Ib - la volontà di guertena

di Kaleido_illusion
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prelude ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Prelude ***



°° Prelude °°

 

I pittori si sa, mettono nelle loro opere, mescolati a i colori e alle sfumature, tutti i loro sentimenti, le loro impressioni ed i loro desideri più nascosti. Lo stesso era toccato a Weiss Guertena, uno tra i più visionari e geniali artisti di tutti i tempi. Nato e cresciuto in un piccolo paese sperduto del nord, aveva iniziato sin da piccolo a coltivare l’amore per l’arte, facendolo diventare ben presto un lavoro a tempo pieno e successivamente l’unico scopo della sua esistenza. Passava ore, giorni, a volte mesi quando dipingeva quadri più complessi e dalle dimensioni assurde, senza staccare un attimo il pennello dalla tela, imprimendo tutto sé stesso nei colori e soggetti. Ma la pittura non era il suo unico campo, si destreggiava anche nella scultura e installazioni più moderne e di difficile comprensione. Creava di tutto, anche su commissione, e ben presto passò il tempo e la sua giovinezza venne perduta. Si accorse troppo tardi di aver donato la sua essenza a qualcosa di artificiale e inanimato, perdendo per sempre l’occasione di costruirsi una famiglia, ma non perché non fosse piacente, anzi i suoi capelli biondo platino e gli occhi azzurri come laghi di montagna lo facevano assomigliare ad un arcangelo, ma il colorito grigiastro ed il viso smunto per le troppe volte di digiuno, l’avevano messo in cattiva luce con l’altro sesso. Inoltre le donne non vedevano di buon occhio la sua ossessione per la pittura ed i suoi ritiri forzati nello studio, degni di un monaco di clausura. Non si fece scoraggiare, usò la sua arte per crearsi un mondo che l’avrebbe accettato con tutti i suoi difetti e ossessioni. Fu l’impresa di una vita, in tutti i sensi. Prima si costruì una schiera di donne bellissime dai lunghi capelli ed avvolte in sontuosi abiti, che gli ammiccavano dalle pose ispirate alla “ Monnalisa”, poi una serie di quadri minori, fino alla statue di persone senza volto e nome. Ma ancora non bastava, gli mancava la cosa fondamentale: un erede. La questione era assai tormentosa e snervante. Era sempre in dubbio e non sapeva  decidersi su domande basilari. Sarebbe stato un maschio o una femmina? gli doveva somigliare? Quale sarebbe stato il suo nome?
Passò mesi a scervellarsi su queste domande e mille altre di carattere tecnico, come la luce i colori, il vestiario e altro… finché un giorno, l’illuminazione venne da sola e guidò le sue mani esperte e segnate da anni di conoscenze con acidi e solventi. La dipinse un bel giorno di primavera, sotto un albero frondoso del giardino sul retro dove vi era un cespuglio di rose gialle come limoni, mentre il vento faceva ballare i fiori appena sbocciati in un lento e dolce valzer.
“ Un momento perfetto per creare” pensò commosso.
Rimase seduto al suo posto senza mangiare né bere fin tanto che l’opera non fu finita nella tarda serata; solo allora smontò tutto e rientrò in casa sfinito ma orgoglioso della sua creatura. Non avrebbe potuto essere più perfetta di così ed era la sua gioia e fonte di ritrovata contentezza. Da allora i poi non se ne separò mai, la portava ovunque, e quando i suoi viaggi glielo impedivano era come se gli strappassero  un pezzo della sua voglia di vivere. Tuttavia tornava sempre da lei, profondendosi di scuse e lacrime per averla abbandonata, portandole sempre dei regali per farsi perdonare. Ora erano un blocco da disegno, ora una bambola di pezza, altre dei pastelli che deponeva accuratamente davanti al quadro. In questo periodo la sua arte, definita poi del tardo Guertena, fu la più prolifica ed ispirata. Purtroppo tutte le cose arrivano ad una fine ed anche i momenti felici svanirono, perché Guertena agognava sempre di più quel contatto figliale che la tela non poteva dargli. Allora cercò in lungo ed in largo un metodo per portare alla vita quello che era inanimato. Si rivolse a chiunque avesse esperienza e conoscenze di arti magiche, ma a nulla valsero i suoi sforzi e dovette tornare a casa, più disperato di prima e con i primi segni di una malattia incurabile.
Sembrava che ormai tutte le speranze lo avessero abbandonato, quando una lettera allegata ad un pacchetto avvolto in carta di giornale, gli arrivò da un corriere che sparì come era venuto. La semplice busta conteneva un bigliettino con poche frasi.

 

Caro Weiss,

mi è giunta voce della tua ricerca infruttuosa e di quanto questo ti affligga. Perciò sentendomi vicino alla tua causa, ho deciso di condividere con te il mio più prezioso segreto. Ti invio insieme a questa missiva un vasetto il cui contenuto dovrai spalmare su ciò che ti è caro. Prima però dovrai creare un’opera, una veduta di un mondo, fatto a posta per gli abitanti che vorrai farci vivere ed attraverso di esso potrai incontrarli. Ma ricorda il risultato di tutto dipenderà da cosa esprimerai nel tuo capolavoro.
 

Confido in te,

 con affetto, un caro amico.

 La gioia che provò Guertena fu indescrivibile, sembrava che per la ritrovata speranza il cuore potesse esplodergli dal petto. Non si chiese mai chi era il benefattore, né come facesse a conoscerlo o ad averlo trovato, non gli importava nemmeno. Ringraziò a squarcia gola il misterioso mittente e si fiondò subito nel suo nuovo obbiettivo.
Ordinò una tele di dimensioni mai viste e si mise all’opera. A parte il ritardo nella consegna, nulla avrebbe più fermato la sua foga, nemmeno i pochi amici rimastigli e che da tempo gli rimproveravano la trascuratezza e l’abbandono in cui viveva.
 La terminò con l’ultimo briciolo delle sue forze e riuscì ad applicare il liquido trasparente che aveva ricevuto in dono, quando purtroppo la malattia lo stritolò tra le sue grinfie affilate e implacabili. Era davvero frustrante per l’autore, proprio ora che il suo desiderio stava per essere esaudito, perché il male che lo colpiva lo costringeva a letto, tenendolo lontano dai suoi amatissimi quadri, e soprattutto dal suo prediletto.
<< Adesso come farò a venire da voi?!?>> si chiedeva l’uomo in ogni istante di lucidità che si accendeva in lui tra un eccesso di febbre e l’altro. A Guertena sembrava che ogni qual volta ponesse nuovamente la domanda, il suo beneamato quadro, sembrasse un pochino più triste ed a quel faccino non poteva trattenersi dal promettergli che un giorno l’avrebbe raggiunto. Cercò in tutti i modi di raggiungere la tela principale nascosta nello studio al piano di sotto, tuttavia le infermiere che l’assistevano, inviate dal comune, lo riportavano prontamente a letto.
Alla fine, tra sforzi andati a vuoto e la disperazione più nera, arrivò il suo ultimo giorno in questo mondo e con le ultime forze che gli restavano, espresse un unico ed intenso desiderio, ovvero che le sue opere potessero trovare qualcuno che le avrebbe conosciute ed amate come aveva fatto lui con ogni pennellata che le aveva dato vita, e avrebbe varcato quel confine che a lui era stato negato. Quel desiderio riuscì a raggiungere le sue creature che gli promisero di mantenere la sua volontà, aspettando la sua venuto o padroni idonei.
Una volta spirato la casa del pittore venne chiusa e venduta all’asta con tutte i quadri che racchiudeva e solo dopo anni quando un maniate amante dell’arte comprò il podere, venne riportata alla luce la preziosa collezione. L’uomo, riconoscendo il genio dietro a quelle pennellate esperte, forgiate da mille e passa opere, decise di mostrare al mondo quelle meraviglie tanto a lungo custodite nell’ombra, organizzando mostre e gallerie in onore del grande maestro Guertena.   

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


° L’Eredità del Pittore°

Atto.1

“Nel primo pomeriggio, sotto un cielo grigio…

Ib ed i suoi genitori si dirigevano verso una galleria d’arte…”

Nel primo pomeriggio, sotto un cielo grigio piombo e coperto di nuvoloni scuri, Ib ed i suoi genitori si dirigevano verso una galleria d’arte. La macchina si faceva largo a fatica tra il traffico cittadino, già congestionato dalle numerose macchine in fuga dalla pioggia imminente. C’era troppa gente in giro, per essere una domenica di fine Ottobre e forse, proprio come loro, avevano deciso di godere di quella mite giornata autunnale per mettere un po’ il naso fuori dalla porta e prendere l’ultima boccata d’aria, prima di ammuffire in casa a causa del rigido clima predetto da lì a pochi giorni.
“ Tutta queste macchine… che vadano a vedere la mostra? ” si ritrovò a pensare Ib, osservando i pochi e temerari pedoni che sfilavano sul marciapiede oltre il suo riflesso annoiato nel finestrino. Il suo umore era di certo opposto al loro che, intenti ad avvolgersi nei loro impermeabili scuri, erano di sicuro felici di immaginarsi già al riparo nelle loro case a svagarsi con hobby e passatempi. Lei invece poteva figurarsi solo di vedersi rinchiusa in una galleria a visitare una mostra che la lasciava indifferente. Tra l’altro, per l’occasione, sua madre l’aveva vivamente invitata a vestirsi in modo elegante, “come una signorina di società ” aveva detto; perciò si era vista costretta ad infilarsi i primi vestiti più “eleganti” che aveva trovato e con cui si sarebbe sentita più o meno a suo agio. Indossava perciò una camicetta bianca con un vistoso foulard a voillant scarlatto al collo, aggiunto da sua madre, come esigeva l’alta moda. Abbinata ad una gonna corta a pieghe coordinata, perciò rosso vermiglio, delle parigine nere al ginocchio (tanto per spezzare la monotonia cromatica) e delle polacchine porpora che ne avevano viste di tutti i colori, ma ancora estremamente comode. Per fortuna il genitore non aveva avuto nessuna pretesa sull’acconciatura e si era limitata ad affermare che i sui lunghi e lisci capelli castani potevano andare bene anche così. Eppure, pensandoci a posteriori, abbigliata a quel modo assomigliava più ad uno dei dipinti che stava per ammirare, che ad una semplice visitatrice. Poco male, ormai non poteva farci più nulla.
Suo padre invece era riuscito a scampare alle pretese della coniuge. Aveva semplicemente riesumato un vecchio completo blu scuro, usato forse ad un matrimonio chi sa quanto tempo fa, abbinato con una bella cravatta celeste sulla camicia bianca. La mamma aveva messo tutto il suo impegno per prepararsi, mettendo il suo miglior tailleur, quello di seta rossa scura, sopra una camicia e collant neri, insieme alle inseparabili scarpe con il tacco, anch’esse nere. Inutile dire che era appassionata di pittura e appena ne aveva l’occasione, trascinava il marito a tutte le mostre in programma in città e provincia, e per questo ci teneva in particolar modo a fare bella presenza. Ad Ib era toccata soltanto una volta partecipare ad una di queste uscite, soltanto che si trattò di una pinacoteca, per tanto era la prima volta che metteva piede in una galleria d’arte.
La macchina si arrestò nel parcheggio di proprietà della galleria.
<< Ib, tesoro! Ib! Tua madre ti sta parlando>> la richiamò il padre dal mondo dei suoi pensieri.
<< Che c’è mamma?>>
<< Ti sei ricordata tutto Ib? Oh! Hai il tuo fazzoletto? Ricordi, quello del tuo compleanno. Tienilo al sicuro nella tasca, ok? Non perderlo!>>
<< Sì, mamma>> rispose lei accondiscendente, ed istintivamente infilò una mano in tasca per controllare di averlo effettivamente preso dalla scrivania prima di uscire. Sentì sotto i polpastrelli la familiare sensazione rugosa del pizzo, seguita dal quadrato liscio di seta. Si trattava di un costosissimo fazzoletto di stoffa candida ornata di pizzo e con sopra ricamate le sue iniziali in caratteri tutti svolazzi e ghirigori. L’aveva ricevuto in dono per il suo nono compleanno. Anche allora le era sembrato strano come presente, tuttavia non aveva fatto commenti, accettando di buon grado il suo morbido tocco. L’impressione che ebbe quando lo strinse per la prima volta tra le mani, fu di accarezzare un fiore, seppure artificiale. Infatti il pizzo le ricordava le foglie intorno alla corolla, mentre il tessuto erano i petali, lisci e setosi, ed i ricami rappresentavano i pistilli e i sepali.
“ Chissà perché tiene tanto a questo fazzoletto?! Ogni volta che usciamo non fa che ricordarmelo”. Poteva darsi che si preoccupasse del valore dell’oggetto poiché l’aveva pagato un po’, e questo Ib, poteva anche capirlo, ma addirittura doverselo portare ovunque, le sembrava leggermente eccessivo. Comunque per evitare questioni inutili era diventato quasi meccanico riporlo in una delle tasche degli abiti che indossava.
Presero i cappotti dal sedile posteriore e si incamminarono verso l’ingresso principale, sotto un cielo ancora più scuro e minaccioso. L’edificio era un anonimo stabilimento dalle pareti grigiastre e dello stesso stile architettonico delle case del circondario, con l’unica eccezione della coppia di colonne ad incorniciare le finestre. Perciò ad un primo sguardo, nessuno avrebbe intuito che si trattasse di un luogo per esposizioni; se non fosse che, ai lati della porta, erano appesi due enormi manifesti con l’ingrandimento dell’opera principale di Guertena: una rana pescatrice su sfondo blu notte. Si precipitarono verso le ante della porta scorrevole che si aprirono automaticamente al loro passaggio, per evitare le prime lacrime rabbiose del temporale ed i suoi portentosi ruggiti.
<< Appena in tempo!>> disse la madre, sistemandosi il fermaglio che raccoglieva in cima alla testa i cappelli dalle stesse sfumature rossicce di quelli della figlia. << Beh! siamo arrivati. Questa è la prima volta che vieni in una galleria d’arte, vero Ib? Siamo qui oggi per vedere una mostra delle opere fatte dall’artista Guertena. E non ci sono solamente quadri, ma anche sculture e tanti altri tipi di creazioni! Non dubito che anche a te piacerà un sacco>> proseguì elettrizzata.
<< Andiamo al banco della reception?>> annunciò gioviale il padre, vedendo la moglie di buon umore.
<< Ah, sì! Prendiamo anche qualche opuscolo>>
Ad accoglierli dietro al banco in legno chiaro, c’era un uomo, sulla sessantina e a cui il tempo aveva donato una candida chioma e baffi voluminosi, vestito di scuro.
<< Benvenuti signori, lasciate pure qui le vostre giacche. Penseremo noi a sistemarle nel guardaroba>> disse con distaccata gentilezza, come se si fosse calato troppo nella parte del maggiordomo, a cui effettivamente assomigliava.
<< Che gentile! Senta, potremmo prendere un paio di volantini?>> chiese la donna.
<< Ma certo, uno anche a lei signorina. La mostra incentiva i giovani a farsi un’idea critica e autonoma dell’arte>> disse il signore rivolto a Ib, sfoggiando un enigmatico sorriso affilato.
La ragazzina soppesò seriamente le sue parole; in effetti avrebbe preferito girovagare da sola e, se proprio doveva ammirare i quadri, almeno l’avrebbe fatto con i suoi tempi e a modo suo, senza dover arrancare dietro i genitori e sorbirsi i loro soliloqui su quanto era bello tal quadro, quale era l’interpretazione di un altro, eccetera. C’era già passata una volta, non voleva ricapitasse una seconda. Perciò cogliendo il suggerimento, espose le sue intenzioni alla madre.
<< Hm? Vuoi andare avanti? Veramente, Ib … oh, ok. Solo cerca di stare in silenzio nella galleria, va bene? Non che ci sia bisogno di preoccuparsi per te, immagino… non dare fastidio agli atri visitatori, però!>> replicò lei non troppo convinta.
Lasciò i genitori all’ingresso, mentre il responsabile dava loro informazioni su come era strutturata la mostra e rispondeva alle curiosità sull’autore.
L’esposizione si snodava su due piani di cui il primo direttamente collegato al portone principale, mentre l’altro era al primo piano e raggiungibile da un lunga scalinata bianca come le pareti ed il pavimento di marmo. Ib si ritrovò immersa in un enorme spazio bianco dalle dimensioni indefinibili, senza sapere da che parte iniziare. Da dove si trovava, però, poteva scorgere l’interno della prima sala in cui un drappello di individui era radunato attorno a dei cordoli. Si risolse per iniziare da quella, incuriosita da cosa stessero guardando tanto interessate quelle persone. Prima di entrare nella sala, vide sul muro un pannello introduttivo su cui v’era scritto:

“Benvenuti nel mondo di Guertena”
Stiamo attualmente tenendo una mostra per il grande artista Weiss Guertena e vi ringraziamo per la vostra partecipazione. Speriamo che gradiate profondamente l’arte del tardo periodo dell’artista, le cui creazioni contengono sia mistero che bellezza.

XX/Ottobbre/XX

Fin ora non le era stato detto nulla di nuovo e probabilmente erano le stesse parole dell’opuscolo, che non aveva letto, lo abbandono in un cestino. Si avvicinò al gruppo di persone, intrufolandosi tra gli spazi vuoti per vedere meglio. Sul pavimento spiccava per contrasto un’enorme voragine blu scuro, da cui faceva capolino lo stesso soggetto stampato sui manifesti e opuscoli che tappezzavano la galleria: una rana pescatrice dalla fauci spalancate, irte di denti aguzzi, e dagli occhi neri come la pece, sembrava invitare i visitatori a seguirla negli abissi che lambivano il suo corpo, promettendo di guidarli e proteggerli dall’oscurità con la sua appendice luminosa. L’impressione che ne ebbe fu di un ambasciatore alieno proveniente da un mondo sconosciuto e desolato.
“ Come farà a vivere senza mai vedere la luce del sole?” si chiese Ib, guardando i suoi lucidi occhi inespressivi. Non le piaceva quel quadro che incuteva un timore reverenziale, perché le era impensabile che si potesse abitare in un mondo dove non esistesse la possibilità di vedere a cosa si andasse incontro. Intorno a lei, invece, il parere era diverso; si levavano brusii estasiati e profondamente impressionati dalla maestria che animava l’essere di tempera.
Girò attorno all’opera, seguendo i cordoni rossi che ne delimitava il perimetro, fino ad imbattersi in un piedistallo su cui era incisa la descrizione a cura dell’autore.


“ABISSO DEL PROFONDO” un mondo dove l’uomo non sarà mai…
per raggiungere quel mondo, ho deciso che lo avrei ritratto nella tela.


La scritta non contribuì ad incrementare un idea positiva dell’immagine.
Aveva appena finito di leggere che una coppia la spintonò per riuscire ad aggiudicarsi un posto di favore d’avanti al quadro, perciò si vide costretta a proseguire, esplorando la parete alle sue spalle. Galleggiava, come sospeso in un nulla bianco, un enorme tela che ritraeva uno stilizzato bambino azzurro alle prese con i tasti di un pianoforte disposti a raggiera, mentre una signora rossa lo ammoniva per qualcosa. Purtroppo quella raffigurazione, non l’aveva colpita come la precedente, non le trasmetteva nulla, perciò passò oltre. Adesso capiva come mai era stato deciso quel colore candido per gli interni; era stata una scelta volta a dare l’impressione che le cornici apparissero animate e sembrassero stare in piedi per volontà propria.
Non si poteva dire che Guertena non fosse un pittore prolifico, vi erano un sacco di quadri in quell’ala della mostra. Ib ne aveva visti almeno una dozzina quando finalmente vide delle istallazioni a cui diede un occhiata veloce.
Passò davanti a molti altri quadri, che osservava sommariamente e di sfuggita leggeva i nomi, tra cui vi erano:
UOMO CHE TOSSISCE, GUARDIA ALTRUISTA, SPIRITO DEL …, VETRO DEGLI…, … DELLA SPIAGGIA; finché in un angolo della sala non trovò una scultura di una rosa rossa alta almeno due metri, di cui la targhetta informativa riportava: “INCARNAZIONE DELLO SPIRITO” bello allo sguardo, ma se vi avvicinate troppo vi indurrà dolore. Può sbocciare solo nei corpi salubri.
Ib rimase delusa dalla criptica e scarna spiegazione, si aspettava una descrizione migliore di un opera così realistica e viva. Sembrava che effettivamente la rosa stesse appassendo, seminando i sui delicati petali sul pavimento che un moccioso, di non più di sette anni, cercava di rubare scavalcando le transenne. Il gesto le sembrò meschino e irrispettoso, pertanto si risolse di fermare il bambino.
<< Non dovresti toccarle!>> gli intimò, cercando di moderare per quanto possibile il tono.
<< Sono così belli! Voglio prenderne uno, è un peccato lasciarli lì. Non lo pensi anche tu?>>
<< Ti sgrideranno>> gli rispose lei per tutta risposta ed evitando la domanda.
<< Sei noiosa bambina! Proprio come il signore altone di prima!>> le rinfacciò il bambino.
Il suo commento l’aveva punta nel vivo. Non era più una bambina, era un adolescente e sebbene la natura le avesse assegnato una statura più bassa della media rispetto ai suoi coetanei, non per questo ci si poteva permettere di chiamarla bambina! la ragazza stava per rispondergli per le rime, tuttavia venne bloccata dalla consapevolezza di essere osservata dall’altro visitatore che stava osservando il rovo con lei. Sperò che fosse l’uomo di cui parlava il moccioso, anche se la sua statura non poteva dirsi di certo alta, ed intervenisse per bloccarlo nuovamente. Ma non fu così, perciò fu costretta a girare i tacchi e guadagnare l’altro capo della sala, certa che uno dei responsabili della sala, avrebbe svolto il dovere di custodire l’integrità della statua meglio di lei. Si ritrovò dunque al punto da cui era partita. Scorse due figure note sotto il quadro del pianista bambino, i suoi genitori, perciò decise di tastare il terreno e vedere se la madre si fosse arrabbiata del suo allontanamento durante una gita di famiglia.
<< Ib, dov’eri finita?! Hai visto che meraviglie?
Guertena non è popolarissimo come artista, ma, non a caso, ci tenevo particolarmente a partecipare alla sua mostra! Spero che anche tu arrivi ad apprezzare la sua arte.>> incalzò la madre non appena la ragazzina le fu vicina. Ib decretò che non era ancora il momento di seguire la mostra con i suoi ed infatti il padre le venne in soccorso, notando la sua espressione allarmata.
<< Hai già controllato il secondo piano? Mi hanno detto che ci sono un sacco di esposizioni e non solo quadri lassù.>>
La figlia scosse la testa e si precipitò al secondo piano senza voltarsi indietro. La sala era identica a quella al pian terreno, con una sfilata ordinata di cornici alle pareti. Ne aveva abbastanza dei colori sulla tela e per questo fece passare le cornici con animo annoiato, finché il suo sguardo non venne catturato da un soggetto reale. In piedi immobile d’avanti ad un quadro di un uomo appeso per i piedi, stava un giovane molto alto e dall’insolito abbigliamento nonché acconciatura. I suoi folti e mossi capelli viola caratterizzati da ciocche nere che si diramavano a raggiera dal centro della chioma, simili ad un ragno, di certo facevano a gara di eccentricità con le tempere squillanti dei dipinti. Per non parlare dei vestiti; il cappotto blu marino scuro e lungo dall’orlo slabbrato, era abbinato a dei pantaloni di taglio classico sul beige e scarpe eleganti marrone scuro. Come tutte le persone anche Ib non poté fare a meno di fissare quel bizzarro essere umano, probabilmente uscito più da una discendenza cartacea che dalla pura genetica. Ciò le diede la sensazione che vi fosse qualcosa di particolare in quel ragazzo dall’aspetto alternativo, che di sicuro aveva capito come fare del suo vestiario un arte che potesse competere con quella esposta. La ragazzina rimase lì ad ammirarlo a lungo ispezionando la sua figura, l’unica dalla quale fosse incuriosita, e si rammaricava del fatto di non potergli scorgere il volto per decifrare il carattere e dare un tratto definito del soggetto. Si risolse allora per un lento avvicinamento, fingendo di ammirare un quadro alla destra di lui, per poi sporgersi in avanti a completare la sua analisi. Si era appena mossa che lui, forse avendo la sensazione di essere osservato, si voltò di scatto. Ib colta sul fatto ed in preda all’imbarazzo, si girò meccanicamente e raggiunse un’altra istallazione, dando le spalle al ragazzo che tornò alla contemplazione del quadro.
“ C’è mancato poco che mi scoprisse!” pensò trafelata mentre i battiti del suo cuore riprendevano un andamento normale. Aveva appena ripreso l’autocontrollo che si accorse di qualcuno che le stava parlando.
<< “Morte dell’individuo” un nome affascinante, per un opera simile. Secondo me quello che Guertena dice qui è che l’individuo sia nell’espressione di uno. Ecco perché queste figure non hanno le teste, vedi? Non è forse così?>>
Fu colta di sorpresa. Di che cosa stava palando?
Era appena arrivata e non aveva la minima idea di cosa rispondergli, voleva ignorarlo per non fare una figuraccia, ma le sembrò estremamente scortese. Allora sollevò lo sguardo, fissandolo sulle tre statue davanti a sé. Si trattava di tre manichini femminili neri come la pece, con indosso lo stesso modello d’abito ma di tonalità diverse: blu, rosso e giallo, e scarpe con il tacco. La nota distorta del tutto era che i manichini non avessero le teste e terminassero con un abbozzo di collo come un piedistallo senza trofeo. Le fecero una certa impressione.
<< Penso solo che facciano paura>> disse all’ uomo che l’affiancava ed aspettava ancora una risposta.
<< ah, beh … infatti. Ma pensa che più che perdere le loro teste hanno perso la loro personalità…>> riprese il suo monologo. Ib aveva scaricato i suoi genitori per evitare questo, perciò era decisa a non permettere ad altri di pendere il loro posto. Così approfittò di un momento di distrazione della sua guida e, senza più il senso di colpa, aggirò le sculture rifugiandosi dietro ad un’altra a forma di divano bianco trapassato da tubi rossi, come arterie. Purtroppo le stranezze non erano certo finite. Qui vi trovò una donna in celeste e sulla trentina che parlava tra sé e sé.
<< Che strano divano… non c’è niente di strano, certo…vorrei sedermici, ma credo di non potere …>> concluse con una risatina, alludendo forse alla titolo dell’opera “ POSTO RISERVATO”.
La ragazza non vi trovò nulla da ridere e prima che anche lei cercasse di attaccare bottone, si dileguò verso una nuova sezione della sala, evitando accuratamente di tornare indietro.
“ Ma che razza di gente viene alle mostre? Sono tutti così strani!” Si trovò a pensare, ma riflettendoci, secondo il suo ragionamento, anche lei lo era altrettanto. Le venne da ridere, perché effettivamente, così abbigliata non poteva che ricadere nella categoria appena descritta. Chi poteva dirlo, magari anche lei un giorno sarebbe diventata il soggetto di un quadro!
Riprendendosi dalle sue fantasticherie si guardò intorno. Oltre a lei in quella parte non vi era nessuno e tutto era così tranquillo, con solo la musichetta stridente del violino che l’aveva accompagnata per tutto il tragitto fino a lì. La cosa che la colpì maggiormente fu l’enorme tela che ricopriva la parete. Raffigurava un ampia veduta di un posto dai contorni indefiniti e contorti, riusciva a distinguere un quadro di una donna in rosso e delle teste di manichino. I tratti poi erano rabbiosi ed imprecisi, come disegnati da un bambino, e le tonalità su sfondo bianco erano molto cupe. Raggiunse la targhetta con il nome dell’opera “MONDO DISTORTO” in ottone. Ritornò a scrutare il quadro ed ebbe una stranissima sensazione, come se una forza oscura o un invisibile attrazione gravitazionale la attirasse verso il quadro. In contemporanea ad un’improvvisa vertigine, che la costrinse ad appoggiarsi alla didascalia, le luci si spensero lasciandola al buio, con solo i faretti d’emergenza, azionatisi quasi immediatamente, ad illuminare il posto. La musica non si riversava più dagli altoparlanti, ormai degradati a diventare bocche mute.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


° Tra Genio e Follia °

 

Atto.2

“ VIENI IB ”…

… vieni di sotto Ib ti mostrerò un posto segreto. ”

 

Pensò inizialmente ad un balck-out dovuto al temporale che colpiva ormai da un pezzo la città, lasciando il suo tocco umido sulle case e le strade per poi colare sui muri fino all’asfalto, ma iniziò ad abbandonare l’idea quasi subito, siccome in tutta la sala non volava una mosca. Non un brusio, né voci preoccupate e nemmeno i sorveglianti con le torce erano passati in quei cinque minuti d’attesa nell’oscurità.
Si staccò mal volentieri dalla parete e seguì il fascio di led d’emergenza che fendevano l’oscurità oltre l’angolo alla sua sinistra. Aveva appena mosso il primo passo che un rumore acquoso la raggiunse e della vernice rossa si materializzò sul pavimento. Il colore spiccava tetro sulle mattonelle ingrigite dalla mancanza di luce e componeva poche parole sbavate in stampatello: “ VIENI IB”. Le prese un colpo. Come facevano a conoscere il suo nome? Ma soprattutto chi aveva scritto quella frase?!
<< C’è qualcuno? Per favore vieni fuori… >> chiese ad alta voce e tuttavia timorosa di ottenere una risposta, perché in caso affermativo chi poteva dire se si trattasse di una persona amica o meno? Non aveva decretato poco fa che lì si trovava molta gente strana e perciò imprevedibile? La sua fantasia suscettibile aveva iniziato a farle ipotizzare tutta una serie di situazioni e circostanze spiacevoli.
In risposta alla sua chiamata però ebbe solo uno sgocciolio proveniente dalla sua sinistra. Lo seguì non avendo altra scelta. Non ci pensava nemmeno di restare un minuto di più lì da sola e per di più quasi al buio. Raggiunse l’angolo speranzosa di trovarvi qualcuno, ma fu ripagata da una macchia di vernice blu che gocciolava dalla cornice dell’enorme quadro.
“ I quadri non dovrebbero perdere la pittura! ” pensò sorpresa dall’insolita scoperta, finché non si accorse che all’ altezza dei suoi occhi vi era un nuovo indizio scritto sul muro con lo stesso colore lucido.

 

‘ vieni di sotto Ib ti mostrerò un posto segreto ’

 Adesso era davvero spaventata. Lì con lei c’era qualcuno che conosceva il suo nome e si divertiva a scrivere frasi strane sulle pareti.
Aveva appena finito di leggere, che un rumore di pesanti passi riecheggiò in tutta la sala.
Tlak, tlak, tlak …
Avevano una cadenza calma e tranquilla come se alla persona che li produceva non importasse che i locali fossero immersi in una coltre d’inchiostro.
Ib venne rianimata da una scossa di sollievo, forse finalmente lo staff si era mobilitato e stava recuperando i visitatori sparpagliati nei saloni. Si slanciò oltre l’angolo, impaziente di riunirsi agli altri, e percorse tutto il corridoio fino ad arrivare alla parte centrale delle stanza.
<< Signore, sono qui!>> disse ad alta voce, dimenticandosi del divieto di rumori molesti della galleria.
Nessuna risposta le venne in rimando, solo il lento e costante passeggiare di questo individuo celato dalle ombre. << Signore! Dov’è? così la raggiungo…>> riprovò, facendo qualche passo incerto verso la fonte del rumore.
Ancora nessuna risposta e la situazione cominciava a diventare inquietante.
Perché non rispondeva? Era uno scherzo per caso?? Perché se così fosse stato non lo trovava affatto divertente!
Stava appunto per annunciare il suo disappunto quando si spensero anche le luci di emergenza immergendola in una coperta scura e densa come la pece. Non vedeva assolutamente nulla e procedere era impossibile, perciò andando a tentoni cercando di raggiungere una qualsiasi parete da cui potersi orientare. Finalmente sfiorò con la punta delle dita la liscia superficie del muro e i freddi cartellini apposti sotto i quadri. Vi si gettò contro come se avesse trovato un ancora di salvezza, mentre i battiti del suo cuore acceleravano per l’agitazione.
<< Dove sono tutti?!>> mormorò a se stessa per non farsi schiacciare dalla paura della solitudine.
 Tlak, tlak, tlak … I passi continuavano senza sosta aumentando l’ansia di Ib che era ormai sull’orlo delle lacrime.
“ Cosa devo fare? Che vuole questo tipo?” pensò con rabbia e frustrazione, usando la ragione come appiglio per contrastare l’imminente sfogo delle sue paure. Ma non voleva cedere e per prima cosa si impose di resistere e trovare i suoi genitori. Non poteva farsi prendere dal panico, altrimenti si sarebbe immobilizzata e non sarebbe andata più da nessuna parte. Costrinse perciò i suoi piedi a muoversi, mettendo una scarpa d’avanti all’altra con silenziosa circospezione ed avanzando alla cieca. All’improvviso un lampo biancastro irruppe prepotentemente contro il nero pece, illuminando le scale che portavano al piano inferiore, accecando la giovane.
“ È un invito?” si chiese intimorita. Non voleva scendere e si attaccò al muro, premendovisi più che potè; sembrava volesse diventare un tutt’uno con esso, tanto che  picchiò la testa contro la cornice di un quadro. Qualcosa le rotolò addosso, facendola sobbalzare dalla paura e portare d’istinto le mani a coprire la bocca per trattenere un grido. Una oggetto oblungo giaceva spappolato sul pavimento ai suoi piedi. La curiosità ebbe la meglio sullo spavento ed accovacciandosi, riuscì a riconoscere l’oggetto nella fioca luce. Era una pera!
“ Da dove arriva?” domandò frastornata dall’improbabile ritrovamento e guardò in su verso l’alto, scorgendo il dipinto nella penombra. Riconobbe nella figura una natura morta, dove in un cesto di frutta era rimasto uno spazio vuoto.
<< Che sta succedendo?!?>> scattò, allontanandosi dal frutto troppo maturo e passando d’avanti ad un altro quadro. Anche qui gli oggetti presero a muoversi, oscillando pericolosamente verso il bordo della cornice.
Ib era terrorizzata, procedeva a ritroso, dando le spalle alle scale e scrutando con orrore le ombre nere nei quadri brulicare come incubi notturni.
D’un tratto urtò con le spalle contro lo stipite della porta e si voltò di scatto in allarme. Non c’era nessuno nonostante i passi la seguissero come una presenza impalpabile. Per cui non ci pensò due volte e si avviò verso la rampa desiderando ardentemente che tutto finisse. Ma suoi sensi vennero subito attratti da una finestra sul pianerottolo che prima, salendo,  non aveva notato. Vi si scagliò contro, tastando freneticamente il contorno in cerca della manopola per aprirla. Non la trovò. Stava per cedere allo sconforto quando una figura sfrecciò oltre superficie opaca ed Ib senza indugio iniziò a battere sul vetro nella speranza di richiamare la sua attenzione.
<< Ehi! Ehiiiiii! Si fermi, ho bisogno d’aiuto>> strillò, mentre i pugni si abbattevano sulla barriera che la separava dall’esterno.
La figura tornò indietro inaspettatamente ma invece di aiutarla, incominciò a percuotere la superficie trasparente, spaventando a morte la ragazza. Urlò di terrore e senza sapere come, si vide scendere a rotta di collo gli immacolati gradini inondati dai neon.
<< Mamma, Papà! Dove siete?!?!>> sbraitò, senza scomporre minimamente il visitatore che passeggiava indisturbato da diverso tempo.
Raggiunse l’ingresso con il fiato corto e siccome nessun suono le era giunto come risposta, guadagnò la strada della porta, sicura di trovarvi una via d’uscita, ma cozzò contro la fredda anta scorrevole che non accennò a volersi spostare nemmeno di un millimetro. In preda alla disperazione la ragazza cercò di aprirla concentrandovi tutta la sua forza, incastrando le unghie nella stretta fessura che si creava dall’accostamento delle due vetrate e tirando.
“ Ti prego, ti prego , ti prego … apriti!! “ ripeté mentalmente sperando che qualcuno la ascoltasse ed esaudisse la sua preghiera, tuttavia i battenti non si mossero per nulla.
Non era ancora pronta a mollare e tentò un ultimo disperato tentativo con le due finestre a nastro incastrate lì vicino a portata di mano. La prima non cedette né si spostò e allora provò con la seconda, ma ebbe una brutta sorpresa; appena la sfiorò, un getto di liquido rosso iniziò a scorrere come un torrente dalle guide delle ante creando rivoli scarlatti e schizzando ovunque, disegnando un campo di papaveri sul pavimento niveo. Si ritrasse disgustata e preoccupata: poteva essere vernice oppure poteva essere sangue? Il colore era scuro, ma talmente indefinito e lucido da non poterlo identificare in modo esatto.
‘ Ib…’ una voce proveniente dalla stanza a piano terra la chiamava preoccupata.
<< Mamma? Papà? >> chiese la ragazza sbigottita e la voce la chiamò di nuovo con urgenza.
“ Grazie al cielo! I mie sono rimasti in quella stanza!” si incitò mentalmente e senza perdere altri secondi preziosi seguì il dolce conforto che dava quella voce parentale.
Stranamente i passi sembrarono intensificarsi a mano a mano che Ib andava avvicinandosi  alla sala, e quando vi entrò si rese conto che il suono rimbombava contro le pareti ed il soffitto come se fosse proprio il calcestruzzo di cui erano fatte o l’intonaco a produrre quel sinistro scalpiccio. Non vi prestò molta attenzione e si diresse immediatamente al quadro dove aveva lasciato i suoi genitori una manciata di minuti fa, era troppo concentrata sul nuovo obbiettivo per notare qualcos’altro.
Il quadro svettava in tutta la sua imponenza; i colori erano cupi ma il disegno intuibile nonostante la stanza albergasse nelle ombre.
<< Mamma sono qui!>> sussurrò una volta che si rese conto di essere nuovamente da sola. Tuttavia non risentì più la voce. << E dai papà, non è divertente!>> sentenziò rivolta al nulla nero di fronte a sé, mentre il panico le serpeggiava lungo la schiena afferrandole le scapole. Ib girò un paio di volte su sé stessa osservando con angoscia crescente lo spazio. Nessuno, non c’era nessuno nemmeno lì. Voleva piangere dalla frustrazione e per la paura, siccome non riusciva a capacitarsi del perché non avesse incontrato anima viva in tutto questo tempo. Dove erano scomparsi tutti?
Un rumore di carta strappata l’agghiacciò, pietrificandole il sangue nelle vene. Quel suono scricchiolante proveniva da un punto dietro di lei. Si girò lentamente portandosi le mani al petto, come faceva da bambina per proteggersi dal mostro che viveva sotto al letto. Aveva paura ed allo stesso tempo sapeva di doverne conoscere l’origine. Stava accadendo esattamente quello che aveva visto in una marea di film Horror: qualcuno si ritrovava da solo a dover fronteggiare suoni preoccupanti e lo spettatore, a questo punto, sapeva già che la sorte del protagonista poteva finire solo in un modo. Infatti la scoperta che fece, sebbene fosse preparata, fu peggiore di quanto si aspettasse. La madre in rosso, che inizialmente stava sgridando il figlio, con movimenti a scatti e disconnessi come un burattino impazzito, si ribellava alla sua prigione di stoffa, rivolgendo il suo volto privo di connotazioni fisiche verso la ragazza. La sagoma si scollava con uno strappo secco e raccapricciante ed in quei punti comparivano delle crepe scure, come il terreno che si spacchi per la siccità, mandando parte della pittura a sbriciolarsi sul pavimento, mentre il bambino blu si rannicchiava in posizione fetale sulla tastiera reinventata del pianoforte, artigliandosi la testa con le dita celesti. Ib osservava con gli occhi sbarrati la scena ed a poco a poco il sangue le defluiva dal viso, donandole un pallore degno dell’intonaco privo di colore. Il suo cuore poi perse un battito quando il sottile braccio scarlatto della donna, solcato da venature nere e rinsecchite, si distese nella sua direzione, schiudendo le dita affusolate nel tentativo di ghermirla come gli artigli di un uccello rapace.
<< … No…no… non ti avvicinare!>> sillabò a stento con la voce incrinata dal nodo che andava formandosi in gola. La sagoma però non voleva saperne e continuava la sua inesorabile avanzata, sporgendo il busto esile ed aggrappandosi con l’altra mano, ormai libera, alla cornice d’orata.
Istintivamente iniziò a ritrarsi, camminando all’indietro finché non finì con una scarpa su qualcosa di scivoloso che minacciò di farla cadere. Spaventata dalla possibilità che si trattasse di una nuova minaccia, diede una rapida occhiata verso il basso, dove una serie di impronte blu elettrico andavano nella stessa direzione a cui lei dava la schiena. Ancora della vernice che le tormentava con i suoi indovinelli. Ancora della pittura che minacciava di farla impazzire.
“ Che siano le impronte del signore che stava camminando prima?” la domanda le si presentò alla mente come una scarica elettrica. Tuttavia non era questo il momento di pensare a certe cose. Provava un mix di angoscia, paura, terrore, impotenza e smarrimento che le opprimevano il petto minacciando di schiacciare i suoi piccoli polmoni. In preda ad un’agitazione selvaggia, sollevo lo sguardo, avvertendo uno strano spostamento d’aria che le solleticava il viso e le fece accapponare la pelle. All’ improvviso la donna si era slanciata di colpo, bruciando la distanza che le separava, facendo serpeggiare le sue dita scheletriche fra le ciocche dei suoi capelli e cercando di afferrarla per la nuca.
Lo sgomento la colse impreparata e, seguendo un ondata di ribrezzo, si scansò da quel contatto spingendosi all’indietro. Sperava di cadere sul pavimento e da lì poter cercare di sfuggire all’essere senza volto, ma al contrario si ritrovo con la sensazione che i piedi perdessero aderenza ed il terreno venisse a mancare. Infatti nemmeno una frazione di millesimo dopo vide chiudersi sopra di sé un muro freddo e bagnato.
<< HAHAHAHAHAHA, che bello! Finalmente è arrivato qualcuno!>> sghignazzò una risata cristallina ed infantile. Fu l’unica cosa che riuscì a sentire prima di infrangere una superficie umida.
Ib si ritrovò immersa in quella che sembrava una piscina immensa, con l’unica differenza che quella che l’abbracciava non era acqua, era qualcosa di più denso e pesante che le impediva di risalire in superficie, facendole aderire persino i vestiti al corpo. Annaspò, cercando di trattenere il fiato. Si agitò e si sbracciò a più non posso per raggiungere il bordo e portarsi in salvo, ma ogni sforzo, ogni misero tentativo di arrancare verso il bordo dell’abisso, risultò inutile e sfiancante, mentre preziose bolle d’aria le sfuggivano dalle labbra volteggiando come leggiadre meduse e sollevandosi in alto.
“ Perché solo io non posso muovermi?!” urlò la sua mente febbricitante. Non riusciva a pensare con lucidità ed il petto era dolorante per la mancanza di ossigeno. Il corpo le sembrava sempre più pesante e stava per fare la fine di un sasso lanciato nel mare, ovvero affondare. Tentò disperatamente di resistere, trattenendo l’aria nel suo albero respiratorio per non annegare, eppure tutto era così maledettamente difficile ed i polmoni la imploravano di aprire la bocca ed aspirare qualsiasi cosa, minacciando altrimenti un collasso. Lottò più che poté ma il fato le fu avverso, un ombra nera si precipitò con destrezza su di lei, avvolgendo la gamba di Ib con la sua appendice luminosa e strattonandola verso il basso. Il movimento azzerò tutte le sue ultime resistenze e quel poco di speranze che ancora le rimanevano l’abbandonarono sotto forma di sinuose e trasparenti ellissi irregolari, mentre ingoiava quell’ liquido indefinito che le bruciava la faringe come se avesse ingollato dell’alcol puro.
“ Ma cosa?! Questo è il mostro marino del dipinto di Guertena. Come faccio ad essere in un quadro?” si domandò esterrefatta prima che le enormi fauci dentate del pesce la ingabbiassero sotto il suo sguardo impotente. Le forze la abbandonarono e nei suoi ultimi momenti prima di perdere conoscenza e lasciare questo mondo, sognò.

NDA:  ciao a tutti! vi allego qui l'indirizzo facebook della pagina che gestisco insieme all'autrice di EFP Dusky Doll. Se volete rimanere aggiornati sugli sviluppi delle storie, vedere i disegni dei vari capitoli, condividere articoli, musica, immagini e ...  improbabili cross over e one shot, perchè non ci date un' occhiata? Grazie mille e buona lettura ;) 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


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° Abisso del Profondo°

Atto.3

“LADRA, LADRA, LADRA!”…

 

 

Si svegliò di soprassalto, boccheggiando per scacciare la sensazione di annegare che ancora le attanagliava la gola, e staccandosi  dalla fredda parete che era stata il suo sostegno durante il sonno. Purtroppo non era stato un incubo come aveva sperato, perché effettivamente vomitò quel liquido indistinto su un pavimento blu scuro. Tuttavia era asciutta, come prima. Lo scenario era simile al precedente, un corridoio immerso nella penombra, eppure totalmente diverso perché le pareti in questo caso erano dello stesso colore uniforme delle piastrelle su cui era seduta. Si alzò faticosamente in piedi, mentre un ronzio disturbante le ricordava il dolore della pressione sui timpani durante la discesa in quelle strane profondità, prima che venisse ingoiata dal mostro degli abissi. Cercava di ricordare come avesse fatto a raggiungere quel posto e cosa avesse effettivamente sognato perché aveva la sensazione che vi fosse qualcosa di importante che doveva sapere sul motivo per cui era lì, un dettaglio urgente che le avrebbe svelato il significato di tutto ciò. Tuttavia mentre si arrovellava la mente, qualcosa di bagnato le impattò sulla fronte facendola scattare come una molla e battere il cuore  all’impazzata nel petto. Guardò verso l’altro pregando che nessun essere mostruoso le stesse tendendo un agguato dal soffitto. Fortunatamente le sue paure vennero dissipate, ma ugualmente la scoperta non fu piacevole in quanto si trovò difronte ad una distesa nera di un materiale sconosciuto, che a prima vista poteva essere simile alla china, ed increspato da lievi onde di risacca.
<< Sono caduta da lì?>> chiese al vuoto sconcertata, poiché non si ricordava minimamente dell’urto con il suolo. << Ma come sono ancora nella galleria?>> disse, notando due grossi quadri affiancati che ritraevano lo stesso tratto di cascata con rocce affioranti, ciò nonostante distinti per il diverso colore dell’acqua: quello alla sua sinistra aveva uno scroscio rosso sangue, mentre l’altro era di un celeste chiarissimo come se un velo ghiacciato avesse cristallizzato la superficie; eppure erano gli unici quadri appesi per quanto potesse vedere nella semioscurità. Tutto il contesto era dannatamente assurdo e per questo pensò davvero che quanto era successo fino ad allora fosse soltanto una sua fantasia, un incubo che stava facendo appisolata da qualche parte nella mostra per sfuggire alla visita forzata. Ma si poteva sognare in un sogno? Altrimenti Ib non poteva spiegarsi ciò che era appena accaduto. Comunque decise di sperimentarlo sulla sua pelle con un classico trucchetto, per capire se si era ancora svegli o meno: si pizzicò un braccio con forza. Il dolore le percorse tutto l’arto raggiungendo il centro del suo sistema nervoso.
“ Decisamente non sto avendo un incubo” decretò trattenendo le lacrime perché aveva ecceduto con il vigore della stretta. Appurato che era desta, questa consapevolezza le diede le vertigini. Non riusciva a capacitarsi, era impossibile! Non poteva essere…
Era persa nella sua incredulità, quando il mare al contrario sopra la sua testa incominciò ad incresparsi violentemente, formando cavalloni degni di una tempesta.
“ Forse è meglio che sposti da qui” pensò la ragazza, guardando apprensiva le onde infrangersi con uno scroscio contro le pareti laterali. Ora le si presentava un nuovo dilemma. “Da che parte andare? Destra o sinistra”. Decise di andare a caso, non che potesse fare molto altro e prese la strada alla sua destra seguendo il corridoio. L’oscurità era fitta e a malapena riusciva a vedere dove stesse andando, perciò per tutto il tragitto di diversi minuti, tenne una mano sul muro per non inciampare o andare a sbattere contro qualche ostacolo improvviso. Finalmente raggiunse la fine, dove un quadro di una lisca di pesce  in nero spiccava contro la parete blu. Non osò leggere la descrizione e puntò direttamente verso la porta di un tono di turchese più scuro. Afferrò la maniglia e con fermezza strattonò l’uscio, ma la porta era chiusa. Riprovò nuovamente sbatacchiando il legno contro la cornice e ciò nonostante non successe niente. Allora si chinò per osservare attraverso il buco della serratura cosa vi fosse al di là, dove il nero più totale si estendeva a perdita d’occhio.
Purtroppo non c’era altra soluzione; doveva tornare indietro e prendere l'altra strada oppure trovare la chiave per aprire quell’ingresso. Ripercorse i suoi stessi passi stando attenta al pavimento e sperando di trovarvi, per un miracolo, ciò che le serviva. Passò davanti ai due quadri gemelli e proseguì oltre nella direzione opposta. Questa volta la superficie su cui poggiava la mano le sembrò fredda e viscida al tocco. Ib osservò i polpastrelli su cui era depositato uno strato appiccicoso color rubino. Col panico negli occhi ispezionò la parete che la sovrastava balzando all’altro capo del corridoio. Per tutta la lunghezza del muro color oceano, era scritto con vermiglie lettere cubitali: “ VIENI VIENI VIENI VIENI”. Dunque era quella la strada giusta da prendere? Non voleva andare ulteriormente avanti, ma nemmeno voleva rimanere bloccata lì, in quella terra di nessuno, con una burrasca che infuriava sopra la sua testa, inoltre non aveva nessun altro luogo dove andare. Ingoiò il groppo che le occludeva la gola e si incamminò, tesa come una corda di violino, mentre le diciture la seguivano come un ombra comparendo con schiocchi sul colore monocromatico e con le lettere che pendevano sempre più sbilenche. Toccò un tavolino all’estremità del percorso che sbarrava l’ennesima porta sprangata.
Guardando meglio però, Ib notò che sullo scrittoio dal design retrò e scuro, c’era un vaso di terracotta con appoggiata al suo interno una rosa scarlatta dai petali chiusi. Le sembrò una visione troppo bella in quello spazio così cupo e pieno di orrori per essere finta là per  puro caso. Con lo scopo di accertarsi che non fosse una scultura, sfiorò con la punta dei polpastrelli i petali setosi  e questa si dischiuse rilasciando il suo peculiare ed intenso aroma. Alla ragazzina erano sempre piaciuti quei fiori, li riteneva fragili e tenaci allo stesso tempo perché difendevano la loro corolla con dure e pungenti spine, inoltre nel linguaggio botanico erano sinonimo di passione e regalità. Invece il colore scarlatto simboleggiava l’amore, la vita, il sangue e il fuoco, oltre ad essere considerato il colore del Dio della felicità nelle culture antiche e non solo.
Era davvero incantevole e si domandò nuovamente come mai fosse stata lasciata là a marcire nell’oscurità, quando ancora nessuno aveva assistito alla sua fioritura.
“ È tua Ib. Tu e la tua rosa siete la stessa cosa ed ora conosci il peso della tua vita. Dunque devi prenderla se vuoi andare avanti, altrimenti il tavolino non si sposterà” disse una voce fuoricampo a cui era impossibile dare un’età o anche solo un genere. Era saggia come d’un anziano ma giovane, gentile ma profonda come di un uomo.
<< Chi sei? E perché sono finita qui?!>>  chiese allora Ib sospettosa, sebbene mossa dal desiderio di appagare il suo interesse. Era sempre stata un tipo curioso, oltre ad essere anche molto avventurosa, però un conto era cercarsele le avventure ed un altro era finire in un mondo surreale e horrorifico; per quest’ultimo motivo il suo spirito spericolato era al momento annichilito e tutto quello che non poteva vedere, e non solo, era una potenziale minaccia. Però la rosa era davvero stupenda e non seppe resistere all’invito di coglierla.  Immediatamente il tavolino si disintegrò mandando in frantumi il vaso, che sparse le sue schegge appuntite e l’acqua che conteneva, su tutto il pavimento.
La ragazza rimase di sasso, mentre l’eco rimbombava in ogni dove, mischiandosi allo sciabordio della mareggiata. Se non altro adesso il passaggio era sgombro e la porta socchiusa, perciò non farsi domande al momento era la soluzione migliore. Fece attenzione a non ferirsi con i cocci e varcò la soglia. Entrò in una stanzetta quadrata dello stesso intonaco delle pareti là fuori, ma la cosa che la impressionò maggiormente fu il ritratto di donna difronte a lei. Era insolitamente pallida e aveva gli occhi chiusi, come se stesse riposando con un leggero sorriso sulle labbra. Inoltre una cascata di lunghissimi capelli neri le ricadeva sulle spalle fasciate di bianco, scavalcando addirittura la cornice. Tra queste tende nere si  poteva intravedere un fogliettino giallo del tipo usato per i promemoria. Si avvicinò cauta, pensando che come era successo con i quadri in galleria, anche questo potesse prendere vita e nel qual caso, era meglio evitarlo.
Quello che lesse alla fine fu: “Quando la rosa appassisce anche tu morirai”.
“ Che significa?” pensò Ib. La frase era talmente surreale che non riusciva ad afferrarne il senso, come le parole che poco prima aveva sentito e  poi, come se potesse morire in un posto simile. Quel bizzarro post-it le sembrò solo uno scherzo di cattivo gusto di qualcuno che voleva metterle paura, perciò smise di lambiccarsi su quello che accadeva lì dentro, non aveva senso perché anche chiedendoselo non avrebbe comunque trovato una risposta. In compenso era sicura di una cosa, ovvero avrebbe trovato l’autore e gliene avrebbe dette quattro.  
Nel resto della sala non vi era nulla degno di nota, dunque che fare? Stava per uscire in cerca di una strada alternativa quando un luccichio sul pavimento catturò la sua attenzione. Alla fine aveva trovato l’oggetto delle sue ricerche, ovvero una chiave blu notte che poteva essere solo della porta all’altro capo e della stessa sfumatura.
Contenta come non mai per la prima cosa che andava nel verso giusto, rimirò il manufatto dalle forme tondeggianti ed infantilmente semplici.
Un guizzo nero nella penombra la fece girare sui talloni e fissare il dipinto che fino ad allora l’aveva osservata assopita.
“ Sarà stata la mia immaginazione” si disse per tranquillizzarsi, infilando la sua via di salvezza nella tasca della gonna, ma appena puntò il riquadro nella stanza, la donna spalancò di scatto gli occhi neri e iniettati di sangue. Sul volto era comparso un ghigno demoniaco, rivelando una chiostra di denti aguzzi e macchiati di sangue, mentre una schiuma cremisi tingeva le labbra ed il mento di rosso.
Ladra!” urlò una voce femminile nella sua testa, che nulla aveva di gentile rispetto alla prima, e le tenebre presero a tremolare. Adesso poteva capire cos’era stato il movimento che l’aveva distolta dai suoi pensieri, si trattava dei capelli della donna che, cresciuti smisuratamente, adesso tappezzavano tutta la stanzetta.
LADRA!” ripeté nuovamente in tono rabbioso, nel mentre che ciocche di capelli si disponevano come lance nello spazio che le separava.
Ma non aveva rubato nulla perciò non capiva come mai quel mostro ce l’avesse tanto con lei. Che fosse colpa della rosa? Ma le era stato detto che era sua e poi sentiva uno strano legame con quel fiore solitario, non poteva volerlo. Non rimaneva che la chiave, ma le era necessaria per spostarsi, dunque non gliel’avrebbe ceduta e senza pensarci due volte si catapultò in direzione della porta, sperando di essere più veloce di quella chioma di tentacoli. Sfortunatamente appena varcata la soglia, una ciocca serpentina riuscì ad afferrarla per la caviglia, strattonandola all’indietro. Ruzzolò sul pavimento finendo dritta sul legno ed i cocci del contenitore rotto, battendo violentemente il gomito e l’addome sulla pavimentazione divenuta una grattugia. Il dolore fu rapido ma intenso come una scarica elettrica. Sentì le schegge graffiarle gli arti e penetrare nella pelle, facendole sfuggire un rantolo, mentre la capigliatura, improvvisatasi un lazzo, continuava a trascinarla verso la padrona come un cane fedele, ed incurante dei frammenti acuminati su cui era riversa la ragazza. Ib doveva liberarsi  ed in fretta, altrimenti aveva la sensazione che se non fosse riuscita a sfuggire al dipinto, non sarebbe mai più uscita da quella camera; così si aggrappò allo stipite della porta e con un immenso sforzo vi si ancorò trattenendosi con le braccia. Tuttavia il tentacolo non demordeva anzi, trovando resistenza incominciò a tirarla con intensità crescente, strattonando la gamba con tale violenza che Ib ebbe l’impressione che potesse staccargliela in tronco. La prima cosa da fare in ogni caso, era sciogliere il nodo di capelli che le imprigionava e a tale scopo afferrò un frammento liscio e tagliente come un rasoio, o almeno così le sembrava sotto l’effetto stimolante dell’adrenalina. Strinse la sua arma con forza finché non ne sentì i bordi affilati inciderle la pelle, trovando in una sensazione fisica una motivazione per non lasciarsi andare. Non poteva avvicinare la gamba alla scheggia, perché la forza della chioma era più forte della sua, allora, trovando determinazione nel suo spirito di sopravvivenza, lasciò improvvisamente il suo appiglio sicuro ed assecondando la spinta trainante, si mise a sedere per tranciare più facilmente la ciocca con un colpo secco e deciso. I fili neri si tramutarono subito in un povere cupa che si disperse nell’aria scossa dalle urla del quadro femminile. Col cuore che batteva all’impazzata, Ib si voltò di scatto e veloce come il vento, fece schiantare la porta nella sua stessa cornice. Si allontanò di corsa chiedendo alle sue gambe uno sforzo sovrumano, essendo in quel momento inseguita da minacciose lettere scarlatte che la identificavano come una ladruncola. Le bruciavano i polmoni ed i suoi occhi sondavano in vano nell’oscurità, ma proprio per  questo non si fermò finché non raggiunse la destinazione. Prese allora la chiave che aveva custodito al sicuro in tasca e, lottando contro la frenesia del momento che la faceva incespicare, tentò di farla combaciare perfettamente con la serratura. I tentacoli erano riusciti in qualche modo a superare l’ostacolo ed ora convergevano nuovamente su di lei, poteva percepire nell’ombra chiazze d’inchiostro ancora più nere , dense e ondeggianti.
“ Ib calmati altrimenti sarai davvero spacciata!” urlò mentalmente e finalmente, con un gesto urgente, la chiave scattò nella serratura.
La ragazza scivolò contro la parete della stanza oltre la soglia, fino al pavimento. Ce l’aveva fatta per un soffio e, non appena era riuscita a bloccare l’uscio, facendo girare nuovamente la chiave nella toppa questa si era disintegrata lasciando il posto ad un mucchietto di polvere celeste. Ora era bloccata in quel nuovo limbo, incerta su dove andare e su che fare per l’ennesima volta. Raccolse le gambe contro il petto, circondandole con le braccia, e si lasciò andare ad un pianto disperato, dando finalmente sfogo alla paura ed alla frustrazione, mentre la sua rosa perdeva silenziosamente quattro petali ormai raggrinziti.

 

Non sapeva di preciso quanto tempo era rimasta in quella posizione a versare salate lacrime amare, tuttavia dopo quell’esplosione di sentimenti negativi, si sentì se non meglio, per lo meno svuotata come un recipiente pronto per un nuovo compito di contenimento. Quando si riprese del tutto, si accorse di un cartaceo riquadro giallo ai suoi piedi.
|Aiuta la formica e guadagna l’uscita| dicevano quei curiosi e bambineschi segni neri sul foglietto.
“ Certo che le sorprese non hanno mai fine … e poi quale formica?” pensò Ib apatica ed ormai rassegnata a seguire il filo di quelle stramberie.
<< Ciao! Ehi, ehi, sono qua giù!>> la sorprese una vocina stridula e flebile. Spostando lo sguardo un po’ in giro, vide una macchiolina nera sul pavimento, era disegnata eppure si muoveva come l’insetto di cui portava il nome. << Hai visto il mio quadro?>> le chiese descrivendo ampi cerchi con il corpo minuto.
<< Il tuo quadro?>> ripeté la ragazza.
<< Sì, mi raffigura. Dovresti vedere che bello che è! Sai prima era in quella stanzetta laggiù, poi è stato spostato più lontano e non riesco a raggiungerla, così adesso non posso più vederlo.>> stridette amareggiata.
Quindi il suo compito consisteva nel riportare al suo posto il ritratto, solo così sarebbe riuscita ad uscire? Sembrava abbastanza semplice.
<< E sai dove l’hanno portato?>> domandò per ottenere più informazioni. Forse stava impazzendo, si era messa a parlare con un disegno a forma di formica come se fosse la cosa più naturale del mondo. Alla fine le era come se fosse finita nella storia del paese delle meraviglie, solo che doveva inseguire, invece di un bian-coniglio, un dipinto. La qual cosa, le sembrò un divertente controsenso: i quadri mica si spostavano di loro volontà e per questo dovessero essere inseguiti! Poteva quasi sorriderne. A questo punto non c’era nessun altra opzione plausibile se non fare quello che le era stato chiesto.
<< In fondo, dietro l’angolo … credo>> rimuginò.
Per Ib era confortante sapere che nemmeno la sua ingaggiatrice avesse la più pallida idea di dove fosse stato appeso. Cedette perciò all’idea di vagare a caso in cerca dell’oggetto d’indagine.
<< Ho capito. D’accordo, lo cercherò per te e lo rimetterò a posto, va bene?>> sospirò esausta, rimettendosi in piedi.
<< Grazie mille! In cambio riceverai qualcosa>> esultò l’esserino nero riconoscente.
“Immagino una chiave per uscire da questa stanza” concluse mentalmente la giovane. prima si sbrigava e prima sarebbe uscita di lì, magari avvicinandosi d’un passo alla conclusione di quel delirante incubo.
Si diresse e seguì il corridoio alla sua sinistra, mentre la formichina la incitava a tornare presto per ritirare la sua ricompensa. Strano, per il momento non era successo nulla di ché e la cosa le sembrò sospetta, tuttavia non vi si soffermò più di tanto, e raggiunse la parete di fondo in poco tempo. Come aveva detto l’esapode, appena dopo la svolta vi era l’immagine descritta che spiccava sul bianco perlaceo del foglio. Non era tanto grande e poteva essere trasportata facilmente, anche per una persona minuta come Ib.
Tuttavia mentre la ragazza stava per afferrare la cornice, vide la porta smeraldo occhieggiare poco più in là e la curiosità ebbe la meglio. Si avvicinò cauta e saggiò la maniglia, ma non ci fu verso di muoverla, era chiusa. Doveva aspettarselo. Stava per tornare sui suoi passi quando uno schianto la fece sobbalzare a un metro da terra. Pensava di essersi infine liberata di un po’ di tensione ed invece era ancora tesa come una corda di violino. Aspettò quello che le sembrò un’infinità di tempo, prima di lasciare il pomello per cercare l’origine del suono proveniente dal corridoio appena percorso. Scoprì invece che il rumore era stato prodotto dall’impatto della cornice sul pavimento ed al suo posto, sul muro , era comparsa una scritta fluorescente perfettamente visibile con la luce soffusa della sala.

Non vale, vuoi barare! Allora paghi pegno, perciò da adesso stai attenta ai bordi!!

Lei barare? Era così sbagliato voler cercare di scappare da un luogo completamente privo di senso?! Cercò di calmarsi e non perdere le staffe per analizzare meglio lo stile uguale al fogliettino di prima. Ricevere due messaggi a distanza di dieci minuti l’uno dall’altro, era inquietante e praticamente impossibile, soprattutto perché nei sogni non si potevano leggere le scritte, così recitava un documentario che aveva visto in Tv.
“ Devo rassegnarmi al fatto che non si tratta di un dannatissimo incubo” meditò.
 Quest’ informazione le era riaffiorata alla mente solo in quel momento, che strano non se ne fosse ricordata prima. Ma cosa poteva indicare come effettivamente normale in tutto quello?
Perciò c’era qualcuno che la stava seguendo e spiando, se non si trattava di un delirio. In un certo senso ci sperava ancora, perché era molto meglio impazzire, visto che non ne eri consapevole, piuttosto che essere la vittima di qualche macchinazione. In ogni caso, lo sconcerto si impadronì di qualsiasi altro sentimento e ponendole l’interrogativo sul se esistesse davvero gente del genere. Trattenendo a stento i brividi, la ragazza non volle pensarci, non in quel momento, e bai-passò il nuovo senso di inquietudine. Infilò la cornice sotto al braccio e ripercorse a ritroso la strada.
“ I bordi? Perché mai dovrò starci attenta…” si chiese, ma purtroppo, dopo neanche un secondo, la sua curiosità venne soddisfatta. Per qualche arcano ed oscuro motivo, contro ogni legge della fisica, laddove c’era stata una solida ed interrotta parete, si protesero degli scheletrici arti neri da entrambi i lati. Istintivamente Ib si gettò a terra, lasciando la presa sul quadro, seppur rinsaldando quella sulla rosa e coprendosi la testa con le mani. Prese a tremare vistosamente perché gli arti erano fatti di … capelli! Capelli neri!
“ Q-quella donna è riuscita ad estrare?! Non può essere, ti prego basta!!!!” strillò la sua mente febbrile congetturando una via di fuga. Poteva strisciare fino al punto di partenza, dove stava la formica, oppure correre e sperare di non essere afferrata all’improvviso. Strinse più forte le ciocche di capelli per risolversi e saltò in piedi, schivando quelle cose disgustose e trascinandosi dietro il manufatto. La ragazza ignorò la formichina che le chiedeva di dare un’occhiata al suo ritratto e come una furia spalancò l’altra porta. A sbarrarle il passaggio vi era però una voragine sul pavimento con una impercettibile segno più chiaro. Non ci pesò due volte ed usò il quadro come passerella per l’altro lato. Trascurò volutamente il suono scricchiolante delle suole sulla tela, insieme alle impronte rosse che lasciò in seguito, non poteva sopportare qualcos’altro. Riprese nuovamente fiato appoggiandosi alla parete della nuova stanzetta occupata da un manichino senza testa e qualcosa di rilucente sul pavimento vicino alle suole scarlatte della statua.
Ib in un primo momento non si mosse, rimanendo a fissare sbigottita il quadro che torreggiava dietro alle spalle della figura nera e coperta di rosso: una leggiadra farfalla veniva attaccata da un ragno striato di giallo. In qualche modo aveva il presentimento che se si fosse avvicinata, la scena si sarebbe tramutata in realtà, dove lei avrebbe interpretato il lepidottero. Nonostante ciò non poteva mollare ad un passo dalla possibile salvezza e armandosi di una corazza di coraggio, avanzò con cautela chinandosi leggermente, senza distogliere lo sguardo dalla statua, per afferrare rapidamente l’oggetto e poi darsela a gambe. Nell’istante in cui i polpastrelli lo urtarono, la donna-scultura si animò a scatti, protendendosi in avanti con uno scatto per afferrare Ib. La ragazza si ritrasse e saettò verso la porta, usando gli stipiti come perno per svoltare senza schiantarsi contro il muro difronte e oltrepassare il ponticello creato innanzi. Si voltò solo un attimo per calcolare quanto avesse distanziato l’essere, e vederla precipitare nella voragine del pavimento. Il quadro, già intaccato dal peso seppur leggero di Ib, aveva ceduto definitivamente sotto quello massiccio della busto, facendolo sprofondare nel baratro nero. Lei non se ne curò, anzi meglio, per lo almeno un problema se ne fosse andato. Adesso poteva correre fino all’altra porta per lasciarsi alle spalle anche quella tortura.
<< Cosa è successo al mio quadro??>> stridette la formica, vedendo la ragazza ritornare senza. << Cosa hai fatto!!!>> urlò.
Ib si tappò le orecchie, impugnando l’inseparabile fiore in una mano e la chiave smeraldo nell’altra, zigzagando tra quei viticci carbonizzati e bramosi di stritolarla. Questa volta non si fece prendere dal panico e con destrezza sbloccò la serratura per chiuderla nuovamente, una volta passata dall’altro lato. E come prima questa si disintegrò, lasciando che una polverina verde che scivolò tra le sue dita. Si voltò, appoggiando le spalle sempre all’assito ed osservando il nuovo scenario. Davanti a lei il corridoio si biforcava ai lati di due gialle iridi ferini dalle pupille strettissime che la osservavano ossessivamente dal muro.
Spalancò gli occhi per l’ennesima brutta sorpresa.
“Quando finirà tutto questo?” si chiese Ib in preda ad un rinnovato sconforto.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


° Hide and Seek°

 Atto.4
 

“Giochiamo a nascondino?”…

 

 

 

Gli occhi di gatto la inchiodavano alla porta come gli insetti immortalati nell’altra stanza. A Ib non piaceva lo sguardo sinistro che le rivolgeva, così si mosse senza perdere il contatto visivo con quelle iridi topazio.  Entrò a precipizio nella sala alla sua destra e appena varcata la soglia, si trovò difronte a un labirinto di pareti grigie.
“ Di male in peggio” pensò tra sé e sé, ma la parte peggiore doveva ancora venire.
Si avventurò nella stanza seguendo la parete alla sua destra e raggiungendo ben presto la fine dove, sul muro, un grande quadro bianco guardava il circondario. “ IL TALENTO DELLO CHEF” recitava la ormai classica e monotona targhetta in ottone. In effetti, era il secondo, forse terzo quadro, da quando era approdata lì, in cui il nome anticipasse effettivamente l’immagine dipinta: un pesce adagiato su un tagliere che stava per essere sfilettato. C’era qualcosa che stonava, come una pausa mancante alla fine di uno spartito musicale.
“ Cos’ha a che fare con il resto?” si chiese Ib, costatando che si trattava dell’unica opera esposta.
Pensò a lungo, sperando vi fosse celato un indizio su come proseguire, perché una cosa era certa, una volta entrati in una stanza c’era qualcosa che dovevi completare per ottenere una chiave. Questa era la regola che aveva imparato. Tuttavia nella sezione precedente gli insetti avevano un senso poiché bisognava prestare aiuto a una formica, però questo no. Dunque, cosa voleva da lei quel locale?
Apparentemente sembrava arredato da un’accozzaglia di pareti senza ordine né logica e chiunque l’avesse progettata di per certo non voleva semplificarle la vita. Si risolse che avrebbe aspettato che la richiesta si presentasse da sé, infatti, fu esattamente quello che accadde poco dopo. La ragazza si era preparata psicologicamente a qualsiasi cosa: da insetti parlanti, a palle di polvere danzanti su un filo da acrobata, ma non che il suo aguzzino andasse a scavare e inviasse un personaggio preso dai suoi incubi. Così le si presentò davanti all’improvviso una figura alta il triplo di lei, magra come uno stuzzicadenti e fatta della stessa consistenza impalpabile delle ombre del crepuscolo, con due aguzzi occhietti giallo paglierino simili a stoppini accesi di candele fluttuanti. Lui era quello che si nascondeva sotto il suo letto o nel suo armadio quando aveva nove anni, terrorizzandola prima di andare a letto. E tutto perché sua madre lo chiamava ogni volta che Ib faceva i capricci per addormentarsi.
Se non ti metti subito a letto e fai la brava, viene l’uomo nero che ti porta via!” le diceva dopo la milionesima volta che le aveva rimboccato invano le coperte, che prontamente scalciava in segno di protesta. Tuttavia, quando sentiva quella frase, era il segnale che era meglio arrendersi senza fare storie, perché ormai il danno era fatto e l’uomo nero la aspettava nascosto dietro l’anta socchiusa dell’armadio difronte al suo lettino, invitato dalla madre. “ Ecco da brava e adesso è meglio se dormi perché lui ti guarda e verrà a prenderti se rimani sveglia fino a tardi.” Aggiungeva prima di augurarle la buona notte e spegnere la luce. E chi avrebbe preso sonno in quel momento?! La piccola Ib però di stare al buio da sola, o meglio con l’abitante del guardaroba, non se ne parlava proprio, perciò svelta accendeva la lucetta da notte sul comodino. Poi un’ultima sbirciata allo spiraglio sui suoi abiti e velocemente si nascondeva sotto le coperte, tirandole fin sopra la testa e ascoltando gli scricchiolii che provenivano dalla casa e che, nel suo fervido immaginario da bambina, erano prodotti dal mostro per farle sapere che era lì con lei. Per questo la ragazzina ebbe un tuffo al cuore vedendolo. Possibile che l’essere, che nell’adolescenza aveva imparato a riconoscere come favoletta per spaventare i più piccoli, fosse vera?
L’uomo d’ombra restava con le spalle curve e le braccia penzoloni, tanto che le dita sfioravano il pavimento, a osservarla con la testa inclinata da una parte come un rapace curioso. Ib voleva scappare, lo voleva davvero, tuttavia le sue gambe non la pensavano allo stesso modo e presero invece a tremare. Boccheggiava come un pesce saltato fuori dalla boccia e alla ricerca d’acqua per respirare. Fu allora che la creatura si mosse, schiacciando un palmo sul pavimento per strisciarlo come se volesse cancellare qualcosa. Invece di eliminare qualcosa, vi comparvero delle scritte giallognole talmente brillanti da fare male nella penombra in cui si trovavano.
Ciao bambina, vuoi giocare con me? esordì sbattendo le sue palpebre inconsistenti.
Non voleva assolutamente avere nulla a che fare con quella creatura, tantomeno giocarci insieme poiché non poteva uscirne nulla di buono. Doveva muoversi, allontanarsi di lì il più in fretta possibile; gambe permettendo. Così tentò di muoversi a ritroso, per provare se gli arti inferiori l’avrebbero sostenuta e, dopo un timido paso all’indietro di conferma che la paralisi era quasi passata, saettò verso la porta sotto lo sguardo immutabile dell’ombra. Poteva ancora salvarsi, bastava superare la soglia e serrarla, che l’essere non avrebbe più potuto seguirla; o almeno così credeva ed era anche ad un passo dal riuscirci, quando la porta girò volontariamente sui cardini chiudendosi per sempre. L’ultima cosa che Ib vide della sua salvezza furono gli occhi ferini socchiudersi derisori, prima che si schiantasse contro l’uscio, incapace di arrestare la corsa.
“ Apriti dannata, apriti!” strillo mentalmente, mentre i pugni si abbattevano violenti sulle decorazioni geometriche del battente. Ciò nonostante, di schiudersi non ci pensava minimamente e la ragazza artigliò il legno, piena di frustrazione e paura.
Cosa le sarebbe successo ora? Era costretta a giocare ad un gioco dalle regolo sconosciute e forse pericolose.
Una luce giallastra riflessa sull’assito, anticipò la presenza dello spiacevole inquilino. Ib si girò lentamente, mentre l’essere si ricompattava come fumo espirato.
Giochiamo a nascondino?scrisse di nuovo il mostro ripetendo lo stesso gesto.
La giovane inghiottì a vuoto. “ Per favore, per favore … no!” implorò a sé stessa, ma non vi era via di scampo e dovette assentire, ricacciando indietro nuove lacrime.
L’uomo nero strinse gli occhi per la contentezza di avere una nuova compagna di giochi, ed in baleno svanì come la foschia, diradandosi in una nuvola nera. Nello stesso istante i muri tremolarono ed assunsero uno schema ben preciso, rivelando dei pesanti tendaggi posti ad intervalli rigorosamente misurati.  
Ib rassegnata all’inevitabile, si fermò davanti al primo tendaggio di pesante velluto rosso, talmente lungo da raccogliersi sul pavimento in tante pieghe. A un lato, poi, era posta una corda sfrangiata. Prima di toccare qualsiasi cosa però, voleva farsi un’idea di cosa la aspettasse. Ad ogni modo l’intera sala era sempre uguale, per cui ancora una volta doveva affidarsi al caso. Tirò il primo cordone con violenza giusto per sfogarsi, sperando non vi fossero altre sorprese. I lembi si separarono lasciando scoperta una tela completamente bianca. Non vi era disegnato nulla, era una tavola completamente vuota, perciò doveva trovare un immagine precisa?
“ Basta trovare il disegno dell’uomo nero?” si chiese osservando gli innumerevoli tendaggi tutt’intorno, ci sarebbero volute ore prima di scovarlo, vista la grandezza dell’ambiente. Purtroppo però era una cosa da fare per proseguire, perciò iniziò a tirare tutti i tendaggi a caso. Passò una buona ora senza trovare nulla e Ib si sentiva leggermente stanca; non sembrava ma la corda era abbastanza pesante da tirare, specialmente per uno scricciolo come lei e mancava più di metà sala. Una nebbiolina nera sgusciò fuori da un tendaggio in fondo alla sezione dov’era e s’insinuò sotto un altro.
“ Brutto imbroglione! Così ti sposti, ecco perché non ti trovo, ma giustamente a te non danno una punizione” inveì la giovane in silenzio. Valutò l’idea di smascherarlo a voce, ma sicuramente questo non avrebbe decretato la sua vittoria, per ciò a passettini leggeri raggiunse il punto esatto in cui aveva visto nascondersi l’ombra. Disgraziatamente, ancor prima che mettesse mano alla fune, la fuliggine scappò in un altro corridoio. Così iniziò una caccia frenetica.
La giovane ci metteva tutto il suo impegno per coglierlo nella giusta tela, eppure ogni volta riusciva a sfuggirle. Più che nascondino, il gioco si era tramutato in acchiapparello, dove il suo avversario non aveva solidità. Ma chi dura la vince, e finalmente con uno scatto misto ad una buona dose di fortuna, riuscì ad inchiodarlo alla tela. Si trattava di un minuscolo omino stilizzato che imbrattava la stoffa. Visto così non faceva più tanta paura, per questo trovò il coraggio di parlargli.<< Finalmente non mi scappi più! Ho vinto. Adesso mi lascerai andare?>> esultò trionfante e sfidando lo scarabocchio con uno sguardo risoluto.
L’omino ammiccò, evaporando per riprendere le sue fattezze. Ib dovette rimangiarsi le considerazioni sulla sua innocuità. 
Mi hai trovato, meriti un premio ” scrisse con le sue strambe lettere abbaglianti senza però risponderle; anzi indicò il fondo della sala dove era appeso il quadro dello chef con il braccio scheletrico come un ramoscello in inverno.
Ma solo se non ti prendo prima ioaggiunse maligno alla fine, schiudendo un ghigno malvagio irto di denti aguzzi dello stesso colore degli occhi. Gli arti anteriori a quel punto si trasformassero in scuri conficcandosi pesantemente nel pavimento. L’audacia abbandonò definitivamente Ib ed il cuore prese a battere all’impazzata. Quel mostro voleva proprio lei! Ma non aveva vinto e pertanto non doveva liberarla? Il suo istinto di sopravvivenza si attivò immediatamente, prese a correre all’impazzata cercando di mettere più distanza tra sé e l’inseguitore, ma non appena svoltò bruscamente a sinistra per schivare una parete, lo ritrovò esattamente difronte a sé. La giovane voleva urlare, ma il grido le morì tra le labbra, tramutandosi in un soffio insonoro. Come poteva eludere un essere fatto di … nulla e che quindi poteva materializzarsi ovunque a suo piacimento. Ritentò di nuovo andando nell’altra direzione, ma ottenne lo stesso risultato. Con la velocità non poteva batterlo, doveva giocarsela in modo diverso, usando l’astuzia, altrimenti non avrebbe più abbandonato quel luogo. Si chiese come mai in ogni stanza dovesse essere una trappola. Girò sui tacchi e ripercorse i suoi stessi passi per tornare al corridoio precedente e nascondersi immediatamente dietro una tenda, tenendola leggermente discostata per non rivelare la sua figura. Si accovacciò a terra, aspettando che l’essere passasse oltre, sentendo avvicinarsi sempre più l’eco delle punte aguzze, che si piantavano nel suolo, finché l’uomo nero non arrivò esattamente dove si trovava. Piantò uno delle sue estremità, esattamente ad una spanna sopra la sua testa, squarciando parte della tenda. Ib portò una mano alla bocca per soffocare un urlo e strinse talmente forti gli occhi che iniziarono a lacrimare. Non aveva idea se l’essere potesse udirla per cui, a scanso di equivoci, pensò fosse meglio non provarci, adottando tutte le misure per rendersi invisibile. Il mostro iniziò a far scorrere il suo artiglio nel muro, aprendolo come se fosse burro e destinando la stessa fine anche al tessuto.
“ Ti prego, ti prego, ti prego,  fa che non strappi la tenda!” pregò a più non posso. Ciò nonostante, come si sa, al peggio non c’è mai fine ed infatti, poco a poco le fibre vennero stracciate lasciando sul pavimento il pesante tessuto. Fu soltanto una questione di buona sorte che il mostro fosse girato di spalle, e  grazie alla prontezza di riflessi della ragazza, che ella riuscì a nascondersi sotto un altro drappeggio, cercando di essere il più silenziosa possibile. Anche quando il campo fu libero, la giovane non volle muoversi. Era terrorizzata, ma non poteva assolutamente restare ferma, tempo pochi attimi e l’avrebbe trovata di sicuro, perciò si costrinse a muoversi in direzione opposta seppur tremando come una foglia. Era necessario raggiungere il quadro o la porta? Una rapida riflessione sulla situazione le suggerì la meno ovvia, ovvero il quadro; inoltre era stato lo stesso essere a darle il suggerimento precedentemente. Aveva una paura folle. Se quel “coso” l’avesse acciuffata, sarebbe stata davvero la sua fine. Quasi quasi rimpiangeva la donna dai capelli neri, almeno con lei aveva avuto qualche chance di salvarsi, qui invece doveva giocarsela, pregando la sua buona stella come in una roulette russa.
Perciò avanzò usando come rifugio ogni tenda ed angolo riparato dal momento che i ruoli si erano invertiti, giungendo così a pochi metri dal traguardo. Dalla sua postazione nascosta poteva vedere benissimo il dipinto che però sembrava assolutamente diverso da come lo ricordasse. Infatti, lo chef aveva calato il suo coltello decapitando il povero pesce, ma della testa non vi era traccia, era letteralmente scomparsa. “ Ci manca solo che debba cercagli la testa” pensò la giovane con amara ironia.
“ Aspetta, cosa c’è sul pavimento?”, dovette costatare. Difatti la sua attenzione era stata calamitata da un oggetto argentato sul pavimento, giusto sotto il quadro. A guardarlo meglio sembrava… sì, sembrava proprio la testa del pesce. Che si trattasse della sua ricompensa. Si chiese se non fosse accaduta la stessa cosa che aveva visto nella galleria e con il quadro della donna in bianco. Stare lì impalata a porsi domande all’infinito era rischioso, doveva agire e subito perché l’essere nero si stava spazientendo di non riuscire a trovare la sua preda.
“ Ok Ib, tranquilla, puoi farcela. Sono solo pochi metri, con uno scatto la raggiungi sicuro. Dai Ib!” si incitò mentalmente e dopo l’ennesimo respiro profondo, lasciò il suo riparo.
Corse come mai nella sua vita, senza voltarsi indietro, chiedendo alle sue gambe uno sforzo disumano, ad ogni modo il suo corpo le rispose prontamente. L’ominide fumoso avvertì subito i passi della ragazza e le fu addosso in un baleno, infilzando i poveri muri con le sue lame e sfregiandone molti altri.
Ib si lanciò a peso morto sulla testa del pesce, mentre la scure dell’uomo nero le sibilava a un soffio dal cranio. Le sue mani, però, furono più veloci, richiudendosi avide sul bottino e immediatamente l’essere evaporò in una pioggia di gocce nere come la pece. Anche in quest’occasione la rosa, che la giovane aveva infilato tra le asole della camicetta, perse un altro petalo avvizzito. Non aspettò di riprendere fiato, si catapultò verso la porta, che aperta, cedette sotto il suo assalto, e la oltrepassò grata della fine dell’ennesimo incubo.
Gli occhi felini la aspettavano colmi di scherno, ma non appena videro la testa mozzata dell’ittiopside, si fecero brillanti e attenti per la golosità suscitata da quella leccornia.
“ È il pesce che vuoi?” pensò stremata e piena di astio. << Sto facendo tutto questo per te, brutto faccia da muro>> sbottò, contro l’unica cosa che di certo non poteva saltarle addosso, mostrandole il bottino. Di solito Ib non era così irosa o istigatrice ma, trovarsi sempre sotto stress e in uno stato di lotta/fuga, stava mettendo la stabilità mentale oltre all’autocontrollo, a dura prova.
Sull’altro capo del corridoio, a destra, l’ennesimo uscio immise in quello che aveva tutta l’aria di un ripostiglio o magazzino pieno di oggetti inutilizzati. C’erano manichini accantonati in un angolo, alte pile di scatoloni da una parte e più in là a una fila di teste di gesso dall’altezza di un uomo. Probabilmente l’altra parte del pesce doveva trovarsi tra quegli scatoloni impilati o dietro ad uno di quei mezzi-busti di profilo. Per lo meno stavolta sembrava una ricerca abbastanza semplice, costatò rassicurata. Decise allora di ispezionare il locale partendo dal fondo, anche se la cosa non si prospettava tanto piacevole, con quelle luci sfarfallanti e psichedeliche. Notò solo allora, tra un flash di luce artificiale e l’altro, una gigantografia della scultura a forma di rosa osservata alla galleria.
“ Questo adesso che significa?” disse sbigottita tra sé e sé. Proprio quando aveva deciso di non pensare ad una possibile connessione tra quel labirinto infernale e la mostra di Guertena, qualcuno decideva di turbare la voluta inconsapevolezza dei fatti. “ non devo cedere a questi trucchetti”. Si era ormai convinta che vi fosse qualcuno dietro a tutto ciò, altrimenti non si sarebbe spiegata i biglietti e le numerose scritte apparse qua e là, e che questo qualcuno volesse farle prendere uno spavento, sebbene il motivo le sfuggisse. Forse, la ragazzina aveva intuito solo in parte la verità o forse no, c’erano ancora troppi tasselli mancanti del puzzle da rintracciare, per avere un quadro decente o solo un’idea plausibile. Ad ogni modo la giovane decise di procedere nel suo piano, preferendo muoversi e tenersi impegnata, piuttosto che stare ferma ed aspettare che qualcos’altro di spiacevole si verificasse. Purtroppo non doveva stare attenta solo alle cose, ma anche a dove metteva i piedi, poiché una spaccatura nel pavimento per poco non la fece ruzzolare a terra e sbattere la faccia. Incespicò, ma alla fine riuscì a rialzarsi indenne, maldicendo il difetto edile. A un capo della stanzetta trovò finalmente una cosa nota, un vaso della stessa fattura e identico a quello in cui aveva trovato la sua rosa, pieno fino all’orlo di acqua cristallina. Prima che potesse chiedersi il motivo di tutto ciò, la medesima voce che l’aveva guidata al fiore comparve di nuovo tra i suoi pensieri.

‘Ib, fanne buon uso, ti aiuterà’
<< Chi sei? Perché mi aiuti? Per favore rispondimi o impazzirò>> chiese supplice la ragazza al nulla tremolante della stanzetta. L’essere impalpabile si era dileguato per l’ennesima volta. Sospirò sconfitta, senza altro indizio se non fare quello che le era stato consigliato. Ipotizzò quindi, che quello affidatole come indizio, si riferisse alla rosa scarlatta che teneva saldamente in mano, perciò lasciò che quell’acqua azzurrina ne lambisse il gambo. In un batter d’occhio il bocciolo assorbì tutto il liquido rigenerando i petali perduti, che solo in quel momento Ib si accorse essere mancanti. Poi come era successo precedentemente, il coccio si ruppe.  Curiosamente si sentì molto più in forze, come dopo una pausa da un gravoso sforzo. Capì allora le parole che l’essere etereo le aveva rivolto in precedenza sul fatto che lei e la pianticella che trasportava fossero la stessa entità. Doveva prendersi molta più cura di quel prezioso regalo che adesso assumeva connotati più seri, ne andava della sua stessa salute.
Nonostante tutta la stanza fosse tranquilla e silenziosa, non era prudente abbassare così tanto la guardia, poiché gli spaventi non vengono mai soli e così, mentre riprendeva a rovistare nei cartoni, alla ricerca di una coda squamosa, e persa fra i suoi pensieri sull’evento straordinario appena visto, una delle teste si mosse dal gruppo. Avanzò piano una manciata di centimetri alla volta con gli occhi iniettati di un rosso cupo, tuttavia fermandosi ad ogni movimento dell’intrusa. Sembrava volesse giocare ad uno, due, tre, stella! E sorprenderla ancora affaccendata nella ricerca.
Nei primi scatoloni Ib, trovò solo un mucchio di tavolozze sporche abbinate a manciate di tubetti secchi e nessuna coda di legno, quando un rumore graffiante, come qualcosa che venga trascinato sul pavimento, la strappò dalle sue ipotesi, facendole  rizzare i capelli sulla nuca.
“Basta, ti prego! … non ne posso più!!” stava per arrivare al limite, i suoi nervi erano talmente tesi da rischiare di spezzarsi come foglie secche, vanificando il lieve beneficio apportato dal vaso..
Fortunatamente non a tutti i partecipanti “non umani” di quel gioco, le brutte sorprese andavano bene ed la stessa crepa sul pavimento, lo fece capitombolare.

Crash!
Ib si porto di scatto le mani alle tempie credendosi ormai spacciata. Dopo un po’ però si voltò, non sentendo più nessun rumore e con il cuore che batteva all’impazzata, per poco non rischiò di finire in uno degli scatoloni alle sue spalle. La testa di gesso si era aperta in due come un cocomero troppo maturo, e dalla sua calotta cranica vuota, era saltato fuori il pezzo mancante della chiave.
Lo raccolse in tutta furia, senza accertarsi se la statua fosse ancora “viva” o meno. Mentre una domanda inevitabile le affollava i pensieri, “ Se non fosse caduta cosa sarebbe successo?”. Basta doveva lasciare quel dannato posto e alla svelta, ne andava della sua salute non solo mentale. Per cui una volta arrivata nel corridoio, assemblò il pesce di legno per poi mostrarlo all’avido gatto guardiano. In un batter d’occhio una lingua ruvida e spinosa fuoriuscì dal muro, arrotolandosi sulla mano della ragazzina. Era calda e viscida, come una vera lingua di un essere vivente, e le grattò l’arto prima di ritirarsi da dove era arrivata portando con sé la sua chiave pranzo. I gatti non le erano mai piaciuti molto, erano esseri egoisti che ti si avvicinavano solo per ottenere qualcosa poi se ne andavano rapidamente come erano venuti. Per questo guardò con diffidenza tutte le mosse del felino, con un moto di disgusto quando la lingua le cinse il polso.
Il pavimento prese a tremare, squassando tutto il locale e, con un acuto miagolio, la parete si spezzo in due lasciando intravedere una lunga passerella verso un nuovo locale. Il micio era stato tranciato a metà, dividendo il suo muso in strappi slabbrati e sanguinolenti. Con i conati di vomito che le occludevano la gola, Ib si affrettò ad attraversare il varco, badando bene e non soffermarsi sulle pozze scarlatte che andavano formandosi alla base del muro, mentre un olezzo ferroso riempiva l’aria. Stavolta non poteva sbagliarsi, non era semplice tempera rossa. Perciò affrettò il passo, temendo anche che potesse chiudersi e lasciarla indietro da un momento all’altro; infatti, fece appena in tempo a uscirvi che la parete ritornò nuovamente compatta senza lasciare alcuna traccia del passaggio, del sangue o degli strappi, tornando semplicemente di un monotono color sabbia.
<< Che…>> cercò di dire, ma l’inquietudine le strappò il fiato. Davanti a lei si stendeva una distesa interminabile di bambole che pendevano dal soffitto in pose scomposte e macabre; alcune erano addirittura ad altezza d’occhio e la fissavano con lo sguardo vitreo e inanimato. Erano tanto realistiche che soltanto la loro vista, bastò a farle venire i brividi, per non parlare del disagio che provava, sapendo che avrebbe dovuto attraversarla; poteva benissimo essere scambiata per una sadica camera mortuaria.
Fortunatamente toccò qualcosa con la punta della scarpa e questo la distolse momentaneamente dalla macabra vista. Sul pavimento c’era una lettera bianca con solo poche parole leggibili su tutte le righe scritte a matita: “ … Proprio quello che hai dimenticato … Ib...”.  Il resto del testo era stato malamente cancellato.
Cosa ci faceva una lettera in un posto simile, ma soprattutto perché il suo nome era scritto anche lì? Che cosa aveva dimenticato, ma soprattutto chi aveva scritto una cosa simile?!
La ragazza era notevolmente turbata.
“ Come fa a sapere anche questo?” si chiese piena di sgomento, rievocando la sensazione che vi fosse qualcosa di importante che le stesse sfuggendo da quando si era svegliata in quella galleria ammantata di ombre. Indagò più a fondo la scrittura, sperando di trovarvi qualche indizio in più; non era quella infantile che aveva trovato sui fogliettini gialli, poiché presentava dei tratti più marcati e lineari, nel complesso era una grafia complessa, non opera di un bambino. Per questo si chiese nuovamente quante persone fossero coinvolte in tutta quella serie di eventi, ciò nondimeno: Perché lei. Che cosa volevano da una ragazzina, un riscatto o cos’altro?! Cosa?! Aveva i nervi a pezzi. Sembrava lo facessero apposta a confonderla, mandarle degli indizi discordi, lasciarla in balia di mostri e allucinazioni macabre. Volevano sfinirla, perché più lei cercava di stare calma, più avvenivano episodi che minavano il suo raziocinio. Infatti, Ib era sempre stata una ragazzina abituata a ragionare sui problemi e trovarvi una soluzione, consuetudine presa dal metodo educativo dei suoi genitori, tuttavia quello che le stava capitando era fuori dal su controllo, e più si arrovellava nel trovare dati mancanti nello schema di cui faceva parte, più aumentava la sua angoscia e disperazione.
E se fosse stato tutta un’azione premeditata del suo aguzzino per confonderla e spingerla sempre di più all’interno di quel gioco malato? In questo modo, con il suo atteggiamento spaurito, stava assecondando i piani di questo fantomatico mastro di fili, che stava intessendo anticipatamente le sue azioni future.
L’assurdità dei suoi stessi pensieri la fece rinsavire da quelle ipotesi astruse che affollavano come trottole impazzite la sua mente. Doveva focalizzarsi sul suo obbiettivo: proseguire per scoprire la verità di quanto stava accadendo, senza farsi distrarre dai giochi mentali che l’allestitore della sala aveva disposto per metterla in crisi. Decise di ignorare perciò le bambole che pendevano macabre dal soffitto e seguire gli indizi che la vernice gialla aveva inciso sul muro.

“ I numeri aprono la via”.
Un nuovo indovinello significava una nuova brutta sorpresa; perciò, con l’angoscia nel cuore, Ib si costrinse ad avanzare nel cimitero sospeso.

 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


° Ti Diverti? °

Atto.5

 

“Nella sala dei Bugiardi”…

“solo il verde dice la verità”

 

 

 

Le ultime ore erano state un vero inferno per Ib, un susseguirsi di scene terribili, fughe e battito cardiaco accelerato degno di un cardiopatico, tanto che alla fine per lo stordimento, non aveva capito per quale misericordiosa grazia divina era finita lì né, e di certo non le importava il perché, per il momento era al sicuro tra quegli scaffali e tanto le bastava.
La partenza di quel film horror vissuto a velocità 10x, era stata la foresta delle bambole sospese. Sebbene tutto non era iniziato con scene da cardio palma, ma c’era voluto del tempo, una sadica messinscena dell’organizzatore affinché la ragazza si abituasse prima dell’alzarsi del vero sipario. Per questo la scoperta dei primi due numeri era stata fin troppo semplice: uno in un quadro completamente bianco, dove c’era voluto un po’ per distinguere la macchiolina grigiastra dallo sfondo, poi quello stampato sulla maglietta di una delle bambole, cadute dal soffitto. Il manichino le era cascato esattamente difronte con gli occhi vitrei rivoltati all’indietro in una posa scomposta, facendole venire un colpo,  il primo di una lunga serie di spaventi. L’unico locale non ancora esplorato era stato un atrio chiassoso, anticipato da una targhetta luccicante come un’insegna al neon: “ La sala dei Bugiardi”. Il nome ne aveva già annunciato il tema, eppure l’invitante chiacchiericcio la convinse a sorpassare l’arco murario. Aveva una voglia insopprimibile di sentire delle voci, di qualsiasi natura esse fossero, prima che il silenzio la facesse impazzire del tutto.
Sei quadri in fila e divisi in due gruppi da tre ai lati di una porta, avevano smesso immediatamente di cianciare per voltarsi con le loro teste bidimensionali verso la nuova arrivata.
<< Avete visto?! C’è un ospite.>> aveva detto un immagine maschile dalla maglietta verde.
<< Ti sei persa?>> aveva chiesto un altro in giallo osservandola con occhi inesistenti, inghiottiti dal nero che gli caratterizzava la pelle.
<< Ma che peccato!>> aveva sghignazzato un terzo in canotta blu, << Perché non ti unisci a noi allora?>>
Ib aveva declinato il più cortesemente possibile, evitando che la tensione le rendesse difficile qualsiasi forma di gentilezza. Inoltre era bene concedere meno confidenze possibili, perché sei quadri che volevano tenerla lì, non era stato di certo un bel presagio.
<< Vi ringrazio, ma devo trovare un numero per aprire la porta in fondo al corridoio>> aveva detto in fine, scegliendo la verità. Non valeva la pena mentire e non aveva potuto escludere che loro non ne sapessero nulla.
<< Numero? Nascondiamo un numero?>>
<< Dove?!>>
<< C’era una porta e non lo sapevamo?>>
Le chiacchiere si erano sovrapposte in uno schiamazzo indefinito e irritante, finché una donna in bianco non aveva detto qualcosa di interessante, superando la cacofonia. << Allora devi per forza partecipare al nostro gioco! Cercavamo di stabilire chi di noi sa mentire. Sai ci hanno dato delle indicazioni per la sala alle nostre spalle, dicendoci che solo una serie di passi sono esatti per trovare un tesoro. Così, visto che noi non possiamo muoverci, tu puoi aiutarci a scoprire chi dice il vero e smascherarlo. Magari il tesoro è proprio il numero che cerchi. Allora?! Che ne dici affare fatto?>>.
Ib, che non era una ragazzina sbadata, aveva notato immediatamente la frase: “ ci hanno detto”, e questo verbo al plurale implicava che qualcosa o qualcuno li aveva messi lì e istruiti su quello che dovevano fare. “ perciò è vero che qualcuno ne è l’autore” aveva pensato, ma non si era limitata solo a questo,  aveva trasformato i suoi pensieri in accurate parole capaci di ottenere informazioni. Purtroppo non era riuscita a cavare un ragno dal buco, anzi, era riuscita solo a far ricominciare il frastuono; al ché si era vista costretta ad accettare, non avendo nessun’alternativa o idea. Così uno per volta le sagome in nero avevano detto ciò che era stato loro riportato e alla fine Ib si ritrovò con tre individui che avevano insultato gli altri o li avevano indicati come potenziali sinceri, mentre solo la donna in marrone, quella in bianco e il tipo in verde, avevano dato veri e propri indizi. Uno aveva dichiarato la verità, mentre gli altri avevano mentito. A chi credere? Aveva più del sessanta per cento di possibilità d'errore e solo il trenta percento di successo, come fare? Si era chiesta per un minuto interminabile cosa sarebbe successo in caso di fallimento e quale sarebbe stato il prezzo da pagare, perché con l’uomo nero se l’era vista brutta, dunque non era da escludere che le sarebbe potuta capitare una sorte simile. E se fosse morta? Che cosa sarebbe successo in quell’istante: si sarebbe ritrovata alla galleria o sarebbe finito tutto per sempre?Non valeva la pena di scoprirlo con una puntata così alta, e come il migliore giocatore di poker, decise di vedere lo sviluppo degli eventi e studiare gli avversari come le aveva insegnato suo padre nei pomeriggi in cui si esercitava per la partita mensile con gli amici. Non scommettevano soldi, perché la moglie non gliel’avrebbe permesso, ma poteva concedersi di puntare una birra o un sigaro della collezione del nonno che nessuno toccava. Quante cose le avevano insegnato i suoi genitori e che ora le tornavano utili, soprattutto l’avevano istruita ad usare il cervello, strumento dato in dotazione alla nascita, ma di cui pochi sapessero la vera funzione.
Già, i suoi genitori, chi sapeva dove si trovavano in quei momenti e se la stessero cercando in preda alla preoccupazione più nera. Oppure erano finiti anche loro in un posto simile? Accantonò i pensieri per un momento più adatto, quando da sola senza pressioni imminenti, avrebbe potuto rammaricarsi quanto voleva in un angolino buio e possibilmente al sicuro. Non pensando a loro, altrimenti l’angoscia e la tristezza le avrebbero impedito di andare avanti, aveva messo in moto i neuroni ricordando le parole apparentemente inutili degli altri raffigurati.
 Alla fine dopo un’attenta analisi, e presupponendo che tutti mentivano, scelse di affidarsi alle parole della donna marrone: “ Stai davanti alla statua, fai quattro passi a est e poi due a nord. Ecco la risposta! ” e seguite alla lettera, aveva finalmente trovato quello che stava cercando, un quattro inciso dietro una mattonella del pavimento.
Mentre aveva contato mentalmente le mosse che doveva eseguire, si era talmente concentrata che non si era resa conto dei suoni leggeri di sottofondo: strappi, risolini, un grido soffocato e poi solo il ticchettio di una rara goccia, come se un rubinetto non potesse essere chiuso del tutto. Perciò il suo sconcerto era stato agghiacciante, nel momento in cui era tornata trionfante difronte alle sei immagini. Il sorrisetto compiaciuto le era svanito dalle labbra come i semi di un dente di leone attaccati dalla brezza, poi era subentrato l’orrore per le risate degli ultimi cinque rimasti. Infatti, la donna che l’aveva inconsciamente aiutata, era stata ridotta a un cumulo di brandelli attaccati tra loro da qualche filo superstite, mentre una scarlatta cascata morente imbrattava i piedi del muro. Non la cornice, non i superstiti e nemmeno le pareti erano state risparmiate dalle dita cremisi, che avevano lasciato schizzi, spruzzi e mezzelune create da un insieme eterogeneo di chiazze, ma la cosa peggiore erano stati i restanti quadri, tutti macchiati di rosso e con un arma in pugno.
<< A Morte il vero traditore!>> urlavano nella loro distorta e malata visione della realtà.
Tuttavia la cosa che aveva turbato Ib nel profondo era stata che, nonostante i presenti avessero le facce imbrattate e i vestiti zuppi, questi continuassero a ridere e sghignazzare come se non fosse mai accaduta una cosa più divertente.
Non si chiese perché l’avessero fatto, forse non c’era nemmeno una ragione, ma si domandò, “ Perché ridono?! ”, arretrando sconvolta dai loro sorrisi bianchi e dai visi chiazzati di rosso. Perché per Ib, in quel momento, era più facile chiedersi come mai avvenisse un atto tanto semplice, piuttosto del motivo per cui avevano sbrindellato un loro compagno. Che motivo avrebbero avuto per farlo? Solo il fatto che aveva detto qualcosa diverso da loro? Un motivo probabilmente non c’era stato, perché lì erano tutti irrimediabilmente pazzi e forse anche lei si era messa sulla buona strada.
Il resto era successo molto in fretta, al ritmo frenetico di un rientro a casa nell’orario di punta, quando non si vedeva l’ora di lasciare tutto alle spalle e dire che era finalmente finita, anche se per la ragazza la “fine” era una meta mooooolto lontana.
Aveva impiegato qualche secondo per staccare gli occhi da quel delirio rosso, argento scintillante e giallo delle pareti, ed era corsa a sbloccare la porta protetta dalla password. Nella nuova stanzette quadrata aveva trovato una mela di legno, l’unica cosa che potesse essere portata via per saziare una bocca famelica che le aveva chiesto insistentemente e ossessivamente del cibo da quando l’aveva notata in un angolo della foresta di bambole: “ Fame … dammi cibo. Quello cibo … Dammelo! ”. Poi le fauci, una volta assaggiato il finto frutto, si erano spalancate simili, ma non troppo, a quelle del gatto-parete, schiudendo un tunnel nero quanto una notte senza luna.
Aveva Potuto entrarci, senza rischiare? No.
Aveva avuto altre possibilità valide e più sicure? No. Quindi la scelta era stata una sola, andare.
L’ennesimo lungo e interminabile corridoio di cui la fine era sconosciuta a causa della fitta coltre di ombre dovute alla poca illuminazione e negli angoli erano così fitte che Ib, nonostante si fosse abituata ormai da tempo a quella scarsa quantità di luce, aveva fatto lo stesso fatica a distinguerne i dettagli, tranne per i primi tre poster attaccati alle pareti raffiguranti l’ascensione di una lama da ghigliottina.
Quello era stato il momento più terrificante di tutti almeno fino a quel punto siccome, cosa poteva indicare una scure che si solleva una dozzina di centimetri alla volta?
La ragazza sapeva che dopo ogni salita, c’era sempre una discesa, ma il nodo del problema era stato il “quando”; in quale momento avrebbe scelto di calare, sarebbe stato il fattore decisivo tra la sua condanna o una miracolosa fuga, e probabilmente, con le cattive, avrebbe trovato la risposta almeno a una delle sue domande: “Che fine farò? ”
Il fattore che le mise più angoscia non era stata la consapevolezza  di cosa la aspettasse un passo più in là, ma era sapere esattamente cosa sarebbe successo, e non aver modo di prevederlo, nemmeno intuirlo, se non un millesimo di secondo prima dell’inevitabile. Per lo meno, l’ignoto le avrebbe dato il vantaggio di poter ancora sperare che il peggio le sarebbe passato accanto senza nemmeno sfiorala, proseguendo per la sua strada, invece Ib non aveva avuto nemmeno quello, perciò si era preparata come meglio aveva poteva e aveva affinati i sensi fino allo spasmo.
Se prima aveva giocato a nascondino e acchiapparello, quella volta aveva giocato a guardie e ladri, dove il colpevole se catturato non avrebbe visto la prigione, ma un’esecuzione sul posto. Così passo dopo passo, piede davanti a piede, era avanzata con cautela come un topolino circondato da trappole a molla, laddove un passo falso avrebbe condannato il roditore. La ragazzina aveva provato le medesime sensazioni di quel topolino: terrorizzata, guardinga e tremendamente titubante, nonostante vi fosse un’unica strada da seguire, scandita dai fotogrammi della scure che saliva sempre di più, fino al penultimo poster, dove la lama era sparita oltre le tenebre annidate sul soffitto.
“ Correre o aspettare?” aveva ponderato con il cuore a mille ed i peli della nuca ritti per la paura, mentre era rimasta immobile ed ancorata al muro alla sua sinistra. Le era sembrato più logico e sicuro tenersi vicino ai poster, piuttosto che procedere lungo l’altro capo del corridoio, osservando poi lo spazio di appena sei metri quadrati che l’avevano separata dallo squarcio nero a strapiombo verso il basso, probabilmente una scala.
Dopo minuti lunghi ere, si era azzardata a fare un passettino in avanti, per vedere oltre il bordo tagliente del primo gradino della rampa, segnando l’inizio della prospettata scena finale.
Le ci era voluto un millesimo di secondo per guardare in alto da dove era giunto un sibilo sinistro e, la ragazza topolino era diventata una lepre e il taglio affilato della lama, largo quanto il passaggio al piano di sotto, era diventato i fari abbaglianti di un camion. Ferma  come sempre accade difronte a un pericolo improvviso, era riuscita solo a guardare la lama che in frazioni di secondo aveva macinato ingorda manciate di centimetri. Era certa che avrebbe dovuto far correre i suoi impulsi nervosi più velocemente di quello che le stava sopra la testa, ma per quanto ci avesse provato, il suo corpo non le aveva risposto, come se si fosse ormai arreso al finale. Era stato impossibile dire se era intervenuto l’istinto primordiale di autoconservazione o l’aiuto di uno sconosciuto che l’aveva spinta nella direzione da prendere, fatto stava che aveva superato il primo gradino cadendo di peso, quando tutta la mole ferrosa dell’arnese si era conficcata pesantemente nel pavimento del pianerottolo, seguito da un botto simile a una detonazione, mentre lei era rotolava e aveva sbattuto contro tutti gli spigoli nella folle discesa.
Si era ripresa poi, quel tanto da capire dove fosse e cosa fosse successo, in seguito si precipitata a controllare la rosa nella tasca, notando che aveva perso più della metà della corolla. Si era rassegnata e con sforzo sovrumano si era tirata su con il corpo dolorante. Purtroppo per Ib non era finita lì, poiché un’ombra impazzita, correndo al capo opposto del corridoio, le aveva fatto balzare il cuore contro la cassa toracica, con la paura folle che il misterioso regista di tutto si fosse finalmente deciso a venirle incontro. Invece l’ombra non si era fatta più vedere e non potendo che proseguire, era finita in una saletta nascosta, rischiando un attacco di panico per l’unico quadro appeso, intitolato “CHE RUBA L’ANIMA”. Forse era stato il quadro più inquietante che avesse visto, perché rappresentava delle ombre infantili dagli occhi rossi infossati rivolti verso lo spettatore, raccolte sotto un albero sfiorito scosso dal vento di tempesta. Si era data immediatamente alla fuga, ma non era più riuscita a trovare la porta, mimetizzatasi con l’intonaco dello stesso colore scurissimo, mentre suoni raccapriccianti e canzoncine infantili avevano cercato di attirarla verso la tela. Non si era voltata nemmeno una volta a controllare cosa era successo alle sue spalle, continuando nella disperata ricerca del pomello. Poi una volta uscita di lì era stata rincorsa, o meglio inseguita, dalla strisciante donna in rosso per ottenere una schifosissima chiave per aprire l’ennesima porta, dell’ennesimo corridoio, dopo l’ennesimo ingresso.
Ed eccola lì in una specie di biblioteca dimenticata piena di scaffali e librerie stracolme di volumi, intenta a osservare la porta che subiva gli attacchi della donna-quadro e pregando che non la sfondasse a testate o con i pugni.
Quando finalmente i lamenti e le graffiate, si attutirono quel tanto da far sentire Ib più al sicuro, si concesse di voltarle le spalle per controllare che la stanza fosse un luogo sicuro.
Vedeva solo colonne altissime di libri e una porticina esattamente nel mezzo delle due file di scaffalature. Si precipitò a passo spedito barcollando e oscillando pericolosamente verso il quadrato cremisi che non la ringraziò per la sua veemenza nell’abbassare la maniglia, schiudendosi. Questo voleva dire solo una cosa, serviva un modo per aprirla e doveva essere cercato nella stanza.
Il solito bigliettino giallo, che spuntava tra due libri nello scaffale di mezzo, attirò la sua attenzione come una calamita, il polo opposto, e due paoline scarabocchiate in fretta e tremolanti, nella solita scrittura, le chiedevano: “ T I  D I V E R T I ?”.
<< Ma che razza di domande è?!>> sbottò le ragazza senza pensare, a causa della stanchezza opprimente che la provava già da un po’. No che non si stava divertendo! Aveva rischiato la vita almeno una quindicina di volte, era stata terrorizzata a morte e per di più non sapeva nemmeno dov’era. Si sentiva peggio di Alice persa nel Paese delle Meraviglie, perché alla protagonista di quel libro non era andata tanto male quanto a Ib. In quel momento desiderò che lì vi fosse un altro vaso pieno d’acqua per rigenerare la sua rosa ormai ridotta a un ammasso spelacchiato di petali e anche se stessa, perché di certo non avrebbe retto a qualsiasi cosa la attendesse oltre la porta rossa. Purtroppo non vi era nulla del genere nascosto tra le librerie. Rimise a posto il cartoncino con frustrazione, cercando di nuovo il modo per sbloccare la serratura. Rovistava tra le letture, la maggior parte riportava stampe dei dipinti dell’autore Guertena, scorgeva i titoli delle copertine e più continuava nella sua ricerca più cose scopriva, soprattutto grazie ad un libro seminascosto dagli altri, “ Le donne nella tela”. Questo l’aveva avvertita che le ragazze dipinte diventavano aggressive a causa del continuo desiderare gli umani e che avrebbero inseguito qualsiasi cosa finché non sarebbero state soddisfatte, e se esisteva un loro punto debole, era proprio quello di non poter aprire le porte da sole.
<< Meno male, almeno qui dentro sarò al sicuro per un po’>> aveva commentato Ib finito di sfogliare le pagine. Poi la ragazza aveva continuato a guardare i tomi finché un libricino per bambini, chiaramente fuori posto, non l’aveva incuriosita. Lo tolse dallo scaffale rigirandoselo tra le dita per capire cosa contenesse e come avesse fatto a finire lì, ma le lettere cicciottelle e in grassetto non fecero altro che confermare la sua impressione, si trattava di un libro per bambini disegnato con pastelli a cera nel classico modo inesperto dei bimbi nella prima infanzia.
Storybook animato, Carrie la sbadata e la gallette des rois” rilesse mentalmente, studiando le scritte e l’immagine di copertina che riportava un sipario chiuso, poi sfogliò le prime pagine in cerca di una chiave nascosta in una pagina, o qualsiasi oggetto o indizio che la aiutasse a uscire da lì. Come si poteva aspettare da un libricini del genere, non trovò nulla d’interessante e, per quanto la sua presenza fosse strana e fuori luogo tra quei volumi artistici e fotografici, si convinse a rimetterlo a posto e cercare altrove. Tuttavia quando tentò di richiuderlo o staccare una delle mani dal volumetto, non riuscì né nell’una, né nell’altra cosa. Presa dal panico cercò di staccarsi dal libro, di sollevare le braccia o anche solo muovere la testa alla ricerca di un arnese ma nessun movimento le fu permesso. Perciò con gli occhi incollati alle pagine, queste iniziarono a girare da sole raccontando la loro storia. 

“ C’erano una volta tre quattro amici che si erano ritrovati a casa di una delle ragazzine del gruppo per festeggiare un compleanno.
- Buon compleanno!- urlarono in coro i bambini rivolti alla loro amica.
- Grazie ragazzi- replicò la festeggiata nel suo nuovo vestito turchese.
- Per il tuo compleanno abbiamo fatto una Galette des Rois!- disse la padrona di casa con un ampio sorriso, contenta che la sorpresa fosse riuscita.
- Che cos’è?- chiese la bimba.
- C’è una monetina in questa torta, e se mangi la fetta con la monetina, sarai una persona felice- continuò ignorando la sua amica e indicando la torta di un invitante color cioccolato.
-sembra divertente!-
- E già- e la padroncina di casa, impugnato un coltello a seghetto, la divise in quattro porzioni identiche, una per ogni invitato.
- Prendete la fetta che volete-, disse la cuoca esortando i presenti e quando tutti ne ebbero una tra le mano, le addentarono la loro di gran gusto, facendo ancora tanti auguri alla festeggiata. Quest’ultima però spezzò il religioso silenzio della degustazione.
- Aaah!- urlò spaventata.
- Cosa succede?- disse un'altro dei presenti.
- Credo di aver… ingoiato qualcosa di duro!- disse tra un bel respiro e l’altro.
- Ah! O Carrie, deve essere stata la monetina- disse un bambino palesemente spaventato.
- Che cosa faccio- disse Carrie la festeggiata, preoccupata che quello potesse provocarle seri danni.
- È tutto ok, la moneta è piccola piccola! Bene e adesso puliamo tutto- disse la bimba non curante, spazzolando il tavolo, raccogliendo vassoio e coltello, mentre i suoi amici recuperavano i tovaglioli sporchi. Poi si avviò in cucina per poggiare tutto nel lavello.
- Cosa c’è mamma?- chiese incontrando sua madre nel corridoio davanti alla porta rossa dello studio del padre.
- Hai visto la chiave dello studio? È sempre qui su questo tavolo- le chiese la madre perplessa e angosciata nel ricordare dove avesse lasciato l’oggetto.
“ Huh! Oh, no. È la monetina! La monetina che avrei dovuto… mettere … nella torta. Non è che …” pensò la bambina allarmata.
- Ma dove può essere finita? Oh, il babbo si arrabbierà così tanto- borbottò la mamma con una faccia serissima.
“ Che devo fare?” si disse. Poi la soluzione venne da se, quando il coltello colpì il pavimento, così tornò indietro coltello alla mano.
- Sembra che io sia sbadata quanto Carrie- si disse ghignazzando, tornando dai suoi amici. ”

Il sipario si chiuse, mentre Ib inorridita cercava di scrollarsi il libro di dosso e chiudere quella storia che di certo non è per bambini. Tra uno strattone e l’altro nel tentativo di liberarsi, non poté fare a meno di sentire i rumori raccapriccianti provenienti da dietro le tende rosse, con gli occhi inchiodati al libro e incapaci di sbattere le palpebre. Dopo non molto ebbe gli occhi che le pizzicavano e cercò invano, con tutte le sue forze, di staccare quell’affare dalle sue mani, quando la figurina della bimba assassina, sbucò dal bordo delle tende.
“ - Ho trovato la chiave!... ora apro la porta.- sorrise, con il visino disegnato sporco di chiazze cremisi. “
E dette queste parole con un click la porta si spalancò, mentre il libro si richiuse di scatto, piombando a terra tra l’incredulità di Ib e le figure sghignazzanti dei quattro bambini della festa.
Non poteva crederci, la bambina aveva tagliato la pancia dell’amica per recuperare l’oggetto che aveva messo nella torta, ma come aveva potuto, tra l’altro con quel sorriso smagliante dipinto sul volto? Iniziava ad odiare le persone che sorridevano e con la nausea crescente per l’omicidio in diretta di Carrie, se così si poteva dire, non ci pensò nemmeno a rimettere a posto quel libro dell’orrore e avanzò verso la stanza successiva. 
Lì finalmente uno dei suoi desideri venne realizzato: il vaso con l’acqua che l’aveva guarita secoli prima. Lo raggiunse immediatamente per posarvi la sua rosa torturata. I petali si rigenerarono a mano a mano che l’acqua spariva dal contenitore e allo stesso modo si sentì meno indolenzita e più vigile, grazie alla benedizione eterna, come la indicava il cartellone appeso sopra la sua testa e che raffigurava un’ampolla di vetro con dentro un misterioso liquido celeste e luccicante.
Non le importò da che luogo o da chi fosse stata prodotta, l’importante era che si trattasse di qualcosa che la facesse stare meglio, l’unico oggetto che non avrebbe tento di ucciderla.
Questa volta, accadde una cosa bizzarra, il vaso non si ruppe come l'ultima volta, ma rimase intatto senza nemmeno una scalfittura che indicasse il passaggio di qualcuno.
“ Davvero strano” costatò Ib, esaminando il vaso più da vicino ed infilandosi la rosa al sicuro tra le pieghe della gonna. “ Quindi posso usarla ancora?”, purtroppo però di acqua non ne era rimasta nemmeno una goccia e così i pensieri felici ebbero vita breve.
Lì accanto su un altro tavolino, scorse un enorme quaderno spalancato e, siccome la curiosità ebbe la meglio, si avvicinò senza toccarlo memore di quanto era successo pochi attimi prima. Adesso che si trovava più vicino, Ib poté vedere chiaramente che si trattava di un libro per le presenze, tipo quelli che si trovano nei musei per lasciare una dedica con la propria firma o un’impressione della visita. Infatti, sulle due facciate c’era un infinito elenco di nomi, alcuni talmente sbiaditi e altri quasi illeggibili tanto che era difficile decifrarne le lettere; però tra questi ne spiccavano due in vivido inchiostro nero. Il primo, tutto sommato ancora leggibile, stava diventando sempre più chiaro come se una gomma, facendo avanti e indietro, togliesse ad ogni passata una mano di inchiostro, e riportava il nome  Garry, che la ragazza non riconobbe affatto e neppure ebbe l’impressione di conoscere, perciò passo oltre. Il secondo invece era il suo nome, Ib, scritto a chiare lettere nere come se fosse stato appena impresso su quel foglio bianco.
“ Allora è vero!” urlò una vocina nella sua testa, “ Segna davvero i nomi di chi è stato qui, perciò oltre a me c’è qualcun altro o c’è stato qualcun altro”. Non poteva dire se fosse più sconvolta per il suo nome scritto sul registro o se per speranza di non essere più da sola, che quel nome aveva risvegliato in lei. Era talmente presa dalle sue ipotesi e congetture quasi verosimili, che in un primo momento non si accorse del rantolo soffocato che la raggiuse dal corridoio scuro alla sua destra, solo un secondo lamento mise i allarme i suoi sensi.
A questo punto difronte a lei si aprivano nuovamente due scelte, andare a controllare assecondando la vocina nella sua testa che le diceva di essere fiduciosa, o girarsi dal lato opposto e proseguire. Questa volta non perse tempo a valutare le opzioni e le probabilità, non ebbe nemmeno bisogno di quella gentile voce fuori campo che l’aveva guidata qualche volta, perché sapeva già che percorso prendere.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


°La Rosa Blu °

Atto.6

 “Garry”

 

 

 

Nella parte poco illuminata del corridoio da cui arrivavano i lamenti, Ib poté vedere una sagoma scura riversa sul pavimento. Si avvicinò in tutta fretta pur rimanendo vigile e sospettosa, intanto che seguiva l’onda di sollievo per aver trovato qualcun altro di “ reale”. Si trattava di una persona di sicuro più alta di lei, sdraiata sulla pancia con le braccia distese vicino al capo e le mani serrate a pugno. Da quel poco di luminosità che litigava con le lame di ombre che li avvolgeva, riuscì ad identificare solo il lungo cappotto che indossava l’altro e una fitta chioma di capelli mossi; in un primo momento sembrò che fosse svenuto, ma un nuovo lamento fecce fare a Ib un salto all’indietro.
<< Va tutto bene? >> chiese alla sprovvista la ragazza, avvicinandosi ancora.
Purtroppo, non ottenendo risposta, fu costretta a formulare nuovamente la domanda scrollandogli la spalla per avvertirlo della sua presenza.
<< Urghhh… fa … male. >> rispose la persona sul pavimento in un sussurro strozzato. Nella sofferenza rilasciò i pugni e si ancorò alle mattonelle sopra la sua testa, come se il solo parlare fosse uno sforzo sovrumano. Nello stesso momento qualcosa cadde sul pavimento, un oggetto grande quanto il palmo; era l’ennesima chiave scarlatta. A Ib balenò subito un’idea folgorante come un lampo tra le nubi minacciose. Per essere in possesso di un oggetto simile doveva trattarsi di qualcuno che si trovava nella sua stessa situazione e per cui erano state imposte le stesse inquietanti regole ed indizi. Doveva essere di sicuro qualcuno che era alla mostra insieme a lei ed era finito intrappolato in quel pazzo labirinto, almeno lo sperava. Altrimenti… poteva essere tutta una messa in scena.
Ib non sapeva che fare: se prestargli soccorso o diffidare. Era paralizzata da una dilaniante dicotomia: da una parte la confortante sicurezza di un’altra persona al suo fianco voleva dire avere una spalla a cui affidarsi nell’affrontare i pericoli futuri; dall’altra, come un arma a doppio taglio, c’era la possibilità che si trattasse di un trucco architettato per ingannarla. Valutò attentamente le alternative, perché dopo i manichini che camminavano, le persone che uscivano dai quadri e tutte le orribili stramberie che aveva visto fino ad allora, non avrebbe retto all’ennesimo brutto scherzo. A conti fatti però, la bilancia pendeva nettamente verso la lista dei contro, che non per quella delle mozioni a favore. Da un lato c’erano tutte argomentazioni molto valide e difficili da tralasciare come ad esempio il motivo per cui si trovasse lì il ragazzo, cosa fosse successo, oltre al fatto che erano sconosciute le sue fattezze, nascoste dal velo nero ed impenetrabile della penombra. Soprattutto quest’ultima osservazione la faceva desistere dall’azzardo di inginocchiarsi e capire cosa avesse quell’uomo che non andava. Se per lo meno avesse visto il suo viso, con un eventuale riconoscimento tra i volti visti di sfuggita tre i corridoi della Galleria, tutto sarebbe stato più semplice e avrebbe messo a tacere tutte le sue paranoie. Chi poteva sapere se invece di una normale faccia, si fosse trovata di fronte ad un viso di porcellana simile a quello delle bambole impiccate?
A quel punto per lei sarebbe stata la fine, letteralmente. Malgrado ciò una piccola e tenace vocina nella sua testa, troppo dolorosa da ignorare, le insinuava il dubbio speranzoso che le sue idee fossero solo castelli in aria, costruiti dalla paura e dall’ansia della situazione irreale. Questa la invitava insistentemente ad aiutare lo sconosciuto, fidandosi del suo istinto nonostante iniziasse a dubitarne. Era stanca e provata, nonostante gli effetti benefici che l’acqua attinta per la rosa le aveva dato, non ne poteva più di quel posto. Le sarebbe piaciuto avere qualcuno su cui contare e fare affidamento, convincendola che tutto sarebbe andato per il verso giusto e sarebbero usciti di lì. Oltretutto l’indecisione non stava affatto migliorando il suo umore. Aveva voglia di mettersi le mani nei capelli ed urlare fino a non avere più voce, finché i polmoni non si fossero svuotati completamente liberandola da un peso, se solo quel gesto avesse significato la fine di ogni preoccupazione. Rimase intontita, mordendosi un labbro per la frustrazione del non saper prendere una decisione ed accettarne le conseguenze.
Fu lo sconosciuto allora, a smuoverla dalla sua indecisione e allontanarla dal baratro, erompendo in un sonoro attacco di tosse come se stesse soffocando, mentre il corpo si contraeva in spasmi dolorosi che irrigidivano gli arti ed incurvavano la schiena. Di certo tutto quel dolore non poteva essere una finzione e se non lo era, lei non se la sentiva di abbandonare qualcuno in difficoltà. In fin dei conti se si fosse trovata nella sua stessa situazione avrebbe voluto che qualcuno la trovasse e soccorresse. Inoltre aveva una brutta sensazione, un subdolo e strisciante senso di ansia che le era rimasto da quando aveva visto il suo nome in quel “ quaderno delle presenze ” anche a causa dei tanti nomi cancellati e ormai prossimi a diventare delle tracce indefinite nel mare di pagine ingiallite. Si impose per l’ennesima volta di usare tutto l’autocontrollo che le restava per gestire al meglio la situazione. Per prima cosa doveva trovare la causa del dolore. Perciò ispezionò superficialmente, e per quanto l’imbarazzo lo permettesse, il corpo riverso. Non trovò nessuna ferita aperta e sanguinante, nulla di nulla, perciò la causa doveva essere diversa e perciò non evidente sul suo corpo. Magari ripercorrendo il percorso da cui era venuto, o scappato, avrebbe trovato degli indizi utili alla causa. Le si prospettavano così due alternative, entrambe valide o forse no: il tornare indietro imboccando il passaggio che aveva intravisto sulla sua destra quando aveva lasciato la biblioteca, oppure continuare per quel corridoio. Un nuovo suono strozzato affrettò i tempi di scelta, propendendo per continuare nella stessa direzione. Oltrepassò l’arco di pietra difronte a sé e proseguì dritto finché non si trovò il passo sbarrato da un manichino nero senza testa e adornato da una cravatta azzurra a sottolineare la mancanza.
La statua faceva da guardia ad una porta alle sue spalle.
“ Possibile che sia passato di qui? ” si chiese Ib osservando la disposizione della figura antropomorfa.
Con un penoso risultato a smuovere la statua dal suo posto che di conseguenza non si mosse nemmeno di un soffio. Era troppo pensante per le scarse forze della ragazza, che si vide costretta a rinunciarvi. Da quel lato non poteva passare e era improbabile che l’altro fosse venuto da lì, perché in quel caso la statua non ci sarebbe stata. Perciò dovette tornare indietro, correndo a perdifiato nella direzione opposta per non sprecare altri secondi preziosi. Ripassando accanto al corpo disteso ebbe appena il tempo di percepire che le sue condizioni si fossero aggravate per aumentare il livello d’urgenza della sua ricerca.
La parte inesplorata si rivelò essere simmetrica alla precedente o quasi, fatta eccezione per un piano rialzato su cui erano posizionati lo stesso modello di tavolino e di vaso incontrarti in precedenza. Lo spazio terminava poi con un vicolo cieco, dopo una piccola sala munita di porta. Si aggrappò all’uscio e si sorprese nel trovarlo aperto. Contro ogni buon senso entrò lo stesso. Una tenda da campeggio con sacchi a pelo e attrezzi vari stipati al suo interno, le diede il benvenuto dall’angolo buio del suo spazio di esposizione. La quiete a cui era abituata era alterata da ringhi sommessi, che costrinsero Ib, colta alla sprovvista, a prendere parte alla scenografia del campeggio.
Si sporse cauta oltre il bordo della parete a cui si era appoggiata per poter vedere il resto della stanza. Nella zona attigua vi era una delle donne dei quadri con mezzo busto fuori dalla cornice e il vestito ceruleo semi inghiottito dalla tela. I lunghi capelli castani formavano una cascata spettinata che si raccoglieva in ciocche serpentine sul pavimento, tanto lunghe da rassomigliare ad uno strascico infangato. La creatura aveva il capo chino, intenta a sfoltire i rigogliosi petali di una rosa blu cobalto. La ragazza finalmente comprese la dinamica degli avvenimenti. La persona agonizzante aveva perso la sua rosa, probabilmente rubata dall’opera vivente, e poi fosse scappata facendo perdere le tracce di sé, mentre il mostro infieriva sul suo bottino. Doveva recuperarla prima che venisse tirato via l’ultimo petalo, altrimenti non  sapeva cosa ne sarebbe stato del suo proprietario. Probabilmente si sarebbero avverati gli scenari ipotizzati per sé ed alcuni visti accadere al fiore dopo che il suo fisico era stato ferite. Da ciò era riuscita a dedurre che la corolla rappresentava il suo corpo e che qualsiasi cosa fosse capitata al fiore o al possessore, si sarebbe ripercosso sull’altro. Intervenne senza perdere nemmeno un secondo a pensare. Si sporse oltre lo spigolo del muro per attirare l’attenzione della donna, che sentendo violato il suo momento di divertimento le rivolse uno sguardo iniettato di sangue e follia, schiudendo la sua dentatura da squalo per la nuova ed indesiderata comparsa..
Il profumo del fiore che l’opera vivente percepiva addosso alla ragazza era molto più invitante e robusto di quello che stava martoriando e quindi, colta dalla smania ossessiva di possedere quel raro esemplare da brutalizzare, si lanciò contro Ib artigliando la moquette rossa con una velocità inaudita. Il suo ringhio famelico raggelò ad Ib, che tuttavia per un riflesso incondizionato ebbe appena il tempo di ripararsi all’esterno e bloccare l’uscita prima che la signorina del dipinto vi si gettasse contro con tutto il suo peso artistico. Nonostante la sua trovata, non ebbe molto di cui rallegrarsi, poiché doveva recuperare lo stelo abbandonato all’interno della prigione improvvisata. Sebbene non se la sentisse di affrontarne la carcerata e attirarsi ulteriormente le sue antipatie, cercò di concentrarsi nella ricerca di una soluzione.
Mentre pensava colpi si spostarono dalla porta al vetro della finestra a nastro adiacente che poco dopo andò in frantumi, facendone riemergere l’essere che protendeva le unghie affilate contro la sua preda, come un gatto affamato davanti una boccia di pesci rossi. Non aspettò di sentire il tonfo del legno che picchiava contro il pavimento mentre cadeva, e si riparò nuovamente dietro la porta invertendo i ruoli da carceriera a detenuta.
Da quello che aveva letto nella biblioteca era sicura, o ci sperava fortemente, del fatto che la donna in blu non sapesse usare le maniglie. Di conseguenza, lasciò andare la maniglia pregando che l’informazione non fosse l’ennesima trabocchetto; poi si precipitò a recuperare la rosa. Era messa davvero male. I petali superstiti, tutti spiegazzati e rigati, erano a malapena attaccati al calice, uno addirittura le scivolò sul dorso della mano per poi infrangersi ai suoi piedi con una aggraziata danza di morte. Sembrava che dovessero cadere tutti da un momento all’altro con la minima folata di vento.
“ Devo sbrigarmi! ” si mise fretta Ib.
Non c’era margine d’errore; doveva tornare subito al vaso per curarla, altrimenti avrebbe perso l’unica possibilità di compagnia in quel viaggio allucinato. Ib salì sullo sgabello che la sua antagonista aveva usato come appoggio per sfondare la finestra e osservò la scena per pianificare una strategia per liberare il passaggio.
Il quadrato con attaccato all’essere strisciava in ogni direzioni mentre la proprietaria graffiava tutto ciò che incontrava, cercando una via di accesso, fortunatamente senza successo.
Forse poteva sfruttare il momento in cui percorreva il perimetro alla base della finestra e sgattaiolare via non appena avesse girato l’angolo che portava ad una rientranza nel muro. Era la sua unica chance, anche perché di armi a portata di mano non ne aveva ed il vetro era fuori questione. Se si fosse ferita avrebbe dovuto pensare prima alla sua di rosa e non alla cugina dai toni freddi, cosa che non poteva permettersi sapendo che in palio c’era la vita di una persona.
Non appena la dama sparì dalla visuale, Ib  piazzò lo sgabello a cavallo della cornice della finestra e si precipitò alla porta con la fretta di chi è inseguito da uno sciame di vespe assassine. Il trambusto attirò il mostro che tornò sui suoi passi come una furia e non appena raggiunse il corridoio, la ragazzina si era già nascosta dietro alla sporgenza della parete. La dama inizialmente sembrò confusa guardandosi intorno famelica. Sentiva la rosa della ragazza tutt’intorno come un aroma per ambienti, ma alla fine optò per irrompere nella saletta dalla porta socchiusa da cui proveniva con intensità maggiore il profumo. Non appena si dileguò oltre l’uscio Ib le sbatté la porta alle spalle e recuperò la seggiola dal davanzale, così che non potesse essere usato nuovamente come mezzo di fuga. Poi ancora con l’adrenalina in circolo rintracciò il vaso della Benedizione eterna.

 
Pochi minuti dopo era tronata difronte allo sconosciuto con la rosa color degli abissi stretta in pugno e la sua ben nascosta nella tasca, pregando che si svegliasse e che il suo atto di coraggiosa disperazione non fosse stato vano.
Il personaggio oggetto delle sue cure prese all’improvviso un respiro profondo come se stesse emergendo da un’apnea prolungata e spalancando gli occhi con uno scatto secco quasi meccanico. Non appena riuscì a focalizzare i dintorni di dove si trovasse e controllare se vi fossero minacce, facendo leva con le braccia, si ritrasse di scatto accorgendosi dalla figura che lo sovrastava.
<< Mostro! Non c’è più nulla che puoi prendere. Stammi lontana!>> fece sentire la sua collera una voce maschile con toni bassi e autoritari.
La ragazza rimase un attimo di stucco, riconoscendo i tratti che aveva sbirciato di nascosto nel silenzio della visita in quello che le sembrava accaduto secoli prima. Davanti a lei c’era proprio il giovane che aveva attirato la sua attenzione al primo piano della mostra. Non poteva credere che tra i tanti partecipanti all’evento, esattamente l’unico che l’avesse sinceramente incuriosita, la stesse osservando da dietro una frangia laterale ribelle e mossa che ricordava era lilla e striata di nero. Purtroppo non riuscì ancora a capire di che colore fossero gli occhi o come apparissero i tratti del viso visti da di fronte, ma sperava che sarebbero rimasti insieme il tempo necessario per soddisfare le sue curiosità. Tralasciando però le frivolezze, non sapeva se esultare dalla gioia per l’incontro miracoloso o voler scappare a gambe levate per l’eventualità che potesse essere riconosciuta e morirne per l’imbarazzo. Nel dubbio ammutolì di colpo tenendo il fiore stretto al petto.
<< A…aspetta, tu non sei Quella. Possibile… possibile che tu sia qualcuno della Galleria? >> chiese incredulo il ragazzo, soffermandosi sulla minuta e immobile figura con gli occhioni spalancati e le mani tremanti, inginocchiata ai suoi piedi. << Certo che lo sei!- gioì lui rassicurato - Oh, grazie al cielo! C’è qualcun altro qui a parte me. Credevo di essere impazzito!>> continuò stupito, abbandonando l’atteggiamento truce.
<< S-stai … bene? >> balbettò Ib, cercando qualsiasi cosa di sensato da chiedere per distogliere l’attenzione dal discorso pazzia poiché non si sentiva ancora fuori pericolo.
<< Sì, ora sì. Grazie. >> le sorrise prendendo la rosa che la ragazza gli porgeva timidamente.
<< Sai come siamo finiti qui? >> chiese di getto sentendosi più sereno e tranquillizzato da un’altra presenza umana.
La ragazza negò con un gesto della testa, visibilmente a disagio e poi gli diede una breve resoconto di quello che le era capitato da quando si erano spente le luci al museo fino a quel momento. Sentiva il bisogno di raccontalo a qualcuno, anche solo per il fatto di sfogarsi, dimenticandosi per un po’ di dove fosse in realtà.
<< Capisco… neanche tu hai idea di come le cose siano arrivate a questo punto. Alla fine sembra che siamo finiti in situazioni molto simili, devo dire; anche per queste rose. Mi compaiono delle ferite addosso quando perde i petali e credevo di essere spacciato. Grazie per avermela riportata >> le raccontò, concedendole un sorriso riconoscente. << Ora, innanzitutto faremmo meglio a trovare un’uscita. Credo che potrei diventare matto se resto qui un minuto di più. Ah! Non ti ho ancora chiesto come ti chiami, scusami sono un maleducato. Beh, io mi chiamo Garry e tu ?>> le chiese affabilmente puntando in quelli di lei l’unico occhio che spuntava dalla chioma ribelle.
Quindi era davvero suo il nome che la ragazza aveva letto nell’albo e che rischiava di dissolversi. - Ib- rispose monocorde, cercando di trattenere lo sconcerto per le nuove implicazioni degli indizi trovati. Era stata sul punto di vedere la fine destinata ai giocatori di quella partita e il peggio era che non erano ancora fuori pericolo.
<< Perfetto Ib, allora pronta ad andare?!>> sentenziò porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi.
<< Vuoi proseguire con me?>> chiese stupita dall’improvvisa intraprendenza del giovane, ma accettando comunque la stretta dello sconosciuto. Il tocco bastò a rassicurarla, come quando da piccola stringeva l’orsacchiotto di peluche implorandogli di proteggerla dai mostri nell’armadio.
<< Certo che sì, non posso mica lasciare una bambina a gironzolare in un posto così pericoloso.>>
<< Non sono una bambina. Ho quindici anni nonostante l’altezza.>> disse con stizza punta nel vivo.
<< Perdonami, non volevo offenderti.>> si affrettò a rimediare Garry riconciliante, per poi incamminarsi imbarazzato e senza chiederle altro, se non che lo seguisse.
<< Woooooo!>> urlò di terrore finendo con il sedere per terra, quando un quadro gli sputò davanti  dell’acido corrosivo, suscitando il riso soffocato della ragazza. << Mi sono solo un po’spaventato! D-davvero, ecco tutto! Cooooomunque andiamo avanti e fai attenzione, soprattutto alle cose come quella.>> dissimulò il ragazzo, alimentando il divertimento di Ib che cercava di non scoppiargli a ridere in faccia. Aveva visto cose anche di peggiori, che all’altro sembravano non essere capitate, ad eccezione della dama. Comunque dopo aver assistito al suo scivolone, poteva ritenersi ripagata per l’errore sull’età che aveva superato da un pezzo. Senza aggiungere altro, si limitò a trattenere le risa e seguirlo lungo il corridoio.
Alla fine insieme riuscirono a spostare la statua ed aprire il passaggio alle sue spalle con l’ultima chiave che Garry aveva ricevuto e Ib gli aveva restituito.
<< Tu invece come sei arrivato qui? >> gli chiese Ib incuriosita, mentre passavano da una stanza all’altra.  Il bisogno di conoscenza fu più forte del senso d'imbarazzo.
<< A dire il vero non ricordo molto. Come te ero nella galleria e stavo guardando un quadro piuttosto interessante quando le luci si sono spente. Poi mi sono risvegliato che ero già in questo museo, se così possiamo dire. La rosa blu era in un vaso su un tavolino con un mazzo di chiavi accanto e un bigliettino mi raccomandava di prendermi cura del fiore. Ho lasciato la saletta senza la minima idea di dove andare. Ero così confuso, in più avevo l’impressione di aver dimenticato qualcosa di fondamentale, ma non sapevo cosa e tutt’ora mi sfugge. Comunque l’ultima zona che ho visitato è stata quel corridoio, dove ho incontrato la donna in blu. All’inizio pensavo volesse indicarmi la strada e invece… ti risparmio i dettagli, ma puoi immaginarlo. A proposito! Come hai fatto a recuperarla?>> la interrogò preoccupato, ricordandosi solo allora del dettaglio importante che non le aveva chiesto.
<< L’ho trovata in una saletta.>> rimase sul vago per non doverglielo raccontare. Non voleva agitarlo più di quanto non fosse necessario, inoltre se gli avesse rivelato quel particolare, avrebbe dovuto parlargli anche dell’esistenza del libro dei nomi. Perciò voleva che quell’informazione destabilizzasse anche lui, era meglio che almeno uno dei due restasse speranzoso per entrambi. << Era messa male perciò ho trovato un vaso e l’ho curata.>> disse facendo sembrare le sue azioni come la cosa più naturale del mondo ed intanto osservava le iridi azzurre del ragazzo
.
<< Non so ancora come ringraziarti.>>  le disse sincero sostenendo il suo sguardo. Garry sapeva che c'era qualcosa che non andava, ma preferì non insistere, ritenendo più rispettoso non indagare oltre.
Era comprensibile, anche lui non sarebbe andato a raccontare tutto alla prima persona che incontrava, malgrado si trovassero a dover affrontare le stesse situazioni. Se si fosse mostrato troppo incalzante, avrebbe ottenuto l'effetto opposto a quello desiderato e la ragazzina non si sarebbe fidata di lui.
La loro conversazione però si interruppe difronte alle nuove opere che agghindavano la stanza.
<< E queste cosa sono?!>> si allarmò Garry, tendendo ogni muscolo del corpo in posizione di difesa. Era convinto che da un momento all'altro potessero balzare via dalla parete e iniziare l'inseguimento, perciò Ib decise di intervenire prima che Garry impazzisse per il dubbio.
<< Sono il prossimo indovinello. Da quando sono qui ogni stanza è un rebus da risolvere per passare alla successiva. Non credo che ci faranno nulla questi. Tranne le donne con gli abiti non ci sono altri quadri capaci di inseguirci.>>
<< Devi averne passate tante, eh?>> la scrutò pensieroso il ragazzo, rilassandosi un pò e concentrandosi invece sulla ragazza. Capì che allora le sue supposizioni fossero vere.
La ragazza nel tentativo di rassicurarlo si era lasciata sfuggire proprio ciò che non voleva rivelargli e per il disagio distolse lo sguardo puntandolo sulla statua più vicina, una delle due mani scheletriche protese verso l’alto.

<< Quindi è così che funziona.>> mormorò lui fidandosi delle parole dalla compagna,<< D’accordo, vorrà dire che adesso li risolveremo insieme e non dovrai più preoccuparti di affrontarli da sola. In due è meglio, no?>> le chiese tendendole il palmo aperto per sancire nuovamente l’accordo e, stavolta, nel modo giusto. L'unione faceva la forza, il ragazzo ne era sempre stato convinto e allora più che mai.
Ib rimase di stucco per la sorpresa e la contentezza. L'altro non poteva immaginare quanto la sua proposta la confortasse e alleggerisse il peso che si era portata dietro fino a quel momento.
Non rimase imbambolata a valutare i pro e i contro quella volta; afferrò la mano del ragazzo con gli occhi che le pizzicavano per le lacrime ringraziando silenziosamente quell'incontro fortunato.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


°In Trappola°

 

Atto.7

 “ Non è un posto fantastico? Perché non ti unisci a me qui?

Starai bene con tutta questa compagnia…

 

 

 

 

 
<< Gli sposi non mi sembravano molto contenti.>> commentò Garry mentre passavano oltre ed imboccavano il corridoio che divideva i consorti.<< A che cosa servono? >> chiese poi ragionando ad alta voce.
<< Non saprei, dovremmo proseguire per scoprirlo.>>
Ib sapeva che fino ad allora gli indizi per risolvere gli indovinelli erano sempre stati nascosti in una o due camere, non di più. Ciò nonostante fu la prima volta che passava da una stanza a un corridoio dalle molteplici diramazioni. Si stava abituando alla presenza del ragazzo, anche se ne scrutava ogni movimento per conoscerlo meglio. Siccome non si sentiva pronta a chiacchierare del più e del meno, nonostante lui avesse attratto la sua curiosità alla mostra.
<< Da che parte andiamo?>> chiese per rendere partecipe l’altro, intanto che fissava l’intonaco di una prima stanza.
<< Non possiamo sapere quali percorsi scartare a priori, dovremmo provarli tutte.>> dichiarò sconfortato Garry e Ib seguendo la sua logica ne fu d’accordo. << Ma cosa stiamo cercando esattamente? >> continuò a indagare lui per avere almeno l’idea su che oggetto focalizzare l’attenzione.
<< Dipende. A volte sono porte nascoste, altre sono passaggi dietro a dei quadri. All’inizio però erano per la maggior parte delle chiavi.>> scavò lei fra i ricordi.
Si era costantemente focalizzata sull’andare avanti, che aveva quasi dimenticato di tenere d’occhio il quadro d’insieme degli eventi.
<< Perciò hanno tutte come collegamento finale un passaggio o una porta? Va bene, teniamo gli occhi aperti per qualsiasi oggetto che possa averci a che fare.>> assentì speranzoso.
Così incominciarono la loro ricerca dall’accesso a portata di mano e Garry avanzò per primo assumendosi il compito di controllare, ma si bloccò quasi subito nel trovarsi un muro di fronte e un cartello dalle infantili lettere sbiascicate.
<< Che cosa succede?>> lo incalzò la ragazza sporgendosi oltre il suo fianco per sbirciarne il contenuto. Non le dispiaceva che il ragazzo fosse così premuroso nei suoi confronti, a volte però, venire a sapere le cose per ultima le creava non poco fastidio. Aveva sempre preso le decisioni per sé stessa e in quel momento invece doveva scendere a compromessi con un'altra persona.
<< Un altro labirinto…>> disse la ragazza in preda all’angoscia. Aveva ancora chiaro in mente l’ultimo in cui era stata e non le piaceva per nulla l’idea di un nuovo uomo nero con cui scontrarsi. Rabbrividì al pensiero.
<< Un altro?>> scappò detto a Garry. Si era trattenuto da commenti sulle avventure precedenti, ma questo non riuscì a trattenerlo.
Ib si irrigidì alla interrogativo, tuttavia, sentendosi in colpa per le molte cose taciute (ad esempio il registro), gli spiegò brevemente l’accaduto. Come le aveva detto suo nonno una volta, dato che l’essere umano è un individuo sociale, deve instaurare un rapporto con le persone e per fare ciò  bisognava raccontarsi a vicenda le proprie esperienze, altrimenti la nuova relazione appoggiava su basi sterili e insidiose come il deserto.
Fortunatamente Garry non espresse un parere, sebbene il suo sguardo tradisse una lieve preoccupazione che la ragazza non seppe se associare a una sincera apprensione nei suoi confronti o alla paura di incontrare l’uomo d’ombra. Così quando, attraversando un cunicolo, stava per interrogarlo, con un braccio fu trattenuta indietro dal giovane, aderendo alla parete.
<< Che fai?>> lo rimproverò più per la sorpresa che per il gesto in sé.
Un conto era abituarsi alla presenza, un altro che ci fosse qualcuno che, intervenendo prima di lei, si attribuiva il diritto di un contatto fisico. Per tutta risposta lui mise un dio sulle labbra, in un invito al silenzio, e le indicò oltre l’angolo. La ragazza gli scivolò davanti e guardò nella direzione mostrata. Nel piccolo atrio che si creava all’incrocio di più vie, c’era una delle statue di donna decapitata che avanzava a grandi falcate e imboccava un passaggio. Non appena l’orlo dell’abito non fu più visibile, Ib raggiunse l’atrio per decidere la prossima direzione.
<< Dove vai?!>> cercò di richiamarla Garry, ma alla fine fu costretto a inseguirla.
<< Dobbiamo muoverci. Potrebbe aggirarci e arrivare dall’altro lato, meglio andarle incontro che trovarcela alle spalle in uno dei corridoi, non credi?>>.
<< Hai ragione, ma avvisami la prossima volta o morirò d’infarto.>> sdrammatizzò il giovane, ottenendo una riluttante promessa da parte della compagna.
Proseguirono a tentoni per le viuzze seguendo l’ispirazione, ma non trovarono l’ombra di un possibile indizio, al contrario incontrarono almeno tre donne di pietra che fu un’impresa schivare per non essere accerchiati. Alla fine una traccia nella stessa identica scrittura che aveva seguito Ib per tutto il percorso, li indirizzò verso una porzione di muro che nascondeva un pannello. I due ragazzi si guardarono all’unisono incapaci di decidere se premere il pulsante di un rosso preoccupante o no. Alla fine lo fecero insieme, attirandosi addosso le tre figure umanoidi. Corsero a perdifiato, facendo a zig zag per passare da un tunnel all’altro e perdendo completamente l’orientamento.
<< Così non andiamo da nessuna parte! Ci serve un piano.>> disse Garry esasperato e a corto d’aria. 
<< Usiamo il trucco del labirinto. La conosci la teoria di tenere la mano destra sul muro?>>.
<< Sì. Sembra un pessimo piano, ma anche l’unico che abbiamo.>> acconsentì.
Ib prese due grossi respiri e riprese la corsa, stavolta con il palmo destra incollata alla parete. In questo modo rischiarono più volte di finire tra le grinfie delle donne, ciò nonostante riuscirono a riguadagnare il punto di partenza e chiudere l’uscio.
<< Erano così le prove precedenti?>> le chiese preoccupato il ragazzo, ricevendo una poderosa scrollata di capo come negazione insieme ad un affannosa e stringata spiegazione.
Dopo aver recuperato il fiato, ripresero il cammino con gli spiriti non troppo allegri, o per lo meno da parte di Garry. Sembrava più pensieroso e cupo di prima, soprattutto dopo la misteriosa apparizione di una porta parallela a quella da cui erano usciti. Con questa ebbero maggior fortuna, anche se il contenuto li lasciò visibilmente spaesati e senza nuovi indizi, se non quattro sculture apparentemente inutili.
Il silenzio aleggiava da un po’ tra loro, così Ib arrischiò una domanda.<< Garry, tutto bene?>>
<< Certo… non ti preoccupare.>> disse troncando ogni possibilità di continuare e Ib non insistette oltre. Quando il ragazzo se la fosse sentita di parlarle, lei avrebbe ascoltato comprensiva. D'altronde lei poteva comprendere perfettamente le sue motivazioni, forse più simili alle sue di quanto credesse. Nella sala successiva spostarono sgabelli e sedie, evitando di guardare i dipinti terrificanti davanti ai quali erano posti, per poter raggiungere un tavolino centrale che portava un flacone di gocce mediche. Solo dopo scoprirono che si trattava di collirio per un occhio congestionato in un corridoio pieno zeppo di bulbi oculari. Grazie alla riconoscenza del nuovo amico, recuperarono una biglia rossa da un pertugio nel muro che apparteneva a un quadro di serpente che risvegliatosi aveva tentato di mordere Garry. Il ragazzo era andato a sbattere contro il quadro a fianco per evitarlo, scaraventandolo a terra in un gran fracasso.
<< Stai bene?>> chiese Ib avvicinandovisi. 
<< Sì, sì, tutto ok.>> rispose lui impacciato e ancora sconvolto, mentre osservava in cagnesco il dipinto che era tornato nella sua cornice per fissarli con la rubina iride ritrovata. Per il tempo in cui i due si fissavano malamente, la ragazza raccolse il quadretto da terra per riappenderlo, quando vi vide un messaggio inciso sul legno: “ Dietro il grande albero” recitò ad alta voce.
<< Tutto questo per farci vedere quella?! Non potevi dirlo prima?>> questionò la serpe che tentò nuovamente di attaccarlo al volto.
Tornarono nuovamente alla sala delle sculture dove l’ultima era effettivamente ciò che era stato indicato nella frase. Lo ispezionarono meglio stavolta, trovandovi incastrato tra i rami un cerchietto d’argento che Ib poteva usare come bracciale e al cui interno erano incisi dei numeri in successione. Rimuginando a fondo sulla sua applicazione, alla fine lo associarono alle mani installate all’ingresso della sezione. Posizionandolo poi come fede sull’anulare sinistro della sposa, la ragazzina ottenne il bouquet di fiori dalla sposa nel dipinto. Il profumo floreale impregnò l’aria andando contro le convenzioni della ragione.
<< A quanto pare adesso sono felici.>> osservò il ragazzo analizzando i sorrisi radiosi dei due neo-coniugi che tuttavia stonavano con l’opprimente sensazione che avvolgeva i due ragazzi e il mondo in cui si trovavano. << Ora?>>
<< Non sap...>> ma le parole di Ib vennero troncate da un ghigno inquietante che risuonò per i corridoi.
| I fiori, sono belli. Dammi i fioriiiiiiiiiiii… dammeliiiii e potrai passare. Questo è l’accordo.| Ripeté la voce a ciclo continuo con una nota sempre più bassa e cupa.
I ragazzi seguirono con circospezione il verso finendo per trovarsi difronte a un quadro di circa due metri. Si distinguevano a malapena i tratti di un volto distorto e colante dalla cui bocca spalancata era riversato un liquido nerastro che raggrumava sul pavimento.
| Quelli… sì! Quelli. Dammeli!! Teneri fiorellini da divorare… tutti. Divorare. Sminuzzare. Tranciare…| cantilenava in trance sgranando gli occhi dalle bianche orbite sciolte.
<< Che schifo. Ib per favore … stai attenta.>> commentò Garry a bassa voce, cercando di non fissare troppo a lungo quello scempio.
La ragazza però reduce da un’esperienza simile, ma con una mela, si avvicinò di un passo, facendo tendere il compagno per la paura di un attacco. Spinse i fiori verso le labbra maciullate dell’essere, non senza un pizzico di terrore quando il quadro si flesse, sporgendosi e tendendo la tela in un’ellissi tanto curva da poter spezzare i sostegni. La bocca poi squarciò la tela mentre rideva di gusto e strattonava con i denti il fascio d’erbe. Ib, che teneva con troppa foga i gambi, rischiò di finire inghiottita insieme alle corolle e sminuzzata dai denti aguzzi, se Garry non l’avesse affretta in tempo. Lui la tirò indietro tenendola un po’ troppo stretta nel suo abbraccio per tutto il tempo in cui osservavano il mostro divorare e schiumare bava nera.
Quando ebbe terminato, si rivolse nuovamente a loro estremamente soddisfatto dal pasto.
| Ora come promesso … potete passare | articolò impastando tra di loro le parole. Poi dove prima c’era un volto deformato, vi fu solo un enorme buco tenebroso.
<< Grazie, ma …dovremmo andare. Non sappiamo per quanto tempo resterà così.>> dichiarò Ib sciogliendosi con imbarazzo dalle braccia del ragazzo.
<< Sei davvero sicura che possiamo passare? Ok, non dirmelo non abbiamo scelta.>> si rispose da solo e insieme scavalcarono la cornice evitando comunque di calpestare la pozza nera sul pavimento.
Quello che trovarono oltre fu altrettanto, se non più, preoccupante. Dopo una piccola anticamera, sbucarono in un corridoio con due file di teste mozzate poste alla base di questo, mentre tre grandi dipinti raffiguranti lo stesso capo, occupavano tutta la lunghezza del passaggio.
<< O signore!>> esclamarono in coro. La vista era orribile ed il senso di nervosismo e disgusto venne incentivato dalle chiazze scure, più o meno vistose, che univano il taglio circolare del collo al linoleum. Di certo non migliorava la vista il colore esangue di quella che doveva essere la pelle degli sconosciuti, e le loro labbra violacee che in alcuni erano dischiuse al punto da far intravedere i denti appuntiti.
<< È sangue quello?>> chiese Ib, presa dal panico suscitato anche dalle palpebre schiuse degli abitanti del luogo che con i loro sguardi persi le fecero rizzare i cappelli sulla nuca.
<< N-non credo, le teste sono tutte uguali. Non è possibile…sarà vernice e quelle statue.>> la rassicurò il ragazzo. Eppure il tono di voce gli tremava, lasciando intendere che nemmeno lui si fidasse ciecamente di quelle deduzioni. Quasi certamente aveva capito che da un posto simile non ci si poteva attenere alle normali leggi fisiche e razionali, inoltre aveva avuto più di una conferma a questo proposito.
<< Possiamo solo proseguire.>> mormorò la giovane  ad un tratto visibilmente angosciata, aggrappandosi alla manica del ragazzo per richiamarlo. Istintivamente si era girata verso l’anticamera sperando di rifugiarvisi e come, sempre era accaduto, l’uscio era scomparso. Chi sa perché sperava sempre che le costanti cambiassero miracolosamente di tanto in tanto.
<< Cosa?!>> Garry, si voltò a sua volta seguendo lo sguardo della compagna e venne colpito come uno schiaffo in pieno volto dalla verità. << Dannazione! È a senso unico questo posto.>> inveì ispezionando la parete per trovare qualsiasi traccia della via dalla quale erano venuti, ma a parte una macchia d’umidità verdastra, non c’era segno né della cornice né di quello che vi era prima.
Un rintocco secco e assordante squarciò l’aria, facendo sobbalzare la coppia. Dopo un attimo di sorpresa, il ragazzo posando una mano sulla spalla di Ib per tenerla vicina come precauzione, nel caso in cui fosse spuntato qualcosa, la incitò a proseguire. Era scomodo camminare in quella posizione, ma per lo meno si sentiva più sicura ad avere il fianco di lui a coprirla. Probabilmente se non ci fosse stato, avrebbe corso in volata lo spazio o non avrebbe proseguito affatto, condannandosi per sempre. Scacciò tutti i possibili pensieri negativi come delle mosche fastidiose e per distrarsi prese a contare i passi. Avanzavano a passi svelti e tesi come cavi elettrici, messi in allerta dal nuovo e improvviso rintocco. Il ragazzo teneva lo sguardo puntato verso la fine del corridoio, lasciando che vagasse sul resto solo se uno degli oggetti gli sembrava fuori posto, mentre Ib non riusciva a non osservare le opere appese sui muri, abbandonando perciò il suo proposito di mantenere la mente occupata nel conteggio. Quando il secondo soggetto roteò gli occhi per seguirne i passi, la ragazza riuscì a stento a trattenere il terrore per non allarmare Garry, prima di aumentare l’andatura per accorciare i tempi. Giunsero così a una nuova sala, oppressi però dallo sconforto, alla vista delle numerose stanzette cubiche sparse per lo spazio. Tanto più si addentravano nel cuore dello strano mondo e più complicate diventavano le disposizioni delle sale. In aggiunta alle sensazioni spiacevoli, c’era qualcosa di strano in quello che vedevano. Per quanto cercassero di guardare in lontananza, le immagini sembravano sempre troppo ingrandite e sfalsate. La ragazza per chiarire i dubbi avanzò di qualche passo, finendo dritta contro una parete trasparente e fredda. Erano rinchiusi in una sorta di casa degli specchi, dove le pareti erano fatte di vetro che crudelmente lasciavano loro vedere cosa li aspettasse in ogni direzione senza però poterle raggiungere.
<< Non siamo soli.>> riportò tetro il ragazzo puntando lo sguardo verso la parete di fondo alla sua destra. Una fila di dame in posa nelle loro lucide cornici, aspettavano con le mani in grembo gli spettatori che avrebbero fatto loro compagnia. Entrambi identificarono le stesse figure capaci di fuoriuscire dalla tela per inseguire qualsiasi cosa passasse loro davanti. Ad aggravare ulteriormente la situazione Ib scorse dal lato opposto i manichini senza testa.
<< Meglio passare da un’altra parte.>> propose il ragazzo indicando esattamente le sculture che preoccupavano la ragazza.
<< Siamo circondati.>> sentenziò Ib avvilita. Le sue stesse parole le stringevano la gola facendole mancare l’aria.
<< Perché?>>
<< Perché anche le statue possono muoversi…>> gli ricordò con lo sguardo perso nel vuoto.
Mai come in quel momento si sentiva persa e senza speranze. Era arrivata la loro fine, lo sapeva, e non potevano scappare questa volta. La fortuna girava insieme alla sfortuna, e se prima erano miracolosamente usciti indenni, stavolta non c’erano speranze.
<< Ne sei sicura?>> insisté lui.
Ib non rispose. Non aveva nulla di rassicurante da dirgli, perciò gli rivolse uno sguardo disperato che parlò da solo.
<< Ce la faremo. Dobbiamo farcela. Coraggio Ib! Prima proviamo a raggiungere quella porta>> disse convinto e indicò l’unico passaggio che come un’isola spuntava nel mare di vetri.
La ragazza voleva credergli, davvero, ma l’esperienza invece le diceva che non avevano scampo. Tra l’altro quando finalmente aveva trovato compagnia e poteva sperare di salvarsi, il mondo le crollava addosso e non aveva le forze per scansarsi. Era proprio vero che non c’era fortuna che non si ripagasse con la stessa moneta, però in negativo. Tuttavia annuì, ingoiando le sue stesse paure per seguire l’alta sagoma del ragazzo. Doveva resistere e sperare che ne sarebbero usciti, esattamente come aveva fatto da principio, altrimenti era spacciata. Anzi erano spacciati. Perché dalle sue scelte dipendeva anche la sopravvivenza di Garry. Che persona ignobile sarebbe stata, nel lasciare morire una persona che stava facendo di tutto per tirarli fuori da quel guaio? In più l’aveva salvata dal manichino e dal quadro senza chiedere nulla in cambio se non la sua collaborazione.
Si fece forza. Non era cambiato nulla da quando si era svegliata e aveva trovato la rosa e per questo, a maggior ragione, doveva tenere gli occhi aperti; non c’erano scappatoie.
Un paio di volte andarono a sbattere con il naso in vicoli cechi, maledicendo la lucentezza del materiale, ma nessun suono o eco riusciva ad attirare l’attenzione delle creature assopite. Garry le rivolse allora un sorriso d’incoraggiamento. Arrivando a destinazione però, ebbero l’ennesima brutta sorpresa: l’uscio contrassegnato con un cinque grigio, era bloccato da una serratura di cui la chiave non era in vista. Il ragazzo non mollò, li costrinse a proseguire, usando il trucco della mano destra per districarsi dagli innumerevoli ostacoli come aveva visto fare alla compagna. Alla fine anche le altre tre aule, intraviste dall’ingresso, si rivelarono sbarrate: la numero due aveva un codice con cilindri scorrevoli da inserire, l’atra, la uno, esattamente adiacente, chiedeva il numero a due cifre dei quadri femminili presenti, mentre la quarta era chiusa dall’interno.
<< Niente da fare, dobbiamo per forza risolvere gli enigmi per poter entrare, altrimenti resteremo qui.>> sbuffò il ragazzo forzando l’ennesima maniglia.
<< A quanto pare dobbiamo aprirle in ordine >> rimarcò lei di rimando osservandosi nervosamente in giro.
<< Già, ma la terza dov’è? Dall’altro lato?>> chiese sporgendosi in direzione della parte inesplorata. Entrambi trattennero il fiato vedendo quanti quadri, suddivisi in due file li aspettassero con i sorrisi maliziosi e occhi scintillanti.
<< Niente panico, il rumore non le sveglia. Partiamo dal primo enigma e poi proseguiamo. Ce la possiamo fare.>> la rincuorò ancora vedendo il panico prosciugarle il colorito.
Ib contò le dame nella prima e seconda fila, mentre l’altro nella terza e quelle che si erano lasciati indietro, finché lei non lo chiamò notando una discordanza nella successione. Avvicinandosi insieme furono sopresi da un uomo appeso che li osservava con le orbite vuote dalla sua posizione innaturale.
<< È il dipinto che stavo guardando alla mostra!>> esordì Garry.
<< Come?!>>
<< Sì, ne sono sicuro è proprio lui. Lo stavo studiando prima che le luci si spegnessero. Ma … ha qualcosa di diverso, i numeri prima non c’erano.>>
<< Che siano i numeri della porta due?>> ipotizzò la ragazza.
<< Probabile. Teniamoli a mente.>>   
Tornarono sui loro passi e introdussero la soluzione del primo codice.
<< Ammetto che mi aspettavo di più.>> criticò il ragazzo girovagando per il piccolo spazio che a parte un vaso benedetto e poster di carta non aveva nulla di speciale. << “ Per favore non toccare le esposizioni. Se in qualche modo ne danneggiaste alcune, d….. te il r….. c m….”. Beh, meglio non farli arrabbiare. Non credo che il seguito non sia divertente, l’hanno anche cancellato.>> lesse ad alta voce per Ib. Tuttavia l’attenzione della ragazza era stata catturata a metà del discorso, da un foglietto svolazzante che le fluttuò davanti.
 

 “ La galleria è come un inquietante parco dei divertimenti pieno di cose strane! È così divertente giocare qui che la giornata passa prima che te ne accorga! Non è un posto fantastico? Perché non ti unisci a me qui? Starai bene con tutta questa compagnia…”

 
“ Di nuovo questa scrittura.” pensò Ib e sollevò il capo per vedere da dove fosse caduto. Nel soffitto effettivamente c’era un buco e poté giurare di vedervi una figura salutarla per poi scomparire nelle ombre. La ragazza rimase paralizzata, come se una forza oscura volesse risucchiarla in quel baratro, poi uno schianto la riportò al presente.
<< Cos’è stato?!>>  scattò Garry per spalancare la porta, lasciando entrare un ruggito irato, proveniente dal labirinto di vetri. << …Niente di buono. Presto, risolviamo in fretta gli enigmi. Non mi piace come si stanno mettendo le cose.>>
Lei, ancora scossa, si precipitò fuori dalla stanza e accartocciando il bigliettino, lo infilò malamente nella tasca, l’avrebbe mostrata in un secondo momento all’altro. Tuttavia non riusciva a togliersi dalla testa la subdola idea che il messaggio fosse rivolto soltanto a lei.
Subito Garry inserì due volte il codice ritrovato sul vestiario del condannato, prima che la porta si aprisse, mentre l’urlo gutturale si avvicinava sempre più. Temporaneamente al sicuro
questa volta la stanza gli chiese di sistemare un tavolino nella posizione giusta che diede come effetto un clack, di serratura aperta, e un nuovo fragore. Il ragazzo imprecò tra i denti, socchiudendo l’uscio nel trovare fondati i suoi sospetti, oltre ad un’indesiderata testa di manichino rivolta verso l’uscio e che prima era assolutamente sicuro non vi fosse.
<< Dobbiamo corre vero?>> disse Ib con il sudore freddo che le scendeva lungo la schiena.
<< Sì>> ribatté lui lapidario.
<< Sbrighiamoci. >> lo sollecitò, senza pensare effettivamente a quello che stava accadendo. Se si fosse soffermata ad analizzare la situazione avrebbe ceduto alla disperazione.
Dovevano arrivare alla terza porta, dall’altro capo della sala, ma il percorso era ostacolato da due donne quadro che irate, sfogavano la loro frustrazione sul pavimento. Al tre eruppero dallo sgabuzzino, chiedendo uno sforzo enorme alle loro gambe, schivando braccia avide e ghigni bramosi, e non si fermarono finché non impattarono contro il nuovo ingresso sbattendo l’assito negli stipiti dopo il loro passaggio. Era ancora presto per tirare un sospiro di sollievo; li aspettava una nuova prova che aveva come colonna sonora gli schianti di nuovi mostri che lasciavano le loro posizioni.
Rimasero alquanto sbalorditi nel vedere un enorme specchio solitario. Niente biglietti, manifesti o indizi, niente di niente.
<< Strano dovrà pur servire a qualcosa…>> disse la ragazza avvicinandosi alla superficie riflettente.
<< Ehi, non essere così avventata e se fosse un trabocchetto?! Non ti fidare ciecamente.>>
La giovane lo guardò di sbieco. Se lo specchio si trovava lì un motivo doveva esserci, perciò stava a loro trovare quale. Eppure la loro immagine si rifletteva placida e senza alterazioni.
<< Visto… nulla.>> lo punzecchiò lei, alludendo al fatto che non fosse comparso nulla. Tuttavia la frecciatina non venne indirizzata per cattiveria ma a causa dei nervi logori.
Si voltarono dubbiosi e pronti a lasciare la camera, invece trovarono il passo sbarrato da una delle teste di manichino che aveva segnato il corridoio in precedenza.
<<
Cosa diav… quando è entrato nella stanza?>>.
<< Forse se ci specchiamo di nuovo, scomparirà com’è apparsa.>> propose Ib, vedendo che la testa non si schiodava dall’arco d’apertura della porta.
Rifecero la stessa cosa, solo che questa volta il riflesso riportò uno sviluppo inquietante: la testa comparve esattamente alle spalle di Garry per guardarlo con uno sguardo glaciale come se fosse un intruso indesiderato.
<< Hm? Ma che cos’è quella…>> ma non ebbe nemmeno il tempo di dirlo che cacciò un urlo di terrore notando la testa che cercavano di scacciare. Garry cadde per terra, lasciando Ib attonita e raggelata.
<< T-tu! Maledetta!>> scattò il ragazzo pronto a calciarla lontana.
<< No! È un’esposizione, non farlo!>> lo fermò la compagna strattonandolo per il braccio, ricordando l’avviso dietro la porta numero uno.
Garry abbandonò la posizione e la guardò mesto. << Giusto Ib… è stato immaturo da parte mia. Scusa… Andiamo.>> si giustificò, prendendo la via della porta.
La ragazza non sapeva che fare, voleva confortarlo ma allo stesso tempo cosa poteva dire? Era solo una sconosciuta che non lo conosceva per nulla, che argomentazioni avrebbe potuto usare? Forse poteva raccontargli che una cosa simile era successa più volte anche a lei, e per questo non c’era nulla di cui vergognarsi. Eppure più cercava di trovare qualcosa di sensato da dire, meno le parole le venivano, aumentando il suo senso d’inutilità.
Contemporaneamente, nell’atrio si era scatenato il putiferio. Era un brulicare unico di mostri in cerca di persone su cui mettere le grinfie.
Tentarono di ripararsi nella sala, ma l’uscio venne nuovamente chiuso a chiave.
<< Andiamo!>> iniziò a prenderlo a spallate in ragazzo, senza successo.
<< Garry!>> urlò Ib spingendo il ragazzo lontano da un artiglio proteso nella sua direzione.
<< Stai bene?!>> la afferrò lui per le spalle ad esaminare lo squarcio che le si era aperto sul tessuto della manica.
<< Via! Via, via, via!!!>> lo incitò lei di rimando, sospingendolo lontano dalle nuove figure che li stavano per accerchiare. Intrapresero la fuga decisi a raggiungere la meta quattro, ma qualcosa trattenne Ib. L’aveva distratta un luccicare argentato a pochi metri da lei e dai suoi inseguitori. Essendo reduce delle esperienze precedenti e capendo perciò l’importanza dell’oggetto, balzò in quella direzione il più in fretta che poté per afferrare la chiave. Ma un secondo di troppo per rallegrarsi della conquista, le costò caro. Sollevando lo sguardo, incrociò gli occhi iniettati di sangue della donna in rosso. Il cuore perse un battito mentre l’essere digrignava i denti a chiostra nella sua direzione, poi qualcosa la afferrò sotto l’ascella e la ritrasse indietro nell’esatto istante in cui la mascella schioccava nel chiudersi.
Il ragazzo la stabilizzo, rimettendola in piedi e, con la mano chiusa come una manetta attorno al suo polso, se la trascinò dietro. Garry usò l’aria per respirare e concentrarsi sullo sforzo, mentre saettava e schivava gli oppositori, anche se dentro di se voleva rinfacciare la promessa alla ragazza e sfogarsi per il terrore che l’aveva assalito. Se fosse arrivato anche un solo istante più tardi, Ib non ci sarebbe più stata. Pestò i piedi più forte che poté per imprimere maggior velocità allo scatto, finché i polmoni non iniziarono a bruciargli per lo sforzo. Finalmente in prossimità della menta spinse la ragazza in contro alla porta intimandole di fare in fretta. Lei incespicò con la serratura, ma alla fine la aprì.
Erano salvi per miracolo.
<< Non farlo mai più!>> le urlò contro mentre dava una doppia mandata alla porta.
<< Garry…>> sussurrò lei di schiena.
 
<< Per poco non ti facevi ammazzare … me l’avevi promesso!>> continuò imperterrito lui, quando un primo colpò si abbatté sulle assi. << Dannazione! Siamo anche in trappola.>> inveì squadrando i cardini per vedere se avrebbero retto.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


° Quello Che Avverrà°

 

Atto.8

 “Mi dispiace.

Ero così concentrato dall’uscire da qui che

non ho veramente badato a te

 

 

 

<< Ib, Ib che fai lì impalata? Dobbiamo cercare una via di fuga.>> ripeteva Garry in preda all’agitazione, cercando a tentoni nel buio l’interruttore della stanza. Ciò nonostante la ragazza a malapena lo ascoltava, era fissa su una scultura lattea illuminata dalle lame di luce filtranti da sotto la porta e dalla piccola finestra all’angolo. Aveva un’aria familiare e, infatti, non appena la lampadina ne rese chiari i contorni, capì il perché: si trattava del divano di pelle candida presentato dal museo; ne erano un tratto distintivo i cavi rossi come vene di un organismo che legavano le varie parti sospese, mentre un cartello sbeffeggiativo attaccato allo schienale li invitava a sedersi per riposare e abbandonare le preoccupazioni.
<< Siamo davvero all’interno della mostra…>> mormorò lei a mezza voce tanto era sconvolta dal ritrovamento. Tuttavia non era troppo scioccata, visto che la realizzazione della verità era avvenuta in un lasso di tempo abbastanza lungo per abituarcisi. Aveva capito tempo prima la vera natura di quel mondo, una sorta di universo parallelo, dove risiedevano le ombre viventi di ciò che aveva visto inanimato nel suo mondo, ma il peso di quella realizzazione era stato troppo da assimilare in precedenza. in quel momento invece, con una prova così lampante, era stato più facile prendere atto della cosa e accettarla. Era così, punto.
<< Come?! >> disse Garry comparendole alle spalle per vedere quello che gli atava indicando.
<< Ma che…! È identico. >> continuò osservando più da vicino. Sembrava visibilmente scosso e incredulo di fronte alla scoperta, tanto che gli serviva saggiare la consistenza dell’oggetto per renderlo reale per la sua mente. Se poi si aggiungevano come colonna sonora di sottofondo i sibili e i colpi inferti sulla porta, le impressioni negative venivano di certo accentuate.
Intanto che il ragazzo ispezionava minuziosamente l’artefatto lasciandosi sfuggire di tanto intanto qualche verso di stupore, un altro oggetto catturò l’attenzione di Ib. Un enorme drappo sdrucito che a malapena riusciva a tenere nascosto l’oggetto sottostante, svettava sulla parete alle spalle del divano rendendo impossibile non notarlo. Così il ragazzo, vedendo lo sguardo indagatore della compagna e mosso dalla sua stessa curiosità, si avvicinò a grandi falcate. Scegliendo come spiegazione del loro gesto la scusa di non poter lasciare nessun angolo della stanza inesplorato, benché meno le opere d’arte che si era visto essere dotate di volontà propria, decisero di scoprire cosa coprisse. Con uno strattone Garry fece scivolare la stoffa lungo la cornice mogano del dipinto e rimase a esaminare i due anonimi soggetti ritratti a grandezza naturale in completi eleganti, intenti ad osservare l’ambiente di fronte a loro con le perfette iridi finte. Fissò esterrefatto l’uomo e la donna saldi nella loro posa statuaria per la dovizia di particolari. << Non ricordo di averli visti tra quelli esposti e tu? >> chiese lui ripescando tra i ricordi delle poche ore spese all’evento dedicato a Guertena. Ciò nonostante non trovò nessun riscontro, così si voltò per cercare spiegazioni da Ib che rimasta senza parole da quando aveva posto la domanda.  La trovò più esangue della camicetta che indossava con le braccia rigidamente premute contro i fianchi e gli sembrò che anche lei si potesse tramutare in una macchia di tinta sulla tela. Per non parlare degli occhi della ragazza sgranati a dismisura ed il tremolio che si era impossessato del suo labbro, tanto pronunciati da  mettere il ragazzo in allarme. << Che c’è?! >> urlò preoccupato.
In un primo momento non si mosse come se non si fosse nemmeno resa conto della sua presenza, poi lentamente, quasi a scatti, si voltò di tre quarti.
<< Questi… questi sono i miei… >> balbettava incontrollata. Lo sguardo era distante come catapultato in un altro presente e mostravano tutto il terrore che non riusciva a esprime con le parole.
<< Chi? Li conosci o li hai visti alla mostra? >>. La incalzò per farla parlare. Voleva capire cosa le stesse succedendo e chi fossero le persone che l’avevano sconvolta tanto.
<< Sono i miei genitori. >> concluse in un rantolo tornando a fissare difronte a sé ed aggrappandosi con le iridi castane alle effigi.
Era come se l’opera fosse improvvisamente diventata un enorme buco nero che risucchiava tutte le sue sensazioni e percezioni con il suo potere attrattivo, impedendole di interrompere il contatto visivo nonostante gli occhi le pizzicassero per le imminenti lacrime. Anche la voce del ragazzo le arrivava ovattata come se si trovasse a mille anni luce di distanza come se si stesse allontanando sempre più dalla realtà. Non voleva cedere e non voleva credere che anche i suoi parenti fossero finiti in quel girone infernale che si era dimostrato il nuovo mondo, altrimenti sarebbe andata in pezzi insieme agli ultimi brandelli della sua sanità mentale.
<<
Perché ci dovrebbe essere un quadro così da queste parti?>> continuò il ragazzo.
Forse non lo faceva con cattiveria o forse nemmeno si era accorto di quanto quella frase suonasse allarmante alle orecchie della sventurata.

<< Non sono loro, vero? Loro stanno bene. Non sono finiti in un posto simile, giusto?!>> disse la ragazza afferrandolo per la manica e stringendola come se fosse la sua unica ancora di salvataggio. Era giunta al punto limite, aveva bisogno di rassicurazioni e l’unico che poteva dargliele era lì a portata di mano ma era anche un estraneo, e per tanto non avrebbe colto il suo appello supplichevole.
Mentre il ragazzo soppesava le parole da usare, per Ib il tempo si dilatava opprimente, lasciando campo libero alla sua fantasia di elaborare scenari catastrofici finché un unico e spaventoso pensiero prevaricò gli altri diventando assillante: “ Se le stesse cose che mi sono capitate sono successe anche ai miei genitori, cosa né è stato di loro? ”
Era insopportabile pensare alla coppia che fronteggiava le belve la fuori. Era decisamente troppo. I Suoi genitori non erano per niente agili: sua madre non aveva mai fatto sport e suo padre a parte scartare velocemente le carte, non sapeva nemmeno come impugnare una scopa.
<< Dove sono non lo so, ma vedrai che stanno bene. >> cercò di rassicurarla Garry, vedendo la disperazione e il terrore affiorarle sul viso. “ Pensavo fosse un tipetto
duro, ma questo sconvolge anche lei”, pensò, “forse è meglio cambiare argomento ”.
<< Ib, non sembra anche a te che i manichini si siano calmati? Magari riusciamo ad uscire da qui. >> esordì costringendola a ritornare dagli abissi oscuri della paura. Tuttavia il suo sforzo fu parzialmente invano perché non riuscì a scacciare nemmeno un briciolo dello shock dal volto della compagna. Nonostante questo non si diede per vinto e anzi raggiunse la porta in un lampo e sbloccò la serratura con decisione. Prima lasciavano quell’inferno e meglio sarebbe stato per tutti.
<< È UNO SCHERZO?!>> sbraitò per la frustrazione nel vedere che nonostante non ci fossero blocchi la porta non si smuoveva. Garry infierì in tutti i modi che poteva sulla maniglia, ma non ottenne nessun risultato.
Un sonoro clack echeggiò all’esterno, seguito subito dopo da gorgoglii sommessi e il rumore di oggetti strascicati e distrutti, poi qualcosa venne scagliato sul muro, facendo sobbalzare i ragazzi e oscillare il quadro sul suo chiodo. A quanto sembrava i mostri erano tornati dalla loro pausa.
<< Ib stai indietro >> scandì Garry e spostando la ragazza alle sue spalle per farle da scudo,  evitando anche di non sostare troppo vicino alla porta.
Ripiombò un silenzio pesante e carico di tensione.
Il cuore del ragazzo galoppava impazzito per l’ansia e la consapevolezza di essere in trappola senza nemmeno un arma per difendersi. Per cui se qualsiasi cosa fosse entrata nella stanza, erano spacciati. A dispetto di tutto Garry era deciso a trovare almeno il modo di far scappare la ragazza, voleva che almeno lei si salvasse e non solo per restituirle il favore. I suoi pensieri di gloria però ebbero vita breve. Una donna-dipinto sfondò l’unica finestrella, trascinando con sé parte del muro di cartongesso, irrompendo prepotentemente nella stanza schioccando le mascelle chiostrate di denti aguzzi.
Garry si spostò subito per togliersi dalla linea di tiro della creatura e frapporre tra loro il divano niveo.
<< Ib mentre io la distraggo tu raggiungi il buco e scappa.>> la istruì senza ottenere risposta. << Ib. Ib!! >> cercò di farsi sentire, tuttavia la ragazza doveva essere ancora molto scossa. In quelle condizioni non poteva permettersi di perderla di vista, sarebbe stato come mandare un bambino allo sbaraglio e peggiorando ancora di più la situazione. Senza perdere il contatto visivo con il mostro che avanzava con gli occhi spiritati, il ragazzo face lavorare il cervello per trovare la salvezza.
“ Questa non ci voleva, maledizione!” imprecò con ira quando la situazione precipitò ulteriormente.
Esattamente a pochi centimetri dai coniugi si aprì un ulteriore squarcio nell’intonaco, lasciando emergere l’ennesima e famelica dama schiumante di saliva. La coppia fu costretta a fare una brusca virata e ripararsi con uno angolo del sofà. Avevano pochi istanti per decidere la loro mossa prima di essere circondati e sbranati vivi. Garry attese qualche secondo, nel frattempo che la seconda arrivata si avvicinasse loro il più possibile, per poi giocarsi il tutto per tutto. Al momento giusto strattonò Ib per un braccio nel saltare sulla mobilia per poi scagliarsi con tutto il peso sullo schienale. Il mobilio cigolò sui piedini e crollò rovinosamente all’indietro con un boato assordante che rimbalzò sulla pareti. Il ragazzo non attese il risultato della sua impresa, gli bastava sentire le grida disperate della mostruosità a cui aveva distrutto il supporto con il peso dell’istallazione e il ringhio di rabbia dell’altra che aveva urtato mentre si azzuffava con la sua simile, per passare oltre a tutta velocità. In più, rassicurato della stretta di Ib nella sua mano e del margine di vantaggio guadagnato, si infilò nello squarcio del muro senza dare una seconda scorsa alle sue spalle.
Si precipitò verso il labirinto di specchi già conscio sul da farsi.
Le creature convogliavano tutte su di loro da ogni direzione, sfondando le mura di silice, strappando le vesti dei compagni, strattonando e calpestando senza mai smettere di ululare di smania e eccitazione. Ib cercava di stare al passo con Garry che aveva una falcata doppia rispetto alla sua, ma non riuscì a non voltarsi indietro per conoscere il distacco dai braccatori. Scoprì con rammarico che non era stata una buona idea visto lo spettacolo che si offriva. Vide tutti i suoi inseguitori protendere gli artigli, appendici e qualsiasi cosa per ghermirli. Vide la follia erompere dai loro bulbi oculari fittizi e l’inumanità dipinta sui volti distorti da ghigni idrofobi e continuò ad osservarli per parecchi metri. Percepì il vetro scricchiolarle sotto i piedi senza curarsi da dove provenisse o ad evitarlo. Non udì nemmeno la voce distante dell’amico che la incitava a concentrarsi sulla corsa, tanto era ipnotico il branco degli scempi che brulicavano come una massa delirante. Anche il suo stesso grido le sembrò incorporeo  quando uno degli esseri, un manichino, riuscì a staccarsi dal gruppo con lo slancio di un felino e lanciarsi su di lei ad artigli scoperti. Sentì Garry aumentare di conseguenza l’andatura, forzando i muscoli all’inverosimile mentre stringeva con veemenza il suo polso, con l’intento di portarla fuori dalla portata del mostro che mancando la presa ruzzolò malamente a terra spaccandosi in diversi punti. Non era ancora abbastanza. Corsero a perdifiato, superando tutte le crepe lasciate dai vandalici abitanti del labirinto che li aveva ostacolati all’inizio fino ad arrivare alla quinta tappa. La maniglia si arrese subito alla presa del ragazzo e Ib si sentì catapultare all’interno con un unico movimento senza interrompere lo sprint, poi il rumore sordo dell’assito che sbatté per una sola manata ben assestata ed infine lo strappo del nuovo scatto della fuga. Ib avvertì solo lampi candidi di facce opalescenti che sfrecciavano ai lati del campo visivo, diventavano via via più nitidi man mano che il passo scemava in marcia ed infine si arrestava.
<< Do… dovremmo essere abbastanza lontani.>> boccheggiò Garry appoggiandosi alle ginocchia per costringere grandi boccate d’aria a fluire nei suoi polmoni al collasso. << Siamo stati fortunati. Wow … beh. Meglio continuare a muoversi per sicurezza.>> decretò a corto di fiato intanto che riguadagnava la posizione eretta per massaggiarsi il fianco. Però Ib non riusciva ad afferrare il senso del discorso, le sembravano così assurde le sue parole. “ Continuare? A che scopo” si ripeteva come un disco rotto. Visto come stavano le cose, chi c’era ad aspettarla? I suoi probabilmente erano diventati parte integrante di una tremenda esposizione e a breve lei li avrebbe raggiunti in un modo o nell’altro. ecco quello che succedeva a chi restava imprigionato lì! Lentamente si stava convincendo dell’inesorabilità della disfatta, tanto che nemmeno i piedi volevano assecondare la folle scelta proposta dal giovane. Si accorse solo in quel momento di un fastidioso fischio nelle orecchie e la pesantezza che le schiacciava le membra a terra come la pressione di Venere. Cercò con lo sguardo il compagno, ma Garry le sembrava così distante e sfocato con i vivaci capelli lilla che stemperavano in un nero indefinito. Non si rese nemmeno conto di collassare verso il pavimento finché non vide la macchia indistinta che era Garry sbilanciarsi verso di lei urlando. Tuttavia l’unica cosa che sentì fu un gran dolore alla testa inghiottito da un vuoto nero e assoluto che l’avvolse.

 
Una voce le fece riprendere conoscenza, era il familiare tono del suo suggeritore nell’ombra. Colui che le aveva dato indizi per poter proseguire e spiegarle, seppur con delle limitazioni, ciò che non capiva. Sebbene le apparizioni dell’essere fossero sporadiche, servivano sempre a qualcosa, perciò che voleva da lei?
Riaprì gli occhi ma invece di trovarsi con Garry era sdraiata su un pavimento marmoreo, sovrastata da due porte speculari di una stanza quadrata. Tutto lo spazio era stato graffitato da cerchi e disegni infantili fatti con pastelli a cera i cui colori litigavano gli uni con gli altri per tonalità e accostamento.
“ Ib, di qua. Presto o ti prenderanno.” la chiamava la voce dalla porta alle sue spalle, con il tono urgente di chi ha il tempo contro.
<< Perché, chi sta arrivando? >> chiese confusa mentre un dolore martellante le comprimeva il lato sinistro del cranio.
“ Sbrigati! Non c’è … ” rispose accorata la voce mentre si affievoliva in lontananza.
Nello stesso istante in cui l’uomo smise di parlare, l’uscio opposto venne squassato da violenti urti. Con un movimento rapido dettato dai riflessi, Ib si precipitò alla porta scura e avanzò nella nuova stanza identica. Anche qui sentì l’uomo suggerirle di affrettarsi, ma non riuscì a muoversi se non dopo aver sentito ancora i colpi con l’aggiunta di grida e strilli identici a quelli di qualche momento addietro. Si inoltrò nell’ennesima stanza e qui si arrestò agghiacciata. Non c’erano più porte con cui sfuggire agli inseguitori inferociti ed il panico di Ib aumentò insieme alla forza dei colpi sul tavolato.
“ Devi raggiungermi, se no non potrò aiutarti. ” supplicava l’uomo oltre il muro.
<< Come?! non c’è un passaggio. Se mi prendono che mi faranno?!>> gli chiese appoggiandosi alla parete di fondo nella speranza di trovare un qualsiasi passaggio.
“ Raggiungimi, fai in fretta. ” continuava imperterrito l’altro come se non ci fosse nessun’ostacolo ad impedire il loro incontro se non la volontà della ragazza.
La porta saltò dai cardini e si schiantò sul pavimento con una pioggia di schegge irregolari. Quello che entrò fu  niente di meno che un esemplare di mostro per ogni tipo di quelli incontrati. Come l’ultima volta in cui vi era imbattuta, questi tentarono di afferrarla e strapparle con i loro artigli e denti aguzzi, un pezzettino di pelle, una ciocca di capelli o un lembo di stoffa da tenere come trofeo. Fortunatamente non ebbero il tempo di raggiungere il centro dello spazio, che una voragine si aprì ai piedi di Ib e la inghiottì in un sol boccone con le fauci zigrinate di marmo e striate di cera. Era la seconda volta che veniva ingollata e la viscida sensazione che ne derivava era sempre troppo intensa. Serrò le labbra e le palpebre cercando di contenere il terribile senso di vuoto nell’addome con la speranza che le viscere non le venissero strappate  mentre  precipitava in un tunnel buio come l’inchiostro e senza fine come l’universo.
“ Finalmente possiamo parlare”. Si fermò un attimo la voce e con lei si arrestò anche la caduta di Ib che rimase a galleggiare a mezz’aria come un palloncino d’elio sgonfio. “ Non abbiamo molto tempo e quello che ti devo dire è importante per quello che deve avvenire”.
“ Ti prego, ricorda quello che vedrai o perderai una persona per te molto importante. Finché ricorderai … finché lo farai andrà tutto bene.” le sussurrò l’uomo invisibile con l’affetto e malinconia che riempivano le sfumature del suo timbro vocale.
<< Aspetta, ma che succede! Ti prego spiegami meglio.>> supplicò Ib.
“ Mi dispiace è l’ultima volta che ci vedremo. Lei è sempre più vicina e non mi permetterà di avvicinarti, perciò Arrivederci Ib. Ricorda ciò che vedrai.” la voce si spense definitivamente.
<< Aspetta ti prego!>> le sue parole furono espresse troppo tardi ed in quell’esatto momento il buio intorno a lei si crepò come pittura secca. La spaccatura più grossa iniziò ad allargarsi a dismisura, fino a quando non raggiunse il doppio dell’altezza della ragazza e si spostò al di sopra alla sua testa. Non appena tutto fu in posizione la testa della ragazza scattò all’insù verso la scheggia, insensibile ai comandi della proprietaria di abbandonare la posizione dolorosa. Si afferrò le guance con i palmi, affondando le dita nei capelli, per costringere la parte interessata a smuoversi, ma non ci riuscì. Intanto sopra di lei la superficie della crepa mutava, diventava liquida e nebulosa, virando verso una tonalità di grigio perlaceo, poi iniziò un flusso frenetico di immagini.
Le sfrecciavano d’avanti agli occhi la scena di lei e altre due persone, di cui una le infondeva una sensazione spiacevole, perché sapeva che quella stessa persona non doveva trovarsi lì; il trio si separò e via verso altri scenari e nuove prove, si profilarono scelte importanti da fare fino ad arrivare alla più importante dove per un attimo le parve di sentire di nuovo la voce familiare: “ Ti prego, stai attenta quando arriverai qui.” diceva mentre la sè stessa delle proiezioni si sporgeva oltre il bordo di qualcosa. “ Non separarti da loro, tienile strette mentre cadi o lo perderai!” la rimproverava con la voce straziata dalla tristezza, mentre le sue parole venivano accompagniate da due chiazze, rossa e blu che precipitavano nel vuoto. Alla fine la blu si disintegrava in piccole lacrime per svanire per sempre.
Sentì un pianto disperato riempirle la testa, seguito da un lancinante dolore al petto che minacciava di spezzarle in due il cuore. Si portò le mani al torace cercando un modo qualsiasi di tenere uniti i lembi, ma il dolore era talmente intenso che il gesto non diede nessun effetto.
Urlò piegandosi su se stessa, cercando di dare un spiraglio di sollievo alla sua anima stretta nella tenaglia di dolore.

 
 

Il suo grido riecheggiava ancora contro le pareti del locale in cui si trovava, quando finalmente riprese i sensi. Era seduta sul pavimento, avvolta in un caldissimo cappotto blu scuro. Gocce di sudore freddo le imperlavano il viso e la nuca, intanto che la vista lentamente metteva a fuoco il circondario.
<< Ib era un incubo, tranquilla, sei al sicuro. Come ti senti?  >> cercava di calmarla una figura maschile inginocchiata al suo fianco. Dopo un primo moto di repulsione, riconobbe la folta chioma bizzarra, anche se non ricordava di avergli visto addosso la canotta verde acido. Si sentì improvvisamente in imbarazzo non solo nel realizzare di essere svenuta di punto in bianco.
<< Ehm, scusami .>> balbettò nascondendosi dietro la cascata di capelli castani per nascondere il live rossore che iniziava ad arrampicarlesi dalle orecchie fino agli zigomi.
Voleva nascondersi sotto il cappotto e diventare un bruco pur di sfuggire all’imbarazzo della situazione ed in più a peggiorare il tutto c’era il sogno. Lo ricordava a pezzi di cui i più nitidi riguardavano la prima parte, dell’altra restavano solo vaghe sensazioni e poche immagini offuscate come una polaroid venuta male. << Ora sto bene, davvero. >> aggiunse rapidamente alla fine del resoconto onirico nella sua mente.
<< Sul serio? Grazie al cielo. Mi sono spaventato da morire, non ti svegliavi. Per fortuna ho trovato questa stanza altrimenti saremmo stati spacciati.>> la informò lui accomodandosi sul pavimento per poterla osservare meglio. Garry le guardò attentamente il viso facendo scorrere le dita tra i capelli fino alla tempia sinistra.
<< Hai preso una bella botta, per fortuna c’è solo un bernoccolo e nient’altro di grave>> disse strofinando la gobbetta con il pollice. << Ti fa male? >>.
Ib sbiancò ed arrossì contemporaneamente, facendo allarmare il ragazzo per il repentino cambio di colore. Scosto subito la mano. << Potresti guardare nella tasca del giubbotto per favore? >> le chiese d’un tratto facendo sobbalzare la ragazza ancora concentrata sulla sensazione del tocco di lui sulla guancia. Assecondando la richiesta pur di non doverlo guardare in faccia, perché le si sarebbero letti in faccia i suoi pensieri, estrasse una cartina gialla. Era rigonfia ed il logo, con alcuni favi che gocciolavano miele su un limone tagliato delle lettere a ghirigori, chiariva il gusto. La ragazza lo guardò perplessa tenendo il confetto sul palmo della mano.
<< Puoi tenerla. Mangiala e vedrai che ti tirerà su. >> le sorrise rimettendosi in piedi pensando di lasciarle un po’ di tempo per riprendersi. << Che ne dici se restiamo ancora un po’ qui a riposare prima di ripartire? Non ci guasterà un attimo di pausa e puoi dormire se vuoi, questa stanza sembra sicura. Se hai bisogno di me mi trovi di là.>> disse alla fine e si allontanò per riprendere quello che aveva interrotto, dopo averle dato un’ ultimo sguardo per assicurarsi che stesse bene.
Ib aveva un mucchio di emozioni che la tormentavano, per cui decise che era meglio seguire il consiglio del ragazzo, anche perché non era pronta affrontarlo in un novo faccia a faccia. Allora più che mai si sentiva consapevole della presenza di Garry e non solo per la premura che le aveva riservato. Inoltre questa nuova coscienza veniva accentuata dal terribile sentimento di colpa per come si era comportata difronte al pericolo. Si era lasciata sopraffare dal panico e dalla paura proprio nel momento in cui doveva restare lucida per mantenere fede alla decisione di aiutare Garry. Come aveva potuto lasciare che accadesse? Non voleva essere un peso.
Quando finalmente si calmò, aveva la testa posata sulle ginocchia ancora avvolte nel cappotto del ragazzo. Non riusciva a capacitarsi come un estraneo potesse essere così gentile con una perfetta sconosciuta, forse era solo dovuto alla situazione e perché era una ragazzina, eppure tra tutte le persone le era capitata proprio l’unico che aveva catturato la sua curiosità alla mostra e in qualche modo si sentiva fortunata.
“ Forse è meglio se glielo riporto… magari ha freddo.” Pensò Ib ricordandosi del ragazzo rimasto a giro-maniche. Le sembrò una buona scusa per troncare sul nascere pensieri e fantasticherie non necessarie.
Si alzò lentamente, aveva ancora mal di testa e nel punto della tempia che aveva picchiato a terra c’era già un grosso bernoccolo come annunciato dal ragazzo, tuttavia riusciva a camminare e la vista era normale perciò non era nulla di serio. Girò tra gli scaffali della libreria in cui si trovava, sotto lo sguardo severo dello stesso cartellone che si ripeteva in continuazione strombazzando con le austere lettere in grassetto il comportamento da tenere nel luogo:
 

“ Regole della galleria. Non parlate a voce alta, non fate fotografie, non introducete cibi e bevande. Non toccate le esibizioni, non uscite mai e poi mai …”

 
L’ultima frase la lasciò un attimo interdetta. Era da quando aveva incontrato Garry che non si chiedeva più chi l’avesse portata lì, ma un’unica sentenza lasciata a metà le fece tornare i dubbi: volevano tenerla lì? Perché? Istintivamente portò la mano alla tasca che conteneva la sua rosa, ma al suo posto trovò il post-it giallo. Doveva parlare al compagno anche di quello, ma prima doveva  ritrovare la sua rosa. Da quando si era svegliata aveva la netta sensazione che il sogno ruotasse in torno a qualcosa che le era molto caro, perciò poteva trattarsi anche del suo alter ego floreale, ma non sapeva dire per certo cosa dovesse temere ne cosa dovesse evitare. L’ansia prese di nuovo il sopravvento, facendola correre per la foresta di carta come una forsennata pur di trovare l’oggetto perduto. Che fosse arrivato il momento annunciato?
Svoltò l’ennesimo angolo e finalmente trovò il ragazzo seduto sul pavimento e con la schiena appoggiata ad uno scaffale intento a leggere, almeno finché non la scorse.
<< Che c’è Ib?! Hai avuto un altro incubo? >> disse allarmato lasciando cadere la sua lettura per correrle in contro, quasi inciampando nei suoi stessi piedi.
La ragazza si appoggiò alle ginocchia per non perdere l’equilibrio a causa di un capogiro dovuto allo sforzo.
<< La … Rosa. La mia Rosa …  dov’è? >> scandì con irruenza tra un respiro e l’altro sotto lo sguardo sbigottito del ragazzo per l’improvvisa reazione.
<< È qui. L’ho messa con la mia nel vaso. >> rispose mostrandole il tavolinetto che ospitava i due esemplari a bagno ed in salute. I loro petali dai vivaci colori accostati brillavano sotto la luce fredda dei neon, incuranti di quello che accadeva intorno a loro. Si avvicinò e circondò la corolla con le palme, sospirando di sollievo e sentendo parte della tensione abbandonarla, tranne per quella viscida sensazione di inquietudine che le restava aggrappata allo stomaco.
<< Scusami. >> si lasciò sfuggire chinando il capo, in un lieve inchino e affrontando il ragazzo rimasto alle sue spalle.
Si stava comportando come una pazza e non sapeva nemmeno lei perché. Forse era l’insieme di tutto ed alla fine era esplosa grazie al colpo finale del quadro dei suoi genitori, ma non era una giustificazione per i suoi continui sbalzi d’umore, doveva darsi un contegno come le era stato insegnato, altrimenti era condannata a restare lì per sempre come il misterioso burattinaio continuava a ricordarle.
<< Perché ti stai scusando? >> le domandò Garry, inginocchiandosi per portare il suo sguardo al livello di quello della ragazza. << Ib, senti …  mi dispiace e non solo per aver preso la rosa senza permesso. Ero così concentrato dall’uscire da qui che non ho veramente badato a te. Scusami. Oltretutto potremmo aver bisogno di continuare a camminare per un po’ e so di non essere la persona più affidabile per queste situazioni, ma se all’improvviso pensassi di non farcela più, dimmelo ok? Se ce ne sarà bisogno ti porterò sulle mie spalle. Non voglio essere di nuovo inutile e vederti crollare ancora. Ho pensato a quello che è successo e non ho capito che, quando hai visto il quadro, mi stavi chiedendo di aiutarti. Siamo compagni, se non ci diamo una mano a vicenda non possiamo farcela a risolvere la situazione, perciò va bene se vuoi fare affidamento su di me. e io posso contare sul tuo appoggio? >> disse di getto, prendendole una mano tra le sue.
La ragazza rimase a bocca aperta per la sorpresa e in rinnovato imbarazzo nel trovare i modi del ragazzo troppo espansivi, ma non in senso negativo.   
<< Scusami, forse sono stato un po’ precipitoso, ma quello che ho detto lo penso davvero. >> cercò di spiegarsi impacciato grattandosi una tempia improvvisamente a disagio.
Ib era rimasta immobile incapace di trovare qualcosa di sensato da dire. Si limitava a fissare quell’alta e magra figura che le si stagliava davanti cercando di capirne il carattere. Era un ragazzopremuroso e aperto, su questo non c’erano dubbi; a questo punto non serviva a nulla mantenere una certa distanza.
<< Direi che siamo pari per quanto riguarda le scuse.>> ridacchiò lei, stringendo a sua volta la mano del ragazzo per siglare il loro accordo.
<< Direi di sì. Ti senti meglio dopo la caramella? >> cambiò discorso, rallegrandosi al pensiero dell’utilità del suo dono.
<< A dire la verità non l’ho mangiata. >> disse costernata, vedendo vacillare il sorriso di lui.
<< Perché non ti piace il gusto? In effetti è un po’ particolare se non sei abituato. >>
<< No, non è per quello… >> si schermì lei. Non aveva nemmeno preso in considerazione di assaggiarla, tanto era stata presa dai suoi pensieri, ma non voleva dirglielo per non ferirlo. Sembrava così contento di essere stato d’aiuto che non se la sentiva di smontarlo.
<< Hai ragione, scusa. Puoi mangiarla quando vuoi. Sai, siccome sono le mie preferite, tendo a farle conoscere a chiunque, perdonami. >> eruppe in una timida risata, grattandosi la base del collo.
<< Continui a scusarti. Non ce né bisogno, siamo una squadra no? >> lo rimproverò affettuosamente lei decidendo che era inutile cercare di essere forti ed imperturbabili, le situazioni lo avevano dimostrato, poteva andare sempre peggio e senza nessuno che potesse capirti poteva sarebbe stato estremamente duro. Per cui tanto valeva cercare di aiutarsi a vicenda senza sentirsi in colpa per la minima cosa anche scherzare se ci fosse stata l’occasione. Inoltre con la sua genuina premurosità era impossibile restare arrabbiati o turbati per troppo tempo, anche il suo viso cordiale riusciva a tranquillizzarla solo a guardarlo. In quel momento capì che la loro relazione sociale era passata ad un piano diverso rispetto a semplici sconosciuti, adesso poteva considerarlo il suo complice.
<< Scus… hai ragione>> rinnovò il sorriso questa volta sicuro e pieno.
<< Grazie. Perché è tutto rovinato? >> gli chiese restituendogli il cappotto dagli orli slabbrati, separando le loro mani. Visto che avevano un po’ di tempo per riposare, un po’ di conversazione per conoscersi meglio non poteva danneggiare nessuno.
<< No, è fatto apposta. È il suo design, ma non ne sono sicuro lo indosso ormai da anni.>> raccontò infilando le braccia lunghe e snelle nel soprabito e andando a recuperare il volume trascurato e sghembo sul pavimento.
<< C’è qualcosa di interessante? >> gli chiese Ib abbracciando le ginocchia e sedendosi accanto a lui con le spalle che sfioravano appena, per poter sbirciare le frasi sulle pagine.
<< Parla di Guertena. Da questa biografia sembra che non abbia avuto una vita molto agiata nonostante fosse molto famoso come artista. Inoltre  era parecchio tormentato e per questo è un po’ triste come libro, ma si lascia leggere.>> la aggiornò brevemente della travagliata e breve esistenza del pittore, senza staccare mai gli occhi dai fogli se non per capire che impressioni dava alla ragazza. << Non ha mai trovato la pace e si pensa che sia suicidato all’apice della malattia che lo ha reso pazzo.>> finì il resoconto.
<< Mi dispiace un sacco, ma non credo sia come dicono le voci. >> rifletté Ib ad alta voce, appoggiando il mento alle ginocchia e cercando di capire cosa le facesse dire ciò senza indizi. Era solo una sensazione latente, ma aveva l’impressione che quello che aveva detto non fosse vero.
<< Perché? >>
<< Sono solo voci giusto? Chiunque potrebbe aver mal interpretato le cose, secondo me amava il suo lavoro e non penso che volesse togliersi la vita ed abbandonarle le sue opere. >> espresse i suoi pensieri in modo logico e razionale, per avvalorare la sua tesi. Si ricordò improvvisamente della struttura e non poté evitare di controllare la sua piantina personale mollemente immerse nell’acqua curativa. C’era una netta somiglianza tra i due vegetali, ma una rosa poteva essere uguale a mille della sua specie. << Molte sono curate minuziosamente, come la rosa gigante. L’hai vista? >>
<< È possibile che tu abbia ragione. Sì, era molto bella e poi assomiglia un po’ alla tua rosa. Il rosso nei fiori significa amore e felicità, lo sapevi? >>  le disse distrattamente Garry, seguendo il suo sguardo.
<< E la blu allora?>> chiese raddrizzandosi ed incuriosita dalla sua conoscenza del linguaggio floreale.
<< Il suo non è un colore naturale perciò ha doppio significato. C’è quello positivo di fiducia e onestà e quello negativo, invece, è legato all’indifferenza e all’altezzosità.>> assecondò la sua desiderio di sapere con un’espressione malinconica e ferita.
<< Ma alla fine esiste ed ha un colore magnifico, come il cielo appena dopo il tramonto. Mi piace, è rilassante. >> Ib non se la sentiva di tirare furi il vero significato delle loro rose, non dopo aver visto l’espressione abbattuta di Garry. Probabilmente non c’era nemmeno motivo di spiegarlo perché il ragazzo se n’era già accorto che i fiori non erano soltanto tali. Tuttavia il silenzio si protrasse, rotto solo dallo scricchiolio delle mensole piegate dal peso della cultura che portavano, mentre entrambi seguivano il percorso dei propri pensieri. Ib non sapeva che fare, forse si era spinta troppo oltre con la confidenza o magari Garry non l’aveva nemmeno sentita, staccando l’udito dalla realtà per rinchiudersi in se stesso. In tal caso non c’era nulla che potesse fare se non aspettare il suo ritorno, così la ragazza prese un libro dallo scaffale dietro di sé e iniziò a sfogliarlo. Guardava distrattamente le figure sulle creature d’alto mare che dovevano incutere terrore, ma a lei sembravano solo grossi esseri abbandonati a loro stessi ed allontanati dalla timorosa umanità.
“ Chi sa a che pensa? Immagino che anche lui abbia i suoi problemi.” Riflettè accarezzando l’ennesimo ritratto della rana pescatrice. Come poteva essergli d’aiuto e ricambiare la sua stessa gentilezza? Non voleva alleviare le sue pene, non era tanto presuntuosa da volersi attribuire un ruolo simile, ma per lo meno calmare le sue angosce, zittirle quel tanto che bastava per permettergli di ritrovarsi.
Stava ancora decidendo sul da farsi quando fu lo stesso ragazzo a rompere la quiete.
<< Sai, mattina mi sono alzato presto e adesso sono un po’ stanco, ma non vedevo l’ora di venire alla mostra. Poi è successo questo e onestamente credo di averne abbastanza delle gallerie a questo punto. Perché è successo, che senso ha?!>>  vomitò come un fiume in piene altre gli argini per sfogarsi.
Ib non lo sapeva, una vera risposta non ce l’aveva, ma poteva solo immaginare e mettere insieme gli indizi che le erano stati lasciati come le briciole di pane di pollicino. Intanto il fogliettino giallo pesava come un macigno nella sua tasca e cercava in tutti i modi di reclamare l’attenzione che gli spettava.
“ Devo dirglielo o no?” si tormentava lei sgualcendo un lembo della gonna adibita a vittima della sua frustrazione. “ Ho deciso di affidarmi a lui. Eppure non voglio addossagli altri problemi. Sembra già afflitto di suo.”
<< Forse non c’è un motivo. Chi lo sa. Tra l’altro non mi spiego l’esistenza di quei mostri. E pensare che li avevi già visti e hai viaggiato tutta sola prima di incontrarmi. Non è affatto male, voglio dire, sei stata molto coraggiosa. Se fossi stato al tuo posto non sarei durato a lungo, vedi come è andata a finire con la donna dipinto.>> rise sarcastico abbandonando le braccia lungo i fianchi dopo un gesto di stizza.
Man mano che parlava e si apriva ad Ib, questa si sentiva sempre più in colpa di non riuscire a confessargli tutto … e poi non si sentiva affatto coraggiosa. Aveva perso il conto di quante volte si era scoraggiata ed aveva pianto, di quante volte era stata sul punto di gettare la spugna e cedere, farsi catturare e finire la partita.
<< Ehi, Ib?! Cos’è quella faccia. È colpa mia perdonami, non volevo rattristarti.>> cercò di rallegrarla, spostandosi di lato per essere faccia a faccia.
Lei scosse la testa con decisione e senza pensare cacciò la mano in tasca per porgergli poco dopo il foglietto spiegazzato. Il ragazzo lo prese stupito e lesse le poche parole riportate, sbiancando di colpo. Ora la quiete era ancora più opprimente di quando il ragazzo era perso nel suo mondo, perciò fu lei a prendere la parola quella volta. << Mi dispiace tanto. Dovevo dirtelo prima! l’ho trovato, in una delle sale di prima e >>
Garry la fermò subito prendendola per le spalle << Non hai fatto niente di male. Perché ti scusi per questo? Eri e sei spaventata, è normale che non sapessi che dirmi. È tutto così vago e poi nessuno avrebbe potuto prevedere che le cose finissero in questo modo. Andiamo sorridi! È un peccato se il tuo viso ha quell’espressione.>>
<< Ma Garry … >> recriminò lei.
<< Grazie, di avermelo mostrato. Questa è la prova che c’è qualcuno che è a capo di questo scherzo di cattivo gusto, anche se non sappiamo il perché. Va bene è un inizio ed è sempre meglio di niente. >> rifletté serio perdendosi in un punto lontano oltre la schiena di Ib. << Affrontiamo una cosa alla volta e concentriamoci su quello che possiamo fare. Così non perdiamo la testa e non facciamo il gioco di questo simpaticone. Poi se è questo posto è collegato alla galleria d’arte, gli altri presenti, per quanto ne sappiamo, potrebbero essersi persi qui. Se ce ne sono spero di trovarli perchè più siamo e meglio è! Dobbiamo anche trovare i tuoi genitori >> esordì tirandosi in piedi e porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi.
<< Ti si addice proprio il blu, per quanto non ti piaccia >> sussurrò lei con un sorrisetto sghembo.
<< Come?>>
<< Ho detto andiamo! >> ed afferratogli il palmo lo trascinò verso la porta della biblioteca. Aveva avuto ragione su di lui fin dal primo istante in cui l’aveva visto alla mostra: era una persona interessante ed eccentrica, ma non solo. Era davvero speciale, per quel suo modo di riuscire sempre a rasserenarla ed infonderle il coraggio perduto. Non poteva sperare in un compagno migliore.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


° Mary,Mary, Quite Contrary°

Atto.9

Mary, Mary, quite contrary,
How does your garden grow?

I due ragazzi parlavano del più e del meno mentre camminavano approfondendo così sia la loro conoscenza, sia i punti di divergenza che poneva la loro differenza d’età. Eppure nonostante ci fossero dieci anni di distanza trovarono di essere molto compatibili anche sul piano di discorsi impegnativi. Garry rimase piacevolmente sorpreso di apprendere che Ib, nonostante fosse appena entrata nella fase adolescenziale, era più matura di tante sue coetanee. Un’altra sua scoperta fu che la ragazza proveniva da una famiglia altolocata in cui la madre aveva deciso di trascinarla alla mostra quel giorno. Dal suo racconto il ragazzo face così indirettamente la conoscenza dei coniugi ritratti e scambiati per soggetti qualunque. Per questo, mentre Ib parlava e li descriveva, si mortificò ancora una volta per l’indelicatezza che aveva usato allora. Ciò nonostante si riprese subito non appena toccarono il tema degli hobby: a lei piaceva leggere, a lui dipingere. Si scambiarono molte informazioni su nuovi titoli che sarebbero stati interessanti da sfogliare e commentare insieme, oltre a parlare di molti pittori e artisti che avevano ispirato il ragazzo nelle sue ore private con la tela. Gli animi erano tanto allegri che Garry si sbilanciò addirittura nell' invitare Ib a vedere qualche sua creazione, dopo che lei aveva entusiasticamente dichiarato che le sarebbe piaciuto vedere che soggetti attirassero la curiosità, oltre alla fantasia, dell’amico.
Ib dall’altra parte iniziò ad apprezzare sempre più la parte ottimista e semplice del compagno; non erano molte le persone che aveva conosciuto a cui potesse attribuire un simile pregio. Di cosa facesse il giovane nella vita di tutti i giorni a parte ritagliarsi del tempo per la pittura, seppe ben poco. Infatti, il giovane non era molto propenso a parlare di sé e lei non se la sentiva di forzarlo. Se non era sceso nei dettagli della sua quotidianità voleva dire che aveva le sue ragioni. Quindi sì limitò a farsi un’idea di come doveva essere il Garry che esisteva oltre l’incubo in cui si erano conosciuti. Aveva un lavoro, anche se non era stato specificato in che ambito, e sapeva guidare perché l’impiego non era vicino a casa sua. Inoltre abitava da solo, non aveva orari fissi per mangiare e adorava le caramelle o in generale qualsiasi cosa dolce.
Continuarono a scambiarsi informazioni per un bel pezzo, perdendosi nel piacere di parlare con l’altro e creare un attimo di tregua dal completo disastro in cui si trovavano invischiati, finché le dure leggi della loro nuova realtà non misero nuovamente alla prova le loro coronarie. Qualcuno reclamava la loro attenzione dall’altro lato di una porta sbarrata con assi di legno trasversali.
“ Non il massimo della sicurezza” pensarono nel vederla. Eppure la cosa da fare era solo una purtroppo: andare a controllare.
Si avvicinarono con circospezione solo quando i colpi sul divisorio s’interruppero, lasciando il posto al silenzio. Garry raccolse il coraggio a due mani e sbirciò nella serratura per svelare la minaccia nascosta, non prima di essersi assicurato che nessuna delle due parti potesse incontrare l’altra senza una più accurata indagine.
<< È buio pesto. Non si vede nulla. >> la informò raddrizzando la schiena e assumendo un cipiglio dubbioso. In più le espose anche la sua idea che il posto fosse vuoto a causa della mancanza di rumori rivelatori.
<< Dobbiamo preoccuparci? >> indagò la ragazzina soppesando le rughe che solcavano il viso di lui.
<< Non può uscire e noi entrare. Per di più non sappiamo se sia una minaccia o no, direi di proseguire e tenere gli occhi aperti nel caso trovassimo una chiave che possa aprirla. Non mi piace lasciare nulla di inesplorato, soprattutto visto cosa è successo prima. >> propose, trovando assenso nell’interlocutrice.
Scesero una rampa di scale nella più totale assenza di rumori, piombata di nuovo a troncare la loro conversazione con la sua morsa soffocante d’ansia e preoccupazione. Tesero le orecchie per un possibile nuovo benvenuto da parte di entità poco simpatiche, ma non trovarono nessun altro intoppo di sorta, di conseguenza ripresero a dialogare con temi più vaghi e meno allegramente di prima per smorzare la tensione. Durante una pausa nella loro conversazione un petalo di ciliegio solleticò la punta del naso di Ib che per ciò, guardò in alto pensando fosse piovuto da lì, ma una tempesta di gocce rosate lì investì dolcemente da destra. Dalla parete un bellissimo quadro faceva pendere oltre il legno della cornice i suoi dondolanti rami ornati di fiori, accarezzati da un’invisibile brezza. La ragazzina affascinata dalla visone di una cosa tanto bella ed inusuale per le costanti macabre di quel posto, si avvicinò per ammirare l’armonia del paesaggio. Un enorme chiaro di luna la accolse dallo sfondo blu notte trapuntato di stelle.
<< Non è bellissimo? >> le chiese l’amico.
<< Ti viene voglia di guardarlo per sempre. Trasmette tranquillità. >> dichiarò quasi senza pensarci.
La lenta danza dei boccioli era ipnotica e, mentre ognuno era immerso nei propri pensieri, qualcuno bussò nuovamente e con insistenza da qualche parte in lontananza distruggendo ancora una volta il loro attimo di pace. Si videro costretti ad avanzare nuovamente alla ricerca di chi o cosa facesse tanto baccano. Purtroppo non potevano fare altrimenti perché la strada era una e con una sola direzione possibile. Nessun ripensamento o inversione di rotta.
Per cui s’immersero in un tunnel di specchi che conduceva verso le perenni ombre delle sale con i loro sosia ad accompagnarli all’infinito. Procedevano affiancati in modo tale che il braccio di uno sfiorasse quello dell’altra, quasi come se il contatto fisico fosse una prerogativa essenziale per farsi coraggio man mano che avanzavano, segnalando la presenza del compagno ogni volta che frusciava la stoffa.
Finalmente trovarono un’interruzione alle loro inesauribili sagome; infatti, due porte viola, una di fronte all’altra, occupavano il posto delle superfici riflettenti. Con un cenno del capo il ragazzo indicò il primo ingresso, quello a sinistra, in modo tale che si potessero spostare verso di esso senza rivelare la loro presenza, mentre Ib teneva d’occhio il gemello per evitare brutte sorprese. Come da prassi l’uscio era bloccato, ma stavolta da una serie di pannelli vuoti, raggruppati in blocchi di tre e non omogenei in numero << Adesso che si sono inventati? Ib credo che qui ci si debba scrivere qualcosa, sembra la struttura di una frase…>> sostenne il ragazzo, invitando l’altra a dare le sue impressioni. Dopo un piccolo esame dei dintorni, appurarono che mancava qualcosa per la risoluzione.
<< Ma l’indovinello dov’è? >> chiesero contemporaneamente per poi voltarsi verso l’unica scelta.
<< Direi che non ci resta che controllare lì dentro>> propose pragmatico, trovando d’accordo Ib.
Spalancarono il battente tenendosi però a debita distanza. Nessun essere deforme o dipinto indemoniato balzò fuori per aggredirli e questo fu sufficiente a spingerli a addentrarsi. Il ripostiglio non conteneva nulla di ché se non una statua senza capo posta sotto una cordicella simile a quelle per accendere le lampadine nelle soffitte o negli scantinati. Oltre a quei due elementi non v’era l’oggetto della loro ricerca.
Stavano per fare marcia indietro quando il manichino alzò un braccio fulmineo e tirò la fune, pietrificando all’istante i due sventurati spettatori. Le luci cambiarono immediatamente tonalità, passando da quella fredda del neon a un intenso e basso blu ultravioletto, che manifestò sul pavimento una domanda scritta con inchiostro simpatico dello stesso carattere che Ib aveva imparato a riconoscere.
Qual è il titolo del grande dipinto sul pavimento della mostra di Guertena?
” li sfidava ad una gara di memoria.
Ebbero appena il tempo di leggere le poche parole prima che il manichino si sbriciolasse in mille pezzi e coprisse la scritta che loro l’avessero decifrata o meno. Senza nemmeno aspettare di capire che era successo, i ragazzi si precipitarono fuori dalla stanza, sbattendo l’uscio nel suo riquadro e bloccandola con le schiene. Ancora palesemente scossi e senza chiedere nulla di quanto visto, come se avessero approvato la regola non scritta di evitare di parlare delle stranezze se non fosse estremamente necessario, tornarono alla prima porta incorniciata dagli specchi.
<< Dovrebbe essere il dipinto del pesce gigante, giusto? Credo avesse a che fare con profondo qualcosa… tu l’hai visto Ib?>>
<< Sì, si chiamava “Abisso del profondo”. Son caduta proprio in quel dipinto.>> rispose piatta. Non le piaceva ricordare l’angoscia che aveva provato nel ritrovarsi faccia a faccia con quella donna dalla pelle arida che a scatti protendeva le sue braccia verso di lei, per non parlare dell’essere ingoiata viva da un pesce abissale.
Per fortuna o sfortuna il ricordo fu interrotto da un verso di sorpresa di Garry che la fece concentrare sull’origine che l’aveva provocato. Il titolo dell’opera si stava materializzando nei giusti pannelli appesi all’assito.
<< Ok non è la cosa più strana che ci sia capitata, ma è inquietante lo stesso. >> sentenziò Garry, facendo da scudo alla compagna mentre l’uscio si apriva verso l’interno cigolando.
<< Questa però è la più inquietante.>> ritrattò, vedendo l’enorme sala biblioteca sormontata da un bizzarro quadro centrale rosso e rigato con rabbiose fasce nere. Come avevano ormai capito, le brutte sorprese non arrivavano mai da sole, infatti neanche il tempo di finire la frase che un libro cadde dal proprio ripiano aprendosi sul pavimento. Una voce distorta cantilenò: “ Alle donne qui, piace giocare a m’ama non m’ama”.
<< direi che questo si era capito>> sbuffò Ib ironica per stemperare alquanto l’atmosfera.
Un secondo libro lo seguì a ruota, cadendo qualche metro più in là per raccontare le follie di una notte di passione, sovrapponendosi alla prima voce. Il ragazzo s’imporporò per la vergogna come l’amica, perciò corse a chiudere il libro sperando che questo bastasse a fermarlo. E fu così. Ciò nonostante il suo gesto provocò una ruzzolone a catena di libri che lasciarono le loro ordinate file per raccontare ai visitatori quello che celavano. La cacofonia di timbri diversi e parole accavallate che sgomitavano tra loro per farsi udire fu troppa per le loro orecchie, di conseguenza furono costretti a coprirle per trovare tregua.
<< Ib! Meglio uscire di qui! >> Sbraitò il ragazzo alzandosi dalla posizione che aveva assunto per sistemare il tomo.
La ragazza che intanto l’aveva raggiunto, nonostante gli fosse quasi appiccicata, non riusciva a capire cosa le stava dicendo. Vedeva la sua bocca muoversi muta e i suoni confondersi tra le altre frasi che riempivano l’aria. Garry percepì la difficoltà in cui versava, visto che lo stava osservando con tutta la concentrazione di cui era capace senza muovere un muscolo. Così fece l’enorme sforzo di indicare l’uscita. Purtroppo la tempistica non era a loro favore e, nell’istante in cui muovevano i primi passi, le luci si spensero insieme alle voci.
<< Garry!>> urlò subito Ib in preda al panico. Il solo pensiero di perderlo di vista le faceva affiorare alla memoria delle sensazioni inspiegabili dovute al sogno che aveva avuto.
<< Sono qui.>> si chiamavano nel disperato tentativo di ritrovarsi a tentoni. Poi vedendo che l’impresa era più ardua del previsto preferì un approccio diverso. << Ib, non muoverti, vengo a prenderti.>> la tranquillizzò. Ma come?
Si ricordò in ritardo che con sé portava sempre uno zippo, monito dei tempi in cui fumava; si affrettò ad utilizzarlo. La prima cosa che fece fu recuperare la compagna che era finita dall’altro lato della stanza ai piedi del dipinto maestro.
<< Stai bene?>> le chiese preoccupato.
<< Garry! Sì, sto bene.>> gli disse non appena si accorse del bagliore aranciato per andargli incontro << Perché sono andate via le luci?!>> chiese subito dopo in ansia. Aveva iniziato a provare una strana fobia per il buio, soprattutto perché non annunciava nulla di buono.
Lui, di contro, non riuscì a risponderle, era troppo preso ad interpretare i segni che erano apparsi sotto i loro piedi e si facevano chiassosamente notare.
<< Tutto ok?>> lo chiamò lei strattonandogli la manica per costringerlo a volgersi verso di lei.
Il ragazzo era impallidito visibilmente e iniziava a sudare freddo. << Ib non guardare a terra.>> la supplicò con tono flebile come un sussurro, con gli occhi sgranati e una miriade di emozioni negative che si susseguivano dietro le iridi.
Eppure dire di non fare qualcosa a qualcuno è come invitarlo a farla, perciò, senza rendersi conto, abbassò lo sguardo. Complice anche la sfortuna, la sala venne nuovamente illuminata a giorno quasi a voler invitare l’innocente a prendere parte al giochino mentale. Solo lo spettacolo che le si presentò bastava a far venire gli incubi, aggiungendo poi anche il significato dei graffiti, il tutto acquistava una nota horrorifica ancora più disturbante visto che una miriade di scritte frettolose in diversi colori imploravano pietosamente aiuto. Frasi piene di paura e dolore esprimevano l’angoscia, il puro terrore, che chi le aveva scritte provava nel momento in cui aveva subito la tortura, poiché solo chi è sotto sevizie e forti pressioni psicologiche avrebbe proferito determinate parole. Inoltre al posto del quadro, greve di per sé, era comparso un poster sempre rosso su cui era stato inciso ripetutamente lo stesso vocabolo, Separazione, con linee sempre più fitte e spesse. Ib spostò lentamente lo sguardo fissandolo in quello ceruleo del ragazzo. “ Garry non sta per niente bene” fu l’impressione che ebbe di primo acchito leggendogli le emozioni in viso. Sapeva quello che doveva fare, o almeno ebbe la risoluzione di agire in fretta sull’onda di una sensazione che riteneva essere giusta. Cercò di raccogliere tutta la determinazione che aveva, assieme all’autocontrollo, per tenerlo per mano e scortarlo fuori il più in fretta possibile.
Ritornarono al punto di partenza accolti da un altoparlante che starnazzava il divieto di usare oggetti che potessero appiccare incendi o rovinare le opere esposte e segnalare agli addetti i possessori di tali utensili. Garry si irrigidì, stringendo ancora di più l’accendino che aveva in pugno utilizzando la pressione del metallo come un potente collante per tenere dentro di sé tutto quello che stava metabolizzando. Ib cercò di ignorare la voce robotica il più possibile e per quanto le sue orecchie, ancora dolenti, le permettessero. Non aveva segnali di dove andare, per cui seguì il flebile rumore di un soglia che girava sui cardini in fondo al corridoio da cui erano arrivati, senza chiedersi da dove fosse sbucato perché non ce ne era bisogno; lì c’era uno schema prestabilito che s’imponeva su di loro obbligandoli a seguirlo come la corrente in un letto di fiume. Non doveva capire, almeno non allora, doveva solo proseguire perché la sua priorità era allontanare Garry da qualsiasi cosa l’avesse gettato in quello stato. Toccava a lei essere la boa di salvataggio dell’amico. Non prestò nemmeno attenzione alle impronte scarlatte che, come quelle che l’avevano guidata al dipinto quando tutto era iniziato, le indicavano la via da imboccare. Le seguì. Lo fece anche quando s’infilarono sotto il battente della porta che non doveva esserci. Garry era un peso morto che la seguiva senza proferire parola, la qual cosa la preoccupava ancora di più dei pericoli in cui potevano imbattersi.
Passarono oltre l’infisso quando qualcuno si schiantò malamente addosso alla ragazza. Lei agì di riflesso, dando con tutte le sue forze uno spintone allo sconosciuto, mandando entrambi a terra tra urla di spavento da ambo le parti.
<< Ib tutto a posto?>> si riprese Garry per soccorrerla. A quanto pareva l’incolumità della ragazzina era una delle occasioni per cui il ragazzo riaffiorava dal labirinto dei propri pensieri.
Lei si lasciò aiutare aggrappandosi alla mano tesa del ragazzo, non potendo fare a meno di constatare quanto ancora fosse cereo e angosciato.
<< Ehi!>> esordì lui una volta appurato che la ragazza fosse illesa e voltandosi nell’altra direzione. Aveva ripreso il suo ruolo di punto di riferimento del duo. << Anche tu sei per caso uno dei visitatori della mostra?>>.
Ib colta di sorpresa dalla rivelazione mentre ancora si stava spolverando i vestiti per la caduta, alzò di scatto la testa per osservare il nuovo venuto, anzi, la nuova venuta. Una bambinetta bionda di poco più piccola di Ib, forse sui dodici anni, li osservava con un’aria interrogativa lasciando vagare i suoi grandi occhi celesti da uno all’altra. La sfumatura delle sue iridi era di una tonalità diversa da quella di Garry in quanto quelle di lui erano di un azzurro inteso e vivace, mentre quelle di lei erano cupe e statiche tanto da comunicare a Ib una sensazione strana, cosa che invece non sembrava turbare Garry.
<< Scusaci, non volevamo spaventarti! Io sono Garry e lei è Ib>> la presentò appoggiandole una mano tra le scapole per rassicurarla della sua presenza e del suo ritrovato stato emotivo, oltre ad invitarla a fare un passo avanti. << Veniamo dalla mostra. Stavamo osservando i quadri quando in qualche modo ci siamo trovati persi qui, perciò stiamo cercando un’uscita. È capitato lo stesso anche a te?>> raccontò per provare a far sentire a proprio agio la ragazza vestita di un elegante abito verde in stile retrò e orlato di pizzo bianco. Ib la scrutò da capo a piedi, cercando di fare presente la fisionomia dell’altra tra la folla di personaggi che aveva incrociato nella mostra. Era una ragazzina particolare, con le sue calze bianche e scarpe verniciate, se ne sarebbe ricordata se l’avesse incrociata tra le esposizioni. Tuttavia non era un metodo di giudizio valido, c’era stato un gran via vai in quell’ora che aveva passato tra i curiosi di Guertena.
Dopo un attimo di indecisione la piccola riccioli d’oro decise di rispondere. << Stavo andando in giro per vedere se c’era qualcun altro … volevo uscire… quindi.>> il suo timbro era monocorde e vagamente preoccupato come se si stesse sforzando di sembrare tale.
<< Ah, lo sapevo! Vorresti venire con noi? >> le propose a bruciapelo il ragazzo che non poteva fare a meno di prestare soccorso a chiunque fosse in difficoltà.
<< Huh?>> disse la ragazzina inclinando la testa di lato come se non avesse capito la domanda.
<< È pericoloso essere soli, come ho detto a Ib quando l’ho incontrata. Ci sono un sacco di strane creature in giro. È credo sia meglio se restiamo tutti insieme.>> espose immediatamente lui con paziente affabilità.
La ragazzina ci rifletté un attimo prima di accettare l’offerta con un freddo sorriso.
Ib trovava strano il suo comportamento. Quando si era trovata nella sua stessa situazione, aveva fatto i salti di gioia nel sapere che c’era qualcun altro che come lei era stato forzato ad intraprendere quel viaggio. La bimba invece non aveva mostrato il benché minimo accenno di sollievo, al contrario sembrava che le insistenze del ragazzo le dessero fastidio.
Si sentì immensamente stupida e scorretta a pensare una cosa del genere perché le persone potevano reagire in modi differenti in condizioni di stress.
<< Allora è deciso. Oh, come ti chiami?>>
<< Mary!>> gli rispose stavolta con più energia. Il ché rimarcò ad Ib quanto l’avesse giudicata troppo in fretta. Tuttavia c’era ancora qualcosa che non la faceva stare tranquilla, ma non sapeva esattamente identificarne la fonte.
<< Tanto piacere Mary >> le sorrise Garry.
<< Sì!>> disse lei fissando intensamente Ib.
Il suo sguardo la metteva in soggezione e non solo per l’inespressività delle pupille, ma anche per qualcosa che intravedeva sotto di esse e che la agitava.
<< Uhm … Piacere Ib>> le si rivolse timidamente la bimbetta.
<< Piacere>> le rispose senza trasporto e lasciando sedimentare un silenzio carico d’imbarazzo.
<< Va bene! Ora che abbiamo più compagnia, possiamo procedere a testa alta!>> le incitò il più grande in età della nuova comitiva e trovando l’assenso entusiastico di Mary.
Prima di proseguire però decisero di sfruttare il vaso d’acqua che faceva capolino in un angolo. Ne avevano passate di belle in quelle ultime ore e per questo le loro rose ne avevano risentito, mostrando la loro precaria salute con toni smorti e petali schiacciati.
<< Dimmi Mary, siccome io e Ib abbiamo delle rose, per caso ce l’hai anche tu?>>
<< Sì, ce l’ho. Ho una rosa gialla.>> disse contenta porgendo fieramente il suo bocciolo color limone.
<< Mi raccomando, tienilo al sicuro, non perderlo e soprattutto non darlo a nessuno.>> la ammonì Garry, ma le sue parole furono smorzate dall’apprezzamento entusiastico della neo aggregata.
<< Wooooow! La rosa di Ib è rossaaaaaa, mentre la mia è giallaaaaa! Mi piace il giallo, ma anche il rosa. Oh certamente anche il blu.>>
Il ragazzo sospirò capendo che la ragazzina presa dall’emozione non aveva ascoltato una parola di quanto aveva detto, ma nemmeno i suoi tentativi successivi vennero ascoltati dalla piccola Mary. Così dopo un po’ il giovane rinunciò ad avvisarla dei pericoli che avrebbe corso per la sua sbadataggine, e presero a camminare dopo aver ricaricato i loro fiori.
La ragazzina neoarrivata trotterellava al fianco di Ib senza scollarle gli occhi di dosso e sorridendole contenta come se fosse un girasole rivolto al proprio sole. Lei dal canto suo cercava di risponderle con un gesto simile per non scoraggiare le sue aspettative che avrebbero intaccato così anche lo spirito della comitiva. Sapeva benissimo quanto era importante tenere alto il morale del gruppo, specialmente ora che non era più composto soltanto da due individui e addirittura con loro c’era anche una bimba.
Continuarono con il gioco del silenzio sotto lo sguardo divertito di Garry. Tuttavia la quasi leggerezza che aleggiava nell’aria perse un po’ la presa quando arrivarono a un bivio. Provarono prima con la diramazione di destra, ma, come sempre, il divisorio per il blocco successivo non si mosse, perciò furono costretti a prendere l’altra strada.
Non restarono molto contenti di ciò che trovarono o almeno non Garry.
<< Per l’amor del … Questo quadro, questa stanza. Perché è così inquietante?>> sbottò incapace di tollerarne oltre la vista.
<< Davvero? Penso sia carina invece!>> cinguettò Mary facendo un’ampia giravolta al centro della camera per abbracciarla tutta con lo sguardo.
<< Quale parte di questo è “carino” ? Ho l’impressione di essere osservato in questa stanza…>> il ragazzo sicuro di sé e leader del gruppo si trovava in palese difficoltà.
Di sicuro non aiutavano tutti quei coniglietti di stoffa colorati e dagli occhi rossi, disposti in due bancali paralleli sul perimetro laterale e rivolti verso di loro constatò Ib; per non parlare della riproduzione gigante di una lepre ammantata di rosa che acquattata in un prato sorrideva loro arricciando sproporzionatamente gli angoli della bocca.
Lasciando i due a discutere sulla soglia, la temeraria quindicenne, che non aveva intenzione di partecipare alla discussione e anzi aveva tutte l’intento di lasciare alle spalle il prima possibile la sala, si avventurò per capire meglio cosa esattamente le desse fastidio di ciò che la circondava e magari afferrare l’utilità di quel ambiente. Decise perciò di dare un’occhiata alla manciata di libri che componevano l’ambiente e che dalle copertine sembravano favole per bambini, per cercare indizi utili. In ogni caso dovette cambiare presto opinione leggendone il contenuto. Una trafiletto molto allarmante, intitolato la rovina del cuore, la fece rabbrividire fino alle ossa, in particolare un paio di frasi. “Se il tuo spirito soffre troppo, inizierai presto ad allucinare, e alla fine verrai DISTRUTTO! O ancora peggio è che non sarai neanche cosciente di quel fatto” recitava il volumetto.
Lo rilesse più volte cercando di concepire quale persona contorta potesse mettere certe cose in una novella all’apparenza innocente.
<< Ib tu che ne pensi?! Garry continua a dire che è inquietante. Io invece la trovo carina, no Ib?>> reclamò attenzioni Mary.
<< Non credo…>> si lasciò sfuggire Ib ancora incredula.
<< Che vuol dire?!>> protestò la ragazzina bionda afferrando il lembi del fiocco azzurro legato alla base del colletto di pizzo. La sua faccina di porcellana si era tramutata in una smorfia di disappunto che incupiva ancora di più i suoi occhi spenti.
<< Ok allora. Che ne dite se cerchiamo gli indizi altrove?>> suggerì Garry e prese la via della porta prima che cambiassero idea.
In quell’istante una delle ceramiche si frantumò autonomamente, spaventandoli a morte.
<< A cosa serve?>> chiese innocentemente la bimba, mostrando una chiave luccicante, recuperata tra i cocci prima che i gradi potessero fare alcunché.
<< Bravissima Mary, ci servirà per passare dall’altro lato. Bene adesso sbrighiamoci a uscire da qui.>> le incitò nuovamente.
Ib stava seguendo i due compagni quando un risolino soffocato la fece voltare dubbiosa. Il leporide la stava guardando con un sorriso ancora più tirato lacrimando sangue per lo sforzo di non lasciarsi sfuggire il verso. Lei non si fece ingannare e rapida come una saetta chiuse l’uscio dietro di sé prima che gli altri potessero chiederle il motivo.
Ritornarono in corridoio, i primi due contenti del ritrovamento, mentre Ib sempre più inquieta per i sospetti non riusciva a stare ferma. Non le piaceva come si stavano svolgendo le cose e prevedeva a breve una brutta sorpresa. Sebbene avesse tenuto la guardia alta non riuscì ad evitare quello che avvenne. Infatti passando davanti al quadro vuoto che avevano ignorato prima di svoltare a sinistra, non avevano notato una minuscola macchiolina rossa nella parte superiore della tela e che ora con un fruscio assordante cresceva a dismisura.
<< I fiori del Male!>> lesse Mary ad alta voce dalla targhetta, prima che Garry la allontanasse.
La corolla crebbe velocemente distendendo i petali cremisi insieme a delle grosse foglie coriacee. Gli spettatori troppo intenti a cercare di anticipare i movimenti della minaccia, non si accorsero degli steli acuminati che stavano perforando le piastrelle ai loro piedi finché non fu troppo tardi.
<< Ib attenta!>> le strillò Mary afferrandola per il braccio e trascinandola dal suo lato, mentre il ragazzo si ritrovò da solo sul versante opposto a schivare i fusti.
Quando tutto si fu calmato il gruppo era stato diviso.
<< State tutte bene? >> esordì allarmato.
<< Mi ha spaventata. >> piagnucolò Mary tastandosi il lungo vestito in cerca di strappi.
<< Ib ti sei fatta male?>> le chiese direttamente Garry non avendo ottenuto prima una risposta.
<< No, credo di no. >> farfugliò lei riguadagnando la postura eretta.
<< Meno male, aspettate che cerco di togliere i rampicanti così posso raggiungervi.>> disse, ma si accorse non appena li toccò che non si trattava di fibre vegetali. << Ma sono di pietra! >> proruppe sconvolto. E per quanto tirasse e calciasse, i rovi non volevano saperne di cedere.
Questa volta anche Ib si mise a cercare un punto debole nelle colonne fatte di rovi. Non ci pensava nemmeno a lasciare che la situazione prendesse quella piega.
Mentre erano indaffarati nella ricerca, Mary prese la parola.
<< Ehi, Ib. Abbiamo preso una chiave in quella stanza no? Forse apre la porta e potremmo trovare qualcosa di là per sbarazzarci di queste cose.>>
La ragazza la guardò come un’aliena. Come poteva pensare di spostarsi anche solo di qualche metro senza il ragazzo. Si sentiva più sicura se c’era lui intorno perché sapeva di poter contare sul sostegno dell’altro. Invece con Mary alle calcagna, quante possibilità aveva? Per non parlare delle responsabilità che sarebbero state molto più pesanti da sopportare.
<< Andiamo a cercare?>> insistette la ragazzina euforica. “ Pensa che sia un gioco?!” la criticò mentalmente l’adolescente.
Però per quanto Ib la osservasse torva, tanto più lei insisteva, ed in Ib cresceva il disagio. Prese addirittura a stritolare i cilindri spinosi, tanto era il nervoso per il discorso senza senso dell’estranea. Non voleva lasciare il suo di punto di riferimento e le spine offrivano un ottimo diversivo alla volontà di sbattere in faccia a Mary la realtà dei fatti.
<< Mary non credo sia una buona idea >> tentò Garry, vedendo la sua compagna scurirsi in viso come una tempesta e guardare freddamente la dodicenne.
<< Staremo bene, giusto? >> cinguettò Mary per tranquillizzarlo, mentre si aggrappava al braccio dell’interlocutrice, incurante delle reazioni della controparte.
Ib dovette fare uno sforzo pazzesco per non scrollarsela di dosso. Fu solo in grado di replicare in tono crudelmente distaccato, << Preferirei non dividerci. >>. Tuttavia quei pochi vocaboli furono in grado di riversare tutto il suo malcontento e disappunto, in più la voce le uscì così rabbiosa e glaciale che anche Garry si irrigidì per la sorpresa.
<< Perché no?! Torneremo in fretta! Non riesco a pensare a nient’altro!>> protestò l’altra senza prestare attenzione allo stato d’animo di Ib e nemmeno ai tentativi di Garry di prendere parte al discorso per evitare il precipitare della situazione.
<< Credo tu abbia ragione. Non c’è molto altro che si possa fare. Se non trovate niente assicuratevi di tornare indietro, va bene? Poi penseremo a che cosa possiamo fare.>> disse alla fine alzando di poco il volume della propria voce per superare quello ormai stridulo di Mary.
Alla sua dichiarazione entrambe scattarono verso di lui con sentimenti contrari: la piccina con giuliva sorpresa perché per la prima volta una sua idea era quella vincente, mentre Ib con sgomento per la prospettiva di dividersi.
<< Non ci penso nemmeno!>> si oppose afferrando più saldamente gli aculei scultorei.
<< Ib >>
<< Non, non voglio!>>
<< Rifletti. Sono bloccato, la stanza lì dietro è un vicolo cieco e solamente voi potete avanzare. Non ti preoccupare, dovete cercare un oggetto che possa aiutarmi e poi tornerete in dietro. D’accordo? >>
Lei non voleva sentire ragioni e scosse ostinatamente la testa per rimarcare la sua determinazione.
<< Ascoltami, non c’è molto altro da fare. Non ti preoccupare, andrà bene e se non trovate nulla tornerete subito indietro.>> rimarcò prendendo le mani della ragazza per evitare che se le potesse ferire per l’angoscia.
Gli occhi della ragazzina lo guardavano ancora con dubbio e preoccupazione. Capiva benissimo come si sentiva, anche lui avrebbe preferito una soluzione alternativa, tuttavia era inutile tergiversare, in più il tempo era prezioso. Quindi fu costretto a dire le uniche parole che potessero fare presa su Ib. << Ho bisogno del tuo aiuto ora. Fallo per me.>>
Garry vide il senso di tradimento colpire il viso dell’amica e distorcerne l’espressione, complice anche la consapevolezza di lei per le intenzioni che celava la sua richiesta.
Si era dimenticato di quanto Ib fosse sveglia e perspicace. L’aveva sottovalutata lasciandosi forviare dalla giovane età, pensando di poterla raggirare invece di chiarire il suo punto di vista. Per questo avrebbe voluto aggiungere mille e altre spiegazioni o chiarimenti, ma non ebbe il tempo. La vide accettare e seguire Mary rassegnata.
Non riuscì a dire loro di fare attenzione prima che sparissero oltre l’angolo e se ne pentì amaramente.


Lo sgabuzzino in cui si trovavano a rovistare, tra gli scatoloni impolverati e i manichini in disuso, non aveva ancora svelato i suoi oggetti nascosti, se mai ce ne fossero stati. In parte perché c’era sacco di cianfrusaglie di cui fare l’inventario e in parte perché molte delle cose che sembravano adeguate si rivelavano latte di vernice ammuffita e tele strappate. Non c’era molto altro che valesse la pena di esaminare. Finalmente dopo aver inalato quantità spaventose di pulviscolo e solventi, in un cassone di legno trovarono qualcosa degno di nota. Gli attrezzi da pittura stipati lì erano in buono stato sebbene coperti da un rossiccio velo di ruggine. Ripresero il loro lavoro di investigazione scartando oggetti su oggetti, finché un luccichio argento attirò la loro attenzione.
Fu Mary la più veloce delle due ad afferrarlo e riesumarlo dal mucchio.
<< Forse può tagliare le rampicanti!>> strillò rigirandosi tra le dita la spatola per dipingere.
Eppure Ib ebbe l’impressione che lo dicesse più per sembrare contenta che perché lo fosse davvero, di nuovo.
<< Ne dubito. >> smontò la sua falsa allegria per verificare la sua supposizione.
<< Forse hai ragione, non funzionerebbe, ma credo che lo terrò. Sai giusto per …>> le sorrise complice, cambiando umore tanto velocemente come il tempo in montagna.
Adesso la contentezza di Mary si era fatta più affilata e quasi sbeffeggiatrice. Perciò, Ib che non aveva previsto una tale repentina trasformazione degli eventi, si trovò a dover sostenere quello sguardo e a non riuscire a fermarsi dal mettere distanza tra di loro, preoccupata per la sua incolumità.
<< Non è meglio se la tengo io? Non vorrei che ti facessi male.>> cercò di suonare convincente. In più voleva davvero provare ad usarla per liberare il ragazzo, nonostante le avesse detto che non poteva funzionare.
<< La tengo io! Mi piace. Che ne dici di tornare da Garry per ora?>> spostò il discorso per distrarla, mentre si infilava l’attrezzo nella tasca dell’ampia gonna verdeggiante.
La giovane non era disposta a lasciarla andare così facilmente, ma si trattenne solo perché c’era una priorità che le ricordava di abbandonare tutti i suoi, probabilmente infondati sospetti, verso la bambinetta viziata. Prima che potesse raggiungerla o dire altro per provare ad impossessarsi della spatola, le lampadine spoglie sfarfallarono per un calo di corrente.
<< Che succede?!>> strepitò Mary voltando la testa a destra e sinistra, poco prima che un nuovo blackout le lasciasse nel nero più totale. Al nulla seguì un tonfo tanto potente che le mandò a ruzzolar sul pavimento. Ib ondeggiò cercando di mantenere inutilmente l’equilibrio. Alla fine si accasciò sui quelli che scoprì essere cartoni saturi di umidità, quando i bulbi vitrei tornarono in funzione.
La luce aveva portato con sé anche una novità: un ospite inatteso si era materializzato davanti all’uscita.
<< No no no no! >> si lasciò sfuggire ad alta voce Ib, lanciandosi verso il manichino senza testa, ed incurante del fatto che potesse prendere vita.
Lo strattonò, lo spinse, lo assalì con tutte le sue forze, ma non riuscì a muoverlo di un solo passo con i pochi muscoli che aveva. Era troppo pesante per lei sola e anche con l’aiuto di Mary, che la osservava apatica, non avrebbe cambiato la situazione. Arrivò addirittura a prendere la statua a calci, immaginando di disintegrarla, pur di rimuoverla dal suo cammino.
<< Ib che fai?>> le domandò atona la bambina.
Lei non rispose e continuò furiosamente ad infierire sull’argilla senza riserve fino al momento in cui rimase senza fiato.
<< Non possiamo uscire Ib che facciamo? >> disse la compagna fissando l’assito come in trance.
Ebbe l’impressione che si stesse prendendo gioco di lei, perciò perse le staffe e scoperchiò il vaso di repressione che si portava dietro.
<< Che facciamo?! Che facciamo mi chiedi!!! Non possiamo passare e ci toccherà abbandonare Garry per colpa tua! Tu e la tua dannata proposta. Lo sapevo che non dovevo fidarmi. Non dovevo darti retta!>> urlò di rabbia. Solo quando finì l’invettiva si girò nuovamente verso il manichino per non far vedere alla bambina rimasta a bocca aperta per la paura, lo sforzo che stava facendo per tenere a bada le lacrime. Dovette strofinarsi più volte le palpebre con i polsi escoriati per impedire di scoppiare in un pianto dirotto ed incontrollato.
Non poteva abbandonare Garry. Non poteva lasciarlo li da solo, non dopo aver sperimentato quanto facilmente si lasciava abbattere se restava da solo con i propri pensieri, non dopo aver visto cos’era successo quando aveva dovuto affrontare la Donna in blu. L’idea la terrorizzava.
“ Quand’è che sono diventata così ?!” la investì il suo stesso pensiero di colpevolezza, dopo aver trovato un briciolo di lucidità nel vortice oscuro dei suoi pensieri. “ Garry si fida di te! Sa che sai cavartela e ti sta aspettando dall’altro lato. Perciò reagisci e cerca un modo. Ce la puoi fare!” le giunse in soccorso la sua coscienza ricordandole anche che adesso non era più da sola, doveva pensare anche al bene di Mary. Il ragazzo gliel’aveva affidata in quanto la più grande di quel bizzarro duo, non poteva deluderlo, per quanto la sua insofferenza verso l’intrusa fosse inspiegabilmente incalzante come il doversi grattare una puntura di zanzara. Inghiottì l’orgoglio e le preoccupazioni, perché non voleva deludere Garry e doveva un minimo pensare a Mary, anche per empatia. Infatti si mise per un attimo nei panni della bambinetta bionda che doveva essere spaventata come lo era stata lei trovandosi da sola nel labirinto, senza un posto dove andare, nè una meta. Che poteva pensare una dodicenne di una situazione del genere? Lei si era spaventata da morire ed era un’adolescente, figurarsi quanto dura doveva essere stata per l’altra.
Prese un bel respiro nel voltarsi e, nascondendo la vergogna, provò a parlarle in toni più docili.
<< Mary mi dispiace. Non volevo urlarti addosso >>
L’interlocutrice teneva la testa bassa e calciava il pavimento con i sandaletti di vernice turchese.
<< Non volevo nemmeno dirti tutte quelle brutte cose. Ero solo molto arrabbiata e spaventata. Perdonami.>> si scusò.
Finalmente la ragazzina alzò lo sguardo e le sorrise di nuovo in modo strano, tanto che Ib dovette ricordarsi di non ripetere gli errori fatti prima.
<< Sei perdonata! >> scandì lasciando andare il broncio. << Visto che non possiamo fare nient’altro che ne dici di andare per di qua?>> le propose la ragazzina saltellando allegramente puntando verso un altro ingresso nascosto parzialmente dagli scatoloni. Era partita pe la tangente, lasciando crollare completamente il discorso.
“ Non abbiamo scelta” pensò Ib stringendo i denti e serrando le mani a pugno. Dopo l’ultimo sguardo alla porta che le separava da Garry, si decise a seguire il vestito svolazzante della superstite del trio.
Trovarono ad aspettarle una distesa di scalini che portavano al piano superiore. A Ib non piaceva affatto l’idea di allontanarsi così tanto dal luogo dove aveva lasciato il ragazzo perché temeva che, distaccandosi troppo, non sarebbe più riuscita a tornare indietro e a ricongiungersi.
“ C’è poco da fare. Forza e coraggio!” cercò di sollevarsi il morale ed iniziarono a percorrere la rampa.
Tonk, tonk, tonk, tonk, tonk …
Risuonò per il locale un rumore ritmico e costante che mise in allerta i sensi della ragazza più grande. Aguzzando la vista scorse un oggetto tondo saltellare di gradino in gradino verso di loro. Scappare era impossibile, perciò Ib si posizionò difronte alla compagna e attese l’inevitabile. I secondi passavano interminabilmente, scanditi solo dal moto uniforme dell’oggetto.


Nel frattempo Garry aspettava impazientemente che le ragazze tornassero, ma era ormai da diverso tempo che era in attesa, in più senza avere nessuna risposta ai suoi richiami. Raggiunse l’angolo da cui si poteva vedere la direzione intrapresa dalle giovani e ritentò per l’ennesima volta di stabilire un contatto. << Ib! Mary! Mi sentite?!>>
Nulla.
<< Non va affatto bene. Lo sapevo che era meglio non lasciarle andare da sole!>> si rinfacciò.
Valutò allora la situazione. Le aveva tentate tutte per piegare le sbarre della sua prigione, senza ottenere nessun risultato apprezzabile, per cui fu costretto a ritornare nella stanza alle sue spalle per un più approfondito esame.
Riaprì il battente e si lasciò sfuggire un brivido di disgusto.
<< Non c’è modo che possa trovare questo “ Carino”>> dichiarò alla miriade di bambole che lo osservavano con i loro occhietti rossi sproporzionati e dalle iridi catramate. Un ritratto centrale della stessa bambola, poi, lo fissava ghignando attraverso le sue labbra cucite con un filo della stessa tonalità del carbone.
Garry non riusciva a trovare una singola caratteristica dalla pelle blu emaciata, ai capelli neri fatti di lana o nei semplici e sbrindellati vestiti monocromatici, che potesse alleggerire il senso di malessere che gli provocavano.
<< Un tocco di classe impiccarle al soffitto.>> cercò di sdrammatizzare con l’ironia l’ennesimo scherzetto del designer d’interni.
Rovistò in tutto il locale senza trovare nulla di vagamente interessante. Lesse anche lo stesso libro che aveva visto tra le mani di Ib qualche minuto prima e provò una dolorosa fitta di preoccupazione per la sorte delle ragazze per la probabilità che quanto riportato nel volume fosse vero.
Sperava con tutto se stesso che stessero bene.
“ Pensa Garry, pensa come puoi uscire di qua?!” si sforzò di ragionare, ma non gli veniva in mente un’idea sensata da seguire. Poi una brezza fresca proveniente da dietro la libreria gli ravvivò i capelli. Spostandola per indagare da dove arrivasse, trovò la soluzione al suo rompicapo.


Le ragazze videro la sfera rossa spiaccicarsi sull’ultimo basamento e formare delle lettere che rapide, come formiche attratte dallo zucchero, si accostarono a formare una frase tremolante:
Voglio che tu ti diverta Ib! In un mondo divertente senza Adulti. Staremo insieme. Tu io e i nostri amici.
<< Chi è ?>> chiese Mary tirandola per il lembo della gonna.
<< Non lo so. Ignoralo.>> le suggerì la ragazza nonostante stesse tremando come una foglia. In verità sapeva benissimo chi la stava cercando per questo non le sembrava una buona idea spaventare ulteriormente la compagna.
<< Maledizione!>> imprecò Ib disperata nel vedere l’enorme voragine che spaccava in due il pianerottolo che avevano raggiunto.
<< Mary! Ib! siete voi?!>> gridò una voce familiare.
<< Garry. Garry!>> le rispose la più grande delle ragazzine, correndo verso l’orlo della fenditura. Si lasciò cadere in ginocchio per vedere oltre i materiali che componevano l’impalcatura del piano.
Il ragazzo era proprio lì, un piano più in basso nel suo immancabile cappotto.
<< Stai bene?!>> strillarono in coro per poi scoppiare a ridere.
La ragazza non si sentiva più dispiaciuta per come si erano lasciati, anche per quello che le aveva detto. Sapeva bene il motivo per cui l’aveva fatto per cui se fosse stato in lei decidere come proteggere altre persone in quella situazione, avrebbe fatto la stessa cosa. Inoltre era bastato vederlo intero per placare la sua irritazione.
<< Io alla grande. Voi come ve la cavate?>> intavolò lui sperando che la distanza fosse tale da non lasciarle vedere l’enorme sorriso di sollievo che aveva stampato in faccia.
<< Bene, anche se abbiamo un problema, non riusciamo a proseguire perché il pavimento è rotto. L’unico quadro è troppo lontano da raggiungere.>> si sentì subito in colpa di dover dare all’amico altre preoccupazioni, ma davvero non sapeva che fare.
<< Non riuscite a saltare?>>
<< Se lancio Mary dovrebbe riuscire a passare, ma io non ce la faccio. Riesci a vedere se c’è una corda che penzola lì da te? il quadro c’è attaccato.>> espose la situazione Ib.
<< Aspetta, vado a controllare>>
Garry ispezionò ogni angolo del salone ed in effetti oltre alla sua di uscita, trovò cinque corde penzolanti addossate ad un capo della parete, proprio sotto a dove scorgeva la ragazzina.
<< Ok, ci sono. Ho trovato le corde, qual è?>>
<< Io ne vedo solo una qui.>> replicò lei.
<< Maledizione dovrò provarle tutte.>> borbottò tra sé e sé. << inizio a tirarle, dimmi quando succede qualcosa>> la informò afferrando il primo capo.
Partì da quella alla sua estrema destra, strattonandola più forte che poté. Una bambola come quelle dell’ala precedente si schiantò sul pavimento in una pozza cremisi con un suono raccapricciante ed improvviso, facendo sussultare il ragazzo per lo spavento.
<< Garry tutto okay?>> chiese Ib in pensiero.
Non tardò a rassicurarla, ma di certo non ne poteva più di quel posto orrendo, in quel momento più che mai.
Provò con la seconda cima e rimase al buio, la terza gli fece prendere un altro bello spavento, la quarta gli spruzzò addosso una polvere verde che sapeva di zolfo, e finalmente l’ultima servì alla loro causa. Difatti l’oggetto necessario alle ragazzine si staccò dalla parete e grazie alla corda che teneva Garry, lui potè posizionarlo in modo che lo potessero utilizzare come ponte.
<< Ora riuscite a passare?>>
<< Sì, andiamo Ib!>> rispose Mary al posto suo. Mettendo alla prova con i suoi salti la resistenza del legno.
<< Grazie Garry. Tu che farai?>> gli rispose la sua prima compagna di viaggio che cercava di guadagnare più tempo.
<< Devo proseguire per forza, ma la porta è bloccata e non vedo nient’altro da poter usare.>>
La ragazza si guardò intorno. Poteva darsi che come era successo per loro, l’oggetto che poteva servire al ragazzo fosse da qualche parte nel loro raggio d’azione, ma non vide nulla di simile ad un apriporta simile a quelle che avevano trovato prima.
<< Qua c’è una formina a triangolo se ti può servire.>> gli riferì agguantandolo.<< Sì, mi serve quella!>> sbottò il giovane, osservando più da vicino la serratura che rispecchiava la descrizione ricevuta. Così Ib gliela lasciò cadere di sotto evitando di tirargliela in testa.
<< Dai Ib andiamoooooo!>> piagnucolava Mary che aveva già attraversato il ponte provvisorio e sbatacchiava il nuovo arco di passaggio.
<< Aspetta!>> la rimproverò. Voleva parlare ancora un po’ con l’amico, non voleva lasciarlo di nuovo.
<< Non ti preoccupare ci rivedremo ancora, promesso! E mi dispiace per prima>> la rincuorò.
<< Hahahahaha ti avevo già perdonato. Allora stai attento! Devi arrivare intero intesi? Non me ne vado da qui senza di te.>> gli promise mimando con il mignolo il giurin-giurello.
<< Ricevuto capo. Ma fai attenzione anche tu.>> sghignazzò lui e copiò il gesto.
Con l’ultimo scambio di battute l’impazienza di Mary ebbe la meglio, trascinando la povera Ib verso i nuovi locali e sciogliendo ancora il gruppo. Il ragazzo rimase ancora un attimo ad osservare le siluette della giovane che passava senza problemi la passerella, poi proseguì anche lui per la sua strada sebbene in ansia, ma con la speranza che la promessa che si erano fatti li avrebbe ricongiunti di nuovo.

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