L'ultimo dei re

di vortix
(/viewuser.php?uid=1029704)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21- Epilogo ***
Capitolo 22: *** Nuova storia! ***



Capitolo 1
*** 1 ***



 
1



Quando apro gli occhi la prima cosa che vedo è il volto di mia madre che, con un sorriso a trentadue denti, mi saluta e mi fa gli auguri, stritolandomi in un abbraccio.
Ci metto qualche secondo a collegare i suoi auguri al fatto che oggi sia il mio ventesimo compleanno.
La ringrazio ricambiando l’abbraccio, e mi alzo dal letto sistemandomi il disastro dei miei capelli.
Oggi è il 28 luglio, fuori il sole è alto nel cielo e fa un caldo della madonna.
«Ti ha già risposto Luca?» la voce di mia madre riecheggia dal corridoio, e io biascico un “si” di risposta.
Questa sera sarà una serata speciale, tutti i miei amici e parenti si riuniranno per festeggiare me. E okay, per mangiare anche la torta.
Adoro il giorno del mio compleanno semplicemente per il fatto che io sono al centro dell’attenzione. Ma aspettate a giudicare, non sono la tipica ragazza che palesa il voler essere al centro dell’attenzione, anzi. La mia è più una forma di desiderio tacito, perché alla fine risulto essere parecchio timida con le persone che mi circondano. Si lo so, sono parecchio strana.
Oh, dimenticavo. Non sapete nemmeno il mio nome: mi chiamo Chiara Lombardi, ho (ufficialmente) vent’anni e vivo in un piccolo paese di campagna non tanto lontano da Venezia.
Mi definisco una persona nella norma, una di quelle che non verrebbe riconosciuta per il suo particolare aspetto fisico o doti eccezionali.
Frequento l’università di Bologna, ho un gatto a cui sono molto attaccata, una sorella più piccola di dieci anni, un padre che vive più nel suo ufficio che a casa e una mamma troppo affettuosa per i miei gusti.
Vedete? Nulla di particolarmente eccitante. Una delle tante vite che si trovano in giro.
La giornata passa velocemente e io vengo servita e riverita come se fossi una dea: mi viene impedito di pulire la camera, mi viene offerto il gelato dopo il pranzo e ora mia madre mi sta addirittura facendo la piega ai capelli per questa sera.
«Davvero, non c’era bisogno che mi aiutassi tu. So come si piastrano i capelli.»
Mia madre si guarda allo specchio davanti a noi; ha un’aria particolarmente nervosa, e non capisco perché.
«È il tuo compleanno, rilassati per una buona volta.»
Decido di stare zitta e seguire il suo consiglio. Mi appoggio allo schienale della sedia, fissando il mio volto riflesso nello specchio: i miei capelli castani scivolano di ciocca in ciocca sulle spalle, i miei occhi verdi sono leggermente rossi per via del sapone che mi è entrato prima in doccia e le mie guance sono abbastanza rosse per riuscire a sostituire Heidi in un possibile film.  Continuo a rimanere in silenzio finché non noto un paio di valige seminascoste dietro la porta di camera mia.
«E quelle che sono?» chiedo.
Mia madre non fa in tempo a darmi una risposta che io salto sulla sedia, presa dall’entusiasmo.
«Oddio mi avete organizzato un viaggio!» esulto. «Dove? Dove? Oh cielo, magari ad Atene, o a Londra! No a Londra ci sono già stata. Amsterdam! No, papà non me lo permetterebbe mai con tutta l’erba che gira lì…»
«Chiara! -ride mia madre- Non si può tenerti nascosto nulla, vero? Beh, sì. Partirai.» ora sembra decisamente più nervosa.
«E dove? Con chi? Scommetto che è stata Benedetta ad organizzare tutto. Lo sapevo, mi aveva dato qualche indizio.»
«Ah sì?» mia madre riprende in mano la ciocca lasciata a metà e la rifinisce con la piastra. «Da cosa lo hai capito, precisamente?»
«Beh, durante l’ultimo esame continuava a parlarmi delle mega offerte che c’erano su Trivago, mi ha mandato delle foto di alcune capitali europee su Facebook… insomma, più palese di così si muore.»
Mia madre finge un piccolo sorriso, e lascia cadere i capelli lungo la schiena poggiando la piastra ancora bollente sulla scrivania.
«Beh, allora vuol dire che tra non molto lo scoprirai. Vado a prendere tua sorella da pallavolo, torno tra poco.» mi lascia un leggero bacio sulla fronte ed esce dalla stanza prima che io possa dire altro.
Leggermente stranita dal comportamento di mia madre, decido che ora come ora non è il momento di preoccuparsene. Quando la sua macchina lascia il vialetto di casa, mi metto all’opera. Oggi è il mio compleanno, e devo trovare qualcosa da mettere per non sembrare una barbona.
Dopo venti minuti buoni a rovistare nel mio armadio con in sottofondo la mia playlist preferita di Spotify decido finalmente che non ho nulla da mettermi.
Perfetto, sono una ventenne finita. Come posso non avere nulla che vada bene per stasera?
Mi accascio sul letto in preda ad una delle tipiche crisi che ogni giorno le adolescenti di tutto il mondo devono affrontare e che io, in quanto non più una teenager, dovrei lasciarmi alle spalle. Dopotutto però il problema rimane ancora.
Sto per rialzarmi dal letto quando sento un tonfo provenire dal mio balcone.
Prima che io possa avere un infarto, ne sento un altro, questa volta accompagnato da una voce che dice: “oh my god, Leo!”
Rimango paralizzata sul mio letto, pensando a come io sia troppo giovane per essere uccisa da due ladri, o stalker.
Fatico a respirare, continuando a fissare la porta che dà sul mio balcone. Qui le opzioni sono due: o comincio ad urlare a pieni polmoni (il che non avrebbe tanto senso, dato che sono sola in casa), o faccio del mio meglio per non morire.
Giro lo sguardo per un attimo sulla mia scrivania e noto la piastra ancora calda vicino allo specchio. Ad un tratto quell’aggeggio mi sembra un’ottima arma da combattimento.
Non so con quale coraggio, ma mi alzo dal letto e con uno scatto furtivo afferro la piastra; percepisco ancora il suo calore tra le mani, ma non ho scelta.
Le due presenze sul balcone non hanno fatto nessun rumore ma vedo le loro ombre riflesse sul muro, il che mi mette un’ansia incredibile. Possono essere due armadi di cento chili con un manganello e una pistola e io sto per andare ad affrontarli con una piastra rosa semi bollente tra le mani.
“Almeno ci ha provato”. Dovrebbero scrivere così sulla mia tomba.
Appoggio la mano sulla maniglia della porta e conto fino a tre.
Un bel respiro. Uno, due, tre… L’apro velocemente e dò un colpo in testa alla prima delle due figure che mi si presentano davanti, il tutto accompagnato con una delle mie urla più acute.
Davanti a me però non ci sono due armadi di cento chili con un manganello e una pistola ma due ragazzi, più o meno della mia stessa età, sconvolti pure loro.
«La mia testa!» urla in inglese a sua volta il tipo che ho picchiato con la piastra per capelli.
Il ragazzo che si lamenta ha una folta chioma di riccioli castani, una tuta blu sporca di…olio per macchine? Indossa degli scarponi beige e un borsellino giallo intorno alla vita.
L’altro invece è un po’ più alto, occhi azzurri, capelli biondi rivolti verso l’alto alla Justin Bieber e vestito con una maglia viola e dei pantaloni neri.
«Ehi, ehi! Calma, siamo venuti in pace.» il ragazzo con il ciuffo biondo alza le mani in aria in segno di resa, e io abbasso la mia arma micidiale.
«Chi diavolo siete? Perché siete sul mio balcone? Perché lui parla in inglese?» non riesco a non chiedere.
«Io sto bene, grazie per averlo chiesto.» Continua il ricciolino.
«Leo, sei sopravvissuto a cose ben peggiori e sei anche ignifugo, una piastra per capelli calda non ti ha fatto niente.» gli risponde il biondo questa volta in inglese.
«Come fai a sapere che è una piastra per capelli?»
«Piper la usa quasi tutti i giorni.»
Alzo di nuovo la piastra in aria, per far notare che sono ancora davanti a loro e loro sono ancora sul mio balcone.
«Scusate?»
Il biondo torna a prestarmi attenzione. «Oh sì, scusaci. Io sono Jason e lui è il mio amico Leo. Siamo qui per… portarti in un posto.»
Improvvisamente tutto si fa più chiaro. «Ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima! Siete i ragazzi che mia madre ha ingaggiato per portarmi alla festa a sorpresa! -tiro un sospiro di sollievo, ridacchiando- Però potevate suonare alla porta… Sbucare così all’improvviso nel mio balcone è abbastanza strano.»
«No non siamo qui per la tua festa a sorpresa… Possiamo entrare?» chiede Jason. Che nome strano, da queste parti al massimo trovo ragazzi che si chiamano Gianfranco.
«Certo che no! Siete dei completi sconosciuti e mi avete appena provato che non c’entrate niente con il mio compleanno. Cosa volete?»
«Amico, puoi tradurmi cosa ha detto?» dice Leo in inglese. Perché non parla in italiano?
«Sei venuto con me perché avevi assicurato che l’italiano e lo spagnolo si assomigliassero.» Jason incrocia le braccia al petto, con uno sguardo truce.
«Ed è così! Però non sto capendo niente comunque. La vera domanda è perché tu capisci cosa sta dicendo.» ribatte Leo, sempre in inglese.
Jason fa spallucce. «Io sono di origine romana, l’italiano è una delle prime lingue che derivano dal latino. Se capisco il latino, capisco anche l’italiano a quanto pare. E lo parlo pure. Che figo!»
Oh Dio, questi sono un caso perso. «Aspettate, il ricciolino con la tuta da meccanico parla solo inglese mentre tu invece parli inglese ma con me in italiano perché sai anche il latino? Sai che la cosa non è così automatica, vero?»
Jason fa un sospiro, un poco rassegnato. «Chiara, giusto? Possiamo entrare e parlare? Giuriamo sullo Stige che non rubiamo niente e non ti uccidiamo a sangue freddo.»
Giurare sullo Stige? Forse quella ubriaca sono io e mi sto immaginando tutto.
I loro volti piuttosto stremati mi fanno abbastanza pena, il che mi porta ad annuire e permettergli di entrare in camera mia.
Mi ringrazio mentalmente di essere almeno vestita con una tuta, altrimenti mi sarei presentata in mutande davanti a due completi sconosciuti, affetti probabilmente da alcune malattie mentali.
Li faccio entrare, e poi chiudo la porta del balcone. «Allora, cosa volete da me? Siete sicuri che tutto questo non sia uno scherzo architettato dai miei amici? Perché sarebbe molto probabile.»
Mentre Leo si siede sulla sedia della scrivania Jason fa un cenno con il capo. «No. Noi arriviamo da lontano, e trovarti non è stato facile.»
Punto il dito contro il biondo. «Questa è la perfetta frase per uno stalker.»
Jason abbassa il capo, ridacchiando. «Leo, ti prego. Dammi una mano.»
«Ah no, sei tu quello che sa parlare in italiano. E poi io le sto sistemando un virus che ha sul computer.»
«Ti sta mettendo a posto il computer.» Traduce Jason. «Comunque, Leo viene da Long Island, New York e io vicino a San Francisco. Hai presente?»
«Stati Uniti d’America? E perché cercate proprio me?»
«Perché tu sei una persona estremamente importante per la salvezza dell’umanità.»
 
 
 
 
 
 
….
Saaalve a tutti!
Non mi pare vero di stare per postare questa…cosa. Scrivere su Percy Jackson per me è sempre stata una cosa impossibile e avevo abbandonato subito l’idea, ma in questo periodo sto leggendo le Sfide di Apollo e la fangirl che c’è in me ha ripreso pieno possesso delle mie facoltà mentali.
Questo è solo il primo capitolo, la storia deve ancora essere svelata (e credetemi, ho molte cose da raccontare) quindi per ora spero di avervi incuriosito per poter lasciarmi un piccolo commento e continuare a leggere i prossimi capitoli.
Se volete cercarmi sui social
Twitter- @glaukopsis
(magari più in là metto anche gli altri)
Un bacio, Claire xx

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2 ***


2
 
 
Apro la bocca, per poi chiuderla immediatamente. La riapro per dire qualcosa, ma subito la richiudo, sconcertata.
È il caso che chiami la polizia?
«Io.»
«Proprio te, Chiara.»
«Sei consapevole che mi serve una spiegazione un po’ più complessa perché tu mi impedisca di chiamare la polizia?»
Leo improvvisamente si alza dalla sedia, con un sorriso a trentadue denti stampato sul volto. «Fantastico, chica! Virus debellato.»
Jason fa per tradurre ma lo fermo immediatamente. «So cosa ha detto, lo capisco l’inglese.»
«Oh, perfetto. -sembra sollevato dalla cosa- Comunque sì, ti devo dare una spiegazione un po’ più elaborata. Beh, noi siamo due semidei. E lo sei anche tu.»
«Semidio vuol dire che sei mezzo umano e mezzo dio. Uno dei tuoi genitori è un dio o dea.» commenta Leo.
Guardo questi due strani ragazzi davanti a me e per poco non scoppio a ridere.
«Come quelli di Percy Jackson?»
Sia Leo che Jason si illuminano in volto. «Lo conosci? -e subito dopo- Ma davvero quel bastardo è così famoso! Andiamo, noi eravamo con lui quando abbiamo salvato il mondo da Gea!» brontola il meccanico.
Jason cerca subito di mediare. «Conosci Percy Jackson? Come hai fatto? Ci hai mai parlato?»
«No, ho visto i film.» rispondo semplicemente.
«I FILM???» Leo sembra sconvolto.
«Ah ora capisci l’italiano, Leo?» lo accusa Jason. «Ci sono dei film su Percy Jackson?» chiede subito dopo a me.
Io annuisco.
«E noi ci siamo?»
«Mmh no. C’è una tipa mora che poi diventa improvvisamente bionda, come si chiamava… Annabel?»
«Annabeth» mi corregge il biondo.
«Se Annabeth scopre che ha sbagliato il suo nome come minimo le taglia la lingua.» sussurra Leo, ma io lo capisco lo stesso e da quello che mi ricordo dal film, quella ragazza potrebbe avere il fegato di farlo.
«Oh poi c’era un satiro, e Crono che sembrava un Transformer. Ma niente Jason e Leo.»
Quest’ultimo comincia a pronunciare qualche parolaccia in spagnolo e io ridacchio.
Come al solito è Jason che continua il discorso. «Quindi sai già tutto? Non ti devo spiegare niente sul Campo Mezzosangue, sul Campo Giove e gli ultimi avvenimenti? Miei dei, che sollievo.»
Alzo immediatamente le mani. «Woah, no semidio dei miei stivali. Io non ho mica detto che ti credo. Percy Jackson è solo un film. (lo so, fa male da dire) Gli dei dell’Olimpo non esistono, voi siete due folli e io sono in ritardo per la mia festa di compleanno.»
«Chiara, Percy Jackson non è solo un film. Percy è reale ed è uno dei miei migliori amici. Abbiamo sconfitto Gea insieme e ora sarà a crogiolarsi nelle sue acque termali personali mentre noi siamo qui a convincerti che è tutto vero.»
Continuo a pensare di dover chiamare la polizia, ma i loro occhi sprigionano disperazione.
Così mi viene un’idea che può smentirli una volta per tutte. «Okay, se siete davvero dei semidei, avrete dei poteri. O almeno nel film era così. Fatemi vedere cosa siete in grado di fare.» A meno che non mi tirino giù la casa con la forza del pensiero questi due sono ubriachi e io chiamo la polizia. A proposito, dove caspita è finita mia madre?
Leo e Jason si guardano come se avessero fatto bingo.
«Io sono figlio di Giove.» si presenta Jason, e apre la mano davanti a me, creando improvvisamente un piccolo vortice d’aria. Rimango a bocca aperta, cercando di capire quale sia il suo trucco, fino a che non mi accorgo che i miei piedi non stanno più toccando terra.
Il mio cuore si ferma per un secondo, finché Mister Vento non mi mette giù.
«Ma che cazzo?» grido non appena tocco di nuovo terra.
«Sono quasi sicuro che abbia imprecato. -esclama Leo, ridendo, per poi avvicinarsi a me- Io sono figlio di Efesto e sono piuttosto…hot.»
«Con “hot” intende cretino?» chiedo, ma la fiamma che esce dalla sua mano mi fa rimangiare tutto quanto.
Ci metto parecchi minuti a metabolizzare tutto quanto.
«Quindi tu sei figlio del padre degli dei, però in forma romana, e sai evocare aria e far volare le persone. Mentre lui invece è figlio della versione greca del dio Efesto e lancia palle infuocate.» Cerco di riepilogare tutto quanto camminando avanti e indietro per la mia stanza, scioccata dagli ultimi avvenimenti.
«Vedo che non ci hai messo tanto a capire. Molti ancora si confondono.» commenta Jason seduto sul mio letto.
«Ragazzi, sto morendo di fame. Posso prendere qualcosa dal frigo?» chiede Leo, e io gli rispondo in inglese spiegandogli dov’è la cucina.
Quando il figlio di Efesto è uscito dalla mia stanza torno a Jason. «E spiegami, perché gli dei avrebbero due versioni? Si, so che a Roma i nomi sono cambiati, ma le “persone” non sono sempre le stesse?»
«Purtroppo no, alcuni dei sono rimasti tali e quali nel passaggio greco-romano, ma molti invece sono cambiati nella personalità, quasi diventando completamente diversi dalla loro forma precedente. Si sono…evoluti, diciamo così.»
«Come se fossero dei Pokemon, insomma.»
«Pokemon?»
«Lascia perdere.» dico, confusa. «Ma passiamo alla parte in cui mi dici di essere la persona che salva l’intera umanità. A malapena non brucio un toast, cosa volete da me?»
Il figlio di Giove si gratta il capo. «Sono passati solo pochi mesi da quando Apollo è tornato nella sua forma divina e a quanto pare i problemi non sono finiti. Alcuni dicono che uno dei re di Roma si sta annoiando e vuole distruggere tutto il nostro mondo per costruirsene uno tutto suo.»
La mia faccia gli fa capire che non ha risposto alla mia domanda. E così continua a parlare. «Come ben sai, prima degli imperatori, a Roma vigeva la repubblica, e prima della repubblica la monarchia. Tutte queste forme di potere influenzano e alimentano tuttora l’intero impero, specialmente l’Italia, e con esso le persone. Questo Paese trasuda di potere e magia e Roma è ancora una delle città più potenti al mondo; i mortali non se ne rendono conto, ma noi sì. La maggior parte dei semidei vive in America perché ora è quella il centro del mondo, ma a quanto pare ce ne sono ancora in Europa, e tu sei l’ultima, l’ultima ad aver vissuto in uno dei Paesi più potenti al mondo. È come se tu avessi assorbito tutto il potere che questa terra trasuda, il che ti rende più forte che mai e anche parecchio rara. Non so se mi spiego.»
Non rispondo subito, rimanendo in un gelido silenzio.
«E voi vi aspettate che…?»
«Che tu ci aiuti a sconfiggere il male. E a riconoscere finalmente quello che sei.»
«Io non sono una semidea. Ho due genitori mortali. Non ho poteri. E da quello che ricordo dalla storia i semidei si rivelano a quanti…dodici anni?»
Jason scoppia a ridere e nello stesso momento Leo torna nella mia stanza con in mano un panino al prosciutto. «Quella è una leggenda. Non potremmo mai mandare dei bambini di dodici anni in una missione e svelare la loro identità. Sarebbe come condannarli al suicidio. Diciamo che i poteri o si rivelano subito se nasci in un luogo stimolante come il Campo Mezzosangue oppure si rivelano sui sedici/diciassette anni.» risponde educatamente Jason.
Come se ci fosse tanta differenza tra dodici e sedici anni.
«Obiezione. Io di anni ne ho venti e ancora zero poteri.»
«Forse perché non ci hai mai fatto caso, non sai nemmeno a quale genitori divino appartieni.»
«E prima non avevi ancora incontrato Leo Valdez, chica.» continua il ricciolino, con la bocca piena di pane.
Sia io che Jason alziamo gli occhi al cielo, ma subito dopo scoppiamo a ridere.
Improvvisamente però smetto di farlo: se questi due mi stanno dicendo la verità, vuol dire che uno dei due miei genitori non è realmente un mio genitore.
La rabbia mi sale in petto prima che io possa accorgermene. Mi sento in qualche modo… tradita.
Jason sembra intuire cosa stia passando per la mia testa. «Tranquilla, è comprensibile che tu prova un’immensa rabbia. L’abbiamo provata tutti, chi di più, chi di meno. Ci farai l’abitudine. In ogni caso non aspettarti che il tuo genitore divino d’ora avanti si faccia vivo ogni giorno e viviate le giornate l’uno accanto all’altra. Gli dei sanno essere molto freddi e distaccati.»
«È vero, io avrò visto mio padre si e no tre volte.» continua Leo, questa volta con un tono leggermente amaro.
Oh mio dio, è una cosa tristissima. Al posto della rabbia ora interviene l’angoscia; tutto questo è troppo per essere metabolizzato in una sera.
Mentre continuo a camminare lungo la mia camera da letto, mi viene in mente un’altra domanda da fare. «Un’ultima cosa, come avete fatto a trovarmi?»
«Chirone è riuscito a localizzarti su una mappa magica. Guarda.» Jason apre il suo zaino e tira fuori una cartina del mondo. Non appena la guardo noto subito che il continente americano pullula di luci più o meno brillanti, mentre il resto del mondo è quasi nero, a parte una luce in Egitto, una in Russia e una… dove abito io.
«Ogni luce equivale ad un semidio o semidea. Come puoi vedere gli Stati Uniti sono un po’ sovraffollati.» mi spiega Leo.
«È grazie a questa che ti abbiamo trovata, altrimenti a quest’ora saremmo ancora a Pisa e avremmo già distrutto la famosa torre.» commenta Jason, lanciando uno sguardo a Leo.
Quest’ultimo sembra prenderla sul personale. «Ti ho già detto che non sapevo che quella torre fosse storta di proposito. Annabeth non ne aveva mai parlato, okay?»
«Ad ogni modo per un semidio queste terre, l’Europa nello specifico, sono molto pericolose. Tu non dovresti essere qui. Sono anche abbastanza impressionato di come tu non abbia mai incontrato un mostro prima d’ora.» Jason torna a rivolgersi a me, ma io non lo ascolto; la cartina davanti ai miei occhi continua a brillare e io ne sono incantata. «…e insomma siamo venuti qui perché devi venire con noi al Campo Mezzosangue, fare l’iniziazione, addestrarti e bla bla bla…»
«Ehi amico, tu l’hai fatta semplice. Non hai mica raccontato di quante volte abbiamo rischiato la vita per trovare lei. Rifare il viaggio verso l’Italia una seconda volta non era uno dei miei obiettivi.» commenta Leo, fumando leggermente alle orecchie e con un tono decisamente amaro.
Jason lo ignora.
Finalmente distolgo lo sguardo dalla cartina e rimango fissa sulle parole “portarti al Campo Mezzosangue” “rito di iniziazione”, “addestrarti”. Cosa? Già ho l’ansia.
E pensare che l’ultima mia preoccupazione era quella di non sapere cosa mettere per la festa di stasera.
Già! La mia festa! Guardo l’orario sul mio cellulare e trasalisco.
«Oh mio dio, è tardissimo! Mia madre dove è finita?»
Esco immediatamente dalla mia stanza e corro al piano terra, per controllare se la macchina di mia madre è parcheggiata nel vialetto, ma non vedo nulla.
I due ovviamente mi seguono come due cagnolini.
«Mia madre non è tornata ed è via da troppo tempo.» la mia voce si incrina leggermente. Non è da lei stare via per così tanto tempo senza avvisare. E se le fosse successo qualcosa?
Un panico più grande si infiltra nella mia mente. E se fosse successo qualcosa anche a mia sorella?
Mi avvicino al telefono di casa, ma Jason me lo toglie dalle mani.
«Ehi! Cosa intendi fare?»
«Chiamo mia madre. Cosa vuoi che faccia?»
«Non puoi.» ribatte lui.
«Oh sì che posso.»
«I semidei non possono usare il telefono. Attirerebbe un sacco di mostri, e qui ce ne sono parecchi.» questa volta ad intervenire è Leo, che sembra essere d’accordo con Jason.
«E secondo voi con cosa dovrei contattare mia madre? Con un piccione viaggiatore, segnali di fumo?»
«Beh per i segnali di fumo io posso essere utile.» dice Leo, ovviamente non comprendendo il mio sarcasmo.
Jason ha ancora il telefono di casa tra le mani, ma io ho un’altra soluzione.
Dalla tasca dei pantaloni tiro fuori il mio Iphone e compongo il numero di mia madre prima che i due se ne accorgano.
«No! Oh per Giove, Leo preparati a combattere.» sussurra Jason.
Rimaniamo in attesa di una risposta, finché non risponde la segreteria telefonica e io lancio un grido di frustrazione.
Riprovo ancora, ma nessuno risposta.
Prima che io possa anche solo pensare ad una soluzione o chiamare mio padre, sento un tonfo molto più potente e chiassoso di quello che hanno provocato i due sul mio balcone poco fa.
Ci dirigiamo immediatamente sull’uscio di casa mia e la prima cosa che vedo è la macchina di mia madre scaraventata vicino al muretto e accasciata sull’erba del prato, con qualche sbuffo di fumo che proviene dal motore.
 
 
 
…..
Saaalve a tutti!
Eccoci al secondo capitolo. Vi confesso che mi sto divertendo un sacco a scrivere questa storia, spero per voi che sia lo stesso nel leggerla. Qui cominciano a chiarirsi un po’ di cose, e si spiega perché la protagonista è così importante. So che può essere strano infilare un personaggio così “vicino a noi” (in quanto italiani) nella storia, ma c’è il suo motivo. Dopotutto noi viviamo nella patria dell’impero romano, qualche importanza dovremmo pur avercela.
Come avrete anche notato, sto cercando anche di rendere Jason e Leo più simili possibile ai libri originali, perché non saprei come descriverli altrimenti.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, se avete qualche domanda potete scrivermi nelle recensioni/commenti, sarò felice di rispondervi il prima possibile.
Ci si vede al prossimo!
Potete trovarmi su
Twitter- @glaukopsis
Un bacio, Claire.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3 ***


3
 
 
 
Fino a qualche ora fa pensavo che macchine così distrutte le avrei viste solo nei film degli Avengers, ma a quanto pare anche la nostra automobile poteva essere ridotta così male.
Corro istintivamente verso l’auto, chiamando mia madre. Il solo pensiero che sia lì dentro mi fa male al petto.
Arrivo davanti al mezzo fumante, mi abbasso a terra per guardare dentro ma non vedo nessuno. Per un momento tiro un respiro di sollievo ma subito un enorme… ruggito echeggia in lontananza.
«Io l’avevo detto.» commenta Leo pochi metri dietro di me.
Jason invece sembra essere più sensibile alla situazione. «Tua madre è qui?»
Nego con la testa. «No, e quello che diavolo era?»
«Facendo due più due, uno abbastanza grosso e incazzoso da riuscire a lanciare la tua macchina fino a qui.»
«Pensate che mia madre sia con quel coso?»
Jason fa spallucce. «Beh, sì.» Vedendo subito la mia reazione però decide di cambiare la sua risposta. «Cioè, voglio dire… non lo possiamo sapere, magari ora è in un posto sicuro.»
Leo si avvicina a me, poggiando una mano unta di olio per motori sulla mia spalla. «Te lo dico per esperienza, ci sono almeno dieci cose che mi fanno pensare che tua madre sia in pericolo e che noi stiamo per morire.»
«Leo, non sei di aiuto.»
«Peccato, puntavo al fatto che non capisse l’inglese e che avesse preso le mie parole come da conforto.»
Ma per chi mi hanno presa? Per una ignorante?
Jason però lascia perdere. Immediatamente prende in mano la sua spada rifilata d’oro dal suo zaino, e io mi chiedo come ci possa stare in un bagaglio così piccolo.
I suoi occhi azzurri si sono fatti più intensi e qualcosa mi dice che si sta per mettere male.
Un altro ruggito proviene poco più in là del campo di grano che si estende davanti a casa mia, e mi vengono i brividi.
Sono quasi sicura che quella cosa urlante si nasconda nel boschetto dietro il campo, ma una parte di me vorrebbe che non fosse così.
Leo accende il fuoco sulle mani, e per un momento mi viene da ridere. Sembra un candelabro.
«Forza, dobbiamo andare a salvare tua madre. Magari lei ci può spiegare qualcosa sul tuo genitore divino.» annuncia Jason e insieme a Leo partono in quarta, correndo verso il campo di grano.
Davvero? Andiamo a salvare mia madre solo perché può essere che abbia delle informazioni sul mio genitore divino?
Rimango per qualche secondo ferma dove sono, davanti alla macchina fumante, e il mio istinto mi dice di tornarmene dentro casa e chiamare la polizia.
Poi però comincio a vedere le mani infuocate di Leo allontanarsi piano piano, e con un sospiro profondo comincio a correre anche io verso la loro direzione.
Mentre corro mi picchio mentalmente per non essere minimamente equipaggiata per un attacco di un possibile mostro; in tasca ho solo il mio telefono, e di certo non posso fermare quella bestia con quello.
Dio, se penso che fino a poche ore fa il mio problema più grosso era quello di non sapere cosa mettere per una festa a cui ora so di non partecipare, mi fa sentire strana. Come posso essermi trovata in una situazione simile? A seguire dei semidei per attaccare un mostro?
«Ehi, ragazzi aspettatemi!»
Va bene, forse a scuola educazione fisica non era la mia materia preferita. E mettiamo anche che preferirei lavare il water del bagno di un autogrill piuttosto che correre, ma ognuno ha le sue preferenze, giusto?
Io preferisco di gran lunga starmene sul divano a guardare Netflix, preferisco crogiolarmi nel calore del mio letto fino a tarda mattinata, capite?
Non sono fatta per correre.
Invece questi due sembrano averla presa seriamente, e corrono come se dovessero vincere la maratona. Sentendo le mie grida però, rallentano.
Li raggiungo poco dopo con il fiatone e una buona quantità di acido lattico nei polpacci.
Leo mi guarda con tenerezza. «Capisco, neanche a me non piace correre. Ma ci farai l’abitudine.»
Prima che io dica “che cosa?” uno sbuffo di fumo esce dagli alberi poco più avanti a noi; mi tremano le gambe, e non so se sia per lo sforzo fisico appena fatto o per il terrore.
«State dietro di me e fate silenzio.» ordina Jason e per una volta non ho nulla da ribattere.
«Andiamo.» e si inoltra nel piccolo boschetto.
Leo invece di seguire il suo amico fa un piccolo inchino, lasciandomi passare. Un gesto carino, se solo fossimo al ristorante e non per affrontare chissà che animale.
Io comincio a camminare, cercando di rimanere più calma possibile e focalizzando la figura di Jason davanti a me.
Sono leggermente, e dico leggermente, rincuorata dal fatto che dietro di me ci sia Leo che mi protegga, ma le fiamme che provengono dalle sue mani mi rendono nervosa.
Improvvisamente Jason si blocca, e io vado a sbattere contro la sua schiena. «Scusa» sussurro, imbarazzata.
Un altro ruggito ora riempie l’aria, e questa volta sento che il mostro non è molto lontano.
Alzo lo sguardo, e per un secondo vedo solo i rami degli alberi che si muovono spinti dal vento, poi però noto qualcosa di strano, qualcosa di squamoso.
Dò una gomitata a Leo, puntando il dito verso l’alto.
Lui alza la mano, per fare un po’ più di luce ma prima che possiamo accorgercene, la strana cosa squamosa viene verso di noi con una velocità impressionante.
«GIU’!» grida Leo, e Jason si lancia letteralmente su di me, per proteggermi. Sbatto la testa contro il terreno, e sono quasi certa di aver appena mangiato del terriccio.
Fatico a respirare, e dire che non capisco più un tubo è un eufemismo.
Pochi secondi dopo mi ritrovo di nuovo in piedi, e quello che vedo mi mozza il fiato: davanti a noi c’è una specie di drago alto quanto un palazzo a due piani, color verde e ricoperto interamente di squame blu. Quella che ci è appena venuta addosso è una delle sue due ali, mentre l’altra è impegnata a tenere stretta in un bozzolo…mia madre.
La gola mi si secca.
«Mamma!» grido, e lei sembra svegliarsi dal sonno in cui era caduta. Lei mi fissa per un momento, ma non riesco a capire la sua espressione.
Chiudo gli occhi e cerco di svegliarmi da questo incubo.
«È una viverna!» grida Leo.
Fantastico, non sono in un incubo.
«Una cosa?» grido.
«È una creatura leggendaria, un misto tra un rettile molto grosso e un drago, però senza zampe anteriori. State attenti al pungiglione alla fine della coda, potrebbe paralizzarvi… o peggio.» spiega Jason, ma le sue spiegazioni non sono confortanti e tranquillizzanti come quelle di Alberto Angela.
«Punto a nostro favore: nella maggior parte dei casi questi animali non sputano fuoco.»
Oh, ma che gran sollievo.
E fu così che la viverna sputò fuoco verso un paio di rami alla sua destra. Tipico.
Jason e Leo alzarono gli occhi al cielo, per l’ironia. Ovviamente noi dovevamo trovarci la viverna che si sente alternativa.
Leo sta per dire qualcosa ma il mostro ci ha chiaramente visti e si dirige verso di noi con una velocità spaventosa. Nel caos più totale comincio a correre, seguendo Jason.
Il mio piano fino ad ora ha funzionato, dato che Leo ha avuto la grandiosa idea di attirare l’attenzione del mostro sfoggiando le sue belle manine infuocate.
«Ehi bello! Sono qui! Andiamo, sai solo sputacchiare qualche fiammella?» urla il figlio di Efesto.
«Dovrebbe scrivere un libro: come farsi ammazzare in meno di cinque minuti.» sussurro sconvolta, e Jason riesce nonostante la situazione a ridere.
Ad un tratto la viverna punta il suo muso contro Leo e lo inonda con le fiamme. Resto a fissare la scena, inerme.
Guardo Jason, sconvolta, ma lui non fa nulla. Anzi, guarda il suo amico bruciare con un sorrisetto stampato sul volto.
«Jason! Leo sta andando a fuoco!»
«Oh, è proprio quello il suo compito.»
Cosa? Prima che io possa chiedere spiegazioni la viverna smette di sputare fuoco, e quando il fumo si divaga Leo è ancora lì, con lo stesso sorrisetto che Jason aveva poco fa in volto.
«Leo Valdez è ignifugo, non può prendere fuoco.» finisce Jason.
«I suoi vestiti no però.» ribatto.
Leo continua ad essere davanti al drago, confuso quanto me per non aver abbrustolito un semidio in mutande, scarponcini beige e una cintura gialla.
«Andiamo baby, questo è il meglio che sai fare? -fa una pausa, accendendo una mano- Ora è il mio turno.» e comincia a lanciare palle di fuoco come un forsennato. Questo però ci aiuta a tenere a bada il drago.
«Forza, andiamo. So come si uccidono queste bestie.» Jason mi prende il braccio e mi porta ancora più vicino al mostro.
Alzo per un momento lo sguardo e vedo ancora mia madre sul dorso del mostro, con un rigolo di sangue che le attraversa il volto.
«Jason, bisogna salvarla!» esclamo.
Lui annuisce, come se avessi detto la cosa più scontata del mondo. «Il punto debole di una viverna è il pungiglione. Bisogna tagliarlo via.»
«E pensi di farcela?»
«Il mio gladius è riuscito a fare cose ben maggiori. -fa una pausa- Tu pensa a distrarlo, okay?» e si lancia contro la coda del drago.
Come crede che io possa distrarre un mostro del genere?
Faccio qualche passo indietro, studiando la situazione. La scena mi pare così confusionaria che ho qualche difficoltà a impormi un piano d’azione.
Vedo Jason che si dimena con la sua spada d’oro, cercando contemporaneamente di evitare il pungiglione e tagliarlo via; mia madre rimane in bilico sul quel bestione, con un braccio a penzoloni. Non ho la più pallida idea di come sia finita lassù, ma nel profondo non lo voglio nemmeno sapere.
Passo quindi a Leo che sembra essere in difficoltà. Il suo fuoco comincia ad essere più debole e lo vedo piuttosto stravolto. Decido di aiutarlo, e comincio ad urlare.
«Ehi, drago o come cavolo di chiami! Sono qui! È me che vuoi, non è vero? Guardami!»
Di solito questo con un ragazzo non funziona, o almeno, lo fa scappare.
Invece per attirare l’attenzione di un drago queste parole sembrano perfette.
«No, Chiara! Non sei ancora pronta!» grida Leo in inglese, ma il danno ormai è fatto.
Il drago si gira con uno scatto fulmineo verso di me, fumando dal naso.
Okay, ho finito il piano A. E il piano B.
Comincio ad indietreggiare, facendo attenzione a non inciampare sulle radici degli alberi; il mio cuore batte all’impazzata e credo di stare per avere un infarto.
Leo viene verso di me mentre Jason continua ad infilzare la coda del drago, senza mai raggiungere il pungiglione.
La vicinanza della viverna ormai è troppo poca perché io possa scappare. Posso sentire sulla mia pelle il fiatone dell’animale, il che mi provoca diversi conati di vomito.
Dopo un tempo interminabile, il mostro apre la bocca, pronto ad abbrustolirmi come se fossi un marshmallow, ma finalmente Jason riesce a tagliare via il pungiglione.
La viverna ulula dal dolore, e barcolla. Di certo non l’ha presa molto bene.
Immediatamente perde interesse nei miei confronti, e nel girarsi velocemente, mia madre cade dal suo dorso, precipitando su un mucchio di foglie. Leo viene scaraventato in aria, colpito dalla coda del drago e Jason si trova in meno di due secondi a fronteggiare il muso del mostro.
Corro immediatamente da mia madre e mi assicuro che sia viva. Faccio un sospiro di sollievo quando sento il suo cuore battere ancora.
Alzo la testa e cerco di inquadrare la posizione del mostro e quella di Jason. Il figlio di Giove non ha possibilità di scappare e se qualcuno non interviene finirà male.
Faccio una panoramica mentale di tutta la scena: mia madre è ai miei piedi, chiaramente ferita, Leo non è in buone condizione e nemmeno l’albero con cui è andato a sbattere, Jason sta per morire e la viverna mi ha rovinato il mio compleanno.
Improvvisamente tutte queste informazioni vengono elaborate dal mio cervello e comincio a provare una rabbia che non avevo mai provato fino ad ora.
Sento le mie mani tremare e il cuore mi batte all’impazzata, ma faccio qualcosa che in qualche modo mi viene naturale: alzo le mani e le apro come se dovessi prendere la palla in un passaggio a pallavolo, le punto contro la viverna e urlo, chiudendo gli occhi.
Sento un tonfo assordante, che mi fa cadere a terra, e poi il nulla.
Per i primi minuti non oso aprire gli occhi, per paura di cosa potrei trovarmi davanti. Ma quando sento la voce di Jason mi convinco ad aprirli.
«Chiara! Stai bene?» Jason mi aiuta ad alzarmi e poco dopo ci raggiunge Leo, ancora in boxer.
Mi tocco la testa per assicurarmi che sia ancora attaccata al corpo. «Si…si, credo di si.» sussurro. «Cosa è successo?»
«Hai ucciso il drago.» butta lì Leo, sconvolto quanto me.
Comincio a ridere, perché è davvero una bella battuta.
«Certo come no. Allora, cosa è successo?»
«Chiara, hai puntato le mani contro la viverna, e un fascio di luce è arrivato dritto dritto al suo cuore. Poi il mostro è scomparso in un mucchietto di cenere.
Mentre mi spiega cosa ho fatto Jason indica il cumulo di polvere poco più lontano da noi, e io fatico a deglutire.
«Ma…non posso essere stata io. Non sono una semidea, non ho poteri.»
«Questo non è vero, e la prova è data dal fatto che tu sia riuscita a vedere il mostro. La Foschia non ha funzionato con te, sei per certo una semidea.» Dice Jason, recuperando lo zaino che prima aveva lanciato a terra.
«Io ho solo pensato che quel mostro doveva morire, come ho fatto a farlo accadere?»
Jason fa spallucce. «Questo non lo so, ma grazie comunque per avermi salvato la vita.»
«Non c’è di che.» sussurro, guardando il vuoto. Mi sembra di essere impazzita da un momento all’altro.
Leo nel frattempo si è avvicinato a mia madre. «Ragazzi, credo che sia svenuta. Dobbiamo portarla in un luogo sicuro e caldo perché si riprenda.»
Quando sento parlare di mia madre ritorno subito sull’attenti e consiglio di rientrare in casa.
Io e Jason ci accasciamo a terra e insieme a Leo riusciamo a trasportare mia madre fino all’uscio di casa mia, ma non appena mollo la presa la mia vista comincia a farsi sfuocata.
«Ragazzi…» biascico, ma non riesco a dire altro. Non sento più le gambe e le mani, e anche se provo ad aggrapparmi a qualcosa svengo a terra, stravolta, un po’ come Dante fa alla fine dei suoi canti dell’Inferno.
 
 
 
 
 
…..
Salve a tutti!
Eccoci al terzo capitolo della storia. Nel scriverlo ho realizzato che mi sono messa in un bel guaio: è difficilissimo scrivere scene come queste e trovare dei mostri che Rick Riordan non abbia già utilizzato. Ugh, sarà difficile trovarne di nuovi haha
In ogni caso, spero sia venuto decentemente e che a voi sia piaciuto. Se me lo fate sapere in una piccola recensione ne sarei entusiasta.
Bene, non ho altro da aggiungere.
Potete trovarmi su
Twitter-@glaukopsis
Un bacio, Claire xx
 
PS: ho dato anche un piccolo indizio sul potere della protagonista, a chi indovina il genitore divino regalo un biscotto.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4 ***


4
 
 
 
Quando apro gli occhi la prima cosa che mi fa pentire di essermi svegliata è il gran mal di testa.
«Ma che diavolo…» sussurro e immediatamente un volto riccioluto fa capolino davanti a me.
«Señores, la ragazza si è svegliata.» Annuncia Leo e immediatamente mia madre corre ad abbracciarmi.
Io affondo nel suo giacchetto di pelle e mi crogiolo annusando i suoi capelli, anche se sanno di erba e fumo.
«Mamma, pensavo che tu fossi morta...» Cerco di alzarmi e di mettermi seduta sul divano del soggiorno. Mi accorgo che davanti a me ci sono Leo e Jason e soprendentemente anche la mia sorellina, Marie, che non appena mi vede si tuffa sul mio corpo e mi stringe come se fossi un peluche.
«Chiara! -esclama lei- Sei viva!»
Io ridacchio, accarezzandole la schiena. «Certo che sono viva, non potrei mai lasciarti.»
Allo stesso modo, il mio gatto sale sulle mie ginocchia e miagola ripetutemente, facendomi capire che anche lui è felice che io sia ancora in vita.
I due semidei davanti a me guardano la scena con un pizzico di malinconia.
Quando Marie si stacca dal mio corpo fisso mia madre, in cerca di spiegazioni. «Mamma, so che può sembrare pazzo ma...»
Lei mi ferma prima che io possa continuare. «Lo so cosa è appena successo tesoro, e no. Non sei pazza. Quella viverna mi aveva presa in ostaggio perchè voleva te. Questo è successo perchè sei speciale Chiara, ma questo ha delle conseguenze.»
Le sue parole per me non hanno senso. Vuol dire che lei era a conoscenza di tutto questo? Per quanto me lo ha nascosto?
Sto per continuare a chiedere delle spiegazioni, ma lei mi interrompe subito, cominciando a parlare con i due ragazzi. «E’ stato molto coraggioso da parte vostra venire fin qui. Sapevo che prima o poi sarebbe successo, ma non ero sicura di quando. Jason, Leo, sarete stanchi e affamati. Lasciate che vi offra la cena e un posto caldo per dormire.»
Le parole di mia madre sembrano oro colato per i due ragazzi, che annuiscono immediatamente e ringraziano svariate volte.
Tutti quanti si avviano verso la cucina, come se nelle ultime ore non fosse successo niente, mentre io invece non riesco ancora a mandare giù questa storia.
Rimango seduta sul divano, guardando il vuoto. Non riesco a provare niente, se non un forte senso di disagio e sconforto.
All’improvviso Leo fa capolino dalla porta della cucina e si avvicina a me con cautela, come se fossi un cane abbandonato e pronta a morderlo da un momento all’altro.
«Ehi.» Mi saluta, sedendosi di fianco a me.
Faccio finta che le macchie di olio che ha lasciato sul cuscino non siano le sue, quando mamma le vedrà andrà su tutte le furie che in confronto il drago di prima era un barboncino.
«Ehi!» ricambio, cercando di fargli un sorriso, ma fallisco.
«So cosa stai provando. Aspetta, mi capisci vero?»
Annuisco. «Si, me la cavo con l’inglese. Non preoccuparti.»
Ora che gli sto così vicino mi accorgo che il ricciolino ha degli occhi color nocciola, e puzza di benzina.
«Fantastico. Pensavo che avresti parlato con Jason fino all’arrivo al Campo Mezzosangue.»
Io non dico nulla, anche perchè di questo Campo Mezzosangue non ne voglio sentir parlare.
«Comunque dicevo, so cosa stai provando. Disagio, profondo disagio. Questa è casa tua, la tua fonte di sicurezza, e noi te l’abbiamo distrutta.»
«Hai ragione, siete proprio dei guastafeste.» Ribatto, trattenendo un sorrisetto sulle labbra.
Non aspettandosi questa risposta, Leo rimane impassibile, per poi scoppiare a ridere.
«Anche tu ti sei sentito così...spaesato? Senza un punto di riferimento? Come se stessi per perdere tutte le persone che ami?»
Lui annuisce, per poi incupirsi.
«Ho detto qualcosa di male?»
Lui alza il capo, e si toglie dalla faccia quell’espressione crucciata. «No, ho solo una fame tremenda. Il tuo panino prima era solo la merenda.» E mi fa l’occhiolino.
Leo si alza dal divano e mi tende una mano, per aiutarmi a mettermi in piedi. «Non posso assicurarti che d’ora in poi sarai al sicuro, che non dovrai lottare per la tua stessa vita, che non dovrai scontrarti con dei mostri, che non dovrai subirti le pallose raccomandazioni di Chirone, ma se sarai insieme a me, ti posso assicurare che sarà tutto molto divertente.»
Che egocentrico, ma questo ragazzo comincia a starmi simpatico.
«Afferrato, candelabro.» Gli afferro la mano e mi metto in piedi, rispondendogli questa volta in italiano, cosicchè lui non possa capire la mia battuta.
«Candelabro? Che vuol dire?»
«Non avevi detto che lo spagnolo e l’italiano si somigliavano?» ed entro in cucina, raggiungendo gli altri.
La serata fila liscia, e mia madre è al settimo cielo perchè  Leo le ha sistemato il rubinetto che perdeva.
«Signora, non c’è nulla che Leo Valdez non possa aggiustare.» E diciendo ciò, fa roteare tra le mani un paio di chiavi inglesi, come se fossero delle pistole nel Farwest.
«Oh dei, questa pasta al pesto è una delle cose più buone che io abbia mai mangiato.» Jason sta guardando il suo piatto di pasta come se fosse l’amore della sua vita, e non ha tutti i torti. La pasta al pesto è la pasta al pesto.
«Lo sai che è il mio piatto preferito?» chiede mia sorella al biondino, e lui in risposta le batte un cinque, in segno di rispetto.
Anche Leo sembra gradire, chiedendo il bis.
Io invece a malapena tocco cibo, e mia madre se ne accorge. «Chiara, tutto bene?»
Si, tutto a meraviglia. Ho appena ucciso un drago, ho scoperto di essere una semidea, uno dei miei genitori non è un mio genitore, e devo partire per gli Stati Uniti per andare in un posto dove molto probabilmente si corre e ci si allena. Sto alla grande.
A quanto pare il mio non rispondere è più eloquente di qualsiasi altra cosa, e mia madre sospira, facendo tutti smettere di mangiare.
«Tesoro, è complicato. Non posso dirti molto, ma quello che posso dire è che io sono la tua vera mamma.»
«E chi è suo padre? Scommetto che è Ade, in camera sua c’è un poster dei My Chemical Romance.» Esclama Leo, ma Jason gli tira una gomitata per farlo tacere.
Cosa c’entra Ade con i My Chemical Romance?
«Non posso dirlo.» Risponde semplicemente mia madre. Che cosa?
«Ho fatto un giuramento. Non posso rivelare niente, sarà la cerimonia di riconoscimento che le darà la risposta. Chiara è più di una semidea, è molto speciale e ho sempre cercato di tenerla lontano da...voi, dal vostro mondo.» Continua lei, parlando per lo più a Leo e Jason. «Senza offesa, naturalmente.»
«Oh non si preoccupi, mi hanno detto di peggio.» Risponde Leo, con la bocca piena di pasta.
«Quindi l’hai sempre saputo, mi hai tenuto nascosta una cosa del genere per vent’anni! Per quanto ancora pensavi di non dirmelo?» La mia voce trasuda frustazione, ma non posso farci niente.
Fisso il volto di mia madre, segnato da qualche ferita per quello che è successo prima, e non riesco a tenerle il broncio.
«Sapevo che prima o poi qualcuno sarebbe venuto a prenderti, per mostrarti quello che realmente sei, per questo tengo sempre di riserva quelle valige che hai visto questo pomeriggio. Non te l’ho mai detto perchè conosco quel mondo, e non volevo quella vita per te. Non volevo che rischiassi di perdere la tua gioventù perchè qualche dio dell’Olimpo faceva i capricci. Volevo darti la possibilità di scegliere che vita vivere.»
«Papà lo sa?» Chiedo.
«No. Sai che è un tipo piuttosto complicato, sarebbe un bel colpo per lui sapere di tutto questo.» Risponde cauta mia madre.
«E io? E io? Ho anche io un genitore dell’Olimpo?» Chiede Marie, come se fosse la cosa più fica della terra.
Mia madre le sorride dolcemente, accarezzandole il mento. «No tesoro, tu sei umana.»
Marie ci rimane male, ma sono sicura che le passerà.
Improvvisamente per tutta la cucina cala un silenzio di tomba, e la tensione la si palpa con le mani.
Mi alzo dal tavolo e chiedo di restare per un po’ da sola. Loro non fanno pressioni, così me ne vado in camera mia, seguita dal mio gatto.
Quando mi accascio sul letto, mi ricordo di avere ancora un cellulare. Quando lo sblocco, trovo un centinaio di notifiche tra chiamate perse e messaggi non letti.
Leggendoli uno ad uno mi rendo conto che mia madre aveva annullato la mia festa di compleanno una decina di minuti prima che venisse attaccata dalla viverna e tutti si sono chiesti il perchè, pensando al peggio. E non avevano tutti i torti.
C’è chi addirittura mi ha creduta morta, e mi ha lasciato un addio sulla mia pagina Facebook.
Rispondo solo agli amici più stretti, scrivendo che sto bene e che i miei mi hanno regalato un viaggio per gli Stati Uniti. Il mio è uno pseudo addio, perchè non ho la più pallida idea di quando tornerò.
Decido di farmi una doccia e di mettermi addosso dei vestiti puliti, e non appena tocco il cuscino con la testa, crollo in un sonno profondo.
 
Avrei potuto dormire molto di più se Leo non si fosse catapultato nella mia stanza e non avesse cominciato a urlare parole in inglese a casaccio.
«Buenos dias! Non vorrei essere brusco, ma ci stanno attaccando.»
I miei occhi ora sono spalancati e mi alzo di scatto dal letto. «Che cosa?»
«Oh nulla di cui preoccuparsi, ci sono delle arpie nel tuo giardino.»
Corro immediatamente al piano terra, e vedo mia madre afferrare un arco e delle frecce da sotto il divano del salotto.
Quel coso è sempre stato lì? Se lo avessi saputo prima lo avrei usato per cambiare canale in tv.
«Buongiorno tesoro, ti ho messo tutto quello che ti serve nella macchina di tuo padre. Tu, Leo e Jason dovete andarvene, subito.»
Dov’è finita quella madre che “ti ho nascosto tutto perchè volevo che scegliessi”?
«Cosa? Non se ne parla!»
Nel frattempo anche mia sorella Marie si è svegliata e ora sta correndo giù per le scale, emozionata dalla lotta.
Mia madre comincia a scagliare una freccia dopo l’altra, centrando un mostro ad ogni tiro.
«Si mamma! Vai così! Piu! Piu! Piu!» Esclama mia sorella.
Vorrei avere lo stesso entusiasmo di Marie.
«Chiara, non c’è tempo da perdere. Dovete andare all’aereoporto, subito. Nella macchina troverai i soldi e le valige. -fa una pausa- E che diavolo, potete almeno smettere di mangiarmi i fiori? Ci ho messo mesi a farli crescere!» Strilla mia madre.
Io presa dal panico faccio quello che mi ha detto, e ritorno in camera mia, recuperando tutte le cose che mi capitano a tiro. Leo e Jason nel frattempo aiutano mia madre a debellare quegli uccellacci con la testa umanoide, finchè non annucio di essere pronta.
Mia madre chiude la porta d’entrata, e corre verso il garage; noi la seguiamo come se fossimo dei pulcini appena nati.
I due ragazzi entrano in auto, ma prima che possa farlo anche io, mi volto verso mia madre e mia sorella, che mi fissano piuttosto stravolte.
«Mamma...io....»
Lei non dice nulla, ma mi avvolge in un abbraccio. «Shh, andrà tutto bene. Noi staremo bene. Potrai parlarmi quando vuoi, con i messaggi Iride. Chiedi a Chirone come funzionano. Ti voglio bene.»
«Anche io ti voglio bene.» Sussurro, trattenendo le lacrime.
Dal salotto sentiamo improvvisamente dei vetri rompersi, e non ci vuole un genio per capire che le arpie sono entrate in casa.
«Salutatemi papà.» Dico con le lacrima agli occhi. Abbraccio velocemente mia sorella, e mi metto in auto, nel posto guida.
«E’ la macchina di tuo padre, questa?» chiede Leo.
«Si.»
«E lui lo sa?»
«Oh credo proprio di no. Ma guardiamo il lato positivo: quando lo scoprirà io sarò oltre oceano.»
«Sai guidare, spero?» Mi chiede Jason, che a quanto pare è riuscito ad accaparrarsi il posto davanti. Leo è nei sedili posteriori, e sta maneggiando qualcosa con il suo borsellino giallo. Mi accorgo che si è anche cambiato di vestiti, ma non capisco dove li abbia trovati.
«Certo che so guidare.»
«E allora vai più veloce che puoi, le arpie capiranno in frettta che non sei più qui.»
«Perchè ricevo tutta questa attenzione dai mostri e non dai ragazzi?» Sussurro tra me e me, e dopo di ciò, premo sull’accelleratore ed esco dal garage.
«Non vi pare anche a voi una grandiosa giornata?» Esclama Leo non appena usciamo dal vialetto, cercando di seminare qualche uccellaccio che non è riuscito ad entrare in casa mia.
 
Dopo una mezz’oretta riesco a seminare le arpie e mi immetto nell’autostrada che porta all’aeroporto.
«Siamo sicuri che volare sia una buona idea?» Chiedo, viste le ultime esperienze.
«Sono il figlio di Giove, certo che volare è una buona idea. Adoro gli aerei.» Risponde Jason come se lo avessi quasi offeso.
«Ragazzi, ho trovato un test su internet che ti dice quale genitore divino hai! Facciamolo!» Leo è ancora seduto nei sedili posteriori, con le gambe appoggiate al finestrino.
«Leo! I cellulari! Non li possiamo usare!» Lo rimprovera Jason con un tono da padre autoritario.
«Questo non è un cellulare, è un nuovo aggeggio che sto progettando. Assomiglia ad un telefono, ma non può telefonare nè mandare messaggi. Usa una linea internet appena progettata da me, e va a dracme. Oh, se sono un genio.» Fa una pausa. «COMUNQUE. Prima domanda: cosa ti piace fare nel weekend?»
Io e Jason esclamiamo in unisono un “noooo” sonoro, ma ormai Leo è partito per la tangente.
«Risposta A: scagliare un fulmine ai tuoi peggior nemici. Risposta B: inondare la tua vecchia scuola elementare dove una volta ti hanno rovesciato il budino nelle mutante. Risposta C: innaffiare il tuo orticello come un contadino modello. Risposta D: ascoltare musica al massimo del volume lanciando frecce come allenamento pomeridiano.»
«Posso lasciarlo in mezzo alla strada?» Chiedo a Jason, con un tono serio.
«Qui non è illegale lasciare gli animali domestici per strada?»
«Ehi! Io ancora sono qui, per vostra informazione.» Esclama Leo, fingendosi offeso. «Comunque la mia risposta è la B. E la vostra?»
 
 
 
 
.....
Salve a tutti!
La mia risposta è la A, e la vostra? lol
Niente, adoro troppo Leo.
Sono di fretta quindi sarò molto veloce a scrivere questo spazio autore.
Per questo capitolo non ho molto da dire: Chiara è ancora turbata da tutta la situazione, la madre non è di aiuto e ora stanno partendo per gli Stati Uniti per raggiungere il Campo Mezzosangue. Diciamo che questo era un capitolo un po’ di passaggio, ecco.
Per capire anche chi è il genitore divino vi ho lasciato ancora un minuscolo indizio, vediamo se ci arrivate 😊
Spero che la lettura sia stata di vostro gradimento, per qualsiasi cosa (domande, pareri, fangirlamenti su Leo Valdez) potete scrivermi nelle recensioni!
Potete trovarmi su
Twitter-@glaukopsis
Un bacio, Claire xx

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5 ***



                                                                          
 

5




«Siete arrivati con l’aereo anche all’andata?» Chiedo a Jason mentre fa il check-in all’aeroporto.
«No, un amico ci ha dato un passaggio…sotterraneo.»
Decido di non fare domande.
Appoggio i miei bagagli sul nastro trasportatore e tutti e tre ci avviamo verso la sala d’aspetto. Da quando siamo arrivati all’aeroporto, Leo è particolarmente silenzioso.
Io e Jason ci sediamo su delle sedie di metallo, proprio vicino al vetro che dà sulla pista di atterraggio. Intorno a noi ci sono un sacco di persone che vanno e vengono, con in mano i loro bagagli.
«Che ha il tuo amico?» Chiedo.
«Credo che gli manchi Calipso. Hanno avuto un piccolo litigio e lui ha voluto allontanarsi per un po’. Poi credo che preferirebbe volare su Festus, ma non ha potuto portarlo con sé. I viaggi nel Labirinto non sono fatti per i draghi meccanici.»
Ci sono come minimo venti cose che vorrei chiedere dopo questa sua risposta, ma lascio cadere la cosa. Non sono in vena di ascoltare storie passate, però non posso fare a meno di fare una domanda. «Aspetta, quella Calipso? Quella che ha incontrato Ulisse?»
«Già. È una lunga storia.»
E da qui capisco che neanche Jason ha voglia di raccontare cosa è successo.
Aspettiamo circa trenta minuti nella sala d’aspetto, quando finalmente annunciano il nostro gate e ci alziamo per raggiungere l’aereo.
Leo si mette in fila per far controllare il passaporto, il loro è ovviamente falso, ma qualcosa lo ferma subito.
«Che c’è?» Chiede Jason.
«Quella hostess non è una hostess.»
Fisso la ragazza bionda che da dietro il bancone sta controllando i passaporti e le carte di imbarco di ogni passeggero.
È una ragazza semplicissima, con una bella pelle devo ammettere. Devo chiederle che crema usa.
«Leo, certo che è una hostess.»
«Non lo è.»
«E allora cos’è? Una patata?»
Nel frattempo avanziamo nella fila. «Leo ha ragione, quella è un mostro.»
Alzo gli occhi al cielo. «Gesù, anche qui?»
«Chica, ti conviene usare divinità diverse da oggi. Tu hai un genitore che fa parte di un’altra religione.»
«Ah sì, giusto. Per gli dei dell’Olimpo, anche qui?» Mi fermo. «Va bene così?»
Leo ridacchia. «Dobbiamo riuscire a salire sull’aereo prima che lei ci veda, o potrebbe finire male.»
«Ma come fate a saperlo? Cioè io non vedo nulla di male.»
«Sento il loro odore. Lo riconosco a chilometri di distanza.» Risponde semplicemente Leo, con un sorrisetto stampato in volto, come se volesse vantarsi della cosa.
Se con la viverna e le arpie provavo un senso di terrore mai provato prima, ora provo un leggero fastidio. Possibile che siano dappertutto?
Prima che noi ce ne possiamo accorgere, mi trovo davanti al presunto mostro con una bella pelle, che mi sorride.
«Signorina, il passaporto.» Mi chiede con una voce gentile.
Glielo porgo con cautela, e quando allunga le mani verso di me, noto che queste assomigliano a quelle di un coccodrillo, con squame e artigli compresi.
La hostess/mostro fissa prima il mio passaporto, poi il mio volto. Passano pochi secondi, e quando penso di essermela cavata, lei mi strappa il documento come se fosse uno scontrino della spesa.
«Ehi! Sai quanto ci si mette ad averne uno?» Protesto, ma credo che della mia causa contro l’inefficienza della burocrazia italiana non gliene freghi molto.
Prima che io possa dire altro, la ragazza si scaglia verso di me, cercando di afferrarmi le braccia, cosa che non le riesce perché io prontamente mi scanso.
«Sparpagliatevi!» Grida Jason.
Io e Leo non ci pensiamo due volte. Io salto verso destra, andando a sbattere contro un uomo sulla quarantina che mi dedica delle parole poco carine. A Leo è andata meglio, lui almeno è finito su un cartellone pubblicitario che non può parlare.
Jason invece indietreggia, e invoca un piccolo vortice sulla sua mano; lo punta velocemente contro la hostess, e lei cade di lato, ma si rialza prima di quanto potevamo sperare.
Come se fossero due moscerini che danno fastidio, il mostro ignora Leo e Jason e si dirige a grandi falcate verso la mia direzione.
Vedo che la sua pelle, prima chiara ed eterea, ora sta diventando completamente verde, i suoi occhi sono gialli e al posto dei denti le sono sbucati due bei canini.
«Devi morire!» Grida il mostro, e io cerco di non prenderla sul personale.
«Senti chi parla!» Ribatto, mettendomi in piedi.
Mi chiedo cosa stiano pensando tutte le persone presenti, forse ci stanno prendendo per pazzi.
L’hostess sta per afferrarmi il volto quando una palla di fuoco le colpisce la mano, e io ringrazio il cielo per l’esistenza di Leo.
Ho qualche secondo di vantaggio e comincio a correre. Conosco abbastanza bene questo aeroporto, mamma mi ha portata qui per ogni viaggio che facevamo insieme.
Così giro l’angolo e salgo le scale mobili due alla volta, seguita dal mostro coccodrillo.
«Chiara, cosa diavolo fai?» Grida Jason.
Ora chi dovrebbe far riferimento ad altre religioni, adesso?
Il figlio di Giove mi raggiunge, sorvolando tutte le scale mobili e lo stesso mostro. Quando è a fianco a me si mette a correre, tenendo il mio passo.
«Grazie, ma non mi serve il baby-sitter. So cosa faccio, seguimi.» E corriamo insieme verso i bagni delle donne. Jason tentenna per qualche secondo, dubbioso se entrare o meno, ma poi mi segue.
Ci nascondiamo in uno dei gabinetti, senza chiudere a chiave. Poco dopo sentiamo i passi pesanti della hostess che si avvicina a noi. Perlustra bagno dopo bagno, e nel frattempo mimo a Jason di spingere la porta quando glielo dico io.
Non appena vedo le ballerine del mostro da sotto la porta, grido un “vai!!!” a Jason, e insieme spingiamo la porta, colpendo in pieno faccia la ragazza squamosa.
Sembra essere svenuta, ma l’istinto mi dice che non basta. Vorrei ucciderla, ma il ragazzo mi ferma. «Non abbiamo tempo. Dobbiamo prendere l’aereo.» E mi porta fuori.
Chiudendo la porta principale del bagno, Jason si gira e con un movimento delle mani fa saltare la maniglia. «Questo ci darà un po’ di tempo.» E corriamo verso il gate.
Leo ci sta aspettando sull’uscio, con una certa fretta dipinta in volto.
«Non per mettervi ansia, ma l’aereo sta partendo.» Esclama lui, e insieme ci mettiamo a correre.
«Non senza di me.» Sussurra Jason.
Attraversiamo di corsa tutta la pista di atterraggio, rimpiangendo di non aver preso la navetta che porta direttamente davanti all’entrata dell’aereo, ma non c’era tempo.
Riusciamo ad arrivare pochi secondi prima che le porte si chiudano, e incredibilmente riusciamo ad avere ancora la carta di imbarco che ci fa entrare.
Ci sediamo con un tonfo ai nostri posti, e facciamo un sospiro per prendere aria.
«Prima o poi avrò un infarto, me lo sento.» Sussurro.
«Io ve lo avevo detto che oggi sarebbe stata una grandiosa giornata.» Commenta Leo, prendendo il menù del cibo.
Sono troppo stravolta per poter ribattere, e mi accascio sul mio sedile, in mezzo a due ragazzi troppo strani per i miei gusti.
 
Il volo è stata una noia incredibile. Leo è riuscito a dormire per la maggior parte del tempo, mentre Jason ha insistito nel volermi spiegare come effettivamente gli aerei riescono a volare e altre cose sul volo di cui mi sono già dimenticata.
Arriviamo dopo nove ore, e quando atterriamo a New York non sento più il mio sedere.
Paradossalmente, se prima abbiamo rischiato di morire ben tre volte per arrivare fino a qui, ora il viaggio verso questo fatidico Campo Mezzosangue sembra essere tranquillo, anche troppo.
Anche Jason e Leo trovano che ci sia qualcosa di strano, ma Leo ci ha ordinato di tacere per non portare sfortuna. Così mi abbandono nel sedile posteriore di una macchina rubata nel parcheggio dell’aeroporto e mi godo il viaggio, per quanto sia possibile.
La stanchezza si fa sentire prepotentemente, ma mi impongo di rimanere vigile: durante il viaggio mi sono fatta raccontare un paio di cose sul posto in cui stiamo andando, e Jason ha nominato un certo Minotauro che una volta ha fatto diventare le cose difficili.
Il Minotauro però è l’ultima cosa che mi preoccupa in questo momento. È come se stessi per affrontare il primo di giorno di scuola, in un paese che mette l’ananas sulla pizza e in una lingua che conosco abbastanza bene solo grazie alle serie tv.
All’improvviso mi chiedo perché non mi sia fatta uccidere da quella hostess in aeroporto, sarebbe stato molto più semplice.
Usciamo da New York e dopo un paio di ore in macchina, Jason si ferma in aperta campagna, spegnendo il motore.
«Leo, devi fare pipì? Perché se puoi trattenerla faresti un favore a tutti.»
Jason sogghigna. «No, siamo arrivati.»
Cosa? Davanti a me c’è solo una collina ricca di erba e in cima ad essa un grande pino alto quanto un condominio. È questo il famigerato Campo Mezzosangue? Spero stiano scherzando, io non vivrò sotto un albero.
Incerta, seguo i due ragazzi e ci incamminiamo in mezzo all’erba.
Sono sicura di avere una mezza crisi di nervi, ma non so come, resisto finché non arrivo in cima. Quello che mi si presenta davanti mi mozza il fiato, perché non mi aspettavo di vedere una valle così grande da poter riempire dieci campi da calcio, popolata da persone che corrono avanti e indietro.
Percepisco le voci dei ragazzi, il fruscio del vento e il sole che riflette ogni colore.
Il pino è solo una delle tante cose che riesco a vedere: davanti a me si erige una statua completamente d’oro, che assomiglia molto alla Statua della Libertà, solo con uno scudo e una lancia nelle mani.
Alla mia sinistra vedo un enorme stabile, che riconosco perché Leo mi ha parlato di una certa “Casa Grande” dove risiede il direttore del campo, Chirone. Vicino vedo un campetto da pallavolo, un anfiteatro, un laghetto con delle canoe e perfino un muro per l’arrampicata.
Solo a vedere quella parete mi vengono i brividi, io su quel coso non ci salgo.
Poco più in là vedo un piccolo insieme di case, collocate a ferro di cavallo, e una specie di Partenone con tanto di tavoli e delle sedie dentro.
Davanti al mio stupore, Leo mi dà una piccola gomitata al braccio e mi trascina giù verso la Casa Grande.
A quanto pare ad aspettarmi erano in molti. Non appena arriviamo nella strada principale un gruppo di ragazzi, compreso un uomo metà cavallo e metà umano ci accolgono, urlando qualcosa in inglese che io non comprendo.
«Ragazzi! Siete arrivati sani e salvi! Complimenti!» Esclama il centauro come se non fosse scontato ritornare vivi. Capisco subito chi è: nel film era più vecchio, mentre qui sembra un attore di Hollywood. Chirone ha un viso stupendo, sbarbato, due occhi azzurri e capelli neri corvini. Il pelo del suo, ehm, didietro, è nero come i capelli, lucido e ben spazzolato.
«Chiara, benvenuta al Campo Mezzosangue. Questa è la tua nuova casa, spero tu possa ambientarti il prima possibile.»
Io rimango in silenzio, non sapendo cosa dire. Rispondo in inglese? Rispondo in italiano? Scappo?
Vedendo il mio volto sconvolto, un ragazzo dai capelli scuri con due perle verdi al posto degli occhi e una maglietta arancione mi si avvicina. Oddio no, ditemi che non è Percy.
Percy è uno solo, e quello è Logan Lerman. Perché non è qui?
«Ciao, io sono Percy Jackson.»
Impreco mentalmente. Non riuscirò mai ad accettarlo.
Subito una ragazza coi capelli biondo cenere si affianca a lui.
«Fammi scommettere, lei è Annabeth.» Esclamo, sorprendendo entrambi.
«Come lo sai?» Chiede lei, con uno sguardo sospetto.
«Lasciamo stare.» Interviene Leo. Forse non gli è ancora andata giù la storia del film. «Dobbiamo parlare con Chirone.»
«Si, Chiara deve avere delle spiegazioni.» Finisce Jason, e vengo accompagnata dentro la Casa Grande.
Con la coda degli occhi vedo Jason e Leo che abbracciano Percy, e un po’ mi sento a disagio.
Essere l’ultima arrivata fa proprio schifo.
Mentre camminiamo, mi permetto di guardarmi un po’ attorno e quello che noto immediatamente è che tutto è curato nel minimo dettaglio, dai fiori sul balcone di una casetta più in là, dalle targhette per ogni attrezzo o arma che mi capita davanti… ci sono persino le vie!
Entriamo nella Casa Grande, un grande stabile che visto da vicino è molto carino e accogliente, e vengo fatta sedere su una sedia davanti ad un tavolo enorme, di forma circolare.
Vicino a me si siedono Jason e Leo, e qualche secondo dopo entrano anche Percy ed Annabeth. Chirone, data la sua stazza, non si siede.
«Allora, come è andato il viaggio? Aspettate, la ragazza ci capisce?»
«Si, capisce l’inglese e lo parla. Anche se io potrei farle da Google traduttore.» Spiega Jason.
Mi chiedo come Jason possa conoscere Google traduttore se i semidei non possono usare internet.
«Si, tutto molto bello, ma questi due sono piombati sul mio balcone rovinando il mio compleanno e io ho bisogno di risposte. Perché sono qui?»
Percy mi fissa. «Mi piace la ragazza, è diretta. E ha un accetto strano.»
Annabeth gli tira un calcio sotto il tavolo. «Scusalo, fare l’idiota è la cosa che gli viene meglio.»
Oddio già gli shippo. Ma decido di rimanere zitta e concentrarmi su Chirone.
«Chirone, non abbiamo trovato neanche un mostro sulla strada per arrivare fino a qui. E’ normale? Perché non mi è mai capitato.» Chiede Jason.
Lui sospira, e appoggia le sue braccia sul tavolo. «No, non è normale. Questo vuol dire che la cosa è più grave di quello che pensavo. Per questo abbiamo voluto qui la nostra amica italiana.»
Leo comincia a raccontare quello che abbiamo passato nelle ultime 24 ore, con una certa dose di esagerazione. Tutti però lo stanno ad ascoltare, finché non finisce e tutti cominciano a fissarmi in attesa di qualcosa, come se conoscessi il segreto dell’immortalità.
«Sentite, io continuo a pensare che tutto questo sia uno scherzo, uno di quelli ben architettati, quindi non capisco perché io sia così importante.»
«L’Oracolo qualche giorno fa ci ha predetto che una nuova minaccia sta per incombere, e che un semidio della stessa stirpe del male sarà la chiave. Dato che le ultime seccature vengono dall’antica Roma, abbiamo pensato che una italiana potesse fare al caso nostro. Ma non posso ancora dire di chi si tratta. Nulla è sicuro. Per adesso dobbiamo solo tenere segreta la cosa, e non mettere il panico.» La voce di Chirone è roca e autoritaria e qualcosa mi fa capire che nessuno si permetterebbe di contraddirlo.
Nessuno riesce a dire nulla, e a me l’ansia non è passata nemmeno un po’.
«Chiara, le risposte verranno con il tempo. Per ora alloggerai nella casa di Ermes. Il dio dei vagabondi, tra le altre cose. È lì che tutti i semidei vanno prima di scoprire quale sia il loro vero genitore.»
Non ho capito, mi ha dato della vagabonda?
«La cena è appena finita, ma ti faremo avere qualcosa da mangiare prima di andare a dormire. Il coprifuoco è alle dieci e la sveglia alle sette.»
E a quanto pare, la riunione è finita. Tutti si alzano dalle loro sedie ed escono dalla sala principale, tutti tranne Chirone, che mi fissa con uno sguardo intenso.
«Se sei quello che penso che tu sia Chiara, sei una delle semidee più potenti che io abbia mai visto nella mia carriera.»
Ci avviamo verso l’uscita e io sono profondamente a disagio.
Mentre usciamo dalla Casa Grande Chirone comincia a parlare di cose come le responsabilità e i poteri, ma io non lo ascolto.
«Oh, guarda chi arriva. Reyna!»
Una ragazza con un’armatura d’oro si volta verso di noi. Due trecce marroni le contornano il viso olivastro, gli occhi color nocciola sembrano quelli di una cerbiatta e il fisico alto e atletico non aiuta la mia autostima.
«Chirone! Vedo che è arrivata. Piacere, io sono Reyna. Sono il pretore del Campo Giove, mi trovo qui solo di passaggio.»
Lei mi porge la mano, e io la stringo. «Sono Chiara, la nuova arrivata che vorrebbe sotterrarsi sotto quel cespuglio.»
Reyna sorride. «Oh, è normale. Vuoi che ti faccia fare un giro?»
Ringrazio chiunque ci sia lassù in cielo per questa ragazza. Speravo che Jason e Leo mi stessero vicino anche in momenti come questi, e invece mi hanno abbandonata miserabilmente al mio destino.
Chirone ci fa un cenno con la mano. «Sei in ottime mani, Chiara. Ti consiglio di riposarti, domani per te sarà un gran giorno.» E se ne va, al trotto.
Reyna sistema la spada nella sua cintura di cuoio e mi regala un sorriso. «Allora, ti va un muffin al cioccolato?»
E improvvisamente il mondo sembra essere un po’ più bello.
 
 
 
 
 
……
Salve a tutti!
Ed eccoci anche al quinto capitolo. Come avrete visto, ho introdotto Reyna (è il mio personaggio preferito) e sarà presente per il resto di tutta la storia. Amo quella ragazza, non potevo escluderla.
Per il resto, non ho molto da dire. Ho trovato alcune difficoltà nel presentare il Campo Mezzosangue perché alla fine tutti i lettori che stanno leggendo la storia sanno a memoria come è costruito il Campo, e quindi non volevo essere ripetitiva e appesantire il capitolo nel descriverlo eccessivamente.
E non ho resistito a fare un piccolo paragone con il film. Per me Percy Jackson è solo Logan Lerman, e la delusione di Chiara nel vedere Percy con un’altra faccia è la mia stessa delusione hahah
Niente, spero che vi sia piaciuto. (spoiler) Nel prossimo si saprà la discendenza divina della protagonista, e un po’ di cose cominceranno ad avere una logica 😊
Sarei felicissima se mi scriveste alcune parole per darmi qualche feedback, per correggere qualcosa o anche semplicemente darmi una vostra opinione!
Ci si vede al prossimo capitolo!
Potete trovarmi su
Twitter- @glaukopsis
Un bacio, Claire xx

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6 ***



 




6




Io e Reyna abbiamo subito stretto amicizia.
La ragazza dopo avermi offerto un muffin al cioccolato mi ha fatto fare un breve giro del Campo, dandomi tutte le informazioni utili per muoversi in questo posto, tranquillizzandomi un po’.
Le ho raccontato quello che mi è successo negli ultimi giorni (in italiano, il che è stato un po’ di conforto) dicendole di Leo e di Jason, ma quando ho pronunciato il nome di quest’ultimo lei ha fatto un sorrisetto amaro.
Capisco che loro due si conoscono già e che c’è stato qualcosa che l’ha fatta rabbuiare tutto d’un tratto. Abbiamo cambiato poi discorso e lei mi ha raccontato di essere figlia della dea Bellona e che viene dal Campo Giove, descrivendomi quel posto come una specie di piccola riproduzione di Roma e che, in quanto italiana, non posso non andare a visitarla.
Alla fine mi ha accompagna alla famosa casa di Ermes, poco prima del coprifuoco, e io come se fossi una bambina all’asilo, avrei voluto mettermi a piangere perché non volevo che se ne andasse.
Per fortuna i figli di Ermes sono stati gentili nei miei confronti, forse perché abituati a vedere poveri ragazzi sperduti e impauriti arrivare da loro, e mi hanno spiegato come funzionano le abitazioni dalle loro parti. La loro casa è leggermente più grande delle altre, come se fosse un piccolo condominio, con due piani. Per ogni semidio c’è una piccola stanza con un letto singolo, un comodino, un piccolo scaffale e una tv via cavo che trasmette un programma che non ho mai sentito in vita mia: “C’è posta per un dio”. Da quello che ho capito Ermes ne va matto.
La sistemazione non è neanche male, se non fosse per il bagno in comune. Mi chiedo come fanno con i turni della doccia.
Ho notato che nell’atrio principale c’è una foto di un ragazzo biondo, di nome Luke, e gli viene dato un enorme rispetto, come se fosse un eroe di guerra.
Tom, un figlio di Ermes a caso, mi ha informato che questa non sarà la mia vera casa ma solo una sistemazione di passaggio, a meno che Ermes non mi riconosca come sua figlia.
In ogni caso, non ci ho dato tanto peso. Mi sono limitata a buttarmi nel letto e fare finta, per un piccolissimo momento, che tutto questo fosse solo un brutto sogno.
 
Io continuo a sperare che il Campo Mezzosangue sia un sogno; davvero, ce la metto tutta. Ma le mie speranze sono vane.
Mi sveglio di soprassalto per via di una serie di voci che provengono dal corridoio. Mi chiedo chi diamine ha tutta questa voglia di gridare e correre al piano di sotto a quest’ora, e presa da un certo panico lascio la mia piccola stanza, seguendo il gregge.
Quando esco dalla casa di Ermes mi accorgo che non c’è nessun pericolo, e a quanto pare correre come dei forsennati per la colazione qui è la regola.
Sono tentata a tornarmene dentro e dormire ancora un po’, ma sento il mio stomaco rifiutare categoricamente questa opzione.
Così mi avvio verso il Partenone, una specie di padiglione per semidei senza tetto e contornato da perfette colonne greche. Durante il mio tragitto trovo Leo e Jason, freschi  dopo una buona dormita.
«Buongiorno, traditori.» Commento, continuando a camminare.
Leo sembra non capire. «Jason, traduci.»
«Oh, andiamo Chiara. Mi sembra di capire che tu non sia ancora morta o sperduta nel bosco di Dodona, te la sei cavata benissimo il primo giorno.»
«È vero, la ragazza è abbastanza forte da potersela cavare da sola, giusto?» Interviene improvvisamente Reyna, che avvolge un braccio intorno alle mie spalle e fa un piccolo sorrisetto ai due.
Leo alza le mani. «Ehilà, adesso create un club privato dove vi capite solo voi?»
Io e Reyna ridiamo e Jason cerca di non fare altrettanto.
Quando arriviamo alla mensa dei semidei sono sorpresa dal fatto che non c’è nulla di magico. Insomma, pensavo che la magia servisse almeno a farti comparire tutto il cibo che vuoi. Che delusione.
Quello che trovo davanti a me è un semplice buffet. Okay, glielo concedo: un buffet parecchio assortito.
Io e Leo ci tuffiamo sulla crostata al cioccolato, mentre Reyna e Jason sembrano essere più civili. Quando mi sono accaparrata abbastanza cibo per sfamare una viverna, ci sediamo ad un tavolo giusto in mezzo a due colonne, con vista sul mare.
Poco dopo Percy Jackson e Annabeth si siedono con noi. Leo è troppo occupato a mangiare la torta per accorgersene subito.
«Percy, ti ho detto che troppi mirtilli non fanno bene.» Esclama Annabeth, salutandoci subito dopo.
Guardo il piatto di Percy, stracolmo di cibo…blu. Sono sicura che i mirtilli non sono niente in confronto alla quantità di colorante che c’è in quel vassoio.
«Uhm… lo sa che il suo cibo è blu? O per caso è daltonico?» Chiedo agli altri.
«Non sono daltonico. E sono perfettamente consapevole che un pancake non dovrebbe essere blu, ma…»
«Ma?»
«Io voglio i pancakes blu.»
Reyna, davanti a me, mi fa cenno con le mani, facendomi capire che la fama gli ha dato alla testa, e io sogghigno.
«Parliamo di cose più interessanti. -inizia Annabeth- Chirone ha accennato ad una nuova minaccia. Secondo voi chi può essere?»
«Se è un altro imperatore, dò di matto.» Farfuglia Leo. Tutti lo fissano, in silenzio. «Okay, è stato Apollo a fare il grosso del lavoro, ma io ho dato una mano!»
Gli occhi del figlio di Efesto si rabbuiano per un secondo, e credo stia pensando a Calipso, anche se non capisco cosa c’entri con questa storia.
«Cosa c’entra Apollo?» Chiedo.
«Fino a qualche mese fa Apollo era un umano, gli è stata tolta l’immortalità e bla bla bla.»
Ah, su Twitter questa non è arrivata.
«Ma Chirone ha detto che è della stessa stirpe di Chiara, come può non essere un imperatore?» Si intromette Jason. «Scommetto che è Caligola, quel tipo non mi è mai piaciuto.»
«Quello pazzo fuori testa che ha eletto senatore un cavallo?»
«Come fai a saperlo?» Mi chiede Annabeth, spezzando un biscotto integrale.
Faccio spallucce. «Ho studiato storia a scuola?»
Annabeth fa per ribattere, ma rimane in silenzio. E Percy mi guarda divertito, mentre azzanna la sua omelette azzurra.
«Parlare di imperatori mi dà il voltastomaco. -dice Leo- Parliamo di cose più interessanti. Tipo…che so…secondo voi chi è il genitore di Chiara?»
Alzo agli occhi al cielo. «Ed ecco che ci risiamo.»
«Ehi, sto solo cercando di capire…e forse ho fatto anche qualche scommessa.»
«Tu hai fatto cosa?» Esclama Reyna, sbattendo la tazza del caffè sul tavolo.
«Oh, non guardarmi con quello sguardo accusatorio. Tutti sono curiosi di sapere quale genitore greco abbia la nostra novellina.» Continua Leo, appoggiandosi al poggia schiena della sedia.
«Chi ti dice che sia greco? È palese che sia romana. Andiamo, quella maglietta viola nel suo armadio come la spieghi?» Dice Jason, voltandosi verso il suo amico.
«Woah, avete rovistato nel mio armadio?» Mi intrometto io, con un leggero fastidio.
«Dovevamo pur cercare qualche prova, señoritas
Mi accascio anche io sulla sedia, seguita dalle risate di Percy, Annabeth e Reyna.
La colazione finisce poco dopo, ma le loro argomentazioni per dimostrare che io abbia una origine greca oppure romana a quanto pare no.
Secondo Percy e Jason sono romana, perché il mio paese è l’Italia e ho studiato latino. Il che non fa una piega.
Secondo Reyna e Leo ho una origine greca, per via degli zigomi. Non capirò mai il collegamento tra le due cose.
Annabeth dice che non si vuole esprimere.
Quando usciamo dal Partenone, Chirone ci raggiunge al trotto. Non credo che mi abituerò mai a questa cosa.
«Chiara, è ora.»
Ora di tornarsene a casa e dimenticare tutto?
«È ora di scoprire chi è il tuo genitore dell’Olimpo.»
Mannaggia, ci ero andata vicino.
Attraversiamo parte del campo, e nel tragitto incontriamo quello che sembra essere Dioniso: i suoi capelli grigi sistemati dietro l’orecchio e il pancione che sbuca prepotentemente dalla maglietta hawaiana non sono quelli che si vedono nelle rappresentazioni del mio vecchio libro di arte, ma ci passo sopra.
Chirone riesce a risparmiarmi le innumerevoli domande del dio sui vini italiani, e passiamo oltre, finché non arriviamo davanti all’anfiteatro, gremito di ragazzi.
Mi fermo improvvisamente: vedere tutti quei ragazzi che aspettano solo me mi fa sembrare un animale da circo.
Percy mi si avvicina. «Va tutto bene, ci sono passati tutti. Qui non arrivano semidei molto spesso, per cui la cerimonia di riconoscimento è molto speciale. Niente pressioni.»
«Niente pressioni? Spero tu stia scherzando. Come funziona questa cosa?»
«L’unica cosa che devi fare è metterti al centro dell’anfiteatro. Chirone farà il resto, e anche il tuo genitore divino, se è una buona giornata.» Spiega lui.
«Che vuoi dire “se è una buona giornata”?»
«Che se il dio che stiamo cercando di scoprire ha la luna storta bisogna riprovare più tardi.» Interviene questa volta Leo.
«Incredibile, peggio delle compagnie telefoniche.» Sussurro.
Faccio un sospiro profondo e ricomincio a camminare, entrando nell’arena. Sento subito la mia fetta di torta muoversi pericolosamente nel mio stomaco, ma il fatto che la struttura non sia molto grande e che le persone sugli spalti non stiano urlando come dei tifosi ad una partita di calcio, mi tranquillizza un po’.
I miei nuovi amici si allontanano, rimanendo vicino a Chirone.
«Quindi io devo solo mettermi in centro. E poi? Il dio esce dalle nuvole e ci stringiamo la mano?»
Tutti ridono e io comincio davvero a sentirmi a disagio.
«Dovrai eseguire quello che ti dico io. Dopo un po’ dovrebbero comparire intorno a te dei simboli, ognuno per ogni dio. Uno di quelli si illuminerà, e avremo capito chi è tuo padre.» Quando Chirone si mette a spiegare, tutti si zittiscono.
Faccio un cenno con la testa per dire di essere pronta, e mi metto al centro dell’anfiteatro, proprio sopra una X disegnata per terra.
Chiudo gli occhi, e Chirone inizia a parlare. Non capisco cosa stia dicendo, penso sia greco antico, ma non ne sono molto convinta.
Attorno a me percepisco una leggera brezza fredda che mi fa venire i brividi, e dopo qualche secondo riapro gli occhi.
Come aveva detto il centauro poco fa, attorno a me ci sono una serie di simboli sospesi in aria, formando un cerchio. Proprio di fronte a me c’è una folgore, più in là una fiamma, un gufo, poi un tridente, una colomba, e altri ancora.
Tutti i simboli risplendono di luce propria, come se fossero alimentati da una luce neon; l’unico problema è che non riesco a vedere cosa ci sia oltre il cerchio di simboli, come se questi avessero creato una specie di protezione dal mondo esterno.
Mi giro per vedere tutti i disegni, ma fino ad adesso nessuno si è illuminato.
Quasi mi sento sollevata, me lo sentivo che non appartengo a questo mondo, che non sono una semidea.
Prima di esultare però, un simbolo alla mia destra si accende, emanando una luce gialla.
Mi volto di scatto, e vedo un’arpa d’oro brillare in aria, proprio davanti a me.
Un’arpa? È un simbolo di Apollo?
«No! Ancora Apollo no! È una persecuzione!» Sento una voce in sottofondo, e sono quasi sicura che sia stato Leo a parlare. Dopodiché il silenzio assoluto.
Okay, sono figlia di Apollo, tutto molto figo, ma perché la cosa si sta prolungando?
Improvvisamente un altro simbolo si accende, proprio alla mia sinistra: un gufo azzurro brilla proprio come l’arpa di Apollo, e io non so cosa pensare. Sento in sottofondo un brusìo di voci, e comincio a diventare nervosa.
Cos’è, un errore di sistema? Un virus cinese che ha manomesso il riconoscimento?
Dopo qualche secondo la mia bolla di protezione sembra scoppiare, e ritorno a vedere tutte le persone nell’anfiteatro.
Tutti tacciono, fissandomi.
«Chiara, stai bene?» Reyna viene in mio soccorso, trascinandomi via e accompagnandomi vicino a Chirone.
«È…è possibile che si siano accesi due simboli?»
«Non mi è mai capitato. Il primo che si è acceso è anche quello che è rimasto più luminoso, per cui posso dedurre che tu sia figlia di Apollo. Poi la civetta di Atena si è accesa, e non capisco perché.»
«Se è figlia di due dei… non è anch’essa una dea?» Chiede Jason, incrociando le braccia al petto.
«No, mia madre mi ha assicurato che ho solo un padre divino. Non posso essere una dea!»
Qui sembra che nessuno mi abbia ascoltato. Ripeto, fino a qualche giorno fa a malapena non bruciavo un toast.
«Deve essere stata una interferenza…» Prova a suggerire Percy.
Si, interferenza della Telecom che anche in questi casi è capace di chiamare e offrirti il pacchetto internet per l’estate.
«Ragazzi, io neanche li ho i poteri. Come potete pensare che io sia figlia di due divinità?»
Chirone nega con la testa. «Non lo so. Ma due simboli si sono accesi, ci deve essere per forza una spiegazione.»
Le persone nell’anfiteatro cominciano a parlare a voce più alta, e sono quasi sicura che stiano parlando proprio di me.
Annabeth mi si avvicina, prendendomi la mano con gentilezza. «Il simbolo di Atena si è acceso, e questo vuol dire che tu sei mia sorella.»
«Annabeth, penso che sia meglio che lei vada nella casa di Apollo. È chiaro che sia lui il padre.» Esclama Chirone, continuando a guardarmi come se fossi un alieno.
Perché, davvero sembra così chiaro?
La bionda accanto a me annuisce, lasciando la mia mano.
«Io ed Annabeth faremo qualche ricerca, per ora Chiara va nella casa di Apollo, ha bisogno di metabolizzare tutto quanto. Penseremo dopo a come chiarire la questione.»
Senza batter ciglio tutti ubbidiscono al centauro di Hollywood, e Reyna e Jason mi accompagnano alla casa di Apollo, che dista qualche centinaia di metri da quella di Ermes.
Appena entrata, vedo subito un paio di ragazzi completamente diversi l’uno dall’altro: uno è vestito di nero, magro, con i capelli scuri che gli coprono gran parte del viso ossuto, e con un sacco di anelli nelle mani. L’altro invece è più alto, con una chioma bionda rivolta verso l’alto, la sua pelle è abbronzata e indossa una camicia verde con sotto una maglietta arancione, super aderente.
I due mi si avvicinano e per un secondo penso che il ragazzo in nero mi voglia uccidere da un momento all’altro.
«Così la matricola è figlia di Apollo. Piacere, io sono Will Solace, tuo fratellastro.» Will mi sorride a trentadue denti, afferrando la mia mano con forza.
«Lui invece è Nico di Angelo, il mio ragazzo.»
Rimango per un attimo stupita; il detto “gli opposti si attraggono” in questo caso non fa una piega.
 
 
 
 
 
 
…………
Salve a tutti!
Parto subito con il chiarire una cosa: dato che sono passati secoli da quando ho letto i primi libri di Percy, non mi ricordavo più se il riconoscimento dei genitori avvenisse così a caso oppure attraverso una cerimonia. (per Percy mi sembra di ricordare che è avvenuto a caso in un combattimento, ma qui non potevo far venire le cose -passatemi l’espressione- alla cazzo di cane).
Finalmente abbiamo scoperto chi è il padre di Chiara, ma anche la civetta di Atena si è accesa, e come potrete ben intuire c’è qualcosa sotto :D
Non so se effettivamente si possa discendere da due divinità, ma alla fine è solo una ff e io faccio quel che mi pare hahaha
Niente, spero che vi sia piaciuto il capitolo. Ho cominciato anche a cercare alcune gif che possano abbellire i capitoli, e spero che possa piacere anche a voi l’idea. (Anche se ci metto più tempo a cercare la gif azzeccata che a scrivere un capitolo).
Aspetto una vostra recensione per sapere cosa ne pensate, ora mi dileguo.
Potete trovarmi su
Twitter- @glaukopsis
Un bacio, Claire xx

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 7 ***


                                                          
7
 
 
I due ragazzi cominciano a mostrarmi la mia nuova casa: la cabina numero sette è un piccolo stabile rivestito completamente di lamina d’oro. Questo permette all’abitazione di risplendere di luce propria ogni volta che si illumina al sole; almeno questa è stata la spiegazione di Will.
Il ragazzo poi, seguito silenziosamente e in modo parecchio inquietante da Nico, mi fa vedere la mia camera: rispetto a quella di Ermes, devo dire che Apollo ha decisamente più gusto nell’arredamento.
Il letto è ricoperto da una morbida coperta gialla, il muro è rivestito dalla stessa patina d’oro che c’è all’esterno, due specchi campeggiano davanti all’armadio a forma di arpa e il cuscino assomiglia ad un sole.
Devo dire che se gli dei dovessero organizzare una festa a tema non li batterebbe nessuno.
«So a cosa stai pensando, è un po’ eccentrico. Ma Apollo è fatto così, ti abituerai a tutto questo giallo.»
«No, no. Va benissimo così, grazie Will.»
«Hai qualche domanda da farmi?» Chiede lui.
«No, non ce le ha. Andiamo a mangiare?» Interviene Nico, avvicinandosi al suo ragazzo come se volesse proteggerlo da qualcuno di minaccioso.
«E invece le ho. -Ribatto. -Perché non ho ancora questi famigerati poteri che vi contraddistinguono dai mortali ora che sono stata riconosciuta?»
«Non lo so. Di solito con il riconoscimento i poteri vengono più o meno automatici. Però con Apollo le cose sono leggermente diverse. Ti spiego: se un figlio di Poseidone, ad esempio, ha a che fare con l’acqua, per Apollo non funziona così. Nostro padre è il dio di un sacco di cose: del sole, della medicina, della musica, dell’arco, delle profezie… Ogni figlio di Apollo è potente solo in una di queste discipline. Per cui trovare la tua, magari è un po’ più difficile. Ma non temere, anche tu troverai il tuo potere.»
Le parole di Will mi confortano leggermente, ma il fatto che Apollo sia mio padre sarà molto difficile da digerire. Non capisco perché mia madre non me lo abbia detto prima, e cosa più importante, non mi ha detto come ha fatto a farsi Apollo! E cosa c’entra Atena in tutto questo? È mia zia, cugina di secondo grado? Magari era la mia vecchia baby-sitter e io non lo sapevo.
Tutte queste domande mi continuano a frullare per la testa e mi sembra che da un momento all’altro stia per scoppiare, ma me le tengo per me.
Will e Nico se ne vanno, solo dopo che il ragazzo in nero mi ha guardata in modo astioso fino a scomparire dietro il corridoio.
Chiudo la porta della mia camera e mi butto sul letto, prendendomi la testa tra le mani. Tutto questo per me continua ad essere assurdo, e più passa il tempo più mi sembra di impazzire.
 
Quando finalmente esco dalla mia nuova casa, vedo che tutti quanti stanno correndo da tutte parti come se fosse scoppiata una bomba, e si stanno mettendo delle armature di due colori diversi: mezzi semidei indossano una di colore blu, e l’altra metà invece di colore rossa.
Che cosa sta succedendo?
Vedo Percy correre verso l’armeria urlando qualcosa come: “Io ho quella blu, quella blu!” ma vengo distratta da Reyna che mi si avvicina e mi porge un’armatura rossa, proprio come quella che sta indossando lei.
«Ehi, sono riuscita a recuperarne una anche per te. Ci sarà da divertirsi!»
«Anche se mi stai parlando in italiano, non vuol dire che io capisca davvero cosa tu stia dicendo.»
Reyna sogghigna, spostandosi le trecce dietro alla schiena. «Qui al Campo Mezzosangue uno dei giochi più divertenti è Caccia alla Bandiera. Ci si divide in due squadre, e l’obiettivo è quello di rubare la bandiera della squadra avversaria, senza che tu ti faccia uccidere, è chiaro.»
Spalanco gli occhi. «Uccidere? Sei sicura che sia solo un gioco? Perché a me pare tanto una delle pene dell’inferno.»
«Ci sono stato all’inferno, e no, Caccia alla Bandiera in confronto è come mangiare una torta al cioccolato stando seduti su una nuvola di zucchero filato.»
Nico compare improvvisamente dietro di me, il che mi fa prendere un mezzo infarto. Lui sembra essere impassibile.
Il ragazzo se ne va, e mi lascia amareggiata. «Che ha quel tipo? È depresso?»
«Oh, lascialo stare. È fatto così, non ti odia. Ci farai l’abitudine.»
Perché tutti mi dicono che prima o poi mi farò l’abitudine? Comincio ad essere stanca di questa risposta.
Dopo aver indossato l’armatura riluttantemente, io e Reyna ci avviciniamo al punto di raccolta, e scopro di essere in squadra con Leo ed Annabeth. Nella squadra avversaria invece ci sono Percy e Jason, che sembrano essere emozionati come dei bambini di cinque anni la mattina di Natale.
Insieme a Jason vedo che c’è anche una ragazza con i capelli color caramello, particolarmente attaccata a quest’ultimo. Reyna mi informa che si tratta di Piper, e in questo gioco la ragazza è capace di convincerti soltanto con la sua voce a portarle direttamente la bandiera, per cui è meglio starle alla larga.
«Piangerai per non avermi scelto nella tua squadra.» Grida Annabeth verso Percy, che in risposta le manda un piccolo bacio, seguito da un sorrisetto.
La bionda poi si gira verso la nostra direzione, con un particolare scintillio negli occhi. «Oh non c’è dubbio, dobbiamo distruggerli.»
«Dolce e premurosa, la ragazza che tutti vorrebbero.» Sussurra Leo, facendomi ridere.
Nei seguenti venti minuti cerco di convincere Reyna per non farmi giocare a questo stupido gioco e di fare l’arbitro, ma a quanto pare a “Caccia alla Bandiera” non ci sono arbitri, giudici e neanche semidei neutrali come la Svizzera (ho chiesto, come legittima domanda). Così mi ritrovo ad essere costretta ad indossare un’armatura che peserà dieci chili e un elmetto con una stupidissima cresta rossa; mi sento un’idiota.
Mi assicuro di posizionarmi dietro alle spalle muscolose di Reyna e il culetto di Leo Valdez, nel caso mi dovessero colpire.
La mia tecnica è semplice: nascondermi ed evitare il conflitto. Haymitch ha vinto così gli Hunger Games, e non era mica stupido.
Io, Reyna e Leo siamo in posizione dietro ad una decina di semidei della nostra stessa squadra, una parte insieme ad Annabeth sono andati a nascondere la bandiera, e ad essere sincera un po’ li invidio.
Un improvviso fischio che non capisco da dove provenga fa partire il putiferio. Per un momento mi ritengo offesa perché mi avevano detto che non ci sarebbero stati arbitri.
Poi però la questione passa improvvisamente in secondo piano, perché davanti a noi stanno per arrivare tre armadi con un paio di spade strette nelle mani.
«Figli di Ares!» Grida Leo, come se urlando questa cosa mi avesse detto come eliminarli.
Cerco di ripescare dalla mia mente tutte le nozioni che ho imparato a scuola sulla mitologia greca; se non erro Ares era il dio della guerra. Noi siamo in guerra. Siamo fottuti.
Leo accende subito le sue mani e comincia a sferrare palle di fuoco, ma i tre ragazzi le schivano come se fossero batuffoli di cotone. Così Reyna parte all’attacco, alzando la spada in aria e correndo verso di loro, spaventandoli con delle urla.
È impressionante vedere tanta tenacia in una situazione del genere.
Io ovviamente, me ne sto ferma in mezzo al campo di battaglia. Un albero sarebbe più produttivo di me.
Mi guardo attorno, e noto che Leo sta avendo difficoltà con un tipo che a quanto pare ha sbagliato taglia di armatura. Il ragazzo avrà una ventina di anni, ma sembra che siano molti di più gli anni che combatte. Il suo braccio scivola velocemente in perfetta sincronia con la spada, e io rimango quasi imbambolata dalla sua bravura. Dopo che il figlio di Efesto cade a terra a peso morto, mi decido a correre in suo soccorso, prendendo un pugnale dalla cintura che porto ai fianchi: con un fendente ferisco il braccio del ragazzo, ma sembra che non lo abbia nemmeno sfiorato. Effettivamente, non so cosa mia sia passato per la testa.
Lui con uno spintone mi butta per terra, e io comincio ad incazzarmi.
Nessuno può permettersi di buttarmi per terra come se fossi un sacco di patate.
«Ehi Peter, vedo che ti sei allenato!» Esclama Leo, rialzandosi da terra.
Lui però non risponde, si limita a digrignare i denti e ad avanzare contro il mio amico.
Capisco immediatamente che il mio compagno di squadra è in difficoltà, e così mi alzo da terra, presa da un’improvvisa vampata di rabbia.
Le mie mani cominciano a tremare, e senza accorgermene le punto verso Peter. Questo viene scaraventato in aria dopo che un fascio di luce lo colpisce in pieno petto, per poi andare a sbattere per terra qualche metro più in là.
Il rumore che fa il suo corpo contro il terreno non mi piace, e per un momento sono tentata ad andare a vedere se sta bene. Il pensiero che possa essere morto mi colpisce come uno schiaffo, ma poi Peter comincia a tossicchiare, aggrappandosi all’erba, e io mi tranquillizzo.
«Wow! Come hai fatto! È stato fenomenale!» Leo corre verso di me, e mi dà una leggera pacca sulla spalla, guardandomi con uno sguardo fiero.
Non ho tempo di rispondere, perché Reyna viene verso di noi, ansimante. «Sei stata tu ad evocare quel fascio di luce? Non ho mai visto una cosa del genere prima d’ora.»
«Si…penso di sì.»
«Sei capace di rifarlo? Abbiamo una bandiera da prendere.» E senza aspettare una mia risposta, la ragazza si mette a correre in mezzo al bosco.
Io e Leo cominciamo a seguirla, ma mentre il figlio di Efesto corre spedito insieme alla ragazza, io comincio a sentire la stanchezza. Non passano neanche due minuti che tra accovacciarsi in mezzo ai cespugli, scatti di corse e salto agli ostacoli con dei massi, mi fermo per riprendere fiato, facendomi perdere di vista i miei due compagni di squadra.
In un primo momento non mi preoccupo particolarmente, poi quando sento delle voci che non riconosco e dei rumori di armature mi prende il panico.
Sono completamente sola in mezzo ad un bosco, in balia della squadra blu che potrebbe mangiarmi viva da un momento all’altro.
Lo sapevo che dovevo seguire con più dedizione le lezioni di ginnastica a scuola.
Non appena sento delle voci urlare ordini in greco antico, corro esattamente dalla parte opposta, avvicinandomi dopo un po’ ad un fiumiciattolo, vicino a qualche roccia.
Prima di poter avvicinarmi all’acqua sento degli archi incoccare delle frecce, ma subito una voce familiare grida di fermarsi.
Annabeth esce dal suo nascondiglio, con in mano la bandiera rossa. Subito dopo di lei un paio di ragazzi e ragazze della nostra squadra escono allo scoperto, mollando la presa sulle proprie armi.
«Che ci fai qui?»
«Mi sono persa.»
«Ti sei cosa?»
«Oh andiamo, una cartina geografica potevate darmela. Dove sono finita?»
Annabeth sta per rispondere, quando un paio di semidei blu saltano fuori dai loro nascondigli. «Glielo spiego io alla novellina dove siamo. Siamo nel posto in cui voi perderete. Nel posto in cui noi conquisteremo la vittoria e trionferemo sul Campo.»
Il ragazzo che sta parlando ha proprio una faccia da schiaffi: volto squadrato, mascella spigolosa, un paio di occhi marroni che mi guardano truce, una bocca finissima e una profonda cicatrice che gli ricopre la guancia sinistra. Il corpo è tonico e i muscoli si possono intravedere dall’armatura.
Ci metto un po’ a capire che sono gli stessi tre armadi che ci hanno attaccato poco fa.
«Ehi bello, non pensi di essere troppo melodrammatico? Andiamo, stiamo parlando di una bandiera.»
Il ragazzo scoppia a ridere, e insieme a lui anche i suoi compagni.
«Thomas, anche se sei figlio di Ares non ci fai paura. Prima dovrai passare sul nostro corpo per prendere questa bandiera.»
Perché Annabeth sta parlando al plurale? Ah…intende anche me. Che bello.
Nel mentre i ragazzi della mia squadra riprendono in mano l’arco, e lo tendono verso questo sbruffone.
«Lo vedremo, figlia di Atena. È risaputo che in battaglia l’unica vera tecnica è quella dell’attacco. Le tue strategie da sapientino non funzionano.»
«Ah sì? E che mi dici del cavallo di Troia? Di tutte le tecniche romane sulla difesa? Dell’invenzione delle trincee? E dello sbarco in Normandia durante la seconda guerra mondiale? Mi sembra di ricordare che dietro a tutto questo ci fosse mia madre.» Fa notare con troppa gentilezza Annabeth.
«Aspettate un attimo, vuoi dire che nella seconda guerra mondiale c’era di mezzo Atena?»
«Non solo lei. C’erano in ballo tutti gli dei. Mia madre, ovviamente, ha fatto vincere gli Alleati.»
«Ora basta!» Thomas non spreca un secondo di più, e parte all’attacco come un toro in mezzo ad una arena piena di lenzuoli rossi.
Sarei anche abbastanza tranquilla se Thomas si volesse scontrare contro Annabeth, ma il ragazzo ha dei piani del tutto diversi: invece di dirigersi verso la mia compagna, si dirige verso di me, alzando la sua spada d’argento in aria.
Comincio a sfregare le mani, sperando che un altro fascio di luce possa salvarmi la pelle anche questa volta, ma non esce niente. I suoi passi si fanno sempre più veloci e per un attimo accetto l’idea di essere uccisa da un semidio con problemi di rabbia e un elmetto con una cresta blu.
Ma qualcuno impedisce a Thomas di raggiungermi, e quella è Annabeth, che si scaglia a peso morto contro il ragazzo, scaraventando il suo corpo dentro il fiume. I ragazzi della squadra avversaria partono all’attacco, colpendo immediatamente con la spada la caviglia e il braccio di Annabeth, facendola cadere a terra insieme alla bandiera.
La ragazza geme sul terreno, prendendosi la caviglia sanguinante tra le mani. Il volto è completamento rosso, forse per il dolore o forse per la rabbia.
«Ma voi siete fuori di testa!» Grido, sconvolta.
Thomas si rialza, completamente fradicio. «Siamo in guerra, novellina. Tutto è lecito.»
Ed ecco che ritorna quel prurito alla mano. Guardo Annabeth a terra con del sangue che le esce dalla caviglia e le sporca tutta l’armatura, e l’unica cosa che vorrei fare in questo momento è colpire con uno schiaffo la faccia di Thomas e fargli scomparire quel sorrisetto da stronzo.
Una rabbia improvvisa si impossessa di nuovo del mio corpo, e con una leggera e maggiore consapevolezza, colpisco tutti i ragazzi della squadra avversaria con una serie di colpi, uno mi luminoso dell’altro, mettendoli a terra tutti quanti.
«Ah sì? Anche questo è lecito?» Grido, cercando di gestire l’adrenalina che mi circola in corpo.
«Ora basta!» La voce di Chirone fa congelare il tempo, fermando qualsiasi azione stia facendo.
Il centauro corre verso Annabeth, che nel frattempo è diventata pallida come uno straccio.
Ritorno alla realtà e mi rendo conto di quello che ho fatto. Per la seconda volta oggi credo di aver ucciso delle persone; poco dopo però Thomas e i suoi compagni ricominciano a respirare e a tossire, cercando di riprendersi.
«Cosa è successo?» Chiede Chirone con un tono arrabbiato.
«Ci hanno attaccate, Thomas stava blaterando qualcosa sul trionfo e la vittoria e poi l’ha colpita con la spada. Io ho cercato di difendermi.»
Al mio “ho cercato di difendermi” Chirone scruta attentamente i corpi doloranti e ancora distesi a terra. Okay, forse ho un po’ esagerato. Sta per dirmi qualcosa, ma qualcuno lo ferma immediatamente.
Un essere metà uomo e metà capra sta correndo verso il centauro, con un’espressione dipinta in faccia per niente rassicurante.
«Signore! Un ragazzo del Campo Giove è appena arrivato.»
«E questo che avrebbe di così tanto importante da farti venire qui correndo, Grover?»
«Dice che deve portare un messaggio molto importante. Ma il problema è che…»
Il satiro fa una pausa, cercando di non belare.
«Il problema è che il ragazzo sta morendo. Bee.»
 
 
 
 
…..
Salve a tutti!
Innanzitutto mi scuso per aver reso questo capitolo infinito. Ho cercato di ridurlo leggermente e renderlo più “leggibile” ma non ho potuto fare a meno di lasciare alcuni pezzi, altrimenti sarebbe stato un macello. Quindi se siete arrivati fino a qui, siete degli eroi.
Il capitolo essenzialmente è uno di passaggio, mi serviva un qualcosa per poter introdurre davvero il problema. Nei prossimi capitoli capiterete.
Spero solo di aver reso la leggendaria Caccia alla Bandiera abbastanza simile a come viene presentata nei libri e di non avervi annoiato😊
Bene, non ho tanto altro da dirvi, torno alla vita reale e a lamentarmi del caldo. (da voi come si sta? Perché io qui mi sto sciogliendo)
Potete trovarmi su
Twitter-@glaukopsis
Un bacio, Claire.
 
 
PS: vi lascio con questa bellissima gif di Percy, essendo in tema.

 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 8 ***



                                                                                     
8




Chirone sbianca tutto ad un tratto.
«Sei sicuro che sia del Campo Giove?» La sua voce è profonda e autorevole, ma il centauro non riesce a nascondere del tutto la sua preoccupazione.
«Si…signore. Bee. Ha una maglietta viola con il simbolo del loro Campo. Bee.»
Nel frattempo i ragazzi che prima avevo steso si sono rialzati, e confusi fissano Chirone, chiedendosi il perché della sua presenza. Annabeth è ancora a terra e le sue ferite non smettono di sanguinare.
«Il gioco di oggi è finito.» Ordina Chirone. «Chiara, porta Annabeth in infermeria prima che perda troppo sangue.»
Non ho nulla da obiettare, e anche se avessi qualcosa da dire farei meglio a stare zitta.
I ragazzi che prima ci hanno attaccato si dileguano in meno di due minuti, e io cerco di portare Annabeth in infermeria con l’aiuto dei ragazzi della nostra squadra.
Non appena usciamo dal bosco e ci inoltriamo nel cuore del Campo, vediamo tutti i ragazzi che fino a pochi minuti fa erano impegnati nella Caccia alla Bandiera parecchio confusi. Qualche minuto dopo vedo Percy Jackson correre verso di me. Vedendo Annabeth ridotta male, anche lui sbianca in volto. 
«Per gli dei dell’Olimpo, cosa è successo?» Percy mi aiuta a sostenere la biondina, e quando la afferra tra le sue braccia io non servo più: è abbastanza forte da poterla reggere e portare da solo.
Gli spiego quello che è successo: dei figli di Ares della sua squadra ci hanno attaccate e lei si è lanciata su uno di loro per difendermi. Questo ha fatto arrabbiare Thomas e i suoi amici, che non ci hanno pensato due volte a colpirla con le loro spade.
Riassumendo quello è appena successo mi appunto mentalmente di ringraziare Annabeth il prima possibile per avermi salvato la vita.
Così Percy porta la sua ragazza in infermeria, dopo una serie di imprecazioni e maledizioni sui figli di Ares.
La notizia dell’arrivo del ragazzo romano a quanto pare si è sparsa velocemente e ha creato parecchio subbuglio: tutti i ragazzi ora corrono avanti e indietro, con aria tesa. Io non riesco a trovare nessuno che conosca, e non sapendo dove andare, mi reco nell’unico posto che conosco, la Casa Grande.
Non ci metto molto ad arrivare, e sorprendentemente riesco anche ad entrarci facilmente. Prima di arrivare nella sala principale mi blocco, sentendo delle voci che parlano in sottofondo. Rimango ad ascoltare e capisco subito che insieme a Chirone ci sono anche Jason e Reyna.
«Ragazzi, siete i due pretori del Campo Giove, il ragazzo dovrebbe essere di vostra competenza.» Le parole di Chirone si mescolano con dei respiri soffocati, come se qualcuno nella stanza non riuscisse a respirare.
«Conosco Francis, mi ha chiesto il permesso di andare a trovare i suoi genitori mortali in Ohio. Non capisco cosa possa essere successo.» Esclama Reyna.
«Non può essere stato un mostro, non uno normale almeno. Queste ferite sono diverse dal solito.» Aggiunge Jason.
Sento un altro respiro soffocato, e capisco che insieme a loro ci sia anche il ragazzo del Campo Giove. Perché non lo portano all’infermeria?
Tutti rimangono in silenzio, finché una voce più debole e flebile comincia a parlare.
«Reyna ha ragione. Ero in Ohio per la visita mensile alla mia famiglia… Ero sul viaggio di ritorno, quando una sera… -il ragazzo tossisce, fermandosi per un momento- Una sera mi sono accampato e mi sono addormentato davanti al focolare che avevo costruito. Ho avuto un sogno... Era la dea Estia, in una piccola grotta, buia e fredda.» Fa una pausa, e io cerco di avvicinarmi il più possibile per continuare ad ascoltare.
«La dea cercava di accendere un fuoco con le sue stesse mani, ma non ci riusciva.»
«È peggio di quello che pensavo.» Esclama Chirone, interrompendo il ragazzo.
«Chi è stato a ridurti così?» Chiede Jason.
«Stavo tornando al Campo Giove, ma un esercito diverso da quello romano mi ha attaccato.» La voce di Francis si fa sempre più debole e rada.
«Cosa intendi con diverso da quello romano?»
«Le armature erano le nostre, parlavano la nostra lingua, erano divisi in centurioni. Ma le divisioni erano diverse, basate sulla ricchezza di ciascun cavaliere. L’organizzazione era completamente diversa, e anche le loro armi. Sono venuto qui perché il Campo Giove è più lontano, non ce l’avrei mai fatta altrimenti.»
Il ragazzo riesce a finire la frase, ma dopo non dice più niente. Per qualche secondo il silenzio regna in tutta la Casa Grande, e questo mi dà la spinta ad andarmene.
Improvvisamente mi sento in colpa per aver origliato, non avevo il diritto di essere lì. Ma qualcosa in me si smuove, una sensazione di pericolo ora lampeggia fastidiosamente nella mia testa.
Il sole si sta abbassando in cielo, e io mi avvio verso la casa di Apollo con aria stravolta. Incrocio Leo per strada, ma non mi fermo.
Quello di cui ho bisogno ora è una bella dormita, e di pensare a quante cose siano successe effettivamente oggi.
 
Dormire nella cabina numero sette può rivelarsi un problema. L’idea di costruire uno stabile che emana luce allo stato puro 24h su 24 è una buona idea se sei un vampiro e di notte puoi fare a meno di riposare. Invece il giallo della mia camera e l’abat-jour costantemente accesa per fare luce hanno messo a dura prova il mio sonno.
Perché non potevo essere figlia di Ade? Sono sicura che nella loro cabina si dorme che è una meraviglia.
Quando arriva la mattina mi alzo faticosamente dal letto, e mi convinco a fare una doccia e a cambiarmi di vestiti. Quando torno in camera mia, trovo una maglietta arancione e dei jeans appoggiati sul mio cuscino. Pur odiando il colore della t-shirt, mi convinco ad indossarla. Se voglio far parte di questo Campo dovrò pur cominciare da qualcosa.
All’entrata della cabina mi aspetta Will Solace con un arco e delle frecce in mano. «Buongiorno Chiara. Il sole è alto nel cielo, e questo vuol dire che è ora di scoprire quali sono i tuoi poteri da semidea.»
«Non parlarmi di sole, ti prego.» Farfuglio.
Non trovando nient’altro di meglio da fare, lo seguo. Prima ci fermiamo alla mensa per fare una veloce colazione; quando mi giro non vedo nessuno dei miei amici, a parte Leo che è intento a sistemare una gamba di un tavolo poco più in là.
«Ehi Leo! Che fine hanno fatto tutti?»
Leo si alza da terra, e afferra un biscotto in una ciotola appoggiata sul tavolo che sta sistemando. «Hola chica! Mmh, non ne ho idea. So solo che Percy è in infermeria con Annabeth. Ho sentito che questa volta l’hanno ridotta proprio male. Jason e Reyna non li vedo da ieri, dopo Caccia alla Bandiera. A proposito, cosa è successo?»
Finiamo la colazione velocemente e quando ci avviamo al padiglione delle armi spiego a Leo e a Will gli avvenimenti di ieri. Evito di parlare di quello che ho sentito alla Casa Grande, per non essere giudicata.
«Questo ragazzo romano ha creato un sacco di scompiglio. -Afferma Will, non appena arriviamo nel magazzino. -Ma Chirone ha espressamente ordinato di continuare le nostre giornate, senza cambiamenti, ed è ciò che faremo. Oggi Chiara scoprirà cosa ha ereditato da Apollo.»
«Davvero, a me non interessa ereditare niente, a meno che non sia un milione di euro. In quel caso non faccio la difficile.» Ma i due ragazzi non mi ascoltano.
Non appena il mio fratellastro (fatico ancora a vederlo come tale) afferra un arco e delle frecce, usciamo dal magazzino e ci inoltriamo nel vero e proprio padiglione. Il sole alto nel cielo rende la mattinata più afosa di quello che pensavo, e l’ultima cosa che voglio fare in questo momento è mettermi a scagliare delle frecce e magari colpire qualche finestra.
In quel caso i soldi di mio padre mi servirebbero davvero.
A quanto pare Leo ha deciso di assistere al mio allenamento, e questo mi rende nervosa.
«Allora. Ti ho già spiegato come funzionano i semidei di Apollo. Abbiamo tante possibilità e discipline dove eccellere, e oggi ne proveremo la maggior parte. A fine giornata sapremo quale sarà la tua qualità e comincerai ad allenarti proprio su quella. Partiamo dall’arco e le frecce.»
Prendo in mano l’arma e la fisso. Non so nemmeno in che verso posizionarla per scoccare la freccia. Partiamo bene.
In un primo momento Will mi aiuta a tenere salda la presa sull’arco, e mi insegna la posizione corretta della schiena per lanciare una freccia. Quando penso di aver capito però, il mio lancio non si avvicina neanche lontanamente al bersaglio.
Posso affermare che il progresso della giornata sia stato riuscire a scoccare delle frecce.
Fallimento della giornata: quasi tutte le frecce finivano dritte verso Leo. Se il ricciolino non avesse avuto i riflessi pronti lo avrei beccato si e no cinque volte.
«Leo, fammi una cortesia, evita di bruciare tutte le frecce che ti arrivano.» Chiede gentilmente Will.
Nel vedere la sua faccia sconvolta, io sogghigno. «Esatto Leo, sei proprio un maleducato.»
Lui incrocia le braccia al petto, fingendosi offeso.
Dopo un’ora buona a provare con l’arco, decidiamo insieme che quella non è la mia specialità; così passiamo ad un altro campo di Apollo, la medicina.
Capisco subito che Will è bravo proprio in questo solo da come parla e dai termini specifici che usa.
«Allora. Dato che oggi abbiamo anche un volontario, vediamo come te la cavi con una rianimazione.»
Leo ovviamente è il volontario. Il figlio di Efesto è stato costretto a sdraiarsi per terra e fingersi svenuto, e il mio compito è quello di riportarlo tra noi.
Quando mi abbasso vicino al corpo inerme di Leo, mi prendo un momento per guardare bene i suoi lineamenti, e mi rendo conto che è…affascinante.
Pochi secondi dopo ritorno al mio compito, ed esamino la situazione. Okay, devo solo rianimarlo, dovrebbe essere facile.
Afferro le braccia di Leo e lo scuoto prepotentemente, urlandogli cose come: “Svegliati!” oppure “Apri questi dannati occhi!”. Dopodiché provo con qualche sberla, ma non funziona.
Will fissa il mio operato e si strofina il viso abbronzato con una mano, piuttosto disperato.
C’è un motivo se non ho scelto di fare medicina all’università.
«Va bene, va bene. Proviamo con altro. L’arte, la poesia, la musica.»
Finalmente qualcosa di cui ne so qualcosa.
Leo si sveglia dal suo finto coma. «Questa cosa si sta rivelando sempre più divertente.» Sussurra lui.
«Come ben sai Apollo è anche il dio della musica. -Comincia Will, porgendomi un bicchiere-Questo è un calice di cristallo, quello che devi fare è trasformarlo in un cucchiaio, solo con la forza della tua voce.»
Dopo quello che mi ha chiesto di fare, fisso Will come se avesse appena assunto della droga.
«Stai scherzando, spero.»
«Sono serissimo.»
«Confermo, è serissimo.» Esclama Leo…Aspettate, dove li ha presi quei popcorn?
Sospirando, ritorno al mio bicchiere di cristallo. Cerco di concentrarmi il più possibile, e comincio a cantare la prima canzone che mi viene in mente: Tear In My Heart dei Twenty One Pilots.
Arrivo fino al ritornello, e quando apro gli occhi il bicchiere di cristallo non si è mosso di un millimetro.
Lo sconforto mi sommerge e smetto di cantare.
«Hai una bella voce, ma non ha funzionato.» Sussurra Will e prendendo il suo taccuino spunta un’altra casella.
Prima che il mio fratellastro possa dire altro, Leo si alza dalla sua sedia e si avvicina, con quel solito sorrisetto irritante. «Io avrei un’idea geniale per trovare i poteri di Chiara. Will, posso?»
«Vai pure, io mi sto arrendendo.»
Ho come la sensazione che l’idea di Leo non sia una buona idea.
Il ragazzo mi fa posizionare qualche decina di metri lontano da loro, e senza dire niente e senza alcun preavviso, comincia a lanciarmi palle infuocate.
Che diamine sta facendo? La sua idea era uccidermi?
Per un qualche secondo vengo presa dal panico e non cosa fare, poi però decido che morire così è proprio da fessi. Fisso le mani di Leo che si muovono a ritmo, con una agilità pazzesca.
E poi succede. Le mie mani cominciano a prudere e quando le guardo, vedo un leggero bagliore provenire da esse. Prima che possa fare un disastro, riesco ad indirizzare la luce lontano da Leo e Will, e colpisco proprio il bersaglio che prima non ero riuscita a raggiungere con l’arco.
I miei fasci di luce si protraggono per qualche secondo, fino ad incenerire completamente l’obiettivo.
Leo e Will mi fissano sconvolti. «Tu…tu hai…»
«Non c’è di che, ragazzi.» Dice Leo.
«Chiara, fermati.» Una voce maschile completamente diversa dai due ragazzi mi ferma. Mi volto all’improvviso, e dietro di me ci sono due persone, una donna e un uomo, sulla trentina. Sono vestiti in modo completamente diverso: lei indossa un tailleur azzurro, mentre lui una tuta da ginnastica.
«Voi semidei dovete sempre avere questi momenti rivelatori mentre faccio la mia ora di fitness giornaliera, vero?» L’uomo con la tuta si avvicina a me. Ha i capelli biondi, la pelle abbronzata, gli occhi verdi e delle mani particolarmente curate. La sua figura emana una leggera luce gialla, e capisco immediatamente chi è. Mio padre.
Non avevo ancora avuto il tempo di pensare a come effettivamente sia mio padre, e nemmeno mi ero preparata all’idea di vederlo così in fretta.
«Papà?»
«Ciao Chiara, non sapevi di avere un padre famoso, vero? Sorpresa!»
«Tu…io…la mamma…»
Apollo sospira, lisciandosi una manica della giacca della tuta. «So cosa stai pensando. Ti ho tenuta d’occhio, durante questi anni. Non mi sono dimenticato di te. -Mio padre si ferma un attimo, puntando il suo sguardo verso Leo. -Ehilà, da quanto tempo! Come te la passi amico?»
«Non c’è male. Vedo che hai trovato il modo ancora una volta per riempire la mia vita.»
«Che ci posso fare, è la mia essenza riempire le vite delle altre persone.» Esclama Apollo.
Apro la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiudo subito.
La donna alza gli occhi al cielo, e per fortuna cambia discorso. «Chiara, ti chiederai perché anche io sono qui. Io sono Atena. Che ne dici di sederci un attimo?»
Io non oso guardare negli occhi nessuna delle due divinità davanti a me, ma guardo per un momento Leo e Will, che decidono di lasciarmi sola con questi due.
Un improvviso senso di impotenza mi pervade, ma decido di ascoltare cosa hanno da dire.
«Sappiamo che sei confusa. -Comincia mio padre- Sappiamo che ti sei trovata qui da un giorno all’altro, senza sapere di avere come padre il dio dell’Olimpo più alla moda e voluto da…»
«Apollo!» Esclama Atena.
Lui sbuffa. «Va bene. Le darò la versione breve. Sappiamo che sei confusa, e siamo qui per darti una spiegazione.»
Questa volta interviene Atena. «C’è una spiegazione per quanto riguarda la tua cerimonia di riconoscimento.»
«…Come stavo cercando di dire, -ricomincia mio padre- tu hai effettivamente due discendenze divine. Io e Atena abbiamo contribuito alla tua nascita…io in modo decisivo ovviamente.»
Rimango un attimo in silenzio, mentre le loro parole si ripetono nella mia mente.
Apollo si avvicina leggermente ad Atena. «Ci capisce vero? Il mio italiano è un po’ arrugginito.»
Decido di fare finta di non averli sentiti.
«Non capisco… Atena è mia madre?»
«No, non sono tua madre. Però la conosco, lei è la sorella di Marco.»
«Cosa c’entra mio zio, ora?»
«Facciamola breve: tuo zio e Atena se la facevano di brutto. E io con tua madre.»
Atena guarda Apollo come se volesse incenerirlo da un momento all’altro. E non ha tutti i torti.
«Aspettate, state parlando del mio unico zio, quello che è morto venticinque anni fa?»
Atena annuisce, con un pizzico di tristezza negli occhi blu. «Sono sempre stata legata a lui e quando è morto il mio cuore si è spezzato, il che non è successo molte volte in secoli di carriera. Quando ho scoperto che tua madre aspettava un bambino grazie ad Apollo, ho pensato che tuo zio sarebbe stato felice se avessi contribuito a rendere suo nipote più forte che mai. Perciò ho voluto darti in dono una minuscola parte di me, come ultimo regalo alla vostra famiglia.»
«Ma…non è un po’ illegale anche per voi dei? Insomma, è possibile una cosa del genere?»
«Sei qui davanti a noi, direi che è più che possibile.» Finisce Atena.
«Per questo motivo alla cerimonia di riconoscimento si sono illuminati i nostri simboli. Ma tu sei mia figlia Chiara, ti chiami così per un motivo, e in te c’è un dono molto raro, che pochi semidei hanno. -Dice mio padre. -Tu hai il dono del sole. È un grandissimo potere, ma da questo derivano grandissime responsabilità. Non appena ti ho visto evocare quei fasci di luce non ho potuto rimandare ancora. Dovevi sapere.»
«E grazie a me puoi controllare i piccoli oggetti con la mente. Non ci sei mai riuscita perché non ci hai mai provato, ma grazie a me puoi farlo.» Gli occhi blu di Atena mi fissano intensamente e io non so cosa dire.
Prima che io possa chiedere altre spiegazioni, Will ci raggiunge correndo. Capisco immediatamente che c’è qualcosa che non va.
«Chiara, devi immediatamente raggiungere Chirone. Il ragazzo del Campo Giove è morto.»
 
 
 
 
 
……
Salve a tutti!
Dico subito una cosa: non mi ricordo se Jason fosse ancora pretore del Campo Giove insieme a Reyna, ma dovevo far in modo che anche lui fosse messo al corrente del ragazzo ormai morto (pace all’anima sua). Per cui in questa storia facciamo finta che Jason sia ancora pretore.
Questo ragazzo romano è solo l’inizio di una cosa più grande, che nel prossimo capitolo scoprirete 😊
E finalmente si sono palesati anche Apollo e Atena che hanno chiarito la situazione. Dato che volevo rendere il mio personaggio più unico che raro ho deciso di far intervenire anche Atena, e grazie a lei Chiara può spostare gli oggetti. Se avete qualsiasi domanda su questa cosa chiedete pure nelle recensioni, so che sono riuscita ad incasinare per bene la storia, ma vi giuro che nella mia testa ha una sua logica haha
Niente, come al solito spero vi sia piaciuto!
Ci si vede al prossimo capitolo 😊
Potete trovarmi su
Twitter- @glaukopsis
Un bacio, Claire

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 9 ***




                                                                          
  (scusatemi la gif, non ho resistito)
 9


I due dei mi lasciano andare senza troppe pressioni. Apollo dopo aver salutato con un gran sorriso suo figlio Will scompare in una nuvola di luce e poco dopo anche Atena si dilegua, trasformandosi in una civetta.
Gli occhi di Will sono parecchio spaventati e la cosa non mi piace.
«Cosa vuoi dire che è morto? Pensavo che quel ragazzo del Campo Giove non fosse messo così male.»
«Abbiamo fatto di tutto per tenerlo in vita, ma un veleno a noi sconosciuto non ci ha permesso di aiutarlo come avremmo dovuto fare…» La solarità di Will scompare in un nanosecondo, e io mi sento in dovere di rassicurarlo. Non è colpa sua se quel povero ragazzo è morto.
Mentre ci avviamo alla Casa Grande mi accorgo che tutto il Campo è piombato in un silenzio spettrale.
«Qui al Campo Mezzosangue la morte è una cosa seria.» Dice Will, come se mi avesse letto nel pensiero.
«Lo vedo.» Sussurro, senza che lui mi senta.
«A proposito, cosa ti hanno detto Apollo e Atena? È rarissimo che due divinità si presentino nello stesso momento, a meno che non siano sull’Olimpo.»
«Nostro padre mi ha detto che ho ereditato il potere del sole. Non so come prendere questa cosa, sinceramente. E per quanto riguarda Atena… è una lunga storia.»
Ancora mi tornano in mente le sue parole: “grazie a me puoi controllare i piccoli oggetti con la mente. Non ci sei mai riuscita perché non ci hai mai provato.”
Pazzesco, per tutti questi anni potevo farmi un panino o muovere il telecomando senza alzare un dito, che spreco!
Will mi fissa come se fossi un vaso di porcellana giapponese: fragile ed estremamente rara.
«Se devo essere sincero non avevo mai incontrato una semidea che avesse i poteri del sole. È un potere così raro che viene trasmesso una volta ogni cento anni, almeno così dice Wikipedia su nostro padre.»
Alle sue parole, io mi fermo di colpo in mezzo alla stradina. «È proprio per questo che non lo voglio. Io non volevo niente di tutto questo, non ho mai chiesto di essere così…speciale. Mi fa sentire così fragile e vulnerabile, odio questa sensazione.»
Mi rendo conto che è la prima volta che dico davvero cosa penso di tutto questo, e ammetto che è stato liberatorio. Per un momento penso di aver offeso Will, ma il suo volto non sembra avere espressioni strane. Ho come la sensazione che ci vuole ben altro per scalfire l’ottimismo di questo ragazzo.
«Chiara, tu rappresenti la vita. Il sole, la luce che emana, il suo calore…Sono tutti elementi alla base di essa. È un miracolo che tu sia qui e che possa aiutarci; sulla vulnerabilità ci possiamo lavorare, ma per ora te la sei cavata alla grande.»
E detto questo, torniamo sui nostri passi.
Cinque minuti dopo arriviamo davanti alla fontana di fronte alla Casa Grande e vediamo un gruppo consistente di ragazzi stringersi attorno all’entrata, bisbigliando.
Poco più in là noto i tre ragazzi che ieri ci hanno attaccati a Caccia alla Bandiera e presa da un improvviso coraggio li guardo male.
Chirone esce poco dopo, lisciandosi con la mano il fianco equino. Il suo volto è palesemente stanco e…triste.
Dietro di lui ci sono Reyna e Jason, anche loro sconvolti.
«Semidei. -Annuncia Chirone- Oggi abbiamo assistito alla perdita di un nostro compagno. Francis ha lottato fino alla fine, ma per sua sfortuna si è trovato a combattere contro qualcosa di più grande di lui e delle sue capacità. La sua morte non sarà vana, ma verrà vendicata. Ogni semidio qui presente sa che lì fuori ci sono continui pericoli, ma quando questi pericoli diventano dei problemi è ora di agire. Ed è per questo motivo che ho deciso di dare la possibilità a quattro di voi di poter vendicare Francis ed eliminare completamente il problema. Non stiamo più parlando di guerre tra dei, di rivendicazioni di Titani, di piani malvagi di possibili imperatori romani, ma stiamo parlando di qualcosa che in tutta la civiltà occidentale si è solidificato, un ricordo che difficilmente si può dimenticare, di coloro che hanno fatto nascere quello che il Campo Giove ora cerca di ricreare nel suo piccolo. Stiamo parlando di uno dei sette re di Roma, Tarquinio il Superbo.»
Improvvisamente una serie di boati e voci sovrapposte interrompono il discorso di Chirone.
«Come è possibile che sia vivo?» Chiede una ragazza che non conosco poco lontano da me.
«E cosa sta tramando?» Un altro ragazzo chiede.
«Chi sono i semidei per la missione?»
Chirone alza la mano, fermando il brusio di sottofondo. «Io, Reyna e Jason ne abbiamo parlato molto. Abbiamo deciso che saranno quattro semidei, tra greci e romani, ad assumersi questa responsabilità, e saranno dei ragazzi che sanno come affrontare questo genere di cose e sanno come gestire una situazione pericolosa.»
Alle parole del centauro, il mio cuore comincia a battere con più regolarità. È ovvio che io non sono stata presa in considerazione, a malapena so tenere un arco in mano, figurarsi affrontare una missione del genere.
«Per quanto riguarda il Campo Giove abbiamo pensato che Reyna sia la semidea più adeguata per affrontare una battaglia del genere, la sua conoscenza in campo romano può essere decisiva. Per il Campo Mezzosangue, pensiamo che Leo Valdez e Percy Jackson siano i più adatti.»
Delle voci ricominciano a parlare in mezzo alla folla. Sento chiaramente qualcuno che si lamenta della scelta di Chirone, e noto una punta di invidia da parte loro.
«Ma Chirone, se saranno quattro i semidei, chi è l’ultimo?» Una voce angelica esce fuori dal coro, e tutti guardano la ragazza che ieri alla Caccia alla Bandiera stava sempre appiccicata a Jason. Non ci metto tanto a capire che quella è Piper.
«La quarta persona è una ragazza speciale.»
No…non è possibile.
«È qui solo da pochi giorni, ma pensiamo sia la chiave che possa risolvere il problema.»
No vi prego…ditemi che stanno scherzando.
«È Chiara, la semidea dalla doppia discendenza. Il suo potere ereditato da Apollo insieme ai nostri compagni è quello che ci serve per poter sconfiggere la nuova minaccia e vendicare il nostro compagno Francis.»
A quanto pare le voci sui miei poteri corrono più in fretta di quanto pensavo.
Non oso guardare le persone intorno a me. Mi limito a coprirmi la faccia con una mano, in segno di disperazione.
Will mi spinge leggermente in avanti, per accompagnarmi da Chirone. Mentre cammino, percepisco l’odio nei miei confronti.
«Non è giusto, è qui solo da due giorni e già viene incaricata di una missione! È una ingiustizia!» Le mie sensazioni vengono confermate da una ragazza con i capelli blu, che mi guarda furibonda. Anche lei indossa una maglietta del Campo Mezzosangue, ma non capisco a quale divinità appartenga.
Con gli occhi addosso di mezzo Campo, raggiungo Chirone e guardo per un momento Reyna e Jason: sembrano essere parecchio taciturni e sconsolati.
Chirone decide di lasciare le proteste fuori dalla Casa Grande e ci scorta nella sala principale, dove solo pochi giorni prima ero stata accolta. È incredibile che sia passato così poco tempo, sembra un secolo fa.
Per mia sorpresa vedo già seduti un bel po’ di persone: immediatamente guardo Leo e Percy, seduti uno affianco all’altro e poco più in là Annabeth, con ancora un viso pallido e delle ferite cosparse qua e là sul braccio bendato.
In fondo alla stanza riconosco Dioniso che sta leggendo un’etichetta di una bottiglia di vino e un paio di satiri con delle corna diverse tra di loro.
«Ci siamo tutti, allora.» Annuncia Chirone, smorzando la tensione.
Mi siedo sull’unica sedia disponibile, quella vicina a Leo. Il ragazzo mi sorride tranquillo, come se queste riunioni fossero di routine.
Chirone ricomincia a parlare, ma vengo distratta dalla voce di Leo. «Ora vedrai come si strutturano queste riunioni d’emergenza. Prima fase: Chirone parla del cattivo.»
«…Come ben sappiamo anche i re di Roma hanno avuto il loro potere e la loro influenza. Fonti a noi vicine ci hanno detto che questa volta si tratta di uno dei più temibili re di Roma, e anche l’ultimo: Tarquinio il Superbo.»
«Se è stato l’ultimo ci deve essere un motivo.» Fa notare Percy, e Reyna sorride per un momento.
«Il problema dei re di Roma è che godono di una memoria millenaria, e come ben sappiamo, più il ricordo è vivido e più questi hanno il potere. Un po’ come gli dei dell’Olimpo.» Continua Chirone.
«Strano, non sono mai riuscito a ricordarmi tutti e sette i re di Roma.» Fa notare Dioniso.
Per curiosità mi metto ad elencarli: Romolo, Numa Pompilio, Tullio Prisco, Tullio Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio il Superbo… E… Dai, quello lì…
Okay. Non me li ricordo tutti.
«Un po’ come i sette nani. Ne manca sempre uno all’appello.» Risponde Leo al dio.
«Oh andiamo, i sette nani si ricordano più facilmente!» Interviene Annabeth.
«Ah sì? Brontolo, Pisolo, Eolo, Mammolo, Dotto, Cucciolo e…» Leo all’ultimo nano si ferma, tenendo il numero sei sulle dita.
In sala cala un silenzio strano, come se tutti stessero elencano per contro proprio i sette nani e stessero cercando quello mancante.
Chirone ci fa tornare tutti alla realtà. «Ad ogni modo, sta di fatto che Tarquinio il Superbo è il re che tutti si ricordano. Ed è per questo che è anche il più potente.»
«Seconda fase: il cattivo crea i problemi.» Mi sussurra Leo.
«Grazie a Francis sappiamo che Tarquinio ha rapito Estia, la dea del focolare, e l’ha rinchiusa in un luogo che noi non conosciamo ancora. Dobbiamo assolutamente salvarla.»
«Scusate l’ignoranza, ma Estia sarebbe…?» Non posso fare a meno di chiedere.
«È la dea del focolare. È colei che mantiene in vita non solo il Campo Giove, ma la stessa Roma. Il suo fuoco è l’anima della città e di tutto il potere che ne deriva, se viene distrutto verranno cancellate non solo la Roma originale e il Campo Giove, ma anche tutto quello che ne deriva: le divinità romane e i loro poteri, le credenze, gli usi, le persone.» Mi risponde Reyna, giocando con una delle sue trecce.
«Per diritto di nascita Estia era una delle dodici divinità dell'Olimpo, dove tuttavia non abitava, cosicché non protestò quando Dioniso crebbe d'importanza e la sostituì nella cerchia dei dodici.» Spiega il centauro.
Improvvisamente guardiamo tutti Dioniso. «Ehi, è stata consenziente allo scambio. Io non ho costretto nessuno.»
«A differenza delle altre divinità, -continua Chirone- Estia non era nota per i miti e le rappresentazioni che la riguardavano: la sua importanza stava nei rituali simbolizzati dal fuoco. Perché in una casa ci fosse un focolare, era necessaria la sua presenza. Allo stesso modo, ogni città-stato greca, nell' edificio principale, la dea aveva un focolare comune dove ardeva un fuoco sacro.»
Poi Reyna prende di nuovo la parola. «Più tardi, nell’antica Roma, Estia fu venerata come la dea Vesta. Qui il suo fuoco sacro univa tutti i cittadini in un'unica famiglia. Veniva custodito dalle Vestali, che dovevano incarnare la verginità e l’anonimato della dea. In un certo senso, ne erano la rappresentazione umana, sue immagini viventi.
Le fanciulle scelte venivano portate al tempio in età molto giovane; venivano vestite tutte uguali e rasate, per poi essere isolate dagli altri, ed erano tenute a vivere come Estia: se venivano meno alla verginità le conseguenze erano atroci. Come punizione la Vestale veniva sepolta viva in una piccola stanza sotterranea, priva di aria, con una lucerna, olio, cibo e un posto per dormire. La terra soprastante veniva poi livellata come se sotto non ci fosse niente. In tal modo la vita della vestale, come personificazione del fuoco di Estia, cessava di esistere, come se venisse soffocata.»
La meticolosa spiegazione di Reyna mi fa venire i brividi. Gli altri la guardano terrorizzati, come se fosse lei a dover infliggere una pena così crudele.
«Terza fase: la missione impossibile.» Continua a sussurrarmi il ricciolino.
«Il compito sarà quello di recuperare le quattro Vestali maggiori, sparse per gli Stati Uniti; saranno loro a guidarvi alla fine. Una volta recuperate, dovrete trovare la dea, liberarla e impedire a Tarquinio di rubarle il fuoco che tiene in vita metà globo. Se riuscite anche ad eliminarlo, sarebbe meglio.» Spiega Chirone.
Certo. Pff, che vuoi che sia.
«Quarta fase, la mia preferita: il limite di tempo. Perché ce n’è sempre uno.»
«Avrete solo una settimana a partire da domani per riuscire nell’impresa, e se ce la farete, non avrete solo salvato il Campo Giove, ma anche l’intera società occidentale.»
«Beh, ci è andata bene questa volta, amico.» Esclama Percy, dando il cinque a Leo.
«Non pensate che sia così facile: le Vestali sono racchiuse rispettivamente in quattro pietre focaie, ognuna con un proprio colore. Sappiamo che si trovano in quattro Stati diversi: New Mexico, Utah, Colorado e Arizona.»
«Almeno questo ci restringe il campo.» Commenta per la prima volta Jason, con un cipiglio stampato in volto. Non riesco a capire se sia ironico o meno.
Improvvisamente Leo alza la mano, per poter fare una domanda.
«Leo, spero sia intelligente la tua domanda.»
«Certo. Posso andare in bagno? Non dovevo bere tutta quella limonata stamattina.»
Chirone sospira, ma non dice nulla. Si vede che ci è abituato.
Poi però sento il bisogno urgente di fare io una domanda. «Ehm, scusate, ma io cosa c’entro con tutto questo? Perché mandare me e non una come Annabeth in una missione come questa?»
Dioniso punta il dito verso di me. «Ottima domanda. Chirone? Perché mandare al suicidio una semidea italiana quando potrebbe spiegarmi ogni minimo dettaglio sul prosecco?»
Non era la prima cosa che mi è venuta in mente, ma al posto di partire per una missione del genere potrei anche farlo.
«Perché lo dice l’Oracolo. Chiara oltre ad essere italiana, ha il potere del sole, della vita. Come concetto, il fuoco ci si avvicina parecchio. E con la presenza di Leo potrebbe andare ancora meglio.»
Non credo che dire “il fuoco è simile al sole come concetto” sia una giustificazione adeguata per mandarmi al macello, ma rimango zitta.
«Jason si preoccuperà di tornare al Campo Giove e metterlo al più presto al sicuro. E in quanto ad Annabeth, lei sarebbe stata un’ottima risorsa; ma per il tempo che avete le sue condizioni fisiche vi rallenterebbero soltanto.»
La ragazza rimane taciturna, fissando il vuoto. Subito dopo guarda Percy e un velo di tristezza le dipinge il volto.
Percy ricambia lo sguardo, stringendole la mano. «Tornerò prima che tu te ne accorga, lo prometto.»
Oddio, sono bellissimi insieme. Perché non ci hanno ancora scritto delle fanfiction su quei due? Magari quando torno a casa lo faccio io.
«Se hanno solo una settimana per recuperare le Vestali e salvare il mondo, come ci arrivano in uno dei quattro Stati?» Chiede giustamente Jason.
Ed è in questo momento che prendo l’ennesimo infarto.
«Per quello posso darvi una mano.» Esclama Nico, comparso sulla porta d’ingresso con un silenzio spettrale.
 
 
 
 
 
…..
Salve a tutti!
ALLORA. Per questo capitolo ho un sacco di cose da dire quindi andrò per punti:
  1. Finalmente sappiamo chi è il villain della situazione. I re di Roma non sono mai stati presentati nei libri di Rick (o almeno così ricordo) e mi piace pensare che sia anche grazie a loro se Roma è come la conosciamo noi oggi. In un contesto come quello di Percy Jackson, mi immagino questi sette re come coloro che hanno dato vita a qualcosa di immortale e potente…il che fa di loro stessi immortali e potenti. Non so se mi spiego. Però Tarquinio non poteva essere buono, questo era inconcepibile.
  2. Piccola spiegazione su Estia: ho cercato nel miglior modo possibile di non rendere la “descrizione” della dea una noiosa lezione scolastica, ma mi sentivo in dovere di spiegare il perché lei fosse così importante e cosa c’entra in tutto questo. Anche le Vestali sono importanti (mi sono documentata bene sull’argomento) e dato che fanno parte della stessa immagine di Estia, ho voluto inserire anche loro.
  3. So che magari questa ricerca delle pietre (le Vestali) sparse per gli Stati Uniti possa sembrare una copiatura dal primo libro di Percy, e in parte lo è, ma vi prometto che per trovare Estia la cosa si fa più complicata, e ho in mente una piccola chicca. (piccolo spoiler: c’è un perché se ho scelto proprio quei quattro Stati.)
  4. La scelta dei semidei da mandare in missione: Chiara era palese, e fin qui non ci scostiamo. Leo anche, è sempre stato presente e con il fuoco va a nozze. Reyna è un personaggio che secondo me dovrebbe avere più visibilità, ed essendo la mia preferita, non ho resistito. Il quarto posto se lo sono giocato Percy e Jason: se fosse andato Jason sono consapevole che la storia avrebbe avuto più continuità (dato che lo abbiamo già visto sin dai primi capitoli) ma lui è anche pretore del Campo Giove, e se mandavo proprio i due pretori in missione, il Campo Giove rimaneva completamente scoperto, e questo mi stonava. Quindi ha “vinto” Percy, e so che per me è un rischio, perché nel descrivere un personaggio ENORME come lui posso prendere una sbandata come cavarmela discretamente. (Non riuscirò mai a riportare il Percy originale, ma se giriamo la medaglia va bene così, altrimenti mi chiamerei Rick Riordan.) Inizialmente volevo mettere anche Annabeth per mantenere unita la Percabeth, ma poi ho pensato che lei sarebbe stata solo in più. Preferisco gestirmi solo quattro personaggi in questa missione e concentrarmi più sulla trama. Will e Nico neanche li ho presi in considerazione, loro sono solo di passaggio.
Bene, penso di aver detto tutto. Oddio ho scritto un poema, perdonatemi, ma sentivo il bisogno di mettere in chiaro tutto quanto.
Spero tanto che il capitolo vi sia piaciuto, e parlando più in generale, spero che l’idea nel complesso vi possa attrarre; se si, potete scrivermi nelle recensioni, sono felicissima nel leggere cosa mi scrivete 😊
Alla prossima, allora!
Potete trovarmi su
Twitter-@glaukopsis
Un bacio, Claire
 
PS: spero di riuscire ad aggiornare prima di ferragosto (sarò in Toscana in vacanza e non so ancora se mi porterò il computer; nel caso non riuscissi, aggiornerò tra giovedì e venerdì 19)
 
PSS: non vedo l’ora di postarvi il decimo capitolo, c’è una piccola cosa che sono riuscita a fare che mi rende piuttosto orgogliosa, ma niente spoiler 😉

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10 ***



 


10




Nel momento in cui Nico ha spiegato come funzionano i viaggi nell’Oltretomba ho deciso che per me era troppo.
Sono uscita dalla sala principale e mi sono rifugiata nella mensa, ormai vuota, e mi sono seduta sul primo tavolo che mi è capitato.
Sento l’enorme bisogno di stare da sola, e pensare. Se sette giorni fa ero una normalissima ragazza che stava organizzando la sua festa di compleanno, ora sono una semidea figlia di Apollo che deve sconfiggere non il primo nemico che capita, ma uno dei sette re di Roma!
Se la mia ex professoressa di storia lo sapesse penso che sverrebbe.
Ripenso a tutto quello che mi è successo finora, e mi soffermo, tra le altre cose, sulle parole di Atena. Io posso spostare gli oggetti! Perché non ci ho mai provato prima?
Ah si, perché mi hanno affidato una missione suicida.
Afferro in mano un cucchiaino e lo poso davanti a me. Will non doveva prendere la mia voce come arma, ma la mia mente.
Chiudo gli occhi, e mi concentro. In questi casi non so molto bene come comportarmi, né a cosa pensare di preciso; penso solo che quel cucchiaio debba spostarsi di qualche centimetro.
Quando apro gli occhi rimango colpita da me stessa: la posata è effettivamente più lontana da me.
Un’improvvisa euforia mi fa saltare sulla sedia, mi sembra di essere una di quelle streghe alle prime armi che si vedono in TV.
Continuo a provarci per una buona mezz’ora, e alla fine riesco addirittura a portare una mela vicino a me, spostandola in aria.
«Oh tesoro, vedo che alla fine ti hanno detto tutto.» Sento improvvisamente una voce femminile rompere la mia quiete, e per lo spavento la mela mi cade addosso, colpendomi la fronte. Ahia.
Quella voce potrei riconoscerla ovunque. Mi giro di scatto, alzandomi dal tavolo, ma non vedo nessuno.
«Tesoro, da questa parte.»
«Mamma?»
Mi giro nuovamente, ma non vedo nessuno intorno a me. Sto avendo le allucinazioni?
«Chiara, alza la testa.» Faccio quello che mi dice mia madre, e per un momento rimango paralizzata sul posto.
Davanti a me c’è un piccolo arcobaleno scintillante, con al centro il suo viso.
Okay, forse devo smetterla di mangiare quella torta alla mattina, quella polvere bianca sopra a quanto pare non è zucchero a velo.
«Chiara, è così bello vederti. Stai bene?»
«Mamma? Io bene ma…Perché sei in un arcobaleno?»
«Perché l’ho pagato per sette dracme. Le tariffe per le telefonate oltreoceano sono aumentate così tanto che ormai i vecchi tempi sono finiti.»
Io rimango in silenzio, continuando a non capire. «Ho attivato un messaggio Iride, tesoro. È così che i semidei al Campo Mezzosangue comunicano tra di loro.»
Cominciano a mancarmi Facebook e Twitter.
Alla vista di mia madre sorridermi le lacrime cominciano a scendermi prepotentemente dagli occhi. «Mamma, qui è tutto così…»
«Diverso? Spaventoso? Senza senso? Lo so, tesoro. È per questo che non volevo che ti unissi a quella banda di pazzoidi. Senza offesa per Chirone, ovviamente.»
«Mi hanno preso per una missione per sconfiggere l’ultimo re di Roma. -Butto lì, come se fosse nulla di che- Apollo mi ha riconosciuta e Atena mi ha detto che stava con lo zio, e per questo mi ha fatto un dono. Mi sono imbattuta con dei mostri, dei fasci di luce escono dalle mie mani ogni volta che sono arrabbiata, e un ragazzo del Campo Giove è appena morto.»
Mia madre rimane in silenzio per un po’, riflettendo. Il suo viso viene riflesso nell’arcobaleno, e non penso che potrò mai vedere una cosa più bella.
«Guarda il lato positivo, se sconfiggi Tarquinio puoi metterlo nel curriculum.»
«Mamma!» Lei ride, e non posso fare a meno di farlo anche io.
«Tesoro, non posso dirti le cose che vorresti sentire. Ormai hai scoperto chi sei veramente e non puoi tornare indietro. Ma se mantieni quella testardaggine che ti ha caratterizzata fino ad ora, puoi affrontare tutto.»
Sto per risponderle, quando i colori dell’arcobaleno cominciano ad affievolirsi.
«Tempo rimanente: venti secondi.» Annuncia una voce meccanica.
«Ora devo andare, ti porto i saluti di tutti quanti. Ricordati, ti voglio bene!» Riesce a dire mia madre prima che il messaggio scompaia.
«Ti voglio bene anche io.» Sussurro, anche se non può più sentirmi.
Mi siedo di nuovo in una delle sedie del tavolo, e sospiro.
«Ti manca casa, non è vero?»
Una ragazza con dei lunghi capelli rossi e una maglietta verde si avvicina a me, con un passo molto silenzioso e graziato.
«Oddio ti prego, se è Chirone a mandarti non ho nessuna intenzione di ritornare alla Casa Grande.»
Lei ridacchia. «No, tranquilla. Io sono Rachel, piacere.»
«Io sono Chiara, la matricola.»
«Oh, so benissimo chi sei. Ti conosco prima che tu ti presentassi qui.»
Cosa? «E come? Sei figlia di qualche strano dio veggente?»
«Peggio, sono l’Oracolo di Delfi.» Ah.
«E lo strano dio veggente è tuo padre.» Finisce lei, continuando a ridere. «Apollo è anche il dio delle profezie.»
«Da quello che ho capito Apollo è il dio di un miliardo di cose. Non mi sorprenderei se fosse anche il dio delle focaccine.»
«Sei sempre stata l’Oracolo? Cioè, voglio dire… quanti anni hai? Tremila? Se è così li porti piuttosto bene.»
«A dire il vero no, non sempre stata l’Oracolo. Io ero una umana normalissima.»
«Vuoi dire che non eri una semidea?»2
«Negativo. -Mi sorride lei- Io ero proprio come te.»
Non mi pare neanche vero trovare una persona quasi simile alla me di una settimana fa. Dall’emozione potrei piangere.
«Capisco come tu ti senta. Senza volerlo ho ascoltato la tua conversazione con tua madre, e mi sono sentita molto vicino a te. Anche a me manca la mia vita di prima, ma poi penso che tutto questo sia…speciale. Mi sento onorata a far parte di questo mondo.»
«Io ne sono solo terrorizzata.»
«Certo, è normale. Ma pensaci, chi si può vantare di avere come padre un dio dell’Olimpo? Di poter spostare le cose con la mente? Di conoscere uno come Chirone, lo stesso centauro che ha addestrato eroi leggendari come Achille e Teseo?»
«Si, ma loro erano Achille e Teseo. Io sono solo Chiara, e credimi, in Italia ce ne sono tante.»
«Sono sicura che anche tu te la caverai alla grande, e te lo dico come Rachel, non come Oracolo.»
Mi rigiro sulla sedia, cercando di trovare una posizione comoda. Intanto la sera sta calando velocemente, e i grilli cominciano a cantare.
«Trovo inconcepibile mandare una come me in una missione del genere. Leo e Jason mi hanno raccontato le loro avventure, mi hanno raccontato di Percy e di Annabeth e di come loro siano gli eroi del Campo. Io sono completamente impreparata! Tutto quello che so fare è muovere un cucchiaio.»
Rachel prende in mano la mela che pochi minuti fa mi era caduta, e comincia a giocarci.
«Dell’antica Roma è il nuovo problema,
l’ultimo e il più terribile riconquisterà il diadema,
il fuoco di Estia è la chiave della distruzione o della salvezza,
solo un semidio della stessa stirpe sarà all’altezza.
Quattro sono i punti focali,
solo con essi la dea tornerà a spiegare le ali,
Poco tempo rimane alla luce,
prima che il fuoco trasformi il re in duce.»
 
Rimango a bocca aperta, non sapendo cosa dire.
«È la profezia che ho detto pochi giorni prima che tu arrivassi. È chiaro che sei tu la luce che impedirà a Tarquinio il Superbo di rubare il fuoco di Estia e distruggere tutto ciò che noi conosciamo. Tu sei la luce, che lo voglia o no.»
«Sai, dovrebbero premiarti per la peggior incoraggiatrice del mondo.» Dico, per poi scoppiare a ridere.
Lei mi segue, posando la mela sul tavolo. «Sto solo dicendo che sei nata per questo. È il tuo destino, e statisticamente parlando, il bene ha vinto sempre. Vedrai che con gli altri ragazzi sarà una passeggiata.»
Le famose ultime parole.
Decido che si sta facendo tardi e che è ora di andare a dormire. Rachel mi dà un abbraccio di conforto, e mi promette di passare un po’ di tempo insieme non appena torno al Campo.
La sua promessa mi fa pensare però che ho un’alta probabilità di morire e di non tornare più in questo posto, ma per non rovinare l’atmosfera non ci voglio pensare.
Mezz’ora dopo sono di nuovo nella mia stanza, e quando mi butto a letto, mi costringo a dormire nonostante la luce che proviene dalle pareti.
 
Sono le otto di mattina, il sole oggi è nascosto dietro un paio di nuvole grigie e nonostante sia piena estate, sento freddo.
Per la mia missione mi sono equipaggiata che neanche dovessi partire per tre settimane: il mio zaino è pieno di cibo, acqua, vestiti, coperte e shampoo secco (anche in missione i miei capelli devono essere puliti e profumati). Il mio borsellino invece è colmo di piccole armi che sono riuscita a trovare nel magazzino dell’armeria; anche se non so combattere, voglio essere preparata.
Anche Leo è ben fornito, solo che il suo zaino è grande il doppio di lui e non ho la più pallida idea di come faccia a viaggiare con quel coso sulle spalle. Oltre allo zaino enorme, Leo tiene in mano una valigetta di acciaio, come se dovesse passare prima in ufficio per controllare le ultime fatture.
Non faccio in tempo a chiedergli cosa sia quell’affare di ferro, quando Reyna e Percy ci raggiungono, seguiti da metà Campo Mezzosangue.
Chirone cammina, o trotta, a fianco di Reyna che a sua volta è seguita da due cani da caccia, uno oro e uno argento.
«Ragazzi, sono euforico! È dall’ultima guerra con Gea che non vado in missione. Ci sarà da divertirsi.» Esclama Percy, felice come un bambino nel giorno del suo compleanno.
«Frena l’entusiasmo, Testa D’Alghe. -Commenta Annabeth zoppicando appena dietro di lui- Se non ritorni entro il tempo stabilito io ti faccio resuscitare e poi ti uccido di nuovo.»
«Mi mancherai anche tu, Annabeth.»
I due si scambiano un bacio e un lungo abbraccio, e poco dopo mi accorgo che anche Jason e Piper stanno facendo la stessa cosa. Anche se Jason non verrà in missione con noi capisco che lasciare la sua ragazza possa essere comunque doloroso.
Guardo per un momento Leo e Reyna che improvvisamente sono diventati cupi e silenziosi. Immagino che a Leo manchi Calipso, ma a Reyna? So così poco di lei.
«Ragazzi, sapete cosa fare. La vostra prima tappa sarà il Colorado. La prima Vestale è rinchiusa in una pietra rossa, quando la vedete la riconoscete subito. Tutto il Campo è con voi, nello spirito. Che gli dei siano in vostro favore.»
Beh, gli conviene essere in nostro favore, e magari darci qualche botta di culo.
Chirone indietreggia di pochi metri, lasciando spazio a Nico che subito dopo ci porta prima in un piccolo sentiero secondario e poi fuori dal Campo Mezzosangue.
Quando oltrepassiamo il confine, vedo una sottile barriera azzurra rompersi per qualche secondo, per poi riunirsi come una cerniera.
«Seguitemi, il passaggio è qui vicino.»
«È un MP3 quello che vedo?» Chiedo a Leo, sentendo una leggera melodia di sottofondo.
«Ehi, non possiamo usare computer e cellulari, ma gli MP3 non fanno nulla di male.»
Incredibile, sembra essere perfetto per andare a prendere l’autobus che lo porta a scuola.
Vorrei avere anche solo mezza della sua disinvoltura.
Reyna mi sorride, tranquillizzandomi anche senza dire nulla.
«Quindi…anche tu vieni da Venezia?» Mi chiede in italiano Nico, che compare silenziosamente di fianco a me dopo qualche minuto di camminata, e io non riesco a fare a meno di non spaventarmi. Devo seriamente parlargli di questa cosa.
«Si, ci abito vicino. Perché?»
Nico sembra tentennare e nascondersi dietro i suoi capelli nero corvino. «Niente, lasciare stare.»
«No! Aspetta! Voglio sapere il perché.»
«Io…Anche io sono nato lì.»
Cerco di sorridergli nel migliore dei modi. Fino ad adesso Nico non ha mai provato ad approcciarsi con me, e sono felice che finalmente ce l’abbia fatta. «Questo spiega il perché tu sappia l’italiano.»
«Suppongo di sì.» E velocizza il passo, come per lasciarmi indietro.
Decido di non insistere e di lasciarlo stare. Il fatto che mi abbia parlato ha provato che non mi odia, o almeno non del tutto.
«Ehi ragazzi, voi avete idea di dove cercare questa pietra?» Chiede Percy.
«In effetti il Colorado è grandino.» Fa notare Leo.
Mi fermo nella mia camminata, facendo fermare automaticamente anche gli altri. «Aspettate, io credevo che sapeste dove fosse questa pietra della Veste.»
«Vestale.» Mi corregge Reyna.
«È uguale.»
«Io sinceramente speravo che Percy avesse una di quelle sue grandiosi idee che potesse risolvere questo problema.» Afferma Leo, appoggiandosi ad un albero.
«Ehi amico, mi sono svegliato solo mezz’ora fa. Ho i miei tempi.»
Reyna alza gli occhi al cielo, ricominciando a camminare insieme a Nico.
Tutti quanti seguiamo i due, ma il problema rimane.
«Di certo non possiamo cercare in tutto il Colorado. Sai che noia? Non c’è niente di divertente da fare lì.» Dice Leo, avendo la completa approvazione di Percy.
«Che ne dici di provare nel “Giardino degli Dei”? Quel posto sembra proprio adatto per nascondere una pietra.»
«Percy, quello è un parco. È pieno di pietre, e come se non bastasse sono tutte rosse, non ce la faremo mai!» Afferma Reyna, e pensandoci bene non ha tutti i torti.
«E poi sarebbe troppo scontato. Andiamo, seriamente si chiama “Giardino degli Dei”?» Chiede Leo.
Improvvisamente mi viene un’idea.
Le pietre focaie sono quelle pietre che vengono utilizzate per accendere un fuoco, e il fuoco è quel elemento che sta sempre al centro di un qualcosa. Ma certo! La capitale! È quella il centro di uno stato.
«Ragazzi, ho un’idea.» Annuncio entusiasta, ma nessuno sembra ascoltarmi.
«Per esperienza posso dire che un posto che si chiama “Giardino degli Dei” è il posto ideale per nascondere un qualcosa di sospetto.» Percy continua a reggere la sua posizione.
«Ehi! Io so dove andare!» Continuo, alzando il volume della voce, ma anche questa volta vengo ignorata.
«Percy ha ragione. In quel giardino le pietre sono quasi tutte sul rosso, ma penso che la vostra sia leggermente diversa.» Questa volta Nico prende le posizioni di AcquaMan.
«Oddio, dobbiamo andare nella capitale! La capitale è il fuoco dello stato, è lì che si trova la pietra!» Questa volta mi decido a gridare e finalmente i ragazzi mi danno ascolto.
«È un genio!» Esulta Leo, e si avvicina a me, avvolgendo un braccio intorno alle mie spalle.
«Perché non l’hai detto prima?»
Mi prendono in giro, vero?
«E che capitale sia!» Dice Nico, fermandosi qualche metro più in là, proprio davanti ad un albero a caso.
«Domanda. -Fa Leo, alzando la mano in aria- La capitale del Colorado è…?»
 
 
 
 
…..
Salve a tutti!
In effetti…la capitale del Colorado è? lol
A malapena riesco a ricordarmi le capitali europee, figurarsi quelle americane.
COMUNQUE. Come state? Avete passato bene ferragosto? Io sono andata a Pisa e per un momento mi sono ricordata che nella mia storia Leo ha quasi rischiato di distruggerla, ma passiamo oltre. So che non ve ne frega niente di quello che ho fatto, e avete ragione.
Passando al capitolo, ho voluto introdurre anche Rachel nella storia, perché essendo una ex umana pensavo potesse andare d’accordo con Chiara; poi la cosa che mi sono divertita di più a scrivere è la profezia in rima. Ogni libro di Rick ha una sua profezia e non ho resistito a metterne una anche qui, spero tanto che vi piaccia come piaccia a me. Ci ho messo un po’ per crearla 😊
Niente, spero che vi sia piaciuto il capitolo, come sempre. Sono anche riuscita a pubblicare prima del previsto, ora come ora sono in treno con un wifi decente e quindi ne ho approfittato.  
Se vi va lasciatemi un piccolo commentino e ditemi cosa ve ne pare, sono felicissima quando mi scrivete!
Potete trovarmi su
Twitter- @glaukopsis
Un bacio, Claire

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 11 ***


 
11




Dopo aver constatato che Denver sia la capitale del Colorado, finalmente Nico si ferma e indica un preciso albero, tra i tanti che ci sono qui intorno.
«Questo è il passaggio che uso più spesso per arrivare al Campo Mezzosangue. Con il mio aiuto, dovreste arrivare a Denver in pochi minuti.» Da come lo racconta però non sembra tutto questo grande divertimento.
«Perché siete tutti così mogi? Non dovrebbe essere una cosa divertente? Andiamo, è un vero e proprio teletrasporto!»
«Si, lo è. Ma ha il suo prezzo.» Mi dice Percy, avvicinandosi con cautela alla corteccia dell’albero.
«Questo tipo di viaggi può mettere k.o. anche un dio, in particolari casi. -Spiega Nico- Il primo effetto collaterale è la stanchezza, ti sembrerà che i muscoli si stiano sciogliendo.» Il figlio di Ade rivolge una furtiva occhiata a Reyna, ma lei rimane zitta.
«Confermo, vai così veloce che ti sembra che la tua faccia si stia sbucciando.» Finisce Percy, alzando un pollice in su per mantenere l’ottimismo.
Fantastico, non sono passati nemmeno trenta minuti in questa missione e già la mia faccia rischia di disintegrarsi.
«Allora, vogliamo andare?» Incita Reyna, sistemandosi lo zaino sulle spalle.
Nico annuisce, rimanendo zitto. Il ragazzo si posiziona davanti alla pianta e alza le mani in alto, per poi portarle vicino alla corteccia e sussurrando delle parole che non capisco.
Improvvisamente il terreno trema e per un momento penso che siamo in un bel mezzo di un terremoto, ma dopo tutti i tremori si concentrano nel pino davanti a Nico, e pochi secondi dopo la corteccia si apre a cerniera, rivelando un buco nero all’interno.
«Dovete solo focalizzare il luogo dove volete arrivare.» Ci raccomanda Nico.
Per primo entra Percy e subito dopo Reyna, salutando con un piccolo sorriso il ragazzo con il giubbotto d’aviatore.
Quando è il mio turno mi fermo per un secondo, fissando il vortice nero che mi si presenta davanti.
Sto per raccogliere tutto il coraggio che mi rimane in corpo ed entrare nel portale, quando Nico mi ferma. «È ancora bella Venezia?»
Gli sorrido. «Si, è ancora bellissima. Forse con qualche ratto in più, ma ha ancora il suo fascino.»
Nico mi fissa per un po’, annuendo.
«Va bene, ho capito. Devo cominciare ad imparare l’italiano.» Esclama Leo proprio dietro di me, alzando gli occhi al cielo.
Ridacchio leggermente, e dando un ultimo sguardo a Nico, entro nell’Oltretomba, seguita da Leo. Dopodiché vedo nero; e no, non sto citando una canzone di Zucchero.
Il buio è ovunque, mi avvolge e mi occupa la mente. Inizialmente non percepisco nessun movimento del mio corpo, ma poi una forte scarica di vento mi trascina violentemente in avanti, e più avanzo e più mi sembra che la mia pelle stia per prendere fuoco. Percy stava dicendo sul serio prima.
Non riesco a urlare, non riesco ad aprire gli occhi e non riesco a pensare. Il panico mi prende alla sprovvista e io vengo trasportata dall’aria come se fossi una foglia al vento. Riesco a sentire una serie di suoni indistinti tra urla, pianti e boati in sottofondo, ma tutte queste cose non fanno altro che disorientarmi ancora di più.
Sto per raggiungere il livello massimo di sopportazione quando tutto questo buio sparisce inaspettatamente, e io cado per terra come un sacco di patate.
Quando apro gli occhi riesco a distinguere le due trecce di Reyna affianco a me, ma quando provo a muovere il braccio il muscolo decide di ribellarsi.
Prendo coscienza del mio corpo lentamente, e più passa il tempo più faccio fatica a respirare da quanto sono stanca. Potrei andare a dormire per un anno intero.
Nico ci aveva avvisato sulla stanchezza, e anche se lui ha cercato di assorbire quanto più oscurità possibile per tutti quanti, non è bastato per riuscire ad essere attivi in pochi minuti.
«Ragazzi, state bene?» Questa è la voce di Percy e io sono stanca anche per rispondere.
«Più o meno. Dobbiamo sforzarci di rimanere svegli. Più ci riusciamo, più il senso di sfinimento se ne va. Lo so, è difficile, ma è l’unico modo per non cadere nell’oscurità e trasformarci in ombre.» Reyna sembra essere esperta nel settore, e tutti facciamo quello che ci dice.
Inizialmente più cerco di tenere gli occhi aperti e più sento il viso urlare di dolore, ma poi questa fase passa. Trascorrono i minuti e riesco a muovere la testa, poi le mani, le braccia, le gambe e infine il corpo.
Ci vuole un’ora buona perché tutti e quattro riusciamo a riprenderci come si deve.
«Reyna, come facevi a saperlo?»
Leo e Percy si fissano, ma rimangono zitti. La ragazza mi racconta in pochi passi cosa ha dovuto fare durante la guerra contro Gea con Nico, e dopo capisco perché sia così esperta di viaggi nell’Oltretomba.
Decidendo insieme di lasciarci alle spalle questo terribile viaggio, ci accorgiamo di essere atterrati sull’erba di un parco.
Intorno a noi sorgono alcuni alberi che ci fanno ombra, poco più in là ci sono delle panchine arrugginite e alcuni sentieri con qualche famiglia che sta camminando tranquilla con i propri bambini.
Il cielo è completamente grigio, non si vede nemmeno un raggio di sole.
Non appena mi metto in piedi, i miei polpacci mi bruciano dal dolore, ma cerco di non lamentarmi ancora. Anche Leo si mette in piedi, e tira fuori una cartina con una guida turistica. Ci mette ben due minuti a scartarla e trovare la pagina desiderata.
Mentre ci incamminiamo, lui si mette a leggere ad alta voce.
«Denver è una città degli Stati Uniti d'America, capitale e principale città dello Stato del Colorado.»
«Oh, lo so bene.» Sussurra Percy, e non capisco bene il perché.
«Grazie Leo, fin qui ci siamo arrivati tutti.» Commenta Reyna.
«È conosciuta come Mile-High City, perché la sua altitudine ufficiale sul livello del mare, misurata sul quindicesimo gradino del Colorado State Capitol, ammonta a 1609 metri, ossia ad un miglio.»
Alzo gli occhi al cielo. Farà così per ogni città che visitiamo? Il mio sesto senso dice proprio di sì.
«Ragazzi, voi avete qualche idea di dove andare? Perché io sono ancora convinto per il Giardino degli Dei.» Dice Percy, avvicinandosi ad un carrello per gli hot-dog.
«Aspettate ragazzi! -Continua Leo- Qui viene il bello: secondo l'ultimo censimento del 2010 la popolazione cittadina ammonta a 600.158 abitanti, ma sentite un po’, le ultime stime ufficiali disponibili parlano di 649.495 persone. Denver è così, la venticinquesima città degli Stati Uniti e la sesta capitale di stato USA per popolazione.»
Io ho già voglia di sbattere la testa su un albero e di farla finita.
Improvvisamente Reyna si ferma, e sorride leggermente. «Leo, hai per caso parlato di un Colorado State Capitol?»
«Si, qui dice che è il Campidoglio.»
«Quel posto ha una serie di gradoni pieni di piccole pietruzze, la nostra pietra deve essere per forza lì.»
«E anche oggi Leo Valdez ha migliorato la vita a tutti.»
«Abbassa la cresta, ricciolino. Non sarà facile trovare la pietra. Aspettate un attimo, Percy dov’è?»
Tutti e tre ci giriamo più volte, scrutando tutto il parco per trovare Percy.
«Trovato!» Esclama Leo, e si dirige verso il carrellino degli hot-dog.
Percy ha in mano due panini, e ne sta finendo uno in bocca. La sua espressione è impagabile.
«Ragazzi, tre al prezzo di due! Volete un hot-dog?»
Io e Reyna ci mettiamo a ridere, ma poi torniamo in modalità missione e convinciamo i due ad incamminarci.
Finalmente usciamo da quello che Leo dice di essere City Park (ci ha raccontato la storia anche di quello) e prendiamo una piccola stradina chiamata Detroit St, per poi camminare per una mezz’ora abbondante in una strada principale, che Leo ha chiamato Colfax Ave. Cominciano già a mancarmi le solite vie che trovavo in Italia, sono quasi sicura che Via Dante o Via Leopardi non si trovino molto spesso qui.
Lo stradone che stiamo percorrendo sarà largo trenta metri, un sacco di macchinoni ci passano di fianco e più andiamo avanti e più il caldo si fa sentire, anche se il sole ancora non si è fatto vedere.
«Odio i Campidogli. Ci ho trovato sempre delle brutte sorprese.» Dice improvvisamente Percy, che è il capofila.
«Se è per questo troviamo brutte sorprese dovunque.» Replica Leo e con questo la mia briciola di ottimismo scompare. «Ma non do torto a Percy, Denver non mi è mai piaciuta.»
«Come mai?» Chiedo.
«Afrodite e Ares venivano spesso qui a fare le loro… cose. Mio padre ovviamente non ne era felice.»
«Se è per questo, tuo padre non è l’unico ad avere dei problemi con Ares.» Aggiunge Percy, riferendosi inevitabilmente a sé stesso. Lui però non aggiunge altro, e capisco subito che si tratta di una di quelle storie passate che non vogliono essere riesumate.
Finalmente dopo qualche minuto riusciamo a scorgere poco lontano una struttura con una cupola, che assomiglia un po’ alla basilica di San Pietro a Roma. L’edificio è gigantesco, ornato da una serie di colonne greche e una serie di rientranze, ma quello che viene subito all’occhio è il cupolone completamente dorato, con una serie di piccole finestre incastonate sulla superficie.
«Beh, penso proprio che siamo arrivati.» Annuncia Leo, e ci avviciniamo al colosso di marmo, arrivando finalmente alle famose gradinate.
I gradini sono fatti in pietra rossa, il che non ci aiuta un gran che con la nostra ricerca.
Più vado avanti e più queste pietre mi ricordano i san pietrini che ci sono nella vera Roma, e pensandoci, qui ci sono molte cose in comune con l’antichità greco-romana.
«Beh, facciamo che il primo che trova la pietra ha il diritto di mangiare la prima barretta di ambrosia.» Esclama Leo, e tutti si mettono a cercare.
Io non sono sicura di sapere cosa sia effettivamente l’ambrosia, ma mi metto a cercare comunque.
Comincio ad esaminare i primi venti gradini, ma di una pietra rossa nessuna traccia. Chiedo anche agli altri, ma nemmeno loro hanno avuto successo.
Improvvisamente un boato familiare attira la nostra attenzione, e io vado immediatamente sull’attenti. Leo è vicino a me, e mi sussurra se riconosco quel suono.
Io annuisco, deglutendo rumorosamente.
Se è un’altra viverna io do di matto.
All'improvviso un enorme mostro metà serpente e metà donna sbuca fuori da dietro la cupola dorata, e tutti noi indietreggiamo. Il mostro è color viola, con una lunga coda che parte dalla schiena della donna. Il suo viso è quello di un umano, ma le squame lilla e oro mi dicono che di umano ha solo la parte superiore. I capelli rosso fuoco le si avvolgono lungo il corpo da serpente e gli occhi brillano di un giallo strano, come se avesse due fari al posto delle pupille.
I turisti che ci camminano di fianco sembrano non accorgersi di quel bestione e continuano con la loro vita come se fosse nulla.
«Qualcuno ha la più pallida idea di cosa sia quella cosa?» Grido.
«Percy?» Chiede a sua volta Leo.
«Era Annabeth quella che sapeva riconoscere tutti i mostri e descriverne i poteri. Io mi limitavo a distruggerli.»
«È una Delfine, il drago a cui Tifone aveva dato l'incarico di sorvegliare Zeus, ferito durante l'atto della ribellione dei Titani contro gli dei.»
È in momenti come questi che adoro Reyna.
«Aspettate, il Delfine non era il drago che Apollo ha usato per sorvegliare l’Oracolo di Delfi?» Chiede Leo, continuando ad indietreggiare e cercando di nascondersi dietro un cespuglio.
«No, è diverso. Questo è più malvagio.» Dice Reyna, prendendo in mano la sua spada d’oro.
In effetti, se questo mostro è stato capace di rapire uno come Zeus non deve essere tanto benevolo, o sano di mente.
Reyna ci mostra silenziosamente un nascondiglio dietro un paio di cespugli, e noi la seguiamo senza farci vedere.
«Ssssssemidei, dove siete? È inutile che vi nassssscondiate, avete i minuti contati!»
«Se mi dessero un dollaro per tutte le volte che i mostri mi dicono una cosa del genere ora sarei milionario.» Commenta Percy, prendendo dalla tasca della sua felpa una penna.
«Percy, vuoi fare un autografo alla nostra amica?» Chiedo, confusa.
Lui sorride. «No, è la mia arma.»
Apro la bocca, poi la richiudo. «Vuoi scriverle una lettera minatoria?»
«Meglio, con questa la uccido direttamente.» E quando il ragazzo toglie il cappuccio della penna questa si trasforma in una spada azzurra.
Improvvisamente mi torna in mente il film, e mi faccio prendere dall’emozione. «Ma certo, come nel film!» Esclamo.
«Vi prego, non voglio sentir parlare di quel dannatissimo film.» Dice Leo, ma prima che tutti noi possiamo replicare, il mostro ci ha trovati.
Reyna e Percy partono immediatamente all’attacco, muovendo in aria le rispettive spade con una maestria allucinante, mentre Leo invece accende le sue mani.
Scendo dalla gradinata e mi allontano quanto basta per poter avere una visuale completa della situazione. Il cupolone è ancora abbastanza vicino da poter essere distrutto facilmente, e il mostro è abbastanza grande e forte da poter schiacciarci con la sua coda.
Okay, devo fare qualcosa ed è ora di ricorrere a questo famoso potere del sole. Cerco di concentrarmi meglio che posso, ma le mie mani non emanano nessuna luce.
Ecco che ci risiamo.
«Ehi, Chiara. Devo bombardarti un’altra volta per evocare i tuoi poteri?» Fa Leo, e anche se so che lo sta dicendo tanto per scherzare, (ebbene sì, riesce a farlo anche davanti ad un drago umanoide che ci vuole uccidere), la cosa mi pesa più di quanto vorrei ammettere.
La coda del Delfine si sta avvicinando a Percy, e per quanto Reyna possa proteggerlo, entrambi non se la stanno cavando bene. Leo invece fa il possibile per accecare il mostro, ma le squame sono più resistenti del previsto.
Ripenso per un momento a tutte le volte che sono riuscita ad evocare la luce e improvvisamente capisco cosa mi impedisce di agire: la rabbia.
Non sono abbastanza arrabbiata!
Chiudo gli occhi e comincio a pensare alle cose che mi fanno arrabbiare: l’ananas sulla pizza, Trump, gli spoiler, la morte di Finnick in Hunger Games, l’1% di batteria nel cellulare… E poi la sento, l’energia che mi scorre nelle vene e che si concentra nelle mie mani.
E poi succede: le mie mani risplendono di luce propria e non mi sono mai sentita meglio; l’adrenalina mi scorre nelle vene e sono pronta ad affrontare questa bestia.
Corro verso Percy e Reyna che nel frattempo sono riusciti a perdere entrambe le spade. Qualcosa mi dice che la spada di Percy ritornerà presto dal suo proprietario, ma non in un tempo abbastanza breve da poter continuare ad affrontare il combattimento.
Così quando arrivo vicino a Leo lui mi guarda sorridendo, e insieme cominciamo a lanciare luce e fuoco al mostro, puntando principalmente al cuore.
«Al viso, al viso!» Grida Reyna, ma viene subito scaraventata in aria dalla coda squamosa della Delfine.
«Reyna!» Gridiamo, ma lei cade vicino ad uno dei cespugli poco lontano da noi, semi-svenuta.
Io e Leo continuiamo ad attaccare il mostro, ma i nostri sforzi sembrano vani. Le mie energie si esauriscono prima di quanto avevo sperato, e dopo pochi secondi sono costretta ad accasciarmi a terra, con la fronte imperlata di sudore. Tutta questa fatica per qualche minuto di poteri? Che delusione.
La stanchezza che prima provavo per via del viaggio nell’Oltretomba ricomincia a farsi sentire, ma mi impongo di non mollare adesso.
Io e Leo raggiungiamo Reyna e ci nascondiamo dietro una serie di panchine, mentre Percy continua a tenere a bada il mostro.
«Non le abbiamo fatto nemmeno un graffio!» Grida Leo, parecchio incavolato.
«A quanto pare non hanno ancora inventato un veleno per il Delfine.» Esclama Percy correndo verso di noi, riprendendo in mano la sua spada azzurra.
Ed è in questo momento che mi viene un’idea.
Mi accascio per terra, aprendo il mio zaino. «Ehm Chiara, so che non sei nuova, ma questo non è il momento adatto per fare uno spuntino.» Dice Percy, cercando di coprirmi dal mostro.
Io alzo gli occhi al cielo, e senza dire nulla prendo in mano il mio shampoo secco che mi sono portata dietro.
«E non è neanche il momento di farsi la piega ai capelli.» Continua lui.
«No, lo usiamo come insetticida. L’hai detto tu, ci serve un veleno, perché non provare con questo?»
«Non è una cattiva idea.» Sussurra Leo, dandomi una leggera pacca sulla spalla.
«Okay, come facciamo ad arrivare fin lassù e lanciargli lo spray?» Chiede Percy, prendendo in mano la bottiglia.
«Dovrai lanciarla in aria, e Leo le darà fuoco proprio nel momento in cui sarà davanti al mostro. Il calore dovrebbe essere abbastanza alto per far scoppiare il contenitore e far arrivare il liquido proprio in faccia alla Delfine. Io rimango qui per proteggere Reyna.»
I due ragazzi sembrano essere un po’ confusi, ma non fanno obiezioni.
«Okay, facciamolo. Se funziona, posso dire di aver ucciso un mostro in qualsiasi modo.» Esclama Percy e io sorrido.
Senza dire altro, i due ragazzi si rimettono in piedi e si avvicinano velocemente al drago, catturando quasi subito la sua attenzione.
I due non si fanno attendere, e quando il mostro è abbastanza vicino, Percy lancia lo shampoo secco in aria, e con una mira incredibile, Leo colpisce la bottiglia proprio nel momento in cui questa è davanti alla faccia della donna.
Quello che viene dopo è parecchio confuso: sono quasi sicura che la bottiglietta sia scoppiata nello stesso momento in cui è venuta a contatto con il fuoco provocando un’esplosione di medie dimensioni, e il liquido all’interno sia arrivato dritto negli occhi del Delfine.
Un urlo di dolore riempie tutta l’aria di Denver e poi il silenzio.
Quando apro gli occhi il drago non c’è più, ma solo Leo e Percy che si danno il cinque e ridono, tornando verso di noi.
Proprio nello stesso momento Reyna decide di svegliarsi e dopo aver chiesto dove sia il mostro, si lamenta di un mal di testa lancinante.
Leo e Percy l’aiutano a rialzarsi da terra e le spiegano come abbiamo fatto ad uccidere il mostro, mentre io riguardo per un momento la cupola dorata, per controllare se effettivamente il drago sia morto o no.
Poi la vedo, e mi scappa un urletto di euforia.
«Ragazzi, ho trovato la pietra focaia.»
 
 
 
……
Salve a tutti!
Perdonatemi se non ho pubblicato ieri, ma avevo alcune cose da sbrigare e non ho avuto molto tempo per sistemare il capitolo, trovare una gif e postarvelo.
Andrò a punti perché anche qui ho qualcosa da dire.
1-Allora, primo giorno di missione su sette (perché vi ricordo che hanno solo sette giorni per salvare il mondo). La prima difficoltà/mostro l’ho voluta fare molto semplice: come vi avevo detto in uno spazio autore precedente, trovare mostri che Rick non abbia ancora utilizzato è difficile, e anche se so che lo stesso Rick riutilizza alcuni nemici, io voglio cercare il più possibile di essere -per quanto sia possibile- originale.
Quindi come potrete intuire, se sono quattro le pietre da trovare, quattro saranno le capitali e quattro i mostri principali. Il Delfine era il primo, e quello anche più “banale” (almeno secondo me) perché non ne ho trovati altri di abbastanza interessanti.
Quindi vi consiglio di aspettare i prossimi capitoli, vi prometto che ho finito di scrivere di draghi.
2-In questo capitolo poi ho cercato di inserire il più possibile dei richiami alle Sfide di Apollo, agli Eroi dell’Olimpo e ad una esperienza di Percy a Denver (con Ares) ancora nella prima serie di libri. Le relazioni tra Nico/Reyna, Reyna/Percy/Leo sono molte, quindi spero di non aver sbagliato a mettere qualche richiamo (come il viaggio di Nico e Reyna insieme).
3- Il viaggio nell’Oltretomba, qui devo essere sincera: non mi ricordo minimamente come viene descritto nei libri, e anche se ho cercato di trovare qualcosa in internet, ho deciso di scriverlo e a modo mio. Quindi, anche se non è dettagliato, per me un viaggio nell’Oltretomba si presenta così.
4-Non uccidetemi per Percy, non credo mi sia venuto molto bene qui, ma ormai non posso tornare più indietro ahahah
Bene, ho finito. Se siete arrivati fin quaggiù sappiate che vi voglio bene.
Spero tanto che il capitolo sia stato di vostro gradimento, come al solito se avete voglia di lasciarmi un commentino a me fa più che piacere 😊
Grazie per aver letto e alla prossima!
Potete trovarmi su
Twitter- @glaukopsis
Un bacio, Claire
 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 12 ***



 
12




Ad un tratto riesco a vedere la pietra proprio in cima alla cupola dorata, incastrata in una delle finestrelle che contornano la struttura. Da qui sembra un piccolo punto rosso, ma il mio sesto senso dice che è quella giusta.
«Come facciamo ad arrivare fin lassù?» Chiede Reyna, massaggiandosi ancora la testa per la botta di prima.
Bella domanda.
«Possiamo usare Festus?»
«Chi?»
«Festus!» Ripete Leo, alzando la sua valigetta in metallo.
«Qualcuno mi può spiegare, per favore?»
«È il suo drago meccanico personale, è progettato per poter ripiegarsi in una valigetta.» Spiega Percy.
Vorrei paragonarlo ad un Trasformer, ma non credo che mi capirebbero.
«E vorresti usare quel coso per arrivare fino a lì? Io non ci vado, ne ho già abbastanza di draghi.»
Reyna rimane per un attimo in silenzio, esaminando la situazione. «In effetti se usassimo Festus sarebbe molto più veloce, ma il suo peso e la sua grandezza distruggerebbero la cupola, rischiando di perdere la pietra nelle macerie. Dovremo trovare un’altra soluzione.»
Io tiro un sospiro di sollievo, mentre Leo sembra essere deluso.
«L’unica soluzione penso sia raggiungere quella dannata pietra dall’interno.» Propongo, e gli altri annuiscono.
Prima però ci prendiamo un’ora di pausa per riprenderci dal combattimento contro il serpente umanoide di prima, e io la passo tutta a dormire vicino a Reyna, che nel frattempo sta ripulendo la sua spada d’oro dai resti di drago.
Percy e Leo sono andati a fare rifornimento di cibo, e quando tornano riempiono i loro zaini di panini assortiti. Sono quasi sicura che tutto ciò che sono riusciti a portare sia rubato, ma la cosa non mi fa sentire tanto in colpa: stiamo cercando di evitare che tutti gli Stati Uniti non vengano spazzati via da Tarquinio il Superbo, quindi qualche panino rubato è il minimo come ricompensa.
Quando il sole sta cominciando a calare, ci decidiamo ad entrare nel famoso Campidoglio; per nostra fortuna l’accesso ai turisti è ancora possibile, e quando cerchiamo di oltrepassare la soglia una signora sui sessant’anni e con qualche chilo di troppo ci ferma, chiedendoci il biglietto.
«Sono sette dollari.» Ci informa lei guardandoci in cagnesco, e io sono piuttosto indispettita, come tutti gli altri.
«Dobbiamo davvero fare il biglietto per prendere quella pietra? Non ci posso credere.» Chiede Leo, sussurrando per non farsi sentire.
Alla fine, per non complicare le cose, siamo costretti a pagare. Percy tira fuori dalla tasca dei pantaloni un bigliettone verde e paga il biglietto per tutti quanti. Nel momento in cui metto piede dentro penso che il vero problema non sia stato pagare i sette dollari, ma quello di uscire da questo posto, ma una cosa per volta.
Io e Percy camminiamo davanti, cercando di capire come evitare gli uffici di informazione, le scalinate principali abbellite di oro e decorazioni, i bagni e i luoghi di visita, il tutto senza farci vedere da nessuno.
Dopo esserci persi per ben tre volte nei vari corridoi e nelle miriadi di scale, arriviamo finalmente nel cuore del Colorado State Capitol, ovvero la famosa sala principale all’ultimo piano che sta proprio sotto il cupolone dorato, ma prima che io possa davvero vedere la sala le luci si spengono.
Il buio ci avvolge quasi totalmente, e io riesco solamente a riconoscere i miei amici dalle loro sagome.
«Che sta succedendo?» Chiede Reyna.
Leo dice qualche parolaccia in spagnolo. «C’è stato un blackout, dobbiamo cercare il quadro elettrico e ripristinare la luce, a meno che Chiara non possa fare da torcia umana.»
«Ehi, sei tu quello che ha il fuoco. Puoi fare tu da torcia.»
«Nessuno farà da torcia umana. Chiara deve riservare i suoi poteri il più possibile, e anche tu. -Interviene Percy, e noi non obiettiamo- Io e Leo andremo a cercare il quadro elettrico e lo sistemiamo, voi due ragazze rimanete qui e cercate un modo per prendere la pietra focaia.»
Anche se non può vedere le nostre facce, io e Reyna annuiamo.
Quando i due ragazzi lasciano la sala principale, Reyna si accascia sull’ultimo gradino di una delle scale che ci hanno portato fin quassù, e sospira.
Così mi avvicino a lei con cautela, come se fosse uno dei suoi due cani pronta a sbranarmi.
«Ehi, c’è qualcosa che non va? -faccio una pausa- Per quanto la situazione possa permettere, ovviamente.»
Lei aspetta un po’ prima di rispondermi. «Avevo autorizzato io l’uscita di Francis, e insieme alle sue ne avevo autorizzate un’altra cinquantina. Ci sono un sacco di ragazzi del Campo Giove che non sono al sicuro, e possono fare la stessa fine di Francis. È colpa mia se è morto.»
Rimango un attimo in silenzio, cercando di elaborare le sue parole. «Reyna, non è colpa tua. Tu non hai ucciso nessuno, è stato l’esercito di Tarquinio.»
«Io lo sapevo.»
«Sapevi cosa?»
«Sapevo che Tarquinio il Superbo si fosse risvegliato e che stesse creando un esercito tutto suo. I Libri Sibillini lo hanno predetto, confermando la stretta connessione con Tarquinio, ed Ella è riuscita a tramandarcelo.»
«Woah, calma. Come può un libro predire il futuro?»
«I Libri Sibillini erano una raccolta di responsi oracolari scritti in lingua greca, e la storia romana tramanda di come la Sibilla Cumana avesse offerto i libri, che erano inizialmente nove, al re romano Tarquinio il Superbo, il quale però considerò il prezzo di questi ultimi troppo alto, considerandoli di poco valore. La Sibilla allora bruciò tre di questi libri e offrì di nuovo i sei rimasti al re. Però Tarquinio rifiutò ancora, quindi la Sibilla ne bruciò altri tre. Riformulò quindi la proposta a Tarquinio, che questa volta accettò, ma solo con una condizione: il re poté mettere mano ai libri stessi, ma nessuno seppe in quale modo. Alcuni dicevano che aveva solo strappato qualche pagina, altri dicevano che ne avesse aggiunte delle nuove; ora che è tornato in vita, sappiamo per certo che quella volta ci ha scritto letteralmente il suo futuro, garantendosi automaticamente l’immortalità.»
«Quindi vuol dire che ha ingannato la Sibilla? Non ho capito.»
«I Libri Sibillini erano divisi in passato, presente e futuro. Tarquinio ha fatto in modo che la Sibilla bruciasse quelli del passato e del presente, per eliminare ogni traccia della sua tirannia, e che mantenesse quelli del futuro, in modo tale da possedere solo quelli e utilizzarli a proprio piacimento.»
Reyna fa una pausa, e io rimango in silenzio cercando di capire cosa c’entri questa storia con lei.
«Ella è un’arpia che è riuscita a leggere i Libri, e qualche mese fa ci ha tramandato tutto, ma non le abbiamo dato molta importanza. In quel periodo Apollo era appena riuscito a tornare un dio, e affrontare un altro problema non era la cosa migliore. I due Campi avevano bisogno di riposare e stare tranquilli. Io e Jason siamo stati gli unici a sapere di Tarquinio, e abbiamo dato comunque il permesso ai ragazzi del Campo Giove di uscire tranquillamente.» Così Reyna ritorna silenziosa, e si prende la testa tra le mani.
Io non rispondo, non sapendo bene cosa dire. E poi decido di rompere il silenzio. «Voi siete semidei, giusto? Anzi, siamo.»
«Si, siamo semidei. Non l’avevi ancora capito?»
«Dico solo che in noi c’è anche una parte umana. E la natura degli umani è quella di sbagliare, continuamente. Ma il tuo sbaglio non è stato intenzionale, hai solo cercato di fare il meglio per il Campo, tenendolo al sicuro e dargli quell’attimo di pace che si meritava. Da quel poco che ho imparato in questi giorni, ho capito che ogni semidio può trovarsi davanti alla morte in qualsiasi momento, e si vede che Francis era destinato a morire con coraggio, cercando di proteggere il Campo. Grazie a lui sappiamo quale sia il piano di quel pazzoide, e probabilmente ha salvato la vita a tutti. L’importante è che ora siamo in viaggio per sconfiggere Tarquinio e vendicare Francis, così potrà riposare in pace.»
Reyna alza il capo, la sua espressione indurita si addolcisce leggermente, ma il suo cipiglio in volto rimane comunque.
«Si vede proprio che in te c’è un pizzico di Atena. È molto saggio quello che hai detto.»
Le sorrido leggermente. «Grazie.»
Reyna si alza di scatto dalle scalinate in cui siamo sedute, e si sistema la spada nella cintura di cuoio.
«Okay, dobbiamo trovare un modo per arrivare lassù e prendere la pietra. Hai qualche idea?»
Sto per risponderle, quando vengo interrotta dalla luce che torna ad illuminare tutta la stanza, e poi da una vocina stridula che proviene da dietro di me.
«Io sono Fragola! Io sono Fragola!»
Davanti a noi ci sono quattro…non so nemmeno come chiamarli. Neonati? Folletti? Nani? Sono piuttosto grassocci, possiedono delle ali ingiallite lungo la schiena, capelli bianchi, occhi verdi senza pupille e canini appuntiti.
Di certo non i neonati più belli che io abbia mai visto.
«Io sono Fragola!!!» Grida il capo folletto, facendo vibrare le sue piccole ali. Anche se dice sempre come si chiama, il suo tono sembra più dire: “Ora vi uccidiamo!!!”
Io e Reyna indietreggiamo, aspettando con ansia l’arrivo di Percy e Leo.
«Sono stati loro a manipolare la luce.»
«Da quanto i folletti sono cattivi?» Chiedo io.
«Non sono folletti. Sono karpoi, spiriti della terra. E “cattivi” non è la parola giusta per descriverli, direi più malvagi.»
«Grazie per aver specificato.»
Improvvisamente un secondo nano, cioè voglio dire, karpoi, salta verso di noi brandendo in aria una piccola ascia. «Io sono Anguria!»
Molto probabilmente ha ripetuto quello che ha detto il suo amico prima.
Reyna prende la sua spada, e io faccio lo stesso prendendo dal mio zaino un piccolo coltellino.
Do un’occhiata veloce alla stanza in cui siamo: le pareti sono rivestite di una tappezzeria color rosso scuro, le decorazioni in oro ricoprono ogni spazio possibile e penso che chiunque abbia arredato questa sala non aveva per niente il concetto di estetica. In mezzo alla sala giace un’enorme tavolo in mogano, con una serie di sedie vicino. I muri sono alti, e più salgono più questi si incurvano per formare la cupola; in essi sono incastonate una serie di finestre, che a loro volta sono decorate con una serie ricami colorati. Non mi è difficile trovare la pietra, è abbastanza grande da poter essere vista facilmente in una delle aperture.
«Stai attenta, se ti mordono sei morta. Dobbiamo cercare di non fargli vedere la pietra incastrata nella finestra, altrimenti ce la rubano e non la recuperiamo più.»
Grandioso. Una buona notizia dopo l’altra.
Ed è in questo momento che Fragola si catapulta verso di noi, ma Reyna riesce prontamente a colpirlo con la sua spada, lanciandolo giù dalle scale. Gli altri karpoi però non la prendono bene: improvvisamente Anguria e uno spirito che dice di chiamarsi Banana si lanciano su di noi, e io per un pelo non mi faccio mordere, proteggendomi con una sedia. Dopodiché cerco di colpirli il meglio possibile con il mio coltello, avvinandomi pericolosamente alla finestra con la pietra.
«Ehi ragazze! Il mitico Leo Valdez ha sistemato il quadro elet… Oh.» Percy e Leo arrivano come se niente fosse, non accorgendosi inizialmente che stiamo cercando di non farci uccidere da questi spiritelli alla macedonia.
«Sono karpoi?» Chiede Percy, togliendo subito il cappuccio alla sua penna.
Reyna annuisce, continuando a tenere la spada davanti a sé.
«Pensavo che Meg avesse convinto tutti i karpoi ad essere buoni!» Esclama Leo, e io non capisco cosa stia dicendo.
«Chiunque sia questa Meg, di certo non ce l’ha fatta.» Dico io, scansandomi da uno che urla: “io sono Zucchina!”. La situazione mi farebbe anche ridere se non fosse che, guarda un po’, sto cercando di rimanere in vita per l’ennesima volta.
Percy e Leo cominciano ad allontanarsi con cautela dai karpoi, rimanendo sull’ultimo gradino della scalinata principale.
«Se li annegassi con il tubo del lavandino?» Propone Percy.
«Non puoi farlo per lo stesso motivo per cui io non posso dargli fuoco: Meg ci odierebbe a vita.» Risponde Leo.
Vorrei gridare e chiedere chi diavolo è Meg, ma sono troppo occupata a non morire.
«Quindi volete dirmi che questi nanetti fruttosi non si possono uccidere?» Grida Reyna, frustrata come lo sono io.
«Io sono Zucchina!» Grida Zucchina, e penso che abbia detto una cosa come: “La Zucchina è una verdura, non un frutto!”
Alzo la mano con il coltellino verso l’alto, cercando di allontanare Banana dalle mie gambe, ma incredibilmente il karpoi riesce a farmi scivolare di mano la mia arma, facendola cadere proprio davanti alla pietra, incastonata nella vetrata della cupola.
«Io sono Banana!» Esclama lo spirito, indicando la pietra rossa davanti a lui. Immediatamente tutti gli altri karpoi prestano attenzione a Banana, e si dirigono velocemente verso di essa.
Percy impreca in quello che mi sembra greco antico, mentre Reyna cerca di lanciare la sua spada d’oro verso uno degli spiritelli, ma loro sono troppo veloci, e manca il colpo.
Banana vola in alto raggiugendo la finestra con un piccolo balzo, e con le sue manine tozze riesce a prendere la pietra, staccandola dal vetro.
«Dannazione, come possiamo liberarci di questi mostriciattoli se non possiamo ucciderli?» Chiede Leo, fissando Banana con la pietra nella mano.
«Se solo potessimo trasportarli da qualche altra parte…» Fa Percy, e a me viene in mente una cosa: io posso spostare gli oggetti con la mente!
All’improvviso mi sento un’idiota.
«Ehm, ragazzi…io forse posso farlo.» Dico piano, sperando che non mi sentano.
«TU CHE COSA???» Esclamano all’unisono, e io vorrei sprofondare.
«Okay, okay. Può essere che mi sia dimenticata di poterlo fare, che volete che sia? E poi non sono sicura di riuscire con tutti, a malapena sono riuscita a spostare una mela.»
«Ti conviene sbrigarti, Banana sta volando via con la nostra pietra.» Esclama Reyna.
Il karpoi si sta dirigendo verso la scalinata principale, seguito dagli altri tre emettendo una risata strana.
Comincio a concentrarmi e fisso lo spirito con la pietra nella mano, e improvvisamente questo viene scaraventato indietro, verso uno dei tanti quadri appesi sui muri. Ups, forse ho esagerato.
Fragola, Anguria e Zucchina si precipitano in soccorso dell’amico, ma poi si concentrano tutti su di me. A proteggermi per fortuna ci sono Reyna e Percy che con le rispettive spade cercano di allontanare i karpoi incazzati.
Leo invece si sta avvicinando a Banana, ora svenuto, mentre io ora riunisco tutta la mia attenzione sulla pietra rossa nella mano del folletto. Piano piano questa scivola via dalla sua presa, ma ad un tratto sento una fortissima fitta alla testa, e la pietra cade a terra. Leo si lancia verso il pavimento, riuscendo all’ultimo a prenderla tra le mani, ma la sua caduta attira l’attenzione dei tre karpoi, che immediatamente lasciano stare Percy e Reyna e si lanciano verso il figlio di Efesto.
«Correte!» Grida Leo alzandosi con uno scatto, e io non me lo faccio ripetere due volte.
Prendiamo subito le scale che abbiamo usato per arrivare fino a qui, e saltando due gradini alla volta riusciamo a seminare i quattro karpoi e concederci qualche secondo di vantaggio.
«Quanto vorrei saper volare come Jason, in questo momento.» Bisbiglia Reyna, ma io l’ho sentita lo stesso.
Percorriamo tutto il Colorado State Capitol di corsa senza incontrare nessuno, e per un attimo mi chiedo dove siano finiti tutti quanti. Le scale e i corridoi sono completamente vuoti, come se tutti avessero deciso sul momento di prendersi una vacanza, ma non mi faccio altre domande; quando usciamo fuori la sera è già calata.
Percy si guarda indietro per controllare che i karpoi non ci abbiano seguito, e per sicurezza dopo che la porta si sia chiusa, rompe la serratura con la sua spada-penna.
Ci concediamo qualche minuto per riprendere fiato, e poi Leo consegna la pietra a Reyna, che se la rigira tra le mani. Ci avviciniamo tutti per fissarla: è grande come un uovo, di un color rosso vivo, ed emana una leggera luce dall’interno, come se ci fosse qualcosa di vivo dentro.
Reyna sta per mettere la pietra all’interno della tasca del suo zaino quando questa scivola via dalle sue mani e vola letteralmente verso Leo, che gli arriva sullo stomaco come se fosse un proiettile.
Tutti mi fissano, confusi.
«Ehi! Io non ho fatto niente!»
Rimaniamo in silenzio per qualche secondo e poi Percy cerca di dare una spiegazione. «È una pietra focaia, è ovvio che debba stare con il fuoco.»
Era davvero così ovvio?
Leo annuisce, posando la pietra rossa dentro il suo marsupio giallo, e lo richiude con cautela. «Sarà al sicuro qui dentro.» Aggiunge dopo, e noi ci fidiamo.
«Bene, qual è la prossima tappa?» Chiede Percy.
«Chirone ha detto di andare verso sud, quindi a Sante Fe, in New Mexico.» Dice Reyna, riposando la sua spada.
«Come ci arriviamo? Non abbiamo molto tempo.» Faccio notare.
E Leo sembra avere la risposta in mano, alzando la sua famosa valigetta. «Festus è l’unico modo.»
«Ah no, non se ne parla. Ci sono un sacco di mezzi di trasporto in alternativa: auto, treno, autobus, barca a vela, mongolfiera, monopattino, snowboard. Tutto, ma non il drago volante.» Dico io, incrociando le braccia al petto.
«Andiamo Chiara, non è poi così male. Certo, Leo dovrebbe incorporare dei cuscini per migliorare la comodità, ma è l’unico mezzo che abbiamo per raggiungere la prossima tappa in tempo.»
«Ti ho detto che i cuscini sono troppo grandi per combaciare con lo spillo conico e la camera di combustione, e poi Festus ha il didietro sensibile.» Commenta Leo, e senza aggiungere altro posa la valigetta in metallo per terra, e dopo aver toccato qualche ingranaggio, questa comincia ad aprirsi. In un minuto abbondante vedo la miriade di ingranaggi incastrarsi tra di loro e combaciare come in un puzzle, dando vita a un essere grande come un elefante, solo fatto interamente di ferro.
Gli occhi del drago si aprono di scatto, e quando l’animale vede Leo si butta a terra come se fosse un barboncino che vede il suo padrone dopo tanto tempo.
Leo lo accarezza per qualche secondo, e poi ci invitarci a salire sulla sua schiena. Reyna e Percy non se lo fanno ripetere una seconda volta, mentre io rimango ancorata a terra, pensando a quanti modi potrei morire sopra a quella cosa.
«Andiamo Chiara, sarà divertente!» Esclama Leo, e io sospiro, impotente.
Mi avvicino ad un’ala del drago, e la accarezzo con cautela. Sto per salire, ma prima di farlo mi blocco di colpo. «Almeno è assicurato questo ammasso di ferraglia?»
Ovviamente nessuno mi risponde.
Festus sbuffa, ma non si muove, permettendomi di salire una volta per tutte.
«New Mexico, estamos llegando!» Esclama Leo, e a me già viene da vomitare.
 
 
 
 
 

…..
Salve a tutti!
Vi ricordate quando ho detto che non parlavo più di draghi? Beh, mi sono dimenticata di Festus hahah però non è da considerarsi un nemico, quindi va bene.
Vorrei soffermarmi un attimo sulla storia dei Libri Sibillini: stavo cercando qualche informazione su questi Libri e quando ho letto che questi erano collegati a Tarquinio non ho potuto non mettere questa cosa (e diciamoci la verità, che culo). La parte in cui si dice che la Sibilla Cumana dà i Libri a Tarquinio è vera (almeno, così io ho trovato in internet), ma dato che dovevo rendere le cose un po’ più interessanti, ho inventato che il re avesse manomesso i Libri, facendo distruggere quelli del passato e del presente (anche qui, non ho la più pallida idea se fossero divisi davvero in passato, presente e futuro). Insomma, spero che la cosa si sia capita ecco.
In questo capitolo ho anche ripreso i karpoi, mostriciattoli già noti per chi ha letto le Sfide di Apollo; non so se avete mai visto i Guardiani della Galassia, ma il loro ripetere sempre il proprio nome mi ricorda un sacco Groot (o baby Groot per i più appassionati) quando per parlare dice sempre “Io sono Groot”.
(Se non avete visto quei film SHAME ON YOU)
(Se non avete visto i film Marvel in generale SHAME ON YOU x2. E se li avete visti, sappiate che io sono TeamCap.)
Okay la smetto.
Bene, spero come sempre che il capitolo vi sia piaciuto, e tenetevi pronti per il prossimo, perché succederà qualcosa… 😊
Potete trovarmi su
Twitter- @glaukopsis
Un bacio, Claire

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 13 ***



 
    
13




Dopo aver viaggiato per tutta la notte e per gran parte della mattina successiva su Festus, non sento più il mio sedere. Percy aveva ragione sulla storia dei cuscini. Anche le mie braccia hanno perso sensibilità: sono stata attaccata tutto il tempo a Reyna, con la costante paura di cadere da un momento all’altro.
In ogni modo, arriviamo sani e salvi a Santa Fe, in New Mexico, e per un momento mi sembra di essere nel deserto del Sahara per quanto fa caldo. Leo ci fa atterrare in un parcheggio d’auto mezzo vuoto, e io non sono mai stata così felice di scendere e rimettere i piedi a terra.
L’afa si fa sentire prepotentemente, e il sole è alto nel cielo. Non si vedono nuvole e non si sente un minimo di vento, il che rende più difficile respirare decentemente.
Comincio a guardarmi intorno, e quello che salta immediatamente agli occhi sono i vari edifici: a differenza di Denver dove tutte le strutture erano alte, imponenti e moderne, qui invece quasi tutte le case e i negozi sono piccoli, bassi e di un color giallo ocra, come se fossero fatti interamente di argilla.
Non appena Leo scende dal suo drago personale, riprende in mano la guida turistica che aveva letto anche quando eravamo a Denver, e tutti ci lamentiamo; Leo però ci ignora, e comincia a leggere, schiarendosi la voce.
«La capitale Santa Fe ha una vita che si snoda attorno a tutto ciò che è arte. Città di pittori, scultori, fotografi, presenta numerose gallerie, sale espositive e musei. Ha un carattere multiculturale e cosmopolita. È la città più antica degli Stati Uniti, il colore che predomina è il giallo per le vecchie case in argilla, seccate con il torrido sole. Per scoprirla si può partire dalla piazza principale, The Plaza, con un bel giardino e circondata da portici: all’ombra di quelli che danno su Palace avenue, ci sono numerose bancarelle e mercatini che offrono ai turisti magnifici souvenir e ricordi di questa città. E sentite un po’, per i più appassionati, il terzo weekend di agosto si svolge il grande mercato indiano, la più importante fiera d’arte e di artigianato degli Usa.»
«Grazie Leo per la presentazione.» Dico io, sarcastica.
«Non c’è di che.» Risponde lui, facendomi l’occhiolino.
«Da quello che ricordo la seconda pietra dovrebbe essere quella gialla, ovviamente questo mi sembra il posto corretto. Giusto per rendere le cose più difficili.» Fa notare Reyna.
«E quando mai le cose sono state facili?» Le risponde Percy, sorridendole ironico.
Ho come la sensazione che lui ci sia abituato a questo genere di cose, per adesso non si è lamentato ancora di niente, o perso le speranze.
Dopo quello che mi hanno raccontato su di lui, un po’ mi mette soggezione. Percy Jackson ha sconfitto talmente tanti cattivi e conosce talmente tante cose che molto probabilmente questa missione sarà un gioco da ragazzi.
Leo fa in modo che Festus ritorni all’interno della sua valigetta, un po’ come se fosse un pokemon, e si avvicina a noi tutto sorridente.
«Allora, dove volete cercare? Ci sono un sacco di possibilità: chiese, parchi, negozi, ristoranti… In effetti io avrei fame.»
«Ma se hai mangiato tutti i panini che avevate preso!» Protesto io.
«Si però nel frattempo sono passate delle ore, questo bel visino deve essere nutrito dopo un po’.» Fa Leo con nonchalance, e io e Reyna alziamo gli occhi al cielo.
Percy nel frattempo si è allontanato di qualche metro, perlustrando la zona, per poi tornare da noi. «A Denver abbiamo trovato la pietra perché la guida di Leo aveva menzionato il Campidoglio, giusto?»
Noi annuiamo. «Direi di continuare su questa strada. Prima Leo ha parlato di un mercato e di un posto chiamato The Plaza, mi sembra che sia un ottimo luogo per nascondere una pietra.»
«O uccidere un sacco di persone.» Finisce Reyna. «Se sbucasse fuori un altro mostro gigante? A Denver siamo riusciti a non distruggere tutto, ma in un mercato sarebbe molto più difficile, e della gente innocente potrebbe farsi male.»
«Ma in un mercato si è anche più esposti, le persone noterebbero subito la presenza di un possibile drago.» Faccio notare.
«No, non vedrebbero nulla. I mostri sono nascosti dalla Foschia ai mortali, loro non si accorgono di niente.» Mi informa Leo e io capisco perché la gente a Denver non è andata nel panico vedendo il Delfine.
«Quindi?» Chiede Reyna.
Leo alza le spalle, e io guardo Percy, che ricambia l’occhiata.
«In effetti il ragionamento di AcquaMan non è così male. Non abbiamo il tempo di girare tutta la città, e il mercato mi sembra un buon posto da dove partire.» Dico io, guardando Reyna e sperando che non mi uccida da un momento all’altro.
«Faremo di tutto per salvare la gente, se è necessario.» Aggiunge Leo, con un sorriso di incoraggiamento.
«Ah sì? Come hai fatto quando hai attaccato il Campo Giove?»
E il sorriso di Leo scompare immediatamente.
Prima che le cose si possano mettere male, Percy alza le mani in segno di pace. «Ragazzi, è acqua passata. Ora siamo insieme per sconfiggere un nemico comune, e possiamo farlo solo se siamo uniti.»
«Va bene. -Sbotta Reyna- Andiamo al mercato.» E comincia a camminare con passo spedito, e tutti noi la seguiamo in un religioso silenzio.
Io cammino accanto a Leo, che dopo la frecciatina di Reyna sembra essere entrato in uno stato di trance; vorrei tanto non rigirare il coltello nella piaga, ma sono troppo curiosa per non sapere a che cosa si stesse riferendo prima la ragazza.
Aspetto qualche minuto per fare in modo che Percy e Reyna si allontanino abbastanza da poter parlare con il figlio di Efesto con tranquillità. «Leo, che è successo al Campo Giove?»
Lui si blocca per un momento, guardando in basso, ma poi riprende a camminare al mio fianco; prima di rispondermi ci mette un po’.
«Io, Piper, Annabeth e Jason eravamo arrivati al Campo Giove per recuperare Percy, Hazel e Frank e partire per Roma, ma prima di partire sono stato posseduto da degli spiriti, che mi hanno costretto a bombardare con le baliste dell’Argo II il Campo. Reyna è una persona che difficilmente perdona, e anche se le ho detto mille volte che non era mia intenzione, se l’è presa.»
Sto per rispondere, ma Leo mi precede. «A Reyna importano poche cose, e una di quelle è il Campo Giove. È normale che non l’abbia digerita, le ho praticamente distrutto la sua seconda casa, dove si era rifatta una vita. Io non la giudico, è solo protettiva verso ciò che le appartiene, e la capisco.»
Decido di non rispondere, soddisfatta della risposta che ho ottenuto. Mi limito ad annuire e accelero il passo per raggiungere gli altri due.
Dopo un po’ che camminiamo, Percy si ferma non appena arriviamo davanti ad una piazza gremita di persone e di bancarelle. Il brusio in sottofondo della gente riempie l’aria insieme al profumo di pane e pesce fritto.
Leo fa un respiro profondo, assaporando il luogo. Guardandolo bene, sembra proprio uno del posto: capelli scuri e ricci, abbronzato, e con una tuta sporca di olio per macchine. Gli manca solo un cappello messicano e non si distinguerebbe dalla massa.
«Okay, cerchiamo di non perderci di vista. Ricordiamoci che siamo qui per la pietra, e ci sarà sicuramente qualcuno o qualcosa che ci impedirà di prenderla, quindi occhi aperti.» Ci raccomanda Reyna, improvvisamente tornata di buon umore e come se l’idea del mercato l’avesse avuta lei.
«Perché ci deve essere sempre qualcosa che ci complica la vita? Magari questa volta non dobbiamo combattere contro nessuno.»
«Perché altrimenti dove sarebbe il divertimento?» Fa Leo, sorridendo, anche lui tornato di buon umore.
Questi semidei cambiano umore così velocemente che fatico a stargli dietro.
Ci mettiamo in fila indiana e ci immergiamo nella massa. Passiamo numerose bancarelle, dove sono esposte così tanti oggetti random che fatico a riconoscerne alcuni: vedo dei tipici souvenir a forma di cappello messicano, delle anfore in argilla rossa, delle cravatte con delle trame a dir poco orrende, fino ad arrivare a degli orologi in legno artigianali.
Le persone camminano avanti e indietro senza alcuna pietà, non curandosi minimamente degli spintoni che sono costretta a dare per non perdere di vista i miei amici.
L’aria si fa sempre più rarefatta, e il caldo mi opprime. Cerco di mantenere lo sguardo puntato sui capelli ricci di Leo e sulle trecce nere di Reyna, ma una donna mi taglia la strada e mi impedisce di vedere per un momento i miei amici.
Quando la mia visuale ritorna libera, non vedo né la chioma di Leo, né le trecce di Reyna e nemmeno Percy.
Fantastico, sono bloccata in questa marea di gente senza sapere dove andare.
All’improvviso vengo spinta in avanti da un gruppo di signore che mi dicono qualcosa in spagnolo, e io sono costretta ad avanzare. Le bancarelle che guardo non hanno niente a che vedere con pietre e metalli, figurarsi con delle pietre focaie. Per cui decido di uscire per un momento dalla folla e di avvicinarmi al primo bancone che mi capita, cercando di riprendere fiato.
Okay, calma. Sono rimasta completamente da sola in un posto in cui potrebbero accoltellarmi dieci volte e rubarmi anche il fegato, senza che nessuno se ne accorgesse. Grandioso.
Sto per mettere giù un piano d’azione per ritrovare gli altri tre quando una voce roca di un signore mi distrae.
«Senorita, perfettamente con i gioielli starebbe bene la candida pelle sua.»
Mi giro di scatto, attirata da un uomo che parla in modo strano.
«Mi scusi?»
«Voglio dire, una pelle candida come la sua starebbe benissimo con uno di questi gioielli.» Guardo l’uomo che mi ha rivolto la parola: è sulla cinquantina, con delle profonde rughe sul viso; indossa una strana toga viola, il che mi fa pensare che sia un barbone o un venditore ambulante che non fa buoni affari.
Le sue mani accarezzano il tessuto del suo vestito come se fosse la cosa più importante al mondo, ma i suoi occhi azzurri sono fissi sui miei, impedendomi di guardare altrove.
«Parla con me?»
«Ma certo, come potrei non aver notato un tale bancone avvicinarsi con umile bellezza?»
Rimango in silenzio, aspettando che si corregga. «Dannazione. Volevo dire, come potrei non aver notato una tale bellezza avvicinarsi al mio umile bancone?»
Il suo tono viscido e le sue mani sono abbastanza disgustose da farmi allontanare, ma lui continua a parlarmi, e i miei piedi si fermano.
«Scommetto che vieni da molto lontano. Non vorresti un piccolo gioiello da portare a casa come ricordo?»
Uff, questo tipo mi ricorda i venditori ambulanti che ci sono nelle spiagge. Ci manca solo che gridi: “Cocco bello!” e siamo apposto.
Guardo per un momento i gioielli che sono esposti sul bancone e tutto quello che c’è non rientra nei miei gusti in fatto di gioielleria: ci sono un paio di orecchini in metallo a forma di fiore, una decina di collane con una serie di ciondoli a forma di peperoncino e qualche anello con delle pietre di diverso colore.
Sto per andarmene e mettermi a cercare Leo e gli altri, quando torno a guardare gli anelli: ce n’è uno in particolare con una pietra gialla incastonata, una di molto simile a quella rossa che abbiamo recuperato a Denver.
Mi riavvicino al bancone, con un inaspettato interesse, anche troppo sospetto.
«Quanto viene per quell’anello?»
«Oh, quel gioiello un valore speciale ha.» Dice il venditore, sorridendo beffardo.
Tiro fuori dalle mie tasche tutti i soldi che posseggo e glieli sbatto vicino all’anello. «Ecco, sono quaranta dollari e qualche spicciolo, di sicuro puoi comprarti una toga migliore di quella, o qualche lezione di lingua inglese.»
«Purtroppo non saranno i soldi a farle portare via questo anello.»
E che vuole? Un rene?
«Ma è questa vita che l’anello porterà via a lei!» Esclama il tipo, alzandosi in piedi.
«Eh?»
«Si, ehm, volevo dire: è l’anello che le toglierà la vita!» Ripete spiegandosi meglio, con voce roca, ma io continuo a non capire.
«Mi perdoni, ma non vedo come un anello con una bellissima pietra possa uccidermi.»
«Perché alla morte ti ha portata davanti!» Urla lui, togliendosi di dosso la toga viola e scoprendo al di sotto di essa un’armatura dorata, come quelle romane che si vedono nei libri di storia.
Ci metto un po’ per capire di essere davanti ad uno dei tirapiedi di Tarquinio, e anche se il mio istinto sarebbe quello di scappare, non posso farlo senza la pietra gialla.
«Senti, non c’è bisogno di scaldarsi tanto…» Ma prima che io possa finire la frase lui tira fuori una spada da sotto il bancone.
«Come non detto.» Sussurro, e con uno scatto fulmineo riesco ad afferrare l’anello con la pietra focaia e correre dalla parte opposta da dove sono arrivata.
«Carope io sono, il re della Tracia! -Grida lui- E a Tarquinio il Superbo tu non scamperai!»
Ma che simpatico.
Le mie gambe si muovono il più in fretta possibile, ma la quantità di gente che si trova in mezzo alle vie di uscita non mi sono di aiuto.
Cerco il più possibile di farmi spazio tra le persone, dando una serie di gomitate e spintoni, ma la voce di Carope si fa sempre più vicina.
«Scapparmi tu non puoi! Centurioni, inseguitela!» Grida lui, e quando chiama i suoi amici penso di essere spacciata.
Dopo essermi intrufolata sotto un paio di bancarelle e aver percorso un’altra decina di mercatini ambulanti, mi ritrovo in una piccola piazzola contornata da una serie di alberi, dove ci sono meno persone. Non vedendo nessuno dietro di me decido di concedermi qualche secondo di respiro, ma quando sento la voce di Carope proprio dietro le mie spalle e una serie di tintinnii di spade in sottofondo mi maledico di essermi fermata.
Mi giro di scatto, e dopo aver messo l’anello con la pietra nella tasca dei miei pantaloni, alzo le mani in aria per proteggermi. Ora come ora posso solo affidarmi ai miei poteri, e questo non mi rincuora affatto.
A pochi metri da me vedo l’uomo che prima cercava di vendermi dei gioielli orrendi vestito come un vero soldato romano, con una serie di distintivi attaccati ai pettorali di metallo, e dietro di lui…la polizia?
«Oh, non fare tanto caso ai poliziotti. Una maschera soltanto è. È giusto per non dare nell’occhio, in questi tempi le armature d’oro gradite non sono.»
«Non riuscirai mai a prendermi. Dì al tuo amico Tarquinio che noi riusciremo a rovinargli il suo piano da psicopatico. -Faccio una pausa- O almeno questo è quello che dicono tutti i buoni nei film.»
Dove diamine sono Leo e gli altri?
Carope si mette a ridere, appoggiando una mano sul suo torace scolpito. Pur avendo la sua età, i muscoli non mancano. «Non devi preoccuparti di Tarquinio, lui ha tutto pronto. Solo tu manchi per completare il suo piano.»
Che cosa?
«Ma prima un po’ di male ti faremo!» Grida lui, e improvvisamente tutti i poliziotti-soldati dietro di lui corrono verso di me, brandendo le loro spade in aria.
Le persone intorno rimangono a guardare quello che molto probabilmente è una scena piuttosto surreale: una quindicina di poliziotti che corrono come dei forsennati verso una ragazza completamente indifesa.
Prima di evocare i miei poteri di Apollo decido di mettere in atto quelli di Atena, e in meno di due secondi riesco a mettere k.o. due poliziotti solo colpendoli con una di quelle anfore che avevo visto prima.
Ma spostare con la mente delle anfore di argilla non mi aiuterà ad uscire viva da questa situazione, quindi decido di essere abbastanza incazzata per evocare la luce, e sorprendentemente questa si concentra nella mia mano in pochi secondi.
Indirizzo i miei poteri ai poliziotti più vicini, scaraventandoli in aria; senza perdere altro tempo riesco a disintegrare una spada di un altro centurione e a fare fuori un altro poliziotto alla mia destra; la mia fronte è imperlata di sudore, ma cerco di resistere. Nei minuti successivi riesco a cavarmela piuttosto bene, ma senza che io me ne accorga due poliziotti si sono avvicinati a me da dietro, e con le loro spade mi feriscono alla gamba e al fianco destro.
Io grido di dolore, accasciandomi a terra e tenendomi con le mani la ferita al fianco, quella più profonda.
«Chiara!» Sento gridare Leo, e penso di mettermi a piangere dal sollievo.
All’improvviso sento un paio di mani calde prendermi il viso, e scuotermelo leggermente per farmi rimanere sveglia.
In sottofondo riesco a sentire le urla di rabbia di Reyna e la spada di Percy scontrarsi con quelle del piccolo esercito di Carope, e non posso fare a meno di sorridere.
«Chiara, devi promettermi di rimanere sveglia. Okay?» Mi sussurra Leo, tenendomi con un braccio vicino a lui e con l’altro lanciando palle di fuoco verso sinistra.
«Non sono sicura di riuscirci.» Balbetto io, cercando di non chiudere gli occhi. Se lo faccio sono sicura che sarà dura riaprirli.
«Dimmi qualcosa, qualsiasi cosa. -Continua a dirmi con una certa ansia, e poi si rivolge a Reyna e Percy- Ragazzi, sta svenendo!»
«Dobbiamo portarla via di qui!» Grida a sua volta Reyna, e poi Percy le dice qualcosa riguardo ad un tombino, ma io non capisco.
«Sono felice che sia venuto tu a prendermi in Italia.» Confesso, presa da un momento di disperazione.
Cerco di spostarmi su un lato per avvinarmi ancora di più a Leo, ma la ferita al fianco mi brucia come se mi stessero marchiando con un ferro bollente, e quando alzo le mani le vedo ricoperte di sangue.
«Anche io sono felice di essere venuto, la pasta al pesto di tua madre era eccezionale.»
Riesco a sorridere di rimando, ma le mie forze si stanno esaurendo più velocemente del previsto.
E poi il buio.
 
Quando riapro gli occhi la ferita al fianco e quella alla gamba continuano a farmi un male cane e a bruciarmi, ma mi rendo conto di non essere più in mezzo ad un mercatino dell’usato, ma sono in una specie di garage, appoggiata su un materassino che puzza di pipì.
«Chiara, sei viva. Ti abbiamo portata via da Carope, starai bene.» Mi dice con tono gentile Reyna, e poi nella mia visuale compare anche Leo.
«Percy?» Chiedo, tossendo e gemendo contemporaneamente.
«È riuscito ad inondare tutta la piazza, eliminando il tirapiedi di Tarquinio e i suoi scagnozzi travestiti da poliziotti.» Mi spiega Leo, prendendo qualcosa dal suo zaino, con fare nervoso.
«Dove siamo?»
«In un posto sicuro, stai tranquilla.» Mi dice Reyna, fasciandomi la gamba per fermare il sangue.
«Morirò, non è vero?»
«No, tu non…Oh miei dei.» Dice Reyna, e la sua espressione non mi piace per niente. Senza dire nulla lei dà una piccola gomitata a Leo, per fargli vedere la mia ferita.
Lui impallidisce improvvisamente, il che non è un buon segno.
«Cosa c’è?»
«Quelle spade erano avvelenate. -Mi spiega Reyna, deglutendo rumorosamente- E ora il veleno sta raggiungendo tutto il tuo corpo.»
Lei mi aiuta ad alzare leggermente il mio braccio sinistro per farmi vedere come il veleno ha raggiunto le mie vene, arrivando fino alle dita della mano.
Tossisco leggermente, tenendomi il fianco sanguinante. «Mi dispiace di essere durata così poco, ho fallito quasi subito.»
Leo mi zittisce immediatamente, accarezzandomi una guancia. «Non lo devi neanche pensare. Tu ce la farai, e insieme sconfiggeremo Tarquinio.» Poi recupera dal suo zaino una specie di barretta, e la scarta in fretta e furia, per poi porgermela.
«È ambrosia, mangiala. Ti aiuterà a stare meglio.»
Senza perdere altro tempo comincio a mangiare e quando finisco la barretta appoggio la testa sopra il materasso, respirando affannosamente.
Lentamente sento le mie palpebre chiudersi, ma prima che io possa svenire di nuovo riesco a sentire le ultime parole dei miei due amici di fianco.
«Riuscirà a cavarsela?» Chiede Leo.
«Non lo so.» Risponde Reyna, e dopo questo, il nulla.
 
 
 
 
 
 
 
 
…….
Salve a tutti!
Vi prego non odiatemi ahahaha
Amo questo capitolo, penso sia uno dei miei preferiti. Partiamo intanto da Carope (vero re della Tracia, lo dice Wikipedia) che non riesce a mettere giù una frase decente. Nella mia testa me lo immagino con un accento sardo, ma ho deciso di lasciare a voi l’interpretazione migliore nella lettura. Lui era la seconda difficoltà per prendere la seconda pietra, ma Chiara ci sta rimettendo la pelle 😊
Sopravvivrà? Morirà? Il veleno ha qualcosa di strano che le farà perdere i poteri o la memoria? 😊
(E’ uno spoiler? Non è uno spoiler? L’ho scritto solo per confondervi e odiarmi di più?)
In ogni caso Chiara s’è fatta male, e Leo È IPERPREOCCUPATOOOOOO
Io un pochino li shippo, non so voi.
Poi voluto mettere anche un piccolo riferimento per quanto riguarda Leo/Reyna, sentivo di farlo. Alla fine non è successo nulla di che, ma per rendere più credibile Reyna, dovevo tirar fuori questa storia in qualche modo.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, se vi va lasciatemi un piccolo commento per vedere se anche voi shippati quello che shippo anche io. #disagio
BENE LA SMETTO GIURO.
Mi trovate su
Twitter- @glaukopsis
Un bacio, Claire

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 14 ***


 
(non ho trovato una gif decente, sorry)
14






Quando riapro gli occhi sono parecchio confusa. I ricordi degli ultimi avvenimenti si ripetono nella mia mente in modo casuale, come se fossero dei pezzi di un puzzle, ma io non ho le forze per rimetterli insieme.
Sopra di me vedo un soffitto decorato con una serie di cappelli messicani appesi con dei fili bianchi, e quando provo a muovere la testa noto una serie di bambole appoggiate su alcuni mobili, e la cosa mi mette i brividi.
L’aria nella stanza è pesante, come se non avessero aperto le finestre da una settimana.
«Ragazzi! Si è svegliata!» Esclama Leo.
Non mi ero accorta che lui fosse vicino a me, ma quando vedo il suo volto mi sento meglio.
«Ehi, Leo. Cosa è successo?» Quando provo ad alzarmi un dolore lancinante al fianco mi costringe a rimettermi sdraiata.
«Un tirapiedi di Tarquinio ti ha colpita con una spada avvelenata, stavi per morire ma siamo riusciti a salvarti.»
«Come sei delicato, Leo.» Interviene questa volta Reyna, comparendo nel mio campo visivo.
«Siamo riusciti grazie a Julia ad eliminare del tutto il veleno dal tuo corpo, e ora la ferita sta guarendo, ma servirà del tempo.»
Abbasso lo sguardo per controllare le mie ferite e noto che queste sono state fasciate con cura con delle bende pulite. I miei vestiti non ci sono più, e al posto loro indosso un paio di jeans sgualciti e una maglietta rossa con un peperoncino stampato sopra; anche il sangue è scomparso e le mie mani sono state ripulite.
«Quanto tempo ho dormito?»
«Un giorno e mezzo, purtroppo.» Mi risponde Leo.
«Quindi abbiamo solo quattro giorni per recuperare le pietre e sconfiggere Tarquinio?»
Questa volta cerco di mettermi seduta, anche se il mio fianco continua a farmi male.
«Ecco…questa era la parte che avremmo voluto risparmiarti per non darti altro di cui preoccuparti, ma alla fine ci sei arrivata da sola. Quindi sì, abbiamo solo quattro giorni per riuscire a fare tutto, e ci mancano ancora tre pietre.» Dice Reyna.
«Se la pietra era al mercato, di sicuro con l’inondazione di Percy sarà molto più difficile trovarla.» Continua Leo, guardando una serie di bambole messicane appoggiate su un comodino vicino.
Parlando della pietra focaia, mi viene in mente una cosa. Mi tocco la tasca posteriore per controllare se è ancora lì, e quando sento una sporgenza sorrido, sollevata.
Senza dire niente tiro fuori la pietta dalla mia tasca e la porgo a Leo.
Loro mi guardano stupefatti. «Come hai fatto?»
«Fortunatamente Carope, oltre a parlare male, è anche un idiota. Sono riuscita a prenderla un attimo prima che scappassi, e poi potete immaginare quello che è successo.»
Reyna emette un sospiro di sollievo. «Grazie agli dei, ora abbiamo solo due pietre da trovare ancora.»
Mi rendo conto di essere seduta su un divanetto arancione sporco di peli di gatto, e quando provo a spostare le mie gambe faccio cadere una serie di scatoloni vuoti con una scritta sopra: “Amazon Prime”.
La proprietaria deve essere una cliente affezionata, dato che metà della stanza è occupata da questi scatoloni.
Comincio a guardarmi intorno con una maggiore consapevolezza, e chiedo dove siamo. Reyna mi spiega che siamo a casa di una certa amazzone chiamata Julia, ma con questo non chiarisce i miei dubbi.
«Mia sorella, Hylla, è un’amazzone, e come lei ce ne sono molte sparse per tutti gli Stati Uniti. Sapevo che a Santa Fe ce ne fossero alcune, e quando ti hanno ferita non ho pensato un secondo di più a portarti qui. Questo è un luogo sicuro, devi stare tranquilla.»
Dopo la sua spiegazione comincio a collegare tutto: Amazon e amazzone. No, non ci credo…
«Aspettate, Amazon è gestito da queste amazzoni?»
«Già, nome originale, vero?» Fa Leo, ma io lo guardo sbalordita, come se mi avessero aperto le porte di un altro mondo.
Dopo un altro po’ seduta sul divano del salotto di Julia, decido che è ora di alzarmi e conoscerla.
Leo mi aiuta a mettermi in piedi, e avvolge un braccio intorno alla mia vita, per reggermi nel camminare; la mia gamba è di certo messa molto meglio della ferita al fianco, ma non abbastanza da farmi camminare bene. Io non riesco a fare a meno di arrossire dopo il suo gesto.
Così usciamo dal salotto ed entriamo in cucina, scoprendo Percy che sta preparando la tavola per la cena.
«Oh bene, ti sei svegliata. Come stai?» Chiede lui, appoggiando dei piatti rossi sulla tavola.
«Sono stata meglio.»
«Hai idea di chi sia il tipo che ti ha fatto questo?» Continua lui.
«Beh, tu come lo chiameresti un antico re che lavora per il cattivo di turno che con un esercito vuole solo ucciderti?»
Percy ci pensa un po’, e poi con tutta la nonchalance mi risponde con un: «Un semplice martedì?»
Leo e Reyna sorridono, e prima che io possa dire altro una donna con dei capelli grigi legati in una coda lunga e una tuta verde in flanella entra nella stanza. È alta e slanciata, con un paio di gambe mozzafiato. Io in confronto sembro un frigorifero.
«Oh bene, la ragazza si è svegliata giusto in tempo per la cena!» Esclama lei.
«Chiara, lei è Julia, una vecchia amica. Ci ha aiutato a nasconderci da Carope e ti ha aiutata a guarire, senza di lei ora non saresti qui.» Dice Reyna con un tono calmo e rassicurante.
Mi avvicino alla signora e provo a darle la mano, ma lei ignora il mio gesto e mi abbraccia direttamente, stringendomi come se fossi la sua nipote preferita.
«Oh, non ringraziarmi. È da molto che non vedo semidei da queste parti, e quando Reyna è comparsa davanti alla mia porta… Ah, è stato un piacere aiutarvi.»
Le sue parole mi scaldano il cuore e un po’ mi ricordano la sicurezza e la comodità di casa mia. Solo a pensarci mi vengono le lacrime.
«Ragazzi non so voi ma io ho una fame da lupi.» Esclama Leo e si mette a tavola in men che non si dica.
«Non abbiamo ancora due pietre da trovare e sconfiggere un re entro quattro giorni?» Chiedo.
«Si, ma io ho fame.» Mi risponde Leo, con nonchalance.
Seguiamo il ragazzo e ci sediamo anche noi, e subito dopo Julia ci porta una serie di piatti messicani che io non avevo né mangiato né visto in vita mia.
Leo mi spiega le varie pietanze, e tra nachos, quesadillas, chili e burrito capisco che qui il peperoncino viene usato come se fosse sale.
Non appena sento il profumo del cibo il mio stomaco fa le capriole, e mi rendo conto di morire di fame, per cui non faccio caso alla quantità di peperoncino che sto per ingurgitare e mi riempio il piatto.
«Allora, chi è stato a ridurti così, tesoro?» Mi chiede Julia mentre sono intenta ad azzannare un panino.
«Ha detto di chiamarsi Carope, re della Tracia…O era della Tessaglia? Insomma, quelle zone lì. Ha parlato di lavorare per Tarquinio ed evidentemente non le stavo simpatica.» Spiego io, facendo notare alla fine le mie ferite.
Julia rimane in silenzio per un po’. «Parli di Tarquinio il Superbo? L’ultimo re di Roma?»
«Proprio lui, a quanto pare se lo ricordano tutti.» Interviene Leo.
«Oh, è già tanto se ricordo solo lui. Gli altri, a parte Romolo, mi sono sempre sfuggiti. Comunque, c’è un motivo per cui si conosce tanto. Lui è il più malvagio di tutti.»
«Come fa a saperlo?» Chiede Percy, inzuppando un nacho nella salsa.
«Noi amazzoni sappiamo molte cose. -Dice Julia, guardando per un momento Reyna- Noi viaggiamo molto per le varie consegne, e con noi anche le notizie. Le voci su di lui sono nate pochi mesi fa, e ce ne sono di parecchio preoccupanti, ma non bisogna prenderle tutte per vere.»
«Del tipo? Cosa si dice di questo temibile Tarquinio?» Chiede il ricciolino di fianco a me.
«Si dice che possa controllare le menti delle persone non appena sono al suo cospetto. Riesce a fargli fare quello che vuole, anche uccidere sé stessi.»
«O convincere una dea a spegnere direttamente il suo fuoco senza alcuna esitazione.» Sussurra Reyna, ma la sua voce si è fatta comunque sentire.
«Ah! Brucia!» Esclama Percy, alzandosi dal tavolo.
«Certo che brucia, è la natura del fuoco.» Spiega Leo con tranquillità.
«No! La mia lingua!» Nel frattempo Percy è diventato completamente rosso in volto e sta percorrendo tutta la sala da pranzo sventolando le mani davanti alla faccia.
La scena è abbastanza divertente e io e Reyna cominciamo a ridere.
Vedendo Percy correre avanti e indietro, mi avvicino leggermente a Leo. «Ma se è un figlio di Poseidone non può semplicemente…che so, eliminare il bruciore?»
«Ci sono peperoncini che neanche i figli del re del mare riescono a domare.»
E io rido, tenendomi la ferita al fianco per evitare che si riapra.
Julia si alza dal tavolo come se avesse visto questa scena milioni di volte, e poi porta un bicchiere di latte al ragazzo, che lo beve velocemente e ritorna di un colorito normale.
«Scusate, colpa del chili. Dicevamo?»
«Che Tarquinio è un tipo pericoloso, e al suo fianco ci sono una serie di re del Mediterraneo, tutti più o meno terribili. -Dice Julia- E Carope era uno dei meno tremendi.»
«Che vuoi dire?» Le chiedo, riempiendomi la bocca con un nacho.
«Non ne siamo pienamente certe, ma è molto probabile che Tarquinio sia riuscito a creare il proprio esercito grazie all’appoggio di re minori, come appunto Carope. Ce ne sono molti nel corso della storia che sono stati uccisi o spodestati per il loro brutto caratteraccio, e questo ha fatto in modo che provassero ancora più odio nei confronti di Roma o di chi li ha eliminati. Tarquinio è stato intelligente: ha capito il loro punto debole e ci ha giocato a suo favore, per averli tutti dalla sua parte.»
«In pratica il suo esercito è un insieme di tanti piccole truppe di re dimenticati?» Chiede Reyna.
«Esattamente.»
«Oh, più andiamo avanti e più le cose si mettono bene, non vi pare anche a voi?» Fa notare Percy, con un pizzico di ironia.
All’improvviso mi tornano in mente le parole che Carope mi aveva detto prima di attaccarmi: “Non devi preoccuparti di Tarquinio, lui ha tutto pronto. Solo tu manchi per completare il suo piano.”
«Chiara, tutto bene?» La mano di Leo mi scuote delicatamente il braccio, e io ritorno alla realtà, annuendogli.
«Stavo solo pensando a Carope e a quello che mi ha detto poco prima che mi attaccasse. “Manchi solo tu per completare il piano”, cosa vorrà significare?»
Tutti rimangono in silenzio per un po’.
«Poco tempo rimane alla luce, prima che il fuoco trasformi il re in duce.» Ripete Reyna a memoria. «La profezia non dice che tu potrai realizzare il piano di Tarquinio, ma solo fermarlo. È il fuoco di Estia che determinerà tutto, e il nostro compito è quello impedire che vada nelle mani sbagliate, non è vero?»
«La profezia dice solo fuoco, magari sta parlando in generale.» Continua Percy.
«Amico, trovami una profezia che non stia parlando in generale.» Dice Leo.
«Percy ha ragione, parla solo di fuoco.» Esclama Reyna e tutti fissiamo Leo.
«No, un’altra volta no…» Sussurra lui, e nella sua voce c’è un pizzico di disperazione.
«Quindi Leo potrebbe aiutare Tarquinio a completare il suo piano e io sarei quella che dovrei fermarli? Non vi sembra un po’ complicata come cosa?»
Ed è ora che Julia torna a far parte della conversazione. «Si, lo è. E potrebbe essere una delle tante interpretazioni della profezia che vi è stata rivelata. Tarquinio potrebbe convincere chiunque a rubare il fuoco di Estia e a portarglielo, solo con la forza della sua voce. È sicuramente una trappola, e Carope ve ne ha dato la prova.»
Improvvisamente tutti noi rimaniamo in silenzio, non sapendo bene cosa dire, presi da una sensazione di sconforto così forte da poter essere percepita nell’aria; poi Percy sembra voler rompere il ghiaccio.
«Per esperienza posso dire che anche se si tratta di una trappola, dobbiamo caderci dentro in ogni caso, senza prendere vie alternative. Troveremo un modo per impedire a Tarquinio di usare Leo o Chiara per le sue follie di dominio, e lo sconfiggeremo. Siamo sempre riusciti a sconfiggere chiunque minacciasse i nostri due Campi, i nostri amici e le nostre vite, non ho intenzione di smettere proprio in questa missione. -Fa una pausa- Siamo tra i quattro semidei più potenti che ci sono, non possiamo fallire. Insomma…Leo, Reyna, abbiamo sconfitto Gea! Non ci voglio credere che un re tornato in vita possa crearci più problemi di Gea. Noi ce la possiamo fare.»
Le parole di Percy mi fanno capire perché sia tanto amato al Campo Mezzosangue; nonostante la mia ferita ancora sanguinante e il costante senso di instabilità che provo, lui è riuscito ad iniettarmi una buona dose di fiducia e speranza.
Così decidiamo di cambiare discorso, almeno per l’ultima parte della cena.
Dopo aver finito tutto il cibo disponibile presente sulla tavola, Julia ci offre il gelato e noi siamo al settimo cielo. Ci voleva proprio un gelato per migliorare l’umore a tutti quanti.
Non appena finito di mangiare, Reyna ci dice che è ora di andare e io vorrei tanto fare i capricci e rimanere qui per sempre.
Mentre la mia gamba sembra essere migliorata abbastanza, il taglio sul mio fianco non vuole sistemarsi e la cosa mi preoccupa parecchio. Dopo quello che abbiamo detto su Tarquinio a tavola, come posso credere di sconfiggerlo se sono mezza sanguinante?
«Okay ragazzi, la prossima tappa?» Chiede Leo.
«Phoenix, Arizona. Lì dovrebbe esserci la pietra viola.» Dice Reyna, mettendosi in spalla il suo zaino.
Mi chiedo come abbia fatto a non perderlo dopo tutto quello che abbiamo passato.
«Vado ad attivare Festus allora.»
«No, fermo. Chiara non reggerebbe un altro viaggio del genere. Dobbiamo scegliere un altro mezzo.»
Io faccio finta di niente, ma non appena i tre si voltano alzo le mani in aria, esultando silenziosamente per non dover salire ancora sull’ammasso di ferro di Leo.
«Per arrivare fino in Arizona ci penso io. -Esclama Julia, finendo di pulire i piatti- C’è un’auto parcheggiata qui fuori, potete prenderla. In poche ore dovreste essere a Phoenix.»
Percy sembra essere al settimo cielo. «Davvero? Non ti importa se nel tragitto possiamo incontrare un mostro e distruggere la tua macchina?»
«E chi ha detto che è mia e non del mio vicino odioso che mi rovina le piante del giardino?»
Io la guardo scioccata, ma poi scoppio a ridere.
In pochi minuti usciamo da casa di Julia, e grazie a Leo riusciamo a bloccare l’allarme dell’auto e a salirci senza problemi. Reyna e Percy si mettono nei posti davanti, mentre io e Leo ci accontentiamo di quelli posteriori, contenti del fatto che troviamo anche un paio di cuscini per poter dormire.
«Julia, a nome del Campo Mezzosangue e del Camp Giove ti siamo grati del tuo aiuto; per qualsiasi cosa sai a chi rivolgerti. Non ci dimenticheremo il tuo aiuto.»
«Neanche il suo peperoncino, se è per questo…» Sussurra Percy, e Reyna gli dà una leggera gomitata sullo stomaco.
L’amazzone ci saluta a sua volta, riempiendoci di snack al peperoncino per il viaggio, e poi rientra in fretta in casa.
«Da quando sai guidare, Percy?» Chiede Reyna, allacciandosi le cinture di sicurezza.
«Dopo aver sconfitto Gea mi sono concesso qualche mese da ragazzo normale, e questo comprendeva anche prendere la patente.» Risponde lui, fiero di questo traguardo, per poi premere sull’acceleratore e prendere la prima entrata per l’autostrada.
Il viaggio inizialmente sembra tranquillo: Reyna e Leo si sono addormentati quasi subito, mentre Percy cerca di rimanere il più sveglio possibile ascoltando con le cuffiette della musica.
Guardo per un momento il corpo di Leo accasciato sul finestrino di fianco, ed inevitabilmente ripenso a come sia stato premuroso non appena mi ha visto per terra in quel mercato a Santa Fe, a come le sue mani erano calde e a come mi ha stretta a lui per proteggermi dall’esercito di Carope.
Non riesco ad evitare di arrossire, e ringrazio il cielo di essere in una macchina completamente buia, così nessuno può vedermi.
Ad un tratto però mi impongo di scacciare via questi pensieri; so che Leo è innamorato di Calipso, e io non devo farmi strane idee…O per lo meno non pensarci.
Così decido di mettermi a dormire, e anche se ho riposato per un giorno intero, le mie palpebre si chiudono pesantemente senza fatica, e mi addormento subito.
 
Quando riapro gli occhi vedo che Percy non è più alla guida, ma al suo posto c’è Reyna che fischietta, come se stesse andando a fare una gita con gli amici.
Di fianco a me c’è Leo, anche lui sveglio, che sta cercando di sistemare un certo aggeggio di metallo, di cui non riesco a comprenderne l’utilizzo. Percy invece è al posto del passeggero, che russa rumorosamente.
«Buongiorno! -Esclama Leo- Siamo quasi arrivati a Phoenix.»
«Di già?»
«Hai dormito otto ore, e non ti sei mai svegliata, nemmeno quando mi sono imbattuta in un gruppo di blemmi in autostrada.» Dice Reyna, uscendo dalla strada e prendendone una provinciale, diretta verso la capitale.
Vorrei fare delle domande per chiedere i dettagli, ma evito.
«Avete un’idea di dove andare a cercare la pietra?»
Non appena Reyna fa questa domanda, Leo mi fissa, sperando in una mia risposta.
«Ah, no. Non guardare me, siete voi i padroni di casa. Io a malapena sapevo dell’esistenza di questa città.»
Così aspettiamo di arrivare definitivamente a Phoenix, ma quando percorriamo le varie strade cercando un parcheggio, ritorniamo a farci la stessa domanda.
Leo afferra il suo marsupio giallo e con un sorrisetto tira fuori la stessa guida turistica che ha usato quando eravamo a Denver e a Santa Fe.
Dopo essersi schiarito la voce, comincia a leggere con tono serio. «Phoenix, capitale dell’Arizona, è la
città più popolosa dello Stato e la sesta città più popolosa della nazione, nonché l'unica capitale statale con una popolazione di oltre un milione di abitanti. Gli abitanti di Phoenix vengono chiamati Phoenician. Phoenix è nota anche per la sua area metropolitana, chiamata Valle del Sole. Questa…»
Io e Reyna ci accasciamo sul sedile, lamentandoci con uno sbuffo sonoro, il che fa svegliare Percy di colpo. «Si! Ci sono, sono sveglissimo! Chi devo uccidere?»
«La guida turistica qui dietro.» Dico io, facendo ridere Reyna.
 

 
 
………..
Salve a tutti!
E chi non vorrebbe un Leo Valdez che vi fa da guida turistica?
Allora, nello scorso capitolo vi ho un po’ trollato. Alla fine Chiara è viva e non le è successo niente di particolare, ho pensato che se avesse perso i poteri o cose del genere avrebbe solo creato più confusione. Quindi terrò questa idea per una futura storia…
Ritornando al capitolo, non ho molto da dire. È essenzialmente un capitolo di passaggio, ma ho voluto renderlo più particolare mettendo anche Julia, un’amazzone. Il loro legame con Amazon mi ha fatto ridere un sacco quando l’ho letta nel libro di Rick, e non ho resistito ad inserirla anche qui.
Fatemi sapere se vi è piaciuto, così sono anche più motivata a scrivere 😊
Potete trovarmi su
Twitter- @glaukopsis
Un bacio, Claire
 
 
Ps: so che questa ff non è ancora finita, ma ho in mente due finali: uno che chiude tutto, mentre l’altro che presuppone una seconda storia + nuovo personaggio. Ditemi voi cosa preferite, in base alle vostre risposte deciderò cosa fare. Più pareri ho meglio è, così riesco a capire come gestire al meglio la fine di questa storia.
Mi dileguo, sciau.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 15 ***


 

(tranquilli, non ho sbagliato saga)
15





Non sapendo bene dove andare, decidiamo di fermarci in un parcheggio qualsiasi e di pensare a dove possa trovarsi la terza pietra. Quando Reyna spegne la macchina si accascia sul sedile, e si prende il volto con le mani, con fare stanco.
Prima che io possa dire qualcosa, Leo mi precede, puntando qualcosa fuori dal finestrino. «Ragazzi, vedete anche voi quello che vedo io?» Davanti a noi campeggia un enorme cartellone pubblicitario, che pubblicizza un famoso museo di arte contemporanea chiamato Phoenix Art Meuseum. Strizzo leggermente gli occhi per vedere meglio la scritta, e all’improvviso vedo che il puntino della “i” della parola Phoenix non è un punto, ma una pietra che assomiglia molto a quelle che abbiamo recuperato fino ad ora.
«Dite che sia in quel museo?» Chiedo.
«Abbiamo idee migliori?» Ribatte Percy, e io rimango in silenzio.
«Allora è deciso, si va al museo.» Esclama Reyna, e riaccende la macchina, per poi sfrecciare in mezzo al traffico della città.
Durante il tragitto mi concedo qualche minuto per non ascoltare le assurde spiegazioni di Leo sul nuovo aggeggio che sta costruendo e di concentrarmi su quello che c’è fuori dal finestrino. La città mi sembra molto simile a Denver, se non fosse per le montagne sullo sfondo e per il caldo.
Oltrepassiamo enormi grattaceli ed edifici moderni, sedi di numerose banche e multinazionali, per poi arrivare in uno stabile fatto interamente di pietra grigia e vetro, collocato in una via secondaria. Il museo è grande quanto un campo da calcio, le vetrate sono perfettamente pulite e mostrano quello che si trova all’interno. Intorno vediamo una fontana che abbellisce la struttura e un giardino curato fino al minimo dettaglio.
Più mi avvicino e più penso che un posto così sia più adeguato per un paio di multimilionari che per quattro ragazzi vestiti con dei vecchi vestiti di una amazzone, e uno zaino in spalla.
Leo fischia per un secondo, facendo notare la bellezza del museo.
«Siamo sicuri che questo sia un museo e non la casa di Mark Zuckemberg?» Chiedo, non appena scendo dall’auto.
Faccio un piccolo salto dalla macchina per toccare terra con i piedi, ma questo mi provoca una dolorosa fitta al fianco, ma non dico nulla.
«Annabeth mi aveva parlato di un posto come questo. È stato progettato da uno dei migliori architetti del Paese e poi…» Si ferma Percy.
«E poi?»
«E poi non l’ho più ascoltata.»
Reyna si avvicina alla porta di ingresso e l’apre senza problemi. «Muoviamoci, per ora non vedo nessuno che ci possa creare problemi.»
«O che ci chiede il biglietto.» Aggiungo io.
Anche se l’orario per le visite in un museo è abbastanza inusuale, trovo comunque strano che non ci sia nessuno ad accoglierci, nel bene o nel male.
Appena entrati vediamo un enorme salone bianco, riempito solamente da una scrivania in mogano sulla destra con un computer e una tastiera, una serie di sedie vicino e un tappeto azzurro che segna il percorso da fare per arrivare nelle sale dove si trovano i quadri.
Questo posto urla ricchezza da tutti i muri, e fino ad adesso della pietra focaia nessuna traccia.
Decidiamo insieme di percorrere il tappetto e di inoltrarci nella prima stanza, dove si trova un quadro completamente nero con uno strappo al centro, insieme ad una piccola didascalia di fianco. Poco più in là, ci sono due uscite, una più a destra e una più a sinistra, tutte illuminate da delle luci soffuse incastrate nel soffitto.
«La pietra potrebbe essere dovunque, dobbiamo dividerci. -Annuncia Percy- Io e Reyna andiamo a destra, mentre Chiara e Leo andranno a sinistra. Ci ritroviamo qui tra mezz’ora, e se non abbiamo trovato niente cambiamo piano.» Noi tre annuiamo, sollevati dal fatto che per una volta è bello seguire degli ordini senza sprecare tante energie.
Io e Leo quindi non aspettiamo oltre e percorriamo il corridoio di sinistra, accompagnati solamente dal rumore dei nostri passi.
«Non ti sembra strano che finora non abbiamo incontrato nessuno?» Chiedo a bassa voce.
«Si, ma ho come la sensazione che questo sia il posto giusto.»
«Riesci a percepire la pietra?»
«Si, la sento vicina, per questo sono sicuro che sia qui.»
Improvvisamente un tonfo assordante rimbomba per tutto il museo, come se delle pentole e dei piatti in ceramica fossero caduti a terra. Io e Leo ci mettiamo subito in allerta, fermandoci di colpo.
«Colpa mia! Non avevo visto questo… Reyna, che diamine è questa cosa?» La voce di Percy proviene dal corridoio adiacente al nostro, e noi abbassiamo la guardia, tirando un piccolo sospiro di sollievo.
«Incredibile, Percy Jackson avrà salvato il mondo una decina di volte e ha sconfitto gran parte dei mostri della mitologia ma riesce ancora ad essere impacciato come un bambino di cinque anni.» Sussurro io, facendo sogghignare Leo.
«Ragazza, sei con noi da poco tempo ma hai già capito tutto.» Dice lui, facendomi l’occhiolino.
Io abbasso lo sguardo per evitare di arrossire davanti a lui, e aspetto che si rimetta a camminare prima di darmi un piccolo schiaffo sulla guancia, imponendomi di pensare ad altro.
Così percorriamo una serie di corridoi e stanze colme di numerose opere d’arte e sculture bizzarre, cercando in qualsiasi posto strategico adatto per nascondere una pietra focaia, ma non troviamo nulla. Arriviamo infine al terzo piano, dove si trova una statua in bronzo di un uccello che definirei maestoso.
Le ali sono aperte e mostrano le piume dorate scolpite meticolosamente una vicino all’altra, il corpo è pieno e ricoperto di pelliccia, le zampe sono ben ancorate sul piedistallo e il muso sembra quello di cigno.
«È una fenice.» Fa Leo.
«Come lo sai?»
«C’è scritto qui.» Ah.
Passano alcuni istanti di completo silenzio, nei quali io e Leo giriamo attorno all’animale scolpito, cercando qualcosa che possa ricordare la pietra, ma non vediamo niente.
«Ma certo. -Rompe il silenzio Leo.- Una fenice. Phoenix vuol dire proprio fenice.»
Sto per rispondere, ma qualcosa me lo impedisce.
La statua di bronzo dell’animale spiega improvvisamente le ali, prendendo vita da un momento all’altro.
Io e Leo indietreggiamo velocemente, cercando di non essere colpiti.
La fenice scuote prima le ali e poi il corpo, alzando le due zampe e poi muovendo il collo, come per sgranchirsi dopo anni di immobilità.
Muovendosi, vedo all’improvviso una pietra viola brillare leggermente sotto la sua zampa, e io sorrido.
Leo accende immediatamente una fiamma sulla sua mano e sta per attaccare l’animale, ma io lo fermo prima che possa fare un disastro.
«Aspetta! Le fenici non dovrebbero essere cattive. In Harry Potter non lo sono.»
«Chiara, hai sbagliato saga.» Esclama Leo, ma prima di colpirla con il suo fuoco, Reyna e Percy entrano nella stanza, seguiti da un uomo alto come minimo due metri, con indosso un paio di pantaloni neri eleganti e una camicia bianca.
«Ehi ragazzi! Abbiamo compagnia!» Esclama Percy.
«Io non la definirei proprio una compagnia.» Sussurra Reyna, correndo verso di noi.
Prima di raggiungerci però, Percy e Reyna si bloccano di colpo vedendo la fenice dietro di noi agitarsi.
«State tranquilli, non è pericolosa! Sta solo proteggendo la pietra!» Dico io, allargando le braccia per evitare che le facciano del male.
Non so perché io ne sia convinta, ma il mio sesto senso dice che questo animale non è qui per attaccare, ma per proteggere.
«Oh, ma quale piacevole sorpresa. Oggi sono proprio fortunato, quattro in un colpo solo. Tarquinio ne sarà felice.» Esclama l’uomo.
Ora che lo guardo meglio, l’uomo misterioso potrebbe far concorrenza a Christian Grey: alto, bello, con i capelli biondi e un fisico scolpito che si intravede da sotto la maglietta. È chiaro che sia un tirapiedi di Tarquinio, ma perché non ha un’armatura? E cosa più importante, perché non ha con sé un’arma?
«Scusami un secondo… tu saresti? Perché sai, ne ho incontrati tanti di sbruffoni come te, e non ricordo se ti ho già sconfitto.» Dice Leo, con tono sarcastico.
Se il suo piano era quello di farlo arrabbiare, ci è riuscito piuttosto bene.
L’uomo digrigna con i denti, come se fosse un cane da caccia. «Sono Leonte, re di Sparta, figlio di Ecate, e non vedo l’ora di uccidervi; soprattutto quel moccioso con la tuta da meccanico.»
A quanto pare basta chiamare Leo “moccioso” per farlo arrabbiare; il ragazzo accende le sue mani con una fiamma, per intimidire il nostro amico, ma la cosa non pare funzionare.
«Correggetemi se sbaglio, Sparta non era la città rivale di Atene? Quella con tutti gli uomini pronti ad andare in guerra? Perché questo è vestito da banchiere?»
Anche se le mie domande erano rivolte ai miei amici, a quanto pare Leonte mi ha sentito. «Tu devi essere Chiara, la semidea italiana come Tarquinio. Quale piacere, tu sarai l’ultima a morire. In effetti, le tue domande sono legittime. Perché un re di Sparta è vestito così elegante? -Lui fa qualche passo avanti, e più le parole gli escono dalla bocca più mi sembra che il mio cervello stia per sciogliersi- Vedi, io non sono come gli altri re a cui piace sporcarsi le mani, non mi piace scendere in campo e usare delle stupide armi per raggiungere i miei scopi. Io ho mezzi decisamente più…avanzati.»
All’improvviso un’aurea viola compare intorno alla figura di Leonte, e io cerco di rimanere concentrata e di resistere il più possibile al suo potere.
I muscoli si fanno sempre più pesanti, e la testa comincia a farmi male. Non so cosa mi stia capitando, ma anche i miei amici sembrano essere in difficoltà.
Leonte alza la mano, giocherellando con una lieve luce nera che gli compare tra le dita affusolate, e sogghigna.
«Ha detto di essere figlio di Ecate…-cerca di dire Reyna- Usa…Usa la magia al posto delle spade.» La ragazza si accascia a terra, prendendosi la testa tra le mani.
Io, Percy e Leo siamo ancora davanti alla fenice che si dimena, gracchiando in cerca di intimorire il nemico.
I nostri respiri si fanno sempre più pesanti, e qualsiasi cosa ci stia facendo Leonte, sta funzionando.
«Vedete, devo essere sincero. Ora come ora mi fate un gran pena, e vi risparmierei per poi trasformarvi in criceti, ma state proteggendo qualcosa che mi appartiene, e deve essere mia. Perciò sono costretto ad eliminarvi.» Dice Leonte con tutta la calma del mondo.
Lui sa di poterci sconfiggere e si sta solo godendo il momento.
E poi le cose avvengono con una velocità impressionante e io faccio fatica a mantenere la mia posizione: con un’alzata di mano Leonte fa cadere a terra Reyna a peso morto; per un momento penso che sia morta, ma quando vedo il suo torace fare su e giù, prendendo e portando fuori aria, mi convinco che stia solo dormendo.
Successivamente il fuoco nelle mani di Leo scompare solo con un’occhiata da parte del re, e Leo sembra essere scioccato, ma prima che lui possa anche solo insultarlo viene catapultato sul muro, prendendo una bella botta alla testa. Il colpo fa svenire il ragazzo, e come se non bastasse, gli viene impedito di muoversi da una serie di radici verdi che sbucano dalla parete, che si aggrappano come dei tentacoli al corpo di Leo, bloccando ogni singolo movimento possibile.
Io e Percy rimaniamo inermi davanti alla fenice, che ora come un cane bastonato si accuccia dietro di noi, tremante.
Il ragazzo di fianco a me prende la sua spada, ma nel profondo so che non servirà a molto.
«Andiamo ragazzi, vi sto offrendo una possibilità di scappare. Non siete molto intelligenti a rimanere qui a proteggere questo animale inutile. La pietra deve essere mia, e l’avrò a costo di usare anche le maniere forti.»
Con la coda dell’occhio riesco a vedere l’uccello dietro di noi che si copre con le sue stesse ali, proteggendo la pietra viola. Ed è in questo momento che penso che anche a costo della mia vita devo difendere questa creatura.
«Sai cosa odio di voi re? -Esclama improvvisamente Percy- Siete troppo logorroici.» E parte subito a sferrare un colpo con la sua spada verso Leonte, che con un piccolo sorrisetto si sposta verso sinistra, evitando facilmente il colpo.
«È tutto qui quello che sai fare? Il famigerato Percy Jackson è solo questo? Un po’ deludente, non trovi anche tu, Chiara?»
Ed è a questo punto che sia io che Percy siamo abbastanza incazzati da scagliare contro Leonte una serie di fasci di luce e di acqua, che insieme formano un getto arcobaleno che colpiscono il re, scagliandolo contro un quadro poco più in là. Il corpo di Leonte viene scaraventato contro la parete con una forza brutale, e questa crolla per terra come se fosse fatta di polistirolo.
Per un momento mi chiedo dove abbia trovato Percy tutta quell’acqua, ma decido che non è il momento adatto per fare questo genere di domande.
«Parli ancora, stupido re spartano?» Grida Percy, tenendo ancora bel salda la presa sulla sua spada.
Lancio un’occhiata a Reyna e Leo, ancora inermi e svenuti.
Improvvisamente una risata riecheggia dalle macerie del muro appena crollato, e poco dopo Leonte si rimette in piedi, pulendosi la camicia bianca dai resti di calcestruzzo.
«Ora sono arrabbiato.» E senza aggiungere altro, Leonte scaglia contro Percy una serie di fasci neri, usando tutte e due le mani.
Il ragazzo però se la cava egregiamente nel schivarli tutti e a distruggerne gran parte con la sua spada azzurra, fin quando Leonte non decide che può bastare.
«Vai così, Percy!» Esclamo io, rimanendo sempre vicina alla fenice ancora terrorizzata.
«E chi l’avrebbe mai detto che gli allenamenti di Chirone sarebbero davvero serviti.»
«Ora basta!!» Grida Leonte, e quando alza le mani io e Percy pensiamo che voglia colpire noi, ma non è così.
Un fascio nero di magia si propaga dalle mani del re per poi dirigersi alla velocità della luce verso la fenice. Essendo proprio davanti all’uccello non riesco a pensare ad altro che alla mia morte, ma prima che la magia nera mi colpisca, Percy mi si avvicina con uno scatto fulmineo e la dirige verso destra con la sua spada, creando uno scudo d’acqua che impedisce alla magia di Leonte di toccarci. Questa però è troppo forte, lo riesco a percepire sulla mia pelle, e per quanto Percy sia forte, la sua barriera d’acqua non resiste più di tanto; infatti dopo qualche secondo, questa si rompe come se fosse vetro, e noi due veniamo scaraventati all’indietro, finendo proprio vicino ai corpi di Reyna e Leo.
I miei occhi rimangono chiusi per qualche secondo, cercando di ristabilire una connessione tra il mio corpo e il mio cervello. Ho come la sensazione che la botta che ho preso si farà sentire per settimane.
Quando riapro gli occhi, la scena che mi si presenta davanti non è una delle migliori: nonostante il nostro volo, Percy è riuscito a salvarci, ma la magia di Leonte è arrivata comunque alla fenice, che ora non è altro che un mucchio di cenere oro pochi metri lontano da noi.
Le lacrime mi scendono copiosamente sul viso, e sono dovute non solo per la tristezza per la fenice, ma anche per la frustrazione di aver perso proprio sotto il mio naso la pietra focaia. Ora come faremo? La profezia funziona anche con solo tre pietre?
«Tu…Tu! Sei un mostro!» Urlo improvvisamente, alzandomi da terra. «Era un animale innocente!»
«Chiara, dolce ed innocente Chiara, si vede che sei ancora inesperta. La morte prima o poi arriva per tutti gli esseri viventi, io mi diverto solo ad accelerare il processo.»
Un nuovo livello di rabbia ora ribolle nelle mie vene e prima di pensarci due volte la canalizzo tutta nelle mie mani, e la scaglio contro Leonte, che però sparisce in una nuova nera con un gesto teatrale, schivando all’ultimo i miei poteri.
Non appena il re di Sparta scompare, Leo e Reyna si risvegliano, chiedendo che cosa sia successo.
Mentre io rimango al centro della stanza, inerme e completamente sconvolta dagli ultimi avvenimenti, Percy aiuta gli altri due a rimettersi in piedi, offrendogli dell’acqua per riprendersi.
«Quel tipo mi ha rubato il fuoco! Come diavolo ha fatto?» Chiede Leo, sbuffando.
«Ci ha reso tutti più vulnerabili. È la sua magia, è quella che ci impedisce di agire al meglio.» Aggiunge Reyna, con un pizzico di amarezza nella bocca.
«L’ho sentito anche io, per fortuna siamo tutti vivi.» Dice Percy. «Ma la fenice e la pietra sono stati carbonizzati. Come facciamo adesso?»
Alle loro parole riesco ad uscire dal mio piccolo stato di trance, ma quando mi volto verso di loro un dolore lancinante proviene dal mio fianco, ed è ora che mi ricordo di essere ancora ferita.
Mi accascio a terra, gemendo, e gli altri accorrono verso di me.
Leo appoggia una mano sotto la mia schiena per accompagnare la mia caduta, e Reyna mi controlla la ferita al fianco, e dalla sua espressione capisco che si è riaperta e che sta ancora sanguinando.
Io comincio a respirare affannosamente, ma non dico nulla.
«Vedrai, andrà tutto bene. Sei una ragazza forte, riuscirai a guarire anche questa volta.» Sussurra Leo, e io gli sorrido.
Mentre Percy cerca probabilmente nel suo zaino qualche barretta di ambrosia, dal cumolo di ceneri che si trova poco più in là vedo del fumo liberarsi verso l’alto.
«Ragazzi…» Indico con il dito verso i resti della fenice, che in un primo momento prendono fuoco da soli, ma poi dalle fiamme compaiono delle ali piumate rosse ed oro, fino a rivelare tutto il corpo della creatura di prima.
«Ma certo! La fenice riesce a rinascere dalle sue ceneri.» Sussurra Reyna, meravigliata da quello che è appena successo.
L’animale una volta riformatosi si avvicina a noi con maestria ed eleganza, e noto che la sua zampa racchiude ancora miracolosamente la pietra viola che stavamo cercando; così non appena si avvicina a Leo la fenice lascia la presa e la pietra scivola lentamente verso i suoi pantaloni.
In un religioso silenzio poi si avvicina a me, e mi fissa con il suo paio di occhi rossi: dal suo sguardo capisco che è riconoscente per il nostro tentativo di proteggerla, e io l’accarezzo come se fosse un gattino. «Non c’è di che.» Dico, e tutti noi sorridiamo.
Dopo qualche secondo però, la fenice si avvicina alla mia ferita sul fianco, esaminandola come farebbe un buon dottore.
«Guardate, sta piangendo.» Sussurra Reyna.
Dagli occhi dell’animale vedo un paio di lacrime scendere e cadere direttamente sulla mia ferita, e ad un tratto una scarica di adrenalina mi arriva a tutto il corpo. Poi succede qualcosa di sbalorditivo: in pochi secondi il sangue scompare e la pelle si richiude ermeticamente, lasciando come traccia una lieve cicatrice.
Dopodiché l’animale mi concede un ultimo sguardo e poi spiega le ali, volando via.
«Le sue lacrime mi hanno guarita…» Dico ad alta voce per metabolizzare la cosa.
«Si è creato un legame tra voi. Le fenici sanno essere molto riconoscenti con i loro padroni. Probabilmente ha apprezzato il tuo tentativo di proteggerla.» Dice Reyna, aiutandomi ad alzarmi dal pavimento.
Quando mi rimetto in piedi non sento più alcun dolore, anzi, mi sento come se fossi rinata.
«Forza, è ora di uscire da questo posto. Se ci scoprono qui, dobbiamo spiegare come abbiamo fatto a distruggere una parete e ripagare tutte queste opere d’arte.» Esclama Percy, prendendo in mano le sue cose.
«Io proporrei una tappa da Mc Donalds, questi re mi hanno fatto venire una gran fame.» Propone Leo, e tutti noi ridiamo, sollevati per aver scampato nuovamente la morte.
 
 
 
 
……..
Salve a tutti!
Uhg, è quasi una settimana che non aggiorno. Perdonatemi. Non ho molte scuse, sono solo stata parecchio impegnata e poi ho perso un po’ di entusiasmo nello scrivere. Ma non preoccupatevi, sono determinata a finire questa ff prima dell’inizio delle lezioni all’università, quindi mi metterò di impegno.
ALLORA. La terza pietra è stata presa. Inizialmente volevo che fosse la fenice quella a creare problemi, poi quando mia sorella mi ha detto: “ma in Harry Potter è così buona e carina!!!” ho pensato di mantenere queste caratteristiche. E in effetti, penso che sia stata una buona idea. Alla fine nella “”””””””battaglia finale””””””””””” ci saranno anche i vari re al servizio di Tarquinio, quindi ho pensato di descriverne un altro e Leonte è uno dei miei preferiti.
I figli di Ecate non vengono mai considerati molto, e farne uno cattivo mi sembrava una cosa interessante.
Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto, ci ho messo un po’ di tempo a scriverlo. Come sempre potete scrivermi nelle recensioni, io sono felicissima di interagire con voi 😊
Per qualsiasi domanda potete trovarmi su
Twitter- @glaukopsis
Un bacio, Claire

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 16 ***



16





 
«Quanti re siamo ancora costretti ad incontrare dopo Leonte? Perché vanno di male in peggio.» Chiedo, curiosa della risposta.
Reyna alza le spalle. «Non ne ho la più pallida idea. E sinceramente non ci voglio neanche pensare.»
Attraversiamo tutto il Phoenix Art Meuseum fino ad arrivare all’atrio in cui siamo entrati, e non appena Percy appoggia la mano sulla maniglia per aprire la porta, viene scaraventato indietro, come se avesse preso una forte scossa.
Tutti noi ci precipitiamo verso Percy, che si rialza da terra imprecando in greco antico.
«Cosa è successo?» Chiedo. Così mi avvicino di nuovo alla porta d’entrata e faccio lo stesso che ha fatto un attimo fa il figlio di Poseidone, ma non appena sfioro la maniglia sento un’improvvisa scarica che mi immobilizza e mi scaraventa proprio vicino a Percy, con il culo a terra.
Ma che cazzo?
Leo e Reyna si precipitano a loro volta verso di me per darmi una mano a rialzarmi. «Chiara, sei appena guarita. Vuoi tornare sanguinante?» Fa Leo, sorridendomi.
Senza dire nulla Percy si avvicina ad una finestra poco lontano e la esamina, senza toccarla, con uno sguardo perplesso.
«Lo sentite anche voi?» Chiede, e noi ci avviciniamo alle pareti in vetro, stando attenti a non essere di nuovo scaraventati in aria una seconda volta.
Non appena mi avvicino alla parete sento un leggero brusio provenire da fuori, come se un circuito elettrico circondasse tutta la struttura.
«Siamo chiusi dentro.» Esclama Reyna. «C’è qualcosa che ci impedisce di uscire.»
«Leonte. Quel maledetto!» Grida Percy, facendo vibrare un lavandino del bagno poco distante.
«Cosa c'entra lui adesso?» Chiede Leo, più confuso che mai.
Ed è in questo momento che Reyna capisce al volo cosa intende dire Percy.
«Ma certo, lui è un figlio di Ecate. Ci ha chiusi qui con la sua magia, avrà fatto un incantesimo o qualcosa del genere all’intero palazzo per farci perdere tempo.»
Il silenzio cala improvvisamente nella sala, e nessuno di noi sa cosa dire.
«Diamine, non è possibile che siamo chiusi qui per quel maledetto re spartano!» Sbotta tutto d’un tratto Leo e comincia a colpire la porta d’ingresso con una serie di palle infuocate, senza risultati.
Mi avvicino a lui e gli appoggio una mano sulla spalla, per calmarlo.
«Risparmia le forze, non servirà a nulla.» Dico, con voce pacata.
«Chiara ha ragione, è inutile provare a sfondare la porta. È a prova di semidei.» Mi sostiene Percy, e si siede su una sedia rossa vicino alla scrivania in mogano.
Leo abbassa le mani, e sbuffa, andandosi a sedere vicino a Percy.
Io e Reyna invece ci riavviciniamo alla porta d’uscita e la fissiamo inermi, cercando di capire come scappare da qui.
«Che dici, una bomba potrebbe funzionare?» Le chiedo.
«Può essere. Ma è anche vero che molto probabilmente noi non sopravvivremmo.»
«Una chiave magica?»
«Oh andiamo Chiara, non siamo nelle favole.»
Guardo Reyna alzando un sopracciglio volendo replicare, ma non dico niente.
«No, Chiara potrebbe avere avuto l’idea geniale. -Esclama improvvisamente Leo, alzandosi dalla sua sedia e avvicinandosi velocemente a noi.- Per aprire una porta serve una chiave. E per aprire una porta magica, serve una chiave magica.»
Il suo entusiasmo nei confronti della mia idea mi lusinga, e non posso fare a meno di sorridere.
Il ricciolino si accascia per un momento a terra e apre il suo misterioso borsellino giallo, tirando fuori una serie di attrezzi e poi mettendone via altri.
Ora anche Percy è interessato alla cosa, e si avvicina a Leo.
«Devo avercela qui da qualche parte…» Sussurra Leo, trafficando tra viti e trapani di cui non ho la minima idea di come facciano a starci in uno spazio così piccolo.
«Eccola!» Esclama infine lui, tirando fuori una semplicissima chiave in ferro, anche un po’ arrugginita.
«Questa è un regalo di mio padre. Può aprire qualsiasi porta si voglia, basta animarla con la magia giusta.»
«E quale sarebbe per aprire una porta chiusa con magia nera?» Chiede Percy, prendendo in mano la chiave.
«Semplice, una magia di luce.» Risponde Leo, alzandosi in piedi.
E ti pareva.
Tutti mi guardano, di nuovo come se fossi la soluzione ai loro problemi.
«E cosa dovrei fare? Trasmettere il mio potere alla chiave?»
«Esattamente.» Dice Leo, porgendomi l’oggetto in ferro.
Mi rigiro l’oggetto tra le mani notando che è abbastanza pesante per essere una semplice chiave, ma non aspetto un altro secondo per concentrarmi e raccogliere la mia luce in essa. In pochi secondi questa brilla nelle mie mani, e mettendo in atto i miei poteri di Atena, cerco di trasmettere la luce alla chiave, che in pochi istanti diventa completamente d’oro e molto più bella di come era prima.
Riapro gli occhi e i ragazzi davanti a me mi incitano ad infilare la nuova chiave dentro la serratura della porta. Io faccio qualche passo verso l’ingresso, pregando di non prendere la seconda scossa della giornata, e infilo lentamente la chiave nella giusta posizione.
Senza togliere le mani da essa, un leggero fascio di luce si propaga per tutto il museo a partire proprio dalla maniglia della porta, e io chiudo gli occhi per combattere la magia nera che ci impedisce di uscire.
Il potere di Leonte è forte e subdolo: una volta che vengo a contatto con la sua magia, questa si insinua nella mia mente come un serpente, e mi provoca delle sensazioni che difficilmente definirei positive. Paura, rabbia, malinconia, rancore, delusione, fallimento, debolezza e impotenza si alternano tra i miei pensieri, e il mio corpo trema, dando i primi segni di cedimento.
«Sta tremando e perdendo sangue dal naso, è meglio se la fermiamo.» Esclama Percy, avvicinandosi.
«No, aspettate!» Dice a sua volta Reyna e sento un paio di mani femminili toccarmi la spalla; immediatamente una nuova fonte di forza viene incanalata nelle mie mani, e io faccio un respiro profondo, come se mi fossi rinvigorita. Leo e Percy senza pensarci due volte copiano il gesto di Reyna, e mi toccano le braccia, chiudendo gli occhi come me per trasmettermi più energia possibile.
All’improvviso il mio corpo diventa un connettore di emozioni, passioni, pensieri, sentimenti, parole, e poteri, e io faccio il possibile per incanalare tutte queste cose nella chiave, per combattere la magia di Leonte. Il nostro contatto crea una specie di legame invisibile tra ognuno di noi, e per un momento posso percepire ogni singolo battito del loro cuore.
Stiamo in questa posizione per circa trenta secondi, finché la chiave che tengo in mano non si muove verso destra, e una nebbia nera che ricopriva tutto il perimetro del museo scompare come una nuvola di fumo.
La porta del museo si spalanca davanti a noi, rompendosi in mille pezzi, e così noi esultiamo come dei bambini davanti a dei biscotti al cioccolato. «Ce l’abbiamo fatta!»
Presi da un’improvvisa euforia ci abbracciamo tutti quanti, ma poi il gesto diventa improvvisamente strano, e ci stacchiamo, piombando in un silenzio imbarazzante.
Quello che abbiamo appena fatto ha cambiato decisamente le dinamiche del gruppo: in qualche modo mi sento molto più vicina ad ognuno di loro, e comincio a capire tante cose.
Senza dire una parola usciamo dal museo e ci avviciniamo alla macchina che Julia ci aveva dato.
«La prossima e ultima tappa è in Utah, a Salt Lake City.» Ci informa Reyna, con fare ancora imbarazzato.
«Non riusciremo mai ad arrivarci con la macchina, siamo costretti ad usare Festus.» Fa notare Leo, sorridendo contento.
Io alzo gli occhi al cielo, ma sono consapevole che lui abbia pienamente ragione. Abbiamo perso un sacco di tempo in New Mexico e con i problemi che ci ha creato Leonte non abbiamo più tempo da perdere.
«Però non passiamo per Las Vegas. Non riesco proprio a farmi piacere quella città.» Esclama Percy.
«Perché, ci hai perso dei soldi?» Chiedo, curiosa.
«Peggio, del tempo.» Risponde semplicemente lui, credendo che la sua risposta possa bastarmi, ma poi cambia discorso non appena vede Festus attivarsi nel parcheggio del museo. «Uh, io sto davanti!»
«Aspettate, e il McDonalds?» Fa Leo.
 
Anche dopo un cheeseburger e un vassoio di patatine fritte il viaggio su Festus si è rivelato orribile come quello precedente. Io non ho niente contro questo animale di ferro, davvero, trovo che sia anche carino… Se il mio sedere non fosse costretto a starci per dieci ore di fila.
Arriviamo a Salt Lake City, la capitale dell’Utah, in piena mattina, atterrando dietro ad una casa abbandonata in una via della periferia della città.
«Chiara, mi dici qualche parolaccia in italiano?» Mi chiede Leo, non appena richiude Festus nella sua valigetta.
«Per quale motivo vorresti sapere delle parolacce in italiano?» In effetti la domanda di Reyna è del tutto legittima.
«Curiosità linguistica. Andiamo, come si dice…?»
«Leo. Cerchiamo di concentrarci su cose serie.» Interviene Percy, avvicinandosi a lui e dandogli qualche pacca sulla spalla.
«È una cosa seria. Metti caso che Tarquinio parlasse solo italiano? Voglio interagire con lui in qualche modo.»
Non sono sicura che dire “vaffanculo vecchio bastardo” a Tarquinio sia il modo migliore di interagire con lui, ma decido di non intervenire.
«In ogni modo…Abbiamo solo poche ore per trovare l’ultima pietra, e dobbiamo concentrarci sulla ricerca. Voi avete qualche idea? Conoscete la città?» Chiedo io.
«Credo di essere già stato da queste parti, ma non ho la più pallida idea di dove cercare.» Dice Leo, e noi sospiriamo.
Mi guardo per un momento intorno e mi accorgo di essere nel retro di una casa in mattoni completamente abbandonata, posizionata in una via altrettanto spettrale e inquietante, con alberi alti e spogli.
Sicuramente non siamo nel centro della città, ma trovo comunque strano che non ci sia anima viva. Improvvisamente un tuono rimbomba dal cielo, e noi sobbalziamo.
Percy fischia in direzione del cielo. «Zeus è incavolato.» Sussurra.
«Prima ci incamminiamo meglio è, questa strada non mi piace per niente.» Interviene Reyna, e noi non obiettiamo.
Così ci mettiamo a camminare lungo la via, avvolti da uno strano silenzio e dal fruscio delle foglie, finché non arriviamo in una specie di centro informazioni, anch’esso completamente deserto. Mi chiedo cosa ci faccia qui un ufficio per turisti quando evidentemente di turisti non ce ne sono.
Leo senza dire nulla si avvicina, ed entra. Io guardo gli altri due ragazzi, che alzano le spalle non sapendo cosa dire. Percy decide di seguire dentro il figlio di Efesto, e quando sto per incamminarmi anche io Reyna mi afferra delicatamente il braccio.
«Possiamo parlare?»
Oh oh. Ha usato quel tono.
Vedete, nella mia famiglia ci sono essenzialmente due toni che si usano quando si dice: “possiamo parlare?”. Il primo è quel “possiamo parlare?” che io di solito utilizzo quando chiedo a mia madre dei soldi, mentre invece c’è il tono del “possiamo parlare?” che si usa quando bisogna tirare fuori un argomento scomodo, come quando mia madre ha usato il “possiamo parlare?” con mio padre quando ha per sbaglio comprato un set di pulizia per il caminetto usando la carta di credito di mio padre, e noi non abbiamo il caminetto.
Lo stesso tono l’ha appena usato Reyna, e io mi allarmo.
La seguo qualche metro più in là, sedendoci poi sul marciapiede della strada. Mentre aspetto che dica qualcosa, prendo dal mio zaino una bottiglietta di acqua e comincio a bere.
«Allora è Leo.» Comincia lei.
«Che cosa?»
«La tua nuova cotta.» E alle sue parole io non posso fare a meno di sputare l’acqua che stavo per ingerire.
«C…Cosa? No! Io non ho una cotta per Leo.» Perché fa così caldo in questa dannata città?
«Claire, l’ho sentito non appena ti ho toccata al museo di Phoenix.»
Io rimango per un momento in silenzio. «Non ti seguo.»
«Quello che abbiamo fatto per rompere l’incantesimo al museo è stato qualcosa che non vedevo da anni. Siamo diventati una cosa sola per qualche istante, e questo vuol dire che abbiamo condiviso ogni cosa di noi stessi.»
Ora che Reyna me lo fa notare, quando la guardo mi ritornano in mente una serie di scene, sfocate e confuse, di tutto quello che ha passato nella sua vita: il viaggio con Nico, i momenti con sua sorella Hylla, quando ha incontrato un Percy Jackson e una Annabeth più piccoli nell’isola di Circe, i momenti passati al Campo Giove. Tutti questi ricordi mi colpiscono con uno schiaffo, e mi rendo conto che come lei ha condiviso questi ricordi, anche io ho condiviso i miei, insieme ai miei sentimenti.
Ma poi arriva uno schiaffo più forte di quello di prima: Reyna non è l’unica con cui ho condiviso i miei ricordi, ma anche con Percy e…Leo.
«Stai tranquilla, non penso che lui lo sappia. O almeno non ci ha fatto caso.» Interviene Reyna, leggendomi nel pensiero. «A malapena abbiamo avuto il tempo di capire cosa davvero abbiamo fatto in quel museo, non penso che si sia soffermato su questo tuo aspetto. E più passa il tempo, e più questa sensazione di condivisione sparisce.»
Tiro un piccolo sospiro di sollievo, ma comunque non mi fa stare meglio. «Io…Io lo so che Leo è innamorato di questa Calipso, e non voglio creare problemi, davvero.» Dico infine, sputando il rospo.
E poi mi viene in mente una cosa grazie ai ricordi di Reyna. «Aspetta…tu hai avuto una cotta per Percy?»
Lei alza le mani, ridendo. «Colpevole.»
E ad un tratto mi sento meno sola. «È normale che scappi qualche cotta in missioni come queste. Dopotutto ci ritroviamo a vivere 24h su 24 sempre insieme, mangiamo le stesse cose, ci proteggiamo a vicenda… Penso che sia una cosa del tutto normale. Ma c’è una grande differenza tra la cotta e il vero amore, e bisogna saperla riconoscere, per proteggere noi stessi e quelli a cui vogliamo bene.»
«Stai dicendo che mi passerà?» Chiedo io.
«Non sono una figlia di Venere. Non posso saperlo, solo il tempo ti darà la risposta. Per ora è bene che tu ti prenda cura di te stessa, in modo da sconfiggere insieme questo re di Roma.»
Annuisco, senza aggiungere altro, per poi alzarmi dal marciapiede.
«Forza, i ragazzi sono lì dentro da un bel po’.» Finisce lei, incitandomi a rimettermi in piedi.
Così io e Reyna ci alziamo ed entriamo nell’ufficio informazione in cui Leo e Percy sono entrati poco fa.
Non appena metto piede dentro noto che per terra ci sono un sacco di vetri rotti e una serie di volantini informativi che promuovono delle gite in un posto chiamato Salt Lake. La stanza è per lo più spoglia, ci sono solo un bancone in legno e una mappa gigantesca della città appesa sulla parete; per essere un centro informativo non è un buon inizio.
Sto per chiedere a Reyna dove siano finiti i due, ma un ruggito proveniente dal retro della struttura mi ferma immediatamente.
Reyna mi fa cenno di rimanere in silenzio, e con un movimento quieto prende in mano la sua spada dorata, per poi dirigersi verso la porta dietro il bancone.
Poi con un calcio che farebbe invidia anche a Jackie Chan, Reyna spalanca la porta, rivelando Leo e Percy impegnati a difendersi da un tipo con il corpo da leone, la faccia umana e una coda che assomiglia a quella di uno scorpione.
«Ciao ragazze! Come ve la passate?» Fa Percy, colpendo il mostro con la sua spada.
«Chi è questo?» Chiedo, mettendomi dietro al mostro con Reyna, facendo attenzione a non venire a contatto con il suo pungiglione.
Non ci vuole una laurea a capire che se la sua coda mi tocca io sono spacciata.
«È il proprietario che si è offeso perché gli ho detto che questo posto non ha del potenziale come ufficio informazione.» Mi risponde Leo, mantenendo il suo sguardo fisso sul mostro.
«Intendevo dire di quale mostro si tratta.»
«È una manticora. Sono mostri letali, ma stupidi. Dobbiamo tagliargli il pungiglione, solo così lo eliminiamo.» Dice Percy, mettendosi proprio affianco a me.
«Vieni qui, bello. Vieni da papà.» Esclama Leo, accucciandosi come se stesse chiamando un barboncino.
Il mostro quindi dirige la sua attenzione verso il ricciolino, e con uno scatto parte all’attacco, ma Leo prontamente si scansa all’ultimo secondo, facendo in modo che la manticora vada a sbattere sulla parete di legno, distruggendola.
L’animale si rimette in piedi, ruggendo, e si avvicina a Reyna in preda all’ira cercando di attaccarla alle spalle, ma lei subito si volta e schiva tutti i colpi del mostro. Sono quasi meravigliata dall’agilità di questa ragazza.
Nel frattempo Percy cerca di raggirare la manticora, mettendosi dietro di essa, ma la coda si muove troppo velocemente perché il ragazzo riesca a prenderla con la sua spada.
«Ragazzi, ho un piano. -Esordisce Reyna- Chiara, devi attirare la manticora verso di te, così noi possiamo prendere il mostro da dietro e tagliargli la coda.»
«Cosa? Sei impazzita?» Esclamo, scioccata. Ma sembra che il mostro abbia una certa fretta e che gradisca l’idea della mia amica, e in meno di un secondo riparte in quarta, sfrecciando verso di me.
Io presa alla sprovvista faccio affidamento ai miei poteri di Atena: vedo poco più in là una sedia mezza rotta, e con un pizzico di concentrazione faccio in modo che il mobile vada a sbattere contro la testa umanoide del mostro.
La mia mossa sembra funzionare, e la manticora viene colpita violentemente con la sedia, cadendo poi a terra.
«Adesso!» Grida Reyna, e i tre si fiondano sul mostro; con due spade e una palla di fuoco la coda viene recisa dal corpo dell’animale, e per qualche secondo il suo corpo rimane immobile, finché questo non diventa di pietra, sbriciolandosi da solo qualche istante dopo.
Percy e Reyna abbassano le armi, e si accasciano a terra facendo un respiro di sollievo.
«Che permaloso.» Sussurra Leo, e io non faccio a meno di sorridere.
Ci prendiamo qualche minuto di riposo, mangiando qualche barretta di ambrosia e bevendo dell’acqua. Senza dire niente, mi avvicino alla sedia che ho usato con la mente per colpire la manticora e la rimetto in piedi, per poi sedermi sopra; guardando per terra, noto che il pavimento è ricoperto degli stessi volantini che ci sono nell’atrio del negozio, e per curiosità ne afferro uno, leggendo la didascalia.
«Gita a Salt Lake, la vacanza che non vi dimenticherete!» Leggo a voce alta, e subito Leo alza il capo verso di me.
«Hai detto Salt Lake? Percy, non è quel lago in cui ci siamo fermati nell’ultima missione e dove abbiamo incontrato Narciso?»
«Avete incontrato Narciso? Cioè proprio quello del mito?» Chiedo, scioccata.
«Già. Credimi, non è un tipo tanto interessante.» Mi risponde Leo.
«Cosa ci faceva Narciso in Utah?» Chiede a sua volta Reyna.
«Non lo so. Comunque, guardate questo volantino.» Dice Percy, dando ad ognuno un foglietto preso da terra.
Noi lo guardiamo, cercando di capire dove voglia arrivare AcquaMan. «Notate qualcosa?»
«Il pessimo slogan pubblicitario?» Chiedo.
«La mancanza di una accurata descrizione del posto?» Prova questa volta Leo.
«No, i disegni che contornano il volantino.» Fa Reyna, indicando sul pezzo di carta delle conchiglie con dentro una perla azzurra sopra alla foto del lago.
Ci metto qualche secondo a capire che quelle nelle conchiglie non sono perle, ma pietre focaie.
«Percy Jackson, d’ora in poi ti chiamerò Sherlock Holmes.» Esclama Leo, uscendo di fretta dal centro informazioni per raggiungere Festus.
«Adoro quella serie.» Fa Percy, per poi rincorrere il suo amico fuori dal negozio.
Io e Reyna li seguiamo correndo, ma un piccolo presentimento di prende alla sprovvista: questa è l’ultima pietra che ci serve per la missione, e ho come la sensazione che tutto quello che abbiamo passato fino ad adesso non sia niente in confronto a quello che dovremmo affrontare una volta davanti a Tarquinio.
«Forza ragazzi, prima che si metta a piovere! -Esclama Percy una volta usciti- Si va nel mio territorio.»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
…………..

Salve a tutti!
Dovevo postare il capitolo ieri ma qui da me c’è stato un temporale fortissimo e il WiFi ha deciso di quittare la vita.
Anyway, come state? Bene? Male? Dormite otto ore a notte? Mangiate frutta e verdura tutti i giorni? Siete pronti al rientro della scuola? *schiva i pomodori*
Okay la smetto.
Sedicesimo capitolo e ancora non hanno trovato tutte le pietre. Lo so, lo so, che due palle. Però prometto che dopo il diciassette le cose cominciano a farsi più interessanti: come per i posti che ho pensato per posizionare le pietre focaie, anche il luogo dello scontro con Tarquinio sarà ben pensato e avrà un suo significato. Se lo indovinate vi regalo un biscotto.
Nulla, se avete qualche domanda fatele pure, io sono felice di rispondervi.
Grazie mille a chi è arrivato fino a qui e per aver perso tempo per leggere la mia storia, ve se ama.
Al prossimo capitolo!
Potete trovarmi su
Twitter-  @glaukopsis
Un bacio, Claire

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** 17 ***



17





 
«Ragazzi, laggiù c’è una fermata dell’autobus che dice che arriva fino al Salt Lake. -faccio notare- Possiamo prendere il prossimo, che dite?»
«Vi ricordo che Festus è bello che funzionante.» Dice Leo, alzando la sua valigetta in aria.
Un ennesimo tuono rimbomba dal cielo. «Si metterà a piovere da un momento all’altro, Festus sarà anche funzionante, ma non è impermeabile. È meglio prendere l’autobus.» Decide infine Reyna e io esulto nuovamente.
Leo questa volta sembra non prenderla troppo sul personale, magari si è convinto che la pioggia possa arrugginire il suo drago meccanico, per cui non fa nessuna obiezione.
Ci avviamo quindi verso la fermata dell’autobus e aspettiamo. Nell’attesa ognuno di noi viene risucchiato dai propri pensieri: Leo tira fuori dal suo borsellino lo stesso marchingegno a cui stava lavorando in macchina quando eravamo in viaggio per Phoenix, Percy si distende su una panchina e Reyna si siede sul marciapiede e pulisce la sua spada, come se il gesto le desse una certa calma.
Dopo una quindicina di minuti un autobus giallo sbuca fuori dal fondo della strada, e noi ci rimettiamo in piedi in meno di un secondo.
Il conducente ferma il mezzo in modo lento, e apre le porte permettendoci di entrare.
«Sono tre dollari e mezzo a testa.» Biascica l’uomo alla guida, pulendosi la fronte imperlata di sudore con la manica della sua camicia azzurra.
Percy, che è la banca del gruppo, tira fuori un pezzo da venti e la lascia all’uomo, senza prendere il resto, e poi si va a sedere sul primo posto libero.
Insieme a noi ci sono solo due vecchiette sedute in fondo all’autobus che ricamano una sciarpa.
Una volta preso posto il conducente riparte in quarta, e noi veniamo sballottati sui finestrini del mezzo.
«Ragazzi!» Esclama Leo, preso da un’improvvisa scarica di adrenalina. «Ho dimenticato la mia guida!»
«Che peccato. Ce ne faremo una ragione.» Dico io, ridendo, cercando di rimanere in equilibrio ogni volta che il conducente dell’autobus prende una curva. Ma chi gli ha dato la patente?
«Oh, ma non dovete restarci troppo male, perché me la sono imparata a memoria.»
«Che cosa?!» Esclamiamo all’unisono io, Percy, Reyna e il conducente dell’autobus.
«Salt Lake City è la capitale e città più popolosa dello Stato dello Utah. Essa prende il nome dal Gran Lago Salato immediatamente a nord-ovest della città. Questa è stata fondata nel 1847 da Brigham Young, Isaac Morley, George Washington Bradley e molti altri seguaci che hanno ampiamente irrigato e coltivato l'arida valle. Grazie alla sua vicinanza con il Grande Lago Salato, la città era originariamente chiamata "Great Salt Lake City" ma…»
Tutti alziamo gli occhi al cielo, lamentandoci rumorosamente, ma Leo continua imperterrito con quel solito sorrisetto stampato in volto.
Dopo una trentina di minuti l’autobus finalmente si ferma in una strada poco trafficata in mezzo ad un piccolo bosco, con al centro un segnale stradale che indica il famoso Salt Lake a cinque minuti di distanza. Senza fare tante domande scendiamo dal mezzo e ci incamminiamo, finché non ci troviamo davanti ad una distesa d’acqua salata grande quanto una provincia italiana.
L’acqua è azzurra e limpida, tanto che si possono intravedere i sassolini che occupano il fondale; intorno a noi ci sono una serie di conifere che racchiudono in un cerchio perfetto il lago, rendendolo ancora più suggestivo di quello che è. Dalla strada da cui siamo appena arrivati all’acqua c’è una piccola spiaggia granulosa che sta in mezzo, e io impreco mentalmente perché non sono neanche dieci minuti che sono qui e ho già il deserto del Sahara dentro le scarpe.
«Woah, non pensavo fosse così grande.» Sussurro io.
«Sai, è la stessa cosa che dicono della mia testa ogni volta che compro una tuta nuova.» Dice Leo, e io rido.
«Si, mi ricordo di essere già stato qui durante la guerra con Gea. Gran bel posto, non è vero Leo?» Fa Percy, in memoria dei bei vecchi tempi.
«Certo, proprio laggiù io e Hazel abbiamo incontrato Eco, Narciso e una dozzina di ninfee che volevano ucciderci.»
Ormai non mi stupisce più nulla.
«Domanda: come facciamo a trovare la pietra qui? Potrebbe essere nel fondale sotto miliardi di pietre, non ce la faremo mai.» Chiedo io, avvicinandomi di qualche passo verso la sponda del lago.
«Ah ah, punto uno: il Salt Lake non ha un fondale, perché i fondali si trovano solo in acque con una profondità di 25 metri o più e questo lago è profondo solo quattro metri e mezzo, e punto due: quelle che vedi in acqua non sono delle semplici pietre, ma pietruzze di lago, aiutano i pesciolini a nascondersi dai pesci più grandi.» Non so cosa gli sia preso, ma improvvisamente Percy è diventato antipatico.
«Mai scherzare con un figlio di Poseidone davanti ad un lago.» Sussurra Leo vicino al mio orecchio, e scoppiamo a ridere.
Nel frattempo Reyna si accovaccia per terra ed esamina qualche conchiglia che riesce a trovare a terra. «Nel volantino la pietra era in una di queste giusto? Sarà meglio mettersi a cercare, non abbiamo tutta la vita.»
E non ha tutti i torti.
Così come dei veri ricercatori cominciamo ad esaminare tutte le conchiglie che ci capitano davanti agli occhi, ma tutte quante sono vuote, o se siamo fortunati, ci troviamo una vongola.
Dopo venti minuti e un grande mal di schiena io decido di arrendermi, e mi accascio sulla spiaggia, non curante nemmeno della quantità di sabbia che mi ritrovo sui vestiti.
«Basta, ci rinuncio.»
«Chiara, andiamo! È divertente.» Mi dice Leo, prendendo la prima conchiglia e aprendola con forza, per poi trovarci un mollusco ancora vivo che scivola nelle sue mani. Il ricciolino lancia un piccolo urletto agitando le mani in aria, e gettando la conchiglia il più lontano possibile da lui.
Noi tre cominciamo a ridere per la comicità della scena, e Leo fa il broncio. «La fate facile voi, non mi sono mai piaciuti i molluschi.»
Per il quarto d’ora successivo la scena è sempre la stessa: conchiglia dopo conchiglia la pietra focaia non si trova, e noi cominciamo a perdere la pazienza.
«Percy, sei figlio di Poseidone, fa’ qualcosa!» Incita Reyna, ormai disperata.
Prima che il ragazzo possa fare effettivamente qualcosa, ad un tratto l’acqua del lago diventa più movimentata, tanto che noi siamo costretti ad indietreggiare verso la strada da cui siamo arrivati.
E poi succede: dall’acqua spunta fuori con un salto un enorme…granchio.
Si lo so ragazzi, non credo neanche io ai miei occhi: ormai mi ero abituata a spaventosi draghi e mostri dalle sembianze umane ma quello che c’è davanti a noi non è altro che un semplice e comune granchio rosso con due chele giganti; certo, è grande come un condominio a due piani, ma sono dettagli.
«Percy, hai fatto fin troppo.» Dico io, e lui mi lancia un’occhiata come per dirmi: “ah ah ah, molto simpatica.”
«Qualcuno sa dirmi cosa sia questo crostaceo o possiamo chiamarlo semplicemente granchio troppo cresciuto?» Esclama Leo, urlando leggermente per via delle onde del mare che si infrangono contro la spiaggia.
«Penso sia un carcino, è un animale estremamente raro. Nel mito compare durante la lotta di Eracle contro l'idra di Lerna: emerge dalla palude per soccorrere l'idra in combattimento, e pizzicò i piedi di Eracle con le sue chele, ma lui lo schiacciò sotto il suo tallone. Per ricompensarlo del suo sacrifici, Era lo trasportò in cielo, dove divenne la costellazione del Cancro.» Ci informa Percy, prendendo immediatamente in mano la sua penna, per poi trasformarla nella sua fidata spada.
Aspettate, il famoso tallone non era quello di Achille? Diamine, troppe cose da ricordare…
«Se Era lo ha sacrificato, vuol dire che se lo uccidiamo ci troviamo la regina degli dei incavolata?» Chiede Reyna, con un pizzico di disperazione.
«Esattamente. Era non mi ha mai reso le cose facili.» A queste parole Percy sembra ricordare un sacco di momenti terribili e io muoio dalla curiosità di saperli.
«Di cosa parla?» Chiedo a Leo, discretamente.
«Penso si riferisca a quando Era ha tolto la memoria a Percy e a Jason, per poi scambiarli di Campo e bla bla bla…»
«Che cosa? È una follia!» Dico io, e lui annuisce.
«Pensa io che ho dovuto sorbirmi entrambi nel…» Ma Leo non finisce la frase perché il granchio nel frattempo si è avvicinato pericolosamente a noi, e quindi siamo costretti a dividerci per non essere fatti a fette dalle sue chele.
«Ragazzi, prendete tempo. So cosa fare.» Esclama sicuro di sé Percy, per poi tuffarsi in acqua sotto il nostro sguardo scioccato.
«Cioè fatemi capire, l’unico che può sconfiggere questa mega aragosta si è tuffato in acqua e ci ha lasciato da soli?» Grido io, in preda ad una mezza crisi isterica.
«Vedo che non ti sfugge niente. -Mi dice Reyna, per poi coprirmi le spalle dal mostro- Leo, come sei messo con il fuoco?»
Lui alza una mano e la accende in un nano secondo, per poi lanciare un veloce sguardo a Reyna. «Quando vuoi.»
E tutti e due partono in quarta come se non ci fosse un domani. Devo ammettere che la calma e la razionalità non fa parte del loro patrimonio genetico.
Mentre io cerco di capire cosa davvero io debba fare, Leo e Reyna cercano in tutti i modi di tenere a bada il granchio. Come al solito Reyna è veloce come una pantera, ed essendo molto più piccola del mostro, riesce facilmente a schivare le sue chele e a colpirle con più forza possibile, ma non sembra funzionare.
Leo invece punta agli occhi, cercando di dargli fuoco, ma anche lui non sta avendo grandi risultati: ogni volta che cerca di colpire l’animale, l’acqua del lago respinge il fuoco di Leo, spegnendolo e proteggendo gli occhi rossi del crostaceo.
E pensandoci bene, ha un senso.
D’un tratto sento il terreno sotto i miei piedi cominciare a muoversi paurosamente e subito dopo vedo una scena che farebbe venire un infarto al prete che vive nel mio paese: le acque del lago si dividono a metà come una cerniera, lasciando aperto una specie di tunnel largo venti metri, quanto basta per racchiudere il carcino.
Alla fine del tunnel, circa un centinaio di metri più in là, riesco ad intravedere Percy Jackson con un sorrisetto divertito stampato sul volto, che tiene in alto l’acqua intorno al mostro con la stessa facilità di quando mia madre stende le lenzuola.
Lo paragonerei a Mosè, ma ho paura di far incazzare troppe divinità in un solo giorno, quindi me ne resto zitta e aspetto ordini da AcquaMan.
Il carcino nel frattempo si è completamente dimenticato di noi tre, essendosi interessato ovviamente ad una situazione molto più interessante.
«Ehi ragazzi, figo vero?» Urla Percy per farsi sentire.
«Che razza di piano è questo?» Urla a sua volta Reyna, frustrata perché non ha cosa fare.
«Vuole privare il carcino dell’acqua, senza quella non vive.» Capisce subito Leo. «Ma certo, solo così possiamo liberarcene.»
«Va bene. -Esordisce Reyna, tenendo stretta la spada- Io lo attaccherò sulle zampe inferiori, ma voi dovete distrarlo con i vostri poteri. Pensate di riuscirsi?»
«Chica, non ce lo ripetere due volte.» Risponde subito Leo, e con un segno del capo mi incita a seguirlo in mezzo al tunnel dalle pareti d’acqua e a puntare più luce possibile sugli occhi del granchio.
Dopo qualche minuto, il piano di Reyna sembra funzionare, e il carcino è parecchio in difficoltà, tanto da cercare in ogni modo di raggiungere l’acqua, ma puntualmente io e Leo glielo impediamo.
«Ragazzi! Muovetevi!» Grida poco dopo Percy, che ora sta sentendo il peso del lago.
«Al mio tre, correte tutti verso la spiaggia!» Urla Reyna, dopo aver ferito gravemente il granchio, che con un’oscillazione spaventosa sta cadendo di lato sul terreno.
«Non ce la faccio più, mettetevi al sicuro!» Grida Percy, e dopo un secondo lo vedo abbassare le braccia.
«TRE!» Grida poco dopo Reyna, seguita dal rumore assordante dell’acqua che ricade verso il basso e si riunisce.
«Che razza di conto alla rovescia sarebbe?!» Strillo, ma la mano di Leo mi prende al volo e mi trascina verso la spiaggia; dietro di noi c’è Reyna che corre più veloce che può, ma le onde sono spaventosamente veloci.
Mentre corro seguendo la mano di Leo, vedo di sfuggita una conchiglia più grande di quelle che abbiamo visto sulla spiaggia, e mi sembra di intravedere un barlume azzurro che fuoriesce.
«La pietra! Reyna, la pietra nella conchiglia!» Urlo girandomi verso la ragazza, ormai vicina al punto dove avevo visto la pietra focaia.
Lei inizialmente sembra non capire, ma poi quando guarda il punto indicato dal mio indice, capisce tutto.
Nel frattempo Percy è stato risucchiato dall’acqua insieme al carcino, ma le onde non sembrano rallentare, e Reyna ci sta mettendo troppo a decidere se scappare oppure fermarsi per prendere la pietra.
Vedendola in difficoltà, riesco a staccarmi dalla presa di Leo, e comincio a correre verso Reyna; lei riesce dopo degli interminabili secondi ad afferrare la pietra dalla conchiglia, ma l’acqua ormai è troppo vicino perché possa scappare.
«Reyna! Scappa!» Grido, presa dal panico. Leo mi afferra per il busto e riesce a trascinarmi via, portandomi all’ultimo secondo sulla spiaggia.
Io e Leo cadiamo di peso sulla sabbia, ansimanti, ma non aspetto molto per rialzarmi e guardarmi indietro: l’acqua sembra essere ritornata calma e piatta, come se non fosse successo nulla, ma di Reyna e Percy non c’è nessuna traccia.
Ora anche Leo sembra scrutare l’orizzonte per vedere qualcuno o qualcosa muoversi, ma non vediamo anima viva. Entrambi fissiamo l’acqua tenendo il respiro, e più passa il tempo e più sentiamo una strana sensazione di angoscia.
Dopo quella che sembra un’infinità una bolla d’acqua grande quando un gonfiabile, con dentro due ragazzi, sbuca fuori dal lago, per poi ormeggiare tranquillamente verso la riva.
Una volta che Percy e Reyna possono toccare terra, la bolla si rompe, e noi due corriamo ad abbracciarli, sollevati di rivederli sani e salvi.
«Non mi farò mai più un bagno in un lago, mai più.» Sussurra Reyna con un pizzico di ironia, e io non posso fare a meno di abbracciarla una seconda volta.
Quando mi sono staccata, la ragazza tira fuori dalla sua mano una pietra azzurra e la cede a Leo, che la prende con sé con la stessa delicatezza che userebbe se fosse un bambino.
«Ragazzi, ce l’abbiamo fatta. Abbiamo recuperato tutte le Vestali!» Esulta Percy, e noi per un momento sorridiamo, ma poi un pensiero più terribile prende posto nelle nostre menti.
«E ora? Come procediamo?» Chiedo nello stesso momento in cui Leo prende dal suo borsellino giallo le altre tre pietre focaie.
«Chirone aveva detto che una volta che le Vestali si fossero riunite ci avrebbero indicato la strada per raggiungere Tarquinio.» Suggerisce Reyna, ma non ci è d’aiuto.
Leo quindi appoggia le pietre per terra, mettendole in fila indiana, e si rialza, aspettando un qualche segno di vita.
Aspettiamo e aspettiamo, ma non succede nulla.
«Maledictionis.» Dice Reyna, in latino.
Leo mi guarda, aspettando una traduzione. «Ha detto “maledizione”.»
«Se hai un parente greco, perché sai il latino?» Chiede Percy.
Io alzo le spalle. «Nella mia scuola lo insegnano.»
«In Italia insegnano ancora il latino? E il greco?»
«Anche. Ma non in tutte le scuole.»
«Wow, gli italiani sono così avanti.» Dice sbalordito Percy, e io sorrido con un certo patriottismo.
«Ehm ragazzi, concentratevi. Le pietre non danno segno di vita.» Reyna ci fa tornare alla realtà, buttando giù il morale a tutti.
«Le pietre focaie vivono con il fuoco, magari Leo potrebbe dare un piccolo incentivo a svegliarsi.» Suggerisce Percy, e tutti siamo d’accordo con il suo consiglio, finché una voce femminile non ci ferma.
«Non tutti i tipi di fuoco funzionano.»
Noi ci giriamo di scatto, presi alla sprovvista, ma quello che ci compare davanti per fortuna non è nessun mostro o tirapiedi di Tarquinio, ma è un messaggio Iride.
Davanti a noi compare una specie di arcobaleno, il quale mette a fuoco un volto che io non ho mai visto: occhi verdi, capelli lunghi e rosso fuoco raccolti in una treccia, pelle candida ed eterea con un sacco di lentiggini. La donna in questione si trova in un luogo buio, e sta palesemente tremando.
«Estia.»
«Vesta.» Dicono insieme Percy e Reyna, richiamando i due nomi della divinità.
Sono già stata davanti a delle divinità, ma questa volta provo un senso di rispetto nei confronti della dea molto più grande di quello che provavo prima, e il mio sesto senso dice di inginocchia0rmi, ma nessuno lo fa, per cui me ne resto dietro a Leo.
«Ragazzi, non ho molto tempo per parlare con voi. Tarquinio non sa di questo messaggio, e potrebbe scoprirmi da un momento all’altro, per cui sarò veloce. -Fa una piccola pausa- Siete stati molto coraggiosi a recuperare le quattro pietre, complimenti, ma come vi dicevo prima un semplice fuoco non basta per risvegliarle. Sono quattro per un motivo, come lo siete voi: dovete trovare un modo per legarvi ad esse, solo così riuscirete a risvegliarle e raggiungermi.»
«Cosa intendi con “legarci ad esse”?» Chiede Percy.
«Lo scoprirete voi, ma fate presto! Tarquinio sta ultimando i preparativi per il suo dominio, e non vi rimane molto tempo. Il re non ha ancora rubato tutto il mio potere, ma il suo esercito in pochi giorni raggiungerà il Campo Giove e molti ragazzi romani sono scomparsi, e ho paura che non se la passino bene.»
«Come sono scomparsi? Sono vivi? Stanno bene?» Esclama Reyna, in preda all’ansia, ma il volto di Estia comincia a diventare sempre più sfocato.
«Fate presto, il destino dell’Occidente è nelle vostre mani!» E il messaggio Iride scompare in una bolla di sapone.
«Comunque il mio non è un “semplice fuoco”.» Si lamenta Leo, incrociando le braccia al petto.
«Hai sentito anche tu, dobbiamo trovare un altro modo per risvegliarle. Ma come?» Chiedo.
«Non lo so, ma per ora cercherei un posto dove riposare. Io vorrei asciugarmi prima di prendere una polmonite.» Esclama Percy, e così dopo aver ripreso le pietre da terra, ci incamminiamo verso la strada da cui siamo arrivati, cercando un bed and breakfast.
Reyna nel frattempo è diventata molto silenziosa, e la conosco abbastanza bene da poter immaginare che sia preoccupata per il Campo e i suoi amici.
Decido di non infierire, ma le sto accanto mentre camminiamo, sperando che la mia presenza possa aiutare in qualche modo.
Dopo aver oltrepassato un piccolo villaggio, arriviamo davanti ad un albergo molto carino con fiori gialli sui balconi e porte in legno, ad ovest del lago; Percy decide di entrare, ma noi lo fermiamo subito.
«Percy, cosa fai? Non possiamo permettercelo.» Dico io.
«Mio padre possiede gran parte degli hotel vicino a qualsiasi fonte d’acqua su questo pianeta, penso che per una volta sfrutterò questa cosa.»
Così noi tre aspettiamo fuori il ragazzo, che dopo una ventina di minuti ritorna da noi con un paio di chiavi. «Non c’è di che, ragazzi.»
Io e Leo esultiamo, contenti di aver rimediato un letto decente su dove dormire, mentre Reyna alza gli occhi al cielo, ma non riesce a trattenersi dal sorridere.
«Percy Jackson, sei un maledetto raccomandato.» Dice lei, prendendo dalla sua mano la chiave di una stanza.
 
 
 
 
 
 
………….
Salve a tutti!
E chi non vorrebbe avere a disposizione tutti gli hotel davanti a mare/oceano/laghi/fiumi. Boh, io sta cosa me la sono inventata, però pensavo che ci stesse bene per un figlio di Poseidone hahah
Bando alle ciance. Finalmente le quattro pietre sono state recuperate *canta l’halleluja* ma ora rimane il problema di come attivarle per poi andare da Tarquinio.
Percy nel frattempo è diventato Mosè, tutto normale.
Giusto l’altro giorno ho finito di stilare la scaletta per questa storia, e vi posso annunciare che l’ultimo capitolo sarà il 21esimo. Lo so, lo so, questa storia sta già finendo e io non me ne capacito. Sto ancora pensando se scrivere o meno la seconda storia, per ora non ne sono molto convinta, ma chissà.
Bene, non ho nient’altro da dire, se non ringraziarvi di aver letto il capitolo e di essere arrivati fin qui.
Ci si vede al prossimo!
Potete trovarmi su
Twitter- @glaukopsis
Un bacio, Claire
 
 
Piccolo spoiler dal prossimo capitolo: “Quando riapro gli occhi, il mio cuore sprofonda. Il portale non ha funzionato per tutti.”
 
 
😊 😊 😊 😊 😊😊
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** 18 ***



18



 
Dopo un combattimento contro un granchio enorme e una cena abbondante, per il mio corpo sarebbe stato auspicabile riuscire a dormire almeno nove ore, ma a quanto pare il mio cervello non fa altro che pensare a tutto quello che mi è successo, tanto da non riuscire a chiudere occhio.
Così mi decido ad uscire dalla stanza dell’albergo che condivido con Reyna e prendere un po’ d’aria fresca. Chiudo la porta senza fare alcun rumore, per poi ritrovarmi tra i vari corridoi dell’albergo che Percy ha rimediato per noi, finché non trovo una piccola scaletta arrugginita e parecchio instabile che porta direttamente sul tetto della struttura.
La me di due settimane fa non sarebbe mai salita su una di queste cose, ma ora, dopo tutto quello che mi è successo, penso che non sia una cattiva idea.
Così salgo velocemente gradino dopo gradino, finché non arrivo sulla terrazza dell’albergo, ricca di sedie di scorta per la sala da pranzo e qualche scatolone. Poco più in là, ad impedire alle persone di cadere, c’è un cornicione abbastanza basso da permettermi di salirci e sedermici sopra.
Una leggera brezza accarezza il mio viso, e per qualche minuto mi concedo di godermi il panorama che si presenta davanti: se non fosse stato per gli eventi di oggi, il Salt Lake mi sembra uno dei posti più belli che io abbia mai visto. La luce della luna si riflette sull’acqua, rispecchiandone ogni minima sfumatura, il fruscio delle foglie riempie l’aria e le voci di qualche turista di sotto mi ricorda che ci sono ancora delle persone normali in questo mondo, che fanno una sana colazione alla mattina, leggono un libro nel tempo libero e non hanno Tarquinio il Superbo da sconfiggere.
«Anche tu hai difficoltà a dormire?»
Mi volto di scatto non appena sento la voce di Percy, e senza dire nulla mi sposto leggermente verso sinistra per fare posto al mio amico.
«Decisamente.» Rispondo alla fine. «Mi sembra di impazzire.»
Lui non dice nulla, ma il suo sguardo mi invita a continuare la mia confessione.
«Sai, quando abbiamo cominciato a cercare le pietre ero relativamente tranquilla, pensavo che sarei morta prima di averle recuperate tutte; ma ora che le abbiamo tutte e quattro, mi sono resa conto che la parte difficile deve ancora venire. E questo mi opprime. Insomma, fino a poche settimane fa ero una semplice ragazza con un account Twitter e un esame da preparare, e ora devo sconfiggere un re di Roma! -faccio una pausa- Non ho avuto il tempo necessario di realizzare che io sia una semidea, che mio padre sia Apollo, il Campo Mezzosangue, la lontananza dalla mia famiglia… e per di più sono stata catapultata in una missione suicida. È un traguardo se io non abbia avuto un crollo nervoso.»
Percy annuisce, facendo penzolare le gambe nel vuoto. «Sai, mi ricordi un sacco nella mia prima missione, le cose da fare erano più o meno simili. L’ansia, la preoccupazione, la stanchezza, la fame, la malinconia… Le ho sperimentate così bene che credimi, so cosa intendi dire quanto ti senti oppressa. Ma ci farai l’abitudine.»
«Wow, che vita di merda.» Dico, per poi scoppiare a ridere insieme a lui.
«Oh dai, non è così male. Se non fossi un semidio a quest’ora sarei ancora un ragazzo brufoloso e che avrà per sempre un complesso di inferiorità perché la più bella ragazza del liceo non ha voluto andare al ballo insieme a lui. Ora guardami, sono un figo.»
Io scoppio a ridere, indietreggiando leggermente con la schiena.
Quando ritorno seria, mi decido a fargli una domanda che volevo fargli da tempo. «Perché hai voluto venire in questa missione? Stavi già vivendo una vita normale, come avevi voluto.»
Per un momento mi passano in mente una serie di immagini sfocate dei ricordi di Percy, e anche se non ci ho passato abbastanza tempo insieme da poter dire di conoscerlo bene, so per certo che in quei momenti a New York era felice, come un ragazzo normale.
«È vero, ma dopo tutto quello che è successo con Apollo mi è mancata questa sensazione di essere sempre sull’orlo tra la vita e la morte. È…eccitante, ma solo perché fino ad ora sono riuscito a scamparla.»
«Tu sei pazzo.»
«Mi hanno detto di peggio.» Sorride lui, per poi alzarsi con un balzo sul cornicione e scendere. «È meglio mettersi a dormire, domani ci aspetta un re romano piuttosto schizzato male.»
Percy mi porge la sua mano per aiutarmi a scendere, e io l’accetto volentieri; ci dirigiamo poi verso la scaletta arrugginita, ma prima che io possa scendere, lui mi ferma, volendomi dire qualcosa. «Senti… per il mio modesto parere…» Comincia lui, ma io lo fermo subito.
«Modesto parere? Sei Percy Hanno Fatto Un Film Su Di Me Jackson!»
Lui sogghigna, annuendo. «Già, che disastro di film. Comunque, per me te la sei cavata benissimo fino ad adesso. Senza di te ora non saremmo qui e molto probabilmente staremmo cercando ancora le pietre nei meandri degli Stati Uniti. Sei una tipa tosta.»
Le sue parole mi fanno sorridere, sono felice che qualcuno mi ritenga importante.
Così scendiamo dalla terrazza e ci dirigiamo verso le rispettive camere, e una volta davanti alle rispettive porte, invece di darmi la buonanotte il ragazzo mi dice qualcosa che mi fa scoppiare a ridere nuovamente.
«Tu hai capito perché in quel museo di Phoenix i nostri poteri insieme si sono trasformati in arcobaleno? Ci sto pensando da ore ma non riesco a darmi una spiegazione.»
 
Quando riapro gli occhi mi sento la persona più riposata di questo mondo. La luce della mattina che proviene dalla finestra accanto al mio letto mi colpisce come un faro, così mi rannicchio sotto le coperte per autoconvincermi che sia ancora notte e io abbia ancora tempo per poter dormire. Ma ormai il danno è fatto, a questo punto sono più sveglia che mai.
Mi alzo dal letto convinta di vedere Reyna nel proprio, ma non vedo nessuno nella stanza. Mi chiedo dove sia andata a finire la mia compagna di stanza; giuro che se è andata a combattere qualche mostro fuori in giardino io torno a dormire.
Mi decido a vestirmi e rendermi presentabile (per quel che posso, ho un paio di occhiaie che difficilmente andranno via con un po’ di acqua fresca), e non appena finisco di legarmi i capelli in una coda alta, la porta della stanza si apre con un tonfo, facendo entrare Reyna, seguita da Leo, Percy e un carrello pieno di cibo.
«Buenos dias, amigos! Chiara, menomale che sei già vestita, altrimenti Calipso mi avrebbe ucciso con le sue stesse mani.» Esclama Leo, lanciandosi letteralmente sul mio letto.
Reyna mi rivolge una occhiata preoccupata, che io ignoro beatamente, insieme al commento del figlio di Efesto.
Quasi mi ero dimenticata dell’esistenza di quella Calipso.
Piccolo update sulla mia situazione sentimentale: ho deciso di mettere una pietra sopra a Leo. Cioè, non letteralmente parlando… Si, insomma. Avete capito.
La priorità ora è sconfiggere Tarquinio, poi (sempre se ne esco viva) vedrò di trasferirmi in un altro continente così a Leo non dovrò più pensare. Facile e indolore.
«Abbiamo portato la colazione, è meglio se ce ne stiamo in disparte e non ci facciamo vedere da nessuno, il Salt Lake è pieno di pericoli, e molti non sono in acqua.» Spiega Percy, e io annuisco.
Così noi quattro assaliamo letteralmente il carrello con il cibo, e una volta soddisfatti del nostro bottino, ci mettiamo comodi sui letti e mangiamo, non curanti delle briciole che lasciamo intorno.
Non appena Reyna accende la televisione mi chiedo come io abbia fatto a non notare la tv in camera, se lo avessi saputo prima ne avrei approfittato.
Quando lo schermo si accende però, cambio subito idea: una serie di immagini di Roma si alternano a numerose interviste a comuni cittadini romani, insieme a dei video della città completamente allagata.
I titoli dicono che la capitale italiana è stata inondata da un terribile temporale, e che i danni sono enormi: case distrutte, strutture pubbliche in pericolo, il Colosseo circondato dall’acqua e via così.
Una rabbia improvvisa mi sale in corpo perché capisco subito chi è il responsabile di tutto questo.
Leo, Percy e Reyna rimangono in silenzio, e mi fissano come se fossi una bomba ad orologeria pronta a scoppiare.
«Dobbiamo raggiungere Tarquinio il prima possibile, sta distruggendo Roma!» La mia voce è più disperata di quello che pensavo.
«Sono d’accordo, se Roma cade è la fine per tutti noi.» Continua Reyna, sfracellando un biscotto tra le mani.
Leo quindi si alza e spegne la televisione, per poi tirare fuori dal suo solito borsellino le quattro pietre, e le posiziona davanti a sé.
«Okay, Estia ha detto che dobbiamo capire come legarci ad esse. Qualcuno a qualche idea?»
«Legarci ad esse? Ma come? Sono delle pietre focaie! Ho più probabilità di legarmi a questo pancake che a una pietra focaia.» Dice Percy, addentando poi il pancake.
Io e Reyna rimaniamo in silenzio, fissando le pietre disposte in fila.
E poi a lei viene un colpo di genio.
«Ho trovato!» Esclama Reyna, alzandosi dal letto e prendendo le quattro pietre in mano.
Senza dire nulla esce dalla stanza, e noi siamo costretti a seguirla, solo dopo aver fatto rifornimento di cibo e riempito il nostro zaino con qualsiasi gadget che siamo riusciti a trovare nella stanza.
Troviamo poi Reyna che ci aspetta davanti all’entrata dell’hotel, vicino ad un albero abbastanza grande da poter nasconderci e parlare di pietre magiche senza essere disturbati.
La ragazza sta posizionando per terra le quattro pietre secondo i rispettivi punti cardinali.
«Reyna, cosa stai…» Chiede Percy, confuso quanto me.
«I colori! Ragazzi, pensateci: le pietre potevano essere di qualsiasi colore, ma sono proprio rossa, gialla, blu e viola.»
Continuo a non capire dove voglia andare a parare.
«Sono i nostri colori!» Fa lei, presa dall’entusiasmo. «Il rosso per il fuoco di Leo, il giallo per la luce di Chiara, il blu per l’acqua di Percy e il viola per me che sono il pretore del Campo Giove.»
Reyna fa una piccola pausa lasciandoci metabolizzare il tutto.
«Ma certo, non dovevamo metterle insieme, ma prenderne una a testa e creare un qualcosa che ricordasse un focolare.» Comincia a realizzare Leo guardando la disposizione delle pietre, e senza perdere tempo facciamo ciò che ha detto.
Mi sento piuttosto scema per non averci pensato prima, era tutto più semplice di quello che pensavo.
Così afferro la mia pietra, quella gialla, e mi metto vicino a Reyna e a Leo, mentre Percy si posiziona perfettamente davanti a me.
«Okay, ora dovete trasmettere tutto il vostro potere alla pietra. Solo così le Vestali potranno davvero fidarsi e aiutarci.» Continua Reyna, come se fosse la massima esperta di risurrezione di Vestali.
Lei chiude gli occhi, e noi la seguiamo come dei bravi studenti, finché Leo non apre bocca.
«Reyna, sei sicura di quello che stai facen…»
«Shh. Sto improvvisando.»
Ah, fantastico.
Ma poi succede. Tutti e quattro contemporaneamente riusciamo a trasmettere un po’ della nostra parte divina alla pietra, che diventa piano piano sempre più luminosa. (Lo so perché non ho saputo resistere e ho sbirciato un pochino.)
Poco dopo però le pietre nelle nostre mani diventano incandescenti, e siamo costretti a lanciarle per terra prima che ci forino le mani, compreso Leo, per quanto ignifugo possa essere.
Il calore sprigionato dalle pietre si trasforma in una luce abbagliante, che ci costringe a coprirci gli occhi, ma poi quando li riapriamo ci troviamo davanti quattro ragazze con la testa rasata e con indosso una toga del colore della pietra originaria. La loro pelle è così bianca che mi viene il dubbio se non siano fatte di porcellana, e i loro occhi sono rossi come il fuoco, il che mi mette un po’ di inquietudine.
La loro aurea è potente, lo riesco a percepire immediatamente.
«Semidei, siete riusciti nell’arcano. Le Vestali sono finalmente libere, e pronte a servire Estia, la nostra protettrice.» Esclama la Vestale Blu, con una pacatezza impressionante.
«Io mi chiamo Pyrphoros, che vuol dire portatrice di fuoco.» Continua la Vestale Blu.
«Io invece sono Pyripnon, soffiatrice di fuoco.» Annuncia poi la Vestale Rossa. «Lei invece è Daidoukhos, la tedofora, portatrice della fiamma olimpica nelle cerimonie. -Indica la Vestale Viola.- E lei è Phosphoros, portatrice di luce.» Questa volta indica la Vestale Gialla, vicino a me.
Va bene, dopo questa serie di nomi impossibili, continuerò a chiamarle Vestali Gialla, Rossa, Blu e Viola; un po’ come facevo quando volevo distinguere le Winx quando ero piccola.
«Vaaa bene. Ragazze, avremmo bisogno del vostro aiuto.» Comincia Percy, ma la Vestale Rossa di fianco a Leo lo ferma subito.
«Estia è in grave pericolo, lo abbiamo percepito non appena il suo potere è stato rubato. Tarquinio deve essere fermato.»
«È quello che sto cercando di dire…» Cerca di continuare Percy, ma non viene calcolato.
«Four Corners, è lì che si nasconde il settimo re di Roma.» Finisce la Vestale Rossa.
Four Corners? Mai sentito. E poi che razza di nascondiglio sarebbe un posto chiamato “quattro angoli”?
A quanto pare neanche i miei amici americani ne avevano sentito parlare.
«Il Four Corners è uno dei siti archeologici più grandi del Paese e l’unico punto degli Stati Uniti in cui quattro Stati, lo Utah, l’Arizona, il New Messico e il Colorado si toccano. È il loro centro, per dirla in parole povere.»
E ad un tratto tutto sembra avere un senso. Abbiamo recuperato le Vestali girando attorno a questo luogo, che ne è il centro massimo, come un fuoco con le sue pietre vicino.
«E Four Corners sia, allora.» Esclama Leo, mettendosi in spalla il suo zaino pieno di campioncini di shampoo, ma la sua Vestale lo ferma.
«Da qui è troppo lontano per arrivarci in giornata, vi serve il nostro aiuto.»
La Vestale Viola quindi si allontana di qualche passo, e assume una strana posizione con le mani, tenendole rivolte verso l’alto con le mani chiuse a pugno; dalla sua bocca escono delle parole in latino che io non riesco a capire, e poi le sue braccia si abbassano, puntando ad un cespuglio vicino.
La pianta in questione si trasforma in poco tempo in un cerchio infuocato, con un piccolo vortice al centro.
«Questo è il metodo più veloce per raggiungere Tarquinio e salvare Estia, ma ha dei limiti: solo due persone possono attraversarlo, per cui ognuno dovrà viaggiare con la propria Vestale, in un portale a testa.» Spiega la Vestale Rossa.
«Non vedo dove sia il problema.» Faccio notare.
«Il portale non sempre porta dove si vuole. -Fa una pausa, fissando i nostri volti confusi- O meglio, non porta dove si crede di voler andare.»
«Il portale di fuoco è un portale a cui non puoi mentire. Questo passaggio ti può portare in qualsiasi posto del mondo, ma lo devi desiderare con tutta l’anima.» Continua la Vestale Blu.
«Continuo a non capire. È ovvio che io non voglia andare da Tarquinio per farmi uccidere, quindi dove vado a finire se lo oltrepasso?» Chiedo ancora più confusa.
«Andrai in un altro luogo, quello dove il tuo cuore davvero desidera essere.» La risposta della Vestale Rossa mi sembra più una sfida nei miei confronti che un semplice chiarimento, ma lascio cadere la cosa.
«Ragazzi, mi sembra quasi scontato che tutti vogliamo andare lì. -Interviene Reyna- Prima lo facciamo e prima ce ne torniamo a casa, giusto?»
Percy, io e Leo annuiamo, un po’ scettici.
Quando le rispettive Vestali ci creano il passaggio per il Four Cornes, mi convinco sempre di più che sia la scelta giusta. Durante la spiegazione della Vestale, il mio cuore desiderava essere a casa, in Italia, con mia madre e mia sorella a preparare dei biscotti, ma quando ho guardato i volti stanchi dei miei compagni e pensato a tutto quello che ho condiviso con loro, ho cambiato subito idea.
Se tornassi a casa avrei il doppio dei problemi che ho qui, per cui non ne vale la pena.
Così quando il portale giallo si apre davanti ai miei occhi, sono sicura di dove voler andare.
«Four Corners, allora. -Esclama Leo, prima di entrare- Chi arriva per primo è il semidio più simpatico e sexy di tutti i tempi.»
«Sfida accettata.» Esclama Percy, ed entra nel portale.
Miei dio, come i bambini di cinque anni.
Nonostante ciò, io e Reyna ci guardiamo per un attimo l’una accanto all’altra, e senza aggiungere altro entriamo nel vortice, curiose di sapere chi arriva per prima.
Dopodiché il buio.
Data la mia esperienza con i viaggi nell’Oltretomba di Nico, pensavo che anche i portali di fuoco delle Vestali fossero l’Inferno fatto a teletrasporto, e invece mi sbagliavo.
Certo, non sono un viaggio alle Hawaii, ma non sono neanche così spaventosi come me li immaginavo, dopotutto quando si parla di “portali di fuoco” non associo fiorellini e nuvole di zucchero filato.
Per qualche secondo percepisco tutte le cellule del mio corpo dissociarsi l’una con l’altra, facendo del mio pensiero l’unica parte coesa che mi rimane, ma poi piano piano i miei organi ritornano insieme, le mie ossa si ricompattano e la mia pelle ritorna a coprire tutto quanto, finché non mi ritrovo con il sedere sopra ad un terriccio sabbioso, e una luce accecante che mi costringe a coprirmi gli occhi.
Ancora un po’ spossata dal viaggio nel portale, mi alzo in piedi e metto a fuoco quello che c’è intorno a me: vedo un’immensa vallata color giallo ocra distendersi davanti, alla mia destra ci sono una serie di montagne sullo sfondo, mentre alla mia sinistra campeggia una struttura circolare, fatta da quattro stazioni della stessa grandezza posizionate nei diversi punti cardinali.
A collegare le strutture, un colonnato rossiccio con una serie di aperture completa il sito archeologico; capisco di essere davanti al Four Corners per via di una serie di cartelloni pubblicitari appesi al cancello d’ingresso, che invitano i turisti a sorprendere i propri amici con una foto del posto.
Quando mi giro dalla parte opposta vedo la Vestale Gialla che si rialza da terra, pulendosi la toga dalla sabbia, e poco più in là Percy e Reyna con le rispettive Vestali, anche loro piuttosto scombussolate. Ma di Leo nessuna traccia.
Decido di aspettare ancora qualche secondo, e richiudo gli occhi, ma quando li riapro il mio cuore sprofonda, e realizzo una volta per tutte che il portale non ha funzionato per tutti.
«Ragazzi, che fine ha fatto Leo?» Chiede Percy non appena si avvicina a noi.
Io continuo a girare la testa con il cuore in gola, cercando di perlustrare più posti possibili da dove possa arrivare il ricciolino, ma in un deserto non ce ne sono molti.
«Io…no, Leo deve essere per forza qui.» Sussurro.
«Magari c’è un secondo Four Cornes o ha capito male lui…Leo non potrebbe mai lasciarci a questo punto, vero?» Continuo, ma sia Reyna che Percy non mi rispondono.
I loro sguardi sono cupi e tristi, e non mi danno nessun incoraggiamento.
Così insieme alle nostre Vestali aspettiamo ancora per una ventina di minuti, ma di Leo nessuna traccia.
Un enorme tuono rimbomba nelle nostre orecchie, e quando alziamo lo sguardo il cielo si è annuvolato ad una velocità impressionante.
«Forza, non possiamo più aspettare. Dobbiamo liberare Estia.» Il primo a parlare è Percy, ma io stento ad ascoltarlo. Tutto ciò che faccio è fissare l’orizzonte, metabolizzando il tradimento di Leo, finché la mano di Reyna non mi afferra delicatamente il braccio, e mi convince che è ora di andare.
Percy e le Vestali quindi si incamminano verso l’entrata del Four Corners, mentre io rimango vicino a Reyna.
«Forza, possiamo farcela anche senza di lui.» Sussurra lei, ma io sono troppo delusa per poter replicare.
 
 
 
 
 
 
……………
Salve a tutti!
AAAAAAAH non mi odiate. Davvero, io vi voglio bene.
Allora andiamo per gradi: 1) le pietre. Quando ho scritto la scaletta di questa storia, nel momento in cui dovevo inventarmi i colori delle pietre focaie, sono andata completamente a caso. Nel senso che è stata una coincidenza grande quanto il culo della Minaj se i colori delle pietre corrispondessero ai colori “simbolo” dei protagonisti. Insomma, quando ci ho fatto caso volevo abbracciarmi da sola.
2) Le Vestali: inizialmente volevo renderle più particolari e carismatiche (un po’ come le muse canterine che si trovano all’inizio del cartone Disney “Ercole”), ma poi ho pensato che le sacerdotesse in generale (almeno a Roma) non avevano nessun tratto caratteristico. Anzi, i capelli rasati e i vestiti uguali servivano proprio per eliminare qualsiasi tratto soggettivo alle ragazze; per cui è questo il motivo se le avete trovate un po’ “insipide”, perché essenzialmente (secondo me, per rispettare appieno la tradizione) devono essere così.
3) LEO. Già, lui non è arrivato a destinazione. Ups. Chissà dove è andato.
4) I prossimi due capitoli saranno particolarmente impegnativi, finalmente Tarquinio farà la sua entrata, quindi perdonatemi eventuali ritardi.
5) Grazie infinite per essere arrivati fino a qui, se avete qualsiasi domanda o un piccolo parere io sono felicissima di leggere le vostre recensioni.
Secondo voi dove è finito Leo? Li ha traditi? Ha sbagliato strada? E’ morto?
Bene, ho detto anche fin troppo. Ci si vede al prossimo capitolo!
Potete trovarmi su
Twitter- @glaukopsis
Un bacio, Claire xx

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** 19 ***


19






Entriamo nel Four Corners e quello che vedo mi delude profondamente, più di quanto io non lo sia già.
Mi aspettavo che i confini dei quattro Stati americani venissero rappresentati in modo più curato e originale, invece tutto quello che c’è è una targa in bronzo circolare a terra con una croce semplicissima, che indica rispettivamente i confini degli Stati che si toccano in modo perfetto.
Fine del giro turistico.
«Tutto qui? Abbiamo fatto tutta questa strada per…questo?» Il mio tono di voce è più alto di quello che pensavo.
Trovo impossibile che Tarquinio abbia scelto questo posto come quartier generale: a circondare la targa in bronzo ci sono le quattro strutture che avevo visto da fuori, completamente deserte. Nessun palazzo reale, nessun nascondiglio tattico, niente che mi faccia pensare a un re romano con qualche problema di onnipotenza.
Reyna fa un giro di ricognizione accompagnata dalle Vestali, mentre io mi siedo su uno degli scalini in Arizona e guardo Percy che fa il cretino saltando da uno Stato all’altro.
«Guarda, ora sono in Colorado, ora in Utah. Ora in New Messico, ora in Arizona!»
Alzo gli occhi al cielo, sorridendo appena.
Salterei volentieri anche io da uno Stato all’altro con Percy, ma non sono dell’umore giusto; la mancanza di Leo si percepisce più di quello che mi immaginavo, e anche se gli altri cercano di non farlo vedere, capisco lo stesso che come me, anche loro sono preoccupati per lui.
Ebbene sì, sono preoccupata per Leo. Tutto il tempo che ho passato insieme a quel ragazzo mi fa pensare che non abbia voluto mollarci così da un momento all’altro, nella parte più cruciale della missione. Per cui ci deve essere per forza una spiegazione sul perché Leo non sia qui: il portale non ha funzionato? È stato catturato? Sta lottando contro un mostro? Sta bene?
«Guarda Chiara, sono in due Stati contemporaneamente!» Esclama Percy, posizionandosi con una gamba in New Messico e con l’altra in Colorado.
«Qui non c’è anima viva. -Dichiara Reyna- Comincio a pensare di essere nel posto sbagliato.»
Subito dopo le parole di Reyna, dal cielo rimbomba un forte tuono, seguito da una serie di lampi di media grandezza. La luce del sole viene oscurata da dei nuvoloni neri che non premettono nulla di buono, e prima che io possa anche solo dirlo la pioggia comincia a cadere, bagnandoci subito dopo.
«Bene, una polmonite non me la toglie nessuno.» Sussurra Percy.
«Pensa a rimanere vivo, intanto.» Suggerisce la Vestale Blu.
Improvvisamente una brezza gelata ci fa tremare, e una sensazione di paura piomba su di noi con la stessa velocità di un asteroide che tocca terra. Il deserto, il temporale, il freddo e questa sensazione di morte che aleggia sopra di noi non mi rassicurano.
«Che sta succedendo?» Chiedo.
«Stiamo vicini, e tenete pronte le armi. Qualcuno sta arrivando.» Ordina Reyna, e noi facciamo come ci ha detto.
«Percy, ti dispiacerebbe andare in New Messico? Non ho molta simpatia per quello Stato.» Chiedo, facendo riferimento al mio incontro toccante con Carope.
Percy, da gentiluomo qual è, si sposta e mi lascia lo spazio necessario per mettermi in Colorado. Reyna nel frattempo si è messa accanto a me, in Arizona, ma essendo in tre lo Stato dell’Utah rimane libero, e questo mi preoccupa.
Accendo la mia mano, concentrando più luce che posso in essa, e la tengo vicina per potermi riscaldare un po’, mentre Reyna e Percy sguainano le loro spade.
Le Vestali nel frattempo si mettono dietro di noi per guardarci le spalle, impaurite, e con la coda dell’occhio vedo che anche loro sono ben armate di fuoco nelle mani.
Ad un tratto un ululato inquietante rimbomba per tutta la vallata, e io spero davvero che sia un lupacchiotto carino e coccoloso che non ha il minimo interesse nei nostri confronti. Oppure mi va bene anche un lupo mannaro in stile Teen Wolf, mi accontento facilmente.
Ma le mie speranze sono vane.
Dai quattro lati del Four Corners sbucano fuori quattro cani dalle dimensioni di un rinoceronte, come se fossero stati sempre lì, aspettando il momento adatto per attaccare.
Dal lato di Percy, verso sud, esce un cane a due teste dal manto nero, con delle vene rosse che si intravedono sotto la sua pelliccia. I denti sono così appuntiti che sarebbe capace di squartare anche un mattone, mentre al posto degli occhi un paio di fiamme divampano nelle cavità oculari.
«Ortro. -Suggerisce Percy, impugnando la spada così forte che le sue nocche diventano bianche in pochi secondi.- L’unico che è stato a sconfiggerlo è stato Ercole a colpi di clava.»
«Qualcuno di voi ha una clava?» Chiedo, speranzosa.
Nessuno mi risponde, e io ovviamente capisco quale sia la risposta. Mi segno mentalmente di aggiungere una clava alla lista delle cose da portare in una prossima missione…sempre se ce ne sarà una.
Dopo Ortro, davanti a Reyna esce il secondo cane che assomiglia in tutto e per tutto ad una Sfinge. Il colore del pelo è simile a quello della sabbia, una serie di artigli bianchi spuntano dalle zampe e la criniera è perfettamente identica alla statua che si trova in Egitto: bionda, perfettamente ordinata e stabile come se ci avessero messo cinque litri di lacca. Gli occhi dell’animale sono rossi, e il suo ringhiare non promette bene.
«Scusate se chiedo, ma la Sfinge non è egiziana?»
«No, è originaria del mondo greco. Pensala un po’ come la Gioconda, gli egizi sono i francesi della situazione.» Spiega velocemente Reyna, e io rimango sconvolta.
«Ci mancano solo gli dei egizi e siamo apposto.» Bisbiglia Percy, e io vorrei urlare qualcosa come: “Ci sono anche gli dei egizi???” ma vengo distratta da un movimento improvviso.
Il terzo cane esce proprio davanti a me, e io rimpiango di non essermi messa in Arizona e di dover affrontare la Sfinge. Il mio cagnolone è magro, quasi scheletrico, e con la pelle più scura che abbia mai visto. Il suo alito puzza di morte, il che mi fa pensare che sia appena uscito dall’Aldilà, e intorno al collo ha un catenaccio ancora integro, come se fosse stato proprio qualcuno a liberarlo appositamente per noi.
Sono quasi sicura che sia un segugio infernale, ma aver dato un’identità a questa bestia non mi fa sentire meglio.
I miei dubbi vengono confermati una volta che Reyna parla.
«Percy, tu non hai confidenza con i segugi infernali?»
«Di sicuro non con questo.»
Di bene in meglio!
Per completare il branco, a nord, proprio dove ci dovrebbe essere Leo ad aiutarci, sbuca fuori un leone in tutto e per tutto, e qualcosa mi dice che si tratta proprio del Leone di Nemea. Se non ho dimenticato tutto quello che ho studiato a scuola, l’animale in questione
era stato mandato da Era per distruggere Ercole, ed è completamente invulnerabile.
La pioggia comincia a scendere più forte di prima e questo mi sveglia da un piccolo stato di trance in cui sono caduta: realizzando dove mi trovo e da cosa sono circondata, mi rendo conto di essere spacciata.
Ci sono così tante cose che potrebbero andare male che non riesco neanche a tenere il conto, e tanto per dirne una, Leo dovrebbe essere qui a coprire la zona dello Utah; almeno saremmo quattro contro quattro.
Dell’aiuto delle Vestali non ci conto tanto, loro non sono fatte per combattere, per cui ritengo che quattro cani assatanati contro tre semidei sia leggermente sleale.
Il primo ad attaccare è la Sfinge, seguita poi dagli altri tre, e io vado nel panico: attorno a me succedono così tante cose che faccio fatica a mantenere la concentrazione.
Essere circondata da quattro dei mostri più famosi di sempre mi fa arrivare ad un livello di disperazione che non avevo mai provato, e la mancanza di Leo non pesa solo sul mio stato mentale, ma su tutti noi.
Io quindi cerco di non morire davanti al segugio infernale, che grazie a chiunque ci sia lassù, è il più tranquillo dei quattro; se così si può dire.
Percy si occupa dell’Ortro, il cane dalle due teste, mentre Reyna pensa alla Sfinge. Le Vestali nel frattempo si trovano ad affrontare il Leone di Nemea, ma la loro insicurezza e terrore (ho trovato qualcuno messo peggio di me) impediscono di agire come si deve davanti ad un mostro di tale portata.
Come ho detto, fortunatamente a me è toccato il segugio infernale, e ne deduco che al cagnolone non piace la luce del sole. Così, trovandomi in una posizione di vantaggio, in un primo momento mi sento particolarmente forte, e il senso di panico se ne va.
Le mie mani non si fermano e continuano a sparare fasci di luce come non avevano mai fatto prima, e il segugio cerca di nascondersi dietro ad una panchina per proteggersi il più possibile.
«Eh no, stronzo.» Esclamo, ma vengo subito rimproverata da Reyna per aver detto una parolaccia.
«Neanche in italiano?» Chiedo, mentre continuo a sparare luce.
«Non in questa vita.» Risponde lei, e io alzo gli occhi al cielo.
L’italiano è così pieno di bellissime parolacce e io non posso usarle neanche quando un gruppo di cani vogliono ucciderci. Che due palle.
Nel frattempo Percy sta cercando di non essere azzannato da una delle due teste di Ortro: il ragazzo, pur muovendosi con un’agilità impressionate, non riesce ad attaccare perché il cane riesce a spostarsi con la stessa velocità. Il combattimento sembra alla pari, e ho come la sensazione che l’Ortro potrebbe continuare per ore.
Dopo un tempo indefinito, un ululato mi fa capire che la spada/penna di Percy è riuscita a ferire il cane, ma non è abbastanza.
Ritornando al mio segugio infernale, finora la mia tecnica di accecarlo ha funzionato, ma a quanto pare non ho tenuto conto che tra i mostri ci fosse un senso di protezione reciproco: infatti il Leone di Nemea, vedendo il segugio in difficoltà, lascia in pace le Vestali come se fossero un giocattolo da poco conto, e viene in aiuto del suo amico.
E niente, a questo punto potrei lasciare il campo di battaglia in stile “no Maria, io esco”. Purtroppo non posso farlo.
Nel frattempo il temporale si fa sempre più vicino, e la pioggia si infittisce sempre di più, impedendomi di vedere decentemente.
Mentre il segugio si riprende, il Leone viene verso di me con un passo lento ma deciso; posso percepire le gocce di sudore che cadono lungo la mia schiena e la mia mente non riesce a pensare a nulla di sensato, riesco solamente a fissare le fauci che tra qualche secondo mi sbraneranno.
Improvvisamente nel mio campo visivo appare Reyna e la Sfinge: la tattica della ragazza a quanto pare è completamente diversa da quella mia e di Percy, infatti lei non attacca mai, ma cerca di schivare il più velocemente possibile gli artigli dell’animale, come se lei fosse un topo e la Sfinge un gatto che sta cercando di prendere la preda.
Le Vestali nel frattempo da tre sono diventate ad un tratto due: quella Blu e quella Viola cercando di difendere con tutte le loro forze quella Gialla caduta a terra, lanciando piccole palle di fuoco a caso.
I loro poteri mi ricordano Leo, e il mio morale crolla a picco al solo pensiero.
Nel frattempo il Leone di Nemea è a pochi metri da me, tanto vicino che posso sentire il suo alito sulla mia pelle: poco prima che il mostro prenda lo slancio per sbranarmi la faccia, mi abbasso in modo tale da non essere presa, e mi immagino con tutta la forza possibile il corpo del segugio uscire dal suo nascondiglio e andare a sbattere contro il Leone. Non mi sono mai spinta così tanto con i poteri di Atena, ma devo fare un tentativo.
Gli occhi chiusi non mi permettono di vedere il volo del segugio infernale, ma lo schianto si è sentito forte e chiaro.
Quando mi rialzo da terra mi accorgo che sono riuscita solamente a stordire i due cani, ora ammucchiati insieme in Utah, e che ho guadagnato solo qualche minuto. Sulla mia maglietta cadono una serie di gocce di sangue dal naso, segno di qualche cedimento del mio corpo.
Subito dopo Reyna lancia un grido di dolore, e io mi volto verso di lei.
Vedo la ragazza a terra con una ferita non indifferente alla gamba, e la Sfinge poco lontano da lei con la stessa espressione trionfante che ha il mio gatto quando riesce a prendere la sua preda.
Poco dopo anche Percy grida, e mi accorgo che l’urlo di Reyna ha distratto anche lui, permettendo all’Ortro di attaccarlo senza problemi.
«Maledizione!» Grida il ragazzo, furibondo, anche se sono piuttosto sicura che volesse dire qualcosa di più di un semplice “maledizione”.
«Ragazzi, vi lascio da soli per un’oretta e già state rischiando di morire.»
Una voce familiare risuona nelle nostre orecchie, e non appena mi volto in direzione di essa non posso credere a quello che vedo. Leo Valdez, insieme alla sua Vestale Rossa, è davanti al cancello d’entrata del Four Corners, con dei vestiti e zaino nuovi e un’aria di uno che è appena stato una settimana alle Maldive.
«Leo!» Grida Percy, alzando la spada in aria.
«Leo…» Sussurro io, non sapendo bene come sentirmi.
«Alla buon ora, Valdez.» Esclama Reyna, cercando di rialzarsi da terra.
Purtroppo il tempo per i saluti non c’è, e la Sfinge riparte all’attacco ancora più feroce di prima.
Reyna a questo punto riesce a rotolare verso destra, sfuggendo all’animale.
«Percy! -Grida Leo, correndo verso di lui- Come negli allenamenti, io a destra e tu a sinistra!» E incredibilmente, il ragazzo sembra aver capito.
Infatti i due ragazzi si dividono e accerchiano Ortro, e cominciano ad affrontare una testa a ciascuno; il figlio di Efesto comincia ad evocare il suo fuoco, puntando dritto alle fauci dell’animale, mentre Percy colpisce la seconda testa senza mai mancare un colpo nonostante la sua ferita.
Le grida in latino di Reyna mi fanno ritornare alla realtà, così corro da lei per aiutarla. Non appena mi avvicino alla Sfinge, noto con piacere che questa non è fatta di carne, muscoli e ossa, ma di sabbia. Così mi viene un’idea.
«Riesci a distrarla ancora un po’? Forse so cosa fare.»
«Cosa intendi?»
«Mi pare di capire che questo bestione è fatto di sabbia. E cosa succede alla sabbia quando prende troppo sole?»
Reyna sembra pensarci un po’. «Si secca.»
«Esattamente.» Le sorrido.
Così lei, anche se zoppicante, riesce ad avere tutta l’attenzione della Sfinge, mentre io riesco a raggirarla in poco tempo.
Chiudo per un momento gli occhi e cerco di concentrare tutta la luce che posso nelle mie mani, anche se questo mi fa sentire sempre più debole. Con un urlo finale, riesco a scagliare la luce sul didietro della Sfinge, che si immobilizza all’istante per poi sgretolarsi in un mucchio di sabbia sullo stato dell’Arizona.
Le mie gambe mi sembrano fatte di gelatina, e capisco di non riuscire più a stare in piedi; così cado a terra, ma senza perdere i sensi. L’unica cosa che mi fa stare sveglia è il rumore della pioggia e le gocce d’acqua che cadono pesantemente sui miei vestiti e sulla mia pelle, come se fossero delle piccole pallottole che mi punzecchiano.
Con la coda dell’occhio vedo una testa mozzata dell’Ortro poco lontano da me, e per poco non vomito.
Le Vestali nel frattempo si sono rifugiate dietro al colonnato, sperando di non essere prese di mira.
«Leo, il segugio infernale!» Grida Reyna, e il ragazzo non se lo fa ripetere una seconda volta.
Mentre cerco di rimettermi seduta, vedo il segugio essersi ripreso quasi completamente, insieme al Leone di Nemea. Leo sta per scagliare il suo fuoco, ma qualcosa lo ferma.
Improvvisamente i due mostri non appaiono più feroci e assassini, ma impauriti, tanto che dopo qualche secondo i due animali corrono via, uno verso il Colorado e uno verso il New Messico.
«Woah, non pensavo di incutere tanta paura. -Dice Leo, facendo una pausa- Che figata!»
Ma il suo solito entusiasmo ora sembra inopportuno.
In totale silenzio Reyna mi aiuta a rialzarmi, mentre Percy si distende per terra e si gode quel poco di pace che ci siamo meritati.
Io però non riesco a stare zitta. «Leo, che fine avevi fatto?»
«Ah sì, giusto. Beh…»
«È successo qualcosa con il portale?» Continuo, guardando anche la Vestale Rossa, in cerca di risposte.
«Si, cioè volevo dire… no. Insomma, è complicato.»
A questo punto la tensione sale, e Reyna e Percy si avvicinano a me, volendo sentire anche loro delle spiegazioni.
«Andiamo ragazzi, ora sono qui, no? È questo l’importante.» Continua Leo.
«Amico, sei sparito senza dire niente. Pensavamo fossi stato catturato, o ti fossi fatto male. Abbiamo affrontato quattro mostri tutti in una volta, Tarquinio ancora non si è fatto vivo, e manca poco tempo allo scadere dei sette giorni, hai scelto un pessimo momento per scomparire.» Dice Percy, e anche se io lo avrei detto con più astio, il concetto è quello.
Il figlio di Efesto si gratta i ricciolini bagnati, con un fare imbarazzato.
E poi vedo un qualcosa che mi fa diventare nera. E sono figlia di Apollo.
Sulla guancia di Leo noto una piccola sfumatura di rosso, come se qualcuno lo avesse baciato.
La realizzazione della cosa mi colpisce in pieno come uno schiaffo in volto.
«Sei andato da Calipso…» Dico ad alta voce, dando ragione ai sospetti dei miei amici.
«Ascoltate ragazzi, io volevo venire con voi…»
«Non ci posso credere, hai preferito andare dalla tua ragazza a fare chissà cosa mentre noi eravamo qui a cercare di sopravvivere!» Urlo, sull’orlo di una crisi isterica.
Leo mette le mani davanti a sé, avvicinandosi a me e guardandomi come se fossi più pericolosa di un Ortro.
«Chiara, il mio piano sarebbe stato quello di arrivare da voi in tempo per…»
«In tempo per cosa? Per vedere Tarquinio ridere sui nostri cadaveri accarezzando il suo fidato segugio infernale? Se avessimo incontrato subito Tarquinio, saresti arrivato in tempo per cosa? Vedere Roma cadere?»
«Ehi, possiamo farcela anche da soli.» Ribatte Reyna, leggermente offesa.
«L’hai sentita anche tu la profezia. Il fuoco c’entra qualcosa, e Leo è venuto in missione per questo, non per andarsene quando gli pare e piace per andare ad amoreggiare!»
Mi rendo conto che la mia voce è piena di risentimento, o forse gelosia, ma non posso farne a meno.
Il silenzio cala su di noi, la pioggia è l’unica cosa che mi fa rimanere ancorata a terra e con la mente salda.
Ma poi una voce rauca e aspra si insinua nell’aria e noi ci voltiamo di scatto. «Ah, i drammi adolescenziali, fanno così 525 a.C.»
 
 
 
…..
Salve a tutti!
E va bene, forse sono stata un po’ dura con Leo. Però lascerò a voi le considerazioni sul suo gesto.
Allora, questo capitolo è stato un mezzo parto. Inizialmente volevo scrivere di Tarquinio già in questo, ma poi non avrei avuto molto da scrivere nel prossimo (quello decisivo) e quindi ho cercato di rendere le cose ancora più difficili, mettendo quattro bei cagnoloni assatanati come prima prova.
Il fatto di scrivere un combattimento con un sacco di personaggi/mostri è molto difficile, per cui spero davvero che io sia riuscita a dare l’idea della “battaglia” e di non aver fatto un casino.
Non ho molto altro da aggiungere, se non dirvi di portare un po’ di pazienza per il prossimo capitolo: tra l’università e il fatto che sia molto lungo e complicato ci metterò un pelino di più a scriverlo.
Vi ringrazio infinitamente per aver letto ed essere arrivati fino a qui. 😊
Potete trovarmi su
Twitter- @glaukopsis
Un bacio, Claire
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** 20 ***



(il capitolo è bello lungo, mettetevi comodi)

20

 



Mai e poi mai mi sarei aspettata di sentire una voce così inquietante e che mi facesse venire i brividi.
Mi giro di scatto, e davanti a noi c’è il famigerato Tarquinio il Superbo, settimo e ultimo re di Roma. Il suo viso squadrato è rasato perfettamente in un gioco di piccoli ghirigori fatti di barba, gli occhi sono azzurri come il ghiaccio, la fronte tempestata di cicatrici e i capelli neri sono laccati all’indietro.
La sua espressione mi fa tremare, è come se non aspettasse altro che questo momento.
Il re romano a quanto pare non ha badato a spese in fatto di vestiario: il suo completo nero, cravatta compresa, insieme al suo mantello blu sembrano costare quanto la mia casa.
Le mani sono avvolte da un paio di guanti dello stesso colore del mantello, come se gli facesse schifo toccare qualsiasi cosa.
«Tarquinio il Superbo, non mi aspettavo che fossi venuto da solo.» La voce di Reyna rimbomba per tutta la vallata.
Il re avanza di qualche passo, cercando di non sporcarsi le sue scarpe firmate, ridacchiando compiaciuto.
«Reyna Ramirez Arellano, pretore del Campo Giove, non pensavo fossi così stupida.» E con una semplice alzata di mano, dal colonnato compaiono altre sei persone, di cui per mia sfortuna ne riconosco due: Leonte e Carope.
Reyna sta per rispondere a tono, ma Percy le afferra il braccio, fermandola.
«Cari semidei, vi presento i miei più fidati compagni: Falaride, re di Sparta.» Comincia Tarquinio, presentando un uomo sulla trentina fatto di muscoli, denti d’oro, e una grande voglia di uccidere.
«Eumolpo, unico figlio di Poseidone ad essere stato un re della Tracia.» Questo invece è a petto nudo, con un tridente tarocco in mano e con i capelli rossi bagnati, schiacciati sulla fronte.
«Aminandro, re greco ma sempre fedele ai romani.»
Persona inutile, a mio parere. Questo re non ha nulla che lo distingui dagli altri: solita armatura, solita spada, solito ringhio per far paura al nemico e bla bla bla. Già visto.
«Ed infine Tantalo, ex divinità scacciata dall’Olimpo.» Finisce Tarquinio, indicando un uomo biondo, vestito con una toga rossa tipica dell’epoca romana e con un tatuaggio a forma di serpente su tutto il braccio sinistro. Due particolari che mai e poi mai avrei pensato di vedere insieme.
«Oh, e gli altri due già li conoscete. Chiara, non sei felice di ricontrare Carope? Mi ha detto tante cose sul tuo conto. -fa una pausa- Anche se contorte.»
Dopo un piccolo momento di silenzio imbarazzante, Leo decide di parlare. «Vedo che ti piace proprio il numero sette.» Fa lui direttamente a Tarquinio, contando quanti sono in totale.
Il re non dice nulla, ma ho come la sensazione che Leo sia appena diventato il primo nella sua lista nera.
E senza nemmeno dare il via, o un preavviso, i tirapiedi di Tarquinio partono all’attacco.
Le mie gambe sono ancora provate per il combattimento di prima con i cani, e i miei poteri non si sono ristabiliti del tutto, ma faccio del mio meglio per contrastare i sei re vogliosi di vendetta.
Reyna si scaglia prontamente verso Falaride, prendendolo in pieno viso con il suo scudo d’oro; la spada della ragazza quindi colpisce con un colpo secco il suo braccio destro, mozzandolo come se fosse fatto di mozzarella.
Alla vista di questa scena mi viene qualche conato di vomito, ma cerco di concentrarmi. Sulla mia destra invece c’è Percy che se la vede con il suo fratellastro: nella confusione generale, il ragazzo riesce ad insultare il re della Tracia per usare un tridente ordinato su Ebay, e a quanto pare Eumolpo non la prende bene.
Un vortice d’acqua si alza dalle mani di entrambi, e si fissano con lo stesso odio che avrebbero beh…due fratellastri.
Le quattro Vestali nel frattempo, ora riunite, possono contare di un potere leggermente più forte di quando erano in tre, e riescono ad affrontare Aminandro. Ogni tanto Percy interviene in loro aiuto, ma posso ammettere che se la stanno cavando parecchio bene; insomma, da quanto vedo non penso che ad Aminandro faccia piacere un orecchio carbonizzato.
Mi giro di scatto più volte su me stessa, cercando di farmi una panoramica generale della situazione, e noto con la coda dell’occhio che Tarquinio sta prendendo posto su un trono che non so come sia arrivato lì, cominciando a gustarsi lo spettacolo.
Il suo sorrisetto di compiacimento mi dà così fastidio che vorrei corrergli incontro e ucciderlo con le mie stesse mani, ma vengo fermata da qualcuno che non avrei mai più voluto rincontrare.
Carope viene verso di me alzando la stessa spada che mi ha ferito quasi mortalmente in New Mexico, e il ricordo del dolore mi fa venire in mente che quell’arma è avvelenata, e che devo starci il più lontano possibile.
«Ci noi due ritroviamo. Arrivata è ora la morte per te.» Esclama lui.
La rabbia mi sale in corpo in meno di un secondo, e le mie mani si accendono come due fari. «Nel frattempo vedo che fai ancora schifo a parlare.»
E con un coraggio che non avevo mai avuto, gli corro incontro: non avendo un’arma adeguata con me, cerco di contrastare la sua spada con i miei poteri di Atena e di Apollo messi insieme. Così faccio in modo che la mano di Carope devii accidentalmente la sua spada nella direzione opposta alla mia, permettendomi di colpirlo con la mia luce senza problemi.
Per i primi minuti il mio piano sembra funzionare, tanto che riesco a far finire Carope oltre il colonnato del Four Corners. E aggiungo con un pizzico di soddisfazione.
Nel frattempo Reyna è riuscita a mettere k.o. Falaride, e ora si sta occupando di Tantalo, che a quanto pare è una ex divinità. Mi chiedo cosa possa aver combinato per essere stato cacciato dall’Olimpo, e qualsiasi cosa abbia fatto, rimane un cretino.
Da quando i sei re di Tarquinio ci hanno attaccati, Leo è sparito dal mio campo visivo, finché il ragazzo non mi cade davanti come un sacco di patate, prendendosi una bella botta al didietro.
A quanto pare a Leo è toccato il peggiore di tutti, Leonte, il Christian Grey che al museo di Phoenix non ci ha messo molto a metterci fuori gioco. Ricordo molto bene come Leonte abbia spento il fuoco di Leo in pochi secondi, e anche se dovrei essere infuriata con lui, non posso fare a meno di preoccuparmi.
«Maledetto bastardo…» Grida Leo, preso da un momento d’ira, e subito dopo mi sembra di sentire la voce di Reyna gridare qualcosa come: “Linguaggio!”; il figlio di Efesto però ignora il rimprovero, e si alza da terra pulendosi i rimasugli di sabbia che sono finiti sui suoi pantaloni nuovi.
Prima che io possa fare qualcosa però, un fascio di luce nera mi avvolge la mente, e mi accorgo solo poco dopo che Leonte si è avvicinato a me e con le sue parole mi sta mandando il cervello in pappa.
Non ce la farete mai.
Sei solo una stupida ragazzina che gioca a fare l’eroina.
Cediti a me, e ti prometto che non sentirai nulla.
Comincio a coprirmi con forza le orecchie, ma la magia nera di Leonte è già penetrata nella mia testa, e non so come farla uscire.
«Lasciala in pace!» Grida Leo, e insieme alla sua voce, il rumore delle spade che si scontrano, le urla di Reyna, le palle di fuoco che lanciano le Vestali provocando delle piccole esplosioni, e la pioggia che continua a cadere fitta mi provocano un senso di confusione e paralisi dalle quali non riesco ad uscire.
Poi qualcosa sembra sbloccarsi nella mia mente, e il mondo reale torna a farsi più vivido. Quando alzo lo sguardo vedo che Leo è riuscito a colpire Leonte in faccia con uno dei suoi marchingegni elettronici, impedendo alla magia nera di annebbiarmi ulteriormente il cervello.
Io sorrido a Leo, mimando con le labbra un “grazie”. Anche se sono ancora molto incazzata con lui, glielo devo.
Successivamente Percy, lasciando per un secondo la sua battaglia acquatica con Eumolpo, mi lancia una scatoletta di cartone.
Io lo guardo confusa, ma poi capisco quale sia la sua idea non appena vedo cosa c’è all’interno del contenitore: dei tappi per le orecchie.
Me li metto immediatamente, e ora che non sento più nulla, tutto quanto sembra un cartone animato; i rumori fanno la differenza, credetemi.
Mi chiedo da dove Percy abbia tirato fuori questi tappi, ma non ho tempo per risolvere il mio dilemma, perché Leonte riesce a distruggere con le sue stesse mani il giochino di Leo, lanciandolo con forza per terra.
«Ehi, ci ho messo mesi a costruirlo!» Protesta lui, ma ora come ora le sue accuse non servono a nulla.
Leonte quasi lo ignora, e viene verso di me a passo spedito, alzando dietro di sé un’onda nera di magia. La visione mi fa venire i brividi, e il mio cervello si prepara per un altro lavaggio del cervello, ma incredibilmente non succede nulla.
Così sorrido a Leonte, e lui si ferma, confuso sull’inefficienza dei suoi poteri.
«Ora non fai più l’arrogante, vero?» Dico forse urlando, affiancandomi a Leo.
Io e lui ci guardiamo per un momento, e come se ci fossimo letti nel pensiero, scagliamo insieme un fascio di luce e fuoco, tutto per il nostro amico che viene travolto da capo a piedi.
Una volta che Mr. Grey si trova a terra, mezzo svenuto, io e Leo esultiamo e ci diamo il cinque, ma quasi subito dopo io sbianco improvvisamente, e sono costretta a mettermi in ginocchio, prendendo fiato. L’unica cosa che riesco a fare è quella di togliermi i tappi per le orecchie in modo tale da tornare a sentire quello che accade intorno a me e avere ancora un contatto con il mondo esterno.
Leo sta per abbassarsi per aiutarmi, ma una corda grande quanto un tubo idraulico gli accerchia il collo, e lui comincia ad annaspare.
Alzo lo sguardo e vedo che dietro di lui Aminandro tiene ben salde le estremità della corda, con uno sguardo compiaciuto.
Nella confusione, mi ricordo che Aminandro stava combattendo contro le Vestali, ma ora sembrano essere scomparse.
«Lascialo stare!» Grido, cercando di alzarmi e salvare Leo, ma le mie gambe non sono d’accordo, e io cado di nuovo a terra. Le mie ossa sembrano non voler più reggere il mio corpo, i miei muscoli sono pieni di acido lattico e i miei polmoni fanno fatica ad incamerare aria. Dire che mi sento uno straccio è un eufemismo.
«Questo sporco greco merita solo di soffrire. Un po’ come tutti gli altri, non credi anche tu?» La voce di Aminandro è fastidiosa come una zanzara che ti ronza attorno di notte, e io vengo presa dal panico quando il viso di Leo diventa paonazzo.
Percy e Reyna sono ancora impegnati con gli altri tirapiedi di Tarquinio, e per quanto avrei bisogno del loro aiuto, devo cavarmela da sola.
«Smettila!» Cerco di fermarlo, e lui incredibilmente fa quello che ho detto.
«Hai ragione. Ci sono modi molto peggiori di morire per un greco.» Così Aminandro lascia la presa sul collo di Leo, il quale cade a terra di fianco a me tossendo convulsivamente; io cerco di avvicinarmi a lui, ma il suo corpo viene di nuovo trascinato via da me. Ora la corda non stringe più il suo collo ma le sue mani dietro la schiena, impedendo a Leo qualsiasi movimento.
Vedo che il figlio di Efesto cerca di ribellarsi in qualsiasi modo, compreso cercare di dar fuoco alla corda, ma questa sembra essere immune a tutto.
Una volta che Leo viene legato come un salame, Aminandro si avvicina a me e approfitta della mia temporanea debolezza per legarmi nello stesso modo, per poi venire costretta ad inginocchiarmi davanti allo stesso Tarquinio, rimasto lo spettatore divertito fino ad adesso.
A questo punto Percy e Reyna lasciano perdere quello che stavano facendo e corrono verso la nostra direzione, gridando i nostri nomi, ma è in questo momento che Tarquinio fa qualcosa che speravo tanto non facesse.
«Perseus Jackson. Reyna Ramirez Arellano. Fermatevi. Inginocchiatevi di fianco ai vostri compagni, e non opponete resistenza.»
Improvvisamente mi ritorna in mente tutto quello che aveva detto Julia nei confronti di Tarquinio, e il fatto che potesse controllare le persone con solo la sua voce speravo tanto fosse solo un rumor. E invece no.
I due ragazzi si fermano dalla loro corsa, e nei loro occhi compare un’espressione strana, come se stessero fissando il vuoto, e senza dire nulla si mettono vicino a me e a Leo, inginocchiandosi e mettendo le mani dietro la schiena, per farsi legare.
Io e Leo siamo sconvolti, e ci fissiamo. Molto probabilmente stiamo pensando entrambi: “Siamo nella merda.”
Leonte intanto si è ripreso e si rialza da terra con uno sguardo così incazzato che in confronto quelli di mia madre quando le ho strisciato la macchina sul muretto non è niente.
Tarquinio però placa la sua ira con una sola alzata di mano, e incredibilmente anche Leonte rimane immobile, e dal suo viso scompare quella voglia di uccidermi.
Così tutti i sei re (uno con un braccio mozzato) ci raggiungono e si mettono a qualche metro dietro di noi, in modo tale da avere Tarquinio davanti e attaccarci alle spalle se mai dovessimo scappare in qualche modo.
Per un momento mi chiedo dove siano le Vestali, ma non riesco a vederle, per cui l’unica cosa che spero per loro è che siano riuscite a scappare.
Dopo un tempo interminabile Tarquinio si alza dal suo trono e cammina verso la nostra direzione, vittorioso. «Finalmente la parte in cui cercate miserabilmente di salvare il mondo con le vostre due spaducce è finita. Sono sincero, stava cominciando ad essere noioso.»
Percy e Reyna si risvegliano dal loro stato di trance, e quando si rendono conto di essere legati come due salami esattamente come me e Leo rimangono scioccati, ma poi trasformano il loro stupore in una rabbia che non avevo mai visto in loro due.
Dopotutto li capisco, non deve essere bello quando qualcuno manipola la tua mente a proprio piacimento.
«Ragazzi, ragazzi. -Esclama Tarquinio non appena nota la rabbia dei due- Le corde sono magiche, non potete spezzarle. Più tirate e più queste si rinforzano.»
«Quando mi libererò non credo che continuerai a parlare. La prima cosa che ti taglierò sarà la lingua.»
Io fisso Percy a bocca aperta. Non avevo mai visto questa parte di lui.
Tarquinio in tutta risposta si mette a ridere, con tanto di mano ingioiellata che si tiene la pancia.
«Minacce ridicole a parte, finalmente oggi è il giorno in cui conquisterò tutto l’Occidente e raserò al suolo Roma, per ricostruirla a mia immagine e somiglianza. E per la prima volta avrò anche un pubblico, non è incredibile?»
«Se volevi un pubblico potevi provare ad America’s Got Talent.» Sussurra Leo, ma il re romano l’ha sentito lo stesso.
«Ci ho già provato. Simon Cowell non ha capito le mie vere potenzialità.» Risponde tranquillamente Tarquinio, e se i miei muscoli non mi facessero così male, potrei scoppiare a ridere.
«Ad ogni modo, è ora di far entrare la star della serata. La nostra cara Estia.» Annuncia lui, e con uno schiocco delle dita la dea compare davanti a noi dal nulla, mezza svenuta e legata con il doppio delle corde che hanno usato per noi.
Dall’ultima volta che l’ho vista il suo aspetto è peggiorato parecchio: il viso è così pallido che le lentiggini non si vedono più, i capelli rossi sono spettinati e sporchi come se fosse stata buttata in un cassonetto dei rifiuti. Gli occhi sono chiusi e dalle labbra carnose scende un rivolo di sangue.
I vestiti che indossa Estia sono gli stessi che le avevo visto nel messaggio Iride, ma ora sono strappati e sporchi di chissà che cosa.
La sua immagine sembra quasi finta, tanto che la sua pelle è come se stesse sparendo.
Nei pressi del suo petto vedo un lieve bagliore rosso battere al posto del suo cuore, e capisco subito che quella è la sua fiamma. Più la fisso e più questa pulsa sempre meno, e a me viene da piangere.
«Chiara, vedo che non ti sfugge nulla. Si, è proprio quello il potere che mi serve per compiere il mio destino e diventare finalmente il Re di Roma più importante!» Esclama Tarquinio, e sotto i nostri occhi spaventati, il re affonda la sua mano nel petto della dea, e afferra la fiamma, per poi strapparla con violenza dal corpo della donna e alzarla in alto, ridendo come uno psicopatico.
Al suo gesto, una serie di lampi e tuoni si fanno spazio nel cielo.
La velocità con cui è avvenuto tutto quanto ci ha spiazzato, e il senso di impotenza si fa sempre più grande.
I re dietro di noi cominciano ad applaudire il loro capo, esultando alla vista della fiamma di Estia.
«Con questa fiamma, finalmente Roma potrà avere il re che si merita!» Comincia a blaterare Tarquinio, ma improvvisamente Percy sembra essersi ripreso.
«Ragazzi, ho un piano. Possiamo ancora farcela.»
Io, Leo e Reyna ci avviciniamo a lui, fissando per un attimo Tarquinio che sembra non accorgersi di noi, preso totalmente dalla sua mania di potere.
«Ricordate quando siamo riusciti a spezzare la magia nera che ci teneva chiusi al museo di Phoenix? Possiamo rifarlo, dobbiamo solo avere un contatto fisico.»
Io cerco di capire come la sua idea possa salvarci tutti se siamo legati, ma dopotutto non abbiamo altre alternative, per cui senza perdere altro tempo io mi avvicino a Leo in modo tale da riuscire a sfiorare la sua mano, e Percy e Reyna fanno lo stesso.
Con una sincronia perfetta, chiudiamo insieme gli occhi e concentriamo la nostra energia in unico punto: per un momento ho la sensazione che non funzioni, ma poi un leggero bagliore bianco si propaga dalle nostre mani, e le corde si spezzando come se fossero fatte di paglia.
Noi quattro ci rialziamo in piedi sotto lo sguardo sconvolto dei sette re, e subito dopo mi rendo conto che l’obiettivo di Percy non era solo quello di spezzare le corde, ma quello di condividere il suo piano per sconfiggere effettivamente Tarquinio una volta per tutte.
Una volta alzati da terra ci fissiamo negli occhi l’uno nell’altro, confermando l’idea di Percy, e partiamo all’azione più pronti che mai.
L’adrenalina mi scorre nelle vene, ma cerco di rimanere concentrata e seguire il piano di Percy, anche se ho qualche dubbio sulla sua riuscita.
Così per sfruttare al massimo i pochi secondi di confusione che siamo riusciti a creare, io e Percy uniamo i nostri poteri per creare una specie di barriera a cupola che impedisca a Tarquinio di vedere quello che abbiamo intenzione di fare.
Il re romano però sembra essere pronto ad ogni evenienza, e da dentro alla nostra piccola campana di protezione, sento le urla dei suoi tirapiedi venire verso di noi.
Percy allora si rivolge a Reyna e a Leo, che nel frattempo si sono disposti l’uno davanti all’altro. «Ragazzi, tocca a voi.»
«Sei sicuro?» Chiede lei a Leo, con un pizzico di indecisione.
«Mai stato più sicuro in vita mai. Forza, fallo. Almeno potrò farmi perdonare per quella volta che ho bombardato il Campo Giove.»
Reyna sembra esitare. «Non volevo arrivare a questo punto. Leo, mi dispiace.» E come ha fatto qualche minuto fa Tarquinio, la ragazza affonda la mano dritta nel petto di Leo, per poi tirarla fuori con in mano una fiamma identica a quella di Estia.
Reyna quindi comincia a guardarmi, e capisco che è il mio turno.
«Chiara, dobbiamo essere veloci. Questa barriera non durerà ancora per molto.» Mi dice Percy, e io gli annuisco.
Così chiudo gli occhi e mi concentro in modo tale da scambiare con i poteri di Atena le due fiamme. La cosa risulta più difficile del previsto, tanto che far volare il segugio infernale contro la Sfinge era una cosa da poco.
Mantengo la concentrazione finché del sangue non mi scende dal naso, ma poi ce la faccio: la fiamma di Leo sparisce dalla mano di Reyna, e al suo posto compare quella di Estia.
Il piano sembra aver funzionato: attraverso la condivisione dei ricordi, Percy è riuscito a spiegarci il suo piano, ovvero quello di scambiare la fiamma di Estia con quella di Leo senza che Tarquinio possa vederlo, il tutto senza dire una parola. Anche se questo non sarebbe servito a sconfiggere del tutto il re e Leo sarebbe rimasto senza poteri, Percy è convinto che sia l’unico modo per poter impedire la distruzione di tutto l’Occidente.
E ad essere sinceri, noi non avevamo un piano B.
Così non appena abbiamo la fiamma di Estia ci concediamo un momento per esultare, ma la barriera si rompe qualche secondo dopo, rivelando sei antichi re pronti a farci a fettine.
Leo quindi nasconde la fiamma della dea nel suo borsellino magico come se nulla fosse, e sfodera una spada rossa a caso.
«Allora, chi è il primo a voler morire?»
Alla sua frase, i re partono in quarta e noi attacchiamo a nostra volta.
Io penso di non aver mai avuto un livello così alto di stress da prestazione, ma allo stesso tempo capisco quello che l’altra sera Percy mi aveva detto sul tetto davanti al Salt Lake: un affascinante senso di eccitazione mi pervade e anche se potrei morire da un momento all’altro, io mi sento più viva che mai.
Nei successivi venti minuti le cose avvengono abbastanza velocemente: io e Reyna ci occupiamo di Carope, Aminandro e Tantalo, e la ragazza mi lascia l’onore di spezzare la lancia di Carope e trafiggere la sua armatura con la sua stessa spada, mentre Aminandro cade come un birillo dopo che Reyna riesce a ferirgli entrambe le gambe, cadendo proprio sopra Tantalo.
Percy riprende il suo scontro con Eumolpo, ma questa volta il re sembra essere più insicuro, e questo va a vantaggio di Percy che approfitta di un momento di distrazione per spazzarlo via con un’onda. Dopodiché Falaride si scaglia verso di lui, ma quando Percy sfodera la sua penna/spada, il re spartano viene facilmente fatto fuori.
«Ho sempre odiato Sparta, per la cronaca.» Esclama Percy, sorpassando il corpo inerme di Falaride.
Leo invece vuole avere vendetta con Leonte. Così il ragazzo si infila i tappi per le orecchie che avevo usato io poco prima, e si avvicina a lui, bollendo di rabbia.
Nonostante non abbia più i suoi poteri, Leo sembra più forte che mai, e le mie sensazioni non vengono smentite.
In un primo momento Leonte sottovaluta il figlio di Efesto, e gli permette di avvicinarsi a lui, ma poi quando si accorge che anche il ragazzo è immune ai suoi subdoli poteri, sul suo volto compare un’espressione di preoccupazione che mi fa sorridere.
«Ne ho incontrati di arroganti nella mia vita, ma tu sei quello che mi fa più ribrezzo.» Dice Leo con un tono che non gli avevo mai sentito usare, e senza aggiungere altro, parte all’attacco.
Leonte però non si dà per vinto, e sfodera ogni suo trucco più nascosto, ma Leo sembra schivarli uno ad uno, come se stesse evitando dei pugni in una partita di boxe. Ma poi si ferma, e noi tre ci fermiamo per vedere se sta bene.
«Non so se ne sei informato, -comincia Leo- ma mio padre a Roma si chiamava Vulcano per qualche motivo.»
E con un pugno lanciato contro il terreno degno di essere chiamato tale, Leo riesce a provocare un piccolo terremoto, forte abbastanza da spaccare in due il suolo e far cadere nella lava il nostro caro Christian Grey.
Dopodiché il terreno si richiude a cerniera, e Leo si volta verso di noi con uno sguardo misto tra il fiero e il piacevolmente sorpreso.
«Che figata! Non pensavo di poterlo fare!» Esclama lui, e noi esultiamo insieme.
Le nostre risate però vengono fermate da un paio di mani che applaudono, e noi ci ricordiamo di essere ancora in compagnia di Tarquinio il Superbo e di una dea mezza morta.
«Ma pensa un po’, mi avete quasi sbalordito.» Fa lui, con un tono di superiorità.
«Quasi?» Strilla Reyna. «Leo ha fatto cadere Leonte in una voragine di lava.»
«Nah, già visto. Dei miei aiutanti poi non me ne importa molto, l’importante è che io sia ancora in possesso del fuoco di Estia.»
Così, per stare al gioco, mi avvicino furiosa al re romano seduto sul suo trono con l’intenzione di attaccarlo…o qualcosa del genere.
La mossa però non è stata molto azzeccata, tanto che con una sua semplice alzata dell’indice, le mie gambe sembrano essersi trasformate in piombo e io non riesco più a camminare.
Improvvisamente l’adrenalina, l’unica cosa che mi faceva stare in piedi, svanisce e io mi sento fatta della stessa consistenza della pasta quando viene cotta troppo.
Cado in ginocchio davanti a Tarquinio, non riuscendo nemmeno a parlare.
I miei amici cercano di venire in mio aiuto, ma la voce di Tarquinio li ferma, e loro sono costretti a farlo.
«Chiara…l’ultima semidea italiana. Sai, quasi mi dispiace ucciderti, potevamo fare grandi cose insieme. Ma guardati, non sei nemmeno capace di tenerti in piedi, cosa pensavi di fare?» Tarquinio scoppia in un’ennesima risata, ma la cosa risulta abbastanza strano dato che l’unico a ridere è lui.
Il re si avvicina a me con in mano la finta fiamma di Estia, mentre con l’altra accarezza i miei capelli, e a me viene un conato di vomito.
La sua vicinanza mi provoca più ribrezzo di quello che pensavo, e l’odore che emana non è per niente adatto ad un re romano: un calzino dopo un allenamento in palestra profumerebbe in confronto.
Un senso di impotenza mi pervade, e per un momento penso davvero che sia la fine, anche se quella che in mano di Tarquinio non è la vera fiamma di Estia.
Una vocina nella mia testa continua a dirmi che lui troverà comunque un modo per farla franca e realizzare il suo obiettivo.
Tutti i momenti che ho passato in questi ultimi giorni mi colpiscono come un proiettile, e i miei occhi si riempiono di lacrime: ho fallito, deludendo tutti quanti.
«Sai, ogni semidio ha un punto debole.» Comincia Tarquinio, allontanandosi finalmente dal mio viso. «E quello può determinare il destino di ognuno di noi. Il tuo sai qual è? Sai perché non sei riuscita a sconfiggermi?»
Il suo sguardo è fisso sul mio, e un brivido mi percorre tutta la schiena.
«Non hai ancora accettato del tutto la tua natura. Non ti ritieni ancora una semidea, e non consideri il Campo Mezzosangue casa tua. Non ti senti appartenente a qualcosa. Oh, se non fosse così mi avresti già spazzato via in pochi secondi; quello che ti ho visto fare non è nulla in confronto alle tue vere capacità. -fa una pausa- Che spreco.»
Le parole di Tarquinio arrivano alle mie orecchie più taglienti che mai, e la cosa che odio di più è che…ha ragione.
Fino ad ora non sono mai stata convinta di chi sono e da dove vengo, ho sempre considerato il Campo e chi ci vive solo “di passaggio”. Non ho ancora accettato che mio padre sia Apollo e che Atena abbia voluto donarmi una minuscola parte di sé. Non ho accettato il fatto che dalle mie mani ogni volta che sono furiosa escono dei fasci di luce e che possa spostare le cose con la mia mente.
Non ho accettato che io abbia una cotta per Leo Valdez e che lui non ricambierà mai. Non ho accettato il fatto che io sia stata catapultata in questa situazione senza che nessuno mi abbia chiesto se fossi d’accordo o meno.
Il mio respiro si fa sempre più accelerato, e cerco di trattenere le lacrime.
Percepisco gli occhi di Reyna, Percy e Leo dietro di me, e io non ho il coraggio di girarmi per confermare quello che ha detto Tarquinio, per cui me ne sto con la testa bassa, fissando i miei pantaloni strappati dalla Sfinge di prima.
«Ed è per questo che io, Tarquinio il Superbo, grazie a te diventerò il monarca più potente di sempre.» A queste parole, mi sento mancare il fiato.
La mano di Tarquinio è affondata nel mio petto, e con uno strappo da una violenza inaudita sento il mio cuore sradicarsi dalla mia carne e uscire dal mio corpo.
Io fatico a respirare, e cado a terra a corpo morto a pancia in su, cosicché io possa vedere nel migliore dei modi il mio fallimento come semidea. Anche se la profezia lo aveva messo in conto, non pensavo davvero che il mio potere fosse quello che mancasse per raggiungere i piani di Tarquinio, e la realizzazione della cosa mi fa sentire una persona orribile.
Il re romano alza in alto il mio potere di luce, posizionandolo giusto vicino al fuoco, e con una risata da psicopatico le avvicina sempre di più.
Per un secondo riesco a guardare i miei amici, che impotenti, non sanno se prestare attenzione a me che sto morendo, o a Tarquinio che sta per distruggere Roma e tutto l’Occidente.
Vedo con la coda dell’occhio Percy che cerca in tutti i modi di ribellarsi al comando di Tarquinio, invano, e rimane bloccato davanti al re, insultandolo in qualsiasi modo possibile.
E poi succede. Tarquinio unisce i due elementi, il fuoco e la luce, e per un momento non vedo niente, tanto che sono costretta a chiudere gli occhi per non rimanere accecata dalla potenza dell’unione delle due sostanze.
Una minuscola speranza crede ancora che lo scambio dei due fuochi possa essere servito a qualcosa, ma quando Tarquinio se ne esce con un aspetto decisamente migliorato e con dei muscoli che potrebbero far concorrenza a quelli di The Rock, la cosa svanisce.
Il settimo re di Roma non sembra più un uomo qualunque, ma ora la sua pelle è completamente dorata e risplende di luce propria; dalle sue mani spuntano delle fiamme violente, e una corona fatta di pietre preziose è appoggiata elegantemente sulla sua testa.
Io mi accascio a terra, e comincio a piangere con la poca aria che mi rimane.
La mia mente ripercorre tutti gli istanti dal momento in cui Leo e Jason sono sbucati sul mio terrazzo fino ad ora, e tutto ad un tratto mi rendo conto di una cosa: non mi sono mai sentita così viva e determinata come lo sono stata in questi giorni con i miei nuovi amici.
La consapevolezza di chi sono, di quale sia la mia natura e da dove provengo comincia lentamente ad attraversare il mio corpo e a diventare parte di me, e un sorriso compare sul mio volto.
Nello stesso momento in cui prendo coscienza di ciò, il potere di Tarquinio si arresta, e il sorrisetto che ha stampato in faccia scompare in pochi secondi.
Piano piano, i muscoli cominciano a sgonfiarsi, l’aurea di potere scema gradualmente e la luce che Tarquinio tiene ancora stretta nella mano sinistra comincia ad acquisire più lucentezza.
«No…no! Maledizione, che sta succedendo?» Grida lui.
Io non ho le forze per rispondere a modo, e mi accascio definitivamente a terra. Alla fine chiudo gli occhi, con la consapevolezza di essermi sacrificata per salvare il mondo da cui provengo e le persone a cui voglio bene, e per me, va bene così.
 
 
 
 
 
 
……….
Salve a tutti.
Lo so, lo so. Sono in ritardissimo, ma vi avevo avvisato. L’università ahimè è iniziata e io ho così tante cose a cui pensare che è un miracolo che io sia riuscita a scrivere un capitolo di NOVE pagine di Word.
(piccolo aneddoto: oggi alla lezione di diritto il prof ha nominato per un attimo i sette re di Roma e io “oh no anche lui”. In pratica fangirlavo da sola e tutti mi hanno presa per pazza. Fine aneddoto.)
In questo capitolo ci sono taaaante cose che potrei commentare, ma ho deciso che faccio fare a voi. Dico solo che magari il piano di Percy potrebbe essere un po’ complicato, ma nella mia testa aveva senso, spero di essere riuscita a tradurlo decentemente.
Chiara nel frattempo non ha messo in conto che anche la sua luce serviva a Tarquinio. Quindi il re ce l’ha fatta? Non ce l’ha fatta? Anche odiate Simon Cowell? I dubbi saranno svelati nel prossimo e ultimo capitolo.
Per quanto riguarda la nuova storia non penso di scriverla, oltre ad avere una mezza idea incasinata, non ho molti stimoli per continuare. Ma chissà, magari un giorno posterò anche quella.
Ringrazio infinitamente chi è arrivato fino a qui, se siete di Bologna fatevi sentire che se potessi vi ringrazierei anche di persona hahah Sul serio, questa storia è stata molto importante per me, e ringrazio ogni singolo lettore.
Ci si vede al prossimo capitolo!
Potete scrivermi qui o su Twitter (@glaukopsis)
Un bacio, Claire xx

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** 21- Epilogo ***



 
21





Sapete, non è poi così male essere morti. Insomma, non hai problemi, ansie, re romani che minacciano di distruggere Roma, puoi mangiare quanto ti pare senza ingrassare…
Oh, se ve lo state chiedendo, sì: sono sicura di essere morta. Al 100%.
All’improvviso mi ritrovo a svolazzare come un fantasma sulle teste dei miei amici e sul mio corpo ancora inerme, per terra. Da quassù posso vedere ogni centimetro del Four Corners, e per quanto tutto questo possa essere figo, l’unica cosa che riesce ad attrarre la mia attenzione è vedere Reyna versare delle lacrime sul mio braccio.
Un senso di tristezza mi attraversa (ora che sono un fantasma ha anche senso) ma mi ripeto che va bene così, che se dovevo morire per salvare i miei amici ho fatto decisamente la cosa giusta.
Certo, il mio corpo steso sulla sabbia non è una delle migliori scene a cui tenevo assistere, ma cerco di non concentrarmi su quello.
Poco più in là noto un mucchio di cenere e un paio di guanti blu ammassati tra il confine dello Utah e il Colorado, e per la prima volta in un quello che mi sembra un secolo, sorrido.
Ce l’ho fatta: Tarquinio è finalmente stato sconfitto e Roma è ancora in piedi.
Tutto quello che ho fatto non è valso a nulla, e io mi sento finalmente realizzata in qualcosa.
Sto per decidere di andarmene una volta per tutte, ma quello che pronuncia Leo mi ferma.
«No, non lo posso accettare.» Sussurra.
Il ragazzo corre via dal mio corpo, arrivando al suo zaino appoggiato sulla scalinata opposta, e comincia a frugarci dentro. Poco dopo tira fuori una serie di oggetti che io non metterei mai all’interno di uno zaino, come un martello, una cucitrice, un temperino, un portapranzo a forma di banana e un salvadanaio.
Cosa sta facendo?
Mi avvicino a lui con la sola forza del pensiero, e quando arrivo gli di fianco vedo che in mano tiene una specie di fialetta di vetro, con dentro un liquido verdognolo.
Leo poi torna dai suoi amici, correndo ancora più veloce di prima.
Il suo comportamento mi incuriosisce, per cui lo seguo.
«Ragazzi. Vi devo confessare una cosa.»
«Ti sembra il momento?» Sbotta Reyna, chiudendo i miei occhi ancora aperti con due dita.
Percy si alza in piedi con un’espressione dura e fin troppo calma. La sua mano, quella che non stringe la sua spada, è chiusa a pugno.
«Posso far ritornare Chiara!» Afferma Leo, e tutti si voltano verso di lui con uno scatto.
Se avessi ancora un cuore che batte, questo si fermerebbe per ciò che ha detto.
«Quando abbiamo attraversato il portale delle Vestali non sono venuto direttamente qui, ma da Calipso.» Comincia il ricciolino, ma Reyna lo ferma subito.
«Questo lo sappiamo.» Dice lei con tono duro.
«Ci sono andato perché sapevo che aveva una pozione in grado di far riportare in vita le persone!» A questo punto cala il silenzio come se anche le montagne intorno volessero ascoltare, e Leo continua a spiegarsi. «Non sapevo se in questo scontro con Tarquinio saremmo riusciti a cavarcela, e dato che non voglio vedere nessuno dei miei amici morire, ho preso delle precauzioni.»
La mia bocca si spalanca a “o”, e non so cosa pensare.
Il suo gesto è stato così premuroso che non posso fare a meno di piangere. Poi però mi sento uno schifo: ho incolpato Leo e gli ho gridato addosso senza dargli nemmeno la possibilità di farsi spiegare.
Percy sembra essere ritornato alla realtà. «Ma…ma…potevi dircelo! Noi pensavamo che fossi sparito o che ci avessi abbandonato!»
«Lo so, amico. Ma quando vi ho visti impegnati con quei mostri ho pensato che non aveste il tempo per le mie spiegazioni. E poi è arrivato Tarquinio…»
L’espressione dura di Reyna scompare dal suo viso, e nei suoi occhi ricompare la speranza.
«Come funziona? Dobbiamo farglielo bere?»
Leo si abbassa e si avvicina al mio volto, e io ringrazio gli dei di essere morta, altrimenti sarei arrossita fino a diventare un pomodoro.
«Calipso mi ha detto che questa pozione ti può riportare in vita solo se sei morta valorosamente, e per una causa importante.»
«Sacrificarsi per salvare tutti noi non ti sembra una causa importante e una morte valorosa?» Chiede Percy, dando voce ai miei pensieri.
«Certo, sto solo spiegando come funziona.»
Reyna alza gli occhi al cielo e strappa di mano la fialetta a Leo, per poi versarmela sulla bocca.
Io mi metto vicino al corpo di Percy per vedere se funziona, ma nei primi secondi la situazione non sembra migliorare.
Poi come se una aspirapolvere mi stesse risucchiando, vengo trascinata all’interno del mio corpo, e quando riapro gli occhi torno a sentirmi di nuovo viva, con organi e muscoli pronti a ricominciare a funzionare.
Mi alzo di scatto, mettendomi seduta e prendendo un enorme respiro, riempiendo i miei polmoni di aria.
La mia testa gira e mi viene da vomitare, le mie gambe sono un continuo formicolio e la mia vista è appannata. La resurrezione fa piuttosto schifo.
Gli sguardi di Reyna, Percy e Leo mi fissano come se fossi un’aliena, e una volta che i miei occhi riescono a metterli a fuoco, sorrido, per poi buttarmi tra le braccia del ricciolino e ringraziarlo.
«Non c’è di che.» Ricambia l’abbraccio Leo, sorridendo tra i miei capelli.
Percy e Reyna si asciugano qualche lacrima caduta sulle loro guance, e io abbraccio anche loro.
«Ci hai fatto prendere un grande spavento.» Dice Percy mentre mi stringe tra sé, e io sorrido di nuovo.
Quando mi allontano da lui, decido di dover dare delle scuse a Leo.
«Ehi, mi dispiace per quello che ho detto prima che arrivasse Tarquinio… Io non sapevo che…»
«Chica, nessun problema. L’avresti fatto anche tu se avessi potuto.» Mi risponde lui, facendomi un occhiolino.
Il mio cuore perde un battito, e per un momento penso di essere arrossita.
Non facciamo in tempo a capire cosa fare ora che Tarquinio è stato eliminato che una voce che riconosco ci fa girare di scatto.
«Semidei, siete riusciti a salvare il mondo.» Afferma Estia, seguita dalle quattro Vestali dietro di lei.
«Per l’ennesima volta.» Aggiunge Percy, sottovoce.
La dea sembra essere ritornata al suo antico splendore: i vestiti non sono più strappati, ma al posto di essi c’è una toga bianca che come un lenzuolo la riveste da capo a piedi. I capelli sono tornati morbidi e così perfetti che mi chiedo se la dea non sia la testimonial di qualche shampoo per capelli.
Le lentiggini sul suo viso sono ricomparse e i suoi occhi sono più vivi che mai. Direi che sta benone.
Le Vestali invece sono ancora vestite con gli stessi indumenti strappati dai cani nel combattimento di prima, e ho come la sensazione che è solo grazie a loro se Estia sia ancora viva.
«Tarquinio è stato eliminato una volta per tutte, e solo grazie a voi; specialmente a Chiara, che è riuscita ad accettare sé stessa giusto in tempo per impedire al re di usare la sua luce in maniera sbagliata.»
Estia mi rivolge un sorriso caldo e riconoscente, e io abbasso lo sguardo, imbarazzata.
«Quindi Chiara ha perso i suoi poteri per sempre?» Chiede Reyna.
«Ehm, scusate? Anche io ho ceduto come se niente fosse il mio fuoco. Ti ricordo che sei stata proprio tu a strappare la fiamma dal mio petto.» Esclama Leo, incrociando le braccia al petto.
«Giusto, scusa.» Risponde lei, ridacchiando.
«I vostri poteri non sono andati perduti. Leo, hai ancora la mia fiamma?»
Il ragazzo annuisce, e apre il suo borsellino giallo, per poi tirare fuori delicatamente una fiamma decisamente più vivace e grande di quella di Leo.
Il figlio di Efesto la porge alla dea, e non appena la sua mano sfiora la fiamma, un bagliore rosso ci investe improvvisamente, fino ad arrivare a tutta la vallata.
Una nuova energia comincia a pulsare nelle mie vene, e poco dopo mi accorgo che quello che prima era un deserto, ora sotto i miei piedi vedo un prato rigoglioso e fiorente.
Caspita, questo fuoco potrebbe risolvere il problema della deforestazione.
Quando ritorno a guardare Estia, mi accorgo che le mie mani hanno cominciato a brillare senza che io lo volessi, e lo stesso è accaduto a Leo.
Ci metto qualche secondo a capire che la dea grazie alla sua fiamma ci ha ridato i poteri, ed una improvvisa euforia mi fa saltare come una bambina di cinque anni il giorno di Natale.
«È il minimo che potessi fare. -mi legge nel pensiero la divinità- E non è finita qui. So che il Campo Mezzosangue vi sta aspettando, per cui ho pensato che un piccolo passaggio possa farvi comodo.»
La dea ci indica dietro di noi un enorme jet privato con tanto di due entrate e scaletta. L’aereo è fatto completamente d’oro, e giusto vicino ai finestrini si legge una scritta gigante che dice: “Olympus Airlines”.
«Oh ma ditelo allora, Festus proprio non vi piace.» Esclama Leo, ma nessuno gli dà retta perché siamo troppo occupati a contemplare la magnificenza dell’aeroplano.
«Un piccolo omaggio di Apollo ed Ermes, per ringraziarvi del vostro contributo.»
Percy al contrario di noi fa una piccola smorfia, e mi ricordo che lui non ha tanta simpatia per gli aerei.
Io invece, sono entusiasta.
Non attendendo oltre, entriamo nell’aeroplano e per una volta, dopo quelli che sembrano secoli, ci rilassiamo.
Alla fine Leo è salito lo stesso e non appena ha notato che vicino ad un sedile di pelle c’è una Playstation si è convinto che poi qui non è poi così male.
Vicino ai finestrini ci sono una serie di carrelli pieni di cibo, e alla sola vista il mio stomaco brontola rumorosamente; se ci penso bene, non faccio un pasto decente da un sacco di tempo.
A quanto pare anche Reyna sembra essere al settimo cielo davanti a tutto quel cibo, e insieme ci ingozziamo come non mai con una serie di tramezzini, cous cous alle verdure e cedrata.
Così poco dopo lasciamo il Four Corners, sperando di non doverci più tornare, e ci godiamo il viaggio, ricordando i momenti passati insieme.
Leo durante il viaggio mi chiede se sto bene un miliardo di volte, fissandomi come un padre preoccupato, e io non so se esserne seccata oppure contenta. Va bene che sono morta per un po’, ma non serve controllare il mio stato di salute ogni cinque minuti.
Dopo una serie di ore che io non ho contato, Percy annuncia che stiamo arrivando al Campo Mezzosangue, e dal finestrino posso vedere la Casa Grande e l’arena nella quale ho scoperto di essere figlia di Apollo.
Senza che io me ne accorga un paio di lacrime solcano il mio viso, e mi rendo conto di essere felice di poter rivedere tutto questo.
Questa missione mi ha provata come non mai, e anche se la stanchezza si fa sempre più pesante, la felicità di avere ancora un posto dove tornare da viva è diventata la cosa più importante adesso.
Il jet atterra con una grazia pari ad un elefante sulla spiaggia del Campo; ad aspettarci c’è una folla di un centinaio di persone, e davanti a tutti c’è Chirone con le braccia incrociate al petto e un’espressione felice.
Io, Reyna, Leo e Percy usciamo dall’aereo, e non appena mettiamo piede sulla sabbia un fragoroso applauso accompagnato da una serie di fischi ci accolgono, e io non riesco a fare a meno di sorridere.
Fino ad una settimana fa avevo la sensazione che tutti mi odiassero, ora invece sembro essere la reginetta della scuola.
Prima che Chirone possa venirci incontro, vedo Annabeth correre verso Percy, per poi buttarsi tra le sue braccia e baciarlo.
«Te lo avevo detto che sarei tornato.» Dice lui, e io cerco di mantenere la fangirl che c’è in me più calma possibile.
Poco più in là di Annabeth vedo Nico e Will insieme a tutta la casa di Apollo, ma prima che io possa andare a salutarli, una ragazza dai capelli rossi mi si butta addosso e mi saluta con un calore che non avevo mai ricevuto.
«Chiara! Sei viva! Ce l’hai fatta!» Rachel avvolge le sue braccia magroline intorno al mio collo, e io ho le lacrime agli occhi.
«Si, sono viva.» Dico nello stesso momento in cui io guardo Leo, e con sorpresa noto che anche lui sta ricambiando il mio sguardo, sorridendo.
«Semidei, sono estremamente orgoglioso di voi. Siete riusciti a salvare tutti noi, e il Campo Giove. -Chirone fa una pausa, solo per dare sfogo agli applausi e alle urla degli altri semidei- Vorrei congratularmi specialmente con Chiara, che non ha avuto nessun tipo di addestramento ed è riuscita nonostante tutto a sopportare una missione del genere. Per questo, la festa di questa sera la dedichiamo a lei. E poi qualcuno mi ha detto che hai ancora in sospeso una festa di compleanno.»
Io sgrano gli occhi, sconvolta. Una festa dedicata a me?
«Io…io…grazie, ma senza Leo, Reyna e Percy non ce l’avrei mai fatta.»
«Goditi questo momento, credimi. -Reyna mi si avvicina e appoggia una mano sulla mia spalla- E poi Leo e Percy hanno avuto fin troppe feste in loro onore.»
Noi due scoppiamo a ridere, e io annuisco.
 
Quando esco dalla mia stanza nella casa di Apollo, noto con piacere che tutto il Campo Mezzosangue è stato addobbato appositamente per la festa di questa sera, con tanto di festoni, candele e palloncini.
L’atmosfera è una delle migliori: la mensa è stata allestita con una serie di lucine appese alle colonne ioniche, e in aria volteggiano delle lucciole che creano una luce soffusa; l’aria profuma di pane appena sfornato, e una musica strana, quasi antica e che non avevo mai sentito riempie tutto il Campo.
Il mare che si vede all’orizzonte è calmo e di un color azzurro limpido, e tutto l’insieme mi trasmette una sensazione di pace che non avevo mai provato prima.
Alcune persone sono sedute rispettivamente ai propri tavoli, mentre altre sono in piedi che sorseggiano un drink, e io inizialmente non so dove andare; ma quando vedo Leo, Reyna, Percy e Annabeth seduti in un tavolo poco lontano dal carrello dei dolci, non aspetto oltre e li raggiungo.
Quando mi vedono mi regalano un paio di sorrisi, e Reyna si sposta leggermente verso destra per farmi spazio.
«Allora, come ti senti?» Mi chiede lei.
«Bene, alla grande. La resurrezione mi ha reso la pelle morbidissima come quella di un bambino.» E anche se io non stavo scherzando, loro scoppiano a ridere.
Annabeth comincia a chiedermi i dettagli della missione dalla quale sono appena tornata, e anche se non ho molta voglia di ricordare tutto quanto, rispondo ad ogni sua domanda con un sorriso.
A partire da Annabeth, improvvisamente tutto il Campo Mezzosangue vuole conoscermi, sapere i dettagli di ogni combattimento e com’era fatto Tarquinio: una ragazza figlia di Ares voleva sapere il metodo di combattimento di Carope, un ragazzo figlio di Ermes voleva sapere com’era il Four Corners e mi ha chiesto un parere se fosse un buon posto per portarci una ragazza per il primo appuntamento; mentre una ragazza figlia di Nemesi mi ha dato qualche consiglio su come vendicarmi di Tarquinio se in un futuro prossimo il re potesse avere la malsana idea di tornare in vita.
Nelle seguenti ore mi ritrovo a dover raccontare sempre la stessa storia a semidei, ninfe e satiri, e solo tra un racconto all’altro riesco a parlare qualche minuto con Rachel e Reyna. All’improvviso mi rendo conto che Leo è sparito e che è da un po’ di tempo che non lo vedo, ma non ho tempo per preoccuparmene perché un gruppo di ragazze della casa di Afrodite cominciano ad inondarmi di una serie di domande tutte uguali. Un momento prima che io arrivi all’esaurimento, una mano afferra il mio braccio e mi libera dal tormento delle interviste in cui sono caduta.
«Scusate ragazze, Chiara ha bisogno di una pausa.» Dice Percy con un tono autoritario, e io lo ringrazio mimando con le labbra un qualcosa come “mi hai salvato più adesso che negli ultimi sette giorni”.
Una volta lontana dalla musica e dal chiacchiericcio tipico di qualsiasi festa in questo mondo, mi avvicino al banco delle bevande e mi faccio un drink fatto di succo di arancia e prosecco.
(Ed è ora che capisco la vera utilità di Dioniso).
«Sai, mi ricordi tanto nella mia prima missione. Forse te l’ho già detto, ma negli ultimi giorni mi hai fatto ripensare a quando avevo dodici anni e ho recuperato la folgore per Zeus. La festa poi era più o meno simile. -Fa una pausa, mentre io continuo a guardarlo senza saper cosa dire- Comunque, ti ringrazio per aver sacrificato la tua vita per salvarci. So cosa hai fatto, e non l’ho dimenticato. È stato un gesto da vera eroina.»
Le sue parole mi fanno sorridere e abbassare il capo. «Sono piuttosto sicura che se fossi stato al mio posto avresti fatto la stessa cosa.»
«Esattamente, per questo mi piaci. Ma questo non vuol dire che in futuro nella Caccia alla Bandiera io sia più buono con te.» Il suo tono è sarcastico, e sul suo volto è comparso quel sorrisetto irritante che a quanto pare ad Annabeth piace tanto.
Io apro la bocca, sconvolta. «Lo vedremo, Jackson.»
E mi volto, non vedendo l’ora di affrontarlo per fargli il culo.
 
Il giorno dopo mi sveglio di colpo con un leggero mal di testa, allarmata dai passi veloci dei miei fratellastri nella casa di Apollo che corrono verso l’esterno come se per colazione ci fosse la torta al cioccolato.
Così, già abituata a questi risvegli improvvisi, mi vesto velocemente ed esco anche io, per poi attraversare l’arena e arrivare alla Casa Grande, nella quale si sono riuniti un buon numero di semidei. Che sta succedendo?
Tra di questi vedo poco più in là Rachel che mi saluta con una mano e Piper, la ragazza di Jason.
Al centro del cerchio che si è creato c’è Reyna che sta sistemando le ultime cose nel suo zaino, per poi metterselo in spalla.
Io, confusa, mi faccio spazio tra la folla per arrivare a lei e chiedere spiegazioni.
«Dove stai andando?»
«Oh buongiorno Chiara. Sarei venuta a salutarti tra poco, ma vedo che mi hai preceduta. -fa una pausa, sistemandosi la bretella del suo zaino viola- Sto ritornando al Campo Giove, è quello il mio posto.»
Non mi era passata neanche per l’anticamera del cervello che Reyna dovesse andarsene, ero convinta rimanesse qui.
«Oh…io non pensavo andassi via così presto.» Una leggera sensazione di tristezza trapela dai miei occhi ancora assonnati, e non posso fare a meno di nasconderla. In questi giorni Reyna mi è stata così vicina, e ora vederla andare via mi fa stare male.
«Speravo che tu potessi venire con me.»
Alle sue parole spalanco gli occhi, scioccata.
Prima che io possa parlare, lei continua. «Pensaci, sei italiana! Non puoi non vedere il Campo Giove, è come essere a Roma. Sarà solo per qualche giorno, e poi non sarai sola: ci sono io e ci sarà anche Jason.»
L’idea di ripartire di nuovo mi mette la nausea, ma quello che mi ha raccontato Reyna in questi giorni sul campo romano mi mette un sacco di curiosità. Stare qui mi permetterebbe di riposare come si deve e allenarmi con Chirone, ma sarei costretta a vedere Leo e forse anche Calipso. Non sono sicura di essere pronta per questo.
Mi guardo per un momento indietro, e fisso i semidei del Campo Mezzosangue con indosso le loro magliette arancioni.
Poi ritorno a guardare Reyna, sorridente.
So già che mi pentirò di questa scelta.
«Va bene, verrò al Campo Giove.» E alle mie parole, la ragazza mi abbraccia calorosamente.
«Non pensavo sarebbe stato così semplice. -ride lei- Prima che tu vada a fare le valige, voglio presentarti una persona che ci accompagnerà fino al Campo.»
Solo in questo momento mi rendo conto che non tanto lontano da Reyna c’è un ragazzo alto, sulla ventina, con due spalle possenti e capelli castani tendenti al riccio.
Il suo viso è squadrato, gli occhi color nocciola sono cupi e vuoti, e le labbra sono sottili.
Il ragazzo è vestito completamente di nero, a partire dagli scarponi fino ad arrivare alla giaccia di pelle, molto simile a quella di Nico.
«Chiara, ti presento Logan. Figlio di Venere.»
 
 
 
 
THE END.
 
 
 
 
 
 
….
Salve a tutti!
AH ODDIO È FINITA, ORA PIANGO LO STIGE.
Beh allora, facciamo le cose con ordine.
La morte di Chiara. Già, perché lei è morta per salvare tutti. Ma poi BAM Leo non aveva tradito nessuno ed è stato super cute a pensare di andare a prendere una pozione per riportare in vita qualcuno.
(Dai ora mi odierete di meno)
Estia è sana e salva e ha ridato i poteri a Leo e Chiara (come minimo) e gli ha offerto un passaggio da ricchi fino al Campo Mezzosangue. Questo perché se mi mettevo a scrivere anche del viaggio di ritorno sarebbe stato noioso e infinito, quindi ho preferito fare una cosa più “semplice”.
La cosa più interessante è di sicuro l’ultima parte: Reyna chiede a Chiara di far visita al Campo Mezzosangue, e poi BAM nuovo personaggio. Così, a caso.
Ho inserito questa parte perché alla fine (indovinate un po’) ho deciso di fare un seguito di questa storia. Ma calma, calma, calma.
Diciamo che l’idea principale già ce l’ho, devo ancora rifinire i dettagli e tutto quanto, per cui se posterò il primo capitolo sarà tra non meno di una settimana (università permettendo).
Ho deciso di continuare perché non appena ho finito di scrivere questo capitolo sono diventata triste, e non volevo lasciare tutto questo. Ed è anche per questo che ho deciso di lasciare in sospeso alcune cose, come la (non) relazione tra Leo e Chiara, Rachel etc..
Per cui, dato che questo è l’ultimo capitolo della storia, avete un’ultima possibilità di farmi sapere se davvero volete un seguito e se (magari) seguirete anche quello.
Dai, vi ho già messo un personaggio figlio di Venere che non sembra figlio di Venere. Un po’ dovrebbe incuriosirvi.
Ora passerei ai ringraziamenti.
Grazie a tutti quelli che sono passati a leggere la mia storia, a quelli che sono arrivati fin qui e anche a quelli che hanno aperto anche solo il primo capitolo e che hanno deciso di non continuare più a leggere.
Grazie alle ragazze che hanno recensito i miei capitoli (mi avete dato una grande motivazione, ve se ama.)
E grazie alla mia coinquilina, che non appena le ho detto che scrivevo su EFP si è letta tutti e venti i capitoli in meno di ventiquattro ore e nel mentre mi mandava messaggi (mentre ero a lezione) dicendomi che anche lei shippava Leo e Chiara.
Spero davvero che “L’ultimo dei re” vi sia piaciuta e che vi abbia fatto riportare almeno un pochino nel mondo di Rick.
Per qualsiasi cosa potete trovarmi su Twitter (@glaukopsis)
Un bacio, Claire
 
 
PS: vi avviserò qui con un capitolo extra quando posterò la nuova storia, così vi obbligo a sorbire la mia parlantina ancora per un po’ di tempo.
Okay, mi dileguo. Bye😊

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Nuova storia! ***


Salve a tutti!
Faccio questo mini capitolo per avvisarvi che ho appena postato la nuova storia (che segue quest'ultima): La Penna d'Autore!
Spero che abbiate un po' di tempo per passare a leggere, e che mi diate qualche opinione!
Ora posso mettere questa storia definitivamente come "completa".
Quiiindi, ci si vede nella nuova storia,
un bacio, Claire

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3686422