Pensavo che l’amore fosse eterno e avevo torto

di tixit
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un rullio smorzato ***
Capitolo 2: *** Si fermano gli orologi ***
Capitolo 3: *** Si smette di cercare ed essere cercati ***
Capitolo 4: *** Si cercano i ricordi migliori ***
Capitolo 5: *** Si trova un po' di pace ***
Capitolo 6: *** Non si trovano le risposte ***
Capitolo 7: *** Si cerca di farsene una ragione ***
Capitolo 8: *** Non si dice ciò che si pensa ***
Capitolo 9: *** Dovresti pensare anche agli altri, te lo dicono tutti ***
Capitolo 10: *** Nemmeno la poesia aiuta ***
Capitolo 11: *** Non tutto può essere infinito ***
Capitolo 12: *** Si cambia aria ***
Capitolo 13: *** Si va alla ricerca di una identità ***
Capitolo 14: *** Tocca impacchettare qualche illusione ***
Capitolo 15: *** Qualcuno fa delle domande ***
Capitolo 16: *** Qualcuno ha una buona parola per tutti ***
Capitolo 17: *** Visto da destra, visto da sinistra ***
Capitolo 18: *** Arriva il momento di fare un po' di ordine ***
Capitolo 19: *** Ci si sente tutti molto soli ***
Capitolo 20: *** Ogni tanto però c'è qualcuno ***
Capitolo 21: *** Chi ci capisce è bravo ***



Capitolo 1
*** Un rullio smorzato ***


Un rullio smorzato

La partenza può avere molti compagni di viaggio, gradevoli e meno gradevoli, ma uno tra questi non potrà mai mancare: la speranza in un cambiamento positivo.

Il ritorno non gode della stessa fortuna.

A Sigyn parve che il compagno che il destino - o la sua famiglia - le avevano affibbiato fosse addirittura desolante: la certezza che da quel punto in avanti le cose non potevano che peggiorare.

Irrigidita affondò il naso nella coperta - la solita, quella dei lunghi viaggi - e chiuse gli occhi gonfi. I finestrini erano chiusi da delle spartane tendine di cuoio - il vetro sarebbe andato in pezzi su quella strada - e il freddo sibilava nelle fessure della carrozza, gonfio di polvere, gelandola.

Casa, rifletté con stupore. Sto tornando a casa.

Fuori dal finestrino il paesaggio stava sicuramente sussultando - le nuove molle venute dall’Inghilterra, ordinate dallo zio Antoine-Benoit - anche se a lei non interessava.
Gli avrebbe scritto per dirgli che funzionavano alla grande e che si filava come il vento - gli avrebbe fatto sicuramente piacere. Anche se - arricciò il nasino - la velocità non era sempre un bene.
Dipendeva da quanto desideravi arrivare dovunque tu stessi andando.

Tutte balle pensò con irritazione. Casa era una parola che aveva una sua timida bellezza, fatta di poche parole, regole da rispettare, errori da non rinfacciare, tazze di tè, schiuma di mare che cancellava le impronte, e briciole di biscotto. E lei non ci stava affatto tornando.
Lei stava lasciando casa sua.

Si accoccolò contro il legno della carrozza, stretta stretta nel suo bozzolo - una volta arrivata sarebbe stata la creatura che tutti si aspettavano che lei fosse, un cucciolo di poche lacrime e dal giusto numero di parole - da pronunciare rigorosamente solo se interrogata, seguite da un inchino.
Ma non ora.

Ora mancavano parecchie leghe per Versailles e poteva piangere in santa pace.




Note: Oscar ed André ci saranno poco, Sigyn ci sarà parecchio.
Anche io non amo i personaggi originali, per cui capisco chi, annoiato, passerà altro - e va bene così: ci sono alcune storie che vorrei scrivere prima che questa passione svanisca e alcune con la rossa sono tra queste.
Il titolo è una citazione da una poesia, è forse è fuorviante o forse no - metterò il testo alla fine e forse tutto sommato il titolo avrà un senso. Chi la riconosce sa di cosa si parlerà grosso modo.
Grazie a chi segue, ricorda, preferisce o lascia due righe per far sapere il suo parere.

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Capitolo 2
*** Si fermano gli orologi ***


Si fermano gli orologi

Erano in giro per la campagna inseguendo la luce che ogni giorno si allungava un pochino di più - sapevano tutto sull’argomento, e sulle longitudini e le latitudini, o almeno credevano di saperlo con tutta la supponenza di un’infanzia che iniziava placidamente a sfumare.

La giornata se ne era andata in affondi e traduzioni.
Tytire tu patulae recubans sub tegmine fagi - chiusi nello studio, guardati a vista dal precettore, antico quasi quanto un aoristo passivo, avevano cercato le giuste parole per un pastorello che aveva il tempo di starsene sdraiato sotto una quercia pensando ai suoi casi d'amore.
Un compito difficile - l’amore, per loro due, era un'idea astratta rispetto alla guerra - da grandi volevano essere dei soldati, per il momento erano stati briganti inglesi, pirati, e subito dopo eroi. Ma senza principesse da salvare.

Faceva caldo, ma non così caldo per un salto allo stagno - laghetto! lei ci era quasi affogata - e faceva freddo, ma non così freddo da aver voglia di rientrare a casa: era il tempo giusto per un acquazzone, quel tanto che giustificasse una corsa pazza sotto la pioggia, e lavasse via il caldo appiccicoso e la noia.
Nuvole, purtroppo, non se ne vedevano, solo in lontananza la polvere sembrava rombare grigia - Oscar scrutò la strada, incuriosita, socchiudendo gli occhi blu zaffiro contro il sole calante, poi fece cenno ad André di fermarsi: qualcuno stava arrivando.

Smontarono e pigri si sdraiarono nell’erba, puntellandosi sui gomiti e sfilando gli stivali, incuranti delle calze bianche di seta che si sarebbero - forse - macchiate di verde. André tirò fuori una mela, una delle ultime delle stagione, poi, in un paio di giorni, quelle che avanzavano sarebbe diventate misteriosamente marmellata.

“Vuoi fare una scommessa? Parigi o Versailles?” la voce del ragazzo dai capelli scuri era allegra, lo scrocchiare dei morsi avido.

“Versailles.” lo disse non del tutto convinta mentre stiracchiava le gambe lunghe da merlo.

“Andata!” ribatté André.

Lei gli rubò la mela e lui la lasciò fare con un sorriso appena accennato, accarezzandola protettivo con lo sguardo.

Avevano tutto il tempo del mondo.


 

Se la vita fosse una bilancia sarebbe sbilenca o truccata.
Guardò, sbattendo gli occhi, i bauli e le scatole impacchettate razionalmente che sobbalzavano oltre il finestrino anteriore: eccole là tutte le briciole dei suoi biscotti, del tempo passato a copiare lettere in bella, a leggere ad alta voce e a studiare. Gli amati resti delle punizioni tediose in cucina, dell'Asciutta che le insegnava tutto quello che il Generale disprezzava, del Nonno che completava con quello che il Generale trovava irritante, buon ultimi lo zio Jean-Claude per l’incomprensibile e lo zio Antoine-Benoit per l’eccentrico (inutile era la categoria che li comprendeva tutti).
E poi le piante nella serra, la scala a chiocciola su cui sapeva arrampicarsi anche al buio, le camminate lungo la spiaggia, gli spruzzi sulla chiglia della sua barchetta, le onde d’inverno che la rendevano leggera come la piuma smarrita da un gabbiano.

La vita non lo sa davvero cosa sia l’ordine fino a che non è finita, allora la puoi impacchettare con calma e vedere quanto spazio davvero occupa.

Della sua in Normandia restava così poco che te la potevi portare via tutta con un solo viaggio.

Chiuse gli occhi.

Avrebbe potuto dare la colpa al fatto di non essere amata, ma lei lo era stata, amata, e pure parecchio - un affetto che non aveva condizioni scritte in piccolo di cui non sapevi nulla, pronte a pugnalarti a sorpresa, né clausole che ti serravano la gola. Non come per sua sorella, insomma, l’immensamente amata, l’unica di sei a non essere orfana, a parte, forse, Joséphine.
E non le era mai sembrato che ci fosse una data di scadenza entro cui qualcuno avrebbe preteso indietro tutto e con gli interessi. Mai. Non era mica una carica di quelle di Corte che prevedevano un subentrante che avrebbe pagato per il privilegio - e comunque non c’era abbastanza denaro in tutta Versailles per comprare quello che lei aveva avuto.

Così razionalmente ingoiò ciò che proprio non le faceva piacere: colpa tua, Sigyn, colpa solo tua. Tua. Tua. Tua.

Le sembrò che il cigolio delle molle le ripetesse l’accusa ad ogni giro di ruota. Con un’ombra di ribellione si disse che lo accettava, non poteva che essere così, del resto, la responsabilità era tutta sua, va bene, che la crocefiggessero pure. Ma, per carità cristiana, perché? potevano almeno dirle perché?


 

I ragazzini nell’erba guardarono la carrozza che si avvicinava con gli occhi improvvisamente spalancati. Non era una “chaise de poste” di quelle “a culo di scimmia”, come avevano pensato: di solito precedevano la carrozza ufficiale, rapide come il vento e trasportavano sbattacchiandolo chi si sarebbe occupato di tutti i dettagli minuti per i viaggiatori ufficiali, cose come trovare dove dormire, dove mangiare, dove bere, far arieggiare delle stanze, far preparare uno spuntino e qualunque altra cosa potesse servire a rendere gradevole un arrivo dopo un lungo viaggio.
Quel coupé cicciottello, loro due, lo conoscevano bene: era il coupé piccolo dei Reynier. Era NasoCorto. E filava e molleggiava che era una meraviglia.

“Sbrigati!” intimò Oscar afferrando gli stivali.

André fu il primo a saltare sul cavallo e correre all’inseguimento, Oscar però era più leggera e poi montava Fulmine, il cavallo preferito del Generale: pollice per pollice cercarono di riacchiappare la carrozza fuggitiva, ridendo nel loro stesso vento.

Non c'era postiglione sulla carrozza perché non c'era cassetta: la carrozza era un coupé, una carrozza il cui abitacolo, invece di essere simmetrico, appariva, appunto, come "tagliato" in modo che il davanti fosse occupato dai bagagli. Sarebbe sembrata una vettura fantasma non fosse stato che il postiglione esisteva e che, come d'uso, cavalcava il porteur , il cavallo cioè di sinistra.

Quando Oscar fu a fianco del coupé si sporse per bussare alla porticina, con impazienza.

“Dai Oscar piantala!” le urlò André, “Potresti farti male!” osservando preoccupato quanto le zampe del cavallo fossero vicine alle ruote.

La ragazzina gli scoccò uno sguardo irritato, poi si sollevò sulle staffe con le gambe che le tremavano. Aveva deciso e lo avrebbe fatto e André doveva starsene zitto perché lei quando non era a Palazzo era un pirata ed un bandito ed un moschettiere del Re, e anche nella noia del Palazzo, sotto l’ombra del precettore, era comunque Monsieur Oscar François Reynier de Jarjayes, unico figlio maschio ed erede di Augustin François Reynier de Jarjaeys, Conte per nascita, nonché Generale per merito, e faceva come voleva.

Fu a quel punto che la porticina della carrozza si schiuse.

“Io non lo farei,” disse la ragazzina pallida con i capelli rossi, seduta all’interno, con un tono di voce fermo, ma non severo “però ho segnalato di rallentare per arrestarci. Se proprio devi dare spettacolo, cerca di non ammazzarti - al massimo di farti male.”

Oscar sbuffò, ma attese fino a che non si sentì sicura, mentre l’andatura rallentava sensibilmente, poi, puntellandosi allo sportello, tenuto ben fermo dall’altra, si slanciò all’interno della carrozza, accolta dalle braccia della ragazzina che la tennero stretta stretta.

“Non serviva che mi aprissi,” esclamò appena riprese fiato, divincolandosi per mettersi a sedere “avevo pensato di saltare dietro, sulle molle e da lì arrampicarmi sul tettuccio!” la vocetta infantile di Oscar risuonò abbastanza sicura. “Poi lo avrei attraversato tutto, strisciando, per entrare qui dal finestrino davanti. Sono magro abbastanza!”

“Un buon piano, ma poco fattibile.” confermò l’altra, con voce quieta, sistemandole i riccioli biondi con infinita cura.

“Dici così perché porti le gonne! ” ribatté Oscar, piccata, poi, con un certo disprezzo, aggiunse “E pure il petit panier!”

“Dico così perché le mie ossa mi piacciono proprio così come sono, tutte intere.” Si tolse i guanti con gesti eleganti e le carezzò una guancia con le punta della dita, segnalando che era lì in pace.

Si sedettero tranquille, una accanto all’altra, nello spazio ristretto, studiandosi.

La ragazzina pallida pensò allo zio Jean-Claude, il Gesuita Nero, che la invitava sempre ad osservare - c’è una persona sotto i vestiti, i tatuaggi, le cose istintivamente che non comprendi, quelle che ti disgustano o che non ti appartengono, c’è una persona sotto ai suoi pregiudizi ed ai tuoi, devi solo trovarla. Lui era un missionario, per lui era facile pensò ingenuamente, e le aveva imposto l’abitudine a provarci - di più non le potevano chiedere, era troppo piccola per capire come uno grande.
Lo zio aveva riso quando glielo aveva detto, e le aveva scompigliato i riccioli, ma questo in un’altra vita, in questa c’era solo questa specie di brutta abitudine che non le riusciva di perdere anche quando quello che vedeva non le piaceva affatto.

Oscar era ancora immortale, decise. Non come lei. Una buona cosa.

Monsieur Oscar era ancora un maschio e questo era triste. Perché c’era stata convinta a forza di insistere, ché la goccia, si sa, scava la roccia e il Generale sapeva essere molto più duro dell’acqua, un cielo che grandinava chiodi per inchiodartici a quella roccia come i grandi colpevoli di qualche mito che aveva studiato, tipo quel tizio che aveva rubato il fuoco agli dei. Avrebbe dovuto chiedere a Clément, lui di sicuro lo avrebbe saputo.
Il Generale era un uomo che i sogni o li chiamava traguardi o niente.

Oscar era bellissima, aveva i lineamenti delicati, ma simili a quelli austeri e perfettamente simmetrici del Generale, compresa la piega ostinata della bocca, e la posizione delle spalle, cose che non ti regala la vita, ma che si imparano.
Crescendo, pensò con un brivido, ne sarebbe diventata la copia, avrebbe parlato come lui, e l’avrebbe giudicata in quello stesso modo spietato, contando tutte le cose che non era e che sapeva benissimo.

Oscar era cresciuta, ma era ancora una bambina. C’era ancora tempo. D’impulso le baciò una guancia e poi si ritrasse in un angolo.


Oscar non protestò - non le piaceva essere abbracciata e sbaciucchiata, non senza preavviso, non le piacevano quelle smancerie da femmine, reagiva subito male perché posassero il pensiero e non ci provassero più, ma faceva eccezione per due persone che proprio non riuscivano ad imparare: André, che aveva l’entusiasmo di un bracco, e Sigyn, la Numero Cinque, troppo sciocca, come diceva il precettore, per ricordare davvero qualcosa.

C’era qualcosa che non andava, però, sua sorella era troppo quieta - ruppe il silenzio per prima, accusandola: “Hai scritto un sacco di lettere stupide sai? E poi non scrivi che stavi tornando!”

“Una cosa improvvisa.” bofonchiò Sigyn con gli occhi chiusi.

“Per quanto?”

“Non lo so. Credo sempre.”

Oscar sorrise, un sorriso largo e spontaneo, ma l’effetto andò perduto perché la carrozza ormai era arrivata e sua sorella se ne stava scendendo, senza aspettare nessuno.

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Capitolo 3
*** Si smette di cercare ed essere cercati ***


Si smette di cercare ed essere cercati

Sigyn se ne stava tranquilla nella sua stanza con le finestre spalancate e la porta pure, a far corrente. I mobili erano ancora ricoperti dalle pezze di cotone e fremevano come vele su un pontile, mentre lei non aveva nessuna voglia di salpare per i sette mari - e, a dirla tutta, nemmeno di scuotere via la polvere.
Si tolse le scarpine e le spazzolò con cura per poi riporle in un armadio - i bauli avrebbero aspettato.

Sgusciò fuori dall’abito da viaggio e prese a lavarsi con l’acqua fredda della brocca, gli amabili resti del suo sapone alla menta, una spugna, scheletro di una pianta che era animale e di un animale che era una pianta, qualche brivido e tanta pazienza - il bagno lo avrebbe fatto domani, o dopodomani o il giorno dopo dopodomani.
La sola idea le sembrò una faccenda terribilmente complicata, lenta per via della bassa portata della Torre dell’Acqua, viziata per via dello spreco di acqua piovana pulita, mentre Parigi beveva l’acqua melmosa della Senna, pagandola pure, laboriosa per via della difficile arte della giusta temperatura in un via vai di secchi d’acqua fredda e bollente e di sottane che non conosceva, a parte Margot-Pur-Beurre, che se non la conoscevi tutto sommato era anche meglio. 

L’idea di accendere un fuoco per far asciugare i capelli d’un tratto le parve soffocante, e sgradevole quella delle ciocche bagnate appiccicate alla pelle, come una medusa, coi tentacoli per la schiena e per gli ostinati rilievi dei seni che crescevano più in fretta di lei.
.
E poi c’era la faticosa decisione sullo spogliarsi: in Normandia faceva da sola con l’Asciutta a intimarle di sbrigarsi, ma, a lei, unica femmina - preziosa - in un mondo di uomini, nessuno aveva mai imposto di indossare la chemise, mentre si insaponava e si immergeva nell’acqua - mentre qui non riusciva a ricordare cosa era considerato moralmente indiscutibile, cosa vergognosamente provinciale e cosa salutare. 
L’unica cosa certa era che sarebbe stata una faccenda di acqua parecchio gelida.

Stancamente recuperò dalla sacca, un vestito leggero da casa, e con quello scivolò verso lo studio del Generale, con in mano la lettera che gli avevano intimato di consegnargli, ma lo studio era vuoto.

“Non c’è.” disse Oscar appoggiata allo stipite, poi aggiunse con aria di importanza, “Sta aiutando a decidere se inviare le nostre truppe ai Genovesi per l’invasione della Corsica o se invece è meglio comprarla.” il folletto biondo arricciò il nasino disgustato - comprare, un soldato non compra, un soldato combatte e conquista! “Io spero in una bella guerra!”

“Quando torna il Generale?” chiese Sigyn, con la vocetta seria, le mani strette intorno ad una lettera.

“Nostro Padre torna tra tre giorni. Mentre lui non c’è io posso cavalcare Fulmine e siedo al suo posto al tavolo dei grandi!” annunciò Oscar orgogliosa con un accenno - appena appena - di un sorriso. Timido.

Sigyn sorrise pure lei “Però!” disse con voce cortesemente ammirata - poi tornò a dirigersi verso la sua stanza con dei passettini lenti ed ondeggianti.

“Non vuoi cenare con noi?”

“Non ho fame.”

“C’è anche Joséphine.”

La ragazzina dai capelli rossi si voltò per guardare sua sorella, incredula. Era come se le dicesse A me? Vuoi fare questo a me?

Educatamente, le mani intrecciate dietro la schiena, come una religiosa, replicò: “Sono stanca sul serio, Oscar. Troppo.” Troppo per affrontare pure Joséphine e le sue domande puntute e piene di giudizi ed il processo che di sicuro sarebbe seguito, con lei crocifissa alla sedia dai chiodi delle buone maniere e dalle forchette del servizio buono - argento massiccio con un punzone discreto a testimoniarlo - “Vado dritta a dormire.”

“Non vuoi fare una partita a dama con André?” la tentò Oscar.

Sigyn scosse la testa e sparì per il corridoio.
 



Non seppe come era riuscita a spogliarsi, ma nella freschezza della chemise bianca di lino che odorava di lavanda le sembrò di essere nella sua stanza.  

La luna dalla finestra sembrava una fetta di mela di quelle di André - giocò con le dita e la prospettiva come se potesse stringerla nella mano, ritornando bambina, quando sognava di Fenrir, il lupo che ingoiava la luna e il Ragnarok era un mito che non le faceva paura.

Lo zio Antoine-Benoit quando era piccola e non riusciva a dormire le suggeriva sempre di contare greggi di lupi. I suoi lupi saltavano la luna con un sorriso ribaldo.
Ma stasera non le riusciva - i lupi erano troppo stanchi pure loro e forse stavano rintanati nel bosco dietro qualche cespuglio, con la coda sul naso.

Si sedette a gambe incrociate e prese lo scrittoio portatile di legno intarsiato, sistemandoselo sul ketto .

Caro Nonno,

Questo lo poteva scrivere perché era vero, da sempre e per sempre e quello che era successo non cambiava proprio niente.

il viaggio è stato buono.

Non era affatto vero, ma faceva niente, Joséphine avrebbe detto - forse - che se l’era meritato e poi lei non voleva mendicare le briciole e poi il Nonno ne sarebbe stato imbarazzato e alla fine sarebbe stato un imbarazzo sacrosanto.

Le molle dello zio Antoine-Benoit funzionano alla grande: sulla strada filavamo come il vento. E io sono tanto orgogliosa di lui.

Sentì che gli occhi le bruciavano e li chiuse. Ad un certo punto si era illusa che il Nonno fosse orgoglioso di lei. E che lo fosse lo zio Jean-Claude dalla voce profonda.
Ma evidentemente si era sbagliata.

Io vorrei solo sapere perché.

Fissò la riga che aveva scritto senza guardare - senza pensare - storta, ma autentica. Avrebbe potuto cancellarla, o strappare il foglio e ricominciare, ma quella era la strada facile, un lusso che non era concesso a tutti.

Non ti sto chiedendo di essere perdonata.

Bugie! Bugie! Tutte bugie!

Vorrei solo capire

Non era chiedere tanto, perfino Eva, scacciata dal Paradiso Terrestre seppe cosa aveva sbagliato - una cosa talmente complicata che i teologi nemmeno erano tutti d'accordo e ancora ci si accapigliavano - ma lei no. Doveva essere una cosa talmente ovvia, che il fatto che lei non ci arrivasse da sola la rendeva di certo doppiamente colpevole.

Sospirò.

Vorrei solo capire perché.

Le parole che avrebbe voluto dire la stavano soffocando.

Forse lo dovrei sapere da sola, ma non lo so.

Giuro che non lo so.

E non sono una scommettitrice fortunata - quando gioco a carte guardo le carte che ho e cerco di capire dove sono finite tutte le altre. Se posso, non tiro ad indovinare.

Sospirò sentendo che la gola le si stringeva. Peggio che un brutto raffreddore d’inverno.

Chiedere spiegazioni può sembrare irrispettoso. E forse lo è.
Oppure sciocco. E forse è anche questo.


Le spiaceva fare la figura dell’idiota, la figlia stupida di Madame Marguerite, la sorella stupida di tutto il mazzo delle Jarjayes, quella dell’invece. 
Oh Horthense è di una eleganza altera, e invece Sigyn… non che non sia elegante, però…
Oh Joséphine è di una classe incredibile, la Principessa del savoir faire, invece Sigyn… che poi lei proprio non lo capiva come fosse mai possibile che lei riuscisse ad essere, contemporaneamente, la brutta copia di ben altre cinque Jarjayes, mica di una sola!

Ma se non so perché, non so nemmeno come rimediare.

Guardò la frase a lungo - il succo era quello. Rimediare.

Tante delle cose che le insegnava l’Asciutta, con il permesso del Nonno, erano su come rimediare. A qualcosa di poco cotto o troppo cotto, o poco salato o troppo salato, o troppo colloso o poco lievitato, o incrostato, o macchiato di cera o d’erba. In una casa poteva andare storto di tutto, era più facile che fare giusto al primo colpo..

E lo zio Antoine-Benoit faceva le cose migliori di come erano, come le molle di NasoCorto, il loro coupé.

Lo zio approvava l’Asciutta e lo zio Antoine-Benoit. Forse avrebbe capito.

Quanto a lei, di più non poteva dire. Di meglio non ne parliamo nemmeno.

Aggiunse i saluti di rito - molto educati - asciugò in fretta l’inchiostro, ripiegò il foglio con gesti precisi e lo sigillò con la ceralacca. Poi mise via tutto con cura.
Alla fine si rintanò sotto le coperte, tremando per il freddo, esausta. Se le tirò fin sopra la testa, le ginocchia piegate al petto come un riccio - sentì che gli occhi le si riempivano di lacrime, che scendevano senza ritegno in un disastro disgustoso di moccio e di sale.
 



“Ma dorme ancora?” Oscar era perplessa.

André annuì. Avevano appena finito di duellare e si stavano versando della limonata fresca, i giustacuori abbandonati sull’erba, i primi bottoni del gilet slacciati sul jabot allentato, bianco ed austero, a loro agio l’uno con l’altro per via di abitudine, affetto e cameratismo. E anche per via di qualche balla raccontata l’uno per l’altra, ma soprattutto per la pazienza infinita di André per la sua peste.

“Dobbiamo dirlo a Nonnina? Secondo te, intendo...”

“Lascia stare.” mormorò André asciutto - stava pensando che sua Nonna risolveva la maggior parte dei comportamenti bizzarri facendo ricorso o ad un mestolo o ad un purgante. Aveva la sensazione che Sigyn non avrebbe affatto gradito nessuno dei due.

Oscar rientrò in casa e si infilò nella stanza di sua sorella, decisa, come se quella fosse una invasione.

“Pigrona! Dai svegliati… hai dormito tutto il giorno!”

Le rispose una specie di borbottio soffocato, ma Sigyn, nascosta sotto le coperte come un fantasma, non si mosse. Esattamente come le seggioline e lo scrittoio e la piccola libreria,

“Non vorrei dirtelo, ma se fossi un cavallo penseremmo di doverti abbattere…” nella voce baldanzosa di Oscar strisciava la preoccupazione. Di solito le persone morivano d’inverno, i bambini all’inizio, gli anziani alla fine, lo sapevano tutti e l’inverno era finito da un pezzo, ma sua sorella era strana, e stava crescendo e crescendo si acquisiva il diritto di morire in una stagione qualunque per una malattia qualunque.

Senza una ragione precisa, si sfilò gli stivali e scivolò nel letto accanto a lei - detestava essere toccata e non toccava mai per prima, così non abbracciò Sigyn, si limitò a starle accanto, annusando quel suo odore di menta e lavanda, sotto il velo appiccicoso del sudore e della polvere. seguendo il ritmo lento del suo respiro. C’era appena appena un po’ di tepore - la pelle sembrava fredda come un autunno - d’impulso la strinse, accorgendosi di essere più alta, poggiandole il mento tra i capelli.

“Non vieni a cena?”

“Ho sonno.”

Avrebbe voluto dire che non era vero e che, soprattutto, non era possibile, nessuno dorme tutte quelle ore, ma la voce le sembrò davvero stanca. Oscar finse di sistemarsi i capelli, ma in realtà ne approfittò per accarezzare quelli di sua sorella, stupendosi ancora una volta del colore così vivo, che non aveva nessuna di loro. Il rosso del clan dei Sisteron, come la Nonna, morta tanto tempo prima, quando suo padre aveva sedici anni, di lei solo dei ritratti in una moda di altri tempi. I Sisteron, gente di acqua e sale, dicevano, incapaci di cavalcare con stile - sacchi di patate. Suo padre, invece, non ne parlava mai.

“Domani mattina ti fai un bagno.” disse con voce severa.”Perché hai un odore disgustoso. Così spaventi i cavalli.”

Domani arriva il Generale, pensò, e allora tornerai a studiare con noi, e a far impazzire il precettore, e cucinerai i biscotti di nascosto, e giocheremo a carte e ad un certo punto andremo a fare il bagno al laghetto, tanto non sei proprio una femmina, c’è ancora tanto  tempo, e comunque ad André le donne non interessano affatto.

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Capitolo 4
*** Si cercano i ricordi migliori ***


Si cercano i ricordi migliori

Sbatté le palpebre e decise che un gigante dispettoso aveva afferrato la sua stanza e l’aveva ruotata senza troppi riguardi, deformandola.
Poi, pian piano ricordò: era a Palazzo Jarjayes, non a casa, era corretto che la luce filtrasse da tutta un'altra parte, e quando si era addormentata c’era Oscar accanto a lei. 

Ora era sola, aveva le bocca secca e le labbra screpolate.

Il silenzio le parve rassicurante, sgusciò fuori dal letto appoggiando i piedi nudi sul marmo ed il freddo le sembrò piacevole sulla pelle appiccicosa. Poteva sentire che i riccioli umidi le scappavano da tutte le parti - si passò le dita tra i capelli per sistemarli un pochino senza troppo successo - bevve a piccoli sorsi l’acqua ormai calda del bicchiere sul tavolino. Oscar, forse. O, più probabilmente, André, il migliore amico - l’unico - di sua sorella.

La chemise di lino bianco le arrivava fino alle ginocchia, zuppa di sudore e lacrime lungo la scollatura; incerta soppesò la certezza - assoluta - che non gliene importava niente, ma proprio niente, che la vedessero con le gambe nude in giro per casa. 
Aprire un baule e frugarci dentro le sembrava una fatica peggiore di quella del tizio che per punizione spingeva un masso su per la salita - Clément avrebbe saputo di sicuro dirle il nome e che colpa stava espiando. 
Non era solo questione di fatica, di mezzo c’era anche l’assurdità. 
Di spingere un masso lungo il fianco di una montagna sapendo che poi sarebbe comunque rotolato giù.
Di pensare che un paio di calze di seta avrebbero fatto la differenza in tutta quella devastazione.

D’altro canto l’istinto di sopravvivenza le intimava di non peggiorare la sua posizione: ci mancava solo che il Generale la accusasse di ignoranza delle regole del bien vivre. O di spudoratezza. O di spudorata ignoranza - ammesso che l’ignoranza potesse esserlo. Spudorata.

Stanca, con la testa che le girava, si inginocchiò accanto a un baule e ne estrasse con tanta fatica un banyan verdeblù con un motivo più chiaro - damasco di seta. E che improvvisamente le parve rassicurante per tutte le storie intricate che portava con sé.

Lo zio Antoine-Benoit le aveva spiegato che la forma di quel capo di abbigliamento somigliava a quelli dei kimono che gli Europei avevano scoperto in Giappone, ma il nome veniva da una parola indiana, banya, che voleva dire “mercante”. Le aveva fatto vedere su un atlante tutta la strada che quella parola aveva fatto per arrivare fino in Europa. E le aveva dato un libro da leggere.

Lo zio Jean-Claude non si interessava di vestiti, ma quando lei aveva scelto di cucirsi un banyan tutto da sola - quasi - le aveva raccontato tutto dell’evangelizzazione del Giappone, iniziata da Francesco Saverio, un gesuita missionario, proprio come lui, e poi delle persecuzioni, della rivolta di Shimabara e dell’assedio del castello di Hara, dove gli assediati, invece di colpire gli assedianti, facevano piovere nel campo nemico gli yabumi, frecce, cioè, con fogli arrotolati attorno, dove spiegavano per iscritto le loro ragioni. 
Avrebbero perso e lo sapevano - volevano solo poter dire la loro.

Questa, della libertà di culto, era una cosa che avrebbe irritato il Generale: a lui premeva un Popolo, un Re, una Religione.
Invece per il Nonno le cose stavano diversamente, e così ne aveva approfittato per farle tradurre Flavio Giuseppe per via di Masada, un altro assedio, di un’altra epoca, sempre di persone con l’intima insradicabile convinzione di aver diritto alla propria opinione anche se non era quella di tutti gli altri.

Il Generale non era facile, rifletté, ma anche il Nonno e lo zio Jean-Claude non scherzavano.

Quanto al suo banyan: la stoffa veniva alla Cina, solo che era stata creata in modo che venisse incontro ai gusti europei in fatto di tappezzeria. Cineseria e non cinese.
Non era una fantasia piccola ripetuta, ma una grande, che, probabilmente, su una tenda, avrebbe fatto un figurone.
Il disegno centrale era un bruciatore di incenso, glielo aveva spiegato il Nonno, che poi l’aveva portata da un suo amico che ne faceva collezione e che le aveva lasciato toccare tutto.
Il resto del motivo erano delle foglie che probabilmente non esistevano in natura. La versione cinese delle foglie di acanto - acanteria e non acanto pensò con un sogghigno, un po’ come le immagini degli elefanti che circolavano in Europa tanto tempo prima, fatte da artisti che non ne avevano mai visto uno - lo zio Antoine-Benoit le aveva mandato una lettera con il disegno di un elefante autentico. L’avrebbe fatta incorniciare, decise. In camera sua ci metteva quello che voleva.

Il banyan era un pochino troppo corto, oramai, ma era stato il suo primo esperimento di cucito, guidata dall’Asciutta che le diceva di prendersi tutto il tempo per bien faire perché la velocità sarebbe venuta con la pratica, ma la precisione doveva esserci da subito.
Non l'avrebbe mai gettato: le ricordava verbi greci, parole di altri mondi, uno studio che non le era affatto pesato e le persone che le erano più care.
Si ricordava che l'Asciutta all'inizio aveva brontolato perché era troppo ampio, ma lei si era divertita tanto a girare su se stessa nello studio del Nonno, e poi saltare su e giù dalla sua scrivania solo per vedere l’effetto di quella stoffa in movimento. Fino a che non l’avevano beccata.

Se lo sistemò addosso, lisciando con cura le pieghe nella penombra. Dopo un attimo di indecisione, recuperò dal baule anche una cuffietta leggera di pizzo - il Nonno avrebbe approvato - ma le calze... quello era davvero chiederle troppo.

Scivolò nel corridoio di servizio tramite la porta nascosta e lo percorse a piedi nudi fino alla stanza di sua madre, immersa nel buio. 
I teli sui mobili sembravano fantasmi minacciosi di una vita che una volta c’era ed ora non più - un giorno Madame Marguerite se ne era andata senza tanto chiasso e di lei erano rimaste solo delle boccette di profumo di Grasse (vuote, ovviamente) e qualche libro che non le era davvero interessato. 
Altrimenti lo avrebbe portato con sé, così come aveva fatto con la châtelaine da appendere in vita, quella con le rose piccoline, o con gli orecchini pendeloques con la parte superiore alla marquise e l’aggancio posteriore, tutti di diamanti.
O come aveva fatto con i piccoli portaprofumi d’oro punzonati - erano stati avvolti con cura nel velluto e poi riposti nel portagioie di cuoio che odorava di polvere d’iris e rose, tra mille raccomandazioni.

Tutto per servire la Regina.

Mère non era andata a Versailles per divertirsi - avrebbe potuto eh! gran bei balli - ma per qualcosa che a Sigyn sfuggiva, qualcosa di stupido, ma stupido al modo degli adulti, qualcosa che a lei che era piccola era concesso di non capire.
Quello che aveva capito, invece, era che la Sala da Musica non era stata più la stessa e così la Serra, mentre il Generale era diventato più distante e le bacchettate sempre più stizzite.

Così lei se l’era filata a casa, in Normandia. 
Non per le bacchettate, quelle le poteva sopportare, ma per quella sensazione desolante di aggirarsi tra cumuli di macerie, che tutti facevano finta di non vedere - Joséphine era stata pure entusiasta: ancora un altro incarico che portava onore alla famiglia Jarjayes. 
Joséphine probabilmente era pazza, decise Sigyn sfiorando i teli con le dita.
 
Aveva chiesto ad Oscar di venire via con lei, prima di andarsene. Era il minimo. 
Ed André era stato ovviamente incluso nel pacchetto senza nemmeno bisogno di dirlo - il Generale un giorno aveva deciso che Oscar doveva crescere assieme ad un amico per diventare un maschio perfetto, così Nonnina gli aveva procurato André, suo nipote, ed il Generale lo aveva assunto per una cosa che quello avrebbe fatto gratis: André aveva adottato Oscar, come fa un cane con il suo padrone.
Tutto molto bello, a parte l'idea di comprare un amico e a parte la follia (di tutti) di pianificare la trasformazione di una bambina in un bambino, una cosa da fuori di testa completi.
Clément le aveva prestato una tragedia di un inglese una sera, una cosa tremenda: alla fine morivano tutti, segno che l’autore aveva esaurito le idee e non sapeva più che pesci pigliare.
Comunque il protagonista ad un certo punto esclamava qualcosa del tipo “C’è del marcio in Danimarca!” e a lei era venuto da commentare “Mica solo lì! Pure Palazzo Jarjayes si difende bene, che ti credi?”.

Ecco a volte le pareva che Amleto - era così che si chiamava! - l’avrebbe capita. Lui si che sapeva cosa era il degrado di una famiglia, le macerie di una casa, e la consapevolezza che al peggio non c’era limite.

Comunque lei non era stata egoista ed aveva invitato Oscar ed André a scapparsene via. 
Nonnina no - l’Asciutta l’avrebbe uccisa annodandole quel mestolo maledetto intorno al collo, prendendosi tutto il tempo per bien faire.

Ma Oscar non usciva da Palazzo, in pratica, e amava la sua famiglia solo con il permesso del Generale, come un cane ben addestrato - quanto a Madame Marguerite, se quella tra Mère ed il Generale era una guerra, si sapeva già da che parte sarebbe stata sua sorella: di certo non da quella delle femmine.

Aprì con circospezione un cassetto e ne estrasse con cura una boccetta di ceramica ormai vuota, ma che ancora conservava le tracce del profumo che una volta conteneva. Era stupenda, aveva la forma di un mazzolino di fiori, con le rose del colore della stessa varietà rosata che coltivava Madame Marguerite. E con dei fiori di gelsomino delicatissimi. Poi si avvicinò al letto, studiando i ricami dei tendaggi pesanti, che riproducevano i leoni dei Jarjayes e le rose di Madame Marguerite.

Si arrampicò sul letto, richiudendo con cura i teli attorno a sé, per essere perfettamente al buio. 
Nascite, matrimoni, morti, capitavano tutti lì, su un materasso. E sotto un baldacchino, come si addiceva alle cose solenni; in fondo non sarebbe stato naturale restarci per sempre? 
Peccato che Amleto non esistesse, sarebbe stato di gran conforto, adesso, seduto lì accanto a lei. Si sarebbero consolati a vicenda.
Si raggomitolò come un riccio e annusò il profumo incrostato nella boccetta, tenendo gli occhi chiusi, sentendosi un pochino meno sola.

Forse se fosse rimasta lì abbastanza a lungo forse ad un certo punto si sarebbero dimenticati completamente di lei. Tanto erano già sulla buona strada. 

Forse se fosse rimasta lì abbastanza a lungo il dolore se ne sarebbe andato.  


Si svegliò di colpo. 

Rimise la boccetta al suo posto, richiudendola con cura, e se ne uscì da dove era arrivata. 

Fu a quel punto che sentì il brusio che proveniva dallo Scalone. 
Sistemò il banyan ed andò ad accoccolarsi in terra, seduta su un fianco, il viso incastrato tra le colonne panciute della balaustra, ripensando a quando sua madre - in fondo solo pochi mesi prima - le aveva riempite di ghirlande di edera. Sentì che gli occhi cominciavano a pizzicarle, così si concentrò sulle persone sotto di lei, intente a scambiarsi pettegolezzi e saluti: sua sorella Joséphine, Margot-Pur-Beurre la cameriera nonché sicofante privata di sua sorella, ed Alo - Alexandre de Girodelle - Lingua di Vipera, il fratello di Clément.

Se avesse dovuto scommettere avrebbe detto che erano stati a teatro, forse erano partiti insieme o forse si erano incontrati lì. Margot era il lasciapassare della inappuntabilità di sua sorella, prossima a fidanzamento e nozze e i Girodelle erano considerati “compagnia appropriata” soprattutto perché Oscar era ancora troppo piccola per fare “il fratello di scorta, protettore della rispettabilità dell’incolumità delle sue sorelle”. Concetto che sarebbe sembrato un mot d'esprit senonché il bello era che era proprio vero: sua sorella era l'Erede - e quindi maschio - fin dalla nascita, per volontà del Generale.

Joséphine era splendida, vestita di una robe-à-la-française, di seta lucida, di almeno un paio di toni più pallida rispetto al colore dei suoi occhi, il famoso azzurro-jarjayes. La stoffa era a fiori e Sigyn si ritrovò a pensare che al posto di Joséphine avrebbe preferito una stoffa di un solo colore, molto semplice, giocando di più sulle rouches, tono su tono, opera di bravura con ago, filo e progettazione nella ripiegatura della stoffa - sapeva che quel vestito aveva delle decorazioni ad “S”, ma si perdevano in quella fantasia minuta.

Capiva però sua sorella, la fanatica dell’onore dei Jarjayes: quel tipo di stoffa non era di moda, ma di stra-moda e Joséphine ci teneva ad essere ben vestita, meglio di tutte le altre, ma nel modo in cui erano ben vestite tutte. Era più una questione di applicare alla perfezione una serie di regole riconosciute dal resto del mondo che contava, insomma - molto Jarjayes, indubbiamente. E molto poco castello di Hara - poco Reynier, insomma
Con i capelli sollevati, dorati sotto la luce delle lampade ad olio - forse anche per via della cipria, pensò Sigyn critica - valeva tutto il denaro della sua dote.

Lui, stilosissimo, era vestito di nero, con una spolverata minima di ricami argentati.

Fu un attimo, Alo alzò lo sguardo e la vide, anche da nascosta. Divertito, le strizzò l’occhio, mentre Sigyn arrossiva e sistemava il banyan in modo che le coprisse i piedini - era stata proprio sciocca, un paio di calze di seta avrebbero fatto davvero la differenza. E delle scarpine? ne voleva parlare?

Sentì lo sguardo da spettro di Alo farsi severo, lo vide aggrottare le sopracciglia e Sigyn abbassò lo sguardo rattristata - doveva esserci qualcosa in lei che proprio non andava se finiva per disgustare tutti quanti.

Joséphine risalì lo scalone con eleganza, dando il braccio ad Alo, per poi fermarsi davanti a lei. Il sorriso le parve quello svagato di circostanza, di quando non si sa bene cosa dire, o, pure peggio, lo si sa benissimo, ma sarebbero solo scortesie.

“E così non è esatto che dormi in continuazione. A quanto pare di notte ti aggiri per casa di nascosto.” Il tono era deluso e Sigyn non replicò nulla, in imbarazzo.

Aveva due scelte davanti a sé: o si alzava in piedi, mostrando i suoi piedini nudi, e le caviglie, su fino quasi (quasi!) alle ginocchia che spuntavano dal banyan - che scandalo! - per poi andarsene dignitosamente da dove era venuta, sfuggendo alle grinfie di Joséphine.
Oppure se ne restava lì, sirena o forse granchietto su uno scoglio, con le ginocchia al sicuro sotto la stoffa verdeblù. Sperando che Alo avesse una gran fretta di andarsene da casa loro per filarsela a giocare d’azzardo a Parigi.

Una soluzione faceva schifo e l’altra pure.

“Non ti imbarazza poltrire tutto il giorno invece di migliorare te stessa? Dovresti combattere la prigrizia - è incomprensibile come tu riesca ad esser soddisfatta di ciò che sei.”

“E cosa sarei di grazia?”

“Una nullità.”

Sigyn non osò guardare Alo, che aveva taciuto per tutto il tempo, si limitò a raddrizzare le spalle - Joséphine non era una ipocrita, questo glielo doveva riconoscere, ma accidenti… picchiava duro.

“L’hanno rispedita qui dalla Normandia - è un esperimento che non è riuscito.” scosse la testa, infierendo. 

Di solito quando a Joséphine prendeva proprio male e diventava una vipera a lei non importava più di tanto, ma ora le sembrò che qualcuno le stesse irrorando di succo di limone una qualche ferita, proprio dentro al cuore.

“Come tutti noi, chi più chi meno.” replicò Alo con un tono freddo.

Joséphine fece un gesto elegante “Mi spiace per nostro Padre.” mormorò, "Un altro peso da sopportare..." Poi si inchinò per il commiato e veleggiò per il corridoio.

Sigyn non disse niente, ma quando alzò lo sguardo Alo era ancora lì, che la stava osservando, imperscrutabile.

“Ho fame,” gli sentì dire e poi lo vide scendere le scale senza voltarsi.

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Capitolo 5
*** Si trova un po' di pace ***


Si trova un po' di pace

Sigyn, seduta sul letto, desiderava con tutto il cuore tornarsene al sonno denso degli ultimi giorni, un sonno che la inghiottiva e la stremava, ma che aveva il buon gusto di lasciarla in pace, senza tutto quel fastidio non richiesto dei sogni.

Joséphine aveva appena fatto quello che ultimamente le riusciva meglio.
Davanti ad Alo poi, che si era limitato ad uno dei suoi soliti commenti sibillini che avrebbero richiesto una nota a pié di pagina, come minimo, per trovarci dentro un senso. Cosa gli sarebbe costato dire, per una volta, che lei, Mademoiselle Reynier, non poltriva tutto il giorno? Solo che poi era vero.
Si raggomitolò contro il cuscino sentendosi molto stanca e un pochino triste.

E poi se ne era uscito con una frase senza senso, che aveva fame - avrebbe dovuto dirlo a sua sorella Joséphine che avrebbe spedito Margot a buttare giù dal letto qualche povera ragazza appena arrivata dalla campagna, più piccola di lei, che stava sicuramente “poltrendo” dopo sedici ore di lavoro filate. Tutto per farla trottare terrorizzata in una cucina dove sapeva fare poco o niente, a parte pulire, scrostare e lucidare. Perché Margot non ce lo avrebbe avuto mai il fegato di svegliare la cuoca.

Sigyn spalancò gli occhi di colpo - Alo non lo aveva detto a sua sorella.
Si mise a sedere pensierosa. E così forse lei aveva un impegno. Forse.

Si infilò scontrosa un paio di calze. 
Cambiò anche la veste da camera con quella ereditata da Joséphine, accorgendosi con stupore, che le era diventata larga. Scese per le scale fino alla cucina e la attraversò fino a sbucare nella cucina piccola.

Alo era lì. Con l’orologio in mano. 

“Mi spiace essermi fatta attendere.” disse in tono compito.

“Stavo per andarmene.”
Sembrava un lupo, pensò Sigyn, un lupo molto elegante, anche giovane, e magro ed allungato, ma sempre un lupo.
“Cosa posso offrirti?” chiese con vocetta cortese - mentre avrebbe voluto chiedergli stizzita cosa diavolo vuoi?

Lui la scrutò con i suoi occhi chiari da spettro “Un tè caldo con il miele e qualche biscotto, dovrebbero andare.” disse alla fine.

Uno spuntino serale per bambini pensò lei, stupita - ad Alo piacevano la birra e la senape.

Si alzò sulla punta dei piedi per arrivare alla mensola dipinta di blu e lui le fu accanto. In silenzio, prese ogni cosa al posto suo. Le passò la teiera di ceramica, con il disegno di un drago blu scuro, e poi via via in ordine, aspettando ogni volta un suo cenno di assenso, la coppa per lo zucchero, il piatto per i biscotti, lo slop basin, come lo chiamava Cassandra - la ciotola per mettere via gli avanzi, insomma - e, infine, due tazze senza il manico con il loro piattino panciuto.

Sigyn lo guardò perplessa - due?

“Non mi piace prendere il tè da solo.” La voce era fredda e lei si sentì respinta ai margini della loro compagnia.

Scoprì con sollievo che Alo aveva già provveduto al fuoco e si chiese, stancamente, perché, se voleva così tanto un tè, non avesse già fatto tutto da solo - non se ne sarebbe accorto nessuno e, se proprio proprio, nessuno se ne sarebbe scandalizzato: il compito Monsieur de Girodelle, che non disturbava mai.

Fu lui a versarle da bere con gesti noncuranti - e la mano un pochino pesante col miele registrò Sigyn con disapprovazione.
Lei si limitò a sorseggiare in silenzio come se fosse stata ad una cena di una Principessa Conti, nonostante le maniche troppo lunghe che le coprivano le punta delle dita ed i riccioli in disordine che sfuggivano dalla cuffietta. 

Avrebbe sparato lui la prima cannonata o toccava a lei genuflettersi? Dopo le parole di Joséphine non si poteva parlare del tempo - e poi erano non so più quanti giorni che lei non aveva la minima idea se fuori stesse piovendo o meno: non era preparata sull’argomento.
 
“Cosa hai combinato?” chiese Alo con voce cortese. Sigyn sentì che le stava venendo da piangere 

“Non lo so.” Non le spiaceva affrontare il discorso con lui, ma intuiva di non possedere le parole adatte.

“Andiamo Lingua d’Argento...” la voce era dura e lei spalancò gli occhi in quelli di lui “Non lo so,” ribadì. Amleto le avrebbe creduto, rifletté rattristata, e senza fare troppe domande, ma Alo era grande, più grande di Clément, distante da lei quanto la luna dalla terra, nessuno lo aveva più preso a bacchettate sul palmo della mano da un pezzo, che ne sapeva, quindi?
“C’è una lettera che lo spiega ed io devo consegnarla al Generale.”

Alo non disse niente, non le domandò nemmeno un dettaglio di quella sera, si limitò a porgerle un biscotto, poi con aria seria le chiese “Hai ucciso qualcuno? Questo te lo ricorderesti, immagino.”

“Ma no!”

Alo alzò le spalle “Per tutto il resto c’è una soluzione ed una punizione adeguata. Domani tuo padre è qui. Se il problema è qualcosa che hai fatto, ci sarà l’espiazione e poi volterai pagina e ricomincerai. Se è qualcosa che non dipende da te, idem, espiazione a parte.”

Sigyn non gli credette - lei aveva implorato l’Asciutta, non c’erano più pagine da voltare.

Alo si limitò a lanciarle una occhiata obliqua. “Non ti ho detto che sarà facile, solo che è possibile. Domattina scrivi un biglietto a Cassandra, per piacere: mia sorella si offenderà se sa che sei qui e non l’hai nemmeno cercata.”

Sigyn abbassò lo sguardo ostinato. Voleva solo tirare il fiato.

“E scrivi a Victor.” Si sentì schiacciare dalla vergogna, sentendosi come ciò che restava sul fondo delle loro tazzine.
Alo le versò in fretta di nuovo da bere e aggiunse il miele.

“Cosa gli dico?” sussurrò senza guardarlo.

Lui le allungò un altro biscotto, che lei si mise a sgranocchiare, obbediente.

“Potresti chiedergli dell’uso del pentametro giambico nella poesia inglese di John Donne.” disse Alo con voce seria, con gli occhi che però brillavano divertiti.

“Non so neanche cosa sia...” Sigyn non era per niente convinta.

“Oh ma quel deficiente lo sa.” le tolse la cuffietta, sfiorandole i capelli con la punta delle dita “All’Harcourt ha scritto un saggio proprio su questo che ha fatto il giro dei suoi amici intellettuali. E dopo questo argomento di conversazione, tutto il resto, vedrai, ti sembrerà una passeggiata.”

“Perché sono ignorante.” soffiò sul piede di guerra.

“Enormemente, ma su certi argomenti,“ convenne Alo, con voce garbata “lì si sfiora l’incredibile. In questo caso, però, è solo perché tu sei troppo piccola e Victor troppo noioso.” 

Sigyn lo guardò irritata - Clément era in gamba e stava preparandosi in anticipo per la maîtrise ès arts- ma non ribatté perché Alo queste cose le sapeva benissimo e poi aveva anche lui la maîtrise, che più che un esame da superare in qualche modo era la conferma di un buon lavoro fatto per anni ed il riconoscimento delle capacità di un allievo in gamba. Bisognava aver seguito il corso di filosofia per due anni, e i numeri dicevano, grosso modo che su cento iscritti al primo anno, solo la metà arrivava al secondo, e di questi solo una ventina arrivava in fondo senza problemi e sosteneva l'esame. E probabilmente pure Alo aveva scritto dei saggi su roba astrusa, letta al massimo da altre dieci persone, per cui decise che avrebbe dato una chance al pentametro giambico.
Alo nel frattempo stava corrugando la fronte, pensieroso. ”Ultimamente la vita di un eremita raggiunge dei picchi che quella di Victor si può solo sognare - dovresti essere così cortese da portarlo fuori, quando ne avrai voglia e tempo. E poi ti mancano delle tazze per la cioccolata.”

“Quella piace ad Oscar.” la vocetta si era fatta scontrosa.

“Piace anche a me .”

Sigyn digerì l’informazione non sapendo bene che farne.

Alo si alzò e lei lo accompagnò alla porta.

“Sigyn?”

“Si?” alzò gli occhi per guardarlo nella penombra.

“Sogni d’oro piccola.”
 

Quello notte sognò dell’Asciutta, come l’aveva vista l’ultima sera, nel suo vestito nero, seduta alla sua scrivania come un gargoyle di Notre Dame, dura quanto la pietra di cui erano fatti quei doccioni. Non le piaceva quel sogno, ogni volta che lo faceva le veniva l’angoscia, e anche stavolta non le riuscì di svegliarsi.

“Devi andartene.” 

“Perché? Io sono nata qui.”

“No, tu sei arrivata qui. Non appartieni a questo posto.”

“E ora me ne devo andare?” 

“Si.”

“Ma perché?”

“Per il tuo bene.”

“Ma io sto bene qui.”

“Sei troppo piccola per capire cosa è meglio per te.”

“Il meglio è nemico del bene”

“Non essere impertinente, signorinella.”

Ma io ti voglio bene. Lo aveva pensato quella volta, ma non glielo aveva detto, per non sembrare patetica. Sentì le lacrime in gola e tutta la disperazione di quella sera. Le parole non le uscivano eppure erano importanti, forse avrebbero fatto la differenza. Forse non l'avrebbero mandata via.

Poi sognò di Clément, nella cucina piccola: lui era seduto in terra vicino al camino con le gambe incrociate e gli stivali appena appena impolverati, elegante come sempre, e lei se ne stava con il gomito appoggiato al suo ginocchio, la gamba di lui a farle da cuscino, per via del corsetto. Insieme stavano leggendo un libro, lui che lo reggeva e lei che lo sfogliava per tutti e due. La cosa più vicina ad un abbraccio.

L’ultima cosa che sognò fu Alo, circondato da una montagna di tazze per la cioccolata, una diversa dall’altra, che le osservava con sguardo critico.

“Forse dovresti provarle tutte.” disse in quel modo esasperante che gli riusciva benissimo.

“Forse dovremmo.”

Quando si svegliò era meno stanca e un po’ più rinfrancata - forse Alo aveva ragione: il Generale l’avrebbe sicuramente punita, ma non era poi così giusto punire due volte una persona per lo stesso errore, ad un certo punto la faccenda si sarebbe dovuta chiudere in modo definitivo. Questo almeno era il punto di vista del Nonno e al momento opportuno glielo avrebbe fatto notare.

Scese dal letto e aprì la finestra

E aveva ragione anche sua sorella - quella sciocca, non quella pazza - era ora di farsi un bagno.
 

Più tardi, seduta a gambe incrociate accanto al camino per asciugare in fretta i ricci - nonostante il caldo - cercò le parole giuste

Caro Nonno,

credo proprio che comprerò un servizio per la cioccolata

Era il suo primo progetto da tanto tempo, non era un granché, ma il futuro era un tempo verbale che ultimamente le sembrava minaccioso, toccava accontentarsi. E poi le ceramiche le piacevano molto, di sicuro più che sentire le lamentazioni di Joséphine - ci avrebbe messo il tempo che ci voleva per scegliere con cura.

Forse non lo sai, ma non è più la bevanda del momento, credo che adesso escano tutti pazzi per il caffé, che è amaro e così non sembra davvero un peccato di gola.

Sigyn aggrottò le sopracciglia - il Nonno avrebbe capito che non stava seguendo una moda? Non glielo aveva detto, ma non avrebbe messo mai più la cipria sui capelli.  Anche se Joséphine ieri sera stava benissimo.

Credo che la persona a cui è dedicata una delle tazzine preferirebbe un boccale da birra e una torta di cipolle, o un panino con arrosto e mostarda di senape, ma credo che la cioccolata sia una specie di compromesso accettabile tra la birra ed il tè, che invece a me piace moltissimo ed un giorno andrò a Londra, nei Kew Gardens, a sorseggiarlo alla Pagoda di Chambers.

I biscotti se li era mangiati tutti lei, lui l’aveva ingozzata, uno alla volta, e non sapeva se essere offesa perché l’aveva trattata come una bambina piccola, o essere grata perché non era stato indifferente, cosa in fondo più che legittima, dato che lei non era Cassandra.

Un po’ come i pentametri giambici, che gli inglesi chiamano "blank verse", e a cui mi è stato suggerito di interessarmi.
Ero perplessa, ma poi mi sono ricordata che Donne ha scritto delle belle poesie d’amore e forse questo compromesso potrebbe rivelarsi in fondo piacevole.


Non sempre si può fare quello che si vuole, sospirò Sigyn, ma Clément era molto bravo a spiegare quando si trattava di letteratura e la maîtrise riconosceva anche quello: che poteva andare in giro per il mondo ad insegnare, e almeno lui, a differenza di sua sorella Joséphine, aveva una specie di autorizzazione alla pedanteria, cosa che sua sorella proprio no - aveva studiato in un convento e questo diceva proprio tutto. E poi poteva sempre saltare le parti noiose in una lettera di Clément.
In ogni caso ci avrebbe provato, senza battere i piedi.

Non intendo battere i piedi, non mi piace questo esilio, su questo spero di risultare chiara, e Joséphine dovrebbe trovarsi una occupazione che la renda felice, perché ora come ora è parecchio antipatica, ma non intendo parlarne oltre.

Il Nonno voleva bene anche a Joséphine e non avrebbe apprezzato queste critiche anche se Joséphine non la si poteva proprio sopportare e anche da un bel pezzetto, per quanto la riguardava.

Volevo solo assicurarti che non ho un malcontento di tipo personale da esprimere

Non stava cercando la rottura.

Ti voglio molto bene, e voglio bene all’Asciutta e…

Che doveva dire? Che sperava che le volessero ancora bene? Se gliene avessero voluto non l’avrebbero esiliata, quella era roba da Antico Testamento, come la distruzione di Gomorra, la deportazione del popolo eletto a Babilonia e il diluvio universale.

Concluse con i soliti convenevoli, asciugò in fretta l’inchiostro, ripiegò il foglio con gesti precisi e lo sigillò con la ceralacca. Poi mise via tutto con cura.



Sigyn si guardò con aria critica nello specchio appoggiato al camino. Era salita su una sedia apposta! Sistemò i capelli rosso fuoco sotto la cuffietta dai nastri verde chiaro, in modo che non si vedesse nemmeno un ricciolo, poi scese con un salto e, con decisione, bussò alla porta dello Studio del Generale.

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Capitolo 6
*** Non si trovano le risposte ***


Non si trovano le risposte

Il Generale Augustin di Jarjayes era seduto alla sua scrivania. Le spalle larghe erano ben erette, i palmi della mani appoggiati sul legno dello scrittoio ed il volto impassibile.
Sigyn pensò che sembrava la statua di un leone a guardia del tempio di un dio barbaro della guerra: maestoso, elegante e pericoloso.
Il parrucchino immacolato e rigonfio sembrava una criniera - un leone venuto da un mondo gelido, e, indubbiamente, molto ordinato.
 
Gli occhi chiari - di ghiaccio - si piantarono in quelli della ragazzina e lei si sentì improvvisamente più piccola di almeno quattro pollici. Il leone, a quanto pareva, non era di buon umore.

“Tua sorella Joséphine mi ha fornito un quadro abbastanza completo della situazione, c’è qualcosa che desideri puntualizzare?” Le parole schioccarono per lo Studio.

Sigyn si irrigidì: anzitutto perché non capitava tutti i giorni di essere a pochi passi da un leone - non ci era più abituata.
Poi per via del ”tu” al posto del “Voi” che non sapeva interpretare.
Infine quello che la lasciava perplessa era che non aveva la minima idea di cosa potesse aver raccontato sua sorella: come poteva fare delle obiezioni a qualcosa che ignorava?
D’altro canto se non avesse obiettato nulla avrebbe avallato implicitamente qualunque cosa Joséphine si fosse inventata. 

Si guardò intorno cercando inutilmente una risposta: questo era un indovinello senza soluzione e nell'angolo c'era il frustino del Generale e pure la sua canna - vero bambù. A disagio trascinò i piedi sul tappeto, non sapendo che fare.

C'era anche un terzo problema, che al momento era secondario, ma non irrilevante nel lungo periodo: lei era stata esposta alla compagnia di Joséphine fin da bambina ed era sopravvissuta, il che alla luce degli ultimi avvenimenti, aveva dell’incredibile. Ma se le intenzioni di quella pazza erano, per il futuro, di spifferare al Generale le sue personalissime interpretazioni di ogni fatto che la riguardava, lei, Sigyn, non sarebbe sopravvissuta molto a lungo lì a Palazzo Jarjayes, prima della follia o di un omicidio. Amleto ne era la prova vivente, se solo fosse esistito davvero.

L’uomo sfiorò con la punta delle dita la lettera color avorio e fissò a lungo quella grafia aguzza che conosceva benissimo. Poi sospirò e la gettò in un cassetto con un gesto stizzito - il tempo era scaduto. “Forse dovrei leggere tutti i dettagli, ma non ho tempo. Quando un ufficiale viene trasferito improvvisamente dal suo reggimento è per fellonia, pigrizia, gioco d’azzardo, comportamento ribelle o oltraggioso, debiti, uno scandalo... la lista può essere molto lunga, ma alla fine i dettagli non sono rilevanti: il succo è che l’elemento in questione non è accettabile per chi lo deve comandare e non è bene inserito. Gli viene data quindi una seconda chance. Altrove.” Sottolineò l’ultima parola con voce secca.

Sigyn spalancò gli occhi, ma tacque.

“Personalmente non credo molto a questa magia della seconda possibilità! Per raddrizzare una pianta storta serve duro lavoro e disciplina, ma so che la vita è intessuta di responsabilità e la mia, in questo momento, è di accoglierti.”

“Non volete leggere…” Sigyn strinse la mani dietro la schiena - lei doveva, doveva sapere!

“Credevo di essere stato chiaro: adesso non mi interessa.” la voce del Generale risuonò per lo studio e Sigyn sobbalzò. Si chiese se quello era il ruggito del leone prima di abbattersi sulla sua preda.
Il Generale, chiaramente esasperato, proseguì con un tono di voce forzatamente più pacato, “Qualunque cosa sia successa è solo il frutto di un lento processo che ad un certo punto è giunto al suo compimento, un misero dettaglio, mentre quello che conta è il quadro generale. Ora che mio fratello non c’è, non sei gestibile da un uomo anziano ed irragionevole, e, probabilmente, sei incapace di soddisfare delle aspettative che io non conosco e che non mi interessano.”

Sigyn arrossì ed abbassò lo sguardo. Il Generale non la stava picchiando, ma lei lo avrebbe preferito, e, detto questo, aveva detto tutto.

La voce dell’uomo si ammorbidì, “Non pretendo che tu capisca,” disse, “sei troppo piccola e troppo semplice e non intendo fartene una colpa. Leggerò tra qualche tempo, e farò le mie valutazioni, ma ora non voglio partire con dei pregiudizi. Questa è la tua seconda chance, cerca di non sprecarla.”

Sigyn annuì.

“Troppo tempo libero alla tua età non va bene, per cui per ora, tentando di interpretare correttamente le intenzioni di…” l’uomo abbassò la sguardo mentre la bocca prendeva una piega amara “di Madame Marguerite, tua madre, ti terrai occupata assistendo alle lezioni di Oscar.”

Il Generale sollevò le mani ad arco, con le punta delle dita che si toccavano “Cerca di non rallentare il suo studio, perché è molto importante: sta costruendo il suo futuro...” disse con voce seria, cercando di essere il più possibile paziente “Sei ovviamente dispensata dall’esercizio fisico e dalla scherma. Il guardacaccia mi aveva accennato, una volta, che avresti un’ottima mira per cui potresti partecipare alle esercitazioni di tiro, dato che ad Oscar farebbe comodo uno stimolo: André è in gamba e conosce il suo posto, ma in questo è meno dotato. E vedersi battere da una femmina, beh, darà sicuramente una sferzata all’orgoglio di Oscar...“

La fissò cercando di capire se lei lo stava seguendo e Sigyn annuì - qualunque cosa purché quella follia finisse. Avrebbe passato il resto dei suoi giorni a sparare ad una zucca assieme al guardacaccia che masticava tabacco con la saliva nera che gli colava tra i denti mancanti, già per le gengive. Qualche volta per fortuna sputava - il che era una ben misera consolazione. 
Quanto a sua sorella, se ne sarebbe stata lì, irritata perché lei era solo una femmina e quindi un essere inferiore e di sicuro si sarebbe messa in mente di poterla comandare per ripicca. Posizione per cui a quanto pare c’era la fila.

“Studierai con il Precettore. Se riesci a seguire il ritmo di Oscar, bene, se non sei in grado, troveremo qualcosa da farti fare - deciderà Joséphine, io non ho la minima idea. Nessuno pretende niente di spettacolare da te, solo che tu non faccia perdere tempo prezioso alle persone. Cerca di non monopolizzare il Precettore nel tentativo di colmare le lacune tra la tua istruzione e quella di Oscar: sarebbe inutile.”

“Farò del mio meglio.” disse Sigyn con voce piccola piccola.

“Mi sembra il minimo.” ribatté l’uomo seccamente. 

Rimasero lì senza niente da dirsi e l’uomo la congedò con un gesto brusco.

Uscita dalla studio, salì su una sedia, incurante della tappezzeria - non gliene importava proprio! venisse Nonnina a dirle qualcosa! - e si osservò nello specchio sulla mensola del camino. 
E così era andato tutto storto. Era stata così sicura che avrebbe finalmente potuto chiedere scusa per qualcosa di concreto - come aveva detto  Alo? - Espiazione. E invece… nulla. 

L’esilio era stato ratificato. 
La sua nuova vita pianificata con poche parole - stai con Oscar, non disturbarla, se puoi studia, se non puoi non ce ne importa un fico secco, basta che non dai fastidio, sai fare solo una cosa che potrebbe esserci utile, che poi sarebbe sparare ad un bersaglio così bene da esasperare Oscar al punto da spingerla a fare meglio di te, per il resto ci penserà Joséphine perché qui nessuno sa che diavolo farsene di una Sigyn.  E non sprecar tempo a rispondere perché lo sappiamo tutti che sei semplice.
Bell’affare.

Neanche una parola su tutto un legame fatto di affetto e di rispetto che veniva messo in discussione - perché se il Generale aveva ragione, non era qualcosa di specifico che aveva fatto, ma quello che lei era ad averla messa in quel guaio. Lei era un fallimento perfino per il Nonno. Ci aveva messo anni per accettarlo ed ora aveva ceduto le armi, rispedendola da dove era arrivata - in fondo non era stato lui a portarla lì, fino al mare, ma lo zio Jean-Claude.
Si sentì come un cane abbandonato dal suo padrone.  

Aveva sempre pensato che l’espressione “sentirsi stringere il cuore” fosse una espressione convenzionale, come il pié veloce Achille, ma in quel momento le parve come se qualcuno, il suo cuoricino, glielo stesse tenendo tra le mani, trattandolo davvero molto male.

Cercò di ricacciare indietro le lacrime, alzò il nasino in aria e si sfilò la cuffietta. Cominciamo con le cose semplici, pensò ricordando gli insegnamenti dell'Asciutta. Guardò con occhio critico i suoi riccioli rossi e la treccia: l’avrebbe disfatta e avrebbe sistemato i capelli al modo della defunta Madame de Pompadour. Più o meno.

I capelli rossi erano sciolti sulle spalle, in onde morbide e riccioli ribelli e lei cominciò ad annodarli.

Non si accorse che il Generale la stava fissando dalla porta ancora aperta.

L’uomo si avvicinò e i loro sguardi si incrociarono nello specchio.
Sigyn si voltò di scatto “Stavo solo…” disse imbarazzata.
Il Generale le porse la mano per aiutarla a scendere - un gesto cortese e Sigyn gliene fu grata, in fondo non l’aveva punita e avrebbe potuto: i primi tempi che Mère se ne era andata, le bacchettate erano fioccate, come se loro fossero state dalle trottole da tenere in movimento a colpi di frustino. La ragazzina abbozzò un sorriso.

L'uomo si schiarì la voce “Non è colpa tua,” tuonò imbarazzato stringendole il polso senza accorgersene “è colpa di chi ha voluto che tu avessi un destino diverso da quello che ti spettava…” 

Sigyn si irrigidì e lo guardò con orrore, un destino diverso? Nel senso che sarebbe stato meglio se fosse morta alla nascita come avevano pensato tutti? Ma non lo disse - le sembrò una cosa troppo grossa per essere discussa proprio tra di loro che non parlavano mai di niente.

I due si fissarono, poi l’uomo notò la moneta che la ragazzina portava al polso e di colpo mollò la presa. Sigyn si inchinò e scappò via in fretta per le scale.

Dopo poco il Generale si diresse stancamente verso le stalle. Aveva il volto contratto.
 

“L’ho presa.” disse Oscar con voce trionfante.

André la guardò sorpreso “Cosa?” chiese con educazione, mentre stava lucidando la spada.

“La lettera! Dalle mensole del cornicione si può entrare nello Studio, lo sai no?”

“Potevi farti male” disse André irritato, passandole la mano tra i capelli in una specie di ruvida carezza. 

“Ma non è successo.”

“Devi aspettare che succeda per capire che è pericoloso?” la voce del ragazzo era gentile e con le dita le ravviò i capelli dietro le orecchie, “Non puoi pensare prima di agire, qualche volta?”

“Era una cosa importante, André, volevo sapere cosa era capitato a Sigyn e così ho ascoltato tutto.”

“Ma cosa ti importa cosa è successo?” chiese il ragazzo con un sospiro, passandosi una mano tra i capelli scuri. “Quando te lo vorrà dire, te lo dirà… che cambia? Intanto è tornata, no? Non ti  basta?”

“Dorme sempre, non gioca mai, durante il viaggio ha pianto: aveva gli occhi rossi e gonfi e la polvere non c’entrava un bel niente! Ho pensato che magari, senza volere, avesse cucinato qualcosa di strano ed avvelenato qualcuno.”

André spalancò gli occhi verdi e trattenne una risata. “Cosa hai scoperto?”

“Che non lo sa nessuno! Il Nonno ha spiegato tutto in una lettera e Sigyn l’ha consegnata al Generale che però non l’ha letta, perché le sta dando una seconda possibilità.”

“E’ un’ottima cosa, no?”

“No, perché poi la leggerà e prenderà una decisione su cosa fare con Sigyn.”

“Non è che c’è molto da fare, mi pare.” disse in tono critico André, scrollando le spalle. Il Generale con quel suo frustino sapeva andarci pesante, però in casa c’era olio in quantità per evitare le vesciche e Sigyn lo sapeva benissimo. Anche un pochino d’oppio.
E forse era giusto che anche lei non avesse più la Normandia: Oscar, la sua peste, la possibilità di scapparsene via per un po’, non ce l’aveva. Non era giusto verso Oscar.

“Ha parlato di altrove, sai cosa vuol dire vero?” Oscar lo guardò irritata, spalancando gli occhi azzurro zaffiro.

André scosse la testa.

“Dove vanno a finire le femmine? Non te lo sei mai chiesto André?”

“Si sposano?” chiese il ragazzo incerto.

“Ma no! Sigyn? Ci mancherebbe pure questo!” Oscar lo guardò scandalizzata, “Sposarsi, ma che idea! Non è adatta. Non è nemmeno bionda, sai che dote dovrebbe sborsare il Generale solo per questo difetto?” 

“Dove finiscono, quindi?” André era molto paziente e non aveva nessuna intenzione di discutere delle abitudini dei Jarjayes concernenti i pacta dotalia, per quanto affascinanti fossero. E poi nei capelli di Sigyn non ci vedeva proprio nulla di male. Si certo, non era un colore che si vedeva a Corte: chi era così sfortunata e ci teneva a non apparire fuori moda, li ricopriva subito di cipria o li tingeva, ma, per i suoi gusti, quelli di Sigyn non erano niente male - e poi lui veniva da una famiglia di campagna, e le spose al suo paese, per quanto si ricordava, le si giudicavano con altri parametri, tipo la robustezza, la buona salute… c’erano orti da zappare ed essere biondi non rendeva il compito meno faticoso.

“In convento! Probabilmente a Malta.”

“Malta?”

“Ci sono tanti conventi a Malta: il monastero di Santa Caterina, quello di Santa Scolastica, quello di Sant’Orsola, quello di Santa Agostina, Nostra Signora di Mellihea, Nostra Signora del Monte Carmelo…”

“Ho capito, ho capito, non mi serve l’elenco completo…” André le sorrise.

“E’ un’isola piccola, ho letto che c’è un punto da cui la si vede tutta, a che servono tutti questi conventi su un’isola così piccola?”

“I Maltesi saranno dei gran peccatori,” ribatté André con voce svagata “e servirà molta gente che preghi per  le loro anime…”

“No! E’ un’isola in mezzo al mare da cui non si può fuggire, è il posto perfetto dove mettere le femmine, quando c’è bisogno di mandarle altrove. E il Generale ha sottolineato proprio questa parola: altrove.”

“Se tuo padre sta minacciando l’altrove, io non lo esaspererei, anzi lo lascerei molto tranquillo…” André cercò di essere ragionevole, “Rubare una lettera di tuo padre, Oscar, ti pare il caso?” il ragazzo cominciò ad innervosirsi, “Così passi il segno, non è come fare un dispetto al Precettore o andarcene in giro di nascosto… Rimettila subito dove l’hai trovata!”  

“Prima voglio sapere cosa c’è scritto!”

“Sarà sicuramente sigillata, Oscar, non la puoi leggere e lo sai.“ la voce si era fatta improvvisamente severa. ”Lascia perdere.”

“La devo esaminare, prima, per ora l’ho nascosta.” Oscar quando ci si metteva era davvero testarda.

“Santi Numi! Se la trovano passerai tanti di quei guai, altro che Malta!”

“Tranquillo, l’ho nascosta in camera tua. Nessuno la cercherà lì!”

André strabuzzò gli occhi e si sentì mancare il respiro. Il concetto di quanto avrebbe voluto comunicare gli era molto chiaro, ma le parole non erano sufficienti o lo erano fin troppo - la fissò paonazzo, boccheggiando.

Oscar rise divertita “Dovresti vederti… sta sereno, stavo solo scherzando… andiamo su, che dobbiamo esercitarci con la spada, sei pronto?”

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Capitolo 7
*** Si cerca di farsene una ragione ***


Si cerca di farsene una ragione

La prima cosa difficile da accettare quando la tua vita si ferma è che quella degli altri prosegue.
La seconda è che sono tutti decisi a farti arrancare appresso a loro.

Sigyn se ne scivolò dentro la cappella di famiglia, cercando frescura e soprattutto silenzio in un posto dove tutti gli occupanti avevano smesso da tempo di avere fretta e, soprattutto, opinioni.

Sua sorella Joséphine aveva passato al setaccio i suoi bagagli, stringendo le labbra prima davanti ai vestiti troppo alla moda e poi a quelli troppo poco alla moda, per non parlare dello sguardo di assoluta ripugnanza dinanzi a quelli del tipo che Oscar indossava da sempre.
Lei li usava - su suggerimento del Nonno, eh! - per passeggiare sull’estran, o uscire in mare a vela o a remi. Lo faceva anche la Nonna, del resto, quando era ragazza e anche dopo sposata.

“Non si può guidare una barca con un panier,” le aveva spiegato ad un certo punto, cercando di essere paziente “hai idea di cosa succederebbe in acqua?”
Prima le gonne si sarebbero sollevate intorno alle sue braccia, coprendole il viso e poi, zuppe, l’avrebbero tirata giù, mentre le bolle d’aria sarebbero salite portandosi via il respiro.
E con quello tutti i pensieri.
 
“Non ci sono barche a Versailles.”

Sigyn convenne silenziosamente - Versailles difettava di barche.
In compenso abbondava di sorelle.

L’altra, quella che si credeva un uomo per fare contento suo padre, l’aveva trascinata davanti al precettore - un altro maestro nell’arte di stringere le labbra.

Memore dell’esperienza estenuante con Joséphine, aveva provveduto a nascondere per benino i suoi libri. 
In seguito avrebbe scambiato con calma le loro copertine con quelle dei libri di preghiere di una vecchia Contessa Jarjayes che stavano in alto, in uno scaffale della biblioteca - tanto non li leggeva nessuno. In fondo, come diceva il proverbio? Occhio non vede, cuore non duole, e se le toglievano pure i suoi romanzi d’amore, che le rimaneva?

Non c’era purtroppo nessuna copertina in cui avvolgere se stessa e sparire facendoli tutti contenti: niente aveva potuto salvarla da un interrogatorio serrato sui suoi studi - non aveva tradotto Virgilio e questo a quanto pare era il male. Lo spagnolo invece non interessava nessuno e nemmeno l’italiano.

Erano seguiti discorsi non tanto generici su come un giovane non strettamente supervisionato da un adulto fosse incline solo all’ozio ed al vizio e su come sarebbe stato opportuno che i contatti con il mondo esterno fossero quanto più possibile limitati. 
Questo perché il mondo pullulava di cose inappropriate - per fortuna che c’era Palazzo Jarjayes, la Rocca della Moralità, ad ergersi contro questo mare di peccato, che a quanto pare se la rivaleggiava con i compianti vicini di casa di Noè, degni solo di un diluvio.
 
Sigyn sospirò. Da quando Mère se ne era andata il livello di rigore morale a Palazzo si era decisamente elevato, non le pareva però che il Generale avesse questo gran piacere a tornare alla Rocca della Moralità - per lo più se ne stava con i suoi uomini a fare cose da guerriero.

Per il resto, di quanto detto dal precettore ricordava poco: le sembrava di essere stata in una specie di sogno e di essersi osservata dal di fuori, e siccome lo spettacolo non le era parso poi così interessante s’era distratta e così s’era persa gran parte dei ragionamenti.
L’unica cosa che le pareva di aver capito era che sarebbero stati inoltrati dei rapporti al Generale, concernenti virtù, buona educazione, umiltà ed onore, assieme ad un elenco di tutti i vizi inappropriati che il Precettore avrebbe tentato di estirpare.

Sigyn arricciò il nasino osservando le lapidi dei suoi antenati - quel rapporto sarebbe finito come la lettera del Nonno: gettato in qualche cassetto, perché tanto il Generale già sapeva tutto quello che c’era da sapere. Una ragazza a cui si ritiene vada estirpato qualcosa che non sia un dente di solito è vanitosa, civetta, pigra, pettegola, troppo curiosa, troppo poco obbediente, decisamente poco raffinata e sicuramente le avrebbe detto che il succo si riduceva ad un unico interrogativo: poterla far sposare da qualcuno oppure no.  Il resto eran dettagli.
Nel primo caso sperò che avrebbero preso in considerazione un gentiluomo non eccessivamente colto, magari un po’ scemo come lei, e a cui piacesse parecchio lavarsi.

Poi ci si era aggiunta pure Nonnina, che dopo aver messo in chiaro in modo inequivocabile che Oscar era una bambina speciale, non come lei che era invece solo normale, era partita a sbatacchiare quel suo mestolo sul ripiano di marmo di uno dei tavoli della cucina, tempestandola di domande di ogni tipo, comprese cose sul suo intestino che le sembrava impensabile dover condividere con qualcuno.

Quando anche André le si era avvicinato per parlarle, era scappata via - va bene tutto, ma c’era un limite.

Scese la scala a zampa di papera che portava alla cripta inferiore.

Erano quattro giorni che la trascinavano a forza, recalcitrante, tra sveglia alle cinque, abluzioni con l’acqua gelida, Messe, lezioni, bacchettate, preghiere, prediche, interrogazioni incalzanti, incontri con Joséphine per pianificare il suo guardaroba dalle ceneri di quello delle sorelle - indegna insomma, perfino della visita ad una modista - e poi di nuovo Nonnina per prediche che lei pensava bonarie e dove le portava ad esempio Oscar, il che andava benissimo perché lei lo sapeva da sempre che Oscar era la preferita a Palazzo Jarjayes, assieme a Joséphine, così come lei era la preferita in Normandia, motivo per cui non era mai stata gelosa, solo che ora cominciava a non poterne più.

Finalmente un po’ di pace, pensò. Le sfuggì l’ironia che era andata a cercarsela nel luogo della pace eterna.

Lì c'era la tomba del fratellino, il più preferito di tutti, l’unico maschio dei Jarjayes, che era nato prematuro ed era vissuto solo per alcuni giorni. La raggiunse e sfiorò con la punta delle dita il marmo bianco: c’era un angelo accasciato in lacrime, solo il busto e parte delle ali spuntavano, la mano era abbandonata, e intorno tanti fiori. Mère non ne parlava mai, ma una volta aveva detto che il fratellino era stato un bocciolo così bello che gli angeli se lo erano preso per farlo fiorire altrove - segno che la Rocca della Moralità non era stata considerata abbastanza degna da un angelo di passaggio nemmeno per un bambino così tanto amato.
Forse il rigore era per quello? Perché non succedesse più?

Lì avrebbe dovuto esserci la sua.
La storia che le aveva raccontato lo zio Jean-Claude era che lei era nata troppo presto e troppo piccola, la quinta femmina, e così era stata battezzata in casa proprio da lui, che era un prete, nonché gesuita, nonché missionario appena rientrato, e che aveva aiutato sua mamma a farla nascere, perché i missionari devono occuparsi sia di faccende dell’anima sia di faccende del corpo.
I nomi li aveva scelti là per là, ma Mère era stata d’accordo ed era per quello che le era toccato in sorte il nome Sigyn, la dea della lealtà, perché Mère era appassionata di mitologia norrena e perché mentre aspettavano che lei nascesse, Mère aveva voluto sentirsi raccontare ancora una volta la storia di Balder e di Loki e del ramo di vischio.
Comunque quello che lei sapeva era che lo zio Jean-Claude ad un certo punto quella sera l’aveva acquistata - quella sera c’era pure Monsieur Henri, il padre di Cassandra, e di Clément e di Alo e Maxence - con quella moneta che poi le era stata regalata e che lei portava sempre al collo o al polso perché le ricordava tanto la casa in Normandia e perché le sembrava un pochino il simbolo della sua libertà.

Sospirò. Lì in effetti c’era la sua tomba - gliela avevano preparata, una molto semplice, per via della fretta, ma poi li aveva sorpresi tutti non morendo. Erano perfino riusciti a fare il fratellino e a vederlo morire, nato troppo in fretta, proprio come lei, solo che lui non ce l'aveva fatta.
Quando l’aveva scoperta - tutto per colpa del vecchio giardiniere - aveva scritto allo zio Jean-Claude perché a quel punto scendere nella cripta la terrorizzava e così Oscar quando giocavano a nascondino andava sempre a nascondersi lì. Lui le aveva risposto con una lettera divertentissima in cui alla fine le diceva che lei aveva un suo personalissimo memento mori - non era mica da tutti! - e che comunque era solo questione di tempo: prima o poi sarebbe successo, capita a tutti in fondo, no? L’importante era di cosa l’avesse riempita, quella vita.

Si chiese per l’ennesima volta se era quello il suo diritto di nascita a cui aveva accennato il Generale, quello per cui non era colpa sua. O se intendeva una cosa molto più semplice, che avrebbe dovuto essere educata come le altre femmine, in un convento, lontana da tutti, e non in casa come Mère aveva desiderato. Come aveva lasciato fare allo zio Jean-Claude ed al Nonno 

Poi si sedette su un gradino di marmo di un cenotafio e si riposò contro il marmo piacevolmente freddo. Senza accorgersene si addormentò.



Quando si svegliò fuori era buio. 

Se ne accorse solo quando uscì dalla cappella e rabbrividì: aveva saltato la sessione di studio autonomo da fare sotto gli occhi del precettore, e, soprattutto, la cena, presieduta da Joséphine, anche se Oscar aveva il privilegio di sedere al posto del Generale.

Scommise dentro di sé che a passare per la cucina in cerca di cibo ci avrebbe trovato Margot-Pur-Beurre di sentinella e si rassegnò - non era la prima cena che saltava e non aveva fame. Sempre meglio che incrociare lo sguardo trionfante di quell’Anima Nera del Generale e di Joséphine, che, siccome aveva capito che tutte loro, le femmine, non contavano proprio un bel nulla, pensava di contare più di loro - come no?

Non aveva previsto che Joséphine era comunque figlia del Generale.
L’aveva sottovalutata perché sua sorella aveva studiato in convento, il che era come dire che non aveva studiato affatto perché sapeva meno di quello che sapeva lei, anche se, nel caso di Joséphine, nessuno si era mai preso la briga di farglielo notare, mentre nel suo, adesso, c’era pure questa bella novità dei rapporti settimanali.

Ma Joséphine era la figlia del Generale, l’unica femmina, a quanto pare, che gli desse una certa soddisfazione, e quindi, per questioni di sangue, una stratega, maestra degli assedi. E di altre cose che una vera signora non dice.

Joséphine, perciò, la stava aspettando seduta fuori dalla sua stanza su una sedia à-la-Reine tappezzata di damasco rosso sangue, piazzata lì proprio per l’occasione - molto teatrale ed anche molto adeguato. Molto da Giudizio Universale
 


Più tardi, mentre si passava  dell’unguento sui polpacci solcati da strisce rosse, pensò ad Amleto - si lamentava un po’ troppo quel Danese, mentre aveva avuto l‘indubbia fortuna di essere figlio unico. E soprattutto di non avere avuto tra i piedi nessuna Margot, perché alla fine, il lavoro sporco l’aveva fatto lei, l’anima nera del Generale e di Joséphine.
E, ci scommetteva, ci aveva pure preso gusto.

D'impulso prese il suo scrittoio portatile e aprì la boccetta dell'inchiostro.


Caro Nonno,

come stai? Io bene. 

Questo non era vero, ma non poteva scrivere delle frustate perché poi sembrava che lei si stesse comportando davvero male. 

Mi dispiace per i gatti, ma la loro casa è in Normandia e so che non sarebbero stati felici se me li fossi portati qui a Versailles. Spero che ve ne occupiate. A Monsieur Jambe-de-Bois piacciono molto le olive sott’olio, per esempio, sarebbe carino se ogni due settimane gliene lasciaste mangiare una.

Questo era vero.

Catticus, invece, adora la panna.
Ovviamente tutto questo se avete del tempo libero.

Io ho tante cose da fare durante il giorno. 

Anche questo era vero.

Non sono riuscita ad occuparmi del pentametro giambico e nemmeno di comprare il servizio per la cioccolata, cosa che mi spiace molto, anche se forse è meglio così.

E se Joséphine avesse avuto ragione? E se Clément adesso la trovava noiosa? o troppo ignorante?
Quanto ad Alo… a teatro ci andava con sua sorella e questo la diceva lunga.
Forse doveva arrendersi all’idea di essere proprio come le diceva Joséphine?

Ce la sto mettendo tutta.
A farmi piacere tutta questa storia, ma questo non lo poteva dire.
 
Mère è a Versailles

e Joséphine non mi ha ancora dato il permesso di andare a trovarla perché secondo lei disturberei, ma questo non si può dire. 

Père è in giro a preoccuparsi per la Corsica.
Oh finalmente una cosa che si può dire come è!

Horthense, come sai, è giro per l’Europa con la Zia, Vostra figlia Maggiore. L’uomo che la deve sposare ha scelto così perché conoscesse un po’ il mondo prima di diventare una moglie.
Le sue lettere arrivano sempre, ma la posta è lenta e spesso finisce che le leggo nell’ordine sbagliato.

Mi manca molto e non solo lei.
Joséphine invece non mi manca affatto! ma questo non si poteva dire…

Joséphine ed Oscar stanno bene. E sta bene anche André.
Joséphine passa buona parte del tempo a tentare di affilare il suo sarcasmo. Per adesso è solo passabilmente brutale.
Con Oscar stiamo traducendo Virgilio, che a me mette molta tristezza perché parla sempre di amore non corrisposto che travolge uomini (ed animali) portando distruzione e morte. A lei e ad André piace. Ma per loro è facile.

Io invece mi sento tanto sola, ma questo non lo poteva dire.

Mi piace tanto l’algebra perché esprime il rapporto tra le cose in modo generale e perché c’è sempre da trovare il valore di una incognita. Invece di sigillarla e sbatterla in un cassetto dimenticandosene, come succede con le incognite della vita reale.

Sigyn guardò quello che avea scritto con orrore, incerta se cancellarlo o meno. Poi si guardò le gambe che ancora le facevano male e decise che loro non erano stati delicati con lei, avevano tenuto una tomba pronta per anni senza nemmeno chiedersi se a lei facesse piacere! D'accordo che avevano proibito ai bambini di scendere nella cripta inferiore, ma che gente! ma che mondo era se il giardiniere, padre del capo-giardiniere, sapeva i fatti suoi meglio di lei? E poi doveva essere frustata da Margot? E perché? E allora lei aveva tutto il diritto di essere indelicata a sua volta!


Fammi tornare a casa, ti prego. Nessuno ha aperto la tua lettera e nessuno sa cosa ci faccio qui, sembra quasi una domanda teologica. Io non te lo chiedo più, promesso, ma ti giuro che potrei farmi così piccola che nemmeno ti accorgeresti che ci sono.

Concluse con i soliti convenevoli, asciugò in fretta l’inchiostro, ripiegò il foglio con gesti precisi e lo sigillò con la ceralacca. Poi mise via tutto con cura.

Rimase pensosa per un pochino, poi scese dal letto e a piedi nudi zampettò fino alla camera di sua sorella.

"Oscar? Stai dormendo? Hai cinque minuti per parlare?"

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Capitolo 8
*** Non si dice ciò che si pensa ***


Non si dice ciò che si pensa

“Oscar, per piacere…” Sigyn era sdraiata a pancia in giù sul copriletto di seta rosso fuoco, con le gambette che si agitavano irrequiete.
Se sua sorella pretendeva che lei giocasse la carta degli occhioni tristi, lei l’avrebbe giocata decise, tanto non è che c’era poi molto da stare allegri.

“Non ho detto di no, ho detto forse.” la risposta arrivò con voce molto ferma, come se fosse Oscar la maggiore tra le due.

“Non hai detto di si, però.” Con il dito Sigyn seguì il ricamo dorato dei leoni dei Jarjayes, aggrottando la fronte - le sembrava che ultimamente avesse piovuto per giorni, ma lei non lo sapeva per certo: non aveva mai guardato davvero fuori dalla finestra e Virgilio non le piaceva affatto, ma teneva duro, solo che… accidenti!

“No, non l’ho detto.” 

Sigyn non rispose, sentendosi superiore - Oscar non l’avrebbe attirata in un battibecco fatto di si, no e forse. In fondo erano solo due giorni che la stava pregando. Si inarcò all’indietro afferrando i talloni, e si stiracchiò, assaporando il piacere di starsene lì, senza il busto con le stecche. 
La vita era fatta di dettagli, sentenziò - rigorosamente dentro di sé - non di sorelle con la testa dura. 

Non odiava il corsetto, decise, faceva il suo lavoro: perché certi vestiti stessero davvero bene indosso ad una donna ci voleva qualcosa che facesse diventare il busto come un cono rovesciato, mentre i petit panier consentivano quella forma a corolla di tulipano che tanto piaceva.
Se la stoffa era morbida, per dare il massimo, sotto ci voleva una struttura rigida su cui drappeggiarla.
Peccato che Madre Natura non faceva le donne al modo che era comodo per le modiste.

“Non ci avevo mai pensato, Boucher, vestite, per un ritratto, ci dipinge in un modo,” disse con aria svagata, “ma quando disegna un nudo la vita non è più così sottile, anzi, e la ciccia abbonda. E le rotondità, e le pieghe...”

“E tu che ne sai dei nudi di Boucher?” chiese Oscar sospettosa. 

Sigyn alzò gli occhi al cielo - e Joséphine aveva il coraggio di insinuare che la provinciale era lei!

“Sceglie donne diverse.” mormorò, decidendo di lasciar cadere la domanda di sua sorella.

Un pensiero vago la attraversò, che la vita fosse un po’ come le donne di quei quadri: o eri giusta per indossare un gran bel vestito o eri giusta per folleggiare mezza nuda in qualche quadro mitologico inseguita da un tizio importante, preferibilmente Apollo, o anche Marte. Giusta per tutte e due le situazioni non si poteva. Non da un giorno all’altro.

“Una donna virtuosa non solo non dovrebbe, ma soprattutto non vorrebbe avere a che fare con Boucher!” la voce di Oscar le ricordò quella del Generale.

“Era pittore di Corte, primo pittore e direttore dell’Accademia. Era lui che ogni due anni organizzava il Salon...” cercò di spiegare Sigyn con gentilezza. Boucher non era ancora morto, ma Clément le aveva scritto che era in disgrazia.

Oscar copiò i suoi movimenti e silenziosamente si sfidarono a chi era più flessibile. Tutte e due concentrate, la pelle chiara sotto le chemise bianche, sul rosso della seta.

Rosso come i papaveri d’estate.

“Proprio una bella cosa!” Oscar fece una smorfia di sufficienza, soffiandosi via un ricciolo da davanti agli occhi, “Nostro Padre dice che quando c’è quella mostra la puzza di pesce delle mani e dei vestiti delle pescivendole si mescola con quello delle dame e con l’afrore delle borghesi che si fingono tali. E afferma che i quadri di Boucher sono moralmente degenerati! Attentano all’integrità morale della famiglia! Secondo lui è vergognoso mostrarli alla luce del sole!” Oscar era davvero irritata ora.

Rosso come le strisce sui polpacci. Oscar non aveva chiesto e lei non aveva detto, non c’era poi molto da raccontare.

O forse non si poteva mai. Essere giuste un po’ dappertutto. Forse toccava accontentarsi, barcamenandosi. 

“Ci sono anche le nature morte.” sussurrò Sigyn seccata. “E difficile scandalizzarsi per dell’aglio o delle noci.”

A quanto pare adesso Boucher aveva smesso di essere giusto.
Clément qualche tempo prima le aveva scritto, molto irritato, che avevano rimosso un suo quadro dal castello di Bellevue - Clément si irritava per un mucchio di cose strambe.

E anche lei non era più giusta per la Normandia. 
E Amleto, una volta tornato ad Elsinore si era sentito boccheggiare per via di tutto quel marcio metaforico e anche per quello non metaforico, perché onestamente non se la beveva che Elsinore profumasse poi tanto diversamente da Versailles. E i Danesi mangiavano aringhe crude, altro che le pescivendole fanatiche di Boucher!
E sua sorella minore aveva le gambe più lunghe delle sue, sarebbe toccato a lei essere la più bassa di tutta la famiglia - Joséphine l’avrebbe guardata dall’alto per tutta la vita!
Ed era invidiosa di Cassandra e non le era mai successo perché si erano sempre volute bene. Però lei aveva tre fratelli che la coccolavano come la principessa di una favola e non avrebbe mai capito che si poteva essere spedite via da casa e non capire perché.
E Clément non l’aveva mai portata al Salon, forse perché era troppo piccola. Perché se era per la puzza di pesce, per un pomeriggio ci poteva convivere.
E Alo non si era fatto più vivo - non che dovesse.

“E poi fa troppo caldo per la cioccolata” le scappò senza volere, mentre Oscar le lanciò uno sguardo incuriosito.

Sigyn si inarcò come una barchetta, sentendo che muscoli si tendevano piacevolmente sotto la pelle.

Non aveva ancora scritto a Clément  - non poteva, lui sapeva tutto del blank verse, qualunque cosa fosse, e, soprattutto, non perdeva mai l’orientamento. 
Lei invece no, era una barchetta che s'era persa e non trovava i punti di riferimento. Ma poi? Cosa gli avrebbe dovuto dire?
Che il mondo le sembrava crudele? Perché dava a tutti i desideri, ma non i mezzi per soddisfarli e dava abbastanza intelligenza perché capissero che non sarebbero mai stati soddisfatti? Le avrebbe detto che era troppo pomposa e poi avrebbe voluto sentire la lista di questi desideri. E a quel punto avrebbe riso di lei.
Poteva raccontargli che le stava andando tutto storto? Che voleva solo dormire in santa pace e invece gli altri se la trascinavano in giro e la costringevano a studiare cose che non la interessavano? A Clément? Uno che si stava preparando con entusiasmo per la maîtrise ès arts? Uno che aveva amici con la fissa della perfezione?
Figuriamoci se non avrebbe alzato un sopracciglio sentendo che era stata scacciata dalla Normandia. O che si era addormentata in una cripta.

Come minimo le avrebbe detto che era arrivato il momento di togliersi definitivamente dai piedi come amica.  

Perché quando superi quella specie di linea invisibile tra quelli giusti e quelli sbagliati, cambia tutto, è come essere dall’altra di quel meridiano, quello dove cambia il giorno: puoi dire e fare quello che ti pare, ma non sei nello stesso giorno degli altri, sei un passo indietro, nel passato, e nessuno si ferma nemmeno per chiederti una cosa semplice semplice tipo “come stai?” perché nemmeno ti vede più. E prima che tu possa dire bah tirano giù i tuoi quadri dal castello di Bellevue.

Il passo successivo era cominciare a parlare da soli. 
E quello, a dire il vero, le era già capitato.

No, non stava affatto bene, e si sentiva spiacevolmente sola. Doveva cambiare aria.

“Oscar, dove passa il meridiano dove cambia il giorno?” chiese timidamente.

“Non hanno ancora deciso, credo, ma, se deve essere, deve essere in mezzo al mare.” rispose sua sorella con un tono che non ammetteva repliche. 
Sigyn si rabbuiò - non solo stava dalla parte sbagliata del tempo e dello spazio, ma era pure senza uno straccio di isola tutta sua. Senza nemmeno un gabbiano a farle compagnia. 

“Ma non le hanno scoperte proprio tutte le isole, no?” insistette speranzosa.

“No, certo che no!” Oscar spalancò gli occhi “certo che sei strana… fai discorsi senza senso!” poi le si buttò addosso e cominciò a farle il solletico. Rotolarono ridendo per il letto enorme, finché Oscar ad un certo si mise a sedere e le chiese in tono un po’ troppo educato “Perché vuoi andare a Versailles?”

Non era facile, Sigyn lo capì, in casa Jarjayes, quando qualcosa non andava, trovare le parole era sempre una faccenda piuttosto complicata, toccava circumnavigare certi scogli appuntiti che i Minquiers a confronto erano nulla.

“Vorrei comprarmi un servizio per la cioccolata.” disse in tono leggero. Era vero. Aveva del denaro suo, avrebbe fatto un acquisto oculato, come diceva il Nonno: una cosa che desse soddisfazione, una sola, invece di tante così così. 
Alo una tazzina se la meritava - a modo suo glielo aveva chiesto, se stava bene, prima di sparire. E magari le avrebbe dato una scusa per scrivere a Clément e a Cassandra.
E poi una era ovviamente per sua sorella e a quel punto ne sarebbe servita una anche per André. Non sarebbero bastate due tazzine in croce, serviva una cosa fatta bene, un servizio da sei. Come minimo. Forse non sarebbero mai venuti tutti insieme in visita - Oscar detestava Cassandra e Clément quasi quanto detestava Boucher (e cioè senza nemmeno conoscerli), mentre Clément, secondo lei, aveva una adorazione segreta per Oscar (incomprensibile perché non la conosceva affatto e probabilmente se la immaginava come una eroina tragica e molto raffinata, mentre sua sorella era il tipo che, come non riusciva ad averla vinta, come minimo ti mollava uno spintone ed il povero André ne sapeva qualcosa). Però Clément non si sarebbe mai imposto, mentre André, nel caso, si sarebbe offeso e sarebbe sparito per andarsene a strigliare qualche cavallo. Alo diceva cose tremende (se le capivi) per cui con Oscar sarebbe finita con una lite, perché anche lei diceva cose tremende (e le capivi benissimo), quanto a Cassandra, quando loro due stavano insieme, non aveva voglia di avere tra i piedi i suoi tre fratelli. Horthense era invitata anche senza invito, appena fosse tornata, ma allora Maxence il maggiore dei Girodelle non sarebbe venuto. Erano tutti così complicati...
Comunque, per stare sul sicuro il numero giusto era dodici. André come minimo ne avrebbe rotta una, per cui un servizio da otto era proprio risicato.

“La vendita di Natale è passata da un pezzo, hanno reimballato tutto: non troverai niente.”

“Ma posso guardare cosa hanno preso altre persone. Farmi un’idea.” la pregò la ragazzina con i capelli rossi.

“Possiamo andare fino a Sèvres.” rilanciò Oscar.

“Versailles è più vicina.” pigolò Sigyn.

“E’ sulla strada per andare a Parigi. Fino a Parigi sono tre o quattro ore, per come cavalchi tu. Non è così lontana e poi una gita è una gita.” Oscar non la stava guardando.

Sigyn alzò gli occhi al cielo, si Parigi, come no? Joséphine non lo avrebbe mai permesso.

“Oscar…” Sigyn la guardò cercando di trovare il compromesso giusto perché la vita non la misuri in tutte le volte che riesci ad averla completamente vinta, su questo lo zio Jean-Claude era sempre stato chiaro. Questa cosa di sua sorella non le piaceva affatto, cioè era ovvio che non stava perdonando chiunque si mettesse contro il Generale - inclusa lei e inclusa Mère che stava a Versailles, dove, guarda caso, sua sorella non voleva mettere piede - piuttosto sarebbe andata a Sèvres, no Sèvres, dico, a guardare ceramiche. Oscar. Che non sapeva distinguere il blu cobalto dal blu di Prussia. O un Boucher da un Quentin La Tour!

Era sconcertante quante balle si potevano dire senza dover fare lo sforzo di accroccare una sola bugia coerente.

D’impulso la abbracciò ed Oscar non si ritrasse.

“Non ti sto chiedendo di fare tutto quello che faccio io,” le sussurrò, “quello io lo davo per scontato. Giriamo per i giardini, ci infiliamo nelle cucine, poi tu puoi visitare la Sala delle Guardie del Re, mentre io mi informo sulle tazzine.” E se poi incontro Mère, tanto meglio, e se le chiedo se posso stare da lei per un pochino, meglio ancora, ma tu non sei obbligata, questo è un dettaglio che puoi far finta di non vedere come tutte le cose sgradevoli, o ridicole, o che fanno un po’ male.
Di più non riusciva a pensare - era piccola, non era perfetta, ed era terribilmente triste. E non aveva scritto a Clément e nemmeno a Cassandra. E le mancava ancora una pagina da tradurre e venti versi di Omero.

Mentre tornava in camera sua, sentì che Oscar ribadiva “Ho detto forse.”

Figuriamoci, pensò Sigyn senza voltarsi. Testa dura. Testa da Jarjayes.

 

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Capitolo 9
*** Dovresti pensare anche agli altri, te lo dicono tutti ***


Dovresti pensare anche agli altri, te lo dicono tutti

Caro Clément,
mi spiace di non avere scritto prima, ma sono successe tante cose.
La ragazzina con i capelli rossi arricciò le labbra in una smorfia sdegnosa - non era affatto vero, ne era successa solo una, l’innominabile.
Lentamente ripiegò il foglio e tagliò via la striscia di carta con le sue parole, irritata: non aveva nessuna intenzione far diventare un paio di frustate un evento degno di nota e Joséphine, a conti fatti, non era proprio nessuno. 
Sbuffando incrociò le gambe sul copriletto, riprese in mano la penna d’oca e ci riprovò.

Caro Clément,
sono tornata a Palazzo Jarjayes, il posto che tu ti ostini a chiamare casa mia e che adesso, a furia di insistere, lo è diventata.

Sigyn sospirò - queste erano le parole di una bambina, e anche piuttosto antipatica. E poi Clément non ne aveva nessuna colpa, dato che la colpa - era assodato, c'erano addirittura le prove scritte - era tutta sua.
Con cura rimosse un’altra strisciolina di carta e la ripose nello scrittoio. Forse era meglio limitarsi ai fatti, quelli importanti, non ai dettagli di contorno. 
Sistemò il banyan verdeblù ordinatamente sotto i piedini e cercò la verità dentro di sé.

Caro Clément,
vorrei rubare una lettera, che in fondo doveva essere diretta a me, almeno moralmente avrebbe dovuto, ma...

Sigyn appallottolò il foglio irritata. “Vorrei rubare qualcosa” e “non so proprio come mai mi hanno cacciato di casa” nello stesso paragrafo non è che suonavano tanto bene. C’era pure il caso che Clément le scrivesse “fatti una domanda e datti una risposta”.
Si strinse nel banyan, pensierosa - la sincerità andava bene, ma alla fine l’universo dei fatti aveva un formato molto più modesto rispetto all’universo dei sentimenti.

Caro Clément,
non va proprio male, ma non va neanche tanto bene: il calendario dice che è quasi estate, ma a me non sembra affatto a parte il caldo. II cielo mi fa paura, certi giorni pare di piombo fuso, pronto a sciogliertisi addosso, goccia a goccia, per annegarti.

Sigyn fece un lungo respiro - queste invece erano le parole di una che stava andando fuori di testa. 

Non che volesse essere diversa da come era - non con Clément - però di solito lei era meglio di così e aveva una gran paura che se lui l’avesse vista come era in quel momento, avrebbe visto proprio quello che un giorno aveva visto il Nonno e avrebbe chiuso i rapporti con lei.
O li avrebbe tenuti solo per via di Oscar, cosa che andava benissimo, ovviamente, ma fino ad un certo punto, e forse benissimo non era nemmeno la parola giusta, solo che anche quella, come la decisione del Nonno, sarebbe stata una di quelle cose su cui lei non aveva nessun potere.

Certe cose andavano dette di persona - decise alzando gli occhi al cielo.

D’impulso afferrò la penna e scrisse quello che non avrebbe mai spedito.

Cara Cassandra,
se adesso ti scrivessi per davvero, ti direi che sono tornata ma non per mia scelta a quel punto tu vorresti subito sapere perché e soprattutto da quando e temo che la risposta non ti piacerebbe - avrei dovuto scrivere prima di partire, adesso lo so.
Madame de Girodelle stringerebbe le labbra - correresti subito a dirglielo, ti conosco - e Alo forse la ragguaglierebbe su alcuni dettagli, dato che mi ha vista, e magari sarebbe anche equo.
Ma sai anche tu che non farebbe una grande impressione - gli manca il talento di rendersi gradevole, anche se, proprio perché è molto intelligente, direi che non è che non gli riesce, è che non ci prova affatto e questo rende difficile trovare un terreno comune tra Lingua Di Vipera e l’Inflessibile, che poi sarebbe tua madre, che in quanto a senso morale darebbe dei punti a Girolamo Savonarola. Solo che a conti fatti è più buona.
O i dettagli glieli racconterebbe Joséphine, che ultimamente sta scoprendo di avere un’opinione su ogni cosa, e allora tutto sarebbe solo un enorme disastro... 

Non c’era modo di uscirne. Sarebbe stata giudicata. 
Forse tutti l’avevano sempre vista come una erbaccia infestante ma non avevano mai avuto l’occasione di dirglielo, come con Boucher: prima vogliono le tue decorazioni addirittura sulle tazzine da tè, poi sparisce il tuo protettore - muore la Pompadour - e allora si sposta un equilibrio e ci si sente autorizzati ad una sincerità crudele come le frustate di Margot.

Era un peccato non poter scrivere ai suoi amici un bigliettino come aveva fatto per Le Journal des Dames - il Nonno ogni Natale le regalava l’abbonamento - comunicando il cambio di indirizzo: da oggi recapitate qui la vostra amicizia, a cui continuo ad essere interessata con tutto il mio cuore, grazie. Senza dover spiegare nulla.

Mordicchiò la punta della piuma d’oca e poi prese un foglio nuovo, per l’unica persona a cui non doveva spiegare proprio niente di tutta la vergogna di quanto era capitato.

Caro nonno,

Sigyn sentì la bussata e con un sospiro mise via tutto nel suo scrittoio portatile.

“Avanti!”

Sorrise in modo spontaneo vedendo André sgusciare dentro senza far rumore. Era vestito di panno marrone, una stoffa priva di ricami, ma di qualità, probabilmente con dentro della seta, dato che si poteva vedere un leggero brillio sotto la luce, mentre si muoveva, discreto ma di effetto; il giustacuore dai bottoni piatti, ricoperti di stoffa, era sbottonato giusto quel tanto da mettere in mostra, in modo discreto, i ricami semplici ma curati del jabot. Somigliava ad uno dei ritratti inglesi che aveva visto dai Girodelle, un gentiluomo di campagna.
I suoi vestiti erano sempre la versione semplificata di quelli di Oscar, stabilì Sigyn con un sorriso, nondimeno erano tagliati perfettamente - Nonnina ci teneva e ci teneva il Generale. 
Non un nobile - non lo era - non un alto borghese, non un servitore: era come se André fosse l’ombra di sua sorella, inseparabile, stilizzato e fermamente deciso a darle sempre il buon esempio su come avrebbe dovuto essere il perfetto gentiluomo, qualunque cosa questo volesse dire.
Improvvisamente la coda del ragazzino, raccolta sulle spalle, stretta in un gran fiocco azzurro, così ordinata, le fece una gran tenerezza.

André si sedette sul bordo del letto accanto a lei, appoggiandosi contro una delle colonne del baldacchino e si sistemò le pieghe della manica, impacciato. Sigyn si sporse in avanti e gli sistemò il nodo del jabot così come faceva sempre con il Nonno. 

“Pavone!” sussurrò - mai come un Girodelle, però, e, a differenza loro, mai completamente per se stesso.

“E’ tutto a posto? Hai finito i compiti?” chiese il ragazzo con un sorriso gentile.

Sigyn alzò gli occhi al Cielo “Ma certo!” per chi l’avevano presa?

“Non hai intenzione di andare subito a dormire, vero?”

“Non saprei, hai per caso dei biglietti per il teatro?” la voce le uscì involontariamente sarcastica, ma André rise, senza prendersela. 

“Cosa hai intenzione di fare coi tuoi libri?” le chiese con cortesia e Sigyn non fece finta di non capire: André aveva portato i suoi bagagli nella sua camera, quando era arrivata, e sapeva molto bene cosa si era portata dietro - e sapeva anche meglio cosa aveva nascosto.

“Scambiare le copertine.” rispose risoluta.

“Vapore?”

Sigyn annuì ed André le scoccò un sorriso pieno di approvazione. Un gentiluomo, ma anche uomo di mondo stabilì Sigyn trattenendo una risatina.

“Nella cucina piccola...” aggiunse la ragazzina abbassando il tono della voce. “Ho già preparato la colla con la scusa di cucinare dei tortelli per voi due. Mi serve un buon coltello, però - non voglio rovinare nulla.”

“Ti presto un rasoio…”

Sigyn alzò un sopracciglio e lo guardò scettica “E da quando hai un rasoio, scusa?”

“Era di mio padre...” il ragazzo alzò le spalle imbarazzato e Sigyn sorrise divertita. “E poi tra un po’ mi sarà necessario.” soggiunse André con aria di importanza, senza guardarla. 

“Sei uno che ama pianificare con largo anticipo, vedo…” sospirò la ragazzina con i capelli rossi, scuotendo la testa quasi impercettibilmente.

“Cosa?”

“Niente, niente…” Sigyn si strinse nelle spalle, lei in fondo aveva una scatolina con dei nei finti nascosta in un cassetto pronti per un ballo importante, magari al braccio di Monsieur Henri de Girodelle, il padre di Clément - a ognuno le sue illusioni. “Aspetterò un pomeriggio in cui Joséphine non c’è.”

“Ci vuole tempo, non so se ce n’è sufficienza…” André era scettico, “sarebbe meglio se li scambiassi direttamente. Ora”

“Ma dopo non potrei leggerli…” 

André sbuffò spazientito “Se tua sorella li trova, con l’umore che ha ultimamente, non li leggerai comunque.”

“Sono solo storie d’amore e non solo quello!” protestò Sigyn irritata. “Non sono mica dei quadri di Boucher!” aggiunse con fastidio, ma André la guardò senza capire

“Vuoi comprarti un quadro, per caso?” chiese stupito, “Oscar mi ha detto che ti sei fissata con certe tazzine… voleva portarti a Sèvres, farti una sorpresa, hai cambiato idea? Preferisci un quadro?”

“Ma no!”

“Lo sai che il Generale è contrario ai romanzi, dice che le donne non sono in grado di distinguere tra una storia improbabile e la vita reale, e che finirebbero solo per avere desideri che non stanno né in cielo né in terra, che le renderebbero delle infelici.”
Sigyn lo fissò con gli occhi sgranati, ma non disse nulla ed André proseguì “Come ci sono libri che possono elevare l’animo umano, così ce ne sono che possono avere una pessima influenza. Ci sono in giro storie su criminali, storie contro la Chiesa, storie sull'amore, tutte cose che possono esaltare una mente debole. E le donne in generale, e le ragazzine in particolare, hanno una mente debole, non sono capaci di distinguere la buona letteratura dalla cattiva, e probabilmente nemmeno il bene dal male.” 

“Capisco… è davvero un peccato sprecare del tempo ad insegnare alle donne a leggere e a scrivere… una vera pazzia! Bisognerebbe fare di tutto per un bel ritorno all’analfabetismo femminile. Cominciando con l’aristocrazia, in modo da dare il buon esempio al resto della società...” Sigyn mantenne il visetto impassibile e André la guardò incerto per quasi un minuto buono.
Poi riprese con un tono molto serio: “Non gli piacerebbe sapere che leggi da sola, e senza supervisione, assorbita in qualcosa che non è reale. Lo sai.”

Sigyn lo guardò, ma si trattenne dal dare una rispostaccia. 

Non chiese ad André cosa ne pensava davvero, perché sapeva che adorava Oscar e che aveva per il Generale una gratitudine immensa, più di lei che gli era figlia - non lo avrebbe mai messo in imbarazzo costringendolo a prendere una posizione che puzzava di ingratitudine e tradimento.
Gli diede un colpetto amichevole sulla mano e pensò che le mancava sul serio Clément, che detestava (un eufemismo) i romanzi d’amore senza farne mistero, e con cui, però, era molto più libera di dire la sua.

I due ragazzini ripresero a chiacchierare per un po’ ed alla fine André la convinse - avrebbero scambiato i libri subito e poi, uno alla volta, con calma, Sigyn avrebbe sostituito le copertine. 

Mentre le teneva aperta la porta che dava sui corridoi di servizio André mormorò imbarazzato schiarendosi la voce “Guarda che lo capisco quanto ci tieni, che ci sono cose che sono... personali" il ragazzino si passò una mano tra i capelli con un gesto nervoso, "cose nostre, ma nostre sul serio, che aiutano a non dimenticare.”

Sigyn annuì senza guardarlo - si vergognò, perché aveva dimenticato che André era orfano e che anche lui una volta aveva avuto un’altra casa tutta sua ed una vita di cui nessuno di loro aveva fatto parte.
Poi scattò in avanti e si precipitò per le scale con André dietro, i libri tra le braccia ed una gran voglia di libertà nel cuore.
 

Spostarono i libri in Biblioteca scambiandosi risatine sussurrate e commenti sui titoli, mentre salivano e scendevano su e giù per una scaletta. I libri di preghiera erano perfetti ed impolverati - nella Rocca della Moralità, decise Sigyn, Satana erano i romanzi d’amore, mentre Virgilio aveva sostituito Dio. La vittoria finale del paganesimo.
Qualcuno però si era letto e riletto le poesie di Donne.

Sigyn corrugò la fronte - aveva lasciato in camera sua solo quel libro di poesie ed il quadernone coi suoi racconti ed i disegni di Clément - su quelli non c’era proprio niente da dire.

André la bloccò mentre scendeva la scaletta per l’ultima volta “Un’ultima cosa,” disse a voce bassa “lo so che ti dispiace… però noi siamo contenti, sai? Non ci pensi mai agli altri?”

Sigyn lo guardò sorpresa.

“Oscar, lei non può capirlo, per lei non c’è mai stato… non c’è un altro posto. Le fai male quando ti rintani nella tua stanza. Sembra che non ti importi poi molto di noi. “ la voce di André si era fatta un bisbiglio, “Lo so che tu… però tu… cerca di capire, è come uno schiaffo in piena faccia. E’ come se le dicessi che lei non è abbastanza. Mentre lei, quella peste, è così contenta che tu sia qui. Per sempre.”

La ragazzina gli accarezzò il braccio - aveva notato che André aveva detto “lei” e non “Monsieur Oscar” e gliene fu grata. Poi sussurrò - “Anche io le voglio bene, che ti credi?”
I due si sorrisero, ed André si inchinò accennando un passo di danza.
Ballarono senza musica, molto carini, lui tutto vestito di marrone, un po’ pasticcione in certi passaggi - si capiva che passava più tempo a duellare che ad esercitarsi nei passi del minuetto - lei con quel suo banyan svolazzante - forse un po’ corto, ma non importava - e le calzine di seta ricamate. Era una contraddanza, le mani si sfioravano giusto un poco, mentre giravano intorno in mezzo ad altri ballerini immaginari.

Non vista, Oscar, nascosta nell’ombra, li osservava in silenzio, il visetto contratto, senza farsi avanti e senza dire una parola.

Poi Sigyn afferrò André per la mano e insieme scapparono fuori dalla Biblioteca.
Arrivati alle scale dissero insieme “Andiamo a cercare Oscar!” e scoppiarono a ridere perché a tutti e due era venuta la stessa idea.

La cercarono ovunque, ma la ragazzina sembrava sparita, così si salutarono per ritirarsi per la notte.

Sigyn si riarrampicò sul letto e riprese in mano la lettera che aveva iniziato.

Caro Nonno, 
spero che tu stia bene e che l’Asciutta si sia ricordata di prepararti la tisana, alla sera, nel modo che piace a te. Ho lasciato una serie di istruzioni.

Sigyn chiuse gli occhi. Ricordava le loro parole che si intrecciavano pigre con le volute di fumo dalle tazze, in un tempo senza tempo. Forse un giorno avrebbe dimenticato cosa voleva dire prendersi cura di qualcuno che si prendeva cura di te, ma adesso no, adesso era tutto dentro, ogni attimo felice, e tutta quella felicità le faceva un male terribile. 

So che non ci vuoi lo zucchero per via dello schiavismo, anche se, a voler ben vedere, pure il cacao è bello carico di frustate e anche il caffè non scherza.
Non era facile fare la cosa giusta - Sigyn sospirò rumorosamente - una volta si poteva; una volta c'era il cacao brasiliano dei gesuiti di Bahia, che non usavano schiavi, ma ora come ora non aveva la minima idea. 
E comunque la cioccolata costava davvero tanto - Oscar non si rendeva conto - una libbra era come una settimana di paga di uno degli uomini che lavoravano per il Nonno in Normandia. Le avevano insegnato a tenere i conti, lei lo sapeva bene.
A dirla tutta, il mondo, tutto sommato, le sembrava un posto parecchio infelice, dove non si salvava nulla e nessuno e dove anche le cose dolci erano amare. Amleto sarebbe stato sicuramente d’accordo.

Però le sue tazzine per la cioccolata adesso le voleva. Magari ci avrebbe versato dentro della tisana alla menta, per non scontentare nessuno, ma lei le voleva.

Volevo ringraziarti ancora per l’abbonamento al Journal des Dames (ho già scritto perché me lo recapitino qui). E' stato un bel regalo di Natale e ho apprezzato anche Una Modesta Proposta di Swift: ha una ironia mordace, e capisco che la compassione, che c'è, c'è poco perché lui pensa che ognuno dovrebbe prendere l'iniziativa ed aiutare se stesso a tirarsi fuori dai propri guai.
Motivo per cui non ti chiederò di nuovo di riprendermi, dato che sarò figlia e proprietà del Generale per tutta la vita. Però grazie per il Journal des Dames, per avermi lasciato leggere da sola libri stupidi pensando che non mi avrebbero fatta più stupida e per tante altre cose.
 
Hai letto qualcosa di interessante ultimamente?
Certe volte, a leggere a voce alta per il Nonno si era annoiata - non era esattamente un fanatico dei romanzi, scambiava idee con tizi come Antoine Bénézet o l’Abbé Raynal, tutta gente ostinata che teneva il punto e che a Palazzo Jarjayes non sarebbe stata affatto gradita.
Una autentica stupida insomma - che il Precettore avesse ragione su di lei? - e questo era la dimostrazione che non dico proprio tutto tutto, ma parecchio era relativo.

Io ho cercato le poesie di Donne, per via del pentametro, e ho trovato un volume in Biblioteca. Dopo averlo sfogliato, però non sono rimasta tanto convinta che siano poesie proprio adatte a me.
Sigyn arrossì - ne aveva lette un paio e, onestamente, non avrebbe mai detto che quel tizio aveva studiato dai Gesuiti!
Anche se pure l’Abbé Raynal era un gesuita e questo dava parecchio da pensare…

Però Donne, ad un certo punto, si era fatto Protestante - si vede che si era stancato di tutta quella fatica della colpa e del pentimento e aveva preferito la tranquillità della grazia. In fondo una volta che sapevi di essere predestinato (o di non esserlo), la strada era tutta in discesa.
Solo che invece di prendersi sei o sette mogli - una alla volta, per carità, mica tutte insieme! - proprio come quel re inglese che aveva dato inizio a tutta la faccenda, era diventato Cappellano di Corte. Un religioso quindi.
Peccato che, invece di tuonare contro la lussuria, si era messo a scrivere poesie in cui intimava alla sua amata di sbrigarsi a togliersi la chemise mentre lui, nel frattempo, per spiegarle per benino cosa aveva in mente, si sarebbe allegramente spogliato per primo. Completamente 
Ma pensa te! Un uomo di Chiesa! Full naked aveva scritto! E poi avevano il coraggio di prendersela con Boucher! E togliere i suoi quadri dal castello di Bellevue!
Comunque lei questo al Nonno non lo poteva scrivere.

Forse è il bello di essere Protestanti.
C’era la sua statua nella Cattedrale di Saint Paul, a Londra - Clément aveva fatto dei disegni, ne aveva fatti anche delle nuove case di Mayfair e dei tubi in ghisa e non più in legno di olmo.
Lei aveva annunciato che un giorno ci sarebbe andata, con Oscar, e il Nonno le aveva anche dato il permesso. Ma forse adesso questo non contava più.

Nel dubbio rimetterò il libro al suo posto.
Sigyn si fece seria - non voleva guai, solo poter parlare di metrica con Clément con un minimo di cognizione di causa.
Anche se, rifletté, quel libro non era venuto da solo a Palazzo - qualcuno se era letto e anche più di una volta.

Sto cercando di abituarmi ai nuovi ritmi della giornata.
Aveva bisogno di un progetto, perché se chiudeva gli occhi sentiva il rumore del mare e la cosa che desiderava di più era potersi addormentare per poter sognare la Normandia, e, questo, lo vedeva da sé, non era una bella cosa. Per cui adesso avrebbe avuto le sue tazzine! 

Ogni mattina Oscar ed André si alzano molto presto, perfino prima della lavapiatti, ed io mi adeguo.
Sigyn arricciò il nasino - le cose non stavano proprio così: Oscar entrava in camera sua come una selvaggia, spalancava la finestra, le strappava via le lenzuola, le spruzzava l’acqua in faccia, le soffiava nelle orecchie di alzarsi e le saltava sul letto. Un incubo.
E poi se la trascinava dietro, come se il solo pensiero di vederla dormire le facesse orrore. Più orrore di un quadro di Boucher.

Da quando il Generale…
Sigyn si fermò, il pennino nell’aria: al Nonno non avrebbe fatto piacere sapere che per lei suo figlio era “il Generale”, perché, anche se quei due non si parlavano da tempo, lo sapeva che il Nonno voleva molto bene a tutti i suoi figli e tutti si volevano bene tra di loro anche se discutevano sempre, da vere teste di Jarjayes.

Da quando Nostro Padre ha deciso che studierò con loro, ci ritroviamo tutti e tre in cucina ed accendiamo il fuoco a turno, cosa che non mi fa più così paura come quando ero piccola, anche se mi piace sempre poco, perché il camino della cucina è enorme e va a sapere come sta messo a tiraggio e cosa potrebbe fare un colpo di vento.
Qui una volta ci pensava Mère a far filare lisce tutte le cose, ma da quando si era trasferita a Versailles nessuno aveva preso il suo posto, come se nemmeno sapessero che si occupava di tante cose pratiche oltre che di essere bellissima.

Facciamo colazione lì tutti e tre insieme con qualcosa di leggero, confrontiamo i compiti, e facciamo i piani della giornata.
Sigyn sorrise - Oscar, pedante come non mai, le controllava le traduzioni di Virgilio, facendo finta che non fosse così, e allora lei non la ringraziava, per non metterla in imbarazzo, che sua sorella accettava meglio le bacchettate che le parole di affetto sincero. E questo era orribile perché Oscar era la più piccola e tutti avrebbero dovuto coccolarla. Anche leì.

Oscar è molto carina e protettiva e cerca di prevenire l’ira funesta del Precettore. A me non importerebbe; alla fine, come dici tu, si impara dagli errori, ma il Precettore a quanto pare ha altri gusti in fatto di metodi di insegnamento.
Al precettore come metodo di insegnamento piaceva il sambuco. 
Leggero e molto elastico. 
Perfetto per fare male senza troppo sforzo e pure con un bel suono.

Dopo lei ed André vanno ad esercitarsi con il fioretto.
Io invece nella serra e nel roseto. E’ la stagione giusta e le piante vanno spruzzate con del decotto all’ortica per via dei parassiti.

Sigyn chiuse gli occhi irritata - per fortuna che Oscar ed André le avevano dato una mano a cercare le ortiche… era stato bello, erano andati nel bosco a cavallo poco prima del tramonto ed erano tornati con il crepuscolo. Nessuno se ne era accorto.
Mère avrebbe dovuto essere lì ad occuparsi delle sue rose, come avrebbero fatto senza di lei? Possibile che non si rendesse conto? Una volta diceva di amarle così tanto…
Il giardiniere era anziano e la serra era un disastro: c’erano rami secchi, e piante infestanti che soffocavano le primule nei vasi! E andavano spostate ora che faceva caldo, e nessuno stava programmando i rinvasi. Come aveva potuto Mère non pensare alle sue rose? Non poteva mandare un bigliettino? Almeno per dare qualche istruzione al giardiniere!
A casa non sarebbe mai successo, ma a casa nelle serre c’erano anche cibo e piante medicinali. C’erano conseguenze.
Qui c’erano solo fiori ed i fiori non contavano, a quanto pare.
Sentì che le stava venendo da piangere e, indispettita tirò su col naso. 

Mi piace occuparmene alla mattina presto, mentre piano piano il Palazzo si sveglia e nelle serre ed in giardino c’è silenzio.
A parte il borbottio continuo del giardiniere pensò Sigyn irritata.
Il giardiniere era anziano ed andava trattato con cortesia, ma batteva un po’ troppo i piedi per i suoi gusti. Perché quelle erano le cose di Madame Marguerite e nessuno le avrebbe dovute toccare. Come se non vedesse da sé lo sfacelo. Ma che pazienza! 

Credo che scriverò a Madame de Girodelle per chiederle delle clematidi: riceve regolarmente dei semi dall’Inghilterra che vengono dalla Cina. Il giardiniere, per una volta, è stato d’accordo con me. 
Sigyn chiuse gli occhi: era un progetto anche quello, meglio di Virgilio, e lei aveva bisogno di concentrarsi su qualcosa. Le tazzine andavano benissimo, ma questo era anche meglio. E forse era il modo migliore per sistemare le cose con Cassandra, andarla a trovare e parlarle davanti a Madame de Girodelle, senza nascondere nulla, spiegandole perché non aveva ancora scritto. Forse Cassandra le avrebbe creduto che non aveva fatto niente di male e non l’avrebbe guardata come la guardava Joséphine. Come se, insomma, davvero avesse ucciso qualcuno e nascosto il cadavere in qualche anfratto.

Come puoi capire, qui le cose non vanno davvero male. Non vanno nemmeno proprio bene, se devo essere sincera, ma forse è giusto così. Io non credo che il tempo insieme sia stato tutta una bugia e se tu mi manchi sono certa di mancarti pure io almeno un pochino. 
Sigyn tirò su col naso irritata - era sicuramente l’inizio di un raffreddore! Nelle tazzine ci sarebbe stata benissimo anche una bella tisana calda.

Mi fido di te e se sono qui ci sarà di sicuro un buon motivo.  
Ci sperava, non ne era sicura, ma doveva essere così.
Certo che se solo le avessero detto cosa aveva fatto, se glielo avessero spiegato, allora lei avrebbe chiesto scusa con tutto il cuore, e avrebbe cercato di rimediare. Ma forse il Nonno si aspettava che lei ci arrivasse da sola.


Ti voglio bene e sono certa che anche tu me ne vuoi.
Con tanto affetto


Asciugò in fretta l’inchiostro, ripiegò il foglio con gesti precisi, lo sigillò con la ceralacca e mise via tutto con cura.

Poi tirò fuori da sotto il cuscino il libro di Donne e cominciò a leggere alcuni versi.
 

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Capitolo 10
*** Nemmeno la poesia aiuta ***


Nemmeno la poesia aiuta

Il risveglio stavolta la trovò tutta sola.

Aveva appena finito di sognare della tempesta vicino all’isola di Jersey, il giorno in cui se ne era uscita in barca da Saint Malo da sola, per osservare le foche baffute e cicciottelle.
Era stato un esercizio di stile, tra onde e rocce, aggirando i banchi di sabbia e i brividi del freddo che non se ne voleva andare - Alo e Xance avrebbero apprezzato.

Oscar no, perché non era tipo da acqua e sale - lei e André erano da bocage, tutti fango, cavalli e mele. E sterco di mucca pensò la ragazzina con un sorriso.

Quanto a Clément, l’unica risposta su cui avrebbe scommesso era "forse" - in famiglia una estate lo avevano spedito sui Banchi, dall’altra parte dell’Oceano, a Miquelon e a Saint Pierre, su una delle navi della flotta del Vecchio, il Girodelle Nero, che era rinnegato, che non poteva mettere piede sul suolo di Francia e che sembrava avere mille anni e non morire mai.

In Francia essere nobili e lavorare era proibito da almeno duecento anni. Esisteva addirittura un articolo nell’Ordinanza d’Orléans, che permetteva alla nobiltà lo sfruttamento della terra che possedeva ma le proibiva “il guadagno vile e sordido”, pena la perdita dei privilegi.
Aveva sentito tante volte le discussioni del Nonno e dei Sisteron sulle difficoltà di sopravvivenza della noblesse campagnarde - “sordido” a quanto pare dipendeva dalle dimensioni: vendere pesce al mercato non si poteva, per esempio.
Diventare una delle pescivendole che andavano a vedere i quadri di Boucher? Quelle che a quanto pare scandalizzavano tanto i Jarjayes?
Giammai!
Consorziarsi ed armare una flotta con centinaia di membri di equipaggio per pescare a Terranova e vendere quello stesso pesce a Saint Malo, La Rochelle, Marsiglia? E alle pescivendole di Parigi?
Quello si poteva.
Infatti esisteva La Société du Baron d’Huart, per esempio, che però era un nobile belga e contava fino ad un certo punto, e c’erano stati i famigerati Goossens a La Rochelle, che avevano legami con gli Ugonotti di Francia ed Inghilterra, e l’elenco poteva continuare. E poi esistevano pure i prestanome.
E questa era una delle cose che imparavi senza accorgertene, se tutte le sere leggevi ad alta voce per un Nonno che aveva tanti amici grafomani con tanto tempo libero e che si impicciavano di un sacco di cose.

Quello che era interessante era che i Girodelle adoravano la disciplina, anche più dei Jarjayes, ma invece di limitarsi ad inculcarla a suon di bacchettate di sambuco, sceglievano modi più… peculiari. E così avevano mandato Clément a Terranova, per fare il garçon de grave.

Sarebbe a dire che lo avevano messo a terra sull'isola, a sventrare merluzzi e a metterli sotto sale - niente male per un Visconte. Il trucco era che non lo pagavano: niente “guadagno vile e sordido”, ma parecchio lavoro abbastanza disgustoso si.

Era la pesca sedentaria - di acqua Clément ne aveva vista poca, e di sale fin troppo, in compenso aveva fatto a pugni coi ragazzi francesi perché sua madre era inglese e con quelli inglesi perché suo padre era francese - ma questo lo avevano saputo da Xance, perché Clément delle sue cose private non parlava mica tanto.
Lui era sbarcato a La Rochelle, tutto intero, allegrissimo, con  il suo album pieno di disegni, i suoi racconti pieni di storie sugli Indiani, la pelle abbronzata, le giarrettiere di cuoio e perline colorate, i capelli lunghi fino alle spalle e con un paio di treccine con certe perle di vetro, come un pirata - Madame de Girodelle era quasi svenuta.

Per cui forse Clément non sarebbe stato particolarmente impressionato dall’eleganza con cui lei era uscita dal porto di Saint Malo evitando i banchi di sabbia, su un aggeggio piccoletto.
 

Quel giorno era scivolata insieme alle imbarcazioni dei pescatori, serpeggiando sulle onde gonfie, alla ricerca di un riparo dal vento - non le aveva fatto paura allora e non le aveva fatto paura nel sogno.
Un cambio di tempo che non si poteva prevedere, non c’erano colpe e nemmeno tutta la tiritera dei se avessi: potevi guardare le nuvole, conoscere gli orari delle maree, studiare una mappa, osservare il soffiare del vento, ma poi non c'era nient'altro che si potesse fare. Dover cercare riparo in fretta ricadeva tra le cose che potevano capitare e che a volte capitavano - certo, se non capitavano era meglio, grazie tante - e comunque capitavano anche a piedi, o in carrozza dalla Normandia a Palazzo Jarjayes, per altro, e lei ne sapeva qualcosa.

Aveva fatto ciò che doveva, come le avevano insegnato, prendendola con filosofia - aveva ottimi stivali, un buon maglione, una buona cerata e ottimi guanti, non avrebbe avuto freddo e nemmeno vesciche. Aveva acqua e biscotti salati  e aveva anche il suo nastro verde e dorato nei capelli e le calze di lana ricamate con delle roselline deliziose. Alla fine la barca era tornata a Saint Malo senza danni e lei non si era fatta nulla perché aveva fatto le cose giuste e perché era stata aiutata e aveva aiutato.

Strinse gli occhi - Oscar era sulla porta che la fissava irritata “E’ tardi,” la sentì borbottare, “abbiamo già acceso il fuoco senza di te!”; poi le voltò le spalle e sparì.

Sigyn non disse niente, i sogni a volte erano la versione spietata della realtà, spietata e pure infedele, ma anche nel suo di sogno, in mezzo al mare, nessuno era dovuto venire a trascinarla per i capelli per costringerla a fare le cose giuste.
Qui a terra si era persa, rifletté, come un bambino di una favola, che non aveva pensato a spargere briciole per il sentiero.

Della tazzine leziose per la cioccolata, color rosa Pompadour, potevano andar bene come sassolini?  

Certo che si, decise.
 



“… Donne ha fatto delle cose ardite per amore...” disse Sigyn mordicchiando una ciliegia, mentre sfogliava il suo libro con le sopracciglia aggrottate. Aveva trovato finalmente una poesia che davvero le piaceva, che parlava di un amore costante, e della vita eterna - gliela avrebbe letta! Ci teneva a condividere con sua sorella e poi c'erano tanti tipi di amore...

“Per esempio?” chiese André interessato

Oscar li guardò tutti e due malissimo e poi borbottò “Gettarsi da qualche torre, immagino, o inginocchiarsi nel fango per allacciarle le scarpette.”

“Rapì la sua sposa.” rispose Sigyn succhiandosi il pollice con gusto per non macchiare il libro - ah se eran buone quelle ciliegie! “Ma la poesia non parla di questo…”

Oscar sbatté il bicchiere sul tavolo “Ma è vergognoso! Spero per te che Joséphine non ti senta!”

“Lei era molto giovane, dicono…” Sigyn si fece pensosa, l’amore doveva essere così, eterno, altrimenti non serviva proprio a niente.”Aspetta che ora te la leggo…”

“Hai detto che c’è la sua statua in una chiesa?“ si intromise André dubbioso. ”Di John Donne?”

“Una chiesa protestante, immagino.” Oscar strinse le labbra in una linea sottile. “Gente poco seria.”

Sigyn alzò gli occhi al cielo, poi chiese timidamente “Ma hai qualcosa contro gli Ugonotti, per caso?”

“Perché?” Oscar la guardò sospettosa e Sigyn scosse la testa con aria indifferente, “Niente, niente, era tanto per sapere…”

“Come la conobbe?” insistette André.

“Beh, da quel che avevo letto, lui prestava servizio presso la famiglia di lei, ed un giorno la vide e se ne innamorò. Si chiamava Anne.” Sigyn sorrise. Oscar scosse la testa irritata. Sigyn proseguì “Il titiolo è L’Anniversario…” ma venne subito interrotta da André.

“E’ difficile che una cosa del genere capiti,” osservò giudiziosamente il ragazzino dai capelli neri, “una forte amicizia forse sì, ma se l’ha conosciuta molto giovane io non credo che… ma quanto giovane poi?”

“Ma che ti importa di quanto giovane?” Oscar trasecolò indignata, “Ma ti senti quando parli? Qui si tratta addirittura di un rapimento! E voi due parlate dei dettagli come se foste in un salotto… E comunque l’amicizia va benissimo! Avrebbero potuto restare amici e nessuno avrebbe detto niente. L’importante era che lui non si distraesse dai suoi compiti per fare il cretino in giro!”

“Oh sta serena, John Donne non faceva il cretino, lavorava sodo ed era quasi un amico per Sir Egerton!” a Sigyn stava scappando da ridere, ma Oscar la fulminò con lo sguardo “Sir hai detto? Sir?”

“Era nobile?” chiese André stupito.

“John Donne no. Egerton si e no, diciamo che ad un certo punto diventa Visconte. O forse Conte. O prima Visconte o dopo Conte. O solo Visconte.” Sigyn chiuse gli occhi cercando di ricordare i dettagli, poi alzò le spalle, in fondo non era rilevante, la poesia non era sulla carriera del Visconte di Brackley e poi a quei due, ma cosa gli importava?  “Quello che so di certo è che ad un certo punto era il Guardasigilli della Regina. La Regina Elisabetta I. D’Inghilterra, avete presente, no?” E poi l'ignorante era lei...

“Quindi Anne era nobile?” chiese André, interessato

“Certo, per quello che la sposa in segreto!” tagliò corto la ragazzina, “Ma adesso, per piacere, lasciate che ve la legga, perché è davvero…”  

“Ma che storia immorale!” la interruppe Oscar. “Prima il rapimento, poi un matrimonio segreto! Dovevano prenderli a frustate, ma prima di combinare il guaio! Molto prima! Quando lui la invitava a ballare, per esempio!”

“A ballare?” Sigyn guardò sua sorella perplessa, “Non ho idea se ci sia stato un ballo… può essere, però io credo che semplicemente l’avesse vista lì in casa…” la ragazzina alzò le spalle. “lei abitava lì. O era spesso in visita. Probabilmente si vedevano tutti i giorni...” poi sorrise, “Comunque la poesia prende spunto dal primo anniversario...”

“Peggio! “ esplose Oscar, “Io non ho parole, lui inqualificabile e lei una civetta! Tutta inchini e mossettine! Scommetto che le piaceva ballare! Mentre lui aveva sicuramente tante altre cose da fare! Impegni! E quei due perdevano tempo insieme di nascosto! Due incoscienti! Bisognerebbe parlarne seriamente con Joséphine delle tue cretinate!”

“Io non capisco che te ne importi di che tipo era la moglie di Donne, ma saran ben stati fatti loro!” Sigyn guardò sua sorella con gli occhi spalancati, confusa “E poi tu proprio non capisci Oscar, lui l’amava moltissimo e la poesia parla di questo amore, e non si tratta di semplice attrazione…” ma l’altra sbuffò rumorosamente.

“Ma la famiglia di lei…” André le interruppe, perplesso, “anche se stimavano Donne… e anche se lui l’amava moltissimo… come la presero?”

“Piuttosto male” mormorò Sigyn rattristata, “Li cacciò di casa, tutti e due, e si tennero pure la dote di Anne. Fu uno scandalo.”

“E così l’ha trascinata nella povertà.” Oscar sbatté il bicchiere di stagno sul tavolo. “Bravi davvero tutti e due! Due imbecilli, se me lo chiedi… se una si deve proprio sposare, se proprio non può farne a meno, e io francamente proprio non capisco perché qualcuno sano di mente possa desiderare una cosa del genere… che almeno si ricordasse che i mariti vanno scelti dai genitori, cosa che sanno proprio tutti!”

Sigyn spalancò gli occhi a disagio, “Io volevo solo leggervi una bella poesia…” bisbigliò stizzita “E comunque,“ aggiunse con voce sostenuta, “in Inghilterra non è così, me lo ha detto Cassandra!”

“In Inghilterra sono quattro gatti, sono protestanti, non osservano i giorni di precetto, mangiano solo carne e bevono in continuazione.” Oscar piantò le mani sul tavolo e si alzò in piedi fissando Sigyn ed André, sfidandoli a contraddirla.

Sigyn arrossì a disagio e poi disse "Non mi piacciono questi discorsi. Gli Inglesi non osservano giorni di precetto proprio perché sono protestanti. E siccome non li osservano mangiano meno pesce rispetto ai Francesi. Per il resto sono quattro gatti, hai ragione, e c'è una lunga storia di inimicizia politica, però questo non c'entra con il discorso che stavamo facendo e un giorno ti rimangerai tutto, secondo me."

André le sorrise con indulgenza, poi disse in tono conciliante “Non possiamo fargliene una colpa per la storia del pesce, su questo Sigyn hai ragione, ma per il resto ha ragione Oscar. Sono dei selvaggi. E ai tempi degli antichi Romani, si dipingevano di blu…”

“Giusto! I Pitti! E hanno un Re che non è un Re.” concluse Oscar.

Sigyn spostò lo sguardo da uno all’altra, senza parole, pensando che a furia di stare isolati a Palazzo erano finalmente impazziti tutti e due contemporaneamente. Qualcuno avrebbe dovuto avvisare subito Mère: il marcio non era solo in Danimarca e nemmeno solo in alcuni vasi della serra!

“Scusate, ma io volevo solo leggervi una bella poesia.” disse con una vocetta sostenuta, “E pensavo che lo avreste apprezzato.”

“Invece di perder tempo con le poesie dovresti stare più attenta con le tue traduzioni, io non te le correggo più, sappilo! Perché non è corretto e perché poi ti ritrovi con troppo tempo libero a disposizione.”

Sigyn boccheggiò non trovando le parole. “Non te l’ho mai chiesto” sibilò alla fine, “ e comunque anche le traduzioni di Virgilio sono traduzioni di poesie.”

“Non lo hai chiesto ma ti faceva comodo e non hai mai protestato! E le poesie di Virgilio vanno bene perché sono su gente che non è mai esistita o che è morta e sepolta da tanto tempo!” la rimbeccò Oscar scuotendo i riccioli biondi.”E sono solo amori decenti: Enea ha le sue cose da fare e non perde tempo appresso a Didone! Ha le sue profezie, i suoi amici, i suoi uomini e non se ne dimentica!”

“Sigyn forse è meglio se quella poesia ce la leggi un’altra volta.” sentenziò André conciliante, mentre accarezzava distrattamente il braccio di Oscar in modo rassicurante.

La ragazzina chiuse il libro mentre le guance le diventavano scarlatte, e Oscar annuì  “Mi pare un’ottima idea, e ora vai a spremere le tue ortiche e a dare la caccia ai bruchi! Non cincischiare!”

“Spero che vi faccia piacere sapere che Anne è morta lasciando John Donne vedovo e affranto.“ disse Sigyn sarcastica sbattendo a sua volta il libro sul tavolo ed alzandosi in piedi. Erano matti, quei due erano matti.

André che si stava alzando anche lui per seguire Oscar si fermò di colpo “E come è successo?”

“Di parto.”

“Oh poveretta! Ma che cosa terribile!”

Oscar chiuse gli occhi e poi disse furibonda “Adesso voi due la piantate! Questo Donne a voler essere gentili è un eccentrico libertino, e questa è una faccenda disgustosa, e nostro padre ne verrà subito informato!”

“Beh credo che della morte di Donne abbia avuto notizia già da qualche tempo!”  Sigyn piantò le mani sui fianchi, battagliera, poi di colpo si bloccò e abbassò lo sguardo.
Cercando di addolcire la voce, mentre si tormentava le mani, mormorò “Comunque io volevo solo sapere se sabato avevate voglia di andare a Versailles, così, per fare un giro, e vedere delle tazzine…”

Le guance erano rosso fuoco, bruciavano e lei si sentiva terribilmente umiliata. Quei due erano due selvaggi, altro che Virgilio! Virgilio una cippa! Avrebbero dovuto farsi le treccine con le perline, come Clément, e mangiare con le mani, grufolando. E lei era lì, costretta ad implorarli, perché non ce la faceva proprio più.

Oscar la guardò interdetta, poi  disse acida “No, Sigyn, non ti porteremo a Versailles, non dopo quello che hai combinato in Normandia.” e se ne andò via a passo di carica.

André la seguì, poi, sulla porta si voltò ed allargò le braccia con un gesto sconsolato, chiedendole silenziosamente scusa.

Sigyn chiuse gli occhi - l’umiliazione a quanto pare, in questa vita, era inevitabile. Sentì che le lacrime le colavano lungo le guance, afferrò il libro e lo sbatté in terra, ma il tonfo ovattato non le diede nessuna soddisfazione.

 
 

All’ultimo decise di non voler andare nella serra a “spremere ortiche”, ma scivolò nella camera di Mère e aprì il cassetto del suo tavolino senza fare rumore. Poi si raggomitolò sul letto con la boccetta a forma di mazzolino di rose stretta nel pugno e se ne stette lì a fissare le rose della stoffa del baldacchino, un disastro di lacrime, moccio e commiserazione di se stessa.

Respira, pensò. Respira e conta.

Lei ci aveva provato, aveva seguito le lezioni, fatto i compiti meglio che poteva, non era colpa sua se c'erano tanti buchi... E quella poesia era davvero molto bella, ma quei due... ah quei due! Cosa erano!

Respira, pensò. Respira e conta.

Chiuse gli occhi e tornò coi ricordi alla tempesta fuori dall’isola da Jersey. Le barche sono più resistenti dei marinai, il Nonno glielo ripeteva sempre, la prima cosa che aveva fatto era stata assicurarsi alla sua imbarcazione con una cima. E poi aveva cercato una strategia attiva, la più semplice: scivolare dentro il porto, evitando secche e scogli, prima che le onde rendessero tutto un incubo. Ma se non ci fosse stato un porto raggiungibile e sufficientemente vicino, sarebbe rimasta in mare aperto. E si sarebbe allontanata dalle rocce.

Respira, pensò. Respira e conta.

Clément, elegante come un pavone, era stato mandato a pulire merluzzi come tanti suoi coetanei di Jersey, Saint-Malo, Cancale, Honfleur, Fécamp, e di altri paesini della costa sparsi tra la Bretagna e la Normandia - i Girodelle erano fatti così, andavano matti per la disciplina, ma non chiedevano l’impossibile.

Respira, pensò. Respira e conta.

Alo l’aveva ingozzata di biscotti e glielo aveva detto che non era impossibile. Le aveva detto che non sarebbe stato facile, forse, ma che non era impossibile.

Respira, pensò. Respira e conta. Uno, due, tre, quattro, cinque...

 

Poi pensò anche merde. Forte e chiaro. E si alzò.

 
 

Nella sua stanza intinse il pennino nel calamaio

 

Caro Clément,

giuro che domani ti scrivo sul serio.

Mi manchi.
Se vuoi possiamo parlare del pentametro giambico tutto il pomeriggio, non è un argomento per cui vado pazza, ma sono sicura che sarà molto più divertente che andare ad un ballo nel Salone degli Specchi di Versailles, o guardare i gabbiani ed i cormorani dalla falesia, o mangiare ciliegie con mia sorella ed il suo cane fedele nella cucina grande di un Palazzo piccolo.

Però prima devo sapere a che velocità va il vento e in che direzione: vado a prendere una lettera che è mia di diritto.

 

Ripose tutto con cura nello scrittoio ed uscì dalla stanza.




Note: Fécamp viene da L'Intruso, la cui falesia ha scatenato tante fantasie romantiche ed anche un tantinello peccaminose.

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Capitolo 11
*** Non tutto può essere infinito ***


Non tutto può essere infinito

André era fermo, con le ginocchia leggermente piegate ed il fioretto puntato proprio davanti a lui, parallelo al terreno così come il maestro d’armi gli ripeteva sempre. Con aria rilassata studiò le mosse di Oscar, che, in silenzio, si stava scaldando senza degnarlo di uno sguardo.

Swish!

Il sibilo del fioretto di Oscar, nel silenzio del mattino sembrò quello di una frustata.
André rabbrividì. 
Poi frugò nel taschino del giustacuore e ne estrasse due salvapunta, uno lo gettò ai piedi del suo avversario, con un gesto noncurante e l'altro lo assicurò sul fioretto senza alzare lo sguardo.

Oscar sollevò le sopracciglia ad arco, con una certa dose di sarcasmo inespresso. Sfiorò l'oggetto con lo stivale con circospezione, poi, con un sospiro plateale, lo sollevò dal terreno con la punta del fioretto, lanciandolo in aria per poi afferrarlo al volo.
Giocherellò con il bottoncino per qualche secondo - in realtà era grosso, molto più del normale, abbastanza largo da impedire che si ferissero ad un occhio accidentalmente - poi con cura si sfilò i guanti e lo applicò sulla punta della sua arma con uno zelo esagerato.

André fece finta di nulla - con il fioretto il volto non era un bersaglio valido e quella peste era molto corretta, di solito, lui lo sapeva bene - ma correttezza e controllo non erano la stessa cosa. Sapeva bene anche questo. Lei invece non lo ammetteva, aveva una grammatica tutta sua, dove il verbo sbagliare non aveva mai la prima persona singolare - al massimo un noi, ingoiato a fatica.

E comunque il bersaglio era il torso non per fare meno male ma per abituarli a farne tanto ed in modo definitivo.

"Sei stata severa con tua sorella." non poté trattenersi dal farglielo notare, ora che erano solo loro due.

Oscar non rispose né lo guardò, si limitò a stringere le labbra, osservandolo come se lui fosse una preda e lei un predatore.

I due si misero in posizione, gli occhi dentro gli occhi.
Il polso di André tremò leggermente, ma non abbassò lo sguardo.

"Sai davvero cosa è successo in Normandia?"

Oscar non rispose, si limitò ad inclinare leggermente il fioretto, sfiorando la lama di quello di André per poi ritrarsi, saggiando la velocità della sua risposta.

Fu lei ad attaccare, due balzi leggeri che sembravano una danza - non sollevò nemmeno la ghiaia dal terreno - due colpi inferti dall'alto che costrinsero André ad arretrare in difesa. Poi uno laterale che il ragazzino fu rapido a parare.

"Se preferivi allenarti con la spada potevi dirlo..." disse lui con tono leggero, ma il suo sguardo era inquieto e dardeggiava dagli occhi alle gambe da merlo di lei, cercando di capire in che direzione si sarebbe mossa.
La vide scattare e decise di correrle incontro, usando la forza per deviarle il colpo. Dopo il cozzo, balzò subito indietro, per non darle modo di riprovarci. Se avesse cercato di disarmarla forse ci sarebbe riuscito - aveva i polsi sottili il folletto - ma in caso contrario si sarebbero fatti molto male.

"Sai? Io non credo affatto che tu abbia aperto quella lettera." disse in tono deciso, mentre riprendeva fiato "Lo sai benissimo che non è corretto."

Oscar attaccò di nuovo, e André si spostò lateralmente, cercando di offrirle come bersaglio la minor superficie possibile del suo corpo. "Ma non è corretto nemmeno tormentarla con una storia di cui non sappiamo nulla."

Si chinò di colpo per evitare un suo affondo. "Anzi," soggiunse, cercando di mantenere un tono noncurante "direi che è stato piuttosto meschino."

L’attacco di Oscar fu rapido e André fu costretto ad arretrare sotto l'incalzare della sua furia. Quando si decise ad avanzare verso di lei per metterla in difficoltà, usando tutta la sua massa e la sua velocità per farla arretrare, stavolta lei era pronta e lo colpì al volto con l'impugnatura del fioretto.
André arretrò scompostamente, barcollando -  lo zigomo bruciava come l’inferno - e cercò di portarsi a distanza di sicurezza senza cadere a terra

Lei rimase ferma al suo posto mentre frustava l'aria con la lama. “Colpo fuori bersaglio.” disse con voce neutra.

André annuì. L'aveva intuito - trattenne un sogghigno.

"La severità è per proteggerla dalle cretinate che legge,“ soggiunse Oscar con voce gelida, ravviandosi i riccioli biondi, “è una femmina e non è in grado di distinguere la realtà dalle  disgustose fantasie scritte in qualche libro.“ diede le spalle ad André, mentre agitava il fioretto da allenamento come per saggiarne la flessibilità “Matrimoni segreti, l’esilio dalla famiglia, morire di parto... non è questo che voglio per lei.” socchiuse gli occhi irritata,”Quanto alla meschinità, tu mi batti perché la incoraggi. E quando succederà un guaio tu cosa farai? Le scriverai una poesia? Non sei nemmeno capace.” Oscar scosse le spalle.”Quanto al tormentarla ti ricordo che è lei che si comporta come se non avesse vinto un premio e che non fa proprio nulla per nasconderlo. Ma questa non è la Bastiglia. E Joséphine non è un orco. E, soprattutto,” Oscar si voltò e fissò i suoi occhi azzurri in quelli verdi di André “lei non è la Principessa sul Pisello."

Si rimise in posizione, con il braccio sinistro sollevato in una posa elegante "Il colpo al volto non vale, mi spiace.” disse arrossendo, “Ma tu ti faresti meno male," aggiunse in tono scontroso, "se non ti distraessi chiacchierando di cose che non ti riguardano affatto!"

André ritenne più saggio non stare a rispondere - per qualche motivo Oscar era arrabbiata con tutti e due e pensava pure di aver ragione - ma era inutile cercare di parlarle ora. Forse dopo cena.
 

Forse un po' di ragione ce l'aveva, rifletté, Sigyn aveva preso molto male il suo soggiorno a Palazzo, troppo. Qualcosa doveva sicuramente aver combinato.
Cioè non poteva non sapere, accidenti! Non era mica completamente svanita!
E quel tizio, Donne sarà anche stato un bravo poeta, ma questa faccenda di matrimoni segreti, non era proprio una cosa come si deve, lo capiva da sé, c’era qualcosa di disonesto dietro, un uomo deve essere un uomo - e di certo il Generale avrebbe fatto fuoco e fiamme.
Sapendo poi come la pensava suo padre sulle ragazzine che leggono senza controllo, forse Sigyn avrebbe fatto meglio a starsene molto tranquilla e ad interessarsi ad un buon libro di cucina invece che a questo tizio inglese - inglese! - di un paio di secoli prima..

E forse no, Oscar non aveva ragione. Cioè ce l’aveva, ma non completamente.
Le stavano insegnando a colpire il bersaglio dove faceva più male e a lei veniva proprio bene, tanto quanto suonare il violino - la peste aveva talento. Ed era una perfezionista.
Ma alla sua peste mancava una cosa: il dono, dopo aver sferrato il colpo, di non sentire minimamente il contraccolpo del rimorso. Lei lo sentiva eccome, ma ci arrivava dopo, parecchio dopo.

Così poi glielo avrebbe spiegato, che aveva ragione, aveva assolutamente ragione, però loro due quando giocavano ai pirati, non stavano mica progettando sul serio di imbarcarsi - Nonnina gli avrebbe levato la pelle a mestolate!
Davvero Sigyn era così diversa? Era una che non distingueva la realtà dai sogni? 
André strinse le labbra - Sigyn non era Oscar e non lo sarebbe mai stata, ma perfino il Generale aveva dovuto rinunciare a farle chiamare Oscar “Monsieur”, bollandola come stupida. La realtà Sigyn la vedeva, magari non sempre, magari su certe cose mai, ma sulle cose grosse si.

Ma questo ad Oscar non lo poteva dire e non l’avrebbe detto.

E poi Sigyn, con i compiti, il suo dovere lo faceva, più o meno, proprio come lo faceva Oscar e come lo faceva lui, anche con i suoi nastrini colorati e le sue scarpine ricamate. Per cui forse il Generale aveva torto sulle femmine o forse aveva proprio ragione, ma i suoi discorsi non si applicavano a tutte le femmine, o forse erano sbagliati solo con le Jarjayes. Specialmente con quelle piccole. Come è che si diceva? L’eccezione conferma la regola.

Quanto alla scontentezza da Principessa sul Pisello - André scosse la testa tra sé e sé - non piace a nessuno essere spediti qua e là come un pacchetto. Joséphine non sarà stata un orco, per carità, ma aveva accolto Sigyn con un’aria talmente tetra da far passare la gioia di vivere ad una maschera di Carnevale.

E poi non è che bisognava aver per forza combinato qualcosa, lui per esempio era arrivato lì per tutta una serie di ragioni, una più brutta dell’altra.

Ripensò a sua madre, con il suo sorriso gentile, che gli offriva una fetta di mela essiccata tuffata nel miele per asciugargli le lacrime - ci sarebbe voluto un pochino di tempo per passare oltre, Oscar questo proprio non lo capiva, non poteva: la peste era l’orgoglio del Generale. Lui le passava una mano tra i riccioli ogni volta che il folletto era proprio brava in qualcosa - meglio che niente, va bene, avrebbe meritato molto di più, ma accidenti!
Probabilmente Sygin non avrebbe mai dimenticato del tutto le sue fette di mela o qualunque altra cosa le mancasse e che sapeva che era persa per sempre.

E ci voleva tempo perché Oscar sbollisse qualunque cosa la stesse tormentando.

Si massaggiò lo zigomo che si stava gonfiando con un sospiro - quello di oggi sarebbe stato un allenamento molto lungo .



“Cosa fate qui?” brontolò Margot, aprendo la finestra dello Studio, per cambiare l’aria - le ragazze avevano appeno pulito il pavimento

Sigyn arrossì e poi mormorò che doveva rimettere un libro al suo posto.
Margot tese la mano, offrendosi di farlo al posto suo, ma la ragazzina scosse la testa - non si fidava, vedeva bene la scintilla di arroganza sul fondo di quegli occhi apparentemente placidi.
E poi si ricordava delle frustate - come dimenticarle? c’era stata dentro tutta la cattiveria di un cane che difende il terreno del proprio padrone. Da un estraneo, le era venuto da pensare - ad un certo punto, quindi, era stata declassata da Figlia Numero Cinque di Madame Marguerite a Dettaglio Irrilevante. Colpa di Joséphine.

Mère non lo avrebbe mai permesso e nemmeno l’Asciutta - gestire una casa non era una attività per gente da poco.

“E’ in una lingua che non conosci,” disse con una vocetta seria seria, riponendo senza fretta le poesie di Donne in una tasca  “non sapresti bene quale è il suo posto. Mio Padre non ne sarebbe contento.”

Poi guardò fisso in terra per non guardare negli occhi Margot - avrebbe capito che era tornata e che adesso voleva quello che le spettava - guardò il tappeto per evitare di guardare la scrivania, o di guardarsi semplicemente intorno - registrò solo il refolo d’aria della finestra, l’odore delle rose sotto la finestra che si mescolava con quello dei pavimenti appena lavati.
Sentì lo sguardo dell’altra su di sé, e pensò intensamente ai semi di clematide che le servivano. I pensieri erano come la marea, non li potevi imbrigliare - forse sarebbero andate bene anche delle talee - i pensieri ti travolgevano e ti tradivano - avrebbe chiesto a Madame Girodelle.
Doveva tenerli a bada - lei lo sapeva per ogni volta - rara - che aveva giocato a carte con Clément ed i suoi fratelli. Lei le contava e loro facevano lo stesso, ma poi loro ti osservavano, come dei lupi - un lavoro accurato - ti fiutavano, aspettavano con pazienza e poi ti mordevano.

Un morso che daresti ad un cucciolo per rimetterlo in riga, non per spezzare il collo a un coniglio, sia chiaro. Un morso per impartire una lezione.

Volevi questa carta per caso Sygin? Maxence era un abbraccio di quelli maldestri. Alo una secchiata di acqua gelida.

Mentre usciva dalla stanza capì di essere stata battuta - Margot probabilmente sapeva che carta voleva: l’aveva seguita fuori dallo Studio e aveva chiuso a chiave la porta, una cosa triste perché quelle chiavi una volta erano di Madame Marguerite e Mère non l’avrebbe mai chiusa fuori.
Avrebbero aperto quella lettera assieme perché a Mère non serviva quasi mai il permesso del Generale per fare la cosa giusta, avrebbe capito che era importante. L’avrebbero letta con calma perché la verità non è che è sempre questa gran cosa che tutti dicono, e le avrebbe spiegato cosa aveva urtato il Nonno, e perché lui non se l’era sentita di punirla da solo. Avrebbero trovato insieme le parole e un compromesso accettabile per risolvere la faccenda - non poteva credere che il Nonno le avesse affibbiato una punizione infinita, in quella lettera ci dovevano essere tutti i dettagli della punizione, con il suo inizio e la sua fine, Alo aveva ragione, non aveva ucciso nessuno, non poteva aver fatto qualcosa che non aveva rimedio!

Mère avrebbe capito che a lei bastava sapere per certo che l’affetto era sempre lì, scoppiettante come il fuoco di un caminetto - il resto beh, Palazzo Jarjayes non era certo un tugurio e le sue sorelle non erano poi così male.  

Lo accetto perché ti voglio bene

Mère sicuramente l’avrebbe abbracciata chiamandola Piccola e lei avrebbe sentito il suo profumo rassicurante che l’avvolgeva tutta.

 

La ragazzina chiuse gli occhi e sbuffò - Mère adesso non c’era, però, e non c’era nemmeno più tanto tempo. Con passo deciso si allontanò in fretta.

 

Era sulla mensola che correva intorno al Palazzo. Non aveva paura dell’altezza - il Nonno se la portava appresso e la faceva trottare come un marinaio, però in quei casi era vestita come Oscar. Più o meno. Vuoi mettere lo stile? Molto, ma molto più o meno.

Sospirò mentre cercava un appiglio sulla superficie del muro esterno - il petit panier non era stata esattamente una idea grandiosa per questo tipo di attività. Del resto Boucher le sue ninfe, quando facevano cose molto discutibili da ninfe, le vestiva in tutta un’altra maniera.

L’ingombro del vestito la costringeva a camminare fronte al muro, inclinata per non portare il peso pericolosamente fuori dal cornicione. Anche non essersi sfilata le calze era stata una pessima idea, decise spassionatamente. Del resto se Josephine l’avesse scoperta, il fatto di essere a piedi nudi come una selvaggia, o di non mostrare la pelle delle caviglie come una signora, non avrebbe fatto una sostanziale differenza.
 

Andò tutto bene fino a che non arrivò all’altezza dei colombi, i maledetti colombi: quelle bestiacce non accennavano minimamente a spostarsi e lei aveva fretta e non poteva far rumore. Cercò di guadagnare terreno pollice per pollice, senza degnarli di uno sguardo, mentre quelli tubavano indispettiti. Era un peccato aver lasciato i suoi gatti in Normandia - quei pennuti stavano diventando un po’ troppo grassi e sicuri di sé, era ora che qualcuno li rimettesse al loro posto! Ci voleva qualcuno che li facesse trottare. Qualcuno con la coda.
E André doveva darci un taglio con gli avanzi di pane.

La lotta per il territorio proseguì con una certa dose di tenacia da ambo le parti, poi i colombi si alzarono in volo e la investirono. Non ci era preparata. Il gesto fu istintivo e si sentì scivolare.

Le dita, disperate, cercarono un appiglio in un tempo che le parve dilatarsi orrendamente. Sentì lo sfregare dell’unghia contro la pietra e batté il ginocchio mentre il piedino ancora sulla mensola cominciò a farle male proprio all’altezza della caviglia.

Però la caduta si era fermata.

Senza fretta, cercò un appiglio per le mani e poi si cercò di sollevarsi. Il trucco era non sbilanciarsi all’indietro per non precipitare e non sbilanciarsi troppo in avanti per non scivolare. Ogni piccolo spostamente le fu penoso, la caviglia protestava ed i muscoli della gamba le dolevano. Su una barca era diverso, appigli, movimento, movimenti da seguire, qui, sul cornicione, invece, vinceva la capacità di restare immobili. Non ci era abituata.

Aveva scelta, pensò? Aveva uno straccio di scelta? Uno stramaledettissimo straccio di una stramaledettissima scelta? Poteva mollare?
 

Si come no? decise irritata. Quello era il momento di imbottirsi il cuore di orgoglio.

 

Quando riuscì a poggiare di nuovo anche l’altro piedino sulla mensola, le parve che la maggior parte dei suoi problemi si fossero risolti - si fermò per prendere fiato, con la guancia contro il muro. Avrebbe sbattuto in faccia a Joséphine la lettera del Nonno, avrebbe seguito le istruzioni, avrebbe fatto meglio di quanto le avrebbe chiesto, di più - la travolse una intera lista di buoni propositi. E avrebbe studiato comunque con Oscar, ma questo se lo sarebbe tenuto per sé.

 


 

Quando saltò sul pavimento sentì che la caviglia le faceva male, ma non vi diede peso. Ringraziò il suo angelo custode un po’ per tutto, compresa la finestra ancora aperta, e corse ad aprire il cassetto del Generale, quello in cui metteva le cose di cui non gli importava niente. Era Natale, l’Epifania e la festa di Santa Clotilde.

 

Poi sbatté gli occhi.

 

La lettera non c’era più.

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Capitolo 12
*** Si cambia aria ***


Si cambia aria

Sbatté gli occhi incredula, poi con le dita tremanti cominciò a tirare fuori dal cassetto tutto il suo contenuto. C’erano lettere mai aperte - una profumava di rose e Sigyn alzò gli occhi al cielo, suo padre non era un po’ troppo vecchio per conservare un bigliettino profumato? - un medaglione rotondo - molto carino - e delle miniature. Una, la riconobbe, era della Nonna, morta tanto tempo prima. Un tesoro dei pirati.
Sigyn scosse la testa e si fermò - poteva anche svuotare tutto il cassetto, ma era ora di affrontare la realtà: un altro pirata era già passato prima di lei e si era preso quello che lei stava cercando.

Stava rimettendo tutto al suo posto, quando sentì le voci di due persone che si stavano  avvicinando alla porta ed una delle due le parve Joséphine. D’istinto sbatté tutto dentro alla rinfusa e volò di nuovo sulle mensole del balcone. Si allontanò un paio di pollici alla volta, la guancia contro la superficie scabra del muro esterno ed il cuore in tumulto, guardando disperata la finestra. Era convinta che ad un certo punto qualcuno si sarebbe affacciato e l’avrebbe scovata lì come una sirena su uno scoglio, sorpresa dalla bassa marea.
Solo dopo aver girato l’angolo si fermò a prendere fiato.

Fu allora che si accorse che la caviglia non aveva smesso di darle fastidio.


 

Era fregata.
Era davvero fregata, pensò gettandosi sul letto di schiena - l’unica cosa bella sarebbe stata se fosse stato tutto un piano di Margot. Ci sperò con tutto il cuore - di tutti i guai quello sarebbe stato il minore: una specie di perfido scherzo nei suoi confronti.
Margot poteva aver chiuso a chiave lo Studio solo per costringerla a zompettare per quelle dannatissime mensole - ci si era quasi ammazzata, accidenti!
Per poi vederla restare lì a bocca asciutta. Proprio un bello scherzo. Sigyn sbuffò, mentre si massaggiava il piedino.

Ma Margot non era così sottile.

Il che voleva dire che la lettera, per quanto ne sapeva Joséphine, avrebbe dovuto essere ancora lì, e che, una volta scoperto quel dannatissimo cassetto aperto sarebbe scoppiato un putiferio. E allora avrebbero sospettato di lei, e Joséphine si sarebbe sentita in dovere di scrivere cose terribili al Generale - sua sorella era una maestra a ricoprire l’egoismo con le buone maniere per farlo sembrare sollecitudine - e questa seconda chance sarebbe stata rovinata per sempre.

Non che lei l’avesse presa molto sul serio, d’accordo - chiuse gli occhi sfinita - però era stata ai patti, si era impegnata nello studio e non aveva dato fastidio a nessuno, non si era mai allontanata da Palazzo.
Eppure una volta lo faceva. Una volta prendeva la Carriola ed andava in visita, giocava con Cassandra, prendeva il tè con Madame de Girodelle, leggevano insieme una rivista che veniva Londra e loro le correggevano l'accento... cucivano e ricamavano... e poi andava a trovare dei vecchi amici del Nonno... e poi c'era Clément ovviamente e lei non gli aveva nemmeno scritto per la vergogna. Insomma lei aveva fatto tutto quello che le avevano chiesto, pure di più, non era giusto!

Il Generale era un soldato leale che credeva nell’onore.

Era fregata.

Perché prendere una lettera e sbatterla sul muso di Joséphine era comprensibile - in fondo il Generale era stato generoso, a modo suo, aveva deciso di voltare pagina e lo aveva deciso per conto di tutti, anche per conto di Joséphine. E pure per Oscar. Se quelle due intendevano usare la Normandia per tapparle la bocca non stavano facendo un dispetto a lei, ma stavano disobbedendo agli ordini del Generale.

E reclamare il proprio diritto ad essere punita e chiedere di sapere il perché aveva anche una certa dignità, in fondo.

Ma rubare una lettera per farla sparire e negare anche quando tutte le prove… ah quello era tutto un altro paio di maniche. Il Generale non si sarebbe solo arrabbiato, l’avrebbe disprezzata e le avrebbe detto che le chance erano terminate.

Non aveva la minima idea di dove finissero le figlie senza più chance, ma sospettò che si trattasse di qualche convento pieno di sbarre, chiavistelli, donne tristi, umidità e cilici. Un posto dove al massimo si poteva respirare solitudine che sapeva di incenso e legno tarlato. Tanto valeva rinchiuderla già nella cripta, nel posto che le avevano riservato per tempo.

Si sedette sul letto e cercò di riflettere, cosa aveva detto il Generale? “Non dare fastidio ad Oscar perché sta costruendo il suo futuro…” quindi lei poteva... aveva avuto il permesso e nessuno, nemmeno il Precettore avrebbe avuto il diritto...

Ma non doveva restare con le mani in mano - su quello il Generale era stato adamantino.


Prese un foglio di carta dallo scrittoio portatile. Nel roseto c’era bisogno di clematidi.
Ci voleva una porzione della serra da dedicare, ma forse non sarebbe bastata, ci voleva una piccola parte dell’orangerie, forse un paio di bracieri in più. Ci volevano dei semi.
Si mise a scrivere in fretta.


Si avviò verso la serra zoppicando leggermente.
Non stava bene che lei se ne andasse in giro senza chaperon.
In realtà in Normandia era abituata ad essere molto indipendente nei suoi spostamenti e l’Asciutta la faceva accompagnare solo in occasioni formali.
Ma la Normandia era la Normandia, e la Saint Malo dei Sisteron era Saint Malo - noblesse campagnarde ed aristocrazia attiva, periferia dell'Impero, porti liberi delle Isole del Canale, pieni di tabacco e sale di contrabbando, posto di contrabbandieri che scambiavano lana con seta, alcuni per cui avresti guardato dall'altra parte, altri per cui non lo avresti fatto mai. C'era una gran differenza tra i pescatori che arrotondavano portando casse sulle spiagge quando non c'era la luna e gli wherries delle bande di contrabbandieri che non rispettavano né Dio né gli uomini - non ci avresti fatto nulla con uno chaperon, in quel caso, perché l'unica era non farsi vedere e se non ti riusciva, scappare.
Ma qui, dove non c'erano mareggiate che sbriciolavano i pontili, serviva qualcuno da portarsi appresso.

Teoricamente avrebbe dovuto chiedere in prestito Margot, che era la cameriera personale di Joséphine, ma Margot doveva stare appresso a sua sorella che aveva una intensa vita sociale del tipo andarsene a teatro con Alo - Sigyn fece una smorfia di disgusto.
Da brava sorella non si sarebbe mai permessa di rubare quel gioiello di gran compagnia che era Margot per portarsela dietro!

Peccato, pensò con un sogghigno, un vero peccato.

Serviva qualcuno di rispettato. E terribilmente anziano. Nonnina era esclusa.

Qualcuno con cui lei già passava da sola le prime ore della sua giornata e questo lo sapevano tutti.
Qualcuno che ad Oscar non serviva per costruirsi nessun futuro anche del tipo balengo che avevano in mente in famiglia.
Qualcuno che poteva recepire concetti come talea, seme, innesto.

Sigyn sospirò mentre scivolava dentro la serra.

Qualcuno che era testardo come un mulo.


 

L’ometto dai folti capelli bianchi la guardò spaventato. “Ma non posso andare fino a Versailles” gemette “Non ho più la forza di guidare un calesse...”

“Non vi preoccupate, prenderemo NasoCorto!” la ragazzina era decisa, “C’è lo spazio per dei vasi, per dei semi e del terriccio.”

“Del terriccio?” l’uomo si torse le mani, “Non possiamo prendere del terriccio da un posto qualunque! Ci possono essere larve! Uova di mosca!”

“Passeremo anche da Madame de Girodelle, dopo.” mormorò conciliante, ma il giardiniere non la stava ascoltando.

“Larve di maggiolino! Sono dannosissime per fusto e radici!” l’uomo si torse le mani, “Le larve sono animali infernali, scavano gallerie tortuose e maligne, cunicoli, sacche, vesciche su tutta la foglia! E insistono! Insistono! Insistono! Le loro gallerie sono sempre più grandi! E invadono tutta la foglia che si accartoccia su se stessa!”

Sigyn sobbalzò spaesata. Ma c’era rimasta una persona normale a Palazzo? Mère doveva assolutamente tornare! Da quando se ne era andata quella casa stava cadendo a pezzi. Pure le larve ora!
Sperò che nessuno facesse sapere al poveretto che c'era una talpa in giardino - avrebbe avuto gli incubi, come minimo.

“Non vi permetterò di introdurre nella mia serra terriccio venuto da non si sa dove!” concluse l’uomo con voce strangolata.

“Ed infatti suggerirei di allargarla un pochino per avere uno spazio isolato dove sperimentare con temperature diverse, non vi piacerebbe per esempio provare a far crescere un ananas?” la ragazzina si produsse in un enorme sorriso di incoraggiamento.

Gli occhi dell’omino anziano brillarono, ma subito gemette “Voi non avete il diritto di trascinare un povero vecchio a Versailles!  E poi il bilancio…”

“Il bilancio si può ridiscutere, serve una proposta fattibile ed una richiesta da sottoporre all’amministratore. Non possiamo permetterci una ananasiera da 800 piante come a Versailles ed io pensavo a delle clematidi, ma possiamo cominciare a predisporre uno spazio nuovo.” In Normandia era lei che teneva tutte le chiavi della casa del Nonno, accidenti! Lei e l'Asciutta, lei era la sua apprendista e l'Asciutta le spiegava come funzionava ogni cosa, la interrogava, le faceva fare ipotesi, pianificare, altro che il Precettore con i verbi latini ed il suo fero fers tuli latum ferre!
L'Asciutta era una donna terribile. E con il Nonno era lo stesso.

“Voi siete una diavola!” l’uomo si torse le mani.

“Andremo a Versailles, parleremo di clematidi ed infileremo anche il discorso ananas…”

“Avete parlato di prendere del terriccio! non terriccio di Versailles!” l’uomo agitò un dito ossuto verso la ragazzina “Quello mai! Nel 1752 hanno avuto una infestazione di larve di nottua!”

“Avranno risolto immagino, nel frattempo…” sospirò Sigyn, “Io non ero ancora nata…”

“Non si è mai troppo prudenti! Non vi permetterò di profanare la serra!”

Sigyn alzò gli occhi al cielo “Profanare il sacro suolo della serra con un paio di vasi pieni di terriccio del 1752? Giammai! Pessima annata.”

L’uomo si irrigidì “Voi non siete come quell'angelo di Vostra madre, la Contessa!” disse con voce severa. “Voi siete come Vostra Nonna!”

“Come era la Nonna?” la ragazzina lo guardò incuriosita e l’uomo si strinse nelle spalle, ma non le rispose.

“Mademoiselle Sigyn,“ sbottò. ”Io non accetto imposizioni da mio figlio, il Capo Giardiniere e non comincerò di certo con voi, che ancora trotterellate.”

“Io non trotterello affatto!” esclamò Sigyn indignata.

“Non dico che le clematidi non mi interessino, e so delle belle cose di quelle di Madame de Girodelle.” l’uomo era pensoso, “Vi aiuterò con questo progetto, ci vuole un po’ di aria nuova… però…” la guardò implorante, “Ma non potete andare da sola? Con la Carriola? Lo avete sempre fatto…”

“Lo farei molto volentieri, ma non posso senza chaperon. Non a Versailles.” Sigyn lo guardò negli occhi con aria seria.

“Non credo serva una accompagnatrice per una bambina,” l’uomo era perplesso, “non siamo in Spagna! E nemmeno in Inghilterra! Questa non è una terra di selvaggi e nessuno Vi farebbe nulla di male! E Voi avete usato la Carriola da quando sapevate a malapena scrivere il Vostro nome…”

“Lo scrivevo benissimo.”

“Se lo dite voi… ho ancora i cartigli delle vostre prime rose da qualche parte… Vostra madre conservava tutto!”

“Un nome con una y…” brontolò Sigyn arrossendo.

“Voi somigliate sul serio a vostra Nonna.” l’uomo brontolò, “Non avete preso proprio nulla di quella santa donna di Vostra madre… non come le Vostre sorelle...” si interruppe di colpo vedendo lo sguardo ferito della ragazzina e tutti e due rimasero in silenzio, imbarazzati, senza guardarsi

Fu Sigyn a sbriciolare il ghiaccio tra di loro “Come era la Nonna?” chiese timidamente.

L’uomo si strinse nelle spalle “C’è un suo ritratto in una Galleria del Palazzo.”

“Si, ma che tipo era?” insistette la ragazzina.

“Del tipo che evidentemente piaceva a vostro Nonno, oh povero me!” brontolò l’uomo, “che domande mi fate?”.

“Sentite,“ disse Sigyn con tono paziente, “Andremo a Versailles e parleremo con mia madre, la Contessa, questo non vi fa un pochino di piacere?”

L’uomo arrossì e poi gemette “Le mie povere ossa…”

“Potreste visitare l’ananasiera… lì dentro è molto caldo, come essere in Martinica, mi dicono, sono certa che le Vostre ossa ve ne saranno grate.” Sigyn sorrise incoraggiante.

L’uomo era incerto, poi soggiunse molto severo “Ma non prenderemo nessun terriccio!”

“Giammai! Per il terriccio passeremo da Madame de Girodelle… lo so che il suo terriccio vi piace…” Sigyn scherzò.” Siete un suo fervente ammiratore…”

L’uomo anziano arrossì imbarazzato, si vedeva che era tentato, poi scosse la testa “Sono vecchio, signorinella, e mi muovo poco, andate da sola,” poi aggiunse con aria complice, “non lo saprà nessuno…” e con aria bonaria le diede un colpetto sulla spalla "una bambina ha tutto il diritto, in fondo..."

Sigyn sorrise e poi disse con voce molto dolce “Avete ragione, chiederò all’aiutante di vostro figlio, so che è tanto che vorrebbe rimodernare la serra, ha molte idee e vorrebbe uno spazio tutto suo… sarà interessante ascoltarlo… io poi non ho poi molto da fare qui, lo sapete. Buttare giù qualche muro, chiudere i camini… gettare via tutte quelle zucche ornamentali! sarà tutto molto eccitante!” e si voltò dirigendosi con passo leggero verso l’uscita, mentre la caviglia le faceva proprio male.

“Madamigella!”

“Prego?” Sigyn si voltò appena di tre quarti lanciando all’uomo uno sguardo innocente.

“Voi non oserete...” balbettò stralunato. il giardiniere.

“Ma certo che si.” Sigyn sbatté gli occhioni con aria innocente "Oserò eccome!"

“E va bene…” brontolò l’uomo accigliato “verrò con Voi, ma solo per via di questo vile ricatto indegno di una figlia di Vostra Madre!”

“Oh ma io ho preso tutto dalla Nonna!” disse la ragazzina scoccandogli un sorriso incantevole. “Lo sanno tutti!”


 

Sigyn si mosse in fretta: prese alcuni vasi ed alcuni campioni di terriccio, giusto per venire incontro al giardiniere, li sistemò con cura sul davanti di NasoCorto, mentre l’omino la guardava offeso con i suoi occhi castani terribilmente offesi e la fronte ancora più offesa, se questo era umanamente possibile. Ma lei non si lasciò incantare: avrebbe visto Mère, le avrebbe raccontato tutto, di Joséphine che era impazzita e l’aveva fatta frustare, del Generale che non stava mai in casa, di Oscar, e soprattutto di quello che era successo! Mère avrebbe sicuramente risolto tutto, era brava a gestire la casa e gestire una casa non era roba per gente da poco.
E lei avrebbe avuto una buona scusa per andare da Madame de Girodelle, con Mère, e avrebbe parlato a Cassandra e subito dopo a Clément.

Prese anche Virgilio, lo detestava, ma non voleva raccontare più bugie di quelle necessarie: lo avrebbe portato con sé e avrebbe imparato tutti i paradigmi a memoria. Clément l'avrebbe sicuramente aiutata!
 

Versailles era enorme, pensò mentre infilava il libro in una tasca, ci sarà pur stato un angolino anche per lei, no? In fondo non occupava così tanto spazio


 

Il vecchietto si sistemò nella carrozza con l’aiuto paziente della ragazzina.

“Le molle sono comodissime, credetemi, è perfetta per portare oggetti delicati come dei vasi, con tutte le buche… vedrete che non sentirete nessun contraccolpo, solo un dondolio. E io guiderò molto piano, lo prometto.”

L’uomo chiuse gli occhi e non le rivolse la sguardo “Pregherò per la Vostra anima.” disse.

“Ma io so guidare Naso Corto!”

“Non ho detto che avrei pregato per la mia anima - il viaggio non mi preoccupa affatto.” ribatté l’uomo con aria sostenuta.

Sigyn si appollaiò davanti un po’ scomoda - NasoCorto non era fatta per essere guidata così, lei si sarebbe presa tutta la polvere della strada ma fa niente, si sarebbe adattata.

Si infilò una vecchia redingote sopra il vestito per non sciuparlo, raccolse i capelli sotto una cuffietta coi nastri verdi, e partì fiduciosa alla volta della Reggia

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Capitolo 13
*** Si va alla ricerca di una identità ***


Si va alla ricerca di una identità

Per quanto la ragazzina avesse cercato di trattenere l’impazienza a favore delle povere ossa del giardiniere, il viaggio non fu poi così lungo. La polvere, invece, davvero tanta.

Versailles non era stata sempre proprietà della famiglia reale, pensò Sigyn mentre sobbalzava appollaiata tra i vasi: un tempo, lontanissimo, di un’epoca ancora prima della giovinezza del Nonno e probabilmente pure quella del nonno del Nonno - quasi duecento anni prima, capirai! - il suo signore era stato Martial de Loménie.

Martial aveva fatto una brillante carriera alla Corte del Re di Navarra, e, soprattutto, era stato amico di Ronsard, “poeta dei principi e principe dei poeti”. Sigyn sospirò pensando a John Donne - aveva fatto bene a nascondere il libro, gli amici dei poeti non sempre avevano vite facili.
Poi un giorno arrivò l’uragano: imprigionarono Martial con l’accusa di essere protestante e, la notte di San Bartolomeo, lo sgozzarono nella sua cella.
Prima però, dopo atroci minacce, gli avevano fatto firmare un documento in cui vendeva le sue terre e il suo castello alla famiglia Retz per una cifra ridicola, lasciando i suoi figli e la sua vedova praticamente senza fondi (ma vivi) - segno che la preoccupazione per l’anima di Martial, in tutta questa storia, c’era entrata fino ad un certo punto.

A Sigyn l’idea faceva venire i brividi: onestamente non le sembrava credibile che i Retz, pari di Francia, avessero desiderato così tanto Versailles per come era all’epoca, un posto che non doveva essere tanto diverso dalle terre della casa in Normandia.
La Versailles di de Loménie se la immaginava come il classico borgo piccolo, con un castello piccino, dalle mura spesse, alto al massimo un piano, forse due, con  i polli che giravano per il cortile interno, i panni stesi sul prato nei giorni del bucato, la colombaia rotonda, il frutteto, il villaggio fuori le mura con le case in mattoni rossi e il rumore della bottega del maniscalco, poi la chiesa, e il mulino a vento ai margini, su una stradina polverosa. Un posto dove non c'era niente eppure c'era tutto.
Un pari di Francia non avrebbe mai desiderato una cosa così di poco conto al punto di sporcarsi le mani con una porcata.

Sospettava piuttosto un odio profondo verso il povero Martial, e la volontà di fargli il maggior male possibile. Forse per via dell’odio religioso, forse per via di un altro tipo di odio che aveva colto l’occasione per scatenarsi.

Quanto a Martial, forse era stato un ugonotto, forse no, forse era stato semplicemente fedele al suo giovane Re, sicuramente era stato il tipo che teneva il punto e che non piegava il ginocchio davanti al potente di turno, solo perché il vento soffiava in quella direzione. Tutte cose che capiva, cose alla Castello di Hara, cose da Reynier, anche se erano cose il cui prezzo era sempre salato.

Quelli erano stati anni terribili.

Poi i Retz, a loro volta, passati un bel po’ di anni, avevano venduto tutto a Luigi XIII, terre e castello in rovina - un castello così desiderato da non averlo mai usato pensò Sigyn rattristata - e nessuno ci aveva più pensato.

Quasi nessuno.

Sigyn arrossì in imbarazzo - c’erano cose di cui non si parlava, amici del suo cattolicissimo Nonno, che cattolicissimi non erano. Ferite che non si erano rimarginate, nonostante il tempo passato. E poi c’erano persone che non sarebbero mai nate se le cose fossero andate diversamente.

Sigyn scosse le spalle - inutile pensarci troppo - comunque sia per Luigi XIV, un secolo prima, quello era stato un castello costruito da suo padre, il Luigi numero tredici, sulle fondamenta di un altro, come del resto usava, con le mura in mattoni rossi ed il tetto blu per via dell’ardesia - un giocattolo. Con dentro un altro giocattolo.
Un bel posto non solo per cacciare.

Gli piaceva così tanto che aveva sgomberato il villaggio, un paesino di duecento abitanti, perché non gli rovinasse la vista.


 

Arrivata in vista del Palazzo, piegò verso le Grandi Scuderie - se non ricordava male era così che si faceva, ma non ne era certa: ogni volta che era venuta in visita con Mère o con lo zio Jean-Claude, qualcun altro aveva guidato per loro. Lei era stata fatta scendere nel punto più comodo e di che fine avesse fatto la carrozza non s’era mai curata veramente.

Sigyn balzò giù da Naso Corto e fece cenno ad un ragazzo, appoggiato indolente al muro, perché la portasse vicino alle stalle.

“E’ di Madame Marguerite, Contessa de Jarjayes” disse in tono imperioso. Il giovane si strinse nelle spalle, ma non obiettò.

“Deruberanno sicuramente la carrozza…” gemette il giardiniere mentre poggiava i piedi in terra, tremolante, aggrappato al braccio della ragazzina.

“Si prenderanno quei vecchi vasi, dite? A Versailles non ne hanno?”

“Quelli di Versailles sono del Re!”

“E i nostri di un ospite del Re e l’ospite è sacro.”

“Lo sarebbe se avesse dieci anni di più!”

“Un ospite è un ospite.”

“Un invitato è un ospite, un moccioso che scavalca il muro e gira nel frutteto no.” L’uomo agitò il dito nodoso verso la ragazzina.

“State sereno, non vedo alberi di ciliegio qui in giro.” rispose Sigyn con un sospiro mentre si slacciava la redingote impolverata.

La ripiegò con cura e la infilò all’interno di Naso Corto, poi, da qualche recesso della carrozza, estrasse un cappellino di paglia civettuolo che si annodò sotto il mento.
Rimpianse un pochino la mancanza di uno specchio, ma, pensò pragmatica, le fughe erano così: scomode ed ineleganti. Toccava farsene una ragione


 

Mentre si lasciava le Grandi Scuderie alle spalle, dando il braccio al giardiniere immusonito, assaporò la vista.
Nell'arco di due generazioni di Re, la chiesa parrocchiale di Saint Julien era stata demolita e sopra ci avevano costruito il Grand Commun. Le cucine, insomma.
Almeno cinquecento anni di storia spirituale, matrimoni e battesimi, promesse d’amore e ultimi addii, sostituiti da spiedi, leccarde e lardo sfrigolante.
Sul terreno della parrocchia prima avevano deciso di allevare fagiani di prima scelta e poi avevano costruito il quartiere del Parc-aux-Cerfs, dove avevano finito per allevare altri tipi di prede, sempre di prima scelta, sempre di proprietà del Re. Prede di cui lei teoricamente non avrebbe dovuto sapere nulla.
Insomma, come del resto spesso accade, gli appetiti dell’anima avevano dovuto cedere il passo a quelli del corpo.  

E insieme alla chiesa era sparito anche tutto il paesino di Trianon. E pure qualche collina.
Sygin su quello era combattuta: lei era nata molto dopo tutto questi avvenimenti, per lei la realtà era questa, non ne aveva mai vissuta un’altra, né probabilmente l’avrebbe mai vissuta, poteva solo immaginare, grazie a qualche libro del Nonno, grazie all'essere andata un pochino in giro, che c’erano stati e c'erano altri mondi.
Ammirava i giardini di Versailles e la determinazione dei giardinieri - anche loro testardi come muli, doveva essere qualcosa che sviluppavano con la professione - però la volontà di ferro e la pretesa di cambiare la natura stessa un po’ la spaventavano: era la stessa volontà inflessibile del Generale. 
Ma davvero un giardino diverso, meno ordinato, sarebbe stato meno bello? Davvero non c’era un modo perché più mondi possibili convivessero?

Distrattamente giocherellò con un ricciolo sfuggito dalla cuffietta. Modernità e bellezza davvero non potevano andare a spasso con familiarità e accoglienza? ordine con gioia di vivere? giustizia e pietà? Sigyn rise tra sé: le sembrava di essere lo zio Jean-Claude. Scosse la testa e poi decise che le sarebbe piaciuto chiederlo a Clément - a qualcosa quella maitrise doveva pur servire.
 

Finalmente era arrivata alla Reggia, pensò, superando il cancello, c'erano quasi.


I giri per Versailles furono qualcosa di devastante. O forse estenuante. Di certo orribilmente inconcludente.

Tutti potevano vedere il Re, in teoria, e a quanto pare tutti si stavano dando un gran da fare per riuscirci - Versailles brulicava di curiosi di ogni tipo.

Riuscire a vedere una Contessa al servizio della Regina, invece, sembrava tutto un altro paio di maniche.

Le Guardie del Re erano cortesi nel respingerla verso le sale per i questuanti o verso i saloni di rappresentanza, allontanandola fermamente dalla Versailles più nascosta, quella degli appartamenti privati delle sole persone che avevano una vita privata: le Dame della Regina. Ma le Guardie non la ascoltavano, se non distrattamente.

Sigyn fu amaramente conscia dei vestiti di seconda mano, da usare solo in casa, con Oscar, André ed il precettore.
Ma le fughe erano così, altrimenti si sarebbero chiamate visite di cortesia, pensò, cercando di farsi coraggio.

Forse era il caso di riprendere Naso Corto andare a casa di un amico di suo Nonno? Abitava nel quartiere di Notre Dame, aveva un paio di palazzotti vicino alla piazza del mercato, e magari le avrebbe fornito un valletto ed un bagno caldo. Magari non in quell'ordine.

Luigi XIV aveva raso al suolo un paio di villaggi per avere la reggia dei suoi sogni, ma alla fine aveva compreso di non volere solo un castello, ma una Corte ed un pubblico per le sue feste - era il Re Sole, no? - ma per una Corte servivano dei Cortigiani, e, dopo una festa, serviva un posto dove questo pubblico potesse dormire. Sigyn sogghignò, le feste di un secolo prima, a quel che si diceva, dovevano essere state scatenate, dubitava che il giorno dopo un Duca sarebbe stato in grado di tornarsene al proprio hotel particulier a Parigi.
Certo c’erano solo 12 miglia in linea d’aria - “as the crow fliescome vola il corvo avrebbe detto la madre di Cassandra (un commento secco per ogni piano balzano che non incontrava la sua approvazione).
Erano tutte da percorrere andando verso est fino alla porta daziaria, e la strada adesso era tra le più trafficate d’Europa. Ma adesso. E sulla strada nuova costruita dal Re, che passava per il ponte di Sèvres, per le tazzine di cioccolata, insomma.
Allora, con i postumi di una sbronza, su una carrozza senza le fantastiche molle inglesi dello zio Antoine-Benoit, l’ipotetico Duca danzerino avrebbe rimpianto ogni bicchiere di vino ed ogni porzione di cervo che s’era sbafato ad ogni sobbalzo della carrozza. Niente strada del Re, ma solo le stradine tortuose che usavano i contadini per portare le mucche ai mercati parigini.
Alla faccia delle dodici miglia in linea d’aria.

All’epoca erano circolati racconti dell’orrore di alcuni grandi, costretti, dopo un ricevimento sontuoso, a cercare un letto in qualche buco del paese, o, peggio, a dormirsene in carrozza.
Per cui il Re, aveva ricostruito il nuovo villaggio di Versailles, come un paese ideale, ed incoraggiato i nobili a comprare dei lotti di terreno dal lato verso Parigi. Per invogliarli aveva garantito che quanto lì costruito non sarebbe mai stato soggetto a confisca in caso di debiti - una assicurazione per la vita, insomma, da cui era facile farsi tentare. E gli antenati dell'amico del Nonno si erano fatti tentare. Proprio come i Girodelle.

Quanto ai Jarjayes... Palazzo Jarjayes - cattolicissimo - esisteva da prima: la famiglia lo usava solo per allontanarsi dal suo stupendo palazzo parigino, per la caccia al cervo. Non era esattamente nelle nuove vie di Versailles disegnate dagli architetti del Sovrano, e non era possibile sapere se prima o poi avrebbe offeso la vista del Re, ma il Conte del 1671 era un uomo lungimirante: acquistò del terreno nuovo per allargare il Parco e fece dei lavori seguendo le richieste del Sovrano - le nuove abitazioni non dovevano essere alte più di due piani, la facciata doveva essere color crema e le tegole del tetto blu per via dell’ardesia.
A sottolineare che i piani erano due e solo due aveva messo quel giro di mensole del cornicione, così grossier, pensò Sigyn con un sorriso, così fortunatamente grossier, da poter accomodare una ragazzina con il suo petit panier.
Poi con una gran faccia tosta si era presentato dal Sovrano - del terreno era stato acquistato, Palazzo Jarjayes era su quel terreno, i lavori racchiudevano il Palazzo del passato proprio come Luigi XIV stava facendo con il Castello ereditato da Suo padre…

Sigyn sorrise tra sé, incurante della polvere: il Generale era sempre imbarazzato da questa storia, eppure c’era una vena ribalda nei Jarjayes, pensò, e lo pensò con simpatia. Era inutile perdere tempo quando era così vicina: tra poco sarebbe scesa in campo Mère, con la sua dolcezza, ed insieme avrebbero risolto ogni problema.

Il Conte del 1671 avrebbe sicuramente approvato.


Dopo l'ennesimo tentativo andato male, Sigyn si chiese se non fosse arrivato il momento di arrendersi.
A quanto pare non sembrava affatto la figlia di sua madre. Si chiese con sarcasmo se per caso non fosse venuto il momento di accettare che in realtà lei era solo la nipote di sua Nonna.
Il giardiniere appoggiato al suo braccio che continuava a ricordarle come questa non fosse stata altro che una pessima idea, e che era l’ora di tornare alla serra non aiutava l’umore e nemmeno la sua caviglia che aveva ripreso a farle male.

Le gracchiò qualcosa anche la voce della coscienza, sgradevole più dei lamenti del vecchietto: chi le diceva che Mère sarebbe stata contenta di vederla? In fondo da quando era tornata non le aveva mai scritto. Joséphine di sicuro glielo aveva detto, che lei era tornata: il fallimento del Generale, del Nonno e degli Zii. Di colpo ebbe paura - dopo Versailles non c'era un altro posto dove andare.

“E così siete un membro della famiglia de Jarjayes.” disse una voce cortese proprio dietro di lei. La ragazzina si voltò e notò con stupore che il ragazzo a cui aveva affidato Naso Corto era lì, accanto a loro.

Sigyn abbassò gli occhi - inutile discutere - “Si, certo.” rispose con cortesia, accennando una reverenza che però le riuscì traballante. Doveva assolutamente sedersi, pensò, non ce la faceva più.

“E siete venuta in visita, immagino… da dove?” il ragazzo aveva lo sguardo divertito.

“Saint-Malo.” Sigyn arrossì. Parlare della Normandia le faceva male. Però l’ultimo posto da cui era passata era stato proprio Saint-Malo - non era forse proprio la risposta corretta alla domanda che intendeva farle quel ragazzo, ma era la risposta giusta a quella che le aveva fatto. Soprattutto non era una bugia. E poi se uno voleva delle risposte precise, doveva almeno sforzarsi di fare domande precise!

“Siete una Sisteron?” chiese il giovane osservando i riccioli rossi, sotto il cappellino di paglia. "Acqua e sale?"

“Mia nonna.” Sigyn sorrise, questo era assolutamente vero. Si sentìva in imbarazzo - se c’era una cosa che proprio non si poteva fare era parlare con qualcuno che non ti fosse stato presentato. Ma questo, decise, era qualcosa che sapeva molto bene la figlia elegante di sua madre, non la nipote paesanotta di sua Nonna.

“Non somigliate alle figlie della Contessa, le giovani Mademoiselles de Jarjayes sono tutte…”

Sigyn trattenne un commento sarcastico e sorrise con cortesia “... Bellissime?“ azzardò ingoiando le lacrime - forse un giorno avrebbe chiesto perché loro erano loro e lei era lei. Perché a lei toccava essere definita sempre con quello che non era.

“Perfette di oro e zaffiro, come le placide estati trascorse guardando il mare.”

Fatte con lo stampino pensò Sigyn irritata, ma si trattenne - e poi era vero e Horthense era bellissima, come Catherine, Marie Anne, e anche Joséphine e c'era stato un tempo in cui si erano volute tutte molto bene. Si limitò a mormorare “Non avrei saputo esprimere meglio il concetto. Siete indubbiamente un poeta.”

“In particolare trovo deliziosa Mademoiselle Joséphine, ho danzato con lei ad un matrimonio… e no, non sono un poeta, ma qualcuno più abile di un poeta anche se, purtroppo, molto meno geniale.”

Sigyn avrebbe avuto voglia di rispondergli che era una definizione perfetta di Cortigiano, ma si fermò e lo guardò con attenzione: aveva l’età di Clément, forse qualcosa di più, o forse no, era difficile dirlo, erano così diversi… il "poeta" aveva gli occhi scuri ed i capelli neri, ma del resto nessuno possedeva gli impressionanti occhi da spettro dei Girodelle.
Portava la livrea del Re, aveva ballato con sua sorella, o poteva permettersi di mentire nel dirlo, perché era sicuro di riuscire credibile. Solo che non frequentava Palazzo Jarjayes. Però le Scuderie si.

“Un giovane paggio, dunque.” disse con un sorriso gentile. “Un allievo della scuola dei paggi del Re?” chiese con cortesia.

“Uno dei ventiquattro. Per servirvi.”

Sigyn socchiuse gli occhi. Forse era vero. Forse era una bugia. Ma lei non aveva con sé niente che le potesse essere rubato, giunti a questo punto. A parte Naso Corto s’intende, ed i vasi che preoccupavano tanto il giardiniere, ma se il ragazzo li avesse voluti  se li sarebbe presi da tempo.
Decise di fidarsi “Monsieur siamo venuti per...”

“Siamo qui per parlare di clematidi e di ananas!” si intromise, il giardiniere in tono cupo “Ma ormai si è fatto tardi, e bisogna assolutamente tornare alla serra: abbiamo venti vasi colpiti dai funghi che attendono di essere salvati!”

Il ragazzo sorrise, “Siete stati inviati per conferire con Madame de Jarjayes su faccende che le stanno a cuore perché riguardano il buon andamento del Palazzo e su cui desidera sicuramente essere consultata.” Sigyn annuì mentre il vecchino sospirava rumorosamente pieno di disapprovazione.

Il ragazzo proseguì ”E la Contessina de Jarjayes è di una gentilezza squisita superata solo dalla sua incomparabile bellezza…”

“Un angelo...” sospirò Sigyn ripensando alle frustate di Margot-Pur-Beurre.

“Bellezza che può essere espressa solo pensando a delle rose su un letto di gigli.”

Biacca, pensò Sigyn, stizzita, mentre annuiva timidamente. Quella cosa dei gigli funzionava fin dai tempi di Ronsard.

“Mademoiselle de Jarjayes ha pensato di permettere ad un membro molto piccolo della sua famiglia di visitare Versailles, senza metterla in imbarazzo con l’impegno di una visita ufficiale con tutto il peso della spinosa etichetta della Corte dei Borboni, che una visita ufficiale comporta…”

Sigyn sentì tutto il peso della polvere sul viso, i capelli ed il vestito e le sembrò che le si fosse depositato sul cuore: e così le toccava il ruolo della sgraziata ignorante che si sarebbe messa in imbarazzo da sola davanti alle altre Dame di Compagnia come sua madre.
“Saint-Malo è una città di provincia e non contiene tanta bellezza.” mormorò - forse era vero. Forse era stata tutta una pessima idea.

“Di Versailles ce ne è una sola, Mademoiselle…”

“Reynier...” sospirò Sigyn. Forse se fosse tornata, magari Margot non si era accorta di nulla, o magari il Generale le avrebbe creduto, poteva scrivergli lei e giocare d’anticipo.

“Ma la bellissima Contessina de Jarjayes è una giovane creatura molto attenta e vi ha sicuramente dato un biglietto e delle istruzioni. Biglietto che voi avete smarrito perché siete ancora una bambina, e infatti, ora che mi sovvengo, siamo stati presentati ad un ballo per bambini…” il ragazzo le strizzò l’occhio e Sigyn trattenne il fiato. E così le stava dando una via di uscita: le Guardie del Re non avrebbero mai lasciato passare una ragazzina impolverata che si ostinava a presentarsi come la figlia di una Contessa, quando chiaramente non lo sembrava, ma avrebbero lasciato passare con occhio distratto la nipote di campagna venuta a curiosare per Versailles a bocca aperta per la meraviglia, al seguito di un anziano giardiniere. Una bambina che si voleva lasciar divertire un pochino, prima di insegnarle per benino le regole dell'etichetta. Si, quello era molto più credibile.

“Dobbiamo assolutamente andare a girare quei vasi, devono prendere aria! Tutta colpa dell’umidità...” si intromise il vecchietto con voce lamentosa. “Fa male ai gerani e fa male alle mie povere ossa… Manderemo un biglietto per Madame Marguerite… le clematidi possono aspettare...”

Il ragazzo fece finta di non aver sentito "La Corte è una istituzione particolare," disse con tono leggero, "non permette mai di separare, in modo netto, la dimensione privata da quella pubblica. Qui tutti devono condividere uno stesso luogo, con i propri servitori nei propri alloggi, con dei cortigiani la maggior parte degli spazi, con la famiglia reale alcuni momenti, diventa necessario doversi attenere in modo continuo a regole di comportamento molto precise, non solo per motivi di decoro, ma anche per tenere a distanza la maldicenza, capace di far cadere in disgrazia un individuo."

“E' lo stesso con le larve...” brontolò il giardiniere “Bisogna attenersi a regole molto precise, se si vuole uscirne!”

Sigyn arrossì, ma il ragazzo non ci fece caso "A volte bisogna dare alle persone esattamente ciò che si aspettano... senza pretendere che vedano o che capiscano ciò che è fuori dalla loro portata" mormorò "Alcuni non sono più in grado di distinguere giusto da ingiusto o vero da falso, ma solo appropriato da sconveniente." fece un sorriso affascinante, "E per questo motivo passeremo per il Grand Commun."

“Passeremo per le cucine perché è così che si fa con i nobili di campagna?” chiese maliziosa Sigyn. "Secondo l'etichetta di Corte intendo..."

"Vengo anche io dalla campagna." rispose il giovane con aria molto seria "Passeremo per le cucine, perché è tra il Gran Commun e la Cappella che c’è qualcosa di molto importante, anzi direi di essenziale per l'ottima riuscita della Vostra missione e della mia giornata.”.

“Cosa?”

“La Guardia del Re che è anche uno degli istruttori di equitazione della scuola dei paggi, che mi conosce e che adesso è di turno e che sarà più che lieto di scortare una mia piccolissima amica venuta da Saint-Malo e che si è persa per Versailles. E che si è ricordata di un vecchio amico...” Il ragazzo sorrise e poi con un inchino aggiunse, “A proposito io sono de La Roche Guilhen de Lagondie, grande ammiratore di Vostra cugina.”

“Continuerò a pregare per la vostra anima, ma non credo basterà” esclamò il giardiniere, sdegnato.

“Sentitevi libero di organizzare una novena nell’Orangerie...” mormorò Sigyn, rassegnata, mentre si appoggiava al braccio del ragazzo.

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Capitolo 14
*** Tocca impacchettare qualche illusione ***


Tocca impacchettare qualche illusione

“I Vostri abiti.” disse la donna con voce tetra.

Sigyn d’istinto incrociò le braccia sul petto - non aveva fatto tutta quella strada per farsi comandare da una brutta copia dell’Asciutta. E l'Asciutta poteva metteva in campo anni di affetto reciproco, ruvido e costante.
Poi rilassò le mani lungo i fianchi - se questa fosse stata una partita a carte non le era capitata una buona mano, inutile giocarsi subito gli assi. E poi non aveva il diritto - era venuta a chiedere asilo, no?

La donna strinse le labbra pallide sotto l’ombra di rossetto ciliegia, poi aggiunse, scandendo le parole con cortesia rassegnata “Non potete indossarlo così come è.”

Alla ragazzina il non detto arrivò forte e chiaro: era giunta inaspettata, non si sapeva per quanto sarebbe rimasta, era impolverata ed il vestito non era degno di una Corte.
L’unica cosa sensata sarebbe stato regalarlo ad una femme de chambre. Solo che non si poteva.
Perché oltre che inattesa era pure - inaudito - senza bagaglio.
E senza una femme de chambre al seguito che si occupasse di lei.
E dei suoi vestiti.
Che comunque non c’erano.

E lei era proprio una stupida se tutto questo non lo capiva da sola.

E se non era una stupida allora era nel posto sbagliato.

La ragazzina abbassò lo sguardo - un buon giocatore lo vede da sé quando sta perdendo - “Vorrei spogliarmi da sola.” mormorò, con la massima cortesia. Almeno quello, pregò dentro di sé, almeno quello - nessuno in Normandia aveva mai messo in discussione il suo diritto all’intimità. Nessuno leggeva le sue lettere, nessuno commentava scortesemente i suoi romanzi che parlavano d’amore - lo zio Antoine-Benoit a volte la prendeva in giro, d’accordo, ma niente di più -  nessuno la lavava e nessuno la costringeva a svestirsi davanti a degli estranei.

Sentì lo sguardo della donna su di sé, ma leggerne il volto sotto quello spesso strato di biacca non era possibile.

In quel momento una cameriera  di circa venticinque anni, castana, vestita coi colori della Regina, entrò senza bussare, rompendo l’imbarazzo tra le due. Era seguita da una fila di giovani donne, tutte vestite allo stesso modo, e tutte cariche di oggetti: catini di porcellana decorata, secchi fumanti d’acqua bollente, altri pieni di acqua gelida, che, miracolosamente, non debordavano ad ogni passo ordinato della fila di anatroccole. Ed una profusione di teli, spugne e spugnette.

La giovane si inchinò con una grazia che tradiva una lunga abitudine e sorrise allo stesso modo, poi cominciò a dare ordini alle sue paperette, con una ricercatezza di linguaggio che avrebbe fatto invidia a Clément.
Fu a quel punto che la donna sospirò e da sotto lo spesso strato di biacca trapelò, inequivocabile, il sollievo di non dover aiutare, accudire o ascoltare la ragazzina.

Il paggio che parlava come un poeta aveva ragione, pensò Sigyn di colpo: a Versailles era difficile separare il pubblico dal privato e lei era solo un pezzetto della vita privata di Madame Marguerite, troppo impolverato per poter essere parte anche della sua vita pubblica.
La donna serviva la Regina, forse, o serviva qualcuno che serviva la Regina, porgendo una candela o lucidando orecchini. E qualcuno serviva lei, facendo cose altrettanto semplici ed altrettanto inutili, ed altri, ancora, la servivano sul serio sporcandosi davvero le mani, lavando vestiti e scrostando il fango dalla suola delle sue scarpette. Esisteva una gerarchia, insomma.
E la piramide di quelli dai gesti inutili era quella che contava davvero.

Lei era solo il sassolino nell’ingranaggio con cui non si sapeva cosa fare.

Ma non era detta l’ultima parola, rifletté battagliera: sapone e - più in là - ricami elaborati potevano fare miracoli.

“Suzette si occuperà di tutto.” sentenziò la donna, imperiosa, prima di sparire.

La ragazzina si lasciò svestire senza discutere - la disturbava l’idea appena accennata che stava sobbollendo in qualche punto recondito della sua testolina: che, una volta che avesse avuto indosso il giusto vestito, esattamente come le paperette di Suzanne, qualcuno le avrebbe detto quale era il suo posticino - se doveva essere quieta, o porgere guanti, o trotterellare tre passi indietro dopo qualcuno.
Sarebbe stato inequivocabile per chiunque chi era e cosa era e se valeva la pena rivolgerle la parola.
Sarebbe diventata visibile.

Il rimuginare si interruppe quando le rimase indosso solo la chemise - la femme de chambre era stata rapida ed efficiente, proprio come lo era con gli inchini ed i sorrisi.
Sigyn le fece cenno di andarsene.
Fu contenta di scoprire che, quanto meno, i suoi desideri venivano presi in considerazione da una cameriera - era già un miglioramento rispetto alla strafottenza di Margot. Forse, quello non era il posto sbagliato, dopo tutto.

Una volta sola, si guardò intorno: la stanza era tetra, non somigliava affatto a quella di Palazzo Jarjayes. Sembrava il posto giusto per uno spettro.
Forse la donna in blu l’aveva portata nel posto sbagliato?

Uno può dire ciò che vuole, ma alla fine contano i fatti, decise; uno può dire che una coppia di un paio di secoli prima ha avuto un bambino come può sostenere il contrario, ma un atto di nascita in un registro parrocchiale, una annotazione nella Bibbia di famiglia, il conto del pranzo offerto ai parenti, una nota nei libri dei conti della governante della casa che dice “7 aune di nastro bianco per la veste battesimale” dicono le cose come stanno. E quello era il compito dello storico, non tutte quelle liste che le chiedevano di imparare a memoria! pensò con fastidio.

Con calma si aggirò per la stanza aprendo gli armadi: le chemise di sua madre - ne prese una pulita per sé - le calze di seta di Madame Marguerite - giusto quello che le serviva - le loro miniature appese alla testata del letto - sei constatò, quasi non credendoci, le contò e le ricontò sorridendo, sentendosi improvvisamente allegra. Sei!
Il suo banyan coi fiori azzurri.
Il suo profumo sul cuscino.

Era la stanza giusta.

Ma il posto le parve terribilmente sbagliato - quella era la stanza di un fantasma.


Seduta in terra, su un telo, con le gambe incrociate, sfiorò con un dito il bordo smerlato di un catino; Suzette era stata brava, era tutto a portata di mano ed ogni secchio aveva il suo mestolo con il monogramma della Regina. C’era anche una brocca con il decotto contro i pidocchi che le strappò un sorriso - dovevano aver pensato che veniva da un posto terribile.
Prese un catino minuscolo, e cominciò a versarvi con cura qualche mestolata d’acqua - a quanto pareva solo gli eccentrici come i Jarjayes, i Girodelle e pochi altri temerari, trovavano normale immergersi in una vasca da bagno - la faccenda sarebbe stata molto lunga, ma lei non aveva nessuna fretta e soprattutto, non doveva andare proprio da nessuna parte.  

Distrattamente ripensò agli ultimi avvenimenti della giornata.

Il paggio poeta doveva avere un buon numero di piccole amiche sbucate dalla campagna, o da chissà dove, se la Guardia del Re aveva trovato tutto così normale, perfino divertente, rifletté. Inutile illudersi. LaRoche Guilhen bla bla bla aveva troppe amiche per poter essere preso sul serio come amico.

A Joséphine avrebbe fatto piacere sapere di essere ammirata da un paggio - da uno che andava alla scuola dei paggi, insomma - soprattutto per via di quei duecento anni di nobiltà che servivano per il mestiere - Joséphine ci teneva al giusto pedigree per ammiratori e cavalli.
Non le avrebbero fatto molto piacere le piccole amiche, però: non era mai stata il tipo che amava condividere.
Nemmeno un paio di guanti di capretto - ah le urla quella volta...

La Guardia del Re l’aveva fatta entrare nella Cappella in silenzio. Fuori, ad un certo punto, aveva scherzato con lei - l’aveva chiamata La Rochette - e lei lo aveva lasciato fare: come Mademoiselle Sigyn Reynier l’Impolverata non era arrivata proprio da nessuna parte, inutile arruffare le penne. Mentre la piccola amica di LaRoche, con la stessa polvere sui vestiti stazzonati, era stata scortata - addirittura! - da una Guardia del Corpo della famiglia reale.

Ricordava di aver sbattuto le palpebre cercando di mettere a fuoco, ma non avrebbe saputo dire se era stato per il buio della Cappella o per un principio di lacrime. L’uomo l’aveva sospinta delicatamente nella direzione giusta. E poi le aveva sistemato il cappellino con dita gentili e lei si era messa in posa, dritta come un soldatino, aggraziata come ad una lezione di ballo, perché va bene la polvere, e i vestiti smessi delle sue sorelle, ma lei restava comunque una Jarjayes. Sua madre non si sarebbe vergognata di lei. La Guardia non si sarebbe dovuta vergognare di lei. E nemmeno un paggio incontrato per caso.

Sigyn scosse la testa mentre strofinava energicamente le gambe. Non le piacevano affatto - Oscar le aveva da merlo, ma sarebbero diventate lunghe, le sue stavano perdendo tutta la paffutezza dell'infanzia e non le sembravano proprio niente di che.
Come non le sembrava niente di che tutto il resto. Da piccola si trovava bella, era la bella del Nonno, e se indossava gli abiti di sua madre quando giocava con Cassandra - il cappellino con le rose, le scarpette coi fiocchetti bordeaux - allora lo specchio le rimandava l'immagine della persona ideale, anche coi vestiti sbilenchi. Ma era un po' che non trovava nello specchio la Sigyn ideale.
Probabilmente non era carina quanto Joséphine, ma non gliene importava: sarebbe stata carina a sufficienza per avere il giusto numero alla moda di ammiratori. Come si conveniva alla piramide di quelli dai gesti inutili.
Soprattutto, pensò timidamente, se il Nonno ad un certo punto aveva scelto una come la Nonna, con i capelli rossi dei Sisteron e che metteva paura al giardiniere, allora poteva anche essere che lei sarebbe stata amata - ma amata sul serio, con i sentimenti di Donne quando parlava di un amore eterno - e soprattutto amata da uno proprio come il Nonno. O, addirittura, da qualcuno come Monsieur Henri, il padre di Clément.
Il resto erano solo chiacchiere.

Quanto a Joséphine, ripensandoci, forse le avrebbe fatto piacere pure un dodicesimo di ammirazione incondizionata, sia pure paggesca, che tutto sommato era meglio che niente - badinage amoureux lo chiamavano, un gioco dove nessuno doveva farsi davvero male.

Niente macerie.

Non come Mère e il Generale, insomma.

Irritata svuotò il catino in uno più grande con un gesto brusco e lo riempì di nuovo di malagrazia.

La Roche comunque l’aveva vista, pensò, anche sotto la polvere. Ma va a sapere cosa accidenti aveva visto.  

Si strinse dentro un paio di teli, per asciugarsi e corse a ranicchiarsi sul letto di sua madre.

Giocherellò con le dita con le miniature - alla fine Mère l’aveva notata, pensò con tenerezza. Mère l’aveva vista e le aveva sorriso e a lei era sembrato che cuore stesse per scoppiarle nel petto. Poteva ancora sentire il dolore acuto proprio lì nello stomaco se ci ripensava. Come un languore.
Ma era stata brava, non era corsa ad abbracciarla, mettendola in imbarazzo, aveva recitato il suo ruolo di perfetta Jarjayes in miniatura. Clément sarebbe stato orgoglioso di lei.

E Mère le aveva mandato quella gelida donna in blu perché la scortasse nella sua stanza. La brutta copia dell’Asciutta.
Irritata si sciolse i capelli e cominciò a spazzolarli vigorosamente.

Finì di asciugarsi e si rivestì con la chemise di sua madre e con le sue calze prese in prestito. Le piacque sentirne il profumo su di sé.

Quando tornò Suzette, sgusciò dentro corpetto e vestito in fretta, poi, inclinata sul letto, tirò fuori Virgilio e cominciò a leggere.


 

“Piccolina… svegliati...” sentì la voce dolce di sua madre e piano aprì gli occhi.

D’istinto la abbracciò e la donna le passò le mani tra i riccioli scompigliandoli.

“Eccola qui la mia vagabonda…” disse Madame Marguerite ridendo, poi la fece alzare e la fece piroettare davanti a sé. “Ma guarda come sei cresciuta!” delicatamente le prese il volto tra le mani e le diede un bacio sulla fronte. "La mia pellegrina che viene dal mare."
Sigyn la abbracciò stretta stretta e rimasero per un pochino lì in silenzio, tutte e due.

Mentre era stata nell’ombra della Cappella, quieta come un topolino, aveva fatto tanti progetti, per lei e per Oscar. E ovviamente per André, perché André proprio non lo si poteva lasciare solo a Palazzo - a far cosa poi? A dar da mangiare ai colombi? Quelle bestiacce immonde che affollavano il cornicione? Uccelli dagli occhi malevoli...
Aveva pensato che una volta che si fosse sistemata lì per benino, avrebbe portato sua sorella a passeggio per la Reggia tutte le domeniche. C’era un centinaio di cavalli almeno, nella Scuderie Grandi, a Oscar sarebbero piaciuti moltissimo. Oppure sarebbero andate fino a Saint-Cyr, o a Jouy a comprare della tela, o a Saint-Germain...
Ma la verità era che, in quel momento, nessun posto le sembrava migliore di quella stanza tetra.

Poi Madame Marguerite la prese per mano e la condusse di nuovo verso il letto “Dobbiamo dare una sistematina a quei capelli!” disse scherzosa, afferrando una spugna e Sigyn annuì.

“Cosa fai qui piccolina? Sei tornata a casa?”

Sigyn non disse nulla - non glielo poteva dire del Nonno, che l’avevano in pratica cacciata, sarebbe stato solo doloroso e basta “Sentivo nostalgia.” mormorò - in parte era vero. Osservò sua madre e si accorse che era terribilmente dimagrita, sembrava fragile.

“Mi fa molto piacere. Sei appena arrivata? Tutta quella polvere…”

Mère era pallida e stanca, nella Cappella non lo aveva notato, e Sigyn si sentì stringere il cuore. “Più o meno.” disse - nessuno aveva avvisato Mère, quindi, nemmeno Joséphine.

Si accoccolò in terra, contro le gambe di sua madre, lasciandola libera di armeggiare coi suoi capelli. A Palazzo lo avrebbe fatto fare ad una cameriera, ma qui, lo capiva, era diverso, e le sarebbe piaciuto restare così per sempre - non c'era un altro posto in cui adesso volesse andare.

Mère,” chiese timidamente, “non Vi piacerebbe tornare a casa?”

“Piccola, servire la Regina è un onore… e potrebbe essere una buona cosa per Voi tutte, più in là, quando ci sarà un'altra Regina ed il mondo sarà tutto Vostro, che si sappia che Vostra madre ha servito a Corte... è un precedente.”

“Lo potreste fare 3 mesi l’anno, par quartier, come fanno quasi tutti, oppure tornando a Palazzo alla sera, nessuno si accorgerebbe.”

“La Regina è molto sola e ha perso suo figlio.” sentì che le mani di sua madre tremavano, “E’ un dolore enorme, tesoro, dopo si può solo sopravvivere...”

“Ci sono tante Dames e Filles e Demoiselles…”

Madame Marguerite le accarezzò il viso. “Tesoro, questa Regina è stata molto amata, ma ad un certo punto non era più adatta… fare i bambini non è per sempre e dopo… dopo, certe volte, non resta più nulla…” la voce della donna si fece molto triste, “un giorno pensi di avere una vita piena e poi arriva il momento in cui scopri di non essere niente… e le cose che pensavi fossero importanti svaniscono una dopo l’altra...” Sigyn alzò lo sguardo e si accorse che le mani di sua madre erano così pallide, come carta, con le vene azzurrine dei polsi che avrebbero fatto l’invidia di ogni dama alla moda. Si sentì stringere il cuore.

Quando aveva pensato a Versailles, alle cose che sarebbero piaciute a lei, la prima cosa che le era venuta a mente erano le feste nella Galleria degli Specchi. Le piacevano pazzamente! Peccato che si era potuta intrufolare solo pochissime di volte al seguito di Mère e del Generale, vestito senza la sua uniforme come si conveniva a Versailles - solo le Guardie dovevano e potevano, per tutti gli altri era considerato di pessimo gusto. Allora sua madre le era sembrata bellissima e il Generale pure e aveva pensato che avrebbe fatto di tutto per diventare il suo orgoglio.
Sistemavano una orchestra nel Salone della Pace ed una nel Salone della Guerra, ai due capi della Galleria e metà dei ballerini seguiva una musica e l’altra metà un’altra.
Le finestre erano sul lato ovest e da lì, appollaiate su uno sgabello nell’ombra di una tenda, si poteva scegliere se osservare il ballo o se dedicarsi alla solenne prospettiva del giardino, illuminato dai bracieri. Alo una volta l’aveva beccata e le aveva portato un enorme dolce alla crema - ma si era rifiutato di farla ballare.

Che stupidina pensò, che stupida che era stata solo qualche momento prima. Aveva pensato ai balli, rimuginò dentro di sé irritata, e non aveva previsto, non aveva capito... sentì che il cuoricino le si stringeva

“Ma non badare a cosa dice tua Madre, piccolina, stare qui mi fa bene, alla sera faccio compagnia alla Regina e lei in qualche modo fa compagnia a me.”

“La vostra stanza è almeno il doppio di questa,” insistette la ragazzina, “e c’è molta più luce. E poi c’è il salottino e l’anticamera...”

“Tesoro, una stanza serve solo per dormire, in fondo, quanto spazio occorrerà mai? E la luce per vedere cosa? Le rughe di un volto invecchiato a sorpresa?” la voce della donna si era fatta amara “Alla mia età è giusto mettere da parte la frivolezza, non credi? E riconoscere che si è diventate solo inutili… anzi dannose, che si farebbe solo del male a quelli intorno a noi... ammesso che si sia mai state in grado di fare qualcosa di bene...”

Sigyn strinse gli occhi, sentendo un dolore acuto proprio nella gola.

“Con Joséphine come va?” chiese Madame Marguerite tentando di cambiare discorso.

Sigyn stette in silenzio poi mormorò “E’ molto brava, si occupa di Oscar e di me.”

“Mi fa piacere, piccola. E’ sempre stata una donnina, Joséphine, molto responsabile, attenta ai dettagli…”

“Ci chiede sempre come è andata la nostra giornata...” Sigyn sentì un groppo alla gola, ma non poteva, non poteva proprio dire la verità a Mère, non per come stava adesso, lo capiva da sé. Come faceva a dirle che Joséphine era semplicemente odiosa e con una scopa ficcata in un posto che non si poteva nominare?

“Oh che brava! Ha finalmente imparato che bisogna anche ascoltare, non solo pretendere di comandare a bacchetta!” Mère sembrava così felice.

“Si, le interessa sapere come ce la caviamo con lo studio, si informa sempre con il Precettore, ed è gentile con noi. Anche con André.” di più non poteva. E poi era vero che sua sorella parlava con il Precettore, quei due erano uniti nella loro missione di evidenziare quanto fosse mal riuscita la più piccola delle sorelle Jarjayes, fingendo tutti e due che Oscar non fosse pure lei una femmina, in ossequio al Generale.

“E’ cresciuta quindi...”, Mère cominciò ad asciugarle i capelli, “e con la casa come va?”

“Si fa aiutare da Margot...” Era inutile raccontare che nessuno si ricordava di controllare il tiraggio del camino, come se non sapessero tutti i guai che potevano capitare. Senza Mère nessuno sapeva davvero occuparsi del Palazzo, come di una cosa viva.

“Margot?” La donna corrugò la fronte e quardò Sigyn sconcertata.

“Si, le da ordini e Margot obbedisce con entusiasmo…” ribatté Sigyn scontrosa ripensando alle frustate, “Quasi quasi direi che Margot ci mette pure del suo.”

“Ma che bella cosa! E Oscar?”

“Oscar è bravissima, studia molto e mi dà sempre una mano con i compiti...” quello era vero, pensò la ragazzina con sollievo, "mi vuole molto bene, e io lo so" anche questo era vero, peccato che Oscar non lo sapesse. Forse era il caso di dirglielo?

“Questo è molto importante, piccolina. Lo studio. Le donne della mia generazione, spesso, venivano mantenute nell’ignoranza perché ne venisse preservata l’innocenza, ma l’innocenza è una cosa per ragazzine nel fiore della giovinezza. Per una moglie, una madre… per una donna, servono altre armi per combattere con la vita, altrimenti si diventa solo delle povere vecchie, frivole e capricciose...” la voce di Madame si era fatta distante, “Io ho combattuto tanto perché almeno tu studiassi come Oscar, sai? Perché non finissi educata in un convento...”

Sigyn annuì senza sapere cosa dire.

“Tu vuoi studiare, vero Sigyn?”

“Si, certo…” Mère sembrava così ansiosa e Sigyn si vergognò per essersi addormentata su Virgilio.

“Non è per stupire la società, è per te, tesoro. E guarda che non è necessario essere ignoranti per essere virtuose, non credere a chi dice queste sciocchezze, non crederci mai! Io so che tuo Nonno e tuo zio hanno cercato di darti una educazione utile a gestire gli affari di una Signoria, almeno un pochino, sei così piccola… ma non si può vivere non sapendo, non avendo idea, sempre in balia degli altri... non è vivere, credimi.”

Sigyn annuì: il Nonno aveva trascurato davvero tanto Virgilio e l’elenco dei Re di Roma, e lei sapeva pochissimo di araldica e di leoni rampanti o leoni illeoparditi, secondo il Precettore era un pozzo d'ignoranza... e le lingue moderne che aveva studiato con lo zio Jean-Claude al precettore non interessavano affatto... ma il Nonno aveva preteso che lei sapesse sparare con un fucile, filarsela su una barca, montare una tenda, viaggiare senza lamentarsi, e che conoscesse tutto su cosa fosse un testamento, una donazione, un ammortamento, una indennità - tutte cose volgari secondo il Generale - cosa fossero dei beni immobili, chi ha diritto a cosa e, soprattutto, che sapesse a chi chiedere consiglio nei vari ambiti. Se le era portata appresso ovunque e l’aveva presentata a tutta una schiera di vecchietti ed ai loro figli perché la conoscessero non solo di nome.
Leggeva tutte le sue lettere, scriveva in bella tutte le sue risposte.
Il Nonno aveva voluto che le fosse chiaro di cosa loro vivevano e quanto potevano spendere. Educazione da noblesse campagnarde diceva Joséphine con disprezzo. Buona per una che al massimo avrebbe spennato dei polli in una cucina di pietra di un nobile decaduto.

Forse era vero, sempre meglio di non sapersi nemmeno cucinare una zuppa in caso di emergenza - Joséphine comandava tutti, ma dipendeva da tutti. Solo che, a quanto pare, il modo giusto era quello per una Jarjayes.

Non aveva mai pensato che Mère trovasse importanti, invece, le cose che piacevano al Nonno.

Mère le accarezzò distrattamente i capelli “Quando io avevo la tua età pensavo che diventare adulte, sposarsi, volesse dire solo poter andare ad una festa senza dover chiedere il permesso a nessuno, e restare fino all’ora che avrei voluto, senza che nessuno mi potesse rimproverare...”

Sigyn chiuse gli occhi - e così c'era qualcosa di sua madre dentro di lei, a quanto pareva... intuì che Madame Marguerite si stava perdendo e con decisione le strinse la mano “Mi piace molto studiare,” disse, “non tutte le materie, ma mi applico.” poi fece un largo sorriso “E mi piacciono tanto i fiori, e a questo proposito, possiamo parlare un pochino delle clematidi?”

 

Quando sua madre si alzò per accompagnarla fino al cortile interno, si accorse che il giardiniere le aveva raggiunte ed era rimasto in silenzio ad ascoltarla in un angolo della stanza.

Irritata pensò a tutte le bugie orribili che aveva detto e lo guardò con aria di sfida. Il vecchietto la osservò imperscrutabile “Non intendo far preoccupare quella santa donna di Vostra madre” sussurrò lamentoso, “e non le dirò come Vi siete approfittata di un povero vecchio.”

“Ve ne sono grata” rispose la ragazzina meccanicamente. Ormai aveva finito tutte le carte, non c'erano più mani da giocare e si sentiva anche stupida. Con che faccia si sarebbe presentata dai Girodelle?

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Capitolo 15
*** Qualcuno fa delle domande ***


Qualcuno fa delle domande

Sigyn avrebbe tanto voluto sedersi in un angolino e meditare sul senso della vita, come Amleto.
Quando impari a osservare, quando tuo zio te lo suggerisce, quando lo fai con il vento e con i granchi dell’estran, poi non perdi l’abitudine solo perché quel che vedi non ti piace. L’infinita tristezza di Mère non le era sfuggita.
Ma non c’era molto tempo - invece di meditare si impegnò per strappare a sua madre un biglietto con delle istruzioni per Joséphine: sarebbe tornata lì per passare le domeniche a Versailles.
Un invito che sembrava un ordine, che, in quanto ordine, non era affatto diretto a lei, e che, in quanto invito, era molto gradito - se non avesse avuto ogni tanto una giornata libera dal Palazzo sarebbe finita come Amleto, a parlare coi teschi giù nella cripta che era pure umida, e l’umidità per i capelli era un vero disastro. 

E poi c’era da dare un occhio a Mère per tenerla un po’ allegra, perché, per carità, pensò Sigyn sospirando, Mère si sarà pure tenuta una gran compagnia con la Regina, ma aveva il vago sospetto che il tempo a Versailles, per quelle due, passasse molto lentamente.
Un mazzo di carte poteva fare miracoli.

Rilesse il biglietto che profumava di rose con un sorriso di approvazione: il tono era materno ma fermo, Madame Marguerite al meglio nel suo ruolo di gran castellana - a Joséphine avrebbe fatto un gran bene ricordare che non era la padrona di casa proprio per niente.

Inoltre Mère aveva scritto che lei si sarebbe dovuta occupare delle clematidi e di far crescere un ananas.
Dove procurarsene uno era una gran bella domanda, ma per la risposta c’era tempo, e, soprattutto, lasciava tante di quelle porte aperte che ostinarsi a chiuderle sarebbe stato un vero peccato.
Per il momento il giardiniere si era sguinzagliato da solo verso l’Orangerie, implorandola di concedergli ancora un mezza ora - a quanto pare il famigerato terriccio del ‘46 non gli faceva più così tanta paura.
Se c’era un uomo in grado di procurarle alla fine, con calma - molta calma - notizie su come crescere un ananas, rifletté Sigyn, quello era proprio lui, il lamentoso padre del loro Capo Giardiniere.
Quanto alle clematidi: era finalmente giunto il momento di fare visita a Madame de Girodelle. Con un gesto deciso si raddrizzò il cappellino, rimpiangendo di non avere sotto mano uno specchio. Avrebbe spiegato subito a Cassandra e a Clément quello che era successo, magari tralasciando alcuni dettagli su Mère - non avrebbero capito. E anche la storia del cornicione.
Forse per Clément sarebbe stato chiaro cosa era successo con il Nonno. O forse avrebbe detto, come Alo, che non era importante, in fondo, e l'avrebbe portata ad un concerto. O magari lui sarebbe stato il solito Clément e lei la solita Sigyn e Cassandra la solita Cassandra, che in fondo era quello che davvero desiderava.

Mentre si stava avviando verso le Grandi Scuderie, scorse il paggio appoggiato contro il muro del cortile con aria indolente. “Stavo giusto cercando la mia carrozza.” disse, andandogli incontro con un sorriso. “Volevo inoltre ringraziarVi per la cortesia…” aggiunse timidamente, ma fu subito interrotta da un gesto noncurante del paggio.

“Belle molle,” dichiarò il giovane con aria seria. “Mi sono permesso di farle fare un giro in velocità attorno alle Piccole Scuderie - peccato sia un coupé da viaggio: non so quanto si possa divertire un porteur e, senza il sedile giusto, la polvere della strada è davvero tanta.”

Sigyn annuì “L’ho notato.” disse con un sospiro leggero e il ragazzo sorrise con una certa condiscendenza. Poi la ragazzina aggiunse orgogliosa “Le molle sono dello zio Antoine-Benoit. Le ha disegnate prendendo spunto da un modello inglese.”

“Molle a balestra - ho apprezzato molto: perfette a pieno carico. E poi lavorano in modo indipendente su ogni ruota, gran bel lavoro!” nel frattempo fece un cenno ad un valletto che stava bighellonando nel cortile. “Un momento, scusate…” mormorò con un inchino ed allontanandosi per un attimo.
Sigyn lo osservò nella sua uniforme blu con i pantaloni al ginocchio rossi - avrebbe dovuto riconoscere il corteggiatore di sua sorella per quello che era, ma le livree erano tutte simili, cambiava il tipo di stoffa. Solo che la stoffa del giovane LaRocheETuttoIlResto sembrava un po’ consumata - come del resto quella dei suoi vestiti, pensò rattristata guardando l'orlo della gonna. Eppure all’abbigliamento dei paggi avrebbe dovuto pensare il Re.

“Gli ho detto di pulirla per bene, prima di prepararla per il ritorno. Nel frattempo mi chiedevo se Vi sarebbe piaciuto vedere da vicino un tavolo da biliardo.”

Sigyn lo guardò scontrosa “Devo tornare. E prima devo passare da degli amici che non vedo da tempo...” disse in fretta cercando di essere diplomatica.

“Il Vostro giardiniere sta parlando con uno dei giardinieri di Versailles, e il biliardo è nel refettorio della scuola dei paggi, posto rispettabilissimo, nonostante la deplorevole mancanza di rispettabilità dei suoi occupanti.”

Sigyn sbatté gli occhi incerta, non sapendo se stesse scherzando o se era terribilmente serio.

“Chi diventa paggio ha di sicuro amato molto l’idea di questa istituzione prima di conoscerne la realtà - si arriva qui per essere persone migliori e non si tiene conto del fatto che lo scopo del paggio, una volta diventato la versione migliore di se stesso, è andare altrove, abbandonando per sempre il suo ruolo.
L’istituzione, quindi, pullula di giovani che in quanto a miglioramenti interiori ed esteriori, hanno parecchia strada da percorrere.” spiegò de La Roche con pazienza, “Quanto al biliardo: la scuola occupa tutto il lato sinistro delle Grandi Scuderie; al pianterreno c’è una cappella, ci sono le cucine, una biblioteca e, infine, appunto, il refettorio dove mangiamo, e nel refettorio sono stati sistemati da molto tempo due biliardi, considerati un divertimento da gentiluomini.”

“Non saprei…” 

“Ci sono anche un migliaio di altre persone per tutto l’edificio: paggi e scudieri, i più interessanti, credetemi, poi valletti, quelli sono ovunque, e poi cocchieri e postiglioni, pessimo linguaggio, sono abituati ad urlare tutto il giorno a degli animali e non riescono a perdere l’abitudine quando si rivolgono ad esseri umani. E poi ci sono i corrieri, si danno parecchie arie, pensano di dover portare messaggi fondamentali per la Francia e per il Re, e raccontano di essere stati assaliti dai nemici della Corona, quasi sempre nei pressi di un mulino gestito da una bella mugnaia…”

“Sul serio?” chiese Sigyn dubbiosa.

“Non credo affatto, leggono troppe avventure di Gil Blas, e, comunque, dai loro racconti parrebbe che questi nemici siano invero dei pessimi spadaccini - non vincono mai.”

Sigyn cercò di restare seria.

“Poi ci sono i portantini, tipi silenziosi che conoscono molti segreti…”

“E come è possibile?”

“Una portantina passa per le vie per cui non passa una carrozza e viene parcheggiata dentro l’anticamera di un Palazzo… ad un certo momento ne vedi una per la strada e poi gira un angolo, svanisce e non si sa più dove sia finita...”

“E poi?” Sigyn si stava divertendo a questo gioco ed era curiosa delle opinioni del paggio.

“Palafrenieri e mozzi di stalla, non particolarmente interessanti - odore terribile e molta sfacciataggine - speronai, sellai, cuoiai, dei veri artisti più che dei semplici artigiani. E ingegnosi marescialli della forgia… ho fatto vedere le molle di Vostro zio ad uno di loro, credo gli piacerebbero dei disegni su cui lavorare…”

Sigyn arrossì. I complimenti diretti alla sua famiglia le facevano sempre piacere e se erano per lo zio Antoine-Benoit, sempre così bistrattato dal Generale, le piacevano ancora di più. 

“E poi i chirurghi ippiatrici, con Lafosse che li comanda tutti.”

“Lafosse?”

“Un uomo in gamba, ha studiato da medico, con Ferrein, ma preferisce gli animali agli esseri umani, e tra tutti gli animali preferisce i cavalli. Quanto ai cavalli, lo adorano - ignorano che ha sezionato parecchi di loro. Vorrebbe che ci fosse una scuola di medicina specializzata solo sugli animali, pensate...”

Sigyn sorrise - l'idea le piaceva.

“Sa tutto sull’argomento, e quello che non sa non vale la pena di essere conosciuto, o si tratta di qualche leggenda priva di ogni fondamento. E poi c’è Suzette, che già conoscete, che dovrebbe essere una chaperone affidabile anche se, a parer mio, passa troppo tempo a sbattere le ciglia al primo valletto dell’elemosiniere delle Scuderie, per occuparsi di cosa accade intorno a lei se non riguarda il suo lavoro.”

Sigyn lo guardò stupita “Conoscete molte persone qui a Versailles…”

“Merito di un sistema educativo poco autoritario che lascia troppo tempo libero a giovani menti irrequiete.”

Sigyn sogghignò per un attimo “Va bene,” disse timidamente,”il tempo di preparare Naso Corto, però.”

“E così avete dato un nome al coupé… anche vostra sorella, Mademoiselle Joséphine, dalla raggiante bellezza bionda, ha questa abitudine? Di dare un nome alle cose?”

Ah Joséphine, ecco svelato il mistero di tutto quell'interesse - Sigyn si sentì rassicurata e sorrise.



“Ci deve essere una posta, il pensiero di perdere qualcosa di valore influisce sui nervi del giocatore rendendo il gioco molto più interessante. Altrimenti sarebbe solo un esercizio di geometria.”

“Non ho denaro con me, mi rincresce...” Sigyn si strinse nelle spalle.

“Sono un fervente appassionato del baratto.”

“Come tutti quelli che vengono dalla campagna. Naso Corto è fuori questione e comunque non mi appartiene.”

“Le molle di Naso Corto mi piacciono molto, ma non mi permetterei mai di causarVi imbarazzo con la Vostra famiglia. Sono una persona curiosa per cui pensavo a delle informazioni. Tre partite brevissime con un limite di cinque tiri e una domanda per ogni partita a cui rispondere con assoluta sincerità.”

Sigyn guardò in terra, combattuta - aveva un debito con il paggio, ma non c’era modo di ripagarlo della cortesia, a parte forse invitarlo per un té assieme al suo idolo, che però era già fidanzata, e con Oscar che lo avrebbe detestato per via del linguaggio fiorito, mettendo tutti in imbarazzo.
Per il resto non conosceva i segreti di Stato che forse conosceva il Generale e l’unico segreto che la riguardava direttamente era un mistero anche per lei. Non le sarebbe spiaciuto accontentarlo - e poi, sotto sotto, le andava una partita - ma le sembrò che per il paggio sarebbe stata una faccenda senza sugo.

“Le domande non devono essere imbarazzanti, però.” sentenziò, alzando il nasino all'aria. Anche se imbarazzante era un concetto relativo - sarebbe stato terribile, per esempio, se le avesse chiesto le stesse cose con cui la tormentava il precettore, tipo qualcosa su Virgilio o su i verbi irregolari, o se avesse voluto sapere che cosa è uno scudo inquartato e dove si mette, nel caso, il leone illeopardito - nello zoo di Versailles, dove altro?
E sarebbe stato ancora più terribile - anche se, ammettiamolo, liberatorio - se le avesse chiesto tutta la verità su Joséphine: il paggio non era pronto per rivelazioni del genere, non più di quanto l’uomo medio fosse pronto per l’Apocalisse, anche se pure questa, a sentire lo zio Jean-Claude, il gesuita, era una faccenda inevitabile.


 

“Voi avete già giocato…” mormorò il paggio cogitabondo mentre esaminava il tavolo.

“Un poco…”

“Dove?”

“Con lo zio Antoine-Benoit.”

“Molto interessante, è un‘ottima cosa che uno zio si preoccupi della poliedrica educazione di una giovane nipote, ma dove esattamente Vi siete esercitata?

Sigyn si sentì morire, poi alzò il mento e bellicosa rispose: “A La Marée, con mio zio.”

Il paggio emise un fischio divertito “Quando dicevate di venire dalla provincia non scherzavate affatto vedo.”

“E’ un rispettabile luogo di ritrovo.”

“Frequentato esclusivamente dalla nobiltà più raffinata della zona, immagino…”

“Non esattamente,“ concesse Sigyn con aria sostenuta, “anche se la compagnia è molto distinta.”

“Viviamo indubbiamente in un’epoca di grande decadenza.” sospirò il paggio, e tornò a concentrarsi sul tiro.

Sigyn si sentì terribilmente imbarazzata, e rimase in silenzio, con le guance che le bruciavano.

“Oh so molto bene come vengono educate la ragazze di campagna in questa epoca prosaica…” riprese il paggio con cortesia, “prima di essere considerate davvero cresciute sparano coi fucili, vanno a cavallo, girano a piedi, su calessi e carretti, indossano stivali sotto le gonne, parlano il vernacolo locale…” il giovane scosse la testa ed aggiunse “e c’è sempre un familiare che se le porta dietro in posti in cui una vera signora non dovrebbe mai mettere piede.”

“Detto così sembra molto sgradevole.”

“E’ la vita agreste vista senza la lente deformante della poesia bucolica.”

“Che non apprezzate.”

“Sulla poesia bucolica ho molte perplessità, ma è di gran moda e quindi mi adeguo al gusto corrente così come non mi permetto di mettere apertamente in discussione l’uso di un parrucchino, pur considerando l’idea di indossare i capelli di qualcun altro assolutamente ripugnante. Se invece alludevate alla campagna… Vi ho confessato che è da lì che provengo, ma come avrete notato, ho temporaneamente spostato la mia residenza a Versailles, di cui preferisco nettamente la civiltà anche se non gli effluvi.”

“Però giocate a biliardo…” come fanno anche i non raffinati a La Marée sottintese la ragazzina con giusto l’ombra di un sogghigno.

“E vinco.”  concluse il ragazzo con un tono trionfale dopo aver visto l’effetto del suo ultimo tiro.

Sigyn alzò gli occhi al cielo “Due su tre.” commentò asciutta.

“Due su tre,” ammise il ragazzo, con voce conciliante, “sono il tipo di gentiluomo che apprezza il bicchiere mezzo pieno, invece di tormentarsi per il bicchiere mezzo vuoto.”

Dopo aver osservato la pendola le sorrise, e le porse il braccio “E’ l’ora!” disse con cortesia, “potete farmi la Vostra domanda, mentre ci incamminiamo.”

“Preferirei conservarla per un altro momento, se non Vi spiace.” mormorò Sigyn - non avrebbe saputo cosa chiedergli, ma sospettava che la sua fosse una delle porte a cui poteva bussare ed ottenere qualche risposta sensata, durante la caccia agli ananas. O anche durante la caccia a qualcosa d’altro.

“Va benissimo. Io invece vorrei sapere nel dettaglio cosa piace all’affascinante Mademoiselle Joséphine…”



Il paggio chiese al mozzo di condurre Naso Corto vicino allo spiazzo del maneggio mentre un valletto si sarebbe occupato di recuperare l’anziano giardiniere.

Poi le sorrise. “Posso farVi la seconda domanda?”

Sigyn annuì.

“Perché non abitate con Vostro padre?”

“Non è esatto, io abito a Palazzo Jarjayes.”

“Voi avete spostato la Vostra residenza dalla campagna ad un Palazzo, esattamente come ho fatto io. Mi chiedevo se i motivi fossero gli stessi, ma ne dubito.”  

Gli occhi della ragazzina improvvisamente si riempirono di lacrime e subito abbassò lo sguardo imbarazzata.

“Temo di aver mancato di tatto ad un livello allarmante.”

“No, è che è qualcosa che non so nemmeno io.” disse Sigyn con una vocetta seria seria. “Era proprio la domanda che speravo non mi avreste mai fatto.”

“Sul serio?”

“Quella o qualcosa su Virgilio.” le venne da ridere ed il giovane le sorrise, un po’ rattristato “Quindi niente governante, ma un precettore… se me lo permettete, conserverò anche io la seconda domanda per un altro momento… sperando che ci sia prima o poi un altro momento. E che sia migliore.”

Sigyn lo osservò guardarsi intorno e poi avvicinarsi a lei per scioglierle il fiocco del cappellino, con l’intenzione, era chiaro di riannodare il nastro diversamente. La cosa non le piacque, le sembrò incredibilmente inutile ed anche un po’ artefatta e lei non era una bambina, da dover essere acconciata secondo la moda da un estraneo. E poi le parve un po' troppo intimo, a dirla tutta, specialmente da parte di un corteggiatore di Joséphine, una gelosa dei suoi guanti di capretto di due stagioni passate, figuriamoci di un paggio parolaio.

Irritata fece qualche brusco passo indietro, senza guardare e si ritrovò ad urtare qualcuno che stava venendo verso di lei.
Il cappellino scivolò a terra, insieme ad alcune delle forcine di Madame Marguerite, che era bravissima in tante cose, ma nelle acconciature dei capelli non dava certo il meglio di sé.

I riccioli rossi scesero ad incorniciarle disordinatamente il viso, e Sigyn si voltò, arrossendo, pronta a scusarsi per la goffaggine.
Fu a quel punto che incontrò due occhi che conosceva benissimo, e che non sembravano affatto contenti di vederla.

“E così sei tornata…”

Aveva tanto desiderato che si rivedessero, pensò Sigyn sgranando gli occhi, si era immaginata il loro incontro, lo stupore, anche magari un'ombra di rimprovero e pure un abbraccio che in fondo ci poteva stare, non era poi così cresciuta! ma non così, accidenti.
Non così.

 

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Capitolo 16
*** Qualcuno ha una buona parola per tutti ***


Qualcuno ha una buona parola per tutti

Sigyn si chinò a raccogliere il cappellino di paglia, con tutta la grazia di cui era capace, tentando di raccogliere anche le idee.
Quelli che dicevano di adorare le sorprese erano tutti dei bari potenziali, decise - dovevi essere davvero bravo a non sbriciolarti davanti ad una carta che ti rovinava tutto il gioco, così bravo da saper rilanciare, anzi, con un commento noncurante ed un sorriso.

Mentre le dita sfioravano la ghiaia alla ricerca delle forcine perdute, vide altre due paia di scarpette, molto carine, avvicinarsi - e così per l’ennesima umiliazione avrebbe avuto anche del pubblico. Pubblico con scarpine - sospirò - molto più ricamate delle sue.

“Mademoiselle Violaine, permettetemi di presentarVi Sigyn, figlia di amici di famiglia.” disse Victor in tono neutro, poi aggiunse “I nostri padri hanno studiato insieme.”

Sigyn si sollevò lentamente il cappellino tra le mani, mentre lo sguardo correva per il vestito azzurro pastello dell’altra ragazza.
Non le era sfuggito di essere diventata solo Sigyn, non Mademoiselle Sigyn e nemmeno la figlia numero cinque del Conte de Jarjayes. 
Non le era sfuggito nemmeno che, come tutte le persone meno importanti, era stata presentata per prima - sperò tanto che fosse perché era proprio la più giovane, tra tutti loro, Victor era così attento all’etichetta.
E non le era sfuggito, pensò con ammirazione ed una punta di rammarico, che la stoffa del vestito di “Mademoiselle Violaine” era stupenda, artisticamente stropicciata ed adatta al calore della giornata ed alla pelle, ovviamente candida, della sua proprietaria.

Nonostante gli sforzi di Suzanne e delle sue paperette il paragone era impietoso

“E’ rinfrescante vedere qualcuno che deve ancora imparare a fare dell’essere docile una gioiosa abitudine.” Violaine agitò il ventaglio con grazia e le sorrise squadrando i ricci fuori posto della ragazzina con aria comprensiva. “Una bambina adorabile.” aggiunse rivolta a Victor Clément de Girodelle. “Adorabile.”

“E di grande sensibilità.” intervenne il paggio, inchinandosi a sua volta.

“Sigyn ti presento Mademoiselle Violaine Charlotte de Rambures-Brizambourg,” Clément si voltò verso la ragazza con un sorriso “che mi onora della sua amicizia.”

La ragazza nascose le labbra dietro il ventaglio e, abbassando gli occhi azzurro chiaro, mormorò vezzosa “Siete troppo gentile Monsieur Victor, l’onore è solo mio. E’ impossibile conoscerVi e non desiderare di stringere assieme a Voi i nodi dell’amicizia nella speranza di non perderVi.”

“Nodi, Mademoiselle Violaine, che Vi assicuro, non ho alcun desiderio di sciogliere…”

Sigyn si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo esasperata. Amleto con Ofelia non l’avrebbe fatta così lunga.
Osservò il fichu azzurro, impalpabile e lo trovò un pochino indecente nella sua trasparenza, specialmente con quella scollatura - cosa era successo? improvvisamente alla modista era finita la stoffa? Mère non avrebbe mai permesso a Joséphine di andarsene in girò così.
Poi rattristata pensò che un tempo non lo avrebbe permesso, ma ora, accidenti, ora Mère nemmeno si era chiesta perché si era presentata così senza Oscar e senza André e senza quell'impicciona di Joséphine.

“Sono lieta di fare la Vostra conoscenza Mademoiselle Violaine.” disse, con la massima cortesia, perché in fondo non era colpa di quella ragazza se le cose stavano come stavano. “Spero potremo rivederci qui a Versailles. A mia volta vorrei presentarVi…” il paggio si inchinò con eleganza e la interruppe con garbo “Ho già avuto l’onore. Mademoiselle Violaine, è un piacere rivederVi, siete elegante come sempre e svettate come un giglio in un campo di margherite." Poi aggiunse, inchinandosi verso un gruppo che si stata avvicinando: "Ed è un piacere rivedere la tempestosa Mademoiselle Cassandra, invidia della Regina delle Amazzoni e la severa Mademoiselle de Brizambourg...”

Sigyn sorrise d’istinto alla sorella di Victor, che stava agitando il frustino, scortata da una Guardia Reale - la Guardia Reale - e da un’altra ragazza più grande, dall’aria energica, anche lei in tenuta da amazzone. Il sorriso, però, le morì sulle labbra sotto lo sguardo rabbuiato di Cassandra.

La Guardia Reale, che Sigyn scoprì avere un nome, Olivier d'Ormesson, con un sorriso cortese, cominciò ad illustrare i progressi delle sue allieve - a quanto pareva la sorella di Clément stava prendendo lezioni per perfezionare il suo stile, proprio lì alle Grandi Scuderie di Versailles, il maneggio più elegante di tutta la Francia.
Quando il paggio aveva parlato del migliaio di persone che affollavano Les Grandes Ecuries, pensò Sigyn stancamente, aveva dimenticato di citare i giovani nobili di mezza Europa che volevano diventare spettacolari in groppa ad un cavallo.

“Montate anche Voi?” le chiese d'Ormesson cortesemente.

“Oh no!” Sigyn sorrise, pensando ad Oscar su Fulmine, lei non era brava nemmeno la metà di sua sorella “O meglio, ho imparato,” soggiunse in fretta, rendendosi conto che in quella compagnia sarebbe stato peggio che ammettere di non saper né leggere né scrivere, o addirittura peggio che non saper danzare “ma non è esattamente il mio passatempo preferito.”

“Il legame che si stringe tra un cavaliere ed il suo cavallo è molto più che un semplice passatempo,” intervenne Mademoiselle de Brizambourg aggrottando la fronte con disdegno, “E’ un animale nobile e dall’affetto costante, un amico con cui si cresce insieme, e che mai ci dimentica.”

Cassandra a quelle parole fulminò Sigyn con lo sguardo, poi, assieme alla sua amica si unì al giovane LaRoche in una lunga dissertazione sui cavalli Berberi, seguite a ruota da Victor Clément de Girodelle e da Mademoiselle Violaine, intenti a discutere delle differenze nel modo di selezionare i cavalli rispetto all’Inghilterra.

Sigyn si sentì esclusa.
Non che non sapesse cosa fosse un equino: Oscar ne andava pazza e con André aveva già deciso come avrebbe dovuto essere il suo cavallo ideale, aveva perfino scelto il nome - César. E a Palazzo Jarjayes le scuderie erano ben quattro, anche se la costruzione era unica: una per i cavalli da tiro, una per quelli da montare, una per quelli malati o per le giumente che dovevano partorire ed una piccolina per i cavalli degli ospiti. C’era sempre qualche nitrito nell’aria.
Quanto alla Normandia, c’erano cavalli anche lì, tiravano carri, lavoravano ai mulini, non c’era una fattoria che non ne avesse almeno uno nella stalla, ma capiva da sé che la giumenta placida a cui portava sempre una mela e su cui aveva imparato lei, sulle dune della spiaggia lunga, non era l’ideale che tutti gli altri avevano in mente.

“Cavalcare è una delle poche cose che di solito si imparano direttamente dal proprio padre, di solito su un pony e a volte su un asino. Gli istruttori vengono dopo.” D'Ormesson interruppe i suoi pensieri, parlandole complice a bassa voce. "Discutere di cavalli è la prima cosa da adulto che un ragazzino può fare con un genitore venendo preso sul serio. E' anche per quello, temo, che ci piace così tanto."

“Per mia sorella credo sia così. E' molto brava, anzi, è spericolata, ed è l'orgoglio di nostro padre. E' come una pianticella che trova il giusto terreno e la giusta luce: non può che crescere rigogliosa."

“E Voi?"

“Penso che a me piaccia il mare. E mi piacciono le barche." disse Sigyn dopo aver riflettuto un attimo. "Il Vostro ragionamento. comunque, si applicherebbe anche lì." aggiunse pensosa, "Però c'è anche una altro aspetto: ciò che è considerato aristocratico e ciò che non lo è necessariamente. Non ci avevo pensato prima, ma guardandoli, ora..." fece un cenno garbato verso Cassandra e le altre due ragazze, "è come appartenere ad una società segreta."

Olivier annuì osservandola incuriosito “Perché Voi lo considerate solo un addobbo, ma è più di quello."

“Cioè? Parlate della guerra? Immagino che in battaglia faccia una certa differenza."

"E' esatto," il giovanotto le sorrise, "la fa, credetemi ed anche molta, ma il modo di cavalcare di un militare è diverso da quello di un aristocratico in un maneggio ed è diverso da quello di un inglese."

“Immagino che quando ci si sposta con un battaglione certe evoluzioni non siano più necessarie."

“Si e no, più che altro si cerca una posizione in cui il cavallo non debba affaticarsi troppo: tornare vivi a casa è un lavoro che farete in due. Mentre in un maneggio si può dimostrare qualcos'altro."

"Ma quando uno impara a cavalcare in un modo poi userà sempre e solo quello?E' una abitudine? O una scelta?"

"No, o meglio si e no, quante domande buffe... dipende dal cavaliere. Un buon militare forse farà una scelta, un buon aristocratico un'altra, ma siccome gli ufficiali di grado più elevato sono anche degli aristocratici per molti dipenderà dalle circostanze. I giovani Girodelle, per esempio, hanno imparato da Madame de Girodelle, preferiscono una gara ad una passeggiata in un maneggio, ed hanno imparato da Monsieur Henri - un grande rispetto per il cavallo. Ma sanno che saper cavalcare in un maneggio dimostra anche altro."

“Di appartenere ad una élite?"

D'Ormesson sorrise “La vostra società segreta... anche, cara la mia Rochette, ma non è solo quello: il cavaliere è elegante, è gentile, non è rude con il suo cavallo, non urla, né minaccia, ma alla fine il cavallo fa ciò che gli chiede il cavaliere. Il cavallo salta un ostacolo, curva, accelera e si arresta, sotto una mano gentile ma ferma. O, se preferite, ferma ma gentile."

Sigyn stette zitta un paio di minuti mentre d'Ormesson rispondeva ad una domanda tecnica di Cassandra, poi, quando lui tornò a guardarla sussurrò "Pensavo che vivessimo in una monarchia non costituzionale."

"Nessuno comanda da solo. Un giovane nobile lo dovrebbe imparare in fretta." poi la Guardia aggrottò le sopracciglia "E Voi, Mademoiselle Rochette, siete un po' troppo piccola per conoscere parole come non costituzionale, non dovreste invece preoccuparVi di preparare la cioccolata alle bambole?"

Sigyn arrossì piccata e d'Ormesson riprese in tono cortese "Comunque si, le metafore si perdono, gli insegnamenti si svuotano e resta il privilegio di appartenere ad un circolo esclusivo, il che mi porta a dire che, se lo volete, posso darVi delle lezioni di perfezionamento.”

“Siete gentile, ma temo sia tempo davvero sprecato.”

“Non è mai sprecato per una piccola amica di quel furfante di LaRoche.” il giovanotto le sorrise gentile, “Nelle Grandi Scuderie di Versailles ci sono più di mille cavalli, e vanno tenuti tutti in esercizio. Di sicuro tra tutti e due troveremo quello giusto per Voi.”

"Sigyn, tu e Monsieur de LaRoche Vi conoscete da molto?” intervenne Victor con un sorriso educato, che però non raggiungeva assolutamente gli occhi, spostando l’attenzione su di lei.

La ragazzina arrossì, adesso era il momento giusto per spiegargli che era appena arrivata, per parlargli degli ananas, del giardiniere, della lettera - soprattutto della lettera! - ma non poteva, non davanti a quella smorfiosa perfettina di Mademoiselle Violaine, tutta intenta ad annodarsi attorno a Clément.

“Da quando Mademoiselle Sigyn è arrivata qui, ospite di Madame de Jarjayes.” rispose il paggio al posto suo, con un sorriso tremendamente affabile.

Sigyn cercò di precisare, irritata “Non è molto che sono qui, in realtà…”

“Sarebbe interessante vedere quantificato questo poco o molto in una unità di misura comprensibile ai più.” osservò Cassandra freddamente, mentre Violaine congiunse le mani ed esclamò con allegria “Tanto o poco, è un’ottima cosa, Monsieur LaRoche, che l’abbiate presa sotto la Vostra ala. Versailles non offre molto per i bambini. Ci sono quadri molto belli, ma per essere veramente compresi richiedono una competenza sulla mitologia, che una bimba che ancora pensa a correre e a giocare spensierata spesso non ha.” Con un sorriso frugò con discrezione in una tasca del vestito per poi estrarne alcune forcine “Tenete piccola Mademoiselle,” disse con voce complice,”temo che abbiate seminato le Vostre, per i cortili della Reggia.”

Sigyn la ringraziò meccanicamente, conscia del constrasto che stava offrendo con l’acconciatura perfetta dell'altra. Violaine doveva avere i capelli incredibilmente chiari perché sotto la cipria non apparivano grigi, ma favolosamente candidi, intrecciati con dei fiori azzurri dello stesso colore del vestito - sentì una punta di gelosia: aveva sempre desiderato essere così bionda, proprio come tutte le sue sorelle e anche più bionda di tutte loro.  E che rabbia averla conosciuta in questo modo… aveva anche lei a casa dei fiorellini di stoffa che erano una meraviglia e che stavano benissimo con i suoi capelli rossi.

“Non è esatto dire che Sigyn non conosca la mitologia.” la voce di Victor era più educata che cortese, ma Sigyn fu immensamente grata del suo intervento.

“Oh, per piacere, ma se tu, Alo e Maxence una sera avete riso fino alle lacrime sulle sue risposte ad una domanda molto semplice!” Cassandra fletté il frustino esasperata e Sigyn spalancò gli occhi.

“Quale domanda se posso permettermi di chiedere?” Violaine agitò il ventaglio con grazia.

“I sette Re di Roma!” Cassandra scosse la testa esasperata, “a quanto pare - io non c'ero - ci mise dentro anche Enea dicendo che era, in fondo, il fondatore morale. E poi concluse affermando che preferiva ignorare questi dettagli e serbarseli per dopo, perché le arrivassero ad un certo punto come una sorpresa.”

Mademoiselle de Brizambourg aggrottò le sopracciglia e la fissò severamente “Imparare è raramente un piacere, specialmente per una fanciulla delicata e dalla costituzione fragile, ma nel Vostro caso sembrerebbe un piacere decisamente raro.”

“Non essere severa Agathe, la spontaneità dei bambini è impagabile.” sentenziò comprensiva Mademoiselle Violaine, dandole un colpettino sulla spalla con il ventaglio.

Sigyn pensò che se lei adesso fosse stata davvero spontanea quelle tre avrebbe dovuto cominciare ad avere paura. ”Temo abbiate ragione,” mormorò, “a mia discolpa posso citare una frase che una volta ho letto, nessuno è esente dal dire sciocchezze. Prima o poi, a quanto pare, capita a tutti.”

Vide Victor sobbalzare e lanciarle uno sguardo stranito, mentre, a quel punto, la Guardia Reale sorrise bonaria, “Mi spiace costringerVi a cambiare argomento, ma Vi devo salutare. E’ stato un piacere, come sempre. Madamoiselle Cassandra, siete ogni giorno più vicina alla perfezione, abbiate pietà per noi poveri mortali.” poi strizzò l’occhio a Sigyn “e Voi piccola Rochette, sono lieto di averVi conosciuta, e non finirò per Voi la citazione di Montaigne, anche se confesso che mi ha divertito. Chi vi ha educato ha gusti decisamente… particolari.”

Il paggio si intromise con un sorriso ribaldo: “Credo che un certo zio Antoine-Benoit abbia una idea molto poliedrica sulle competenze da coltivare in una donna.”

"Un liberale!" Mademosielle de Brizambourg scosse il capo, inorridita "Senza stabili tradizioni non vi è civiltà in nessuna civiltà."
 
"Peggio!" rispose gravemente il paggio, "un inventore. Un uomo per sua natura portato a distruggere le sue tradizioni per inventarne altre. Particolarmente appassionato di geometria, mi dicono, e di tappeti verdi."

"Tappeti della Savonnerie?" chiese Mademoiselle Violaine, incerta, non comprendendo, mentre Sigyn diventava scarlatta.
Victor lanciò al paggio uno sguardo gelido, per poi guardare con riprovazione Sigyn, ma si astenne dal commentare.

La Guardia Reale intervenne bonaria "Non credo, si tratta probabilmente di tappeti per inventori, per i loro tavoli... per non graffiarli."

Mademoiselle Violaine annuì, quindi si inchinò con grazia e, salutando il giovanotto, cinguettò “Immagino che ci rivedremo al ricevimento di Mademoiselle de Girodelle, mi raccomando! Ci tengo molto.”

Seguì il gelo.

Sigyn si sentì improvvisamente stanca - la caviglia aveva ricominciato a tormentarla -  poi guardò timidamente Cassandra, che aveva assunto un’aria ostinata e a quel punto si decise a chiedere, con la sua miglior aria noncurante “State per caso organizzando una festa?” - se quella fosse stata una partita a carte, decise, sarebbe arrivata l’ora di abbandonare il gioco e smettere di perdere.

Fu Violaine a risponderle tutta allegra “Mademoiselle Cassandra sarà il nostro anfitrione. Verrete anche Voi, bambina o pensate di essere troppo piccola per questi piccoli ricevimenti?

Cassandra le scoccò una occhiata di fuoco e sentenziò “Peccato, ad aver saputo che eri tornata ti avrei incluso tra gli invitati per una festicciola tra amici. Anche se non so se ti sarebbe piaciuto: credo di aver inteso che adesso hai altri gusti.”

“Ma non è ancora troppo giovane?” chiese Mademoiselle de Brizambourg stupita “E poi, non si troverebbe a disagio in un contesto per lei troppo noioso? Probabilmente non ha nemmeno il permesso per intrattenersi in società - non ha assolutamente l'età! - e Voi Mademoiselle Cassandra, mia cara, finireste per metterla in imbarazzo invitandola.”

Sigyn sorrise e con la massima cortesia rispose “Non saprei proprio che risposta dare alla Vostra prima domanda, sapete? Nelle feste che diamo in Normandia non facciamo molto caso all’età degli invitati, una volta che hanno superato i dodici anni. Il vero problema è la distanza da percorrere - le otto miglia sono un’ottima scusa di solito, per delle esclusioni cortesi ed irreprensibili.”

“Avete già compiuto dodici anni? Ah ma allora siete proprio grande…” Violaine agitò con grazia il ventaglio, parlandole come se di anni ne avesse appena sei.

Il paggio a quel punto si inchinò e si eclissò.

Clément intervenne conciliante “Sigyn parla di feste di campagna. Sono feste che le piacciono molto, con un repertorio popolare, molto orecchiabile, ed un contesto gradevolmente informale. Quanto a Cassandra ha avuto il permesso di organizzare il suo primo piccolo intrattenimento: un pomeriggio musicale, una cioccolata e, forse, da quanto ho inteso, un paio di balli. Onestamente, Sigyn, non credo ti piacerebbe.”

“Mi ricordo quando la portammo con noi ad un concerto e si addormentò...” disse Cassandra con voce gelida.

Mademoiselle de Brizambourg la guardò severamente, scuotendo leggermente la testa, come se da Sigyn non ci fosse che aspettarsi questo e pure altro “La musica è il linguaggio dell’anima, spiace vedere che una creatura così giovane non riesca ad esserne toccata.”

“Era un requiem,” rantolò Sigyn con voce strangolata, “di un compositore tedesco. Una cosa mostruosa... e ho solo chiuso gli occhi per cinque minuti!”

“Era molto stanca.” intervenne Victor con cortesia.

“Monsieur de Girodelle, è tutta colpa Vostra.” Violaine lo prese in giro con un sorriso dolce, “Un requiem? Per una bimba? Avreste dovuto avere più giudizio. E poi i bambini hanno dei loro orari, vanno messi a letto presto. Vostra sorella è una eccezione, Mademoiselle Cassandra è molto precoce per la sua età ed ha una sensibilità incredibile ed un gusto eccellente, ma la piccola Sigyn sta giustamente godendosi appieno la propria infanzia, e Voi questo avreste dovuto rispettarlo.”

Cassandra a quel punto tagliò corto “E' un ricevimento molto semplice, in realtà, un incontro tra pochi amici: un po' di buona musica, un pochino di buona conversazione ed un paio di balli, ma siamo già in numero pari…”

“Non ti preoccupare,” disse Sigyn con un sorriso che le costò molta fatica, “mi spiacerebbe essere di troppo”

“Forse Victor potrebbe tenerti un pochino di compagnia,” disse Cassandra con condiscendenza, “ha sempre avuto molta pazienza con i bambini.”

“Si, mi ricordo che quando eravamo piccole era sempre gentile con te quando avevi paura del buio, ti aveva regalato una giraffina verde di stoffa.”

“Una vita fa.” disse Cassandra. Sigyn evitò di guardarla - che razza di amicizia era se era finita così in fretta e per così poco?

Poi Cassandra ricordò per la gioia di tutti di quando Sigyn desiderava tanto avere dei corteggiatori che le dicessero quanto era bella. "La più bellissima diceva..."
Sigyn a quel punto ebbe l’improvvisa voglia di cercare una pietra e tirargliela addosso, ma si trattenne.

Mademoiselle Violaine sorrise divertita “Oh piccola Mademoiselle Frivolité, ma Voi siete abbastanza graziosa! Non avete bisogno che ve lo dicano… E per i capelli ci sono persone che sanno fare miracoli, non angustiatevi troppo.”

“La vanità è un peccato.” chiosò Mademoiselle de Brizambourg con voce piena di sussiego, guardandola severamente. "L’umiltà è il primo ornamento di un'anima pura."

Sigyn annuì con aria grave “Chi può saperlo meglio di Voi?”

Clément tossicchiò fulminandola con lo sguardo. E Sigyn aggiunse in fretta “Nel senso che siete così bella…”

“Mi spiace interrompere la Vostra piacevole conversazione,” disse il paggio riapparendo tra loro con un accenno di inchino, “ma il coupé di Mademoiselle de Jarjayes è pronto ed ho recuperato il suo chaperon.”

 

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Capitolo 17
*** Visto da destra, visto da sinistra ***


Visto da destra, visto da sinistra

Sigyn divenne scarlatta - adesso ci mancava solo l’apparizione del vecchio giardiniere subito pronto a lamentarsi delle sue povere ossa e magari pure dei calli - che orrore! - oppure entusiasta di poter finalmente annunciare a qualcuno di essere stato rapito.
O, peggio ancora, quell'omino terribile avrebbe ricominciato con quell’orrore delle larve del 1746 o con il marciume degli ananas del 1737.
Sotto lo sguardo fintamente comprensivo, poi, di quella perfettina di Violaine, la nuova cara amica di Clément - accidenti a lei e alle sue forcine!
Sarebbero apparsi come una famiglia di matti in un Palazzo di matti.

“E’ già in carrozza e Vi aspetta lì,” il paggio le strizzò l’occhio, “credo che la giornata sia stata pesante e che brami la quiete del Palazzo come una rosa a mezzodì brama la frescura del pomeriggio.”

“Non sarebbe corretto trattenersi oltre, Vi saluto, quindi,” disse la ragazzina con un inchino elegante, “è stato un incontro casuale molto piacevole, e, immagino, sfortunatamente irripetibile.” Poi si allontanò in fretta -  non voleva esserci quando avrebbero capito le sue parole o quando si fossero chiesti se avevano capito bene.

Mentre stava avvicinandosi a Naso Corto, ogni passo come una stilettata per la sua povera caviglia, sentì il rumore di un paio di stivali dietro di sé.

“Sigyn, aspetta un momento.”

“Ho fretta, mi spiace.”

“Non mi era sembrato, prima” replicò Victor freddamente, affiancandola. “Hai dimenticato questi.” con gentilezza aprì il palmo della mano e le mostrò le sue forcine.
La ragazzina rimase lì senza sapere cosa fare, rendendosi conto che per prenderle avrebbe dovuto sfiorare la mano del ragazzo e che non ne aveva il minimo desiderio.
Si fronteggiarono per alcuni secondi, poi Victor fece sparire le forcine in una tasca. “Va bene, voltati per piacere,” disse mentre si sfilava i guanti con eleganza inappuntabile.

Sigyn obbedì, perplessa, poi sentì che le stava sfilando i fermagli dai capelli.

“No ti prego.” D’istinto gli fermò la mano. Le dita si sfiorarono e lei si sentì stupida perché alla fine lei era lei e lui era Clément ed erano amici, non avrebbe dovuto essere arrabbiata con lui, ma solo con Cassandra. E con Violaine. E con quella sputasentenze della Brizambourg. E anche con lui, tutto sommato, perché l’aveva presentata a quelle due come la solita Sigyn.

“Preferisci fare da sola?”

“No.” borbottò immusonita, poi aggiunse “grazie“ in un sussurro, tentando di essere la figlia di sua madre.

“Prego.”

“Per i capelli.” precisò Sigyn senza sorridere.

“Adesso non ti muovere, per piacere o facciamo un disastro...“ Sigyn intuì che stava sorridendo e un po’ le spiacque - Clément la faceva troppo facile. Poi sentì che le stava appuntando i ricci e glielo lasciò fare perché in fondo non era la prima volta.

“Per Cassandra questo è il primo piccolo intrattenimento da grande che organizza, sai?” disse il ragazzo in tono casuale e la ragazzina si irrigidì - le era chiaro che fino a che le teneva capelli e fermagli in ostaggio avrebbe dovuto ascoltare. “E non le capiterà spesso, almeno non a breve, perché non è poi così grande come crede. Ha passato giorni a riflettere su ogni dettaglio, dalla tovaglia, alle tazzine fino alla disposizione degli invitati: ci ha fatto uscire tutti matti, credimi”

Sigyn sbuffò, poi sussurrò “Guarda che non mi interessa…”

“Voleva ringraziare d’Ormesson, perché è stato non solo molto paziente ma anche molto efficace come insegnante. Cassandra è una ottima cavallerizza ed in Inghilterra si diverte molto - è molto competitiva, lo sai, è più il tipo da caccia alla volpe, o da turf -  ma ci teneva ad avere uno stile francese impeccabile. E al maneggio ha conosciuto Mademoiselle de Brizambourg, che è stata sempre molto cortese, per cui voleva invitarla.”

“Buon divertimento. Quasi quasi era meglio il requiem.”

“Non fare la petulante.”

“Sono troppo piccola per esserlo, al massimo potrei essere spontanea.”

“Sulla spontaneità non hai molto da imparare, credimi. Guarda che né a me né a d’Ormesson è sfuggito che stavi citando Montaigne.”

“Solo a voi due, però.”

“E aggiungerei per fortuna solo a noi due. Devo concludere la frase di Montaigne? Devo proprio? “A tutti succede di dire sciocchezze, l’importante è non dirle con presunzione”. La spontaneità è una cosa, l’arguzia un’altra ancora, ma essere maleducati è tutta un’altra faccenda. Ti sembrava il caso con Mademoiselle de Brizambourg?”

“E perché no? Avrebbe potuto aggiungerla al suo repertorio di frasi fatte!”

Victor trattenne un sogghigno, poi la fece voltare e con aria comprensiva disse “Ascolta, venire a sapere dell’intrattenimento da una indiscrezione in buona fede di Mademoiselle Violaine è stato imbarazzante.”

Sigyn si morse la lingua perché sulla buona fede avrebbe avuto qualcosina da dire, poi ammise riluttante “Non è stato piacevole.”

“Più o meno come scoprire che la tua più cara amica era ospite a Versailles da parecchio tempo e che si stava divertendo senza di te, spassandosela, piuttosto, con i paggi della scuola. Che ne dici?”

“Clément!”

“Sigyn!” il ragazzo la prese in giro senza cattiveria. Poi con voce molto seria disse: “Cassandra era qui quasi tutti i giorni, alla stessa ora, o con d’Ormesson o con Mademoiselle de Brizambourg, avresti potuto passare a trovarla.”

Sigyn non seppe cosa rispondere, forse avrebbe dovuto spiegargli che era arrivata solo quella mattina, perché se lui fosse andato avanti a pensare che erano settimane che si era trasferita a Versailles, allora ai suoi occhi ci faceva una pessima figura. Di colpo le sfiorò il dubbio che Cassandra ritenesse che d’Ormesson glielo aveva anche detto. Delle lezioni. Dei suoi orari, insomma, e che lei, Sigyn non fosse andata a trovarla nemmeno una volta, con tutto il tempo libero che sicuramente aveva.
Ma non poteva confessare adesso che il Nonno non la voleva più e che era venuta fin lì con un giardiniere folle a mendicare un aiuto perché nemmeno sua sorella la voleva sul serio. No, lei proprio non poteva, non con la Brizambourg che avrebbe sicuramente tirato fuori qualche altra frase fatta sulle ragazze cacciate di casa.

“Perché? Se ci fossimo incontrate mi avrebbe invitato?” ribatté ostile.

Clément era serio, le sollevò il mento per osservare il risultato del suo lavoro e poi disse con voce prudente: “Non so onestamente se ti avrebbe invitata per questo particolare intrattenimento: è una questione complicata, tu e lei siete amiche da sempre e avete sempre giocato insieme.”

“Tanto tempo fa.”

“Non mi sembra poi così tanto tempo.” Clément la stava prendendo in giro e Sigyn arrossì indispettita.

“Avete giocato assieme. Giocato. E adesso sta incontrando ragazze più grandi che non giocano più da qualche anno ed hanno qualche pretesa di conoscere il mondo. E’ normale che le sembrino speciali, ed è normale che voglia apparire più grande di quanto non è con quelle ragazze che sono più grandi, anche se poi non così grandi come credono di essere. Forse invitare te le sarebbe pesato moltissimo - sei la prova vivente che la sua infanzia è appena dietro l’angolo - e, in tutta sincerità, non so se alla fine lo avrebbe fatto, se avesse saputo che tu eri qui - ha pregato nostra madre di impedire ad Alo e a Maxence di esserci, renditi conto.”

“Quasi quasi mi dispiace aver chiesto.”

Victor smise di giocare coi suoi capelli e le sorrise “Stai bene. Ora tocca al cappellino.”

“Faccio io.” rispose Sigyn con sussiego.

“Come vuoi. Cassandra non è mai stata gelosa della tua vita in Normandia, dove te ne sparisci in continuazione invece di startene a casa tua. E non è gelosa dei tuoi balli in campagna, né di quando ti imbuchi in una festa a Versailles. Ha diritto anche lei ai suoi spazi. Riflettici sopra, per piacere.”

“Non mi importa nulla di quella festa.”

Alzò il viso verso Clément incerta, e lui le sistemò la tesa del cappello di paglia, poi le diede il braccio e l’accompagnò verso Naso Corto.

“E faresti bene “ disse il ragazzo, “perché sarà noiosa, non ci saranno discussioni argomentate, e nemmeno partite a carte, ma ci sarà un tentativo, che è giusto che ci sia, di mostrare la capacità di scegliere un intrattenimento musicale che sia quello che delle ragazzine immaginano piacerebbe a degli adulti, e di mostrare di aver acquisito tutte delle belles manières, evitando discussioni sgradevoli, battibecchi, e frasi ed atteggiamenti che possono provocare del rancore, come quella tua bella citazione di Montaigne, che, se colta, non credo avrebbe fatto piacere a mademoiselle de Brizambourg ed a sua cugina Mademoiselle Violaine.”

“Saranno noiose ed impostate.”

Victor alzò gli occhi al cielo - “Ci rinuncio.” esclamò irritato. “O non vuoi capire o sei ancora troppo piccola.” Sigyn sobbalzò e fissò lo sguardo a terra. “Io vorrei solo che tu capissi Cassandra: è in imbarazzo, non vuole essere scortese, non vuole discussioni, vuole il suo intrattenimento come se l’è sognato ed è molto arrabbiata con te perché ti ha visto qui, con LaRoche,” Victor arricciò il naso disgustato, “e perché da quando sei tornata non le hai mai scritto, né sei passata a trovarla, mentre è evidente che il tempo per venire a Versailles a divertirti per conto tuo lo hai trovato.”

“Non è così.”

“Sigyn, per piacere, stai facendo le stesse cose che sta facendo lei: stai facendo amicizie nuove, passi il tempo a fare cose discutibili con un paggio, gli racconti i fatti tuoi - immagino che gli hai pure raccontato che tuo zio ti porta a giocare a biliardo in quella specie di circolo per marinai, la Marée… io certe volte proprio non so cosa ti dice la testa! E per fare tutto questo hai trascurato le vecchie amicizie. Succede, è normale. Per te e per lei. L’importante è che sappiate di essere amiche e che questo non cambia nulla. Non dovresti offenderti, ma proprio tu dovresti capirla.”

“E’ stata orribile e cattiva.”

“Oh lo so.” Victor annuì con un sorriso divertito.

Sigyn lo fissò con gli occhi spalancati “E allora perché non le hai detto nulla?”

“Perché un buon fratello non lo vedi quando hai ragione, ma quando hai torto.”

Sigyn chiuse gli occhi ripensando a Joséphine e sentì che la rabbia le stava montando dentro. Per Cassandra, per Joséphine, Margot, il Generale, Madame Marguerite e soprattutto per Violaine. E pure per Oscar che aveva criticato John Donne senza nemmeno leggerlo. E per Clément che non si metteva contro Cassandra nemmeno quando aveva torto marcio, mentre nessuno a casa sua aveva sprecato cinque minuti per farle leggere quella lettera per permetterle di capire dove accidenti aveva sbagliato. Nessuno che avesse cercato di capire come si era sentita lei. Nessuno che fosse stato dalla sua perché, a quanto pare, tutti davano per scontato che lei avesse torto.

“Ascolta Sigyn,” proseguì Clément con voce molto irritata, “Alo è partito per l’isola di Jersey, ma prima mi aveva lasciato una cosa per te.” Victor sospirò, “A questo punto deduco che lui sapesse che eri già qui e che questo era il suo modo contorto di dire che c’era bisogno di tenerti d’occhio.”

“Non c’è bisogno proprio di niente.” Sigyn rispose piccata, evitando di guardarlo. “Sto vivendo la mia vita e non mi servono altri occhi oltre quelli che ci sono già.”

“L’ho notato.” Il tono di voce era gelido. “credimi, l’ho notato e ne prendo atto, cosa vuoi che ti dica? Anche se LaRoche è una pessima scelta come amico.” Poi con un sospiro aggiunse, “Dai Sigyn, mi occupo io di Naso Corto e tu e Cassandra salite in carrozza con la tua chaperone. Le chiedo il permesso di invitarti. Vieni a salutare Mademoiselle Violaine, che è stata così carina da prestarti le sue forcine, la ringrazi come non hai ancora fatto, passi da Palazzo Girodelle, prendi un tè con mia madre, evita per piacere di parlare di LaRoche con Cassandra, aiutala a scegliere le tazzine, e poi vi riaccompagno a casa. Domani torna anche Alo…”

“No!” Ormai erano arrivati a Naso Corto e Sigyn voleva solo starsene per conto suo.

“No?” Poi Clément guardò dentro il coupé e subito si voltò verso la ragazzina “Ma chi è che ti sta riaccompagnando a casa? Quel vecchietto col vestito sporco di terriccio sarebbe la rosa che brama la frescura del pomeriggio?"
Sigyn chiuse gli occhi, sentendosi morire.
"Uno chaperon, in assenza di un genitore o di un fratello," puntualizzò Victor con aria severa, "dovrebbe essere una donna sposata o abbastanza matura, una rosa lì lì per sfiorire, se proprio vogliamo rimanere nei paragoni floreali, con un carattere fondamentalmente severo e protettivo,il cui scopo è accompagnare una ragazza non sposata in pubblico. Non per tenerle compagnia, ma perché non sia possibile nemmeno l'ipotesi di un comportamento meno che irreprensibile.
Ora non che io sia una grande sostenitore di questa pratica, e non che tu ne abbia davvero bisogno, di una chaperone intendo, ma questa scelta mi pare abbastanza... peculiare. Ma Madame Marguerite tutto questo lo sa? O sei completamente fuori controllo?”

Sigyn sentì che le stava venendo da piangere, adesso avrebbe dovuto anche spiegare che era venuta di nascosto? Perché aveva scoperto che la lettera che aveva cercato di rubare era stata già rubata da qualcun altro? Non poteva, se farsi accompagnare da un giardiniere era male, figuriamoci "rubare"... non avrebbe mai capito.

“Mia madre lo sa. Mia madre ed io abbiamo una grande confidenza, cosa credi? Mère si fida di me, e mi capisce, senza bisogno che io le racconti proprio niente.”

Clément la guardò dubbioso e la ragazzina esplose “Non vengo con te da nessuna parte! E non perché sono fuori controllo e non voglio essere tenuta d’occhio da te che non ne hai nessuno diritto. Non voglio perché non so perché lo fai. Per poter avere qualche altra cosa su cui ridere con Alo e Maxence? Davanti a Cassandra poi! E poi pure davanti a Mademoiselle de Rambures-Brizambourg, magari, un nome di famiglia veramente ridicolo, tra l’altro.”

“Credo sia meglio che tu lasci fuori da queste sciocchezze Mademoiselle Violaine,” la voce di Clément si fece gelida ”che è stata fin troppo comprensiva con te. E, per tua informazione, i Rambures servivano sotto Enrico IV. Il nome sarà anche stato ridicolo, ma erano e sono gente in gamba.”

“Mi ha trattato come una bambina!”

“E’ quello che sei, Sigyn. E va benissimo così.”

“No che non va bene, non sono una bambina e non mi addormento sempre ai concerti e non sono… imparare per me non è un piacere… raro.” Sigyn sentì che tutto questo le faceva davvero male, in un posticino proprio dentro il cuore, ed intanto le tornavano in mente le parole del precettore e quelle di Madame Marguerite. Si sentì come uno scoglio che si stava sbriciolando sotto la marea.

Victor scosse la testa, “Su queste disquisizioni sulla profondità dell’educazione femminile, se me lo permetti, stenderei un velo pietoso. Non mi interessano e francamente non mi interessa il giudizio di chi emette questi giudizi.”

“Però tu su di me lo emetti.”

“E anche se fosse?”

“Quell’aneddoto, quello sui sette Re di Roma.” Sigyn sentì che le guance le bruciavano per la vergogna.

“Sigyn per piacere… non è stato raccontato con lo spirito che pensi tu.”

“Io non penso proprio niente! Piuttosto avresti dovuto dire con lo spirito che ha sottinteso tua sorella.”

“Sorella che era molto arrabbiata con te, e che conosce quella frase su Montaigne bene quanto te perché ve l’ha letta Alo, insieme ad alcuni brani degli Essais, prima che nostra madre, per questo motivo, si irritasse con lui e non poco.”

Sigyn arrossì.

“A Mademoiselle de Brizambourg è sfuggito cosa stavi dicendo, ma a Cassandra non è sfuggito che stavi insultando una sua amica, e che volevi sottintendere che si stava vestendo di piume non sue, mentre era più ignorante di una bambina ignorante che non conosce l’elenco dei sette Re di Roma. Cosa, che, le è chiaro, non è sfuggita a d’Ormesson.”

“E se anche fosse?”

“Questa è Versailles e non è la Normandia." la voce del ragazzo era davvero arrabbiata e Sigyn si sentì a disagio perché non riteneva di avere torto, ma sapeva che le cose che stava dicendole Clément non erano sbagliate. "Ascolta," riprese il ragazzo con un sospiro, "vieni a prendere un tè con noi, prendi il pacchetto di Alo, e ne parliamo con calma.”

“No, tu proprio non capisci!”

Victor a quel punto incrociò le braccia sul petto e la fulminò con lo sguardo. “No, io proprio non capisco e a questo punto temo che non capirò mai.”

“Io credo che tu mi debba delle scuse.”

“Addirittura! E per che cosa? Per avervi lasciato discutere come due bambine, quali siete, senza intromettermi e riportarvi a casa di peso?”

“Per i Sette Re di Roma.”

“I sette re di Roma?” Clément la guardò perplesso. “Ah questa poi… Va bene, ma ad una condizione.”

“Quale?”

“Fammi l’elenco. Qui, ora. Subito.”

Sigyn alzò lo sguardo e lo fissò interdetta, poi chiuse gli occhi, sentendo che non era giusto, non era giusto per niente. Aveva ripassato Virgilio, e i paradigmi dei verbi irregolari, ma perché per una volta non le chiedevano quello a cui sapeva rispondere? Per esempio perché non le chiedevano di Amleto? O del Castello di Hara? O delle poesie di John Donne? O di come si organizzava un progetto di cucito. O come pianificare il calendario per la preparazione delle marmellate. O i passi del minuetto. No, tutti fissati coi sette Re di Roma!

Rimasero a lungo in silenzio, poi Victor disse, irritato: “Ti sto prendendo in giro, Sigyn, accidenti! Ma cosa vuoi che mi importi se non conosci una lista  di nomi a memoria? Certo magari sarebbe meglio - molto meglio - se tu lo conoscessi questo benedetto elenco, non foss’altro che l’educazione femminile media è fatta di pochissime cose, e passa tutta per stupidaggini di questo tipo e non per Montaigne o la definizione di monarchia costituzionale.”

 

Fu a quel punto che apparve il paggio “Mi spiace interromperVi, ma avevo promesso a Mademoiselle de Jarjayes di trovarle un porteur per riaccompagnarla a casa… Sfortunatamente non ne ho trovato uno libero, tra quelli di cui mi fido, per cui lo farò io.”

“E’ così?” chiese Victor seccamente fissando Sigyn.

La ragazzina annuì ed il paggio sorrise.

“In tal caso” soggiunse Girodelle con freddezza studiata, “auguro a Mademoiselle de Jarjayes un buon viaggio di ritorno.”

Poi si congedò con un inchino.

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Capitolo 18
*** Arriva il momento di fare un po' di ordine ***


Arriva il momento di fare un po' di ordine

"Non passiamo per Palazzo Girodelle?"

"Un'altra volta" sussurrò la ragazzina con la schiena rigida, nella posa da dama perfetta che avrebbe reso orgogliosa sua madre.

“Ma le clematidi di Vostra madre...” chiocciò il giardiniere disperato.

“Scriverò un bigliettino, e fisseremo un appuntamento.” ribatté Sigyn con cortesia - lo avrebbe fatto, era suo dovere, altrimenti tutta quella giornata sarebbe stata senza senso e sua madre prima o poi si sarebbe chiesta perché mai si era presentata a Versailles, impolverata e zoppicante.
Se lo sarebbe chiesto e avrebbe capito.
E se lo avesse capito non le sarebbe piaciuto. Non avrebbe retto.
Mère andava protetta.
E poi la serra dei Girodelle poteva diventare un rifugio occasionale, lo capiva, come la Cappella della Regina per Madame Marguerite.
Almeno ogni tanto.
Il giusto.
Però solo quando Cassandra e Clément fossero stati altrove, magari appresso a quella vipera di Violaine con il suo collo lungo, il viso tondo, il nasino dritto e la bocca perfetta. Quando andare lì non le avrebbe fatto male, insomma.

Mademoiselle era già pronta come modella per qualche quadro di quelli che piacevano tanto a Clément: soggetti sacri, come quello che avevano tolto dal castello di Bellevue, a Meudon, quello che era stato della Pompadour. Si ricordava ancora di quella lettera scandalizzata.

Ad un certo punto, per Clément, lei era stata una amica con cui chiacchierare di quadri, pettegolezzi, ed idee che sospettava avrebbero urtato il Generale, il Nonno e lo zio Jean-Claude, anche se non contemporaneamente - Clément era una specie di Torquemada con un tocco da fetente.
Poi, senza nemmeno sapere perché, da "amica" era diventata di colpo una "bambina spettinata che batteva i piedi e faceva la scema coi paggi".
Ah Santa Violaine, protettrice delle bambine e delle forcine!
Faceva anche rima.

“Vostra madre era molto contenta del progetto e ha suggerito alcune migliorie, ma è importante a questo punto fare alcune verifiche con Madame de Girodelle.” La voce dell’ometto era severa.

“Le clematidi andranno piantate assieme alle rose, ma non da subito.” tagliò corto Sigyn, che si sentiva terribilmente stanca - poteva sorridere quanto voleva delle forcine di Violaine, ma la verità era che aveva vinto: Violaine aveva piantato le sue forcine molto saldamente nel cuore del suo migliore amico e in quello della sua migliore amica. Forse anche in quello di Madame de Girodelle.

Il vecchietto cominciò subito a borbottare in risposta alla frase della ragazzina, ma Sigyn non lo stava più ascoltando - magari non ci sarebbe stato bisogno di aspettare Boucher per un ritratto di mademoiselle Violaine, magari ci stava già pensando Clément.
Violaine tra le viole, sicuramente, una banalità scontatissima, messa in piedi solo per farle i complimenti sul riserbo, la modestia e la sensibilità spirituale.
Quando era una vipera.
Magari la più spirituale tra le vipere, ma comunque una vipera. Che tra le violette ci stava acquattata solo per mordere meglio la sua vittima.
E poi quello era il suo fiore preferito, dopo i papaveri, mentre lui, a lei, diceva sempre di non aver tempo per farle un ritratto, nemmeno a carboncino. Ah ma non glielo avrebbe chiesto mai più.
Però non le tornava una frase di LaRoche, non che in tutto questo disastro fosse poi così importante, ma non si ricordava, accidenti… LaRoche parlava così tanto. Ed anche il giardiniere, non la smetteva un momento.

“Ma il Vostro amico sa dove portarci? Non è che si perderà? Perché è facile perdersi se non si è pratici! Un paggio! Uno che non è mai uscito da Versailles! Finiremo chissà dove, nel Palazzo di chissà chi!”

Sigyn osservò LaRoche dal finestrino, sollevando le tendine di cuoio; i coupé come Naso Corto non erano pensati per essere guidati da un cocchiere, ma da un cavaliere, un porteur, che doveva cavalcare a sinistra del tiro, incitandolo e guidandolo. Ora lei, di cavalli, quando aveva lasciato Palazzo Jarjayes, ne aveva attaccati solo due - animali molto tranquilli - e il paggio non sembrava pretendere cose che quei due non potevano fare.
Se sapeva come, sapeva anche dove.

“Direi di si.” mormorò, “Per stavolta non finiremo sbranati dai cani da caccia di qualche barone nostro vicino, non temete...”

LaRoche parlava tanto, ma il guaio era che ascoltava pure.
Aveva preso il comando allo stesso modo di Clément, come quei due avrebbero fatto con uno dei loro cavalli. La prossima volta cosa avrebbero fatto? Le avrebbero porto una mela? Strofinato il naso dicendole di fare la brava?

“Non è un amico, però.“ sussurrò.

“No?” il vecchietto la guardò allarmato e Sigyn pensò che probabilmente il giardiniere si stava preoccupando del riscatto dei loro vasi e del prezioso terriccio dei Jarjayes, privo di larve e di muffe, invidia di tutta Versailles. Mentalmente sollevò gli occhi al cielo ma si trattenne.

“Non lo so.” la ragazzina incrociò le mani “Non conosco il modo di sciogliere… non lo so, sul serio, è molto diverso dal Nonno e dal Generale, vuole piacere ma non gliene importa davvero. E' come un nodo che non conosco.”

“Perché avete troppa fretta e troppe pretese come tutta la Vostra generazione, il seme e la pianta vogliono il loro tempo.” il vecchietto agitò il dito nodoso contro la ragazzina, nello spazio in fondo stretto del coupé.

 

Davanti al cancello si fermarono e lei rifletté che forse era colpa sua, che c’era un motivo se non piaceva alla gente. Il Nonno le aveva spezzato il cuore e ancora non aveva scritto allo zio Jean-Claude, che le mancava terribilmente.
Cassandra non era una persona facile, sarà stato tutto quell’andare a cavallo agitando un frustino, proprio come il Generale. Ogni tanto andava lasciata cuocere nel suo brodo, ma, di solito, la presentava come sua amica, una cara amica, forse la migliore, e adesso cosa era diventata per lei? Una bambina noiosa che voleva giocare invece di ascoltare un requiem, una specie di brutta abitudine che stava cercando di perdere come mangiarsi le unghie. 
Con Clément che le dava pure ragione. Non solo, pretendeva pure che lei capisse.

Quanto ad Oscar: non era contenta per motivi che sapeva solo lei - nemmeno la stava a sentire, con quella poesia era partita per la tangente e non s’era fermata più - Joséphine la detestava, per qualche ragione la riteneva indegna del nome che portava, mentre il precettore pensava che lei fosse cretina.
Clément si limitava ritenerla ignorante, cosa che, però, per lui, tutto sommato non così era importante perché tutte le femmine lo erano, a parte Cassandra e Mademoiselle Violaine, s’intende. A sentir lui
Se sua madre avesse ascoltato le parole di Clément sarebbe stato terribile: lei la voleva studiosa ed eternamente felice anche se solo un matto al posto suo avrebbe sorriso in questa situazione.

Non c’era proprio niente di cui sorridere.
A meno di non essere uno che riponeva la propria gioia nello stato del terriccio della serra.

O negli ananas.

Si sarebbe ridotta come il giardiniere? Quando la vita ti delude le larve restano l’unica consolazione?
 

Oh beh, certo, c'era una soluzione, se eri abbastanza nobile da poter andare a servizio dalla Regina, pensò stizzita. Abbandonare tutti.
Mère si era portata via i suoi orecchini, li aveva fatti riporre con cure dentro delle scatoline imbottite di velluto, e però aveva lasciato lì lei ed Oscar assieme alle boccette di profumo ormai vuote. E pretendeva pure che lei sorridesse?

 

Il paggio le aprì la porta compito “Se Vi serve un accompagnatore…” mormorò con un inchino.

Sigyn scosse la testa e la Roche annuì “Ad ogni tentativo di incatenare una persona corrisponde un piano di fuga, ma, per ogni fuga che riesce, esistono conseguenze a cui non si può sfuggire.”

“Deve essere bello sapere proprio tutto.” sospirò Sigyn senza guardarlo.

“Ammetto che da una certa soddisfazione.” il paggio si inchinò con grazia e a Sigyn venne da sorridere suo malgrado.

 

Mentre zoppicava impercettibilmente verso il Palazzo, ogni passo una stilettata il giardiniere borbottò “Avreste dovuto dirlo al Vostro amico, Vi avrebbe portato in braccio fino alla Vostra stanza.”

“Oh non credo proprio, si sarebbe spiegazzato il giustacuore e sapeva che Joséphine non avrebbe apprezzato il gesto in modo particolare. Non aveva niente da guadagnare.”

“Non parlavo del porteur!” replicò l’ometto con sdegno.


 

Salendo le scale pensò che se era colpa sua, e probabilmente lo era - non potevano sbagliarsi tutti, tutti assieme - forse l’unica soluzione per evitare un futuro fatto solo di terriccio e larve era diventare una persona migliore. Come diceva lo zio Jean-Claude. Migliorare se stessi prima di impicciarsi di come far migliorare gli altri.
Una perfetta damina di Corte. Non una come Violaine, per carità, quello era chiedere davvero troppo.
Forse sarebbe bastato essere carina con Joséphine, darle ciò che voleva. Avrebbe studiato davvero moltissimo, sistemato la serra come un gioiello, tenuto compagnia a Mère - le si strinse il cuore, quella stanza a Versailles era una tomba che man mano si chiudeva - avrebbe ascoltato tutti i requiem che avessero suonato a Parigi e sarebbe stata la sorella perfetta.
Magari piano piano loro avrebbero smesso di vederla come la Jarjayes riuscita male.
Ce la poteva fare.

Quando aprì la porta della sua stanza sentì che le mancava il fiato: le sue cose erano sparse ovunque. E i libri! I libri di preghiere per fortuna, erano sparsi in terra, aperti. Uno scempio!

Raccolse un paio di scarpette e le accarezzò. Poi furibonda lanciò uno strillo. Uno strillo così orribile che sembrava non finire mai


 

“Mi chiedevo quando saresti tornata.”

Sigyn si era seduta sul letto, sfinita “Quando? Come mai non se?”

“Nostra Madre ti ha rispedito qui, come prevedevo.”

Joséphine era davvero bella: alta, bionda, severa, anche se era vestita come un pasticcino con quel vestito rosa pastello pieno di ruches.

“Tu adesso pensi che io sia cattiva, ma io sto cercando di capire cosa hai combinato. Per trovare una soluzione.”

“Una soluzione?” Sigyn la guardò incerta - Joséphine il pasticcino avvelenato voleva aiutarla? A capire? A rimediare con il Nonno? In modo che se ne tornasse in Normandia? “Tu vuoi aiutarmi? Tu?”

“Certo. Non capisci che non è solo un problema tuo? Che si rifletterà su tutti noi? Nostro Padre non ha pensato…” la ragazza alta si tormentò le mani.

“Non ha pensato? A cosa?”

“Lui non ha pensato e basta. Lui ha pensato a te come ti vedono tutti, la piccola Sigyn, l’insignificante ultima femmina, il capriccio di Nostra Madre, la bambola di Horthense, ma io so che non sei così piccola. E ora tu devi aiutarmi ad aiutarti. Perché io sono la sola adesso, che sta pensando a farlo.”

Sigyn la guardò senza capire. Sospettava che Joséphine non fosse proprio completamente... padrona di sé, ma adesso? Era impazzita?

“Dammi quella lettera!”

Ah ecco, pensò Sigyn, delusa, non voleva aiutarla a tornare a casa, voleva solo evitare una scenata del Generale per via di quella lettera che era scomparsa.
“Non ce l’ho.” ribatté sdegnata, poi, pensando in fretta aggiunse, “L’ho consegnata al Generale e lui l’ha messa in un cassetto dello Studio. E’ lì!” Negare, negare sempre, pensò disperata. “Valla a prendere e leggila. Tu puoi...”

Joséphine la fissò a lungo, poi disse imperiosa “Dimmi cosa c’è scritto.”

“Non lo so. Lo vorrei tanto sapere anche io.”

“Tu non lo sai?” Joséphine era orripilata, “Tu non lo sai? Tu proprio non lo sai?” la ragazza le si avvicinò, fissandola, poi poggiò le mani sul letto, il volto a pochi pollici da quello di Sigyn, ”E allora se non hai capito nulla sei in un guaio molto più grosso di quello che credi.” Si rialzò di scatto, “E nostro Padre non è qui, lui non immagina… e ha lasciato tutto nelle mie mani…”

Joséphine camminò avanti indietro, tempestosa, mentre Sigyn la osservava senza capire. E' vero che il Generale aveva lasciato il Palazzo nelle mani di Joséphine, ma il Generale non era mica un fesso: se aveva gettato una lettera in un cassetto aperto senza curarsene non era colpa di Joséphine se qualcuno l'aveva presa. Joséphine non era mica Mère, bastava guardare lo stato dei camini per accorgersene! Figuriamoci se il Generale l'avrebbe considerata responsabile di qualche cosa! La solita esagerata.

In quel momento entrò Margot trafelata e Joséphine si ricompose. “Era entrata nello Studio con un libro proibito!” disse con aria soddisfatta.

“Che libro?”

“Non me lo ha voluto dare.”

“Non te l'ho dato perché non avresti saputo dove metterlo.” precisò Sigyn stancamente. "Sarebbe finito perso per sempre in un posto non suo."

Margot divenne scarlatta “Ha insinuato che non avrei saputo leggerlo!”

“E’ quello che ho appena detto!” ribatté Sigyn stancamente."Non sono un poeta, non serve fare la parafrasi di ogni cosa che dico."

“Un libro in una lingua straniera, quindi! Dallo a me, sbrigati.” la voce di Joséphine non ammetteva repliche.

“Ho cambiato idea, intendo tenerlo e studiarlo.”

“Ah questa poi! Nostro Padre avrebbe dovuto far bruciare tutti i tuoi libri non appena sei arrivata! Sei troppo giovane per leggere da sola! Se poi leggi davvero da sola! E sei troppo giovane per leggere quello che leggi! Qualche porcheria inglese, sicuramente, figuriamoci, in Normandia, fuori controllo completamente… poveretto nostro Padre... l'ennesimo fardello da sopportare.”

“Sono solo libri di preghiere...” Sigyn accennò ai libri sparsi in terra con un gesto irritato.

“Oh ne avrai un gran bisogno credimi… eccome se ti serviranno! Dammi quel libro!”

“Lo aveva riposto in una tasca del vestito, quella di destra!” esclamò trionfante Margot.

“Cosa succede?” Tutte e tre si voltarono verso Oscar, che le stava fissando con gli occhi spalancati.

“Sigyn non vuole darmi un libro.”

“Mi serve,” disse Sigyn ostinata.

“Voglio solo vederlo.” insistette Joséphine gelida. “Non uscirai mai più da questa stanza. Non fino a che non me lo avrai mostrato.”

“E daglielo!” disse Oscar, severa. “Piantala di impuntarti solo per il gusto di farlo.”

Sigyn alzò le mani in segno di resa, poi si lasciò andare sul letto, le mani incrociate dietro la nuca, “Prendetevelo,” disse con un sospiro, “prendetevi tutto. Tanto ormai...”

Sentì le mani di Margot che la frugavano senza un briciolo di cortesia, poi la ragazzotta porse con aria trionfante alla giovane dama in rosa un librettino. Oscar si sporse interessata “Ah bene! Allora ti sei davvero messa in pari, come avevi scritto al precettore…”

“Ho ripassato tutti i verbi irregolari.”

“Ago?” la interrogò Oscar, severa, aggrottando le sopracciglia.

“Ago, agis, egi, actum, agere.”

“Colo?”

“Colo, colis, colui, cultum, colere.”

Margot si fece il segno della Croce spaventata, mentre Joséphine porse il libro ad Oscar “E’ Virgilio? E’ quell’autore latino di cui mi parla in continuazione il vostro precettore?”

“Si, vedi?“ Oscar le mostrò il frontespizio. “Oltre a tradurlo lo usiamo per ripassare la grammatica. Vanno studiati i verbi, e lei era indietro.”

Joséphine raddrizzò la schiena e veleggiò elegante verso la porta “Resterai qui fino all’ora di cena. Nel frattempo rimetti tutto a posto.”

“Non credo proprio.” esclamò la ragazzina piccata, ma Joséphine si voltò e le sorrise “La tua indisponenza, signorinella, sta diventando particolarmente irritante” disse freddamente, “Dato che a quanto pare stai studiando il tuo latino, beh, ti lascio un consiglio che immagino comprenderai… Ora et labora.” Dopodiché lei  e Margot se ne uscirono senza nemmeno degnarla di una occhiata.

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Capitolo 19
*** Ci si sente tutti molto soli ***


Ci si sente tutti molto soli

Caro Nonno,

mi manca tanto il rumore del pontile sotto i miei stivali. E lo sciabordio dell’acqua che si rompe davanti allo scafo.

A proposito, è stato perché sono rimasta fuori tutta la notte il giorno della tempesta? Guarda che non c’era altro da fare: nelle favole ci sono eroi che salvano le damigelle dagli orchi e dai draghi, ma non ci sono eroi per cose come il vento e l’acqua salata. In quei casi le damigelle è meglio se fanno da sé. 
Anche se Oscar - Oscar! - tutto questo non lo sa: pensa che le "femmine" siano inutili, senza spessore, senza un briciolo di testa e senza un interesse al mondo a parte la dimensione dei loro panier. Questo detto da una il cui interesse principale è cercare di colpire un poveraccio con un pezzo di ferro mentre gli saltella intorno.

Non se ne accorge, ma mette nei guai André - lei è il drago, uno cucciolo e con le scaglie dorate, pasticcione e tutto sommato simpatico.
Mentre la damigella delicata di Palazzo Jarjayes temo sia proprio lui, “il Grandier”, perché Joséphine quanto a delicatezza non rientra nei parametri minimi.
Sono due giorni che mi fissa come un coccodrillo acquattato in un’ansa del Nilo. Joséphine. Perché André non  avrebbe il coraggio, e se anche gli venisse, viene continuamente comandato a bacchetta (e a mestolate) da tutti per cui non avrebbe proprio il tempo materiale di starsene acquattato. 

Quanto a me, alla lista delle cose sbagliate che potrei aver fatto e che non so, se ne sono aggiunte altre di cui sono consapevole. Per esempio ho rapito il giardiniere. Ho mentito a Mère e alle mie sorelle - ma su cose diverse, altrimenti sarebbe stato troppo facile - e forse ho litigato con Clément. Lui pensa cose non tanto carine su di me - si mettesse in fila - però ormai le pensa senza di me. Ho deciso e mantengo la mia posizione.

Anche se, spiace dirlo, pure se trattasi di decisione di grande effetto, non è un granché dal punto di vista della soddisfazione personale.

Spero che almeno tu stia bene, perché qui non sta bene proprio nessuno.
Con affetto

Sigyn



“Se vuoi possiamo andare a Sèvres.”

Sigyn scosse la testa, troppo concentrata sul libro che stava leggendo ad alta voce per tutti e tre.

“Pensavo ci tenessi.” insistette Oscar, brusca.

“Per fare cosa?”

“Non ne ho idea.” Oscar si spostò i riccioli biondi dalla fronte, cercando con tanta  pazienza di non sbuffare. “Sembrava che tu avessi dei grossi progetti per quelle tazzine.” Tacque di botto, vedendo che sua sorella si stava passando una mano sugli occhi in modo sospetto.

André accarezzò distrattamente il gomito di Oscar con la punta delle dita. “Posso leggere io, adesso?” chiese il ragazzo con cortesia, "Mi pare che sia arrivato il mio turno."

 

Caro Clément,

mi piacerebbe tanto riuscire a scrivertelo questo benedetto biglietto, e, soprattutto, vorrei trovare il coraggio di spedirlo.

Che vuoi che ti dica? Che mi dispiace di non essere venuta con te a prendere quel famoso tè?
Certo che mi spiace. Anche perché la tua casa era il mio piano di riserva e questo, lo so, non suona molto carino; quel giorno sarei dovuta passare proprio da voi con la scusa delle clematidi.

Non è che volessi intrappolare il tuo affetto, però un pochino è così: voi Girodelle avete i mezzi e la possibilità di offrire un rifugio sicuro ad una Jarjayes per via dei vincoli di amicizia tra il Generale e Monsieur Henri e tu sei sempre protettivo con quelli che ti stanno a cuore.
Una casa dove andare temporaneamente se le cose si mettono male è una carta da tenersi ben stretta, sai? Per giocarla al momento giusto.
Solo che è proprio una cosa meschina.
Da un gusto di cenere alla parola amicizia.

Per cui probabilmente è meglio se non sono venuta. In fondo io non sono affatto una damigella in pericolo.

Sigyn chiuse gli occhi.

Forse sarebbe stato diverso se ti avessi scritto subito, magari mi avresti accompagnato tu a Versailles, ma così avresti visto Mère e io non l'avrei sopportato.

O forse le avresti svelato che il Nonno mi aveva cacciata di casa e che a casa non c'è proprio nessuno che si prenda cura di nessuno - a parte André, che però viene zittito a mestolate per cui conta fino ad un certo punto.
Io non lo so perché ma a te viene ogni tanto questa voglia di dire esattamente le cose come stanno - solo che a quel punto, non credo proprio che sarebbe bastata una tazza di tè per fare stare meglio Mère.
E suppongo che, nel caso, mi sarei arrabbiata moltissimo.

O forse avresti dovuto scrivermi tu, dandomi degli indizi su Mademoiselle Violaine. In fondo non è che non lo so che frequenti altre persone oltre Cassandra e me... è naturale. Ci sarei arrivata più preparata al maneggio, e sarei stata, magari, molto più gentile con lei.

Quello forse era vero, Violaine le era sembrata una intrusa che la stava scacciando dal suo posticino, ma, probabilmente, l'intrusa era lei, che pretendeva di venire prima della ragazza che Clément stava corteggiando.

Prese la lettera, la ripiegò e la chiuse nel suo scrittoio portatile, con un sospiro.
A quanto pare era meglio se per un pochino non si fossero visti.


A Madame Marguerite parve che i colori delle vetrate si andassero deformando in grappoli tremuli mentre il cielo gradualmente si spegneva. Strinse nel pugno il Rosario e cercò di ricacciare indietro le lacrime - qualcosa adesso non andava, solo che non avrebbe saputo dire cosa.  

La Dama accanto a lei sussurrò cortese dietro al ventaglio “Ho saputo che una delle Vostre ragazze è venuta a trovarVi.”

“La Numero Cinque,” rispose, “la bambina.”

“Uno dei paggi della Regina, uno del primo anno, mi ha detto di averla vista giocare a biliardo con uno del terzo.”

“Era scandalizzato?”

“Più ammirato che scandalizzato, direi” l’abito di seta grigia frusciò sotto le dita accurate della donna “I paggi sono sfrontati e molto alla moda, ma in fondo vengono tutti da paesini con le case di pietra, e una piazza con al centro una croce di ferro.”

“Capisco cosa intendete,” sussurrò Madame Marguerite con un sorriso indulgente “sala da pranzo in pietra, scale a spirale, pavimenti di legno scuro, governanti scorbutiche, e animali domestici che girano per casa.”

“Sobrietà ed interesse sincero per chi vive nella loro orbita, amici, contadini o servitori,” un piccolo sorriso segreto curvò leggermente le labbra della dama, “in casa ci sono persone di almeno un paio di generazioni - qualcuno è anche un po’ eccentrico - e i più giovani vanno a pesca, sconfinano per la caccia nei boschi del vicino, bevono birra o sidro nelle taverne, dove incidono i loro nomi nel legno dei tavoli...”

“E ammirano le ragazzine che giocano a biliardo?” Madame era dubbiosa. I paggi sapevano essere terribili all’occorrenza. “Pensavo che trascorressero il tempo desiderando la nostra morte, per potersi finalmente mettere in mostra ad un funerale.”

“E’ il cinismo della giovinezza - e quel mantello coi galloni d’argento è bello davvero. A quattordici anni smaniavo per essere invitata a Corte per un ballo: avevo un vestito di seta di nanchino e delle pantofoline con la fibbia dorata e non vedevo l’ora di poterle sfoggiare. Le donne con solo una decina d’anni più di me, mi sembravano appassite.” Scosse la testa. “Per loro siamo solo vecchie civette appollaiate su un ramo bruciato da molto tempo. L’unica cosa interessante che potremmo ancora offrire è prendere il volo in modo solenne...” la donna sorrise divertita, “e prima o poi capiterà, lo so. Ma non ora. Questa vita sarà pure un po’ logora ai margini, ma conserva ancora intatta una gran fetta della sua bellezza.”

Madame Marguerite annuì per abitudine - il logorio per lei non era solo ai margini: c'era stato un tempo in cui si era scoperta ardente come la brace tra le mani dei Augustin, possibile che di quell’amore fosse rimasta solo la cenere postuma? Succedeva anche agli amori di lasciarsi ricoprire dalla polvere, come ai soprammobili di una stanza in disuso? Era possibile soffiarla via? O, se uno ci avesse provato, avrebbe scoperto che sotto il peso dei granelli del tempo, gli amori semplicemente svanivano? 

Poi, seria, la Dama soggiunse, “La piccola sapeva quello che stava facendo, ma difettava un pochino di pratica.” 

“Per fortuna, direi.” sospirò Madame Marguerite, che faceva fatica a concentrarsi. Essere "pratiche" di qualcosa che non fosse la danza, il canto ed uno strumento non le sembrava appropriato.

La Dama vestita di grigio le lanciò uno sguardo incuriosito “La maggior parte degli uomini, impara a camminare da una donna. Non capirò mai come riescano a convincerci, ad un certo punto, che proprio noi, con cui hanno mosso i primi passi, non si debba andare proprio da nessuna parte.” 

“Solo uno sciocco sfida le convenzioni della sua epoca.” la voce di Madame Marguerite era incolore e subito avvampò tormentandosi le mani. Il pensiero era corso ad Oscar, la sua bambina intensa e testarda, che si illuminava solo con l’approvazione di Augustin.

La Dama si morse il labbro inferiore - quello era un territorio dove non era saggio indugiare, poi tagliò corto “Comunque sia il paggetto mi ha confessato che la giovane demoiselle gli ricordava una delle sue sorelle.” 

“Noblesse campagnarde, metà della sua educazione.” Marguerite si sentì stanca, “Per l’altra metà forse ho davvero fallito. Fallire è la cosa che mi riesce meglio.” Senza forse, pensò, aveva fallito nella cosa in cui perfino le cagne da caccia di suo marito non fallivano mai - il suo corpo non era stato il porto sicuro del suo unico maschio, i suoi fianchi avevano sciolto la presa, il piccolo era nato prima del tempo. Il resto solo dolore.

“Tornerà?” chiese la donna con voce incoraggiante.

Madame Marguerite pensò che del suo matrimonio erano rimaste solo macerie, le bambine ormai stavano svanendo nei loro altrove - Joséphine era quasi imbarazzante nel modo in cui si sentiva padrona del mondo, le ricordava Augustin. Per loro non aveva più nulla dare, ammesso che avesse mai dato qualcosa che davvero valesse la pena ricevere. 
Le ultime due, invece, erano un rimorso che le sbranava il cuore.

La donna aggiunse “Sarebbe gradevole vedere un viso giovane negli appartamenti della Regina. Un viso che... le piacerebbe.” Madame Marguerite fece cenno di aver capito - la Regina, come Regina, era rispettata ed apprezzata. Come donna era tutta un’altra faccenda: era stata messa da parte per altre più giovani, più sensuali, o più interessanti. Più intriganti.
Più sgualdrine.

Lo sapevano tutti.

Augustin l’aveva già sostituita? Con una con cui era solo una questione di sesso? O dopo averlo fatto parlavano tra loro? Discuteva con lei di cose che non aveva mai discusso con sua moglie?

“Ci vorrebbe un po’ di allegria ogni tanto.” La Dama le parve rattristata. 

Con la Regina - e con le dame della sua Maison -nessuno a caccia di potere andava oltre la cortesia formale ed i suoi appartamenti accoglievano solo vecchi amici e nessun intrigo.
Si chiese cosa vedesse mai la Dama vestita di grigio nella sua demoiselle campagnarde. Qualcosa di degno di attenzione come pensava suo suocero? O la stupidità di un animaletto ammaestrato, come nel caso di Augustin?

“Non lo so.” Non hanno bisogno di me, pensò, sono felici e spensierate, giocano a biliardo, vanno a cavallo, Oscar aiuta sua sorella nei compiti, Joséphine sorveglia che tutto vada bene. Non hanno bisogno di me e quella non è più casa mia. Quello è solo il posto dove è sepolto il mio bambino. 

C’erano giorni che si sorprendeva ad immaginarlo - a volte lo teneva per mano - una assenza che le riempiva la vita. 

Inutile giocare il gioco dei se e dei ma: se fosse vissuto, Oscar non sarebbe mai nata. Forse lei sarebbe stata finalmente una buona madre, perché Augustin non l’avrebbe scoperta debole e non avrebbe mai preso una decisione così terribile come quella che aveva preso su Oscar. Ma non sarebbe mai esistita nessuna Oscar, se il piccolo fosse vissuto, non avrebbe mai cercato un altro bambino. E se fosse successo Oscar non sarebbe mai stata la sua Oscar, la sua bimba forte, quella speciale, l’orgoglio di suo padre. 
Non c’era modo di avere tutto.

“Non è il posto per lei. Non credo.” sospirò. “Non la incoraggerò a restare.”

Non aveva la forza per poter sistemare le cose; peggio - le mancava anche la speranza. Non puoi vincere una battaglia quando ami il tuo avversario con tutto il cuore “Io non servo. Non servo ai vivi.” 

L’altra donna la osservò preoccupata, ma non disse nulla. 

 

Oscar sfiorò con il dito una pedina - preferiva altri tipi di giochi, ma Sigyn faceva fatica a camminare anche se si ostinava a far finta che non fosse così. Erano tutte e due sul letto di Sigyn, sedute a gambe incrociate.
Sigyn era avvolta nel suo vecchio banyan verdeblù, che le stava proprio largo, i capelli ricci e rossi tenuti fermi da un nastro civettuolo dello stesso colore.
Oscar indossava i pantaloni neri di panno ed il giustacuore di seta verde muschio. Era presto, ma Joséphine era uscita con degli amici e poi se ne sarebbe andata a teatro.

“Io quello non lo farei se fossi in te!” La voce della ragazzina dai capelli rossi era sdegnata.

“E perché?” chiese Oscar sospettosa.

“Ma tu? Tu lo sai che ruolo hai? Tu lo sai che muovi i bianchi vero? Lo sai, vero, che il tuo scopo è che vincano?” Sigyn la guardò severamente ed Oscar notò che gli occhi erano rossi. Di nuovo.

“Non ci vengo a Versailles, sappilo!” mugugnò scontrosa, d’impulso.

L’abbraccio di sua sorella la sorprese, si ritrovò stretta contro di lei senza quasi poter respirare.
“Non te l’ho chiesto e non te lo chiederò mai più!” la sentì mormorare, “Tu stai bene qui, Versailles… non è... non è il posto giusto...” Poi Sigyn guardò Oscar timidamente “Io però ci torno. Da sola. Tutte le settimane. Solo per un giorno alla volta. Ma ci torno.”

“Non mi hai ancora detto cosa hai fatto lì.”

Sigyn le scoccò un sorriso malizioso “Mi hanno fare il bagno e mi hanno dato una poltiglia contro i pidocchi.”

“Questa poi!”

“Lascia perdere… dei pazzi scostumati. Però il sapone era molto buono, sapeva di rose. Ne ho preso un bel pezzo e l’ho messo in camera tua.”

“Chi hai incontrato?” Oscar si era irrigidita e Sigyn si fissò le mani - era dura per Oscar non essere la numero uno, lo capiva. Sua sorella veniva da sempre prima di tutte loro per il Generale, per Mère, per Nonnina e per André. Il suo mondo finiva lì. Sempre sola, ma mai da sola.

Mère era molto bella e tanto indaffarata. La Regina non la lascia andare via.” si vergognò orribilmente nel dirlo, perché era vero solo a metà. La stanza di Mère era lugubre, il suo viso era stanco, gli occhi segnati ed i discorsi un po' troppo svagati. Se ci fosse stato in casa un fratello maschio, uno vero, lui avrebbe potuto dire qualcosa a questo punto - Clément lo avrebbe sicuramente fatto per Cassandra. E se fosse stato complicato, ci si sarebbero messi anche Alo e Maxence.
“Ha parlato tutto il tempo di te, le ho detto che mi aiuti con i compiti, sai?”

Il visetto di Oscar sembrò ammorbidirsi e Sigyn sospirò di sollievo dentro di sé “Io ci vado, ma solo se a te non dispiace.” disse d’impulso.

“Non mi dispiace per niente, sei sempre tra i piedi!”

Sigyn le baciò una guancia ed Oscar le diede un colpetto imbarazzato sulla spalla “Hai finito con queste smancerie?”

“Penso proprio di sì.” la voce di Sigyn era maliziosa. Le mani della ragazzina scivolarono lungo ai fianchi fino a raggiungere le costole. Poi prese a farle il solletico.

Si rotolarono per il letto ridendo.


"Se vuoi resto qui stasera, leggiamo un po' e ti tengo compagnia. Se hai paura, voglio dire, perché stasera Joséphine non c'è. Per via del temporale intendo."

Sigyn arrossì, mentre la pioggia ticchettava contro i vetri. Poi sussurrò che sarebbe stato per un'altra volta - doveva studiare.

Oscar socchiuse gli occhi - era certa che sua sorella le stesse mentendo. E che, peggio, se ne vergognava.
Rotolò giù dal letto con eleganza ed uscì dalla porta senza guardarsi indietro.


Più tardi, mentre spiava il corridoio di servizio da uno spiraglio della porta, Oscar vide André che sgattaiolava in camera di sua sorella con qualcosa sotto la giacca. Poi li vide scendere le scale di servizio in punta di piedi - lui le dava il braccio, era premuroso, lei era proprio più magra rispetto a quando era tornata.

E bisbigliavano. Quei due bisbigliavano tra di loro.

Richiuse la porta senza fare rumore. Aveva fatto bene a verificare - le erano sembrati strani, quei due, dopo la fuga di sua sorella a Versailles. Cosa ci fosse andata a fare non s'era capito: era tornata con progetti ed istruzioni, un poco più dolce e parecchio più triste. Perfino Joséphine ormai la fissava preoccupata.
Quella sera era scivolata nel suo letto con un sacchetto di biscotti dei suoi, ancora caldi, e le aveva bisbigliato che a Versailles s'era sentita prima stupida, poi trasparente, e infine indifesa.
E adesso quella scema ci voleva pure tornare?
Prese il sapone che le aveva regalato Sigyn, lo annusò, poi, di scatto, lo gettò contro un armadio, per pentirsene subito dopo.

Scese nell’Atrio, decisa a non incontrarli - se l’avessero voluta l’avrebbero avvisata dei loro progetti. A quanto pare invece quei due avevano i loro segreti. Quanto a lei non era interessata alle loro cretinate. Il rancore le stringeva il cuore come una corona di spine lasciandola senza fiato.

Le venne incontro Nonnina, agitata.

“C'è qualcuno con un pacchetto per Mademoiselle de Jarjayes; qualcuno deve parlarci!”

“Ditegli di passare per le cucine e lasciarlo lì. E dategli una moneta per il disturbo!”

“Ma non è un mendicante! Va trattato con cortesia..." Nonnina si torse le mani agitata. "Proprio stasera che Mademoiselle Joséphine non c’è!”

Oscar alzò gli occhi al cielo, “Me ne occuperò io,” sbuffò irritata “sono io il figlio di mio Padre, e le mie sorelle dipendono da me. Caccerò questo tizio a colpi di stocco, se serve.”

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Capitolo 20
*** Ogni tanto però c'è qualcuno ***


Ogni tanto però c'è qualcuno

Erano nella Cucina Piccola, una volta destinata alla preparazione dei dolci, ma ormai, da moltissimo tempo, il regno quasi segreto della ragazzina, l'unica tra le Jarjayes che non sarebbe mai morta di fame se le cuoche avessero abbandonato in massa il Palazzo.
La stanza era tutta dipinta di toni di blu, sulle mensole erano disegnati dei fiori, mazzi di erbe essiccate erano appesi a testa in giù e sotto la luce della finestra più ampia era stata piazzata una serra per delle piantine - era opera dello zio Antoine-Benoit ed era stata costruita in un modo in cui in giro non se ne vedevano proprio: struttura in metallo, pannelli in legno e vetro, e delle carrucole in miniatura. Una cosa bislacca, perché tutte le serre che si rispettavano, al momento, erano fatte di pietra e ospitavano dei larghi camini.
Una cosa bislacca ma di cui la piccola diceva meraviglie.

André, con gran cura, stava incollando la copertina di un libro di preghiere su uno dei romanzi di Sigyn.

“Ma come fanno, poi, a piacerti queste storie?” borbottò sdegnoso . 

“Ne hai mai letta una?”

“Non ce n’è bisogno, il Generale ha già detto a me e ad Oscar tutto quello che c’era da sapere sull'argomento: l’eroina femminile è un pessimo esempio di mancanza di virtù, di solito. ”

“E sapendo questo, tu davvero non ne hai mai letta una?” Sigyn lo guardò da sotto in sù, divertita, distogliendo lo sguardo dal suo lavoro, simmetrico rispetto a quello del ragazzo. 

André arrossì nella penombra bluastra della Cucina Piccola e la ragazzina proseguì, evitando di sottolineare il fatto che lui non aveva affatto risposto: “Comunque il Generale sbaglia, nelle storie che dice lui l’Eroina è molto virtuosa, così virtuosa che non è toccata minimamente dal male del mondo e vive costantemente ignara, in un posto dove non ha contatti con nessuno." scosse la testa, "Un po’ come Oscar.” rifletté a voce alta. "Proprio un pochino come Oscar, a pensarci bene."

“Perché? La solitudine intendo, perchè?”

“Non lo so. Forse perché quando conosci qualcuno prima o poi una discussione ci scappa, e non so quanto una possa rimanere così virtuosa, dopo. Non so te, ma certe persone mi fanno diventare gelosa, irritata, altre tirano fuori il peggio da me. Altre, invece, mi fanno diventare triste… E ad altre scopri di non piacere e vuoi sapere perché. Più gente conosci, meno diventi buona. ” Sigyn socchiuse gli occhi - le tornavano in mente le parole di Alo, di una sera di tanto tempo prima, che certe bugie erano come dei rammendi ben fatti: funzionavano, ma a patto di non guardare troppo da vicino. Era per quello che Oscar doveva stare isolata, anzi, era per quello che doveva detestare la compagnia degli altri.

“Quindi l’Eroina ha un carattere moralmente superiore a quello della gente comune?”

“In un certo senso.” La vocetta di Sigyn sembrava dubbiosa, ma, comunque, annuì. “E’ una specie di ispirazione per gli altri, mettiamola così - una pietra di paragone.”

“E cosa sa fare? Suona qualche strumento?” André arrossì, imbarazzato “si allena con la spada, magari?”

“L’Eroina? Ma no!” Sigyn lo guardò scandalizzata, “L’Eroina non deve imparare proprio niente di niente, perché se si impegnasse ad imparare qualcosa vorrebbe dire che ha perso la sua fede nella bontà come sua unica arma. Ma pensaci su un attimo, se una è innocente, e pensa che tutti siano in fondo buoni e non è mai stata corrotta dal male del mondo, ma perché mai dovrebbe voler imparare ad usare una spada?”

“Perché è di moda?” suggerì André. 

“Ah! Adesso uccidere è di moda?”

André si grattò la fronte pensieroso. “Potrebbe non essersene resa conto… Vederlo come una abilità tecnica... o una tradizione?”

“Una Eroina che si rispetti non pensa alle spade, forse ad uno strumento si, potrebbe, ma ad un’arma no! Escluso! E non sa cucinare, né cucire, né organizzare una dispensa! Né sparare o tirare con l’arco, o andare a cavallo alla francese e nemmeno all’inglese! Non sa riconoscere la caratura di un diamante! E non conosce i Sette Re di Roma e nessuno ne fa una questione di Stato!” Sigyn era davvero irritata ora. 

“Ed è per questo, allora, che non piace al Generale?” Il Generale metteva molta enfasi nell’istruzione, rifletté André, e non avrebbe apprezzato una Eroina con delle evidenti lacune in storia. Ed anche l'equitazione... era importante, cosa è un uomo senza il suo cavallo? Dove mostra la sua fierezza, l'eleganza, l'attitudine al comando? 

“Guarda, io questo proprio non lo capisco.” sussurrò Sigyn con tono complice, spalancando gli occhi “In realtà al Generale dovrebbe piacere moltissimo: è il suo ideale di figlia femmina, se ci pensi bene. Una da mandare via in un convento da piccola in un posto isolato, così, quando torna a casa, dirà sempre di sì perché tanto non capisce niente di quello che le chiedono. Deve solo essere carina, sorridere, vestirsi bene, saper usare le posate giuste a tavola ed essere obbediente. E l’Eroina è proprio così, tutta grazia, eleganza e bontà. E per farle fare tutte queste cose non la devi nemmeno frustare... ”

“Non mi sembra una tipa molto interessante questa tua Eroina, però.” André le lanciò uno sguardo dubbioso. Non che il discorso di Sigyn non avesse una sua logica: in effetti il Generale metteva tutta la sua enfasi nell’istruzione solo quando si trattava di Oscar… anche se pure a Sigyn toccava la sua parte di bacchettate. Forse le bacchettate erano una iniziativa del Precettore? Forse perché Oscar era la sola tra le sei sorelle a essere quello che non era? Ma Sigyn cosa era allora?

“Ma certo che l'Eroina è interessante!” lo sdegno di Sigyn interruppe il corso dei pensieri di André, “Se c’è una botola, lei ci cade dentro, se c’è un oggetto che non deve assolutamente perdere, lei lo perde, se c’è una cosa che non deve toccare, la tocca, se le tendono una trappola, lei ci va di corsa! Senza l’Eroina non succederebbe nulla di interessante. Senza di lei, sai che vita noiosa?”

André sorrise con benevolenza “Hai ragione, l'Eroina è un pochino come Oscar… a parte la spada s’intende… Però non capisco, che ci trovi tu in queste storie?”

“Cosa vorresti insinuare?" Sigyn gli scoccò un'occhiata gelida.

“Niente, niente... era solo una curiosità...”

“Alcune sono belle e poi spesso io…” Sigyn arrossì e abbassò lo sguardo sul suo libro, sistemando con cura i margini. “C’è la storia d’amore, per esempio, che è bellissima...” sospirò. “Lui la ama sempre così tanto, mica la rimprovera se si è persa qualche forcina, che ti credi? Per lui, lei è sempre perfetta... magari non perfetta perfetta, nessuno è perfetto, ma giusta. E quando la bacia... non so se puoi capire... sento lo stomaco che mi si stringe ed il cuore che batte... oh ma cosa ne vuoi capire tu?”

André la guardò perplesso e la ragazzina proseguì imbarazzata, senza guardarlo “E poi… a volte... Io a volte… non sempre sempre, solo a volte… Io a volte tengo per il cattivo, ecco. E per i personaggi secondari.”

André la guardò esterrefatto. Ma si astenne da ogni commento. 


Victor Clément de Girodelle osservava con interesse le pareti del Salottino Piccolo, dove lo avevano relegato - un delizioso ambiente rocaille, progettato da Madame Marguerite, tutto curve sinuose e colori pastello. 

Arti decorative, arti innocue, arti femminili, mormoravano alcuni, sottintendendo che alla Académie Royale de Peinture et de Sculpture gli intellettuali non avrebbero mai esposto i quadri con cui, nel frattempo, le loro donne adornavano le loro case. 
Sfuggiva che le donne potevano disporre di denaro, alcune potevano accedere ad una istruzione, e di certo molte erano diventate arbitre del gusto - puoi accettare di esporre chi ti pare al Salon e puoi rifiutare chi vuoi (Boucher però c’era, alla faccia di Diderot), ma, alla fine, ciò che resta è ciò che la gente vuole vedere tutti i giorni e mostrare orgogliosa agli amici più cari. Gli scavi di Pompei, che lui moriva dalla voglia di visitare, oltre ai templi, portavano alla luce i salottini delle Madame Marguerite di quasi 17 secoli prima, accolti con religioso stupore. 

Oziosamente si chiese se a Mademoiselle Violaine sarebbe piaciuto vedere alcune riproduzioni - quelle castigate s’intende. O andare con lui al Salon - con Sigyn era fuori questione: il Generale non avrebbe mai approvato. 
Violaine aveva gli occhi di una donna; anche l’istinto - difendeva il suo territorio - forse dentro quella ragazza c’era anche una guerriera, forse oltre agli occhi aveva anche la testa di una donna?

Violaine Charlotte de Rambures-Brizambourg… assaporò il nome, sperando in un bacio lungo almeno quanto le sillabe del suo nome e che si rivelasse in grado di sciogliere la neve; aveva un gran desiderio di perdersi in quei capelli color del lino, per scompigliarne - solo un poco - la perfetta simmetria. 

Era un ragazzo - gli sarebbe piaciuto prendere quello che gli piaceva e scoprire se quello che poteva prendere gli sarebbe piaciuto davvero - ma era troppo razionale per non capire che l’inesperienza stava scalpitando molto, ma molto più del cuore. 



 “E’ la pazienza che fa vincere gli assedi, lo dice sempre il Generale!” disse André con voce sussiegosa, mostrandole il lavoro perfetto che aveva appena terminato con il suo libro. 

La ragazzina alzò lo sguardo, e sorrise. “Io sono molto paziente.” disse, calcando la voce sulla parola molto

Molto non direi.” André si grattò la testa pensoso, “Forse potresti giocartela con un abbastanza.” Poi aggiunse con voce comprensiva, “Non è colpa tua, sai? Sono quei capelli. ”

“Insisto per il molto.” ribatté piccata Sigyn, “Guarda che io so benissimo chi ha preso la lettera eppure non mi sono affatto arrabbiata.”

André cercò di incollarsi sul viso una maschera di impassibilità (con un successo a malapena passabile), poi chiese con indifferenza studiata: “E chi pensi sia stato?”

“André per piacere, in questo Palazzo siamo quattro gatti.” sbuffò Sigyn. “Io non penso, io deduco!”

“Magari una delle ragazze che spolverano potrebbe averla trovata in terra e messa da qualche altra parte per errore…”

“Se lo dici tu. ”

“Io non dico proprio niente! Anche perché non so nulla.”

“Io invece dico che devi farla sparire.” tagliò corto la piccola. 

Il ragazzino la osservò come se fosse stata un mostro a due teste “Ma se non so nemmeno di cosa stai parlando!” esplose. “E poi io cosa c’entro?”

“Sai cosa succede se la scoprono? Sai quante frustate?”

Il ragazzo abbassò gli occhi, a disagio, poi bofonchiò “Chi dovrebbero frustare?”

“Moralmente? Te.” la ragazzina socchiuse gli occhi irritata. ”E infatti potrai sfuggire alla frusta del Generale, ma non al mestolo di tua nonna.”

“Io non ho preso proprio nulla!”

La ragazzina alzò gli occhi al cielo “Ma tu mi prendi per scema? Lo so! lo so benissimo che tu non hai preso proprio nulla.” La ragazzina lo colpì ripetutamente sul braccio con l’indice, “Perché tu non ne avresti avuto il fegato, non con il Generale, un tradimento!” lo prese in giro, ma con gentilezza “Ma non hai protetto l’unica cosa preziosa di questa casa, che non solo ha il fegato, ma pure l’incoscienza. E questo lo sappiamo benissimo tutti e due. Stai aspettando che ci arrivi anche Joséphine? Non dirmi che non gliela hai già presa e che non l’hai ancora nascosta in un posto che lei non sa!”


Oscar entrò in camera sua a passo di carica - si sarebbe cambiata d’abito, decise.
L’ospite era decisamente inopportuno e avrebbe fatto meglio a starsene a casa propria, invece di intrufolarsi a casa degli altri senza essere invitato, ma in quanto padrone di casa non poteva farglielo notare, se non in modo sottile. In fondo lui era il futuro Conte de Jarjayes - noblesse oblige - era suo dovere ricevere l’ospite secondo la tradizione e la grandezza dei Jarjayes e l’avrebbe fatto. L'ospitalità era sacra.

Ma cosa diavolo era venuto a portare poi? Cosa era questa cosa di cui non potevano occuparsi i rispettivi servitori, magari domattina presto? Qualcosa da dover dare solo di persona? Oro? Argento? Diamanti? Elefanti? Ghepardi con collari di zaffiri? Il Generale non avrebbe affatto gradito - sugli elefanti non era sicuro, ma i ghepardi spaventavano i cavalli. 

Se era un amico di Joséphine era di sicuro qualche cretinata che non valeva la pena di guardare una seconda volta. E avrebbe voluto scroccare l’Armagnac del Generale, l’illuso. 

Quanto agli amici di Sigyn, era un pezzo che non si facevano vivi ed era molto meglio se continuavano così, a lasciarla in pace. I Girodelle avevano una sorella pure loro, quella smorfiosa di Cassandra, che se la facessero bastare! Ma era mai andato lui, Oscar François de Jarjayes, nei Palazzi degli altri per portarsi via le loro sorelle? Così, tanto per giocare un poco? Ammesso ci fosse del gusto a giocare con una femmina! A parte Sigyn s'intende, quando non faceva la smorfiosa.
Una cosa che non avresti osato fare con un cavallo! Prenderlo senza chiedere il permesso!
Dei selvaggi senza un briciolo di educazione! L’unico motivo per cui ancora li si tollerava era che accompagnavano a teatro Joséphine, che altrimenti avrebbe smaniato per giorni. 
  


I due ragazzini sgattaiolarono per le scale immerse nell’ombra, riconoscendo ogni scalino a memoria. 

“Dove la nasconderesti tu?”

“In camera tua, ovvio: sei nato per fare la vittima.”

Il ragazzino inciampò ed emise una imprecazione soffocata

Poi si acquattarono fuori dalla porta di servizio, socchiudendola appena - Oscar si stava cambiando e non sembrava contenta per niente. 


Victor si alzò in piedi ed osservò da vicino il marmo del camino.
Apprezzava il gusto di Madame de Jarjayes, decise, leggerezza, ma non frivolezza - il Generale era un uomo fortunato, a suo modo, ma avrebbe dovuto essere un poco più fermo con la Comtesse: dove diavolo era finita? Non aveva la minima idea di quando fosse iniziato o di quando sarebbe finito il suo quarto di anno a servizio della Regina, ma gli sembrava che mancasse da Palazzo da un po’ troppo tempo. 

Non che una donna dovesse essere relegata in casa come un cane in un canile, per carità, rifletté stizzito, non avrebbe mai preteso tanto, ma al posto del Generale avrebbe chiesto a Madame di dare un bel taglio a tutto questo svolazzarsene in giro. Per Versailles poi! A fare cosa?

Il bello di stare insieme era appunto stare insieme - era talmente ovvio!


“Ma come diavolo si è vestita la peste?” bofonchiò André divertito, mentre tutti e due frugavano la stanza. 

“Come un soldato, indeciso se andare ad una parata o in battaglia.” Sigyn scosse la testa irritata. “Oscar non ha proprio un briciolo di gusto!”

“Questo non è vero.”

“Forse non te ne sei accorto: c’è in giro sempre più scelta e sempre più cose superflue.” la ragazzina corrugò la fronte, “Superflue, ma belle. E le scelte che fai parlano di te.” ripensò al suo peregrinare per Versailles: c’erano margini di libertà, ma l’abito faceva il monaco. E c’erano regole non scritte che dovevi dimostrare di conoscere a menadito, più di quei Sette Re di Roma con cui si erano fissati tutti. 

“E cosa dicevano quelle di Oscar?”

“Che non si sa vestire. ”

André sbuffò. 

“E poi che chiunque debba incontrare non le piace e vorrebbe infilzarlo con la spada. Però ha capito che il Generale non farebbe esattamente dei salti di gioia, se lo venisse a sapere. E poi ha questa fissa di essere il Padrone di Casa quando non c’è il Generale, solo che non le da retta nessuno, a parte te. Così si è vestita da parata - un disastro se me lo chiedi, un vero disastro.”

“Un ammiratore di Joséphine quindi.” tagliò corto André. “Un deficiente venuto qui per parlare dei suoi occhi.”

“Penso anche io. "La ragazzina annuì nella penombra, “e dei gigli e delle rose sulle sue gote... come se non sapesse che usa il fattibello!”

“Un cretino, insomma.”

“Questo non lo possiamo sapere per certo, comunque un suo cicisbeo…” sospirò, “Un amico di famiglia, uno come Clément, per esempio,” la piccola arrossì, “sarebbe passato da qui, prima, come ha fatto Alo, o avrebbe chiesto di me. Proprio di me, capisci?” poi aggiunse, pensierosa “Anche io a casa loro passo direttamente dallo Studio dei Ragazzi, con Cassandra. Cioè passavo. Una volta. ” 

“Avete litigato?”

“Una specie.”

“E chi aveva ragione?”

“E’ importante?” Sigyn alzò un sopracciglio guardando André, bellicosa “Il bello di quando stai bene con qualcuno non sta mica nel fatto che la pensiate per forza allo stesso modo!” 

André si mise a ridere “E allora mi sa tanto che la ragione ce l'aveva Girodelle!”

“Forse sbaglio, ma il bello di stare insieme, di passare del tempo con qualcuno, intendo, come amici... “ Sigyn guardò André incerta, nella penombra, “Il bello è proprio nello stare insieme. Senza nessuno sforzo. ”

André alzò le spalle “Non ci ho mai pensato. ”

Sigyn sbuffò. “Uomini!”

“D'accordo, se dovessi vedere quel tipo che vaga per le cucine cercando di una Mademoiselle Sigyn te lo mando. Così potete passare del tempo insieme senza sforzarvi troppo, anche se secondo me...”

“Ma non cercherebbe mai di una Mademoiselle Sigyn!” sbuffò la ragazzina soffocando una risata, poi aggiunse con un tono come se questo dettaglio spiegasse proprio tutto: “Madame de Girodelle è inglese, possibile che non ti ricordi mai niente?”

“Ma cosa vuoi che mi ricordi? L'avrò vista di sfuggita al massimo cinque volte. E quindi, poi? Si porterebbe appresso i cani da caccia? Per stanarti?” André si mise a riflettere interessato: questo aspetto un po’ selvaggio tutto sommato gli piaceva, anche se non era uno spettacolo adatto per Palazzo Jarjayes - sua Nonna avrebbe avuto parecchio da ridire. Cani nel Salottino Piccolo? E dove si era mai sentito?

“Ma no! In Inghilterra sono molto formali per queste cose: il maschio primogenito non si chiama mai per nome, tutti gli altri si, mentre si chiama con il nome proprio solo la figlia maggiore non sposata tra quelle che abitano nella casa. Se non c’è Horthense, per esempio, Joséphine diventa Mademoiselle Joséphine, ma appena Horthense varcherà di nuovo quella soglia, lei tornerà ad essere Mademoiselle Reynier de Jarjayes, esattamente come me. Una della schiera delle figlie minori di cui non è necessario conoscere il nome.”

“Troppo complicato!”

Sigyn alzò gli occhi al cielo “Ti devi solo ricordare che i maschi contano tutti, con il maggiore che conta più di tutti gli altri. Mentre delle femmine conta solo la maggiore. Le più piccole devono solo tacere e non farsi notare. ”

“Questa è una ottima cosa…” borbottò André, con aria distratta. 

“Cosa hai detto?”

“Niente, niente... quindi tu sarai Mademoiselle Sigyn quando diventerai una zitella… si tratta di avere solo un pochino di pazienza. Il Generale dice che è con la pazienza...”

La ragazzina gli mollò una gomitata nelle costole, senza troppa grazia. 


Irritato, Victor Clément de Girodelle rifletté che la Comtesse non avrebbe mai lasciato un suo ospite solo troppo a lungo.
E Sigyn di solito era molto attenta alla forma, sia pur con quel leggero tocco campagnard, che lasciava trapelare il piacere autentico, quando c’era. La spontaneità che avrebbe dovuto imparare a tenere sotto controllo.
Con gli altri. 

Cosa diavolo stava capitando a Palazzo Jarjayes? Ma il Generale come aveva potuto permettere? Non avrebbe mai dovuto lasciar andar via Madame Marguerite! O sarebbe dovuto andare a riprendersela, accidenti! Le Madame Marguerite di questo mondo non sono così numerose, non lo aveva ancora capito? E si che il padre di Sigyn non era un ragazzino...

Ma, soprattutto, come è che lui non sapeva nulla di questo sfacelo? 

Colpa sua, era stato troppo occupato con lo studio e con la preparazione della maitrise - ci teneva parecchio - e Sigyn aveva scritto poco o nulla sull’argomento: lettere criptiche dove saltellava tra le idee più bislacche come una volpe cucciola in un bosco d’autunno, annusando bacche, cumuli di foglie secche, ciclamini e prede. Un animaletto elegante che evitava accuratamente certi argomenti come fossero trappole - Madame Marguerite per esempio, e il Generale. E in che giorno esatto era tornata e perché. 

Da una certa data in avanti, il silenzio. 

Era arrivato il momento di fare due chiacchiere con la piccoletta e farle capire che c’era un muro, e che era anche ben piantato, proprio dietro le sue spalle - sospettava un lavoro difficile per via dell’orgoglio, ma la volpe non era una Girodelle: aveva i denti aguzzi, ma era anche morbida e calda. 

Sentì la porta che si apriva, e d’istinto si voltò, con un sorriso. 


“Ce l’ho!”

“Sei un genio, André!”

“Modestamente... ”

Nel buio si sentì lo schiocco di un bacio su una guancia e due risatine soffocate. 

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Capitolo 21
*** Chi ci capisce è bravo ***


Chi ci capisce è bravo

“Non ci penso nemmeno!”

“Dicevo solo che visto che l’abbiamo trovata, potremmo….”

“No!”

“Come no?” gli occhi di Sigyn si ridussero a due fessure. “Perché no?” 
Si fermò per le scale che portavano giù alla cucina. Si poteva sentire lo scroscio dell’acqua fin lì mentre Sigyn tratteneva il fiato pensando che non era giusto per niente - c’era così vicina.

Intuì che André stava arrossendo nel buio, ascoltò irritata il frusciare delle sue scarpette contro la pietra e riuscì ad immaginarne i gesti un po’ goffi, la mano affondata nei capelli che tormentava il ciuffo sulla fronte - non le piacque affatto, era chiaro che si vergognava, proprio come avrebbe dovuto.
Non gli concesse il lusso di far finta di niente, rimase lì, immersa in un silenzio ostinato che sapeva di temporale, con gli occhi che si andavano abituando al buio e alla rabbia. Non avrebbe pianto - André se lo poteva scordare.

“Tu ed Oscar finite sempre per mettermi in mezzo.” si scusò André “Ed io mi ritrovo che faccio cose che non voglio fare.”

“Non mi pare, proprio.” cercò di essere educata, in fondo era la nipote del Nonno. C’era sempre una pentola in più di minestra in cucina, lo zio Jean-Claude su quello non transigeva, c'era sempre un pasto caldo per chi aveva fame.

“Pare a me, però.”  lo sentì temporeggiare, “Quella volta che vi siete tuffate dalla falesia e mi avete fatto prendere un colpo? E quando Oscar ha usato il monta-vivande? Quasi si ammazzava, ci sono voluti giorni per le vesciche lo sai? Per non parlare di quando…”

“Ma tieni un elenco?” per il compleanno gli avrebbe regalato un taccuino. Per le Lamentazioni di Grandier Profeta.

“Ascolta…” il ragazzo cerco di essere gentile, ma Sigyn lo detestò per questo, perché non c’era niente di gentile in tutta la faccenda e lui avrebbe dovuto avere il buon gusto di ammetterlo. Perché tutti quando sono gentili è perché ti vogliono piegare ai loro scopi facendo finta che sia solo questione di affetto. 

“Voglio prendermi tutto il tempo che mi serve.” aggiunse André. “Voglio fare la cosa giusta. Cerca di capire”

“Per chi?”

“Come per chi?”

“Non può essere la cosa giusta per tutti, lo sai. Quindi giusta per chi?”

“Tuo Nonno non voleva che tu la leggessi, ci avrebbe scritto su il tuo nome, altrimenti, no? La lettera è sua.” André cercò di essere pratico, “E nemmeno il Generale vuole che tu la legga, ed è sua, l’hanno scritta a lui. Tu non c'entri niente.”

“Ma sono fatti miei. Cose mie.” la vocetta della ragazzina era gelida.

“Sei una femmina, sei troppo emotiva. Il Generale dice che voi femmine non sapete accettare la realtà, che bisogna proteggervi, che le vostre pessime decisioni vi distruggono, per cui non bisognerebbe lasciarvi scegliere mai...” la vocetta del ragazzino si era fatta lamentosa.

Sigyn si irritò “Ma se un attimo fa hai detto che eri tu la Damigella in Pericolo… che Oscar ed io ti costringevamo!”

“Se adesso tu la apri, il Generale si arrabbierà. Joséphine si arrabbierà…”

“Sono sempre arrabbiati.”

“Ci andrebbe di mezzo Oscar.” sospirò André con un filo di voce. 

Sigyn non rispose - lo superò sfiorandolo con le gonne e senza voltarsi indietro, con gli occhi che le bruciavano per l’umiliazione.
Non ci sarebbe andata di mezzo Oscar. Mai. Ma cosa credeva? E poi che senso avrebbe avuto far sparire la lettera dalla camera di quella grandissima sciocca? Avrebbe solo voluto sbirciare, senza aprirla, e, nel caso, si sarebbe presa le sue responsabilità. Davanti al Generale, però, non davanti a Joséphine.

Ma il punto era che André aveva scelto, la sua preoccupazione era Oscar.

Non che la cosa la stupisse, però accidenti a volte aveva pensato che loro tre erano amici, amici veri, che il rapporto che c’era tra loro… e invece lei era solo l’eterna seconda. Era difficile essere sorella, era complicato essere amica, se poi al dunque ti ritrovavi da sola, tre passi dietro a quei due sempre intenti a guardarsi le spalle tra loro. 
Tutto quello che aveva conosciuto, la casa in Normandia, le viuzze di Saint Malo, le onde gonfie del mare d’inverno, perfino la casa del Vecchio, le sembrò migliore del posto in cui stava. 

Lo sguardo le naufragò sui vetri della porta-finestra, liquidi di pioggia scura - le mancava Clément, pensò sedendosi al buio della Cucina Piccola.
Lei era più grande di Oscar e di André, non era solo una questione anagrafica, era più grande e basta.
E lui non era grande come Alo e Maxence, ma grande, più grande abbastanza. 

Accidenti a Violaine, pensò. 
Violaine l’aveva scorticata viva a Versailles, l’aveva raccontata piccola, scontata, maldestra e, soprattutto, superficiale. Si, lei, Sigyn, ci aveva messo del suo, era stata una stupida.
Ma Clément l’aveva ascoltata, Violaine.
 

I due si fronteggiavano nel Salottino.

Lei indossava un panciotto verde muschio, terribilmente informale, una cosa adatta giusto per allenarsi con la spada in cortile. Sopra una redingote pesantemente ricamata - costata un patrimonio - che somigliava ad una divisa militare per una parata; il tutto era completato da una fusciacca dorata annodata su un fianco. Dall’altro portava il fioretto, in un fodero vecchio e tarlato.

Soprattutto indossava con orgoglio le idee di suo padre - quelle incontestabili su come dovesse essere un cucciolo aristocratico, e quelle ferocemente territoriali del Generale. 
Il risultato era un leone biondo e irritato, dall’aria scontrosa e dai boccoli corti e ribelli.

Lui aveva lo sguardo obliquo del lupo - si era dovuto fare il suo spazio a morsi con i suoi fratelli, un paio di lupi poco più grandi di lui, perché così andava fatto, senza un briciolo di crudeltà.

Una volpacchiotta fulva, che in quel momento non c’era, il territorio che avevano in comune senza esserne davvero coscienti.

Non fare la lagna e trova il rimedio, è così che l’avevano cresciuto. Si ricordava di Alo e Maxence quando lo avevano abbandonato - che parolone - dentro un labirinto di bossi nel parco di qualche parente. Aveva percorso tutti i meandri sfiorando con la mano destra le siepi, così più alte di lui, che all’epoca era solo un bambino.
Niente lagne e trova il rimedio
Vicolo cieco dopo vicolo cieco era uscito, trovandoli lì, sdraiati pigri sull’erba. In attesa.

“E così ti sei ricordato.” aveva detto Maxence con quel suo sorriso un po’ sghembo, porgendogli un dolcetto. Si, si era ricordato, ad un certo punto gli era tornato in mente che una sera quei due gli avevano spiegato come comportarsi in un labirinto - e a guardarli sul prato, gli era stato chiaro che ci avevano contato, che a un certo punto si ricordasse. 
Due amabili stronzi. L’affetto tra loro un ossimoro.

Con Sigyn era un’altra storia - il ragazzo ci aveva messo su un possessivo talmente tanto di quel tempo prima che nemmeno se ne ricordava più. 
Le volpi sono carine. E morbide. E buffe. Pensò
Le volpi corrono sole, cancellano le loro tracce con la coda - sono anche parecchio elusive e permalose. Ci voleva pazienza.
Non fare la lagna e trova il rimedio.

“Buonasera Monsieur Oscar.” disse producendosi un inchino elegante, mantenendosi impassibile, non senza sforzo, dinanzi all’abbigliamento della bambina.
E così a Palazzo Jarjayes gli adulti ormai erano finiti. E nessuno si occupava dei vestiti di quella nobile creatura dal destino amaro, costretta ad vestirsi in qualche modo.
E la volpe cucciola non lo voleva incontrare. 
Qualcosa stava andando davvero storto.

Dopo i soliti convenevoli di rito tra un Girodelle gelido ed una Oscar infastidita, il ragazzo disse con voce compita “Cercavo Mademoiselle de Jarjayes.” se Sigyn voleva essere trattata da adulta la avrebbe accontentata anche se era una cosa ridicola.

“Non c’è.” fu la risposta stupita, “E’ andata a teatro.” Oscar lo fissò con gli occhi spalancati, questo Girodelle di solito non veniva per Joséphine, passava direttamente per la Serra per portarsi via Sigyn. Andavano a vedere quadri o a sentire musica a casa di qualche vecchia mummia. Però questo prima, prima che Sigyn partisse per la Normandia per l'ultima volta. Adesso, a quanto pare era cambiato tutto. Timidamente pensò per fortuna.

Victor sollevò lentamente un sopracciglio, “Da sola?” si era trascinata il giardiniere fino all’Opéra di Parigi?

Oscar pensò che era scemo.
Come tutti gli sciocchi senza speranza che andavano appresso a sua sorella Josée, del resto.
“Con i suoi ammiratori.” rispose seccamente, poi aggiunse “Come sempre.” Se era uno che voleva unirsi alla schiera era bene che sapesse come stavano le cose: c’era già la coda dietro a sua sorella, che era bella, e frizzante e non si concedeva a nessuno perché era già fidanzata.

Victor fece un cenno di assenso “Sapete tra quanto sarà di ritorno?”

“Di solito molto dopo mezzanotte.” Oscar lo guardò irritata, quello spilungone non aveva mica intenzione di piazzarsi lì nel salotto ad aspettare? E magari voleva pure dei dolci? una limonata? E poi? O vista l’ora voleva un cosciotto di agnello? Non aveva la minima idea di cosa prevedesse l’etichetta.
“Forse gradireste incontrare l’altra mia sorella.” suggerì sbrigativa. Sigyn era più adatta per queste cose, anche se non le faceva molto piacere vedere quei due assieme. Lui aveva i capelli troppo lunghi.

“Vostra sorella maggiore è a Palazzo?” Victor era perplesso.

“Stava per andare a coricarsi. Nostro Padre ritiene che un buon soldato debba coricarsi presto per svegliarsi presto, Voi cosa ne pensate?” sperò che l'allusione al fatto che era ora che si levasse dai piedi arrivasse forte e chiara, ma non troppo forte, né troppo chiara.

“Mi pare una opinione ottima.” rispose freddamente il giovane Girodelle, pensando a Sigyn.

“Ritiene anche dovrebbero rasarsi il capo ed indossare una parrucca.”

“E’ difficile avere sempre ottime opinioni. Ma lo sforzo è ammirevole.” rispose il giovane diplomaticamente, poi aggiunse con estrema cortesia “Ma non restate ad aspettare che Mademoiselle de Jarjayes rientri? Perché è Mademoiselle de Jarjayes che è a teatro, ho capito bene?”

Oscar scrollò il capo, ma che impiccione! Oppure era geloso di Joséphine? Magari ci sarebbe stato un duello? Perché sarebbe stata l’unica cosa interessante di questa faccenda, solo che il Generale si sarebbe irritato - non voleva chiacchiere sulla sua famiglia. L'onore per lui era una cosa molto seria. “Mademoiselle de Jarjayes non è sotto il nostro controllo.” rispose piccata, sottintendo che non era nemmeno sotto il controllo di un ospite non invitato.

“Non è sotto il controllo di nessuno a quanto pare.” mormorò gelido Victor. “Porgetele i miei saluti, al suo rientro.”

“Domani.”

“Domani.” Victor fece un cenno di assenso. Poi tirò fuori dalla tasca un involto “Mio fratello mi aveva chiesto la cortesia di farle avere questo.”

Oscar osservò il pacchettino un po’ delusa. Non aveva creduto davvero che il pazzo avesse portato con sé un ghepardo, ma fino all'ultimo aveva sperato in qualcosa di un po' più interessante.
 

Sigyn poggiò la fronte contro il vetro della finestra. Avrebbe scritto, avrebbe scritto stasera stessa e avrebbe chiesto scusa a Clément e a Cassandra, non c’era altro rimedio. 

Poi improvvisamente lo vide. Clément stava salendo a cavallo per… andare via?

Uscì di corsa per raggiungerlo, le scarpette che affondavano nel fango, lo scrosciare della pioggia che inghiottiva la sua voce.

Infine si fermò lì, vicino al cancello, guardandolo sparire e sentendo che non c’era niente di giusto.
Rimpianse di non avere gli stivali, rimpianse di non avere le gambe più lunghe. Rimpianse Versailles, sua madre, rimpianse soprattutto di non avere accettato l’offerta di Clément, di non avere bevuto quel tè insieme a lui.

A quel punto tornò indietro a passo di carica, diretta alle stalle, incurante della pioggia, dei capelli viscidi che le colavano sulla nuca e sulla fronte, del brivido a fior di pelle, dell’acqua nelle scarpette. Incurante soprattutto di un cuore che faceva davvero tanto male. 
Lei non era la figlia di sua madre, rintanata a Versailles coi fantasmi, lei era nipote di sua nonna, qualunque cosa questo volesse dire.

Dibatté dentro di sé sul da farsi, se prendere la Carriola o Fulmine. Nel primo caso avrebbe attaccato un cavallo da tiro tranquillo, sarebbe andata molto più lenta di Clément, ma sarebbe stata al sicuro. Nel secondo, avrebbe anche potuto raggiungerlo, montando all’amazzone.
La seconda era chiaramente una pessima idea - di grande effetto, ma pessima: era un cavaliere appena passabile su qualche vecchia giumenta che prendeva la vita con filosofia, a prender Fulmine c’era il rischio di farsi male e basta.
Però la prima scelta era la certezza di arrivare, sì, tutta intera, ma di trovare il cancello chiuso.
 
Ma se lui era venuto fin lì per darle una seconda possibilità, stanotte l’avrebbe accolta. Magari con quegli occhi gelidi che parevano neve, ma l’avrebbe accolta.
E poi c’era Madame Girodelle, lei non avrebbe mai permesso ad un ospite di essere scacciato sotto la pioggia. Le avrebbe fatto preparare una stanza come nemmeno alla Principessa sul Pisello, e fatto portare del brodo, e teli per asciugarsi, e vestiti asciutti e l’avrebbe chiamata piccola con quel suo accento inglese e avrebbe costretto tutti i Girodelle ad essere gentili con lei. Perfino Cassandra.
Perché quando uno arriva di sera, sorpreso dal temporale, per chiedere asilo, allora le recriminazioni si fermano e ci si ascolta, finalmente.

Oppure Madame Girodelle si sarebbe arrabbiata e l'avrebbe tratta freddamente pensando che Violaine era una amica migliore per tutti i suoi figli. E al massimo li avrebbe costretti tutti ad essere educati, cosa che gli riusciva benissimo anche da soli.

Era una scommessa, ma di quelle in cui non perdi nulla perché tanto hai già perso il grosso - perdi solo la faccia.

Con decisione entrò nella stalla dei cavalli da tiro, e cominciò a sistemare le stanghe della Carriola.

Ma che diavolo vuoi fare?” la voce allarmata di André la sorprese.

“Ti do un’altra cosa da annotare su quel tuo taccuino immaginario.”

Lui e sua sorella erano insieme, rintanati sotto un mantello cerato, uno di quelli che usavano in Normandia, e la fissavano spaventati.

“Se ci tenevi così tanto, potevi dirmelo…” mormorò Oscar confusa.”Io non avevo nessuna voglia...”

“Non so proprio come hai potuto! Mandarlo via! Con la pioggia, poi.”

“Ma chi l’ha mandato via? Se ne è andato lui. Da solo!”

“Bastava che tu mi mandassi a chiamare.” sarebbe andata di corsa, accidenti.

“E che c’entri tu, adesso?”

Sigyn sbatté gli occhi, cercando di mettere a fuoco. 

“Non cercava te, cercava Joséphine, era qui per lei.” disse André guardando per terra, ambasciatore, per la seconda volta, di ovvietà sgradite.

“Gli ho chiesto se voleva parlare con te, ma non era interessato.” Oscar si sentì crudele, ma era giusto che Sigyn capisse come ci si sente ad essere messi di lato. “Per me voleva portarla a un concerto, ma lei si deve essere dimenticata dell’impegno - c’è rimasto male, secondo me, anche se era gelido come uno stoccafisso.”

“Perché gli hai chiesto se voleva parlare con me?” divenne scarlatta nel dirlo “Se non era venuto per me, intendo, perché glielo hai chiesto?” 

“Per togliermelo dai piedi, se proprio lo vuoi sapere!” Oscar la fissò arrabbiata “Ma a lui non interessava la tua compagnia! Non gliene importava proprio niente!” come a te non importava niente di me, poco fa sulle scale, non siete nemmeno venuti a chiamarmi.

“Non ha detto che non gli importava…” André cercò di intromettersi, conciliante, ma le due si voltarono verso di lui sibilando “Tu stanne fuori.”

Sigyn guardò la Carriola, poi socchiuse gli occhi, Oscar in fondo non c’entrava niente, André nemmeno; prese una vecchia coperta da uno dei box e se ne tornò a Palazzo senza voltarsi indietro.

Ci volle tanto tempo perché i capelli si asciugassero - fecero prima le lacrime. Le sembrò che la stanze odorasse di sonno e solitudine, ma non aveva voglia di fare l’elenco delle persone di cui non era la preferita - si stava allungando un po’ troppo.
Alle parole di Oscar ci credeva - Clément era per un quarto un fetente, ma non si nascondeva mai dietro un dito.

Calciò le scarpette lontano dal fuoco - ormai erano asciutte, di più non si poteva fare.

E così era diventata un ricordo, come altre cose che Clément e Cassandra, tenevano nei loro cassetti segreti, al sicuro. Si sarebbero dimenticati dei suoi nastri verde ed oro, ed avrebbero ricordato solo i Sette Re di Roma e le sue teorie sul numero perfetto di ammiratori che una ragazza dovrebbe avere, il resto sarebbe scivolato via. Pochi aneddoti che sarebbero diventati granellini di sabbia di una clessidra immaginaria, da girare ogni tanto in compagnia di un amico.

Ma che porcheria! pensò spassionatamente.

Fu in quel momento che Joséphine veleggiò nella sua stanza. Non c’era altro modo per descrivere la grazia studiata di sua sorella - Mère ne sarebbe stata orgogliosa, tutte quelle ore con il Maestro di Danza!

“Come sei pallida…” la sentì mormorare, “E sei ancora sveglia a quest’ora… non riesci a dormire?”

Sigyn annuì - c’era un tempo in cui sua sorella le faceva le trecce, da quando erano in guerra, loro due?

Joséphine le prese il polso e la costrinse a guardarla “Ascoltami Sigyn, se c’è qualcosa che va fatto, va fatto per tempo. Non so se capisci, sei così piccola. Non so nemmeno esattamente... Vorrei aver letto quella lettera. Vorrei che l’avesse letta nostro Padre…”

“Vorrei averla letta anche io.”

Joséphine spalancò gli occhi, poi disse amareggiata “Non ho scelto io di dovermi occupare di tutto, io dovrei solo pensare a ballare e a divertirmi!”

Sigyn abbassò lo sguardo - e così anche Joséphine era impazzita. Si chiese se la Regina avesse posto per tutte le femmine Jarjayes alla Reggia.  

Il giorno dopo Sigyn se ne uscì presto la mattina, prese la Carriola e se ne andò dritta a Versailles.

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