Mystic Hill - The other world

di Emy Potter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Un luogo pieno di ricordi ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Un semplice giro in bici...o no? ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - L'altra Mystic Hill ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Catherine ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Incendio ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - La fuga ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Un luogo pieno di ricordi ***




Era da tanto che non tornavo a Mystic Hill, saranno cinque anni. È il luogo da dove proviene la parte paterna della mia famiglia, solo mio padre è nato in città a quanto ne so io. Quasi tutto il resto dei miei parenti si trasferì quando i miei nonni spiegarono quanto bene si trovassero fuori dal paese, solo i miei zii rimasero.
Un tempo ci venivamo tutti gli anni e ammetto che mi divertivo molto. Non uscivo quasi mai di casa per fare un giro nelle vicinanze, mi bastava giocare con i miei fratelli nel giardino che faceva parte dell'abitazione. Era un edificio a due piani, le pareti tinte di un giallo pastello e il tetto dalle mattonelle rosse ormai sbiadite dal tempo. Tutto sembrava enorme per dei bambini che abitavano in un appartamento al tempo piuttosto piccolo di città; poi abbiamo comprato anche l'appartamento affianco e ci siamo allargati.
Correvamo spesso per il vialetto che attraversava la casa, giocando a prendere, a nascondino o a strega tocca colore, il gioco preferito di mia sorella quando era più piccola. Un altro mio passatempo era arrampicarmi sull'albero in giardino o sui pali che tenevano i fili per stendere, sporcandomi i vestiti e riempiendo puntualmente le mie gambe di grossi lividi, facendomi vagamente assomigliare ad un dalmata. I miei genitori mi dicono sempre che non ci si annoiava mai se io ero nei dintorni. Per quanto ricordo, Mystic Hill è sempre stata soleggiata e calma, viveva un piacevole silenzio interrotto solo dalle nostre risate e dagli uccelli che cinguettavano allegri.
Ora sono molto più tranquilla, con il tempo sono cambiata parecchio. Non credo però possa essere "etichettata" in qualche modo: non posso essere una bad girl perché non mi piace fare del male alle persone e se posso cerco di aiutare chi è in difficoltà, non sono nemmeno una secchiona perché non sono mai stata un granché nello studio, né una asociale perché mi piace stare con le persone, anche se ho bisogno dei miei spazi ogni tanto. Credo di essere una semplice ragazza a cui piace leggere, ascoltare musica alternativa e vedersi con gli amici più stretti. Come tutti so di avere i miei pregi e i miei difetti, così come so che certe cose so farle e molte altre (ma davvero tante) no, ma mi va più che bene. Sono felice di non essere perfetta.
"Hes, aiutaci con le valige per favore" mi chiamò mia madre, Anneka, mentre scendevo dall'auto. Hes è il mio soprannome, il nome completo è Hester.
"Arrivo subito" risposi aiutandola con i bagagli prendendo il mio zaino e la mia valigia. I miei fratelli, Lorelle e Matthew, fecero lo stesso con le loro, così come mio padre, Leroy.
Da lontano le facce contrariate dei miei zii mostravano quanto fossero in disaccordo con il mio look: canottiera nera aderente, pantaloncini di jeans a vita alta, camicia a quadri rossa con le maniche corte, sneakers bianche e tanti accessori (grandi orecchini a cerchio, un bracciale di quelli che compri dai venditori ambulanti e tre collane attorno al collo, una che raffigurava un acchiappasogni, un'altra l'albero della vita e un tattoo choker). Forse erano anche i miei capelli tinti di un rosso intenso che li turbavano, o altrimenti i miei occhi cerchiati dall'eyeliner e la matita nera. Probabilmente si aspettavano di vedermi vestita come una vera donna ora che per loro ero già da maritare. Sicuramente le mie spalle più larghe dei fianchi non aiutavano a rendere femminile la mia figura, questo per via degli anni di nuoto semi agonistici che avevo fatto nel periodo in cui il mio corpo era in piena fase di crescita.
Eppure le loro espressioni cambiarono totalmente quando ci avvicinammo. Non erano false, non ero come mi immaginavano, ma non mi vedevano da come minimo cinque anni quindi era ovvio che erano felici di riavermi lì.
"Hester!" esclamò mia zia Florinda, per noi Flo, abbracciandomi forte con un sorriso a trentadue denti. Era la sorella di mia nonna e ricordo che ogni volta che venivo a trovarla mi faceva trovare un nuovo giocattolo e tanti dolci, per questo non vedevo mai l'ora di tornare da lei con la mia famiglia. Inoltre è sempre stata particolarmente allegra e giocherellona con me, forse anche perché ero la prima bambina dell'intera famiglia al tempo.
Intanto i miei genitori salutarono mio zio, per poi fare cambio quando mi allontanai da Florinda. Lei era una donna di corporatura media, capelli castani a caschetto lisci e occhi dello stesso colore coperti da un paio di occhiali dalle lenti piuttosto spesse. Una cosa che ci accomuna sono le fossette, caratteristica che sembra abbiamo solo noi due nella famiglia. Lui invece aveva un po' di pancia, più alto di lei di poco, dai capelli e gli occhi neri con sopra di essi due spesse sopracciglia molto vicine tra loro, quasi unite. Era sempre molto simpatico, da piccola mi faceva tanti scherzi esilaranti che ancora ricordo con nostalgia.
"Ciao, zio Elliot" lo salutai abbracciando anche lui, stretta che ricambiò.
"Come sei cresciuta" disse sorridendo.
"Davvero tanto" confermò zia Flo.
"Ormai è diciottenne" si intromise mia madre mostrandosi fiera di me. Dopotutto, a parte il mio disordine, non aveva nulla di cui lamentarsi come genitore: i miei voti sono sempre stati nella media, solitamente sul sette, ho sempre cercato di essere responsabile, giudiziosa e con lei ho un buon rapporto anche se delle volte era un po' troppo severa.
"Sei mancata molto anche a Wyatt" continuò Elliot. A quel nome il mio cuore si strinse di colpo per poi prendere a battere ancora più forte per l'emozione. Wyatt era il coniglio bianco con cui giocavo quando ero bambina. L'ho visto nascere quando avevo nove anni e mi piaceva tanto passare il tempo con lui. Ricordo perfettamente come i suoi occhietti rossi mi guardavano, passando le giornate con me si è affezionato quasi subito. Mi seguiva ovunque, spesso lo portavo sulla spalla o nella taschina davanti della mia camicia per quanto era piccolo.
"Posso vederlo?" Chiesi entusiasta di poter riaccarezzare il suo pelo morbido.
Come risposta mi portarono sul retro dell'abitazione, dove tenevano la gabbia dei conigli, mentre i miei genitori entrarono per sistemare le nostre cose. Wyatt era lì, cresciuto, in mezzo ai suoi fratelli che mangiava una foglia di lattuga. La zia Flo aprì il cancelletto in modo che potesse andarlo a prendere, mentre lo zio Elliot controllava che nessuno uscisse. Senza fare fatica, Florinda prese Wyatt in braccio e me lo portò sorridendo.
"Ciao piccolo Wyatt" mormorai quando lo ebbi abbastanza vicino, per poi avvicinargli la mano in modo che potesse sentire il mio odore. Doveva avermi riconosciuta, perché quando lo presi in braccio era calmo, non scalciò per scappare via e anzi si fece più vicino al mio petto.
"Anche tu sei cresciuto molto, vedo" gli dissi ridacchiando e grattandogli le lunghe orecchie. Mio zio intanto richiuse la gabbia, segno che potevo tenerlo quanto volessi. Mi accompagnarono in casa, dove presero a chiacchierare con i miei genitori in cucina, mentre io mi diressi verso quella che un tempo era la mia cameretta.
Era esattamente come la ricordavo: le pareti dipinte di bianco, il letto da una piazza e mezza perfettamente rifatto con le lenzuola bianche immacolate e una coperta di lana verde muschio, di quelle che ti fanno prudere ogni volta che le metti addosso, presenti anche se fuori c'erano come minimo trenta gradi. L'armadio era a tre ante, fatto di legno chiaro, esattamente come i comodini, mentre sul tavolino all'angolo c'era una televisione a tubo catodico che non vedevo da parecchio tempo. I miei fratelli avevano stanze simili, cambiava solo il colore delle coperte.
Poso la mia valigia e il mio zaino, sedendomi poi sul letto insieme a Wyatt che prese a saltellare in tondo sul materasso. Ridacchiai e cominciai ad inseguirlo, giocando a prendere insieme a lui esattamente come facevamo quando avevo dieci anni. Dovetti accovacciarmi quando si infilò sotto il letto, alzando le coperte per guardare sotto.
"Esci di lì, Wyatt" gli ordinai ridendo, ma lui se ne stava là sotto, affianco ad uno scatolone che riconobbi subito.
"Non ci credo!" esclamai tirandolo fuori, lasciando il coniglio dov'era. Tanto la porta e le finestre erano chiuse, per cui non poteva comunque uscire dalla stanza.
Aprii lo scatolone ritrovandoci tutti i vecchi giocattoli che usavo quando venivo qui d'estate. Dovevo assolutamente farlo vedere ai miei fratelli. Lasciando sempre Wyatt in camera, uscii correndo e chiudendomi la porta alla spalle, raggiungendo in poco tempo le loro stanze.
"Matt, Lory, venite a vedere!" Li chiamai entusiasta di mostrargli la mia scoperta. Contagiati dal mio atteggiamento e curiosi di cosa stessi parlando, smisero di fare quello che stavano facendo e mi seguirono.
Quando si ritrovarono davanti i giocattoli ebbero reazioni totalmente diverse: mio fratello aprì la bocca per lo stupore per poi inginocchiarsi affianco allo scatolone, mentre mia sorella rimase piuttosto impassibile.
"Non te li ricordi?" le chiesi senza perdere il sorriso, "li usavamo quando venivamo qui!"
"Vagamente" rispose lei. Per quanto andassi più d'accordo con lei, i ricordi che avevo erano più condivisi con quelli di mio fratello. Dopotutto ci toglievamo solo tre anni, mentre con lei cinque.
"C'è ancora il mio He-Man!" Esclamò lui prendendolo in mano, "e la nave dei pirati!"
In quel momento, Wyatt saltò affianco a noi, facendo saltare Lorelle per lo spavento.
"Tranquilla, è Wyatt" le dissi prendendo il coniglio in braccio.
"Non ti ricordi nemmeno di Wyatt, Lorelle? Hai davvero una memoria di merda" la prese in giro Matthew, uno dei suoi passatempi preferiti.
"Stai zitto, cretino! Ero troppo piccola!" si difese mia sorella dandogli un pugno sulla schiena
"Woah, woah, woah!" la rimproverai, "niente mani addosso!"
"Ha cominciato lui!"
"Non hai comunque il diritto di picchiarlo" le risposi, "Matt, smettila di darle fastidio."
Ho sempre fatto da giudice tra i due senza fare preferenze, sono sempre stata più equa possibile: se uno dei due sbagliava lo dicevo senza problemi, spiegando accuratamente cosa avesse fatto di male e facendogli fare la pace. Ero una mediatrice, insomma.
Aiutai mio fratello a portare lo scatolone in camera sua tenendo Wyatt sulla spalla, mentre mia sorella tornò offesa nella sua stanza. Posammo il contenitore a terra e poi me ne andai, decidendo che era ora di andare a mangiare qualcosa al piano di sotto e chiacchierare un po' con gli zii, approfittandone anche per prendere qualche foglia di lattuga per Wyatt.

-O-

-Narratore esterno-

"Cal, dove mi stai portando?" il ragazzino a malapena riusciva a stargli dietro per quanto veloce fosse il giovane davanti a lui.
"Fidati, è qualcosa di parecchio interessante" gli disse tenendo la voce bassa in modo che nessuno potesse sentirli.
La sera prima aveva piovuto, per cui il più piccolo faceva ancora più fatica a camminare per via del fango che gli stava sporcando le scarpe. Guardando in basso fece una smorfia di disgusto, "sarà meglio per te che ne valga la pena, queste erano scarpe eleganti!"
"Mi stupisce che un moccioso come te sia sempre tanto perfettino" lo prese in giro Cal, "alla tua età ci sguazzavo nel fango."
"Ecco perché sei diventato un mago fallito" ribatté l'altro. Il giovane ignorò le tue parole, anche se lo avevano irritato. Sapeva però che si sarebbe rimangiato tutto quando avrebbe visto quello che aveva intenzione di mostrargli.
Arrivarono alla strada ghiaiosa che costeggiava il fiume, mozzafiato come al solito. Il ragazzino ne approfittò per il cambiamento del terreno per sbattere i piedi su di esso cercando di togliere più fango possibile, facendo intravedere il nero lucido che stava sotto di esso. I calzini bianchi ormai erano da lavare, ma provò ugualmente a pulirli utilizzando il fazzoletto di stoffa ricamato che portava sempre in tasca, ben piegato come al solito e perfettamente pulito. Sin da piccolo i suoi genitori gli avevano insegnato che se avesse voluto diventare un rispettabile gentiluomo avrebbe dovuto essere perfetto anche nelle più piccole cose, cose che però la società avrebbe sicuramente notato.
Camminarono in silenzio costeggiando il fiume, fino a raggiungere una grotta scavata nella roccia. Entrarono, il minore più confuso di prima, "mi vuoi dire dove mi stai portando?" domandò spazientito. Era stanco di aspettare, voleva una risposta. Solitamente era paziente, ma con Cal era impossibile, i suoi modi di fare lo irritavano.
Il giovane non rispose, continuò ad avanzare verso quella che sembrava una luce bluastra provenire da lontano.
"Che diavolo...?" mormorò stupefatto e leggermente intimorito il ragazzino, ma la curiosità lo costrinse a continuare.
Raggirando un grosso masso si ritrovarono davanti ad un arco di pietre che emetteva la luce che avevano intravisto in precedenza.
"Cos'è?" chiese il più piccolo, gli occhi fissi su quello strano fenomeno.
"Cathy mi ha parlato di un portale di origini sconosciute che è comparso da qualche giorno. Era intenta a fare una delle sue solite esplorazioni per liberare la mente e ha sentito una forte potenza magica provenire da qui" gli spiegò Cal soddisfatto di quello che aveva scoperto.
"Un portale per dove?" domandò il ragazzino voltandosi finalmente verso di lui.
"Non ne ho idea, ti abbiamo portato qui per sapere se eri in grado di chiuderlo" rispose Cal, "per me sarebbe davvero divertente se qualcosa uscisse da lì o attraversarlo, ma Cathy dice che sarebbe un guaio se ci fosse un contatto tra noi e quello che c'è dall'altra parte."
"Quindi non potevi parlarmene perché temevi che qualche spia della regina potesse sentirci" affermò l'altro, "ma non ho qui il libro degli incantesimi e dovrei consultarlo per trovare qualcosa che possa essermi utile. Inoltre sono ancora inesperto, non poteva chiuderlo Cathy?"
"Dice che ci ha provato, ma i suoi poteri non erano in grado di chiudere un portale del genere. Ha detto di avere un'idea su dove potesse condurre, ma doveva avere delle conferme: è due giorni che passe il tempo in biblioteca" continuò Cal, "solitamente lo porti sempre quel tuo maledetto libro, quindi sono andato tranquillo."
"Mi hai messo fretta quando sei venuto, per cui ho preso la tracolla senza pensare a cosa ci fosse dentro! Mi sono accorto più tardi che era troppo leggera per contenere il libro. Ho controllato e infatti avevo ragione, ma non credevo fosse importante!" rispose lui battendo un piede a terra offeso.
Cal sospirò sconfitto pensando a cosa potesse fare ora, "vorrà dire che torneremo a casa tua, lo prenderemo e torneremo qui."
L'altro sbuffò contrariato, ma sapeva che non potavano fare altrimenti. Non era una cosa insolita il fatto che si aprisse un portale nel loro mondo, anzi era piuttosto normale data la quantità di magia presente, era quindi compito dei possessori di poteri di richiuderli per il bene dell'universo. Eppure era la prima volta che il più piccolo ne vedeva uno, d'altronde aveva cominciato a lavorare con Cal e Cathy da poco. Uscirono dalla grotta, pronti a dirigersi verso casa. Non si accorsero che proprio in quel momento, la luce del portale prese a farsi pericolosamente più intensa.

Nota autrice: Ammetto che non sono una grande fan delle storie scritte con il narratore interno, ma mi è venuto naturale scriverlo in questo modo. È la prima volta che uso questo stile, quindi siate pazienti se non ne ho tanta dimestichezza. Spero ad ogni modo che vi piaccia, fatemelo sapere con una recensione (accetto anche le critiche, purché siano costruttive e non semplici insulti), in modo che sia incoraggiata a continuare.
Alla prossima!
Kisses, Emy.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Un semplice giro in bici...o no? ***



Been tryin' hard
not to get into trouble,
but I, I've got a war in my mind.
So, I just ride, just ride.
"Ride", Lana del Rey.

Passarono due giorni dal nostro arrivo e devo ammettere che furono piuttosto monotoni: ci svegliavamo alle 10:30, facevamo colazione, guardavamo un po' di TV fino a pranzo e nel pomeriggio facevamo tutti qualche gioco da tavolo o aiutavamo gli zii con il loro orto. Era divertente innaffiare, spesso io e i miei fratelli ne approfittavamo per farci qualche gavettone sotto gli occhi divertiti dei nostri parenti. Era uno spietato tutti contro tutti che ci sfiniva a fine giornata, per questo dopo cena andavamo a letto relativamente presto.
Ma quella monotonia, per quanto divertente, cominciava a stancarmi, per cui quella mattina decisi di svegliarmi alle 7:00 per fare un giro in bici. Avevo avvisato i miei genitori il giorno precedente e loro si erano stupiti di quella mia scelta perché non sono mai stata il tipo di persona che intende svegliarsi presto, specialmente se si trattava di fare esercizio fisico, ma ne furono comunque felici e accettarono con piacere. Stare in un posto per troppo tempo mi dava fastidio e avevo voglia di passare per la strada che costeggiava il fiume in modo da godermi un po' di tranquillità. Quella strada la facevo sempre con i miei genitori, prendevamo la bici e seguivamo il fiume fino al paese vicino, dove la mattina facevano il mercato.
Mi è sempre piaciuto perdermi nei ricordi positivi, ma cosa ancora più bella era sognare in quel luogo magico. L'acqua era perfetta e invitante, gli alberi verdi che incorniciavano il paesaggio come in una delle più belle cartoline, con il sottofondo della natura tranquilla e rassicurante.
Un'altra cosa che amavo era l'esplorazione e ora che ero cresciuta ero sicuramente più attenta riguardo al mondo che mi circondava, senza perdere però la mia voglia di fantasticare. Fingevo spesso di essere una ricercatrice che attraversava in uno splendido luogo abbandonato dal tempo, un paradiso inesplorato che solo io avevo l'onore di visitare. Così, quando vidi una grotta, non ci pensai due volte ad entrarci, curiosa di quello che potessi trovarci dentro, lasciando la bicicletta legata ad un albero dal tronco stretto. Utilizzando la torcia del cellulare per farmi luce, presi ad addentrarmi sempre più a fondo, ringraziando il mio buon senso per avermi fatto indossare le mie scarpe da trekking quel giorno, altrimenti sarei scivolata sicuramente.
Facendo attenzione a dove mettessi i piedi, continuai ad entrare sempre di più, trovando un arco di pietra perfettamente modellato. Sembrava esserci una strana nebbia al suo interno, che però faceva intravedere senza alcun problema cosa ci fosse dietro. Curiosa di cosa si trattasse, vi passai attraverso, sentendo un forte senso di freschezza avvolgermi e uno strano attorcigliamento dello stomaco, come quando stai sulle montagne russe. La cosa più insolita fu il fatto che mi ritrovai esattamente nel punto in cui ero uscita, dando le spalle alla superficie ora cambiata: sembrava ricoperta da un liquido argenteo che emanava una forte luce azzurrastra. 
Guardandomi attorno spaesata e spaventata dall'accaduto, non ebbi più il controllo del mio corpo, il quale reagì da solo allontanandosi in fretta da quella grotta singolare. Anche se amavo i misteri e le esplorazioni ero parecchio fifona, l'ho sempre dovuto ammettere.
Girai per un po' in cerca della mia bici, ma di essa non vi era alcuna traccia. Strinsi i pugni e diedi un calcio ad un masso lì vicino quando mi resi conto che me l'avevano rubata. Ero furiosa, eppure l'avevo incatenata ad un albero! Come avevano fatto a portarla via lasciando il tronco illeso?
Capendo che sarei dovuta tornare a piedi, mi incamminai pazientemente verso la strada di casa. Presi il mio cellulare per ascoltare un po' di musica con le cuffie che portavo appese attorno al collo, notando che non ci fosse campo. Non mi stupii troppo di questa cosa, dopotutto ero in mezzo al nulla e il mio operatore telefonico non prendeva proprio ovunque. 
Per tutto il tragitto canticchiai canzoni di Halsey, incurante del fatto che qualcuno potesse sentirmi malgrado fossi abbastanza stonata. Forse anche più di abbastanza, ma cantare mi tranquillizzava.
Sicuramente non mi aspettavo che qualcuno mi spingesse a terra facendomi cadere con il viso sul pavimento. Urlai per lo spavento e quando cercai di voltarmi sentii una mano tenermi i polsi schiacciati contro la mia schiena e spingermi verso il basso, immobilizzandomi. Cercai di tirargli dei calci slanciando le gambe all'indietro, ma l'agressore sembrava averlo predetto perché era fuori dalla mia portata. Se solo fossi stata più agile forse...
"Tienila ferma!" gli ordinò un ragazzino dai capelli bianchi come la neve e gli occhi rossi come il sangue. Doveva avere non più di quattordici anni. La sua corporatura era esile, la voce ancora infantile e la carnagione pallida che sfidava il candido dei suoi capelli. Indossava una semplice camicia bianca con un gilet dalle strisce verticali nere e oro, dei pinocchietti grigi, un paio di calzini bianchi che gli arrivavano poco sotto il ginocchio e scarpe eleganti lucide sporche di fango.
L'altro invece, quello che mi teneva a terra, feci più fatica a vederlo a causa della mia posizione, ma potei notare i suoi capelli neri, la carnagione che sembrava ancora più chiara per il contrasto con il resto e i suoi occhi color ametista dalle pupille allungate come quelle di un gatto. In testa portava un elegante cappello a cilindro nero con il quadrante di un orologio sulla fascia dorata. Il resto non riuscivo a scorgerlo.
lei" disse il corvino, "non può essere nessun altro."
"Chi siete?!" domandai terrorizzata, temevo mi avrebbero fatto del male, "lasciatemi andare!"
"Se lo scordi!" mi urlò contro lo stesso ragazzo, ma l'altro sembrava confuso.
"Cal, aspetta" lo fermò mettendogli una mano sulla spalla, "i suoi vestiti sono strani e-"
"E quindi?" lo interruppe il più grande guardandolo stranito senza però diminuire la forza che usava su di me. Io non sapevo assolutamente di cosa stessero parlando, stava di fatto che non avevo intenzione di essere rapita, violentata, rapinata o chissà cos'altro avessero avuto in mente quei pazzi. Cominciai di nuovo a scalciare con tutte le forze che avevo in corpo, divincolandomi il più possibile per fargli perdere la presa, con ancora più foga di prima. La cosa lo prese alla sprovvista, per cui le sue mani scivolarono dai miei polsi e io ne approfittai per girarmi su se stessa facendolo cadere a terra. Tirando ancora calci e pugni alla cieca in modo che non riuscisse a riacciuffarmi, mi alzai più in fretta di quanto io stessa credessi di esserne capace e corsi il più lontano possibile. Non sapevo dove stavo andando, volevo solo mettermi in salvo, erano i miei istinti più profondi a guidarmi ed io non potei fare altro che ascoltarli senza esitare.
Li sentii corrermi dietro ordinandomi più volte di fermarmi, ma non lo stavo nemmeno ad ascoltare.
Credevo che li stessi seminando, ma la radice di un albero si alzò improvvisamente da sola, prendendomi alla provvista e facendomi inciampare, sbucciandomi le mani e le ginocchia. Feci per alzarmi e riprendere la mia fuga, ma il ragazzino dai capelli bianchi mi saltò sopra e mi bloccò a terra usando il suo peso. L'altro accorse aiutandolo a tenermi stretta, mentre io non davo segni di cedimento: continuavo a graffiare e scalciare alla cieca, sperando di riuscire nuovamente a liberarmi. L'adrenalina mi permetteva di non sentire stanchezza, ma sapevo che appena avessi ceduto un istante sarei crollata.
"Non vogliamo farti del male" mi disse con tranquillità il più piccolo dei due, il fiato corto e le mani che mi stringevano saldamente le spalle.
"Che stai dicendo, Wyatt? È la regina!"
Aspetta, aspetta Wyatt? Avevo sentito bene?
Nello stesso istante mi resi conto che i capelli del ragazzino erano bianchi come il pelo del mio amico animale, così come fui consapevole che il colore dei loro occhi era lo stesso. E poi occhi rossi? Cosa diavolo stava succedendo? Se erano lenti a contatto erano state realizzate davvero bene.
"Non credo sia lei" rispose Wyatt, "non avverto alcuna forza magica e se fosse stato così avrebbe già utilizzato i suoi poteri per difendersi. È qualcuno che le assomiglia molto, ma non è lei."
Ero sempre più confusa, non avevo la più pallida idea di cosa stessero parlando. Cal, intanto, sembrava essersi calmato perché quando lo guardai era molto più tranquillo.
"Credi che sia uscita dal portale?" domandò al più piccolo, il quale annuì lentamente, anche se titubante, per poi dirmi con gentilezza: "ascoltami, ora io ti lascio andare e ti spiegherò quello che sta succedendo, ma tu mi devi dire se sei passata attraverso un particolare arco di pietre all'interno di una grotta."
Io annuii esitante, confermando di averlo attraversato, sperando che mi lasciasse andare il prima possibile. Avevo fatto qualcosa di male? Sarei stata arrestata? E perché erano vestiti in quel modo?
I due si guardarono a bocca aperta, il che mi fece capire che sì, avevo fatto qualcosa che non dovevo.
"Che facciamo?" chiese Wyatt a Cal ed io attendevo solo la mia sentenza.
"Dobbiamo portarla da Cathy."

Nota autrice: Secondo capitolo di questa storia. Spero vi stia piacendo come a me sta piacendo scriverla. Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione in modo anche da incoraggiarmi a continuare, ringrazio in anticipo tutti coloro che lo faranno.
Alla prossima!
Kisses, Emy. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - L'altra Mystic Hill ***



I can hold the weight of worlds 
If that's what you need, be your everything.
I can do it, I can do it, I'll get through it.
But I'm only human and I bleed when I fall down,
I'm only human and I crash and I break down.
"Human", Christina Perri.


Quando chiesi una spiegazione, i miei accompagnatori non poterono fare a meno che fornirmene una: "Sei finita in un mondo parallelo" mi disse Wyatt, quegli occhi tanto simili a quelli del mio coniglio da farmi rabbrividire. Se non fossi finita in una situazione tanto assurda, avrei riso per la somiglianza.
"L'arco di pietre era un portale, se non te ne sei accorta probabilmente è perché la magia praticamente non esiste nel vostro mondo. Né esistono delle minime particelle che delle volte danno vita a quelli che voi definite miracoli" continuò l'albino ed io pendevo dalle sue labbra. Tutta quella storia era interessante quanto surreale, il tipo di cose che ho sempre amato.
"Perché non posso tornare indietro e passarlo di nuovo?" chiesi confusa e notai che le mie parole fecero arrossire il ragazzino. Trovavo deprimente il fatto che malgrado fosse evidentemente più piccolo di età, fosse comunque più alto di almeno cinque centimetri (non che ci volesse molto, sfioro a malapena il metro e sessanta).
"Sarebbe stato possibile se io e Cal non l'avessimo chiuso" rispose lui grattandosi la nuca, "eravamo venuti qui per questo, è il nostro compito."
"E non potete semplicemente riaprirlo?" domandai ancora volendo tornare a casa il prima possibile. O almeno una parte di me lo voleva, l'altra era troppo curiosa per farlo. 
La curiosità uccide, Hester; mi rimproverò la mia coscienza, impaurendomi abbastanza da sotterrare il mio lato indiscreto. O almeno, ero sicura sarebbe stato un effetto temporaneo. 
"Non è possibile" stavolta fu Cal a parlare con un sorriso orgoglioso che gli increspava le labbra, "un portale che viene chiuso non può essere riaperto, sono le leggi del nostro universo. Devono passare almeno cinquant'anni e poi può darsi che possa ricomparire nello stesso luogo."
Dev'essere un sogno; pensai tra me e me, sconcertata per gli eventi accaduti negli ultimi minuti. Sentivo la testa pulsare e ringraziai il fatto di avere ancora il mio zaino con me dove tenevo la mia personale scorta di pastiglie contro il mal di testa. 
Avevo provato a pizzicarmi più volte per svegliarmi, ma non accadeva assolutamente nulla. Inoltre vedevo nitidamente i luoghi e le persone attorno a me, cosa che nei sogni non mi accadeva mai. Le sensazioni anche erano diverse: il vento freddo mi scompigliava i capelli e mi sfiorava la pelle facendomi rizzare i peli, i raggi che riuscivano a passare attraverso i rami mi scaldavano il corpo, in contrasto con la freschezza dell'aria, i rumori erano chiari e non ovattati come accadeva solitamente e gli eventi avevano una consecutività logica, per quanto potesse esserlo viaggiare in un mondo parallelo.
Dovetti frenare i miei pensieri quando avvertii un'altra fitta alle tempie. Feci una smorfia di dolore e continuai a seguire i due ragazzi.
Cal non smetteva di sorridere, aveva un'andatura pigra e le mani nelle tasche della giacca; Wyatt, al contrario, era serio, gli occhi pieni di determinazione e la schiena dritta. Erano totalmente diversi l'uno dall'altro, ma entrambi bizzarri. Mi chiesi come due tipi del genere potessero andare d'accordo, non rendendomi conto che la risposta era semplice di quanto immaginassi: non ci riuscivano.
"Come ti chiami?" mi chiese l'albino volgendo il suo sguardo verso di me, facendomi sussultare. Il fatto che i suoi occhi fossero rossi come il sangue un po' mi inquietava. 
"Hester Murray" risposi di fretta, per poi pentirmene immediatamente: avrei potuto inventare un nome falso per sicurezza...
"Direi di andare subito da Cathy, avviserò i miei genitori con una lettera appena saremo lì" annunciò Wyatt, ma non sapevo se si stesse rivolgendo a me o al suo compagno. Tra i due sembrava il più responsabile.
"Non preoccuparti, ci arriveremo a minuti" rispose Cal senza perdere il suo sorriso. 
Quel tipo non mi piaceva, mi sembrava il classico sbruffone che pensa di sapere qualsiasi cosa. Già mi irritava, ma mi detti una calmata ricordando che un libro non si giudica dalla copertina. Magari poteva essere diverso da quello che dimostrava, forse era solo un modo per mascherare la sua insicurezza. Quasi risi quando mi resi conto di assomigliare ad una psicologa fallita che analizzava i comportamenti di un bulletto. Eppure dovevo aver imparato nella mia vita che delle volte le persone sono così come dimostrano e basta. Avrei scoperto in futuro se per lui era la stessa cosa.
Per tutto il tragitto, la calma del luogo era in totale contrasto con il mio stato d'animo e spesso mi venne voglia di scappare e correre lontano, non importava dove. Mi sentivo come un criminale che già portava la tuta arancione e veniva accompagnato in cella da due poliziotti pronti a saltarmi addosso al minimo accenno di fuga. Mi resi conto che nulla mi facesse credere che non fosse così, niente mi portava a fidarmi di loro e potevano essere tranquillamente due pazzi fanatici che vivevano in un mondo mentale tutto loro. Potevo tranquillamente essere ancora nella mia Mystic Hill. 
A quel punto, la domanda mi venne spontanea: "perché non mi date una prova per convincermi a seguirvi?"
I due si fermarono per guardarmi esterrefatti. "Stai scherzando spero" mi rispose Cal scoppiando a ridere, "non credo tu sia nella condizione di imporci nulla."
"Potrei rendervi tutto più difficile e tentare continuamente di scappare invece che seguirvi in silenzio" ribattei preparandomi a darmela a gambe, i miei piedi pronti a scattare ad ogni minimo accenno di pericolo. Non sarei di certo stata buona a guardare, se dovevano farmi del male non avrei reso loro le cose semplici. Se dovevo morire, prima avrei lottato fino alla fine per la mia sopravvivenza, non l'avrei accettato se non avessi tentato il tutto per tutto. 
Wyatt invece stava zitto, mi studiava curioso mettendomi a disagio, senza perdere però la sua compostezza. Non capivo il perché del suo sguardo, sembrava come se stesse cercando di capire qualcosa o di prevedere le mie mosse. Oppure ero una semplice cavia da analizzare. 
"Noi abbiamo la magia, se volessimo potremo legarti e trasportarti senza problemi" continuava intanto Cal, ma l'albino alzò una mano per fermarlo.
"Non dobbiamo sottovalutare i non-magici" lo avvisò severo, "conosci bene il loro vantaggio."
Non avevo la più pallida idea di cosa stesse parlando, dopotutto potevano risolvere ogni problema con la magia. A quella realizzazione mi si accese una lampadina: forse era proprio questo che li fregava, in un certo senso. Noi non abbiamo la magia, per cui dobbiamo risolvere i nostri problemi in un altro modo.
"Bravo,  rivelale i nostri punti deboli" lo accusò Cal ridacchiando ironico, "sarai il Prescelto, ma questo tuo comportamento è la prova che Cathy ha ragione sulle le differenze tra noi e loro, solo che non vale per tutti a quanto pare."
"Senti chi parla!" esclamò Wyatt spingendolo, "sei tu il tonto dei due!" 
Sarebbe sembrata una spinta innocente se una scarica di energia non fosse scaturita dalle sue mani colpendo il più grande e facendolo cadere a terra, all'indietro. Rimasi a bocca aperta a quella vista, rendendomi conto che tutte le loro parole dovevano corrispondere a verità, non erano dei semplici pazzi. Eppure questo fatto non mi consolava più di tanto.
"Schifosissimo moccioso ingrato" sibilò il corvino furioso mettendosi seduto e scomparendo davanti ai miei occhi increduli, ricomparendo alle spalle dell'albino e ricambiando la spinta. Cominciarono ad azzuffarsi, tra spintoni, pugni e magia. Quella scena mi terrorizzava, mi resi conto quanto debole fossi in confronto a loro. Sapendo che avrei rischiato molto a stare lì, decisi che quella sarebbe stata la mia unica occasione per allontanarmi da quei due. Non mi interessava se potevano aiutarmi, se non avessero cattive intenzioni o sì, non mi fidavo e mi ero decisa che avrei trovato un portale da sola. 
Senza che loro mi notassero, cominciai inizialmente a indietreggiare un passo alla volta, per poi correre ancora una volta lontano da loro. Non sembrarono essersi accorti della mia fuga, perché non sentivo nessun passo dietro di me, né ordini che mi imponessero di fermarmi. L'unica cosa che facevano era cercare di avere la meglio sull'altro, esattamente come due animali che lottano per la loro preda. Meglio per me, era proprio vero che tra i due litiganti il terzo gode. 
Ben presto arrivai in quella che doveva essere Mystic Hill dell'altro universo. Era diversa da come me la immaginavo, credevo avrei visto qualcosa che poteva essere uscita direttamente da "Il Signore degli Anelli", mentre invece era identica a quelle foto o a quei ritratti che la mostravano nel periodo tra la seconda metà del 1800 e i primissimi anni del 1900, solo con più edifici. 
Mi feci strada per le vie del paese, cercando di tenere un basso profilo, ma tutti quelli che posavano lo sguardo su di me cominciavano a bisbigliare tra di loro. Non me ne stupii più di tanto, dopotutto il mio abbigliamento doveva essere strano per loro, ma la cosa non mi faceva stare bene. 
Volevo solo trovare un portale, doveva essercene uno da qualche parte! Ero stanca di stare lì. Avevo sempre voluto vivere avventure in un mondo dove tutto poteva accadere, come probabilmente ogni amante del fantasy come me, ma essere davvero in una situazione del genere fa paura. Se nel mio mondo solitamente ero coraggiosa e tranquilla, ora mi sentivo come una bambina che doveva affrontarlo per la prima volta. Ero lontana da casa, la mia famiglia probabilmente terribilmente preoccupata per me, senza poteri a differenza degli abitanti del posto e se le cose fossero andate male avrei rischiato la vita. E ovviamente, la cosa mi spaventava. Forse la frase "Attenta a cosa desideri" era più vera di quanto me ne rendessi conto.
"Che ci fa qui tutta sola, maestà?" ero così presa dai miei pensieri che non mi accorsi che alcuni uomini (tutti ovviamente più alti e più robusti di me) si erano avvicinati, circondandomi. 
Diavolo, mi ero dimenticata della mia somiglianza con la loro regina. Portai subito le mani in avanti indietreggiando, ma a quel gesto loro sembrarono mettersi sulla difensiva. "No, io non sono sua maestà, avete sbagliato persona" spiegai cautamente temendo il peggio. Quella donna non sembrava molto amata in questo paese. 
"Sta mentendo!" esclamò uno alla mia destra, "è lei, ne sono sicuro!"
"Ma non ci sono guardie e i suoi capelli hanno un colore diverso. E poi cosa ci farebbe lei qui?" domandò un altro poco distante da lui. 
"A me non interessa se sia lei o no" disse invece un'altra voce dietro di me afferrandomi per il polso e girandomi nella sua direzione, "hanno lo stesso viso, per cui nel dubbio io la faccio fuori. Chi è d'accordo mi segua." 
Cominciai subito a divincolarmi a quella frase, gli occhi spalancati per il terrore. "No, no, non sono la regina, ve lo giuro!" cercai di convincerli, ma gli altri si stavano avvicinando senza problemi. Sentivo le lacrime pizzicarmi gli occhi, convinta che forse quella sarebbe stata davvero la mia fine. Ma ancora una volta non mi arresi, la disperazione mi faceva urlare e combattere, scalciando e tentando di fuggire. La presa di quegli uomini però era troppo forte, niente in confronto a quella di Cal ed io ero sicuramente troppo debole per fare qualsiasi cosa. 
Nel trambusto generale sentii i corpi dei miei aggressori irrigidirsi alla vista di qualcosa -o qualcuno- poco lontano da noi. Quando seguii i loro sguardi rimasi esterrefatta: davanti a noi c'era una donna che portava uno splendido abito rosso fuoco in raso che le aderiva perfettamente sulle curve messe il risalto dal corsetto, lasciando le candide spalle scoperte con delle balze in pizzo, mentre dietro di lei vi era un lungo strascico ricamato d'oro. I capelli di un castano ramato -il mio colore naturale- erano ordinatamente raccolti in uno chignon con treccia, mettendo in risalto la splendida e scintillante corona di rubini che teneva sulla sua testa. Le mani erano coperte da due paia di guanti bianchi che le arrivavano a metà avambraccio. Ma quello che mi sconvolgeva era il suo viso: malgrado il corpo fosse per certi versi differente dal mio, i lineamenti erano identici ai miei, una somiglianza che mi fece venire i brividi. Il fatto che guardasse inoltre un punto nel nulla con gli occhi vuoti e senza espressione e le braccia pendessero inermi ai lati della sua figura, non aiutava. 
"La regina..." mormorarono gli uomini, lasciando la presa sul mio braccio, liberandomi. Lo sentii subito fare male, per questo lo strinsi istintivamente nell'altra mano per cercare di alleviare il dolore, massaggiandolo delicatamente. 
Quando la mia sosia ci diede le spalle per correre verso la direzione opposta, gli abitanti la inseguirono, dimenticandosi apparentemente di me. Per l'ennesima volta in quella giornata, dovetti fuggire, ma mi fermai quando una voce femminile bisbigliò nella mia direzione.
"Di qua" pronunciarono un paio di sottili labbra rosate e il mio sguardo si scontrò con due paia di dolcissimi occhi azzurri come il ghiaccio. Senza pensarci due volte raggiunsi quella che scoprii essere una bambina di dieci/undici anni dalla pelle bianca come il latte, i capelli biondo platino raccolti in due code basse e uno splendido vestito bordeaux. Mi arrivava alle spalle ed era davvero magrissima. 
"Va tutto bene?" mi chiese con la sua tenera vocina acuta ed io annuii, un po' scossa. "Vieni con me" continuò prendendomi per mano, "ti porterò al sicuro."

Nota autrice: Terzo capitolo! Che ne pensate? Vi piace? Spero di sì, anche perché ho dovuto scrivere e riscrivere più volte delle parti per essere soddisfatta. Fatemi sapere i vostri pareri con una recensione. Che impressione vi hanno fatto i personaggi? Sono davvero curiosa di sentire le vostre opinioni. Chi sarà questa bambina? Cosa ci faceva la regina lì? E che fine avranno fatto Cal e Wyatt? Lo scoprirete nei prossimi capitoli!
Alla prossima!
Kisses, Emy.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Catherine ***


She wants to go home, but nobody's home.
It's where she lies, broken inside.
With no place to go, no place to go
to dry her eyes, broken inside. 
"Nobody's Home", Avril Lavigne. 

 

Dopo quello che avevo appena passato dovetti per forza seguirla. Mi disse di chiamarsi Grace Reaburn, mentre io stavolta mentii sulla mia identità: "Susan Smith".
Era un nome banale, ma era il primo che mi fosse saltato in mente. La piccola annuì ed io mi rilassai pensando mi avesse creduta. Mi sentivo uno schifo per aver mentito ad una bambina innocente che mi stava persino aiutando, ma dopo gli ultimi avvenimenti preferivo che nessun altro conoscesse il mio vero nome. Almeno se Wyatt e Cal avessero chiesto di una ragazza chiamata "Hester" non avrebbero trovato tracce. Di nuovo però mi resi conto che bastava descrivermi e non ero propriamente passata inosservata.
Mi chiesi se avessi fatto bene a scappare da loro. Mi dispiaceva più per l'albino che per l'altro, probabilmente perché assomigliava al mio coniglio. Scacciai dalla mente quei pensieri, desiderosa solo di mettermi in salvo in quel momento. Ero esausta, tanto stressata da voler piangere e i miei familiari e i miei amici non mi erano mai mancati così tanto.
La bambina faceva moltissima attenzione a dove passavamo, controllava il perimetro ad ogni svolta e mi faceva correre tra un vicoletto e l'altro. Era agile, veloce ed estremamente adorabile.
"Sai per caso cosa ci facesse la regina da queste parti?" le chiesi finalmente, domanda che mi trascinavo da un bel po'.
"Certo che sì" rispose lei guardandomi, "l'ho creata io."
"C-cosa? Che diavolo significa?!"
"Era un'illusione: la regina non è mai stata qui" mi spiegò tranquillamente, "era la prima cosa che mi è venuta in mente per tirarti fuori da quel pasticcio."
"Definirlo pasticcio è un eufemismo" ridacchiai amaramente e lei sembrò capire la mia battuta perché mi rivolse un sorriso incoraggiante.
"Te la sei vista proprio brutta, in effetti" commentò e furono le ultime parole per tutto il resto del tragitto per non farsi sentire da nessuno. Solo quando raggiungemmo la porta sul retro di un edificio parlò ancora: "Siamo arrivati, qui sarai al sicuro."
Entrò senza esitazione, ma io rimasi titubante sulla soglia, indecisa se fidarmi ancora o meno. D'altra parte non potevo stare là fuori, appena qualcuno avesse visto il mio viso sarei finita nella stessa situazione di poco prima. Grace non si era fermata a controllare se la stessi ancora seguendo, continuava a camminare lungo quel corridoio che sembrava conoscere perfettamente. Era sicura le sarei stata dietro e così infatti fu.
Chiusi la porta alle mie spalle e allungai il passo per raggiungerla, temendo potessi perdermi all'interno dell'abitazione. Avrei voluto sbirciare dentro le stanze per vederne l'arredamento, ma le porte erano tutte chiuse perciò mi fu impossibile. Fui felice quando Grace ne aprì una permettendomi di entrare, ma quella gioia lasciò il posto allo spavento quando vidi che c'era qualcuno nella stanza: una ragazza che non avevo mai visto, Wyatt e Cal.
Prima che potessi tornare indietro, il corvino scomparì e ricomparì dietro di me per chiudere la porta e bloccarne il passaggio, mentre la bambina si avvicinava a grandi passi verso Wyatt, abbracciandolo quando lo raggiunse.
"Brava sorellina" si complimentò con lei accarezzandole la testa. Non ci potevo credere, ero finita nella tana del lupo! O meglio, dei lupi, i quali saranno stati particolarmente arrabbiati dopo che me l'ero data a gambe approfittando del loro litigio. I segni della lotta erano evidenti sui loro corpi: sotto il naso di Cal vi erano evidenti tracce di sangue, mentre Wyatt ne era uscito con un bell'occhio nero che spiccava pesantemente sulla sua pelle lattea.
"Quindi tu devi essere Hester, la ragazza che è uscita dal portale. Avevano ragione, sei a dir poco somigliante alla regina" cominciò la ragazza di cui non sapevo il nome, "io sono Catherine, ma mi chiamano tutti Cathy."
Era a dir poco bellissima: alta come minimo un metro e settanta, magra come un chiodo, ma con poche curve (il seno infatti era solo accennato attraverso la camicetta, mentre a differenza i fianchi sinuosi avevano la stessa larghezza delle spalle). Aveva grandi occhi di un bellissimo blu, lo stesso colore dei suoi lunghi capelli, pelle liscia e perfetta, viso perfettamente ovale e labbra carnose. Non credo di aver mai visto una ragazza tanto bella.
Indossava una camicetta celeste a righe bianche che le lasciava le spalle scoperte e dalle maniche larghe, un corsetto grigio, una gonna blu a ruota che le arrivava poco sopra il ginocchio e un paio di lunghi stivali neri che coprivano il resto della gamba.
Ora che me ne resi conto potevo vedere bene anche Cal: portava una lunga giacca nera che raggiungeva le caviglie, camicia bianca, semplici pantaloni dello stesso colore e un paio di scarpe molto simili a quelle di Wyatt. Sarà stato alto un metro e ottanta, il fisico asciutto.
"Hai davvero messo il tuo universo a rischio scappando da Cal e Wyatt" continuò Catherine seduta sul divanetto del salotto tranquilla, "prego accomodati, prendi una tazza di tè, abbiamo molto di cui discutere."
Intimorita da cosa sarebbe potuto succedere se non avessi accettato, feci quello che mi aveva chiesto sedendomi di fianco a lei, mantenendo però le distanze di sicurezza. Intanto, Wyatt e sua sorella si sedettero sul divanetto affianco, mentre Cal rimase davanti alla porta in ogni evenienza. Non me ne stupii dopo l'ultima volta.
"Non vogliamo farti del male" mi spiegò la ragazza notando la mia lontananza, "vogliamo che tu torni a casa tanto quanto lo vuoi tu."
"Perché?" domandai cercando di rimanere calma. Non sembrava mentire, ma ancora una volta ero indecisa se fidarmi o meno, specialmente dopo essere stata tradita da Grace. Non che mi avesse del tutto mentito, ma non mi sentivo ancora al sicuro.
"Noi facciamo parte di un'organizzazione segreta che intende mantenere la pace e la tranquillità a Mystic Hill e, secondo la nostra opinione e quella del popolo, la regina non sta facendo un buon lavoro" mi spiegò mettendo un paio di zollette nel suo tè al lampone, "per te quanto zucchero?"
"No, per me niente tè, grazie" rifiutai temendo fosse una trappola.
Lei prese un sorso del suo per poi continuare: "uno dei compiti della nostra organizzazione è quello di trovare e chiudere i portali che si aprono nel nostro universo, in modo che l'esterno non possa portare caos all'interno e viceversa."
"Per cui il fatto che io sia qui è un problema" conclusi facendola sorridere.
"Proprio così. Vedi, la nostra regina ama il potere, è una pessima regnante, per cui se scoprisse dell'esistenza dei portali non ci penserebbe due volte a trovarne uno e marciare con il suo esercito per conquistare il mondo a cui porta. Potrebbe fallire, certo, ma provocherebbe comunque una buona quantità di morti, farebbe conoscere l'esistenza dei portali, gli universi si mischierebbero, tutti vorrebbero governare su tutto e sarebbe il caos più totale!"
Quella visione di sangue e morte mi fece rabbrividire. "Quindi vorreste eliminarmi?"
"Assolutamente no!" esclamò Cathy posando la tua tazzina di tè sul tavolino, "se non ti riportassimo dalla tua famiglia verrebbero svolte delle indagini e sicuramente non possiamo correre il rischio che qualcuno possa scoprirci. La storia della tua scomparsa potrebbe incuriosire scienziati che credono nell'esistenza di universi paralleli e questo sarebbe un problema."
"E se io spifferassi qualcosa?" domandai pentendomene subito dopo. Non volevo certo che cambiassero idea!
"Ti cancelleremo la memoria prima di farti attraversare il portale" rispose Cal ridacchiando. L'idea sembrava piacergli fin troppo, mentre a me per niente. Ma che altro potevo dire? L'alternativa sarebbe stata uccidermi per cui non proferii parola.
"Puoi spiegarmi ancora una cosa?" mi rivolsi a Cathy che era tornata a sorseggiare il suo tè, "perché la regina è così simile a me?"
"E' un discorso un po' complicato da fare" cominciò sospirando la giovane, "come hai potuto constatare, la nostra Mystic Hill è una versione alternativa del tuo paese e questo vale anche per gli abitanti: i nomi sono gli stessi, ma possono cambiare le sembianze o il carattere. Tu, quindi, sei la versione alternativa della regina."
"Come Wyatt!" esclamai facendomi prendere dall'euforia portando tutti i presenti a guardarmi straniti, specialmente colui che era stato preso in causa.
"Io?" chiese confuso.
"Sei la versione alternativa del mio coniglio" spiegai ancora sorridente, "beh, non è proprio mio. I miei zii hanno un coniglio bianco dagli occhi rossi di nome Wyatt, siamo molto affezionati."
Per un momento ci fu solo un silenzio così pesante che mi fece perdere tutto l'entusiasmo. Arrossii quando Cal cominciò a ridere a crepapelle, sbattendo la mano destra sul muro. "Wyatt un coniglio!" continuava a ripetere tra le lacrime, "questo spiega davvero molte cose."
"Che cosa vorresti insinuare?!" gli gridò contro l'albino che era intanto avvampato.
"Che sei un debole codardo" ribatté il corvino senza dimostrarsi minimamente minacciato, "proprio come un coniglio. Ehy Grace, a quanto pare avrai tanti nipotini!"
"Rimangiatelo subito!" esclamò furioso Wyatt facendo per corrergli contro per cominciare un'altra rissa, ma Cathy comparì in mezzo a loro in modo da bloccargli la strada. Grace intanto, non avendo ovviamente inteso la battuta, lo guardava piuttosto confusa.  
"Ragazzi, smettetela!" li rimproverò severa, "vi state comportando da bambini. Cal, smettila di essere tanto odioso."
"Andiamo, ma l'hai sentita?" chiese lui asciugandosi le lacrime e indicandomi con un dito.
"Sì, ma questo non ti da il diritto di comportarti in questo modo" rispose la giovane.
Wyatt intanto era tornato al suo posto, ancora arrabbiato per le parole del corvino, mentre Catherine continuava a rimproverare Cal, il quale si rifiutava di scusarsi dicendo che stava solo scherzando.
"Dobbiamo rimanere uniti, per favore" lo supplicò la ragazza, facendolo sbuffare e borbottare un "mi dispiace" che ovviamente Wyatt ignorò.
Se le cose fossero andate avanti in quel modo, tornare a casa per me sarebbe stato molto difficile.

Nota autrice: Quarto capitolo. Che ne pensate? Spero davvero che la storia vi stia piacendo, in tal caso fatemelo sapere con una recensione, mi incoraggerebbe davvero moltissimo a continuare e mi farebbe veramente piacere sapere cosa ne pensate. 
Alla prossima!
Kisses, Emy. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Incendio ***



I never got to say goodbye,
I wish I could ask for a bit more time.
Every step I take, you used to lead the way,

now I'm terrified to face it on my own
"You're not there", Lukas Graham.

Catherine si dimostrò piuttosto gentile nei miei confronti: si era offerta di ospitarmi fino a che le cose non si fossero sistemate, prestandomi dei vestiti che le andavano piccoli e trattandomi con rispetto. Indossavo spesso una camicia bianca con delle balze sotto il colletto, una gonna a ruota di velluto rosso che arrivava sopra il ginocchio, un corsetto di pelle marrone, stivaletti neri con il tacco e calze a righe.
Tuttavia era come vivere in una prigione poiché ero segregata in casa, costretta a nascondermi da chiunque entrasse. Passai due giorni in questo modo, mentre loro cercavano informazioni su possibili portali aperti, ma la ricerca non si dimostrava proficua. Quando Cathy cominciò a notare la mia perdita di colore in viso e la mia irritabilità si rese conto che le cose sarebbero solo peggiorate se non avessi messo piede fuori casa.
"Ancora nessuna notizia?" chiesi a cena giocando con il cibo, Catherine davanti a me e Cal al suo fianco; Wyatt e Grace erano tornati a casa qualche ora prima, facevano spesso visita.
"Purtroppo no" mi rispose la giovane sospirando. Stando lì avevo scoperto che lei e Cal erano cugini di primo grado, fatto che inizialmente mi sconvolse per quanto fossero diversi. Poi però mi resi conto che anche per me e mio cugino era la stessa cosa.
Io annuii per dimostrare che avevo capito, stringendo le posate con forza per la frustrazione, fatto che venne ovviamente notato dalla ragazza. Con la coda dell'occhio la vidi mordersi l'interno guancia, evidentemente dispiaciuta.
"Ascolta" cominciò dopo un istante di silenzio disturbato solo dalle posate sul piatto, "conosco ancora qualcuno che potrebbe sapere qualcosa, ma abita ad un giorno di cammino da qui. E' un mio carissimo amico, per cui possiamo sicuramente fidarci. Potrei mandargli una lettera, ma se avessi voglia di andare a vivere a casa sua prima dovresti conoscerlo un po'."
Spalancai la bocca per la sorpresa a quelle parole: mi aveva appena proposto di uscire o lo stavo sognando?
"So che potrebbe essere rischioso" mi interruppe prima che potessi formulare i miei pensieri, "ma dovresti solo attraversare una piccola parte di Mystic Hill dato che siamo in periferia, il resto della strada è tutta nel bosco. Vive in un'abitazione isolata, per cui è probabilmente molto più sicuro che qua. Ti accompagneranno Wyatt e Cal."
Il corvino quasi non si strozzò con il vino che stava bevendo, cominciando a tossire con forza sputacchiando sulla tovaglia bianca. Non potei fare a meno di guardarlo con un misto tra sorpresa e disgusto.
"Che cosa?" chiese cercando di riprendere fiato.
"E' colpa vostra se Hester è finita nel nostro mondo, chiudere il portale era una responsabilità tua e di Wyatt, per cui ora dovrete rimediare al pasticcio combinato" gli spiegò Catherine senza scomporsi troppo.
"Come può essere stata colpa mia? E' entrata lei dentro il portale!" ribatté indicandomi con fare accusatorio. Schiaffeggiai via la sua mano dal mio viso e cominciai a parlare, indignata: "Come potevo sapere che quello era un portale?! Non c'era il cartello sopra!"
"Ora basta" ci interruppe Cathy, "Hester ha ragione e non sarebbe arrivata qui se l'avessi chiuso subito."
"Perfetto" rispose ironico lui alzandosi bruscamente dalla sedia, "tanto in questa casa la colpa è sempre mia."
Senza aggiungere altro o attendere risposta, Cal si diresse con grandi falcate verso la porta e uscì sbattendo la porta tanto forte da far tremare i muri. Io sussultai, mentre Cathy sospirò tristemente. Si alzò e lo seguì, chiamandolo dolcemente e lasciandomi sola a finire il mio pasto.
In quel momento mi dispiacque per Cal. Certo, si comportava spesso in modo fastidioso, ma questo mi ricordava tanto mio fratello. Mi chiesi se stava rimanendo vicino a Lorelle ora che io non c'ero. Se non fossi più riuscita a tornare a casa sarebbe stato lui che avrebbe dovuto proteggerla e guidarla da bravo fratello maggiore.
Non mi accorsi di stare piangendo finché non mi sfuggì un singhiozzo dalle labbra. Non mi ero ancora permessa un momento di debolezza in quei giorni e sapevo che non sarei riuscita a fermarmi.
Ancora sulla sedia con le gambe al petto e il viso nascosto sulle ginocchia, versai calde lacrime per la mancanza del mio mondo che speravo avrei rivisto.

-O-

Il giorno seguente Catherine mi svegliò presto, ricordandomi che sarei partita per la casa dell'amico di cui mi aveva parlato. In quel momento mi accorsi di non conoscere nemmeno il suo nome. Mi tranquillizzò dicendomi che avrei giudicato io stessa se preferivo rimanere lì o tornare da lei, nel primo caso mi avrebbe spedito la valigia già pronta. Non avevo idea di come sarebbe riuscita a inviarmela, ma ero troppo assonnata per fare domande.
Lo sfogo della sera prima mi aveva risollevato lo spirito e il pensiero che finalmente sarei uscita mi fece sorridere. Mi alzai di buonumore, anche se stanca, lavandomi e vestendomi in fretta appena la ragazza lasciò la mia stanza.
Indossai quello che mi aveva lasciato sulla sedia: una blusa color caffellatte con le maniche ampie, una gonna a campana marrone con delle bretelle e dei disegni di mongolfiere e ingranaggi e calze e scarpe identiche a quelle del giorno prima. Feci una piroetta davanti allo specchio: adoravo quello stile. Per quanto nel mio mondo non credevo avessi mai potuto indossare abiti del genere, in quei giorni dovetti ricredermi quando mi accorsi quanto estremamente mi sentissi a mio agio con essi.
Uscii dalla stanza e scesi le scale che portavano alla porta sul retro, trovandomi davanti Wyatt, Cal e Cathy che mi aspettavano.
L'albino sussultò alla vista. Ora che la tinta stava schiarendo i miei capelli erano molto simili al loro vero colore, anche se sapevo non fosse naturale: quello ormai non poteva più tornare. In quel momento che non erano più rosso acceso potevo risultare praticamente identica alla regina, per cui convenni che fu quello che causò la reazione del ragazzino.
"Non possiamo portarla in giro così" si rivolse a Cathy preoccupato, "è troppo pericoloso!"
"Tranquillo, Wyatt" lo interruppe lei porgendomi una mantellina con un cappuccio e una semplice maschera di raso nera, "questi aiuteranno per quel poco di strada che dovrete fare. Ho avvisato Darrell della vostra visita, ma non gli ho spiegato il perché e con chi siete in caso qualcuno riuscisse a mettere le mani sulla lettera."
Quindi il nome del suo amico era Darrell. Ero curiosa di scoprire che tipo di persona fosse.
Catherine mi salutò con un abbraccio, promettendomi che mi avrebbe fatta tornare a casa e le sue parole mi diedero la speranza necessaria per cominciare il mio viaggio. Raccomandò più volte Cal e Wyatt di fare attenzione, rivolgendo un caloroso sorriso a suo cugino: a quanto pareva la sera prima dovevano aver chiarito.
"Mi fido di te" gli disse e lui annuì evidentemente felice delle sue parole. Forse in fondo Cal non era così insensibile come mi era sembrato, vuole solo proteggere quello che ama, ecco perché si era mostrato così ostile nei miei confronti: per lui ero un pericolo.
Uscimmo subito dopo dall'abitazione, controllando che nessuno passasse per la via al momento. Quando Cal ci diede il via liberi, li seguii lungo i vicoletti più stretti e isolati della zona, controllando ad ogni angolo se qualcuno li attraversasse. Trovammo qualche senzatetto dormire su un materasso arrangiato o qualche ubriacone che tornava a casa dopo una lunga nottata passata con gli amici, ma mi bastò tirare più su il cappuccio e abbassare la testa per non farmi notare.
Con la coda dell'occhio vidi Cal e Wyatt annuire verso di me, confermando il fatto che stavo facendo la cosa giusta. Fui più felice di quanto avessi dovuto per la loro approvazione, come se un'insegnate mi avesse appena elogiato alle elementari. Forse era proprio perché quello ero in quel luogo, una bambina: loro avevano passato la loro vita lì, vissuto le loro esperienze e sapevano come viverci, ma io no per cui, in un certo senso, erano davvero i miei insegnanti.
L'idea di dover imparare molto di quel mondo mi elettrizzò e mi mise a disagio al tempo stesso.
Procedemmo ancora per qualche minuto, finché un foglio di carta mi superò svolazzando per raggiungere l'albino davanti a me.
"Che diavolo...?" esclamai sorpresa, ma i miei accompagnatori erano tranquilli, come se fosse tutto normale. Probabilmente per quel mondo lo era.
"Una lettera?" chiese retoricamente Wyatt leggendo il retro della busta, "me la manda Grace."
Si allontanò di qualche passo facendoci capire di volere un po' di privacy, appoggiando poi la schiena al muro di un edificio e cominciando a leggere. Appena però lesse le prime righe la sua espressione tranquilla si tramutò in puro terrore, spaventandoci a nostra volta.
"Che succede?" domandai preoccupata per lui.
"Qualcosa non va?" disse invece Cal confuso.
Wyatt non rispose, semplicemente prese a correre dalla parte opposta in cui ci stavamo dirigendo poco prima. Istintivamente lo seguii, chiamandolo per nome e dietro di me potei sentire che anche il corvino fece lo stesso.
Se c'era una cosa che almeno ero in grado di fare era correre, per cui non mi fu troppo difficile stargli dietro, ma la preoccupazione per lui e l'attenzione che stavamo attirando mi bloccava lo stomaco e le gambe, non permettendomi di essere veloce quanto fossi riuscita in una condizione normale.
Cal mi affiancò in poco tempo, afferrandomi per il polso in modo che non mi perdesse per le vie e facendomi adeguare al suo passo. Wyatt non si fermava nemmeno un secondo per quanto stesse facendo parecchia strada, mentre io perdevo energie ad ogni passo. Il corvino però non mi permetteva di smettere di correre e prese a trascinarmi per incoraggiarmi a continuare. E lo feci, perché non potevo permettermi di essere da meno.
Ci ritrovammo nel bel mezzo di una zona boscosa, ad attraversare una stradina di pietre. Cal chiamò ancora il ragazzino per nome -cosa che avrei voluto fare anch'io se avessi avuto abbastanza fiato- ma Wyatt non accennava a volersi fermare.  
In lontananza vidi Grace raggiungerlo in lacrime, preoccupandomi ulteriormente. Il fratello la abbracciò appena la vide e solo quando mi avvicinai mi accorsi che stesse piangendo. Quando mi fermai cercai di riprendere fiato e così fece anche Cal.
"Che è successo?" domandò il corvino tra un ansimo e l'altro, ma Wyatt continuava a singhiozzare silenziosamente insieme a sua sorella.
I due Reaburn presero a correre nuovamente nella direzione di prima, ma stavolta più lentamente, permettendoci di seguirli. Preoccupati continuavamo a chiedere cosa fosse accaduto, ma l'albino non rispose, semplicemente avanzava.
E poi la vidimo.
Una villetta rasa al suono e ormai incenerita torreggiava su un pianeggiante e verde spazio privo di alberi, i pompieri stavano spegnendo gli ultimi fuochi. Wyatt crollò a terra sulle ginocchia, mentre Grace gli stringeva le spalle da dietro, condividendo quel dolore che non potevo immaginare.
Cal rimase a dir poco sconvolto e dovette indietreggiare di poco per cercare di riprendere l'equilibrio, mentre io, dispiaciuta, intuii di chi fosse quell'abitazione. Mi portai una mano sulle labbra quando mi resi conto pienamente di cosa fosse accaduto.
Quel giorno, Wyatt urlò a pieni polmoni il suo dolore al cielo per la perdita della sua famiglia. 

Nota autrice: Ecco un altro capitolo di questa storia! Che ne pensate? Sì, sono un'assassina, perdonatemi. Ad ogni modo, spero davvero che vi sia piaciuto, fatemelo sapere con una recensione, come al solito non vedo l'ora di leggere le vostre opinioni.
Alla prossima!
Kisses, Emy. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - La fuga ***



Please let me take you out of the darkness
and into the light,
'cause I have faith in you that you're gonna
make it through another night. 
"Lullaby", 
Nickelback

Una delle prime cose che dovette fare Cal in quel momento era avvisare Cathy. Le scrisse una lettera in fretta e furia, spedendola davanti ai miei occhi: a quanto pare in quel luogo, appena lanciavi in aria la busta contenente il messaggio, questa volava da sola verso il suo destinatario, come se avesse vita propria.
La ragazza, dovette aver compreso la grave situazione, per cui ci mandò una carrozza che ci avrebbe accompagnato a casa sua, esattamente al punto di partenza. Forse era anche perché avevamo attirato troppa attenzione durante la corsa. Ero esausta, se avessi potuto mi sarei appisolata sui sedili del veicolo, ma la preoccupazione per Wyatt era più forte del sonno.
Stava seduto davanti a me, sua sorella affianco che ancora versava lacrime rannicchiata al petto del fratello maggiore, mentre lui fissava un punto indefinito nello spazio, gli occhi vuoti come quelli di una bambola. L'unico movimento che faceva era la mano che distrattamente accarezzava i capelli della sorella per consolarla, ma sapeva di non esserne in grado dato il suo stato psicologico.
Da quello che ci dissero i pompieri poco prima che partissimo, la famiglia e gli altri fratelli avevano perso la vita, mentre Grace era rimasta in giardino su un albero ad intrecciare corone di margherite. Le cause dell'incendio era rimaste sconosciute e ci assicurarono che ci avrebbero contattato appena scoperto qualcosa.
Insomma la situazione era davvero pessima.
Quando arrivammo a casa di Cathy lei ci corse incontro, preoccupata. "Mio Dio, Wyatt, Grace!" esclamò abbracciando i due fratelli. La bambina ricambiò la stretta, mentre lui rimase inerme, ancora sotto shock. "Hester, aiutami a portarli dentro" mi disse ed io non me lo feci ripetere due volte: misi un braccio attorno alle spalle di Wyatt e lo accompagnai dentro, mentre lei fece lo stesso con Grace.
Li portammo in salotto, facendoli sedere uno affianco all'altro. Tolsi la maschera e la mantellina, adagiandoli sulla sedia vicino, per poi tornare dai due Reaburn e sedermi affianco a Wyatt. Grace, intanto, aveva appoggiato la testa sulla spalla del fratello, mentre Cal le teneva le mani per infonderle coraggio.
Ci scambiammo uno sguardo di intesa e cercai di trasmettergli quanto grata fossi che lui stesse cercando di aiutare. Doveva avermi capita perché mi rivolse un debole sorriso di risposta.
Accarezzai la schiena di Wyatt per cercare di consolarlo e questo sembrò sbloccare qualcosa perché i suoi occhi tornarono lentamente a riprendere vita, piangendo silenziosamente con il volto nascosto tra le mani.
Cathy, che era intanto andata in cucina, tornò con un vassoio in mano, posandolo sul lettino e rivelando quattro tazzine di tè al latte. L'aroma di cioccolato riempì la stanza, attirando principalmente l'attenzione di Grace. Catherine le porse con dolcezza una delle tazze, che la bambina prese a sorseggiare per calmarsi.
Wyatt, invece, sembrava non aver nemmeno notato il ritorno della ragazza, per cui lei gli mise una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione e avvicinargli con l'altra il suo tè. Probabilmente l'albino era troppo provato mentalmente per discutere, per cui anche lui accettò l'offerta e cominciò a bere.
"Dovete fuggire" cominciò con cautela Catherine quando entrambi smisero di piangere, "non penso sia stato un incidente, ma qualcuno voleva che tutti moriste. Non siete più al sicuro a Mystic Hill."
"E dove dovremmo andare?" rise debolmente Wyatt sarcastico, "questa è stata colpa mia, se ci volevano attaccare è perché probabilmente hanno saputo che sono il Prescelto. Deve esserci la regina dietro tutto questo..."
"Non dobbiamo convincerci di fatti che potrebbero non essere veri. Le indagini saranno già iniziate e ci faranno sapere il prima possibile" spiegò Cathy aggiungendo poi: "tu, Grace ed Hester andrete ufficialmente a vivere da Darrell in ogni evenienza, qui è troppo pericoloso per ognuno di voi." 
I due fratelli annuirono lentamente. Nel giro di una giornata si erano ritrovati orfani e senza nulla, non doveva essere affatto facile. Mi ricordava la storia di mia madre...
Catherine ci spiegò che era meglio partire immediatamente prima che qualcuno potesse scoprire dove si trovavano, per cui la aiutai a preparare i bagagli e uscire. Da quello che mi disse, Darrell per vivere girava per i mercati delle città una volta a settimana, vendendo oggetti e informazioni. Cal ci avrebbe accompagnato e questa volta non si lamentò, anzi fu lui stesso ad offrirsi. Lo ringraziai di cuore, mentre sua cugina si limitò a farlo con uno sguardo. Era ovvio che non fosse rimasto indifferente all'accaduto. 
Prima di partire, Cathy lo portò in un'altra stanza per parlargli in privato ed io non potei sapere cosa si dissero in quel momento. Ancora una volta salutammo la ragazza, riprendendo il viaggio che era stato interrotto da quel tragico evento. 

-O-

Durante l'intero viaggio, Wyatt non spiccicò parola, mentre io cercavo di distrarre Grace chiedendole fatti sul loro mondo. Provai a fare lo stesso con suo fratello, ma spesso mi rispondeva a monosillabi, mentre altre volte non parlava proprio. Sentivo un nodo allo stomaco ogni volta. 
La bambina, intanto, mi raccontava come funzionava la comunicazione a distanza: "le lettere devono essere scritte su una carta magica. Certe persone sanno incantare gli oggetti, per cui sono incaricate di rendere speciale tutta la carta che viene loro fornita. Ovviamente non tutta quella che viene fabbricata o non si potrebbero appuntare dati, scrivere libri e diari, dipingere eccetera."
"Per cui una volta che scrivi il destinatario sul retro questa viene spedita" conclusi io e la bionda annuì. 
"Voi come fate a comunicare nel vostro universo?" mi chiese lei curiosa. 
"Abbiamo tanti metodi, ma utilizziamo soprattutto i cellulari. Sono dispositivi che ti permettono di parlare con persone a distanza oppure di inviare semplicemente messaggi. Possiamo anche condividere con loro foto e canzoni, ad esempio" cercai ci spiegare alla buona. 
Ero felice che il mio metodo stesse pian piano funzionando, inizialmente anche lei rispondeva a malapena, ma insistendo riuscì ad aprirsi un po' di più. Con il fratello invece era stato inutile e ad un certo punto era stata lei stessa a dirmi di smetterla: "ha bisogno di stare da solo, ha sempre preferito affrontarle così le cose. Nostro padre gli ha insegnato a dover essere forte e a non doversi mostrare debole davanti a nessuno, per cui preferisce stare zitto piuttosto che scoppiare in lacrime."
Malgrado Wyatt l'avesse sentita, non disse ancora nulla, anche se una smorfia contrariata mi fece capire che le sue parole lo avevano infastidito. Mi stupii della forza interiore di quella bambina, ma subito dopo mi resi conto che non stesse davvero bene, ma stesse fingendo. Dopotutto le illusioni erano il suo potere. 
Un'intero giorno di cammino, in cui ci fermammo principalmente solo due volte per mangiare quello che Cathy ci aveva preparato: uova sode, riso in bianco e una fettina di carne ciascuno. Il tutto era richiuso in dei recipienti in porcellana con dei tovaglioli adagiati sul fondo. Con mia sorpresa, Wyatt mangiò tutto quello che gli era stato dato, malgrado si vedesse la fatica che stesse facendo. Le parole di Grace mi tornarono in mente. 
Il cibo si era raffreddato durante il viaggio, ma quando hai fame non badi a questo tipo di cose. Le uova sode poi non mi hanno mai fatta impazzire, ma le mangiai comunque: avevo bisogno di energie per continuare a camminare per cui non potevo permettermi di sprecare nulla. 
Quando Cathy mi aveva detto che casa di Darrell era isolata non scherzava: era letteralmente in mezzo al nulla, la sua unica compagnia doveva essere il fruscio delle foglie degli alberi e i versi degli animali. Eppure era ben curata: un semplice cottage di legno ben levigato, il tetto più chiaro delle pareti e con la veranda sul davanti. 
Cal bussò, mentre il mio cuore batteva forte per l'emozione. Ero davvero curiosa di conoscere che tipo di persona avesse deciso di vivere in un posto come questo. Dall'altra parte una calda e profonda voce maschile ci disse di entrare e noi non ce lo fecemmo ripetere due volte. 
Darrell era tutto quello che non mi ero immaginata: dal suo lavoro credevo fosse un uomo sulla trentina dalla pelle olivastra e gli occhi scuri, mentre invece era tutto il contrario. 
Non credevo avesse circa vent'anni, forse anche meno, alto quanto Catherine, dal fisico asciutto e le spalle larghe. Aveva corti capelli di un biondo dorato, occhi verdi come il prato d'estate coperti da un paio di grandi occhiali. I lineamenti del viso erano squadrati in contrasto con le labbra rosee e carnose. Lo trovammo ad aggiustare un aggeggio che non conoscevo davanti al tavolo della cucina. 
Ci degnò di una veloce occhiata ed io mi sentii a disagio quando il suo sguardo si posò su di me per studiarmi. 
"Lei chi è?" chiese prendendo in mano la sua tazzina di tè ai frutti di bosco ed io mi morsi le labbra arrossendo. Non mi piaceva essere al centro dell'attenzione, specialmente per uno sconosciuto. 
"Catherine non poteva parlartene per la lettera, sarebbe stato troppo rischioso" rispose Cal togliendosi il cappello a cilindro per posarlo sul tavolo, "lei è Hester, viene da un altro universo."
Darrell quasi non si strozzò con il suo tè, prendendo a tossicchiare e mettendo la mano davanti alla bocca per educazione. "Che cosa?" domandò sconcertato. 
"Hai capito bene. Dobbiamo riportarla nel suo universo prima che la sua presenza possa portare a disastri" spiegò il corvino. Mi resi conto di avere ancora la maschera e la mantellina, così le tolsi rivelando il mio volto. 
Darrell sgranò gli occhi. "Che diavolo...? E' identica a-!"
"Lo sappiamo, per questo Cathy vorrebbe che stesse da te. Lei, Wyatt e Grace. Loro hanno...beh..." cercò di esprimersi Cal, ma non trovava le parole adatte per esprimersi, "c'è stato un incendio."
"Capisco" lo interruppe il biondo prima che il corvino potesse procedere. Evidentemente aveva notato le espressioni sofferenti dei due fratelli in quel momento, "condoglianze."
Wyatt e Grace ringraziarono, ma senza alzare lo sguardo. Successivamente, Darrell rivolse di nuovo l'attenzione su di me mettendomi nuovamente a disagio. 
"Quanti anni ha?" chiese ancora mentre si alzava per raggiungerci. Indossava un lungo cappotto nero e un paio di pantaloni grigi, mentre i piedi erano coperti solo dalle calze.
"Diciotto" risposi io prima che potesse farlo qualcun altro. Odiavo che parlassero di me come se io non ci fossi.
"Sembri più piccola" constatò il biondo, fatto di cui ero pienamente cosciente. Me lo avevano sempre detto, questo per colpa della forma tonda del mio viso, gli occhi grandi e le fossette. E la statura. In più il modo in cui ero vestita non aiutava. 
"Lo so" confermai. La cosa non mi dava troppo fastidio, certe volte era anche vantaggiosa come cosa, ma per una volta volevo dimostrare la mia vera età. Ricordai che qualche mese prima mi scambiarono addirittura per tredicenne, il che fu imbarazzante.
Darrell, a quel punto, accettò sconfitto di tenerci da lui, cominciando quella particolare permanenza che mi avrebbe permesso di conoscere meglio i miei compagni.

 

Nota autricesesto capitolo, che ne pensate? Ci ho messo un po' più del previsto a dire la verità, questo perché sono stata impegnata in questi giorni. Ad ogni modo, come al solito non vedo l'ora di scoprire le vostre opinioni in merito alla mia storia, sono molto curiosa.
Alla prossima!
Kisses, Emy.

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