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Lista capitoli: Capitolo 1: *** 01. Il glorioso ritorno dei Ragazzi Selvaggi. *** Capitolo 2: *** 02. Come il vero Far West. *** Capitolo 3: *** 03. Quando i problemi ti investono... Come una bicicletta sulla schiena. *** Capitolo 4: *** 04. Yin e Yang, come due modi diversi di ascoltare. *** Capitolo 5: *** 05. Una tranquilla serata in compagnia *** Capitolo 6: *** 06. Puffi, litigi e... e cosa? *** Capitolo 7: *** 07 I. Quando la Guardia diventa guardia del corpo *** Capitolo 8: *** 07 II. Cioccolata con panna e scaglie di cocco *** Capitolo 9: *** 08. Il coraggio di ricominciare *** Capitolo 10: *** 09. Sendoh vs. Rukawa... di nuovo. *** Capitolo 11: *** 10. Tante, forse troppe novità. *** Capitolo 12: *** 11. Non svegliare il can che dorme. *** Capitolo 13: *** 12. Per un bacio. *** Capitolo 14: *** 13. Quella sottile linea di confine. *** Capitolo 15: *** 14. Non lo farò più, lo prometto. *** Capitolo 16: *** 15. E tornerai a combattere. *** Capitolo 17: *** 16. Spy game *** Capitolo 18: *** 17. Questione di fama *** Capitolo 19: *** 18. Ce la faremo *** Capitolo 20: *** 19. Domenica al sapore di cloro *** Capitolo 21: *** 20. Esordio col botto *** Capitolo 22: *** 21. Cos’è successo? *** Capitolo 23: *** 22. Non verrò *** Capitolo 24: *** 23. Semifinale di sangue *** Capitolo 25: *** 24. Nella tana della Scimmia *** Capitolo 26: *** 25. Per oggi non ti detesto *** Capitolo 27: *** 26. Complotti fraterni *** Capitolo 28: *** 27. La vigilia della finale ***
Capitolo 1 *** 01. Il glorioso ritorno dei Ragazzi Selvaggi. ***
Ni-hao a tutti
Ni-hao a tutti! Ebbene sì, dopo mesi e mesi di silenzio
stampa, nonostante la mia stanchezza e il mio pochissimo tempo di svago tra
esami e lezioni varie, ho deciso di iniziare a postare l'ennesimo delirio su
Slam Dunk che, come ben sapete, è la mia droga preferita.
Come vi avevo promesso Bar America sarà il sequel di Wild Boys, ma per chi non l'ha mai letta non sarà necessario farlo
(io, ovviamente, ve lo consiglio! :D), anche se, come vedrete, ci saranno
parecchi rimandi agli avvenimenti avvenuti in WB, quindi magari chi non l'ha
lettanon li coglierà.
Ci sarà di tutto, proprio come nell'altra, ma con più
personaggi nuovi e con la comparsa di quasi tutti quelli originali... E dato
che le mie creature saranno parecchie, probabilmente prossimamente inserirò una
scheda di ognuno, per farveli conoscere meglio. :)
Un altro piccolo appunto, prima di lasciarvi a questa
follia: i capitoli saranno parecchio lunghi (se sono troppo lunghi fatemelo sapere che provvederò ad
accorciarli) e proprio per questo, e per il poco tempo che ho, non
preoccupatevi se aggiornerò con lentezza... Ho già scritti i primi sei
capitoli, ma manca ancora molto alla fine, anche se ho già tutta la storia in
testa... Spero di non avervi spaventati con questi avvertimenti! XD Ho
intenzione di concluderla, no problem! ;)
E ora... diamo inizio alle danze più sfrenate!
Buona lettura e, spero, buon divertimento! ;)
Marta.
Capitolo 1
Il glorioso ritorno dei
Ragazzi Selvaggi.
«Oh, accidenti!», furono
le prime parole di quella giornata, arrivata un po’ troppo in fretta per i
gusti di tutti. «Svegliati! Tardi!
Scuola! Andiamo!»
Hime buttò letteralmente
giù dal letto un ignaro Hanamichi che ronfava beatamente e sognava di correre
al rallentatore in un campo di grano, mano nella mano con la sua dolce e
piccola Haruko, vestita come un adorabile confettino rosa, mentre in sottofondo
suonavano una dolcissima canzone d’amore e le campane a festa. Quando la
sorella gli tirò con forza le lenzuola al quale era arrotolato come un salame, gli
venne un mezzo infarto e cadde malamente faccia in terra, o meglio, contro le
sue infradito.
«…Hi-Hicchan! Che
succede?», bofonchiò con la voce impastata dal sonno, mentre cercava senza
risultati di liberarsi da quella tela assassina che era il lenzuolo.
«Siamo in ritardo,
baka!», gridò in risposta lei, dal bagno.
Hanamichi guardò
incuriosito la sveglia, pensando che fosse uno dei tanti scherzi della sorella.
Peccato che quando vide le 8:12 a caratteri cubitali gli venne un colpo. «Hicchaaan! Siamo in ritardo!».
Non ne fu sicuro, ma gli
sembrò di sentire la ragazza esclamare qualcosa del tipo: “È quello che ti sto gridando da dieci minuti ma tu non ti muovi,
bradipo!”. Cavolo, quella mattina avevano anche quel pazzo sclerotico di
matematica. Gli avrebbe segato la testa con il vetro di una finestra, ne era
più che convinto, dopo avergli fracassato il cranio contro, ovvio; poi
sicuramente avrebbe gettato i loro cadaveri in corridoio, tanto ormai era
abitudine. Quell’uomo doveva aver creato una sorta di alchimia malefica nei
loro confronti, dato che ogni volta che li vedeva anche solo respirare trovava
un’ottima scusa per sbatterli fuori o mandarli in presidenza, che ormai
consideravano la loro seconda casa.
«Hanamichi, ti vuoi
muovere? Il bagno è libero!», strillò quella schizzata della sorella,
riscuotendolo dai suoi pensieri e ricordandogli così il perché di tutti quei
giri mentali. Così filò come un missile a farsi una doccia veloce,
possibilmente gelida per risvegliarsi meglio.
In camera, invece, Hime
stava combattendo contro quella odiosissima divisa che era costretta a indossare
e, nella fretta di vestirsi, riuscì anche a mettersi la gonna al contrario e a
fare un fiocco alla cravatta. Si guardò perplessa allo specchio, ancora troppo
rincoglionita dal sonno per capire cosa non andasse in lei quel giorno, ma
lasciò subito perdere, consapevole che sicuramente qualche suo amico
gliel’avrebbe fatto notare al più presto.
Quando Hanamichi uscì
lindo e profumato, lei lo prese per la manica della giacca e lo trascinò fuori,
ficcandogli in bocca una fetta biscottata come colazione.
«Yooo!
Aspettaci!», gridarono insieme, catapultandosi sul motorino dell’amico che, al
colpo, resse per miracolo.
«Spostati, guido io!»,
strillò Hanamichi, peggio di una zitella acida, mentre metteva in moto e
partiva a tutta velocità. Dietro di lui Yoehi pregava tutti i Kami del mondo
affinché arrivassero sani e salvi a destinazione e soprattutto che quel
deficiente del suo migliore amico non gli sfasciasse il motorino. Hime, invece,
stava bellamente in piedi dietro Yoehi, capelli al vento che aveva dimenticato
di ritirare con la sua consueta pinza, ma che almeno si asciugarono velocemente
dell’acqua della doccia.
Bruciando semafori su
semafori e rischiando di investire qualsiasi cosa respirasse e che fosse in
traiettoria, Hanamichi li portò a destinazione nel giro di cinque minuti,
proprio quando l’ultima campanella stava suonando. Fortuna che non avevano
praticamente fatto colazione tutti e tre, altrimenti avrebbero rigettato anche
il panettone di dieci anni prima, su quello non avevano dubbi.
Yoehi mise la catena alla
sua moto, parcheggiata fuori dal cancello per evitare problemi con i docenti;
nel frattempo, trionfante, Hanamichi alzò un pugno al cielo, proclamando ai
quattro venti la sua genialità proprio quando gli passò sulla schiena una
bicicletta a caso, guidata da un ragazzo altrettanto a caso, che arrivò
miracolosamente al parcheggio delle bici a zig zag senza ammazzare
nessun’altro.
«Maledetta volpaccia! Ci
provi tutti i giorni, eh?!», sbraitò il rossino, balzando verso il suo odiato
amico e agitandolo per la collottola.
«Do’aho, mollami».
«Dai, Hanamichi!
Continuate a battibeccare dopo, brutte lavandaie che non siete altre!», fece
Hime, portandosi via il fratello che non smetteva di inveire, e salutando con
una strizzata d’occhio il suo migliore amico.
Ma avevano fatto male i
conti, quella mattina, perché tale professor Yoshikai, ben più noto come Sua Signoria la Bastardaggine in
persona, era già bello che seduto alla sua cattedra e li guardava con un
sorrisino maligno e meschino. Si alzò dalla sedia e si sistemò i grandi
occhiali quadrati spessi come fondi di bottiglia, per guardarli meglio. «Bene,
bene, bene. I due Sakuragi e Mito. Bene, bene, bene».
“Se ripete un’altra volta quell’accidente di bene gli tiro una testata”,
si appuntò mentalmente Hanamichi, mentre quello psicopatico continuava a
ghignare. E dire che non aveva visto quella brutta faccia da seppia per ben tre
settimane in più, a causa della riabilitazione… a pensarci bene avrebbe voluto
rimanerci un altro po’.
«Professore, per favore,
ci faccia entrare!», lo scongiurò Hime, inginocchiandosi teatralmente e facendo
ridere tutti i suoi compagni di classe. «Per favore!».
«Hicchan, alzati! Ti pare
che devi supplicare questo qui?».
«Baka, guarda che lo sto
facendo anche per te!».
Mito, che se ne stava in
silenzio gustandosi la scena, si passò una mano sul viso, sapendo già cosa
sarebbe successo da lì a due secondi.
«FUORI DI QUI! TUTTI E
TRE!».
I ragazzi si videro la
porta scorrevole chiusa davanti al naso, senza possibilità di ribattere. E
mentre Hanamichi rideva nervosamente, consapevole di aver aperto bocca al
momento sbagliato, Yoehi buttò la borsa su un angolo e si appoggiò alla
finestra del corridoio, chiedendosi perché anche lui dovesse essere compreso
nel pacchetto quando non aveva aperto bocca. Hime, d’altro canto, dava le
spalle ai due, ma dal modo in cui tremava e dalle fiamme che la circondavano
spaventosamente, forse, forse si era
arrabbiata.
«Hi-Hicchan…», Hanamichi
tentò l’approccio che di solito funzionava, ossia sorrisino innocente e
occhioni dolci che avrebbero fatto sciogliere anche un iceberg vivente come
Rukawa.
«Sei. Uno. Scemooo!», gridò Hime, togliendo fuori un ventaglio da
nulla e sbattendoglielo in testa.
«Ahia, Hicchan!», si
lamentò Hanamichi, accarezzandosi la testa e accucciandosi in posizione di
difesa. «Si può sapere da dove salta fuori quello?!».
Hime lo guardò con occhi lampanti
e un sorrisino diabolico in viso. «Me l’ha regalato Ayako. Non è bellissimo?».
«Se è per usarlo contro
di me direi di no, allora». Hanamichi guardò offeso la gemella, che agitava sinistramente
il ventaglio e minacciava di dargliene ancora. Cavolo, quando si arrabbiava era
veramente inquietante!
«Che palle», fece Yoehi,
sedendosi sul bordo della finestra. Se l’avesse visto qualche insegnante ce
l’avrebbe prima buttato giù e poi gli avrebbe fatto una ramanzina che sarebbe
bastata e avanzata.
«L’hai detto», Hanamichi
gli si avvicinò, affacciandosi e guardando il cortile della scuola, deserto.
Quando sentirono la voce della ragazza che chiedeva ancora una volta al
professore di farli entrare, scoppiarono a ridere nel vederle i capelli volare
al vento manco fosse ancora in moto, a causa delle grida furiose di Yoshikai.
«Professore, dovrebbe
stare attento a questi attacchi d’ira, altrimenti potrebbe sentirsi male», gli
disse Hime con faccia di bronzo, mentre l’uomo riprendeva fiato e una vena gli
pulsava paurosamente in fronte. Fu così che la rossa si voltò trionfante,
facendo segno ai due di entrare in classe. Ah, la forza della disperazione!
Hanamichi prese posto nel
solito banco all’ultima fila, vicino alle finestre e guardò la sorella prendere
il quaderno e ricopiare velocemente tutto quello che c’era alla lavagna. Hime
era veramente un controsenso con le gambe: era casinista peggio di lui, però
quando si trattava di mettersi d’impegno con la scuola non voleva sentire
niente. Tranne nelle ore di storia che, come lui e il resto della classe,
odiava profondamente e ne approfittava per fare tutt’altro fuorché ascoltare i
lunghi monologhi soporiferi del professore.
Il ragazzo, a differenza
sua, poggiò svogliato la testa sul grande palmo di una mano e si fissò a
guardare la palestra, che poteva vedere benissimo da quella posizione. Chissà
se Ryota aveva fatto dei buoni acquisti con le nuove reclute? Certo, era
alquanto improbabile che ci fosse qualcuno al suo stesso livello di genialità,
pensò con un sorrisino demente sulle labbra, ma senza Akagi lui avrebbe dovuto
prenderne il posto e un rimpiazzo doveva pur trovarlo… ma no, ma no! Che
diceva?! Lui era un genio, un vero e
proprio fuori classe, il Re dei Rimbalzi… macché rimbalzi, del Basket intero! Avrebbe
ricoperto sia il suo solito posto da ala grande che anche quello di centro. E
che ci voleva? Bazzecole!
*
«Psst…
Ryota!»
Il nuovo capitano dello
Shohoku, nel sentire la voce della sua manager preferita si voltò verso destra,
e prese al volo un bigliettino che gli arrivò sul naso. “Bella mira!”, pensò il
ragazzo, sognante. Chissà cosa c’era scritto! Magari voleva chiedergli di
uscire? Sì, non poteva essere altrimenti… dopo il discorso che avevano avuto in
ritiro ormai la strada era bella che spianata!
Senza farsi vedere dal
prof, troppo intento a leggere un passo di qualche vecchio scrittore di cui
ignorava l’esistenza, Ryota srotolò il bigliettino e lesse famelico. Per poco
non gli scese un colpo leggendo la grafia ordinata della sua amata che, a
lettere cubitali, gli aveva scritto: “No,
Ryota, scendi dalle nuvole e torna tra i mortali. Sono preoccupata per te, ti
vedo assente. Che hai?”.
Con gli occhioni lucidi
per la commozione (la sua Ayakuccia si preoccupava per lui!), le rispose di
tutta fretta, lanciandole perfettamente il bigliettino dentro l’astuccio. Non
era un ottimo giocatore di basket per niente, lui!
Ayako dovette ricorrere a
tutto il suo noto autocontrollo per non mettersi a ridere, guardando la
risposta dell’amico. “Hanamichi. E ti ho
detto tutto”.
Eh sì, era arrivato il
giorno in cui il rossino avrebbe ripreso gli allenamenti e un po’ tutti
temevano che il canestro all’ultimo secondo contro il Sannoh gli avesse fatto
bere l’ultimo pezzetto di cervello che gli restava. Già se lo immaginavano,
gridando al mondo la sua Genialità, il fatto che tutti i giocatori del mondo
avrebbero dovuto baciare il suolo che pestava e che Rukawa era sempre la solita
mezza sega. Bella palla, doverlo sopportare di nuovo! Senza l’aiuto provvidenziale
di Akagi sarebbe stato duro tenerlo a bada. Per non parlare del fatto che, con
tutti i casini che si portava dietro come un’ombra, avrebbe fatto scappare quei
tre disgraziati che erano sopravvissuti ai suoi allenamenti e che, a dirla
tutta, non se la cavavano neanche tanto male.
“Vedrai, magari si è dato una calmata in queste settimane.”
Ryota le lanciò
un’occhiata per niente convinta. “Ne
riparliamo questo pomeriggio. Se vinco io, esci con me!”
Ayako gli fece una
smorfia divertita, ma non gli rispose. Voleva farlo soffrire ancora un po’, da
brava ragazza sadica, anche se Hime le aveva più volte detto che non doveva
giocare col fuoco. Ryota era innamorato di lei, certo, ma prima o poi si
sarebbe stancato di quella situazione altalenante, era normale.
E mentre lei si
arrovellava il cervello in quei pensieri contorti, un’altra ragazza
scarabocchiava disegni astratti nel suo quaderno, pieno di qualsiasi cosa
tranne che di appunti. Kiyo Kobayashi non aveva mai adorato andare a scuola e
studiare, se non per poter partecipare al club di nuoto che la vedeva come una
delle migliori atlete di quegli ultimi anni. Lei non voleva continuare
all’università, voleva solo uscire da quella gabbia di matti e proseguire nel
professionismo, fino alle Olimpiadi. Un sogno ambizioso il suo, ma testarda
com’era non si sarebbe schiodata da quell’idea neanche morta.
Il professore di
Giapponese Antico stava traducendo un testo, a detta di alcuni suoi compagni,
particolarmente ostico, ma non se ne curò. La sua amica, in un buco di tempo
libero, le avrebbe dato una mano prima degli esami, come faceva sempre. Guardò
con impazienza l’orologio appeso sopra la porta e sbuffo constatando che era
passata solo un’ora e mezza dall’inizio delle lezioni.
Che due palle.
Lanciò un’occhiata alla
classe, tutta intenta a prendere appunti e a seguire la lezione. Tutti tranne
uno, che ronfava beatamente incurante di tutto e di tutti. Ormai anche il
professore si era rassegnato a quella che era diventata routine giornaliera.
Kaede Rukawa aveva sempre fatto così: entrava in classe, inceneriva con lo
sguardo chi osava salutarlo, borsa sul banco a mo’ di cuscino e buona notte a
tutti. Solo in inglese si degnava di ascoltare e addirittura scribacchiare
qualcosa nell’unico quaderno che sembrava avere. Ma lui doveva andare in
America, doveva imparare l’inglese.
Kiyo scosse la testa,
pensando che quel narcotizzato di ragazzo era veramente strano. E non riusciva
a capire come più della metà della popolazione femminile potesse morirgli
dietro. Assurdo, semplicemente. Sì, era carino, niente da ridire; ma uno che
non parlava, non sorrideva, dormiva anche in piedi e pensava sempre e solo al
basket non doveva essere di troppa compagnia.
Ma a lei poco importava;
si salutavano a malapena solo perché lui si era accorto dell’indifferenza della
ragazza e lei, dopo la scottatura con Toshiro, non aveva alcuna intenzione di
fissarsi con qualcuno, soprattutto se questo era un qualcuno poco socievole
come lui.
Kaede Rukawa, però, anche
se in coma profondo, sentì perfettamente il suono soave della campanella che
decretava la fine delle lezioni e l’inizio della pausa pranzo e, con tutta
calma, prese la sua sacca dell’allenamento e se ne andò come sempre in
terrazza, a mangiarsi il suo bento in
santa pace e a schiacciare l’ennesimo pisolino pomeridiano. Arrivato all’ultimo
piano spinse la porta che dava sul terrazzo e lanciò velocemente un’occhiata in
giro. Nessuno. Si sedette contro il parapetto e mangiò quel poco di cibo che si
era portato dietro, tanto per dire che aveva messo qualcosa nello stomaco.
Voleva stare leggero per gli allenamenti, quindi un piccolo sacrificio poteva
anche farlo. Non che fosse conosciuto come la discarica umana, quel primato lo
detenevano quegli smidollati dei suoi compagni di squadra e non aveva alcuna
intenzione di rompersi lo stomaco come loro. Ma quante lavate di capo si era
beccato dal Capitano, dalle due manager, persino da quella Scimmia Rossa, per
il fatto che fosse troppo magro! Ah, farsi i fatti loro no, eh?
I suoi pensieri furono
risvegliati dalla voce squillante di Hanamichi che, giù in cortile, sbraitava
qualcosa a qualcuno. Probabilmente le solite stronzate sulla sua genialità. Ma
come diavolo faceva a farsi sentire anche lassù?
«Do’aho», mormorò, mentre
nello stesso istante la
Scimmia si strozzava col suo cibo, manco avesse avuto il
sesto senso di sentire quel nomignolo.
La porta della terrazza
si aprì e la solita ragazzina silenziosa fece la sua comparsa, salutandolo con
il solo sguardo. Kaede non sapeva chi fosse, ma l’aveva sempre trovata lì
all’ora di pranzo. Arrivava silenziosa, mangiava il suo bento e l’ora dopo faceva i compiti per il giorno successivo; poi
spariva nel nulla a tutta velocità alle lezioni, e poi probabilmente per andare
a frequentare il proprio club, forse di musica dato che a volte si trascinava
dietro una chitarra che sembrava più grande di lei. Beh, almeno non gli menava
le palle sbavandogli dietro e lo lasciava dormire in pace.
Ma Rukawa non ci pensò
più di tanto, troppo occupato a trovare una posizione comoda per addormentarsi
meglio. Evidentemente la trovò subito, perché entrò in letargo due secondi dopo
che aveva chiuso gli occhi.
*
«Hisashi!», gridò Hime,
saltando al collo dell’amico per la gioia di rivederlo.
«Ehi, testa rossa!», le
sorrise, dandole un pizzicotto sulla guancia. «Era ora, vi stavamo dando per dispersi».
«Oh, allora vi
mancavamo!», cinguettò Hime, saltellando dalla contentezza.
«Ora non montarti la
testa come il tuo solito. E tu, mezza sega! Come va la schiena?».
«Mezza sega a chi?!», sbraitò l’altro, indemoniato. «Per la cronaca
il Genio qui presente è più in forma di prima! E voi pipette dovrete fare i
conti con me, agli allenamenti! Ahaha!»
«Ma sentitelo. Nella
riabilitazione non era compresa anche una visita dal neurologo?».
«Ma va’ un po’ a cagare!».
Mitsui gli tirò un
colpetto in testa, ghignando. «Scherzi a parte, seghetta, come va?».
Hanamichi sorvolò
sull’ennesimo “seghetta” gratuito che gli aveva lanciato, facendo spallucce.
«Per ora non ho problemi, ma devo vedere cosa succede agli allenamenti».
Hime incrociò le braccia,
con fare da maestrina. «Il medico ti ha detto di non sforzarti, Hana».
«Sì, Hicchan, me l’avrai
ripetuto cento volte».
«E continuerò a farlo,
perché ti conosco», ribatté la sorella, guardando Hisashi per cercare sostegno.
Questo annuì, consapevole che il momento post-riabilitazione era quello più
critico e che bisognava saper utilizzare la massima cautela per non avere
problemi in futuro e troncarsi la carriera sportiva con le proprie mani.
«Hanamichi, fai come ti
dice tua sorella e il medico. Non vorrei che per la tua stupidaggine ti
accadesse quello che è successo al mio ginocchio».
Il rossino grugnì
qualcosa in risposta, ma si fece attento tutto d’un tratto quando Takamiya gli
gridò in un orecchio “Ehi, guarda chi c’è
la!”. Per poco Hanamichi non si strozzò con l’acqua che stava bevendo,
rischiando di sputarla tutta addosso all’ex-teppista e dire addio al mondo con
tanto di sviolinata funebre. Chi aveva visto? Ma la sua dolce Haruko, ovvio.
«Ciao ragazzi!», li
salutò la sorella del Gorilla. «Siete tornati!».
Hime annuì sorridente,
mentre il fratello era in totale brodo di giuggiole e pendeva dalle sue labbra.
«Oh Kami…», borbottò
Hisashi, alzando gli occhi al cielo.
«Come va la schiena,
Hanamichi?», chiese gentilmente Haruko, sedendosi a mangiare con loro.
Hime, Mitsui e gli altri
si passarono una mano sul viso, rassegnati, quando Hanamichi saltò in piedi,
esclamando al mondo: «Sono più forte di prima! Ahaha!».
E l’altra soggetta, che
avrebbe fatto bene a starsi zitta una buona volta, diceva sorridente: «Non
avevo dubbi, Hanamichi!».
«È anche più deficiente,
a quanto pare», commentò Ryota, raggiungendoli con Ayako.
«Tappo! Quanto mi sei
mancato!», gridò Hanamichi, mentre il povero playmaker dello Shohoku si vedeva
arrivare addosso un bisonte di un metro e novanta che iniziò a strapazzarlo
neanche fosse un pupazzo. Hanamichi rischiò il linciaggio per l’eccessiva dimostrazione
di affetto, che giustamente Hime volle sottolineare con un “Come siete carini!”, gli occhioni
luccicanti e le mani sulle guance rosse.
«Siete la coppia più
bella del mondo…», cantilenò qualcuno alle loro spalle, facendoli voltare.
«Akira!», esclamò Hime,
andando ad abbracciare l’amico, mentre la-coppia-più-bella-del-mondo
in questione continuava a darsi dimostrazioni d’affetto con morsi e pugni.
«Ehilà, ragazzi!», fece il
bel numero 7 del Ryonan, che con il suo solito sorriso candido avrebbe illuminato
l’intero Paese, risolvendo la problematica faccenda energetica.
«Bah? Che c’è, riunione
qui?», borbottò Hisashi, guardando di sbieco il nuovo arrivato.
Akira gli si avvicinò,
dandogli qualche amichevole pacca sulle spalle. «Aha!
Hisa, non mi dire che sei ancora arrabbiato?», gli
chiese con un visino angelico.
«Secondo te? Razza di
demente».
«Che è successo?»,
domandò interessata Ayako, per la serie facciamoci
i fatti degli altri senza il benché minimo pudore.
«È successo che questo
Istrice della malora mi ha fregato le chiavi della moto da casa e me lo son
ritrovato che gironzolava intorno al mio quartiere come se niente fosse».
Akira, che nel frattempo,
si spanciava al ricordo dello scherzetto che gli aveva fatto, si mise a sedere,
ancora divertito. «Eddai, Hisa,
ero una vita che ti chiedevo di farmi fare un giro su quella benedetta moto!».
«E non ti sei schiantato
da nessuna parte?», fece allibito Hanamichi, tornando dall’incontro di boxe che
l’aveva visto vincitore contro Ryota.
«Guarda che sei tu quello
incosciente che rischia di ammazzarsi ad ogni curva, Hanamichi», gli fece
saggiamente notare Yoehi, che due secondi dopo si beccò una testata memorabile.
«Schiantato? Se ne fosse
uscito vivo l’avrei finito di ammazzare io, altro che!», sbraitò Mitsui peggio
di un venditore al mercato.
«Ma son stato bravo,
neanche un graffio», disse pieno di sé il Porcospino, facendo ridere Hime,
mentre Hisashi grugniva un “E per fortuna
tua”.
Hanamichi guardò di
soppiatto l’amico. «Dì un po’, Hentai, com’è che non sei al Ryonan oggi?»
Con un sorrisone degno
della più nota pubblicità di dentifrici per denti smaglianti, Akira si passò
una mano sulla nuca. «Non ha suonato la sveglia!».
«E ti pareva!».
«Aki,
dovresti seriamente fare qualcosa con quell’aggeggio», disse Hime, fintamente autorevole.
«La prossima volta ti sparo un razzo in camera, vediamo se così funziona».
«Bah, questo qui è peggio
di Rukawa», fece Hisashi. «Domenica scorsa sono andato a casa sua per
portarmelo dietro in ospedale, dato che ci teneva così tanto a farmi da mamma.
Mi ha aperto la signora Sendoh dicendomi che l’avrei trovato in camera sua. “Se sta ancora dormendo, sveglialo!”, mi
ha detto».
«Sì, “sveglialo”. Non “fargli perdere venti anni di vita in un colpo”».
«Che hai fatto, perché?»,
chiese Ryota, interessato.
Mitsui ghignò alla volta
dell’amico dai capelli anti-gravitazionali. «Gli ho gridato nelle orecchie imitando
la voce del signor Fukkoi».
E mentre tutti piangevano
dalle risate, soprattutto Hanamichi e Hime che non avevano ancora dimenticato
lo scherzetto fatto in ritiro ai danni del povero Sendoh Nazionale, Akira
sospirava, sconsolato. «Non solo son bastardi, ma se la ridono anche!».
«Beh, non puoi negare le
mie innate doti per le imitazioni», si pavoneggiò Hisashi, stiracchiandosi e
mettendosi in piedi.
«Certo, senpai, che anche
tu ti difendi bene! Ci sono così tante persone da imitare… ma devi fare proprio
l’uomo dei suoi incubi ricorrenti?», lo bacchettò Ayako, anche se nonostante
tutto era divertita.
«E se no che gusto ci
sarebbe, scusa?».
«Oh, fai pure quando
vuoi, Hisashi».
Mitsui tirò un colpo
amichevole alla spalla di Akira, mentre questo se la rideva come se niente
fosse accaduto. Anche se sentirsi appena sveglio la voce del padre della sua
ex, un uomo tutto fuorché gentile, non era il massimo del divertimento.
«Dai, ragazzi. È arrivata
l’ora di allenarsi!», cinguettò Hime, che come il fratello non vedeva l’ora di
riprendere con la routine pomeridiana.
«Hanamichi!», lo richiamò
il nuovo Capitano. «Non ti dico niente, mi raccomando». Il rossino lo guardò
con aria perplessa, grattandosi il mento. «Ti sto dicendo di non metterti a
fare il deficiente con le nuove reclute, ritardato!».
«Ritardato a chi?! E poi
mica devi farmi le raccomandazioni, Ryo-chan. Lo sai che sarò un angioletto
come sempre!».
«Andiamo bene», borbottò
qualcuno, mentre la mandria si mise in viaggio verso la palestra.
Sulla via trovarono due
ragazzotti alti almeno un metro e ottantacinque, anche loro con la sacca
dell’allenamento in spalla.
«Ciao ragazzi!», esclamò
Ayako, agitando una mano per farsi vedere. Come se poi quei bestioni dietro di
lei non si facessero notare già di per sé.
«Oh, Ayako-san! Ciao!
Capitano! Senpai Mitsui!», esclamarono in coro i due, che si rivelarono essere
due gemelli.
Hanamichi, appena si
accorse di loro, balzò davanti ai novellini ragazzi, guardandoli da ogni lato e
rendendosi più ridicolo di quanto già non apparisse per conto suo.
«Ecco che ora li fa
scappare», biascicò Hisashi, passando dritto e deciso a non intervenire per non
pestare quell’idiota e rischiare di sporcarsi le mani di sangue.
«E voi due chi sareste?»,
chiese Hanamichi, continuando a gironzolare intorno ai gemelli.
«Eichiro e Kimi Shimura,
piacere di fare la tua conoscenza, Sakuragi!», fece uno dei due, Eichiro.
«Ti abbiamo seguito ai
Campionati, e pensiamo che sia stato veramente un grande!», proseguì entusiasta
Kimi.
«Oh no, non dite così che
si monta la testa», mormorò Ayako, coprendosi il viso con il berretto. E
infatti, appena Hanamichi sentì che i due lo conoscevano anche senza bisogno di
presentazioni, gli saltò addosso, iniziando a ridere sguaiatamente e guadagnandosi
decine e decine di occhiate preoccupate. «Voi due già mi piacete!».
«Lo abbiamo perso»,
decretò Akira, ficcandosi le mani in tasca, con il suo solito sorrisino sulle
labbra.
«Più che altro spero di
non perdere quei due. Sono in gamba», borbottò Ryota, avvicinandosi al rossino
e tirandoselo dietro per un orecchio. «Fila negli spogliatoi e vedi di
sgasarti!».
«E dire che rimpiangeva
Akagi», fece Hime con gli occhi sgranati. «Ryota sarà anche la metà, ma si fa
rispettare».
«Cosa sarei io?!».
La ragazza scoppiò a
ridere, cercando di nascondere un evidente imbarazzo per la brutta figura. «Ma
no, Ryo-chan! Scherzavo! Ahaha!», disse
innocentemente, mentre il fratello si beccava un sonoro calcio nel di dietro
per aver azzardato un “Tappo” rivolto al Capitano.
Nel frattempo arrivò
anche un altro ragazzo mai visto, che salutò tutti con cordialità, per poi
soffermare la sua attenzione sulla rossa. «Ciao, io sono Masuhiro Araki, tu
devi essere Hime Sakuragi, vero? È un onore poter lavorare con te!».
Hime divenne rossa come
un pomodoro nel ritrovarsi quel giovanotto che la guardava con occhi fuori
dalle orbite e la bavetta alla bocca. «Uh… ciao, Masuhiro». Guardò Akira, al
suo fianco, cercando aiuto, ma quello sembrava non curarsene, troppo divertito
per porre fine a quella situazione.
«Ha! Sendoh del Ryonan!»,
esclamò il nuovo arrivato, eccitato. «Ti batterò, vedrai!».
Akira sorrise affabile
come sempre, mentre puntuale arrivò il commento di Kaede Rukawa: «Un altro
esaltato».
L’aria si fece pesante
tutta d’un colpo: Araki che, da dolce cucciolotto innamorato, passò a uno
sguardo di ghiaccio rivolto a Kaede che, a sua volta, lanciava un’occhiataccia
fulminante al suo rivale-amico Akira che, a differenza degli altri, alleggerì
il tutto con una sana risata.
«Ma che hai tu sempre da
ridere, Iena?», esclamò Hanamichi, comparendo dagli spogliatoi. «Toh, la Volpe!».
«Hanamichi, un giorno
dovrai farmi il riepilogo di tutti i nomignoli che hai dato in giro, perché ho
sinceramente perso il conto», disse Akira con un sorriso.
Ma Hanamichi non lo stava
nemmeno ascoltando, troppo intento a capire cosa stava succedendo: c’era un
nuovo ragazzo, poco più basso di lui, con dei capelli vergognosamente tinti di
blu sulle punte, che non sapeva bene se bearsi della vista della sorella o se
fulminare con lo sguardo la
Kitsune, che comunque non se lo filava neanche con uno
sguardo. «Hicchan, vieni qui! Non mi piace questa cosa».
Araki si accorse solo in
quel momento della presenza di Sakuragi, che salutò con una cordiale presentazione
e filò velocemente negli spogliatoi.
«Questa cosa, cosa?», chiese Hime perplessa.
Il fratello grugnì
qualcosa in risposta, ma non aggiunse altro, raggiungendo i compagni al centro
del campo per l’inizio degli allenamenti.
Appena i ragazzi
iniziarono i loro giri di riscaldamento, Hime si sedette vicino ad Ayako,
guardando le schede dei nuovi arrivati. «Che mi puoi dire dei pargoletti?».
«Mah, se la cavano
abbastanza bene, per ora. Ma li abbiamo visti giocare senza Kaede e Hanamichi
in campo, quindi oggi ne vedremo delle belle», sospirò Ayako, consapevole di
quello a cui stavano andando incontro. «Comunque i gemelli sono alti 1,86 e
pesano intorno agli 80 chili. Eichiro è un'ottima ala grande, mentre Kimi è
bravo sia come guardia che come play».
«E l’altro?», chiese
Hime, lanciando un’occhiata veloce al suo nuovo spasimante.
«Oh, Araki è alto 1,83,
pesa 70 chili ed è un’ala piccola. Credo che tra lui e Rukawa ci sarà una bella
lotta. Era alle Tomigaoka anche lui ed era sempre una delle riserve, dato che Kaede
era la stella della squadra. Puoi immaginare l’astio che provi nei suoi
confronti».
«Beh, l’importante è che
non si ammazzino a vicenda. Dobbiamo tirare su una buona squadra».
«Uhm… interessante…»,
stava dicendo intanto Akira, curiosando negli appunti della prima manager.
«E dai, solo
un’occhiatina!», fece innocente l’amico, tentando di intenerirla con uno dei
suoi consueti sorrisi malandrini.
«Scordatelo!».
E tra battibecchi, corse
e passaggi, arrivò anche il tanto atteso momento della partitella per testare
le condizioni della schiena di Hanamichi e dei tre acquisti.
«Bene, ragazzi, ci
divideremo in due squadre», stava dicendo Ryota, con tono di chi non ammetteva
repliche.
«Ehi, smettila di farti
figo. Non ti riesce», parlò invece il Figo per eccellenza, a suo dire, Hisashi
Mitsui, asciugandosi il sudore del viso sulla maglia blu.
«Ha parlato quello che si
crede ganzo solo perché indossa giacche di pelle e guarda male tutti».
«Almeno io ho il fascino
del tenebroso!».
«E basta cincischiare,
narcisisti dei miei stivali!», sbottò Ayako, tirando fuori il ventaglio e
dandone una passata a ciascuno. Le reclute si allontanarono di qualche passo,
dato che avevano capito che la prima manager, quando si arrabbiava, diventava
estremamente pericolosa.
Ryota, dopo aver
mormorato un “Ayakuccia!”, proseguì.
«Dicevo, titolari contro i novellini».
«E Akagi chi lo
rimpiazza?», chiese Hisashi. Hanamichi gli si parò davanti, indicandosi.
«Sì, vabbè, comunque siamo
in quattro».
«Non mi dite che già vi
manco?», ghignò una voce all’ingresso della palestra, facendo gelare il sangue
a tutti. Takenori Akagi li guardava con una punta di soddisfazione in viso, le
braccia incrociate… e la tuta dell’allenamento addosso.
«Gori!», strillarono i
gemelli Sakuragi, saltandogli addosso e abbracciandolo con le lacrime agli
occhi.
«Pussate via,
deficienti!», gridò il King Kong, rosso in viso, cercando di scrollarseli di
dosso. Ma quei due erano peggio di due cozze e gli rimasero appesi al collo
finché non buttò la spugna, guardando gli altri con aria rassegnata. «Ecco uno
dei motivi per cui ho mollato».
«Seh,
seh. Dì la verità, è che stai invecchiando e non ce
la fai più», lo stuzzicò Mitsui, sfidandolo con lo sguardo. Quanto gli mancava
quel gendarme del cavolo!
Come si immaginavano un
po’ tutti, Akagi raccolse l’amo e si trascinò in mezzo al campo, con quegli
altri due dementi ancora attaccati al collo. «Titolari contro novelli, eh? Io
son pronto».
«Yeah!»,
gridarono Hime e Hanamichi, battendosi il cinque. Akagi sorrise, scuotendo la
testa. No, non poteva certo sperare che quei due potessero cambiare nel giro di
poche settimane. Tanto meno poteva sperare di riuscire a stare senza il suo
amato basket, cosa per cui stava letteralmente impazzendo. Una partitella con i
suoi vecchi compagni non avrebbe fatto altro se non giovargli.
«Bene, la squadra rossa
sarà formata da me, Akagi, Mitsui, Rukawa e Sakuragi.», fece Ryota, richiamando
l’attenzione di tutti, troppo intenti a guardare il Gorilla. «La squadra gialla
invece avrà la seguente formazione: Eichiro Shimura nel ruolo di ala grande,
Kimi Shimura in quello di guardia, Yasuharu Yasuda playmaker, Masuhiro Araki
ala piccola e Satoru Kakuta centro. Domande?»
Hanamichi alzò la mano, lasciando
tutti parecchio perplessi. «Io con questo volpino non ci voglio stare». Immediato
arrivò anche il tanto agognato pugno del King Kong, che quasi lo fece piangere
dalla commozione.
«Hime, tu arbitrerai come
sempre, d’accordo?», le chiese Ryota, che in risposta ottenne un ok e una
strizzata d’occhio.
«Ehi, Kit, vedi di non
fare la divetta come sempre e non preoccuparti della mia schiena, ok?», gli
fece Hanamichi, con una strana espressione che voleva dire: “Sono più forte di prima, se passi a me fai solo
bene!”.
Kaede, d’altro canto, lo
guardò come se gli fossero spuntate tre teste. «E chi si preoccupa, Do’aho».
«Dai, ragazzi, tutti ai
vostri posti!», fischiò poi Hime, per farsi sentire. Inutile dire che quando
Masuhiro la vide in pantaloncini e con la maglia del fratello addosso,
fischietto da una parte e pallone dall’altra, non poté non avere un momento di
collasso. Era amore a prima vista, quello!
«Chiudi quella ciabatta,
amico. Ti ci entrano le mosche», gli consigliò Hisashi. «Quella è proprietà privata».
Araki si risvegliò,
guardando il senpai con vergogna. «S-scusami, Mitsui-kun,
non volevo… è… è la tua ragazza?»
Hisashi scoppiò a ridere,
per quella che a lui parve una battuta in pieno stile. «Ma no, è solo che se
Hanamichi si accorge che te la mangi con gli occhi sono cavoli tuoi. Ti consiglio
di contenerti, tutto qui».
«Oh». Masuhiro lanciò
un’ultima occhiata alla ragazza, che stava tirando due palloni in testa a
Hanamichi e Kaede, dato che avevano iniziato a battibeccare come due bisbetiche
in mezzo al campo.
«Hi-Hicchan! Ha iniziato
lui!», si lagnò il fratello, mentre Rukawa gli passava accanto, massaggiandosi
la testa e borbottando “Uno più scemo
dell’altro”.
La partitella di
allenamento iniziò due minuti dopo. Al salto si piazzarono Akagi ed Eichiro e,
come prevedibile, il King Kong ebbe la meglio sul novellino.
«La prossima volta piega
di più le gambe», gli consigliò e Shimura annuì, partendo in difesa. La palla
era in mano a Ryota, che fece qualche passo oltre la linea di metà campo e
studiò la situazione. Vide Rukawa tallonato da un ammirevole e indemoniato
Masuhiro, ma era ancora troppo presto per passargli la palla e fargli
assaggiare il talento del volpino. Palleggiò velocemente, penetrando a sorpresa
la difesa, seguito da Yasuda, suo marcatore. Passò a Mitsui, con uno splendido
cambio di mano dietro la schiena, e il cecchino dello Shohoku, proprio a
qualche passo dalla linea dei tre punti, saltò indietro, prese la mira e tirò.
Quando alzò il pugno al cielo tutti capirono che i primi tre punti della
partita erano per la squadra rossa.
«Vai così, Mitchi!».
«E non chiamarmi Mitchi,
deficiente!».
Il possesso era ora in mano
ai pivelli; Yasuda passò a Masuhiro, che fremeva per avere il pallone e far
vedere a tutti di che pasta fosse fatto. Due secondi più tardi fu accontentato
e guardò con occhi di brace il suo rivale. «Ora vedremo se sei ancora tu la
stella della squadra, Rukawa».
Hanamichi prese un
coccolone nel sentire quelle parole, soprattutto nel vedere lo sguardo
determinato del suo compare. Conosceva quell’espressione, e così non andava
bene! «Ehi! Si da il caso che Rukawa è
mio, chiaro?!».
«Do’aho, taci che
potrebbero scambiarlo per altro».
La partita si fermò
qualche minuto, il tanto giusto per far riprendere un po’ tutti dagli attacchi
epilettici dovuti alle troppe risate. Hime rischiò seriamente di ingoiare il
fischietto che teneva poggiato tra le labbra e persino l’imperturbabile Akagi
dovette darsi una rinfrescata alle idee dopo l’uscita colossale del rossino.
«Questo è troppo anche
per me!», stava dicendo Akira, spalmato in terra con le mani sulla pancia,
incapace di fermarsi.
«La gelosia ti fa maleeee, lo saaai…», canticchiò tra le lacrime Hisashi, mentre
Hanamichi sbraitava che intendeva dire “Mio
nemico pubblico, razza di stronzi!”. Ovviamente Kaede non poteva lasciare
impunita la cosa e le suonò di santa ragione all’amico, mentre il resto della
squadra quasi rimaneva senza fiato per le risate. Non ce n’era uno che
riuscisse a reggersi in piedi dai singhiozzi.
Dieci minuti dopo stavano
ancora ridacchiando, ma riuscirono a rimettersi bene o male sulle proprie
gambe.
«Hanamichi, era una vita
che non ridevo così tanto!», lo ringraziò Ryota, seguito da Hisashi, che gli
battevano le mani sulle spalle, mandandolo letteralmente in bestia.
«Forza, si ricomincia!»,
batté le mani Akagi, richiamando l’attenzione di tutti.
Si riprese con rimessa
laterale per la squadra gialla e si proseguì. Kimi palleggiava placidamente,
con troppa calma per i gusti di Mitsui. Era convinto che da un momento
all’altro sarebbe partito con l’attacco. E infatti eccolo, lo sguardo sempre
calmo, ma la velocità e l’agilità con cui si mosse tradirono la sua apparente tranquillità.
Kimi passò al gemello, ma una mano si mise in mezzo. Il contropiede che Kaede
fece partire fu fulmineo. L’unico che riuscì a stargli dietro della squadra
avversaria era Araki, che tentò di fermarlo. Kaede, con un movimento fluido e
veloce, si passò la palla dietro la schiena, scartandolo nel giro di pochi
secondi e lasciandolo inebetito sulla lunetta. La schiacciata che seguì dopo fu
spettacolare.
«Aaah!
Maledetta Volpacciaaa!»
«Cavolo, è veramente
bravo», disse Eichiro a Kimi, passandosi la maglia sulla fronte.
Il fratello annuì. «Già,
è arrivato in un istante e subito dopo aveva già fatto canestro. Siamo
fortunati a non averlo come avversario».
«Su, ragazzi, non
addormentatevi!», li risvegliò Araki, fin troppo indiavolato per non aver
potuto fermare il suo attacco.
Akira, intanto, poggiato
contro il muro della palestra, guardava interessato lo svolgersi della partita,
e sorrise nel vedere che Kaede era migliorato ancora. Il ritiro con la Nazionale Juniores
sembrava avergli fatto bene e quello che poteva leggergli negli occhi era
chiaro: non si sarebbe fatto battere da nessuno, ora men che meno. Sarebbe
stato difficile quanto entusiasmante giocare contro di lui, ma non impossibile.
Del resto, lui amava le sfide.
«Oh ohoh!».
I ragazzi si voltarono
verso il proprietario inconfondibile di quella risata, l’allenatore Anzai, che
li salutava con un bel sorriso.
«Nonno!», esclamò
Hanamichi, beccandosi poi un calcio da Hisashi.
«Quante volte dovrò
ripeterti di portare rispetto al signor Anzai, eh?»
«Oh ohoh!
Sakuragi, vedo che sei tornato in forma smagliante», fece la Nonnetta, con allegria.
«E certo! Ti aspettavi il
contrario, forse?», si pavoneggiò come da copione l’altro, mentre Akagi gli
assestava un altro bel pugno in testa e i tre novizi dovevano raccogliere le
mascelle rotolate a terra, troppo sgomenti per come si rivolgeva al proprio
allenatore.
«Bene, ragazzi,
continuate così e prendete esempio da Sakuragi», disse Anzai, mentre qualcuno
borbottava “Ci mancherebbe anche questa!”
e l’ego dell’invasato in questione quasi faceva scoppiare i vetri della
palestra. «Dobbiamo avere grinta se vogliamo vincere il Campionato Invernale».
«Sì, signore!»
«Proseguite pure e
scusate l’interruzione», concluse, sedendosi accanto ad Ayako, che prendeva
appunti e dati.
La partitella proseguì,
con un netto vantaggio dei titolari. Nonostante fossero bravi, niente potevano
contro una squadra unita e incredibile come quel quintetto. Eichiro e Kimi
Shimura erano veloci e abili, ma un po’ troppo affrettati nelle conclusioni;
Masuhiro Araki, poi, era quello più veloce e determinato a battere Rukawa, ma
proprio per questo motivo non brillò certo per spirito di squadra. Lo stesso
Kaede gliel’aveva detto: «Questo non è un one-on-one, pivello. Se vuoi batterti con me lo facciamo dopo gli
allenamenti, non ora». E detto da un ghiacciolo egoista come il numero 11 era
il massimo.
«Checcosa?!», sbraitò Hanamichi, appena sentì quella frase. «Perché lui sì e
io no?! Cos’è, hai paura di me?».
«Ci risiamo», fece Akagi,
ringhiando.
«Sembrano marito e
moglie», fece Ryota, affiancandosi a Mitsui, che si poggiò con un braccio sulla
sua spalla. «Comodo?».
«Perfetto, direi».
«Do’aho. Ti ho già
battuto una volta», sbuffò Kaede. «Vuoi umiliarti ancora?».
Hanamichi divenne rosso
peggio dei suoi capelli e da lì al finimondo il passo fu veramente corto.
Le porte della palestra
si chiusero su una letterale batosta dei pivelli, che portarono a casa numerosi
e saggi insegnamenti: non contraddire Sakuragi, far girare la palla (ben
diverso da “far girare le palle”,
sottolineò qualcuno), correre correre e correre,
nuovamente non contraddire Sakuragi, subire in silenzio i rimproveri e le
messinscene dei più grandi e stamparsi in testa a chiare lettere “Dovrò pulire la palestra fino a che non
torna lucida e splendente al posto dei veterani”.
Che dura la vita da basketman.
Continua...
* * *
E il primo capitolo è andato... Spero vi sia piaciuto! Io mi
son divertita troppo a scriverlo! :D
Eichiro e Kimi si
voltarono e salutarono allegri gli altri due gemelli, accompagnati da quello
che, se non ricordavano male, si chiamava Yoehi Mito.
«Come va?», chiese Hime,
affiancandosi ai due.
«Siamo ancora distrutti
dalla partitella di ieri, Hime-san», confessò Kimi, arrossendo lievemente. «Non
eravamo abituati a certi ritmi… e voi siete instancabili!», continuò verso
Hanamichi, che scoppiò a ridere.
«Bello mio», iniziò,
battendogli amichevolmente delle pacche sulla schiena che per poco non capottarono
il povero disgraziato, «noi siamo dei campioni e i campioni devono dare il
massimo. Se no come credi che ci sia arrivato io?».
«Sakuragi, è vero che
giochi solo da Marzo?», chiese Eichiro, pendendo dalle sue labbra.
«Sì, sì, vedete: la
stoffa di un genio come me è stata tenuta nascosta fino a quest’anno come arma
segreta. Non potevo certo rivelare le mie capacità se non avessi trovato un club
che fosse alla mia altezza».
Hime e Yoehi si
scambiarono un’occhiata eloquente e sospirarono, guardandosi bene dal non
fiatare per non avere ripercussioni di alcun genere.
«Fantastico!»,
esclamarono i gemelli, entusiasti, mentre il deficiente di turno si gasava come
non mai.
«Oggi niente
allenamenti?», fece Yoehi, sistemandosi la cartella sulla spalla.
Hime scosse la testa.
«No, niente. Stai pensando quello che sto pensando io?».
«Credo proprio di sì».
«Perfetto, dopo lo
chiediamo anche agli altri. Oh, posso dirlo anche a Nobu!», esclamò la rossa,
illuminandosi d’immenso al solo pensiero della sua adorata scimmietta.
Yoehi sorrise, ma dovette
bloccarsi per iniziare a ridere quando, arrivati al cancello del liceo,
Hanamichi fu travolto da una bicicletta. Peccato che questa volta non fu il
solito Rukawa a centrarlo in pieno, ma quella che sembrava una ragazzina di
tutta fretta che portava in spalla la custodia di una chitarra. Il ragazzo,
steso a terra, balzò in piedi, ma quando si guardò intorno per cercare la volpe
assassina rimase stupito nel rendersi conto che Kaede non fosse ancora
arrivato.
«Ma allora è vizio!»,
sbraitò Hanamichi, guardando la schiena della ragazzina sparire dietro un
angolo.
«No, mezza sega, sei tu
che sei sempre in mezzo alle palle.», fece sardonico Mitsui, che subito dopo
sbadigliò assonnato. «Cacchio, quanto ho dormito male».
«Come mai?», chiese Hime
avvicinandosi all’amico e dandogli il bacetto del buongiorno, mentre Hanamichi
stava ancora blaterando e inveendo contro la ragazza ignota che non aveva
neanche chiesto scusa.
«Ah, le solite cose.
Troppi pensieri per la testa».
Hime non fece in tempo a
chiedergli altro perché Hanamichi venne investito ancora, questa volta dal ben
noto Kaede, che ancora non si era visto e il rossino stava persino iniziando a
darlo per disperso.
«Dannata volpaccia, vieni
qui che ti spello per bene!».
«Quanto si adorano»,
disse sognante Hime.
«Ma son sempre così?», le
domandò Kimi preoccupato.
«Oh, no, no…» I gemelli
sospirarono di sollievo, ma gli prese un colpo quando la loro seconda manager
aggiunse: «A volte sono anche peggio».
«Beh, dai, son
divertenti!», azzardò Eichiro, guadagnandosi le occhiate perplesse degli altri.
«Sì, divertentissimi.
Soprattutto quando iniziano a pestarsi in mezzo a una partita ufficiale».
Hisashi salutò con un cenno del capo. «Io vado a dormire un po’ prima delle
lezioni, ci vediamo ragazzi».
Hime lo seguì con lo
sguardo, preoccupata. Che gli stava prendendo? Forse all’ospedale gli avevano
dato cattive notizie sul ginocchio?
«Si accettano scommesse!
Dieci a zero per Rukawa, chi scommette?».
La ragazza si mise le
mani sui fianchi e guardò con aria da maestrina l’Armata Sakuragi che, come
sempre, aveva sollevato il consueto teatrino di scommesse ai danni del povero fratellino,
tirando fuori da chissà dove occhialini da sole e cappelli calati sul viso per
non farsi riconoscere.
«Ehi, Hime! Vuoi
scommettere anche tu?», le domandò Noma, ammiccando per convincerla.
«Ragazzi, siete degli
strozzini», fece l’altra, fingendosi arrabbiata. «Altro che dieci a zero per
Ede, io punto su Hana!».
I gemelli Shimura la
guardarono allibiti, non aspettandosi certo una cosa del genere da una tenera e indifesa ragazza come lei. Non sapevano che potesse essere anche
peggio del fratello.
«Che succede qui?»,
sbraitò il Gori, arrivando in quel momento seguito da un Kogure intento a
pulirsi le lenti degli occhiali.
«Oh, Hanamichi è stato
investito da Rukawa, come sempre, e prima ancora da una ragazza», rispose
Yoehi, gustandosi la scena. «Si sta sfogando per bene».
«Mai che lo ammazzino
davvero, eh?», grugnì Akagi, sedando calci, morsi e insulti vari con i sui
micidiali pugni in testa.
«Ma… Gori! È lui che mi
ha tranciato in bici!», si lagnò Sakuragi, con le mani in testa.
Akagi ghignò maligno.
«Infatti ho punito anche lui per non aver finito il lavoro, demente».
«Ma come? Non mi vuoi più
bene, Gori?».
«Kami, e questa come ti è
uscita?».
«Insensibile!».
«Do’aho».
«Che hai detto tu?!».
«Sei anche sordo?».
La discussione andò
avanti per altri dieci minuti, intorno a una folla di curiosi che aumentava a
vista d’occhio, oltre le solite galline fan di Rukawa che si dimenavano e
gridavano per incitare il loro idolo.
«Tutto ciò è ridicolo»,
commentò attonita Matsui, l’amica di Haruko. Le venne un colpo quando si
accorse che anche la sorella del Gorilla si era messa in mezzo a quel gruppo di
squinternate per tifare Rukawa. Non c’era proprio più ritegno!
*
Quella era decisamente
una giornata di merda. Oh si, lo era. Ormai aveva acquistato una sorta di sesto
senso per quel tipo di cose, era innegabile. Akira gli aveva sempre detto di
smetterla di tirarsela come un uccellaccio del malaugurio, perché prima o poi
quello che pensava si sarebbe avverato davvero. Ma lui che poteva farci? Se
aveva il sentore di qualcosa nell’aria non poteva farci una beneamata mazza,
che ne dicesse il Porcospino.
Guardò annoiato il quadro
nell’ufficio del preside, che ancora non era arrivato, intento a telefonare
chissà chi. Che palle, ora non poteva nemmeno dormire in santa pace che
addirittura lo sbattevano in presidenza! Ma avevano idea di quanto avesse
dormito da cani quella notte?
Hisashi sbuffò,
incrociando le braccia intorno alla testa e chiudendo gli occhi. Che gliene
andasse bene una nella vita, accidenti.
I passi strisciati di
qualcuno lo risvegliarono dai suoi pensieri e, credendo che fosse il preside,
aprì un occhio. Ma non era il signor Chiba, per lo meno non lo ricordava così
magro, con due gambe da levargli il fiato, i capelli lunghi e chiari e un seno
niente male. Ok, doveva ragionare un attimo a mente lucida: perché diavolo una
così non l’aveva mai vista prima di allora? Le cose erano due: o era arrivata
da poco o lui stava seriamente perdendo colpi.
Kiyo sollevò un sopracciglio
nel vedere il ragazzo da solo nell’ufficio del preside, ma non disse niente. Si
poggiò infastidita alla parete della stanza e aspettò, cosa che le faceva
perdere quel poco di pazienza che aveva. Sentendosi osservata si voltò verso
l’unica persona presente e lo fulminò con lo sguardo. «Che c’è, mai vista una
ragazza?».
Se Hisashi non fosse
stato di quell’umore nero sarebbe scoppiato a ridere come un deficiente. «Più
che altro non ho mai visto te».
«Beh, ora che mi hai
vista puoi anche continuare a guardare il nulla». Odiava, odiava con tutta se
stessa essere fissata con insistenza.
«Chi sei?».
Kiyo sospirò, scocciata.
«Una che non vuole rotture, piacere di conoscerti».
Hisashi si morse un
labbro, divertito. Quella ragazzina era un peperino! «Gran bel nome,
complimenti». Non riuscì a trattenersi quando la ragazza lo fulminò con lo
sguardo. «Ok, ok, scherzavo. Non c’è bisogno di incenerirmi così».
«Quale parte di “non
voglio rotture” non ti è chiara?».
«Come mai anche tu qua?»,
le chiese, ignorando la domanda.
«Oh, perfetto!», esclamò
lei, allargando le braccia. «Oltre che pedante sei anche tonto».
Hisashi se la prese
parecchio per quell’insulto gratuito. Ma aveva scelto la giornata sbagliata per
farlo arrabbiare. «Ehi, ragazzina, non mi pare di averti offesa in nessuno modo».
Kiyo abbassò lo sguardo,
per non guardarlo, e sbuffò. «Ai professori non va bene la mia nuova divisa».
Lui la guardò con
attenzione, dimenticandosi per un attimo che non gli avesse chiesto neanche
scusa. Beh, non c’era che dire: quella ragazzina era l’emblema dell’anarchia
totale. Cravatta sciolta, calze piegate sulle scarpe, gonna più corta del
previsto, giacca completamente assente. Per non parlare dei suoi capelli,
palesemente tinti.
«Tu perché sei qui?».
«Oh, allora anche tu sai
fare domande, a quanto pare», ghignò Hisashi, guadagnandosi un “Idiota” meritato. «Mi hanno beccato che
dormivo in classe».
«Ore piccole?».
«No, problemi miei», le
confessò, distendendosi in un sorriso infelice. Le si avvicinò, tendendole una
mano. «Comunque io sono Hisashi Mitsui».
«So benissimo chi sei».
Ricambiò riluttante la stretta di mano. «Kiyo Kobayashi».
Kiyo Kobayashi. Interessante.
Il signor Chiba arrivò
qualche istante dopo, trafelato. «Scusatemi, ragazzi, ma certe questioni
burocratiche sono veramente infernali!». Hiroshi Chiba era un omone robusto e
apparentemente burbero, ma chi lo conosceva veramente sapeva benissimo che aveva
un cuore d’oro. Andare da lui in punizione equivaleva a farsi una bella
chiacchierata accompagnata da una buona tazza di thè.
I due presero posto
davanti alla scrivania grondante di fogli, senza dire una parola.
«Oh, Mitsui! Come va il
ginocchi0? Non avevi una visita, qualche giorno fa?», s’informò, mettendo a
riscaldare la teiera.
Hisashi sprofondò sulla
comoda poltroncina. «Sì, tutto al suo posto. Per lo meno, è ancora lì per ora».
«Lo sapevo io, sei un
giovanotto forte tu!», gli disse in un sorriso, che contagiò anche il ragazzo.
«E lei, signorina Kobayashi? Ancora per quella divisa?».
Lei annuì, incrociando le
braccia. «Non mi pare di aver ammazzato nessuno, professore».
«Sì, ma le regole sono
pur sempre regole. E lei, in quanto studentessa di questo liceo, deve seguirle».
Kiyo sospirò. «A me non
piace questa divisa. Dovrebbe seriamente prendere in considerazione l’idea di
farla cambiare».
Il signor Chiba si mise a
ridere, sinceramente divertito. «Ci penserò su, d’accordo».
«Bene, posso andare ora?».
«Non vuole un po’ di
thè?».
Hisashi la guardò,
cercando di non ridere. Era comicissima così, tra due fuochi: la porta che
l’attendeva e il dispiacere del professore che li lasciasse subito. Purtroppo
per lei si ritrovò costretta a optare per la tazza di thè, anche perché il
preside non aveva intenzione di punire né l’uno né l’altro, quindi era un modo
come un altro per ringraziarlo.
Quando la piacevole
chiacchierata si concluse, Hisashi le lanciò un’occhiata. «Un giorno mi
spiegherai perché sei così arrabbiata con il mondo».
«Contaci. Da che pulpito,
poi».
Lui sogghignò. «Ci si
vede, Kobayashi».
Kiyo se ne andò
velocemente, salutandolo con un “Ciao”
svogliato e una mano agitata.
Dio, che ragazza quella!
*
Hime si bloccò il
cordless tra l’orecchio e la spalla, cercando di infilarsi i pantaloncini.
«Nobu-chan, ma hai capito dov’è questo campetto?»
»E certo, sono una mappa con le gambe, io!«, rispose il pallone
gonfiato dall’altra parte del telefono.
«Ah già, quasi lo
scordavo!», ridacchiò lei, trionfante per essere riuscita nell’impresa di
vestirsi parlando al telefono. «Oh no, ho messo la maglietta al contrario!».
»Ferma lì! Vengo io a togliertela e a rimettertela per bene!«
«Nobunaga!».
»Che c'è? Va bene, ho capito... Te la tolgo e basta«
«Hentai!».
»Ahaha! Scusa, Hicchan, ma sai che adoro metterti in imbarazzo!«
«Me ne sono accorta»,
borbottò lei, in un sorriso. In quelle settimane Hime stava scoprendo un lato
perverso e maniaco nel suo ragazzo che non pensava neanche avesse. Insomma, era
sempre così scemo, pieno di sé e tenero che non pensava che potesse competere
con le porcate di Akira e Hisashi!
»Ah, Hicchan, va bene se porto anche Arimi? I miei son fuori qualche
giorno e non voglio lasciarla sola in casa.«
Ecco, quello era uno dei
tanti motivi per cui Hime si era innamorata di Nobunaga: il suo infinito amore
per la sorellina minore. Non aveva mai avuto l’occasione di conoscerla di
persona, ma durante il periodo in cui era con Hanamichi per la riabilitazione
ci aveva scambiato due chiacchiere al telefono. La trovava semplicemente
adorabile.
«Ma certo che puoi! Così
finalmente potrò conoscerla!».
Immaginò, come se
l’avesse avuto davanti, il ragazzo che sorrideva trionfante e, prima di
chiudere la telefonata, gli ricordò l’ora e il luogo d’incontro.
«Allora? Quella scimmia
viene?», s’informò Hanamichi, facendo capolino nella camera della sorella. Due
secondi più tardi si beccò una ciabatta in mezzo alla faccia.
«Sarò anche tua sorella,
ma bussare no, eh?», fece Hime, con le mani sui fianchi. «E comunque sì, Nobunaga viene, e porta anche Arimi».
«Chi? La sorella?
Un’altra scimmia?! E che palle!».
«Ma se neanche la
conosci!», esclamò lei, tirandogli l’altra ciabatta in testa.
Hanamichi la guardò
imbronciato. «Hicchan, hai finito di tirarmi infradito o adesso inizi anche con
le scarpe da tennis?».
«E ringrazia che non uso scarpe
con i tacchi!». Hime gli sorrise, andando ad abbracciarlo e a schioccargli un
sonoro bacio sulla guancia. «Ti detesto quando fai così,Hana! Sento che se mi chiedessi qualsiasi
cosa la farei solo per questi occhioni!».
«Ahaha!
Scoperto il modo per avere quello che voglio! Sono proprio un genio!».
«Sì, sì, però ora vai a
prepararti, tra dieci minuti usciamo», lo spintonò via la ragazza verso la
camera affianco.
Yoehi e l’armata
suonarono il campanello qualche minuto dopo, pronti per andare al campetto
anch’essi. Di solito, quando i ragazzi non avevano allenamenti, se ne andavano
al giocare sul lungo mare a fare qualche tiro e a divertirsi in spiaggia; poi,
quando si stancavano, se ne andavano belli che pimpanti in un bel localino
all’angolo, il Bar America, per
concludere la serata in bellezza.
Arrivati a destinazione
trovarono il solito volpino che faceva il solito allenamento pomeridiano in
solitario e la cosa non prometteva niente di buono.
«Oh, Kit, vai a
colonizzare qualche altro campetto, dai!», si lagnò Hanamichi, saltando proprio
nel momento in cui Kaede si stava preparando al tiro. Questo se ne accorse in
tempo per chinarsi e sgusciare via da quell’improvvisa difesa, e segnò con un
dunk di tutto rispetto. Hanamichi, d’altro canto, finì spalmato in terra perché,
per la sorpresa, si sbilanciò in avanti e perse l’equilibrio.
«Do’aho. Ci sono da
mezzora, vattene tu».
«Perché invece non ce ne
stiamo qui tutti insieme?», cinguettò Hime. «Tra poco arriva anche Nobu-chan!».
Kaede sollevò un
sopracciglio, come dire: “Oh beh, allora rimango” in modo molto, troppo
sarcastico.
«Sì, Rukawa, rimani!»,
fece Takamiya. «Così ne vediamo delle belle!».
«Eh no! Io insieme alla
Nobu-Scimmia e il Volpino non ci sto! C'è un limite a tutto!», sbraitò
Hanamichi, beccandosi poi una pallonata in testa dal suo miglior nemico.
«Ehi, guarda che puoi
anche andartene, Rosso-Scimmia!».
«Dementi al completo»,
sbuffò Kaede, riprendendo il suo allenamento come se non ci fosse nessuno a
menargli le palle.
Gli altri rimasero un po’
interdetti nel vedere chi accompagnava Kiyota: una ragazza in sedia a rotelle,
che aveva tutta l'aria di essere solo su una gamba.
«Chi è quella?», sussurrò
Hanamichi a Hime, che però non gli rispose, saltellando contenta verso i due.
«Ciao Nobu-chan! Tu devi
essere Arimi, giusto?», chiese la rossa, dopo aver dato un bacino al ragazzo.
La giovane era molto
simile al fratello: capelli neri e lunghi lasciati al vento, la stessa
espressione furbetta e il sorriso più solare che avesse mai visto. Arimi Kiyota
annuì allegra, stringendole la mano. «È un piacere poterti conoscere, Hime!
Nobunaga non fa che parlarmi di te».
«E cosa dice? Cosa
dice?», fece interessata l’altra, con occhioni luccicanti.
«Che ti interessa?!
Pettegola!», si difese Nobu, rosso per l’imbarazzo e il timore che la sorella
potesse rivelare le sue lunghe chiacchierate a parlare di lei.
Hime scoppiò a ridere e
presentò alla ragazza tutti gli altri. «Allora, questo è il mio personale
branco di animali», iniziò, suscitando il disappunto dei suoi amici. «Loro sono
Yoehi Mito, Yuji Okusu, Chuichiro Noma e Nozomi Takamiya, più conosciuti come l’Armata
Sakuragi.»
I ragazzi, con un
sorrisone, la salutarono gentilmente senza fare gli idioti, cosa più
incredibile che rara.
«Armata Sakuragi?»,
domandò Arimi, curiosa. «Non è un nome rassicurante».
«Beh, certo», fece Takamiya,
indicando con un cenno del capo Hanamichi. «Non è rassicurante neanche il
brutto faccione di quello lì!».
«Che hai detto, brutta
scrofa?», gridò il numero dieci dello Shohoku, tirandogli una testata che avrebbe
ricordato per molto, molto tempo.
«Hanamichi! Stai facendo
la figura del deficiente!», bisbigliò Hime, tirandogli una gomitata.
«Non è una novità».
«Kaede, per favore!».
E mentre Hanamichi e
Rukawa ingaggiavano una bella lotta di sumo, Hime si scusava mille volte con la
ragazza. «Perdonali, non riescono a resistere senza queste dimostrazioni
d’affetto».
Arimi agitò una mano,
divertita. «Ma no, son simpatici!»
Appena quei due
mentecatti ebbero finito di darsele di santa ragione, Hime presentò anche loro.
«Arimi, ti presento Kaede Rukawa, il migliore giocatore del primo anno…», e qui
partì un embolo sia ad Hanamichi che a Nobunaga. «…e il migliore amico che si
possa desiderare».
Kaede le lanciò
un’occhiata stupita per quella presentazione con i fiocchi e salutò anche lui
la nuova arrivata.
«Ehi, Hicchan! Non mi
piace questa storia!», disse offeso Hanamichi, imbronciandosi. «Quel coso non è
la miglior matricola!».
«Ecco, appunto!», gli
diede man forte l’altro esaltato, Nobunaga.
Hime neanche lo ascoltò,
continuando con le presentazioni. «E non da ultimo, mio fratello Hanamichi
Sakuragi. La persona più tenera e buona che esista al mondo.»
Il rossino per poco non
si mise a piangere e, prima di stringere la mano ad Arimi, vide bene di
stritolare la sorella con un abbraccio.
«Ciao Arimi!», fece
pimpante, piegandosi per guardarla meglio. «Io sono il Genio, nonché Re dei
Rimbalzi e del Basket in genere, altro che quella schiappa di tuo fratello!
Piacere!».
Arimi scoppiò a ridere,
cosa che ovviamente non andò giù a Nobunaga. «Schiappa, che hai detto? Guarda
che non sono io quello che tirava il pallone in testa agli avversari anzi che
centrare il canestro!».
Hanamichi si mise una
mano dietro la nuca, ridendo imbarazzato. «Ahaha! Non
ascoltarlo, Ari-chan! Racconta tante di quelle
frottole!».
«Guarda che ha ragione,
Hanamichi.», fece notare Noma, scappando poi dalla furia dell’amico.
«Beh, se per questo c’è
anche da mettere in conto l’auto canestro che ha fatto in ritiro», aggiunse
pensierosa Hime, mentre Nobunaga e il resto della comitiva sghignazzava.
Hanamichi le balzò
addosso, scrollandola per le spalle. «Hicchan! Anche tu?! Nessuno mi vuole
bene!».
«Abbattetelo» Kaede alzò
gli occhi al cielo, ma si scostò velocemente appena si accorse della sagoma
omicida del rossino, deciso ad ammazzarlo una volta per tutte.
«Allora, due contro
due?», chiese Hime, attirando l’attenzione su di sé. Mai l’avesse fatto, povera
ingenua! Tra Nobunaga e Hanamichi che bisticciavano per decidere su chi dei due
avrebbe fatto coppia con la ragazza, e Kaede che bruciava tutti dicendo che
avrebbe giocato solo con lei, fu un vero e proprio casino.
«Hicchan, io non ho mai
giocato con te!», si lamentò Nobunaga con il labbro inferiore all’infuori per
il disappunto.
«Certo, mica vuole
perdere», fece Kaede, facendolo andare su tutte le furie.
«Infatti starà con me! I
Sakuragi contro la Scimmia
e la Volpe!»,
si gasò Hanamichi, con le mani sui fianchi e la testa piegata all’indietro per
ridere meglio.
«Chissà se riusciranno a
iniziare a giocare entro quest’anno?», si chiese Okusu, aprendo un pacchetto di
pop-corn saltati fuori da chissà dove.
«Beh, almeno ci sarà da
divertirsi!», ghignarono Noma e Takamiya, mentre quest’ultimo, con molta naturalezza
fregò il cibo all’amico e lo finì in due secondi.
«Ma sei una fogna!»,
sbraitò quello, con gli occhi fuori dalle orbite.
«E che cavolo, non me ne
hai fatto neanche toccare uno!»
«Sei un pozzo senza
fondo», commentò Yoehi, che si voltò a guardare la piccola Arimi accanto a lui
che, tra quei quattro che battibeccavano allegramente per la formazione delle
coppie e gli altri tre che erano partiti per la tangente con insulti di ogni
genere verso quel cassonetto di Takamiya, se la rideva alla grande in barba ai
casini altrui. Quei ragazzi erano pazzi, aveva ragione Nobunaga a ripeterlo in
continuazione!
Tutto quel bel teatrino
si concluse con la vittoria di Hanamichi che, come sempre, se non fregava la
ragazza alla scimmietta del Kainan non era contento. Questo, d’altro canto,
dovette mordersi la lingua per non ululare dal disappunto nel ritrovarsi in
squadra con quel volpino congelato di Rukawa che, alla faccia di tutto e tutti,
continuava placidamente i suoi tiri in solitario.
«Ma accidenti, Takamiya,
proprio ora dovevi finirteli i pop-corn? Adesso
inizia il vero spettacolo!», si lamentò Noma, incrociando le braccia e
poggiandosi mollemente alla rete metallica alle sue spalle.
«Vai e comprali, no?».
«Morto di fame, così
magari me li freghi di nuovo?».
Yoehi sbuffò, cercando di
apparire serio, ma con scarsi risultati. «Uffa, quanto fate casino».
In campo, intanto, stava
succedendo di tutto. Hanamichi aveva la palla e aveva apertamente dichiarato
guerra a Kaede, dato che voleva mostrargli a tutti i costi quanto fosse ancora
bravo nonostante i mesi di fermo; e dato che non passava palla alla sorella
neanche a pagarlo oro, tutto intento in un one-on-one con il volpino, questa se ne stava in mezzo al campo
con le braccia incrociate, sbuffando come un vulcano. Rukawa, d’altra parte,
che già di per sé non aiutava il gioco di squadra, si dimenticò completamente
del suo momentaneo compagno che, anzi che limitarsi a sbuffi come la ragazza,
sbraitava peggio di uno scaricatore di porto.
Quando Kiyota decise di
agire arrivò dietro al rossino, troppo intento a decantare le sue lodi ai
quattro venti per accorgersi di lui alle sue spalle. Gli fregò il pallone con
una semplicità imbarazzante e corse verso il canestro, per un dunk. Ma non
aveva messo in conto un’agguerrita Hime che, degna del cognome che portava,
saltò abbastanza in alto da tirare una manata al pallone e farlo volare via.
«Hicchan! Mi hai fregato
il momento di gloria!».
«Te lo do io il momento…
ma di dolore, te lo do!», gridò Hanamichi, avvolto dalle fiamme dell’inferno e
gettandosi contro il ragazzo.
«Ora si ammazzano».
Arimi si voltò
preoccupata verso Mito che, a discapito della drammaticità di quelle parole,
stava rotolando a terra dalle risate insieme agli altri tre dementi del gruppo.
E mentre i due si
legnavano come indemoniati, Hime e Rukawa avevano ripreso a giocare,
completamente persi nel loro one-on-one. Del resto, due fuori classe come loro non potevano
perdersi in baggianate del genere!
Inutile dire che il coro
da stadio fu tutto per loro, che come sempre diedero spettacolo, tra finte,
scarti, canestri e rimbalzi. Hime, però, dovette arrendersi a una schiacciante
vittoria del migliore amico che, dopo il ritiro con lo Shohoku e soprattutto
quello con la
Nazionale Juniores, era migliorato, se possibile, ancora di
più.
«Ede, sei diventato
mostruoso, davvero», fece la ragazza, col fiato corto.
«Lo prendo come un
complimento».
«No, Kit, mostruoso nel
senso di orripilante, vero Hic---?! E
basta con questi stupidi di palloni in testa, maledetto!».
«Ma non si farà male?»,
domandò Arimi, guardando preoccupata i bernoccoli del rossino che crescevano a
vista d’occhio.
«No, Hanamichi ha la
testa dura, tranquilla», le disse divertito Yoehi, gustandosi la scena.
«E poi è anche vuota,
quindi non ci perde niente», continuò Takamiya, che venne sfortunatamente
sentito dalla Scimmia in questione e pagò col sangue, come sempre.
E mentre i due si
scambiavano le consuete pacche amichevoli che di amichevole, in realtà, non
avevano niente, Hime alzò un braccio per attirare l’attenzione degli altri.
«Che ne dite se andiamo da Sana?»
A quelle parole Hanamichi
e Takamiya scattarono in piedi, dimenticando per un istante la loro rissa. «Sììì! Ho proprio voglia di una cioccolata con gli smarties!», gridarono in coro con la bava alla bocca.
Nobunaga si grattò la
testa, poco convinto. «È una vostra amica?».
«Sì, ed è adorabile!
Lavora in un bar qui vicino, venite?», chiese sorridente ai fratelli Kiyota,
che accettarono volentieri.
«Kit, tu ci degni della
tua compagnia o è chiedere troppo?».
Il mondo sarebbe cascato
in quel preciso istante, pensarono un po’ tutti. Hanamichi che invitava il
Volpino a stare con loro?!
«Hn,
no. Devo andare a casa».
«Ah, al diavolo. E io che
volevo essere gentile».
«Ma vai a cagare».
Hime saltellò verso
l’amico, gironzolandogli intorno come una pulce. «Hai da fare veramente o non
vuoi venire perché non ti va?».
Kaede sospirò,
guardandola negli occhi mentre faceva ruotare il pallone su un dito. «Il
vecchio torna questa notte. Devo sistemare un po’ di cose».
«Oh, capito. Hai la casa che
galleggia nel caos».
«Hn».
«Ehi, Hicchan! Vieni o
no?», la richiamò Hanamichi, mentre Nobunaga fumava gelosia da tutti i pori e
la sorella tentava invano di calmarlo.
«Sì arrivo, arrivo!»,
esclamò lei, prendendo le sue cose e salutando Kaede. «Non sai cosa ti perdi,
Ede!».
«Non dormirò, stanotte»,
fece sarcastico lui.
«Seh,
se non dormi tu io sono tinto!», lo rimbeccò Hanamichi, mettendosi il borsone
su una spalla e dirigendosi al bar. “Do’aho”
fu l’unico saluto che suo acerrimo amico gli riservò come risposta.
Il Bar America era un delizioso locale all’angolo, che dava
direttamente sul lungomare di Kanagawa. Aveva un non so che di texano, con
tutti gli interni in legno, finemente lavorati e un’ampia sala con parecchi
tavoli da biliardo, oltre un piccolo palchetto per il piano bar. L’Armata,
insieme a Hime, andava spesso a prendere qualcosa da bere o sgranocchiare, nel
loro personalissimo angolino che ormai era diventato esclusivamente di loro
proprietà, e lì avevano conosciuto una ragazza della loro età che lavorava come
barista, tale Sanako Tsukiyama (per i pochi amici che aveva bastava anche solo
Sana), gentile e simpatica, che ormai li conosceva così bene da sapere anche le
loro ordinazioni a menadito.
Appena la mandria entrò
nel locale, vennero accolti dai saluti generali del proprietario, il signor
Watanabe, che subito chiamò la piccola Sana. Questa arrivò di gran carriera,
distrutta, e salutò tutti con un filo di voce.
«Sei stravolta, che
succede?», chiese Hime, alzandosi per darle un bacino veloce.
«Oh, è stata una
giornataccia», sospirò, spostandosi la frangetta dagli occhi e togliendo fuori
penna e blocchetto. «Ho dovuto girare mezza Kanagawa perché il ragazzo delle
pizze a domicilio è a casa con la febbre».
«Per la serie: che non ne
manchino mai», commentò Hime, sorridendo. «Oh, comunque loro sono Nobunaga e
Arimi Kiyota. Ragazzi, lei è Sanako Tsukiyama».
I tre si strinsero la
mano cordiali, poi la ragazza disse: «Per voi so già che portare. Voi due?»
Hanamichi si mise in
mezzo, esuberante come sempre. «Per la Scimmia porta la mia stessa cosa».
«Ehi, vorrei decidere io,
se non ti dispiace!».
«Tranquillo amico! Fidati
del grande Sakuragi, una buona volta! Ahaha!».
Arimi guardò il rosso con
un’espressione di puro divertimento. Quel ragazzo era una forza della natura!
«E per te?», chiese Sana,
guardandola.
«Oh, per me va bene un
succo d’ananas, grazie».
Quando Sana se ne andò a
portare le ordinazioni, Nobunaga lanciò un’occhiataccia all’altra Scimmia
presente. «Secondo cosa hai ordinato, ti spello vivo. Non mi fido delle
porcherie che mangi».
«Nobu-chan, tranquillo»,
fece Hime, prendendogli la mano. «Qui dentro c’è tutto tranne che porcherie».
«Guarda, Nobu-Scimmia, ho
giusto portato una pistola per farti vedere cosa succedeva in questi bar».
«Ma se hai la precisione
di un cecchino a cui hanno strappato gli occhi!», ribatté l’altro. «Non riusciresti
a colpirmi neanche se fossi a due passi da te».
«Scommetti?».
«Ahaha!
Due scimmie da Far West!», si sbellicarono quei quattro dementi dell’Armata,
mentre le due Scimmie in questione si vendicavano a suon di insulti e testate.
«Ecco a voi tre fette di
torte con panna e cioccolato, due mousse di fragole, un succo all’ananas e due cioccolate
con caffé e smarties.»,
fece Sana, da brava equilibrista che teneva tutto il vassoio in una mano.
«Ma tu lavori anche al
circo?», le chiese Noma, che già si stava ingozzando come un maiale.
Lei ridacchiò, facendo
spallucce. «No, ma se voglio lavorare mi tocca!».
«Che cara ragazza che
sei!», cinguettò Hime, stritolandola per bene, mentre quella arrossiva,
imbarazzata.
Appena Sana corse a
prendere nuove ordinazioni, Nobunaga guardò con la bava alla bocca il ben di
dio che aveva sotto gli occhi. «Sakuragi, credo che ti darò un bacio».
Per poco Hanamichi non
sputò il suo dolce in faccia alla sorella, seduta davanti a lui. «Puoi anche
risparmiartele certe cose, Scimmia!».
«Anche perché Hanamichi è
ufficialmente impegnato con Ede», buttò seriamente Hime, che questa volta fece
andare veramente di traverso il cibo non solo al fratello, ma a tutti, tranne
la piccola Arimi che non sapeva a cosa si stesse riferendo.
«Hicchaaan!
Ma sei impazzita?!», sbraitò come una vecchietta il rossino, facendola
diventare bionda in sol un colpo.
«Hime, sei grande!»,
esclamarono in coro i quattro dell’Armata, con le lacrime agli occhi, mentre
Nobunaga stava ancora tossendo per le troppe risate.
«Ma l’hai detto tu», fece
innocentemente lei, sbattendo velocemente le palpebre per intenerire il
gemello.
«Io non ho detto niente!
Siete voi i depravati!».
«Ehi, Scimmia Rossa,
cos’è questa storia?», chiese Kiyota, ridendo come non mai.
«Oh, avresti dovuto
vedere la scena», fece Takamiya, mentre Hanamichi al suo fianco ribolliva come
un calderone.
«È stato così romantico»,
disse sognante il biondino, coprendosi le guance con le mani e facendo ridere
tutti.
«Se Kaede vi sentisse vi disintegrerebbe
con uno sguardo», commentò divertita Hime, schioccando un sonoro bacio al
fratello, livido di rabbia.
«No, ruffiana! È colpa
tua se questi dementi ora mi stanno sfottendo!». Hanamichi si ritrasse,
incrociando le braccia imbronciato. «E conoscendoli andranno avanti così per un
mese».
Arimi, che faceva
scivolare lo sguardo da una persona all’altra, chiese timidamente: «Ma scusate,
che male c’è a essere innamorati?».
Il silenzio cadde
improvviso, quasi surreale. I ragazzi, tutti, la guardarono intensamente negli
occhi, cercando di non scoppiare a ridere, mentre lei rispondeva a quelle
occhiate con decisione e fermezza.
«Voglio dire, se lui lo ama non vedo il perché dobbiate prenderlo in giro», continuò la ragazza,
sorridendo a Hanamichi con fare confortante.
Fu in quel momento che
nessuno riuscì a resistere più e le risate scoppiarono più forti di prima. Oh,
beata innocenza!
«A-Arimi, tu non… non… Kami,
non riesco!», cercò di dire Hime, piegata sul tavolo e presa dalle convulsioni.
Gli altri erano, ovviamente, partiti peggio di lei.
Hanamichi, d’altro canto,
continuava a guardarla come un ebete e ci mancò poco che si mettesse a
piangere. Era proprio sorella della Scimmia, non aveva altro da dire!
«Arimi, ecco…» Hime cercò
di riprendersi, anche se con scarsi risultati. «Hanamichi odia questo ragazzo».
«Ecco, lo odio, capito?!», ripeté con enfasi
Sakuragi, mentre gli altri continuavano a singhiozzare.
«O almeno lui dice di
odiarlo, in realtà credo che gli voglia un bene dell’anima».
«Non è assolutamente
vero!».
«È tutto nato da un’incomprensione,
Hanamichi non è innamorato di Rukawa», continuò Hime, sorridendo. «Per lo meno, non me ne ha mai
fatto cenno, ma se anche fosse che problemi ci sono?».
«Hicchaaan!», tuonò il ragazzo. «Stai mettendo in discussione la mia
virilità?!».
Oh, se solo Ryota e
Hisashi fossero stati con loro!
Continua...
* * *
Ma salve, gente!
Compaiono altri nuovi personaggi, e non finiscono qui! Spero
che non siano né troppi né "fuori tema" con l'ambiente... Piano piano
scoprirete tutto su di loro. ;)
Ah, son così felice... Neanche una settimana e già un
centinaio di letture! Grazie! *_*
Un grazie in particolare a:
lilli84: carissima! *_* Che piacere rileggerti! Però non morire dal
primo capitolo, la strada per la fine è ancora mooolto
lunga! :D Grazie mille per averla aggiunta tra le preferite!
oOo14_YukA_14oOo: oh, salve! Ma che tempismo perfetto,
rileggi Wild Boys e io pubblico il seguito, ahaha!
:D Come vedi la Nobu-Scimmia è ricomparsa proprio in questo capitolo, spero ti
sia piaciuto! ;) Anche io adoro Mitsui! Anche se amo incondizionatamente Sendoh
e Rukawa! <3 Grazie mille, anche per averla aggiunta ai preferiti! :)
kuro: carissimaaa! E' bello rileggere
anche te! *o* Grazie mille, gentile come sempre! E grazie per il preferito! Ahaha quel branco di idioti... Quando ci si mettono
d'impegno lo sono veramente! :P
E grazie anche a moirainesedai per averla aggiunta tra le storie seguite!
Capitolo 3 *** 03. Quando i problemi ti investono... Come una bicicletta sulla schiena. ***
Ni-hao a tutti
Capitolo 3
Quando i problemi ti
investono... Come una bicicletta sulla schiena.
Hanamichi Sakuragi alzò
il visino imbronciato verso il cielo limpido e sbuffò per la decima volta in
pochi minuti. Era ancora imbufalito per la sera scorsa, anche se non riusciva a
essere arrabbiato più di tanto con la sorella. Quella disgraziata, infatti, era
sgusciata in camera sua quando stava per prendere sonno e gli era saltata sul
letto facendogli perdere letteralmente venti anni di vita. Svegliando mezza
Kanagawa per l’urlo che aveva lanciato, Hime si era messa a ridacchiare,
l’aveva abbracciato e gli aveva sussurrato un “Ti adoro, Hana” che solo lei
sapeva dire in modo così dolce e sincero. Come poteva non sciogliersi davanti
alla sua adorata gemellina?
«E dai, Hanamichi. Non
sarai ancora inc–» Povero, povero Mito, che non
riuscì nemmeno a finire la frase che si era ritrovato bello fumante un
bernoccolo con i fiocchi.
«Yoehi, mi sa che oggi
tutto quello che morsica lo avvelena», constatò Hime, appesa al braccio del
fratello. «Occhio a come parli».
«Ehi, vale anche per te,
Hicchan!».
«Mi tireresti una
testata?!», domandò con i lacrimoni agli occhi la ragazza, fermandosi in mezzo
al marciapiede.
«No, però farei
questo!», esclamò il fratello, sollevandola di peso e mettendola a testa in
giù.
«Hanamichi!! Mettimi in
terra!», gridò furiosa, rossa peggio dei suoi capelli, dato che messa così la
gonna le ricadeva sul torace, mostrando a tutta la popolazione giovanile e non
della città il suo bel fondoschiena.
Accortosi dell’enorme
sbaglio che aveva commesso, Hanamichi tentò di rigirare la sorella, indemoniata
tra le sue braccia, ma caddero insieme, tra le risate di tutti.
«Hanamichi, scappa»,
suggerì Yoehi, mentre il rossino vedeva bene di darsela a gambe levate.
Inutile dire che Hime,
con un grido di battaglia, si mise al suo inseguimento, brandendo la cartella
come arma di distruzione di massa e travolgendo qualsiasi cosa si trovasse
davanti al suo cammino peggio di un carro armato.
Ma non avevano fatto i
conti con una ragazzina in bicicletta che, arrivando di gran carriera allo
Shohoku e gridando un “Pistaaaa”
da toglierle tutto il fiato che aveva in gola, investì prima l’uno poi l’altra,
capitombolando a terra qualche metro più in là.
«Ma cazzooo!»,
sbraitò Hanamichi, ormai completamente livido di rabbia e pronto a menare
chiunque fosse stato il suo pseudo-assassino.
«Ohi, ohi, che male!»,
bofonchiò Hime, accarezzandosi il suo prezioso sedere e recuperando a gattoni
la cartella che, prontamente, tirò in testa al fratello.
«Hi-Hicchan!».
«Hicchan un corno! Così
impari!».
Hanamichi, in risposta,
s’imbronciò ancora di più. Cavolo, era lui quello che doveva fare l’offeso, non
viceversa! «Ehi, tu! Assassina! Cos'è, ti paga per caso la Volpe per farmi fuori?!»,
gridò alla volta della ragazzina incosciente, che stava sistemando alla bell’e
meglio la catena alla bici. Quando questa si voltò per scusarsi scese un
coccolone grande quanto una casa a tutti.
«Scusatemi, ragazzi! Vi
siete fatti male?», chiese Sana, precipitandosi da loro.
«Sanako?», domandò
sconcertato Hanamichi, subito dopo seguito da Hime.
«S-scusatemi, è che
quando quell’aggeggio prende velocità non riesco a fermarlo. I freni sono
andati!», ridacchiò nervosamente quella, grattandosi la testa.
«Ma no, tranquilla»,
fece affabile Hime, guardandole il ginocchio insanguinato. «Tu piuttosto,
dovresti andare a disinfettarlo».
«Oh, non è niente,
davvero!».
«Che ci fai allo
Shohoku?», proseguì nell’interrogatorio Hanamichi, sbalordito.
«Beh, ecco… vengo qui per
studiare, un po’ come tutti».
«E perché io non ne
sapevo niente?», cadde dalle nuvole il rossino.
Sana sorrise
imbarazzata, mentre anche l’altra ragazza la guardava perplessa.
«Cavolo, non ci hai mai
detto che studi qui! E non ti ho nemmeno mai vista, Sana!»
La ragazza abbassò lo
sguardo per lisciarsi distrattamente le pieghe della gonna impolverata per la
caduta e una cascata di capelli liscissimi e neri le caddero sul viso. «Beh, non
sono certo popolare come voi».
«Accidenti, quasi non ti
riconoscevo con i capelli sciolti!», fece Hanamichi, mettendosi in piedi e
dando una mano alla sorella. «In che sezione sei?».
«Sezione 3. Scusatemi se
non mi son mai fatta vedere, ma sono talmente piena di cose da fare…»
Hime le sorrise,
agitando una mano. «Ma no, tranquilla! Ora vieni con me in palestra, così
prendo il disinfettante e ti metto un cerotto sul ginocchio».
«Ma tu guarda, sei nella
stessa sezione di Mit---! Aaaargh,
questa volta ti ammazzo sul serio, Volpacciaaa!».
Ebbene sì, Kaede aveva
fatto strike per l’ennesima volta e, trattandosi di lui e non di una giovane
donzella indifesa, dovette anche sorbirsi una bella rissa mattutina, come se
non avesse già avuto le palle girate per conto suo.
Sana si fermò a guardare
i due che ci davano dentro come lottatori di sumo, cercando di capire, in tutto
quel groviglio di mani e calci, chi fosse il moretto con cui Hanamichi stava
bisticciando.
«Dai, ragazzi!
Risparmiate le vostre preziose energie per stasera!», sbuffò Hime, andando a
separarli e rischiando seriamente la vita.
«Do’aho, levati dalle
palle la prossima volta».
«Levati dalle palle un
corno, Kit! Tu lo fai apposta a investirmi, ammettilo! Sadica volpaccia!».
«E zitto». Kaede sistemò
la sua bici ad una più fracassata della sua e, con tutta calma, si diresse in
classe. Salutò con un ’ao di circostanza la sua migliore amica, che poco dopo
sparì verso la palestra, trascinandosi una ragazzetta che non aveva mai visto
prima d’ora - come se conoscesse molte ragazze, lui. O forse sì?
Intanto la rossa stava
buttando all’aria metà del contenuto del kit di pronto soccorso che teneva in
palestra, borbottando una volta sì e l’altra anche contro chiunque avesse
finito il cotone. «Oh, eccolo!», esclamò, trionfante, imbevendolo nel
disinfettante e porgendolo alla ragazza.
«Non dovevi, grazie.»,
disse Sana, bagnando il ginocchio sbucciato. «Vi ho stesi io per terra e ora
sei tu a prenderti cura di me».
Hime rise, recuperando
garza e cerotti. «Tranquilla, non mi son fatta male. E Hanamichi è più che
abituato a beccarsi biciclette sulla schiena».
«Oh, ho notato». Sana si
morsicò il labbro quando un po’ di cotone le rimase appiccicato alla pelle
insanguinata. «Cavolo, non potrei mai fare il chirurgo», disse, togliendo lo
sguardo dal ginocchio.
«Ti impressiona il
sangue?», chiese Hime, bendandole la ferita. Ad un cenno affermativo
dell’altra, lei sorrise. «E meno male che avrei dovuto lasciarti stare così».
Sana arrossì, sospirando
sollevata appena il sangue sparì dalla sua vista. Sì, odiava, anzi, detestava il sangue. Da piccola era
rimasta traumatizzata alla vista di un incidente di percorso in cui la madre si
era tagliata mezzo dito mentre preparava l’insalata. Era stato terrificante. E
la mamma cosa aveva fatto per tranquillizzarla? “Ma no, al massimo me lo tagliano tutto!”. Avrebbe voluto
strozzarla in quel momento. Aveva solo sei anni!
«Grazie mille, Hime. Sei
sempre così gentile!», disse Sana, mettendosi in piedi.
La rossa le strizzò un
occhio. «Dici così perché non mi hai mai vista arrabbiata».
Le due si diressero in
tutta fretta verso le rispettive aule, ma Sana venne fermata a metà strada
dalla sua amica, forse la migliore tra le poche che aveva: Kiyo.
«Dimmi, ho qualche
problema io?», chiese la
Kobayashi, afferrandola per le spalle e guardandola con
l’espressione di una pazza.
«Non saprei… hai qualche
problema?», rispose con un’altra domanda l’amica, perplessa.
Kiyo sospirò,
poggiandosi senza forze contro il muro del corridoio. Si passò una mano tra i
capelli sfibrati e li guardò assassina. «Forse dovrei tagliarli.»
«E forse dovresti
tornare al tuo colore naturale, biondi proprio non ti si addicono.» Sana le
sorrise, prendendole una mano. «Ti va di parlarne all’ora di pranzo?»
Kiyo annuì, stanca.
«Dove ti trovo? Ogni volta sparisci».
«In terrazza, sono
sempre lì. Non c’è mai nessuno»
«D’accordo, ora però vai
in classe o arriverai in ritardo. E tu sei troppo secchiona per subire le urla
del professore».
Sana le rispose con una
linguaccia, ma volò immediatamente verso la sua aula, esattamente un minuto
prima che l’insegnante chiudesse la porta scorrevole.
«Well, guys, today we’ll talk about Blake. Have you read his biography
at home?»
Alcuni studenti
annuirono convinti, altri un po’ meno, dato che la sera prima avevano preferito
fare altro anzi che leggere quello che gli era stato assegnato.
«Psst,
Tsukiyama!», sussurrò Eichiro Shimura, seduto al banco al suo fianco. «A che
pagina è?».
Sana guardò il
professore, tutto preso dallo scrivere anno di nascita e morte dell’autore
inglese e gli rispose a voce bassissima. Eichiro, a differenza del fratello,
era quello che aveva più la testa campata in aria. Era simpatico e parecchio
intelligente, ma era il tipico esemplare di studente che otteneva ottimi
risultati con il minimo sforzo. "Suo
figlio ha grandi potenzialità, ma non si applica!", tipica frase che
quella santa donna della madre si sentiva ripetere durante gli incontri con i
professori.
«Grazie!». Le strizzò un
occhio, aprendo il libro in fretta e furia per leggere due o tre frasi e capire
di cosa stessero parlando.
Sana, come sempre,
iniziò a prendere appunti su appunti, e non solo perché l’inglese era una delle
sue materie preferite, ma perché si sentiva terribilmente in colpa se
dimenticava qualche cosa. Molti la ritenevano pazza, ma considerato lo stile di
vita che aveva intrapreso forse non faceva neanche tanto male. Gli appunti le
davano tutto quello di cui aveva bisogno, senza dover leggere pagine e pagine
di scritti che magari le servivano solo a farle perdere tempo. E per lei, il
tempo, era prezioso e di vitale importanza. Tra la scuola, il bar e la musica
ne sarebbe uscita matta, ne era sicura.
Appena la campanella del
pranzo risuonò tra le aule, Sana raccolse le sue cose nella cartella e si
affrettò a raggiungere la terrazza, sperando che Kiyo non fosse già arrivata.
Odiava far aspettare gli altri. Appena aprì la porta si accorse che non solo
Kiyo non era ancora arrivata, ma non c’era traccia neanche del ragazzo
solitario che incontrava di solito a quell’ora. Si sedette nel suo angolino
preferito, che dava sul giardino curato e pieno di ragazzi, e iniziò a scartare
il suo bento, affamatissima.
Quando sentì la porta
aprirsi alzò lo sguardo e rimase parecchio sorpresa nel vedere Kiyo in compagnia
di quello stesso ragazzo silenzioso.
«Non mi avevi detto che
qui non veniva mai nessuno?», chiese l’amica, indicandolo con un cenno del capo
e sedendosi accanto a lei.
«Beh, ecco…».
«Non mi interessa
ascoltarti, Kobayashi», rispose gelidamente quello, mentre la bionda faceva
spallucce.
«Ti ricordi come mi
chiamo? La cosa ha dell’incredibile».
«Hn».
Sana lo guardò per
qualche istante mentre quello, con gli occhi mezzo chiusi dal sonno, si metteva
a pranzare; poi si rivolse a voce bassa alla ragazza al suo fianco. «Non parla
mai e ascolta la musica con il walk-man, per quello
ho pensato che non avrebbe dato fastidio».
Kiyo agitò una mano,
incrociando le gambe e fregandole un po’ di cibo. «Fa nulla. È sempre così».
«Lo conosci?».
«Svegliati, è in classe
con me».
«Oh…» Sana gli lanciò
un’ultima occhiata e stava per chiedere all’amica chi fosse, ma decise di
dedicarsi ad altro. «Allora, di cosa volevi parlarmi?».
«Toshiro».
Non ci fu bisogno di
aggiungere altro, perché la barista capì al volo. «Ti ha telefonata di nuovo?».
Lei scosse la testa.
«Peggio. Era davanti a casa mia ieri sera». Si passò stancamente una mano tra i
capelli, arrabbiata. «Dici che con un disegnino capirebbe che non voglio più
vederlo?».
«Uhm, con la testa vuota
che si ritrova non credo. Ti ha detto qualcosa?».
«Il solito… “Mi manchi,
sono stato uno stupido, mi dispiace,
prima o poi torneremo insieme.” Ecco, quest’ultima parte mi ha messo paura.
L’ha detto con una sicurezza tale da mettere i brividi.».
«Ma tu non vuoi tornarci
insieme, vero?».
«Assolutamente no!»,
strillò Kiyo, così forte che persino il ragazzo dall’altra parte della terrazza
alzò lo sguardo, infastidito e perplesso. «Sana, quello mi sta minacciando tra
le righe. Non era solo, ieri. Fortuna che c’era la mia vicina di casa a
controllarsi il giardino - quindi a farsi i fatti miei - altrimenti non so cosa
avrebbe fatto».
«Se continua così devi denunciarlo,
Kiyo. Per molestie».
L’altra scoppiò a ridere
amaramente. «Denunciarlo? E cosa gli fanno? Niente. È il figlio di un avvocato,
vuoi che in qualche modo la cosa non venga lasciata passare? L’unica cosa che
posso fare è ingaggiare un killer e fargliene dare tante».
«Kiyo!».
«Che c’è?».
Sana sbuffò, puntandole
gli occhi scuri contro. «Non devi scherzare su queste cose».
«Sanako, sembri mia
nonna. E poi non stavo mica scherzando».
«È che sono preoccupata
per te, tutto qui», mugugnò quella, portandosi le gambe al petto e sentendosi
inutile per l’amica.
«Ma quanto sei testona,
tu» Kiyo le rivolse uno dei suoi rari sorrisi e le pizzicò una guancia.
«Comunque ho deciso che mi iscriverò al club di karate, non si sa mai che debba
difendermi in futuro. Tanto ho solo il nuoto che mi prende tanto tempo, il
resto è libero».
«Ecco, trovo che questa
sia la soluzione migliore e più ragionevole», disse Sana in un sospiro. «A
volte mi fai prendere certi spaventi».
«Perché?».
«Perché ti conosco
abbastanza per essere sicura che assolderesti davvero qualcuno per farlo
pestare».
In tutta risposta Kiyo
ghignò divertita, chiudendo gli occhi e poggiando la testa contro la ringhiera
dietro di lei. «Oggi lavori?».
«No, ho serata libera.
In compenso devo andare a provare con la zia per il saggio di Natale».
«Cinque minuti di relax
tu mai, eh?».
«A quanto pare non mi
sono concessi! Ora se non ti dispiace, dato il mio poco tempo, mi metto a
studiare».
«Sì, sì, secchiona. Io
intanto mi fumo una sigaretta in santa pace».
Sana neanche sprecò il
fiato per gridarle dietro che il fumo le faceva male. Ormai si era sgolata
talmente tante volte con paternali degne del miglior ministro della salute,
senza ottenere risultati, che la stanchezza aveva preso il sopravvento. Voleva
ammazzarsi lentamente e con le proprie mani? Voleva stroncarsi la carriera di
nuotatrice professionista? Affari suoi.
*
Appena Akira sentì il
rombo della potente moto si alzò dal letto su cui era placidamente sdraiato e
si avvicinò alla finestra. Hisashi, che alzò la visiera del casco, si accorse
subito di lui e gli fece un impaziente cenno con la testa di scendere. Doveva
essere successo qualcosa, anche un cieco avrebbe notato quanto fosse nervoso.
Akira prese la sua felpa e se la infilò di tutta fretta, uscendo da casa in
meno di un minuto.
«Che succede?», gli
chiese seriamente. Quando vedeva il suo migliore amico così tutta la voglia di
scherzare svaniva in un istante.
«Sali, ne parliamo
dopo», borbottò Mitsui, porgendogli un casco.
«Vuoi che guidi io?».
«Ammazzati, Sendoh».
Nonostante la serietà dell’altro, Akira non riuscì a reprimere un sorriso. Lo
portò al molo in cui solitamente il numero sette del Ryonan si dedicava alla
sua attività preferita dopo il basket, la pesca. Senza aspettarlo, Hisashi
iniziò a camminare sulla sabbia, le mani ficcate nelle tasche dei jeans e
l’espressione più incazzata e innervosita che Akira gli avesse mai visto in volto.
«Allora, che succede
amico mio?», gli domandò ancora, sedendosi sul molo in legno, mentre l’altro
rimase in piedi, alle sue spalle.
«È arrivato alle mani».
Sendoh spalancò gli
occhi, voltandosi a guardarlo. «Che cosa?».
Hisashi si passò
stancamente una mano in viso, facendola poi sparire tra i capelli scuri e non
troppo corti. «La stava per picchiare. Fortuna di mamma che ero in salotto e mi
sono accorto subito della situazione, altrimenti non avrei potuto fermarlo».
Akira si morsicò il
labbro inferiore, sinceramente dispiaciuto di quella spiacevole situazione in
famiglia dell’amico. Il padre non gli era mai andato a genio, ma non pensava
che sarebbe arrivato a tanto. «Hisashi, devi fare qualcosa».
«E cosa? Cazzo, l’avrei
ammazzato con le mie stesse mani se non avessi sentito mamma piangere».
«Ora dov’è?».
«A mandarsi a puttane il
fegato in qualche bar. Per me può anche morire ora».
I due rimasero in
silenzio per qualche minuto, assorti nei propri pensieri, mentre il mare, sotto
di loro, si muoveva lento contro il bagnasciuga.
«Che intenzioni hai?»,
ruppe il silenzio Akira, piegando una gamba e poggiandoci sopra un braccio.
«Non lo so, davvero.
Spaccargli il muso, forse».
«Potrebbe essere
un’idea. Ma non credo possa far bene a te».
«Tu dici? Guarda che il
potere curativo di un pugno è un dato di fatto».
Akira sorrise, mentre
l’amico si sedette accanto a lui, stringendo i pugni. «Voglio portare via mamma
da quell’inferno. E voglio che quello stronzo giri alla larga da lei. Mi
troverò un lavoro, così potrò permettermi di pagare l'affitto e l’avvocato».
«Ehi, se hai bisogno di
qualcosa lo sai che non mi tiro mai indietro, no?».
Hisashi piegò le labbra
in un sorriso. Sarà stato anche un deficiente pervertito, oltre che
l’inguaribile Akira-sto-sempre-sorridendo-Sendoh
che a volte lo mandava in bestia, ma era anche la persona più affidabile che
avesse mai conosciuto. Non amava ammetterlo, ma poter contare su di lui, quando
aveva bisogno di sfogarsi a qualsiasi ora del giorno, era una sicurezza che non
voleva perdere. «Grazie, amico».
Akira gli batté
amichevolmente una manona sulla spalla. «Intendo, anche venire a vivere da noi.
Lo spazio c’è e tuo padre–».
«Non è mio padre quello».
«…e quello non saprebbe dove trovarvi, a meno che non ti segua, ma lo
metto in dubbio».
Mitsui scosse la testa.
«Ti ringrazio, ma non voglio portare i miei casini a voi. Risolverò questa
faccenda da solo, avevo bisogno di sfogarmi, ecco tutto».
«Va bene, ma la mia
proposta è ancora valida», rispose docilmente Akira. «Comunque credo di sapere
dove puoi trovare lavoro».
«Ah, sì?», chiese subito
interessato l’altro.
«M-Mmh.
Mio zio lavora in una tavola calda, e l’ho sentito proprio ieri incazzato come
una iena che il suo facchino si è licenziato senza motivo. Tu hai una moto, no?
Potrei mettere una buona parola con lui e farti dare un po’ più di quello che
da solitamente», concluse Akira, con un’alzata di spalle.
«Amico, tu sei un
genio», fece Hisashi, al settimo cielo. «Se non fosse che avrei paura di quello
che potresti fare, ti direi che ti adoro».
Akira scoppiò in una
risata cristallina, tenendosi la pancia. «Hisa, temi
che ti salti addosso?».
«Ecco, appunto, hentai!», borbottò Hisashi, che scansò uno scarso tentativo
di approccio. «Cazzo, smettila o chi ci vede penserà che stiamo insieme!».
«Ma tesoro, io e te
siamo fatti l’uno per l’altro!».
«Ma quanto sei idiota»,
disse Mitsui, levandogli una manata in pieno viso che lo fece ridere ancora di
più. «Piuttosto, non è che mi porteresti da tuo zio, ora?».
Akira si asciugò le
lacrime dalle risate, poi annuì. «Ad un patto».
L’altro alzò gli occhi
al cielo, sbuffando come una pentola a pressione e preparandosi
psicologicamente a quello che l’amico gli avrebbe chiesto da lì a due secondi.
«Parla».
«Guido io!»
«Eh no, col cavolo!»
Ultime parole famose.
Detto fatto e Akira
zigzagava tra le auto per le vie poco affollate di Kanagawa, mentre dietro di
lui Hisashi bestemmiava in aramaico, sperando che li portasse sani e salvi
tutti e tre: lui, l’idiota e ovviamente la moto.
Quando arrivarono ancora
interi al Bar America, Mitsui ebbe il
sesto senso che quel posto gli sarebbe piaciuto. Sperava solo che venisse
assunto.
«Ma tu guarda un po’ chi
si vede!», esclamò il signor Watanabe, fratello della madre di Sendoh.
«Ehilà zio! Come va?»,
chiese sorridente il nipote, subito seguito da Hisashi che nel frattempo si
guardava intorno.
«Siamo incasinati fino
al collo, oggi è anche il giorno libero di Sanako e sono letteralmente solo».
L’uomo fece spallucce, mestamente. «Ma si tira avanti».
«Sana non c’è, quindi?
Peccato», mormorò pensieroso Akira, sfiorandosi il mento. Poi si risveglio,
accorgendosi dell’amico dietro di lui impaziente. «Zio, volevo presentarti
Hisashi Mitsui, ho pensato che dato che stai cercando qualcuno potrebbe
lavorare da te».
Il signor Watanabe spostò
la sua attenzione sulla guardia dello Shohoku e lo studiò con circospezione.
«Piacere di conoscerti, Mitsui. Ho sentito molto parlare di te da mio nipote».
Hisashi gli strinse la
mano, e con un cenno del capo disse: «Conoscendo questo qui posso solo immaginare
che le ha detto».
Watanabe si mise a
ridere, battendo una mano sulla spalla del nipote. «Comunque, ragazzo mio, io
sono disperato, se hai voglia di lavorare e di non lasciarmi a bocca asciutta
dopo una settimana, sei dentro. Giochi allo Shohoku, vero?».
«Sì, signore».
«E gli allenamenti a che
ora finiscono?».
«Alle sette, quattro
volte alla settimana».
Watanabe guardò il
calendario, poi sorrise sotto i lunghi baffi. «Il tuo turno inizierà alle otto
fino alle undici, ma se vuoi qualche straordinario puoi passare anche come
barista, ogni tanto. C’è sempre bisogno di una persona in più».
Il viso di Hisashi
s’illuminò e si sentì molto più leggero. «La ringrazio infinitamente, signore.
Quando inizio?».
«Passa domani sera per i
documenti, così facciamo le cose in regola. Inizierai lunedì, d’accordo?».
«Perfetto».
Si strinsero la mano e i
due amici si fermarono a bere qualcosa prima di andarsene.
«Akira, non so come
ringraziarti».
«Semplice: offrimi da
bere!».
«Scroccone», borbottò a
denti stretti l’altro, con sguardo truce. Ma non si tirò certo indietro: quel
pazzo gli aveva trovato lavoro in quattro e quattro otto! «Comunque, chi è
questa Sanako di cui parlavate prima?».
Gli occhi di Akira
brillarono di una strana luce al solo sentire pronunciare quel nome e sorrise,
pensando alla ragazza. «Lavora qui come barista da un annetto a questa parte.
Studia allo Shohoku, sai?».
«Ah sì? E com’è? Magari
la conosco».
Il Porcospino prese in
mano il suo bicchiere e lo guardò un attimo, pensieroso. «È speciale».
«Oh cazzo, Sendoh
innamorato non pensavo che l’avrei mai visto!», esclamò Hisashi, con gli occhi
fuori dalle orbite.
«Ehi, calmati, non ho
detto di esserne innamorato!» Akira sorrise, tuttavia. «Però non posso negare
che mi piaccia tanto».
«Amico mio, se è davvero
speciale come dici datti una mossa allora. E soprattutto smetti di fare il
demente con Hime, o le due Scimmie potrebbero vendicarsi».
*
Sanako salutò i bambini
con un sorrisone, mentre distrutta si trascinava dietro la chitarra e la zia,
uscendo dal teatro.
«Oh, siete meravigliosi,
davvero!», strillò entusiasta la donna, Masaki, battendo le mani e stringendo
la nipote in un abbraccio. «Se continuerete così farete un’ottima figura,
vedrai!».
Sana sorrise,
sistemandosi al meglio la tracolla sulla spalla. «I bambini sono vivaci, ma
imparano in fretta. Mi piace vederli così contenti!».
«Allora ammetti che ti
piace insegnare musica!», la provocò la zia, con un ghigno.
Sanako sospirò,
abbandonandosi ad un sorriso. Ormai erano anni che Masaki la ossessionava
letteralmente per farle intraprendere la carriera di musicista professionista,
oltre che assicurarle un posto come insegnante in qualche scuola. E sì che era
brava e cantava bene, ma la faccenda ancora non la convinceva più di tanto.
Voleva fare qualcosa di più della sua vita che finire ad insegnare due accordi
a dei bambini. Ma non sapeva ancora cosa, ecco il problema.
«Comunque una volta
tanto mi farai contenta: organizzeremo insieme il concerto di fine anno al
liceo, e non voglio sentire scusanti».
«Ma… zia!».
«Niente ma! O puoi
scordarti la mia buonissima e appetitosa torta al cioccolato che avevo
intenzione di preparare stanotte».
Sana scattò come un
gatto e si appese al suo collo, gongolante come una bambina davanti a un
negozio di caramelle. Quanto era golosa! E quanto le piacevano le torte della
zia!
«Concerto di fine
anno?», ammiccò la zia, tendendole una mano per consacrare il patto.
La ragazza gonfiò le
guance, indispettita, ma si arrese subito dopo. «E sia».
«Yatta!», saltò di gioia la donna, che a volte era peggio di lei. «E ora
andiamo al market, non ho niente altrimenti per cucinare!».
Lasciata la chitarra nel
cofano della macchina, Sana seguì trotterellando la zia ed entrambe si persero
tra gli scaffali pieni zeppi di porcherie e cose zuccherose.
«Oh, guarda! La glassa
fondente!». Masaki ne prese due confezioni al volo, con un sorrisone a
trentadue denti smaglianti. «Il cioccolato è il miglior antidepressivo, no?».
«Zia, ma tu non sei
depressa», fece ben notare Sana, mentre l’altra rideva.
«Lo so, ma potrei
diventarlo e preferisco essere preventiva».
Pagarono una busta
completamente ricolma di ingredienti e altri tipi di delizie ipercaloriche che
avevano raccolto per strada, e se ne tornarono bel belle a casa, dove le
aspettava la madre.
Ma quando misero piede
in salotto capirono subito che qualcosa non andava.
Masaki guardò furente
l’uomo che stava in piedi, in un angolo della sala, mentre la sorella aveva il
volto rigato di lacrime. Sana fu l’ultima ad accorgersi dell’ospite e, proprio
quando si stava togliendo la chitarra dalla spalla con uno splendido sorriso
per salutare la madre, si ammutolì di colpo.
«Sana, sali in camera
tua», le ordinò la madre, cercando di essere imperativa nonostante le lacrime.
«Mamma, cosa…?».
«Fa come ti dice, Sana.»,
le sussurrò la zia, prendendole la mano.
L‘uomo la guardò con una
strana espressione, tra il meravigliato e l’entusiasta. «Piccola mia… Sanako».
Fu in quel momento che
si accorse della spaventosa somiglianza con quello sconosciuto.
Fece cadere la chitarra
in terra e l’unica cosa che riuscì a fare fu correre. Corse via, senza una
parola, via da quella casa, via da quell’uomo. Cosa voleva da lei? Perché era
lì? Non gli era bastato abbandonarle sedici anni prima senza mai farsi vivo?
Sana continuò a correre,
le lacrime ormai che bagnavano anche il suo viso. Non guardava dove metteva in
piedi, non si curava delle occhiate dei pochi passanti a quell’ora di sera.
Voleva solo cambiare aria, rimescolare le idee per poter tornare a mente più
lucida e affrontarlo.
Quando andò a sbattere
contro qualcuno neanche sentì il dolore della botta che prese al fondo schiena.
E diavolo, era caduta proprio bene!
Rukawa guardò quel
corpicino scosso dai singhiozzi e non ebbe cuore di mandarla al diavolo per
avergli fatto prendere un colpo, dato che stava praticamente dormendo in piedi.
«Ehi».
Sana alzò lo sguardo
acquoso su di lui e scosse la testa, coprendosi il volto. Kaede le porse una
mano per aiutarla a rialzarsi e quando la vide meglio sotto il lampione non
riuscì a capire dove l’avesse già vista.
«Scusami…», sussurrò
Sana, andando via nuovamente di corsa.
Il Volpino rimase a guardarla
finché non sparì dietro un angolo e fece spallucce, riprendendo a camminare
verso casa.
Continua...
* * *
Incredibile ma vero, eccomi ad aggiornare dopo una
settimana! Sono un po' distrutta (anche se "un po'" è un eufemismo!),
e scrivere sui miei selvaggi preferiti è un ottimo modo di rilassarmi. :)
In questo nuovo capitolo si delineano meglio quelli che sono
i caratteri e i problemi che, nel corso della storia, andrò a spulciare
meglio... Spero vi sia piaciuto! ;)
Prossimamente, come vi avevo promesso, aggiungerò le schede
dei nuovi personaggi... Avevo intenzione di disegnarli, ma il tempo che ho è
poco, quindi ho trovato un'altra via! :P
E ora passiamo ai ringraziamenti!
Grazie a chi ha recensito:
lirinuccia: ma ciao! *_* Che piacere leggerti! Son stra
contenta che Hime ti piaccia, anche io l'adoro! *O* Ma io non faccio testo. XD
Hanamichi ti ringrazia per il sostegno, promettendo al mondo intero che prima o
poi farà valere il suo essere maschio, alla facciaccia di tutti. Per quanto
riguarda Arimi dovrai aspettare ancora un po' per conoscerla meglio, ma
tranquilla, ho in serbo parecchie sorprese che la riguardano. E infine il
volpino... Siamo in due ad interessarci! <3 Ho ingrandito il carattere come
mi hai consigliato, così va meglio? Un bacione, aggiorna presto anche tu! ;)
kuro: ahaha ragazza mia, se Hanamichi
ti sentisse potrebbe tirarti una testata colossale, sai? (Anche se ok, ammetto
che delle volte mi faccio prendere anche io dallo yaoismo
più sfrenato <3) Ma non voglio darti false speranze, Hana è etero a tutti
gli effetti, nella mia storia. :P Grazie mille come sempre, è un piacere farti
ridere! :D Bacione :*
Capitolo 4 *** 04. Yin e Yang, come due modi diversi di ascoltare. ***
Ni-hao a tutti
Capitolo 4
Yin e Yang, come due
modi diversi di ascoltare.
«Hicchan! Ma allora è deciso? Domani andiamo a cena da Sanako?», le
chiese per l’ennesima volta il fratello, con occhioni luccicanti.
«Sì, Hana, te l’ho già detto!», rise lei, sulle sue spalle.
«E posso chiedere ad Harukina-cara di venire con noi?».
«Se Akagi te la lascia fai pure».
«Possiamo invitare anche lui», azzardò Yoehi, facendo scendere un
coccolone al rossino.
«Ma sei matto? Quello così mi stacca la testa a morsi!».
Hime saltò giù dalla schiena del fratello e si appese al collo
dell’amico, allegra. «Yo, mi hai appena dato un’idea
bellissima!».
Mito la guardò preoccupato. «Hime, ho paura delle tue bellissime idee».
«Perché non facciamo una bella cena con tutta la squadra?».
«Cena? Squadra? Che state progettando?», domandò Ryota, comparendo in
quel momento con le mani intrecciate sulla nuca.
«Esattamente quello che ho appena detto: cena con la squadra! Non è
un’idea fantastica?», fece gioiosa Hime, che andò incontro ad Ayako per avere
qualcuno dalla sua parte.
«Oh, per me va bene», annuì la prima manager, mentre la rossa
esclamava un “Aya-chan, ti adoro!”.
«Ok, vado a sbandierare ai quattro venti la mia geniale idea!», gridò Hime, saltellando verso le classi degli altri
componenti del club. Sarebbe stato fantastico, pensava la ragazza, contenta.
Amava quei pazzi e ogni occasione era buona pur di stare tutti insieme a fare
casino.
«Hanamichi, senza offesa ma tua sorella a volte è più spaventosa di te»,
commentò Ryota, mentre la guardava trotterellare come una bambina verso
l’edificio scolastico.
«Non è spaventosa, è geniale,
proprio come me! Ahaha!».
«Ma che ci parlo a fare con te».
Intanto la rossa passò prima di tutto da Kaede, che trovò come da
copione bello che addormentato sul banco, con tanto di bava che colava da un
lato della bocca direttamente sul suo braccio.
«Ehi, orsetto lavatore!». Lo scosse un po’, ma quello non diede segni
di cedimento.
Finché non gli gridò in un orecchio, chiaro.
«Sei coraggiosa a svegliarlo», commentò una ragazza, seduta qualche
banco più indietro. Aveva i capelli palesemente tinti di biondo e osservava
annoiata gli altri che schiamazzavano da mattina presto.
Hime la guardò con un sorriso. «So quello a cui vado incontro. Ma solo
perché so come difendermi».
Nel frattempo il Volpino si svegliò dal letargo con un ringhio
sommesso e fulminò con il solo sguardo la sua migliore amica. «Che vuoi, decerebrata?».
«Domani sera sei libero?», chiese lei, inchinandosi e poggiando gli
avambracci sul banco.
«Perché?».
«Uffa, non rispondermi sempre con un’altra domanda, è maleducazione!
Sei libero sì o no?».
«Hn, forse. Perché?», continuò imperterrito
lui.
«Perché domani sera si va a cena fuori e tu non puoi mancare», disse
Hime, puntandogli un dito contro per sottolineare meglio la sua decisione.
Senza neanche dargli il tempo di rispondere con qualche altro monosillabo per
cui era tanto famoso, gli agitò una mano in segno di saluto e strillò: «Ci
sentiamo più tardi per metterci d’accordo con l’orario, Ede!», tanto che le
ragazze presenti si avvolsero di fiamme dalla rabbia.
«Che bell’elemento», commentò quasi divertita Kiyo, mentre guardava
sparire quella furia umana di Hime Sakuragi. «È la tua ragazza?».
Per poco Kaede non si strozzò con la sua stessa saliva e la guardò con
un misto di perplessità e terrore, cosa che incredibilmente la fece scoppiare a
ridere.
Hime, intanto, aveva già ventilato l’idea a Hisashi, che trovò sempre
più torvo, ma che accettò ugualmente, per cambiare un po’ d’aria. Quando però
lo chiese ad Akagi la situazione fu un tantino più problematica, dato che il
Gorilla non aveva nessunissima intenzione di sorbirsi quei casinisti per
un’intera serata. Ma si sa, quando Hime si metteva qualcosa in testa
difficilmente cambiava linea d’onda. Fu con la sua forza persuasiva, ergo
insistenti “Ti prego, ti preeego!” che il Gorilla, e
a ruota anche Kogure, accettò. Ancora più problematico, e parecchio
imbarazzante, fu chiederlo a Masuhiro Araki che, appena la vide e sentì quello
che la sua bella aveva da dirgli, si alzò mezzo metro da terra dalla
contentezza, mugugnando qualcosa tipo “Un
appuntamento! Un appuntamento!”.
Eichiro e Kimi li trovò in corridoio, davanti alla loro classe, e,
gentili come sempre, accettarono di buon grado. Quei due si erano ambientati
subito nel gruppo squadra; erano socievoli e simpatici, un po’ casinisti a
volte, ma evidentemente doveva essere un buon requisito per far parte
integrante del club di basket.
«Sana è in classe con voi, vero?», chiese Hime, sbirciando dentro
l’aula per cercare la ragazza.
«Sì, ma ancora non è arrivata», le rispose Kimi. «È strano, di solito
è sempre puntuale».
«Va bene, quando arriva potete dirle che le devo chiedere un favore?».
Eichiro le sorrise, annuendo. «Ma certo!».
«Grazie, ragazzi! Buona giornata!», esclamò salutandoli e correndo
verso la sua classe.
I gemelli la guardarono zigzagare tra uno studente e l’altro, ridendo
e chiedendo scusa a tutti per la fretta.
«Quella ragazza è un terremoto», commentò Kimi.
«Beh, non sarebbe la sorella di Sakuragi».
Kimi guardò il gemello con aria schifata. «Cosa vuol dire? Io non sono
mica un casinista come te!».
«Ehi, non dirlo con quel tono!». Eichiro mise il broncio, in una
perfetta imitazione di Hanamichi quando si offendeva.
I fratelli si lanciarono qualche occhiata, per poi scoppiare a ridere
e abbracciarsi come se niente fosse accaduto.
Chi erano i pazzi, ora?
*
Kaede aprì assonnato la porta del terrazzo e vacillò un poco contro lo
stipite mentre sbadigliava come un leone. Era così abituato al suo perenne
sonno, ma a volte gli veniva da domandarsi se fosse normale o meno. Non che ci
volesse un genio per capirlo, probabilmente quando era ancora piccolo gli
avevano dato narcotici al posto del latte.
L’unica cosa che riuscì a svegliarlo almeno il tanto giusto per non
chiudere gli occhi fu la vista di una ragazza che piangeva, con il capo
nascosto tra le braccia, poggiate sulle ginocchia. La ragazza silenziosa. Rimase fermo sulla soglia, non sapendo bene
neanche lui che fare. Avrebbe potuto infischiarsene e mangiare il suo bento, per dedicarsi al suo sonnellino
pomeridiano, oppure poteva andarsene per non disturbarla. Tutto, tranne che
rimanere fermo come un pesce lesso in salamoia. L’unica cosa che gli venne in
mente di fare fu quella di far sbattere la porta dietro di sé, con la speranza
che lei si accorgesse di lui e la smettesse di frignare per darsi un contegno
davanti al ragazzo più ambito della scuola.
E infatti lei alzò di scatto la testa per vedere di chi si trattasse,
ma non si asciugò le lacrime frettolosamente con le maniche della giacchetta
grigia, né cercò di calmarsi, tutt’altro. Lo guardò per qualche secondo con la
vista appannata dalle lacrime, poi tornò a piangere, come se lui non fosse
appena comparso.
Quegli occhi… dove li aveva già visti?
Poi, come un flash, si ricordò dell’incontro-scontro della notte
precedente e, anche se la sua memoria fotografica non era delle più affidabili,
fu più che sicuro che si trattasse proprio di lei. Ma perché sembrava così
disperata?
Kaede prese posto come sempre dall’altro lato della terrazza ma, a
differenza delle altre volte, non le tolse gli occhi di dosso. I capelli lunghi
e liscissimi le ricadevano davanti, come una copertina calda che la proteggeva
dall’esterno. Le spalle, minute, si muovevano a scatti, scosse dai singhiozzi
che non accennavano a diminuire.
Sentendosi osservata, Sana alzò nuovamente lo sguardo e si sentì
andare a fuoco per l’imbarazzo quando incontrò quello del ragazzo. Che figura
idiota stava facendo!
Si passò i palmi delle mani sugli occhi arrossati, tirando su col
naso. «Sembro una stupida, vero?», chiese, in un sorriso amaro.
Kaede non pensava certo che gli avrebbe rivolto la parola, e si
destreggiò dall’impaccio con un suo consueto “Hn”,
indecifrabile.
Ovviamente la ragazza pensò che le avesse dato retta e si strinse
nelle spalle. «Lo so, effettivamente lo sono».
Stupida ragazzina, lui non l’aveva mai detto! «Perché piangi?». E tu perché fai domande idiote?
Lei lo guardò stralunata. «Non credo che lo voglia sapere veramente.
In ogni caso è una storia lunga».
Kaede si poggiò stancamente contro la ringhiera alle sue spalle, senza
smettere ancora di guardarla. «Ho tempo».
Sanako abbassò lo sguardo, torturandosi il tessuto della gonna e
poggiando il mento alle ginocchia. Il pianto isterico le era momentaneamente
passato, per fortuna. «Sono spaventata, tutto qui». Lui non disse niente,
aspettando che fosse lei a continuare. E lei, infatti, continuò. Quegli occhi,
per quanto freddi fossero, le davano uno strano senso di sicurezza, proprio
come quelli di Kiyo. «Ieri è tornato papà a casa. Erano sedici anni che non si
faceva vivo. E io ho avuto paura, perché non ero pronta ad affrontarlo».
Sì, perché appena l’aveva visto, con la barba un po’ lasciata andare e
quell’espressione in viso così simile alla sua, l’avevano scossa terribilmente.
Non pensava che l’avrebbe mai incontrato, non così di sorpresa. L’idea di
poterlo conoscere, finalmente, un sogno che faceva molto spesso durante le sue
notti agitate, era troppo per lei. Era scappata senza riflettere, con la sola
intenzione di respirare un po’ d’aria che in quei pochi istanti le era mancata.
Quando era tornata a casa, un’ora dopo, lui se n’era già andato. La madre le
aveva detto che alloggiava in un piccolo hotel in periferia e che sarebbe
passato l’indomani, se avessero voluto.
«Zia era furiosa, mentre mamma era sconvolta quanto me. Non se lo
aspettava e tutte le sue difese sono crollate, proprio come le mie. Non so cosa
fare, odio non saperlo». Si strinse le gambe al petto, mentre le lacrime
pizzicavano nuovamente per venir fuori.
Kaede continuò a rimanere in silenzio, consapevole che qualsiasi
parola sarebbe stata fuori luogo. Lui, poi, non poteva permettersi di consolare
nessuno, dato che neanche con Hime l’aveva mai fatto. Non ci riusciva proprio.
Ma non perché fosse un menefreghista completo, tutt’altro. Solo che non sapeva
mai cosa dire, come dirlo e quando.
«Non so perché sia qui, non so neanche se voglio saperlo. Ho una
tremenda voglia di conoscerlo, ma mi spaventa tantissimo! Come faccio a stare
tranquilla se ho davanti l’uomo che mi ha dato la vita e non so neanche chi sia
in realtà?». Sana si asciugò nuovamente gli occhi, scuotendo la testa. «Scusami,
non so perché ti sto annoiando con tutte queste cose tristi, non volevo…».
«Te l’ho chiesto io», le fece saggiamente notare il ragazzo, che piegò
una gamba verso il petto e vi ci poggiò sopra un braccio.
«Grazie», sussurrò Sanako, così piano che lui non la sentì.
«Hn?»
Sana gli sorrise, parlando con un tono più udibile. «Grazie. Non so
neanche come ti chiami, eppure mi hai ascoltata senza fiatare».
Il fatto che quella ragazzina ingenua non sapesse chi fosse lo lasciò
più sgomento della storia che gli aveva appena raccontato. Stava scherzando?
Esisteva veramente una ragazza in quella scuola che non sapesse chi fosse lui?
Non che la cosa lo facesse imbestialire, tutt’altro. Più che altro si chiedeva
dove avesse la testa, dato che tutta la popolazione femminile del liceo, con
suo sommo dispiacere, aveva sempre il suo nome in bocca.
«Kaede Rukawa».
Lei strabuzzò gli occhi, arrossendo fino alla punta dei capelli.
«Rukawa? Quel Rukawa?».
Kaede alzò un sopracciglio, perplesso. «A meno che non ce ne siano
altri».
Inspiegabilmente per lui, Sana gli sorrise solare, finché non scoppiò
proprio a ridere. E ora che le prendeva a quella lunatica?
«Scu-scusami, è che… Hanamichi racconta così
tante cose divertenti su di te!».
Quel do’aho. Avrebbe messo in conto anche
quello, la prossima volta. «Hn».
Il sorriso della ragazza si addolcì e si alzò, per andare a sedersi
vicino a lui. Gli tese la mano, presentandosi. «Sanako Tsukiyama, piacere di
fare la tua conoscenza, Rukawa».
Gli occhi blu del ragazzo fissarono la manina della giovane e ricambiò
il gesto con un veloce contatto che somigliò quasi a uno schiaffetto più che a
una stretta di mano. Lei comunque non si scompose, continuando a sorridergli,
finalmente senza lacrime, ma solo con gli occhi un po’ rossi.
Sanako… perché tutto di quella ragazzina continuava a dargli uno strano
senso di deja-vu? Dove l’aveva già sentita nominare?
La giovane si era già alzata, diretta verso la sua cartella per
pranzare. «Buon appetito!», gli disse, spiazzandolo ancora.
«Hn, altrettanto».
Mangiarono in silenzio come sempre, ma a differenza delle altre volte
Sana si fermò qualche volta a guardare il ragazzo. E chi l’avrebbe mai detto
che quello che vedeva praticamente tutti i giorni fosse il tanto adorato Kaede
Rukawa? Se le sue fans l’avessero saputo era certa che le avrebbero messo un
cappio al collo per farla fuori. Beh, non poteva negarlo, era veramente un bel
ragazzo. Un tantino freddo all’apparenza, con quegli occhi felini e blu e
l’espressione sempre seria, ma per quel poco che aveva potuto vedere non
sembrava così asociale. Non che si fosse dimostrato loquace, ma non era neanche
così menefreghista come lo descriveva Hanamichi.
Ecco, su una cosa il rossino non si sbagliava: era perennemente narcotizzato,
pensò divertita quando lo vide cercare la posizione più adatta per
addormentarsi.
*
«Ciao Nako!».
Sana si voltò di scatto, lasciando perdere per un attimo il tavolino
da finire di pulire. «Akira, che piacere vederti!».
Lui sorrise gentile, come sempre, mandandole in pappa il cervello. Come sempre. «Stai per staccare, vero?»,
le chiese, dandole una mano con alcuni bicchieri da mettere a lavare.
Lo ringraziò velocemente, annuendo imbarazzata. Quel ragazzo era
troppo sconvolgentemente dolce e carino per il suo povero cuore.
«Hai da fare, dopo?», continuò lui, poggiandosi con le braccia sul
bancone, mentre lo zio, dall’altra parte del locale, ridacchiava e scuoteva la
testa.
«No… cioè, devo andare a casa», bofonchiò, ormai rossa come un
peperone. Perché continuava a sorriderle così? Voleva vederla morta, per caso?
«Allora mi farebbe piacere poterti accompagnare». Akira si mordicchiò nervosamente
il labbro, sperando che Sana accettasse. Accidenti, si era fatto una corsa fino
alla metropolitana, dopo gli allenamenti, per andare a trovarla! Doveva essere
veramente impazzito, aveva ragione Hisashi.
Sana si lasciò andare a un sorriso e lui sospirò vittorioso. «Va bene,
dieci minuti e finisco».
L’espressione di pura felicità che gli si dipinse in volto la fece
arrossire ancora di più e incespicò sul gradino che conduceva alle cucine per
l’imbarazzo.
Quando, un quarto d’ora dopo, Sana gli si presentò senza il grembiule
e con i capelli sciolti dalla solita coda di cavallo che aveva per lavorare,
Akira non poté pensare ad altro se non adorabile.
«Andiamo?», le chiese, con un sorriso da orecchio a orecchio. Lei
annuì, timidamente, stringendosi la cinghia della borsa a tracolla tra le mani,
come se si trattasse di un anti-stress.
Uscirono dal locale in silenzio, un silenzio decisamente troppo
pesante per non sentirsi in soggezione.
«Allora, come va?», azzardò Akira, una mano in tasca, l’altra che
reggeva il borsone degli allenamenti sulla spalla.
Sana fece spallucce, rabbuiandosi un poco. «È successo un mezzo macello,
in realtà».
Il nuovo capitano del Ryonan corrugò la fronte, preoccupato. «Me ne
vuoi parlare?».
La ragazza gli raccontò dell’improvviso ritorno del padre, senza
nascondere le sue paure. Akira era un ragazzo dolce e comprensivo, che sapeva
darle sempre il consiglio migliore in qualsiasi circostanza. Le avrebbe fatto
bene sfogarsi anche con lui. «Secondo te come dovrei comportarmi?».
Akira guardò il mare alla sua sinistra, soppesando la risposta da
darle. «L’unica cosa che posso consigliarti è di non avere timori. Non sei tu
ad averlo abbandonato, Sana. È lui che deve aver paura della tua reazione».
La barista si strinse nelle spalle, abbassando lo sguardo verso terra.
«È che ho così tanta voglia di conoscerlo. Non riesco nemmeno io a capire se
sono arrabbiata con lui per non essersi mai fatto sentire o essere felice
perché ho l’opportunità di avere finalmente un padre. E se non dovessi
piacergli? E se dovesse andarsene ancora una volta?».
Sendoh si mordicchiò le labbra, posandole un braccio intorno alle
spalle, cosa che la fece sobbalzare e arrossire violentemente. La guardò
intensamente con i suoi sempre ridenti occhioni blu e l’ammonì con lo sguardo.
«Se ti sento dire nuovamente che potresti
non piacere giuro che ti uso come esca per la mia prossima battuta di pesca»,
le disse seriamente. «Sei una ragazza splendida e… credimi, non puoi non
piacere, soprattutto a tuo padre. Sarà orgoglioso di conoscere la persona che
sei».
Le guance imporporate della ragazza lo fecero sorridere nuovamente e
lei bofonchiò un grazie che a mala
pena riuscì a sentire.
«Sei troppo insicura, a volte», continuò Akira, ora guardando un punto
impreciso davanti a sé. «Dovresti credere in te stessa più spesso, Sanako». E
detto da uno che continuava ostinatamente a tenerle un braccio sulle spalle
sapendo bene l’effetto che comportava nella sicurezza della ragazza era il
colmo.
«Grazie, Akira. Sei sempre così gentile con me».
I due giunsero all’abitazione della barista e si fermarono davanti al
cancelletto d’ingresso che dava su un piccolo e delizioso giardino curato.
Akira si mise una mano in tasca, mentre l’altra sorreggeva la solita pesante
sacca di basket, e sorrise gioviale come sempre. «Non posso non esserlo con una
donzella graziosa come te».
Sana boccheggiò qualche frase sconclusionata, ottenendo la più sincera
e cristallina risata in risposta.
«Oh, quasi dimenticavo!», esclamò il giocatore di basket, battendosi
una mano sulla fronte. «Lunedì conoscerai un mio amico che lavorerà con te al
bar, se dovesse comportarsi male fammelo sapere e ci penserò io», la informò,
strizzandole un occhio ridente.
«Saprò a chi rivolgermi, allora», rispose Sana, sorridendo. «Ci
vediamo, Akira, e grazie per avermi accompagnata a casa!».
«È stato un piacere» Akira la guardò sparire dietro il portone di
ingresso e si lasciò scappare un sospiro. «Un piacere».
In casa Sanako non trovò né la zia né la madre, la prima probabilmente
ancora occupata a scuola, la seconda uscita un’ora prima per il turno in
ospedale, dove lavorava. Poggiò la cartella nella sua accogliente e adorata
camera al secondo piano e si cambiò velocemente con una tuta blu scuro, che
solitamente usava in casa da brava pantofolaia. Trotterellò in cucina con uno
strano sorriso sulle labbra e accese la televisione, puntuale per l’appuntamento
con il suo telefilm preferito. Dopo la chiacchierata con Akira si sentiva
decisamente meglio e pensò che avrebbe affrontato di petto la complicata
situazione di famiglia.
Aprì una delle ante dei pensili della cucina alla ricerca di qualcosa
da sgranocchiare nel frattempo che preparava la cena e trovò un pacchetto
aperto di pop-corn, che facevano esattamente al caso
suo. Guardò con estremo interesse la torta che la notte prima le aveva
preparato la zia, ma non ebbe il cuore di toccarla… altrimenti l’avrebbe finita
tutta.
Non fece in tempo ad aumentare di poco il volume della tv che qualcuno
suonò alla porta, facendola sobbalzare. Che le due sorelle si fossero
dimenticate le chiavi di casa?
Si avvicinò alla finestra che dava sul salotto e sbirciò da dietro la
tenda. La vista dell’uomo, quell’uomo,
che si stringeva nelle spalle, titubante, ebbe il potere di immobilizzarla sul
posto, senza neanche darle la possibilità di respirare.
Era lì, davanti all’ingresso, aspettando che qualcuno gli aprisse la
porta.
Ed era suo padre.
Riuscì a muovere qualche passo solo per la sua grande forza di volontà
e per le parole dell’amico Akira che le risuonavano in mente, ma non aprì
subito. Rimase ferma nel piccolo disimpegno che separava l’ingresso dal salotto
e cercò di regolarizzare la respirazione, praticamente assente.
Dovresti credere in te stessa
più spesso, Sanako.
Strinse i pugni e, sebbene fosse tradita dal tremolio delle sue mani,
aprì il portone e ci si appoggiò, per cercare sostegno quando i suoi occhi
incontrarono quelli stupiti e malinconici del padre.
«Sa-Sanako…».
La ragazza stritolò la maniglia in ottone che stringeva nella mano
sinistra e deglutì a fatica. «Mamma non è in casa».
L’uomo abbassò il capo, dondolandosi in segno di assenso. «Lo
immaginavo. Beh, ecco… posso entrare?».
Sana prese un bel respiro e si fece da parte, facendolo passare. Si
richiuse la porta alle spalle, guardando quel signore che le sarebbe sembrato
piuttosto anonimo se non avesse saputo chi fosse in realtà. «Posso… offrirle
qualcosa?».
Lui sussultò vistosamente nel sentirsi dare del “lei” da sua figlia e
la guardò con occhi lucidi, occhi che a stento riuscivano a cacciare via le
lacrime di una vita.
«Non… non darmi del lei, Sanako… Sono… sono tuo padre».
«E uno sconosciuto», aggiunse lei, più fredda di quanto avrebbe voluto
apparire.
Lui chinò nuovamente il capo, colpevole, e non aggiunse altro. «Un
bicchiere d’acqua andrà benissimo, grazie».
Sana sparì in cucina, incapace di dire o pensare qualcosa di vagamente
sensato. Quanto avrebbe voluto che ci fosse qualcuno con lei che l’aiutasse a
districarsi da quel momento così strano.
Il padre la seguì in cucina e si sedette in un angolino del tavolo,
guardando distrattamente la televisione che, allegra, mandava in onda un
telefilm comico. Prese il bicchiere che Sana gli stava porgendo con un grazie sommesso e bevette un solo sorso,
tanto per tenersi impegnato.
«Te ne andrai ancora?».
L’uomo alzò gli occhi neri, così simili ai suoi, su di lei, non
nascondendo un certo timore e imbarazzo per quella domanda. Sapeva che le
doveva delle risposte, sapeva di doverle dare delle spiegazioni plausibili, ma
ancora non si sentiva pronto. I sensi di colpa lo stringevano in una morsa
asfissiante e pregò tutti i Kami del cielo affinché gli dessero la forza necessaria
ad andare avanti. «Non lo so… dipende da voi».
Sana strabuzzò gli occhi. «Da noi? Noi?».
«A-aspetta, non fraintendermi!», si affrettò ad aggiungere lui,
agitando una mano nel disperato tentativo di zittirla prima che potesse capire
tutt’altro. «Nel senso– nel senso che dipende se voi mi vorrete».
«Perché dovremmo? Perché…» Sana esitò prima di continuare. «Perché te
ne sei andato? Non ci volevi più bene?».
Lui scosse la testa, affranto. «Bambina mia, io vi amo, l’ho sempre
fatto e sempre lo farò, qualsiasi cosa voi decidiate di fare».
La ragazza non riuscì più a trattenere le lacrime e dovette mordersi
con forza un labbro pur di non singhiozzare.
«È solo che… eravamo troppo giovani quando è iniziato tutto e… e ho
avuto paura», proseguì il padre, prendendo un bel respiro. «Non avevo un
lavoro, non una casa che potesse ospitarci tutti e tre… E mi son chiesto: come
posso offrire loro una vita degna di essere chiamata tale?».
«E hai pensato bene di scappare».
Il padre abbassò lo sguardo, prendendosi la testa tra le mani. «Sono
stato uno stupido e… un codardo.
Pensavo che se fossi sparito non avrei avuto più pensieri, né problemi. Ma mi
sbagliavo, oh, di grosso».
«Con che coraggio torni, ora? Cosa speri di trovare?», domandò Sana,
tra le lacrime. «Sai cosa abbia significato per la mamma crescermi da sola? Se
non fosse stato per zia a quest’ora chissà dove saremmo finite! E per me? Non
hai pensato a me? Tutti a scuola hanno un padre che va a vedere i propri figli
alle competizioni sportive, ai saggi di musica… Tutti, tranne me!», gridò,
sputandogli in faccia la rabbia e la delusione di una vita. «Ho sempre e solo
immaginato cosa potesse significare avere una figura maschile che mi
proteggesse, che mi desse consigli e che mi spronasse a fare quello che amo.
Per sedici anni ti ho aspettato, perché torni solo adesso?».
«Perché ho perso tutto», le confessò in un bisbiglio, stringendo con
forza i capelli lasciati crescere un po’ troppo da qualche mese. «Ho perso il
mio lavoro, ho perso la donna con cui vivevo, ho perso i miei amici e la mia
casa… ho perso tutto».
«E non troverai niente qui», fece una voce alle sue spalle. Masaki,
braccia conserte e lo sguardo più duro e severo che la nipote le avesse mai
visto in viso, lo guardò intensamente, avanzando verso di lui con passo sicuro
e diretto. «Lascia che ti dia un consiglio: stai lontano da Sanako e da mia
sorella. E ora vattene».
Sana si portò le mani alle guance, per poi coprirsi gli occhi bagnati
per le lacrime quando l’uomo le lanciò un’ultima occhiata mortificata, prima di
lasciare la loro abitazione in silenzio.
La zia la raggiunse velocemente e l’abbracciò, accarezzandole i
capelli dolcemente. «Mi dispiace che tu debba sopportare tutto questo, piccola
mia. Mi dispiace tanto».
Sanako si aggrappò alla donna e la strinse con forza, dando libero
sfogo al pianto.
Continua...
* * *
Dopo due settimane
infernali rieccomi qui!
Prima di passare alla
scheda della settimana vorrei dire a tutte/i coloro che seguono questa
storia che... Niente è come sembra! °_°/
...lol,
non spaventatevi, tranquille/i! Capirete strada facendo. :P
Inoltre ringrazio
infinitamente coloro che hanno aggiunto questa ennesima pazzia tra i
preferiti e le seguite, e in particolare chi ha commentato il capitolo
precedente:
Spieluhr: grazie mille, sia per
il coraggio di aver letto anche WB, sia per seguire anche questa! *_* Spero non
ti deluda!
lirinuccia: ma... ma... *_* Così
mi commuovo e mi monto la testa, sappilo! <3 Son contenta che ti piacciano sia
Sanako che Kiyo, ho sempre il terrore di creare dei mostri xD E sono ancor più contenta del fatto che ti piaccia
l'amicizia tra Hisashi e Akira - quei due, secondo me, son perfetti per essere
amici: uno è tenebroso, l'altro solarissimo! Un
po' come Kaede e Hanamichi. :) Comunque non metterti problemi per la
tua idea, non voglio che stravolga la tua trama, anzi! Sarebbe curioso vedere
come sviluppiamo la cosa entrambe! :D Un bacione e a presto,
aspetto un tuo aggiornamento! :*
Capitolo 5 *** 05. Una tranquilla serata in compagnia ***
Ni-hao a tutti
Capitolo 5
Una
"tranquilla" serata in compagnia.
«Ehi, Scimmia, ma questa è tua sorella… o sei tu?!», domandò Hanamichi
già pronto a ridere come un demente, intento a curiosare nella stanza di Kiyota
che se ne stava bellamente spaparanzato nel letto, mentre cercava di difendersi
dalle cuscinate della sua ragazza.
Nobunaga riuscì a buttare un’occhiata distratta in direzione del
rossino, ma divenne attento tutto d’un tratto appena si rese conto di cosa quel
pazzo stesse tenendo pericolosamente in mano.
«Rimettila dove l’hai trovata, brutto ficcanaso!», sbraitò come una
zitella acida, mentre balzava giù dal letto e strappava di mano la preziosa
fotografia che l’altro aveva recuperato da chissà dove. E dire che l’aveva
nascosta più che bene proprio per evitare situazioni spiacevoli come quella!
«Che cos’era?», chiese interessata Hime, che trotterellò accanto al
fidanzato per cercare di sbirciare qualcosa. «Una foto compromettente? Dai,
dai, fammela vedere, Nobu-chan!».
«Scordatelo», fece la scimmietta del Kainan, più rosso dei capelli dei
gemelli. «E tu vedi bene di tagliarti le mani la prossima volta! Non ti hanno
insegnato che non si curiosa nei cassetti altrui?».
Hanamichi si mise a ridere sguaiatamente, tirandogli amichevoli pacche sulla spalla. «Avanti,
Scimmia, ormai non dovresti avere più segreti con tuo cognato!».
«E a maggior ragione con la tua donna, Nobu-chan!», diede man forte al
fratello Hime, mentre il padrone di casa alzava gli occhi al cielo, esasperato.
«Ma chi me l’ha fatto fare?», borbottò, beccandosi subito dopo un
doppio scappellotto da parte dei due fratelli.
«Ehi! Guarda che quella che ti deve sopportare sono io!», lo rimbeccò
Hime, mettendosi le mani sui fianchi e guardandolo truce. Hanamichi, al suo
fianco, annuì con aria saccente.
Kiyota mise su il broncio, offeso nell’orgoglio e ancora intimorito
dalla possibilità che quelle due furie umane potessero fregargli la fotografia.
«Non vale due contro uno, maledetti Sakuragi. Siete anche in trasferta!».
«Prometto a nome di entrambi che se ci fai vedere quella foto
smetteremo di rompere le scatole», disse solennemente Hime, con una mano sul
cuore, l’altra ben nascosta dietro la schiena con le dita incrociate.
«Non mi fido di voi, scimmie infide» .
«Checcosahaidetto?!», sbraitò Hanamichi, che gli saltò
letteralmente addosso rischiando seriamente di spezzargli la schiena, mentre
Hime gli fregava la foto di mano e la guardava incuriosita.
«Ehi! EHI! Ridammela, subito!»,
gridò Nobunaga, cercando di divincolarsi dalle grinfie del rossino, molto più
alto e pesante di lui. «E mollami, scimmione!».
Nel frattempo Hime, caduta in ginocchio, era partita per la tangente
con le lacrime agli occhi, non riuscendo a stare in piedi per le risate.
«No-Nobu-chan… sei… sei… una stra-figa!».
Hanamichi afferrò la fotografia per guardarla meglio e, resosi conto
che quella che sembrava una bella stanga di ragazza altro non era che Kiyota in
persona, vestito con un succinto abito giallo, scarpe con i tacchi e tanto di
trucco sulle labbra e sugli occhi. Inutile dire che Sakuragi mollò la presa
sulla scimmietta del Kainan, dato che le forze gli sfumarono via quando iniziò
a ridere come mai aveva fatto in vita sua.
Nobunaga, d’altro canto, guardò con crescente interesse qualsiasi cosa
potesse fare il caso suo, ossia un’arma per far fuori una volta per tutte quei
due dementi di gemelli che doveva sopportare.
«Avete finito?!», sbraitò seccato, mentre riprendeva possesso della
fatidica fotografia e se la ficcava in tasca.
«Scimmia… io… io non pensavo che– che–».
«Però… sei anche gnocca, Nobu!».
Kiyota esplose di colpo, sbraitando come un ossesso e parlando di
qualcosa che aveva a che fare con una scommessa persa e tanti shot di vodka. Poi uscì dalla camera sbattendo la porta,
lasciandoli attoniti. Due secondi più tardi i gemelli, dopo essersi guardati in
faccia, ripresero a ridere ancora più forte.
Arimi entrò quatta quatta nella stanza del fratello, chiedendosi cosa
ci fosse di così divertente da rischiare la morte per soffocamento dalle troppe
risate, ma non ebbe il tempo di domandare niente perché, inspiegabilmente, si
unì all’ilarità anche lei. Quei due erano contagiosi all’inverosimile!
«Ari-chaaan! Non dare corda a quelle due
scimmie!», si sentì Nobunaga dal bagno, dove si era chiuso in meditazione per
affogare i dispiaceri nella tazza.
«Ragazzi, ma… potrei sapere perché stiamo ridendo?», domandò Arimi,
sorridente, mentre si sedeva sul letto - che strano, perché non era più sulla
sedia a rotelle?
Quando i gemelli riuscirono ad unire più di due parole dando un senso
a quello che volevano dire, Hanamichi spiegò cosa aveva genialmente scoperto in
uno dei mille antri nascosti in camera di suo fratello e la ragazza si grattò
la testa, pensierosa. «Oh, forse ho capito cosa avete trovato!».
«Cosa?», chiesero incuriositi i due, sedendosi sul letto.
«Qualche mese fa Nobunaga sfidò il senpai Maki, in un uno contro uno.
Sapete com’è esibizionista, no?».
«Già, sta sempre saltando da una parte all’altra per farsi notare»,
commentò Hanamichi, come se lui fosse estraneo a quel tipo di comportamento.
«Beh, c'era tutta la squadra e Nobunaga era un po' brillo... quindi il
senpai accettò a una condizione: se Nobu-chan avesse vinto gli avrebbe fatto gli
elogi davanti all’allenatore; in caso contrario avrebbe dovuto fare una cosa
per lui».
I gemelli sgranarono gli occhi. «Hai capito le perversioni di quella
vecchia ciabatta, Hicchan?».
Arimi scoppiò a ridere sentendo il nomignolo con cui Hanamichi aveva
chiamato il Capitano del Kainan. «No, che hai capito, senpai! Maki-kun voleva metterlo in ridicolo e tenersi un ricordo per
minacciarlo ogni qual volta Nobu-chan avesse fatto il cattivo, in partita o
agli allenamenti».
«Sapevo che Maki è diabolico, ma non pensavo fino a questo punto!»,
commentò Hime, ripensando a quei giorni in ritiro in cui l’aveva visto giocarsi
il ruolo di Negriero dell’Anno con
Akagi.
«Più che altro ha un senso dell’umorismo tutto da interpretare», fece
Hanamichi, ricominciando a ridere come prima.
Arimi si asciugò una lacrimuccia scappata per il divertimento. «Quella
che ha Nobu-chan è l’unica copia, l’ha fregata al senpai per paura che potesse
davvero farla vedere a qualcuno, anche se ormai tutta la squadra sapeva dell'accaduto».
«E ci credo!», esclamarono in coro i due.
«Ma perché la tiene ancora, se non vuole che il mondo sappia della sua
doppia personalità?», chiese il rossino, beccandosi una ciabatta in testa dal
diretto interessato.
«Perché solitamente la gente normale non fruga nei cassetti in casa
altrui, demente», borbottò Nobunaga, con ancora il viso rosso dall’imbarazzo.
«Hai sbollito per bene o ti serve un altro round in bagno?».
«Sakuragi, ammazzati».
E mentre i due ragazzotti iniziavano una gara di insulti di tutto
rispetto, le fanciulle si guardarono mestamente, pensando che due fratelli così
celebrolesi non ce li aveva nessuno. Peccato che non fosse una cosa di cui
vantarsi in giro!
«Nobu, lasciamelo intero, che mi serve in squadra!».
«Ma quale serve e serve! Quando scende in campo fa casini e basta!
…Ehi, non tirarmi i capelli, demente!».
Hime si grattò il mento perplessa. «Ma sbaglio o sono le ragazze che
solitamente che si tirano i capelli quando litigano?».
L’altra, invece, si mordicchiò le labbra, per evitare di ridere ancora
una volta. «Beh… Avete appena scoperto gli altarini di mio fratello… il tuo è
innamorato di un ragazzo… tutto è possibile!».
I due bisonti in questione si fermarono di botto, per guardare a bocca
spalancata quella che sembrava una tenera e indifesa ragazzina delle medie,
mentre per tutta la casa risuonò forte e cristallina la risata della Sakuragi,
ormai senza più fiato e con le lacrime agli occhi.
Ah, le donne!
*
«Dai, Hana! Quanto ci metti? Sembri una donna!», sbraitò per l’ennesima
volta Hime, che nel frattempo bussava come un’ossessa contro la porta del
bagno.
«Hicchan, ancora due minuti ed esco!», rispose il fratello. «Sono il
ragazzo più bello di Kanagawa, ma devo anche valorizzare il mio charme, no?».
«Valorizzalo in camera tua, dai! Devo ancora farmi la doccia!»,
piagnucolò lei, mentre la madre dal piano inferiore rideva divertita.
Quando Hanamichi uscì dalla toilette era fresco e profumato come una
rosa. «Sono o non sono uno splendore?», chiese con un sorrisone ebete e le mani
sui fianchi, senza nemmeno accorgersi che la sorella si era fiondata in bagno
appena lui aveva aperto la porta, prontamente richiusa prima che lui potesse
cambiare idea e rientrarci per un’altra mezzora.
Nel frattempo Hanamichi scese in cucina, dove la signora Sakuragi
stava preparando una torta, l’ennesima della settimana.
«Oh, Hana caro, mi passeresti il lievito? Lo trovi in quel cassetto a
sinistra».
«Ma certo, ahaha! E a cosa serve altrimenti
un figlio alto un metro e novanta in casa?!», esclamò pieno di sé il rossino,
che allungò una mano e prese la prima cosa che gli capitò a tiro. Fortuna che
la donna, conoscendo che elemento fosse il figlio, controllava sempre quello
che le passava in quelle occasioni, e si accorse in tempo che quello non era lievito,
bensì dolcificante.
«Hanamichi, sei proprio una frana», commentò divertita la donna,
mentre gli passava la frusta per continuare ad amalgamare l’impasto e lei si
arrampicava per la cucina alla ricerca dell’ultimo ingrediente.
«Ma mamma! Io non posso essere una frana se già sono un genio!», le
fece saggiamente notare il figlio, che ficcava un dito nell’impasto per
assaggiarlo. «Mà, te l’ho mai detto che i tuoi dolci
sono la fine del mondo?».
«Sì, ma tu metti giù le zampacce!», fece lei, tirandogli uno
strofinaccio in pieno viso. «Ne lascerò un po’ anche per Kaede, gli piace tanto
questa torta!».
«Gli lascerai cosa?! Mamma, hai due figli da sfamare, non ti serve
anche un volpino!».
«Ma non siete mica deperiti, no? E Kaede, è così caro quel ragazzo!».
«Hicchaaan! La mamma sta impazzendo!»,
sbraitò il rossino, scappando via dalla cucina e rifugiandosi contro la porta
del bagno. «Hicchan, mi senti?».
«Sì, Hana».
«Secondo te dove vendono farmaci contro l’influenza volpina?».
Hime, dentro la doccia, alzò gli
occhi al cielo, sogghignando divertita. «Perché? Sei stato contagiato?».
«Ahhh! Giammai! Preferirei che Yoshikai mi
costringesse a studiare matematica con lui, piuttosto che essere contagiato dal
quel volpino narcolettico!».
«Dai, lo so che in fondo Ede è il tuo muso ispiratore». Hime si
morsicò un labbro appena sentì il fratello ululare dal disappunto. Adorava
farlo arrabbiare con così poco!
Hanamichi, abbattuto e sconsolato, tornò al piano di sotto, in
salotto, e accese il televisore, sperando di trovare qualcosa di divertente da
vedere in quella mezzora che mancava prima di uscire. Ma lo zapping davanti
alla tv non durò molto, perché il telefono di casa squillò a due passi da lui,
facendogli scendere un colpo per lo spavento. «Pronto?», grugnì contro chiunque
ci fosse dall’altra parte del filo.
»Do’aho«
Per un attimo Hanamichi fu tentato dall’invitante idea di chiudergli
la telefonata in faccia, ma preso da un momento di benevolenza evitò di farlo. Per il momento. «Volpe, ti fischiavano
le orecchie, per caso?».
»Hn?!«
«Niente, lascia perdere… Che vuoi?».
»Hn… Mi son svegliato ora… Tarderò un po’«
«No, ma tranquillo, puoi anche startene a casa, tanto non ci
offendiamo!».
«Hanamichi!», lo rimbeccò la madre dalla cucina.
Il rossino sbuffò, imbronciato.
»Do’aho, se non fosse che tua
sorella ha insistito tanto, starei ancora dormendo. Dai la colpa a lei e non
rompere le palle a me«
«Accidenti, Kit, te la sei scritta questa frase o hai improvvisato?
Era lunga per i tuoi standard!».
»Fottiti«
Hanamichi scoppiò a ridere, stravaccandosi sul divano. «E quindi?
Perché hai pensato che potesse fregarmene anche lontanamente del tuo ritardo?».
Kaede, dall’altra parte del telefono, prese un bel respiro per evitare
di mandarcelo gentilmente a quel paese. »Perché
così non mi aspettate al campetto«
«Oh, perfetto, Kit! Ci vediamo, allora, cià!».
»Do’aho, non so dove sia questo
posto«
«Uffa, mica sono la tua cartina stradale!».
«Hanamichi, sei gentile come una donna in quei giorni, lo sai?»,
chiese Hime, comparendo in quel momento in accappatoio. Gli prese la cornetta
di mano e cinguettò un: «Edeee!» che avrebbe spaccato
i timpani anche a un cantante di lirica.
Rukawa, da quel momento in poi, non sentì più un’acca all’orecchio
destro.
*
Quando i primi bisonti arrivarono all’ingresso del Bar America
erano già le otto e mezza passate. I primi ad arrivare furono i due gemelli
Shimura insieme all’Armata Sakuragi, che salutarono sorridenti e in coro tutti
quelli che giunsero poco dopo: un Araki più che pimpante di vedere la sua bella
Sakuragi, accompagnata sfortunatamente dal fedele e sempre incollato fratello;
Akagi e Kogure, il primo già con un preavviso di mal di testa alla sola vista
del suo incubo peggiore; Ryota e Ayako insieme, il che destò sempre più la
curiosità dei suoi amici e tante, ma tante domande che Hime stava vedendo bene
ad appuntarsi in mente. Mitsui arrivò con la sua bella moto, che parcheggiò a
pochi passi dal locale, e salutò tutti con un cenno del capo; per quanto fosse
giù di morale quella sera aveva voglia di distrarsi, e sperò vivamente di
riuscirci, pensò guardando i gemelli Sakuragi ridere e scherzare come sempre.
Infine li raggiunsero anche le altre riserve delle riserve e tutti insieme
iniziarono a fare un bel macello sull’ingresso del locale.
«Che ne dite se entriamo al calduccio? Qui inizia a fare fresco»,
propose Hime, che si ritrovò la mandria di animali a seguirla come cagnolini.
«Ehi, e il bell’addormentato non lo aspettiamo?», domandò Hisashi,
guardandosi intorno alla ricerca del volpino.
«Oh, Kit ritarda. Indovinate che stava facendo?».
«Non voglio saperlo», borbottò Akagi.
«Stava dormendo, Gori! Ti pare che quello sfigato possa fare altro
nella vita?».
«Quello sfigato, intanto, è il ragazzo più desiderato della scuola,
Hanamichi», gli fece notare Ayako, sorridendo birichina.
«Aya-chan, non mi piace quell’espressione»,
disse preoccupato Ryota, mentre il rossino sbraitava ai quattro venti l’idiozia
della popolazione femminile dello Shohoku, beccandosi poi anche uno
scappellotto dalle due ragazze presenti per aver messo in mezzo anche loro.
Il Bar America era affollato come sempre e, con un po’ di
acrobazie, riuscirono a raggiungere il loro tavolo prediletto, per l’occasione
triplicato per accoglierli tutti. Sana comparve in quel momento, il sorriso
sempre stampato sulle labbra, sebbene la voglia fosse pari a zero. «Salve
ragazzi, come va?».
Hime la stritolò nel suo consueto abbraccio mortale e, dopo averla
salutata per bene, la presentò a tutta la squadra. «Allora, per chi non la
conoscesse lei è Sanako, o per gli amici Sana. Sana, questi due bellissimi
fidanzatini sono Ryota e Ayako» E a dover di cronaca al primo partì una
coronaria, l’altra divenne inspiegabilmente rossissima. «Questo santo di
ragazzo è Kogure e il Gorilla che ha accanto è il fantomatico Akagi».
«Hime Sakuragi!», tuonò il fantomatico Gorilla, mentre la
diretta interessata e tutti i presenti sghignazzavano allegramente.
«Lui invece è Hisashi Mitsui, credo che per la tua disgrazia dovrete
lavorare insieme», fece melodrammatica.
Hisashi le lanciò un’occhiataccia truce, poi salutò la sua futura
“collega”. «Akira mi ha parlato di te».
Sanako arrossì lievemente, ma diede la colpa al caldo che c’era lì
dentro. «Davvero? Anche lui di te, inizi lunedì, giusto?».
Hisashi annuì, mentre Hanamichi esclamava sorpreso: «Sana-chan, conosci il Porcospino?!».
«“Porcospino”?», ripeté la ragazza, ridendo nel sentire quel
soprannome che mai fu più azzeccato.
«Ah, dovresti saperlo ormai che Hanamichi vede animali ovunque»,
commentò Yoehi.
«Sì, per non sentirsi solo!», aggiunse Takamiya, che rischiò
seriamente la vita quando l’amico tentò di dargli una testata.
Nel frattempo arrivò anche il tanto atteso Rukawa che, già nel sentire
tutto quel casino provenire dal fondo sala imprecò a denti stretti contro sé
stesso per non essersene rimasto in casa a ronfare. Sì, come no, a chi voleva
darla a bere?
«Toh, la Volpe
ci degna della sua presenza, una volta tanto!», fece Hanamichi, schioccando le
dita.
«E si fa anche desiderare, pensa tu», continuò Hime, che si ritrovò la
giacca dell’amico in viso.
Kaede salutò tutti con un generale “Hn”,
praticamente impercettibile dato tutto il casino che c’era, e allungò una mano
verso l’unica sedia libera, accanto ad Ayako e Mitsui. Solo un paio di occhi
color nocciola, dietro una frangetta impertinente, lo fermarono.
«Ciao, Rukawa!», lo salutò gioviale Sanako, riconoscendo il ragazzo.
Lui non rispose subito, troppo occupato a cercare di focalizzare il
viso e ricollegarlo alla ragazza del terrazzo.
«Oh, Ede, conosci già Sana?».
Sana… Sana… Ma certo! La ragazza silenziosa del terrazzo era
anche la stessa che Hime e quel demente del fratello continuavano a nominare
quando parlavano del Bar America!
Com’era piccolo il mondo. «Hn. Ciao».
«Aspetta, aspetta… vi conoscete?!», chiese ancora una volta Hanamichi,
indagando. «Nacchan, tu conosci un po’ troppi nemici
per i miei gusti!».
Hime gli tirò una gomitata, mentre nell’aria volò un “Demente al
quadrato” da parte del solito Rukawa, finalmente sprofondato sulla sua
sedia.
Sanako sorrise, porgendo a tutti i menù della pizzeria. «Hana, tanto
lo so che quelli che chiami “nemici” in realtà sono i tuoi migliori amici», gli
disse, con una linguaccia sfacciata.
«Non diciamo blasfemie, Nacchan!».
«Questa ragazza è forte!», commentava invece Ryota.
«Beh, se poi contiamo il fatto che Sakuragi è innamorato di Rukawa,
allora è tutto dire!», proseguì Araki, seriamente.
E mentre tutti partivano a ridere come dei poveri pazzi, il rossino in
questione era già partito all’assalto del povero disgraziato che aveva osato
dire tanto, mentre il Rukawa della situazione continuava a studiare - con finto
interesse - il suo menù, solo per non spargere sangue in quel locale che,
nonostante tutto, gli sembrava carino. Avrebbe fatto i conti con tutti a fine
serata, quello era ovvio.
Sana, con ancora un sorriso divertito sulle labbra, si congedò appena
vide altri clienti al bancone. «Quando avete scelto chiamatemi».
Rukawa alzò lo sguardo dal suo libretto e rimase a fissarla enigmatico
per qualche secondo, non riuscendo bene a capire cosa avesse di strano quella
ragazza. Era vero o falso quel sorriso che continuava a ostentare da quando
l’aveva vista?
«Ehi, Gori, che ti prendi?», stava chiedendo intanto Hanamichi,
allungando il collo verso il menù del suo ex-capitano.
«Una dose di tranquillanti per evitare di ammazzarti seduta stante,
demente», grugnì quello, mentre un Kogure divertito, al suo fianco, si
sistemava gli occhiali che erano scivolati giù dal naso.
«Sai, Gori, non dovresti abusare così degli psicofarmaci. Non fanno
bene alla salute», gli fece saggiamente notare Hime, annuendo saputella.
«L’unica soluzione che vedo per salvarmi la salute è rinchiudervi in
qualche clinica per malati mentali».
«Guarda che continuando di questo passo quello che deve ricoverarsi
sarai tu», fece Mitsui, poggiandosi con le braccia allo schienale della sedia.
«E fidati, sei già sulla buona strada».
«Ma ve lo immaginate voi il Gori in camicia di forza?», esclamò
Hanamichi, con un colpo di genio. «Il bestione chiuso in gabbia che continua a
gridare: “Banane! Datemi banane!” Ahaha---! Ahia,
Gori! Sheishempre
il sholitomanescho!».
«Sakuragi, però anche tu te le cerchi!», dissero ridacchiando Eichiro
e Kimi, battendogli amichevoli pacche sulla capoccia in fumo.
Ayako si sporse verso Hime, mettendosi una mano davanti alla bocca per
non essere vista. «Ma quei due devono sempre parlare in coro?».
L’altra fece spallucce, divertita dai due gemelli. Erano una comica,
se non fosse stato per il fatto che fossero divisi in due corpi separati, era
più che sicura che fossero gemelli siamesi. Avevano sempre l’espressione
innocente, ma era palese che quei due in realtà fossero dei discoli peggio del
fratello.
Sanako tornò dieci minuti dopo a prendere le ordinazioni, impresa per
altro quasi impossibile dato che ogni tre per due c’era un battibecco tra
qualcuno. I ragazzi aspettarono le loro pizze tra pugni e risate varie, tra chi
nel frattempo si fece un pisolino e chi invece sbavava senza ritegno nei
confronti della rossa.
«Ehi, Puffo! Vedi di chiudere quella ciabatta e guarda il soffitto
anziché guardare la mia Hicchan!», esclamò Hanamichi, abbracciando
possessivamente la sorella, cosa per cui molti rotearono gli occhi, mentre lei
gli fu più che grata. Quel ragazzo le incuteva timore!
«Puffo a chi, pel di carota?!».
«A te! Ma ti sei visto con quel capelli blu?».
«Parla quello che si è versato tinteggiatura rossa in testa!».
«E segatura…», aggiunse Rukawa tra uno sbadiglio e l’altro.
«Che hai detto tu?!».
Akagi, che nel frattempo stava guardando con crescente interesse i
coltelli che aveva a portata di mano, pensò che sì, magari l’avrebbero anche
sbattuto in galera, ma che soddisfazione si sarebbe tolto facendoli fuori uno a
uno!
«Ho sentito che avete un’amichevole con il Ryonan, tra qualche
settimana.», s’informò Kogure, nella vana speranza di sedare un attimo tutto
quel casino che stava facendo fuggire metà dei clienti presenti.
«Sì, tra due mercoledì, verranno loro da noi», disse Ryota, giocando
con il bicchiere vuoto.
Akagi si risvegliò dal suo momento di follia, guardando il Tappo. «Mi
auguro che li stia preparando al meglio, Miyagi. Non farmi pentire di averti
dato fiducia».
«Ah! Guarda che oltre che essere il miglior play che lo Shohoku abbia
mai avuto, sono anche un ottimo Capitano!».
«Anche se un po’ basso…», mormorò Hanamichi, che subito dopo si
ritrovò a bestemmiare in aramaico perché gli arrivò un calcio al ginocchio.
«Però, hai le gambe corte ma quando si tratta di pestare ci arrivi»,
commentò Hisashi, ghignando alla volta dell’amico, che lo mandò gentilmente a
quel paese mostrandogli il medio.
«Ohh, pizze in arrivo!», esclamò Hime,
attirando subito l'attenzione di tutti.
«Finalmente si mangia!», fecero in coro i gemelli Shimura, tant'è che
le uniche donnine presenti si guardarono mestamente, scuotendo la testa.
Appena Sana arrivò con tre piatti, Hisashi si alzò per darle una mano,
tanto per entrare nel clima del "consegna pizze".
«Oh, che gentile!», esclamò Sana. «Dato che sei così disponibile vieni
in cucina, ce ne sono altre dieci!».
«Ahaha! Mitchi è diventato cameriere!».
Hanamichi si beccò un'occhiataccia.
«Almeno io mi rendo utile, demente!».
«Parole sante!», fece Rukawa, che rischiò seriamente di trovarsi il
rossino infuriato contro.
«Hanamichi, vedi di contenere i tuoi istinti verso Rukawa-kun, almeno in pubblico datti un contegno», disse Eichiro, che
due secondi più tardi dovette schivare all'ultimo secondo una lattina di Cola
ed un "Chiro traditore!".
Sanako, ridendo, tornò in cucina, seguita da Mitsui, che salutò lo zio
di Akira con un cenno del capo.
«Oh, neanche iniziato e già ti dai da fare?», gli chiese, battendogli
una mano sulla spalla.
«Visto? Akira ha avuto una bella idea!», fece Sana, prendendo due
piatti e dandoli al ragazzo.
«Grazie», replicò la guardia dello Shohoku, abbozzando un sorriso e
tornando nella sala, dove quei bestioni dei suoi compagni di squadra lo stavano
aspettando affamati come non mai.
«Ehi, Mitchi! Dimmi che c'è la mia! Dimmi che c'è la mia!», sbraitò
Hanamichi, alzandosi per controllare.
«Mitsui, ti prego, immola la mia se necessario, ma tiragliene una in
faccia e fallo stare zitto», lo supplicò Akagi, mentre Hanamichi lo guardava
con i lacrimoni agli occhi.
«Ohi Gori, non ci provare, io ho fame!», si lamentò Hime, che arpionò
subito la sua.
«Disgraziata, io sono sempre l'ultimo!».
«Spero che non te la diano direttamente», gli fece eco Rukawa, che
alla sua faccia, addentava una fetta di pizza.
«Che ti rimanga in gola, kit!».
Mitsui si scambiò uno sguardo mesto con Sanako, che nonostante tutto
ridacchiava divertita. Non pensava che quel Rukawa fosse anche simpatico! Per
come gliene aveva sempre parlato Hanamichi sembrava fosse un musone che non
spiccicava mai parola... Ok, sì, forse un po' di ragione, il rossino, ce
l'aveva, ecco!
Cinque minuti più tardi non si sentì altro se non il ruminare continuo
di quindici ragazzi più che affamati - senza contare che le pizze erano
buonissime e nessuno aveva il coraggio di aprire bocca se non per ficcarsene
dentro un altro pezzo.
«Oh Kami, sono piena come un uovo!», esclamò Hime, una volta che finì
la sua cena.
«Fosse per me ne ordinerei un'altra...», commentò invece Takamiya.
«Non avevamo dubbi!».
«Hanamichi, tu stai zitto, che se non la difendevo con il coltello tra
i denti ti saresti mangiato anche la mia».
«Hicchan, sei così crudele da non sfamare un fratello affamato come
me?».
«Ma lascialo morire di fame ogni tanto!», fece Hisashi, bevendo un
sorso di birra.
«Ci pensa già mamma... Fa sempre dolci per questa baka di una volpe!».
«Do'aho. Ti ripudia anche tua madre».
«Aaargh! Ma io ti ammazzooo!».
Akagi si passò una mano sul viso nel vedere che Hanamichi era saltato
veramente contro il Volpino e stava cercando di strozzarlo, sotto lo sguardo
attonito dei presenti e quello rassegnato del resto dello Shohoku.
Ma tutto calò nel più religioso silenzio quando un ragazzo,
evidentemente l'intrattenitore, annunciò il momento tanto atteso della serata.
«Che succede?», chiese Ayako a Miyagi, che si strinse nelle spalle.
«Oh, era ora! Mi stavo chiedendo dove fosse finita!», esclamò Hime,
battendo le mani entusiasta.
«Come tutti i fine settimana, ecco la nostra cantante preferita che
questa sera si esibirà con le canzoni degli America!», fece il ragazzo. «Diamo
il benvenuto a Sanako!».
«Canta?», chiese Mitsui, applaudendo con gli altri.
Sana fece la sua comparsa sorridendo, prese posto nella sedia che stava
al centro del piccolo palco del locale, e si posizionò la chitarra sulle gambe
accavallate. Fece l'occhiolino ai suoi amici, nuovi e non, e iniziò a suonare
le note di A Horse
With No Name.
On the first part of the journey
I was looking at all the life
There were plants and birds and rocks and things
There was sand and hills and rings
The first thing I met was a fly with a buzz
And the sky with no clouds
The heat was hot and the ground was dry
But the air was full of sound
I've been through the desert on a horse with no name
It felt good to be out of the rain
In the desert you can remember your name
'Cause there ain't no one for to give you no
pain...
«Oh, adoro gli America!», esclamò Ayako, canticchiando insieme a lei.
«Però, è brava la ragazza con la chitarra», fece Araki, mentre Hime
annuiva.
«Nacchan è nata per la musica», gli fece
sorridente, sbiancando poi quando si accorse che il ragazzo la stava
semplicemente mangiando con gli occhi.
Inutile dire che al "La lala" tutta la loro
tavolata cantò in coro insieme alla ragazza, il che la fece sorridere
divertita. Tutti tranne, ovviamente, il solito Kaede Rukawa, troppo preso ad
ascoltare la voce della giovane per osare solo canticchiare. E poi lui mica
poteva mettersi a cantare!
La seconda canzone fu You Can Do Magic,
per cui tutto il bar si mise a cantare a squarciagola, iniziati dal solito
gruppo dello Shohoku.
Quando la ragazza finì il suo repertorio quelli l'applaudirono
calorosamente, chi fischiò, chi le gridò dietro "Nacchaaan! Sei tutti noi!", facendola arrossire irrimediabilmente.
Togliendosi la tracolla della chitarra dalle spalle, s'inchinò per ringraziare
il suo pubblico e si avvicinò ai giocatori di basket, che la coccolarono per
complimentarsi per bene.
«Nacchan, sei stata bravissima come
sempre!», le disse Hime, stritolandola nel suo consueto abbraccio mortale.
«Devi ancora insegnarmi come si usa la chitarra».
«Hanamichi, conoscendoti potresti solo spaccarla in testa a qualcuno»,
gli fece saggiamente notare Yoehi.
«Sì, sulla tua, magari!».
Tra le risate varie, arrivò il momento del digestivo, e lì via a fiumi
d'alcol e di cazzate - anche se quelle non mancavano mai neanche da sobri. Per
non parlare di quando il presentatore di poco prima, che si rivelò essere un
dj, mise su un po' di musica da ballare: il Caos si fece persona.
Hanamichi e Hime corsero a ballare, lasciando un Araki a bocca
asciutta e un suo misero tentativo di approccio svanito nel nulla; Ryota, con
la faccia di bronzo migliore del mondo, chiese alla sua Musa di ballare e, tra
lo stupore un po' di tutti, Ayako accettò, forse a causa dei fumi dell'alcol
che stavano iniziando a fare il loro porco effetto. Perché non era possibile
che la manager si potesse concedere così facilmente se non fosse stata un
pochino sbronza... no?
Sana, seduta vicino a Rukawa, gli sorrise candidamente. «Tu non
balli?».
Mitsui scoppiò a ridere, additando il compagno di squadra. «Rukawa che
balla?! Questa è bella!».
Kaede, in risposta, borbottò qualcosa di incomprensibile come il suo
solito, incrociando le braccia.
Sana gli si avvicinò, incuriosita. «Allora?».
«Hn, non mi piace», sbuffò lui. Quanto era
noiosa!
«No? Dai, è divertente!».
L'undici dello Shohoku voltò lo sguardo, a disagio. «Ho detto di no».
Hisashi guardò la ragazza abbassare le spalle e scosse la testa. Quel
Rukawa era proprio un demente, aveva la delicatezza di un elefante! «Dai,
collega, andiamo a divertirci un po' alla faccia di questo bradipo», le disse,
porgendole una mano come invito.
Il viso di Sana s'illuminò gioioso e accettò di buon grado la proposta
della guardia. Kaede, d'altro canto, roteò gli occhi, senza ulteriori commenti.
Tuttavia non riuscì a non staccare gli occhi da quella ragazzina che aveva
visto piangere così disperatamente e che ora rideva come una matta. Vai e
capiscile, le donne.
La serata si concluse alle tre, con Hanamichi che non si reggeva in
piedi, Akagi che, con il viso più imbronciato del mondo, doveva sorbirselo
mentre gli sciorinava la storia della sua vita, Hime e Ayako che ridevano come
pazze, Hisashi e Ryota che cantavano come due dementi, i gemelli Shimura che
mettevano in mezzo un Araki depresso... erano un casino con le gambe.
Persino Rukawa aveva un po' di capogiri, sebbene non avesse bevuto più
di tanto. Ma si sapeva, non era ragazzino da saper reggere l’alcol tanto
facilmente.
Il mega gruppone si divise appena ognuno trovò la strada verso la
propria casa e gli unici che rimasero insieme furono i gemelli Sakuragi, Rukawa
e Sanako.
«Sana, ti vorrei accompagnare a casa ma questo bisonte prima vede il
letto e meglio è», le disse dispiaciuta Hime, che doveva trascinarsi il
fratello letteralmente appeso al suo collo.
«Tranquilla, non è un problema». Sana sorrise, agitando una mano.
La rossa guardò distrattamente il suo migliore amico che ciondolava
dal sonno, come sempre, quando le si accese la lampadina. «Ehi, Ede, puoi
accompagnarla tu? Non è bene che una donzella indifesa si aggiri per Kanagawa a
quest'ora della notte».
Rukawa la guardò sbadigliando, mormorando un "Hn"
sommesso. Era un sì o un no?
Salutarono i fratelli all'incrocio successivo e improvvisamente calò
il silenzio più totale. Sana camminava a testa china, persa nei suoi confusi
pensieri; ogni volta che si avvicinava a casa sua temeva di trovare qualche
altra nuova sorpresa. Kaede, d'altro canto, stava dormendo in piedi - beato
ragazzo!
«...Hn».
Sana alzò lo sguardo verso il suo accompagnatore. «Hai detto
qualcosa?».
Kaede guardò il cielo stellato, le mani rigorosamente nelle tasche dei
jeans. «Sei strana».
E quello cos'era? «Perché?».
Il ragazzo tornò a guardare davanti a sé, serio come sempre. Perché è la verità... sei strana. «Così».
Lei si bloccò, osservandolo allucinata. Poi scoppiò a ridere,
scuotendo la testa. «Hanamichi ha proprio ragione a dire che i tuoi discorsi
sono la fine del mondo!».
«Quel do'aho...». Kaede si voltò per
aspettarla e lei gli si affiancò nuovamente, con uno strano sorriso sulle
labbra.
«Comunque anche tu, tanto normale non mi sembri», gli confessò, divertita.
«Ma non prenderla come un'offesa».
«Hn».
«Oh, sono arrivata».
Kaede si fermò davanti alla casa della ragazza, completamente al buio
tranne per una luce accesa in cucina. La vide rabbuiarsi un po', probabilmente
temeva che ci fosse qualche notizia riguardante il padre. Quando Sana si voltò
per salutarlo aveva nuovamente quel suo strano sorriso sulle labbra. Come
faceva a sorridere così, quando non ne aveva voglia? Proprio non riusciva a
concepirlo.
«Grazie per avermi accompagnata, sei stato molto gentile».
Veramente mi son visto
costretto. Però la cosa non gli era dispiaciuta,
effettivamente. Almeno non era stato traumatico. Gli venne un brivido al solo
pensare cosa sarebbe potuto accadere riaccompagnando a casa una come la sorella
di Akagi. «Hn, di niente. Notte».
«Buona notte». Sana mosse qualche passo, poi tornò indietro, per
mettersi sulle punte e dare un leggero bacio sulla guancia ghiacciata del
ragazzo. «Ci vediamo lunedì!».
Kaede rimase inebetito per qualche secondo, finché non venne riscosso dal
rumore della porta che veniva richiusa alle spalle della ragazza. Alla finestra
accanto, si accorse poco dopo, una tendina veniva riposta contro il vetro, come
se qualcuno si stesse divertendo a gustarsi la scena di poco prima.
La persona dietro il vetro era la zia di Sana, che appena se la
ritrovò davanti, sorrise malandrina. «E quel bel ragazzotto chi è?».
Sanako divenne rossa fino alla punta dei capelli, le diede velocemente
la buona notte e sparì in camera sua. Masaki sorrise, finendo di bere la sua
camomilla. Maledetta insonnia!
Continua...
* * *
Ri-salve a
tutti! Un grazie infinito a tutti coloro che hanno aggiunto questa storia alle
preferite e alle seguite, mi fate felicissima!
Il pomeriggio era
soleggiato e tiepido, un sole splendente illuminava le vie di una Kanagawa
pullulante di vita. Era la giornata perfetta per fare due passi e stare
insieme, dopo aver passato la notte prima a far baldoria con i suoi amici. Cosa
che lui non aveva mandato giù facilmente, dato che avrebbe voluto esserci anche
lui a far casino con quell'idiota del fratello e a difendere la sua Hicchan
dagli assalti del Volpino o di chiunque altro.
Hime si voltò verso il
suo baldanzoso ragazzo e sorrise, serena. A volte non riusciva ancora a
capacitarsi del fatto che prima di quel famoso ritiro si detestassero - quante
se n'erano detti? - e ora andassero d'amore e d'accordo, come una coppia di
giovani innamorati qualunque. E di fatto loro lo erano, innamorati. Anche se
tanto normali, effettivamente, non lo erano mai stati.
Nobunaga, dall'alto dei
suoi 175 centimetri,
la guardò, sentendosi osservato, e piegò le labbra in un sorriso che le sembrò
anche più luminoso del sole stesso. «Lo so, lo so che stai pensando che son
bellissimo... ammettilo!».
Hime gli si accoccolò
contro, sentendosi subito avvolgere dal suo braccio, e ridacchiò. «Mi dispiace
deluderti, ma stavo pensando che ti dovrò regalare una nuova fascetta. Quella è
tutta rovinata!».
«Cosa?! Questa fascetta
non si cambia! È l'esempio di tutto il mio sudore durante i duri allenamenti
del senpai Maki!».
«...Appunto!».
Nobunaga la guardò
imbronciato e lei non ci mise molto a fargli cambiare quell'espressione
crucciata con un bacino sulla guancia.
«Ruffiana. Sei una
ruffiana, ecco tutto», borbottò, rosso come i capelli della ragazza. «Comunque,
dov'è che vuoi andare?».
La rossa si batté un
dito sulle labbra, pensierosa. Poi ebbe un'idea e, senza avvisarlo, lo prese per
mano e iniziò a correre tra la folla, ridendo come una pazza. Kiyota, d'altro
canto, non osò chiedere spiegazioni di alcun genere, e la seguì sbraitando come
un esaltato di fare largo al Re e alla Regina di Kanagawa, tra gli sguardi
perplessi e a volte irritati di chi se li ritrovava davanti. Raggiunsero
trafelati la spiaggia, ridendo fino alle lacrime senza un apparente motivo.
Nobunaga la prese di peso e se la caricò su una spalla, iniziando a girare su
sé stesso e a correre, come se le forze non gli mancassero mai.
«Nobuuu!
Disgraziato, mettimi giù!», gridò quella, che nonostante tutto si stava
divertendo come una bambina.
«Neanche morto!»,
ribatté esaltato lui. Poi gli si accese una lampadina, e decise che sì,
l'avrebbe messa giù... Ma non come avrebbe creduto lei.
«NobunagaKiyotaIoTiAmmazzo!!»,
La scimmietta
saltellante del Kainan fece in fretta a scappare, dato che la povera Sakuragi
si ritrovò scaraventata a terra sulla sabbia, gli abiti, nonché i capelli,
completamente sporchi di arenaria. E si sa bene, i suoi capelli erano sacri.
«Hicchan, ti ho mai
detto che hai i capelli di una pazza?», le chiese innocentemente il ragazzo,
mentre scappava.
«Stai pure tranquillo
che tu tra poco non ne avrai più perché te li strappo uno per uno!».
E tra correre e rincorrere
il sole fece in tempo a tramontare, e avrebbe anche lasciato il posto alla luna
prima che quei due la smettessero di comportarsi come bambini, se non fosse
stato che la rossa iniziò a sentire un po' di fresco. Da buon gentiluomo - o
presunto tale - Nobunaga le mise sulle spalle la propria felpa, che le stava
tre volte, ma che lei adorava. Essere abbracciata dagli indumenti del suo
ragazzo, impregnati del suo profumo, era una delle cose che più la faceva stare
meglio.
«Ehi, guarda che poi la
rivoglio, eh», l'avvertì la scimmietta, guardando possessivo la sua felpa viola
e gialla.
«Uffa, sei tirchio»
«Tirchio?! Ma se mi hai
fatto fuori mezzo armadio? Sto uscendo sempre con gli stessi indumenti perché
mi hai rubato maglie e magliette!».
Hime iniziò a ridere
come un'invasata, agitando noncurante una mano. «Tu fantastichi troppo,
Nobu-chan».
Troppo intento a
guardare il ragazzo che si avvicinava a loro e che - udite, udite! - non
toglieva gli occhi di dosso alla sua preziosa ragazza, Kiyota non le rispose
subito.
«Nobu-chan, mi stai
ascoltando?».
«Hi-Hime-san!», la
salutò estremamente euforico Masuhiro Araki, facendola sbiancare peggio di un
lenzuolo appena lavato con la candeggina.
«Araki, ciao», rispose
Hime, tutt'altro che euforica. Era terrorizzata! E ora chi lo avrebbe sentito
Nobunaga?
«Chi diavolo è questo?»,
ringhiò infatti due secondi più tardi il ragazzo, stringendo gli occhi e,
soprattutto, la presa sui suoi fianchi.
Araki sembrò accorgersi
solo in quel momento dell'accompagnatore della sua musa e per poco non gli
venne un accidente. «Chi diavolo sei tu?
Come osi stare così attaccato a Hime-san?».
Nobunaga lo guardò
dapprima perplesso, poi scoppiò a ridere di puro divertimento. Cosa che a Hime
non piacque per niente.
«Questo tizio è
divertente! Ma l'hai sentito? Ahahaha!».
Masuhiro strinse i pugni
per la stizza, rivolgendogli un'occhiata di fuoco. «Ehi! Che cavolo ridi?!».
Hime decise di tentare
un salvataggio in corner, mettendosi subito in mezzo. «Ragazzi, ragazzi!
Calmi!» Ridacchiò imbarazzata, grattandosi il naso come faceva solitamente
quando era in difficoltà. «Nobu, ti presento Masuhiro Araki, nuovo acquisto
dello Shohoku...».
«Ah! Akaki... bell'acquisto del
cavolo».
«È A-r-a-k-i,
cerebroleso!».
«E Araki...» - Ora arrivava il bello - «Lui è Nobunaga
Kiyota, giocatore del Kainan...» - Qui il
ragazzo dello Shohoku prese il primo colpo della serata - «...nonché il mio
fidanzato».
E qui il medico legale
dichiarò l'avvenuto decesso.
«Fi... Fidan...».
«F-i-d-a-n-z-a-t-o,
cerebroleso!», lo scimmiottò Kiyota, con la sua solita faccia da schiaffi che,
all'inizio di tutto, Hime odiava dal profondo del cuore. «Mica son scemo che me
la lascio scappare!».
Arrossì quando lei lo
guardò di sottecchi, sussurrandogli: «Diciamo anche che mi stavi facendo
scappare, prima che perdessi del tutto la testa...».
Araki, nel frattempo,
che probabilmente non respirava da parecchio dato che i due constatarono un bel
colorito cianotico peggio dei suoi capelli tinti, boccheggiò qualche parola
incomprensibile. Poi, riprendendosi di colpo, puntò un dito contro Kiyota,
ridendo beffardo manco fosse un pazzo. «Fidanzato, eh? Vedrai che la
conquisterò e te la porterò via, brutta scimmia del Kainan!».
Ci mancò poco che
Nobunaga gli saltasse addosso per dargliele di santa ragione, ma fortuna volle
che Hime fu più lesta di lui e lo bloccò per il rotto della cuffia. «Ma non
farmi ridere! Hicchan è troppo intelligente per scappare con te!».
«Tu credi?! Te lo
prometto, Kiyota, la bella Hime-san cadrà tra le mie braccia... Perché tu agli
allenamenti non ci sarai sempre!».
«Non azzardarti nemmeno
a guardarla! O ti stacco gli occhi a morsi!».
«Ahaha!
Vedrai, sarà mia!».
«A costo di chiedere a
Sakuragi di starle appiccicato dalla mattina alla sera!».
«E cosa vuoi che mi
faccia quel testa rossa?!».
Hime, nel frattempo, che
stava fumando rabbia da tutti i pori sia per l'offesa gratuita sulla sua
presunta non-intelligenza sia per il fatto che sembrava stessero parlando del
primo oggettino di scambio trovato sotto il naso, tirò un bel calcio nel di dietro
al suo adorabile ragazzo, il quale mugolò di dolore.
«Ehi, Hicchan! Che ti
prende?!», esclamò con i lacrimoni agli occhi.
Lei, senza ascoltarlo,
si rivolse incazzosa alla riserva dello Shohoku, leggermente sotto shock - non
pensava certo che fosse manesca come quel teppista del fratello! «Tu, esserino
inutile di un Araki, non osare corteggiarmi quando Nobunaga non c'è perché ti
ritroveresti appeso al canestro nel giro di due secondi».
E tra le risate sguaiate
di Kiyota che veniva trascinato via per un braccio dalla ragazza, il povero
Araki si lasciò cadere sulla sabbia, guardando abbattuto i due che si
allontanavano velocemente. Accidenti, accidenti! Ah, ma che accidenti? Lui non
si buttava giù per la minaccia di una ragazzina... Avrebbe fatto quello che si
era ripromesso! L'avrebbe conquistata, alla stra-faccia
del suo (futuro ex)fidanzato!
*
Guardò l'orologio al
polso, sistemandosi poi la sacca sulla spalla. Era una bella domenica per fare
due tiri a canestro con il suo migliore amico, oltre al fatto che aveva bisogno
di non pensare a niente tranne a quella sfera arancione che tanto adorava.
Appena aveva detto a sua madre che aveva trovato lavoro per portarla via da
quel mostro di uomo per poco non era scoppiata in lacrime, abbracciandolo così
forte da lasciarlo senza respiro. "Che Buddha lo protegga, quel santo di
ragazzo!", aveva esclamato, asciugandosi gli occhi lucidi.
Sorridendo al pensiero
di Akira che veniva strapazzato come sempre dalle mani della madre, Hisashi
svoltò l'angolo, dove poteva intravvedere l'ingresso del suo liceo. Buttò
un'occhiata distratta al cortile, non aspettandosi certo di vedere qualcuno la
domenica pomeriggio. O almeno, era quello che aveva pensato prima di scorgere
la visibile porta delle palestre mezzo aperta.
Chi diavolo c'è?, si chiese, fermandosi davanti all'inferriata.
Solo Ryota e Ayako avevano le chiavi, sia del cancello principale sia della
loro palestra... Ma quella era l'ala che portava alle piscine, oltre il fatto
che la cancellata era chiusa con il lucchetto. Poggiò la sacca dell'allenamento
sul muretto su cui svettava il nome del Liceo e scavalcò il cancello, con un
abile balzo. Mani in tasca, si diresse verso quella porta semi-aperta,
incuriosito. Sicuramente doveva essere uno in cerca di qualche sospensione,
dato che non era permesso entrare a scuola di domenica senza un permesso... E
il tipo, o i tipi, là dentro sicuramente non ne avevano.
Peccato che quello che
vide dopo lo lasciò per un attimo senza parole. Non c'era qualche idiota che
stava facendo casino, né qualcuno che voleva farsi un bagno a scrocco; bensì
c'era una ragazza, ferma sul trampolino, che respirava profondamente ad occhi
chiusi, immobile come una statua per cercare la concentrazione.
Hisashi non si mosse per
non far rumore e non distrarla, ma la curiosità di sapere chi fosse gli fece
aguzzare la vista. Non riuscì a riconoscerla a primo impatto, dato che
indossava la cuffietta che le ritirava i capelli, oltre al fatto che fosse 50 metri più in là. Poi
sussultò, appena la nuotatrice iniziò a saltellare sul trampolino, per compiere
un tuffo che era tutto un programma: avvitamento, carpiato, dritta dentro
l'acqua, pochissimi gli schizzi. Entrata pressoché perfetta, lo poteva capire
anche un "ignorante" in materia come lui.
Appena la ragazza risalì
a galla lo notò subito, strabuzzando gli occhi. Rimasero a guardarsi per
qualche secondo, l'uno non sapendo se andarsene e fare finta di niente, l'altra
parecchio indispettita.
«Qualche problema?», gli
chiese, acida, avvicinandosi al bordo piscina.
Hisashi si spostò dalla
parete su cui era mollemente appoggiato, muovendo qualche passo verso la
ragazza. «Io no. Tu piuttosto, mi sembri nervosetta... Kobayashi?! Sei tu?».
Kiyo gli riservò
un'occhiataccia avvelenata, infastidita che quell'insolente borioso avesse
interrotto così il suo allenamento. Odiava che qualcuno la disturbasse,
soprattutto se era un ragazzo, un ragazzo come lui. «Mitsui. Non hai altro da fare oggi?». Uscita dalla piscina
afferrò l'accappatoio, avvolgendoselo frettolosamente sulle spalle. Non le
stava piacendo il modo in cui quegli occhi blu la stavano guardando.
«Tranquilla, non adoro
perdere tempo a spiare le ragazzine in costume da bagno... vengono da me
direttamente», la provocò, facendole roteare gli occhi.
«Maiale... come tutti i
ragazzi», sbottò lei, andando verso i bagni per farsi una doccia.
L'espressione maliziosa
del giocatore di basket sparì immediatamente. «Ehi, aspetta!». La bloccò per un
polso, lasciandola nello stesso istante in cui lei lo fulminò ancora una volta
con lo sguardo. «Due volte che parliamo e due volte che finiamo per litigare...
che problemi hai?»
«Che problemi ho? Non mi
piace parlare con quelli come te».
«E che diavolo vuol
dire? Che accidenti ne sai di come sono io?», le fece, ora seriamente offeso.
Come si permetteva quella ragazzina di parlargli così?
«Lo so e basta... siete
tutti così voialtri», rispose lei, puntandogli l'indice contro. «E ora lasciami
in pace. Mi hai già disturbata abbastanza».
Hisashi non ci vide più
dalla rabbia e la mandò gentilmente a quel paese, sbattendosi la porta alle
spalle. Chi diavolo credeva di essere quella stupida? Che andasse a farsi– ah,
accidenti a lei! Non si sarebbe rovinato una giornata già scura di per sé per
colpa sua.
Lei, d'altro canto,
sobbalzò nel sentire la porta sbattere con forza per la rabbia - giustificata -
del ragazzo, e si lasciò cadere a terra, senza forze. Si tolse la cuffietta con
collera, buttandola in acqua, e si coprì il viso con le mani. Non seppe il
perché, ma si ritrovò a piangere come una bambina, troppo sola e impaurita per
farcela da sola.
Il ragazzo, nel
frattempo raggiunse il campetto da basket, più irritato che mai.
«Ehi, amico, siamo in
ritardo o sbaglio?», gli fece affabile come sempre Akira, ticchettando un dito
sul quadrante del suo orologio. «Non è corretto farmi aspettare qui solo
soletto, senza neanche avvisare!».
«Ah, stai zitto. Tu sei
perennemente in ritardo», sbottò Hisashi, buttando in un angolo la sacca
dell'allenamento e tirando fuori il pallone. «Due tiri per riscaldarmi e iniziamo».
Akira, però, non
demorse, chinando la testa su un lato, incuriosito. «È successo qualcosa e non
vuoi dirmelo. Perché?».
«Non è successo
assolutamente nulla, Sendoh».
Il Porcospino scoppiò a
ridere, facendo girare il suo pallone su un dito. «Oh sì che è successo
qualcosa... e sei anche parecchio infastidito, non mi avresti chiamato per
cognome altrimenti».
Mitsui gli riservò
un'occhiataccia truce, di quelle per cui molti gli stavano a debita distanza, e
riprese a tirare a canestro, dietro la linea dei tre.
«Vediamo un po'... non
si tratta di quello lì, saresti molto
più incazzato» iniziò a elencare il giocatore del Ryonan, mentre l'altro alzava
gli occhi al cielo. «Potresti aver fatto danni alla tua adorata moto, ma lo
escludo perché altrimenti saresti verde dall'ira. Altra ipotesi più plausibile:
sei stato scaricato da una donna!».
La guardia sbagliò
totalmente il tiro, colpendo solo il ferro. «Accidenti, Akira, non riesci a
stare zitto?».
L'altro scoppiò
nuovamente a ridere, conscio di aver azzeccato in pieno. «Amico mio, ti conosco
come le mie tasche! Avanti, di chi si tratta?».
«Non rompere», ringhiò
Hisashi, recuperando il pallone con una zampata. «Allora, iniziamo sì o no?».
«Sì, sarà uno scontro
interessante», annuì Sendoh, sorridendo. «Comunque deve essere un bel peperino».
«Non ne hai idea»,
ringhiò l'altro, parandosi davanti a lui per iniziare il one-on-one.
«A-ah. Hisashi Mitsui
che si becca un bel due di picche... non avrei mai pensato che sarei stato
onorato di vederlo!». Scartò velocemente la furia dell'amico, che stanco della
sua parlantina e scocciato per l'accaduto, aveva avuto l'idea di coglierlo di
sorpresa e soffiargli la palla.
Sì, sarebbe stato un bel
one-on-one, pensò ancora
una volta Sendoh, infilando il primo canestro della serata.
*
Dovevano essere passate
tre ore da quando era arrivato a quel campetto, tre ore da quando aveva
iniziato il suo consueto allenamento pomeridiano in solitario. Kaede si asciugò
il sudore dal viso con il bordo della maglia e riprese fiato, poggiato contro
la rete metallica alle sue spalle. Alzò lo sguardo verso il cielo, ormai
striato dalle sfumature rossastre del tramonto, e si fermò qualche istante a
guardare la scia di un aereo che passava sopra la sua testa. Chissà dove stava
andando... Forse in America, il suo sogno? Un giorno anche lui sarebbe salito
su quell'aereo, un giorno che magari non era neanche così lontano. O almeno,
così sperava in cuor suo.
Si mise la sacca in
spalla e s'incamminò verso casa. Quella sera aveva deciso di non prendere la bici,
o quella che doveva essere una bici - più scassata che mai; aveva voglia di
fare due passi e godersi Kanagawa con calma. Gli piaceva camminare quando in
strada c'era poca gente: gli evitava gli sguardi assatanati delle ragazze e
quelle incuriosite dei passanti, anche un po' intimoriti dalla sua altezza e da
quello sguardo imbronciato che aveva sempre. Non che la cosa gli importasse più
di tanto, dato che era perennemente perso nel suo mondo per occuparsi di chi
gli stava intorno. Il suo fan club, del resto, lo aveva "addestrato"
per bene all'indifferenza.
Quella sera, però, non
sembrò poi tanto addormentato, soprattutto quando si accorse che a poche
centinaia di metri poteva intravvedere il Bar America. E chi lo avrebbe mai
detto che quel famigerato locale fosse così vicino al suo campetto prediletto?
Quando si ritrovò lì
vicino buttò un'occhiata distratta all'ingresso, credendo di vedere quella
stramba ragazza che ci lavorava. Ma così non fu. O almeno, non la incontrò
mentre usciva dal locale, bensì cinque minuti dopo, sorridente e contenta...
In compagnia di Sendoh.
Kaede strinse i denti
alla vista dell'inaspettata coppietta - quella ragazzina stava insieme a quello
lì? - soprattutto alla vista del sorriso da ebete che aveva quell'idiota del
Ryonan. Decise di girare al primo angolo che avrebbe incontrato, non
sopportando l'idea che uno dei due potesse scorgerlo e menargli le palle per
qualche assurdo motivo. Ma quella doveva essere la giornata mondiale della
sfiga, dato che Akira lo vide prima ancora che potesse mettere in atto il suo
piano di fuga, e lo chiamò allegramente, agitando un braccio per farsi notare.
«Ehilà, Kaede!».
L'ala piccola dello
Shohoku alzò gli occhi al cielo, fermando la sua ritirata e guardandolo bieco.
«'ao».
Fu quando gli occhi ridenti
della ragazza lo salutarono ancora più allegramente che si degnò anche di un
cenno del capo. Del resto, quella poveretta non gli menava gli zebedei ogni
volta che scorgeva la sua ombra, indi per cui poteva anche avere l'onore di un
suo saluto.
«Anche tu da queste
parti?», gli chiese, sorridente.
«Scommetto che ti stavi
allenando al campetto qui vicino», buttò lì Akira, guardando la sacca che
teneva mollemente sulle spalle.
«Sempre perspicace, tu»,
rispose lui, voltando lo sguardo, e suscitando l'ilarità di Sana. Che diavolo avrà da ridere, ora?
«Kaede, vuoi unirti a
noi? Stiamo andando nella stessa direzione», propose cordiale come sempre quel
santo di Sendoh, non ben capendo - o forse, facendo finta di non capire - la
pericolosità di quell'atteggiamento nei confronti del volpino. Che, infatti,
ponderò per bene l'idea di massacrargli quel muso che si ritrovava se avesse
nuovamente osato chiamarlo per nome con tutta quella confidenza. In che lingua
doveva farglielo capire che gli stava stramaledettamente
sulle scatole? «Anche no, Sendoh. Ciao».
Sanako rimase parecchio
interdetta da quel comportamento freddo e piuttosto maleducato, ma il ragazzo
accanto a lei non sembrò curarsene, risolvendo tutto con una sana risata.
«Avete per caso qualche
problema?», chiese lei.
«No, niente di che. Per
lo meno, non da parte mia. Credo di non essergli mai stato molto simpatico,
ecco tutto».
«Per il basket?».
Akira annuì, sorridendo
nel pensare alla loro rivalità in campo. «Odia perdere, soprattutto contro me.
Sarà che sono troppo bravo e lui non vuole essermi da meno».
«Viva la modestia!»,
esclamò Sana, ridacchiando. Lanciò un'ultima occhiata alla schiena del
giocatore dello Shohoku, che si allontanava dietro un angolo. Com'era strano,
quel ragazzo. Era incredibile quanto fosse diverso da Akira, era esattamente il
suo opposto. Chissà come faceva a riscuotere così tanto successo tra le
ragazze? Non poteva essere solo per il fatto che fosse sconvolgentemente
bello... o forse sì?
Kaede, nel frattempo,
irritato come solo Sendoh riusciva a farlo diventare, accese il suo walkman,
mentre la musica rock che tanto adorava gli trapanava i timpani. Quel
deficiente di Sendoh... da quando conosceva la ragazzina del tetto? E dire che
lui la vedeva praticamente tutti i giorni e l'aveva scoperta solo in quel
momento. Ancora vedeva davanti agli occhi il suo sorriso, appena l'aveva visto.
Hmpf. Sta
insieme a quell'idiota.
Che diavolo ci trovano
in quell'istrice le donne? Sorrideva per un non niente, aveva la simpatia di un
dito in un occhio ed era addirittura più borioso di lui in campo.
«Edeee!».
E lei? Lei che ci
trovava in quello lì? Erano una coppia addirittura più bizzarra del pensiero
del Do'aho con la Babbuina...
Brr!
«Edeeeee!».
«Hicchan, non gridare,
starà dormendo in piedi come fa sempre!».
Il volpino corrugò la
fronte, perplesso: gli era sembrato di sentire la voce di un'altra coppia
bizzarra... lo stavano per caso perseguitando? Si tolse un auricolare,
voltandosi leggermente per vedere se non si fosse sognato tutto e per poco non gli
scese un coccolone quando si vide quella furia dai capelli rossi saltargli alle
spalle.
«Ede! Allora non stavi
dormendo!», esclamò allegramente, dandogli un bacino sulla guancia.
«Hn,
mollami demente», le rispose, infastidito. Si pentì subito della sua risposta
sgarbata, ma non le chiese scusa; si limitò solo ad abbassare lo sguardo e come
sempre accadeva lei lo capì al volo.
«Ehi, è successo
qualcosa?», gli domandò, preoccupata.
Nobunaga li raggiunse
velocemente, ficcandosi le mani in tasca e lanciandogli un'occhiataccia sbieca.
«Tsè, sembra che abbia visto Sendoh!».
Lo sguardo di ghiaccio
che Rukawa gli riservò subito dopo lo fece arretrare di qualche passo.
Sì, aveva decisamente
visto Sendoh.
Continua...
* * *
Tralasciando che ho dato millemila
esami, che me ne manca ancora uno, che sono stanca, che voglio andare al mare,
che, che, che... Mi scuso per il ritardo, ma è stato veramente un periodo
pesante!
Un grazie veloce a tutti, i pochi che commentano e coloro
che hanno aggiunto BA alle seguite, preferiti e ricordate... Grazie!
Capitolo 7 *** 07 I. Quando la Guardia diventa guardia del corpo ***
Ni-hao a tutti
Capitolo 7, parte prima.
Quando la Guardia
diventa guardia del corpo.
Quando la sveglia suonò
puntuale alle otto del mattino Hisashi era già desto da un pezzo. Era lunedì,
l'inizio di una nuova settimana e, soprattutto, l'inizio della sua nuova
"carriera" di porta pizze al Bar
America. Chissà come sarebbe stato? Era contento della sua scelta, avrebbe
finalmente portato a casa qualche soldo in più per arrotondare le entrate e
aiutare sua madre. Avrebbe finalmente messo la parola fine a tutta
quell'assurda situazione con il padre, o presunto tale. Non sopportava più la
vista della donna più importante della sua vita in lacrime, o con l'espressione
più triste e vacua che potesse avere. Voleva vederla sorridere, finalmente,
voleva vederla serena come non lo era da troppo tempo.
Saltò giù dal letto e
andò in cucina, per salutarla. La trovò intenta a preparargli la colazione,
così intenta nel suo lavoro che sussultò quando lui l'abbracciò da dietro,
schioccandole un bacio tra i capelli.
«Oh, tesoro,
buongiorno», lo salutò, sorridendogli. «Dormito bene?».
«Non tanto», rispose
lui, appoggiandosi contro il bancone della cucina e ficcandosi le mani nella
tasca della felpa. «Tu?».
Lei continuò a
sorridergli, abbassando lo sguardo per nascondere gli occhi lucidi. «Qualche
incubo, come sempre».
Il ragazzo strinse i
denti, ma cercò di non mostrarle la sua stizza. Almeno lui doveva infonderle
tranquillità. «Oggi inizio il lavoro», le disse, cambiando argomento.
«Sì, lo ricordo. Non
smetterò mai di ringraziare Akira» Gli porse la colazione, asciugandosi gli
occhi con il grembiulino da cucina. «Uno di questi giorni voglio invitarlo a
cena con la famiglia, che ne dici?».
«E averlo tra le scatole
anche di notte? Mamma, tu devi odiarmi sul serio».
Lei ridacchiò,
tirandogli un buffetto affettuoso sulla nuca. «Non fare finta di odiarlo, non
sei mai stato un bravo attore».
Hisashi abbozzò un
sorriso. «D'accordo, fammi sapere la data, così lo avverto».
Fatta colazione e una
doccia veloce, preparò il borsone dell'allenamento. Non vedeva l'ora di giocare
nuovamente; mancava solo una settimana all'amichevole contro il Ryonan e lui,
come i suoi compagni, stavano fremendo. Ryota, per quanto si fosse montato la
testa, si stava rivelando un buon capitano e dire che li stava mettendo sotto
era poco. Sembrava la versione rimpicciolita del Gorilla!
«Mamma, io vado!»,
esclamò, recuperando le chiavi della moto e mettendosi le scarpe. «Mi
raccomando, se succede qualcosa fammi chiamare dal preside, ok?».
La donna annuì,
abbracciandolo. «Buona giornata, Hisashi»
Il ragazzo le fece
l'occhiolino e si richiuse la porta alle spalle. C'era un bel sole quella mattina
e, dato che era particolarmente suscettibile ai cambiamenti climatici, pensò
che sarebbe stata una bella giornata, probabilmente. O almeno, così sperava. S'infilò
il casco integrale sul capo e mise in moto la sua adorata bambola.
Appena arrivò al liceo
gli si presentò davanti la solita scenetta mattutina, ormai un'abitudine
immancabile.
«Maledetta bagasha di una volpaccia artica, sai dove te la ficco
quella bicicletta scassata?!».
Hime, con l'espressione
più rassegnata del mondo, appena lo vide, gli corse incontro, lasciandosi alle
spalle quei due dementi che, come sempre, se le davano di santa ragione. «Hisa! Buondì!».
«Ciao. Gliel'hai detto
che possono limonare anche da un'altra parte?», le chiese, indicandoli con un
cenno del capo.
La rossa scoppiò a
ridere, ma ammutolì quando si accorse dell'ombra minacciosa di un King Kong di
sua conoscenza. «A-Akagi!».
Inutile dire che la
rissa venne sedata dalle amorevoli mani del loro ex capitano. «Buongiorno anche
a voi», ringhiò, mentre Hanamichi piagnucolava e si accarezzava la testa
dolorante e l'altro narcolettico sbadigliava, come se niente fosse successo.
«Oggi è il grande
giorno!», strillò entusiasta Hime, saltellando e battendo le mani come una
bambina. Neanche l'occhiataccia del Gorilla sedò il suo entusiasmo.
«Perché? Chi si sposa?»,
chiese Ayako, comparendo in quel momento con Ryota, appena arrivati in
motorino.
«Non si sposa nessuno, Aya-chan, quello lì inizia a lavorare.», rispose il neo
capitano, mentre la guardia lo guardava truce.
«È vero! Era ora che
mettessi la testa a posto, Mitchi!», sbraitò Hanamichi, battendogli una manona
sulle spalle. Inutile dire che si ritrovò un altro bernoccolo in testa due
secondi più tardi.
«Tu non hai proprio
speranze, mezza sega», gli rispose gentilmente Hisashi, ghignando. Il sorriso
gli morì sulle labbra appena riconobbe una testa bionda tra la folla di
studenti che stavano arrivando per l'inizio delle lezioni.
Kiyo gli lanciò
un'occhiataccia e salutò unicamente il suo compagno di classe, Rukawa, con un
cenno della mano. Cosa che lo mandò in bestia. «Ehi, Rukawa, la conosci?», gli
chiese, avvicinandosi mentre continuava a osservarla sparire tra gli studenti.
L'altro si rialzò, dopo
aver sistemato la catena alla sua bici. Che poi, chi avrebbe potuto
rubargliela, conciata com'era? «Hn... È in classe
mia».
«Tutte le fortune sempre
a te», borbottò Mitsui, tant'è che quello neanche lo sentì, addormentato
com'era.
Kaede si risvegliò solo
quando sentì quel Do'aho salutare la velocista dell'anno, tale Sanako Tsukiyama
che, come sempre, era in ritardissimo e si stava
trascinando la solita chitarra più grande di lei. Di fretta com'era si accorse
solo all'ultimo momento di lui e lo salutò con un sorriso allegro, anche se lui
ci vide ben altro dietro quell'espressione. Più la vedeva, più si rendeva conto
che quella ragazzina sorrideva per circostanza.
«Ehi, Tsukiyama, a che
ora finisci con quella?», le chiese Mitsui, indicando la chitarra.
«Alle sei, perché?».
Hisashi si sistemò la
sacca sulle spalle. «Perché sono in moto, possiamo andare a lavoro insieme.»
«Ehi, non farti tanto
figo, ricordati che devi andare a spasso per portare pizze, eh», gli snocciolò
Ryota, facendo sorridere la piccola barista.
Mitsui non lo cagò di
striscio, continuando a guardare la ragazza. «Io finisco alle sette, magari
puoi venire a vedere gli allenamenti».
Sana annuì, entusiasta.
«Non capisco niente di basket, ma sarà divertente! E grazie per l'offerta».
Arrossì quando lui le fece l'occhiolino, salutandola per andarsene in classe.
Rukawa fece finta di non
sentire, passandole accanto e sentendo il suo sguardo addosso; ma lui aveva
sentito, eccome. E, non seppe perché, decise che quel pomeriggio, agli
allenamenti, avrebbe dato tutto sé stesso. Se davvero quella ragazzina non conosceva
niente di basket avrebbe sicuramente capito chi tra quel gruppo di giocatori
fosse il migliore. Tant'è che Hanamichi, che gli si era affiancato per menargli
le palle come sua consuetudine, dovette subito allontanarsi, dato che l'ego
smisurato del volpino l'avrebbe altrimenti ustionato.
Due secondi più tardi
arrivarono gli inseparabili gemelli Shimura, che salutarono tutti con un
sorriso smagliante, così smagliante che perfino Sendoh avrebbe avuto dei
problemi di concorrenza. «Buongiorno!», dissero in coro - come sempre, del resto.
Fu così che, per la
gioia di Rukawa, Hanamichi trotterellò da loro, i suoi migliori e preferiti adepti.
«Ehilà, Gatti-Siamesi!».
Hime e Yoehi si
guardarono mestamente, all'ennesimo soprannome animalesco che Hanamichi aveva
trovato.
«Và
capito, è un animale lui, non può sentirsi solo!», commentò Takamiya, sudando
freddo nel guardare il rossino che, per sua fortuna, era talmente intento a
gridare le sue grandiose gesta di cestista per preoccuparsi delle prese in giro
dei suoi amici.
«Certo che quei due hanno
la pazienza di un Buddha», fece Mito, a voce bassa per non rischiare il
linciaggio, mentre il resto dell'Armata e le due giovani donzelle del primo
anno lo seguivano.
«Sì, ma solitamente chi
è così paziente alla fine si rivela più distruttivo del King Kong», fece
saggiamente notare Hime, che schivò per puro caso uno scappellotto del King
Kong per antonomasia. «Ehi, Akagi! Non mi stavo riferendo a te! Egocentrico!».
«Hime Sakuragi!», tuonò quello. La rossa vide bene di darsela a
gambe, seguita poi dal fratello, che aveva sentito solo il
"Sakuragi", temendo possibili ritorsioni per qualcosa che aveva
combinato - perché lui ne combinava sempre.
Dal panico al mancato
dramma, dato che per la loro improvvisa corsa i gemelli più casinisti dello
Shohoku arrivarono in orario alla temuta lezione di matematica. Yoehi Mito?
Dovette sorbirsi il primo quarto d'ora fuori in corridoio da solo. Ma
unicamente il primo quarto d'ora, dato che Hanamichi lo raggiunse poco dopo per
essersi addormentato sul banco.
Ah, maledetti film
dell'orrore che non lo facevano mai dormire la notte!
*
L'ora di pranzo arrivò,
finalmente, seppur con inesorabile lentezza per tutti. Il lunedì era un giorno
traumatico per ognuno di loro, soprattutto se l'orario scolastico era bello
pesante come quello del primo anno, sezione 3. Sanako salutò i gemelli Shimura
e le poche compagne di classe con cui si fermava solitamente a chiacchierare, e
volò sulla terrazza del tetto, per pranzare. Rukawa - incredibile che fosse lui
il ragazzo che trovava sempre lì a ronfare! - non era ancora arrivato, ma lei
non disperò. Era letteralmente corsa, quella volta, e per quel poco che lo
conosceva probabilmente si stava ancora svegliando. Si sedette al suo consueto
posto, tirando fuori il suo pranzo e il quaderno di storia, per iniziare a
leggere tutti gli appunti che era riuscita a scrivere in quelle due, infinite,
ore di lezione.
Kaede Rukawa arrivò
cinque minuti più tardi, assonnato e affamato nel contempo. Rimase un po'
stranito dal fatto che quella ragazzina non avesse approfittato del fatto che
ormai lo conoscesse per sedersi accanto a lui. Probabilmente era abbastanza
intelligente da capire che non voleva rotture di scatole intorno. Anche se, in
effetti, non le avrebbe detto di allontanarsi.
«Ciao!», lo salutò, con
un sorriso tirato.
E ora che diavolo ha? «'ao». Si lasciò
cadere sul pavimento, chiudendo gli occhi un attimo e godendo la quiete di quei
momenti, prima di iniziare a pranzare. Quando li riaprì li posò direttamente
sulla ragazza, che era tornata a leggere i suoi appunti. Non riusciva proprio a
capire cosa le passasse per la testa; solitamente era lui quello
imperscrutabile, quello che aveva lo sguardo impenetrabile, che solo Hime
riusciva a decifrare. Ma quella ragazzina, quella Sanako, proprio lo spiazzava.
Decise di non pensarci
troppo, dopo tutto non erano affari suoi; se quella ragazza era lunatica che
avrebbe potuto farci? L'unica cosa che non capiva era perché sorrideva con
tutti, tranne che con lui. Quando stava con Hime o addirittura con quell'idiota
di Sendoh sembrava la persona più felice del mondo, quando invece la trovava
sola non ostentava un minimo di falsità: triste era e triste rimaneva.
Accidenti a lei.
In realtà Sana aveva
voglia di chiacchierare quel giorno, ma non sapeva come iniziare. Probabilmente
doveva avere un'espressione da ebete appena il cestista aveva fatto la sua
comparsa e ciò non era bene. Quel ragazzo la metteva in soggezione, ma non in
imbarazzo, come quando era in presenza di Akira-sto-sempre-sorridendo-Sendoh. No, Rukawa la metteva in soggezione
perché era diverso dalle persone con cui aveva a che fare di solito. Era
taciturno, perennemente addentrato nel suo mondo personale e irraggiungibile e
non certo famoso per le sue amicizie femminili - tranne per le due uniche coraggiose
e fortunate che osavano anche prenderlo per i fondelli, cioè le due manager
della squadra.
Pensando a Hime, Sanako,
sorrise. Ammirava quella ragazza, era solare, matta e, nonostante tutto, di una
dolcezza unica. Sprizzava amore e amicizia da tutti i pori, indistintamente per
tutti i suoi amici, tranne che per il fratello, per cui stravedeva. Guardando
Rukawa si chiese come quella ragazza riuscisse a capirlo così facilmente con un
solo sguardo. Le poche volte che li aveva visti insieme era rimasta sbalordita,
non solo per la fama del volpino, ma anche perché aveva capito in poco tempo
che tipo fosse. Effettivamente, quei due, potevano benissimo essere fidanzati,
se la rossa non fosse stata già impegnata. Li avrebbe visti bene insieme.
Quel pensiero le fece
scuotere il capo. Fidanzati? Ah, erano amici, i migliori che avesse mai visto.
E poi c'era quel Kiyota, più fuori di un balcone quanto Hanamichi, con cui
stava bene, a quanto pareva.
Alzò lo sguardo su Kaede
e arrossì quando si accorse che le aveva lanciato un'occhiata perplessa.
Evidentemente l'aveva notata mentre discuteva tra sé e sé - non doveva essere
un bello spettacolo. «Akira mi ha detto che tra voi non scorre buon sangue». Si
pentì subito di quell'esordio appena l'occhiata di Rukawa si trasformò in un
fulmine.
«Ma va?». Vacci piano con il sarcasmo, o congelerai
l'intera scuola, Kaede.
«Mi ha detto che la
settimana prossima avrete una partita».
«Hn...
Lo batterò».
Lei sorrise. «Sei
proprio sicuro di te».
Kaede alzò un
sopracciglio, parecchio perplesso. «Mi sembra il minimo».
Sana rimase un po' in
silenzio, senza sapere cosa dire. Accidenti a lui, non poteva essere un po' più
loquace? «Sai, stasera verrò a vedere gli allenamenti».
Lo so. «Hn».
Kaede emise un gemito
quasi divertito quando la vide roteare gli occhi per il suo ennesimo
monosillabo. Eppure era tenace, la ragazzina. Hime lo avrebbe già mandato a
quel paese da qualche ora, al suo posto.
«Non capisco molto di
basket, ma sarà divertente, vero?». Incredibile, stava praticamente parlando da
sola! E quanto si sentiva stupida, incredibilmente stupida!
«Traumatizzante, direi».
Sanako non capì bene le
parole del ragazzo finché non vide con i suoi occhi gli orrori che accadevano dietro le porte della palestra. Tra Araki che
iniziava i suoi miseri e fallimentari tentativi di approccio con Hime,
Hanamichi che s'imbestialiva e difendeva la sorella dalle grinfie del Puffo,
Rukawa che lanciava frecciate gelide ai due contendenti, Miyagi che tirava le
orecchie a entrambi per riportare un minimo d'ordine, Mitsui che lo sfotteva
dicendo che prima o poi l'animo bestiale del King Kong si sarebbe impossessato
di lui, le matricole varie che si spanciavano dalle risate e Ayako che
sventagliava le teste di tutti a destra e a sinistra, Sanako pensò che il Caos
era niente in confronto.
Fortuna volle - o sfiga?
- che fece la sua colossale comparsa Akagi, che sedò tutti con le sue amorevoli
e consuete cure. Le uniche che si salvarono furono proprio le due donnine della
situazione, una perché stava usando le maniere forti proprio come piaceva a
lui, l'altra perché si era accorto che fosse la vittima delle avances di quello
strano tipo. E per quanto Hime gli facesse girare i palloni alla velocità della
luce, aveva ancora un minimo di buon cuore per capire che quel tizio tanto
normale non fosse. Non che quell'esagitato del ragazzo fosse l'esempio vivente
della perfezione, tutt'altro; ma almeno non era così... inquietante.
Inutile dire che Hime
gli si aggrappò al braccio, per sdebitarsi del favore ricevuto e lui, per
riprendersi da quel piccolo momento di benevolenza, se la scrollò di dosso come
una mosca.
«Ehi, Gori! Che ci fai
anche oggi qui?», chiese Hanamichi, mentre al suo fianco un Araki più che
deluso e fumante di frustrazione e rabbia stava parlottando da solo, come un
invasato.
«Già, perché non torni a
giocare se trovi il tempo di venire agli allenamenti ogni volta?», domandò
anche Hime, ancora scottata dalla decisione dell'ex capitano di lasciarli dopo
una stagione estiva a dir poco incredibile.
«Perché devo studiare,
baka», si giustificò lui, cercando di levarsi quell'impicciona da torno. Quando
si voltò vide lo sguardo seccato e scettico di Mitsui, a braccia conserte
davanti a lui.
«Avanti, non vorrai
farmi credere che uno come te non riuscirebbe a trovare il tempo per studiare e
per praticare il suo sport preferito?».
Maledetta adulatrice!, pensò Kaede, sorridendo sotto i baffi.
«Hime, tu sei uno dei
tre motivi per cui non tornerei mai», le confessò seriamente Akagi, mentre la
ragazza esibiva la sua miglior espressione di (falsa) tristezza.
«E quali sarebbero gli
altri due?», domandò strafottente Hisashi, facendosi avanti. Quel disgraziato
di un negriero lo aveva mollato proprio quando stava riprendendo le forze e
aveva tutta la voglia e lo spirito di dimostrargli quando bravo fosse
diventato, doveva fargliela pagare per essere scappato così!
«Suo fratello è un altro»,
rispose il Gori, indicando con un cenno del capo un povero Hanamichi con i
lacrimoni agli occhi.
«E il terzo?»,
insistette la guardia, corrugando la fronte.
Akagi non rispose,
esitando qualche secondo. In realtà il terzo motivo era il principale tra
tutti, e anche quello che più faceva male. Non aveva avuto le forze necessarie per
combattere durante la partita contro l'Aiwa, la partita decisiva che li avrebbe
portati in finale. Era esausto, come tutti, dall'incredibile match contro il
Sannoh, ma non se lo sarebbe mai perdonato. Lui, il Capitano, il trascinatore
della squadra che aveva mollato proprio nel momento più importante. Con che
coraggio avrebbe dovuto indossare nuovamente quella maglia?
«Ehi, Capitano». Akagi
si voltò verso una sorridente Hime, che gli posò una mano sulla spalla. «So
cosa stai pensando e lo sappiamo tutti. Quindi non darti colpe inesistenti,
chiaro? Quando vuoi tornare, se lo vorrai, ci sarà sempre posto per te, sarebbe
ingiusto il contrario».
Lui sospirò pesantemente
e pensò di ringraziare quella peste di ragazza con un piccolo pugnetto tra i
capelli indemoniati. Non poteva certo lasciarsi andare in un abbraccio, lui!
«Insomma, volete darvi una mossa a iniziare gli allenamenti, scansa fatiche?». Misero
tentativo di sviare la discussione verso altri lidi, fortunatamente per lui,
riuscito. Per quella volta.
«Bene, ragazzi,
avvicinatevi». Ryota richiamò l'attenzione, gasandosi come sempre del fatto che
ora era lui il Capitano - anche se effettivamente, con il Gorilla nei paraggi,
si sentiva sempre un po' in soggezione e sotto esame. «Oggi ci divideremo così:
prima della partitella a fine allenamento, vorrei fare qualcosa di nuovo».
«Ecco, ora ne spara una
delle sue», biascicò Hisashi al suo vicino, un Hanamichi ancora incacchiato
verso il Puffo.
«La scorsa volta ho
notato che tu, Hanamichi, sei un po' rigido in alcuni movimenti. Voglio che per
un po' faccia degli allenamenti speciali per riabilitarti al meglio».
«Checcosa?!
Io sto benissimo, Ryo-chan! O oltre che basso sei anche cieco?», sbraitò come
uno scaricatore di porto il rossino, che cinque secondi più tardi si beccò un
calcione nel di dietro dalla sorella.
«Hana, non fare storie e
vai da Ayako per l'allenamento speciale!», lo sgridò Hime. «L'idea è mia,
perché voglio che torni in forma. E poi...», aggiunse, ammiccando. «Un
allenamento speciale per un giocatore speciale!».
Inutile dire che a
quelle parole il numero dieci iniziò a gongolare come un bambino di fronte al
negozio di caramelle zuccherose, cosa per cui tutti i ragazzi ringraziarono la
seconda manager per l'adulazione riuscita.
«Mi duole ammetterlo,
Hime, ma a volte sei geniale», ammise Akagi, che dovette rimangiarsi le parole
appena quella gli si appese al collo.
«Ehi, silenzio!»,
esclamò Miyagi, battendo le mani per recuperare l'attenzione di tutti. «Seconda
novità: voglio mettere sotto i nuovi acquisti, perché ho notato che potete
sviluppare alcuni punti di forza. Per farlo, però, dovrete lavorare tra di voi,
successivamente lavoreremo insieme».
«Che vuol dire? Che ci
relegherai in un pezzo di palestra?», chiese irritato Araki.
Eichiro, al suo fianco,
sorrise mentre gli batteva una mano sulla spalla. «Tranquillo, fidati del
Capitano. Sta solo dicendo che ci alleneremo per dare un aiuto maggiore alla
squadra, dovresti esserne fiero».
Oh, grazie al cielo un altro sant'uomo che sostituirà
Kogure!,
pensò Ayako, che ritirò la sua arma di distruzione di massa, il fido ventaglio,
già pronto a colpire.
«E udite, udite, vi
allenerò io!», esclamò Hime, facendo il segno della vittoria.
«Cosa?! Hicchaaan! Non ti lascio da sola ad allenare quel Puffo
spelacchiato!», strillò Hanamichi, che venne afferrato per la collottola dalla
manager mora, prima che le saltasse addosso per difenderla.
«Ahaha!
Ora voglio proprio vedere come farà quel Nobu-cacca senza te che la proteggi,
Sakuragi!», rispose esaltato Araki, ridendo come un povero pazzo. Dietro di lui
Rukawa, che vide bene di tirargli un calcio per sedare i suoi bollenti spiriti.
«Ehi, maledetto! Come hai osato?».
«Pensa a renderti utile,
deficiente», sibilò Kaede, lanciando un'occhiata alla sua migliore amica, più
grata che mai del suo pronto intervento.
Ryota, che ormai aveva
già perso le staffe da parecchio, riprese a parlare. «I veterani rimasti si
alleneranno come sempre sulla stessa lunghezza d'onda. Domande?».
Hanamichi alzò la mano.
«Posso fare il mio allenamento speciualeper i giuocatorispeciuali con la
mia Hicchan?».
«Qualche problema con
me, Hanamichi?», domandò con un ghigno poco promettente Ayako.
«No, no! Ahaha, scherzavo Aya-chan! Tu vai
benissimo!».
«Bene, iniziamo!».
Il triplice allenamento
che si svolse quel pomeriggio nella palestra dello Shohoku fu alquanto
distruttivo. Ayako ebbe un bel da fare con il suo allievo dalla testa
indiavolata, che si distraeva ogni tre per due per controllare la sua piccola
sorellina indifesa - che tanto indifesa non lo era affatto. Hime, infatti, per
sedare le continue avances del suo nuovo spasimante vide bene di punirlo con il
doppio degli esercizi, quali flessioni di gambe, braccia, salti, sollevamento
pesi e chi più ne ha più ne metta. Effettivamente, sembrava più la versione al
femminile di quel gendarme di Akagi, che la solita tenera e pazza Hime
Sakuragi. I due gemelli Shimura, invece, vennero messi a dribblare degli
ostacoli, con passaggi di palla al limite del possibile. Ryota, infatti, aveva
notato una certa intesa tra i due, e pensava che avrebbe potuto utilizzarli
insieme in campo, per mettere in atto nuovi tipi di azioni che avrebbero
sicuramente spaesato gli avversari.
I veterani, d'altro
canto, proseguivano i loro consueti - devastanti - allenamenti settimanali, che
tanto li avevano aiutati a sviluppare la loro incredibile abilità.
Ma fu il momento della
partitella - quello che tutti aspettavano, uno in particolare - che fu uno
spettacolo. Non tanto per il lavoro di squadra che tutti stavano aumentando a
vista d'occhio, ma per l'incredibile maratona di un certo Kaede Rukawa, che in
quella partitella ci mise anima e corpo. Era immarcabile, segnava a ogni
possesso di palla e, impossibile ma vero, riusciva anche ad allestire delle
splendide azioni con il suo miglior nemico. Hime non fu la sola a rendersi
conto di questo strano atteggiamento dell'amico, ma forse fu l'unica ad
accorgersi delle occhiate furtive che Kaede lanciava alla fine di ogni azione
verso la panchina, dove Sanako osservava basita la scena. La ragazza non capiva
un'acca di quello sport - vuoi perché non le era mai interessato, vuoi perché
non era un'amante degli sport in generale - ma non le fu difficile comprendere
che quello che Rukawa stava facendo in campo era straordinario.
Gli allenamenti finirono
con l'intera squadra letteralmente distrutta, che si trascinò verso le docce
senza forze - o almeno, utilizzavano le poche rimaste per insultare il volpino.
Hime trotterellò verso
la nuova ospite, con un sorriso da orecchio a orecchio. «Allora, Sana! Come ti
son sembrati?».
«A parte matti come dei
cavalli, ovvio», borbottò Ayako, sistemandosi i capelli.
Sana ridacchiò. «Oh,
beh... un po' casinisti, sì».
«Un po'? Ma dico, li hai guardati bene?». Hime, che sembrava
seriamente sotto shock per quell'ingenua affermazione, le si sedette accanto.
«Noi ci siamo abituati, ma deve essere un trauma per chi assiste agli
allenamenti per la prima volta».
«Effettivamente sì, ho
temuto parecchie volte che arrivassero alle mani», annuì, preoccupata, la
barista.
«Oh, quello è pane di
tutti i giorni, forse oggi si son contenuti perché c'era una nuova donzella a
guardarli».
Sanako arrossì
all'occhiolino della rossa. «No, ma che dici! Neanche si sono accorti che ci
fossi».
Hime pensò che quella
ragazza o era fuori come un balcone da non rendersi conto di quello che la
circondava, o lo faceva apposta. Molto probabilmente era più plausibile la
prima ipotesi, ma sperò ardentemente che si sbagliasse. Non poteva essere così
addormentata, quella santa ragazza!
Hisashi Mitsui uscì
dalla doccia per primo, fresco e lindo come una rosa. «Ehi, Tsukiyama!».
«Salve, senpai!
Complimenti per oggi!».
«Ah, quell'idiota di
Rukawa mi ha quasi fatto sfigurare», fece la guardia, issandosi la sacca in
spalla.
«Sfiguri sempre con me,
Mitsui», fece la voce dell'idiota in questione, che passò alle sue spalle
salutando con lo sguardo le due ragazze.
«Allora, Hisa! Inizi oggi, eh?», esclamò ridacchiando nervosamente
Hime, per evitare che quei due iniziassero a darsele di santa ragione.
«Sì, sarà la ventesima
volta che lo dite», disse scocciato. «Siete insopportabili».
Hime sorrise, roteando
gli occhi. «Beh, io vado a dare una mano ad Ayako, o chi la sente altrimenti!
Buon lavoro, ragazzi!».
I due la ringraziarono,
avviandosi verso la moto. Fecero in tempo a mettere piede fuori dalla palestra
che Kiyo raggiunse l'amica, i capelli ancora bagnati dalla doccia. «Sabato,
alle dieci».
Sanako corrugò la
fronte. «Sabato alle dieci?».
«Ho le prime
qualificazioni di nuoto».
«Oh, così presto?».
La bionda annuì,
sospirando. «È arrivato il calendario proprio oggi». Poi, accorgendosi del
ragazzone al fianco della sua migliore amica per poco non le scese un colpo.
«Kobayashi», la salutò
lui, più serio che mai, riprendendo a camminare.
Sana guardò l'amica,
curiosa. «Lo conosci?».
«Hn»
Kiyo lo guardò sparire dietro l'angolo, le chiavi della moto che giravano attorno
a un dito. «Tu?».
«Oh, sì, inizia oggi a
lavorare al bar, come porta pizze... o ragazzo tutto fare, come lo chiama
Watanabe-san».
Identica domanda le
rivolse Hisashi, appena mise in moto. «Sì, è la mia migliore amica... o almeno,
l'unica ragazza che possa essere considerata un'amica».
«Non è il massimo della
simpatia».
La ragazza scosse il
capo. «Kiyo è un po' fredda e scorbutica, a volte, ma appena la conosci si
scioglie sempre».
«Ah, sì? E ti insulta,
anche?».
«Ti ha insultato?».
Hisashi agitò una mano,
per far cadere il discorso. Quell'argomento lo irritava parecchio, era
incredibile. E dire che aveva anche pensato che avrebbe potuto provarci,
magari. Ma con una strega come quella era impossibile anche solo pensarlo.
*
Kiyo chiuse irritata la
telefonata, buttando sul divano il cordless di casa. Si lasciò andare contro i
cuscini e rimase così, ferma a pensare una soluzione per uscire da quella
situazione che non le piaceva per niente. Toshiro - quel bastardo! - l'aveva
appena chiamata per informarla, gentilmente, che sarebbe passato a prenderla
per uscire. Come se stessero ancora insieme e come se lei avesse avuto voglia
di rivedere quella faccia da schiaffi. Aveva, ovviamente, rifiutato ma lui, che
difficilmente digeriva un no, le aveva detto chiaro e tondo che quella sera
sarebbe uscita con lui, e non voleva sentire scuse.
Si passò una mano tra i
capelli, stanca di tutto. Doveva concentrarsi per le qualificazioni, non doveva
perdere tempo a tener lontano un ex che non voleva accettare il suo rifiuto.
Senza contare il fatto che Toshiro non era certo uno che faceva passare liscio
ciò che non gli andava e temeva che veramente potesse fare qualcosa di
sconsiderato.
Aveva detto che sarebbe
venuto a prenderla per le otto e mancava meno di un'ora. Tempo sufficiente per
serrare la casa e chiamare la polizia. E se fosse venuto in compagnia? Oh, non
voleva neanche pensarlo! Era da sola a casa - i genitori erano usciti con degli
amici di famiglia che non vedevano da tempo - e aveva una tremenda paura. Una
tremendissima paura. Avrebbe voluto avere almeno la presenza di Sana, che per
quanto piccola e indifesa fosse, era comunque una persona che poteva aiutarla.
Toshiro non le avrebbe torto un capello con lei presente. Forse.
Si maledisse per il
caratteraccio che aveva, per il fatto che avesse più nemici che amici. Ma non
era colpa sua, in fondo. Aveva ricevuto troppe scottature dal passato per
fidarsi di un cospicuo gruppo di persone, oltre al fatto che, dopo la storia di
Toshiro, pensava che tutti gli uomini fossero uguali a lui. Accidenti, quanto
avrebbe voluto vivere da un'altra parte, rifarsi una vita e ricominciare tutto
dall'inizio! Sanako era l'unica persona di cui potesse fidarsi, e ci aveva
impiegato parecchio tempo prima di capirlo, diffidente com'era. Era una ragazza
ingenua, perennemente persa nel suo mondo, ma era sincera e fedele, ed era ciò
che lei cercava in un'amicizia. Sapeva di trattarla male, delle volte, ma con
ostinazione Sana non si offendeva mai, comprendendo sempre i motivi che la
spingevano a comportarsi così. Prima o poi le avrebbe dovuto fare un monumento.
Si alzò dal divano,
andando a recuperare l'elenco telefonico stipato da qualche parte in qualche
mobile. Appena lo trovò cerco freneticamente la voce Bar America. Pensando alla sua amica le era venuta in mente
un'idea, bizzarra e insensata forse, ma magari l'avrebbe aiutata un po'.
*
Appena Mitsui svoltò
l'angolo, con la sua bella moto, da quella sera usata come porta pacchi, capì
che all'indirizzo che gli era stato indicato qualcosa non andava. C'era un
ragazzo, probabilmente un po' più grande di lui di età, che suonava e bussava
ripetutamente alla porta, senza ottenere risposta.
«Vuoi aprire questa
cazzo di porta o devo buttarla giù?», stava gridando il tizio in questione.
Hisashi parcheggiò la
moto a qualche decina di metri di distanza, per cercare di capire che diavolo
stesse succedendo. L'avevano per caso sbattuto fuori di casa?
«Kiyo, lo dico per il
tuo bene. Apri. La. Porta».
Sentendo quel nome,
Hisashi sbarrò gli occhi. Guardò l'indirizzo che il signor Watanabe gli aveva
segnato nel cartone della pizza, e poi il cognome della famiglia: Kobayashi!
«Ehi, tu, che stai
facendo?», chiese all'altro, scendendo dalla moto e levandosi il casco, che
vide bene di tenere in mano per ogni evenienza. Aveva promesso al signor Anzai
che non avrebbe più fatto a botte, ma nella vita non si poteva mai sapere.
«Chi diavolo sei? Vedi
di allontanarti, facchino, o ti mando via a calci nel culo», gli rispose
Toshiro, riprendendo a battere un pugno sulla porta.
Hisashi chinò il capo,
sorridendo ironico. «Scommetti che ti spedisco in ospedale, invece?», gli
disse, con un ghigno poco promettente, tamburellando le dita di una mano sul
casco integrale.
Toshiro borbottò qualcosa,
e si avvicinò alla sua macchina, senza smettere di guardarlo. «Non finisce qui,
bamboccio. Non finisce qui».
Hisashi gli fece il
medio per salutarlo, quando quello sgommò via per le strade di Kanagawa. «Ma
guarda tu quello stronzo». Si avvicinò alla porta di casa Kobayashi, che venne
aperta subito dopo.
Kiyo, vedendo lo sguardo
indagatore del ragazzo, si sentì una perfetta idiota. Aveva rischiato che quei
due si ammazzassero, solo perché lei credeva fosse la cosa migliore da fare!
«Mitsui, scusami».
Lui corrugò la fronte.
«E di cosa? Mica l'hai chiamato tu, immagino».
«No, ma ho chiamato te».
Arrossì appena si accorse dello sguardo del ragazzo.
«Come sarebbe a dire?».
«È il mio ex. Mi aveva
avvertita che sarebbe venuto a prendermi... e ho pensato di chiamare te per
mandarlo via».
«Ehi, non mi pagano per
fare la guardia del corpo», rispose lui, seccato. «Soprattutto a una che
neanche mi rispetta».
«Scusami, Mitsui,
scusami! In che lingua devo dirtelo?», esclamò lei esaltando un tono
melodrammatico.
«Potresti continuare a
ripeterlo, così abbassi un po' la cresta» Hisashi sorrise, ma niente di
derisorio o provocatorio. «La pizza la offro io, per questa volta».
Lei sospirò, roteando
gli occhi. «Accidenti a te, devo anche ringraziarti di nuovo, ora»
«Beh, sarebbe gentile da
parte tua». Si allontanò verso la moto, voltandosi a guardarla. «Andiamo,
mettiti un giubbotto e sali in moto. Non ti lascio sola. Ti riaccompagnerò a
casa appena finisco».
Kiyo strabuzzò gli
occhi. Aveva sentito bene?
«Muoviti, non ho tempo
da perdere, Kobayashi! O ti lascio qui e mi porto via la pizza».
Ci mise meno di un
minuto a recuperare la giacca e a raggiungerlo in moto. Quasi stentava a
crederci, ma Hisashi Mitsui le aveva praticamente ordinato di seguirlo al bar
per non lasciarla sola!
«Prima devo fare altre
due consegne, non ti disturba?», le chiese, infilandosi il casco. Lei scosse la
testa, felice di avere la protezione del copricapo protettivo. Non si sarebbe
accorto del suo sorriso, per fortuna.
Appena arrivarono al
bar, Sanako si accorse subito dei due e si preoccupò non poco appena l'amica le
raccontò l'accaduto.
«Il senpai è stato molto
gentile a portarti qui», assentì Sana, sorridendo grata al ragazzo, che si
liberò dal discorso con un cenno della mano, sparendo verso le cucine.
Ma le sorprese non erano
ancora finite lì, non per quella sera almeno.
Continua...
* * *
Salve a tutti!
Prima di tutto vorrei spiegarvi quel "parte
prima": avevo in mente un capitolo decisamente più lungo (mooolto più
lungo), ma per non darvi il colpo di grazia già da ora ho deciso di tagliarlo
in due. Mi ha stravolto un po' i piani, ma vabbè... Quando i personaggi
iniziano a fare quello che vogliono loro e non quello che vuoi tu è un bel
casino. XD
Vorrei ringraziare chi continua a seguire questa cosa, sono
contentissima! :)
E in particolare lirinuccia,
che ha scritto tre lunghissime recensioni (per le quali sto ancora gongolando
come Hanamichi poco prima! *_*). Mia cara, non preoccuparti per il ritardo,
prima di tutto viene la vita reale, poi quella di questo mondo! ;) Ma andiamo
con ordine, voglio risponderti per bene, perché te lo meriti! :*
Prima di tutto grazie per i complimenti, leggere che questa
cosa sia quasi il seguito dell'originale Slam Dunk è un onore, davvero! *_* E'
una grande soddisfazione per me, perché amo questo manga, amo chi l'ha
disegnato, e amo tutti i personaggi. E' come se fossero con me, a fare casino
tutto il tempo, come se li vedessi davanti ai miei occhi - no non mi son fumata
niente, tranquilla! XD Anyways, siamo in due ad adorare Hime (io la venero
letteralmente!), son orgogliosa di averla creata, la mia bambolina! *O* XD
Piuttosto, mi piacerebbe sapere la tua opinione su Sanako - un personaggio un
po' "insignificante", lo ammetto (nel senso che è la tipica
bonacciona sempre con la testa tra le nuvole), ma vorrei capire perché ci vedi
una possibile Mary-Sue in lei. :° Kiyo, invece, è esattamente il contrario - e
come biasimarmi, del resto, dovevo creare qualcuna in grado di tener testa a Hisashi,
no? ù_ù XD Ed è esattamente quello il mio intento,
Hisashi Mitsui che si vede maltrattato da una ragazza non può certo stare in
disparte. ;) Per quanto riguarda Ede vs Istrice sono molto combattuta, lo
ammetto. Ma ho iniziato Wild Boys con un'idea
in testa e credo che la porterò avanti... Anche se significa rimischiare le
carte in tavola! (Anche perché ho in mente di scrivere una trilogia di questa
"saga", quindi ce n'è di tempo e di spazio! *fischietta*).
Permettimi, però, di dire la mia su Akira: il numero 7 del Ryonan è il mio
personaggio preferito in assoluto (subitissimo dopo ci sono Rukawa, Maki,
Kiyota, Hanamichi, Hisashi e Akagi, tutti al secondo posto xD),
sarà che adoro il suo sorridere sempre anche alle provocazioni, sarà che adoro
le sue stesse provocazioni, saranno i suoi capelli che superano le leggi di
gravità, o solo il fatto che abbia la maglia numero 7 (il mio numero preferito
insieme al 3), o saranno tutte queste cose insieme, non saprei! Ma ho letto
davvero tante ff in cui viene descritto come il
maiale della porta accanto - ora non entro nel merito, ognuno è libero di
pensarla come vuole! L'Akira Sendoh che mi immagino io è sì malizioso (quanto
potrebbe esserlo Hisashi, per questo io li immagino migliori amici), ma lo
immagino anche incredibilmente dolce, di quei ragazzi che se si innamorano non
avrebbero occhi se non per la loro donzella, che non può essere la prima che
capita. E non credo neanche che Akira sia tanto interessato al sesso femminile,
non più di Rukawa, forse, perché mi ha sempre dato l'impressione di uno che
sacrifica la sua vita tra basket, ronfate e pesca. Almeno, questo è quello che
penso io, del Sendoh che mi immagino io. Ci tenevo a spiegartelo perché in
tutte le mie storie Akira sarà sempre così. ;) Ma non aggiungo altro, o va a
finire che mi faccio sfuggire qualcosa di troppo su quello che la mia mente
bacata ha intenzione di sfornare prossimamente! *ride sguaiatamente*
Orbene, dopo avervi fracassato la testa con un capitolo papiroso e un angolo autrice ancora più lungo, vi saluto e vi do
appuntamento al prossimo aggiornamento! ;)
Un abbraccio, e ancora grazie.
Marta.
Ps: Haruko, quella cosa...
Con un fratello che è un Gorilla, lei non poteva non essere una Babbuina! XD
Capitolo 8 *** 07 II. Cioccolata con panna e scaglie di cocco ***
Ni-hao a tutti
Capitolo 7, parte seconda.
Cioccolata con panna e
scaglie di cocco.
«E sai cosa? Mi sono
rotta le palle di tutto e di tutti, ecco!», biascicò una più che brilla Kiyo a
un perfetto sconosciuto che si era erroneamente seduto accanto a lei. «Voglio
dire, che colpa ne ho io se non lo amo più? Per non parlare del fatto che il
mio allenatore vuole farmi raddoppiare le vasche da fare in allenamento. Io non
ne ho bisogno... ahahaha!».
Sana, che aveva appena
finito di servire degli aperitivi, spalancò gli occhi nell'avvistare quel bel
teatrino. Kiyo ubriaca era l'ultima cosa che avrebbe pensato di vedere in vita
sua... un po' come lei, effettivamente. E dire che le aveva dato solo un mezzo
bicchiere di birra per mangiare la pizza! Beh,
lei almeno ha bevuto, io mi ubriaco solo a sentirne l'odore, notò
saggiamente la ragazzetta, che si avvicinò cauta all'amica. «Kiyo?».
Lo sguardo terrorizzato
del tizio accanto era tutto un programma, segno evidente che il discorso senza
capo né coda della bionda ossigenata non doveva essere un granché.
«Oh, Sana-ko! Ti presento Hi-ro-shi», le
disse, scoppiando a ridere subito dopo.
«In realtà sarebbe Hironobu, piacere», rispose l'altro, sorridendo mestamente.
«È una tua amica?».
Sana annuì. «Sì, ma... non
l'avevo ancora vista in queste condizioni e speravo che mi avrebbe risparmiato lo
spettacolo per molto ancora».
«Ahaha!
Sanako è così simpatica... sai che studia anche nella pausa pranzo? È pazza,
sì. Deeecisamente pazza... Ahahaha!».
Hisashi Mitsui tornò
dalla sua ultima consegna proprio in quel momento. Appena la vide brilla non
seppe se scoppiare a ridere fino a farsi male o preoccuparsi sul serio.
«Ehi, che diavolo sta
facendo?», chiese, avvicinandosi alla sua collega.
«Non lo so e non lo
voglio sapere!», esclamò lei, tappandosi gli occhi per non guardare. Kiyo,
infatti, aveva preso il suo bicchiere fortunatamente vuoto e l'aveva alzato al
cielo per brindare. «Agli stupidi ex che non capiscono un no! E a me, che sono taaanto furba!», gridò ridendo, catturando l'attenzione di
tutti e i successivi applausi di supporto di tutto il bar.
Sana, rossa in viso
manco si trovasse lei in precario bilico sulla sedia, cercò di farla calmare
portandole del caffè, mentre Hisashi, senza troppe cerimonie, l'aveva afferrata
per un polso e trascinata giù. Ci mancò poco che le rovinasse addosso.
«Vuoi darti una
calmata?», esclamò la guardia dello Shohoku, scrollandola per le spalle.
Lei strinse gli occhi
cercando di focalizzare la persona che aveva di fronte e, appena lo riconobbe,
sgusciò via con uno strattone. «Tu... non osare toccarmi!».
Hisashi sospirò
pesantemente, incrociando le braccia. «E tu piantala di renderti ridicola».
«Io non sono ridicola!»,
strillò lei, puntandogli un dito contro. «State sempre giudicando, voialtri!
Fatevi un esame di coscienza e poi ne riparliamo!». Kiyo barcollò un poco e si
passò una mano sulla fronte. Forse, forse aveva esagerato un po'. Forse.
«Andavi meglio prima
quando non parlavi così tanto», borbottò Hisashi, cercando Sanako che nel
frattempo era tornata con il caffè. Glielo fecero bere per forza - e grazie al
cielo riuscì a non rigettare il panettone di dieci anni prima.
«Senti, Tsukiyama, ti
dispiace se la riaccompagno a casa?».
Sana sorrise, scuotendo
il capo. «Tranquillo, se non dovessi trovare un passaggio torno a piedi, non è
la prima volta.» Ma il sorriso le morì in gola quando entrò l'ennesimo cliente.
Mitsui non si accorse
del suo repentino cambio d'umore, troppo occupato a caricarsi in spalla come un
sacco di patate quella disgraziata di una Kobayashi.
Riassunto del suo primo
giorno lavorativo: aveva rischiato una rissa con un tizio che solo a guardarlo
in viso avrebbe fatto drizzare i capelli a tutti, era stato relegato a guardia
del corpo di una ragazzina che più scontrosa e lunatica non c'era e aveva
dovuto recuperare suddetta ragazzina prima che finisse in coma etilico, dato lo
stato di ubriachezza in cui gravava. Che avrebbe dovuto fare ancora?
Rimboccarle le coperte?
«Ci vediamo domani a
scuola, buona notte». Hisashi salutò tutti, senza badare troppo alla ragazza
che scalciava e gli tirava pugni alla schiena intimandogli di farla scendere. Arrivato
davanti alla moto le porse il secondo casco e lei fece una smorfia.
«Non sono ubriaca», gli
disse, afferrando il copricapo protettivo.
«No, certo». Hisashi
mise in moto e aspettò che lei salisse. «Vedi di non cadere strada facendo, non
ho voglia di raccoglierti».
Kiyo neanche rispose,
stringendosi alla sua schiena e chiudendo gli occhi. Il mal di testa stava per
farsi sentire, così come la sonnolenza. Prima di lasciarsi abbracciare da
Morfeo l'unica cosa che pensò fu che quel Mitsui avesse proprio un buon
profumo.
Al primo semaforo rosso
Hisashi voltò il capo, per vedere in che condizioni vertesse quella
disgraziata.
«Che palle», constatò
nel rendersi conto che fosse già bella che addormentata. Arrivati davanti alla
sua casa, la prima cosa che fece fu di guardarsi intorno per vedere se ci
fossero brutti ceffi. Cercando di non farla cadere, ma non preoccupandosi tanto
di svegliarla o meno, le tolse il casco. La mossa successiva lo vedeva fare
l'equilibrista: prenderla in braccio e suonare contemporaneamente il campanello
di casa, nella speranza che ci fosse qualcuno. Ma si soffermò un po' troppo,
per i suoi gusti, a osservarla. L'espressione perennemente imbronciata non le
mancava neanche nel sonno. Sorrise nel pensare che il giorno dopo sarebbe stata
incavolata come una iena nel rendersi conto dello spettacolo che aveva dato.
Fortunatamente i
genitori erano appena rientrati dalla cena con gli amici e si spaventarono non
poco appena videro la figlia completamente addormentata tra le braccia di quel
ragazzo dal viso poco raccomandabile.
«È crollata dal sonno»,
la giustificò Hisashi. Non poteva certo dire loro che la figlia si fosse
ubriacata per bene.
La madre, una bella
donna alta e snella, gli rivolse uno sguardo insospettito, ma non aggiunse
altro, se non un: «Vieni, la portiamo in camera».
Appena Hisashi entrò in
quel suo piccolo regno non poté non provare rispetto per quella ragazzina
impertinente. C'erano medaglie e premi vinti a molteplici competizioni di nuoto
e tuffi, e numerose foto che la ritraevano nei vari tornei, appese un po'
ovunque. Doveva amare il suo sporto proprio come lui amava il basket.
«Grazie per averla riaccompagnata
a casa... nome?».
Il numero quattordici
dello Shohoku si voltò verso la donna. «Hisashi Mitsui, signora. È stato un
piacere».
Quella sorrise,
stringendogli la mano. «Sei il suo ragazzo?», gli chiese, chiudendo la porta
della stanza.
Per poco non gli venne
un infarto a quelle parole. «No, sono solo un amico». Conoscente, meglio.
...E guardia del corpo, e accompagnatore, e colui che si
becca più insulti da lei che da tutti i suoi amici!
*
Sana guardò il padre,
fermo a pochi metri da lei con un berretto tra le mani, o quello che ormai ne
rimaneva, dato che per il nervosismo lo aveva strapazzato per bene alla stregua
di uno straccio.
«Ciao», le disse,
abbozzando un timido sorriso.
Lei non rispose,
impietrita. Come aveva fatto a sapere dove lavorava? L'aveva seguita? E perché
non se n'era ancora andato? Perché? Perché?
«Il bar chiude tra un
quarto d'ora», fu tutto quello che riuscì a dire, con la voce più roca che
avesse mai avuto.
«Oh». L'uomo chinò il
capo e lei ne approfittò per rifugiarsi nelle cucine. Si poggiò contro un muro
e iniziò a respirare profondamente per trovare un po' di calma. Non doveva
piangere ancora, basta lacrime per quell'uomo!
«Sanako, ti senti bene?»,
le chiese il signor Watanabe, preoccupato.
Lei annuì, lanciando
un'occhiata all'uomo che ora si era seduto davanti al bancone e si guardava
intorno, un po' spaesato.
«Quel tipo ti ha
importunata? Lo devo mandare via?».
«No, va tutto bene,
davvero». Sana deglutì a fatica, come per ingoiare meglio le parole che stava
per pronunciare. «È mio padre».
Il signor Watanabe
strabuzzò gli occhi, osservando quel signore quasi insignificante, ma
tremendamente simile alla ragazzina che aveva di fronte. Per quanto poco
sapesse della sua dipendente non aveva mai conosciuto il padre, tanto da
pensare che non lo avesse mai avuto. «Se hai problemi dimmelo, ok?».
Lei annuì, sorridendogli
grata. Poi prese un bel respiro e tornò al suo posto, al bancone. «Cosa posso
portarle? Dopo le undici non serviamo più alcolici».
L'uomo si strinse nelle
spalle. «Ti prego... te l'ho chiesto, non darmi del lei».
«Appena ha deciso mi
chiami».
Sanako si fiondò su un
tavolo per ritirare le bottiglie e i bicchieri, stupendosi lei stessa della
freddezza e della voce ferma che era riuscita a tenere. Doveva farsi forza, per
una volta. Doveva riuscire a superare le sue paure e le sue speranze, da sola.
Quando tornò a sciacquare alcune stoviglie, il padre tornò a parlare.
«Una cioccolata con
panna andrà bene, grazie. Sai, è la mia preferita», le disse, cercando lo
sguardo della figlia che però non trovò così facilmente.
Cioccolata con panna... È anche la mia preferita.
«Ma è buona anche con la
mousse al cocco...».
...E le scagliette di cioccolato sopra.
Sana alzò finalmente lo
sguardo sull'uomo, troppo scioccata per aver pensato la stessa frase che lui,
invece, aveva pronunciato a voce alta. «La facciamo... qui la facciamo, se la
vuole così».
Il padre si lasciò
andare ad un sorriso sincero e annuì. «D'accordo, allora».
Il bar si stava
velocemente svuotando, dato che erano già le undici e mezza e l'ora della
chiusura si avvicinava. Era strano che tra i pochi clienti rimasti ci fosse
anche lui. Suo padre. Kami, non sapeva neanche come si chiamasse! Aveva più
volte provato a chiederlo alla madre e alla zia, in quegli anni, ma non aveva
mai ottenuto risposta. Possibile che quella situazione fosse così assurda?
«Salve a tutti!», esordì
una voce fin troppo familiare.
Sana guardò Akira con
sollievo, rivolgendogli un sorriso solare. Cosa che non sfuggi al padre.
«Akira!», lo salutò,
andandogli incontro e abbracciandolo.
Il ragazzo rimase un po'
sorpreso dall'audace gesto per una tipa timida come lei che arrossiva ad ogni
gesto gentile. Ma capì subito che qualcosa non andava quando sentì le sue
braccia stringerlo con troppa forza.
«Ehi, tutto bene?», le
chiese, allontanandola un poco per guardarla negli occhi. Stava per scoppiare.
Lei scosse la testa, ma
sorrise ugualmente. «C'èpapà», gli sussurrò, tanto che per
capire quello che aveva detto Akira dovette leggerle il labiale. Alzò lo
sguardo sulle poche persone presenti e noto subito l'uomo, che li stava
osservando con amarezza.
Akira le diede un
pizzicotto sulla guancia, strizzandole un occhio. «Tranquilla, ok?».
«Sì... Come mai sei
qui?», gli chiese, alzando un po' il tono di voce per ritrovare la calma.
«Hisashi mi ha chiamato
dicendomi che non ti poteva riaccompagnare a casa, così mi ha chiesto il favore
di farlo per lui». L'ex numero sette le sorrise come solo lui sapeva fare e
Sanako per un attimo dimenticò il padre a pochi metri. «Sembrava un po' strano
al telefono, che ha combinato?».
«Oh lui niente, è stato
bravissimo. È che ha dovuto portare a casa Kiyo perché era un po'... ecco, un
po' su di giri».
«Non era un bello
spettacolo, lasciatelo dire» Sana si fece rubare dalle mani il vassoio di
bicchieri che stava ritirando e Akira le fece l'ennesimo occhiolino. «Così
finisci in fretta e ti riaccompagno a casa».
Il padre di Sana osservò
il ragazzo sparire nelle cucine, mentre salutava tutti con quel suo sorriso
contagioso. Poi guardò la figlia, un po' rossa in viso. «È alto il tuo ragazzo».
Lei spalancò gli occhi,
diventando ancora più rossa. «A-Akira non è il mio... ragazzo».
«Oh... scusami, non
volevo metterti in imbarazzo». L'uomo corrugò la fronte, giocando con la tazza
di cioccolata. Gli sembrava quasi surreale che stesse chiacchierando con la figlia. «Quindi ti riaccompagna a casa».
«Sì, lui è... sempre
gentile e carino con me», mormorò Sana, forse non rendendosi conto dell'uomo
con cui stava parlando. Suo padre... stava parlando di Akira a suo padre.
L'uomo piegò il capo,
incuriosito dalla strana espressione della figlia. Chissà cosa stava pensando?
«Un giorno posso riaccompagnarti io, se vuoi».
Akira, poggiato contro
il muro, rimase ad ascoltare, in attesa di una risposta. Non aveva mai visto
Sana così giù di morale e terrorizzata - sì, terrorizzata era la parola migliore.
«Sparirai di nuovo?»,
gli chiese, gli occhi lucidi.
«Permettimi di recuperare
un po' del tempo che ho perso». Il padre si passò le mani tra i capelli, teso.
«Darei la mia vita per tornare indietro per non rifare quello che ho fatto».
Sanako strinse un panno
tra le mani, quasi trattenendo il respiro. Le parole che pronunciò dopo neanche
si rese conto di averle dette. «Domani ho un'ora buca prima di lavorare».
Il neo capitano del
Ryonan sorrise insieme al padre della ragazza, e tornò in cucina ad aiutare lo
zio. Sana era fatta così: infinitamente buona, forse anche troppo viste le
circostanze. Lui non sapeva se avrebbe potuto dargli un'altra possibilità. Per
quanto tranquillo e buono fosse, quando veniva ferito una volta difficilmente
faceva in modo che accadesse nuovamente. Ma lei no, lei forse era troppo
ingenua, o troppo speranzosa. Probabilmente ora si stava maledicendo in
aramaico per quella frase, forse voleva solo pensarla e non dirla a voce alta.
Ma era fatta così, parlava prima di pensare alle conseguenze. Ed era per questo
che spesso e volentieri faceva delle figuracce memorabili.
Ed era per questo che
gli piaceva da morire.
*
Qualche ora prima due
belle ragazze, una mora e l'altra rossa, stavano passeggiando allegramente per
le vie di Kanagawa. O almeno, la rossa aveva costretto la mora a uscire, così
non sarebbe potuta sfuggire al suo terzo, micidiale grado.
«Allora, Aya-chan! Che mi racconti? Perché sicuramente devi
raccontarmi qualcosa. E hai tutta la serata davanti», fece Hime, aggrappandosi
al braccio dell'amica e sbattendo gli occhi per intenerirla.
Ayako arrossì, in una delle
sue rare volte. «E che dovrei raccontarti? Che mi devo comprare una maglietta
nuova per gli allenamenti. E ne ho vista una carina anche per te».
«Non provare a cambiare
discorso!».
«Quale discorso? Non ne
abbiamo iniziato nessuno».
Hime gonfiò le guance,
ma non si arrese. «Ok, vuol dire che sarò più diretta: che combinate tu e il
Capitano? E inizierai a parlare proprio da quella notte in ritiro!».
Ayako alzò gli occhi al
cielo, probabilmente sperando che un fulmine la colpisse in pieno per levarla
da quell'imbarazzante situazione. «Sei insopportabile a volte».
«Oh, grazie Aya-chan! È il complimento migliore che potessi farmi!»,
rispose quella, schioccandole un sonoro bacio sulla guancia. «Allora?».
La prima manager la
trascinò dentro un negozio di abbigliamento prima di parlare. «Beh, ecco... mi
ha fatto un discorso».
«Uhm... Hai intenzione
di dirmelo o devo togliertelo di bocca con le pinze?».
«Uffa!». Ayako le tirò
in viso la maglietta carina che le aveva anticipato poco prima, mentre quella
demente rideva.
«Avevi ragione, è
proprio carina! E poi è arancione!».
«Secondo te perché
sapevo che ti sarebbe piaciuta? Sei fissata con quel colore».
Hime le trotterello
accanto. «È solare e allegro, degno di una Sakuragi».
Un Kaede qualunque le
avrebbe biascicato un'invasata coi
fiocchi, ma Ayako si limitò a scuotere il capo. «Comunque, Ryota mi ha
confessato di essere... innamorato di me».
«Hai capito il
nanerottolo intraprendente!». Tipica frase che avrebbe invece detto Hanamichi,
ma dato che si trattava della sorella andava bene ugualmente.
«Solo che mi ha anche
detto che non può aspettare in eterno».
L'altra manager sorrise.
«E ha anche ragione, Ayako. Spero te ne sia resa conto anche tu. Ryota è sempre
stato innamorato di te, ma devi anche prendere una decisione prima o poi».
«Lo so, non posso
lasciarlo così, ma ho paura». La ragazza guardò l'amica, che non capì. «Vedi,
siamo sempre stati buoni amici e ho sempre notato che lui cercava qualcosa in
più dal nostro rapporto. Ma mi dicevo: se non dovessi dargli alcuna speranza,
magari smetterebbe. Non voglio rinunciare alla sua amicizia, capisci?».
Hime annuì. «Ti capisco
eccome, Aya. Ma questo gliel'hai detto?».
«Solo quella famosa
notte», le confessò, sospirando. «Lui mi ha detto che se anche dovessi
rifiutare i suoi tentativi di approccio non lo avrei perso, ma che certo per un
po' di tempo avrebbe voluto tenere le distanze».
«Quindi?».
Ayako rimise a posto una
maglietta blu che aveva adocchiato, ma di cui non aveva trovato taglia. «Quindi
mi ha chiesto di dargli una possibilità. Solo una».
«E deduco che tu
gliel'abbia data».
L'altra annuì,
lasciandosi sfuggire un sorriso. «Ryota è sempre stato dolce e protettivo nei
miei confronti, ma non pensavo che avendomi tutta per sé avrebbe avuto occhi
solo per me».
«Oh, è così romantico!»,
esclamò Hime, nascondendosi le guance tra le mani in un'espressione sognante.
Ayako scoppiò a ridere.
«Appena abbiamo un po' di tempo libero usciamo. Mi porta al mare, in centro. E
viene a prendermi ogni giorno per andare a scuola con quel motorino scassato
che ha!».
Hime immaginò la scena,
contenta per l'amica. Se solo Nobunaga fosse stato nella sua stessa scuola,
forse si sarebbero potuti vedere più spesso, pensò un po' giù. Ma proprio del
Kainan doveva trovarselo? E pure più pazzo di un cavallo!
«Comunque credo che mi
piaccia. E anche tanto». Ayako sparì dietro alcuni abiti appesi per sfuggire
allo sguardo stupito e felice dell'amica, che le comparve davanti due secondi
dopo, facendole prendere un colpo.
«Diglielo, Aya-chan. Se non lo hai ancora fatto diglielo». Hime fece
una pausa, pensierosa. «Anche perché lo renderesti l'uomo più felice sulla
terra e i ragazzi potrebbero giovarne durante gli allenamenti».
Le due si misero a
ridere, proseguendo con gli acquisti.
«Mi capisci, però, quando
ti dico che ho paura di perderlo, vero? È il migliore amico che abbia mai
avuto. È come se Kaede s'innamorasse di te, tu che faresti?».
Hime rimase interdetta
da quell'esempio, completamente presa alla sprovvista. Ma non fece in tempo a
rispondere, perché Ayako aveva ripreso a parlare.
«Voglio dire, potrebbe
anche essere, dato che vi conoscete da sempre e sei l'unica ragazza con cui ha
un rapporto, me esclusa. E sai bene come sia lui con le ragazze». Quando la
prima manager si voltò a guardarla non si aspettava di certo di trovarla più
rossa dei suoi capelli. «Ho detto qualcosa di sbagliato?».
«N-no, è che... mi fa
strano pensare a me e Kaede come coppia».
Ayako la guardò con
un'espressione maliziosa. «Non mi dire che non ci hai mai fatto un pensierino,
eh?».
«Ehi! Sono una ragazza
felicemente fidanzata!», strillò imbarazzata l'altra.
«Stavo solo scherzando,
non c'è bisogno di innervosirti!», rispose Ayako, ridendo.
«Tu fai troppe congetture
insensate, per i miei gusti», borbottò la Sakuragi. Perché
diavolo la stava prendendo così male, ora?
Ayako scosse la testa,
guardandola mentre spariva verso la cassa. «Il più delle volte giuste, mia
cara», mormorò divertita. La raggiunse per pagare i suoi acquisti e quando
uscirono nuovamente all'aria aperta la rossa s'inforcò i suoi enormi occhiali
da sole. «Comunque, stasera che fate tu e Hanamichi?».
Non poté vederla, ma le
sembrò che roteasse gli occhi. «Abbiamo intenzione di fare una capatina da Ede».
Vedendo lo sguardo furbetto dell'altra si affrettò a mettere le mani avanti. «E
non dire niente, per favore! Lo facciamo sempre per prenderlo alla sprovvista.
Si rompe sempre le scatole quando non lo avvisiamo».
«Io non ho detto
assolutamente nulla!», tentò di discolparsi Ayako, facendola arrabbiare ancora
di più.
«Ehi, ti ho chiesto di
uscire così sarei stata io quella col coltello dalla parte del manico,
disgraziata».
Ayako la scimmiottò
proprio come aveva fatto la rossa prima, appendendosi al suo braccio. «Mia
cara, stai facendo tutto da sola».
«Farò gli incubi,
stanotte, per colpa tua», borbottò Hime, sgusciando via dalla presa della
ragazza e cominciando a correre, ridendo.
*
Quando Kaede se li
ritrovò sull'uscio della porta, armati di patatine e delle più nere intenzioni
di casini, pensò che doveva esser stato una persona veramente orribile
nell'altra vita per meritarsi quei due. Insomma, se li sorbiva da sedici anni,
mattina, sera e a volte anche notte: quella doveva essere per forza una
punizione divina.
«Ehilà Kit! Facci
entrare che tra poco inizia la partita!», esordì Hanamichi, entrando senza
troppi complimenti nella Volpaia, come la chiamava lui.
Kaede guardò mestamente
l'amica, ancora ferma sulla porta. «Vuoi rimanere fuori, tu?».
Quella sembrò
risvegliarsi da chissà quali pensieri - dannata
Ayako, gliel'avrebbe fatta pagare! - ed entrò, salutandolo come faceva di
solito. Quella volta, però, si sentì a disagio a baciare quella guancia liscia.
Il numero undici la osservò a lungo mentre andava a salutare allegramente il
padre, sempre felicissimo di trovarseli tra i piedi. Che diavolo era quello
sguardo? Ora si metteva anche lei a fare la misteriosa?
«Che piacere vedervi,
ragazzi!», disse il signor Rukawa, abbracciandoli entrambi. «Come state?
Hanamichi, la tua schiena?».
«Tutto bene, Kanbe-san!
Sono più in forma di prima! Ahaha!».
Kanbe Rukawa -
curiosamente anche il suo nome iniziava con la K, vecchia tradizione di famiglia probabilmente -
gli batté una mano sulla spalla, contento dall'allegria che i due Sakuragi
portavano sempre in casa. «Non avevo dubbi, Hanamichi, sei sempre stato un
ragazzo forte».
«Ehi, Kit! Hai sentito
che ha detto tuo padre? Guarda e impara dal Tensai!».
Kaede alzò gli occhi al
cielo, rubandogli le patatine dalle mani per travasarle in un vassoio. «Non ci
tengo a diventare un Do'aho».
Kanbe-san ridacchiò,
recuperando cappotto e ventiquattrore. «Io vado, ragazzi. Oggi ho il turno di
notte».
«Buon lavoro,
Kanbe-san!», dissero in coro i gemelli, mentre il figlio lo salutava con il suo
consueto 'ao.
«Hicchaaan!
Che diavolo di maglia hai messo?!», strillò Hanamichi vedendo cosa indossava
sotto il cappotto e facendo scendere un coccolone al padrone di casa, che era
tornato in salotto per vedere la scena del rossino che indicava freneticamente
la sorella.
«Come che maglia è? È
quella che volevo da anni e che non mi hai mai comprato!», si difese lei,
abbracciandosi. «L'ho presa oggi con Ayako, non è bellissima?».
«Ma sembra del Kainan!»,
continuò quello con gli occhi fuori dalle orbite.
«È dei Lakers, scemo di un fratello! Ed è il
numero 8!*», rispose trionfante, facendo il segno della vittoria.
«Fissata con Bryant».
Hime guardò l'amico,
facendogli una linguaccia. «Sei solo geloso».
«Ci mancherebbe solo
quello!», fece Kaede, tirandole un buffetto sulla testa.
I tre si sedettero sul
comodo divano davanti alla televisione, aspettando l'inizio della partita. Poi
Hime schiocco le dita. «Ordiniamo le pizze da Sana? Così viene Mitchi a
portarcele!».
«Sì, sì! Ho voglia di
sfotterlo un po'!».
«Do'aho, almeno lui si
dà da fare».
«Parli proprio tu?!».
«Ohi! Silenzio che non
sento!», si lamentò Hime, che aveva già recuperato il telefono. Inutile dire
che i due continuarono a battibeccare imperterriti, tanto che la ragazza
dovette allontanarsi da quel casino.
Quando Hisashi arrivò
con le pizze venne accolto dai gemelli neanche fosse la regina d'Inghilterra.
«Ehi, Mitchi! Spero
siano ancora calde!».
«La tua testa è calda,
Sakuragi».
Hisashi consegnò il cibo
alla ragazza, che pagò per tutti e tre. Sbirciò dietro le sue spalle, scorgendo
Kaede che salutò con un cenno del capo. «Non ero mai venuto a casa di Rukawa».
«Meglio per te. La Volpaia non è un bel posto
per uno che non ha gli anticorpi», disse annuendo Hanamichi.
«Puoi anche levarti
dalle palle, Do'aho. Nessuno sentirà la tua mancanza», rispose dall'oltretomba
il padrone di casa, facendo ridere Hime, che lo raggiunse per poggiare i
cartoni sul tavolo.
«Comunque, nel contratto
c'era scritto che potevi portarti dietro la ragazza?», chiese Hanamichi,
notando che c'era una persona sulla moto.
Hisashi si voltò a guardare
la bionda. «È una storia complicata, se ne avrò voglia te lo spiegherò domani.
E comunque non è la mia ragazza... non ancora.» Detto quello la guardia dello
Shohoku salutò tutti e sparì.
«Hai capito Mitchi? Se
la fa con una tipa!».
«Cosa? E chi è?», chiese
subito interessata Hime. L'amicizia e l'influenza di Ayako, ogni tanto, si
faceva sentire.
«Boh, non mi ha detto
niente. Domani vedremo di scassargli le scatole finché non parlerà!».
Kaede poté gustarsi
finalmente la partita quando quei due scellerati si riempirono le bocche delle
prelibate pizze ipercaloriche che avevano comprato. Non poté, però, esimersi
dal buttare giù dalla poltrona il rossino, che aveva deciso bene di poggiare i
suoi enormi piedi sul tavolino davanti al divano. Per inciso, ci mancò poco che
quello si ammazzasse.
Il casino iniziò quando
le pizze finirono e i gemelli iniziarono a inveire e a commentare ogni azione
della partita. Guardare un incontro di basket con loro era pressoché
impossibile.
«Oh, andiamo! Quello era
fallo! Arbitro venduto!», esclamò Hanamichi.
«Perché, quell'entrata
in difesa di prima come la chiami? E non ha fischiato!», gli diede man forte la
sorella.
Due secondi dopo i
gemelli iniziarono a metter su cori da stadio, gridando "Venduto! Venduto!", manco fossero
al palazzetto in America.
Kaede, seduto tra i due,
resistette poco meno di un minuto, poi passò al contrattacco. Tirò un cuscino
in faccia al ragazzo, con la speranza di soffocarlo, mentre tappò con una mano
la bocca all'amica seduta accanto a lui. Hanamichi cercò di liberarsi da quel
sacco di piume senza troppi risultati, mentre Hime pensò bene di difendersi
colpendo il punto debole dell'amico: il fianco. Fu così che dissero addio alla
partita, con Hime che tentava di infilzare con un dito Kaede, che doveva
ripararsi dai colpi, e Hanamichi che cercava di aiutare la sorella tirandogli
cuscinate in testa.
La lotta terminò dieci
minuti dopo. Stremati sul divano, i tre si guardarono in cagnesco, poi i
gemelli scoppiarono a ridere. Kaede dovette trattenersi per mantenere il suo
selfcontrol di cui andava fiero.
«Kami, che male la
pancia!», esclamò Hime, asciugandosi le lacrime per le risate.
«Vado a bere un po', mi
avete sfiancato.», fece invece Hanamichi, sparendo in cucina per frugare nel
frigo alla ricerca di liquidi commestibili, neanche fosse a casa sua. Tornò
trionfante con una bottiglia di aranciata e tre bicchieri di plastica. «Chi ne
vuole?».
«Fai con comodo, quanto
vuoi», disse ironico Kaede, che ormai non si sconvolgeva più di tanto quando
quello partiva in quarta per la cucina.
«Già fatto, Kit!»,
rispose Hanamichi con una strizzatina d'occhio, riprendendo posto. «Ah,
Hicchan, domani passo dalla Scimmia che deve darmi alcuni dischi, vieni con
me?».
Lei annuì, bevendo la
bibita che le porse gentilmente il fratello. «Così saluto Arimi, mi piace
quella ragazza».
Kaede corrugò la fronte,
perplesso, e lei gli spiegò subito che Arimi era la sorella di Nobunaga.
«A proposito di Ari-chan, che ha alla gamba?», chiese Hanamichi, ora serio.
«Nobu mi ha raccontato
che due anni fa ha avuto un incidente. Era sui pattini con alcune amiche e un
idiota le è andato addosso con la macchina», iniziò a raccontare la ragazza.
«Le hanno dovuto amputare la gamba destra fino al ginocchio perché era in
cancrena».
Hanamichi sembrò colpito
da quel racconto. «Mamma, chissà che dolore. Non so come farei se mi dovessero
tagliare una gamba».
Hime si strinse nelle
spalle. «È una ragazza forte, proprio come Nobu. Così forte che in
riabilitazione ha deciso di provare delle protesi per tornare a camminare».
«Davvero? Wow!».
«Sì, per ora si esercita
in ospedale e in casa, ma Nobu mi ha detto che ogni tanto, senza che i genitori
lo sappiano, la porta sulla sabbia, per farle trovare più equilibrio».
«Ah! Ogni tanto qualcosa
di intelligente la fa anche la
Scimmia!».
«A differenza tua».
«E che palle, Kit!
Sempre in mezzo!».
Hime ridacchiò, accoccolandosi
meglio sul divano per guardare la televisione. Senza neanche rendersene conto
si poggiò sul braccio di Kaede che, come sempre per non rischiare di ritrovarsi
l'arto completamente addormentato, lo spostò, abbracciandola. Non lo avrebbe
mai ammesso neanche sotto tortura, ma quello era il momento che preferiva di
tutta la serata, quando quei due venivano da lui. Hime si addormentava sempre
poggiata contro di lui, relegandolo al suo cuscino preferito. E puntualmente
Hanamichi s'infervorava, geloso.
Kaede si portò un dito
sulle labbra, zittendolo. «Così la svegli, Do'aho».
«E tu la contamini, Kit!
Levale quelle zampacce sudice da dosso!».
«Ma fottiti».
Fu l'ultima cosa che
Hanamichi sentì dal suo miglior nemico, perché anche lui si addormentò poco
dopo. Guardandoli ancora infastidito, però, si accorse di quanto serena fosse
la sorella tra le braccia del volpino. Non ricordava di averle mai visto
espressione diversa ogni volta che accadeva. Sorrise, divertito, nel pensare
che faccia avrebbe fatto quella Scimmia Saltante del Kainan nel vederli così.
Probabilmente avrebbe
detto le sue stesse identiche parole!
Continua...
* * *
Ehilà! Torno dopo un paio di settimane con questo delirio!
Capitolo un po' difficile da scrivere, perché come avrete potuto notare ho
buttato alcuni piccoli semi che attecchiranno più in la... Oddio, ma come sto
parlando?! XD
Ve gusta il capitolo? Spero di sì, a me soddisfa
abbastanza... Non mi esalta, ma mi soddisfa!
Ma passiamo alle recensioni! (AllArecensionE! XD)
Liricchan! *O* Posso chiamarti così? Se non storpio i nomi altrui non
son contenta... Forse è un riflesso incondizionato per i molteplici nomignoli
che mi hanno affidato i miei amici negli anni, mah! :D Sei stata velocissima,
direi! Sono orgogliosa e felice! ^O^ Ci mancherebbe che non ti rispondessi
dettagliatamente, tralasciando il fatto che sia una logorroica da paura ci
tengo a chiarirvi ogni possibile dubbio. :)
Hai perfettamente ragione, Sana è troppo gentile e ingenua e
sono consapevole di ciò. Mi piaceva l'idea di affiancare due personalità così
diverse come la sua e quella di Kiyo. Potrebbe ricordare Haruko, cosa che mi fa
rabbrividire, ma spero si noti che si discosta parecchio da lei... Motivo
numero uno non sbava per Kaede e non sbava neanche senza ritegno per Akira,
grazie al cielo! Che mi scenda un fulmine se dovessi creare un personaggio come
la Babbuina! XD Spero che acquisti più punti mano a mano che prosegue la
storia. ;)
Per citarti: "Quindi io tifo per Kaeduccio,
ma sono sicura che qualsiasi idea pazza partorirà il tuo sconfinato genio mi
piacerà da matti!!!" Me lo auguro
che ti piacerà... Uhuhuh! XD Kaede è un personaggio
troppo bello, mi ispira tante nuove idee... E adoro maltrattarlo, proprio come
tutti i miei personaggi preferiti. XD Sapere che sia IC mi rende strafelice,
grazie! <3
E son così contenta che la scena tra Hisashi e Kiyo ti sia
piaciuta! *O* Mi son divertita a scriverla! Spero che anche questa qui sopra
sia stata altrettanto di tuo gradimento... Volevo rompere un po' gli schemi e
credo che una tipa seria e ligia allo sport che si ubriaca sia stata un'idea
diversa e divertente! Non te lo aspettavi, eh? XD
Grazie, veramente grazie mille! E' sempre un piacere
leggerti! *O*
Grazie anche a tutti coloro che hanno aggiunto questo
delirio tra preferiti, seguite e ricordate! ^-^/
Per inciso, il nome del padre di Ede l'ho inventato, mi
piaceva il suono e il fatto che iniziasse anch'esso con la K... Deliri kenjiniani, capitemi. :D
Un abbraccio enorme, e ancora grazie!
Marta.
PS: se non dovessi aggiornare subito non preoccupatevi, è
perché sono andata in vacanza! A presto! ;)
Capitolo 9 *** 08. Il coraggio di ricominciare ***
Ni-hao a tutti
Capitolo 8
Il coraggio di
ricominciare.
Quando la madre le
raccontò di quello strano ragazzo di nome Hisashi Mitsui che l'aveva riportata
a casa mentre dormiva che una meraviglia, per poco Kiyo non si ammazzò con la
spremuta di arance che stava bevendo.
«Mi ha riportata a casa
lui?».
La signora Kobayashi
annuì. «Che amici alti che hai, Kiyoko!».
La bionda si schiacciò i
palmi delle mani sulle tempie. «Mamma non gridare, ti prego... mi scoppia la
testa».
«Non sto gridando,
tesoro», le disse l'altra, preoccupata. «Hai preso qualche pastiglia? Oggi hai
anche gli allenamenti. Salti anche quelli?».
«No!», esclamò sopra
un'ottava la ragazza, pentendosene subito dopo per il dolore alla testa. «Posso
perdere le lezioni, ma gli allenamenti no», borbottò. Se solo ripensava allo
show che aveva dato solo la notte scorsa avrebbe preferito annegare durante le
vasche che altro. Insomma, lei che si ubriacava non era credibile. Era vero,
ogni tanto fumava, ma non andava famosa per una che buttava giù bevande
alcoliche.
E i risultati si son visti...
«È importante anche la
scuola, tesoro mio. O vuoi perdere un altro anno?».
Kiyo sbuffò. «No che non
voglio, ma sai anche bene come la penso».
La donna rimase a
guardarla ancora un po', poi le diede un bacio. «Io scappo o arrivo tardi alla
riunione. Prenditi una pastiglia per il mal di testa e non strafare stasera!».
«Non gridare!».
Kiyo guardò la madre
ridere e uscire, scuotendo il capo. Aveva una madre matta, oltre che sorda.
Finì di bere la sua
bibita fortificante preferita e guardò l'orologio appeso vicino al frigorifero.
Le undici meno un quarto. Kami, quanto aveva dormito quella notte per essersi
svegliata solo dieci minuti prima?
Andò in salotto,
guardandosi intorno senza sapere bene come impiegare il tempo. Aveva troppo mal
di testa per guardare la televisione, ma non aveva nessuna intenzione di
sdraiarsi nuovamente. L'unica brillante idea che le venne fu di prepararsi con
calma la borsa dell'allenamento e di portarsi qualcosa per il pranzo dietro. Si
sarebbe rilassata un po' nel terrazzo del liceo aspettando l'arrivo di Sana.
Quando arrivò a scuola
erano le undici e mezza e, come prevedibile, in cortile non si muoveva anima
viva. Entrò nello stabile, sperando di non incontrare nessun docente conosciuto
che potesse farle domande scomode, e si avviò verso le scale. Fece in tempo a
fare due piani, quando una voce la fermò.
«Ehi, Kobayashi».
Kiyo si voltò verso
Hisashi che stava passeggiando per il corridoio, con le mani in tasca e l'aria
annoiata. «Mitsui».
Il ragazzo si fermò a
qualche passo da lei, indicando la borsa con il capo. «Salti le lezioni ma gli
allenamenti no, eh?».
«E chi ti ha detto che
abbia saltato le lezioni?».
«La Tsukiyama. È venuta a
cercarmi perché non ti aveva ancora vista. Come se avessi potuto sapere dove
diavolo fossi». Mitsui si poggiò contro il muro, guardandosi intorno scocciato.
Kiyo si sistemò un
ciuffo dietro l'orecchio. «Beh, ho dormito un po' troppo... e mi scoppia la
testa». S'irritò parecchio quando quello si mise a ridere. «E ora che hai?».
«Lo credo che hai mal di
testa, con tutto l'alcol che ti sei scolata ieri notte». Hisashi scosse il capo
continuando a ridere quando la vide irritarsi. «Ah, scusa, quasi dimenticavo
che tu non ti sei ubriacata».
«Esatto», gli sibilò,
puntandogli minacciosamente un dito contro. «Fanne parola con qualcuno e te la
vedrai con me... e non gridare!».
Quello la guardò di
sottecchi, con un sorrisino delizioso di scherno. «A parte il mal di testa, va
tutto bene?».
La nuotatrice rimase un
po' interdetta da quel tono gentile che raramente gli aveva sentito. «Diciamo
di sì... ho dormito fino alle dieci e mezza senza svegliarmi una volta».
«Beata te, io invece non
ho chiuso occhio».
«E sei stato sbattuto
fuori perché ti sei riaddormentato sul banco, immagino». La ragazza si lasciò
scappare un sorriso di vittoria appena quello sbuffò. «Comunque grazie per
ieri... per aver mandato via Toshiro e tutto il resto, insomma».
Hisashi evitò di
sottolineare che se non fosse stata lei a chiamarlo non sarebbe successo un
accidente, ma sorrise. «Di niente. Ma non prendertela a vizio, non devo farti
da balia».
«Ecco, sei sempre il
solito, Mitsui! Io cerco di essere gentile e riconoscente e tu devi rovinare
tutto», esclamò la bionda, portandosi una mano alla tempia. «E per colpa tua
ora mi fa più male la testa».
«Che diavolo c'entro io
con la tua testa?», domandò irritato. «Prenditi una pastiglia e non rompere me».
Kiyo roteò gli occhi,
voltandosi per andarsene.
«Ehi, dove vai?».
«Vuoi seguirmi, per
caso?».
Lui fece spallucce. «Mi
sto annoiando, magari rompere le palle a te si rivela divertente».
«Attento, Mitsui, perché
potrei essere io a romperti le palle... e so che fa male».
Hisashi alzò le mani al
cielo, in segno di resa. «D'accordo, messaggio ricevuto», scimmiottò per prenderla
in giro.
«Comunque sto salendo in
terrazza. Sana va sempre lì per il pranzo». Kiyo si fermò davanti al primo
gradino, guardando il ragazzo. «Allora? Vuoi venire sì o no?».
*
Sanako aveva la testa
ovunque tranne che in quella scuola. I gemelli Shimura se ne accorsero nel
momento in cui, persa in chissà quali pensieri, afferrò la borsa di Kimi
anziché la sua e partì in quarta per il terrazzo. Fortuna sua che la matricola
se ne accorse e la fermò prima che andasse a sbattere contro il professore di Inglese!
Un altro segno del suo
totale disinteresse per quello che le capitava intorno fu quando inciampò nei
lacci delle scarpe, finendo direttamente contro la mole imponente di un Kaede
Rukawa a caso, che ciondolava più addormentato di lei per il corridoio.
Risultato finale: il suo bento fu da
lanciare direttamente nel cestino dato che cadde in terra e si fracassò per
bene, Kaede lanciò qualche bestemmia in aramaico prima di accorgersi di lei, e
lei finì gambe all'aria per aver perso l'equilibrio. Fantastico.
«Ehi».
Sana alzò lo sguardo sul
numero undici dello Shohoku, arrossendo peggio della casacca della squadra
appena capì quello che era successo. «Oh, Rukawa, scusami!», esclamò,
raccogliendo in fretta e furia tutto ciò che era volato nello scontro. «Oggi
son così distratta...»
Solo oggi?, pensò Kaede, dandole una mano a rialzarsi. «Hn... Fa niente».
«Oh, bene, il mio pranzo
è da buttare», biascicò mogia la barista, sospirando pesantemente. Era nervosa,
troppo nervosa... doveva darsi una calmata! Insomma, doveva trascorrere
un'oretta da sola con il padre, di cui non sapeva un accidente, che non vedeva
da praticamente sempre e che stava tentando in tutti i modi di riallacciare i
rapporti... di cosa si preoccupava? Era tutto normale! Certo, come se fosse stato
semplice stare tranquilla e disinvolta. Di cosa avrebbero parlato? Avrebbe
iniziato lui? Avrebbe iniziato lei? Non avrebbe iniziato nessuno, finendo per
passare un pomeriggio nel più imbarazzante dei silenzi? Oh, fantastico,
veramente fantastico. Perché era proprio l'ultima possibilità a sembrarle anche
la più inevitabile.
Era talmente assorta nei
suoi pensieri che le venne un colpo quando Kaede le schioccò un dito sotto il
naso. «Svegliati. Ti do il mio pranzo, basta che ti muovi».
«Co-cosa? Il tuo pranzo?»
Sana gli corse dietro, dato che quello era già partito per il terrazzo. «Ma non
posso accettare! Tu cosa mangerai?».
«Non ho molta fame».
«Dovresti mangiare
invece, sei uno sportivo... e guarda quanto sei magro», notò lei, prendendogli
un polso e misurandoglielo con le dita. Smise subito appena Rukawa si voltò a
fulminarla con lo sguardo. «Comunque, ti ringrazio, ma cercherò di recuperare
qualcosa dal mio».
Kaede sbuffò. «Sei
noiosa». Le ficcò in mano il suo bento
e chiuse lì il discorso. Quanto tempo ci voleva ad accettarlo senza storie?
«Beh... Allora grazie.
Ma divideremo tutto, non puoi rimanere senza mangiare». Sana ridacchiò nervosa
appena si accorse dell'ennesima occhiata del ragazzo. Perfetto, lo stava
facendo innervosire. Meglio così, almeno non era l'unica nervosa tra i due.
Appena misero piede in
terrazzo furono entrambi sorpresi - Kaede più scocciato, effettivamente - di
trovare Mitsui e Kiyo chiacchierare, seduti contro la ringhiera.
«Oh, Sana, finalmente»,
la salutò l'amica, recuperando le sigarette. Che Hisashi le fregò subito e
buttò via. «Ehi! Che diavolo ti salta in mente?».
Quello chiuse gli occhi,
poggiando la testa contro il ferro del parapetto. «Non devi fumare. Soprattutto
se fai sport».
«E a te che t'importa?».
Hisashi non rispose,
perché Sanako e Kaede che battibeccavano sul pranzo attirarono la loro
attenzione.
«Dai, facciamo metà e
metà!», fece per l'ennesima volta la barista, mentre l'altro stava seriamente
pensando di ficcarle il cibo in gola per farla star zitta.
«Che succede, ragazzi?»,
chiese Hisashi, allungando le gambe sul pavimento.
«Oh, è che prima sono
inciampata e ho rovinato il pranzo, e Rukawa vorrebbe offrirmi il suo, ma non
può rimanere senza mangiare! Diglielo anche tu, senpai!».
Kaede ci mise poco a
fulminare anche il suo compagno di squadra, che si limitò ad annuire e a
sfotterlo. «Su, Rukawa, mangia la pappa e non rompere».
Dopo l'ennesima mandata
a quel paese che volava nell'aria, alla fine Kaede accettò di dividere il cibo,
ma solo per farla smettere. Si sedette nel suo personale angolino a ciondolare
tra un boccone e l'altro, mentre Sana decise bene di lasciarlo in pace e
avvicinarsi agli altri due. «Come stai, Kiyo?».
«Benissimo». «Ha ancora
i postumi della sbornia».
Sana quasi scoppiò a
ridere nel vederli guardarsi in cagnesco. «Mi hai fatto prendere uno spavento,
ieri. Sembravi impazzita!».
«Era ubriaca, Tsukiyama».
«Io non ero ubriaca!».
«Guarda che anche se
continui a ripetertelo, non cambierà le cose».
«Oh, Mitsui, stai un po'
zitto».
Bene, quei due erano
cane e gatto, pensò Sana, sorridendo. Non potevano fare un discorso tranquillo
che finivano sempre a insultarsi e a bisticciare. Com'erano carini!
«Tu piuttosto, che hai?
Mi sembri su un altro pianeta».
La barista tornò a
guardare l'amica, abbassando poi lo sguardo. «Sono un po' nervosa... sai, ieri
dopo che siete andati via è arrivato... lui. Beh, sì, papà».
Hisashi, non conoscendo
la sua situazione, non capì all'inizio. Kiyo, invece, sbarrò gli occhi. «Ma che
vuole ancora da te? Devo spaccargli il muso?».
«Oh, no, Kiyo, no!
Tranquilla, è tutto a posto. È solo che son nervosa, ecco». Sospirò, bevendo un
po' d'acqua prima di parlare. «Dopo le lezioni di musica ho un'ora libera prima
di lavorare e così... Così gliel'ho detto».
«E vi dovete vedere,
immagino». Al un gesto affermativo dell'altra, Kiyo si strinse nelle spalle.
«Vuoi che venga con te?».
«No, certo che no,
grazie! E poi tu hai gli allenamenti, non devi saltarli proprio ora. Sabato
inizi le qualificazioni».
«Sì, sì, lo so»,
biascicò la bionda, impensierita. «Comunque sii te stessa e non preoccuparti di
niente. Intesi?».
Sana annuì, sorridendo.
«È la stessa cosa che mi ha detto anche Akira».
Inutile dire che nel
sentire quel nome Kaede strinse gli occhi. Diavolo, lo sentiva nominare sempre
di più, quel disgraziato! Ah, mercoledì gliel'avrebbe fatta pagare lui, altro
che!
«A proposito di
quell'idiota, ho fatto bene a mandartelo, ieri?», s'informò Mitsui.
Il volto di Sana
s'illuminò. «Hai fatto benissimo, grazie mille Mitsui-kun!».
Le labbra di Kiyo si piegarono
in un sorrisino malizioso, e si avvicinò al ragazzo accanto per sussurrargli un
"Sana è innamorata persa di Akira".
«E-ehi!».
I due scoppiarono a
ridere nel vedere l'imbarazzo nel volto dell'amica, che si copriva le guance
rosse come i capelli dei Sakuragi. «Non è divertente!».
*
La lezione di chitarra
finì come sempre alle cinque in punto, ma quella volta le sembrò di aver
strimpellato per soli cinque minuti. Era già arrivata l'ora?
La piccola barista
ritirò il suo strumento preferito nell'apposita custodia più grande di lei e
non si accorse della zia che, tutta pimpante, le arrivò dietro. «Sana, mia
cara, potrei parlarti cinque minuti?».
«Proprio ora?» .
L'occhiata maliziosa
della donna non prometteva niente di buono. «Cos'è, devi uscire con il bel
ragazzotto dell'altra notte?».
«Zia! Ma che ti salta in
mente?!», esclamò lei, rossissima. Lei che usciva con Kaede Rukawa? Oh, ma per
carità! Era un'idea così assurda e talmente imbarazzante che non bisognava
nemmeno formularla!
Quella ridacchiò, prendendole
la chitarra di mano per sistemarla come sempre nel cofano della station-wagon.
«Scherzi a parte, ti ricordi della promessa che mi avevi fatto? Quella del
concerto di fine anno».
«Certo che la ricordo.
Mi avevi corrotta con una torta, se non sbaglio».
«Esatto, piccola mia!
Allora, ci ho pensato bene ultimamente e ti spiego che cosa ho in mente».
Masaki s'inumidì le labbra, prima di iniziare a parlare. «Pensavo a qualcosa in
stile anni '60, '70, come piacciono a te. Magari chi vuole può anche travestirsi,
che so! Ovviamente tu suonerai e canterai, la scaletta la decideremo insieme,
quando avremo un gruppo. A questo proposito: ci serve un altro chitarrista, un
bassista, un tastierista e un batterista. Del corso di musica potrei prendere Seiji, ma non son troppo convinta... Per quanto sia in
gamba con le bacchette è il suo primo anno e ha tanto da imparare. Mi chiedevo,
conosci qualche tuo amico o amica che potrebbero contribuire? I tempi
stringono, sai, ci son tutte le prove da fare».
Sanako corrugò la fronte.
Amici? Lei, tranne Kiyo e Akira non aveva amici.
Di quelle persone, insomma, che ti raccontavano cosa facevano la sera, o i loro
pensieri o chissà quali altre cose. Non avrebbe nemmeno saputo da dove iniziare
la ricerca! «Io non saprei... non so se qualche mio compagno di classe suona».
«Beh, potresti
informarti? Stasera, comunque, preparo dei volantini da spargere un po' ovunque
per il liceo, te ne farò avere un bel mazzo così mi dai una mano, ok?».
La barista annuì e
sorrise, tanto per far contenta quella donna che sembrava anche più entusiasta
di lei. Non amava i concerti di fine anno, specie se non aveva nessuno con cui
andare. Ma almeno lei avrebbe intrattenuto tutti con la sua musica e in qualche
modo se la sarebbe scampata con classe.
Attraversarono il
cortile della scuola, dove Sana intravide Mitsui con i gemelli Shimura andare
ad allenarsi - probabilmente in vista dell'amichevole contro il Ryonan del
giorno dopo - e le mancò il fiato appena vide lui, suo padre, attenderla oltre
il cancello, che passeggiava avanti a indietro, in tensione.
«E lui che diavolo ci fa
qui? Ora ti spia?», ringhiò la zia, già pronta a cantargliene quattro se non
fosse stato per Sana che la bloccò per un polso.
«No, zia, va tutto bene.
Sapevo che sarebbe passato».
Masaki non fu molto
convinta, per non dire che non lo fu per niente. «Cosa mi stai raccontando? Che
dovete andare a fare una passeggiata?».
«Sì, cioè... non so dove
andremo, probabilmente ci fermeremo al bar all'angolo...», blaterò Sana,
contorcendosi le mani per il nervosismo. «Andrà tutto bene, è una cosa che mi
son imposta di fare... da sola, zia», aggiunse, capendo le intenzioni della
donna.
«Beh, sarò sincera con
te: non mi piace. Ma sei grande abbastanza per capire cosa sia giusto o
sbagliato», fu il verdetto, non troppo entusiasta.
«Grazie, sei la zia
migliore del mondo!», esclamò Sana, abbracciandola.
«Sì, sì, ora vattene
prima che cambi idea! E spera che tua madre non venga a saperlo».
Sana sorrise, avvicinandosi
impacciata al padre. «Ciao».
Lui, dopo aver lanciato
una rapida occhiata all'ex cognata, ricambiò il sorriso. «Ciao».
Perfetto, che inizio entusiasmante, pensò lei.
«Come è andata oggi?»,
le chiese, prendendole gentilmente la cartella contenente i libri di scuola.
Malissimo! «Bene... sì, tutto bene. A parte che ho
rovesciato il pranzo e son volata per il corridoio, tutto bene». Ferma, Sana, ferma! Non iniziare a partire
con i tuoi sproloqui nervosi!
«Ti sei fatta male?», si
preoccupò subito lui.
«Oh, no». Sana agitò una
mano. «Ci sono abituata, ormai. Sono un disastro».
Il padre stava per dire
che anche lui lo fosse, sbadato e distratto, ma evitò. Lui era un disastro in
un altro senso. «Ti piace la scuola dove vai?».
«Lo Shohoku? Sì, credo
di sì. Cioè, è pieno di matti e qualche teppista, ma ci si convive. E poi è
quella più vicino casa e la più economica, quindi non mi lamento». Sana abbassò
lo sguardo sul pavimento del marciapiede, trovando di gran lunga interessanti
le foglie secche cadute dagli alberi, piuttosto che girarsi per guardarlo negli
occhi mentre parlava.
«Hai molti amici,
immagino».
«Veramente non ne ho
molti». L'uomo corrugò la fronte. «C'è Kiyo, che conosco dalle elementari. E
Akira, il ragazzo che hai visto ieri notte. Gli altri son tutti conoscenti e
compagni di classe. Probabilmente pensano che sia strana».
«Strana?».
Lei si strinse nelle
spalle, guardando ora il cielo. «Forse perché sto sempre nel mio mondo, perché
alle pause non sto con tutti loro e mi rintano in terrazza a studiare... ma tra
il corso di musica e il lavoro al bar non ho poi troppo tempo per me,
figuriamoci per gli altri».
«Beh, se posso darti un
consiglio, per quanto non possa avere importanza... dovresti goderti l'età che
hai, fare quello che ti piace, magari non in solitudine».
Sana lo guardò per la
prima volta con sincero stupore. «Ma io faccio quello che mi piace».
«Non dirmi che ti piace
fare orari improbabili dall'età di sedici anni, anziché uscire con la tua amica».
L'uomo la vide chinare lo sguardo. Probabilmente aveva fatto centro.
«Quel lavoro mi serve per
pagare le spese scolastiche e aiutare in casa».
«Allora dovresti dire
che lo trovi necessario, non entusiasmante». Arrivarono all'ingresso di un bar,
e lui glielo indicò. «Vieni, entriamo qui, sembra carino».
Sanako annuì, prendendo
posto in una sedia di plastica colorata. Quel breve momento di silenzio le
permise di ragionare sull'andamento iniziale della conversazione: un bel 6
d'incoraggiamento.
«Comunque in realtà c'è
un gruppo di ragazzi che mi capita di vedere spesso... almeno al bar», riprese
lei, pensando al club di basket. «Sono simpatici».
Lui sorrise, grattandosi
la barba tagliata quella mattina. «Beh, meglio di niente!», ridacchiò. «Ti
piace tanto la musica?».
«Sì, tanto. Quando suono
è come se volassi via dal mondo. E ogni tanto scrivo anche qualche pezzo, sai?».
«Davvero? E di che
genere?» Incredibile, stava parlando tranquillamente con sua figlia... sua figlia.
«Sai, mi piacciono molto
gli America e i Toto, mi ispiro a loro. Li conosci?».
«Certo che li conosco,
quando avevo la tua età andavano molto di moda», le spiegò. «Mi stupisce che ci
sia ancora qualcuno come te che li ascolti».
«Ecco, stai dicendo che
son strana», biascicò lei, arrossendo.
Lui scosse il capo,
sorridendo gentile. «Ricorda, a volte strano
non vuol dire negativo».
Sana piegò le labbra in
un sorriso imbarazzato, sistemandosi la frangetta nera ormai troppo lunga. «Posso
farti una domanda?». Al cenno affermativo, seppur perplesso dalla serietà della
figlia, lei proseguì. «È un po' strana, ma ecco... qual è il tuo nome?».
«Tua madre non te lo ha
mai detto?», le chiese, risentito.
«No, veramente...
veramente lei non mi ha mai parlato di te».
L'uomo sospirò pesantemente.
«Avrei dovuto immaginarlo», borbottò, aprendosi in un sorriso tirato. «Comunque
mi chiamo Kiichi Rukawa».
*
«Dai, muoviti, Scimmia!
Siamo qui da tre quarti d'ora e ancora non sei uscito da quella gabbia!»,
sbraitò Hanamichi, stravaccato bellamente sul divano.
Hime, seduta accanto ad
Arimi, si passò una mano in viso. «Hana, datti un contegno, non sei a casa tua!».
«Ecco, ascolta tua
sorella, animale!», rispose l'altro invasato, comparendo in quel momento con un
asciugamano tra le mani, asciugandosi i capelli bagnati dalla doccia.
«Cosa sarei io?! Brutto
travestito!».
«Ancora con quella
storia? Ma devo proprio ucciderti, allora!».
Le donnine presente si
scambiarono un'occhiata mesta e decisero di cambiare aria, almeno finché quei
due deficienti dei rispettivi fratelli l'avessero smessa.
«Ehi, dove andate?
Stiamo per uscire!», fece Nobunaga, perplesso. «Ehi, Ari-chan,
non le vorrai mica far vedere altre foto indecenti?!».
«Perché, ce ne sono
altre?», chiesero in coro i gemelli, gli occhioni a cuoricini alla sola idea.
«Certo che no, idioti!».
Arimi scosse il capo e
si sistemò le protesi di plastica che le permettevano di camminare. Sarebbero
andati finalmente in spiaggia, dove si sarebbe potuta esercitare ancora un po'.
Stava facendo progressi, ormai, ed era più che sicura che alla prossima visita
dal fisioterapista le avrebbero fatto i complimenti. Tutto merito del suo
fratellone e delle sue adorabili cure.
«Hai bisogno di aiuto?»,
le chiese Hime, prendendo la sedia a rotelle che era sistemata in un angolo,
piegata per occupare meno spazio.
«No, grazie. Già
fatto!», le disse trionfante.
Hime le sorrise,
porgendole un braccio e chiamando il fratello. «Hana, anziché sbraitare contro
Nobu-chan, perché non vieni a darmi una mano con questa?».
«Ecco, bravo, renditi
utile una volta tanto!».
«E stai un po' zitta,
Scimmia!».
Riuscirono a mettere
naso fuori dalla porta dieci minuti dopo l'ennesimo battibecco, e fu solo
grazie alle amorevoli mani della rossa, che li afferrò letteralmente per la
collottola e li trascinò fuori. Arimi, intanto, seduta sulla carrozzella,
veniva spinta da Hanamichi, che si era gentilmente offerto per dimostrare che
lui si dava sempre da fare. Del resto
sono un genio, vero Ari-chan?, aveva detto,
facendola andare a zig-zag, mentre lei rideva come una pazza.
«Ehi, deficiente, guarda
che quella non è un autoscontro!».
«Ne sai qualcosa di
autoscontro, eh Scimmia?».
Hime scoppiò a ridere
nel ricordarsi del piccolo incidente che avevano avuto durante il ritiro, nel Luna
Park. C'era veramente mancato un pelo che quei due si ammazzassero una buona
volta per tutte!
«Hicchan, non si ride
delle disgrazie altrui! Quell'idiota di tuo fratello mi ha anche rotto il naso
quella volta!».
«Macché rotto il naso»,
si difese subito il numero dieci dello Shohoku. «Sei tu che sei troppo
delicatino!».
Hime prese sotto braccio
il fidanzato, schioccandogli un sonoro bacio sulla guancia. «Dai, almeno ti sei
rifatto con il giro sulle montagne russe dopo!».
«Sì, io... tu invece
gridavi come un'invasata dalla paura, Hicchan».
«N-non è vero!».
«Oh, ma allora è vizio
di voi Sakuragi non ammettere la verità!».
Arrivarono alla
spiaggia, deserta a quell'ora della sera, nonostante ci fosse ancora un po' di
sole. Arimi si mise in piedi, aiutata dal nostro Hanamichi-tutto-fare e provò a muovere qualche passo.
«Però, sei brava», le
disse, sorridendo, per una volta tanto senza quell'espressione da idiota che
aveva sempre. Arimi pensò che fosse veramente tanto carino, quando si
dimostrava così gentile. Beh, lo era sempre, a dir la verità.
«Ehi, Scimmia, vedi di
stare attento e di non farla cadere!».
«Ohi, non rompere!»,
borbottò quello, infastidito. «Ogni volta ti porti via la mia Hicchan, ora
voglio la mia rivincita!».
Hime corrugò la fronte,
divertita, e non le sfuggirono le guance arrossite della piccola Kiyota. Oh,
interessante... veramente molto, troppo interessante!
«Ehi, Hicchan, cos'è
quell'espressione diabolica? A che pensi?».
«Niente! Niente!», si
affrettò a dire lei. Kami, se solo gli avesse messo la pulce nell'orecchio di
una supposizione simile era più che certa che la serata sarebbe diventata più
lunga del previsto. Fece una stramba associazione di idee e si ritrovò a
pensare allo strano discorso che le aveva fatto Ayako. Accidenti a lei, non
riusciva a toglierselo dalla testa!
Nobunaga si accorse che
qualcosa era cambiato repentinamente nel viso della sua rossa preferita, ma non
riuscì a farle dire niente, se non qualche frase sconclusionata del tipo Ayako me la pagherà!, Vede sempre quello che non esiste!, e altri improperi contro la
loro manager.
«Ari-chan,
ti fa male quella?». Hanamichi indicò la protesi, grattandosi la capa rossa.
«Oh, no! No, niente
dolore. All'inizio mi dava un po' di fastidio, ma è solo questione di
abitudine», gli spiegò, sorridendo.
«Cavolo, devi avere un
gran fegato».
Arimi si strinse nelle
spalle. «Sai, è stato difficile all'inizio. Ma con il sostegno dei miei e di Nobu
è stato tutto più semplice».
Hanamichi sorrise,
dandole amichevoli pacche sulle spalle. «Sei proprio un genio come me, Ari-chan! Altro che quella Scimmia di tuo fratello!».
Continua...
* * *
Ehilà! Rieccomi qui dopo una splendida vacanza a Parigi! *.*
Ho ancora la testa e il cuore lì, ma mi rendo conto che piano piano devo
tornare alla realtà, quindi eccovi il nuovo capitolo!
Vorrei precisare una cosa riguardante quello precedente: mi
son accorta di aver scritto una cavolata (che ho prontamente corretto),
cavolata che magari non tutti avranno colto, ma per la mia morbosa voglia di
scrivere le cose bene è importante. Mi riferisco al numero di maglia di Kobe
Bryant (mìammmor!), che
ora è 24; l'ho corretto con l'8, perché ho considerato questa storia ambientata
nei primi anni del 90, proprio come nel manga. Dettaglio trascurabile, magari,
ma come ho detto adoro scrivere le cose bene e che, per quanto sia possibile,
coincidano con alcuni fatti della realtà.
Ora! Immagino vi abbia un po' sconvolto il nome del padre di
Sana... Ammetto che ha sconvolto anche me, quando l'ho pensato, ma per quello
che ho in mente è perfetto! Spero gradiate! (; (Notare l'ennesimo nome Rukawesco che inizia con la K!)
E ora passiamo a Liricchan!Yeee! Posso storpiarti il nickname! *O* Cioè, dopo tutto
quello che mi scrivi non mi sembra neanche corretto rovinartelo, ma è puccho! <3 Carissima, però, tu non capisci che mi fai
piangere, così? Sul serio, cioè... capolavoro?! Ma io mi monto la testa, così!
Grazie ;___;/
Ammetto che scrivere di Kiyo ubriaca mi abbia divertito
troppo, personaggi scontrosi come lei in situazioni imbarazzanti sono uno
stimolo incredibile! Il problema è che ora mi sta minacciando con un pugno, fa
paura! .__. Eh sì, Mitchi è Mitchi, cioè... Un ragazzotto pieno di sé non
poteva non dire una cosa simile! ù_ù XD Son stracontenta che ti piacciano! *O*
E son ancora più contenta che ti piaccia la scelta di Sana.
E' imbranata, sì, e infatti il risultato si è visto! Spero solo che la notizia
appresa non la faccia ricadere nel baratro da cui stava lentamente uscendo
insieme al padre, altrimenti siamo nei casini! XD
Per quanto riguarda Ayako e le sue supposizioni: no problem,
lanciare semini di qua e di là è il suo passatempo preferito... Il problema è
che gli altri poi si mettono problemi più grandi di loro! :D
Ancora grazie, carissima, è davvero un piacerissimo
leggerti! :*
Grazie anche a tutti coloro che hanno aggiunto questo
delirio tra preferiti, seguite e ricordate! Siete tanti! *O* *vi abbraccia tutti*
Capitolo 10 *** 09. Sendoh vs. Rukawa... di nuovo. ***
Ni-hao a tutti
Capitolo 9
Sendoh vs. Rukawa… di
nuovo.
Finalmente il giorno dell'amichevole era
arrivato, lentamente, ma era arrivato.
I nuovi acquisti non avevano praticamente chiuso
occhio - tranne Kimi, che quando metteva testa sul cuscino non c'erano partite
che potessero impensierirlo. E fortuna che quel giorno i giocatori potevano
prendersi il lusso di saltare le lezioni, altrimenti il fratello avrebbe avuto
un bel da fare per svegliarlo.
Chi invece non guardò la sveglia, come ormai da
anni prima di ogni partita importante - e quella lo era, perché avrebbe messo
in luce i pregi e i difetti di ognuno di loro prima dell'inizio del Campionato
Invernale - furono Hime e Kaede. I due, ormai, non dovevano neanche darsi
appuntamento. Sapevano che alle sette si sarebbero dovuti vedere al solito
campetto per la solita partitella di allenamento, e nessuno si era mai
lamentato. Certo, per Rukawa svegliarsi così presto era pur sempre un trauma;
fortuna che suo padre, quel sant'uomo!,
usciva presto per il lavoro e non aveva problemi a svegliarlo a cuscinate in
faccia.
Kaede aveva trovato l'amica già bella che pronta
in pantaloncini e con la consueta maglia del Do'aho, di cui si era appropriata
da inizio anno, intenta a riscaldarsi.
«Ehi».
Hime completò un tiro quasi fuori area, ma presa
alla sprovvista, cannò totalmente, prendendo solo il ferro. «Ede! Ben arrivato,
insieme al tuo cuscino!». Quello le lanciò un'occhiata perplessa, oltre che
addormentata, e lei le rispose con una risata. «Ce l'hai proprio lì, attaccato
in faccia».
«Hn, simpaticona. E io
che ti do anche retta». Poggiò la sacca accanto a quella della Sakuragi,
togliendo fuori il suo pallone personale e iniziando anche lui il
riscaldamento.
«Sei venuto a piedi?», gli chiese Hime, cercando
la sua più che scassata bicicletta.
Kaede si strinse nelle spalle, andando subito a
canestro. «Ho fatto una corsa», le spiegò, recuperando la sfera arancione e
palleggiando. «E poi così non devo riaccompagnarti a casa».
«Oh, ma bene! Grazie, Ede, sei veramente un cavaliere!»,
sbuffò lei, tirando a canestro e centrandolo. «Me ne ricorderò quando mamma
preparerà i biscotti. Non te ne farò avere neanche uno».
«Tua madre me lo farà sapere lo stesso».
«Ah, disgraziato!».
Kaede scosse il capo appena la vide sbattere un
piede per terra, come una bambina. «Finiscila di fare l'infantile. Mi sembri
tuo fratello».
Lei, per tutta risposta, gli tirò in pallone con
l'intenzione di colpirlo, ma lui fu più lesto e l'afferrò con entrambe le mani.
Quando iniziò a palleggiare, senza distogliere quegli occhi da gatto, blu come
l'oceano, Hime capì che l'allenamento stava iniziando. Kaede scattò poco dopo,
cercando di scartarla subito; ma lei fu veloce, e allungò una mano per
bloccarlo. L'ala piccola fu costretta a un cambio di mano, per proteggere
meglio il possesso con tutto il corpo. Fintò un altro scarto, questa volta a
sinistra, ma proprio quando Hime stava per cascarci, Kaede aveva già saltato e
preso la mira.
Hime recuperò il pallone, gonfiando le guance
indispettita. «Quello scherzo è l'ultimo che mi farai». Palleggiò un paio di
volte sotto le gambe, fece un passo indietro e lanciò uno sguardo al canestro.
Kaede sapeva che avrebbe tirato, era uno dei suoi giochetti preferiti da
sempre. E infatti eccola lì, sollevare le braccia per tirare a canestro.
Quando Hime ridacchiò, ora divertita, era già
sgusciata via e aveva segnato. Le tirò un buffetto su una guancia mentre lei
gli rifilava una linguaccia.
«Quanto hai intenzione di segnare, oggi?», gli
chiese, riprendendo la posizione di difesa.
Lui le lanciò un'occhiata infuocata. «Più di
Sendoh, mi pare ovvio».
«Vedi di giocare per la squadra, Ede, non
pensare solo a lui».
Kaede attaccò ancora, forse con troppa forza,
perché Hime perse l'equilibrio e cadde a terra, rischiando di spaccarsi il
coccige.
«Ohi, ohi, che male!», si lamentò,
accarezzandosi amorevolmente il suo fondoschiena - un gran fondoschiena, avrebbe detto Nobunaga. Afferrò la mano che
l'amico le porgeva, mentre le borbottava un Sei
un disastro. «Ehi, sei tu che sei un orso! Mi pare di avertelo detto tante
volte».
Sì, Orso Volposo... E chi si dimentica un soprannome così
demente?
«Sai, credo che Sana venga a vedere la partita».
Kaede corrugò la fronte. Per vedere quell'idiota. «Dovrebbe interessarmi?».
«Dicevo così, per dire...», biascicò Hime,
sbirciando la sua reazione. Niente, come sempre. «Son contenta che ci sia anche
lei, se ne sta sempre per i fatti suoi».
«E non fa male».
Hime spalancò gli occhi castani. «Stai per caso
dicendo che la mia compagnia o quella dei ragazzi non ti fa piacere?».
Lui, d'altro canto, le si avvicinò di un passo,
sovrastandola con la sua incredibile altezza. Le puntò un dito in mezzo alla
fronte, simulando una pistola. «Dì un'altra stronzata come questa e ti ammazzo».
La bloccò subito prima che iniziasse a saltellare dalla gioia a destra e a
sinistra. «E prova a sbandierarlo in giro e ti ammazzo ugualmente. Intesi?».
Hime si mise una mano sul cuore, giurando. «Mai
stato più chiaro!», esclamò, sorridente. In un impeto di coccole, di quelle che
rischiavano di uccidere soffocati chiunque si trovasse tra le sue grinfie, lo
abbracciò forte. Le era sempre piaciuto rifugiarsi in quelle braccia,
nonostante Kaede non sprizzasse affetto da tutti i pori. «Te l'ho mai detto che
ti voglio bene?».
Kaede sospirò, poggiando il mento sulla sua
testolina indiavolata. Sì, ma non mi
stanco facilmente, io. «Hn. Anche troppo spesso».
Nascose un gemito quando lei gli rifilò una gomitata alle costole.
«Non è mai troppo per dimostrare tutto il bene
che ti voglio, disgraziato!».
«Manesca».
«Antipatico!».
«Noiosa».
«Bradipo!».
«Sakuragi».
«E questo dovrebbe essere un insulto?».
«No, demente, c'è il Do'aho. E sta per morire».
Hime si voltò verso Hanamichi, mezzo moribondo
per la corsa furiosa che si era dovuto fare. «Voi due... maledetti...
traditori!», si poggiò contro la rete, distrutto, per riprendere fiato.
«Hicchan... potevi svegliarmi!».
«Hana, eri così avvolto come un salame che era
difficile anche trovarti la testa». Hime trotterellò da lui, alzandosi sulle
punte e dandogli il consueto bacino del buongiorno. «Dai, anche Ede si è fatto
una corsettina, per scaldarsi... così siete pari!».
Il Volpino scosse il capo appena quello iniziò a
pavoneggiarsi, ritrovando chissà come e dove tutta l'energia, gridando al mondo
che lui era il genio, che lui non si sarebbe mai stancato per una corsetta e,
cosa più importante, che lui non era al pari di nessun Rukawa dei suoi
stivali... lui era al di sopra di tutti! Ahaha!
*
Quando Kiyo si era presentata davanti alla porta
di casa sua intimandole di recuperare la bicicletta e di seguirla
immediatamente in palestra, Sana cadde dalle nuvole. E si fece anche parecchio
male, a dirla tutta.
«Oh! La partita di basket!», esclamò, battendosi
una mano sulla fronte e maledicendosi in tutte le lingue del mondo, mentre Kiyo
borbottava qualcosa come "Quando
ritroverai l'utilizzo della memoria fammi un fischio, sempre che te ne ricordi".
«Scusami, scusami Kiyo! È che me ne son
completamente scordata!», disse Sana, dalla sua stanza per recuperare una
giacca. «Siamo in ritardo?».
«Mancano cinque minuti all'inizio», rispose
quella, poggiandosi contro lo stipite della porta. «Se Mitsui non mi vede
arrivare penserà che sono una vigliacca».
Sana corrugò la fronte. «Perché dovrebbe pensare
così?».
«Perché abbiamo fatto una scommessa, e io non voglio perdere». Allo sguardo
curioso dell'amica, Kiyo sbuffò. «Mi offre una pizza al giorno per una
settimana, ne vale la pena, no?».
«E se perdi?».
Kiyo non rispose subito, sviò anzi la domanda. «Sbrigati,
o faremo tardi sul serio».
Corsero di volata verso la palestra del loro
liceo, una in bici l'altra sui rollerblade, rischiando più volte di rompersi
l'osso del collo per evitare qualche passante o qualche tombino un po' troppo
profondo. Quando finalmente giunsero al cortile videro ancora parecchie persone
che chiacchieravano tra loro, così come non si sentiva nessun suono di partita
dall'interno dello stabile. L'unica cosa che saltò agli occhi fu la
disperazione di un uomo che aveva superato i cinquant'anni, che bestemmiava in
turco contro un certo suo giocatore, nonché nuovo Capitano della squadra. In
ritardo.
«Giuro che appena vedo quella faccia sorridente
da ebete gli tiro un pugno che si ricorderà per tutta la vita!», borbottò
incavolatissimo un suo compagno di squadra, tale Hiroaki Koshino, di indole
particolarmente calda e suscettibile.
Mitsui, poggiato contro un muretto accanto a
lui, sbuffò infastidito. «Regalagliene uno anche da parte mia, non ho voglia di
sporcarmi le mani». Si fece attento d'un tratto appena scorse la chioma bionda
di Kobayashi. «Cos'è, giornata di ritardatari, oggi?».
«Non prendertela con me, colpa della tua collega»,
si affrettò a rispondere la diretta interessata. «Chi è il fortunato che si
ritroverà una squadra intera alle calcagna?».
«Akira, suppongo», fece Sana, guardandosi
intorno. «È in ritardo anche oggi, vero?». Sospirò quando la sua domanda fu
confermata dall'ennesimo delirio dell'uomo di poco prima, che altri non era che
l'allenatore del Ryonan, Taoka.
«Dovreste fare seriamente qualcosa per quel
cerebroleso», disse Hisashi a Koshino.
«Perché non pensi tu a metterlo in riga? Siete
mamma e figlio, ormai!», fece una voce alle sue spalle. Hime, con la sua
consueta divisa da arbitraggio (ergo, con indosso la maglia larghissima di Kobe
Bryant), trotterellò verso Sana per salutarla con un bacino, poi si voltò verso
Kiyo, stringendo gli occhi per mettere a fuoco il suo viso. «Ci conosciamo
già?».
Kiyo fece spallucce. «Solo di vista, sono in
classe con Rukawa».
La rossa sorrise apertamente, schioccando le
dita. «Ah, mi ricordo di te! Mi mettesti in guardia dal svegliare quell'Orso!
Piacere di conoscerti, sono Hime Sakuragi».
«Kiyo Kobayashi, piacere mio». Non si era
sbagliata, quel giorno, a pensare che quella ragazza fosse un tornado.
Trascinava via tutti con un solo sorriso, oltre che con il casino che si
portava dietro. Persino il glaciale Rukawa sembrava sciogliersi un poco appena
la vedeva. O il suo era terrore? Effettivamente c’era da terrorizzarsi quando
quella pazza iniziava con le sue follie, insieme al fratello. Proprio come
stava facendo in quel momento, tormentando un colosso di ragazzo che, per
quanto riuscì a capire, doveva essere stato un giocatore dello Shohoku, e che
non sembrava molto felice di ritrovarsi quei due rompiscatole tra i piedi.
«Lo sapevo, lo sapevo che saresti venuto!»,
stava strillando contenta la rossa, appesa al braccio del suo ex Capitano.
«Avrei fatto meglio a starmene a casa,
piattola!», borbottò quello, cercando inutilmente di scrollarsela di dosso.
«A-ha! Il Gorillone non ha saputo restare
lontano dalle mie splendide partite, ammettilo!».
«Hime, tuo fratello vaneggia!», commentò Ryota,
afferrandolo per un orecchio e trascinandolo in campo, per il riscaldamento. «E
tu, Mitsui, vedi di unirti a noi, invece che civettare!».
La Guardia della squadra di casa gli rifilò
un’occhiata che la metà bastava. «Parli per gelosia, Tappo».
Ayako, prima che il Capitano dicesse cose
scomode davanti a decine e decine di persone, vide bene di sedare tutti con una
sventagliata d’inizio, giusto per calmare le acque e tirare un sospiro di
sollievo. Si sa come sono gli uomini quando si tratta delle loro conquiste, ma
lei non voleva saggiare sulla pelle cosa significasse!
Quando Akira, finalmente, arrivò tra gli
improperi dei suoi compagni di squadra e un allenatore che più abbattuto non
poteva essere – non sapeva più che pesci prendere con quel ragazzo! – il
pubblico iniziò a prendere posto nella balaustra intorno al campo; Akagi,
guardandosi intorno, si accorse che erano giunti in molti, e non si stupì
troppo quando si ritrovò accanto Uozumi, Maki e Kiyota (quest’ultimo era
arrivato cinque minuti dopo, con la scusa di salutare la sua bella con un bacio
porta fortuna, manco avesse dovuto giocare lei!). Kiyo e Sana si sistemarono in
direzione della panchina dei Diavoli Rossi e rimasero parecchio perplesse
appena si accorsero di tre invasate a pochi metri da loro che, con indosso un
completino da cheerleader inneggiavano le grandi doti cestistiche di Rukawa –
anche se Kiyo notò che ciò che gridavano quelle pazze poteva benissimo essere
frainteso.
«Ohi, Sanako! Anche tu qua?», fece una voce alla
loro destra. Yohei e l’Armata Sakuragi le raggiunsero poco dopo, bottiglie
piene di pietre alla mano, pronti per il tifo scatenato per cui andavano tanto
famosi.
«Ciao, ragazzi!», li salutò lei, allegramente.
Quei quattro ragazzi la mettevano sempre di buon umore! «Come state?».
«Direi bene», fece Noma. «Abbiamo già pronto
tutto l’occorrente per le scommesse. Ci sono tutte le carte in tavola per
essere sicuri che Hanamichi farà una delle sue solite cazzate!».
In campo, nel frattempo, Kaede si ritrovò
davanti un Akira più che sorridente e fu investito dal tremendo desiderio di
spaccargli la faccia. Sana temette il peggio vedendo quello sguardo poco
promettente.
«Che vinca il migliore, Kaede», disse il
Porcospino, porgendogli la mano con fare amichevole.
Il numero undici dello Shohoku alzò un
sopracciglio, senza la minima intenzione di ricambiare il gesto. «Quindi
preparati a perdere, Sendoh».
Akira scoppiò a ridere, divertito. «Vedremo,
vedremo». Sollevò lo sguardo sugli spalti e incrociò subito quello di Sana, che
li osservata in tensione. Le fece l’occhiolino e lei si rilassò, sorridendo.
Le prime sorprese della giornata le ebbero un
po’ tutti, giocatori e pubblico, appena il quintetto base che aveva portato lo
Shohoku alle stelle dei Nazionali rimase seduto in panchina. Solo Hanamichi
continuava a sbraitare la sua genialità, dato che avrebbe ricoperto il ruolo di
centro, sostituendo così la mancanza di Akagi.
«A-ha! Rukawa, finalmente posso mostrare a tutti
di che pasta sono fatto!», esclamò borioso Araki a quello che, piegando una
gamba sul ginocchio, neanche lo cagava di striscio, sbuffando.
«Datti una calmata, tu», fece il Capitano,
sistemandosi i due polsini. «Ora, ragazzi, voglio vedere come ve la cavate in
una partita vera. Abbiamo già parlato del Ryonan e conoscete i loro punti
deboli e di forza. Non deludetemi, perché altrimenti la panchina la
riscalderete per tutto il Campionato Invernale, intesi? Ah, Hanamichi, vale
anche per te».
«Ehi, non ho bisogno delle tue raccomandazioni
idiote, Pigmeo!».
Le nuove leve annuirono, entusiasti e
determinati a vincere. I due gemelli, in particolare, erano ben felici di
giocare insieme: avevano in mente due o tre schemi che avrebbero potuto usare
per sfondare la difesa degli avversari. Le squadre in campo presero posizione:
al salto Hanamichi e Akira; sui loro volti il sorriso era sparito, per lasciar
spazio alla concentrazione.
Hime si avvicinò ai due, fischietto in una mano
e pallone dall’altra. «Mi raccomando, ragazzi. Buona partita!». Due secondi più
tardi il match iniziò.
Hanamichi superò di gran lunga il Porcospino e
la palla volò immediatamente in mano al suo Capitano. Ryota palleggiò oltre la
linea di metà campo, ritrovandosi Akira a sbarrargli la strada, e, dopo una
rapida occhiata, sollevò tre dita. I Gatti Siamesi schizzarono in avanti lungo
le fasce, mentre Araki si voltava pronto a ricevere. Sendoh si rese subito conto
che i due che doveva tener d’occhio erano proprio i gemelli e ordinò subito a
Koshino e Saitou – un nuovo acquisto - di marcarli stretti. Ryota, nonostante
la grande differenza di altezza con il Capitano del Ryonan, riuscì a passarlo,
grazie alla sua proverbiale agilità; Masuhiro appena sfiorò la palla la fece
scivolare dietro la schiena, passandola subito a Kimi. Questo si smarcò
facilmente da Koshino che, notò Akagi mentre osservava con attenzione la
partita, era rimasto il solito insignificante giocatore dalle basse
potenzialità. Il tiro da tre punti arrivò subito dopo, tra il boato dei
sostenitori dei Diavoli Rossi. Kimi abbozzò un sorriso, battendo il cinque ai
suoi compagni e tornando velocemente in difesa.
«Però… Ha un buon tiro anche sotto pressione.»,
commentò Hisashi, le braccia lasciate penzolare mollemente, poggiate sullo
schienale della panchina.
«Potresti aiutarlo a migliorarsi, che dici?»,
fece Ayako, mentre prendeva appunti. «O hai paura che diventi più bravo di te?».
Quello la fulminò con lo sguardo, mentre la
prima manager ridacchiava. Mitsui osservò il suo neo-compagno di squadra mentre
marcava con classe Saitou, la guardia che sostituiva il ritirato Ikegami e che
se la cavava piuttosto bene. Perché no? Avrebbe potuto allenarlo per
sostituirlo, quando non avrebbe più giocato. Ma l’idea di dover abbandonare
quella squadra di svitati, un giorno, lo rattristò parecchio. Aveva ingoiato un
rospo troppo grande quando Akagi e Kogure avevano annunciato il loro ritiro per
dedicarsi agli studi. Sperava, un giorno, di poterli rincontrare e giocare
nuovamente insieme, magari in una squadra universitaria.
In campo, nel frattempo, Hanamichi e Fukuda se
le davano di santa ragione – delle volte sfioravano il significato letterale –
e Akira dava spettacolo, trascinando la squadra e conducendo una splendida
azione che portò il Ryonan a una lunghezza di distacco, concludendo con un tiro
in sospensione spettacolare. Rukawa, seduto accanto alla Guardia, strinse le
labbra in una linea sottile, contrariato. Non vedeva l’ora di scendere in campo
per fargli vedere chi tra i due fosse il migliore. Era d’accordo sul fatto che
i nuovi acquisti dovessero mostrare le loro capacità, ma vista la situazione
avrebbe preferito lasciarli marcire in panchina, invece di vederli giocare al
suo posto. C’era addirittura il Do’aho in campo!
«Ehi, Rukawa, rilassati», fece Hisashi. «Dieci
minuti e il sensei Anzai ci lascerà entrare. Non se
la stanno cavando male, no?».
«Hn. Se la caverebbero
meglio se ci fossimo noi, lì».
Mitsui alzò gli occhi al cielo, ma non aggiunse
altro. Per quel giorno gli bastava che quel Volpino narcotizzato lo avesse
messo in mezzo nel quintetto d’oro. Era già un passo avanti.
Sopra di loro, Kiyo abbassò lo sguardo, trovando
la testa scura di Mitsui. «Che palle, ma non gioca?», borbottò, scocciata. «Ehi,
Mitsui! Sei in panchina perché hai paura di perdere la scommessa?».
Hisashi piegò la testa all’indietro, guardandola
con un sorrisino divertito. «Mi bastano anche cinque minuti di partita per
vincere, non preoccuparti».
Lei gli fece una smorfia, riportando
l’attenzione alla partita. Accanto a lei Sana stava ascoltando con attenzione
Yohei che, pazientemente, le spiegava le regole principali del basket, dato che
le mancava perfino l’abcd di quello sport che non
aveva mai seguito.
Quando finalmente Anzai chiese due sostituzioni,
la situazione era Shohoku-Ryonan 35-31. Rukawa e Mitsui entrarono al posto di
Araki e Kimi, il primo aveva dato prova di un buon gioco, mentre il secondo,
insieme al fratello, aveva dato un bel da fare alla difesa avversaria: non solo
quei due parlavano in coro, tanto erano affiatati, ma persino in campo
sembravano leggersi nel pensiero, per capire quale mossa fare; senza contare il
fatto che entrambi, per quanto fossero sempre concentrati, si stampavano un
lieve sorriso di scherno in viso, innervosendo non poco gli avversari. Il
quintetto base, tranne per la presenza di Eichiro, era tornato in campo e Taoka
sapeva bene che ora sarebbe stata più dura di quanto non fosse stato quel primo
quarto d’ora di partita.
Akira strizzò l’occhio al suo migliore amico,
per poi spostare lo sguardo sul suo rivale preferito. «Finalmente! Pensavo non
vi facesse entrare più».
«Speravi che così fosse, eh?», rispose
strafottente Hisashi, con un ghigno. «Ora si gioca veramente».
«Non aspettavo altro», commentò Rukawa,
determinato a far mangiare la polvere a quel Porcospino della malora.
Quello che successe dopo in campo fu indicibile.
Akira non ricordava di aver visto giocare così bene e con così tanta determinazione
Rukawa – forse, pensò, aveva dato uno spettacolo simile nel match contro il
Sannoh, e gli dispiacque di non averla vista, sarebbe stato sicuramente più
preparato. Il Volpino dello Shohoku era letteralmente indemoniato: scattava
senza stancarsi, infilava un canestro dietro l’altro e, soprattutto, cercava il
corpo a corpo con lui, per mostrargli quanto fosse migliorato. D’altronde,
aveva giocato e si era allenato nei Juniores, mica niente. Sendoh, d’altro
canto, era ovunque, cercando di bloccarlo e riuscendoci, spesso e volentieri.
Kaede fu addirittura costretto un paio di volte a passare la palla al rossino,
alle sue spalle come supporto, per cercare di levarsi dalle palle il
Porcospino.
Hime, con il fischietto tra le labbra, osservava
più i due darsi battaglia che il resto della partita, nonostante fosse
l’arbitro. Forse era la presenza di Sana – anche se aveva notato che Kaede non
aveva mai alzato lo sguardo verso gli spalti per vedere se fosse realmente lì –,
forse semplicemente stava giocando contro il suo rivale numero uno, ma Kaede,
in quel momento, era semplicemente il migliore in campo. Tuttavia, al time-out
per il Ryonan, gli ricordò di giocare anche per la squadra, come aveva fatto
negli ultimi tempi.
«Non tornare a fare il solito egoista, Ede».
Quello nascose il viso sotto l’asciugamano. «Zitta
e arbitra, tu».
«Ehi, non osare dare ordini alla mia Hicchan!»,
esclamò Hanamichi, seguito a ruota da Nobunaga, che era sceso un attimo verso
di loro. Inutile dire che, appena Araki si accorse di lui, andò su tutte le
furie e ci mancò poco che i due iniziassero a battibeccare anche peggio del
giorno in cui s’incontrarono in spiaggia per la prima volta.
Prima di scendere in campo, Hanamichi si
avvicinò al suo nuovo amico. «Ehi, Chiro! Che ne dici
se ci divertiamo un po’ anche noi?».
Il più scalmanato dei due Shimura sorrise
apertamente. «Lo schema del Gorilla?».
«Ahaha! Tu sì che mi
capisci al volo!».
Akagi, che aveva sentito forte e chiaro quel
nomignolo, andò su tutte le furie, mentre Maki e Uozumi s’interrogavano su cosa
fosse questo schema. Le loro domande ottennero una risposta più che
soddisfacente subito dopo. Ryota passò a Eichiro, che si vide costretto a
lasciare il possesso a Mitsui, libero alla sua destra. Si smarcò subito dopo e
ottenne nuovamente il possesso di palla. Rukawa si fece avanti, seguito come
un’ombra da Akira, ma le intenzioni di Eichiro erano ben diverse. Vide una
testa rossa sfrecciare sotto canestro e subito lanciò la sfera arancione verso
il ferro. Quando Hanamichi saltò per una schiacciata spettacolare era già
troppo tardi per fermarlo.
Akagi fu costretto a sorridere. Quello sì che
era un bello schema degno del suo soprannome!
«Ahaha! Bel passaggio,
Chiro! Ehi, Gori! Siamo stati bravi?», esclamò
Sakuragi, rivolgendogli il segno della vittoria.
«Ora non montarti la testa, deficiente!»,
rispose quello, scuotendo il capo divertito, nonostante tutto.
Fukuda, intanto, tentò un tiro sotto canestro,
ma Hanamichi lo stoppò immediatamente, recuperando possesso e passando a Ryota.
Durante quella partita non fu solo Kaede a dare il massimo; Hisashi Mitsui
aveva un motivo altrettanto importante per farsi valere e mettere a segno
quante più triple potesse. Almeno dieci, per la precisione. Mancavano due
minuti alla fine della partita quando mise a segno la nona della partita e alzò
un dito verso Kiyo, facendole capire che ne mancava ancora una affinché fosse
lui a vincere la sfida. In risposta lei sbuffò, scocciata.
«Ma cosa vince se tu perdi?», le chiese
nuovamente Sana, più curiosa che mai.
Kiyo poggiò il mento sul palmo della mano, senza
togliere gli occhi dalla Guardia dello Shohoku. «Devo uscire con lui. Patetico,
gli serve una scommessa per farlo. E non sorridere, disgraziata!». Sana si
tappò le labbra con le mani, senza però riuscire a nascondere il suo
divertimento. «Tu, piuttosto, dopo dovrai andare a consolare il tuo Sendoh, mi
sa che sta perdendo la sua partita contro Rukawa».
«I-il mio Sendoh?!», esclamò l’amica,
arrossendo. «Non credo si abbatta facilmente per una cosa del genere; voglio
dire, l’ho visto giù di morale solo quando mi raccontò di aver perso le qualificazioni
o qualcosa del genere».
L’intera palestra scoppiò in esclamazioni e
applausi quando Kaede subì fallo mentre tirava dietro la linea dei tre e
guadagnò un tiro libero. Tra l’altro aveva anche segnato.
«Ma che fico, mi ci ficco! Rukawa, sei un
manzo!».
Sana e Kiyo si voltarono verso le tre invasate
di pocanzi, sbarrando gli occhi. Erano veramente indecenti!
Come prevedibile l’instancabile Kaede segnò
anche il libero, portando a undici il vantaggio sul Ryonan. Lo sguardo che
lanciò ad Akira disse tutto: lui aveva vinto. Sanako rimase imbambolata a
guardare l’ala piccola dello Shohoku, mentre ripensava alla discussione con il
padre.
“Ru-Rukawa,
hai detto?”.
“Sì,
perché?”.
“C’è un mio
coetaneo che si chiama così”.
“Oh, il
piccolo Kaede, probabilmente”.
“Piccolo?!”.
“È il
figlio di mio fratello”.
Per un attimo aveva creduto che fossero
fratelli. Ma la scoperta che fossero solo cugini non l’aveva tranquillizzata
minimamente. Insomma, conosceva quel ragazzo da poco tempo, sentiva di provare
una certa curiosità per lui, così come aveva notato un certo interesse anche da
parte sua – se di interesse si poteva parlare con uno come lui – ma non avrebbe
mai pensato che sarebbe stato per colpa del loro sangue così simile. Eppure la
scoperta, per quanto l’avesse lasciata senza parole, ripensandoci a mente
fredda non era poi così eclatante: erano entrambi due persone che amavano la
solitudine, anche se intimamente amavano i loro pochi amici; avevano i loro
hobby che sfociavano nella loro stessa vita, il basket per uno e la musica per
l’altra. L’unica differenza tra loro era il rapporto con Akira, uno lo
detestava, l’altra gioiva al solo sentirlo nominare. Chissà se Kaede conosceva
quel piccolo segreto o se anche lui ne era all’oscuro? Sapeva solo che non
poteva tenersi quel grande peso, avrebbe dovuto parlargli prima possibile.
Ritornò con i piedi per terra quando sentì Kiyo
borbottare e capì che aveva perso la scommessa quando vide Hisashi, in campo,
che sorrideva vittorioso per aver infilato la sua decima tripla. La partita si
chiuse pochi secondi dopo, con un canestro di Fukuda.
«Incontro finito, 96 a 84 per la squadra di
casa, lo Shohoku!», esclamò Hime, dopo aver fischiato.
«Ehi, bella partita», disse Akira,
complimentandosi con Hisashi e, poi, con Kaede, che rispose con un “Hn” e uno schiaffo alla mano che il giocatore del Ryonan
gli porgeva. «Oh, Hime! Bell’arbitraggio, davvero! Ora però potresti darmi il
bacino della consolazione?».
Kaede roteò gli occhi, infastidito, mentre Hime
rideva e gli tirava il pallone in viso. Non si accorse che la ragazza gli era
trotterellata alle spalle finché non si appese al suo braccio. «Che vuoi? Già
fatto con quell’idiota?».
La rossa rimase per un attimo interdetta da quel
tono… geloso? No, che diavolo andava a pensare! Nobunaga poteva capirlo, non
lui! Oh, accidenti, accidentaccio ad
Ayako!, esclamò mentalmente. «Scusami se volevo dirti che sei stato
bravissimo, Orso».
«Hn… non c’è bisogno
che me lo dica, lo sapevo già».
«Borioso del cavolo», borbottò Hime, mentre lui
reprimeva un gemito divertito. Due secondi più tardi fu letteralmente investito
da due furie, tali Hanamichi Sakuragi e Nobunaga Kiyota, che s’infuriarono non
poco nel vederli a braccetto come se niente fosse. Per non parlare dell’altro
Araki, che tra il suo compagno di squadra congelato, l’altro civettuolo di
Sendoh e il presunto fidanzato che le ronzava intorno non sapeva più che
diavolo inventarsi per conquistare la sua bella.
Kiyo e Sana scesero sul campo, accompagnate
dall’Armata, che non impiegò troppo tempo per proseguire col baccano che
stavano facendo da quando erano arrivati. Sana si congratulò con tutti i
ragazzi dello Shohoku, Rukawa compreso che, tra tutto il casino di voci e grida
che c’era dovette chinarsi per sentire ciò che la ragazza gli stava dicendo.
Hime, che stava ridendo e scherzando con il fratello e Yoehi, intravide i due e
riuscì a capire solo una frase dal labiale della sua nuova amica.
“Allora ci
vediamo dopo che ti dai una rinfrescata, ti aspetto fuori!”.
«Ehi, Mitchi, non mi dire che quella bionda che
si sta avvicinando è la stessa della sera scorsa?», stava chiedendo intanto
Hanamichi, incuriosito.
Hisashi ghignò, incrociando le braccia al petto.
«Non ti sbagli, per una buona volta. E ci devo anche uscire».
«Solo per una stupida scommessa, ricordatelo»,
ribatté Kiyo, non troppo convinta della cosa. «E vedi di non sbandierarlo in
giro».
«Brucia la sconfitta, vero?», le chiese lui,
chinandosi su di lei e parlandole all’orecchio. Sorrise quando avvertì un suo
brivido. Allora era umana anche lei!
Kiyo chiuse gli occhi, respirando a fondo e
cacciando dalla mente la risatina divertita di lui, che si stava allontanando
verso gli spogliatoi per una bella doccia rinfrancante, seguito da Akira - che,
nonostante la partita persa, non aveva scordato il suo proverbiale sorriso.
Maledetto
stupido!
Continua...
* * *
Buon salve a tutti! Non so quanto questo possa servire, ma
devo doverose scuse a tutti voi che, pazientemente, state seguendo questo
delirio. Ma ho avuto poco tempo libero e la testa troppo occupata dallo studio
per concentrarmi e scrivere qualcosa di accettabile. Perdono per il mese e più
che è trascorso dall’ultimo aggiornamento! ç_ç
Finalmente questa attesa amichevole con il Ryonan è giunta,
e finalmente anche l’attesa rivincita di quella famosa amichevole di debutto di
Hanamichi! Spero vi sia piaciuta. (; Scrivere con la OST di Slam Dunk (Sendoh vs. Rukawa in particolare) è sempre un’ispirazione
sicura!
Passiamo ora ai commenti! *_*
Umbriel: ma ciao! Vedo che condividiamo la stessa passione per il
Sensei! Che uomo, che uomo! *sbava senza ritegno alla Homer Simpson* A-ehm...
dicevo? Ah, sì! Il Sensei *O* XD Son contenta che dopo tanto tempo abbia avuto
la voglia di commentare questa Cosa, è sempre un piacere leggere nuove
sostenitrici! *-* Hime ricambia i complimenti strapazzandoti di abbracci e
bacini (sai, quelli suoi famosi che ti lasciano con qualche costola rotta,
ecco! Ahhh, dove prenda tutte quelle forze ancora non
lo so!) Grazie mille per tutti i complimenti, non so se li merito davvero, ma
intanto mi godo il momento di gloria, alla Hanamichi! :D In questo capitolo si
scopre un po’ di più del padre di Sana, presto nuovi aggiornamenti! :) Grazie
ancora! A presto! ;)
Liricchan: come ti capisco, carissima! Quest’università ci distrugge!
O era giungla? Vabbè, dettagli trascurabili! Prima di tutto ti ringrazio ancora
una volta per tutto ciò che mi scrivi, come già detto non so se meritarmi tutti
questi complimenti, ma sapere che il mio lavoro e l’amore per i personaggi
tutti di Slam Dunk è ripagato è veramente un piacere incredibile! “Ciò che amo del tuo stile
è l'ironia costante che trasmetti al lettore, il che è SUL SERIO una delizia
per gli occhi, anche perchè riesci ad equilibrare la
comicità con un contesto che non sempre è comico, anzi”, cioè... grazie, grazie sul serio! *O* E come hai potuto vedere hai
detto benissimo: il padre di Sana è lo zio di Kaede! :D E ora? Uh uhuh XD Kiyo e Mitchi sono una
gioia per la mia mente malata, adoro farli battibeccare! Spero ti sia piaciuta
la storiella della scommessa... alla fine Hisashi è riuscito a strapparle un
appuntamento. :D E lol, quando ho letto cosa hai
scritto di Haruko son rotolata dalla sedia! Grandissima XD Ancora mi domando a
cosa serva quella ragazza, se non a far diventare un cagnolino Hanamichi, mah!
Grazie, grazie mille carissima! A presto! :*
Grazie anche a tutti coloro che hanno aggiunto questo
delirio tra preferiti, seguite e ricordate! Siete tanti! *O* *vi abbraccia
tutti*
La signora Mitsui si
sentì decisamente meglio appena appoggiò i piedi per terra. Sapeva che il
figlio era sempre molto prudente in moto, soprattutto quando accompagnava
qualcuno con sé, ma quella bambolina
– come la chiamava lui amorevolmente – proprio non le piaceva; solo il rombo
del motore la metteva in soggezione, per non parlare del fatto che lei, così
piccola in confronto al figlio, figurarsi alla motocicletta, doveva stringersi
forte forte alla schiena del ragazzo, per non perdere l’equilibrio. Si tolse il
casco, così grande per una donnina minuta come lei, e sospirò sollevata.
«Non vedo l’ora che ti
prenda la patente, mi sento più sicura in una macchina piuttosto che su
quell’affare», disse lei, mentre Hisashi girava la chiave per spegnere il
motore.
«Prima di prendermi la
patente abbiamo altre spese da affrontare, mà. La
moto andrà benissimo per qualche altro anno». Corrugò la fronte appena sentì il
rumore di una sega elettrica al lavoro.
«Sembra provenire dalla
casa di Akira», disse la donna, stringendosi nel suo cappotto e osservando la
graziosa abitazione tradizionale della famiglia Sendoh. Faceva un fresco
piacevole, quel pomeriggio e il cielo non era dei migliori; nuvole scure e poco
promettenti arrivavano dal mare e probabilmente avrebbe piovuto tra qualche
ora.
«Sì, gli staranno
tagliando la testa. Non sarebbe male, no?».
«Hisashi!».
Lui sorrise, precedendo
la madre per aprirle il cancelletto che portava al piccolo viale d’ingresso
della casa. La signora Sendoh li accolse gioviale, riservando un abbraccio per
entrambi. «Prego, entrate! Gli uomini di casa si stanno dando alla
falegnameria, c’è un caos in giardino! Spero non vi dispiaccia».
«Figurati, Rinako, non è
un problema. Se disturbiamo, però, passeremo un’altra volta», disse Tamaki
Mitsui, togliendosi le scarpe all’ingresso.
«Ma no, ma no. Non
disturbate mai, cari! Ho preparato i dorayaki*, questa mattina, accomodatevi anche in giardino,
così potremo chiacchierare insieme, io porto i dolcetti!».
Hisashi salutò il signor
Sendoh, che si levò gli spessi guanti da lavoro per stringergli la mano. Era un
architetto affermato e competente, alla mano e sempre sorridente proprio come
il figlio. Per Akira il padre, Goro Sendoh, era l’esempio di uomo che avrebbe voluto
diventare un giorno; d’altronde non era un caso se aveva deciso da tempo che
carriera intraprendere all’università, la stessa del padre. Diceva sempre che
l’idea di progettare qualsiasi cosa, da un infisso a un edificio, lo
elettrizzava e lo terrorizzava al contempo, ma doveva essere una sensazione
incredibile poter vedere, poi, le sue idee diventare realtà.
«Ehi, perdente!», salutò
il suo amico Hisashi, ficcandosi le mani nelle tasche dei jeans e osservando il
piccolo cantiere che avevano messo su. «Che combinate?».
Akira sollevò gli
occhiali protettivi sulla fronte, sorridendo. «Abbiamo deciso di allargare la
casa con una piccola ala per gli ospiti», gli spiegò l’aspirante architetto,
indicando lo scheletro portante di legno che sbucava dietro il grande salice.
«L’ingresso sarà proprio lì, da quella parte del giardino; ci saranno due
piccole camere da letto, una stanza comune e un bagno».
Hisashi si grattò la
fronte, perplesso. «Ma casa vostra non ha già delle camere per gli ospiti?».
Il signor Sendoh annuì.
«Sì che le ha. Ma ci stiamo rendendo conto che non bastano per le nostre…
esigenze, ecco».
La guardia dello Shohoku
non capì l’occhiata che si scambiarono padre e figlio, ma non domandò altro.
«Avete bisogno di una mano?».
«Sarebbe una buona cosa,
sì!», ridacchiò Goro. «Ho giustappunto in mente un lavoretto che potresti fare».
E mentre le donne
chiacchieravano tranquillamente su qualsiasi cosa venisse in mente loro,
Hisashi si ritrovò a tagliare delle tavole, seguendo le misure che il signor
Sendoh aveva annotato su un foglio, spiegandogli che erano le assi per i
tramezzi.
«Allora, che mi dici di
quella ragazza… come si chiama? Kiyoko?».
«Kobayashi per te, maniaco».
Akira scoppiò a ridere,
alzando le braccia al cielo. «Tranquillo, non è il mio tipo!».
«E anche se lo fosse…»,
Hisashi lasciò la frase in sospeso, ma la conclusione era ovvia. Quello era il
suo terreno e neanche il suo miglior amico avrebbe potuto calpestarlo.
«Certo che potevi
trovare un’altra scusa per chiederle di uscire», commentò il Porcospino, consulente dell’ammmore,
come lo chiamava Hime.
«Vorrei vedere te, con
una come lei!», esclamò Hisashi. «Dire che devi dosare le parole è poco».
Akira ci pensò sopra
qualche secondo. «Vediamo un po’ di analizzare la situazione… o questa ragazza
ti piace sul serio o è diventata una questione personale in cui devi vincere
per non ferire il tuo smisurato orgoglio, per cui…».
«Oh, no, ti prego, tutto
ma non psicanalizzarmi, Freud!».
Goro Sendoh tirò un
buffetto al figlio. «Suvvia, Akira, non stressarmi Hisashi!».
«Ecco, ascolta le sagge
parole di tuo padre e non rompermi le scatole».
«Io non stresso nessuno,
papà», si difese il ragazzone del Ryonan, con un sorrisino furbetto. «È lui che
si presta, anche senza il lettino dello psicanalista».
Gli altri due scossero
il capo mestamente.
«Comunque, dov'è che la
porti? Hai già deciso?».
Hisashi si strinse nelle
spalle. «Forse. Ma non sono ancora sicuro».
«Come siamo misteriosi!».
«Non spiffero le mie
tecniche di seduzione a te, deficiente».
Akira scoppiò a ridere.
«Tanto prima o poi mi dovrai raccontare se ti ha piantato a metà serata o se è
arrivata fino alla fine».
«Stai pur certo che ci
arriverà, e anche soddisfatta», ghignò quello, ben consapevole delle sue
capacità.
Poco dopo cambiarono
discorso - vuoi perché Akira aveva iniziato a canticchiare qualcosa sul
prossimo scaricamento dell'amico, vuoi perché Goro temette che Hisashi usasse
la sega elettrica per troncargli il collo - e chiacchierarono per un po' della
partita del giorno prima, dei nuovi e dei vecchi giocatori e del vicino inizio
di Campionato.
«È stato un match interessante»,
disse Akira. «Le vostre nuove reclute sono in gamba, i gemelli in particolare.
Complimenti!».
«Sì, son bravi» Hisashi
lo guardò storto, non capendo bene il perché di quel sorrisino sornione che si
era stampato in viso. «Che hai da ghignare ora?».
Akira scosse il capo,
misterioso. «Vedrai, vedrai. Ci sarà da divertirsi».
«Quando hai detto che
inizia il torneo?», chiese Goro al figlio, interrompendo quella loro strana
discussione.
«Il primo dicembre»,
rispose quello. «Son curioso di conoscere il tabellone, ancora non è uscito. Tu
ne sai qualcosa?».
Hisashi fece spallucce.
«No, altrimenti avrei sentito Ayako sbraitare gli incontri e appendere
striscioni per tutta la palestra come fa sempre».
«Quella ragazza è
matta!», rise Akira.
«Perché non sai cosa
tutto non faccia con l’altra esagitata di Hime! Due manager più schizzate non
potevano capitarci».
«Beh, sempre meglio di
niente!», gli strizzò un occhio l’altro, schivando un pezzo di legno che
altrimenti lo avrebbe centrato in fronte. «Ohi, assassino!».
«Magari lo fossi davvero,
ti avrei già fatto fuori».
Goro scoppiò a ridere.
Adorava ascoltarli mentre litigavano - o facevano finta di farlo. Non poteva
immaginare due amici più diversi di loro… forse perché non conosceva Hanamichi
e Kaede, ecco.
«Comunque spero per voi
di non incontrarci subito… mi dispiacerebbe vedervi fuori dal primo turno».
Hisashi alzò un
sopracciglio. «Amico, vedi di svegliarti e torna sulla terra. Incontrarci
all’inizio potrebbe essere una bella cosa, per voi e per tutti gli altri: vi
levereste subito il dente e tornereste a casa senza ulteriore stress».
«Sembri convinto…
bene!», sorrise Akira. «È decisamente più divertente giocare contro un
avversario motivato, piuttosto che con uno che sa già di perdere».
«Allora tu e la tua
squadra farete bene ad allenarvi il triplo, perché non abbiamo alcuna
intenzione di andarcene, se non dopo aver vinto la finale».
*
«Sanako, c'è un ragazzo
al tavolino nell'angolo che ha una brutta faccia, vuoi che lo serva io?».
La barista fece capolino
da sotto il bancone, dove era chinata a raccogliere il contenuto del cestino,
su cui aveva sbattuto contro poco prima, e osservò il brutto ceffo che le aveva
indicato il signor Watanabe. «Oh, non si preoccupi, lo conosco, ci penso io!».
Si rinfrescò velocemente le mani e, asciugandosele contro il grembiule bianco,
si avvicinò. «Ciao! Sei venuto, quindi».
Kaede, che aveva la
testa ciondolante sul dorso della mano, accennò solo un gesto perplesso - mosse
unicamente un sopracciglio, come se gli costasse chissà quale sforzo disumano
muoversi di mezzo millimetro. «Mantengo la mia parola, Tsukiyama».
Lei sorrise, grattandosi
la tempia con la penna che aveva tolto fuori per l'ordinazione. «Cosa posso
offrirti?».
«Una coca, grazie».
Sana tornò due minuti
dopo, con un bicchiere di succo di frutta all'ananas per lei, oltre alla
bevanda per lui. Kaede bevve qualche sorso, attendendo che quella iniziasse a
parlare, ma gli parve che non ne avesse la minima intenzione. Che diavolo, si
era anche scomodato dal suo invitante antro sul divano perché lei gli aveva
chiesto gentilmente di parlargli di qualcosa di così importante e lei neanche
accennava a iniziare. Che poi, che diavolo aveva da dirgli? Se quella era
l'ennesima trovata di una ragazzina in delirio che gli avrebbe confessato tutto
il suo amore da lì ai successivi cinque minuti era più che deciso a farla
fuori, unicamente per il disturbo. Era carina, sì, e diversa dalle altre balde
donzelle che circolavano per quel liceo di teppisti - addirittura non lo
conosceva, fino a qualche settimana prima! - ma non aveva intenzione alcuna di
preoccuparsi di fare il fidanzato. Lui non era portato per certe cose, senza
contare il fatto che il suo cuore l'aveva già rubato il basket e non c'era
posto per nessun'altro. O forse sì, forse un posticino piccolo c'era. O anche
un po' più di piccolo, ecco. Ma non gliel'avrebbe mai detto, a quella svitata,
neanche dopo tutti quegli anni, altrimenti l'avrebbe persa definitivamente, ed
era l'ultima cosa che voleva: Hime Sakuragi in brodo di giuggiole non era mai
un bello spettacolo.
Sana abbassò lo sguardo
sul suo bicchiere, quasi del tutto vuoto. Aveva già prosciugato quel bicchierone?
Doveva darsi una calmata, accidenti! «Dunque, tu... ecco, tu non sai perché ho
voluto parlarti faccia a faccia, vero?».
«Dovrei?».
«Non so... insomma,
vorrei chiederti una cosa, tra tante... ecco... com'è tuo padre?».
Kaede fu preso in
contropiede. Non si aspettava certo una domanda come quella! «Pazzo». Notò
l'espressione perplessa di lei e sospirò. «Una brava persona».
La barista giochicchiò
con il bicchiere, non del tutto soddisfatta. Non che si aspettasse una
biografia completa e dettagliata su vita e miracoli del signor Rukawa, ma
almeno una parolina in più, accidenti... così le rendeva la cosa anche più
imbarazzante di quanto già non fosse. «Beh, tutto qui?».
Il Volpino si poggiò
contro lo schienale, scrutandola in silenzio. Che razza di domande gli faceva?
Voleva sapere com'era un padre, dato che lei non ne aveva mai avuto uno? Perché
non voleva essere impreparata quando quell'uomo che aveva abbandonato sia lei
che la madre sarebbe tornato a casa? O c'era dell'altro? Proprio non capiva.
Sana prese un bel
respiro, decidendo di smuovere un po' la discussione - se di discussione si
poteva parlare, visti i proverbiali monosillabi di lui. «Dovrei darti delle
spiegazioni, quindi... vediamo se riesco a mettere in ordine le cose».
«Sarebbe il caso, sì», disse
Kaede, incrociando le braccia e osservando lo zio di Sendoh che rideva come una
Iena, proprio come il nipote.
«Ecco, ricordi che ti
avevo parlato di mio padre, no? Beh, l'altro pomeriggio abbiamo trascorso
un'oretta insieme e, cavolo, devo dire che dopo un po' di timidezza è stato
come parlare con un vecchio amico. Ma non è questo che voglio dirti». Ridacchiò
nervosamente appena Kaede sollevò un sopracciglio, attendendo impaziente che
arrivasse al punto. «Dunque, il fatto è che ho scoperto come si chiama, il che
è assurdo che non conoscessi il suo nome fino a pochi giorni fa».
«E che c'entro io?».
La barista si mordicchiò
il labbro. «Si chiama Kiichi...».
Lui corrugò
impercettibilmente la fronte. Che devo
dirle? Complimenti per il bel nome?!
«Kiichi Rukawa. È il
fratello di tuo padre... per quello ti ho chiesto com'era lui, per sapere se ci
sono somiglianze o no. Ti ho sconvolto?».
Direi di sì. «Hn». Kaede si passò
una mano tra la frangetta nera, socchiudendo gli occhi e pensando a quella
nuova scoperta. Ricordava che suo padre gli avesse raccontato, un giorno, di
avere un fratello, ma non gli aveva mai detto cosa facesse nella vita o che
fine avesse fatto. Kaede era cresciuto senza conoscerlo e aveva vissuto
tranquillamente senza ulteriori domande; non gli importava poi molto di un
parente che, se non era ancora morto, neanche passava a trovare suo nipote.
Tornò a guardare il signor Watanabe e per un momento pensò a quell'idiota di
Sendoh: lo aveva visto poche volte in compagnia di suo zio, ma ogni volta sembrava
che fosse con suo padre. Chissà se anche suo zio era un uomo socievole e
simpatico come il suo chihi**?
«...Rukawa? Mi hai
sentita?», disse Sana, chinandosi per osservarlo meglio e attirare la sua
attenzione. «Ho detto che, se due più due fa quattro, allora siamo cugini».
«Ma no?». Kaede si
morsicò la lingua per la risposta eccessivamente sarcastica, ma lei non sembrò
prendersela. Anzi, rise. «E ora che hai?».
«Niente, niente», agitò
le mani, con un sorriso delizioso sulle labbra. Finalmente qualcosa di sincero!
«È che ti ho dato una notizia che chiunque avrebbe preso con stupore, ma tu non
hai fatto una piega!».
«E che devo fare?».
Sanako scoppiò a ridere
ancora una volta e lui pensò seriamente che quella ragazzina dovesse avere
qualche rotella fuori posto.
«Non sei stranito?
Voglio dire, siamo parenti!».
Aspetta, eh, ora mi concentro e faccio l'espressione stupita. «Com’è piccolo il
mondo».
«Sì, lo è davvero»,
annuì lei. «Comunque son contenta di avere un cugino come te. Voglio dire, chi
l'avrebbe mai detto? Il ragazzo della terrazza è mio cugino! È eccitante, non
trovi?».
Kaede si strinse nelle spalle.
«È strano, più che altro». Un po' come te.
Voltò lo sguardo distrattamente, appena si accorse di tre persone che fecero il
loro colossale ingresso al bar. Vide prima la testa rossa di Hanamichi che
sbraitava qualcosa alla volta di Yoehi Mito, l'unico ragazzo dell'Armata che
potesse ritenersi normale - almeno, nella norma, ecco - e poi lei, che richiuse
la porta, mentre rideva come un'esaltata.
«Quando si è messo a
strillare come un pescivendolo che la sua lezione non era l'ora dello spuntino
ho temuto gli scoppiasse qualche vena», stava dicendo Yoehi.
«Ohi, io stavo morendo
dalla fame!», si difese subito Hanamichi. «L'hai sentito anche tu il mio stomaco
brontolare, no?».
«Hana, credo che l'abbia
sentito tutta la classe», disse ridendo Hime, dandogli un bacino. Fu
l'esclamazione del fratello a farla saltare dallo spavento.
«E tu che cosa ci fai
qui?!», gridò infatti il rossino, indicando Kaede. «E in compagnia di Nacchan, tra l'altro!».
Hime rimase inebetita
davanti a quella vista. Kaede insieme a una ragazza che non fosse lei o Ayako?
Per di più soli? Dunque non si sbagliava quando pensava che fosse interessato a
Sana... ed era ricambiato, per giunta. Indi per cui Ayako aveva totalmente
cannato le sue supposizioni. Oh, insomma!
Dovresti essere felice per loro, stupida! «Ede, Sana! Che sorpresa!».
«Vi ricordo che lei ci
lavora, qui», fece saggiamente notare Mito, afferrando per il polso Hanamichi,
già partito in quarta con l'intenzione di sedersi con loro e non schiodarsi più
finché non avesse scoperto di che parlavano. «Mi sembra di capire che vogliano
rimanere soli, no?».
«Soli?! Io non la lascio
Nacchan in balia di un Volpino surgelato!», esclamò
Hanamichi, mentre Kaede lanciava un l'ennesimo vaffa nell'aria.
«Ma no, tranquilli!
Potete unirvi a noi, nessun problema!», fece Sana, sorridendo ed alzandosi per
prendere le ordinazioni.
Kaede lanciò un'occhiata
all'amica, che si era stranamente ammutolita. Ultimamente, aveva notato, si
stava comportando in modo bizzarro. Evidentemente era l'influenza della Scimmia
che frequentava a guastarla - non bastava, infatti, suo fratello! Ma non poteva
negare, almeno a sé stesso, che quei suoi strani modi lo insospettivano e lo
preoccupavano.
Hime gli sorrise,
sedendosi accanto a lui. «Allora, abbiamo interrotto qualcosa?», gli chiese,
con tono malizioso ma, se ne accorse anche lei, non troppo convinto.
«Un'interessantissima
discussione sulla dicotomia tra bene e male».
Dopo qualche secondo di
silenzio, le due ragazze scoppiarono a ridere; Hanamichi, più che altro, sembrò
perplesso. «Dì un po', Kit, ultimamente stai leggendo il dizionario per
imparare una nuova parola al giorno?».
«Do'aho, si chiama "cultura".
Cercalo sul dizionario».
Sana sorrise al
battibecco dei due e riuscì a prendere le ordinazioni solo dopo che ebbero
finito di scannarsi - nel frattempo aveva intavolato una piacevole discussione
con Mito sulla musica, dicendole che le avrebbe prestato dei dischi che le
sarebbero piaciuti - poco importava se questi dischi erano di Kiyota, che li
aveva prestati al suo amico... al massimo avrebbe assistito all'ennesimo
delirio tra scimmie, ormai ci stava facendo l'abitudine.
«Ehi, Hicchan, tutto
bene?», chiese preoccupato Hanamichi, vedendola con lo sguardo perso in chissà
cosa.
No, non va bene per niente, Hana, ma mica posso dirtelo ora.
«Certo,
perché? Stavo pensando che stanotte potremmo chiedere a Nobu e Arimi di venire
a cena, che dici?».
Bugiarda, pensò Kaede, osservando i tre parlottare sull'eventualità.
La conosceva troppo bene per capire quando mentiva o meno. E Hime, per quanto
brava fosse, quella volta non era riuscita nella recitazione.
«A proposito della
Scimmia, dov'è finito?».
Hime poggiò il viso sul
dorso delle mani. «Agli allenamenti».
«Certo che potevi
trovartelo più vicino, il ragazzo, Hime», disse Yoehi. «Vi vedete poco e niente
tra gli impegni tuoi e suoi».
Lei fece una smorfia,
rattristandosi. «Non girare il coltello nella piaga, disgraziato!».
«Ecco, perché non lo
molli? Così non mi ritrovo la casa infestata di pulci!».
«Tu non devi parlare, ho
visto come ti guarda Arimi e come guardi lei!».
Hanamichi cadde dalle
nuvole, e fece anche un bel capitombolo, data l'espressione completamente
rincretinita. «E come ci guardiamo?!».
Yoehi scosse il capo
mestamente. «Amico mio, tu sei troppo addormentato per certe cose».
«O troppo preso a pensare
ad altro per accorgersene», commentò Hime, chiaramente riferita alla Babbuina,
come chiamava lei la Akagi.
Hanamichi, rosso come i
suoi capelli, s'inalberò subito. «Qualcuno mi spiega perché ora stiamo parlando
di come ci guardiamo io e Ari-chan, quando prima
stavamo parlando di Hicchan e la Nobu-scimmia?!».
«Argomento esaltante»,
frecciò Kaede, sbuffando. Ricambiò l'occhiata di Hime, ma non riuscì a
decifrarla. Accidenti a lei, che diavolo le stava prendendo? Era e rimaneva
sempre il solito narcolettico Rukawa che non vedeva altro davanti al suo naso
se non il cuscino e il canestro, non poteva capirla sempre al volo, eccheccavolo!
Sanako tornò con le loro
ordinazioni e Hanamichi le chiese di rimanere con loro per due chiacchiere in
compagnia.
«Piaciuta la partita?»,
chiese Hime, bevendo il suo beneamato the verde.
«Oh sì, all'inizio non
capivo tanto, ma Yoehi è stato così gentile da farmi il corso accelerato di
basket», rispose la barista, sorridendo imbarazzata alla volta del ragazzo.
«È un'ottima allieva»,
disse lui, scherzoso. «Fa anche domande intelligenti!».
«Ohi!», esclamò Sana,
tirandogli una lieve spinta che lo fece ridere.
«Magari, se ti capitasse
di venire agli allenamenti, potrei insegnarti qualche tiro», disse pensieroso Hanamichi,
accarezzandosi il mento con fare distratto. «Yoehi saprà anche la teoria, ma in
quanto a pratica sono un genio! Ahaha!».
Il diretto interessato
alzò gli occhi al cielo, tra le risate delle due ragazze e il "Che esaltato" di Rukawa. Era
inutile, se il rossino non riusciva a proclamare la sua genialità almeno una
ventina di volte al giorno stava male, era l'unica spiegazione plausibile. Un
po' come quando Takamiya non faceva la scorta di schifezze e porcherie varie a
tutte le ore, piagnucolando che sarebbe morto di fame se non avesse mangiato
quello squisito panino stra-imbottito.
«Non saprei se nella
pratica sarei così brillante come nella teoria, Hana-kun!»,
disse la ragazza, scostandosi la frangetta dagli occhi. «Sono parecchio negata
negli sport».
«Anche lui», disse
subito Kaede, indicando con un cenno del capo il suo miglior nemico che,
giustamente, iniziò a fumare come una pentola a pressione.
Rimasero al bar per
un'altra mezzora buona, tra le sole chiacchiere di Hanamichi, Yoehi e Sana, e
lo strano mutismo dei due migliori amici - o meglio, di Hime, dato che non era
una novità per Kaede non spiccicar verbo. Per non parlare delle strane occhiate
che, si accorse Sana, quei due si stavano lanciando. Non seppe dire se fossero
di irritazione o di due ragazzi troppo timidi per dire o fare qualcosa; se non
avesse saputo che Hime era fidanzata con quel Kiyota, avrebbe detto che fosse
segretamente innamorata di Kaede. Che i due avessero litigato? No, non era
possibile... poco prima la ragazza sembrava tranquilla, e anche lui; o almeno
così le era parso. Allora cosa poteva essere accaduto? Non che fossero fatti
suoi, lo sapeva bene, ma quei due l'avevano sempre incuriosita dal primo
momento che li aveva visti insieme.
«Ehi, Nacchan, dì un po': ho visto che eri insieme alla bionda
che deve uscire con Mitchi, ieri», disse Hanamichi, avido d'informazioni. «Che
mi sai dire?».
«Hanamichi, sembri una pettegola.»,
lo ammonì Yoehi, sorridendo.
«Che c'è? Devo sapere
tutto se voglio vendicarmi delle volte che mi ha sfottuto, quel maledetto!»,
esclamò il rossino. «Pensa tu se lo scaricasse! Ahaha!».
«Devo ricordarti il tuo
mirabile record?».
Hanamichi s'avvolse
delle fiamme dell'inferno e il suo amico rischiò seriamente di essere colpito
da una delle sue micidiali testate che gli avrebbero fatto passare tutta la voglia
di prenderlo per i fondelli; fortuna sua che Sana s'intromise provvidenzialmente
tra i due, ridacchiando nervosamente e temendo di dover ripulire il pavimento
dal sangue - cosa che avrebbe fatto fare a qualcun altro, data la sua tremenda
fobia.
Il gruppo di amici levò
le tende poco dopo e, insieme, presero la via di casa.
«Ehi Kit, ci degnerai
della tua presenza, stanotte?», chiese Hanamichi, guardando sbiecamente il suo
compagno di squadra.
«E stare con te e
l'altro buffone? Scordatelo».
«Bene, perfetto!»,
sbraitò il rossino, offeso. «Perfetto!».
«Do'aho, guarda che ho
sentito».
Hime sbuffò, stringendosi
nella giacca a vento dallo strambo colore verde acceso, che faceva risaltare
tantissimo i suoi capelli rossi come il fuoco. Forse era meglio così, che Kaede
se ne stesse a casa sua, per quella sera. Voleva pensare solo a Nobunaga e non
dover rischiare di perdersi in pensieri che non la riguardavano. Sì, forse era
meglio così.
«Ehi, Rossa, non me la
racconti giusta», le disse Yoehi, avvicinandosi, mentre alle loro spalle
scoppiava l'Inferno. «Ti vedo strana da un po' di tempo a questa parte».
Lei alzò gli occhi al
cielo, che ormai stava scurendo, e sbuffò ancora. «Non lo so, Yoehi, non lo so
davvero. Non sono fatta per pensare».
«Oh, questo lo sapevo da
tempo!». Schivò all'ultimo momento un calcio che l'avrebbe preso sul suo bel
fondoschiena e ridacchiò. «Fammi tirare ad indovinare».
«Non mi pare di avertelo
chiesto!», protestò lei, ben conscia che quel ragazzo avrebbe azzeccato cosa le
passava per la mente.
«Tu sei gelosa di Rukawa»,
sussurrò lui, per non farsi sentire dagli altri due, che comunque non davano
segni d'interesse, troppo occupati a battibeccare come vecchie bisbetiche.
Se avesse avuto la
possibilità di specchiarsi, Hime avrebbe potuto notare tutte le tonalità dal
rosso al viola che colorarono il suo viso. Accidenti,
accidenti! «Io? Gelosa di lui?! Ah! Ma non farmi ridere!».
«Neghi l'evidenza?»
Yoehi sorrise quando la vide voltare lo sguardo. «Avanti, Hime, non prendiamoci
in giro».
«Non sono gelosa», disse
lei, stringendo le labbra. «Voglio dire... ho solo paura che si allontani
troppo. Ho paura che... che mi rimpiazzi, che trovi una ragazza più importante
di me e che si dimentichi di me, di noi».
«Quindi sei gelosa!».
Hime lo spintonò via, le
guance che le andavano letteralmente in fiamme. Era veramente gelosa e si
sentiva un'egoista, una stupidissima egoista. Come poteva solo sperare che
Kaede non trovasse una ragazza che avrebbe riempito il suo cuore, prima o poi?
Come poteva sperare che potesse rimanere sempre lei l'unica nella sua vita?
Cos'era lei se non solo un'amica? «Un'amica dovrebbe essere felice per lui, che
razza di persona sono?», mormorò, sentendo gli occhi pizzicarle. «Oh, quanto
sono stupida!».
Yoehi le circondò le
spalle con un braccio, stringendosela contro. «Non sei stupida. Tu... gli vuoi
bene, è normale». Cambiò totalmente rotta all'ultimo momento, Yoehi. Stava per
dire qualcosa di estremamente sbagliato e Hime era già abbastanza confusa di
suo per rischiare di darle il colpo di grazia. Aveva visto nascere e crescere
la loro amicizia, sapeva bene quale tipo di legame unisse i due, e sapeva
riconoscere i comportamenti di due amici... e quelli di due che si amavano.
Quando aveva saputo che Hime aveva iniziato a frequentare Kiyota era rimasto
parecchio perplesso, ma non aveva osato ribattere; tutto sommato era ben felice
che la sua amica avesse trovato qualcuno che sembrasse fare per lei,
soprattutto uno che non parlava a monosillabi e che avrebbe potuto dimostrarle
dell'affetto senza che si vergognasse di farlo davanti al mondo. Ma conosceva
la ragazza e conosceva anche Kaede per sapere che presto o tardi le cose
sarebbero cambiate. «Su, tranquilla.», le disse, sorridendo. «E poi, se vuoi
saperla tutta, Sanako non mi è sembrata molto interessata a lui».
Lei si asciugò le
lacrime, ridendo poi per il suo comportamento. «Dici?». Al cenno affermativo
dell'amico lei fece una smorfia divertita. «Sei un bugiardo. Ma ti ringrazio».
Yoehi le diede un
leggero bacio tra i capelli e pensò che Sana non fosse veramente interessata a
Kaede. Durante la partita non aveva tolto gli occhi di dosso a Sendoh, tra una
chiacchiera e l'altra, cosa che, per altro, gli aveva dato parecchio fastidio.
Kaede li lasciò
all'incrocio successivo e Hanamichi gli lanciò tanti di quegli improperi che li
sentì finché non tornò a casa sua. Il Volpino, nonostante tutto, sarebbe
rimasto a cena dai gemelli, ma aveva ricevuto troppe novità quel giorno per
rilassarsi con le idiozie di quelle due scimmie; non che la scoperta di avere
una cugina, per di più quella Sanako, lo avesse steso, ma era pur sempre una
sorpresa per lui. Per non parlare di quella scema di Hime, che non faceva altro
se non preoccuparlo ancora di più. Aveva altro a cui pensare, il Campionato
Invernale prima di tutto, non poteva permettersi distrazioni di alcun genere;
eppure non riusciva a smettere di vedere quegli occhi castani che lo
osservavanotristemente... forse feriti?
Si richiuse la porta
alle spalle, togliendosi le scarpe e buttando il giubbotto sulla prima poltrona
disponibile. Il padre era ancora in ospedale per il suo turno e avrebbe passato
l'ennesima serata in solitudine. Sbuffò quando aprì il frigorifero e notò che
c'era ben poco da mangiare. Non aveva assolutamente voglia di andare a fare la
spesa come una casalinga. Richiuse l'elettrodomestico con un colpo secco e
decise bene di coricarsi sul divano, davanti alla tv, sperando di trovare
qualche partita interessante. Chissà cosa stavano facendo quelli lì senza di
lui?
*
«Ehi, Scimmia Rossa! Giù
le mani da mia sorella, pedofilo!».
«Cosa dovrei dire io,
maledetto?!».
«Io non ho un anno più
di Hicchan!».
«E che diavolo c'entra?
E poi Ari-chan è ben felice di farsi truccare da me!».
«Ben felice? Ma se
sembra un panda!».
«Ah beh, parla quello
che sa truccarsi, travestito!».
«Ho perso una
maledettissima scommessa, idiota!».
Arimi e Hime si guardarono
mestamente, non sapendo bene se ridere per come si stavano conciando o
preoccuparsi per l'incolumità dei loro fratelli. La geniale idea era nata dalla
mente contorta di Yoehi, che zitto zitto, se ne stava
in un angolo a ridere come un deficiente; avevano iniziato a parlare di
Halloween, che sarebbe stato il giorno dopo, ed era partita la sfida della
maschera migliore tra i due deficienti di turno.
No, forse Kaede non si
stava perdendo niente. Decisamente.
Continua...
* * *
*dorayaki, è un dolce formato da
due pankake simili al nostro pan di spagna (kasutera) e riempito con l'anko,
una salsa di fagioli di azuki.
**chihi, in giapponese "padre", quando ci si riferisce al
proprio parente.
E dopo neanche troppo tempo di attesa ecco il nuovo
capitolo! Ho messo un altro po' di carne al fuoco, le cose iniziano a
delinearsi meglio... spero di non aver deluso nessuna delle vostre aspettative.
:)
Sono reduce da una settimana distruttiva passata a stare
dietro ad una comitiva di tedeschi con altri colleghi e non ho la testa per
rispondere con dettaglio a tutte come faccio sempre. Risponderò a grandi linee
alle domande più interessanti ;) Prima di tutto voglio ringraziarvi per i
vostri splendidi commenti - Umbriel, The White
Lotus23 e Liricchan -, è sempre una gioia sapere
che vi diverto e soprattutto che i personaggi siano IC! *O*
Per la possibilità di vedere Sana e Kaede insieme è vero,
legalmente è possibile, e li vedrei anche come coppia... Insomma, lei è
veramente un'imbranata mentre lui è impeccabile in tutto! Lo scopriremo
vivendo, però; ho un piano da quando ho iniziato a scrivere Wild Boys e credo che continuerò a seguirlo! Anche
perché ho in programma di scrivere anche l'ultimo capitolo di questa
"saga", quindi le sorprese non finiranno qui. ;)
Comunque adoro il basket e scrivere alcuni passaggi delle
partite o degli allenamenti è veramente divertente, per niente noioso: l'unico
problema è che il basket è uno sport entusiasmante da vedere e ho sempre paura
di non rendergli giustizia con le parole, quindi cerco di non esagerare troppo.
:D
Perdono ancora se non ho risposto a tutte, ma son veramente
troppo stanca. Dal prossimo capitolo torno carica come prima! *O*
Grazie anche a tutti coloro che hanno aggiunto questo
delirio tra preferiti, seguite e ricordate! Vi adoro!
Un abbraccio enorme!
Marta.
PS: ho aperto un account
di Facebook che utilizzerò per gli aggiornamenti
e le novità di EFP, chiunque voglia aggiungermi è liberissimo di farlo. J
Capitolo 12 *** 11. Non svegliare il can che dorme. ***
Ni-hao a tutti
Capitolo 11
Non svegliare il can che
dorme.
«Non dovresti
strapazzarti così, finirai per stancarti!».
Kiyo sbuffò, alzando gli
occhi al cielo limpido. Era la decima volta che Sana le ripeteva che i suoi
allenamenti supplementari, in vista delle qualificazioni del giorno dopo, non
avrebbero fatto altro che non giovarla, ma non ne voleva sentir parlare. Doveva
dare il massimo, doveva sudare e allenarsi duramente per raggiungere i suoi
scopi, così da potersi voltare indietro, un giorno, e complimentarsi con se
stessa per la sua caparbietà. Non voleva piangersi addosso. «Mi pare che il
ragazzo qui presente si alleni oltre il dovuto, eppure guarda dove è arrivato».
Kaede aprì un occhio,
solleticato da quella discussione. Era ovvio che Sanako - sua cugina! - non
avesse idea di cosa significasse amare uno sport e dare tutta l'anima e il
corpo per migliorarsi e fare il massimo; lui, invece, capiva bene le parole
della finta bionda e non poteva che darle ragione. Se avesse mollato proprio in
quel momento non sarebbe andata avanti mai più.
«Sì, lo vedo! E infatti
è perennemente stanco, guardalo! Neanche riesce a tenere gli occhi aperti!»,
replicò Sana, incrociando le braccia, imbronciata.
«È così da quando è
nato, o almeno i Sakuragi dicono così», fece una voce maschile, sorniona.
«Hanamichi dice che è nato sbadigliando».
«Il Do'aho dice tante
stronzate, Mitsui», sbuffò il Volpino, tornando a sonnecchiare.
Kiyo si morsicò un
labbro nel vedere la Guardia dello Shohoku che si avvicinava con le mani in tasca
verso di lei, con un sorrisino di scherno che avrebbe tanto voluto cancellargli
a suon di schiaffi.
«Buongiorno, signorine»,
disse lui, sedendosi accanto alla ragazza, facendo l'occhiolino alla sua
collega.
«Mitsui, da quando hai
deciso di trascorrere il pranzo qui?», gli chiese Kiyo, mostrandosi
infastidita.
«Ti disturba la cosa?».
No.
«Forse».
Il sorrisino di Hisashi
si allargò, mentre allungava le gambe bene distese sul pavimento. «Son passato
a chiederti una cosa. Indovina?».
Kiyo vide bene di parare
le cose prima ancora che lui parlasse. «Non posso, né oggi né questo fine
settimana».
«Veramente non dovevo
chiederti di uscire ora, ma a quanto pare tu non vedi l'ora». Il cestista
scoppiò a ridere nel vederla spaesata e imbarazzata. Aveva fatto centro, allora!
«Ah, non eri qui per
quello?». Kiyo, raddrizza il colpo,
avanti! «Meglio così, perché non mi piace l'idea di dover uscire con te per
quella maledetta scommessa».
«Sì, come no», cantilenò
lui, voltando lo sguardo verso il basso della ringhiera. Come sempre i gemelli
Sakuragi stavano dando il meglio di sé con gli altri ritardati del gruppo. Si
alzò, poggiandosi alla balaustra con gli avambracci, e gridò: «Ehi! Vi si sente
fin qui, deficienti!». In risposta Hanamichi stava per dargli le spalle e
abbassarsi i pantaloni per mostrargli il suo bel deretano, se non fosse stato
per l'intervento provvidenziale della sorella che, più rossa dei suoi capelli,
gliel'aveva impedito. Due minuti più tardi l'Armata arrivò al trotto e al
galoppo in terrazza, per la gioia di Kaede che vide ben chiara davanti a sé la
fine della tranquillità, la perdita del suo ultimo baluardo di solitudine.
«Hime, grazie per averci
risparmiato lo spettacolo», disse Hisashi, mentre quella si sedeva davanti a
lui, stando ben attenta a coprire le vergogne che con quella gonna svolazzante
erano sempre in agguato. Odiava quella divisa!
«Hai detto bene, Baciapiselli, il mio è uno spettacolo! Ahaha!», esclamò Hanamichi, ridendo come un matto. La
risata gli morì in gola appena vide il suo acerrimo
amico seduto dall'altra parte del terrazzo. «E tu che ci fai qui?!».
«Un tempo ci dormivo,
qui, Do'aho».
Il rossino si voltò
verso la gemella. «Tu sapevi dove il volpino andava a rifugiarsi?». Hime annuì,
sorridendo. «E non me lo hai mai detto?!».
«Beh, so che quando
viene qui vuole starsene a sonnecchiare in tranquillità... E Hana, luce dei
miei occhi, sai bene che quella parolina con noi non attacca, vero?».
«Sonnecchiare?».
«Tranquillità, baka!».
«Che ora è andata a
farsi fottere», fu il serafico commento della Volpe, lanciando un'occhiataccia
al suo amico, che gli si sedette accanto per rompergli le palle - sorpresa,
sorpresa!
«Quindi domani hai le
qualificazioni?», stava chiedendo intanto Hisashi alla ragazza seduta accanto a
lui, che aveva rinunciato ad accendersi una sigaretta vedendo le sue cattive
intenzioni. «A che ora sono?».
Kiyo lo guardò di
sott'occhi. «Che c'è, vuoi venire a fare il tifo?».
«No, verrei a vedere
belle ragazze in costume da bagno», rispose quello, facendo ridere Hime e
Yoehi, che li aveva raggiunti mentre gli altri tre erano tornati in cortile per
una scommessa. Di cosa si trattasse non era dato saperlo.
«Ah, Hisa,
se non ti conoscessi non mi meraviglierei!», disse la rossa, strizzando un
occhio alla nuotatrice.
«Ehi, non sono così
disperato come tuo fratello, scema». Contemporaneamente Hanamichi starnutì,
chissà per quale motivo.
«Oh, sarebbe bello se ci
fossi anche tu, Senpai!». Sana sorrise allegra all'amica, non accorgendosi
dell'occhiata malefica dell'altra - uno degli sguardi che uccidono di
Hanamichi, per intendersi. «Magari potete venire anche voi, che ne dite? Sono
alle tre!».
Yoehi fece spallucce.
«Perché no?».
«Portiamo anche gli
striscioni?», chiese entusiasta Hime, che già si vedeva a fare casino in
tribuna.
Kiyo borbottò qualcosa e
quando Mitsui le chiese di ripetere lei arrossì lievemente. «Ho detto che...
che mi imbarazza, ecco tutto».
Hisashi si grattò il
mento, e lei notò per la prima volta la cicatrice che aveva. «Beh, questi qui
sono imbarazzanti di loro, non credo cambi qualcosa se si mettono a starnazzare
per darti la carica, anzi. A volte il supporto degli amici è fondamentale per dare
il massimo, sai?».
Hime sorrise e gli
strinse la mano, riconoscente. Sapeva bene che era rivolto a lei e alle poche
persone che, dopo la sbandata presa per l'infortunio, gli erano rimaste vicino,
per dargli tutto l'aiuto morale di cui aveva bisogno. Akira in primo luogo.
«Come se avessi molti
amici, io», biascicò Kiyo, giocando con il pacchetto di sigarette ancora chiuso.
La seconda manager dello
Shohoku si mise inginocchiata, avvicinandosi alla bionda e sorridendo. «Non è
mai troppo tardi per trovarne, no? Puoi star certa che se non ti piacciamo ti
staremo lontani».
Il piccolo sorriso che
si fece largo sulle labbra di Kiyo contagiò tutti, Sana in primis. Era la prima
volta che la sua unica e migliore amica si apriva con qualcuno che non fosse
lei e ne era felicissima; soprattutto perché conosceva le persone in questione
e non poteva non esserne entusiasta. Erano sempre state loro due e, per quanto
diverse, formavano una coppia affiatata; eppure in cuor suo aveva continuamente
sperato di trovare un gruppo di amici che fosse unito, fedele e, perché no?,
anche un po' pazzo, proprio come loro - anche se effettivamente erano un po'
più di pazzi, ma quello era un altro discorso.
«D'accordo, mi prendete
per sfinimento», sbuffò Kiyo, non riuscendo bene a nascondere il sorriso di
sollievo.
Hisashi, accanto a lei,
strinse gli occhi, pensieroso. Poi si alzò, allungandole una mano per invitarla
a fare lo stesso. «Vieni, voglio farti vedere una cosa».
La bionda lo osservò
stralunata e incuriosita, ma si alzò senza dire una parola, tuttavia senza
accettare la mano grande di lui. Era pur sempre convinta che quel ragazzo, così
come Toshiro, si dimostrasse gentile - per quanto potesse concernergli una
parola del genere - solo per abbindolarla. Non si sarebbe lasciata ingannare da
quel sorrisino sensuale e da quegli occhi blu intensi. No. Mai. Già.
«Ehi, Mitchi, vi state
nascondendo in qualche antro segreto per fare porc---?
Ohi, Kit! Ti ammazzo!».
I due neanche si
degnarono di chiedergli se il pugno che Rukawa gli aveva assestato, in una
splendida imitazione del King Kong, gli avesse fatto troppo male, sparendo poco
dopo chissà dove.
Rimaste solo Hime e Sana
a chiacchierare, Yoehi vide bene di lasciare le ragazze da sole, per portarsi
via un Hanamichi che stava rischiando seriamente la vita, rompendo le scatole
ad un Volpino più addormentato che mai. E si sa, quando Kaede Rukawa vuole
dormire non c'è Do'aho che regga.
La rossa si appoggiò
alla ringhiera, osservando il suo migliore amico che, con la testa corvina
ciondolante, entrò in letargo qualche secondo dopo che quei due sparirono. A
volte invidiava la sua innata capacità di addormentarsi anche sugli spilli.
«Com'è carino quando
dorme», fece Sana, sorridendo allegra. Era felice, incredibilmente felice.
Tutto stava andando per il meglio, o almeno quasi tutto, e non poteva non
sentirsi a tre metri da terra. L'aver ritrovato un padre, le nuove amicizie, la
scoperta di avere un cugino come Rukawa... era tutto, tutto troppo bello. E non
poteva trattenersi dal sorridere per ogni minima cosa.
Hime si ritrovò a
serrare i denti e si diede mille volte della stupida appena se ne accorse. «Io
lo chiamo Orso. Entra in letargo ogni qualvolta ne abbia la possibilità, altro
che risvegliarsi in primavera!». Si voltò verso la sua nuova amica quando si
sentì osservata. Cos'era quello sguardo?
«Gli devi volere molto
bene, vero?».
Sulle sue belle labbra
comparve un sorriso senza che neanche se ne accorgesse. «Tanto, non mi
stancherei mai di dirglielo e di dimostrarglielo».
Sana si strinse le gambe
contro il petto, poggiando il mento sulle ginocchia e guardando il ragazzo, che
ronfava beatamente, incurante di essere il protagonista delle loro discussioni.
«Anche lui te ne vuole, si vede da come ti guarda».
«E come mi guarda?»,
domandò Hime, arrossendo lievemente. Non poteva crederci, arrossiva per il suo
migliore amico! Ma che diavolo le saltava in mente?!
Sana fece spallucce,
ridacchiando. «Non è di molte parole, mio cugino, ma i suoi occhi parlano più
di qualunque altra cosa». Poi, rendendosi conto di quello che aveva appena
detto, strabuzzò gli occhi. «Oh! Che effetto strano mi fa chiamarlo cugino!».
«...cugino?».
«Non te l'ha detto? Deve
essersene dimenticato», rimuginò su Sana, pensierosa. Come se fosse normale,
poi, dimenticarsi di una notizia così importante. «È il figlio del fratello di
mio padre... che ho ritrovato qualche giorno fa. Effettivamente sta succedendo
un po' tutto troppo in fretta e forse ancora non mi rendo conto! Cioè, ho un
padre e un cugino, non è bellissimo?».
Hime ci mise un po' a
risponderle; continuava a ripetersi "sono cugini, sono cugini, sono
cugini"! Sorrise e poi scoppiò a ridere, la rossa, abbracciando la piccola
barista e baciandola sonoramente. «Sono così contenta per te, davvero! E io
sono così scema che mi prenderei volentieri a schiaffi!». All'occhiata
perplessa e insieme divertita di Sana, Hime si coprì il volto con le mani,
imbarazzata. «Pensavo che piacessi a Ede».
«Cosa?!», esclamò
quella, tanto forte che il Volpino si rigirò nel sonno, infastidito.
Hime si grattò il naso,
ridacchiando. «Sì beh, io e Ayako siamo le uniche che lo avvicinano... Mi son
detta, cavolo, questa volta ci siamo!».
«Uhm... sembri quasi
gelosa», le canzonò Sana. «Dai, non fare quella faccia, a me puoi dirlo».
La manager dello Shohoku
sbuffò, abbassando lo sguardo. «Mi ha detto la stessa cosa Yoehi, mi spaventi».
«Oh, io e quel ragazzo
ci capiamo più di chiunque altro!», esclamò ridendo Sana, ripensando al loro
comune amico. «Comunque, me ne vuoi parlare? Tanto lui dorme e non sente».
Hime rimase in silenzio,
torturandosi l'orlo della gonna grigia. «Non è gelosia, davvero... è paura di
perderlo. Sai, io sto con Nobu e ho sempre cercato di non trascurare né lui né
i miei amici... quando mi ha stuzzicato l'idea che potesse essere interessato a
te mi son chiesta se lui farebbe lo stesso. Gli voglio così bene che... non
riesco a immaginare la mia vita senza lui, così come non potrei vivere senza
Hanamichi».
Nessuna delle due si
accorse che Kaede era tutto fuorché addormentato e approfittò del fatto di dare
loro le spalle per lasciarsi sfuggire un sorriso.
«Sai, son davvero così
felice che Ede abbia trovato una cugina come te, potrebbe giovargli al suo
brutto carattere», disse Hime, ora seria. «Non ha mai avuto un parente stretto
che gli stesse vicino quando la mamma se ne andò, tranne suo padre. Gli farà
bene».
Sana sorrise, annuendo.
«Ma la madre... come mai se ne andò?».
La rossa sospirò,
guardando la schiena dell'amico. «Morì quando aveva otto anni. È stato un
brutto periodo, davvero. Per quello non è mai stato avvezzo alla compagnia
femminile». Ricordava benissimo gli occhi di Kaede il giorno del funerale. Era
un bambino sveglio per capire che la sua mamma non sarebbe più tornata, il che
aveva reso le cose facili al padre, almeno in quel senso. Kaede era caduto in
un mutismo preoccupante, dal giorno, e neanche lei e il fratello, sulle prime,
erano riusciti a sbloccarlo. Aveva pianto tanto per l'amichetto, perché quella
signora bella e gentile le mancava tanto, perché sapeva che soprattutto a lui
mancava più di ogni altra cosa; aveva pianto perché si era sentita una bambina
che non era capace di stargli vicino e di fargli pensare ad altro, ma anche
troppo piccola per capire che invece la sua vicinanza era stata di fondamentale
importanza per lui.
Ricordava benissimo
quegli occhi, così bene da essere sicura di non volerli rivedere mai più. Non
avrebbe sopportato ancora una volta di vederlo soffrire nel suo pesante
silenzio. Aveva sempre sostenuto che Kaede parlasse con gli occhi, ma per
parecchio tempo quegli stessi occhi non avevano più detto una sola parola.
Stava male al solo pensarci. Era anche per questo motivo che non voleva
perderlo, perché voleva renderlo e vederlo tranquillo, felice; e lei sapeva, in
cuor suo, di riuscirci. Cosa sarebbe successo il giorno in cui Kaede avesse
trovato la persona giusta per lui, che lo avrebbe reso felice al posto suo?
Le mani piccole di Sana
afferrarono le sue con forza appena quella si accorse di una lacrima che le
scivolò lungo la guancia. «Non ho mai visto un'amicizia forte come la vostra,
davvero, mi commuove. Stagli sempre vicino, son sicura che anche quando
arriverà il momento di amare qualcuna lui non ti lascerà andare via. Sei una
ragazza troppo preziosa per perderti».
Kaede si voltò su un
fianco, mettendosi a sedere e guardando attonito l'amica che piangeva. Per lui.
Hime rimase paralizzata
nel rendersi conto che, evidentemente, avesse sentito tutto e si asciugò
velocemente le lacrime, sorridendogli. «E-Ede! Dormito bene?».
«Io tolgo il disturbo»,
sussurrò Sana, sorridendole e salutandoli subito dopo.
Rimasero a guardarsi per
qualche secondo senza dire niente, un periodo di tempo in cui Hime non respirò.
Non aveva mai permesso a Kaede di vederla così impaurita, sebbene molte volte
gli avesse confidato i suoi timori, di qualunque genere essi fossero. Eppure in
quel momento non riusciva a smettere di pensare che fosse sbagliato, che non
avrebbe dovuto lasciarsi andare così tanto con il rischio che lui potesse
sapere. Cosa che, per altro, era accaduta.
Quando Kaede si alzò e
le andò incontro lei deglutì a fatica e il sorrisino finto che aveva sfoggiato
poco prima svanì nel momento in cui lui s'inginocchiò davanti a lei e
l'abbracciò con forza.
«Sei una stupida». Però mi piaci così.
Hime ridacchiò tra le
lacrime. Quello era decisamente il modo migliore che Kaede conoscesse per farle
sapere che apprezzava il gesto. «Già, preoccuparmi per uno come te, inaudito!».
Gli tirò una gomitata appena lui le diete un pizzicotto con l'intento di farle
male, contrariato.
«Io non vado da nessuna
parte», le disse, scostandole un ciuffo rosso dalla fronte.
«E se dovessi partire
ricordati di mettermi in valigia».
«Hn...
se continui a mangiare come tuo fratello non ci entrerai mai».
Il pugno che gli rifilò
in pancia rimbombò per tutto il terrazzo. Mai dire a una ragazza che sta
mettendo su qualche chilo.
*
Kiyo seguiva il ragazzo
a qualche passo di distanza, le braccia conserte e l'espressione più perplessa
e scocciata che riusciva a sfoggiare. Non sapeva dove la stesse portando e lui
non aveva intenzione di svelarle il mistero. Camminando dietro di lui poteva spiarlo
senza che lui se ne accorgesse - o almeno sperava che non avesse occhi anche
sulla nuca - e si ritrovò a pensare che fosse carino, dannatamente carino.
Anzi, dire carino era anche riduttivo in quel caso, ma era troppo orgogliosa
per ammettere anche a se stessa che Hisashi Mitsui le piacesse terribilmente,
per lo meno dal punto di vista fisico. Caratterialmente era un borioso idiota,
o presunto tale.
Scesero fino al pian
terreno, diretti verso la palestra di basket, a quell'ora completamente
deserta. Non vi aveva mai messo piede in momenti come quelli, dove anche il
minimo rumore echeggiava per qualche secondo contro le pareti.
Hisashi camminò fino al
centro campo, raccogliendo un pallone dimenticato dalle matricole - avrebbe
dovuto ricordare ai nuovi acquisti che le pulizie si dovevano fare bene! - e se
lo rigirò su un dito, guardando la ragazza.
«Si può sapere perché mi
hai portata qui?», chiese lei, nascondendo la sua curiosità in un tono
infastidito.
«Prima di un incontro
importante vengo sempre in palestra, quando non c'è nessuno a rompermi le palle»,
le spiegò. «Chiudo gli occhi e palleggio, mi concentro solo sul suono del
pallone che rimbalza sul parquet. È un buon modo per concentrarsi e rilassarsi
quando si è tesi. Dovresti farlo anche tu, vai in piscina e rilassati, vedrai
che avrai la mente sgombra da pensieri e preoccupazioni».
Kiyo socchiuse le labbra
per dire qualcosa, ma restò in silenzio appena lo vide avvicinarsi alla linea
dei tre e tentare uno dei suoi micidiali tiri. Che ovviamente mise a segno
senza neanche toccare il ferro.
«Meglio che fumare una
sigaretta, certo», mormorò lei, abbozzando un sorriso.
«Finirai con
l'ammazzarti se continui con questo passo», l'ammonì lui, recuperando il
pallone e passandoglielo. Lei per poco non lo fece cadere.
«Ehi! Vuoi spezzarmi i
polsi, per caso? Questa palla è pesantissima.».
Lui sbuffò. «Non fare la
delicatina, non ti si addice». Si ficcò le mani in tasca, facendole un cenno
con la testa. «Avvicinati, ti insegno il tiro dalla lunetta».
«E perché dovrei?»,
domandò lei, muovendo comunque qualche passo. «Neanche mi piace il basket».
Hisashi ghignò. «Ti farò
cambiare idea, vedrai».
«È un'altra scommessa?».
«Chiamala come vuoi,
vincerò comunque io. Di nuovo».
Kiyo gli fece una
smorfia, guardandolo dal basso del suo metro e settanta scarso. «Che devo
fare?».
Hisashi si posizionò
alle sue spalle e per un attimo il profumo dei capelli di lei lo fece fremere. Albicocca. «Prima di tutto divarica
leggermente le gambe: sono loro che danno la forza al tiro, non le braccia».
Kiyo sospirò quando sentì le mani grandi di lui che accompagnavano le sue
braccia, per indicarle la posizione migliore da acquisire. «La mano sinistra è
solo di appoggio e deve rimanere quasi ferma durante l'esecuzione del tiro.
Mettila sotto il pallone, così. La mano destra, invece, è quella che compirà il
movimento del polso. Porta la palla sopra gli occhi e piega il braccio così».
«Non è una posizione
comodissima, eh», si lamentò Kiyo, cercando di non badare alla presenza dietro
di lei.
«Solo questione di
abitudine», disse lui, sorridendo. «Ora piega le gambe e contemporaneamente estendi
il braccio quando torni su».
Kiyo fece come detto e
il pallone, dopo una parabola un po' incerta, toccò il ferro, senza centrare il
canestro. «Che merda».
«Ringrazia che abbia
toccato il ferro, sai quante volte capita ai principianti di non sfiorarlo
nemmeno? Sei stata brava», le disse sincero.
Lei sorrise, a disagio.
«Grazie, ma non devi dirlo solo per compiacermi».
«Stai tranquilla che se
fai schifo non faccio giri di parole per dirtelo». Hisashi le passò accanto,
per recuperare il pallone. E lei riprese a respirare normalmente quando lui le
si allontanò.
«Quindi domani verrai?».
«Certo. Anche perché
appena finisci ti porto a cena fuori. E non voglio sentire scusanti».
Kiyo roteò gli occhi.
«Sbruffone».
«Acida».
«Sempre molto cortese
con le donne, eh?».
«Tu sei un maschiaccio,
mica una donna!». Scoppiò a ridere appena lei iniziò a rincorrerlo,
lanciandogli improperi e bestemmie come il miglior scaricatore di porto.
*
«Ehi, amico, grazie per
l'aiuto che ci stai dando!», disse Akira, dando due pacche sulle spalle al suo
migliore amico. «Potresti darti alla carpenteria, da grande!».
«Come no», rispose
Hisashi. «Al massimo m'iscrivo in architettura con te, idiota. Anche se l'idea
di doverti sopportare per gli anni a venire mi fa sentire male».
Akira ridacchiò. «Come se
non sapessi che mi vuoi bene».
«E finiscila», sbottò,
mentre quello scansava un calcio.
«Potremmo aprire uno
studio insieme, che ne dici?», fece pensieroso Sendoh. «Potremmo chiamarci, che
so... V. P. S.!».
«Sarebbe a dire?».
«Village
People Studio!».
«A volte mi fai
seriamente pensare che tu sia un po' gay, amico», disse Hisashi, ridendo con
lui.
Stavano tornando a casa
del giocatore dello Shohoku e, dato che i genitori di Akira avevano deciso di
andare a cena fuori, il Porcospino hentai aveva
pensato bene di trasferirsi per una notte dall'amico. Adorava scartavetrargli
le scatole fino a tardi!
«Oh, ma guarda, la lasci
sola soletta in balia delle intemperie?», chiese melodrammatico Akira, indicando
la moto dell'amico, parcheggiata nel minuscolo cortiletto d'ingresso.
«No, appena fa freddo la
porto in casa e la metto sotto le coperte davanti a una buona tazza di latte»,
disse sarcastico Hisashi. «Mica ho un garage, io».
Sendoh sorrise di sbieco
e fortuna sua che l'altro non lo vide. «Mai dire mai, amico mio», mormorò,
alzando gli occhi blu alla luna, incredibilmente luminosa quella sera.
Fu il fracasso di un
piatto in ceramica che si frantumava contro il pavimento che li fece scattare
entrambi sull'attenti.
«Che diavolo...», sbottò
Hisashi, aprendo velocemente la porta e precipitandosi in casa, verso la
cucina. «Mamma!».
Akira lo raggiunse
subito e il sorriso che poco prima gli increspava le labbra svanì nel momento
stesso in cui vide quel verme di uomo contro la madre dell'amico. Era ubriaco,
come sempre, ma la cosa preoccupante era l'altro piatto che teneva in mano,
sollevata verso l'alto per lanciarlo, magari contro la moglie.
«Che cazzo stai
facendo?!». A gridare non fu Hisashi, troppo preoccupato per l'incolumità della
madre, bensì il calmo e mite Akira Sendoh: chiunque l'avesse visto in quel
momento sarebbe scappato a gambe levate.
«Ma guarda, è arrivato
il fidanzato di tuo figlio!», disse sprezzante l'uomo, ghignando. Fece per
usare il piatto contro il ragazzo, ma Akira era più veloce e lucido di lui,
oltre che il doppio di statura e stazza, e gli fermò il polso con facilità,
strattonandolo via da Tamaki, in lacrime tra le braccia del figlio.
«Non costringermi a
farti del male, brutto pezzo di merda», sussurrò Akira, piegandogli il braccio
dietro la schiena e facendolo gemere per il dolore. «Vattene e stai alla larga
da questa casa, sono stato chiaro?».
Hisashi, nel frattempo,
portò via la madre dalla cucina, facendola sdraiare sul suo letto per farla
tranquillizzare un poco, e chiamò la polizia per denunciare l'aggressione.
«E chi me lo ordina?
Tu?». L'uomo scoppiò a ridere, nonostante il forte dolore al braccio ancora
bloccato.
E Akira non ci vide più.
Forse fece la cosa più stupida e avventata che potesse venirgli in mente in
quel momento, ma non tollerava che quel disgraziato rovinasse la vita del suo
migliore amico e della madre, rischiando anche di fare loro del male. Il pugno
che gli tirò in pieno viso fu come una ventata di aria fresca in una giornata
afosa e si sentì decisamente meglio. Non era tipo da fare a cazzotti, lui, ma
era quel genere di persona che, se fatta innervosire al punto giusto, poteva
scoppiare come una bomba a orologeria.
L'uomo gridò dal dolore,
mentre il sangue usciva copioso dal naso ora rotto.
«Allora, vai a morire
all'Inferno o ti ci devo mandare io?», gli chiese Akira, strattonandolo e
spintonandolo fuori casa. «La prossima volta che ti vedo a meno di cinquanta
metri da loro due ti ammazzo».
Richiuse la porta con
veemenza e strinse i pugni, il limite della pazienza ormai superato da un
pezzo. Aveva la faccia dura, quel maledetto!, pensò guardandosi la mano
indolenzita. Si voltò verso l'amico, che era tornato dalla camera da letto, e
aprì la bocca per parlare, ma si bloccò. Hisashi stava tremando dalla rabbia.
«Come sta tua madre?».
Mitsui prese un respiro
profondo e chiuse gli occhi, per calmarsi. «Sta di sopra, non smette di
piangere. Tu come stai? Avresti dovuto lasciarlo a me, stupido».
Akira scosse il capo.
«Volevo farlo da tempo, ma avrei preferito che non fosse successo niente»,
disse, avvicinandosi alla finestra per controllare che se ne fosse andato. Era
a qualche decina di metri di distanza, piegato su se stesso con le mani verso
il naso. Gran bel destro, Akira, mai
pensato di fare il pugile? «Torna da Tamaki-san, io ripulisco il pavimento
da quello che resta dei piatti». Gli diede una pacca sulla spalla e, come se
fosse a casa sua, andò a recuperare la scopa, riposta nel piccolo ripostiglio
accanto al frigorifero.
«Finirà questa
situazione. Oh, se finirà», furono le parole di Hisashi, mentre tornava dalla
madre.
Akira sorrise,
nonostante tutto. «Stiamo giusto costruendo un pezzo di casa per potervi
trasferire senza preoccupazioni!», esclamò, facendolo fermare di colpo.
«Che cosa hai detto?»,
domandò quello, con gli occhi fuori dalle orbite.
«Avrei voluto dirtelo in
un altro momento, in realtà doveva essere una sorpresa», ammise lui,
stringendosi nelle spalle e spazzando i cocci di ceramica. «Ma ho pensato che
almeno poteva farti piacere saperlo in un momento come questo. Farà bene a te e
a tua madre, se lo vorrete».
«Ma guarda tu questo
idiota...», sussurrò Hisashi, con gli occhi lucidi. «Ti sto aiutando a
costruire una casa per me e mia madre?!».
Akira si lasciò sfuggire
una risata. «Vai da lei, ne riparleremo quando saremo tutti più tranquilli».
«Questa cosa non rimarrà
impunita, sappilo», borbottò Hisashi, puntandogli un dito contro e poi
abbracciandolo, in una delle sue rare dimostrazioni di affetto nei confronti
dell'amico.
Akira sorrise e per un
attimo si sentì un po' come Sakuragi. Un
vero genio!
Continua...
* * *
Rieccomi qui! Finalmente ho trovato il tempo per completare
questo parto di capitolo! È stato più difficile del previsto, lo ammetto, ma
finalmente è scritto!
Ringrazio immensamente tutti coloro che continuano a seguire
questa follia e chi ha iniziato da poco, mi commuovete! *_*
D'ora in poi utilizzerò l'utilissima nuova funzione di
risposta alle recensioni (come ho già fatto ora!), quindi questi deliri saranno
più corti, per la vostra gioia! XD
A presto! :*
Marta.
PS: ricordo che ho aperto un account
di Facebook che utilizzerò per gli aggiornamenti
e le novità di EFP, chiunque voglia aggiungermi è liberissimo di farlo. (:
Sana sparì verso la hall
del palazzetto dove c'era la piscina, le dita premute contro le tempie e un bel
mal di testa in arrivo. Si fermò davanti alla macchinetta delle porcherie di
cioccolato e delle bibite e prese qualcosa per smorzarle la fame e la tensione.
Le tribune si stavano affollando velocemente in vista delle prime
qualificazioni di nuoto; aveva già avvistato sugli spalti i suoi nuovi amici,
che non avevano perso tempo a metter su qualche coretto da stadio per il
tifo... e per farsi riconoscere, certo. C'erano quasi tutti: i gemelli Sakuragi
e Shimura insieme a Kiyota e all'Armata, un quadretto di persone che già
bastava a far scappare a gambe levate chiunque osasse prendere posto lì vicino,
la coppietta dell'anno formata da Ayako e Ryota e persino l'algido Rukawa, che
Hime aveva deciso di trascinare con loro per dimostrargli che al mondo non
esistesse solo il basket, ma anche altri sport degni di attenzioni. C'erano
quasi tutti, tranne loro due, ed era per questo che si era dovuta allontanare
un attimo da Kiyo. L'amica non solo era tesa per l'imminente prova sportiva, ma
era completamente fuori di sé per non aver ancora visto Mitsui. Il perché di
tanta irritazione Sana non se lo seppe spiegare, o meglio, fece finta di non
capirlo e, per la salvezza di tutti, preferì tacere a riguardo. D'altro canto
le dispiacque che il senpai e Akira non fossero ancora arrivati, e non solo
perché quest'ultimo la faceva arrossire anche quando starnutiva, ma trovava
piacevole stare con l'allegra brigata al completo.
«Ehi, Sana!».
La barista si voltò
verso Yoehi, che arrivò con un sorriso sulle labbra e le mani ficcate nelle
tasche del giubbotto. «Anche tu rifornimenti?».
Lui annuì, sconsolato.
«Takamiya e l'altro maiale di Hanamichi hanno già sbranato tutto. Li ho
lasciati mentre Hime e gli altri due li stavano assaltando alla gola per
ripicca».
Sana ridacchiò,
scuotendo la testa. «Vi sbatteranno fuori dal palazzetto, se continuate così».
«Ohi, non osare tirarti
fuori dal gruppo, finta ragazzina innocente», scherzò lui, tirandole un
buffetto sulla spalla. «La tua amica come sta?».
«Non bene, purtroppo»,
sospirò lei, stringendosi nelle spalle. «È un po' tesa e solitamente non lo è.
Cosa dovrei fare per calmarla?».
Yoehi inserì qualche
moneta nella macchinetta e scelse un pacco di patatine alla paprika. «Tu
niente, è Mitsui che potrebbe calmarla, mi sa». Come sempre Mito aveva capito
tutto prima di tutti, forse anche prima dei due diretti interessati. «Comunque
non disperare, mi sembra una tipa che sa il fatto suo, forse le farà bene
scaricare la rabbia nel suo sport, non credi?».
Sana annuì, ritrovando
un po' di sollievo in quelle parole. Mito aveva lo strano potere di
tranquillizzare chiunque fosse giù di morale, con la sua aria pacata e cortese.
A volte stentava a credere che fosse un casinista peggio dei Sakuragi! «Sì,
forse hai ragione. Grazie!». Tornarono insieme sugli spalti, dove l'evento
sportivo della giornata stava per avere inizio. Di Mitsui e Sendoh nemmeno
l'ombra.
«Sto iniziando a
preoccuparmi», fece Hime, pensierosa, guardandosi intorno alla ricerca della
testa spinata dell'amico, che aveva promesso di venire a vedere le
qualificazioni della ragazza di Hisashi
solo per guardare altre ragazze in succinti costumi da bagno.
Nobunaga si strinse
nelle spalle, serio. «Staranno amoreggiando da qualche parte, non mi
meraviglierei».
«Puoi dirlo forte!»,
rincarò la dose Hanamichi, masticando a bocca aperta una manciata di pop-corn, mentre i gemelli Shimura, accanto a lui, tentavano
invano di rubargliene un po'.
Sanako arrossì
tremendamente dall'imbarazzo nel pensare a una scena simile, mentre Hime e
Ayako, alla faccia dei loro rispettivi ragazzi, iniziarono a perdersi in
discorsi sconci che avrebbero fatto concorrenza anche alle porcherie del loro
comune e pervertito amico Akira.
«Hn,
deviate», fu il serafico commento di Kaede, che stava sonnecchiando con le
braccia conserte.
«Hicchan! Sei casta e
pura, non sporcarti con pensieri zozzi di quei due maiali!», sbraitò Hanamichi,
con le mani tra i capelli rossi.
«Casta e pura?», domandò
Noma, con un pizzico di malizia, mentre Hime gli saltava al collo per
strozzarlo, con il chiarissimo intento di ucciderlo.
«E chi ti dice che lo
sia?».
Hime lanciò un ululato
di imbarazzo, gettandosi ora contro la Scimmia Saltante del Kainan, che aveva
osato anche solo insinuare qualcosa sulle loro inesistenti prestazioni sotto le
lenzuola. Al solo pensiero si sentì andare a fuoco. Inutile raccontare la
reazione del fratello, che s'imbestialì a tal punto che, imprecando e chiedendo
disperatamente alla sorella di smentire tutto, disse addio anche agli ultimi e
coraggiosi spettatori che si allontanarono velocemente dai loro posti - oltre
al fatto che l'intero palazzetto si voltò verso di loro e Hime non poté far
altro che nascondersi tra una fila di sedili e l'altra. Doveva essere stata
veramente una persona orribile, nella vita precedente, per meritare un fratello
e un ragazzo come quei due che, nonostante i loro battibecchi, erano
praticamente uno lo sputo dell'altro.
Gli applausi
d'incoraggiamento crebbero appena le sportive fecero la loro comparsa, strette
nei loro accappatoi; c'erano quelle visibilmente tese, quelle che non
ostentavano emozioni e chi, invece, aveva l'aria di avere la situazione in
pugno. L'espressione di Kiyo, invece, era indecifrabile: aveva lo sguardo fisso
in un punto davanti a sé, sicura delle sue potenzialità, eppure la fronte
corrugata faceva pensare a qualcosa che l'irritava parecchio. Effettivamente,
se avesse avuto per le mani quel Mitsui maledetto gli avrebbe fatto pentire di
esistere, ma aveva deciso di darsi una calmata, prendere qualche respiro
profondo e concentrarsi sulla gara. In fondo, cosa poteva importargliene se lui
fosse andato ad assistere alle sue qualificazioni o meno?
Oh, andiamo, ti stai comportando come una ragazzina
innamorata, vedi di smetterla, Kiyoko!, si rimproverò
mentalmente, mentre saliva sulla sua pedana. Concentrati, sei la migliore. Puoi farcela. Devi farcela.
Doveva farcela, in un
modo o nell'altro. Quell'anno era di vitale importanza che a vincere fosse lei;
non lo aveva detto a nessuno, non ai suoi genitori né alla sua migliore e unica
amica, ma quello era l'anno dei Campionati Nazionali di Nuoto e i primi classificati
di ogni Prefettura vi avrebbero preso parte automaticamente. Era un'occasione
unica affinché camminasse il primo passo verso le alte vette del suo sport. E
non sarebbe stata certo la presenza o meno di Hisashi Mitsui a compromettere il
suo futuro. Aveva detto basta ai ragazzi come lui e stava rischiando di caderci
nuovamente.
Quando il via venne dato
e lei si tuffò con eleganza in acqua tutto ciò che stava fuori sparì dalla sua
mente. Era così che si sentiva quando nuotava, quando gareggiava e sapeva che
ogni singola bracciata doveva essere la decisiva: non aveva pensieri, non aveva
preoccupazioni di sorta se non regolare la respirazione e non perdere il ritmo.
Dagli spalti i suoi
nuovi persecutori non facevano altro se non gridare e incitarla, chi battendo
le mani, chi due bottiglie piene di sassolini. Tutti tranne il povero Nobunaga
che, seduto accanto alla sua donzella dai capelli indiavolati, dovette
morsicarsi la lingua per tutta la durata della gara pur di non ululare dal dolore
- Hime, infatti, gli stava stritolando il braccio per l'eccitazione, nel vedere
che Kiyo era la nuotatrice più veloce e con più resistenza.
Quando la bionda chiuse
con un tempo straordinario, lasciando un paio di secondi di scarto alla seconda
qualificata, i ragazzi tuonarono dalla gioia, riuscendo a fare più casino di
prima, per quanto fosse possibile. Sana abbracciò tutti, ridendo con gli occhi
lucidi per la felicità - anche se quelle erano semplici qualificazioni, lo
sapeva bene. Ma vedere il sorriso soddisfatto dell'amica, appena uscita dalla
vasca, e il dito indice puntato verso di loro l'aveva quasi commossa.
«Cavolo, son rimasta in
apnea durante le ultime due vasche!», disse Hime, buttandosi a sedere e
cercando di placare il battito veloce del suo cuore.
«Hicchan, non fai così
neanche durante le nostre partite!», esclamò il fratello, corrugando la fronte.
«Oh, Hana, se solo la
vedessi, alle vostre partite», ridacchiò Ayako, giocando con un ricciolo
morbido.
Miyagi ghignò. «Non la
vediamo ma la sentiamo, eccome se la sentiamo!».
La rossa scoppiò a
ridere, nascondendo così l'imbarazzo - d'altronde, sebbene fosse lei l'anima
del tifo dalla panchina, era veramente scandalosa, delle volte. Ricordava
ancora l'occhiata perplessa e al limite del timore del coach del Ryonan, quando
la vide saltare sul tavolino su cui Ayako stava prendendo appunti sulle
statistiche di gara, gridando e dimenandosi per incitare i suoi amici alla
vittoria.
Rimasero a guardare
anche gli altri due turni di qualifiche, mentre Kiyo si faceva una doccia,
prima di raggiungerli. Era felice della sua prestazione e così vicina a fare il
record scolastico; ma non si pianse addosso. Aveva tutta la vita davanti per
racimolare record su record, lo sapeva bene. Quando si avvicinò ai suoi nuovi
amici si rabbuiò un poco nel constatare che Mitsui non fosse ancora arrivato,
anche se aveva smesso di sperarci da parecchio. Cosa si aspettava? Che sarebbe
davvero andato a vedere una come lei, per poi portarla fuori a cena? Ah, sciocca ragazzina, non hai ancora
imparato dagli errori già commessi?
«Oh, ecco la vincitrice!» esclamò Hanamichi,
balzando in piedi e indicandola, con un sorrisone da orecchio a orecchio.
«Ragazzi», li salutò
lei, abbozzando un sorriso. «Sappiate che vi si sentiva anche sott'acqua».
Quelli scoppiarono a ridere, come se tutto fosse normale e anche lei si lasciò
andare all'ilarità. Erano arrivati tardi nella sua vita, ma era felice che
fosse accaduto proprio in quel periodo. Si rendeva conto di avere un carattere
intrattabile che faceva scappare a gambe levate chiunque e in cuor suo sperava
che l'aiutassero a sciogliersi un poco. Non che non si piacesse, ma a volte
sognava di essere una ragazza senza pensieri né problemi, che si lasciava
andare con i suoi amici in confidenze e cretinerie.
«Sei stata bravissima,
come sempre, Kiyo!», l'abbracciò Sana, rischiando di ribaltarla per la foga con
cui lo fece.
«Dobbiamo festeggiare!»,
disse con convinzione Hime, alzandosi in piedi e mettendosi le mani sui
fianchi. «Tutti al bar da Sana?», aggiunse con occhioni luccicanti.
«E sia, ormai ci viviamo
in quel posto!», fece Yoehi. «Sempre se per te non è un problema».
Kiyo si strinse nelle
spalle, scuotendo il capo dopo un po'. «Ma sì, andiamo».
Il sorriso di Sana si
allargò ancora di più e si diressero tutti al Bar America, la loro seconda casa
- dopo il campo da basket, ovvio. Come normale che fosse durante il tragitto
che li separava dal liceo al locale le due Scimmie iniziarono a scannarsi per
un motivo futile, alleandosi d'un tratto contro Rukawa, che aveva commentato
con qualcosa di vagamente offensivo com'era nel suo stile, e tutto si era
concluso con l'Armata che aveva tirato su il suo consueto teatrino di
scommesse. E mentre a pochi passi da loro si scatenava l'Inferno, le donzelle
della situazione camminavano insieme come quattro comari - Ryota, infatti,
aveva deciso di avvicinarsi ai gemelli Shimura per lasciare solo la sua dolce
Ayako con le sue amiche a spettegolare per bene.
Sana stava raccontando
ad Ayako dell'idea della zia di fare un concerto di fine anno, e Kiyo, accanto
a Hime, ne approfittò per chiederle, a voce bassa, se sapesse dove fosse finito
quell'idiota di Mitsui.
Hime evitò di lanciarle
un'occhiata maliziosa, per il semplice fatto che avevano poca confidenza e, in
un certo senso, temeva ripercussioni. «Non lo so, sinceramente. Me lo chiedo da
questo pomeriggio... doveva venire insieme ad Akira e invece non si son visti».
Kiyo biascicò un hn molto Rukawesco e Hime glielo fece notare, ridacchiando.
«Comunque se Hisashi non è venuto deve essere per qualche motivo grave.
Solitamente mantiene le sue promesse e i suoi impegni», le disse, per
rassicurarla, anche se lei stessa era un po' impensierita. «Forse Akira si è
addormentato mentre lui stava andando a prenderlo in moto, Hisashi si è
incavolato e l'ha ucciso. Indi per cui ha dovuto cercare un posto appartato per
seppellire il cadavere e ripulire ogni prova a suo sfavore. Sì, potrebbe essere
una scusa plausibile, conoscendoli entrambi».
La bionda si lasciò
sfuggire un sorriso e sospirò. «Oggi lavora?».
«No, il sabato è il suo
giorno libero. Vuoi per caso cantargliene quattro?». L'altra annuì, con
l'espressione malefica di una strega. Sì, Hime aveva visto giusto ad aver paura
di lei: era terrificante con quello sguardo!
«Abita molto lontano dal
bar?», domandò, vaga, come se la cosa non le interessasse. «Insomma, magari
vorresti passare più tardi per vedere come sta».
Hime la prese sotto
braccio, sorridendo. «Non molto lontano; che ne dici se mi accompagni?».
Era bastato poco per capirsi
al volo e Kiyo la ringraziò mentalmente. Le aveva risparmiato una richiesta del
tutto umiliante.
*
Nelle due ore successive
successe di tutto; il caos dei festeggiamenti contagiò l'intero bar - anche se
Kiyo continuava a ripetere che non ci fosse niente da festeggiare, i veri
problemi sarebbero giunti con il Campionato, spiegò. C'erano un paio di
nuotatrici brave quasi quanto lei (eh
sì che il suo ego rischiò di far scoppiare l'intero locale, quando parlò) che
gli scorsi anni le avevano dato del filo da torcere. Una, in particolare, era
stata la causa della sua uscita prematura l'anno precedente, tale Reiko Azamui,
secondo anno dello Shoyo, che ovviamente si era qualificata e aveva tutte le
intenzioni di vincere. Come lei, del resto. Aveva scambiato poche parole con
quella ragazza - beh, poche per i suoi standard già bassi di loquacità con gli
sconosciuti - ma, anche se l'aveva fatta fuori in parecchie occasioni, la
stimava. E non solo perché era mossa dalla sua stessa voglia di eccellere, ma
soprattutto perché era sportiva, e tra l'ambiente femminile era una qualità che
non trovava spesso. Ricordava che, l'anno prima, quando l'aveva battuta di
cinque miseri decimi di secondo all'arrivo, si era subito congratulata e le
aveva detto che non vedeva l'ora di battersi nuovamente contro di lei l'anno
successivo.
Comunque, qualsiasi
pensiero sulla sua rivale numero uno sparì non appena Hime le annunciò che
erano arrivati a destinazione; questa l'aveva accompagnata di tacito accordo
all'abitazione di Mitsui insieme al fratello e alla Scimmia che si ritrovava
come fidanzato. Sana invece era ancora a lavoro, l'Armata e i gemelli Shimura
erano rimasti a farle compagnia, mentre Rukawa se n'era già andato in letargo a
casa sua, ciondolando dal sonno, nonostante fossero solo le otto di sera. Che
fine avessero fatto Ryota e Ayako nessuno lo seppe. Hanamichi ipotizzò che si
fossero eclissati in qualche cespuglio a tubare; Nobunaga ipotizzò che
Hanamichi avesse ipotizzato la scena solo perché la sua piccola mente bacata
poteva unicamente immaginarle, certe cose; infine Hime ipotizzò che Nobunaga si
stesse divertendo a provocare il fratello con l'unico scopo di togliersi la
vita in modo lungo e doloroso. I motivi rimasero ignoti. A dover di cronaca si
rischiò l'ennesima strage di sangue della serata.
«Beh, la moto c'è ed è
integra, quindi immagino che sia a casa», disse Hime, osservando la bambolina della loro Guardia. «Quindi se
anche dovessimo andarcene prima potrà sempre riaccompagnarti, no?», aggiunse
strizzandole un occhio.
«Aspetta, Hicchan,
perché dovremmo andarcene prima?», domandò confuso Hanamichi, mentre Kiyota
alzava gli occhi al cielo, esasperato. «Io voglio rompergli le palle!»
«Scommetto che gliele
rompi anche a distanza, dannata Scimmia», bofonchiò Nobunaga, che iniziò a
correre come una gazzella per scappare dalle grinfie del suo "adorato cognato".
Le due ragazze
lasciarono perdere i dementi della situazione - e anzi, li ringraziarono per
essersi levati dalle scatole almeno per qualche minuto. La casa era immersa
nell'oscurità, tranne per una luce di abat-jour che proveniva dalla camera
matrimoniale al secondo piano. Attesero qualche istante prima che vedessero del
movimento da dietro le finestre. Tamaki Mitsui, che aveva profondissime
occhiaie e l'aria stravolta di una che ne aveva viste troppe, aprì la porta e
salutò la Sakuragi con un sorriso stanco.
«Hime, che grande
piacere vederti! È da un po' che non passi a trovarci», le disse,
abbracciandola.
La ragazza ripensò a
Hisashi e agli sguardi vacui che gli aveva visto nell'ultimo periodo. Era per
quello che non era più passata a disturbare; aveva immaginato che la situazione
con suo padre fosse diventata ancora più insostenibile e non voleva rischiare
di tediare la donna. «Sono stata molto occupata, ultimamente. Sa, quegli
scalmanati sono peggio di orsi imbestialiti e affamati».
La signora rise e guardò
per la prima volta Kiyo, cercando di ricordare il suo viso. «Tu sei un'amica di
Hisashi?».
Quella annuì,
improvvisamente a disagio. «Sì, diciamo di sì. Suo figlio è in casa?».
«No, è andato a
lavorare, anche se oggi era il suo giorno libero». Quella risposta le lasciò
interdette. «È uscito un quarto d'ora fa con il caro Akira, mi dispiace. Ma se
volete aspettarlo a me farebbe un immenso piacere, davvero».
«Oh, no, non mi sembra
il caso, Tamaki-san. Finirà di lavorare più tardi di mezzanotte e non vogliamo
disturbarla. Comunque grazie per l'offerta», si affrettò a dire Hime, pensando
velocemente a cosa fare per aiutare la finta-bionda che aveva accanto. Osservò
crucciata la moto parcheggiata e coperta con il telo. Doveva essere andato a
piedi, quella notte. E conosceva abbastanza bene Hisashi per capire che quella
scelta era dovuta al fatto che dovesse scaricare qualche brutto pensiero. A
differenza di altri, che vedevano nelle moto e nella velocità un'ottima valvola
di sfogo, Mitsui aveva sempre preferito le lunghe passeggiate per
tranquillizzarsi un po'. Diceva sempre "Perché diavolo dovrei rischiare di ammazzarmi o ammazzare qualcuno solo
perché ho le palle girate?". Saggio ragazzo, lui.
«Se volete fermarvi per
cena, ragazzi, ditelo, non c'è problema. Avrei proprio bisogno di un po' di
compagnia», sospirò Tamaki. Kiyo provò il forte impulso di abbracciare quella
piccola donna che sembrava distrutta. E dire che suo figlio era un bisonte
arrogante!
«Allora facciamo una
cosa», propose Hime, con un sorriso. «La portiamo a cena fuori, che dice?
Andiamo a trovare suo figlio. L'alternativa è che andiamo a fare la spesa e
prepariamo tutto noi. Decida lei!».
Tamaki trovò la forza di
ridacchiare. «Hisashi ha ragione a dire che sei incredibile, Hime. Vada per la
prima, suvvia, così mi distraggo un poco. Mi metto qualcosa di presentabile,
voi entrate e fate come se foste a casa vostra».
Hime sorrise,
rivolgendosi poi al fratello e al ragazzo. «Bene, signori, voi restate fuori!
Sì, come i cani! Questo gioiellino di casa è uno dei pochi a essere ancora
integro dalle vostre sfuriate e ci tengo che lo rimanga ancora per molto!».
«Ma, Hicchan!»,
esclamarono in coro i due, avviliti. Rimasero a bocca aperta quando videro che
stava dicendo sul serio, proprio mentre richiudeva la porta alle spalle.
«Questa me la paga»,
disse Nobunaga, già tramando vendetta.
«Non osare sfiorare con
le tue sporche zampacce la mia sorellina!», sbraitò il numero dieci dello
Shohoku.
L'altro si passò una
mano sul viso. E dire che la sua cara sorellina li aveva lasciati fuori al gelo
della sera!
*
Quando Sana li vide
tornare di gran carriera pensò che fossero diventati totalmente dipendenti da
quel luogo. Insomma, erano andati via da solo un'oretta piena e già
ripresentavano i loro faccioni sorridenti? Poi immaginò che fossero tornati per
Hisashi, dato che aveva preso l'ennesimo colpo della serata vedendolo lavorare
anche il giorno di riposo. Ma non aveva osato chiedergli spiegazioni: il viso oscurato
da preoccupazioni e una buona dose di incazzo le fecero morire tutte le domande
in gola. Qualsiasi fosse il motivo per cui vertesse in quello stato, ora capiva
perché non fosse andato a vedere le qualificazioni di Kiyo.
«Ragazzi, quanto tempo
senza vedervi!», li accolse scherzando.
«Un'eternità», rispose
melodrammatica Hime, andando a stritolarla per bene nel suo abbraccio mortale.
E mentre la ragazza presentava la piccola barista alla signora Mitsui, Kiyo si
guardò intorno, cercando un paio di occhi blu, che però non vide. Non poteva
essere andato in giro per le consegne, perché aveva lasciato la moto a casa.
Dunque era rintanato in cucina?
Purtroppo - o
fortunatamente? - l'Armata e i due nuovi acquisti avevano già levato le tende,
così il loro tavolo preferito fu libero e pronto per loro. Tamaki Mitsui non
era mai entrata in quel grazioso locale e fu ben lieta di notare che l'ambiente
fosse familiare e tranquillo; non avrebbe sopportato l'idea che suo figlio
frequentasse brutti posti e brutte persone. Le era bastato quel periodo buio
che aveva trascorso l'anno prima ed era sicura di non volerlo rivedere più in
quello stato.
Quando Sana, dopo aver
dato loro i menù, fece per allontanarsi, Kiyo la seguì. «Ehi, è in cucina,
vero?».
La barista annuì. «Ed è
in pessimo stato. Non provocarlo, ok? Temo che possa avvelenare qualcuno oggi!»,
esclamò, seriamente preoccupata che il suo collega potesse fare qualcosa di
sconsiderato.
«Digli che c'è sua madre
qui. E che poi vorrei parlargli. Per favore».
Sana sparì subito dopo e
Kiyo tornò al suo posto, in trepida attesa. E ora che avrebbe dovuto dirgli?
Che l'aveva atteso inutilmente? Che aveva sperato fino all'ultimo che andasse a
vederla e a fare il tifo per lei? Che era rimasta malissimo quando aveva
scoperto che di lui non si era vista nemmeno l'ombra? Oppure si sarebbe dovuta
preoccupare del motivo per cui non si era fatto vedere? Ah, trattare con quel
ragazzo si stava rivelando la questione più difficile del mondo, accidenti a lui.
Lo vide comparire poco dopo, con un grembiule bianco e sporco di sugo in alcuni
punti, mentre si ripuliva le mani dalla farina con uno strofinaccio.
L'espressione di stupore che gli vide nel viso quando si accorse della madre
non nascose quella di profondo turbamento. Che diavolo era successo di così
grave?
«Ehi, mamma. Che ci fai
qui?», le chiese, chinandosi e passandole una mano sulla spalla.
«I tuoi amici sono
passati a trovarti ma non c'eri. Così sono stati gentili da invitarmi qui con
loro per un po' di compagnia e per raggiungerti».
Hisashi lanciò
un'occhiata alle due scimmie. «Ti hanno per caso rotto le palle, questi due?».
«Sashi!»,
esclamò la madre, dandogli un buffetto sul braccio. Il figlio sorrise nel
vederla più distesa. Avrebbe scolpito una statua a quei matti, soprattutto a
Hime; era più che sicuro che l'idea fosse stata sua. Poi si voltò verso la
bionda, che continuava a fissarlo con un misto di ostilità e preoccupazione. Le
fece cenno con la testa di seguirlo e lei, preso giubbotto e pacchetto di
sigarette, gli andò dietro. Non fece in tempo a prendere una sigaretta che
Hisashi gliel'aveva già rubata dalle labbra, spezzata e buttata per terra.
«Non è fumando che
vincerai il tuo campionato», la rimproverò ancora una volta, poggiandosi contro
il muro del locale. Erano sul retro, tra sacchi di immondizia e scatoloni. Lì
nessuno avrebbe potuto disturbarli - o almeno Hisashi lo sperava.
«E a te che importa del
mio campionato?». Si rese conto troppo tardi di aver parlato come una zitella
acida. Ma ormai il danno era fatto, pazienza.
Il cestista sollevò un
sopracciglio, incrociando le braccia. «Che cavolo stai dicendo?».
«Oh, certo, ora fai
anche finta di non capire». Kiyo si passò una mano tra i capelli, maledicendosi
mentalmente. Che stupida era stata a pensare anche per un solo momento che
fosse diverso da Toshiro.
«Senti, non ho voglia di
giocare, quindi smettila di parlare per enigmi e spiegati», tagliò corto
Hisashi, che stava iniziando a perdere la pazienza.
«Non sei venuto, ecco
cosa c'è, razza di cretino!», esclamò, ora rossa per la rabbia e per
l'imbarazzo. Incredibile, stava veramente facendo una scenata di gelosia? «Mi
avevi promesso che saresti venuto e io ti ho anche creduto! Verrò a vederti, ti porterò a cena fuori! Tante
parole belle per niente, come sempre». Oh, no. No! Perché ora aveva tirato in
ballo la cena? Così avrebbe pensato che a lei importasse qualcosa!
Se Hisashi non lo avesse
saputo avrebbe detto che fosse ubriaca persa, come qualche notte prima. Ma era
sobria, perfettamente sobria, a dirla tutta. Strinse gli occhi e i pugni,
avvicinandosi di qualche passo e sovrastandola in altezza. «Ehi, ragazzina, guarda
che il mondo non ruota solo in funzione tua, mettitelo in testa!», disse,
alzando la voce, ora arrabbiato. Aveva i nervi a fior di pelle per conto suo ed
era andato a lavoro solo per distrarsi e per farsi pagare gli straordinari; non
poteva mettersi anche lei a rompergli le palle in quel modo, accidenti!
Kiyo rimase inebetita da
quelle parole. Tutto si sarebbe aspettata, fuorché quella reazione. In realtà,
anche la propria l'aveva stupita, a essere sincere. «Beh, avresti almeno potuto
avvisare qualcuno per farmelo sapere», sbottò, inspiegabilmente in imbarazzo.
Vedendo che il ragazzo aveva intenzione di andarsene lo bloccò subito dopo,
senza sapere neanche lei il perché. «Cosa è successo? Sì, insomma... sembri
arrabbiato e sconvolto».
«Sei tu che mi fai
incavolare», le disse, osservandola di sbieco. Poi sospirò pesantemente.
«Scusami se non sono venuto».
Gli occhi chiari della
ragazza si fecero grandi per lo stupore. Hisashi Mitsui le aveva appena chiesto
scusa? «Scusami tu per la sfuriata ingiustificata. Sono stata un po' troppo
avventata e scortese».
«Lo sei sempre». Hisashi
tornò ad appoggiarsi contro il muro. «È successo un casino con quello che
dovrebbe essere mio padre».
Kiyo rimase in silenzio,
decisa ad ascoltarlo. Era la prima volta che si apriva in confessioni con lei,
non voleva lasciarsi sfuggire quell'occasione.
«Ha sempre avuto il brutto vizio di bere, ma
un tempo era più responsabile... beh, un po' più di oggi. A volte rientrava a
casa ubriaco e bisticciava con mia madre. E a volte allungava le mani».
Kiyo socchiuse le
labbra, in un gesto di incredulità.
«L'ho cacciato di casa
qualche mese fa perché non sopportavo più l'idea che mia madre rischiasse di
essere picchiata da quel pezzente. Così ho cercato un lavoro per pagare un
avvocato e per andare in affitto lontano da casa nostra», continuò a spiegarle,
i pugni chiusi per la stizza. «Ieri son rientrato a casa con Akira e l'ho
trovato mentre la minacciava con un piatto».
Non ci fu bisogno di
aggiungere altro, perché era evidente cosa avesse dovuto sopportare dopo. Kiyo
rimase in silenzio per qualche secondo, non sapendo bene cosa dire. Aveva
immaginato qualsiasi tipo di motivo o scusa che avrebbe potuto tirare fuori, ma
quella... quella proprio non le era minimamente passata per la testa. Ebbe
l'immagine distorta di suo padre che avrebbe potuto picchiare sua madre e solo
pensare a un'ipotesi del genere la fece ribollire di rabbia. Quale uomo avrebbe
potuto chiamarsi tale se osava alzare un solo dito contro una donna, per giunta
la propria moglie?
«Mi dispiace», fu tutto
ciò che riuscì a dirgli. Sentiva che qualunque altra frase di circostanza si
sarebbe rivelata inopportuna e inutile.
E Hisashi lo capì,
perché sorrise leggermente. «Non dispiacerti, le cose ora andranno meglio». Le
raccontò velocemente della sorpresa che la famiglia Sendoh stava finendo di
costruire per lui e la madre e Kiyo sorrise con lui, commossa da quella
profonda amicizia che li legava. Avrebbe voluto fare qualcosa di grande come
Akira Sendoh per vederlo sorridere ancora, per tranquillizzare lui e quella
donna gentile della madre, ma non le venne in mente niente. In realtà era
proprio il nulla che avrebbe potuto fare. D'altronde chi era lei se non una
ragazzina troppo egoista per accorgersi dei problemi degli altri?
«Sana mi ha detto che
hai vinto», le disse. Kiyo agitò una mano come se stesse allontanando una mosca
fastidiosa dal viso. «Dovrò davvero portarti a cena fuori per festeggiare.
Anche perché ho visto quanto tu ci tenga».
Ecco, lo sapeva. Lo
sapeva che avrebbe usato le sue parole contro di lei, lo sapeva! Brutto
disgraziato, arrogante pallone gonfiato! «Guarda che non mi interessa affatto»,
gli disse. «L'ho detto solo perché ero arrabbiata».
Hisashi sbuffò,
divertito. Era evidente che non le credesse. «Lo sei ancora?».
«Arrabbiata?». Lui annuì
e Kiyo si strinse nelle spalle. «No, cioè sì, lo sono, ma non con te. C'è
qualcosa che posso fare per darti una mano?».
Hisashi ci pensò su
qualche secondo. Poi sorrise. «Sì, ci sarebbe una cosa che potresti fare. Mi
solleverebbe di gran lunga il morale».
Kiyo allargò le braccia.
«Allora, dimmi. Vedrò se posso aiut---».
Non finì la frase. Non
ne ebbe la possibilità.
Hisashi Mitsui la stava
baciando.
Continua...
* * *
Buon salve a tutti! E dopo un tremendo ritardo rieccomi qui!
Voglio ringraziare enormemente tutti voi, che mi scrivete e
che continuate a seguire questa creatura! È una gioia immensa vedere come
aumentate ad ogni aggiornamento! :)
A presto,
Marta.
PS: ricordo che ho aperto un account
di Facebook che utilizzerò per gli aggiornamenti
e le novità di EFP, chiunque voglia aggiungermi è liberissimo di farlo. (:
Capitolo 14 *** 13. Quella sottile linea di confine. ***
Ni-hao a tutti
Capitolo 13
Quella sottile linea di
confine.
Compromettente.
Sì, era decisamente la
parola più azzeccata in quel momento. Compromettente.
Perché lo era, compromettente, farsi scoprire dal
padrone del locale a scambiarsi effusioni con la Kobayashi, vero? Soprattutto
quando quello, ridacchiando divertito, ne era uscito con un "Hisashi, va bene che sei venuto anche quando
non dovevi, ma se ti serviva un posto per limonare potevi chiederlo
tranquillamente: ho giusto di sopra una camera con un bel matrimoniale, eh?",
il tutto condito da una strizzata d'occhi.
Il primo pensiero del
cestista, in quel frangente, fu solo uno, e anche azzeccato, probabilmente. Era
più che sicuro, infatti, che lo zio di Akira avrebbe raccontato la scena al
nipote - e come non avrebbe potuto, d'altronde, se insieme quei due erano
peggio di due comari di paese? - ed era altrettanto sicuro del fatto che il
molto Porco e poco Spino gli avrebbe menato le palle fino allo sfinimento. E se
gli avesse spaccato il muso, al padrone, cosicché non potesse parlare?
No, era compromettente anche quello: non aveva
voglia di perdere anche il lavoro. Ma poteva benissimo spaccare il muso al suo
migliore amico se questo si fosse rivelato troppo rompicoglioni. Sì, poteva
funzionare!
Kiyo gli riservò
un'occhiataccia, vedendolo assorto mentre fissava la porta dalla quale il
signor Watanabe era sparito fischiettando. «Che c'è, mediti fuga?», gli chiese,
infastidita e arrossata per l'imbarazzo.
Quello si risvegliò dal
coma e le regalò un sorrisino mascalzone che le fece perdere un paio di
battiti. «Sì, e indovina? Magari posso accogliere l'offerta di Watanabe-san e
fuggire in camera da letto con te!». Non voleva essere serio, con quella
battuta, era solo una stupidaggine buttata lì per smorzare un po' di tensione e
imbarazzo. Allora perché quella stupida gli aveva dato uno spintone e l'aveva
mandato a quel paese senza nemmeno passare dal via?
«Ehi! Che diavolo ti
prende ora?», esclamò scocciato, afferrandola per un polso e fermandola. «Sei
un'isterica quando ti comporti così».
«Isterica io? E tu sei
un animale!», rispose lei, scansandolo. «Possibile che non riusciate a pensare
ad altro voi uomini?». Tutto ciò che lui le diede in cambio fu un'occhiata
attonita. «Possibile che stare con una ragazza implichi forzatamente il sesso?».
Hisashi si passò
stancamente una mano sul viso, mentre quella lo lasciava solo, prendendo il suo
silenzio come un segno affermativo. La seguì fin fuori il locale, mordendosi
più volte la lingua per non sbottare davanti ai clienti; i suoi amici e la
madre li seguirono con lo sguardo, perplessi e preoccupati.
«Ti senti quando parli?»,
le chiese, incrociando le braccia. «Parti in quarta e non dai neanche il tempo
agli altri di ribattere».
Kiyo si fermò, ma rimase
di spalle. Non voleva dargli la soddisfazione di vederle gli occhi lucidi.
«Che c'è, hai perso
l'uso della lingua d'un tratto?», disse sbuffando Hisashi. «Potevi tacere poco
fa, invece di ora, Isterica».
«Smettila di chiamarmi isterica!».
Mitsui sollevò un
sopracciglio, nel sentire quel tono così... isterico, non c'era altra parola
migliore di quella. «Continuerò a chiamarti così finché non mi spiegherai che
ti è preso e finché non la smetterai di darmi contro per qualsiasi cosa. Non
conosci il significato di "ironia", forse?». Le si parò davanti e la
costrinse a guardarlo. Si stupì molto quando vide le lacrime bagnarle il viso.
«Ehi, mi dispiace di averti fatta piangere, ma non volevo offenderti. Stavo
scherzando».
Quella borbottò qualcosa,
asciugandosi gli occhi con le maniche della giacca. «Sei un idiota».
«E tu sei acida. Dovrei
portarmi a letto un'acida isterica, secondo te?». L'occhiata fulminante che
quella gli lanciò ebbe il potere di farlo ridacchiare. «Deve aver fatto proprio
un bel lavoro quel tuo ex, se arrivi a non fidarti di nessun ragazzo».
«Oh, non immagini
quanto», rispose quella, chiudendo gli occhi e premendosi le tempie con due
dita. Mal di testa in arrivo, perfetto. Quando li riaprì Hisashi era
terribilmente vicino al suo viso, tanto che nel vedere la sua cicatrice sul
mento ebbe quasi l'istinto di sfiorargliela - con i polpastrelli o con le
labbra?
«Ti prometto che se
dovesse capitare di trovarmelo tra i piedi gli farò pagare tutto con gli
interessi e i danni morali, ok?», le sussurrò in un orecchio,
solleticandoglielo con le labbra.
«E io ti staccherò la
testa a morsi se dovessi metterti nei guai».
Lui sorrise, malizioso.
«Oh-oh, ti preoccupi per il nemico?».
«Deficiente».
«Isterica».
«Chiamami nuovamente
così e inizierai a cantare come una soprano, perché ti avrò staccato le palle
con un calcio».
Hisashi scoppiò a
ridere, mentre lei lo spintonava via e gli voltava ancora le spalle.
Questa volta per
nascondere l'ombra di un sorriso.
«Ah, meno male hanno
fatto pace! Su, giovine, sgancia i soldi! Ho vinto io, poiché sono proprio un
geniaccio delle scommesse!», sbraitò Hanamichi, mentre gli altri lo maledicevano
in tutte le lingue del mondo per aver fatto saltare la loro copertura.
«Hana, sei una
lavandaia», asserì Hime, uscendo dal suo nascondiglio e scuotendo il capo
mestamente, mentre Nobunaga tentava di darsela a gambe quatto quatto pur di non
dover pagare quel disgraziato - che però se ne accorse prima e lo sedò con una
bella testata, mandando in fumo tutti i suoi buoni propositi e quel poco di
materia grigia che gli era rimasta nel cranio. Lui, che sperava veramente che
quella ragazza gli stracciasse le palle a calci, accidenti a lei e alle sue
parole vane! Aveva perso più di mille yen!
«Non crediate che questa
bravata resti impunita, maledette scimmie», fece Hisashi, tornando a lavoro. «È
proprio vero il detto: Dio li fa e Dio li accoppia».
«Anche se sarebbero da accoppare», concluse Kiyo, trucidando i
due con lo sguardo. L'unica che trovò la scena divertente, ovviamente, fu Hime,
che contagiò subito dopo anche la signora Tamaki, uscita subito dopo,
incuriosita.
*
«Ohi, quant'è che manca
all'inizio dei Campionati?», chiese Mito, ficcandosi una mano in tasca e
l'altra a reggere la cartella, sulle spalle.
«Due settimane... non
vedo l'ora!», rispose una saltellante Hime per il gemello, che stava
sbadigliando con le fauci spalancate, distrutto dal sonno.
Lunedì era arrivato per
tutti, dopo un fine settimana carico di novità, qualificazioni e risse. Sì,
risse con tanto di cerchio di persone a fare il tifo - chissà di chi si
trattava? Nobunaga, infatti, si era rivelato un gran taccagno attaccato alla
pecunia e non aveva voluto dare la somma in palio a Hanamichi, dicendo che la
scommessa non era valida; le scuse che tolse fuori come un coniglio dal
cappello furono molteplici, una peggio dell'altra: non gli aveva stretto la
mano, non aveva mai detto di scommettere veramente ma la sua era più una
supposizione che altro... fino ad arrivare alla goccia che fece traboccare il vaso.
Veramente all'inizio io me medesimo avevo detto che avrebbero fatto pace, ma tu sei talmente rincoglionito che probabilmente quei capelli rossi ti
hanno mangiato il cervello.
Immediata era arrivata
la risposta.
Maledetta Scimmia Spelacchiata! Sei tu quello con i capelli
lunghi! I tuoi vivono una vita propria, idiota!
Hime non aveva fatto in
tempo a dire una preghiera a Buddha che quei due avevano già iniziato a
suonarsele di santa ragione.
Ebbene, il lunedì era
arrivato per tutti, così come stava arrivando una furia in bicicletta che
rischiò di investire qualsiasi cosa respirasse e che avesse la malaugurata
sfiga di trovarsi sulla sua direzione.
«Dovrebbe seriamente
farsi controllare quei freni», disse Yoehi, corrugando la fronte.
«Tra lei e il Volpino non
saprei chi sia meno pericoloso su due ruote», commentò Hanamichi.
Manco detto e il rossino
si ritrovò gambe all'aria e una ruota di bicicletta ficcata tra le natiche. Il
viso gli divenne cremisi peggio dei suoi capelli, per poi tendere ad una
colorazione più violacea. Se fosse per il dolore o per l'affronto Hime e Yoehi
non osarono chiederlo, ma era altamente probabile che tra poco sarebbe
scoppiato peggio di una pentola a pressione.
Due secondi più tardi si
scatenò l'inferno su Kanagawa.
Hime e Yoehi si
defilarono immediatamente, ormai consci che non sarebbero riusciti a risolvere
le cose con le buone maniere. Sana era appena scesa dalla sua bici e, sistemata
la chitarra sulle spalle, aveva aperto la borsa di scuola e ne aveva tolto
fuori un mazzo di volantini colorati, distribuendoli ai passanti.
«Buongiorno Nacchan! Ti dai al volantinaggio, ora?», la salutò Hime,
con un sorrisone da orecchio a orecchio.
Quella ricambiò,
sospirando poi avvilita. «Mia zia mi ha incastrata con un concerto di fine
anno. Stiamo cercando dei buoni membri per il gruppo che suonerà, speriamo di trovare
qualcuno. Tu sai per caso se qualche tuo amico suona?».
Hime ci pensò su un
attimo, guardando pensierosa il suo amico. «Credo che uno dei due gemelli abbia
a che fare con la batteria, ma non saprei. Potresti chiederlo a loro, dato che
sei nella stessa classe». Poi schioccò due dita, fulminata. «Ora che ci penso,
Ryota strimpella con il basso... il che è un po' il colmo, a dir la verità».
«Il Tappo suona il basso?!»,
esclamò Hanamichi ammaccato dalle botte con il suo miglior nemico, ora
inginocchiato e piegato in due da una risata sguaiata, con le lacrime agli
occhi. «Questo è troppo anche per me! Ahaha!».
Le due donzelle
dovettero ricorrere a tutto l'autocontrollo di cui disponevano pur di non
scoppiare a ridere davanti al diretto interessato, appena sceso dalla moto con
la sua bella Ayako.
«Ehi, che diavolo ha da
ridere questo idiota?», chiese Miyagi, osservando perplesso il suo amico. In
risposta Hime prese sotto braccio Sana e, con la scusa di aiutarla con i
volantini, si dileguò, trascinandola via.
«Comunque, perché io non
sapevo niente di questo concerto?», domandò poi la Sakuragi, leggendo il
contenuto di un volantino arancione.
«Perché è ancora tutto
campato in aria, ma conoscendo mia zia sono sicura che si farà».
«Ma è un concerto retrò!
Ah! Non vedo l'ora!», strillò entusiasta la rossa, trapanando un timpano
all'amica. «Devo convincere tutta la squadra a venire e a travestirsi, ci sarà
da divertirsi! Possono venire anche persone di altre scuole?».
Sana, nonostante tutto,
fu travolta dal suo entusiasmo. «Oh, sì, credo di sì!».
«E poi...», aggiunse
Hime, con un sorrisino malefico dipinto sulle labbra. «Il primo gennaio è il
compleanno di Ede, potremmo fargli una sorpresa!».
L'altra ci pensò un po'.
«Dici che verrebbe?».
«Oh, di questo io non mi
preoccuperei... lascia fare ai Sakuragi!». La risata della rossa fu quantomeno
inquietante, ma Sanako rise, divertita. Quella ragazza era una sagoma, non
c'era che dire.
Qualche minuto più tardi
Hime si volatilizzò alla volta del suo ex-Capitano, ben decisa a rompergli le
scatole di prima mattina; probabilmente voleva già ventilargli l'idea di
vestirsi per il concerto di fine anno, dato che lo salutò saltandogli sulle
spalle e spalmandogli il volantino in faccia per farglielo vedere.
Sana, nel frattempo,
raggiunse Kiyo, che si stava fumando la solita sigaretta mattutina prima di
entrare nello stabile scolastico.
«Sana», la salutò,
sbuffando il fumo in alto, per non affumicare l'amica. «Quelli che sono?».
«Hanno tutta l'aria di
essere volantini, Kobayashi», fu il commento sarcastico di Hisashi, che era
comparso dal nulla alle sue spalle.
«Mitsui, il tuo spirito
di patate mi stupisce ogni giorno che passa. Non è che sei troppo simpatico?».
Sanako roteò gli occhi,
divertita dal loro battibecco. «Sto cercando componenti per il concerto di fine
anno. Idee?».
I due non fecero neanche
in tempo a rispondere che Hanamichi, ancora senza fiato per le risate, si
appese alla spalla del compagno di squadra che, tra un singhiozzo e l'altro,
afferrò solo l'indispensabile per partire per la tangente anch'esso: Ryotasuona il basso... il basso, capisci?!
Sana e Kiyo decisero di
lasciarli soli a crogiolarsi nelle loro risate - Rukawa avrebbe sicuramente
commentato con qualcosa simile a "Due
dementi al prezzo di uno" - e non videro che Ryota, sempre più
perplesso, iniziò a capire che il soggetto di quell'ilarità fosse lui. Perché
diavolo quegli idioti scoppiavano a ridere e riprendevano più forte solo
guardandolo?
Lo capì all'ora di
pranzo, quando raggiunse sulla terrazza mezza squadra più i seguaci di
Sakuragi, Kiyo e Sanako. Quest'ultima gli si avvicinò per chiedergli qualcosa
riguardo un concerto e appena lui ammise di suonare il basso fu la fine. E non
poté neanche fare niente per evitarlo; che fare quando una decina di persone
schiamazzava fino alle lacrime? Punirne uno per educarne cento, forse? No, non
sarebbe servito a niente, accidenti a loro. Poi un'idea gli balenò in mente e
si unì alle loro risate.
Lui era il Capitano.
*
«Che diavolo di ore
sono?», ringhiò Hisashi, col fiato corto alla prima manager.
Quella controllò
l'orologio del cronometro e ghignò. «Le sei meno dieci, Mitsui. Manca ancora
un'ora e dieci minuti prima che possiate vedere le docce, quindi torna ad
allenarti».
Quello imprecò a denti
stretti. «Quel nano maledetto, non si può neanche scherzare!».
«Lo sai che prende la
questione della sua altezza con molta serietà», lo rimbeccò Ayako, incrociando
le braccia.
«La sua bassezza, vorrai dire», puntualizzò
Hanamichi, che si beccò immediatamente un calcio nel di dietro dal diretto
interessato.
«Voi due, continuate
così e rimarrete in panchina a vita», sibilò il Capitano, gli occhi che
fiammeggiavano di rabbia e frustrazione. «Cos'è, grandi e grossi voialtri che
siete già stanchi?».
I due bisonti ingoiarono
il rospo e tornarono alle loro fatiche. Akagi, dall'altra parte della palestra,
guardava soddisfatto la scena. Aveva fatto un'ottima scelta con Ryota, non
poteva dire il contrario, pensò il Gorilla, ridendo intimamente come un
esaltato.
«Ehi Gori, puoi anche
toglierti quel ghigno dalla faccia, si vede che stai godendo come un riccio»,
disse Hime, defilandosi un attimo dall'arduo compito di allenare le matricole.
«Ci mancherebbe altro, è
anche più divertente vederlo da fuori che viverlo», disse quello. «So bene cosa
stia passando Miyagi e non lo invidio, puoi stanne certa».
«Oh, dai! Non ti
manchiamo nemmeno un pochino?», piagnucolò lei, appendendosi al suo braccio e
guardandolo con occhi supplicanti.
«Meno di zero!».
«Bugiardo!», gli soffiò
Kogure alle spalle, divertito per quel suo moto di orgoglio; sapeva bene che
non avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura che quei pazzi scalmanati gli
mancassero più di qualunque cosa – basket incluso, ovviamente.
«Hime-san! Facciamo un one-on-one così perfeziono il mio
attacco e la mia difesa?», le chiese Araki, porgendole una palla e guardandola
speranzoso. Potersi strusciare contro di lei con la scusa di giocare era
un'idea degna di un pianificatore come lui!
La ragazza strinse gli
occhi castani, esasperata. «Ho un'altra idea. Dato che non ci sarò io in campo,
perché non scegli un tuo compagno e vi allenate insieme? Anzi, mi sembra
un'ottima idea: scambiatevi a turno e vediamo che combinate».
I gemelli Shimura per
poco non scoppiarono a ridere nel vedere l'espressione di pura delusione che
comparve sul viso di Masuhiro. Era proprio senza speranza.
«Più veloci, forza!», gridava
intanto Ryota, battendo le mani. «Hanamichi, muovi quelle gambe lunghe che ti ritrovi! Usale tu che le hai, avanti!».
«Ryo-chan! Sei uno
schiavista peggio del King-Kong!», esclamò Sakuragi. «Maledetto il tuo
inesistente senso ironico!».
«Corri, spilungone,
corri! Come se avessi il diavolo alle calcagna!», disse con un sogghigno
beffardo l'altro.
«Stai con un sadico, te
ne rendi conto, vero?», domandò Hime all'altra manager, riparandosi
preventivamente la testa rossa in previsione di una sventagliata.
Ayako ridacchiò. «No, è
solo permaloso. Come lo sono tutti in questa squadra, d'altronde».
«Non è che potresti
rabbonirlo un poco? Sai, questi animali ci servirebbero integri e possibilmente
vivi per il Campionato Invernale».
«Oh, ma ci arriveranno,
tranquilla!», disse quella, strizzandole un occhio. «È solo per oggi, lascia
che si vendichi».
«Hn,
sarà ma mi sembra che anche tu ci stia godendo. Sono circondata da sadici!».
«E tu hai appena detto
un Hn degno
di Rukawa, complimenti!». Ayako scoppiò a ridere nel vedere l'amica inebetita e
con le guance in fiamme. «Ma come sei permalosa anche tu».
«Taci», sibilò Hime,
imbarazzata. «Dovresti saperlo bene anche tu che stando una vita a contatto con
qualcuno prima o poi prendi a parlare come lui. Chi va con lo zoppo impara a
zoppicare, dice il vecchio saggio». L'occhiatina furbetta dell'altra e l'u-uh poco convinto che la manager fece
la mandarono in bestia. «Ti ho già detto che Ede è solo un amico. Capito?
A-mi-co! Non mi interessa».
«Chi non ti interessa,
Hicchan?».
Maledette siano le orecchie lunghe di Hanamichi! «Corri ad allenarti
invece che origliare i discorsi altrui, scansafatiche!», strillò con le fauci
spalancate, più rossa che mai. Quello, terrorizzato, se ne andò sbraitando come
un ossesso che anche sua sorella si era trasformata in Godzilla e che nessuno
gli voleva più bene, povero piccolo genio
incompreso.
Hime lanciò una veloce
occhiata scocciata a Kaede, ignaro di tutto e, nonostante fosse sudatissimo per
l'allenamento bestiale a cui il loro Capitano li stava sottoponendo, era
concentrato e determinato a non cedere neanche di un passo. Lui era un
campione, voleva diventare una stella nel firmamento del basket e un vero
giocatore non si permetteva il lusso di mostrare debolezze. Poche volte era
caduto e ogni volta era riuscito a rialzarsi più forte di prima. Hime ripensò a
quelle volte, a quando lo aveva sostenuto nei momenti difficili, a quando gli
aveva dato la carica per riprendersi e ritrovare lo spirito giusto e la
concentrazione; lei era sempre stata presente nella sua vita. E lui? Lui
sarebbe sempre stato presente? Ora più che mai aveva bisogno di un amico con
cui sfogarsi delle sue paure e delle sue preoccupazioni. Era lui l'amico per
eccellenza, ma era anche l'unico con cui non poteva confidarsi. Quella
situazione stava diventando insopportabile e insostenibile; e cosa peggiore:
non sapeva come uscirne incolume e senza fare danni.
«Dimmi la verità, Hime»,
le disse seriamente Ayako, in un sussurro. «Se non ci fosse quel Kiyota,
cambierebbe qualcosa?».
La ragazza socchiuse le
labbra, voltando lo sguardo quando Kaede si accorse di essere osservato. Si
spaventò a morte quando si rese conto che sì, probabilmente sarebbe cambiato
tutto.
*
Tornarono a casa alle
otto e mezza, tra una cosa e l'altra. I ragazzi si erano attardati parecchio
sotto le docce, troppo stanchi per muovere un solo muscolo e spostarsi dal quel
massaggio piacevole dato dal getto d'acqua sulle spalle.
«Sono distrutta!»,
sbuffò Hime, poggiando la testa sulle gambe del suo ragazzo, giunto a casa loro
con la sorella per stare in compagnia. «Oggi Ryota è stato incredibilmente bastardo.
Dici che se l'è presa per stamattina?».
Hanamichi tirò la testa
all'indietro contro il divano, mentre Arimi lo osservava divertita. «Probabile.
Oggi ha ricordato i tempi gloriosi dell'Era Akagi; questo è il Post-Negrierismo!»,
piagnucolò. «E comunque tu non puoi parlare, Hicchan, non hai fatto niente se
non l'allenamento con le nuove leve».
«Guarda che è sfiancante
sopportare quell'Araki!».
Nobunaga rizzò
immediatamente le orecchie. «Ancora quell'idiota? Ma devo proprio cavargli gli
occhi, allora!».
Hime ridacchiò,
stringendosi una sua mano contro il viso. «Mi faresti un grande favore, mio
cavaliere! Ma non in palestra, altrimenti devo ripulire le tracce
dell'omicidio, e sangue e parquet non vanno molto d'accordo».
«Tutto per la mia dama
preferita! Nobunaga il Prode ti difenderà da qualsiasi Puffo voglia disturbare
la tua quiete! Ahaha!», esclamò Nobunaga lo Sbruffone, facendo roteare gli occhi
a Sakuragi e ridacchiare la ragazza.
«Nobu-chan, non so
perché ma l'immagine di te su un cavallo bianco mi rende perplessa», commentò
la sorella. «Forse perché anche tu sei come un cavallo... pazzo come un
cavallo, intendo».
«No, Ari-chan, di equino ha solo la chioma, questo qui».
«Ohi, ancora con questa
storia?».
Hime gli passò una mano
tra quella testa indiavolata. «Perché non li tagli? Almeno un po', per
cambiare».
«Mi hai già fatto la
stessa domanda, una volta, e se non sei rincoglionita ricorderai bene cosa ti
ho risposto», fece Kiyota, sollevando il mento indispettito. «I miei capelli non-si-toccano».
Hanamichi si avvicinò
all'orecchio della sorellina della Scimmia, con un sorriso malizioso. «E se
glieli tagliassimo nel sonno?».
Arimi sbarrò gli occhi.
Ormai aveva capito che qualsiasi cosa dicesse quel Sakuragi avrebbe dovuto
prenderlo con le pinze, perché era altamente probabile che lui si prendesse sul
serio, se gli avesse dato un po' di troppa corda! «Ma... ma no, gli verrebbe un
infarto e io rimarrei senza fratello!».
«Appunto!», esclamò esaltato
quello, facendole scuotere il capo, nonostante tutto divertita.
«Senpai, tu sei tutto
matto!». Hanamichi si gasò quando la
vide ridere per le sue battute. Allora qualcuno lo trovava davvero divertente!
Il campanello suonò poco
dopo e Hime fu costretta a strisciare verso l'ingresso, dato che quel poltrone
del fratello non aveva nessunissima intenzione di schiodare il suo bel sodo
fondoschiena dal divano. Appena si ritrovò Kaede davanti perse tutto il colorito
del viso. Quello sguardo non prometteva niente di buono.
«Ede, che sorpresa!
Pensavo che a quest'ora fossi caduto in letargo, dopo la sfaticata di questa
sera», disse in un sorriso più falso di un Kobe Bryant che giocava nei Chicago Bulls.
«Dobbiamo parlare».
Cazzo. Kaede Rukawa che chiedeva di parlare?
La fine del mondo era
vicina.
«Certo, vieni, entra! Ci
sono anche...».
«Hn,
no, senza Scimmie nei paraggi».
La fine del mondo era terribilmente vicina.
«Ehi, Hicchan! Chi è?»,
domandò Hanamichi dal salotto.
«Ma porca miseria,
alzati, no? Che razza di padrone di casa sei?», lo rimbeccò Kiyota. Il suono di
cuscini che colpivano teste arrivò fino ai due amici.
«Prendo una giacca e
arrivo», disse Hime in un sussurro, il cuore che le batteva inspiegabilmente
troppo veloce.
Hime, è Kaede, per tutti i Kami! Calmati!
Nobunaga la guardò
appena ricomparve dall'uscio di casa e si accorse subito di qualcosa che non
andava. «Tutto bene?».
Lei sorrise,
tranquillizzandolo. «Sì, tutto bene. Mi devo assentare per un po', tornerò
presto».
Hanamichi si decise ad
alzarsi. «E dov'è che vai a quest'ora?». Appena vide Kaede poggiato contro lo
stipite della porta, vestito con una giacca in pelle nera e un paio di jeans
blu, spalancò gli occhi. «Che devi andare a fare con la Volpe, Hicchan?!».
«La Volpe?!», strillò
invece Kiyota, balzando dalla poltrona e guardando con odio il suo acerrimo
nemico.
Hime sedò tutto
diplomaticamente. «Semplice, un amico ha bisogno di me e io per gli amici ci
sono sempre. Tornerò sana e salva, tranquilli», disse ridacchiando
nervosamente. Diede un bacio sulla guancia a Hanamichi e al ragazzo,
lanciandone uno anche ad Arimi; poi seguì Kaede, preparandosi al peggio.
Perché aveva la netta
sensazione di conoscere il nocciolo del discorso che avrebbero affrontato?
Rimasero in silenzio per
tutto il tragitto, un silenzio diverso dai loro soliti. In quella quiete c'era
tensione, c'era nervosismo... e dell'altro, forse.
Kaede la portò sul lungo
mare, a quell'ora deserto e frequentato da poche coppiette che si arrischiavano
a uscire con quel venticello fresco di Novembre. Il mare era calmo e nero, a
qualche decina di metri da loro, e rifletteva la figura eterea della luna,
quasi piena. Hime si rilassò un poco chiudendo gli occhi e inspirando a fondo
il profumo della salsedine che tanto le piaceva. Le dava un senso di libertà,
l'odore del mare. Se avesse potuto scegliere cosa essere nella vita successiva
avrebbe decisamente optato per una sirena; l'idea di poter vivere un'intera
esistenza nuotando la esaltava. E poi aveva anche i capelli rossi, sarebbe
stata un'Ariel perfetta. Magari non sapeva cantare bene come lei, ma avrebbe
trovato qualcos'altro da fare, sicuramente.
Non dissero niente per
altri cinque minuti, lì, seduti sul muretto che dava sulla sabbia, ad ascoltare
il placido movimento delle onde. Poi fu Hime a spezzare quel momento idilliaco.
Per la prima volta nella sua vita non riusciva a sopportare tutto quel
silenzio.
Tentò una via scherzosa
e ammiccante, tanto per spezzare la tensione che ormai si tagliava a fette.
«Allora, mi hai fatta uscire al freddo e al gelo per portarmi romanticamente al
mare?».
«Non fare la finta
tonta, non ti si addice». I suoi occhi blu si spostarono sull'amica, che si
osservava senza particolare interesse le punte dei piedi. «Ultimamente sei
strana».
«Solo ultimamente?»,
chiese sarcastica lei. Kaede l'ammonì con lo sguardo e lei sospirò. «Non riesco
a nasconderti proprio niente, eh?».
«Hn,
no». Incrociò le braccia, in attesa, ma vide che lei non si decideva a parlare,
quindi la incalzò. «Sei fastidiosa, così, vedi di farti passare
quell'espressione o dimmi che diavolo ti prende, così te la faccio passare io».
«Oh, frasi lunghe e
articolate! Fai progressi, Ede, complimenti!».
Lui, in risposta, le
diede uno spintone, rischiando di cappottarla sulla sabbia.
«Sai, è buffo», iniziò
Hime. «Sei l'ultima persona a cui non potrei dirlo».
Kaede sembrò ferito da
quelle parole, perché sgranò gli occhi. Un gesto che gli vedeva fare solo
quando qualcuno lo stupiva durante una partita di basket.
«Non prenderla male,
Ede, davvero. Ti adoro e ti direi tutto, credimi». Lui la osservò e dal suo
sguardo Hime capì che le stava tacitamente chiedendo: E allora perché diavolo non mi parli e mi dici cosa ti preoccupa?
«Io lo so cosa hai».
La ragazza si morse un
labbro. «Oh, bene, allora questo discorso non ha motivo d'esistere».
«Riguarda la discussione
con Sanako in terrazza».
Bingo.
Quella non era una
domanda, era un'affermazione bella e buona, perfettamente ferma e sicura. Hime
fu grata alla notte e ai pochi lampioni, cosicché Kaede non potesse vederla
arrossire. «Ti ritieni così importante da crederti la causa delle mie
preoccupazioni?».
Kaede corrugò la fronte.
«Ovvio».
«Egocentrico pallone
gonfiato!», sbottò lei, riempiendo d'aria le guance e voltando lo sguardo.
Lui sospirò
pesantemente, affondando i piedi sulla sabbia e piantandosi davanti a lei; si
chinò sull'amica e poggiò i palmi delle mani sul muretto, accanto ai suoi
fianchi. «Sei strana e io voglio sapere perché», disse, deciso a non darle
possibilità di scampo. «A costo di tenerti sveglia tutta la notte».
Hime fece una smorfia.
«Di questo non mi preoccuperei. Tu che rimani sveglio con me tutta la notte non
è un fatto credibile». Appena si accorse dell'occhiataccia fulminante
dell'amico si affrettò a dire: «Ok, ok, la smetto di dire cazzate. Non
guardarmi così, però. E staccati, non starmi così addosso». Lo spintonò via,
scendendo dal muretto e allontanandosi di qualche passo. Quando lui le chiese
con lo sguardo il perché di quella reazione rispose: «Perché siamo cresciuti,
ecco perché».
Kaede la fermò per un
polso e se la spinse contro il torace, abbracciandola da dietro. Un gesto che
faceva raramente e solo per lei. Hime sospirò e chiuse gli occhi,
abbandonandosi tra quelle braccia che avevano circondato sempre e solo lei.
«Rivoglio la mia
migliore amica».
«Non se n'è mai andata,
Ede. Solo che ogni tanto ha dei momenti in cui sarebbe da prendere a schiaffi».
«Hn,
vero». Il numero 11 dello Shohoku nascose il viso tra quei capelli indiavolati
e ne ispirò il profumo. «Neanche io vado via, stupida».
«Neanche quando ti
innamorerai follemente di una splendida ragazza - dopo che io avrò ovviamente approvato?», gli chiese, con
una piccola punta di divertimento e forse gelosia nella voce.
«Non accadrà». La sentì
rilassarsi e sorridere. Ma lui non le disse che quel diniego non era riferito
all'ipotetica possibilità di sparire, un giorno; aveva già incontrato la
splendida ragazza che lei tanto temeva e non aveva bisogno di andarsene e
dimenticarla. Era lei, la sua splendida ragazza.
«Ti voglio davvero bene,
Ede», gli strinse le braccia che aveva l'avvolgevano e tirò indietro il capo,
per guardarlo in viso. Gli sorrise e, in punta di piedi, gli baciò una guancia
gelida. Lo sentì rabbrividire e subito disse: «Torniamo a casa, c'è freddo... e
tu non puoi prenderti il lusso di raffreddarti, prima donna dei miei stivali».
Kaede le pizzicò un
fianco e lei scoppiò a ridere, prendendolo per mano e iniziando a correre, come
facevano da bambini, quando lui era triste e lei voleva solo sollevargli il
morale e non fargli pensare a quella bella signora che non sarebbe mai più
tornata, ovunque fosse andata.
Il cestista scosse il
capo, reprimendo a stento un mezzo sorriso, e la osservò saltellare
all'indietro, mentre rideva allegra come quella bambina che l'aveva conquistato.
Continua...
* * *
E dopo mesi rieccomi! No, non sono morta né ho intenzione di
mollare questa faticaccia, perché ci sono troppo affezionata, tranquilli! Vi
scrivo da Siviglia, ormai sono qui da un mese e il tempo a mia disposizione si
ritaglia in poche ore dopo cena, capitemi! :/
Anyway, so già
cosa state pensando dopo aver letto questo capitolo: e ora con la Nobu-Scimmia?
L'unica cosa che posso dirvi è che avevo in mente questo piccolo
"intoppo" già prima della stesura di Wild Boys, quindi dovevo metterlo... era lì che gridava per essere
scritto. Sono curiosa delle vostre reazioni e delle vostre speranze, or ora! ;)
Spero di aggiornare entro la fine del mondo,
a presto!
Marta.
PS: vi ricordo il mio account
di Facebook che utilizzerò per gli aggiornamenti
e le novità di EFP, chiunque voglia aggiungermi è liberissimo di farlo. (:
Capitolo 15 *** 14. Non lo farò più, lo prometto. ***
Ni-hao a tutti
Capitolo 14
Non lo farò più, lo
prometto.
«Ripetimi ancora una
volta, Ayakuccia: perché diavolo mi sono lasciato invischiare in questo brutto
affare?», domandò avvilito Ryota, mentre la sua riccioluta fidanzata sorrideva
come una povera pazza nel sistemargli il colletto della camicia sopra la
cinghia del basso.
«Perché tu sei un uomo
dalle grandi qualità e sai anche suonare uno strumento musicale», disse quella.
«E perché te l'ho chiesto con occhioni da cerbiatta, tu hai capitolato ed
eccoti qui!», concluse, con tanto di strizzata d'occhio.
Il Capitano dello
Shohoku guardò in cagnesco verso la platea del piccolo teatro scolastico. «E mi
puoi ripetere anche perché quei cerebrolesi sono tutti qui?».
«Ma per sentirti
suonare, che domande!», esclamò Hime, saltellante come una cavalletta e a
braccetto con Sanako. Quella pazza era già entrata nella parte, con quei
Ray-Ban a goccia rubati al fratello e usati come cerchietto per i capelli. «Hai
giustappunto davanti a te la manager ufficiale della festa a tema, mio Capitano!
Nacchan mi ha affidato questo arduo compito e abbiamo
deciso insieme che il tema sarà anni '70-'80! Non sei contento?».
L'occhiataccia dell'amico rispose per lui.
«Suvvia, senpai, almeno
non sei solo», tentò di incoraggiarlo Kimi Shimura, facendo girare le bacchette
della batteria tra le dita. «Queste due hanno incastrato anche me».
Le due in questione
sorrisero candidamente, tanto che Ryota fu colpito dal terribile istinto di
spaccare il basso in testa almeno alla Sakuragi - prima o poi quella
soddisfazione se la sarebbe dovuta togliere. Ma doveva farlo per la sua
Ayakuccia, solo per lei. Doveva stringere i denti e sperare di essere accettato
per il ruolo, altrimenti la sua donna l'avrebbe fatto a fette, ne era più che
sicuro. Non poteva deluderla, non lo avrebbe mai fatto, cascasse il mondo e
Rukawa si mettesse a ballare la cucaracha sorridendo come quel demente di
Hanamichi!
E a proposito di
Hanamichi, questo era giusto immerso in un racconto demenziale che vedeva il
povero Ryota alle prese con un basso più alto di lui - per la gioia e l'ilarità
di tutto il resto della combriccola, letteralmente spalmata dalle risate sulle
poltroncine del teatro - che neanche si accorse di una figura minacciosa che si
ergeva alle sue spalle, con chiari intenti bellici nei suoi confronti. Ma
quella volta non si trattò del nuovo Capitano, né dell'ex, che se ne stava ad
ascoltare con una manona sulle labbra, pur di nascondere un sorriso e non dargli
la soddisfazione; dietro Hanamichi stava niente meno che Masaki Tsukiyama, la
zia di Sana, che con un malloppo di spartiti in mano non prometteva niente di
buono. Quando il numero dieci dello Shohoku si rese conto che i suoi amici non
lo stavano più ascoltando ma erano più interessati a qualcosa alle sue spalle,
decise di voltarsi e ciò che vide non gli piacque. Non gli piacque per niente.
«Tu devi essere Hanamichi
Sakuragi, il fratello di Hime. Giusto?», gli chiese la donna, assottigliando
gli occhi a due fessure. Quello annuì, corrugando la fronte, preoccupato. «E
sei anche quello che gironzola sempre durante le ore di lezione perché è troppo
intelligente per stare secco e fermo come gli altri studenti. Vero?».
Per sua sfortuna
Hanamichi non colse quella sottile ironia che si nascondeva in quell'ultima
frase e iniziò a dare di matto. «Ahaha! Certo che
sono io, quel genio intelligentissimo, signora! Io non so chi sia, ma vedo che
lei mi conosce bene!».
Le narici di Masaki si
dilatarono spaventosamente, come un toro prima dell'affondo contro il matador, e
il malloppo di spartiti che teneva in mano finì bel bello contro la capa rossa
del ragazzo, che si fece piccolo piccolo sulla sua poltroncina.
«Esigo il massimo silenzio, d'ora in poi. Niente schiamazzi, niente risate,
niente di niente. Se potete evitate anche di respirare», sibilò la donna. Poi,
come se niente fosse, vedendo che tutti l'osservavano attoniti, sorrise come
una bambina. «Bene, vedo che ci capiamo. Buon ascolto, ragazzi!». E con un
ghigno che non prometteva niente di buono, la donna se ne andò sul palco. Lì
Hime, seduta a gambe incrociate, li osservava con un sorrisino che era tutto un
programma: stava per scoppiare a ridere, ma per pena o forse per timore di
subire ripercussioni riuscì a evitare il peggio.
Masaki batté le mani,
per richiamare su di sé le attenzioni di tutti. Sana era già sul suo sgabello,
al centro del palco, la chitarra sulle gambe e le mani pronte a strimpellare;
poco dietro di lei uno scazzatissimo Ryota lanciava a intermittenza prima
occhiatacce ai suoi compagni di squadra, poi sguardi pieni d'amore alla sua
Ayakuccia preferita; alla batteria Kimi si sgranchiva le dita e i polsi, e i
ragazzi si stupirono parecchio nel vedere l'aria trasognante di alcune
ragazzine presenti a vedere le prove - del resto si sa, il batterista è quello
che più fa conquiste.
«Mi sa che nel tempo
libero mi do alla batteria anche io», disse convinto Hanamichi, suscitando
subito le risposte sarcastiche degli altri. Ovviamente il più pungente fu il
solo e unico Kaede Rukawa, che se ne uscì con un "Con il cranio vuoto che hai sai che grancassa ne esce".
Gli ultimi due
componenti del gruppo erano un ragazzo del secondo anno alla chitarra, Genjo, già
conosciuto dai ragazzi perché suonava con Sana al bar, e un tastierista, Tadao,
dai grandi occhiali da vista con montatura grossa e nera. Sana l'aveva
recuperato in un angolo della biblioteca a far finta di studiare - in realtà
stava leggendo un pesante libro sui Genesis. Era stato un regalo di Buddha, ne
era sicura!
«Devo chiedergli dove ha
preso quegli occhiali», commentò Araki, credendo di essere un simpaticone.
Quando si vide i due
nemici per la pelle dire in contemporanea "Non ti daranno un'aria più intelligente, Puffo!" e "Rassegnati" - chi disse cosa è
facilmente intuibile - Araki diede di matto. Fu sedato con una tirata di
orecchie dalla terrorista della situazione, la signora Masaki, che lo sbatté
fuori dal teatro senza troppe cerimonie, mentre tutti ridevano fino alle
lacrime. Quando la donna si voltò a fulminarli con lo sguardo tutti
ammutolirono e da quel momento non si sentì neanche una mosca.
«Quella donna è
inquietante», commentò come un ventriloquo Mitsui.
«È pazza, guardala», gli
diede corda Kiyo, con una mano davanti alle labbra, osservando la zia della sua
amica tornare sorridente come se niente fosse.
«Com'è che si chiama
quello lì? Dottor Jack e Mister Clive?», domandò Hanamichi, battendosi un dito
sul mento, pensieroso.
Akagi si passò una mano
sul viso, rassegnato, mentre l'Armata, Eichiro e Mitsui sprofondarono sui loro
sedili scoppiando per le risate, tentando di nascondersi dagli occhi indagatori
di Masaki-san. Gli unici che non aprirono bocca furono Kaede e Kiyo, che si
scambiarono un'occhiata arrendevole.
«Ehi, perché diavolo
state ridendo?!», strillò il rossino con troppa enfasi, interrompendo le prove.
Sul palco Ryota, con un pericolosissimo tic all'occhio, stava seriamente
pensando di andare dai suoi compagni e spaccare il suo strumento musicale in
testa a ognuno di loro, mentre la zia di Sana era già partita a spalancare le
fauci per mettere in chiaro le cose.
Hime, nel guardare
quella scena, scoppiò a ridere. Guardò il suo ex-Capitano e mimò un cuore con
le dita, indicando prima lui e poi la donna. Akagi, in risposta, ghignò,
capendo l'antifona. Una versione femminile del King Kong non poteva certo stare
che con il King Kong in persona, se solo non fosse stata così grande!
Intanto un uomo, seduto
per conto suo lontano da quel caos, osservava divertito quelle scenette
comiche, per soffermarsi poi con più interesse sulla chitarrista del gruppo. Più
Kiichi Rukawa osservava sua figlia cantare e suonare, più si malediceva per
essersi perso la sua vita. S'immaginò come sarebbe stato poterla vedere mentre
diceva le sue prime parole, emozionarsi nel sentirsi chiamare papà, oppure
darle il suo supporto per farle muovere i primi passi. E poi il primo giorno di
scuola, le sue prime lezioni di chitarra e i suoi saggi... che razza di padre
non era stato?
Sanako guardò nella sua
direzione, mentre cantava Hot in the City,
di Billy Idol, e gli sorrise. Kiichi Rukawa, in quel momento, si sentì l'uomo
più felice sulla terra e tutti i rimpianti svanirono in quel sorriso, solo per
lui.
E tra musica anni '80,
una Hime che dietro le quinte ballava come un'invasata con Ayako, e il
gruppetto di fanciulle spasimanti di Kimi che era aumentato a vista d'occhio,
le prove terminarono dopo un'ora e mezzo. Per la cronaca Hanamichi e l'Armata
riuscirono a farsi sbattere fuori anche lì - e certo, Masaki non poteva più
sopportare quegli sghignazzi e quel demente del rossino che faceva finta di
suonare prima la batteria e poi la chitarra, convinto di andare a tempo,
distraendo tutti.
«Buon pomeriggio a
tutti! Mi sono perso qualcosa?». Il ridente Sendoh comparve poco dopo,
irradiando l'intero teatro con il suo sorriso da pubblicità.
Kaede non si fece,
ovviamente, perdere l'occasione di mostrare al mondo tutto il suo affetto per
l'ex numero sette del Ryonan. «Il tuo cervello, come sempre».
Akira ridacchiò,
scuotendo il capo, mentre il suo migliore amico gli si avvicinava con le
braccia incrociate. «Ma non avevi allenamento, tu?».
«Mi sono addormentato
dopo pranzo e non ho sentito la sveglia», rispose con un candore unico, tanto
che nessuno ebbe il cuore di rimproverarlo.
«Taoka non arriverà ai
sessanta standoti appresso», commentò Hisashi, battendogli una mano sulla
spalla e andandosene, seguito da Kiyo a qualche metro di distanza. Come se non
fosse palese che si stessero allontanando insieme, quei due.
«Ehi, Porcospino, dillo
che lo Shohoku ti piace più di quel liceo di poveri! Passi più tempo qui che
lì!», esclamò Hanamichi, ficcandosi una mano nella tasca dei pantaloni, mentre
l'altra reggeva la giacca della divisa sulla spalla.
«Ah, la colpa è della
tua bellissima sorella, Hanamichi!», rispose quello, proprio quando giungeva
Sanako, che sorrise un po' imbarazzata e a disagio. Akira, però, non se ne
accorse. «Mi ha fatto una proposta indecente».
«Hicchan!», sbraitò
spaventato il fratello.
Hime, d'altro canto,
tirò un calcione al metro e novanta di perfezione dai capelli anti-gravità.
«Nei tuoi sogni, forse, tesoro!»,
cinguettò, facendolo ridere come un demente. «Gli ho solo chiesto di aiutarmi
con la pubblicità. Avrà il faticoso compito di far sapere a tutti i licei di
Kanagawa della festa dell'anno, così avremo un po' di ospiti e facce nuove!».
«Ehi, Hicchan! Perché
non lo hai chiesto a me?!», chiese col labbrone all'infuori il Tensai, distrutto dal dolore.
«Perché per il fratello
migliore del mondo ho in mente qualcos'altro!», rispose quella, con una
strizzata d'occhi.
«Hmpf,
Buddha ci salvi, allora».
«Ede! Se vuoi coinvolgo
anche te! Ho giusto il compito perfetto!».
Rukawa se la ritrovò tra
i piedi, saltellante e pimpante. Del discorso che avevano affrontato lunedì
notte non ne avevano fatto menzione - come ovvio che fosse - ma era intimamente
felice di rivedere la solita instancabile Hime. Gli era mancata. «Tanto non ci
vengo a questa roba».
«Oh, non ci scommetterei»,
gli disse, mentre quello usciva. Lo bloccò in mezzo al corridoio, con le mani
sul petto. «Perché continuerò a stressarti finché non cambierai idea, sappilo.
E tu conosci bene il mio potenziale!».
«Purtroppo sì».
«Ede!».
«Hn.
Noiosa».
Hime incrociò le
braccia, ostinata. «Verrai perché mi farebbe un immenso piacere. Verrai per
me?».
Se me lo chiedi così. «Scordatelo».
«Daaai!
Per favore!», esclamò la ragazza, mettendosi in ginocchio e infischiandosene
altamente delle occhiatacce dei pochi passanti. Ormai era risaputo che la
sorella di Sakuragi non avesse tutte le rotelle al posto giusto.
«Alzati!», la
rimproverò, afferrandola per un braccio e sbuffando. Lei sorrise, sapendo che stesse
per cedere.
«Allora, me lo prometti?
Verrai?».
Kaede la sorpassò,
dandole un buffetto tra i capelli. «Vediamo».
«L'hai detto, eh! Vale
la prima!».
Il Volpino corrugò la
fronte. Lui non aveva detto proprio niente! La osservò sparire verso il piccolo
teatro e scosse il capo nel sentire Akagi lamentarsi per essersela ritrovata
sulle spalle.
«E staccati!», brontolò
l'ex Capitano, non riuscendo proprio a trovare un motivo valido per cui la vita
avesse potuto punirlo e affibbiargli i fratelli Sakuragi. «Tuo fratello sarà
anche una scimmia ma tu sei peggio di un koala!».
Gli occhi della ragazza
divennero grandi e luccicanti. «Stai dicendo che sono tenera?».
Quello roteò gli occhi.
«Sto dicendo che stai sempre attaccata alle spalle di qualcuno, soprattutto
alle mie, demente».
Hime sorrise
innocentemente. «Ma certo! Sei il mio tronco di eucalipto!».
Per poco non scese un
coccolone a tutti. Le avevano sentite tutte: Gorilla, King Kong, Scimmione,
Negriero, Schiavista... ma tronco di eucalipto ancora no, quello mancava ancora
in elenco. E chi poteva aggiungerlo se non uno dei due Sakuragi?
«Hicchan, ricorda una
cosa», disse con fare saggio il fratello, mentre Akagi aveva già bello che
pronto un pugno nel qual caso l'idiota avesse detto qualcosa di sconsiderato -
e sicuramente l'avrebbe detta. «Ricorda che nessuno può darti della Scimmia, neanche
il Gorillone».
Tutti gli istinti
bellici dell'ex numero 4 svanirono in un soffio.
Hime si grattò il naso,
imbarazzata. «Hana, luce dei miei occhi, non vorrei capovolgere il tuo mondo
fatto solo di scimmiette saltellanti, ma tecnicamente il koala è un marsupiale».
«Ecco, tecnicamente! Ma praticamente non lo è!».
Vedendo i volti perplessi e scoraggiati degli altri Hanamichi tentò di deviare
il colpo, temendo di aver detto l'ennesima cazzata. «Perché sembra una
scimmia... no?».
Ryota gli batté una mano
sulla spalla. «Mi fai pena, amico mio. Questo modo di vedere tuoi simili
ovunque è veramente triste».
Due secondi più tardi il
playmaker più veloce della prefettura dovette dare libero sfogo alle sue gambe
pur di non dover capitare nel raggio di curvatura del cranio di Hanamichi.
L'ultima cosa che voleva era una sua testata.
*
Kiyo chiuse gli occhi e
respirò appieno il profumo salmastro del mare, che si tingeva di rosso con il
riflesso del cielo. Il tramonto era il momento della giornata che più
preferiva, perché lasciava posto alla notte e lei, nella notte, adorava
perdersi.
«Ti piace proprio
l'acqua», commentò Hisashi, affiancandola e osservandola con la coda
dell'occhio.
«Esattamente come a te
piace tanto quella palla arancione».
Il cestista piegò il
labbro in un sorriso. «Allora guarda davanti a te e dimmi cosa vedi», le
sussurro, alle sue spalle.
Kiyo non poté far niente
per evitare di rabbrividire nel sentire quelle mani grandi sui fianchi. Corrugò
la fronte nel sentire quella frase, ma non obiettò. Osservò il sole, che
lentamente scendeva verso l'orizzonte. Una palla infuocata, arancione, che
andava lentamente a sfiorare l'acqua. «Come siamo romantici, Mitsui».
Quello rise di gusto. «No,
non credo che la parola romanticismo possa essere affiancata al mio nome, ma
era una bella similitudine, la mia, ammettilo».
«E darti la
soddisfazione di far crescere il tuo già spropositatamente grande egocentrismo?
Scordatelo», fu la replica dell'altra, sgusciando via dalla sua salda presa e regalandogli
una smorfia. Hisashi la seguì, con un delizioso sorriso sulle labbra. Quella
ragazza era incredibilmente sfuggevole; ma più tentava di allontanarlo più
sentiva il bisogno di averla accanto. Mai aveva provato il tremendo piacere di
stuzzicare una persona come faceva con lei - tranne con Akira, ma quello era un
provocatore nato, non poteva non rispondergli a tono. Ah, se l'avesse visto e
sentito in quel momento! Doveva ancora sbollire la lode che l'amico gli aveva
fatto dopo aver sentito il racconto dello zio, qualche giorno prima.
"E bravo, Hisa! Zio mi ha
raccontato tutto nei minimi dettagli... quanto avrei voluto esserci! Comunque, guarda
che ci sono motel a basso costo per fare porcherie con la tua ragazza, non c'è
bisogno di nascondersi nel bar!".
Se non fosse stato per
la elevata presenza di persone intorno a loro gli avrebbe spaccato il muso, ne
era più che sicuro.
«Tra poco devi andare a
lavoro», gli ricordò Kiyo, destandolo dai pensieri.
«Non vedi proprio l'ora
che levi le tende, eh?».
La ragazza roteò gli
occhi, spintonandolo. «Non ti dirò che non voglio che vada per stare con me,
Mitsui. Ricordi la storia del tuo egocentrismo?».
Hisashi l'afferrò per
una mano e con uno strattone delicato la fece avvicinare spaventosamente alle
sue labbra. «Ma io lo so che vorresti che rimanessi».
«Sei un pallone gonfiato,
lo sai? Un altro po' e scoppi», brontolò lei, allungando una mano sul suo collo
e alzandosi sulle punte dei piedi, per baciarlo.
Il rombo di un motore li
separò poco dopo, dato che era tremendamente vicino a loro. E Kiyo si paralizzò
sul posto nel riconoscere quella macchina tirata a lucido. Il guidatore abbassò
il finestrino, poggiando il braccio sulla carrozzeria nera, e si abbassò gli
occhiali da sole. «Ma guarda, la mia bella ragazza in compagnia del facchino.
Non hai trovato di meglio?».
«Non sono più la tua
ragazza da parecchio. Vedi di lasciarmi in pace», sibilò Kiyo, stringendo forte
la mano di Hisashi.
Toshiro piegò il capo,
ridacchiando nel notare quel gesto di insicurezza. «Ma guardati. Fai ancora
finta di essere una ragazza dura, Kiyo. Quando imparerai che sei debole come
tutti gli altri?».
«Ehi, vedi di cambiare
aria», s'intromise Mitsui. Lo sguardo che aveva non prometteva niente di buono.
Per un attimo Kiyo rivide quello stesso ragazzo che solo qualche mese prima
girava per Kanagawa con i capelli lunghi e la fronte corrugata in
un'espressione di terribile ira.
«È la seconda volta che
mi dai ordini, facchino. Non mettere a prova la mia pazienza, Mitsui».
La Guardia dello Shohoku
socchiuse le labbra, sorpreso. Lo conosceva? Si gelò quando quello continuò,
con un sorriso che mal celava le sue intenzioni belliche.
«So molto su di te,
Mitsui. Anche che il tuo ginocchio sinistro non è stato in buone condizioni. E
se te lo rompessi un'altra volta?». Finì appena di parlare che due brutti ceffi
in moto raggiunsero l'auto dell'amico. E Hisashi capì che le cose si stavano
mettendo veramente male.
«Toshiro, per favore,
vattene», disse con una nota d'isteria Kiyo, strattonando la mano del ragazzo
al suo fianco per intimargli di non fare idiozie.
«No, non credo che me ne
andrò», rispose lui, aprendo la portiera della macchina e sgranchendosi le
gambe. «Perché non ci facciamo una chiacchierata tutti insieme, che ne dite?
Una cosa amichevole».
Hisashi strinse gli
occhi. «Sparisci».
Il sospiro seccato
dell'altro fece tremare Kiyo. Stava velocemente perdendo le staffe e lei sapeva
che quando Toshiro s'incavolava erano guai seri. Cosa avrebbe potuto fare? Non
poteva rischiare che quei due facessero a botte, soprattutto non dopo la
minaccia non tanto velata che Toshiro aveva fatto sul ginocchio di Mitsui.
«Kiyoko,
uno più socievole potevi trovartelo, però», disse il bullo scuotendo il capo;
si avvicinò alla ragazza e allungò una mano per accarezzarle il viso. Hisashi
gli bloccò il polso immediatamente e la nuotatrice, vedendo quello sguardo
divertito negli occhi del suo ex-ragazzo, capì che il suo era stato un gesto
calcolato. Un modo come un altro per attaccar briga.
«Non toccarmi, Mitsui.
Mi irrita terribilmente».
«E tu non osare
sfiorarla, così siamo pari».
«Tre ordini, amico mio.
Mi hai stancato». Il pugno che gli diede lo fece barcollare per qualche istante
e Kiyo spalancò gli occhi per l'orrore.
«Smettila, Toshiro, ti
prego!», esclamò, tentando di bloccarlo.
Quello se la scrollò di
dosso facilmente. «Tenetela ferma, mentre io mi diverto un po'». I due tizi
giunti in moto non se lo fecero ripetere due volte, ma furono costretti a
lavorare entrambi per sedare quella furia di ragazza che si dimenava per
liberarsi.
Hisashi, con il naso
sanguinante, osservò l'altro con odio. Doveva avere almeno vent'anni ed era ben
piazzato; era solo un po' più basso di lui, ma quanto a forza ci sapeva fare.
Non sarebbe stato semplice tenergli testa senza uscirne illeso.
Spero che questo vi abbia fatto passare la voglia di
accapigliarvi tra di voi.
Strinse i pugni nel
ripensare a quel brutto momento della sua vita che aveva messo da parte con
dignità, insieme all'orgoglio. Era stato un ragazzo orribile in quei mesi e si era
prefissato di non tornare più sui suoi passi, neanche per sbaglio. E poi c'era quella
promessa, quella promessa che pesava più di un macigno.
Assolutamente no. Non farò mai più a botte, con nessuno.
Quando scansò il secondo
pugno e glielo restituì all'addome il suo cuore si spezzò al pensiero
dell'allenatore Anzai quando avrebbe scoperto che la sua promessa era venuta
meno.
*
Kiichi Rukawa e la
figlia erano seduti su una panchina, vicino al campetto dove i gemelli Sakuragi
e Shimura, con Miyagi, Sendoh e Akagi stavano giocando. Sì, proprio così,
Takenori Akagi non aveva retto un secondo di più quando Hime lo aveva invitato
a divertirsi un po' con loro, per ricordare i bei tempi. Era sicuro che quella
disgraziata, prima o poi, sarebbe riuscita a farlo capitolare e a costringerlo
a tornare in squadra. D'altronde ogni occasione per i ragazzi, anche quando non
c'erano gli allenamenti, era buona per il basket, soprattutto in vista del
prossimo Campionato. A completare il quadro l'immancabile Armata, che non perdeva
occasione di rompere le palle al suo bersaglio preferito, mentre Ayako si
tratteneva a stento dal sedare tutto con una bella sventagliata a ciascuno.
«E così sono questi i
ragazzi di cui mi parlavi», disse Kiichi, osservando quegli scalmanati che sembravano
divertirsi un mondo con quella palla tra le mani. «Sembrano delle brave persone».
«Oh, sì, lo sono. È una
fortuna averli incontrati», rispose Sana, sorridendo nel guardarli. «Peccato
che non ci sia Kaede, altrimenti te lo avrei presentato».
L'uomo fece spallucce.
«Stavo pensando di andare a trovare mio fratello, un giorno di questi. Vorrei
riallacciare i rapporti anche con lui. Verresti a farmi compagnia?». Quando la
figlia gli sorrise con gioia Kiichi non poté trattenersi e l'abbracciò. «Come
ho fatto tutta questa vita senza te?».
Sanako non rispose,
ricacciando indietro le lacrime. Basta piangere per quella storia, si era
detta. Aveva sofferto come una dannata e continuava a soffrire se solo ci
pensava; ma ora suo padre era tornato, ed era lì con lei. E l'abbracciava. Non
poteva chiedere di meglio.
Si separarono quando
sentirono il rossino sbraitare qualcosa contro un nuovo arrivato.
«E lui chi è? Un altro
tuo amico?», chiese Kiichi, osservando quel ragazzo con una vistosa fascia
viola sulla fronte, accompagnato da una ragazzetta che gli somigliava molto e
che si reggeva a stento sulle sue gambe.
«Non proprio, cioè lo
conosco solo perché è il fidanzato di Hime, quella con i capelli rossi», gli
spiegò la figlia. «Però per quel poco che ho potuto capire è un ragazzo
simpatico anche lui. Adora attaccar briga con Hanamichi e con Kaede!».
L'uomo osservava la
scena davanti ai suoi occhi piuttosto perplesso. «Vedo».
«Ohi, che palle!
Hicchan, l'hai invitato tu?», domandò Hanamichi col labbrone all'infuori per la
delusione. Ma quella era già andata zampettante verso il suo ragazzo che,
doveva ammetterlo, aveva trascurato un po' in quell'ultimo periodo. Tutta colpa
di quella strega di Ayako, dell'altro maledetto Yoehi e soprattutto del suo
migliore amico. Sì, era colpa loro, non sua.
Nobu le sorrise, dandole
un veloce bacio sulle labbra, per poi rivolgersi al suo "cognato",
con la solita aria da strafottente che tanto gli piaceva sfoggiare. «No, mi ha
invitato Sendoh, demente! Certo che mi ha invitato lei!».
Akira non si fece
sfuggire la battuta. «Beh, dato che Hisashi mi ha tradito con la bella
nuotatrice devo pur rifarmi con qualcuno, no?».
«Sendoh, sei allucinante»,
commentò Akagi, mentre quello scoppiava nella sua consueta e cristallina
risata.
«Uhm... e quel Rukawa
che fine ha fatto?», domandò con neanche mal celato fastidio la Scimmietta
Saltante del Kainan.
«Se n'è andato alla
Volpaia a dormire, cos'altro potrebbe fare quello lì?», rispose con ovvietà
Hanamichi, scrollando le spalle.
«Ma è strano che non si
sia unito a giocare, conoscendolo», commentò Yoehi, guardando Hime che per un
attimo si perse in qualche suo pensiero.
«Comunque meglio che non
ci sia, mi irrita anche solo sentirne parlare», disse Nobunaga, stringendo
possessivamente la sua donzella. Aveva capito che ci fosse qualcosa di strano,
in quell'ultimo periodo, e aveva il tremendo sentore che il pericolo arrivasse
proprio dalla Volpe dello Shohoku. Gli aveva soffiato il titolo di miglior
matricola dell'anno, non gli avrebbe soffiato anche la ragazza! Perché lui era
Nobunaga Kiyota, il grande amante di Kanagawa!
«Ehi, Ari-chan, perché tuo fratello ha quella faccia da esaltato?»,
chiese Hanamichi, agitandogli una mano davanti agli occhi sognanti, mentre
quella ridacchiava.
«Bah, si sarà perso nelle
sue solite elucubrazioni di superiorità, non mi preoccuperei», commentò Ryota.
«Riprendiamo a giocare o cosa?».
«Nobu, ti unisci a noi?»,
cinguettò Hime, appendendosi al suo braccio.
Quello tornò a sorridere
come un ebete, sistemandosi la fascia con uno sguardo determinato. «Ma certo!
Mancavo solo io! Ahaha!».
«Ora inizieranno a
litigare su chi dovrà stare in squadra con Hime, ci scommetto tutto quello che
vuoi», commentò Yoehi, piegando le braccia dietro la nuca.
«Oh, lo credo anche io»,
rispose Ayako. «Tre, due, uno...».
«Non ci pensare nemmeno,
maledetta Scimmia Pulciosa! Con Hicchan sto io!».
«Che cavolo vuoi?! Tu la
vedi ventiquattro ore su ventiquattro, lasciamela almeno in queste occasioni!».
«Tra i due litiganti il
terzo gode, dice il saggio! Hime, mia adorata, io e te faremo schemi da
scintille».
«Tu non osare guardarla,
maledetto Porcospino!».
E mentre Hime
ridacchiava imbarazzata, conscia che tutto quel casino era in parte anche
merito suo, Akagi vide bene di sistemare le cose una volta per tutte.
E Kiichi Rukawa spalancò
la bocca nel vedere quel cimitero di teste fumanti. «Effettivamente quello non mi sembra un tipo
raccomandabile».
Oh, se solo gli altri lo
avessero sentito, pensò Sana. Già si immaginava i gemelli Sakuragi, insieme ai
senpai Miyagi e Mitsui ridere a crepapelle, spalmati per terra nel tenersi la
pancia, mentre il diretto interessato non avrebbe saputo se piangere per il
fatto che era lui il buono della situazione o se mettere le cose in chiaro
anche con l'uomo. Fortuna che fossero a distanza di sicurezza e fossero troppo
occupati a fare i loro casini per badare a loro. Solo Akira e Yoehi ogni tanto
lanciavano qualche occhiata nella loro direzione, ma Sana ovviamente si accorse
solo del primo. Sorrise senza accorgersene nel pensare a quel ragazzo, ma
vederlo fare il demente con Hime o con qualsiasi altro essere di sesso
femminile la ingelosiva parecchio. Sapeva che la sua era solo scena e che non
stavano insieme per avere delle pretese, ma avrebbe preferito mille volte di
più che evitasse, così... così non si sarebbe ingelosita, ecco.
La ragazza corrugò la
fronte e il padre, notandola, fece altrettanto. «C'è qualcosa che ti
preoccupa?».
«Eh? Cosa? Oh, scusami!
No, niente, non mi preoccupa niente!», esclamò lei di slancio, arrossendo vistosamente.
Accidenti ai suoi viaggi mentali senza ritorno! «Pensavo che... beh, ecco...
pensavo. Sì, pensavo!».
L'uomo sollevò le
sopracciglia. «A cosa?».
Sana si rese conto della
pericolosità di quella domanda, e si affrettò a dire: «Niente, niente!». Si
batté una mano sulla fronte, maledicendo la sua brutta abitudine a non pensare
prima di parlare, mentre il padre l'osservava sempre più perplesso. «Cioè, è
ovvio che pensavo a qualcosa e non al nulla, ti ho detto che pensavo, del
resto... oh Kami, starò sicuramente passando per pazza, vero?».
Kiichi scoppiò a ridere
per la prima volta dopo anni e le cinse le spalle con un braccio, baciandole la
fronte. «La mia pazza figlia», sussurrò, con gli occhi lucidi per la commozione
e per le risate.
La serata trascorse tra
scontri più o meno accesi di basket e parole: Akagi regalò qualche altra decina
di pugni, tanto per non perdere la mano; Hanamichi sciorinò qualche altra
demenzialità per la gioia dell'Armata che si era portata dietro i pop-corn per assistere allo show; Sendoh ci provò
spudoratamente con Hime solo per far ingelosire il fratello e il fidanzato - e
questi due ovviamente non poterono esimersi dal rispondergli a tono a tutte le
provocazioni... insomma, c'era stato il solito caos, quindi tutto nella norma.
Quando si fecero
velocemente le otto di sera pian piano tutti si avviarono verso le loro
confortevoli case. Era stata una giornata un po' più sfiancante delle altre -
non fosse per la quantità di risate che si erano fatti durante le prove
musicali, l'idea che Ryota suonasse il basso era ancora troppo folgorante per
non farli scoppiare a ridere come dei dementi ogni volta che ci pensavano - e
l'unica cosa che tutti volevano fare era mangiare un bel piatto sostanzioso e
buttarsi sul divano davanti alla tv, come i migliori maiali del mondo,
possibilmente con un bicchiere di coca-cola in una mano e il telecomando
nell'altra.
Ma quella sera l'intero
Shohoku non riuscì a dormire.
Quella sera l'intero
Shohoku venne sconvolto da una telefonata. Una notizia che nessuno si
aspettava, una notizia talmente brutta e preoccupante che li lasciò tutti senza
fiato.
Mitsui era finito in
ospedale.
Continua...
* * *
E dopo pochissimo tempo - neanche io mi aspettavo di
aggiornare così presto! - rieccomi qui! Sono stata piacevolmente colpita nel
vedere la positività con cui avete accolto la novità dello scorso capitolo! Ora
son curiosa di vedere come prendete questa. Sarà la volta buona che mi
ucciderete di morte lenta e dolorosa, lo sento. *_*"
A presto, spero!
Marta.
PS: vi ricordo il mio account
di Facebook che utilizzerò per gli aggiornamenti
e le novità di EFP, chiunque voglia aggiungermi è liberissimo di farlo. (: E
ora è arrivato anche il gruppo per ricevere notizie, spoiler e anteprime! Lo
potete trovare qui.
:)
Hime e Hanamichi
giunsero in ospedale sul motorino di Yoehi, che gliel'aveva prestato in
mancanza d'altro quando quelli erano piombati in casa sua con un'espressione
che era tutto un programma. Akira, che li aveva chiamati, li aveva informati
che lo avrebbero trovato al terzo piano; e infatti eccolo lì, poggiato contro
il muro, accanto a una porta che recava la scritta "Risonanze Magnetiche".
«Non è un buon segno»,
sussurrò Hime, che stringeva forte la mano del fratello.
Hanamichi sembrava
angosciato. «Dici che si tratta del ginocchio?».
La sorella non fece in
tempo a rispondergli, perché Akira si accorse di loro e gli venne incontro.
«Ciao ragazzi. Avete fatto in fretta».
Il rossino scrollò le
spalle. «Che è successo?».
Il nuovo numero quattro del
Ryonan si sedette sulle poltroncine libere, invitandoli a fare altrettanto.
Pochi secondi dopo li raggiunsero anche Ryota, Ayako, Akagi e Kogure, con un
po' di caffè per la nottata, anche se erano sicuri che non avrebbero chiuso
occhio comunque.
«Ci ha raccontato tutto
la Kobayashi, anche se molto sbrigativamente. Era sconvolta», iniziò Akira,
sospirando. «Stavano passeggiando sul lungo mare quando è comparso il suo ex,
un tipo poco raccomandabile a quanto ho capito. Me ne aveva parlato anche
Hisashi, qualche tempo fa. Insomma, lo ha provocato finché non sono arrivati
alle mani».
Hime si portò le mani
alla bocca. «Come sta? È grave?».
Ryota si stravaccò sul
divanetto accanto alla sua fidanzata, passandosi una mano sulla fronte. «Aveva
il labbro spaccato e il naso sanguinante; un pacco di lividi, occhio nero e...
e il ginocchio dolorante».
Merda.
«I medici che dicono?»,
domandò Hanamichi, lanciando una veloce occhiata a Kaede, giunto in quel
momento - e miracolosamente in piedi senza ciondolare dal sonno, nonostante
l'ora tarda. Doveva essere preoccupato anche lui quanto loro.
Fu Akira questa volta a
rispondere. «Vostra madre è stata l'infermiera che lo ha accolto appena è
arrivato; lo ha riconosciuto e ha cercato subito la sua cartella clinica; così
hanno deciso di fargli una risonanza al ginocchio, per vedere se è
compromesso... era gonfio e viola, temono che sia lesionato».
Merda. Merda!
«E lo stronzo che lo ha
ridotto così dov'è?», domandò Kaede, con un tono di voce che non prometteva
niente di buono. Hime rabbrividì.
«Se n'è andato dopo
essersi divertito», fece Akira, poggiando il capo contro il muro alle sue
spalle. «Che c'è, vuoi chiamare una spedizione punitiva?».
«Ragazzi, non diciamo idiozie»,
intervenne subito Ayako, annusando odore di pericolo. «Guardate Mitsui in che
condizioni è! Inoltre rischiamo di perdere un giocatore per il Campionato,
vogliamo farci espellere tutti?».
Le occhiate che Ryota,
Hanamichi e Kaede si lanciarono fecero capire che non avevano prestato ascolto
a una sillaba di ciò che la manager aveva appena detto.
«Ehi, deficienti,
scordatevi di fare stronzate di alcun tipo», disse duramente Akagi, stringendo
gli occhi. «Osate anche solo pensarlo e ve la vedrete con me. Sono stato
chiaro?».
«Gori, non sei più il
nostro Capitano», disse sarcasticamente Hanamichi, che si beccò subito un pugno
in testa.
«Sono vostro amico,
idiota! E sono più grande di voi, è mio compito educarvi».
«Takenori ha ragione,
ragazzi», s'intromise Kogure, pacato come sempre. «Non è con le mani che si
risolveranno le cose, lo abbiamo già visto in passato. L'unica cosa da fare è
denunciare il fatto alla polizia e sperare che Mitsui si riprenda, in tempo o
meno per il Campionato non ha importanza».
I tre borbottarono
qualcosa, ma non aggiunsero niente.
«Ora dov'è Kiyo?»,
domandò Hime, con voce roca. Perché aveva la netta sensazione che stesse per
succedere qualcosa di veramente orribile?
«Fuori, a fumarsi il
terzo pacchetto di sigarette. C'è anche Sana a farle compagnia», disse Akira.
«Le raggiungo un attimo,
scusatemi».
Hime si allontanò verso
il terrazzo, lasciandoli in un profondo mutismo. Sembrava morto qualcuno, data
l'aria funerea sulle loro facce. Dove sarebbero andati senza Mitsui al
Campionato Invernale? Mancavano solo due misere settimane... non ce l'avrebbe
fatta a recuperare, a seconda del problema che aveva riscontrato.
Qualche minuto dopo
chiusero il quadretto anche le nuove leve - gemelli Shimura e Araki -
accompagnati dall'allenatore Anzai. Sarebbero stati dolori per Hisashi, ora che
avrebbe scoperto cosa fosse successo. Il Buddha dai Capelli Bianchi ascoltò il
racconto in silenzio, inespressivo, sistemandosi di tanto in tanto gli occhiali
da vista sul naso. Poi, con un sorriso, disse: «È un bene che siate tutti qui,
potrà solo giovargli al morale. Quindi niente visi abbattuti, ragazzi».
Come sempre le parole
del Nonno avevano ottimi poteri curativi e l'aria di tensione sembrò dilatarsi
un poco. Almeno finché la porta dell'ambulatorio non venne aperta.
«Mamma! Come sta?»,
chiese Hanamichi, alzandosi e correndo dalla donna, che teneva una cartelletta
in mano.
«Non benissimo. È un
ragazzo forte ma parecchio irascibile, l'ho dovuto calmare per evitare che
tremasse di rabbia mentre lo medicavo e il dottore lo visitava».
«Il ginocchio?», domandò
Akagi, con la mascella contratta.
«Non ne so molto, il
dottore sarà più esaustivo di me, ragazzi», rispose la donna. «Sta visionando
le lastre ora, tra poco sapremo il bollettino». Misato Sakuragi sorrise al
figlio e poi a Kaede. «Suo padre farà un buon lavoro, tranquilli».
I presenti osservarono
senza capire prima la donna poi il loro compagno di squadra, ma questo non
sembrò voler dare spiegazioni. Era piuttosto chiaro che suo padre fosse il
medico in questione, no?
Quando Kanbe Rukawa fece
la sua comparsa si stupì un poco nel vedere tutti quei ragazzotti alti più di
un metro e ottanta - con le dovute eccezioni, ovviamente - nella saletta di
attesa. Cercò con lo sguardo il figlio e lo salutò con un occhiolino. «Allora,
ragazzi, immagino vogliate sapere il verdetto. Non sono notizie pessime,
tranquillizzatevi». Tutti si ammutolirono, in attesa che continuasse. «Il
vostro amico ha avuto in passato problemi di menisco, come ben sapete; il tizio
che lo ha ridotto così gli ha provocato una lesione meniscale con rima radiale,
da operare con meniscectomia artroscopica».
Kaede sbuffò, mentre il
resto dei ragazzi lo fissavano attoniti. «In lingua corrente?», chiese, per
tutti.
Il medico ridacchiò,
divertito. «In parole povere, c'è stata una violenta rotazione del femore sulla
tibia, che ha prodotto una distorsione del menisco. Non è niente di incurabile,
è un trauma benigno, chiamiamolo così, e i tempi di recupero non sono
lunghissimi. Dobbiamo operarlo subito, per rimuovere il menisco instabile
presente».
«Quanto tempo dovrà
stare fermo, Kanbe-san?», domandò Hime, rientrata poco prima con le altre due
ragazze.
«Come vi dicevo non sarà
una riabilitazione lunghissima. Ne ho già parlato anche con lui; dovrà tenere
un tutore finché non sarà io a dirgli di toglierlo e i primi due, tre giorni
dovrà evitare di sforzare il ginocchio, per cui gli consiglio di usare delle
stampelle. Tra controlli e fisioterapia in un mese direi che dovrebbe
riprendersi del tutto».
«Un mese?», esclamò
Hanamichi. «Un mese è troppo!».
«Do'aho, ha un ginocchio
sfasciato».
Kanbe-san sorrise e
interruppe i due prima che iniziassero a battibeccare come il loro solito. «La
microfrattura che ha non è niente di grave, come vi ho detto. Se farà
esattamente ciò che gli prescrivo per le prime due settimane, alla terza potrà
già fare esercizi pre-atletici; e a conti fatti tornerebbe
in tempo per la finale, no?».
«Nel fortuito caso in
cui arriviamo in finale», borbottò Ryota, sprofondando nuovamente sulla
poltrona, mentre Ayako gli stringeva forte la mano per incoraggiarlo.
«Ragazzi, che vi ho
detto poco fa?», disse l'allenatore, guardandoli uno a uno. «Non abbattetevi.
Hisashi non sarà in campo con voi, ma vi supporterà. E voi non dovrete
deluderlo».
«Certo che non lo
deluderemo!», disse Hanamichi, stringendo un pugno e sorridendo, determinato.
«Vinceremo per Mitchi! Raggiungeremo la finale! Giusto?».
I ragazzi dello Shohoku
annuirono, gridando insieme un "Sì" battagliero - e causando
molteplici infarti alle vecchiette nei reparti vicini.
Hisashi uscì qualche
minuto dopo in sedia a rotelle, accompagnato da Misato Sakuragi, e quasi si
commosse nel vederli tutti lì, per lui. Lo accolsero con sorrisi calorosi,
pacche sulle spalle e baci e il suo morale a terra salì lievemente in meglio.
Era più che sicuro che, con loro vicino, non avrebbe fatto lo stesso errore che
fece solo qualche anno prima. Kiyo gli fece un lieve sorriso di incoraggiamento
e lui strizzò l'occhio che non era tumefatto. Ma quando vide l'allenatore Anzai
che lo fissava avrebbe preferito finire sepolto sotto dieci metri di terra
piuttosto che dovergli delle spiegazioni.
L'uomo gli si avvicinò,
senza una parola. Poi scoppiò nel suo consueto "Oh ohoh" e le preoccupazioni che gli si erano
accumulate addosso in quelle ore sparirono definitivamente.
«Signor Anzai, mi
dispiace per non aver mantenuto la promessa», gli disse il ragazzo, chinando il
capo in segno di scuse.
«Non preoccuparti di
questo, Mitsui-kun. La violenza non è mai la
risposta, e mi dispiace che si sia arrivati a questo punto. Ma ora l'importante
è che ti riprenda e che torni più forte di prima. Intesi?».
Hisashi si sciolse in un
sorriso e annuì. «Glielo prometto, signor Anzai. E questa volta non verrò meno
alla mia parola».
Con l'ennesimo "Oh ohoh" nelle orecchie
Hisashi venne portato in sala operatoria e, prima di sparire nel corridoio,
alzò un pollice ai suoi amici. Sì, sarebbe tornato più forte di prima, lo
doveva a tutti loro.
*
Hanamichi guardò il
compagno di squadra con tanto d'occhi. «Ehi, Kit, come mai non dormi? Non mi
dire che stai perdendo la narcolessia?».
Kaede sbuffò. «Hn... non sai neanche cosa vuol dire, Do'aho».
«Ohi, vorresti solo un
terzo della mia cultura, Kit!».
«Buddha non voglia».
Il loro battibecco fu
interrotto da un movimento di Hime, sdraiata per metà sulle cosce del fratello
e per l'altra metà su quelle dell'amico.
«Ecco, vedi, l'hai
svegliata con le tue scemenze», borbottò Hanamichi. Si sporse per osservarla in
viso e notò che stava ancora dormendo. Sorrise, quando le sfiorò la guancia con
un dito. «La mia Hicchan», sussurrò, orgoglioso. Kaede chiuse gli occhi, mentre
con le mani sulle gambe della ragazza muoveva impercettibilmente i pollici in
lievi carezze, come se fosse un movimento non voluto, dettato dalla noia;
l'amico, accanto, l'aveva notato, ma forse per non svegliarla, forse perché
troppo stanco non aveva osato sbraitare di togliere quelle sudice zampacce volpose dalle gambe della sua adorata sorellina, neanche
con un'occhiata micidiale.
«Ma quanto ci vuole per
un intervento come questo?», domandò Ryota, sulle spine come tutti.
«Calmo, è entrato solo
un'ora fa», disse Akagi, che nonostante non facesse più parte della squadra,
non se la sentiva di lasciarli soli; e poi quel disgraziato di Mitsui era un
suo amico, rompipalle fino al midollo, ma era un amico.
«Un'ora? Mi sembra
passata una vita da quando siamo qui», sussurrò Ayako, passandosi una mano tra
i riccioli.
Akira, stranamente
silenzioso per la preoccupazione e poggiato contro la parete bianca - non ce la
faceva proprio a stare seduto in quei momenti - si voltò alla sua sinistra,
quando si accorse di un camice bianco che si muoveva verso di loro. Kanbe-san
comparve in quel momento, con un bel sorriso sul viso sereno - così simile
eppure tanto differente da quello serio del figlio.
«Ragazzi, siete ancora
qui? È tardi», disse loro, incrociando le mani dietro la schiena e osservando
divertito i suoi tre figli - perché non poteva non considerare figli anche i
gemelli Sakuragi.
«Come sta?», chiese di
slancio Kiyo, appena tornata dall'ennesima sigaretta, ed esprimendo ad alta
voce il pensiero di tutti. Aveva fatto una promessa a Buddha, però: avrebbe
smesso di fumare, se Mitsui fosse uscito indenne da quella brutta faccenda.
Sperava veramente che così fosse.
«Oh, il vostro amico è
un ragazzotto forte, è andato tutto bene, state pure tranquilli».
I ragazzi tirarono uno
sbuffo di sollievo. Ora dovevano solo sperare che si riprendesse in fretta e
bene, soprattutto.
«Adesso sta riposando,
potrete fargli visita domani... all'ora che volete, avete il mio permesso»,
aggiunse, con una strizzata d'occhi. «Andate a casa, ora. Domani avete lezione»,
disse, lanciando un'occhiata eloquente al figlio, che fece finta di non
sentirlo.
«Grazie mille, Kanbe-san»,
fece Hime, abbracciandolo. «Sapere che Hisashi è nelle tue mani mi rincuora non
poco. Buona notte!».
L'uomo le passò una mano
tra i capelli e li salutò tutti con un bel sorriso. L'unica che rimase in
ospedale fu Kiyo, che aveva deciso di attendere il risveglio del ragazzo prima
di andarsene, anche a costo di rimanere lì tutta la notte. Non poteva lasciarlo
senza averci parlato un poco, dopo quello che era successo. Ovviamente a farle
compagnia rimasero anche Sana e Akira, la prima per solidarietà alla nuotatrice,
il secondo perché quello in un letto di ospedale era il suo migliore amico ed
era tremendamente preoccupato per lui.
Ryota si avvicinò a
Rukawa, nascondendo uno sbadiglio con una mano, mentre l'altra era ben stretta
a quella di Ayako. «Mi spieghi da chi cavolo hai preso il tuo brutto carattere?
Tuo padre mi sembra il tuo esatto opposto».
«Forse è stato adottato»,
ipotizzò Araki, che si beccò un'occhiataccia fulminante dal diretto
interessato.
«Il tuo cervello è stato
adottato, Puffo!», rispose Hanamichi, incredibilmente in difesa del suo miglior
nemico. Conosceva bene, come la sorella, il perché di quel suo modo di
comportarsi e in cuor suo gli faceva male sapere che il pensiero di Rukawa
sarebbe inevitabilmente volato alla madre. Meglio troncare la discussione al
principio per evitare situazioni spiacevoli.
Hime si avvicinò
all'amico e lo prese sotto braccio. «Dormi da noi, ok? Casa tua è troppo
lontana da qui ed è tardi».
Lui la guardò di
sottecchi. «È un ordine?».
«Sì, direi di sì»,
ridacchiò lei. Salutarono i Gemelli Siamesi e l'idiota di turno, Araki, che
finalmente si levò dalle palle, come precisò Hanamichi.
«Quel tizio è
inquietante», commentò Ayako, suscitando l'accordo degli altri quattro.
«È un pallone gonfiato,
peggio di Kiyota», fu la risposta del suo ragazzo, che si beccò un calcione da
Hime. «Beh, non mi dirai di no?!».
La rossa sbuffò. «Sì,
Nobu è egocentrico, ma quell'Araki lo è ancora di più! È arrogante, e a me i
tipi arroganti non piacciono».
«E poi ti guarda troppo,
questo mi basta per tenere alla larga quei suoi brutti capelli blu!», sbraitò
possessivo Hanamichi, appendendosi al collo della sorella, che gemette in
quella morsa di abbraccio.
«Do'aho, le stacchi la
testa, così».
«Ne ha mai avuta una?»,
domandò a se stesso, ma a voce alta, Akagi. L'occhiata di sufficienza che Hime
gli regalò lo fece sorridere. Adorava punzecchiare i fratelli Sakuragi, era il
suo passatempo preferito. Li conosceva da nemmeno un anno, eppure era come se
fossero cresciuti insieme; semplicemente li adorava. Ma non lo avrebbe detto
nemmeno sotto le più atroci torture cinesi.
Il gruppetto si salutò
dieci minuti dopo e Kaede, un po' per forza, un po' per propria volontà, seguì
i gemelli verso casa loro, ancora vuota. La madre aveva il turno di notte,
infatti.
«Beh, Kit, la tua cuccia
la conosci. Notte», biascicò Hanamichi, buttandosi sul divano e addormentandosi
immediatamente. Quando iniziò a russare Hime fu costretta a soffocare una
risata con le mani, mentre Kaede scuoteva il capo.
«Io qui non dormo, con
questo qui che canta».
La ragazza gli tirò un
buffetto contro il braccio. «Vuoi farmi credere che il narcolettico per
eccellenza non riesce a prendere sonno? Ma se ti addormenti anche in piedi!».
«Hn.
È irritante».
Hime roteò gli occhi.
«D'accordo, dormirai in camera di Hanamichi», disse, sconfitta. «Ci ucciderà
entrambi, appena lo scoprirà».
Il ragazzo gemette. Già
se lo immaginava l'Idiota sbraitare baggianate per tutta la casa, come: dovrò disinfestare la stanza, ora! Mamma,
portami il ddt anti-volpini, presto! È un'emergenza!
«Dormici tu in camera di
tuo fratello, io vado nella tua».
«Scordatelo. Tu, da
solo, in camera mia non entri».
E questa novità? «Hn?!».
Hime arrossì. «Ede, sono
una donna, ormai!».
«Ancora con la storia
che siamo cresciuti?», le domandò, passandosi una mano tra la frangia nera.
«Non mi metto ad annusare il tuo intimo, demente». Sarebbe scoppiato a ridere
se non fosse stato troppo stanco e troppo Kaede, nel vederla diventare
violacea.
«Non... non è per
quello, baka!», rispose sbuffando. «Ok, basta, ho sonno e il mio letto è grande
per entrambi. Discorso chiuso!». Gli voltò le spalle, ma non si mosse, nel
sentire l'amico dietro di lei soffiarle nell'orecchio.
«Hn...
non siamo troppo cresciuti?», le chiese, con una punta di sarcasmo nella voce.
Hime perse un battito, e forse anche più di uno.
«Scemo, potresti essere
mio fratello». Corrugò la fronte rendendosi conto delle contraddizioni di
quella sua frase, ma non ci fece troppo caso. Kaede l'aveva già superata,
salendo le scale verso la sua stanza e facendo come se fosse in casa sua.
Quello, insieme alla palestra e alla sua abitazione, era l'unico posto in cui
si muoveva con disinvoltura, in cui era se stesso. Si costrinse a voltare lo
sguardo quando lo vide togliersi la felpa e i jeans, per rimanere in canottiera
e boxer, ma ringraziò il cielo che s'infilò subito sotto le coperte,
ciondolante dal sonno. Hime prese un bel respiro prima di cambiarsi velocemente
e mettersi in pigiama - un completino grigio e azzurro con un panda tenerissimo
stampato sulla maglia, che lei adorava. Il momento più difficile fu
raggiungerlo; era vero che avessero dormito insieme tantissime volte, ma a
causa delle strane idee che Ayako le aveva messo in testa ora era come se fosse
la prima volta. Neanche con Nobunaga aveva osato tanto! Se lo avesse scoperto
avrebbe dato di matto - e infatti Hime si appuntò mentalmente di cancellare
qualsiasi prova in proposito, come per esempio calmare immediatamente Hanamichi
una volta che lo avrebbe scoperto. Era più che sicura che se lo sarebbe fatto
scappare nei momenti meno opportuni; e allora sarebbero stati problemi per
tutti.
Hime rabbrividì nello
sfiorare la pelle pallida dell'amico, che se ne accorse.
«Ehi», le disse,
avvicinandola e abbracciandola, per riscaldarla. Lei si rilassò poco dopo. Cosa
poteva esserci di sbagliato, nonostante tutto, nel trovarsi bene tra le braccia
del suo migliore amico? Aveva passato notti intere a dormire tra lui e il
fratello e non conosceva altro posto migliore di quello. Si sentiva in pace con
il mondo, non poteva essere sbagliato.
«Buona notte, Ede», gli
sussurrò, baciandogli la punta del naso.
Le accarezzò la pelle
della schiena con un pollice. «Hn... notte, scema».
*
Hanamichi si stiracchiò
senza ritegno, allungando braccia e gambe e rischiando di capottare il tavolino
a pochi centimetri dal divano su cui aveva dormito. Aveva così tanto sonno, la
notte prima, che neanche aveva avuto la forza di arrivare in camera sua. Guardò
distrattamente l'orologio appeso alla parete e, appena realizzò che ore
fossero, scattò subito in piedi e si precipitò nella stanza della sorella,
spalancando la porta e sbraitando di essere in ritardo.
Era talmente
rincoglionito dal sonno e terrorizzato all'idea di avere Yoshikai alle prime
tre ore che inizialmente non si accorse dello spettacolo che gli si presentò
davanti. Quando tornò in corridoio corrugò la fronte, perplesso, e si fermò.
Perché diamine aveva l'immagine della sua Hicchan avvinghiata alla Volpe?
Spalancò gli occhi,
iniettati di sangue, e tornò velocemente nella stanza, osservando meglio. Hime
era in piedi, accanto alla scrivania, sistemandosi i capelli, con indosso un
paio di jeans che non le aveva mai visto - e che le stavano tre volte; mentre
Rukawa era più addormentato che mai, seduto sul letto, e con la maglietta al
contrario. C'era qualcosa che non quadrava in quella scena, ma non riuscì a
capire cosa.
Uscì dalla stanza
borbottando e prenotando subito il bagno, e Hime sospirò di sollievo. La
sveglia del fratello era stata quantomeno traumatica, ma niente poteva superare
lo stupore che aveva provato nel ritrovarsi sdraiata sull'amico, le gambe tra
le sue, e con un insolito sorriso sulle labbra. Aveva impiegato meno di una
frazione di secondo per rendersi conto della pericolosità di quella posizione,
dopo l'urlo di Hanamichi sul loro presunto ritardo; aveva scosso come un
lenzuolo Kaede - che grazie a Buddha si era svegliato subito, per una volta -
gli aveva lanciato una maglietta e lei aveva preso la prima cosa che le capitò
a tiro, cioè i jeans giganti del cestista. Fortuna che il fratello era ancora
troppo addormentato per rendersi conto del vero stato di cose, altrimenti la
fine del mondo sarebbe giunta quel giorno - e lei era ancora troppo giovane per
morire.
Fissò l'amico sul
riflesso dello specchio, più che mai ciondolante, e sorrise. Era così tenero
con quel faccino addormentato - beh, perennemente addormentato. «Scusami per il
risveglio traumatico», gli disse, ridacchiando.
«Tutti i risvegli sono
traumatici», biascicò quello, sbadigliando e ributtandosi nel letto, come se
non avesse chiuso occhio per l'intera notte.
La lotta per il possesso
del bagno iniziò dieci minuti dopo, quando Hime aveva bussato più volte contro
la porta e Hanamichi aveva dichiarato di essere ancora sotto la doccia. «Ma che
diavolo stai facendo, ancora? Sei peggio di una donna!».
«Lui è una donna», precisò Kaede, vacillante
ma in piedi, che si poggiò contro la porta del bagno. «Sono le otto e un
quarto, io rinuncerei».
Hime incrociò le
braccia. Odiava saltare la scuola per il ritardo - anzi, odiava saltare la
scuola, punto e basta. Poi un'idea le venne in mente, fulminandola. «Hisashi!
Possiamo andare a vedere come sta!».
Nell'udire quelle parole
Hanamichi aprì di slancio la porta, con il risultato di ritrovarsi addosso una
Volpe di sua conoscenza, che lo mandò lungo e disteso per terra.
«Oddio, che visione»,
disse con le guance rosse la Sakuragi.
«E levati dalle palle,
Kit!», sbraitò il fratello, scostando l'amico di malo modo, ritrovandosi due
istanti dopo a pestarsi tra il lavandino e il water. Con lividi sul viso e
sulle braccia, ma con l'espressione più soddisfatta del mondo, i due si
rialzarono, guardandosi in cagnesco. Cosa c'era di meglio per iniziare la
mattina se non una bella rissa con il proprio peggior amico?
«Buon giorno anche a te,
Do'aho», fece Rukawa, massaggiandosi una spalla indolenzita. Due secondi più
tardi chiuse la porta del bagno sul naso dei due gemelli, attoniti. Hime, più
che altro - come notò Hanamichi - stava fulminando con lo sguardo l'immaginaria
figura di Kaede, dietro quella porta, avvolta dalle fiamme dell'Inferno.
«Maledetto Orso
Surgelato che non sei altro, esci fuori di qui!», sbraitò la ragazza con la
grazia di un bisonte, bussando ripetutamente contro il legno bianco. «Questo è
il ringraziamento per l'ospitalità che ti ho dato? Mi hai quasi buttata giù dal
letto, stanot–!». Si morsicò le labbra quando si rese
conto di aver parlato un po' troppo. Il fratello, con le orecchie diventate
immediatamente due antenne paraboliche, si voltò lentamente verso di lei, che
iniziò a grattarsi furiosamente il naso, alla disperata ricerca di una frase
che avrebbe dovuto salvarle la faccia.
«Gran bel colpo», sentì
dire dall'amico.
«Hana, luce dei miei
occhi...», iniziò Hime, alzando i palmi delle mani in segno di difesa. «In
realtà, volevo dire che Ede si è svegliato nel mezzo della notte... e per
rompermi le scatole è entrato in camera e... e mi ha svegliata. Mi sono
spaventata e...».
«Hicchan», disse con
voce roca il fratello, quasi senza voce e con lo sguardo perso di chi non
poteva credere alle proprie orecchie. «Hai dormito con la Volpe?».
«Tecnicamente è successo
altre volte», puntualizzò lei, con un improbabile tono saccente.
«Hai dormito con la
Volpe», ripeté come un automa Hanamichi. «Con la Volpe».
Ahia, quando il rosso scatta sono cavoli amari per tutti, diceva sempre e
saggiamente Yoehi. Ma Hanamichi non si sarebbe arrabbiato con la sua dolce
sorellina, vero? Hime, guardando il fratello, non ne fu poi tanto sicura.
Il rossino iniziò a
contare con le dita. «Hai dormito con la Volpe. Stai con una Scimmia. Hai un
Porcospino che non manca occasione di flirtare con te. E c'è un Puffo che ti
muore dietro». Prese un bel respiro, prima di continuare. «Dimmi, Hicchan, che
cosa vuol dire?», le chiese, con i lacrimoni agli occhi.
«Che sono circondata di
animali, forse?», azzardò la ragazza, con un sorrisino incerto.
Lui crollò in ginocchio,
così come tutte le sue speranze. «Hicchan! Ho accettato la Nobu-Scimmia, ma ti
prego: Rukawa no! Tutto, ma non Rukawa!», sbraitò, disperato. Kaede aprì la
porta del bagno, con un sopracciglio inarcato dalla perplessità.
«Ehi, Do'aho, che
problemi hai?».
«Che problemi ho?!»,
esclamò quello come una furia, balzando in piedi e puntandogli un dito contro
il petto. «Gli stessi problemi di quando ho scoperto che Haruko ti moriva
dietro, ecco cosa ho!».
«Hanamichi», fece Hime,
rossa in viso. «Non è successo assolutamente niente. Niente, capito? Per chi mi hai presa, si può sapere? E tu!», aggiunse,
rivolta all'amico. «Dì qualcosa, accidenti a te! Dammi una mano a farlo
ragionare!».
Kaede si strinse nelle
spalle. «Ha il cervello troppo piccolo, non faccio miracoli».
«Checcosahaidetto?!».
«Ragazzi, buon giorno!
Come mai siete ancora a casa?», domandò la voce della signora Sakuragi, appena
rientrata dal suo turno in ospedale.
«Perché tuo figlio si è
impossessato del bagno e non ne voleva più uscire», rispose Hime, guardando in
cagnesco il gemello, già pronto a lagnarsi che non era assolutamente vero.
«Oh, Kaede, ci sei anche
tu!», esclamò la donna, allegra. Non sembrava neanche che avesse lavorato nove
ore, tutta la notte.
«Ehi, mamma, come sta
Mitchi?», domandò il figlio, lasciando perdere la disputa con il compagno di
squadra. Almeno per il momento.
«Benone, direi. Si è
addormentato tardi, Akira, Sana e la vostra nuova amica gli hanno fatto
compagnia finché non sono crollati tutti», spiegò loro. «Potete andare a
trovarlo dopo la scuola, no?».
«Sempre che riusciamo ad
arrivarci, a scuola», biascicò Hime, schiarendosi la voce.
Misato Sakuragi strinse
le labbra, indispettita. «Ragazzi, le lezioni sono importanti, non potete
saltarle», li rimproverò, guardandoli attentamente tutti e tre. Poi scoppiò a
ridere, agitando una mano. «Ma siete in ritardo e il basket e il vostro amico
sono anche più importante della scuola, per voi, no? Andate, dite che vi do il
permesso di fargli visita anche se non è ora. Su, che aspettate? Vi voglio
fuori di casa tra quindici minuti, chiaro?».
Hanamichi si accostò
all'orecchio della sorella. «La mamma è impazzita, Hicchan».
Lei, d'altro canto
scosse il capo. «No, è sempre stata così».
«Si capiscono molte cose»,
concluse Kaede, che all'occhiataccia risentita dei gemelli rispose con una
scrollata di spalle.
*
Quando giunsero in
ospedale videro che l'idea di saltare le lezioni per andare a trovare il loro
amico non fosse stata solo loro. Senza contare Sendoh, Sana e Kiyo, rimasti in
ospedale tutta la notte - e visibilmente stanchi e spossati - c'erano già anche
Ryota e Ayako, intenti a parlare con un medico che non aveva intenzione di
lasciarli entrare nella stanza dell'amico, così come Kogure e Akagi, che
tentavano inutilmente di farlo ragionare. Due secondi dopo giunsero anche i
fratelli Shimura.
«Non crede che se ci
vedesse tutti sarebbe un buon modo per migliorargli il suo pessimo umore?»,
stava dicendo gentilmente Ayako, che tentava in tutti i modi di salvare gli
sforzi scorbutici del fidanzato.
Il medico scosse il
capo. «Mi dispiace, ma questo non è orario di visita, come vi stavo dicendo. A
mezzogiorno potrete fargli visita per un'ora».
Ma fu grazie ad
Hanamichi il Salvatore che le cose migliorarono - o meglio, dipende dai punti
di vista. «Ehi, quattr'occhi! Non tu, Kogure, lui! Sono il figlio
dell'importante dottoressa Sakuragi, facci passare!».
«Che io sappia la
signora Sakuragi è una semplice infermiera», obiettò quello. Ma Hanamichi non
ascoltò altro, sorpassando quel tappo che gli arrivava sotto il mento solo
mettendosi in punta di piedi. «Ehi, dove andate? Non potete entrare, vi ho
detto! Il nostro paziente non è solo in camera!».
Con un grido di
battaglia i bisonti dello Shohoku fecero la loro comparsa nella stanza
dell'amico che, vedendoli tutti lì - e avendo sentito il gran baccano che
avevano fatto - non poté risparmiarsi una risata.
«Mitchi!», esclamarono
in coro i gemelli, abbracciandolo.
«Ehi, dementi, fate
piano!», li rimbeccò Akagi, prendendoli per le orecchie e trascinandoli via.
«Come stai, Mitsui?»,
chiese Ryota, dandogli il cinque per salutarlo. Non si sarebbe mai immaginato
di ritrovarlo all'ospedale.
«Sono stato meglio,
Tappo», rispose quello, in un sospiro.
«È un relitto da
rottamare, altro che», fece Sendoh, che nonostante la stanchezza e la
situazione delicata non aveva perso il sorriso e la sua voglia di scherzare.
Hisashi lo fulminò con
lo sguardo. «È anche colpa tua, demente. Non mi hai fatto chiudere occhio,
stanotte».
«Oh oh,
hai capito i due fidanzatini?», esclamò Hanamichi, mentre Akira rideva e
l'altro s'inalberava.
«Allora avevo ragione,
figliolo», fece una voce anziana alle spalle dei visitatori. C'era una
vecchietta sdraiata sull'altro letto presente nella stanza, con gli occhiali da
lettura sul naso e un libro sulle mani; li osservava con occhioni piccoli e
vispi e un'aria malandrina. «Voi due siete fidanzati!».
Il silenzio calò tra i
presenti, per poi venire interrotto dalle risate sguaiate di tutti - con le
dovute eccezioni. «Io l'ho sempre detto che prima o poi sarebbe accaduto»,
borbottò Hisashi, contrariato.
«Beh dai, siamo una
bella coppia, no?», esclamò Akira. «Kiyoko, mi
dispiace, ma io e Hisashi siamo fatti l'uno per l'altro, rassegnati».
La nuotatrice fece una
smorfia divertita, agitando una mano. «Tienitelo pure, meglio saperlo ora».
«Ehi!», esclamò offeso
Mitsui, mentre lei nascondeva un sorriso. Poi si rivolse alla signora, che
continuava ad osservarli con un sorriso bonario. «Abe-san,
la vede questa qui? Per quanto sia antipatica e asociale, preferisco esemplari
come lei, non so se mi spiego».
La vecchietta annuì,
poco convinta. «Non devi vergognartene, figliolo. Vedere due bei ragazzotti
insieme è sempre un piacere per i miei occhi!».
«Oddio, una vecchia
pervertita!», esclamò Hanamichi, fortunatamente a voce bassa; Hime, per
zittirlo, gli tirò una gomitata in mezzo alle costole, tentando in tutti i modi
di non scoppiare a ridere.
«E non avete sentito che
razza di discorsi ha fatto con questo idiota», aggiunse Hisashi, indicando
Akira.
«Del tipo?», domandarono
i gemelli Sakuragi, interessati.
«No, ragazzi, per
favore! Sono già abbastanza sconvolta di mio, non peggiorate la situazione!»,
esclamò Sana, tappandosi le orecchie, mentre Akira l'abbracciava, divertito.
Rimasero a fargli
compagnia finché un medico, un'ora e mezza dopo, disse loro che Hisashi doveva
fare una visita post-operatoria. Hisashi li ringraziò tutti per essere passati
a trovarlo, ma chiese cinque minuti di permesso all'uomo per parlare di
un'ultima, importante questione. Il medico, fortunatamente non aveva da
ribattere.
«Ehi, Shimura».
I gemelli si voltarono,
ma Hisashi ne indicò solo uno. Kimi si avvicinò al letto, ficcandosi le mani in
tasca, mentre gli altri lasciavano la stanza. La vecchietta del letto accanto,
intanto, osservava i due con tanto d'occhi. «Allora, è lui il tuo fidanzato,
figliolo?».
«Quante volte dovrò
ripeterglielo, Abe-san?! Mi piacciono le donne, don-ne! E questo qui non mi sembra una
donna», sbottò Hisashi, mentre Kimi tratteneva a stento le risate.
La signora scrollò le
spalle, tornando a leggere, e lasciandosi scivolare addosso lo sguardo inceneritore
del cestista.
«Mi volevi dire
qualcosa, senpai?».
Hisashi annuì,
sistemandosi sul letto, nonostante la gamba ferma e dolorante. Non si sarebbe
fatto venire anche mal di schiena, solo perché quel Rukawa Senior gli aveva
detto di non muoversi! «Pare proprio che non giocherò le prime partite», disse
con amarezza. «Ti ho osservato molto, da quando ti ho visto in campo, Shimura».
Kimi piegò il capo,
incuriosito. «Onorato, senpai. Non è che ti sei innamorato veramente di me?»,
domandò, a voce più alta, in modo che anche la vecchia riuscisse a sentire. E
infatti eccola lì, le orecchie tese e lo sguardo sbarrato.
«Ma che cazzo, sei
idiota o cosa?!», sbraitò Hisashi, tirandogli la prima cosa che aveva a tiro,
mentre Kimi si lasciava andare a una risata divertita e scansava un bicchiere
di plastica.
«Scusami, senpai, dovevo dirlo».
«Sì, certo, tanto devi
starci tu in camera con questa strega», borbottò l'infortunato, lanciando
un'occhiataccia alla signora del letto accanto. «Comunque, non interrompere un
tuo senpai quando parla!».
Kimi sollevò le braccia
al cielo, con un'espressione innocente in viso. Ah, maledetti Shimura e tutti i
gemelli che conosceva!
«Dicevo», sbottò,
guardando fuori dalla finestra, «ti ho osservato e ho notato soprattutto come
lavori dietro la linea dei tre. Sei bravo». Kimi rimase in silenzio, attendendo
che continuasse. «Visto che non potrò giocare per un po' la squadra ha bisogno
di qualcuno come me, e non parlo per puro egocentrismo. È un dato di fatto».
L'altro avrebbe
volentieri obbiettato che quello era esattamente
un perfetto esempio di egocentrismo, ma
evitò. Si limitò solo a sorridere.
«Quindi, se tu sei
d'accordo, appena uscirò di qui ci alleneremo insieme. O meglio, io allenerò
te, dato che non potrò fare un maledetto passo senza una stampella per una
settimana», aggiunse. Poi tornò a guardarlo, puntandogli un dito contro. «Hai
la mia stessa naturalezza di andare a canestro dai 6 metri e 25, devi solo
affinare la tecnica. Non come Jin, non diventerai un robot. Ti sto affidando il
mio posto per qualche partita, vedi di non deludermi».
«È un onore, davvero, senpai.
Non ti deluderò, promesso», poi, con un tono più rilassato, chiese: «Ma non hai
paura che possa soffiarti il titolo di miglior tiratore da tre punti?».
«Non diciamo cazzate,
ora. Sei ben lungi dal riuscirci!», esclamò l'altro, piegando le labbra in un
sorrisino sarcastico. «È solo che non ci sarò sempre per lo Shohoku, e anche se
l'anno prossimo mi avrete ancora tra le palle per via della sicura bocciatura,
tra due no, non ci sarò. Voglio che qualcuno continui a lavorare sodo grazie a
me, in questa squadra».
Kimi annuì. «Capisco,
senpai. Grazie per aver pensato a me, davvero. Alle medie eri il mio mentore,
anche se non lo sapevi», aggiunse, ridacchiando.
«Sapevo benissimo di
essere un esempio da imitare, Shimura!», replicò l'altro, con un ghigno. «E
vedrai, tornerò ad esserlo, te lo posso assicurare».
Continua...
* * *
Capitolo abbastanza lungo e corposo, spero sia stato di
vostro gradimento! Le cose non vanno benissimo per lo Shohoku, a quanto pare, e
vi avverto già che ci saranno altri problemi in futuro... sì, decisamente
questo secondo capitolo di Wild Boys è quanto più
di melodrammatico potessi scrivere. XD
Un grazie a chi continua a seguirmi in tutti i modi e ai
nuovi "fans", siete la mia gioia, davvero. J
A presto!
Un abbraccio,
Marta.
PS: vi ricordo il mio account
di Facebook che utilizzerò per gli aggiornamenti
e le novità di EFP, chiunque voglia aggiungermi è liberissimo di farlo. (: E
anche il gruppo per ricevere notizie, spoiler e anteprime! Lo potete trovare qui.
Se volete passare il tempo tra un aggiornamento e l'altro con intermezzi spoilerosi siete i benvenuti! :)
Con una smorfia di
dolore, Hisashi tentò di sistemare il suo bel fondoschiena sul divano, senza muovere
troppo la gamba malferma. Erano passati due giorni dall'intervento e con
l'aiuto delle stampelle era potuto tornare a casa senza problemi. Kanbe-san lo
aveva rassicurato dicendogli che il ginocchio stava rispondendo bene e che, se
avesse seguito alla lettera le sue regole, avrebbe potuto riprendere ad
allenarsi una settimana prima della finale. Era sconcertante come quell'uomo
fosse sicuro che l'avrebbero raggiunta. Lui, d'altro canto, non ne era così
sicuro e non lo faceva per arroganza. Lo Shohoku aveva perso un anello
fondamentale con l'abbandono di Akagi, non potevano permettersi di perdere
anche lui. Indi per cui aveva intenzione di allenare fino allo sfinimento Kimi
- se poi questo doveva districarsi anche con le prove della band... beh, cavoli
suoi.
Cambiò canale su una vecchia
partita degli Utah Jazz contro i Bulls e poggiò la
testa sul cuscino, sbuffando. Lanciò un'occhiata alle stampelle e un peso al
cuore gli fece tornare l'angoscia di qualche anno prima, quando aveva visto
sfumare la sua carriera cestistica per quello stesso, maledetto ginocchio. Ora
era più motivato a riprendere il gioco, certo: con amici e compagni di squadra
come quelli che aveva non poteva certo lasciarsi andare come l'ultima volta. Ma
aveva una tale rabbia in corpo che avrebbe anche potuto uccidere a pugni quel
pezzo di merda che l'aveva ridotto così. Sperava di avergli rotto almeno il
naso, con quel gancio che era riuscito a dargli, prima che lo buttasse a terra.
La madre si avvicinò,
con un tè freddo alla pesca, e glielo porse. «Posso portarti qualcos'altro?».
Lui sorrise, scuotendo
il capo. «No, grazie. Non preoccuparti, tra qualche giorno tornerò a saltare su
una gamba».
«Oh, non fare
sciocchezze, però! Segui quello che ti ha detto il dottore, poi potrai saltare
tutte le volte che vuoi», esclamò la signora Tamaki, preoccupata che il figlio
testardo potesse davvero compiere qualche idiozia come l'ultima volta.
Hisashi rise e le fece
cenno di sedersi accanto a lui. «Come ti senti?».
«Dovrei essere io a
chiedertelo, figlio mio». Tamaki si poggiò contro lo schienale, la fronte
corrugata da troppe preoccupazioni. «Sono sempre sulle spine. Ogni giorno mi
sveglio con la stessa inquietudine e la prima cosa che penso è: cosa succederà
oggi? Hisashi starà bene o si caccerà in qualche guaio? Mio marito tornerà a
spaventarmi ancora? Troverò un lavoro?».
«E se ti dicessi che
presto si sistemerà tutto?».
«Lo vorrei tanto,
Hisashi, davvero. Ho quarantasei anni, ma mi sembra di sentirne ottanta. Sono
stanca».
Il ragazzo l'abbracciò e
le diede un bacio tra i capelli. «Ti prometto che tornerai ventenne, vedrai».
La madre ci pensò un po'
su, poi rise. «Quindi potrò tornare a vestirmi con i pantaloni a zampa di
elefante e con i capelli cotonati?».
Hisashi scosse il capo,
inorridito all'idea. «Ecco, magari la moda anni '70 la lasciamo alla sorella di
Sakuragi, che ne dici?».
Rimasero seduti sul
divano per qualche minuto, in pace. Hisashi amava la madre, più di se stesso, e
se c'era una cosa che desiderava più di tutte, oltre che tornare a giocare e
vincere il Campionato Invernale, era di vederla sorridere di nuovo, senza
angosce, senza ansie, senza tormenti di sorta. Se stava male lei, stava male
anche lui, e Tamaki Mitsui era una donna che meritava tranquillità e spensieratezza,
dopo la vita che aveva vissuto.
«Sei l'unica cosa che mi
sia riuscita bene, Hisashi», gli sussurrò, stringendolo tra le braccia. «Sei il
mio orgoglio e la mia gioia».
Il cestista stava per
rispondere, ma qualcuno alla porta aveva iniziato a bussare le nocche sul
legno, intonando il ritmo di Jingle Bells. Tamaki si alzò, chiedendosi chi potesse essere a
quell'ora del mattino. Appena vide il viso ridente di Akira si rilassò e lo
accolse in casa con un abbraccio.
«Buon giorno,
Tamaki-san, il poltrone infortunato è in casa?».
«No, sono andato a
correre», rispose Hisashi, alzando gli occhi al cielo. L'altro rise.
«Vieni pure, Akira caro,
posso offrirti qualcosa? Perché non sei a scuola?», domandò la donna, invitandolo
a sedersi con il figlio.
«Beh, la sveglia non ha
suonato e... in realtà non mi tratterrò molto, sono passato per darvi una cosa».
Il luccichio divertito negli occhi del ragazzo non passò inosservato all'amico.
Akira infilò le mani in tasca e tolse fuori un mazzo di chiavi. «Questa è del cancello
del giardino; questa del portone d'ingresso principale e questa è per casa
vostra».
I due sgranarono gli
occhi, quasi senza fiato. Tamaki scoppiò in lacrime, abbracciando il giovanotto
e riempiendolo di baci; Hisashi, invece, se avesse potuto gli avrebbe
volentieri colato una statua in oro. Si alzò a fatica e si avvicinò all'amico
con due passi di stampelle, che prese in una mano, per stringerlo con l'altro
braccio. Non poteva crederci, era troppo bello per essere vero: si sarebbero
trasferiti a casa dei Sendoh, senza che loro gli avessero mai chiesto niente.
«Quante cose pensate di
portarvi dietro? Così possiamo pensare di affittare un furgoncino per il
trasloco», disse Sendoh, con il suo immancabile sorriso.
«Oh, non dovete
preoccuparvi anche di questo, per favore!», esclamò Tamaki-san, imbarazzata.
«Avete fatto anche troppo, troppo, troppo!», disse, con le mani che coprivano
le guance rosse.
Akira rise. «In realtà
non abbiamo fatto un granché. Una ditta di legname da costruzione ha fallito e
ha svenduto l'ultimo materiale che aveva, così ne abbiamo approfittato. È il
minimo che potessimo fare per aiutare degli amici». Poi si rivolse ad Hisashi,
strizzandogli un occhio. «Al massimo suo figlio può prestarmi la sua bambolina
per qualche tempo».
Mitsui gli tirò un pugno
sulla spalla, pensando che, dopo quello che aveva fatto, la sua moto poteva
anche fargliela annusare. Forse.
E mentre la madre, con
ancora le lacrime agli occhi per la gioia, canticchiava e iniziava a fare una
lista di tutto quello che dovevano portar via - elettrodomestici, qualche
mobile a cui era particolarmente affezionata e pochi effetti personali - Akira
si sedette con Hisashi.
«Allora, come va il
ginocchio?», gli domandò.
«Un po' indolenzito, ma
potrei anche muoverlo, se solo il padre di Rukawa non me lo avesse vietato per
i primi giorni. Domani ho un'altra visita e inizio la fisioterapia. Ma appena
mi libero delle stampelle, farò tutto quello che posso per dare una mano a mia
madre e per aiutare voi».
«Ah, no. Non abbiamo
bisogno di uno scansafatiche che fa finta di zoppicare». Akira scansò appena in
tempo una stampella che gli avrebbe lasciato un bel ricordo su quel cranio
vuoto che si ritrovava - ma più che altro il suo terrore era quello di disfarsi
la sua consueta e famosa cementificazione dei capelli, cosa che anche quella
mattina gli aveva procurato un bel ritardo a lezione. «Comunque, non so tu, ma
sono elettrizzato all'idea di averti in casa. Insomma, potrò romperti l'anima
ventiquattro ore su ventiquattro!».
Hisashi sbuffò. «Ammettilo,
era tutto previsto dall'inizio».
«Colpito e affondato».
L'ex numero 7 del Ryonan sorrise. «Così, mentre stai dormendo, posso entrare in
camera tua e farti qualche agguato».
«Sendoh, non
costringermi a mettere un coltello sotto il cuscino».
«Ma no, intendevo per
fregarti le chiavi della moto!».
Mitsui ghignò. «Appunto».
*
Quando Hime giunse
trafelata dalla segreteria, gridando un "Fate laaargo!" da mancarle il fiato,
l'intera palestra capì cosa fosse il foglio che agitava in una mano.
«Ragazzi, vorrei la
vostra attenzione per cinque minuti, per favore!», disse la Sakuragi,
appendendo il calendario ben in vista sulla bacheca. «Finalmente è arrivato».
Tutti i giocatori si avvicinarono per leggere il nome della prima squadra da battere. Essendo entrati tra le prime quattro squadre della Prefettura avevano ricevuto il privilegio di saltare le squadrette minori, per giocare direttamente ai quarti; tirarono un sospiro di sollievo nel leggere Miuradai. Come per il Campionato Nazionale, sarebbe
stato il loro primo avversario, ma ricordavano l'umiliazione che la squadra di
Naito aveva subìto quel giorno - senza contare che i quattro giocatori migliori
erano rimasti in panchina per metà partita.
Hanamichi agitò una
mano, con noncuranza. «Bah, ce li mangiamo a colazione».
«Non state sugli allori,
ragazzi», li ammonì Ayako. «Il Miuradai, per quanto possiamo saperne, può anche
essere migliorato molto, proprio in vista di una rivincita».
«Ayakuccia ha ragione»,
intervenne il suo fidanzato, seriamente. «Se fossimo stati noi a subire 63
punti di differenza, faremo di tutto pur di restituire il favore. Non dobbiamo
prenderci il lusso di sottovalutare nessuno dei nostri avversari, chiaro?».
«Ben detto, ragazzi».
Anzai comparve in quel momento, di bianco vestito, e con un bel sorriso sereno
sul viso rotondo. «Non facciamoci trasportare dagli entusiasmi. Dobbiamo
restare freddi e concentrati, soprattutto ora che Mitsui non potrà essere con
noi nelle prime partite. Lavoriamo sodo e cerchiamo di reperire informazioni
sulle amichevoli del Miuradai e, se possibile, anche sui giocatori che lo
compongono».
Hime alzò una mano,
strizzando un occhio. «Sensei, potrei occuparmi io di questo. Hikoichi Aida
sarà ben felice di aiutarmi».
«Molto bene, molto bene!
Ricordatevi: focalizzate le vostre energie e spendetele al meglio con chiunque
ci ostacoli la strada verso la vittoria. Perché noi possiamo vincere, ma
dobbiamo combattere».
Un "Vinceremo!" convinto risuonò per la
palestra e, con il morale combattivo, i Diavoli Rossi si misero nuovamente al loro
duro lavoro, più motivati che mai. Avrebbero vinto, soprattutto per Mitsui.
Kiyota, che era passato
a vedere gli allenamenti, fissava con ira Rukawa, che non perdeva occasione per
fare la divetta del gruppo, ma quando Hime gli si avvicinò saltellante tutte le
sue attenzioni furono per lei.
«Nobu, mi
accompagneresti al Ryonan?», gli domandò, con un sorrisino che avrebbe fatto
capitolare anche l'impassibile Akagi. «Magari vediamo di recuperare
informazioni anche sullo Tsukubu che dovrete affrontare voi, che ne dici?».
La Scimmietta del Kainan
annuì, alzandosi dalla panca e prendendola per mano - cosa per cui partì un
colpo al povero Araki, che vedeva la sua unica possibilità di rivincita e di
conquista della bella Sakuragi solo durante gli allenamenti che lei faceva con
i nuovi arrivati. Kiyota gli riservò un ghigno che era tutto un programma,
mentre lasciava la palestra con la sua ragazza.
«Ehi, Hicchan», le disse
poi, pensieroso e un po' preoccupato. «Ma tu mi vorrai bene anche se batteremo
il tuo liceo?».
Hime si voltò a
guardarlo, sconvolta. «E chi ti dice che ci batterete?».
«Beh, Mitsui non c'è, il
Gorilla nemmeno e il Kainan ha me, la miglior matricola di Kanagawa!», rispose
gasatissimo lui. «È praticamente ovvio
che vi batteremo».
«Io non sarei così ovviamente convinta, Nobu», disse Hime,
sorridendo sorniona e appendendosi al suo braccio. «Insomma, noi abbiamo
un'arma segreta!».
«Un'arma segreta?! E non
si allena con voi?!».
«È segreta, Nobu-chan!
Non possiamo permettere che si alleni davanti agli occhi indiscreti del nemico».
Nobunaga ci pensò sopra
un poco. «E il nemico sarei io?».
«Certo! Tu, Akira e
chiunque venga a spiarci!». Hime rise, sollevandosi sulle punte per dare un
bacio al ragazzo abbattuto.
«Quindi non mi vorrai
più sul serio?», chiese, mogio mogio.
Hime si fermò e gli si
piantò davanti, prendendogli entrambe le mani. «Nobunaga Kiyota, pensi che
starei con te se ci fossero problemi simili? Mi sarei fidanzata con qualcuno
della mia scuola, altrimenti!».
«Sì, magari con quel
Puffo... o con Rukawa».
La rossa rimase
interdetta e non poté far niente per evitare di arrossire. «Nobunaga! È il mio
migliore amico, è come pensare di stare con Hanamichi!».
L'occhiata poco convinta
dell'altro la fece rabbrividire. «Hicchan, io mi fido di te, davvero. È di lui
che non mi fido. Tuo fratello ha ragione a dire che le Volpi sono animali infidi!».
«E io ho ragione a dire
che sei un idiota». Gli strinse con forza le mani, sorridendo. «Kaede è un
amico, il migliore che si possa avere. E mi vuole bene, come una sorella. Siamo
cresciuti insieme, Nobu, non puoi pretendere che siccome ora ho te possa
allontanarlo o allontanarmi. Altrimenti non hai capito proprio niente di me».
Kiyota sospirò,
passandosi una mano tra i capelli. «Scusami, Hicchan, è che a volte mi chiedo
come possa stare con uno come me».
«Vediamo, come devo
fartelo capire... sei orgoglioso, egocentrico quasi ai livelli di Hanamichi,
sei casinista, non ami molto lo studio... e sei del Kainan - Kainan, capisci?», fece Hime, scuotendo
il capo quasi con disprezzo. Poi ammiccò. «Ma sei buono, sincero e pazzo. Pochi
pregi che bilanciano completamente tutti i tuoi brutti difetti».
«Ehi!», esclamò offeso,
facendola ridere.
«Ah, sei anche
permaloso!», aggiunse, scappando dalle grinfie del ragazzo, deciso a mettere
fine a quell'elenco che non gli era piaciuto per niente.
Uscirono dallo Shohoku
di corsa, finché Kiyota, con un balzo dei suoi, l'afferrò per un polso e riuscì
a fermarla. «Aha, presa! Ora vediamo, che punizione
posso infliggerti fino alla metropolitana?», si chiese, stringendola tra le
braccia, per impedirle di scappare.
«Che ne dici se invece
patteggiamo e deponiamo le armi? Potrei farmi perdonare!».
«No, poi penseresti che
sono facilmente ricattabile. Ho una reputazione da difendere, io! Nobunaga
Kiyota, l'inflessibile numero uno di Kanagawa!».
«Neanche se decidessi di
farti un regalo strabiliante per Natale?».
«E cosa? Cosa?».
«È una sorpresa, non
posso dirtelo, Nobu-chan!».
La Scimmia del Kainan la
osservò con fare indagatore, poi si arrese. «D'accordo, nessuna punizione. Però
questa me la lego al dito, voglio proprio vedere cosa mi regalerai! Aha!».
Si diressero alla
metropolitana, arraffando due posti per il rotto della cuffia, e
chiacchierarono sul vicino Campionato. Nessuno di loro stava più nella pelle,
ormai. Mancavano nove giorni alla prima partita, ma parevano un'infinità.
Eppure sapevano che il tempo a loro disposizione sarebbe trascorso troppo in
fretta tra tutti gli allenamenti, ormai giornalieri, e probabilmente avrebbero
pensato che non sarebbero bastati.
«Ma noi del Kainan non
abbiamo bisogno di allenamenti, siamo già allenati nel sangue!», stava dicendo con
il suo solito fare saccente il ragazzo.
«Sai cosa è
preoccupante?», chiese seriamente Hime.
Nobu ghignò. «Cosa? Che
vi stracceremo?».
«No, che ne sei
veramente convinto!».
L'Ala Piccola dei
giallo-viola non perse occasione di pizzicarle un fianco, facendola saltare sul
sedile, e iniziando una piccola lotta che fece guadagnare loro le occhiatacce
dei vicini. Ma i due non se ne curarono troppo: come dicevano sempre con
immensa modestia, erano uno spettacolo anche quando stavano secchi e pesti,
loro!
Giunsero a destinazione
stravolti e ridenti, e si diressero tra spinte e scherzi al liceo Ryonan. Delle
volte quei due scordavano cosa volesse significare la parola romanticismo.
«Argh,
la tana del nemico!», esclamò Nobunaga, fermandosi davanti al cancello
d'ingresso. «Una volta entrati non sapremo se ne usciremo. Sei proprio sicura?».
Hime rise, afferrandolo
per la felpa e tirandoselo dietro. «Ti terrorizza Taoka?».
«Quell'uomo è esaurito!».
«Ci credo, provaci tu a
stare dietro ad Akira Sendoh senza impazzire! Persino il senpai Maki avrebbe
qualche problema a farlo rigare dritto».
«Nah,
il Capitano è uno tutto d'un pezzo! Gli abbasserebbe la cresta in men che...
oh, gli abbasserebbe la cresta!Ahaha! Con quei capelli che si ritrova... questa era
veramente bellissima!».
La rossa alzò gli occhi
al cielo, non riuscendo a trattenere un sorriso, mentre quello quasi si piegava
in due dalle risate. Che ragazzo demente si era trovata?
La palestra era
affollata di curiosi e Hime, vedendo tutti quegli studenti, si chiese cosa ci
fosse di così interessante in un allenamento. Non era la prima volta che andava
a spiare i ragazzi del Ryonan e non ricordava un pubblico così numeroso.
«Per caso regalano
qualcosa?», domandò Nobunaga, anche lui perplesso, guardandosi intorno. Si
fermarono sulla porta e sbirciarono sul campo. La prima cosa che videro fu
Taoka, che rimproverava due matricole, ma che fu distratto subito dopo da Akira
che civettava con una studentessa. Il Sendoh!
inconfondibile che gridò fece vibrare i vetri dell'edificio.
«Coach, l'allenamento non
è neanche iniziato! Le sto solo spiegando che lei è l'allenatore migliore della
prefettura», si difese Akira, con un'incredibile faccia di bronzo - per non
dire altro. La studentessa annuì con vigore, sorridendo all'uomo, che per un
attimo credette alle sue parole. Era una ragazza alta, sopra la media, dai
capelli neri lunghi sopra le spalle e lisci, con due occhioni allegri e blu
come il giocatore di basket. E aveva una bella faccia di bronzo di tutto
rispetto, anche lei.
«Però, se le sceglie
bene quel pervertito», fece Nobunaga, che si guadagnò immediatamente l'occhiata
fulminante della fidanzata, la quale avrebbe fatto concorrenza a Medusa e al
suo sguardo pietrificante. Così, gongolante, Nobunaga le domandò: «Gelosa?».
«Macché. Una così ti
passerebbe accanto senza neanche vederti», rispose la ragazza, con un sorrisino
cinico. La reazione dell'altro la fece scoppiare a ridere: labbro all'infuori,
spalle abbassate e sguardo abbattuto.
1-0 per la Sakuragi.
«Fila a riscaldarti,
pezzo di idiota!», sbraitò l'allenatore al suo pupillo.
«E comunque quella è mia
cugina, Coach!».
«Sì, e io sono tuo
padre».
«Davvero?», esclamò il nuovo
numero 4, sfoggiando l'espressione più scioccata che avesse in repertorio. «Ma
così mi spezza il cuore!».
«Sendoh!».
Kiyota, con le braccia
conserte e gli occhi stretti a due fessure, guardava il Porcospino. «E quello
dovrebbe essere un capitano? Puah!».
«Non lasciarti ingannare
dalle apparenze. Akira sarà indisciplinato, ma è un grande trascinatore».
«Rimane il fatto che sia
un idiota».
Sulle stesse rime arrivò
la frecciatina: «Geloso?».
«Bah! Di quello lì? Non
scherziamo!».
Ma Hime non lo stava più
ascoltando. Aveva spaziato il campo con lo sguardo finché non l'aveva visto.
Sbarrò gli occhi castani, strattonando il ragazzo per indicare quel... mostro?
Non trovava parola migliore per descrivere quel... mostro, sì non era altro.
«E quello chi diavolo
è?», domandò Nobunaga, scioccato.
Il tizio in questione
era paragonabile a un armadio: alto almeno due metri, se non qualcosa di più,
spalle larghe e arti grossi quanto la testa di ognuno di loro; e come se non
bastasse era lievemente in sovrappeso. Trovarsi quel bestione sotto canestro
equivaleva a morte certa. Aveva corti capelli scuri e il viso tondeggiante era
simpatico ma un po' spaesato.
«Quello da dove salta
fuori?», biascicò Hime, che non ricordava di averlo visto nell'amichevole,
neppure in panchina. Non sarebbe certo passato inosservato, un troll di caverna
come quello! Persino Akagi ne sarebbe rimasto scioccato.
Kiyota si mosse nervosamente
accanto a lei. «Ma è regolare un tizio come quello?».
Uno studente, accanto a
loro, si unì alla conversazione. «Quello è Daichi Anami, del secondo anno. È
stato Sendoh a scoprirlo».
«Sendoh, eh?», mormorò
Hime. «Quel disgraziato, non ha detto niente».
Il tempo di dire amen e tutta la palestra puntò contro le
due spie.
«Tecnicamente, io sono
dello Shohoku», tentò di dire Hime, in sua difesa.
«Sakuragi!», tuonò
Taoka, balzando davanti alla ragazza con gli occhi fuori dalle orbite. «Ci
mancavi solo tu! Anzai ti ha mandata a spiare i miei allenamenti, per caso?».
Hime scosse il capo,
sfoggiando un bel sorriso. «Buon pomeriggio a lei, Sensei! In realtà sono qui
per rubarle qualche minuto il caro
Hikoichi, non certo per guardare quel colosso spuntato dal nulla che
probabilmente ci sbatterà fuori dal Campionato! Lo Shohoku non si presta mica a
sottigliezze del genere».
Il piccolo Aida sbucò
dietro le spalle del suo allenatore, agitando una mano in segno di saluto.
«Hime-san, ciao!».
Ma la rossa non fece in
tempo a rispondere, che Taoka aveva ripreso a sbraitare, con un pugno stretto
in segno di vittoria. «Hai detto bene, ragazza! Vi sbatteremo fuori senza che
neanche ve ne accorgiate!».
Trattenendo a stento
l'impulso di dirgli che pareva un pallone gonfiato peggio del suo ragazzo, Hime
continuò a sorridere innocentemente. «Posso parlare con il caro Hikoichi, per favore?»
Aida arrossì
furiosamente e guardò supplichevole il suo allenatore.
«Ma sì, vai pure, tanto
per quello che servi», borbottò Taoka. «E portami anche un caffè, ne ho
bisogno!».
«Che ne dice di una
camomilla, invece?», azzardò Hime, che vide bene a darsela a gambe
trascinandosi dietro ragazzo e signorino-prendi-appunti. Akira la salutò con un
bacio al vento, che mandò su tutte le furie Kiyota.
Si fermarono all'ombra
di un salice, contro il quale si lasciò cadere Nobunaga, mentre Hime sfoderava
tutto il suo miglior repertorio di adulatrice. «Allora, Hiko-chan,
dovrei chiederti un favore enorme, ma non sarei qui se non sapessi della tua
infinita gentilezza». Hikoichi balbettò qualche ringraziamento, e lei continuò.
«Dunque, come avrai visto dal calendario, il primo avversario che lo Shohoku
dovrà incontrare è il Miuradai. Sicuramente tu avrai visto le partite che ha
disputato e saprai tutto dei suoi giocatori, vero?».
«Sì, beh... hai
indovinato», disse quello, ridacchiando.
«Bene. Non è che
potresti farmi dare una rapida occhiata ai tuoi appunti? Giusto cinque minuti».
Hikoichi stava per
cedere, ma poi si fermò, perplesso. «Ma così aiuterei i miei avversari!».
Hime scambiò una rapida
occhiata con Nobunaga. «Hanamichi sarebbe fiero di te se gli facessi questo
grande favore».
Nobunaga non capì il
perché di quella frase finché non vide il ragazzino in iperventilazione. «Beh,
per Sakuragi-kun potrei anche fare un piccolo strappo
alla regola... solo se accetta di lasciarsi intervistare da mia sorella».
«Perfetto!».
Nobunaga scattò in
piedi. «Ehi, perché dovrebbe intervistare quella mezza cartuccia? Intervista
me, sono la matricola migliore della prefettura!». La totale indifferenza del
ragazzino per poco non lo fece svenire dal nervoso.
«Vado a prendere gli
appunti e torno!», disse Hikoichi, correndo verso gli spogliatoi.
Hime, dall'alto della
sua bravura, sorrise al ragazzo. «Sono o non sono un'adulatrice?».
«Hai appena venduto tuo
fratello».
«Oh, ma sarà ben felice
di vedere il suo nome nella gazzetta sportiva, fidati», gli disse,
strizzandogli un occhio.
Aida tornò poco dopo,
trafelato. «Hime-san, devo correre a portare il caffè per il Coach. Mi
raccomando, hai dato la tua parola per Sakuragi!».
«Ci puoi contare!».
Appena il ragazzo sparì
alla loro vista, Hime si accorse che non ci fosse solo la cartella del
Miuradai: nella fretta aveva portato tutte le schede possibili e immaginabili.
«A te quella dello Tsukubu. Io prendo queste due».
Prima di controllare
quella del loro primo avversario, diede una rapida occhiata a quella del
Ryonan, trovando subito quello che cercava.
Kiyota, accanto a lei,
leggeva voracemente i dati dello Tsukubu. «Però, questo Tomokazu Godaia quanto pare darà da fare a Jin».
«Aspetta, fammi
indovinare: "ma tanto Jin è il
migliore cecchino di Kanagawa, lo ridicolizzerà davanti all'intero palazzetto, aha!"».
«Puoi dirlo forte!»,
fece Nobunaga, rendendosi conto solo dopo del sarcasmo in quella frase. «Molto,
molto simpatica».
Hime si fece perdonare
con un bacio sulle labbra, che calmò tutti i suoi intenti malefici contro
quella strega dai capelli rossi. Ma vedendo che Nobunaga non aveva intenzione
di allontanarsi, la ragazza rise e lo allontanò un poco. «Ti ricordo che siamo
in missione per le nostre squadre. Prima il dovere!».
Kiyota borbottò qualcosa
d'incomprensibile e tornò a leggere la scheda, mentre Hime appuntava velocemente
tutto su Daichi Anami, prima che Hikoichi tornasse, ancor più trafelato di
prima.
«Ho dovuto riportarglielo,
era troppo amaro», fece, sconsolato.
«Tutti i migliori
giocatori di basket devono fare questo tipo di gavetta prima di diventare come
Sendoh», disse Hime, annuendo, e rendendo perplesso Nobunaga.
L'altro sbarrò gli occhi,
entusiasta. «Quindi anche io diventerò come lui, un giorno?».
«Come no», fece
sarcastico il giocatore del Kainan, che però parve convincente abbastanza da
far saltare dalla gioia il povero Hikoichi.
Hime ricopiò tutto
quello che c'era sui giocatori del Miuradai e così fece anche per lo Tsukubu,
approfittandone del momento di distrazione di Hikoichi, che aveva iniziato a
parlare a raffica del suo sogno e di come Sendoh e Sakuragi fossero i suoi due
idoli. Non che la cosa interessasse ai due, ma Nobunaga dovette ricorrere a
tutto il suo (inesistente) self-control per evitare di sbottare di chiudere
quella boccaccia. Kami, quanto parlava veloce!
Quando Hime ringraziò
più volte il ragazzo, ripetendogli che Hanamichi si sarebbe fatto intervistare
volentieri dalla sorella, si erano già fatte le sei e mezza. I due tornarono in
metropolitana, rileggendo gli appunti.
«Mamma mia, Hicchan,
come scrivi male!», si lamentò lui, cercando di capire cosa diavolo ci fosse
scritto.
«Scusami se stavo
scrivendo in fretta e sulle gambe, razza di ingrato!».
Nobunaga ghignò. «Chi
era il permaloso?».
«Ammazzati, Kiyota»,
borbottò lei, arrossendo. Il ragazzo le cinse le spalle con un braccio.
«Grazie per questi,
anche se sono illeggibili».
«Ohi!».
Quello scoppiò a ridere,
abbracciandola e dandole un bacio tra i capelli indiavolati. «Che fai, torni in
palestra, ora?».
Come risposta ricevette
un grugnito di assenso. Osservò la sua ragazza con attenzione, sorridendo: era
adorabile quando s'imbronciava. Le accarezzò il mento, facendola voltare. Poi
si chinò su di lei e la baciò sulle labbra. Fortuna che il vagone era pressoché
vuoto, pensò Hime, ricambiando il bacio e dimenticandosi momentaneamente di
essere offesa con lui.
*
La notizia di questo
nuovo colosso del Ryonan inquietò un po' tutti, ma Ryota ricordò loro di
concentrarsi sui primi avversari. Il Ryonan e il nuovo acquisto sarebbero stati
un problema che avrebbero affrontato più avanti, sempre che giungessero al
punto di potersi preoccupare.
«Si sono fatte le sette
e mezza, ragazzi, per oggi possiamo anche terminare qui», disse il Capitano.
«Hime, grazie per le schede, ne parliamo con più calma domani, ok?».
«Agli ordini, capo!». La
donzella saltellò alla volta del fratello. «Hana, luce dei miei occhi, devo
confessarti una cosa».
Quello sbiancò, temendo
il peggio. Dopo tutto quello che stava scoprendo e vedendo ormai sospettava di
tutto.
«Ho dovuto fare una cosa
per avere quegli appunti...», iniziò Hime, ma non poté finire la frase, perché
Hanamichi le si inginocchiò davanti, scuotendola con veemenza.
«Hicchaaan!
Non mi dire che per lo Shohoku hai dovuto fare qualcosa di indecente?!».
Immediatamente dopo
sulla capa rossa del ragazzo nacque un bernoccolo con i fiocchi. Con il pugno
ancora fumante e un tic pericoloso all'occhio, la sorella continuò a parlare.
«...ti ho accordato un'intervista con Yayoi Aida, fratello demente».
Hanamichi impiegò
qualche tempo per assimilare la cosa. Poi balzò energico e con un sorrisone da
orecchio a orecchio. «Vuoi dire che diventerò famoso?».
«Che Buddha ci liberi»,
commentò Rukawa, filando a farsi una doccia.
«Sei solo verde
dall'invidia, Kit!», esclamò il rossino. Poi abbracciò la sorella, rischiando
di spezzarle in due la schiena. «Grazie, Hicchan!».
«Sì, sì, ora mollami»,
tentò di dire la ragazza, con il fiato mozzato. Hanamichi trotterellò verso gli
spogliatoi, cantando e inneggiando la sua fama.
«Sai che hai appena
combinato un casino?», le chiese Ryota, incrociando le braccia. «Darà di matto
appena uscirà l'intervista».
«Ci penserò io a
calmarlo, tranquillo», gli disse lei, con un sorriso.
L'unico che non andò a
farsi una doccia fu uno dei gemelli Shimura. Salutò i suoi compagni, spiegando
che si sarebbe trattenuto un altro po'. «Tranquilli, chiudo tutto io».
Le due manager
annuirono, lasciandogli le chiavi.
«Non stancarti troppo»,
disse Ayako, richiudendosi la porta alle spalle.
Kimi rimase solo, con un
pallone in mano e la palestra a disposizione. Si avvicinò alla linea dei tre e
si fermò poco prima. Prese un respiro profondo, per concentrarsi, e sollevò lo
sguardo al canestro. Doveva allenarsi, per tenere il posto a Mitsui. Doveva
farlo per lui, per la squadra. E per se stesso. Sperava solo che il senpai
tornasse presto in palestra, per avere i consigli che gli aveva promesso.
Il canestro che centrò
poco dopo fu il primo di una lunga serie.
Continua...
* * *
Torno come promesso dopo le vacanze estive! Come avete
passato questi mesi di assoluto riposo? Spero benissimo e che siate carichi di
energie per affrontare l'inverno!
E così abbiamo visto un personaggio(ne), tale Daichi
Anami... io lo adoro già, spero di farlo amare anche a voi! E non disdegnate
neanche la presunta cugina del Porcospino, ho in mente un progettino per lei.
Un piccolo appunto prima di salutarvi: il titolo di questo
capitolo prende il nome dall'omonimo film di Tony Scott. ;)
A presto!
Un abbraccio,
Marta.
PS: vi ricordo il mio account
di Facebook che utilizzerò per gli aggiornamenti
e le novità di EFP, chiunque voglia aggiungermi è liberissimo di farlo. (: E anche
il gruppo per ricevere notizie, spoiler e anteprime! (Tra cui la griglia del
Campionato, per chi fosse interessato!) Lo potete trovare qui.
Se volete passare il tempo tra un aggiornamento e l'altro con intermezzi spoilerosi siete i benvenuti! :)
Quando Hime aveva
annunciato al fratello che avesse trovato una data per l'intervista che doveva
a Yayoi Aida aveva anche previsto la sua reazione esageratamente esaltata. Non
aveva pensato, invece, agli effetti collaterali - come per esempio il fatto che
Hanamichi fosse entrato in una pseudo sindrome da indecisione femminile.
«Secondo te cosa mi devo
mettere? Insomma, sto andando alla mia prima intervista!», esclamò, in un misto
di euforia e di panico. «Devo indossare una cravatta? Hicchan, io non so mettere
la cravatta!».
«Sembri una ragazzina
isterica», ridacchiò Hime, dando voce al pensiero di Rukawa, trascinato in quel
vortice di demenzialità senza neanche sapere il motivo - anche se il sospetto
che la Sakuragi avesse venduto anche lui per avere i dati delle squadre
avversarie iniziò ad insinuarsi nella sua piccola testa addormentata.
«Non sono isterico!».
«Una ragazzina?».
«Volpe, taci tu! È un
momento critico, questo!».
Hime sedò gli animi con
una tirata d'orecchie a entrambi e finalmente il silenzio regnò sovrano. Per
almeno un'altra manciata di secondi. «Hana, luce dei miei occhi, e se ti
vestissi come tutti i giorni? Non stai andando in televisione e abbaglierai
comunque la signorina Aida con la tua bellezza».
Kaede non fece in tempo
ad alzare gli occhi al cielo per maledire quell'adulatrice della seconda
manager, che quello era già partito per la tangente senza via di ritorno,
blaterando qualcosa a proposito di un inesistente servizio fotografico che
avrebbero stampato su tutte le copertine delle riviste di machi sportivi più famosi del Giappone.
«Sei consapevole che
tutto ciò non gioverà a nessuno?», domandò Kaede all'amica, che non smetteva di
ridere.
Lei annuì. «Ma è troppo
divertente per farlo smettere. E poi, quello che abbiamo guadagnato è parecchio,
Ede, non sottovalutare le schede avversarie».
«Io la chiamo
corruzione».
Hime agitò le mani, come
se volesse scacciare una mosca fastidiosa. «Chiamala come vuoi, ma ci aiuterà
lo stesso. Insomma, non stiamo andando a spaccare le gambe dei nostri avversari
per farli fuori, no?».
«Hn,
sarebbe più divertente». Avrei giusto un paio di bersagli in mente.
«E no, Ede, non pensare
minimamente di torcere un capello ad Akira e Nobu».
«Strega».
Lei sorrise. «Non c'è
bisogno di avere super poteri per capire che ti passa per quella testolina
bacata. Anche un cieco avrebbe visto l'espressione omicida che avevi cinque
secondi fa».
Rukawa non rispose,
pienamente convinto che fosse davvero una strega. Insomma, con
quell'improbabile colore di capelli di certo non era normale.
Appena Hanamichi, dopo
quasi un'ora di preparazione, fece la sua trionfante uscita dalla sua stanza,
mostrando al mondo quanto bello e solare fosse.
«Hana, sei sicuro di
voler andare al Ryonan conciato così?».
«Sì, perché?», domandò
insicuro l'altro.
«Ecco, perché non
passerai di certo inosservato con la tua testa rossa, se poi ti presenti così
allora è un chiaro invito a ricevere le ire dell'intero liceo».
«Magari fosse!»,
commentò Kaede, beccandosi l'occhiataccia del suo compagno di squadra.
«Ede, ci terrei tanto a
riportare a casa sano e salvo mio fratello».
«È necessario?».
«Kit, ammazzati».
«A te l'onore di
iniziare, Do'aho».
«Giovini, potete
cortesemente smetterla?».
I due borbottarono
qualcosa alla volta dell'altro, ma fu Hanamichi a riprendere. «Ma Hicchan, se
indosso la divisa così almeno si vede quando io sia attaccato alla squadra, no?».
Hime si grattò il naso,
incerta. «Allora fai una cosa, indossa la maglia ma evita i pantaloncini. Anche
perché oggi fa fresco, non vorrai ammalarti?».
«Sta facendo di tutto
per liberarci dalla sua presenza, lascialo fare», continuò Kaede, che si
ritrovò il suo miglior nemico al collo, con il chiaro intento di farlo fuori.
La ragazza rinunciò a
qualsiasi tentativo di farli smettere e trotterellò in cucina, riempiendosi un
bicchiere di the verde, che tanto adorava. «Quando finite fate un fischio!». In
risposta ottenne solo il suono di un qualcosa di fragile che si frantumava al
suolo. Sperò vivamente che non fossero le tartarughe in vetro della madre...
altrimenti sì che si sarebbe ritrovata senza fratello. E probabilmente anche
senza migliore amico.
Quando Hanamichi si
precipitò dalle scale, trascinandosi dietro sorella e Volpe, Hime capì che il
danno era stato fatto.
«Hana, sai bene che
mamma vi ucciderà, vero?».
Sakuragi si guardò le
spalle, come se la donna fosse dietro di lui con una mannaia in mano pronta a
farlo fuori sul serio. «No, Hicchan, mamma è buona e gentile, non farebbe male
ad una mosca. E poi è stato lui a spingermi contro il mobile!».
«Spara balle», fece
serafico Kaede, mani in tasca e spallucce di desolazione.
«Ede, per una volta non
mi riesce difficile pensare che stia dicendo la verità», lo ammonì la seconda
manager, con aria da bacchettona.
«Che significa per una volta?! Hicchan, io non dico le
bugie!», esclamò Hanamichi, con il labbro all'infuori, triste e sconsolato. La
risposta della sorella fu la sua occhiata eloquente, che diceva a chiare
lettere: vedi? Lo stai facendo anche ora!
E tra un'infinita
filippica sulla sua sincerità e sui suoi occhioni da cerbiatto indifeso,
Hanamichi accompagnò le loro povere orecchie fino al Liceo Ryonan, dove Yayoi
Aida li attendeva per la sua intervista sulle gradinate della palestra, dove la
squadra di basket si allenava. Il sorriso cordiale della donna svanì nel
momento in cui l'intervistato quasi si strappò la felpa per mostrare al mondo
intero la sua lucente maglia rossa, facendo finire l'indumento in campo. Più
precisamente sulla testa del Coach di casa, che non impiegò troppo tempo a
sbraitare e inveire contro il rossino, che in risposta neanche si curò di lui.
«Sono Hanamichi
Sakuragi, piacere di conoscere la donna che mi renderà famoso! Anzi, famoso lo
sono già, ma un po' di lustro al mio nome su una bella copertina patinata non
fa mai male, no?».
«Hana, datti una calmata»,
mormorò Hime, salutando allegramente la donna e ringraziandola per la sua
disponibilità.
«Nessun problema,
ragazzi», fece la giornalista. «Era da un po' che volevo fare due chiacchiere
con il numero 10 dello Shohoku e mio fratello ha insistito così tanto che non
ho potuto rifiutare. Ma non sapevo che anche Rukawa sarebbe stato dei nostri».
«Infatti, se lo può
anche scordare», s'affrettò a dire l'ala piccola, incrociando le braccia e
puntando gli occhi sul campo da gioco. Akira lo intravide e sollevò una mano
per salutarlo, solare e limpido come sempre. Il malumore del Volpino crebbe a
vista d'occhio e sia Hime che Yayoi decisero di lasciarlo perdere.
La giornalista prese il
suo taccuino e una penna, appuntando la data e rivolgendo un sorriso a
Hanamichi. «Allora, iniziamo. Prima di tutto vorrei complimentarmi per il tuo
talento, Hanamichi. Non si vedono spesso giocatori come te».
«Lo so, lo so. In
effetti, bisogna essere dei geni nati per certe cose. Io il basket ce l'ho nel
sangue, non so se mi spiego».
«Credo che si riferisse
alla tua demenzialità, Do'aho».
«Sei solo verde
dall'invidia, Kit».
Yayoi, facendo finta di
niente, appuntò qualcosa e rivolse ancora una volta un sorriso al rossino. «Come
hai iniziato ad appassionarti a questo sport?».
Hanamichi si arruffò i
capelli, pensieroso. Avrebbe dovuto raccontare a quella sconosciuta che era
stato a causa della tenera e dolce Haruko? Lanciò una richiesta d'aiuto alla
sorella, che sollevò le sopracciglia per esortarlo a parlare. «Beh, ecco, è
stato grazie a... a Hicchan, la mia sorellina. Lei ha sempre giocato a basket
con il Volpino e alla fine mi ha contagiato».
«Così tardi? Hai
quindici anni, ormai e molti giocatori, anche più piccoli di te, hanno iniziato
da bambini».
«Non è mai troppo tardi
per diventare delle star di uno sport!», esclamò Hanamichi, esaltato. Ma poi si
fece serio d'un tratto. «In realtà ho iniziato per gioco, per dimostrare a
tutti che anche io avrei potuto fare canestro... poi mi sono innamorato di
questo sport e ora non ne posso più fare a meno. Mi sento vivo solo quando ho
quel pallone tra le mani e quando segno qualche punto importante».
Hime sorrise, con gli
occhi lucidi. Perché sapeva che quelle parole fossero sincere e provenissero
direttamente dal cuore del fratello. Hanamichi amava davvero il basket più di
qualsiasi altro hobby, ne era sicura, ed era felice che finalmente avesse
trovato qualcosa di nobile e bello da fare, anziché vagabondare con i Gundam e
fare a botte con i primi che capitavano. Anche Kaede, se non fosse stato così
freddo e impassibile, si sarebbe commosso per quello slancio di sincerità.
Sì, come no.
«Nel basket, come in
ogni gioco di squadra, non è importante solo il talento personale, ma anche
avere un buon rapporto di complicità con i propri compagni. Cosa mi dici del
team?».
Hanamichi partì
nell'elogio di ogni singolo amico e compagno di squadra, perché ognuno di loro
gli aveva insegnato qualcosa di importante. Ayako, santa donna, i fondamentali
in pochi mesi, Akagi la difesa sotto canestro, Ryota la smarcatura, Hisashi la
testardaggine e l'onore e soprattutto il Coach Anzai, con il tiro dalla lunetta
e affini. E tutti, soprattutto, gli avevano dato prova di una profonda
amicizia. Credere in qualcuno come lui, testa calda e davvero scarso
all'inizio, è stato un punto indispensabile nella sua crescita sia sportiva che
umana.
«Se continua a essere
così sdolcinato mi farà diventare diabetico», commentò Kaede, mentre Hime gli
si avvicinava per lasciare soli i due.
«So che ti fa piacere
sentirlo parlare in quel modo, Ede. Anche se non ti ha nominato ci sei anche
tu, tra coloro che lo hanno aiutato».
«Hn,
figurati. Non perdo tempo con casi irrecuperabili».
Lei ridacchiò. Ma il
riso le morì in gola nel vedere quel colosso di Daichi Anami muoversi goffamente
a centro campo. «Anche Akagi avrebbe problemi con un mostro come quello. Anche
se non mi sembra molto sveglio».
Kaede vide Sendoh
avvicinarsi al bestione, dirgli qualcosa e battergli una mano sulla spalla.
Daichi, solo in quel momento, tornò sotto canestro, come se si fosse ricordato
di cosa realmente fare. «Sembra tuo fratello, insomma».
Lo sguardo perforante di
Hime non gli fece battere ciglio, se non un leggero increspamento delle labbra,
che a lei ovviamente non sfuggì. Rimasero a osservare gli allenamenti del
Ryonan per una mezz'ora intera, finché l'attenzione di Hime fu riportata
all'intervista.
«E tu, Rukawa? Come vedi
il prossimo Campionato Invernale, ora che il tuo avversario principale è
diventato Capitano?», domandò la giornalista.
La Sakuragi arrossì nel
vano tentativo di svegliare l'amico che si era appisolato sulla sua spalla,
infilandogli con la delicatezza di un elefante un gomito tra le costole. «Ede,
sei nel mezzo di un'intervista, non dormire!».
Il Volpino dello Shohoku
le rifilò un'occhiataccia. «Non deve fare domande stupide solo al Do'aho?».
La seconda manager dei
Diavoli Rossi si accorse, con preoccupazione, che una vena pulsava
pericolosamente sulla fronte di Yayoi e sorrise, imbarazzata. «Lo scusi,
signorina Aida, ma diventa molto irascibile quando esce dal letargo».
La giornalista scosse il
capo, scribacchiando qualcosa sul suo taccuino, e la Sakuragi sudò freddo.
Qualunque cosa stesse scrivendo la donna sul suo amico non doveva essere
piacevole - vista anche la pesante infatuazione verso il suo acerrimo nemico,
che ora si faceva bello e simpatico con la presunta cugina... che indossava una
divisa dello Shoyo.
«Certo che gli somiglia
molto, quella ragazza», commentò Hime, sporgendosi per vederla meglio.
«La stessa faccia da schiaffi».
Le sue povere costole
iniziarono a chiedere pietà alla seconda gomitata di Hime. «Ssh!
Stanno venendo qui!».
E infatti ecco Akira,
sorridente e allegro, con a braccetto la ragazza misteriosa, sorridente e
allegra anch'essa, in una perfetta coppia per la pubblicità di un miracoloso
spazzolino, per una dentiera più bianca e splendente.
«Ehilà, amici! È un
piacere vedervi», li salutò il Capitano del Ryonan, facendo digrignare i denti
al suo rivale, che neanche lo degnò di uno sguardo, ma borbottò solo un "Potessi dire lo stesso".
Hime si alzò,
saltellando e salutando l'amico con un bacino sulla guancia. «Piacere nostro, Akira! Veniamo in pace, non
preoccuparti».
«Oh, nessun problema.
Sapevo dell'intervista a tuo fratello. Hikoichi non faceva che parlarne!», rise
Akira, affabile come sempre.
«Idem Hanamichi, era più
esaltato del solito. Il che è tutto dire. Ma non ci presenti la tua amica?»,
chiese curiosa Hime, rivolgendo un sorriso alla cugina.
Akira si batté una mano
sulla fronte. «Chiedo venia, luce dei miei occhi. Lei è Reiko Azamui, mia
cugina. Rei, loro sono Hime Sakuragi e Kaede Rukawa, due vecchi amici». Il
cestista marcò bene l'ultima parola e si divertì parecchio nel vedere la
mascella contratta dell'altro, che continuò deliberatamente a ignorarli.
«Piacere di conoscervi!
Akira non fa altro che parlarmi di voi, non vedevo l'ora di incontrarvi», fece
la ragazza.
«Piacere mio, Reiko. Ma,
sbaglio o ho già sentito il tuo nome?». Poi sbarrò gli occhi nocciola e
schioccò le dita, trionfante. «Certo che ti ho sentita nominare! Sei una
nuotatrice, giusto?».
La studentessa dello
Shoyo non sembrò sorprendersi della sua fama. «Non sbagli. Segui il nuoto?».
Hime arrossì. «Non da
molto, in effetti. C'è un'amica che è molto brava e sto iniziando ad appassionarmi
ora, seguendola».
Reiko annuì. «Kiyo
Kobayashi, scommetto. È molto brava, quella ragazza, e se continua a essere
così determinata arriverà molto lontano. Non vedo l'ora di incontrarla di nuovo»,
disse, sinceramente. Hime, che sapeva riconoscere l'invidia dalla stima, si
sorprese. Era abituata ad avere a che fare con sportivi capaci e talentuosi
che, per il solo fatto di essere i numeri uno, si gasavano e diventavano
egocentrici e, spesso, arroganti, soprattutto nell'ambiente femminile. Eppure non
c'era veleno in quelle parole e quella ragazza le parve genuina e davvero
compiaciuta della bravura della sua amica. Anche se, era ovvio, quella era la
cugina di Akira Sendoh, lo sportivo per antonomasia, non poteva essere
altrimenti.
«Sappi che la cosa è
reciproca. Ti stima molto e ora capisco perché. Ma dimmi...», fece la seconda
manager dello Shohoku, con un tono divertito. «Se sei dello Shoyo conosci KenjiFujima, posso
stringerle la mano?*».
Reiko scoppiò in una
risata cristallina. «Questa frase lo perseguita, ormai, ogni giorno! Ma sì, lo
conosco di vista, siamo nella stessa sezione».
«Wow. Hai sentito, Ede?
Conosce KenjiFujima, posso
stringerle la mano!», esclamò Hime, che non ricevette risposta. «Scusalo, è
sempre così», aggiunse, sorridendo alla ragazza, che si strinse nelle spalle e
si sporse verso il ragazzo taciturno e scuro in volto.
«Non sono una Sendoh
vera e propria, dato che mia madre è la sorella di sua madre. Puoi anche
rivolgermi la parola, sai?».
Hime sgranò gli occhi,
tappandosi la bocca con le mani per non ridere in faccia all'amico. Cosa che
invece fece Akira, senza troppi problemi.
Kaede, d'altro canto, si
limitò a voltare il viso verso la ragazza, che gli sorrideva in quel modo
innocente e fastidioso tipico di Sendoh. «Fintanto che sorridi come un'ebete
come lui la cosa non cambia».
«Ede!», sbraitò Hime,
che questa volta gli tirò uno scappellotto in testa che lo stordì per parecchi
minuti.
Ma i cugini risero, come
se niente fosse.
Erano proprio un fattore
genetico dei Sendoh, pensò sconcertata Hime.
«Tra un quarto d'ora
finiamo gli allenamenti e stavamo pensando di andare a bere qualcosa al bar
dietro l'angolo. Siete dei nostri?», domandò Akira.
«Preferisco la morte»,
rispose Rukawa, sempre più incacchiato. Non bastava un Sendoh, ora ci voleva
anche la copia al femminile!
«Intende dire che
sarebbe felice oltre misura di farvi compagnia», replicò Hime, ormai stanca di
pestare l'amico. «Anche se vi avverto, dovrete sorbirvi la gazzosa di
Hanamichi. Sarà gasatissimo».
Akira fece spallucce.
«Ci siamo abituati tutti, no?».
«Tecnicamente lei no»,
gli fece notare la manager.
«Non mi spavento
facilmente, Hime», disse quella, strizzandole un occhio con complicità.
La rossa le si appese al
braccio, allegra, rivolgendosi all'amico. «Dov'è che l'hai tenuta nascosta
tutto questo tempo?».
Il cugino dell'anno
rise. «È lei che preferisce stare attaccata ai libri e al suo nuoto, anziché
venirmi a coccolare».
«Potresti fare anche il
contrario, ogni tanto», lo rimbeccò Rei. «Non sono solo io ad abitare dall'altra
parte di Kanagawa».
Il numero 4 del Ryonan
si grattò la nuca, imbarazzato. «È che è così lontano che mi passa ogni
fantasia. Una delle poche volte che son salito sulla metro mi sono addormentato
e mi son ritrovato al capolinea senza neanche accorgermene».
Le due ragazze scossero
mestamente la testa, mentre a Rukawa scoppiò una coronaria, invece di una
risata.
«A quanto so anche tu
sei uno che ama dormire».
Kaede si chiese se
quella Reiko ce l'avesse davvero con lui, o se fosse scritto nel libro della
sua vita che tutti i Sendoh del mondo dovessero perseguitarlo a prescindere.
«Almeno arrivo in orario agli allenamenti, io».
«Touché», fece la ragazza, puntando un dito al cugino, che alzò le
braccia al cielo.
«Ma non devi finire di
allenarti?», borbottò Kaede ad Akira.
«Ti preoccupi che non
sia alla tua altezza?».
«No, così ti levi dalle
palle, idiota».
Il Porcospino piegò le
labbra in un sorriso, salutò le donzelle e tornò agli allenamenti - ma solo
perché Taoka aveva ripreso a sbraitare come un isterico contro di lui e non
voleva far prendere un colpo al suo Coach.
«Era ora».
Reiko guardò il ragazzo
che aveva parlato. «Ti sta antipatico perché è più bravo di te o perché è bravo
come te?».
Il numero 11 dello
Shohoku sollevò un sopracciglio. «Nessuna delle due. Mi irrita e basta».
«Capisco».
L'altro sopracciglio
raggiunse il precedente, regalandogli l'espressione più perplessa che potesse
sfoggiare. Che diavolo significava quel tono e quel capisco? Cosa capiva?
Kaede non si sbagliava di certo se pensava di aver udito del sarcasmo in quella
semplice parola. Un po' come dire certo,
come no. Ma che ne poteva sapere una perfetta sconosciuta, per giunta
parente di quello squilibrato, di quello che gli passava per la mente? Solo una
persona era in grado di capirlo, e di certo non si chiamava Reiko Azamui.
Il fatto era che odiava
Sendoh solo per la sola ragione di esistere. Poteva odiarlo anche solo perché
gli stava rubando l'aria da respirare. Non era un buon motivo, quello? Per lui
bastava e avanzava, capitolo chiuso.
«Akira dice che hai del
talento. Solitamente, quando si complimenta con qualcuno, non mente», proseguì
la ragazza dalla divisa verde, tranquillamente.
«Non ho talento. Sono un fuoriclasse».
«Oh, non lo dubito,
davvero!».
Kaede strinse i pugni,
oltre che i denti. Se avesse continuato a sorridere come una deficiente,
conscia di irritarlo oltremodo, le avrebbe spaccato il muso, parola d'onore. E
a quel paese la cavalleria. Era morta da tempo, ormai.
Hime, d'altro canto,
trovò quella piccola discussione immensamente interessante e divertente. Era
bello trovare, ogni tanto, qualcuno che potesse tener testa al suo amico.
Soprattutto che riuscisse a farlo innervosire con così tanto candore. Neanche
lei ci riusciva, accidenti!
Per l'immensa sfortuna
di Rukawa, prima di vedere nuovamente il viso lindo e profumato di Akira,
reduce dalla doccia post allenamento, passarono tre quarti d'ora - era lento
anche a lavarsi, il ragazzo. Ma non ci fu niente da gioire, perché da una parte
aveva una palla al piede dai capelli rossi che si vantava della splendida
intervista rilasciata solo pochi minuti prima, dall'altra ne aveva altre due
dagli intensi occhi blu che non facevano altro che ridere alla vita, come se
tutto fosse rose e fiori. Ciliegina sulla torta: Hime lo trascinò letteralmente
con loro al bar all'angolo, e continuò a chiedersi per il resto della serata
cosa diavolo ci facesse lì in mezzo - anzi, come diavolo ci fosse finito, dato
che non trovava ragione alcuna della sua presenza al Ryonan, per accompagnare
quel cerebroleso di Hanamichi.
La situazione peggiorò
quando trovarono un tavolo da biliardo libero e pronto solo per loro e,
ovviamente, finì invischiato in un due contro due, in coppia con la sua
manager - almeno quella era una piccola fortuna in mezzo a tanta sfiga, si disse per farsi forza. Non
avrebbe saputo di che morte morire, se avesse dovuto scegliere tra il
Porcospino e la Scimmia; per non parlare della nuotatrice che, grazie a Buddha,
non aveva mai giocato a biliardo e non sapeva neanche da che parte iniziare.
«Ehi, guarda che hai le
palle piene tu, intesi?», gli fece Hanamichi, puntandogli la stecca contro.
Rukawa sollevò gli occhi
al cielo. «Scimmia, non c'era bisogno di dirmelo. Che ho le palle piene di te
lo sapevo da tempo».
Un'unica risata si sentì
per l'intero locale ed era quella dei cugini Sendoh.
Kaede sbuffò.
Ottimo, era diventato
anche il clown della situazione.
*
Al rientro verso casa, sopravvissuti
a un pomeriggio denso come quello appena trascorso, incrociarono Ryota, con la
sacca dell'allenamento in spalla, reduce da due tiri al campetto vicino alla
spiaggia.
«Ehi, Pigmeo! Bacia la
terra che calpesto, presto sarò famoso!», esclamò Hanamichi.
«Ha dato l’intervista
con Aida», spiegò la sorella.
Ryota sollevò gli occhi
al cielo. «È da ingenui sperare che la cosa lo calmi un poco, almeno fino
all'inizio del torneo?».
«No, è da stupidi. Con
affetto, Capitano», s'affrettò ad aggiungere la ragazza. «Ora non vede l'ora di
leggere l'articolo».
«Buddha, salvaci. A volte
sento la mancanza di Akagi».
«A chi lo dici!», esclamarono
in coro Kaede e Hime.
«Ehi, Ryo-chan, che ne
dici se passiamo un attimo a casa, mangiamo qualcosa e giochiamo un altro po'?»,
chiese il rossino, che per loro fortuna non li aveva sentiti, troppo perso
nelle sue elucubrazioni geniali che i comuni mortali come loro non avrebbero
potuto capire.
Miyagi si strinse nelle
spalle. «Per me va bene, non sono stanco. Almeno mi fai vedere se le ore spese
a insegnarti lo scarto dell'altra sera sono servite a qualcosa oppure ho perso
solo tempo».
«Abbi fede, amico mio!»,
si pavoneggiò il rossino.
«Nel senso che forse se
preghi in arabo avverrà il miracolo», continuò Kaede, che fece gli ultimi
cinquecento metri azzuffandosi con il suo miglior nemico - o peggior amico, che
dir si voglia.
Quel momento idilliaco
fu spezzato nel momento in cui i quattro varcarono la soglia di casa Sakuragi,
dove una troppo calma Misato attendeva i gemelli con i resti delle sue preziose
tartarughe portafortuna tra le mani.
«Finalmente siete
tornati. Aspettavo giusto una spiegazione», esordì l'infermiera, con un tono
fintamente cortese e un sorriso che metteva i brividi.
Hanamichi si grattò la
testa, guardando prima la sorella e poi Rukawa, che se ne stava poggiato contro
il muro. «Ti posso spiegare».
«Sono tutta orecchie,
Hana».
Il rossino strinse le
labbra, cercando di ingranare qualche scusa plausibile. «Ecco, è che... è
entrata una volpe in casa, mamma».
Hime e Ryota si
voltarono contemporaneamente a guardarlo, confusi e increduli che avesse
davvero trovato una scusa del genere. Che poi avesse citato una volpe in onore
del loro comune amico era un altro paio di maniche.
«Una volpe?», ripeté la
donna, scettica. Fece scivolare lo sguardo dai figli all'ignaro (o finto-ignaro) Kaede, che ora aveva iniziato a osservare con crescente
interesse il soffitto.
«Sì, una volpe, mà», continuò Hime, annuendo innocente e genuina come una
banconota falsa. «Sai, quel mammifero tenero, dalle orecchie importanti e la
coda pelosa e morbida...».
La signora Sakuragi si
voltò verso il forno appena questo l'avvisò che i biscotti che aveva messo in
caldo erano pronti, e posò la teglia sul tavolo, guardando critica il risultato
di tanto lavoro. «Potete dirmi la verità, ragazzi, non sono arrabbiata. Quando
preparo biscotti sono sempre felice, dovreste saperlo».
Ma prima ancora che Hime
potesse tappare la bocca del fratello con un dolce e soffocarlo, sapendo che
quella fosse una trappola bella e buona, Hanamichi aveva già iniziato a inveire
contro Rukawa, attribuendogli tutte le colpe del mondo e sbraitando come un
pescivendolo che le adorate tartarughe della madre le avrebbe ricomprate a sue
spese anche se la responsabilità del danno non fosse assolutamente la sua.
Con un ghigno degno del
miglior Takenori Akagi, la donna mise i biscotti in un contenitore di plastica
e lo porse a Hime. «Portali tutti a
Yohei, so che gli piacciono tanto».
La figlia si grattò il
naso, perplessa. «A me neanche uno?».
«No, li hai difesi
entrambi». Poi Misato sorrise, ora divertita. «E poi stai iniziando a metter su
qualche chilo di troppo, devo smetterla di viziarti».
Le urla di disperazione
dei due fratelli - chi per una fame tremenda, chi per la disperazione di tali
parole velenose - furono udite fino a Tokyo. Sconsolati e sconfitti, i gemelli,
seguiti dalla Volpe e dal Tappo, s'incamminarono verso la casa di fronte.
Quando Mito aprì la
porta e vide il dono che Hime gli porgeva, sorrise come un angioletto. «Adoro
quando ne combinate una. Ci guadagno sempre qualche delizia di vostra madre».
«Che ti rimanga sullo
stomaco», grugnì Hanamichi, imbronciato.
«Non è che possiamo
dividere? Ho un po' di fame», fece Ryota, sbadigliando.
«No, tu non mangi!»,
strillò la ragazza, quasi con le lacrime agli occhi. «Devi... giocare, non va
bene mangiare prima di un allenamento».
«Ma se sei tu la prima a
dire che...».
«Dico tante cavolate,
ora su, verso il campo!», lo interruppe bruscamente Hime, trascinandolo lontano
dai biscotti profumati e ancora caldi.
Non poteva mangiare lei?
Non avrebbe mangiato nessuno!
*
Ma quella serata lunga e
stancante fisicamente e psicologicamente non era ancora giunta al termine,
neanche alle otto e mezza di sera. Quando i ragazzi, di rientro dalla
partitella blanda vicino alla spiaggia, videro il gruppo di motociclisti e
riconobbero il capo branco strinsero gli occhi e i denti per la rabbia. Avevano
a pochi metri di distanza i bastardi che avevano ridotto Mitsui su un paio di
stampelle, rischiando di compromettere per sempre la sua carriera sportiva e
privandoli della sua bravura in campo per le prime partite di Campionato. Oltre
al fatto che i danni psicologici, senza un sostegno amichevole, avrebbero
potuto essere ben più importanti di quelli fisici, e loro sapevano bene cosa
avesse dovuto passare Hisashi per riprendersi dalla disperazione di non poter
più giocare a basket.
Solo un unico pensiero
iniziò a farsi strada nelle menti dei tre, che si scambiarono una rapida
occhiata e capirono subito cosa avrebbero dovuto fare.
Per il loro amico.
E per la ragazza del
loro amico.
Nessuno avrebbe dovuto
osare alzare un dito contro uno di loro, perché erano una famiglia. E in
famiglia ci si difende a vicenda.
Mossero i primi passi
verso i teppisti, ma una mano fermò il braccio di Hanamichi, che si voltò di
scatto, un pugno già pronto a colpire. Ma quando i suoi occhi castani incontrarono
quelli di Yohei Mito si arrestò immediatamente.
«Cosa pensate di fare?»,
gli domandò l'amico, accompagnato dai fedelissimi Gundam. Hime strinse forte le
mani del gemello e di Kaede, troppo spaventata dalla situazione e, soprattutto,
dai loro sguardi.
I tre cestisti sollevarono
lo sguardo dietro le spalle di Yohei e si accorsero solo in quel momento della
presenza di Tetsuo e della sua banda di delinquenti. Questo si accese una
sigaretta e sbuffò il fumo con prepotenza, in un ghigno di divertimento. «Lasciateli
a noi. Questo non è un lavoro per tre pivelli come voi».
Hanamichi fece per
ribattere, furioso e più rosso dei suoi capelli - nessuno lo chiamava pivello! -, ma Ryota lo fermò con
prontezza, intimandogli di non fare idiozie. «È quel deficiente il nostro
obiettivo, non lui».
«No, ragazzi, nessuno è
l'obiettivo di nessun'altro», fece Hime, con la voce tremante. «Non mettetevi
nei guai, per favore. Avete visto come hanno ridotto Hisashi?».
«Ma noi siamo di più»,
replicò Sakuragi, stringendo i pugni.
Yoehi li sorpassò,
fermandosi al fianco del migliore amico. «Fai come ha detto Tetsuo, Hanamichi,
e come sta dicendo Hime. Avete un campionato da giocare e avete anche promesso
di non fare più a botte con nessuno, ricordi? L'allenatore Anzai non deve sapere
niente».
Il rossino scambiò una
rapida occhiata con Ryota e Kaede, quest'ultimo deciso quanto lui a farla
pagare a quel bastardo. Ma tutti e tre capitolarono davanti alla calma e alla razionalità
di Yohei e agli occhi spauriti di Hime.
Hanamichi si ficcò le
mani in tasca, contrariato. «Spaccagli il naso da parte mia».
Le labbra di Mito si
piegarono in un sorriso e fece schioccare le dita. «Mi devi un favore, amico».
«Ti ho già dato i
biscotti di mia madre, che ti bastino per il resto della vita!».
Continua...
* * *
Salve a tutti, gente!
Finalmente trovo il tempo per scrivere e aggiornare questa
mia seconda "casa"! Quello che ho passato è stato un periodo troppo
denso di cose e novità e non ho trovato la testa e il tempo per dedicarmi come
avrei voluto ai nostri amati Ragazzi Selvaggi! Ma ora eccomi qui - sempre che
sia rimasto qualcuno là fuori ad attendere che venissero tolte le ragnatele a
questa storia!
Abbiamo conosciuto un po' meglio la misteriosa cugina di
Akira, spero che vi piaccia come piace a me - non come piace a Rukawa, che già
la detesta. :)
* Una piccola nota su questa frase in corsivo: l'ho ripresa
dal manga, quando Fujima, spettatore di una partita,
incontra una fan che gli chiede di stringerli la mano, innamoratissima e
rossissima, sotto lo sguardo divertito dei compagni di squadra. Ho pensato che
fossero stati proprio loro a far circolare la voce e a prendere in giro il loro
capitano. :)
Nessuno di loro aveva
chiuso occhio quella notte, per la preoccupazione di aver lasciato Yoehi,
Tetsuo e le rispettive bande nelle mani dei delinquenti di Toshiro. Li avevano
trascinati in una questione che non li riguardava affatto, a parte il vecchio
amico teppista di Mitsui che voleva vendicarlo, e i rimorsi non li avrebbero
abbandonati se fosse successo qualcosa di grave. Hanamichi era stato l’intera
notte a fare avanti e indietro nella sua stanza, le mani che cercavano con
nervosismo i capelli rossi e qualche borbottio sommesso tra le labbra, mentre
Hime, seduta sul suo letto con le gambe strette al petto, non smetteva di
mangiarsi le unghie – una brutta abitudine che aveva perso da tempo, ma che in
quella situazione non poté trattenere – gettando di tanto in tanto un’occhiata
alla finestra, nella speranza di vedere Yohei rientrare a casa sulle sue gambe.
Kaede, che per la prima volta in vita sua non riuscì a prendere sonno, aveva
invece deciso di recarsi al suo campetto di basket preferito, per scaricare la
tensione a canestro. Ryota era rimasto con lui. Se non fosse stato ugualmente
preoccupato, l’avrebbe sfottuto a vita.
Fu con occhiaie profonde
e facce funeree che quella mattina arrivarono a scuola. I gemelli avevano
atteso invano il ritorno del loro amico e avevano persino chiesto alla madre se
fosse in casa. Quella aveva risposto che fosse rimasto a dormire da Takamiya
per una partita di poker durata troppo a lungo e, nonostante tutto, i due
avevano tirato un sospiro di sollievo. Almeno non erano finiti in ospedale.
L’unica che sembrava
sapere cosa fosse successo era Ayako che, vedendo le condizioni in cui Ryota si
era presentato quella mattina, l’aveva messo sotto torchio finché non le aveva
confessato la verità. Come sempre, Ayako sapeva essere convincente.
Lei e Hime si
scambiarono un’occhiata tesa, ma la prima manager era segretamente sollevata
dal fatto che i rimanenti del quintetto base, e soprattutto il suo compagno,
avessero preferito fare un passo indietro per non rischiare di finire peggio di
Mitsui.
«Notizie dei ragazzi?»,
domandò Ayako, stringendo con forza la mano di Ryota.
«Nessuna, per ora», fu
la risposta dell’altra ragazza. «Takamiya ci aveva detto che i genitori
sarebbero stati fuori casa per qualche giorno, immagino siano rintanati lì in
attesa che i lividi più visibili spariscano».
«E perderci il momento
di gloria nel mostrare le cicatrici di battaglia?», domandò una voce alle loro
spalle.
«Ehi!», esclamarono in
coro i gemelli, correndo a sincerarsi delle condizioni degli amici. Erano più
che ammaccati, chi con un occhio gonfio e violaceo, chi con le nocche fasciate,
ma erano persino in vena di battute e stavano bene. Il sollievo fu così grande
che Hanamichi li sbaciucchiò tutti senza ritegno, il ché per poco non fece
vomitare i quattro in barba al loro momento di gloria.
Alla tacita domanda di
come fossero andate le cose, Yoehi strizzò l’occhio sano e un sorriso
malandrino gli increspò le labbra tumefatte. «Se le cose sono andate come
previsto, quello stronzo si sta leccando le ferite in una cella».
«E che ci rimanga», fu
il buongiorno di Kaede Rukawa, che aveva preferito arrivare a scuola a piedi
per non rischiare di ammazzarsi in bicicletta.
«Davvero?», esclamò Hime
sbarrando gli occhi.
«Qualcuno del vicinato
deve aver chiamato la polizia», spiegò Noma, stringendosi nelle spalle. «Abbiamo
fatto in tempo a salire in moto con quei brutti ceffi di Tetsuo proprio quando
stava arrivando la volante, ma siamo riusciti a non farci vedere».
«Così siamo tornati
indietro a piedi per goderci la scena e abbiamo visto quel Toshiro che le stava
suonando ai suoi uomini che volevano darsela a gambe levate».
«E incacchiato com’era
ha messo le mani addosso a uno dei poliziotti».
«Li hanno arrestati
subito dopo».
Nonostante la gravità
della situazione scoppiarono a ridere e persino Kaede si lasciò scappare uno
sbuffo di sollievo, mentre tutta la stanchezza della notte in bianco iniziò a
farsi sentire come un pugno sullo stomaco.
I Gundam riferirono loro
come fossero andate le cose non appena li avevano lasciati soli, raccontando
che persino Hotta e i suoi si erano uniti alla festa per puro caso; nessuno dei
quattro si risparmiò epiche scene di combattimento che avrebbero fatto invidia
persino a un film di Jackie Chan, ma nessuno osò metterle in discussione.
La prima campanella
suonò e i ragazzi si salutarono, dandosi appuntamento per pranzo al terrazzo
sul tetto che ormai era diventato di loro proprietà – per sommo orrore di
Rukawa, che ormai non conosceva più il significato di tranquillità neanche in pausa – e si avviarono alle rispettive
classi per sonnecchiare un poco. Fu un duro colpo per i gemelli e gli ammaccati
scoprire che alla prima ora ci fosse Yoshikai e non fecero in tempo a poggiare
il capo sulle braccia che furono rispediti in corridoio.
«Beh, almeno ora si può
dormire in santa pace!», esclamò Hanamichi dopo un lungo sbadiglio, mentre si
trascinava in terrazzo come se fosse troppo faticoso mettere i piedi uno
davanti all’altro. Per una volta neppure Hime, che in qualsiasi altra occasione
sarebbe stata oltraggiata dalla punizione, ebbe da ridire sull’ora d’aria che
si erano guadagnati e si accoccolò sulla spalla del fratello non appena si
sedettero. Come prevedibile, Rukawa era già lì che ronfava beatamente alla
faccia di tutto e tutti e Ryota li raggiunse poco dopo per il medesimo motivo.
Purtroppo, o per
fortuna, si addormentarono così profondamente da non sentire le successive
campanelle, finché non furono svegliati da qualcuno che li punzecchiava senza
ritegno.
«Oh, Kami, guardate la
faccia di Yoehi-kun!».
«Ma che diavolo hanno
combinato?».
«Mitsui, se non stai
attento quella stampella rischi di ritrovartela su per qualche orifizio».
«Nah,
guardali. Non hanno neppure la forza di svegliarsi».
Fu il ventaglio di
Ayako, giunta in quel momento come un tornado più livida che mai, a smentire le
parole della guardia dello Shohoku. Con un colpo pauroso, percosse Ryota con
tutta la forza di cui disponeva – ed essendo incavolata nera era notevole. Solo
quello bastò a farli saltare sui loro deretani dallo spavento.
«A-Ayakuccia!»,
piagnucolò il bastonato, mentre si accarezzava il nuovo bernoccolo. «Che modi
sono?!».
«Che modi sono?», ripeté inviperita quella, regalandogli un’altra
sventagliata. «Avevamo la prova di chimica in coppia oggi! E l’ho dovuta fare
da sola! Sai cosa significa?». E giù a dargli un’altra botta di ventaglio, che
lo stese in modo definitivo.
Hime si stropicciò gli
occhi assonnati. «Aya-chan, perché ti scaldi tanto?», domandò perplessa.
«Insomma, tra tutti noi sei probabilmente la più secchiona, sarà andata bene
comunque, no?».
«Abbiamo preso una F per
colpa sua!», fu l’inaspettata replica. Fu solo quando si rese conto di averlo
sbandierato ai quattro venti, incrinando irrimediabilmente la sua cristallina
immagine di studentessa modello, che la prima manager si tappò le labbra con le
mani e divenne più rossa dei capelli dei Sakuragi. «Guarda cosa mi hai fatto
dire, razza di idiota!», sbraitò contro il compagno, che ormai non mosse più un
muscolo all’ennesima sventagliata. Hime temette che fosse morto e tirò un
sospiro di sollievo quando lo sentì gemere dal dolore. Forse, si disse, avrebbe
avuto meno lividi partecipando alla rissa della sera prima.
Calò un'improvvisa
quiete in terrazzo, scandita solo dal respiro pesante di Rukawa, ancora tra le
braccia di Morfeo e ignaro di tutto. Fu molto difficile trattenere le risate a
discapito della manager, ma c’era la loro incolumità in gioco e nessuno voleva
rischiarla.
«Non prendertela con
me», borbottò Ryota, dopo aver ritrovato la forza di parlare. «Se sei una frana
in chimica non è colpa mia, Ayakuccia».
«Ayako è una frana in chimica?», sussurrò Hime al fratello, ancora
troppo rincoglionito dal sonno per capire cosa diavolo stesse succedendo.
Purtroppo per lei la diretta interessata udì il tono divertito della rossa e
non poté risparmiarle ripercussioni, ferita nell’orgoglio.
Hisashi ghignò. «O-ho,
si scoprono gli altarini».
«Mitsui, non credere le
stampelle ti salvino dalla mia ira», lo minacciò Ayako. «Noi donne sappiamo
tenere rancore a lungo».
Kiyo annuì a quelle
parole. «Vedi di ricordartelo, Mitsui».
«E comunque non si può
essere perfetti», sbottò la prima manager, incrociando le braccia sotto il
seno.
«Dai, Ayako, non
prendertela. Ogni tanto capita, no? È solo che mi è caduto un mito», si difese
Hime, con labbro inferiore all’infuori.
«È caduto Mito?!», strillò Hanamichi, che balzò in piedi e si
affacciò oltre la balaustra, cercando il cadavere dell’amico qualche piano più
in basso.
«Demente, sono qui», lo
rimbeccò Yoehi, con un debole calcio al di dietro.
«A proposito», riprese
Mitsui, ora più seriamente, «che avete combinato voi quattro?».
I Gundam scambiarono
un’occhiata con gli altri giocatori, che si strinsero nelle spalle. In un modo
o nell’altro l’avrebbe scoperto; erano più che sicuri che Tetsuo o Hotta
l’avrebbero messo al corrente alla prima occasione. Così gli raccontarono
dell’accaduto, sotto il suo sguardo impassibile e quello stordito di Kiyo, che
non credeva alle proprie orecchie.
Hime le batté qualche
pacca sul braccio. «Questo è quello che guadagni avendo dei buoni amici ma un
po’ teppisti».
«Vedo», replicò la nuotatrice,
indecisa se ridere per il sollievo o incavolarsi per il rischio che avevano
corso. Scambiò un’occhiata con Hisashi, che le rispose con un sorriso sbieco, e
per la prima volta dopo mesi si sentì serena. Toshiro era in cella – e
probabilmente ci sarebbe rimasto per un bel po’, dato che aveva pestato un
ufficiale; neppure suo padre avrebbe potuto fare qualcosa a riguardo, e magari
gli avrebbero fatto passare tutta la voglia di rompere le palle agli altri – e
aveva dei nuovi e sballati amici che erano pronti a tutto pur di difendersi a
vicenda. Erano situazioni pericolose e non accettava certo la violenza per
risolvere i problemi, ma per una volta decise di fare uno strappo alla regola.
Del resto, se fosse stata forzuta come loro, avrebbe pestato l’ex con le sue
stesse mani.
«Non so cosa dire»,
borbottò Mitsui, passandosi una mano tra i capelli corti. «Avete rischiato
grosso per cosa? Una stupida vendetta? E c’era addirittura la polizia di mezzo!».
«Tsk.
Ringrazia che Hicchan ha insistito tanto per non unirci al party, Mitchi», fece
Sakuragi, stiracchiando i muscoli indolenziti di braccia e gambe.
«Deficiente! E la
promessa al Sensei Anzai?».
Hanamichi gonfiò le
guance. «Non lo avrebbe mai saputo. Eravamo in superiorità numerica, ne saremmo
usciti illesi», replicò saccente, incrociando le mani sulla nuca.
«Do’aho, non usare
paroloni di cui non conosci il significato».
«E tu torna a fare
quello che ti riesce meglio, Kit: dormi».
«Onestamente, Mitsui»,
disse Yoehi. «Tu cosa avresti fatto al nostro posto?».
Hisashi non replicò, ma
la sua espressione e la mascella contratta fu una risposta sufficiente. «Vi ringrazio,
ragazzi».
Mito agitò una mano
fasciata, come per scacciare una mosca fastidiosa. «Nessun problema. Eravamo da
parecchio senza sfogarci; ne avevamo bisogno».
«Comunque, dobbiamo
andare in infermeria a disinfettare quei tagli, brutti mascalzoni», disse Hime,
alzandosi finalmente in forze. «Conoscendovi, neppure li avete lavati».
Noma alzò le mani, in
segno di resa. «Colpa di questo maiale, gli viene sempre una gran fame dopo una
rissa», fece, indicando Takamiya.
«Quando mai non ha
appetito?», replicò Okusu, scrollando le spalle con rassegnazione.
«Non abbiamo neppure
fatto in tempo ad aprire bocca, che lui ce l’aveva già piena di hamburger».
«Non mi pare che voi vi
siate lamentati molto, eh», si difese l’accusato.
«Dai, andiamo, che non
voglio che s’infettino», insistette Hime, afferrandone due per la collottola.
Venne seguita da Ayako, ancora infuriata per quella pecca imperdonabile sulla
pagella – e dire che aveva fatto di tutto
pur di non far sapere ai ragazzi il suo punto debole! – e nessuno di loro
sperò di finire tra le sue grinfie. Incavolata com’era, probabilmente avrebbe
aggiunto altri lividi invece che curarli.
Sanako avrebbe tanto
voluto seguirli per dare una mano, ma non voleva rischiare di svenire per il
sangue. Aveva dovuto ricorrere a tutto il suo autocontrollo alla vista di quei
lividi e gli occhi gonfi. Yoehi, notando il suo sguardo impensierito, le fece
l’occhiolino e lei non poté fare a meno di sorridere.
Appena il gruppo di
dementi si fu allontanato con le due manager, Ryota distese le gambe,
osservando il ginocchio fasciato e immobile del compagno di squadra. «Come
procede?».
Mitsui si strinse nelle
spalle. «Procede. Fa male se solo oso poggiare il piede a terra, ma la ferita
dell’intervento sta iniziando a chiudersi. Suo padre è stato bravissimo con i
punti», disse rivolto a Rukawa, che solo in quel momento ricordò di dover
pranzare.
Ci fu un lungo istante
di silenzio ma i pensieri di tutti erano rivolti verso la stessa cosa: il
campionato invernale. Senza la loro guardia e il miglior tiratore che avessero,
difficilmente sarebbero arrivati alla finale. Il Miuradai poteva ancora essere
una squadra di pivelli, per quanto ne sapevano, ma era praticamente già scritto
che i prossimi avversari sarebbero stati quelli del liceo Kainan. Le elevazioni di Kiyota erano già state un problema per i tiri fuori area di Mitsui, ma con qualche tattica ben studiata avrebbero potuto benissimo bloccare la Scimmia Saltante. Con la loro guardia fuori e il morale a terra, sarebbe stato molto più complicato.
«Ce la faremo», disse
Mitsui, spezzando il silenzio. Cinque paia d’occhi si spostarono su di lui, in
attesa che continuasse. «Ce la faremo. Kimi Shimura sarà un degno sostituto, ne
sono sicuro. Me ne occuperò personalmente già da questo pomeriggio».
Ryota annuì. «Sono
d’accordo, è un bravo giocatore. Ma in quattro giorni cosa credi che possa fare?».
Fu Rukawa a parlare,
inaspettatamente. «Il Do’aho ha imparato il rimbalzo in una sera e i tiri
liberi in una settimana. Se ce l’ha fatta lui, tutto è possibile».
Tra le risate sguaiate
di Hisashi e Ryota, i due acerrimi amici iniziarono a darsele di santa ragione
sotto lo sguardo attonito delle ragazze che, non per l’ultima volta, si
chiesero in che razza di gruppo di deviati fossero finite.
Kiyo si alzò
raccogliendo la sua cartella e la sacca della piscina. «Vi lascio. Cercate di
non ammazzarvi».
«Dove vai?», domandò
Mitsui, sollevando lo sguardo sulla ragazza.
«Allenamento. Domenica
ho i quarti».
«Ma sono solo le tre e
hai appena mangiato!», esclamò Sana, alzandosi a sua volta. «Kiyo, ti stai
strapazzando troppo».
«Non sto andando a
nuotare, per il momento, mamma. Ho un
riscaldamento sostanzioso sulla terra ferma, prima», replicò lei. «E poi è il
minimo che possa fare, se voglio battere Azamui».
Nell’udire quel nome,
suonò un campanello d’allarme e Rukawa rovistò tra le ragnatele della sua
memoria, cercando di ricordare chi diavolo fosse Azamui. Un sorriso da ebete e
una risata vomitevole lo fecero pentire di esserci riuscito e tentò inutilmente
di scacciare dalla testa l’immagine dei due cugini Sendoh che ghignavano come
iene alla faccia del suo malumore. Non gli interessava il nuoto, ma sperò con
tutto il cuore che la Kobayashi la stracciasse, solo per il dispiacere che una
sconfitta della cugina avrebbe provocato all'ex numero 7 del Ryonan.
«Ci vediamo dopo», fece
Kiyo con un ultimo sguardo a Hisashi, che la salutò con un cenno del capo.
«Bene, io mi metto a
studiare, allora», decretò Sana. «Tra un’ora ho le prove per il concerto e poi
turno al bar. Kimi non verrà, quindi?».
Mitsui fece spallucce.
«Se dovesse suonare da schifo, probabilmente si tratta di Eichiro che tenta di
sostituirlo senza che nessuno se ne accorga». Vedendola sconsolata, si affrettò
ad aggiungere: «Gli allenamenti iniziano alle cinque, per un’oretta sarà dei
vostri».
«Oh per fortuna,
altrimenti chi la sente mia zia».
Un brivido di terrore
attraversò le schiene dei ragazzi, al ricordo della signora Tsukiyama e del suo
piccolo problema di schizofrenia.
*
Quel pomeriggio gli
allenamenti furono più tesi del solito. L’infortunio di Mitsui non giovava alla
squadra e neppure le sue parole di incoraggiamento furono molto d’aiuto. Gli
unici che parevano essere rilassati erano i gemelli Shimura, che non perdevano
la calma neppure con una pistola puntata alla tempia. Hanamichi aveva ripreso a
fare lo spaccone come al solito, gridando al mondo che con lui in piena forma
nessuno aveva speranze di vincere, ma il Capitano Miyagi non aveva alcuna
voglia di scherzare: erano in visibile difficoltà, se ne rese conto fin dai
primi esercizi. Movimenti rigidi, occhiate troppo spesso rivolte al ginocchio
di Mitsui che alla palla, imprecisioni nel tiro. A quattro giorni dalla prima
partita era una situazione catastrofica e Ryota stava perdendo la pazienza.
«Fermi tutti!», gridò
battendo le mani, mentre Ayako fischiava per richiamarli.
Sorpresi per l’improvvisa
interruzione, la squadra gli si avvicinò, spalle basse e visi abbattuti.
«Così non va bene»,
esordì Ryota. «Non va bene per niente. Se questa è la grinta che avrete
mercoledì, allora vi chiedo di stare a casa. Ci risparmieremo una bella figura
di merda».
«Ma, Ryo-chan–», iniziò
Hanamichi, subito zittito da un dito del Capitano.
«Voglio ricordarvi che
Mitsui non è crepato, anche se delle volte me lo auguro».
«F0ttiti, Miyagi»,
sbottò il diretto interessato che sedeva accanto all’allenatore, mostrandogli il
dito medio.
«Per quanto la sua
presenza in campo sia di fondamentale importanza, lo è anche dalla panchina»,
continuò Ryota, ignorandolo. «E lo è la vostra. Non è la prima volta che accade
e purtroppo non sarà neanche l’ultima. Ogni volta ci siamo rialzati e abbiamo
reso onore alla maglia che indossiamo. Oggi stiamo solo facendo schifo».
Nessuno osò ribattere a
quelle parole dure ma veritiere, trovando più interessante la punta delle
proprie scarpe che lo sguardo del loro nuovo numero 4. Hanamichi sollevò lo sguardo
su Mitsui poi su Anzai, e strinse i pugni. Il Tappo aveva ragione, si disse,
sebbene lui ce la stesse davvero mettendo tutta. Era stato difficile ritrovare
il ritmo dopo la riabilitazione e ora che era finalmente riuscito a riprendere
al meglio, ecco che Mitchi non avrebbe giocato le prime partite. Era stato duro
dover accettare il fatto che il Gorilla non fosse più in squadra, ma avere il
sostegno in campo di Ryota e del Baciapiselli era per lui un punto fermo. Ora
anche quello era incrinato e, per la prima volta nella sua breve carriera di
cestista, temette di non potercela fare da solo. I gemelli Shimura erano in
gamba, Eichiro in particolare gli piaceva molto, ma non era la stessa cosa. E
di certo non avrebbe trovato il supporto della Volpe. O forse era lui che se la
stava prendendo troppo?
Ryota stava ancora
parlando ma lui ormai non sentiva più nulla. Guardò Hime, che si mordicchiava
le labbra in tensione, ma quando si accorse del suo sguardo, gli sorrise con
fare confortante. Quanto l’aveva aiutato la sua presenza in panchina? E quella
del signor Anzai? E quella dei suoi migliori amici e di Harukina-cara?
Batté il pugno sul palmo
della mano, interrompendo il discorso di Miyagi, che lo osservò con un cipiglio
perplesso e irritato.
«Ce la faremo», disse
Hanamichi, ripetendo le parole di Mitsui di poco prima. «E sapete perché?»,
domandò, ignorando le loro facce rassegnate.
«Ecco che ricomincia»,
sbuffò Rukawa alle sue spalle, esprimendo il pensiero di tutti. Diamine, che
avevano da guardarlo così? Per una volta che voleva dire qualcosa di serio!
«Perché abbiamo la
panchina migliore di tutto il Giappone!», esclamò come un invasato. «Abbiamo
non una bensì due manager che sbraitano dall’inizio alla fine per
supportarci!», iniziò a elencare. «Abbiamo le riserve più casiniste di tutto il
torneo; il migliore Nonno del mondo ad allenarci; il Gorilla sarà in tribuna a
fare il tifo per noi; e Mitchi sarà lì, con loro, a sostenerci! Ce la faremo!», gridò, alzando il pugno
al cielo.
Per quel bel discorso di
incoraggiamento si aspettava cori da stadio e trombette d’elogio, non certo
quel silenzio attonito condito solo dalle cicale in sottofondo. Notò con timore
che una vena stava pulsando pericolosamente sulla fronte di Miyagi, mentre gli
altri lo mandavano gentilmente a quel paese e riprendevano gli allenamenti.
Solo Eichiro, ridente come se niente fosse, gli batté una manona sulla spalla.
«Ho detto qualcosa di
sbagliato, Chiro-kun?».
«No, anzi. Hai appena
ripetuto quello che avrebbe finito di dire il Capitano se non lo avessi
interrotto. Lo stavi proprio ascoltando, eh?».
Rosso come i suoi
capelli, Hanamichi iniziò a ridere per nascondere l’imbarazzo, mentre Ryota gli
faceva fare il giro del campo a suon di calci e Hime si copriva il viso tra le
mani per non vedere.
«Beh, dai, ha colto il
messaggio, no?», tentò di sdrammatizzare Ayako, tra le risate.
Gli allenamenti
ripresero con un po’ più di vigore e Hisashi notò il signor Anzai annuire tra
sé e sé, sereno come un Buddha.
«Sai, Mitsui, i tuoi due
compagni hanno ragione», disse, intrecciando le mani sulla pancia. «Abbiamo
davvero buone possibilità di vincere. Dopo la partita contro il Sannoh, avete
dimostrato di essere capaci di fare qualsiasi cosa. Persino Rukawa, che è
fondamentalmente un giocatore concentrato su se stesso, è riuscito a fare gioco
di squadra. Sai perché?». Hisashi attese che continuasse. «Perché è circondato
da giocatori che darebbero tutto pur di vincere. Akagi ha lottato con tutte le
sue forze pur di portare la squadra ai massimi livelli; Sakuragi si è
infortunato pur di salvare un pallone; tu stesso hai perso i sensi pur di
spingerti al limite e non mollare. Quindi lascia che ti dica una cosa: non
sentirti in colpa per la tua assenza. Se la squadra è arrivata a essere ciò che
è oggi, lo deve anche a te e alla tua determinazione. Non sentirti inutile
stando in panchina; la tua sola presenza è fondamentale per tutti loro».
Mitsui sentì gli occhi
bruciare, mentre un nodo in gola gli strozzava il respiro. «Grazie, Sensei»,
mormorò, con voce tremante. «Grazie di tutto, davvero».
Quello gli batté una
mano sul braccio e si alzò con incredibile agilità, per uno di quella
robustezza ed età.
«Un’ultima cosa,
Mitsui», disse, senza voltarsi a guardarlo, ma con gli occhi puntati in campo a
seguire un’azione di Rukawa. «Dopo il torneo di Dicembre, alcuni di voi
riceveranno una convocazione per l’All-Star Game tra
le migliori Prefetture del paese, che si terrà a fine anno scolastico. Le prime
quattro squadre di Kanagawa potranno portare un massimo di tre giocatori
ciascuno. Voglio che ti riprenda al meglio, per quel momento».
Hisashi rimase senza
parole, forse per la prima volta in vita sua, e l’allenatore, cogliendo il suo
stupore, lo salutò con il consueto oh ohoh, mentre si allontanava
dalla palestra, conscio che i ragazzi avrebbero proseguito alla perfezione
anche senza la sua presenza.
Abbassò lo sguardo sul
ginocchio fasciato e asciugò con determinazione le lacrime dagli occhi. La
fiducia del Signor Anzai, dopo tutto quello che era successo in quegli ultimi
mesi, era l’unica cosa che gli stava dando la forza per andare avanti. Non
l’avrebbe deluso per niente al mondo.
«Ehi, Mitchi, tutto
bene?», domandò Hime, notando gli occhi arrossati.
Quello annuì, ma non
aggiunse altro. Osservò i giocatori in campo e si chiese chi tra loro sarebbero
stati convocati per l’All-Star Game – a parte Rukawa,
che pareva una scelta tanto ovvia quanto sensata, per quanto la cosa gli
rodesse il fegato. Il Capitano probabilmente sarebbe stato il terzo. Sgranò gli
occhi, terrorizzato all’idea di doversi sorbire Sakuragi che menava le palle a
tutti per non essere stato convocato, lui che era il Genio delle Star!
«Sicuro che vada tutto
bene?», ripeté Hime, ora preoccupata nel vedergli quell’espressione impaurita.
Gli allenamenti giunsero
a termine alle sette inoltrate, ma qualcuno decise di rimanere un altro poco.
Tra questi, oltre Kimi che avrebbe iniziato il suo lavoro speciale con Mitsui,
anche Miyagi e Hanamichi, per la loro consueta esercitazione sugli scarti e le
smarcature. Hime e Ayako s’intrattennero al tavolo delle manager, per aspettare
fratello e fidanzato, e nel mentre facevano i compiti per la settimana
successiva.
Kiyo li trovò così, tra
consigli vari e il ritmico rumore del pallone che rimbalzava sul parquet
lucido.
«Ehilà!», la salutò
Hime, che fu la prima ad accorgersi della sua presenza. «Com’è andato
l’allenamento?».
«Direi bene», replicò
quella, passandosi una mano tra i capelli ancora bagnati. «Qui?».
«C’è un po’ di tensione,
ma date le circostanze credo sia normale».
Gli occhi della
nuotatrice trovarono subito Mitsui, che sedeva su una sedia sul fondo del campo,
sotto canestro, e dava continue indicazioni a uno dei gemelli Shimura – non
avrebbe saputo dire quale dei due fosse. Era talmente concentrato in ciò che
stava facendo che non avvertì il suo sguardo.
«Le qualificazioni di
domenica saranno sempre qui?», domandò Hime, stiracchiandosi e dimenticando per
un momento i compiti.
«No, saranno al Ryonan.
Si cambierà anche per semifinali e finali: Kainan e Shoyo».
«Oh, in trasferta!»,
fece la rossa. «E a che ora sono?».
«Alle 10:30 inizia la
prima batteria; io dovrei essere alla terza».
«Ci sarò! E mi
trascinerò dietro tutti i tuoi tifosi», fece la seconda manager strizzandole un
occhio.
La notizia, invece che
rincuorarla, la terrorizzò. Non aveva certo dimenticato di cosa fossero capaci
quei pazzi sugli spalti.
«Potrei chiedere anche a
Kiyota di venire... o dite che Maki li sta ammazzando di allenamenti anche il
fine settimana?».
«Forse dovremmo lavorare
anche noi la domenica», mormorò Ayako, battendosi la matita sulle labbra
carnose.
«Non dirlo a voce alta,
Aya-chan, o rischi il linciaggio», la mise in guardia Hime, reprimendo a stendo
uno sbadiglio. «Sono sicura che non ci sarà bisogno di fare le ore piccole».
Riportarono l’attenzione
in campo: da una parte la pacatezza di Kimi Shimura, che tirava a canestro dalla
linea dei tre, seguendo i consigli del suo senpai senza battere ciglio;
dall’altra le urla di Miyagi e Hanamichi, il primo che si lamentava della
mancanza di attenzione di uno, e l’altro che blaterava qualcosa sul suo essere
bravissimo anche senza la baby-sitter che gli diceva cosa fare.
Si erano fatte le otto e
mezza di sera, tra allenamenti extra e chiacchiere tra ragazze, quando i
cestisti finalmente si fiondarono a farsi una doccia, affamati come bisonti.
Hisashi si avvicinò lentamente alle tre, stando ben attento a non muovere il
ginocchio leso, e salutò la nuotatrice. «Kobayashi».
«Mitsui».
«Kimi?», domandò Hime,
alzandosi e recuperando i palloni per rimetterli nel cesto.
«È molto rapido e
preciso», annuì Hisashi, ripensando all’allenamento, mentre si sedeva. «Ma è
facile fare canestro da fermi. Domani voglio che Rukawa e Sakuragi
s’intrattengano con noi per metterlo sotto pressione. Vedremo come si
comporterà».
«Mi sembra una buona
idea», convenne Ayako. «Vi ho osservati, non credevo avessi così tanta pazienza
come insegnante, Mitsui».
Quello scrollò le
spalle. «Infatti non ne ho. Ma per fortuna si tratta di uno dei gemelli
Shimura, non dei Sakuragi».
«Ohi, tu!».
Kiyo si morsicò il
labbro pur di non ridere. Per tutti i Kami, era dall’epoca Sengoku che non
sorrideva così tanto in una sola giornata!
«Come ti senti?».
Si sorprese nel rendersi
conto che quella domanda non fosse rivolta al giocatore infortunato, bensì a
lei. Spostò lo sguardo sugli occhi color nocciola della Sakuragi e mosse il
capo in un cenno affermativo. Capì subito a cosa si riferiva.
«Va meglio. Decisamente
meglio, grazie». E non mentiva di certo. Da quella mattina era come se le
avessero sollevato un macigno dalle spalle e, per quanto questa nuova
circostanza la debilitasse un poco, si poteva concedere un po’ di tranquillità,
almeno per qualche tempo. Poteva concentrarsi unicamente sulle sue gare e aveva
addirittura fatto nuove e buone conoscenze.
Mitsui, seduto accanto a
lei, le allungò una mano sulla nuca, tra i capelli biondi e umidi,
accarezzandola come avrebbe fatto con un gatto. Kiyo chiuse gli occhi, serena,
finché l’ennesimo battibecco tra Ryota e Hanamichi, reduci dalle docce, non la
riportò alla realtà.
«Non mi interessa se avevi
intenzione di andare alla dannata sala giochi: domani ti voglio qui alle tre,
altrimenti ti lascio in panchina a vita», sbottò Ryota.
Hanamichi parve
sconvolto. «Non puoi lasciarmi in panchina, Pigmeo! Così perderemo di sicuro!».
«Aya-chan, non lo
sopporto più», piagnucolò il Capitano. La manager, capendo l’antifona, sfoderò
il suo micidiale ventaglio e il rossino, alla sola vista di quell’arma di
distruzione di massa, si ammutolì imbronciato.
La coppia d’oro
dell’anno li salutò poco dopo e Hime, dopo aver fatto uscire tutti, chiuse la
palestra.
«Ehi, Mitchi, come ci
torni a casa?», domandò Sakuragi, la borsa dell’allenamento su una mano, e
l’altra sulla spalla della sorella.
La Guardia dello Shohoku
indicò una macchina dai fari accesi parcheggiata fuori dal cancello d’ingresso
del liceo.
«Salve, ragazzi!», fece
un uomo dal familiare sorriso oltre il finestrino dell’auto. «Volete un
passaggio anche voi?».
«Eh?», fece Hanamichi.
«Io non salgo in macchina con gli sconosciuti».
«Ohi, demente! Quello è
il padre di Sendoh!», lo rimbeccò Hisashi, tirandogli una stampella in testa.
«Il padre
dell’Istrice?», ripeté il rossino. «Peggio ancora! Magari è un pervertito come
il figlio!».
«HANAMICHI!», strillò la
sorella, in visibile imbarazzo. «La prego di scusarlo, signor Sendoh. Mio
fratello non sa quello che dice per il 99% delle volte in cui apre bocca», si
scusò la ragazza, inchinandosi un paio di volte e trascinando con sé l’ala
grande. L’uomo, ovviamente, era scoppiato a ridere. Tale padre, tale figlio.
Kimi declinò con
gentilezza, dal momento che non abitava molto lontano da lì, e anche i fratelli
Sakuragi, dopo le dovute presentazioni, preferirono farsi due passi piuttosto
che imporre la loro presenza. Solo Kiyo accettò il passaggio, dato che fosse
praticamente impossibile dire di no a Goro Sendoh che, non appena capì che
fosse la ragazza del suo “figlio adottivo”, non volle sentire alcun rifiuto.
Hime e Hanamichi
rimasero soli e in silenzio per un lungo istante, mentre camminavano lentamente
verso casa. Poi il ragazzo chiese: «Ma perché il padre del Porcospino è passato
a prendere il Teppista?».
«Non ne so molto, ma
credo che Hisashi e la madre si stiano trasferendo da loro, per via del signor
Mitsui. Ho sentito Akira parlarne con lui, in ospedale».
«Mitchi a casa dei
Sendoh?!», esclamò Sakuragi. «Ma così va a stare dal nemico! E rischia
seriamente che quel maledetto hentai gli faccia qualche agguato! Così
infortunato non potrà neppure difendersi! Hicchan, dobbiamo fare qualcosa!».
«Intendi per la testa
bacata che ti ritrovi? Temo che non ci siano più speranze, Hana».
Continua...
* * *
A-ehm.
*agita una manina*
Sì, sono io, non è il mio fantasma che scrive. Vi devo delle
spiegazioni dopo quasi quattro (QUATTRO?!) anni di nulla, è il minimo che possa
fare.
Sono successe parecchie cose, in questo lunghissimo lasso di
tempo, tra cui un anno di Erasmus in Svezia, tesi e laurea. Non avevo tempo per
dedicarmi alle mie passioni, cosa per cui ho sofferto molto, ma non potevo fare
altrimenti. I problemi sono giunti dopo aver preso il tanto agognato pezzo di
carta. Ho speso più di un anno a cercare lavoro e spedire curriculum e
portfolio senza ottenere risposte. Forse ne ho ricevute 10 su 1000, ma sto
esagerando. Dire che avevo il morale a terra è un eufemismo bello grosso,
perché sarei molto lontana dalla verità. So che molte persone impiegano molto
più tempo a trovare lavoro, ma ero demoralizzata e non riuscivo a vedere che un
muro nero di fronte a me. Ho provato a cercare lavoro qui, all’estero, sulla
luna... niente. Nada.
Neppure la scrittura e il disegno, che solitamente mi
rilassano, sono serviti a tirarmi su.
Finché il lavoro l’ho trovato, più di un anno fa. Non è una
posizione sicura, la paga è minima, ma sono ancora lì, faccio ciò che amo e le
cose, per il momento, vanno bene.
Nonostante la tranquillità ritrovata, questa pausa
lunghissima dalla scrittura non ha aiutato per nulla il mio stile. Sono mesi,
ormai, che provo a buttare giù qualche idea che mi gironzola da troppo nella
testa, ma credo di aver perso tutto l’entusiasmo e la facilità con cui scrivevo
un tempo. Mi sono detta: devo solo riprendere la mano e poi sarà di nuovo tutto in
discesa. Non è stato così – infatti
questo capitolo mi fa veramente schifo. Ma è un passo gigante, rispetto al
nulla, quindi posso dirmi soddisfatta. Con le Olimpiadi è ritornato anche lo
spirito sportivo che animava questa storia e con esso l’amore per i nostri
ragazzi selvaggi, che si sta facendo sentire più forte di prima.
Quindi rieccomi qui. Come ho sempre detto, prima o poi le mie
storie avranno un finale, solo che bisogna essere pazienti per raggiungerlo.
Ad ogni modo, filippica a parte, ho riletto tutti i capitoli
precedenti per riprendere il filo della storia e ne ho approfittato per
correggere errori e sviste varie che, dopo tanto tempo, sono saltati agli occhi
immediatamente. Ho ben in mente – così è sempre stato – cosa succederà nei
prossimi capitoli e spero che, nonostante la schifezza che ho scritto (e che
scriverò), continuiate a stare con me.
Questo mondo mi è mancato, i ragazzi mi sono mancati, voi
tutti mi siete mancati. E a voi che non mi avete abbandonata neppure in questi
anni (sapete chi siete), solo una cosa: GRAZIE DI CUORE. Vi adoro, sul serio.
Spero possiate perdonare questo tremendo ritardo e questo
terribile capitolo.
Capitolo 20 *** 19. Domenica al sapore di cloro ***
Ni-hao a tutti
Capitolo 19
Domenica al sapore di
cloro.
La pioggia batteva
incessante contro i vetri delle finestre. I primi tuoni si erano fatti sentire
verso le quattro di notte e poco dopo aveva iniziato a piovere senza sosta. La
temperatura, in quegli ultimi giorni, era calata bruscamente e i meteorologi prevedevano
i primi fiocchi di neve entro la prima metà di Dicembre.
Akira osservava il
paesaggio oltre la coltre di acqua, mani in tasca e viso stranamente imbronciato.
«Oggi non ci voleva».
Il rumore di passi e
stampelle lo fece voltare.
«Tranquillo, Sendoh.
Anche se ci fosse stato il sole, la mia bambolina non l’avresti presa
ugualmente», disse Hisashi, comparendo in soggiorno.
«Mitsui, sei una brutta
persona. Io mi stavo solo preoccupando del fatto che dobbiamo uscire con questo
tempaccio e non puoi nemmeno reggerti l’ombrello da solo», replicò con falsa
indignazione il giocatore del Ryonan, che si portò una mano al cuore spezzato.
«Ah, non devi
accompagnarmi per farmi da porta-borse e tutto? Sendoh, sei proprio inutile».
L’unico raggio di sole
in quella giornata uggiosa fu il sempreverde sorriso di Akira Sendoh.
«Ragazzi, siete sicuri
di non volere un passaggio in macchina?», domandò la voce del signor Goro,
facendo capolino dalla porta della cucina.
«Tranquillo, papà», replicò
Akira. «Questo vecchietto ha bisogno di muovere i primi passi da solo».
«Ricordati che questo vecchietto è armato di due
stampelle e sai dove te le ficca?».
«Hisashi!», esclamò Tamaki Mitsui, mentre gli portava una sciarpa
per coprirsi mene. La Guardia dello Shohoku accusò quel tono in silenzio,
conscio che la madre temesse ancora minacce e botte, fossero esse più o meno
sarcastiche, nonostante le avesse dimostrato più e più volte che ormai non era
più il Mitsui di qualche mese fa.
«Tranquilla, mamma,
dovresti preoccuparti più per queste», disse, alzando una gruccia, «che per la
sua testa; ce l’ha dura, il ragazzo».
Lei scosse il capo,
sistemandogli il colletto della giacca sotto lo scalda-collo, e nascose un
mezzo sorriso tra le labbra impettite nel sentire la risata dei due Sendoh. «Mi
raccomando, fate da bravi».
Hisashi si chinò per
darle un bacio sulla tempia, sussurrandole di stare tranquilla e di godersi la
domenica di riposo.
«Oh Akira, abbraccia
Reiko anche da parte nostra, ok?», disse Rinako Sendoh dalla cucina, tutta
intenta a preparare il pranzo della domenica – ed erano solo le 9:30 del
mattino.
«Proverò a trascinarla a
casa per pranzo», assicurò Akira. «Tanto come sempre stai preparando cibo per
un esercito».
«No, tesoro, solo per il
maiale che mi ritrovo come figliolo», civettò la madre in risposta.
«E non sbavare dietro le
ragazze in costume», proseguì con le raccomandazioni Mitsui, imitando la voce
del signor Goro e facendoli scoppiare a ridere.
Akira si grattò la nuca,
per niente imbarazzato, pensando che preferiva di gran lunga le imitazioni di
suo padre, che quelle dei genitori di qualche ex-fiamma che lo chiamavano in
piena notte per riferirgli che avesse ingravidato le figlie. Dannato Mitsui! «Ah
Hisashi, prometto che non guarderò le gambe della tua ragazza. E se dovessi
farlo, è perché in cuffietta e occhialini non la riconosco».
Un idiota con i fiocchi volò per la casa da far invidia persino a
Rukawa nei suoi giorni migliori, mentre Tamaki si metteva le mani sui fianchi. «Sei
un figlio degenero, tu», lo rimproverò. Allo sguardo spaesato del cestista, la
donna aggiunse: «Insomma, ho scoperto che sei fidanzato da Goro e da suo
fratello, e non da te! Quando pensavi di dirmelo?».
«Non sono fidanzato!», sbottò quello, sentendo il sangue
affluirgli in viso, mentre quel demente di Akira si sbellicava dalle risate e
confessava loro che la ragazza in questione aveva addirittura fatto voto di
smettere di fumare per lui.
Mitsui alzò gli occhi al
cielo, sotto lo sguardo impensierito della madre. «Quando me la farai
conoscere? È carina? È una brava ragazza? Com’è? Eh?», gli chiese, con un tono
di spensierata malizia che non udiva da secoli. Si sentì ringiovanito di dieci
anni.
«È solo una con cui
esco, non è niente di ché», borbottò.
«Sei consapevole che se
dovesse sentire una frase del genere, quella è capacissima di ammazzarti?», gli
sussurrò Akira.
«Ma che diavolo volete
tutti? Rimaniamo qui a parlare della mia vita sentimentale o andiamo? A
differenza di qualcuno, odio arrivare
in ritardo», sbottò infine il giocatore dello Shohoku. Gli adulti li lasciarono
ai loro affari, tra qualche altra risata e raccomandazioni varie.
Quando uscirono di casa,
sotto un diluvio importante, Akira gli diede un colpetto al braccio. «Sarò il
testimone più bravo del mondo, giuro».
«Ma ammazzati e apri
l’ombrello!».
«In quest’ordine o–?».
Hisashi pensò che
gliel’avrebbe ficcata volentieri una stampella su per il deretano.
*
Non fu per l’ultima
volta in quella giornata che Kaede Rukawa si domandò cosa diavolo ci facesse
sveglio a quell’ora improponibile la domenica mattina, in compagnia di quegli
esagitati dei Sakuragi, della loro banda di dementi, della nuova cugina
acquisita e della Scimmia Saltante del Kainan, che chiudeva il quadro come la
ciliegina sulla torta. Certo, il termine sveglio accostato al suo nome era
improbabile come un Hanamichi Sakuragi secco e pesto in un angolino, ma per i
suoi standard era già un record reggersi in piedi – e bene o male lo stava
facendo. Almeno era seduto.
Il suo malumore precipitò
nel momento in cui li raggiunsero anche il Teppista e il Porcospino, inzuppati
fradici come pulcini: il primo incacchiato nero per ovvi motivi e il secondo
accompagnato dal suo proverbiale sorriso, che neppure lo sguardo truce
dell'amico avrebbe incrinato. Kaede guardò con crescente interesse il
trampolino da dieci metri dall’altra parte dello stabile, perso in una
splendida fantasia in cui si trascinava per la collottola il Sendoh nazionale fin
lassù e lo gettava nel vuoto senza troppi complimenti – con la piscina vuota,
s’intende.
«Va tutto bene?», gli
domandò Sanako, battendogli una manina sul braccio per farlo rinsavire dai suoi
pensieri assassini.
«Ancora una volta,
perché sono qui?», le chiese annoiato, la testa che ciondolava sulle spalle.
«Credo perché Hime-san
ti ha convinto–».
«Fracassato le palle», puntualizzò lui.
«–a distrarti un po’
prima dell’inizio del campionato. Sarà divertente, dai!».
Sendoh, con tutti i
posti liberi a disposizione, gli si accomodò accanto, regalandogli un sorriso
da pubblicità e una pacca sulla spalla, e pensò che no, non sarebbe stato
divertente. Affatto. Una tortura cinese probabilmente gli avrebbe creato meno
noie.
«Sì, sarà divertente,
Kaede, vedrai!», ripeté il Porcospino. «Ci sono tante belle ragazze in
costume», aggiunse ammiccando, con un’invidiabile faccia da schiaffi, mentre
sua cugina sembrava arrossire come una pentola e si ammutolì di colpo, mentre
torturava il tessuto della gonna tra le dita. Immaginò che fosse nervosa per
l’amica, quella Kobayashi; che altro poteva essere altrimenti? Non volle
pensare che fosse una reazione all’Istrice e alle sue parole; altrimenti si
sarebbe gettato lui dal trampolino sulla piscina vuota.
«Ma cosa ne capirà
quello lì», stava dicendo Hanamichi, appoggiato al parapetto davanti alla fila
di poltroncine su cui si erano spalmati. «Non riconoscerebbe una sventola da un
lottatore di sugo».
Ci fu un momento di
silenzio, prima che le loro risate rischiassero di far crollare il soffitto.
«Sì, un lottatore di
sugo. Il vincitore si becca un bel piatto di pasta italiana», commentò Kiyota,
che nascose mestamente il viso tra i capelli della sua ragazza, in preda alle
convulsioni per le risate.
«O una sventola da una
pentola, dato che siamo in tema di cibo», aggiunse Mito, asciugandosi le
lacrime dagli occhi.
«Smettetela, ho fame!»,
si lagnò Takamiya, accarezzandosi lo stomaco vuoto.
«E ti pareva».
«Ancora?! Ti sei
divorato anche la mia colazione, maledetta fogna!».
Hanamichi, d’altra
parte, aveva iniziato a elargire testate a destra e a manca, affermando che
avesse fatto solo una battutaccia, e d’improvviso si formò l’ormai consueto
vuoto tra loro e il resto degli spettatori, che preferirono andarsene pur di
non stare nei pressi di quel casino.
Solo un prode ragazzo
del Ryonan osò additare il rossino. «Ehi, ma quello è Sakuragi dello Shohoku!».
Il tempo di sentire un
coro di “oh no” da parte dei suoi
amici, e quello era già bello che partito. «Ma certo che sono io! L’unico e
inimitabile! Ahahah! Dimmi, amico, vuoi un autografo,
eh? Una foto? La dimostrazione dal vivo di un dunk?».
Quello in risposta
scoppiò a ridere, seguito dal resto della tribuna, che continuava ad additarlo
senza pudore. Hanamichi si voltò verso la sua ciurma per chiedere tacite
spiegazioni, ma quelli erano troppo impegnati a nascondersi sotto i sedili nel
vano tentativo di far finta di non conoscerlo. Hime aveva intravisto un tizio
sventolare il giornalino sportivo in cui scriveva la signorina Aida e temeva
che quelle reazioni fossero legate alla sua intervista.
«Oh no, è uscito
l’articolo», si disperò la ragazza.
Per sua disgrazia
Hanamichi la sentì e fu peggio di prima. «Dov’è? Dov’è? Sarò anche in
copertina, scommetto! Ahaha! Fate largo alla star
della stampa!», esclamò il numero 10, strappando il giornale dalle mani di una
terrorizzata matricola e sfogliandolo avidamente. Il sorrisone che gli
illuminava il viso si tramutò lentamente in una smorfia imbronciata. «Hicchan,
non lo trovo!».
«Lo credo, saranno venti
parole nell’angolo in basso a sinistra dell’ultima pagina», lo sfotté Kiyota,
che non si allontanò molto dalla realtà. Si trattava infatti di una breve
colonna nella seconda metà del magazine, sormontata da un’imbarazzante
fotografia che lo raffigurava in allenamento alle prese con un pallone che non
voleva entrare nel canestro.
Hime gli prese la
rivista dalle mani, dato che Hanamichi stava per strapparla anziché sfogliarla
come un normale essere umano, e una volta trovato l’articolo iniziò a leggere a
voce alta. «“È un tranquillo pomeriggio
di allenamenti per la squadra del Ryonan, quando Hanamichi Sakuragi fa la sua
entrata in scena in palestra che non passa certo inosservata”».
«Perché ho una brutta
sensazione?», mormorò Yoehi.
Hanamichi gli tirò uno
scappellotto. «Zitto e ascolta le gloriose parole della signorina Aida!».
«“Sakuragi arriva all’intervista in compagnia della sorella Hime, la
seconda manager dello Shohoku, e un improbabile e ovviamente addormentato Kaede
Rukawa, che non perde occasione di battibeccare con il rossino e di lanciare
occhiate velenose ad Akira Sendoh che si allena poco più in basso.
Hanamichi ci confida che la sorella si allenasse spesso con
il “Volpino”, come lui ama chiamare Rukawa, edi
aver iniziato a giocare proprio grazie a lei, appassionata di basket fin da
piccola. La bella Sakuragi venne infatti eletta MVP al torneo femminile delle
scuole medie”. Oh, mi chiama La Bella! Ahahah!»,
aggiunse Hime, ridendo imbarazzata.
«Invasata».
«Ohi, Volpe, non
insultare la mia Hicchan!», lo rimbeccò Kiyota, che subito dopo aggiunse un «Hahaha ho la ragazza più figa del Giappone! E volete sapere
perc–».
«Zitto tu, Nobu-Scimmia!»,
sbraitò Hanamichi, tirandogli una manata sul capo.
Dopo un bacino consolatorio
sul naso del ragazzo, Hime proseguì la lettura: «“Ormai siamo abituati ai modi stravaganti di questo particolare
giocatore dello Shohoku, che non perde occasione per accapigliarsi con chiunque
osi contraddirlo o mettere in discussione le sue capacità cestistiche. Iscritto
al club di basket solo lo scorso Aprile, Sakuragi è diventato rapidamente la
chiave di volta dell’intera squadra in rosso, non senza imbarazzanti intermezzi
ed errori da principiante”».
«Che cos–».
«Ma quale chiave di
volta!».
«Nel senso che gli ha
dato di volta il cervello, Mitsui».
«Naah,
quello era già bello che partito da tempo».
«Maledetti bastardi,
lasciate che vi prend– ahia! E tu da dove diavolo spunti?!».
Ayako ritirò il
ventaglio con un sorriso smagliante, accompagnata da Ryota e dai Gemelli
Siamesi. «Prego, Hime, continua pure la lettura».
«“Dopo l’infortunio alla schiena, emerso durante l’incredibile incontro
contro il Sannoh Kogyo vinto dallo Shohoku per 79-78,
e un lungo periodo di riabilitazione, Hanamichi Sakuragi sembra tornato in
ottima forma, sia fisica che emotiva, e ci si domanda come sarà la sua
performance durante il Campionato Invernale. Il ragazzo ha ancora molto da
imparare e forse dovrebbe prendere esempio dal tanto odiato Kaede Rukawa,
anziché ignorare la bravura del compagno di squadra ed evitare di passargli la
palla in campo. Se solo i due collaborassero civilmente come due giocatori
facenti parte di una squadra, lo Shohoku potrebbe vincere qualsiasi cosa – abbiamo
visto tutti cosa i due siano in grado di fare con un po’ di intesa”».
«Ma anche no», fu il
commento di Kaede in coro con Hanamichi. I due si scambiarono un’occhiata
infuocata, prima di voltare immediatamente lo sguardo.
«“Nonostante sia ancora un principiante, però, Sakuragi ha per questo
l’incredibile capacità di essere imprevedibile in campo, abilità che ha sempre
spiazzato i suoi avversari, e di imparare molto in fretta. “La squadra mi
ha insegnato tanto – dice il numero 10 – ognuno
di loro mi ha dato qualcosa che, piano piano, mi ha fatto crescere come
giocatore, sebbene il mio talento fosse già innato e dovessi solo affinare la
tecnica”, aggiunge vantandosi. Il talento
c’è, ma anche l’egocentrismo non scherza”».
La postura plastica da
supereroe di Hanamichi si afflosciò immediatamente. «Checcosa?!», sbraitò, ora rosso di rabbia.
«“Sotto canestro è praticamente impenetrabile, grazie alla sua
incredibile difesa, e i rimbalzi per lui sono pane quotidiano. Dotato di
un’elevazione unica, ci racconta che è stato proprio Akagi, l’ex Capitano, a
insegnargli l’importanza del possesso palla su un tiro sbagliato. “Chi non
impara il rimbalzo non entra in partita”, lo
cita Sakuragi. Ora che l’ex #4 ha
lasciato lo Shohoku per concentrarsi sugli studi, Sakuragi è l’unico che potrà
prendere il suo posto, almeno come ruolo di Centro – nessuno osa immaginare
cosa significherebbe avere un Capitano esagitato come lui”».
«Ma io l’ammazzo! L’ammazzo! Brutta caprona!».
E tra le risate di amici
e sconosciuti che assistevano alla scena, e i vani tentativi da parte dei Gemelli
Siamesi di trattenerlo affinché non facesse qualche idiozia, Hime proseguì la
lettura.
«“Senza Akagi lo Shohoku ha perso un pilastro importante, ma sotto la
guida di Miyagi e del suo vice Mitsui, la squadra non mancherà certo di talenti
e spinte motivazionali. Persino l’individualista per eccellenza, Kaede Rukawa,
sembra finalmente entrato in sintonia con il resto dei compagni.
E a proposito di quest’ultimo, rimane comunque ancora oscuro
il motivo per cui il numero 11 dello Shohoku, unitosi a Sakuragi per il nostro
incontro, sia così popolare tra la popolazione femminile; tralasciando il suo
aspetto da bello e dannato e il suo indiscutibile talento in campo, comunque
inferiore a quello dell’asso e del neo Capitano del Ryonan, Kaede Rukawa è
l’emblema della maleducazione e dell’arroganza, e risponde a una nostra semplice
domanda con insulti gratuiti e occhiate micidiali. Ci si chiede come sia
possibile che la sua amica, Hime Sakuragi, riesca a sopportarlo a tutte le ore
del giorno. I due, infatti, sembrano molto affiatati. Cosa avrà da dire
Nobunaga Kiyota, il fidanzato della ragazza, in questione?” Ma cosa diavolo–?».
«Ehi Nobu-Scimmia,
recupera la mascella prima che qualcuno la calci via», fece Mitsui, le labbra
increspate da un sorriso sornione.
«Ma io l’ammazzo!», continuava a ripetere Hanamichi, ormai sulla via
del non ritorno. «E ammazzo anche la Volpe! Era il mio articolo! Perché si finisce a parlare sempre di lui? Eh? Eh?! Maledetta divetta!», sbraitava,
prendendo Rukawa per lo scollo a V del maglione e sbatacchiandolo come un panno
sporco. Quello, dato che la migliore arma contro la stupidità è l’indifferenza,
dormiva beatamente.
«Hanamichi, calmati!»,
sbraitò Ayako, sedando quella testa calda con l’ennesima sventagliata.
«Ma quella non è una rivista
sportiva?», chiese Sanako al vuoto, perplessa dal gossip finale.
«Hicchan», stava dicendo
intanto Kiyota, con occhioni lucidi e il labbro tremante, «c’è qualcosa che
devi dirmi?».
Quella, che aveva preso
a stracciare l’articolo in mille pezzi promettendo tremenda vendetta a quella
giornalista dei suoi stivali, arrossì vistosamente, se per la rabbia o
l’imbarazzo (probabilmente entrambi), non seppe dirlo. Kiyota, ovviamente, non
la prese bene.
«Nobu-chan, lo sai che
scrivono un mucchio di stupidaggini pur di aumentare i lettori», gli disse,
rassicurandolo con un abbraccio. Quello non parve molto convinto, tutto intento
a lanciare fulmini e saette in direzione di Rukawa, che continuava a dormire
serenamente. «Ohi, Scimmietta! Mi stai ascoltando?».
«Hn».
«Kiyota, non è imitando
i monosillabi di Rukawa che riuscirai a conquist– Aya-chan! Che fai?!», esclamò Ryota,
massaggiandosi la testa lesa. Quella scosse il capo, decisa a chiudere lì la
questione. Era un argomento spinoso, quello, e non voleva rischiare di
peggiorare la situazione. Il modo in cui Hime stava stringendo la felpa di
Kiyota senza incontrare il suo sguardo e quello in cui lui guardava lei non
promettevano niente di buono.
«Nobu, ti fidi di me?»,
gli sussurrò Hime, per non farsi sentire dagli altri – che comunque erano
troppo occupati a prendere per i fondelli Hanamichi per badare a loro. Gli
accarezzò il viso e lui chiuse gli occhi.
«Hicchan, io mi fido di
te», replicò seriamente lui, portando entrambe le mani sulle sue. «È che...»,
scosse il capo, dandole un veloce bacio sulla punta del naso. «Parliamone in un
altro momento, ok? Stanno entrando i primi pesci in acqua».
«I primi pesci– Nobunaga!».
Quello rise come
l’idiota che era e, almeno per il momento, tutto sembrò tornare alla normalità
quando lui la strinse contro il petto, facendola accomodare tra le sue gambe. Inspirò
il suo profumo, misto a quello del suo bagnoschiuma, e sorrise di sollievo.
Il boato degli
spettatori invase l’intero stabile, mentre le prime otto partecipanti entravano
in scena e si disponevano ai loro posti. C’erano ragazze provenienti da tutta
la Prefettura, ma a quella prima batteria nessuno di loro parve riconoscerne
alcuna.
«Porca vacca, quella
tipa sembra un armadio a quattro ante!», fece Mito, con la bocca spalancata.
Stava indicando una studentessa del Kainan, dalle spalle larghissime e
l’altezza vertiginosa.
«Abbiamo trovato la
donna ideale di Akagi!», esclamò Hanamichi, gasatissimo. «Guardate, ha anche
l’espressione da gorilla femmina!».
«Ma no, la sua donna
ideale è la zia di Sanako», disse fermamente convinta Hime, mentre alla barista
per poco non andava di traverso la lingua.
«Akagi? M-mia zia?!».
«Sì, certo! La gendarme
che ha sedato queste teste calde con la forza di un solo sguardo!», continuò la
seconda manager, con gli occhi a cuoricino. «Sono fatti l’uno per l’altra».
«Ci puoi scommettere»,
dissero in coro i disgraziati in questione, che si guardarono le spalle temendo
che, per qualche oscuro scherzo del destino, potessero ritrovarsela dietro pronta
a colpire.
«Ehi, Nobu-Scimmia, sono
tutte così brutte al tuo liceo?», fece Hanamichi, le braccia poggiate sulla
balaustra mentre osservava le nuotatrici salire in pedana prima del fischio
d’inizio.
«Probabile», fece la
voce di Mitsui. «Altrimenti per quale altro motivo si sarebbe ficcato in una
relazione con tua sorella? Doveva essere proprio disperato».
«Che diavolo stai
insinuando?!», esclamarono i gemelli, che non gli si gettarono contro solo per
preservare il suo ginocchio spappolato.
«Va’ va’, quelle sono
eccezioni. Di strafighe ce n’è in abbondanza, ve lo assicuro! C’è il club di
ginnastica ritmica, per esempio...», fece Kiyota, battendosi un dito sul mento,
con fare pensante. Sentì subito la sua ragazza irrigidirsi e rise mentalmente
come un invasato. Che la vendetta abbia
inizio, hahah–
«Sì, solo che nessuna ti
si fila, mezza sega», fu l’adorabile commento di Rukawa, che sbriciolò ogni suo
piano di rivalsa in tanti pezzetti.
–ma maledetto stronzo, sempre in mezzo, prima donna del
cacchio!
«Hicchan santa subito», fece il numero 10
dello Shohoku con serietà, congiungendo le mani in segno di preghiera.
Vedendo il faccino
imbronciato di Nobunaga, Hime gli diede un sonoro bacio sulla guancia, che
divenne paonazza poco dopo. «Devo preoccuparmi di nastri e clavette?».
«Dovresti, dato che a
quanto pare mi tradisci con la Kitsune».
Le sue parole erano
condite di ironia ma Hime vide perfettamente una piccola dose di dubbio in quei
suoi begli occhi blu. Si disse che avrebbe dovuto risolvere quel casino mentale
al più presto, perché non poteva continuare così. Nobunaga era un ragazzo
d’oro, nonostante le sue famose uscite da imbecille egocentrico, e non meritava
di galleggiare nell’incertezza. Lei non aveva mai fatto segreto dell’amicizia
che condivideva con Kaede e non aveva alcuna intenzione di rinunciarvi solo per
fare un favore al suo ragazzo; non aveva neppure mai messo in dubbio quello che
provava per la sua Scimmietta; ma quel germe di domande che prima Ayako e poi
Yoehi le avevano insinuato in testa avevano fatto crollare tutte le sue
certezze. In passato aveva già avuto una sbandata colossale per il suo migliore
amico – come non avrebbe potuto? –,
di cui nessuno era a conoscenza, ma le era passata velocemente così come era
giunta. Voleva un gran bene a quel bestione che raramente sorrideva, ma alla
fine era arrivata alla conclusione che una relazione con lui sarebbe stata
distruttiva per entrambi.
Dopo la discussione che
avevano avuto quella famosa sera al mare, dopo le sue rassicurazioni sul non
lasciarla mai indietro nell’eventualità di una fidanzata, si era finalmente
riappacificata con se stessa e anzi, non vedeva l’ora che Reiko Azamui si
facesse viva dopo le gare per vederli battibeccare insieme. Le aveva detto che
non sarebbe andato via neppure con una ragazza al braccio e lei gli credeva,
come aveva sempre fatto. Non c’era più bisogno di essere gelosa, ora che tutto
era stato chiarito.
C’era un solo dubbio che
doveva sbrogliare e non aveva idea di come farlo.
“È il migliore amico che abbia mai avuto. È come se Kaede
s'innamorasse di te, tu che faresti?”, le aveva chiesto Ayako. “Voglio dire, potrebbe anche essere, dato che vi conoscete da sempre e
sei l'unica ragazza con cui ha un rapporto, me esclusa. E sai bene come sia lui
con le ragazze”.
Hime era l’unica donna
della sua vita, dopo la morte prematura della madre, di questo ne era più che
sicura. Probabilmente si sarebbe comportato come faceva con lei anche con altre
ragazze, se solo non fosse stato così introverso. Se solo lo avesse permesso,
era sicura che tra quella marmaglia di folgorate del suo fanclub ci fosse
qualcuna capace di capirlo come faceva lei. O qualcuno, chissà.
Era amore fraterno, il
suo, come quello che lei provava per lui, vero?
Non era realmente
innamorato di lei... vero?
«Hicchan?».
Quando Ayako le aveva
chiesto cosa sarebbe successo se Nobunaga non fosse comparso nella sua vita,
lei aveva detto che tutto sarebbe cambiato. E ne era ancora convinta. Conosceva
Kaede meglio delle sue tasche e sapeva che, quando voleva una cosa, se la
prendeva senza troppi complimenti. Ma se davvero provasse qualcosa di più di
un’amicizia per lei, lei cosa avrebbe fatto? L’avrebbe respinto? Gli avrebbe
chiesto spazio pur di non dargli false speranze? O avrebbe chiuso la faccenda
con una grassa risata, finché l’infatuazione non fosse passata?
Non aveva idea di cosa
fare, di cosa dire, di cosa pensare. Lei non era fatta per questo tipo di cose
complicate. Rischiava sempre di rovinare tutto. Come stava per accadere qualche
notte prima, in cui aveva trovato difficile persino dormire con lui, come
spesso avevano fatto in passato.
«Hicchan!».
Hime alzò lo sguardo su
Nobunaga, che ora la fissava preoccupato. Non lo vide, ma percepì anche quello
di Rukawa dall’altra parte del gruppo.
«Guarda che scherzavo,
non ti tradirei mai con nessuna, Hicchan. Neanche con le strafighe del club di
ginnastica», la rassicurò il cestista del Kainan, pensando che fosse davvero preoccupata
per quella stupida battuta, e lei non poté fare altro che sorridere e
abbandonarsi tra le sue braccia, sentendo il suo tono sincero. Era adorabile, la sua Scimmietta, che proseguì:
«Neanche se hanno delle gambe mozzafiato e il sedere sodo e–».
La gomitata che gli
rifilò gli fece mancare il fiato, tra le risate. Idiota, forse era il termine più adatto.
«E io che stavo per
dirti che– uffa, sei uno stupido, Nobunaga Kiyota».
«Dirmi che cosa?».
Che sono davvero innamorata di te, demente. Che neanche tu devi temere volpini strafighi che mi fanno prendere infarti
multipli ogni volta che compaiono davanti. Non parlò, ma per tutta risposta
lo baciò sulle labbra, indugiandovi più del dovuto. Gli passò una mano sulla
nuca, tra i capelli ribelli che quel giorno teneva sciolti senza il supporto
della sua beneamata fascia viola, e lo sentì chiaramente soffocare un sospiro
tra i baci.
«Ehi, voi due!
Prendetevi una stanza, dannazione!», esclamò Mitsui, lanciandogli contro una
bottiglietta d’acqua vuota.
«Pervertiti!», rincarò
la dose Akira, che si coprì gli occhi con il pudore che non conosceva.
«Giù le zampacce dalla
mia sorellina, Scimmia depravata!», sbraitò Hanamichi, sedato prontamente da
Ayako.
Kiyota mostrò il medio,
fregandosene altamente e continuando a baciare la sua bellissima e scemissima
ragazza. La sua, di nessun altro. Tiè, Rukawa! Ahahaha!
La prima batteria di 200
metri era conclusa da un paio di minuti. Quando quella successiva si fece
avanti, acclamata dal pubblico – stranamente quello femminile – Ayako saltò sul
suo sedile come una molla.
«Non sapevo ci fossero
anche le gare dei maschietti!», disse con un sorrisino da maniaca. Hime la
raggiunse subito, ridendo per le imprecazioni di Kiyota che era ritrovato
d’improvviso ad amoreggiare con l’aria.
«I maschietti? Ohh, mi piace il
nuoto!», esclamò quell'invasata, prendendo a braccetto le due altre sciagurate di
Ayako e Sana, che se la ridevano indemoniate alla vista di spalle larghe e
addominali scolpiti.
«Guarda che mutandine striminzite
hanno!», esclamò la prima manager, indicandoli senza pudore.
«Lo credo, dentro non
c’è niente», sibilò Ryota, verde dalla gelosia. Gli altri ragazzi annuirono
immediatamente e con fervore, per una volta tutti d’accordo.
«Ehi! Guardate che gli
addominali e i muscoli li abbiamo anche noi!», borbottò Hanamichi, che si
sarebbe strappato la maglia pur di far valere le sue parole, se non fosse stato
per il tempestivo intervento dell’Armata Sakuragi che lo fece desistere.
«Sì, ma voi non vi
allenate certo in mutande», fece saggiamente notare Ayako, spedendo in
depressione il fidanzato che continuava a ripetere “Ayakuccia, non ti basto più?”.
«Ayako-san, non dare
idee a questo qui», disse Eichiro indicando Hanamichi, seguito da Kimi, «altrimenti
sono cavoli nostri ai prossimi allenamenti».
«Magari è la volta buona
che le fan di Rukawa crepano di cuore, così ce le leviamo dalle palle», fece pensieroso
Hisashi, prendendo in seria considerazione l’idea.
Sanako, nel frattempo,
dovette coprirsi le guance arrossate per nascondere il suo imbarazzo. Nella sua
testa Akira Sendoh si allenava in mutande come se niente fosse e, per tutti gli dei, doveva essere
illegale!
«Nacchan, ti senti bene?
Sei tutta rossa», le fece notare Hime.
«Sta pensando al
sottoscritto in slip. Anche se, detto tra noi, preferisco i boxer», si mise in
mezzo Akira, con un candore vergognoso e una strizzata d’occhi.
Sanako iniziò a tossire
senza sosta, mentre quello le batteva una manona contro la schiena per farla
riprendere, in preda al panico. Non ebbe tanto successo.
«Temo che abbia fatto
centro», sussurrò Mitsui, ridendosela di gusto. Yoehi, seduto alle sue spalle,
strinse le labbra, ma nessuno ci fece caso.
«Maledetto Porcospino,
ci stai ammazzando la barista!».
In tutto ciò, Kaede
Rukawa continuava a sonnecchiare beatamente a braccia conserte, ignaro che la sua
unica cugina con cui avesse rapporti stesse per crepare per mano del suo
acerrimo nemico. Fu solo quando la voce dello speaker gridò un nome in
particolare, seguito da un boato e qualche fischio che fecero vibrare i sedili,
che saltò sul proprio come se l’avessero appena svegliato bruscamente da un
terribile incubo. E in effetti, quello era
un incubo. Che diavolo aveva da sorridere prima di una gara, come se fosse più
che sicura della vittoria? Avvolto dalle fiamme dell’Inferno, sperò che la
Azamui affogasse alla prima bracciata e quel casino immondo terminasse una
volta per tutte.
Mai che qualcosa andasse
nel verso giusto.
Non appena la
studentessa dello Shoyo si tuffò, il fragore del pubblico si fece
insopportabile e persino Hime, che per qualche assurdo motivo aveva preso la
ragazza in simpatia, aveva iniziato a gridare come un’ossessa per fare il tifo
e a sbattere bottiglie vuote l’una contro l’altra. Ma loro non erano lì per la
Kobayashi?
«Porca vacca, è
velocissima!», stava dicendo il demente di Kiyota, che probabilmente capiva di
nuoto quanto un tavolo capiva di tennis.
«Ha già tre secondi di
distanza dalla seconda ed è solo alla seconda vasca!», gli diede man forte
Hime, con gli occhi fuori dalle orbite.
«Sono le altre che son
scarse», fu l’ovvietà di Kaede, che si strinse nelle spalle.
Sendoh, che come sempre
non si offendeva neppure se gli si starnutiva in faccia, sorrise affabile. «Ne
riparleremo in finale, amico mio», gli disse.
Amico mio?!
Reiko terminò le sue
quattro vasche con un vantaggio invidiabile, per essere solo ai quarti di
finale e potesse permettersi di risparmiare le energie. Ancora in acqua, si
tolse la cuffietta e l’agitò alla volta del cugino, in piedi per applaudirla.
«Bene, vado a recuperare
la mia donzella», decretò Sendoh, mentre si stiracchiava i muscoli in tutto il
suo metro e novanta di splendore. In sottofondo si udì il sospiro estasiato
delle femmine vicine e Sanako dovette serrare le labbra pur di non unirsi al
coro. Aveva ancora un briciolo di dignità da salvaguardare, lei.
Mitsui sbuffò. «Seh, come no. Con la scusa di tua cugina, ti intrufoli
negli spogliatoi femminili. Maniaco».
«Sempre detto che è più
porco che spino, quello lì», fece saccente Hanamichi. «Non è che posso venire
anche io?».
«Hanamichi!».
La risata di Akira si
allontanò insieme a lui e Kaede riprese a respirare. Almeno finché l’Idiota non
fosse tornato con la piattola della cugina che, ne era più che sicuro, gli
avrebbe scartavetrato le palle fino allo sfinimento.
Si susseguirono altre
due batterie, maschile e femminile, prima che il turno di Kiyo arrivasse.
Hisashi trovò la forza
di alzarsi e di avvicinarsi al parapetto, sentendo la gola seccarsi
improvvisamente. Era agitato come prima di una partita importante e non era lui
a dover gareggiare. La vide sistemarsi occhialini e cuffia, prendere profondi
respiri e riscaldando i muscoli di braccia e gambe. Sembrava tranquilla, ma la
conosceva abbastanza da capire quanto tesa fosse.
Non sapeva che Kiyo,
dopo aver spaziato velocemente lo sguardo sugli spalti, aveva riconosciuto il
casino che si portavano dietro e soprattutto lui, in piedi sulle stampelle che
guardava solo lei. Si sentì rinvigorita dalla sua sola presenza e si disse di
rilassarsi. Avrebbe nuotato bene come sempre e sarebbe passata alla semifinale
con facilità. Per fortuna sua non vide la Azamui che, a braccetto col cugino,
raggiungeva i suoi personali ultrà e faceva la loro stramba conoscenza.
«Oh, giusto in tempo per
godermi lo spettacolo», esordì Reiko con un sorriso, mentre osservava la sua
rivale numero uno posizionarsi in pedana.
«Guarda e impara».
La studentessa dello
Shoyo si voltò verso colui che aveva parlato e sgranò gli occhi nel rendersi
conto che si trattasse di Kaede Rukawa. Non fu l’unica a sorprendersi, dato che
per un brevissimo istante gli scemi dei suoi compagni fermarono qualsiasi
idiozia stessero facendo o dicendo per guardarlo con tanto d’occhi. Il Volpino
che rivolgeva la parola a una ragazza
appena conosciuta, per primo? E la
stava persino sfidando?
Ayako e Hime si
scambiarono un’occhiata tra lo scioccato e il divertito, e la prima non capì
l’espressione di beata soddisfazione che vide nel volto dell’amica. Si era
persa qualcosa? Lei? La pettegola per antonomasia?! Giammai!
«Ci manca solo che
sorrida e siamo a posto», sussurrò un pallido Hanamichi alla scimmia che aveva
affianco, trattenendo a stento un brivido di paura.
«Non dire così,
altrimenti stanotte avrò gli incubi», replicò Kiyota, che si tappò gli occhi
pur di tener fuori quell’immagine terrificante dalla testa.
Reiko sorrise. «Detto da
uno che non prende in considerazione i propri consigli, non vale poi molto».
Kaede serrò i denti e
lei scrollò le spalle, riportando l’attenzione sulla gara della Kobayashi, che
si era già tuffata e si apprestava a completare la prima vasca. I casinisti,
ripresi dal momento shock, ricominciarono a fare il loro duro lavoro di ultrà,
sbattendo e gridando frasi d’incitamento alla nuotatrice dello Shohoku.
Kiyo guadagnò la prima
posizione senza problemi, come prevedibile, con un tempo di tutto rispetto e
Reiko applaudì insieme agli altri. «Devo fare una proposta a quella ragazza».
«Indecente?», chiese il
cugino al suo fianco, mentre prendevano posto vicino a Rukawa, per sua immensa
gioia.
«Lo sai qual è il mio
obiettivo, no?». Akira annuì. «Beh, voglio chiederle di farmi il favore di
arrivare sul podio alla finale. Le prime tre potranno gareggiare per i
Campionati Interscolastici a rappresentanza della nostra Prefettura. Se
dovessimo vincere, e sono convinta che potremmo farcela, potremo ricevere una
convocazione della Nazionale Giapponese, giusto in tempo per le prossime
Olimpiadi».
Rukawa, sempre braccia
conserte e viso impassibile, le scoccò un’occhiata sbieca.
«Woah»,
esclamò Hanamichi, sporgendosi dal suo posto per guardarla in viso. «Vuoi partecipare
alle Olimpiadi?».
Reiko annuì. «Certo. È
il mio sogno più grande! Non dev’esserci sensazione più bella che vincere una
medaglia per la propria patria».
Hanamichi sorrise da
orecchio a orecchio. «Che idea geniale!», fece l’invasato, dandole due manate
sulla testa che rischiarono di affondarla come un chiodo dal martello. «Anche
io voglio andare alle Olimpiadi!».
«Davvero?», domandarono
in coro Reiko e Hime, quest’ultima ignara dei sogni reconditi del fratello che,
fino a due secondi fa, probabilmente non conosceva neppure l’esistenza dei
Giochi Olimpici. I Gundam, a ben pensarci, si stupirono del fatto che non disse
Olimpiedi,
tanto per non perdere l’abitudine di sparare cazzate.
«Sai che figura di merda
colossale farebbe il Giappone con uno così?», stava blaterando Noma con un
Okusu sghignazzante.
«Probabilmente farebbe
scatenare uno scandalo internazionale e qualcuno potrebbe dichiararci guerra».
Fortuna loro che
Hanamichi era troppo perso in vaneggi gloriosi che lo vedevano portabandiera, per
occuparsi della loro poca fiducia nelle sue capacità sportive.
Fu un ragazzetto dai
biondi capelli a scodella e un timido sorriso a fermare qualsivoglia discorso e
a canalizzare l’attenzione su di sé. Aveva le mani dietro la schiena, come a
nascondere qualcosa. «Azamui-san?».
Reiko alzò le
sopracciglia scure. Ci risiamo. «Sì?».
«Mi chiamo Daisetsu,
volevo complimentarmi con te per la splendida gara di oggi. Sai, ti seguo
sempre, senpai, sei bravissima», le confessò, porgendole una scatola di
cioccolatini.
Reiko parve oltraggiata
da quell’offerta – la dieta, dannazione,
la dieta! – ma accettò con il proverbiale sorriso della sua famiglia. «Molto
gentile da parte tua, Daisetsu-kun. Grazie», disse,
con un cordiale inchino.
I ragazzi si guardarono
tra loro, alla disperata ricerca di un po’ di autocontrollo pur di non
scoppiare a ridere davanti all’infatuazione evidente nei confronti della
nuotatrice e della voglia di quest’ultima di gettarsi oltre il parapetto senza
neanche dire addio.
«Ecco, mi chiedevo se ti
andasse di uscire, uno di questi giorni. Sono molto simpatico!».
Hanamichi dovette
nascondere le risa con un attacco di tosse. Nemmeno lui era stato così
sfrontato con la sua dolce Haruko!
«Sei molto carino a
chiedermelo, ma mi piacciono le ragazze», fu la candida risposta di Reiko.
Nobunaga sputò la bibita
che stava sorseggiando a due palmi dal naso di Sakuragi e il resto della
compagnia di idioti per poco non si soffocò con la propria saliva. Persino lo
stoico Rukawa tossicchiò un attacco di sorpresa.
Le spalle del ragazzino
si ammosciarono e divenne rosso come i capelli dei Sakuragi. Borbottò qualche parola
di scusa e se ne andò con la coda tra le gambe. Solo allora si lasciarono
andare alle risate, mentre quella scuoteva la testa e porgeva i cioccolatini a
Takamiya, che stava sbavando senza ritegno da quando erano comparsi in scena.
«Davvero non capisco
perché questa storia non esca fuori; non mi lasciano in pace nemmeno così», si
lagnò Reiko, cercando conforto tra le braccia del cugino, che ridente le accarezzò
i capelli ancora bagnati. La nuotatrice sospirò e dopo un lungo istante di
silenzio, scandito solo dai singhiozzi degli strambi amici di Akira, guardò verso
Rukawa. «Perché non provi anche tu? So che hai molte fan; se dici di essere
omosessuale magari ti lasciano in pace».
Fu così che la
combriccola di casinisti rischiò seriamente di morire strozzata dalle risate,
mentre quello alzava entrambe le sopracciglia, chiedendosi per l’ennesima volta
che razza di problemi mentali avesse quella tizia – a parte condividere una
parte di DNA col Porcospino.
«Non ne sarei così
sicura, Reiko-san; potrebbe scatenare la reazione opposta», fece Hime, con gli
occhi lucidi, mentre Hanamichi e Nobunaga per poco non si ficcarono due dita in
gola per vomitare.
«Hai provato a dire che
Uozumi ti muore dietro ed è estremamente geloso? O che sei la sua ragazza,
funzionerebbe ugualmente», suggerì Akira, accarezzandosi il mento. «Li farebbe
scappare tutti a gambe levate».
Quella sbiancò come un
fantasma che aveva visto un suo simile sbucare senza preavviso da una parete. «Non
osare pensarlo nemmeno!», esclamò lei, terrorizzata. «O va a finire che si
mette strane idee in testa e chi se lo scrolla più, poi!».
«Il Re dei Gorilla è innamorato
di te?», chiesero in coro le Scimmie della situazione, sganasciandosi a terra
senza ritegno. Ormai erano talmente belli che partiti che respiravano a stento.
«Ma come? Ti ho anche
prenotato un posto al ristorante dove lavora! Guarda che è un bravo cuoco, così
non se ne trovano in giro, io ti avverto. Poi tra vent’anni, quando sarai sola
con venti gatti, non venire a piangere da me».
Reiko si afflosciò sul
sedile come un palloncino sgonfio, senza neppure la forza di ammazzare quel
demente del cugino, e per un microscopico secondo Rukawa fu sfiorato dalla
tentazione di provare un po’ di pena per lei. Si riscosse subito da quel
momento di follia. I poveri pazzi che le correvano dietro avevano bisogno di commiserazione
e un’importante dose di visite dallo psichiatra, non certo lei.
Soprattutto il Re dei
Gorilla, povero sfigato.
Insomma, non è che fosse
questo grade splendore per morirle tutti dietro. Era accettabile, ecco. A dire
la verità, era una gnocca da paura, ma non lo avrebbe ammesso neanche sotto
tortura. La detestava, punto. Era la cugina sorridente di Sendoh ed era motivo
sufficiente per odiarla. Se poi si aggiungeva il fatto che per qualche strano
motivo lei non gli sbavava dietro e preferiva di gran lunga spaccargli le palle
a ogni occasione, ecco che non c’era bisogno di ulteriori seghe mentali.
«Ehilà gente», li salutò
Kiyo, un asciugamano tra le mani e la tuta dello Shohoku indossata con
orgoglio. «Azamui. Ti senti male? Sei pallida».
«Kobayashi, ti
piacerebbe», replicò quella, agitando una mano. «Ottima gara».
Kiyo annuì un
ringraziamento e prese posto dietro Mitsui, che piegò il capo all’indietro
sullo schienale.
«Ehi, bionda».
Gli tirò un buffetto in
fronte e un pizzicotto sulla guancia. «Non saresti dovuto venire».
«E sentire le tue
lamentele fino alla fine del mondo? Nah», fu la
pronta risposta del numero 14. «Sarei venuto anche strisciando, se fosse stato
necessario. Eri uno spettacolo».
Kiyo non poté fermare il
rossore che le imporporò le guance e sorrise. «Tu invece sembri un rottame».
Hisashi rise. «Stronza.
Devo ricordarti il motivo per cui mi ritrovo di nuovo in stampelle?».
L’ilarità negli occhi
della ragazza svanì subito e un terribile senso di colpa le fece chinare lo
sguardo, come solo poche volte accadeva.
«Ohi, scema». Mitsui
drizzò la schiena e si voltò verso di lei, alzandole il mento con un dito. «Scherzavo,
ok? Non pensare neanche per un secondo che sia colpa tua o che non l’abbia
fatto volentieri. Lo rifarei ancora, se significasse proteggerti da quel
bastardo o da chiunque altro. Chiaro?».
Spinta da un rarissimo
slancio d’affetto, Kiyo lo abbracciò da dietro, stringendo le braccia al collo
e baciandogli l’angolo della bocca. «Grazie».
Un coro di fischi e
applausi partì dai sedili accanto ed entrambi sperarono che una voragine li
risucchiasse sul posto, pur di non dover guardare gli amici negli occhi dopo
quella plateale e pubblica effusione a cui nessuno dei due era abituato.
«Come sono teneri», fece
Hime, con le mani sulle guance arrossate.
Mitsui per poco non svenne
per eccesso di glicemia. Loro erano teneri?
Teneri?! Lui e quella manesca?
Rimasero sugli spalti
ancora qualche breve momento prima di andarsene, dato che il motivo della loro
venuta era ormai con loro – con grande sollievo del resto del pubblico che non
doveva più sorbirsi i loro casini e poteva godersi il resto dei quarti in santa
pace.
Fuori continuava a piovere,
seppure con meno intensità. Hime si strinse nelle spalle, infreddolita, ma due
calde braccia l’avvolsero da dietro per riscaldarla. «Hana!».
Il fratello le scoccò un
bacino sulla tempia. «Allora, Hicchan, che si mangia oggi?».
«Mi stai coccolando solo
per farmi cucinare?».
«Hanamichi, devi avere
proprio istinti da suicida per metterla ai fornelli!», esclamò Yoehi. «Io mi
tiro fuori e ordino del ramen».
«Ohi!».
Mito ridacchiò, dandole
un buffetto sulla guancia.
«Sei davvero una così
terribile cuoca?», domandò Sanako, affiancandosi.
Hime arrossì fino alla
punta delle orecchie. «No, è che... ecco, io... mi piace sperimentare».
«Col risultato che
finisce come Ayakuccia durante il laboratorio di chimica. Boom!», annuì poco saggiamente Ryota, che infatti ne subì le
conseguenze poco dopo.
«Ma insomma! Vi state
giocando l’invito a pranzo!», si lagnò la rossa, mentre Nobunaga accorreva in
suo soccorso come il prode paladino senza mantello che credeva di essere.
«Hicchan, lasciali dire»,
la consolò il ragazzo, rubandola dalle grinfie del fratello e coccolandola a
dovere. «Cucineremo insieme e non faremo saltare in aria casa tua. E vuoi
sapere perché? Ma perché sono il cuoco numero uno di Kanagawa! Hahaha!».
«Il solito esaltato», fu
il commento di Rukawa, che lo mandò in bestia.
«Ede, vieni a pranzo da
noi?», domandò Hime. Le imprecazioni di Kiyota si sprecarono.
«Ehi! Siamo già un
casino, non c’è posto per la Kitsune!», sbraitò Hanamichi, mentre l’altra
Scimmia annuiva con foga.
«Tranquillo, Do’aho. Non
ho intenzione di venire».
Sakuragi alzò le braccia
al cielo, ringraziando gli dei che, per una volta, avevano ascoltato e accolto
le sue richieste.
«Perché no?», continuò mogia
Hime.
«Devo recuperare il
tempo perso per allenarmi».
«Con questa pioggia?»,
domandò preoccupata Reiko, calandosi una cuffia sui capelli umidi e
rabbrividendo fino alle ossa. «Ti prenderai un malanno».
Senza neppure degnarla
di una risposta, Rukawa si avvicinò ad Ayako, chiedendole le chiavi della
palestra, che lei si portava sempre dietro per ogni evenienza. Quella,
titubante, gliele prestò insieme alle solite raccomandazioni sul rimettere
tutto a posto e sul chiudere per bene una volta finito. Con un cenno
affermativo e una mano a scompigliare i capelli della sua migliore amica, Kaede
si avviò verso la metropolitana senza aspettare nessuno.
Accigliata, Hime lo
osservò allontanarsi, ma non fece in tempo a chiedersi il motivo di quel
malumore improvviso che Nobunaga la riportò alla realtà, circondandole le
spalle con un braccio e reclamando le sue attenzioni. Gli sorrise, annuendo. «Allora,
Mr. Chef, che prepariamo per questi bisonti?».
Dopo aver salutato
tutti, si allontanarono verso casa Sakuragi, insieme ai Gundam e alla coppia
dell’anno, Ryota e Ayako. Nel frattempo, Mitsui e Sendoh avevano ripreso il
loro battibecco su chi e come dovesse tenere l’ombrello. Il risultato fu che
finirono nuovamente fradici fin dentro le mutande, mentre Kiyo e Reiko si
scambiavano un’occhiata mesta.
«Sana, vieni a pranzo da
noi?», domandò Akira, scostandosi i capelli che ormai gli ricadevano fradici
sulla fronte.
La barista divenne
paonazza davanti a quello splendore di ragazzo, ma dovette scuotere il capo
in segno di diniego. «Io ho... ho un appuntamento con mio padre», mormorò,
indicando l’uomo con l’ombrello che l’attendeva al cancello. «Ma grazie lo
stesso».
Sendoh le sorrise. «Allora
non posso insistere. Sarà per la prossima volta! Passa una buona giornata, Sanako», disse infine,
chinandosi per darle un leggero bacio sulla guancia. Quella rimase inebetita,
mentre Kiyo l’abbracciava e la ringraziava di essere andata a sostenerla.
Con un sospiro, Sana si
volse verso Kiichi Rukawa e agitò una mano per salutarlo, mentre correva sotto
la pioggia per raggiungerlo. Con quell’augurio era più che sicura che la
giornata avrebbe proseguito in maniera fantastica.
Continua...
* * *
E dopo tempi ragionevoli per una mente poco ragionevole
come la mia, rieccomi qui! Mi sono divertita tanto scrivendo questo
capitolo lunghissimo (forse troppo?), ma finalmente le parole sono arrivate una
dopo l’altra come un fiume in piena... e chi poteva fermarle? Io no di certo.
Dunque, abbiamo scoperto che Hime non è realmente innamorata
di Kaede... ci avevate creduto/sperato/temuto? Mwahaha!
Quanti bei casini si prospettano all’orizzonte!
Qualche piccolo appunto per il precedente capitolo:
rileggendolo e riguardando vecchi appunti, ho dovuto correggere una svista,
ossia che la partita che lo Shohoku dovrà disputare, qualora vincesse contro il
Miuradai, sarà quella contro il Kainan – e non il Ryonan come avevo scritto.
Inoltre, nel capitolo in cui Hime arrivava con il calendario del campionato, ho
specificato che lo Shohoku, così come Kainan, Ryonan e Shoyo, partono
direttamente dai quarti di finale, perché ai precedenti campionati sono
arrivati tra i Best 4 – quindi saltano le prime partite. Ero convinta di averlo
fatto, ma le riletture dopo anni servono anche a questo!
Approfitto per ringraziare chiunque abbia letto il
precedente capitolo e HeavenIsInYourEyes per la sua adorabile
recensione!
A presto e buon fine settimana,
Marta
PS: per chi mi segue su facebook e
se li fosse persi, ecco cinque
acquisti che ho fatto di recente per sollevarmi il morale. Non sono stupendosissimi? ♥Also, dato che sono tornata pseudo-attiva anche su quei
lidi, sentitevi liberi di aggiungermi.
Non mordo. ;)
Lo stadio era stracolmo,
nonostante si trattasse di una semplice partita tra squadre liceali, il cui
risultato molti davano già per scontato. Kiyo si guardò intorno, spaesata
dall’infernale caos che regnava sovrano sugli spalti, e si avviò alla ricerca
di quei casinisti di Mito e gli alti. Avevano saltato le lezioni come lei,
beccandosi anche la ramanzina di Sanako che le ricordava quanto importante
fosse studiare, soprattutto per una sportiva come lei, ma non era stato
difficile scegliere tra la scuola e Hisashi Mitsui.
«Ehi, Kobayashi!», gridò
una voce, appartenente a Yohei in piedi sul sedile per farsi notare. Accanto a
lui sedeva Haruko Akagi e, dietro, il colossale fratello e un ragazzo con gli
occhiali. Anche loro avevano deciso di marinare le lezioni per sostenere la
squadra che, nella situazione in cui si trovava, aveva bisogno di tutto l’aiuto
possibile, soprattutto mentale.
Kiyo si sedette accanto
all’unica ragazza del gruppo, con la quale non aveva mai scambiato neppure una
parola, e le strinse la mano per presentarsi.
Non glielo avrebbe mai
detto, ma Haruko era terrorizzata da Kiyoko Kobayashi. Non solo all’apparenza
era scostante e perennemente accigliata, ma una che stava in classe con Kaede
Rukawa e gli teneva testa era da temere! «Piacere di conoscerti, Kobayashi-san».
Quella annuì, osservando
il campo. «Non sono ancora arrivati».
«Ancora qualche minuto»,
fece Mito. «Popcorn? Vuoi puntare una scommessa sui falli di Hanamichi? O su
quell’altro demente di Araki e su quante volte flirterà con Hime?».
«Quel tizio ha seri
problemi», fu il commento di Kiyo, che ricordava il suo comportamento da folle
durante l’amichevole contro il Ryonan – la stessa che aveva decretato la sua
prima uscita con Mitsui. Sembravano passati anni da quel giorno.
«Intendi perché flirta
con Sakuragi femmina?», domandò Noma, a bocca piena. «Sì, decisamente».
Akagi, alle sue spalle,
si trovò ad annuire con fervore.
«Ragazzi, insomma!»,
s’inalberò Haruko che, nonostante fosse gelosa del rapporto che la seconda
manager aveva con Rukawa-kun, la rispettava più di
chiunque altro. Hime Sakuragi era tutto ciò che avrebbe voluto essere: era
carina, simpatica e giocava a basket divinamente. Senza parlare del fatto che
fosse la migliore amica del ragazzo di cui era follemente innamorata dai tempi
delle medie.
«Oh, eccoli!».
Il boato del pubblico fu
assordante davanti alla sfilata delle due squadre che entravano in campo. Dopo
l’incredibile risultato ottenuto dallo Shohoku ai Nazionali, aveva acquistato
così tanta notorietà da fare paura.
«Mamma mia, quelle
brutte facce non sono migliorate per niente», fu l’intelligente commento di
Okusu, mentre Takamiya gli fregava una merendina dalla tasca senza che se
accorgesse.
Kiyo si sporse sulla
balaustra trovando subito chi cercava. Hisashi Mitsui non si sedette subito in
panchina accanto all’allenatore e alle due manager, ma rimase a bordo campo
mentre i suoi compagni si riscaldavano, probabilmente per dare gli ultimi
consigli al suo sostituto Kimi. Era visibilmente scocciato dalla impossibilità
di giocare: poteva quasi percepire le mani che gli formicolavano pur di
riprendere in mano quel pallone arancione e sfilare triple una dopo l’altra. Il
senso di colpa per quell’ennesimo infortunio le strinse la gola. Se solo non
l’avesse chiamato quella sera con la scusa di ordinare una pizza, se quei due
non si fossero scontrati, se solo avesse avuto il coraggio di separarli durante
la rissa, anche a costo di essere coinvolta... quanti se e ma. Era stata una
stupida e aveva messo in serio pericolo una delle poche persone a cui tenesse
veramente. Per non parlare della consapevolezza che, se lo Shohoku avesse perso
quella partita, la colpa sarebbe ricaduta su di lei. Non era sicura che avrebbe
potuto sopportarlo. L’avrebbe odiata, forse?
L’attenzione della
nuotatrice, così come quella del pubblico, fu bruscamente catturata dal tizio
con le punte dei capelli blu a centro campo che parlottava con un giocatore del
Miuradai, tra pacche sulle spalle e spinte amichevoli.
«Ma che sta facendo quel
deficiente?», domandò Mito, mentre Sakuragi dal campo gli gridava contro di non
socializzare col nemico.
«Buona fortuna
fratellino», stava dicendo il cestista del Miuradai, Kazuo Araki, mentre gli
scompigliava i capelli.
Masuhiro gonfiò il petto
come un pavone. «Buona fortuna a te, fratellone. Vedrai, sarai fiero di me
quando ti batterò! E ti presenterò anche la mia nuova ragazza, che sarà così
impressionata dalla mia performance che cadrà subito a miei piedi! Vero
Hime-san?».
A quelle parole la
seconda manager vide bene di nascondersi dietro il berretto della squadra,
rimpiangendo per l’ennesima volta la mancanza del Gorilla – e ringraziando
quella di Nobunaga, che avrebbe sicuramente scatenato l’inferno.
«Che cosa vuoi fare tu?!», «Quei
due sono fratelli?», esclamavano intanto Hanamichi e gli altri.
«Ehi, Capitano!», gridò
Araki junior, senza scomporsi per quella sorpresa. «Posso marcare io mio
fratello?»
«No», sbottò Ryota,
afferrandolo per la maglia e riportandolo alla loro metà campo. «Sarà Kimi a
marcarlo. Se l’hai dimenticato tu sei un’ala piccola, non una guardia. E sei
anche più basso».
«Senti chi parla»,
borbottò Masuhiro incurvando le spalle, mentre il capitano dello Shohoku
borbottava qualcosa sul perché tutti i dementi dovessero iscriversi al club di
basket.
Due minuti prima che
l’arbitro fischiasse il termine del riscaldamento, i ragazzi si avvicinarono
alla panchina, dove Anzai li attendeva per qualche dritta. L’unico del
quintetto base che avrebbe giocato dal primo minuto era Hanamichi, in qualità
di unico Centro a disposizione – per lo sconforto generale, dato che iniziò ad
additare Rukawa e a sfotterlo come se non ci fosse stato un domani.
«Non voglio che i
titolari si stanchino troppo in vista delle prossime partite», stava dicendo il
Sensei. «E non voglio che vedano i progressi che avete fatto insieme. Ma
confido nelle energie di Sakuragi e sono più che fiducioso nelle capacità dei
nuovi arrivati. In particolare, Kimi ed Eichiro, mi aspetto molto da voi».
«Sissignore!».
Araki stava per
ribattere qualcosa sul suo valore sportivo, ma il ventaglio di Ayako gli fece
ingoiare qualsiasi protesta stesse per sputare.
Hisashi si affiancò a
Kimi, che stava sorseggiando un po’ di acqua prima del fischio d’inizio. «Mi
raccomando, Shimura. Non farmi pentire del compito che ti ho affidato,
d’accordo?».
«Non preoccuparti,
senpai», fece quello, sorridendo. «Ti tengo il posto caldo».
Mitsui gli diede una
pacca sulla spalla e si sedette accanto all’allenatore mentre il quintetto,
formato da Hanamichi, i gemelli, Araki e Yasuda, si schierava in campo.
«Ehi tu, Rossino».
Hanamichi si voltò e
vide Miyamoto che lo guardava strafottente.
«Ti fanno ancora
giocare?».
«Tranquillo, amico mio»,
lo rassicurò il capitano del Miuradai, Kengo Murasame. «Conoscendo l’elemento,
si farà espellere nei primi cinque minuti di partita, vedrai».
Hanamichi stava per
ribattere, il fumo che fuoriusciva dalle orecchie come una teiera in
ebollizione, ma la sorella fu più lesta e, dalla panchina, gridò: «Che c’è? La
pallonata in testa che mio fratello ti diede brucia ancora? O ti ha
rincoglionito talmente tanto da non vedere i progressi che ha fatto in questi
mesi?».
«Hime Sakuragi!».
La voce del Gorilla,
proveniente dagli spalti, per poco non le fece scendere un coccolone dallo spavento
e si accarezzò di riflesso la testa, come se temesse il famigerato pugno anche a
distanza.
«Senti, ragazzina,
perché non ti siedi in un angolino e stai zitta?», ribatté Miyamoto, per poi
rivolgersi con un ghigno a Murasame. «Posso solo immaginare cosa diavolo ne
capirà di basket una femmina, soprattutto con un fratello come quello».
«Questa ragazzina potrebbe fare il culo a tutti
quanti, se solo potesse scendere in campo e dimostrarvelo».
La voce gelida di
Rukawa, seduto a gambe divaricate e braccia conserte in panchina, catturò
l’attenzione di tutti – e delle sue fan in particolare, che sbraitarono insulti
dalla gelosia a profusione verso la tanto odiata ragazza.
«Ben detto Kit!», fece
Hanamichi, puntando un dito verso i ragazzi del Miuradai. «Fatevi sotto,
bastardi! Vi farò vedere di che pasta sono fatti i Sakuragi e i Diavoli Rossi!».
Con un “sì” che fece vibrare la palestra, lo
Shohoku si preparò alla palla a due, mentre l’arbitro ricordava le regole più
importanti e li ammoniva per i loro battibecchi.
«Allora», stava dicendo
Ayako, rispolverando i suoi appunti, «stando agli appunti che ha preso Hikoichi
questi bestioni hanno fatto passi da gigante negli ultimi mesi».
«Sì, sono più palloni
gonfiati di prima», borbottò Mitsui, stringendo i pugni nel guardare le
stampelle al suo fianco. Quando si erano scontrati contro il Miuradai non era
sceso subito in campo, insieme agli altri tre dementi dei suoi amici, per
punizione del Signor Anzai. Quel giorno, invece, non aveva alcuna speranza di
contare i minuti che mancavano per alzarsi e giocare.
«Hanamichi dovrà
lavorare duramente sotto canestro, oggi», continuava Ayako, osservando i
giocatori in campo. «Eichiro, che è più basso di 10 cm, dovrà marcare il numero
7... sarà dura, è alla sua prima partita».
«Chiro è bravo a
smarcarsi e a fare pressione», disse Hime con ottimismo, mentre Ryota annuiva. «E
lui, Kimi e Hanamichi hanno studiato molti schemi interessanti. Li metteranno
in ridicolo, vedrete».
«Spero solo che Sakuragi
non si faccia espellere davvero», borbottò Ayako. «Questi qui giocano sui falli
e conosciamo quanto suscettibile sia alle provocazioni».
«È migliorato su questo
fronte», fu la pacata valutazione di Anzai. «Ho piena fiducia in lui». Hime
sorrise con orgoglio, conscia che Hanamichi avrebbe dato il massimo, ma i tre
dell’Armata Cercaguai non erano così convinti.
Il fischio d’inizio
riportò l’attenzione in campo e il pubblico esplose in ovazioni quando
Hanamichi saltò più in alto di Murasame e lo Shohoku conquistò il primo
possesso di palla.
«Bravissimo, Sakuragi-kun!», gridò Haruko dagli spalti. Le orecchie del rossino
divennero antenne paraboliche e, trovata immediatamente tra il pubblico, le
fece il segno della vittoria, osannandosi senza ritegno.
Alle spalle della sua
dolce amata, la minacciosa e familiare figura del Gorilla lo fece diventare
piccolo piccolo in mezzo al campo. «Non distrarti, deficiente!».
Il primo canestro della
partita andò allo Shohoku, dopo un’ottima azione combinata dei gemelli Shimura
su passaggio di Yasuda per Eichiro. Nonostante la stazza intimidatoria del
Miuradai, superare la loro difesa sembrò un gioco da ragazzi e dalla panchina
tutti tirarono un sospiro di sollievo. Forse quella partita si sarebbe conclusa
in maniera indolore.
Ma le prime crepe della
formazione in campo iniziarono a comparire dopo cinque minuti di gioco.
Nonostante l’importante numero di rimbalzi conquistati da Hanamichi in difesa,
Yasuda, benché fosse al secondo anno e fosse un abile play, spesso si trovava
in difficoltà a superare il muro di Miyamoto e qualsiasi azione di contropiede
veniva così intercettata e bloccata sul nascere. Sakuragi aveva già commesso un
fallo sul centro del Miuradai e stava iniziando a perdere la pazienza – che non
andava famosa per essere illimitata.
Su passaggio di Eichiro,
Hanamichi si apprestò a tirare a canestro, ma fintò invece a sinistra, per un
bel canestro dei poveri. Miyamoto quasi lo scaraventò a terra pur di bloccarlo.
«Che cazzo pensi di
fare, eh? Spaccarmi la schiena?», s’infervorò il rossino, puntandogli la testa
contro. «Ti spacco i denti, invece!».
«Ehi, Hanamichi!», gridò
Ryota dalla panchina. «Cerca di stare calmo, siamo solo all’inizio!».
«Coraggio, Hana-chan!», gli diede man forte Hime, in piedi mentre batteva
le mani.
«Tranquilla, Hime-san!
Ci penso io!», esclamò Masuhiro mentre palleggiava e la guardava adorante, senza
accorgersi del fratello maggiore che, approfittando del suo momento di
distrazione, gli fregò la palla da sotto il naso.
«Sei un deficiente, Puffo!», gli gridarono dietro dalla panchina,
facendolo sprofondare nello sconforto.
«Ecco un altro patetico demente»,
biascicò Rukawa, scuotendo il capo.
«Puffo?», ripeté Araki
senior, ridendosela mentre andava a canestro, portando la sua squadra a soli
tre punti dallo Shohoku.
Recuperata la palla,
Yasuda tentò un veloce passaggio verso Kimi, oltra la metà campo, per spiazzare
il suo marcatore ed evitare il corpo a corpo, ma l’azione fu intercettata da un
indemoniato Murasame, che in contropiede segnò con una schiacciata.
«Ancora un punto,
ragazzi! Un punto e li superiamo!», li incitò il capitano, mentre Hanamichi
tremava di rabbia.
«Yasu,
passa subito a me, hai capito? Passa a me!», esclamò scuotendo il povero
playmaker come un panno impolverato.
«Ma, Sakuragi–».
«Ho detto di passarmi la
palla, yasu!».
Quello, intimidito dalla
testata che stava per partire minacciosa contro la sua fronte, fece come
richiesto e Hanamichi si ritrovò nuovamente marcato stretto da Miyamoto, che
ghignò beffardo.
«E quindi? Che vuoi
fare, rossino?».
Sul punto di implodere,
Hanamichi si disse di darsi una calmata. “Sono
il genio della situazione, devo fare canestro!”, continuava a ripetersi.
«Chiro-kun! Kimi! Schema dei Gemelli Siamesi, ok?».
Quelli sorrisero e, dopo
un cenno del capo, iniziarono a correre entrambi verso di lui, allungando le
mani per prendere la palla che Hanamichi riuscì a passarsi dietro la schiena.
L’azione fu così veloce che nessuno riuscì a capire quale dei due gemelli
avesse il possesso e, quando accadde, fu troppo tardi: Kimi era già dietro la
linea dei tre e aveva preso la mira, mentre Eichiro l’aveva protetto dalle
marcature.
«Ottima azione, ragazzi!»,
gridò Hime, ora in piedi sulla sedia che gridava come un’invasata. L’esultanza
le morì in gola quando la palla colpì il ferro del canestro e il Miuradai prese
il rimbalzo.
«Dannazione», sibilò a
denti stretti Hisashi.
«Cazzo, fermati
maledetto!», gridò Hanamichi, gettandosi come un fulmine all’inseguimento della
palla e saltando insieme ad Araki quando questo effettuò un terzo tempo. Il
fratello di Masuhiro non realizzò il canestro, ma subì fallo della difesa e gli
furono assegnati due tiri liberi. Alcuni strani ritornelli porta-iella
iniziarono a sollevarsi dagli spalti e non ci fu bisogno di cercare la fonte,
dato che fosse più che ovvio provenissero dai Gundam.
Il primo tiro liberò
venne sbagliato, tra il boato del pubblico, ma Araki riuscì a mettere a segno
il secondo, che fu il punto del pareggio.
L’arbitro fischiò
time-out per lo Shohoku.
«Così non va bene. Non
va bene per niente», borbottò Hime, mordendosi l’interno di una guancia.
«Ragazzi, ma che state
facendo?», domandò Ayako, mentre i panchinari si alzavano per lasciare il posto
agli altri. «Voglio vedervi grintosi! È lo stupidissimo Miuradai, che caspita!».
Dalla panchina di questi ultimi volarono occhiatacce avvelenate mentre
ripetevano oltraggiati “Lo stupidissimo
Miuradai?”.
«State dando per
scontato la vittoria», li rimproverò Miyagi.
«Oppure state cadendo
nello sconforto totale», aggiunse Anzai. «Spero non abbiate dimenticato il bel
discorso del vostro Capitano e di Sakuragi qualche giorno fa».
«Certo che no!»,
risposero quelli.
Anzai si sistemò gli
occhiali sul naso. «Bene, allora non c’è bisogno che dica altro, se non che non
ho intenzione di far giocare né Rukawa né Miyagi nell’immediato futuro, se non
in casi estremi, e che dovete mettervi l’animo in pace: neppure Mitsui giocherà.
Ve la vedrete da soli».
«Esatto», disse Ryota. «Hanamichi,
stai facendo un ottimo gioco sotto canestro, ma devi stare attento ai falli.
Lascia che ti provochino, ma non cadere nel tranello! E sei l’unico titolare in
campo, voglio che sia tu a spronare i ragazzi».
«Detto fatto, Ryo-chan! Hahaha! Io sono il Genio degli Incitamenti! E non per nulla
sarò anche il futuro Capitano! Ahaha!».
Nessuno si degnò di
rispondergli.
«Araki, Yasu ha qualche problema a smarcarsi da Miyamoto. Voglio
che sia tu a tenerlo a bada, mentre si crea l’azione di gioco, d’accordo?
Infastidiscilo più che puoi, che almeno quello ti riesce bene». Quello annuì,
ma prima che potesse dire una sillaba, Ryota continuò. «E che non ti venga in
mente di distrarti di nuovo come prima, altrimenti sei fuori». Masuhiro annuì a testa china.
«Sì, fuori di testa. Continuo a non capire
cosa ci sia da distrarsi», fece Hisashi, lanciando un’occhiata sbieca alla sua
seconda manager. Si beccò uno scappellotto dalla diretta interessata, che di
certo non amava le attenzioni di Araki, ma neppure le frecciate del numero 14!
«Yasu,
l’azione iniziale era perfetta», stava continuando a dire Ryota. «Con Miyamoto
sotto controllo, conto su te e i gemelli per andare a canestro».
«Sissignore!».
«Ma, ma... Ryo-chan, su
di me non conti per fare canestro?», domandò Hanamichi con labbro tremante.
Porca paletta, la Volpe era segregata in panchina, non avrebbe avuto altre
occasioni per fare più punti di lui e farsi notare dalla sua bella! Doveva
darsi da fare! Sì, avrebbe segnato tanti dunk e il pubblico avrebbe fatto
esplodere la palestra, mentre la Kitsune se ne andava sconsolata e con la coda
tra le gambe insieme ai deficienti del Miuradai e Harukina cara gli si
appendeva al braccio, sognante e innamorata. Che piano geniale!
Come se gli avesse letto
la mente, Hime gli batté una mano sulla spalla. «Hana, vedi di non strafare,
ok? Lo dico anche per la tua schiena».
«Ahahah!
Hicchan, la mia schiena non è mai stata meglio! Vedrai, ti renderò fiera del
tuo fratellone!».
«Fossi in te mi
preoccuperei», fu il commento di Rukawa verso Hime, che ridacchiò – Hanamichi,
ovviamente, stava per saltargli addosso e cantargliene quattro. Fortuna che l’arbitro
fischiò la fine del time-out sedando qualsiasi intento bellicoso e, dopo un
ultimo grido di battaglia, i cinque rientrarono in campo più carichi e
determinati di prima.
«O-ho, i pivelli si scaldano!», esclamò il maggiore tra i due Araki,
ghignando. «Non vi servirà lo stesso: senza Mitsui e Akagi a disposizione siete
solo delle pippe».
«Perché non fate entrare
Rukawa e Miyagi, eh? Volete proprio perdere, mezze seghe?», proseguì un suo
compagno di squadra.
Quelle erano le ultime
parole che avrebbe dovuto pronunciare: invece di intimidirli sortì infatti
l’effetto contrario. Gli insulti e le grida si sprecarono persino dalla
panchina e i Diavoli Rossi iniziarono a giocare seriamente. Con la stretta
marcatura di Araki su Miyamoto, Yasuda fu libero di giocare ottimi passaggi ai
gemelli, che non stavano facendo altro che confondere gli avversari correndo da
una parte all’altra del campo. Alla quarta tripla di Kimi persino Hisashi trovò
la forza di alzarsi su un piede e applaudirlo fino a farsi male.
Ora guidavano la partita
con 17 punti di vantaggio e nonostante l’assenza del trio in panchina, lo
Shohoku stava facendo scintille e si apprestava a chiudere il primo tempo con
un buon margine. Nonostante la voglia di vendetta che si leggeva negli sguardi
infiammati del Miuradai, nessuno di loro era in grado di superare la difesa di
Hanamichi sotto canestro, serrata e micidiale. Aveva addirittura segnato ben 8
punti dal time-out. Persino Akagi si ritrovò ad annuire con orgoglio davanti
agli elogi della sorellina sul loro numero 10. Aveva fatto un ottimo lavoro con
quello scapestrato, sebbene dovesse stare attento a non farlo sapere
all’interessato. E pensare che giocava solo da Aprile!
Dopo i primi venti
minuti di gara e un time-out chiamato dal Miuradai, l’arbitro fischiò l’intervallo
ed entrambe le squadre si diressero verso gli spogliatoi. L’ex Capitano e Vice
si alzarono per sgranchirsi le gambe e fare visita ai loro amici – nonostante
l’abbandono, non c’era verso di tenerli lontani dalla squadra – e Kiyo si
rilassò contro lo schienale, mentre quei pazzi dell’Armata Sakuragi tiravano le
somme delle loro scommesse.
«Cavoli, che partita
esaltante!», le stava dicendo Haruko, che per tutta la durata del primo tempo
non aveva smesso di spiegarle tattiche di gioco e i falli che commettevano i
giocatori. Era una brava maestra, pensò la nuotatrice, che non aveva mai
seguito quello sport se non da poche settimane; ma quella partitanon aveva particolare attrattiva ai suoi
occhi, dato che colui che avrebbe voluto vedere giocare era impossibilitato a
farlo. Sospirò con pesantezza, passandosi una mano tra i capelli biondi.
Osservò distrattamente una ciocca sfibrata dal cloro e dalla tinta, e pensò che
fosse giunto il momento di tornare al suo colore originale, almeno per dare ai
suoi poveri capelli un po’ di tregua.
Negli spogliatoi, mentre
Akagi dava alcuni saggi consigli per chiudere la partita in modo definitivo,
Rukawa poggiò la testa penzolante sulla spalla di Hime, seduta contro gli
armadietti accanto a lui.
«Lo so, Ede, che ti stai
annoiando», gli disse, scostandogli la frangia dagli occhi. «Ma è solo per oggi».
Il numero 11 sbadigliò. «Che
due palle».
«Dai, stringi i denti.
La prossima partita sarà probabilmente contro il Kainan e ci servi in forze».
«Hn...
non me ne servono tante per umiliare quella scimmia del tuo ragazzo».
«Ohi! Nobu-chan è
perfettamente in grado di darti filo da torcere, Ede».
«Ma non farmi ridere».
«Come se fossi in grado
di farlo». All’occhiata perplessa di Kaede, la seconda manager aggiunse: «Ridere,
ovvio!».
«Demente».
Hime sorrise, ascoltando
distrattamente le parole di Ryota e del Gorilla. Avrebbe dovuto darsi un po’ di
contegno durante la prossima partita, rifletté. Non poteva certo lasciarsi
scappare qualche parola di incoraggiamento verso il suo adorabile ragazzo e rischiare
il linciaggio da parte dei suoi compagni. Hanamichi, ne era sicura, non
gliel’avrebbe fatta passare liscia.
«Dopo pranzo andiamo a
fare due tiri».
La voce di Kaede la
ridestò e abbassò lo sguardo su di lui, ancora mezzo addormentato sulla sua spalla.
«E sia! Ho voglia di giocare anche io».
«Ehi Kit! Che diavolo ci
fai addosso alla mia Hicchan?!», sbraitò Hanamichi, seguito a ruota da un
altrettanto incavolato Masuhiro che, era evidente, non si era ancora messo
l’anima in pace e sperava ancora in una risvolta romantica con la bella seconda
manager.
Rukawa bofonchiò qualche
insulto, sistemandosi meglio, mentre Hime ridacchiava.
«Ma si può sapere che
cos’ha da dormire? Insomma, non sta neppure giocando! Dovremmo essere noi
quelli affaticati», sbottò Araki, ficcandosi le mani in tasca pur di non
stringerle intorno al collo dell’odiato numero 11. «Che cacchio fai la notte,
eh?».
«Non sono sicuro di
volerlo sapere», si affrettò a dire Hisashi.
«Suvvia, Masu-chan», dissero in coro i Gemelli Siamesi, «non sarai
davvero stanco?».
«Hahah
Mezzasega!», lo sfotté Hanamichi. «Hai già il fiato corto!».
«Ehi, voi due!», esplose
il Gorilla, assestando un pugno su entrambe le loro teste. «Piantatela e
concentratevi».
«Ma che vuoi?», esclamò
Araki, imbestialito. «Non fai più parte della squadra, senpai, non dovresti
neppure essere q–».
«Abbi un po’ di rispetto
per il Gorilla, maledetto Puffo!», gli urlò contro Sakuragi, tirandogli una
testata memorabile che lo stordì per il resto dell’intervallo.
«Ma ti senti? Lo chiami
Gorilla e parli di rispetto?», ghignò Hisashi, che distese la gamba sana
intorpidita da tanto poco movimento. Hanamichi scoppiò a ridere sguaiatamente,
grattandosi la nuca in evidente imbarazzo.
Akagi si passò una mano
in viso, rivolgendosi a Sakuragi donna e indicandole il casino. «Quando mi
chiedi se abbia intenzione di tornare: eccoti la risposta».
Hime gli rifilò
un’occhiata significativa. «Sì, come no. Non saresti qui se non avessi
nostalgia della squadra, Capitano».
«Ohi, il Capitano sono
io, ora!».
«Bravo, Miyagi, e vedi
di non farmene pentire», fece il Gori, premendosi le tempie doloranti. Eccolo
là, quel tanto temuto e consueto mal di testa stava tornando forte e
martellante. Non gli era mancato per nulla. «Ma chi me lo ha fatto fare», brontolò.
«Intendi “lasciarci in
balia del Pigmeo”?», domandò con innocenza il numero 14, grattandosi la
cicatrice sul mento. «Me lo chiedo anche io».
«Ma vai al diavolo,
Mitsui».
Akagi ghignò. «Che fai,
mi rimpiangi?».
«No, semplicemente mi
chiedo perché non sono io il Capitano».
«Sei Vice, accontentati».
«Insomma! Non dovremmo parlare di strategie di gioco?», strillò
Ayako nel tentativo di farsi sentire tra i battibecchi, mentre Nonno Anzai se
la rideva. Per non sbagliare riservò una sventagliata ciascuno per riportare
l’ordine cosmico – anche all’ex Capitano, che non la prese benissimo. «Oh
cavolo, scusami tanto, senpai!», esclamò, inchinandosi a profusione.
«Io torno in tribuna,
prima che ammazzi qualcuno», sbottò quello, massaggiandosi la testa e andandosene
furioso e umiliato.
Ayako e Hime si
scambiarono un’occhiata, alla disperata ricerca di non ridere.
Fallirono miseramente.
*
«Ahahah!
Avete visto, segaioli?», stava sbraitando Hanamichi ai quattro venti, in attesa
del treno che li avrebbe riportati a casa. «Abbiamo vinto anche senza voi! E
soprattutto senza la Volpaccia! Tutto merito del qui presente Genio! Ahahah!».
I ragazzi, che si stavano
sorbendo quella lagna dalla fine della partita, vinta per ben 31 punti di
distacco – un gran bel risultato per tre nuovi arrivati su cinque –, pensarono
seriamente di gettarlo tra i binari con il treno in corsa, sperando solo che si
sbrigasse a giungere. Non ne potevano più. Avrebbero dovuto immaginare una
reazione simile, certo, ma la speranza era sempre l’ultima a morire. L’unico
fortunato che si stava perdendo lo show era l’allenatore Anzai, che per sua
fortuna era stato invitato a pranzo dal quello del Miuradai.
«Hicchan, hai visto che
canestro ho fatto, alla fine? E quel rimbalzo stratosferico? Sono stato bravo,
vero Harukina?». Quest’ultima, beata innocenza, continuava ad annuire e a
gettare legna sul fuoco, senza accorgersi degli sguardi assassini del resto
della compagnia.
«Haruko, per favore, non
assecondarlo!», sbottò il fratello, la cui testa era ormai sull’orlo di
un’esplosione.
«E della finta che ho
fatto a Murasame ne vogliamo parlare? Ryo-chan, devi essere orgoglioso di me!».
«Ayakuccia, ti prego,
fallo smettere», bofonchiò il playmaker, nascondendo il viso tra i capelli
ricci della sua ragazza.
«Non ne ho le forze»,
replicò quella, sfiancata da tanto ciarlare.
«Mito, per favore, conto
su di te», biascicò Mitsui. «Liberaci».
«Spiacente, ma lo
preferisco invasato, invece che incazzato col mondo», replicò Yohei. «Sai
com’è... ci tengo alla capa».
«E stai un po’ zitto,
do’aho», fece Rukawa, assestandogli un bel calcio e dando inizio all’ennesima
infinita lite.
Per una volta nessuno
ebbe da obiettare, giacché Rukawa aveva deciso di immolarsi per il bene comune.
Akagi era persino pronto a dare due pacche sulle spalle al Volpino per
ringraziarlo di tanta generosità, se solo quei due bisonti non gli fossero
franati addosso, portandosi dietro anche Miyagi e Araki nel casino. Tra morsi,
pugni e cazzotti, i cinque si rotolarono come maiali sul fango, e riserve,
manager e compagnia varia videro bene di non intromettersi; mossero qualche
indifferente passo poco più in là, elargendo sorrisi da orecchio a orecchio ai
passanti che guardavano terrorizzati la scena, nella tiepida speranza di non
farli scappare a gambe levate.
Quando il treno giunse –
troppo tardi per il gusto di tutti – il gruppo di idioti prese posto tra
spintoni e insulti vari, capitolando ai piedi di una vecchietta che per poco
non crepò d’infarto.
«Razza di animali!»,
sbraitò quella, colpendo ripetutamente Akagi sulla testa con la borsetta. L’ex
Capitano, che non era mai stato pestato da un’anziana, non poté far altro che
proteggersi il capo con le braccia, supplicandola di smettere ma senza ottenere
risultati. Era indemoniata.
Le risate e le lacrime si
sprecarono e persino Kiyoko non riuscì a trattenersi, voltandosi pur di non
farsi vedere. Hime e Ayako neppure si misero il problema di darsi un contegno.
«Il Gori che viene
pestato da una nonnetta!», continuava a ripetere Hanamichi, che non riusciva
più a respirare dalle risate insieme a Mitsui e Ryota, entrambi con i lacrimoni
agli occhi. «Anche meglio del suo sedere in bella mostra!».
Inferocito e con le
narici dilatate dall’ira, Takenori afferrò il rossino per il collo,
strozzandolo nella migliore imitazione di Homer Simpson con Bart. Nessuno ebbe il
coraggio di fermarlo, neppure Haruko, più preoccupata della sorte di Rukawa in
tutto quel trambusto per pensare ad altro. Kaede, ovviamente, non se la filò minimamente.
Giunsero alla loro
fermata che stavano ancora ridendo senza ritegno, tranne Hanamichi che tossiva
alla ricerca di ossigeno dopo l’attacco devastante del Gorilla e che gli aveva
lasciato il ricordo di dieci poderose dita intorno al collo.
«Ede, pranzi da noi e
poi andiamo al campetto?», domandò Hime, suscitando le ire del suo adorato
fratello.
«Hicchan! Ma sei
impazzita? Tutto questo casino è opera sua e vuoi anche sfamarlo?».
«Do’aho, stavo facendo
un’opera di bene mettendoti a tacere».
«Beh, Hana, se non fosse
stato per “tutto questo casino” non avremmo potuto godere della vista del Gorilla
pestato da una vec–». Hime non riuscì a terminare la
frase che dovette catapultarsi fuori dalla stazione a tutta velocità, per
evitare che Akagi sfogasse l’ultimo rimasuglio di ira anche su di lei. Il
fratello ovviamente si gettò in aiuto, ma non vide il piede allungato di Rukawa
e inciampò come un salame, finendo bello che disteso per terra. Il Volpino,
come giusto che sia, gli passò accanto con una scrollata di spalle e si diresse
silenziosamente verso la tana dei Sakuragi. Sperò con tutto il cuore che la
signora Misato fosse in casa per preparargli qualche delizia delle sue – a
volte temeva il cibo della sua seconda manager.
Salutati compagni di
squadra e amici, i tre, Ryota e Mito presero la stessa direzione, come sempre
facevano, e parlottarono della partita con un po’ più di tranquillità –
Hanamichi aveva avuto tutto il tempo per sgasarsi e Haruko non era più in
vista, quindi si diede una calmata.
Arrivati a destinazione,
anche Yoehi si unì per pranzo, con sommo orrore del suo migliore amico,
incacchiato nero che fossero sempre gli altri a scroccare il mangiare alla sua
famiglia e mai il contrario.
«Buongiorno mamma!»,
sbraitò il rossino, dopo aver lasciato le scarpe sull’ingresso di casa,
sentendo la madre canticchiare allegramente dalla cucina.
«Oh, tesoro! Com’è
andata la partita?», domandò la donna.
«Tre, due, uno...»,
contò a mezza voce Yoehi, mentre l’Idiota in quel momento riprendeva la
gloriosa narrazione delle sue gesta geniali.
«Ci risiamo», sbuffò
Kaede, che si fiondò sul divano a sonnecchiare.
«E poi ho scartato a
sinistra, mentre quello pensava che stessi per tirare ed è rimasto imbambolato
peggio della Volpe davanti a una femmina!», stava dicendo Hanamichi, seduto su
uno sgabello e ridendo come un matto, talmente tanto che rischiò di cappottarsi
all’indietro.
«Uhm, Hanamichi, devo
ricordarti che proprio qualche giorno fa il ragazzo non mi è sembrato tanto
imbambolato con una certa ragazza», disse Mito, il tanto giusto per farsi
sentire da Kaede. Questo, ovviamente, rabbrividì di disgusto e si nascose la
testa sotto un cuscino.
«Beh, chiamalo scemo,
quella Azamui è una strafiga mondiale», annuì Hanamichi, alzandosi per rubare
un po’ di cibo dalla pentola sul fuoco, mentre la madre era distratta.
«Meglio di Haruko?»,
domandò questa, ignara del disastro che aveva appena combinato con quelle poche
parole.
«Nessuna è meglio della
bella e dolce Haruko!», s’infervorò all’istante. «Oh, è stata così così gentile
a saltare le lezioni per venire a supportarmi! Dovevi sentirla, mamma, si vede
che l’ho colpita, oggi che il Volpino non si è dato arie! Ahahah!».
«Sì, colpita come una
pallonata in testa», fu la voce cavernicola di Rukawa.
Misato scambiò
un’occhiata mesta con la figlia e l’altro ragazzo, che ridacchiarono
all’insaputa di Hanamichi, tutto perso nel suo sproloquio.
«Mamma, manca ancora
molto prima che sia pronto?», domandò Hime, abbracciando la donna da dietro e
dandole un bacino.
«Ancora dieci minuti,
perché?».
«Chiamo un attimo Nobu».
«Checcosa?!
La Nobu-Scimmia?! Ahahah! Non ti risponderà! E sai
perché? Perché avrà perso e sarà in qualche gabbia a leccarsi le ferite e–». Un
colpo di mestolo in testa e Hanamichi si zittì di colpo, mugugnando qualcosa
sulla crudeltà della sua madre cattiva.
Hime zampettò nel
piccolo salotto, dove Kaede stava ancora ronfando alla faccia di tutto e tutti,
e digitò il numero di casa Kiyota, che ormai conosceva a memoria. Il Kainan
aveva giocato in un palazzetto poco lontano dal loro liceo, quindi immaginò che
Nobunaga fosse già tornato a casa per il pranzo. Dopo pochi squilli la voce
esuberante del suo ragazzo le trapanò un timpano, ma non ci fece molto caso.
Ormai era rassegnata all’idea che, con un fratello e un compagno come i suoi,
sarebbe presto diventata sorda.
»Qui parla Nobunaga Kiyota, il Rookie numero uno di Kanagawa! Ahaha! Chi sei?«.
«Nobu! Com’è andata?».
»Hicchan? Ma che domande fai? Abbiamo vinto, ovvio! E vuoi sapere perch–«.
«Fottesega!»,
bofonchiò Rukawa, che ovviamente sentiva chiaramente la voce di quella Scimmia
persino dal divano.
»Eh? Chi ha detto “fottesega”, Hicchan? È Rukawa? Rukawa bastardo! Che
diavolo ci fai a casa della mia Hicchan?!«.
Sconsolata e con la
cornetta a qualche decina di centimetri di distanza dall’orecchio in fiamme,
Hime attese con pazienza che Kiyota terminasse di inveire contro il suo
migliore amico e, solo quando fu sicura di poter parlare, riprese. «Quanto
avete fatto? È stato semplice? Oddio, la prossima partita sarà contro di voi!».
»Ahahah! Che c’è, stai iniziando ad avere strizza, eh Hicchan? Vi stracceremo,
vi stracceremo, vi–«.
«Cosa volete fare voi?»,
gridò Hanamichi dalla cucina. A quanto pareva anche loro udivano la
conversazione come se Nobunaga fosse lì con loro. «Preparati, Scimmia! Il Genio
Sakuragi non è mai stato così in grande forma! Vi umilierò tutti! Anche al
Nonno Maki e a quel robot di Jin! Ahahaha!».
»Continua a sognare, Rosso-Scimmia! Senza Mitsui e il Gorilla siete
fritti!«.
«Ti farò rimangiare
tutto, anche la polvere! Ahahah!».
«Ma insomma!», gridò
Hime, facendo saltare sul divano persino lo stoico Rukawa, mentre Hanamichi
cercò rifugio dietro la madre. «Sto cercando di avere una conversazione
privata, la volete smettere? E anche tu, Nobu, non dargli corda!».
Le due Scimmie si
scusarono in coro, docili come cuccioli e Rukawa alzò gli occhi al cielo. Che
gabbia di matti.
«Dicevamo», riprese più
dolcemente la ragazza, abbassando il tono di voce. «È stata una bella partita?».
»Piuttosto noiosa, direi«, disse Nobu, con leggerezza. »L’allenatore Takato ha persino lasciato in
panchina i senpai Maki e Jin, a un certo punto«.
«Anche Anzai-sensei ha avuto la stessa idea. Ryota ed Ede in panchina e
i giovanotti in campo».
»Ahahah! Quel volpino non ha giocato? Che inutile schiappa!«.
Hime non sprecò ulteriore
fiato per ricordargli che mezzo secondo prima aveva vantato il fatto che i
migliori giocatori del Kainan fossero rimasti anch’essi in panchina. Era una
partita persa, quella.
»Hicchan, questo pomeriggio hai da fare? Volevo portarti in un bel
posticino tranquillo non lontano da casa! Così possiamo stare un po’ insieme
dato che ci si vede poco, ecco«. Persino nel suo tono poteva percepire il
rossore che gli imporporava gli zigomi in quel momento.
La seconda manager si
mordicchiò l’interno della guancia. «Oh, Nobu, sarebbe così bello! Ma ho già
promesso a Ede che saremo andati ad allenarci un po’, visto che non ha toccato
palla e– Nobu? Ci sei?».
Udì un lungo sospiro
dall’altra parte della cornetta e non le fu difficile immaginare l’espressione
imbronciata del ragazzo. »Esci con
Rukawa?«.
Si grattò la punta del
naso, come sempre faceva nei momenti di imbarazzo o nervosismo. «Beh, sì, me lo
ha chiesto prima, durante l’intervallo... è solo per un paio d’ore, perché non
ti unisci a noi? Io e te contro la Volpe! E poi sarò tutta tua, promesso»,
disse arrossendo al solo pensiero.
Dopo un istante di
silenzio, Kiyota parlò atono. »Lascia
perdere, mi sono appena ricordato di dover accompagnare Arimi dal
fisioterapista. Ora devo andare, mio padre chiama. Ciao«.
Hime neppure ebbe il
tempo di replicare, che la chiamata era già stata interrotta. Guardò con
sorpresa la cornetta del telefono ora muto, come se potesse darle una risposta
a quel brusco cambiamento di umore, e la ripose al suo posto con lentezza. «Cosa
diamine è appena successo?», si chiese a voce alta. Si voltò verso Kaede, che
ora era seduto sul bordo del divano e la osservava intensamente.
«Non è ovvio?», domandò
lui. E con quelle parole si diresse in cucina, alla voce della signora Misato
che annunciava l’inizio del pranzo, lasciandola confusa e con un nodo in gola
più grande di una casa.
Continua...
* * *
Uh-oh.
Un abbraccio, miei adorati lettori silenziosi, e a presto! I
prossimi capitoli saranno, come dire, intensi.
I famosi ed estenuanti
allenamenti del Kainan King volsero finalmente al termine e mai come quel
giorno Nobunaga pensò che fossero infiniti. Moralmente a terra come rare volte
accadeva, si asciugò il sudore dalla fronte con la maglietta. Con uno sbuffo,
si tolse la fascia dai capelli e si diresse verso gli spogliatoi per una veloce
doccia. Aveva solo voglia di buttarsi sul divano e trovare conforto in qualche
programma spazzatura in tv per non pensare.
Jin e Maki, che avevano
notato quanto quel suo allenamento fosse stato sottotono, si scambiarono
un’occhiata preoccupati. Abituati com’erano all’esuberanza del loro numero 10,
che da quel punto di vista non aveva nulla da invidiare a quello dello Shohoku,
la situazione era allarmante. L’unica volta in cui l’avevano visto in quelle
condizioni aveva bisticciato malamente con l’attuale ragazza, durante il ritiro
nell’estate appena trascorsa.
«Di qualunque cosa si
tratti, dobbiamo farlo parlare», decretò Shin’ichi, seguendo la scimmietta
della sua squadra. Soichiro annuì con enfasi, soprattutto quando entrarono
negli spogliatoi e non udirono la sua voce stridula cantare sotto la doccia –
abitudine che tutti detestavano e non mancavano di fargli notare.
«Cos’è tutto questo
silenzio?», domandò il Nonno Maki, sfilandosi maglia e pantaloni, prima di
ficcarsi in doccia e finire di spogliarsi. «Kiyota, hai per caso mal di gola?».
«No, Capitano, sto bene»,
replicò mogio quello.
«Allora perché non
canti?», domandò Soichiro.
Da una delle docce, Kazuma Takasago gridò: «Ehi, Jin! Non incoraggiarlo, per
una volta che ci risparmia l’udito!». I compagni scoppiarono a ridere, in
attesa della replica infuocata del loro numero 10, ma quando non arrivò le risa
si spensero.
«Kiyota, sei sicuro di
stare bene?», domandò uno di loro.
«Ho detto di sì»,
ribatté Nobunaga, stanco di quelle domande. «Ho dormito male e sono stanco».
Capendo che non volesse
altre rotture, i ragazzi presero a parlare d’altro, finché tutti non uscirono
dalle docce e si vestirono per andarsene finalmente a casa. Gli unici che
parvero non avere fretta alcuna, furono il Capitano e Soichiro che, mentre
rimettevano le loro cose nei rispettivi borsoni, non tolsero gli occhi di dosso
alla matricola. Fu solo quando rimasero loro tre che decisero di metterlo sotto
torchio.
«Allora, qual è il
problema?», domandò Shin’ichi, avvicinandosi al ragazzo e scompigliandogli i
capelli bagnati. «Perché un problema c’è, non insultarmi con qualche frottola».
Nobunaga arrossì fino
alla punta delle orecchie e s’imbronciò ancora di più. Non voleva far
preoccupare i suoi compagni per le sue seghe mentali, fondate o meno che
fossero.
«Su, Nobu, sai bene che
con noi puoi parlare liberamente, no?», furono le parole di Soichiro, condite
con un rassicurante sorriso.
I due attesero con
pazienza che quello iniziasse a parlare e, dopo un lungo sbuffo, finalmente lo
fece.
«Si tratta di Hicchan».
«Avete litigato?»,
domandò Shin, preoccupato.
Nobu gonfiò le guance. «Non
ancora, ma continuando così non ci vorrà poi molto. È che–», chiuse la zip
della sua borsa, sedendosi per terra a gambe incrociate e mettendosi le mani
tra i capelli neri. «Da quando stiamo insieme quel Rukawa è sempre in mezzo
alle palle e la cosa mi puzza».
Gli altri due si
scambiarono un’altra occhiata.
«Nobunaga, amico mio,
ricordi cosa aveva detto quella ragazza, Ayako, no?», intervenne Soichiro. «Si
conoscono da quando erano bambini, sono amici d’infanzia».
«Altro che amici
d’infanzia!», s’infervorò subito il numero 10. «Quello zitto e addormentato me
la soffia da sotto il naso! Maledetta Volpe!».
Maki incrociò le braccia
al petto, un sopracciglio inarcato con perplessità. «E dimmi, cosa ti fa
credere che la Sakuragi possa lasciarti per lui?».
«Beh, è sempre di quel
dannato Rukawa che stiamo parlando», sbottò Nobunaga, imbronciato. «Quello
piace a tutte».
«E non credi che se così
fosse, lei non avrebbe perso tempo con te?», incalzò il Capitano.
«Già, probabilmente
starebbero insieme già da anni», diede man forte Soichiro.
La Scimmietta si
mordicchiò il pollice, ripensando a tutti i momenti che aveva trascorso con la
sua bella e al rapporto che lei aveva con l’odiato rivale. «Quindi che dovrei
fare?».
Maki gli si avvicinò,
sedendosi accanto al suo compagno di squadra e osservandolo bonario. «Non
conosco bene Hime Sakuragi per poter dire con certezza di sapere cosa le passa
per la testa, ma sia lei che il fratello mi hanno dato l’impressione di essere
le persone più fedeli che abbia mai incontrato. E difficilmente il mio giudizio
è errato, lo sai bene». Gli sorrise. «Con questo voglio dirti che non credo tu
debba impensierirti né essere geloso. Può darsi che Rukawa sia attratto da lei,
ma quello è un suo problema».
«Esatto», confermò
Soichiro. «Ti stai facendo solo male con le tue congetture, quando sicuramente
non hai nulla da temere. Ma se vuoi proprio dormire tranquillo la notte, perché
non le parli apertamente? Sono sicuro che la cosa si chiuderà con una bella
risata!».
Ritrovato lo spirito
giusto, Kiyota balzò in piedi, alzando pugno al cielo. «Ahaha
ma certo! Nessuno mi porterà via la ragazza, neppure la Kitsune! E volete
sapere perché? Ma perché siamo la coppia numero uno di tutta Kanagawa! Ma che
dico, del Giappone intero! Ahahaha!». E
sbraitando come l’invasato che era, si diresse a tutta velocità allo Shohoku,
nella speranza di trovarla ancora lì. Ma del resto, era ovvio che lo Shohoku
avrebbe dovuto allenarsi giorno e notte per sperare di battere il Kainan King.
Povere schiappe! Ahahah!
Riuscì a prendere per un
soffio il treno che lo avrebbe portato al quartiere di quei teppisti e, mentre
osservava il paesaggio nuvoloso al di là del finestrino, ripensò alla
telefonata del giorno prima. Era stato brusco, quello non poteva negarlo. Ma
aveva anche le sue buone ragioni per diffidare di quella pseudo amicizia.
Diamine, erano sempre insieme e lei lo metteva persino in secondo piano
rispetto a quel volpino! Doveva fare qualcosa!
Come una furia, uscì dal
vagone non appena le porte automatiche si aprirono e corse verso il vicino
liceo, ormai quasi deserto. Solo qualche aula, dove si riunivano i club, e lo
stabile della palestra erano ancora illuminati. Con uno sbuffo di sollievo
rallentò il passo e si diresse verso quest’ultima. Si beccò le solite
occhiatacce dai pochi che lo incrociarono e che notarono la vistosa “K” sulla
giacca della divisa sportiva, ma non ci fece caso. Se non fosse stato teso per
il discorso che doveva affrontare con la sua Hicchan, avrebbe sbraitato a quei
poveracci dello Shohoku quando il suo Kainan fosse mille volte migliore di
loro.
Arrivato alla palestra,
la cui porta era affollata da praticamente tutti i giocatori con le borse in
spalle ma evidentemente interessati a qualcosa, s’inchinò per sbirciare dalle
finestre a nastro a livello terra, incuriosito. Allungò il naso verso il vetro
e ciò che vide non gli piacque per niente.
Eccola lì, la sua
Hicchan, che giocava in un avvincente uno contro uno in tutta la sua grazia,
corpo a corpo con l’odiatissimo Rukawa. Chi altro poteva essere?
“Ma porca vacca! Io l’ammazzo!”, gridò mentalmente mentre reprimeva
a stento l’impulso di saltare addosso a quel dannato ghiacciolo.
Le urla di Sakuragi,
insieme a quelle degli altri, fecero da sottofondo a un canestro della ragazza,
e se da una parte Nobunaga era orgoglioso che la sua bella fosse così brava e
avesse appena segnato contro il Volpino, dall’altra detestava la confidenza che
aveva con lui. La osservò bisbigliargli qualcosa e ridacchiare alla risposta
lapidaria di lui, che le diede una manata in pieno viso per farla smettere.
Dannazione, non era possibile! Era un incubo!
«Ehi, Kit! Mettiti le
mani dove dico io e non toccare la mia sorellina!», gridò Hanamichi, pronto a
soccorrere la ragazza se non fosse stato per il pugno provvidenziale di Akagi.
«E lasciali giocare in
santa pace, demente!».
«Ahia, Gori! Mi picchi sempre!».
«Continua a chiamarmi
così e sarà l’unica cosa che farò finché non la smetterai!».
«Hanamichi, devi
metterti il cuore in pace», udì dire da Mitsui. «La Volpe è cotta di tua
sorella, che male c’è?».
«Che male c’è?!», ululò il rossino, come se avesse letto il pensiero
di Kiyota. «C’è che stiamo parlando della Kitsune! Quello non ha un cuore! Ed è
infimo! Mi ruba sempre la mia Hicchan!».
L’inconfondibile suono
di una sventagliata lo fece saltare sul posto. «Abbassa la voce, Hanamichi
Sakuragi! Vuoi che ti sentano?».
«Quei due, persi come
sono nel gioco, non sentirebbero neppure una tromba contro l’orecchio», scherzò
Mitsui.
Passò qualche istante di
silenzio, prima che una timida voce osasse parlare. «Ragazzi, io non sono una
persona molto sveglia, ecco», disse Sana, mentre osservava i due amici. «Ma se
non avessi saputo che Hime-san fosse impegnata, avrei detto che... beh, che lei
e Kaede-kun stessero insieme».
Per poco Nobunaga non si
strozzò con la sua stessa lingua e nello stesso istante Hanamichi ebbe un calo
di pressione, prontamente sorretto da Akagi. Che diavolo andava a pensare,
quella ragazzina?
«Beh, non sei certo
l’unica a dirlo», fu la pronta risposta di Mito. «Mi chiedo cosa succederebbe,
se quel Kiyota non fosse parte dell’equazione».
«Una volta gliel’ho
chiesto», disse Ayako. «A Hime, intendo». Nobunaga attese che proseguisse, con
il cuore in gola.
«E?».
«Non mi ha risposto, ma
dal suo sguardo era evidente che fosse parecchio... uhm, turbata».
«Che forse ci stava
facendo un pensierino?», azzardò Miyagi, con una punta di malizia.
«Hicchan non farebbe mai
una cosa del genere», disse con convinzione il numero 10. «Non alla
Nobu-Scimmia».
«Con tutto il rispetto per Kiyota, ma con uno
come Rukawa lo farei eccome».
Ryota sbiancò come un
cadavere. «A-Ayakuccia!».
Mitsui scoppiò a ridere.
«Hai capito questa marpiona?».
Quella arrossì, dando un
bacino sulla guancia al suo playmaker preferito. «Suvvia, Ryota, scherzavo,
scherzavo. Idiozie a parte, non ho mai visto Rukawa comportarsi così
apertamente con una ragazza come fa con lei», proseguì Ayako, chelo conosceva dalle medie. «Vorrà pur dire
qualcosa, no?».
«Checcosa?!», esclamarono in coro tutti. Hime e Kaede fermarono il gioco per
guardarli con perplessità, chiedendosi cosa diamine avessero da gridare.
Persino Akagi era sull’orlo di una crisi di nervi alla sola idea di quella
sciagurata a letto col Volpino.
«Li ho scoperti la
mattina dopo che hanno ricoverato Mitchi», confessò Hanamichi. «Insomma, era
già capitato in passato, ma questi discorsi mi stanno preoccupando».
«Ma hanno–».
«Nononono!»,
si affrettò a dire Hana, arrossendo al solo pensiero. «Avrei già gettato il
cadavere della Volpe in mare aperto! E poi, insomma... li avrei sentiti, no?».
«Uhm...», ci pensò sopra
Hisashi, accarezzandosi il mento. «Non credo che Rukawa sia il tipo che grida
in certe situazioni. Hime, magari sì, ma lui decisamente no. Al massimo un “hn” a cose fatte».
«Che poi, secondo voi
Rukawa saprebbe dove mettere le mani e tutto il resto?», fu la saggia domanda
di Miyagi, che evidentemente non dormiva la notte pensandoci.
«Beh, se Hanamichi non
ha sentito gridare neanche lei, immagino di no», fu la logica conclusione
dell’ex teppista.
«Mabbasta! Possiamo smettere di parlare della mia sorellina che fa le cosacce con la Volpe?».
Tra le risate, i ragazzi
continuarono a ciarlare come vecchie pettegole, ma Nobunaga non li sentì più.
Aveva ripreso la via di casa più incacchiato e abbattuto di prima. Parlare e
chiarirsi un paio di corna – proprio come quelle che gli gravavano sulla testa!
Era furioso.
Ormai, nonostante si
fosse imposto di essere comprensivo, aveva capito che ciò che provava per Hime
Sakuragi era a senso unico e quella consapevolezza fu un pugno allo stomaco che
lo lasciò senza fiato.
Non aveva mai provato un
così forte legame con una ragazza – almeno, le poche che avevano accettato di
uscire con lui – ed era convinto che quello che c’era tra loro fosse speciale.
Erano pazzi come cavalli entrambi, insieme si divertivano un mondo e avevano
molte cose in comune. Diamine, era persino brava a basket! Ma forse era questo
il motivo per cui lei preferiva il bello e dannato.
«E che dannato sia
davvero! Lo odio, lo odio!», gridò al vento, guadagnandosi le occhiatacce di
chi gli stava intorno. «E odio anche lei! Mi ha preso per il culo fin
dall’inizio!», continuò a sfogarsi con se stesso, mentre tutti i bei momenti
trascorsi insieme, a partire dal fatidico ritiro di qualche mese prima, si
sgretolavano come intonaco sotto i colpi di un martello. Era persino andata a
letto col nemico, la stronza! Come diamine poteva sorridergli e fare finta di
niente dopo quello che aveva fatto?
Gli era sempre sembrata
così sincera, così adorabilmente affascinata da lui, che aveva continuamente
accantonato i dubbi, ogni qualvolta sorgevano. Era stato uno stupido ingenuo a
fidarsi di una strega come lei. L’aveva detestata sin dall’inizio, avrebbe
dovuto continuare a seguire quella via invece che innamorarsi.
Per tutti gli dei, era
innamorato di Hime Sakuragi.
Che cazzo gli diceva il
cervello quando era successo?
Si portò un pugno alla
bocca e strinse i denti contro le nocche, pur di non sfogare la sua rabbia
contro un muro. Era talmente deluso e incazzato che aveva voglia di piangere.
Lui, Nobunaga Kiyota, ridotto così da una femmina! Era inaccettabile.
Rientrò a casa sbattendo
la porta alle sue spalle e facendo prendere un colpo alla sorellina e ai
genitori, in salotto. Senza neppure salutare si fiondò in camera sua e si buttò
sul letto.
Che se ne andassero
tutti al diavolo, non aveva bisogno di nessuno.
*
Hime riagganciò la
cornetta, sempre più perplessa. Erano trascorsi tre giorni dall’ultima volta
che aveva sentito Nobu e aveva continuamente chiamato a casa Kiyota in ogni
momento a disposizione, nella speranza di trovarlo. Una volta aveva risposto
Arimi, un’altra il padre, ma la replica era sempre la stessa: Nobunaga non è in casa. Il ché era
piuttosto strano, dato che durante quest’ultima chiamata aveva chiaramente
sentito il suo vocione in sottofondo.
Sa da una parte stava
dando la colpa agli allenamenti del Kainan, sempre più frequenti in vista della
partita di semifinale, dall’altra quest’ultimo episodio l’aveva destabilizzata
e stava iniziando a non capire cosa stesse succedendo. Aveva colto il
disappunto nella sua voce, quando gli aveva detto che si sarebbe allenata con
Ede, invece che stare sola con lui, ma non credeva che la cosa l’avesse fatto
incavolare a tal punto da evitarla così a lungo.
Decisa a vederci chiaro,
corse in camera a prendere giaccone, sciarpa e cuffietta, e, senza neppure la
decenza di cambiarsi dagli abiti casalinghi di domenica pomeriggio, s’infilò le
scarpe e si recò alla stazione, diretta a casa del suo ragazzo.
Cosa era successo da
farlo allontanare così? Stava andando tutto per il meglio, a parte quello
schifoso articolo sulla sua presunta relazione con Kaede. Era assurdo solo
pensarlo, figurarsi il fatto che Nobu potesse crederci davvero. Oh, ma
gliel’avrebbe fatta pagare, a quell’Aida della malora. A costo di farle fare
una figura di cacca colossale davanti al suo idolo, Akira.
Si strinse nelle spalle
una volta scesa alla fermata del Kainan. Un vento gelido l’aveva schiaffeggiata
appena le porte si erano aperte e il cielo era sempre più nuvoloso e
pericolosamente bianco. Si diceva che sarebbe nevicato, quel giorno.
S’incamminò infreddolita
verso casa Kiyota, non troppo distante dal liceo, e rimuginò sugli ultimi
giorni di silenzio, alla ricerca di una spiegazione plausibile. Scosse il capo,
senza trovarla. Avrebbe avuto le sue risposte in meno di dieci minuti e
direttamente dal suo ragazzo.
Accelerò il passo appena
riconobbe il cortile della villetta e sorrise come un’ebete all’idea di
rivederlo e di stare al caldo tra le sue braccia. Quello sì che era il suo
posto preferito: capo sul petto, a sentire il cuore che batteva veloce sotto
l’orecchio, le mani di lui che le carezzavano i fianchi, i suoi capelli lunghi
che le solleticavano il viso. Sarebbe potuta morire tra quelle braccia e
sarebbe stato sicuramente un dolce modo di andarsene.
Il cancelletto
d’ingresso era socchiuso, così zampettò attraverso il piccolo giardino zen e
suonò direttamente alla porta. Non dovette attendere molto, prima che qualcuno
l’aprì. E fu proprio lui.
Parve sorpreso di
vederla sull’uscio di casa, ma il suo sguardo s’indurì come poche volte l’aveva
visto. Il sorriso le morì in gola, così come lo slanciò di appendersi al suo
collo e sbaciucchiarlo senza ritegno.
«A-allora sei vivo!»,
esordì tentennante, ma lui non reagì. Continuava a guardarla con... disprezzo?
Cos’era quello? «Nobu? È successo qualcosa?».
«Non saprei, dimmelo tu»,
sbottò lui, muovendosi verso di lei per richiudersi la porta alle spalle. Era
palese che lei stesse congelando, ma non la volle neppure far entrare in casa.
Cosa diavolo–?
«Nobu?», ripeté lei,
sempre più confusa. Il cestista del Kainan strinse i pugni e per una frazione
di secondo temette che volesse colpirla. «Ho fatto qualcosa di male? Te la sei
presa per l’altro giorno?».
«No, non me la sono
presa», fece gelido come il vento che soffiava da nord. «O forse sì, ma in quel posto. Vero, Sakuragi? Me l’hai
proprio fatta, complimenti».
Hime iniziò a
spazientirsi. E da quand’è che la chiamava per cognome? «Ma di cosa stai
parlando?!».
«Sto parlando del fatto
che mi tradisci con quello stronzo di Rukawa, ecco cosa!», sbraitò Kiyota, le
guance rosse per il freddo e per l’affronto. «era così palese, sotto il mio
naso! Se ne sono resi conto tutti, tranne me!».
«Co– cosa?!».
«Avanti, mentimi ancora»,
la sfidò. «Fallo, tanto ormai ci sei abituata, no?».
«Nobunaga Kiyota,
smettila con questa idiozia o me ne vado».
«Bene, non aspettavo
altro. Vattene pure, non ho nulla da dirti».
La rossa sgranò gli
occhi, che iniziarono a pizzicare prepotentemente. Se fosse il vento o il nodo
in gola non seppe dirlo. «Davvero, non capisco di cosa stia parlando! In che
lingua devo dirtelo? Kaede è il mio migliore amico! A-m-i-c-o! E come già ti
dissi, se credi che io possa rinunciare a lui per stare con te, allora non hai
capito niente!».
«Beh, è interessante che
praticamente tutti credano che tu sia la sua ragazza e non la mia», sibilò,
muovendo un passo verso di lei che, istintivamente, indietreggiò. «“Cosa avrà da dire Nobunaga Kiyota” sul
fatto che Rukawa si fotte la sua ragazza, eh? Ha da dire che si è rotto le palle
di questa storia».
«Nobunaga, ti prego,
stai fraintendendo tutto. Nessuno si fotte nessuno, se non tu il tuo cervello!».
«Non ho frainteso
proprio un cazzo!», esclamò, al colmo dell’ira. «Ho sentito quei deviati dei
tuoi amici parlarne e nessuno ha dubbi! E sai cosa ho capito? Ho capito che non
è affatto il tuo migliore amico, perché ti
ama! Ma neppure lui ti è tanto indifferente, se te lo porti a letto, vero?!
Ti sei fatta scoprire persino da quella scimmia di tuo fratello! E io mi sento
un grandissimo coglione per essere cascato nelle tue trame, ecco cosa!».
Senza un filo d’aria in
gola per replicare e cercare di farlo ragionare, Nobu accolse il suo silenzio
come assenso e le voltò le spalle, aprendo la porta. Si fermò senza guardarla
in viso e, prima di chiuderla fuori con un colpo secco, le sibilò di andare al
diavolo e di non farsi più vedere.
“Mi fai schifo”.
Hime non riuscì a
muoversi per chissà quanto tempo. Non riuscì a razionalizzarlo in minuti.
Continuava a guardare la porta chiusa davanti al suo naso, incapace di reagire,
di respirare, di pensare. Cosa era
appena successo? Cosa–
Neppure si sarebbe resa
conto di piangere, se non fosse stato per la terribile fitta al petto e i
singhiozzi che ormai la stavano facendo tremare come una bandiera al vento. Era
tutto così assurdo e irreale che fu quasi tentata di darsi un pizzicotto sulla
guancia per risvegliarsi da quell’incubo. Ma il dolore atroce non parve
svanire, né le lacrime smisero di rigarle le guance ora pallide. Si portò una
mano alla bocca, per ricacciare indietro un conato di vomito, giacché ora aveva
preso a bruciarle persino lo stomaco.
Cosa diavolo è appena successo?, continuava a ripetersi
senza sosta e senza trovare risposta. Era stata accusata di tradimento, di
andare a letto con Kaede, di averlo preso in giro... ma che razza di droghe
aveva assunto per arrivare a pensare una cosa simile? Secondo lui quei mesi di
spensieratezza erano stati il frutto di uno stupido gioco che lo avrebbe visto
perdente sin dall’inizio? Aveva la minima idea di chi avesse accanto come
compagna, per cedere così facilmente alle chiacchiere degli altri? Perché non
le aveva lasciato il tempo di spiegarsi e risolvere tutto? Perché l’aveva
accusata così duramente senza neppure fermarsi un attimo e darle la possibilità
di ribattere, come avrebbero fatto due persone civili?
Si accorse di aver
iniziato a camminare solo quando si ritrovò davanti al treno che l’avrebbe
riportata a casa e vi salì come un automa, scontrandosi contro altri pendolari
senza neppure avere le forze di scusarsi per la sua sbadataggine. Tutto ciò che
vedeva davanti a sé erano quegli occhi blu che la guardavano con odio, tutto
ciò che sentiva era quella voce dura e cattiva che le sibilava di andare a quel
paese e che l’accusava di cose che non avrebbe neppure mai sognato di fare.
Mi fai schifo.
Lei, che non si era mai innamorata in vita sua e che sapeva di
amare quel ragazzo più di se stessa, incolpata di averlo tradito con il proprio
migliore amico.
Cosa diavolo era appena successo?
Senza neppure rendersi
conto, il treno si era nuovamente fermato e, forse per abitudine, si era alzata
e aveva lasciato il mezzo, dirigendosi al campetto dietro casa. Il freddo si
era fatto più pungente e le lacrime le si congelavano sulle guance, ma non
aveva voglia di tornare a casa e subire l’interrogatorio del fratello e della
madre, vedendola in quello stato pietoso.
Fu quando lo vide
palleggiare davanti al canestro noncurante del meteo, che tutta la disperazione
e la stanchezza la colpirono più forte di prima e crollò sulle ginocchia,
piangendo senza riuscire a darsi un contegno.
Kaede, disturbato da
quel lamento, si voltò con le braccia alzate, pronte a tirare. Il pallone gli
cadde dalle mani appena si accorse di chi si trattasse. Fu da lei in pochi
passi, chinandosi e prendendola tra le braccia, intimorito e insicuro sul
perché di quel pianto isterico.
«Ehi», le sussurrò,
temendo che il solo suono della sua voce potesse spaventarla. Hime non parve
udirlo, e singhiozzò fino allo sfinimento. «Tranquilla, ci sono io», le
mormorò, cullandola con dolcezza.
La ragazza gli si
aggrappò con le poche forze rimaste e spese i lunghi minuti successivi a
consumare tutte le lacrime di cui disponeva.
Neppure quando parve
calmarsi, Kaede le chiese cosa fosse successo, sebbene stesse ribollendo dalla
rabbia nei confronti di chi l’aveva ridotta in quello stato. Sapeva che gliene
avrebbe parlato solo quando si sarebbe sentita pronta, se mai fosse accaduto, e
lui l’avrebbe ascoltata, come sempre. Sperava solo di essere in grado di aiutarla,
in qualche modo. Le accarezzò la nuca, tra la cuffietta in lana e i capelli,
nella speranza di farla rilassare. Non era mai stato bravo a consolare le
persone, ma quando si trattava di Hime tutto sembrava diventare più facile,
sebbene più doloroso.
Solo dopo molti minuti,
in cui i singhiozzi diminuirono e le lacrime si seccarono, Hime parlò con voce
spezzata. «Mi ha lasciata», mormorò senza fiato.
Kaede ingoiò
un’imprecazione che avrebbe fatto impallidire persino quel delinquente di
Tetsuo, e la strinse con più fermezza. «Cos’è successo?».
«Vorrei saperlo anche io»,
bofonchiò lei, passandosi una mano sul viso e cercando le forze per proseguire.
«Mi ha addossato colpe ridicole e... e non capisco, davvero. Andava tutto così
bene. Così bene». Si morsicò il
labbro inferiore con forza, pur di non riprendere a piangere, ma non era sicura
che sarebbe riuscita a trattenersi. «A quanto pare la mia unica colpa è esserti
amica».
«Hn?!».
«Crede che io sia
innamorata di te. E tu di me. È ridicolo solo pensarlo, figurarsi dirlo a voce
alta».
In apparenza Rukawa non
diede alcun segno di averla sentita, ma Hime sentì chiaramente i suoi muscoli
irrigidirsi. Sollevò lo sguardo arrossato su di lui, che la osservava con quei
suoi taglienti occhi color del mare più buio, e si sentì mancare.
«Ede, tu non sei
innamorato di me, vero?», gli chiese a bruciapelo, senza darsi il tempo di
morsicarsi la lingua e stare zitta. Voleva saperlo, doveva saperlo. Era una domanda pericolosa, pericolosissima per la
loro amicizia. Ma non avevano mai avuto segreti e non voleva che le tacesse una
cosa così importante. Neppure se avesse incrinato il loro rapporto. Era un
dubbio che ormai la stava consumando e voleva vederci chiaro, almeno lì.
«Hn...
non lo so».
Quella risposta non la
rassicurò per niente. Si spostò per guardarlo meglio, sentendo le guance andare
a fuoco. «Cosa vuol dire? Di certo lo saprai!».
«Io non–». Kaede sbuffò,
in evidente imbarazzo. Come faceva a saperlo? Non gli era mai interessata
nessuna ragazza, eccetto lei. Insomma, adorava la sua compagnia, il suo amore
per il basket, il modo in cui assorbiva qualsiasi insegnamento le impartisse
durante i loro allenamenti, il suo stare in silenzio anziché parlare a
sproposito e capirlo alla perfezione, nonostante il suo brutto carattere. Gli
bastava la sua presenza per calmarlo e rimetterlo a posto. Certo, non si era
mai perso in qualche fantasia erotica che li vedeva rotolarsi tra le lenzuola e
il solo pensiero era talmente bizzarro e ridicolo che ringraziò il cielo che
Hime non potesse ancora leggergli la mente.
Insomma, non come l’incubo
della notte precedente che vedeva quella piattola della Azamui in costume da
bagno che–
Scosse il capo,
terrorizzato al solo pensiero, e cercò di tornare con la mente al problema
attuale.
Era amore quello? Solo
una profonda amicizia? Che diavolo ne sapeva lui? Sapeva solo che nessun’altra
ragazza era in grado di farlo sentire a suo agio come lei, nessuna avrebbe
potuto sostituire ciò che significava per lui. Era la sua confidente, a volte
la madre che aveva perso troppo presto, la sorella che non aveva mai avuto, e
aveva il terrore di perderla.
La sua splendida ragazza.
«Davvero, non lo so».
Hime si grattò la punta
del naso, arrossata per il freddo e l’imbarazzo. «Quando ti chiesi di non
starmi troppo vicino perché ormai siamo cresciuti, ecco... lo feci perché
temevo potessi, uhm, fare qualcosa di azzardato».
Kaede cadde dalle
nuvole. «Del tipo?».
In tutto quel dolore, in
tutta la difficoltà di quella discussione, Hime scoppiò incredibilmente a
ridere e lo fece di cuore. Il numero 11, non per l’ultima volta, si chiese se
non fosse pazza.
«Ma che ho detto?», si
chiese a voce alta il cestista, mentre quell’invasata rideva e piangeva allo
stesso tempo.
«Credo ti sia appena
dato una risposta, con quella domanda», riuscì a dire la ragazza, una volta che
si fu calmata. All’occhiata ancora perplessa dell’amico, Hime sorrise. «Intendo
dire che almeno non sei attratto da me in
quel senso».
«E vuol dire che non
sono–?».
«Io... beh, no. Insomma,
non credo».
Kaede strinse i denti,
indeciso. Cosa avrebbe fatto un ragazzo qualsiasi per capire davvero cosa
provava per la sua migliore amica? Per darsi la conferma che non ci fosse
attrazione? Forse avrebbe dovuto... baciarla?
«Ede, cos’è quella
faccia terrorizzata?».
Eww! No, meglio di no. O
probabilmente avrebbe rigettato la torta di compleanno di dieci anni prima. «Hn. Niente».
«Pensavi che sarebbe
terrificante stare insieme, vero?». Hime ridacchiò. «È un po’ quello che provo
anche io nei tuoi confronti, Ede. Ti voglio un mondo di bene e non potrei mai
rinunciare a te, a noi. In un certo
senso ti amo. Ma come amo Hanamichi, non come–». Il mezzo sorriso sulle sue
labbra si spense ancora una volta, in quella terribile giornata, e abbassò lo
sguardo.
Non come Nobunaga.
«Quello è un coglione»,
le disse con fermezza. «Non merita queste», aggiunse, asciugando le nuove amare
lacrime che le bagnarono le guance.
Hime tirò su col naso,
scuotendo il capo. «Sono sollevata», disse, sviando il discorso. «Per non
averti fatto del male, intendo».
«L’unico male che mi fai
è l’emicrania che mi provochi ogni volta che apri bocca». Accusò in silenzio la
gomitata più che meritata che gli rifilò tra le costole e la strinse con
affetto per farsi perdonare.
Trascorsero lunghi
attimi di silenzio, scanditi dalle deboli carezze di lui sulla sua nuca e
qualche fremito di pianto represso che ogni tanto si affacciava nuovamente.
«Hana lo ammazzerà di
botte», disse infine Hime, con voce roca.
«Hn.
Non sarà il solo».
Lei lo guardò con
durezza, gli occhi lucidi e arrossati per il pianto. «Rukawa Kaede, promettimi
che non farai scemenze».
«Hn».
«Promettimelo!».
«Dillo anche al senpai
Mitsui».
«Hisashi è inoffensivo,
per ora».
«Non ne sono tanto
sicuro. E non dimenticare la negriera».
«Chi? Ayako?».
«Hn».
Hime sbuffò, mentre si
torturava il labbro inferiore con i denti. Era imbestialita con quell’idiota,
ma non voleva che arrivassero alle mani per causa sua. L’unica che aveva il
diritto di tirargli un pugno era lei, e lei soltanto!
Il primo fiocco di neve
le ricadde sulla punta del naso, facendole alzare lo sguardo sul cielo
nuvoloso. In altre occasioni avrebbe sorriso come una bambina alla sua prima
nevicata. Ogni volta che la Prefettura di Kanagawa si ricopriva di neve, infatti,
Hime tornava indietro di anni, quando la vita era spensierata e si divertiva
con poco. E no, non si trattava di bei ricordi legati all’infanzia:
semplicemente diventava una poppante che non aveva mai visto un evento simile
in vita sua e dava il peggio di sé, insieme al fratello.
“È solo neve”, era il solito commento del Volpino, mentre quell’invasata
si buttava a fare l’angelo.
“Certo che lui non si stupisce”, diceva Hanamichi, annuendo a se
stesso. “Si ritrovanel suo ambiente ideale, questo surgelato.
Hai mai pensato di trasferirti in Antartide?”.
“Ma se non sai neppure dove sia”, era la risposta di Kaede.
Quell’anno la neve non
aveva alcuna attrattiva per la ragazza dai capelli rossi. Era fredda, come
freddo era quello che sentiva dopo quella giornata da dimenticare, e le mise
un’incredibile tristezza. Cacciò indietro le lacrime e si alzò, porgendo una
mano all’amico.
«Torniamo a casa, ti
prenderai un malanno», gli disse.
Rukawa si alzò, ma la
mancanza di scenate di gioia, mentre iniziava a nevicare con più insistenza, lo
preoccupò non poco. Gli rivenne in mente la sua apatia dopo la morte della
madre, come non riuscisse a venire fuori da quel buio pesto che era diventata
la sua vita; e ricordò gli incredibili sforzi di quella stessa ragazzina folle
per aiutarlo a risalire a galla, nonostante i fallimenti, nonostante i tanti
tentativi andati a vuoto.
E il solo pensiero che
lei avesse litigato con il ragazzo di cui era innamorata solo ed esclusivamente
a causa della loro grande amicizia, lo rendeva tanto orgoglioso quando
incazzato col mondo. Quello era davvero un coglione e non aveva idea di chi
avesse perso.
Le si avvicinò,
abbassandole meglio la cuffia sulle orecchie e sulla fronte, e l’abbracciò
ancora.
L’avrebbe fatta
sorridere di nuovo.
Le avrebbe fatto amare
la neve ancora una volta.
Continua...
* * *
Vi avevo avvertiti. La cosa si sarebbe fatta intensa. E ora
mi diverto. >:)
A presto e grazie ai pochi coraggiosi che ancora mi seguono.
Quella mattina la
Prefettura di Kanagawa si era risvegliata sotto una spessa coperta di neve, ma
neppure quella sembrò fermare Kaede Rukawa dal prendere la bicicletta e
rischiare di ammazzarsi – e ammazzare – ripetutamente lungo la via del liceo. Come
da copione parcheggiò sopra il Do’aho, già incacchiato nero contro Kiyota per
aver fatto passare una notte insonne alla sua amata sorellina. Un po’ per
vendetta, un po’ per risollevare il morale alla sua Hicchan, iniziò a sparare
palle di neve contro il Volpino, che non poteva non difendersi di fronte a
quell’attacco, e ben presto entrambi si ritrovarono fradici e congelati.
Hime, però, li aveva
sorpassati senza quasi vederli e aveva già raggiunto la sua aula, lasciandoli
di stucco. I due si scambiarono un’occhiata preoccupata, ma entrambi giunsero
alla stessa conclusione senza aprire bocca. Il giorno dopo avrebbero fatto il
culo alla Scimmia e alla sua squadra del cavolo. Poco ma sicuro.
«Ma che ha?», domandò
Ayako, che aveva assistito alla scena con Ryota.
«Lo stronzo l’ha mollata»,
fece Kaede, più freddo del solito.
«Chi? Il tizio del
Kainan?», esclamò Araki, comparendo dal nulla con un sorriso da orecchio a
orecchio. «Ma è una notizia fantastica! Finalmente ho la strada spianata verso
la vittoria!».
Il calcio che si beccò
dagli eterni nemici/amici fu memorabile e gli pregiudicò la possibilità di
sedersi per il resto del mese.
«Che cazzo ti dice il
cervello?», sbraitò il rossino. «Stiamo parlando di mia sorella e sta
soffrendo! Osa nuovamente gioire della cosa e la prossima volta ti ammazzo
davvero!».
Nessuno ebbe il coraggio
di contraddirlo o di farlo calmare. Hanamichi Sakuragi che difendeva la sorella
era persino più spaventoso del Gorilla che proteggeva il buon nome del basket.
Imbronciato e depresso,
si ficcò le mani in tasca per raggiungerla. Con lui Mito e gli altri, che quel
giorno non si azzardarono a sparare cazzate. Erano preoccupati tanto quanto lui
– e non volevano assolutamente collezionare testate che, con molta probabilità,
li avrebbero spediti all’ospedale senza troppe cerimonie.
La trovarono seduta al
suo banco, quaderni e libri già aperti sotto il naso e gli occhi che leggevano
febbrilmente gli appunti della settimana prima. Hime era fatta così: quando
qualcosa non andava a dovere, si buttava a capofitto su qualsiasi cosa pur di
non pensarci, che si trattasse dello studio o del basket. Riempiva talmente
tanto le sue giornate che il più delle volte arrivava a sera inoltrata sfinita,
e crollava addormentata senza neppure avere le forze di riflettere. Il ché era
un bene, da un certo punto di vista.
L’Armata prese posto in
silenzio, sotto lo sguardo attonito dei loro compagni di classe che non li
avevano mai visti così tranquilli – e soprattutto così puntuali. Persino
Yoshikai, nel vederli seduti e taciturni ai loro banchi, per poco non tirò
fuori i fuochi d’artificio per dichiarare festa nazionale fino all’anno nuovo.
Quella giornata di
lezioni trascorse così lentamente che più volte ebbero la brutta sensazione di
qualcuno che portava indietro le lancette dell’orologio. Hana e Yoehi passarono
il tempo a scambiarsi bigliettini su Hime e sulla vendetta che si sarebbero
presi il giorno dopo durante la partita, ma neppure quei gloriosi piani di
rivalsa sembrarono fargli tornare il buon umore.
“A parte umiliarlo sul campo, che hai intenzione di fare con quel Kiyota?”,
scrisse Yoehi, lanciandogli il foglietto piegato.
Hana lo afferrò al volo,
senza farsi vedere dal professore. “Riempirlo
di botte, mi sembra ovvio!”.
“Hime non te lo perdonerebbe, lo sai”.
“Lo farei sembrare un incidente. Magari posso pagare la Volpe per
metterlo sotto con la bicicletta. Immagino sarebbe felice di farmi almeno
questo favore”.
“A proposito di Rukawa, dici che ora si farà avanti?”.
“Gli stacco la testa a morsi se solo osa farlo! La mia Hicchan non si
tocca per almeno altri dieci anni!”.
Yoehi si passò una mano
in viso, per soffocare una risata. Sarebbe stata dura, molto dura per Hime e
qualsiasi altro pretendente combinare qualcosa, con quel demente di fratello
possessivo!
Purtroppo Yoshikai aveva
notato l’andazzo nei banchi in fondo all’aula e stava per sbraitare loro di
andare in corridoio, se non fossero stati graziati dal soave suono della
campanella. Okusu ebbe persino l’ardore di sorridere e salutare con una mano
l’insegnante, che ribolliva di rabbia e se ne andava in sala professori
borbottando come una teiera e promettendo tremenda vendetta.
L’Armata tirò un sospiro
di sollievo e spostò come di consueto i banchi con un gran fracasso, per
mangiare tutti insieme. Il tempo di pranzare all’aperto era ormai un ricordo.
Hanamichi scoccò
un’occhiata alla sorella, che aveva tolto fuori il suo bento ma lo guardava con
indecisione. La vide scuotere il capo e pizzicare un po’ di riso con le
bacchette.
«Programmi per il dopo
allenamenti?», domandò Mito, dopo aver ingoiato.
«Capatina al Bar America,
direi», annuì Takamiya. «Ho proprio voglia di un paio di crepes al cioccolato».
«E ti pareva».
«Hicchan, ti va?»,
domandò timidamente il rossino, forse temendo la risposta. «O preferisci pachinko? O... o una partitella tu e io?».
Lei fece cenno di
diniego. «Ci sono le prove per il concerto e devo organizzare alcune cose con
la zia di Sana. E poi devo studiare, ho trascurato fin troppo ultimamente».
«Tu che trascuri lo
studio è credibile come Hanamichi fidanzato con la sorella del Gorilla ahaha– ahia! Eddai, scherzavo!», aggiunse Noma,
accarezzandosi la fronte arrossata dalla testata di Sakuragi. «Come sei
permaloso».
Hime abbozzò un sorriso,
che però non durò molto. «Hana, finisci tu il mio bento? Non ho molta fame».
«Hicchan, non hai quasi
mangiato. E non hai fatto neanche colazione! Non ti fa bene!», esclamò il
fratello, tremendamente preoccupato. Dannato quel Kiyota e il giorno che
l’avevano incontrato!
«Posso finirlo io, se
Hanamichi non vuole!», si propose il solito Takamiya, che non poté non ricevere
anch’esso una colossale testata per la sua totale mancanza di cervello.
«Tieni pure, Taka-chan», gli sorrise lei, rimettendo i libri in borsa e
alzandosi. «Passo un attimo in biblioteca, ci vediamo dopo». E, dato un bacino
al numero 10 sempre più attonito e salutati gli Altri, lasciò l’aula di gran
fretta.
«Lo ammazzo sul serio,
quello stronzo», sibilò Hanamichi e mai come quella volta fu più serio. «Lo
avevo avvisato di trattarla bene e io stupido ad aver creduto che fosse sincero
quando me lo assicurò!».
Mito sospirò, da una
parte capendo la rabbia dell’amico e provando lo stesso prurito ai pugni, ma
dall’altra conosceva Hime come le sue tasche per sapere che, nonostante tutto,
non avrebbe permesso che si pestassero.
«Dai, Hana, magari hanno
solo bisogno di qualche giorno prima di chiarirsi».
«E cosa devono chiarire?
L’ha mandata al diavolo e le ha detto di fargli schifo, c’è qualcosa da
chiarire? Non mi sembra proprio».
«Io direi di fare così»,
fece Noma. «Domani in partita fai finta di cadergli addosso per sbaglio, magari
cercando di fare una schiacciata delle tue, e te lo levi dalle palle. Tanto non
ti riesce difficile travolgere il Re delle Scimmie, figurarsi quel nanerottolo,
no?».
Okusu, Noma e Yoehi si
scambiarono un’occhiata divertita, ma evitarono di ridergli in faccia. Non
volevano essere la valvola di sfogo di Hanamichi Sakuragi, incacchiato com’era!
*
Kiyo fece cadere la
borsa dell’allenamento sul parquet, seccata. Haruko, che osservava i ragazzi
correre avanti e indietro mentre facevano circolare la palla, sobbalzò per la
sorpresa di ritrovarsela accanto. «Kobayashi-san!».
«Akagi-kun, scusami. Non volevo spaventarti».
«N-no, non preoccuparti.
È che ero concentrata su– su–».
«Su Rukawa, lo so».
Haruko arrossì
furiosamente, coprendosi le guance con le mani. «Oh no, si vede davvero così
tanto? Dici che se n’è accorto?».
Kiyo ghignò. «Quello non
si accorge nemmeno delle macchine quando è in bici, figurati». Fece scorrere lo
sguardo sul campo e vide Mitsui in piedi accanto ad Ayako e al Gorilla, immersi
in una fitta conversazione. Non fu difficile immaginare di cosa stessero
parlando, vista l’importanza della partita del giorno dopo.
«Ehi, Kiyo-san!», fece
la voce squillante di Hime Sakuragi, il cui sorriso però non raggiungeva gli
occhi solitamente sereni. «Niente allenamenti oggi?».
«Manutenzione
straordinaria delle vasche. Si è rotto un filtro e sembra di nuotare in uno
stagno».
«Eww», fu l’intelligente commento
della seconda manager. «Quindi come farete?».
«Oggi si salta, domani
si andrà alla piscina pubblica. Oh gioia». Hime e Haruko ridacchiarono. «I
bestioni come sono messi per domani?».
«Vinceremo, ne sono
sicura!», si esaltò la sorella di Akagi. «Sarà una bella rivincita per noi. Nell’ultima
partita ufficiale abbiamo perso per pochissimi punti».
Kiyo annuì. «Il tuo
ragazzo gioca per il Kainan, no? Sarà dura per te tifargli contro».
Hime perse colorito e
fortunatamente alle sue spalle c’era un panca, altrimenti sarebbe caduta
rovinosamente sul sedere, dato che le gambe smisero di funzionare.
Il tuo ragazzo...
Sentì gli occhi
pizzicarle prepotentemente e mai come allora ringraziò il putiferio che suo
fratello e Kaede stavano scatenando in campo, spostando l’attenzione su di
loro. Approfittò del momento di distrazione per fuggire verso gli spogliatoi e
si richiuse la porta alle spalle, prendendo profondi respiri spezzati dai
singhiozzi.
“Il mio ragazzo...”.
Si fece cadere per
terra, stringendosi le gambe al petto, e pianse. Le lacrime versate il giorno
prima e quella notte, tra le braccia di Hanamichi, non erano ancora terminate,
ma lei era già sfinita. Non erano trascorse neppure ventiquattro ore ma
sembravano mesi da quella discussione da dimenticare. Non avrebbe mai
immaginato che amare potesse essere così penoso.
Sarebbe mai passato quel
dolore al petto e quella terribile voglia di rinchiudersi in camera per non
uscirne più? Di certo sapeva che il giorno dopo avrebbe fatto esattamente così.
Non sarebbe andata alla
partita, non ce l’avrebbe fatta.
Se il solo pensare a lui
le succhiava via tutte le forze dal corpo, non osava immaginare come avrebbe
potuto reagire nel vederselo a pochi metri di distanza. Non voleva vedere
l’odio nei suoi occhi, né assaporare tutto il veleno di cui le sue parole erano
impregnate.
No, non ce l’avrebbe
fatta.
«Hime? Hime, va tutto
bene?», domandò la voce di Ayako oltre la porta, che l’aveva vista scappare
quando si era voltata per chiederle aiuto con quei due dementi di Sakuragi e
Rukawa. Dopo quello che aveva scoperto quella mattina sulla sua rottura con
Kiyota, non fu difficile immaginare che non stesse trascorrendo un bel momento.
«Hime, per favore, fammi entrare. Non vorrai che Sakuragi si accorga della tua
assenza? Sai com’è tuo fratello, quando si tratta di te».
Con un sospiro, Hime si
alzò sulle gambe malferme, asciugò le lacrime sull’orlo della maglia di Kobe Bryant
– così spaventosamente simile a quella del Kainan da fare male – e aprì la
porta. Ayako vi si intrufolò subito, richiudendosela alle spalle e guardandola
con preoccupazione. L’abbracciò senza dire una parola e Hime non poté frenare
il nuovo attacco di pianto che la colse con violenza. Si aggrappò all’amica
come se fosse la sua unica ancora di salvezza e Ayako la consolò come meglio
poteva.
Era già accaduto che la
prima manager la facesse sfogare sulla sua spalla, solo qualche mese prima
durante il famigerato ritiro, e sempre per colpa di Kiyota e di qualche
fraintendimento. Per fortuna tutto si era risolto dopo pochi giorni e i due
avevano iniziato a frequentarsi. Non sapeva con esattezza cosa fosse successo
questa volta, ma aveva la sensazione che non sarebbe stato affatto facile farli
riappacificare.
«Crede che stia con
Kaede. O che comunque sia innamorata di lui», mormorò Hime tra le lacrime.
Ayako le accarezzò i
capelli rossi, sospirando. «E ha ragione?».
La Sakuragi le si
allontanò il giusto per guardarla in viso, con espressione inorridita. «No!
Certo che no! Io sono innamorata di... di
lui, anche se in questo momento mi riesce più semplice odiarlo».
«Tu non– non sei
innamorata di Rukawa? Sicura, Hime?», chiese la prima manager, decisamente
perplessa. «Insomma, dopo tutti i nostri discorsi, mi era parso di capire
che... insomma, che ti piacesse più di un amico».
«Aya-chan, hai avuto
l’impressione sbagliata, credimi. La mia paura era che fosse lui a essere
innamorato di me, ecco», borbottò Hime, arrossendo. La sola idea aveva ancora
il potere di farla arrossire come una bambina colta con le mani nel barattolo
di marmellata.
Ayako si portò le mani
alle labbra, fallendo miseramente nel nascondere lo stupore. «Quindi tu non–».
«No. E questo lo sa
anche Ede».
«Ah sì?».
Hime annuì,
raccontandole del lungo e imbarazzante discorso del giorno prima tra lei e il
suo migliore amico. Ayako non riusciva a credere a ciò che sentiva. Avrebbe messo
entrambe le mani sul fuoco da quanto fosse convinta che quei due si amassero e
che Hime l’avesse finalmente capito. Invece era lei a non aver compreso una
beata mazza. «Dei miei, sto perdendo colpi».
L’altra trovò la forza
di ridacchiare, mentre asciugava le guance dalle lacrime. «Credo proprio di sì».
«Credo che alcune
spiegazioni siano doverose, allora».
Hime annuì e si
sedettero su una panca. Le raccontò di come Nobunaga le avesse praticamente
chiuso il telefono in faccia il giorno della partita contro il Miuradai, dopo
che aveva scoperto dovesse vedersi con Rukawa anziché stare con lui; di come
l’avesse evitata per giorni interi, finché aveva deciso di prendere in mano la
situazione e andare a stanarlo in casa; fino alla discussione che voleva
dimenticare, ancora così vivida da sentire nelle orecchie la vibrazione della
voce nera di lui. «Non è servito a nulla spiegargli che si sbagliasse, mi ha
completamente tagliata fuori e io– io non ho più avuto la forza di ribattere,
perché che senso aveva tentare di far ragionare un muro?». Strinse i pugni
sulle cosce, gli occhi ancora una volta lucidi. «L’ho perso davvero e non so
neanche io perché né come rimediare».
«È geloso, questo lo si
era capito da tempo. Ed è evidente che la sua gelosia lo abbia portato a vedere
cose che non esistono... anche se, ripeto, io avrei scommesso che ci fosse una
tresca in corso tra te e la Volpe».
«È ridicolo. E io ho
sempre avuto fiducia in lui, perché non poteva fare altrettanto?».
«Magari se gli dai il
tempo di sbollire un po’ la rabbia, sarà più semplice farlo ragionare».
Hime scosse il capo. «È
una persona maledettamente orgogliosa, l’ho già provato in passato. Crede che
l’abbia tradito e lui non perdona un affronto simile... non sarà facile per
niente. Non sono neanche sicura di voler tentare e ritrovarmi nuovamente la
porta di casa sul naso». Asciugò ora con rabbia le lacrime, stringendo
impettita le labbra. «E non ho intenzione di rinunciare a Kaede per
accontentarlo. Che vada al diavolo, se è questo che vuole».
Ayako sospirò,
maledicendo quell’idiota in tutte le lingue conosciute. «Facciamo un passo alla
volta, ok? Domani dovrai rivederlo per forza di cose e–».
«No, non verrò», la
interruppe l’altra. «Non verrò alla partita. Ho già parlato con l’allenatore
Anzai e ti assicuro che userò il mio tempo in modo migliore. Ma non verrò alla
partita. Non ce la faccio».
«Hime, non puoi superare
gli ostacoli evitandoli!», s’infervorò la prima manager, alzandosi dalla panca
e fronteggiandola. «L’Hime Sakuragi che ho conosciuto e che mi è sempre
piaciuta affrontava i problemi a testa alta e rispondendo a tono, non si
nascondeva! O mi stai dicendo che sei una codarda?».
«Forse sì!», ribatté quella
con la stessa enfasi. «Forse sono davvero una codarda o forse sto facendo un
favore all’intera squadra non presentandomi in panchina, dato che avrei lo
stesso entusiasmo di un tavolo!».
Purtroppo per lei le sue
parole vennero udite dai ragazzi, che avevano terminato gli allenamenti anche
senza la presenza delle loro manager, e la reazione di Hanamichi fu la
peggiore.
«Hicchan! Cosa diavolo
stai dicendo?! Tu domani verrai!», sbraitò il numero dieci, più rosso dei suoi
capelli, dopo aver spalancato con forza la porta. Persino l’imperturbabile
Rukawa sembrava stupito dalla decisione della sua migliore amica.
«Hana, ti prego, non
insistere».
«Insisto eccome! Abbiamo
bisogno di te, Hicchan! Ho bisogno di
te!».
Hime scosse il capo,
afferrò la sua borsa e se la mise in spalla. «Devo andare ora, Sanako mi
aspetta per le prove. Ci vediamo a casa, Hana».
«Hicchan, non andartene
così!», esclamò il fratello, che allungò una mano per fermarla. Fu più lesta e il
rossino l’avrebbe di certo seguita se non fosse stato per Kaede che lo afferrò
per la maglia e lo tirò indietro.
«Lasciala andare. Le
parlerai più tardi con calma».
Hanamichi fu tentato di
pestarlo per levarselo dai piedi e raggiungere la sorella, ma annuì, tra lo
stupore generale. Hime sarebbe tornata a casa, prima o poi, non avrebbe potuto
scappare per sempre. E allora l’avrebbe placcata e convinta per bene. Non
poteva assolutamente pensare di lasciarli in asso così, per una partita che
aveva il sapore di una finale, invece di una semi. Non glielo avrebbe potuto
perdonare. Lui aveva bisogno della sua Hicchan, come tutti gli altri.
E lei aveva bisogno dei
suoi amici per superare la brutta faccenda.
*
«Ho combinato un casino,
vero?».
Mitsui osservò la sua
ragazza di sbieco, abbozzando un ghigno. «Uno dei tanti, sì».
Kiyo sbuffò,
sinceramente dispiaciuta. Se solo si fosse fatta i fattacci suoi! Quella era
l’ennesima prova che lei e i rapporti sociali erano cane e gatto. Non sapeva
tenere su una discussione senza fare gaffe, era risaputo – quelle con Sana non
facevano testo, dato che tra le due era l’amica a collezionarle una dopo
l’altra.
«Non pensarci troppo,
non potevi saperlo», cercò di rassicurarla Hisashi, accompagnando le parole con
un buffetto sulla guancia. «Nemmeno io ne avevo idea».
La ragazza si strinse
nelle spalle. «Vedi di non ridurti come lei, nel caso dovesse andare male».
Dopo un primo momento di
smarrimento, il cestista scoppiò a ridere alla sola idea. «Conoscendoti, potrei
solo festeggiare!».
«Ah, sì? Ma bene, inizia pure», sbottò con
falsa indignazione la ragazza, che si mise la sacca dell’allenamento in spalla
e si avviò velocemente verso l’uscita.
Hisashi ghignò,
affrettandosi, nei limiti del possibile, a seguirla. Purtroppo quel diavolo di
ragazza che si ritrovava, allungò il passo, lasciandolo indietro e in visibile
difficoltà.
«Ehi, strega! Aspettami!»,
esclamò, borbottando maledizioni tra i denti a quello stronzo di Toshiro che
l’aveva ridotto così, ancora una volta in stampelle e impossibilitato a giocare.
«Vedi di non ammazzarti»,
lo rimbeccò lei, senza rallentare. «Lumaca».
«Donna, sappi che prima
o poi queste stampelle dovrò lasciarle a casa, e allora te la farò pagare», la
mise in guardia il giocatore di basket. «Oh, se te la farò pagare».
«È una minaccia?»,
domandò Kiyo, voltandosi a guardarlo.
«No. Una promessa».
Il sorriso sghembo che
gli increspò le labbra e le implicazioni che quello sguardo nascondeva la
fecero arrossire come una ragazzina alla prima cotta. Scacciò scomode immagini
dalla mente con una scrollata di spalle. «Che fai, torni a casa?».
«Prima riaccompagno te».
Kiyo si morsicò un
labbro. «Non abito lontano, lo sai. Non è il caso che ti affatichi per niente».
«Mi sentirò molto più
tranquillo sapendoti al sicuro».
«Quello lì non può farmi
più niente... per il momento».
Hisashi strinse i denti.
«Ma non sappiamo quando uscirà di galera».
«Oh, beh, allora se
anche dovessimo incontrarlo, come pensi di difendermi?», domandò Kiyo, prima
che potesse fermarsi. «Lo tramortirai con una stampella?».
Mitsui fermò i passi
malfermi, guardandola storto e sentendosi una nullità, per la prima volta dopo
mesi. Aveva ragione, non avrebbe potuto difenderla da un altro assalto, non con
il ginocchio in quelle condizioni. Non poteva neanche giocare, per colpa del
dannato menisco. Non serviva a niente, in quel momento. Era solo un peso.
«Oh, no, non pensarci
neanche per un istante», lo rimproverò Kiyo, avvicinandosi a lui e riconoscendo
quello sguardo furioso con se stesso e demoralizzato. Era lo stesso che gli
aveva visto l’anno prima, quando lei era ancora una matricola in vista della
bocciatura, e lui, tra una scorribanda e l’altra, si faceva vedere a scuola. «Non
ti permetto di ricaderci, dovessi pestarti per fartelo capire!». Hisashi sgranò
gli occhi, ma lei non si scompose affatto. «Hai un passato che ti ha insegnato
a non arrendersi mai, no? Continui a ripeterlo ogni volta che qualche tuo compagno
perde speranza e sei il primo a dover seguire i tuoi consigli, se vuoi che lo
facciano anche gli altri. E, beato te!,
hai così tanti amici pronti a sostenerti in momenti come questi. Hai me. Non ricaderci, Mitsui, o giuro che–».
Sentì un rumore metallico
contro il lastricato del cortile liceale, ma tutto svanì nel momento in cui le
sue labbra vennero baciate da quelle fameliche di lui, che aveva abbandonato le
stampelle sui fianchi e aveva usato le mani per avvicinare il viso al suo. Kiyo
lasciò cadere la sacca dell’allenamento e lo abbracciò con forza, ricambiando
quel bacio rude e infuocato del numero 14, che sapeva di gratitudine e sorpresa
per quelle parole pronunciate con così tanta intensità. Ogni dubbio, ogni
paura, ogni pensiero negativo, vennero affogati tra le labbra, tra sospiri, tra
carezze.
Fu solo quando udirono i
fischi entusiasti di quei due dementi di Hanamichi e Ryota, che furono
costretti a fermarsi – e forse fu meglio così, viste le pupille dilatate e il
respiro accelerato di entrambi.
«Dove diavolo state
andando?», domandò con falsa indifferenza Hisashi, notando che si stessero
avviando verso l’aula magna.
«Prove del concerto di
fine anno», fu l’allegra risposta di Kimi, che si rigirò le bacchette da
batterista tra le dita affusolate. Miyagi, al suo fianco, non pareva ugualmente
felice della cosa e, se non fosse stato per Ayako che, a quanto pareva, ci
teneva più della sua stessa vita che suonasse a quel dannato spettacolo,
avrebbe già spaccato il suo strumento musicale in testa a quella pazza della
signora Tsukiyama e agli scemi dei suoi amici che ancora lo sfottevano per il
fatto che suonasse il basso.
«E tu cosa vai a fare?»,
continuò l’interrogatorio Mitsui, rivolto al rossino.
«A sfottere il Capitano,
mi sembra ovvio!».
Appunto.
Ryota però non diede
segni di irritazione. Come amava ricordarsi, lui era il Capitano. E avrebbe avuto la sua dolce vendetta ai prossimi
allenamenti.
«E a tenere d’occhio
Hicchan», aggiunse in un borbottio Hanamichi. «Ho la brutta sensazione che tenterà
di dormire a casa di qualcuno, pur di non dovermi parlare», aggiunse, scrutando
Ayako in cerca di conferme.
Questa scosse il capo. «Non
mi ha chiesto niente, e anche se dovesse, non accetterei. Anche perché se c’è
qualcuno che può convincerla a venire alla partita sei proprio tu, Sakuragi».
Hanamichi arricciò il
muso, ficcandosi le mani fredde in tasca. «Non ne sono tanto sicuro».
«Do’aho, sai fare solo
una cosa. Vedi di farla bene», fu l’ultimo saluto di Rukawa, che si allontanò
dal gruppo con un vai e ammazzati che
lo seguì fino a casa.
*
Hime strinse le labbra,
mentre osservava i ragazzi della band ritirare i loro strumenti e avviarsi pian
piano verso casa. Sentì il pesante sguardo del fratello perforarle la nuca e
sospirò. Le aveva tentate tutte, pur di non affrontarlo. Aveva chiesto ad Ayako
di dormire da lei, a Sanako, persino alla ragazza di Mitsui con cui non aveva
alcuna confidenza – e che si era persino scusata per la triste uscita di poco
prima –, ma nessuna pareva avere posto in casa per lei. Pareva una congiura.
Prese un bel respiro,
conscia che non avrebbe potuto scappare neppure tardando la stesura di appunti
che non doveva prendere, in quel taccuino che sputava solo “Kiyota ti odio, Kiyota ti odio”. Alla
faccia del mi riempio di cose da fare per
distrarmi.
Accidenti a lui.
«Hicchan, andiamo a
casa? Sto morendo di fame!», si lagnò Hanamichi, che in realtà aveva lo stomaco
chiuso per la partita del giorno dopo e per lo stato emotivo della sorella.
«Perché non inizi ad
andare, Hana? Ti raggiungo tra un attimo, devo ancora finire un paio di cose e–».
Il taccuino le sparì da
sotto il naso e Hanamichi le rifilò un’occhiataccia che raramente gli vedeva in
volto – se non prima di una rissa. «Andiamo a casa, Hicchan».
Con uno sbuffo neppure
tanto celato, la seconda manager si alzò con pesantezza, ritirando le sue cose
e salutando gli ultimi rimasti. Il tragitto verso casa fu insolitamente
silenzioso, privo delle scemenze che solitamente quei due sparavano, pur di
dare fiato alla bocca. Erano poche le volte in cui era successo, soprattutto
era raro che avessero discussioni serie. Non litigavano quasi mai, se non per
futili motivi e per meno di cinque minuti – dato che nessuno dei due amava non
parlare all’altro per così tanto
tempo.
Quella volta, però, Hime
l’aveva combinata grossa, nonostante avesse tutte le ragioni del mondo, e
sapeva che Hanamichi non l’avrebbe perdonata se il giorno dopo non fosse stata
presente in panchina. Ma come avrebbe potuto trovare la forza di farlo e di
affrontare Kiyota come se la cosa non le lacerasse il cuore?
La casa li accolse buia
e silenziosa, segno che la madre fosse ancora in ospedale. Hime tentò la fuga
verso il bagno, per rinchiudersi dentro finché Hanamichi non fosse crollato
dalla stanchezza, ma il fratello aveva altri piani per la testa. La prese per
un polso prima che potesse filarsela e la costrinse a sedersi sul divano
accanto a lui.
«Hana, chiudiamola
subito qui, ok? Non verrò alla partita. Non ce la faccio», esordì Hime, tenendo
gli occhi bassi. «Ho intenzione di andare... di andare a controllare la partita
tra Ryonan e Shoyo, per studiarli un po’. C’è quel Daichi Anami da tener
d’occhio, ricordi? Anzai-sensei è già al corrente
della cosa e sarei davvero più utile così. È uno dei miei compiti, no? Cercare
di capire gli avversari e–».
«E a cosa servirà?», la
interruppe Hanamichi, lo sguardo duro su di lei. «Mitchi non gioca, tu non ci
sarai a sostenerci insieme a lui e Ayako, farò schifo e perderemo. Cosa serve
andare a studiare avversari contro cui non giocheremo?»
«Hana, non farai schifo
solo perché non ci sarò. Tu sei il giocatore che sei perché stai mettendo anima
e corpo in quello che fai, non certo perché una scema come me si mette a
gridare oscenità dalla panchina per spronarti».
«E invece sì!»,
s’inalberò il ragazzo. «Hai idea di cosa significhi per me averti lì? Poterti
guardare e ricevere un tuo sorriso di incoraggiamento? Tu non capisci quanto tu
sia importante per me, Hicchan. Anche quando sono in campo».
Come la piagnucolona che
aveva scoperto di essere in quei due giorni, Hime scoppiò in lacrime e
abbracciò il fratello, commossa e tremendamente in colpa per il suo egoismo. Aveva
dato per scontato che avrebbe capito i suoi motivi e l’avrebbe supportata nella
sua scelta di stare lontana da Nobunaga. Del resto, era normale tentare di
evitarlo per soffrire un po’ meno. Ma Hanamichi era la sua metà perfetta ed era
normale che senza di lei si sarebbe sentito svuotato di una parte di sé. Non
ricordava il giorno in cui aveva iniziato ad amare il basket, un amore
incondizionato che non conosceva limiti: ma da quando Hanamichi aveva deciso di
far parte della squadra del liceo, seppur per far colpo su Haruko, le sorti
dello Shohoku e dei suoi giocatori erano diventate fonte di gioia e
preoccupazione. Mai, in quei mesi, aveva perso un allenamento, tanto meno una
partita, per giunta così importante.
«Mi dispiace, Hana-chan», sussurrò tra le lacrime. «Sono una stupida! Ma
davvero, non ce la faccio. È successo solo ieri e... fa così male».
Il ragazzo le accarezzò
i capelli indiavolati, come sempre ritirati nella sua pinza gigante e marrone,
e sospirò. «Lo so, Hicchan, ma pensaci un attimo: è lui in torto, non tu, no? Lui dovrebbe evitare di farsi vedere, non tu. E non hai pensato a quando
perderanno? A quanto sarà esaltante vederli lasciare il campo con la coda tra le
gambe, mentre noi festeggiamo la vittoria? Vuoi che sia lui a esultare o il tuo
fratellino?».
«Ma che domande fai,
Hana», replicò lei, stringendolo forte tra le braccia.
«Allora verrai, sì?».
Hime strinse le labbra,
combattuta. Oh, quanto sarebbe stato difficile sopportare la sua presenza e le
sue provocazioni – sempre che la degnasse di uno sguardo. Hanamichi aveva però
ragione: era lui in torto, non lei. Non aveva fatto nulla di male e poteva
ancora camminare a testa alta. Sì, sarebbe stato difficile, ma avrebbe stretto
i denti e lo avrebbe fatto per suo fratello, per la sua squadra, per i suoi
amici.
E per se stessa.
«Verrò».
Continua...
* * *
Che sofferenzaaaah. La mia adorata
Hicchan. 3
Perdono per il lungo ritardo – blamemybosses.
Se non dovessi aggiornare nuovamente entro la fine dell’anno,
approfitto per l’occasione per augurarvi un stupendo 2017 – e un felice Natale,
se lo festeggiate.
GRAZIE a caratteri cubitali per avermi seguita tutto questo
tempo, anche durante la mia lunga assenza. Siete m e r a v i g l i o s i / e.
Le gambe non le
tremavano così tanto da quando Hanamichi era finito in ospedale per
l’infortunio alla schiena.
Era terribile e
spaventoso ciò che stava provando per colpa di quell’idiota. Se avesse saputo
quanto doloroso sarebbe stato innamorarsi, si sarebbe data due sberle da sola
per rinsavire e non caderci come una pera troppo cotta dall’albero. Camminava
accanto al fratello, che le stringeva con forza una mano, diretti insieme alla
squadra verso gli spogliatoi del palazzetto in cui avrebbero disputato la
partita contro il Kainan. Riusciva a vedere la porta che, per qualche tempo,
l’avrebbe tenuta in salvo da scimmie saltanti col codino prima dell’entrata in
campo, ma la fortuna le sghignazzò in faccia nel momento in cui l’intera
squadra avversaria al completo li incrociò lungo il corridoio.
Hime fermò i suoi passi,
congelata nel vedere il numero 10 già bello che pronto con fascia viola e casacca.
Stinse la mano di Hanamichi con tutta la forza che aveva in corpo, per cercare
un minimo di sostegno che le gambe, ormai, non le assicuravano più.
L’indifferenza del ragazzo dai capelli neri le tagliò il fiato in gola e si
ritrovò a digrignare i denti pur di non reagire.
«Ragazzi, buongiorno», li salutò il
sempreverde cortese Shin’ichi Maki, che strinse la mano all’altro Capitano con
rispetto.
«Maki», accennò Ryota.
«Pronto per un po’ di movimento?».
Il numero 4 del Kainan
ghignò. «Lo sono sempre, Miyagi. Sarà un piacere marcarti ancora una volta.
Anche se sarà strano non vedere Akagi in campo».
«Tranquillo, Nonno-Maki,
sarò il suo degno sostituto!», esclamò Hanamichi, esuberante come sempre.
«Quante volte dovrò
dirtelo?!», attaccò Kiyota, muovendo qualche passo verso di lui e, di
conseguenza, lei. «Porta rispetto al Capitano, stupida Scimmia!».
Hime chiuse gli occhi
nel momento in cui il suo familiare profumo la fece vacillare, e dovette
reggersi a Kaede, al suo fianco, quando Hana lasciò la presa alla sua mano
sudata per afferrare la collottola del suo ormai ex-ragazzo.
«Chi sei tu per parlarmi
di rispetto? Non hai idea di cosa sia», gli sibilò Sakuragi, sovrastandolo dal
suo metro e ottantanove di statura. «Non provocarmi, oggi, o giuro che ti faccio
a pezzi».
«Hanamichi, datti una
calmata. Il Sensei Anzai sta arrivando», lo mise in allerta Mitsui, guardandosi
le spalle.
Kiyota non parve affatto
intimidito e ghignò. «Fai pure. Non sarà un occhio nero a fermarmi, oggi».
«No, infatti. Sarò io», replicò il rossino. Poi gli si
accostò all’orecchio, sussurrando per non farsi sentire dall’allenatore. «E non
pensare che finisca qui. Io non ho dimenticato cosa ti dissi in ritiro riguardo
mia sorella: “non farla soffrire o te la
vedrai con me”».
Nobunaga lo spintonò via
e lanciò una breve e sprezzante occhiata alla seconda manager dello Shohoku,
appesa al braccio dell’odiato Volpino – chi altro, se no? «Ah, ma come vedi non
l’ho fatta soffrire; è in buona compagnia e sicuramente più felice di me».
Hime non resse oltre e
corse verso gli spogliatoi, maledicendo la sua infinita debolezza e
quell’idiota. Shin’ichi e Soichiro si scambiarono un’occhiata preoccupata.Sarebbe stata una partita pesante, quella.
«Ci si vede tra poco in
campo, ragazzi», disse Maki, per spezzare il silenzio. «Mi dispiace, Mitsui,
che non sarai presente. Dico davvero».
Hisashi scrollò le
spalle. «Sarò in forma per la finale, tranquillo».
Jin sorrise, affabile.
«Intendi dire per tifarci?».
«Come no», ghignò
Hisashi di rimando, stringendogli la mano.
Ripresero ognuno la
propria strada in silenzio, finché Rukawa, passando accanto a Kiyota, gli diede
una possente spallata che lo fece finire addosso al povero Miyamasu, tra
vergognose imprecazioni e un principio di rissa che, per fortuna, Kaede non
raccolse.
Trovarono Hime con gli
occhi arrossati ma, incredibilmente, sorridente. Batté le mani e saltò su una
panca. «Allora, ragazzi, pronti a prenderci la nostra doverosa rivincita?».
Hanamichi, dopo il primo
momento di stupore, scoppiò a ridere e l’abbracciò con entusiasmo, sollevandola
per aria come una bambola. «Questo è lo spirito dei Sakuragi! Ahahaha!».
Rukawa alzò gli occhi al
cielo, esasperato.
Tra chiacchiere leggere
e qualche battuta per smorzare la tensione, i ragazzi si prepararono all’imminente
fischio d’inizio. Non vedevano l’ora di dare una lezione al tanto stimato e
temuto Kainan. Avrebbero dimostrato loro quanto fossero diventati più bravi e,
se possibile, più combattivi di mesi fa, nonostante l’assenza di Akagi e quella
forzata di Mitsui. Hanamichi, con Hime in panchina che pareva aver ritrovato il
suo spirito, era convinto che sarebbe riuscito a fare qualsiasi cosa. Osservò
la sorella prendere posto accanto all’allenatore e ad Ayako, mentre
chiacchieravano fitto fitto su chissà quale cosa, e sorrise come un ebete.
La sua Hicchan.
Entrarono in campo tra
il boato del pubblico, eccitato all’idea di vedere quella partita che, come la
prima di qualche mese addietro, si prospettava eccitante come una finale. Dagli
spalti i Gundam, accompagnati dagli infiltrati Kiyo, Akagi e Kogure, stavano
scaldando le bottiglie riempite di pietre, sbattendole una contro l’altra e
facendo un casino infernale.
Hime ridacchiò a una
battuta di Ayako, ma il sorriso le morì in gola appena incrociò lo sguardo di
Kiyota, che palleggiava nella metà campo del Kainan. Gli restituì l’occhiata
astiosa con lo stesso entusiasmo e, grazie al cielo, riuscì a non scoppiare in
lacrime. Orgogliosa di se stessa per non aver calpestato ancora una volta la
poca dignità rimasta, ricordò di quando, durante il ritiro precedente ai
Nazionali, lo stesso Kiyota l’aveva insultata per il medesimo motivo:
l’infondata gelosia nei confronti di Kaede. All’inizio aveva sofferto tanto,
soprattutto quando aveva creduto che tra loro potesse nascere qualcosa; ma una
volta rinsavita, grazie al supporto morale del suo adorato fratellone, aveva
messo da parte la tristezza e aveva tirato fuori gli artigli. Il disgraziato
era tornato con la coda tra le gambe a chiederle scusa.
Solo che questa volta
avrebbe dovuto fare molto di più per riconquistarla – se mai avesse avuto
intenzione di farlo. Era stata accusata ingiustamente, ancora una volta, quando
lei non aveva occhi che per lui. Che andasse al diavolo! Non aveva bisogno di rovinarsi
l’appetito per i suoi insensati momenti di gelosia.
Mitsui si mosse
irrequieto, accanto ad Ayako, mentre osservava Jin allenarsi dalla linea dei
tre punti con tutta la disinvoltura per cui era famoso. «Quanto vorrei essere
in campo per spaccargli il c–».
«Senpai!», lo rimbeccò
subito la manager, il temuto ventaglio in mano pronto a colpire.
«–il canestro. Per spaccargli il canestro a furia di triple», sviò il
tiro la guardia in un sorriso falso come Kobe Bryant nei Chicago Bulls. «Dico sul serio, se Kimi non si dà da fare oggi,
giuro che chiedo la sostituzione anche con un ginocchio sfasciato».
«A-ha».
«A proposito, Mitchi,
hai già iniziato la fisioterapia?», domandò Hime.
«Yep.
Ieri mattina. Ho anche saltato una pallosissima lezione di storia», aggiunse,
strizzandole un occhio.
«Non tutti i mali
vengono per nuocere, allora!», ridacchiò lei.
Nobunaga mancò in pieno
il libero che stava provando, quando sentì la sua risata, e strinse i pugni.
Rideva come se niente fosse, la traditrice! E lui che non riusciva a dormire la
notte da quasi una settimana! Continuava a rivivere il momento in cui era
comparsa a casa sua, fingendo di non sapere, senza neppure provare a montare
una scusa plausibile. Era stata così brava a mentirgli per tutto quel tempo.
Solo amici, un paio di palle.
Intravide il Volpino
avvicinarsi alla panchina insieme agli altri, richiamati dalla prima manager, e
digrignò i denti nel vederlo punzecchiare la Sakuragi lanciandole un
asciugamano in viso.
«Kiyota!», lo richiamò il
Capitano, per la terza volta. «Cerca di lasciare i tuoi problemi fuori dal
campo, se non vuoi rimanere con loro in panchina».
«Sì, signore», borbottò
lui, raggiungendo la sua squadra in silenzio. Non era esattamente il tipo di
partita che aveva avuto in mente, qualche settimana prima. Credeva che sarebbe
stato divertente, nonostante i rispettivi spiriti di competitività di entrambe
le squadre; voleva mettersi in mostra davanti alla sua ragazza, provare a
rubarle qualche urlo di incitamento, nonostante fosse un avversario; avrebbe
voluto vedere Sakuragi incazzarsi per questo, battibeccare e ridere della cosa,
perché la sua Hicchan lo amava così tanto da dimenticarsi persino della loro
rivalità.
Ingoiando una colorita
imprecazione, si diede due forti pizzicotti sulle guance, per ritornare con i
piedi per terra e ascoltare le istruzioni dell’allenatore Takato. Doveva
impegnarsi, doveva segnare più punti di Rukawa, umiliare il dannato Volpino,
rubargli il titolo di migliore rookie della Prefettura e dimostrare a quella
maledetta traditrice cosa avesse perso scegliendo un perdente come quello. Era
un ottimo piano, il suo. Doveva solo trovare la giusta concentrazione per
metterlo in atto. Del resto era Nobunaga Kiyota, il pianificatore numero uno di Kanag–
«Ca-capitano!»,
piagnucolò, accarezzandosi la testa dolorante per lo scappellotto appena
ricevuto.
«Cosa ha appena detto
l’allenatore?», domandò Maki, incrociando le braccia al petto.
Nobunaga arrossì fino
alla punta delle orecchie e si grattò la nuca, in imbarazzo. «Che dobbiamo
schiacciare quelle schiappe?». Il numero quattro gli riservò un’occhiata
micidiale e si sentì piccolo piccolo.
Dannazione, concentrati Nobunaga, concentrati!
L’arbitro fischiò la
fine del riscaldamento e le squadre si posizionarono in campo. Questa volta lo
Shohoku schierava anche il Capitano e la sua ala piccola dal primo minuto,
segno che non aveva alcuna intenzione di risparmiare le energie. Kimi, come
contro il Miuradai, sostituiva Mitsui, e Eichiro ricopriva il ruolo di ala
grande. Maki, che a differenza di altre squadre non aveva avuto grossi
cambiamenti in fatto di giocatori, dato che tutti loro avevano ricevuto una
borsa di studio per l’università e non dovevano prepararsi per superare le
selezioni, non aveva idea di come giocassero i due gemelli, la più grande
incognita dello Shohoku – sebbene avesse le sue fonti, che gli avevano
descritto schemi folli e micidiali; d’altra parte, Mitsui era ancora
impossibilitato a giocare, il ché era un’ottima carta a loro favore,
soprattutto per Jin. La prima volta che il Kainan aveva giocato contro lo
Shohoku, aveva commesso il grande errore di sottovalutarli, considerandoli
meteore, inesperti, egoisti e giocatori che non avevano più resistenza fisica;
la seconda volta, durante il ritiro, aveva imparato a capire e memorizzare il
loro stile di gioco; durante i Nazionali, quando erano andati a vederli
giocare, si erano resi conto della grande squadra che quei ragazzi formavano, e
in così poco tempo. Quel giorno Maki sapeva che sarebbe stata una partita dura,
durissima. Ma lui amava le sfide e non vedeva l’ora di iniziare.
Sperava solo che la
Scimmietta, che ora stava sistemandosi la fascia viola sulla fronte, non fosse
troppo occupata ad arrovellarsi le cervella sulla bella seconda manager in
rosso, seduta poco più in là.
Hanamichi e Takasago si
posizionarono a centro campo, pronti per la palla a due. Il pubblico trattenne
il fiato, finché fu il numero 10 dello Shohoku a guadagnare il primo possesso
della partita e il boato fu assordante.
Hime si mordicchiò le
labbra, in tensione. Sarebbero stati i 40 minuti di gioco più lunghi di sempre.
Ryota palleggiava con
calma, mentre i ragazzi formavano lo schema d’attacco. A serrargli la strada un
determinato Shin’ichi Maki, che cercò il corpo a corpo quando Miyagi fece per
scartarlo. Con un ghignò di sfida, il Capitano dello Shohoku fece scivolare la
palla dietro la schiena e servì Eichiro, pronto a ricevere. Questo, come un
fulmine, passò al fratello che, smarcatosi da Soichiro, si posizionò dietro la
linea dei tre e tirò.
L’intera panchina dello
Shohoku si alzò in piedi, esultante, come se avesse appena vinto l’incontro.
Sapevano che ogni punto fosse fondamentale, contro il Kainan, meglio ancora una
tripla come quella.
I Diavoli Rossi corsero
in difesa, mentre Maki riorganizzava l’attacco. Vide Kiyota agitarsi per
chiedergli palla e, sperando di non pentirsene, lo accontentò. Nobunaga era,
difatti, indemoniato e voleva assolutamente spegnere tanto entusiasmo con una
delle sue spettacolari schiacciate. Rukawa, che gli bloccava la via, lo fissò
gelido, in una tacita sfida a smarcarsi. Kiyota non aspettava altro.
Si mosse contro il
numero undici con prepotenza, che ovviamente non cedette un passo, facendolo
spazientire; il suo secondo attacco fu decisamente più duro, tanto da far
perdere l’equilibrio all’ala piccola dello Shohoku e guadagnandosi fallo in
attacco.
«Merda», sibilò,
lasciando cadere il pallone con stizza.
«Datti una calmata», lo
ammonì Rukawa.
«Che cosa hai detto?!»,
s’inalberò Nobunaga, subito ripreso dal suo Capitano.
«Ehi, Nonno Maki! Cerca
di tenere al guinzaglio quella scimmia, se non vuoi che si faccia male»,
esclamò Hanamichi, con strafottenza.
Hime strinse le labbra,
assistendo alla scena. Se quello era solo l’inizio, era più che sicura che
sarebbero arrivati alle mani entro la fine del primo tempo. «Hana!», lo sgridò.
«Pensa a giocare!».
Il fratello le scoccò
un’occhiata imbronciata, ma seguì il consiglio. La partita era lunga, avrebbe
avuto modo di fargliela pagare bene, al caro Kiyota.
La seconda manager si
lasciò cadere sulla sedia e Ayako le batté una mano sul braccio.
«Cerca di stare
tranquilla, sei un fascio di nervi», le disse la senpai.
Hime sospirò, guardando
Nobunaga e Kaede spintonarsi sotto canestro. «Non gliela faranno passare
liscia, sono preoccupata».
«Non lo farei neppure
io», fu il commento di Mitsui, i gomiti poggiati sulle cosce e gli occhi blu
fissi in campo. «Nessuno di noi sopporta quello che ti ha fatto. Il minimo che
possano fare quei due è umiliarlo in campo». “I cazzotti arriveranno a porte chiuse”, terminò mentalmente, dato
che Anzai aveva le orecchie tese, pronte a cogliere qualsivoglia intenzione
manesca nella sua voce.
In campo, nel frattempo,
Hanamichi aveva sbagliato un tiro, deviato proprio da Kiyota, grazie alla sua
elevazione notevole che gli aveva permesso di sfiorare la palla quel tanto che
bastava per deviarne la traiettoria. Il contropiede di Maki fu energico come
un’onda contro lo scoglio e il Kainan segnò i suoi primi due punti.
Il ghigno soddisfatto
che Nobunaga lanciò a Sakuragi lo mandò su tutte le furie e fu quella la goccia
che fece traboccare il vaso. Da quel momento, infatti, fu guerra aperta e i
corpo a corpo si fecero più intensi e fallosi. Persino Kaede, incacchiato
com’era contro la Scimmia del Kainan e deciso a vincere la partita, aveva
iniziato a calcare la mano, sia in difesa che in attacco, e l’arbitro dovette
fermare il gioco parecchie volte per richiamarli all’ordine. Al decimo minuti
di gioco, su passaggio di Ryota, chiuse una splendida azione con una
schiacciata micidiale, che mandò su tutte le furie sia Hanamichi che Kiyota e
portando lo Shohoku in vantaggio di ben otto punti.
Takato, in panchina, era
furibondo e chiamò subito un time-out per cantarne quattro ai suoi giocatori.
Aveva capito che qualcosa non andasse, soprattutto nel suo numero dieci, e che
lo Shohoku fosse diventato una squadra temibile, nonostante assenze importanti:
ma non avrebbe permesso a quei cinque pivelli di sbatterli fuori ad un passo
dalla finale.
Nobunaga si sedette sbuffando, nascondendo il
viso sudato sotto un asciugamano e lasciandosi scivolare addosso le parole
irate dell’allenatore. Non erano neppure a metà partita e aveva già il fiatone.
Lui, un giocatore del Kainan King sottoposto a estenuanti allenamenti ogni
santo giorno, aveva il fiato corto!
Strinse i pugni,
pensando agli sguardi astiosi di Sakuragi, Miyagi e Rukawa. Era palese quello
che stavano facendo: volevano a tutti i costi la rivincita del campionato scolastico
estivo e, come se non bastasse, erano evidentemente incacchiati neri. Maledetti
teppisti. Se solo avessero saputo la verità – chissà quale balla colossale
aveva raccontato la traditrice! – probabilmente ora non avrebbero preso in modo
così personale la sua rottura con quella stupida hippie.
«Nobunaga, cerca di
reagire», fece la bonaria voce di Soichiro, al suo fianco. «Tutto si può
sistemare, ne sono sicuro. Ma i problemi esterni rimangono tali. Concentrati, o
rischi sul serio la panchina. E non solo per questa partita, lo sai bene».
Kiyota strinse
ulteriormente i pugni, tremante di rabbia. Quando il match riprese si sentiva
così incazzato che, se avesse morsicato qualcuno, era più che sicuro l’avrebbe
avvelenato a morte. Intercettò un passaggio diretto a Kimi, tra le grida di
incitamento di Shin’ichi e Jin, e scartò con decisione Rukawa. Davanti a sé,
però, Hanamichi gli chiuse la strada e, si sa, col Rosso non si passa. Tentò, infatti, un terzo tempo, ma il
centro dello Shohoku spazzò via la palla prima che iniziasse la sua parabola
discendente verso il canestro. Akagi, sugli spalti, fu orgoglioso di lui.
«Vai così, Hana!», gridò
Hime, in piedi sulla sua sedia le mani a imbuto sulle labbra.
Il rossino scoppiò a
ridere, alzando il pugno al cielo. «Lo Schiacciamosche del Gorilla colpisce
ancora! Ahahaha!».
«Zitto e corri in
difesa!», esclamò Ryota. «L’azione non è ancora terminata!».
La palla, infatti, era
finita nuovamente nelle mani del Kainan e Muto, che comandava il possesso, passò
subito a Maki per impostare l’azione di gioco. Jin era marcato stretto dai
Gemelli Siamesi, che non avevano alcuna intenzione di permettergli di tirare da
tre, Hanamichi teneva sotto scacco il loro Centro e Kiyota non riusciva a
levarsi dalle scatole il Volpino. L’unico libero era proprio Muto, ma non era
in una buona posizione per provare un attacco. Sorrise allo sguardo
strafottente di Ryota, che non lo mollava un attimo, e lo sorpasso con una
decisa ma non fallosa azione, facendosi spazio con una spalla e rompendo il
muro della difesa.
«Capitano!», gridò
Kiyota, che ricevette un passaggio preciso e pulito una volta trovato un
piccolo spiraglio nella marcatura di Rukawa.
«Avanti, mezza sega», lo
provocò Kaede. «Mi sto annoiando».
Nobunaga divenne verde
dall’ira. «Oh, mi dispiace tanto. Sono sicuro che la tua nuova ragazza saprà
come soddisfarti».
Mai l’avesse detto.
La difesa di Rukawa si
fece così aggressiva che Kiyota perse possesso quasi senza accorgersene. Di
riflesso cercò di riprendersi il pallone, più per la stizza contro quella Volpe
– che non solo gli rubava l’azione in modo così imbarazzante, ma persino la
ragazza di cui era innamorato –, che per la reale voglia di rimediare al suo
errore; il risultato fu che strattonò la palla forza e si beccò una gomitata
accidentale sull’occhio, proprio dal suo acerrimo nemico. Non si rese conto di
sanguinare finché i suoi compagni non lo osservarono con allarmismo e persino
quella traditrice si alzò dal suo posto, con le mani sulle labbra e l’aria preoccupata.
«Kiyota!», esclamò Maki,
avvicinandosi al ragazzo e controllando la ferita al sopracciglio. Fu lesto a
trattenerlo per la maglia, prima che saltasse addosso al numero 11 dello
Shohoku per menare le mani.
«Che diavolo di problemi
hai?!», sbraitò Nobunaga, mentre l’arbitro fischiava l’interruzione momentanea
della partita.
«Hn,
non ti ho visto».
«Come hai fatto a non
vedermi?! E cosa hai al posto del gomito? Un cazzo di rasoio?».
«Piagnone. Per un
taglietto», borbottò Kaede, scrollando le spalle e dandogli la schiena.
L’occhiata d’intesa tra lui e Hanamichi passò per fortuna inosservata, dato che
la loro seconda manager era stata chiamata in campo per controllare le
condizioni del giocatore del Kainan, in veste di infermiera provvisoria per la
consueta mancanza di un medico nello stabile.
Appena Nobunaga si
accorse di lei, che stringeva la cassetta del primo soccorso come se fosse
l’unico appiglio a cui reggersi, sbraitò di non aver bisogno di una balia e che
si trattava di un taglietto – appunto.
«Kiyota, non sei un
bello spettacolo, credimi», gli disse Miyagi.
«E quando mai lo è!», fu
l’intervento di Sakuragi.
«Quello che intendo
dire», alzò la voce il Capitano dello Shohoku, «è che stai perdendo molto
sangue e ti si vede la carne viva. Per me ci vuole qualche punto».
Hime annuì, mordendosi
il labbro con forza.
«E dovrebbe essere
questa qui a medicarmi? È la volta buona che ci lascio le penne, allora»,
sbottò Kiyota, regalandole una smorfia. «Col cavolo che mi tocchi di nuovo».
«Allora puoi benissimo
beccarti un’infezione, almeno finalmente ci liberi dalla tua inesauribile
stupidità!», esclamò Hime, che ormai aveva oltrepassato il limite della
sopportazione.
«Ben detto, Hicchan!»,
esclamò Hanamichi. «E nemmeno io voglio che ti avvicini a quella scimmia, sciò sciò, stalle lontano, maledetto idiota».
Nobunaga fece per
rispondere a tono, ma Maki lo zittì con una tirata d'orecchie e lo trascinò
verso la panchina. «Vai in infermeria, prima che ti ci spedisca a calci».
Ingoiando tante di quelle
imprecazioni da fargli venire una congestione, Nobunaga si strascicò verso lo
stanzino, seguito a debita distanza dall’ormai odiata ex ragazza, mentre il
fratello le gridava dietro di fermarsi e di lasciarlo morire dissanguato. E,
sebbene fosse proprio quello che avrebbe voluto fare, Hime proseguì in
silenzio, seguendolo dentro l’infermeria. Lo osservò con la coda dell’occhio
fermarsi davanti a un armadietto, le mani strette a pugno lungo i fianchi e le
spalle larghe tese dalla rabbia.
Per tutti gli dei,
quanto avrebbe voluto abbracciarlo. Le mancavano infinitamente quelle braccia
confortanti, il ritmo calmo del suo cuore contro la guancia, il profumo della
sua pelle misto a quello del bagnoschiuma. Voleva odiarlo con tutta se stessa,
eppure continuava ad amarlo. Povera, stupida sciocca.
«Sdraiati».
«Non darmi ordini»,
sbottò il ragazzo. «Lascia la cassetta qui, mi disinfetto da solo».
«E ti ricuci il
sopracciglio con le tue mani?».
«Di certo non lo faccio
fare a te!», replicò, voltandosi a guardarla con occhi sbarrati. Il blu delle
sue iridi era ancora più accentuato dal sangue che gli bagnava la fronte e gli
zigomi. «E non sei neppure un medico, chissà che razza di cicatrice mi lasci».
«Mia madre è infermiera,
chi credi abbia medicato mio fratello dopo ogni rissa, quando lei era a lavoro?
Chi ha ricucito Hisashi e gli altri dopo che Tetsuo e i suoi amichetti ci hanno
fatto la festa in palestra? Io».
«Non mi interessa»,
sibilò Nobunaga, avvicinandosi di un passo. Lei, come l’ultima volta,
indietreggiò, trovando però l’ostacolo del lettino alle sue spalle.
«Qualcuno deve chiuderti
quella ferita, Kiyota», parlò Hime, ritornando con freddezza al cognome. «Ora
come ora non c’è nessuno che possa farlo, tranne me. E se vuoi tornare in campo
a giocare, anziché dover andare in ospedale per la tua maledetta testardaggine,
ti consiglio di sdraiarti e di farmi lavorare. E cerca di stare zitto, almeno
questo strazio riusciamo a finirlo in fretta».
Borbottando come una
teiera, Nobunaga si ritrovò suo malgrado costretto a seguire il suo consiglio e
si sdraiò, puntando gli occhi al soffitto pur di non guardare lei. Così bella,
così determinata... e così bugiarda.
La sentì armeggiare tra
gli attrezzi della cassetta di emergenza, tra guanti in lattice e bottigliette
di disinfettanti, e, pur di non pensare alla sua vicinanza, preferì
concentrarsi sul bruciore pulsante in fronte. Quel maledetto Rukawa, l’aveva
fatto apposta, ne era sicuro! Oh, l’avrebbe–
«Ma porca zozza! Sei
matta?!», ululò dal dolore, quando Hime con la sua grazia di un elefante
dentro un negozio di cristalli iniziò a pulirgli la ferita. In realtà lei
sapeva come non fargli troppo male, ma la sua parte sadica aveva preso il
sopravvento e voleva fargliela pagare, a modo suo.
«Hai uno squarcio in
fronte. Cosa ti aspettavi? Solletico?», sbottò lei, rispedendolo bello che
sdraiato con una manata sul petto, i cui muscoli poteva chiaramente sentirli
irrigidirsi dal dolore. Riprese a disinfettarlo ora con più delicatezza e lo
sentì sospirare a lungo – forse per il sollievo, forse per la stizza. Ripulito
il brutto taglio sul sopracciglio, gli spruzzò sopra un anestetico, poiché
sapeva che non sarebbe stato fermo al primo accenno di dolore tra ago e filo.
Non voleva rischiare di cavargli un occhio, anche se lo meritava.
Uomini.
Aprì la busta
sterilizzata del porta aghi, sistemò il filo nella cruna e gli si avvicinò al
viso, per controllare che tipo di sutura fare e contare ad occhio e croce
quanti punti avrebbe dovuto mettergli. Ricordava ancora quando la madre aveva ceduto
alle sue continue richieste su come rattoppare le ferite del fratello e glielo
aveva mostrato su dei pezzi di gommapiuma – prima di usare Hanamichi come
cavia, la settimana successiva.
Se non fosse stato per la
pericolosa vicinanza del suo viso al proprio e di ago e filo che si muovevano
davanti ai suoi occhi, Nobunaga neppure si sarebbe accorto che Hime avesse
iniziato a suturarlo, seria e capace come una vera infermiera. Da quanto ne
sapeva, aveva sempre mostrato un certo interesse per la medicina, proprio come
la madre... proprio come il padre del Volpino.
Strinse i pugni fino a
tremare, tanto che lei dovette bloccarsi un attimo per non rischiare di ferirlo
sul serio.
«Ti sto facendo male?»,
si ritrovò a chiedergli, prima che potesse morsicarsi la lingua.
Kiyota mugugnò un
diniego. Se solo avesse saputo quanto male gli stesse facendo, invece; ma non
certo per due miseri punti di sutura. La sua sola vicinanza era una tortura.
Che lo volesse o meno, era ancora attratto da lei, terribilmente. Aveva sempre
adorato quella ruga di concentrazione che le compariva in fronte, quando
l’aggrottava come in quel momento; o le labbra strette in una smorfia
involontaria, con la punta della lingua che faceva capolino da un lato. Dei,
era adorabile. Perché doveva essere anche una maledetta falsa?
Con soddisfazione per il
lavoro svolto, Hime chiuse l’ultimo nodo e tagliò il filo. Da un’altra bustina
tirò fuori una garza sterile e gli coprì la ferita, per tenerla al riparo dai
batteri. Senza una parola, riprese a pulirgli il viso dal sangue rappreso e fu
solo allora che le mani iniziarono a tremare, mentre cercava di trattenere
l’impulso di accarezzargli gli zigomi e chinarsi per baciarlo.
Stupida di una Sakuragi!
Doveva odiarlo, non innamorarsi ancora di più di lui!
Ricordando il motivo di
tanto casino, gli diede le spalle, gettando il cotone sporco e i guanti in
lattice nel cestino accanto al letto e, in completo silenzio, richiuse la
cassetta di prima emergenza e lasciò la stanza di gran fretta. Non aveva
intenzione di commettere qualche idiozia, né avrebbe sopportato la sua scomoda
presenza oltre il dovuto necessario. Aveva fatto quello che le avevano chiesto,
non aveva ulteriori motivi di attardarsi in sua compagnia. Per fare cosa, poi?
Insultarsi e scoppiare nuovamente a piangere? No, era stanca di versare lacrime
per lui. Che credesse pure ciò che voleva. Aveva la coscienza a posto, lei.
*
Non era che passato un quarto
d’ora da quando aveva lasciato la partita alle spalle e il risultato era
leggermente cambiato: lo Shohoku, che mai come quel momento, dall’inizio del
match, era così agguerrito e deciso a vincere il primo tempo, ormai agli
sgoccioli, non poté comunque fermare la furia del Kainan che, dopo l’infortunio
di Kiyota, voleva prendersi la sua rivincita.
Hanamichi, che non aveva
alcuna intenzione di perdere contro quei palloni gonfiati, prese con decisione
il pallone che Eichiro gli passò e si fece avanti con fermezza per un dunk
all’ultimo secondo. Hime sorrise di fronte a tanto coraggio e gli gridò dietro
urla di incoraggiamento. Del resto, era lì per quello.
Il sorriso le morì sulle
labbra quando sia Takasago che Maki, che non doveva certo trovarsi lì, saltarono
insieme al numero 10, per impedirgli di segnare. Il risultato fu disastroso.
Hanamichi perse l’equilibrio in aria, sbilanciato dalla forza con cui i due lo
bloccarono, e cadde all’indietro sul parquet, urtando la schiena con forza.
L’arbitro fischiò fallo alla difesa, ma quando Hanamichi non diede segni di
rialzarsi e, anzi, pareva dolorante, Hime lasciò cadere la cassetta del pronto
soccorso dalle mani, sentendosi improvvisamente debole.
«Hanamichi!», gridò
angosciata. Fece per correre dal fratello, ma Mitsui la bloccò giusto in tempo
prima che invadesse il campo senza essere stata ammessa. L’arbitro le diede il
permesso subito dopo e si precipitò da lui, inginocchiandosi al suo fianco e
accarezzandogli il viso contratto da una smorfia di dolore. «Hana, dimmi dove
senti dolore».
«La s-schiena».
Hime trattenne il fiato
e, come lei, anche i compagni di squadra. Hanamichi aveva sofferto di un
brutto, bruttissimo infortunio alla schiena, solo pochi mesi prima, che aveva
rischiato di far concludere la sua breve carriera da cestista prematuramente;
per fortuna, dopo la lunga riabilitazione sembrava tornato come nuovo. La sola
idea di un nuovo infortunio, che avrebbe vanificato tutti quei mesi di cure e
allenamenti, e che con molta probabilità avrebbe davvero compromesso il suo
gioco, la fece sprofondare dalla paura. E non voleva pensare a come si potesse
sentire il suo adorato fratellone.
«Riesci ad alzarti?»,
gli mormorò, senza riuscire a tenere una voce ferma e tranquilla per non
spaventarlo.
Hanamichi provò a
mettersi seduto, ma una fitta lancinante gli strappò un gemito di dolore e
qualche lacrima.
Shin’ichi, che in parte
era responsabile della caduta, si chinò su di lui. «Ti do una mano io,
Sakuragi. Forza, avanti». E, afferrato con decisione con l’aiuto – udite! udite! – del Volpino, lo
portarono a bordo campo, dove Ayako aveva fatto stendere un materassino di
gomma. Lo fecero sdraiare pancia in giù e Hime gli massaggiò delicatamente i
muscoli della schiena, chiedendogli di fermarla appena avesse sentito dolore.
Quando fu il momento di controllare la spina dorsale, Hanamichi dovette
cacciarsi un pugno in bocca pur di non gridare.
«Dobbiamo portarlo in
ospedale per un controllo», disse Ayako, preoccupata. «Vado a chiamare un’ambul–».
«No!», esclamò Hanamichi,
facendo perno sui gomiti per mettersi in piedi. Si lasciò ricadere, senza
forze. «Io voglio giocare ancora... voglio, devogiocare un altro tempo», aggiunse
debolmente, tremante di rabbia. Diamine, non poteva farsi fermare nuovamente
dalla schiena! Il ricordo di cosa era successo quando aveva dovuto saltare la
partita contro l’Aiwa gli bruciava ancora in mente e non aveva intenzione di
ripetere la cosa. Lui era una pedina fondamentale nell’equilibrio della
squadra, il Nonno Anzai glielo diceva sempre. E senza di lui, Mitchi e il
Gorilla, avrebbero perso sicuramente – e chissà di quanto.
E poi... e poi c’era
Hicchan. La sua piccola, adorata Hicchan. L’aveva praticamente costretta ad
assistere a quella dannata partita contro la sua volontà, non poteva deluderla
così. Che razza di fratello era?
«Ho bisogno di– di
qualche minuto di riposo», disse a denti stretti il numero dieci. «Il tempo
della pausa e sarò– sarò di nuovo pronto».
«Questo non posso
permetterlo, Sakuragi», fece la placida voce dell’allenatore Anzai. «E lo sai
bene».
«Ma, Nonno! Perderemo!».
«Può darsi, sì», annuì
l’uomo, sistemandosi gli occhiali sul naso. «Può darsi di no. Comunque vada,
pensa a riprenderti. Non sappiamo la gravità della situazione, non voglio che
la cosa peggiori».
«Ma, Nonn–».
«Taci, Do’aho».
Hime sollevò lo sguardo
su Kaede, in piedi accanto a lei, ancora accucciata sul fratello.
«Non voglio di sentirti
blaterare nuovamente stronzate sul tuo fondamentale ruolo in squadra che in tua
assenza perde», sbottò il ragazzo.
«Nessuno di noi lo
vuole», aggiunse Ryota. «Quindi porta quel tuo culone in ospedale e vedi di
essere in forma per la finale, insieme a quest’altro scansafatiche».
«Che cosa ca–». Ogni improperio sulla punta della lingua di Mitsui
venne sedato da uno scappellotto di Akagi, giunto in quel momento con Kogure a
bordo campo.
«Ho appena chiamato
un’ambulanza, arriverà tra poco», fu il suo saluto. Si chinò sul rossino, che
ormai non riusciva più a fermare le lacrime di dolore e frustrazione, miste al
sudore freddo che ormai lo inzuppava come un pulcino. Gli scompigliò
affettuosamente i capelli rossi, ormai più lunghi rispetto all’ultima partita
disputata insieme, e ghignò. «Che c’è, Sakuragi? Non ti farai abbattere così?
Un ragazzotto grande e grosso come te?».
Hanamichi ringhiò il suo
disappunto, scansando la sua mano come se fosse una fastidiosa mosca.
«Vedete di vincere, o
davvero chi lo sente questo qui».
«Ohi, Gori!».
La partita riprese e
Masuhiro Araki occupò il posto libero di Hanamichi. Non era massiccio come il
numero 10, né il Centro era il suo ruolo, ma aveva una buona elevazione e
l’area sotto canestro sarebbe stata di sua competenza, per il momento. Nessuno
di loro, però, era fiducioso sulla sua buona riuscita.
Kiyota, che aveva
assistito alla scena dalla sua panchina, represse un sorriso di soddisfazione. Tiè, Rosso-Scimma!
Volevate battermi, oggi, ma vi è andata male! Uh uhuh!
«Hicchan», mormorava nel
frattempo Hanamichi. «Potresti spruzzarmi un po’ di quel coso freddo che fa
passare il dolore?».
La sorella scosse il
capo, ma la mano grande e tremante del fratello la fece desistere dal
ribattere.
«Ti prego, Hicchan.
Voglio tornare in campo. Devo tornare
in campo», continuò lui, con le lacrime agli occhi. «L’ultima volta contro
questi bastardi ho fatto un casino e... voglio rimediare. Poi– poi andrò in
ospedale, come volete, ma ti prego... fammi passare il dolore per un’altra
mezzora».
Hime sollevò lo sguardo
su Akagi, poi lo spostò sull’allenatore, imperturbabile come sempre.
«Potresti peggiorare la
situazione, Sakuragi», disse Ayako.
«A costo di non poter
giocare più, voglio battere il Kainan!», gridò il numero 10.
La panchina avversaria e
i giocatori in campo si voltarono verso di lui, ancora steso a terra e col viso
nascosto tra le braccia. Persino Nobunaga, che fino a poco prima se la rideva
sotto i baffi, si stupì di tanta determinazione – o stupidità, più
probabilmente.
«Hanamichi», disse
Mitsui, accarezzandosi il ginocchio sinistro. «So cosa provi e credimi, fossi
in te anche io vorrei gettarmi in campo e fregarmene di tutto. Ma non puoi
rischiare. Lo Shohoku ha bisogno del grande Genio, no?».
In altre circostanze, il
rossino sarebbe scoppiato a ridere, gli avrebbe dato poderose pacche sulle
spalle e osannato il suo talento ai quattro venti. Fu preoccupante il fatto che
neppure si mosse.
Hime strinse le labbra,
si alzò e corse verso la prima cabina telefonica, sotto lo sguardo attonito di
tutti, compreso Kiyota. Cosa diavolo aveva intenzione di fare?
Digitò il numero di
telefono in fretta e furia e, dopo qualche squillo, per fortuna la voce
familiare le rispose. «Dott. Rukawa Kanbe, con chi parlo?»
«Kanbe-san! Sono Hime,
ho urgente bisogno del suo consiglio – si tratta di Hanamichi».
Continua...
* * *
Uh-oh.
D’oh, ultimamente è
tutto un uh-oh.
Grazie a tutti voi,
lettori silenziosi! E a chi l’ha aggiunta alle seguite (ho visto che il numero
è aumentato, ma non so con esattezza chi sia!). E un grazie a speciale a chi mi
sopporta su facebook. Vi adoooro.
Una testa indiavolata fece capolino dalla porta, dopo aver bussato, e Hanamichi si illuminò come se avesse appena visto la sua Harukina cara. «Hicchan!»
Senza troppe cerimonie, la sorella gli si gettò addosso e lo abbracciò con forza. «Hana! Non vedevo l’ora che questa mattinata
finisse per venirti a trovare!», esordì la ragazza, accucciandosi sul letto accanto a lui. «Ho portato anche i compiti, così posso farli qui in tua compagnia e aggiornarti su quello che abbiamo fatto
in classe».
«E ha portato anche il tuo fidanzato! Oh, che tenerezza!», gongolò la vecchietta vicina di letto di Hanamichi, che, il caso volle,
era anche la stessa che aveva importunato fino allo sfinimento Hisashi e il suo presunto ragazzo Akira.
Sakuragi per poco non la gettò dalla finestra e sbuffò nel sentire le risate della sorella e il sospiro rassegnato di Kaede. «Kit,
che cavolo ci fai qui?»
«Non montarti la testa, Do’aho. Devo vedere il Vecchio».
«Non è vero, era preoccupato a morte», sussurrò Hime all’orecchio del fratello.
Kaede, in risposta, le lanciò contro la cuffia in lana e se ne andò alla ricerca del padre.
«Come stai, Hana?».
Il numero 10 si strinse nelle spalle. «Annoiato a morte. Niente allenamenti, oggi?».
«Iniziamo un’ora più tardi», replicò la sorella, sistemandosi meglio su un fianco, per guardarlo in viso. «Alcuni
signori stavano prendendo le misure per comprare una sorta di moquette per coprire il parquet, durante la festa di fine anno. Altrimenti qualcuno potrebbe svenire, se dovessero rovinarlo».
Sakuragi sorrise, pizzicandole il naso. «Tu per prima».
«Dimentichi il Gorilla; farebbe una strage se qualcuno dovesse rovinare la sua palestra».
«L’ira del King Kong!»
I due gemelli scoppiarono a ridere e chiacchierarono con leggerezza sulla giornata appena trascorsa.
«La mamma?»
«Ha pranzato con me, poi è tornata a casa a farsi una dormita. Tu perché non sei venuta qui a mangiare?», domandò il
ragazzo, col labbro all’infuori. «Ci siamo sentiti tanto soli».
«Oh, come no. Stavate pettegolando come due vecchie comari, lo so cosa fate quando non ci sono!», ridacchiò Hime. «Kanbe-san
che dice?»
«Dovrò stare qui un paio di giorni per fare controlli e analisi, e devono insegnarmi a fare nuovi esercizi per la zona lombare. A quanto
pare sembra che il mio problema non andrà migliorando, se non faccio qualcosa».
La sorella si rabbuiò immediatamente. «Intendi dire che potresti– potresti dover smettere di giocare?».
Alla sola idea Hanamichi sentì il cuore farsi pesante. Non aveva mai combinato nulla nella sua vita, prima del basket. Cosa sarebbe stato di lui
se non avesse potuto più giocare? Era uno strazio starsene su quel letto a guardare il soffitto, non voleva immaginare farlo tutti i giorni. «No, non nell’immediato futuro. Rukawa Senior dice che se faccio
bene e costantemente la scaletta che mi daranno, e un paio di punture al giorno, per il momento non avrò problemi. Devo solo cercare di non prendere altri colpi, ecco. Non so dirti esattamente cosa abbia, perché
quell’uomo parla in medicinese e non capisco mai una mazza, ma non dovrebbe essere nulla di grave, Hicchan. Stai tranquilla».
«Hm», mugugnò lei. «Non posso stare tranquilla... dovrai marcare e sarai marcato da quel bestione di Daichi Anami, tra una settimana!».
«Bah, se gli appunti che hai rubato a Hikoichi sono giusti, sarà un gioco da ragazzi. Tanto è grosso, tanto è tonto, no?»,
ridacchiò lui. «E poi, sono così contento di aver battuto quei palloni gonfiati del Kainan, che sarei anche disposto a perdere contro il Porcospino! Ahaha!».
«Oh, il Porcospino!», fece la voce della nonnetta vicina di letto. «Il fidanzato di quel ragazzo che era qui qualche settimana fa, sì?».
I gemelli scoppiarono a ridere come invasati, finché gli addominali non iniziarono a fare male per l’ilarità, e fu così che
Rukawa li ritrovò, completamente spalmati sul letto che si tenevano la pancia dolorante. Il padre fece capolino alle sue spalle e agitò una mano in cenno di saluto.
«Kanbe-san!», esclamò Hime, saltando giù dal letto e abbracciandolo. «Grazie, grazie mille per il suo aiuto! Le farò
una statua, prima o poi!».
Rukawa Senior ridacchiò. «Mi basta che vinciate il Campionato Invernale, niente statue».
«Allora meglio che il Do’aho rimanga chiuso qui fino alla finale».
«Checcosahaidetto?!», sbraitò Hanamichi, facendo saltare la povera nonnetta dalla paura. «Guarda che contro la Nobu-Scimmia abbiamo vinto grazie al Genio qui presente! Se fossi
rimasto fuori a quest’ora starem– Kitsune, non voltarmi le spalle quando ti parlo!».
Parole al vento: Kaede aveva già fatto retro-front per tornare allo Shohoku e iniziare gli allenamenti pomeridiani. Il tutto condito dalle risate
di Mr. Rukawa, che nel frattempo gli si era avvicinato e cercava di calmarlo con qualche bonaria pacca sulla testa.
«Hicchan, tu non vai agli allenamenti?», domandò Hanamichi una volta calmatosi, mentre Kanbe Rukawa si avvicinava al letto della vecchietta
per darle un’occhiata.
«No, oggi sto con te. Mi sono portata anche i compiti, ricordi?», replicò lei, agitandogli gli appunti sotto il naso.
Il fratello ingoiò un’imprecazione. «Ma... ma, Hicchan! Non possiamo, che so, giocare a carte?».
«Hana, devo ricordarti l’ultima volta che abbiamo giocato a poker?».
Quello divenne più rosso dei suoi capelli e si affrettò a cambiare argomento. «Mitchi riprende ad allenarsi oggi, vero?».
Dopo un sorrisino, la ragazza annuì. «Non farà niente di impegnativo, giusto un po’ di palleggi e qualche esercizio di stretching.
Era esaltato alla sola idea!».
«E ci credo! Sono fermo qui da un dannato giorno e già mi prudono le mani. Come farò a stare qui fino a domani?», borbottò
imbronciato, osservandosi i palmi e le dita affusolate come se potessero dargli una risposta.
Hime gliele prese tra le sue e gli baciò il dorso con infinito affetto. «In realtà ho un regalo per il mio Genio preferito».
A quelle parole le orecchie di Hanamichi si fecero attente e alzò subito lo sguardo su di lei, all’erta. «Un regalino per me?»,
ripeté come un ebete.
La sorella annuì con un sorriso smagliante e ficcò la testa dentro la borsa, per cercare il pensiero che aveva raccolto strada facendo.
«Ta-daaan!».
Il nuovo numero della sua rivista di basket preferita – che in realtà aveva iniziato a leggere solo da pochi mesi e solo perché non
voleva stare indietro con le chiacchiere tra i suoi compagni – gli si materializzò davanti agli occhi castani e sbrilluccicanti. «Hicchan! Grazie! Ho la sorella migliore del mondo!», esclamò,
guardando la copertina platinata su cui Michael Jordan eseguiva una gloriosa schiacciata.
Trascorsero il pomeriggio così, tra la rivista di basket, qualche chiacchiera e i compiti di scuola, senza alcun pensiero cattivo né ricordi
passati. Hanamichi, però, continuò a lanciare occhiate preoccupate alla sorella, che nonostante gli impegni e i finti sorrisi, continuava a soffrire per la rottura con Kiyota. Non aveva idea di come farglielo
dimenticare, ma ci avrebbe provato.
Anzi, ci avrebbero provato, si corresse mentalmente quando i loro amici comparvero sull’uscio della camera.
«E allora, Hanamichi!», esordì Yoehi, agitando qualcosa davanti al viso. «Guarda un po’ qua cosa abbiamo per te!».
«Ohh! Le mie patatine preferite alla paprika!», sbavò il rossino, allungando le mani per prendere il suo regalo.
«Peccato che questo maiale le abbia mangiate strada facendo», aggiunse Noma, indicando Takamiya. «Accontentati delle briciole».
«O sniffa la busta, temo che abbia leccato via anche quelle», fu il consiglio di Okusu. Il maiale in questione, nel frattempo, si ripuliva
le dita con la lingua, ridendosela sornione.
«Ma porco che non sei altro!», s’inalberò Hanamichi, agitando la busta delle patatine stretta in pugno, come se fosse stato il
collo dell’amico.
Hime ridacchiò, conscia che lo stessero provocando perché sapevano che non avrebbe potuto reagire con movimento bruschi e testate varie.
Quei quattro disgraziati!
Quella sera stessa, dopo gli allenamenti, anche l’intero Shohoku era passato a salutare il suo numero 10 e, per fortuna, l’infermiera di turno
era proprio la madre, che li fece entrare tutti insieme con la promessa di non far venire un infarto alla vecchietta accanto. Anche Sanako, prima del suo turno al bar, aveva deciso di fare una capatina e con uno scopo ben
preciso in mente: far distrarre Hime Sakuragi nel modo migliore che conoscesse: facendo casino sugli spalti.
«Allora, verrai? Sì? Ho convinto anche Kaede-kun!», le stava dicendo da dieci minuti.
Rukawa lanciò all’amica un’occhiata supplichevole, ma se fosse per accettare e farla smettere o per salvare anche lui non seppe dirlo.
«Si tratta solo di un paio d’ore, poi torniamo qui a farti compagnia, Hana-chan», continuava Sana, annuendo e sorridendo come un’ebete
nella speranza di convincerli tutti a seguire il suo piano. «Sono le semifinali, del resto! Non potete mancare!».
Posso eccome!, avrebbe risposto Kaede, se non fosse stato che avrebbe dato retta a quella matta di sua cugina solo
perché sapeva lo stesse facendo a fin di bene - anche se la location non era esattamente la migliore.
«Ma è al... al Kainan, no?», domandò infatti Hime, crucciandosi e grattandosi la punta del naso, come sempre faceva quando era
nervosa.
«Sì, ma c’è assemblea d’istituto come da noi! Le possibilità di incontrare–». Sana si zittì
non appena una gomitata al fianco le fece mancare il fiato, e guardò con occhi lucidi e doloranti Kaede, che ricambiò con apparente innocenza.
«In effetti, Hicchan, non sarebbe una cattiva idea», diede manforte Hanamichi. «Insomma, non devi rimanere per forza qui con me».
«Ma–».
«Niente ma!», esclamò Ayako, colpendola con forza col ventaglio, sorda alle sue lamentele. «Domani si tifa Kobayashi e ci serve
il nostro capo ultrà. Te!».
E mentre Hisashi e Miyagi si sganasciavano dalle risate nel vedere la loro seconda manager accucciata in un angolo con le mani in testa, a protezione
da altre eventuali sventagliate di Ayako, l’Armata Sakuragi inveiva contro quest’ultima, giacché erano loro i più casinisti di tutti e meritavano quel titolo più della ragazza.
«Allora, verrai?».
*
Il giorno dopo Kaede si presentò a casa sua puntuale come la morte e, proprio come la morte, aveva un aspetto terribile.
«Ede!», lo salutò Hime, sollevandosi sulle punte dei piedi per baciargli la guancia gelida. «Va tutto bene? Stai male?».
Quello parve lanciarle un missile terra-aria con la forza del solo sguardo. «È l’alba. Ho sonno».
«Uh, sono le dieci di mattina».
«Appunto. È l’alba e ho sonno», ripeté il numero 11. «Avrei potuto dormire, oggi».
«Ede, tu dormi ovunque e comunque, dov’è il problema?», ridacchiò la ragazza, infilandosi gli stivali e battendo le mani
coperte dai guanti. «Pronto?».
«Hn».
E mentre il Volpino si chiedeva, per l’ennesima volta, chi gliel’avesse fatto fare a lasciare il suo adorato letto confortevole e caldo, Hime
gli si era appesa al braccio e aveva iniziato a chiacchierare a raffica su qualsiasi argomento, pur di non pensare al fatto che si stessero dirigendo alla tana del lupo – o della scimmia, vista la situazione.
Le possibilità di trovarlo a scuola, in quel giorno freddo e di “vacanza” erano minime, e sapeva per certo che non avesse chissà
quale interesse per il nuoto – se non quello di accompagnare lei, quando glielo aveva chiesto. Il pensiero l’aveva tranquillizzata quel tanto che bastava per convincerla ad accettare la proposta di Sana, con la
promessa di scappare non appena Kiyo e la Azamui avessero gareggiato, per tornare dal suo fratellone. Fortuna che l’avrebbero dimesso quel giorno, pensò stringendo il braccio dell’amico quando si ritrovarono
sull’affollato treno che li avrebbe portati al Kainan.
Un dito contro la fronte la fece risvegliare dai pensieri e concentrò l’attenzione sull’amico. «Uhm?».
«Ho detto, non ci sarà anche Sendoh. Vero?».
Hime non poté esimersi dal scoppiargli a ridere in faccia. Era una persona orribile, ne era pienamente consapevole, ma l’espressione di puro
terrore che gli lesse negli occhi fu memorabile. «Certo che ci sarà! Deve tifare per la cugina! Non sei contento di vederli entrambi?».
Se possibile, l’espressione gli si oscurò ulteriormente e Hime dovette consolarlo con qualche pacca sorniona sul braccio – che servì
solo a sortire l’effetto contrario.
«Su, su, ci divertiremo un mondo».
«Mi divertirò di più quando lo straccerò in finale».
L’altoparlante annunciò la prossima fermata e si avviarono con fatica in prossimità delle porte, stringendosi nei cappotti e nelle
sciarpe per non essere schiaffeggiati troppo brutalmente dal gelo esterno.
Notarono che molti scesero con loro, diretti anch’essi verso la piscina del liceo, e si stupirono di quanto quello sport fosse seguito. Ma d’altronde,
erano entrambi così innamorati del basket che per loro non esisteva nessun altro sport al mondo degno di tanto amore.
Scorsero subito la testa appuntita di Sendoh, che neppure con la neve e tre gradi sotto zero si arrischiava a indossare una cuffia, pur di non rovinarsi
la pettinatura. Hisashi era accanto a lui, con un braccio intorno alle spalle di Kiyoko, mentre lei e la Azamui salutavano i due prima delle semifinali. Sanako era con loro, avvolta come un salame in un cappotto beige, sciarpa
e cuffia condita di pon-pon.
Nel vedere i cugini più sorridenti di Kanagawa, Kaede pensò che l’avventura non potesse iniziare in modo peggiore. Hime, accanto a
lui, soffocò le risate dietro la sciarpa.
«Ehilà, baldi giovani!», li salutò Akira, candido come la neve che li circondava. «Dimmi un po’, Hime, che hai fatto
per convincerlo a mettere fuori il naso da casa con questo tempo?».
«Io nulla. Ha fatto tutto lei!», esclamò la rossa, indicando la barista.
«Intende dire che l’ha preso per sfinimento», spiegò la Kobayashi, che ben conosceva i metodi massacranti di Sana. Quest’ultima
divenne più rossa dei capelli di Hime, che la coccolò per consolarla.
«Ah! Le cugine! Sanno sempre come raggirarti, vero Kaede?», ammiccò Sendoh, con una gomitata mentre indicava la sua.
Il Volpino per poco non ringhiò. Strattonò Hime per un polso, deciso a trovare un posto lontano da quei due, mentre questa rideva ora senza
ritegno, imitata dai quattro poco più indietro di loro. Ogni ilarità le si spense in gola non appena i suoi occhi incontrarono una familiare testa di capelli neri e incasinati. Accanto a lui una bella ragazza,
appesa al suo braccio, gli sussurrava qualcosa all’orecchio, che lo fece scoppiare a ridere nella sua irritante e adorabile risata sguaiata.
Kaede fermò i propri passi e seguì il suo sguardo. L’elegante linea della mascella gli si serrò in un moto di stizza e la strattonò
con più grazia. «Andiamo dentro».
Hime scosse il capo, notando i due avviarsi verso una delle entrate alla piscina liceale. «No, non posso», sussurrò con voce spezzata.
«Ho sopportato la partita, ma questo... e lui è con… no, scusami, Ede, non ce la faccio. Vado da Hanamichi, scusami».
E con quelle parole, corse verso la stazione, sotto lo sguardo attonito degli amici. Persino Akira, che era stato informato degli ultimi avvenimenti da
Hisashi, divenne una maschera di impassibilità. Fu lesto a fermare Rukawa, deciso una volta per tutte a pestare quel gran pezzo di idiota, e grazie al cielo anche Hisashi giunse in soccorso, nel tentativo di farlo ragionare.
Insicuro sul da farsi – seguirla o tornarsene a casa? – Reiko Azamui gli si avvicinò con fare conciliante. Proprio quello di cui non aveva bisogno.
«Lasciala andare, ha bisogno di stare un po’ sola».
«E tu che ne sai?», sbottò lui, stringendo i pugni.
Reiko sorrise, tristemente, e scrollò le spalle. «Ci sono passata anche io, campione. Ora vai e goditi lo spettacolo; dopo andiamo a trovarla
tutti insieme, ok?».
Kaede la sorpassò senza una parola, oltremodo irritato da quel tono da mamma chioccia e quel falso sorriso che le aveva increspato le labbra solo
pochi secondi prima. Ci era passata anche lei? Era stata mollata?
Sbuffò, scuotendo il capo. Ovvio che sì, solo un folle starebbe con una così.
«Allora, come sta il Genio?», domandò Akira, mentre si dirigevano sugli spalti.
«È più idiota di prima, se possibile», fu il suo pacato commento.
Hisashi, per una volta, gli diede ragione. «Non smette di vantarsi della vittoria sul Kainan, tutto merito suo».
«Beh, in parte lo è», gli fece gentilmente notare la sua ragazza, che vide bene di svignarsela per non beccarsi qualche ritorsione.
«Maledetta ingrata! Cosa ne capirai di basket, tu!», le gridò dietro il numero 14, che si prese un bel dito medio in risposta, prima
che sparisse per la via degli spogliatoi.
Come ovvio che fosse, Akira si sedette accanto al Volpino, sempre più nero per la piega che quella giornata neppure iniziata aveva preso. Sana
era all’altro suo fianco, che confabulava fitto fitto con Mitsui sui nuovi turni al bar, ora che era tornato operativo, mentre alle loro spalle arrivarono i casinari per eccellenza, privi del loro capo curva ma non per
questo meno agguerriti del solito.
Yoehi li salutò con un cenno del capo, riservando un’occhiataccia al Sendoh Nazionale. «Allora, ragazzi! Pronti per– ehi, dov’è Hime?».
Sana scosse il capo, abbattuta, e Hisashi indicò con un cenno del capo la Scimmia Saltante dall’altro lato delle tribune, in piacevole compagnia.
«Quello stronzo!», esclamò Okusu, rimboccandosi le maniche del cappotto. «Se la fa già con un’altra!».
«Io dico di fargli sparire quel sorriso dalla faccia!», continuò Noma. «Non è servita neppure la batosta che gli abbiamo
dato in campo?».
«No, ragazzi, vi prego! Niente botte!», strillò Sana, scattando in piedi per fermarli. «Se conosco Hime un poco, non ve lo perdonerebbe
mai. E la violenza non è la risposta».
Takamiya sbuffò. «Oh, ma almeno è liberatoria! Dai, solo qualche cazzotto! Se lo merita!».
«Ragazzi, finitela», decretò Mitsui. «Non ora».
Scocciati e affranti, i quattro dementi si sedettero alle loro spalle, quieti come cani bastonati. La coppia del secolo li raggiunse poco dopo, scuri
in viso. Avevano incrociato Hime correre come una furia verso il treno in partenza per il loro quartiere e non avevano impiegato molto a fare due più due.
«Dei, quanto avrei voluto fare il ritiro con– con– quegli altezzosi dello Shoyo, pur di non aver permesso a quella Scimmia di avvicinarsi a Hime!», esclamò con ira Ayako, con uno sguardo che avrebbe fuso il ferro, diretto verso il numero
dieci del Kainan. Il modo schifato con cui aveva pronunciato il nome della squadra avversaria, nonostante la situazione e l’argomento, li fece scoppiare a ridere.
Kaede fu l’unico a non unirsi all’ilarità, gli occhi blu fissi sul pezzo di scemo che si pavoneggiava con la ragazzetta al fianco e
alcuni amici, tra cui Jin. Quanto avrebbe voluto spaccargli il muso e dare una mano a quei deficienti degli amici del Do’aho.
«So cosa vorresti fare, ma non farlo».
Il Volpino si girò verso Sendoh, che aveva parlato, e crucciò la fronte. «Fatti gli affari tuoi».
«Non se di mezzo ci sono i miei amici, Kaede. E si dia il caso che Hime lo sia e non sarebbe felice della cosa».
«Quel coglione se lo merita».
«Sì, ma non è con un pugno in faccia che lo farai rinsavire – oltre al fatto che la settimana prossima avremo la finale: non
vorrai saltarla per una squalifica? O magari vuoi farlo proprio perché non vuoi batterti contro di me?», aggiunse sornione, picchiettando un dito sul mento, mentre un adorabile quanto irritante sorriso gli increspava
le labbra.
«Ti piacerebbe».
Akira rise e distese le gambe sullo schienale della poltroncina vuota davanti a sé. Alcune ragazze poco più in là sospirarono a cotanto
adone, ma lui come sempre non ci fece alcun caso.
Poco prima che Rukawa voltasse lo sguardo dal babbuino del Kainan, questo si accorse del loro gruppo di casinisti e incrociò subito l’occhiata
raggelante del suo acerrimo nemico. Parve spaesato dall’assenza di Hime, ma non ebbe il tempo di ragionare sulla cosa, che quei teppisti dello Shohoku iniziarono a inveire contro di lui e a lanciargli gestacci degni
della loro raffinata educazione.
La situazione sarebbe degenerata – erano pur sempre studenti dello Shohoku al Kainan – se non fosse stato per l’inizio delle batterie
della giornata di semifinali.
Le prime dieci atlete, tra cui Reiko Azamui, entrarono in vasca una decina di minuti dopo, tra il caos e le urla di incoraggiamento. Per l’ennesima
volta, e non l’ultima, Kaede si domandò cosa diavolo ci trovassero di entusiasmante in quello sport ma, più di ogni altra cosa, in quella ragazzina dal sorriso irritante che, udite udite, arrivò prima anche quella volta e si avviava verso la sua seconda medaglia dal personale inizio dei campionati liceali.
Il cugino, che non aveva smesso di sorridere come l’ebete che era da quando era arrivato, si diresse verso gli spogliatoi, per aspettarla e portarla
sugli spalti. La sola idea lo fece rabbrividire.
«Kaede-kun? Va tutto bene?», domandò Sana. «Ti stai annoiando, vero?».
Da spararmi in bocca. «Hn. Non preoccuparti».
«Dai, adesso tocca alla nostra nuotatrice! E poi possiamo tutti andare a trovare Hana-chan!». Il sincero entusiasmo nella voce della sua ritrovata
cugina fu così contagioso che persino lui dovette rassegnarsi all’idea che fosse lì e non potesse scappare, e che almeno a fine mattinata si sarebbe distratto un poco rompendo le palle al Do’aho.
Per il momento le palle se le stava rompendo lui. L’arrivo della Azamui finì di fracassargliele senza via di ritorno, perché ovviamente
Akira le cedette il posto e se la ritrovò accanto come l’ultima volta. Glielo stavano facendo apposta, ne era più che convinto.
«Ehilà, campione».
E ora perché diavolo stava prendendo l’abitudine di chiamarlo così? «Hn».
«Ti stai addormentando?».
«Ma che razza di domande fai?», fece Mitsui dall’altra parte. «È un narcolettico, cosa ti aspetti?».
«Io davvero non capisco come faccia», stava dicendo Akira. «Con tutte queste belle ragazze in cost–»
«Oh no, non di nuovo! Stai un po’ zitto, Sendoh!», si lagnarono tutti, mentre quello sghignazzava alzando le braccia al cielo.
«Monotono», borbottò Kaede, sbuffando.
«La settimana prossima verrò a vedere la partita», continuò Reiko, gli occhi blu fissi sulla vasca olimpionica sotto di loro,
mentre la seconda batteria prendeva posto in pedana.
Perché, capisci qualcosa di basket? «Hn.»
«Insomma, non sono una cima di pallacanestro, ma qualcosa la capisco».
Kaede per poco non cadde dalla sedia. Era una strega, per caso? Gli leggeva la mente o cosa?
«Akira non fa altro che parlare di quanto giochi bene; sono proprio curiosa di vedere quanto esagera».
«Io non esagero mai!», esclamò con fare melodrammatico il cugino, le mani sul cuore in pezzi.
«Ecco, appunto», ridacchiò Reiko.
Rukawa alzò gli occhi al cielo. «Al massimo ha minimizzato».
«Ecco l’altro sbruffone», borbottò Mitsui, scuotendo il capo. «Sono circondato».
«Ma sentitelo!», esclamò Ryota. «mvp dei miei stivali, chi è il Capitano, eh?».
Reiko, Sana e Ayako si scambiarono un’occhiata mesta. «Che branco di palloni gonfiati».
Kiyo gareggiò alla terza e ultima batteria della giornata e, sebbene prevedibile, passò il turno con un amaro secondo tempo che non la soddisfò
affatto. L’unica che parve capire il suo disappunto fu proprio Reiko, che delle volte non era soddisfatta di se stessa neppure quando migliorava i suoi tempi perché non aveva nuotato al suo massimo potenziale.
Kaede cercò con lo sguardo Kiyota, per intercettarlo e dargliene quattro, ma quello parve sparito nel nulla. La ragazzetta con cui civettava era
rimasta al suo posto, in compagnia di Jin.
«Deve aver fiutato il pericolo, quella scimmia», mormorò Mitsui, in piedi al suo fianco mentre si dirigevano verso l’uscita,
tra la calca disumana del resto del pubblico. «Capiterà di beccarlo da solo, vedrai. Possiamo anche non pestarlo, dato che Hime tiene ancora a quella bella faccia di cavolo... ma un magnifico spavento non glielo
leva nessuno», concluse con un sorriso poco promettente.
Il numero 11 perse di vista la Guardia poco dopo, che andò alla ricerca di Kiyo per congratularsi e portarla chissà dove a festeggiare.
I dementi degli amici di Sakuragi si diressero al Bar America, insieme a Sana e a Sendoh – quest’ultimo le aveva proposto di andare a pesca, ma nel vederla cianotica per il freddo aveva optato per un cambio di
programma.
Così Kaede si ritrovò in compagnia della coppia dell’anno e della bisbetica dello Shoyo. Con un cenno del capo in segno di congedo,
decise di defilarsi alla volta dell’ospedale, per accertarsi che Hime non si fosse gettata sotto un treno e che il Do’aho fosse ancora tutto intero – non che gli importasse più di tanto: in realtà
non voleva che suo padre passasse dei guai per colpa di quello scemo.
Sistemò il colletto del pesante cappotto invernale, rabbrividendo a una nuova folata di vento e neve, e maledisse la mancanza di lettore cd per
distrarsi durante il tragitto. Sfiga volle che la compagnia non gli mancò e si ritrovò in metropolitana seduto accanto a Reiko Azamui, che sorrideva al mondo come se la vita fosse stupenda e lui non volesse sopprimerla
da un momento all’altro.
«Hana, sono trascorsi cinque minuti dall’ultima volta che me lo hai chiesto. Non è ancora ora di dimetterti».
Passarono secondi di silenzio, prima che il fratello riprese. «Sì, ma quanto manca di preciso?».
«Al momento in cui ti soffoco con un cuscino per farti stare zitto, intendi? Poco».
La Vecchina Yaoi, come l’avevano soprannominata, ridacchiò ai loro battibecchi. «Ti capisco, giovanotto, non vedi l’ora di riabbracciare il tuo fidanzato,
vero?».
Questa volta fu il turno di Hime di scoppiare a ridere, mentre quello ingoiava un’imprecazione colorita e le chiedeva di smetterla senza troppi complimenti.
«Maledetta nonna pervertita», bofonchiò incrociando le braccia al petto, rosso di frustrazione e imbarazzo. «E tu non ridere, Hicchan! Non è divertente!
Ho avuto gli incubi la scorsa notte, per colpa di questa qui!», esclamò con gli occhi fuori dalle orbite.
Con un sorriso candido e sdentato, la vecchietta tornò al suo romanzo rosa.
Qualcuno bussò alla porta e il viso abbronzato e serio di Shin’ichi Maki fece capolino una volta socchiusa. «Posso entrare?».
«Nonno Maki!», esclamarono in coro i gemelli, mentre quello sorrideva e si avvicinava al letto del paziente, lasciando la porta socchiusa.
«Come stai, Sakuragi?», chiese il ragazzo del Kainan, dopo aver salutato la ragazza con un affettuoso abbraccio.
«Alla grande! Ahahah! Ci vuole ben altro per mettermi fuori gioco, vecchia ciabatta!».
Shin’ichi rise. «Vedo! Scusami se non sono potuto venire a trovarti prima, ma dopo la partita dell’altro giorno, beh, ho avuto un bel da fare col Sensei Takato».
«Ahaha! Ti avrà fatto una bella lavata di capo, eh? Dopo che il Genio qui presente, nonostante la ferita di guerra, è riusc–».
Non fece mai in tempo a finire la frase, perché Hime mise in atto la minaccia di poco prima e lo soffocò con un cuscino. «Devi scusarlo, senpai. Gli antidolorifici
che gli stanno dando devono avere qualche strano effetto collaterale».
Maki avrebbe voluto farle gentilmente notare che, medicinali o meno, Hanamichi avrebbe comunque osannato le sue eroiche gesta, ma l’educazione e il tatto glielo proibirono.
Era un signore, lui.
E mentre il numero 10 dello Shohoku si dimenava per liberarsi dalla morsa assassina della sorella e Maki se la rideva senza muovere un dito, una figura rimase nascosta dalle spalle
imponenti del proprio Capitano, indeciso se farsi vedere o rimanere nell’ombra. Forse era meglio la seconda opzione, viste le neanche tato velate minacce del rossino e la poca voglia che aveva di affrontare quella strega.
Se non fosse stato per Capitan Maki che aveva insistito tanto per accompagnarlo a trovare la Scimmia Rossa, col cavolo che avrebbe messo piede in quell’ospedale.
Ogni tentativo di rimanere in disparte divenne vano nel momento in cui Hanamichi reclamò del succo di frutta e delle patatine – maledetta fogna! – e la sorella
si offrì di andare a prendergliele con somma gioia. Il sorriso che vide su quell’adorabile viso incorniciato dai capelli rossi svanì nell’esatto momento in cui i suoi occhi castani incontrarono i
propri.
Hime s’irrigidì e rimasero fermi a guardarsi per lunghissimi istanti. Fu solo quando sentì la voce di Hana parlottare con Maki che decise di chiudersi la porta
alle spalle, per non dargli la possibilità di inveire contro Kiyota e rischiare un casino colossale.
Aveva un cerotto, laddove l’aveva ricucito sul sopracciglio, e la solita espressione di disprezzo che aveva imparato a conoscere in quegli ultimi giorni. Ricordò solo
allora del perché lei fosse tornata in ospedale e non fosse con gli amici a tifare le senpai Kobayashi e Azamui, e la vista di lui con una ragazza al braccio l’accecò di rabbia.
«Che ci fai qui? La tua dolce compagnia ti ha già mollato?», gli domandò velenosa, incrociando le braccia sotto il seno.
Kiyota sgranò gli occhi, sinceramente stupito. «La mia che?».
«Non fare finta di non capire. Ti ho visto con i miei occhi, non mi sto inventando false supposizioni sulla base di cose inesistenti come qualcuno di mia conoscenza», sputò, prima di potersi fermare. Non voleva fare una scenata di gelosia – del resto era stato molto chiaro, non stavano più
insieme e non poteva avere più alcuna pretesa –, ma la ferita era ancora fresca, bruciava come il primo giorno, e non poté trattenersi.
«Che diavolo stai farneticando? Quella è un’amica!».
Hime sorrise, priva di divertimento. «Quindi fammi capire: tu puoi avere amiche, io non posso avere amici».
«Ti dico che è un’amica e che è innamorata persa di Jin, la stavo solo aiutando a–». Nobunaga s’interruppe, ora arrabbiato. «Perché
cavolo devo giustificarmi? Non ho fatto niente di male!».
«E io non ti ho mai tenuto all’oscuro della mia amicizia con Kaede! Nemmeno io ho fatto niente di male!», esclamò, mordendosi le labbra per aver alzato
la voce. «Senti, non ho voglia di litigare di nuovo e soprattutto non qui. Non è il posto adatto per–».
Hime non terminò la frase, poiché lo sguardo di Kiyota s’indurì così improvvisamente, diretto oltre le sue spalle, che le mancò il fiato.
«Ma certo, che stupido. Non vuoi far fare brutte figure a tuo suocero, vero?», le sibilò, mentre Kaede arrivava in quel momento in compagnia di Reiko. Nobunaga ghignò. «O devo dire ex-suocero? Forse anche il tuo bello
ha deciso di guardare altrove?».
La vista del suo migliore amico insieme alla Azamui ebbe lo stesso effetto rinvigorente di una doccia dopo una lunga partita di basket e, dimentica di quell’idiota, sorrise
ai due con calore.
«Va tutto bene?», chiese Kaede, senza staccare lo sguardo da quello del giocatore del Kainan, che ricambiava con astio.
«Sì, Ede. Se ne stava giusto andando».
Kiyota voltò le spalle. «Vorrei non essere mai venuto, maledetta donna scimmia!».
Kaede fece per muoversi verso il ragazzo, ma una mano decisa lo bloccò all’altezza del petto. Abbassò lo sguardo su Reiko, che gli indicò Hime ancora
una volta in lacrime.
«Ti odio, Kiyota! Ti odio così tanto da far male!», esclamò, facendolo vacillare per un lungo istante. «Spero ti fiderai un po’ di più
della tua prossima ragazza, se mai ne troverai un’altra. Non c’è amore senza fiducia. E io mi fidavo ciecamente di te».
E con quelle parole Hime corse dalla parte opposta del corridoio, lasciando uno sgomento Nobunaga e un incazzatissimo Rukawa, che avrebbe tanto voluto spaccargli quel muso da babbuino
che si ritrovava. Del resto, si disse, era già in ospedale.
«Calmati, campione», cercò di tranquillizzarlo Reiko. «Credo che le parole della Sakuragi l’abbiano colpito più forte di qualsiasi tuo pugno.
Vieni, la tua amica ha bisogno di te, ora». E preso per un polso, lo trascinò verso il punto in cui Hime era sparita. «Oh e, Kiyota-kun: sei un idiota colossale. Spero che tu ne sia consapevole», aggiunse
la ragazza, con un candido e malefico sorriso, prima di proseguire.
La trovarono nella saletta d’attesa, seduta su una poltroncina in plastica blu all’angolo. Prima di avvicinarsi, Reiko si diresse alla macchinetta di merendine, racimolò
qualche yen e cercò la porcheria giusta.
«È la prima volta dopo anni che compro barrette di cioccolato», confessò al numero 11 dello Shohoku, che la osservava in silenzio. «Ma non è
per me, stai tranquillo», lo rassicurò con un sorriso, come se gli importasse davvero qualcosa di ciò che stava blaterando. «Al latte o fondente?».
«Latte con nocciole», rispose Kaede, che conosceva a memoria i gusti dell’amica. Non avrebbe mai capito come riuscisse a ingurgitare cioccolato al latte. Era disgustosamente
dolce.
Hime sollevò lo sguardo acquoso sui due, non appena le si sedettero accanto, e strinse le gambe al petto. «Scusatemi, sono una piagnona».
La Azamui si crucciò. «E lui un grandissimo– no, non lo dirò. Mia madre ha il sesto senso per le parolacce, è capacissima di sentirmi fin qui. Ad
ogni modo», disse, mentre le porgeva il suo piccolo regalo, «il cioccolato farà ingrassare, ma è ottimo per il morale».
La ragazza dello Shohoku osservò le barrette ipercaloriche che Reiko le stava gentilmente porgendo e quasi scoppiò a ridere. «Tu sì che sai come sollevare
l’umore di qualcuno!»
Reiko sorrise, abbassando la voce. «Da piccola ero sempre parecchio “triste” e avevo bisogno di molta cioccolata. Ho iniziato a fare nuoto quando, come dire, sono
diventata troppo felice».
«Tu? Triste?», non riuscì a fermarsi Rukawa, guardandola come se le fosse spuntata una seconda testa.
«Hai la minima idea di cosa significhi?»
Reiko, come ovvio che fosse, rise, insieme alla Sakuragi che asciugava le lacrime con la manica del maglione e abbracciò la nuotatrice, grata.
Chiacchierarono di tutto e niente, sotto lo sguardo stralunato di Kaede. Reiko, infatti, esattamente come avrebbe fatto il cugino, era riuscita a far tornare il sorriso sulle labbra
alla sua migliore amica, e con il minimo sforzo. Hime sembrava aver lasciato alle spalle lo scontro di poco prima e ora ridacchiava e scherzava con la senpai come se fossero amiche di vecchia data.
Solo quando la rossa parve tornata la ragazza pimpante di sempre e si sentì pronta per tornare dal fratello senza che questo si accorgesse degli occhi arrossati, si alzò
per recuperare succo di frutta e patatine per Hanamichi.
«Starà morendo di fame, sono in ritardissimo!»
«Ma lascialo fare», esclamò Kaede, nella speranza che il rossino crepasse davvero di stenti.
Hime trotterellò verso la camera di Hanamichi, lasciandoli indietro a seguirla.
«Ehi».
Reiko fermò i suoi passi, guardandosi oltre le spalle. «Uhm?»
Kaede strinse le labbra, cercando la forza di parlare. «… Grazie».
Non ci fu bisogno che spiegasse quella singola parola. Reiko lo capì ugualmente. «Figurati, campione. Il sorriso di Hime è troppo bello per essere spento come
una candela».
Restarono a osservarsi per qualche secondo, prima che Kaede la superasse. «E non chiamarmi campione».
Reiko lo guardò con i suoi grandi e ridenti occhi blu, seguendolo. «Perché non lo sei?».
*
Rimasero in compagnia dei Sakuragi per il resto della mattinata. Hanamichi fu dimesso prima di pranzo e pareva più in forze di prima – per la gioia della sorella e
la disperazione di Kaede. Si diressero al Bar America per pranzo e Hime decise di trascinarsi dietro anche la Azamui, prendendola sotto braccio e sorda alle sue proteste.
«Tranquilla, chiediamo a Sana di farti fare una chiamata a casa per tranquillizzare i tuoi. Poi ti faccio riaccompagnare da Ede, così torni sana e salva».
Reiko ridacchiò. «Non ne sarei così sicura; temo che voglia uccidermi».
«Perspicace», fu il commento del diretto interessato, che camminava alle loro spalle accanto al rossino.
«E temo che voglia uccidere anche lui», aggiunse la nuotatrice, indicando con un cenno del capo il cugino, visibile dalla vetrata del bar e seduto insieme ai Gundam,
Mitsui e la Kobayashi. Sanako era dietro il bancone, nonostante non fosse orario di lavoro: tenerla ferma un secondo era pressoché impossibile.
«Buondì!», esclamò Hanamichi, gasato come non mai per essere finalmente riuscito a scappare da quell’infernale letto di ospedale. «Guardate
un po’! Sono più in forma e smagliante di prima! Vero, Hicchan? Ahahaha!»
«Forse intendevi dire più imbarazzante», puntualizzò Noma, che due secondi più tardi si ritrovò con la fronte fumante e un nuovo bernoccolo aggiunto alla sua personale collezione.
«Dobbiamo festeggiare!», stava invece blaterando Hime, battendo un pugno sul palmo della mano. «Watanabe-san, cioccolata calda per tutti!»
«Ma è ora di pranzo!», si lamentò qualcuno.
«Suvvia, è il dessert!»
«Ma si mangia alla fine!»
«E da quando seguiamo le regole?!»
Il signor Watanabe sollevò lo sguardo ridente sulla ragazza e il sorriso gli si allargò in un’espressione di stupore quando vide la brunetta accanto alla Sakuragi.
«Nipotina mia! Sei venuta a trovarmi, finalmente?»
Reiko divenne rossa come i capelli di Hime e, mentre balbettava una scusa plausibile per non essere mai passata prima e cercava di non rispondere alle provocazioni del cugino che
se la rideva alla grande, si diresse ad abbracciare lo zio e chiedergli di fare una telefonata.
Nel frattempo Hanamichi aveva iniziato a spostare tavoli e sedie, per unirli a quelli degli altri in un gran casino. Il signor Watanabe non mosse neppure un muscolo: era talmente
abituato a quel baccano, quando quei selvaggi entravano nel suo bar, che ormai non ci faceva neppure caso.
«Come ti senti?», domandò Yoehi al suo migliore amico, una volta che riuscì a sedersi.
«Alla grande! Ahahah! Mai sentito meglio!»
Akira sorrise, affabile. «È un’ottima notizia, Hanamichi. Mi sarebbe dispiaciuto non averti in campo».
«Bah, non era niente… solo un muscoletto indolenzito, ecco. Figurati se mi perdo la finale! Devo asfaltarti i capelli, io! Ahahaha!»
E tra occhiate rassegnate e la medesima vergognosa immagine in testa – Hanamichi che piagnucolava di dolore una volta finita la partita contro il Kainan e si appellava alla
sua sorellina per farlo stare meglio –, lo zio di Akira e Reiko iniziò a prendere le ordinazioni per pranzo. Quest’ultima, per gioia immensa di Rukawa e grazie all’occhiata d’intesa tra quella
strega di Hime e il Porcospino, si era ritrovata nuovamente seduta al fianco del numero 11 dello Shohoku e gli sorrideva come se fosse il momento più bello della sua vita. Con uno sbuffo Kaede decise di odiarla un po’
meno – ma solo per quel giorno, dato che si era fatta in quattro pur di sollevare il morale alla sua migliore amica. Il giorno dopo avrebbe ripreso a detestarla come normale che fosse.
Sana, nel frattempo, era intenta a riempire i bicchieri per i suoi amici, chi di acqua e chi di coca.
«Mi spieghi una cosa, Porcospino?», domandò d’un tratto Mitsui, osservandola mentre lavorava dietro al bancone.
Akira seguì il suo sguardo. «Uhm?»
«Perché non ti sei ancora fatto avanti?»
Il Capitano del Ryonan non rispose subito, ponderando le sue parole con attenzione. «Bella domanda, amico».
Hisashi incurvò un sopracciglio, perplesso. «Che c’è da pensarci su? Pende dalle tue labbra, idiota. Sarebbe un colpo sicuro. E non dirmi che la cosa non
sia reciproca, altrimenti ti spacco il muso».
«Manesco», borbottò Akira, passandosi le mani in viso. «E comunque è timida con tutti, non pende dalle mie labbra».
L’occhiata che Kiyo gli riservò fu eloquente. «Vuoi farmi credere che non ti sei accorto di come ti guarda e di come va in iperventilazione ogni volta che le
rivolgi la parola? Devo raccontarti cosa dice sulle tue spalle larghe e il tuo ―»
«Ti prego. Basta», la supplicò Hisashi, tappandosi le orecchie per non ascoltare oltre.
Akira rise, grattandosi la nuca in imbarazzo. «È complicato».
«Sei esasperante», sbottò la guardia. «Cosa c’è di complicato? Lei ti piace, tu le piaci: fatevi una trombata, porca zozza!»
«Mitsui!», esclamarono in coro il suo datore di lavoro e Kiyo; l’uomo scoppiò a ridere poco dopo nel vedere la faccia paonazza del nipote.
«Glielo dica anche lei, sensei!»
«Dirgli cosa?», domandò Sana, comparendo in quel momento per servire le ordinazioni degli ultimi arrivati, e che grazie al cielo erano talmente infognati in qualche
cazzata che stava dicendo Hanamichi, che non avevano prestato attenzione ai discorsi dei due.
«Niente», borbottò Akira, sviando lo sguardo verso la strada. Sana crucciò la fronte, ma non commentò, tornando verso il bancone.
«Guarda che se non ti dai una mossa qualcuno te la frega», lo mise in guardia Hisashi. «Mito, per esempio, mi sembra molto interessato alla ragazza e, chissà
perché, ogni volta che ti guarda fiuto pericolo».
Akira si rinchiuse in uno strano mutismo e neppure Reiko, interpellata dall’altro lato della tavolata, riuscì a cavargli qualche parola di spiegazione.
«Beh, non venirmi a dire che non ti ho avvisato, idiota», concluse Hisashi, stiracchiandosi le braccia e sorridendo con malizia alla sua ragazza, che non si era persa
un movimento.
Kaede, nel frattempo, pensò che una bella seduta di harakiri sarebbe stata la cosa migliore nella sua situazione. Da un lato la Azamui, dall’altro Hime, che parlavano
fitto fitto di yoga e feng shui. Ci mancava un’altra schizzata di quella robaccia, pensò sbuffando.
«E quando vai? E dove?», stava domandando la rossa, interessata. «Ho sempre voluto iniziare, ma il basket mi ha costantemente assorbito troppe energie e non ho
mai trovato il tempo».
«Ti farebbe bene, specialmente la sera prima di una partita importante. Lo faccio sempre per concentrarmi e calmarmi. Altrimenti ogni mercoledì, dalle sette alle nove».
E bla bla bla sui saluti al sole e alla luna e altre cazzate simili. Kaede non avrebbe mai creduto che quella giornata
sarebbe stata così lunga.
«Possiamo vederci nei nostri giorni liberi e praticarlo insieme, se ti va. Abitiamo lontane, ma c’è una palestra a metà strada che potrebbe fare il caso
nostro», stava continuando Reiko.
Kaede strizzò gli occhi, stordito quando Hime strillò un sì d’assenso, trapanandogli un timpano senza possibilità di ritorno.
«Questa domenica sera andrebbe bene?»
La seconda manager dello Shohoku fece per accettare, quando un pensiero le passò per la testa. Aveva preso un impegno, settimane addietro, per quel fine settimana. Aveva
avuto un’idea geniale per un regalo e sarebbe dovuta andare a vederlo proprio quel giorno; ma data la situazione avrebbe potuto evitare. «Sì, sì, va bene».
Reiko la osservò con curiosità e anche Kaede non riuscì a capire cosa fosse quello sguardo accigliato. «Avevi un altro impegno?»
Hime agitò una mano, come per scacciare una mosca. «Niente di importante, davvero».
«Possiamo fare un altro giorno, o dopo che ti occupi di qualsiasi cosa tu debba fare».
La rossa si mordicchiò un labbro. «Vediamo, dai. Ma non è niente di importante», ripeté, più per convincere se stessa che la ragazza. Non
era possibile che stesse prendendo in considerazione l’idea di farlo ugualmente. Non dopo quello che era successo quella stessa mattina, era per caso idiota?
Scosse il capo, sorridendo con fare poco rassicurante ai due, e decise di concentrarsi sui racconti demenziali di Hanamichi, che come sempre stava facendo sganasciare tutti dalle
risate – vicini di tavolo compresi. Fortuna sua che aveva suo fratello e i suoi amici a rischiararle le idee.
Pranzarono nel caos totale, come sempre del resto, e trascorsero un piacevole pomeriggio all’insegna del relax e del dolce far nulla, finché giunse l’ora degli
allenamenti. Da lì alla finale si sarebbero svolti ogni giorno – ordini perentori del Tappo Malefico.
Reiko, senza neanche accorgersene, si ritrovò catapultata nella palestra dello Shohoku, seduta accanto alla sua rivale di nuoto e ai quattro casinisti dell’Armata Sakuragi.
Akira, invece, venne gentilmente mandato via a calci per non spiare i loro schemi e allenamenti; in compenso, Hime gli chiese di rendersi utile, mandandolo a lavorare per la festa di fine anno insieme a Sana, e a compiere
qualcosa di segretissimo che Kaede non riuscì a cogliere.
Qualunque cosa fosse, pensò, fu contento di non averlo tra i piedi.
Incrociò lo sguardo della cugina di Sendoh e sentì il sollievo sgretolarsi davanti a quel sorriso fastidiosamente contagioso. Peggio che mai, si disse. Meglio rompere le palle al Do’aho e dimenticarsi di quella piattola. Del resto, si era ripromesso di detestarla un po’ meno, quel giorno, ma non significava tollerarne completamente la presenza.
E mentre Hanamichi e Hisashi si riscaldavano insieme per non sforzare rispettivamente schiena e ginocchio, e bestemmiavano ogni tre per due perché anche loro volevano allenarsi
con gli altri, la serata trascorse veloce, tra palleggi, passaggi e il classico scricchiolio delle scarpe da ginnastica sul parquet lucido.
«Come se la passano?», domandò la voce di Akagi, fermo sull’ingresso insieme alla sorella e Kogure.
«Capitano!», strillò Hime, saltandogli addosso.
«Ehi! Il Capitano sono io, deficiente!», s’inalberò Ryota, mentre Hanamichi e Hisashi stramazzarono a terra dalle risata – e si beccarono una sventagliata
dalla loro personal trainer, Ayako, sempre pronta a difendere il suo amato ma, soprattutto, a farli rigare dritto.
«Direi benone, come vedi», fu la risposta divertita di Hime.
«Sakuragi è sempre così pieno di energie, anche quando sta male», commentò Haruko, sinceramente felice di vederlo in campo. «Per fortuna la
caduta non ha comportato niente di grave».
La sorella del Rossino annuì. «Sarà difficile con Daichi Anami da marcare; spero solo che Hana non si faccia male di nuovo».
Akagi sospirò. «Quel ragazzo sarà un po’ tardo, ma l’ho visto giocare ed è impressionante».
«Si sta riferendo ad Hanamichi, vero?», fu l’ovvia domanda di Noma, che li fece scoppiare tutti a ridere – Gorilla compreso. Fortuna sua che il diretto interessato
non li udì, altrimenti avrebbe fatto crollare l’intero stabile a suon di testate.
«Siete cattivi», si lamentò Haruko. «Sakuragi ha davvero del talento!»
«Haruko, cara, perché questo non glielo dici di persona? Lo faresti molto, ma molto felice», le consigliò Hime, che si guadagnò l’occhiata
perplessa dell’altra. La seconda manager pensò che non ci fosse nulla da fare: Haruko non si sarebbe mai accorta di quanto il fratello ne fosse innamorato, giacché era troppo intenta a fissare Kaede asciugarsi
il sudore dalla fronte con l’orlo della maglia – mentre lei, invece, asciugava il sangue dal naso che le era colato alla vista dei suoi addominali.
«Fatemi capire», mormorò Reiko, guardandosi intorno e studiando la situazione, stando ben attenta a non farsi sentire dagli interessati. «Sakuragi è
innamorato della Akagi, che è innamorata di Rukawa, che non se la fila affatto. Giusto?»
«Non fa una piega», applaudirono i Gundam.
«Beh, non che ci voglia un genio per capir–»
«Genio? Qualcuno mi sta chiamando?», sbraitò Hanamichi, mani sui fianchi e passo felpato.
«Che cacchio hai al posto delle orecchie, tu?!»
A centro campo i giocatori si voltarono verso tutto quel baccano.
«Si può sapere che hanno da blaterare?», domandò Araki, sbuffando. «La mia bella deve stare qui con noi, non con quegli idioti!»
«La tua bella è ancora off-limits, Casanova», gli fece notare Ryota. «E lo sarà per
parecchio tempo. Quindi mettiti il cuore in pace e concentrati, se non vuoi che ti cacci dalla squadra!»
Gli allenamenti terminarono un’ora dopo e i bestioni andarono a farsi una meritata doccia, prima di tornare a casa. Kaede avrebbe preferito annegare sotto il soffione dell’acqua,
pur di non dover riaccompagnare a casa quella iena sorridente della Azamui. Hime l’avrebbe pagata cara per quel tiro mancino.
Trovò la nuotatrice intenta a chiacchierare con le ragazze e registrò solo di striscio la presenza della Akagi, dato che se ne stava in un angolino ad ascoltare le
altre quattro.
Reiko gli sorrise e si alzò, battendo le mani. «Pronti?»
«Ammazzatemi».
«Oh, suvvia, Ede. Cosa ti costa?», lo spintonò Hime, che non lo smosse di un solo centimetro.
Reiko si infilò il cappotto e la cuffietta in lana. «Beh, facciamo progressi: prima voleva ammazzare me, ora opta per il suicidio. Direi che sono salva, per oggi».
Con un’occhiata fulminante, Kaede la sorpassò, intimandole di sbrigarsi se non avesse voluto tornare a casa da sola. Con un saluto e la promessa di rivedersi presto,
Reiko si affrettò a seguirlo, sotto lo sguardo marpione di Hime e Ayako, e quello stordito di Kiyo.
Haruko, invece, osservò in silenzio il suo numero 11 andarsene con quella bella ragazza; sentì le gambe diventare molli e gli occhi pizzicarle. Fortuna sua che fosse
già seduta. Chi era, come faceva a conoscerlo e ad avere così tanta confidenza? Credeva che le uniche amiche che avesse fossero la Sakuragi e Ayako, e sebbene nutrisse dei sospetti sul rapporto con la prima,
era sicurissima che non ci fosse nessun’altra a ostacolarla.
Di tutt’altro avviso furono le tre del Rukawa Shitenai, appartate all’uscita della palestra per fargli il consueto agguato, e che iniziarono a inveire contro la sconosciuta
e a minacciarla pesantemente di prenderla a sberle se non avesse lasciato stare il loro idolo. Reiko, d’altra parte, sorrise loro con fare affabile, liquidandole con un saluto e chiedendo cosa avrebbero fatto se Rukawa
avesse dimostrato interesse per una solo di loro. Se le lasciarono alle spalle nel bel mezzo di un litigio colossale e Kaede, per la seconda volta in quella bizzarra giornata, pensò che quella ragazza non fosse così
tanto malaccio.
«Allora, campione, che mi racconti di bello?»
Hn, era evidente che fosse stanco morto per pensare una stronzata simile.
Il ritmico rimbalzo della palla dal muro al pavimento era l’unico suono che proveniva dalla stanza semibuia. Aveva deciso di chiudere gli scuri scorrevoli per evitare la spiacevole
vista della neve, e di conseguenza non pensare a lei, ma purtroppo non aveva ottenuto il risultato sperato. Era entrato in quello stato apatico dal loro ultimo incontro, quella mattina in ospedale, e nonostante i buoni propositi
di farsi scivolare addosso le sue parole come acqua sotto la doccia, non faceva altro che riviverle di continuo.
«Ti odio, Kiyota! Ti odio così tanto da far male!»
L’aveva debilitato. Era lui a odiarla, non viceversa! Con che diritto lo faceva?
Ma era stata la frase successiva a farlo vacillare sul serio, compreso il suo strano sollievo nel vedere Rukawa in compagnia di un’altra.
«Spero ti fiderai un po’ di più della tua prossima ragazza, se mai ne troverai un’altra. Non c’è amore senza fiducia. E io mi fidavo ciecamente
di te».
Cosa stava cercando di dirgli? Che lo aveva amato, a differenza sua? Era forse pazza? Lui era innamoratissimo di lei, dannazione, lo era ancora! Era stata lei a prenderlo in giro,
non viceversa. Tutti sapevano della sua relazione con Rukawa, tutti tranne lui. L’idiota di turno che si era fatto imbambolare dai suoi modi stravaganti e dalla risata contagiosa, dal suo incredibile stile di gioco e
gli adorabili capelli da strega.
Peccato che lo fosse davvero, una megera.
Continuò così per i successivi dieci minuti, palla contro il muro, rimbalzo a terra, ripresa con entrambe le mani; finché non udì bussare timidamente
alla porta e fermò i suoi movimenti. La testa nera della sorellina fece capolino sull’uscio. Era in piedi, l’uso delle protesi era diventato quasi familiare e ogni giorno che passava utilizzava sempre più
di rado la carrozzina, specialmente in casa e per corti percorsi.
«Nobu», lo salutò lei, stringendo le labbra in un sorriso tirato. «Sto provando a studiare, ma con questo rumore non riesco».
Il numero dieci del Kainan divenne rosso come il pallone che teneva in mano e lo poggiò in terra. «Scusami, Ari-chan. Ti serve una mano?»
Lei annuì. «Matematica».
Nobu sbuffò di divertimento. «Non ti entrerà mai in testa, eh? Forza, fammi vedere».
La seguì in camera e ringraziò il cielo della sua sorellina, che per qualche ora riuscì a distrarlo con le sue equazioni impossibili e i presunti risultati sbagliati
del libro.
«Nobu», fece Arimi, a voce bassa per paura che il fratello la rimproverasse. «Vuoi per caso parlarne?». Non c’era bisogno di specificare l’oggetto
della discussione; Kiyota lo capì al volo e si rabbuiò.
«Non ho molto da dire, Ari-chan».
«Non c’è proprio nulla che possa fare? Perché non provate a parlare civilmente?»
«E sentirmi dire altre bugie?»
«E se ti stessi sbagliando?»
Nobu incrociò le braccia al petto, imbronciato. «Non mi sto sbagliando, non questa volta. Ci sono stati tanti di quei segnali e io sono stato uno scemo per non essermene
accorto prima».
«Fratellone, ho visto come stavate bene insieme. Non credo davvero sia possibile che stesse mentendo tutto quel tempo. Per quel poco che la conosco, Hime-san è una persona
aperta, non starebbe con qualcuno se non lo volesse davvero. Per quale motivo avrebbe dovuto farlo?».
«Pff. A quanto pare non la conosco neanche io. Possiamo cambiare argomento, Ari-chan?».
La ragazza annuì, sconsolata. Si sentiva la sorella più inutile del mondo. Suo fratello stava soffrendo da settimane e lei non aveva la più pallida idea di cosa
fare per farlo sentire meglio. E ne era sicura, anche la senpai Hime stava male.
Strinse le labbra quando lui lasciò la stanza, dichiarando di andare a scolarsi una coca-cola in cucina. Il suo sguardo si posò sul telefono appeso al muro del corridoio,
proprio davanti alla sua porta, e un’idea geniale le venne in mente. Doveva solo aspettare che Nobunaga uscisse quel sabato pomeriggio: le aveva detto che Jin avesse organizzato un pranzo a casa sua con la squadra, non
per festeggiare una vittoria ma per cercare di tirare su il morale ai suoi compagni.
Sperò vivamente che ci riuscisse.
*
Casa Jin non era mai stata così caotica – per la disperazione della signora di casa, che era sempre così pacata da non alzare mai il tono della voce più
di un sussurro. L’intero Kainan King si era riunito per pranzo con la voglia di riprendersi dall’amara sconfitta contro lo Shohoku, soprattutto i più anziani che avevano visto sfumare la possibilità
di vincere il loro ultimo campionato scolastico, prima dell’inizio dell’università. Quasi tutti stavano riuscendo nell’intento, per la gioia dell’organizzatore.
Tutti, tranne uno.
Nobunaga stava pizzicando il suo pranzo con la punta delle bacchette, quando sentì una mano sulla spalla scuoterlo. «Uh? Oh, Capitano, che c’è?»
Shin’chi Maki aggrottò la fronte, abbacchiato. «Non hai fame?»
L’altro si strinse nelle spalle. «No, non molta».
«Quel ramen lo ha preparato la madre di Soichiro, e sappiamo tutti quanto brava sia quella donna in cucina», tentò Muto, risucchiando rumorosamente il brodo dalla
ciotola per confermare le sue parole.
«Non lo metto in dubbio», borbottò Nobunaga, buttando giù un boccone di malavoglia. «Uhm, sì, è decisamente buonissimo».
Maki sospirò con pesantezza, scambiando un’occhiata con Jin, dall’altra parte del tavolo. L’espressione serena di quest’ultimo, che fino a poco prima
stava sorridendo e ridacchiando a qualche racconto scemo dei suoi compagni, cadde nel momento in cui vide l’unica persona che non si stava divertendo affatto – e sapeva per certo che la partita persa non era il
motivo principale di tanta tristezza.
«Allora, vuoi deciderti a fare qualcosa per toglierti questa faccia da disperato, o devo farlo io?», sbottò il numero quattro del Kainan, per la prima volta sinceramente
adirato. Nobunaga arrossì fino alla punta dei capelli e si fece piccolo piccolo sul suo cuscino, mentre il resto della squadra ammutoliva di colpo.
«Shin», lo rimproverò bonariamente Soichiro, ma quello non gli badò.
«Hai fatto un casino, Kiyota Nobunaga, e devi risolverlo. Punto. Non serve a niente mettere il muso e rovinare la festa agli altri».
«Io non ho fatto un bel niente, Capitano! È stata lei a–» Non riuscì a finire la frase, dato che un improvviso pugno sulla testa gli fece morsicare
la lingua tra i denti.
«Quando siamo andati a trovare Sakuragi... vi siete incontrati, vero?»
«Uh… più scontrati, direi», borbottò Nobunaga, lanciando un’occhiata sbieca e imbarazzata alla squadra, evidentemente troppo interessata alla
loro discussione per continuare a fare casino – maledette pettegole in pantaloncini. «Capitano, possiamo parlarne in un altro momento?»
«No».
Il numero dieci incurvò la schiena, abbattuto. «E cosa vuoi che dica?»
«Cos’altro è successo, per esempio. Fino all’altro giorno eri incavolato con il mondo, ora sembri un cane bastonato», spiegò Maki, abbassando
il tono di voce. «Sono preoccupato per te, Nobunaga».
Il resto del Kainan, capendo che la discussione pubblica fosse finita, riprese a chiacchierare. Solo Jin rimase con un orecchio teso verso i due.
«Ha detto di odiarmi. “Ti odio così tanto da far male”», la scimmiottò, le nocche che divennero bianche come il latte per quanto stava stringendo
i pugni. «E mi ha fatto intendere che… ecco, che fosse innamorata di me, davvero innamorata, a differenza mia».
«E questo ti turba?»
«Diamine, certo che sì!», s’inalberò. «Continua a raccontare frottole, nonostante tutto! Avrei dovuto dirle io, quelle cose, non viceversa».
Il numero quattro lo osservò in silenzio, mentre si arrovellava le cervella, e capì che non gli stesse dicendo tutto. «Cos’altro è successo?»
Nobunaga si mordicchiò il pollice, serrando la mandibola. «Non hai proprio sentito niente?» Al cenno negativo dell’altro, sbuffò. «Crede che
stia uscendo con Nana, solo perché ci ha visto insieme alle piscine».
Il sempre pacato Soichiro quasi sputò l’acqua che aveva appena bevuto. «Cosa?!»
«Eh, quello che ho detto io!», replicò la Scimmietta. «Insomma, con tutto il rispetto, Jin-san, ma non è proprio il mio tipo».
«E meno male», ridacchiò la Guardia del Kainan. «Non mi piacerebbe essere un tuo rivale! Comunque, la Sakuragi è gelosa. È un buon segno, no?»
Dopo qualche istante di silenzio Nobu borbottò qualcosa, ma nessuno capì in che lingua stesse parlando. Solo in quel momento si rese veramente conto che sì,
Hime era gelosa, ma non di chi credeva lui. Non certo di Rukawa.
L’illuminazione lo colpì come un poderoso pugno allo stomaco e gli mancò il fiato. I suoi amici e compagni di squadra gli chiesero spiegazioni, così raccontò
loro che poco dopo fosse arrivato il Volpino con una bella ragazza – “la cugina del Porcospino, credo fosse lei” – e anziché essere disperata per il tradimento dell’amato, Hime gli era
sembrata quasi sollevata di vederli insieme.
«Hai capito, Rukawa con una ragazza!», esclamò quel bisonte di Takasago, dando inizio alle speculazioni e alle battute sul fatto che stesse uscendo con la cugina
del suo peggior rivale.
«Che sia qualche subdola tattica per indebolire Sendoh?», chiese un altro.
«Probabile; Sakuragi lo dice spesso: le volpi sono infime!»
«E comunque non credo saprebbe cosa farci, con una ragazza», commentò un altro, sghignazzando.
Soichiro, nel frattempo, si grattò il mento, pensieroso. «Forse dovrei parlarle. Alla Sakuragi, intendo. E dirle che Nana non è interessata a te e che la cosa
è reciproca».
«Oh, no, senpai, non farlo», replicò Nobunaga, con le mani tra i capelli lunghi e neri. «Gliel’ho già detto e non è servito a niente.
Merda, e se avessi davvero frainteso tutto? Se anche i suoi amici e quell’idiota del fratello avessero capito male?»
«Ti prenderei a sberle, se potessi», sbottò Maki, stringendosi la radice del naso tra le dita. «Le hai mai dato la possibilità di replicare e spiegarsi?»
«Certo che sì! E lei non ha aperto bocca!»
«Forse perché era troppo sorpresa da quella doccia fredda che le hai gettato addosso, di punto in bianco?»
«Ma–»
L’occhiata gelida del senpai Maki gli fece morire le parole in bocca.
«Supponiamo che abbia frainteso, che lei sia sempre stata sincera e tu un’idiota», iniziò Shin’chi. «Come hai intenzione di rimediare?»
Nobu boccheggiò come un pesce fuori dall’acqua per troppo tempo. Non ne aveva la più pallida idea. Non era neppure sicuro che, qualsiasi cosa avesse fatto, sarebbe
riuscito a ricucire il loro rapporto. Aveva ragione, lei, a dirgli che bisognasse fidarsi dell’altro – lui aveva fallito miseramente. E una parte di lui, inconsciamente, sperò che i suoi amici si sbagliassero,
che lui avesse avuto ragione fin dall’inizio e che lei fosse una bugiarda.
L’idea di averla accusata inutilmente, di averla fatta soffrire disprezzandola in tutti i modi, di aver perso tempo lontano da lei, era un pensiero così doloroso e nauseante
che persino un tradimento gli pareva più accettabile.
«Kiyota, ti senti bene?», domandò Muto, vedendolo pallido come un fantasma.
Il numero dieci non rispose. Si limitò ad alzarsi, ringraziare in un borbottio Jin per l’ospitalità e corse via.
*
«Quindi vai con quella Azamui a fare jogging?»
«Yoga, Hana! Yoga!», replicò lei, ridendo. Per quella prima seduta si era ovviamente conciata malissimo, come sempre: pantaloni larghi e leggeri, rigorosamente
bianchi, sopra due paia di calze a maglia in lana; la maglietta che Kaede le aveva comprato in ritiro e una felpa bianca; ma d’altronde quello era il suo pessimo gusto in fatto di abbigliamento e Hanamichi non poté
far altro che ricambiare il sorriso.
«Sembri una gelataia in pigiama», le fece notare, con una mano davanti alla bocca per non riderle in faccia.
Hime gli tirò contro la cuffietta in lana. «Tornerò per le sei, credo. Ordiniamo porcherie da asporto per cena?»
«Ma che domande fai? Certo che sì!»
La gemella lo abbracciò con affetto. «È sempre bello sapere che posso contare su di te, fratellone».
Lo lasciò poco dopo, sorridente come un ebete. La sua Hicchan.
Non fece in tempo a prendere d’assalto il frigorifero, che il telefono di casa squillò. Chi poteva essere a quell’ora? Che Mito e gli Altri volessero dargli buca
per la consueta uscita pomeridiana? «Casa del Tensai Sakuragi, chi ha l’onore di chiamarmi?»
Sentì una timida risata dall’altra parte della cornetta e non la riconobbe subito.
«Sakuragi senpai, sono Arimi. Arimi Kiyota».
Il suono di quel cognome gli annebbiò la vista per qualche istante, ma si impose calma. Quella era la dolce e piccola Ari-chan, non quel demente del fratello. «Ehilà!
Qual buon vento?»
«Volevo sapere come stava la tua schiena; ho sentito che ti sei fatto male».
Hana, di riflesso, si accarezzò la zona lombare. Avrebbe dovuto fare i suoi esercizi, prima che se ne dimenticasse. «Va alla grande, Ari-chan! Lo sai che niente e nessuno
può fermarmi, no? Ahaha! E i tuoi progressi con le gambe?»
Chiacchierarono sugli ultimi aggiornamenti, dato che era da qualche tempo che non si sentivano, finché la ragazza non gli spiegò il vero motivo della chiamata. «E
Hime-san come sta?»
«Benone, credo. Insomma, per quanto bene possa stare dopo che quella scimmia di tuo fratello le ha spezzato il cuore», sputò con rabbia. «Scusami, Ari-chan,
ma la situazione mi fa imbestialire».
La sentì sospirare, affranta. «Lo posso immaginare, ma mi chiedevo… ecco, volevo fare qualcosa per quei due testoni. Insomma, si vede lontano un miglio che si
amano!»
«Ah! Se Kiyota fosse stato davvero innamorato di mia sorella, avrebbe ascoltato quello che aveva da dire. Insomma, sono stato il primo a pensare che il Volpino se la facesse
con Hicchan, ma mi ha assicurato che non fosse così e le ho creduto subito – cioè, quella pettegola di Ayako me lo ha riferito; Hicchan non vuole parlare di questa storia».
«Nemmeno Nobu. Insomma, se si tratta di un grosso malinteso come temo, non credi dovremmo aiutarli? Sono stanca di vedere mio fratello in queste condizioni, e immagino anche
tu Hime-san».
Hanamichi gonfiò le guance, poggiando la fronte contro il muro. Non voleva che la sua sorellina soffrisse di nuovo per quell’idiota. D’altra parte, stava soffrendo
ugualmente per la sua lontananza e indifferenza. Non sapeva dove sbattere la testa, se non contro quella della Scimmia.
«Che avevi in mente?»
Arimi fu felice che Sakuragi non potesse vedere il suo rossore, quando confessò di non avere alcuna idea e che l’aveva chiamato nella speranza che potesse aiutarla a
trovare una soluzione.
Hanamichi sospirò. Si sedette per terra, schiena contro il muro e una mano sul ponte del naso. Era molto tentato di rifiutare l’offerta e lasciare le cose come stavano.
Kiyota non meritava una ragazza come la sorella, così come non gli avrebbe mai perdonato la gigantesca mancanza di rispetto nei suoi confronti. Ma amava Hime più di se stesso e, se fosse servito a farla stare
meglio, avrebbe fatto qualcosa per aiutarla. Due sberle, la Scimmia Selvaggia, le avrebbe prese ugualmente. «So che me ne pentirò, Ari-chan. Me ne pentirò sicuramente, ma sì. Cerchiamo una soluzione».
*
Hime si guardò intorno, nella piccola piazza in cui si era data appuntamento con Reiko Azamui. Era arrivata da dieci minuti e stava già saltando per tenersi calda.
Non doveva stupirsi del fatto che la nuotatrice fosse in ritardo: non era cugina di Sendoh per niente!
«Eccomi!», esclamò una trafelata Reiko. «Perdonami, ho perso il treno per un soffio e ho dovuto attendere quello successivo, che mi ha fatto fare il giro
del mondo prima di arrivare qui».
Hime scosse il capo, sorridente. «Nessun problema. Sono già rodata con i ritardi di Akira».
«Ah, è nel DNA della famiglia, è impossibile arrivare in orario per tutti noi», replicò con fare drammatico Reiko, sistemandosi la sciarpa attorno
al collo. «Allora, l’altro giorno mi dissi che avessi un altro impegno, oggi. Vuoi occuparti di quello e poi andiamo a yoga? Le lezioni iniziano ogni ora, quindi non avremmo problemi».
Hime si grattò il naso, nervosa. «No, non è il caso, davvero».
«Si tratta di Kiyota, vero?»
La rossa chinò lo sguardo, trovando più interessante la punta delle scarpe sporca di neve. «Uh… sì. Avevo un appuntamento al canile per adottare
un cagnolino e regalarglielo per la fine dell’anno. Il suo è scappato quest’estate, credo che lo avesse spronato a correre come un forsennato e ha perso la presa del guinzaglio. Il solito idiota, praticamente».
Hime sospirò, imponendosi di non ridere. «Era un pensiero che avevo in testa dal giorno in cui me lo raccontò; insomma, non si sostituisce un cane così, però… ecco, magari avrebbe potuto
fargli piacere. Ad ogni modo, ora non ha più importanza».
Reiko la osservò con i suoi grandi occhi blu e la prese sotto braccio. «Sai cosa ti dico? Che dovremo andarci ugualmente».
«E per cosa?»
«Perché i cani sono stupendi e ti farebbe bene distrarti un po’ tra abbai e scodinzolii. Poi vedrai tu cosa fare. Magari trovi il cane adatto a te, che so!»
Tralasciando il fatto che se avesse davvero portato un cane in casa sua madre sarebbe morta di paura e sarebbe andata in paranoia per l’igiene, alla fine Hime dovette cedere
a tanto entusiasmo – e come rifiutarla, se le sorrideva in quel modo? Maledetti cugini Sendoh/Azamui e i loro maligni metodi di convincimento!
Camminarono a braccetto, tra chiacchiere frivole e i preparativi di fine anno, compresa la festa a sorpresa per il compleanno di Kaede.
«Immagino che non sarà felice della cosa», commentò Reiko, pensando al numero undici dello Shohoku.
«No, decisamente no. Odia le sorprese ed essere al centro dell’attenzione – a meno che non si tratti di basket: allora sì che è una prima donna!»
«Vi conoscete da molto?»
«Da quando eravamo pargoli. Conservo i ricordi migliori della mia infanzia insieme ad Hanamichi ed Ede».
«Ed è sempre stato così taciturno?»
Hime strinse le labbra. «Lo è da quando la madre morì. Insomma, non è mai stato un grande chiacchierone, ma… beh, non la prese affatto bene. Sai
il polsino nero che porta sempre al braccio? Glielo regalò qualche settimana prima di andarsene e da allora non ha mai smesso di indossarlo durante le partite e gli allenamenti. È il suo modo di averla sempre
accanto, in un certo senso».
Reiko non aggiunse altro, ma pensò che fosse un gesto molto dolce da parte sua. «Cosa pensavi di fare per la festa a sorpresa?»
Hime ridacchiò. «Una cosa molto banale, in realtà. Sai che il tema saranno gli anni 70, no? Beh, allo scoccare della mezzanotte, dopo i festeggiamenti per il
nuovo anno, Sana canterà un’altra canzone – buon compleanno - insieme a un intero coro di dementi. Vuoi unirti alla festa? Aki è dei nostri».
«Oh, sì! Farò solo finta di cantare, però. Sono un po’ stonata».
«Dici così perché non hai mai sentito Hanamichi sotto la doccia! Oh, eccoci arrivati», fece Hime, osservando l’insegna del canile. Dalle vetrine del
piccolo locale provenivano guaiti e latrati ovattati. Con il freddo di quei mesi, le avevano spiegato al telefono, avevano dovuto spostare i loro ospiti a quattro zampe all’interno dello stabile, invece che lasciarli
nel cortile. Lei aveva annuito, comprensiva; come l’idiota che era, si era sempre domandata come facessero a camminare senza scarpe, soprattutto con la neve sotto le zampe.
Scosse il capo, grattandosi ancora una volta la punta del naso lentigginoso. Stava tergiversando nuovamente e solo perché non aveva idea di cosa fare. Forse avrebbe potuto
adottare un cucciolo e regalarlo alla sorellina, Arimi. Ne sarebbe stata felice, ne era sicura.
«Allora, entriamo? Mi sto congelando», la spronò Reiko, che la vide indecisa.
Con un sospiro, Hime annuì. Magari, come le aveva detto la sua nuova amica, le avrebbe fatto davvero bene.
Ayako sollevò lo sguardo dalle schede che stava compilando. «Cosa?»
Hime Sakuragi osservò la neve che cadeva placida oltre le alte finestre della palestra, e sorrise. «Il fatto che noi siamo qui, al calduccio, mentre quegli esagitati si
congelano le chiappe di fuori».
La prima manager scoppiò a ridere, seguita a ruota da un devastante “Oh oh oh” di Nonno Anzai.
«Ryota sta prendendo il ruolo da capitano un po’ troppo sul serio», notò Ayako, asciugandosi le lacrime.
Hime annuì. «Neppure il Gori sarebbe arrivato a tanto per una punizione. Sarebbe fiero di lui».
«Il ragazzo è un po’ masochista, però», fu il commento di Kiyo, che poggiò rumorosamente la propria sacca accanto alle loro, stanca e accaldata
dalla doccia bollente che si era appena goduta dopo gli allenamenti in piscina – alla faccia dei cestisti. Salutò con un inchino l’allenatore e le ragazze, per poi accomodarsi accanto alla Sakuragi. «Insomma,
il massimo sarebbe stato se lui fosse rimasto qui con voi, mentre gli altri crepavano di ipotermia».
«Detto tra noi, temo che creda possa fare davvero bene, una “corsetta” a meno dieci gradi. “Tonifica i muscoli e il cervello”, o così mi pare che abbia blaterato poco fa».
«Bah. Con quelle noccioline che si ritrovano in testa c’è ben poco da tonificare. Al massimo finiscono di rincoglionirsi», fu la scientifica e giusta conclusione
di Yoehi. Tale deduzione fu sottolineata dal rientro dei bisonti, alcuni dei quali completamente ricoperti di neve dalla testa ai piedi. Un po’ troppa per essere il risultato di una leggera e romantica nevicata.
Hime saltò in piedi, trotterellando verso il fratello, che non sapeva se ridere o piangere per i geloni. «Perché ho paura di chiedere cosa sia successo?»
«No, no, chiedi pure!», sbraitò Mitsui, incacchiato come un toro. «Chiedi pure a quel cerebroleso di tuo fratello! Brutto deficiente! Ci prenderemo una polmonite
a due giorni dalla finale!»
«Ohi! Perché non ve la prendete col Tappo? È stata sua l’idea di correre sotto la neve! Io ho solo ravvivato un po’ le cos– oh, andiamoooo!»
E scappò via verso gli spogliatoi, inseguito dal resto della squadra, Tappo in prima fila, e dalle risate di Nonno Anzai.
«È proprio senza speranze, quel Do’aho», biascicò Kaede che, tra tutti, sembrava quello meno colpito dal freddo.
«Ovvio, è un ghiacciolo», mormorò tra sé e sé Hime, facendo spallucce e ridacchiando alla sua stessa patetica battuta.
«A proposito del ghiacciolo», sussurrò Ayako. «Come procedono i preparativi per la sorpresa?»
La rossa si sfregò le mani come l’invasata che era. «Oh, Aya-chan, sapessi. Sapessi! Ci ucciderà tutti. Prima era di una banalità paurosa, ma poi Hana
ha avuto un’idea geniale e –».
«È ovvio! Sono un genio!», fu la rumorosa risposta di Hanamichi, che arrivò inspiegabilmente dall’oltretomba.
«Ma… come ha fatto a sentirci?»
«Beh, almeno sappiamo che è ancora vivo».
«Ahia, Mitchi! Mi fai la bua alla testa!»
Mito sospirò. «Lo è almeno per il momento».
«Hana!», gridò la sorella, precipitandosi verso gli spogliatoi. «Ti salvo io!»
«Tu stai fuori, maledetta pervertita!», gridò l’intera squadra, ormai già bella che inerme sotto l’acqua delle docce.
Hime tornò ridendo, più rossa dei suoi capelli. «Ooops».
«Come se ci fosse qualcosa di interessante da vedere», borbottò Takamiya, per niente geloso dei fisici scolpiti dai duri allenamenti.
I sospiri estasiati delle donne e i fazzoletti sporchi di sangue dal naso furono una risposta più che chiara.
«Ma domani andiamo a vedere la partita?», domandò Yoehi. Si pentì della domanda non appena terminò di formularla.
«Dobbiamo allenarci», fu la lapidaria risposta di Hime. «Non abbiamo tempo da perdere».
«Ma si tratta pur sempre di Shoyo-Kainan – e per il terzo posto», tentò Ayako. «Potrebbe essere istruttivo. E non credo che un allenamento sfiancante il
giorno prima della finale sia salutare – sia fisicamente che mentalmente».
Hime si mordicchiò l’interno di una guancia, cercando di non sbottare. «Bene. Visto che avete già deciso, dovrò chiamare Reiko e chiederle di prestarmi una bandiera dello Shoyo – o qualcosa del genere. Farò un casino nero».
«Nah, non c’è bisogno di chiedere a lei», fece Yoehi, con serietà. «Dai uno sguardo al tuo armadio; sono sicuro che qualcosa di quel colore osceno
sia già a tua portata. Quello sì che è un casino». Accettò di buon grado un pugno sul fianco, consapevole di esserselo più
che meritato.
«Voi su chi puntate?», domandò Noma, tirando fuori un taccuino per prendere appunti sulle scommesse.
«Io punto una pistola sul numero dieci del Kainan», biascicò Hime, che richiuse una cartella con enfasi e balzò in piedi come una cavalletta. «Ci vediamo
dopo, passo un attimo a controllare i preparativi della festa di fine anno – e la sorpresa per Ede», aggiunse in un sussurro divertito.
Ayako le fu accanto in un istante. «Vengo anch’io; sono proprio curiosa di sapere cosa diavolo abbiate architettato voi Sakuragi».
«Sana è lì?», domandò Yoehi, cercando di non farsi vedere troppo interessato. Fallì miseramente, ovvio.
«C’è anche la zia», ricordò Hime, con un sorriso malefico.
«Oook, credo che invece rimarrò qui ad aspettare Hanamichi – o quello che ne resterà. Dubito che
sopravviva, oggi».
«Saggia scelta», ridacchiò la rossa, che trotterellò dall’amica tuttofare con Ayako al braccio. Sana, nel bel mezzo delle prove di una canzone, le salutò
entrambe con un sorriso da orecchio a orecchio, ma dopo l’occhiata di rimprovero della zia tornò a concentrarsi sul suo lavoro.
«Oh, finalmente hanno stampato i primi volantini!», esclamò Hime. «Ne prendo un po’ per domani, così riempio le tasche al Ryonan e al pubblico».
«Tranquilla che di te le hanno già, le tasche piene».
Le due manager si scambiarono un’occhiata, prima di scoppiare a ridere. «Cielo, Ayako! Questa è persino peggio delle mie freddure!»
«Ho avuto una brava insegnante», le fece l’occhiolino l’altra, sorridendo malandrina.
L’espressione ilare sul viso della Sakuragi si spense poco dopo, quando un pensiero le schiaffeggiò la mente, inaspettato e apparentemente senza senso.
«Tutto bene?», domandò infatti la più anziana.
Hime si mordicchiò un labbro, prima di stringersi nelle spalle. «È che, tarda come sono, ho appena realizzato una cosa». Arrossì sotto lo sguardo perplesso
dell’altra. «Sì, insomma… l’anno scolastico finisce tra qualche mese e poi… poi tu sarai al terzo anno, lascerai lo Shohoku come Akagi e Kogure-san perché dovrai preoccuparti dei
test per l’università, e poi anche quell’anno scolastico terminerà in fretta come questo e lascerai la scuola. Tu, Ryo-chan, Hisashi… mi mancherete. Mi mancherai, Ayako».
La senpai, dopo qualche momento di smarrimento, scoppiò a ridere di sincero divertimento. «Ma sei impazzita? Manca ancora più di un anno! E non ho intenzione di mollare
la squadra, l’anno prossimo. Concilierò le due cose - sono una donna, posso fare più cose contemporaneamente!». Poi le sorrise con affetto, stringendola in un forte abbraccio. «Anche tu mi mancherai,
Rossa. Ma avremo il tempo e il modo di vederci, ne sono sicura. Adesso non pensiamoci – per caso hai il ciclo perenne? Questi cambi improvvisi d’umore non sono mica normali, eh».
Hime ridacchiò, ricambiando l’abbraccio. «C’è solo una cosa che non mi mancherà».
«Cosa?»
«Il tuo ventaglio».
Lo stesso che Ayako le tirò in testa subito dopo.
*
«Hicchan».
Hime, con la bocca piena di ramen e gli occhi fissi sul libro di storia, mugugnò qualcosa con tono interrogativo.
«Secondo te abbiamo qualche possibilità di farcela? Dopo domani, intendo».
Non c’era bisogno che lo specificasse; era ovvio a cosa si stesse riferendo.
«Non vedo perché no», replicò la sorella, dopo aver ingoiato. «Insomma, abbiamo battuto il Ryonan quando ancora nessuno praticamente ci conosceva e non
avrebbe speso uno yen su di noi. Con questo non voglio dire che sarà facile e che dobbiamo stare tranquilli. Non lo sarà affatto, ma… sì, credo che potremmo farcela».
«Ma...», tentennò Hanamichi, rigirando una bacchetta tra le dita affusolate. «Questa volta non ci sarà il Gori a difendere il canestro… e quel Daichi
Anami – dici che posso farcela?»
Hime sollevò gli occhi sul gemello e sorrise. «Hana, tu sei un ottimo centro. Il migliore che lo Shohoku abbia mai avuto dopo Akagi. Anzi, forse sei persino più bravo
di lui, imprevedibile come sei», aggiunse, ridacchiando. «In tutta onestà, non so quanto quel ragazzotto sia dotato, ma se è tra i primi cinque della squadra un motivo ci sarà». Gli prese
le mani tra lei sue e gliele strinse con affetto e forza. «Ma credimi quando ti dico che sono sicura troverai un modo per sorpassare la sua difesa e per creare un muro sotto il nostro canestro. Aki è un ottimo
giocatore, lo sappiamo bene, e ora che è capitano le sue strategie saranno ancora più efficaci e provocatorie. Ma abbiamo tutte le carte in tavola per vincere, Hana. Ne sono sicura!»
Il faccino di Hanamichi si illuminò con uno splendido sorriso da ebete e l’abbracciò con forza – rischiando di incrinarle qualche costola.
«Domani mattina corsetta e poi allenamento al campetto, prima di scuola? Verranno anche Mitchi, il Tappo e i Gemelli Siamesi. E ci sarà anche il Volpino, immagino»,
aggiunse, impettito.
«Come se ti dispiacesse», lo provocò la sorella, scoppiando a ridere nel vedere l’espressione di puro oltraggio che assunse a quelle parole. «Comunque
ci sto – basta che non ci sia il Puffo. Devo scaricare un po’ di adrenalina, prima della partita di domani sera e non voglio innervosirmi ulteriormente».
Hanamichi si rabbuiò. «Hicchan, non sei obbligata a venire, se non ti va».
«Qualcuno mi disse di affrontare i problemi senza evitarli. Verrò, Hana. Non ho nulla da rimproverarmi e, credimi, dopo quello che ho visto in piscina e la scenata dell’altro
giorno in ospedale –». Si tappò la bocca con entrambe le mani quando si accorse di aver parlato troppo.
Le orecchie del numero dieci si fecero a parabola. «Quale scenata? È venuto in ospedale? Ma io lo ammazzo sul serio quel deficiente! Avresti dovuto dirmelo! Era già
nel reparto giusto, l’avrei pestato per bene e ricoverato nel giro di dieci minuti!»
Hime scosse il capo. «Va tutto bene, Hana-chan. Ormai è finita sul serio e non ho assolutamente voglia di stare lontano dai miei amici per causa sua. Verrò e farò
il tifo per quel bel ragazzo di Mr. Fujima».
Il cestista quasi si strozzò con la zuppa. «Bel ragazzo?! Quel damerino?»
«Hana, non mi aspetto che tu capisca l’eleganza di Mr. Fujima».
«Elega–», il centro parve davvero perplesso, mentre si grattava la capa rossa. «Bah! Io non vi capirò
mai. Come quelle che dicono che il Volpino è uno strafigo».
«Il Volpino è uno strafigo, Hanamichi».
Il ragazzo scostò il piatto, disgustato. «Basta, mi è passata la fame».
«Hana, hai già ripulito il piatto. Non fare finta di non avere più appetito!»
«Sì, beh… però un altro giro di ramen avrei voluto farmelo».
«La quarta porzione, vorrai dire».
«Ho bisogno di energie, Hicchan! Devo crescere! Ho una finale da vincere!»
La madre, che era intenta a mettersi le scarpe all’ingresso prima di recarsi in ospedale per il suo turno, gridò: «Non riuscirai neppure ad alzarti dalla panchina,
col culone che ti ritroverai se continui a sfondarti di cibo! Ti useranno come palla! Lasciane un po’ per me, disgraziato!»
Hanamichi parve oltraggiato. «Ma mamma! Non si tratta così il tuo bambino!»
«Maiale, vorrai dire! Diventerai grasso come il Signor Anzai!»
«Questo è maltrattamento! Sai che dovrai pagarmi le sedute dallo psicologo?!»
Le donne di casa scoppiarono nella fragorosa Risata Sakuragi, quando una voce bassa e inaspettata giunse dalla finestra.
«L’ho sempre detto che devi vederne uno bravo, Do’aho».
*
Il giorno dopo la squadra dello Shohoku non fu la sola ad andare alla partita per il terzo posto. Come aveva previsto Hime, il Ryonan al completo era già ai propri posti e Akira,
sorridente e splendente come solo un Sendoh poteva essere, aveva riservato una decina di posti accanto ai loro. Molti, tra il pubblico, iniziarono a bisbigliare alla volta delle due squadre che, proprio il giorno dopo, avrebbero
dovuto giocarsi una finale infuocata e che invece chiacchieravano e scherzavano come se niente fosse.
«Hime, luce dei miei occhi!», esclamò il capitano del Ryonan con le mani al cuore. «Vieni dal tuo amato! Anche tu, Kaede! C’è un posto libero qui
davanti a me!»
Con mezzo Shohoku schiantato dalle risate nel vedere il missile terra-aria che la Volpe aveva appena lanciato al Porcospino, e l’allenatore Taoka che sbraitava contro il suo capitano
affinché non si mettesse a fare il demente e si concentrasse sul gioco, ognuno prese i propri posti, con il casino tipico dell’arrivo dei Diavoli Rossi.
«Allora, chi scommette sullo Shoyo?»
«Io scommetto che la Nobu-Scimmia sbaglierà almeno tre o quattro tiri liberi – come sempre».
«Abbiamo patatine a sufficienza?»
«Hanamichi, porca zozza! Quella era la mia merenda!»
«La tua merenda? È metà pizza! E sono le quasi le sei di sera!»
«Non mi sembri molto scioccato, dato che ti sei appena ingoiato una fetta».
«Ecchecavolo, Mitsui! Togli i piedi dalla mia sedia!»
«Tappo, non essere geloso delle mie gambe lunghe! È che non so dove metterle!»
«Saprei io dove ficcartele–»
«Ma insomma!»
Sotto gli occhi terrorizzati di tutti gli spettatori – persino Taoka, per un terribile istante, temette per la sua incolumità – Ayako sfoderò la sua arma di
distruzione di massa e la calma tornò a regnare.
Non durò molto.
Gli insulti alla volta della Nobu-Scimmia, non appena le squadre vennero chiamate in campo, si sprecarono. Questo, che non aveva il coraggio di voltarsi verso quel casino nel timore
di incontrare un certo paio di occhi castani, si limitò ad alzare il dito medio. Gli insulti non si placarono affatto, il che non lo aiutò certo a trovare la concentrazione di cui aveva bisogno.
Hime osservò di sbieco il buon Jin battergli una mano sulla spalla e bisbigliargli qualcosa che avrebbe dovuto risollevargli il morale; non parve riuscirci, ma notò che
Kiyota annuiva di tanto in tanto. Un groppo in gola le fece tornare il malumore: avrebbe potuto essere lei a tirargli su il morale per la tristezza di aver perso in semifinale e a dargli la forza giusta per aggrapparsi almeno
al gradino più basso del podio. Invece no. Aveva deciso di comportarsi da bambino col moccio al naso e quello era il risultato.
«Brutto deficiente», borbottò, attirando l’attenzione di Akira.
«Uhm?»
Hime scosse il capo, regalandogli un sorriso. «Reiko non viene?»
Il Porcospino si batté la mano sulla fronte. «Mer– Ho dimenticato di andare a prenderla alla stazione».
«Tranquillo, non mi avresti trovata», fece una voce alle loro spalle. La studentessa dello Shoyo arrivò in quel momento, trafelata e infreddolita. «Sono arrivata
in ritardo e ho perso il treno».
Akira strabuzzò gli occhi, prima di esclamare: «Alla grande!»
I cugini scoppiarono a ridere, come normale che fosse; Rukawa, che fingeva di sonnecchiare ma che in realtà aveva udito tutto – compreso il terribile arrivo della piattola
– si passò una mano sul viso, rassegnato.
«Ehilà, campione!»
Kaede buttò un’occhiata oltre la ringhiera e misurò l’altezza che lo separava dal pavimento più in basso. Se si fosse buttato magari avrebbe scampato
quel supplizio.
«Ti spiace se mi siedo qui?»
O magari avrebbe potuto lanciare lei. Aveva una finale da giocare, il giorno dopo. «Sì, molto».
«Grazie, sei gentilissimo!»
Hime si tappò la bocca con entrambe le mani pur di non ridere nelle orecchie del suo migliore amico – sospettava non avrebbe gradito; Reiko, d’altra parte, si voltò
per strizzarle un occhiolino di divertimento.
«Sarà una lunga partita», commentò Akira, con un sorriso malandrino sulle belle labbra, mentre allungava il braccio alla volta delle spalle di Hime con fare
innocente. «Già. Una lunghissima partita. Vero, Ede?»
«Ehi, Porcospino! Giù le zampacce da mia sorella!»
A quel grido d’allarme, Nobunaga si voltò di scatto verso le tribune, e quel familiare senso di gelosia che lo pervadeva ogni volta che quel pavone di Sendoh civettava con
la sua Hicchan, tornò più forte di prima. Stava per sbraitargli contro, se non fosse stato per la sirena che decretava la fine del riscaldamento pre-partita e che lo riportò con i piedi per terra.
Le squadre si riunirono attorno ai rispettivi allenatori per gli ultimi consigli e tattiche, e il pubblico sembrò farsi più euforico che mai.
D’altra parte Hanamichi, preso dall’ennesimo attacco di fame nervosa, indicò il numero sei dello Shoyo con il pacchetto di popcorn quasi vuoto. «Certo che quel
Kazushi Hasegawa ti somiglia proprio, eh Sendoh?»
Akira buttò un’occhiata verso la panchina e si massaggiò il mento con fare pensoso. «Tu dici?»
«Beh, avete lo stesso taglio di capelli».
Hiroaki “Signor Simpatia” Koshino, seduto all’altro fianco del suo capitano, sbottò: «Sakuragi, non è che se ti tingi i capelli di nero e fai crescere
la frangetta puoi dire di somigliare a Rukawa».
Prima che il centro dello Shohoku s’inalberasse sbraitando che nel caso sarebbe stato Rukawa a tingersi i capelli di rosso per avvicinarsi alla sua maestosa bellezza e non il contrario,
Ayako agitò il suo ventaglio con fare minaccioso; quello le sorrise da orecchio a orecchio, porgendole una bustina di patatine alla paprika nel patetico tentativo di calmarla.
Fu del tutto inutile. A lei nemmeno piaceva la paprika, lo informò dopo avergli lasciato un bel bernoccolo in testa.
«La vera domanda è: chi ha copiato chi?», chiese Hime, sinceramente interessata all’argomento.
«Bah, è come chiedersi se sia nato prima il gorilla o Akagi», fece notare Mitsui con una scrollata di spalle sconsolata, mentre Ryota al suo fianco annuiva in accordo.
«E poi sembra sempre incacchiato», aggiunse Koshino.
«Dunque, somiglia più a te che ad Aki», concluse la Sakuragi.
Il Porcospino scoppiò a ridere, passandosi cautamente una mano sulla punta dei capelli per controllare che fossero ancora ben ritti sulla testa, mentre il tappo del Ryonan le
gracchiava contro che lui non era mai perennemente incacchiato.
Appunto.
L’attenzione fu riportata in campo non appena Hanagata e Takasago si sistemarono per la palla a due e il gioco iniziò.
Il primo possesso fu dello Shoyo, che fece subito viaggiare la palla di mano in mano, veloce e agile. Tentò di realizzare il primo canestro con una tripla di Hasegawa, ma Kiyota
saltò come una cavalletta e deviò la traiettoria prima che il pallone iniziasse la sua parabola discendente. Maki afferrò il rimbalzo e il contropiede partì come un fulmine verso Muto.
Hime strinse i pugni sul bordo della poltroncina in plastica quando vide Nobunaga scattare insieme a Jin verso il canestro avversario. La difesa dello Shoyo li raggiunse e quando Kiyota
tentò una delle sue schiacciate, decise di lasciar scivolare la palla alle sue spalle verso il cecchino del Kainan. I movimenti di Jin furono fluidi come se stesse facendo la cosa più semplice del mondo e portò
i primi tre punti alla squadra giallo-viola.
Un boato di esultanza esplose nel palazzetto, ma le grida di disappunto e i buuu che si sollevarono tra i Diavoli Rossi sorpassarono facilmente quel gran baccano. Hime saltò in
piedi, battendo due bottiglie l’una contro l’altra e sfoggiando una maglietta comparsa dal nulla – piccolo regalo di Reiko Azamui che glielo aveva passato pochi minuti prima. Una grande scritta bianca su
sfondo verde gridava Forza Shoyo! e per poco Kiyota, quando la vide dal basso del campo, non svenne dalla rabbia. Era la maglia ufficiale della squadra di nuoto,
ma questo lui non lo sapeva e non doveva saperlo, ghignò la seconda manager dello Shohoku mentre inneggiava alla maestosità di Mr. Fujima.
«Hai proprio voglia di farlo morire», commentò ridacchiando Akira, gustandosi l’espressione afflitta e sconcertata della scimmietta del Kainan.
Hime gridò più forte in tutta risposta.
Fu un match surreale, per certi versi. Molti, tra il pubblico, si chiesero come fosse possibile che quella non fosse la finale, data la bravura e la fierezza delle squadre in campo.
A un minuto dalla fine del primo tempo, infatti, il punteggio era ancora fermo 23-24, bassissimo per quegli standard. Le difese di entrambe le squadre erano così serrate che neppure
gli attacchi più potenti riuscivano a sorpassarle. Nessuno stava cercando di conservare energie, perché quello era l’ultimo atto e avrebbero dovuto dare il massimo.
Poco più avanti Reiko Azamui lanciò un’occhiata al Volpino accanto, apparentemente sonnecchiante e con la bolla al naso. «Vedo che ti stai divertendo un mondo».
Non ricevette risposta e decise di rischiare ancora una volta la vita azzardandosi a punzecchiarlo con un dito. «Ma è morto?»
«Magari», biascicò Hanamichi con la bocca piena delle patatine di Takamiya. «Avremmo una possibilità di vincere, domani!»
«Continua a ripetertelo», fu la glaciale risposta di Kaede, mentre si grattava gli occhi assonnati. Poi si voltò verso la nuotatrice dello Shoyo, che lo stava ancora
punzecchiando. «Devi continuare per molto?»
Reiko annuì. «È per motivi scientifici. Sto constatando la flessibilità dei tuoi muscoli», dichiarò con un’incredibile faccia da poker,
mentre ora gli palpeggiava il braccio senza ritegno alcuno.
In quel momento accadde qualcosa di terribile.
Una vera e propria catastrofe.
Un evento così raro che fu facilmente confuso con un cattivo presagio.
Rukawa arrossì.
L’Apocalisse non era mai stata così vicina, aveva iniziato a gridare Hanamichi, mentre con una mano faceva risuonare un campanaccio comparso dal nulla e sbandierava un cartello
di avvertimento.
Ebbene sì. Rukawa arrossì come un ragazzino qualsiasi, per niente abituato a certe libertà nei suoi confronti – neppure Hime, nella sua infinita follia, si
era mai azzardata a toccarlo così. E se anche lo avesse fatto, lei era tutta un’altra storia. Non era Reiko Azamui, la cugina dell’odiato Porcospino, piattola detestabile e portatrice sana di un sorriso
tremendamente, irrimediabilmente fastidioso.
E bello.
Oh merda, fu tutto ciò che la sua mente assonnata riuscì a formulare. Ebbe la prontezza di riflessi di scacciare quella mano dal braccio
con un gesto brusco, sollevandosi il cappuccio in testa e calandoselo sulla fronte, nella speranza di sparire.
Era sonnacchioso e non ragionava, ecco tutto.
Inutile dire che le risate iniziarono pochi secondi dopo e non cessarono neppure con il fischio dell’arbitro che decretava la fine del primo tempo.
«Ehi, Sakuragi! Hime-san! Tutto bene?»
I gemelli, con i lacrimoni agli occhi, si voltarono alla volta di Arimi Kiyota, che li salutava con la mano libera dalla stampella, mentre si allontanava per qualche minuto dai genitori
per raggiungerli e scambiare due chiacchiere.
Purtroppo per lei dovette attendere a lungo prima che quei due si riprendessero dall’isteria.
Reiko fu l’unica che, incredibile ma vero, riuscì a mantenere un aspetto decoroso. «Temo sia colpa mia», fece con drammaticità.
«Oh».
«Scu-scusaci, Ari-chan», fecero in coro i gemelli Sakuragi.
«È appena passata la cometa Halley», fece Ayako, come se spiegasse l’accaduto.
«La cometaché?», domandò Hanamichi, le risate dimenticate, sinceramente perplesso.
«Lascia stare, va’».
«Come stai, Arimi?», domandò Hime, sforzandosi di sorridere a quel viso troppo simile a quello del fratello maggiore.
«Non bene come voi, a quanto pare!», ridacchiò lei, riferendosi allo sciame di divertimento che inspiegabilmente aveva contagiato tutti. «Partita interessante,
vero?»
«Sarebbe più interessante se la Nobu-Scimmia perdesse».
La Kiyota accusò il colpo con un sorriso. «Stavo andando a prendere qualcosa da mangiare alle macchinette».
«Ti accompagno io, Ari-chan!», si offrì Hanamichi, che voltò lo sguardo verso la panchina del Kainan e salutò con un sorriso beffardo il fratello della
ragazzina, fumante come una teiera.
«Ecco, magari ricomprami la merenda che ti sei sbaffato con i miei soldi, maledetto scroccone!», sbraitò Takamiya, lanciandogli contro una bottiglietta vuota.
Hime balzò in piedi, sistemandosi la pinza tra i capelli rossi. «Vengo anche io, ho fame!»
«No no no, tu no!», esclamarono in coro Hanamichi e Arimi, che sbiancarono.
«Co-come no? Perché?»
«Perché–», iniziò il fratello, allungando un po’ troppo la e finale.
«Perché non è il caso andare tutti insieme. Dimmi cosa posso portarti, Hime-san, così facciamo prima!»
Arimi Kiyota era una pessima bugiarda, quello era ovvio. E Hanamichi, che annuiva in tutta fretta, era pure peggio.
«Mi state nascondendo qualcosa?»
«Chi, noi? No, no!»
I due Gemelli Siamesi allungarono il collo verso i due. «Che fate, parlate in coro come noi, ora? Vogliamo i diritti!»
Hime incrociò le braccia al petto. «Hanamichi Sakuragi».
«O-ho», mormorò Hisashi, nascondendosi dietro al Tappo. «Si sta incacchiando».
«Mitsui, temo tu abbia sbagliato riparo, allora», fu il mesto commento di Ayako, alludendo alla mole per niente ingombrante del suo fidanzato – che scoppiò in
lacrime per l’affronto.
«Hicchan, ti posso spiegare», iniziò il Rossino, camminando all’indietro verso gli ingressi degli spalti e alzando le braccia verso la sorella, nel vano tentativo
di contenerla. «Io non ero nemmeno d’accordo! È colpa sua!»
Arimi sbarrò gli occhi e fece per alzare una stampella, minacciando di rompergli la capa rossa. «Traditore!»
Hime sbuffò. «Avanti, qual’era il piano?»
I due si scambiarono un’occhiata colpevole.
«Avremmo dovuto metterlo a punto, se solo non ti fossi impicciata», la rimproverò Hanamichi.
«Vogliamo solo rivedervi felici», ammise la più piccola, abbassando lo sguardo sul pavimento.
«Sì, beh, anche se vorrei comunque spaccargli il muso», proseguì il numero 10 dello Shohoku, per niente contento all’idea di rivedere la sua adorata sorellina
tra le braccia della Nobu-Scimmia.
La seconda manager abbozzò un sorriso. «È un gesto molto dolce, davvero. Ma non voglio che vi intromettiate. Io ho fatto la mia parte e non ha funzionato; spetterebbe
a lui fare la sua, ma è troppo –»
«Stupido?»
«– stavo per dire orgoglioso, ma forse hai ragione tu, Hana», ridacchiò infine Hime. «Grazie lo stesso, ragazzi».
Incredibilmente entrambi tirarono un sospiro di sollievo. «Meno male!»
«Meno male?», ripeté la Sakuragi.
Arimi si passò una mano tra i capelli neri e disordinati, ridacchiando e arrossendo. «Beh sì! Come piano faceva acqua da tutte le parti».
«Solo la tua, di parte, Ari-chan. La mia era ovviamente geniale! Ahahaha!»
Continua...
Note. So che vi devo delle scuse, ma il lavoro si è fatto incessante - fine settimana compresi - e, tra
la ricerca di una casa, un trasloco infinito e l’assenza di wi-fi , non ho avuto tempo di nulla - neanche per i miei Ragazzi Selvaggi.
Io, per rassicurarvi, continuerò a ripeterlo fino allo sfinimento: questa storia vedrà una fine. Promesso. Spero solo abbiate la pazienza di seguirmi, così come
io persevero anche quando scrivere risulta difficile e a volte impossibile. :)
E sì, so che vi state chiedendo come finirà tra Shoyo e Kainan, ma lo scoprirete nella prossima puntata. :P