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di Choi Yume
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** prologo ***


Prologo
 
È notte fonda. Nel cielo, di un intenso blu scuro e rischiarato appena dalla pallida luce della luna, non risplendono stelle...
 
Quante leggende iniziano così? Quante volte si è sentito parlare di malvagie creature che strisciano nell'oscurità? Ma se c'è qualcosa di bello nelle leggende e nelle loro molteplici versioni, è che nessuna è mai completamente vera o completamente sbagliata.
Esistono davvero creature che escono allo scoperto solo dopo il tramonto, non perché hanno paura del Sole, ma perché nella notte scura e profonda sono in grado di cacciare con più facilità: d'altronde anche loro hanno bisogno di nutrirsi.

I vampiri sono capaci di muoversi con destrezza nelle tenebre. Nati millenni di anni fa, su di loro esistono diverse leggende, alcune false, insulse, basate su dettagli puramente inventati. Sono bestie che per sopravvivere sì, si nutrono del sangue umano, ma non temono il sole e non hanno lunghi canini. Non è vero che nelle loro vene non scorra sangue e che non possano nutrirsi dei propri simili. Altri miti però dicono il vero: hanno sensi più sviluppati degli uomini, una forza sovrumana e hanno il potere di trasformare gli uomini con un morso. È vero anche che prima di attaccare i loro occhi diventano rossi. I vampiri esistono, e vivono mimetizzati tra gli esseri umani.
 
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Capitolo 1

I passi di un uomo risuonavano al buio di un corridoio, le cui pareti erano ricoperte di ritratti secolari di vampiri puro sangue, i più potenti tra tutti; i loro occhi rossi risplendevano anche se impressi su tela. Si fermò un attimo davanti al suo stesso ritratto e le sue labbra piene si piegarono in un ghigno, mentre le sue iridi da nero pece diventavano rosso sangue, quasi con soddisfazione; poi decise di continuare il suo percorso, finché non giunse davanti ad una porta di legno scuro, elegantemente intarsiata. Bussò con le nocche un paio di volte e la porta si aprì da sola. La stanza era illuminata da una luce soffusa, che si diramava da alcuni punti strategici. Il vampiro era fermo sulla soglia: alto, lo sguardo serio nascosto da lunghi capelli neri che gli ricadevano sulla fronte, era vestito completamente di nero e teneva una postura rigida, le spalle larghe e ben proprozionate e le braccia dritte lungo i fianchi.
  «Qual buon vento!» disse il ragazzo seduto su una poltrona blu notte, le gambe lunghe distese e i tacchetti degli stivaletti conficcati nel pavimento. Le mani erano appoggiate ai braccioli e il capo chino non consentiva all'altro di guardarlo negli occhi, concedendogli solo la visuale di qualche ciuffo nero che gli ricadeva sul viso.
  «Non dirmi che l'hai uccisa...» il tono di voce era scocciato e gli occhi erano rivolti a terra, verso le scarpe del ragazzo.
A terra giaceva il corpo di una donna, il viso nascosto da una corona di capelli rosso scuro che si disperdevano sul pavimento. Rosso come il sangue che non aveva più in corpo.
  «Aveva poco sangue» si giustificò, mentre sosteneva la fronte con le dita intrecciate.
  «Era pur sempre una vampira, sai che non dovresti ucciderli...» raccolse il cadavere per poi caricarselo sulle spalle.
Il ragazzo alzò il viso di scatto e i suoi occhi vermigli si volsero verso il volto dell'interlocutore, mentre le zanne affilate ritornavano lentamente nelle gengive, dove sarebbero rimaste nascoste fino al pasto successivo.
  «Non desidero nutrirmi dei miei simili fino alla mia morte, ma non ho altra scelta» tuonò e la sua voce roca generò un'onda d'urto che sbalzò l'altro contro il muro a lui opposto. Non era ancora in grado, appena dopo i pasti, di controllare i suoi poteri, che sembravano rafforzarsi sempre di più ogni volta.
L'uomo gemette per il dolore dell'impatto. «Junhong, calma»
Lo sguardo furente di Junhong parve affievolirsi, mentre i suoi occhi tornavano al loro normale colore scuro. Si premette il viso con il palmo della mano e disse, scuotendo la testa: «Sc..scusa hyung, non so cosa mi sia preso».
  «Era un vampiro piuttosto potente, è normale in questi casi» affermò mentre cercava di rimettere in sesto la spalla dislocata.
  «Ma non era nel pieno delle sue forze, altrimenti mi avrebbe costretto a smettere» Junhong guardò il cadavere della donna, che nel frattempo era stato adagiato di nuovo sul pavimento.
  «Tu ti nutri solo e unicamente di altri vampiri, sei più forte di tutti noi e lo sai bene» l'altro posò una mano sulla spalla del ragazzino, che era più alto di lui di qualche spanna nonostante l'età. Di riflesso si passò una mano sul mento ancora sporco di sangue ormai secco e bisbigliò: «Non so quanto sia bello essere potenti se poi si finisce...così».
  «Devi solo imparare a controllarti meglio, sei ancora giovane, Junhong»
  «Sono nato vampiro e ancora non riesco a tenere a bada i miei poteri. Non credi sia quantomeno ridicolo, Yongguk-hyung?» disse mentre un sorriso amaro gli increspava le labbra.
  «Gestire la forza dopo ogni pasto non è facile» fece schioccare la lingua contro il palato «...e poi ricordiamoci che sei pur sempre un ragazzino e non sei mai uscito dalla comunità da quando sei venuto al mondo, non hai mai avuto bisogno di controllarti».
  «Il loro odore mi fa venire la nausea» Junhong arricciò il naso.
Yongguk soffocò una risata. «Non esiste frase più atipica per un vampiro».
  «Effettivamente sono un vampiro atipico, lo sai anche tu»
  «Lo sappiamo tutti!» disse allargando le braccia in un gesto plateale. «Proprio per questo ti consideriamo il candidato principale per governare la nostra comunità; ma un buon leader deve saper resistere agli istinti, Junhong» diede un calcio al corpo morto ai suoi piedi, come per rimarcare la sua mancanza di auto-controllo.
  «Cos'hai in mente? Sentiamo...» Junhong si lasciò cadere sulla poltrona dalla quale si era alzato qualche minuto prima.
  «Forse dovresti uscire dalla comunità»
Il ragazzo alzò un sopracciglio, a metà tra il confuso e lo scettico: «Uscire dalla comunità?»
  «Sai, molti vampiri decidono di vivere per un po' tra gli umani, così da imparare a controllare i propri istinti», poi si strinse tra le spalle, come se quello che stava dicendo fosse la cosa più ovvia del mondo.
  «Ma io non posso nutrirmi di esseri umani, non vedo a cosa mi sarebbe utile»
  «Sei stati tu a dirlo: ti provocano nausea» Yongguk sogghignò compiaciuto.
  «Continuo a non seguirti...»
  «No, è che tu non vuoi capirmi. Se riuscirai a trattenere i tuoi istinti, seppur di disgusto, nei confronti degli esseri umani, sarai in grado di controllare la tua sete ogni volta che mordi un vampiro, Junhong. Credo che questa sia attualmente la soluzione migliore».
Il ragazzo lo fissò a lungo da dietro i ciuffi neri di capelli che gli erano caduti sugli occhi. Quell'idea non gli piaceva, per nulla; se avesse dovuto dire tutta la verità, non gli piaceva nemmeno l'idea di diventare il leader di una comunità così estesa di vampiri: non si trattava di un centinaio di persone, ma tra sangue puro, mezzo sangue e schiavi superavano forse persino le diecimila persone. Lui era solo un ragazzo, anche malato per giunta. Sì, Choi Junhong era malato, sin dalla nascita, di una rara e alquanto bizzarra malattia, specialmente per un vampiro. Si sarebbe potuta definire un'allergia al sangue umano, quel sangue che di solito era linfa vitale per i suoi simili e che invece indeboliva Junhong: diminuiva i suoi poteri, i suoi sensi, gli causava un vero e proprio deperimento a livello fisico, che avrebbe potuto condurlo alla morte. Il sangue dei suoi simili no, quello non gli faceva nessun effetto – se si esclude quello degli schiavi, anche trasformati, nati umani e mutati in vampiri. Anzi, quello lo rinvigoriva e come è normale che sia aumentava anche i suoi poteri. Era per questo che tutti lo temevano: gli bastava arrabbiarsi e rispondere male come aveva fatto prima con Yongguk per uccidere qualcuno senza la minima intenzione. Forse i vampiri nei suoi confronti provavano paura e non stima, per questo preferiva starsene in casa e uscire a notte fonda, quando le strade del villaggio erano completamente deserte.
  «Migliore per cosa?» fece finta di non capire.
  «Per te»
  «Hyung, per favore, non ricominciano con quella storia. Io non voglio, Himchan è un ottimo leader, perché dovrei prendere il suo posto? Lo ripeti sempre anche tu: sono solo un ragazzino»
Yongguk sospirò pesamentemente e disse, posando una mano sulla testa e accarezzandogli i capelli: «Junhong, io credo in te. Voglio solamente che tu ti liberi di questa routine malata»
  «Balle!» disse spostando la sua mano con un gesto brusco «a te non importa nulla» e sputò a terra. L'altro rimase in silenzio. Junhong sospirò e nel tentativo di evitare gli occhi del più grande posò lo sguardo sul corpo della vampira che stava lentamente diventando cenere.
  «E sia» borbottò infine «Andrò a vivere in mezzo agli umani».
 
¤¤¤
 
Era una mattinata normale, una come tante, e Kaori stava sonnecchiando beatamente nel suo letto, abbracciata al cuscino con l'aria serena di chi dorme sonni tranquilli. Qualche ciocca di capelli color miele le cadeva sugli occhi, senza darle davvero fastidio: li aveva tagliati corti proprio per quello, per non ritrovarsi capelli lunghissimi dappertutto; sua nonna di certo non approvava, lei amava quella cascata di capelli biondissimi, ma Kaori aveva preferito che i ciuffi le incorniciassero appena il viso.
Un sogno stava lentamente prendendo forma nella sua mente e Kaori si mosse appena nel sonno, finché qualcuno non decise di interrompere la sua favola urlandole dritto in un orecchio: «Sveglia!»
La ragazza sobbalzò e si mise seduta al centro del letto. «Ma cosa...?» si chiese con voce confusa e impastata e gli occhi a mandorla ancora semichiusi.
«Buongiorno, dormigliona» qualcuno ridacchiò.
Lei assottigliò gli occhi, probabilmente nel vano tentativo di sembrare minacciosa, mentre l'altro rideva a crepapelle tenendosi le viscere.
  «Youngjae...» sibilò.
  «Sì, Kaori? Dimmi!» disse cercando di placare le sue stesse risate.
  «Non ti hanno mai detto che le persone, specialmente se si tratta di una ragazza, vanno svegliate con dolcezza?» la ragazza sbatteva leggermente le palpebre come un cerbiatto.

Il ragazzo era bellissimo: la pelle leggermente abbronzata, gli occhi a mandorla scuri e ammaliatori, le labbra piccole e piene e i capelli castani che gli ricadevano dolcemente su una parte del viso; tanti dettagli che lo rendevano degno di quell'aggettivo. A un tratto si strinse nelle spalle e disse: «Tu non ti sveglieresti nemmeno con delle cannonate, devo essere drastico».
Lei per tutta risposta gli lanciò un cuscino in piena faccia e Youngjae smise di colpo di ridere.
  «Ora va molto meglio» sorrise e si alzò dal letto.
  «Mi hai lanciato un cuscino!» protestò quando si fu ripreso dallo shock iniziale.
  «Almeno hai smesso di ridere. A pensarci, l'ho fatto per il tuo bene. Se avessi continuato a ridere così tanto ti si sarebbe bloccata la respirazione, quindi ringraziami» disse con un sorriso furbo.
  «Tu piccola...» il ragazzo imprecò a denti stretti.
Kaori gli fece il verso ridacchiando tra sé e sé, mentre apriva l'armadio alla ricerca di qualcosa da indossare.
Calò per un attimo il silenzio nella stanza poi, quando la ragazza ebbe finalmente trovato qualcosa di decente da mettere, Youngjae riprese a parlare: «Comunque, è davvero sexy quel pigiama a paperelle». Kaori tolse la maglietta del pigiama e gliela lanciò in faccia. Si voltò di spalle, mostrando le sue scapole sporgenti, che sembravano quasi ali incatenate dal tessuto della pelle, poi entrò in bagno e lasciò il ragazzo da solo.
Youngjae si sedette sul letto con un tonfo e il materasso si piegò sotto il suo peso, mentre si guardava intorno consapevole che avrebbe dovuto aspettare un bel po'.
Quella che poteva sembrare una mattinata alquanto scombussolata era in realtà la routine quotidiana per i due, amici da che ne avessero memoria. Si erano conosciuti da piccolissimi, quando Kaori era appena nata e lui aveva solamente due anni e osservava gli occhi grandi e puri della bambina infagottata in una copertina rosa. Lui le aveva sorriso da subito e,  nonostante il bisogno di attenzioni tipico di ogni bambino, aveva pensato che condividere i riflettori con lei non sarebbe stato poi così male. Youngjae aveva poi infilato le due dita nel pugnetto cicciotto di lei e senza saperlo le aveva fatto una promessa: ti proteggerò.
Erano cresciuti praticamente insieme. Lei era quasi sempre a casa di sua nonna e lui abitava nella dimora accanto: quando uno dei due si annoiava correva quasi inconsciamente dall'altro. Nel corso degli anni poi il loro rapporto era diventato quasi una specie di simbiosi: davano per scontato che fossero sempre insieme e che in qualsiasi difficoltà avrebbero trovato sempre reciproco appoggio. Ovviamente c'erano state volte in cui erano rimasti delusi, ma inevitabilmente si riconciliavano sempre. Tutti credevano che una volta cresciuti la loro amicizia si sarebbe evoluta in un sentimento più forte, ma non era stato così. Era rimasti semplicemente come fratelli e nessuno dei due riusciva a concepire l'altro in modo diverso da quello: molti non capivano, ma a loro non importava.
Youngjae era l'unica persona cara che le era rimasta, assieme a sua nonna. Sua madre era morta senza che lei neanche la conoscesse a causa di un'infezione subentrata durante un parto, o così le avevano detto. Suo padre invece aveva avuto un infarto a causa dello stress; infatti da quando erano rimasti soli aveva iniziato a lavorare notte e giorno per dare a sua figlia una vita dignitosa. Però alla fine aveva perso il padre. Certo Kaori non gliene faceva una colpa, credeva di fare la cosa giusta perseguendo la via sbagliata, ma d'altronde chi è che non lo fa?
Lei d'altra parte nella vita non si era fatta nessuno amico, ma non perché avesse la puzza sotto al naso o preferisse la compagnia di Youngjae, ma tutti la consideravano una persona particolare. Fredda, scostante, silenziosa, diceva cose strane di tanto in tanto e passava la maggior parte del suo tempo a disegnare o a scribacchiare su un quaderno. Non le piaceva molto parlare, infatti le poche volte che qualcuno le si avvicinava si chiudeva in se stessa, rispondendo a monosillabi. C'erano giorni in cui si chiedeva come mai Youngjae ancora non l'avesse abbandonata.
Uscì dal bagno circa venti minuti più tardi e si rese conto di essere terribilmente in ritardo. Si precipitò in camera e urlò «Perché non mi hai svegliata prima!» mentre cercava di infilarsi alla svelta le scarpe.
  «Se mettessi la sveglia di mattina, ogni tanto...» disse lui con un'espressione divertita.
  «La mattina...»
  «Sì, lo so, è fatta per dormire»
  «Esatto» disse mentre frettolosamente afferrava il giubbotto «vedi che quando vuoi sai essere sveglio?»
Uscirono insieme di casa e si diressero insieme verso l'università. Lei frequentava il primo anno di Lettere, lui il terzo di Informatica. Quei due erano come il giorno e la notte, tutti lo pensavano. Non sapevano quale fosse il motivo per cui andassero così d'accordo, probabilmente lo ignoravano anche loro, ma c'era un filo che li univa, un filo che appariva indistruttibile.



 
[angolino dell'autrice]
Buonasera/giorno (dipende da quando state leggendo).
Mi presento, sono Chloe, o meglio, scrivo con questo nome (quando EFP accoglierà le mie richieste ci sarà un cambio nick). Questa è la mia prima Fanfiction sui B.A.P ed è stranamente (anche per me) Het, spero vi piaccia e ricordate le recensioni sono sempre apprezzate
I protagonisti di questo Prologo+capitolo
sono Junhong, Yongguk, Kaori e Youngjae. Di sotto vi lascio le foto di come li immagino nella storia. ma prima vorrei ringraziare la mia unnie che mi ha convinto a scrivere questa fanfiction e ringraziare/creditare/beatificare Angelica che mi beta i capitoli.
Alla prossima~



 


 
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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Capitolo 2

Junhong dormiva nel suo sfarzoso letto a baldacchino, era mattina e lui come nella più vecchia delle leggende dormiva, un sonno del tutto privo di qualsiasi forma di sogno, i vampiri non erano in grado di sognare. Ma non si sarebbe potuto dire che quello fosse un sonno tranquillo. Sentiva, tra il sonno e la veglia, una spiacevole sensazione, come quando senti che c’è qualcuno che ti segue, quella sensazione  di avere un lungo ago  infilato al centro esatto delle spalle. Provò ad ignorarlo girandosi su un fianco, nascondendosi il più possibile sotto il piumone, ma servì davvero a poco, quella fastidiosa sensazione era ancora lì. Non importava quanto si rigirasse, quanto cercasse di allontanare i pensieri, ormai quella sensazione l’aveva svegliato del tutto.
Aprì gli occhi irritato. Di certo non si aspettava di trovarsi due grandi occhi scuri che lo fissavano a un millimetro dai suoi. Si morse un labbro per trattenere l’istinto poco virile di urlare per la sorpresa.
«Buongiorno» disse un ragazzo appeso a testa in giù dal suo letto a baldacchino. I capelli neri scendevano come una cascata che partiva dalla testa, gli occhi grandi e allegri con delle borse al di sotto, un neo sotto un occhio e le labbra molto carnose piegate in un sorriso al contrario.
«Cosa diavolo ci fai tu qui? E soprattutto perché sei appeso a testa in giù?» disse con tono forse un po’ più isterico di quello che avrebbe voluto.
«Aspettavo che ti svegliassi». L’altro continuava a fissarlo incurante come se stesse facendo la cosa più normale del mondo.
Junhong si girò dal lato opposto «Scendi da lì dannazione» bofonchiò contro il cuscino.
Il ragazzo ridacchiò facendo quello che gli era stato detto «Fifone» sussurrò     mentre si riportava nel suo campo visivo.
«Sta zitto» disse sedendosi al centro del letto per poi passarsi una mano tra i capelli scompigliandoli più di quanto non fossero già in precedenza.
«La verità ti fa male Junhong-ah?» .
Il ragazzo finse di non aver sentito, cosa praticamente impossibile per il suo udito da vampiro. «Cosa sei venuto a fare Daehyun-hyung?».
«Ma come…» disse facendo una pausa drammatica «Non ricordi che giorno è oggi futuro re dei vampiri?». Lasciò la sua testa penzolare da un lato per mostrare una teatrale dolcezza e confusione.
Lui lo guardò per un po’ cercando di ricordare quel qualcosa  che stava di certo dimenticando.
«Nulla?» chiese il moro davanti a lui assumendo stavolta un espressione alquanto scocciata.
Il ragazzo dai capelli neri scosse la testa.
«Ragazzini» sospirò l’altro con fare paterno «Oggi devi andare tra gli umani, ricordi?».
«Oh…quello» pronunciò Junhong facendo poi sbattere di nuovo la schiena sul materasso fissando le tendine  del suo letto.
«Già quello» gli fece eco l’altro. «Ricordo quando dovetti farlo io» disse con un pizzico di nostalgia guardando verso l’alto. «Fu terribile» esclamò poi tornado serio «Tutte quelle prelibatezze che ti circondano con il loro odore inebriante e tu non puoi nutrirti». Si passò la lingua sulla labbra piene «Una vera e propria tortura».
Il ragazzo si limitò a guardarlo senza fiatare, mentre il petto nudo si alzava e abbassava ritmicamente, perché sì, anche i vampiri respirano, in realtà solo per ossigenare il loro sangue e non farlo marcire nelle loro vene, ma dovevano comunque. Era abituato alle stranezze di Daehyun, alla sua fame insaziabile, era un vampiro sangue puro anche lui, uno dei più golosi ancora vivi.
«Ma per te sarà uno scherzo vedrai» gli disse sorridendo «Tu sei allergico a quella prelibatezza».
«Mi fa venire la nausea e sarò circondato da quell’odore tutto il giorno, proprio uno scherzo» disse distogliendo lo sguardo.
«Non sai che ti perdi Junhong-ah» disse leccandosi le labbra mentre un’inquietante luccichio rossastro attraversava le sue iridi.
«Bevo sangue ugualmente, sono un vampiro, solo che bevo quello dei miei simili».
Daehyun abbasso il capo quel tanto che bastava perché la frangia scura gli coprisse gli occhi mentre un ghigno raccapricciante si faceva spazio sulle sue labbra «Tu non capisci, il loro sangue è diverso, è dolce, scorre veloce nelle loro vene quando si fanno prendere dal panico per il morso, la loro pelle è morbida calda, vorresti morderli ovunque, ovunque c’è sangue che ristagna, anche quando sono ormai morti e il loro sangue non circola più. Ma la parte migliore è quando lo senti, quando senti il loro cuore che lentamente smette di battere e senti la loro anima, la loro vita, ne senti il gusto sulla lingua, gli umani sono così fragili Junhong-ah».
Quel discorso suonò raccapricciante persino a lui che quando mordeva qualcuno non sapeva controllarsi, inebriato dal potere e finiva per prosciugare completamente la sua vittima di turno.
«Ora mi alzo» disse continuando a non guardarlo, tenendo lo sguardo fisso nel vuoto.
«Sbrigati» disse solo per poi uscire dalla stanza, come era entrato, senza che lui se ne accorgesse.
Junhong sospirò mettendosi a sedere di nuovo. Aveva sentito storie di vampiri che erano impazziti dopo aver vissuto per un po’ come umani, era il loro odore, il profumo di sangue vivo che emanavano, dicevano molti, lui sapeva che quell’odore in lui non avrebbe fatto scattare la loro stessa voglia di mordere, ma era preoccupato lo stesso; non aveva mai vissuto in mezzo agli altri, era sempre stato in quella stretta cerchia di sangue puro, i pochi rimasti; molti ora erano mezzo sangue e trasformati.
La razza vampira nei secoli era andata sempre più mescolandosi con gli umani, generando i mezzo sangue, figli nati da un vampiro e un trasformato o tra un vampiro e un umano (cosa in realtà molto rara dato che gli umani non potevano reggere il feto di un vampiro, li avrebbe divorati dall’interno); poi c’erano i trasformati, persone nate umane, ma trasformati in vampiri, questa è una capacità che solo i sangue puro hanno, perché per trasformare un umano in un vampiro occorreva bere metà del suo sangue e fargli bere il proprio, ma il sangue in questione è contaminato da cellule di origine umana tutto il processo era inutile. Ecco perché i sangue puro erano i vampiri più temuti, non solo perché più potenti, ma anche perché potevano facilmente creare un esercito; perché ogni trasformato perde la propria volontà e diventava schiavo, un burattino pronto a fare tutto per il suo padrone.
Si alzò dal letto dirigendosi verso il bagno, non soffriva dell’aria fredda del primo mattino o del pavimento gelato contro le piante dei piedi, lui era il primo ad essere freddo e completamente perso nei suoi pensieri per accorgersi di qualsiasi cosa.
Youngguk passò a prenderlo circa un’ora dopo mentre lui già pronto imprecava contro Daehyun che l’aveva svegliato decisamente troppo presto.
Quando il maggiore entrò nella sua stanza gli chiese sarcasticamente se avesse deciso di mettersi a recitare qualche preghiera ad un Dio che non esiste per entrare nell’ottica umana, ma il «Fanculo anche a te» pronunciato dal più puìiccolo gli fece dedurre che l’altro aveva iniziato la giornata alzandosi dal lato sbagliato del letto.
Non si dissero molto mentre raggiungevano la macchina nera di Youngguk, il maggiore capiva l’inquietudine del più piccolo c’era passato anche lui quando aveva la sua età, forse anche più piccolo, ma lui aveva avuto altre interazioni prima con gli umani lui no, forse solo da piccolissimo prima che subentrasse la malattia.
«Le regole le conosci no?» chiese stringendo la stoffa dei suoi pantaloni mentre un’autista li accompagnava nel centro città.
«Mai rivelare la mia natura. Se voglio una schiava o uno schiavo che sia qualcuno di lontano dalle persone che sarò costretto a frequentare, per non destare sospetti. Non dovrò nutrirmi di esseri umani, e questa è facile. Dovrò vivere completamente isolato dalla comunità finché i miei istinti non saranno del tutto frenati e sarò in grado di stare tra gli umani senza provare il desiderio di uccidere. Dimentico qualcosa?». Se ne stava con il gomito puntellato su una coscia avvolta da dei jeans stretti mentre guardava fuori dal finestrino con aria disinteressata, si chiedeva ancora a cosa servisse tutto quell’inutile rituale.
«E non provare a usare trucchetti come startene chiuso in casa tutto il giorno, devi vivere tra gli umani».
«Lo so, lo so» sbuffò per l’ennesima volta. «Tanto li avvertirei lo stesso, loro e il loro odore». Non si rivolsero la parola per il resto del viaggio.
 
L’avevano sistemato in un piccolo appartamento, non c’era molto; una stanza da letto con un letto a due piazze e un piccolo armadio, un bagno senza vasca, ma con una cabina doccia e una cucina con il frigo ovviamente vuoto che poi dava sul piccolo salotto con lo stretto indispensabile per vivere. Era tutto minuscolo se si prendeva in considerazione casa sua e lo sfarzo a cui era abituato, ma non gli importava, non avrebbe dovuto viverci per sempre.
Sospirò grattandosi la nuca. Ormai c’era dentro ed era solo. Doveva fare mente locale.
 
Kaori correva per le strade imprecando a denti stretti. Youngjae l’aveva avvisata qualche giorno prima che avrebbe avuto un esame e che quindi sarebbe uscito prima senza aspettarla; le aveva detto mille volte di impostare la sveglia che non faceva altro che prendere polvere sul suo comodino ( sveglia che proprio lui le aveva regalato), le aveva mandato un messaggio la sera prima, ma lei ovviamente se ne era completamente dimenticata, come se quelle parole le fossero entrate da un orecchio e le fossero uscite dall’altro. Maledisse prima se stessa, poi il tempo, poi l’università e infine Youngjae che non era lì a darle della stupida.
Aveva lezione alle dieci e si era svegliata esattamente alle nove e quarantacinque minuti per colpa di un incubo, ma non sapeva che quando aveva aperto gli occhi il suo vero incubo avrebbe preso forma.
Era corsa per la strada rischiando di essere travolta o investita più volte, ma lei era così presa dalla sua corsa contro il tempo che non se n’era nemmeno resa conto.
C’erano state volte in cui aveva saltato le lezioni, chiunque l’ha fatto almeno una volta nella vita è la cosa più ovvia e sciocca che ogni ragazzino fa, ma ora lei stava crescendo e aveva bisogno di quella presenza per andare avanti, quello era un corso obbligatorio che le sarebbe valso un voto e non poteva assentarsi proprio alla prima lezione.
Andò a sbattere contro qualcuno, fu uno scontro violento, probabilmente dettato dal fatto che lei stesse correndo come una furia, fatto sta che cadde rovinosamente al suolo.
«E sta più attendo a dove vai» disse rivolta al ragazzo alto, altissimo che si trovava davanti che ora la guardava sorpreso sbattendo più volte le palpebre. Con le mani infilate nelle tasche del suo cappotto blu, non le aveva nemmeno offerto una mano per farla alzare si era limitato a fissarla.
«Coglione» sibilò a denti stretti per poi alzarsi e spazzolarsi i jeans con la mano «E levati dalle palle, sono di fretta» disse spintonandolo di proposito con una spalla. Il ragazzo non si mosse di lì.
 
Aveva deciso di farsi un giro per il centro città, prima si sarebbe abituato prima sarebbe tornato a casa, ma era più difficile di quello che pensava, anche camminare in mezzo agli altri gli era complicato, sentiva mille voci assieme e quell’odore forte, pungente e metallico di sangue gli faceva venire la nausea era come l’odore di un cadavere in putrefazione per le sue narici, gli venivano conati mentre camminava, provava a concentrarsi sui suoi piedi che si muovevano passo dopo passo per non pensarci, si sarebbe abituato anche a quello si ripeteva.
Mentre camminava qualcuno gli finì addosso. Era così concentrato su altre cose che non si era minimamente accorto di lei. Era caduta in terra e ora lo guardava dal basso imprecando contro di lui, mentre lui invece era rimasto paralizzato. Aveva uno strano odore, quella piccoletta. La ragazza si alzò continuando ad insultarlo e lo spintono poco prima di ricominciare ad andare per la sua strada.
Junhong restò fermo lì, a guardarla finché la sua figura non scomparve davanti ai suoi occhi.
Sentiva ancora quello strano odore, quello che emanava la ragazza, dolce, dolcissimo ma allo stesso tempo era certo che c’era anche qualcosa come se profumasse di agrumi, lievemente acido. Non importava quanto camminasse, quanto lontano da lei fosse, continuava a sentirlo e non erano gli altri o l’aria o qualche oggetto, né tantomeno se stesso, lo sentiva nelle sue stesse narici, quell’umana aveva un profumo che lui non aveva mai sentito in vita sua.
 
Per i vampiri ogni essere umano ha un odore diverso che dipende da molti fattori: può dipendere dalla fluidità del sangue, da quello che gli umani mangiano, dai livelli di proteine, globuli rossi o lipidi; può dipendere da fattori ambientali o da alcune malattie. Attraverso il loro odore un vampiro può scegliere se il sangue di un umano è appetitoso o meno, ma questo a Junhong non era mai successo, non aveva mai dovuto riflettere se valesse o meno la pena di mordere qualcuno, per lui avevano tutti lo stesso odore di rancido, ma non era sempre stato così. Da bambino beveva sangue umano, prima che si ammalasse e ricordava il loro odore, un odore dolce e pulsante di vita. Poi era subentrata quell’inusuale allergia e la sua salute era diventata cagionevole, solo il sangue vampiro lo faceva stare meglio; aveva iniziato a disdegnare gli umani e a distinguere gli odori diversi di ogni vampiro che dipendeva in gran parte dai loro poteri e non dalle componenti del sangue, ma ne era certo, un odore così dolce non l’aveva mai sentito in vita sua.
Non riusciva a smettere di pensarci, non era mai stato così attratto dall’odore di un umano, specialmente se non era affamato.
Continuava a rigirarsi nel letto mentre dormiva, sentiva ancora quell’odore attaccato alla pelle, riusciva a sentire solo quello mischiato a milioni di odori rancidi e metallici, continuava a girarsi mentre la coperta che aveva addosso continuava a scivolare verso le gambe. Non ricordava il viso di lei, ma ricordava il battere frenetico del suo cuore, forte eppure distinto, gli rimbombava nelle orecchie thump thump thump. Non era una vampira, non era quello l’odore di un vampiro eppure per un secondo gli era sembrata così…buona. La testa si conficcava nel cuscino troppo sottile mentre le goccioline di sudore scendevano lungo la pelle lattea. Più ci pensava più provava il malsano istinto di morderla, stava lottando per trattenere le zanne nelle gengive. Inarcò la schiena contro il materasso quasi come preso da un vero e proprio dolore fisico. Serrò i denti scattando a sedere al centro del letto con i talloni conficcati nel materasso, le ginocchia bianche erano leggermente piegate verso il busto, lasciate scoperte a causa delle lenzuola ormai cadute sul pavimento ai piedi del letto, la pelle bianca madida di sudore rendeva la pelle lucida alla luce artificiale della città che entrava dalla finestra; un ringhio basso e una mano sul volto per scacciare i ciuffi nerastri attaccati alla fronte. I suoi occhi erano rossi.
Rimase in quella posizione, seduto sul letto, almeno finché i suoi occhi non tornarono ad essere neri poi decise che aveva bisogno di una doccia fredda per calmarsi; erano le quattro del mattino.
Fame, quella sensazione era fame, quel profumo gli faceva venire voglia di mordere, di morderla, ma non poteva per due semplicissimi motivi: perché sarebbe quasi sicuramente morto dato che lei era umana e perché era andato a vivere tra gli umani e una delle regole era proprio quella di non mordere nessuno. Diede un pugno al muro di piastrelle azzurrognole del minuscolo box doccia mentre l’acqua gelida continuava a scorrergli sulla pelle sostituendo il sudore; posò anche la testa contro lo stesso muro dove ormai la sua mano chiusa si era aperta ad abbracciare quella superficie fredda e liscia; nella testa ragione e istinto animale si combattevano mentre ascoltava l’infrangersi delle goccioline contro la ceramica del piatto doccia; respirava ancora ringhiando, ma si poteva dire che lentamente si stesse calmando. Era la prima volta che aveva il malsano e insaziabile desiderio di mordere qualcuno, non gli era mai successo neanche quando non si nutriva per lungo tempo e ora, dopo che si era nutrito appena due giorni prima, aveva di nuovo quel desiderio… doveva rivederla.


 
angolo dell'autrice.
sono tornata a pubblicare dopo un bel po' di tempo, ma purtroppo vari impegni mi hanno impedito di farlo.
di sotto l'immagine di come immaginavo Daehyun mentre scrivevo

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
Kaori passeggiava tranquillamente al fianco di Youngjae mentre tornavano a casa insieme, dopo un’estenuante giornata all’università.
Sospirò spostandosi una ciocca dei corti capelli sottili dietro ad un orecchio «Tokki…» pronunciò in un sussurro guardandolo sottecchi mentre lui camminava con i tratti del viso rilassati e assonnati accanto a lei.
«Dimmi baby» disse concentrando la sua attenzione su di lei, fissandola con quei suoi dolci occhi scuri che per lei erano da anni un porto sicuro. Lei sapeva di essere strana molte volte, ma Youngjae sembrava sempre crederle e assecondarla per ogni sua stramba convinzione o sospetto.
«Ho una brutta sensazione, sento che c’è qualcosa che non va» disse facendo il labbruccio in uno dei suoi rari momenti di dolcezza; era raro che lei fosse dolce con lui, preferiva insultarlo o spintonarlo di solito, ma lui capiva quando qualcosa la preoccupava seriamente dal semplice fatto che usava il soprannome che le aveva affibbiato da piccoli, coniglio, lo chiamava così perché il castano da bambino aveva l’abitudine di trascinarsi sempre appresso un coniglietto di pezza giallo.
Lui le sorrise e le posò un braccio sulle spalle per attirarla in un abbraccio confortante «Qualunque cosa sia sai già che ti proteggerò da ogni cosa brutta».
«Lo so pabo» sorrise mentre ricominciavano a camminare l’uno accanto all’altro; lei con un braccio a circondare la vita di lui ,per quanto le fosse possibile, e lui con il peso del suo braccio posato sulle sue spalle, come se fossero una coppietta.
Con Youngjae si sentiva più sicura, ma continuava ad avvertire quella spiacevole sensazione non sapendo, però, che c’erano effettivamente un paio di occhi rossi ad osservarla nell’oscurità.
 
Ossessione, quella di Junhong per la ragazza, o per meglio dire per il suo odore, stava diventando una vera e propria ossessione. Quando era lucido e razionale cercava di non pensarci, provava ad ignorare la fame e la voglia di mordere, ma c’erano momenti, specialmente di sera in cui si sarebbe nutrito anche di quei rancidi umani. Ora capiva cosa intendevano gli altri vampiri dicendo che vivere tra gli umani era una tortura.
La seguiva praticamente ovunque nascondendosi nell’ombra, sentiva il suo cuore battere mentre correva. La osservava quando era a casa, aveva imparato qual era la finestra della sua stanza e rimaneva lì a fissarla mentre studiava o ballava per casa con delle magliette troppo lunghe per lei, quando si agitava in quel modo gli veniva da ridere, la trovava quasi adorabile. La seguiva quando faceva la spesa e si mordeva le labbra cercando di ricordare cosa comprare, quando stringeva le buste pesanti attorno ai polsi e il sangue si fermava lì e lui avrebbe dato di tutto per morderla su quelle venuzze che spuntavano dai polsi. La osservava anche quando era con quel ragazzo che puzzava di metallo e qualcos’altro che non gli piaceva; li guardava mentre si scambiavano gesti affettuosi, mentre lui l’abbracciava, mentre la faceva ridere e un ringhio animalesco si faceva largo nella sua gola, la stava contaminando con quella sua puzza di umano.
 
Youngjae le aveva dato buca  quella sera, sarebbe dovuto tornare prima perché aveva una cena di famiglia a casa di non ricordava quale zio, lui aveva milioni di parenti sparsi ovunque e non era la prima volta che accadeva qualcosa del genere, ma quella sera lei era più agitata del solito, quella sensazione che qualcuno la stesse guardando era viva e presente nella sua testa, ne era certa c’era qualcuno dietro di lei che la seguiva per le strade affollate, ma stavolta ne aveva davvero abbastanza, quella sottospecie di incubo doveva finire.
 
Quella sera a differenza delle altre era sola, quel nano coi capelli castani non c’era e lui era più affamato delle altre sere, il suo profumo era più aspro e lui non era completamente lucido.
La ragazza svoltò improvvisamente in un vicoletto e lui non esitò a seguirla, ma una volta arrivato in quel vicoletto buio non sentì più il suo odore davanti a lui.
«Finalmente ti vedo» disse una voce femminile alle sue spalle, il suo profumo…era lei.
Junhong non si voltò, non era sicuro del suo aspetto, dei suoi occhi, seppur nascosti da un cappello con la visiera e da alcuni ciuffi scuri.
«Beh allora? Vuoi dirmi perché mi segui da giorni ormai?» disse mentre una luce gli inondava le spalle. Molto probabilmente doveva essersi fatta luce con la torcia del suo cellulare.
Sospirò abbassandosi la visiera sugl’occhi voltandosi finalmente verso di lei. «Non so di cosa tu stia parlando» disse alzando le mani quasi come se stessero per arrestarlo.
«Non fare l’idiota» disse lei aspra «Cosa cazzo vuoi da me?».
Sentì i suoi passi avvicinarsi poi la luce lo abbagliò, gli aveva tolto il cappello. Chiuse all’istante gli occhi, non voleva che lei scoprisse la sua vera natura.
«Ma tu sei il coglione che mi ha fatto cadere l’altro giorno» strillo fissandolo, avvertiva il suo sguardo sorpreso, provò a concentrarsi su altro, sul suono delle auto che affollavano la strada, sul chiacchiericcio della gente, tutto tranne che sul suo odore.
«Sei tu che mi sei venuta addosso se proprio vogliamo dirla tutta» disse lui voltando la testa ancora con gli occhi serrati.
«Ero di fretta. Poi non darmi la colpa di qualcosa, sei tu quello che mi sta seguendo». La forte luce era ancora puntata su di lui. «E guardami quando ti parlo testa di cazzo» disse tirandogli un calcio allo stinco «Cosa vuoi da me?».
Junhong aprì gli occhi senza neanche rendersene conto, lei era la prima persona che lo colpiva in qualche maniera, se non si contavano l’addestramento che aveva fatto da bambino e i buffetti affettuosi di Yongguk.
Restarono a fissarsi, occhi negli occhi per un tempo che a lui parve infinito, il suo viso non aveva fatto una piega, avvertiva l’odore dell’adrenalina, ma non sembrava aver paura di lui, sul viso di lei gli leggeva solo fredda indifferenza. Era la prima volta che la osservava davvero, senza badare all’odore, al sangue e alla fame; aveva un viso dolce, la pelle chiara quasi quanto la sua, i ciuffi color miele le accarezzavano il profilo della mandibola, non era truccata, quelle labbra rosse, quelle ciglia lunghe erano tutte naturali, per un attimo gli sembrò un opera d’arte. «Nulla» disse poi abbassando lo sguardo. «Non voglio nulla da te, scusa se ti ho seguita in questi giorni».
«Non si segue una persona per nulla» insistette.
«Sei bella» disse lui. Non era una risposta alla sua implicita domanda, ma Junhong la trovava bella ed era l’unica cosa che gli venisse in mente al momento.
Lei inarcò un sopracciglio scuro, che lasciava palesemente intendere che i suoi capelli fossero tinti «Mi segui perché ti piaccio? Cristo sei uno di quei maniaci stalker per caso? Devo chiamare la polizia?».
A lui venne da ridere, era così spontanea e lontana dalla verità «Smetterò di seguirti, mi dispiace» disse ancora facendo un inchino per poi superarla di qualche passo per uscire da quel vicolo, il suo cuore aveva di nuovo iniziato a battere forte facendolo vacillare nel controllo dei suoi istinti «Aspetta» disse lei senza voltarsi.
«Cosa c’è?». Si infilò le mani nelle tasche del cappotto premendo le unghie nei palmi.
«Tu sei strano» pronunciò in un sussurro «Se vuoi provarci fallo da persona normale».
«Non voglio provarci tranquilla» disse lui con voce profonda per poi avanzare di altri due passi.
«Io sono Kaori comunque».
«Junhong» pronunciò per poi tornare nella strada principale.
 
Kaori restò lì ancora per qualche secondo con il cuore che tremava, non sapeva bene la ragione, ma per un istante le era sembrato che i suoi occhi si accendessero di una luce rossastra, proprio davanti a lei mentre si inchinava per chiedere scusa. Strinse i pugni e si accorse di avere ancora il suo cappello in mano, lo guardò il tempo necessario per realizzare cos’era successo poi corse fuori dal vicolo. Si guardò attorno cercandolo. È altissimo, si diceva, non sarebbe stato difficile trovarlo, ma di lui nessuna traccia, si era volatilizzato nel nulla e a lei era rimasto solo quel cappello.

 

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