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di dreamfanny
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bentornato? ***
Capitolo 2: *** Piacere di conoscerti? ***
Capitolo 3: *** Quale festa? ***
Capitolo 4: *** Vecchi dolori ***
Capitolo 5: *** Rivelazione ***
Capitolo 6: *** Decisione ***
Capitolo 7: *** Cattivo tempismo ***
Capitolo 8: *** Fantasma dal passato ***
Capitolo 9: *** Restare o non restare? ***
Capitolo 10: *** Esitazione ***
Capitolo 11: *** In una nuvola di ricordi ***
Capitolo 12: *** Il primo di tanti ***
Capitolo 13: *** Un passo in avanti ***
Capitolo 14: *** Visione inaspettata ***
Capitolo 15: *** Non sei solo ***
Capitolo 16: *** Un nuovo inizio ***



Capitolo 1
*** Bentornato? ***


Bentornato? 
 


Il locale era vuoto. Le luci spente, si poteva vedere appena dove fossero i tavoli. La porta si aprì lentamente e si richiuse dopo pochi secondi. Un uomo sui vent’anni, capelli biondi, alto e con una cicatrice sull’occhio destro entrò e si incamminò verso il bancone. Posò la sacca sopra uno degli sgabelli e si diresse verso gli scaffali pieni di alcolici.
«Sei tornato» una voce dalle scale al fondo del locale lo fece voltare. Un anziano di piccola statura lo fissava arrabbiato e contento allo stesso tempo.
«Sono solo di passaggio, mi fermo per qualche giorno e poi riparto. Non ti darò fastidio, tranquillo. Ho solo bisogno di un posto dove dormire» rispose, mentre si versava qualcosa in un bicchiere.
«Bene. Dovrai dare una mano al bar se vuoi restare» disse l’anziano, voltandosi e scomparendo nella porta dell’appartamento situato al secondo piano.
«Tsk. Dannato vecchio» mormorò tra sé dopo aver bevuto in un solo sorso dal bicchiere. Prese la sacca e andò verso le scale. Quel locale era stata la sua casa per 15 anni e lo aveva amato fin dal primo momento che vi era entrato. Erano cambiate tante cose da quel giorno, ma rivederlo sempre uguale dopo tanti anni era in qualche modo confortante. Forse sarebbe rimasto per più di qualche giorno. Forse.
 
«Ma che…» aprì gli occhi e saltò sul letto, dopo che una secchiata di acqua ghiacciata lo aveva colpito in pieno viso. «Ehi, vecchio! Ma che fai?»
«Ti ho chiamato più volte, Laxus. A quanto pare hai ancora il sonno pesante, non ho trovato altra soluzione che questa. Muoviti, tra qualche ora apre il locale e devi andare a comprare alcuni prodotti al mercato».
«D’accordo, d’accordo. Mi faccio una doccia e vado. Lasciami la lista sul comodino»
Alcune cose potevano anche cambiare. Essere svegliati in quel modo non era una cosa che gli mancava, per niente. Dannato vecchio, sempre uguale.
Andò nel bagno di fianco alla sua camera e si lavò velocemente. Dopo essersi rasato, si pettinò, si vestì e scese al piano di sotto. Si bloccò sulle scale. Una ragazza canticchiava dietro al bancone, mentre asciugava i bicchieri che aveva appena lavato. I lunghi capelli bianchi le cadevano morbidi sulle spalle, un vestitino rosa senza spalline e lungo fino al ginocchio delineava le sue forme perfette. Stupenda, pensò Laxus. Sarebbe rimasto lì per ore ad osservarla e a sentirla cantare, ma qualcosa lo colpì in testa.
«Lei è off-limits. Dimenticatela»
«Tsk. Sei troppo vecchio per lei, dovresti pensare a qualcuna più della tua età sai? Ormai potresti essere…»
Un altro colpo in testa «Ehi! Smettila!»
«Stupido ragazzo. Non riusciresti nemmeno a tenerle testa, quindi lasciala perdere prima che lei ti dia una lezione» e scese le scale.
«Mira, come mai sei qui a quest’ora? Il tuo turno inizia oggi pomeriggio.»
«Lo so, Master. Ieri non avevo finito di ripulire e sono passata prima di andare a lezione. Me ne vado subito» rispose la ragazza con un bellissimo sorriso sul volto. Più si avvicinava e più le sembrava una dea, le sue curve, il suo viso, i suoi occhi. Occhi? Erano stupendi opali. Scosse la testa energicamente per distogliersi da questi pensieri idioti.
«Io vado, ci vediamo più tardi» disse uscendo. La ragazza lo guardò confusa, non si era accorta di lui fino a quel momento. Gli sorrise ugualmente e tornò ad asciugare i bicchieri.
«Mio nipote, Laxus» sentì dire dal vecchio mentre la porta si chiudeva.
 
La spesa al mercato richiese più tempo del previsto. I commercianti, che lo conoscevano da tempo, lo fermavano per salutarlo e chiedergli informazioni sulla sua assenza in città. Rispondeva sempre con poche parole, ma senza essere scortese. In fin dei conti, non era colpa loro tutto quello che era successo. Era partito due anni fa perché non ne poteva più della guerra tra suo padre e suo nonno, odiava essere messo in mezzo e dover prendere sempre le parti di qualcuno. Quell’ultima volta… era stata la goccia, doveva andarsene. Subito. E così aveva fatto. Un unico biglietto sul tavolino del soggiorno della casa in cui viveva con suo nonno, una sacca piena di qualche vestito e dei documenti ed era uscito dalla porta senza ripensamenti. Non aveva salutato nessuno. Non che sarebbe mancato a qualcuno, in realtà. Forse anche per quello era voluto andarsene così. Aveva girato di città in città, trovando qualche lavoro e imparando molti più mestieri di quanto avrebbe pensato. Dopo due anni, però, si era reso conto che gli mancava casa. Le strade conosciute, i volti visti e rivisti migliaia di volte. Il locale e la palestra in cui si era allenato per anni. Persino quel vecchio e il suo bastone. A una cosa non aveva mai pensato in tutti quei mesi, a suo padre. E tanto gli era bastato per rendersi conto che doveva tornare. Doveva rivedere quei luoghi e capire cosa fare della sua vita, perché fino a quel momento non aveva concluso poi molto.
Dopo due ore tornò al bar, finalmente pensò. Era ancora chiuso, ma alcuni camerieri e cuochi erano già arrivati. Suo nonno era seduto su uno degli sgabelli e parlava con un ragazzo dai capelli rosa. Gli ricordava qualcuno, ma non riusciva a…
«Laxus!» gli gridò allora, correndo verso di lui.
«Natsu» disse lui senza espressione. Posò le buste e gli scontrini sul bancone. «Li devo portare in cucina o..?»
«Li prendo io» una ragazza dai capelli rossi afferrò le buste con forza e scomparve in cucina.
«Oi! Dove sei stato tutto questo tempo? Non hai nemmeno salutato. Dai, racconta!»
Si voltò verso Natsu e vide che lo guardava con ammirazione e aspettativa. Era cresciuto molto in questi due anni, chissà se era migliorato anche nelle arti marziali.
«In giro per il paese».
«Uo! Bello! Sarei venuto anche io se me l’avessi detto. Anche se in effetti avrei dovuto prima diplomarmi…» all’improvviso diede un colpo sul bancone «Sono in ritardo per la lezione! E chi la sente Lisanna ora? Ciao nonnetto. Ciao Laxus, non scomparire ancora! Mi devi la rivincita» e scappò fuori dal locale.
«Ancora con quella storia?» disse fra sé e sé, sorridendo.
«Si è impegnato molto in questi mesi. Suo padre è mancato, sai? L’anno scorso. Un incidente d’auto.»
Laxus fissò il vecchio per qualche minuto. Natsu adorava quel uomo, lo idolatrava. Doveva essere stata dura accettare la sua morte. «E dove vive ora?»
«In un appartamento nel quartiere, la loro casa era troppo costosa ed è dovuto andarsene. Lavora qui, nel turno serale.»
«Mi dispiace» disse sincero, voltandosi per nascondere la tristezza che lo pervadeva in quel momento. Sicuramente a lui non sarebbe mancato suo padre, ma il vecchio… lui sì. Poteva solo immaginare cosa stesse provando Natsu.
«Allora, cosa devo fare nel locale?» chiese per cambiare argomento.
«Ricordi ancora come si preparano i cocktails, vero?»
«Tsk. Certo»
«Bene, allora lavorerai come barista. Entrambi i turni.»
«Sia a pranzo che a cena? La mia stanza non vale così tanto»
«Hai detto che resterai solo per qualche giorno, giusto? Non credo che tu abbia altro da fare» lo rimbeccò suo nonno, dirigendosi verso l’ufficio sotto le scale.
«E tu che ne sai?» disse infastidito, sapendo che la conversazione era già finita. «Tsk. Ho molte cose da fare, invece» borbottò.
 
 

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Capitolo 2
*** Piacere di conoscerti? ***


Piacere di conoscerti?
 
 
Si mise le cuffie e alzò il volume al massimo. Sfogliò il libro che aveva davanti e lesse alcune pagine. Ricordava come preparare i cocktails, ma una ripassatina non faceva mai male. Quando si trattava di fare qualcosa voleva sempre dare il meglio, come volesse dimostrare a qualcuno che valeva più di quanto credessero. Diede un’occhiata agli scaffali dietro al bancone, passando in rassegna gli alcolici per verificare che non mancasse nulla. Poi prese dal frigorifero lì vicino qualche limone e iniziò a lavarli e tagliarli a fettine. Controllò che ci fossero ghiaccio e bicchieri puliti. Muovendosi appena al ritmo della musica, sistemò per bene tutto quello che gli sarebbe servito durante il primo turno e, dopo aver ripulito bene il bancone, si sedette su uno degli sgabelli e chiuse gli occhi. Voleva godersi quella canzone, era una delle sue preferite. Passati appena pochi secondi un colpo alla spalla lo ridestò. Si tolse le cuffie e si voltò.
«Freed»
«Ciao Laxus» gli disse un ragazzo dai lunghi capelli verdi raccolti in una coda. «Allora lavorerai davvero qui, eh?»
«Sì, il vecchio pretende un “pagamento” per poter usufruire della mia camera. Roba da matti!» disse scuotendo la testa.
«Sono contento che tu sia tornato. Che ne dici se sabato andiamo a fare un giro con Bixlow ed Ever, saranno felici anche loro di vederti.»
«Certo, perché no?»
«Bene, allora ci sentiamo per telefono. Ora devo scappare, ho un corso tra qualche minuto e sono già in ritardo» con un sorriso si avviò verso la porta. Poi, quasi ripensandoci, si voltò e gli disse con un velo di tristezza «Non partire di nuovo senza dire nulla. Nonostante quello che pensi, sei mancato a molte persone» e uscì con passo veloce.
Laxus si rimise le cuffie e si alzò dallo sgabello. Freed. Si sarebbe aspettato gli saltasse addosso e iniziasse a idolatrarlo, invece… sospirò e sorrise, dirigendosi verso la parte posteriore del locale, dove si trovavano gli armadietti dei camerieri e dei cuochi, per indossare la divisa. Si guardò intorno e vide il suo nome su un’antina di metallo. Mise la combinazione che gli aveva dato poco prima suo nonno e trovò una maglietta bianca con lo scollo a V e dei pantaloni.. rossi? Ma che…? Scosse la testa e sospirò, facciamolo e non ci pensiamo si disse.
Si stava sbottonando i pantaloni quando si sentì improvvisamente osservato. Si voltò e vide una ragazza dai capelli corti viola che lo guardava «Ehm, magari noi usciamo…»
«Non vi scandalizzerete mica di vedere un uomo in mutante vero? Andiamo…» sbottò con un sopracciglio sollevato, notando solo in quel momento un’altra ragazza dai lunghi capelli rossi. È quella che ha preso le buste poco fa. Non frequentava la palestra? Lo squadrò e gli rispose semplicemente «Di solito si arriva al locale già in divisa per evitare questo tipo di situazioni. Visto che sei nuovo chiuderemo un occhio, ma la prossima volta vieni preparato».
A quelle parole alzò anche l’altro sopracciglio e la fissò incredulo e arrabbiato. Nuovo? Lui era il nuovo arrivato? Tirò giù la cerniera e si tolse i pantaloni, mentre la guardava con il viso impassibile. «Per questa volta lo spettacolo è gratis, ma dovrete farmi vedere qualcosa anche voi…» disse accennando un ghigno.
La rossa prese l’altra ragazza e la trascinò fuori dalla stanza.
«Quanto scalpore…» sorrise sarcastico, mentre finiva di vestirsi. 
Fece un lungo sospiro e uscì anche lui.
Sarà una lunga giornata.
 
Per pranzo non arrivarono molte persone, fuori aveva iniziato a piovere e le strade erano quasi deserte, quindi passò le quattro ore successive quasi sempre appoggiato al bancone ad annoiarsi. Suo nonno non si era fatto vedere e lui non conosceva ancora nemmeno il nome dei suoi “colleghi”. Una volta che il locale fu vuoto, la ragazza dai capelli viola iniziò a pulire i tavoli in attesa che arrivassero altri clienti. Non avendo altro da fare, Laxus si avvicinò e le chiese se avesse bisogno di aiuto.
«Ah.. n-no, io posso… posso fare da sola, grazie» gli rispose con un sorriso forzato.
Si voltò per ritornare al bancone, ma all’ultimo ci ripensò. «Senti, mi spiace se ti ho “scandalizzato” prima. Non succederà più, quindi stai tranquilla. Mi chiamo Laxus, tu sei…?» Non sapeva nemmeno perché lo stesse facendo, però sembrava così spaventata quando lo aveva visto arrivare. Sì, a volte poteva essere un po’ diciamo poco simpatico, ecco, ma non per questo era un mostro a due teste pronto a divorarti. Gli porse una mano e provò a sorridere, o meglio ad alzare leggermente il lato sinistro della bocca. Era il massimo che poteva fare. Lei sbatté le palpebre più volte e poi gli strinse la mano «Kinana».
«Bene, Kinana. Hai bisogno di una mano? Non ho poi molto da fare lì dietro…»
«Potresti pulire i tavoli da quella parte» gli rispose, indicando quelli vicino alla porta d’ingresso.
Laxus prese uno straccio dalla sua mano e, dopo aver annuito con fare militare, si allontanò.
Sarà una lunghissima giornata.
 
Dopo aver ripulito il locale e aver servito gli unici due clienti del locale, i due cuochi e i camerieri si sedettero in fondo al locale e mangiarono qualcosa insieme. Non parlò molto, era più un tipo che osservava. Non era mai stato molto bravo nelle relazioni sociali, quindi aveva finito per stare zitto quasi tutto il tempo. Kinana cercava di coinvolgerlo nella conversazione, ma lui annuiva soltanto mangiando il piatto di pasta e guardandosi in giro. Dove diavolo era finito suo nonno? All’improvviso, la ragazza dai capelli rossi gli disse «Sono Erza».
«Laxus» gli rispose alzando gli occhi.
«Gareggi ancora?»
«No, non più. Sei una mia ammiratrice?» ammiccò per provocarla. Si divertiva a mettere a disagio le persone, era una cosa che faceva sempre quando si stava annoiando.
Lei arrossì e balbettò un «N-no..» prima di tornare a mangiare la sua fetta di torta alle fragole.  
Se la ricordava, anche se in due anni era cambiata parecchio. Suo nonno ne parlava spesso, era una delle giovani promesse di cui si vantava con gli altri. Rise fra sé e sé. Lui e le sue giovani promesse, tutte ragazze ovviamente. Vecchio pervertito.
 
Finalmente nel tardo pomeriggio arrivarono i ragazzi del turno serale. Stava servendo uno dei clienti al bancone quando Natsu si avvicinò.
«Ehi, Laxus! Lavori qui? Che figo!»
«Ciao» gli disse senza troppo entusiasmo. Era stato distratto dalla ragazza dietro di lui. Mira. Si sentiva come in quei film dove la bella entra nella stanza con la luce puntata addosso e i capelli mossi dal vento e tutti la fissano a bocca aperta. Il suo volto non esprimeva nessun tipo di sentimento, ovviamente. Ma quella era la sensazione. Indossava la divisa del locale e la maglietta le stava così bene che forse si fermò un po’ troppo a fissarle… «Visto qualcosa che ti interessa?» disse una voce vicino a lui. Sbatté le palpebre e, quando vide che era proprio lei ad avergli fatto la domanda, arrossì leggermente. Distolse lo sguardo per nascondere l’imbarazzo «Hai delle belle tette, tutto qui.» Immaginò di tirarsi uno schiaffo sulla fronte. Perché lo aveva detto? Dannazione. Sentì un’aura malefica provenire dalla ragazza e, anche se non voleva girarsi, lo fece. Lei aveva gli occhi sgranati e probabilmente lo avrebbe ucciso se non fossero state presenti così tante persone. Lui ammiccò, cercando di essere disinvolto. Gli altri lo fissavano terrorizzati. Natsu non sapeva bene cosa dire, continuava a guardare prima Laxus e poi lei.
«Piacere, Mirajane» con un sorriso stampato sul volto gli porse una mano «E ti conviene non guardarle troppo, visto che non potrai mai toccarle.»
Laxus inarcò le sopracciglia e sogghignò. «Se lo dici tu. Sono Laxus» e le strinse la mano. Si fissarono negli occhi per qualche minuto, ma nessuno dei due parlò. Il suo sorriso era stupendo e terrificante allo stesso tempo e lo aveva pietrificato. O ammaliato? Quella donna lo confondeva.
«Che cosa state facendo?» la voce di suo nonno interruppe la sfida di sguardi e i presenti quasi sobbalzarono tanto era tesa l’atmosfera.
«Laxus stava per essere ucciso da Mira» rispose Natsu ridendo.
«Capisco. Bene, ora andate tutti a prepararvi per il turno. Tra poco il locale sarà affollato.»
Con dispiacere, Laxus sentì il tocco della mano di Mira svanire lentamente. Lei gli lanciò, sì perché sembrava volesse colpirlo, un altro sorriso e si allontanò insieme agli altri, incominciando a chiacchierare come se nulla fosse successo.
Laxus sospirò e si voltò verso suo nonno. «Che c’è? Le ho solo fatto un complimento» e fece finta di pulire il bancone. Makarov aprì la bocca come per dire qualcosa, ma poi scosse la testa e andò in cucina.
 
La serata fu impegnativa, c’erano molti clienti e, essendo da solo al bar, doveva servire quelli seduti al bancone e preparare i cocktails anche per i tavoli. Ogni tanto osservava Mira e si chiedeva cosa dannazione gli era passato per la testa. Non che dovesse fare colpo su di lei, ma poteva evitare quel commento visto che avrebbe dovuto lavorare insieme a lei. Scosse la testa mentre versava della vodka in un bicchiere e lo porgeva ad un uomo davanti a lui. Ora che ci pensava non aveva ancora visto suo padre, che fine aveva fatto? Avrebbe dovuto chiederlo a suo nonno più tardi. E magari avrebbe anche potuto fare un salto in palestra, giusto per vedere com’era dopo due anni.
Una donna sulla trentina, lunghi capelli biondi e una scollatura piuttosto profonda lo distolse dai suoi pensieri. «Che fai dopo il lavoro?»
«Niente che tu possa reggere» le rispose.
«Oh, non fare il difficile. Non avrai mica la ragazza…»
«No». Era davvero bella, ma non aveva voglia di flirtare. Era stata una giornata pesante ed era esausto.
«Allora potresti anche divertirti con me. Potrei mostrarti qualcosa, sai?»
«Non sono interessato» disse secco.
«Laxus, ho bisogno di un bicchiere di vino per il tavolo 10»
«Arriva, Kinana. Se vuole scusarmi» e si allontanò. Lei continuava a guardarlo, sentiva il suo sguardo ogni volta che si muoveva. Continuò comunque ad ignorarla.
Nel frattempo, Natsu correva da un tavolo all’altro ridendo e chiacchierando con tutti. Vederlo così allegro gli tolse un peso dal cuore. Lo conosceva fin da quando era piccolo, suo padre era un vecchio amico del nonno. Non aveva mai capito come si fossero incontrati, ma appena aveva compiuto 10 anni aveva iscritto Natsu ai corsi in palestra, quasi fosse un rito di passaggio fargli imparare le tecniche che insegnava suo nonno. Ovviamente, essendo più piccolo di lui, non avevano mai avuto lezioni insieme ma qualche volta venivano a cena da loro e finiva a giocare con Natsu a qualche videogame sui draghi. Era ossessionato dai draghi, ne aveva a migliaia sparsi per tutta la stanza. Sorrise al pensiero di quel ragazzino sempre spensierato dai capelli a spazzola rosa e si ripromise di parlare con lui e capire come se la stesse cavando. Si era iscritto all’università da quanto aveva capito. Chissà perché poi, non aveva mai voglia di studiare da quello che si ricordava.
Una mano sfiorò la sua. «Potrei soddisfarti in modi che nemmeno immagini».
Sospirò, guardò quella donna, sospirò di nuovo e «Ne dubito ed è il caso che le chiami un taxi prima che qualcuno approfitti di.. insomma, questo» concluse indicandola.
«Tutto a posto?» Mira si era avvicinata e con un sorriso guardò la donna, che aveva iniziato a protendersi verso di lui. Laxus sospirò ancora. «Sì, devo chiamare un taxi. Puoi occuparti un attimo di lei?»
«Non puoi andartene nel bel mezzo del turno, sei l’unico barista stasera. E poi…» si avvicinò a lui e gli sussurrò «… non credo sarebbe molto carino andare a letto con lei in questo momento, magari chiedile solo il numero».
Laxus iniziò a ridere e si allontanò, lasciandola confusa. Lei si voltò verso la donna e le sorrise di nuovo. «Ehm, ritorna subito. Vuole dell’acqua? Forse è meglio smetterla con questo…» le disse, provando a toglierle il bicchiere dalla mano.
«Non farti ingannare da quel bel visino e dai suoi muscoli e… insomma, prima o poi ti fregano sempre. Ti fanno innamorare e quando sei bella che fregata ti lasciano per una più giovane. Una come te, insomma. Non farti fregare».
Laxus era tornato e seguiva la conversazione con finto interesse. Quando Mira si accorse di lui, sussultò appena e lo trascinò dove non potesse sentirli. «Non ti lascio andare via con quella donna, hai capito? È evidente che non sta bene, non puoi.. non puoi andarci a letto e tanti saluti».
Laxus scosse la testa. «Ma chi credi che sia? Ho chiamato un taxi per lei. Solo per lei. Non ho intenzione di fare nulla, solo di mandarla a casa. Non sono mica un mostro assetato di sesso».
Mira arrossì a quelle parole e aggiunse incerta «Oh.. io… d’accordo, scusa. Sembrava che..»
«Siccome ti ho detto che hai un bel seno allora vuol dire che non vedo l’ora di farmi qualunque donna mi passi a tiro?» la provocò. Le sue guance divennero ancora più rosse e lui ghignò.
«Diciamo che non è la prima cosa che si dice ad una ragazza la prima volta che la incontri, ecco. Ovvio che mi sia fatta quell’idea di te. Comunque non importa, puoi fare quello che vuoi fuori dal locale» disse allontanandosi in fretta. Laxus sorrise e la osservò mentre prendeva un ordine dalla cucina. Lei alzò lo sguardo e, quando si accorse che la stava guardando, arrossì di nuovo e fece quasi cadere il piatto che aveva in mano. Trattenne una risata e continuò a fissarla, ma Kinana lo chiamò e dovette allontanarsi.
«Dimmi, Kinana»
«È arrivato il taxi»
«Bene, la vedi quella donna? Dovresti accompagnarla fuori, non posso allontanarmi dal bar».
«Mmm… certo».
Ritornò a guardare Mira e sorrise. E il demone che voleva uccidermi qualche ora fa dov’è finito?













Note dell'autore.
Ringrazio le persone che hanno iniziato a seguirmi e che hanno commentato. Spero continiuate a leggere la mia storia!

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Capitolo 3
*** Quale festa? ***


Quale festa?

 
La mattina successiva si svegliò a fatica: era tornato da un solo giorno ed era già esausto. Lo aspettava una settimana pesante al locale. Non che gli dispiacesse, ma avrebbe preferito fare un giro in città e organizzare un’uscita con Freed e gli altri. Uscì dalla doccia e andò in camera sua per vestirsi. Mentre apriva l'armadio sentì suo nonno parlare al telefono con qualcuno «Non so come incrementare le iscrizioni. Se non avremo nuovi allievi entro quest'anno sarò costretto a chiuderla. Non ho alternative. O la palestra o il locale, e sappiamo benissimo che non posso lasciare quei ragazzi senza lavoro: metà di loro vive da sola e deve pagarsi gli studi».
Laxus si vestì e andò in salotto, dove lo trovò a camminare nervosamente per la stanza mentre ascoltava il suo interlocutore. Appena si accorse di lui, gli lanciò uno sguardo veloce e si diresse nel suo studio. Non tentò nemmeno di fermalo per chiedergli spiegazioni, sapeva fin troppo bene che non avrebbe funzionato. Si versò del caffè e prese il giornale sul tavolino in salotto. Dopo qualche minuto suo nonno tornò.
«Allora, problemi con la palestra?»
«Perché, la cosa ti interessa?»
«Non fare l’offeso. Qui l’unico che dovrebbe e potrebbe farlo sarei io, ma come vedi sto cercando di comportarmi da adulto. Ora. Posso aiutare in qualche modo, visto che sono qui?»
«Non credo. A meno che tu non abbia qualche migliaia di euro da parte…»
«Se li avessi di certo non sarei venuto a chiederti di dormire nella mia stanza, che, tra l’altro, potevi anche pulire mentre ero via»
«Da quando te ne sei andato, non sono più entrato… » disse distrattamente e con una nota di dolore nella voce. Laxus si girò verso di lui e si fissarono per quelle che sembrarono ore. Avrebbero voluto dirsi tante cose, ma i Dreyar erano una razza particolare, lo aveva imparato con il tempo: poco propensi a slanci di affetto e a parole di spiegazione, preferivano i fatti, anche se spesso non bastavano. Però era l’unico modo che conoscevano per comunicare, quindi Laxus si alzò e avvicinandosi a suo nonno gli strinse la spalla. Lui gli sorrise e poggiò la mano su quella del nipote.
A quanto pare resterò più di qualche giorno.
 
 
Durante tutta la giornata Laxus non pensò ad altro che ai soldi. Non per lui, ovviamente, ma per quella dannata palestra che era stato motivo di scontro nella sua famiglia per anni. Suo padre probabilmente era finito chissà dove ad accumulare denaro, come fosse la cosa più importante al mondo, e aveva lasciato l’attività sul lastrico. Chi mai lo vorrebbe come maestro?
«Ehilà! C’è nessuno?» qualcuno sbatté le nocche sulla sua testa, riportandolo al bancone e al bicchiere che stava asciugando da chissà quanto. Si girò verso destra e vide una ragazza dai lunghi capelli bruni. «Dicevo, mi dai una birra.. barista» ridendo gli diede una pacca sulla spalla.
«Cana. Da quanto sei qui?»
«Abbastanza da avere bisogno di un’altra birra…»
«Quindi quanto... un paio di minuti?»
«Vedo che siamo sempre simpatici!»
Laxus le porse un’altra bottiglia, mentre lei si sedeva di fronte a lui. «A cosa stavi pensando così assorto? Non è che ti bruci il cervello?».
«La tua compagnia è sempre così gradevole».
«Lo so che ti sono mancata» gli rispose con un sorriso enorme e finto. «Sei andato un po’ giro eh? Hai fatto qualche conquista?»
«Birra e sesso. Se non avessi quelle due lì davanti, potrei pensare che tu sia un uomo». Cana lo guardò con un sopracciglio alzato, bevendo un sorso di birra. «Non mi hai risposto, comunque».
«Qualcuna. Ovviamente».
«Gildarts ti ha insegnato bene, quindi» ribatté trattenendo una risata.
Laxus rimase in silenzio. Sospirò. Fece per aprire la bocca, ma ci ripensò e le diede le spalle, fingendo di pulire qualche altro bicchiere. Ci mancava solo Cana. La conosceva da molti anni ed era l’unica che si divertisse ad irritare le persone tanto quanto lui, solo che se eri quello a cui davano fastidio non era poi così piacevole.
«Tranquillo, non lo dirò a nessuno il tuo piccolo segretuccio. Anche se può darsi che il mio vecchio lo abbia già raccontato a qualcun altro, dovresti sapere com’è quando beve un po’ troppo».
Continuava a non ribattere. Non sapeva cosa dire, in realtà. Sapeva a cosa stesse alludendo, ma era una cosa di cui non voleva parlare, soprattutto con lei. Poteva mai raccontarle i dettagli degli “insegnamenti” di Gildarts su come rimorchiare le donne. “Insegnamenti” che, oltretutto, funzionavano solo una volta su dieci. Lo aveva imparato a proprie spese.
«Eri più divertente prima di partire sai?»
«Dubito che tu voglia sapere come facesse il Casanova in giro per la città».
«No, in effetti non voglio. Però è così rilassante darti fastidio, uno dei miei passatempi preferiti».
«Immagino..» sussurrò.
Rimasero in silenzio per una buona mezz’ora e Laxus tornò a pensare alla palestra. Non che potesse poi fare molto per risolvere la situazione, ma suo nonno ci teneva così tanto che almeno doveva provare a “salvarla”. Gli tornò in mente l’ultima volta che c’era stato e un moto d’ira gli fece quasi rompere il bicchiere che stava riempiendo.
Cana lo osservava, sorseggiando la sua birra. «Davvero, va tutto bene?» gli chiese sinceramente interessata.
«Sì, tutto magnifico» rispose ancora arrabbiato per quello che gli era tornato in mente.
«Laxus, al 12 chiedono di te» Kinana lo distolse dai suoi pensieri, guardò verso il tavolo che gli stava indicando e vide Ever, Bixlow e Freed che gli sorridevano.
«Questo è per il 3, potresti portarlo tu?»
«Certo».
 
«Ehi, Boss! Torni in città e nemmeno ce lo dici?»
«Ho scritto a Freed» gli disse, abbracciando Ever. Bixlow lo guardò poco convinto, poi scosse le spalle e gli sorrise di nuovo. Non era uno che si offendeva facilmente, meno che mai con lui.
«Che ci fate qui?»
«Siamo venuti a trovarti, mi pare ovvio» rispose Ever.
«Vuole invitarti alla festa del suo ragazzo» disse Bixlow, guadagnandosi uno sguardo, che avrebbe pietrificato chiunque, da Ever. Freed nascose una risata, mentre lo informava «Domani sera il suo ragazzo compirà gli anni e le sue sorelle hanno organizzato una festa a sorpresa».
«Sì, il suo ragazzo non sa nulla».
«La smettete di ripetere che è il mio ragazzo?» disse Ever irritata. Bixlow e Freed scoppiarono a ridere. Laxus scosse la testa divertito «Chiederò al vecchio di farmi sostituire».
«Davvero?» lei lo guardava con un misto di meraviglia e gioia.
«Dove sarà?»
«Ti passiamo a prendere noi, Boss. Domani alle 20 in punto».
«D’accordo. Ora devo tornare al lavoro, volete qualcosa?»
Le voci si accavallarono e lui li osservava divertito e felice, gli erano davvero mancati. Non lo avrebbe mai ammesso, ma erano come dei fratelli per lui. O dei figli, a seconda dell’occasione. Come ora.
«State disturbando gli altri clienti, smettetela di urlare». Qualcuno lo batté sul tempo. Si voltò verso la fonte della voce e vide Mira in piedi, davanti al loro tavolo, di nuovo con quello sorriso dolce e terrificante. Freed, Ever e Bixlow si zittirono all’istante.
«Scusa Mira, siamo stati poco educati» rispose Freed per tutti e tre.
«Posso prendere le vostre ordinazioni? Oh, Laxus… ci stavi pensando tu?»
La guardò perplesso, poco convinto che l’avesse notato solo ora. «Sì, me ne occupo io. Vecchie conoscenze».
«Capisco» con un altro sorriso si allontanò, ma pochi secondi dopo tornò indietro. «Ever, passi a ritirarla tu la torta vero?» le chiese assorta.
«Certo, non ti preoccupare».
Laxus ascoltò lo scambio con stupore, realizzando a poco a poco. «Lei è una delle sorelle?» chiese deglutendo. Chissà perché era diventato così nervoso. Mira lo guardò confusa.
«Sì, il ragazzo di Ever è suo fratello» intervenne Bixlow.
«Smettila di dire che è il mio ragazzo!»
Mira rise a quella affermazione. «Ci sarai anche tu?» gli chiese.
«Io… credo… non lo so…» Quella ragazza aveva uno strano effetto su di lui.
«Ricordati il regalo. Non si può entrare ad una festa di compleanno senza regalo». Lo disse sorridendo, ma sembrava più una minaccia che un suggerimento.
«D’accordo» decise di non ribattere. In quel momento il suo cervello non sapeva come reagire. Cosa diavolo compro a un uomo? Sarà ancora valido il buon vecchio pallone da calcio?
«Se non sai cosa comprare» tirò fuori dalla tasca del grembiule un foglio piegato «puoi scegliere da questa lista». Laxus osservò il foglio, poi lei. «Hai una lista di regali da cui gli invitati devono scegliere?»
«Certo, mi sembra ovvio. Così da evitare che voi ragazzi compriate dieci palloni da calcio o da basket o da rugby o di qualsiasi altro sport». Lui sgranò gli occhi. Colpito nel segno. «Anche se, di sicuro, tu non stavi pensando a quello, giusto?» lo stuzzicò.
«Assolutamente no. Non abbiamo mica dieci anni» finse di essere offeso.
«Oh, una lite tra innamorati. Come siete carini?». Laxus e Mira si voltarono verso Cana, che stava bevendo dall’immancabile bottiglia di birra e li stava guardando divertita.
«Non essere sciocca Cana, non potrebbe mai essere il mio ragazzo».
«Non credo che saresti in grado di “stare al mio passo”, in effetti» disse Laxus.
«Qualcuno qui è molto sicuro di sé. Non credo mi potrei mai innamorare di te, tanto meno diventare la tua ragazza».
«Scommettiamo?»
«Non hai nessuna possibilità» gli rispose Mira scuotendo la testa. «Non accetterei nemmeno di venire ad un appuntamento con te».
«Prova a ripeterlo un’altra volta, che magari sei più convincente».
Cana, Freed, Ever e Bixlow osservavano lo scambio con la bocca spalancata.
Laxus la guardava con un ghigno, aspettando la sua risposta.
«Domani ricordati il regalo» fu l’unica cosa che Mira disse prima di voltarsi e andare verso la cucina.
«Come pensavo…» sussurrò tra sé e sé. Questa festa sarà uno spasso.








Note dell'autore. 
Ce l'ho fatta! C'è ancora qualcuno che sta leggendo questa storia o avete tutti abbandonato la speranza?
Ringrazio tutti quelli che mi stanno seguendo e che hanno recensito, spero di riuscire ad aggiornare prima d'ora in avanti. So cosa si prova ad aspettare il capitolo di una storia. 
Fatemi sapere cosa pensate di questo nuovo capitolo e non smettete di leggermi :D
 

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Capitolo 4
*** Vecchi dolori ***


Vecchi dolori

 
Scese dalla moto ed entrò nella piazza affollata. Alla sua destra due adolescenti, appena uscite da uno dei negozi, parlavano fitto tra di loro ridendo e ammirando i loro nuovi acquisti. Gli passarono di fianco lanciandogli un'occhiata e arrossendo quando si accorsero che le stava guardando. Sorrise fra sé e sé ripensando agli anni del liceo, alle uscite con Bickslow e all'incontro con Freed ed Ever in quel locale in centro. Chissà se è ancora aperto… prese il cellulare per chiamare i suoi amici, ma la mano di una ragazza si posò sul suo braccio interrompendolo. «Ciao Laxus» lo salutò Ever, dandogli un bacio sulla guancia.
«Ehi». Si guardò in giro in cerca di Freed e Bickslow.
«Ci aspettano al bar all'angolo» gli disse con un sorriso e incamminandosi verso il lato opposto della piazza. 
«Ti ricordi del Nautilus?»
Ever si voltò verso di lui ripensando a tutti i sabati sera che avevano passato in quel posto. «Ha chiuso l'anno scorso: pare che il proprietario vendesse droga usando il locale come copertura». Laxus sgranò gli occhi. «Già! Pensa che la sera in cui hanno fatto la retata avevamo deciso di andarci. Per fortuna Freed aveva scoperto un nuovo bar e abbiamo cambiato programma..»
«Peccato, avrei voluto tornarci» disse contrariato Laxus.
«Ne hanno aperto un altro al suo posto, potremmo andarci questo sabato se vuoi?» chiese Ever con una nota di speranza. Lui le sorrise e annuì con la testa. Mentre Bickslow e Freed uscivano dal bar e li raggiungevano, Ever corse loro incontro con entusiasmo «Indovinate? Laxus vuole andare al Mon Amour questo sabato!». I due ragazzi aprirono gli occhi con meraviglia e gioia e guardarono verso il loro amico, chiedendo conferma. Quando Laxus disse loro che non vedeva l'ora di passare la serata come qualche anno fa, non si trattennero e lo abbracciarono tutti e tre. Cercò di resistere il più possibile, ma non era una delle sue cose preferite insomma. «D'accordo ragazzi, fantastico. Ora torniamo in noi però..» disse dandogli pacche sulle spalle per allontanarli. 
«Vi ricordate la prima volta che ci siamo visti al Nautilus?» chiese Freed a nessuno in particolare.
«Come potrei dimenticarmene? Bickslow ha cercato di rimorchiare una ragazza di cinque anni più grande e si è ritrovato con il suo cocktail rovesciato in testa» rispose Ever scoppiando a ridere, mentre Bickslow faceva il broncio e stortava il naso «Non è andata esattamente così…» cercò di controbattere «Le è caduto, infatti era finito sui miei pantaloni… vero Laxus?». Lui stava cercando di trattenersi perché aveva chiaro in mente l'episodio e lo aveva preso in giro per giorni: «Se lo dici tu…» gli disse poco convinto. Bickslow finse di essere offeso e scosse la testa contrariato. «Sabato ti farò vedere!» lo sfidò porgendogli la mano. Laxus rise e gliela strinse, mentre Freed rompeva la presa a suggellare la sfida. Ever scosse la testa divertita e li spinse dentro uno dei negozi vicino. 

~~~~~~~~~~
 
Due ore dopo non avevano ancora comprato nulla, nonostante avessero girato tutta la piazza non avevano trovato nessuno dei regali sulla lista di Mira. 
«Perché non gli compriamo una maglietta?» propose Freed, mentre si trovavano nell'unico negozio in cui non erano ancora entrati.
«Gliene hanno già comprate troppe. Mira mi ha detto di farvi prendere qualcos’altro» gli rispose Ever distrattamente.
«Non abbiamo molte alternative, anche perché tra poco devo andare. Ho detto a mio nonno che avrei fatto almeno il turno del pranzo e sono già in ritardo».
«Fammi pensare…» Ever socchiuse gli occhi per visualizzare mentalmente la lista. «Ci sono! Le scarpe sono ancora libere» affermò contenta «Potete regalargliele insieme». 
«Tu che cosa gli regali?» chiese Bickslow allusivo muovendo le sopracciglia. La provocò ancora imitando un bacio nella sua direzione: «Hai in serbo una sorpresina per questa notte?». Non fece in tempo a finire la frase che dovette mettersi a correre, inseguito da una Ever dallo sguardo omicida. Laxus scosse la testa divertito: «Dove ha conosciuto Elfman?» chiese a Freed. 
«Non si sa con certezza» rispose lui pensieroso «Ever cambia argomento ogni volta che ne parliamo, però lui frequentava il nostro stesso liceo e, se vuoi la mia opinione, uscivano già allora» concluse annuendo a se stesso. 
Laxus lo guardava interrogativo: «E noi non ci siamo accorti di nulla?»
«Credo abbiamo cominciato a vedersi qualche mese prima della tua partenza. Avevo notato che sempre più spesso si inventava scuse per non tornare a casa con noi dopo scuola. Tu forse eri troppo…» Freed si interruppe bruscamente, aspettandosi una sua reazione: Laxus era sempre stato molto riservato e persino loro, che erano i suoi amici più cari, sapevano poco o niente della sua vita dato che odiava parlarne. Quindi si aspettava che si arrabbiasse o che facesse finta di nulla, ma Laxus lo guardò sorridendo. 
«Già, ero troppo concentrato su me stesso a quel tempo. Non sono stato un buon amico eh? Mi farò perdonare» gli disse, facendogli l'occhiolino. Freed sospirò sollevato e ricambiò il sorriso proprio mentre Bickslow tornava verso di loro camminando e accarezzandosi la parte destra della nuca, seguito da Ever che, soddisfatta per averlo finalmente colpito, lo guardava con aria trionfante e le mani sui fianchi.
«Ora possiamo andare, il modello che vuole dovrebbe essere al piano di sopra» li invitò a seguirli, rimettendosi la borsa in spalla.

~~~~~~~~~~

Riuscì a tornare a casa solo quando il turno al ristorante era già iniziato, quindi si cambiò in fretta e scese al piano di sotto. Odio essere in ritardo! 
Prima di iniziare a lavorare, passò dall'ufficio di suo nonno sotto le scale. Il locale era molto affollato e la ragazza che lo stava sostituendo al bar sembrava in difficoltà con l'ordine di alcuni clienti. Stava per andare ad aiutarla, ma Erza le si avvicinò e in pochi minuti li servì dandole poi dei colpi di incoraggiamento sulla spalla. Quindi si girò di nuovo verso la porta dell'ufficio e bussò.
«Avanti» la voce di suo nonno sembrava sfinita, era in piedi davanti alla scrivania e di fianco a lui, seduto con un bicchiere di gin in mano, c'era Gildarts. Quando lo videro, cercarono di nascondere la preoccupazione sui loro volti.
«Volevo solo dirti che inizio ora il turno, la mezz’ora di ritardo la recupero la prossima volta. D’accordo?» disse velocemente Laxus facendo finta di niente, già intento a richiudere la porta non aspettandosi una risposta. 
«Ehi, ehi! Due anni che non mi vedi e non mi saluti nemmeno?». Gildarts lo incastrò in un abbraccio e Laxus roteò gli occhi. Dopo qualche secondo lo allontanò per guardarlo meglio: «Come sei diventato grosso!» disse girandosi verso Makarov in cerca di consenso, ma lui era assorto in chissà quali pensieri e non gli diede retta. Allora tornò ad osservare Laxus: «Che mi racconti? Dove sei stato?»
«Un po' qua, un po’ là» rispose atono alzando le spalle mentre osservava suo nonno. Si era seduto alla scrivania e sfogliava dei documenti. «Cos’è successo?» chiese alla fine. Alle sua parole Gildarts sospirò pesantemente e chiuse la porta.
«In questi anni hai mai sentito Ivan? Sai dove si trova?» sussurrò Makarov.
«No, perché dovrei?» rispose Laxus mettendosi sulla difensiva. Suo padre non era un argomento di cui amava parlare, meno che mai con lui. Non aveva voglia di affrontarlo proprio oggi, aveva bisogno di tempo. Incrociò le braccia sul petto e rivolse lo sguardo dalla parte opposta della stanza. Ogni volta che veniva fuori, che avesse dieci anni o venti, si sentiva sempre il figlio di un uomo che non lo voleva. Indifeso e piccolo. Odiava quella sensazione. «Che cos'ha fatto?» bisbigliò a denti stretti. La sua voce esprimeva più dolore che rabbia e non passò inosservata a Gildarts e Makarov, che alzarono lo sguardo verso di lui preoccupati e amareggiati.
«Non è importante, vai pure ad iniziare il turno. Me ne occupo io» gli disse suo nonno con tono affettuoso. Laxus si girò verso la porta e uscì dalla stanza. Sospirò e si massaggiò gli occhi con l'indice e il pollice. Sentì la voce di suo nonno dire qualcosa, ma colse solo un “Non posso coinvolgerlo ancora” prima di andare verso il bancone del bar. Dopo il turno si ripromise poco convinto.
Una ragazza dai capelli bianchi e corti stava riempiendo un boccale di birra. Le ricordava qualcuno, ma non riuscì a capirlo finché lei non si girò e i suoi occhi lo fissarono.
«Posso fare qualcosa per lei?» gli chiese con un sorriso, ma accorgendosi che indossava la divisa del locale aggiunse «Oh, scusa! Tu devi essere Laxus. Meno male che sei arrivato, non sono molto brava al bar». Gli porse la mano, massaggiandosi la nuca imbarazzata: «Io sono Lisanna».
«La sorella di Mira, vero?»
«L'hai conosciuta?» gli chiese illuminandosi.
«Diciamo di sì» sussurrò trattenendo un sorriso. Andò dietro il bancone e servì un cliente appena arrivato, poi si girò verso di lei: «Resti qui o devi servire ai tavoli?»
«Io.. credo di sì… comunque una mano non ti dispiacerà con il ristorante così pieno e Mira mi ha chiesto di controllare che Elfman non torni a casa prima di stasera».
«Capisco» disse divertito dall'aspetto autoritario di una ragazza che sembrava tutt'altro che un dittatore. «Allora ti insegno qualche cocktails, così se avranno bisogno puoi fare anche il turno al bar».
«Grazie!» disse Lisanna entusiasta.

~~~~~~~~~~

L'ora di pranzo passò in fretta e tra i clienti e Lisanna fu molto impegnato, così non ebbe il tempo di pensare a quale nuova idiozia avesse escogitato suo padre.
Verso le 15 l'ultimo cliente lasciò il ristorante e camerieri e cuochi si sedettero per pranzare. Erza stava portando in tavola un piatto pieno di polpette, seguita da Lisanna e Kinana con in mano una ciotola di insalata e una brocca di acqua, quando suo nonno e Gildarts uscirono dall'ufficio e si unirono a loro. Laxus mangiò in silenzio, evitando accuratamente di guardarli. Gli scoppiava la testa e avrebbe voluto solo buttarsi sul letto con la musica a tutto volume. Si sentiva così immaturo: pensava di aver superato quella questione, ma evidentemente si era solo illuso. Guardando la tavolata, che chiacchierava e mangiava sorridente, gli sembrò di tornare indietro nel tempo, quando ancora mangiavano tutti insieme e sua mamma… Che giornata di merda! Prese il piatto vuoto e lo portò in cucina, mettendolo nella lavastoviglie. Inspirò ed espirò per quelle che sembrarono ore, poi finalmente le lacrime smisero di pizzicargli gli occhi e si sciacquò il viso. «Dannazione…» imprecò a bassa voce e si voltò verso la porta che dava sulla sala del ristorante, notando Gildarts che lo guardava apprensivo. Si fissarono senza parlare, poi lui aprì il frigorifero e gli porse una birra. Laxus ne bevve subito un sorso e si appoggiò al mobile vicino al lavandino.
«Lo so che sei una persona di poche parole, a cui non piace mai parlare di quello che gli passa per la mente. Pensi di dover portare tutto il peso del mondo, senza chiedere aiuto a nessuno. Fin da bambino tu… mi ricordi molto tua madre, sai?». Gildarts lo disse con una nota di malinconia, immerso in chissà quali ricordi. Guardò verso Laxus che stava bevendo la sua birra tutto d'un fiato, per evitare che qualche sentimento potesse trasparire dai suoi occhi. Gli sorrise in modo paterno: «Se volessi anche solo fare a pugni con qualcuno, chiamami. Non dobbiamo parlare per forza». Gli diede una lieve pacca sulla spalla e uscì dalla cucina.
Che giornata di merda!






Note dell'autrice

Sorpresa! Sono tornata. Non ve l'aspettavate vero? Dovete avere pazienza con me, giuro che la storia la finisco, solo che… *rullo di tamburi* mi si è rotto il computer! Quindi, oltre ad aver perso la parte di capitolo che avevo già scritto, cosa che ho superato con qualche giorno di lutto, non sapevo bene nemmeno come postare questo capitolo. Alla fine, eccomi qui. In diretta dal mio tablet, che vi assicuro non è il massimo per scrivere. 
Grazie a tutti quelli che hanno letto la mia storia finora, è sempre piacevole sapere che qualcuno ti segue!
Un ringraziamento speciale va a HONEY che, sempre puntuale, mi recensisce con entusiasmo e che spero sia ancora in linea a questo punto. Piccola parentesi: per quanto riguarda Ivan ho qualche headcanon che forse leggerai in questa storia. Per ora posso dirti che ritengo sia “cattivo”, ma che mi ci sia stato qualcosa che ha scatenato questo suo lato: non posso pensare che il figlio di Makarov sia così e, soprattutto, che un orsacchiotto in versione gigante (leggi: Laxus) possa essere nato da un essere del genere. Stay tuned per avere altri dettagli ;)

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Capitolo 5
*** Rivelazione ***


Rivelazione
 
Posò la birra sul bancone d’acciaio e, mentre vedeva la schiena di Gildarts allontanarsi, andò verso la porta che dava sul retro del locale. Aveva bisogno di uscire, di allontanarsi da… tutto. Come siamo diventati sentimentali e infantili pensò prendendo una sigaretta dal pacchetto che teneva nella tasca posteriore dei pantaloni. Si appoggiò al muro e la mise tra le labbra, accendendola con più attenzione del dovuto. Per qualche minuto non sentì altro che il fumo che usciva ed entrava dalla sua bocca. Si passò la mano tra i capelli e tirò indietro la testa, toccando il muro dietro di lui.
«Dannato vecchio…» sussurrò «Cosa diavolo hai combinato questa volta?».
Inspirò un’ultima volta dalla sigaretta e la buttò per terra, spegnendola. Odiava la sensazione di impotenza e fragilità che si impossessava di lui ogni volta che parlava con suo padre e aveva tutta l’intenzione di evitarla, ma non era più un bambino e doveva aiutare suo nonno. Prese il cellulare e iniziò a scrivere un messaggio “Sono in città, incontriamoci al…”. Un rumore lo fece sussultare, teso com’era per quello che stava facendo, e per poco il telefonino non gli cadde dalle mani. Lo rimise in tasca e rientrò nella cucina. Dietro ad un mucchio di tovaglioli e cannucce Lisanna si affannava a raccogliere dei pezzi di vetro. Laxus si avvicinò e le posò una mano sulla spalla, ma prima che potesse parlare lei si mise ad urlare e lo spinse all’indietro. «Elfman!».
Laxus si rialzò frastornato e confuso. «Lisanna sono io…» un pugno lo colpì sulla guancia sinistra. Si voltò furioso e già pronto a picchiare chiunque lo avesse colpito, ma si fermò non appena vide dei capelli bianchi e un ragazzo di due metri che lo guardava come se volesse ucciderlo.
«Un vero uomo non attaccherebbe mai una ragazza indifesa»
«Un vero uomo non colpirebbe qualcuno alle spalle» ribatté Laxus «La volevo solo aiutare. Sono Laxus, a proposito». Sporse la testa di lato, cercando Lisanna dietro le enormi spalle del fratello, che le si era messo davanti per difenderla. «Ti ricordi di me, no? Quello che ti ha aiutato a preparare cocktails per tutto il turno» le chiese ironico.
Da dietro Elfman, lei gli sorrise imbarazzata «Scusa, non pensavo fossi tu. Fratellone è tutto a posto».
«Non mi fido di te» disse Elfman continuando a guardarlo arrabbiato.
«Nemmeno io se è per quello. Com’è che stai con Ever da tutto questo tempo e non l’ho mai saputo, eh?».
L’espressione di Elfman cambiò improvvisamente: la sua altezza e la sua mole si ridussero quando si rese conto chi aveva di fronte e cercò di balbettare qualche parola di spiegazione. Laxus lo fissava con le braccia incrociate, fingendo di non credergli. Nel giro di pochi secondi la situazione si era completamente capovolta e Lisanna li guardava divertita, cercando di trattenere il più possibile le risate.
Alla fine, Laxus gli porse una mano e gli disse solo «Se la tratti male ti spezzo le gambe». Elfman gliela strinse senza rispondere e si voltò verso la sorella, chiedendole se volesse aiuto per mettere a posto. Constatando che Lisanna non aveva bisogno di lui, Laxus uscì dalla cucina e salì nell’appartamento sopra il locale senza guardare chi stava ancora pranzando. Sentì lo sguardo apprensivo di suo nonno mentre apriva la porta di casa. Anche in sua presenza si sentiva sempre un ragazzino, ma si sentiva al sicuro.
 
°°°°°°°°°°
 
Un’ora dopo era ancora sotto la doccia, il cellulare sul mobile del bagno accesso sul messaggio da inviare. Qualcuno bussò alla porta della sua camera e Laxus fu costretto a spegnere l’acqua e uscire. Si mise un asciugamano intorno alla vita «Entra, ho finito» disse, mentre si strofinava i capelli bagnati.
«Ehm…»
«Nonno che c’è?»
«Non sono Makarov». Laxus posò l’asciugamano sul lavandino e uscì dal bagno confuso, bloccandosi non appena vide chi era entrato in camera sua.
«Mira…» sussurrò portando istintivamente le mani all’asciugamano che aveva in vita. Lei arrossì e lo guardò per qualche minuto, prima che uno dei due riuscisse a dire qualcosa.
«Cosa ci fai qui?»
«Io… Ever mi ha detto che potevi darmi una mano con i preparativi della festa, quindi ecco…» continuava a fissarlo.
«Visto qualcosa che ti piace?» la prese in giro.
Mira sollevò lo sguardo dai suoi addominali ai suoi occhi e, non appena vide il suo sorriso ironico, arrossì ancora di più. «Ho visto di meglio» rispose, buttandogli una maglietta posata sul letto «Vestiti, ti aspetto fuori». E uscì dalla stanza senza voltarsi.
«Come no…» disse fra sé e sé quando lei non fu più a portata di orecchio.
 
La trovò in cucina, intenta a versarsi del caffè in una tazza. La ammirò per qualche secondo prima che lei si girasse e lo notasse. «Vuoi del caffè?» gli chiese per smorzare la tensione che sentiva mentre la guardava.
«No grazie, ma finisci pure. Io intanto mando… faccio una cosa». Si andò a sedere sul divano in salotto e prese il cellulare dalla tasca della giacca che aveva in mano. Sospirò pesantemente, si scrocchiò il collo e si appoggiò allo schienale. Storse il naso e si grattò la testa, prima di rimetterlo di nuovo a posto.
«A chi devi scrivere?»
Laxus sussultò appena, quando sentì la voce di Mira poco distante.
«Non sono affari che ti riguardando. Hai finito?» le chiese quasi arrabbiato.
Mira ritornò in cucina e posò la tazza nel lavandino, svuotandola del caffè rimasto. «Certo, andiamo» gli disse con un sorriso una volta davanti alla porta d’ingresso.
Ci mancava anche il senso di colpa per averle risposto male. Laxus sbatté la porta e scese le scale, salutando suo nonno prima di uscire dal locale.
 
Il tragitto versa la casa dei fratelli Strauss durò più a lungo del previsto e, visti i trascorsi tra loro due, Laxus era piuttosto imbarazzato nonostante cercasse di non darlo a vedere. Ovviamente guidava Mira: lui aveva insistito perché prendessero la sua moto, ma lei aveva bisogno dell’auto il giorno successivo e non poteva lasciarla al locale, quindi ora si ritrovava nel sedile del passeggero con lei che guidava a tutta velocità su una strada piena di curve. Non che avesse paura di fare qualche incidente o di cadere giù dal dirupo alla sua destra, assolutamente no. Era solo che preferiva le moto e, soprattutto, preferiva essere lui a guidare.
«Tutto a posto?» gli chiese Mira, voltandosi verso di lui.
«Guarda la strada» le disse sbarrando gli occhi e aggrappandosi alla maniglia della portiera, proprio mentre svoltavano in un tornante. Lei rise divertita e tornò a guardare davanti a sé.
«Guido su questa strada da anni, non devi preoccuparti».
«Io… non sono preoccupato. Assolutamente!» le rispose, quasi gridando e senza distogliere gli occhi dall’asfalto.
«Non mi vorrai dire che un ragazzo grande e grosso come te ha paura, vero? Mi ricordi Elfman, fa la tua stessa espressione quando è in macchina come me»
«Non mi dire…» sussurrò sardonico.
«Siamo quasi arrivati» gli disse ridendo divertita.
Se non fosse così bella mentre ride, potrei anche odiarla in questo momento pensò voltando la testa verso di lei. Ma che…! Laxus riprenditi! Si riproverò scuotendo la testa e tornando a guardare l’asfalto.
Poco più avanti, circondato da un bosco, vide un gruppo di case identiche disposte attorno ad una piazza.
«Eccoci! Sei ancora vivo come vedi». Parcheggiò davanti ad uno dei viali e scese dall’auto. Laxus aprì la portiera e posò i piedi sull’erba del giardino, indeciso se baciarla o buttarcisi solo sopra. Ancora stordito per il viaggio tutt’altro che tranquillo, andò ad aiutare Mira a scaricare il bagagliaio, dove avevano messo i barili di birra presi al locale.
«Dove vuoi che li porti?» le chiese prendendone uno in mano.
«Sul retro» e gli indicò un cancello a lato della casa.
 
 
°°°°°°°°°°
 
Dopo un paio di ore, il cortile era pronto per la festa: vicino al porticato della casa, tre tavoli erano stati riempiti di vassoi di qualsiasi tipo di pietanza, bibite e alcolici; dalla parte opposta era stato sistemato un piccolo palco, dove una band stava mettendo a posto i propri strumenti e provando il suono; luci e palloncini pendevano dagli alberi e dal tetto della casa e decine di sedie erano state posizionate in diversi punti del giardino. Laxus era seduto su una di queste vicino al palco e teneva in mano il cellulare, esitante nel premere “invio”. Lo fissò per parecchi minuti e, alla fine, lo rimise in tasca scuotendo la testa deciso mentre si alzava e andava a versarsi qualcosa da bere.
«Tutto bene?».
Voltò la testa e vide Mira che lo guardava… è preoccupata?
«Io… sì, tutto a posto. Sono solo stanco» le rispose, sforzandosi di sorridere. Prese un bicchiere e si versò della vodka, riempiendolo. Mira alzò entrambe le sopracciglia e lo guardò inclinando leggermente la testa.
«Mi spiace averti fatto lavorare così tanto, probabilmente avresti preferito riposarti dopo il turno al locale. Posso diventare un po’ insopportabile quando si tratta dei miei fratelli…» gli disse, arrossendo e prendendo una bottiglia di birra.
«Non ti preoccupare, non mi piace oziare. Soprattutto in questi giorni…» bevve un altro sorso di vodka «è venuto bene comunque» disse, indicando il cortile. «A che ore arrivano gli altri?»
Mira guardò l’orologio che portava al polso e sgranò gli occhi «Tra pochi minuti! Devo andare a prepararmi… scusami!». E la vide correre dentro casa, scomparendo alla sua vista.
Buttò il bicchiere ormai vuoto e andò nuovamente a sedersi. Scrisse velocemente un messaggio e si appoggiò allo schienale della sedia, aspettando Bickslow e Freed.
Pochi secondi dopo sentì vibrare il cellulare, aprì l’sms: “Certo, ne parliamo più tardi”. Inspirò profondamente e sorrise prima di alzarsi e raggiungere la band, che sembrava avere qualche problema con le luci.
 
La festa era cominciata da meno di un’ora quando finalmente arrivò Elfman, accompagnato da Ever e Lisanna. Visibilmente sorpreso, scoppiò a piangere appena vide Mira sorridergli e tutti i suoi amici augurargli “Buon compleanno!”. Sembrava un bambino la mattina di Natale: continuava ad andare in giro per il giardino ringraziando chiunque vedesse e gridando «Questa è una festa da veri uomini!».
«Non so per quale motivo, ma lui ed Ever sembrano fatti l’uno per l’altra…»
«Già, pensa che…» Freed venne interrotto proprio dalla loro amica, che si era avvicinata con tre bottiglie di birra.
«Allora Laxus, come è andata oggi pomeriggio?» gli chiese ammiccando.
«Perché, cos’è successo?» Bickslow, che era intento a fissare delle ragazze ballare, si voltò di scatto e guardò Laxus interrogativo. Freed sorrise compiaciuto, scambiandosi un’occhiata complice con Ever.
«Bene, ma non fatevi strane idee voi due. È meglio che le stia alla larga…» rispose, bevendo un sorso di birra e notando Mira che passava tra gli invitati offrendo loro da mangiare. Com’è bella, però. Dannazione!
«Non è il momento, ok? E poi non è da… non sono bravo in queste cose…»
«Non sei bravo in cosa, scusa? A rimorchiare ragazze?» Bickslow continuava a guardarlo interrogativo. «Se sei anche solo la metà di chi eri prima di partire, quella è una delle cose che ti riesce meglio. Anzi, che ne dici di farmi da spalla? Le vedi quelle due…?» e gli indicò una ragazza dai lunghi capelli biondi e una con un caschetto, che ballavano insieme visibilmente ubriache «Io prendo quella a destra, sappilo!»
«Non reggerebbero nemmeno il tragitto verso il tuo appartamento, vomiterebbero per strada e il giorno dopo non si ricorderebbero niente» gli rispose Laxus.
«Ancora meglio!»
«A volte mi preoccupi, sai?» lo guardò di traverso, prima di aggiungere «Scegline altre due. Non ubriache magari. Vai». E lo spinse in mezzo agli invitati. Sorrise nel vederlo alzare il collo, con la bottiglia di birra in mano, osservando ogni ragazza che gli passava davanti. Scosse la testa e si voltò verso Ever e Freed, che stavano ancora aspettando di finire la conversazione.
«Che c’è?» finse di non capire il loro sguardo inquisitorio.
«Dimmelo tu, non ti ho mai visto esitare per una bella ragazza. Non che me ne intenda, ma Mira è proprio il tipo di ragazza che ti piace… o forse hai paura di qualcosa?» lo stuzzicò Freed, che evidentemente lo conosceva più di quanto si aspettasse.
«Paura? Di cosa? Freed, ho detto che non è il momento… e proprio perché è il mio tipo di ragazza non…»
«Mira!». Quasi fece cadere la bottiglia sentendo la voce di Ever gridare a qualcuno dietro di lui. Sgranò gli occhi e bevve un sorso di birra, mentre Freed tratteneva una risata.
«Ciao, vi state divertendo?» si avvicinò con un vassoio pieno di tartine al formaggio e patatine. «Ne volete un po’?»
«No, grazie…».
«Io ne prendo qualcuna, invece» disse Ever.
«Non dovresti goderti la festa anche tu, Mira?»
«Oh, non importa Freed. Elfman si sta divertendo e Lisanna…» Il suo volto, dolce e cordiale, in un attimo si trasformò in quello di una belva pronta ad azzannare la sua preda. «Scusatemi» disse loro sorridendo e lasciando il vassoio ad Ever. La seguirono con lo sguardo e videro Bickslow intento a parlare con Lisanna, che stava ridendo divertita da qualsiasi cosa stesse dicendo. Si guardarono e scattarono nella stessa direzione di Mira, che ormai li aveva quasi raggiunti. Laxus la prese per il braccio e si mise davanti a lei, mentre dietro di lui Freed e Ever trascinavano via un Bickslow perplesso. Lisanna osservò la scena confusa, prima di allontanarsi e andare verso Natsu e Gray, che si stavano rimpinzando al buffet.
Il tutto durò meno di dieci secondi, ma con lo sguardo assassino di Mira puntato addosso per Laxus sembrarono ore.
«Cosa stai facendo?» scandì lei, prima di cercare di superarlo.
«Salvo la vita ad un amico» le rispose spostandosi per non farla passare.
«Questo non è possibile, stava flirtando con Lisanna… e sappiamo entrambi che non voleva portarla fuori per una cenetta romantica» gli disse con un sorriso forzato, senza nascondere la rabbia che provava in quel momento.
«Ci penso io, d’accordo? È un cretino, ma sa quando non deve superare i limiti… nel caso, glielo ricorderò io, va bene?»
Lo fissò per qualche minuto e poi si voltò, camminando nella direzione opposta. Laxus tirò un sospiro di sollievo e raggiunse Ever e gli altri.
«Ma cos’hai per la testa? Lisanna? Davvero? Vuoi farti uccidere, per caso?» tirò uno schiaffo dietro la nuca a Bickslow, aspettando una sua risposta.
«Cos’avete tutti quanti? Ci stavo solo parlando… era da sola, sembrava triste e sono andato da lei» disse mettendo il broncio. «Quanta poca fiducia avete in me…» e incrociando le braccia assunse un’aria offesa.
Tutti e tre lo guardarono poco convinti, prima di scoppiare a ridere. «Mira avrebbe potuto ucciderti davvero, dovresti stare attento sai?» disse Ever «Mi ricordo ancora la prima volta che sono venuta a casa loro. Elfman era tutto agitato e non capivo perché… Finché non ho visto chi era sua sorella. Era cambiata parecchio dall’ultima volta che l’avevo vista, niente più vestiti dark e orecchini con il teschio intendo, ma faceva paura comunque».
«Mira si vestiva con teschi e colori scuri?» Laxus sgranò gli occhi mentre si immaginava la ragazza, che vedeva poco distante da lui con un abito color pesca e i capelli sciolti, con indosso una maglietta nera e ricoperta di borchie e teschi.
«Aspetta… non hai capito chi è?» Freed si voltò incredulo «Non ci credo! È la Demone, era del mio anno ma in un’altra sezione…»
«No…» Laxus sbatté le palpebre più volte, incapace di elaborare quell’informazione. Un flashback passò nella sua mente e scoppiò a ridere, mettendosi le mani sugli occhi e passandosele poi tra i capelli. Andò a prendersi un’altra birra, continuando a scuotere la testa sorridendo e ripetendosi «Non ci credo…». Freed, Bickslow ed Ever lo osservavano confusi, ma dopo qualche minuto lo raggiunsero e lo riempirono di domande.
«Niente, niente… mi è solo venuta in mente una cosa, lasciamo stare».
«Non puoi fare così!» Ever lo guardò arrabbiata, mentre Freed e Bickslow confabulavano tra loro. Laxus le diede delle pacche sulla testa e cercò tra la folla Mira per confermare quello che aveva appena ricordato. La vide intenta a parlare con Erza e un’altra ragazza che non conosceva, ma prima ancora che il pensiero di
andare da lei gli sfiorasse la mente, un pugno colpì il suo braccio destro.
«Ma che diavolo…?» si voltò pronto a controbattere.
«Laxus!» una chioma rosa lo frenò. «Battiti con me!»
Non cambierà mai. Mai. Si disse sospirando pesantemente. 




Nota dell'autrice. 
Eccomi di nuovo, dopo meeesi! Sto cercando di finire questa storia, a cui tengo molto, ma la vita si mette in mezzo e ci sto mettendo molto più del previsto. Abbiate fede comunque e continuate a leggermi! 
Un bacione :)

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Capitolo 6
*** Decisione ***


Decisione
 






Laxus guardò Natsu per qualche secondo, incerto se tirargli un pugno e farla finita o ignorarlo del tutto e prendersi una fetta della pizza che era appena stata posata sul tavolo da buffet. Roteò gli occhi e poi lo fissò serio, sperando che se ne andasse. Invece no, lui era lì davanti pronto ad iniziare un incontro di lotta. Bickslow e Freed smisero di confabulare tra loro e si avvicinarono, mentre Ever osservava scettica la scena.
«Natsu, non hai possibilità contro Laxus…» disse infine Freed convinto.
«Non stai facendo sul serio, vero Natsu?» chiese Bickslow divertito.
«Ehi! Posso batterlo, mi sono allenato tantissimo mentre lui era via… combatti!»
Laxus sospirò ancora, chiuse gli occhi e infine disse solo «No, passo per questa volta», optando per la pizza ancora fumante poco distante. Ne prese una fetta e andò verso il palco sotto gli sguardi dei suoi amici e di Natsu. «Hai paura?» provò a stuzzicarlo Natsu.
«Di te?» e scoppiò a ridere senza nemmeno fermarsi «Passa in palestra uno di questi giorni e ti faccio vedere quanto mi sono allenato io». Addentò un pezzo di pizza e continuò verso il palco, dove la band si stava preparando per la canzone successiva.
Ever e gli altri lo seguirono e si andarono a sedere ad un tavolo in un angolo del giardino, posando i piatti che avevano riempito di cibo.  
«Allora… prima di cosa parlavi?» biascicò Freed tra un boccone e l’altro, fingendo disinteresse. Laxus vagava con lo sguardo per il cortile, osservando gli invitati e notando alcuni ragazzini che si allenavano nella palestra di suo nonno. Sorrise nel vederli cresciuti e si domandò se anche lui appariva così diverso o era solo una sua impressione. Si voltò verso i suoi amici e prese un tramezzino da uno dei piatti.
«Niente di importante, è successo anni fa».
«E ha a che fare con Mira?» chiese Ever.
«Può darsi…» non aveva intenzione di rivelare nulla, almeno per ora.
«Oh! Ora ho capito! Mica mi ricordavo sai? Era lei quella che…» Laxus chiuse la bocca di Bickslow con la sua mano destra, sporgendosi sul tavolo e rischiando di far cadere tutto il cibo per terra. Ever e Freed lo guardarono perplessi e ancora più incuriositi per questo suo gesto improvviso.
«Cosohgeoih…» farfugliò Bickslow, imbrattando la mano di Laxus di cibo.
«Che schifo!» disse lui, ritornando a sedersi e pulendosela con un fazzoletto. «Non dire una parola di più» e lo fulminò con lo sguardo.
«Ohi, ohi, ohi. Questa è bella! Ok, va bene, d’accordo… non dico nulla» ridendo si alzò e scomparve in mezzo alla pista da ballo. Laxus sospirò sollevato e riportò la sua attenzione alla band, mentre Ever e Freed si scambiavano un’occhiata complice e tornavano a mangiare senza insistere oltre.
«Evergreen…» Elfman si sedette di fianco a lei e le sorrise, ricevendo come risposta uno sguardo arrabbiato.
«Cosa fai qui?»
«Ti cercavo, ti va di ballare?»
«No, sto bene qui» disse secca dopo aver preso una pizzetta.
Elfman fece per parlare, ma chiuse subito la bocca e si alzò.
«Dove vai?» Ever lo fermò afferrandolo per il polso.
«Io… non vuoi che…?»
«Siediti» gli disse, spingendolo verso la sedia e addolcendo lo sguardo. Freed sorrise e si voltò verso il palco sapendo bene quanto Ever odiasse mostrare quanto tenesse ad Elfman, soprattutto di fronte a loro.
Qualche minuto dopo Bickslow ritornò da loro accompagnato da Lisanna e Cana.
«Ohh! Ma quanto siete teneeeri!» cominciò subito a stuzzicare Ever e la pace di poco prima scomparve del tutto: lei si scostò dalla spalla di Elfman alla quale era appoggiata e si alzò di scatto per tirare un pugno a Bickslow.
«Ahi!» ribatté poco convinto lui e mimò subito dei baci muovendo le labbra nella sua direzione. Ever sgranò gli occhi e si scagliò su di lui, mentre Elfman arrossiva e balbettava qualcosa di incomprensibile. Bickslow si spostò appena in tempo per evitare un altro pugno e corse dalla parte opposta, proprio dietro Laxus, che perso nella musica non li aveva nemmeno visti arrivare. Guardò il suo amico confuso e notò una Ever infuriata che gli chiedeva di spostarsi gridando «Devo dare una lezione a quel demente!». Non ci pensò due volte e si alzò per cederle il posto.
«Ehi! Dovresti proteggermi, prima non ho detto niente!»
Freed si drizzò sulla sedia e Cana smise di bere. «Di che parla?»
«Niente… basta con questa storia!». Non voleva rispondere in maniera così secca, ma si sentiva un po’ in colpa verso di lei ora che aveva ricordato quel episodio. Avrebbe dovuto parlarne prima con lei forse… Ma che…? Perché dovresti ricordarglielo? In che contesto potrebbe essere una buona idea dire “Ehi! Ti ricordi…? «Sentite, non è nulla di importante. Mi è solo venuto in mente che l’avevo già vista a scuola, d’accordo? Ed era una persona completamente diversa. Tutto qui».
«Di chi stiamo parlando?» chiesero Cana e Lisanna nello stesso momento.
«Di Mira» ammiccò Ever.
«Oooh! Ora ho capito!» disse Cana, tirandogli delle pacche sulla spalla «Ci hai provato e lei ti ha rifiutato?»
Laxus la guardò arrabbiato con la bocca aperta a metà, indeciso su cosa risponderle.
«Ho colpito nel segno?» continuò allora lei, bevendo un sorso di birra. Nel frattempo Elfman si era alzato e si stava avvicinando a lui con fare deciso e Lisanna osservava la scena in silenzio.
«Dai, lascialo stare. Se non vuole dirlo non importa» cercò di stemperare Freed, vedendo quanto Laxus fosse in difficoltà nel trattenersi.
«Veramente…» iniziò Bickslow fermandosi subito «Vieni, Laxus! È ora di trovare qualcuna con cui divertirsi!». Lo prese e lo trascinò dentro la casa, nella cucina che si affacciava sul cortile.
«Grazie…» disse alla fine piano appoggiandosi al bancone.
«Certo che è una bella svolta» rispose lui ridendo mentre apriva il frigorifero, senza farsi problemi a chiedere il permesso ai proprietari. Prese la panna spray e se la spruzzò direttamente in bocca.
«Ahifeak.. ahieca»
«Che…?» rise Laxus, mentre lo vedeva ingozzarsi con la panna.
«No, dicevo» e deglutì prima di continuare «non avevo collegato nemmeno io le due persone, insomma la Mira del liceo e la Mira di Elfman».
Freed entrò nella stanza seguito da Ever proprio mentre Bickslow si prendeva un’altra dose di panna.
«Se ti vede Mira ti ammazza, ne sei consapevole?»
«Non mi vedrà, tranquilla» le disse continuando. Freed osservava la scena sorridendo e scuotendo il capo allo stesso tempo, pensando probabilmente a quanto educato fosse il loro amico.
«Mira… prima che me ne andassi via, uno degli ultimi giorni di liceo, è venuta da me e mi ha dato una lettera in cui praticamente… si confessava, ecco… e io non l’ho nemmeno presa, le ho detto secco che non era il mio tipo e che non sarei mai stato interessato e me ne sono andato…» sputò fuori Laxus. «Mi è tornato in mente prima. Ridevo perché sembrava così insicura e diversa allora… però, davvero, l’ho trattata male… è che Ivan e mio nonno era in un periodo un po’… non mi interessavo a nulla e voi più di chiunque altro dovreste saperlo… ora che ci penso meglio, in effetti, non fa ridere per niente» concluse amareggiato, sedendosi su uno degli sgabelli. Bickslow rimise la bomboletta in frigorifero e si avvicinò a lui, mentre Freed ed Ever lo guardavano non sapendo cosa dire.  
«Ho smorzato l’entusiasmo, vero?» cercò di scherzare Laxus, vedendo gli occhi dei suoi amici.
«Lo avevamo notato, ma sapendo quanto di poche parole tu sia non ti abbiamo mai chiesto nulla. Forse avremmo dovuto starti più vicino... magari se avessi saputo che non eri da solo non saresti andato via…» disse Freed alla fine, abbassando la testa e distogliendo lo sguardo dal suo.
«Sì, diciamo che non sei mai stato un grande oratore! Però ci siamo divertiti lo stesso no? E tu sei di nuovo qui, è questo che conta! Su che lo sappiamo tutti che ci vuoi bene» affermò Bickslow e lo abbracciò senza preavviso. Laxus si scostò leggermente, ma lo lasciò fare. E sorrise quando Freed ed Ever si unirono e lo strinsero ancora più forte.
«Avevo bisogno di andarmene e schiarirmi le idee… è stato meglio così» sussurrò a Freed in particolare.
All’improvviso qualcun altro si aggiunse all’abbraccio e tutti e quattro si spostarono sorpresi.
«Cana!»
«Che c’è? Non ha salutato nemmeno me quando è partito! E lo conosco da molto più tempo di voi…» biascicò tra un singhiozzo e l’altro.
«Ma quanto hai bevuto?» la prese in giro Laxus facendola sedere.
«Non più del solito…» gli rispose e appoggiò la testa sul bancone, addormentandosi subito dopo. Avrebbe voluto chiedergli cosa aveva sentito, ma si rese conto che probabilmente non avrebbe ricordato nulla o quasi della serata quindi sorrise e si sedette su un altro sgabello.
 
 
Alla fine della festa, verso le 4 del mattino, erano rimasti pochi invitati. La maggior parte era andata via dopo il taglio della torta e lo scarto dei regali o quando la band aveva finito la sua performance.
Cana dormiva nella stanza di Mira da qualche ora ormai. Natsu, Erza, Freed e Gray giocavano a carte sul tavolino in salotto. Ever e Elfman erano in giardino a riguardare i regali: una trentina e tutti scelti diligentemente dalla lista di Mira. Laxus era seduto sul divano in soggiorno, poco distante dagli altri, e cercava di restare sveglio.
«Avete visto Lisanna?» chiese all’improvviso Mira uscendo dalla cucina e interrompendo il silenzio del momento. Solo allora Laxus si rese conto che non vedeva Bickslow da parecchio, quindi si alzò dal divano e le rispose «Credo di averla vista andare in bagno, vado a vedere se sta bene».
Lei lo guardò scettica e alzò un sopracciglio a sottolinearlo. «Vado io» scandì andando verso le scale che portavano al piano di sopra. Laxus si guardò intorno cercando Bickslow, ma non trovandolo corse dietro a Mira, pensando già al peggio. Non appena vide che la stava seguendo, si bloccò e si voltò verso di lui «Cosa stai facendo?».
«Io… devo andare in bagno» disse nella maniera più innocente possibile. Deglutì e sorrise. Pessima idea! si pentì subito, lo tradiva sempre sorridere. Infatti, colta dallo stesso pensiero che aveva avuto lui poco prima, Mira ricominciò a salire le scale, questa volta molto più decisa e quasi correndo. Sembrava che ad ogni gradino volesse sottolineare quello che avrebbe fatto non appena l’avesse trovato.
Porca misera, Bickslow!
Arrivati di fronte al bagno, Mira bussò più forte del necessario «Lisanna! Lisanna sei qui?». Non ricevendo risposta, aprì la porta e vide che non c’era nessuno. Guardò Laxus piena di rabbia e andò verso quella che doveva essere la camera di Lisanna. Lui pensò per un secondo di fermarla, ma non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione, quindi la seguì soltanto sperando di riuscire a salvare Bickslow dall’imminente morte. La porta era socchiusa e si sentivano dei singhiozzi.
«Dai, non è poi così male…» la voce di Bickslow cancellò i suoi dubbi. Maledizione! Non fece in tempo a bloccare Mira, lei entrò subito nella stanza e vide Lisanna che stava piangendo disperata, appoggiata a lui.
«Cosa le hai fatto?» gridò scagliandosi su Bickslow, che appena la notò spalancò gli occhi e si alzò dal letto su cui erano seduti. Lisanna si voltò verso la sorella e si asciugò gli occhi, tirando su con il naso.
«No, Mira-nee. Non è come pensi…» e la abbracciò, proprio mentre stava per afferrare un braccio a Bickslow. Laxus colse l’occasione per trascinare l’amico fuori dalla stanza.
«Aspetta…» gli disse lui, fermandosi e liberandosi dalla presa.
«Cosa di quello che ti ho detto prima non ti è entrato in testa? Lisanna è off-limits! Più chiaro di così, io non so come dirtelo…» sussurrò allora Laxus.
«Posso capire perché tutti andiate dritti a quella conclusione, ma non è come pensate. Davvero…» controbatté Bickslow, quasi offeso.
«E com’è allora?» gli chiese incrociando le braccia.
«Non so se posso dirtelo, me l’ha detto in confidenza…». Laxus lo guardò e intravide dell’imbarazzo e del rossore. Sbarrò gli occhi per poi sbattere le palpebre più volte, confuso e divertito da quello che aveva davanti. In tanti anni non lo aveva mai visto così.
«D’accordo, d’accordo. Ti credo. Solo che non so se saprai convincere Mira…»
«Non ce n’è bisogno. Lisanna ha detto che la stava solo consolando e le credo». Le due sorelle apparvero sulla soglia della porta e la minore sorrise loro. Bickslow arrossì ancora di più e Laxus voltò la testa dalla parte opposta per nascondere la risata che stava trattenendo nel notarlo.
 
°°°°°°°°°°°°°°
 
La mattina dopo si alzò a fatica, dopo aver rimandato la sveglia almeno una decina di volte. Era arrivato a casa alle 7 di mattina, dopo aver aiutato insieme agli altri a rimettere a posto il giardino di casa Strauss. Non doveva lavorare visto che aveva chiesto al vecchio due turni liberi per via della festa, ma aveva un impegno e quelle quattro ore di sonno non erano sufficienti.
Si lavò velocemente, si vestì con le prime cose che afferrò nell’armadio e scese al piano di sotto. Nel locale c’era già qualche cliente per il pranzo e intravide Kinana che serviva uno dei tavoli. La salutò con la mano e uscì in strada. Si stiracchiò per la quinta volta da quando si era svegliato e girò l’angolo, dove la sua amata moto lo aspettava nel garage.
In venti minuti si ritrovò nella periferia della città di fronte ad un piccolo bar sulla spiaggia. Si tolse il casco e mise le catene alla moto, mentre si guardava intorno. Quando lo vide, si mise gli occhiali e camminò verso di lui.
«Grazie» gli disse prima ancora di salutarlo.
«Ah, tranquillo. Però lo devi dire anche a tuo nonno» gli rispose Gildarts porgendogli un panino farcito di carne e formaggio.
«Sì, glielo dirò… dopo averlo incontrato». Diede un morso e guardò la spiaggia quasi deserta davanti a loro.
«Gli hai già scritto?»
«No»
«Ti ha scritto?»
«Tsk, figurati…» gli rispose con del rancore che sperava di non avere più.
«Lui non è sempre stato così, sai? Lo conosco da quando eravamo dei bambini e, credimi, se fosse stato così allora, tua madre gli avrebbe tirato un bel pugno in faccia quando gli chiese di uscire» e scoppiò a ridere, probabilmente rivivendo la scena nella mente. Laxus lo ascoltava in silenzio. «È sempre stato un grande ammiratore dei soldi, questo non lo si può negare, ma… dopo che tua madre… è come se qualcosa si fosse rotto per sempre in lui. Non puoi mai sapere come una persona reagisce alla morte di qualcuno» concluse tristemente.
«Non è comunque una giustificazione per quello che ha fatto. L’ho persa anche io… e lui avrebbe dovuto…» non riuscì a concludere la frase, un enorme nodo gli si formò in gola e gli occhi si riempirono di lacrime. Cercò di fermarle: odiava piangere davanti a qualcuno. Odiava piangere e basta! Ma Gildarts gli posò una mano sulla spalla e non riuscì più a trattenersi.
Dopo qualche minuto si asciugò il viso e diede un morso al panino. «Sto bene» disse, più a se stesso che a Gildarts.
«Ah, lo so. Ieri sera ti sei dato al divertimento eh?» chiese per cambiare argomento.
«Direi che lo ha fatto di più tua figlia».
«Cana? Chi ha osato…?» ringhiò allora.
Laxus rise di gusto «Lo sai che detto da te non risulta molto credibile? Con un padre come te, come poteva venire su?».
«In effetti…» e cominciò a ridere anche lui.
Durante l’ora successiva, Laxus gli raccontò delle città che aveva visitato mentre era via e dei posti in cui aveva lavorato, anche se Gildarts continuava a chiedergli quali e quante ragazze avesse conosciuto e se valesse la pena andarci. Sapevo che lui non sarebbe potuto cambiare pensava divertito.
«Scriviamo questo messaggio, dai…» disse all’improvviso, colto dal momento di serenità.
«Va bene» lo incoraggiò Gildarts.
«”Ho saputo che sei in città, ho bisogno di vederti”… diretto! Che dici?» e gli porse il cellulare per avere conferma. Si sentiva terribilmente, incontrollabilmente insicuro, ma sapeva che era una delle poche persone con cui poteva esserlo. Quindi si rilassò quando lui gli ridiede indietro il telefonino e gli chiese «Sicuro? Non devi farlo per forza»
«Sì, invece. Devo affrontarlo, per il nonno. E per me. Soprattutto per me». Cliccò INVIA e sorrise guardando il mare davanti a sé.
















Nota dell'autrice
Eccomi con il nuovo capitolo! 
Forse per qualcuno la storia potrebbe procedere un po' lentamente, solo che non voglio che il tutto si concluda subito e banalmente visto che parliamo soprattutto di un conflitto familiare per Laxus. Pazientate e (spero!) non rimarrete delusi. :)
Ringrazio moltissimo chi mi segue e commenta i miei capitoli, fa sempre molto piacere avere un riscontro! 
Alla prossima, 
dreamfanny. 

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Capitolo 7
*** Cattivo tempismo ***


Cattivo tempismo
 
 


 
Gildarts lo aveva lasciato alla spiaggia per via di un impegno di lavoro che non poteva rimandare. Si era fatto promettere di telefonargli appena Ivan avesse risposto e di parlare con suo nonno, Laxus aveva acconsentito con un cenno del capo anche se non era del tutto convinto. L’ultima cosa che voleva era ritrovarsi di nuovo in mezzo ad una discussione tra suo padre e suo nonno, scegliere da che parte schierarsi e capire chi avesse ragione o torto. Sapeva la risposta, ovviamente, ma questo non rendeva la decisione più semplice.
Voleva godersi ancora un po’ quel sole mattutino e la tranquillità del mare, quindi decise di restare fino all’inizio del turno serale al locale. Avrei potuto mettermi il costume da bagno pensò alzandosi per andare a prendersi un caffè. Diede una rapida occhiata a sinistra per controllare che la sua moto fosse ancora al suo posto e senza danni e chiese al barista «Un caffè lungo e un panino…? Quali avete?». Ascoltò mentre gli elencava le varie farciture e optò ancora per carne e formaggio con un’aggiunta di salsa piccante.
Dopo pochi minuti era di nuovo seduto sulla sabbia a pranzare. Si guardò intorno mentre beveva il primo sorso di caffè e notò a qualche metro da lui tre ragazzi che giocavano a pallavolo in acqua. Sorrise ripensando ad un giorno, durante l’estate prima che partisse, in cui insieme a Freed, Bickslow ed Ever avevano deciso dopo un pomeriggio di noia di andare in una città vicina e passare la notte fuori. Avevano giocato sulla spiaggia e passato la serata a mangiare e bere per poi ritrovarsi alle 6 del mattino sul treno di ritorno tanto addormentati da rischiare di perdere la fermata per Magnolia. Quando era tornato a casa, aveva dovuto sorbirsi una bella ramanzina da suo nonno, anche se avrebbe preferito fosse suo padre a fargliela. Almeno avrebbe dimostrato di avere un qualche tipo di interesse verso di lui. Ma ora importava poco, era sicuro che il vecchio tenesse a lui e aveva imparato che questo era tutto ciò di cui aveva bisogno.
Quanti pensieri malinconici, dovrei tornare a casa forse ma, quando fece per alzarsi, notò qualcuno entrare in mare e decise che restare ancora un po’ non gli avrebbe di certo fatto male.
Finì il panino e il caffè guardandola nuotare e sentendosi un po’ maniaco, a dire il vero. C’ero prima io in spiaggia, in ogni caso. E sto solo pranzando e guardando in quella direzione, non sto mica facendo nulla di male. I minuti passavano, però, senza che lui accennasse a muoversi, quasi incantato da quello che vedeva, come la prima volta che l’aveva vista al locale. O la seconda. Quella è stata memorabile pensò sorridendo Non il migliore modo di presentarsi, ma sicuramente non mi dimenticherà facilmente.
Alla fine si decise ad alzarsi, liberandosi del bicchiere ormai vuoto e dei tovaglioli che aveva usato, per poi avvicinarsi alla riva e cominciare a camminare. Poco dopo Mira uscì dall’acqua e, inutile dirlo, a lui sembrò una dea scesa in terra. Esattamente il tipo di battute da rimorchio squallide che bisogna evitare ad ogni costo, soprattutto quando hai Lei davanti e non una qualunque pensò, mentre la vedeva strizzarsi i capelli e avvicinarsi all’asciugamano che aveva disteso lì vicino. Probabilmente la scena vista da un osservatore esterno sarebbe apparsa in questo modo: Laxus, che aveva accuratamente iniziato a camminare a qualche metro da dove Mira stava nuotando, appena l’aveva vista avvicinarsi alla spiaggia e uscire, aveva iniziato lentamente ad aprire la bocca e non aveva notato quanto fosse spalancata finché lei non aveva preso l’asciugamano e se l’era avvolto intorno al corpo. In quel momento si sentiva come in quel telefilm sui bagnini americani.
Dopo essersi scosso ed essersi guardato intorno per verificare che nessuno avesse notato quello che era appena successo, andò verso di lei cercando di recuperare un po’ della sua sicurezza, che per qualche arcano motivo ogni volta che Mira era nei dintorni tendeva a diminuire e a fargli dire le frasi più idiote.
«Ehi, non pensavo di vederti fino al turno al ristorante» perso nelle elucubrazioni su come dovesse salutarla, non si era accorto che era già praticamente di fianco a lei ed era stato battuto sul tempo.
«Ah, ciao Mira!» Dannazione! Devi calmarti, cazzo. «Sì, dovevo vedermi con Gildarts per… e ho deciso di mangiare un panino e godermi un po’ la spiaggia, visto che non c’è quasi nessuno. Mi piace molto di più quando non è affollata…»
«Anche a me» disse Mira «Di solito vengo con Lisanna a quest’ora, ma non stava bene e voleva restare da sola…»
Laxus si sedette vicino a lei e guardò davanti a sé, essendo più facile essere lucido piuttosto che vedere una ragazza come Mira avvolta in un asciugamano a pochi centimetri da lui. Quella mattina era più vulnerabile del normale, vuoi per la storia di suo padre vuoi perché aveva dormito solo quattro misere ore, sentiva di non riuscire a concentrarsi come le altre volte che aveva parlato con lei.
«È per via della festa o è successo qualcosa? Perché Bickslow non ha voluto dirmi nulla, ma sembrava qualcosa di serio…»
«Diciamo di sì… le passerà, è solo un ragazzo che non ha capito cosa aveva davanti» gli rispose, quasi a voler sottolineare qualcosa. O era lui che, dopo aver capito chi fosse Mira, interpretava le sue parole alla luce di quel episodio?
«Noi uomini non siamo conosciuti per la nostra perspicacia, però dicono che ce n’è sempre uno per ogni donna, abbastanza intelligente da riuscire a cogliere tutti i segnali ed essere alla sua altezza… capita di rado e di solito anche troppo tardi, ma succede» disse in risposta più ai suoi pensieri che alla ragazza che aveva di fianco.
Non ricevette nessuna risposta. Si voltò e vide Mira che lo osservava intensamente. Appena i loro sguardi si incrociarono lei gli sorrise e sussurrò solo «Allora ti eri ricordato di me…»
 
 
°°°°°°°°°°°°°
 
 
-DUE ANNI PRIMA-
 
«Metà della proprietà è anche mia! E io voglio venderla quella stupida palestra e investire i soldi che mi spettano di diritto!»
«Non ti spetta nulla a meno che non lo decida io e non voglio sprecare quel poco che abbiamo per un progetto di cui non vuoi nemmeno darmi i dettagli…»
Laxus era appena rientrato da scuola e, sentendo che stavano ancora una volta litigando, non si fermò nemmeno a salutare. Iniziò a salire le scale quando la porta dell’ufficio si aprì e Ivan uscì deciso. Si bloccò a metà del terzo gradino e lo fissò. Suo nonno apparve poco dopo «Smettila di comportarti così! Pensa a…»
«Laxus! Cercavo proprio te… vieni, figliolo, vieni qua».
Riluttante dai modi così gentili che stava adottando suo padre, poco calzanti con l’uomo che conosceva, si avvicinò a lui. «Cosa c’è?»
«Non vorresti che i soldi che tuo nonno, molto presto, ci lascerà si triplicassero e tu potessi smettere di crucciarti sul lavoro che dovrai fare finito il liceo?» gli chiese, sottolineando “molto presto” con uno sguardo verso Makarov.
«Non mettermi in mezzo…» e scostò la mano che Ivan aveva appoggiato sulla sua spalla, ritornando verso le scale.
«Non usare quel tono con tuo padre!» gli urlò.
«Ivan! Smettila!» sentì suo nonno. Non si voltò nemmeno, accelerò il passo ed entrò in casa. Andò dritto in camera sua e si chiuse dentro, alzando la musica dello stereo a tutto volume. Sentì la porta di sotto sbattere e si buttò sul letto. Pochi minuti dopo un forte rumore lo fece sussultare. Qualcuno stava bussando e dicendo qualcosa, ma come risposta Laxus alzò ancora di più il volume.
 
Il giorno successivo si svegliò all’ultimo minuto e uscì di casa di corsa, non curandosi di suo nonno che lo chiamava dalla cucina dell’appartamento. Non volle pensare a dove potesse essere suo padre, ma se lo chiese ugualmente.
Arrivò davanti al liceo proprio mentre la campanella finiva di suonare e gli ultimi studenti entravano dentro.
Vedendo Bickslow in aula sospirò appena e dimenticò per qualche ora quello che era successo la sera prima. Durante l’intervallo si ritrovarono in cortile con Ever e Freed e si tolse persino le cuffie, che teneva quasi costantemente nelle orecchie, per partecipare alla conversazione, che quel giorno riguardava il prendere in giro Ever e un presunto ragazzo con cui lei si vedeva invece che uscire con loro dopo scuola.
Quando la campanella suonò per richiamare tutti in aula, per un momento pensò di uscire e tornare a casa, o andarsene da qualche parte. Non aveva nessuna voglia di passare altre due ore a sentire parlare di chissà quale guerra o di quanto misera fosse la vita di un noto autore che aveva scritto quattro versi in rima. Fissò il cancello per qualche minuto, poi Bickslow gli mise un braccio attorno alle spalle facendo una battuta su una ragazza poco distante e lui scoppiò a ridere. Forse avrebbe dovuto uscire con loro finite le lezioni. Non gli chiedevano mai nulla, ma lo facevano stare bene ogni volta. Cercò Freed ed Ever e li vide intenti a parlare con Natsu e una ragazza dai lunghi capelli bianchi. Li salutò mentre passavano vicino a loro e Bickslow diceva che si sarebbero visti all’uscita per andare a mangiare qualcosa insieme.
Vide la ragazza arrossire quando lui la guardò di sfuggita, mentre arruffava i capelli di Natsu e seguiva Bickslow dentro l’edificio. Carina pensò per un secondo.
Le due ore successive passarono più velocemente di quanto sperasse e si ritrovò sulla via del solito fast food con Freed, Ever e Bickslow prima ancora di rendersene conto. Si abbuffarono di patatine e coca cola, scherzando su un gruppo di ragazzi delle medie a qualche tavolo di distanza e parlando della serata che avrebbero trascorso il giorno successivo. Laxus ascoltava e non ascoltava, perso ogni tanto in riflessioni sul ristorante di suo nonno e sulla palestra e chiedendosi a cosa servissero i soldi a suo padre. Gli altri gli chiesero qualche volta a cosa pensasse, ma lui sorrideva e rispondeva alla battuta che aveva sentito e loro tornavano a parlare di altro.
Tornò a casa per l’ora di cena, sperando che non ci fosse nessuno a casa. Il locale era pieno come al solito e notò Gildarts ad uno dei tavoli. Lo guardò e pensò di andare a sedersi con lui, ma sentì una mano sulla sua spalla e «Laxus» la voce di Ivan lo bloccò. Si voltò e vide la porta dell’ufficio aperta, suo nonno alla scrivania che li osservava da lontano.
«Vieni, dobbiamo parlare» gli disse suo padre. Lo seguì nella stanza in fondo al ristorante. Suo nonno si alzò, avvicinandosi a lui e facendogli segno di chiudere la porta.
«Io e tuo padre abbiamo discusso a lungo oggi, riguardo a questo locale e alla palestra qui di fianco. Sono della famiglia Dreyar da due generazioni, senza contare voi due ovviamente, ma essendo una vostra eredità è vostro diritto avere voce sulla questione. Ivan vuole vendere la palestra, ritiene di poter investire la sua parte di guadagno in qualcosa di più redditizio. Io non sono d’accordo…»
«Non sono affari che ti riguardano. Puoi darmi ciò che mi spetta senza venderla…» suo padre si intromise, ricevendo uno sguardo rabbioso da Makarov.
«…Io non sono d’accordo» continuò suo nonno «Ma, se anche tu pensi che possiamo vendere la palestra, essendo due terzi delle parti in causa, non avrei che da acconsentire».
Laxus li guardò entrambi. Avrebbe voluto gridare o tirare a ciascuno un pugno o uscire da quella stanza per non tornare mai più. Come potevano metterlo in mezzo? Come potevano chiedergli di scegliere tra loro due? Perché di questo si trattava: doveva decidere chi dei due avesse ragione, suo nonno o suo padre. Erano anni che non facevano che litigare, anni in cui Ivan non era quasi mai a casa e quando ritornava non si interessava nemmeno a come stesse lui, suo figlio. Come potevano fargli questo? Si sentiva tradito, soprattutto da suo nonno. Da Ivan poteva aspettarselo, ma da lui no. Fu quello a fargli più male, fu quella la goccia che lo fece crollare del tutto.
«Laxus! Non ti serve a nulla quella palestra, dobbiamo venderla!» lo ridestò suo padre, prendendolo per le spalle e scuotendolo, quasi gridandogli in faccia. Lui lo guardò ancora e, non riuscendo più a trattenerle, cominciò a piangere silenziosamente mentre si allontanava da suo padre. Vide Makarov allungare un braccio verso di lui, ma prima che potesse toccarlo Laxus uscì dall’ufficiò e corse fuori dal ristorante.
«Ecco, lo sapevo. È un debole, non sa gestire gli affari…» sentì dire con la voce di Ivan.
Quella sera tornò molto tardi a casa, il locale era già chiuso. Prese una bottiglia da dietro il bancone del bar e salì a fatica le scale. Era già ubriaco, ma voleva bere fino a che non si fosse addormentato, così da smettere di pensare a quei due e a sua madre. Era proprio in questi momenti che gli mancava di più, quando aveva bisogno di qualcuno che gli desse una carezza e gli dicesse che andava tutto bene. Ma lei non c’era. Da anni ormai. E l’unico surrogato che aveva trovato come rimedio a tutto quello che sentiva in quel momento era l’alcol. Aprì la porta di casa dopo innumerevoli tentativi di far entrare la chiave e girarla nel verso giusto, bevve un sorso dalla bottiglia che aveva in mano ed entrò. Notò la forte luce che proveniva dal salotto, dove suo nonno lo aspettava seduto sul divano. Di suo padre nessuna traccia, sembrava non vivere più lì ormai. Appena lo vide sbarrò gli occhi e andò verso di lui.
«Mi dispiace… non avrei dovuto chiederti…» Non volle nemmeno sentire la fine della frase, si voltò e andò in camera sua. «Fanculo» biascicò soltanto, sbattendosi la porta dietro. L’unico pensiero che gli attraversò la mente prima di addormentarsi fu “Domani me ne vado”.
 
La mattina successiva si alzò subito quando sentì la sveglia suonare. La testa gli pulsava e ad ogni passo sembrava che qualcuno gli infilzasse il cervello con mille chiodi. Una doccia di dieci minuti lo fece sentire leggermente meglio e, dopo essersi vestito, prese lo zaino e lo vuotò dei quaderni e dei libri di scuola. Mise dentro qualche jeans e maglietta, il portafoglio e prese in bagno delle cose che potevano servirgli. Poi aprì l’ultimo cassetto del comodino e digitò la combinazione nella piccola cassetta di metallo che c’era dentro. Contò i soldi che aveva risparmiato: trecento euro. Sarebbero bastati per qualche giorno, poi avrebbe trovato un lavoro. Li nascose in un taschino interno dello zaino e afferrò l’ipod che era sul letto, infilandosi le cuffie nelle orecchie. Fece per aprire la porta della camera, ma gli tornò in mente suo nonno la sera prima. Non si ricordava molto della notte precedente, tranne quello. Quello lo ricordava perfettamente. Strana la mente. Strappò un foglio da uno dei quaderni che aveva gettato per terra e scrisse velocemente “Non ce la faccio più. Me ne vado. Non cercarmi. So che lui non lo farà. Laxus”. Non era il migliore dei messaggi, ma non era del tutto lucido in quel momento. Lo posò sul letto e uscì.
Suo nonno era in cucina, stava mettendo nei piatti delle uova strapazzate. Non lo vide, sentì solo la porta di casa chiudersi. Laxus scese in fretta le scale, temendo che potesse fermarlo e fargli cambiare idea. Anche se, forse, inconsciamente lo sperava.
Si diresse alla stazione, pensando a quale città visitare per prima, poi il cellulare squillò. Non sapeva se rispondere, ma non smetteva di vibrare e si convinse.
«Ehi, Freed…»
«Laxus senti… sei già fuori casa?»
«Perché?»
«Io e Bickslow stiamo seguendo Ever. Sembra che, prima di venire a scuola, si veda con quel tipo…»
Laxus non capì a cosa si riferisse, probabilmente ne avevano parlato in quei giorni ma non aveva prestato attenzione.
«Dove siete?»
«Siamo a due isolati dal liceo… oh! Eccola!»
«Ci vediamo davanti a scuola, voi seguitela e mandami un messaggio quando vedi chi è il ragazzo…»
«D’accordo. Passo e chiudo!»
Forse almeno loro avrebbe dovuto salutarli, si disse. Svoltò l’angolo e cambiò direzione, camminando verso il liceo. Qualche minuto dopo si appoggiò al muretto che delimitava il giardino della scuola e aspettò che arrivassero. Intravide a qualche metro dall’entrata Ever insieme ad un ragazzo alto e muscoloso, si tenevano a distanza ma parlavano tra loro. Dietro, nascosti da altri studenti, c’erano Freed e Bickslow che li spiavano. Sorrise nel vedere quanto goffamente ci riuscissero e aspettò che lo notassero. Per qualche minuto, in mezzo a tutti quei ragazzi, a guardare i suoi amici fare i deficienti, pensò che forse sarebbe dovuto restare. In qualche modo avrebbe potuto aiutare suo nonno e suo padre a mettersi d’accordo, forse avrebbe potuto essere lui il mezzo per unirli. Un po’ come lo era stato sua mamma. Perché ricordava vividamente i pranzi e le cene a ridere e scherzare tutti e quattro, spesso anche insieme a Gildarts e Cana o a Igneel e Natsu. Non litigavamo mai prima che sua madre…
«Hai visto?» Bickslow interruppe il flusso dei suoi pensieri.
«Penso di sapere chi sia, o meglio, so in che classe è. Chiederò in giro per sapere come si chiama e se è un tipo affidabile» intervenne Freed, mettendosi di fianco a lui.
«Voi fate cosa?» la voce di Ever gelò l’entusiasmo di tutti e due. Si voltarono piano e videro il suo viso diventare nero di rabbia.
«Noi? Non capisco di che parli…» provò a difendersi Freed malamente.
«Sì, non stiamo mica parlando di te e di quel gigante. Figurati!» aggiunse Bickslow. Ever lo fulminò con lo sguardo e scattò verso di lui. Freed, trovandosi nella traiettoria, cominciò a correre insieme a lui, lasciando Laxus appoggiato al muro a ridere.
«Scusa…»
Si voltò a destra e vide la ragazza del giorno prima che lo guardava imbarazzata.
«Io… ecco… volevo darti questa…». La osservò meglio e vide, sotto la camicia della divisa della scuola, una maglietta nera con il bordo pieno di borchie. I capelli erano raccolti in una coda alta e portava degli stivali di pelle, degli anfibi, neri anche quelli. Gli stava porgendo una busta e la guardò confuso, prima di realizzare cosa stesse cercando di fare. Stava per rispondergli, ma il cellulare cominciò a vibrare. Lo prese in mano e vide sul display “Ivan”. Chiuse la chiamata. Qualche secondo e vibrò di nuovo. “Nonno”. Chiuse la chiamata.
Guardò verso il cortile e vide che Ever rincorreva ancora Freed e Bickslow, allora si decise a non salutarli. Rimise il telefonino in tasca e si ricordò della ragazza.
«Non mi interessa, lascia perdere» rispose più duramente di quanto volesse. La vide diventare ancora più rossa e rimettere la busta in tasca, superarlo ed entrare dentro la scuola. Si sentì in colpa, ma cancellò quella sensazione e attraversò la strada per andare alla stazione.
«Ehi! Dove vai?». Era Bickslow, che lo raggiunse subito dopo. «Chi era quella? Ci stava provando? Eh? Era carina, dai!»
«Ho dimenticato il cellulare a casa, ci vediamo in classe» gli rispose solo, sforzandosi di sorridergli e ignorare il crescente senso di colpa che gli stava premendo il petto.
«Ah, ok! Guarda che dopo mi racconti!» gli disse Bickslow facendogli l’occhiolino e ritornando nel cortile della scuola.
Sentì la campanella suonare e accelerò il passo.
Era uno degli ultimi giorni di scuola, probabilmente avrebbe perso l’anno andandosene prima degli esami finali, ma in quel momento non voleva fare altro che scappare. Sì, ammise alla fine, voleva scappare da lì.


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«Devo ammettere che non ti avevo riconosciuta, ma alla fine ho capito» disse Laxus ritornando a guardare il mare.
«Non che mi aspettassi qualche commento, anzi speravo che non ne facessi…»
«Invece si è realizzato il sogno di ogni ragazza» rise lui.
«Ossia?»
Laxus si voltò verso di lei e deglutì prima di risponderle «Che il ragazzo che vi ha rifiutato ci provi con voi, no?»
Mira arrossì alle sue parole e girò la testa dal lato opposto, stringendosi nell’asciugamano e nascondendo il viso nelle braccia, incrociate sopra le ginocchia. Laxus sorrise e la osservò per qualche minuto. «Ti lascio godere la spiaggia, ti ho dato fastidio abbastanza per oggi» le disse alla fine, alzandosi e iniziando a togliersi la sabbia dai pantaloni. Mira si voltò di nuovo verso di lui e «Dovresti almeno chiedermi di uscire, se vuoi provarci davvero. Se no, non c’è abbastanza gusto…» replicò.
Laxus rise e si abbassò per essere all’altezza del suo viso, sussurrando con un ghigno «Mi pare che in merito tu sia stata abbastanza chiara: non potrei mai essere il tuo ragazzo. Figuriamoci se accetteresti di venire ad un appuntamento con me…».
«Non ho mai detto che ti avrei risposto di “sì”…» ribatté Mira, dandogli un buffetto sulla guancia.
«Oh, certo. Capisco, ora ha tutto più senso» le rispose dopo essersi rimesso a sedere.
«Non sei stato molto carino quella volta, avresti almeno potuto dirmi “no, grazie”».
Laxus sentì la punta di delusione e dolore nelle sue parole. «Lo hai fatto nel momento sbagliato, stavo andando via da Magnolia ed ero parecchio arrabbiato con mio nonno e mio padre in quel periodo. Mi dispiace» le disse sinceramente «Anche se credo che tu abbia avuto modo di vendicarti rifiutando parecchi ragazzi, no?».
Mira arrossì e disse solo «Non è vero, invece». Laxus rise di nuovo e poi le chiese «Posso offrirti un caffè?».
Lei lo guardò per qualche secondo e rispose secca «No!», alzandosi e camminando verso la strada.
«Ti senti meglio?» le gridò dietro. Mira si voltò e scoppiò a ridere. «Molto!» gli rispose, cominciando a correre «Ci vediamo stasera».
Laxus si distese sulla spiaggia. «Merda, merda, merda!» si disse sorridendo e non trattenendo la scarica di emozioni che stava provando. «Sono fregato!».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nota dell’autrice
Sorpresa! Nuovo capitolo in cui viene spiegata qualcosina del passato di Laxus.
Ho avuto un po’ di tempo da dedicargli ed ero talmente contenta di come mi era riuscito (probabilmente me ne pentirò tra qualche giorno) che non ho potuto aspettare e l’ho pubblicato subito.
Spero vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate J
Alla prossima,
dreamfanny.  

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Capitolo 8
*** Fantasma dal passato ***



 
Fantasma dal passato
 
 
 
Qualche ora dopo l’incontro con Gildarts e Mira alla spiaggia era disteso sul letto a fissare il soffitto e aveva le cuffie nelle orecchie, un’abitudine che difficilmente avrebbe abbandonato. Il cellulare era posato di fianco a lui e Laxus lo controllava ansiosamente ogni minuto, odiandosi per l’agitazione e la speranza che riponeva in una risposta di suo padre. La sua mente veniva alternata da ricordi di lui che gli insegnava alcune mosse di arti marziali, con il sorriso e pronto a tendergli la mano se si fosse fatto male, e immagini di lui rabbioso e sprezzante che lo guardava insoddisfatto come se fosse un giocattolo vecchio di cui ormai si era stancato. Ripensò alle parole di Gildarts e il volto di sua madre si sovrappose a tutto quanto, bello e dolce con lunghi capelli dorati a contornarlo. Illuminava ogni luogo in cui si trovasse e, forse, per suo padre era stato davvero troppo perderlo. Forse era davvero per la sua morte che era cambiato così tanto. Cercò di ripensare a quando era diventato così arrabbiato verso di lui e suo nonno, ma non riuscì a trovare il momento esatto. In ogni caso, non era una giustificazione sufficiente a cominciare a disprezzarli. Per quanto stesse male, per quanto dolore stesse provando, non aveva alcun diritto di riversare su di lui la rabbia che provava per la perdita di sua moglie. Era pur sempre suo figlio e non ne aveva alcun diritto. Eppure Ivan lo aveva fatto per anni, finendo per spingerlo a scappare pur di non vederlo più. Sentiva il bisogno di parlare con lui, di confrontarsi e finire di sentirsi così indifeso quando gli veniva in mente. Che se ne andasse per sempre o rimanesse al suo fianco, doveva vederlo e chiederglielo. Non poteva continuare così.
Guardò l’ora sul cellulare e si alzò, lasciandolo sulle coperte. Andò in bagno e si gettò dell’acqua sul viso per cancellare un po’ tutte quelle emozioni negative che continuavano a farlo pensare, ancora e ancora, a quello che sarebbe potuta essere la sua famiglia e a quello che era invece diventata. Si sistemò i capelli e ritornò in camera sua, si vestì con una maglietta bianca e quei maledetti pantaloni rossi e scese al locale.
Le ore del turno serale passarono velocemente, i clienti continuarono ad entrare ed uscire fino all’1 quando finalmente arrivò l’ora di chiusura e un uomo di mezza età andò alla cassa a pagare il conto. Era stato così occupato a servire cocktails, birra e vino che non aveva avuto nemmeno il tempo di parlare di nuovo con Mira. E si era ripromesso di farlo dopo il loro incontro alla spiaggia. Mentre cominciava a lavare i bicchieri, gli ritornò in mente cosa si erano detti e il suo stupido “si è realizzato il sogno di ogni ragazza, che chi vi ha rifiutato vi venga dietro”. Non riusciva ancora a capacitarsi della demenza di quelle parole, in una soap opera argentina avrebbero potuto dire qualcosa di più intelligente. Scosse la testa trattenendo una risata per le figuracce che continuava a fare con lei, sembrava che non riuscisse a combinarne una giusta. Alzò gli occhi e vagò con lo sguardo per il locale, trovandola intenta a sistemare uno dei tavoli con quello splendido sorriso e i capelli legati in una lunga coda, a lei quegli orrendi pantaloni stavano decisamente bene.
«Dovresti essere più discreto se fissi una ragazza» la voce di suo nonno lo fece sussultare, non si era accorto nemmeno che si fosse avvicinato.
«Tu lo sai bene, vero? Vecchio pervertito…» e prese un altro bicchiere svuotandolo del ghiaccio rimasto.
«Non so di cosa tu stia parlando» gli rispose con indifferenza «Ma so riconoscere una bella donna quando la vedo». Si sedette su uno sgabello di fronte a lui e gli chiese di versargli una birra.
Dopo avergli dato il boccale, Laxus tornò a sistemare i bicchieri e disse «Resta comunque troppo giovane per te, non dovresti nemmeno commentare…»
«Non sto parlando di lei, infatti. Ti sto dando un consiglio, è una che non vorresti far arrabbiare. Credimi lo so bene»
«Non voglio nemmeno sapere a cosa ti stai riferendo…» disse Laxus ridendo, anche se iniziò a pensare alle mille situazioni in cui suo nonno avrebbe potuto fare commenti su Mira o le altre cameriere.
«Gildarts mi ha chiamato» Makarov cambiò improvvisamente argomento facendogli storcere il naso «e mi ha chiesto se mi avessi parlato del vostro incontro».
Maledetto rompiscatole! Non poteva farsi i fatti suoi? «Sì, l’ho visto stamattina. Avevo bisogno del suo aiuto per…» si interruppe quando vide Kinana avvicinarsi e posare alcuni bicchieri sul bancone.
«Scusate, non volevo disturbarvi» disse andandosene imbarazzata.
«Non importa» le gridò dietro Laxus, rivolgendosi poi di nuovo a suo nonno «Niente di… senti ho scritto a Ivan, va bene? Hai detto che ha combinato qualcosa con la palestra e volevo capire cosa fosse». Buttò fuori le parole di getto senza alzare lo sguardo.
«Non avresti dovuto, me ne sarei occupato io. Non voglio che tu sia coinvolto in questa faccenda un’altra volta…»
«Prima di tutto, è pur sempre mio padre quindi sono coinvolto per nascita nelle vostre faccende. Che lo voglia o meno. E poi… non vado da nessuna parte, smettila di preoccuparti. Non me ne andrò di nuovo senza dirti nulla, anzi non ho intenzione di andarmene e basta». Laxus guardò suo nonno e lo vide sorridergli con il viso tirato dalla stanchezza e dalle lacrime che cercava di trattenere. «Sei troppo sentimentale, lo sai?» cercò di scherzare «Non provare a metterti a piangere».
«Va bene, va bene» gli rispose tirando su con il naso. «Ti ha risposto?» gli chiese poi bevendo un sorso di birra.
«No» rispose secco Laxus e prese i bicchieri che aveva appena asciugato, sistemandoli nella vetrina sotto il bancone.
«Preferisco le entrate ad effetto…». Entrambi si voltarono verso la porta d’ingresso e videro un uomo alto con la barba e i capelli scuri. Indossava un completo nero e portava il cappotto sulle spalle, mentre nella mano destra teneva un cappello.  
«Ivan…» Makarov lo guardò sorpreso e disse il suo nome con un misto di sofferenza e speranza. Laxus, invece, riprese a sistemare il bancone rimettendo a posto le bottiglie, che non aveva avuto il tempo di riporre durante il turno. Un fastidioso senso di smarrimento si impadronì di lui e, nonostante tutti i suoi sforzi, si girò nuovamente verso suo padre.
«Cosa ci fai qui?» gli chiese, cercando di simulare disprezzo.
«Passavo da queste parti e ho pensato di fare un salto al caro vecchio ristorante di famiglia. Come vanno gli affari padre?» chiese a Makarov. Laxus lo guardò a lungo, cercando di decifrare la sua espressione. A tratti sembrava infastidita, poi indifferente e ancora addolorata. Il suo sorriso risultava finto o sincero? Non riusciva a capire, era confuso dalla sua apparizione improvvisa e a cui non era preparato. Avrebbe avuto bisogno di tempo prima di vederlo, per quello gli aveva solo scritto. Rimase con una bottiglia di vodka in una mano e uno strofinaccio nell’altra, a fissare prima suo padre e poi suo nonno senza dire altro.   
«Potrebbero andare meglio grazie a te. Andiamo nel mio ufficio…» Makarov scese dallo sgabello e cominciò a camminare verso il fondo del locale, non curandosi di controllare che il figlio lo seguisse.
«Sei diventato un uomo…» sussurrò Ivan prima di seguirlo. Laxus udì appena le sue parole e sentì gli occhi cominciare a pizzicargli perché le aveva pronunciate senza disprezzo, quasi orgoglioso. O forse era lui a sperare che fosse così? Magari l’aveva detto senza nessun motivo, giusto per stuzzicarlo… Rimase a fissare le schiene di suo nonno e di suo padre e poi la porta che si chiuse dietro di loro. La fissò e fissò finché una mano gli toccò dolcemente la spalla e lo scosse dai mille pensieri che si stavano accavallando nella sua mente.
«Tutto bene?». Laxus si voltò e guardò Mira, deglutendo a fatica e cercando di riprendere il controllo delle sue emozioni. Come risposta, iniziò a bere la vodka che aveva in mano e smise solo dopo che lei gliela ebbe strappata a forza. «Cosa succede?» gli chiese.
Alcune lacrime cominciarono a scendergli lungo il viso e se le asciugò subito senza risponderle, voltandosi e ricominciando a sistemare il bar. «Sto bene, finisci di mettere a posto. Non ti preoccupare, ora mi passa» disse, quando sentì che Mira era ancora vicino a lui e lo stava osservando. Lei posò la bottiglia sugli scaffali insieme alle altre e si allontanò. Maledizione! pensò sfregando il legno del bancone con più energia del necessario e ricominciando a fissare la porta dell’ufficio. Le cameriere finirono di sistemare il locale e i cuochi di pulire la cucina e Ivan e Makarov erano ancora in quella stanza. Laxus si sedette su uno sgabello e vide i dipendenti del locale andarsene uno a uno, finché non rimase solo Mira. Si mise di fianco a lui e, senza dire una parola, prese il cellulare e cominciò a giocare. Laxus rimase confuso per qualche minuto, guardandola con in mano una birra, e alla fine disse «Non c’è bisogno che resti, anzi è meglio che tu vada via». Mira non rispose e continuò a giocare. Poi, prima che lui potesse parlare ancora, la porta dell’ufficio si aprì e vide Ivan. Makarov rimase sulla soglia, osservandolo allontanarsi con il volto teso e preoccupato, mentre suo padre attraversava il locale camminando verso l’uscita. Quando arrivò al bancone del bar esitò appena prima di aprire la porta, rivolto verso il figlio. Un’incertezza quasi impercettibile che durò la frazione di un secondo. Poi girò la maniglia, la tirò verso di sé ed uscì scomparendo alla loro vista. Solo allora Laxus si accorse che aveva trattenuto il respiro per tutto il tempo. Posò la birra che aveva in mano e fissò il muro davanti a sé. Con la coda dell’occhio vide Mira mettere il cellulare nella borsa che aveva sulle gambe e poi sentì la sua mano posarsi sulla sua, accarezzandola dolcemente. Si voltò verso di lei e il suo sorriso lo rassicurò, sarebbe potuto rimanere ad ammirarlo per giornate intere. Strinse leggermente la sua mano, poi si alzò e andò da suo nonno, che non si era mosso dalla soglia dell’ufficio. Respirò profondamente un paio di volte mentre lo raggiungeva, entrò e si sedette su una delle sedie di fronte alla scrivania. Sentì la porta dietro di lui chiudersi e Makarov camminare verso la poltrona sistemata al lato opposto al suo. Non parlò subito, probabilmente stava ponderando le parole o pensando a cosa fosse meglio dirgli e cosa no. Laxus lo fissò per tutto il tempo con la schiena contratta per la tensione, incapace di iniziare per primo il discorso.
«Mi ha detto che deve dei soldi ad alcuni signori, i quali non sembrano disposti a prolungare oltre la scadenza per il pagamento del debito. Aveva dato come garanzia la palestra, per quello voleva venderla due anni fa. Quando te ne sei andato, ha deciso di volere solo la parte che gli spettava e io gliel’ho data. Poi è scomparso, come te. Il debito non è ancora stato estinto, però, e quei signori si sono presentati qualche giorno fa a casa sua per riscuoterlo. La mattina dopo sono venuti alla palestra e mi hanno minacciato perché fossi io a pagarlo visto che era mio figlio ed ero proprietario dell’edificio. Stavamo parlando proprio di questo con Gildarts, ma non potendo ottenere un prestito dalla banca non so come poter risolvere la situazione. Inoltre, le iscrizioni alla palestra sono notevolmente diminuite negli ultimi mesi… forse è meglio chiuderla, così dalla vendita dei locali posso ricavare qualcosa per estinguere il debito, almeno in parte». Makarov parlò con le dita delle mani incrociate e appoggiate sulla scrivania in noce, senza guardarlo.
«Perché è venuto qui stasera allora?»
«Gli hai chiesto di vederti» rispose alzando finalmente gli occhi dai fogli sparsi davanti a lui. Lo disse come se fosse qualcosa di ovvio e scontato, come se fosse la risposta più naturale del mondo.
Laxus contrasse il volto e aprì la bocca per parlare, ma era troppo confuso da quello che aveva sentito. Per lui non c’era nulla di ovvio nel fatto che suo padre volesse vederlo. «Cosa vuol dire? Mi ha a malapena salutato… e se n’è andato senza rivolgermi la parola».
«Sei suo figlio, Laxus, e credimi quando ti dico che non potrai capire cosa prova un padre finché non lo sarai anche tu. La mattina in cui te ne sei andato era venuto a casa, ti ha cercato e ha trovato il tuo biglietto. Era sconvolto ed è venuto nel mio ufficio gridandomi che eri scappato. Ti ha chiamato, ma siccome non hai risposto, siamo corsi a scuola. Non ti abbiamo trovato, probabilmente eri già su un treno diretto chissà dove… essendo maggiorenne, la polizia non poteva fare molto visto che avevi anche scritto che, di tua volontà, te ne eri andato. Il giorno dopo Ivan è venuto di nuovo al ristorante e ha chiesto la parte di quota della palestra, mi ha avvertito che aveva un debito con qualcuno e di stare attento e poi è scomparso. Non l’ho più visto né sentito fino alla settimana scorsa».
Laxus lo guardò confuso, frastornato da quello che gli aveva detto. Per due anni era stato arrabbiato con loro perché lo avevano costretto ad andarsene, non aveva mai risposto a nessuna delle loro chiamate, anche se quelle di suo padre era state poche e sporadiche. Appoggiò la schiena, rimasta rigida fino a quel momento. «Non capisco… io non capisco… mi ha sempre trattato male, anche quando mi ha chiesto se volevo vendere il locale lo ha fatto… non capisco…» bisbigliò fissando il pavimento davanti a sé. Si alzò senza dire altro e uscì dalla stanza, chiudendo la porta. Sentì i piedi della poltrona spostarsi sul legno del parquet e suo nonno camminare verso di lui. Ma non lo vide uscire dall’ufficio. Si appoggiò al muro e combatté l’impulso di buttarsi per terra e piangere. Suo padre lo confondeva. Perché lo aveva cercato quando era partito? Aveva sempre pensato che le sue chiamate fossero solo per dirgli che era stato un debole ad andarsene, che non era degno di essere suo figlio. Aveva sempre pensato che… non capiva. Allora aveva frainteso tutto? No, il suo atteggiamento lo aveva spinto a scappare. Quello non se l’era immaginato. Gli scoppiava la testa, era stanco e si sentiva come se qualcuno gli avesse tirato un pugno in pieno viso. Dopo qualche minuto, si staccò dalla parete, deciso ad uscire e prendere un po’ d’aria per schiarirsi le idee. Si accorse solo in quel momento che Mira era ancora seduta sullo sgabello, dove era poco prima, intenta a giocare. Camminò verso di lei e disse semplicemente «Ho bisogno di uscire, ti va di andare in qualche locale?».
«Mmm…» Mira alzò lo sguardo. Gli sorrise ancora e il suo cuore saltò un battito. «Va bene».
 
°°°°°°°°°°°°
 
Mezz’ora dopo erano davanti ad un locale del centro e videro Freed, Ever, Elfman e Lisanna che li aspettavano all’ingresso, tra una fiumana di gente in attesa di entrare. Appena li notarono, li salutarono da lontano e fecero loro cenno di raggiungerli.
«Bickslow ci ha appena scritto: sta arrivando così ci fa passare» disse Ever, dopo aver abbracciato Laxus.
«Perché, lavora qui?»
«Sì, nella sicurezza tipo. A volte fa il buttafuori, ma di solito gira per il locale per controllare che non ci siano problemi».
Laxus li guardò divertito, pensando a tutte le risse che avevano iniziato quando giravano per bar e discoteche come quella. «Questa è bella…»
Poco dopo videro i capelli arruffati di Bickslow farsi strada tra la folla all’ingresso. «Laxus! Ragazzi!» e li abbracciò uno ad uno, portandoli verso l’ingresso. I ragazzi e le ragazze in attesa li guardarono un po’ scocciati, probabilmente erano lì davanti da molto più tempo di loro. Freed ed Ever ricambiarono gli sguardi compiaciuti e dall’alto in basso, sentendosi importanti per avere un amico che lavorava in quel locale. Laxus li seguiva in silenzio e scuotendo la testa divertito per il loro atteggiamento. Quando erano al liceo, prima che gli altri sapessero che si conoscevano, spesso venivano presi in giro: Freed era troppo perfetto nel suo modo di vestire, sempre con la camicia e i pantaloni ben stirati, ed era il primo della classe in ogni materia. Ever amava le fate e non lo nascondeva, quindi veniva spesso tacciata di essere infantile e ridicola. Non avevano mai detto nulla né a lui né a Bickslow, ma un giorno avevano ritardato al loro incontro davanti al cancello del liceo ed erano andati a cercarli. Li avevano trovati, nel cortile dietro la scuola, circondati da un gruppo di studenti che li deridevano e buttavano a terra i libri che avevano nello zaino. Uno di loro stringeva in mano una piccola fata che Ever teneva attaccata al portapenne e la prendeva in giro. Freed aveva la camicia stropicciata e si era messo davanti a lei per proteggerla. Bickslow e Laxus non avevano nemmeno avuto bisogno di dirsi qualcosa, avevano gettato le cartelle ai loro piedi ed erano corsi verso quegli imbecilli, riempiendoli di botte. La maggior parte era scappata ed era tornata poco dopo con il preside e alcuni insegnanti, ma i due che erano riusciti ad afferrare erano talmente malconci che li avevano dovuti portare in ospedale. Laxus e Bickslow erano stati sospesi per una settimana, nonostante le proteste di Ever e Freed che continuavano a ripetere che li stavano solo difendendo e che la colpa era degli altri. Il preside sospese anche i due ragazzi che erano stati picchiati, ma il gruppo che lo aveva chiamato venne soltanto ammonito con una nota. Sapeva che stavano dicendo la verità ma aveva le mani legate, era a malapena riuscito a convincere il consiglio a non espellere Laxus e Bickslow. Da quel giorno, però, nessuno aveva più osato prendersi gioco di Ever e Freed, venivano evitati da quasi tutto l’istituto in realtà. A loro importava poco, le persone che ancora parlavano con loro erano quelle che non avevano nemmeno mai pensato di fare una battuta su di loro. E Laxus e Bickslow erano gli unici amici di cui avessero bisogno. Ovviamente, quando a casa sua era arrivata la comunicazione della sospensione suo padre lo aveva sgridato e gli aveva detto che era una totale delusione, non gli aveva nemmeno chiesto cosa fosse successo e Laxus non aveva insistito. Si era chiuso in camera per giorni, uscendo solo per mangiare, e ogni volta che incrociava Ivan si guardavano con rabbia senza rivolgersi la parola.
Sospirò pesantemente e cercò di concentrarsi sulla serata e smetterla di pensare. La sua mente aveva tutta l’intenzione di passare in rassegna qualunque episodio che lo avesse fatto stare male, ma era uscito proprio per distrarsi. Quindi si avvicinò ai suoi amici e mise le braccia attorno ad Ever e Freed, sorprendendoli per quel gesto così fuori dal suo personaggio. Davanti a loro vide Mira e Lisanna che parlavano animatamente ed Elfman che guardava truce un ragazzo che le stava fissando. Scoppiò a ridere e strinse più forte i due amici, mentre Bickslow li accompagnava in una stanza a lato della pista da ballo. Lungo tutta la parete era sistemato un divano enorme e al centro c’era un tavolino di vetro con sopra un paio di menù. Si sistemarono e cominciarono a discutere su quale drink prendere e, circondato da loro, Laxus si sentì finalmente tranquillo. 






 
Nota all’autrice
Buongiorno cari lettori! Ma come sono diligente con questi ultimi capitoli? Cercherò di essere costante e di postarli regolarmente questa volta… ;P
Finalmente Ivan si è fatto vivo, ha fatto penare anche me ma ce l’ha fatta a comparire.
E per la seconda parte sappiate che ho un debole per l’idea che i fratelli Strauss, Laxus e i Raijinshuu siano amici quindi aspettavi altre scene di questo tipo.
Voi cosa ne pensate? Fatemi sapere :)
Un grazie immenso a chi mi sta seguendo, soprattutto a honeyzen123 e Redpowa che mi commentano sempre.
Alla prossima,
dreamfanny. 

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Capitolo 9
*** Restare o non restare? ***


Nota dell’autrice (LEGGETEMI!)
Ce l’ho fatta anche questa settimana, con qualche giorno di ritardo rispetto alla tabella di marcia, ma ce l’ho fatta! Questo capitolo è un po’ diverso dal solito, ho voluto sperimentare un pochino e ho raccontato parte della storia dal punto di vista di Mira. Sì, lo so che il protagonista è Laxus ma volevo provare a cambiare prospettiva per un solo capitolo. Anche perché mi diverte scrivere le scene viste dai vari personaggi… ma questo è un mio problema, non vi tedierò troppo :D
Cosa ne pensate? Continuo con Laxus? Alterno con Mira? Cambio ancora il personaggio? Smetto di scrivere? Let me know ;)
Come sempre ringrazio chi mi legge e mi commenta (ringraziamento speciale ai fedelissimi honeyzen123 e Redpowa) e vi aspetto al prossimo capitolo.
Un abbraccio,
dreamfanny.
 
 




 
Restare o non restare?
 
 
 
-DUE ANNI PRIMA-
 
«Non mi interessa, lascia perdere» quelle parole le si conficcarono nel petto e sentì il viso prenderle fuoco. Rimise la busta in tasca e, senza guardarlo, lo superò per entrare nel cortile del liceo costringendosi a non correre. Sentì qualcuno chiamarla, ma non si fermò a controllare chi fosse. L’unico pensiero che le occupava la mente in quel momento era trattenere le lacrime, o almeno arrivare in bagno prima che fosse troppo tardi. Non aveva intenzione di farsi vedere piangere, tanto meno da lui. L’aveva trattata male, con indifferenza, eppure non riusciva ad odiarlo. Prima che le rispondesse aveva visto della gentilezza nei suoi occhi ed era scomparsa nel momento in cui aveva preso in mano il cellulare, era successo qualcosa? O forse si stava solo illudendo che fosse davvero il ragazzo di cui era innamorata? Arrivò in bagno e si chiuse dentro, cercando all’inizio di contenersi sciacquandosi solo il viso per poi scoppiare a piangere senza controllo. Per qualche strano motivo era sempre stata convinta che, nel momento in cui si fosse confessata, sarebbero finalmente stati insieme. Che stupida! Si erano parlati a malapena nell’ultimo anno e solo perché Freed era con lei quando si incontravano. Che stupida! Prese a pugni il lavandino maledicendosi subito dopo e sedendosi a terra massaggiandosi la mano. Qualcuno bussò alla porta e riuscì solo a biascicare «Occupato…» tra le lacrime. Quanto poteva far male sapere di non avere nessuna possibilità con il ragazzo di cui si è innamorati?
«Sono io, Cana… tutto a posto?»
«No, vai via…»
«Mira, apri subito!». La voce di Erza scatenò dentro di lei una rabbia improvvisa, corse alla porta e la spalancò. «Tu! È colpa tua! Sei stata tu a convincermi!» le bisbigliò a denti stretti «Vattene e lasciami in pace! È tutta colpa tua!» e richiuse la porta. Il piede di Cana però la bloccò e spingendola entrarono entrambe in bagno.
«Ma che è successo?» le chiese «Hai un aspetto orribile…»
«Grazie, grazie tante Cana. Mi ci voleva proprio! Guardati tu come sei messa, potresti almeno coprirti l’ombelico visto che sei a scuola…»
«Qualcuno si è alzato con il piede sbagliato oggi…» le rispose sedendosi di fianco a lei, a debita distanza visto lo sguardo che le aveva lanciato quando si era avvicinata. Erza fece lo stesso senza dire nulla. Rimasero in quella posizione, l’una di fianco all’altra in silenzio, fino a quando la campanella non suonò per segnalare l’inizio delle lezioni.
«Mi dispiace… non sa quello che si perde, sai?» Erza finalmente parlò, mentre le posava un braccio intorno alle spalle per confortarla.
«Di cosa stiamo parlando? O meglio… di chi?» le guardò confuse Cana. «Oh! Laxus? È un deficiente, non devi dargli nemmeno retta. Vedrai che tra qualche anno sarà lui a correrti dietro! Poi, insomma, non è un grande periodo per lui… suo padre sta dando un po’ di matto ultimamente» e disegnò in aria dei cerchi con l’indice all’altezza della tempia per enfatizzare le sue parole. «Bisogna un po’ prenderlo al momento giusto, non pensarci nemmeno. Che poi… facendo un passo indietro, perché ne hai parlato solo con Erza?». Incrociò le braccia davanti al petto e la guardò offesa aspettando una risposta.
«Non stavamo parlando di lui, infatti… assolutamen…» fu bloccata da alcuni colpi sulla porta.
«Chi c’è qui dentro?» chiese la voce di un adulto «Le lezioni sono cominciate, dovresti essere in classe. Ti senti male?».
«Sì, non sto bene. Qualche minuto ed esco, mi scusi».
«D’accordo, di che classe sei?»
Erza, Cana e Mira si guardarono interrogandosi in silenzio e gesticolando per concordare cosa rispondere.
«Ho un terribile mal di pancia, ho bisogno di qualche minuto. Non si preoccupi» provò a giustificarsi alla fine Mira, sperando che se ne andasse.
«Mmm… d’accordo, verrò a controllare più tardi. Se hai bisogno vai in infermeria, d’accordo?»
«Certo, grazie» e lo sentirono allontanarsi.
«Fantastico, ci mancava anche questa. Che schifo di giornata!»
«Senti, non puoi ridurti così per Laxus. Guarda che c’è di meglio in circolazione… anzi, stasera usciamo e andiamo a conoscere qualche ragazzo carino. Lo avrai già dimenticato domani mattina, fidati di Cana!» decretò la sua amica abbracciandola e aiutandola ad alzarsi subito dopo. Mira non disse nulla, era troppo stanca per ribattere. Acconsentì solo con un lieve gesto della testa, si sciacquò il viso e, sforzandosi di sorridere ad entrambe, uscì dal bagno.
 
 
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Ed ora eccolo lì, il ragazzo che avrebbe dovuto dimenticare la mattina seguente era intento a pulire il bancone del bar con più energia del necessario. Lo osservava dalla cucina tenendo la porta semichiusa mentre si domandava chi fosse quell’uomo e perché lo avesse sconvolto così tanto. Il suo viso era concentrato in chissà quale conversazione mentale con se stesso, sembrava indeciso su qualcosa mentre fissava la porta dell’ufficio dove suo nonno e quel signore erano entrati. Mira stava cercando in tutti i modi di controllare l’impulso di correre da lui e abbracciarlo limitandosi solo a guardarlo da lontano: il fatto che qualche ora prima si fosse scusato per come si era comportato con lei non le dava il diritto di immischiarsi nella sua vita.
«Cosa stai facendo?» sentì la voce di Erza a pochi centimetri da lei e sussultò, chiudendo subito la porta per evitare che vedesse Laxus.
«Io? Niente, perché?» le rispose imbarazzata e cercando mentalmente una scusa. La sua amica la guardava con sospetto e aspettava che le desse una risposta più convincente. «Stavo prendendo questi piatti…» disse all’improvviso, notando dei piatti sporchi sul ripiano di fianco a lei «E controllando che non ne fossero rimasti altri in sala». Quasi persuasa dalle sue parole Erza allungò una mano per aprire la porta della cucina, ma Mira la bloccò subito e la girò dalla parte opposta spingendola verso i lavandini. «Non ce ne sono, tutto a posto!» le disse con un largo, e finto, sorriso. Sapeva di non averla convinta, era stata colta impreparata e il suo cervello non era riuscito a costruire una scusa migliore, ma sperava lo stesso che Erza lasciasse correre. Infatti alzò le spalle e andò a lavare le pentole che aveva preso dai fornelli. Erano rimasti in pochi visto che la maggior parte dei camerieri aveva già pulito i propri tavoli ed era andato a casa. In cucina ormai c’erano solo lei, Erza e due aiuto cuochi. Prese i piatti e andò verso la lavastoviglie per sistemarli, sospirando pesantemente. Non sapeva come comportarsi con Laxus, ma non poteva andarsene senza almeno controllare che stesse bene.
 
Dopo un quarto d’ora la cucina era stata pulita e gli altri stavano andando nello spogliatoio a cambiarsi.
«Allora, cos’è successo? Quel cretino ti ha detto qualcosa?». Mira stava bevendo dell’acqua appoggiata ad uno dei ripiani, cercando di distrarsi dall’ossessione di aprire la porta e controllare cosa stesse facendo Laxus. Erza le si avvicinò e prese un pezzo del pane avanzato dal servizio, posato in un contenitore di fianco a Mira.
«Hai visto l’uomo che è entrato prima?» le chiese senza rispondere.
«No, chi era?» disse Erza mordendo il pane.
«Non lo so, per quello te lo sto chiedendo. Era alto, capelli scuri e una barba… Sembrava che conoscesse sia Laxus che il capo».
«Mmm… è una descrizione piuttosto vaga, lo sai? Potrebbe essere Ivan comunque, almeno è l’unico che mi viene in mente che possa conoscere entrambi e abbia barba e capelli neri. È stato il mio allenatore per qualche mese quando praticavo arti marziali.Non lo si vede da parecchio tempo, però, quindi non saprei… perché?»
«Chi è Ivan?».
«Il padre di Laxus»
«Oh…». Ripensò alle parole di Cana di qualche anno prima e finalmente le fu chiara la sua reazione. Forse era un po’ esagerata, visto che sembrava avere l’intenzione di scolarsi l’intera bottiglia di vodka, ma da quello che Cana le aveva detto Ivan non sembrava una brava persona. Chissà cos’era successo tra loro due. «Sì, credo fosse lui…» bisbigliò tra sé e sé. Erza la guardò interrogativa, ma lei era totalmente persa nel dilemma di poco prima: restare o non restare? Un ritornello infinito che si ripeteva da un’ora. Bevve l’ultimo sorso di acqua e andò nello spogliatoio per prendere la borsa e il cappotto, seguita da un Erza confusa ma silenziosa. Una volta dentro la stanza, dopo aver salutato Jet e Droy, i due aiuto cuochi, che stavano andando via, finalmente parlò «Mi dici cos’è successo?»
«Niente, perché continui a chiedermelo?» le rispose Mira mentre apriva il suo armadietto.
«Ti comporti in modo strano da quando è finito il turno…»
«Va tutto bene, non ti preoccupare» e si voltò per sorridere e tranquillizzarla. «Ti va se domani andiamo a fare shopping? Ho voglia di comprarmi un nuovo vestito… magari posso usarlo sabato quando andremo al Mon Amour» cercò di distrarla cambiando argomento.
«Oh! Siii! Ne ho visto uno stupendo in un negozio in centro. Devo assolutamente provarlo… va bene, ci sentiamo domani mattina allora e ci mettiamo d’accordo». Erza si mise la giacca e fece per uscire dalla stanza.
«Non mi aspetti?» le chiese allora Mira, quasi risentita.
«Perché, vieni via?» le disse Erza con uno sguardo malizioso e aprendo la porta senza aspettare una risposta. Sorrise scuotendo leggermente la testa e si mise il cappotto, se c’era qualcuno che potesse capirla tanto quanto sua sorella era proprio Erza. Rimasta da sola nel spogliatoio, ci mise qualche minuto prima di decidersi ad andare nella sala e parlare con Laxus. Camminò lentamente verso di lui, provando mentalmente tutti i saluti che conosceva e scartandoli uno ad uno. Alla fine, arrivata a qualche centimetro dal bancone aprì la bocca e la richiuse appena lui si voltò verso di lei. Era seduto su uno sgabello con una birra in mano e aveva il volto teso dall’agitazione, quando la vide la guardò confuso. E Mira non disse nulla. Si sedette di fianco a lui, prese il cellulare dalla borsa e aprì il primo gioco che trovò a portata di dito. Non lo salutò. Non gli chiese come stava. Nulla. Improvvisamente si sentì un coniglio e non fece altro che stare seduta in silenzio a fissare lo schermo del telefonino, fingendo di concentrarsi su quel gioco.
«Non c’è bisogno che resti, anzi è meglio che tu vada via» gli sentì dire. Decise di ignorarlo, nella sua voce non c’era fastidio quanto piuttosto una piccolissima speranza che lei non ascoltasse quelle parole e rimanesse. Non vado da nessuna parte finché non so che stai bene pensò, ma prima che potesse dirglielo la porta dell’ufficio si aprì e dei passi si avvicinarono a loro. Si costrinse a continuare a guardare il cellulare, più che altro per non intralciare qualsiasi conversazione ci potesse essere tra Laxus e suo padre. Ma non si dissero una parola. Ivan attraversò la sala, arrivò all’entrata e dopo pochi minuti era già scomparso. Solo quando sentì la porta del ristorante chiudersi alzò lo sguardo e si voltò verso di lui, lo vide con gli occhi fissi davanti a sé, persi in chissà quale ricordo o pensiero e pieni di tristezza. Istintivamente Mira ripose il cellulare e gli prese la mano, la accarezzò e, quando lui si girò verso di lei, gli sorrise dolcemente. Laxus non parlò, ricambiò soltanto il suo gesto stringendole le dita leggermente e si alzò andando verso l’ufficio.
Mentre entrava nella stanza, Mira si chiese ancora se avesse fatto bene a restare e se dovesse aspettare che uscisse. Si sentiva un po’ fuori posto, ma era troppo preoccupata per lui: il viso di Laxus rigato dalle lacrime continuava a tormentarla e non riusciva ad alzarsi dallo sgabello. Lo dimenticherai domani mattina si ripeté nella mente le parole di Cana canzonandola Certo, infatti. L’ho proprio dimenticato, si vede… Maledizione!
Dopo qualche minuto Laxus uscì dall’ufficio e si appoggiò alla parete, con le mani tra i capelli e gli occhi chiusi. Allora riprese il cellulare e finse di nuovo di giocare. Al diavolo! Ormai sei qui, tanto vale aspettarlo e basta. Tuttalpiù ti chiede di andartene.
«Ho bisogno di uscire, ti va di andare in qualche locale?».
«Mmm…» Mira alzò lo sguardo, nascondendo più che poteva la sorpresa per quella richiesta. Gli sorrise e disse solo «Va bene», mentre si alzava e si sistemava la gonna.
 
 
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Avevano chiamato un taxi e ora erano seduti sul sedile posteriore diretti all’indirizzo che Freed aveva scritto a Laxus. Aveva chiesto anche ai suoi fratelli se avessero voglia di uscire e, ovviamente, Elfman aveva accettato con entusiasmo sapendo che ci sarebbe stata anche Ever. Lisanna aveva detto che non era dell’umore adatto, ma era riuscita a convincerla dopo aver menzionato Bickslow. Non era ancora sicura che la loro amicizia le piacesse, lui era un tipo piuttosto strano e decisamente poco serio, però sua sorella sembrava divertirsi con lui e non se la sentiva di negarle quella piccola gioia. Non finché fosse rimasta una semplice amicizia almeno.
«Da quanto conosci Bickslow?» chiese all’improvviso a Laxus.
«Credo dalle medie… parecchi anni comunque, perché?»
«Ed è una persona affidabile?».
Lui la guardò per qualche secondo riflettendo sulla risposta «Sì, direi di sì… dipende per cosa però. Stiamo parlando di Lisanna?»
«No, assolutamente no. In nessun mondo possibile. Categoricamente no» rispose lei, enfatizzando le sue parole con dei gesti decisi delle braccia, quando un’immagine di loro due abbracciati le apparve davanti agli occhi.
«Qualcuno è un po’ protettivo…» disse Laxus scoppiando a ridere. «Tranquilla, ti ho detto che l’avrei tenuto d’occhio. E poi, anche se può sembrare un cattivo ragazzo, non lo è affatto. Credimi».
«Detto da te non suona per niente rassicurante».
«Ouch!» disse lui, fingendo di massaggiarsi il cuore «Questa ha fatto male…». Mira trattenne una risata e tornò a guardare fuori dal finestrino. Osservava i palazzi scorrere davanti a lei e dal riflesso sul vetro vedeva Laxus voltato dalla parte opposta, le tornarono in mente i suoi occhi dopo che suo padre era uscito e «Stai bene vero?» sussurrò. Non rispose ma sentì le sue dita stringersi attorno alla sua mano, allora si girò verso di lui sorpresa per quel gesto: aveva il mento appoggiato sul palmo sinistro e sembrava assorto in qualcosa. Sentiva il suo tocco sul dorso, gentile e lento, e senza pensarci gli si avvicinò posando la testa sulla sua spalla. Laxus non si mosse e rimase con lo sguardo rivolto fuori dall’auto. Cominciò a pensare a qualcosa da dire, qualsiasi cosa, ma non le venne in mente nulla, così restò appoggiata a lui in silenzio e chiuse gli occhi.
«Eccoci, sono 9 e 56. Facciamo 9, non ho il resto» disse il tassista, mentre Mira lo insultava mentalmente per aver interrotto quel momento. Si scostò contro voglia da lui e fece per prendere il portafoglio dalla borsa, ma Laxus la precedette dandogli una banconota da 10. «Tenga, grazie». Aprì la portiera e scese dall’auto, porgendole poi la mano per aiutarla.
Vide Elfman e Lisanna dall’altra parte della strada e li salutò appena la notarono. Mentre attraversavano per andare da loro, sentì il tocco di Laxus sul suo fianco e si accorse che le aveva cinto la vita con il braccio. Quando furono a qualche metro da loro, però, la lasciò andare sussurrandole all’orecchio «Grazie» e raggiungendo Freed ed Ever, che li aspettavano insieme ai suoi fratelli. Ci mise qualche secondo per riprendersi da quel viaggio in taxi, non aveva previsto che potesse esserci una conversazione figuriamoci quel piccolo momento di intimità. Si scosse dall’imbarazzo nel ripensare alla vicinanza con Laxus e raggiunse Lisanna abbracciandola. Subito dopo intravidero Bickslow tra la folla di persone in attesa ed entrarono nel locale, la musica la distolse dai suoi pensieri e cominciò a parlare con sua sorella chiedendole cosa avesse fatto nel pomeriggio.
«Sono stata a casa a guardare un film, non avevo voglia di uscire. Natsu mi ha chiamata per chiedermi di andare in centro con Gray e alcuni compagni di università, ma ho detto di no. Probabilmente si arrabbierà se verrà a sapere che sono venuta qui stasera, ora che ci penso».
«SE lo verrà a sapere, hai detto bene. Ci provi solo a dire qualcosa» le disse Mira con aria protettiva.
«Ecco, vi ho riservato persino una saletta tutta per voi. Sono o non sono il migliore?». Bickslow indicò una piccola stanza in fondo al locale, separata dalla pista da ballo da una grande porta-finestra, e fece loro segno di entrare. Si sistemarono sull’enorme divano lungo una delle pareti e, mentre si toglieva il cappotto, Mira notò con disappunto che Laxus era dalla parte opposta della saletta.
«Cosa prendi da bere?». Lisanna interruppe il piano che stava escogitando mentalmente per sedersi di fianco a Laxus.
«Mmm… non lo so, credo una birra. Tu?»
«Voglio provare qualcosa di nuovo, quindi penso prenderò questo» e indicò un cocktail con frutta tropicale e rum sul menù.
«Sembra buono, lo prendo anche io» le disse sorridendo. «Che film hai guardato?»
«”Le pagine della nostra vita”» le rispose sua sorella con aria colpevole.
«Qualcosa di un po’ meno romantico?» chiese Mira ridendo.
«Non ho potuto resistere, lo davano in televisione».
«Di cosa state parlando?» Elfman si intromise nella conversazione.
«Tu non eri a casa oggi? Perché le hai lasciato vedere quel film?»
«Lui non c’era infatti…» disse Lisanna. Suo fratello cominciò a boccheggiare, probabilmente per trovare una scusa plausibile pensando che Mira si sarebbe arrabbiata. «Oh, dai. Non ho bisogno della babysitter… e poi aveva appuntamento con Ever, lascialo divertire» disse alla fine Lisanna stuzzicando Elfman.
«No, non è come pensi sorellona. Mi ha detto che stava bene e che non c’erano problemi… perché cos’hai guardato scusa?»
«Ehi! Non sono mica malata…» si risentì Lisanna incrociando le braccia sul petto offesa «E “Le pagine della nostra vita” è un film bellissimo! A trovarlo uno come lui…». Prese delle patatine dalla ciotola che il cameriere aveva appena portato e li guardò arrabbiata.
«Va bene, va bene. Ero solo preoccupata, ma a quanto pare ti sei ripresa benissimo. E pensare che non volevi nemmeno venire…» le disse Mira abbracciandola. In quel momento Bickslow arrivò con un vassoio pieno di vari tipi di tramezzini e frutta secca, seguito da una cameriera pronta a prendere i loro ordini. Quando notò Laxus, cominciò a comportarsi da gatta morta e cercò di flirtare con lui. Mira li guardò infastidita: nonostante lui non sembrasse interessato, il fatto che quella ragazza ci provasse in maniera così spudorata la rendeva nervosa e inquieta. Tsk! So fare di meglio… pensò mentre prendeva un panino da uno dei piatti e la vedeva allontanarsi ancheggiando. Si voltò di nuovo verso Lisanna per distrarsi dalla gelosia che stava provando in quel momento e addentò il tramezzino.
«Com’è andato il turno?» le chiese sua sorella.
«Bene, anche se c’era un gruppo di ragazze insopportabili che ha urlato e flirtato con un tavolo di fianco per tutta la sera». Con la coda dell’occhio vide Laxus sorridere alle sue parole, mentre beveva un sorso di birra, e sentì le sue guance prendere fuoco.
«Stai bene?» disse Lisanna con un tono preoccupato e divertito allo stesso tempo.
«Sì, è solo stata una lunga giornata. Devo prendere un po’ d’aria, vado un momento in bagno». Posò il panino e si alzò facendo segno di non seguirla, quando vide che stava venendo con lei. Maledizione! Non va bene che mi senta così con lui, non va affatto bene. In nessun modo devo incoraggiare quella cotta adolescenziale. In nessun modo.
Si sciacquò le mani e si guardò allo specchio accorgendosi che aveva ancora i capelli legati e due splendide occhiaie. Fantastico, ottimo… pensò mentre cercava di sistemarsi con i pochi trucchi che portava in borsa. Si sciolse i capelli, sospirò poco convinta dall’immagine riflessa e uscì dal bagno.
«Che gnocca!» si voltò verso il ragazzo che le aveva parlato e la stava trattenendo per un braccio «Posso offrirti da bere?». Tolse la mano che la bloccava e disse seccamente «No, grazie» continuando a camminare verso la saletta. Dopo qualche secondo, però, qualcosa la fermò nuovamente. Si girò e vide lo stesso ragazzo «Dai, solo un drink». Lo disse sorridendo e, a guardarlo bene, era anche carino ma non era la serata giusta. Oltretutto il suo tipo non aveva i capelli castani… Mira! Si riproverò quando il volto di Laxus comparve mentre pensava a quale fosse il suo ideale di ragazzo. «No, davvero. Grazie» gli rispose con un leggero sorriso.
«Ti sta dando fastidio?» la voce di Bickslow la fece sussultare.
«No, va tutto bene». Il ragazzo esitò un attimo, ma vedendo la maglietta con il logo del locale se ne andò senza dire una parola.
«Bisogna stare attenti, gli uomini vanno in cerca di una sola cosa la sera…» disse Bickslow parlando con un tono da vecchio saggio.
«Tu lo sai meglio di tutti immagino…» gli rispose Mira, sorpassandolo e raggiungendo gli altri nella saletta.
«Allora, le ragazze non possono girare da sole. Uno ha già provato ad abbordare Mira, quindi se dovete andare da qualche parte ci andate in coppia, chiaro? Oppure accompagnate da uno di noi…» sentenziò Bickslow una volta che si fu seduta di fianco a sua sorella.
«Cosa stai dicendo, deficiente?» si arrabbiò Ever alzandosi per tirargli un pugno sulla spalla.
«Ahia! Cerco di fare il galantuomo e guarda cosa mi becco… Laxus… aiuto!» si rivolse all’amico con tono supplichevole.
«Non mettermi in mezzo» gli rispose scuotendo la testa con aria divertita.
«Freed?»
«Credo siano in grado di difendersi tutte e tre, Ever l’ha dimostrato molto bene» decretò Freed.
«Non avevo bisogno del tuo aiuto… ma ti ringrazio!» disse Mira vedendolo in difficoltà.
«Certo, certo. Prendetevela con il buon Bickslow, certo» e offeso uscì dalla saletta.
«Chi è che ci ha provato?» le chiese poi Lisanna.
«Nessuno, non era nemmeno carino». Mira guardò senza volerlo in direzione di Laxus e lo vide arrabbiato mentre mangiava delle patatine. Ora ti immagini anche che sia geloso? Sei un caso disperato, ragazza! si rimproverò una seconda volta.
«Sapete che non siamo mai usciti tutti insieme, nonostante Ever ed Elfman siano fidanzati?» disse Freed a nessuno in particolare.
«Noi non siamo fidanzati!» gridarono insieme.
«Oh, mamma! Potete anche smetterla di offendervi ogni volta… volevo solo fare una considerazione. Dovremmo farlo più spesso, tutto qui. Potete tornare a fare i piccioncini…» li congedò Freed con un gesto della mano e un sorriso malizioso.
«Com’è che vi siete conosciuti?» chiese poi Laxus.
«Noi…»
«Ecco, ero in palestra…» farfugliò Elfman.
«Tu vai in palestra Ever?» chiese Freed scettico.
«No, lui era in palestra… io… passavo di lì…»
«Passavi in una palestra? Così, per caso…» intervenne Laxus ghignando.
«Certo, volevo iscrivermi… stavo pensando di farlo… ecco…»
«Sì, esatto! E niente, questo è quanto». Elfman sorrise rivolto a tutti e prese una nocciolina, visibilmente imbarazzato.
«Dai, non può essere stato così terribile. Come mai non volete raccontarlo?» si intromise Mira curiosa, rendendosi conto solo in quel momento che non aveva mai saputo come si erano conosciuti Ever e suo fratello.
«Oh, e va bene!» si spazientì Ever «Ci siamo incontrati in biblioteca, ora siete contenti?»
«E cosa ci sarebbe di male in una biblioteca?». Freed guardò l’amica con aria interrogativa e inquisitoria, sapeva anche lui che c’era sotto dell’altro.
«Niente, non c’è niente di male infatti…» disse Elfman quasi gridando.
«Ma che problema avete?» chiese Lisanna scoppiando a ridere «Stavi prendendo qualche libro p…»
«No! Non è da vero uomo!» la interruppe suo fratello.
«Veramente lo è…» lo corresse Laxus, facendo scoppiare a ridere Freed.
«Freed!» lo sgridò Ever.
«Cosa?»
«Non puoi approvare queste cose…»
«Perché no? Il fatto che sia gentile non significa che sia immune al sesso…». Laxus alzò una mano e Freed gli batté il cinque.
«Uomini!» sentenziò Ever scuotendo energicamente la testa.
«Com’è che sei loro amica?» le chiese Lisanna divertita.
«Non ne ho idea…» le rispose alzando le spalle e ripetendo afflitta «Non ne ho idea...».
«Non avete ancora risposto alla domanda comunque» insistette Laxus con uno sguardo che non ammetteva rifiuti. Ever si voltò verso Elfman e lui sembrò scervellarsi per inventarsi qualcosa «È una storia davvero buffa, in realtà…» prese tempo suo fratello cominciando a bere il suo drink.
«Ah sì?» chiese Freed, mentre cercava di trattenere una risata vedendolo in difficoltà.
«Sì, ecco… eravamo in biblioteca…»
«Sì, esatto…» lo appoggiò Ever.
«E stavamo cercando dei libri… per la scuola!»
«Infatti…»
«Insomma stavamo cercando dei libri e… bum! Ci siamo incontrati!» concluse Elfman guardando Ever, sorpresa quanto loro per la fine così improvvisa.
«Sì, esatto» disse poi voltandosi verso Freed e Laxus. Entrambi alzarono le sopracciglia per nulla persuasi dal racconto.
«Tanto prima o poi lo verrò a sapere… voi due non me la contate giusta» disse Laxus. «Vado a fumarmi una sigaretta, quindi avete il tempo di pensare ad una versione più convincente» e uscì dalla saletta tirando una pacca più forte del dovuto ad Elfman. Lui si massaggiò la spalla e interrogò con gli occhi Ever, che scosse la testa come a dirgli di non provare a ribattere. Mira rise divertita per la scena e prese un altro panino, guardando Laxus allontanarsi e scomparire tra la folla. Poi si voltò e vide Freed che la guardava con aria complice, arrossì non sapendo come rispondere e si mise a mangiare il tramezzino fingendo di non vederlo.
«Mira mi accompagni al bagno? Non so dove sia» Alzò gli occhi e vide Freed che la fissava.
«Lo noti subito, c’è un sacco di gente davanti…» provò a dire lei.
«Dai, per favore…» le chiese.
«Va bene» e si alzò di malavoglia aprendo la porta-finestra.
«Lo sai che non sei il mio tipo, vero?» le disse una volta che furono lontani dagli altri.
«Cosa?» Freed si fermò disorientato.
«Perché mi guardavi in quel modo prima?»
«Oh! Non…» scoppiò a ridere rendendola più confusa di prima. «Non ci proverei mai con te, Mira. Non sei il mio tipo nemmeno tu…»
«Scusa?» quasi gridò risentita per le sue parole.
«No-non che tu non s-sia una bell-llissima r-agazza!» cercò di rimediare Freed gesticolando imbarazzato.
Mira lo guardò furiosa e «Qui c’è il bagno!» gli indicò una fila di ragazzi e ragazzi davanti ad una porta, lasciandolo da solo. Tsk! Non ce n’è uno normale tra di loro… pensò arrabbiata mentre ritornava dagli altri Anche se, a dire il vero, gli ho detto la stessa cosa… e non mi ha spiegato perché mi fissava in quel modo. Si pentì per la sua reazione e ritornò subito sui suoi passi. Lo trovò confuso esattamente dove l’aveva lasciato, gli diede un lieve colpo sulla spalla e lui si voltò. «Scusa… sono nervosa stasera, mi dispiace» disse Mira, sinceramente imbarazzata per come si era comportata.
«Non importa, tranquilla» le rispose Freed con un sorriso. «Ti piace Laxus?» sussurrò poi avvicinandosi a lei.
«Cosa?» Mira fece un passo indietro e sentì le sue guance diventare rosse «No!»
Lui la osservò divertito per qualche secondo, poi scosse la testa e disse solo «Siete due stupidi…». Lei lo guardò ancora più confusa, arrabbiandosi appena per quelle parole. «In senso buono» aggiunse Freed, probabilmente notando l’irritazione sul suo viso. «Siete a due passi l’uno dall’altra e sembrate non riuscire mai a trovarvi. Al liceo… ora… non so più cosa fare con voi due…» parlò più a se stesso che a Mira. Lei lo fissò interrogativa mentre mille pensieri le affollarono la mente confondendola ulteriormente.
«Cosa vuoi dire?» bisbigliò. Lo ripeté ad alta voce perché la sentisse e aspettò una sua risposta.
«Ti piace Laxus?» le chiese di nuovo Freed guardandola con determinazione.
«Non cambierebbe molto, non credi?»
Lui la continuò a fissare e iniziò a scuotere la testa, sembrava frustrato. «Davvero?» le chiese, ancora senza risponderle.
«Freed, parlami chiaro. Non ho intenzione di dirti nulla, sono già stata rifiutata una volta da lui. E non hai idea di quanto sia stata male, quindi non mi chiedere se mi interessa. È evidente che sono innamorata di lui, è evidente che sono due anni che mi chiedo che fine abbia fatto ed è evidente che non l’ho dimenticato…». Mira si tappò la bocca appena si accorse di quello che aveva appena detto e lo guardò terrorizzata. Maledizione! Maledizione! Si voltò e camminò veloce verso il patio esterno, si sentiva incredibilmente infantile a scappare in quel modo ma non aveva intenzione di continuare la conversazione. Sarei dovuta tornare dagli altri, a quest’ora non sarebbe successo nulla! Superò un paio di ragazze che stavano entrando e sentì finalmente l’aria fredda della notte. Respirò profondamente per qualche minuto per calmarsi, ma le ritornarono in mente le sue parole e il panico la prese di nuovo. Non aveva mai confessato nemmeno a se stessa che era ancora innamorata di Laxus, perché lo aveva detto proprio al suo migliore amico? Si coprì il viso con le mani e si sedette su una sedia vicino a lei. Immagini di tutta la giornata le passarono velocemente davanti agli occhi chiusi finché non si fermarono a quella mattina, quando loro due erano seduti sulla sabbia e parlavano stuzzicandosi a vicenda. “Siete a due passi l’uno dall’altra e sembrate non riuscire mai a trovarvi. Al liceo… ora…” le parole di Freed le risuonarono nella mente.
«Stai bene?»
Merda! Alzò la testa e lo vide davanti a lei che la guardava preoccupato. Merda!
«Sì, tutto a posto» gli rispose sforzandosi di sorridere. Perché diavolo sei venuta fuori? Era a fumare, era a fumare!
«Non sembra… hai il viso tutto rosso». Laxus soffiò fuori il fumo e la osservò dubbioso.
«Sì, sto bene. Mi è venuto caldo e sono uscita, tutto qui» gli rispose sbrigativa alzandosi e facendo per tornare dentro il locale. Sentì la sua mano sul polso e si fermò, girandosi per guardarlo.
«Aspetta, ho finito. Vengo con te». Diede un ultimo tiro alla sigaretta e la spense in un posacenere poco distante, poi la raggiunse e la spinse leggermente toccandole la schiena. Mira cominciò a camminare verso l’uscita, ma si fermò dopo pochi passi. Si voltò di nuovo verso Laxus, gli prese il viso tra le mani e lo baciò. 

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Capitolo 10
*** Esitazione ***



ESITAZIONE


 


 
Uscì nel patio, dove gruppi di persone parlavano tra di loro e fumavano o bevevano, e si guardò intorno per cercare un posto dove sedersi. I divanetti e le sedie erano occupati, quindi camminò verso il lato esterno del cortile e si accese una sigaretta. Fumò lentamente ripensando ad Ever ed Elfman e domandandosi cosa stessero nascondendo di così imbarazzante. Sorrise appena e avvicinò il filtro alla bocca per ispirare di nuovo, mentre vide con la coda dell’occhio una ragazza avvicinarsi a lui. Il vestito che indossava lasciava poco all’immaginazione, ma aveva un viso dolce e bello contornato da capelli ramati raccolti dietro la testa.
«Hai da accendere?» gli chiese appena fu abbastanza vicina a lui. Laxus fece un lieve gesto di assenso con la testa e prese l’accendino dalla tasca interna del giubbotto, porgendoglielo mentre la guardava meglio. I suoi occhi erano di un marrone chiaro, quasi dorato. Niente a che vedere con quelli di Mira, l’azzurro che riluce nei suoi è… ma che…? Lei non accennava ad andarsene, nonostante avesse già acceso la sigaretta. Sembrava stesse raccogliendo il coraggio per chiedergli qualcosa, Laxus non si mosse ma si voltò dalla parte opposta: non le aveva ancora ridato l’accendino.
«Sei qui da solo?» disse alla fine, porgendoglielo e avvicinandosi appena. Quando si girò verso di lei e vide il volto speranzoso, l’unica cosa che comparve nella sua mente fu Mira. Mira e il suo splendido viso, i suoi lunghi capelli. Il suo magnifico corpo e il suo sorriso. Com’è che sono diventato così melenso? si riproverò da solo.  
«No, sono con degli amici» rispose tirando nuovamente dalla sigaretta.
«Ti va di ballare?»
«Non mi piace ballare» disse secco, forse più di quanto avrebbe voluto. Non che si preoccupasse di impressionare qualcuno, ma un po’ gli dispiaceva per quella ragazza.
«Capisco… allora, ci vediamo in giro. Grazie per l’accendino» gli disse continuando a sorridere e allontanandosi. La vide raggiungere un gruppo di ragazze e cominciare a parlare con loro, alcune sue amiche lo guardarono e scoppiarono a ridere quando notarono che le stava osservando. Ispirò dalla sigaretta e si girò da un’altra parte. Alla sua destra un ragazzo era appoggiato al muretto che delimitava il patio e abbracciava quella che doveva essere la sua fidanzata. Ripensando agli ultimi anni si rese conto che non aveva mai avuto una relazione che fosse durata più di una notte o due, forse aveva davvero paura come aveva detto Freed. O forse non voleva troppe complicazioni, visto che suo padre sembrava voler continuare a rendere la sua vita un casino. Sospirò pesantemente e spostò lo sguardo verso la porta d’ingresso del locale, dando dei colpetti alla sigaretta per far cadere la cenere. In quel momento vide Mira uscire nel patio, aveva il viso rosso e sembrava sconvolta. Dopo qualche minuto di incertezza, camminò verso una sedia poco distante da lei con il volto tra le mani. Laxus era indeciso se andare da lei o no, magari voleva restare da sola. Si convinse quando ripensò a qualche ora prima e alla vista di Mira ad aspettarlo sullo sgabello del locale: vederla gli aveva tolto un grosso peso dal petto. Non che pensasse di avere lo stesso effetto su di lei…
Si avvicinò e «Stai bene?» le chiese.
«Sì, tutto a posto» gli rispose con un sorriso forzato che gli fece dubitare della sua decisione.
«Non sembra… hai il viso tutto rosso». Laxus soffiò fuori il fumo e la scrutò poco convinto.
«Sì, sto bene. Mi è venuto caldo e sono uscita, tutto qui» gli rispose alzandosi subito dopo. Era preoccupata per qualcosa, era evidente, ma non sembrava volerne parlare. Decise di non insistere e le prese una mano quando si incamminò verso la porta del locale. Quei pochi minuti nel taxi con lei gli tornarono in mente, insieme al calore che aveva provato sentendo la tua testa appoggiata alla sua spalla.
«Aspetta, ho finito. Vengo con te». Diede un ultimo tiro alla sigaretta e la spense in un posacenere poco distante, ritornando da lei e sfiorandole la schiena. Dopo pochi passi, però, Mira si fermò e si voltò di nuovo verso di lui. Laxus la guardò confuso, ma non ebbe il tempo di formulare nessuna domanda. Sentì le sue mani sul viso e la vide alzarsi appena sulla punta dei piedi. E subito dopo le sue labbra lo baciarono, facendogli quasi esplodere il cuore in petto. Con dispiacere il tocco delle sue dita svanì a poco a poco, Mira lo guardò negli occhi e poi si allontanò scomparendo tra la folla dentro il locale. Lui rimase qualche secondo a fissare la porta, incapace di pensare a qualsiasi cosa che non fosse la sensazione delle sue morbide labbra e delle sue dita sulle guance. Si riprese quando vide Freed venire verso di lui.
«Tutto a posto?» gli chiese con un tono che sembrava divertito.
«Io? Certo! Perché?» rispose nascondendo malamente la confusione che provava.
«Così, domanda innocente…» e dandogli una pacca sulla spalla lo spinse dentro il locale. «Hai mica visto Mira…» gli sussurrò poco prima che raggiungessero gli altri nella saletta. Laxus lo guardò e non rispose, andandosi a sedere e bevendo il suo drink in un sorso solo. «No» disse alla fine quando Freed gli si mise affianco. Guardò gli altri e notò che Mira non era tornata nella sala, quindi la cercò nella pista da ballo ma non vedendola da nessuna parte chiese a Lisanna dove fosse.
«Ha detto che era stanca e che andava a casa, perché?» fu la sua risposta. Merda!
Era bastata l’esitazione di un secondo e lei se n’era andata. Si alzò ignorando la domanda di Lisanna e gli sguardi confusi dei suoi amici, camminò verso l’uscita accelerando ad ogni passo e arrivando in strada quasi correndo. Non sapeva nemmeno che cosa le avrebbe detto, ma non l’avrebbe lasciata andare una seconda volta. Sarebbe stato un perfetto idiota, paura o non paura. Si voltò a destra e a sinistra cercandola tra le decine di persone accalcate sul marciapiede e la vide mentre saliva su un taxi dalla parte opposta della via.  Per un secondo ebbe l’impulso di buttarsi davanti alla macchina e fermarla, ma gli sembrava un gesto un tantino esagerato per un semplice bacio. E soprattutto non era un comportamento che gli si addiceva. Le parlerò domani durante il turno, sì… insomma, qualche ora non farà la differenza cercò di tranquillizzarsi, mentre vedeva il taxi allontanarsi. Si voltò di nuovo verso il locale e scrisse un messaggio a Freed dicendogli che sarebbe tornato a casa: non aveva più nessuna voglia di passare la serata a bere e sentire musica. Si maledisse ancora una volta per aver esitato, cominciando a camminare verso il ristorante.

 
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Il mattino seguente si svegliò con un terribile mal di testa. Aveva dormito poco, per ore si era rigirato nel letto rivivendo all’infinito quello che era successo poco prima come un film inceppato sempre sulla stessa scena: la vedeva seduta su una sedia con le mani a coprirle il viso. Sempre più vicina man mano che camminava verso di lei. Nelle orecchie gli risuonavano le poche parole che si erano scambiati. E poi risentiva le sue labbra sulle sue, così morbide e dolci. Percepiva ancora e ancora le sue dita sfiorargli le guance. Rivedeva i suoi occhi azzurri guardarlo e i suoi capelli muoversi mentre si allontanava. Sempre più lontano da lui. E di nuovo da capo. Il suo viso. Le sue labbra. Le sue dita. I suoi occhi. I suoi capelli. Andò in bagno e si sciacquò la faccia più volte con dell’acqua ghiacciata, alzò gli occhi e vide nello specchio l’aspetto orribile che aveva. Si mise una maglietta e andò in cucina, non ancora del tutto sveglio. Aprì il frigorifero, prese il latte, mise la caffettiera sul fornello e si sedette su uno degli sgabelli davanti all’isola appoggiando la testa sul bancone e sbadigliando per l’ennesima volta.
«Qualcuno si è divertito ieri sera, eh?»
Alzò di scatto la testa e vide Gildarts seduto in salotto con suo nonno, mentre bevevano una tazza di caffè.
«Non esattamente…» biascicò con un sbadiglio prima di appoggiarsi di nuovo sul tavolo.
«Dove sei andato?» gli chiese suo nonno con un tono fintamente disinteressato.
«In un locale con gli altri» disse dopo qualche secondo, scartando la risposta “Non sono affari che ti riguardano” che avrebbe voluto dargli. Era ancora arrabbiato con lui per quello che gli aveva detto la sera precedente, ma non era dell’umore adatto per una discussione. Sentì il caffè salire e si alzò a fatica, trascinandosi verso i fornelli e versandoselo in una tazza insieme al latte. 
«Che ci fai qui comunque?» domandò a Gildarts, mentre prendeva dei biscotti dalla credenza.
«Magari prima fai colazione poi parliamo di Tu-Sai-Chi… uuuuuh!» gli rispose scoppiando a ridere.
Laxus lo guardò impassibile e poi scosse la testa «Non c’è niente di divertente in Ivan, dovresti saperlo meglio di me».
«Oh, era molto spiritoso invece sai? Faceva certe battute…» disse convinto Gildarts.
«Davvero?» lo guardò quasi persuaso Laxus.
«No, decisamente non era il suo forte…»
Sorrise alle sue parole e mangiò un paio di biscotti prima di dire «Non ho voglia di parlare di lui stamattina, mi scoppia la testa e tra poco devo iniziare il turno al ristorante».
«Te l’ho detto di fare prima colazione…» commentò Gildarts guardandolo con affetto.  
 
Scese le scale di corsa, alcuni clienti erano già seduti ai tavoli e le cameriere stavano prendendo i loro ordini. Si era addormentato di nuovo dopo aver mangiato e si era svegliato all’improvviso rendendosi conto di essere in ritardo. Andò dietro il bancone, dove Kinana stava versando del vino, e «Faccio io» le disse allungando la mano per prendere la bottiglia.
«Oh, scusa… non c’eri e ho pensato che…»
«Non c’è problema, scusami tu. Hai bisogno di altro?» le chiese cercando di avere un tono gentile, cosa che di solito gli riusciva piuttosto difficile.
«Due bicchieri di quel vino e una birra» rispose sorridendo, dopo aver controllato l’ordinazione.
«Eccoli» e glieli porse. Perlustrò la sala con gli occhi in cerca di Mira, ma non la vide da nessuna parte. Probabilmente sarà in cucina pensò voltandosi subito verso la porta a pochi metri dal bancone del bar. Qualche secondo dopo uscì Lisanna con un vassoio di ordinazioni, seguita da Natsu che le parlava animatamente.
«Non lo so, forse dovresti solo parlarle… e se non prova la stessa cosa, pazienza. Almeno puoi dire di averci provato, no?» le sentì rispondere mentre posava i piatti su uno dei tavoli.
Natsu la ascoltò con un’espressione poco convinta e «Non credo sia una buona idea, anche perché sembra le piaccia Loke…»
«Allora sarà meglio che ti sbrighi e le chiedi di uscire, no?»
«Il tuo discorso non ha senso» le rispose assumendo un atteggiamento imbronciato.
«Oh, andiamo! Non eri tu quello che non aveva mai paura di niente?» gli disse prendendolo in giro, intanto che si allontanava dal tavolo e ritornava in cucina.
«Certo! Ma… è diverso…»
«Non mi hai nemmeno detto chi è questa ragazza» si bloccò Lisanna all’improvviso, guardandolo decisa e aspettando il nome. Laxus li osservò in silenzio, mentre versava del vino ad una cliente, e appena furono abbastanza vicino «Ehi, Lisanna. Puoi venire un attimo?» le chiese.
«Ciao Laxus! Come mai te ne sei andato via così ieri sera?».
«Perché, dov’eri ieri sera?» si intromise Natsu con uno sguardo offeso.
«Ops!» disse Lisanna con aria colpevole «Siamo andati a bere qualcosa in un locale in centro con i miei fratelli, Ever, Freed e Bickslow».
«Mi avevi detto che non stavi bene!» e, guardandola arrabbiato, andò a prendere un’ordinazione ad un tavolo poco distante.
«Mira è di turno oggi?» le chiese Laxus, appena Natsu si allontanò.
«No, ha detto che aveva delle commissioni da sbrigare e mi ha chiesto di sostituirla… perché?» gli rispose con lo sguardo rivolto verso Natsu.
«Niente» e si voltò dalla parte opposta per nascondere quanto quella notizia lo infastidisse. Non avrà nulla a che fare con quello che è successo ieri, sicuramente aveva già qualcosa in programma. Sicuramente.
«Tutto bene?» gli domandò Lisanna con aria preoccupata.
«Certo, certo. Tutto a posto, ora torno al lavoro».
«Vuoi il suo numero?». Laxus la guardò per qualche secondo e, cercando di assumere un atteggiamento il più indifferente possibile, disse solo «Ok» e aspettò che glielo scrivesse.
 
Fissava il cellulare da almeno dieci minuti per capire se dovesse inviare il messaggio o lasciar perdere e aspettare il giorno dopo per vederla. In realtà, non sapeva bene nemmeno lui cosa volesse e forse, prima di chiederlo a lei, avrebbe dovuto capirlo. Certo, era stato solo un bacio. Un piccolo, insignificante bacio durato la frazione di un secondo. Ma lui le era corso dietro mancandola di un minuto. Merda! pensò massaggiandosi la tempia.
«Che stai facendo?». Sussultò appena, quando sentì la voce di Freed, e ripose subito il cellulare nella tasca dei pantaloni.
«Niente. Tu che fai qui?»
«Passavo da queste parti e ho pensato di venire a salutarti» gli rispose mentre si sedeva su uno sgabello davanti a lui. «Mi daresti una birra?».
«Com’è andata poi ieri sera?» gli domandò porgendogliela.
«Bene, bene» e ne bevve un sorso prima di aggiungere a bassa voce «Bickslow ci ha provato tutta la sera con Lisanna, meno male che Mira se n’era andata», scoppiando a ridere subito dopo.
Laxus scosse la testa e cercò con lo sguardo Lisanna «Non starebbero poi male insieme, non credi?»
«Può darsi, ma non so se Bickslow sia del tutto affidabile su questo genere di cose…»
«Penso di sì, invece».
«Andiamo, non ha mai avuto una ragazza. Lo sai meglio di me…»
«Questo cosa c’entra?» lo interruppe bruscamente.
Freed lo osservò pensieroso e poi aggiunse «Stiamo ancora parlando di Bickslow, vero?».
«Ovvio!» gli rispose Laxus con più enfasi del necessario. «Perché, cosa vorresti insinuare?»
«Niente, niente» disse solo, bevendo un lungo sorso «Ieri sera ho parlato con Mira, sai?»
«E cosa ti ha detto?» gli chiese sorpreso.
«Ti interessa?» rispose Freed con noncuranza, intanto che lo osservava per cogliere ogni minima reazione.
«No» disse allora Laxus allontanandosi e assumendo un atteggiamento distaccato «Era solo per fare conversazione». Preparò due cocktails per un’ordinazione e tornò da lui. «Allora, cosa ti ha detto?» gli chiese di nuovo, mentre metteva a posto le bottiglie che aveva usato.
«Prima mi dici che cosa è successo e poi, forse, ti dirò di cosa abbiamo parlato» lo ricattò allora Freed, finendo la birra e guardandolo con aria di sfida.
«Tsk! Sei un infame…» bisbigliò Laxus. Prese tempo rimettendo in ordine il bancone e i bicchieri che aveva lavato poco prima, poi si appoggiò al bancone davanti a Freed e gli si avvicinò sussurrando «Mi ha baciato».
Lui lo guardò con gli occhi sgranati e la bocca aperta «Cosa??» quasi gridò per la rivelazione.
«Poi se n’è andata. E oggi non è venuta al lavoro» concluse senza muoversi.
«Sarà una coincidenza» disse Freed ancora sorpreso.
«Lisanna mi ha dato il suo numero…» e tirò di nuovo fuori il cellulare posandolo in mezzo a loro due. «Non so cosa fare…» sussurrò passandosi una mano tra i capelli e guardando l’amico come a chiedergli silenziosamente un consiglio.
Freed ricambiò lo sguardo e dopo qualche secondo di indecisione disse solo «Certo che lo sai, devi solo trovare il coraggio di farlo».
«Non è così facile…» commentò, parlando più a se stesso che all’amico. «Ora dimmi cosa ti ha detto Mira» gli ordinò, ricordandosi all’improvviso del patto di poco prima.
«Pensa che Ever ed Elfman siano una bella coppia» rispose Freed, dopo aver lasciato delle monete sul bancone ed essersi alzato.
Laxus lo guardò arrabbiato e divertito allo stesso tempo. «Questa me la paghi» lo salutò mentre il suo amico usciva dal ristorante ridendo.

 
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Attraversò la strada guardando in direzione del bar e cercando tra i tavoli all’esterno il volto di suo nonno, appena lo vide accelerò il passo e lo salutò con un cenno.
«Vedo che non è ancora arrivato» disse sprezzante mentre si sedeva.
«No» fu la risposta di Makarov dopo qualche secondo. «Com’è andato il turno?» Bevve un sorso di caffè dalla tazza e aspettò che ordinasse.
«Come al solito». Laxus prese la bottiglia di birra che la cameriera aveva appena posato sul tavolo e ne bevve metà in un sorso solo. Mentre sentiva la gola bruciargli appena, si sentì momentaneamente sollevato dal nervosismo che stava provando dalla sera precedente. Due giorni dopo essersi presentato al ristorante, suo padre lo aveva chiamato e gli aveva chiesto di incontrarsi per parlare. Era talmente preso dal fatto che Mira avesse ancora scambiato il turno al locale che aveva accettato prima ancora di rendersene conto. Dopo aver chiuso la chiamata, aveva fissato il telefonino per qualche minuto ed era andato nell’ufficio del ristorante per parlarne con suo nonno. Ovviamente, lui si era offerto di accompagnarlo e Laxus non aveva obiettato: non che avesse bisogno di qualche tipo di supporto, ma visto che il figlio era suo non ci vedeva nulla di male che fosse presente anche lui.
Posò la bottiglia e diede un morso al panino mentre osservava la strada affollata e i tavolini attorno a loro, non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce ma sperava che Ivan non si presentasse. Non era certo di essere pronto ad affrontarlo. E l’unico pensiero fisso di quei giorni era Mira, visto che non le aveva ancora scritto nemmeno un messaggio e Freed si rifiutava di dirgli di cosa avessero parlato. Sospirò pesantemente continuando a guardarsi attorno.
«Non sono ancora le 2».
Si voltò verso suo nonno e bevve ancora prima di rispondere «Non capisco tutta questa fiducia in lui, per anni non avete fatto altro che litigare».
«Quando sei partito…»
«Sì, lui è corso a cercarmi preoccupato. Me lo hai già detto. Non si significa nulla…» disse Laxus sdegnato, voltandosi di nuovo verso la strada. Le parole di suo nonno risuonarono nella sua testa come una cantilena “Sei suo figlio, Laxus… Gli hai chiesto di vederti…” per poi essere schiacciate da quelle del padre “Ecco, lo sapevo. È un debole…”. Fissò in silenzio le persone che passavano davanti a lui, frastornato dai discorsi che gli giravano nella mente come una trottola impazzita, finché sentì una mano sfiorargli la spalla. Quando si voltò vide suo nonno guardarlo con un sorriso rassicurante e la confusione scomparve, veloce così come era arrivata. «Stai riponendo troppe speranze in lui, dovresti saperlo meglio di me» disse dando un altro morso al panino.
«Può darsi… ma è mio figlio. In ogni caso, non sentirti in dovere di perdonarlo o di scusarlo per come si è comportato con te. Fai quello che ritieni giusto per te, al resto penserò io…» rispose amareggiato.
«Non gli devi nulla nemmeno tu, ha fatto le sue scelte…» si bloccò a metà della frase quando vide un uomo sedersi al loro tavolo.
«Buongiorno. Laxus e Makarov Dreyar?» chiese senza nemmeno presentarsi.
«Lei sarebbe…?» rispose suo nonno.
L’uomo mise una mano dentro il cappotto che indossava e tirò fuori un portadocumenti, lo aprì e mostrò loro un distintivo della Sicurezza Nazionale. Laxus lo osservò storcendo il naso e fissandolo per decifrarne l’espressione. Aveva dei lunghi capelli scuri e un pizzetto, che evidenziava ancora di più il lungo naso. Si guardava intorno con aria circospetta, come cercando di individuare possibili spie nella piazza. Indeciso se scoppiargli a ridere in faccia o andarsene senza nemmeno chiedere spiegazioni, si girò verso suo nonno per soppesare la sua reazione: aveva gli occhi fissi su quell’uomo e non aveva detto una parola da quando aveva tirato fuori il distintivo.
«Sono l’agente Arcadios, Ivan Dreyar è un nostro informatore…» cominciò voltandosi verso di loro, quando si rese conto che nessuno dei due aveva intenzione di parlare. La risata di Laxus lo bloccò a metà della frase. «Cosa trova di divertente in quello che ho detto?» gli chiese con tono infastidito.
«Oh, andiamo. Da quale film l’ha rubata?» disse Laxus dopo essere tornato serio.
«Ragazzo, qui non sta scherzando nessuno. La questione è urgente e di vitale importanza, per suo padre soprattutto. Lo avete visto o no?» rispose rivolgendosi anche a Makarov e cercando di trattenere l’irritazione.
«Come ha saputo che eravamo qui?» domandò suo nonno bevendo lentamente dalla tazza.
«Monitoriamo il suo cellulare, ma da questa mattina non riusciamo a contattarlo. Abbiamo provato a ritracciarlo senza successo: seguendo il segnale siamo arrivati alla sua stanza d’albergo e, ovviamente, lui non era lì. Per questo sono venuto da voi».
«Capisco».
«Mi faccia capire: Ivan è un vostro informatore, ora è scomparso e voi lo state cercando. Giusto?» puntualizzò Laxus senza nemmeno provare a nascondere lo scetticismo e il divertimento che provava a pronunciare quelle parole.
«Corretto. Qualche mese fa lo abbia arrestato per vendita di merce rubata e lo abbiamo reclutato come nostro informatore in cambio di uno sconto della pena».
Laxus bevve in un sorso il resto della birra e si alzò prima che potesse aggiungere altro. «È ridicolo… poteva almeno inventarsi una storia che non fosse stata presa dall’ultimo film poliziesco uscito. Dica a Ivan che non è necessario inscenare una cosa del genere, soprattutto perché è stato lui a chiedere di vedersi oggi. Era sufficiente che dicesse che non voleva avere nulla a che fare con me… noi, con noi» si corresse alzando la voce di qualche tono. Guardò suo nonno interrogandolo con lo sguardo sulle sue intenzioni, lui gli sorrise e disse solo «Perché non vai ad aprire il ristorante per il turno serale, si è fatto tardi e non possiamo permetterci di restare chiusi».
«Come vuoi» e si incamminò verso il lato opposto della strada, dove aveva parcheggiato la moto.
«Informatore riguardo cosa…?» sentì chiedere con la voce di Makarov.
«Traffico d’armi» fu la risposta appena percettibile dell’“agente Arcadios”.
Laxus scosse la testa incredulo per la stupidità di quel incontro. Scacciò con forza la sensazione di tristezza e delusione che lo pervadeva mentre si metteva il casco e accendeva la moto. Accelerò appena fu su un rettilineo e si diresse al ristorante.

 
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Prese le chiavi dal taschino interno del giubbotto e aprì la porta d’ingresso, ripensando ancora una volta alle parole di quell’Arcadios e domandandosi perché suo nonno fosse voluto rimanere: era evidente che stesse mentendo e che fosse l’ennesimo tentativo di Ivan di spillargli dei soldi, perché dargli corda? Qual era il senso? A dire il vero, non sapeva nemmeno per quale motivo avesse fatto lo sforzo di andare all’incontro. Rivide per un fugace momento il viso di suo padre sorridere a sua madre, mentre passeggiavano nel parco alla periferia della città. Laxus correva avanti e indietro attorno a loro con le braccia distese a mimare un aeroplano, si era fermato a guardarli e li aveva visti mano nella mano parlare e ridere. Dannato guastafeste! pensò dopo aver scosso la testa per quel ricordo inaspettato.
Notò solo allora la luce accesa nello spogliatoio, ma non fece in tempo a muovere nemmeno un piede che Mira apparve davanti alla porta. Si guardarono per qualche minuto, fino a quando lei gli sorrise appena e andò in cucina. Laxus deglutì a fatica prima di seguirla, mentre si preparava mentalmente un discorso. “Perché mi hai baciato?” No, troppo diretto. “Stai bene? Non ti ho visto in questi giorni”. No, troppo vago. Merda! Perché cazzo è così difficile con lei? continuava a scartare ogni domanda a cui pensava. Arrivò davanti alla porta della cucina ed esitò per un momento con la mano sulla maniglia. Quando entrò, Mira stava preparando alcuni piatti mettendoli sopra uno dei banconi. Si mosse appena sentendolo avvicinarsi e si girò solo dopo che Laxus le fu accanto.
«Ciao» le disse aiutandola a prendere i piatti dalla credenza.
«Ciao» sussurrò in risposta, senza nemmeno guardarlo.
«Perché te ne sei andata via l’altra sera?» le chiese alla fine.
Mira rimase in silenzio e cominciò a prendere le posate e i tovaglioli.
«Mira?»
«Non lo so...» disse all’improvviso voltandosi finalmente verso di lui. «Non lo so… non avrei dovuto… è che avevo parlato con Freed e ho seguito l’impulso del momento, non avrei dovuto. E so che non provi quello che provo io, quindi ho pensato solo che andandomene mi sarei risparmiata…»
La vide trattenere le lacrime e, prima ancora di rendersene conto, la avvicinò a sé e la abbracciò. «Quindi non lo rifaresti?» le sussurrò con la testa appoggiata sopra la sua. Mira si scostò appena e sollevò il viso per guardarlo negli occhi, «Tu vorresti che lo rifacessi?» gli chiese deviando la domanda.
Laxus le prese il volto tra le mani con l’intento di baciarla, ma prima che potesse farlo un rumore dalla sala ristorante li fece voltare entrambi verso la porta.
«Dove diavolo è?» sentirono qualcuno gridare, mentre un altro colpo li convinceva ad andare a vedere chi fosse. Laxus si scostò da Mira infastidito e guardò nella stanza scostando leggermente la porta, temeva che Ivan potesse essere venuto a cercare suo nonno. Non vedendo nessuno, aprì di più la porta e fece per uscire dalla cucina ma qualcuno gli bloccò le braccia e lo colpì sulla pancia, facendolo cadere a terra.
«Credo di averlo trovato» una voce profonda proveniva da sopra di lui, non riusciva a mettere a fuoco il volto per il dolore che stava provando.
«Oh, che carino! Non gli assomiglia per niente, però…» vide dei tacchi avvicinarsi al suo viso e alzò leggermente la testa. Una donna dai capelli raccolti in una treccia lo guardava dall’alto, si abbassò e gli strinse le guance tra le dita «Sei Laxus, vero?». Assentì appena con la testa, sperando che non andassero in cucina e trovassero Mira. L’uomo che lo aveva colpito, però, alzò una gamba sopra di lui e lo sorpassò per aprire la porta alle sue spalle, quindi Laxus cercò di alzarsi con l’intento di fermarlo.
«Chi c’è lì dentro?» sentì una terza voce domandargli. Si voltò verso il bar e vide un altro uomo, alto e con un lungo cappotto, puntargli una pistola addosso. Non fece in tempo a pronunciare nemmeno una sillaba che il primo uomo uscì dalla cucina trascinando Mira per un braccio.
«Laxus!» gridò appena lo vide a terra.
«Sto bene» sussurrò cercando di controllare il dolore allo stomaco. «Chi siete?» chiese poi, quando tutti e tre furono davanti a loro.
«È irrilevante. Alzati senza fare storie e non faremo nulla alla tua ragazza» gli rispose la donna, guardandola con disprezzo. 
«Allora lasciatela andare» disse Laxus, mentre si alzava a fatica aiutato da Mira «Se cercate Ivan, non so dove sia. E lei non ha nulla a che vedere con mio padre».
«Come sei carino» lo canzonò il secondo uomo «Ma viene con noi anche lei, almeno tu non tenterai di fare qualcosa di stupido». Si avvicinò e gli afferrò il braccio, mentre la donna prese Mira e cominciò a camminare verso l’entrata del ristorante.
Poi, nel giro di pochi secondi, la situazione precipitò: in lontananza si sentirono delle sirene, il primo uomo corse alla porta e urlò che stava arrivando la polizia. La donna buttò a terra Mira e gridò che era stata lei a chiamarla mentre gli puntava la pistola alla testa. Laxus si liberò dalla presa e sferrò un colpo in pieno viso all’uomo che lo tratteneva, spingendolo addosso alla donna, che perse l’equilibrio e cadde accanto a Mira. L’altro uomo prese Laxus di sorpresa e lo colpì in testa facendolo barcollare. Era pronto a sparargli, quando una sedia si ruppe sulla sua schiena e la pistola finì sotto un tavolo a qualche metro da loro. Corsero entrambi per afferrarla spingendosi a vicenda, ma uno sparo bloccò Laxus a metà strada. E l’ultima cosa che sentì fu l’urlo di Mira e i poliziotti entrare dentro il ristorante.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTA DELL’AUTRICE
Chiedo perdono per l’attesa, ma questo capitolo è stato un parto (soprattutto perché per settimane ho scartato tutto quello che scrivevo). Finalmente sono riuscita a buttare giù qualcosa che mi soddisfa abbastanza, quindi spero che piaccia anche a voi e che sia valsa la pena aspettare un po’ di più.  
Come sempre accetto volentieri le vostre opinioni e ringrazio gallade, Red e Honey, che hanno commentato l'ultimo capitolo! :)
Al prossimo (spero rapido) aggiornamento.
Un abbraccio,
dreamfanny. 

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Capitolo 11
*** In una nuvola di ricordi ***


In una nuvola di ricordi
 




«Come puoi dire una cosa del genere?»
«Sono stanca, Ivan. Anche il dottore ha detto che non servirà a nulla… sono stanca, voglio stare con Laxus. Voglio passare più tempo possibile con lui…» la sentì cominciare a piangere da dietro la porta.
«Più tempo possibile con Laxus?» suo padre gridò «E cosa ne sarà di lui? Cosa ne sarà di me? Una volta che tu… Devi fare quella terapia!».
«No, ti ho detto che non voglio. Mi renderà solo più debole e non potrò nemmeno prenderlo in braccio. A malapena riuscirò a parlare con te… Ivan, ti prego. Cerca di capire…» disse con la voce spezzata dai singhiozzi.
Laxus sussultò quando la porta della camera si aprì e suo padre uscì. Aveva il volto pieno di rabbia, ma appena lo notò si avvicinò a lui e cambiò espressione dicendogli con dolcezza «Andrà tutto bene, vedrai… sono cose da grandi, non ti preoccupare. Me lo prometti?». Laxus annuì confuso e si voltò per vedere dove fosse sua madre: la vide asciugarsi il viso e venire verso di loro, cercando di nascondere la tristezza.
«Vieni, amore. Andiamo a prendere un gelato, ti va?» gli chiese prendendolo in braccio. 
 
«Mamma? Mamma, dove sei?»
«Sono qui, tesoro»
«Hai sonno?» le chiese, vedendola distesa sul divano del salotto.
«No, amore mio. Sono stanca, vieni qui. Guardiamo la televisione insieme, ti va?». Il volto era stanco, bianco, spento. Ma gli occhi erano pieni di gioia ed energia. Laxus corse verso di lei e le si sedette davanti, sul tappeto che ricopriva il pavimento.
«Va bene» le rispose sorridendo.
Qualche minuto dopo suo padre ritornò a casa e gli andò incontro. «Vieni a vedere la tv?» gli domandò saltandogli addosso. Ivan lo prese in braccio e lo strinse per un secondo prima di rimetterlo a terra. «No, devo sistemare alcuni documenti per la palestra» rispose con tono afflitto e guardando di sfuggita sua madre. Laxus lo osservò mentre andava nell’ufficio in fondo al corridoio e chiudeva la porta, si voltò verso di lei e la vide con il volto triste e gli occhi ora spenti.
 
«Dovrebbe rimettersi senza nessuna complicazione, per sua fortuna non è stato danneggiato alcun nervo. Deve solo riposare…» sentì rimbombare nella sua testa.
«D’accordo, la ringrazio» la voce di suo nonno gli risuonava nelle orecchie.
«Tornerò più tardi per controllare le sue condizioni» e dei passi echeggiarono sempre più lontani.
Come fosse l’azione più complessa che avesse mai eseguito, aprì lentamente e con enorme sforzo gli occhi vedendo una grande chiazza bianca. Li chiuse e riaprì un paio di volte prima di riuscire a mettere a fuoco la parete davanti a sé, mosse appena la testa per capire dove si trovasse e sentì subito una mano sulla sua.
«Laxus…» sussurrò Makarov. «Laxus…» ripeté con dolcezza.
«Nonno…» biascicò «Ho sete…».
«Certo, tieni» gli disse porgendogli delicatamente un bicchiere. «Ecco» e lo aiutò a bere.
«Cos’è successo?» chiese dopo aver perlustrato la stanza.
«Ehi! Il bel addormentato si è svegliato!» la voce di Gildarts lo fece sussultare. Si voltò e lo vide davanti alla porta con due tazze di caffè e seguito da Cana, che teneva un sacchetto da cui tirò fuori dei panini caldi con delle gocce di cioccolato. «Ti piacciono ancora, vero?» gli domandò avvicinandosi.
«Sì» rispose a fatica, mentre lei gliene porgeva uno.
«Abbiamo fatto l’eroe allora…» disse dopo qualche secondo di silenzio. Il suo tono era stranamente inquieto e teneva gli occhi bassi davanti a sé: la conosceva da anni ed erano praticamente cresciuti insieme, ma non l’aveva mai vista triste o nervosa. Sorprendendo persino se stesso, Laxus si mise a sedere con fatica e tese le braccia verso di lei per abbracciarla. Allora Cana alzò lo sguardo e lo strinse forte, sussurrando «Sei un deficiente, ci hai fatto spaventare» tra i singhiozzi.
«Wow! Non pensavo sarebbe arrivato il giorno in cui Laxus Dreyar avrebbe abbracciato volontariamente qualcuno!» scherzò Gildarts, smorzando l’atmosfera di tristezza che aveva pervaso la stanza. Cana scoppiò a ridere e lo lasciò andare, sedendosi ai piedi del letto e prendendo anche lei un panino, mentre Laxus guardava contrariato Gildarts. Poi all’improvviso tutto gli ricomparve nella mente: i due uomini con le pistole, la donna che voleva sparare a… «Mira… dov’è Mira?» chiese quasi gridando.
«Lei sta bene» gli rispose suo nonno prendendogli di nuovo la mano per tranquillizzarlo.
«Ti ricordi cosa è successo?» la voce di Gildarts lo riscosse dalla confusione.
«Più o meno… Eravamo al ristorante, sono arrivati degli uomini e…» si massaggiò la testa, che aveva cominciato a pulsargli violentemente appena aveva cercato di pensare.
«Ti hanno sparato» continuò per lui Gildarts, mentre si avvicinava al letto «Subito dopo sono entrati i poliziotti e li hanno arrestati».
Solo allora Laxus si rese conto del dolore acuto che provava dietro la spalla destra, sotto il collo. Non appena sfiorò la garza divenne più intenso e dovette sdraiarsi nuovamente per alleviarlo. «Sì, mi ricordo» disse alla fine, per poi aggiungere «Quindi Mira sta bene? Non è in ospedale?»
«No, lei non è stata colpita. Tranquillo» rispose suo nonno con un sorriso.
 
I giorni successivi passarono lenti, avvolgendolo in una nuvola di ricordi e malinconia che riusciva a dissolvere solo quando venivano a trovarlo Freed e gli altri. All’inizio dell’orario di visita non mancavano di venire e portargli un po’ di allegria, con le loro litigate e i loro scherzi. Ever e Bickslow si punzecchiavano a vicenda su Elfman e Lisanna, che sembrava diventare sempre più importante per il loro amico. Freed lo informava su quello che succedeva, parlando con noncuranza anche di Mira per informarlo visto che non era mai venuta a trovarlo, nonostante dopo quasi una settimana fossero persino passati Elfman e Lisanna insieme a Natsu. Cercava di nasconderlo quando Freed gli raccontava delle serate che passavano insieme ai fratelli Strauss, ma il pensiero che lei avesse cambiato idea lo rendeva furioso e insicuro, aggiungendo all’angoscia per il padre e alla malinconia per la madre la paura che proprio lei lo rifiutasse.
Durante quei giorni suo nonno non lo aveva mai lasciato da solo, aveva chiesto di poter restare a dormire nella sua stessa stanza e nessuno si era opposto. Raramente usciva, ma se lo faceva si preoccupava che ci fosse qualcun altro insieme a lui. E Laxus non disse nulla, visto che anche lui si sentiva più tranquillo quando era con qualcuno: bastavano pochi minuti e veniva avvolto da pensieri e ricordi che lo facevano sprofondare nella tristezza. Una delle occasioni in cui suo nonno era uscito dalla stanza era stata a causa della visita dell’agente Arcadios, che si era presentato un pomeriggio chiedendo di parlare con loro, dato che Ivan continuava ad essere irrintracciabile. Laxus aveva evitato di guardarlo, ancora scettico riguardo al coinvolgimento di suo padre nell’indagine, e aveva fissato il televisore per i pochi minuti che suo nonno aveva impiegato a portarlo fuori. Quando era rientrato era visibilmente preoccupato.
«Cosa ti ha detto?» gli aveva chiesto Laxus, dopo che si era seduto.
«Non riescono a trovarlo… sembra che sia scomparso nel nulla. E, a quanto pare, gli uomini che sono venuti al ristorante non lavorano per il trafficante di armi che stanno cercando di arrestare. Credo che fosse con loro che Ivan aveva quel debito…» aveva detto atono fissando il pavimento, assorto nei suoi pensieri.
«Probabilmente sarà scappato da qualche parte per tirarsi fuori dal casino che ha combinato» aveva commentato Laxus ritornando a guardare la televisione.
«Può darsi…» aveva risposto suo nonno senza distogliere lo sguardo dal pavimento.
 
«Guarda cosa ti abbiamo portato!» esordì Bickslow, tirando fuori una confezione di birra.
Erano passati ormai una decina di giorni da quando quegli uomini avevano cercato di rapire lui e Mira e aveva iniziato della fisioterapia per migliorare le condizioni della spalla, che faticava a guarire e continuava a fargli male. Quella mattina era particolarmente nervoso e stanco perché suo nonno se ne era andato da un paio di ore senza dargli nessuna spiegazione: aveva ricevuto una chiamata e gli aveva detto soltanto che doveva sistemare una questione. Aveva continuato a fare zapping per il resto della mattina e vedere finalmente i suoi amici gli tolse un enorme macigno dalla testa, che non aveva smesso di pensare da quando si era svegliato. Alla vista delle bottiglie, Laxus scoppiò a ridere e spense il televisore.
«Cosa ti salta in mente?» lo rimproverò Ever, dandogli uno schiaffo.
«Ohi, ohi, ohi. È per quando uscirà ovviamente, non sono stupido» si finse offeso Bickslow, facendo di nuovo ridere Laxus.
«Grazie» gli disse quando finalmente smise di ridere.
«Allora, sai quando ti dimetteranno?» gli chiese Ever sedendosi ai piedi del letto.
«Probabilmente tra un paio di giorni» rispose.
«Non capisco perché debba rimanere tutto questo tempo, è solo la spalla…» si lamentò Laxus.
«Perché ti hanno sparato» commentò Freed, sedendosi di fianco a lui. «Vago ricordo dell’episodio?» gli chiese scherzando.
«Capirai... durante alcuni incontri mi sono fatto molto più male» continuò a protestare.
«Non è mica male come posto comunque, ci sono alcune infermiere molto carine» commentò Bickslow prendendo una bottiglia di birra e cominciando a bere.
«Quindi ora guardiamo anche altre ragazze?» gli chiese Ever con uno sguardo minaccioso «Forse dovrei dirlo a Mira»
«Perché? Non ho mica fatto nulla… e quante volte devo dirtelo che non mi interessa Lisanna? Non in quel senso, per lo meno…» protestò Bickslow, mettendo il broncio.  
«Se lo dici tu…» intervenne Freed guardandolo con le braccia incrociate e un sorriso provocatorio.
«Tsk! Parliamo di altro grazie?» li zittì allora Bickslow, stranamente nervoso.
Laxus li osservò senza dire una parola ma, quando il suo amico andò verso la finestra e cominciò a guardare fuori, decise di cambiare argomento per dargli un po’ di tregua, cominciando a chiedere loro delle lezioni e dell’università e ripromettendosi di parlare con lui una volta dimesso dall’ospedale.
 
°°°°°°°°°°°°
 
Appena uscì in strada sospirò pesantemente, sollevato dalla sensazione di pesantezza che provava da quando si era risvegliato in ospedale. Finalmente lo avevano dimesso e stava assaporando il momento di libertà, dopo giorni rinchiuso lì dentro a pensare e rimuginare su suo padre e Mira, che ormai occupavano quasi assiduamente la sua mente. La Sicurezza Nazionale, nonostante i mezzi innovativi di cui disponeva, sembrava non essere in grado di trovare Ivan da nessuna parte. Laxus scacciò con forza il pensiero che potesse essere stato ucciso da quel trafficante d’armi che stava tenendo d’occhio per conto loro. E poi c’era Mira, che non gli aveva nemmeno scritto un messaggio da quando era stato ricoverato. Respirò profondamente un paio di volte massaggiandosi la testa, che aveva cominciato a fargli male, quando davanti a lui notò una donna insieme a due bambini che le correvano attorno spingendosi a vicenda.
«Basta, per favore. La mamma è stanca, fate i bravi» disse con voce flebile. I suoi capelli erano così sottili che sembravano quasi trasparenti… un’immagine fugace gli smorzò il respiro: durante la terapia sua madre aveva un aspetto fragile come quella donna. Si costrinse a voltarsi per cancellare la tristezza di quei giorni e raggiunse suo nonno, che lo aspettava nel parcheggio con la macchina accesa.
«Tutto bene?» gli chiese, prima di partire.
«Sì» rispose veloce mentre si allacciava la cintura. Non voleva parlarne con lui. Non voleva parlarne con nessuno. Mamma. Ivan. Mira. Un susseguirsi di immagini lo avvolse per tutto il tragitto.
 
«Mamma vieni a giocare?» le chiese tornando da lei. Erano al parco, suo padre gli aveva comprato un nuovo pallone, dopo che erano andati a prenderla in ospedale, e ora voleva che giocasse con loro due.
«Sono stanca amore, magari più tardi» gli rispose con un leggero sorriso. Laxus mise il broncio e corse di nuovo da Ivan, mentre sua madre si distendeva sulla coperta che avevano messo sotto uno degli alberi.
«Cos’ha la mamma?» domandò Laxus, appena fu abbastanza vicino.
«Nulla, deve solo riposare. Prendi…» disse suo padre, calciando di nuovo il pallone verso di lui. Ma Laxus lasciò che lo superasse e incrociò le braccia gridando «Voglio sapere cos’ha la mamma!» e cominciando a piangere.
«Shh! Abbassa la voce» lo sgridò Ivan prendendolo in braccio e riportandolo dalla madre.
«Cosa succede, tesoro?» gli chiese lei, mentre lo cullava dolcemente.
«Stai male?» singhiozzò allora Laxus, intanto che si asciugava le lacrime con le mani. La vide scambiarsi uno sguardo con Ivan e poi dire solo «Un po’, ma passerà…». Il tono della sua voce era calmo, ma non sembrava convinta delle sue parole. Suo padre si sedette di fianco a loro e gli accarezzò i capelli «Ce la caveremo, vedrai».
 
«Pensavo a mia madre…» sussurrò guardando fuori dal finestrino. Suo nonno rimase in silenzio continuando a fissare la strada. «Gildarts ha detto che Ivan non è sempre stato così… me lo ricordo, sai? Quando c’era mamma, lui era diverso» parlò Laxus, mentre vedeva scorrere davanti a sé immagini della sua infanzia. «Credi che…» si bloccò cercando di controllare le lacrime, che ormai gli avevano offuscato la vista «Merda!».
«Penso si senta in colpa» disse all’improvviso suo nonno «Tua madre non voleva fare quella terapia, sapeva che l’avrebbe consumata e non sarebbe comunque servita a nulla. Ma Ivan ha insistito talmente tanto… era così spaventato di perderla…». Laxus si voltò verso di lui e vide che stava piangendo. «Credo che un pezzo di lui se ne sia andato via con lei… e il fatto che le avesse tolto quegli ultimi mesi…» continuò tentando di trattenersi il più possibile «In ogni caso, non è una giustificazione. Hai capito?». Lo guardò deciso e aspettò che annuisse prima di proseguire «Avrebbe potuto fare scelte diverse ed evitare di commettere molti errori, soprattutto con te».
«Certo che questi giorni a casa sono un vero tormento…» commentò Laxus, dopo essersi asciugato il viso con dei fazzoletti che aveva trovato e averne dato uno anche a suo nonno «Non che mi aspettassi chissà quale allegria, ma… porca miseria!».
«Andrà meglio, vedrai. Fa bene ricordare anche queste cose, piangere ogni tanto per chi abbiamo perso… Vuoi che andiamo…?»
«No» lo interruppe subito «No, non oggi». Si girò di nuovo verso il finestrino e rimase qualche minuto in silenzio, poi disse «Dove credi che sia? Pensi che lo abbiano…»
«Non penso…» sussurrò suo nonno, mentre parcheggiava l’auto nel garage di fianco al ristorante.
 
«Come mai le luci sono spente?» chiese Laxus una volta che furono davanti alla porta d’ingresso.
«Oggi ho tenuto chiuso visto che tornavi a casa» gli rispose mentre girava la chiave nella toppa.
«Non avrai mica…» ma prima che potesse finire la frase un coro di voci lo travolse.
«Bentornato!!» sentì le voci dire entusiaste. Frastornato da tutte le persone che si erano accalcate davanti all’entrata per salutarlo, ci vollero un paio di minuti prima che riuscisse ad individuare tra i volti quelli dei suoi amici.
«Guarda qua, ora puoi bere!» gli sorrise Bickslow sollevando una cassa di birra e facendolo ridere. Lo abbracciò e poi salutò anche Ever e Freed, che lo guardarono felici.
«So che le feste a sorpresa non sono il tuo genere, ma…» cominciò Freed, leggermente in imbarazzo.
«No, è perfetto. Grazie» disse abbracciandoli di nuovo tutti e tre, commosso da quel gesto. Due anni fa, quando era partito, pensava sinceramente che lo avrebbero dimenticato e che non si sarebbero nemmeno preoccupati per la sua assenza. L’affetto che gli stavano dimostrando era qualcosa a cui non era preparato e che lo riempiva di gioia ogni volta. «Grazie» ripeté con un sorriso così grande che per qualche minuto Freed e gli altri lo fissarono confusi, credendo che in realtà stesse fingendo.
«Guarda che non mi farò scrupoli quando ci batteremo» si intromise Natsu, sfidandolo per l’ennesima volta.
«Non ti preoccupare, non mi tratterrò nemmeno io» e gli diede un pugno che lo fece indietreggiare leggermente. Poi vide Mira che lo guardava a distanza e camminò subito verso di lei, ignorando lo sguardo interrogativo di Natsu e i sorrisi compiaciuti dei suoi amici.
«Non sei venuta a trovarmi» le disse senza nemmeno salutarla, con un tono di delusione e disprezzo mischiati insieme.
«Scusa…» sussurrò lei con gli occhi bassi. Quella ragazza lo confondeva ogni giorno di più: era stato già abbastanza difficile decidere di chiarirsi con lei dopo quel bacio, ma ora lei sembrava essersene pentita di nuovo. O era lui a non capire?
«Devi dirmi cosa vuoi, perché non sono bravo in questo genere di relazioni… e la mia vita è già un casino senza che qualche ragazza me la scombini ancora di più…» stava parlando con più rabbia di quanto volesse, ma quei giorni in ospedale lo avevano sfinito e aveva rimuginato troppo a lungo sul perché lei non fosse venuto a trovarlo. Mira alzò finalmente lo sguardo, con il viso triste e dispiaciuto non disse nulla in risposta alle sue parole. Allora Laxus sospirò ancora più arrabbiato e fece per allontanarsi, ma una mano lo trattenne spingendolo a voltarsi di nuovo verso di lei.
«Mi dispiace… non voglio farti stare male, è l’ultima cosa che vorrei credimi» cominciò a parlare Mira con gli occhi lucidi e senza lasciare il suo polso «Sono venuta due volte davanti all’ospedale, solo che non sono riuscita ad entrare… odio gli ospedali, non possono nemmeno vederli in lontananza…». Si asciugò le lacrime che erano scese lungo le guance prima di continuare «Lisanna è stata in coma per quattro mesi l’anno scorso, pensavo che non avrei più potuto parlare con lei… io… mi dispiace, non ho cambiato idea su di te… mi sono spaventata così tanto quando ho sentito quello sparo…» incapace di proseguire per via del pianto che non riusciva più a controllare, smise di parlare.
E Laxus la prese tra le braccia e la abbracciò stringendola a sé: erano bastate poche parole sconnesse a sciogliere la sua angoscia e la sua rabbia. Non voleva vederla piangere, soprattutto se ne era lui la causa. «Non lo sapevo, scusa. Sono state due settimane pesanti… ti va se andiamo a mangiare qualcosa insieme domani sera?» le domandò, scostandosi appena da lei per guardarla negli occhi. «Ti sto chiedendo un appuntamento, giusto per essere chiari» sottolineò ridendo.
«Va bene» rispose lei baciandolo e togliendogli ancora una volta il respiro, per poi affondare il viso nel suo petto e abbracciarlo di nuovo. Qualche secondo dopo scoppiò un applauso che invase tutta la sala del ristorante, facendoli sussultare.
«Ma che…?» imprecò Laxus guardandosi intorno e vedendo i suoi amici continuare a battere le mani.
«Vedi di trattarla bene, hai capito?» lo minacciò Elfman avvicinandosi a lui, quasi in lacrime e con uno sguardo che doveva essere minaccioso.
«Non ci stiamo mica sposando…» disse in risposta Laxus, per niente spaventato nonostante lo superasse di almeno quindici centimetri in altezza. Mira scoppiò a ridere divertita ascoltando lo scambio di battute fra i due e aggiunse «Tranquillo, se prova a fare qualche mossa sbagliata lo sistemo io» rivolta al fratello, mentre gli faceva l’occhiolino.
Laxus la guardò offeso e poi la strinse di nuovo a sé camminando verso gli altri, sollevato di aver risolto almeno uno dei problemi che lo affliggevano in quei giorni.
 
 
 
 
 
 
Nota dell’autrice
Eccomi con un nuovo capitolo, questa volta più “tranquillo”… più o meno insomma, però piano piano si stanno delineando un po’ di episodi che avevo accennato nei capitoli precedenti. Spero che sia piaciuto tanto quanto è piaciuto a me :)
Ringrazio chi continua a leggere la mia storia e chi mi commenta, fedele e sempre presente: Red, Gallade01 e Honey. È sempre un piacere leggere le vostre impressioni :D
Un abbraccio,
dreamfanny.

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Capitolo 12
*** Il primo di tanti ***


Il primo di tanti




 
 
Le strade erano affollate di coppiette e gruppi di amici che si accalcavano nei locali e lungo la via principale, dove i negozi erano ancora aperti nonostante la tarda ora. Guardò di nuovo l’orologio, era in ritardo. Colpa di Freed, Ever e Bickslow che si erano presentati nel pomeriggio senza preavviso per “aiutarlo” a scegliere gli abiti da indossare. Prima del loro arrivo non si era nemmeno preoccupato della cosa, probabilmente si sarebbe messo una semplice maglietta e un paio di jeans senza troppo pensarci. Ma, a dire dei suoi amici, doveva considerare ogni minimo dettaglio per fare colpo al primo sguardo.
«Casomai vi fosse sfuggito, Mira non sarebbe mai uscita con me se non le piacessi… quindi non c’è bisogno… cos’è quella roba, Freed?» si era interrotto vedendo l’amico con in mano un fazzoletto viola.
«Lo devi mettere nel taschino della giacca» gli aveva risposto, mentre glielo sistemava.
«Non indosserò mai questo completo… non andiamo mica in un ristorante!» aveva protestato.
«Sì, in effetti è un po’ esagerato Freed» lo aveva appoggiato Bickslow, subito dopo aver mangiato un’altra patatina.
«Smettila di ingozzarti e vieni ad aiutarci». Ever era uscita dal bagno con in mano un pettine e «Vieni, ti sistemo i capelli» aveva ordinato a Laxus.
«Perché? Cos’hanno che non va?» le aveva domandato offeso.
Ed erano andati avanti in questo modo fino a sera, quando Laxus si era improvvisamente accorto di che ora fosse. Avrebbe fatto in tempo a chiamare un taxi se non fosse stato trattenuto ancora da Gildarts e suo nonno che avevano continuato a dargli consigli non richiesti. Alla fine era stato costretto ad accettare il passaggio da suo nonno, visto che i suoi cari amici non avevano una macchina.
«Fantastico, questo come giocherà a mio favore Freed?» gli aveva chiesto mentre li salutava fuori dal ristorante.
«Fatti lasciare due isolati prima del locale» era stata la sua risposta convinta, seguita da un gesto deciso della testa e un sorriso. Laxus aveva riso ed era salito in auto senza dire altro.
Ora che si stava avvicinando alla via dove si trovava il pub cominciava ad essere nervoso. Con tutto il trambusto che c’era stato nelle ultime ore non aveva avuto nemmeno il tempo di pensare alla serata e preoccuparsi di come sarebbe andata. Ma ora…
«Lasciami qua» disse a suo nonno, quando si trovarono a pochi metri dalla via.
«Ecco» e accostò per farlo scendere dicendogli «Divertiti!», mentre Laxus stava chiudendo la portiera. Gli lanciò un’occhiata contrariata e attraversò la strada. Si incamminò verso il pub in fondo alla strada, accendendosi una sigaretta per placare il nervosismo che si era impadronito del suo cervello. Alla fine era riuscito ad arrivare ad un compromesso con Ever e Freed: una camicia bianca e un paio di jeans. Informale, ma elegante. A dire di Freed almeno. Quando la vide così bella nel suo vestito azzurro ad aspettarlo davanti all’entrata, buttò a terra la sigaretta e si guardò velocemente nella vetrina di uno dei negozi. Merda! Lo sapevo che mi sarei fatto influenzare… dai, le sei piaciuto quando ti vestivi da punk al liceo. Ci ha guadagnato uscendo con te adesso pensò osservandosi ancora una volta Decisamente!
«Ciao» lo salutò Mira, che lo aveva raggiunto.
«Ehi!» rispose colto alla sprovvista, girandosi verso di lei. Perché mi coglie sempre impreparato? «Aspetti da tanto?»
«No, cinque minuti» e un po’ goffamente lo baciò. Quando lo guardò negli occhi, a pochi centimetri dal suo viso, arrossì appena e gli prese la mano incamminandosi verso l’entrata del pub. Laxus respirò a fondo lasciandosi guidare, per poi avvicinarla a sé e metterle il braccio sinistro sopra le spalle.
«Ti fa ancora male?» gli chiese allora Mira, mentre aspettavano di entrare.
«Un po’, ma non è niente di che…» le sorrise, dandole un bacio sulla fronte.
«Venite, il tavolo che avete prenotato è da questa parte» li interruppe un cameriere, accompagnandoli verso la parte interna della sala. Era stato Laxus a scegliere il locale, nonostante le proteste di Mira la sera precedente. Voleva portarla in un posto che gli piacesse e in cui si sentisse a suo agio, visto che spesso quando erano insieme non era pienamente lucido e finiva per dire la cosa sbagliata. Era andato spesso in quel pub con Freed, Bickslow ed Ever, quindi poteva dire di conoscerlo bene. Anche se, a guardarlo, erano cambiate un po’ di cose. L’ultima volta che ci erano stati i gruppi avevano suonato su un minuscolo palco improvvisato al fondo della sala, mentre ora era diventato un palcoscenico con tanto di luci e tende ai lati.
«Come mai hai scelto questo posto?» gli chiese Mira, distogliendolo dai suoi pensieri. Le scostò la sedia da sotto il tavolo per farla sedere e poi rispose «Sono già venuto un paio di volte e suonano della buona musica».
«Musica dal vivo?» gli domandò entusiasta.
«Sì» Laxus la osservò compiaciuto della sua scelta e si sedette di fianco a lei, di modo che entrambi fossero rivolti verso il palco e con le spalle verso il muro «Non so come saranno i gruppi di stasera però, non li conosco».
«Sarà ancora più divertente allora» disse Mira sorridendogli e prendendo il menù dal tavolo. La guardò ancora per qualche secondo, o meglio la ammirò mentre era concentrata a leggere i piatti da ordinare, prima di consultarlo anche lui.
«Cosa prendi?» gli chiese Mira poco dopo.
«Credo la bistecca con le patatine e una birra alla spina, tu?»
«Non lo so…» rispose sovrappensiero, continuando a guardare il menù.
«Su cosa sei indecisa?» disse Laxus, mentre si avvicinava a lei e posava il suo sul tavolo.
«Una pizza prosciutto e funghi o le costolette…» alzò gli occhi e li fissò nei suoi «La pizza, decisamente. Così non rischio di fare una brutta figura sporcandomi durante il nostro primo appuntamento» concluse convinta, chiudendo il menù e prendendogli la mano. Laxus rimase un secondo in silenzio, cullandosi in quelle ultime due parole che Mira aveva detto con così naturalezza “primo appuntamento”. Le sorrise dolcemente e le prese il viso con l’altra mano per baciarla.
«Possiamo prenderle insieme, se vuoi…» le disse dopo aver sfiorato ancora le sue labbra. Mira rise di gusto e posò la testa sulla sua spalla prima di ricambiare il bacio.
«La prossima volta» gli rispose.
«Posso prendere le vostre ordinazioni?» una voce interruppe il momento ed entrambi si voltarono verso il cameriere che li guardava, quasi imbarazzato, in piedi davanti a loro.
«Certo» disse Laxus «Una pizza prosciutto e funghi» e si voltò verso Mira per avere conferma prima di proseguire «Una bistecca al sangue con delle patatine di contorno… e da bere una birra chiara media e…»
«Anche per me, grazie» continuò Mira.
«D’accordo, le porto subito» disse il cameriere, prendendo i menù dal tavolo e allontanandosi.
«Dicevamo?» chiese Laxus mentre si voltava e la baciava di nuovo.
«Non mi ricordo…» rispose Mira, stuzzicandolo con piccoli baci sulle labbra.
«A voi». Il cameriere posò i due boccali e se ne andò con un «Non fate caso a me» sussurrato.
Laxus scosse la testa divertito e accarezzò la mano di Mira, per poi prendere un sorso di birra e guardare verso il palco. I tavoli erano quasi tutti occupati e altre persone stavano aspettando di potersi sedere prima che i gruppi cominciassero a suonare. Loro erano seduti in un angolo sulla sinistra del palco e potevano vedere dietro le tende la prima band prepararsi per l’esibizione. Doveva essere diventato un pub molto frequentato negli ultimi anni, non ricordava ci fossero così tanti clienti quando veniva con Bickslow e gli altri. Lo aveva scelto anche per quel motivo.
«Quando ero al liceo, avevo un piccolo gruppo musicale sai?» disse Mira all’improvviso, assorta nei suoi ricordi.
«Non stento a crederlo per com’eri qualche anno fa…» commentò divertito Laxus, mettendo un braccio sullo schienale della sua sedia.
«E con questo cosa vorresti dire?» gli domandò lei fingendo di mettere il broncio.
«Niente, niente» rispose ridendo.
«Tu non eri certo da meno, sai?» sentenziò Mira guardandolo divertita.
«Sì, si può dire che abbia seguito a pieno i canoni dell’adolescente incazzato e ribelle…» disse Laxus, ripensando agli ultimi anni. «E con chi avevi formato la band?» le chiese.
«Cana ed Erza…» cominciò Mira, interrotta subito dopo da Laxus, che aveva cominciato a tossire per via della birra che gli era andata di traverso.
«Cana suonava in una band?» le domandò dopo essersi ripreso.
Mira annuì in silenzio e bevve anche lei prima di dire «Siete molto legati voi due?».
«Abbastanza» rispose Laxus sovrappensiero e, quando vide che il suo sguardo era leggermente preoccupato, aggiunse «Non in quel senso, siamo cresciuti insieme… mio padre e Gildarts si conoscono da quando andavano alle elementari e mio nonno è ancora molto legato a lui, una lunga storia…» tagliò corto, non volendone parlare.
«Capisco…» disse atona Mira.
«Non sarai mica gelosa, vero?» le chiese allora, avvicinandosi di più a lei.
«No, no… Cana è una delle mie migliori amiche, non potrei mai essere gelosa di lei. Le voglio troppo bene» rispose con un sorriso proseguendo «È solo che lei ti conosce da molto tempo e io da così poco, vorrei solo…». Si interruppe quando il cameriere si avvicinò di nuovo al loro tavolo e posò i piatti davanti a loro. «Niente, sono solo un po’ malinconica oggi… tutto qui» concluse sorridendo di nuovo e prendendo le posate. Laxus la osservò per qualche minuto cercando di comprendere le sue parole, poi le accarezzò la mano e «È successo qualcosa?» le chiese.
«Non proprio…» rispose Mira, cominciando a tagliare la pizza.
«Buonasera a tutti, signori e signore!» una voce metallica dal palco si intromise «Stasera potremo assistere ad un grande spettacolo grazie ai fantastici gruppi che abbiamo l’onore di ospitare! Diamo il benvenuto alla prima band, i “Killer whales”» e un applauso riempì la sala mentre salivano sul palco. Quando cominciarono a suonare, Laxus guardò di nuovo Mira e prese una patatina, indeciso se insistere o lasciare che fosse lei a continuare il discorso.
«Tra qualche giorno sarà l’anniversario dell’incidente di Lisanna…» disse lei dopo qualche minuto, anticipandolo. «Però non voglio rovinare la serata, scusami» aggiunse con un sorriso forzato, per poi mordere una fetta di pizza.
«Non importa, tranquilla. Possiamo parlarne se vuoi» la incoraggiò, vedendo quanto la cosa la turbasse.
«Fino a poco fa non ci pensavo nemmeno… che stupida!» sussurrò cercando di continuare a sorridere. La osservò per qualche secondo, mentre Mira tagliava con più attenzione del dovuto la pizza, e poi le mise le braccia attorno alle spalle e la avvicinò stringendola a sé. Sentì le sue mani posarsi sulla sua schiena e il suo viso nascondersi nel suo abbraccio, le diede un bacio sulla fronte e la strinse ancora di più. Dopo pochi minuti, Mira si scostò dolcemente dal suo petto asciugandosi le lacrime e «Sto bene ora, grazie» gli disse, sfiorandogli le labbra con un bacio e sorridendogli. Laxus la scrutò per qualche secondo continuando ad abbracciarla e poi ribadì «Dicevo sul serio prima, possiamo parlarne… anche un altro giorno».
«Grazie» gli rispose Mira con uno dei suoi splendidi sorrisi. Ora sì che sta bene sentenziò tra sé vedendola finalmente serena e sciogliendo l’abbraccio.
«Un applauso per i Killer Whales!» il presentatore annunciò la fine della prima esibizione e l’arrivo della band successiva, che salì sul palco tra le grida entusiaste degli spettatori. Laxus prese le posate e cominciò a mangiare la bistecca, continuando a guardare con la coda dell’occhio Mira.
 
°°°°°°°°°°°°
 
«Dove andiamo adesso?» gli chiese mentre le teneva la porta del locale aperta.
«Dove vuoi andare?» le rigirò la domanda con un sorriso, prendendole la mano e cominciando a camminare.
«Ho voglia di gelato» rispose Mira, avvicinandosi a lui e dandogli un veloce bacio prima di attraversare la strada e andare verso il lungomare. La ammirò da lontano, mentre una macchina attraversava la via impedendogli di raggiungerla subito. Non si era mai sentito in quel modo con nessuno, era incapace di decifrare quello che stava provando. Ma ora capiva le parole che Mira aveva detto al locale: avrebbe voluto essere stato nella sua vita da sempre, conoscere ogni suo ricordo e farne parte. Sapere di essersi perso qualcosa di lei lo rendeva triste e arrabbiato. Se solo si fosse fermato quel giorno…
«Toc toc» sentì un leggero picchiettio sulla testa e la vide davanti a lui a guardarlo con dolcezza «Tutto bene?».
«Sì, sì…» la prese dalla vita, la sollevò leggermente perché fosse alla sua altezza e la baciò con passione. «Hai sempre vissuto a Magnolia?» le chiese poi, lasciandola andare.
«Io…» Mira lo guardò per qualche secondo, come confusa da quel gesto così improvviso e travolgente, poi gli diede un altro bacio e continuò «No, siamo venuti qua quando avevo dieci anni». Lo abbracciò, mettendo un braccio dietro la sua schiena e appoggiando la testa sulla sua spalla «Abbiamo vissuto in una casa famiglia fino a tre anni fa, quando ho compiuto diciotto anni ho ereditato quello che ci avevano lasciato i miei genitori e ho adottato Elfman e Lisanna».
Laxus la ascoltava attento, mentre camminavano verso un bar sulla spiaggia. «I tuoi genitori…» le chiese, ripensando a sua mamma e incupendosi all’improvviso. Mira alzò lo sguardo verso di lui e lo strinse rispondendo «Sì, quando avevo otto anni… per fortuna, io e i miei fratelli non siamo stati separati…».
«Anche mia madre… credo fosse nello stesso periodo, sai? Ero in quinta elementare quando…» si interruppe quando la sua vista cominciò ad offuscarsi e le lacrime sembravano avere la meglio. Nonostante fossero passati così tanti anni, il dolore che provava ogni volta che ripensava a lei era esattamente lo stesso che aveva sentito quando suo padre gli aveva detto che non avrebbe più potuto vederla. Si asciugò gli occhi con il dorso della mano. «Allegro come primo appuntamento, eh?» commentò cercando di dissolvere l’atmosfera di tristezza che aveva avvolto entrambi.
«Già…» disse Mira «Per questo ci vuole un gelato!» e lo baciò, mettendosi in fila davanti al bar che avevano raggiunto.
 
Camminarono in silenzio per qualche metro, mangiando il gelato e tenendosi per mano. Laxus la guardava e si sentiva il cuore riempirsi sempre più ad ogni passo. Man mano che si allontanavano dalle vie principali, il lungomare divenne meno affollato e, una volta raggiunta una scogliera che ne delimitava la fine, Laxus andò verso la scala che dava sulla spiaggia.
«Vieni» disse a Mira, senza lasciarle la mano e mangiando l’ultimo pezzo di cono.
«Aspetta…» lo fermò subito lei «Le scarpe» e se le tolse prima di raggiungerlo.
La guidò verso il mare per poi sedersi vicino agli scogli, invitandola con un sorriso a fare lo stesso. Mira si mise tra le sue gambe con la schiena appoggiata al suo petto e rimasero ad osservare le onde infrangersi contro la scogliera, abbracciati e in silenzio. Dopo qualche minuto, Laxus appoggiò il mento sulla sua spalla e poi le baciò il collo, stringendola più vicino a sé. E Mira si voltò prendendo il suo volto tra le mani e baciandolo lentamente. All’improvviso sentirono delle voci dietro di loro, si allontanarono l’uno dall’altro contrariati e si voltarono verso la fonte del suono.
«Che cazzo…?» Laxus si bloccò a metà della domanda vedendo che Freed, Ever, Bickslow, Lisanna ed Elfman si stavano spingendo a vicenda, mentre cercavano di nascondersi dietro ad una roccia a qualche metro da loro. «Non ci posso credere…» disse sconcertato scuotendo la testa.
Mira li osservò per qualche secondo e scoppiò a ridere, appoggiando il volto sulla sua spalla. Sentendo la sua risata, Laxus ne fu contagiato e cominciò a ridere a sua volta. «Guarda adesso…» gli sussurrò poi, cercando di contenere la risata. Si scostò da lui e iniziò a sollevare il vestito che indossava, mentre Laxus la osservava basito e senza parole.
«Ehi!» sentirono Elfman gridare da dietro di loro «Ehi! Un vero uomo non lo farebbe dove tutti potrebbero vedere la sua donna!».
Mira fece l’occhiolino a Laxus, che fissava le sue gambe ora scoperte e le mani strette sul vestito e sul punto di sollevarlo ancora di più.
«Elfman! Cosa ci fai qui?» si alzò fingendo sorpresa nel vederlo.
«Sorellona non è stata una mia idea!» cambiò subito tono Elfman, una volta notata la faccia arrabbiata di Mira. «Eravamo fuori e vi abbiamo visto e…»
«Come siete carini!» si intromise Lisanna andando ad abbracciarla «Scusa, non volevamo interrompervi. Ora ce ne andiamo» e le fece l’occhiolino con un sorriso complice.
«Potete venire fuori anche voi» disse Laxus, dopo essersi ripreso visto che Mira si era alzata e non era più vicino a lui. «Vi abbiamo visti…» continuò, mentre si alzava anche lui e incrociava le braccia.
«A nostra discolpa, stavamo andando nella stessa direzione» si giustificò serio Freed raggiungendoli.
«Ever avresti dovuto intrattenere Elfman, così non ci facevamo scoprire…» Bickslow si bloccò a causa del pugno di Ever che lo colpì sulla spalla.
«E poi cos’avreste fatto?» gli chiese allora Mira guardandolo arrabbiata.
«Saremmo andati a mangiare qualcosa e voi non avreste saputo che vi stavamo seguendo dal pub» rispose Bickslow con naturalezza.
«Cosa?» gridarono insieme Mira e Laxus.
«Su, non stavate mica facendo nulla… per ora» e guardò Laxus muovendo le sopracciglia con complicità.
«Tu non sei normale…» rise di gusto Laxus, dicendo «Come minimo ora ci offrite una birra».
«Solo una birra?». Mira guardò i suoi fratelli e poi Freed, Ever e Bickslow, intenta a pensare ad un’altra punizione.
«Per iniziare… ovviamente» aggiunse allora, mettendole un braccio sulle spalle e cominciando a camminare verso la scala.
«Mi è venuta una fame!» commentò Mira divertita, per poi baciarlo e prendere le scarpe che aveva lasciato sulla sabbia.
«Io sono povero però…» li informò Bickslow mentre li seguiva insieme agli altri. Lisanna scoppiò a ridere e si mise di fianco a lui, che, vedendola massaggiarsi le braccia come a volersi scaldare, le chiese «Hai freddo?».
«Un pochino, ma tanto… oh, grazie». Bickslow le mise sulle spalle la giacca che indossava e rivolse di nuovo lo sguardo davanti a sé, dicendole solo «Ho caldo».
Laxus osservò lo scambio tra loro due sorridendo nel vedere l’amico così impacciato.
«Se le fa male, non mi interessa che sia tuo amico… lo ammazzo» sentenziò Mira poi, dandogli un altro bacio e stringendosi a lui.
«Non ho dubbi» disse Laxus, conducendoli in un bar poco distante.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nota dell’autrice
Sì, lo so che dopo gli ultimi capitoli questo è molto più “soft” e tranquillo. Ma volevo godermi l’appuntamento di Laxus e Mira aggiungendo un po’ di dolcezza gratuita. Gli amori miei meritano un attimo di pace, soprattutto Laxus. Quindi spero vi sia piaciuto lo stesso leggere questo capitolo :)
Vi ringrazio moltissimo per essere in così tanti a seguire questa storia e un grazie particolare va a voi, miei fedeli commentatori, che mi fate sempre sorridere con le vostre parole.
Alla prossima,
dreamfanny
 
P.S. Vero che avete letto il nuovo capitolo del manga? Ditemi poi che Mira non è la più bella! :D

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Capitolo 13
*** Un passo in avanti ***


Un passo in avanti
 
 
 


«Ancora! Più forte! Avanti!» la voce di suo padre gli rimbombava nel cervello. Colpì il manichino ancora una volta, staccandolo dalla base di metallo a cui era attaccato. Subito dopo cadde a terra per il dolore lancinante che esplose nella caviglia e si diffuse fino alla coscia. Gli occhi gli si riempirono di lacrime, nonostante cercasse in tutti i modi di controllare le fitte che sentiva sempre più forti perforargli la carne e le ossa. Si prese inutilmente la caviglia tra le mani per placare quel dolore, ma subito Ivan staccò la presa e lo sollevò con forza da terra prendendolo per un braccio. «Ricomincia! Non vorrai fare un’altra volta la figura del debole, vero? Avanti, Laxus!». Osservò il suo viso contrarsi per la rabbia e l’avidità e capì in quel momento di averlo perso. La sera precedente, dopo l’incontro del torneo, lo aveva visto scambiare una busta con un uomo fuori dal palazzetto. Sapeva che aveva scommesso, era successo altre volte ma era troppo piccolo per comprendere quello che stava facendo. Ma ora non era più possibile, e il suo modo di parlare e comportarsi con lui erano così diversi da prima… non riusciva più a sopportarlo.  
«Vado in ospedale, per oggi abbiamo finito» disse con voce ferma, o almeno così sperava che risultasse data la delusione che stava provando. La mano di suo padre lo bloccò mentre stava uscendo dalla stanza, Laxus si voltò e lo guardò dritto negli occhi. «Ho detto basta per oggi» ripeté liberandosi dalla presa e andando nello spogliatoio. Chiamò un taxi mentre scendeva le scale e zoppicava verso l’uscita della palestra, trattenendo con tutte le forze le lacrime che continuavano a bruciargli gli occhi.
Quando arrivò in ospedale, gli chiesero cosa fosse successo e perché fosse lì da solo. «Non potevano accompagnarmi» rispose.
«Ma hai 15 anni, abbiamo bisogno che un tuo tutore firmi le carte di dimissione… possiamo chiamare qualcuno?». L’infermiera del pronto soccorso gli sorrideva con gentilezza, pronta a scrivere il numero di telefono sulla cartelletta che teneva in mano.
«Dovete proprio?» provò di nuovo a dire Laxus, questa volta più incerto.
«Sì, tesoro. Basta che sia un adulto…» aggiunse l’infermiera, come a volerlo aiutare pur non capendo la sua riluttanza.
«Va bene» e gli dettò il numero, distendendosi subito dopo sul lettino.
 
«Non c’è bisogno che mi accompagni, chiamo un taxi». Era sera tardi quando finalmente avevano deciso di dimetterlo dall’ospedale e ora si trovavano davanti alla macchina di Gildarts, che gli aveva aperto la portiera per farlo entrare.
«Lo so che sei forte e indipendente, ma sto morendo di fame e c’è un locale in questa zona che cucina degli hamburgers fenomenali… speravo che venissi con me, odio mangiare da solo» gli disse. Sapeva che non c’era nulla di vero in quello che aveva detto, non una singola parola. Ma Laxus non controbatté, salì in auto in silenzio e si allacciò la cintura.
«Paghi tu però» disse una volta che furono partiti.
«Certo» rispose ridendo Gildarts.
Dopo qualche minuto parcheggiò nel retro di un ristorante, ormai quasi vuoto, e scese dalla macchina. Laxus lo seguì lentamente per via della caviglia, continuando a rimanere in silenzio. Si sedettero ad un tavolo vicino all’entrata e ordinarono due cheeseburger con contorno di patatine fritte.
«Cos’è successo?» gli chiese alla fine Gildarts, quando la cameriera si allontanò per portare l’ordine in cucina.
«Mi stavo allenando e ho eseguito male un calcio» disse Laxus mentre guardava fuori dalla finestra alla sua destra.
«Ivan è fuori città?»
«No»
«Makarov?»
«Sì»
Sentì Gildarts sospirare, ma non si voltò per chiedergli a cosa stesse pensando. Lo sapeva fin troppo bene ormai e non aveva nessuna voglia di parlarne. “Laxus, tesoro. Metticela tutta, ce la puoi fare” improvvisamente udì la voce di sua madre e si girò per vedere dove fosse. Quando si rese conto della stupidità di quell’azione, con rabbia si alzò e disse «Non ho più fame, voglio andare a casa».
«Va bene, chiedo di impacchettarci gli hamburgers».
«Non ho bisogno di te!» gridò guardandolo questa volta negli occhi «Non ho bisogno di nessuno». Corse fuori dal ristorante e scoppiò a piangere, accasciandosi a terra davanti alla macchina e massaggiandosi la caviglia che aveva ricominciato a pulsargli per via della corsa. La mano di Gildarts si posò sulla sua spalla pochi secondi dopo. Non disse nulla. Rimasero seduti finché Laxus non si fu calmato e poi risalirono in auto.
 
Esitante mise la mano sulla maniglia della porta e la girò tirandola verso di sé. Era mattina e a quell’ora non erano in programma dei corsi, quindi la palestra era vuota. Era passato quasi un mese da quando era ritornato a Magnolia e, nonostante fosse passato davanti a quel portone svariate volte, non si era mai fermato nemmeno a guardarlo di sfuggita. Era un luogo invaso da talmente tanti ricordi che non era ancora riuscito ad avvicinarcisi, ma si sentiva pronto ad affrontarli ora. Fece un respiro profondo ed entrò.
 
«Mamma! Mamma! Guardami!» gridò entusiasta uscendo dagli spogliatoi con addosso il suo primo karategi. Aveva cinque anni e il giorno prima, durante la festa per il suo compleanno, suo padre gli aveva dato un pacco dicendogli che era una tradizione di famiglia passarsi il kimono di generazione in generazione. Laxus lo aveva ammirato a lungo, non lo aveva voluto posare nemmeno quando era andato a dormire e ora si vedevano delle piccole pieghe nel punto in cui lo aveva stretto durante la notte.
«Ti sta benissimo tesoro» gli disse sua madre, mentre gli sistemava meglio la divisa.
«Ecco, la tua cintura» esclamò suo nonno, porgendola al figlio. Ivan si inginocchiò davanti a lui e gliela legò in vita con sguardo orgoglioso.
«Un altro Dreyar iniziato alle arti marziali, spero che sia migliore di te!» la voce di Gildarts si avvicinò a loro e vide Cana imbronciata in braccio al padre. «Voglio le caramelle! Mi hai promesso che mi prendevi le caramelle!» continuava a gridare.
«Mi sta bene, vero?» chiese anche a lui Laxus, girando su se stesso per mostrargli il karategi.
«Benissimo» e gli scompigliò i capelli «Sarai il più bravo del corso».
«Di sicuro, è un Dreyar d’altra parte» sentenziò Ivan con tono arrogante mentre si alzava.
«Ivan…» la madre di Laxus lo rimproverò con un sorriso e prese la mano del figlio portandolo lontano dagli altri «Non stare a sentire tuo padre, è un uomo orgoglio ma in fondo è buono. La cosa più importante è che tu sia felice e che scelga sempre quello che ti fa stare bene, me lo prometti?».
«Sì» le rispose un po’ confuso Laxus «Ma a me piace il karate!»
«Bene allora, da domani potrai iniziare le lezioni» gli sorrise e aggiunse «Se, però, volessi decidere che non ti piace, non pensare a tuo padre. Va bene?».
«Sì» e la abbracciò.
 
Sentì chiudersi dietro di sé la porta, mentre si avvicinava agli interruttori per accendere le luci. Era esattamente come la ricordava, suo nonno non aveva cambiato nulla. Certo, alcuni manichini erano un po’ malconci e i tappeti erano usurati dal tempo, ma era tutto in ordine e pulito. Pronto per accogliere gli allievi che sarebbero arrivati dopo la scuola. Osservò per qualche minuto la sala e poi camminò verso le scale per andare agli spogliatoi al primo piano. Erano anni che non entrava lì dentro, eppure era come se ci fosse stato solo il giorno prima. Sorrise nel salire le scale e inspirò l’odore della palestra, riempiendosene i polmoni. Sarei dovuto tornarci prima pensò quando rivide le stanze in cui si tenevano le lezioni di arti marziali. Aveva passato interi pomeriggi, correndo subito dopo scuola da suo padre e suo nonno che lo aspettavano in palestra. Se non partecipava ad un corso, li aiutava a rimettere in ordine o a pulire tra una lezione e l’altra. Amava quel posto. Ma dopo la morte di sua madre lentamente le cose erano cambiate e aveva finito per preferire chiudersi in camera ad ascoltare musica o vagare per la città da solo. Almeno fino a quando non aveva incontrato Bickslow. Si erano salvati a vicenda, in un certo senso.
Un rumore interruppe il flusso dei suoi ricordi, si voltò verso gli spogliatoi e fece per entrare. Poi uno schianto improvviso: qualcosa, o qualcuno, era caduto per terra. Laxus aprì subito la porta e vide gli armadietti di metallo, normalmente addossati alle pareti, ammassati l’uno sull’altro o distesi sul pavimento. Perlustrò con gli occhi la stanza e vide un ragazzo, inginocchiato e girato di spalle, che si teneva il viso tra le mani.
«Natsu?». Il ragazzo sussultò al suono della sua voce, voltandosi e guardandolo confuso. Aveva gli occhi rossi e le guance bagnate. «Cosa stai facendo?» disse Laxus, spostando qualche armadietto mentre gli si avvicinava.
Appena Natsu lo riconobbe, si pietrificò per qualche secondo. Poi finse un sorriso e si alzò da terra strofinandosi il viso con la manica della felpa. «Niente, io… ho preso un pessimo punteggio ad un esame e…» cercò di giustificarsi «Ora rimetto a posto».
«Ti dò una mano» gli rispose Laxus, mentre sollevava un armadietto ai suoi piedi.
Quando lo spogliatoio fu di nuovo in ordine, si sedettero sulle panchine al centro della stanza e rimasero in silenzio per qualche minuto, entrambi incapaci di iniziare la conversazione.
«Come hai fatto quando tua mamma…» chiese Natsu all’improvviso, mentre fissava il pavimento davanti a lui. Laxus si voltò a guardarlo e rimase in silenzio. Come poteva rispondere alla sua domanda, se ancora adesso sperava di vederla quando la mattina andava in cucina per la colazione? Come poteva dirgli che ogni giorno ricordi che pensava dimenticati riaffioravano e lo ributtavano agli anni in cui lei era ancora con lui?
Gli mise una mano sulla spalla e sussurrò «Non lo so… vai avanti e basta».
Natsu cominciò a piangere silenziosamente, nascondendo di nuovo il viso tra le mani. «È che… ho scoperto una cosa… non so come…» si asciugò le lacrime e si voltò per guardarlo «Ho trovato delle carte tra la roba di mio padre e ho scoperto che sono stato adottato… non me l’ha detto… perché?».
Laxus lo guardò sconvolto, erano talmente simili Igneel e Natsu che non aveva mai messo in dubbio che fosse suo figlio.
«Non cambia nulla…»
«Sì, invece… lui non è mio padre!» gridò disperato Natsu ricominciando a piangere. Laxus lo osservò per qualche minuto senza parlare, lasciando che arrivasse a capire da solo che ciò che aveva detto non era vero.
«Com’è successo?» gli chiese quando si fu calmato.
«Un incidente d’auto, quasi un anno fa…» rispose singhiozzando Natsu.
«Che dici se ti dò quella rivincita?». Laxus si alzò e si mise davanti a lui sorridendogli con tono di sfida. Appena sentì quelle parole, Natsu saltò in piedi e lo guardò entusiasta. «Davvero? Niente scherzi?» gli domandò mentre si asciugava un’altra volta il viso.
«Tsk! Non pensare che mi trattenga solo per quello che mi hai detto, sai?» commentò, dopo essersi tolto la maglietta. Uscì dagli spogliatoi e andò nella stanza di fronte, iniziando a riscaldarsi mentre Natsu lo raggiungeva.
«Nemmeno io mi tratterrò» ribatté con un sorriso.

 
°°°°°°°°°°°°
 
«Va bene, chiamami quando saprai qualcosa…» Sentì la voce di suo nonno provenire dal salotto e andò da lui, per chiedergli di Igneel. Aveva appena chiuso una chiamata e si era seduto sul divano sorseggiando del caffè.
«Ciao Laxus» lo salutò quando lo vide, domandandogli poi «Dove sei stato?»
«Con chi eri al telefono?»
«Nessuno, nessuno» gli rispose un po’ bruscamente. Laxus lo guardò sospettoso, ma decise di non insistere.
«Sono andato in palestra e ho incontrato Natsu»
«Come mai sei andato in palestra?» gli chiese allora incuriosito.
«Non essere così sorpreso, ho ricominciato ad allenarmi quando ero via e volevo vedere in che stato fosse. Tutto qui».
«Capisco…» sussurrò bevendo dalla tazza.
«Com’è che Natsu era là, se era chiusa?»
«Gli ho dato le chiavi qualche mese fa per permettergli di andare quando avesse voluto. Non è stato facile per lui dopo la morte id Igneel, lo aiutava a sfogarsi…»
Laxus si alzò e andò a prendere una bottiglia d’acqua nel frigorifero. Era migliorato molto dall’ultima volta che si erano battuti, doveva ammetterlo. Aveva rischiato un paio di volte di farsi buttare a terra. Mentre ritornava in salotto disse «Ha trovato dei documenti che dicono che è stato adottato. Ne sapevi niente?».
Suo nonno lo guardò sconvolto e in silenzio. «Non avrebbe dovuto scoprirlo in questo modo» commentò «Dov’è ora?».
«Doveva incontrarsi con Lisanna per un corso all’università. Quindi lo sapevi?».
«Certo, Igneel era uno dei miei più cari amici nonostante avesse l’età di tuo padre» respirò a fondo prima di proseguire «Non conosco i dettagli, non me li ha mai voluti raccontare. Un giorno si è presentato al ristorante con Natsu, avrà avuto tre anni, dicendo che lo aveva adottato».
«E tu non gli hai chiesto nulla?». Laxus cercò di ricordare la prima volta che aveva visto Natsu, ma l’unica cosa che gli tornava in mente erano le partite infinite a quel gioco con il piccolo drago viola. Tutte le volte che venivano a casa loro la prima cosa che domandava era “Spyro?”.
«No, aveva viaggiato molto ed era tornato da un paese scosso dalla guerra. Ho sempre pensato che lo avesse portato qui di nascosto, visto che dopo qualche mese aveva chiesto a Gildarts di aiutarlo ad ottenere i documenti ufficiali».
Guardò suo nonno con gli occhi spalancati, interrogandosi sul motivo che avesse spinto Igneel a rischiare così tanto per salvare Natsu.
«Gli parlerò io» disse Makarov, mentre si alzava dal divano e prendeva il cellulare. «Pronto?» rispose poi ad un’altra chiamata, chiudendo dietro di sé la porta della sua camera.
Laxus ripose la bottiglia nel frigorifero continuando a pensare a Natsu. Nonostante la sua famiglia fosse un completo disastro, sapeva di poter contare su suo nonno. E anche se sua madre non era più con loro, aveva dei ricordi con lei. Lui non aveva nemmeno quelli e ora aveva scoperto di essere stato adottato. Non doveva essere facile da accettare. Andò in bagno e accese l’acqua della doccia. Forse avrebbe dovuto dare un’altra possibilità ad Ivan. L’ultima.
Sorrise quando comparve nella sua mente il viso di Mira e scacciò la sensazione di malinconia che stava provando. Per pranzo si sarebbe incontrato con lei e poi sarebbero andati alla visita di controllo che aveva prenotato nel pomeriggio. Il secondo appuntamento. Ripensò al loro primo incontro al ristorante, qualche settimana fa e rise di gusto: non era stato per nulla promettente. Ma erano cambiate tante cose in così poco tempo.
 
«Io esco, ci vediamo più tardi» gridò a suo nonno, mentre stava aprendo la porta di casa.
«No, aspetta…». Lo vide arrivare con la giacca addosso e le chiavi della macchina in mano «Ho bisogno che ti occupi del ristorante durante il primo turno».
«Non posso» gli rispose arrabbiato «Non puoi dirmelo all’ultimo minuto, ho degli impegni».
«Per favore».
Laxus sospirò e poi disse «Devi tornare per le 15 però, ho la visita in ospedale».
«D’accordo, grazie» e salutandolo con un tocco sul braccio scese per le scale.
«Maledizione…» sussurrò quando sentì la porta del piano terra sbattere. «Maledizione…» ripeté alzando la voce e pensando a Mira. Chiuse a chiave e andò all’ingresso del ristorante, intravedendola sul marciapiede.
«Ciao» gli disse appena lo vide.
«Ciao». La baciò e le aprì la porta per farla entrare «Non posso venire, mio nonno mi ha chiesto di occuparmi del locale».
«Oh…» commentò Mira delusa «Va bene, sarà per un’altra volta. Hai il passaggio per andare in ospedale?».
«Perché non resti e mangiamo qualcosa in ufficio?» le propose, mettendole le mani sui fianchi e avvicinandola a sé. «Insomma, non sarà il mass…» fu interrotto da un bacio di Mira, che lo tenne stretto per qualche minuto prima di lasciarlo andare.
«Va bene» disse entusiasta, baciandolo ancora una volta.
«Ciao» una voce li salutò esitante e si voltarono insieme per capire di chi fosse.
«Ciao Erza» le rispose Mira, andandole incontro. «Com’è andata ieri sera?»
«Non ne voglio parlare…» ribatté mentre posava le borse che aveva portato sul bancone del bar. «Era lì, ma non abbiamo parlato. Non ci siamo nemmeno salutati, a dire il vero» aggiunse subito dopo, guardando Laxus.
«Me ne devo andare?» chiese ironico.
«No, no… anzi, tu sei un ragazzo»
«Così pare»
«E ti piacciono le ragazze»
«Decisamente» rispose voltandosi verso Mira con un sorriso malizioso.
«Ottimo, ottimo» commentò Erza, assorta in un discorso silenzio tra sé e sé.
«Quando era piccola, credo fossimo alle medie, c’era questo nostro compagno con cui era molto legata. Poi se n’è andato e non l’ha più rivisto… bé, fino a ieri» concluse Mira, guardando contenta l’amica.
«Non che mi interessi in quel senso, voglio solo sapere come sta» disse Erza, improvvisamente imbarazzata «Vado a preparare le verdure» e riprese in mano le borse dirigendosi in cucina.
«Non mi volevi chiedere qualcosa?» le domandò Laxus, divertito dal cambio di atteggiamento della ragazza.
«Io? No, assolutamente» rispose con il viso sempre più rosso e scomparendo dietro le porte.
Laxus scosse la testa ridendo e andò da Mira, che si era seduta su uno sgabello davanti al bancone. «Allora, cosa vuoi mangiare?» le chiese sedendosi anche lui.
«Mmm… vediamo» disse pensierosa, mentre prendeva uno dei menù posati lì vicino. Scorse con il dito i vari piatti del ristorante e poi gli rispose «I tacos e un’insalata».
«Agli ordini» e si alzò per andare in cucina, commentando «Non sono il mio forte però, ti avverto».
Mira rise «Mi accontenterò».

 
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«Questo weekend organizziamo una grigliata a casa nostra» lo informò Mira, prendendo dell’insalata con la forchetta. «Ti va di venire?»
«Certo, che cosa si festeggia?»
«Nulla, vogliamo solo… saremo in pochi, solo noi tre e qualche amico» rispose con voce incerta.
Laxus alzò gli occhi e la vide assorta mentre mangiava l’ultimo taco. “Tra qualche giorno sarà l’anniversario dell’incidente di Lisanna…” le sue parole gli tornarono in mente e capì il motivo di quella richiesta. «Se vuoi vengo prima e vi aiuto» disse, prendendole la mano e accarezzandola.
Mira lo guardò e gli sorrise con affetto «Grazie, sì».
«Quando sarebbe?»
«Sabato sera, ma viene pure dopo pranzo» gli disse contenta. «Ti scrivo l’ora…» si interruppe colta da una rivelazione «Lo sai che non ci siamo ancora scambiati il numero di cellulare?» e rise divertita. Laxus la osservò colpevole: il suo telefonino aveva da giorni salvato in rubrica il suo, ma non lo aveva usato visto tutto quello che era successo. Avrebbe dovuto dirglielo? «Terra chiama Laxus…» gli disse muovendo il palmo della mano davanti al suo viso «A cosa pensi?»
«Io? Niente, niente… è solo che io ho già il tuo numero»
Mira lo guardò sorpresa «Sì? E come?».
«Ecco» si schiarì la voce prima di proseguire «Me lo ha dato Lisanna dopo la serata in quel locale, volevo scriverti ma… ecco».
Mira appoggiò il mento alla mano e lo osservò con uno dei suoi splendidi sorrisi, per poi chiedergli «Ma?».
«Ma ci siamo visti e non ce n’è stato bisogno» concluse, stranamente imbarazzato. No, devi restare calmo. Non puoi dire quanto fossi insicuro, non puoi pensò dopo aver fatto un respiro profondo. «Allora, che voto dai ai miei tacos?» le chiese cambiando argomento.
«Mmm… direi un 7, buoni ma ci devi lavorare ancora un po’» gli rispose, assumendo un atteggiamento fintamente arrogante. Laxus scosse la testa divertito dalle sue parole e la baciò. «Solo un 7? Neanche un punto in più?» la stuzzicò, dandole piccoli baci sulle labbra e poi sul collo.
«Ho già alzato il punteggio» sussurrò lei, mentre gli prendeva il viso tra le mani e cominciava a baciarlo.
«Ah sì?» e la avvicinò a sé, facendola sedere sulle sue gambe.
E poi la porta dell’ufficio si aprì.
«Sul serio?» quasi gridò Laxus, abbandonando arrabbiato le labbra di Mira. «Cosa c’è?» chiese spazientito, ricevendo uno schiaffo leggero sulla spalla da lei.
«Un signore non vuole pagare il conto…» parlò Kinana, imbarazzata e rossa in viso.
Laxus sospirò e allontanò gentilmente Mira, che si risedette di fianco a lui. «Arrivo» e si alzò raggiungendo la ragazza sulla soglia della porta.
 
 
 
 
 

Nota dell’autrice
Eccomi con il nuovo capitolo, qualche ricordo in più da aggiungere alla storia e un piccolo momento tra Mira e Laxus. Spero che vi sia piaciuto, commentate in numerosi :)
E, a costo di risultare ripetitiva, ringrazio tantissimo Honey, Red e Gallade01 per le parole che mi lasciano dopo ogni capitolo. Siete tanto cariini! <3
Un abbraccio,
dreamfanny.

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Capitolo 14
*** Visione inaspettata ***


 
Visione inaspettata






«È un nuovo cliente?» chiese Laxus, mentre chiudeva a malincuore la porta dell’ufficio.
«Credo… non l’ho mai visto prima». Kinana rimase dietro di lui, parlando così a bassa voce che riusciva a malapena a sentirla.
«Chi lo stava servendo?» le domandò, camminando verso il tavolo che gli aveva indicato. Seduto, con le gambe accavallate e le braccia appoggiate sugli schienali delle sedie accanto, c’era un ragazzo che doveva avere all’incirca la loro età. I capelli erano di un colore rossiccio scuro, erano scompigliati e alcuni ciuffi erano dritti sopra la testa. Aveva un’espressione strafottente in cui Laxus si riconobbe. Scosse la testa divertito dal ricordo del suo io di qualche anno prima. A dire il vero, bastava andare indietro di pochi mesi per rivedersi. Kinana gli rispose con il nome di un cameriere che non conosceva, lo vide poco distante dal tavolo indeciso sul da farsi. Quando notò Laxus, andò da loro.
«Hanno detto che la bistecca non era cotta come volevano e le verdure erano crude» gli riferì appena fu abbastanza vicino. Laxus lo ascoltò guardando il ragazzo, che lo scrutava con fare provocatorio mentre parlava con qualcuno che lui non riusciva a vedere bene.
«Ci penso io» rispose deciso. Si avvicinò lentamente, seguito da Kinana e dal cameriere. «Tutto a posto?» chiese appena fu davanti a loro. Ora poteva vedere chiaramente la ragazza che era seduta davanti a lui: aveva dei lunghi capelli e una frangia le ricadeva sulle sopracciglia. Il colore, quasi bianco, gli ricordò Mira. Indossava un top che le copriva a malapena il seno e dei pantaloncini ancora più corti.
«Voglio parlare con il proprietario» esclamò il ragazzo, mettendo i gomiti sul tavolo e parlando con tono di sfida.
«Al momento non è disponibile, potete riferire a me. Sono il responsabile» rispose Laxus, cercando di mantenere la calma e ignorare il suo atteggiamento arrogante.
«Bé, il cibo fa schifo. E non ho intenzione di pagare» commentò allora, alzando la voce. Alcuni dei clienti vicini si voltarono verso di loro interrogativi.
«Che cosa non la soddisfa?». Stava parlando con una cortesia che non gli si addiceva, ma non aveva intenzione di dargli nessuna soddisfazione. E suo nonno gli aveva affidato il locale. Non voleva deluderlo. «Possiamo farle preparare un’altra pietanza, se vuole».
«No, sono pieno. Vorrei andarmene» e si alzò. I piatti sopra il loro tavolo erano vuoti, l’unica cosa rimasta era la fetta di limone che aveva accompagnato la bistecca. La ragazza lo imitò rimanendo in silenzio. Si atteggiava a persona importante, ma non parlò. Assunse solo un’espressione di disprezzo e si avviò verso la porta.
«Non potet…». Il cameriere che li aveva serviti stava protestando e si interruppe quando la mano di Laxus si alzò davanti al suo volto.
«Arrivederci, spero torniate a trovarci» disse atono, osservandoli uscire dal locale. Il ragazzo si bloccò per qualche secondo fissando qualcosa dietro le spalle di Laxus, poi distolse lo sguardo e chiuse la porta, improvvisamente imbarazzato.
«E il conto?» chiese il cameriere.
«Me ne occupo io, torna a lavorare» gli rispose Laxus, persuadendolo con il suo tono ad evitare ulteriori proteste.
«D’accordo» disse allontanandosi subito dopo. I clienti che li stavano osservando tornarono a pranzare e a conversare. Laxus si girò verso l’ufficio, pensando già alle labbra di Mira, ma notò che Kinana sembrava turbata.
«Qualcosa non va?» le domandò scrutandola.
«No… io… no, tutto a posto». Le sue guance erano rosse e i suoi occhi fissi sulla porta del ristorante. «Credo che uno dei miei ordini sia pronto» disse poi all’improvviso, andando in cucina. Laxus la osservò interrogativo. Guardò la porta. E si ricordò dello sguardo che quel ragazzo aveva dato a qualcosa dietro di lui. Non sarà mica…? pensò quasi scoppiando a ridere. Scosse la testa divertito e andò in ufficio, dove Mira lo stava aspettando con un sorriso.
Si sedette di fianco a lei, cingendole la vita. «Di cosa stavamo parlando?». Come risposta, Mira si protese verso di lui e cominciò a baciarlo. Ma pochi secondi dopo si allontanò di nuovo «Ti spiace se andiamo a comprare una cosa prima di andare in ospedale?» gli chiese, baciandolo di nuovo.
«Mi avevi convinto già con il primo» commentò Laxus ridendo. «Chiamo mio nonno per sapere dov’è» e prese il cellulare per comporre il numero.
«Sei riuscito a sistemare con quel signore?» gli chiese Mira, appoggiando la testa sulla sua spalla.
«Sì, era solo un deficiente...» disse, ripensando a quel ragazzo. «Dove sei?» domandò poi a suo nonno appena rispose. Gli occhi erano fissi su di lei, era così bella che ancora si domandava come avesse fatto a non notarla prima, durante il liceo. «Ok, va bene. Allora io vado» e spense la telefonata cliccando sullo schermo del cellulare. Lo ripose nella tasca e si alzò porgendo una mano a Mira.
Lei la strinse e incrociò le dita nelle sue, mentre gli domandava «Tutto a posto?»
«Sì, ha appena parcheggiato». Devo scoprire dov’è stato, non posso permettere che… il suo pensare fu interrotto dalla mano di Mira che gli cinse il braccio. Sentì le sue guance poggiarsi sulla pelle del suo avambraccio e la sua voce dire «Vorrei comprare un vestito a Lisanna, ma non ci metterò tanto. Promesso».
Laxus la guardò poco convinto, si abbassò appena e le diede un piccolo bacio. «Tutto quello che desideri» le sussurrò all’orecchio, sfiorandole con le labbra la tempia. Mira fissò i suoi occhi per qualche secondo e gli sorrise, poi arrossì e si staccò da lui, camminando decisa verso la porta con la mano ancora stretta nella sua. Laxus sorrise a sua volta, ripensando al giorno in cui si erano presentati e a come si era imbarazzata quando si era accorta che lui la stava osservando: aveva rischiato di far cadere gli ordini che aveva in mano. Rise mentre si lasciava condurre fuori dal ristorante. Quando Mira se ne accorse, si fermò e «Cosa c’è?».
«Niente, niente» rispose e le mise il braccio sulle spalle, avvicinandola a sé e aprendole la porta d’ingresso del locale con fare galante. «Dopo di lei, signorina» la invitò ironico mentre la teneva aperta.
Mira lo guardò confusa e divertita «Oh, grazie».
 
°°°°°°°°°°°°°
 
«Che ne pensi?». Mira uscì dal camerino con un vestito color pesca: le spalline sottili sembravano reggere a fatica il resto del tessuto, che la avvolgeva perfettamente evidenziandole i fianchi e il seno.
«Bello. Anche questo» rispose, cercando di avere un tono seccato. Doveva pur recitare la parte del fidanzato che si annoiava ad aspettare la propria ragazza mentre provava abiti su abiti. Ma non si stava annoiando affatto. Come poteva non voler vedere Mira cambiarsi vestito ogni cinque minuti e avere la scusa di ammirarla, mentre si girava per farglielo guardare meglio e aiutarla a decidere?
«Non mi convince molto, Lisanna ama di più il verde» e ritornando nel camerino lo lasciò solo, seduto su un divanetto. Si appoggiò allo schienale e si guardò intorno: il negozio in cui si trovavano non era molto grande, sulle due pareti che lo percorrevano erano appesi gonne, pantaloni e canottiere su toni chiari e pastello. Una ragazza teneva in mano dei pantaloncini grigi e li mostrava ad un’amica chiedendole consiglio, mentre la commessa leggeva qualcosa dallo schermo del computer sulla scrivania vicino all’entrata.
«Il prossimo è davvero carino, ma devi essere sincero. Non voglio comprarle qualcosa che potrebbe non piacerle» la voce di Mira lo raggiunse da dietro la spessa tenda che chiudeva il camerino.
«La tua opinione sarà sicuramente migliore della mia, non la conosco così bene» rispose Laxus sovrappensiero. Qualcosa fuori dal negozio aveva attirato la sua attenzione. O meglio, qualcuno. Una chioma di un blu scuro era a qualche metro dalla vetrina, ma il ragazzo era di spalle e non riusciva a vedere il suo viso.
 
«Ho un letto libero, se vuoi»
«Non voglio la carità di nessuno»
«Sono 10 euro a notte, infatti. E per i pasti devi aggiustarti da solo»
«Certo, so cavarmela da solo».
 
Laxus si alzò dal divanetto e andò verso l’entrata del negozio per vederlo meglio. Sembrava proprio lui. Poggiò la mano sulla maniglia e tirò la porta per uscire.
«Dove stai andando?». Mira lo ridestò dai suoi pensieri. Si voltò e la vide che lo guardava preoccupata, tenendosi il vestito con le mani perché non cadesse. Tornò a guardare fuori, ma il ragazzo era scomparso.
«Da nessuna parte, mi era solo sembrato di vedere qualcuno che conoscevo. Ti serve una mano?» le chiese, indicando l’abito.
«Sì, grazie. Non riesco ad allacciare i bottoni dietro» e si mise di spalle. Laxus le si avvicinò e sistemò quelli rimasti, poi la voltò verso di lui e la osservò.
«Sei sicura di volere che tua sorella lo indossi?»
«Perché? Cos’ha che non va?» gli chiese, mentre si guardava in uno specchio vicino. Il corpetto stringeva la parte superiore del corpo, evidenziandole ancora di più il seno, e la gonna scendeva leggera fino alle cosce lasciando scoperte le ginocchia. Poteva intravedere oltre la stoffa gli slip che indossava. Attirata dallo sguardo di Laxus, si voltò interrogativa.
«Non che sia trasparente, ma amo il nero sai?» commentò ironico indicandoglieli.
«Laxus!» e gli diede un leggero schiaffo sulla spalla, divertita dalle sue parole. «Forse hai ragione, però... vorrà dire che lo prenderò per me» concluse con tono malizioso, dandogli un bacio sulle labbra e scomparendo di nuovo nel camerino.
 
Dieci cambi d’abito dopo erano fuori dal negozio, Mira stava scrivendo un messaggio e Laxus la stava aspettando con le tre buste piene di acquisti.
«Visto? Sono stata veloce» sentenziò convinta, mentre riponeva il cellulare nella borsa e porgeva le mani verso di lui per prendere i sacchetti.
«Li porto io» disse Laxus sovrappensiero, stava ancora rimuginando su quello che aveva visto poco prima. Era convinto che fosse lui, non c’erano poi così tanti ragazzi con quel colore di capelli, ma si stava sempre più convincendo che la sua mente gli avesse giocato un brutto scherzo. Erano successe talmente tante cose nelle ultime settimane e aveva dovuto affrontare parecchie questioni irrisolte, magari… poi lo intravide di nuovo uscire da un bar insieme ad una ragazza. Stava ridendo, mentre lei lo rimproverava.
«Oh, questa poi…»
«Cosa?». Laxus guardò Mira, che si era voltata per capire cosa avesse attirato la sua attenzione, e ora stava fissando la coppia che si allontanava.
«Sai il ragazzo di cui ha parlato Erza?» disse divertita, prendendogli la mano libera dalle buste.
«Sì…» rispose confuso.
«È quello là, lo vedi? Con i capelli blu oltremare» e indicò i due ragazzi.
«Blu oltremare?» commentò Laxus ridendo.
«È un colore sai?» fu la risposta quasi offesa di Mira. «Lo conosci?» gli chiese poi, mentre camminavano verso la macchina.
«Più o meno» disse assorto.
 
«Prima di condannare qualcuno dovresti conoscere le sue motivazioni»
«Non ci sono scuse che reggano, è uno stronzo e basta»
«Questo è evidente… non lo sto dicendo per lui, lo dico per te. Se non ti confronterai con lui, finirai per trascinarti dietro la rabbia fino a che morirai… e credimi, porterà solo guai»
«Quando fai così mi fai incazzare, hai 18 anni e ti comporti come un filosofo che ha vissuto mille vite»
«Mi dispiace, a volte sono un po’ petulante… oh, andiamo! Non è una parola così difficile»
«So cosa vuol dire petulante!»
«Allora non guardarmi in quel modo…»
«Tu non sei normale»
«Senti chi parla»
«Com’è che sei finito dentro?»
«Uno sbaglio, tutto qui»
«Uno sbaglio? Ti sei fatto tre anni di riformatorio e non sei neanche un po’ arrabbiato?»
«Lo sono stato, ma ho smesso quando ho capito che era inutile e stavo solo sprecando altro tempo. Ciò che è passato resta passato, l’unica cosa che posso fare è migliorare quello che ho ora»
«Eccolo di nuovo il cazzo di filosofo… la finisci?»
«Arriverà un giorno in cui la penserai anche tu come me»
«Non credo proprio, la cosa migliore che abbia fatto è stato andare via da quello schifo di città. Non ci tornerò mai più, puoi starne certo».
 
Rimase in silenzio per tutto il tragitto fino in ospedale, anche se Mira, concentrata sulla guida e probabilmente sui preparativi per la cena di sabato, non se ne accorse. Quindi, anche lui veniva da Magnolia. Quante possibilità c’erano che si incontrassero proprio loro due?
«Vuoi che ti accompagni dentro?»
«Come vuoi, se hai da fare torno in taxi» le rispose, quando ebbe parcheggiato a qualche metro dall’entrata. Si slacciò la cintura e aprì la portiera.
«È che non voglio essere troppo…» disse Mira imbarazzata.
«Vieni, dopo ti offro qualcosa» e andò dal suo lato della macchina per aiutarla a scendere.
Le prese la mano e le diede un bacio, incamminandosi verso l’edificio. «Tu non mi dai mai fastidio» le sussurrò mentre entravano. Mira gli sorrise e si strinse a lui.
 
°°°°°°°°°°°°
 
Salì le scale in fretta, il ristorante era già pieno e la testa gli scoppiava. Dopo la visita medica, era andato con Mira in una gelateria dove servivano coppe piene di frutta, biscotti e scaglie di cioccolato. Avevano parlato e riso insieme. Lei gli aveva confidato di quanto fosse stata dura riuscire ad ottenere le carte per l’affidamento di Elfman e Lisanna, vista la sua giovane età. Lui gli aveva raccontato dei due anni in cui era stato lontano da Magnolia. Si sentiva con lei come non si era mai sentito con nessuno, sembrava una cliché da film romantico, ma era proprio così: provava una sconfinata voglia di proteggerla e, allo stesso tempo, sentiva di voler essere protetto da lei. Parlare di nuovo di quel periodo, però, aveva fatto riaffiorare rabbia e risentimento e il suo cervello si era ribellato donandogli un bel mal di testa.
Girò la chiave nella toppa ed entrò in casa. «Nonno?» lo chiamò ad alta voce.
«Sono in cucina».
Laxus si tolse la giacca e lo raggiunse, sedendosi su uno degli sgabelli dell’isola. «Cosa stai facendo?»
«Stasera viene Natsu a cena»
«Ah» commentò prendendo un’arancia nella ciotola di fronte a lui e cominciando a sbucciarla. «Hai intenzione di dirglielo?»
«Non ne sono molto sicuro, ma Gildarts ha detto che farà il possibile per passare e decideremo insieme come affrontare la situazione». Makarov continuò a rimanere di spalle, rivolto verso i fornelli e intento a cucinare qualcosa che Laxus non riusciva a vedere.
«Hai bisogno di una mano?» gli chiese, alzandosi per andare a prendere una pastiglia contro il mal di testa.
«Se non hai altro da fare…»
«Non te l’avrei chiesto altrimenti» rispose, con un tono più secco di quanto avrebbe voluto. «Arrivo subito» aggiunse addolcendo la voce. Andò in bagno a sciacquarsi il viso, ingerì la pillola e tornò in cucina.
«Dovresti tagliare quelle zucchine» comandò suo nonno, indicando il bancone dell’isola dietro di lui. Senza rispondere, prese il coltello e cominciò ad affettarle. «Ho saputo che ci sono stati dei problemi al ristorante oggi a pranzo».
«Sì, due ragazzi non volevano pagare il conto. Per evitare discussioni inutili, li ho lasciati andare via. Detrai dal mio stipendio i soldi che mancano, tanto non avrebbero mai cambiato idea…» lo informò Laxus.
«Hai fatto bene. Ma non ti detrarrò nulla, non è di certo colpa tua».
«Dove sei andato oggi?» chiese dopo un minuto di silenzio.  
«Avevo un appuntamento con una persona».
«Con Ivan?»
«No» rispose atono.
«Non ti metterai di nuovo nei guai per lui, vero?». Si voltò per guardarlo, ma suo nonno non si mosse.
«No, sto solo cercando di trovarlo». Accese un altro fornello e mise una pentola sul fuoco, aggiungendo dell’olio.
«L’agente Arcadios ti ha contattato di nuovo?».
«Sì, ma anche loro non riescono a rintracciarlo da nessuna parte…». Pronunciando quelle parole la voce si incrinò leggermente. «Starà bene, ne sono certo» aggiunse, cercando probabilmente di convincere più se stesso che Laxus.
Lui si voltò di nuovo e vide le sue spalle scuotersi appena, come scosse da silenziosi singhiozzi. «Se c’è una cosa di cui essere sicuri è che di Ivan è difficile liberarsi, non credi?» sentenziò ironico, mentre ricominciava a tagliare le zucchine.
Suo nonno rise e commentò con un mesto «Già».
Rimasero in silenzio per qualche minuto, cucinando la cena e ascoltando la musica che Laxus aveva scelto. La testa continuava a pulsare, la pastiglia non aveva fatto nessun effetto. E immagini di suo padre riaffiorarono mentre tritava della carne, impedendogli di rilassarsi. Anni prima, quando tutto era ancora normale, spesso Ivan tornava a casa prima e insieme preparavano le polpette così che sua madre non dovesse cucinare. Lei dirigeva la cucina del ristorante e arrivava la sera tardi sfinita, ma non mancava mai di cuocere qualcosa di buono per loro. Era un modo per ringraziarla e per mostrarle il loro affetto. Laxus sorrise al ricordo del suo viso mentre assaggiava i suoi piatti: era evidente che fingesse fossero buoni, era quasi sicuro che fossero o troppo salati o troppo speziati. Non era bravo a dosare gli ingredienti.
«Tieni» disse porgendo la ciotola con dentro la carne al nonno.
«Com’è andata la visita?» gli chiese, mentre aggiungeva del sale e la mischiava con della mollica di pane.
«Bene, il dottore ha detto che non devo sforzare la spalla ancora per qualche settimana. Ma è tutto a posto». Prese una birra dal frigorifero e si sedette sullo sgabello. «Comunque sto tenendo testa a Mira, avevi torto» disse all’improvviso, prendendo uno spicchio di arancia.
Makarov si girò verso di lui e rise «Lo vedo, lo vedo. Sono contento per voi».
«Sai qualcosa dell’incidente in cui è stata coinvolta Lisanna?» gli chiese pensieroso «Mi ha detto che è stata in coma per qualche mese… lo domanderei a lei, ma si incupisce così tanto quando ne parla…». Il viso triste di Mira, con quei suoi splendidi occhi azzurri pieni di lacrime, invase la sua mente. Bevve più della metà della birra per mitigare il dolore che provava nel ricordarlo. Quando alzò lo sguardo, che aveva tenuto fisso sul bancone dell’isola, vide suo nonno osservarlo. Si tolse il grembiule e si sedette di fianco a lui.
«Tieni a lei, non è vero?»
«Certo, cosa credi che stia facendo?» rispose, offeso dall’insinuazione che credeva si nascondesse dietro quelle parole. Il discorso che aveva avuto con Freed qualche settimana prima gli tornò in mente: il fatto che non avesse mai frequentato seriamente una ragazza, non significava che fosse uno stronzo pronto a sfruttare…
Sentì la mano di suo nonno sfiorargli la spalla. «Sono davvero contento per te, è una brava ragazza. Ma anche per lei la vita non è stata facile, sai? Prima i suoi genitori, poi Lisanna…» sospirò, probabilmente ricordando i giorni in cui era successo ciò di cui stava parlando. «Igneel stava accompagnando Lisanna e Natsu al cinema, erano fermi ad un semaforo quando un camion li ha travolti. Lisanna si trovava dietro il sedile del guidatore, non so nemmeno come sia sopravvissuta all’impatto. Avresti dovuto vedere la macchina… Natsu ha riportato solo qualche lesione, ma non è stato colpito direttamente… Igneel è morto sul colpo, mentre Lisanna è stata in coma per quattro mesi prima di svegliarsi. Sono stati dei giorni terribili… non so come avrei fatto se fosse successo a te o a Ivan…». Il suo discorso si bloccò a causa del nodo in gola che gli impediva di proseguire, Laxus sentiva le parole quasi biascicate. Si voltò e vide i suoi occhi pieni di lacrime. Fu travolto dalla stessa emozione, ripensando anche alla rabbia che aveva provato per anni a causa della situazione tra suo padre e suo nonno e della malattia che aveva impedito a sua madre di vivere. Guardava gli altri ragazzi e invidiava la serenità con cui trascorrevano le loro giornate, sapendo che niente avrebbe potuto turbarli. Nonostante il suo risentimento, di una cosa era sempre stato certo, inconsciamente o meno: non era mai stato solo. Anche quando era scappato di casa, sapeva che se fosse tornato suo nonno lo avrebbe accolto. Natsu chi aveva ad aspettarlo? Mira aveva dovuto lottare da sola per poter restare con i suoi fratelli. E Bickslow? Come era stato egoista ed egocentrico…
 
 
 
 
 
 
Nota dell’autrice
Nuovo capitolo, fresco fresco. Stanno comparendo altri personaggi, vi avevo avvertito che ci sarebbe voluto un po’ di tempo. Il nostro Laxus si sta rendendo sempre più conto che, nonostante tutte le sue disgrazie, c’è qualcosa di buono nella sua vita e sta riuscendo a costruire qualcosa con Mira.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto :)
Ringrazio tantissimo chi mi segue e legge la mia storia, un abbraccio speciale ad Honey e Dominox che hanno commentato il capitolo precedente.
Alla prossima,
dreamfanny.

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Capitolo 15
*** Non sei solo ***


Premessa dell’autrice
Avvertimento angst! Come se non ce ne fosse abbastanza in questa storia e il mio Laxus non stesse soffrendo a sufficienza, questo capitolo ha una nota di tristezza non da poco. Almeno per quanto mi riguarda, scrivere di Laxus così perso e disperato mi fa scendere una lacrimuccia. Però ho voluto raccontare di quello che gli è successo durante i due anni lontano da Magnolia, anche se sono brevi episodi e molte cose saranno spiegate più avanti, e descrivere in maniera indiretta il suo carattere, che personalmente mi piace molto. Spero che si sia capito anche nei capitoli precedenti, ma in questo in particolare volevo sottolineare la sua determinazione e la sua voglia di lottare: sembra burbero e arrogante, ma è uno che non molla e si impegna per ottenere quello che vuole. Per questo adoro il suo personaggio anche nella storia originale. Mi auguro di averlo reso come volevo.
A parte questo breve sproloquio, vi ho scritto prima del capitolo perché ci sarà un continuo balzare dal periodo in cui lui era lontano da Magnolia ai giorni presenti. Quindi, ad ogni cambio di scena ci sarà un ritorno ad uno dei due tempi narrativi.
Buona lettura!
Alla prossima,
dreamfanny
 
PS. Ovviamente, vi ringrazio moltissimo perché mi state seguendo e vi state appassionando alla mia storia, soprattutto un abbraccio speciale va a Honey, Red e Dominox, che hanno commentato lo scorso capitolo :)
 
 

 

 
Non sei solo
 
 


 
La porta sbatté violentemente e sentì i passi pestati di Natsu percorrere le scale. Un altro rumore violento gli segnalava che era uscito anche dal ristorante. Si voltò verso suo nonno, che stava ancora fissando la sedia da cui il ragazzo si era alzato e gridando se n’era andato. Guardò Gildarts e lo vide sospirare pesantemente, per poi bere tutto d’un sorso il vino che era rimasto nel bicchiere.
«Non l’avete preparata molto bene» commentò Laxus, prendendo i piatti e portandoli in cucina.
«Avremmo dovuto dirglielo prima, dopo il funerale di Igneel».
«Perché pensi che l’avrebbe presa diversamente, Gildarts?» suo nonno scostò la sedia e lo aiutò a sparecchiare. «Ha appena scoperto di non essere figlio di suo padre e non può chiedergli nulla perché è morto. Dubito che la notizia l’avrebbe sconvolto meno se l’avesse saputo un anno fa». Cominciò a posare i piatti, che Laxus stava sciacquando e impilando sul lavandino, nella lavastoviglie.
«Può darsi… comunque, credo sia il momento di assumere un investigatore e capire da dove venga» disse Gildarts, accendendosi un sigaro.
«Sì, ho il numero di un ex-agente di polizia che potrebbe occuparsene» lo informò Makarov. «Lasciamo che elabori da solo la cosa, nel frattempo troveremo quante più risposte possibili alle sue domande» e, dopo aver chiuso lo sportello della lavastoviglie, tornò a sedersi di fianco a Gildarts.
Laxus finì di lavare i bicchieri, li salutò con un «Buona notte» appena udibile e andò in camera sua. Forse sarebbe dovuto andare da Natsu, magari aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno. Prese il cellulare con l’intenzione di chiamarlo, ma cambiò improvvisamente idea e compose il numero di Mira.
«Pronto?» la sua voce assonnata lo raggiunse dall’altoparlante del telefonino.
«Stavi già dormendo? Scusa» le disse Laxus, controllando solo in quel momento l’ora. Era l’1 di notte.
«Non importa, è successo qualcosa?». Sentì un suo sbadiglio deformare il suono dell’ultima parola e sorrise pesando al suo viso addormentato.
«Lisanna è sveglia?» chiese alla fine «Ho bisogno di parlarle un minuto».
Alla sua richiesta seguì un lungo silenzio e «Pronto?» una voce un po’ più squillante lo fece appena sussultare dalla sorpresa.
«Lisanna?»
«Sì, sono io. Cosa c’è?»
Dopo un attimo di esitazione, le riferì quello che era successo durante la cena concludendo con il chiederle «Quindi magari potresti chiamarlo e sentire come sta, non lo so… credo che parlerebbe più volentieri con te che con me».
«Ma è terribile!» commentò una voce più profonda.
«Chi è?»
«Sono Elfman»
«Hai messo il vivavoce e nemmeno me lo dici?» si lamentò Laxus, ripensando al discorso accorato che le aveva appena fatto.
«Sei così dolce, Laxus» gli disse Mira.
«Lo potresti sentire, Lisanna?» domandò, cercando di scacciare la sensazione di imbarazzo che stava provando per il commento di Mira.
«Sì, lo faccio subito. Grazie!». Un breve suono gli fece capire che era stato tolto il vivavoce.
«Sono solo io adesso» lo informò Mira, facendolo sorridere «Sei stato carino a preoccuparti per Natsu».
«Se lo dici tu…» le rispose con una leggera smorfia. Ripensò a quando se n’era andato di casa e allo smarrimento che aveva provato durante i primi mesi, incapace di chiedere aiuto anche a suo nonno e testardo come suo padre, aveva rischiato di vivere per strada se non fosse stato per le persone che aveva incontrato. «Non voglio che faccia la mia fine, tutto qui» sussurrò con amarezza.
 
°°°°°°°°°°°°
 
-DUE ANNI PRIMA-

Scese dal treno e uscì incerto dalla stazione, stringendo con le mani le fibbie dello zaino che portava sulle spalle. Si guardò intorno intimorito. Non sapeva dove andare, non era mai stato in quella città. Forse sarebbe dovuto tornare a casa, suo nonno gli avrebbe sicuramente fatto una ramanzina ma almeno… Il volto deluso e sprezzante di suo padre gli comparve davanti agli occhi interrompendo il flusso dei suoi pensieri, scosse la testa con violenza per cancellare quell’immagine e si incamminò sulla via alla sua destra. Non aveva idea di dove conducesse, né dove avrebbe dormito quella notte. L’unica cosa di cui era certo era che non voleva più sentire quel vuoto nel petto ogni volta che suo padre lo guardava od ogni volta che pensava a lui. Dopo qualche minuto, vide l’insegna luminosa di un motel ed entrò senza esitazione chiedendo una stanza singola.
Guardò fuori dalla finestra e vide il muro del palazzo di fianco. Osservò la camera: l’arredamento era vecchio, sembrava che le tende stessero per staccarsi dalle aste inchiodate al soffitto. Ma, nonostante il letto e la scrivania fossero stati probabilmente comprati cinquant’anni prima, era pulita. Posò lo zaino sulla sedia di fianco al comodino e si sdraiò, con molta cautela, sul letto. Temeva che non reggesse il suo peso. Tutto sembrava precario e sul punto di rompersi. Qualche secondo e sprofondò in un sonno agitato.
 
«Non mi mettere in mezzo!»
«Sei un debole!»
«Lasciami in pace!»
«Ivan!»
«Non lo vedi? Non combinerà mai niente con questo atteggiamento»
«Smettila, Ivan»
«È troppo sensibile, tua madre è morta. Fattene una ragione!»
«Sei uno stronzo!»
«Cos’hai detto? Vieni qui, che ti insegno come rivolgerti a tuo padre!»
«Ivan, esci da qui»
 
Si svegliò con il cuore che gli batteva così velocemente da sentirlo quasi uscirgli dal petto e con il sudore che gli gocciolava sugli occhi e gli aveva bagnato la maglietta che indossava. Se la tolse e andò nel piccolo bagno di fianco al letto. Aprì il rubinetto del lavandino e mise la testa sotto l’acqua ghiacciata. Rimase in quella posizione per minuti, o ore. Quando finalmente si decise a tornare nella stanza, fuori era ormai buio pesto. Guardò l’orologio: segnava l’1 di notte. Osservò la stanza vuota e un senso di disperazione lo pervase. Prese lo zaino, tirando fuori il cellulare per chiamare Freed o Bickslow o Ever. Chiunque. Lo accese e in pochi minuti cominciò a squillare, c’erano almeno una ventina di chiamate di suo nonno e altrettanti messaggi da parte di ognuno dei suoi amici. Era in qualche modo confortante sapere che qualcuno lo stesse cercando. Scorse la lista delle chiamate perse e ne vide tre di suo padre, una era stata fatta appena dieci minuti prima. Lo spense di nuovo e si ributtò sul letto.
 
°°°°°°°°°°°°
 
«Potremmo andare in spiaggia uno di questi giorni». Erano passate un paio di ore da quando l’aveva chiamata e stavano ancora parlando. Era stanco, ma non potendole stare vicino lo confortava sentire la sua voce. Continuavano a tornargli in mente episodi di quei primi mesi lontano da Magnolia e lo stava lentamente avvolgendo una strana tristezza.
«Sì, è un’idea carina…». Un tonfo gli bloccò le parole in gola, si alzò di scatto dal letto e aprì la porta della camera scrutando il corridoio non illuminato.
«Nonno?». Laxus lo chiamò mentre si avvicinava alla sua stanza.
«Cos’è successo?» si allarmò Mira d’altra parte del telefono.
«Nonno?». Aprì lentamente la porta e lo vide disteso a terra con una mano sul petto e il viso contratto dal dolore. «Nonno…» sussurrò in preda al panico. Chiuse la chiamata e compose con le mani tremanti il 118.
«Andrà tutto bene, stai tranquillo». Si accovacciò di fianco a lui, tenendogli la testa sulle ginocchia e massaggiandogli il petto.  «Andrà tutto bene» ripeté, mentre vide suo nonno diventare sempre più pallido.
 
°°°°°°°°°°°°
 
Percorse le vie con passo veloce, scrutando con timore ogni volto che incontrava. Rivivendo ad ogni svolta la paura di qualche ora prima. Non si era mai sentito così fragile e indifeso. Era uscito dall’hotel per esplorare i dintorni della nuova città in cui aveva deciso di fermarsi e, mentre imboccava un vicolo, un uomo gli si era parato davanti e con il coltello in mano gli aveva intimato di dargli lo zaino che portava sulle spalle. Aveva provato ad opporre resistenza, sferrandogli qualche calcio e pugno ma lui era riuscito ad avvicinarsi tanto da fargli sentire la lama sul collo e Laxus si era immobilizzato. Aveva sentito lo zainetto sfilarsi e poi, all’improvviso, aveva capito di essere rimasto solo nel vicolo. Si era accasciato a terra in preda al panico: i soldi, il cellulare. Aveva perso tutto. Non sarebbe nemmeno potuto tornare a casa. Casa. Aveva cominciato a piangere quando il volto di suo nonno era comparso davanti a lui. Sarebbe potuto andare alla polizia a chiedere aiuto. E suo padre cosa avrebbe detto? “Sei un debole, non riesci nemmeno a difenderti!”. Aveva pianto convulsamente desiderando un abbraccio di sua madre e si era stretto le ginocchia tra le braccia nascondendoci il viso. «Mamma…» aveva biascicato.
Si era deciso ad alzarsi solo dopo molte ore e in quel momento stava camminando in cerca della stazione di polizia, ma non aveva idea di dove dovesse andare. Scrutava i volti in cerca di qualcuno di rassicurante. Si fermò quando vide una donna uscire da un negozio con un bambino piccolo per mano.
«Scu…» si schiarì la voce e si avvicinò appena. «Scusi…» le disse, tenendosi a distanza.
«Sì?». La donna gli sorrise, stringendo a sé quello che doveva essere suo figlio. Avevano lo stesso nero ebano a contornare il volto.
«La polizia, dove si trova la stazione di polizia?» le chiese, deglutendo a fatica.
«Oh, caro. Stai bene?» gli domandò, improvvisamente preoccupata dopo aver notato la sua espressione.
«Sì, grazie. Ho bisogno…» deglutì ancora prima di proseguire «Ho bisogno di andare alla polizia, me la può indicare?».
«Certo, prosegui sempre dritto. In fondo alla via svolta a destra e trovi un enorme palazzo grigio. Lo vedi subito». Si zittì e lo osservò prima di chiedergli «Vuoi chiamare qualcuno?». Sembrava essersi resa conto solo in quel momento della sua giovane età.
«No, grazie per l’indicazione». Laxus fece un sorriso forzato alla donna e poi al bambino e si allontanò.
 
°°°°°°°°°°°°
 
«Cos’è successo?». La voce di Mira lo raggiunse prima che potesse vederla. Alzò la testa e la guardò mentre correva verso di lui. Dietro riconobbe Freed, Ever e Bickslow insieme a Lisanna ed Elfman.
«Scusa se ho chiuso la chiamata in quel modo… io… credo abbia avuto un infarto… non mi dicono niente…». Si alzò, cercando di sciogliere il nodo che gli bloccava la gola. Era stato in sala d’attesa per mezz’ora prima di decidersi a rispondere alle chiamate di Mira, che preoccupata non aveva smesso di cercarlo. Non voleva affrontare da solo quella situazione. Sentì le mani dei suoi amici posarsi sulle sue spalle e le braccia di Mira avvolgergli la vita. Perdere suo nonno… non riusciva nemmeno ad immaginarlo. Si sedette di nuovo, stringendo Mira quando lei fece per allontanarsi e chiedendogli con lo sguardo di sedersi sulle sue ginocchia. Lei gli sorrise e cominciò a passargli una mano tra i capelli, come per tranquillizzarlo.
«È forte, vedrai che starà bene» sentì Freed dire, mentre gli stringeva la spalla.
«Sì, è uno che non molla». Ever gli diede un bacio sulla fronte e si sedette di fianco a lui, prendendogli una mano e accarezzandogliela.
Bickslow si accovacciò di fronte a lui e lo fissò negli occhi. «E anche se succedesse qualcosa, non sei solo» gli disse con decisione. «Non sei mai stato solo» aggiunse sedendosi sul pavimento con le gambe incrociate. Laxus guardò Freed, Ever e Mira e loro gli sorrisero. Intravide il volto di Lisanna e la massa enorme di Elfman. Non era solo. Sospirò e chiuse gli occhi, cullandosi nella sensazione di protezione che gli stavano infondendo.
 
°°°°°°°°°°°°
 
Uscì dall’edificio con più determinazione di quando vi era entrato. Non voleva tornare a casa, non l’avrebbe data vinta a suo padre. Per quanto confortante potesse essere stato sapere che qualcuno lo stava cercando, non se ne era andato per ritornare dopo poche settimane frignando. Se avesse chiamato suo nonno e si fosse fatto venire a prendere, avrebbe ritrovato la stessa identica situazione insopportabile a casa. Voleva allontanarsene il più possibile. Si diresse con decisione verso il motel in cui alloggiava. Almeno quella notte avrebbe dormito in un posto caldo, visto che aveva già pagato. Il mattino dopo avrebbe pensato al da farsi.
Mentre camminava, rimuginando su Magnolia, intravide con la coda dell’occhio un foglio appeso alla vetrina di un locale. “Cercasi barista, se interessati presentare il curriculum tra le 10 e le 13”. Fissò l’annuncio non riuscendo a credere alla sua fortuna. Decise di tornare l’indomani, anche se non aveva nessuna referenza da poter portare, doveva provare ad ottenere il lavoro. Con una piccola speranza tornò all’hotel e si addormentò in pochi minuti, sfinito.  
Si svegliò quando la luce di mezzogiorno raggiunse il letto e gli riscaldò il viso. Si alzò di scatto e guardò la sveglia sul comodino, maledicendosi per non aver pensato di mettere l’allarme. Corse in bagno, si sciacquò velocemente il viso e cercò rendersi il più presentabile possibile non avendo un cambio di vestiti.
Scese le scale due gradini per volta e posò la chiave della stanza sul bancone della reception senza dire una parola. «Arrivederci» sentì dire da qualcuno dietro di lui. Non si voltò per rispondere e cominciò a camminare a passo svelto verso il locale della sera prima. Arrivò dopo qualche minuto e vide con soddisfazione che non sembrava esserci nessuno all’interno, a parte un uomo di mezza età seduto su uno sgabello e intento a sfogliare dei plichi. Inspirò, drizzò le spalle ed entrò. «Buongiorno» esordì, restando sulla soglia e aspettando che si voltasse.
«Buongiorno» rispose l’uomo «Sei qui per il colloquio?».
«Sì, sono Laxus» gli disse, mentre gli porgeva la mano. Lo guardò meglio e cominciò a dubitare della sua decisione: aveva dei lunghi capelli rossi e indossava un completo gessato bianco. Quando si alzò per stringergli la mano, fece uno strano movimento con le gambe, quasi si stesse mettendo in posa. Notò che era più basso di quanto gli fosse sembrato, gli arrivava a malapena alla vita.
«Io sono Ichiya» si presentò «E questo è il Blue Pegasus, il più famoso locale della città» concluse con fare teatrale, indicando l’enorme sala.
Laxus lo guardò stranito, con la fronte corrugata. «È ancora disponibile il posto da barista?» si informò, cercando di trattenersi dal ridere. Ogni volta che concludeva una frase, cambiava posa incrociando le braccia o facendo strani gesti con le dita.
«Sì, nessuno era abbastanza bello per il nostro locale» commentò, indicandogli uno sgabello. Laxus si sedette dopo un momento di indecisione: le sue parole gli fecero dubitare ancora di più che fosse stata una buona idea presentarsi per quel posto di lavoro, ma non aveva altre possibilità. «Hai il curriculum?» gli chiese, accomodandosi di fianco a lui ed esaminandolo con gli occhi.
«No, ma posso mostrarle qualcosa. Mi dica un cocktail qualsiasi e glielo preparo». Doveva ottenere il lavoro, era determinato a fare qualsiasi cosa.
«Saresti disposto a lavorare senza maglietta?» gli domandò socchiudendo appena gli occhi e continuando a scrutarlo.
«Cosa? No!» quasi gridò Laxus.
«Capisco. Sei assunto» decretò Ichiya, mentre gli porgeva la mano con un sorriso.
Laxus sbatté le palpebre più volte, incredulo. «Quando vuole che cominci?» riuscì a chiedere, appena si fu ripreso.
«Stasera, se per te va bene. E dammi del tu, siamo una famiglia qui».
«Quant’è la paga?». Distratto dai movimenti dell’uomo, aveva accettato prima ancora di chiedere gli orari e lo stipendio.
«Giusto, giusto. Sono 900 euro al mese, più le mance che riuscirai a guadagnare. 6 giorni su 7, dalle 19 alle 2. Il lunedì siamo chiusi» e con un altro gesto teatrale delle mani gli sorrise. «Accetti?».
Lo osservò con un sopracciglio alzato, ma alla fine lo salutò con una stretta di mano e disse «Ci vediamo stasera».
 
°°°°°°°°°°°°
 
Posò le chiavi sul mobile all’ingresso, si tolse la giacca e accese la luce.
«Li mettiamo in cucina?» gli chiese Ever, entrando dietro di lui.
«Sì, prendete pure quello che volete» le disse mentre si spostava per far passare Freed e Bickslow. Le braccia di Mira lo avvolsero da dietro e sentì un suo bacio sfiorargli la schiena. Si voltò e le sorrise. «Vado a fare una doccia» le disse sorridendole e accarezzandola.
«Va bene, prepariamo noi». Si alzò in punta di piedi e lo baciò di nuovo, per poi raggiungere Ever in cucina.
Laxus andò verso camera sua, sentendo ad ogni passo la stanchezza appesantirgli le palpebre. Erano le 6 di mattina, erano rimasti in ospedale tutta la notte e il giorno dopo suo nonno avrebbe dovuto sottoporsi ad un’operazione al cuore. I dottori avevano detto che era fuori pericolo, ma visto il precedente ricovero ritenevano opportuno mettergli un bypass. Gli avevano concesso di vederlo solo per qualche minuto, perché aveva bisogno di riposare molto, ed era così debole e pallido che Laxus aveva intimamente ringraziato di poter subito uscire senza dare spiegazioni. Quando era tornato in sala d’attesa, Gildarts gli aveva dato una pacca sulla spalla e gli aveva detto di tornare a casa a riposarsi. Non aveva opposto resistenza. Aveva resistito a sufficienza, doveva assolutamente dormire.
Su richiesta di Bickslow si erano fermati a prendere qualcosa da mangiare nell’unico bar che avevano trovato già aperto. Il proprietario stava bloccando le serrande quando erano entrati, ripulendolo di tutte le brioches e i biscotti che aveva appena finito di sistemare.
«Attento» sentì Lisanna rimproverare qualcuno.
«Passami il latte»
«Prima apparecchia, non vorrai mica mangiare tutto tu vero?»
«Questo l’ho preso per me!». La protesta di Bickslow lo fece sorridere. Si buttò sul letto e chiuse gli occhi per qualche minuto.
«Laxus?».
«Sì?».
«Vuoi mangiare qualcosa o preferisci dormire?». Si alzò e mise a fuoco il volto di Mira, che lo stava guardando con dolcezza.
«No, no. Ho fame, arrivo». Sbadigliò, mentre si metteva in piedi a fatica. Le prese la mano e uscì dalla stanza, camminando verso la cucina. «Grazie per essere venuta in ospedale » le disse, rendendosi conto solo in quel momento dello sforzo che doveva aver fatto.
«Ti ho accompagnato anche alla visita, ricordi?» gli rispose sorridendo.
Laxus si fermò a guardarla. «È vero… non ho nemmeno…».
«Ho mancato di starti vicino una volta, non capiterà mai più» lo interruppe Mira, sfiorandogli le labbra e accarezzandogli la mano. Le sorrise e la baciò, prima di abbracciarla e sussurrarle «Grazie».  
Si allontanò dopo qualche minuto, quando dietro la testa di Mira intravide una luce accesa in camera di suo nonno. Entrò per spegnerla, avvicinandosi al letto per cliccare l’interruttore della lampada, ma notò il cellulare sul letto e il led che lampeggiava ad intermittenza. Lo prese in mano e lo sbloccò per vedere chi lo avesse chiamato. Un messaggio non letto. Esitò prima di aprirlo, poi schiacciò sullo schermo e lo lesse. “Devi avvertire i Servizi o lo faranno fuori”. Scorse la conversazione e lesse anche l’sms precedente “Ce l’hanno loro”. Fissò le parole per qualche minuto prima di realizzare di chi stessero parlando. Guardò il nome del mittente senza riconoscerlo.
«Tutto a posto?» gli chiese Mira, posandogli una mano sulla schiena.
«Non lo so…» rispose in un sussurro. Senza pensarci, cliccò sul numero e sullo schermo comparve “Gajeel” a grandi lettere. 





 

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Capitolo 16
*** Un nuovo inizio ***


Un nuovo inizio
 
 

«Laxus, vieni. Devo dirti una cosa». Ivan lo chiamò dalla soglia della stanza, aveva il volto stanco e straziato. Sapeva cosa gli stava per dire, aveva temuto che quel momento arrivasse da quando aveva compreso quanto gravi fossero le condizioni di sua madre. Laxus lo fissò senza muoversi, gli occhi già offuscati dalle lacrime. Appena suo padre fece un passo verso di lui, scappò nella direzione opposta liberandosi subito dalla presa del nonno, che aveva cercato di fermarlo. Corse per il corridoio, ignorando i rimproveri degli infermieri e dei dottori. Corse fino a trovarsi nel giardino che si trovava tra i reparti dell’ospedale, dove così spesso aveva passato i pomeriggi con sua madre. Si voltò di scatto, come spaventato che potessero averlo già raggiunto, ma quando constatò che non c’era nessuno si asciugò le lacrime e si mise le mani in tasca. Camminò verso una zona che sapeva essere poco frequentata, perché lontana dalle entrate. Era piena di alberi e cespugli in cui si divertiva a nascondersi quando era più piccolo, rise amaramente di se stesso mentre si sedeva dietro un abete: avrebbe dato qualsiasi cosa per stare vicino a sua mamma, invece che giocare come un bambino. Prese un sassolino a portata di mano e lo scagliò contro la parete di fronte a lui.
«Laxus» si sentì chiamare e sussultò, cercando di nascondersi meglio dietro al tronco per non farsi vedere. «Laxus, dove sei?» suo padre lo chiamò ancora, questa volta la sua voce sembrava sul punto di spezzarsi, come se fosse troppo esausto persino per parlare. Non voleva sentirselo dire. Se non glielo avesse detto, poteva non essere successo. “Mamma…” appena il volto sorridente passò nella sua mente, cominciò a piangere. Si strinse le ginocchia tra le braccia e vi appoggiò il viso sopra. “Non è vero, non è vero, non è vero” continuava a ripetersi, ogni volta più rabbioso. I singhiozzi gli smorzavano il respiro e sentiva che gli mancava l’aria, ma non riusciva a smettere.
«Laxus…» di fianco a lui, la voce di suo nonno lo avvolse come abbracciandolo. «È qui» lo sentì parlare di nuovo, poi le mani di Ivan lo presero e lo sollevarono da terra.
 
«Ma quanto cazzo ci mettono?» si lamentò Laxus alzandosi e mettendosi le mani in tasca spazientito.
«Sta arrivando un poliziotto» lo informò Freed, indicando un uomo in divisa che si stava avvicinando.
«Chi è Laxus Dreyar?» chiese l’agente consultando un foglio. Laxus si fece avanti e, senza dire una parola, lo seguì lungo il corridoio. Sentiva gli sguardi apprensivi di Ever e Freed e, prima di entrare nella stanza che gli aveva indicato il poliziotto, notò Bickslow triste fissare il pavimento. Girò la maniglia ed entrò.
L’arredamento era spoglio, come ci si poteva aspettare in una stazione di polizia: tre sedie attorno ad un tavolo di metallo, una bacheca con diversi annunci e una lampada bianca nell’angolo vicino alla porta. Laxus si guardò intorno, come per rimandare il più a lungo possibile l’incontro con suo padre, ma lui era già seduto e sentiva il suo sguardo che gli chiedeva di voltarsi.
Solo quando l’agente chiuse la porta lasciandoli soli, Laxus si girò verso di lui. Per un attimo, incrociando i suoi occhi, ebbe l’impulso di sorridergli. Scacciò con forza quella sensazione, costringendosi a non cedere al desiderio di riappacificarsi con lui così rapidamente. Ivan aveva ancora i vestiti con cui l’avevano trovato, simili a quelli che indossava quando era passato al ristorante settimane prima. Restò in silenzio per tutto il tempo che Laxus impiegò a sedersi, pazientemente attese che ispezionasse la stanza per la seconda volta e di nuovo lo guardasse.
«Ti trovo bene» esordì alla fine Laxus, appoggiandosi allo schienale e incrociando le braccia.
«Non sono morto, se è questo che avevi intenzione di dire», con una nota aspra nella voce Ivan proseguì «Mi hanno detto che il vecchio è finito in ospedale».
«Sì» fu la risposta concisa di Laxus, che non voleva assecondarlo. Soffri almeno qualche minuto, visto che è colpa tua quello che è successo pensò, mentre una rabbia che credeva di aver ormai dimenticato si impadronì di lui appena si ricordò del volto pallido di suo nonno.
«Come sta?» chiese Ivan con un tono ora preoccupato e quasi supplicante.
«È stabile».
Passarono ancora diversi minuti in completo silenzio, poi Laxus lo fissò negli occhi e «Mi spieghi che cazzo pensavi di fare? Mi hanno detto che hai cercato di derubare quel trafficante, sei uscito di testa?» disse picchiando violentemente i palmi sul tavolo. Quasi gli urlò quelle domande addosso, sempre più arrabbiato man mano che le pronunciava. Aspettò che dicesse qualcosa, osservandolo furente, ma Ivan non rispose. Abbassò solo gli occhi e assunse un’aria da delinquente pentito. «Mi merito una spiegazione, mi hai trattato di merda per anni. E, quando pensavo che potessi in qualche modo essere cambiato, combini un altro casino facendo venire un infarto al nonno». Incrociò di nuovo le braccia, fissandolo furioso e attendendo una sua spiegazione.  
«Volevo ripagare l’ipoteca sulla palestra… è stato inutile, però, no? Li hanno arrestati e nemmeno lo sapevo…» disse Ivan alla fine, alzando la testa ma evitando lo sguardo del figlio. Nei suoi occhi non c’era richiesta di perdono o di pietà, sembrava volesse solo che credesse alle sue parole. «Ho riversato su di te l’odio che provavo nei miei confronti per aver costretto tua madre…», si interruppe e si schiarì la gola «Quando te ne sei andato, ho realizzato quanto male ti stessi facendo. Le scommesse mi stavano divorando, non pensavo ad altro che ai soldi… E ti hanno sparato per colpa mia… Ho mancato alla promessa che le avevo fatto, ho mancato in tutto…».
Lo sguardo di Laxus si addolcì per un secondo, quando gli sembrò di rivedere suo padre, per la prima volta dopo anni, ritornare ad essere l’uomo che con affetto lo aveva riportato a casa dopo la morte di sua madre ed era rimasto seduto di fianco al suo letto per tutta la notte, tenendogli stretta la mano perché lo sentisse vicino. «Dovrai fare molto più di questo, sei stato uno stronzo…» si bloccò a metà frase per via del nodo che gli si era formato in gola. «E non è solo a me che devi chiedere scusa, il nonno ha creduto in te persino quando abbiamo saputo che i Servizi ti avevano arrestato».
Laxus si massaggiò le tempie, tentando inutilmente di alleviare il dolore che aveva cominciato a stritolargli il cervello. Era estenuante dover parlare con suo padre, non sapeva ancora se fosse in grado di farlo rientrare nella sua vita, anche se sembra sincero. «Sono stanco di capire cosa fare con te, non ho più voglia», tirò indietro la sedia e si alzò «Sei tu il padre, per una volta comportati come tale…». Questa volta non aspettò la sua risposta, non gli importava sapere che cos’altro avesse da dire.
«Hai ragione…» la voce di Ivan gli arrivò in un sussurro, mentre girava la maniglia e usciva dalla stanza. Represse l’istinto di andare da lui e chiuse la porta. Sospirò quando si ritrovò nel corridoio: si sentiva improvvisamente libero. “Se non ti confronterai con lui, finirai per trascinarti dietro la rabbia fino a che morirai…” sorrise, quando le parole di Gerard gli sfiorarono la mente.
 
°°°°°°°°°°°°
 
«Come sta Ivan?» gli chiese Bickslow all’improvviso. Erano seduti in un bar vicino all’ospedale, i tavoli erano pieni per via dell’ora. Avevano appena finito di ordinare. Laxus lo aveva osservato di nascosto per svariati minuti: i suoi occhi erano afflitti, pieni di una tristezza che non gli si addiceva. Ne conosceva il motivo e sapeva che non era qualcosa di cui amasse parlare.  
«Dice che aveva intenzione di dare i soldi al nonno per ripagare il debito della palestra» gli rispose Laxus, ancora indeciso se domandargli qualcosa o fingere indifferenza.
«Capito».
Freed guardò Laxus interrogativo, mentre Ever squadrò Bickslow e gli domandò «Cos’hai adesso?».
«Niente, niente».
«Hai qualcosa, dimmelo. Riguarda Lisanna?» lo provocò, quando lui si rifiutò ancora di risponderle.
«No, non è quello. Lasciami stare» rispose, alzandosi e accendendosi una sigaretta qualche metro lontano dal tavolo.
Vedendolo così imbronciato e seccato, anche Ever si voltò verso Laxus. Lui si limitò ad accennare con la mano di non insistere e cambiò argomento «Vivi ancora con i tuoi, Freed?».
«Io… no… Ho affittato un appartamento con Bickslow. Ma me ne sono pentito due giorni dopo…» si lamentò, alzando la voce perché l’amico lo sentisse «Quel ragazzo è un disastro a tenere in ordine la casa».
«Sei tu ad essere fissato con le pulizie» sentenziò Bickslow voltandosi verso di loro. «E hai da ridire quando porto una ragazza a casa, ma non quando sei tu ad invitare un ragazzo…»
«Tsk! Questo perché ti avviso sempre prima… tu, invece, ti presenti senza dire nulla!»
Bickslow scoppiò a ridere, cogliendoli di sorpresa. «Hai ragione, hai ragione» disse a Freed e poi, rivolgendosi a Laxus, aggiunse «Pensa che l’ultima volta era appena uscito dalla doccia, avresti dovuto vedere la sua faccia…». Rise di gusto e ritornò a sedersi, spegnendo la sigaretta. «I miei sono dentro, da tipo… sempre. Ecco, non è che sia proprio una gioia ricordarlo…» disse all’improvviso con gli occhi bassi.
«Oh… Bickslow, scusa. Sono stata una stupida» sussurrò Ever, posandogli una mano sulla sua.
«Che fai? La sentimentale? Guarda che non ti si addice proprio».
«Io… io sono molto sensibile!» quasi gridò Ever, irritandosi a quelle parole e ritraendo la mano.
«Comunque sto bene, fanculo i genitori no?» affermò Bickslow cercando consenso negli amici, dopo aver bevuto della birra.
«I miei sono molto comprensivi e amorevoli, ma se vuoi insulto i tuoi» gli rispose Freed.
«D’accordo, nessuno insulta nessuno» concluse Laxus sorridendo. Sentì il cellulare vibrare e vide sullo schermo una foto di Mira. Si alzò e si allontanò per rispondere, «Ciao» la salutò.
«Ciao… tutto bene?» gli chiese lei.
«Sì, Ivan non è ferito. Sto mangiando qualcosa con Freed e gli altri, se vuoi dopo ci vediamo».
«Sono in giro con Erza e Cana, ma domani c’è la serata per Lisanna. Te la senti di venire ad aiutarmi nel pomeriggio? Oppure puoi venire la sera… O non venire… insomma, volevo ricordartelo. Stasera posso passare da te, se vuoi…». Sembrava insicura, forse pensava che non avesse voglia di vederla.
«Sì, passa quando sei libera. Possiamo cenare insieme a casa mia. Domani pomeriggio a che ora?»
«Alle 15, così mi aiuti con il barbecue»
«D’accordo, ci vediamo stasera ok?» aggiunse. Voleva parlare con lei dell’incontro con Ivan e di tutto quello che gli stava passando per la testa, e poi doveva ricordarle che passare del tempo con lei non era mai un peso.
«Certo» e Laxus sentì il suono di un bacio. Sorrise e tornò al tavolo.
«Devo andare al ristorante, venite anche voi?» chiese ai suoi amici, una volta riattaccata la chiamata.
«Mmm… no, io vado a casa» rispose sovrappensiero Bickslow.
«Ti offro tutto quello che riesci a mangiare e bere» propose allora Laxus, facendogli illuminare gli occhi.
«Davvero?» disse entusiasta e morse metà panino subito dopo «Adlorinfa ventso!».
Ever lo guardò disgustata e represse lo schiaffo che stava per dargli quando qualcosa uscì dalla bocca di Bickslow e planò sul suo braccio. Laxus e Freed trattenerono a stento una risata, notando la sua espressione rassegnata.
 
°°°°°°°°°°°°
 
Un suono di tromba si diffuse per la stanza e lo fece sussultare nel letto. «Ma che dia…?» farfugliò strofinandosi gli occhi, mentre cercava di capire da dove provenisse quel rumore. Vide il cellulare lampeggiare e spense la sveglia. «Questa me la paga» si ripromise, quando realizzò che Mira gli aveva cambiato la suoneria la sera prima. Avevano cucinato insieme una pasta ed erano rimasti sul divano a parlare e baciarsi fino a notte fonda. E chissà quando lei doveva avergli preso il telefonino e cambiato la suoneria. Rise al pensiero del suo scherzo e cominciò ad architettare un modo per ripagarla. Si alzò a fatica stiracchiandosi e sbadigliando. Erano le 10 di mattina. Aveva dormito molto più del solito, ma il ristorante avrebbe aperto solo alle 11, quindi aveva il tempo per prepararsi con calma. Andò in bagno e accese l’acqua della doccia, mentre scriveva un messaggio a suo nonno per sapere come si sentisse. Una chiamata di Natsu lo interruppe.
«Sì?» rispose curioso. Non gli aveva mai telefonato.
«Ciao! Senti ti va di venire ad allenarti prima del turno?». Sorrise sentendo la sua voce allegra e spensierata.
«Sì, dammi 10 minuti e arrivo» accettò, sospirando di sollievo. Chiamare Lisanna era stata la scelta giusta: sembrava essere ritornato il ragazzo sorridente che ricordava. Se c’era una cosa che aveva sempre ammirato di Natsu era la capacità di non farsi abbattere da nulla e di trovare un motivo per sorridere anche dopo la peggiore delle notizie.
 
Un’ora dopo entravano nel ristorante, che era già in fermento per il primo turno. Laxus intravide Erza dare ordini in cucina quando Kinana aprì la porta che dava sulla sala. Lisanna stava mettendo in ordine i bicchieri al bancone e altri camerieri sistemavano le sedie dei tavoli.
«Lunedì non sarò così leggero, ti sei rammollito un po’ eh?» provocò Natsu, mentre andava nell’ufficio di suo nonno.
«Dovresti allenare, quelle mosse che mi hai fatto vedere oggi sono fortissime» gli rispose Natsu, correndo subito dopo nello spogliatoio. Laxus si fermò, colpito dalla sua frase. Sì, potrei farlo… ammise tra sé, come colto da una rivelazione. Non ci aveva mai pensato, ma non si vedeva in nessun posto che non fosse quella palestra a dire il vero. Era lì che si sentiva se stesso. Aveva girovagato tanto per poi realizzare che apparteneva al luogo da cui era fuggito. Sorrise e aprì la porta dell’ufficio. Prese le carte che suo nonno gli aveva chiesto al telefono poco prima e uscì.
«Erza» la chiamò, entrando in cucina «Vado a trovare mio nonno, puoi badare tu al ristorante finché non torno? Ci metterò un’ora o poco più…»
«Io… certo, sì. D’accordo» acconsentì, visibilmente sorpresa da quella richiesta.
Laxus ritornò in sala, ripensando alle parole di Natsu e rimuginando su come potesse realizzarle. Il debito di Ivan non ha più valore, quegli strozzini sono finiti dentro… però, devo comunque trovare i soldi per rinnovare l’attrezzatura e le stanze e anche per pubblicizzare la riapertura… forse posso chiedere un prestito… sovrappensiero com’era sbatté contro qualcuno e sparpagliò per terra i documenti che aveva in mano. «Maledizione!» protestò, abbassandosi per raccoglierli. «Spero non si sia fatto male…» disse poi, rivolto al ragazzo a cui era andato addosso. Si voltò verso di lui, immobilizzandosi quando capì chi aveva davanti.
«Ciao» lo salutò Gerard «Ero da queste parti e ho pensato di venire a vedere questo famoso ristorante». Sorrise timidamente e si grattò la testa.
Laxus lo guardò per qualche secondo prima di riprendersi dalla sorpresa, «Pensavo di aver avuto un’allucinazione: ti ho visto l’altro giorno con una ragazza…». Si abbracciarono goffamente, ritraendosi subito dopo imbarazzati. Non era un gesto che erano soliti fare, nonostante avessero vissuto insieme per mesi prima che Laxus tornasse a Magnolia.
«Sì, ero con Meredy. L’ho conosciuta dopo che te ne sei andato» disse Gerard aiutandolo a raccogliere i fogli, che erano ancora sparsi sul pavimento.
«Amica o ragazza?» gli chiese Laxus, dandogli un colpetto sulla spalla.
«Io… no, non è come credi! Lei è solo un’amica!» rispose Gerard offeso dalla sua insinuazione.
«Ooh… ho colto nel segno, eh?» lo provocò ancora, appoggiando i documenti su un tavolo vicino e sistemandoli. Stava controllando i numeri delle pagine, quando si bloccò e sollevò di nuovo lo sguardo sull’amico, quasi arrabbiato. «Non sarai mica ancora nel tuo periodo sabbatico di rinuncia a qualsiasi rapporto sentimentale perché “devo prima redimermi e poi potrò essere degno di qualcuno”, vero?» gli domandò serio.
Gerard spalancò la bocca sentendo quelle parole e impiegò qualche secondo prima di riuscire a formulare una frase. «Non sono in un period… è una storia lunga, comunque sono innamorato di una ragazza… che non vedo da anni!» aggiunse, appena Laxus ammiccò con un sorriso.
«Quindi ti stai risparmiando per lei? Se non avessi incontrato Mira, probabilmente ti prenderei in giro. Ma ho incontrato lei, perciò ti ricorderò solo che esistono gli investigatori privati. Sai, per ritrovare le persone…»
«Ah, per fortuna sei ancora qui!» la voce di Erza lo interruppe «Un fattorino ha appena portato un ordine di alcolici, però non ne sapevo null…».
«Stai bene?» le chiese Laxus, avendola vista pietrificarsi quando aveva notato Gerard.
«Io… ecco… questo è… tieni» e scomparve in cucina, così rossa in viso da farlo preoccupare.
Laxus si voltò confuso verso l’amico, che era dello stesso colorito di Erza e con gli occhi sbarrati dalla sorpresa. Annuì divertito quando realizzò chi fosse la ragazza di cui era innamorato. «Ti ricordi tutti quei discorsi filosofici sul confrontarsi con il passato per andare oltre? Sai, quelli con cui mi riempivi la testa… ecco, lei lavora qui. Quindi, o le chiedi di uscire o non provare a farmi un’altra di quelle ramanzine del cazzo» gli disse Laxus, dandogli una pacca sulla spalla e alzandosi. «Io devo andare, ma tu non osare muoverti. Torno più tardi e mi racconti com’è andata». Gerard non disse una parola, continuò a fissare la porta della cucina anche quando Laxus uscì dal ristorante.

 
 
«Ti ringrazio, serviranno per il processo contro gli uomini che ti hanno sparato» disse Makarov, riponendo sul comodino i fogli che gli aveva portato.
Laxus lo osservò, così bianco e stanco nel letto d’ospedale, e sospirò. Era tornato a Magnolia perché aveva saputo da Gildarts che aveva avuto un infarto. Stava lavorando al Blue Pegasus, quando lo aveva visto entrare e chiedergli una birra, e si era così sorpreso di rivederlo che aveva quasi fatto cadere la bottiglia che teneva in mano. Lui gli aveva detto che lo avevano rintracciato da qualche mese, ma suo nonno non era mai voluto venire a trovarlo perché non voleva “turbarlo”. Aveva usato quella parola, “turbarlo”. Era venuto una volta in città e lo aveva visto sorridere e lavorare nel locale: non aveva osato rovinargli ciò che si era costruito. Gildarts si era presentato quel giorno solo perché si era sentito male, era in ospedale, ed era giusto che lui lo sapesse.
«Sai, Gildarts è venuto a trovarmi. Dopo che hai avuto il primo infarto…» disse Laxus, ancora immerso nel ricordo di se stesso che chiedeva all’infermiera di “Makarov Dreyar” e lei che gli rispondeva “È stato dimesso la scorsa settimana” e di lui che guidava fino al ristorante, per poi andare in un locale sulla spiaggia e tornare solo a notte inoltrata. «Sono ritornato per questo, volevo che lo sapessi» sussurrò, un po’ imbarazzato per la confessione.
Vide suo nonno cominciare a piangere e protendersi verso di lui per abbracciarlo. Si avvicinò e si lasciò avvolgere dal suo affetto. «Lo so, Laxus. Lo so…» gli sussurrò.
Rimasero così per alcuni minuti, poi il cellulare di suo nonno squillò e si allontanarono l’uno dall’altro. «È l’agente Arcadios» lo informò, rispondendo alla chiamata. «Sì?... Davvero?... La ringrazio… Sicuramente…» e sospirò, appoggiandosi poi ai cuscini e posando il telefonino di fianco a sé.
Laxus aspettò che fosse lui a parlare, anche se era impaziente di sapere che cosa fosse successo. Quando aveva visitato suo padre, era stato preso talmente tanto dallo sconforto che non gli aveva nemmeno chiesto come avessero intenzione di incriminarlo i Servizi. Si mosse sulla sedia, prese il telecomando e accese la televisione. Cambiò canale tre volte prima di voltarsi di nuovo verso suo nonno. «Allora?» gli domandò, non riuscendo più a trattenersi.
Makarov riaprì gli occhi e gli rispose sollevato «Hanno proposto il carcere per tre anni, visto che ha comunque collaborato. Il giudice sembra propenso ad accettare, ma il processo ci sarà solo tra un paio di settimane». «Bene… bene…» disse Laxus, tornando a guardare lo schermo.
 
«Vorrei dirigere la palestra» gli confidò, dopo mezz’ora di silenzio. Guardò suo nonno con determinazione e «Potrei chiedere un prestito alla banca, chiederò a Gildarts di aiutarmi e consigliarmi. Così potremo ristrutturare… sì, fattelo dire nonno, quasi cade a pezzi! Bisognerà fare un po’ di pubblicità, ovviamente, ma ho chiesto a Freed, mentre venivo qua, e conosce qualcuno che potrebbe darci una mano…» il suo entusiasmo cresceva ad ogni parola che pronunciava, immaginandosi come sarebbe diventata di lì a pochi mesi. Guardò di nuovo suo nonno «Che ne dici?» gli chiese. Vide i suoi occhi diventare lucidi e le sue labbra tremare per la commozione. «Potr… devi smetterla di piangere» si lamentò, accogliendo però un altro abbraccio e sorridendo quando lui gli rispose «Sarebbe fantastico, Laxus».
 
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Guidò verso casa di Mira con una gioia che non provava da anni, si sentiva capace di realizzare qualsiasi progetto in quel momento: Ivan era in prigione, ma salvo e in salute. Certo, non era stato un padre modello, però sembrava sinceramente pentito e, magari, con il tempo le cose sarebbero migliorate tra di loro. Inoltre, i medici avevano deciso di rimandare l’intervento di suo nonno, per vedere se le sue condizioni sarebbero rimaste stabili. Avendo già subito un’operazione, non volevano stressare troppo il cuore con un’altra che fosse risultata inutile. E ora stava andando da Mira.
Sorrise dietro il casco e rallentò ad una curva, vedendo in lontananza le villette del suo quartiere.
Parcheggiò la moto davanti alla casa e andò a suonare il campanello.
«Ti ho detto di spostarle di là! Non me lo fare ripetere un’altra volta!» sentì Mira minacciare qualcuno. Subito dopo aprì la porta e lo salutò con un sorriso «Sei arrivato, ciao». Lo prese per mano e lo baciò dolcemente.
«Tutto a posto?» le domandò Laxus, riferendosi a quello che aveva sentito. Lei lo guardò confusa. «Eri sul punto di uccidere qualcuno, sembrava…» precisò ricambiando il bacio.
«Oh, sì! Elfman aveva messo le sedie troppo vicino alla veranda e non voleva spostarle» gli rispose in maniera innocente. «Hai visto Lisanna al ristorante?»
«Sì, stava lavorando al bar»
«Molto bene! Allora arriverà in tempo per la cena… lei non sa niente» lo informò con tono cospiratorio. Le piacciono proprio le feste a sorpresa pensò sorridendole e chiedendole di cosa avesse bisogno.
 
Qualche ora dopo erano seduti attorno ad un piccolo falò, improvvisato da Natsu ed Elfman. Stavano mangiando costolette, hamburger, hot dog e patatine fritte, mentre chiacchieravano e ridevano. Laxus strinse Mira a sé e le diede un bacio sulla tempia. Lei gli sorrise, accarezzandogli la coscia. Poi le si illuminarono gli occhi e chiese «A proposito, Elfman non ci avete ancora detto come vi siete conosciuti tu ed Ever …». I due ragazzi si immobilizzarono a quelle parole, l’uno con un panino a mezz’aria e l’altra con il sorso di birra andato di traverso. Ever tossì, probabilmente cercando anche di prendere tempo, mentre richiamava l’attenzione di Elfman, che aveva cominciato a sudare.
Scoppiarono tutti a ridere per la loro reazione, e poi Natsu disse «Non vi eravate incontrati a quel corso di giardinaggio che facevano a scuola?».
Freed guardò Laxus, lui guardò Bickslow e insieme scoppiarono a ridere di nuovo. «Cioè, tu coltivavi fiorellini?» Bickslow cominciò a prendere in giro Elfman.
«Non… non erano fiori… non tutti…» rispose lui a bassa voce e diventato paonazzo per l’imbarazzo.
«Bè, anche coltivasse fiori?» ribatté Ever, cogliendo tutti di sorpresa. «Lui è perfetto così com’è, d’accordo?» sfidò l’amico con lo sguardo, «Per me è perfetto» aggiunse poi, prendendo la mano di Elfman e baciandolo sulle labbra. «Ci siamo conosciuti ad un corso di giardinaggio ed è una cosa che ci piace fare insieme» concluse, prendendo una patatina e stringendo la mano del ragazzo. Lui le sorrise e la abbracciò forte, sollevandola da terra. Ritornò a mangiare l’hot dog con una gioia negli occhi che non ammetteva repliche. Persino Bickslow ghignò felice, quando li vide in quel modo, e non disse altro.
Non è poi stata una cattiva scelta tornare pensò Laxus, guardando i suoi amici ad uno ad uno. No, decisamente no.
 
 
 

Nota dell’autrice
 

Ecco finalmente il capitolo finale. Lo so, vi ho fatto aspettare parecchio e, a dire il vero, non era così che avevo programmato di scrivere la storia. Sarebbe dovuta durare qualche altro capitolo, solo che ho perso del tutto l’ispirazione e quello che avevo scritto non mi soddisfaceva, quindi l’avevo lasciato incompleto fino a qualche giorno fa. Diciamo che questo capitolo è un po’ come avevo deciso di concludere la storia, ma decisamente più corto e stringato. Volevo dare un finale, visto che il manga di Fairy Tail sta finendo, e ho rimaneggiato quello che avevo già scritto.
Se avete qualche domanda, potete scrivermi nei commenti o in privato, visto che magari non ho proseguito delle storie secondarie che ad alcuni potevano interessare. Spero che comunque vi sia piaciuto leggerlo. 
Vi ringrazio tantissimo per avermi seguita e commentato, e anche solo per avermi letta in silenzio. Un ringraziamento particolare va a coloro che mi hanno seguito fin dall'inizio: honeyzen123, Redpowa e Dominox. Sempre che siano ancora presenti :P
 
Un abbraccio,
dreamfanny
 
 
 

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