rimanesse da sola, Solaria spesso andava a
trovarla, insieme a Gardenia. E quando non ce la faceva perché il pancione troppo
pesante la stancava, era la sacerdotessa a fare le sue visite quotidiane
curandosi poi di controllare anche la salute del bambino.
Verso
il quinto mese di gravidanza Gardenia aveva anche aiutato i Potter a fare un
piccolo incantesimo per sapere il sesso del nascituro.
E
non vi dico la gioia e l’orgoglio di James quando vennero a conoscenza che avrebbero
davvero avuto un figlio maschio!
Naturalmente
però, per il fatto del nome, Lily rimaneva sempre ottusamente ferma sulla sua
scelta: Harry. Ma siccome James voleva per forza avere un qualche merito in
questa faccenda, alla fine la signora Potter si ammorbidì e gli concesse, come
secondo nome per il bambino, James.
Harry James Potter. Suonava bene, no?
Era
stato deciso che per il parto Solaria e Gardenia si sarebbero trasferite ad
Avalon, per evitare troppe complicazioni. L’idea di ritornare là però non
piaceva affatto alla Nimbus. Aveva tentato di opporsi, ma Sirius e Gardenia, e
perfino Silente (che centrava lui? Continuava a chiedersi…) erano più che
decisi a farla partorire ad Avalon, anche se fossero stati costretti a
portarcela con la forza.
In
fondo, era soprattutto per il suo bene che lo facevano: la bambina le avrebbe
succhiato via tutte le energie, e dunque avrebbe avuto il bisogno di tutta la
magia possibile, nonché dell’aiuto della Dea.
Oramai
era giunto Aprile, con le sue piogge leggere che portavano la primavera.
Solaria,
rinchiusa in casa, era più nervosa che mai, soprattutto perché non poteva
muoversi, essendo il pancione troppo grande e pesante (secondo Gardenia anche
piuttosto preoccupante) ed in più era basso e le causava spesso dolori.
Così era costretta a rimanersene tutto il giorno a
letto o sulla poltrona del soggiorno, guardando la televisione che Sirius le
aveva comprato in un negozio babbano a Londra per tenerla buona.
“Sirius, sei andato a letto con altre donne mentre
io ero ad Avalon?!” Chiese un mattino Solaria al marito. Si stava annoiando più
del solito, alla tivù non c’era nulla da fare e Felpato era comodamente seduto
nel divano davanti a lei leggendo la Gazzetta del profeta, in attesa che gli
arrivasse qualche chiamata dalla Sede Centrale degli Auror.
Almeno così poteva smuovere un po’ la situazione…
Il giovane uomo alzò lentamente gli occhi dal
giornale, lanciando uno sguardo allibito alla moglie, mentre Gardenia, capito
che stava iniziando uno dei soliti dibattiti insensati, se la filava in camera
sua per evitare di essere coinvolta.
“No Soly.” Le rispose semplicemente. Rimase a
guardarla ancora un po’, e visto che pareva che fosse finito tutto lì, riprese
a leggersi la Gazzetta.
“Nemmeno con uomini?” Chiese un attimo dopo Solaria.
Sirius alzò di nuovo gli occhi, tentando di
trattenere la calma che purtroppo gli stava fuggendo via… Doveva saperlo che
quella prima domanda avrebbe avuto un continuo poco simpatico…
“No Soly! Come ti saltano in mente certe cose?!”
“Beh, che ne so: magari non volevi andare a letto con
altre donne per non tradirmi, e così hai pensato che una notte con un uomo non
si potesse definire tradimento…”
“Mi dispiace ma non ho mai fatto ragionamenti del
genere! E tu invece?!”
“Io cosa?!”
“Sei andata a letto con altri uomini?”
“No!”
“E con altre donne?!”
“Ma lo sai che sei uno schifoso pervertito?! Ma come
ti vengono in mente certe cose?! Sirius Black, non mi aspettavo una domanda del
genere da te! E tu dovresti essere un futuro padre?! Se non ti decidi a
cambiare, te lo scordi che io ti permetta di educare nostra figlia!”
“Cosa?! Ti ricordo che hai iniziato tu a fare
domande assurde!” Gridò Felpato, non riuscendo più a trattenersi.
“A sì, e cosa ti avrei chiesto?”
“Come cosa?! Se ti avevo tradito con altre donne o
con degli uomini!”
“Dalla mia bocca non sono mai uscite parole del
genere! Sei un bugiardo spudorato!” Sbottò lei, girando la faccia con fare
offeso e iniziando a mordicchiarsi le unghie.
Sirius sospirò più volte, cercando di riprendere
l’autocontrollo. Calmo, doveva stare calmo… la moglie era una pazza scatenata,
non doveva dare peso alle sue parole…
“Voglio un caffè.”
“Il caffè ti fa male, Soly.”
“Dì pure che non hai voglia di farmelo, invece che
nasconderti dietro queste banali scuse!”
“Solaria il caffè sono anche pronto a fartelo, ma
tanto non te lo lascio bere perché fa male alla bambina!”
“Pfiu, fa male un corno: anche lei ne vuole…”
“Non dire sciocchezze…”
“Sì! La sento! Io e tua figlia abbiamo un ottimo
rapporto, e siamo d’accordo nel dire che tu sei un vero idiota.”
“Ah sì?”
“Proprio così.”
“Allora incomincia a dire a tua figlia che ha già
due mesi di punizione da scontare.”
“Sei un ingiusto!”
“No no, sono giustissimo! Lei mi ha insultato!”
“Lei non ha fatto proprio niente!”
“Sei tu che l’hai detto!”
“Ah sì? E tu ti fidi di tutto quello che ti dice il
primo pinco pallino che capita?!”
“Mi sono fidato di te, non del primo pinco pallino
che…”
“…fa lo stesso…”
“Allora non devo dare più peso alle tue parole?!”
“Ma come ti permetti? Il fatto che io sia tua moglie
non significa che tu abbia diritto di vita o di morte su di me! Tu non mi puoi
controllare! Non siamo mica più nel Medioevo, caspita…
Ma guarda un po’ se dovevo sposarmi proprio un
despota stupido e ottuso…”
“Io non ho detto nulla del genere, hai fatto tutto
da sola…”
“Ah, è così? Ora dai tutte le colpe a me? Quando
invece… Oh…
Oh caspita…” Disse la ragazza, tenendosi una mano
sul ventre e rizzando la schiena contro la poltrona.
“…”
“Soly?!… Che c’è?”
“Sirius…”
“Sì?!” Disse il ragazzo, mollando da una parte il
giornale e avvicinandosi alla moglie.
“Mi si sono rotte le acque…”
Inutile descrivere lo spavento in cui quella notizia
gettò Sirius e Gardenia: a quanto pare la bambina sarebbe nata un mese prima
del previsto, senza nessun preavviso per giunta, e questo impediva loro di
spostarsi ad Avalon, dove sarebbero arrivati troppo tardi.
L’unica scelta era dunque fare nascere Selene al San
Mungo, sperando che la Dea la proteggesse lo stesso e soprattutto aiutasse la
madre a superare le doglie del parto.
Si smaterializzarono in fretta lì, e un infermiere,
viste le condizioni di Solaria, li indirizzò immediatamente nel reparto
maternità.
Quando vi arrivarono, a causa dei dolori troppo
forti e delle visioni che giungevano incontrastate alla sua mente priva di
difese, Solaria perse i sensi.
Era da più di tre mesi che Solaria era rinchiusa in quella stanza
d’ospedale
Era da più di
tre mesi che Solaria era rinchiusa in quella stanza d’ospedale.
Subito
dopo il difficoltoso parto, avvenuto con tecniche magiche a causa dello stato
d’incoscienza della giovane donna, i medimedici l’avevano portata nel reparto
di rianimazione, le avevano messo una flebo e l’avevano attaccata ad una
macchina che le permetteva di respirare: le sue funzioni vitali erano ai
livelli minimi, e probabilmente, se non avessero agito in quel modo, sarebbe
morta.
Sirius le era stato accanto ogni singolo istante, assieme a
Gardenia. Molto spesso, quasi ogni pomeriggio, veniva anche a trovarli Remus,
non appena aveva concluso le lezioni di Difesa Contro le Arti Oscure ad
Hogwarts, e con lui qualche volta portava anche la piccola Tonks, che riusciva
sempre a risollevare il morale a tutti… o a fare perdere definitivamente le
staffe a Sirius, combinando uno dei suoi soliti, involontari, pasticci, e
permettendogli comunque così di sfogare tutta la sua frustrazione…(N.d.A.: povera Tonks…per
fortuna ha un animo d’acciaio!)
Anche James, quando poteva, veniva a trovarli: ma non era facile
per lui ritagliare uno sprazzo di tempo libero, preso com’era dal lavoro
(mancando un Auror dal servizio, gli altri dovevano lavorare di più) e dalla
moglie, che si avvicinava sempre più al parto e diveniva pertanto ogni giorno
più nervosa e irascibile.
Nelle ultime settimane però c’erano stati dei miglioramenti. La
febbre, che aveva devastato Solaria per tutto quel tempo, era scomparsa, e
l’attività del suo organismo era tornata a livelli normali, tanto che i
medimedici, ottimisti, l’avevano perfino staccata dal respiratore e avevano
assicurato Sirius che, entro pochi giorni, finalmente la moglie si sarebbe
risvegliata e sarebbe tornata come nuova, grazie soprattutto a tutte le pozioni
ricostituenti che le avevano somministrato.
Gardenia, seduta al capezzale di Solaria, accarezzò con dolcezza
i capelli della cugina, che sembrava dormire di un sonno beato.
Quando finalmente si sarebbe risvegliata, avrebbero dovuto
parlare di molte novità… la maggior parte delle quali probabilmente l’avrebbero
sorpresa parecchio. Altre, invece, l’avrebbero semplicemente fatta sorridere.
Come, ad esempio, la nascita del figlio di Lily un paio di
settimane prima, uno splendido bambino dai grandi occhioni verdi, che guardava
con curiosità tutto ciò che gli stava accanto.
Harry James Potter.
Il bambino che non sarebbe dovuto nascere ma, che grazie a
Solaria, era comunque riuscito a venire al mondo sconfiggendo il duro destino.
A questo pensiero la giovane sacerdotessa sorrise amaramente:
solitamente coloro che illudevano i piani che il destino aveva in serbo per
loro, poi venivano tartassati da esso per tutto il resto della loro vita.
Un sospiro la fece voltare, e i suoi occhi ricaddero sull’uomo
seduto ai piedi del letto, che teneva le mani strette intorno alla testa con
aria distrutta.
Sirius.
Come soffriva quel ragazzo.
Era rimasto al capezzale della moglie, ininterrottamente, per
quei tre mesi, dormendo sì e no due ore al giorno, tant’è che i medimedici di
quel reparto si erano preoccupati tantissimo. Ma nemmeno i consigli e le proteste
di questi esperti erano valse a farlo riposare un attimo, a staccare per più di
qualche ora lo sguardo dalla moglie.
Aveva accettato di dormire solamente quando le condizioni di
Solaria erano migliorate, ossia poche settimane prima, e questo gli aveva
giovato parecchio, anche se gli occhi tristi, la barba incolta ormai da tempo,
i capelli in disordine e gli abiti trasandati non gli davano certamente un
aspetto florido.
“Sirius, avanti, vai a dormire. Sei sveglio dalle quattro del
mattino, e ora sono le undici di notte. E’ meglio che ti riposi un poco anche
tu… anche perché, se Solaria quando si risveglia ti trova così, non oso
immaginare cosa tutto ti dirà!” Aggiunse poi, con tono ironico.
Sirius sollevò il capo dalle mani, e le sorrise. “Non vedo l’ora
che lo faccia… non sopporto vederla in queste condizioni. Mi ricorda troppo…”
Non finì la frase, portandosi una mano sugli occhi con fare disperato. Gli
ricordava troppo quando Solaria era entrata in stato catatonico per quasi un
anno… quando era diventata una sorta di bambola di porcellana, seduta su quel
letto d’oro, con quegli occhi vuoti che fissavano tutto ma in realtà nulla.
Una tortura per il suo cuore.
Gardenia sospirò: così non andava, in queste condizioni Sirius
avrebbe passato di nuovo una notte insonne.
Con calma la Grande sacerdotessa di Avalon si alzò dalla sedia
su cui era seduta, dirigendosi lentamente verso il marito di sua cugina. Una
volta al suo fianco, gli poggiò una mano sulla spalla, sussurrando
contemporaneamente, con la sua dolce voce, parole in runico, l’antica lingua
scritta attraverso geroglifici di cui ancora Avalon si serviva.
Subito Sirius si accasciò sul letto ai piedi di Solaria, colto
da un improvviso e profondo sonno.
Gardenia sorrise. Dormi Sirius, e riposa il tuo cuore. Presto
la tua sposa tornerà da te.
Uscì dalla stanza: era ora di andare a visitare qualcuno…
Appena mise piede fuori dalla porta però, i suoi occhi
incontrarono quelli dorati di una figura che si apprestava ad avvicinarsi
proprio alla sua stanza. Un uomo giovane, dai capelli biondicci e il viso
dolce, vestito in maniera molto semplice.
Gli sorrise.
Anche oggi Remus era venuto, seppure più tardi del solito.
“Buonasera Gardenia.” Le disse il ragazzo, sorridendole
lievemente.
“Buonasera Remus. Come stai?”
“Bene, ti ringrazio… anche se ho avuto una giornataccia. Alcuni
studenti sono usciti dalle loro stanze oltre l’orario del coprifuoco e sono
stati scoperti dal custode, così sono stato richiamato dal Preside, giacché uno
di questi piccoli delinquenti era Tonks!”
“Ormai sei divenuto l’angelo custode della cugina di Sirius!”
“Più che altro sono l’unico a cui da ascolto… Ma, tornando a
noi: come stanno? Solaria è al solito?”
“Migliora a vista d’occhio.”
“E Sirius?” Chiese Remus, con un po’ d’apprensione. “Immagino
che lui peggiori a vista d’occhio, invece…”
Gardenia sospirò, e rivolse all’uomo un piccolo sorriso. “Ora
dorme. Lo ho fatto addormentare io con un piccolo incantesimo. Solaria si sta
per risvegliare, e voglio che quando accada, Sirius stia bene.”
Remus assentì col capo, e abbassò lo sguardo, immerso nei suoi
pensieri. “Allora penso che non entrerò a salutarlo... non voglio disturbarlo.”
Mugugnò poi.
Gardenia rimase a guardarlo, mentre lui era indeciso sul da
farsi. In quell’ultimo periodo erano entrati in stretto contatto, tanto che ora
riusciva a tollerare la sua presenza senza sentirsi in imbarazzo. Aveva capito
che era un bravo ragazzo, molto dolce, che voleva un bene dell’anima ai suoi
amici. Niente in lui faceva presagire che una volta al mese, con la luna piena,
se non avesse avuto la sua miracolosa pillola si sarebbe trasformato in
licantropo, in un orrendo mostro dalla natura violenta, assetato di sangue e di
carne viva.
Incredibile come le due facce di una stessa medaglia potessero
essere così differenti.
“Se vuoi, puoi venire con me al reparto maternità. Dovrebbe
essere l’ora della poppata notturna.” Consigliò Gardenia, e Remus alzò il capo,
sorridendole e assentendo.
“Andiamo a vedere i marmocchi!” Disse poi, con un sorriso in
volto.
“Posso farti una domanda? E’ da tempo che questa idea mi gira
per la testa e…” Chiese Remus, con voce titubante, mentre camminavano per i
corridoi diretti al reparto maternità.
“Ecco… ho scorto da parecchio tempo il simbolo che tu hai in
mezzo alla fronte, e… e poi, quella notte, hai sposato Sirius e Solaria nelle
acque del lago di Hogwarts. Senza contare che conosci bene gli elementi della
natura, e quasi sembra che tu la domini…”
Gardenia sorrise. “Cosa mi vuoi chiedere?”
“Non voglio essere scortese…”
“Non lo sei, infatti. Solaria è stata costretta a tacere per
motivi superiori, ma se tu hai capito, sono lieta di spiegarti.” Disse
Gardenia, bloccandosi in mezzo al corridoio e guardandolo negli occhi.
“Sei una sacerdotessa di Avalon?”Chiese subito il ragazzo, con
uno strano nervosismo evidente sia nel suo tono di voce che nel suo sguardo.
“Sì. Sono la Grande Sacerdotessa della Dea Madre, la Dama del
Lago di Avalon.”
Remus rilasciò con uno strano senso di sollievo il respiro che
fino ad allora aveva trattenuto. “Ma, se tu sei qua… significa che voi
sacerdotesse avete deciso di aiutare il nostro mondo con le vostre visioni?”
Gardenia rimase in silenzio, guardando i suoi occhi come
se volesse vedervi dentro il suo stesso spirito. “Tu ci odiavi, non è vero? Tu
odiavi il nostro Ordine.” Disse poi.
Remus si portò una mano ai capelli, nervosamente. “Io... io non
potevo soffrire che delle persone, che avevano il potere di evitare tante
disgrazie, lasciassero volontariamente morire tanta gente. Fin da
bambino, da quando ho saputo dell’esistenza di Avalon e delle sibille e
veggenti che vi vivevano, ho odiato questo loro comportamento… Pensavo sempre
che…”
“…che…?” Chiese Gardenia, con un sorriso bonario sulle labbra,
che incoraggiò Remus ad andare avanti.
“Che se qualcuno… fosse intervenuto… quella notte… io …
…io non sarei un licantropo…
…e i miei genitori sarebbero ancora vivi.” Abbassò subito lo
sguardo, mentre il dolore di quei ricordi si riappropriava del suo animo.
Gardenia, timidamente, gli prese una mano, e la strinse nella
sua, mentre con l’altra alzava delicatamente il viso del giovane uomo,
costringendolo a guardarla nei suoi begli occhi azzurri.
“Il mio Ordine era da tempo amministrato da donne che condividevano
l’idea che, essendo il mondo esterno sempre più corroso dalla malvagità, non si
meritava il nostro aiuto. Così si limitavano ad adorare la Dea, rinchiuse
nell’isola sacra, subendo le terribili visioni di futuri catastrofici e
lasciando che esse divenissero realtà.
Non capivano che, se avessero fatto ciò per cui erano nate, il
mondo che loro tanto criticavano sarebbe anche potuto migliorare…
Sì Remus… mi dispiace dirti che, se le mie antenate avessero
eseguito davvero i loro compiti, tu probabilmente ora saresti un semplice mago,
e la tua famiglia sarebbe ancora viva.
Tante disgrazie si sarebbero potute evitare.
Ma… mi duole affermarlo… non serve a niente guardare il passato
con rimpianto.
Esso non può essere modificato.
Io, come Solaria e tutte coloro che condividono il nostro dono,
possiamo solamente modificare il futuro.
E ti posso assicurare che farò di tutto affinché, nell’avvenire,
non accada mai più nulla del genere. Non riusciremo magari a riparare i danni
che col passare del tempo si sono accumulati… ma faremo del nostro meglio per
evitare che nuovi compaiano.
Solaria in primis. Solaria darà la vita per tutti noi. Lei
pagherà il prezzo dell’errore di Avalon.”
Remus la fissava, gli occhi sbarrati dalla tristezza. “Allora è
vero quello che lessi nella biblioteca proibita di Hogwarts riguardo le
veggenti… Solaria morirà e nessuno si ricorderà di lei?!”
Gli occhi della sacerdotessa si riempirono di lacrime. “Forse…
forse Remus, forse… nessuno sa con esattezza come andranno le cose… nemmeno il
Destino.
E ti prego, non raccontare nulla di tutto ciò agli altri:
soffrirebbero troppo. E Solaria non vuole.”
“Va… va bene.”
Ripresero a camminare, mano nella mano, in silenzio, dirigendosi
quasi meccanicamente verso la loro meta.
Quando vi arrivarono, e videro dietro quel grande muro di vetro
del Reparto maternità tutti i bambini accoccolati nelle loro culle, che
dormivano dopo il meritato pasto, non poterono fare a meno che sorridere.
“Lotteremo per loro.” Disse Gardenia, poggiando la testa sulla
spalla di Remus. “Sperando che ciascuno di loro possa vivere la propria vita.”
“La bimba avrà il dono di Solaria?”
“Probabilmente sì… il dono può essere trasmesso solo alle figlie
femmine… o almeno, sono rari i casi in cui i maschi diventano veggenti.”
“Lei… soffrirà?”
Gardenia sospirò. “E’ molto probabile Remus… è molto probabile
che la sua vita sarà più difficile di quella della madre. Soprattutto…
soprattutto perché sarà sola.”
“Non sarà sola, Gardenia. Non sarà sola. E lo puoi vedere bene
anche tu.”
I due ragazzi rivolsero lo sguardo verso una culla in fondo alla
stanza.
Al suo interno, avvolta in una coperta rosa, stava una bambina
con una folta chioma nera.
Dormiva.
Al suo fianco, vispo, e sorridente, si trovava un bambino, con
la copertina celeste arrotolata ai suoi piedi. Rideva allegramente, battendo le
manine davanti a se, e guardando con i suoi lucenti occhi color dell’ambra
un’infermiera che, attirata dalla sua vivacità, gli si era accostata.
Sirius iniziò a sbattere le ciglia… cavoli, si era addormentato,
e non se ne era nemmeno reso conto.
Si passò una mano in faccia… ci doveva essere qualcosa, forse
una mosca, che gli stava in continuazione punzecchiando il viso: proprio un bel
risveglio, non c’è che dire.
Chiuse gli occhi e aprì la bocca per respirare, portando le
braccia dietro al collo per stiracchiarsi: certamente non aveva dormito in una
posizione comodo, aveva la schiena a pezzi…
“Cof cof…”
Iniziò a tossire. Mentre stava sbadigliando, qualcosa… qualcosa
di grosso… era volato dentro la bocca, e ci mancava poco che lo soffocasse!
Si infilò una mano in bocca, con gli occhi che continuavano a
lacrimare, e ne tolse fuori… beh ecco… era un aeroplanino di carta… piccolo
piccolo e fatto davvero male…
Una risata lo costrinse ad alzare lo sguardo.
E rimase del tutto basito quando vide Solaria, bella pimpante,
dondolarsi sul letto con le gambe incrociate, presa da una vera e propria crisi
d’ilarità.
“Avresti dovuto vedere la faccia che hai fatto! Sembravi un TUCANO!”
Disse poi, continuando a ridere come una pazza.
Sirius non perse altro tempo, si alzò di scatto dalla sedia su
cui si era addormentato quella notte e si gettò letteralmente sopra la moglie,
stringendola in un caldo abbraccio.
Solaria smise subito di ridere, e con un sorriso felice si godette
quella calda e affettuosa stretta, che da tanto ormai non sentiva più attorno
al suo corpo.
“Mi sei mancato…” Gli disse lei. “Ti sentivo. Sentivo che eri
vicino a me, ma non riuscivo a raggiungerti. Mi spiace averti fatto soffrire
un’altra volta così tanto.”
Sirius la scostò un poco da se, il tanto giusto per poterla
guardare negli occhi, tuffandosi poi con estremo ardore a baciare le sue grandi
labbra rosse.
Poco dopo Solaria si scostò, mettendosi a ridere. “La tua barba
mi fa il solletico!” Spiegò poi, guardandolo divertita.
Anche Sirius sorrise, accarezzandole quelle guance tonde e
rubiconde, che tanto la facevano assomigliare ancora ad una bambina.
“Non riuscivo ad allontanarmi da te…” Commentò lui.
“Mi dispiace, davvero… se fossi stata più attenta e avessi dato
ascolto a Gardenia, permettendole di controllare lo stato della gravidanza,
tutto questo non sarebbe successo.”
“Non importa Soly… non importa. Ora voglio solo averti vicino.”
Rispose il ragazzo, stringendola di nuovo a se. “Anche se hai tentato di
ammazzarmi!” Aggiunse poi, sorridendole.
La giovane donna scoppiò subito di nuovo a ridere. “Mi sono
svegliata e non sapevo che fare! Così, dopo che la medimaga mi ha tolto la
flebo, mi sono messa a guardarti sperando che ti alzassi in fretta.
Ma tu non ti sbrigavi e così ho iniziato a fare dei
mostriciattoli con la pergamena che ho trovato qua vicino, e te li ho tirati
addosso!”
“Me li hai…” Sirius si voltò, guardando il posto in cui prima
era seduto.
Tutta l’estremità del letto, nonché lo spazio intorno ad esso e
intorno alla sedia su cui si era addormentato, era letteralmente ricoperto da
un mare di animaletti di pergamena.
Ecco cos’erano quei pizzichi fastidiosi che l’avevano svegliato…
altro che mosche!
Non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere a lacrime, per le
pazze idee che venivano alla moglie e anche per la felicità di riaverla di
nuovo al suo fianco, viva e allegra.
“Ehi, che c’è da ridere?!” Chiese questa, facendo finta di
essersi offesa.
“Sei assurda, Soly!”
“Senti chi parla… ti posso dire che sembri davvero un orso?”
“No.”
“Va bene, allora non te lo dico. – assentì lei, tranquillamente.
Tanto l’aveva già detto…- Però mi spieghi tu dov’è finito il mio ripieno?”
Sbottò poi, guardando interrogamene il marito, che per tutta risposta la fissò
con la sua stessa espressione
Solaria sbuffò. “Ma sì, Sirius! Possibile che tu non capisca mai
nulla? Te lo ricordi che per otto mesi interi avevo una pancia gigantesca?”
“Già, sembravi una palla…”
“Magari fossi stata una palla! Almeno per muovermi mi sarebbe
bastato rotolare… No, comunque: dov’è il mio ripieno?”
“Non è un bel modo per chiamare i tuoi figli!”
“Vabbè, dov’è la marmocchia?”
La porta si aprì, e una giovane infermiera si affacciò, con un
piccolo involucro di coperte in mano. Sirius sorrise e, alzandosi dal letto,
ringraziò la donna e le prese il pacco dalle mani.
“L’altra arriva subito. Ce l’ha la signorina Gardenia.” Disse
l’infermiera, prima di andarsene.
Sirius si avvicinò al letto, tenendo fissi gli occhi,
incredibilmente dolci, sull’involucro che teneva in mano, da cui si iniziavano a
sentire provenire risate divertite.
Poi passò il piccolo pacco a Solaria, che lo guardava con un
sorriso sulle labbra e gli occhi scintillanti per la commozione.
Appena lo vide, il sorriso si allargò ancora di più. Le erano
sempre piaciuti i bambini! E quello era così tenero…
Aveva grandi occhi color ambra, un incredibile ciuffo biondo
sulla testa e pelle d’albicocca. Senza contare che era così dolce mentre
sorrideva con quella sua sottile bocca sdentata e portava le manine in avanti,
tentando di toccare il viso di Solaria, che si divertiva a farlo ridere facendo
delle incredibili boccacce.
“Che tesoro! Chi è?!”
Chiese, guardando il marito con sincerità.
Sirius si leccò le labbra, divertito. “E’ nostro figlio.” Disse
poi, con gli occhi scintillanti per la felicità.
Solaria lo fissò stranita. “Cosa?!” Gridò poi.
“Hai avuto due gemelli, Soly! Non dirmi che non lo sapevi,
perché lo ho capito che volevi farmi una sorpresa!- disse Sirius, avvicinandosi
a lei- e devo dire che è stata davvero ben accetta!” Aggiunse il ragazzo,
coinvolgendo la moglie in un bacio passionale.
Ma Solaria, ancora molto scossa dalla novità, non rispose per
niente al gentile ringraziamento del marito; anzi, si staccò poco dopo e
riprese a guardare il bambino che teneva in braccio con la bocca aperta e gli
occhi spalancati per lo stupore.
Si voltò infine da Sirius, che la fissava con un sopracciglio
alzato, e fece una risatina isterica.
Subito dopo la porta si aprì, ed entrò nella stanza Gardenia,
che teneva in mano un altro fagotto. Non appena vide la cugina sveglia, e
soprattutto, l’espressione che aveva sul volto mentre teneva il bambino in
mano, le si avvicinò con un sorriso sulle labbra.
“Soly! Come stai?!” Le chiese,
dolce.
“L’hai visto questo?!” Chiese invece la ragazza indicando il
bambino che continuava a ridere.
“Certo che l’ho visto! E ho visto anche lei!” Disse Gardenia,
sedendosi al suo fianco e mostrandole il piccolo contenuto del suo involucro.
Era una bambina… una bellissima bambina, dalla pelle rosata e i
grandi occhi grigi, che la fissavano curiosi mentre la piccola si assaporava le
ditina della mano infilandole nella grande bocca rossa a cuore.
Sulla fronte, poi, erano disegnate due volute di lacrime nere, che
partendo dal centro si diramavano all’esterno, dando maggiore profondità a
quello sguardo metallico: era il simbolo delle future sacerdotesse di Avalon, o
perlomeno, di coloro che avrebbero potuto diventare dame del Lago.
Tutte le bambine nate da un matrimonio benedetto dalla Dea
avevano quel simbolo.
“E già… lei l’avevo vista anche io…” Commentò Soly, mentre un
sorriso le compariva sulle labbra. “La piccola Selene… mamma mia quant’è bella
il mio tesorino!” Disse, avvicinandosi alla bimba e schioccandole un sonoro
bacio sulla guancia.
Poi ritornò a guardare il bambino, prendendolo sotto le ascelle
e portandolo davanti ai suoi occhi.
Rimase in silenzio per un po’, mentre Gardenia e Sirius la
fissavano interrogativamente, poi scosse la testa.
“No, non va bene! Anche lui è tutto a suo padre!” Disse poi.
“Ma non è vero! Guarda, è biondo come te! E ha il colore dei
tuoi occhi… senza contare che anche la pelle è uguale alla tua, io non ce l’ho
così scura!” Disse subito Sirius, prendendole il bambino dalle mani e tenendolo
sul suo grembo.
“Sì, ma ha i tuoi lineamenti! Guarda, ha le tue labbra
invisibili, e il visino, sono certa, è proprio il tuo! Soprattutto il naso…”
“Ah sì, per fortuna anche Selene ha il naso uguale al mio! Ci
mancherebbe altro che fossero nati col tuo naso a patata…”
“Ehi! Il mio naso è bellissimo!”
“…e speriamo che abbiano preso da me anche l’altezza…”
“Pfiu! Sirius Black, ti disconosco come padre di questi due
bambini! Li ho fatti con un altro!”
“Mi dispiace, hanno già fatto
l’analisi del sangue! Hanno tutti e due il tuo stesso gruppo sanguigno!”
“Questo dimostra che sono figli miei e
non tuoi!”
“Va bene, come vuoi tu. Allora, come
hai deciso di chiamare il nostro marmocchio?!” Chiese subito dopo Sirius.
“Cosa?!”
“Sì Soly: io ho scelto il nome della
bambina, tu devi scegliere quello del piccolo Blacknimbus!”
Solaria rimase senza parole. Cosa
doveva fare lei?! Dare un nome a quel piccolo marmocchio?! Ma… ma no… non
poteva… cavoli, non sapeva nemmeno che sarebbe venuto al mondo! Lui… lui era
nessuno fino a poco tempo prima… ed ora invece…
“Allora, come lo chiami?” Chiese
Sirius, guardando divertito il bambino che si dilettava a mangiucchiare il dito
del padre.
“Boh…” Disse Solaria. “Gardy, come lo
chiamo?!” Disse poi, rivolgendosi verso la cugina.
“Niente suggerimenti!” Ordinò però
Sirius.
Solaria sbuffò, e prese la piccola
Selene dalle braccia di Gardenia. “Selene… come chiamiamo il tuo fratellino,
eh?!”
“Ti ho detto nessun suggerimento…”
“E se lo chiamiamo Sirius?”
“Che fantasia che hai, Soly!”
“Antinoo.”
“Ma come ti è saltato in testa?!”
Sbottò Sirius, guardandola orripilato.
“Già, è vero… gli starebbe meglio
Odisseo…” Commentò Solaria, ricordando che il nome Odisseo significava per
l’appunto ‘nessuno’. “Che ne dici se lo chiamiamo Nemo?!” Aggiunse poi.
“Che nome anonimo!”
“Invece gli calza a pennello…”
“Solaria, muoviti! Sono tre mesi che
nostro figlio vive senza sapere nemmeno come si chiama!”
“Beh... potremmo lasciarlo senza
nome... così quando abbiamo bisogno di chiamarlo, ne spariamo uno a caso, tu
quello che preferisci, io il primo che mi salta in testa; e lui ci ringrazierà
perché, quando vorrà fare finta di non averci sentito chiamarlo, dirà che
quello non era il suo nome…”
“Muoviti…” Ordinò Sirius, perentorio.
Era meglio troncare in fretta il fiume di cavolate che la moglie stava per
riversare…
Solaria sbuffò di nuovo, reclinando la
testa sullo schienale del letto e portandosi Selene sul petto. Lei non era mai
stata molto brava con i nomi… in questo campo non aveva mai avuto tanta
fantasia, senza contare che spesso si dimenticava i nomi delle persone che
conosceva…
E ora, doveva decidere addirittura il
nome del figlio. Con Selene era stato facile, aveva fatto tutto Sirius e lei
non aveva avuto nulla da obiettare. Ma, a quanto pare, questa volta il marito
pretendeva che fosse lei a scegliere come chiamare il loro bambino.
Non voleva che fosse un nome banale.
Tutti, nella sua famiglia e nella famiglia di Sirius, avevano un nome con un
significato particolare.
E anche per quel bambino inatteso
doveva essere lo stesso.
Guardò Selene, poi il bel fratellino.
Infine, guardò di nuovo Selene.
Perché era nato quel bambino se non
per proteggere sua sorella? Altrimenti, non si sarebbe potuto spiegare in altro
modo questo nuovo gioco del destino. Quel bambino sarebbe diventato l’angelo
custode di Selene, colui che l’avrebbe aiutata in qualunque momento, colui che
le avrebbe indicato le vie giuste da scegliere. Colui che le sarebbe rimasto
per sempre vicino.
Colui che l’avrebbe difesa.
“Alèxandros.” Disse Solaria, gli occhi
fissi su quelli grigi della figlia.
“Aléxandros? Niente male… ma perché
non Alexànder?” Chiese Sirius.
“Perché Alexander è troppo comune, e
ci vuole un nome speciale per un bambino speciale nato da una mamma
specialissima.” Spiegò Solaria.
Sirius sorrise: in fondo, la modestia
non era mai stata una delle sue doti… e questa era l’ennesima caratteristica
che loro due avevano in comune!
“Va bene. Allora: Benvenuto in
famiglia, Alèxandros Blacknimbus.”
“Colui che protegge il suo popolo.”
Sussurrò Gardenia, fissando la cugina negli occhi.
Solaria assentì col capo, voltandosi
poi a guardare il bambino. “E’ questo il suo destino.”
Nemmeno una settimana dopo Solaria fu
rispedita a casa insieme ai bambini.
Fatto sta che il piccolo appartamento
di King’s Cross Road sembrava essere divenuto troppo stretto per accogliere
cinque persone, senza contare che il dipartimento Principale degli Auror lo
richiedeva per ospitare nuovi allievi.
Per fortuna Remus Lupin, comparendo
un giorno in mezzo al salotto durante una fragorosa lite fra Sirius e Solaria
sul colore delle lenzuola della culla dei bambini, offrì gentilmente loro la sua
casa di campagna nel Galles: lui avrebbe vissuto in loro compagnia solo durante
l’estate, dato che, con l’arrivo di settembre, si spostava ad alloggiare ad
Hogwarts.
E Solaria e Sirius, alla fine, dopo
tanta insistenza del loro amico, accettarono.
Anche perché, l’unica alternativa,
sarebbe stata ritornare alla villa Nimbus in Francia. E nessuno di loro, tanto
meno Solaria, voleva rientrare in quel posto, pieno di ricordi troppo tristi…
senza contare che la presenza di una piccola schiera di Auror dell’ordine della
Fenice non avrebbe certamente garantito tranquillità e sicurezza per la
famigliola.
Così, ad Agosto inoltrato, si ritirarono tutti nella villa dei
Lupin.
Sirius e Remus raccontarono a Solaria
e Gardenia come loro e James l’avessero rimessa a posto, qualche anno prima,
grazie soprattutto all’aiuto di Lily. Se non ci fosse stata lei, probabilmente
alla fine sarebbero morti di stenti giacché la casa era così caotica che i
mobili impedivano l’accesso a qualsiasi stanza, soprattutto quella per loro più
vitale: la cucina.
Insomma, l’estate passò piuttosto
allegramente e, prima dell’avvento di settembre, a casa Lupin fu programmata un’allegra
cenetta fra amici, a cui avrebbero partecipato i Potter, Tonks e Peter Minus,
che Solaria non aveva ancora avuto il piacere di rivedere dopo il suo rientro.
Solaria passeggiava per il giardino,
sotto i grandi alberi che riparavano dal sole e lasciavano godere un po’ di
frescura, tanto ambita in quell’estate stranamente torrida.
I bambini dormivano. Sirius era a
lavoro. Gardenia e Lupin stavano preparando la cena: incredibile quanto quei
due fossero diventati uniti negli ultimi tempi.
Sorrise a questo pensiero: erano
davvero una coppia perfetta. Tutti e due molto pacati, semplici, intelligenti,
altruisti. Tutti e due così timidi… si chiedeva quando Remus si decidesse a
fare la prima mossa con sua cugina… perché, se aspettava che Gardenia facesse
qualcosa, l’attesa sarebbe durata fin’oltre la tomba…
Si sedette sotto un albero, fra l’erba
alta.
La testa le faceva lievemente male.
Trattenere tutte quelle visioni era
piuttosto difficile, le costava molte energie, senza contare che comunque esse
si accumulavano nella sua mente come una pila di compiti non fatti sulla
scrivania di uno studente poco dedito al suo lavoro…
Ogni tanto, era meglio affrontare
anche quella difficile faccenda. Altrimenti la testa, prima o poi, le sarebbe
scoppiata perché troppo piena…!
Chiuse gli occhi e sospirò.
Lentamente, molto lentamente, abbassò le difese, tenendo comunque sotto
controllo la sua empatia: non poteva permettere che le visioni le procurassero
dolore fisico, perché altrimenti riprendere il dominio sopra esse sarebbe stato
molto difficile e avrebbe corso seri rischi di rimanere stecchita dalla loro aggressività.
Subito un mare di immagini e di
sentimenti invasero la sua mente, come un fiume in piena irrompe su una diga
appena crollata. Solo, questa volta gli effetti devastatori erano molto
limitati.
Lievi fitte alla testa furono il danno
di quell’irruenza.
Eppure, molte di quelle immagini le causarono
forte dolore al cuore.
Come ad esempio la triste storia dell’amore
fra Remus e Narcissa. Leggeva nella mente del suo amico quanto fosse stata
difficile la fine di quel rapporto, il suo rancore verso la donna che per tanto
tempo aveva amato. La sua delusione per ciò che aveva fatto.
Non poteva credere che Narcissa fosse
cambiata così tanto. Sì, è vero, prima di partire aveva sentito che il suo
cuore si era indurito molto. Ma Narcissa non era un mostro… non lo era mai
stata, e anche se il male delle famiglie in cui viveva le aveva avvelenato il
sangue, era abbastanza forte per uscire vincitrice anche da un tale attacco.
Cercò dunque la dolce cugina di Sirius
con la mente. E la trovò ben presto, seduta in un candido giardino di una
splendida villa che sicuramente doveva essere Malfoy Manor.
Era triste. Il suo cuore ancora
soffriva per ciò che aveva fatto all’unico uomo che avesse mai amato. Aveva
capito il suo errore. Aveva capito di essere stata debole a farsi soggiogare in
tal modo dalla vendetta.
Ma non si era pentita di ciò che aveva
fatto. Era fiera di ciò che aveva offerto al bambino che ora teneva in braccio,
il piccolo Draco, che guardava con curiosità una margherita che la madre gli
aveva messo in mano.
La possibilità di essere libero.
Sperava solo che la malvagità del
padre non oscurasse anche il suo cuore, riducendolo schiavo dei suoi ideali.
Draco era un bambino molto particolare…
quando stava in compagnia della madre, si comportava normalmente, come ogni
altro bimbo: curioso, molto curioso, attento, sempre vigile, sorridente e
allegro.
Quando era col padre, cambiava… non
rideva più, i suoi occhi rimanevano immobili, vitrei, fissi sulle cose orribili
che gi venivano mostrate, senza alcun sentimento espresso sopra.
Come quando Lucius lo aveva fatto
assistere alla decapitazione di un elfo domestico. Del sangue era schizzato
dappertutto, e un po’ era andato a macchiare il viso del bel bambino, che era
rimasto impassibile, ancora gli occhi fissi sulla testa mozzata della brutta
creatura.
Dopo quell’evento, per un’intera
settimana aveva continuato a schiacciare con particolare studio e freddo
divertimento tutti gli insetti, tutti i piccoli animaletti che gli passavano
vicino in giardino.
Voleva vedere il sangue: Narcissa lo
aveva definitivamente capito un giorno che, dopo aver afferrato e strappato le
ali ad una farfalla, il bambino l’aveva messa sotto i piedi e l’aveva
schiacciata per bene contro il pavimento, finché non aveva visto un poco di
quella ambita sostanza rossastra.
Narcissa, allibita, lo aveva preso in
braccio e gli aveva gridato che non doveva più fare cose del genere. E il
bambino era rimasto così, immobile, a fissarla.
Pochi giorni dopo, finalmente, pareva
essere tornato quello di sempre.
Il marito aveva una cattiva
influenza su di lui. Influenza che, comunque, era sempre maggiore di quella sua
su Draco. Lucius faceva più danni rimanendo pochi istanti con il figlio, che
Narcissa cose buone rimanendo perennemente al suo fianco.
Era dunque
giunta ad una conclusione: Draco aveva bisogno di amici. Di semplici bambini…
che riuscissero a sedare con la loro ingenua allegria il mostro che il padre
lentamente stava risvegliando in lui.
Appena si allontanò dalla mente
di Narcissa, nuove immagini le apparvero.
Provenivano da Sirius.
Sicuramente il marito era appena
rientrato da lavoro, ecco perché la sua aura era così vicina.
Lesse in lui la sua gran voglia di
rivederla, e di rivedere i suoi due marmocchi, e sorrise.
Quanto li adorava! Anche se il piccolo
Alex stava diventando ogni giorno più simile, caratterialmente, alla madre…
incredibile come qualsiasi cosa riuscisse a farlo divertire, rideva per tutto e
per tutti!
Selene, invece, era più pacata. Forse,
assomigliava di più a lui… anche se anche lui non era propriamente uno stinco
di santo…
Magari aveva ereditato i geni della
famiglia di Solaria. In fondo, Gardenia era una ragazza tranquilla e
intelligente…. Ed effettivamente, negli occhi di Selene leggeva la stessa amara
rassegnazione, lo stesso peso… che aveva letto negli occhi della sua Solaria,
ed in quelli di Urania. Eppure era solo una bambina…
Urania?!
Solaria corrugò la fronte,
concentrandosi più a fondo sui ricordi del marito.
Fu così che venne a conoscenza del suo
piccolo incontro con Silente… della storia di sua madre… e della vera identità
del preside.
Albus Silente
era suo nonno.
Aprì gli occhi di scatto, richiudendo
subito la sua mente. Era meglio finirla così, le scoperte di cui era entrata a
conoscenza erano davvero troppo pesanti…
Narcissa un angelo rinchiuso nell’inferno…
Draco un piccolo demone in quarantena… Silente suo nonno…
Bah… a quante cose doveva porre
rimedio, prima di lasciare definitivamente questo mondo.