A Night without a Day, a Day without a Night

di SusanTheGentle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Ancora sul Veliero dell'Alba ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Alla corte di Cair Paravel ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Nuova vita, nuove sorprese ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Tra due mondi ***
Capitolo 5: *** capitolo 5: Luce e Speranza ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: Sentimenti ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: Gioie e dolori ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: Ciò che accadde in entrambi i mondi ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: In disgrazia ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10: Eclissi ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. La notte, il giorno, il songo del Re e il Mondodisotto ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12: Dentro la foresta e dietro la palestra ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13: La partenza e il salvataggio ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14: Il traditore ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15: Due anni dopo (1 parte) ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16: Due anni dopo (2 parte) ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17: Arrivo alla Torre dei Gufi ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18: Una lunga notte ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19: Pozzanghera ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20: Attraverso Ettins ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21: Sempre insieme, eternamente divisi ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22: Un regalo per Susan ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23: Un incontro misterioso ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24: Il nostro breve attimo ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25: Harfang ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26: Ricordi di noi due ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27: Il sogno di Jill ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28. La Festa d'Autunno ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29: Alleati inaspettati ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30: La scoperta ***
Capitolo 31: *** capitolo 31: Mondodisopra e Mondodisotto ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32: Il Leone tra le fiamme ***
Capitolo 33: *** capitolo 33: Le creature delle tenebre ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34: Il racconto del guardiano ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35. Il Territorio del Fuoco ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36. Un debito mai pagato ***
Capitolo 37: *** AVVISO ***
Capitolo 38: *** Capitolo 37. Nella tana del nemico ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Ancora sul Veliero dell'Alba ***


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A Night without  a Day, a Day without a Night
 
always together, eternally apart
 
 
 
 
1. Ancora sul Veliero dell’Alba
 
 
Sdraiata accanto a te, qui nell’oscurità
Sentendo il tuo cuore battere con il mio

Dolcemente sussurra
Sei così sincero
Come può il nostro amore essere stato così cieco?
Abbiamo navigato insieme
Siamo stati separati
E adesso tu sei qui al mio fianco…

 
 
Il vento che soffiava da est spingeva in avanti la nave a una velocità due volte maggiore di quella tenuta per tutto il viaggio verso la Fine del Mondo. Se c’erano voluti quattro mesi per giungere fin laggiù, per il ritorno a Narnia ne avrebbero impiegati la metà.
Dopo la partenza di Peter, Edmund, Lucy e Eustace, e con l’aggiunta della notizia che anche Ripicì se n’era andato, l’atmosfera a bordo del Veliero dell’Alba non poté certo essere delle più allegre.
Miriel pianse a lungo.
Passò lunghi pomeriggi insieme a Susan a chiacchierare, ma in realtà era sempre la Dolce a parlare per entrambe. Miriel ascoltava e basta, e di tanto in tanto versava qualche lacrima. Le piaceva moltissimo ascoltare la sua amica raccontarle chi era Peter nel suo mondo, a casa, a scuola… Insomma, nella quotidianità di ogni ragazzo terrestre, non di un Re.
Sentiva che Peter le era in qualche modo più vicino se parlava di lui. Le pareva che il tempo che li separava passasse più in fretta.
Non si poté dire la stessa cosa di Emeth, il quale si chiuse in un cupo silenzio per diversi giorni. Lo si vedeva soltanto quando si allenava con Caspian. Ma discorrere con lui, di qualsiasi cosa, fu praticamente impossibile. A differenza di Miriel, il soldato sembrava sopportare meglio la lontananza di Lucy ricordando in silenzio i dolci momenti vissuti con lei. Certe volte gli sembrava impossibile riuscire a non impazzire aspettando il suo ritorno.
Anche Shanna sentiva la mancanza di qualcuno in particolare: ovviamente di Edmund.
In quanto Stella, la fanciulla non aveva mai avuto rapporti ravvicinati con gli esseri mortali. Di solito, le Stelle non scendevano sulla terra, non era necessario, Aslan le aveva create per abitare il cielo. Edmund era stato il primo essere umano che avesse mai incontrato, la prima persona che non fosse suo padre a farle provare un senso di protezione e della quale si fosse fidata. Si sentiva a disagio senza di lui, ma imparò presto ad essere amica di tutti. Talvolta, parlando con gli altri, lo ricordava con un sorriso, ma sempre velato di una certa nostalgia.
Gael, invece, con gran sorpresa e orgoglio di Rhynce, fu la più forte emotivamente. Lui era convinto che fosse stata la fiducia che la Regina Valorosa aveva riposto in lei donandole il suo pugnale in custodia a rendere più forte la sua bambina.
Ma il più depresso di tutti i membri dell’equipaggio era Tavros, che strizzò fazzoletti per settimane al pensiero che non avrebbe mai più rivisto il suo grande piccolo amico Ripicì.
Pian piano, però,  le cose andarono migliorando, ma i saluti non erano ancora terminati.
La grande squadra che era giunta unita sino in fondo a quell’avventura, iniziò inevitabilmente a distaccarsi. Alcuni membri della compagnia dovevano far ritorno a casa, come giusto che fosse.
La prima a salutare gli amici fu Shanna, la quale ritornò dal padre e da Shira, augurandosi di rivedere tutti quanti il più presto possibile. Con sua grande gioia, il Re Caspian e la Regina Susan invitarono apertamente lei e la sua famiglia a raggiungerli al castello ogni volta che volevano.
Le Blue Singer continuarono a seguire il veliero sino all’Isola delle Rose ma non oltre quella del Drago, poiché non erano creature che sopportavano troppo bene il freddo, e la temperatura iniziò notevolmente a diminuire nei pressi dell’Isola delle Acque Morte.
Proprio come Caspian aveva promesso a Susan tempo prima, sostarono qualche giorno sull’Isola delle Voci, dove Chief, capo dei Monopodi, chiese gentilmente ai Sovrani di portare con loro sua figlia Clipse come ancella della Regina Dolce.
Clipse era una graziosa bimba bionda dai grandi occhi scuri. Non aveva ancora le vere e proprie sembianze di Monopodo: essi mutavano il loro aspetto in ometti-fungo solo al raggiungimento della maturità; inoltre, le donne erano diverse: non saltellavano su un piedone solo, ma su entrambi. Infatti, Clipse camminava a piccoli saltelli di tanto in tanto.
Sarebbe sembrata una bambina umana in tutto e per tutto se non fosse stato per la bassa statura (Gael era più alta di lei di venti centimetri buoni), e anche dal viso si notava che in Clipse c’era qualcosa di particolare.
Era stata una di quei Monopodi colpiti dalla maledizione del sonno eterno, e forse proprio per questo suscitò subito in tutti quanti una gran tenerezza.
Giunti alle Isole Solitarie, la consapevolezza di trovarsi sempre più vicini a casa divenne palpabile.
Qui, tutto procedeva nel migliore dei modi grazie all’investimento di Lord Bern come Duca. Ora che Gumpas (l’ex governatore) era in prigione, la tratta degli schiavi era stata abolita e la gente aveva ripreso a lavorare e vivere dignitosamente. Non v’era più traccia nemmeno del più piccolo mattone appartenuto al tempio di Tash, che era stato completamente smantellato. Si venne a sapere che alcuni emissari di Tisroc erano giunti per chiedere spiegazioni, e che erano tornati indietro con la coda fra le gambe dopo aver saputo quanto successo tra il principe Rabadash e Caspian X.
Già, Rabadash…Tutti avevano appreso la notizia della sua morte, e per quanto sembrasse terribile dirlo ad alta voce, molti ne gioirono.
Lord Bern inoltrò al Re e alla Regina la stessa richiesta prevenuta loro da Chief: sarebbero stati disposti ad accettare a corte la maggiore delle sue tre figlie, Tara, come dama di compagnia di Susan? Ovviamente, la Dolce e il Liberatore dissero di sì.
Susan e Tara avevano già avuto modo di conoscersi all’inizio del viaggio. Tara era tutto l’opposto di Clipse: era una gran chiacchierona, ma era simpatica, anche se Susan rimaneva sempre molto più legata a Miriel.
La figlia di Bern chiese notizie di Peter (da che l’aveva veduto mesi addietro, era rimasta molto colpita dal Re Supremo) e quando venne a sapere che si era fidanzato con la Driade, ne fu un poco delusa.
A Portostretto ritrovarono Elén, ad attendere il definitivo ritorno a casa della figlioletta Gael e del marito Rhynce.
Ma il momento più commovente e più significativo fu quando i Lord di Telmar poterono finalmente ricongiungersi dopo tanti anni.
Bern, Rhoop, Agoz, Mavramorn e Revilian piansero insieme i defunti Octesian e Restimar, e anche il loro carissimo amico e sovrano Caspian IX. Ebbero molte cose di cui parlare, e poterono farlo in tutta tranquillità poiché i narniani decisero di passare le feste di fine anno proprio sulle Solitarie.
Durante quel breve periodo, i rapporti d’amicizia si strinsero ancora di più.
Presto, le avventure del Veliero dell’Alba attraverso l’Oceano Orientale, furono già sulla bocca e tra le corde degli strumenti dei bardi, i quali che ne avrebbero cantate le gesta per tutta Narnia prima ch’esse finissero scritte sui libri di storia. Nel futuro, molti padri e madri le avrebbero narrate a voce ai loro figli, come i nonni ai nipoti.
Le costellazioni del Centauro, dello Scudo e del Tasso vennero sostituite da quelle dell’Orso, della Lanterna e del Gigante, che segnarono l’inizio del nuovo anno.
Ed arrivò anche il tempo degli ultimi saluti.
Gael pianse a dirotto al momento di lasciare Caspian, Susan, Emeth, Miriel, Drinian e tutti gli altri, sbracciandosi come non mai sulla banchina di Portostretto mentre la nave si allontanava accompagnata dai saluti di tutti i cittadini.
Fu in una fredda ma soleggiata mattina di gennaio che il Veliero dell’Alba riprese la rotta verso Narnia… e Susan non stava più nella pelle.
In quei due mesi e sedici giorni (aveva tenuto il conto con scrupolosità), che erano stati il tempo in cui si era svolto il viaggio di ritorno, aveva iniziato a tenere un diario. Non ne aveva mai avuto uno in tutta la sua vita, ma ora ne sentiva il bisogno.
Il perché era presto spiegabile: nel momento in cui Peter e gli altri fossero tornati a Narnia, avrebbero sicuramente voluto sapere tutto ciò che era successo, tutto ciò che aveva fatto, e siccome accadevano – e sarebbero accadute – talmente tante cose che era impossibile tenerle tutte a mente, aveva pensato che la carta avrebbe potuto conservare ogni attimo e pensiero nel migliore dei modi.
Annotava i momenti più significativi, oppure scriveva tutto ciò che le veniva in mente.
 
“Ho voluto far cogliere alcuni germogli delle splendide rose blu che crescevano sull’omonima Isola, per poterle portare a Narnia e piantare nel giardino di Cair Paravel. Ovviamente, Caspian mi ha accontentata, ma ha un pò esagerato…”
 
Susan sorrise, poggiando il volto alla mano, ripensando a quando aveva visto Caspian con i capelli spettinati, pieni di foglioline e petali, il viso contratto in una smorfia e le braccia piene di tagli. Aveva cercato di trascinare sulla nave non qualche germoglio, ma un cespuglio intero!
“Ma non puoi portarlo così!” lo aveva rimproverato Susan, tra il divertito e il preoccupato, mentre gli toglieva le foglie dai capelli e gli medicava i tagli.
“Volevo farti una sorpresa” si era giustificato lui, deluso dal suo tentativo fallito.
Sorrise ancora Susan, mentre immergeva nuovamente la pena d’oca nel calamaio e tornava a scrivere, inclinando leggermente la testa da un lato.
 
“Viaggiamo a una tale velocità che mi sembra impossibile. Secondo me c’è lo zampino di Aslan. Tra un giorno o due sbarcheremo a Terebinthia, e poi toccherà a Galma.
Ormai manca poco: due settimane, forse meno, dice Drinian. E poi, finalmente, saremo a Narnia”
 
Casa! Casa! Casa!, ripeteva la sua mente, all’infinito.
Per tanti giorni, il dolore causato dall’addio alla sua famiglia aveva sopito la sua euforia. Ma adesso che riusciva a gestire meglio quegli attimi di tristezza, l’eccitazione saliva alle stelle ogniqualvolta sentiva anche solo nominare Narnia, per qualsiasi motivo.
Si alzò dalla scrivania e raggiunse la portafinestra del balcone, la quale veniva tenuta sempre chiusa ormai, per non far entrare il freddo.  Scostò una delle tende e guardò fuori, mentre il giorno imbruniva. Erano appena le cinque del pomeriggio, ma il buio calava molto prima ora che l’inverno era iniziato.
Afferrò un lungo scialle ricamato a mano e se lo avvolse attorno alle spalle, mise mano alla maniglia e uscì sul balcone. Si strinse nella lana calda e morbida, rabbrividendo per un attimo a contatto con l’aria fredda. Si affacciò sul mare, osservando l’orizzonte, ansiosa di veder comparire la terraferma.
Poteva già vedere tutto con gli occhi della mente. Immaginava e vedeva: Cair Paravel e le sue antichissime e candide mura che svettavano imponenti sulla bianca scogliera; la foce del Grande Fiume di quel suo azzurro brillante, che all’alba si trasformava in uno specchio di diamante, effetto causato dai raggi del sole che si riflettevano sull’acqua; la spiaggia soffice sulla quale Susan aveva sempre avuto l’abitudine di passeggiare ogni mattina; le colline dai dolci pendii e le scure foreste che circondavano la capitale; e ancora, i prati verdi dalla setosa erba ondeggiante, i mille profumi e colori dei fiori che vi crescevano…
D’un tratto, il flusso dei suoi pensieri venne interrotto da un’improvvisa consapevolezza: quello su cui aveva fantasticato sino a quel momento, non era il paesaggio che avrebbe veduto al suo arrivo.
“Che sciocca” si disse. “A quest’ora, a Narnia sarà tutto coperto di neve”
E così ricominciò di nuovo a viaggiare con l’immaginazione, osservando il cielo, come aspettandosi di veder cadere i primi fiocchi… finché i volti di Peter, Edmund, Lucy, Eustace, dei suoi genitori e degli zii, affiorarono prepotenti alla sua mente.
Non poteva farci nulla, era inevitabile pensare a loro.
Avrebbe desiderato condividere tutta quella felicità anche con loro.
Iniziò a sentire un pizzicore agli angoli degli occhi, quando una voce la chiamò.
“Susan, sei qui?”
“Sì” rispose la ragazza, asciugandosi in fretta una lacrima quando sentì i passi di Caspian dietro di lei.
Non voleva che la vedesse triste o si sarebbe preoccupato.
Lui la raggiunse e l’abbracciò da dietro.
La Regina sospirò piano. Non doveva piangere. Peter e gli altri stavano bene, non erano chissà dove in balia di chissà quale pericolo. Erano al sicuro e Aslan vegliava su di loro.
“Va tutto bene?” chiese Caspian, piano.
Lei non rispose subito. Lo fece soltanto quando il giovane le posò un bacio sul capo.
Era inutile tenerglielo nascosto…
“Mi ha peso un po’ di malinconia. Scusa” ammise.
“Non devi chiedermi scusa. E’ normale che tu sia triste. Lo sono anch’io”
“Lo so”. Susan si voltò e lo fissò negli occhi. “Ma non voglio che tu lo sia a causa mia. Voglio vederti felice, voglio vederti sorridere, sempre. Adoro vederti sorridere”
Caspian lo fece e lei sentì il cuore leggero, libero da ogni peso.
“Sai cosa ci vuole per mandare via la tristezza?”
La Dolce fece un piccolo sorriso. “Cioccolata calda?”
“Cioccolata calda” affermò lui, facendone poi portare due tazze colme.
Avevano quest’abitudine da un po’ di tempo. Susan aveva spiegato a Caspian che, sia a Finchley che a Narnia, da sempre Edmund diceva che la cioccolata era il rimedio migliore ad ogni problema, soprattutto alla tristezza. E forse era vero.
Parlavano spessissimo- loro soli o con gli altri- di Ed, Peter, Lucy, Eustace e anche di Ripicì, come se fossero ancora lì con loro.
“Tra qualche mese potremo già rivederli” disse il Re. “Se non per una circostanza, sarà per un’altra”
Le posò una mano sul ventre, e lei capì che alludeva a due possibilità: o la nascita del bambino, o il matrimonio.
Avevano discorso a lungo di quest’ultimo, del fatto che entrambi loro non sentivano più l’urgente bisogno di organizzare una cerimonia appena arrivati a Narnia. Non c’era nessuna fretta, e poi, nessun matrimonio in grande avrebbe mai potuto eguagliare quel che avevano avuto sull’Isola delle Rose, l’unico che avrebbero mai potuto desiderare. Così magico, intimo, unico. Nessuno intorno, solo loro.
Ma Caspian l’aveva avvertita: ai Lord del Gran Consiglio non sarebbe affatto piaciuto sapere che il Re si era sposato con un rito assolutamente al di fuori da tutte le tradizioni e delle regole di corte, benché pienamente riconosciuto da Aslan. Quel matrimonio galeotto (così lo chiamava sempre Eustace), tenutosi su un’isola deserta, al di là dei confini di Narnia. Quella sorta di fuga d’amore che a Lucy aveva tanto ricordato un romanzo d’amore.
“Caspian” disse Susan, deponendo la tazza vuota sul tavolo, “stavo pensando, a proposito delle nozze...”
“Anch’io volevo dirti qualcosa a riguardo” la interruppe il giovane, giocherellando con il manico della sua.
Si fisarono un momento, poi lei parlò per prima.
“Bè…ho pensato, se tu vuoi, che potremmo organizzare il tutto con calma, come abbiamo già detto. Magari potremmo aspettare che nasca nostro figlio. In fondo, che bisogno c’è di correre? Siamo già sposati, per cui…”
“Pensavo esattamente la stessa cosa” ammise lui. “Non te l’ho detto prima perché non ero sicuro che tu fossi d’accordo”
“Lo sono” rispose la ragazza, torturando il bracciolo della sua poltrona, un poco nervosa. Era sincera, ma c’era qualcosa che la impensieriva parecchio.
Caspian lo capì, e fece una risatina. “A cosa stai pensando?”
Susan storse appena le labbra, lanciandogli un’occhiata non troppo convinta. “Non mi va che la gente pensi che il nostro sia un matrimonio riparatore”
Lui corrugò la fronte. “Perché dici questo?”
La Dolce lo guardò eloquentemente. “Bè, è ovvio, no? Perché sono…incinta”
Susan si portò una mano al ventre, non più totalmente piatto ma nemmeno ancora così visibile. Giunta al quarto mese di gravidanza, una leggera rotondità accentuava la sua figura e le gonfiava appena l’abito.
“Oh, non fare la sciocca, Sue” la rimproverò gentilmente il Re, posando la sua tazza e inginocchiandosi davanti a lei. “L’hai detto anche tu, no? Siamo sposati. Nessuno avrà nulla su cui spettegolare, se è questo che ti preoccupa”.
Lei cercò la mano di lui e gliela strinse sorridendogli, rassicurata.
C’erano momenti in cui Susan aveva un gran terrore che tutti a Narnia potessero pensare sul serio qualcosa di sconveniente sul suo conto. Che potessero sorgere voci, maldicenze, e che queste avrebbero potuto macchiare la reputazione del Re.
Sapeva che a Narnia – la Narnia dell’Età d’ Oro – nessuno avrebbe mai insinuato nulla di simile, poiché la malizia non era mai stato un aspetto insito alla corte di Cair Paravel, ma sapeva anche che Narnia era cambiata. Telmar aveva reso il pensiero del regno molto più simile a quello di Calormen, con pettegolezzi, cospirazioni, violenza e razzismo per le creature magiche.
E anche se le cose erano andate certamente migliorando da quando il Liberatore sedeva sul trono, c’era ancora molto lavoro da fare prima di scacciare del tutto l’influenza negativa di Miraz e dei suoi antenati.
Susan non dava mai voce a questi suoi pensieri, nonostante fosse la verità e Caspian lo sapesse bene. Tuttavia, li teneva per sé, per non rattristare suo marito.
Anche se era nato a Narnia, Caspian aveva sangue telmarino nelle vene, anche se certe volte questo sembrava non farlo felice. Si era sempre sentito un narniano, pensava e agiva come un narniano, aveva un cuore narniano. Si era impegnato moltissimo nei tre anni del suo regno per far si che tutto tornasse come all’epoca dei Pevensie.
Non era stato facile.
Ma il Liberatore e la Dolce si erano reciprocamente fatti una promessa a questo proposito: insieme, avrebbero fatto in modo che Narnia tornasse ad essere la terra che Aslan aveva creato all’inizio dei tempi.
Sempre insieme: era la frase preferita di entrambi, e se la ripetevano spesso.
Sempre insieme, mai più divisi.
“E’ inutile pensarci adesso” disse infine lui, accarezzandole i capelli. “Non essere in ansia. Anch’io voglio vederti sempre sorridere.”
 “Sei tu che dai vita ad ogni mio sorriso” disse Susan abbracciandolo, felice. “E’ il pensiero di svegliarmi ogni giorno e trovarti accanto a me”
Ogni notte e ogni mattino, prendere sonno e destarsi tare le braccia del suo eterno amore, quando i residui di un sogno di tanto tempo fa facevano ancora capolino dentro di lei. Ombre, nulla più ormai, di angosce del passato e di pianti dimenticati di quand’era sulla Terra, quando si sentiva persa e sola, e tutto aveva perso colore senza di lui, unico puntino di luce in mezzo a tutto quel buio.
E il buio le faceva paura, come da bambina.
Ma ora, il buio era come un manto protettivo dal quale si sentiva avvolta.
Se si destava nel mezzo della notte, non c’erano lacrime sul suo volto, ma il respiro di Caspian, caldo, regolare, le sue braccia forti e rassicuranti chiuse attorno a lei.
Era così che si addormentavano: talvolta parlando a lungo finché il sonno non prendeva il sopravvento; altre dopo che si erano raccontati tutto il loro amore, del quale non avevano mai abbastanza. Ma in ogni caso, sempre stretti l’uno all’altra. Sempre.
Caspian non voleva e non chiedeva nulla da lei, però la voleva solo per sé, possibilmente senza troppa gente attorno, anche solo per chiacchierare o passare del tempo, per ridere e scherzare.
Momenti infiniti nei quali lui poteva guardarla, da vicino o da lontano, senza paura che sparisse come un miraggio nel deserto.
Toccarsi, guardarsi, pensarsi, amarsi.
Ogni gesto era per lei.
Ogni sorriso era per lui.
In ogni suo pensiero, Susan era al primo posto.
In ogni suo respiro, Caspian era l’aria che dava l’impulso al suo corpo per continuare a vivere.
Perdutamente avvinto nelle sue belle movenze, nella sua grazia, dolcezza e femminilità, Susan lo faceva innamorare ogni giorno, con un solo sguardo.
E quello stesso sguardo faceva morire Susan ogni notte, ma le bastava un bacio di Caspian per tornare a vivere un attimo dopo.
Un bacio, uno soltanto, perché il principe riuscisse a svegliare la sua principessa dal lungo sonno di cui era stata prigioniera prima di arrivare a Narnia e incontrare lui.
Come in una favola. Favola della quale erano gli assoluti protagonisti.
Una favola con un lieto fine.
Una favola senza fine.

 
 
Vivere senza di te
vivere da soli
Questa casa vuota sembra così fredda
Volendo abbracciarti
Volendoti vicino

Quanto avrei voluto che tu fossi a casa
Ma ora che sei tornato
Hai trasformato la notte in giorno
Ho bisogno che resti…

Resta.
 

Proprio come la Regina Dolce aveva pronosticato sulle pagine del suo diario, le Isole di Galma e Terebinthia apparvero presto all’orizzonte. Su entrambe non persero più di una giornata e mezza, tra discorsi ufficiali, visite ai vari baroni, conti, duchi ecc., e non ultimi i festeggiamenti per la notizia del matrimonio del Re e dell’arrivo del futuro erede. E l’entusiasmo del popolo contribuì notevolmente a scacciare da Susan ogni brutto pensiero.
Le Loro Maestà ricevettero doni su doni, e Drinian si lamentò non poco del fatto che la nave sarebbe affondata prima di arrivare in porto a Narnia con tutta quella roba a bordo.
Infine, una mattina chiara e tranquilla, determinò la fine di quel lungo viaggio.
Susan si svegliò piano piano, stendendo le braccia fuori dalla pesante coperta, dando in un pigro sbadiglio. Ma il freddo di quel mattino era così pungente da costringerla a ricacciare subito le braccia sotto, tirandosi la trapunta fino al naso e rannicchiandosi contro un corpo seminudo e caldo, sdraiato accanto a lei.
Aprì gli occhi, sbirciando solo un momento i contorni della stanza illuminata dalla luce del mattino, per poi soffermarsi ad osservare con estrema attenzione il profilo di Caspian. Lui dormiva ancora, sul bel volto un’espressione di pura serenità.
Con un sorriso, Susan si alzò appena su un gomito e rimase un momento immobile a fissarlo. Allungò una mano e, leggera, gli sfiorò il braccio, la spalla, il petto. La piacevole sensazione della pelle tiepida di lui la emozionò: la perfezione del suo corpo, quei muscoli rilassati ma comunque scolpiti. Con tenera impertinenza, spostò la mano verso i suoi capelli lisci e morbidi, immergendovi le dita e accarezzandoli dolcemente.
Caspian mugolò appena, piacevolmente, in risposta a quelle tenere attenzioni.
Susan sorrise di più, sfiorandogli il viso, mentre il ragazzo voltava di poco il capo verso di lei. Gli scostò i capelli dal collo, e senza poter resistere vi posò le labbra, iniziando a baciarglielo con lentezza. Lo sentì sospirare. Scivolò allora sulla clavicola, sospirando a sua volta, sfiorando con il naso il collo di lui, per poi posarvi un altro caldo bacio.
“Susy, se fai così rischi di farmi perdere il controllo fin dalle prime luci del mattino” sussurrò al suo orecchio la voce di Caspian, leggermente arrochita dal sonno, provocandole un intenso brivido lungo la schiena.
“Scusa…” fece Susan, scostandosi appena e poggiandosi sulle mani, un lieve rossore sulle guance. Gli occhi azzurro cielo si incatenarono a quelli neri di lui, mentre la fissava con uno sguardo furbo che non lascia molto spazio all’immaginazione.
Avvertì la mano grande e calda del marito premerle piano sulla schiena. Delicatamente l’attirò in avanti, facendola ricadere su di sé, baciandola con passione. Poco dopo, non seppe come, si ritrovò stesa nel letto, il peso di Caspian su di lei.
Lui cercò subito gli occhi della sua sposa, per specchiarvisi nuovamente, rivolgendole un nuovo sorriso. “Non dovresti viziarmi in questo modo”
Susan allungò una mano, disegnando lievi cerchiolini sul petto nudo di lui. “Mi piace viziarti”
Caspian si chinò a baciarla, accarezzandole i fianchi. “E’ stato un magnifico risveglio. Grazie”
La Regina sorrise sulle sue labbra, circondandogli il collo con le braccia e attirandolo ancor più verso di sé.
“Non hai freddo?” gli chiese poi, sfiorandogli la schiena con la punta delle dita.
“Osi chiedermelo in un momento come questo?”
“Oh, Caspian!” rise Susan, e lui con lei.
Poi, mentre toccava al Re stuzzicarla piano sul collo, la ragazza voltò lo sguardo verso la finestra, notando qualcosa d’importante.
“Caspian…”
“Mmm…”
Susan lo spinse indietro con una leve pressione su una spalla. “Aspetta…aspetta, guarda!”
“Cosa?”. Il Liberatore fece un’espressione contrariata. “Ehi…dove vai?”
Cercò di afferrarla quando lei balzò in piedi, ma Susan era già volata fuori dalle coperte ed era corsa sul balcone, afferrando al volo la pesante vestaglia che infilò svelta sopra la camicia da notte, e spalancando le portefinestre.
“Nevica!” esclamò la fanciulla, più felice che mai. Si voltò verso di lui, in un ondeggiare di chiome castane già ornate di piccoli fiocchi candidi.
Caspian si infilò svelto la camicia, stringendosi nelle spalle per via del gelo, raggiungendola alla svelta.
Fissarono un momento il cielo, scambiandosi poi uno sguardo mentre un sorriso si apriva sui loro volti.
“Siamo a Narnia!” gridò Susan, elettrizzata, afferrandogli le mani e tirandolo di nuovo verso l’interno. “Andiamo!”
“Dove?” sorrise ancora lui, estasiato dal meraviglioso sorriso di lei, dai suoi occhi che brillavano come stelle.
“Fuori, sul ponte!”
Quando aprirono la porta per uscire nel corridoio, travolsero Miriel e Tara, che trasportavano tra le braccia una pila di biancheria pulita da riconsegnare proprio al Re e alla Regina.
“Scusate!” gridarono in coro i due giovani sposi, lasciandole a dir poco perplesse.
“Ma che cosa succede?” chiese Tara.
“Non ne ho idea” le rispose la Driade, alzando leggermente le spalle.
Susan iniziò a correre e Caspian con lei, le mani strette l’uno in quella dell’altro.
Quando il boccaporto si spalancò con un tonfo, i mariani sul ponte si voltarono perplessi.
Caspian e Susan si fermarono all’istante, ammirando lo spettacolo bianco che si presentava ai loro occhi: il cielo di un chiarore accecante,  il mare tranquillo di un pallido azzurro; il ponte, il drago d’oro, le sartie, i parapetti, perfino il timone…tutto era avvolto in un manto candido e luccicante.
“E’ meraviglioso!” esclamò Susan, chinandosi a terra e immergendo le mani nella neve gelida, prendendola in mano e lanciandola in aria subito dopo. “Meraviglioso!”
Un sorriso furbo si disegnò sul volto di Caspian. Si chinò a sua volta, raccogliendo con fare noncurante un pò di neve, iniziando a darle una forma sferica.
“Che fai?” chiese lei, alzandosi.
“Niente…” rispose tranquillo. Ma Susan capì al volo.
“Oh, no, no, NO!” gridò, quando lui le scagliò contro la palla di neve, facendole cadere a terra quella che lei teneva a sua volta tra le mani.
Avevano avuto la stessa idea, ma lui l’aveva preceduta.
Tutti i marinai si voltarono nuovamente in direzione della risata genuina che uscì dalle labbra del Re, compiacendosi per qualche istante di quella tenera e allegra scena, dei gesti di spensieratezza, delle più dolci e gioiose attenzioni dei due giovani innamorati.
Caspian preparò un’altra palla di neve, ma stavolta Susan fu più svelta e lo colpì in pieno viso. Lui si scostò i capelli che gli erano finiti davanti al volto e avanzò con fare minaccioso, tradito però da un enorme sorriso divertito. Lei rise e fece qualche passo indietro, per poi emettere un gridolino e scappare via, inseguita dal ragazzo. In un attimo lui la raggiunse e si trovarono a rotolare nella neve tra le risa e il freddo, avvolti dal calore del loro abbraccio. Susan si ritrovò stesa su un fianco, le braccia intorno alla vita di Caspian, mentre quelle di lui cingevano la sua.
“Vostre Maestà” li salutò Drinian, avvicinandosi con un sorriso e un breve cenno del capo.
I due ragazzi si alzarono subito, cercando di ricomporsi.
“Capitano?”
“Abbiamo Narnia davanti a noi”. Drinian allungò una mano e indicò una strisciolina verde-grigia dalla forma irregolare.
Senza dire una parola, Susan si allontanò dai due uomini, camminando lentamente fino al parapetto di prua. Avrebbe voluto allungare le mani per toccarla, abbracciare quella terra, chiamarla a sé.
Narnia…
Casa mia…
“Fa un freddo cane, accidenti” si lamentò una voce alle sue spalle. “Buongiorno, Susan”
“Buongiorno, Emeth”
Il ragazzo le si accostò, rabbrividendo, incrociando le braccia sul petto.
“Avevi mai visto la neve?” chiese la Dolce.
“Certo che sì!….Bè, solo tramite le figure presenti in qualche libro…” ammise lui, con  un’espressione imbarazzata.
Susan parve stupita, nonostante lo sospettasse. “Credo sia difficile che a Calormen la temperatura scenda tanto da permettere alla neve di cadere. E’ così vero?
Emeth annuì. “Già… ma ho scoperto che non mi piace… la neve”
“Dimenticavo che non sei abituato ai climi troppo freddi”
“E’ vero, anche se le notti nel Deserto lo sono tanto da farti battere i denti. Ma qui non si scherza”. Rabbrividì di nuovo.
“Anch’io non avevo mai visto la neve” disse una vocina tenue. “Sulla mia Isola non scende mai”
“Ciao piccola Clipse” la salutò Susan.
La bambina fece la riverenza. Non parlava molto, ma sorrideva sempre, e tutti le volevano già un gran bene. Era come avere ancora Gael a bordo in un certo senso, benché Clipse fosse molto più tranquilla e spesso non ci si accorgeva nemmeno di averla intorno.
La graziosa figlia di Chief si avvicinò loro, mettendosi in punta di piedi per poter guardare giù verso il mare.
“Sei emozionata?” chiese Emeth a Susan.
“Sì, lo sono!” sorrise la Dolce.
“Anch’io. Non vedo l’ora di vedere Narnia coi miei occhi. Finora ho potuto rifarmi solo ai vostri racconti”
“Ti piacerà, ne sono sicuro” disse Caspian, arrivando accanto ai tre con il binocolo in mano, che poi porse alla Regina. “Guarda verso tribordo…lo vedi?”
Lei prese il binocolo e vi guardò dentro... e la vide, benché ancora lontana: l’inconfondibile sagoma del castello di Cair Paravel.
“Sì!” esclamò raggiante.
“A questa velocità, se il vento non cambia, sbarcheremo prima di mezzogiorno” confermò il Liberatore con un sorriso.
Susan fremette all’idea e le sue guance si accesero. Mancavano pochissime ore.
L’equipaggio fu in fermento per tutta la mattina. Ogni cosa fu predisposta nel migliore dei modi in vista dello sbarco: si svuotò la stiva e tutto ciò che v’era all’interno venne fatto portare sopraccoperta. Si aggiornò per l’ultima volta il diario di bordo. Ognuno radunò i propri effetti, forse con una certa malinconia: dopotutto, il Veliero dell’Alba era stato come una casa per tutti per tanto tempo.
Lei e Caspian fecero colazione insieme agli amici, poi tornarono in camera per prepararsi.
Essendo il Re e la Regina, ci si aspettava che si presentassero davanti al popolo indossando abiti degni del loro titolo. Così, Tara, Miriel e Clipse – già entrate appieno nel loro ruolo di ancelle – si apprestarono ad aiutare Susan a prepararsi; e altri tre marinai in qualità di valletti fecero lo stesso con Caspian.
Ma il Liberatore li allontanò gentilmente dalla cabina reale, affermando che la Regina non si sentiva bene, e di ripassare più tardi.
Quando se ne andarono e lui richiuse la porta, Susan gli rivolse uno sguardo interrogativo.
“Ma non è vero che sto male. Mi sento in piena forma, a dire il vero”
“Lo so, ma tu hai un debito con me e io non intendo passarvi sopra” disse Caspian con un sorrisetto, girando la chiave nella toppa.
“Ho un debito?”
“Esatto”
Il cuore di lei prese a martellare quando lui le si avvicinò e le allacciò le mani dietro la schiena, sollevandola da terra.
“Ora tu vieni qui e finisci quello che hai cominciato questa mattina” disse il giovane, gettandosi letteralmente sul letto con lei e strappandole una risata.
Susan non protestò in nessun modo, tutt’altro: si sciolse nell’abbraccio caldo del suo sposo, ricambiando le sue dolci e ardenti attenzioni… facendosi un baffo del ritardo mostruoso con il quale giunsero sul ponte, due ore più tardi.
Ma era così bello poter godere di quella gioia e di quella libertà, che proprio non potevano farne a meno. Volevano assaporarla il più a lungo possibile, perché entrambi sapevano che una volta a corte non avrebbero avuto tutto quel tempo da dedicarsi, almeno non all’inizio.
Il Re si era assentato per tanti mesi, e sebbene lo stesso Caspian sapesse che Briscola era un sostituto più che eccellente, al suo ritorno aveva idea che sulla scrivania del suo studio ci sarebbe stata ad aspettarlo una montagna di scartoffie.
“E’ giusto”. disse Susan, gli occhi chiusi, la testa sul petto di Caspian, le sue mani che le accarezzavano la schiena facendole appena il solletico. “Narnia rivuole il suo Re”
“Lo so, lo so…” si lamentò debolmente Caspian, “Me l’hai ripetuto almeno mille volte”
“Per quanto anch’io vorrei passare con te ogni minuto delle mie giornate, dovremo occuparci di un mucchio di cose”
Il Liberatore emise un sospiro. “Come faccio a farti capire che tu sei la cosa più importante di tutte, Susan? E che non ho nessuna intenzione di rinunciare a momenti come questo per dover incontrare quelle quattro mummie incartapecorite…”
“Caspian!” Susan lo rimproverò, ma rise anche.
“Ehm…volevo dire…quegli adorabili vecchietti che fanno parte del Gran Consiglio”.
Lei si voltò per guardarlo in viso, poggiando il mento al suo busto. “Vuoi davvero trascurare i tuoi doveri per me?”
“Sì, davvero!”
Lei si alzò su un gomito e appoggiò la tesa alla mano. “Sai Caspian, credo di aver capito adesso perché i Lord hanno tanto insistito per farti prendere moglie”
Il Liberatore fece un’espressione perplessa.
Lei sembrava sul punto di scoppiare a ridere. “Il loro Re è uno scansafatiche. C’è bisogno di una Regina che lo faccia rigare dritto, ogni tanto”
Caspian trattenne un sorriso, mostrandosi falsamente offeso, mentre lei scoppiava a ridere sul serio.
Quanto adorava la risata di Susan…
“Sei una piccola impertinente, lo sai?” esclamò.
Si alzò di scatto e si buttò di nuovo con lei tra le lenzuola, ridendo, rotolando tra le coperte scomposte in un intreccio di gambe e braccia.
Purtroppo, qualcuno venne a disturbare quel dolce momento, bussando alla porta e avvertendo le Loro Maestà del leggero ritardo.
Forse non fu un male, o avrebbero ricominciato tutto da capo rischiando di far infuriare qualcuno: Drinian.
Decisamente non era una buona idea, pensò Susan, dopo tanta fatica per non farsi più odiare dal capitano.
Qualche minuto più tardi, un’esclamazione ammirata giunse da tutto l’equipaggio, quando il Re e la Regina si presentarono sul ponte.
Indossavano due splendidi abiti confezionati personalmente dalle più brave sarte delle Isole Solitarie. Se si considerava il poco tempo che quelle brave donne avevano avuto a disposizione, il risultato era stato più che soddisfacente.
Caspian portava una pesante camicia bianca di damasco con ampie maniche, ricamata di nero e oro, pantaloni scuri e stivali neri di pelle. In vita portava una cintura d’oro con la fedele Rhasador fissata al fianco sinistro. Sulle spalle un mantello di un bianco immacolato bordato di pelliccia, con un alamaro d’oro al collo.
Susan invece indossava un abito di velluto color argento, impreziosito da boccioli di rose blu cucite a mano sul vestito. Anche lei portava un mantello identico a quello di Caspian. I capelli erano legati dietro la nuca come sempre, ma in un’acconciatura più elaborata. Ovviamente, non aveva potuto rinunciare al suo fiore blu. Lo avrebbe portato sempre, ovunque e comunque.
Sul capo, sia lui che lei, portavano due semplici cerchi dorati.
La mano sinistra posata sul dorso della destra di Caspian – come voleva il cerimoniale – la Regina Dolce osservò solo per un attimo il profilo di lui: era stupendo, i capelli al vento, lo sguardo fiero fissò avanti a sé.
Il giovane avvertì la furtiva occhiata della fanciulla, e si voltò appena per sorriderle e ammiccare.
Susan sorrise a sua volta e tirò un gran respiro. Iniziò a camminare lentamente insieme a lui in mezzo ai marinai, i quali s’inchinavano al passaggio dei loro Sovrani.
Fu grata che ci fosse Caspian a fianco a lei, a condurla verso il castello di prua dove li aspettava Drinian, perché se fosse stata sola non avrebbe potuto muovere un muscolo.
Cominciò provare un senso di euforia mista al più puro terrore, perché ora lo vedeva...lo vedeva chiaramente.
Il castello di Cair Paravel.
Osservò quello splendore come se lo vedesse per la prima volta
Non sorgeva più accanto alla città, la quale una volta veniva sovrastata dall’alto della sua bianca scogliera. Dopo l’assalto di Caspian I il Conquistatore, nel corso dei secoli avvenire, senza che più nessuno l’abitasse e a causa dell’erosione di suolo, vento e acqua, Cair Paravel era diventata un’isola. La sua posizione non era cambiata, ma era stato costruito un lungo ponte per collegare la città vera e propria, la quale che sorgeva sulla collina rocciosa, al resto delle mura.
Ma Cair Paravel sembrava comunque la stessa: le case, il porto, i magazzini, persino gli alberi erano dove Susan li ricordava. Tutto era stato ricostruito nel dettaglio, e se c’era qualcosa di diverso non si notava affatto.
Vide che sulla banchina erano riunite ogni sorta di creature, animali, uomini e donne dai vestiti sgargianti. Nella baia e nel letto del Grande Fiume erano uscite barche con a bordo altra gente che  agitava le braccia e gridava un coro di “evviva”: erano gli abitanti di Narnia che attendevano il ritorno del Re.
Proprio lui le indicò qualcosa sotto di loro. Susan si sporse appena e notò figure guizzanti nell’argento delle onde che s’infrangevano sulla chiglia: delfini… e sirene!
Susan si volse verso di lui, radiosa. Gli occhi scuri di Caspian splendevano della gioia più pura mentre la fissava, senza parole.
La Regina allungò una mano verso il suo viso e gli fece una carezza, scostandogli una ciocca di capelli dagli occhi.
Il suo sogno!, pensò improvvisamente. Il sogno che aveva fatto la notte del suo litigio con Caspian, dopo la spaventosa esperienza sull’Occhio di Falco, quando aveva scoperto che lui avrebbe dovuto sposare la Stella Azzurra.
Il momento che aveva sognato quella notte era esattamente quello che stava vivendo ora.
Avrebbe dovuto domandarsi se quel sogno le avesse mostrato il futuro? No, perché non era così…non del tutto.
Il futuro non esisteva, niente era scritto. Ma allora perché aveva sognato proprio quel preciso istante? E perché aveva provato la strana sensazione che lei e Caspian non fossero soli mentre tornavano a Narnia?
Lo sapeva perché. Sapeva il perché di tutto.
Era semplice: aspettava già un bambino nel momento in cui aveva sognato tutto questo.
Se il bambino non fosse esistito, probabilmente non avrebbe sognato alcunché. Invece, già da quella sera Aslan le aveva mandato un segno: la piccola creatura che cresceva dentro di lei aveva determinato il vero cambiamento. Un piccolo angelo mandato da Aslan per poter dar loro una seconda possibilità.
Il suono del corno si levò dal porto tre volte, e le grida del popolo si levarono nell’aria invernale ancor più forti di prima. Anche sul Veliero dell’Alba lo si suonò in risposta.
“Sei a casa adesso” disse Caspian, guardandola intensamente negli occhi.
Susan gli gettò le braccia la collo non appena incontrò il suo sguardo.
E infine, si volse nuovamente verso Narnia.
Voleva che quell’istante rimanesse sempre vivo nella sua mente, in eterno, per poterlo raccontare ai suoi fratelli e al suo bambino.
Gli occhi di Susan erano ben aperti. Il terrore scomparve e l’eccitazione prese il sopravvento. Voleva scendere. Voleva mettere piede su quella terra.
Tutto quanto, dagli alberi che ondeggiavano le loro fronde, ai frangenti che si scontravano sugli scogli, dai fiocchi di neve che guizzavano allegramente davanti al suo viso, al grido dei gabbiani, e il cielo, le nuvole, il vento, il sole pallido…tutto sembrava volerle dire qualcosa:
Bentornata, Susan la Dolce.

 


Così ora vengo a te, a braccia aperte
Niente da nascondere, credi a quello che dico
Così eccomi qui, a braccia aperte
Sperando che tu veda cosa il tuo amore significa per me



 
 
 
Ragazzi, ben ritrovati!!!!!!!!
Com’è bello essere di nuovo qui!!! Bè, io non mi sono ma mossa da Narnia in realtà, ma voi stavolta come ci siete entrati? Sarei curiosa di saperlo…
So che non vedevate l’ora dell’inizio di questa storia, ma anch’io non stavo più nella pelle, sapete??? *emozioneeeeee*
“A Night without a Day, a Day without a Night” (noi lo chiameremo solo Night&Day, ok?) questo è il titolo della nostra nuova avventura che ricalcherà il libro de “La Sedia d’Argento”, ma che avrà anche qualcosa a che fare con il film “Ladyhawke”, uno dei miei preferiti!!! (quando passa in tv non me lo perdo mai!).
Il tanto atteso seguito della nostra “Queen” Che ne dite?
A proposito, avete visto il provino? Ah, grazie a chi l’ha guardato!!! Se invece non l’avete ancora fatto, (e se volete, io non vi obbligo) vi basta andare qui, al mio blog di livejournal. La prossima volta metterò il link per vedere le foto del nuovo cast, che sto sistemando in queste ore.
Allora: questo primo capitolo è un insieme di situazioni e pensieri dei vari personaggi mentre sono ancora sul veliero. Ne ho introdotti due nuovi: Tara e Clipse. Cosa ne pensate?.
Vi ho regalato tanti momentucci Suspian, contenti??? *.* E nel prossimo capitolo...ah no, che scema! Per questo c’è l’angolino delle anticipazioni… :D
Anche se ancora non ci sono recensioni, ringrazio tutti voi che mi avete seguito durante “Queen” e a chi mi seguirà in “Night&Day”. E…nessuno me ne voglia, ma un ringraziamento lo devo a Shadowfax e Joy_10. Perché? Semplicemente perché ci siete sempre, ragazze!!! <3 <3 <3
Cercherò di postare una volta a settimana, come con Queen, e per gli aggiornamenti vi basta andare sulla mia pag facebook!
Nota: il capitolo ha vari stacchi di scena, e tra di essi trovate le strofe della canzone "Open Arms" di Mariah Carey.


Angolino delle Anticipazioni: (è tornatoooooo!!!!!!!)
Nel prossimo capitolo, come vi dicevo, vedremo il vero e proprio sbarco a Cair Paravel, e i nostri Caspian e Susan alle prese con la corte di Narnia! Entrerà in scena un altro nuovo personaggio, ma sarà decisamente più odioso di Tara e Clipse.
E inoltre, non potrò non dedicare un po’ di spazio anche ai Pevensie sulla Terra…


Già finito? Direi di sì. In fondo siamo solo al primo capitolo ^^
Vi aspetto numerosi alla pagina delle recensioni!!!
Ci conto!!!
Bentornati a tutti!!!
Susan<3

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Alla corte di Cair Paravel ***


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2. Alla corte di Cair Paravel


Un passo alla volta...
 

 
Durante la confusione che regnò nel momento in cui il Veliero dell’Alba faceva manovra per entrare in porto, la Regina Dolce riuscì finalmente a distogliere lo sguardo dal paesaggio e abbassarlo verso la moltitudine di persone e creature stipate sul molo. Tra la folla, tre volti alzati verso lei e Caspian le inondarono il cuore di gioia: Briscola, Tartufello e il dottor Cornelius.
Stavano davanti a tutti, e si erano resi conto prima di chiunque altro di chi era la giovane donna al fianco del Re.
Anche il popolo, ora che la nave si avvicinava e poteva osservare meglio i volti dei passeggeri, aveva notato la figura femminile accanto a Caspian, e da qualche minuto si domandava chi potesse mai essere.
Tutta Narnia era a conoscenza del fatto che, probabilmente, il Sovrano sarebbe rientrato dal suo viaggio portando con sé una sposa, e anche se ancora non riuscivano a scorgere bene il suo viso, erano ansiosi di sapere che aspetto avesse la loro Regina.
Venne gettata l’ancora e preparata la passerella, ornata di un lungo tappeto di velluto rosso. I Sovrani si apprestarono a scendere, e fu allora che qualcuno esclamò: “La Regina Susan! Susan la Dolce!”
“Non può essere” ribatté qualcun altro.
“E’ lei, vi dico! Guardate!”
“Sì, sì!” affermò un altro ancora. “E’ proprio la nostra antica Sovrana!”
Caspian e Susan sostarono per qualche secondo sul bordo della passatoia, sorridendo e salutando la popolazione.
Lei afferrò più saldamente la mano di lui, rivolgendogli un sorriso abbagliante. “Oh, Caspian! E’ meraviglioso! Io…”
Non trovava le parole per esprimere quel che sentiva. Aveva desiderato e temuto quell’istante per mesi, e mai si sarebbe immaginata tanta calorosa accoglienza. Le vennero le lacrime agli occhi, udendo distintamente le voci di mille e più persone chiamare il suo nome, provando un moto di affetto incontenibile per tutti loro.
Caspian le sorrise a sua volta. “Tu ti meriti tutto questo, e molto di più” le disse, e poi si voltò verso la folla.
Gradatamente, capendo che il loro Re stava per dire qualcosa, il vociare dei narniani si attenuò.
Il Liberatore guardò il viso della sua sposa come se fosse la cosa più bella al mondo. Le prese la mano e gliela baciò. Poi, con gentilezza, la sospinse un poco più avanti, di un passo appena, ma in modo che tutti potessero vederla bene.
“Popolo di Narnia, ecco la vostra Regina!”
E fu allora che la folla esplose letteralmente in grida di gioia.
Il molo venne inondato di petali di fiori colorati, che danzarono nell’aria assieme ai fiocchi di neve prima di toccare terra, mentre le donne e i bambini li lanciavano in aria e gli uomini facevano lo stesso con i cappelli.
Caspian e Susan discesero la passerella e poi misero piede sulla banchina, seguiti da Miriel, Clipse e Tara, Emeth e altri marinai, i quali erano già al lavoro per portare a terra i bagagli.
Stava toccando per davvero il suolo di Narnia, pensò la fanciulla, mentre le lacrime continuavano ad appannarle la vista. Le cacciò indietro, perché voleva vedere ogni cosa che la circondava.
Non avrebbe mai più lasciato Narnia. Non avrebbe mai più permesso a niente e nessuno di indurla a rinunciare o dimenticare. Soprattutto a sé stessa.
Tirò un gran respiro e liberò un nuovo sorriso nel momento in cui si ritrovò di fronte a Tartufello, Briscola e il dottor Cornelius, il quale abbracciò subito Caspian.
“Perdonate la mancanza di rispetto nei confronti di una signora” le disse il vecchio, quando si separò dalla stretta del ragazzo.
“Nulla, caro dottore. So quanto bene volete a Caspian” rispose Susan, chinandosi a baciarlo sulle guance.
“E’ una gioia rivedervi, mia cara. Sono così felice…così felice…”.
Cornelius guardò dal giovane alla ragazza e la sua voce si spezzò. Strinse le mani di Susan con affetto, rivolgendole un sorriso di approvazione. Una lacrima di commozione scivolò dietro gli occhialetti tondi, cadendo a bagnare la sua bianca e folta barba.
“Ehm-ehm” fece una voce alle loro spalle.
“C.P.A!” esclamò Susan, chinandosi a baciare anche lui. “Caro Briscola…”
Il Nano vestiva in un modo che lei non aveva mai visto: portava una giubba blu scuro ricamata finemente, con alamari d’oro e bottoni lustri come specchi, le maniche e il colletto di pizzo, stivali di pelo e calzamaglia nera.
Dopo quel saluto confidenziale, il Nano e la fanciulla si rivolsero un inchino più formale.
Briscola s’inchinò anche al Re, e quando si raddrizzò tirò un sospiro di divertita rassegnazione. “Lo sapevo…voi non vi arrendete mai, vero Sire?”
Caspian rise. “Te l’avevo detto che l’avrei riportata qui, in un modo o nell’altro”
Susan si strinse al suo braccio quando il giovane le cinse le spalle.
“Da oggi in avanti mi avrai sempre intorno, C.P.A” disse la fanciulla al Nano. “Oh, perdonatemi. Forse dovrei chiamarvi Mastro Reggente Briscola” si corresse subito dopo.
“Governatore è meglio, mia signora” la corresse lui, sistemandosi il coletto della giacca, rivolgendole un contenuto sorriso che tradiva tanta gioia.
Susan sorrise vedendolo così impettito. Era insolito vederlo in quei panni. Evidentemente si era dato molto da fare per imparare le buone maniere.
 “Se volete seguirmi, Vostre Maestà” li invitò poi il Nano con un cenno della mano.
La folla si aprì per lasciar passare il Re e la Regina.
Poco lontano da dove si trovavano, la Dolce vide una splendida carrozza dorata, trainata da quattro cavalli bianchi con pennacchi sulle teste e i finimenti d’argento lucente. Sulle porte della vettura c’era l’effige di Aslan e i sedili erano di velluto rosso imbottito.
Appena vi arrivarono vicino, due uomini di mezz’età si fecero loro incontro, si tolsero i cappelli e s’inchinarono quasi toccando la terra con il naso.
Susan trovò davvero esagerato quell’inchino, e capì dall’espressione di suo marito che tra l’uno e gli altri due non correva buon sangue.
“Mio Re,” iniziò il primo uomo, più basso di Caspian di tutta la testa, robusto, capelli corti e grigi come l’accenno di barba e baffi sul volto. “Il vostro ritorno ci rallegra molto, Sire, non sapete quanto”
“Vi ringrazio Lord Ravenlock. Anch’io sono felice di essere a casa” rispose Caspian chinando il capo, con un tono di voce misurato.
Il giovane rivolse un saluto anche all’altro uomo, un poco più giovane del primo, ma non di molto, con barba e capelli castani chiaro.
“Lord Galvan”
“Maestà: io e Lord Ravenlock ci scusiamo con voi per la mancata presenza di Lord Erton, oggi, ma davvero non è potuto sopraggiungere al vostro sbarco”
“Infatti non lo vedo…come mai non è qui?” chiese Caspian, sempre con lo stesso tono di prima.
Susan pensò che sembrava star recitando una parte, e al nome di Lord Erton non le fu difficile capire perché.
Caspian le aveva parlato di quell’uomo e dei suoi due compagni: un terzetto inseparabile lo aveva definito.
Lord Erton era Duca di Beruna, l’uomo più potente del regno subito dopo il Re. Era giudice supremo del tribunale reale di Narnia, e a causa sua, ai tempi di Miraz, erano finite sulla forca più persone di quanto a tutti sarebbe piaciuto ricordare. Una volta, persino un cameriere era finito impiccato sulla pubblica piazza per aver rotto accidentalmente un calice di cristallo.
Susan tremava all’idea di incontrarlo, per queste ragioni e una di più: Lord Erton era stato la causa del più tremendo litigio che lei e Caspian avessero mai avuto, il litigio che aveva quasi messo fine alla loro storia; quell'uomo era colui che aveva deciso deliberatamente di concedere in sposa Lilliandil al Liberatore senza che quest’ultimo ne sapesse nulla.
Susan sentiva già che non le sarebbe andato a genio, e lei non sarebbe piaciuta a quell’uomo…come non piaceva a Caspian. Sia lui che i suoi due compari.
“Purtroppo” riprese Lord Galvan, “il Duca è costretto a letto da un fastidioso malanno. Nulla di grave, un raffreddamento di stagione”
“Capisco” disse il Re. “Portategli i miei saluti”
“Sarà fatto, Sire, con molto piacere”
I due Lord vennero congedati e subito Susan vide il volto di Caspian rilassarsi. Lo osservò attentamente mentre salivano in carrozza.
Caspian non era una persona che si faceva intimidire facilmente, e il fatto che fosse divenuto così teso al solo sentir nominare Lord Erton la preoccupò.
Non appena lo sportello venne chiuso, lei non poté trattenersi dal chiedere: “E’ un uomo così tremendo?”
Lui capì al volo. “Lord Erton? Dipende. Basta non farlo arrabbiare”
Susan continuava a fissarlo e il ragazzo capì che era preoccupata. “Immagina che Lord Erton sia Peter e ripensa a quanto io e lui discutevamo sempre. E’ più o meno la stessa cosa”
La fanciulla fece un’espressione perplessa. “Vuoi dire che dovrò stare attenta a che non vi prendiate a botte?”
Sul volto di Caspian ritornò il sorriso. “No. Non era preoccupazione la mia, sai? In realtà cercavo di trattenermi dal ridere”
“Perché?”. La Regina incurvò le sopracciglia, rimandandogli un’occhiata interrogativa.
“Perché non vedo l’ora che Lord Erton incontri Lord Rhoop”
La perplessità di Susan divenire pura incomprensione, ma Caspian non aggiunse altro.
Forse quel che aveva detto suo marito era vero, forse no – pensò lei – ma non si sentì di chiedergli di più. Annegò in quegli occhi neri e non volle sapere altro. Desiderava solo vederlo sorridere come stava facendo adesso.
Con espressione divertita, Caspian si chinò verso di lei facendole una carezza e un altro sorriso. “Quando arriveremo a corte, capirai cosa voglio dire”
Il corteo reale partì in un trionfante squillare di trombe.
Subito dietro la carrozza dei Sovrani ne veniva un’altra più piccola, e più indietro un’altra ancora. Sulla prima di queste due presero posto Briscola, Cornelius e Tartufello; sulla seconda le tre ancelle della Regina.
Emeth, invece, salì a cavallo a fianco dei Lord di Telmar.
Il corteo percorse le vie centrali della città, dove altre persone aspettavano di vederlo passare.
Affacciate alle finestre, le donne più anziane agitavano i fazzoletti. In strada, i bambini si arrampicavano sulle spalle dei padri o delle creature più grosse per vedere meglio. Le giovani rimasero molto colpite da Emeth, il bel giovane dalla pelle ambrata che videro passare a cavallo accanto ai Lord.
Passarono per le campagne e per i boschi, dove gli animali, anche i più pigri, saltarono fuori e affollarono i lati della strada.
“Venite a vedere!” esclamò una voce squillante, mentre il suo proprietario, lo scoiattolo rosso dalla più bella coda che si fosse mai vista, saltellava da un ramo un altro degli alberi, facendo cadere blocchi di neve ghiacciata sulle teste degli animali sotto di lui.
“Zampalesta, attento!”
“Scusate amici, ma devo svegliare i tre orsi giganti! So che sono in letargo, ma questa non se la possono perdere!”
Ora, l’allegra processione stava attraversando il ponte che divideva l’isola di Cair Paravel dal resto di Narnia.
Tara, Miriel e Clipse si sporgevano dai finestrini della loro vettura per poter ammirare a bocca aperta le mille torri e torrette del palazzo reale.
“Beeellooo!” esclamò Clipse, e quello fu il suo unico commento.
“Magnifico…semplicemente fantastico! E’ il castello delle fiabe! Miriel, guarda, guarda!” esclamò Tara, sporgendosi ancora di più, tanto che la Driade fu costretta a tirarla per la gonna perché non scivolasse fuori dal finestrino.
Miriel e Emeth avevano provato ad immaginare Cair Paravel dal vivo, lo avevano visto su un dipinto appeso nella cabina reale sul Veliero dell’Alba, ma non avrebbero mai compreso davvero quanto grandioso e splendido potesse essere in realtà.
Miriel lo ricordava ai tempi dell’Età d’Oro, convenendo con l’opinione di Susan in merito: il tempo sembrava non essere passato.
Se solo Peter avesse potuto essere lì con lei in quel momento…
Fu con una stretta al cuore che pensò a lui, ma un attimo dopo si riscosse, e un nuovo elettrizzante pensiero sostituì quello più triste: sarebbe stato dentro quel castello che avrebbe coronato il suo sogno d’amore con lui. Peter le aveva promesso di sposarla nella Cappella d’Oro.
Miriel si ripromise di chiedere immediatamente a Caspian e Susan di mostrargliela, una volta che i due amici avessero avuto un po’ di tempo da dedicarle.
Emeth, invece, si rifece al palazzo di Tashbaan, dimora dell’Imperatore Tisroc, costruito in puro oro zecchino dalla testai piedi, con l’altissimo obelisco, le punte delle torri più alte decorate da enormi diamanti, il ponte levatoio blindato…
Il castello di Narnia non era niente di tutto questo. Non c’era ostentazione, solo una pura magnificenza che derivava da ciò che il castello stesso rappresentava; non tanto in aspetto quanto dalla sua storia. Emeth ricordò che Lucy gli aveva raccontato che ai tempi dell’Inverno Centenario, la Strega Bianca aveva cercato di prendere Cair Paravel, ma non c’era riuscita: il castello non le aveva permesso di entrare. In quel momento, il giovane aveva quasi creduto che fosse vivo…
Non si era discostato troppo dalla realtà con quella deduzione. Più vi si avvicinava, più sentiva crescere una strana inquietudine. Non era una sensazione spiacevole: era la stessa che aveva avuto la prima volta che aveva visto Aslan di persona. Cair Paravel sembrava guardare le piccole ed insignificanti creature ai suoi piedi, osservarle e accoglierle tra le braccia rassicuranti che erano le sue mura.
Attraversarono i cancelli principali e si ritrovarono nella cittadella, e Emeth sentì che ogni ansietà scompariva dal suo cuore.
Da che era fuggito dall’Occhio di Falco, con la consapevolezza di non poter più tornare a Calormen, e per quanto l’equipaggio del Veliero dell’Alba lo avesse accolto calorosamente, non aveva ancora trovato un luogo in cui pensare di poter restare. Ma ora, sentiva che avrebbe potuto chiamare quel luogo ‘casa’.
Emeth sorrise appena nell’immaginare come sarebbe stata felice Lucy se l’avesse sentito pronunciare la parola casa associata alla sua Narnia.
“Volevi tanto mostramela, ma ora non sei qui con me per vivere questo momento” pensò il giovane, e se le avesse dette ad alta voce quelle parole, il suo tono avrebbe tradito una punta di rimprovero.
Prima o poi sarebbero stati ancora insieme, diceva Miriel.
Presto, dicevano Caspian e Susan.
Quando?, si chiedeva lui…
Le carrozze rallentarono quando entrarono nel cortile principale e i cavalieri tirarono le briglie dei loro destrieri. Si lasciarono indietro le grida del popolo, il quale avrebbe continuato i festeggiamenti per le strade innevate, per tutto il giorno.
I trombettieri portarono di nuovo i loro strumenti alla bocca per annunciare l’arrivo del Re a palazzo, dove una schiera di nobili lo attendeva. Essi rimasero stupiti nel constatare che non era solo.
Un valletto aprì la portiera. Caspian scese per primo, porgendo la mano a Susan e aiutandola a scendere.
La fanciulla sollevò la lunga gonna e si strinse nel mantello. La neve non aveva ancora cessato di cadere e, guardando in alto, Susan ebbe come l’impressione che i fiocchi danzassero in una musica che solo loro potevano udire.
“Ogni volta è come la prima” disse a Caspian, mentre mano nella mano entravano dentro il palazzo.
“Tutte le volte che io e i miei fratelli tornavamo da qualche battaglia, da qualche viaggio, ci sembrava di non aver mai visto tutta la bellezza di Cair Paravel, e ne rimanevamo estasiati”
“Capisco cosa vuoi dire” le rispose Caspian, “Anche per me è così”
Il Liberatore alzò gli occhi verso le alte torri.
Era stato lontano per tanti mesi…troppi, ma se fosse stato necessario vi sarebbe rimasto lontano ancora più a lungo: se Susan non fosse stata lì con lui in quel momento, se fosse stato costretto a lasciare per sempre il suo regno per stare con lei, lo avrebbe fatto senza esitazione e senza rimpianti.
I due sposi provarono un senso di deja vu quando Tempestoso ordinò agli altri Centauri di alzare le spade e formare un arco: come il giorno dell’incoronazione di Caspian, il giorno in cui si erano lasciati.
Passare sotto quell’arco, adesso, parve loro un modo per chiudersi definitivamente alle spalle la porta del passato e aprire quella verso il futuro.
 “Cair Paravel mi è mancata” disse ancora Caspian, tornando a guardare la sua sposa. “Ma queste mura sono di pietra e possono essere distrutte, com’è già accaduto. Invece tu…”
Si fermò e la prese tra le braccia, dimentico di ogni cosa e che tutti li guardavano. “Nessuno può portarti via da me. Sei tu la mia casa, Sue”
“Amore mio” Susan si mise in punta di pedi e lo baciò sulle labbra, dolcemente. Poi gli sorrise.
Quel bacio, quel gesto di autentico amore, portò i nobili presenti a profondersi in un applauso.
I due giovani si fissarono negli occhi, increduli, Susan arrossì violentemente.
Briscola si avvicinò loro e fece cenno di proseguire. “Vi prego, Vostre Maestà, tutta la corte vi attende”
Dopo quella sollecitazione, non persero più tempo a guardarsi intorno o a perdersi in effusioni, anche se avrebbero voluto correre per quei cortili, giocare ancora a palle di neve nei giardini. Ma non poterono.
Si diressero allora nella sala del trono, dove Caspian avrebbe tenuto il suo primo discorso dopo il rientro dalla sua spedizione.
Anche questa era come Susan la ricordava: con i grandi e colorati arazzi e drappeggi ad ornare le pareti, quella ad ovest tappezzata di piume di pavone, mentre quella ad est esibiva una lunga e spaziosa balconata che guardava sull’Oceano Orientale. Di solito veniva tenuta sempre aperta, a meno che (come in quel caso) non facesse tanto freddo da costringere la servitù a chiudere le immense vetrate. C’erano quattro colonne bianche che si ergevano fino al soffitto di avorio e vetro, così che la luce del giorno vi entrasse senza bisogno di torce o candelabri, i quali si accendevano solo la sera. Il pavimento era di marmo chiaro, così lucido da potervisi specchiare. E poi, in fondo alla sala, innalzati da tre gradini sopra una predella di marmo anch’essa, c’erano i quattro troni d’oro dove una volta Susan e i suoi fratelli avevano seduto come Re e Regine.
Ma c’era un quinto trono in mezzo agli altri quattro e la Dolce ne fu alquanto stupita. Era quasi identico a quelli d’oro, ed era stato posto tra il suo e quello del Re Supremo.
Mentre attraversava il salone insieme a Caspian (quel giorno rimasero sempre mano nella mano e non si separarono mai), gli rivolse una veloce occhiata interrogativa.
“Io non siedo sul trono di Peter” le rispose semplicemente il Liberatore, intercettando il suo sguardo. “Ma tu siederai sul tuo”
Susan si chiese se fosse stato lo stesso Caspian, oppure Aslan, a dare disposizioni perché venisse costruito un quinto trono, ma non ebbe tempo d’indagare oltre. Avrebbe rimandato le mille domande che voleva porre al suo sposo in un altro momento.
Ora, mentre i due giovani salivano i tre gradini, tutti gli occhi erano puntati su di loro.
Miriel si commosse profondamente, e così il dottor Cornelius, quando videro finalmente Susan e Caspian nel posto che li spettava di diritto: sul trono di Narnia.
Tutti i presenti s’inchinarono al Re e alla Regina, la quale venne ufficialmente presentata dal Sovrano come sua moglie e futura madre del principe di Narnia. Tra la folla esultante, solo due uomini avevano facce da funerale. Ovviamente si trattava di Lord Ravenlock e Lord Galvan.
I due se ne andarono alla chetichella dalla grande sala, passando inosservati tra auguri, domande, e mentre Caspian iniziava il suo discorso e presentava i nuovi ospiti del palazzo: Miriel, Emeth e tutti gli altri amici.
I due Lord fecero chiamare un scudiero e gli ordinarono di preparare la loro carrozza. Uscirono da una porta secondaria del palazzo e vi salirono, intimando il cocchiere di far presto e di correre come il vento verso Beruna.
Era ormai sera quando vi arrivarono, le torce del castello erano accese e anche laggiù si festeggiava per il ritorno a Narnia di Re Caspian.
Verso le dieci di sera, dopo aver cenato ed essersi riposati dal viaggio, Lord Galvan e Ravenlock vennero introdotti al cospetto del Duca di Beruna.
Entrarono nelle sue stanze private e gli raccontarono ogni cosa accaduta quel giorno: insieme al Sovrano erano giunti a Narnia nuovi, strani individui: una degli Antichi Sovrani, la Regina Dolce, poi uno straniero del sud e altre bizzarre creature…e ultimi, ma non meno importanti, ben quattro dei creduti dispersi Lord di Telmar.
“E’ assolutamente inaudito!” sbottò Lord Galvan, girando per la stanza a mani conserte dietro la schiena. “Gli accordiamo di intraprendere questo viaggio dal quale avrebbe potuto non far mai ritorno, solo ed esclusivamente perché è stato il Grande Leone a dare il suo primo consenso. Gli abbiamo raccomandato tante volte di prendere moglie per il bene di Narnia e lui prende moglie…sta bene, ma condurre a corte quelle specie di fenomeni da circo…Sua Maestà dev’essere impazzito!”
“Abbiamo imparato a convivere con le creature di Narnia” disse Lord Ravenlock, che era molto più composto del suo compare, e se ne stava in piedi in attesa che l’altro si calmasse. “Per lo più sono innocue, dopotutto”
“Forse, forse, ma sono convinto che il Re abbia esagerato: non può portare a corte chi gli pare e piace, e non può sposare una donna che viene da un altro mondo! Lord Erton, vi prego d’intervenire!”
L’uomo seduto sulla poltrona accanto al fuoco si raddrizzò e lo guardò con occhi penetranti. “E cosa potrei fare, dal momento che mi avete detto che Sua Maestà è già sposato con questa Regina Dolce?”
“Proprio per questo dovete fare qualcosa, Vostra Grazia, o i nostri piani…volevo dire, vostri” si corresse Galvan a un’occhiataccia di Erton “Insomma, saranno vani! Una degli Antichi Sovrani di nuovo alla corte di Cair Paravel…” scosse il capo il Lord,  e stava per aggiungere qualcos’altro quando il Duca lo fermò.
“Silenzio ora, lasciatemi pensare”
Gli altri due aspettarono, mentre Lord Erton si alzava dalla poltrona e dava loro le spalle, fissando il fuoco ardere nel camino.
Lord Ravenlock spezzò un momento quel silenzio, dicendo: “Non avete più avuto notizie di quel Ramandu e di sua figlia, Duca?”
“No.” rispose secco Lord Erton, e non aggiunse altro.
La Regina Susan a Narnia…e il Re si era sposato con lei, probabilmente durante il suo viaggio attraverso l’Oceano Orientale.
Lord Erton non aveva ostacolato quella traversata, poiché con il Re lontano, avrebbe potuto fare quello che voleva a Narnia senza la paura costante di avere il fiato di Caspian sul collo. Ma lui non era da meno con il Re.
Aveva sempre pensato che qualunque donna sarebbe andata bene come Regina, purché non fosse quella donna in particolare.
Il fatto che Caspian X si sposasse o meno non erano affari suoi, si sarebbe detto, ma invece erano eccome affari suoi! Almeno dal suo punto di vista.
Lord Erton non desiderava occupare il trono, era molto più divertente e meno faticoso comandare da dietro le quinte. In più (e lo aveva constatato con Miraz) se il popolo mai avesse deciso di insorgere, sulla forca non sarebbe finito lui, ma il Re. Era uno di quei nobili che tirano le fila di un regno all’insaputa di tutti, persino del Sovrano, restando nell’ombra e manipolandolo a suo piacimento. C’era riuscito con Caspian IX, un po’ meno con Miraz, e pretendeva di fare la stessa cosa con Caspian X.
Lord Erton aveva creduto di vedersi rimosso dalla sua carica il giorno stesso dell’incoronazione del Liberatore. Ma il giovane Sovrano aveva deciso di dargli il beneficio del dubbio quando aveva visto che Lord Erton sembrava veramente pentito della sua condotta passata.
Ovviamente non era vero: il Duca non era affatto pentito, ma aveva corretto il proprio temperamento per continuare ad occupare il titolo di cui Miraz lo aveva investito.
Erton avrebbe servito Caspian X non perché gli volesse bene o lo rispettasse, tutt’altro: lo riteneva un debole come il padre e un arrogante come lo zio, tuttavia avrebbe ingoiato qualsiasi rospo per non perdere i previlegi che gli derivavano dall’essere Duca.
A suo avviso, comunque, il Liberatore non era pronto per essere un Re al pari del genitore o dello zio. Non ancora per lo meno. E prima che lo divenisse con la guida di Aslan, del dottor Cornelius, o di quell’odioso Nano, ci avrebbe pensato lui a portarlo sulla via che voleva.
Erton desiderava che Narnia tornasse quella che era stata i tempi dei loro antenati. Anche se all’apparenza le creature magiche lo lasciavano indifferente (in verità lo disgustavano) e per lo più le considerava innocue proprio come aveva detto Lord Ravenlock, poteva anche accadere che un giorno o l’altro si rivoltassero contro gli umani, riprendendo il pieno controllo del regno. Questo stava già accadendo ‘grazie’ a Caspian, il quale pretendeva di ristabilire le leggi di Peter il Magnifico, e lo aveva dimostrato dando un incarico importante come quello di Reggente a quel Briscola. Insomma, si stavano montando la tesa quelle bestiacce parlanti!
Purtroppo però, Caspian X si era rivelato meno debole di quel che aveva pensato. La forza di volontà di quel ragazzo, il suo essere magnanimo ma di mano ferma, lo portavano a essere un perfetto Sovrano. In tre anni non aveva permesso ad Erton di manipolarlo come egli avrebbe voluto. Il ragazzo era buono, generoso, ma non ingenuo (Caspian IX lo era stato, per questo aveva fatto quella tragica fine. Fine in cui Lord Erton era invischiato. Tuttavia, non c’erano mai state prove che lo incriminassero, perché tutti quelli che sapevano dell’assassinio del Misericordioso erano morti, o come Glozelle partiti per un altro mondo. Ma questa era un’altra storia…).
Lo aveva visto vacillare solo nel momento in cui si era parlato di matrimonio: a quanto pare l’amore, per il Liberatore, era un punto debole.
Non che non volesse categoricamente sposarsi, la realtà era un’altra: aveva già deciso chi dovesse essere la sua Regina, e sempre e solo lei avrebbe amato per tutta la vita, ragion per cui non avrebbe preso in moglie alcuna fanciulla se non lei.
Molto incuriosito da questa vicenda della quale tutta la corte parlava, Lord Erton aveva cercato di scoprire qualcosa in proposito da Lord Drinian, uno dei nobili più vicini al Sovrano, e pian piano si era fatto raccontare la storia del giovane Principe Caspian e della Dolce Susan.
Da subito, al nome di lei, un campanello d’allarme si era acceso nella mente di Erton. Li per lì non vi aveva fatto caso, ma in seguito – e dopo molte riflessioni – aveva capito che se Caspian avesse portato a Narnia una degli Antichi Sovrani e ne avesse fatta la sua Regina, le possibilità di continuare a governare il regno nell’ombra si riducevano di molto. Ma quante possibilità c’erano perché si rivedessero?
Dopo aver riflettuto di nuovo, Lord Erton era entrato in gioco nella faccenda del matrimonio solo dopo aver capito che a Caspian serviva una sposa e serviva un erede; perché un Re senza eredi è un Re dal trono precario, e Lord Erton non poteva permettersi di veder salire al potere qualcuno che gli avesse messo i bastoni tra le ruote. Un esempio? Qualcuno di Calormen, che da tempo immemore cercavano di prendere il regno di Narnia; o peggio ancora!, proprio una creatura magica alla quale il Liberatore avrebbe lasciato il trono. Inconcepibile, ma possibile, se il Re non si sposava al più presto.
Le creature magiche non si lasciano manipolare, e quelli di Calormen nemmeno…
Oltre a ciò, la stirpe di Telmar non poteva estinguersi!
Per questo motivo, quando Aslan in persona aveva scelto una candidata per il Re, Lord Erton aveva insistito perché il giovane si fidanzasse con lei arrivando a dare la sua parola per conto di Caspian. Lord Erton pensava che se non poteva arruffianarsi il Re, poteva farlo con la Regina...
La figlia di Ramandu era parsa seria, posata, ligia alle regole. Non si sarebbe mai intromessa negli affari di stato e meno che mai avrebbe preteso di guidare il regno al fianco del Liberatore. Lilliandil gli era piaciuta, anche se era una creatura magica, e anche lei l’aveva preso in simpatia il giorno che si erano incontrati. Era apparsa entusiasta all’idea di essere Regina. Non tanto per Caspian, quanto perché le era piaciuto molto immaginarsi come la donna più potente del mondo. Una persona del genere era facilmente manipolabile, e lo stesso lo sarebbero stati i suoi figli, che Lord Erton si sarebbe premurato di crescere a Telmar così che avessero potuto assimilarne il pensiero.
Ma adesso…tutte le sue paure avevano di nuovo fatto capolino.
Si era aspettato che Caspian tornasse solo, senza Lilliandil, tanto era cocciuto sulla questione ‘sposarsi per amore’. Andava bene ugualmente, non era indispensabile che sposasse proprio la figlia di Ramandu. Ma in quanto alla Regina Susan…
Gli avrebbe rovinato la piazza, lo sapeva. La Regina Dolce si sarebbe occupata di affari di stato come nel passato. Da quel che sapeva di Susan Pevensie, era una donna irreprensibile, di valori antichi e radicati in lei in quindici anni di regno alla guida di suo fratello Peter, e avrebbe cresciuto i suoi figli nella fede in Aslan e nell'amore per Narnia.
E le creature magiche, con una Regina del passato a fianco del nuovo Re, il Liberatore di Narnia, avrebbero ripreso il controllo del regno con il rischio di spodestare l’autorità degli umani, proprio come all’Epoca d’Oro, quando c’erano solo animali e mostri.
Infine, ultima ma non meno importane ragione, la pace era alle porte. Lui era Duca di una città d’armi, Beruna, e se fosse tornata la pace a che cosa sarebbero servite le armi? Si sarebbe smesso di produrle e lui avrebbe perso la maggior parte delle sue entrate.
Decisamente molto poco allettante come prospettiva...
Quando si voltò nuovamente verso i suoi compari (sembrava passato moltissimo, ma erano solo pochi minuti), Lord Erton fece un sorriso che fece rabbrividire gli altri due.
“Voglio conoscere la mia signora”
Lord Galvan e Ravenlock rimasero un momento silenziosi.
“Domattina partiremo per Cair Paravel”
“Ma…ma Vostra Grazia, siete ancora convalescente”
“Sciocchezze, Lord Galvan!” tuonò Erton “Sto benissimo e sono in grado di viaggiare. Domattina partiremo.” ripeté perentorio.
 

 
 ~·~

 
Al trillo del campanello, Lucy scese di corsa le scale, aprendo la porta d'ingresso e ringraziando il postino che le aveva consegnato un pacchetto avvolto in carta marrone.
“Ciao, Lucy, a domani”
“Grazie, arrivederci!” salutò la ragazza.
Chiuse la porta e lesse l’indirizzo.
Cambridge.
Un sorriso immenso le illuminò il volto.
Rifece la strada all’inverso, salendo le scale in un volo e spalancando la seconda porta che incontrò al secondo piano.
“Guardate!” esclamò, facendo trasalire i fratelli, i quali erano intenti a finire d’indossare la divisa scolastica.
Edmund strattonò per bene i lacci delle scarpe, alzandosi subito dopo, afferrando il pacchetto che la sorella gli porgeva.
Peter, finendo di farsi il nodo alla cravatta, osservò il viso di Lucy con un moto di gioia nel cuore. Erano settimane che non sorrideva così. Da quando avevano lasciato Narnia…
“Ehi, è di Eustace!” esclamò Edmund, iniziando a strappare la carta marrone.
L’involucro conteneva un plico di fogli scritti a macchina e un biglietto.
Edmund lesse ad alta voce: “ ‘Come da promessa, vi invio la prima stesura delle vostre avventure a Narnia. Non è finita ovviamente, è solo una prova, ma considerato che ho sprecato anche diverse notti insonni per dare un senso ai vostri appunti, come minimo dovreste apprezzarla’
“P.S: Edmund, scrivi che è uno schifo!,”
Peter e Lucy risero, Ed invece sbuffò seccato. “Poteva anche non stare alzato la notte, se gli dava tanto fastidio”
“Sempre il solito Eustace” sghignazzò ancora Peter, mentre Lucy, con mani tremanti per l’emozione, dava una veloce scorsa al romanzo del cugino.
Purtroppo non ci fu tempo per leggere nemmeno una riga, perché la madre li richiamò all’ordine, dicendo loro che erano terribilmente in ritardo e dovevano ancora fare colazione.
Mezz’ora più tardi, i tre fratelli correvano giù per le scale della stazione della metropolitana per riuscire a prendere il treno appena in tempo.
Le scuole dove studiavano i fratelli Pevensie erano una di fronte all’altra. Lucy (e prima anche Susan) andava alla Saint Finbar’s, istituto per sole femmine, mentre Peter e Edmund alla Hendon House, per soli maschi.
Normalmente, maschi e femmine non avrebbero potuto incontrarsi tra loro nemmeno durante le ore dell’intervallo, ma i Pevensie, di tanto in tanto, riuscivano ugualmente a sgattaiolare fuori dall’istituto dopo pranzo, quando c’era più confusione e la loro assenza poteva passare inosservata ai professori.
C’era un parchetto molto grazioso proprio a fianco della Hendon House, con un grazioso laghetto di ninfee rosa (Lucy faceva sempre finta che fossero bianche) circondato da boschetto di querce e un bellissimo chiosco bianco sotto il quale i fratelli Pevensie erano soliti sedersi e chiacchierare. Fu proprio lì che si diedero appuntamento all’una in punto.
Peter nel mezzo, Edmund e Lucy ai lati, sfogliavano avidamente le prime pagine di quello che sarebbe divenuto il romanzo di Eustace.
Non riuscirono a leggere tutto parola per parola, vi diedero solo un’occhiata, ma fu comunque un’emozione indescrivibile vedere le proprie avventure riportate su carta.
La storia cominciava con il loro arrivo alla casa del professor Kirke, e per ora terminava nel punto in cui tutti e quattro riuscivano a entrare nel magico armadio.
“Ha la vena dello scrittore, questo bisogna ammetterlo” fu il commento di Peter.
“Non vedo l’ora di sapere come continua!” disse Lucy, elettrizzata.
Edmund la guardò stupito. “Ma come? Sai già come continuerà”
“Lo so, però le nostre avventure raccontate da un altro punto di vista hanno un diverso sapore, non trovate?”
In effetti era vero, convennero i fratelli. Eustace aveva dato alla storia una sua interpretazione, rimanendo fedelissimo ai loro racconti ma mettendoci anche qualcosa di suo, ricreando così bene le ambientazioni, le frasi, gli straordinari personaggi che i suoi cugini avevano incontrato, che pareva quasi li avesse visti con i propri occhi.
“Sembri nervoso, Ed” gli fece notare Peter d’un tratto. “Che succede?”
Edmund sbuffò lievissimamente, ma la sua espressione leggermente corrucciata lo tradì.
“Io lo so perché lo sei” disse Lucy con un rassicurante sorriso. “Non ti è piaciuto il pezzo in cui descrive la Strega Bianca, vero?”
“No, infatti” mugugnò il ragazzo, portandosi la sciarpa fino al naso, incrociando le braccia sul petto e appoggiandosi con la schiena alla panchina. “Non negate: anche voi ci pensate ancora”
Peter e Lucy si scambiarono un’occhiata incerta.
Sì, ci pensavano. I ricordi del viaggio del Veliero dell’Alba erano così piacevolmente vivi nella loro mente…
Purtroppo però, oltre agli istanti più belli era impossibile non rievocare anche quelli più spaventosi.
Preferivano non parlare spesso delle rispettive prove. Menzionarle voleva dire sentire l’inquietudine crescere ogni volta che nominavano la Strega. Ma voleva anche dire essere consapevoli di essere usciti vincitori da tutti i suoi tranelli.
Sembrava assurdo, ma a volte credevano di dover dire grazie a Jadis: grazie per avergli permesso di diventare più forti, fisicamente e spiritualmente.
Per un po’ non parlarono, tutti e tre con lo sguardo smarrito in una parte imprecisata del parco.
Quando parlavano di Narnia, inevitabilmente il pensiero correva a Susan.
Quanto mancava a tutti loro…
Non appena rientrati da Narnia, avevano subito capito che nulla era cambiato. Il tempo non era quasi trascorso nella casa degli Scrubb. La zia Alberta si era affacciata sul ciglio delle scale gridando a gran voce a Lucy di scendere.
“Sei sorda? Ti ho chiamato almeno dieci volte! Ho bisogno che tu vada a fare la spesa. Ah, ed è anche arrivata una cartolina di tua sorella, dall’America”
America? Avevano pensato i tre fratelli e il cugino. Una cartolina di Susan?
Lucy, che si era ritrovata seduta sul pavimento accanto a Peter e Eustace (Edmund stava invece seduto sul letto), era subito schizzata in piedi e si era precipitata fuori dalla porta.
I tre ragazzi l’avevano raggiunta un momento dopo. Lacrime silenziose solcavano il viso della ragazzina, mentre stingeva la petto un cartoncino quadrato. Lo aveva mostrato agli altri, i quali avevano notato che non v’era il mittente, ma solo il destinatario. Non c’era scritto nulla. Quando l’avevano voltata, a tutti e quattro era mancato il fiato per un attimo.
Non raffigurava alcunché che potesse ricordare l’America, c’era invece l’immagine di una rupe sul mare, e un castello, il tutto ricoperto di neve.
Senza parlare, avevano compreso che quella era l’immagine che Susan e Caspian, Miriel e Emeth, e tutti gli altri amici, avrebbero visto al rientro a Narnia. Era Cair Paravel.
Come quell'immagine fosse giunta sin sulla terra, raffigurata su una cartolina, era inspiegabile…o forse no. Forse era spiegabilissimo pensando solo una cosa, un nome: Aslan.
In qualche modo, il Leone aveva sistemato tutto.
La zia Alberta e lo zio Harold erano convinti che Susan si trovasse in America presso alcuni amici dei genitori, per via degli studi forse. Nei giorni a seguire, ricevettero una telefonata dalla madre che diceva loro di tornare a casa. A Finchley, Peter, Edmund e Lucy ritrovarono con sorpresa e immensa gioia anche loro padre. I genitori avevano qualcosa da chiedere ai loro tre figli…
Peter, Edmund e Lucy non capirono bene come fosse stato possibile, ma ora mamma e papà sapevano… sapevano di Narnia. Avevano ricevuto la vista di Susan e in un secondo tempo di qualcun altro del quale non avrebbero saputo fare una descrizione. Un uomo o un’altra creatura, non sapevano dirlo, ma non avevano avuto paura.
Tutto ciò era ovviamente opera di Aslan (molto probabilmente era proprio lui che Helen e Robert Pevensie avevano incontrato).
Peter, Edmund e Lucy risposero a molte domande, ansiosi a loro vota di scoprire come si erano svolti tutti i fatti.
Peter mantenne la promessa fatta a Susan, e raccontò ai genitori di lei e di Caspian… e di tutto il resto.
Il ragazzo era convinto che la stessa Susan avesse già spiegato ogni cosa: in fin dei conti, non poteva essere tornata sulla terra semplicemente per dire addio. Ad ogni modo si sentì ugualmente in dovere di raccontare l’accaduto a costo di ripetersi.
Anche se così fosse stato, la mamma non lo diede a vedere mai. Nei mesi che seguirono chiese diverse volte a Peter di raccontarle ancora e ancora tutto quello che Susan aveva detto e fatto, e di descriverle meglio quest’uomo, Caspian, che la sua bambina amava tanto.
La mamma piangeva sempre durante quei racconti. Si diceva fiera della sua piccola Susy, di quello che aveva realizzato, felice che la figlia avesse trovato la sua strada. Lo pensava veramente, e dopo un po’ la tristezza cedette il passo a una rassegnata serenità.
Papà invece fu lo scoglio più grande. Nonostante le ulteriori spiegazioni del perché Susan avesse scelto quella vita, il signor Pevensie rimase incredulo: non era possibile, non era vero, non era accettabile da nessun punto di vista.
L’atteggiamento di suo padre era comprensibile. Bisognava pazientare che metabolizzasse il tutto, e allora sarebbe venuto il momento in cui ne avrebbero potuto parlare ancora. Ma per settimane con lui non si toccò l’argomento Susan.
Sembrava quasi che anche papà fosse convinto, come Alberta e Harold, che la figlia si trovasse semplicemente lontana da casa e che presto o tardi sarebbe rientrata.
Certe volte, anche Peter e gli altri erano convinti di vederla varcare la soglia di casa. In alcuni momenti sembrava quasi udirla salire le scale, chiamarli.
La mattina, Edmund se ne stava fermo davanti alla porta del bagno per cinque minuti buoni prima di ricordarsi che non avrebbe dovuto attendere all’infinito che Susan finisse di prepararsi, come invece accadeva ormai da anni.
Lui le gridava sempre “Ti muovi? Sto mettendo le radici, qui!”
E lei rispondeva seccata: “C’è un altro bagno di sotto, Edmund Pevensie! Se non riesci a tenerla, basta che scendi le scale!”
Scoppiavano sempre delle liti per la questione ‘bagno la mattina’. Edmund era sempre l’ultimo a svegliarsi, e quando finalmente decideva di farlo, prontamente era Susan occupare il bagno…e Susan in bagno voleva dire fare in tempo a compiere tre giri dell’isolato a passo di lumaca, tornare a casa, riuscire, fare altri tre giri, ritornare a casa e trovarla ancora là.
Ma adesso, quando Ed sostava mezzo addormentato sulla soglia del bagno e poi ricordava che non ci sarebbe stata sua sorella a dirgli di aspettare all’infinito, il ragazzo sentiva come un vuoto nel cuore. Gli mancavano quei battibecchi, ma Edmund (come Emeth a Narnia, e come anche Susan) non esprimeva ad alta voce i suoi sentimenti e spesso si teneva tutto dentro, rischiando di divenire nervoso e trattare male tutti.
Questo aspetto del suo carattere non sarebbe mai cambiato…
Peter, dal canto suo, si chiedeva cosa sarebbe accaduto nel momento in cui il padre e la madre sarebbero stati consapevoli di qualcos’altro: della possibilità di perdere un altro figlio.
Peter aveva promesso a Miriel di tronare e sposarla, e l’avrebbe fatto.
La mamma sarebbe stata in grado di affrontare il dolore di una nuova separazione? E papà? Avrebbe manifestato ancor più invidia per quella terra magica che gli aveva sottratto la sua bambina? Poiché di questo si trattava: invidia, gelosia. Il signor Pevensie era geloso di Narnia, esattamente come Peter era stato invidioso di Caspian quando aveva capito che sua sorella aveva trovato in lui qualcosa che era più importante di tutto il resto. Susan avrebbe sempre amato moltissimo la sua famiglia, ma adesso ne aveva una sua.
Certe volte, i tre fratelli Pevensie si chiedevano se fosse mai stato possibile portare i genitori a Narnia con loro…
Lucy, invece, mossa dal suo costante buon umore, era la consolazione di cui tutti avevano bisogno.
Lei era convinta che presto la famiglia sarebbe stata di nuovo unita. Non sapeva quando, ma sentiva che sarebbe accaduto.
Certe volte, le tornavano in mente le parole che lei e Emeth si erano scambiati una volta: se lei avesse potuto vivere per sempre a Narnia con i suoi fratelli e i suoi genitori…
“Allora non te andresti mai più” le aveva detto Emeth, e lei aveva risposto: “No, mai!”
Spesso, la sera, si sedeva con la mamma accanto al fuoco a rammendare e chiacchierare, raccontandole tutte queste cose. La mamma le chiedeva anche di Miriel, perché se ne avesse chiesto notizie direttamente a Peter, lui avrebbe finito con l’arrossire e balbettare cose incomprensibili.
“I maschi, a volte, sono molto molto più timidi delle ragazze, quando si tratta di parlare di questioni di cuore” diceva Helen alla figlia minore, rendendosi conto quanto la piccola di casa stesse crescendo sempre più in fretta.
“E Edmund? Non ha incontrato nessuno?”
“Ed? No, è troppo immaturo” aveva tagliato corto Lucy con un gesto della mano, come se stesse cercando di scacciare via una mosca.
Ma non era vero.
Lucy e Peter non sapevano che spesso, molto spesso, loro fratello nei suoi sogni vedeva una dolce fanciulla dai lunghi capelli biondi e gli occhi blu come zaffiri...
 





 
Salve cari lettori, eccomi qui con il secondo capitolo!!!
Sì, ci siamo….ecco….Non sono soddisfatta!!!! (ma va??? Direte voi…..) Non ho la mente libera in questo periodo e a volte non riesco a scrivere spensieratamente come facevo con Queen, scusatemi….no, sul serio.
Dunque, abbiamo visto l’arrivo dei nostri Suspian alla corte di Cair Paravel, come dice il titolo. Lo so che volevate più scene tra i due piccioncini, ma ho deciso di allargarmi acne sui pensieri degli altri personaggi, e poi dovevo introdurre il nuovo che andrà a far parte della schiera dei cattivi…
Bè, in realtà sono tre nuovi, ma Lord Erton non proprio visto che lo avete già sentito nominare in “Queen”…vi ricordate, vero?
Che vi posso dire di lui? Per citare Caspian nello scorso capitolo: è un vecchiaccio incartapecorito con un piede nella fossa che creerà non pochi problemi ai Sovrani! Spero di essere stata chiara quando ho decritto i suoi loschi pensieri...
Volevo moltissimo far vedere anche i Pevensie, descrivere un po’ la loro situazione senza Susan e senza i loro rispettivi innamorati. Come vi sembra la reazione dei genitori?
 
Bene! Passiamo ai ringraziamenti!!! (come sempre in ordine alfabetico)
 
Per le preferite:
aleboh, Angel2000, EstherS, Francy 98, HikariMoon, Jordan Jordan, katydragons, Mia Morgenstern, Muffin alla Carota, Mutny_Hina, piumetta, Queen Susan 21, Shadowfax e TheWomanInRed

Per le seguite: Babylady, Cecimolli, ChibiRoby, FioreDiMeruna, Fly_My world, GossipGirl88,  ImAdreamer99, JLullaby, Jordan Jordan, Joy_10, Judee, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_ , piumetta, Queen Susan 21 e Shadowfax
 
Per le ricordate: Cecimolli
 
Per le recensioni dello scorso capitolo:
aleboh, Cecimolli, EstherS, FioreDiMeruna, Fly_My world, GossipGirl88, HikariMoon, ImAdreamer99, JLullaby, Joy_10, (ti adorooo!!!), Mia Morgenstern, Mutny_Hina, painoflove_ , piumetta, Queen Susan 21, e Shadowfax (sei stata la prima!!!)
 
Angolino delle Anticipazioni:
Narnia: Lord Erton e Susan si incontreranno e Caspian non sarà contento…
Tante scene Suspian!!! Dopo un po’ di casini, ci vuole tranquillità.
Pianeta Terra: se in questo capitolo si sono visti Lucy e co., nel prossimo mi concentrerò su Eustace e su una sua cara amica…

 
Due cose prima di concludere:
1-Se volete vedere il cast completo di Nigth&Day, cliccate qui. Volevo precisare una cosa: in “Queen”, il personaggio del medico di bordo non aveva un nome, poi la mia DLF Shadowfax mi ha consigliato di trovarglielo, visto che in questa storia si vedrà ancora e sembrava brutto continuarlo a chiamarlo dottore e basta…Così, insieme abbiamo deciso per Dottor Galileo. In questo modo poi non ci si confonde con Cornelius.
 
2-Per gli aggiornamenti, vi ricordo che potrete trovarli sulla mio gruppo facebook Chronicles of Queen

. Non è che non voglio più avvisarvi uno per uno, è che siete davvero tanti… è per comodità ^^’ E se volete mandarmi una richiesta d’amicizia, ditemi chi siete qui su efp, mandandomi un messaggio in casella possibilmente, ok? ^^
 
Grazie un mondo gente, un bacio enorme e alla prossima!
Susan<3

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Nuova vita, nuove sorprese ***


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3. Nuova vita, nuove sorprese
 
La luna così luminosa, la notte così bella
Tieni il tuo cuore qui con il mio
La vita è un sogno che stiamo sognando

Rincorrere la luna , catturare il vento
Cavalcare la notte fino alla fine
Cogli l'attimo, alzati per cercare la luce


Io voglio passare la mia vita ad amarti
Questo è tutto ciò che ho fatto nella vita



 
 
Terminate le udienze del mattino, Caspian e Susan pranzarono in una saletta privata negli appartamenti reali, invitando ad unirsi a loro anche gli amici più cari.
Nel pomeriggio, il Liberatore disertò tutti gli impegni che il suo segretario gli aveva fissato la mattina stessa, con gran disappunto di quest’ultimo e di Briscola.
“Facciamo così” disse il Liberatore, mentre si cambiava e indossava abiti più comodi. “Per oggi sei ancora il Reggente. Fingi che io non sia ancora rientrato dal mio viaggio”
“Ma…ma…ma Maestà, io non so…” balbettò il povero Nano. “Non posso!”
“Certo che puoi” tagliò corto Caspian, finendo d’infilarsi gli stivali.
“Sì, però…”
Il ragazzo rivolse al Nano un sorriso smagliante. “Grazie, C.P.A, sei molto gentile. Ci vediamo più tardi” gli disse, uscendo poi alla svelta dalla camera.
“Più tardi, quando?” gridò Briscola, sgambettando in corridoio seguito dal segretario. “Maestà! Aspettate, per favore!”
Non ci fu nulla da fare. Caspian aveva altri programmi per la giornata, e non avrebbe permesso a nulla e nessuno di interferire.
Insieme a Susan aveva deciso di organizzare una specie di giro turistico del castello per gli amici: Miriel, Emeth, Clipse, Tara e i Lord di Telmar (questi ultimi di Cair Paravel ricordavano solo le rovine).
Fecero il giro completo del palazzo, a partire dal piano più basso a quello più alto, sotto la vigile attenzione dei tre figli di Tempestoso: guardie del corpo di Caspian, e da ora in avanti anche di Susan.
Visitarono le scuderie, l’Antica Casa del Tesoro dove erano stati riposti i Doni di Peter e Lucy; Susan invece avrebbe sempre portato i suoi con sé, così che potesse usarli in caso di bisogno.
Qui, Lord Mavramorn, Agoz, Revilian e Rhoop, raccontarono ancora una volta la storia delle Sette Spade degli Amici di Narnia, di quando Aslan aveva detto loro e a Caspian IX di recuperarle dall’Antica Casa del Tesoro e custodirle.
Con grande gioia di Miriel, la meta successiva fu la Cappella d’Oro, un immenso salone con il pavimento di pietra, alte finestre oviformi, il soffitto a volta ornato di arabeschi complicati. Ai lati della sala correvano due file di candelabri dorati a sette braccia, e due lunghe file di panche di legno foderate di comodi cuscini. Sul fondo della sala non c’era un altare come ci si poteva aspettare, ma l’albero più grande e alto che si fosse mai visto, le cui fronde si innalzavano quasi fino al soffitto. Le cerimonie venivano presenziate davanti ad esso.
Susan era l’unica, oltre a Caspian, a sapere già di che cosa si trattasse: era la Grande Quercia, l’albero più antico di Narnia, un albero parlante, ma che la maggior parte del tempo preferiva dormire.
“Il castello è stato costruito attorno a lui” spiegò Caspian. “Vive qui da secoli. Anzi, millenni! Purtroppo non riesco mai a parlarci quanto vorrei…si addormenta sempre sul più bello…”
Tutti risero, e Susan confermò le parole del marito: era davvero difficile conversare con Grande Quercia; solo Lucy era in grado di tenerlo sveglio.
Emeth sorrise, immaginandosi senza alcuna difficoltà la sua Lu chiacchierare senza sosta e con tale entusiasmo che persino la più piccola esperienza di vita quotidiana, se accompagnata dalla sua voce squillante e il suo sorriso luminoso, diveniva un’avventura incredibile alle orecchie di chi ascoltava.
“Respira” disse Miriel d’un tratto, chiudendo gli occhi. “L’albero…posso sentirlo”
Elettrizzata, si avvicinò al possente tronco, non potendo reprimere la voglia di accarezzare la ruvida corteccia.
Sì, respirava. E c’era qualcos’altro che pulsava al suo interno: era il cuore di Grade Quercia.
A quel tocco, tutto l’albero si scosse come fosse stato colpito da un forte vento. Apparve un volto tra il fogliame, che fissò per qualche istante i suoi spettatori con sonnacchioso interesse.
Emeth fece per estrarre la spada, ma Caspian lo fermò.
Il volto fece un sorriso e poi richiuse gli occhi. Quando scomparve, ai ragazzi parve di vedere la cima della Quercia piegarsi appena in avanti, come un uomo china il capo: sì, proprio un inchino.
“Era il suo saluto per noi” spiegò Caspian.
“E’ bellissimo!” esclamò Miriel.
“Sapevamo che ti avrebbe fatto piacere conoscere la Grande Quercia” disse Susan.
“Grazie, Vostre Maestà! Grazie davvero!”
La Dolce le si avvicinò e le prese le mani nelle sue. “Cara Miriel, attendo con ansia il giorno in cui attraverserai questa sala in abito da sposa”
Gli occhi della Driade s’illuminarono di lacrime di gioia. Le due amiche si abbracciarono.
Uscirono di nuovo tutti all’aperto, notando che la neve aveva cessato di cadere. Iniziarono allora un lungo giro attraverso gli immensi giardini, al cui centro si ergeva la grande fontana dalla forma di cigno, le ali spiegate come se stesse per spiccare il volo.
C’era poi il Pozzo Antico, dove una volta una principessa aveva espresso il desiderio di incontrare il suo amore, e l’incontro era avvenuto proprio lì, accanto al pozzo.
Poco lontano incontrarono un gruppetto di castori, lontre e giovani fauni, che pattinavano allegramente sulla superficie ghiacciata di un laghetto.
Infine, raggiunsero la Foce del Grande Fiume e si inoltrarono in un boschetto appena fuori dai confini dei giardini. Risalirono una collina, dove cresceva il frutteto che Susan e i suoi fratelli avevano fatto piantare dalle amiche talpe ai tempi dell’Età d’Oro.
“L’ultima volta che sono stata qui, Cair Paravel era un mucchio di rovine”. Poi indicò un punto lontano sotto di loro, verso la spiaggia. “Vedete quella grotta laggiù? Fu là che apparimmo la seconda volta che visitammo Narnia. Ci ritrovammo davanti il mare e solo in un secondo tempo ci rendemmo conto di dove eravamo finiti”
Quanti ricordi tra quelle mura…nei momenti più differenti, nei tempi più distanti.
Susan si fermò di colpo e rimase indietro rispetto agli altri, i quali adesso si erano sparpagliati qua e là per il sentiero. Fissò il paesaggio davanti a sé che si tingeva dei colori del tramonto invernale: un miscuglio di tenui arancioni e rosa con sottili strisce di nubi grigio chiaro. L’aria fredda le scompigliò appena i capelli. Una ciocca le finì sul volto, ma lei non se ne avvide; né di quello, né del tempo che passò immobile a fissare il mare, persa nei ricordi.
Le poteva quasi udire…le voci dei suoi fratelli…
In qualche modo erano ancora là, tra quelle mura.
“Sue, che fai?” chiese la voce di Caspian.
La fanciulla si riscosse con un lieve sussulto e si voltò verso di lui. “Niente, scusa…arrivo”
“Ti sei affaticata? Vuoi che ci fermiamo?”
“No, sto bene. Stavo solo…mi è venuta in mente una cosa…” chiuse gli occhi e sentì che lui le si avvicinava e le cingeva piano le spalle. “E’ strano, sai? Certe volte mi sembra di poterli vedere se chiudo gli occhi…” mormorò, la voce che tremava appena.
Il giovane le si avvicinò di più e le baciò la fronte.
“Mi dispiace” disse ancora lei, stringendosi a lui. “Continuo a pensare a loro, non posso farci nulla”
“Lo so, e ti ho già detto che non è un problema…però non devi piangere”
Susan raddrizzò le spalle e alzò il viso verso di lui. “No, certo che non piango!”
Caspian le fece un dolce sorriso. “Sei una bellissima bugiarda, lo sai?”
La giovane si morse un labbro e cercò di sorridere a sua volta.
“Dai, andiamo” le disse il Re, prendendola per mano. “Ormai è buio. Finiremo il nostro giro un’altra volta”
Il gruppo rientrò così al castello, e ognuno si ritirò nelle proprie stanze per prepararsi in vista del banchetto che si sarebbe tenuto quella sera stessa.
La servitù era stata in fermento tutto il giorno perché il loro Sovrano e la sua consorte godessero di una festa indimenticabile.
“Il nostro Re è felice” constatò il capo cameriere, parlandone con i suoi dipendenti. “Aslan ha benedetto il nostro Sovrano per la sua bontà. Quel viaggio per mare è la cosa migliore che potesse capitargli. Ho visto qualcosa nei suoi occhi…”
“Io so di cosa si tratta” ridacchiò una cameriera. “E ovvio, signore: Sua Maestà è innamorato”
E non c’era nessuno nel castello che potesse affermare il contrario. Inoltre, quella sera si poté notare oltremodo la felicità che albergava nel cuore del Liberatore.
Intanto, nei piani superiori, qualcuno era dubbioso riguardo il banchetto...
“Io non so se venire” confessò Emeth a Caspian, poco prima dell’inizio del ricevimento.
“Cosa? No, tu devi esserci! Se è il stare in mezzo a così tanti sconosciuti che ti mette a disagio, puoi restare vicino a me e a Susan. Comunque ci saranno anche Briscola e il dottor Cornelius, dei quali hai già fatto la conoscenza; e poi Tara e Clipse, e Drinian, Miriel, e altri amici del Veliero dell’Alba. Puoi danzare con Miriel, se vuoi.”
“Non è questo, è che…Caspian, io sono un soldato, non un Lord. Non so come comportarmi”
Il Liberatore gli diede un’amichevole pacca sulla spalla. “Comportati come sempre. E’ questo il segreto. Lucy lo diceva sempre, ricordi?”
Emeth annuì.
Sì, ricordava…era una delle frasi preferite di Lucy: sii te stesso, sempre e comunque.
“Ti mancano?” chiese il soldato al Re. “Lu e gli altri”
Caspian e Emeth si fissarono un momento, tristi.
“Sì” ammise infine il Liberatore, con un sorriso amaro. “Non sai quanto. Ma torneranno, lo sai anche tu”
Emeth annuì ma cambiò subito discorso, nonostante fosse stato lui stesso a dargli inizio.
Ma non voleva parlare di Lucy, e Caspian lo capì.
Anche Miriel era molto nervosa per quella serata e confessò le stesse paure.
Ma Susan la rassicurò. “Non hai nulla da invidiare a nessuno. Non pensare di non essere all’altezza di contesse e baronesse solo perché non sei di nobile estrazione: sei molto più elegante ed educata di molte di loro. E se proprio vogliamo essere precisi, ti ricordo che nemmeno io ho sangue blu nelle vene”
Rinfrancati dalle parole dei loro Sovrani, il soldato e la Driade entrarono così nella grande e coloratissima sala dei ricevimenti, dove erano già stipati tutti i nobili di Cair Paravel.
Quando il Re e la Regina fecero il loro ingresso, la folla applaudì.
Quella sera, Susan indossava un magnifico abito rosa chiaro con un breve strascico, tante balze appuntate sul retro dell’abito da un bel fiocco e fiori rosa più scuri. I capelli erano acconciati molto semplicemente: due piccole trecce partivano dai lati della testa e finivano poi legate insieme dietro la nuca, mentre il resto della chioma scura era lasciato libero sulle spalle un poco scoperte. Il fiore blu non mancava mai.
Caspian, invece, indossava abiti porpora e oro, con ampie maniche aperte ai gomiti, una fascia d’oro in vita, pantaloni e stivali scuri e un ampio mantello. Susan rimase senza fiato quando lo vide, i capelli legati all’indietro in una piccola coda di cavallo.
“Sei un incanto” le disse lui, mentre la guidava al centro della sala per aprire le danze.
“Anche tu non scherzi” ribatté lei, e Caspian rise, sfoderando un sorriso raggiante.
D’un tratto, una figura fin troppo famigliare si fece largo tra gli abiti sgargianti di dame, cavalieri, camerieri e creature di ogni genere.
“Lord Drinian, eccovi finalmente” esclamò Caspian, stringendo la mano al capitano del Veliero dell’Alba.
Com’era accaduto con Briscola, fu strano per Susan vedere Drinian indossare abiti tanto eleganti. Talvolta, a bordo del veliero, aveva quasi finito per dimenticare che fosse un nobile di Narnia, e che di conseguenza fosse naturale per lui vestire a quel modo quando si trovava a corte.
E fu ancora più strano notare con quanto amore gli occhi del capitano si posavano sulla donna al suo fianco: una bella dama dai capelli corvini ornati da un cerchietto di perle.
Drinian salutò con rispetto i due Sovrani. “Vostre Maestà, Lady Lora aveva il desiderio di conoscere la Regina”.
La donna si separò da lui e fece un’elegante riverenza a Susan. “E’ un onore conoscervi, mia signora. Un vero onore. Ho tanto sentito parlare di voi dal nostro Re. Io sono Lady Lora”
“Mia moglie” aggiunse Drinian.
“Oh!” esclamò Susan. “L’onore è mio, Milady. Anch’io ho sentito parlare di voi”
Improvvisamente, la Dolce ricordò quando Caspian le aveva raccontato la triste vicenda che aveva segnato l’esistenza di Drinian e sua moglie anni addietro: la perdita del loro unico figlio. Osservandola meglio, si rese conto che Lady Lora, nonostante continuasse a sorridere, aveva uno sguardo infelice. E fu questo, probabilmente, a far provare a Susan un immediato affetto per lei.
“Spero che diventeremo amiche”
“Ne sarei oltremodo felice, Maestà!”
“Allora posso invitarvi nelle mie stanze, domani? Così potremo chiacchierare un poco, magari prendendo un thè”
“Con molto piacere!”
Caspian e Drinian si scambiarono uno sguardo d’intesa.
 “Ero certo che sarebbero andate d’accordo” sussurrò il primo, chinandosi all’orecchio del secondo: Susan e Lora erano già impegnate in una fitta conversazione.
Poco dopo, i musici iniziarono ad intonare un nuovo ballo. Caspian invitò Lady Lora, mentre Susan si fece condurre nelle danze da Lord Drinian.
I festeggiamenti si protrassero fino a sera tarda. La Regina Dolce non ricordava di essersi mai divertita tanto.
“Sono felice, felice, felice!” esclamò qualche ora dopo, mentre  si gettava a pancia su sul grande letto reale, ancora completamente vestita.
Caspian si adagiò accanto a lei, voltato sul fianco, puntellandosi su un gomito e poggiando la testa a una mano. Anche lui aveva ancora indosso gli abiti della festa.
“Non mi avevi detto di essere una ballerina così vivace”
“Oh, sì! Adoro la danza. Sarei potuta andare avanti per ore”.
La fanciulla fece un sospiro soddisfatto e chiuse gli occhi.
Il ragazzo la osservò attento, passandole il dorso della mano sul viso. “Sei stanca?”
“Un po’ ” ammise lei riaprendo gli occhi e fissandoli in quelli di lui.
“Non devi stancarti. Devi stare attenta”
“Lo so, non preoccuparti”. Susan si voltò a sua volta sul lato per abbracciarlo e dargli un bacio, al quale lui rispose subito.
Susan emise un altro sospiro, intrecciando le dita nei suoi capelli.
“Non avevi detto di essere stanca? Forse dovremmo dormire” mormorò lui, scostandosi un poco.
Lei scosse il capo. “Non sono ancora così stanca, dopotutto” . Gli fece una carezza sulle labbra, passandogli l’indice della mano sul mento, e poi sul petto. “E’ la nostra prima notte a Narnia. Voglio che non finisca mai”
In un attimo, Caspian le cinse i fianchi e poi l’abbracciò stretta, carezzandole i capelli.
Piano piano, con delicatezza, scivolò sulla schiena e la trascinò sopra di sé, iniziando a slacciarle l’abito, lentamente.
Presto, i loro indumenti giacquero lontani.
I loro respiri si scontrarono. Caspian la guardò negli occhi, alzandole gentilmente le mani sopra la testa.
“Ti prometto che questa notte sarà indimenticabile” mormorò in un soffio.
Susan si sentì impazzire, e poco dopo non riuscì più a ragionare. Il nuovo bacio di Caspian distrusse in lei ogni altra sensazione eccetto il calore del suo corpo, la premura e l’ardore con cui l’amò, dentro quell’oscurità che concedeva loro la libertà più assoluta.
“Sue…” la chiamò dopo molto tempo, la voce languida, gli occhi socchiusi, le labbra su quelle di lei.
“Sì?” lei quasi non aveva voce.
“Io…”
In quel preciso istante, un borbottio imbarazzante spezzò completamente l’atmosfera.
Susan arrossì. “Scusa…”
Caspian aggrottò le sopracciglia. “Che cosa è stato?”
“Tuo figlio ha fame”
“Oh…”
Si guardarono un momento e poi scoppiarono a ridere.
Caspian divenne pensieroso tutto un tratto. “A quest’ora in cucina non ci sarà più nessuno, come possiamo fare?”
“Bè…possiamo scendere di soppiatto” rispose Susan.
Lui la fissò con un sorriso divertito. “Non dirmi che voi quattro sgattaiolavate di sotto di nascosto nel mezzo della notte?”
Lei annuì con aria furba.
“D’accordo, allora” Caspian si alzò e Susan fece per seguirlo, ma il giovane la fermò. “No. Tu resta dove sei”
“Ma…”
“Non ti muovere, torno subito”. Le rubò un bacio a stampo, sorridendole, e poi corse fuori dalla stanza.
Susan si rigettò all’indietro sui cuscini, serena come mai in vista sua.
Quando Caspian ritornò con un gran carico di dolci e frutta, la ragazza si rimise la vestaglia e sedettero insieme sul tappeto, davanti al camino. Il fuoco scoppiettava allegramente. Oltre a un paio di candele, era l’unica fonte di luce nella stanza.
“Ti verranno spesso queste voglie notturne?”
Susan alzò le spalle, ingoiando l’ultimo boccone del suo dolce. “Non lo so. Forse”
D’un tratto divenne molto pensierosa e lui lo notò. “Che cosa c’è?”
“Caspian…ti piacerò ancora quando…insomma, quando la mia condizione inizierà a diventare evidente?”
Lui la fissò un momento. Susan non lo guardava. Le sorrise e si allungò un poco verso di lei, posandole una mano dietro la nuca e spingendole delicatamente il viso in avanti per baciarla.
“Io ti amo. Per me sei l’unica, la più dolce, la più meravigliosa. E lo sarai sempre”
Lei lo abbracciò stretto, rassicurata dalle sue parole. “Perdonami, sono una sciocca. Ci sono cose molto più importanti a cui pensare ora che siamo a corte, e io mi preoccupo di questo”
Caspian scosse il capo per farle capire che non importava.
Fu un dei momenti più meravigliosi che avessero mai passato insieme: parlare, ridere, fare l’amore, parlare ancora…e poi di nuovo tutto da capo. Era un’atmosfera così intima, così familiare… Quella notte parve davvero infinita.
I vetri delle finestre del balcone tintinnarono, l’ululato sommesso del vento fischiò tra gli infissi. La Regina spense l’ultima candela, mentre il Re aggiungeva legna al fuoco e la raggiungeva poco dopo sotto le coperte, al caldo.
Caspian l’attirò a sé, una mano attorno alle sue spalle, l’altra dietro la nuca. Susan si appoggiò al suo petto.
“Credi che dovremmo già decidere come chiamarlo?” le chiese lui, alludendo ovviamente al bambino.
“Hai già qualche idea?”
“Mmm…a dire la verità no. Non credo di essere bravo con i nomi”
“Se sarà una femmina, avrei pensato di chiamarla Myra, come tua madre” confessò lei, vedendo un sorriso radioso aprirsi sul volto di lui.
“Sue…” Caspian l’abbracciò forte e restarono così un momento. “Grazie”
Lei gli prese il viso tra le mani e gli diede un tenero bacio. “E di cosa?”
“Susan, ascolta…” riprese lui.
“Tu preferiresti che fosse un maschio, lo so” lo interruppe la fanciulla.
Caspian osservò il suo sorriso alla debole luce delle fiamme.
Lei gli lisciò dolcemente il petto con il dorso della mano. “Caspian XI. Perché se nascerà un principe, avrà il nome di suo padre, non è così?”
Il Re scosse piano il capo. “No…”
La Dolce rimase non poco stupita da quella risposta. Lui aveva un’espressione molto seria quando parlò di nuovo.
“Innanzitutto, è indifferente se sarà maschio o femmina. Se avremo una bambina, avrà comunque ogni privilegio che spetterebbe a un principe ereditario. Nel mio regno non ci saranno simili discriminazioni. E poi, credo che i Caspian abbiano fatto più male che bene alla terra di Narnia. Io sarò l’ultimo. Questo è anche il volere di Aslan”
Il Leone aveva detto loro che c’era bisogno di un rinnovo. Un nuovo inizio. Il disegno di Narnia era cambiato. Forse, quel rinnovo doveva consistere nel porre fine alla dinastia di Telmar.
Susan gli circondò il collo con le braccia e il giovane la strinse di più, affondando le labbra nei suoi capelli.
“Mi dispiacerà non chiamarlo come te” mormorò la voce di lei, soffocata dall’abbraccio.
“Davvero?”
La Regina annuì. “Ma va bene lo stesso. Faremo come vuoi tu. Penseremo ad un altro bel nome”
Lui le diede un bacio sulla fronte e poi la fissò attentamente per lunghi secondi.
“Hai paura?” chiese infine.
Lei parve un poco stupita da quella domanda. “No. Tu ne hai?”
“Forse…” sospirò lui, “ma non per i motivi che potresti pensare”
Susan scorse la preoccupazione farsi strada nel suo sguardo. “Lo so a cosa alludi. Ma quello che ti tormenta tanto non era vero, e non sarà mai vero”.
Il Re l’abbracciò di nuovo e fece un sospiro. “Hai ragione. Scusami”
“Non pensarci. Non devi pensarci mai più”
Ma Caspian non ci riusciva. Ciò che temeva di più, e che a volte lo teneva sveglio la notte, era il ricordo dell’incubo causatogli dalla Strega Bianca nel quale sia Susan che il bambino incorrevano in una tragica fine.
Era convinto che nessuno fosse ancora ossessionato da quelle illusioni tanto quanto lui.
Dopo quell’esperienza spaventosa, sebbene irreale, aveva sviluppato un maggiore senso di protezione verso la sua Regina, misto ad una smisurata fissazione che potesse accaderle qualcosa di terribile.
Aveva avuto paura che potesse deprimersi a causa della separazione dalla sua famiglia. Aveva paura che potessero sorgere complicazioni nella gravidanza; le aveva proibito di allenarsi con l’arco e di andare a cavallo, e lei era così buona che aveva replicato solo una volta, per poi dire di sì a tutto.
Sapeva di stare esagerando, eppure...
Ma fortunatamente, oltre alla sua sposa, a tranquillizzarlo c’era anche il dottor Galileo, il medico di bordo: la Regina era sana come un pesce, le nausee erano arrivate e passate quasi subito, il suo appetito stava notevolmente aumentando (cosa normalissima). Niente più capogiri, niente disturbi di altra natura. Lei e il piccolo stavano perfettamente.
Doveva smettere di tormentarsi con inutili pensieri, si disse Caspian, e godersi la felicità che tanto a lungo lui e Susan avevano cercato, rincorso, e alla fine trovato.
“Era un incubo, Caspian, tutta un’illusione” gli disse infine lei, baciandolo piano. “Non mi succederà niente, te lo prometto”
Si strinsero l’uno all’altra, provando un senso di serenità immensa. Avevano imparato a donarsi forza e coraggio l’uno dall’altro, e sempre se ne sarebbero donati in ogni aspetto della vita, in ogni prova gande o piccola che si sarebbe parata loro dinnanzi.
Susan cercò di trasmettere a suo marito la sua sicurezza. Sicurezza che derivava dal non essere più una persona singola. Era accaduto tutto molto in fretta, era vero, e non certo nelle circostanze migliori. Aveva immaginato diverse volte di aspettare un figlio, ma di apprendere e dare la notizia tra le sicure mura di Cair Paravel anziché a bordo del Veliero dell’Alba, nel mezzo di un’avventura incredibile come quella che avevano affrontato. Tuttavia, non aveva avuto paura. Al contrario: era come se quella piccola vita che cresceva dentro di lei, che dipendeva da lei, frutto dell’amore suo e di Caspian, la inondasse di un’energia sconosciuta. E più lui (o lei) cresceva, più aumentava anche quell’ energia.
 
 
Il giorno seguente, gli impegni messi da parte quello precedente non poterono più essere rimandati.
“Vostra Maestà mi perdonerà se insto ancora” disse Briscola, “lo so che siete rientrato da meno di ventiquattrore, ma ci sono delle questioni davvero urgenti”
Caspian avrebbe voluto restare a letto tutto il giorno insieme a Susan. Se avesse potuto vivere solo di lei non sarebbe più nemmeno uscito da quella camera. Ma uscì...di malavoglia ma uscì.
Lei dovette spingerlo con la forza, le mani sul suo petto, ridendo di gusto mentre lui le dava il bacio più lungo di tutta la storia di Narnia. Le loro labbra sembravano incollate.
“V-vai…dai…Caspian…muoviti!”
Infine lui sbuffò, la prese per la vita e la baciò ancora, provocando un sonoro schiocco che risuonò per il salotto dove avevano fatto colazione, facendo arrossire dalla punta dei piedi a quella dei capelli tutta la servitù presente.
Anche Susan ebbe il suo daffare quella mattina. Scese in città (sempre insieme a Miriel, Tara e Clipse) e visitò personalmente ogni famiglia di contadini, assicurandosi che il loro salario fosse dignitoso e interessandosi della salute dei bambini.
“Il Re non ci fa mancare niente, mia signora. Ci da anche di più di quel che meritiamo. Ogni settimana viene a farci visita, proprio come voi oggi. Passa del tempo con noi, ci parla come un amico, e talvolta lavora anche insieme a noi! E’ davvero di animo nobile il nostro Sovrano”
Susan provò grande fierezza nel sentir parlare di Caspian a quel modo. Lui a volte nutriva ancora il dubbio di non star facendo tutto il possibile per la sua gente. Chissà cos’avrebbe detto se gli avesse riferito le parole appena udite? Decise che gliene avrebbe parlato a pranzo.
Quando tornò al palazzo a mezzogiorno in punto però, trovò Caspian nella sala grande insieme al Lord Ciambellano.
“Il Duca dice ‘nell’istante in cui torna’, mio signore” Susan udì dire a quest’ultimo, e un brutto presentimento iniziò a farsi strada in lei.
Il Duca? Aveva sentito bene?
Notando la sua presenza e quella delle sue ancelle, il Lord Ciambellano s’inchinò alle dame e poi lasciò la sala, al congedo del Re.
“Ragazze, potete scusarci un attimo” disse Caspian subito dopo, invitando gentilmente Miriel e le altre a lasciare da soli lui e Susan.
Quando lo furono, lui le si avvicinò. “Sue, credo che dovremo rimandare il nostro pranzo”
“V-va bene…non è successo niente, vero? Stanno tutti bene?” chiese la ragazza, inquieta.
“Sì, sì certo, solo che…qualcuno vorrebbe vederti e ti sta aspettando”
Fa che non si tratti di lui… pensò la Dolce.
Caspian non fece in tempo a spiegarle nulla di più che le porte della sala si riaprirono.
I due giovani si volsero in direzione del nuovo venuto: un uomo in là con gli anni, i capelli bianchi corti, un mantello nero da viaggio e un cappello piumato. Camminò con decisione fino a trovarsi a pochi metri dai due ragazzi, quindi si fermò e fece un inchino.
“Lord Erton” lo salutò Caspian, di nuovo con quel tono di voce misurato che Susan gli aveva sentito usare per rivolgersi a Lord Ravenlock e Lord Galvan. “Mi fa piacere vedere che state meglio. Mi avevano detto che eravate indisposto”
Era dunque quello l’uomo del quale aveva avuto così paura? , pensò Susan. Quell’anziano signore tutto rughe, la schiena leggermente curva e l’aria fragile?
Ma l’abito non fa il monaco, si disse immediatamente. Difatti, non appena parlò, la voce potente e autoritaria di Lord Erton la fece rabbrividire.
“Vostra Maestà è gentile a preoccuparsi per me. Sono stato colpito da un semplice raffreddamento, ma non appena mi sono sentito meglio sono subito partito, poiché…” spostò lo sguardo su Susan, “mi è giunta notizia proprio ieri sera che abbiamo una nuova illustre ospite a corte”
Gli occhi celesti della Regina Dolce incontrarono quelli del Duca, penetranti come quelli di un serpente che scruta la preda prima di attaccarla. Occhi attenti, che la squadrarono da capo a piedi come fosse trasparente.
“Vostra Grazia” lo salutò la ragazza. “Mi hanno parlato di voi”
Il Duca ridacchiò. “Bene, spero”
Susan non rispose.
“Credo di dovervi porre i miei omaggi e le mie felicitazioni, mio signore. Narnia voleva una regina e voi gliel’avete portata. E quale Regina! Una degli Antichi Sovrani della leggenda! Stento quasi a credere che siate qui davanti a me, Maestà. I ritratti che ho visto di voi non rendono la vostra bellezza”
Si avvicinò alla fanciulla e le baciò la mano.
Fu con grande forza di volontà che Susan non la ritrasse. Percepì in quel gesto tutta la falsità di quell’uomo e ne fu disgustata. Si vedeva lontano un miglio che non pensava affatto quello che diceva.
“Mi lusingate troppo, signore, non dovete” rispose educatamente.
“Ma non è forse vero? Siete da tutti ricordata soprattutto per la vostra bontà, gentilezza e bellezza. Susan la Dolce, così vi chiamavano. Il mio Re converrà che qualunque uomo vi vorrebbe come sposa”
“Una Regina non dev’essere solo bella e buona, ma deve saper regnare insieme al suo Re” la difese subito Caspian, sorridendo inaspettatamente. “E la mia Susan è più esperta di me in questo, dato che ha alle spalle ben quindici anni di regno”
La Dolce si voltò verso il marito e ricambiò il sorriso, grata, rasserenata, incoraggiata.
Quello scambio di sguardi a Lord Erton non piacque per nulla.
Erano uniti. Troppo uniti. Lei avrebbe portato guai.
“Ma non siete a conoscenza della notizia più bella” aggiunse ancora Caspian, stringendo la mano di Susan. “Sarete felice di sapere, Vostra Grazia, che ho seguito i vostri consigli: presto nascerà un erede”
“Ah…” fece il Duca, chiaramente colto di sorpresa.
I due uomini si scambiarono uno sguardo. Caspian parve soddisfatto dell’effetto che le sue parole avevano avuto sull’altro. Di sicuro non se l’aspettava.
Oh sì, aveva seguito i suoi consigli… Lord Erton gli aveva praticamente imposto di mettere al mondo un erede, come se fosse una cosa meccanica. Ma quel figlio era nato per amore, non per volere di Erton. Presto se ne sarebbe reso conto.
“Non si potrebbe chiedere di meglio” si riprese il Duca, raddrizzando la schiena leggermente curva. “Un discendente è quello che ci vuole per dimostrare che Narnia ha un trono stabile”
“Chi altri dice il contrario, milord?” s’informò Caspian, rivolgendogli un’occhiata accigliata.
“Oh bè... sapete, Maestà, ci sono diverse persone che vorrebbero vedere i propri figli o nipoti sul trono di un regno come Narnia. Primi fra tutti i nostri nemici”
“Di chi parlate?”
“Ma di Calormen, è ovvio”
A quel nome, Susan ebbe un fremito.
Calormen…erano sempre intenzionati a prendere Narnia?
Calormen…Rabadash…il suo peggiore incubo.  Aveva rapito lei e Peter, schiavizzato uomini, donne e bambini innocenti, aveva torturato Caspian…
Odio e terrore riaffiorarono dentro di lei. Non vi pensava da mesi e adesso, al solo sentirla nominare…
“State bene, mia signora?” chiese Lord Erton.
“Cosa? Sì, certo”
“Susan?” fece Caspian a bassa voce.
“Non è niente” sussurrò lei.
“Riguardatevi, Maestà” disse Erton. “Non vorremo mai che vi affaticaste con il rischio di danneggiare il prezioso principe che portate in grembo”
“O principessa” ribatté Caspian.
Lord Erton, che stava studiando attentamente le razioni di Susan, si voltò lentamente verso il Re. “O principessa” ripeté, con una cadenza di tono che tradiva lo scherno. “Ma sarebbe meglio se la nostra signora mettesse al mondo un maschietto. Chiederemo ad Aslan di intercedere per voi”
Si sta divertendo a prendermi in giro, pensò Susan indignata. E lo fa senza preoccuparsene, persino davanti a Caspian!
Non vedeva l’ora che se ne andasse, e anche il Liberatore sembrava pensare lo stesso. Tuttavia, sarebbe stato molto molto scortese non invitare a restare a pranzo un ospite così alto rango. Le buone maniere sono parte integrante dell’educazione di un principe, e fin da bambino, Caspian non era mai venuto meno ai dettami dell’ etichetta.
“Volete unirvi a noi, signore?” chiese dunque il giovane.
“Accetto molto volentieri, grazie, mio Re”
Si sedettero a tavola e attesero l’arrivo degli altri commensali.
Susan ora capiva cosa aveva voluto dire Caspian quando, sulla carrozza, aveva paragonato i suoi battibecchi con Peter a quelli con Lord Erton. Caspian non aveva voluto essere maligno nei confronti del Re Supremo, ma era un esempio calzante. Era un botta e risposta continuo, e il Duca sembrava maestro in questo: stuzzicare, innervosire, insinuare.
Quando giunsero Cornelius, Briscola, le tre ancelle della Regina e Emeth, non si risparmiò.
“Quante novità al castello! Sembriamo una compagnia di attori che stanno per mettere in scena una bizzarra commedia: animali parlanti, nani, driadi, soldati stranieri…”
“Non vedo i Lord di Telmar, dove sono?” lo interruppe gentilmente il dottor Cornelius, capendo il disagio degli amici.
“Eccoci, signori, perdonate il ritardo” risposero proprio loro, entrando in quel momento.
Lord Mavramorn, Agoz, Revilian e Rhoop presero posto attorno alla tavola.
Improvvisamene, tutta la tracotanza di Lord Erton venne meno. Il suo viso austero si trasformò in una maschera di rughe ancor più profonde. I suoi occhi mandarono bagliori d’odio e le guance gli tremarono per una collera repressa.
Caspian fu tutt’altro che stupito nel vederlo così, e provò una certa soddisfazione nel constatare che la reazione di Lord Erton alla vista di Lord Rhoop, fu esattamente quella che si era aspettato. I due uomini si fecero solo un breve cenno con il capo, nulla più.
Per il resto del pranzo ci furono allegre chiacchiere e l’atmosfera si rilassò. Susan quasi dimenticò la presenza del Duca, il quale sprofondò nella sua poltrona e parlò pochissimo.
Lord Rhoop invece si animò alla prospettiva di confrontarsi con il suo rivale.
Perché di questo si trattava.
Susan venne finalmente a conoscenza del grande mistero che univa quei due uomini: Lord Rhoop era stato Duca di Beruna ai tempi del padre del Liberatore, destituito (o per meglio dire cacciato) da Miraz l’Usurpatore, quando aveva preso il trono di Narnia e aveva allontanato dal regno i sette fidati amici del defunto fratello.
Ora che Rhoop era tronato, Erton si sentiva minacciato. Si erano  sempre detestati e presto sarebbe stata guerra aperta.
Come se non bastasse, la Regina parteggiava per Lord Rhoop, con il quale aveva stretto una particolare amicizia.
 
 
Nelle settimane successive, Lord Erton fece di tutto per rendere la vita impossibile a Susan, e sperava tanto che le angosce che le provocava si ripercuotessero sul suo rapporto con Caspian.
La fanciulla fece di tutto per evitare d’incontrare ancora il Duca. Il più delle volte era accompagnata da qualcuno quando lo incrociava nei giardini, per i corridoi del castello, ai riceventi, o nella sala del Gran Consiglio, alle cui sedute Susan presiedeva quasi sempre sedendo al fianco di Caspian.
Miriel, Tara e Clipse non l’abbandonavano mai. Poi c’era Lady Lora, Emeth, Lord Rhoop e Tartufello. Tutti loro facevano parte del suo seguito, come Drinian, Agoz, Mavramorn, Revilian, Cornelius, Briscola e Tempestoso facevano parte di quello di Caspian.
Se non era sola, Lord Erton non si azzardava mai a parlare, se non per pochi minuti; ma ogni caso, anche un secondo bastava per irritarla o farla sentire a disagio di fronte a quell’uomo. Sapeva provocarle un senso di nervosismo e agitazione ancor maggiore di quel che le aveva dato Drinian a bordo del Veliero dell’Alba, nel periodo in cui si era opposto apertamente alla sua storia con Caspian.
Ma Drinian lo aveva fatto per ragioni che Susan aveva compreso, sebbene li avesse portati diverse volte allo scontro verbale. Lord Erton, invece, sembrava infastidirla per puro divertimento. Faceva di tutto per metterle in testa strane idee di ogni tipo.
Ad esempio le diceva: “Ho sentito dire che un grande spavento può essere causa di un parto prematuro, e spesso è pericoloso per il nascituro”. Oppure: “Una vera signora non lavora in giardino, mia Regina. Siete sicura che il Re approvi?”. E quando la trovava a chiacchierare da sola con Emeth, insinuava che non era bene che una donna s’intrattenesse da sola con un uomo che non era suo marito.
Piccolezze, paragonate ad altri problemi, ma comunque molto fastidiose.
Un giorno, la sorte volle s’incontrassero mentre la Dolce si recava nella serra assieme a Tartufello.
Susan aveva espresso il desiderio di occuparsi da sola delle rose blu che aveva fatto portare dall’Isola delle Rose. Per il momento erano state piantate in un grande vascone di pietra, ma a primavera sarebbero state trapiantate a terra dai bravi giardinieri e dalle talpe.
Lord Erton l’aveva seguita come un’ombra silenziosa nel suo mantello nero. Lei lo aveva ingorato il più a lungo possibile, ma quando non aveva più potuto, si era infine rivolta a lui con finto stupore.
“Perdonatemi, Vostra Grazia, non avevo notato la vostra presenza”
“Nulla, Maestà. Vi sto forse disturbando?”
Susan aveva stretto i denti, ma aveva comunque riposto gentilmente. “No, certo”
Avevano iniziato a parlare più o meno cordialmente, finché il Duca non se n’era uscito con certe domande di natura un po’ troppo personale, ed una in particolare che l’aveva lasciata letteralmente a bocca aperta.
“Ditemi, Maestà, quando vi siete sposata con il Re?”
La Dolce, che stava per recidere un ramo secco, si era fermata per una frazione di secondo. “Sono quasi tre mesi, ormai”
“Ah capisco… e ditemi, da quanto tempo dividevate il letto con Sua Maestà, prima di sposarlo?”
A quelle parole, a Susan erano cadute di mano le forbici. Era rimasta immobile a fissarlo, rossa in volto, le labbra che le tremavano. Non aveva notato Tartufello raccoglierle gli attrezzi da lavoro e porgerglieli di nuovo. Aveva invece continuato a fissare il Duca con tanto d’occhi.
“Che cosa avete detto?” aveva chiesto con un filo di voce..
Erton aveva ridacchiato, coprendosi la bocca con la mano guantata. “Perdonatemi, Maestà, forse mi sono espresso male. Volevo semplicemente sapere quando dovrebbe avvenire il lieto evento”
“La…la prossima estate”
“Uhm… capisco. Ora i conti tornano. Dopotutto provenite da un mondo totalmente diverso dal nostro, dove probabilmente avete un altro concetto di…”
“Che cosa state insinuando, signore?”
La voce di Susan tremava sempre più, mentre quella di Lord Erton era divenuta simile al tuono, chiara potente.
“Nulla, nulla, solo…vorrei che ricordaste che adesso non siete più una ragazza come le altre. Per soddisfare i piaceri del Re esistono altri tipi di donne, ma voi siete la Regina. Sarebbe bene che lo teniate sempre a mente, e che non si sappia troppo in giro che avete consumato il vostro amore prima delle nozze. Buona giornata, Maestà”
Non appena era uscito dalla serra, anche Susan era corsa fuori, risalendo il prato con passi spediti. Tartufello l’aveva seguita svelto quanto le sue zampe un po’ tozze gli avevano concesso.
Quando era giunta sul viale principale, aveva visto un gruppo di cavalieri rientrare dalla battuta di caccia. In testa a tutti stavano Caspian e Emeth. Non appena il Liberatore l’aveva vista, era smontato da Destriero e le si era fatto incontro con un gran sorriso.
Ma Susan era corsa da lui e gli si era gettata tra le braccia con grande sconcerto dei cavalieri.
“Che cosa succede?”  aveva chiesto subito il giovane, sentendola tremare.
“E’ quell’uomo, il Duca! Non la lascia mai in pace!” aveva risposto il tasso raggiungendoli.
Più tardi, quando i due giovani erano rimasti soli, lei aveva dato sfogo alla rabbia e all’umiliazione.
“Susan, calmati”
“No, non mi calmo! Lo so perché mi ha detto quelle cose! Lo so cosa pensa! Lo pensano tutti! Sono solo una…”
“Susan, smettila!”
Caspian l’aveva presa saldamente per le spalle e l’aveva voltata verso di sé. Gli occhi celesti di lei brillavano di lacrime.
“Mi sono donata a te perché ti amo, Caspian. E’ come se mi stessero accusando di questo, e non lo posso sopportare! Forse…forse non sono quella che tutti credono, ma io non sono pentita di ciò che ho fatto, delle decisioni che ho preso, di avere scelto te! Però…non voglio danneggiati, e ho paura che…”
Caspian l’aveva stretta forte e l’aveva lasciata sfogare ancora, poi era andato personalmente da Lord Erton a dirgli di lasciare in pace la Regina. Cosa che avrebbe già dovuto fare da parecchio tempo.
“Come vi siete permesso di rivolgervi a lei in quei termini?!”
“Non intendevo offenderla, io credevo che…”
“Sono tre settimane che la conoscete. Tre settimane che le date il tormento! Ho taciuto per amore dell’armonia che è sempre regnata tra queste mura, ma adesso basta: lasciatela stare!”
“La vostra consorte è un poco viziata, Sire, lasciatevelo dire. Non dovreste concederle tutta la libertà che…”
Caspian si era voltato di scatto verso il Duca e aveva camminato svelto verso di lui, per trovarglisi di fronte. “Ciò che riguarda me e mia moglie è solo affar mio, sono stato chiaro? Quello che io decido di fare, quello che lei decide di fare, o dire, riguarda me e lei, nessun altro. Susan è la vostra Regina, mostratele il rispetto che merita.”
Dietro l’apparente clama del Re si avvertiva la sua collera.
Lord Erton non aveva replicato, aveva girato sui tacchi e se n’era andato.
Rientrato nelle proprie stanze, aveva trovato Lord Ravenlock e Lord Galvan ad attenderlo.
“E’ giovane e innamorato, per questo sciocco” disse il primo, come sempre molto composto.
“Innamorato?! Bha!” esclamò il Duca, agitando in aria una mano. “Accecato dagli ardori di gioventù, volete dire!”
“C’è molta complicità tra loro” aggiunse Lord Galvan.
Era proprio questo a non piacere a Lord Erton: questa complicità, questo potere che Susan aveva sul Re.
“Non le permetterò di spadroneggiare come le pare e piace! E non permetterò che Lord Rhoop riprenda il suo posto! Io sono l’unico Duca di Beruna! E dopotutto, non vedo in Susan Pevensie quella gran Regina che tutti dipingono. Per quel che mi riguarda è una donna come tutte le altre. Non ho paura di lei, e non ne ho di Caspian X. Sono due bambini, in fondo”
“State attento, Vostra Grazia” disse Ravenlock con voce grave. “Aslan li ha fatti Re e Regina, e tutti sappiamo bene che non è possibile andare contro il volere del Grande Leone”
Lord Erton si volse con un sorriso malefico. “Se c’è riuscita quella ragazza tornando a Narnia quando non avrebbe più dovuto, ce la farò anch’io. Mi sbarazzerò di quella donna, Lord Ravenlock, ve lo posso assicurare.”
 

~·~



Era una triste mattina d’inverno quando Jill si precipitò fuori dalla porta posteriore dell’edificio scolastico, in lacrime, correndo attraverso il cortile sul retro per sfuggire ai suoi inseguitori.
La scuola che Jill frequentava era un istituto misto, dove le azioni dei bulli passavano completamente inosservate agli occhi dei professori. Sfortunatamente, lei era uno dei bersagli preferiti di quei ragazzacci prepotenti, e a niente erano valse le proteste che lei e altri compagni avevano voluto esporre pubblicamente al consiglio scolastico.
C’era voluto del coraggio per farsi avanti,  e solo Eustace Scrubb infine aveva deciso di agire, andando direttamente dal preside. Purtroppo però era valso a poco…
Il preside li aveva ascoltati, ma nel concreto non aveva fatto nulla. Aveva punito i bulli con l’abbassamento del voto in condotta, niente di più. Secondo lui non c’era motivo di prendere la cosa sul serio, e aveva persuaso di questo anche i genitori che erano andati da lui a chiedere spiegazioni su quella storia.
Jill era rimasta molto colpita dall’atteggiamento coraggioso di Eustace, che solo il trimestre prima guardava tutti dall’alto in basso. Sebbene non si comportasse alla stregua dei bulli, non aveva certo un gran carattere, ma qualche strana ragione, Jill era sempre andata piuttosto d’accordo con lui, anche se certe volte era veramente insopportabile. Aveva il forte sospetto di essere la sua unica.
Ma c’era stato un cambiamento in Eustace, lo avevano notato tutti. Jill non aveva idea di cosa potesse aver provocato quella trasformazione, ma di certo adesso era molto più piacevole conversare con lui.
Eustace Clarence Scrubb non faceva parte della cerchia delle ‘vittime’, ma aveva sentito i bulli parlare di lui e decidere che era ora di dargli una bella lezione, soprattutto perché aveva avuto il coraggio di andare a denunciarli al direttore.
Per un po’ di tempo le cose erano migliorate, ma dopo le vacanze invernali tutto era ricominciato da capo.
Sovrappensiero, Jill voltò un angolo del cortile e andò a sbattere contro qualcuno. La sua corsa si arrestò e finì a terra lunga distesa. Per fortuna, la neve che era caduta copiosa nelle settimane precedenti attutì la caduta, ma la ragazza si ritrovò con i vestiti fradici.
Anche la persona con cui si era scontrata cadde a terra, e la sua borsa dei libri si aprì spargendo il suo contenuto.
“Pole, che combini?”
“Scrubb! Vieni, presto!” esclamò la ragazza, scostandosi i capelli biondi dal viso e rimettendosi in piedi svelta, afferrando il ragazzo per un braccio.
“Cosa? Aspetta, i libri…”
“Presto, o se la prenderanno anche con te!”
“Jill!” gridò una voce.
I due si volsero e videro schierati davanti a loro una decina di ragazzi e ragazze dall’aria poco raccomandabile.
Jill tremò e istintivamente si aggrappò più forte al braccio di Eustace.
“Girate al largo” disse quest’ultimo al capo dei bulli, un tipo alto e robusto di nome Carter.
Nessuno a scuola osava mai rivolgere la parola alla banda dei bulli,  meno che mai a risponder loro per le rime.
“La tua amica ha gettato il pranzo addosso ad Eleonor” disse Carter, indicando una ragazza alta alla sua destra.
“Non l’ho fatto apposta!” si giustificò subito Jill.
“Non l’ho fatto apposta!” cantilenò Eleonor facendole il verso, e gli altri risero.
“Basta, queste stupidaggini devono avere fine!” esclamò Eustace.
“Levati di mezzo”
“Non potete picchiarla solo perché ha rovesciato il pranzo!”
“Nessuno ha parlato di picchiarla” disse un’altra ragazza.
Il gruppo si avvicinò e gli altri due indietreggiarono. Poi, improvvisamente, Eleonor si gettò addosso a Jill e le afferrò i capelli, tirando così forte da costringerla a piegarsi su se stessa
“Pole!” esclamò Eustace cercando di aiutarla, ma altri due tizi gli erano saltati addosso e l’avevano bloccato per le braccia.
“Adesso chiedi scusa!” disse ancora Eleonor.
“No!” rispose Jill. “Te l’ho detto, non ho fatto apposta!”
“Non m’interessa! Mi hai rovinato la relazione di storia! Guarda! E’ impresentabile!” gridò l’una, sventolando un foglio macchiato sotto il naso dell’altra.
Istintivamente, Jill mormorò una scusa.
“Cosa? Non ho sentito” Eleonor la strattonò ancora, finché Jill non cadde in ginocchio e gridò.
“Ho detto scusa! Scusa!”
Nel momento in cui Eleonor lasciò andare Jill, Eustace riuscì a liberarsi dalla presa dei suoi carcerieri. Si voltò, diede un calcio in mezzo alle gambe ad uno e un pungo all’altro.
Le tecniche di difesa di Ripicì funzionano! pensò soddisfatto. Gliele aveva insegnate sul Veliero dell’Alba.
“E’ sleale colpire basso!” aveva detto Eustace.
“Bè, quando sei un topo, sei costretto a farlo a volte, vecchio mio. Ma ti insegnerò qualcosa che sia anche alla tua di altezza”
Rip…
Eustace afferrò Jill per un braccio e l’aiutò ad alzarsi.
I bulli stavano per farsi sotto di nuovo, ma in quell’attimo sopraggiunse un inserviente della scuola. Li osservò tutti un momento, e poi esclamò: “Che state combinando qui?!”
Immediatamente, Carter, Eleonor e i loro compari fornirono una versione distorta dei fatti. Diedero la colpa a Eustace, ovviamente, dicendo che aveva aggredito i gemelli Spivvin.
Jill gli venne in aiuto, ma a nulla servirono i suoi tentativi di difenderlo. Come sempre, i bulli la passarono liscia. Fu Eustace a finire dal preside per aver rotto il naso ad un compagno.
L’inserviente li ricacciò tutti dentro l’edificio scolastico, ma Jill s’intrattenne ancora un attimo nel cortile per recuperare la borsa e i libri di scuola di Eustace.
Mentre li raccoglieva, alcuni fogli fuoriuscirono da uno dei quaderni e si sparpagliarono a terra.
“Oh, no!” fece Jill, affettandosi a raccoglierli prima che si bagnassero di neve e divenissero illeggibili.
Li controllò con attenzione mentre rientrava in classe e si sedeva al posto. Seduta acanto al termosifone, li depose lì sopra per farli asciugare. Poi li rimise con cura nel quaderno.
Fu più forte di lei: sbirciò le parole scritte nell’ordinata calligrafia di Eustace, rendendosi conto con stupore che non erano compiti di scuola. Le frasi che lesse sembrarono piuttosto appartenere ad un romanzo fantastico. Non le risultava che Eustace Scrubb leggesse libri fantastici, e meno che mi che scrivesse racconti di quel genere.
Per tutta l’ora, mentre attendeva di sapere che cosa fosse successo al compagno, non prestò attenzione alla lezione. Continuava a lanciare occhiate alle pagine appoggiate sul termosifone. Vinta dalla curiosità, stando attenta che la professoressa non notasse nulla, prese il quaderno che aveva nascosto sotto il banco, lo appoggiò sul libro di geografia, lo aprì ed iniziò a leggere con interesse.
“C’erano una volta quattro bambini che sì chiamavano Peter, Susan, Edmund e Lucy. Vivevano a Londra ma, durante la seconda guerra mondiale, furono costretti ad abbandonare la città per via dei bombardamenti aerei”
Il racconto iniziava così…





 
 
 
Scusate il ritardo cari lettori!!! Sono pessima, lo riconosco, ma non ho proprio potuto aggiornare prima…mi scuso anche a chi ho risposto con un ritardo mostruoso alle recensioni.
Ma veniamo al capitolo: stavolta ne sono soddisfatta, anche se è stato difficile scriverlo, non so perchè...
Avete fatto la conoscenza di Lord Erton la scorsa volta e l’avete visto all’opera oggi: aspetto commenti… cioè, volevo dire insulti!!! XD
Mi sono scatenata più che mai con le scene Suspian!!! *.* Io ho adorato scriverle, e voi come le avete trovate??? Ditemi un po’: vi piace che descriva la nuova vita di Caspian e Susan o la trovate noiosa?
Ed ecco Jill!!! Finalmente è comparsa, anche se il pezzo dedicato a lei non è lunghissimo. Il suo momento deve ancora venire, ma intanto vediamo anche lei alle prese con problemi e con un certo racconto…
 

Ringraziamenti:
Per le preferite: aleboh, Angel2000, EstherS, Fly_My world, Francy 98, HikariMoon, Jordan Jordan, Joy_10, katydragons, lullabi2000, Mia Morgenstern, Muffin alla Carota, Mutny_Hina, piumetta, Queen Susan 21, Serpe97, Shadowfax, TheWomanInRed e Zouzoufan7
Per le seguite: Babylady, Cecimolli, ChibiRoby, cleme_b, FioreDiMeruna, Fly_My world, GossipGirl88,  ImAdreamer99, JLullaby, Jordan Jordan, Joy_10, Judee, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_ ,  piumetta, Queen Susan 21 e Shadowfax
Per le ricordate: Cecimolli
Per le recensioni dello scorso capitolo: aleboh, Angel2000, Babylady, FioreDiMeruna, Fly_My world, GossipGirl88, HikariMoon, ImAdreamer99, Joy_10, Mia Morgenstern,  piumetta, Queen Susan 21, e Shadowfax
 
Angolino delle Anticipazioni:
Pianeta Terra: il prossimo capitolo inizierà con questo mondo, dove ritroveremo ancora Eustace e Jill e ‘Le Cronache di Narnia’!!!  ;)
Probabilmente anche gli altri Pevensie.
Narnia: ci sarà un salto temporale di alcuni mesi, altri dolci momenti Suspian e altri guai per loro e gli amici, ovviamente opera del terzetto Erton/Ravenlock/Galvan.
 

Per gli aggiornamenti, come sempre vi rimando al mio gruppo facebook Chronicles of Queen
 
Da oggi c'è un nuovo angolino, che non metterò sempre: le Note!!!
La canzone che trovate all’inizio del capitolo è tratta dalla colonna sonora del film "La Maschera di Zorro" che io ho scelto d'inserire nella colonna sonora di Night&Day. Spero di averla tradotta bene...
(DLF, mi appoggio a te!).
Per l'inizio del racoconto di Eustace, invece, ho proprio copiato alla lettera le prime frasi de "Il Leone, la Strega e l'Amadio" ;)


ANNUNCIO!!!
Grazie a voi lettori, vecchi e nuovi, la nostra “Queen of my Heart” è prima nella sezione Narnia come storia più popolare!!!!!!!!
GRAZIE!!! GRAZIE A TUTTI!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!


Un mega bacio infinito,
vostra Susan<3

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Tra due mondi ***


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4. Tra due mondi


Gli eroi si alzano, gli eroi cadono
Risollevarsi, vincere tutto
Nel tuo cuore, non senti la gloria?

Attraverso la nostra gioia, attraverso il nostro dolore
Siamo ancora in grado di muovere mondi
Prendi la mia mano, danza con me



Jill sapeva che era da impiccioni sbirciare tra le cose altrui, ma davvero non poté farci nulla. Non riuscì a staccare gli occhi da quelle pagine per tutta l’ora, e non fu nemmeno difficile non farsi scoprire, dato che la professoressa era stata richiamata in presidenza a causa di Eustace.
“Leggete in silenzio la prossima lezione” aveva detto prima di uscire ( ovviamente, una volta chiusa la porta, gli studenti si erano messi a chiacchierare).
E così, Jill era potuta andare avanti a farsi i fatti propri.
La ragazza aveva letto diversi romanzi fantastici, ma nessuno di essi era mai riuscito a stuzzicare così tanto la sua fantasia. Quando divorava un libro (di qualsivoglia argomento), era solita immedesimarsi nei personaggi, e non le risultava difficile ricreare con gli occhi della mente ogni scena descritta, ogni luogo in cui i fatti si svolgevano.
Jill aveva molta fantasia, e ammirava gli scrittori che ne avevano ancora più di lei.
Ma con quel racconto non ebbe bisogno di ricorrere all’immaginazione. I personaggi si muovevano in un contesto che sembrava perfetto per loro, e perfette erano le frasi, le descrizioni degli ambienti. Non dovette faticare a vedersi davanti la grande magione del professore Digory Kirke, poiché ne fu immediatamente catapultata all’interno ai quattro ragazzi Pevensie. Vide davvero Peter e i suoi capelli biondi, Susan e i suoi occhi azzurri, udì la voce squillante della piccola Lucy, e quella lamentosa di Edmund. Quasi quasi, un brivido di freddo le percorse la schiena mentre leggeva di Lucy e Tumnus nella foresta innevata di Narnia; e un altro brivido, stavolta di paura, lo provò quando apparve la Strega Bianca.
Trattenne il fiato nel momento in cui tutti e quattro i fratelli entrarono nell’enorme armadio…
Purtroppo però, il racconto non proseguiva oltre.
“Oh…” esclamò delusa, quando voltò pagina e vide che il resto del quaderno era in bianco.
Il suono della campanella pose fine alla lezione e la riportò alla realtà.
Jill si alzò dal suo posto e seguì i compagni fuori dalla classe. La prossima ora era buca, (il professore di lingue era a casa con l’influenza), e potevano occuparla con l’attività che più preferivano.
Jill si rifugiò in biblioteca, dov’era certa che i bulli non avrebbero mai messo piede. Fortuna voleva che non fosse in classe con nessuno di loro, ma quelli potevano anche bighellonare per i corridoi anche se avevano lezione, e lei non era ansiosa d’incontrarli ancora. Per quel giorno le era bastata una volta.
Mentre scendeva le scale, vide Eustace risalirle. S’incrociarono a metà rampa, stringendosi vicino al muro per far passare il resto della calca di studenti.
“Com’è andata?” gli chiese subito lei.
Lui fece spallucce. “Come vuoi che sia andata? Carter e gli altri l’hanno passata liscia. Anthony Spivvin è in infermeria col naso rotto e io invece mi sono preso una nota di demerito sul registro”
Jill si sentì rincuorata. “Non è andata poi tanto male, allora”.
Eustace fece un smorfia. “Purtroppo non è tutto: sono in punizione. Mi metteranno a pulire i bagni dei maschi per una settimana, dopo le lezioni”.
“Ma perché? La colpa non è tua! Sono stati Carter e i suoi a provocare per primi!”
“Che ti aspetti dalla nostra scuola? E’ sempre così” tagliò corto il ragazzo, che non aveva più voglia di parlare di quella storia. “Tu stai bene, Pole? Niente di rotto?”
“Io? No, no, tutto a posto” rispose Jill, lisciandosi i capelli che Eleonor le aveva spettinato. “Bè…forse ho qualche ciocca in meno…”
Eustace suo malgrado sorrise.
“Ah, Scrubb, tieni: i tuoi libri” disse poi la ragazza, porgendogli la sua cartella.
“Grazie”
“Grazie a te. Non tutti avrebbero avuto il coraggio di affrontare entrambi gli Spivvin”
“Cosa da poco, per me” disse il ragazzo con baldanza, mentre la folla si diradava.
“Ma davvero? Cosa da poco…” Jill fece una risatina. “Accidenti Scrubb, sei davvero cambiato da quando sei tornato”
A quelle ultime parole, per poco Eustace non inciampò nei propri piedi, rischiando di ruzzolare giù dalle scale.
“Che hai detto, Pole?!”
Lei si fermò e lo guardò interrogativa.
“Da…da q-quando sono t-t-tornato…”
“Dalle vacanze”
“Dalle…Oh! Certo!”
La ragazza alzò un sopracciglio. “Che ti prende?”
“Nulla…”
Sì, era davvero cambiato, pensò Jill. Lo Eustace Scrubb di prima non avrebbe mai sopportato l’idea di dover pulire i bagni, stizzoso com’era!
Ma lei non poteva sapere che, per il nuovo Eustace, affrontare i bulli della scuola con conseguente punizione, era davvero un’inezia messa a confronto con tutto ciò che visto e affrontato nel mondo di Narnia: mercanti di schiavi, battaglie da veri pirati, un serpente marino…
E proprio perché non era a conoscenza di questi fatti, Jill iniziò a pensare che oltre che cambiato, fosse divenuto anche un poco strano...
Oh, bè, non che fosse mai stato tanto normale…
“Dove sei diretta, ora?” chiese Eustace, mentre attraversavano l’atrio.
“In biblioteca” rispose lei. “Pensavo di approfittare dell’ora buca per finire la relazione di letteratura”
“Allora vengo con te”
“Non serve che mi segui dappertutto, Scrubb. Non ho bisogno della guardia del corpo”
“In realtà pensavo giusto il contrario”
Lei lo guardò con tanto d’occhi. “Stai scherzando?”
“Mmm….no. Senti, sei piccola e gracilina, e sei nel mirino di quei bulli. Io sono il doppio di te, per cui potrei…”
Jill scosse il capo, incredula.
Era pazzo…
“Chi è venuto a casa tua durante le vacanze invernali? Uno scienziato pazzo che ti ha fatto il lavaggio del cervello?” poi abbassò la voce, mentre entravano in biblioteca. “Sai Scrubb, comincio a credere che quel che mi dicevi a proposito dei tuoi cugini sia vero: ti hanno fatto diventare matto”
“Come sai che i miei cugini…?!” esclamò il ragazzo.
Jill gli tappò la bocca con la mano, contemporaneamente posandosi l’altra mano sulle labbra, mentre un coro di sommessi “Sssshhhttt!!!” si diffondeva nell’aria tranquilla.
I due amici si sedettero in silenzio accanto a una finestra. Poco dopo, una ragazza si avvicinò loro.
“Pole, ho un messaggio per te” disse, allungando un bigliettino verso la compagna.
Jill lo prese e ringraziò. Quando l’altra si fu allontanata lo aprì.
“Hai un ammiratore segreto?” la prese in giro Eustace.
“No, non direi” rispose lei, guardandosi attorno freneticamente.
Eustace seguì il suo sguardo, notando dall’altra parte della stanza Eleonor e la sua amica Adele scambiarsi uno sguardo con Jill e poi lasciare la biblioteca.
“Che cosa c’è scritto?” chiese il ragazzo sporgendosi per leggere: “‘Ti aspettiamo fuori dalla scuola’ Acci…fanno sul serio, Pole”
“Ora comincio ad avere paura” Jill tremò, sprofondando nella sedia.
“Lo vedi? Hai bisogno di una guardia del corpo!” insisté Eustace.
“Non ci penso nemmeno!”
“Perché?”
Alcuni studenti si voltarono stizziti in loro direzione. Allora Jill si piegò verso Eustace e gli fece cenno di avvicinarsi di più.
“Senti, te l’ho già detto: il fatto che tu voglia difendermi è davvero un bel gesto, ma se inizierai a seguirmi come un cagnolino sembrerà che io abbia paura di loro”
“Ma tu hai paura di loro”
“Uffa…sì, è vero. Però, se pensano – se scoprono – che ho paura, si accaniranno ancor di più. Mio padre dice sempre che quando si ha a che fare con i prepotenti, è sempre meglio ignorarli. Se li ignoro, alla fine si stancheranno e mi lasceranno in pace”
Eustace non era per nulla convinto. “Non sono d’accordo. Perché vedi, anche se la tattica di tuo padre dovesse funzionare, prima di riuscire a metterla in pratica ti ritroverai spiaccicata sull’asfalto fuori dal portone principale, oggi alle tre”
“Grazie per l’incoraggiamento!” Jill si alzò e fece per andarsene.
Eustace la seguì. “Mi dispiacerebbe se diventassi una polpettina bionda, dico sul serio”
“Una che cosa?”
“Tu sei la mia unica a mica, Jill”
Mi ha chiamata Jill…
Brutto segno, pensò. Quando la chiamava per nome era perché stavano affrontando un argomento serio.
E la faccenda si fece veramente più seria di quanto aveva creduto.
All’uscita da scuola, fu solo perché Eustace era con lei che i gemelli Spivvin non saltarono fuori dal loro nascondiglio dietro la siepe che circondava l’edificio. Anthony Spivvin si tastò il naso, e con un’espressione tra l’irritato e lo spaventato fece segno a suo fratello di levare le tende.
Mentre prendeva l’autobus con Eustace, Jill Pole pensò e ripensò alla proposta dell’amico di farle da guardia del corpo. Sarebbe stato imbarazzante, ma in fin dei conti lui aveva ragione: lei era bassina, piuttosto gracile e soprattutto non conosceva una mossa di autodifesa. Scrubb, invece, sembrava cresciuto di cinque centimetri buoni nell’ultimo trimestre, ed era anche molto più atletico e meno impacciato. Lo aveva notato ad educazione fisica: Eustace era sempre stato una frana, ma nelle ultime settimane...
“E va bene” si arrese alla fine, scendendo alla sua fermata. “Ma non metterti in testa strane idee, chiaro?” gli disse mentre le porte si richiudevano.
“Quali idee?” fece Eustace.
Jill lo salutò con la mano, facendo un sorriso rassegnato.
Si votò e prese a camminare verso casa, e solo quando fu nella sua stanza si accorse di non aver ridato a Eustace il quaderno con il racconto fantastico.
Lo aveva infilato nel libro di geografia e lì era rimasto. Avrebbe voluto chiedergli un mucchio di cose, soprattutto se poteva tenerlo per rileggerlo e congratularsi con lui.
Ma i loro argomenti erano glissati su tutt’altro e le era passato completamente di mente.


Quando Eustace rientrò a casa, una brutta sorpresa lo aspettava.
Lo aveva immaginato: la scuola aveva già avvertito sua madre per telefono di tutto l’accaduto.
Alberta, che era assolutamente contro ogni tipo di violenza, perse le staffe con il figlio.
“Io lo sapevo! La colpa è tutta dei tuoi cugini! Non hai mai fatto a botte in vita tua, cosa ti prende ultimamente?”
“Stavano maltrattando una mia amica e io l’ho difesa! Non ho ucciso nessuno, ho soltanto...”
“Non alzare la voce con me, Eustace Clarence! Non ci provare! Personalmente, non potrò permetterti di andare avanti a comportarti come un selvaggio alla stregua di tuo cugino Edmund!”
“Edmund non è un selvaggio, mamma, è solo un po’ scemo”
Ma Alberta non ascoltò e continuò a fare la tragedia greca (così diceva sempre Ed, quando sua zia faceva la finta scandalizzata).
“Quando stasera lo dirò a tuo padre…!”
Ma Harold Scrubb non parve particolarmente dispiaciuto della condotta del figlio.
“Usare la violenza non va bene, ma nemmeno prenderle dai prepotenti. Non può venir su senza spina dorsale, Alberta cara. Se si è sentito minacciato, perché non avrebbe dovuto difendersi?”
Ascoltando la conversazione dei genitori dal ciglio delle scale, Eustace si chiese per un momento cosa avrebbe detto sua madre se avesse saputo che a Narnia aveva persino impugnato una spada…anzi, che era il proprietario di una spada!
Proprio così: perché la Spada di Octesian era la sua arma, e con quella, un giorno o l’altro, avrebbe combattuto ancora per difendere la pace a Narnia.
Nemmeno a lui erano mai piaciuti i conflitti (proprio pochi giorni prima aveva sentito alla radio delle terribili notizie di nuovi bombardamenti) ma essi esistevano, e questa era la cruda realtà. Sulla Terra come a Narnia.
Lì, sul suo pianeta, era un ragazzino di quasi quattordic’anni e poteva fare ben poco, ma in quell’altro mondo era considerato più che un ragazzo, era un Lord, un Amico di Narnia, un cavaliere!
Peter gliene aveva parlato: di certo, appena Aslan li avesse richiamati, anche Eustace sarebbe stato investito di quel titolo.
Pensando a Narnia, tornò nella sua camera e decise che i compiti di scuola potevano aspettare. Aveva voglia di scrivere.
Accidenti, Lucy aveva avuto proprio ragione: lasciavi il cuore laggiù…
Afferrò la borsa dei libri e l’aprì, cercando il quaderno dove aveva iniziato a scrivere in brutta copia la storia dei cugini.
A proposito: doveva andare a comprare un nuovo nastro per la macchina da scrivere. Aveva finito l’inchiostro…
“Ma dove l’ho messo?” disse ad alta voce, svuotando l’intero contenuto della borsa sulla scrivania, mentre un dubbio atroce iniziò a far capolino nella sua testa.
No, non era possibile…
Ci stava così attento, non poteva essere che…l’avesse perso!
Se sì, dove? A scuola? Per la strada? Sull’autobus?
Calma, calma, si disse. Se qualcuno dovesse leggere la storia, non potrebbe collegare i nomi dei miei cugini a quelli dei protagonisti.
Non aveva mai parlato volentieri dei Pevensie con nessuno, neppure con Jill, per il semplice fatto che solo qualche settimana prima detestava quei quattro con tutti il suo cuore. Per parlare di loro diceva sempre ‘i miei cugini’ e basta.
I Pevensie…
Accidenti, chi li sentiva Peter, Edmund e Lucy, adesso? Si erano tanto raccomandati di tenere la cosa nascosta, di stare attenti…
Perché aveva portato a scuola quel quaderno? Perché?!
Gli parve di sentire la voce di Edmund urlare: “Perché sei un’imbecille!”.
“Eustace?” lo chiamò sua madre dal piano inferiore. “Tuo cugino Edmund al telefono”
Oh-oh.
Telepatia?
Scese le scale ed entrò in salotto. Alberta gli passò la cornetta e poi tornò alle sue faccende. Eustace deglutì un paio di volte prima di rispondere.
“P-pronto?”
“Ciao, cugino, come ti va?”
“B-bene, perché?”
“Come perché?” rise Edmund. “Certe volte sei proprio strano…Comunque, ascolta: ti telefono soprattutto da parte di Lucy, che è qui vicino a me e mi sta dando il tormento da giorni. Vorrebbe sapere – bè, tutti e tre vorremmo sapere – quando ci mandi il seguito del libro”
Eustace iniziò a sudare freddo. “Ah…sì…ecco… ahm… devo ancora sistemare un po’ di cose…ho avuto tanti compiti”
“Sì, ti capisco” disse Edmund comprensivo. “Ad ogni modo, come procede la stesura? C’è qualcosa che ancora non ti è chiaro?
Eustace rimase in silenzio un momento.
Ancora?, pensò. Aveva forse chiesto qualcosa a Edmund che non si ricordava?
“Oh, sì” rispose, spostando il ricevitore da un orecchio all’altro. “Volevo chiederti una cosa di Aslan, ma…ma non fa niente. Un’altra volta”
“Eustace, è successo qualcosa?” chiese Edmund con un tono di voce sospettoso.
“N-no, no….niente…cioè, sì. Ecco…”
Accidenti, e adesso?
Doveva dirglielo. Aveva bisogno di aiuto. Non sapeva di che tipo, ma ne aveva bisogno, e non poteva chiederlo a nessuno oltre che ai cugini.
“Edmund, se ti dico un cosa non ti arrabbi?”
Silenzio.
“Perché mi devo arrabbiare?” chiese Ed, con voce più bassa del normale.
“Io…Ho perso il quaderno con gli appunti”
Altro silenzio.
“CHE COOOSAAA?!?!?!”
Eustace allontanò il ricevitore dall’orecchio.
“Che cosa succede?” udì Lucy e Peter chiedere al fratello.
Poco dopo presero a parlare tutti e quattro assieme, facendo una gran confusione.
“Quel testa di carciofo di nostro cugino ha perso gli appunti su Narnia!”
“Che cosa?!”
“E adesso?”
“Scusate, non so come sia successo!”
“Passamelo”
“Qualcuno potrebbe scoprire tutto!”
“Mi spiace…”
“Tieni”
“Veramente io…”
“Eustace, sono Peter”
Al suono della voce del cugino maggiore, al ragazzino tremarono le ginocchia.
“C-ciao”
“Ciao, un cavolo!”
“Zitto, Ed, per favore” continuò Peter, incredibilmente calmo. “Eustace, sei proprio sicuro di averli persi?”
“Sì…”
“Hai guardato bene in camera tua?”
“No, ma non è necessario. Me li porto sempre dietro, per cui…”
“Va bene. Dove pensi di averli persi?”
“Non so… a scuola, credo”
“Pensi di poterli ritrovare?”
“Io…non lo so. Spero di sì!”
Peter non parlò per qualche secondo che al cugino parvero ore. Se Eustace avesse potuto vedere la sua espressione, avrebbe scorto sul suo viso la preoccupazione più pura.
Se qualcuno avesse letto quel quaderno e avesse capito che tra quelle righe si celava un mondo realmente esistente…cosa avrebbero fatto?
Nella migliore delle ipotesi, quel qualcuno avrebbero pensato a un gioco tra ragazzi, un racconto quale poi appariva, un’innocuità. Oppure…oppure avrebbero capito la verità, con il rischio di far cadere Narnia nelle mani di individui come lo zio del professor Digory Kirke: Andrew Ketterly.
Tanti anni addietro, quando era ancora invita, Ketterly aveva studiato l’arte della magia e aveva scoperto Narnia grazie al nipote. Come tutti gli uomini malvagi, aveva pensato di trarne vantaggio, ricchezze e fama. Si era persino alleato con la Strega Bianca! Secondo Ketterly, la scoperta di quel mondo era un evento che non si poteva tenere segreto. Ma a che prezzo lo zio di Digory avrebbe voluto divulgarne l’esistenza? Al prezzo dell’umanità corrotta, che avrebbe distrutto Narnia come stava distruggendo la Terra.
Dovevano difenderla.
“Eustace, ascoltami attentamente”
“Peter, io…”
“Trova quegli appunti. Al più presto. Non so come, o quando, o dove, ma trovali!”
Eustace tremò un poco e rispose che sì, li avrebbe trovati.
Peter non gliel’aveva chiesto da cugino. Glielo aveva chiesto da Re.



~·~





Il Gran Consiglio di Narnia era composto da dieci membri: sette Lord, il capitano delle guardie di palazzo, il Governatore o Reggente, e infine lo stesso Re.
Talvolta, a quelle sedute partecipavano anche i consiglieri del Sovrano, ovvero il dottor Cornelius e ora anche Lord Rhoop, Mavramorn, Revilian e Agoz. Inoltre, adesso che c’era una Regina, anche lei vi avrebbe preso parte, se lo desiderava.
Susan lo desiderava eccome.
Ovviamente, Erton ebbe da ridire sulla presenza dei Lord di Telmar, ma subito Lord Rhoop gli ricordò che nemmeno Galvan e Ravenlock facevano parte del consiglio.
Caspian si chiedeva quando sarebbe avvenuto il primo scontro tra i due, e ciò avvenne molto prima delle sue previsioni.
Fu durante una seduta di particolare importanza, che riguardava una questione che premeva molto a tutti: le tasse.
L’anno precedente, il regno era stato colpito dalla siccità e i raccolti erano stati poco proficui. Perciò, il Re prese in considerazione l’idea di abbassarle almeno dell’ottanta per cento, se non condonarle direttamente.
“Non possiamo chiedere alla nostra gente di dare a noi quel poco che hanno guadagnato per loro. Dopotutto, non stiamo morendo di fame”
Ma il consiglio si fece sentire.
“Sire” intervenne Lord Erton, “ ho dato ordine ai mastri armaioli di Beruna di cominciare a breve la costruzione di nuove armi e corazze. Ci servono più fondi”
“Perché avete dato un ordine simile, milord?” chiese il Liberatore. “Non siamo in guerra, né ci apprestiamo a cominciarne una”
“Bisogna sempre stare all’erta, Maestà. Ricordate sempre gli abitanti del Deserto, e quello che hanno fatto a voi e ai vostri compagni durante il vostro viaggio”
A quel punto, intervenne di nuovo Lord Rhoop. “Le vostre parole sono veritiere, Duca. Ma dimenticate che i nostri Re e Regine hanno sconfitto Calormen e il principe Rabadash nell’Oceano Orientale”
“Certamente” disse Lord Erton, sfoderando il suo solito sorrisetto ipocrita, “ma non crederete che l’Imperatore Tisroc lasci impunita la faccenda”
“Mi sembra quasi che vogliate che ci sia la guerra” aggiunse Rhoop. “E forse pensate di guadagnare molti soldi con la costruzione di nuovi armamenti”
Lord Erton lo fulminò con lo sguardo. Possibile che avesse capito?
“Inoltre, se non erro” riprese l’altro, “fin dai tempi di Caspian IX, eravate in confidenza con l’Imperatore Tisroc. Siete tutt’oggi in contatto con lui, forse? Avete preso qualche accordo con i nostri nemici all’insaputa del Re? State complottando contro la corona?”
“Come osate!” tuonò Erton, schizzando in piedi.
Iniziarono a discutere animatamente, finché non alzarono troppo la voce e Caspian intervenne, ponendo fine al confronto.
“Ora basta, signori, vi prego”
Non voleva parteggiare per nessuno dei due, anche se non poté fare a meno di pensare che se mai fosse stato costretto a scegliere, Lord Rhoop avrebbe avuto la meglio sull’altro.
Ma non poteva. Doveva essere neutrale.
I due uomini si risedettero sotto gli sguardi sbalorditi di tutti.
Per un momento, Erton aveva temuto che Lord Rhoop potesse aver capito qualcosa di molto più importante del suo volersi intascare parte dei tributi del popolo. Credeva avesse scoperto il suo coinvolgimento nell’assassinio del padre del Re.
I Lord di Telmar avevano sempre sospettato di lui, ed Erton aveva immediatamente intuito che l’averli di nuovo a palazzo costituiva un pericolo per quel suo gigantesco ed inconfessabile segreto.
Ma anche se Rhoop e gli altri avessero ritirato fuori questa storia dopo tanti anni, cosa potevano fare? Cosa potevano ottenere?
Erton era stato solo l’istigatore dell’assassinio. Aveva agito restando seduto nel suo castello, a Beruna. In concreto non aveva fatto nulla. Non aveva versato lui il veleno nel calice di vino di Caspian XI, era stato Miraz. Lui aveva solo procurato il necessario tramite….ebbene sì, tramite le sue conoscenze a Calormen.
Tirò un sospiro e si calmò. Dopotutto, pensò, sotto il regno di Caspian X non aveva ancora fatto un passo falso, non c’erano scuse valide per rivangare una storia accaduta ormai dieci anni fa, e della quale nessun narniano o telmarino voleva sentir parlare.
Erano stati tempi veramente bui...
“Non stavamo facendo un altro discorso?” riprese Briscola. “Stavamo parlando di tasse, non di guerre, che per grazia di Aslan non sono all’orizzonte”
“Giusto, Governatore, giusto” disse uno dei lord. “Parliamo delle tasse. Calormen per adesso non c’interessa affatto”
Caspian rimise allora la decisione nelle mani di tutto il consiglio. (Cornelius, Rhoop e gli altri non votarono, erano ’solo’ consiglieri).
Ognuno disse la propria, chi pro e chi contro. Finirono in parità.
A quel punto, il Liberatore si alzò dal suo posto con un sorriso e si rivolse a tutta la sala. “Siamo in parità, a quanto pare. Cinque voti per la remissione delle tasse, cinque per l’aumento. Per decidere ci serve un ultimo voto”
Tutti parvero stupiti.
Il Re si volse alla sua destra e sorrise. “Susan, tu che ne pensi?”
La Regina Dolce, che era rimasta pazientemente in silenzio fino a quel momento anche se avrebbe voluto dire più volte la sua opinione, si alzò e si mise al fianco del marito.
Era la prima volta che parlava davanti al consiglio, ed era piuttosto nervosa.
“Miei signori, io mi rifaccio alle leggi della Grande Magia, le stesse che il Grande Imperatore d’Oltremare, padre di Aslan, incise all’inizio dei tempi sulla Collina Segreta”
“E cioè?” la sfidò Lord Erton.
“Cioè” gli rispose Caspian, “quelle che tutti voi qui presenti dite di conoscere alla perfezione, ma evidentemente non è così”. Il Re prese a camminare in cerchio attorno al tavolo. “Come ho già ripetuto molte volte – e mi auguro che questa sia l’ultima – è mio volere correggere le leggi che Telmar ha imposto su Narnia durante il suo dominio. Un tempo, qui non venivano richieste tasse fisse. Gli abitanti di Narnia pagavano i tributi volontariamente, riconoscendo la sovranità di Aslan e dei Re e delle Regine ch’egli incoronò con il susseguirsi dei secoli. Tutti davano secondo quello che potevano: chi aveva poco, dava poco; chi aveva la possibilità di dare di più, dava di più”.
Caspian si fermò, ritornando al suo posto accanto a Susan.
“Pertanto, signori miei, da oggi in avanti la nostra gente ci darà secondo il volere del proprio cuore, manifestando in questo modo la fedeltà e il loro affetto per noi”
“Non sono affatto d’accordo!” esplose Lord Galvan. “Vi aspettate davvero che quelle bestiacce puzzolenti vi paghino i tributi se non sono costrette a farlo?”
“Ritirate immediatamente quel che avete detto!” esclamò Susan indignata. “Come vi permettete di parlare in questo modo delle creature di Aslan!”
“Io non ho ancora sentito il parere della Regina, però” disse Lord Erton a voce ancora più alta. “Sire, le avete fatto una domanda ed ella ha raggirato il discorso”
Il Duca guardò la ragazza negli occhi, ma lei sostenne il suo sguardo.
“La mia parola e quella del Re sono una” disse Susan. “Sono per la totale remissione delle tasse e per la reintegrazione della legge della Grande Magia, che esonera qualunque abitante di Narnia dall’obbligo di pagamento non volontario. Come ha detto Caspian, i nostri sudditi contribuiranno al bene del regno se amano Narnia”
Ci fu un mormorio, di assenso e di dissenso. Ma la riunione si concluse lì.
“Non capisco” disse Susan alle sue ancelle, quando tornò nelle proprie stanze. “Nel mio mondo, le persone farebbero i salti di gioia se sapessero di poter pagare le tasse in questo modo, dando quel che possono e non costrette a versare cifre che non riescono a coprire col proprio guadagno”
“Maestà, io non so niente di queste cose” disse Tara, mentre l’aiutava a districare la complicata pettinatura, “ma vedrete che la decisione che avete preso insieme al Re si rivelerà la più saggia”
“Grazie, sei molto gentile”. Susan le sorrise e poi ebbe un improvviso sussulto.
“Vi sentite bene, Maestà?”
“Sì…” la Regina sorrise ancora, portandosi una mano al ventre. “Si muove…” mormorò.
“Ooohhh!!! Davvero?” esclamò Tara, emozionata. “Miriel, Clipse, venite! Il bambino si muove!”
Si strinsero tutte e te attorno a Susan, ma niente. Il piccolo si era calmato.
Bussarono alla porta e la guardia annunciò l’arrivo del Re.
Quando Caspian vide le damigelle tutte attorno alla Regina, si allarmò un poco. “Che cosa succede?”
“Vieni” gli disse subito Susan, alzandosi dalla specchiera e andandogli incontro. Le altre li lasciarono subito soli, spostandosi nella stanza adiacente.
La Dolce afferrò la mano del Liberatore e la posò sul suo grembo. “Ascolta”
Rimasero in silenzio alcuni istanti, in attesa.
Caspian spalancò un poco gli occhi scuri quando percepì sotto il palmo della propria mano il movimento del bambino. Il primo contatto, il primo segno della sua piccola vita.
Il Re e la Regina si guardarono negli occhi per un momento interminabile. Lei sorrise, mentre il giovane era senza parole.
“E’ una sensazione stranissima” commentò.
“Anche per me” ammise Susan. “Ma è bellissimo”
Lui la prese tra le braccia e la baciò. “E’ tutto meraviglioso. Nessuno al mondo è più felice di me in questo momento”
Susan gli rivolse un sorriso radioso, e quando lui s’inginocchiò davanti a lei e posò il viso sul suo ventre, gli accarezzò i capelli.
“Credi che possa sentirmi?” le chiese Caspian.
“Non lo so, ma spero tanto di sì”
Il Liberatore baciò il ventre di lei coperto dall’abito di seta, chiuse gli occhi e vi posò di nuovo una guancia. “Ciao, piccolo mio” mormorò. “Mamma e papà ti aspettano”
Il cuore di Susan esplose di gioia.


In seguito all’ultima seduta del Gran Consiglio, Lord Erton e sui scagnozzi furono costretti per forza di cose a tornarsene a Beruna per fermare la produzione delle armi. E finalmente, Susan poté tirare un sospiro di sollievo.
In realtà, tutta la corte stava meglio senza qui tre in giro per il castello.
“Sono come un trio di avvoltoi impagliati” disse la Dolce il giorno della loro partenza.
A quella frase, Caspian non poté trattenersi e scoppiò in una risata.
“Ti ha fatto così ridere?”
“Sì” ammise lui, cercando di calmarsi. “Mi sto immaginando Lord Erton e i suoi con teste di uomo su corpi di avvoltoi, magari appesi a qualche parete”
Anche Susan rise. Rise come non faceva da mesi. Spontanea, gioiosa, senza un pensiero. Ora che quell’orribile uomo se n’era andato, poteva godere appieno della sua nuova vita…almeno per un po’.
Tutti notavano il suo cambiamento. Susan appariva diversa agli occhi di chi, come Briscola o Cornelius, l’aveva conosciuta come la ragazza introversa quale era stata durante la Guerra della Liberazione. Traspariva felicità, si sentiva più forte, fisicamente ed emotivamente. Si sentiva libera e si muoveva respirando a fondo l’aria di Narnia, che rendeva il suo cuore forte e gioioso.
La nuova Narnia, (la Narnia di Caspian, così le piaceva chiamarla), le dava molto da fare. C’era tanto per lei da imparare, anche se si sarebbe detto il contrario, ma Susan era vissuta in un epoca lontana, e non conosceva le usanze del tempo in cui viveva ora.
Doveva ancora intestarsi i nomi di tutti i lord e delle dame. Inoltre, si occupava dell’arredo delle stanze del bambino e di tutto il suo corredo. Aiutava il marito a decifrare gli antichi manoscritti del dottor Cornelius sulla Grande Magia poiché, talvolta, le conoscenze di Caspian si fermavano a ciò che aveva appreso dai suoi studi, mentre lei aveva assistito personalmente all’ordinanza e all’applicazione di alcune delle leggi riportate.
Il Liberatore l’ascoltava attento e la coinvolgeva praticamente in ogni cosa, senza farla mai stancare troppo, divenendo però meno apprensivo nei suoi confronti rispetto a qualche tempo prima.
Non litigavano quasi mai. Sembravano riuscire a decidere tutto con tale spontaneità e armonia da far quasi ammalare Lord Erton di nervi.
Caspian e Susan non sapevano che il Duca seguiva ogni loro mossa grazie a degli informatori ingaggiati tra le servitù di palazzo. Voleva essere sempre informato di tutto quello che i due Sovrani facevano, di qualsiasi cambiamento o novità, importante o meno.
Purtroppo per lui, le cose andavano fin troppo bene.
Le lettere che gli vennero recapitate nei mesi successivi, parlavano sempre di quanto Caspian il Liberatore e Susan la Dolce stessero dirigendo il regno di Narnia verso quella che il popolo già chiamava la nuova Epoca d’Oro. E gran parte del merito, oltre che al Re, andava alla Regina.
Il Re era amato dai suoi sudditi perché aveva riportato il regno all’antico splendore di un tempo. Grazie a lui, le creature magiche erano tornate libere. Caspian aveva ricostruito Cair Paravel, ripristinato le leggi della Grande Magia e sposato Susan, la Dolce Regina di Narnia.
Il popolo l’amava non solo perché era una degli Antichi Sovrani, ma perché era buona e sensibile.
La metà perfetta di Caspian.
Fu Susan a ideare la costruzione del primo vero ospedale. Fu Susan a insistere perché venissero fabbricati dei Mappamondi, e che gli studiosi più dotti spiegassero che il mondo è rotondo, e non quadrato. E fu sempre Susan a versare tante lacrime per l’orco Testapiatta, il quale derubò le fattorie attorno a Cair Paravel del già misero raccolto dell’anno precedente. Susan pregò le guardie che lo risparmiassero poiché, a conti fatti, l’orco era solo un gran ghiottone e non aveva mai avuto intenzione di fare male a nessuno. E l’orco Testapiatta – grosso e molto brutto, ma di cuore tenero – era rimasto così colpito da quella cara fanciulla, la prima in assoluto che aveva versato lacrime per lui, da restituire l’intero bottino.
Così, i soldati l’avevano lasciato andare.
Pochi giorni dopo, però, davanti al portone del castello e alle porte di tutte le case e fattorie della città, i narniani trovarono grossi sacchi colmi di ogni ben di Dio. Evidentemente, nella sua caverna, l’orco nascondeva un gustoso tesoro.
Dopo quelle notizie, i timori di Lord Erton divennero concreti: la Regina era riuscita ad arrivare vicina all’orecchio del Re più di quanto ci fosse mai riuscito lui. E chissà cosa mormorava alle sue spalle!
Una donna! Puah! Le donne secondo lui erano buone soltanto a intrecciarsi i capelli, truccarsi, e sfoggiare abiti e gioielli costosi.
Povero Duca, quanto si sbagliava…
Ma se Lord Erton si rodeva il fegato al pensiero che ormai il regno non era più in mano sua, Susan e Caspian gioivano del periodo più felice della loro vita.
Era stato quello il momento in cui la Regina Dolce aveva ricominciato a credere alle favole. Il momento in cui, quando guardava il suo riflesso nel grande specchio della sua stanza cambiare giorno dopo giorno, scopriva che tutte le sue paure ed insicurezze erano sparite, rimaste laggiù, sul fondo dell’Oceano Orientale.
Era stato il momento in cui la neve aveva cominciato a sciogliersi e gli animali più pigri avevano messo fuori le teste dalle loro tane. Il momento in cui aveva guardato in alto ed era stata accecata dalla luce del sole tiepido. Solo per un istante. Istante in cui tutto ciò che aveva sempre sognato di avere nella vita, che non aveva mai avuto, che le era stato sottratto – la felicità, la libertà, l’amore – era giunto a lei tutto in una volta solo grazie a lui.
Era stato il giorno in cui la sua fiaba, il suo sogno, aveva superato ogni possibile aspettativa: quando Caspian si presentò a lei e si inginocchiò, chiedendole ancora una volta di sposarlo, mettendole al dito un anello d’argento con uno zaffiro al centro.
“Perché il blu è il tuo colore. Il blu mi ricorda te” disse il Re, rialzandosi e asciugando le lacrime di gioia dal viso di lei. “Blu come le tue rose, come il tuo fiore, come i tuoi occhi”
“Non…” cercò di dire Susan, il cuore in gola. “Non sono blu… i miei occhi”
Caspian alzò gli occhi al cielo con fare scherzoso. “Perché devi sempre essere così pignola?”
Susan rise tra le lacrime, e un attimo dopo si lasciò stringere tra le braccia di lui e gli offrì le labbra, senza riserve.
“Non ho ancora pensato ad una data precisa” disse il giovane. “Ma un anello di fidanzamento ci voleva, non credi?”
“Va bene, va benissimo. Non importa” rispose lei, senza poter smettere di guardarlo. “Ti amo, Caspian”
Il sorriso di lui era uguale al fulgido splendore del sole. “Dillo ancora”
“Ti amo, ti amo, ti amo!” esclamò la fanciulla, abbracciandolo e baciandolo ancora e ancora.
“Dì la verità” disse il Re facendo un sorrisetto, “sei felice solo perché ti ho regalato un anello”
La Dolce si separò da lui e lo guardò sdegnata. “Ma Caspian! Come puoi pensare una cosa simile?!”
Caspian rise e le accarezzò i lunghi capelli castani. “Sto scherzando, Sue”
“Oh…uff…” lei fece un piccolo broncio. “Sei cattivo. Mi prendi sempre in giro”
“Ti sei offesa?”
“Mmm….no. E’ che non riesco mai a capire quando fai sul serio oppure no”
“Ma come? Non mi conosci ancora? Lo sai che adoro stuzzicarti, pesciolino”
Susan fece una linguaccia scherzosa e lui rise ancora.
Non aveva mai smesso di chiamarla pesciolino, e non avrebbe smesso mai, nemmeno negli anni a venire.
Ah! Quello fu anche il periodo nel quale, dopo aver scoperto tutte queste cose ed essendo allergico alla felicità altrui, a Lord Erton rischiò di venire un’accidenti.
Ma questo è un aneddoto insignificante e di certo non interessa a nessuno…



Alla fine di marzo, quando le giornate si erano ormai fatte più lunghe e sempre meno fredde, Caspian e Susan scendevano volentieri in città, passeggiando per le campagne o per le vie del mercato. Quando questo succedeva, una discreta folla li seguiva dappertutto ma senza infastidirli.
I bambini giocavano ad essere tutti piccoli Re e Regine. Le ragazze sognavano nel riflesso del loro amore. Sospiravano al passaggio del Re, così bello e vigoroso, e desideravano essere come la Regina, per poter apparire cortesi e aggraziate come lei agli occhi dei loro innamorati. A loro volta, i ragazzi ammiravano il Sovrano per la sua gentilezza e il coraggio, prendendolo ad esempio per far breccia nei cuori delle fanciulle a loro care.
Caspian adorava sempre la sua Susan. La rotondità ormai evidente del suo ventre non sminuiva l’armonia di quel corpo, semmai l’accresceva. E questo dipendeva soprattutto dal fatto che i suoi occhi splendevano più dell’aurora ogniqualvolta parlava del suo bambino.
Caspian aveva veduto molte donne in dolce attesa (ad esempio sua zia), ma molte di loro tendevano a nascondere la propria gravidanza quasi se ne vergognassero, coprendosi con ampi mantelli e scialli.
Susan no.
“Un figlio è il dono più grande che il cielo possa fare ad una donna” diceva con orgoglio.
Le donne l’ammiravano per questo, e gli uomini dicevano a lui che era fortunato ad averla al suo fianco.
Ma Caspian già lo sapeva, non c’era bisogno che glielo ripetessero.
“L’amo ogni giorno di più, caro dottore” confidò il Re al suo precettore. “E’ incredibile, eppure possibile.”
“Erano anni che non vi vedevo così sereno, mio Re” confessò Cornelius. “Da quando…”
Caspian sorrise amaramente. “Da quando i miei genitori sono morti”
“Perdonatemi, Maestà”
“Nulla, caro dottore. Sapete, una volta la Regina mi disse che, forse, sia io che lei abbiamo dovuto rinunciare alle nostre famiglie per costruirne una nostra. Credo che sotto un certo aspetto sia vero. Nonostante tutto, sono felice”
In quei giorni, ricorreva l’anniversario della morte dei genitori del Liberatore. Susan aveva notato l’incupirsi del suo viso, il sorriso attenuarsi, ma non aveva saputo spiegarsi il motivo di quell’improvvisa tristezza.
La mattina della ricorrenza del tragico fatto, ignara di tutto, la Dolce entrò nel salotto privato delle stanze reali per fare colazione con suo marito, portando con sé un mazzo di viole, crocus, e anemoni.
“Guarda che meraviglia!”. La fanciulla si avvicinò al tavolo e vi poggiò sopra il mazzolino di fiori, togliendo dal vaso quelli ormai appassiti. “Pensavo potessero abbellire la tavola. Ti piacciono?”
Non sentendolo rispondere subito, si volse verso di lui e una certa ansia iniziò a salirle in petto.
“Caspian?”
Il Re le dava le spalle, affacciato alla finestra. “Sì…scusami…” mormorò, passandosi velocemente una mano sul volto.
A Susan quel gesto non sfuggì. Osservò per un momento il profilo della schiena di lui, poi gli si avvicinò, piano.
“Caspian…” lo chiamò ancora, cercando di guardarlo in viso.
Ma il giovane si volse dalla parte opposta. Allora, lei gli sfiorò una guancia con una mano, dolcemente, facendolo voltare verso di sé.
“Amore, cosa c’è?!” esclamò allarmata, vedendo il suo bel viso contratto dal dolore. Un dolore così profondo che anch’ella si sentì serrare il cuore in una morsa. “Che succede?!”
“Perdonami se non ti ho messa al corrente prima” iniziò lui senza guardarla, deglutendo. “Oggi è…oggi è il decimo anniversario della morte dei miei genitori”.
Gli occhi di Susan si riempirono di pianto. Non disse nulla, non trovava parole abbastanza adatte. Forse non esistevano parole adatte.
“Sue, io…” mormorò il ragazzo, serrando poi le labbra e cercando di trattenere tutta la sofferenza dentro di sé.
“Sfogati” disse lei, semplicemente.
E allora, Caspian la prese tra le braccia e pianse. Pianse come lei non si sarebbe mai aspettata. Immediatamente, lo strinse forte a sua volta, più che poté, accarezzandogli i capelli. Sedette insieme a lui sul divanetto sotto la finestra, senza lasciarlo mai.
Pensò che anche lei aveva perso i suoi genitori, ma non era la stesa cosa: mamma e papà erano vivi, e se Aslan l’avesse voluto, un giorno si sarebbero potuti ritrovare. Invece Caspian…
“Mi dispiace” mormorò appena al suo orecchio. Le sembrava così poco… ma non sapeva assolutamente cosa fare.
“Perché non riesco ad accettarlo? Perché il ricordo è ancora così vivo?!”esclamò il giovane, la voce roca.
“Ssshhh…” fece lei, continuando ad accarezzarlo, a sussurrargli, posandogli piccoli baci sulle guance, sulla fronte, sugli occhi. “Sta tranquillo. Sono qui con te”
Per una volta fu lui ad aggrapparsi a lei, a chiedere il suo sostegno senza riserve, senza vergognarsene, anche se era un uomo e un Re.
Quando si calmò, abbassò il capo e strinse le mani di Susan nelle sue.
“Grazie” sussurrò appena.
Lei liberò una mano dalle sue, gli accarezzo il viso, e ancora i capelli. Continuò a guardarlo, finché anche Caspian non alzò lo sguardo e i loro occhi s’incontrarono.
Deboli lacrime silenziose iniziarono a solcare le guance della Regina Dolce. Il Liberatore se ne accorse.
“Non volevo rattristarti”
Susan si protese verso di lui e lo baciò piano sulle labbra. Lui la strinse un poco di più e appoggiò la fronte a quella di lei, chiudendo gli occhi.
La fanciulla gli prese il volto tra le mani e lo accarezzò ancora. “Perché non me lo hai detto?”
“Volevo vivere il mio dolore in solitudine, come sempre” confessò il Re. “Non sono abituato a condividere le mie sofferenze. E tu sei così felice che io non ho voluto…” s’interruppe un momento, fece un sospiro e chiuse ancora gli occhi, assaporando la sensazione delle carezze di lei.
Non aveva mai parlato a nessuno di come si sentiva in quei momenti, ma a Susan era pronto ad aprire totalmente il suo cuore.
“Anno dopo anno, non c’era nessuno a dividere questi istanti insieme a me, eccetto il dottor Cornelius. Ma io mi nascondevo anche da lui. Non volevo mi vedesse piangere. Non volevo mostrarmi debole”
“Tu non sei debole. Erano i tuoi genitori! Non pensare mai di essere debole.”
Caspian sorrise lievemente e Susan percepì alleviarsi la morsa che le aveva stretto il cuore alla vista delle lacrime di lui.
“Non lo penso” disse il giovane. “Ho paura che gli altri lo pensino. Non è da Re”
“Ma è da essere umano” ribatté lei. “Se non piangessi, significherebbe che non hai emozioni. Tutti piangono, perché tutti hanno emozioni, e tutti soffrono nella vita prima o poi”
“Ora sai davvero tutto di me. Non ho più segreti” disse lui, facendole a sua volta una carezza tra i capelli, sfiorando i petali blu del suo fiore.
“Ne sono felice” sorrise la fanciulla, poi tornò molto seria. “Caspian, vorresti portarmi da loro, un giorno?”
Lui la fissò per alcuni secondi.
“So che i tuoi genitori sono sepolti a Telmar, e io vorrei…vorrei fargli visita”
Lui le prese le mani e ne baciò il dorso più volte. “Ti prometto che appena sarà possibile ti ci porterò. Grazie, Susan. Grazie, amore mio”
“Caspian” fece lei, piano, guardandolo negli occhi. Gli strinse le mani. “Prega con me. Preghiamo per loro…”
Restarono seduti a lungo accanto alla finestra, Susan lo lasciò sfogare, parlando a lungo con lui. Così a lungo da non rendersi conto di aver perso le prime udienze del mattino.
“Il Re è indisposto”, fu la giustificazione della Regina per i nobili.
Avrebbe voluto sostituirlo, ma Caspian non glielo permise.
“So che ne saresti in grado, amore mio, ma vorrei che…Susan, rimani qui con me”
“Certo che rimango”. Lei non lo aveva mai visto così triste e ne fu molto turbata. Gli prese il viso tra le mani e gli baciò teneramente le guance. “Se hai bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, lo sai che io sono qui per te”
Anche i lord e le dame si preoccuparono, ma compresero: tutti sapevano quale mesto giorno era quello per il Liberatore.
Fu una giornata lunga e tetra.
Scoppiò il primo temporale di primavera e durante l’acquazzone, Caspian era fuori a cavallo. Non aveva messo al corrente nessuno di questa sua decisione, venuta d’impulso, come sempre nei momenti più difficili. Correre sulla groppa di Destriero e vedere il mondo svanire attorno a sé, come ogni preoccupazione, lo aiutava a non pensare. Certe volte funzionava, altre no.
Susan, preoccupata come mai in vita sua, avrebbe voluto correre a cercarlo. Ma si rendeva conto di non poterlo fare, non al sesto mese di gravidanza. Non poteva uscire a cavallo sotto la pioggia.
“Andrò io” disse Emeth.
“Vi accompagnerò” disse Tempestoso.
A loro si unirono i tre figli del Centauro e altri volontari. Ma non fecero tempo a sellare i cavalli che Caspian era di ritorno.
Il Liberatore rientrò con Destriero che era già buio. Era fradicio, ma Susan gli corse incontro e non si preoccupò di sgualcire i begli abiti che indossava mentre lo abbracciava. Voleva solo stringerlo a sé.
“Non farlo mai più!” gridò, veramente arrabbiata. “Non puoi uscire quando ti pare! Devi dirmi dove vai, hai capito?! Se ti fosse successo qualcosa, se fossi rimasto ferito o…”. Represse un singhiozzo e lo lasciò andare.
“Scusami” fu l’unica parola di lui, mentre la guardava con occhi mortificati da dietro la frangia scomposta.
“Fila a farti un bagno o ti prenderai un malanno” gli disse ancora la Dolce, cercando di essere severa ma senza riuscirci molto bene.
“Cos’ha il Re?” chiese poco dopo la piccola Clipse.
“Ha che è stupido” commentò Emeth, mentre rientravano tra le calde mura del castello e attraversavano i corridoi, ognuno diretto ai propri alloggi.
“Non puoi parlare così del Re!” esclamò Tara sconcertata.
“Pensavo la stessa cosa qualche mese fa, ma non è solo il mio Re, è anche mio amico e a volte le critiche costruttive sono utili”
“Quindi gli dirai che è uno stupido se sta soffrendo per la perdita dei suoi genitori?” intervenne Miriel, con voce asciutta.
Emeth non rispose.
“E’ un giorno particolare per lui” continuò la Driade. “Non dovremmo giudicare le sue azioni, anche se sconsiderate. Non sappiamo cosa può provare”
“Forse no” disse il soldato, “ma Susan ha ragione: non può fare di testa sua solo perché è un giorno particolare. Poteva sul serio accadergli qualcosa di grave nella foresta”
“Ma le foreste di Narnia sono sicure” ribatté Tara.
“Non sto parlando degli abitanti delle foreste, degli animali o degli alberi. So bene che non farebbero mai del male a Caspian, ma…se il Re dovesse incontrare qualcun altro in quei boschi…”
“Che cosa vuoi dire?” chiese la Driade con espressione cupa.
“Forse, quel che ha detto Lord Erton a proposito di Calormen, potrebbe…” fece Emeth, un poco titubante. “Non pensate che potrebbe essere vero?”
Le altre lo osservarono attentatamene per qualche secondo, fermandosi alla curva del corridoio che divideva l’ala ovest dall’ala est.
“Stai dicendo che Calormen potrebbe attaccare Narnia?” chiese Miriel, cercando di misurare le parole. Stava per affrontare un tema che toccava l’amico da vicino.
Tara e Clipse li osservarono molto incuriosite. Conoscevano la storia del principe Rabadash, dell’Occhio di Falco, eccetera eccetera, ma erano desiderose di sapere di più su Emeth e la sua personale vicenda.
“Miriel” riprese il ragazzo, “temo che prima o poi Tisroc verrà a riscuotere la sua rivincita. Se dovesse accadere e Caspian agisse di testa propria, per difendere Narnia, Susan o uno di noi, io non so cosa potrebbe succedere”
La fanciulla tremò appena, posandosi una mano sul cuore. “Non può succedere. Lord Erton l’ha detto solo per mettere in difficoltà il Re. Nient’altro, Emeth”
Lui la fissò dritto negli occhi con espressione molto seria. “Ne sei davvero convinta? Io non ho mai frequentato molto il palazzo di Calormen, per cui non so che cosa accadeva al suo interno o le persone che lo frequentavano, ma se quella del Duca non fosse un’insinuazione? Se anche Lord Rhoop avesse ragione? Se Lord Erton conoscesse davvero l’Imperatore Tisroc?”





Salve a tutti cari lettori!
Perdonate di nuovo il ritardo di questo capitolo…so che aspettate gli aggiornamenti nel fine settimana, ma credo di dovervi dire che da ora in avanti, l’appuntamento con Night&Day si sposterà tra lunedì e martedì, causa impegni autrice durante il weekend.
Comunque sia, voi controllate la mia pagina facebook Chronicles of Queen
, ok?

Allora allora….vi è piaciuto questo quarto capitolo? Quotidianità e problemi differenti in entrambi i mondi tra i quali si svolge la nostra storia. Spero di non aver corso troppo con lo svolgersi degli avvenimenti a Narnia, ma il tempo deve scorrere abbastanza in fretta per riuscire ad arrivare al punto in cui la trama entrerà nel vivo!

MI SERVE IL VOSTRO AIUTO: cercate la foto di un anello che rispecchi la descrizione fatta nel capitolo: argento e zaffiri. Quello che mi piacerà di più sarà l’anello di fidanzamento ufficiale della nostra Susan!!! Fate con calma, non è una gara! ;)

Ringraziamenti:

Per le preferite:
aleboh, Angel2000, EstherS, Expecto_Patronum, Fly_My world, Francy 98, HikariMoon, Jordan Jordan, Joy_10, katydragons, lullabi2000, Mia Morgenstern, Muffin alla Carota, Mutny_Hina, piumetta, Queen Susan 21, Shadowfax, TheWomanInRed e Zouzoufan7

Per le ricordate: Cecimolli

Per le seguite: Babylady, Cecimolli, ChibiRoby, cleme_b, FioreDiMeruna, Fly_My world, GossipGirl88, JLullaby, Jordan Jordan, Joy_10, Judee, Mia Morgenstern, Min_Jee Sun, niky25, Omega _ex Bolla_ , piumetta, Queen Susan 21, Revan93 e Shadowfax

Per le recensioni dello scorso capitolo: aleboh, cleme_b, FioreDiMeruna, HikariMoon, Joy_10, piumetta, Queen Susan 21, e Shadowfax

Angolino delle anticipazioni:
Pianeta Terra: vedremo come si risolverà la faccenda degli appunti perduti. Jill scoprirà il segreto di Eustace?
Narnia: abbiamo lasciato Emeth e Miriel preoccupati per una possibile alleanza tra Erton e Tisroc: scopriremo cosa c’è sotto davvero.
E i nostri Suspian? Per loro si avvicina un avvenimento importantissimo!!!


Perfect! Per questa settimana è tutto, cari amici! Aspetto i vostri commenti.
Un bacio e grazie a tutti!!!
Vostra Susan♥

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Capitolo 5
*** capitolo 5: Luce e Speranza ***


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5. Luce e Speranza
 
 
Quando c'è l'amore, inizia la vita
Salva questa notte, salva questo giorno
Salva il tuo amore , accada quel che accada
L'amore vale tutto ciò che paghiamo


 
 
Il primo giorno di Eustace in veste di guardia del corpo fu un totale fallimento.
Era troppo preoccupato di ritrovare i suoi appunti su Narnia che quasi dimenticò di essere stato lui stesso a proporre quell’idea e quasi non si curò della sua protetta.
Dal canto suo, Jill non era ancora del tutto convinta che girare per scuola con la scorta fosse la soluzione migliore, e fu sollevata nel constatare che Scrubb non aveva intenzione di dare troppo nell’occhio. Già le pareva di sentire i commenti sciocchi delle sue compagne mentre alludevano a Eustace come il suo ragazzo.
No grazie.
Purtroppo però, a causa della distrazione di Eustace, per poco non cadde di nuovo vittima di un brutto tiro dei bulli.
Accadde mentre si trovavano fuori per la ricreazione.
Alcuni compagni giocavano con l’ultima neve rimasta. La pioggia caduta durante la notte ne aveva sciolta parecchia e si erano formate diverse lastre di ghiaccio sulla pavimentazione del cortile.
Anthony Spivvin (quel giorno con un aspetto ancor più inquietante, con il naso steccato e due grossi lividi sotto gli occhi) e suo fratello Greg, volevano attaccare Eustace e Jill alle spalle. Avevano preso la rincorsa con due ghigni malefici stampati in viso, ma all’ultimo momento Eustace si era voltato e con un colpo solo aveva messo ko i due gemelli, i quali fecero un ruzzolone stratosferico su una lastra di ghiaccio.
O almeno, fu quel che pensarono loro.
Frastornati e doloranti, si erano poi rialzati in tutta fretta ed erano corsi dal loro capo.
“Non possiamo affrontarlo, Carter. Scrubb è un professionista di arti marziali! Avresti dovuto vedere come ci ha atterrati!”
In realtà, non era andata affatto così. Eustace era semplicemente scivolato a sua volta su un lastrone, agitando le braccia come un polipo per mantenere l’equilibrio, colpendo gli Spivvin. Aveva veramente messo al tappeto i due delinquentelli, ma per un puro colpo di fortuna, ed era rimasto in piedi semplicemente perché si era aggrappato a Jill.
“Accidenti, Scrubb, ma si può sapere che ti prende oggi?” gli chiese lei, aiutandolo a rimettersi dritto, dopo che Anthony e Greg se ne furono andati.
“Scusa, sono un po’ sovrappensiero”
“Sì, questo l’ho notato. C’è qualche problema?”
“No, no” disse Eustace, sistemandosi la giacca. “Rientriamo in classe prima che a quelli venga voglia di riprovarci”
Jill sorrise compiaciuta. “Oh, non credo. Non hai visto le loro facce? Cominciano a temerti sul serio”
“Sì? Bè, dovrebbero, perché io sono un grande combattente”
Jill rise ancora.
D’un tratto, quando furono vicino alla porta di servizio, lui si fermò.
Lei si voltò e lo vide percorre con lo sguardo quel tratto di cortile. Si guardava attorno, per terra, alle spalle.
“Hai perso qualcosa?” gli chiese, poiché le sembrò proprio così.
“In realtà sì” le rispose il ragazzo.
“Ti aiuto a cercarla se vuoi. Dimmi cos’hai perso”
“Uhm…una cosa…”
Eustace restò sul vago e Jill inarcò un sopracciglio.
“Va bene, ma cosa?”
Se Peter e gli altri fossero stati lì, gli avrebbero sicuramente detto di tenere la bocca chiusa, ma Eustace pensò che se Jill lo avesse aiutato, avrebbe fatto molto più in fretta a ritrovare quel quaderno.
 “Non so se posso dirtelo, Pole, ma se tu volessi darmi una mano lo apprezzerei”
“Scrubb, come posso aiutarti a cercare quel che hai perso se non so che aspetto ha?”
Effettivamente aveva ragione, pensò lui.
“E’ che sarebbe un segreto”
Le orecchie di Jill si drizzarono all’improvviso.
Un segreto?
Provò un brivido elettrizzante lungo la schiena. Le piacevano i segreti.
Osservandola attentamente e misurando le possibilità, Eustace pensò che Jill Pole non era un’impicciona, non avrebbe fatto un mucchio di domande.
Infine si decise.
“E’ un libro. Cioè, un quaderno”
“Un quaderno?” ripeté lei, improvvisamente agitata.
Era forse lo stesso che lei aveva recuperato e letto senza permesso? Ma certo che sì, non potevano esserci dubbi. “Esatto” proseguì Eustace. “E’ stato ieri, proprio qui. Ti ricordi? Ci siamo scontrati in questo punto e mi è caduta la borsa dei libri”
“Certo che mi ricordo”
Anche la ragazza si guardò attorno, osservando il punto in cui era scivolata nella neve il giorno prima, dove ora non c’erano altro che impronte infangate sull’asfalto.
Si sentì malissimo al pensiero di aver ficcato il naso in qualcosa che non la riguardava affatto, e ancor di più in qualcosa che – scopriva ora – era probabilmente un segreto di grande importanza. Doveva esserlo, o Scrubb non sarebbe stato così preoccupato. Ed ecco anche perché quel giorno era così distratto.
Si schiarì la voce e fece un passo verso di lui.  “E’ un quaderno giallo?” chiese, a voce più bassa del solito.
“Sì!” esclamò Eustace. “Come fai a saperlo? Lo hai visto? Qualcuno l’ha preso?” domandò freneticamente.
“Sì, l’ho visto. Ma non ci sarà bisogno di cercarlo”
Eustace aggrottò la fronte, perplesso. “Perché?”
“Perché ce l’ho io”
Jill restò ferma a fissarlo per qualche secondo. Avrebbe voluto riconsegnarglielo subito quella mattina, appena arrivati a scuola, ma non aveva potuto. Perché? Per il semplice fatto che non sapeva come fare a dirglielo senza rischiare che lui si arrabbiasse. Eustace era un tipo a cui non piaceva che gli altri ficcassero il naso negli affari suoi.
Il ragazzo rimase un poco stupito da quella rivelazione, ma subito dopo si sentì sollevato al pensiero che fosse stata proprio Jill a trovarlo. Almeno, non era in mani sbagliate.
Improvvisamente, però, ricordò ancora una volta le tante raccomandazioni dei cugini: non mostrarlo a nessuno, non farlo leggere a nessuno, tienilo sempre nascosto, non portarlo in giro.
E se Jill invece lo avesse aperto e lo avesse letto? Allora avrebbe dovuto ricredersi sul suo conto, e cominciare a pensare che fosse una ficcanaso.
“Ce l’hai tu?” scandì Eustace molto lentamente, come se lui stesso faticasse a credere a quelle parole.
Jill...di tutte le persone che avrebbero potuto trovarlo, proprio lei.
“Sì. Volevo ridartelo, te lo giuro, ma...!”
“L’hai letto?” chiese lui bruscamente.
La ragazza fece un’espressione colpevole.
Mentire non sarebbe servito a niente.
“Sì, l'ho letto. Mi dispiace, non volevo farmi i fatti tuoi. E’ stato inevitabile”
Iniziò a parlare velocemente spiegandogli l’accaduto.
“Ma è tutto intero, non preoccuparti. Mi sono permessa di riattaccare i fogli che si erano strappati. A proposito, Scrubb, lo sai che scrivi bene?”
Eustace gemette. “Oh, Peter mi ammazza…”
A quel nome, fu come se un campanello squillasse nella mente di Jill.
“Peter chi?”
“Mio cugino. Ma questa è una storia che non ti riguarda” tagliò corto il ragazzo, ancora con il tono brusco di prima.
Ma lei non vi fece caso. Era troppo occupata a mettere insieme tutti i pezzi.
Non sapeva come si chiamavano i cugini di Eustace, lui non glielo aveva mai detto, ma a quanto pareva uno di loro portava il nome di Peter. E Peter era anche uno dei protagonisti del suo racconto. Spesso, Eustace si era lamentato del fatto che tutte le volte che stava con loro, quei quattro lo facevano ammattire con strane storie di mondi immaginari. Inoltre, i suoi cugini abitavano vicino a Londra.
Peter, Susan, Edmund, Lucy. Quattro ragazzi. Un mondo incantato. Londra.
Non era possibile che fossero loro. O sì?
“Ridammi subito il mio quaderno, Pole. Lo rivoglio, adesso, immediatamente!”
Jill lo guardò trova. “Non posso, non l’ho qui con me”
“E allora dove?”
“Ce l’ho a casa.”
“Bene, allora dopo la scuola verrò a casa tua”
E così fu.
Ma invece di essere gentile con lei e ringraziarla, Eustace fu sempre più odioso e maleducato, dandole più volte della ficcanaso e rifiutandosi categoricamente di farle leggere il seguito del suo libro.
“Ti ho già detto che è una cosa che non ti riguarda affatto! Non farmi altre domande, tanto non posso risponderti”
Jill mise su il broncio e incrociò le braccia al petto. “Va bene. Tanto non è nemmeno questo granché come storia” ribatté offesa, anche se non lo pensava affatto.
In realtà aveva una gran voglia di rileggerlo, e quasi quasi si pentì di averglielo restituito.
Eustace controllò attentamente ogni pagina, sfogliandolo velocemente.
Jill si allungò verso di lui. “Tranquillo, non manca nulla”
Il ragazzo richiuse di scatto il quaderno. “Non sbirciare!”
“Spiacente, Scrubb, ma ormai so tutto”
Si fissarono cupamente per un attimo, poi lui spinse gli appunti in fondo allo zaino.
“Ad ogni modo” proseguì la ragazza, “se davvero quel quaderno è così importante, dovresti stare un po’ più attento d’ora in poi, e non sventolarlo in giro per la città con il rischio di perderlo ancora”
“Non farmi la predica, Pole! Tu non sai un bel niente di niente, e ti proibisco di parlarne in giro!”
“Non parlarmi così, brutto cafone! E poi scusa, ma a chi dovrei dirlo?”
“E io che ne so?”
“Non lo dirò a nessuno, va bene? Basta che la pianti! Sembra che sia colpa mia!”
“Giuralo!” esclamò il ragazzo. “Giura che non dirai nulla!”
“Giuro” sibilò lei a denti stretti, trattenendosi dal tirargli un pungo sul naso.
“E non farmi domande!”
“Non ne ho bisogno, perché credo di aver capito tutto” aggiunse Jill con noncuranza, sedendosi alla sua scrivania. “Ma non preoccuparti, il tuo segreto è al sicuro con me, e puoi rassicurare anche i tuoi cugini. Ora ciao, devo fare i compiti”
Eustace rimase lì a fissarla, senza parole. Si maledisse per aver perso quegli appunti, perché adesso Jill sapeva. Aveva capito, o almeno era fortemente vicina alla verità.
“A nessuno, Pole. A nessuno” l’ammonì, alzando la mano e puntandole contro l’indice.
Lei lo scostò con un gesto impaziente. “Uffa, sì, ho capito! Sarò muta come una tomba, contento?”
“Ti conviene” ribatté Eustace prima di andarsene.
O ci finisco io nella tomba, pensò.
 

Una volta tornato a casa, si fece coraggio e chiamò casa Pevensie.
Rispose la zia Helen, dicendo che Peter, Ed e Lucy erano rimasti a studiare a casa di amici.
“Richiama verso l’ora di cena, li troverai senz’altro”
Attese e verso le sette di sera riprovò.
Sperò con tutto il cuore che non rispondesse Peter. Nemmeno Edmund a ben vedere. Forse sarebbe stato meglio parlare con Lucy.
Ma gli andò male.
“Casa Pevensie, chi parla?”
“Ciao, Peter…” rispose Eustace con una voce da funerale.
Peter ascoltò paziente tutto ciò che il cugino aveva da dirgli. Non fece particolari commenti e non si arrabbiò come la volta precedente. Certo, non fece i salti di gioia quando seppe che un’estranea conosceva il segreto di Narnia, ma in fin dei conti non era colpa di Eustace. Era stato uno di quei casi, come si dice a volte, in cui ci si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato.
“Poteva andare peggio” fu il commento di Lucy quella sera stessa, quando invitò i fratelli in camera sua per parlare, dopo cena.
“E’ un’irresponsabile!” sbottò Edmund. “Io sapevo che quell’impiastro avrebbe combinato qualche guaio. Non avremmo mai dovuto permettergli di scrivere un libro su Narnia.”
“Col nostro permesso o senza, l’avrebbe fatto comunque” ribatté Lucy. “Ma non è il libro il problema. Evidentemente, Eustace ancora non si rende conto di quanto importante sia mantenere il segreto”
“Non ha avuto cura delle conseguenze e ha quasi rischiato di farci scoprire” intervenne finalmente Peter. “Speriamo solo che non alimenti il sospetto di questa Jill Pole, così da portarla a capire che è tutto vero”
“Nessuno crederebbe mai a una storia simile” disse ancora Lucy.
I fratelli la guardarono attenti.
“Ci ho riflettuto e, sapete, mi sembra alquanto improbabile che solo leggendo ciò che Eustace ha scritto su quel quaderno, una persona possa giungere così in fretta alla conclusione che non sia un’invenzione ma la realtà”
Edmund si mosse nervosamente sul letto della sorella. “Lu, ci sono i nostri nomi là sopra!”
“Lo so, e allora? Quanti ragazzi della nostra età inventano storie dove loro stessi sono i protagonisti di avventure fantastiche?”
Edmund scosse il capo, ma Peter lo interruppe mentre stava per aggiungere qualcosa.
“Aspetta, Ed. Lucy, continua”
“Secondo me, Eustace potrebbe mitigare ogni dubbio della sua amica comportandosi come se nulla fosse. Non dovrebbe cercare di evitare l’argomento se lei fa domande sul racconto, ma semplicemente limitarsi a dirle che è tutta un’invenzione, un gioco, ma che non vuole si sappia in giro.”
Peter inspirò profondamente, le braccia strette al petto, lo sguardo rivolto al nulla. “Pensi che quella ragazza potrebbe crederci?”
Lucy alzò le spalle. “Tentiamo. Se non funziona penseremo a qualcos’altro”
Peter la guardò, poi si volse al fratello. “Ed?”
“Non mi convince per nulla, ma so che se la mettiamo ai voti, ora che non c’è Susan a darmi man forte, io finirò per perdere. Per cui va bene: facciamo come dice Lu”
Si scambiarono sguardi preoccupati e ansiosi.
Peter pensò che mai Narnia era stata così vicina ad essere scoperta. Tante volte, lui e i fratelli erano stati spiati da Eustace o da qualche compagno di scuola mentre ne parlavano, ma nessuno di loro aveva dato segno di credere a ‘certe sciocchezze’, nemmeno il cugino che si era poi rivelato essere un Amico di Narnia.
Quella Jill doveva essere davvero perspicace.
“Papà domani riparte, vero?” chiese Edmund con aria triste.
Peter annuì. “Il congedo è finito, ormai”
Restarono pensierosi qualche minuto. Dal piano inferiore si udivano attutiti il tintinnare delle stoviglie e la voce di Robert Pevensie che discorreva con la moglie.
Il silenzio della stanza era interrotto solo dal ticchettio dell’orologio sul comodino di Lucy.
Quel ticchettio d’un tratto scomparve.
I tre fratelli non se ne accorsero subito. Dopotutto, nessuno ascolta il ticchettio di un orologio con particolare attenzione. Ci sono suoni, immagini, movimenti attorno a noi, dei quali quasi non ci rendiamo conto.
Ma fu il non udire più quel suono che fece scattare qualcosa nella mente dei tre ragazzi.
Contemporaneamente, si voltarono verso il comodino, fissando le lancette dell’orologio.
Erano ferme sulle dieci.
Lucy si alzò dal letto e lo prese in mano, picchiettando con l’unghia del dito indice sul vetro che copriva il quadrante.
“Si è fermato. Che strano…” mormorò.
Ma non si era fermato. Non nel modo più comune in cui un orologio si ferma.
Lucy riappoggiò la sveglia sul comodino, accanto alla cartolina di Susan. Lo sguardo le cadde proprio sul paesaggio di Narnia, che cambiava man mano che laggiù le stagioni passavano. Ora era verde e rigoglioso.
Fu allora che gridò.
Peter e Edmund scattarono in piedi e le corsero accanto.
“Lucy, cosa c’è?!”
La ragazzina afferrò la cartolina. “Guardate!”
Ormai avrebbero dovuto esserci abituati, ma tutte le volte era quasi impossibile crederci: le foglie degli alberi attorno al castello iniziarono ad ondeggiare, udirono il cinguettio degli uccelli, lo scrosciare delle onde del mare che lambivano allegramente la spiaggia sulla quale camminava qualcuno. D’dapprima fu un puntino dorato, poi divenne più grande, sempre più grande.
Un profumo dolce e intenso invase la stanza. Si strinsero di più l’uno all’altro per vedere meglio, ma la figura era scomparsa prima che potessero capire di chi o cosa si trattasse.
“Dov’è andato?” chiese subito Edmund.
“Sono qui” gli rispose una voce alle sue spalle. Profonda, bellissima.
Lucy fu la prima a voltarsi, sfoderando un sorriso raggiante quando lo vide. Sembrava ancora più grosso dentro quella stanza.
“Aslan!” esclamò, e così i fratelli, correndo da lui.
Il Leone li accolse con un grande abbraccio come solo lui sapeva fare, e poi osservò i loro volti straniti, felici, ansiosi.
“Cosa ci fai qui? Narnia è forse in pericolo? Susan e Caspian stanno bene?” chiese in fretta Peter, inquieto.
Aslan scosse la grossa testa ornata dalla sfavillante criniera. “No, figliolo, non temere, stanno tutti benissimo. Sono solo venuto a prendervi. E’ ora”
“Oh!” gridò Lucy, le guance che le si tingevano di emozione.
Erano trascorse poche settimane da quando erano tornati da Narnia, ma il tempo laggiù trascorreva in modo diverso, per cui poteva benissimo essere che fosse già arrivato quel momento che tanto attendevano.
Aslan rise, facendo vibrare l’aria attorno a sé. Poi ruggì.
 
 
 
~·~

 
 
 
 
I giardini di Cair Paravel erano un tripudio di colori, illuminati dal sole estivo che spuntò dal mare e salutò quello che sarebbe stato per Narnia un giorno infinitamente speciale.
Limpido e sconfinato, il cielo si tinse presto del suo azzurro brillante, dentro il quale gli uccelli cantavano più allegramente del solito, come se già sapessero cosa sarebbe accaduto di lì a poche ore. Le api erano già al lavoro tra i fiori che riempivano l’aria della varietà dei loro profumi, tenui o intensi. Le farfalle multicolori facevano loro compagnia.
Una di queste si staccò dal gruppo, attirata da un dolce profumo proveniente da un punto dei giardini dove crescevano le più belle rose blu di tutta Narnia: le rose di Susan.
La farfalla volò sopra il roseto, dove la Regina Dolce sedeva tranquillamente sull’erba ancora fresca di rugiada: i capelli sciolti sulle spalle, la lunga gonna della veste da camera rigonfia sul grembo, ormai prossimo a liberare la piccola creatura che per nove lunghi mesi era cresciuta al suo interno, protetta dall’amore di sua madre e di suo padre, da tutti gli amici e le creature che attendevano il suo arrivo.
Erano giorni di grande aspettativa in tutto il regno.
La giovane Sovrana allungò le mani avvolte in grandi guanti da giardino nell’interno del cespuglio al quale stava lavorando. Avvertì un movimento vicino al suo viso e voltò appena lo sguardo: una farfalla arancione e nera si posò leggera, senza un rumore, sulla rosa più vicina a lei. Mosse le fini antenne, chiuse le ali, le sbatté piano un paio di volte. Le piccolissime squame che le ornavano, brillavano alla rifrazione del raggio di sole che cadeva dal cielo proprio su di lei: piccola, meravigliosa, perfetta creazione di Aslan.
Susan sorrise.
La fanciulla si mosse con estrema cautela per non spaventare la su inaspettata ospite. Si tolse i guanti e allungò le mani verso quelle ali che parevano di velluto. Pianissimo, le chiuse attorno alla farfalla e la sentì agitarsi appena sotto i palmi. Attese un attimo, infine le aprì, sperando che non fuggisse via.
La farfalla rimase lì, tra le sue mani, e sembrava guardarla. L’insetto si mosse e Susan l’ospitò sul proprio indice, notando le screziature bianche tra i ricami scuri.
Un alito di vento s’alzo improvvisamente. La farfalla agitò le ali, e poi volò via.
La Regina continuò a guardarla mentre si allontanava. Pochi istanti dopo, una rosa blu entrò nel suo campo visivo distogliendo la sua attenzione dall’insetto.
“Buongiorno, amor mio” disse la voce di Caspian al suo orecchio.
Susan accettò la rosa che lui le porgeva e si voltò con un gran sorriso, rispondendo subito al bacio che il Re le posò sulle labbra.
“Grazie per il fiore. E buongiorno anche a te”
“Sei mattiniera” le fece notare il giovane, sedendosi sull’erba accanto a lei.
“Non riuscivo più a dormire” gli rispose, accarezzandosi il ventre.
“Che fa, scalcia?”
Lei annuì. “Stamani è piuttosto irrequieto, ma sembra quasi che venire qui rilassi lui quanto rilassa me”
Caspian la osservò attento. “Sei nervosa?”
“No, non nervosa. Emozionata è la parola giusta”.
Susan posò a terra la rosa blu che lui le aveva donato, ricominciando a recidere rami secchi, foglie ingiallite e fori appassiti, ponendoli in un cestino di vimini.
“Non ti chiedi mai che aspetto avrà, a chi di noi somiglierà, come sarà la sua voce…”
Caspian le sorrise. “Sì, me lo chiedo praticamente ogni giorno. E penso anche a quanto sarà felice la nostra vita”. Poi, afferrò la rosa e gliela posò tra i capelli. “E ancora, penso che finalmente posso donarti una rosa blu, mia dolce sposa, come avrei voluto fare da tanto, tanto tempo.”
Lei si specchiò nei suoi occhi. Aveva uno sguardo dolcissimo in quel momento.
Lui le accarezzò il volto. “Ora devo tornare al castello. La mia lista di impegni quotidiani aspetta di essere spuntata. Tu mi raggiungi?”
“Tra poco. Vorrei restare qui ancora un po’ ”. La Regina si allungò verso di lui e gli diede un breve bacio.
“Cerca di non stancarti troppo, va bene?”
Susan tirò un lungo sospiro. “Per favore, Caspian, non farmi anche tu la predica. Il dottor Galileo e Lady Lora già mi bastano. Lei è diventata praticamente la mia ombra.”
“Penso che abbiano ragione” rispose lui. “Ma so anche che nessuno di noi l’avrà vinta con te.”
“L’hai provato sulla tua pelle quanto sono testarda” affermò lei.
“Non me lo ricordare”. Il Re sospirò, mentre la Dolce sorrideva. Poi si chinò su di lei e posò il viso sul suo grembo. “Tu che dici, piccolino? Lasciamo che la mamma si diletti ancora un po’ con il giardinaggio?”
Susan gli accarezzo i capelli, ma un attimo dopo Caspian si risollevò.
“Ahi!” esclamò il giovane, massaggiandosi il viso.
“Che è successo?”
“Mi ha dato un calcio!”
Susan scoppiò a ridere.
“Non è divertente, Sue. Mi ha fatto male sul serio”
“Credo che fosse la sua risposta”. La Regina afferrò guanti e forbici, ponendoli nel cesto di vimini che si passò sotto il braccio. “Aiutami ad alzarmi, per favore” disse, allungando le mani verso di lui.
Caspian la trasse in piedi con sé, presto contagiato dal suo sorriso.
D’un tratto però, la vide serrare gli occhi e portarsi una mano al ventre, lasciando cadere il cestino a terra.
“Sue?” la chiamò, una nota di preoccupazione nella voce.  “Susan, che c’è?!”
La Dolce si aggrappò al suo braccio ed emise un lieve gemito di dolore. Poi riaprì gli occhi e gli rivolse un mezzo sorriso stentato.
“Ci siamo”
Caspian andò completamente nel panico. Spalancò gli occhi scuri e la guardò fisso.
“Oh mio Dio! Cosa…cosa devo fare?” chiese in fretta, sempre più agitato.
Lei tentò di parlare ma lui la interruppe.
“Aspetta, lo so: devi respirare, giusto?”
“Caspian…”
“Respiri lunghi e profondi”.
“Caspian…”
“Va bene, respira”.
“Caspian, vuoi stare zitto un momento?! Così non mi aiuti!”
Susan fece un lungo sospiro. Gli strinse la mano e lui la strinse in risposta.
“Chiamo qualcuno?”
Lei scosse forte il capo. “No, no, no, portami dentro. Aiutami”.
Il Re annuì, frastornato, ammirato dal coraggio che lei dimostrò in quel momento. La vide più volte serrare ancora le palpebre e contrarre il viso, ma la sua Susan era forte e coraggiosa e non udì un lamento uscire dalle sue labbra mentre era ancora di fronte a lui.
“Devi chiamare Aslan” gli disse poi. “Dobbiamo farlo sapere agli altri. Devono esserci”
“Sì, certo. Lo chiamerò. Sue…”
Lei gli sorrise. “Sta tranquillo. Andrà tutto a meraviglia”
Caspian sentì come una morsa al cuore. Lei lo rassicurava ma la paura che potesse andare storto qualcosa, che i suoi peggiori incubi divenissero realtà, tornò ad attanagliargli lo stomaco, facendogli quasi mancare il respiro.
Miriel, Tara e Clipse accorsero subito e mandarono a chiamare il dottor Galileo, poiché Susan aveva chiesto di lui e di nessun altro, anche se certe dame avevano mormorato sul fatto che non fosse stata chiamata la levatrice.
Ma per questo c’era Lady Lora, che corse immediatamente dalla sua Regina, ed impedì a Caspian di entrare nelle stanze reali.
“No, Maestà, voi dovete aspettare qui. Non temete, andrà tutto bene”
Ma il Liberatore avrebbe volto sfondare quelle porte nel momento in cui udì il grido di Susan.
Furono Emeth e il dottor Cornelius a tranquillizzarlo, rimanendo insieme a lui per tutto il tempo. C’erano anche Briscola e Tartufello, Drinian, Rhoop, Mavramorn, Revilian e Agoz.
Non ci fu bisogno di chiamare Aslan, poiché Briscola era sicurissimo che il Leone avesse già pensato a tutto.
“Aslan sente e vede ogni cosa” disse il Nano. “A quest’ora sarà già in Inghilterra.”
Ma allora dov’erano i Pevensie?, pensò Caspian. E Eustace?
Furono ore interminabili. Solo verso le prime ore del pomeriggio le porte delle stanze reali si riaprirono.
Apparve Lady Lora, sorridente come nessuno l’aveva più vista da anni, portando in braccio un fagottino.
Caspian saltò in piedi dalla poltrona in cui era sprofondato, andandole incontro.
“Vostro figlio, Maestà” gli disse commossa, mettendogli il fagottino tra le braccia.
Il giovane posò lo sguardo sul bambino, quasi incantato, come preda di uno strano incantesimo che gli aveva tolto la parola e gl’impediva di staccare gli occhi da quella minuscola figuretta. Le piccole mani stringevano le candide coperte in cui era avvolto, emetteva sommessi vagiti, la testina era coperta da sottili ciuffi di capelli neri.
Era perfetto, in ogni cosa.
“Mio figlio” mormorò il Liberatore, il cuore a mille.
“E vostra figlia” aggiunse Lady Lora, guidandolo dentro la stanza.
Attorno alla Regina si stavano ancora affaccendando le sue tre ancelle, il medico e le balie.
Il dottor Galileo si avvicinò subito al Sovrano per rassicurarlo, perché sapeva quanto era stato in pensiero per la sua consorte.
“La Regina ha affrontato una grande prova, quest’oggi. Un prova inaspettata per tutti noi. Ma è stata bravissima”
Caspian deglutì diverse volte prima di chiedere: “Sta bene?”
“Benissimo. Avrà bisogno di riposo, questo è certo”
“Vi ringrazio, dottore. Immensamente”
“Oh, non dovete, non dovete”
Miriel si avvicinò a Caspian e lo baciò sulle guance, per una volta dimenticando le formalità e manifestando tutto il suo affetto per l’amico. Tara e Clipse si congratularono con lui e poi seguirono la Driade fuori dalla stanza, lasciando soli i due neo genitori.
Fu allora che Caspian incontrò lo sguardo di Susan. Lo aspettava, stringendo tra le braccia un secondo fagottino. Lei aveva l’aria stanca ma gli occhi splendevano.
Il Re di Narnia avanzò nella grande stanza illuminata dai raggi di sole pomeridiano, sedendo sul letto accanto a lei.
“Sue…” mormorò. “Gemelli”
“Che sorpresa, vero?” sorrise lei, appoggiandosi alla sua spalla. “Non sono la cosa più bella che tu abbia mai visto?”
Il giovane la baciò sulla fronte. “Sono…meravigliosi”
Susan alzò il viso e lo baciò sulle labbra. Poi tese un poco le braccia verso di lui. “Vuoi prenderla?” chiese, alludendo alla bambina.
“Myra” sorrise Caspian.
“Sì, Myra. E Rilian” disse lei, lasciando che lui prendesse la piccola.
D’un tratto, la principessina si agitò tra le braccia del Re, ed egli si allarmò.
“Che cosa ho fatto?”
“Nulla, non preoccuparti” lo rassicurò la Dolce.
Caspian la cullò appena e baciò la piccola fronte. Subito, al tocco di suo padre, Myra si calmò e si addormentò.
Il Re osservò ancora i due bambini. I suoi figli.
“Grazie, Susan.” mormorò, poggiando la guancia sulla fronte di lei. “Grazie, amore mio. Tu oggi mi hai dato la gioia più grande. La gioia di essere padre”
“E sarai un ottimo padre, ne sono sicura”
La Dolce lo guardò negli occhi, e si rese conto che in essi splendeva una nuova luce: dopo tanti anni di solitudine e sofferenze, terribili prove e difficoltà, la felicità più pura albergava finalmente nel cuore del Liberatore.
D’un tratto, la porta si spalancò.
Caspian e Susan si volsero verso di essa, chiedendosi chi mai potesse entrare senza bussare.
Dopo un attimo, ecco la risposta.
Sulla soglia apparve una ragazzina di quattordici anni, una fascia blu tra i capelli rossicci, gli occhi azzurri brillanti, un sorriso enorme stampato sul grazioso viso.
“Lucy!!!” esclamarono Susan e Caspian.
Lucy gridò di gioia, fiondandosi ad abbracciarli.
“Piano, Lu” l’ammonì una voce maschile.
“Dov’è il frugoletto? Voglio essere il primo a vederlo!” disse un’altra.
“Peter!!!” esclamò ancora Susan, emozionatissima.
“Ed!!” le fece eco Caspian con un gran sorriso.
A turno, i Pevensie abbracciarono e baciarono la sorella. Il Magnifico porse la mano al Liberatore, il Giusto invece lo strinse in un forte abbraccio.
“Ma sono due! Due gemelli!” commentò quest’ultimo, alquanto stupito. “Accidenti, questa proprio non me l’aspettavo”
“Neanche noi” ammise Susan.
“Oh, sono così dolci!” fece Lucy, con una gran voglia di prenderli in braccio. “Posso?”
“Certo” le disse la sorella, porgendole il piccolo Rilian.
“Rilian è un bel nome” disse Peter, “ma credevo che se aveste avuto un maschio lo avreste chiamato Caspian”
Il Liberatore scosse il capo. “No. Questo è il primo giorno di una nuova era”
Le chiacchiere avevano svegliato i due neonati, e ora Lucy e Edmund litigavano da bravi zii contendendosi il loro affetto.
“Non strapazzateli troppo, sono appena venuti al mondo” li rimproverò Peter, mentre teneva tra le braccia Rilian.
Ma i fratelli minori bisticciavano senza sosta.
“Tu li hai già tenuti entrambi, Lu, non è giusto! Fammi vedere Myra”
La Valorosa, con fare protettivo, tenne fuori dalla portata del Giusto la bambina. “No! Tu la faresti senza dubbio cadere”
“Ti ho preso in braccio un sacco di volte quand’eri piccola, e non ti ho mai fatto cadere!”
“Tu non hai mai preso in braccio Lucy, Ed” ribatté Susan. “Eri troppo piccolo per farlo, quand’è nata”
Il Giusto borbottò qualcosa, ma infine l’ebbe vinta e riuscì a stringere entrambi i gemelli.
“Avete già visto Miriel e Emeth?” chiese Susan a Peter e Lucy.
Lei arrossi un poco. “Veramente no.”
“Ci sarà tempo” aggiunse Peter con sicurezza. “Mentre venivamo qui, Aslan ci ha promesso che resteremo per un po’ ”
“Davvero?” esclamò Susan al settimo cielo.
Avere accanto a sé i suoi fratelli in un momento per lei così importante, era quanto di più bello potesse sperare. Se solo avessero potuto esserci anche i suoi genitori…
“Ma dov’è Aslan? E Eustace?” chiese Caspian un po’ deluso. “Pensavo ci sarebbero stati anche loro”
Peter, Edmund e Lucy si scambiarono un’occhiata complice.
“Arriveranno presto. Con altri ospiti” disse il Re Supremo, trattenendo un sorriso.
Proprio in quel momento, la porta si aprì di nuovo ed entrò Eustace. E sebbene Susan fu felicissima di rivederlo, le lacrime che versò non furono per lui.
Quando dietro al cugino apparvero i suoi genitori, la Dolce soffocò un grido e si coprì la bocca con le mani. Poi allungò le braccia e la madre corse da lei, tenendola stretta, mentre la ragazza singhiozzava a più non posso.
“La mia Susy. La mia bambina”
“Mamma! Oh, mamma, sei qui! Sei a Narnia!”
Robert Pevensie si unì all’abbraccio, accarezzando i capelli della figlia.
“Già una madre”.
“Papà…io non posso crederci!”
Si abbracciarono ancora, poi Helen si voltò e sorrise al bel giovane uomo in piedi accanto agli altri ragazzi.
“Tu devi essere Caspian”
“Ho sentito moltissimo parlare di voi” disse il Liberatore, con una gran voglia di conosce i signori Pevensie. Si presentò loro, provando un certo imbarazzo, soprattutto quando dovette stringere la mano a Robert.
Susan li guardò tutti, con il cuore che scoppiava. Tutta la sua famiglia era riunita lì, davanti a lei: mamma e papà, i suoi fratelli, suo cugino, suo marito, i suoi figli. Mancavano solo gli zii, ma confidava che prima o poi, anche loro avrebbero varcato le porte di quel mondo incantato.
Ma le emozioni di quel giorno non erano ancora finite.
Fuori dalla stanza, tanti ospiti attendevano di rendere omaggio ai principini. La Dolce era molto stanca, ma non si sentiva di mandarli via e così li accolse tutti contro il volere del dottor Galileo e di Caspian, i quali le concessero solo una breve visita degli amici più stretti. Gli altri cortigiani avrebbero dovuto attendere.
“Mio Re” disse il dottor Cornelius, visibilmente commosso. “Sono stato orgoglioso di voi dal primo giorno che vi incontrai, e lo sono ancor più nel vedevi padre”
“Caro dottore, anche voi siete un padre per me, come lo è Lord Drinian. Avrò bisogno di molti consigli e mi aspetto che voi siate al mio fianco, poiché siete i miei più fidati amici.”
“Finché avrò vita, mio signore, sarò con voi” affermò il vecchio precettore.
C’erano proprio tutti: alla piccola folla riunitasi fuori dagli appartamenti reali, si aggiunsero Zampalesta e i tre orsi giganti, Tempestoso e la sua famiglia, gli undici topi che erano stati al comando di Ripicì, tutti i Lord del Gran Consiglio (purtroppo anche Erton, Galvan e Ravenlock). Poi fu il turno Nausus il Fauno, Tavros, Rynelf e altri amici del Veliero dell’Alba.
Tutti quanti avevano abbandonato le proprie mansioni, così come in città e nei campi i lavori si erano fermati.
Avvertito dagli uccelli parlanti, il popolo fece gran festa.
Quello fu ricordato come uno dei giorni più gioiosi.
Infine, giunse Aslan.
Il Grande Leone si fece strada tra i visitatori e sorrise a Caspian e Susan, annuendo soddisfatto. Poi si chinò sui due bambini.
I gemelli aprirono gli occhietti assonnati e allungarono le manine verso il grosso muso del felino, facendo piccoli sorrisi.
Aslan li benedisse, tessendo per loro un futuro glorioso.
Da grandi, Rilian e Myra avrebbero raccontato di uno strano sogno che entrambi facevano spesso, nel quale sentivano un profumo inebriante, un dolce calore, e la sensazione di qualcosa di soffice. I loro genitori gli avrebbero spiegato che non era un sogno, ma un ricordo, appartenente al giorno della loro nascita. Il giorno in cui Aslan aveva posto la grande zampa dai polpastrelli vellutati sulle loro piccole fronti e li aveva nominati Rilian, il Portatore di Luce, e Myra, la Portatrice di Speranza.

 



 
Buone feste a tutti!!!
Ci siamo, sono nati!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Finalmente hanno fatto la loro comparsa i due piccoli Suspian!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Siete contenti, vero???
Questo capitolo è pieno di avvenimenti: prima Jill che scopre di Narnia, poi la nascita dei bambini e infine l'arrivo dei genitori dei Pevensie!!! Non potevano mancare, vi pare?
Avrei voluto ritagliare uno spazietto anche per Lord Erton, avevo in mente qualcosa…ma poi ho pensato che almeno per un capitolo potevo mandarlo a quel paese...XD
Per quanto riguarda
l'Anello di Susan, sappiate che non ho ancora deciso xP E' che sono tutti troppo belli!!! Ringrazio di cuore aleboh, Joy_10, Queen Susan 21 e Shadowfax che me li hanno inviati!!!
Bene, commentate, che sono curiosa di sentirvi!!!

 
Ringraziamenti:
Per le preferite: aleboh, Angel2000, battle wound, EstherS, Expecto_Patronus, Fly_My world, Francy 98, HikariMoon, Jordan Jordan, Joy_10, katydragons, lullabi2000, Mia Morgenstern, Muffin alla Carota, Mutny_Hina, piumetta, Queen Susan 21, Shadowfax, TheWomanInRed e Zouzoufan7
 
Per le ricordate: Cecimolli
 
Per le seguite: Babylady, chaterineheatcliff, Cecimolli, ChibiRoby, cleme_b, ecate_92, FioreDiMeruna, Fly_My world, GossipGirl88,  JLullaby, Jordan Jordan, Joy_10, Judee, Mia Morgenstern, Min_Jee Sun, niky25, Omega _ex Bolla_ ,  piumetta, Queen Susan 21, Revan93 e Shadowfax

Per le recensioni dello scorso capitolo: aleboh, battle wound, FioreDiMeruna, Joy_10,   piumetta, Queen Susan 21, e Shadowfax
 
Angolino delle anticipazioni:
Anche il prossimo capitolo sarà pieno di avvenimenti. Resteremo a Narnia, e ci concentreremo ancora sulla famiglia reale e sull’incontro tra Peter e Miriel e Emeth e Lucy!!! E anche Edmund potrebbe rincontrare Shanna!
Jill non penso si vedrà, a meno che non riesca ad inserire un pezzetto a lei dedicato, ma non vi prometto nulla.
Vi toccherà anche sorbirvi Lord Erton, perché, come dicevo sopra, avevo in mente qualcosa.
Infine, preparatevi al ritorno di un nemico.

 
Nessuno me ne voglia, ma devo mandare un bacio speciale a Shadowfax e Joy_10. Niente di particolare ragazze, è solo per dirvi che vi penso sempre e vi voglio bene!!! <3
 
Concludo col dirvi che gli aggiornamenti li trovate alla mia pagina facebook
Grazie a tutti! Un bacio e statemi bene!
Vostra Susan♥

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: Sentimenti ***


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6. Sentimenti
 
 
Non voglio nient'altro che vedermi attraverso di te
Se potessi, passerei la mia vita ad amarti

 
 
 
La luce del pomeriggio filtrava dalle grandi finestre della Cappella d’Oro. Granelli di pulviscolo danzavano nell’aria immobile della vasta sala, dove un’unica persona se ne stava davanti alla Grande Quercia.
Miriel accarezzava la ruvida corteccia con affetto, in attesa del momento che aveva occupato i suoi sogni ogni notte, nessuna esclusa, da quando lo aveva lasciato.
Quando Peter era partito, era come se una parte di lei si fosse addormentata. Quella parte che aveva perso per restare insieme a lui, per vivere da umana al suo fianco, anche se ancora non sapeva quando avrebbe potuto. Si sentiva come gli alberi di Narnia, che perdendo le loro foglie, rimanendo spogli.
Aveva sempre saputo che, se mai il suo sogno di amarlo si fosse avverato, avrebbe dovuto fare i conti con la lontananza, ma affrontarla però era stato molto più difficile di quanto avesse potuto immaginare.
I primi giorni le era sembrato di essere sprofondata in un buco nero e di non poterne più uscire. Ma adesso… Adesso tutto il suo corpo fremeva di emozione. Ad ogni più piccolo movimento, tendeva le orecchie per ascoltare e capire se fosse stato l’albero o qualcun altro a produrre sommessi rumori che le facevano balzare il cuore in gola.
Lo aspettava nella Cappella d’Oro, perché cosi avevano deciso lei e Peter: quando lui sarebbe tornato, era là che si sarebbero riabbracciati.
Era passato quasi un anno… un anno per il tempo di Narnia.
E sulla Terra?
Il cigolio della porta quasi fu inudibile, ma Grande Quercia mosse le sue foglie al venticello tenue che entrò nella sala nel momento in cui i battenti vennero spalancati.
Miriel chiuse gli occhi, quasi tentata di rimanere lì, immobile.
Percepiva la sua presenza, sapeva che era lui.
Ebbe quasi paura di voltarsi, di guardarlo negli occhi, anche se lo voleva con tutta sé stessa. Lei credeva ancora di non essere all’altezza dell’amore del Re Supremo di Narnia. Eppure, lui l’aveva scelta. Tra le tante donne che aveva incontrato durante l’Età doro, Re Peter il Magnifico non aveva mai preso moglie. Aveva chiesto a lei di sposarlo. A lei e solo a lei.
“Miriel…”
La sua voce... Era vicina, come i suoi passi che udiva riecheggiare lievemente e poi arrestarsi.
Fu allora che si voltò.
Il sole illuminava i capelli del Re Supremo, facendoli brillare più dell’oro puro. Sul suo nobile viso c’era uno sguardo colmo di felicità, che brillava dentro i suoi occhi color del cielo.
Lo vide allargare le braccia, per lei.
E Miriel corse. Corse per raggiungerlo. Lui fece lo stesso e la strinse forte a sé.
“Oh, Peter...”
La Driade, la voce rotta dal pianto, si aggrappò a lui.
Peter affondò il viso e le mani in quella cascata di fuoco che erano i capelli di lei. Inspirò il suo profumo di fiori, baciò la pelle del suo viso e poi le sue labbra.
Miriel si sentì mancare e lo strinse ancor di più.
La parte addormentata di Miriel si risvegliò a quel tocco. Tutte le sensazioni tornarono vive. I ricordi furono lampi nella mente, soprattutto il ricordo dell’ultima notte sul Veliero dell’Alba.
Restarono là per un tempo incalcolabile, senza dire nulla, continuando a baciarsi, a guardarsi.
Infine, si separarono delicatamente dall’abbraccio, lui le prese una mano e lei la strinse.
Peter spostò lo sguardo sul fondo della stanza. “Grande Quercia” mormorò con un sorriso, “Ho sempre saputo che nemmeno le catapulte di Telmar sarebbero riuscite a scalfirlo. L’ultima volta che venimmo tra le rovine del castello lo cercammo, ma non lo trovammo”
“Anche lui vi aspettava” disse Miriel. Si avvicinarono insieme, camminando lentamente fino a trovarsi sotto le folte fronde verdi scuro. Peter afferrò entrambe e mani di Miriel e la guardò intensamente. Sedettero sotto Grande Quercia, abbracciandosi, iniziando a raccontarsi tutto il tempo che non avevano potuto trascorrere insieme.
“Sei felice qui?” le chiese il Re Supremo, giocherellando con i capelli della Driade.
“Oh, sì! Qui è tutto bellissimo. Tutti sono gentili con me: ci sono i miei più cari amici e i tanti altri che ho conosciuto. Amo questo luogo: Cair Paravel è stata la tua casa e un giorno sarà anche la mia”
“E’ già casa tua, Miriel” le rispose, baciandola su una guancia.
“Intendevo…casa nostra” aggiunse lei, con emozione.
Lui l’abbracciò di nuovo, nascondendo il viso nella sua spalla. Lei voltò il capo e cercò ancora le sue labbra.
“Non hai più rivisto la tua famiglia, vero?” le chiese poi Peter, facendosi un poco pensieroso.
Miriel scosse il capo. “Purtroppo no. Rinunciando alla mia immortalità, non so se potrò varcare di nuovo le porte delle Valli del Sole.”
“Non puoi?” chiese lui, alquanto perplesso.
“Volendo potrei, ma ricordi cosa disse Aslan a Caspian quel giorno davanti alla Grande Onda?”
Peter ricordava e annuì a sua volta.
“Il continuare non ha ritorno”, erano state le parole del Leone. Difatti, scegliendo di attraversare quella soglia, lo stesso Ripicì non era più tornato.
“Scegliendo di rimanere, vi devo rinunciare” continuò Miriel. “Esattamente come ha fatto Susan. Mi è stata molto vicina e mi comprende. E’ davvero l’amica più cara che ho”
Peter la guardò e vide che l’espressione amara apparsa sul viso di Miriel mentre parlava della sua famiglia, si era fatta più serena.
“Io e tua sorella abbiamo vissuto il nostro amore in modo molto simile” aggiunse la Driade, intrecciando le dita tra i capelli dorati di lui. “Confido che finisca allo stesso modo anche per noi”
“Assolutamente” le assicurò lui, stringendola al suo petto.
Miriel chiuse gli occhi, cullata dal battito del cuore di Peter, dal suo respiro, dalle carezze gentili sulla schiena, e la brezza che soffiava tra le foglie di Grande Quercia.
“Non angustiarti per me, Peter. Un giorno rivedrò i miei cari. Credo che debbano solo accettare la mia scelta”
“Pensi che non siano felici?”
“Alcuni di loro, credo proprio di no. Ma non importa, capiranno”. Miriel alzò il viso e lo guardò. “Lo sapevano che volevo questo. Che volevo te”
Arrossì improvvisamente, stupendosi lei stessa della propria intrepidezza nell’esternare i suoi sentimenti.
Lui le sorrise. “Capiranno quando vedranno quanto sarai bella e felice il giorno del nostro matrimonio”
Il cuore in gola, Miriel gli gettò le braccia al collo e lo baciò ancora e ancora.
“Sarà qui che ti sposerò, amore mio” disse Peter, accarezzandole il volto. “Proprio qui, sotto la Grande Quercia. Presto, te lo prometto”
“So che il tuo ritorno non è per sempre. Non temere di ferirmi” lo rassicurò la fanciulla, notando il grande dispiacere negli occhi azzurri di lui. “Devi prima compiere la tua missione. E’ molto importante”
“Non dubitare che tu lo sia di più” ribatté il Re Supremo molto seriamente, cingendole i fianchi con decisione.
Lei avvertì un brivido invaderle tutto il corpo, infiammarle le guance. “No, Peter. Non ne ho mai dubitato, e mai lo farò.”
“Ti amo, Miriel”
Peter le diede un bacio più intenso degli altri prima che lei potesse rispondergli, e quel gesto risvegliò nel cuore di entrambi mille meravigliose emozioni.
“Non ti lascerò più scappare.” sussurrò il ragazzo, allontanandosi dal viso di lei, solo per potersi specchiare negli occhi più belli del mondo.
“Non eri tu ad essere scappato?” sorrise Miriel.
Lui ricambiò, chiudendo gli occhi e abbandonandosi alla dolcezza che il corpo di lei gli trasmetteva, prendendo finalmente consapevolezza che erano di nuovo insieme, che non era un sogno, ma la realtà.
Miriel si trovò stesa sul suo petto, le mani di lui tra i capelli.
Grande Quercia chiuse i suoi rami attorno ai due giovani, per concedere loro la dovuta intimità.
 
                                                                                                                                                 
Lucy camminava pensierosa per i grandi e luminosi corridoi del castello, salutando e sorridendo a tutti quelli che incontrava, anche se dentro di sé sentiva lo sconforto crescere sempre di più.
Narnia era stata pervasa da un’ondata di felicità immensa e tutti stavano vivendo quel meraviglioso giorno appieno: i suoi genitori e Eustace avevano seguito Edmund in una vista completa di Cair Paravel e restarono fuori fino a sera. Peter era andato ad incontrare Miriel. Caspian a ricevere gli auguri del popolo anche per conto della Regina. Susan si era addormentata, finalmente riposandosi dalle fatiche di quel giorno: avere un bambino già non era cosa da poco, ma averne due doveva essere stato estenuante. Anche Rilian e Myra dormivano della grossa in una stanza adiacente quella dei genitori, in una favolosa culla a due piazze. Anche per loro non era stata un passeggiata, sicuramente.
Solo lei era rimasta lì, in attesa, cercando di occupare il tempo…cercando Emeth.
Ma di lui nessuna traccia.
Dov’era finito? Forse non voleva vederla?
Stanca di girare a vuoto, sostò sotto un portico all’ombra, guardando l’erba del giardino coprirsi di chiazze ora chiare ora scure, a seconda di come l’ombra delle nuvole correvano in cielo, coprendo e scoprendo il sole.
Era una bella estate calda ma non afosa, come tutte le estati di Narnia che Lucy ricordava.
“Lu?” la chiamò una voce gentile.
Lei si voltò e salutò Caspian, facendogli posto sul basso muretto sul quale si era accomodata.
“Hai finito con gli ospiti?” gli domandò.
“Sì, stavo proprio per tornare da Susan. Ma tu che fai qui da sola? Credevo fossi con Emeth” disse ancora il Re, osservando il suo viso malinconico.
“Mmm…no” fece Lucy, sconsolata. “L’ho cercato ovunque ma non lo trovo da nessuna parte”
Caspian la osservò un momento. Era strano vedere Lucy triste.
“Hai provato alle scuderie? Emeth ama passarci pomeriggi interi”
“Sì, ci sono andata. Te l’ho detto, ho fatto il giro completo del castello ma non riesco a trovarlo. E se se ne fosse andato?”
“E perché avrebbe dovuto farlo?”
“Non lo so. Forse perché…” Lucy si morse un labbro, come sempre quando era nervosa. “Forse non vuole incontrarmi. Forse si è stancato di aspettarmi e…”
Caspian le sorrise e le diede un buffetto sul viso. “Sciocchina. Ti pare possibile?”
Lucy lo guardò e scosse il capo, ma ancora nutriva qualche dubbio: non che Emeth non le volesse più bene, ma che avesse deciso di lasciare il regno senza attendere di rivederla.
Non poteva negare di essersi chiesta se il giovane soldato fosse rimasto a Cair Paravel o fosse partito per qualche altro luogo. Spesse volte il ragazzo le aveva confidato di non sentirsi ancora del tutto a sua agio in mezzo ai narniani, anche se gli sarebbe piaciuto molto considerare Narnia come casa propria.
Lei poteva solo immaginare quanto doveva essere stato difficile per Emeth cambiare stile di vita. E da Calormen a Narnia era davvero un gran cambiamento.
Lucy si rivolse di nuovo al Re, con una nota di vera preoccupazione nella voce.
“Caspian, Emeth sta bene?”
“Sta benissimo” la rassicurò il Liberatore. “Sul serio” aggiunse, notando che lei lo fissava insistente.
Lei sospirò e abbassò il capo. “Mi fa piacere saperlo”
“Secondo me non vi siete incrociati”
La ragazzina rialzò il capo. “Come?”
Caspian sorrise ancora, mettendole un braccio attorno alle spalle. “Anche lui ti starà sicuramente cercando per tutto il castello, ne sono sicuro. Avrete percorso gli stessi corridoi e le stesse stanze, forse più di una volta, ma senza mai incontrarvi. Vi siete ‘mancati’, per così dire. Non pensare che Emeth sia stanco di te, Lucy. Gli sei mancata veramente moltissimo.”
Lucy fece un gran sorriso, poi con un piccolo balzo scese dal muretto. “Grazie, Caspian”
“A questo servono i fratelli maggiori”
La Valorosa sorrise ancora e poi fece un giro su se stessa. “Sono presentabile?” chiese, indicando gli abiti che indossava, abiti del suo mondo.
“Vai benissimo”
“D’accordo, allora vado! A dopo!” e così dicendo schizzò via correndo, come se avesse la ali ai piedi.
Corse sotto altri portici e corridoi esterni, ariosi, freschi. Attraversò un ultimo tratto di cortile e infine arrivò alle scuderie. Se a Emeth piaceva tanto recarvisi, decise che lo avrebbe aspettato là. Era inutile vagare ancora per tutta Cair Paravel.
Appena gli stallieri la videro, le rivolsero saluti ed inchini.
La Valorosa s’intrattenne con loro, chiacchierando per qualche minuto. Salutò Destriero e poi, finalmente, la sua pazienza fu premiata.
“Ah, Emeth, eccoti qui!” disse uno stalliere. “Credo che tu abbia visite”
Il soldato non fece tempo a chiedere nulla che una figura femminile apparve tra quelle maschili, aggraziata e fragile in mezzo a quegli uomini fatti e finiti.
“Lu!” esclamò Emeth, immobile sulla soglia.
La ragazza spiccò una piccola corsa attraverso la stalle e si fermò davanti a lui. “Ti ho cercato dappertutto, avevo paura che non ci fossi”
Il ragazzo la guardò con un sorriso quasi incredulo, e poi la prese tra le braccia, senza curarsi degli spettatori.
Lucy, presa alla sprovvista da quello slancio d’affetto, non riuscì subito a ricambiare l’abbraccio. Si ritrovò così stretta a lui che non poté far altro che stringergli la camicia sul petto e voltare appena la testa per poterlo guardare.
“Emeth” mormorò, gli occhi che brillavano.
Forse non era l’incontro romantico che si era aspettata, là sulla soglia delle scuderie, ma che cosa le importava del dove? L’unica cosa che contava era poterlo rivedere e scorgere nei suoi occhi scuri che anche lui era felice di vedere lei.
“Non volevo credere a quel che mi aveva detto Miriel” disse infine il giovane, allentando un poco la stretta così che lei poté cingergli le braccia attorno al suo collo.
“Che cosa ti ha detto Miriel?”
“Che stavate per tornare. Non volevo crederci finché non vi avessi visti con i miei occhi”
“E adesso ci credi?”
Lo sguardo di lui era dolce, mentre la guardava. E Lucy si lasciò guardare, senza dire nulla, continuando a sorridere, le mani sulle sue spalle.
Emeth annuì, tracciando il profilo del suo viso con dita leggere. Il suo viso, il suo sorriso…lo aveva sempre adorato. E gli occhi del colore del mare, i capelli sciolti, tirati indietro sulla fronte da una semplice fascia blu.
La tirò indietro e le tenne le mani, osservandola attentamente.
“Cosa c’è?” chiese lei, perplessa.
“Hai degli strani abiti” osservò lui.
Lei rise divertita. “Non ho ancora avuto il tempo di cambiarmi. Arrivo direttamente da camera mia, da Finchley. E per fortuna che ancora non stavo dormendo, o mi avresti trovata in pigiama”
Emeth rise con lei, per la prima volta, e Lucy ne fu felice.
“Mi sei mancato tanto, lo sai?”
“Anche tu, da morire.”
Emeth l’attirò verso di sé con dolcezza, per poi tenerle con tenerezza il mento tra il pollice e l’indice. La vide chiudere gli occhi ma un momento dopo si fermò.
Sbirciò alle spalle della ragazza, dove gli stallieri ridacchiavano e scoccavano loro occhiatine divertite.
Tutti a Cair Paravel sapevano le storie avvenute sul Veliero dell’Alba, anche quelle che riguardavano la parte sentimentale. I cantori non si erano risparmiati nulla.
Emeth fece un’espressione cupa, prese Lucy per le spalle e la trascinò via da occhi indiscreti.
Lei, ancora ad occhi chiusi, in attesa del bacio, sussultò quando si sentì tirare in avanti e poi appoggiare alla parete all’esterno della stalla.
“Che fai?” chiese stupita.
Lui non rispose e si chinò sul suo viso, posandole un intenso bacio sulle labbra.
Lucy rise, portandosi le mani alle guance per coprire il rossore che le imporporò.
“Emeth, ci guardano”
“Chi se ne importa”
Lei rise ancora, le labbra premute contro quelle di lui. Sgusciò via da quel bacio troppo intenso, che sapeva di un amore e di una dolcezza inebrianti, e dai quali fu leggermente intimidita.
Cos’era tutto quel trasporto da parte di lui?
“Dai, vieni” gli disse, prendendolo per mano. “Voglio passare tutta la giornata con te”
E come Peter e Miriel, passarono la maggior parte del giorno a parlare, passeggiando mano nella mano per gli immensi e rigogliosi giardini di Cair Paravel.
Lucy gli mostrò un aspetto tutto nuovo del castello: ripercorse tutta la storia di quelle mura, che letta sui grandi e antichi tomi della biblioteca erano parsi al ragazzo decisamente più noiosi ( a Emeth non piaceva granché leggere, a dire il vero).
La Regina gli narrò aneddoti privati della sua vita con i fratelli quand’erano Sovrani, lo condusse verso passaggi segreti nascosti: alcuni potevano portare dalle cucine al pian terreno fin su alle torri, oppure c'era la stanza di Lucy che si apriva direttamente sul giardino, e altre cose del genere.
Lucy sembrava avere sempre qualcosa da dire, invece lui, a volte, trovava difficile trovare argomenti interessanti.
“Qui a Cair Paravel faccio parte del seguito di Re Caspian, e adesso sono un cavaliere dell’Ordine del Leone. Non c’è molto da dire…”
“Come sarebbe non c’è molto da dire!” esclamò Lucy, molto colpita. “E’ un grande onore, Emeth! Non tutti ne entrano a far parte!”
Lui si schermò stringendosi nelle spalle. “In effetti non ho ben capito perché Aslan me l’abbia permesso”
“Oh, smettila di sminuirti! E’ meraviglioso! E’ la notizia più bella che potessi darmi!” Lucy fece una risata aperta, forte, allegra, battendo le mani, mostrando tutta la sua naturalezza, la sua spontanea vitalità.
“E devo dirti anche un’altra cosa” riprese lui poco dopo.
“Cosa?”
“Credo che mi piaccia stare qui. E ora che ci sei anche tu, Lu, sento di poter davvero chiamare casa la tua Narnia”
“La nostra Narnia” lo corresse lei, lasciandolo piacevolmente colpito. “Saliamo lassù” gli disse d’un tratto, facendo una mezza giravolta su se stessa, guidandolo verso altissimo pioppo.
Emeth, stupito dai movimenti agili della ragazza, la seguì senza indugio.
Quando furono in cima si ritrovarono a fissare l’Oceano. Ma non era quello che Lucy voleva mostrargli.
“Ora voltati” gli disse ansante.
Lui lo fece e vide tutto il villaggio di Cair Paravel ai suoi piedi: sembrava un quadro con i suoi tetti spioventi, le decine di stradine serpeggianti che risalivano verso la cittadella in mezzo a un mosaico di campi e fattorie. Tanti puntini dalle diverse forme e dimensioni si muovevano qua e là: cavalli, carri, greggi e pastori, donne e uomini al lavoro, cavalieri di ronda. Più avanti, le acque del Grande Fiume s’illuminavano di lampi abbaglianti che luccicavano sulla sua superficie irregolare. Ancora oltre, lo sguardo si perdeva tre le Grandi Foreste.
Lucy chiuse gli occhi e respirò a fondo, accomodandosi meglio sul ramo. “Purtroppo da qui non si vede bene come dalla Grande Torre, ma è più vicina e si notano più dettagli. Osserva bene, Emeth: questa è Narnia. La sua varietà di creature, i suoi odori, i suoni, la tranquillità e l’allegria. Narnia è ogni sasso, pianta, animale, uomo, ogni cosa presente sul suo suolo, che si muova o non si muova. Guardati attorno e amala, Emeth, come la amo io”
Il vento estivo che gli solleticava il viso ambrato, Emeth si volse verso Lucy e ne fissò il profilo.
“L’amo già” sussurrò, fissandola intensamente finché la Valorosa non se ne accorse.
Quando incontrò gli occhi scuri e intensi di lui, Lucy abbassò il capo, arrossendo, mentre un tenero sorriso si disegnava sul suo viso.
Rimasero sulla cima dell’albero ancora un poco, finché il sole non iniziò a tramontare e fu ora di rientrare.
 
 
Susan dormì saporitamente gran parte del pomeriggio restante. Quando si svegliò si sentiva ancora un po’ stanca ma felice.
Si stiracchiò pigramente e aprì gli occhi, proprio mentre la porta si apriva.
“Ciao, dormigliona” la salutò Caspian, andando verso il letto e chinandosi per darle un bacio.
“Ciao” lo salutò lei, subito dopo dando in un profondo sbadiglio.
Si guardarono un momento e si sorrisero.
“Te la senti di venire a cena o vuoi che te la faccio portare in camera?” chiese il Re.
Lei scosse il capo e si mise a sedere. “No, me la sento. Ho voglia di vedere gli altri”
Cenarono nel salotto delle stanze reali, dove Caspian aveva preparato una sorpresa per Susan: la tavola era apparecchiata a festa e ad attenderla c’era la sua famiglia, più Emeth e Miriel.
“Tara e Clipse dove sono? E il dottor Cornelius?” chiese Susan.
“Hanno preferito cenare nelle proprie stanze” le rispose Miriel. “Non volevano disturbare”
“Anche noi non volevamo venire” ammise Emeth molto timidamente, la mano in quella di Lucy, posata sul tavolo.
“Ma non disturbano affatto!” esclamò Susan, voltandosi subito verso Caspian.
Già sapendo quale sarebbe stato il desiderio di sua moglie, il Re si volse verso uno dei camerieri che stavano in piedi dietro la tavola.
“Eseguo subito, Maestà” disse questi, andando a chiamare le due ancelle mancanti e il vecchio precettore.
L’allegra combriccola mangiò e chiacchierò in allegria e con grande disinvoltura. Tutti si sentivano a proprio agio.
Susan mostrò ai fratelli e al cugino il suo diario.
Eustace non disse nulla a proposito dei guai che aveva avuto con la sua amica Jill a proposito di Narnia, sperando che gli altri per un po’ se ne dimenticassero.
I signori Pevensie ebbero modo di ascoltare le straordinarie avventure dei figli e del nipote sul Veliero dell’Alba, e conoscere meglio Caspian. Il Liberatore e i quattro ragazzi Pevensie rievocarono anche le storie del passato, tra cui la creazione di Narnia e dei suoi primi Sovrani, o quella della bella Regina Biancocigno, per la quale si batterono molti valorosi cavalieri ma il cui cuore apparteneva già al più umile degli stallieri, che infine sposò. Poi quella del coraggioso Olvin Senzamacchia, che salvò damigella Liln dal malvagio gigante a due teste Pire, il quale si trasformò in un monte che tutt’oggi portava il suo nome: il monte Pire appunto, situato tra il confine tra Archen e Calormen. E ancora quella del giovane principe Cor e dalla tarkaana Aravis, grandi amici dei Pevensie nell’Epoca d’Oro.
Quando fu ora di andare a dormire, ognuno si recò nelle proprie stanze, e quando Eustace vide la propria non poté trattenersi dall’emettere un fischio di compiacimento.
La notte tiepida e calma avvolse Cair Paravel e suoi ospiti cullandoli dentro un sonno costituito solo di lieti sogni. Centinaia di stelle, insieme a una sorridente luna nuova, sembravano brillare più intensamente del solito nel cielo di velluto.
Una lieve brezza si alzò e lambì le fronde degli alberi, arrivando sino alle mura del palazzo, entrando dalla finestra del balcone della stanza reale e svegliando il Re, il quale si rigirò nel letto, rendendosi conto di essere solo.
Aprì del tutto gli occhi che aveva solo socchiuso, inizialmente stupito ma in un secondo tempo incuriosito per l’assenza della sua Regina.
Dove poteva essere andata nel mezzo della notte?
La domanda trovò subito risposta.
Era logico.
Caspian si alzò lentamente, camminando verso la stanza adiacente: quella dei bambini. Un sottile fascio di luce s’intravedeva dalla fessura della porta rimasta socchiusa. Il Liberatore la spinse e s’insinuò piano nella stanza, dove trovò Susan seduta su un piccolo pouf accanto alla culla. Le tendine bianche attorno ad essa volteggiavano leggermente nella brezza della notte. La Dolce poggiava le braccia sul bordo del lettino, il mento su di esse, lo sguardo fisso sui gemelli.
“Susan?” la chiamò Caspian in un sussurro appena udibile
Lei alzò la testa e gli sorrise, mentre lui le si avvicinava.
“Che cosa fai qui?”
“Mi sono svegliata e ho sentito il bisogno di vederli. Non volevo disturbarti” spiegò la Regina, con un tono di voce se possibile ancor più sottile. “Non riesco a stare lontana da loro”
Caspian afferrò una sedia e vi si accomodò all’incontrario, gli avambracci sullo schienale.
“Lo sai” disse, allungando una mano e posandola tra i capelli di lei. “E’ tutto il giorno che mi chiedo una cosa”
“Cosa?”
“Chi dei miei figli ha osato darmi un calcio questa mattina?”
Susan rise, lui con lei.
Forse fu la risata, forse fu per un altro motivo, ma in quell’attimo la piccola Myra aprì gli occhi e agitò le piccole braccia, mugolando appena.
“Chiediamoglielo” disse allora Susan.
Caspian si alzò dalla sedia e si chinò verso la culla, sollevando la bambina.
“Allora, tesoro mio” disse con aria molto seria. “Chi è stato di voi? Sei stata tu?”
Improvvisamente, la principessina iniziò a piangere.
“Accidenti… ha confessato subito”
Susan sorrise teneramente vedendo l’espressione avvilita apparsa sul volto di suo marito.
“Buona piccola” mormorò Caspian, cercando di calmare Myra, dondolandola tra le braccia. “Che cos’ha?”
“Fame, credo” gli rispose la Regina, prendendo la figlioletta dalle mani del padre.
Il Re osservò la naturalezza con cui Susan era già entrata nel suo ruolo di madre. Già in quelle prime ore era in grado di capire per istinto di cosa avevano bisogno i suoi figli, solo guardandoli, o da un loro vagito, da una smorfietta del viso.
Non che il ruolo del padre non fosse fondamentale, ma una cosa era indubbia, e Caspian lo sapeva bene: il ruolo della madre è quello più importante.
“Dovresti farti aiutare dalle balie, Sue”
“Non è necessario” rispose lei, sedendo di nuovo sul pouf insieme a Myra. “Ce la faccio benissimo da sola”
“Non è questo, è che non voglio che ti stanchi”
La Dolce gli rivolse uno sguardo stupito. “Caspian, ancora hai paura che possa accadermi qualcosa?”
Lui distolse lo sguardo. Poi sospirò, liberando un sorriso. “Sono uno stupido, hai ragione. Ma convieni che due gemelli sono alquanto impegnativi”
“Mi spiace, ma non farò come mi ha consigliato la vecchia balia del castello” protestò Susan con gentilezza. “Non mi fascerò il seno e non mi farò andar via il latte, pensando solo a mantenere la linea, solo perché qui in molti credono ancora che non sia consono per una vera signora allattare suo figlio”
Caspian sorrise e si chinò a terra, davanti a lei, passandole una mano tra i capelli.
“Non intendevo certo questo. E’ solo che mi chiedo come farai quando reclameranno insieme la loro mamma?”
Susan rifletté per un attimo. “Bene, vorrà dire che mi aiuterai a cambiare i pannolini”
“Co…? Non dirai sul serio?”
Si fissarono: lui quasi disperato, lei annuendo piano ma con convinzione.
“Oh, povero me…”
In quell’istante, anche Rilian si svegliò, affamato come la sorellina.
Il Re e la Regina li portarono nel letto con loro, avvolgendoli nelle loro copertine e coccolandoli, scambiandosi sguardi colmi di gioia e amore. Un amore senza confini, senza condizioni, senza ragioni, senza domande. Era solo amore. Puro, semplicissimo. Il loro amore. L’amore che aveva dato vita a quelle due splendide creature. Uno dei miracoli che la vita dona senza alcuna ragione.
“Ti perdonerò se li amerai più di me” scherzò Caspian, sdraiato su un fianco, una mano posata tra i sottili capelli neri di Rilian.
Susan gli sorrise, sistemando la camicetta di lino leggero che Myra indossava, coprendola meglio. Si alzò su un gomito e, stando molto attenta a non svegliare i gemelli, si allungò verso di lui per dargli un bacio.
“Come potrei amarti di meno, se ti amo ogni minuto di più?”
Caspian le prese la mano e gliela strinse. “Scusami per prima”
La Dolce lo guardò interrogativa. “Per cosa?”
Se n’era già dimenticata.
“Per aver interferito riguardo ai nostri figli. So che sarai all’altezza del tuo compito, Sue”
“Caspian, tu devi interferire. Non potrò fare tutto da sola, questo lo so, e mi farò aiutare, ma è da te che voglio l’aiuto maggiore. Voglio crescere questi bambini con te. Loro già adorano il loro papà.  E anch’io”
Incatenò agli occhi a quelli di lui, pensando a quanto le sembrasse ancora impossibile a volte poter vivere quel sogno ad occhi aperti. Si era innamorata del bel giovane principe che era accorso a salvarla sul suo cavallo. Aveva sofferto per lui, aveva pianto, gridato, combattuto. Adesso aveva davanti a sé un uomo, un Re, che ricambiava il suo amore, che per lei aveva quasi perso la vita, che aveva mentito per poterla tenere al suo fianco contro tutto e tutti, per realizzare quel sogno. L’uomo al quale aveva donato due figli, e se stessa, la sua intera esistenza.
“Ti amo, Caspian”
Parole semplici, forse banali, ma più vere di qualsiasi altre.
E lui lo capì. Capì che le parole non potevano esprimere quel che lei aveva dentro, come del resto non poteva lui.
I sentimenti non riescono ad essere espressi a parole, che vengono meno a volte.
Fu Caspian adesso ad allungarsi verso di lei per posarle un ultimo bacio sulla fronte. “Ti amo anch’io, pesciolino”
La Regina sorrise e poi chiuse gli occhi.
Dormirono tutti e quattro abbracciati, serenamente, senza un pensiero, Caspian e Susan tenendosi la mano. Tutta la notte.
 
 
I Pevensie e Eustace restarono a Narnia una quindicina di giorni.
Anche Aslan s’intrattenne per i festeggiamenti per la nascita dei principi. Era bello ma insolito vedere il Grande Leone aggirarsi per Cair Paravel.
“Ma dove dorme? E cosa mangia, soprattutto?” chiesero ai ragazzi i signori Pevensie, i quali erano davvero molto affascinati dalla figura di Aslan e provavano per lui una sorta di timore reverenziale.
A rispondere fu Lucy, che usò le stesse parole che il caro signor Tumnus aveva rivolto a lei tanto tempo prima.
“Sapete, non è addomesticato, lui. Non so bene dove vada a coricarsi di notte, e nemmeno come si procacci il cibo. A volte penso che Aslan non abbia nemmeno bisogno di mangiare e dormire. Non è un Leone come gli altri”
Caspian si assicurò sempre che non mancasse nulla ai signori Pevensie, trattandoli come si conviene ai genitori dei Sovrani di Narnia.
Il Liberatore trovava molto di Susan in sua madre: gli stessi modi cortesi, sempre pronta a consolare e consigliare.
Quando Helen gli disse che se voleva poteva chiamarla mamma, Caspian rimase piacevolmente imbarazzato da quella richiesta. Ringraziò di cuore, balbettando che per lui era un grande onore e una gioia, tuttavia rifiutando. Poi, inchinandosi e chiedendo di perdonarlo, si fiondò letteralmente fuori dalla stanza.
“Santo cielo, che cosa ho detto?”
“Nulla mamma, non preoccuparti” la rassicurò Susan. “E’ solo rimasto molto colpito. Vedi, Caspian non ha più né padre né madre, purtroppo”
“Oh, povero caro!”
Con Robert, invece, fu più difficile costruire una dialogo che non presentasse grandi vuoti, riempiti da spiacevoli silenzi nei quali il signor Pevensie fissava Caspian con molta insistenza, ma senza dire una parola.
Il Re di Narnia aveva il sospetto – infondato, ma pur sempre insistente – che Robert lo incolpasse in qualche maniera di avergli portato via la figlia maggiore. Chissà cosa poteva aver pensato quando aveva saputo che Susan aveva sposato un uomo del tutto sconosciuto, e che aspettava un figlio da quest’uomo.
Da un certo punto di vista si poteva dire che Susan fosse scappata con lui.
Ma il signor Pevensie non ce l’aveva affatto con Caspian, più che altro non sapeva come porsi dinanzi a lui. Era un giovane di appena vent’anni, che poteva benissimo essere suo figlio ma era pur sempre un re. Doveva dargli del tu o del voi?
“Immagino che Susy vorrebbe ci dessimo del tu” disse Robert, finalmente sfoderando un sorriso gioviale che ebbe il potere di distendere i nervi del giovane.
“Se me lo permettete, signore…”
E così fu.
I signori Pevensie si ambientarono in fretta al castello. Era tutto incredibilmente straordinario in quel mondo dove i loro figli erano realmente trattati come Re e Regine, un mondo rassomigliante al medioevo terrestre ma con l’aggiunta di ogni tipo di meraviglia, che nemmeno nelle fiabe più fantasiose sarebbe stato possibile rappresentare.
Anche Eustace si divertì moltissimo. Si adattò piuttosto bene, molto prima che sul Veliero dell’Alba, anche se non mancò di lamentarsi che non c’era acqua calda nei bagni se non la si faceva bollire, che il pane tostato a colazione era troppo secco, la minestra troppo bollente, gli abiti confezionati per lui troppo stretti o troppo larghi.
Nella scorsa avvenuta non aveva visto davvero Narnia, ma ‘solo’ l’Oceano Orientale. Approfittò così di quelle due settimane per prendere ulteriori appunti per le sue storie. Riuscì nell’intento grazie alla moltitudine d’informazioni che trovò nei libri dell’immensa biblioteca di palazzo, e dando fondo a quella del dottor Cornelius.
“Ah, come mi fa piacere vedere che qualcuno apprezza così tanto i miei libri” disse commosso il vecchio precettore, lanciando al Liberatore un’occhiata di rimprovero.
“Ce l’avete con me, dottore?”
“Sì, Maestà. Voi non siete mai stato uno studente tanto meticoloso, mi duole ammetterlo”
Caspian arrossì. “Veramente…”
“Ah, ma guarda cosa si scopre!” fece Susan, con uno sguardo furbo. “Qual era la tua media scolastica?”
Il dottor Cornelius stava per dire qualcosa, ma Caspian si affrettò a tappargli la bocca. “Cambiamo discorso, vi dispiace?”
“La verità è che Sua Maestà ha sempre preferito la scherma e l’equitazione piuttosto che l’aritmetica o la geografia” confessò più tardi Cornelius a un’interessatissima piccola folla di curiosi. “Ma era bravo nella letteratura e nella pittura, questo sì, e adorava la storia”
E a proposito di storie e libri, Eustace non aveva più accennato alla sua disavventura riguardante gli appunti di Narnia.
Non fu particolarmente difficile evitare Peter e Lucy, impegnati com’erano con i fidanzati. Un po’ meno lo fu con Edmund. Ma Susan era invece stata messa al corrente di quella che ormai tutti chiamavano ‘La storia degli appunti perduti’, e il ragazzino dovette sorbirsi i suoi rimproveri.
“Io a volte mi chiedo se tu abbia le pigne nel cervello, Eustace, davvero!” disse Susan.
“Le pigne ce le avrai tu!” aveva ribattuto lui, scandalizzando non poco Lora e le altre dame che in quel momento si trovavano con la Regina.
Quelle donne non avevano mai udito qualcuno rivolgersi con tanta impertinenza alla Sovrana.
L’unico che sembrava divertirsi un po’ meno era Edmund.
Caspian, da buon amico, notò prima di tutti gli altri che qualcosa non andava, ma il Giusto rispose che non c’era nulla.
Ma non era vero.
Non voleva darlo a vedere, poiché nemmeno lui avrebbe saputo come spiegare quell’improvviso senso di vuoto nato nel suo cuore mentre osservava Caspian e Susan, Peter e Miriel, Emeth e Lucy.
Tutti felici, tutti con dei progetti concreti per il futuro. Persino Eustace, tutto preso dal prendere nuovi appunti per il suo romanzo, sembrava aver trovato qualcosa che lo appagasse appieno.
Edmund aveva sempre trovato inutile perdere tempo con le ragazze. Sua madre sosteneva che dipendesse dal fatto che fosse ancora troppo giovane per pensare a certe cose, ma che quando sarebbe arrivato il momento in cui avrebbe incontrato la donna giusta, anche lui si sarebbe innamorato e avrebbe capito cosa stavano provando gli altri.
Riflettendo sulle parole di Helen, il pensiero di Edmund era subito corso a un volto.
Non aveva saputo spiegarsi perché gli era venuta in mente proprio lei, fatto sta che era accaduto, e non poteva farci nulla. Pensava a lei più del lecito, più di quanto fosse disposto ad ammettere anche a sé stesso. Spesse volte la sognava, e non gli dispiaceva affatto.
Tornando lì per la nascita dei sui nipoti, il Giusto aveva sperato di poter rivedere la giovane Stella, inutile negarlo. Ma se non fosse successo, se lei e suo padre non fossero venuti a far visita ai principini, non doveva rimanere deluso.
Non aveva mai dimenticato la luce dei suoi occhi color zaffiro e la sua voce lieve, certe volte da sembrare un sussurro. Il suo sorriso velato di tristezza, i suoi sorrisi timidi.
Shanna…
Perché?, si chiedeva Edmund. Perché il ricordo di lei era tanto forte e anche tanto nostalgico?
Erano stati insieme un lasso di tempo abbastanza breve, eppure non riusciva a smettere di pensarla.
Se gli altri nominavano Narnia, il suo pensiero correva automaticamente a lei, come quello di Peter a Miriel, quello di Lucy a Emeth, e com’era accaduto a Susan con Caspian.
Senza trovare una risposta accettabile a queste sue domande e dubbi, aveva finito con il diventare un poco invidioso della felicità altrui, e si era chiuso nel suo solito guscio di silenzio e sguardi cupi.
Non confidò a nessuno i suoi pensieri. Sarebbe stato pronto a farlo nel momento in cui le parole di sua madre si fossero avverate: nel momento in cui avrebbe capito.
 
 
La nascita del Principe Rilian e della Principessa Myra fu un grande evento, e vide giungere a Narnia, nei giorni seguenti, una gran successione di visitatori.
Dalle Isole Solitarie arrivò Lord Bern con la moglie e le due figlie minori, felici di poter riabbracciare Tara. Le sorelle si fecero raccontare tutto da lei sulla corte di Narnia e sulla vita che vi conduceva.
Dalle Sette Isole arrivarono Kal e la sua famiglia, il vecchio Rolf e altri abitanti. Giunsero visitatori anche da Archen, mentre dall’Isola delle Voci sbarcarono una numerosa comitiva di Monopodi guidati da Chief, il padre di Clipse, con moglie e altri novi figli a carico.
Tutti più piccoli, tutti maschi, i fratellini di Clipse non erano tranquilli ed educati quanto lei, ma dei gran mattacchioni combina guai. Appena loro madre si voltava, ecco che cominciavano a saltellare dappertutto, sparpagliandosi per tutto il castello. Ci volle quasi un’ora per ritrovarli, e intanto la povera madre si scusava per la brutta figura, singhiozzando di vergogna sulla spalla di Lady Lora.
“Su, su, cara signora, li ritroveremo”.
“Detesto i marmocchi!” esclamò Eustace, il fiato corto, mentre cerava di farsi strada in un cespuglio di ortensie, rimanendovi incastrato. “Ed! Ed, aiuto!”
“Che diavolo combini sempre?”
“Zitto e aiutami, ho detto! Anche l’ultima volta mi è capitata una cosa simile. Perché tutte a me?”
“L’ultima volta, da quanto ne so” commentò Edmund, cercando di tirarlo fuori, “eri un drago e avevi il sedere grosso come una casa, ma adesso…”
Il resto della frase venne soffocata da una coro di allegre risa.
Edmund si voltò con espressione minacciosa, per vedere chi fosse stato.
“Vi serve una mano?”
“Shira!” esclamò il Giusto, dimenticandosi in un attimo del cugino.
“Salve, Re Edmund”
“Ciao, Edmund” lo salutarono due ragazze, una mora e una bionda.
“Gael! Shanna! Cosa fate qui?!”
Il ragazzo si alzò da terra e corse loro incontro. Quando fu davanti a Shanna, le guance lattee della Stella si tinsero di un rosa acceso.
“Siamo venute con le nostre famiglie a far visita alle nuove Altezze Reali”
“Mi fa piacere! Mi fa molto, molto piacere!” esclamò il Giusto, imbarazzato, felice. “Anche Rhynce e Ramandu sono qui?” chiese poi.
“Sì, e anche mia madre!” aggiunse Gael. Era cresciuta parecchio, i capelli leggermente più corti.
Ma Edmund aveva occhi solo per Shanna.
Lei non era cambiata affatto, era più carina che mai.
Shira, sulla spalla della padroncina, volò verso il ragazzo incastrato tra i cespugli. “Lord Eustace, cosa state cercando con tanto interesse?”
“Forse loro” fece Gael, sospingendo in avanti una creaturina semi umana, che fino ad allora si era nascosta dietro la sua gonna e quella di Shanna.
Erano due dei fratellini di Clipse che, ridacchiando come matti, saltellarono dentro al cespuglio, e tirando e spingendo liberarono Eustace.
Gael lo osservò e rise ancora. Era così buffo con i capelli tutti spettinati, pieni di petali rosa, bianchi e lilla.
“Ciao, ragazze” le salutò finalmente, facendo un sorriso amichevole che mai gli avevano visto in volto.
Gael arrossì.
Quando rientrarono al palazzo, tutti i fratellini di Clipse erano stati ritrovati. Chief e sua moglie rimproverarono i figli e li cacciarono a letto senza cena. Ma i piccoli Monopodi non parvero prendersela più di tanto, sembravano più che altro soddisfatti di aver creato tutto quello scompiglio.
Da quel giorno in avanti, finché non giunse per tutti il tempo di ripartire, l’atteggiamento un poco passivo di Edmund si tramutò in un’incontenibile euforia. E sebbene il Giusto cercasse di mascherarla, traspariva senza che lui potesse fervi nulla ogni qualvolta stava insieme a Shanna. Cioè, praticamente sempre.
Lui pendeva dalle sue labbra, un po’ perché le piaceva sentirla parlare e un po’ perché si rese conto che non era in grado di intavolare una conversazione sensata con una ragazza. Cosa alquanto assurda, visto che con le sue sorelle, Miriel, Gael, Tara, ci riusciva benissimo.
“Di sicuro saranno molto più divertenti le tue giornate, Edmund. Io potrei parlare solo della mia isola o della Tavola di Aslan”
“Ma a me interessa, davvero! Dai, racconta!”
Pur non rendendosi esattamente conto di ciò che li spingeva a cercare sempre la compagnia l’uno dell’altra, riconoscevano che il loro legame non era quello di due semplici amici. Quando parlavano con altri non era come quando parlavano tra di loro. Non c’era quell’emozione, quella leggera tensione che faceva abbassare gli occhi a Shanna e sudare le mani a Edmund. Non provavano quella piacevole sensazione al petto, quella stretta, quella pressione che il cuore produceva battendo al suo interno più velocemente del solito, per poter far spazio a quell’ancora innocente sentimento che li legava.
Lui cercava sempre di farla ridere e ci riusciva. Shanna era così semplice, così innocente, così…
Bella.
L’aveva sempre trovata bella, ma ora lo era ancora di più. Ora che era scomparso il terrore albergato nello sguardo della Stella quando l’aveva conosciuta, poteva vederla sotto una nuova luce. Poteva ammirare la vera Shanna, senza pensieri tristi per la sorella traditrice, senza paura di venir braccata dalla Strega Bianca o da quei mostri che vivevano sull’Isola delle Tenebre.
Non avevano mai accennato a Lilliandil, o alla Strega. Shanna non parlava volentieri della sua prigionia, ma non aveva mancato di ringraziarlo per l’ennesima volta di averle salvato la vita.
Il tempo da trascorrere insieme era sempre tropo poco, ma questa volta, quando dovettero salutarsi, entrambi sapevano che si sarebbero rivisti. Non era più una speranza, era una certezza.
“Quando quei due si decideranno ad ufficializzare le nozze” disse Edmund alla Stella, alludendo a Caspian e Susan. “Verrete tu e tuo padre, vero?”
“Ovviamente” assicurò la fanciulla. “E rimarrai a Narnia, allora?”
A quella domanda, Edmund scosse il capo con un amaro sorriso. “Non penso, sai. Non per sempre. Non so quando succederà”
“Va bene, non importa” sorrise lei, baciandolo sulla guancia. “Conterò i giorni”
Lui s’irrigidì, annuendo, non sapendo che dirle.
Poi, in uno slancio di coraggio, si chinò su di lei e ricambiò il bacio.
Shanna spalancò i grandi occhi di zaffiro, incredula, toccandosi la guancia dove lui aveva posato le labbra.
“A-arrivederci” deglutì il Giusto.
Lei rimase immobile, fissando la sua schiena mentre lui si allontanava.
“Edmund!” gridò nel vento.
Lui si volse rapido e lei gli sorrise ancora, raggiante.
“Ti aspetto, lo sai”
Lui ammiccò appena. “Certo”
Poi la guardò sparire insieme a Ramandu e Shira, in una scia luminosa che quando raggiunse il cielo si confuse con la luce del sole.
“E così hai anche tu la ragazza, adesso” sorrise il Liberatore mettendogli un braccio attorno alle spalle.
“Edmund è un rubacuori, non lo sapevi?” disse Lucy divertita.
Il fratello si accigliò. “Non ho la ragazza. Shanna è un’amica”
“Le amiche non si baciano, Ed” disse Caspian, scompigliandogli i capelli.
Lucy si portò un dito sotto il mento, pensierosa. “Io mi ricordo che una volta hai detto una frase che suonava molto come: ‘io sono grade ma non so se voglio capire‘ ” disse, imitando scherzosamente la voce del fratello.
“Non fate gli scemi! Uffa…non è la mia ragazza! E non l’ho baciata!”. Edmund incurvò le spalle, affondando le mani nelle tasche dei suoi abiti terrestri.
I Pevensie si erano cambiati. Era ora di tronare in Inghilterra.
Aslan lasciò che gli ospiti salutassero gli abitanti di Cair Paravel, poi guidò la famiglia Pevensie e Eustace verso la spiaggia. Con loro Caspian, Susan, Miriel e Emeth.
“Parlerò ai miei genitori appena tornati sulla Terra” disse Peter a Miriel.
“Quando te la senti”
“Devono sapere che ho intenzioni serie”. Il Re Supremo si fermò e le si mise di forte. “Tu parlerai alla tua famiglia?”
“Ci proverò. Chiederò ad Aslan sul da farsi”
“Ti amo, Miriel”
La Driade si sporse verso di lui e lo baciò. “Anch’io. A presto, amore mio”
Si spinsero molto in là rispetto ai confini del castello. Ora si trovavano in un punto dove c’erano solo mare a est e boschi a ovest. Le torri di Cair Paravel si nascondevano dietro gli alberi.
Allora si fermarono e Aslan invitò la famiglia Pevensie e Eustace a procedere da soli lungo la battigia.
Ci furono ancora baci e abbracci, e qualche lacrima da parte delle donne.
Lucy fu l’ultima, perché Emeth sembrava davvero intenzionato a non volerla lasciare andare via.
“Mi duole, ragazzi, ma è tardi” disse il Leone, osservando la sua protetta e il soldato con un sorriso affettuoso.
Lucy lo baciò sul muso, poi, piano piano, lei, Peter, Edmund, Eustace, Robert e Helen, si allontanarono sempre più, senza mai voltarsi.
Susan, Caspian, Miriel, Emeth e Aslan restarono ad osservarli per lungo tempo, fino a che non divennero ombre indistinguibili che si confusero con quelle degli alberi, le quali si allungavano sulla sabbia dorata.
Il cielo si tinse di arancio e il gruppo tronò indietro.
Le tante orme sulla sabbia erano state in parte cancellate dalle onde dell’Oceano che s’infrangevano dolcemente sulla riva. Sarebbero ricomparse non appena i loro proprietari avrebbero rimesso piede su quella terra.
 “Figli miei”
La voce profonda e rilassante di Aslan interruppe il flusso di pensieri dei ragazzi.
“So quanto vorreste che si fermassero qui, ma non è ancora il momento”
“Sì, lo sappiamo” rispose Susan con un sorriso amaro.
“Ci lasci anche tu?” chiese poi Caspian al Leone.
Questi annuì e volse lo sguardo verso l’orizzonte sconfinato. “Hanno bisogno di me, laggiù”
Anche gli altri fissarono per un attimo la linea dove mare e cielo s’incontravano.
Un solo alito di vento e Aslan non c’era più.
“Fa sempre così” commentò Emeth. “Non ci da nemmeno tempo per salutarlo”
“Già” disse Caspian, posando un braccio sulle spalle di Susan, camminando lentamente a fianco a lei e agli amici. “Ha questo vizio di apparire e sparire quando non te ne accorgi. Gli piace fare un po’ di scena. Ma dopotutto, lui se lo può permettere”
 
 
A miglia e miglia di distanza, nel suo immenso palazzo di Tashbaan, l’Imperatore Tisroc si apprestava a ricevere la corrispondenza del giorno.
Sedeva attorno al lunghissimo tavolo insieme alle tre mogli e alle figlie quando il suo servitore arrivò con un piccolo vassoio d’argento sul quale erano posate numerose buste e pergamene, più un temperino d’oro con il quale Tisroc era solito aprire le sue lettere.
Il suo sguardo pensieroso passò in rassegna numerose richieste di nobili tarkaan e tarkaane, un invito a un matrimonio di una famiglia di una provincia vicina a Tashbaan, e altri vari inviti formali e informali.
Ma quando tenne tra le mani una busta con il sigillo di Narnia, sulla sua fronte si formò una ruga più profonda.
Strappò la busta con noncuranza, quasi con disgusto. La lettera non era lunga, si e no dieci righe.
Era da parte di Lord Erton, un vecchio amico di guerra, conosciuto quando Tisroc ancora era principe ed Erton un giovane Lord a capo delle forze armate dell’ormai vecchio Re Caspian VIII. Avevano combattuto sulle montagne occidentali, sterminando tutte le creature fatate che vi vivevano e contendendosi il possesso di quei luoghi, che poi erano andati a Narnia. Era un’epoca in cui la leggenda dei Pevensie era appunto solo una leggenda, dimenticata dai più, e ricordata con un brivido da chi credeva fosse tutto vero. Il nome di Aslan non veniva pronunciato da secoli.
Tisroc e Erton si scrivevano saltuariamente, non erano amici ma solo compagni di un obbiettivo comune: sbarazzarsi di Aslan e della Grande Magia.
Se però il Duca di Beruna riteneva necessario scrivergli, era perché a Narnia era accaduto qualcosa d’importante. Qualcosa che forse riguardava anche lui.
Finì di leggere e si alzò, facendo cenno ai servi di liberare la tavola dalle carte.
Improvvisamente, le donne interruppero le loro conversazioni e osservarono il sovrano con attenzione.
“Qualcosa ti turba, mio caro?” chiese l’Imperatrice, la prima delle tre mogli di Tisroc.
“No, mia adorata. Continuate pure il vostro pasto, signore”.
Detto ciò, Tisroc uscì e si diresse verso l’ala del castello riservata alle stanze del principe, suo primogenito.
Quando le guardie annunciarono l’arrivo dell’Imperatore, tutti i presenti s’inchinarono e lo accolsero con queste parole:
“Che Tash vi protegga, grande Imperatore Tisroc! Che possiate vivere in eterno!”
Quegli uomini che avevano gridato alla lode del loro signore, erano tutti medici, i migliori del regno di Calormen, che Tisroc aveva fatto arrivare a palazzo da ogni città e distretto perché curassero il principe Rabadash, il quale giaceva nel suo letto, in coma, da quasi otto mesi.
Il capo medico si avvicinò all’Imperatore, sempre però restando a distanza debita. Nessuno che non era della famiglia reale poteva toccare l’Imperatore.
“Come sta?”
“Come sempre, Maestà. Le sue condizioni sono stabili ormai, ma non c’è traccia di miglioramento. Molti di noi dubitano, ormai, che possa riprendersi”
Tisroc osservò il volto scarno di Rabadash, il pallore sulle guance olivastre, i capelli e la barba lunghi, la lunga cicatrice sul collo.
Quando Tisroc non aveva più ricevuto notizie dall’Occhio di Falco, aveva inviato una spedizione di dieci navi perché lo trovassero.
Il veliero di Rabadash, dopo la sconfitta, si era arenato su un isolotto minuscolo in mezzo al nulla. Le provviste e l’acqua potabile avevano iniziato a scarseggiare, ed era stato allora che, grazie a Tash, erano giunti i soccorsi.
Più della metà dei marinai e dei soldati era perito in battaglia. L’unica autorità rimasta a bordo era il capitano, il quale aveva riportato per filo e per segno i fatti all’Imperatore.
Tutti i piani erano andati in fumo: i pirati di Terebinthia si erano rivelati dei traditori, la Regina Susan aveva sposato Caspian X, Rabadash era quasi morto, tenuto in vita solo da una strana maledizione che ancora scorreva nelle sue vene.
Gli stregoni al servizio di Tisroc avevano lavorato insieme ai medici nei primi tempi, affermando che il fisico del principe era molto forte, ma poteva sopravvivere solo qualche mese in quelle condizioni, non di più. Se non si svegliava al più presto, quando anche gli ultimi scorci di maledizione se ne fossero andati, le medicine avrebbero potuto ben poco.
 “Non accetterò mai di avere per figlio un vegetale! Deve svegliarsi, avete capito?” tuonò Tisroc, tornando con la mente al presente.
“Stiamo già facendo tutto il possibile. Sta a lui, adesso”
In un volteggiare di ricche vesti, Tisroc lasciò la stanza e si rinchiuse nel suo studio a pensare.
La lettera di Lord Erton doveva essere in qualche modo collegata alle condizioni di Rabadash.
Erton scriveva per informare Tisroc che finalmente Narnia aveva un erede. Anzi, due. La Regina Susan aveva dato alla luce due gemelli, un maschio e una femmina.
Ma che cosa importava a Tisroc di tutto questo? Se Susan aveva dato dei figli al Liberatore, per Calormen non c’era davvero più speranza. Perché allora renderlo partecipe di quel lieto evento? Per invitarlo forse a far visita ai principi? Per burlarsi di lui?
No. Erton non sapeva nulla del pericolo in cui incombeva la stirpe del Sud, a meno che la notizia non fosse trapelata.
Probabilmente, questa volta, il Duca non gli aveva scritto con secondi fini. Era stata una semplice informazione della quale aveva ritenuto opportuno metterlo al corrente. Quando nasce un principe, dopotutto, è bene che i paesi circostanti lo sappiano.
Effettivamente, era stato proprio così: il Duca aveva scritto all’Imperatore solo per avvisarlo.
Lord Erton non avrebbe mai potuto immaginare quali sarebbero state le conseguenze di quella lettera. Ma certamente avrebbe partecipato al malsano, crudele piano che Tisroc iniziò a progettare da quel giorno. Un piano che avrebbe richiesto un lavoro minuzioso, accortezza nei minimi dettagli, lunghi calcoli, riflessioni, e soprattutto pazienza e cautela.
Un piano la cui organizzazione durò sei lunghi anni.

 
 
 
 
 
 
 
Con le feste ho trovato poco tempo per dedicarmi alla mia storia, e questo capitolo l’ho scritto a scatti, per cui scusate il ritardo anche questa volta. T________T
Proposito per il nuovo anno: essere puntuale con gli aggiornamentiiiiiiiiii!!!!!!!!!!! XD
Sentimenti…direi che come titolo calza, non trovate? Anche se non accade nulla di particolare per la svolta della trama, si vedono tutte le coppie e mi sono largamente dedicata a loro. <3 Diciamo pure che è la calma prima della tempesta. Ricordate il trailer? Ecco, questi primi capitoli sono stati l’inizio, fino a quel “And then…” E poi…
E poi…ringraziamenti!!!
 
Per le preferite:
aleboh, Angel2000, Araba Stark, battle wound, EstherS, Expecto_Patronus, Fly_My world, Francy 98, HikariMoon, Jordan Jordan, Joy_10, katydragons, lullabi2000, MartinaMalfoy, Mia Morgenstern, Muffin alla Carota, Mutny_Hina, oana98, piumetta, Queen Susan 21, Shadowfax, TheWomanInRed e Zouzoufan7
 
Per le ricordate: Araba Stark e Cecimolli
 
Per le seguite:
Araba Stark, Babylady, blumettina, catherineheatcliffe, Cecimolli, ChibiRoby, cleme_b, ecate_92, FioreDiMeruna, Fly_My world, GossipGirl88,  JLullaby, Jordan Jordan, Joy_10, Judee, Lucinda Grey, Mia Morgenstern, Min_Jee Sun, niky25, Omega _ex Bolla_ ,  piumetta, Queen Susan 21, Revan93 e Shadowfax
 
Per le recensioni dello scorso capitolo:
Araba Stark, aleboh, battle wound, Cecimolli, FioreDiMeruna, HikariMoon, Joy_10,   piumetta, Queen Susan 21, Shadowfax e susan the queen


Angolino delle anticipazioni:
Torniamo a dividere l’angolino in due.
Narnia: i gemelli cresceranno in fretta. Accadrà qualcosa a Caspian, ma non temete, tutto si risolverà, anche se dovrete spasimare!!!
Pianeta Terra: torneremo da Jill e da Eustace, ma vedremo anche gli altri Pevensie, concentrandoci su Peter in particolare, perché il Re Supremo potrebbe iniziare a pensare che il settimo Amico di Narnia non è così lontano…

 
Come sempre vi ricordo la mia pagina facebook per gli aggiornamenti.
Vi annuncio inoltre che ho scelto
l’anello di Susan: eccolo qui!!!
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Devo ringraziare più persone, perché mi è stato inviato da alebho, Joy_10 e Queen Susan 21. E’ lo stesso ragazze, per cui grazie ancora a tutte e tre!!!
A proposito: Joy, sono davvero felice che abbiamo potuto palrare!!! Ti adoro ancora di più gemella mia!!!!!!!!!!!!

Un bacio grande e buon anno nuovo a tutti!!!
Susan♥


 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7: Gioie e dolori ***


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7. Gioie e dolori
 
 
Ho appena giurato che sarò sempre lì.
Darei qualsiasi cosa e tutto quanto,
E ne avrò sempre cura.
Attraverso la debolezza e la forza,
Felicità e dolore,
Nel bene e nel male, io ti amerò
Con ogni battito del mio cuore

 

 
Quella notte, Jill Pole non riuscì a dormire bene.
Dopo che Eustace se n’era andato con i suoi appunti, la ragazza aveva pensato e ripensato alle parole che si erano scambiati.
Lui non aveva ammesso apertamente che il suo romanzo non era frutto della sua fantasia, ma una storia basata su fatti reali, però le aveva detto di non parlarne ad anima viva. Anzi, glielo aveva quasi ordinato a dire il vero.
Se ci pensava le saliva il sangue alla testa! Certe volte, non sopportava proprio l’atteggiamento di quel ragazzo.
Ad ogni modo, non aveva nessuna intenzione di parlarne con nessuno. Perché avrebbe dovuto?
Pensava, Jill… pensava allo sguardo di terrore di Eustace nel momento in cui aveva saputo che il quaderno l’aveva lei, che aveva letto la parte iniziale del suo romanzo. Pensava alla preoccupazione dipinta sul volto dell’amico alla prospettiva che la notizia potesse trapelare.
Lei aveva tirato le sue conclusioni, ma quante possibilità c’erano perché avesse ragione?
Pochissime, se non una su un milione.
Più che una certezza il suo era un presentimento.
A Jill erano sempre piaciuti i racconti fantastici, Aveva una mente molto aperta e le piaceva viaggiare con l’immaginazione, ma non aveva mai creduto all’esistenza di mondi paralleli, a nani, streghe, sirene e draghi, eccetto che da bambina. Aveva ben chiaro il limite tra realtà e fantasia.
O almeno, lo aveva avuto fino a quel pomeriggio.
Adesso, la sua testa era un brulicare di domande che cercavano una risposta senza trovarla, di immagini dei cugini di Eustace che entravano in un armadio dentro al quale esisteva un altro mondo. Non un altro pianeta, non un luogo raggiungibile tramite mezzi di trasporto comuni, ma un paese sospeso nel nulla, per così dire, un mondo di sogno che solo chi è prescelto può raggiungere.
Era così che Jill aveva sempre immaginato che fosse: ai protagonisti dei racconti fantasy accade qualcosa di straordinario perché sono persone straordinarie, perché hanno qualcosa in più degli altri, perché sono prescelti da qualcuno di grande per vivere avventure incredibili, al di fuori della portata di persone ordinarie…come lei.
Le era rimasta impressa quella frase rimasta a metà, la frase che le aveva fatto capire la verità (o quella che lei pensava fosse la verità).
Peter mi ammazza.
Peter.
Esisteva davvero un Peter Pevensie? E Susan, Edmund e Lucy. Ed erano davvero stati in quel mondo chiamato Narnia?
Se Eustace temeva così tanto Peter, voleva dire che la faccenda era davvero grossa.
Un segreto, aveva detto Scrubb. Tutto ricollegabile al romanzo.
Jill aveva una teoria: era possibile che Eustace avesse scritto quella storia a insaputa dei cugini.
Le sarebbe tanto piaciuto scoprire come stavano le cose.
Che i quattro ragazzi del romanzo fossero effettivamente i quattro cugini di Eustace? Oppure…
Jill, gli occhi chiusi ma ancora insonne, si rigirò nel letto per l’ennesima volta quella notte.
Improvvisamente si sentì a disagio.
Che Eustace la stesse prendendo in giro?
Già, perché oltre alla gran curiosità e la voglia di sapere, che animava la sua mente in quelle ore, si aggiungeva un pensiero fastidioso. Era come il ronzare insopportabile di una mosca nel silenzio, e disturbava i suoi ragionamenti.
Voleva sapere, voleva capire, voleva essere certa che non fosse una menzogna. Uno stupidissimo scherzo, magari architettato con l’aiuto dei bulli, per poi umiliarla davanti a tutta la scuola, per darle della credulona, della ficcanaso, per…
Jill aprì gli occhi e sospirò.
Ma no, non poteva essere. Nemmeno quand’era il più odioso dei ragazzini, Eustace era stato così crudele con lei.
Decise che l’indomani lo avrebbe interrogato ancora sul da farsi, poco importava se lui non voleva parlarne: lei lo avrebbe costretto. Un po’ perché voleva vederci chiaro su quel romanzo misterioso, e un po’ perché stava diventando un chiodo fisso.
In poche ore, Narnia e i fratelli Pevensie erano divenuti la sua ossessione.
Se non voleva svegliarsi tutte le mattine con l’emicrania e profonde occhiaie che spaventassero non poco la mamma, doveva sapere.
 
 
“Sembri uno zombie, Pole. Ti senti male?” le disse Eustace il mattino seguente, a scuola.
“Lascia stare. Non ho chiuso occhio” rispose lei con voce sepolcrale, appoggiando la testa sul banco.
Lo guardò attentamente mentre estraeva i libri dalla borsa e si preparava per la prima lezione.
Sembrava molto tranquillo. C’era un accenno di sorriso su quel viso quasi sempre imbronciato.
Evidentemente non era più preoccupato che lei lo tradisse. Forse si fidava. In fondo, aveva giurato.
“Sembri di buon umore stamattina” osservò Jill, rimettendosi composta.
Lui annuì. “Sì, è vero, lo sono”.
Raramente Scrubb sorrideva così.
“Posso sapere le buone notizie o è un segreto?”
Lui si volse verso di lei e la sua espressione felice venne un attimo offuscata da un’occhiata guardinga.
Jill non lo aveva detto di proposito. La parola ‘segreto’ le era uscita senza pensare.
“Scusa, non voglio farmi i fatti tuoi”
Eustace cercò di far finta di niente, e continuò dicendo: “Sono diventato zio”
Jill lo fissò perplessa. “Ma tu non hai fratelli, Scrubb”
“Sì, bè… non sono i miei nipoti, in effetti, però mi piace pensarlo. Sono uno zio in seconda”
“Un lieto evento in famiglia?” chiese ancora lei.
“Eh già! Mia cugina ha avuto due gemelli”
“Oh, che bello! Congratulazioni!”
Eustace allargò il suo sorriso, senza accorgersi che Jill Pole era super attenta a tutto quello che diceva.
E Jill seppe sfruttare la situazione per tentare di scoprire qualcosa in più.
“Tua cugina…chi?” chiese la ragazza.
“Mia cugina Su…”
Gli occhi azzurri di Eustace incontrarono quelli castani e indagatori di Jill.
Si era quasi tradito, ma fortunatamente aveva capito le intenzioni dell’amica e si era fermato in tempo.
Mannaggia a te Pole!
“Su…Su…Suellen”
“Suellen” ripeté Jill, con uno sguardo come per dire ‘non prendermi in giro’ “Mi sembrava avessi una cugina che si chiama Susan”
“NO!” rispose subito Eustace, irrigidendosi. “No, no, era Suellen”
“Ah….d’accordo. Ma quella del tuo racconto era Susan, o sbaglio?”
“Sì, ma cosa centra? Quella mica è mia cugina”
“Mmm…va bè”.
Un attimo dopo entrò il professore e il chiacchiericcio degli studenti si zittì.
Mentre veniva fatto l’appello, Eustace lanciò un’occhiata veloce a Jill e iniziò a pensare a quanto aveva deciso con i Pevensie: ignorare ogni possibile tentativo di lei di fargli vuotare il sacco. Dissipare ogni dubbio raccontandole che il suo romanzo non era altro che un’invenzione, e che aveva reagito a quel modo per la storia degli appunti perché non voleva si sapesse in giro. Semplicemente. Poco importava se ci avesse creduto o meno.
Non dovevano più parlarne.
Eustace si diede dello sciocco per aver quasi nominato Susan. Forse era stato stupido inventarsi un altro nome: dopotutto, quante ragazze si chiamavano Susan, nel mondo? Ma era entrato nel panico e non aveva saputo più che dire.
“Dovremmo parlarne, Scrubb” disse Jill senza preamboli, quando suonò la campanella.
Ecco...aveva appena pensato che non dovevano farlo...
“Di che cosa?” fece lui, evasivo.
“Oh, dai! Del tuo romanzo, dei tuoi cugini, di Na…”
“SSSSSHHHHHTTTT!!!!!!!!!!!!!!!!!!” Eustace le tappò la bocca alla svelta, guardandosi attorno come se qualcuno fosse in agguato dietro qualche banco per carpire quel segreto.
“Allora ho ragione!” esclamò Jill quando la lasciò andare. “Ho davvero ragione su tutto!”
“Ti ho detto che non ne devi parlare. Né con me, né con nessuno, né adesso, né mai!”
“Perché?”
“Perché no. Punto”
“Non è una risposta!” Jill incrociò le braccia sul petto, imbronciata.
“No, Pole! Non voglio parlarne. Non posso”
Lei lo fissò insistentemente. “Non vuoi o non puoi?”
“E’ uguale”
“No, affatto. Se non volessi dipenderebbe da te; se non potessi è perché qualcun altro ti avrebbe imposto di non farlo”
Eustace si appoggiò al banco e si sporse verso di lei. “Va bene: non posso. Comunque non c’è niente di così incredibile. Non so che idea tu ti sia fatta”
Gli occhi scuri della ragazza s’illuminarono di emozione. “Bè io…io penso che sia straordinario, Scrubb, davvero! Tutta quella storia dell’armadio, del fauno, dei tuoi cugini…”
Lui le lanciò un’occhiataccia.
“Oh, va bene… di quei ragazzi, insomma. E’ tutto incredibilmente incredibile! Non so nemmeno come esprimermi!” Jill rise. “Non sai quanto vorrei esserci stata io in quella foresta! Lo so che tu non aprirai bocca ma io…Oh, Scrubb, ti prego, dimmi come continua!”
Eustace abbassò la testa per qualche secondo, e quando la rialzò la sua espressione si era fatta molto seria. “Pole, è solo un gioco”
“Un gioco?” Jill si ritrasse all’improvviso. “Che significa?”
“Il mio romanzo…è tutta un’invenzione. Senti, non voglio che si sappia che scrivo cose del genere, e non voglio nemmeno parlarne con te. E’ un cosa mia, mia e dei miei cugini Tu non centri”
Gli occhi di Jill si fecero più grandi per un attimo, e divennero opachi, tristi. L’entusiasmo si spense.
Le aveva fatto male sentirlo pronunciare quelle parole.
Tu non centri.
Era vero, lei non centrava nulla. Eustace le aveva ripetuto in modo un poco più gentile che non erano fatti suoi, che era invadente, che era…una ficcanaso. Ancora.
Si sentì stupida.
Non ne parlarono più per tutto il giorno. Lei preferì pranzare con altre amiche piuttosto che con lui.
Eustace si rese conto di averla ferita, ma non poté fare a meno di sentirsi un poco più sollevato al pensiero che Jill avesse deciso di non insistere oltre.
Ci aveva creduto davvero?
Ovviamente no. Ma lui sperò il contrario.


Jill se ne stette buona buona per le settimane che seguirono, comprendendo che l’unico modo per sapere qualcosa era non chiedere niente. Prima o dopo, contava che il nuovo Eustace dal cuore tenero capisse di potersi fidare di lei.
Un giorno, poi, un grave lutto colpì la famiglia Pole. Uno dei cugini di Jill, partito per la guerra, perì in battaglia.
Gli Scrubb portarono le loro condoglianze, e quando Eustace entrò nel salotto di casa Pole non riuscì a fare un passo in più. Gli salì un groppo in gola nel vedere la sua amica seduta da sola sul divano, a capo chino, nel suo abitino nero, i capelli sciolti che le ricadevano sul viso, gli occhi gonfi e spenti.
“Eustace, non stare lì impalato, va dalla tua amica” gli sussurrò Alberta.
Il ragazzo avanzò a piccoli passi e sedette accanto a Jill, che subito gli prese la mano, piangendo sommessamente.
“Grazie per essere venuti” mormorò soltanto.
Lui non seppe che fare. Poi, d’un tratto, trovò il modo di consolarla.
“Un giorno lo rivedrai”
Jill tirò su col naso. “Sì, lo so”
“Io…l’ho visto”
Lei alzò il capo e lo guardò perplessa. “Cosa hai visto?”
“Il luogo dove inizia la vera vita. Il luogo dove si trova tuo cugino”
Eustace pronunciò queste ultime parole sperando con tutti il cuore che lei non s’infuriasse, o che pensasse che la stesse prendendo in giro.
Jill scosse il capo, stranita. “Che sciocchezze dici?”
“E’ vero, non è una favola. Ho visto con i miei occhi che quel luogo esiste, te lo giuro!” esclamò il ragazzo, infervorandosi. Chiaramente lei credeva fosse impazzito.
“Scrubb, io ti ringrazio. So che stai cercando di consolarmi, ma prendermi in giro non è il modo migliore”
“Bè, non ci sono proprio stato, diciamo che ne ho vista l’entrata” insisté lui, prendendola per un polso e costringendola di nuovo a sedersi quando si alzò.
“Ah, la versione è cambiata”
“Lo so, è un argomento delicato, ma ti giuro che ci sono stato. E’ una spiaggia, con una grande onda, enorme, immensa, ed è l’entrata per…”
Jill lo fissò un momento, poi abbozzò un sorrisetto. “Per il paradiso?”
“Una cosa del genere”
Lei fece una risatina sarcastica e si alzò di nuovo. “E’ meglio che vai, ora”
Anche Eustace balzò in piedi e la fermò di nuovo. “E’ a Narnia”
A quel nome, gli occhi scuri di Jill divennero vigili.
“Hai tanto voluto sapere di quel mondo e ora te lo sto dicendo, Pole. E’ a Narnia che ho visto quel luogo. C’è. E’ vero. Non è una bugia”
Lei tremò un poco. “Giuralo ancora”
“Te lo giuro. Un mio carissimo amico è laggiù adesso, e se potesse tornare ti direbbe che non devi mai dubitare di quel che si dice a proposito di Narnia”
Pensare a Ripicì faceva ancora male. Gli mancava tanto.
“Quel tuo amico è…morto?” chiese Jill con un filo di voce.
“No, ha scelto di andarci di spontanea volontà. Oh, è una storia molto lunga”
“Io…” Jill prese un respiro, improvvisamente rincuorata. “Io penso di volerla sentire”
Forse era un sentimento dettato da quel momento tanto triste e difficile, o forse era il presentimento che non l’aveva mai abbandonata, neanche dopo tutti i rifiuti e le negazioni di lui riguardo a Narnia, ma Jill sentì che voleva crederci.
Probabilmente, qualcun altro avrebbe gridato in faccia a Eustace che era la scusa più assurda che potesse trovare per consolare una persona che ha appena perso un parente. Ma lei sapeva, nel profondo del suo cuore, che non era così.
Eustace le sorrise. “Forse prima dovresti leggere questo”
Dicendo questo, il ragazzo prese il suo zainetto e ne trasse il famigerato quaderno degli appunti.
Lo porse all’amica e lei lo prese con mani tremanti.
“Perché me lo stai dando?”
“Bè, volevi sapere come continuava la storia, no? Leggi. Così poi potrò raccontarti di Ripicì”
“Chi?”
“Il mio amico. Ma a questo ci arriviamo poi. Prima devi finire la storia dell’armadio”
Jill strinse al petto il quaderno come se fosse il tesoro più prezioso che avesse.
“Perchè?” chiese ancora, perplessa. “Avevi detto che non erano affari miei. Che non era vero niente”
Eustace stropicciò i piedi e abbassò il capo, imbarazzato. “Ho mentito. I miei cugini non vogliono che te lo dica”
Lei osservò un momento la copertina, poi lui. “Non è una menzogna, vero? Non me lo dici solo perché ora sto così. Quel posto esiste veramente. Narnia esiste davvero!”
Lui annuì senza dire nulla. Poi le sedette di nuovo accanto, mentre lei apriva il quaderno e ritrovava il punto in cui si era interrotta la prima volta che aveva letto quegli appunti.
“Anche tu devi giurami ancora che non lo dirai a nessuno” disse lui a un certo punto.
Lei scosse il capo, decisa. “Sarà il nostro segreto”
Il ragazzo si sfregò le mani sulle ginocchia, nervoso. “Bene”
Ci aveva riflettuto molto, e infine si era deciso: era inutile davvero tener nascosto a Jill di Narnia, quando praticamente aveva capito tutto da sola. Era stata più che disposta a mantenere il riserbo fin da subito, e ora più che mai, l'istinto gli diceva che poteva fidarsi di lei.
Ai Pevensie non disse nulla.
 
 
 
~·~
 
 
 
Ti concedo la mia mano con tutto il cuore.
Non vedo l'ora di vivere la mia vita con te,
Non vedo l'ora di iniziare.
Tu ed io non ci separeremo mai.
I miei sogni si sono avverati grazie a te.
 

 
“Sono giorni che aspetto, Vostra Maestà. Ho quasi pensato che aveste finalmente imparato che cos’è la puntualità, ma evidentemente mi sbagliavo”
Queste furono le prime parole di Lord Erton quando una mattina entrò nello studio del Re di Narnia.
“Re Caspian non ha mai ritardato ai suoi appuntamenti!” protestò Briscola.
“Ma ne ha rimandati fin troppi in questi giorni”
Il Liberatore rimase impassibile, seduto sulla sua poltrona ad ascoltare il Duca lamentarsi.
“Mi rincresce molto, milord, ma ero con la Regina e con i miei figli”
Lord Erton sbuffò. “Ci sono le balie per questo. Voi dovete occuparvi di cose molto più importanti”
“Difatti ero impegnato in qualcosa di estremamente più importante di un’udienza privata” ribatté Caspian con molta calma, ma con sguardo severo. “La mia famiglia è più importante di tutto il resto. Mai farò mancare loro il mio amore e la mia presenza. I miei doveri di marito e padre mi stanno a cuore quanto, se non più, di quelli di Sovrano”
Il viso di Lord Erton si contrasse leggermente, e prima che Caspian e Briscola ebbero tempo di capire quanto disgusto gli dava il pensiero di due marmocchi in giro per il castello, la sua espressione mutò in un sorriso costruito ad arte.
“Ma certo, Maestà, è più che logico. Ciò nonostante, dovrete abituare la Regina e i principi a fare a meno della vostra presenza”
Caspian sorrise. “Non credo che sarà possibile, dal momento che sono io a non poter fare a meno di loro”
Di nuovo, Lord Erton faticò a trattenersi dal dire ciò che realmente pensava. Odiava quelle frasi sdolcinate.
E Caspian lo sapeva benissimo.
Ma non c’era nulla che il Duca potesse fare. Nulla che potesse allontanare il Re dalla sua sposa.
“Ad ogni modo, ditemi: di cosa volevate così urgentemente parlarmi?” chiese poi il Liberatore.
“Ah, sì”. Lord Erton si chiarì la gola, lanciò un’occhiataccia a Briscola (il quale non mancò di ricambiare), e continuò. “Mi costringete ancora una volta, Maestà, a dirvi che i paesi attorno a Narnia vorrebbero l’ufficializzazione del vostro matrimonio”
Caspian fece un sospiro stanco insieme ad un mezzo sorriso. “Sì, lo so”
“So di essere tediante, mio signore, ma vi rendete conto che agli occhi degli altri regni non siete sposato?”
“Gli occhi degli uomini valgono forse qualcosa di fronte agli occhi di Aslan?”
“Aslan non partecipò alle vostre nozze, mi pare”
“Oh, c’era eccome”
“Insomma, Duca!” tuonò Briscola. “State importunando il Re!”
“Non preoccuparti” lo calmò Caspian, alzando una mano per fermarlo. “Lord Erton, so che volete solo consigliarmi nel migliore dei modi, ma sono spiacente di dirvi che arrivate tardi. Vedete, io e la Regina abbiamo deciso proprio in questi giorni la data delle nozze”
Fu come se qualcuno gli avesse dato una botta in testa. Lord Erton rimase confuso per qualche secondo.
“Così su due piedi, Sire?”
Caspian stavolta non riuscì a trattenere una vera risata. “Vostra Grazia, io davvero non vi capisco: non eravate voi a volere così tanto ardentemente una Regina per Narnia? Una degna consorte per il vostro Re? Un erede per il nostro trono? Mi sembra che abbiate ottenuto proprio ciò che richiedevate: vi ho portato una Regina, che è da poco divenuta madre di due splendidi rampolli; l’ho sposata, e mi appresto a prenderla di nuovo in moglie davanti al mondo intero. Cosa chiedete di più?”
Caspian pensava che ormai quell’argomento fosse chiuso. Dopotutto, non era forse vero quel che aveva appena detto?
Obbiettivamente sì, ma per quanto riguardava Lord Erton no. I suoi piani non erano andati come programmato. Susan, con i suoi consigli pratici e benevoli, aveva intaccato l’ascendete che fino a quel momento aveva avuto su Caspian. Come se non bastasse, c’era sempre Lord Rhoop vicino a lei. Un doppio pericolo per Lord Erton.
 “Per quale motivo la Regina non vi piace?” chiese a un tratto Caspian, appoggiando il gomito al bracciolo della sua poltrona.
Lord Erton fece un mezzo sbuffo e assunse un’aria di falsa indignazione. “Non ho mai detto una cosa simile”
“Spesso, i nostri gesti valgono di più delle nostre parole, milord”
No, Susan Pevensie non piaceva a Lord Erton, e questo era palesemente evidente a tutta la corte. Al di là di un saluto o un inchino formale non si spingevano mai.
La maggior parte dei cortigiani la pensava come Susan. Del resto, erano pochi a Narnia a vedere di buon occhio il Duca, per non parlare di quelli che tremavano al solo pensare di incrociarlo per i corridoi, e ancor più di rivolgergli la parola.
Molti erano stati quelli che, dopo l’incoronazione di Caspian e ancor più dopo il ritorno di Lord Rhoop, avevano sperato che Lord Erton venisse destituito dal suo incarico di Duca di Beruna e di Giudice della Corte Suprema (titoli che andavano di pari passo).
Purtroppo, Il Re non era ancora riuscito in questo intento. E sebbene anche lo stesso Caspian desiderasse che il titolo di Duca di Beruna tornasse al suo legittimo proprietario, comprendeva che non poteva fare favoritismi. Perché un Re deve essere neutrale.
Susan aveva imparato a sopportare le insinuazioni di Lord Erton, soprattutto da quando erano nati i suoi figli. Lo vedeva assai meno rispetto a prima, poiché ora le sue mansioni erano incentrate sull’educare Rilian e Myra.
Ma sia Susan che Caspian sarebbero stati molto più attenti se avessero saputo che l’antipatia che Lord Erton provava per la Dolce era completamente diversa dall’astio nato tra la ragazza e Lord Drinian a bordo del Veliero dell’Alba.
Lord Erton covava per lei un odio viscerale, crescente.
Velenoso.
Ad ogni modo, in quel momento non erano queste le preoccupazioni principali dei Sovrani. C’era la loro vita insieme a riempire i loro pensieri e le loro giornate: la gioia di scoprirsi genitori, di passare le notti ad amarsi ogni volta come se fosse la prima, la responsabilità di regnare su Narnia e la soddisfazione di vederla rinascere giorno dopo giorno, la felicità di poter godere di ogni più piccolo attimo l’uno dell’altra. A loro non sarebbe importato di non essere nessuno, purchè potessero vivere insieme.
Caspian faceva di tutto per stare con Susan e i bambini, anche se certe volte era molto stanco.
E poi, in quel periodo, c’era il pensiero del matrimonio.
Qualche mese dopo la nascita dei principi, Narnia si preparò per un altro meraviglioso evento: Il Re Caspian e la Regina Susan ufficializzarono le loro nozze davanti ad Aslan un giorno d’autunno, precisamente lo stesso giorno in cui si erano sposati sull'Isola delle Rose.
La scelta della data non era stata casuale.
Fu un tripudio di ospiti che vennero da ogni dove, e i festeggiamenti durarono quasi una settimana.
I Pevensie, per questa specialissima occasione, arrivarono molto prima della cerimonia, ai cui preparativi Helen e Lucy parteciparono attivamente.
Furono giorni di fermento in tutto il castello: si lucidarono argenterie e porcellane, dai grandi vassoi ai più minuscoli cucchiaini. Pavimenti e vetri dovevano brillare, così come i lampadari. Si prepararono le stanze per quegli ospiti che si sarebbero trattenuti a palazzo, e si allestì di tutto punto la Cappella d’Oro con fiori e drappeggi colorati.
Caspian si sposò indossando l’alta uniforme di Telmar, in colori blu scuro, nero e oro, che metteva più che mai in risalto il suo fisico prestante.
Susan indossava un vestito da favola, che brillava ad ogni suo movimento grazie ai mille piccoli diamanti cuciti a mano sul tessuto di un bianco abbagliante. Tra i capelli, portati sulla spalla sinistra, erano intrecciati fiori degli stessi colori del suo bouquet da sposa: bianchi e blu. Ovviamente, non aveva saputo fare a meno del suo fiore.
Peter era il suo testimone, Edmund quello di Caspian. Lucy era la prima damigella d’onore, insieme a Miriel, Shanna e Gael.
La Regina giunse alla Cappella con una carrozza trainata da quattro splendidi cavalli bianchi.
Come c’era da aspettarsi, Helen pianse.
Al lancio del bouquet, tutte le fanciulle in età da marito si schierarono vicino alla grande fontana a forma di cigno.
Ma fu Miriel a prenderlo, al che la cerimonia di nozze venne fusa con quella di fidanzamento della Driade e del Re Supremo. Ormai non c’era più motivo di aspettare, e la loro futura unione venne annunciata ufficialmente. Ci sarebbe voluto ancora del tempo prima di assistere a un altro matrimonio, questo lo sapevano tutti. Peter e Miriel sapevano anche che, d’ora in avanti, le visite di lui non sarebbero più state così assidue come le due volte precedenti.
La famiglia di Miriel (presente tra gli invitati) diede il proprio consenso, anche se un po’ a malincuore, mentre Helen e Robert accettarono la cosa con una serena rassegnazione. Dopotutto, i signori Pevensie avevano sempre saputo che i loro bambini non potevano rimanere bambini per sempre. Ma se Aslan concedeva loro di visitare Narnia così spesso, l’idea che sia Susan che Peter (e forse in futuro anche Edmund e Lucy) avessero vissuto in un altro mondo, non era più così spaventosa.
Ci fu un banchetto sontuoso nella grande sala dei ricevimenti, e anche se il Re e la Regina si ritirarono prima di tutti gli altri, il ballo di nozze continuò fino a notte fonda.
Il cuore di Lucy, quella notte, le martellò in petto a un livello folle. Aveva notato gli sguardi di Emeth, tanto intensi a volte da farla vergognare.
Cosa stava pensando di lei?
Come Eustace e Edmund, Lucy aveva preso qualche centimetro e mamma aveva dovuto comprarle una nuova divisa scolastica per il nuovo trimestre.
Non era come Susan, Lucy era più magra e un po’ più bassa, ma si piaceva. O meglio, aveva cominciato a piacersi.
Poi, quel mattino, quando le cameriere le avevano fissato la coroncina di fiori nei capelli, si era guardata allo specchio, e infine aveva visto la bambina divenuta fanciulla: la sua amabile figura in un abito rosa pesco, senza spalline, con un giro di fiori rosa appuntati in vita e sulla casta scollatura che rivelava le dolci forme ormai evidenti sotto gli abiti.
Si era sentita quasi un’altra.
Non aveva mai indossato abiti narniani che potessero metterla in risalto, se non nell’Età d’oro, quand’era divenuta grande. Ma all’epoca Emeth non c’era, e lei non aveva mai avuto desiderio di essere bella per nessuno in particolare.
Non era mai stata innamorata. Era un’esperienza nuova.
E il giovane soldato non la lasciò un attimo, tantomeno con lo sguardo. Lucy era un richiamo irresistibile per i suoi occhi, che percorrevano la sua figura così cambiata dalla prima volta che l’aveva vista.
Desiderò esprimere i suoi sentimenti in modo più completo, ma ancora non osò. Non era pronto e lei non poteva restare. Emeth aveva deciso che solo nel momento in cui sarebbe stato certo che la Valorosa non avrebbe mai più lasciato Narnia, solo allora avrebbe pronunciato quelle parole.
Per Edmund fu invece tutto più complicato.
Shanna, nel suo abito rosa chiaro, sembrava più vera, meno irraggiungibile, e il Re Giusto lo constatò con piacere danzando con lei per tutta la festa.
“Forse dovresti invitare anche qualcun’altra” gli fece notare la Stella con un certo imbarazzo, quando si rese conto che decine di fanciulle attendevano il loro turno per farsi avanti.
Ma Edmund rifiutò gentilmente ogni invito.
Shanna ne fu oltremodo lusingata.
C’era qualcosa di indiscutibilmente diverso in lei, notò il Giusto, ma non capiva bene cosa. Forse erano i suoi capelli: aveva cambiato pettinatura? Oh certo, tutte le ragazze avevano una pettinatura diversa quella sera. Allora era l’abito…no, nemmeno. Forse era…che cos’era?
Continuò a pensarci anche quando fu steso nel suo grande letto, le mani dietro la nuca e lo sguardo fisso al soffitto, mentre ripensava alla splendida serata e rimuginando sull’effetto che lei provocava in lui ogni volta che la vedeva. Si sentiva estasiato e spaventato allo stesso tempo, e anche un po’ sciocco. Aveva scoperto un nuovo lato di sé, un lato che fuoriusciva solo in presenza di Shanna.
Con gli altri era il solito Edmund. Ma con lei…
Aveva sempre considerato le ragazze niente più che amiche, certe volte persino fastidiose. Con Susan e Lucy – specie quand’erano più piccoli – era arrivato a pensare a loro come fratelli, come maschi; perché in fin dei conti, secondo lui, non c’era molta differenza tra ragazzi e ragazze. O no?
Osservava Emeth ridere con Lucy, Peter abbracciare Miriel, e soprattutto Caspian baciare Susan. Quest’ultimo aspetto non gli appariva più così disgustoso come sul Veliero dell’Alba.
Anche se non aveva mai capito pienamente come si potesse desiderare di posare le proprie labbra su quelle di una ragazza…bè, ora iniziava a pensare seriamente di provare a farlo. Aveva sentito questo bisogno guardando Shanna quella sera. Aveva indugiato più volte sulle sue labbra chiare, perfette, sottili. Era stato tentato più di una volta, durante la festa (e nei giorni seguenti tutte le volte che sarebbe rimasto solo con lei) a voler sperimentare quel contatto.
Purtroppo, non ci sarebbe riuscito.
Eustace diceva che i cugini sembravano tre rimbambiti (testuali parole), e che forse si stava rincitrullendo anche Edmund, ma il Giusto aveva imparato da tempo a non prendere per buona ogni frase che usciva dalla bocca di Eustace Scrubb. Suo cugino poteva dire quel che voleva, ma la realtà era che anche lui prima o dopo sarebbe caduto in quella che Briscola chiamava la trappola dell’amore.
Ma la parola amore gli sembrava ancora tanto grande per lui...
I Pevensie rimasero a Narnia più di un mese. Il giorno dopo la cerimonia, Caspian e Susan partirono per il viaggio di nozze, il quale durò tre settimane. Da Cair Paravel si sarebbero diretti a sud con il Veliero dell’Alba, poi sarebbero risaliti verso la costa ovest di Narnia, dove si trovava Telmar. 
“Caspian ha promesso di farmi vedere la sua terra” continuava a ripetere Susan, gli occhi che le brillavano, anche se era triste doversi separare per quasi un mese dai suoi bambini.
Ma Rilian e Myra erano troppo piccoli per viaggiare, e così rimasero con gli zii e con i nonni.
Al ritorno del Re e della Regina, però, il rientro in Inghilterra era prossimo.
Questa volta, la separazione avvenne con un peso sul cuore.
Aslan disse che sarebbe passato diverso tempo prima della prossima visita.
Diverso tempo…quanto, si chiedevano i ragazzi? Quando sarebbero stati di nuovo tutti insieme?
Chissà, forse la volta seguente ci sarebbe stato anche il settimo Amico di Narnia…
Da un lato era quello che Caspian e Susan avevano sempre sperato ogni volta che i fratelli della Dolce erano riapparsi a Narnia; da un altro era meglio che non fosse ancora giunto il tempo del settimo Amico.
Spesse volte, i cinque Sovrani e Eustace si erano chiesti cosa avrebbero dovuto aspettarsi una volta che Peter lo avesse condotto a Narnia: doveva portarlo davanti ad Aslan? Dovevano prepararsi ad una nuova, straordinaria quanto spaventosa avventura?
Lo avrebbero scoperto a tempo debito.
 
Passò un anno e Aslan infine se ne andò, dicendo che oramai la Dolce e il Liberatore non avevano più bisogno di consigli: Narnia prosperava splendidamente. Inoltre, al di là del mare avevano bisogno di lui.
Per molto, molto tempo non lo rividero più.
Emeth decise un giorno di partire per il Sud, intenzionato a ritrovare sua madre e suo padre. Susan non voleva che se ne andasse, ma Caspian gli diede il permesso.
Gael rimase a Cair Paravel fino a trasformarsi in una vera lady, dopodiché, accompagnata da Lord Drinian e la sua flotta, tornò sulle Isole Solitarie, dove il capitano del Veliero dell’Alba aveva un importante lavoro da sbrigare come ambasciatore del Re in quelle città che ancora rimanevo un poco ostili alla corona di Narnia. La sua spedizione durò diverso tempo, ma ebbe successo, e le Solitarie rientrarono a tutti gli effetti a far parte del regno.
Anche Tara e Clipse, almeno tre volte l’anno, tornavano dalle loro famiglie. Miriel fu l’unica a rimanere sempre accanto ai Sovrani. Non tornò mai alle Valli del Sole.
Di tanto in tanto c’erano notizie di qualche screzio su al Nord, opera dei soliti Giganti, oppure qualche piccolo disordine a carico di ribelli e fuorilegge, ma mai nulla di troppo serio. Tranne che un giorno, a Cair Paravel accadde un fatto ben più grave di qualche screzio tra Giganti.
Il Re e la Regina dovettero assentarsi per far visita alla corte di Anvard, la capitale di Archen. Durante la loro assenza accadde che una giovane guardia del castello chiese il permesso di poter lasciare il suo lavoro per qualche giorno, per correre al capezzale della madre che era molto malata, forse morente.
Briscola – che in mancanza del Re guidava il regno, come sempre – gli accordò il permesso.
Il giovane partì così per un villaggio nei pressi di Lanterna Perduta, dov’era la sua casa d’infanzia, portando con sé tre o quattro amici.
Anche Lord Erton si era recato fuori dal regno in quei giorni. Era giunta voce che alcuni nobili rinnegati fossero stati avvistati nelle foreste vicino al vecchio castello di Miraz, che ora veniva usato come tenuta di caccia. In qualità di Giudice Supremo della Corte, Lord Erton si era messo in testa di dar loro la caccia e metterli a morte, ignorando l‘ordine di Caspian di non fare nulla contro quegli uomini. Della faccenda voleva occuparsi il Re in persona al suo ritorno da Anvard.
L’ex castello di Miraz si trovava poco più a sud di Lanterna Perduta, e una notte, i soldati che Lord Erton aveva portato con sé, pur di tornare a casa perché stanchi e infreddoliti, attaccarono il primo gruppo di sospetti che videro arrivare.
Fu un equivoco bello e buono, ma ci andarono di mezzo delle vite.
Il ragazzo partito per far visita alla madre insieme ai suoi compagni, furono tra coloro che Lord Erton fece catturare e portare nelle prigioni di Beruna.
Se solo il Re e la Regina fossero tornati un giorno prima, quella tragedia si sarebbe potuta evitare.
Ma accadde il peggio.
Lord Erton si rese conto del madornale errore commesso dalle sue guardie, ma il Duca non era un uomo umile e non ammetteva mai di aver sbagliato. Così, fece mettere a morte quei giovani soldati spacciandoli per ribelli.
Non ci fu processo. Vennero condannati senza possibilità di appello, e quando il Liberatore e la Dolce tornarono a Narnia, era troppo tardi.
“Siete un mostro!” esclamò Susan, dopo che la seduta del Gran Consiglio in cui Lord Erton aveva spiegato faccenda fu terminata.
Il Duca era rimasto impassibile di fronte alla collera di lei, in attesa di essere ricevuto dal Re.
“State pur certo che Caspian prenderà i giusti provvedimenti!”
“Ho solo fatto il mio dovere, mia signora”
“Il vostro dovere era condannare a morte dei poveri innocenti?! Non avevano fatto nulla e voi lo sapevate!”
Susan era fuori di sé, e Caspian non fu da meno.
Quando Lord Erton entrò nel suo studio, il Liberatore diede sfogo alla stessa indignazione della moglie.
“Dovevo esserne informato! Dovevate mandare un messaggero! Vi avevo espressamente ordinato di mettermi al corrente di qualsiasi questione avesse richiesto la mia presenza!”
“Maestà, per così poco” ribatté Lord Erton, ricevendo la solita occhiataccia da Briscola, seduto sul suo seggio dietro al Re, intento a prendere appunti. “Una faccenda di così poco conto come quella dei disertori, non poteva prendere il sopravvento sui certamente più importanti problemi che Vostra Maestà avrà dovuto discutere alla corte di Archen”
Caspian parlò con voce seria e pacata. “Ogni questione che riguarda Narnia è importante, milord, più di qualsiasi altra. Tuttalpiù se la questione riguarda un innocente”
“Maestà, che fossero innocenti o meno spettava a me decidere, in quanto giudice di corte”
“Ebbene, lo erano?”
Lord Erton unì le mani dietro la schiena, improvvisamente a disagio. “Sire, quei ragazzi erano esattamente nel luogo in cui erano stati avvistati i disertori. Pertanto, ho creduto…”
“Pertanto li avete presi e li avete fatti mettere a morte senza processo, perché così vi andava, Lord Erton!”
“I disertori vanno puniti, Sire. Il popolo deve capire cosa accade a chi tradisce la corona”
“Non erano disertori, farabutto che siete!” tuono Briscola, parlando per la prima volta. Non aveva potuto trattenersi.
Lord Erton guardò il nano, desiderando di strangolarlo seduta stante.
A un cenno del Re, Briscola si zittì.
Bestiaccia, pensò Lord Erton, rimanendo immobile, sostenendo lo sguardo accusatore del Reggente.
“Maestà, vi giuro che quei ragazzi si sono comportati come criminali quando li abbiamo incontrati nella foresta” continuò poi, come se non fosse mai stato interrotto. “Lo ripeto, ho fatto solo il mio dovere: li ho catturati e li ho puniti”
Il Liberatore lo guardava con sul viso un’espressione assolutamente disgustata.
“Non sta a voi decidere chi deve vivere o morire!” esclamò.
Il Re e il Duca si fronteggiavano, in piedi uno di fronte all’altro, solo la scrivania a dividerli.
“Certe volte è necessario prendere decisioni drastiche, Sire. Un Re questo dovrebbe saperlo”  disse Erton, irremovibile.
Caspian abbassò un momento lo sguardo e annuì. “Forse avete ragione, signore. E’ necessario prendere decisioni drastiche. Per questo lascerete il vostro incarico stasera stessa”
Sembrò che il Re avesse appena schiaffeggiato il Duca. Briscola, invece, avrebbe voluto mettersi a ballare.
“Io credo di non capire” balbettò Lord Erton, con un’espressione molto stupida.
“Sto dicendo che da questo momento non siete più il Duca di Beruna, e nemmeno giudice della Corte Suprema. E’ chiaro a tutti che la vostra capacità di discernimento non va di pari passo con il Nostro pensiero. Quello che è accaduto oggi è un fatto molto grave, e non vogliamo si ripeta mai più”
Lord Erton iniziò a tremare. Osservò l’espressione dura del Re, e quella soddisfatta di Briscola. Solo le buone maniere impedivano al nano di ridergli in faccia.
“Farete parte del Gran Consiglio, questo ve lo posso ancora concedere” concluse Caspian. “Ma non prenderete mai più decisioni giudiziarie”
Lord Erton aprì e chiuse i pugni più volte, tirando lunghi respiri per calmarsi. Infine s’inchinò rigidamente.
“La vostra volontà è la volontà di Narnia, Sire” balbettò con tono lugubre. “Con il vostro permesso, io mi ritiro”
Ma le sorprese per lui non erano finite.
Quando tornò nel suo palazzo a Beruna, trovò le guardie a sbarrargli la strada.
“Tutto ciò è ridicolo!”
“Ordini della Regina, milord. Il palazzo appartiene al Duca, e voi non siete più il Duca di questa città”
In una sola sera, il grande e potente Lord Erton aveva perso il titolo, il suo seggio alla Corte Suprema e infine il suo castello.
Quella notte fu costretto a sistemarsi in una locanda, e il giorno seguente ripartì per la sua vecchia casa ai confini della brughiera. Vi si rifugiò per molti giorni senza voler vedere nessuno, come un animale ferito si rifugia nella tana in attesa che il dolore passi.
Non poteva certo lamentarsi con tutti i servitori che aveva e gli agi che gli derivavano dall’essere un Lord di rango elevato, ma Galvan e Ravenlock, che erano sempre con lui, capirono quanto dovesse essere frustante per il loro signore abbandonare la vita che conduceva in precedenza, per tornare a una più ‘umile’. Umile secondo i canoni cui era abituato a vivere prima.
Non si fece più vedere a corte per un bel pò di tempo, e mentre si crogiolava nel suo dolore e covava la vendetta, il posto vacante di Duca di Beruna veniva ripreso da Lord Rhoop, il suo acerrimo rivale.
Lord Erton rifletté attentamente sugli eventi di quegli ultimi giorni, e giunse sempre alla solita conclusione: la colpa era di Susan.
Da quando era arrivata a Narnia, le cose per lui avevano iniziato ad andare male.
Il Re centrava poco e niente, anche se parte di colpa l’aveva anch’egli. Ma Caspian era solo uno sciocco sentimentale che si era fatto mettere nel sacco dalle grazie della sua bella mogliettina. Era lei la vera manipolatrice di Cair Paravel. Lei che aveva messo strane idee in testa al marito, che aveva dato il via a troppi cambiamenti che a Lord Erton non aggradavano per nulla. Lei che aveva preso in simpatia Rhoop, e che alla prima occasione aveva cacciato lui dal castello di Beruna per ridarlo al suo vecchio proprietario.
Tutte le sue disgrazie si sarebbero potute evitare se non fosse stato per la Regina Dolce.
Dolce di nome, di fatto ne dubitava.
Erton la vedeva come una piccola volpe che aveva saputo giocare bene la parte della fanciulla indifesa per prendere il comando del castello. Susan si era sentita minacciata quando aveva capito che lui era l’uomo più potente a corte, quasi più potente di suo marito. Questo evidentemente l’aveva spaventata, e da quel momento in poi aveva fatto di tutto per allontanarlo.
Lord Erton non si era risparmiato nel renderle la vita difficile, ma aveva perso la partita e questo non gli andava giù.
In realtà, le cose stavano diversamente.
Susan non sapeva cos’erano complotti e piani di conquista, la sua natura non li vedeva neppure da lontano. Aveva fiutato qualcosa, sì, ma solo la verità su Lord Erton. Quella verità sulla quale Caspian, per un certo periodo, aveva voluto chiudere gli occhi.
Il Liberatore aveva voluto dargli il beneficio del dubbio, perché così avrebbe fatto suo padre. Ma lui non era suo padre, e col senno di poi capì che avrebbe dovuto agire non come Caspian IX, ma come Caspian X. Il suo istinto gli aveva detto fin da subito che non sarebbe stato un bene tenere Lord Erton a Cair Paravel, al contrario: avrebbe dovuto allontanarlo già da tempo. Non l’aveva mai fatto, ma ora quel momento era arrivato.
E per quanto il suo buon cuore non volesse ammetterlo apertamente, senza quell’uomo le cose migliorarono notevolmente. Erton aveva ficcato il naso in troppi affari che non lo riguardavano, e rovinato la vita di una e più persone.
Molti ancora non si capacitavano di ciò che era avvenuto a quei poveri ragazzi. Era dai tempi di Miraz che non sussisteva un fatto tanto tragico. I narniani piansero la perdita di quattro giovani vite innocenti, e Caspian giurò davanti al suo popolo che non sarebbe mai più accaduto nulla di simile.
La faccenda non venne dimenticata, ma venne superata, e tutti tornarono alla vita di sempre. Anche Lord Erton, che si ripresentò a corte per presiedere alle sedute del Gran Consiglio, ma senza più quella superbia che lo contraddistingueva.
Chissà, forse aveva imparato la lezione. O più semplicemente stava tramando qualcosa, ovviamente insieme a Lord Galvan e Lord Ravenlock.
Era proprio così.
La sera stessa che Lord Rhoop aveva giurato fedeltà davanti a Re Caspian, riprendendo il suo ruolo di Duca, Erton aveva scritto un messaggio in fretta e furia, aveva chiamato un servitore e gli aveva ordinato di prendere il cavallo più veloce che aveva e portarlo a Tashbaan.
Dopo una settimana, il servitore era tornato con la risposta, la quale consisteva in una fialetta di vetro contente il liquido velenoso più potente che si potesse trovare al mondo. Inodore, insapore, incolore. Aveva un effetto devastante per chiunque lo bevesse. Portava a una morte lenta e dolorosa, che consumava la vittima da dentro, la quale lasciava questo mondo dopo esser stata preda di atroci sofferenze. Una morte che Lord Erton non avrebbe augurato neppure al suo peggior nemico, eccetto forse una.
Aveva un piano, elaborato in poco tempo e per questo rischioso. Tuttavia volle correre quel rischio.
La persona alla quale aveva in mente di somministrare quel micidiale intruglio doveva sparire dalla circolazione al più presto, o le sue speranze di recuperare ciò che aveva perso diventavano vane.
Mentre ripercorreva il suo piano, la sera che avrebbe dovuto andare in porto, di tanto in tanto Lord Erton ghignava da solo mentre con la carrozza raggiungeva Cair Paravel in abito da cerimonia, per prendere parte alla prima festa di compleanno del principe Rilian e della principessa Myra.
La sua mente contorta si proiettava in avanti di una decina di giorni, a quando ormai il veleno avrebbe fatto il suo dovere e Narnia sarebbe caduta in un tremendo lutto alla morte della sua Dolce Regina. Il Re non avrebbe più avuto una ragione di vita, eccetto forse i suoi figli. Ma ai principi avrebbe pensato Lord Erton, mandandoli a Telmar, lontano dal padre. Dopotutto, Caspian non avrebbe potuto occuparsene come faceva Susan, e Lord Erton già immaginava il Liberatore chiedere di allontanare di proposito i due bambini, perché gli ricordavano troppo lei.
Dopodiché, passato il giusto periodo di cordoglio, Lord Erton avrebbe ripreso in mano le redini del Gran Consiglio, della vita del Sovrano, di Narnia. Tolta di mezzo la Regina, tutto sarebbe tronato come prima.
Solo Lord Galvan e Lord Ravenlock erano al corrente di questo suo piano, oltre alla persona che gli aveva procurato il veleno.
Chi era questa persona? Ovviamente, l’Imperatore Tisroc.
Ma qualcosa andò storto.
Forse fu davvero per la fretta con la quale Erton mise in atto il suo diabolico proposito, forse fu per la disattenzione del cameriere cui era stato ordinato di riempire il calice della Regina, fatto sta che al momento del brindisi, il Re si accasciò a terra tra gli sguardi spaventati e attoniti di tutta la corte.
Venne immediatamente fatto portare nelle sue stanze, furono chiamati i medici di corte, primo fra tutti il dottor Galileo, ma nessuno di loro capì che cosa gli fosse accaduto.
Caspian presentò prima una violenta febbre, poi sopraggiunsero le convulsioni, infine il dimagrimento. I luminari più esperti non potevano far nulla, potevano solo guardare il loro Re spengersi giorno dopo giorno.
Susan rimase sempre accanto al marito, non lo lasciò mai, anche se il dottor Galileo insisté più volte per allontanarla, sia lei che i bambini, per evitare che ci fosse un contagio nel caso la malattia del Re si fosse rivelato un virus mortale.
Susan, impotente davanti alle condizioni di Caspian, chiese più volte consiglio all’unica persona che sembrava pensarla come lei: il dottor Cornelius.
“C’è già chi grida al complotto. Dicono che l’hanno avvelenato” disse lei un giorno, quando sembrava non ci fosse più nulla da fare. L’esito che tutti temevano, e cioè che il Re morisse, appariva ormai inevitabile.
“Io temo di si, bambina”
Susan si gettò in ginocchio ai pedi della poltrona sulla quale era seduto il vecchio professore, singhiozzando sulle sue gambe, mentre egli le accarezzava i capelli.
“Io so che quel veleno era per me! E’ colpa mia!”
“Mia cara, cosa dite?!” esclamò lui, turbato.
“E’ così, lo so! E so anche chi è stato, ma non ho nessuna prova!” Susan alzò il viso rigato di lacrime di disperazione e di rabbia, puntando gli occhi celesti in quelli di Cornelius, colmi di pianto quanto i suoi. “Deve esserci un antidoto. Professore, vi prego, aiutatemi!”
“Ho dato fondo ai miei libri, ma...”
“Io non accetterò che Caspian muoia! Non lo accetterò mai!”
Cornelius fece un’espressione molto grave, distogliendo lo sguardo da quello della Regina.
E lei interpretò quella titubanza per quel che era: Cornelius le nascondeva qualcosa.
“Esiste una soluzione” esclamò speranzosa. Non era una domanda. “Se c’è, ditemela!”
Il vecchio precettore sospirò profondamente. “Se le mie deduzioni sono giuste, l’unico antidoto è realizzabile con un miscuglio di rare erbe e un pizzico di magia”
“E voi sapete come procedere?”
Il volto addolorato di Cornelius divenne serissimo e Susan provò uno strano senso d’inquietudine.
“Posso tentare” rispose l’uomo, sempre senza guardarla.
C’era davvero qualcosa che il vecchio precettore non le aveva detto, ma per il momento decise di non chiedere altro. La cosa più importante era la salvezza di Caspian e il tempo a disposizione stava per scadere.
Susan balzò in piedi ma Cornelius la fermò. “Per quanto riguarda la magia, bambina, io non so se posso aiutarvi”
La speranza nata in lei si dileguò in un istante. “Ma voi avete qualche nozione, l’avete detto una volta voi stesso”
“Io conosco la magia dei miei antenati, dei Nani Neri, che viene da Aslan. La magia che serve per questo antidoto è magia nera”
La Regina trasalì.
In tutta Narnia non c’era nessuno che la praticasse, eccetto chi aveva rinnegato Aslan e la Grande Magia. La magia nera era proibita e nessuno mai, se non voleva incorrere nell’ira del Grande Imperatore d’Oltremare, doveva farne uso. Era stata portata nel mondo dalla Strega Bianca, unica persona che Susan aveva visto usufruirne. Gli unici altri di cui sapeva erano gli stregoni di Calormen.
A meno che non ci fosse qualcun altro. Qualcuno di cui lei non aveva sospettato, ma che, pensandoci ora...
Poteva essere.
Poteva essere che chi si fosse procurato il veleno avesse anche l’antidoto.
“Cercate quelle erbe, dottore, al resto penserò io” disse svelta.
“Cosa volete fare?” chiese lui molto preoccupato. “Maestà, la magia nera è proibita, non fate sciocchezze!”
“Non ho intenzione di usarla, se è questo che pensate, anche se sarei disposta a fare qualsiasi cosa per salvare la vita di Caspian. Ma non è questo che lui vorrebbe, lo so. Tuttavia posso costringere la persona che ha fatto questo al Re a darmi il suo contributo. Se ho ragione, avremo l’antidoto entro domattina”
Contro al sua stessa volontà che le imponeva di non allontanarsi mai da suo marito, Susan fece sellare Destriero e si precipitò verso la brughiera, al palazzo di Lord Erton. Tempestoso e i suoi figli la seguirono appena in tempo per non lasciare che commettesse qualche sciocchezza dettata dalla più ceca disperazione.
Viaggiò quasi tutta la notte e il sole era ormai sorto quando arrivò a destinazione.
Nel castello già si muovevano camerieri e valletti, i quali furono totalmente presi alla sprovvista dal suo arrivo.
“Maestà!” esclamarono increduli Lord Galvan e Lord Ravenlock.
“Fatemi passate” ordinò Susan, con una voce che nemmeno pareva la sua.
“Sì, signora” borbottarono gli altri due, scostandosi dalla porta dietro la quale si accedeva alle stanze del loro signore.
Lord Erton, che stava facendo colazione in vestaglia, avvertì come un rombo di tuono quando la porta della sua camera si aprì con un tonfo. La tazza di thè gli cadde di mano, infrangendosi al suolo, spargendo il suo contenuto sul tappeto.
“Che cosa diavolo succede?!”
Si volse con espressione dura, pronto a rimproverare colui che avesse osato varcare quella soglia senza nemmeno bussare. Ma quando vide la Regina, si affrettò ad inchinarsi.
“Mia signora, cosa vi porta qui?” chiese con finto garbo.
E Susan lo capì benissimo.
Lei gli si avvicinò, si fermò a un passo da lui, guardò a terra i resti della tazza, si chinò, e con rabbia raccolse il pezzo più grosso della bella porcellana infranta, posandone la parte tagliente al collo del Duca.
“Voi avete avvelenato il Re!” esclamò la ragazza, senza preamboli.
Susan non avrebbe mai accusato nessuno di un delitto tanto atroce se non ne fosse stata assolutamente sicura. E lo era. Per questo parlò con voce forte e chiara, così che anche Galvan, Ravenlock e i sevi rimasti al di fuori – che ora spiavano con grande interesse quel che accadeva all’interno – potessero udire tutta la storia.
Lord Erton deglutì, stando attento a non muovere la testa di un millimetro. Se l’avesse fatto, il coccio appuntito gli avrebbe provocato un lungo taglio sulla carotide, mandandolo in pochi minuti all’altro mondo.
“Mia signora, cosa state dicendo?”
“Non fate la recita con me! E’ durata anche troppo!”
Susan vide la paura negli occhi dell’uomo, e benché una parte di lei – la parte irrazionale – avrebbe desiderato spingere più a fondo nella pelle quel pezzo di porcellana, decise invece di scaraventarlo nel camino.
La Regina fece un passo avanti, Lord Erton uno indietro.
“Non sapete quel che dite, Maestà. Siete sconvolta. Il Re sta…”
“Il Re sta morendo ed è colpa vostra! Tutto è colpa vostra! Volevate sbarazzarvi di me, mi avete sempre odiata, ma vi è andata male.”
“Maestà, vi prego di credere che io no ho mai…”
“Tacete!”
Lord Erton trasalì, e così gli astanti.
“Chiudete quella maledettissima bocca, mostruoso sadico che non siete altro! E ora datemi l’antidoto, immediatamente!”
Susan tese il braccio, allungando la mano verso di lui a palmo teso.
L'ex Duca continuò ad indietreggiare. “Mi spiace, io non posso far nulla per lui. Ma sono certo che Aslan…”
Gli occhi di Susan dardeggiarono, e il bel color celeste si tinse per un attimo del rosso del fuoco che ardeva nel camino.
“Non osate pronunciare il nome di Aslan davanti a me! Non ne siete degno!” gridò. “Vi farò incriminare per tentato omicidio, potete starne certo. Finirete i vostri giorni in prigione!”
In quel momento, non somigliava più alla Regina Dolce, ma ad una donna il cui dolore e la cui disperazione stavano fuoriuscendo dal corpo come fiamme ardenti, pronte a distruggere ogni cosa s’infrapponesse tra lei e la salvezza dell’uomo che amava.
“Maestà, mi offendete profondamente insinuando certe cose sul mio conto. Non avete prove per affermare che io…”
“Ho prove a sufficienza per farvi condannare a tre ergastoli, Vostra Grazia. Ho testimoni di crimini e nefandezze compiuti nei dieci e più anni del vostro mandato, senza contare il resto di tutte le atrocità che avete commesso nella vostra vita. E ora datemi, quel maledettissimo antidoto, perché so che l’avete!” gridò furiosa, facendo tremare il volto del vecchio ex Duca.
Ma egli restò impassibile, immobile. La fialetta che avrebbe salvato la vita del Re stava nella tasca destra della sua veste. Aveva pensato di somministrarglielo lui stesso, perché non desiderava che Caspian morisse. Ma non aveva mai potuto avvicinarsi al Re, poiché Susan era sempre con lui, e Lord Erton non poteva rischiare che si sospettasse qualcosa. Se fosse tonato al palazzo con la miracolosa cura, la Regina avrebbe smascherato il suo crimine.
“Sono spiacete, signora, ma non ho nulla per voi. Cercate dal vostro dottor Cornelius. Ha nozioni di magia, no?”
Susan strinse gli occhi e fissò Lord Erton ancor più insistentemente. “Come sapete della magia? Io non ne ho parlato”
Maledetta strega! Egli pensò.
Aveva trovato il modo di metterlo con le spalle al muro e lui aveva finito col tradirsi mentre cercava di difendersi. Con quell’affermazione si era condannato da solo.
Susan non perse tempo. “Verrete prelevato dalla vostra casa e portato davanti al tribunale reale oggi stesso” disse. “Quando il Re starà meglio, sarete processato. Vi avverto: stavolta non la passerete liscia”
Sconfitto, Lord Erton osservò la donna lasciare il palazzo e tornarsene di corsa a Cair Paravel. Si accasciò sulla poltrona e si prese la testa tra le mani.
Stavolta per lui era davvero finita.
Lord Galvan e Lord Ravenlock penetrarono quatti quatti nella camera, restando indietro e attendendo ordini.
“Lui dov’è?” chiese Lord Erton con voce afona.
“Giù che vi aspetta, Vostra Grazia”
Erton si alzò e si vestì, poi seguì gli altri due in un salotto privato. Qui, ad attenderlo, c’era un ometto basso e corpulento, con un mantello nero da viaggio.
“La vostra Regina sarà contenta” disse Lord Erton sprezzante. “Ha ottenuto due piccioni con una fava”.
Estrasse la fialetta con l’antidoto e la porse all’uomo.
“Vi sono riconoscente, Vostra Grazia. Se la Regina saprà di questo gesto, sono certo che…”
“Risparmiatemi le consolazioni, dottor Cornelius. Se non volete che cambi idea e che lasci morire il Re, portategli questo. Ma ricordate: siete in debito con me”
“Vi sarò riconoscente, ma non ho nessun debito” s’impuntò Cornelius.
“Invece sì. E verrò a riscuoterlo, prima o poi”
Il povero dottor Cornelius da solo non ce l’avrebbe mai fatta. Non c’era il tempo materiale per fabbricare l'antidoto e non poteva usare la magia nera, non avrebbe mai osato. Così, dopo aver capito le intenzioni di Susan, ma ben sapendo che Lord Erton non le avrebbe mai dato ciò che chiedeva e non avrebbe mai ammesso davanti a lei di aver usato quel veleno, aveva pensato di andare lui a chiedere aiuto all’ex Duca.
Era l’ultima persona alla quale si sarebbe rivolto in altre circostanze, ma chi altri nel regno aveva nozioni di magi nera? Lord Erton aveva studiato per un po’ arti magiche nel sud e, a ragione, Cornelius immaginava che avesse appreso qualcosa da stregoni e negromanti. Erton odiava la magia, ma era un uomo che sapeva quando una cosa, anche se la disprezzava, poteva tornargli utile.
Ciò nondimeno, avrebbe dovuto immaginare come sarebbe finita: Erton gli chiedeva un favore per un favore.
Non voleva pesare adesso in cosa avrebbe consistito, e così, Cornelius se ne andò tenendo ben stretto l’antidoto che avrebbe salvato la vita al suo caro ragazzo.
Del resto gl’importava poco.
 
 
Quando Caspian aprì gli occhi, la prima cosa che vide fu il volto di Susan.
“Ciao, pesciolino” la salutò con voce roca, flebile.
Voleva alzare la mano e accarezzarle il volto stanco e tirato, ma era così debole che riuscì solo a sorriderle.
A lei bastò.
Si chinò sul suo petto e pianse a dirotto, finché non sentì la debole mano di lui posarsi sul suo capo e accarezzarla brevemente.
“Ehi…non piangere, amor mio”
Susan alzò la testa e si passò la mano sulle guance, cercando di sorridere a sua volta. Gli prese la mano e la baciò più volte, poi posò le labbra su quelle di lui, mormorando un ti amo dopo l’altro.
“Come ti senti?” gli chiese infine, mentre il dottor Galileo finiva di visitarlo.
“A pezzi, se vuoi la verità”
“Vostra Maestà dovrà rimanere a riposo per qualche giorno, senza lamentele” intimò il dottore severamente, ben conoscendo il suo Re e la sua voglia di strafare anche quando stava male.
Caspian sbuffò. “Tenterò”
“Il dottor Leo ha ragione. Devi pensare a riprenderti”
“Voglio sapere che cosa è successo” disse il giovane, osservandola con attenzione.
Susan distolse per un attimo lo sguardo, poi sorrise. “Non vuoi prima sapere che tuo figlio cammina?”
“Cosa?” Caspian sbarrò le palpebre a quella rivelazione. “Rilian? Il mio Rilian cammina?”
“Sì. Ha mosso i primi passi ieri”
“E Myra?”
“Per lei è ancora presto”
Il Re chiuse gli occhi per un momento e la sua espressione cupa si rasserenò.
“Dove sono?”
Susan capì che voleva i suoi figli e fece chiamare Lady Lora, alla quale aveva affidato i principini in quei giorni difficili.
“Non devi stancarti” Susan ricordò a Caspian, quando lui si alzò a sedere e strinse a sé i gemelli.
“Sto bene, Sue” la rassicurò, accarezzandole i capelli.
Lei si strinse a lui, e il Re circondò nel suo abbraccio anche i due bambini.
“Siete la cosa più importante della mia vita” disse Caspian, osservandoli tutti e tre con quanto amore poteva esprimere con un solo sguardo. “Vi chiedo scusa. Non volevo farvi preoccupare”
“La colpa non è tua. Non devi scusarti di niente” disse Susan, baciandolo piano.
Rilian allungò le braccine verso il padre, dicendo qualcosa di ancora incomprensibile.
“Sì, amore mio, cosa c’è?” fece Caspian con un gran sorriso, prendendolo in braccio e dandogli un bacio sulle guance paffute.
Rilian si aggrappò alla sua camicia.
“Gli è mancato il suo papà” disse Susan con commozione.
Caspian baciò anche Myra e poi tornò molto serio. “Raccontami tutto, Susan” disse, guardandola fisso. “Voglio sapere che cosa è accaduto. Che cosa mi è accaduto”
L’ultimo ricordo che il Liberatore aveva era il brindisi alla festa di compleanno dei gemelli, poi il vuoto più completo fino a poco prima.
La Dolce gli raccontò ogni cosa. Tutto quello che era successo in quei dieci giorni di angoscia, quando il regno era caduto nel panico più totale, quando nessuno sapeva cosa fare per il Re. Poi la soluzione e l’intervento tempestivo del dottor Cornelius.
“Mi ha salvato di nuovo la vita” mormorò infine Caspian. “E Lord Erton? Si hanno notizie di lui?”
Susan scosse il capo, mortificata. “No. Temo che sia fuggito. Nessuno ha saputo più nulla. L’ultima che l’ha visto sono io. Se solo avessi immaginato che potesse scappare in quel modo codardo, l’avrei fatto arrestare subito”
“Sono stato uno stupido a permettergli di rimanere qui per tanto tempo”
“Non potevi immaginare che arrivasse a tanto”
Caspian annuì con un senso d’impotenza. “E’ stato sciocco da parte sua però, fuggire così. Ha praticamente ammesso il suo crimine davanti a tutta Narnia”
“Ha capito che io sapevo, che avevo intuito tutto. Si era già tradito con quella frase sulla magia, ma immagino che un uomo come lui non sia il tipo da accettare la sconfitta, nemmeno quando sa che non può evitarla”
“Immagino che sia così” sospirò il Re, stanco.
Susan lo aiutò allora a rimettersi sdraiato, rimboccandogli le coperte. Prese i bambini e li riaffidò a Lady Lora.
“Ora ti lasciamo riposare, ne hai bisogno”
Caspian chiuse gli occhi e annuì. Baciò i figli e poi strinse ancora la mano di Susan, passando il pollice sull’anulare sinistro, dove l’anello d’argento e zaffiri brillava insieme alla fede nuziale.
“Farò chiamare Lord Galvan e Lord Ravenlock e li costringerò a dirmi dove si trova Erton”
“Quando ti sarai rimesso” lo ammonì dolcemente lei, dandogli un bacio in fronte. “Adesso dormi, amore mio”
Ma anche con ogni tipo d’insistenza verso i suoi scagnozzi e ricerche dentro e fuori dal regno, Lord Erton non si trovò da nessuna parte, e nessuno seppe più nulla di lui per molto, molto tempo.

 
 


 
 
Susan is back!!! :D
Come sono felice!!!!!!!!!! E’ bello riprendere a scrivere e pubblicare!!!
Purtroppo sono stata assente per colpa di una pesante influenza, e ho ancora gli strascichi. La vostra Sue è delicata di salute….cough cough!!! >.<
Bando alle ciance e ditemi se vi piace questo capitolo!
Lo so, il matrimonio non era previsto, ma ho pensato che era inutile rimandare, e anche inutile soffermarmi troppo sulla cerimonia. Il matrimonio di Caspian e Susan, dopotutto, è quello sull’Isola delle Rose. Comunque, vi regalerò ogni dettaglio di questa giornata in una prossima OS alla quale sto già pensando ;)
 
Ringraziamenti:
Per le preferite:
aleboh, Angel2000, Araba Stark, battle wound, EstherS, Expecto_Patronus, Fly_My world, Francy 98, G4693, HikariMoon, Jordan Jordan, Joy_10, katydragons, lullabi2000,Mia Morgenstern, Muffin alla Carota, Mutny_Hina, oana98, piumetta, Queen Susan 21, Shadowfax, SweetSmile, TheWomanInRed e Zouzoufan7
 
Per le ricordate: Araba Stark, Cecimolli, Halfblood_Slytherin e Zouzoufan7
 
Per le seguite: Araba Stark, bulmettina, catherineheatcliff, Cecimolli, ChibiRoby,cleme_b , ecate_92, FioreDiMeruna, Fly_My world, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, JLullaby, Jordan Jordan, Joy_10, Judee, Lucinda Grey, Mia Morgenstern, Min_Jee Sun, niky25, Omega _ex Bolla_ , piumetta, Queen Susan 21, Revan93, Shadowfax e Zouzoufan7
 
Per le recensioni dello scorso capitolo: aleboh, Araba Stark, battle wound, FioreDiMeruna, Joy_10, Lucinda Grey, Mia Morgenstern, piumetta, Queen_Leslie, Queen Susan 21,  susan the queen, Shadowfax e Zouzoufan7
 
Angolino delle Anticipazioni:
Vi avevo promesso un Peter alle prese con il settimo Amico di Narnia, lo so, ma ho apportato dei cambiamenti al capitolo, e quel pezzo slitta nel prossimo. Per cui, vedremo un incontro ravvicinato tra Jill e gli altri Pevensie!!!
A Narnia passerà ancora del tempo, e vedremo Rilian e Myra già grandi. Eh sì, perché siamo al giro di boa, dal prossimo si entra nel vivo di Night&Day!!! E devono tornare in gioco anche i cattivi (i fan di Rabadash saranno felici (?) XD

 
Note: In questo capitolo trovate la prima e seconda strofa di "From This Moment On" canzone cantata in duetto da Shania Twain e Bryan Adams...credo....non sembra la sua voce, forse è un altro cantante con lo stesso nome...non saprei...
Sto facendo la colonna sonora di Night&Day!!! Appena è pronta la metto sul blog. Se avete idee per le songs, sono ben accette! :)


E a proposito di blog...vi mando qui per vedere i vestiti del matrimonio!!! Prossimamente arriveranno quelli delle damigelle e dei testimoni!!! Intanto godetevi gli sposi!!! *.*
Inoltre, vi ricordo sempre il mio gruppo su Facebook Chronicles of Queenper gli aggiornamenti.

Ho cambiato questo capitolo molte volte ed è possibile che ci siano errori, di battitura o altro. Non esitate a segnalarmeli!

Per questa settimana è tutto!!!
Un bacio grande a tutti,                                                                    
Susan♥

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Capitolo 8
*** Capitolo 8: Ciò che accadde in entrambi i mondi ***


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8. Ciò che accadde in entrambi i mondi
 
 
Da questo momento la vita è iniziata.
Da questo momento tu sei l’unica.
Proprio accanto a te
È il luogo a cui appartengo,
Da questo momento in poi…
 
 

Finchley, 5 dicembre 1947
 
Caro Eustace, come stai?
So che starai pensando che farei molto prima a telefonarti, ma mi conosci e sai quanto mi piace inviare biglietti d’auguri nel periodo natalizio.
Ti scrivo per confermarti che arriveremo a Cambridge il ventiquattro, e che purtroppo Susan non sarà con noi. Non può proprio lasciare l’America, nemmeno in un’occasione così speciale come il Natale. Speriamo tutti di avere presto sue notizie.
Le vacanze da te quando cominciano? Qui il venti.
Scommetto che sei sovraccarico di compiti quanto me. Dobbiamo impegnarci, è l’ultimo anno!
Invidio Edmund, che è già diplomato. Ah, non sai l’ultima su di lui: ha trovato un posto alla redazione di un giornale locale. E’ una piccola testata, ma il lavoro è buono e gli piace. Sono contenta per lui!
In quanto a Peter, di allo zio Harold di non insistere troppo: non lavorerà con lui nella sua bottega, diventerà professore di letteratura, ormai è tanto che l’ha deciso. Seguirà le orme di mio padre. Scommetto che sarà l’argomento principale del pranzo natalizio.
Tu hai già deciso cosa farai dopo aver preso il diploma? Io vorrei fare l’infermiera. Se vuoi un consiglio, dovresti davvero pensare a una possibile carriera di scrittore.
Un’altra cosa: anche quest’anno il dolce di natale lo preparerò io! Niente storie, lo mangerai!
Per ora ti saluto.
Ci vediamo presto.
 
Lucy
 
 
Eustace voltò il cartoncino e osservò la capretta bianca che vi era raffigurata, seduta in mezzo a quattro o cinque coniglietti in un paesaggio tipicamente natalizio: uno spiazzo innevato, circondato da abeti. I brodi della figura erano ricamati d’oro.
Una capretta…come il signor Tumnus, pensò Eustace.
Lucy non si smentiva mai: ogni cosa per lei era riconducibile a Narnia.
Tra le righe di quel biglietto c’erano cose che sua cugina non aveva potuto scrivere, cose che riguardavano la verità sul conto di Susan. Ne avrebbero parlato a voce, lontano da orecchie indiscrete, anche se non sarebbe cambiato molto: i signori Scrubb dovevano continuare a credere che Susan fosse in America, inizialmente per studiare e adesso per lavoro, e che avesse preso la decisione di rimanere a vivere laggiù.
Erano quattro anni che non avevano notizie da Narnia, da Susan, da Caspian, da Aslan.
Chissà come andavano le cose… Di sicuro stavano tutti bene, o il Grande Leone li avrebbe chiamati.
Da un lato era confortante sapere che Narnia non correva pericoli, ma era triste il pensiero che i Pevensie non sapessero nulla di loro sorella e di loro figlia da ben quattro anni. 
Una volta, Aslan aveva detto che il portale che collegava Narnia alla Terra non poteva essere aperto e chiuso ogni volte che lo si desiderava. La Grande Magia – la forza che dominava su tutto – aveva delle regole precise.
Si erano recati a Narnia tre volte in poco tempo. Prima l’avventura a bordo del Veliero dell’Alba, poi la nascita di Rilian e Myra, e poi il matrimonio.
Forse avevano abusato del passaggio tra i due mondi? Doveva – per così dire – ricaricarsi? Come funzionava?
Eustace rimaneva sveglio la notte a pensarci, rimuginandoci per ore. E oltre che sulla funzionalità del portale, ragionava anche sul trascorrere del tempo tra le due dimensioni.
Ricapitolando: qualche ora trascorsa da Lucy a casa di Tumnus corrispondevano a pochi secondi sulla Terra; quindici anni di regno dei Pevensie, nemmeno un minuto; milletrecento anni, un anno; tre anni a Narnia, un mese in questo mondo; circa nove mesi laggiù, un paio di mesi qui; altri sei mesi e…
Dannazione, erano calcoli matematici! Tutto l’universo è un calcolo matematico, doveva trovare un senso!
Ma sembrava impossibile cavarne qualcosa. Aveva solo finito per farsi venire mal di testa...
Eustace ripiegò la lettera e si recò in cucina, dove trovò solo sua madre. Harold era già uscito.
Non appena gli confermò l’arrivo di Pevensie per la vigilia, Alberta si disse molto dispiaciuta per il fatto che non ci fosse anche Susan.
La signora Scrubb era sempre stata dell’idea di farla entrare in società, di farle conoscere qualche bel giovanotto da sposare, e le era sorto un dubbio quand’era partita per andare oltreoceano: che Susan si fosse defilata a causa dalle sue insistenze? Oppure era fuggita con qualche giovanotto americano, un marinaio magari... Forse questo tipo l’aveva messa nei guai, e Helen e Robert avevano spedito la ragazza lontano per non dare scandalo.
Povera cara Helen, che figlia degenere!
“Susan con un marinaio?!” aveva chiesto Harold, distogliendo lo sguardo dal giornale. “Come ti vengono certe idee?!”
“Ma sì, magari un pirata” la signora Scrubb aveva agitato il piumino per la polvere verso il marito, scoccandogli un’occhiataccia. “Di sicuro sarà molto più affascinante di te, che te ne stai sempre in poltrona a far niente”.
“Alberta cara, io lavoro tutta la settimana! Nel weekend concedimi un pò di relax!” aveva esclamato Harold.
Ma la moglie lo aveva ingorato e aveva sospirato sognante: “Oh, sì: un bell’uomo alto e vigoroso, con spalle larghe e occhi profondi, la pelle abbronzata dal sole, i capelli al vento…”
“Mamma!”
“Alberta!”
Avevano esclamato in coro Eustace e Harold, scambiandosi uno sguardo disgustato, mentre la signora Scrubb rideva come una ragazzina.
“Oh cielo, cosa mi fate dire!”
Ma anche Eustace aveva riso sotto i baffi, pensando che sua madre non era andata molto lontano dalla realtà. Un po’ pirati lo erano stati tutti durante la traversata dell’Oceano Orientale. E non era nemmeno sbagliato affermare che Caspian (del quale aveva fatto un descrizione quasi perfetta) avesse rapito Susan. Quei due erano o non erano scappati sull'Isola delle Rose per sposarsi di nascosto? In un certo senso sì.
E siccome le era scappata l’occasione di trasformare la nipote maggiore in una bambola da salotto, quella furba di mamma aveva pensato di vergere il suo interesse su Lucy.
Le era andata male per la seconda volta.
“Vuoi fare cosa?!” esclamò Alberta la mattina del ventiquattro dicembre, quando andarono a prendere i Pevensie alla stazione.
“L’infermiera” rispose Lucy in tutta calma.
“Cara, tutto quel sangue, qui feriti, le malattie…”
“Non farla tragica, zia. La vista del sangue non mi disturba. Io lo trovo un lavoro nobile: salverò delle vite, in fondo”
Alberta storse il naso. “Sì…Se ne sei convinta, tesoro…”. Poi la prese sottobraccio e divenne tutta uno zucchero. “Santo cielo, però, come ti sei fatta grande! Che peccato che io non abbia trovato il tempo di organizzarmi per il ballo di Natale del mio circolo. Ti sarebbe piaciuto venire?”
“Non saprei…”. Lucy arrossi per il complimento.
Non era abituata a riceverne, non tanti quanti Susan. Ma era vero che era bella: ormai aveva diciassette anni ed era sbocciata in una splendida giovane donna. Numerosi corteggiatori si erano fatti avanti e avevano allarmato Peter e Edmund, i quali erano come sempre molto protettivi con la loro sorellina, specialmente il primo.
Ma non avevano di che preoccuparsi: Lucy declinava qualsiasi invito e scoraggiava ogni pretendente. Il suo cuore era già impegnato.
A scuola, le amiche mormoravano su chi potesse essere il misterioso ragazzo di Lucy; e lo stesso gli amici di Peter, all’università, si chiedevano chi mai fosse la sua fidanzata della quale parlava continuamente.
Anche il maggiore dei Pevensie aveva dovuto vedersela con le parecchie ragazze che avevano mostravano interesse per lui.
“Ma non lo sai?” dicevano i compagni di corso alle compagne. “Peter si deve sposare, è inutile provarci con lui. E’ fidanzato da quattro anni, ma lui e la sua ragazza vivono lontani. Appena prenderà la laurea la raggiungerà nel suo paese. Almeno, questo è quello che ha raccontato”
Edmund, invece, a differenza dei fratelli, non aveva disdegnato qualche uscita al cinema con qualche bella ragazza. Nulla di serio, comunque.
C’era una tizia, della quale Lucy e Peter non ricordavano il nome, che gli ronzava intorno piuttosto insistentemente, ma Ed non aveva voglia di impegnarsi.
Lucy sapeva perché.
“Pensa sempre a Shanna. E’ inutile che nega, io lo so”
I Pevensie sarebbero rimasti a Cambridge per tre giorni appena, e avrebbero preso stanza in un albergo poco lontano dalla stazione. Era un posticino accogliente, ma niente di che. Bisognava risparmiare, poiché il dopoguerra aveva gettato il paese nella crisi finanziaria ed economica, e la vita era diventata ancora più difficile.
Di questo si parlò a pranzo, a casa degli Scrubb, dove gli uomini discussero sulle idee del primo ministro statunitense, George Marshall, il quale aveva annunciato l’attivazione di un piano di aiuti economico-finanziari per l’intera Europa. 
Finito di mangiare, gli adulti si spostarono in salotto e i ragazzi salirono in camera di Eustace a chiacchierare.
“Vi ricordate come ci detestavamo quando siamo venuti qui durante la guerra?” ricordò Edmund.
“Se è un modo per dirmi che stanotte vuoi dormire a casa mia…” fece Eustace. “Scordatelo!”
Peter e Lucy risero. Subito si immersero nei ricordi di quei giorni a casa Scrubb, e ovviamente tra quelli riguardanti Narnia.
 
 
C’erano giorni in cui Jill, girando per le vie di Cambridge, provava ancora la terribile sensazione di quando gli aerei avevano bombardato l’Inghilterra, e le strade e i palazzi tremavano, e la gente gridava temendo per la propria vita.
La guerra era finita da due anni, ma aveva portato via con sé milioni di vite innocenti.
Le sue compagne di scuola ancora non sapevano quale strada percorrere per il loro futuro, Jill invece sì: voleva aiutare il prossimo, occuparsi di beneficenza, dei diritti dei poveri, dei bambini orfani, e altre cose del genere.
Aveva preso questa decisone un giorno di ormai quattro anni prima, il giorno della morte di suo cugino.
Non aveva ancora un’idea concreta sul da farsi, ma sentiva che era quella la sua strada: voleva aiutare le persone ad essere felici.
Sua madre, che era una persona un po’ cinica, diceva che il suo era un pensiero utopistico, ma suo padre appoggiava le sue scelte.
Anche nella primavera del 1945, quando alla radio avevano annunciato la fine della guerra, sembrava quasi che non fosse vero. Ma se infine si era riusciti a porre fine a quello che sarebbe stato ricordato come il più grande conflitto della storia, perché non poteva riuscire lei a portare un po’ di serenità alle persone?
“Tesoro, spostati. Blocchi il passaggio”
Al richiamo di suo padre, Jill si voltò, appena in tempo per non essere travolta da una piccola folla di gente che usciva dal negozio accanto al quale si trovava.
Come ogni anno, faceva acquisti insieme ai genitori, e chissà com’era si riducevano sempre all’ultimo momento.
Quando la calca si diradò, il signor Pole si avvicinò alla figlia, osservando gli oggetti esposti nella vetrina del punto vendita.
“Hai trovato qualcosa?”
“Sì” Jill indicò una macchina da scrivere di un nero lucente.
“Sembra molto costosa”
“Lo so, ma con i miei risparmi dovrei farcela”
Frugò nella borsetta e ne estrasse il portafogli.
Forse non le sarebbe più rimasto uno spicciolo, ma voleva assolutamente comprarla.
Non importa, si disse.
Quando uscì dal negozio con il suo pacchetto, suo padre notò che sembrava molto soddisfatta. E mentre raggiungevano la signora Pole alla drogheria dall’altra parte della strada, il singor Pole non poté fare a meno di chiedere: “E’ una persona speciale?”
La ragazza si volse verso di lui. Dire che era perplessa era poco.
“Scusa?”
Per un momento, lei pensò si riferisse al negoziante.
No, non era carino, nemmeno un po’.
“Il ragazzo a cui regalerai quella macchina da scrivere”
“E’ Eustace, papà” cantilenò Jill, alzando gli occhi al cielo.
“Sì, questo lo so. Volevo solo sapere se è speciale per te”
La ragazza sospirò. “E’ il mio migliore amico, è ovvio che sia speciale. Ma è solo un amico”
“Sei sicura?”
“Papà, mi imbarazza parlare di queste cose con te, ti prego!”
“Perché? Sei la mia bambina, è normale che io mi preoccupi”
Non era la prima volta che si trovava ad affrontare questo discorso, sia con i genitori che con le compagne di scuola. Jill voleva bene a Eustace, stava bene in sua compagnia, si divertiva, parlavano di tutto (di Narnia, soprattutto), e sapeva che anche per lui era lo stesso. Ma al di là di questo...nulla.
“Da quanto conosciamo Eustace?”
Fu il signor Pole ora a sembrare perplesso. “Da cinque anni, su per giù”
“Esatto. E ti è mai parso che tra noi ci sia qualcosa?”
“No, direi di no”
“Appunto. Siamo solo amici. E adesso raggiungiamo mamma, avrà un sacco di borse da trasportare”
Jill corse avanti ed entrò nella drogheria, facendo tintinnare il campanello appeso alla porta.
Una volta a casa, la ragazza impacchettò la macchina da scrivere avvolgendola in una bella carta rossa, legandoci attorno un grande fiocco dorato, arricciandone le estremità con la punte delle forbici. Osservò il lavoro finito e posò il tutto sul comodino, sedendo a gambe incorciate sul letto
Era d’accordo con Eustace di passare da lui l’indomani, per scambiarsi i regali. Non vedeva l’ora di vedere la faccia che avrebbe fatto quando avrebbe scartato il suo.
Jill s’infilò sotto le coperte e si addormentò quasi subito.
Si svegliò di soprassalto nel mezzo della notte, guardandosi attorno come in cerca di qualcosa. Ma che cosa?
Accese la lampada sul comodino. Voleva la luce, l’oscurità le metteva inquietudine.
Fece una smorfia. Le faceva male il polso destro. Se l’afferrò con il sinistro, sovrappensiero, iniziando a massaggiarselo mentre cercava di ricordare qualcosa ma senza riuscirci. Il sogno di poco prima le aveva lasciato addosso una strana e spiacevole sensazione.
Abbassò lo sguardo sul proprio braccio. Perché le faceva così male?
Scostò la manica della camicia da notte, come se si aspettasse di trovare un segno sul braccio.
E lo trovò.
Alla luce soffusa della lampada, vide l’impronta di una mano, di un rosso acceso, come un marchio inciso a fuoco.
“Oddio!”
Si alzò svelta e pigiò l’interruttore sulla parete accanto alla porta, e il lampadario si accese. Si guardò ancora il braccio, ma il segno era scomparso.
Che fosse stata la sua immaginazione?
Si accorse di tremare, di freddo e di terrore.
Pian piano, le immagini del sogno riapparvero: rammentò l’oscurità, fitta e impenetrabile. Ricordò una foresta pena di neve. Aveva avuto così freddo da battere i denti. Ricordò la bufera, i fiocchi di neve che si abbattevano feroci su di lei. Poi qualcuno l’aveva chiamata, per aiutarla, per farla uscire dalla foresta e condurla verso una collina verde e calda, piena di sole. E allora aveva sentito la fitta al braccio. Una morsa d’acciaio. Si era voltata, benché chi l’avesse chiamata le avesse intimato di non farlo. Dietro di lei aveva scorto solo neve vorticante, ma in mezzo ad essa erano apparsi due occhi di ghiaccio, che d’un tratto erano diventati neri come la pece. Avevano inghiottito il mondo intero, e anche lei, dentro quel sogno che era diventato un incubo. La creatura a cui appartenevano quegli occhi la teneva saldamente, per non permetterle di allontanarsi, per non farla risvegliare e impedendole di raggiungere la collina luminosa. Infine, un brontolio minaccioso.
“Oh, Signore, aiutami!” aveva esclamato Jill nella sua mente, e allora la mano aveva lasciato il suo braccio e lei era come caduta all’indietro, nel vuoto, mentre l’eco di un fragore vibrante risuonava lontano.
E le parve di sentirlo ancora, vicino a lei, sussurrare accanto al suo orecchio. Una voce che diceva cose che non capiva, perché tropo lontana.
Spense la luce grande e tornò verso il letto, le gambe improvvisamente molli. Jill fece un lungo sospiro, allungò la mano verso l’interruttore della lampada, ritirandola all’ultimo momento.
Era infantile, ma la voleva accesa.
Fece un altro lungo sospiro e si sdraiò sul fianco.
Suo padre le aveva insegnato a pregare ogniqualvolta si sentisse impaurita o smarrita, così chiuse gli occhi e si sentì improvvisamente meglio non appena invocò l’Iddio del cielo.
Forse era sciocco pregare solo perché si era spaventata per via di un incubo, ma il fatto era che qualcosa le diceva che il segno sul braccio non se l’era immaginato. C’era stato, e poteva ancora sentire il dolore di quella morsa gelata.
A poco a poco, l’inquietudine lasciò il posto a quella tranquillità che precede il sonno. Le parve di udire un suono, come le fusa di un grosso gatto, ma era troppo stanca per aprire di nuovo gli occhi.
Il Leone si chinò su di lei, ascoltando il suo respiro regolare.
Si era riaddormentata. Bene. Era al sciuro, ora.
“Non ancora, ma presto... Presto sarai con noi a Narnia” mormorò Aslan, soffiando su di lei, donandole un nuovo sonno senza sogni, per proteggerla da chi aveva cercato di farle del male.
 
 
“Auguri!” esclamarono in coro Eustace e Jill quando lui aprì la porta, il pomeriggio seguente.
“Dai, entra, si congela”.
Jill mise piede sullo zerbino d’entrata, pulendosi le scarpe coperte di neve. Era caduta tutta la notte in fiocchi grandi e compatti, e non accennava a smettere. Ma per i ragazzi non c’era niente di meglio che una bella nevicata il giorno di Natale.
“Avete ospiti? Sono i tuoi parenti?” chiese Jill, appendendo il cappotto e seguendo l’amico fino alla soglia del salotto.
“Esatto. Sono arrivati ieri. Vieni, te li presento” rispose Eustace, dopo un attimo esclamando: “Mamma, è arrivata Jill!”
Alberta balzò in piedi e allargò le braccia. “Cara, benvenuta!”
“Buon pomeriggio” salutò la ragazza, baciando la signora Scrubb sulle guance e stringendo la mano al signor Scrubb.
Poi, posò lo sguardo sul resto dei presenti: un uomo con i capelli biondi scuri e gli occhi azzurri. Una donna dal viso gentile, gli occhi castani, i capelli scuri, mossi, sulle spalle. Tre ragazzi, ovviamente i loro figli: il primo era un giovane uomo di vent’anni o poco più, praticamente identico al padre, biondo con gli occhi azzurri. Il secondo era un ragazzo moro con gli occhi nocciola. A occhio e corce doveva avere la sua età, proprio come la ragazza al suo fianco, la quale aveva lunghi capelli rosso scuro, gli occhi azzurri brillanti.
Jill capì immediatamente chi erano. Nel suo libro, Eustace li aveva descritti più giovani, ma erano loro, non c’erano dubbi: Peter, Edmund e Lucy, i protagonisti del romanzo di Eustace.
Mancava solo Susan.
Jill sapeva perché non c’era. L’amico le aveva raccontato tutto.
Sedette accanto a Lucy, presentandosi ai Pevensie, emozionata. Conoscerli era quasi come incontrare un famoso attore del cinema. Per un fugace momento pensò addirittura di chieder loro l’autografo. Erano delle specie di eroi per lei, che ne aveva seguito le gesta su carta. Era così strano averli davanti, ora…
“Tieni” disse infine Jill, porgendo all’amico il suo grande e pesante regalo.
Eustace fece una smorfia. Il pacchettino che le consegnò era molto più piccolo.
“Non è la dimensione che conta. Dai aprilo” lo esortò la ragazza, capendo il suo disagio.
“Prima tu”
“No tu”
“No, dai”
“Se andate avanti così ci mettete tutto il giorno” intervenne Edmund con aria divertita.
Infine, Jill si decise e aprì per prima il pacchettino rettangolare, ringraizando di cuore quando ne estrasse una magnifica penna stilografica. Jill ne faceva collezione oltre ad usarle. Quello che aveva tra le mani era un modello rarissimo, a tiratura limitata: un piccolo capolavoro laminato in oro, con particolari incisione sul corpo e sul cappuccio.
“Era quello che volevo. Grazie, Eustace! Adesso però tocca a te.”
Jill era impaziente.
Il ragazzo strappò la carta rossa e restò a bocca aperta quando vide ciò che aveva contenuto.
“Accidenti, che bella!” esclamò, posando la macchina da scrivere sul tavolino del salotto e contemplandola da tutte le direzioni.
Jill ne fu felicissima. “Sapevo che ti sarebbe piaciuta! Avevi detto che la tua non funziona più bene, e che te ne sarebbe servita una nuova al più presto. Così ci ho pensato io!”
“Grazie, è bellissima!”
“Così puoi finalmente finire di scrivere il…” continuò Jill, fermandosi in tempo.
“Il mio nuovo racconto, certo” le venne subito in aiuto Eustace.
“Hai una nuova opera in cantiere, figliolo?” chiese Harod.
“Ehm...più o meno” mentì Eustace. Lui e Jill si scambiarono uno sguardo. Lo stesso fecero i fratelli Pevensie.
Da quel famigerato giorno in cui aveva perso i suoi appunti, il cugino aveva assicurato loro che la sua amica non sapesse e non avesse chiesto più nulla di Narnia. Eustace non aveva mai ammesso di aver rivelato il segreto di Narnia a Jill. Il fatto era che non voleva che lo costringessero a mentirle ancora. Lei era l’unica amica sincera che aveva. Ogni volta che lui terminava un pezzo glielo faceva leggere subito, e lei lo consigliava, gli correggeva gli errori, e poi chiedeva di Narnia, pregandolo di non smettere mai di raccontarle di quel mondo meraviglioso. Avevano formato un duo molto affiatato, anche se finivano per litigare spesso e volentieri. Lui non era sempre molto propeso ad ascoltare le critiche di lei, nemmeno quelle potenzialmente  costruttive.
“Se hai un nuovo racconto” disse infatti Jill. “Allora la mia penna capita giusto in tempo per correggerti gli errori”
Eustace mise il broncio. “Non ne ho bisogno!”
A quel punto, Harold non perse tempo e si mise a decantare la bravura del figlio, dei successi che aveva conseguito in un concorso letterario indetto dal giornale della scuola.
“Per ora è poco, ma è un primo passo verso una brillante carriera!”
“Complimenti, Eustace” disse Robert, davvero compiaciuto.
Tutti in famiglia conoscevano la passione che Eustace aveva sempre avuto per la scrittura.
Peter, come tutti gli altri, osservò la bella macchina da scrivere nera lucente, pensando esattamente la stessa cosa che Jill Pole stava per dire poco fa: con quella, Eustace era finalmente in grado di terminare di battere in bella grafia il lungo romanzo che aveva intitolato Le Cronache di Narnia.
Il cugino aveva deciso di dividerlo in parti e di dare ad ognuna un titolo diverso. Per ora, le suddette parti erano tre, ma il ragazzo prometteva di cimentarsi nella stesura di una nuova avventura.
Certe volte, i Pevensie pensavano che fosse un peccato non poterlo far conoscere ad altri, ma non era possibile. Il segreto di Narnia doveva rimanere un segreto, almeno finché Aslan non avesse detto loro diversamente.
Condividevano quel segreto Peter, Susan, Edmund, Lucy e i loro genitori; Eustace, il professor Kirke e la sua amica Polly Plummer.
E poi c’era Jill Pole, che qualche anno prima era quasi venuta a conoscenza di cose che nessuno, al di fuori di coloro che avevano visitato Narnia, avrebbe mai dovuto sapere.
Eustace diceva che Jill era un’amica vera e che non avrebbe mai tradito il loro segreto, ma i Pevensie erano stati tassativi: nessuno doveva sapere di Narnia. L’avevano ripetuto fino allo sfinimento.
Conoscevano Jill solo di nome, era la prima volta in assoluto che la incontravano di persona.
Al primo impatto, Peter pensò che fosse simpatica, e non sembrava affatto una ficcanaso come una volta l’aveva definita Eustace.
Quando suonarono le cinque, Alberta e Helen prepararono il thè e Lucy servì il dolce fatto con le sue mani.
 “E’ ottimo” si complimentò Jill. “Vorrei saper cucinare bene come te, ma devo ammettere di essere una vera frana.”
“Grazie, sei gentile” sorrise la Valorosa. “Basta fare tanta pratica. A me ha insegnato mia sorella Susan.”
D’un tratto, osservando quella ragazza chiacchierare allegramente con sua sorella, Peter ebbe come un presentimento. E il regalo che aveva fatto a Eustace era la base di quel presentimento.
Un macchina da scrivere...buffo. Però…
“Ne prendo un’altra fetta” disse Eustace, alzandosi e andando verso la cucina.
“Anch’io” disse Peter seguendolo.
Il Re Supremo accostò la porta per chiudere fuori le voci che provenivano dal salotto, per poter porre alcune domande al cugino senza che gli altri sentissero.
“La tua amica ti ha fatto un regalo molto utile”
Eustace sorrsie. “Sì, è fantastico! Proprio quello che ci voleva per completare il romanzo su Narnia!”
Peter lo fissò severamente. “Eustace, tu non hai più parlato di Narnia con lei, vero?”
“No, certo che no” mentì il cugino.
Ebbe appena un fremito, ma Peter se ne accorse.
“Davvero?”
“Sì, davvero. Perché questa domanda tutto a un tratto?”
“Perché Jill stava dicendo qualcosa a proposito di un libro, prima. Forse di quel libro”
“Bè…” balbettò Eustace. “Jill sa che sto scrivendo un libro su Narnia, lo sai, ma crede che sia una storia inventata, proprio come mi avete sempre raccomandato di sostenere.”
“Non dirle niente” ripeté Peter per l’ennesima volta.
“Non le ho detto nulla!” s’innervosì Eustace. “Senti, è mia amica!”
“Lo so, e per questo capisco che sia difficile mentirle. Ma non dovresti coinvolgerla troppo”
“Non posso nemmeno smettere di farle leggere i miei racconti da un giorno all’altro!”
“Lei legge tutto quello che scrivi?”
“Di solito sì”. Eustace sbuffò “Smettila di fare l’insistente. Jill è a posto”
Prima che Peter potesse aggiungere qualcos’altro, il cugino prese la sua fetta di dolce e se ne tornò in salotto. Nell’uscire, quasi travolse Edmund che entrava in cucina in quel momento.
“Ehi, che succede?” chiese il Giusto, guardando il fratello e facnedo un cenno con la testa verso la porta. “Che ha combinato?”
Peter raccontò brevemente i suoi timori. Edmund lo ascoltò con attenzione e poi scosse il capo.
“Non penso che Eustace abbia cantato”
Peter si appoggiò al tavolo. “Sai non è tanto Jill che mi preoccupa. Non è lei, è…questo mondo, la gente che ci vive. Io non vedo l’ora di tornare a Narnia”.
Edmund sospirò. “So cosa vuoi dire. Dopo la guerra, niente è stato più come prima. Tutto sta cambiando e in peggio. Se potessimo vivere laggiù…”
“Certe volte vorrei che tutto il mondo potesse conoscere Narnia” ammise Peter, notando lo sguardo sbalordito del fratello. Fece un sorrisetto. “So che ho appena detto a Eustace di non dire nulla a nessuno, so che l’ho tormentato per mesi su questo, ma non è forse per aiutare le persone del nostro mondo ad avvicinarsi a Narnia che Aslan ci ha scelti per essere suoi Re e Regine? Lo scopo è questo, Ed.”
Il Giusto abbassò lo sguardo, riflettendo intensamente. “Hai ragione. Me ne rendo conto solo ora che l’hai detto. Però Peter, Aslan ci disse di non parlarne. E se non ne parliamo, come possiamo far conoscere Narnia al mondo?”
“Forse tramite il libro di Eustace” azzardò Peter. “Forse un giorno lo pubblicherà davvero e allora tutti sapranno…E’ probabile che il giorno in cui Aslan ci dirà che il mondo è pronto per sapere, sarà il giorno in cui anche il settimo Amico di Narnia sarà con noi”
“Può darsi” annuì Edmund. “Io pensavo…ma non so”
“Avanti” lo esortò il Re Supremo.
“Sono passati quattro anni e non abbiamo ancora trovato traccia di questo settimo Amico. Inizialmente avevo creduto potesse trattarsi di Digory, o di zia Polly, ma loro stessi ci hanno assicurato di no”
Peter annuì. Ricordava quando un paio d’estati prima, lui, Ed e Lucy erano andati a trovare Digory nella grande casa fuori Londra, insieme a Eustace. In quell’occasione era arrivata anche Polly.
Il vecchio professor Kirke e la sua migliore amica avevano ascoltato le nuove strabilianti avventure di Nanria, e poi avevano tolto ogni dubbio ai ragazzi: se uno di loro due fosse stato il detentore della Spada di Rhoop, l’avrebbero avvertito, percepito.
“Ma io e Polly abbiamo già dato a Narnia tutto ciò che potevamo” aveva detto Digory.
“Peter” continuò Edmund. “E se non trovassimo mai il settimo Amico di Narnia?”
“Non è possibile. Non essere sempre pessimista”
Edmund fissò il fratello con sguardo cupo. “Anch’io non ce la faccio più! Anch’io voglio tornare a Narnia! Vorrei poter rivedere nostra sorella, il mio migliore amico, i miei nipoti! Eppure Aslan non ci chiama, perché lo farà solo quando avremo trovato questo famigerato Amico. Ma se non lo trovassimo? Cosa succederebbe allora?”
“Ha detto che lo avrei trovato e lo troverò” rispose Peter, risoluto. “Ho completa fiducia in Aslan”
“Anch’io ne ho, ma quando accadrà? Quanto tempo passerà ancora? E quanto ne sarà passato laggiù? Non mi stupirei di trovare Rilian e Myra già adulti, e a quel punto Caspian e Susan potrebbero essere…”
Edmund si fermò prima di pronunciare quella terribile parola che rimase sospesa tra loro.
Peter lo fulminò con un solo sguardo. Lo sguardo del Re Supremo, davanti al quale il Giusto chinò il capo.
“Scusa”
“La possibilità che Caspian e Susan siano…” Peter prese un respiro, “non la devi nemmeno prendere in considerazione”
“Lo so, ma…” Edmund strinse i pungi. “E’ frustrante quest’attesa, molto più delle altre volte. Tu e Lucy sembrate così tranquilli…”
“Non è facile per nessuno, Edmund. Tantomeno quando sai che c’è una persona che ti aspetta, e che non vedendoti tornare potrebbe pensare che l’hai abbandonata”
Gli occhi di Peter divennero tristi. Immensamente tristi.
“No, Miriel non lo penserebbe mai” cercò di rassicurarlo Edmund.
Un attimo di silenzio, nel quale il nome della Driade li riportò tra i ricordi.
Poi, con uno sforzo immane, Peter si mosse, lentamente, afferrò il coltello e tagliò due fette del dolce di Lucy.
“Ne vuoi anche tu?”
“Eh?” fece Edmund, per un momento smarrito. “Ah, sì…”
Quando fecero per uscire dalla cucina, Peter disse: “Ed, che impressione ti ha fatto Jill?”
Edmund si volse indietro, la mano sulla maniglia. “Buona, direi. E’ simpatica” sintetizzò con un’alzata di spalle.
“Io ho come avuto l’impressione di conoscerla” aggiunse Peter, la fronte aggrottata in un’espressione pensosa. “Guardandola parlare con Lucy ho avuto come la sensazione che fossero…simili. Non saprei dirti come. Ho pensato che lei…bè, che abbia qualcosa di speciale.”
“Vuoi dire che…” balbettò Edmund.
“Non lo so. Non ne sono sicuro” si schermò Peter.
I due ragazzi Pevensie si fissarono qualche secondo, trasalendo quando la testa di Lucy spuntò in cucina.
“Ma dove siete finiti? Vi siete mangiati il resto del dolce da soli?”
Lucy sorrise, i fratelli no.
“Che cosa c’è?”
“Lu” fece Peter, con aria serissima. “Cosa pensi di Jill Pole?”.
La Valorosa sbatté le palpebre, sorpresa. “Perché me lo chiedi?”
 
 
 
~·~
 
 
 
C’erano decine di momenti meravigliosi durante le sue giornate, ma quello che Susan adorava più di tutti era concedersi una passeggiata sulla spiaggia, la mattina presto. A volte era sola, quando Caspian si svegliava molto presto e non poteva andare con lei, richiamato dagli impegni di corte. Di solito, però, lui l’accompagnava sempre: mano nella mano, a piedi nudi sulla sabbia, le onde che lambivano leggere la loro pelle, la brezza mattutina che li costringeva a stringersi l’uno all’altra, sedendo in riva al mare a guardare il sole sorgere.
Quando loro due erano gli unici già svegli, mentre tutta Narnia ancora dormiva.
Erano istanti magici, rilassanti, speciali, pieni di tenerezza e qualche volta di passione.
A volte, infrangere le regole era piacevole…
Ma se con loro c’erano anche Rilian e Myra, allora si divertivano a giocare, costruendo castelli di sabbia, raccogliendo conchiglie, rincorrendosi sulla spiaggia.
Poi tornavano di corsa al castello, richiamati dai servitori che, puntuali, ricordavano ai Sovrani i mille obblighi del giorno.
Erano un Re e una Regina, ma Cornelius, Miriel, Briscola e altri, riuscivano anche a vederli per quello che erano davvero: giovani.
Caspian aveva ventisei anni, Susan ventitré. Qualche volta, tornare ragazzini era più che lecito, e inevitabile.
Nonostante questo, nonostante la giovane età, erano due Sovrani e due genitori esemplari.
Susan istruiva personalmente i due principi, aiutata dal dottor Cornelius. Caspian, benché avesse meno tempo di lei, cercava sempre di essere presente.
Erano consapevoli di avere una doppia responsabilità: oltre a imprimere ai loro figli i giusti princìpi e valori, un giorno quei bambini sarebbero divenuti un Re e una Regina, e Caspian e Susan avevano un’idea molto precisa su come dovevano venire allevati per essere all’altezza del loro titolo.
Accettavano consigli, ma non si facevano influenzare.
Amavano i loro bambini con tutto il cuore. Li coccolavano, giocavano e studiavano con loro. Erano un padre e una madre affettuosi, ma anche severi quando serviva: Rilian e Myra non erano esenti dai rimproveri, e nemmeno da qualche bella sculacciata.
Avevano impartito loro le buone maniere e la disciplina, l’amore e il rispetto altrui, e soprattutto la fede in Aslan.
I gemelli adoravano ascoltare le vecchie storie di Narnia, soprattutto quelle in cui comparivano i loro zii e i loro genitori insieme al Grande Leone.
Avevano un solo ricordo di Aslan e pochi della famiglia della madre. Ma di Peter, Edmund e Lucy avevano visti i ritratti sia sui libri, che nella lunga Sala dei Dipinti di Cair Paravel (dov’erano appesi tutti gli affreschi dei Sovrani di Narnia dall’inizio dei tempi). Erano stati anche alla Casa di Aslan: Caspian e Susan li avevano portati laggiù qualche volta. Avevano anche visitato la Tavola di Pietra, Lanterna Perduta, la Diga dei Castori, il vecchio castello del defunto zio di loro padre, e tutti gli altri luoghi che apparivano nelle storie che Susan raccontava loro ogni sera prima di addormentarsi.
Non erano di aspetto identico: Rilian somigliava a Caspian in tutto e per tutto, tranne che per gli occhi, azzurri come quelli di Susan, ma i capelli erano scuri come quelli di suo padre. Fin in tenera età, si rivelò essere un bambino coraggioso e un po’ spericolato, troppo a volte, con una spiccata curiosità e un’attitudine naturale per il tiro con l’arco e la scherma.
Myra, invece, assomigliava molto alla madre, con gli stessi lineamenti dolci, lo sguardo gentile e il carattere amabile e generoso. I capelli erano come quelli di sua madre, lunghi, dritti, di un bel castano lucente. Gli occhi invece erano quelli del padre, anche se non così scuri e profondi, ma di una bella sfumatura color nocciola scuro. Amava lo studio e la tranquillità, ed era una provetta cavallerizza.
Briscola li chiamava affettuosamente Caspian e Susan in miniatura.
Come tutti i fratelli, anche Rilian e Myra talvolta bisticciavano (lui le tirava i capelli e lei qualche calcio) ma per la maggior parte del tempo andavano molto d’accordo. Dove c’era l’uno c’era anche l’altro, complici di innocenti marachelle al povero vecchio Cornelius, che li considerava un po’ come dei nipotini. Avevano un legame molto forte, e questo loro attaccamento dipendeva soprattutto dal fatto che fossero gemelli. Separarli per troppo tempo era impensabile. Avevano ognuno la sua camera, ma spesso li si trovava a dormire assieme.
Quella mattina di maggio, nella quale niente sembrava poter turbare la pace del regno, Rilian e Myra dormivano ancora, e Caspian e Susan erano scesi in riva al mare, passando per la piccola scala di pietra nascosta sotto i tralci di gelsomino che cresceva sulla facciata ovest del castello, dove il balcone della stanza reale si affacciava sull’Oceano Orientale. La scaletta esterna girava per un piccolo tratto attorno alle mura e dava direttamente sulla spiaggia.
Il Re e la Regina la usavano spesso quando volevano scappare per un po’ dalle mura del palazzo, a volte opprimente, in quelle giornate oltremodo stressanti, piene di visite di ambasciatori stranieri, ricevimenti, riunioni, pranzi e cene. Giornate nelle quali era perfino difficile dare un bacio ai propri bambini.
Fortunatamente non capitavano più così spesso, poiché dopo il secondo compleanno dei principi, nel quinto anno del regno di Caspian X, non solo il regno, ma l’intero mondo di Narnia entrò in un lungo periodo di pace.
Il sole era già sorto e faceva caldo. Fare il bagno fu piacevole.
“E’ presto per rientrare. Restiamo ancora un pò” disse Susan, quando uscì dall’acqua e vide Caspian porgerle gli abiti.
“Potrebbe vederci qualcuno. Il palazzo si sta svegliando, ormai”
Tornarono in camera e si asciugarono, continuando a chiacchierare allegramente. Susan strofinò energicamente i capelli di lui, e Caspian le pettinò la lunga chioma.
D’un tratto l’afferrò per la vita e la trascinò sui guanciali, facendole appoggiare la schiena al suo petto.
“Sei un bugiardo senza ritegno” scherzò lei, mentre Caspian rideva e scendeva a solleticarle il collo con le labbra. “Non ti preoccupava affatto che qualcuno ci vedesse, avevi semplicemente in mente altro”
“Non lo nego” sussurrò il Re, continuando imperterrito ad assaporare la sua pelle.
Susan si voltò e gli fu di fronte. Si accomodò su di lui, allacciando le braccia attorno al suo collo. “Rilian e Myra saranno già in piedi” mormorò.
“Non, non penso. E’ presto”
Caspian iniziò a baciarla lentamente, prima le labbra, poi le guance, e infine scese di nuovo sul collo. Susan alzò il viso per permettergli maggiore accesso, lasciando andare un sospiro.
“Caspian…”
“Sì?”
“Cinque minuti?”
Lui rise. “Andata”
Il Liberatore la trasportò lentamente sotto di sé, cercando il contatto con il suo corpo.
“E la riunione di stamattina?” chiese Susan, ricordando all’improvviso che suo marito era atteso nella sala del Gran Consiglio di lì a poco.
Si fissarono un attimo soltanto.
“Al diavolo la riunione” sbuffò Caspian, rotolando sul letto con lei, cingendole i fianchi, iniziando ad approfondire il bacio. Le coccolò la schiena con delicate ma audaci carezze.
“Ho idea che i minuti diventeranno dieci” mormorò lei, facendogli una carezza tra i peli del petto, allungandosi per posarvi le labbra. “Facciamo anche quindici”
“Facciamo anche un’ora” la corresse Caspian, guardandola appena un attimo, prima di baciarla di nuovo.
Susan fremette tra quelle labbra meravigliosamente impazienti, tra quelle braccia forti che la facevano sentire protetta, sicura.
E vi furono solo le carezze di quelle mani grandi, delicate, gentili e bramose al tempo stesso, e i suoi occhi…Dopo anni, certe volte la facevano ancora arrossire.
Era un altro mondo. Non esisteva niente. Solo lui.
“Dovremmo farlo più spesso” disse piano, rilassata come non mai, sdraiata come lui a pancia sotto, l’uno a fianco all’altra.  “Concederci queste mattine. Restare a letto un po’ di più”
“Sì, è vero”. Caspian le accarezzò la schiena, languidamente.
Susan si mosse appena. “Mi fai il solletico”.
Lui le sorrise, lo sguardo pieno d’amore e tenerezza.
Non riuscirono a staccarsi gli occhi di dosso.
Caspian la faceva quasi vergognare per come la faceva sentire in certe notti, in certi momenti, regalandole emozioni così forti da confonderla. Una vera signora non può provare certe sensazioni, o almeno così si diceva. Ma lui sapeva essere anche così dolce...
E anche quella mattina avrebbe dovuto arrossire fino alla punta dei capelli per il modo in cui si erano amati, e invece…sorrise.
Si sistemò meglio accanto a lui, voltandosi su un fianco e portandosi le lenzuola quasi fino al naso.
“Che c’è?” chiese il giovane.
Lei scosse il capo. “Niente”
Caspian si alzò su un gomito. “Dai, dimmelo”
Susan allungò una mano e con dita leggere giocherellò con una ciocca di capelli che gli ricadeva sulla fronte.
“Mi è piaciuto fare l’amore con te” sussurrò dolcemente.
“Anche a me”. Lui sorrise ancora e si chinò a baciarla. Poi si ridistese accanto a lei, avvicinando il viso a quello di Susan, posando la propria fronte contro la sua.
“Certe volte…” disse la Regina, interrompendo quel tenero silenzio. “Certe volte mi capita ancora di sognare di lasciare Narnia, lasciare te. Penso che se dovessi tornare alla mia vecchia vita, ti giuro, potrei impazzire”
“Mi hai insegnato che i sogni che facciamo la notte sono solo sogni” disse lui, senza mai smettere di accarezzarle la schiena e le spalle, i capelli.
“Lo so. Ma certe volte mettono angoscia”
“Sei in ansia per qualcosa?”
Susan scosse il capo. “No. No, non c’è nulla che può turbarmi. Ho tutto ciò che desidero dalla vita. Ho l’amore, e sei tu: l’uomo e il marito più straordinario che esista”
Caspian sorrise di nuovo, allungandosi per baciarle una guancia, poi la spalla.
“Abbiamo due bellissimi bambini…”
“Due uragani” la corresse lui.
Susan rise. “Sì, è vero”. Appoggiò le mani al cuscino e poi vi poggiò il viso. “Tu, i nostri figli, la felicità, la pace a Narnia, la nostra gente e i nostri amici che vivono sereni... Cosa potrei chiedere di più?”
Caspian la strinse forte e si voltò sulla schiena, facendola sdraiare su di sé.
“Potrei morire di te, lo sai?”
Susan appoggiò la testa al suo petto, posando il palmo della mano sul suo cuore. “Vorrebbe dire che mi ami?”
“Come il primo giorno”
Gli occhi della Regina splendettero di pura gioia.
Il Liberatore le strinse la mano e poi se la portò alle labbra.  “Dovremmo vestirci”
“Già”
Fecero appena in tempo a ricomporsi che la porta si aprì con un tonfo.
“Mami, papi, sveglia!” gridò una vocetta infantile, mentre il suo proprietario saliva sul letto e si metteva a saltellare allegramente, come fosse la cosa più naturale del mondo. “Sveglia! Sveglia! Sveglia!”
 “Rilian…” fece Caspian, con voce bassa e minacciosa. Si alzò di scatto a sedere e afferrò suo figlio, iniziando a fargli il solletico. “Piccolo terremoto, vuoi smetterla di farmi venire un colpo tutte le mattine?!”
“Aiuto!” gridò il bambino, ridendo come un matto.
“Mamma! Papà!” esclamò un’altra voce, mentre una bella bambina di sei anni entrava nella camera correndo e si arrampicava sul letto. “Lora dice che possiamo saltare le lezioni del mattino visto che è domenica, e scendere subito in giardino a giocare. E’ vero? Possiamo?”
Lady Lora, tesoro” la corresse Susan. “Certo che potete scendere”
Caspian le scoccò un’occhiata. “Subito?”
La Regina fece un sorrisetto furbo, afferrando il guanciale. “Bè…prima direi di…”
“NO!” esclamarono il principe e la principessa, cercando di scappare. Ma i genitori li avevano già riacchiappati e trascinati in una favolosa lotta coi cuscini.
Le risate e le piume invasero la stanza reale, così come i caldi raggi del sole di primavera che fecero capolino dalle porte del balcone, lasciate socchiuse. Un uccellino si posò sulla balaustra di pietra, sbirciando nella stanza e commentando con un cinguettio la scena che osservò per qualche secondo: l’amore e la felicità assoluti.
“Fermi tutti!” esclamò Caspian all’improvviso. “Mi è appena venuta un’idea”
Rilian diede un’ultima cuscinata a Myra, che cadde dal letto. La bimba sbuffò perché era stata battuta.
Caspian la tirò su senza sforzo, con un braccio solo. “Fatta male?”
“No, no”
“Bene, allora ascoltatemi: che ne dite di fare una gita, oggi pomeriggio?”
“Sì!” esclamarono in coro i gemelli.
Poi si voltarono tutti e tre verso Susan. Lei sorrideva.
“Sono assolutamente d’accordo”
“Evviva!” gridò Rilian. “Andiamo in gita!”
“E dove andremo, papà?” chiese Myra, con la sua vocina tranquilla come quella della madre, osservando il genitore, in attesa.
Caspian guardò negli occhi di lei, così simili ai suoi. “Ah…io…credo di non saperlo ancora”.
Scese un silenzio imbarazzante. Il Re si passò una mano tra i capelli, assumendo un’espressione smarrita, cercando aiuto nello sguardo di sua moglie.
“Lo so io” agì subito la Regina, battendo le mani una volta. “Prenderemo i cavalli e galopperemo fino a Bosco Gufo. In questa stagione è davvero una delizia per gli occhi. E sapete cosa faremo una volta là?”
“Cosa?” chiesero in coro i gemelli.
“Un bel pic-nic”
“E staremo fuori tutto tutto il giorno, mamma?” domandò Rilian.
“Vedremo”
I due principini furono entusiasti all’idea. Erano occasioni speciali quelle in cui trascorrevano una giornata intera da soli con i loro genitori, senza noiosi paggi e ancelle che dicessero sempre al Re e alla Regina che era tardi, che dovevano fare questo o quello.
Alcune volte, ai due fratellini sembrava che papà e mamma venissero ripresi e rimproverati più di loro.
Dopo colazione, il principe e la principessa scesero nel parco assieme a Lady Lora. Caspian arrivò in tempo per la riunione fissata per il mattino. Susan si recò in cucina a dare disposizioni per la preparazione dei cestini del pranzo, mettendoci lo zampino lei stessa.
Verso le undici si cambiarono, indossando abiti comodi e leggeri. Il cielo era di un azzurro profondo, preludio di una giornata perfetta. Portarono comunque appresso i mantelli, poiché in quella stagione la pioggia poteva sorprenderli all’improvviso.
Il clima era così bello che trasmetteva il buonumore in chiunque. Persino quel muso lungo di Drinian si lasciò andare ai suoi rari sorrisi, mentre vigilava sui gemelli che giocavano nel parco. Per lui e Lora erano stati una cura al grande dolore che li aveva colpiti tanti anni prima.
Destriero e Aurora (la bianca giumenta di Susan) erano già stati sellati quando la famiglia reale scese alle scuderie.
“Sicuri di non volere che prepariamo la carrozza, Maestà?” chiese il capo scudiero.
“Sicurissimo” rispose Caspian, dando una pacca amichevole sul dorso del suo cavallo.
Rilian e Myra lo raggiunsero assieme alla madre, eccitatissimi.
“Tutto pronto?” chiese il Re.
“Direi di sì” fece la Regina, fissando le ceste alle selle.
Caspian prese braccio Myra e la posò sulla groppa di Aurora. Subito la bambina si mise a sedere all’amazzone, proprio come le aveva insegnato sua madre, rassettandosi la gonnellina rosa e osservando i goffi tentativi del fratello mentre cercava di salire da solo su Destriero.
“Ce la faccio” disse Rilian, protestando quando suo padre cercò di aiutarlo.
Il Liberatore sorrise, osservando il figlioletto saltellare su un piede solo, l’altro nella staffa.
“E’ troppo alto per te, Rirì” commentò Myra. “Lascia che papà ti aiuti, altrimenti faremo notte”
Rilian sbuffò e la guardò torvo. “Non siamo tutti bravi come te, Mia!”
“Su, su non bisticciate” li rabbonì Susan, salendo dietro la principessa. “Tua sorella ha ragione, amore, Destriero è troppo alto per te”
Rilian sembrò offeso e imbarazzato quando Caspian lo afferrò sotto le ascelle e lo posizionò sulla sella.
Il Re si issò dietro di lui e poi partirono, mentre Miriel, Clipse, Tara, Lora e Drinian salutavano, raccomandando la prudenza.
Procedettero al passo e uscirono in fretta dalla città, verso le praterie.
 “Dovevamo portare i nostri pony” disse Rilian ad un tratto.
Io ho un pony. Tu non sai ancora cavalcare” lo punzecchiò Myra.
“Non è vero, so cavalcare benissimo! E’ che voglio un cavallo come quello di papà”
“Quando sarai un po’ più grande, tesoro” disse Caspian. “Dai tempo al tempo, Rilian. Tra un paio d’anni sarai più alto di tua sorella e allora avrai un magnifico stallone tutto tuo”
Il bambino si voltò verso il Re, il malumore scomparso e sostituito da uno sguardo quasi adorante. “Veramente? Un cavallo vero tutto per me?”
Caspian gli sorrise e gli arruffò i capelli neri “Assolutamente sì. Io ricevetti Destriero in dono per il mio decimo compleanno”
“Io tra due anni ne avrò otto”
Il Re sorrise ancora. “Mi supererai, allora”
Rilian sfoderò un sorriso raggiante.
Intanto, dietro di loro, Susan stava rimproverando Myra.
“Non devi sempre ricordare a tuo fratello quello che non sa fare.”
“Ma Miriel dice che la sincerità è una qualità importante e io voglio essere sempre sincera”
“Una bugia a fin di bene qualche volta non fa male, soprattutto se si tratta di non ferire i sentimenti altrui”
“Quindi avrei dovuto mentire a Rilian e dirgli che è bravo a cavalcare anche se non è vero?”
“Sì”
La principessa guardò la madre con stupore. “E tu hai mai detto una bugia a fin di bene, mamma?”
“Qualche volta”. Susan staccò una mano dalle redini e sistemò il fiocchetto che la bimba portava sempre al lato del capo. Myra lo metteva per imitare sua madre, che nei capelli aveva sempre infilato il fiore blu che le aveva regalato il Re.
“Lo so che può sembrarti strano, Myra, che ti ho sempre insegnato a non dire bugie, ma ricordi cosa ho detto poco fa riguardo ai sentimenti?”
“Che non dobbiamo ferire quelli degli altri”
“Bravissima. Per cui, la prossima volta, incoraggia tuo fratello quando lo vedi in difficoltà. Lodalo per i suoi sforzi, anche quando non riesce in qualcosa. Miriel ha ragione: l’onestà è importante, ma a volte troppa sincerità può far male”
“Sì, ho capito” Myra sospirò. “Stavolta ho sbagliato io. Più tardi gli chiederò scusa”
Susan si chinò sulla bambina e le posò un bacio sul capo.
Raggiunsero Caspian e Rilian e cavalcarono fianco a fianco per tutto il tempo.
I due gemelli si scambiarono sguardi furtivi, mentre i genitori parlavano.
“Scusa Rirì” mormorò Myra, con sguardo sincero.
Lui distolse gli occhi azzurri da quelli nocciola di lei. “Sì, fa niente. Tanto tra un paio d’anni avrò un cavallo enorme tutto per me”
Myra spalancò occhi e bocca. “Non è vero!”
“E’ vero, invece. Me l’ha promesso papà” disse Rilian, per il quale le parole di suo padre erano sacre.
Ricominciarono a bisticciare, ma in modo più scherzoso, e presto i loro genitori si unirono alle risate che scaturirono dalla infantile discussione.
“Ve bene, adesso basta” disse infine il Re di Narnia, spronando Destriero al galoppo. “Facciamo a chi arriva prima al fiume”
“Non vale, siete partiti prima!” esclamò Myra, mentre Susan incoraggiava Aurora con un lieve colpo sul fianco.
I cavalli attraversarono un basso torrente, spruzzando lievemente d’acqua gli abiti dei loro cavalieri, risalendo poi sulla riva opposta.
La famiglia reale seguì il fiumiciattolo, che non era altri che un piccolo affluente del Grande Fiume, il quale percorreva Narnia da ovest a est, estendendosi per tutto il regno e oltre come un enorme serpente azzurro. Poi presero il sentiero che portava verso nord, lasciandoselo alle spalle.
Le loro risa si unirono ai suoni della foresta: canti d’uccelli e brusii di insetti che riempivano l’aria insieme ai profumi primaverili. Il paesaggio era un alternarsi di sfumature: macchie di colori sgargianti di fiori blu, rossi, rosa, gialli, bianchi, lilla e arancioni, il predominante verde dell’erba e degli alberi, la terra bruna, i riflessi dorati del sole tra le foglie.
Incrociarono alcuni abitanti delle foreste: lepri, una famigliola di cinghiali, Fauni, Driadi e Amadriadi, e poi un gruppetto di Nani che tornava a casa per il pranzo di mezzogiorno. A Susan ricordarono tanto i sette nani della favola di Biancaneve.
La famiglia reale percorse un pezzo di tragitto assieme a loro, scendendo da cavallo e procedendo a piedi, finché non presero due strade diverse e dovettero salutarsi.
“Che Aslan benedica le Loro Maestà e le piccole Altezze Reali” li salutò il capo dei Nani, togliendosi il cappello, prima di sparire tra i cespugli insieme ai suoi compagni.
Rilian e Myra rimanevano sempre molto ammirati dall’affetto che gli abitanti di Narnia dimostravano nei confronti della loro mamma e del loro papà, quando si fermavano per salutarli. Erano davvero molto amati e i due bambini si sentivano fieri di averli per genitori.
E il Liberatore e la Dolce erano fieri di loro.
Si trovavano ora al limitare di una bassa collina. Spronarono i cavalli al galoppo e, quando furono sulla cima, davanti a loro apparve un boschetto circondato da querce, noci, betulle e abeti.
“Eccoci” disse Caspian, iniziando a discendere subito il pendio opposto.
Si inoltrarono nel bosco quando il sole aveva ormai superato lo zenit. Era quasi l’una del pomeriggio e i bambini erano affamati. Sostarono in una radura verde e ondulata, al centro della quale vi era un laghetto nel quale viveva una famigliola di tartarughe.
“Oh, è davvero incantevole!” esclamò Myra, quando vide i mille fiori selvatici che crescevano dappertutto: anemoni, campanule, denti di leone, margherite, narcisi e tantissimi altri. Myra sapeva il nome di ogni specie, mentre Rilian riconosceva gli insetti.
“Quello lì sull’albero è uno scarabeo stercorario e questo qui è un coleottero della famiglia delle Chrysomleidae”
Myra cacciò un urlo quando suo fratello le mostrò l’insetto che portava sul dito: una minuscola bestiolina dalla corazza verde e rossa.
Lei fuggì da lui e il bambino la rincorse per tutto il prato con il coleottero in mano.
“Non ti fa niente, Mia, è innocuo!”
“No, no, mi fa impressione!”
“Non fatevi male” li ammonì Susan, mentre si accomodava sotto un ciliegio in fiore, iniziando a stendere a terra la coperta e le varie leccornie per il pic-nic.
Caspian tolse le selle a Destriero e Aurora, lasciandoli liberi di correre per la radura. Era giusto che anche loro godessero di quella giornata. I due cavalli andarono subito ad abbeverarsi allo stagno e poi iniziarono a brucare l’erba. Avevano bisogno di ristorarsi dopo la lunga cavalcata.
Il Liberatore si sdraiò sotto il ciliegio accanto alla Regina, ma senza mai perdere di vista un momento i gemelli, che nel frattempo avevano fatto amicizia con le tartarughe. Erano animali parlanti.
E a proposito di animali parlanti...
“Bu-hu, chi fa tutto questo chiasso?” fece una voce sopra le loro teste.
Il Re e la Regina alzarono gli occhi. Tra i petali rosa e le foglie videro una massa di penne candide. Poco dopo spuntò una testa, un becco e due occhi arancioni semichiusi.
“Buongiorno Pennalucida!” salutarono in coro.
“Giorno?” fece il gufo. “Ah, allora non è ancora il momento di svegliarmi. Uh-uh, ma chi è che parla?”
Il grosso volatile aprì le ali e le stiracchiò. Tirò la zampa destra e per poco, sostenuto solo dalla sinistra, non cadde dal ramo.
“Oh, uh! Le Loro Maestà!” arrossì tra le piume, ricomponendosi in fretta. “Non vi avevo riconosciuto, perdonatemi. Sono un po’ intontito, sapete, a quest’ora di solito dormo”
“Perdonaci tu, Pennalucida” disse Susan. “Vuoi che ci spostiamo?”
“No, no, Regina. Ma dico, cosa vi porta qui?”
Caspian si raddrizzò e si mise seduto. “Siamo venuti a fare un pic-nic. Non volevamo disturbare la quiete del vostro bosco”
“Nessun problema, Sire! Ci sono tanti animali che fanno chiasso, soprattutto in questa stagione. In primavera il mondo si risveglia. Per questo preferisco l’inverno, così tranquillo…”
“Sei davvero sicuro che vada bene se restiamo sotto il tuo albero?” chiese ancora Susan.
“Sì, sì...” annuì il gufo, sbadigliando.
Sotto le fronde del ciliegio, il caldo si attenuò e si alzò un bel venticello.
Caspian e Susan richiamarono i bambini per pranzare e presentarono loro Pennalucida. Chiacchierarono un po’ con lui ma a un certo punto, a metà del discorso, notarono che il gufo era già bello che riaddormentato.
“Mi ricorda Grande Quercia” commentò Caspian. “Sta sempre a dormire”
“Non sta bene dire certe cose” sorrise Susan, porgendogli una fetta di dolce. “Questo l’ho fatto io”
Dopo pranzo si fecero una nuotata nello stagno tutti insieme. Poi, Rilian e Myra chiesero il permesso di inoltrarsi un poco nel bosco.
“Non so…” fece Susan, apprensiva.
“Li accompagnamo noi” si offrirono le testuggini (madre, padre e cinque piccoli). “Non ci sono pericoli tra i nostri alberi, Maestà”
“Va bene” acconsentì Caspian, “ma rimanete dove posiamo vedervi”
Così, i due bambini si allontanarono un poco. Il Liberatore e la Dolce rimasero sulla sponda del lago.
“Non avresti dovuto mandarli” disse Susan d’un tratto. “Non sono tranquilla”
“Calmati, amore, non c’è niente che non va” la rassicurò Caspian, posando una mano su quelle di lei.
La giovane sospirò, guardandolo ansiosa.
“Sue, non puoi tenerli sotto una campana di vetro”
“Non ho mai detto nulla del genere, ma hanno sei anni, sono così piccoli e indifesi…”
“Io scommetto” sorrise lui, scostandole una ciocca di capelli dalla spalla, “che se dovessero trovarsi davanti un serpente marino, sarebbero meno terrorizzati di noi”
“Myra odia i serpenti” rispose la Regina, le spalle rigide.
La battuta non la fece ridere come Caspian aveva sperato.
“Susy, rilassati”
Lei si passò una mano sul viso. “Oh cielo, scusami. Io…non so cosa mi prende”. Sospirò, cercando di calmarsi.
“E’ per il sogno che mi hai raccontato stamani?” chiese lui, guardandola attentamente.
Negli occhi celesti della Regina passò un lampo di terrore. “No, non proprio. Non è lo stesso, è un altro sogno che ho fatto qualche sera fa. Si tratta di…”. S’interruppe e tremò un poco. “Di lei
Caspian la fissò, divenendo molto serio. Sapeva a chi Susan si riferiva.
Non la nominavano da anni.
“L’hai sognata? Hai sognato la Stre…”
“No, non dirlo!” esclamò la Dolce, posandogli un dito sulle labbra. “Non pronunciare il suo nome. Ho paura che se lo facciamo, lei possa tornare”
“Sue, è impossibile”
“Lo so, lo so, ma… allora perché? Perché l’ho sognata?”
Lui le accarezzò le braccia. “Perché non me lo hai detto prima?”
“Non lo so. Forse perché non volevo rovinare questa magnifica giornata. Forse perché non volevo pensarci, e perché non volevo darti preoccupazioni. In fondo è vero, hai ragione tu: un sogno è solo un sogno”
Susan cercò di scacciare l’inquietudine, di pensare che i suoi presentimenti potevano non avverarsi.
Ma si stava ingannando: i suoi presentimenti, di solito, si avveravano sempre.
Cercò di non farsi sopraffare dall’emotività. Non era il tipo di persona che si fa condizionare da un semplice incubo.
Le accadeva tutte le volte… Tutte le volte che uscivano, o che doveva partire per un qualche viaggio insieme a suo marito e lasciarli al castello: allontanarsi dai suoi figli era motivo di grande ansia per lei. Avrebbe sempre voluto essere vicino a loro per proteggerli da ogni male.
Sapeva che anche Caspian provava lo stesso desiderio di protezione, ma lui non era così apprensivo. Sapeva dominare meglio le sue emozioni, così da non risultare opprimente.
Non che Susan lo fosse, ma in certi momenti...
“Vuoi tornare a casa?” le chiese poi Caspian.
Lei scosse il capo. “No, però andiamo a cercare i bambini. Voglio tenerli vicino a me”
Il Re si mise in piedi senza dire niente, porgendole le mani. Susan le afferrò saldamente e si lasciò sollevare.
“Non voglio diventare una madre assillante”
“Non lo sei”
“Mi dispiace, ho rovinato il nostro pomeriggio insieme. Mi sento così sciocca…”
“Susan, è normale che tu tema per loro” disse Caspian, abbracciandola per un momento. “Ma non c’è niente di cui tu ti debba preoccupare. Guardati attorno: vedi pericoli mortali?”
Lei storse le labbra e poi sorrise. “No”
Caspian la strinse di più, poi la sollevò e lei volteggiò tra le sue braccia, ridendo con lui. Quando lui la rimise a terra, il sorriso era ricomparso sul suo viso.
“Questa è la mia Susan” disse Caspian, accarezzandole una guancia.
Lei si alzò in punta di piedi, appoggiandosi a lui e baciandolo sulle labbra. “Scusami”
Lui rispose al bacio e poi la prese per mano. “Dai, andiamo a cercarli”
 
 
~·~
 
 
 
Il giorno in cui Rabadash si risvegliò dal coma fu lo stesso in cui l’intero mondo di Narnia entrò in pace.
L’imperatore Tisroc e sua moglie si recarono al tempio di Tash, e vi rimasero un giorno e una notte in preghiera, per ringraziarlo di aver salvato loro figlio.
Rabadash si era alzato dal letto dopo un mese. Spesso se ne stava sul balcone all’aria aperta, così che il suo viso pallido e scarno potesse riprendere un po’ di colore. Le sue numerose sorelle e le altre due mogli di suo padre erano molto premurose con lui, sempre pronte ad esaudire qualsiasi suo desiderio, così come i servitori al suo seguito.
Rabadash era il primogenito, l’erede al trono di Calormen, ed era giusto che avesse un trattamento speciale.
A poco a poco, il principe si rimise in forze, ma sembrava non reagire a nessuna di queste gentilezze. Teneva lo sguardo fisso nel vuoto, parlava poco, e se lo faceva nominava sempre Narnia.
Da quando suo padre l’aveva messo al corrente della notizia che meno di tutte avrebbe voluto ricevere, il suo cuore si era infiammato di un odio che lui stesso non avrebbe mai pensato di poter provare.
Aveva amato Susan Pevensie e adesso la voleva morta.
Sarebbe stato preferibile piuttosto che sapere che aveva dato due figli al Liberatore.
Ma le cose stavano così. E allora che fare?
“Non c’è soluzione, figlio” disse Tisroc, quando Rabadash gli espose le sue pene. “A noi serviva una vergine, ed ora la Regina ha partorito due gemelli. Il suo sangue è contaminato. E’ impensabile che tu possa prenderla in moglie, senza contare le difficoltà cui andremmo incontro. La lezione per mare non ti è bastata? Ti avevo raccomandato di non provare a uccidere i Sovrani, poiché saresti incorso nell’ira del Grande Leone.”
Rabadash digrignò i denti, i suoi occhi lampeggiarono d’ira. “Padre, la prossima volta…”
“Non ci sarà una prossima volta!” tuonò Tisroc. “Il nostro piano è miseramente fallito. Dovremo trovare un altro modo per salvare la stirpe di Calormen”
“E come?” s’infervorò il giovane. “Senza Susan…”
“Lascia perdere la Regina di Narnia! Non hai alcun diritto su di lei”. L’Imperatore tirò un sospiro e si avviò verso l’interno del palazzo. “Mi serve del tempo per pensare”
Ma Tisroc aveva già un piano in mente. Avrebbe voluto contare sul suo vecchio amico Lord Erton, purtroppo però di lui non aveva avuto più notizie. La sua fidata Shira gli aveva riportato la notizia che il Duca di Beruna aveva perso ogni titolo e privilegio, era stato accusato di tentato omicidio ed era fuggito chissà dove.
Un vero peccato…
Tisroc pensò e ripensò a se poteva esserci un modo per rintracciarlo.
Fu qualcun altro a farlo per lui.
La Strega Bianca, dopo la sconfitta, aveva cercato rifugio tra le terre del Nord. Lassù, la neve perenne, il ghiaccio, il gelo, erano stati il suo balsamo.
Le lunghe notti buie erano silenziose, ma il giorno era ancora troppo pericoloso. Benché al nord non vivessero molte creature per via delle lande inospitali e del clima troppo rigido (i narniani amavano le temperature tiepide della primavera) qualcuna ce n’era, e Jadis non voleva essere riconosciuta, non finché non fosse tornata in forze.
Aveva cambiato aspetto, allora, e cercato nuovi alleati tra i giganti. Poi c’erano stati gli abitanti del sottosuolo, e fu laggiù che la Strega Bianca decise di costruire il suo palazzo.
Nonostante fosse di nuovo fornita di un vasto esercito, i migliori alleati li trovò ancora una volta negli incauti esseri umani.
Il primo di essi era stato l’Imperatore Tisroc, al quale aveva dato il suo aiuto per salvare Rabadash: la maledizione che aveva tenuto in vita il principe per un po’, aveva ricominciato a consumarlo come la prima volta. Tisroc aveva spremuto i suoi stregoni e cerusici fino all’ultima goccia, ma solo chi aveva già salvato il principe una volta avrebbe potuto farlo di nuovo: la Strega Bianca.
Si dovevano un favore a vicenda.
Jadis aveva avvertito il bisogno di Tisroc e si era recata a Calormen. Non aveva aiutato Rabadash perché fosse stata mossa a compassione, ma perché pensava che un giorno potesse tornargli ancora utile, come il padre.
Il secondo alleato che la Strega trovò fu Lord Erton, che per un gioco del caso era una vecchia conoscenza di Tisroc.
Dopo la fuga dal regno, il vecchio ex Duca si era rintanato sulle montagne che dividevano il confine di Narnia e quello delle Terre del Nord. Viveva lassù da anni come uno di quei fuggiaschi ai quali aveva dato la caccia, finché un giorno aveva incrociato una bella signora a cavallo.
Non l’aveva riconosciuta, ma aveva accettato il suo aiuto.
“Siete malato, signore. Venite nel mio castello, vi darò vitto e alloggio per un po’. Intanto mi racconterete la vostra sfortunata storia”
La Strega aveva compreso immediatamente chi era e chi era stato. Si era ben informata su tutto quello che era accaduto nel mondo, e aveva saputo toccare i tasti giusti finché quell’uomo si era fidato di lei…almeno in parte.
“Perché mi aiutate, signora?” aveva chiesto Lord Erton con sospetto.
“Perché entrambi abbiamo qualcosa da fare, ed è meglio unire le forze” aveva risposto prontamente lei. “Due cervelli sono meglio di uno. Io mi reputo una donna intelligente, e so che anche voi siete un uomo intelligente”
“Come vi chiamate?”
Gli occhi di Erton la squadravano diffidenti. Lei aveva fatto un sorriso e si era alzata i piedi, levandosi il mantello, liberando un magnifico abito verde con smeraldi e pietre nere. I capelli biondi le ricadevano sulle spalle scoperte.
“Chiamatemi la Signora dalla Veste Verde. E’ così che mi conoscono qui. Dovete sapere solo questo, per ora”
Erton non aveva replicato. In fondo, quella donna gli aveva salvato la vita. Era meglio non lamentarsi. Aveva avuto l’immediata impressione che fosse più potente e pericolosa di quando sembrasse.
E così, finché non si era rimesso completamente dalla brutta polmonite che aveva contratto, aveva accettato le sue cure.
“E’ il momento di ripartire, per me” aveva detto poi un giorno. “Devo andare a sud, per raggiungere un vecchio amico”
“So chi è. Me ne avete parlato” aveva detto la Signora dalla Veste Verde. “Lasciate che venga con voi, poiché anch’io lo conosco ed è molto che non gli faccio visita”
Lord Erton aveva accettato.
Avevano cavalcato per molti giorni, seguendo le strade del sottosuolo.
“E’ molto più sicuro. Quaggiù non incontreremo brutte sorprese e arriveremo a Calormen sani e salvi” aveva detto la Signora.
“Avete molti nemici in superficie?” aveva indagato Lord Erton.
“Narnia è il mio nemico”
Lui l’aveva osservata molto intensamente. “Interessante. E’ anche il mio”
E allora, Jadis aveva gettato il seme del male in attesa che germogliasse. L’aveva innaffiato piano piano durante tutto il viaggio, dando poi i suoi frutti quand’erano apparsi davanti a Tisroc.
Anche l’Imperatore non riconobbe la Strega Bianca, poiché Jadis camuffava la sua figura con la magia.
Osservando i due uomini parlare, lei aveva capito di aver trovato le persone che cercava. Le servivano individui che non avessero più nulla se non il rancore e la sete di vendetta. Ebbene, eccoli lì: Tisroc non poteva far altro che guardare il suo regno andare verso la rovina senza un erede, mentre Erton era il fantasma dell’uomo che era stato fino a pochi anni prima.
Tisroc stava macchinando da tempo un piano per prendersi la rivincita sui narniani, e lo espose senza problemi ai suoi interlocutori.
“Voglio distruggere Narnia. Voglio vedere i suoi Sovrani umiliati, voglio vederli soffrire, voglio che venga sottratto loro ciò che hanno di più caro. Non avranno più un regno, come non lo avrò più io e come non lo avrà mio figlio. E soprattutto, non avranno più i loro figli”
“Cosa ne volete fare di bambini?” chiese Lord Erton, impassibile.
“Ancora non lo so”
“E vostro figlio? Avete detto che Rabadash, un tempo, desiderava il trono di Caspian”
Tisroc fece un verso sprezzante. “Sì, un tempo, ma non vorreste essere voi il Re di Narnia, Lord Erton?”
“No, affatto” rispose quello, posando la tazza di thè sul tavolino di vetro del salotto privato dell’Imperatore. “Io credevo di poter essere il primo consigliere del Re, ossia di Rabadash”
“E cosa interessa al principe, Imperatore?” chiese la Signora dalla Veste Verde, sistemandosi elegantemente sulla poltrona. “Sono certa che non l’avete lasciato all’oscuro del vostro piano”
Tisroc fece un’espressione di disgusto. “A Rabadash interessa solo la Regina Susan. Ne è ancora ossessionato ma ormai è tutto inutile. Rabadash non capisce: anche se dovesse riuscire ad averla, la stirpe di Calormen non si salverebbe comunque”.
Tisroc narrò ai suoi alleati la grande vergogna che attanagliava la sua persona, e la disgrazia che gravava sul suo regno.
Jadis, che aveva ascoltato con molta attenzione i discorsi e gli scambi di opinione dei due uomini senza quasi intervenire, infine si alzò e prese parola. 
Nella sua mente, il piano era già completo.
“Signori, voi volete la vendetta, volete che i vostri nemici subiscano dieci volte tanto la vergogna e la sofferenza che hanno inferto a voi. Lo stesso voglio io. Ma proprio come avete detto voi, Imperatore, tutto ciò richiederà molto tempo e molta pazienza. Siete disposti ad aspettare?”
I due uomini annuirono.
La Signora dalla Veste Verde sembrò molto compiaciuta. “Allora convocate vostro figlio, Tisroc. Anche Rabadash deve ascoltare”
L’Imperatore chiamò due servitori e ordinò loro di accompagnare il principe nel salotto.
Pochi minuti dopo, un ancora debole Rabadash si presentò agli ospiti del padre. Riconobbe Lord Erton ma non la donna.
“Come vi sentite, principe?” s’informò l’ex Duca.
Rabadash gli scoccò un‘occhiataccia. “Come dovrei sentirmi? Sono praticamente un invalido!”
“Guarirete, Rabadash” lo rassicurò la Signora dalla Veste Verde.
Poi, Jadis fece un movimento con la mano e cancellò la magia che la nascondeva agli occhi degli altri. Ormai era tempo che si rivelasse.
Tisroc e Rabadash rimasero molto stupiti ma non mossero un muscolo. Lord Erton invece fece un salto sulla poltrona.
“A che gioco giochiamo? La Strega Bianca?!” esclamò spaventato.
“Calmatevi, Vostra Grazia, sono qui per aiutarvi” disse la Strega, risedendosi al suo posto. “Volete o non volete vedere Narnia in ginocchio? Io sono l’unica persona che può aiutarvi a completare il vostro piano. E ora statemi a sentire, sciocchi essere umani!”
I tre uomini ripresero posto in silenzio, non potendo far altro che obbedire al tono fermo di lei.
“Il piano dell’Imperatore Tisroc accomuna tutti noi. Io voglio Narnia, voglio i segreti della Grande Magia, voglio vedere Aslan distrutto. Voglio il Re e la Regina morti. Ma so che su quest’ultimo punto abbiamo pareri discordanti, per cui vedremo di venirci incontro”
La Strega si volse verso L’Imperatore e suo figlio. “Tisroc e Rabadash: a voi il regno di Narnia non interessa più a quanto ho capito, e a Lord Erton nemmeno. Ma a me sì. Perciò, promettete ora e subito che sarò io la sola Regina di Narnia e l’Imperatrice delle Isole Solitarie”
I tre uomini si scambiarono uno sguardo.
“Perdonatemi, signora” disse Tisroc, “ma non vi giureremo fedeltà fino a quando non saremo sicuri che ciò che promettete non si avvererà”
“Bene, allora prometto che quando siederò Regina in Cair Paravel, Lord Erton avrà il ruolo che gli spetta: quello di mio primo consigliere. Inoltre, tornerà ad essere Duca, ad occupare il seggio al Gran Consiglio e quello alla Corte Suprema”
“Mi sta bene” annuì Erton compiaciuto.
“Imperatore Tisroc” riprese Jadis. “Voi pensate giustamente a salvaguardare il futuro del vostro paese e di vostro figlio, ed giusto, e mi aspetto che sarete il mio primo alleato. Ma, prima di questo, dobbiamo eliminare l’ostacolo più grande: il Re e la Regina di Narnia. Rabadash, voi volete Susan? L’avrete, ve lo posso assicurare, se assicurate a me e a Lord Erton che non la rivedremo mai più. Sapete cosa pensiamo di lei. E per quel che mi riguarda, una Pevensie in vita è sempre un pericolo”
“La piegherò al mio volere!” promise il principe del Sud.
“A che scopo, ormai?” chiese Tisroc.
La Strega li fissò attentamente. “Anche se il sangue di Susan è ormai contaminato, c’è ancora un modo perché le famiglie di Calormen e Narnia possano divenire una. Non avete calcolato che la Dolce ha avuto una figlia, oltre che un figlio”
Lord Erton sbarrò gli occhi dall’incredulità. “La principessa Myra?! Ma è appena una bambina!”
“Non lo sarà per sempre” disse la Strega con calma. “Rabadash: voi avete trent’anni; quando la principessa sarà in età da marito avrete superato la quarantina, ma sarete ancora un uomo piacente e vigoroso così da poter generare figli. Quanti re si sono sposati in tarda età con fanciulle molto più giovani di loro?”
“L’età non è un problema” disse subito Tisroc, al quale l’idea pareva ottima. “La mia terza moglie è molto più giovane di Rabadash. Pensaci bene, figliolo, potrebbe essere una soluzione”
Il principe rifletté attentamente.
Ormai per Susan provava più odio che amore. Sì, l’aveva amata e l’amava ancora dopotutto, e sarebbe stata sua, in un modo o nell’altro. Ma anche se gli avesse dato dei figli, essi non avrebbero salvato Calormen, poiché la Regina era ormai unita in matrimonio con il Liberatore.
Ma Myra… Forse le somigliava.
La figlia di Susan.
La figlia di Caspian.
Avrebbe voluto vedere la faccia del Re di Narnia. Gli avrebbe portato via prima sua moglie e poi sua figlia.
Era un’idea alettante, doveva ammetterlo. Avrebbe fatto felice suo padre, salvato Calormen e visto Caspian cadere in disgrazia.
“E il principe Rilian?” chiese infine Rabadash.
“A lui penserò io” disse Jadis. “Anzi, penserò ad entrambi. Avete detto che volete togliere a Caspian tutto ciò che ha? Bene: date a me i suoi figli. Li crescerò come fossero miei, farò dimenticare loro quella che è stata la loro vita, la loro casa, gli amici, i genitori, tutto. E quando saranno pronti, Rilian diverrà mio erede a Narnia e poi vi darò Myra in sposa”
Un lampo d’odio represso passò negli occhi del principe Rabadash. “Accetto”
“Ma come farete a prendere i bambini, signora?” chiese Erton.
“Vedremo di riuscirci. L’occasione propizia arriverà. Voi, milord, pensate a come fare per prendere le mura di Cair Paravel”
“E’ una cosa assurda” protestò di nuovo l’ex Duca. “Pensate che Caspian X e sua moglie guarderanno i loro figli crescere come vostri, Strega? E pensate che Susan si pieghi a voi, principe Rabadash? E i bambini? Anch’essi si ribelleranno se sono i degni figli dei loro genitori. Caspian morirà piuttosto che lasciarsi portar via coloro che ama. Si sacrificherà per riprendersi ciò che è suo”
“No!” esclamò Rabadash. “No, Caspian deve vivere, invece!”
Erton e Jadis l’osservarono sconcertati. Stava dicendo davvero che voleva che il Liberatore, il suo più acerrimo rivale, continuasse a vivere?
Tisroc fece una risata. “Il nostro piano inziale ha preso una piega inaspettata grazie a voi, Strega Bianca, e devo dire che ci piace. Accettiamo di avervi come Regina di Narnia, accettiamo l’aiuto di Lord Erton e la principessa Myra come salvatrice della nostra stirpe. Va bene, voi penserete ai bambini, ma Caspian il Liberatore e Susan la Dolce sono nostri”
“Caspian deve soffrire” esclamò Rabadash, gli occhi che mandavano scintille. “Deve vedere tutto il suo regno, la sua famiglia, la sua vita, distrutti. Voglio che assista al completo disfacimento del suo mondo. Caspian e Susan devono sapere di essere vivi e devono soffrire, sapendo che non si rivedranno mai più finché avranno vita. E se Tash me lo concederà, nemmeno nella prossima!”
“Pretendete troppo” criticò Lord Erton. “Prendere Narnia sarà già tanto”
“Tash ci aiuterà” sostenette L’Imperatore.
“So che Susan non mi vorrà mai” ringhiò Rabadash, stringendo i pungi tanto che le unghie penetrarono nella carne. “Ma piuttosto che lasciarla a lui, preferisco chiuderla in gabbia”
Jadis sorrise, si allungò verso il tavolino e posò la tazza vuota. “Ditemi, principe: quale sorta di uccello vorreste che fosse?”

 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti, cari lettori, come state?
La vostra Susan è stata presissima questa settimana, e ancora una volta il capitolo è arrivato in ritardo…ma si tratta di cose importanti, e se tutto va bene a metà febbraio ricomincio a lavorare!!! Fate il tifo per me!!! >.<
Ci ho messo un po’ a scrivere questo capitolo, dovevano succedere molte cose. Ed è venuto anche bello lungo. Fin ora è il più corposo. Spero che vi sia piaciuto!!!
I bambini sono cresciuti, e anche sulla Terra abbiamo visto i Pevensie diventati più grandi, tutti pronti per una nuova avventura! Inoltre, abbiamo visto l'introduzione di un nuovo personaggio: il gufo Pennalucida.
Una lettrice mi aveva chiesto se Susan sarà più grande di Peter…ebbene, credo di sì. A Narnia sono passati sei anni, in Inghilterra quattro. Ma in fondo non è il tempo che conta: Peter è e sarà sempre il maggiore agli occhi dei suoi fratelli.
Mi sono concessa una scena Suspian coi fiocchi, contenti? XD Mi sono sbilanciata per i miei standard, ma visto che per un po’ non ce ne saranno più, ho proprio voluto regalarvela.

 
Passiamo ai ringraziamenti:
 
Per le preferite: Aesther, aleboh, Angel2000, Araba Stark, battle wound, Expecto_Patronus, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, G4693, HikariMoon, Jordan Jordan, Joy_10, katydragons, lullabi2000,Mia Morgenstern, Muffin alla Carota, Mutny_Hina, oana98, piumetta, Queen Susan 21, Shadowfax, SweetSmile, TheWomanInRed e Zouzoufan7
 
Per le ricordate: Araba Stark, Cecimolli, Halfblood_Slytherin e Zouzoufan7
 
Per le seguite: Araba Stark, bulmettina, catherineheatcliff, Cecimolli, ChibiRoby,cleme_b , ecate_92, FioreDiMeruna, Fly_My world, Fra_STSF, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, JLullaby, Jordan Jordan, Joy_10, Judee, Lucinda Grey, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_ , piumetta, Queen Susan 21, Revan93, Shadowfax e Zouzoufan7
 
Per le recensioni dello scorso capitolo: Angel2000, battle wound, fiamma di anor, Halfblood_Slytherin, Joy_10, piumetta, e Shadowfax
 
Angolino delle anticipazioni:
(Non mi sbilancio più di tanto, perché voglio tenervi col fiato sospeso…)
Pianeta Terra: ritroveremo i Pevensie a casa di Eustace, dove vedremo come si concluderà la giornata. Peter ha trovato la settima Amica di Narnia? Cosa succederà adesso?  
Narnia: dove saranno finiti Rilian e Myra? Caspian e Susan riusciranno a raggiungerli prima che si caccino nei guai? E intanto, a Cair Paravel arriveranno degli ospiti indesiderati.
 

Bene, anche per questa settimana è tutto…ma prima vi ricordo come sempre il mio gruppo facebook Chronicles of Queen per gli aggiornamenti. E poi….Sondaggino!!!
Chi è la vostra coppia preferita? La Suspian, la Petriel, la Lumeth, la Shandmund o Justill? (nomignolo provvisorio per Eustace e Jill). Dite la vostra!!!
 
Un abbraccio e un bacio grande, e grazie per essere sempre qui con me!!!
Susan

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Capitolo 9
*** Capitolo 9: In disgrazia ***


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9. In disgrazia
 
 
Da questo momento sono stato benedetto
Io vivo solo per la tua felicità,
E per il tuo amore

Darei il mio ultimo respiro
Da questo momento, finché vivrò,
Ti amerò

Ti prometto questo:
Non c'è niente che non darei
Da questo momento in poi…
 
 
Era stata una giornata allegra e divertente, uno dei più bei Natali passati tra i Pevensie e gli Scrubb.
La neve era andata e venuta ad intervalli durante tutto il pomeriggio, fuori faceva molto freddo, ma l’atmosfera in casa era calda e non solo per via del bel fuoco che scoppiettava nel caminetto del salotto. C’erano stati canti, risate, racconti e ricordi.
Jill si sentiva un po’ fuori posto, autoproclamandosi ‘imbucata della festa’. Non aveva avuto in programma di rimanere tutto il giorno, ma Eustace aveva insistito e anche Lucy Pevensie, che alla ragazza era molto simpatica.
“Chissà com’è Susan?” si era chiesta un momento.
Eustace le aveva detto che Lucy assomigliava abbastanza alla sorella (Susan aveva i capelli castani e gli occhi azzurro chiaro). Erano simili ma diverse, soprattutto nel carattere. Lucy era espansiva e allegra; Susan era più posata e un po’ introversa.
Più ancora di lei lo era Edmund. Un ‘musone’ lo aveva chiamato Eustace, mentre Peter lo aveva definito un tipo pieno di sé.
Jill non poteva sapere se fosse vero o meno. Erano i suoi cugini, per cui li conosceva meglio di lei.
Ora, Susan non era lì davanti a lei – e non sapeva nemmeno se l’avrebbe conosciuta mai – per cui non poteva verificare se la descrizione di Eustace corrispondesse alla realtà. Lucy, invece, era davvero molto simpatica, allegra e sempre sorridente. Ma Peter e Edmund non erano affatto come l’amico li dipingeva.
Peter e Edmund erano stati gentili con lei, e poi, diciamolo: erano due gran bei ragazzi!
Jill si soffermò anche ad osservare le somiglianze e le differenze dei due fratelli: Peter era un poco più basso di Edmund, e più muscoloso. Edmund aveva un fisico più asciutto.
Ad un certo punto della giornata, aveva avuto l’impressione che Peter la osservasse con troppa insistenza. E se non avesse scoperto di lì a poco che era fidanzato, avrebbe iniziato a pensar male…
“Tuo cugino mi fissa ancora” mormorò Jill a Eustace, mentre salivano al piano di sopra per portare la macchina da scrivere in camera di lui.
Il ragazzo buttò un’occhiata alle sue spalle, sbirciando in salotto. Peter parlava con zio Robert e dava le spalle alle scale.
“Che t’inventi, Pole? Non ti sta guardando”
“Non guardando, ma fissando. E prima lo stava facendo, ti dico”
“Io non ho notato”
Jill parve offesa. “Ah bè, tu non noti mai niente, se è per quello!”
Eustace posò il suo regalo sulla scrivania, mentre Jill accostava la porta.
“Guarda, se credi che Peter abbia interesse per te, stai prendendo un granchio”
“Non sto dicendo nulla del genere. E’ solo che mi è sembrato…strano”
“In che senso?” chiese il ragazzo senza guardarla, poiché le sue attenzioni erano tutte rivolte alla sua macchina da scrivere. “Non ti piacerà mio cugino, spero”
“No, certo che no. Insomma, è bello, ma non mi piace, non in quel senso. Non so se capisci ciò che intendo”
“Credo di no”
Jill osservò il profilo dell’amico, sempre intento a decidere su che lato della scrivania potesse stare meglio la macchina da scrivere.
“Tu nemmeno mi ascolti”
“Sì che ti ascolto. E ti dico che è impossibile che tu piaccia a Peter”
Jill gli si avvicinò e parlò a voce più alta, così che lui tornasse a prestarle attenzione.
“Non sto dicendo che mi piace Peter, zuccone! Mi sono sentita a disagio per il modo in cui mi guardava, ma non perché mi interessi. E’ stato perché mi sono sentita come se…come…” Jill stropicciò un lembo della gonna, pensando che chiunque avrebbe riso di lei per quel che stava per dire, ma non Eustace.
“Come…cosa?” fece lui.
“Mi sembrava di stare davanti a un Re. Come se mi stesse…giudicando”
“Ma che dici?”
Si fissarono un momento.
Piano piano, Eustace iniziò a ragionare sulle parole dell’amica. Pensò per un breve istante al motivo per cui Peter avrebbe dovuto osservarla, anzi fissarla, come lei sosteneva.
Già, perché? Lui non aveva notato nulla, ma se era così ci doveva essere un motivo. L’unico che gli veniva in mente era che Peter avesse notato in Jill qualcosa che a Eustace era sfuggita per tutto quel tempo.
Il Re Supremo aveva una missione: doveva trovare il Settimo Amico di Narnia. E il fatto che Jill avesse scoperto l’esistenza di quel mondo, che fosse l’unica esterna al gruppo che ne serbava il segreto, gli dava da pensare.
“Tuo cugino sospetta di me” affermò la ragazza, rompendo il silenzio e le mute riflessioni di entrambi. “Lui sa che io so”
“No, è impossibile. Non abbiamo neanche accennato a Narnia”
Eustace si guardò dal rivelarle che Peter sospettava veramente qualcosa. Sembrava già molto nervosa.
In quel momento, la voce di Alberta chiamò Jill dal fondo delle scale.
“E’ arrivata tua madre”
“Scendo subito!” disse la ragazza, riscendendo al piano inferiore insieme all’amico.
“Ti chiamo domani e ne riparliamo” le sussurrò Eustace.
Lei annuì mentre si annodava la sciarpa attorno al collo. Poi si avvicinò ai Pevensie per salutarli: prima Robert e Helen, poi i tre ragazzi.
“Noi restiamo a Cambridge fino a domani sera” disse Lucy. “La mattina avevamo in programma di andare a fare un giro in città. Che ne dici di venire con noi?”
“Sì, dai, vieni anche tu” disse Edmund, accompagnandola con gli altri alla porta.
“Mi piacerebbe!” esclamò Jill con un sorriso.
“Allora è deciso” disse Peter.
E quando i suoi occhi s’incontrarono con quelli di Jill, entrambi provarono ancora quelle strane sensazioni: lui era sempre più convinto che potesse esserci qualcosa di davvero speciale in quella ragazza; a lei parve di nuovo di scorgere quella luce di regalità che solo lo sguardo di un Re può avere, e che le ispirava rispetto e forse un po’ di soggezione.
Il giorno seguente, Jill uscì in compagnia di Esuatce e dei suoi cugini, passando un’altra piacevolissima giornata.
La mattinata passò in un lampo e venne il momento per i Pevensie di lasciare Cambridge e far ritorno a Finchley.
Jill li accompagnò alla stazione assieme agli Scrubb. Lei e Lucy si cambiarono gli indirizzi e i numeri di telefono, decise ad iniziare un’amicizia a distanza.
“A presto allora” disse la Valorosa, seguendo la madre a bordo del treno.
Jill salutò lei, i signori Pevensie, Edmund, ed infine Peter.
“Mi ha fatto tanto piacere conoscervi”
“Anche a noi” disse il Re Supremo, porgendole la mano.
Jill la fissò solo per un attimo, dopodiché la strinse.
Non appena lo fece, fu come se un’immensa finestra venisse spalancata sul mondo. I colori divennero in un certo modo più nitidi, ma più cupi di come le erano sempre apparsi.
Mentre il treno si allontanava, le ruote sferragliavano sui binari producendo un rumore assordante. E in mezzo a quel rumore ne udì un altro, lo stesso che aveva sentito nel suo songo: un fragore vibrante, lontano eppure vicino.
Jill si guardò attorno e osservò per qualche secondo la stazione di Cambridge, ed ebbe come la sensazione di non appartenere a quel luogo.
Che strani pensieri le affioravano alla mente? Lei era nata e cresciuta lì, per quale motivo adesso si sentiva fuori posto?
Ripensò alla collina luminosa. Nel songo aveva avvertito un’incredibile attrazione per quel luogo. Chissà cosa mai avrebbe trovato laggiù se fosse riuscita ad arrivarci…
Probabilmente un luogo meraviglioso.
Mentre tornava a casa, meditò sulle strane sensazioni che avevano iniziato ad agitarsi dentro di lei da quando aveva stretto la mano di Peter.
Lasciò i pensieri liberi di scorrere e subito la sua mente mise a confronto la città e la collina, la realtà e il songo, l’oro del sole e il grigio delle mura delle case.
Le era sempre piaciuta la sua Cambridge, ma allora perché all’improvviso le appariva così triste e malinconica? Perché pensava e ripensava alla collina e sentiva il desiderio di sognarla ancora, di raggiungerla per vedere il meraviglioso mondo che si celava al di là di essa.
Era certa che vi fosse un altro mondo, di sicuro: un posto quasi paradisiaco. Ed era in un luogo così che aveva sempre desiderato vivere.
Pensò a questo e molto altro mentre camminava lentamente per le strade ormai buie, illuminate  dalla luce dei lampioni. Vicino a lei c’era Eustace, il quale si era offerto di fare un pezzo di strada con lei.
“Sei silenziosa, cos’hai?” le chiese il ragazzo.
“Eh? Ah, sì. Scusa” balbettò lei.
“Qualcosa non va?”
“Mmm…no”
“Andiamo, Pole, ormai ti conosco. Che succede?”
Lei attese un momento prima di parlare ancora.
“Scrubb?”
“Sì?”
“Sai, credo di aver sognato Narnia”
Eustace si voltò a fissare l’amica ad occhi sbarrati, e lo fece per lungo tempo senza più badare a dove metteva i piedi.
Fu per questo che mentre chiedeva “Che cos’hai det…?!” sbatté la faccia contro un palo così forte che il colpo lo fece ricadere all’indietro, finendo lungo disteso a terra come un baccalà.
“Scrubb, ti sei fatto male?!” esclamò Jill chinandosi accanto a lui, non sapendo se ridere o no.
Eustace le scoccò un’occhiata torva. “Tu che dici???”
 
 
~·~
 
 
Rabadash fermò la sua cavalcatura in cima al pendio che segnava il confine delle zone abitate con il Grande Deserto. L’erba rada ai lati del sentiero battuto si interrompeva bruscamente, lasciando il posto ad una vasta distesa di sabbia che procedeva per chilometri e chilometri. In lontananza, le cime delle montagne s’intravedevano appena nelle ombre della sera che calavano sempre più rapidamente.
Tutto era immobile laggiù. L’unico e antichissimo sentore di civiltà rimasto, erano una decina di tumoli di pietra sgretolata simili a giganteschi alveari ma leggermente più stretti. Forme scure e lugubri contro il sole che calava alle sue spalle: le Tombe degli Antichi Re.
Rabadash esortò il suo cavallo a discendere il pendio e ad avvicinarsi. L’animale nitrì innervosito quando si trovarono a pochi passi dal primo tumolo.
Il principe l’aveva immaginato. Allora legò le redini del suo stallone color rame ad un cespuglio rinsecchito. Prese la torcia e l’acciarino dalla sacca di cuoio legata alla sella e s’incamminò verso uno degli ingressi ad arco che si aprivano nelle tombe.
L’oscurità era impenetrabile.
Il principe accese la torcia e s’incamminò nell’interno dei cunicoli di pietra. L’odore di antico e di polvere gli solleticò le narici.
I passaggi si snodavano come una spirale che girava introno a tutta la costruzione. Sui due lati vi erano enormi stanze dove dormivano gli antichi Tisroc del passato, insieme alle proprie famiglie reali. Stavano là in attesa del giorno in cui si sarebbero risvegliati per presenziare al giudizio del Grande Imperatore d’Oltremare.
Rabadash non aveva mai creduto a questa antica profezia, nota in tutto il mondo conosciuto, ma suo padre sì. Si diceva che, prima o poi tutti, vivi e morti, avrebbero dovuto incorrere nell’ira del tremendo padre del Grande Leone. Ovviamente, Tisroc confidava che Tash intercedesse per salvare il suo popolo. Secondo l’Imperatore e coloro che credevano a certe storie, quello sarebbe stato il giorno dell’Ultima Battaglia del mondo.
Rabadash non aveva mai prestato molta attenzione a previsioni e sogni rivelatori, ma negli ultimi tempi si era ritrovato a rifletterci più seriamente.
In trent’anni di vita, non aveva mai dubitato delle parole di suo padre. Tisroc non raccontava menzogne, non su cose tanto importanti: era sempre stato un devoto servitore del dio Tash, si recava giornalmente nel tempio a porre offerte e ringraziamenti.
“Se sei ancora vivo, lo devi anche a Tash” gli ricordava sempre l’Imperatore.
Ed era vero.
Rabadash era stato educato alla devozione verso il dio di Calormen, ma c’erano momenti in cui aveva dubitato della sua esistenza. Tuttavia, se quella sera era lì, alle Tombe degli Antichi Re, era perché in fondo credeva all’esistenza di questo dio e alle forze soprannaturali che permeavano il mondo attorno a lui.
Tash sarebbe stato con lui, sostenendolo in quel che si apprestava a fare, poiché era un suo servitore, il principe. E lo avrebbe anche protetto dalla Strega Bianca.
Nessuno si fidava di nessuno: né Rabadash né suo padre di Lord Erton, né lui di loro. Soprattutto, nessuno si fidava di Jadis.
La Strega terrorizzava tutti. Averla a spasso per il palazzo di Tashbaan non era stato piacevole. Inoltre, quella donna non si comportava da ospite, ma da padrona. Dava ordini, faceva richieste, andava e veniva da chissà dove, quando e come voleva.
I servitori facevano di tutto per evitare di incrociarla, cercando di sottrarsi a qualsiasi tipo di lavoro se lei si trovava anche solo nei paraggi. Avevano paura della sua bacchetta magica, e Tisroc, Rabadash e Lord Erton ne erano egualmente impensieriti. Jadis poteva benissimo usarla su chiunque, in qualsiasi momento, anche solo per divertimento.
Solo quando il piano fu completato e lei disse che doveva andarsene, tutti (i suoi tre alleati inclusi) poterono tornare un sospiro di sollievo.
Lentamente, in silenzio, Rabadash arrivò in cima al primo tumolo. Restò nell’ombra dell’ultima apertura, che dava su una specie di terrazza rocciosa senza balaustre, appena inclinata verso il lato nord. Soffiava una brezza pungente: il freddo della notte stava scendendo sul Deserto.
“Pensavo non arrivaste più, principe” disse una voce proveniente dal terrazzo.
Dopo un momento, la Strega Bianca si rivelò uscendo dall’oscurità, avvolta in un mantello nero sotto il quale s’intravedeva una lunga veste bianca.
“Siete in ritardo”
“Sono puntualissimo” ribatté lui, avanzando verso di lei, la torcia sempre in mano.
“Spegnetela” disse Jadis. “La luce disturba le tenebre”
Rabadash s’innervosì subito, come sempre quando qualcuno gli dava ordini. Tuttavia obbedì e spense il fuoco.
“Puoi davvero fare quello che dici, Strega?”
“Ovviamente” rispose lei, fissandolo con occhi di ghiaccio. “Apprezzo il vostro coraggio, principe. Non molti sarebbero venuti da me con una proposta come la vostra. Sapete che questo comporta per voi un rischio, vero?”
“Sì, ma non m’importa”
“Aslan…”
Rabadash arretrò di un passo a quel nome.
La Strega fece una risatina di scherno. “Non fate l’idiota: non potete venire a chiedermi di lanciare una maledizione sui Sovrani di Narnia e sperare che Aslan non venga a saperlo. Lui sa tutto”
“Non pronunciate il suo nome. Qui da noi è proibito farlo”
“E va bene” disse seccamente Jadis. “Il Leone vi maledirà a sua volta. Lo sapete, vero? Lo fece anche con il vostro antenato, Rabadash I”
“Vi state preoccupando per me, signora?”
“Certamente no. Sono qui soltanto perché mi aspetto di ottenere il trono di Narnia quando la Dolce e il Liberatore non saranno più in grado di governare. Volevo solamente mettervi in guardia”
“Se, come dite, il Leone è così potente, voi non avete paura di lui?”
Era una cosa che Rabadash si era sempre chiesto: Jadis conosceva meglio di chiunque altro la potenza del Grande Felino, eppure ogni volta lo affrontava più determinata che mai.
“Io non ho paura di nulla” rispose Jadis senza guardarlo, voltando il capo verso il deserto.
“Mentite”
“Quando sarò regina di Narnia e avrò i segreti della Grande Magia, allora sarò più potente di lui” disse la Strega, osservando anche l’ultimo bagliore di luce sparire dietro le montagne. “E ora, basta con le domande e basta con le risposte. Siamo qui per concludere un lavoro”
Rabadash le si avvicinò un poco, rimanendo indietro quanto bastava. I suoi occhi neri saettavano continuamente verso la bacchetta magica di lei.
Jadis l’avrebbe usata per richiamare le forze delle tenebre?
La notte era ormai scesa su Calormen, silenziosa e immobile, la luna e le stelle brillavano nel cielo.
“Dove c’è luce ci sono tenebre. Dove ci sono tenebre c’è luce” enunciò la Strega Bianca, guardando il principe del Sud dritto negli occhi. “L’una non esiste senza l’altra. Il giorno non esiste senza la notte, la notte non esiste senza il giorno. Ma è anche vero che luna e sole mai s’incontrano, se non durante un evento piuttosto raro”
Rabadash ascoltava con estrema attenzione.
“Durante il novilunio” riprese la Strega, “i due astri entrano in perfetta congiunzione con la terra. E quando l’ombra della luna copre il sole, ecco che avviene un’eclissi. Un’eclissi totale di sole. Dura solo pochi minuti, a volte secondi, ma in quell’istante la luce scompare e il mondo piomba nelle tenebre”.
Con un gesto elegante, Jadis afferrò la bacchetta e la puntò contro il cielo.
In un istante, le stelle scomparvero e rimase soltanto la luna.
Poi avvenne una cosa stranissima: l’orizzonte si chiarì, come se fosse l’alba…no, era l’alba! Il disco solare apparve a ovest, dietro di loro, e immediatamente la luna sbiadì e scomparve.
La Strega chiuse gli occhi un istante nel quale parve concentrarsi. Quando li riaprì erano divenuti completamente neri, non solo le pupille.
Allora il sole venne completamente oscurato e divenne nero.
Era un’eclissi: Jadis aveva indotto un’eclissi totale di sole.
Rabadash la osservò con un misto di terrore e ammirazione: era veramente una creatura potentissima. Aveva il potere di cambiare il movimento degli astri.
La Strega Bianca batté a terra la bacchetta magica, provocando un rumore insopportabile alle orecchie di lui. Continuò a farlo, ritmicamente.
Presto, a quell’unico suono se ne unirono tanti altri, simili a decine di bastoni che venivano battuti sulla roccia.
Il principe del Sud represse un brivido. Fu spinto dall’istinto a portare la mano alla sua spada, nel momento in cui dall’apertura dalla quale era venuto apparvero ombre dalle forme di strane creature. Avvolte in scuri mantelli, i volti coperti, si radunarono a decine e sembravano non finire mai. Si disposero lungo il perimetro del tumolo, formando un cerchio attorno a lui e alla Strega. Battevano a terra lunghi bastoni in consonanza con la bacchetta magica di Jadis.
Alla tenue luce dell’alba che scemava sempre più a causa dell’eclissi, Rabadash vide con orrore che anche dalle tombe degli altri tumoli fuoriuscivano nuove creature d’ombra.
Chi erano? E da dove venivano?
Forse dai più oscuri recessi della terra. Forse si erano riuniti a un silenzioso comando della loro signora.
Il suono si moltiplicò, il ritmo accelerò, e infine cessò provocando un’eco che si espanse tutt’intorno, simile al tintinnio del cristallo infranto.
Poco dopo, il sole riapparve. L’ombra della luna che lo aveva oscurato si scostò. Le creature oscure erano sparite.
Poi calò di nuovo la notte e tutto tornò alla normalità.
Il principe si volse verso la Strega Bianca, ammutolito da quel prodigio.
“Che cosa…avete fatto?” chiese con un filo di voce.
Gli occhi di lei erano tornati di ghiaccio. Sorrideva compiaciuta.
Rabadash non capì se lo faceva perché era riuscita a portare a termine la maledizione, o per averlo impressionato. Che lui lo fosse era palese.
“Vi ho mostrato quello che dovrà succedere” rispose Jadis. “Tra pochi giorni sarà luna nuova. Per allora dovremo essere sotto il cielo di Narnia, e allora vedrete ripetersi questo fenomeno.”
Rabadash osservò le montagne, dietro le quali si nascondevano le terre di Archen e più in là il regno di Narnia. A Cair Paravel, Caspian e Susan stavano dormendo soni tranquilli, ma la loro felicità non sarebbe durata ancora a lungo.
 “Adesso tocca a voi” disse ancora Jadis.
Lui la guardò incerto.
 “Non siete qui solo come spettatore, Altezza” lo canzonò la Strega. “Chiedete alla notte di intercedere per voi sulla strada della vittoria. Desiderate davvero che questa maledizione si abbatta sui Sovrani di Narnia?”
“Certo che lo voglio!”
“Dite cosa volete, allora. Completate la maledizione dando la vostra parola che da oggi in avanti servirete il regno delle tenebre”
Rabadash – dimentico di ogni timore e superstizione verso la Strega Bianca e verso la magia nera – fremette alla prospettiva di ottenere finalmente e veramente quel che aveva sempre desiderato.
“Voglio il Liberatore e la Dolce divisi per sempre. Voglio che vivano e che soffrano. Voglio che Caspian sappia di non poterla più toccare, né vedere, né parlarle. Lei deve essere mia! E se non posso averla io, nessuno l’avrà mai. Lo giuro!”
Rabadash, gli occhi infiammati di una pazzia e una gelosia che ormai lo consumava, pose lo sguardo alla luna, sola e sperduta in mezzo al cielo ancora senza stelle.
Povera, dolce luna…destinata a non incontrare mai più il suo splendido sole.
 
 
~·~
 
 
Miriel sedeva tranquilla nella sua bella stanza, intenta in un’attività che, da quando era a Narnia, aveva scoperto piacerle moltissimo: il ricamo.
Si era cucita da sola il suo abito da sposa, ora chiuso nel suo baule in attesa di essere indossato, assieme al corredo che Susan le aveva regalato qualche anno addietro.
Era stata una enorme e graditissima sorpresa per la Driade, la quale in dote non poteva portar altro che il suo amore per Peter.
Sei anni erano lunghi...Sei anni senza avere notizie di lui, senza poterlo vedere neppure per un giorno, o un minuto. Le sarebbe bastato.
Ma le Driadi erano creature dotate di pazienza e perseveranza. E benché ormai fosse umana quasi del tutto, in Miriel erano ancora presenti i tratti e le peculiarità della sua razza. Per questo riusciva a sopportare la lontananza e l’attesa meglio di qualunque altra comune fanciulla.
Miriel pazientava senza mai lamentarsi.
Fortunatamente, c’erano gli amici a tirarle su il morale nei momenti in cui il tempo che trascorreva senza Peter rischiava di diventare insopportabile: Susan, Caspian, Rilian, Myra, Briscola, Cornelius, Tara, Clipse, Lora, Drinian, Tartufello, Tempestoso…
Quante persone meravigliose aveva conosciuto! Quanta felicità insieme a loro!
D’un tratto, un gran trambusto penetrò nella quiete della stanza dalla finestra aperta.
Miriel si volse indietro e guardò verso di essa, chiedendosi chi mai stesse facendo tutto quel baccano. Che fossero i cavalieri, forse intenti un’esercitazione alquanto esuberante?
Che strano, però: le sembrò di udire tonfi lontani, e grida.
Poi, ci fu un frenetico bussare alla porta.
“Miriel! Miriel!” chiamarono due voci di ragazze.
La Driade posò il ricamo e andò svelta ad aprire. Le apparvero i volti terrei di Tara e Clipse e allora capì di doversi preoccupare.
“Che cosa succede?” chiese.
“Devi venire con, noi, presto!” disse Clipse, afferrandole un braccio e trascinandola fuori dalla stanza. “Attaccano il castello! I soldati, laggiù!”
Miriel trasalì.
Attaccavano Il castello? Chi? Com’era possibile?
“Che cosa dici?!” esclamò la Driade, correndo ad affacciarsi ad una delle finestre del corridoio.
“Laggiù” ripeté Tara, indicando un punto lontano, la mano tremante.
Dal punto in cui si torvavano era ben visibile il ponte levatoio. Di solito veniva tenuto abbassato, con alcune guardie di ronda. Ma ora era stato alzato, per non lasciar passare gli intrusi che cercavano di sfondarlo a colpi d’ariete. Ecco cos’era stato il tonfo di prima!
Miriel guardò ancora, scorgnedo Tempestoso e i suoi Centauri schierati in prima linea davanti al ponte levatoio, pronti a respingere i nemici. I cavalieri dell’Ordine del Leone accorrevano a decine per difendere le mura di Cair Paravel.
Con un nuovo boato al pari del rombo di un tuono, i nemici riuscirono infine ad aprirsi un passaggio, riversandosi dentro il castello, iniziando a combattere contro i narniani.
Non le ci volle nemmeno un secondo per capire di chi si trattasse. Conosceva fin troppo bene quelle divise bianche e arancioni, i turbanti candidi ornati da una gemma e una piuma nera: erano soldati di Calormen.
Ma la cosa he la sgomentò di più, fu vedere il loro comandante: un uomo con barba e capelli neri, avvolto in un’armatura nera lucente, la scimitarra in pungo e un elmetto dalla forma di uccello rapace. La visiera era alzata e così lei poté scorgerne il viso.
Era piuttosto lontano, per cui poteva benissimo sbagliarsi, ma qualcosa le diceva che la sua vista non la stava ingannando. Era veramente lui: il principe Rabadash.
“Non è possibile” mormorò Miriel, il cuore in gola. “Cos’è accaduto? Perché?”
“Non lo sappiamo” rispose Tara, mentre Clipse scuoteva la testa. Entrambe avevano gli occhi spalancati dalla paura.
Un altro rombo di tuono e il ponte cedette definitivamente.
“Che cosa fate ancora qui?!” esclamò una voce burbera. “Vi avevo detto di scendere subito di sotto non appena aveste trovato Lady Miriel!”
“C.P.A!” esclamò la Driade voltandosi. Fece per chiedergli qualcosa, ma lui la sospinse verso la scala che portava di sotto.
“Niente domande. Svelte, per di qua!”
“Dove sono gli altri?” non poté fare a meno di chiedere Miriel. “Drinian e Lora? Il dottor Cornelius?”
“Drinian si è recato al porto. Non ho idea se sia al corrente o no di quel che sta accadendo qui. Cornelius ci aspetta di sotto. Lora…non lo so. Non l’ho vista”
“Allora dobbiamo tornare indietro a cercarla”
“No, non c’è tempo” tagliò corto il nano. “
Briscola si fermò, allungando un braccio per intimare le ragazze a fare altrettanto e rimanere dietro di lui. Sbriciò dall’angolo del corridoio, poi fece loro cenno di continuare.
“Dove stiamo andando?” chiese Tara.
“All'Antica Casa del Tesoro”
“Perché prprio là?”
“Dopo, dopo!” sbuffò il nano, prendendo la strada che portava ai suoi alloggi.
Il gruppetto si arrestò un paio di volte ancora, per essere certi di non venire visti dai soldati di Calormen che già erano penetrati nel castello.
“Maledizione!” imprecò Briscola. “Stavolta non c’è davvero scampo per noi. Dobbiamo andar via e in fretta”
Raggiunsero le camere del Governatore e vi si chiusero all’interno. Subito, il nano iniziò a trafficare con una pila di cuscini accatastati accanto al camino. Li scostò uno per uno rivelando un tappeto. Spostò anche quello e le ragazze videro che sotto si celava una botola. Briscola l’aprì e svelò una scaletta ripida che scendeva nel buio.
“Di sotto, svelte”
Clipse andò per prima, poi Tara, Miriel e infine lui, che si assicurò che il tappeto e i cuscini coprissero ben bene la botola, prima di richiuderla.
Il nano accese una torcia e giudò le damigelle attraverso un lungo passaggio sotterraneo. In certi punti il soffitto era molto basso, tanto che le ragazze, tranne Clipse, furono costrette a camminare con la schiena curva.
Camminarono per qualche minuto. Infine spuntò una porta vecchia di centinaia di anni, la maniglia arrugginita, il legno gonfio per l’umidità. Briscola l’aprì e le fece passare.
Erano proprio nell’Antica Casa del Tesoro di Cair Paravel, la riconobbero all’istante. Le fiaccole alle pareti erano accese. In fondo alla sala, accanto ai bauli dei Pevensie, attendeva un ometto basso avvolto in una tunica azzurra. Accanto a lui, una donna dai capelli corvini.
“Dottor Cornelius! Lady Lora!” esclamarono le tre fanciulle, felici di vedere che fossero entrambi sani e salvi.
“Per fortuna anche voi siete riuscita a nascondervi” disse Miriel.
“Ho incontrato Cornelius mentre cercavo Drinian” spiegò Lora, voltandosi poi verso Briscola, pallida in volto. “Sapete nulla di mio marito?”
Il nano abbassò il capo, mortificato. “Purtroppo no, signora. So che si trovava al porto, ma non era ancora rientrato quando hanno iniziato ad attaccare il castello”
Lora annuì e si strinse più vicina a Cornelius.
Briscola si rivolse subito dopo a quest’ultimo. “Siete riuscito a prenderle?”
Il professore annuì, estraendo da sotto la tunica la spada di Re Caspian e l’arco e il corno della Regina Susan.
Briscola si avvicinò poi ai bauli di Peter e Lucy. Li aprì e afferrò dall’uno Rhindon e dall’altro l’ampolla di diamante colma del cordiale miracoloso.
“Questi dobbiamo potarli via. Ci saranno utili”
“Dobbiamo scappare, vero?” chiese Clipse.
“Purtroppo sì” ammise Briscola. “Anche se è da codardi, non possiamo rischiare di farci ammazzare o catturare. Non saremmo di aiuto a nessuno. Dobbiamo invece radunare quanti più amici possibili, trovare un riparo nelle foreste e avvertire immediatamente le Loro Maestà dell’accaduto. Non sanno nulla di quanto è successo e non possiamo rischiare che tornino a palazzo ora che è sotto assedio, soprattutto perché si tratta di Calormen”. Briscola sbuffò seccato. “Pensavo di aver chiuso con fughe e nascondigli dopo la dipartitia di Miraz. Ma evidentemente mi sbagliavo”
Ci fu un rumore di passi accanto al passaggio segreto. Le donne indietreggiarono intimorite, per poi lasciarsi andare a un sospiro di sollievo quando videro apparire i Lord di Telmar: Agoz, Revilian, Mavramorn e Rhoop.
“Siamo venuti proprio come ci avevate detto, Governatore Briscola” disse Lord Mavramorn.
“La situazione com’è?” chiese il nano.
I quattro uomini si scambiarono uno sguardo.
“Non buona” rispose Lord Agoz. “I calormeniani sembrano instancabili e noi abbiamo avuto troppo poco tempo per prepararci all’affronto. Molti cittadini si sono aggiunti alla lotta e stanno combattendo con rastrelli e picconi. Siamo tanti, ma non abbastanza”
“Ma come hanno fatto a entrare senza che nessuno si accorgesse di nulla?” chiese Lady Lora.
“Non ne abbiamo idea, signora” rispose Lord Revilian. “Nessuno ha notato nulla. Vostro marito ha detto che non sono arrivati dal mare…”
“Drinian!” esclamò la donna, un barlume di speranza sul viso che riprendeva colore. “E’ qui?”
“Sì, è arrivato pochi minuti fa. E’ rimasto di sopra” rispose Lord Rhoop. “E anche noi torneremo a combattere, io per primo. Ho visto Lord Erton in mezzo ai soldati e giuro che stavolta non ne uscirà impunito!”
“Lord Erton qui!” esclamò un coro di voci.
“Non posso crederci” fece Lora, sconcertata dalla notizia. “Si è alleato con la corona di Calormen?”
“E’ evidente che le cose stanno così” rispose Rhoop, serrando i pugni dalla rabbia.
“Milord, ditemi” intervenne Miriel, “avete per caso riconosciuto il comandante dell’esercito?”
“E’ il principe Rabadash, lo so” Rhoop la guardò, quasi che fosse colpa sua.
Ci fu di nuovo un’esclamazione generale.
“Ma avevate detto che era morto!” fece Tara, tremando sempre più. Lei non conosceva il principe Rabadash, ma aveva sentito cose tanto orribili sul suo conto da farsi venire quasi gli incubi la notte.
“Non ho idea di cosa ci sia dietro tutto questo” disse ancora Lord Rhoop, “ma alla luce dei fatti, ormai è quasi impossibile una vittoria da parte nostra. Tuttavia, non ci arrenderemo”
I suoi tre compagni sfoderarono le spade e annuirono. “Combatteremo fino alla morte”
“Oh, non ditelo!” li rimproverò Cornelius. “Non davanti alle signore”
Briscola riprese parola. “Allora voi quattro rimarrete? Va bene, ma ricordate che morendo non sarete d’aiuto né a Narnia né al Re”
I Lord di Telmar non risposero. Tutti si scambiarono sguardi carichi di tensione.
“Anch’io rimarrò qui” disse Lady Lora. “Non abbandonerò Drinian. Attenderò qui la fine del combattimento. Se Aslan vorrà saremo noi a vincere, ma se non sarà così allora morirò accanto al mio sposo”
Briscola imprecò. “Sciocchi! Non è da codardi scappare in un momento simile!”
“Io verrò con te, C.P.A” si fece avanti Miriel.
“Ma come farete ad uscire dai confini del castello?” protestò il dottor Cornelius. “Vi vedranno. C’è bisogno di un piano”
“Non abbiamo tempo per i piani” sbottò Briscola.
“Dottore, vi prego” implorò Miriel, “venite anche voi”
Cornelius scosse il capo. “Sono un vecchio, cosa mai potrebbero farmi i soldati? Non sevo a nulla”
“Non dite così, sapete che non è vero!”
“Mia cara” Cornelius strinse le mani di Miriel nelle sue. “Trovate il mio ragazzo e ditegli che gli voglio bene”
L'ennesimo boato si propagò attorno a loro. La battaglia infuriava per tutto il castello.
“Dobbiamo andare” disse Lord Mavramorn, precedendo gli altri compagni fuori dal passaggio. “Che Aslan sia con tutti voi”
Erano rimasti di nuovo solo le quattro dame, Cornelius e Briscola.
Era successo tutto troppo in fretta, rifletté quest’ultimo.
Un attimo prima, Cair Paravel era avvolta nella tranquillità più totale; un attimo dopo si era trasformata in un massa di caos, grida e stridore di armi.
In periodo di pace, benché cavalieri e soldati continuassero a svolgere il loro ruolo - ma solo per eludere qualche piccolo conflitto occasionale - non erano stati pronti a far fronte a un attacco così bel congeniato. I calormeniani erano spuntati dal nulla, prendendo completamente alla sprovvista i narniani. Erano riusciti ad evitare ogni ostacolo, superando la salvaguardia e la resistenza dei baluardi più esterni di Cair Paravel, la città millenaria. E se cadeva la città, presto sarebbe caduta tutta Narnia.
“Fareste meglio a sbrigarvi anche voi” disse infine Clipse.
Miriel la osservò con una stretta al cuore.
“Resto qui insieme a Lora e la dottor Cornelius. Io non so fare niente, non ho attitudine nel combattimento e non ho poteri. Ma tu Miriel devi andare, tu sai combattere”
La Driade fece una carezza su quel visetto senza età. Clipse ricambiò il suo sguardo con occhi pieni di lacrime, ma senza un singhiozzo.
“Non andare” la implorò Tara.
Miriel l’abbracciò. “Torneremo presto” promise.
“Io…”
“Mia cara Tara, so che non puoi venire. Al tuo posto farei lo stesso: non abbandonerei la persona che amo”
Tara scoppiò in lacrime.
C’era un cavaliere del quale si era innamorata e non si sentiva di abbandonarlo, proprio come Lora non avrebbe lasciato Drinian.
Proprio come Miriel non avrebbe mai abbandonato Peter se si si fosse trovato lì in quel momento e avesse deciso di rimanere a difendere il castello. Non sarebbe fuggita con Briscola ma sarebbe rimasta al fianco del suo amato...sì, fino alla fine.
“Andiamo, non c’è tempo da perdere” la incitò Briscola, porgendole i Doni di Susan e la spada di Peter. Lui si legò dietro la schiena la spada di Caspian e mise nel panciotto la pozione di Lucy.
La Driade abbracciò alla svelta le amiche ancelle, Lora e Cornelius.
“Pregate per noi”.
E  detto ciò, seguì Briscola fuori dalla Casa del Tesoro.
Tara si accasciò a terra singhiozzando. “E’ un incubo! Non può essere vero!”
Gli altri le si fecero intorno, cercando di calmarla.
“Vedrai che tutto finirà presto” la consolò Lora. “Quando il Re e la Regina saranno messi al corrente della situazione, sapranno cosa fare”
Ma Lady Lora sapeva che le sue parole non si sarebbero avverate…
 
Nel frattempo, guardinghi e attenti a non far scricchiolare nemmeno un ramoscello, Miriel e Briscola si trovarono in un tratto di guardino che pareva ancora tranquillo. I rumori della battaglia erano molto vicini, ma se la fortuna avesse sorriso loro avrebbero raggiunto la protezione del bosco prima che qualcuno potesse vederli.
Così fu.
Miriel vide Briscola posarsi due dita sulle labbra ed emettere un fischio sommesso. Dietro gli alberi qualcosa si mosse.
Lui le fece cenno silenzioso e lei lo seguì.
Due nani attendevano accanto a un cavallo e un pony.
“Sei stato previdente” disse la Driade compiaciuta.
“Sono particolarmente avvezzo a questo tipo di fughe. Vivere da fuggiasco all’epoca di Miraz mi è stato utile: ho imparato ad essere sempre pronto alle emergenze, a pensare ed agire il più in fretta possibile”
Nano e Driade balzarono sulle selle ringraziando gli altri due ometti, i quali augurarono loro buona fortuna per poi tronare verso l’interno del cortile, pronti per unirsi alla difesa.
Miriel si guardò un momento indietro mentre spronava il cavallo al galoppo, sperando che non fosse accaduto loro nulla di male.
Uscirono dai confini di Cair Paravel costeggiando la foresta che sorgeva accanto alla spiaggia, dove tutto era ancora calmo. Presero il sentiero a nord e galopparono a tutta velocità verso Bosco Gufo.
 
 
 
~·~
 
 
La famigliola di tartarughe aveva guidato i principini dentro Bosco Gufo a passo di…tartaruga. Erano tanto buone e gentili e i bambini si erano divertiti a giocare con i piccoli di testuggine, a raccogliere e mangiare con loro un mucchio di bacche rosse e succose, tante da farsi quasi venire mal di pancia. Però...erano così lente!
Rilian e Myra erano due bambini alquanto vivaci, adoravano correre, saltare, esplorare, ma non potevano certo farlo se non volevano rischiare di lasciare indietro le loro guide.
Sarebbe risultato davvero molto maleducato abbandonare le tartarughe, pensava Myra, la quale passeggiava pazientemente a passo degli animali senza lamentarsi.
Invece Rilian, il cui senso dell’avventura iniziava a farsi sentire, stava aspettando l’occasione propizia per defilarsi e correre avanti attraverso il bosco, possibilmente senza far restar male le verdi amiche.
 “Avanti di là che cosa c’è?” chiese il principe, cercando di farle voltare e far si che non si accorgessero della fuga che stava progettando.
“Ci sono le Paludi e la brughiera di Ettins” disse babbo tartaruga. “Inoltre, oggi è una giornata limpida: potremmo anche vedere le cime dei Monti del Nord”
“I Monti del Nord?” esclamarono in coro i gemelli. “Dove vivono i Giganti?”
“Proprio quelli”
“Nostro padre ha combattuto contro di loro, alcuni anni fa” disse Rilian con fierezza. “Vorrei proprio vederli”
“Non penso sarà possibile, Altezza” disse ancora papà tartaruga. “I Giganti vivono molto più a nord”
“Ma le montagne sono le stesse, no?” insisté Myra.
“Oh, sì”
“Allora andiamo avanti ancora un po’ ” disse Rilian elettrizzato. “Voglio vederle”
Iniziò a correre e Myra lo seguì a ruota.
Non lo fecero apposta. Fu più forte di loro.
Le tartarughe cercarono di stare al passo con i bambini, ma con scarso successo. Poverette, erano davvero troppo lente e presto furono lasciate indietro. I principi scomparvero alla loro vista. Li chiamarono a gran voce, si divisero per cercarli, ma in quel punto la strada si diramava più volte ed era impossibile determinare dove fossero andati.
Intanto, Rilian e Myra correvano divertiti a nascondersi dietro un grosso cespuglio di rododendri.
“Non ci sono” sussurrò lui, spiando da dietro le foglie, mentre la sorellina soffocava una risata. “Andiamo”
Si spinsero ancora più avanti, giocando a nascondino dietro i tronchi degli alberi.
“Oh, guarda, c’è un’altra strada” esclamò d’un tratto il principe.
Al di là dei cespugli c’era un sentierino che scendeva verso una radura nascosta tra gli alberi. Dalla loro postazione era appena visibile, ma udirono distintamente lo scrosciare dell’acqua. Forse c’era un fiume poco più in là.
“Andiamo a dare un’occhiata laggiù” disse Rilian, facendo un passo avanti.
“Rirì, non dobbiamo allontanarci troppo. Papà si arrabbierà”
Senza badare alle deboli proteste della sorellina, il principe iniziò a discendere il sentiero.
“Non lasciarmi qui, Rilian!”
Lui si voltò appena un attimo. “Allora seguimi”
La bambina rimase però immobile dov’era a guardarlo sparire alla sua vista. Quando questo accadde, emise un gridolino spaventato.
“Rilian!”
La sua voce le arrivò da poco lontano. “Myra, muoviti, o ti lascio lì sul serio!”
“No, no, arrivo! Aspettami!”
La principessa sollevò la gonnellina rosa e, con un po’ più di fatica rispetto al fratello a causa dell’abito che le s’impigliava tra gli arbusti, arrivò in fondo e lo raggiunse.
Si trovavano adesso in un immenso prato dall’erba molto alta, cosparso di miriadi di fiori che non avevano mai visto. I gemelli si misero a correre qua e là, raccogliendo enormi mazzi di quella meraviglia, pensando di farne dono ai loro genitori. Non si accorsero che il sole stava tramontando, né si preoccuparono di dove stavano andando. Si spinsero sempre più in là, fino a raggiungere il piccolo fiume del quale avevano udito lo scrociare.
“Guarda” fece Rilian, indicando il letto del torrente. “Ci sono dei sassi abbastanza grandi per poterlo attraversare. Andiamo a vedere cosa c’è dall’altra parte”
Myra si morse il labbro inferiore, indecisa. “Non so…non sarebbe ora di tornare indietro?”
Lui la guardò, posando un piede sul primo sasso e poi sul secondo. “Fifona”
“Non sono una fifona!”
“Tutte le femmine lo sono”
“La mamma no!”
“La mamma è la mamma!”
“Bè, neanch’io lo sono! Sono coraggiosa come lei!”
Offesa, Myra si annodò la gonna sopra le ginocchia, seguendo Rilian sulla strada di sassi in mezzo all’acqua.
Balzarono da uno all’altro fino a ritrovarsi sull’altra sponda.
“Visto? Niente di cui aver paura” disse il principe, lanciando un ultimo sguardo veloce al punto dal quale erano arrivati.
Provò un senso d’eccitazione quando vide che il prato davanti a loro continuava per alcuni metri, per poi perdersi tra una macchia di abeti.
L’erba in quel punto era quasi più alta di loro.
Sembrava tutto così avventuroso…proprio come in una delle storie di suo padre e di sua madre. Chissà cos’avrebbero detto i suoi genitori quando lui e Myra sarebbero tronati indietro a avrebbero raccontato loro tutto quello che avevano fatto!
Di sicuro, tra quegli alberi li aspettava qualcosa di emozionante.
“Questo fiore somiglia a quello di mamma” disse d'un tratto Myra, chinandosi vicino alla riva e cogliendone uno blu intenso.
“Non perdere tempo con queste sciocchezze” la esortò Rilian, impaziente.
Ma Myra lo ignorò. Si posò il fiore tra i capelli, specchiandosi sulla superficie dell’acqua per vedere come le stava. Quando lo fece si accorse di una cosa importantissima.
“Oh, no! Il mio nastro!” esclamò. “Rirì, ho perso il mio fiocco. Torniamo indietro a cercarlo?”
“Uffa…” si lamentò lui, alzando gli occhi al cielo. “Ne hai milioni di fiocchi, Mia!”
“Era il mio preferito…lo portavo sempre. Dai, per favore!” lo implorò lei, con occhi già scintillanti di lacrime.
Lui sbuffò. “Che scocciatrice…”
Myra mise su il broncio. “Ti ho anche chiesto per favore! Sei un antipatico!”
La bambina, le lacrime agli occhi, si voltò di nuovo verso il fiume. E fu allora che urlò: sulla superficie azzurra era apparsa la figura di un enorme, orrendo serpente.
Si voltò, lo stesso fece Rilian.
Il principe, che aveva avvertito un fruscio alle sue spalle nel momento in cui la sorella aveva gridato, lasciò cadere il mazzo di fiori colorati che ancora stingeva in mano, e iniziò a tremare.
Il serpente era apparso dall’erba alta, grosso, viscido e di un verde brillante. Gli occhi neri e spaventosi fissavano i due bambini con cattiveria. La lingua biforcuta settò in loro direzione.
“Corri, Myra!”.
Rilian non ci pensò due volte: afferrò il braccio della sorella, alla quale pure caddero di mano i fiori che aveva colto. La trasse i piedi e con uno sforzo tremendo – poiché la bambina sembrava paralizzata dalla paura – la indusse a muoversi.
Riattraversarono il fiume quasi volando, bagnandosi inevitabilmente, non badando affatto di restare in equilibrio sui sassi. Per fortuna l’acqua era bassa e tranquilla.
Ma il serpente non voleva lasciarli andare: la sua coda saettò sul terreno, portandosi davanti ai bambini come una lunga corda tesa, facendoli inciampare e finire a terra.
Myra scoppiò in lacrime.
“Vattene!” esclamò Rilian, parandosi davanti alla sorellina, brandendo un ramo che trovò tra l'erba alta.
Il serpente si allungò verso di lui e lo spezzò con le ganasce piene di veleno letale.
Rilian sbarrò gli occhi azzurri e istintivamente abbracciò Myra.
La bestia torreggiava su di loro.
Pensavano di essere spacciati. Serrarono le palpebre, stringendosi l’uno all’altra. Da un momento all’altro avrebbero sentito il morso del serpente…
E invece si sentirono afferrare e tirare indietro. Gridarono ancora e, quando riaprirono gli occhi, videro loro padre tenere ferme le fauci dell’animale grazie al pugnale che portava sempre con sé.
“Papà!!!” gridarono i gemelli, insieme sollevati e spaventati.
“Via! Correte!” gridò il Re, voltandosi verso di loro solo un momento, tornado subito a concentrare l’attenzione sul nemico.
Il pugnale non era sufficiente. Non ce l’avrebbe fatta, ma non aveva altre armi. Rhasador era rimasta al castello. In periodo di pace aveva preso l’abitudine di non portare la spada con sé.
Si scansò appena in tempo, prima che il serpente chiudesse la bocca con il rischio di staccargli un braccio con un morso. Caspian rotolò a terra, voltandosi svelto sulla schiena, tirando un calcio sul muso del serpente. Quello mosse la testa stordito, tornando subito all’attacco.
Il Liberatore non era pronto.
In quell’istante, Destriero accorse in difesa del suo padrone, colpendo forte con gli zoccoli posteriori la grossa testa del rettile. Cavallo e serpente si confrontarono per un istante: Destriero s’impennò, il serpente si erse in un contorcersi di spire. Il cavallo stavolta usò le zampe anteriori per percuotere il muso della bestia.
“Caspian!!!” chiamò la voce di Susan.
Il Re si voltò immediatamente, vedendola arrivare al galoppo sul dorso di Aurora.
Davanti a quella scena, la Regina rimase sgomenta. Subito smontò dalla giumenta, correndo verso il suo sposo e i suoi figli.
I suoi peggiori timori si erano avverati: Rilian e Myra erano in pericolo.
“Susan, prendi i bambini!!!” gridò Caspian, brandendo di nuovo il pugnale.
La Regina Dolce scattò verso i gemelli, immobili per il terrore.
Gli occhi dei due fratellini erano fissi sul padre, che combatteva per difenderli affidandosi soltanto alle proprie forze.
Un’incredibile prova di coraggio.
Il serpente si girò verso la Regina e sibilò di nuovo. Balzò senza preavviso addosso a Destriero e Caspian. Ma se il secondo rotolò a terra e lo scansò ancora, il primo venne morso ad una zampa, cadendo a terra con un acuto nitrino di dolore.
Il Re si chinò su di lui, mormorandogli parole gentili per calmarlo. Poi si accorse che il mostro era scomparso, nascostosi tra l’erba alta del prato. Si voltò, per accertarsi che Susan fosse riuscita a portare in salvo i gemelli.
La Regina li aveva issati su Aurora, dandole una pacca per incitarla a portarli in salvo.
Tutto accadde in pochi secondi senza che potessero evitarlo.
Ci fu una scossa come di terremoto. Susan si volse indietro verso il Re e per un attimo soltanto i loro occhi s’incontrarono. Pensarono esattamente la stesa cosa ed entrambi si girarono verso i bambini.
“Aurora, torna indietro!” gridò la Dolce, ma troppo tardi.
La giumenta nitrì di spavento e rotolò a terra assieme ai principini. Il serpente riapparve ed afferrò i gemelli tra le spire.
“NO!” urlò Susan cercando di correre in loro aiuto.
Ma prima che potesse fare un passo di più, il serpente la colpì in pieno viso con l’enorme coda, mandandola a sbattere contro un albero a qualche metro di distanza.
“Susan!!!” Caspian, furioso e spaventato, si alzò e lanciò il pugnale contro il serpente.
Purtroppo, anche se la punta affilata si infilzò nel suo corpo, la bestia sembrò non averlo nemmeno notato. Fissò con odio il Liberatore ed emise un sibilo terrificante.
Caspian non notò la lunga coda alzarsi di nuovo. Fu preso alle spalle: emise un gemito strozzato e fu sbattuto a terra da un possente colpo alla schiena.
“Mamma! Papà!” chiamarono Rilian e Myra, stretti tra le spire del mostro.
Caspian si rialzò a fatica, appoggiando in ginocchio a terra. Stilettate di dolore gli attraversarono tutto il corpo. Le ingorò e corse verso i suoi figli, allungando le braccia per afferrare le loro manine tese verso di lui.
Ma la terra tremò ancora e una voragine si aprì nel suolo. Il serpente vi s’insinuò, sparendo nel sottosuolo assieme ai bambini.
Poi, il silenzio.
Un opprimente, orribile silenzio.
Caspian si ritrovò a terra, le mani vuote, la superficie del suolo tornata liscia, compatta. Il suo pugnale infilzato nel terreno.
Il giovane lo prese e guardò la lama intrisa di sangue del serpente.
Averlo colpito non era servito a nulla.
Il suo cervello non realizzò concretamente quel che era successo, quel che aveva visto. Non poteva farlo.
Un gemito lo riscosse. Si alzò svelto e corse accanto a Susan, la quale aveva un profondo taglio all’attaccatura dei capelli. Il sangue le colava dalla ferita sulla fronte e sul viso. Gli si strinse il cuore quando vide che in una mano stringeva il fiocchetto di Myra, trovato lungo la strada.
Cercò di sollevare la sua sposa tra le braccia, ma qualcuno lo fermò.
“Buh-uh! Non muovetela Maestà, ha battuto la testa” lo ammonì una voce amica. Pennalucida accorreva assieme alle testuggini e a un altro paio di gufi.
“E’ ferita, deve essere portata via di qui” disse il Sovrano. “Pensate a lei, per favore, e al mio cavallo”
Caspian passò una mano sul viso di Susan, alzandosi in pedi e camminando spedito verso Aurora.
“Cosa volete fare?” chiese Pennalucida.
“Andare a cercare i miei figli”
“Perdonateci, Maestà!” esclamarono allora le tartarughe. “I principini sono corsi via all’improvviso lasciandoci indietro. Siamo così lente, così inutili! Non abbiamo potuto far nulla!”
“Non avete di che rimproverarvi, amici miei” mormorò il Re. “La colpa non è vostra”
Caspian osservò quelle tenere bestiole, i piccoli scoppiare in pianto. Che cosa mai avrebbero potuto fare contro quel mostro gigantesco se non finire tra le sue fauci?
Non era colpa di quei poveri animali, bensì dei quel tremendo serpente. Un serpente che somigliava in maniera impressionante ad uno contro il quale aveva già combattuto…
“Per favore, amici, qualcuno di voi si rechi il più in fretta possibile a Cair Paravel. Bisogna avvertire…” disse Caspian, ma un’altra voce sovrastò la sua. Una voce che lo lasciò sgomento per il tono in cui lo stava chiamando.
“Miriel!”
La Driade arrivava al galoppo. Dietro di lei, un cavallino più piccolo sul quale c’era Briscola.
“Che cosa è accaduto?!” esclamò il nano.
“Lo chiedo a voi” rispose in fretta il Re.
Se qualcuno non gli avesse dato al più presto delle certezze sarebbe impazzito.
“Hanno attaccato Cair Paravel, Sire” lo informò Briscola senza preamboli.
Le parole penetrarono nella mente del Liberatore con una lentezza impressionante.
“Spiegati” fu la sua unica parola, gli occhi fissi sul nano.
Ma il racconto che seguì superò ogni sua più cupa aspettativa.
In un attimo, il mondo si era capovolto. Non c’era più una ragione, non c’erano spiegazioni o certezze.
Percorse nella mente ogni sitante di quella giornata…
L’alba era sembrata un preludio di perfezione: svegliarsi accanto a Susan, scendere alla spiaggia a passeggiare e farsi un bagno, fare l’amore con lei, stringerla tra le braccia; parlare di tante e tante cose, per poi prepararsi a quel speciale pomeriggio con i loro figli, organizzato senza porsi troppe domande e troppi perché, semplicemente perché era una giornata meravigliosa e la felicità era sovrana nelle loro vite. Si sentivano bene e in pace con il mondo intero, grati di poter vivere quella stupenda realtà che Aslan aveva dato loro in dono dopo tante difficoltà.
E Caspian aveva sognato quella felicità per tutta la vita. L’aveva perduta in tenera età e l’aveva riconquistata con fatica -non senza versare lacrime e sangue - quando era divenuto uomo.
E ora, all’improvviso, come un uragano può sradicare con facilità il più piccolo e inerme fiore, la sua vita era stata spazzata via dalle armate di Calormen.
Briscola gli aveva intimato di non tornare al castello adesso, ma Caspian voleva aiutare il suo popolo e allo stesso tempo voleva andare in cerca di Myra e Rilian.
Caspian, seduto su una panca di legno in una stanza quasi spoglia, chiuse gli occhi e si portò le mani giunte alla fronte, come in preghiera.
Lui, Briscola, Miriel e gli animali, si erano fermati nei pressi della Torre dei Gufi, una costruzione molto antica appartenente all’epoca che aveva preceduto la venuta dell’Inverno Centenario. La vecchia Torre aveva fatto probabilmente parte di qualche castello che, tanti e tanti secoli prima, era sorto accanto al bosco.
Non sapeva cosa fare: non poteva abbandonare i suoi bambini, ma non poteva abbandonare i suoi sudditi.
Gli pareva di udire le voci dei narniani chiedersi dove fosse il loro Re. Ma anche le voci dei suoi figli risuonavano nelle sue orecchie forti e chiare.
Lo avevano chiamato, gridando, implorandolo di salvarli, e lui non c’era ricucito. Non aveva afferrato le loro mani, lasciando che quel mostruoso serpente li portasse via.
Era certo che non fosse una coincidenza. Calcolando il tempo, l’attacco a Cair Paravel era avvenuto esattamente nello stesso momento in cui Rilian e Myra si erano allontanati attraverso il bosco. E mentre l’esercito di Calormen faceva cadere le mura e prendeva la città e il palazzo, il serpente era già là ad attendere l’arrivo dei bambini.
Non poteva essere lei…non la Strega Bianca. Era morta. L’aveva vista coi suoi occhi.
Il serpente marino era affondato negli abissi dell’Oceano dopo essere stato trafitto non una, ma sette volte dalle magiche spade degli Amici di Narnia.
E poi c’era Lord Erton, che si era unito al nemico… Quasi certamente era stato lui a farli entrare senza difficoltà dentro la città.
Nessuno, dai tempi di Caspian I il Conquistatore, era mai riuscito a penetrare nel castello dei quattro troni. Neppure Jadis c’era mai riuscita. Ed ora, l’esercito di Calormen aveva invaso il palazzo e la città in pochi minuti.
Cosa doveva fare? Cosa poteva fare?
Un movimento poco lontano da lui lo destò dai suoi incerti e confusi pensieri.
Caspian si alzò e andò verso il giaciglio nel quale Susan era stesa, la testa fasciata in una benda un poco macchiata di sangue.
La vide voltare il capo, gemere nel sonno. Sembrava in preda a un incubo.
Allungò una mano verso di lei, carezzandole gentilmente una guancia e spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
D’un tratto, Susan gridò, aprì gli occhi e si sollevò a sedere di scatto. Caspian la prese immediatamente tra le braccia, cercando di calmarla.
“Ehi, buona...”
“Caspian…”
“Ssshhh, tranquilla, stai sognando. Tranquilla…” le sussurrò dolcemente, accarezzandole i capelli, la schiena, le braccia.
Susan tremava convulsamente, stringendo tra le mani chiuse a pungo la camicia di lui, all’altezza del petto.
Respirava affannosamente. La testa le pulsava terribilmente e se solo provava a muoverla un poco sopraggiungevano le vertigini, dandole un senso d’instabilità.
Caspian le accarezzò ancora la lunga chioma bruna, scostandosi solo un attimo e posandole un bacio sulla fronte.
Susan chiuse gli occhi al contatto con il calore di quella bocca calda e morbida. Quando li riaprì, un attimo dopo, fece vagare lo sguardo alle spalle del Re, osservando la stanza nella quale si trovavano.
C’erano pochi mobili: un panca di legno vicino alla porta, un’antica cassettiera accanto alla finestra senza persiane aperta sul cielo scuro; una lanterna solitaria appesa al soffitto; i muri in certi punti erano ricoperti d’edera e muschio, il cui odore permeava l’ambiente.
“Questa è la Torre dei Gufi” disse perplessa. “Perché siamo qui?”
Caspian la guardò in viso. “Ricordi cosa è successo?”
Susan incatenò gli occhi a quelli di lui e scosse il capo. “Mi sento confusa”
Lui annui con un sospiro. “D’accordo, non importa”
“Perché non mi ricordo niente?” chiese spaventata.
Caspian le sorrise brevemente. “E’ solo una breve amnesia causata dal forte colpo che hai preso. Non ci pensare, cerca di riposarti”
Non le avrebbe detto nulla finché stava male.
La giovane fermò il tentativo del suo sposo di aiutarla a rimettersi distesa. Si aggrappò forte alla sua camicia e continuò a fissarlo dritto negli occhi.
“Dove sono i bambini?” chiese all’improvviso.
Il Liberatore distolse lo sguardo da quello di lei.
Cosa poteva dirle? Non ci sono? Sono stati rapiti o peggio? Susan avrebbe voluto sapere da chi, e lui non sarebbe stato in grado di spiegarglielo.
Caspian stesso non capiva come fosse potuto accadere tutto ciò.
“Amore, che cos’hai?” chiese Susan, notando il suo turbamento. “Perché non dici nulla?”
Cercò la sua mano e lui subito la strinse, ma ancora non la guardava. La Dolce osservava il suo profilo in ombra.
“Caspian, dove sono i bambini?” ripeté più insistentemente, sentendo crescere un’angoscia smisurata dentro di sé.
Il giovane la strinse con forza, annegando il viso nella sua spalla.
La Regina percepì il respiro affannato del Re contro la sua clavicola.
“Caspian?” esalò lei, senza trovare la forza di chiedere.
Poi, un debole ricordo del suo nome gridato dalle voci dei suoi figli.
Dov’erano i suoi bambini? Perché non erano lì con loro? Perché Caspian era così sconvolto?
“Dimmi dove sono, ti supplico”
“Mi dispiace” le rispose lui debolmente.
Lei si separò dalla stretta e gli prese il volto tra le mani, costringendolo a guardarla. “Che cosa è successo, Caspian, dimmelo!” esclamò.
Con grande sforzo, il Liberatore finalmente alzò la testa e osservò il viso pallido della sua Regina, gli occhi celesti spalancati per il terrore.
“Perdonami, amore mio”. Caspian tirò un gran respiro per calmarsi, ma servì a ben poco. “Ho tentato Susan, te lo giuro! Ho tentato ma non ce l’ho fatta, non li ho raggiunti in tempo”
“Cosa…cosa dici?!”
“Rammenti la radura e il serpente?”
Lei fece appena un cenno negativo. “No... No, io ricordo che Rilian e Myra si sono allontanati e noi volevamo andare a cercarli, e poi…”
E poi il vuoto.
Continuarono a guardarsi. Susan sentì aumentare la presa del braccio di Caspian attorno alla sua vita.
“Li hanno presi” mormorò lui, la voce tremante, non riuscendo ad aggiungere di più.
La Dolce lo guardò confusa e quasi gridò quando chiese: “Che significa? Chi?!”
“C’è stata una lotta” spiegò il Re, faticando per trovare la forza di parlare. “Tu e Destriero siete rimasti feriti. Il serpente si è abbattuto sui bambini e li ha portati via con sé”
“Dove?!” gridò ancora lei, posando le mani sulle sue spalle e scuotendolo un poco. “Dove li ha portati?! Caspian, rispondimi!”
Lui abbassò di nuovo la testa, serrando la mascella per non mettersi ad urlare a sua volta. “Io… non lo so”
“NO!” strillò Susan ancor più forte, coprendosi la bocca con le mani. “No, no, ti prego, no!!!”
Iniziò a singhiozzare forte, in modo incontrollabile.
Caspian le cinse le spalle. “E’ colpa mia! E’ tutta colpa mia! Perdonami!”
Susan scosse il capo e crollò sul suo petto, soffocando un grido contro il corpo di lui. Un grido che la scosse e che spezzò qualcosa in lei, facendola precipitare nell’oblio.
Lentamente i ricordi riaffiorarono e allora seppe che cosa era successo.
Continuò a gridare, a piangere, stretta a lui. Avrebbe voluto dirgli che non era colpa sua, perché Caspian continuava a chiederle perdono.
Il Re la cullò tra le braccia, chiedendosi il motivo di tutto ciò.
Odiava vederla piangere: il pianto di Susan era un boato assordante contro il suo cuore, così straziante da far male. E la disperazione di lei si unì a quella già presente in lui.
Prigionieri di questo dolore, Susan e Caspian rimasero stretti nell’oscurità, mentre la pioggia iniziava a cadere dal cielo e il temporale infuriava fuori della Torre.
Tutti gli anni di felicità sembravano essere scomparsi, come se li avessero solo immaginati. Un frammento di tempo passato loro davanti troppo in fretta.
Tutto era successo in un secondo: avevano trovato la felicità e l’avevano perduta.

 
 
 
 
 
Perdonate questi aggiornamenti a singhiozzo, cari lettori. Per un po’ sarà così, mi spiace…Sapete,  con il nuovo lavoro ho un sacco di cose da fare: aprire un negozio non è facile, ma ce la faremo!!! Io sono ottimista!!!
Or dunque, eccoci arrivati a uno dei momenti clou di questa storia: il rapimento dei gemelli!!!
Mi sono soffermata un po’ meno sui Pevensie e co. perché era importante mostrare come la Strega e Rabadash attuassero la maledizione, ed era giusto dare anche spazio ad altri personaggi, quelli un pò più marginali. Dal prossimo capitolo non potrò farli apparire sempre tutti, tutti insieme: ognuno ha un ruolo e a volte si muovono in scenari differenti.
 
Bene bene, dopo questa introduzione, do spazio ai doverosissimi ringraziamenti:

 
Per le preferite: Aesther, aleboh, Angel2000, Araba Stark, battle wound, english_dancer, Expecto_Patronus, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, G4693, HikariMoon, Jordan Jordan, Joy_10, katydragons, lullabi2000,Mia Morgenstern, Muffin alla Carota, Mutny_Hina, oana98, piumetta, Queen Susan 21, Shadowfax, SweetSmile, TheWomanInRed e Zouzoufan7
 
Per le ricordate: Araba Stark, Cecimolli, Halfblood_Slytherin e Zouzoufan7
 
Per le seguite: Araba Stark, bulmettina, catherineheatcliff, Cecimolli, ChibiRoby,cleme_b , ecate_92, FioreDiMeruna, Fly_My world, Fra_STSF, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, JLullaby, Jordan Jordan, Joy_10, Judee, Lucinda Grey, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_ , piumetta, Queen Susan 21, Revan93, Shadowfax e Zouzoufan7
 
Per le recensioni dello scorso capitolo: aleboh, battle wound, fiamma di anor, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, Joy_10, Queen Susan 21 e Shadowfax

 
 
Angolino delle anticipazioni:
La prossima volta i Pevensie, Eustace e Jill non si vedranno. Li ritroveremo nel’11 capitolo.
Resteremo a Narnia e vedremo come Rabadash sta spadroneggiando a Cair Paravel, assieme a Lord Erton.
Miriel dovrà rivelare qualcosa ai Sovrani.
E Rilian e Myra? Faranno la conoscenza di una bella ma inquietante Signora…
Infine, per Caspian e Susan si avvicina il momento della maledizione.

 
 
Spazzietto Note: doveroso d aparte mia è dire che la descrizione delle Tombe degli Antichi Re è pressoché identica a quella del terzo libro di Narnia: “Il Cavallo e il Ragazzo”. Il gufo Pennalucida non è un personaggio di mia invenzione, ma appare nel libro 'La Sedia d'Argento'. E anche il nuovo nome di Jadis, 'Signora dalla Veste Verde', è lo stesso che la nemica usa nel sesto libro di Narnia. Chi non avesse ancora letto tutti i libri …lo faccia subitooooooooooo!!!!!!!!!!!!!!!! XD
 
Sondaggio delle coppie: trovate i risultati qui sul mio blog, ma ve li riporto comunque anche di seguito:
la Suspian è in testa con 4 voti;
La Lumeth è a pari merito con Justill e Shandmund con 1 voto;
invece la Petriel è a zero….(T_________T)

Se volete votare potete votare tramite il mio gruppo facebookChronicles of Queen, dove trovate anche gli aggiornamenti della storia.
 
Bene!!! Io per questa settimana ho detto tutto, lascio tutto in mano voi ora, che siete meravigliosi perché continuate a seguirmi con costanza!!! Spero davvero che questa storia continui a piacervi e appassionarvi!!!
Un grazie infinite e un bacio immenso,
Susan




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Capitolo 10
*** Capitolo 10: Eclissi ***


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10. Eclissi
 
 
Da questo momento
Finché vivrò
Ti amerò
 Ti prometto questo
Non c'è niente che non darei
Da questo momento in poi…
 
 
 
La prima cosa che Lord Erton fece non appena fu reinvestito del suo titolo di Duca, fu ordinare che Lord Ravenlock e Lord Galvan venissero rilasciati immediatamente.
Cinque anni prima, i due erano stati arrestati, processati e condannati a scontare una pena a vita nel carcere di Beruna, per complicità nel tentato omicidio del Re e della Regina.
Quando i tre compagni si ritrovarono, Lord Erton constatò con gioia che Galvan e Ravenlock non gli serbavano rancore, ma erano pronti più che mai a servirlo come avevano fatto quasi per tutta la vita.
In secondo luogo, il Duca fece aumentare le tasse dell’ottanta per cento, sostenendo la necessità di tale scelta con la scusa di dover riparare i danni che i soldati avevano provocato al castello e alla città, durante l’assedio.
Come terza cosa, Erton rinchiuse in gattabuia i Lord di Telmar. Li voleva vivi, proprio come Rabadash voleva in vita i Sovrani: vivi e in grado di vedere il loro amato regno passare in mano a Calormen.
Per Agoz, Mavramorn e Revilian furono preparate tre buie celle. Per Lord Rhoop, invece, Erton aveva in mente un diverso trattamento: Lord Rhoop sarebbe finito sulla forca.
Con quale accusa? Non era importante, purché ci finisse.
Ma i piani del Duca non andarono esattamente nel modo sperato…
Durante l’assedio, Rhoop aveva giurato di uccidere Erton e si era presentato davanti a lui a spada tratta. Ma quest’ultimo aveva saputo persuaderlo a non farlo.
“Volete combattere contro un uomo disarmato?” il secondo aveva schernito il primo.
Non era onorevole uccidere qualcuno che non aveva avuto nemmeno la possibilità di difendersi. Perciò, Lord Rhoop – per il profondo amore e rispetto che nutriva nei confronti di Aslan, di Narnia, nonché di Re Caspian – aveva ritratto l’arma e si era limitato a colpire l’avversario in viso.
Lord Erton era caduto in ginocchio, ferito al viso. Il rivale l’aveva afferrato per il bavero del mantello e lo aveva costretto ad alzarsi di nuovo in piedi, l’aveva preso di spalle e gli aveva puntato la spada alla gola.
“Ordinate ai soldati di arrendersi” aveva intimato il Lord di Telmar.
Il Duca era scoppiato a ridere, al che Rhoop aveva rafforzato la pressione della lama sulla carne.
“Ormai Cair Paravel è nostra” disse Erton. “Siete voi che dovreste dire ai vostri compagni di gettare le armi”
Quanto era vero.
Lord Rhoop si era guardato attorno un momento: i calormeniani già esultavano per la vittoria, mentre i narniani non riuscivano a concepire la sconfitta.
“Ogni tanto bisogna pur perdere, caro il mio Rhoop” aveva detto il Duca, quando due soldati del sud avevano preso il Lord di Telmar e lo avevano privato della spada.
“State bene, Vostra Grazia?”
“Sì, sì, tutto bene” aveva risposto Erton sistemandosi il mantello, passando la mano sopra la manica in un gesto noncurante, per ripulirla dalla polvere che si era alzata durante lo scontro. “Portate questa feccia in prigione assieme ai suoi compari” aveva aggiunto poi, scoccando a Lord Rhoop un’occhiata divertita.
La sua soddisfazione di vederlo finalmente in catene era palese.
Ma Rhoop aveva spento quel sorriso odioso dal suo volto: aveva sputato ai piedi del Duca, coprendolo di insulti, continuando così finché le guardie non lo avevano condotto attraverso il cortile e poi giù, verso le prigioni.
Le segrete di Cair Paravel non venivano usate da anni, poiché Caspian X laggiù non aveva mai fatto rinchiudere nessuno. Le celle vennero riaperte per ospitare gli stessi sudditi di Caspian che si oposero ai calormeniani.
Una volta là dentro, c’era un unico modo con il quale Lord Rhoop avrebbe potuto venirne fuori: le fognature.
Disgustoso, ma era l’unica via. E per un uomo che era vissuto per dieci anni su un’isola deserta, fu un gioco da ragazzi.
Lord Rhoop s’infiò nel tombino di scolo della sua cella, sgusciò per metri e metri di tunnel sudici e puzzolenti, ma questa fatica fu ricompensata appieno quando si issò su per il condotto e vide la tenue, luce dell’alba, e quando respirò i freschi, ristoratori profumi delle foreste dopo una notte di pioggia.
Lord Erton lo prese come un affronto personale: il suo acerrimo rivale gliel’aveva fatta sotto al naso.
Anche Rabadash, Jadis e Tisroc non l’avevano presa bene. Avevano appena messo piede al castello e c’era già un fuggiasco, per di più uno degli uomini più vicini al Re e alla Regina.
“Lasciatelo andare” disse inaspettatamente Rabadash dopo aver ricevuto la notizia.
Gli altri si erano voltati ad osservarlo con curiosità (Lord Erton aveva gli occhi sgranati, a dire il vero).
Rabadash sorrise malevolo, e poi spiegò cosa gli frullava in testa. Con molta disinvoltura, si sedette sul trono di Caspian accavallando comodamente le gambe, appoggiando i gomiti ai braccioli.
“Il Liberatore e la Dolce ci sono sfuggiti per un pelo, e i principi con loro. Se non sono tornati è perché la Driade e quel Nano li avranno avvertiti dell’accaduto. Si saranno nascosti da qualche parte nelle foreste e di sicuro l’intenzione di Lord Rhoop è raggiungerli, non credete?”
“State dicendo che ci porterà da loro?” chiese Lord Erton.
“Esatto, Vostra Grazia. Rhoop non dev’essere lontano. Abbiamo uno scarto di poche ora, ma se ci sbrighiamo e troviamo le sue tracce, queste ci porteranno dritti dritti dai Sovrani e dai bambini”
Guard la Strega, la quale ricambiò la sua occhiata d’intesa.
Lord Erton girò per la stanza, le mani dietro la schiena, mugugnando pensieroso.
Tisroc si torse le mani, gridando alla sventura: “Questa storia finirà male. Presto il Leone arriverà, me lo sento”
“Non fate il melodrammatico, Imperatore” disse la Strega, che appoggiava l’idea di Rabadash.
“Date l’ordine” continuò, rivolta a Rabadash. “Prendete pure quanti uomini credete vi possano servire e d inseguite Lord Rhoop”
Il principe la osservò perplesso. “Signora, dovreste essere voi a dare quest’ordine. Siete voi la Regina, adesso”
Egli si alzò dal trono, facendo un mezzo inchino e un gesto eloquente con il braccio, come invitando la donna a sedere sul trono di Caspian.
Jadis osservò i cinque scanni dorati con il desiderio di prenderne subito possesso.
Ma doveva aspettare.
“Non ancora” lo corresse lei, distogliendo a fatica lo sguardo e voltando le spalle ai troni. “Prima di presentarmi al popolo e dichiararmi coma nuova e assoluta Sovrana di Narnia, c’è una cosa che devo fare. Per il momento, lascio tutto nelle vostre mani, signori”
Detto ciò, la Strega lasciò la sala del trono.
Immediatamente, Rabadash e Lord Erton si diedero da fare per iniziare le ricerche di Rhoop. Tisroc, invece, seguì Jadis fuori in giardino.
“Cosa dovete fare di così importante da rimandare la vostra intronizzazione, signora? Pensavo non aspettaste altro”
La Strega Bianca (che aveva ripreso l’aspetto della Signora dalla Veste Verde) si fermò e si voltò, facendo scintillare gli smeraldi che lo ornavano il vestito.
“Prima devo occuparmi dei miei piccoli principi” rispose con voce soave.
“Ah, giusto...” fece Tisroc annuendo con approvazione. “E ditemi, dove li terrete? Non qui a Cair Paravel”
“Certamente no. Devono scordarsi completamente della loro vita fino ad oggi. Ho già pensato a tutto, non preoccupatevi. Li tengo al sicuro”
Tisroc rilassò le spalle. “Bene. Non vorrei proprio che qualcosa in questo piano andasse storto. Sono anni che ci lavoriamo, e ho anche messo a vostra disposizione i miei migliori uomini”
Il primo tentativo di prendere Narnia era fallito miseramente ma questa volta, con quel piano ottimamente congeniato, ogni cosa sembrava andare finalmente per il verso giusto.
“Mi aspetto la perfezione, dal momento che siete stata voi ad assicurarmi che tutto sarebbe andato liscio”
Jadis accennò una risatina fasulla. “Avete così fiducia in me? Ne sono lusingata”
L’Imperatore fece uno sguardo cupo. “Mi fido di voi perché conosco il vostro potere”
“Oh, non vi deluderò, statene certo. Piuttosto, siete già in partenza per fare ritorno a Calormen?”.
“Non subito” rispose Tisroc, ricominciando a camianre. “Prima voglio vedere coi miei occhi questa famigerata maledizione di cui Rabadash continua a parlare. Sembra molto entusiasta”
La Strega Bianca si guardò un momento attorno. “Onorevole Tisroc, scusate se cambio così repentinamente discorso, ma vorrei mettervi in guardia da qualcosa”
L'imperatore assunse subito un atteggiamento vigile.
“Mentre venivano a Narnia” riprese lei, “ho notato che avete portato voi dei piccoli uccelli, dei falchi mi è sembrato”
“Ah, sì: sono falchetti viaggiatori, molto utili e veloci. Li utilizzo sempre nei miei spostamenti”
“Uhm...capisco” mormorò lei, posandosi una mano sotto al mento, pensosa. “Ho notato anche che sembrate molto affezionato a uno di questi uccelli in particolare”
Tisroc annuì con una certa soddisfazione. “Sì, a Shira. Lei è la mia preferita, non lo nego. Ma non ve la presterò, se è questo che state per chiedermi”
“No. Non intendevo chiedervelo” concluse Jadis con aria impensierita.
C’era un traditore in mezzo a loro.
Shira, la fedele compagna della Stella Azzurra.
La Strega e il falchetto si erano incrociate alla partenza da Calormen per giungere a Narnia.
In quanto nascondeva la sua reale identità con la magia, Shira non l’aveva riconosciuta. Ma Jadis aveva riconosciuto lei.
Forse l’Imperatore e il Duca avevano ragione, dopotutto: avevano appena invaso Narnia e già i narniani davano problemi.
 
 
Poche ore ancora, e poi, la maledizione si sarebbe attivata. Prima di sera, ci sarebbe stata un’eclissi di sole totale.
Una volta che il maleficio avesse finalmente fatto il suo dovere – adesso che Lord Erton era tornato ad essere Duca, la Strega Bianca aveva i bambini, e Tisroc dormiva sonno tranquilli sognando Myra come futura regina di Calormen e madre dei suoi nipoti– Rabadash avrebbe potuto finalmente concentrarsi solo su Susan…e ovviamente Caspian.
Il principe del Sud rifletteva sulla sorte del Liberatore dopo la maledizione: poteva ridurlo schiavo, umiliarlo, magari davanti alla sua Susan. Non sarebbe stato male…
Mentre rifletteva su questo, improvvisamente una nuova idea balenò nella sua mente contorta: e se fosse stato Caspian, stavolta, a veder soffrire Susan?
Aveva promesso di rinchiuderla in gabbia…
Uscì all’aperto e camminò per un pò sotto i portici, riflettendo, lo sguardo basso. Poi alzò la testa e strizzò gli occhi al riverbero del sole, osservando la torre più alta del castello.
Inizialmente aveva pensato di portare Susan con sé a Calormen, ma ripensandoci ora, sarebbe stato davvero interessante vederla rinchiusa nel suo stesso castello.
Rabadash raggiunse suo padre (il quale aveva appena congedato la Strega) e gli espose la sua nuova idea
“Una gabbia?” chiese sorpso l’Imperatore. “E’ una strana richiesta, ma d’accordo. Farò venire i migliori fabbri di Calormen e…”
“No, padre, non posso aspettare tanto”
Tisroc osservò il figlio con un misto di meraviglia e fierezza. ”Sei molto determinato. E va bene, ho capito: radunerò tutti i fabbri di Narnia”
E così fece.
Una decina di uomini di varie età venne condotta dalle guardie al cospetto di Rabadash.
Tisroc rimase in disparte a guardare, divertito. Era ansioso di conoscere le vere intenzioni del principe, anche se poteva immaginarle.
“Una gabbia di cinque metri per dieci? E’ davvero una richiesta molto strana” rincarò il più anziano dei fabbri, quello con più esperienza, ripetendo quasi le stesse parole dell'Imperatore.
Gli occhi di Rabadash dardeggiarono. “Non ho chiesto cosa ne pensate, ma se è possibile costruirla in poco tempo”
“Noi…noi lavoriamo solo per Re Caspian” balbettò il fabbro, chinando il capo per non essere costretto a ricambiare quello sguardo terrifiante.
Il principe si avvicinò all’uomo e gli assestò un calcio in viso. “Ora lavorate per me! Inizite subito! Dev’essere pronta al massimo entro domattina!”
“Ma è impossibile!” disse un altro.
Rabadash estrasse la spada e la puntò alla gola di quello che aveva parlato. “Chiunque si rifiuterà, vedrà la sua testa appesa nella piazza di Cair Paravel. Da oggi le cose cambieranno. Dimenticatevi di Caspian X, perché sono io che do gli ordini, adesso!”
Se la Strega non era ancora pronta a rivelarsi, ci avrebbe pensato lui a mettere in riga quella gente.
Tisroc si fece avanti. “Calma, figlio, calma. Purtroppo è vero, è impossibile fare ciò che chiedi in così breve tempo, ma posso suggerire un aiutino?”
L’Imperatore fece chiamare un paio dei suoi stregoni che si era portato dal Deserto. Essi lavorarono incessantemente per quasi tutto il giorno assieme ai fabbri narniani, riuscendo a portare a termine l’operazione entro il tempo stabilito.
Rabadash dispose che la gabbia fosse sistemata sulla torre più alta del castello, dalla quale si vedeva chiaramente tutto il regno di Narnia. In quel modo, la sua Susan avrebbe sempre avuto lo sguardo rivolto alla sua terra, pensando che laggiù c’era Caspian, vivo, ma senza che lei potesse raggiungerlo.
Rabadash fece anche attuare dei cambiamenti nella struttura della torre per fare in modo che la grossa gabbia s’incastrasse perfettamente.
“Non vuoi proprio lasciartela scappare, eh, figliolo?” ridacchiò Tisroc quando vide il lavoro finito.
“Potete giurarci, padre”
Niente comodità per lei, stavolta. Susan doveva capire chi era che comandava, e che presto avrebbe dovuto per forza di cosa chinare il capo davanti a lui, le piacesse o meno.
Con quel metodo avrebbe sondato la sua resistenza. Una specie di esperimento per verificare quanto fosse riuscita a tollerare quelle sbarre.
Susan era narniana, amava la libertà e gli spazi aperti, ne aveva bisogno come tutti i narniani. Non avrebbe resistito a lungo. La sua iniziale e supponibile opposizione a lui, avrebbe prima ceduto il posto alla debolezza fisica ed emotiva, e queste l’avrebbero portata inevitabilmente a desistere. Stavolta per davvero.
Nessuno l’avrebbe toccata. Nessuno l’avrebbe sfiorata, neppure con lo sguardo. Susan era sua, solo e soltanto sua.
L’avrebbe tenuta lassù per sempre. Di giorno ammirando il bellissimo falco che era destinata a divenire, e di notte compiacendosi delle grazie della splendida donna che era divenuta.
L’aveva conosciuta quand’era appena una fanciulla e già il suo copro si era infiammato per lei. Era sempre stata splendida, ma si diceva che il divenire donna avesse accresciuto ancor più la sua bellezza.
L’aveva constatato ammirando il magnifico ritratto che era appeso nel salotto delle stanze reali. Era stato dipinto dai migliori artisti del regno, ma l’originale dal quale poi era stato tratto quel quadro era opera dello stesso Caspian.
Caspian. Sempre Caspian.
Non lui.
Il pensiero di Susan tra le braccia del Liberatore gli provocò un’ondata di gelosia senza confini.
Rabadash desiderava che fossero le sue.
La sua mente era occupata solo dal pensiero di lei, delle sue labbra, della sua pelle morbida, del suo copro sinuoso e della sua voce che pronunciava il suo nome…
L’avrebbe avuta quella notte stessa, quando il Liberatore si sarebbe finalmente tolto di mezzo. Non avrebbe più aspettato.
 
 
 
~·~
 
 
 
Era appena sorta l’alba quando Caspian scese dai piani alti della Torre dei Gufi e raggiunse l’atrio, dove avevano portato Destriero.
Il cavallo era sdraiato su un fianco, la zampa ferita fasciata. Gli avevano tolto la sella e le briglie.
Sentendo il giovane avvicinarsi, nitrì sommessamente.
“Buongiorno, amico mio” disse il Re chinandosi accanto all’animale, iniziando a togliergli la benda con molta cautela.
La ferita di Destriero dava segni di miglioramento. La carne viva non era più esposta e si stava rapidamente rimarginando.
Caspian provò a fargliela muovere un poco ma il cavallo protestò con un nuovo nitrito, sfilando la zampa dalle mani del giovane.
“Buono, bello” lo calmò il Re, accarezzandolo gentilmente sul muso. “Il cordiale di Lucy ha annullato il veleno. Te la caverai.”
Il cavallo sospirò, quasi avesse capito.
Anzi, aveva capito.
Destriero non era un animale parlante, ma non era nemmeno come gli altri animali muti. C’era qualcosa che lo rendeva speciale.
Il Liberatore aveva avuto questa sensazione sin dal primo momento che si erano incontrati.
Una calda mattina d’estate, un sonnacchioso Caspian scendeva alle scuderie del palazzo di Telmar mano nella mano con suo padre. Il principe si era lamentato un poco per il fatto di essere stato svegliato così presto, sbadigliando e stropicciandosi gli occhi. Ma quegli stessi occhi neri si erano ben aperti quando si erano specchiati in quelli altrettanto scuri del puledro dal manto d’ebano che lo osservava con curiosità da dietro il box della stalla.
“E’ tuo” gli aveva detto suo padre, mentre sul viso del piccolo principe si disegnava un sorriso smagliante. “Buon compleanno, figliolo”
Da quel momento, erano sempre stati insieme.
Dopo la morte dei suoi genitori, Caspian era piombato nella più cupa solitudine. Gli zii gli impedivano di giocare con i ragazzi del paese, non lo facevano allontanare dal castello nemmeno per una passeggiata se assieme a lui non c’erano almeno dieci servitori.
Ma Caspian e Destriero uscivano di nascosto. Al principe non importava se poi lo zio Miraz lo puniva.
L’unica cosa che non era cambiata, dopo la tragedia che aveva sconvolto la sua vita, era la presenza di Destriero.
Sì, forse era ‘solo un cavallo’, forse era il compagno di giochi più inusuale che si potesse pensare, ma per Caspian era molto di più. Era suo amico. Uno dei più cari e fedeli che avesse mai avuto. C’era un legame profondo tra loro, erano cresciuti insieme ed entrambi sapevano che sarebbero rimasti insieme ancora a lungo. Per tutta la vita. L’uno non avrebbe mai abbandonato l’altro.
Uomo e animale si guardarono negli occhi: non potevano comunicare a parole, ma lo facevano col cuore.
“Guarisci in fretta” disse Caspian, dandogli una leggera pacca sul dorso. “Ho bisogno di te”
“Come sta?”
La voce di Susan arrivò alle sue spalle.
Il giovane si voltò e vide la sua figura stagliata contro l’entrata della stanza. I lunghi capelli scuri erano sciolti e facevano contrasto con il viso pallido.
“Sta meglio, per fortuna” le rispose.
In mano, lei portava una ciotola di terracotta che conteneva uno strano unguento dall’odore pungente. Quando si avvicinò e si sedette accanto a lui e a Destriero, Caspian la osservò attento, notando che Susan aveva gli occhi ancora arrossati e cerchiati da profonde ombre di stanchezza.
Lei non aveva chiuso occhio per tutta la notte, proprio come lui. Erano rimasti stretti nel buio, l’uno sapendo che l’altro era ancora sveglio. Nonostante questo avevano passato tutto il tempo in silenzio, come svuotati, incapaci di esprimere un dolore tanto grande. Ogni tanto, Caspian aveva cercato di scorgere il suo viso attraverso l’oscurità, e quando i suoi occhi si erano abituati l’aveva osservata a lungo; lei lo stesso. Non era mai riuscita ad addormentarsi e lui nemmeno.
La Regina allungò una mano e con gentilezza si mise ad accarezzare il manto lucente di Destriero.
“Sei stato molto coraggioso”
Il cavallo nitrì di nuovo, come per ringraziare.
“E tu come stai?” le chiese Caspian, tirandole indietro i capelli dal viso, trattenendoli per un momento nelle proprie mani e poi sistemandoglieli dietro la schiena.
Lei sospirò. “Come te”
Susan gli fece una carezza sul viso e sul capo. Lui cercava di essere forte per entrambi, celando il suo dolore, ma nel profondo dei suoi occhi scuri era evidente la sconfinata desolazione che gli attanagliava il cuore.
Susan poggiò la testa sulla sua spalla e lui subito la strinse in un abbraccio. Lei nascose il viso nel suo petto, chiudendo gli occhi.
“Sei riuscita a dormire un po’, almeno stamani?” chiese Caspian.
“No” rispose lei semplicemente.
Era silenziosa. Troppo.
Non era più abituato a vederla così. Da molti anni non la vedeva più piangere. L’ultima volta era stato quando si era ripreso dall’avvelenamento, ormai cinque anni prima.
Susan era molto cambiata da allora. Era divenuta la ragazza spensierata e serena che lei stessa diceva di essere stata tanto tempo prima. Per Caspian, il suo sorriso era paragonabile al bisogno che la terra ha per l’acqua. Non poteva vederla così.
“Devi mangiare qualcosa” le disse, scostandola da sé.
“Non ne ho voglia”
“Susan, devi restare in forze” la rimproverò leggermente.
Lei non rispose. Si spostò un poco più in là, afferrando la ciotola con l’unguento preparato da Miriel quella stessa mattina, immergendovi un pezzo di stoffa finché non ne fu zuppo. Lo pose con cautela sulla ferita di Destriero, iniziando poi a fasciargli la zampa con bende pulite.
Caspian la osservò in silenzio per tutto il tempo, cercando qualcosa che potesse farla stare meglio, che potesse farla reagire. Ma anche lui stava soffreddo immensamente e capiva come lei si sentiva.
Tuttavia, non gli piaceva quando si mostrava così fredda e distante. Non sapeva cosa fare.
Lei non lo faceva per egoismo, era semplicemente il suo modo di resistere al dolore. Però, così facendo, peggiorava soltanto le cose.
“Non è così che aiuterai i nostri figli” le disse lui con tono fermo.
Susan smise di fasciare la zampa di Destriero. Le mani le tremarono.
“Non ce la faccio” disse, guardandolo con occhi pieni di angoscia. La sua voce fu un singhiozzo represso.
“Bè, invece devi. Devi reagire” ribaté lui con calma ma con fermezza. La prese di nuovo tra le braccia e questa volta la sua stretta fu più forte.
All’improvviso, Susan si coprì il viso con le mani.
“Rivoglio i miei bambini!” gridò, cercando con tutta sé stessa di non farsi sopraffare dalle lacrime.
Ma lei sapeva di non essere forte. Non era mai stata forte.
Caspian la sopravvalutava. Tutti la sopravvalutavano.
“Perché se le sono presa con loro?! Hanno solo sei anni, cosa possono fare di male?!” gridò ancora, irrompendo infine in un pianto straziante.
Caspian avrebbe voluto rimproverarla, dirle che non doveva lasciarsi andare così, ma non ne ebbe la forza. La teneva stretta, sentendo il corpo di lei sussultare, scosso dal dolore.
“Mi dispiace” mormorò il giovane per quella che forse era la millesima volta.
Susan posò le mani sulle sue spalle e lo allontanò da sé. “Sono io che devo chiederti scusa. E tu devi odiarmi per averti tolto i tuoi figli”
Il Re di Narnia rimase sbalordito da quelle parole, e nella sua voce si accese una punta di rimprovero.
“Che diavolo stai dicendo?”
La Dolce prese un gran respiro per soffocare un nuovo singhiozzo. “Spesso, in passato, ho creduto di dover scontare una pena per i torti che ho fatto”.
Alzò lo sguardo su di lui. Uno sguardo colmo di pianto e di rimorso.
“Quando mi chiedesti di sposarti, io subito ti risposi di sì, perché era quello che desideravo più di ogni altra cosa nella vita. Volevo stare con te a dispetto di tutto e di tutti. Nonostante le mie mille paure e i mille dubbi lo feci, cercando di ignorare conseguenze che quel ‘sì’ avrebbe comportato.”
Susan, le mani in grembo, strinse i pungi e abbassò lo sguardo. “Ma per un’ azione c’è sempre una reazione. Un torto subito è la risposta di un torto inflitto. Io feci un grave torto ad Aslan e ora mi si sta ritorcendo contro”
Si arrestò solo un momento. Le labbra le tremarono quando ricominciò a parlare, la voce stentata.
“Pensavo che il nostro amore, il tuo amore, potesse cancellare le mie colpe, e che Aslan alla fine mi avrebbe perdonato. Ma non è stato così. Fui egoista. Pensai solo a me stessa, a quello che volevo io. Ho osato troppo. Ho voluto troppo. E Aslan mi ha punita”
Per un momento rimasero in silenzio, lui troppo attonito da quelle parole per poter formulare un pensiero.
“E’ questo che credi?” le chiese Caspian in un soffio. “Credi davvero che Aslan ti stia punendo?”
“Sì, lo credo” singhiozzò la Regina.
“No, tesoro, non è così” le disse lui con voce dolce. “Aslan non ti ha punita, amore mio, ti ha benedetta”
La ragazza alzò il capo, lanciandogli uno sguardo confuso.
“Ti ha dato una seconda possibilità” continuò lui. “Ti ha perdonata nel momento in cui hai rimesso piede a Narnia quando non saresti dovuta tornare. Non te l’avrebbe mai permesso, altrimenti. Io so che è così e anche tu ci devi credere”
Lei fece un mezzo sorriso sardonico. “La mia fede non è mai stata incrollabile”
“E con questo che vorresti dire?”. Il tono del Re si fece improvvisamente più aspro.
Lei non rispose.
Il giovane contrasse la mascella, spazientito, afferrandole la testa fra le mani e guardandola intensamente. “Testa dura, rifletti un momento: conosci Aslan, lo conosci da molto prima di me. Pensi sul serio che sarebbe capace di questo? Ti avrebbe donato due figli e ti avrebbe annunciato con gioia il loro arrivo, scomodandosi lui stesso per venire a dirtelo ancor prima che tu stessa lo scoprissi, per poi strapparteli dalle braccia?! Quale padre amorevole sarebbe se davvero le cose stessero così?!”
“E se le cose stessero così?!” controbatté la Regina.
“Di chi stai parlando, Susan? Di Aslan o di Tash? Quale dio sadico e pazzo potrebbe fare una cosa simile?”
Lei cercò di riflettere sulle parole di lui. “Allora chi me li ha portati via?” domandò con voce debole.
Caspian non aveva mai smesso di fissarla negli occhi, e affondando in quel mare nero, Susan cercò di trovare quel qualcosa di fondamentale che in quel momento le veniva a mancare: la speranza.
Quando lui le rispose, il suo tono era tornato quello gentile di sempre. “Ti giuro che scoprirò come sono andate le cose, e ti prometto che ritroverò Rilian e Myra. Ma tu devi avere fiducia: in Aslan e in me”
“Ho fiducia in te, Caspian”. La Regina Dolce chiuse gli occhi e si abbandonò contro il corpo caldo e rassicurante di lui.
“Non sei l’unica a darsi la colpa di quello che è accaduto” mormorò il Re contro la sua fronte.
Susan lo strinse forte. “Amore mio, ti prego, perdonami!”
Anche lui stava soffrendo, eppure lei aveva ancora una volta pensato solo a sé stessa.
“So quello che provi Sue, e so che ora parli così perché sei sconvolta. Appena riuscirai a ragionare con mente più lucida, ti renderai conto di quante sciocchezze hai detto”
Caspian la scostò a sé e lei si passò una mano sul viso, un poco offesa.
Ma lui aveva ragione, in fondo.
Si scambiarono uno sguardo, poi il Re si alzò e raggiunse il prato all’esterno dove Briscola lo chiamava.
“Sire, è Lord Rhoop! Venite, presto!” esclamò il nano correndo verso di lui.
Caspian accorse immediatamente e allora anche Susan lo seguì, lasciando Destriero che adesso riposava tranquillo.
Un magnifico cervo si fermò a pochi metri dall’entrata della Torre dei Gufi. Sulla sua groppa, Lord Rhoop.
Il Lord di Telmar scese a terra con una certa fatica e immediatamente tutti furono intorno a lui per aiutarlo.
“Sto bene, sono solo molto provato” disse l’uomo, rassicurando i presenti.
“Si potrebbe avere un po’ d’acqua?” chiese il cervo, e subito Miriel ne portò un po’ sia a lui che a Lord Rhoop.
Quest’ultimo raccontò tutto quel che era accaduto a Cair Paravel e, come ultima sconcertante notizia, quella di aver identificato una vecchia conoscenza nel comandante delle forze armate di Calormen.
“Di chi si tratta?” chiese Caspian.
Rhoop guardò Miriel. “Non gliel’avete ancora detto?”
La Driade fece un passo avanti, facendo vagare gli occhi color acquamarina su tutti i presenti, in particolar modo sul Re e sulla Regina.
No, Miriel non aveva ancora trovato il coraggio di mettere al corrente Caspian e Susan che la causa predominante delle loro pene era un uomo che credevano morto. Ma a quanto sembrava, il momento era giunto. Non poteva più rimadare.
Poco dopo, il Liberatore, la Dolce e la Driade si ritirarono in disparte per parlarne.
“Rabadash…” mormorò Susan, la mente lontana mille miglia da Bosco Gufo.
Al suono di quel nome, spaventosi ricordi ormai sopiti la trasportarono nuovamente tre le onde blu dell’Oceano Orientale, sulla nave Occhio di Falco dove era stata sua prigioniera; tra le numerose battaglie in cui l'avevano affrontato. Vivida era l’immagine del corpo del principe del Sud scosso dagli ultimi spasimi di vita.
“Immaginavo fosse coinvolto Tisroc quando C.P.A mi ha parlato di Calormen” disse Caspian, camminando nervosamente avanti e indietro per la stanza. “Non nego di essermi oltremodo meravigliato nell’aver saputo di Lord Erton, ma non avrei mai pensato che lui…”
Gli occhi neri del Liberatore saettarono verso la Regina Dolce.
Se Rabadash era vivo, era probabile che la volesse ancora.
Susan…la sua Susan.
No.
No, per nulla al mondo.
Nel pensare a Rabadash, Caspian provò un moto di rabbia incontenibile. Perché sapeva che il principe non voleva Narnia. Aveva preso Narnia per arrivare a lei.
“Perché diavolo non me l’hai detto prima?!” proruppe contro Miriel.
La Driade lo guardava mortificata. “Mi dispiace, veramente. Ma non sapevo come dirvelo. Io…”
“Se è davvero Rabadash la causa di ciò che è accaduto, cambia tutto quanto. Dobbiamo tornare immediatamente al castello”
Susan guardò il marito con espressione corrucciata. “Non starai pensando di andare ad affrontarlo?”
“E’ esattamente quello che intendo fare, invece”
“Non puoi!” dissero in coro le due ragazze.
“A cosa è servito nasconderci” disse la Driade, “se poi vuoi tronare indietro e farti catturare?”
“O ammazzare” le fece eco la Dolce.
Caspian si passò una mano tra i capelli. “Non avevamo deciso proprio ieri sera che saremmo tornati ugualmente al palazzo a prendere Cornelius e gli altri?” ribatté.
“Sì, ma…”
“Bene, allora non fatemi la predica. Si torna a Cair Paravel”
“Caspian!” lo rimproverò Susan. “Smettila di trattare così la povera Miriel, sta solo cercando di aiutarci! Se non fosse stato per lei e C.P.A, e il loro tempestivo avvertimento, io e te a quest’ora saremmo al castello nelle mani di Rabadash!”
Il Liberatore guardò dall’una all’altra, poi fece un lungo sospiro. “Scusate”
“Non importa” fece Miriel. “Torno di là per vedere come sta Lord Rhoop”
Quando la Driade lasciò la stanza, Susan si avvicinò a Caspian e gli posò una mano sulla spalla.
Lui era voltato di schiena, ma non appena percepì il leggero tocco di lei, si voltò e la strinse a sé con tale slancio che la ragazza quasi perse l’equilibrio.
Restarono così per un momento.
“Ho bisogno di te, Susan”
Lei si strinse a lui, mettendogli meglio le braccia attorno al collo. “Caspian, mi dispiace per poco fa”
Il Re si specchiò nei suoi occhi celesti e le fece un debole sorriso.
La Regina lo fisso con sguardo deciso. “Ti giuro che non mi lascerò mai più andare in quel modo all’auto commiserazione. So di essere insopportabile a volte”
Lui le accarezzò il capo, osservando ogni centimetro del suo viso.
Cosa era in grado di fare per lei?
Tutto.
“Susan, non posso portarti con me. Benché lo voglia, non posso rischiare che lui ti veda e che ti prenda”
Lei serrò le labbra con rabbia. “Sarò con te, invece. Voglio guardare Rabadash negli occhi. Voglio che mi dica che cosa ha fatto ai nostri figli. Lasciami venire”
Caspian provò grande orgoglio sentendola parlare così: la sua Susan era tornata.
Le cinse la vita, costringendola a sollevarsi sulle punte dei piedi, e la baciò con veemenza. “Il tuo posto è con me”
Lei gli accarezò il viso, baciandolo una volta ancora.
Casian la lasciò andare, ma senza togliere le mani dai suoi fianchi.
“Dobbiamo pensare a come procedere. Se davvero l’esercito del Sud ha preso le mura di Cair Paravel, non possiamo correre allo sbaraglio alle porte del castello e dichiarare guerra”
Toccò a lei sorridere. “Allora mi ascolti”
Caspian rise appena. “Sì, certo che ti ascolto”
“Dovremo muoverci con cautela” disse una voce.
I due giovani si volsero e videro Lord Rhoop apparire sulla soglia.
“Perdonatemi, Vostre Maestà, dovevo annunciarmi”
“No, vi pare” disse Caspian. “La situazione è tanto critica?”
“Purtroppo sì, Sire” affermò il Lord con rammarico. “I calormeniani sono almeno dieci volte più di noi. Ho lasciato i miei compagni tra il caos della battaglia, senza sapere cosa ne è stato di loro”
Il giovane gli posò una mano sulla spalla. “Li ritroveremo”
Rhoop lo fissò seriamente. “Maestà, voi e la Regina non potete venire con noi. E’ troppo pericoloso”
Caspian fece per ribattere e lei con lui.
“Per la vostra incolumità” insisté Rhoop.
“Lo so” proruppe il Liberatore. “Lo so, ma è il mio popolo quello che è stato assalito da dei pazzi assassini, signore. Sono i miei figli che rischiano la vita chissà dove, a causa della mente malata di un maledetto figlio di…”
“Caspian, ti prego” fece Susan, avvicinandosi a lui.
Solo il sentire la voce di lei, pose un freno al turbolento battito del suo cuore.
Caspian le strinse una mano e si scusò. “Perdonami, Sue. Anche voi Lord Rhoop, vi chiedo perdono”
Egli scosse il capo. “Non dovete. Posso solo immaginare cosa state provando, Maestà. Io non ho mai avuto figli”
Caspian si sentì sciocco e troppo vulnerabile per i suoi gusti. Era nervoso, scattava per un nonnulla e non riusciva a darsi un freno.
Un condottiero non si comporta in questo modo, pensò, provando una nuova ondata di rabbia verso se stesso.
Gli si chiedeva di non andare, ma come poteva ignorare così la voce di Narnia? Le voci dei suoi bambini?
La sua priorità erano i suoi figli, che lui non era riuscito a salvare. La colpa era sua, non di Susan.
Sbagliava a porre dinanzi al regno i problemi personali, ma non poteva fare altrimenti. Per tutta la notte non aveva fatto altro che pensare ai visini terrorizzati di Rilian e Myra. Solo ventiquattrore prima li stava stringendo, stava giocando con loro.
Ma la sua vita era una medaglia a due facce. La sua famiglia era divisa in due: da una parte sua moglie e i suoi figli, dall’altra il suo popolo. Tutta Narnia. E il popolo chiedeva a gran voce la presenza del Re, lo sapeva. Poteva immaginarli chiedersi dove fosse finito Caspian il Liberatore.
I narniani dovevano vedere che era vivo, per essere rassicurati, per trovare il coraggio di resistere a Calormen e non lasciare che Rabadash calpestasse la loro dignità costringendoli a servirlo. Doveva dar loro la speranza, finché lui non avesse trovato una concreta soluzione a quel problema.
Sentiva il peso di tutto il mondo sulle sue spalle, e mai come in quel momento si rese conto di essere solo un uomo.
Suo padre gli aveva insegnato come avevano insegnato a lui: che un Re è istituito dal cielo, che un Re può fare tutto, dire tutto, pensare tutto, e sarà sempre giusto, sempre possibile, perché siede nel posto più alto della scala del mondo.
Questa era la mentalità di Telmar. Nei suoi nove anni di regno però, Caspian aveva visto e capito che la lezione di suo padre non era quella che stava imparando. Perché un Re può sbagliare nel dire, fare o pensare qualcosa. Può confondersi, cadere. Un Re può essere coraggioso ma anche ingenuo a volte. Un Re può sopravvalutarsi e perciò sottovalutarsi, non calcolare le possibilità di pericolo nel quale può incorrere forse perché troppo sicuro di sé. Si crede superiore, è inevitabile a volte. Crede che solo perché davanti al proprio nome compare quel titolo, quella lezione sia sistematicamente valida.
Ma no.
Perché al di sopra di ogni cosa non c’era il Re, c’era Narnia, e Caspian aveva accettato di vivere e morire per lei quel giorno lontano, sulla riva del Grande Fiume, quando Aslan lo aveva incoronato Re.
Ma adesso, il Re si era nascosto da qualche parte nei recessi del suo essere. Adesso c’era solo Caspian.
“Quali sono i vostri ordini, Maestà?” chiese infine Lord Rhoop.

Mezza giornata per organizzarsi, attenere il momento giusto per muoversi, ed eccoli tutti pronti a partire.
Rhoop e il suo amico cervo, Briscola sul suo pony, Miriel sul suo cavallo, Caspian e Susan insieme su Aurora. Pennalucida sarebbe andato con tutti loro: uno sguardo dall’alto poteva far comodo. Gli altri due gufi e le tartarughe, invece, rimasero alla Torre con Destriero, che non era ancora in grado di muoversi.
Galopparono verso sud, sud-est. Si fermarono solo un minuto, quando ormai stavano per entrare nel territorio del feudo. Dal punto in cui si trovavano potevano scorgere in lontananza il lungo ponte che univa la città all'isola dove sorgeva il castello. Il ponte era stato quasi distrutto dall’assedio dei calormeniani, che l’avevano abbattuto per far sì che il palazzo rimanesse isolato dalla terraferma e da qualunque possibile aiuto proveniente dall’esterno.
“Che cosa hanno fatto?” esalò Miriel
“Non entreremo comunque dal portone principale” disse Lord Rhoop, facendo un segno al cervo così che tornò tra gli alberi.
“Dobbiamo andare verso la spiaggia” rammentò Briscola.
Sarebbero entrati nel castello dal passaggio segreto che lui e Miriel avevano usato per fuggire. Il piano era questo: una volta dentro l’Antica Casa del Tesoro, se vi avessero ritrovato Cornelius e le altre donne, Miriel e Pennalucida li avrebbero immediatamente guidati nella foresta, attendendo Lord Rhoop e Susan. Loro si sarebbero recati alle scuderie per rubare cavalli sufficienti per tutti, mente Caspian e Briscola avrebbero preso spade e archi dall’armeria.
Erano gli unici ancora in libertà, ed erano l’unica speranza per tutti.
“Non è rubare” mormorò Susan. Quella parola non le piaceva per nulla. “Sono nostri, sia i cavalli che le armi”
Per lei e Caspian, essere costretti a percorrere passaggi secondari e nascondersi proprio come ladri, era pressoché ridicolo, nonché surreale.
Non avevano atteso il buio di proposito, poiché secondo Briscola i soldati di guardia sarebbero stata meno all’erta durante le ore del giorno.
“Di solito è di sera che si sta più attenti agli intrusi, no?”
L’ultima parola era quella del Re, e Caspian, benché fosse del parere che muoversi tra le ombre della notte fosse più prudente, si fidava di C.P.A e per questo acconsnetì.
Dopotutto, non gl’importava molto quale ora avessero scelto. La sola cosa che Caspian aveva in mente, adesso che era a un passo dal castello, era trovare Rabadash e affrontarlo.
“Sei pronta?” chiese a Susan, dietro di lui sul dorso di Aurora.
“Quando vuoi” rispose lei, stringendogli le braccia intorno alla vita.
Caspian fece ripartire la giumenta. Il gruppo proseguì al passo verso il boschetto che cresceva nei pressi della riva del mare. Una volta arrivati vicino all’Antica Casa del Tesoro, il gruppo si divise.
Miriel e Pennalucida penetrarono guardinghi nel passaggio segreto. La Casa sembrava deserta.
“Uh-uh- non ci sono più” sussurrò il gufo.
“Aspetta” disse lei, portandosi accanto alla statua del Re Supremo. Picchiettò due volte su di essa e qualcosa si mosse sotto il pavimento. Un secondo dopo, ecco che tra granelli di polvere una nuova botola si apriva ai piedi della statua.
“Eccovi!” esclamò Miriel sollevata abbracciando Tara, la prima ad issarsi fori dal nascondiglio. “Oh, che gioia, siete salvi! Ma dov’è Lady Lora?”
“Drinian è venuto a prenderla. Credo che siano riusciti a mettersi in salvo” spiegò Tara.
Miriel guardò la bionda amica con dispiacere. “E tu e Moran…”
Moran era il ragazzo di Tara.
L’ancella scosse il capo. “Lui mi odierà per questo?”
“Moran ti ama”
Tara sembrò trovare un po’ di coraggio a quell’affermazione. Subito dopo si fece seria e inquieta. “Il dottor Cornelius sta male. Non potevo abbandonare lui e Clipse, capisci?”
La Driade si allarmò a quella notizia. “Cornelius? Che cos’ha?”
“E’ l’età, mia cara” disse una voce affaticata.
Le tre ragazze e Pennalucida furono attorno al vecchio precettore. La fuga e la tensione doveva averlo affaticato parecchio.
“Lady Miriel” disse il professore. “Se siete tornata è perché avete trovato il Re e la Regina, vero?”
Miriel annuì. “Sì, sono qui anche loro. Andrà tutto bene”
Cornelius, Tara e Clipse proruppero in un’esclamazione di sorpresa e preoccupazione.
“E i bambini? Il principe e la principessa stanno bene?” chiese Clipse.
Miriel non seppe cosa rispondere. “Sono successe diverse cose…non ho tempo di spiegarvi ora. Siamo venuti a prendervi. Staremo a Bosco Gufo per un pò, alla Torre dei Gufi”
“Andiamo uh-uh!” esclamò d’un tratto Pennalucida.
Tara e Clipse sollevarono con cautela il dottor Cornelius, che si appoggiò pesantemente su di loro.
“State tranquillo” lo rassicurò Miriel. “Abbiamo il cordiale della regina Lucy. Ve ne somministreremo qualche goccia e starete subito meglio”
Ma l’uomo le fermò quando tentarono di fagli fare qualche passo. Tremò e dovette rimettersi seduto.
“Fermatevi e ascoltatemi” egli disse, il respiro affannoso. “Se dovete fuggire, non posso venire con voi. Sono vecchio e lento. Non guadatemi in quel modo, care ragazze, sapete che è la verità. Andate via di qui, immediatamente. Nascondetevi e pregate che Aslan venga in nostro aiuto. Perché lo farà, ne sono certo”
“Non vi lasceremo qui” s’infervorò Miriel “Caspian mi ucciderà se saprà che vi ho trovato e che non vi ho portato da lui”
Cornelius sorrise. “Dite allora al mio ragazzo che questa volta andrà così. Purtroppo, le circostanze sono diverse da quel giorno al castello di Miraz” si fece molto serio e la sua espressone e la sua voce si fecero severe. “Non deve fare pazzie. Rabadash lo aspetta al varco, lui e la Regina. Per nessun motivo al mondo devono restare qui, nemmeno un minuto di più. Dovete fuggire!”
“Non sarà facile convincere il Re di questo, lo sapete meglio di me. Quando si mette in testa qualcosa non si ferma finché non l’ha portata a termine”
“E’ sempre stato così. Non si arrende mai e non si deve arrendere. Ma non è il momento giusto per combattere. Ditegli questo, Miriel.” Cornelius diede di un colpo di tosse, stringendo il braccio della Driade. “Ricordategli che deve avere sempre fede in Aslan. Deve appettare”
“Milady!” chiamò ancora Pennalucida. “Arriva qualcuno!”
“Lasciatemi qui!” esclamò Cornelius, scansando da sé le tre ragazze.
“Se pensate veramente che vi abbandonerò, per una volta avete fatto male i calcoli, caro dottore” disse una voce maschile proveniente dal passaggio segreto.
“Maestà!” esclamò l’ometto, tossendo di nuovo.
Caspian gli fu subito vicino, aiutando Tara a sollevarlo.
“Sta molto male” disse Miriel.
“Chi a il cordiale di Lucy?” chiese il Re.
“Ce l’ha Briscola. Non era con te?”
Caspian imprecò a bassa voce. “Sì, mi sta aspettando al limitare del bosco, ma avrei voluto...”. Osservò Cornelius, preoccpuato. Non voleva fargli fare sforzi.
In quel momento, tonfi insistenti sopraggiunsero dalla porta principale. “Sono qui dentro!” fece una voce dall’esterno.
“Non possono già essersi accorti che siamo qui!” sussurrò concitatamente Miriel.
“Muoviamoci!” fece Caspian, sollevando quasi di peso il povero Cornelius.
Risalirono il passaggio e si ritrovarono all’aperto. Videro con sollievo che ancora nessuno li inseguiva. Ma presto i nemici sarebbero entrati nell’Antica casa del Tesoro, attraversandola in un volo, ed entro breve gli sarebbero stati addosso.
Riuscirono a raggiungere i primi alberi dove li aspettava Briscola, il quale aveva già riempito le sacche legate ai fianchi dei cavalli con le armi che lui e il Re erano riusciti a prendere.
Caspian si guardò freneticamente intorno. “Dove sono la Regina e Lord Rhoop?”
In risposta alla sua domanda, la voce di Susan gridò il suo nome.
Il Liberatore non fece tempo a voltarsi che la Dolce era già volata tra le sue braccia.
Lei e Rhoop erano riusciti a recuperare cavalcature sufficienti per tutti.
Ma quell’abbraccio non durò che qualche secondo, poiché un nugolo di frecce nemiche s’insinuò fischiando tra gli arbusti, spezzando foglie e conficcandosi nei tronchi degli alberi.
“Se c’inseguono, dovremo depistarli” disse Briscola.
“E combatteremo se sarà necessario” gli fece eco Lord Rhoop, estraendo la spada.
“Credo proprio che lo sarà, amici” disse Miriel, iniziando ad accumulare la luce del sole del tardo pomeriggio tra le mani.
In un attimo, erano circondati.
Narniani e calormeniani iniziarono a ingaggiare una lotta furiosa.
Caspian osservò Susan cominciare a scagliare frecce addosso ai nemici e non poté fare a meno di sorridere.
Poi, in mezzo ai soldati, lo vide.
E l’altro vide lui.
Senza dire una parola, Rabadash si scagliò contro il Liberatore con una furia impressionante. I due uomini furono presto impegnati in un agguerrito duello che sembrava svolgersi, almeno per ora, in parità.
“Caspian!” lo chiamò Susan, voltandosi a intervalli regolari verso di lui e verso i guerrieri del sud.
“Scappa!” le gridò il Re.
“No! Non posso lasciarti!”
Susan non sapeva che fare. Continuava a tenere a bada i soldati, mentre Tare e Clipse aiutavano Cornelius a salire a cavallo. Briscola e Miriel combattevano per coprir loro ritirata. Lord Rhoop, invece, era nella mischia.
“Non lasciateli scappare!” ordinò Rabadash, non appena vide le due ancelle e il vecchio partire al galoppo verso la foresta.
Pennalucida scese in picchiata su un paio di soldati e cercò di accecarli con gli artigli. Lo stesso il cervo, caricando con le grandi corna.
Susan osservava suo marito combattere. Era fantastico. La stava difendendo da Rabadash che ad ogni più piccola occasione cercava di raggiungerla. Ma Caspian non gli dava tregua.
Il Re diede un calcio nello stomaco all’avversario e quello si piegò in due, ma solo per un attimo.
D’un tratto, il braccio del Liberatore prese a sanguinare, colpito dalla scimitarra del principe.
“Caspian!”
“Ho detto vai, Susan!” gridò lui al di sopra del caos di voci e suoni metallici.
“Sei distratto!” disse Rabadash, afferrando il rivale e sbattendolo contro un albero. Lo tenne fermo ed iniziò a colpirlo allo stomaco.
I pugni del principe costrinsero il Liberatore a terra.
Con un movimento rapido, Rabadash gli tolse Rhasador di mano e gliela puntò alla gola.
“Tutto questo mi ricorda qualcosa” sogghignò. “Rammentate anche voi, Maestà?”
Il sibilo di una freccia arrivò alle sue orecchie in tempo perché riuscisse a scansarla. “Questa l’ho già vista, mia adorata”
Susan, l’arco teso, tremava di terrore.
Rabadash era vivo. Come? Perché era ancora vivo?
“Fermatevi tutti quanti!” gridò il principe del Sud, mostrando a tutti i presenti che il Re di Narnia era inginocchiato davanti a lui.
Sì, adesso vedevano, prima fra tutti Susan.
La Dolce e il Liberatore si scambiarono appena uno sguardo: lui di rimprovero, lei di paura.
“Dovevi scappare” fece lui in un sibilo furioso.
“No” riaffermò lei con decisione.
“Silenzio!” tuonò Rabadash. Rabadash rafforzò la pressione della lama sulla gola del Re, e Caspian rimase immobile. “Abbassate le armi, narniani”
Susan, Miriel, Briscola e Lord Rhoop eseguirono. Pennalucida e il cervo arretrarono, emettendo entrambi un verso acuto, forse di paura.
Rabadash si volse verso Lord Rhoop. “Vi ringrazio immensamente per averci avvertiti del vostro arrivo”
Il Lord di Telmar, immobilizzato da tre soldati, gli rivolse uno sguardo interrogativo.
Rabadash rise. “Abbiamo seguito le vostre tracce, milord, e vi abbiamo visto recarvi alla Torre dei Gufi. Un ottimo nascondiglio, tra l’altro. Avevamo in programma di farvi visita laggiù, sapete? Ma quando i miei uomini mi hanno riferito la vostra ubicazione, tutti voi eravate già di ritorno al castello. Però, davvero, vi ringrazio: senza il vostro intervento e la vostra immensa stupidità, non avremmo potuto organizzare questa calorosa accoglienza”
Anche i soldati sghignazzarono.
“Siete un vile! Cosa volete da Narnia?” fece Rhoop.
“Nulla, eccetto la sua Regina”
Rabadash lanciò appena uno sguardo a Caspian, poi a Susan.
Lei lo osservava con occhi pieni di odio e di spavento. Al principe non dispiacque che per una volta avesse paura di lui.
“Non mi avrete mai” disse la Regina.
“Vedremo”
In quel momento, con gran sorpresa di tutti, un numeroso gruppo di animali uscì dal bosco e si abbatté sui soldati di Calormen.
Orsi, tigri, leopardi, aquile e cinghiali erano tra i più pericolosi. Ma c’erano anche bestiole più piccole, e una montagna di api e vespe che provocarono non pochi danni agli umani.
“Si chiama effetto sorpresa!” esclamò una voce vicino a Caspian.
Il Re vide un massa di pelo bianco e nero saltare addosso a Rabadash, mordendo e griffando il viso, le mani, le braccia.
In aiuto del tasso giunse un orso, che rotolò a terra con il principe.
Caspian recuperò Rhasador, poi afferrò Tartufello e lo trascinò lontano
“Ha funzionato, eh, Sire?” il tasso gli fece l’occhiolino. “Merito di Pennalucida e del cervo che hanno lanciato un segnale. Quelli di Calormen non lo hanno capito”
C’era una gran confusione. I soldati di Calormen tentavano di liberarsi degli animali, altri uomini sopraggiungevano e si lanciavano in aiuto dei compagni, altri ancora all’inseguimento dei fuggiaschi.
In mezzo al trambusto, dopo che si fu liberato dell’orso che ora giaceva a terra ferito, solo Rabadash rimase immobile a fissare il cielo, mentre la luce del sole iniziava a scemare.
Ma non era il tramonto.
“Lasciateli andare” rispose con tutta calma al soldato che gli annunciò che il Re, la Regna e i loro amici stavano fuggendo. “Non importa. Tra poco si renderanno conto da soli che è tutto inutile”
 
 
Si precipitarono tra gli alberi, saltarono su selle di cavalli già in corsa. Gli animali li seguivano, schierati ai due lati e dietro come un muro protettivo.
Briscola apriva il gruppo guidando i compagni in un luogo nascosto del bosco. Non potevano tornare alla Torre dei Gufi.
Le ombre si allungavano sul terreno, ma era troppo presto per essere il crepuscolo.
“Dove sono Cornelius e le ragazze?” chiese Miriel al leopardo che correva accanto al suo cavallo.
“Dovrebbero essere al sicuro. Vi porteremo da loro”
D’un tratto, il cinguettio degli uccelli cessò ma nessuno se ne avvide, erano tutti troppo impegnati nella fuga.
“Fermi!” esclamò ancora il leopardo, e l’intero gruppo obbedì.
Come ipnotizzati, tutti rivolsero l’attenzione al cielo, il quale stava diventando lentamente più scuro man mano che un’ombra iniziava a muoversi davanti al sole.
“La notte sta calando” disse un cinghiale, grugnendo con il naso all’insù.
“No, non è ancora la notte” disse Miriel. “E’ un’eclissi”
Ogni cosa era ferma.
Sia i narniani nel bosco che i calormeniani, erano immobili a guardarla. Ma nessuno poteva resistere a lungo senza rischiare di riportare gravi danni alla vista. Ben presto furono costretti a distogliere lo sguardo. L’unica in grado di continuare ad osservare il sole era Miriel.
L’eclissi fu visibile in tutta Narnia, e in una normale circostanza sarebbe stato oggetto di sorrisi ed emozione per via della sua rarità.
Ma non quel giorno.
La luna continuò a muoversi davanti al sole fino a che rimase solo un piccolo spicchio di luce.
“E’ una notte fittizia” disse il cervo.
“No” borbottò nervosamente Briscola. “E’ il giorno senza la notte. O la notte senza il giorno. Così la chiamiamo noi nani, e non ci piace”
E alla fine, il sole venne completamente oscurato. La sua corona brillava danzando in tutte le direzioni: raggi di luce filtravano dall’ombra del disco della luna che lo nascondeva. Sottili bande ondulate chiare e scure apparvero sulla superficie piana del suolo.
In groppa ad Aurora, dietro Caspian, Susan gli stringeva la camicia in vita. Aveva una bruttissima sensazione. Avvertì come un tremore provenire dal corpo di lui e spostò le mani più in alto, sul suo petto, sentendolo il cuore del Re battere improvvisamente più forte, irregolare. Lei stessa avvertì come una strana fitta all’altezza del suo.
Caspian, davanti a lei, staccò una mano dalle redini e la posò su quella di Susan.
“Stai bene?” le chiese. Ma non si riferiva alla lotta.
“Sì” mentì lei. No, non stava bene, sentiva caldo e il respiro si fece affannoso.
Poi, Caspian gemette, piegandosi sul collo della giumenta.
Susan cercò di fare qualcosa ma non poté, perché in quel momento una nuova fitta le trapassò il petto come se le avessero piantato la lama di un coltello nel costato.
Ma il dolore di Susan com’era venuto passò. Caspian invece era a terra, una mano stretta sul cuore, il respiro pericolosamente accelerato, gli occhi semichiusi.
“Maestà!” gridarono tutti, accorrendo dal Re.
Ad un tratto, gli animali iniziarono ad emettere ognuno il proprio verso, spaventati. Sentivano che il male era sceso tra loro. Si strinsero attorno al Re, ma non servì a proteggerlo.
“Caspian, rispondimi! Ti prego, rispondimi!” Susan lo chiamò più e più volte, ma lui non reagì.
Ti prego, non lasciarmi anche tu! Pensò disperata, senza sapere cosa fare, senza sapere cosa stesse succedendo.
“Il cordiale di Lucy, presto!” incitò la Regina, e immediatamente Briscola glielo passò.
“Non servirà! E’ la maledizione!”  disse una voce dall’alto, appartenente ad un falchetto dal piumaggio bianco e nero, il quale planò nel grembo della Regina.
“Shira!” esclamarono la Dolce e Miriel in coro.
Il falchetto osservò il Re e scosse la testina. “Non è più possibile tornare indietro. Ormai è fatta, la maledizione l’ha colpito. E tra poco sarà il vostro turno, mia signora”
Susan, gli occhi spalancati e fissi su Caspian, ebbe come la sensazione che tutto vorticasse. Era ben ferma, seduta sulla terra immobile, ma le parve di trovarsi ancora sul Veliero dell’Alba durante la tempesta, e attorno a lei la nave oscillava facendole perdere la stabilità.
Poi, l’ombra della luna iniziò a scostarsi dal sole. La corona scomparve, le ombre sul terreno anche, pochi secondi e apparve una piccola falce di sole. Riapparve la luce.
L’eclissi solare totale era finita.
Ora era davvero il tramonto.
Caspian, per metà cosciente di ciò che accadeva attorno a lui, sembrò calmarsi, tornare a respirare regolarmente.
Il Re udì il battito del proprio cuore pulsare nel suo petto, sotto la mano, nella gola, nelle orecchie. I suoni erano sommersi da quel rintocco profondo.
Forse urlò. Non riuscì a capire se fosse stato lui o qualcun altro. Poi, il petto gli si spaccò in due e l’ultima cosa che udì fu Susan gridare il suo nome.
Quando infine riaprì gli occhi, vide il mondo attraverso occhi che sapeva non essere i suoi. Non per davvero.
E lei era là. Susan lo guadava, le mani tese a lui come per abbracciarlo…
Susan.
Udì la propria voce nella testa, ma non avvertì il suono uscire dalle labbra.
Provò ad alzarsi, ma tutto quello che ottenne fu di ricadere pesantemente sul suolo. Si sentiva così stanco da non riuscire a tenere gli occhi aperti.
E lei continuava a guardarlo…
Sì, Susan lo guardava. E lo fece fino a che le palpebre del lupo non si chiusero.

 
 
 
 
 
 
 
Finalmente ce l’ho fatta!!! Siamo alla maledizione!!! Molti di voi l’attendevano con ansia, vero?
Perdonate questi aggiornamenti così irregolari, ma in questo momento le mie giornate sono un’improvvisazione dietro l’altra, e ci rimette anche la stesura di questa storia. Sappiate però che non ho alcuna intenzione di interrompere o sospendere la pubblicazione di Night&Day, andrò avanti, cascasse il mondo!!! XD
Scusate se Rilian e Myra non si sono visti, ma ho preferito spostare il loro pezzo nel prossimo capitolo.
Ragazzi, ma vi siete resi conto che, nella storia, sono passati dieci anni dal primo capitolo??? *.* Mi emoziono a pensarci….

 
Passiamo ai ringraziamenti!
 Per le preferite:
Aesther, aleboh, Angel2000, Araba Stark, battle wound, english_dancer, Expecto_Patronus, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, G4693, HikariMoon, Jordan Jordan, Joy_10, katydragons, lucymstuartbarnes, lullabi2000,Mia Morgenstern, Muffin alla Carota, Mutny_Hina, oana98, piumetta, Queen Susan 21, Shadowfax, SweetSmile, TheWomanInRed e Zouzoufan7
 
Per le ricordate: Araba Stark, Cecimolli, Halfblood_Slytherin, mishy e Zouzoufan7
 
Per le seguite: Araba Stark, bulmettina, catherineheatcliff, Cecimolli, ChibiRoby,cleme_b , ecate_92, FioreDiMeruna, Fly_My world, Fra_STSF, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, JLullaby, Jordan Jordan, Joy_10, Judee, Lucinda Grey, lucymstuartbarnes, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_ , piumetta, Queen Susan 21, Revan93, Shadowfax e Zouzoufan7
 
Per le recensioni dello scorso capitolo: battle wound, FioreDiMeruna, GossipGirl88,  Halfblood_Slytherin, Joy_10, lucymstuartbarnes,  Queen_Leslie, Queen Susan 21 e Shadowfax

 

Angolino delle Anticipazioni:
Avevo in programma di far vedere solo i Pevensie e i bambini, dato che questo capitolo è tutto dedicato ai Suspian e ai cattivi, ma non poso lasciare così la povera Susan. Per cui, si inizierà da dove abbiamo lasciato. Anche per Susan è vicino il momento di trasformarsi, ma prima vedremo la sua reazione di fronte alla metamorfosi del suo amato.
Torneremo in Inghilterra, dove ai nostri eroi  arriverà una notizia sconcertante!
In ultimo, Rilian e Myra e la Signora dalla Veste Verde.
 

Il Sondaggio per vedere chi sarà la vostra coppia preferita continua! Chi ha già votato è a posto, ma io rivolgo soprattutto a quei lettori silenti che leggono e basta: mi farebbe tanto piacere se esprimeste un vostro parere. Non è necessario che recensite, potete mandarmi un messaggino in casella.  
 
Altro da dire? No, non penso, se non che sto macchinando una nuova storia con protagonisti Ben Barnes e Anna Popplewell. Se volete vedere una foto in anteprima, andate sul mio gruppo facebook Chronicles of Queen, dove ovviamente trovate anche gli aggiornamenti di Night&Day.
 
Un grazie immenso a tutti voi che continuate a seguirmi, e scusate ancora se non per un po’ non potrò essere diligentissima con i post.
 
Un bacio e un abbraccio,
Susan♥

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Capitolo 11
*** Capitolo 11. La notte, il giorno, il songo del Re e il Mondodisotto ***


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11. La notte, il giorno, il sogno del Re e il Mondodisotto
 
 
Tu sei la ragione per cui credo nell'amore
Sei la risposta alle mie preghiere da lassù
Tutto ciò di cui abbiamo bisogno siamo noi due

I miei sogni si sono avverati grazie a te
Io ti amerò finché vivrò
Da questo momento in poi…


 
Un battito di ciglia, fosse nemmeno, ed era accaduto qualcosa che nessuno dei presenti seppe spiegarsi. Nessuno tranne Shira. Il falchetto si alzò in volo e gridò a gran voce agli altri animali di portare in salvo il Re e la Regina.
La baraonda di zoccoli e zampe e voci non riuscii però a penetrare nella mente di Susan. Le orecchie udirono il suo nome pronunciato più volte, ma il cervello non reagì.
La maledizione. La maledizione. La maledizione… Solo queste due parole riusciva a capire.
Rimase immobile a fissare il lupo davanti a lei, nel punto esatto dove un attimo prima c’era Caspian. Allungò una mano tremante verso di lui. L’animale era immobile, gli occhi sempre chiusi.
Quando però le sue dita furono a pochi millimetri dal folto e lucido manto, le ritrasse di scatto.
Non era...no, non poteva essere… morto.
Provò a pronunciare il nome del Re, ma senza riuscirci.
Quel che avvenne dopo accadde tanto rapidamente che quasi non si accorse di nulla, finché non si ritrovò faccia a faccia con Rabadash.
“Prendeteli!” ordinò alle guardie, che già intrappolavano gli animali con reti e funi. “Non deve mancarne nessuno!”
Il principe torreggiava sulla ragazza e sul lupo, osservandoli con odio sempre maggiore.
Possibile che nemmeno adesso riuscisse a separarli?
Intuendo le intenzioni del nemico, Susan si sdraiò quasi completamente sopra il lupo, percependo la morbidezza del manto setoso, il tepore del suo corpo. Sotto i palmi delle mani sentiva il dorso che si alzava e abbassava ritmicamente.
Respirava. Era vivo.
Grazie a Dio, era vivo!
Svelta come un gatto, afferrò il suo arco e cercò d’incoccare la freccia, senza mai allontanarsi da Caspian. Doveva proteggerlo!
Purtroppo, Rabadash fu più svelto e le tolse l’arma di mano colpendola al braccio con cui la reggeva. Susan cercò di recuperarla, ma il principe del Sud l’afferrò e l’allontanò dal lupo, gettandola tra le braccia di due soldati che la tennero stretta e le legarono le mani dietro la schiena, portandole via anche il corno d’avorio.
Rabadash non degnò Caspian di uno sguardo, invece avanzò e posò un piede sopra l’arco di Susan, schiacciando con lo stivale e premendo con forza, spezzandolo.
La Regina Dolce provò come una fitta al cuore, un brivido le attraversò la schiena.
Il suo arco... Il suo fedele compagno di mille avventure e battaglie. Uno dei Doni, il cui potere latente dipendeva dalla fede. La sua fede.
Improvvisamente, udì le parole di Babbo Natale mentre glielo metteva tra le mani: “Fidati di questo arco, e difficilmente fallirà”
Fidati…
Fiducia.
Fede.
Fidati e difficilmente fallirà.
Difficilmente, significava che avrebbe fallito nel momento in cui avesse smesso di credere di potercela fare. I momenti in cui sbagliava mira non sempre avvenivano per sua disattenzione, ma perché dubitava di sé stessa.
Questo era il segreto. Questo era la chiave di tutto. La fede.
Stupida, pensò, disprezzandosi. Sei una stupida all’ennesima potenza Susan Pevensie, e lo sarai sempre.
Capendo il suo sconvolgimento interiore, Rabadash represse un ghigno.
Che gran soddisfazione era per lui vederla così indifesa, così insicura di sé. Peccato non poter assistere anche alle reazioni di Caspian…
Il principe sorpassò il lupo e l’arco, e le si parò davanti.
Susan si ritrovò il volto di lui a un centimetro dal suo. Lui la fissava, quasi che volesse imprigionarla nel suo sguardo cupo, ma gli occhi azzurri della Regina Dolce erano già scattati di nuovo verso il lupo.
Rabadash le afferrò il viso in una mano e le fece voltare di nuovo la testa dalla sua parte.
“Guardami!” ringhiò.
La ragazza avvertì la presa delle guardie farsi più forte e il braccio ferito mandò una fitta acuta.
Rabadash imprecò tra i denti, mostrandoli come un predatore rabbioso per intimidire la preda.
Ma lei non aveva paura. Non di lui.
“Portate la Regina al castello e rinchiudetela nelle sue stanze” ordinò il principe ai suoi uomini. “E catturate i fuggiaschi”
Susan cercò con lo sguardo i suoi amici.
Lord Rhoop, Pennalucida e Briscola erano stati immobilizzati. Shira non si vedeva; Cornelius, Tara e Clipse nemmeno. Susan sperò fossero riusciti a mettersi in salvo con Aurora e raggiungere un luogo sicuro. Ma Miriel, dov’era?
Poi il bagliore accecante delle fiamme.
Inizialmente, ella credette si trattasse di un incendio appiccato dai calormeniani, ma non era così.
Miriel!
La Driade stava al centro del caos. Attorno a lei erano cresciuti decine di fiori scarlatti grandi come il palmo di una mano. I petali mandavano bagliori, scie di luce e fiamme che investirono i nemici.
I calormeniani lasciarono andare gli animali, alcuni per mettersi in salvo, altri correndo a cercare acqua per estinguere il fuoco.
I soldati che tenevano ferma Susan la trascinarono lontano, non permettendole di conoscere l’esito del nuovo scontro.
La separavano dagli amici, da Caspian.
Lei tentò ancora di guardarsi alle spalle e quel che vide le gelò il sangue nelle vene.
Rabadash si avvicinava al lupo, la scimitarra alzata, la cui lama ricurva brillò sinistramente al riverbero del fuoco. Il muro di fiamme si alzò e i due ne vennero avvolti proprio mentre il principe menava un deciso il fendente verso il lupo.
“NO!!! Caspian!!!” urlò la Regina, tentando con tutte le sue forze di liberarsi e tornare verso il bosco.
Non poteva essere accaduto veramente! Caspian doveva essere riuscito a spostarsi in tempo, o qualcuno era accorso in suo aiuto. Forse entrambe le cose.
Sì, era così. Non doveva e non poteva essere altrimenti.
Completamente stordita dalla scena cui aveva appena assistito, una volta dentro le mura del castello si sentì chiamare ed impiegò qualche secondo per capire di chi si trattava. Si volse, e vide i volti spaventati di Clipse e Tara. Le due ancelle corsero da lei.
Si lasciò abbracciare, lo sguardo perso nel vuoto. Non poté ricambiare il loro abbraccio a causa delle mani immobilizzate, ma cercò di rassicurarle come poteva con qualche parola stentata, allo stesso tempo rassicurando sé stessa. O almeno provandoci.
“Siete sconvolta” osservò Tara. “Mio Dio, Maestà, che cos’avete?”
“Va tutto bene. Andrà tutto bene” mentì sfacciatamente Susan.
Non poté agire diversamente. Non avrebbe mai ammesso la sconfitta. Mai. Così come non l’avrebbe mai fatto Caspian.
Lui è vivo. E’ vivo e sta bene. E io non devo più deluderlo. Non posso assolutamente deluderlo! Avrà bisogno di me quando ci ritroveremo e io dovrò essere forte. Alza la testa Susan Pevensie: sei una Regina di Narnia!
La voce di Aslan risuonò nella sua mente: “Quando si è Re o Regina di Narnia, si è sempre Re o Regina”
Aslan…
Perdonami.
“Maestà, il dottor Cornelius è in salvo” la informò poi Clipse a voce bassissima. “Ci hanno pensato gli spirti degli alberi”
“Oh, ne sono felice”
“Cosa accadrà ora?” chiese ancora Tara.
Susan non riuscì a rispondere, l’immagine di Rabadash che calava la spada su Caspian apparve con prepotenza davanti ai suoi occhi. Serrò le palpebre e cercò di rimanere salda, almeno di fronte alle ragazze.
“Basta con tutte queste smancerie!” le interruppe il principe del Sud, irrompendo dentro il castello e separandole di nuovo.
“Maestà! Maestà!” gridarono ancora le altre, ma erano già sparite dietro la curva di un corridoio.
Susan volse lo sguardo attorno a sé, tremante.
Disperazione, terrore, incredulità, confusione, orrore. Tutto questo era Susan in quel preciso istante.
Il suo sguardo cadde sulla spada del principe, macchiata di sangue ancora fresco. Vacillò e per poco non svenne. Se le guardie non l’avessero tenuta ancora per le braccia, sarebbe crollata a terra.
No, Caspian non poteva essere… No, non lo avrebbe creduto finché non l’avesse veduto coi propri occhi.
Volse nuovamente lo sguardo attorno a sé. Non c’erano volti amici, ma un pullulare di soldati in divise bianche e rosse, armati fino ai denti, molti dei quali si fermarono interessati a fissarla.
Susan alzò la testa e ricordò a sé stessa di non abbassarla mai. Com’era accaduto una volta sull’Occhio di Falco, passò in mezzo agli uomini senza battere ciglio, il passo sicuro. Le due guardie che l’avevano in custodia non furono costrette a sospingerla. Gli occhi fissi sulla scalinata principale, Susan iniziò a salire un gradino dopo l’altro, lasciandosi alle spalle gli apprezzamenti poco lusinghieri di quei barbari dai volti olivastri.
Quando arrivarono alle stanze reali, Rabadash fece cenno alle guardie di andarsene. Poi aprì la porta e Susan vi entrò.
Immediatamente, dopo lo scatto dell’ uscio che si chiudeva, il principe l’afferrò per la vita e la voltò verso di sé.
“Se vi libero starete buona?” le chiese.
Si fissarono un momento soltanto: lei non rispose; lui strinse gli occhi in due fessure.
“Mi farete perdere la pazienza, prima o dopo, ma sul serio” disse l’uomo, e poi le slegò i polsi.
Allora, Susan prese a colpirlo con una raffica di schiaffi, pugni e calci, inveendo contro di lui con parole che mai si sarebbe sognata di pronunciare in vita sua.
Rabadash accusò e parò, con un’espressione compiaciuta sul volto. “Siete adorabile anche quando siete furiosa”
Lei non avrebbe voluto dare adito a nuovi scherni e umiliazioni, ma non riuscì a trattenersi e gridò ancora più forte.  “Maledetto bastardo! Voi avete ucciso Caspian! Avete ucciso Caspian! Avete…ucciso…”.
La voce d’un tratto le venne meno, così le forze, e si accasciò in ginocchio, il respiro corto per aver urlato tanto, le girava la tesa. Pianse, di disperazione e di rabbia.
Rabadash la fissò senza emozioni, cercando di organizzare i suoi pensieri.
Dirle o non dirle che Caspian era vivo?
Il principe ripensò al momento in cui aveva alzato la spada per colpire il lupo. Sulle prime l’aveva fatto per spaventare Susan, poi quando era stato ancora una volta testimone dell’infinito amore che la Dolce aveva per il Liberatore -tanto da spingerla a proteggerlo riparandolo con il proprio corpo- la tentazione di ucciderlo per davvero si era fatta fortissima. Quale altra occasione migliore di quella gli si sarebbe presentata? Mai il Re di Narnia era stato così indifeso e debole di fronte a lui.
Ma così facendo avrebbe reso nulli tutti i piani e gettato all’aria anni di lavoro per realizzarli, per giungere a quel giorno da lui tanto atteso. Per la prima volta in vita sua, Rabadash aveva esitato. Infine, calando la lama verso il basso, l’aveva fermata a pochi centimetri dal corpo del lupo. Era rimasto immobile a fissarlo un istante, cercando di dominare il suo odio.
In seguito era stato attaccato da una tigre enorme, un daino e una volpe, dei quali si era sbarazzato in poco tempo. E quando Susan aveva visto la sua spada intrisa di sangue aveva creduto fosse quello di Caspian.
Perché non continuare a farglielo credere, dunque, almeno per un po’?
“Abituatevi a quest’idea: vostro marito e i vostri figli sono morti, la foresta è bruciata con dentro i vostri amici. Non avete più nessuno. Vi rimango soltanto io”
Susan vacillò di fronte a quelle parole. Iniziò a respirare più forte, il cuore batteva impazzato gridando il suo silenzioso dolore. Immagini di lei e Caspian le attraversarono la mente come lampi impazziti: il loro incontro nella foresta, i loro primi istanti alla Casa di Aslan, i gesti impacciati, il suo timido corteggiamento, il primo litigio, il primo bacio, la loro prima volta, lui che le posava il fiore blu tra i capelli; e l’addio e il ricongiungimento, le numerose battaglie nel viaggio verso la Fine del Mondo, i litigi e le promesse, il matrimonio sull’Isola delle Rose, il momento di gioia nel sapere che aspettavano un figlio; e ancora, i giorni spensierati durante il viaggio di ritorno sul Veliero dell’Alba, la loro prima notte a Narnia, la nascita di Rilian e Myra; lei e Caspian che tenevano le loro manine mentre tentavano di farli camminare, i primi passi dei bambini, le prime parole, le loro vocette stentate e poi più sicure che chiamavano mamma e papà; crescerli insieme a lui, insegnar loro a leggere e scrivere, a star dritti in sella al primo pony; e i giochi, le corse, i castelli di sabbia, i bagni estivi nell’Oceano, le giornate piene di serenità, interi pomeriggi a chiacchierare seduti all’ombra dei grandi alberi del giardino, dove lei e Myra s’intrecciavano i capelli a vicenda, e Caspian e Rilian facevano la lotta sul prato.
Cercò di trovare un barlume di ragione in quella pazzia, ridestandosi dai suoi pensieri e dallo stato di shock nel qual era piombata d’improvviso.
“Pagherete per tutto il male che avete fatto!” esclamò infine la Regina, allontanandosi da lui.
“Sono io che dovrei dirlo. Mi avete quasi ucciso, mia dolce signora” disse lui con un nuovo sorrisetto sarcastico. “Voi stessa avete visto il suo sangue” rincalzò l’uomo, alzando la propria spada e mostrando le strisce vermiglie che la coprivano.
Susan represso un grido e volse il capo di lato per non guardare. “Io non vi credo! Non lo crederò mai!”
“La maledizione presto colpirà anche voi. Sì, la stessa maledizione che ha colpito il vostro Caspian!”
“E mi ucciderete dopo? Come avete fatto con lui?” chiese lei, quasi con speranza. “Perché se sarà così, se poi lo raggiungerò, allora potrete farmi tutto quello che vorrete”
Lui l’afferrò per le spalle, scuotendola con forza. “No, voi non morirete! Voi siete mia, mia!”
“Lasciatemi! Lasciatemi in pace!”
“Quando vi avrò avuta: solo allora vi lascerò in pace”
Susan fece un salto all’indietro, andando a sbattere contro il tavolino, sgomenta. Rabadash la raggiunse in pochi secondi. La ragazza scaraventò a terra le sedie e il tavolino assieme a ciò che vi poggiava sopra, per bloccargli la strada, per non farlo avvicinare. Lui rise. Lei gridò di furia e spavento. Infine, la Regina si ritrovò a terra sul tappeto con il peso dell’uomo che la schiacciava.
Provò un moto di disgusto incontenibile, si sentiva male.
“Susan, amore mio, non fate così”
Quale abisso c’era nel modo in cui quelle due parole venivano pronunciate dalla calda e tranquilla voce di Caspian, e dalla gelida e aspra voce di Rabadash.
Egli le afferrò i polsi. “Avrei voluto comportarmi da gentiluomo, e invece voi mi costringete a comportarmi come un mascalzone”
Lei si dimenò e lui rise ancora più forte.
“Non facevate la preziosa con lui, vero?” insinuò Rabadash con un tono assolutamente indecente.
Per tutta risposta, lei gli sputò in faccia. E l’uomo la colpì.
“Non vale la pena di trattarvi come una signora, perché non lo siete!”
Susan si ritrovò con gli abiti strappati prima che potesse rendersene conto. Gridò ancora e lui le posò una mano sulla bocca per zittirla. Le sentì il suo odore e le lacrime inondarono i suoi occhi celesti, spalancati dal terrore.
Rabadash si chinò su di lei, cercando di levarle la sottoveste, premendo il proprio corpo contro quello della Regina.
In quel mentre, il viso di Caspian apparve nella mente di Susan. Lui, che l’aveva sempre amata così teneramente, con ardore, rispetto, passione, gentilezza e devozione in eguale misura. Caspian, che le dava un bacio dolcissimo e le faceva un sorriso e una carezza ancor più dolce prima di farla sua ogni volta.
Ed ora sentiva quelle mani rudi toccarla ovunque, quel respiro lussurioso che le dava il voltastomaco, quella bocca sconosciuta che si posava dove solo Caspian poteva.
Perché solo a lui si era concessa.
Perché lei era sua.
“Oh, mio Dio, aiutami! Aslan!”
Si ritrovò a gridare quel nome nella mente, disperata come mai in tutta la vita.
Poteva scoraggiarsi mille e mille volte, ma alla fine avrebbe trovato il modo di risollevarsi e correggere i propri errori; per quante cose potessero succederle e le fossero successe, avrebbe trovato la maniera di superarle.
Ma non questo.
Se davvero le fosse successo quel che temeva sarebbe accaduto di lì a pochi attimi, allora sarebbe stato preferibile la morte. Non avrebbe mai più potuto guardare Caspian negli occhi – se mai avesse potuto farlo. Già non si sentiva più degna di lui solo per il fatto di essere stata toccata in quel modo da un uomo che non era suo marito.
“Caspian…Aslan!”
In quel preciso istante, la finestra del balcone si spalancò e un vento impetuoso invase la stanza, facendo danzare le lunghe tende bianche come fantasmi nella notte.
Susan, ormai pronta al peggio, quando udì l’urlo rabbioso di Rabadash aprì gli occhi che aveva serrato per non vedere. Il principe del Sud sembrava sentirsi improvvisamente male: inginocchiato a terra, per metà ancora sopra di lei, si teneva la testa tra le mani.
Che cosa era successo?, si chiese la ragazza. Perché si era fermato? Il vento…Il vento era un segno che Aslan avesse realmente risposto alla sua richiesta di aiuto? Aveva impedito a Rabadash di violarla?
“Maledetto…Leone” lo udì imprecare.
Incredibilmente, Rabadash rinunciò. Si alzò trascinandola con sé, mentre un grugnito di rabbia gli trapassò la gola. Aprì la porta e la trascinò di peso fin sulla Grande Torre.
Che cosa avevano fatto lassù? ,fu il primo pensiero della Regina quando vide la grande gabbia incassata sul torrione.
Senza premura alcuna, Rabadash la gettò all’interno. Afferrò dalla tasca deli pantaloni una grossa chiave d’ottone e diede tre mandate.
Quando si trovò dietro le sbarre, Susan si rivoltò vero di lui: che intenzioni aveva?
Il principe del sud, la camicia aperta sul petto e il respiro affannoso, fece un inchino beffardo. “La vostra nuova dimora, Maestà”.
La guardava in un modo che definirlo odio sarebbe stato davvero troppo poco.
Le si avvicinò, afferrando le sbarre e strattonandole con forza, provocando un sonoro clangore. Susan lo guardò impaurita, esterrefatta, facendo un passo indietro quando lui allungò una mano per toccarla. Egli riuscì ad afferrarle i capelli solo per un attimo, lei fece un altro passo indietro. E quando lui la lasciò andare, il fiore blu cadde dalla sua chioma bruna finendo a terra, appena al di fuori della gabbia.
Entrambi lo fissarono per un istante, il principe con sguardo cupo.
Rabadash non sapeva cosa significava per lei, ma di certo doveva essere molto importante. La Dolce lo aveva sempre portato da che ricordava.
La Regina si chinò svelta e allungò una mano per prenderlo, ma Rabadash lo afferrò per primo.
“Oh, no, per favore!” implorò lei, stendendo il braccio tra le sbarre. “No! No!” gridò accora, quando il principe serrò il pungo e poi gettò il fiore spezzato all’interno della gabbia.
Susan rimase immobile per qualche secondo, sconvolta. Si abbassò di nuovo, lentamente, prendendo con delicatezza tra le mani tremanti il gambo piegato, i petali spezzati.
Il simbolo del suo amore distrutto. Il suo amore se n’era andato.
“Il vostro Leone non m’impedirà di avervi! Non ci riuscirà!” gridò infine Rabadash, gli occhi iniettati di sangue, e poi la lasciò sola.
“Vi odio! Vi odio! Siete un maledetto schifoso!” gridò ancora Susan, ma lui si era ormai richiuso la porta della torre alle spalle.
Il vento che soffiava sulla Grande Torre portava con sé raffiche gelide e grosse gocce di pioggia che si infransero sul viso della giovane donna. Ella strinse il fiore al petto, mentre sedeva pesantemente a terra. I nervi le cedettero.
Avrebbe voluto che Caspian potesse essere lì a proteggerla dal freddo con le sue calde e forti braccia, e il suo amore.
Ma lui non c’era.
Lui era…
Scosse la testa, presa dal panico, portandosi le mani ai lati di essa e serrando gli occhi, prendendosi i capelli tra le dita e iniziando a singhiozzare irrefrenabilmente.
“No…” mormorò, “No. No. NO!” gridò di nuovo, affondando il volto tra le braccia.
Si sentiva distrutta. Avrebbe voluto strapparsi il cuore e non provare più alcun sentimento.
Poco prima aveva invocato il nome di Aslan e sembrava davvero che Egli fosse accorso in suo aiuto. Un barlume di speranza, poi di nuovo l’abisso.
Perché? Aslan, ti prego, dimmi perché?!
“Maestà! Mia Regina!”
Una voce amica.
Susan alzò la testa e scrutò tra le ombre della notte, fattesi più cupe per via del nuovo temporale estivo in arrivo.
“Shira!” esclamò la ragazza, mentre il falchetto s’insinuava con fatica tra le sbarre.
Quando si posò a terra, Susan s’inginocchio e la prese tra le braccia. Sentiva che doveva aggrapparsi a qualcosa, anche a un animaletto tanto piccolo, il cui calore le ridiede il contatto con la realtà.
Si sentiva frastornata, come se si trovasse da qualche parte e stesse solo facendo da spettatrice.
Quella non era più la sua vita.
Shira osservò la Regina con spavento: aveva la sottoveste sgualcita, i capelli arruffati, il fiore blu spezzato. “Che cosa vi ha fatto quel bruto di Rabadash?!”
Susan scosse il capo. “Nulla. Nulla, io…non so come si accaduto, ma non mi ha fatto nulla!”
Shira tirò un sospiro di sollievo.
Poi, gli occhi celesti della Regina Dolce incontrarono quelli più piccoli e neri dell’uccello. “Dimmi” disse soltanto.
“Maestà, mi dispiace tanto!”
Shira, sempre così stizzosa e sicura di sé, iniziò a singhiozzare. E tra le lacrime raccontò ogni cosa alla Sovrana riguardo i piani di Rabadash, Tisroc e Lord Erton.
“Perché è successo tutto questo?” chiese Susan con un filo di voce, alla fine del racconto. “Perché ancora non ci lasciano in pace?”
“Vi prometto che farò il possibile per scoprirlo!”
“Oh, no, Shira, non farlo!” esclamò la Dolce, stringendo ancora il falchetto al suo petto. “Non voglio che ti accada nulla. Dovrai cercare aiuto, invece”
Shira arruffò le penne, tornando quella di sempre. “Lo so. Appena potrò tornerò sulla mia isola e avvertirò Ramandu e Shanna dell’accaduto. E poi andrò a cercare Emeth al sud”
“Non puoi fare tutto da sola”
“Chi lo farà altrimenti? Ormai, nessuno dei vostri amici potrà uscire dalla foresta senza rischiare di venire preso”
Susan ebbe un tuffo al cuore. I volti di tutte le persone care apparvero davanti a lei.
“Dove sono tutti? Che cosa è accaduto a Caspian? E Miriel, e Cornelius…”
Sia gli occhi azzurri della Dolce che quelli del falchetto tornarono ad inumidirsi.
“Shira, ti scongiuro, dimmi che Caspian è vivo”
Il falchetto si accomodò sulle ginocchia della ragazza. “La notte è lunga, mia signora. Abbiamo tempo per parlare”
 
 
Il Re si svegliò di soprassalto, come fosse appena precipitato nel vuoto e poi atterrato sull’erba morbida e fresca. Sdraiato sul prato, solo un soffice strato di muschio gli faceva da materasso e da cuscino; come coperta, il suo stesso mantello.
Si alzò a sedere lentamente, sopraffatto da un senso di malessere. Si prese la testa fra le mani per un momento, per poi alzarla e guardarsi intorno per cercare di capire dove si trovava.
Non era alla Torre dei Gufi, questo era certo, ma non riusciva a mettere a fuoco i particolari.
Un senso di inquietudine iniziò a farsi largo nel suo petto.
Perché era tutto sfocato?
Non ricordava di essere rimato ferito in nessun modo, tantomeno agli occhi. Forse un colpo alla testa? Poteva essere. Chissà, magari quand’era caduto da cavallo, dopo quel forte dolore al petto. Non ricordava nulla dopo quel momento in cui gli era parso che qualcuno gli piantasse mille lame ghiacciate nel corpo.
Si portò una mano sul cuore, massaggiandosi piano il torace.
Non c’era più alcun dolore. Non si sentiva neanche stanco, stava bene nel complesso, eccetto la vista.
Sbatté più volte le palpebre con forza, fissandosi poi i pami delle mani, studiandoli attentamente. Pian piano, la sensazione di inquietudine al pensiero di essere rimasto leso, si attenuò nel momento in cui ogni cosa tornò nitida.
Se avesse potuto vedere i suoi occhi, Caspian avrebbe subito capito perché la sua vista era rimasta appannata per un pò, anche se probabilmente ne sarebbe rimasto spaventato.
Tornò a vedere quando il colore dei suoi occhi mutò dal giallo al consueto nero.
Quando gli occhi del lupo tornarono quelli dell’uomo.
Tutto era tranquillo attorno a lui.
Avvolto da una nebbiolina bassa e sottile che ormai andava diradandosi, Caspian osservò il sole filtrare attraverso le fronde degli alberi, le gocce di rugiada ornare gli steli d’erba: albeggiava.
Ricordava il crepuscolo, non l’aurora. Quanto tempo era passato da quando aveva perso i sensi? Dov’erano gli altri?
Accanto a sé erano posate Rhasador, il pugnale di suo padre e il mantello di Susan, nel quale erano avvolti l'arco, la faretra e il corno d’avorio.
Caspian si mise in ginocchio sull’erba e fece per scostare i lembi della stoffa che coprivano i Doni della Regina.
Quando una voce alle sue spalle disse: “Quel che vedrete, non vi piacerà”
Per istinto, il Liberatore afferrò la sua spada, estraendola dal fodero con uno scatto fulmineo.
“C.P.A” mormorò, facendo un sospiro e abbassando l’arma. “Mi hai spaventato”
“Perdono, Maestà”
Il nano avanzò verso il Sovrano, porgendogli una ciotola di latte e qualche frutto. Si scambiarono uno sguardo. Caspian notò gli occhi di Briscola scattare verso le armi di Susan. Un altro sguardo tra loro, stavolta accompagnato da un vago cipiglio.
Senza dire una parola, Briscola guardò il Re scoprire l’arco spezzato.
Il ragazzo lo afferrò tra le mani e si voltò rapidamente verso il nano. “Che diavolo significa?”
“Significa che l’hanno presa, mio signore”
Briscola cercò di spiegargli i fatti, omettendo volontariamente la parte che riguardava la sua trasformazione in lupo.
Il Liberatore iniziò a girare a vuoto attorno al proprio giaciglio, Rhasador in una mano, l’arco di Susan nell’altra.
Venne a sapere che dopo il suo malore i calormeniani avevano attaccato di nuovo, che c’era stato un nuovo breve scontro nel quale Tara e Clipse erano stati catturate dopo essere riuscite ad affidare il dottor Cornelius a un gruppo di amadriadi. Miriel aveva chiamato a sé il potere delle fiamme tramite i Fiori di Fuoco, creando un incendio che non aveva danneggiato la foresta né nessuno dei presenti, ma che aveva indotto i calormeniani a fuggire credendo il contrario. Successivamente, anche Susan era stata portata via, non senza prima aver cercato di proteggerlo. Dopodiché, Lord Rhoop e il suo amico cervo lo avevano portato in salvo, e gli amici del bosco avevano dato asilo al gruppo di fuggiaschi.
“No. Non può essere. Assurdo. E’ assurdo” ripeteva Caspian ad intervalli regolari, quando Briscola prendeva fiato tra una frase e l’altra.
“Non potremo restare qui a lungo. Prima o poi ci troveranno, per cui…”
 “Non-può-essere!” esclamò il Re, sollevando la spada a mezz’aria, non sapendo bene se dovesse usarla o no. E se sì, contro chi? Contro il povero C.P.A.?
“Dove l’ha portata?” chiese, cercando di controllare la rabbia che sentiva crescere.
Briscola capì che si riferiva ovviamente a Susan e a Rabadash. “Immagino al castello”
Il nano stava per aggiungere altro, ma il Re aveva già rinfoderato la spada, recuperato il mantello e raggiunto l’uscita della macchia di alberi.
Briscola lo raggiunse, correndo per star dietro alle lunghe falcate del giovane, continuando a lanciargli occhiate torve. L’espressione sul viso di Caspian tradiva una qualche folle idea che stava già prendendo forma nella sua mente.
“Maestà, se mi permettete un consiglio, dovreste mangiare qualcosa”
“Non ne ho tempo” rispose il Re, secco. “Dove sono gli altri?”
“Nascosti qui intorno, Maestà. Pero ora abbiamo trovato un riparo provvisorio nelle case e nelle tane di alcune creature. Lady Miriel si sta occupando degli animali feriti”
“Quante perdite?”
Briscola sbuffò tra i peli della folta barba. “Parecchie, mi rincresce”
Caspian rifletté un momento: in quanti erano rimasti? Di Drinian e Lora non sapeva niente, così come del dottor Leo e di molti altri cavalieri e amici, (ad esempio Tavros e Rynelf). Con Tara e Clipse probabilmente in cella assieme a Mavramorn, Agoz e Revilian, Aurora non più disponibile e Susan nelle mani di Rabadash, rimanevano solo lui, Briscola, Rhoop, Miriel, Pennalucida, Tartufello; e in conclusione, contando Destriero, forse Shira e Cornelius, erano in nove. Si potevano includere diversi animali, gli alberi, ma erano in effettivo un misero schieramento messo a confronto delle centinaia di soldati che Tisroc aveva portato dal Deserto.
“C’è altro che devo sapere?” chiese poi il Liberatore.
“Uhm…no” mentì il nano.
“Allora, per prima cosa, dobbiamo trovare un luogo sicuro dove nasconderci”
“Sire, mentre voi riposavate abbiamo discusso tra noi e, se per voi va bene, pensavamo di spostarci a sud, verso Prato Ballerino. Tartufello dice che ospiterà con onore e gioia Vostra Maestà”
Caspian annuì una volta. “Suoneremo anche il corno d’avorio. Ormai è chiaro che Narnia ha bisogno di aiuto”
“L’abbiamo già fatto, Sire” rispose C.P.A, “ma nessuno ha risposto”
“Ci vorrà del tempo, immagino. Intanto ti lascio il comando, Briscola: giuda gli altri verso sud, io vi raggiungerò con la Regina quanto prima”
Il nano girò la testa di scatto. “Sire, per l’amor del cielo! Non potete andare solo!”
Caspian continuava a tenere lo sguardo fisso avanti a sé, come se potesse già vedersi a Cair Paravel in aiuto della sua sposa. “Ho già perso abbastanza tempo”
“No!” il nano gli si parò davanti.
Caspian si arrestò, ma non per ascoltarlo. “Togliti di mezzo, Briscola” scandì con voce bassa e minacciosa.
“Non vogliamo perdere anche il nostro Re!” C.P.A. lo implorò con lo sguardo, ma il Liberatore avrebbe fatto di testa sua.
Gli occhi neri del Sovrano mandarono lampi d’ira. “Perdere anche il nostro Re?” chiese con una risata sprezzante. “Date la vostra Regina già per morta? Devo dedurre che pensate la stessa cosa dei principi reali!”
“No, no, non è così! Tutti noi stiamo cercando di trovare un modo per salvare la Regina e i Principini, ma come avete giustamente asserito anche voi poco fa, abbiamo bisogno di altro aiuto! E anche voi dovete aspettare!”
Un nitrito e un rumore di zoccoli interruppe l’alterco, attirando la loro attenzione.
Caspian e Briscola si volsero e videro Destriero risalire il sentiero. Il cavallo trottava verso il suo padrone in un incedere elegante e soddisfatto, come volesse mostrare con orgoglio la sua completa guarigione e la sua di nuovo totale disponibilità al Re. Gli erano stati rimessi sella e finimenti
Caspian liberò un sorriso, reperimento la rabbia e la frustrazione per lasciare spazio alla gioia di rivedere il suo fedele amico in piena salute, pronto ad aiutarlo. Tutti sembravano volergli impedire di salvare la sua famiglia, ma Destriero sarebbe stato con lui.
Non appena fu vicino al ragazzo, il cavallo lo colpì amichevolmente con il muso.
“Siamo come sempre noi due, vero?” mormorò il Re, la fronte posata contro quella di Destriero, occhi negli occhi.
Lo stallone rispose con un basso nitrito d’assenso e uno scalpitare di zoccoli.
Senza indugio, ignorando altre proteste da parte di Briscola, Caspian mise il piede nella staffa e si issò sulla sella con un agile movimento. Calciò con decisione sul fianco del cavallo e lo sollecitò a partire a galoppo.
“Maestà, aspettate!” gridò Briscola, in un ultimo e quasi disperato tentativo di non fargli commettere una sciocchezza. “Anche se tornerete di nuovo al castello, non vi troverete la Regina! Non la riconoscerete! Non è se stessa in questo momento!”
Che l’avesse udito o no, non ci fu nulla da fare. Il Re era già lontano.

 
 
~·~
 
 
Il nuovo anno era iniziato, le vacanze natalizie erano terminate. Lucy, Eustace e Jill erano tornati alle loro scuole, Edmund al suo lavoretto alla redazione del giornale di Finchley, e Peter alla sua università.
Da degno figlio di suo padre, il maggiore dei Pevensie aveva i voti più alti dell’istituto, suscitando l’ammirazione e l’invidia dei compagni. Quel che stupiva di più, era che Peter non dovesse nemmeno stare troppo sui libri e superava ogni esame con estrema facilità.
Spesso, i suoi amici si divertivano a prenderlo un po’ in giro, insinuando che venisse da un altro pianeta, o semplicemente che conoscesse già le risposte di tutti i test.
Nessuna delle due cose, rispondeva Peter sorridendo.
No, non credeva che il fatto di essere il Re Supremo di Narnia centrasse qualcosa con l’avere vinto due borse di studio e il torneo di scherma.
E va bene, doveva ammetterlo: in quest’ultimo aveva eseguito un paio di mosse imparate quand’era Re, e gli erano state utilissime per ottenere la coppa.
Non era barare, era semplicemente mettere in pratica ciò che aveva imparato.
Ma era qualche tempo che la sua concentrazione veniva disturbata da un pensiero costante derivante da un sogno, lo stesso da tante notti. Ogni volta che lo faceva, passava la nottata praticamente insonne, continuando a rigirarsi nel letto in uno stato di dormiveglia continuo.
Talvolta, nemmeno lui capiva con esattezza se stesse dormendo o no, tanto era reale quello che vedeva: Narnia avvolta nelle fiamme, il sole coperto da un’ombra di sventura, un esercito in marcia verso Cair Paravel.
L’ordine di questi eventi cambiava di volta in volta, e Peter non era in grado di capire quale fosse avvenuto prima e quale dopo.
In passato, Lucy e Susan avevano fatto sogni che poi si erano avverati, e allora perché non anche lui? Dopotutto, era il Re Supremo, e gli era stata affidata un’importantissima missione, la quale credeva di aver ormai portato a termine: aveva trovato la settima Amica di Narnia, e l’aveva trovata nella persona di Jill Pole.
Ormai non c’erano dubbi.
Dopo il giorno di Natale non l’avevano più incontrata, ma la ragazza e Lucy avevano mantenuto la promessa di scriversi, e lo facevano anche piuttosto spesso.
A ben vedere, quei sogni riguardanti Narnia erano cominciati proprio dopo le vacanze natalizie. Dopo aver conosciuto Jill.
Una coincidenza? Qualcosa gli diceva di no.
Che Aslan li stesse avvertendo di un pericolo imminente?
Non aveva mai incontrato Aslan nei suoi sogni, pensava che quel privilegio fosse concesso a Lucy e a lei soltanto, per il semplice fatto che – checché Lu ne dicesse – lei era la preferita del Grande Leone.
In realtà, Peter non era l’unico ad aver sognato Narnia. Anche a Edmund e Lucy era successo spesso; magari anche a Eustace, chissà.
Era più che normale: tutti volevano tornarci, perché a tutti mancava casa propria. Anche Helen e Robert ne avevano nostalgia.
Era passato tanto di quel tempo…
Durante il sogno, la preoccupazione e i pensieri di Peter erano ovviamente rivolti a Susan, Caspian, i suoi nipoti, gli amici più cari... e a Miriel, il suo bellissimo fiore.
Le aveva promesso di sposarla presto, ma non si vedevano da…quanto tempo era trascorso a Narnia?
Se laggiù stava accadendo qualcosa e Miriel e gli altri fossero stati in pericolo, lui doveva esserci, per starle vicino e proteggerla, per aiutarli tutti.
C’era una sola cosa che riusciva a calmarlo: una specie di litania che gli aveva insegnato il professor Kirke.
“Narnia, Narnia, Narnia. Ama. Pensa. Parla”
Peter si ripeteva spesso quelle parole, ad alta voce o nella mente. Era il comando che Alan aveva dato alla terra prima di crearla. E la terra aveva obbedito. Glielo aveva raccontato il professore: lui aveva assistito alla nascita di Narnia.
Poi, una sera, il sogno cambiò.
Di solito, Peter si trovava a fare da spettatore. Quella volta, invece, lo visse in prima persona.
C’erano sempre le fiamme, il sole nero e il suono degli stivali dei soldati che marciavano, ma queste immagini e questi rumori svanirono presto, cedendo il posto alla tranquillità di un prato immerso nell’oscurità.
La luce della luna piena bagnava le acque di un piccolo laghetto. Ogni tanto, una nuvola passeggera copriva il satellite facendo piombare il paesaggio nell’oscurità.
Poteva essere Prato Ballerino. Riconosceva la caratteristica delle foglie degli alberi- e di giorno anche dei fiori- che parevano davvero ballare al più leggero alito di vento.
Peter avanzò ancora nella piccola radura e d’un tratto si bloccò. Al di là del laghetto, un’ombra usciva dagli alberi.
“Chi è là?” chiese il Re Supremo, non riuscendo a scorgere il nuovo ospite (o l’ospite era lui?).
Poi, la nuvola si scansò dalla luna, e l’ombra prese colore e forma. Guardò Peter con un sorriso, per nulla stupito di vederlo, aspettando che lo riconoscesse.
Il ragazzo invece era a dir poco sbalordito.
“Aslan!”
Erano uno di fronte all’altro adesso, potevano raggiungersi facendo solo pochi semplici passi, e invece rimasero fermi dove si trovavano.
“Ben trovato, figlio mio”
Peter e il Leone si sorrisero e infine si decisero ad avvicinarsi l’uno all’altro.
Quando si fermò davanti a Felino, il giovane corrugò la fronte. “Sono a Narnia?”
“Sì e no” rispose Aslan, ripiegando le zampe posteriori per sedersi sull’erba. Anche così era più alto di Peter.
“Sto sognando, vero?”
Gli occhi azzurri dell’umano si immersero in quelli dorati della creatura.
“C’è un sottile confine tra sogni e realtà, Figlio di Adamo, un limite che alcuni percepiscono e superano, altri no”
Come sempre, Aslan parlava per enigmi, ma Peter in qualche modo capì cosa cercava di dirgli. Lo intese nel momento in cui si rese conto che attorno a loro non v’erano traccia dei tipici suoni del bosco. Niente insetti, uccelli o animali, solo il lievissimo scrosciare del laghetto e il respiro di Aslan. Quel luogo non era Prato Ballerino, lo sembrava soltanto.
“Vieni, Peter, devo mostrarti una cosa” disse poi Aslan, alzandosi di nuovo e invitandolo a seguirlo lungo il sentiero tra gli alberi.
Benché il ragazzo avesse fretta di scoprire cosa succedeva e perché era lì, comprese non c’era nessuna urgenza. Molto probabilmente il tempo non scorreva laggiù dove si trovava. Lo capì quando uscirono da Prato Ballerino, dove il resto del bosco veniva attraversato da una strada lastricata di piastrelle colorate, che saliva verso un montagnola la cui cima era coperta dalle nuvole.
Peter lo riconobbe subito: era il monte sacro del Grande Leone, dove si trovava la Tavola di Aslan.
“Saliamo” disse quest’ultimo, camminando fianco a fianco con il Re Supremo.
“Allora è vero?” disse Peter. “Sta accadendo davvero quello che ho visto nel mio songo, è così? Per questo sei venuto da me”
“E’ già accaduto” rispose il Leone in tono grave.
“Già accaduto?” fece il ragazzo, nella sua voce una preoccupazione immensa. “Aslan, ti prego, parla!”
Aslan tirò un lungo sospiro che sfociò in un brontolio. “Le immagini parleranno da sole”
Quando furono sulla cima del monte, Peter credette di venire condotto alla Tavola, ma non fu così. Il Leone lo portò sulla vetta più estrema e insieme volsero lo sguardo verso il basso.
Un sogno? No, quello era un incubo!
“Era vero” mormorò il Re Supremo, osservando sgomento il paesaggio sotto di sé.
Non si chiese perché vedesse Cair Paravel mentre si trovava sul monte di un isola dall’altra parte di Narnia. Tutto quello che voleva sapere era perché soldati in divise bianche e rosse gremivano la reggia di Narnia, il ponte distrutto, la città sotto assedio, la bandiera di Calormen sulla torre più alta.
Cercò l’incendio, ma ricordò che quel che aveva visto era già accaduto, come aveva detto Aslan.
Ma allora…
“Da quanto Calormen è a Narnia?” chiese Peter, voltandosi verso il Leone.
Egli guardava il ragazzo con aria molto seria. “Da un po’, caro figlio. Da un po’. Per questo dovete partire subito: il Re e la Regina hanno bisogno del vostro immediato aiuto. Non c’è tempo da perdere, e tu sai come funziona il tempo a Narnia”
“Scorre veloce” rispose prontamente il giovane.
Aslan annuì.
“Cosa devo fare?”
“Avverti immediatamente Edmund e Lucy. Prendete Eustace con voi e la sua amica Jill Pole”. Aslan alzò una zampa e la posò sulla spalla destra di Peter. “Sono molto fiero di te. Hai portato a termine la tua missione, Peter il Magnifico, Flagello dei lupi, Re Supremo di Narnia. Grazie a te, abbiamo una speranza in più”
Fu come se qualcosa di caldo gli scendesse nella gola, liberando il nodo che l’aveva costretta per tanto tempo senza che se ne rendesse conto. Un benessere che si propagò per tutto il copro, inondando i polmoni e aiutandoli a immagazzinare più aria, riempiendo il cuore.
Peter provò una commozione improvvisa, e sentì il peso di quella responsabilità scivolare via, lontano. L’aveva accettata senza lamentarsi in alcun modo ma, in fondo in fondo, non aspettava altro che svincolarvisi, per poter tornare a Narnia, da Susan, da Miriel.
“Ben fatto, Peter” concluse Aslan.
Quindi, il vento si alzò. Non piano piano, ma all’improvviso. Da quasi immobile, l’aria si scatenò in tutta la sua potenza e la voce di Aslan risuonò più forte nella notte.
“Ora và, è tempo di partire”
“Come arriveremo a Narnia, questa volta?”
“Tu e i tuoi fratelli vi dovrete incontrare con Eustace e Jill, solo allora il portale si aprirà”
Peter annuì, la bionda frangia scomposta dalle raffiche di vento. Voltò le spalle ad Aslan e corse indietro verso Prato Ballerino
E mentre correva si svegliò.
Ci mise un po’ per capire dove si trovava. Le braccia appoggiate su un libro di letteratura, alzò gli occhi e riconobbe la biblioteca dell’università.
“Ehi, Pevensie” lo chiamò un compagno, mentre una mano si posava sulla sua spalla. “Sonno arretrato?”
L’amico gli sorrise quando lo vide stropicciarsi gli occhi.
“Sì, credo” mentì Peter, chiudendo il libro con un tonfo. Poi si alzò afferrando il cappotto dallo schienale della sedia.
“Che fai?” chiese l’altro ragazzo. “Tra mezz’ora abbiamo l’esame”
“Credo di non poterlo sostenere”
“Scherzi?!”
Il Re Supremo guardò il compagno senza sapere come spiegare. “E’ una questione di vita e di morte, e no, non sto scherzando. Inventati tu qualcosa da dire ai professori, io devo andare. Scusami e grazie”
In tutta fretta attraversò la biblioteca, suscitando occhiate perplesse dagli altri studenti e una di disapprovazione dal bibliotecario.
Aveva ben altro per la testa che un esame universitario.
Alla prima cabina telefonica non perse tempo. Vi si fiondò all’interno e compose il numero della redazione nella quale lavorava Edmund. Tamburellò un paio di volte sopra l’apparecchio telefonico e poi la voce della segretaria rispose.
“Edmund Pevensie, per favore. Sono suo fratello, è urgente”
“Ah, salve Peter. Te lo passo subito”
Attese un paio di minuti che parvero eterni. Poi, ecco di nuovo la voce della segretaria.
“Peter? Mi spiace, tuo fratello è uscito un momento. Tornerà a minuti credo. Visto che è così urgente, vuoi lasciarmi detto qualcosa?”
Peter imprecò a mezza voce.
Dove diavolo sei, Ed?!
“Sì, grazie: gli dica di tornare immediatamente a casa”
La voce della segretaria si fece preoccupata. “Va bene, lo avverto subito appena torna”
“Grazie”
Pete riattaccò ed uscì dalla cabina.
Cosa fare? Tornare a casa e aspettare Edmund? Quanto ci avrebbe messo? Aslan aveva detto che dovevano partire subito, non poteva aspettare a lungo.
Non c’era altro modo: doveva pazientare e aspettare che Ed rientrasse, sperando che ricevesse il suo messaggio quanto prima. Poi, insieme sarebbero passati a prendere Lucy a scuola.
Proseguì dritto verso Main Street e attraversò il centro della città, di nuovo correndo. Non si era nemmeno premurato di abbottonare il cappotto e allacciarsi la sciarpa, aveva persino lasciato la borsa e i libri in biblioteca.
Pazienza, li avrebbe recuperati.
Svoltando l’ennesima strada, ormai vicino a casa, vide un ragazzo e una ragazza correre verso di lui.
Erano Edmund e Lucy.
Ma Ed non poteva essere già stato avvertito dalla segretaria ed essere arrivato lì così presto. E poi Lu…lei avrebbe dovuto essere nel bel mezzo delle lezioni del mattino.
I tre fratelli si fermarono uno di fronte agli altri, ansimanti.
Edmund si piegò sulle ginocchia. “Appena…torniamo a Narnia…devo riprendere...gli allenamenti” boccheggiò.
“Come avete saputo?” chiese Peter con un sorriso stupito.
Il primo a rispondere fu Edmund. “Stavo andando a bere un caffè con degli amici, quando ho visto come un lampo di luce attraversare la strada e ho capito che era Lui. Sono tornato indietro di corsa”
“Non sei più passato in redazione?”
“No, perché?” chiese il Giusto, mentre si raddrizzava.
“Ti ho telefonato là per avvertirti. Oh bè, non importa”
“E io” disse Lucy, le guance accese per l’emozione e per la corsa, “ho visto Aslan riflesso nel vetro della finestra della mia classe. Ho finto di star male per essere mandata in infermeria. Da lì non è stato poi tanto difficile sgattaiolare fuori dalla scuola”
Peter fece un sorrisetto a metà tra il divertito e il rimprovero. “Se ti espellono a cinque mesi dal diploma, mamma e papà si prenderanno un colpo, ma stavolta sul serio”
“Oh, Peter! Non farmi sentire in colpa, ti prego”
Peter l’abbracciò.
Ora, Il Giusto e la Valorosa fissavano attentamente il fratello maggiore: aspettavano che dicesse qualcosa.
Ambedue, vedendo Aslan, avevano subito capito che doveva essere accaduto qualcosa a Narnia, e che il Leone fosse lì per dir loro che era tempo di una nuova missione. Aslan li aveva fissati negli occhi, in un muto comando di lasciare qualsiasi cosa stessero facendo e seguirlo.
Era stato Aslan a guidarli da Peter.
Fermi in mezzo al marciapiede, ascoltarono il Re Supremo mentre narrava di nuovo loro il suo sogno, e in aggiunta riferiva il suo discorso con Aslan e ciò che gli aveva detto di fare.
“Allora andiamo alla stazione” disse Edmund, muovendosi in quella direzione “Dobbiamo andare subito da Eustace”
“Aspetta” lo fermò Lucy. “Prima dovremmo avvertire mamma e papà, non ti pare?”
“Non penso sia una buona idea” disse Peter. “Papà di sicuro insisterà per venire, senza contare l’angoscia in cui faremmo piombare mamma quando saprà che Susan è in pericolo”
Lucy si portò le mani alla bocca pensando a Susan, Caspian, Rilian, Myra, Miriel…Emeth.
“E allora?” chiese titubante.
“Non glielo diremo” Peter guardò Edmund, il quale fu d’accordo con lui.
Il Giusto mise una mano sulla spalla della sorella. Ai suoi occhi era sempre la piccola Lucy, la sorellina da proteggere e rassicurare. Anche Peter la pensava così.
“Gli racconteremo tutto quando torneremo”
“Va bene” disse infine la ragazza. “Allora andiamo. Andiamo a Cambridge”
 
 
 
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Il serpente era balzato loro addosso e li aveva stretti tra le spire tanto da fargli mancare il respiro. Avano visto i loro genitori sconfitti dai colpi tremendi inferti dal mosto con la sua orrenda coda, e in un attimo si erano trovati dalla luce del sole al buio più nero.
Per un momento, con il terriccio che andava loro negli occhi e nelle narici, Rilian e Myra non erano più riusciti a verde né respirare. Quando però la terra si era richiusa sopra le loro teste e davvero era stata solo oscurità, si erano messi a gridare aiuto ancora più forte di prima.
Myra piangeva più che gridare, stretta stretta al fratellino, il quale cercava di essere coraggioso ma il cui viso era coperto di lacrime, come quello di lei. 
Il mostro li trascinò giù, sempre più giù, nei meandri del mondo, forse nel entro esatto di esso.
Per un secondo che fu uno, Rilian s’immaginò di poter scorgere il grande nucleo incandescente del quale aveva sentito parlare dal dottor Cornelius. Ma non vide proprio nulla: c’era sempre e solo il buio.
Fu angosciante sapere di stare avanzando eppure non rendersene conto.
Il serpente li teneva sempre tra le spire, lasciando che il suo corpo scivolasse sulla terra, sulle rocce. Quando infine si fermò, allentò la presa su di loro, ma non li lasciò andare come avevano sperato. Sentivano il suo corpo strisciare in tondo, il sibilo sinistro, il bagliore dei suoi occhi che era l’unica fonte di luminosità.
Ora cosa sarebbe successo? Li avrebbe divorati?
Cosa avrebbe pagato, Rilian, per essere coraggioso e abile nel combattimento come lo era stato suo padre poco prima, accorrendo a salvarli senza nemmeno una spada. Se fosse stato più grande solo di un paio d’anni, avrebbe smesso subito di piangere e avrebbe protetto sua sorella, combattendo contro il serpente.
“Aiuto…Aiuto” singhiozzava Myra, il viso nascosto dai capelli.
Il serpente fece uno scatto verso di loro e i due gemelli indietreggiarono automaticamente. Ma non vedevano dove andavano e incespicarono nei propri piedi, rischiando di cadere e farsi male.
Un altro scatto e gli occhi del rettile brillarono più sinistramente che mai, la bocca enorme si aprì, minacciosa, come era accaduto nella radura. Ma qualcosa gliela chiuse di colpo e il serpente si dimenò dal dolore.
I due bambini osservarono con occhi sbarrati la scena che venne dopo.
Ci fu un bagliore verde e la caverna (o in qualsiasi luogo si trovassero) s’illuminò. Una lunga asta appuntita di colore oro trapassava il muso della bestia dall’alto verso il basso. Il serpente dimenava a più non posso la grande testa piatta, cercando di levarsela.
Entrò nel loro campo visivo una nuova figura: una persona (non seppero subito dire se uomo o donna), che estrasse una lunga spada e si mise a combattere contro di lui. In pochi minuti, l’aveva annientato.
Una volta che il mostro si fu accasciato a terra, e dopo essersi assicurato che non si muovesse più, il nuovo venuto recuperò l’asta dorata dal suo muso.
Il serpente ebbe un ultimo spasimo e il principe e la principessa strillarono ancora.
Fu allora che lo sconosciuto si voltò.
Era una donna, avvolta in un elegante mantello verde scuro, l’ampio cappuccio alzato e due guanti di velluto nero ornati da gemme preziose sui polsi. I suoi occhi azzurro ghiaccio osservarono con curiosità i due bambini.
“Che ci fanno due scriccioli come voi in un posto come questo?” chiese con voce soave.
Immediatamente, Rilian e Myra provarono un brivido, subito dopo sostituito da un senso di sollievo. La voce della donna aveva un tono pungente, ma sembrava gentile.
Fratello e sorella non si mossero, rimanendo là a fissarla sbalorditi. Non tanto perché si stavano chiedendo che ci facesse una donna così ben vestita chilometri e chilometri sottoterra, ma soprattutto come avesse fatto a sconfiggere quel serpente enorme in così poco tempo e con tanta facilità.
“Piccina, non piangere” disse la donna rivolta a Myra, chinandosi accanto ai bambini, posando da parte l’asta d’oro e la spada.
“Voglio mamma. E papà” singhiozzò la principessa. “Voglio andare a casa!”
“Oh, poveri cari”
La donna abbassò il cappuccio, sorridendo, liberando una cascata di capelli biondi che le scendevano sulle spalle e sulla schiena, toccando quasi terra. Rilian rimase a fissarla a bocca aperta. Donna più bella (eccetto sua madre, ovviamente) non aveva mai veduto.
“Chi sei?” non poté fare a meno di chiedere.
La signora, che stava cercando di alzare il viso di Myra posandole una mano sotto il mento, si voltò verso di lui e fece un altro sorriso, scoprendo denti bianchissimi e perfetti.
“Sono la Regina del Mondodisotto”
“Una regina?” esclamarono ammirati i gemelli.
Myra smise immediatamente di piangere e rialzò la testa, tirando su col naso.
La signora rise. “Non è educato far così, per una damigella”
La bimba arrossì di vergogna.
“Come hai fatto?” chiese Rilian. “Cioè, come avete fatto, a sconfiggere il serpente?” si corresse subito, rivolgendosi a lei come gli era stato insegnato quando si aveva a che fare a persone di alto rango.
La donna sorrideva sempre, ma stavolta non rispose. “Da dove venite, piccini?” chiese invece.
“Da lassù” rispose Myra, indicando il soffitto. “Da Narnia”
“Ah, Narnia. Non ci sono mai stata”
“Mai?!” chiesero in coro i gemelli.
“Purtroppo no. Raggiungere il Mondodisopra è assai difficoltoso”
“Oh no, allora noi come faremo a tornarci!” esclamò Rilian. “Dobbiamo assolutamente risalire! Il nostro papà e la nostra mamma saranno preoccupatissimi per noi!”
“Già!” fece Myra, gli occhi già di nuovo lucidi. “Quell’orrido serpente ha aggredito prima me e mio fratello, e poi i nostri genitori, e anche Destriero! Maestà, per favore, aiutaci a tornare da loro! Vogliamo andare a casa!”
La Regina fece un’espressione mortificata, e anche i suoi occhi s’inumidirono all’improvviso. “Oh, piccina, non sapete come mi dispiace”
Rilian e Myra la guardarono fisso, e così fece lei.
“Il vostro papà e la vostra mamma non ci sono più. Il serpente li ha uccisi”

 
 
 
 
 
 
 
Eccomi  a voi con il nuovo capitolo!!! Piuttosto introspettivo per quanto riguarda Susan e un pò meno per Caspian, ma il prossimo sarà il contrario: ci sarà più spazio per lui e meno per lei. Da adesso in poi dovrò dividerli così, piango!!!!!!!!!!!!!!!!!! *.* Cosa ne dite: mi escono bene le parti introspettive?
Non ce l’ho fatta, ho dovuto far vedere tutti i protagonisti. Ci sono stati tutti, sono contenta!!! :D Bè, mancano Eustace e Jill, a dire il vero. Perdonatemi fans della Justill!
Questa storia diventa sempre più incasinata, non trovate anche voi??? Bene, bene, bene, non vedo l’ora di sentire i vostri commenti, e stavolta avete un bel po’ su cui argomentare.
Ah, non ho riletto, non ho avuto tempo: vi chiedo scusa se trovate molti errori... -.-
 
Passiamo ai ringraziamenti:
Per le preferite:
Aesther, aleboh, Araba Stark, battle wound, english_dancer, Expecto_Patronus, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, G4693, GregAvril2000, HikariMoon, Jordan Jordan, Joy_10, lucymstuartbarnes, lullabi2000,Mia Morgenstern, Muffin alla Carota, Mutny_Hina, oana98, piumetta, Queen Susan 21, Shadowfax, SweetSmile, TheWomanInRed e Zouzoufan7
 
Per le ricordate: Araba Stark, Cecimolli, Halfblood_Slytherin, mishy e Zouzoufan7
 
Per le seguite: Araba Stark, bulmettina, catherineheatcliff, Cecimolli, ChibiRoby,cleme_b , ecate_92, FioreDiMeruna, Fly_My world, Fra_STSF, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, JLullaby, Jordan Jordan, Joy_10, Judee, katydragons, Lucinda Grey, lucymstuartbarnes, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_ , piumetta, Queen Susan 21, Revan93, Shadowfax e Zouzoufan7
 
Per le recensioni dello scorso capitolo: battle wound, GossipGirl88,  Halfblood_Slytherin, Joy_10, piumetta, Queen_Leslie, Queen Susan 21 e Shadowfax


Angolino delle Anticipazioni:
Penso di riuscire ad inserire tutti i personaggi anche nel prossimo capitolo, quindi:
Sulla Terra, i Pevensie sono prossimi al ritorno a Narnia: riusciranno ad avvertire Eustace e Jill e a partire con loro, o ci sarà un imprevisto?
A Narnia, Caspian sta correndo in groppa a Destriero a salvare Susan: arriverà prima che lei si trasformi? E ce la farà a liberarla dalle grinfie di Rabadash???
IMPORTANTISSIMO: l’avrete certamente capito, ma vi tranquillizzo ancora: tra Sue e il principe non c’è stato nulla!!!!!!!!!!!!
Infine, nel Mondodisotto, vedremo come la Strega Bianca sta circuendo i gemelli, e cosa faranno loro dopo la terribile notizia che hanno ricevuto.

 
2 Annunci: Il primo, per chi non lo sapesse ancora, è che ho iniziato a scrivere una short fic su Narnia dal titolo “A Fragment Of You”, con protagonisti ancora una volta i nostri Suspian (ma che strano….XD) Vi aspetto anche là!!! Anzi, ne approfitto per ringraziare battle_ wound, Joy_10, e Shadowfax che l’hanno già letta e anche recensita!!!
E in più, ho il piacere di annunciarvi che anche Night&Day, come Queen, è entrata nella sezione "Storie più poploari" del fandom di Narnia!!!! Grazie a tutti voi!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

 
Come sempre, vi ricordo che potete trovare gli aggiornamenti di Night&Day e della nuova storia sul mio gruppo facebook Chronicles of Queen
E anche per questa settimana ci salutiamo! Statemi bene cari lettori, e grazie ancora per l’affetto e il sostegno che mi dimostrate!!! Se non fosse per voi non sarei qui.
Vi adoro tutti!!!!!!!!!!!!!!!
Un bacio enorme,
Susan♥

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Capitolo 12
*** Capitolo 12: Dentro la foresta e dietro la palestra ***


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12. Dentro la foresta e dietro la palestra
 
 
Sono così stanca di stare qui,
Oppressa da tutte le mie paure infantili
E se devi andartene
Vorrei che tu te ne andassi e basta
Perché la tua presenza rimane qui
E non mi lascerà da sola

 
 
Susan e Shira parlarono tutta la notte.
Grazie all’imprudente lingua chiacchierona di Tisroc, il falchetto poté riferire alla Regina moltissime cose riguardanti sia le sorti degli amici, che del misterioso sortilegio che aveva colpito il Re.
“Sono dovuta tornare per forza da Tisroc, non posso permettermi che sospetti di me”
Shira raccontò che l’Imperatore l’aveva portata con sé e Lord Erton giù nelle prigioni. Tisroc era là per il dottor Galileo: aveva chiesto il miglior medico di corte per guidare una squadra di medici che si doveva occupare dei soldati feriti.
“Guarda, carina” le aveva detto, Tisroc. “Ecco i narniani in gattabuia, finalmente”.
Shira aveva visto Tavros, Rynelf, uno dei figli di Tempestoso, i Lord di Telmar, il dottor Galileo, e tanti altri. Nessuno di loro aveva fatto una piega nel vederla, per non tradirla, perché tutti conoscevano il ruolo di spia che Shira ricopriva a Calormen.
“Drinian e Lora non c’erano, e nemmeno Tara e Clipse. Non so dove siano”
L’animale e la ragazza si fissarono.
“Quindi non sai nulla di Caspian?” chiese Susan.
“No, mi dispiace. So solo che durante l’incendio fittizio provocato da Miriel, lei, Pennalucida, Briscola e gli animali sono fuggiti nel bosco, che Lord Rhoop li ha raggiunti con il cervo, e lui sul dorso portava il corpo del…il lupo, insomma” si corresse Shira. Alla parola ‘corpo’ gli occhi di Susan si erano improvvisamente inumiditi.
“Maestà, siete davvero scura che Rabadash abbia…”
“So quello che ho visto, Shira: ho visto Rabadash calare la spada su di lui, e ho visto la lama insanguinata. Non vorrei credergli, ma come...come posso fare? Non posso uscire di qui e non posso sapere né fare nulla per Caspian! Mi sento così inutile!”
“No, non dite questo, Maestà!” Shira la guardò provando una stretta al suo cuoricino d’uccello.
“Ho paura di non riuscire a farcela” mormorò la Dolce. “Non ho più nulla per cui vale la pena vivere”
Vedere la sua Regina così disperata frenò per un momento il falchetto dal rivelarle la verità sino in fondo. Tuttavia, decise di continuare.
“Maestà, dovete sapere una cosa importante”
“Vuoi dirmi della maledizione, vero? Lo so” disse Susan, estremamente calma. “Rabadash me ne ha parlato. Dice che tra poco anch’io sarò colpita dal sortilegio. Ma se così fosse…oh, Shira, se sapessi di poter morire e raggiungere mio marito e i miei bambini…”
Il petto della Regina fu scosso dai singhiozzi.
“La maledizione non vi ucciderà, Maestà. Vi trasformerete soltanto”
“Diventerò anch’io come lui? Mi tramuterò in un…”
Susan ripensò a cos’era accaduto a Caspian. Rivide il suo corpo avvolto dalle ombre della notte e mutare da quello di uomo a quello di lupo.
“Non so cosa diventerete, ma so che voi vi trasformerete di giorno, e il Re di notte. Ho sentito Tisroc e Rabadash parlarne. Oh, sapeste come si divertivano quei maledetti! Il principe diceva che non vi permetterà mai più d’incontrarvi, finché avrete vita”
Susan rifletté. “Ma Caspian è…”
“Non lo è! Il Re non è morto, mia Regina, altrimenti perché Rabadash si sarebbe dato tanto da fare per tenervi separati?”
Shira provò e riprovò a persuadere la Dolce, e la ragazza cercò -anzi obbligò- la sua mente a credere a quelle parole: Caspian era vivo, da qualche parte, forse debilitato dalla maledizione, forse ferito da quel colpo infertogli da Rabadash, ma vivo, tratto in salvo in extremis da Lord Rhoop e dal cervo.
“Cercalo, Shira, ti prego. Fammi questo enorme favore”
“Tutto quello che desiderate, mia Dolce signora”
Allora, Susan prese il fiocchetto rosso di sua figlia Myra, slegandolo dal polso attorno al quale l'aveva avvolto, e lo assicurò attorno al gambo dle fore blu.
“Portagli questi, o trova qualcuno che lo faccia. Fagli sapere che sono qui. Che lo aspetto. E che lo amo”
E mentre Susan si alzava e si avvicinava al punto in cui la gabbia si affacciava su Narnia, il sole sorse.
La Regina Dolce sporse le braccia fuori dalle sbarre per aiutare Shira a spiccare il volo.
Un momento dopo fu scossa da un tremito e si accasciò a terra, una mano premuta sul cuore. Urlò, e il suo grido si trasformò nel richiamo acuto di un falco, le cui ali frullarono contro le sbarre della grande gabbia, mentre cercava di uscire e volare verso il cielo azzurro.
Azzurro, com’erano stati i suoi occhi.
 
 
La terra veniva smossa al passaggio del cavallo e del suo cavaliere. Piccole zolle di terra si staccavano dal suolo insieme a ciuffetti d’erba, nel ritmico battere degli zoccoli.
Un gruppo di talpe - spaventate dal frastuono soprastante- misero fuori le testoline dalla terra, chiedendosi chi mai facesse tutto quel fracasso a quell’ora del mattino.
Caspian e Destriero correvano come il vento, sfidando la velocità stessa. Il giovane, in piedi sulle staffe, il corpo inarcato in avanti sul collo del cavallo, di tanto in tanto strattonava le redini, saltando un tronco spezzato che ostruiva il passaggio, alzando spruzzi d’acqua mentre attraversavano un ruscello.
Gli animali muti fuggivano al loro passaggio; quelli parlanti si voltavano perplessi, alcuni ancora ignari di quel che era accaduto a Narnia il giorno precedente.
Caspian cercava di impedire al suo cuore di palpitare tanto furiosamente, certo che in quel modo non sarebbe riuscito a mettere in ordine le idee.
Ma poco importava il suo stato d’animo. L’unica cosa che doveva fare in quel momento era salvare Susan, non riprendersi il castello. Per questo ci sarebbe voluto del tempo, un piano preciso, rinforzi e sangue freddo. E al momento non possedeva nessuna di queste cose.
Ad ogni modo, per come si sentiva adesso, al solo pensare a lei nelle mani di quel pazzo principe del sud e immaginando i suoi bambini tra le grinfie di un serpente gigantesco (tra le due cose era più che sicuro ci fosse un nesso), avrebbe potuto benissimo sconfiggere tutto l’esercito di Calormen armato di un semplice coltellino da caccia.
Si lasciarono alle spalle gli alberi fitti per entrare in una radura esposta a occhi indiscreti. Nella mente del giovane affiorò il timore di poter essere avvistato dai soldati di Calormen, che quasi sicuramente gli stavano dando la caccia.
Se avessero visto lui, in poco tempo avrebbero trovato gli altri, proprio com’era accaduto con Lord Rhoop. Non doveva farsi vedere per nessun motivo: aveva già messo a repentaglio la vita dei suoi figli e quella di sua moglie, non avrebbe fatto lo stesso errore una terza volta con i suoi amici.
L’abbaiare dei cani fece fermare di colpo Destriero, che emise un nitrito d’allarme. Caspian gli sussurrò per calmarlo, facendolo voltare per nascondersi di nuovo tra gli alberi.
Il Re scese a terra e prese il muso del cavallo tra le mani, accarezzandolo, cercando di smorzarne il nervosismo. Udì di nuovo i latrati dei segugi, voci umane ancora piuttosto lontane.
Infine, vide ciò che aveva temuto: sbirciò dal tronco dell’albero dietro al quale si erano nascosti, e subito si ritrasse. I soldati di Calormen erano là.
I cani avrebbero potuto sentire il loro odore e mettersi ad inseguirli da un momento all’altro, così, Caspian afferrò le redini di Destriero, allontanandosi lentamente da quel punto, procedendo a piedi.
Cavallo e cavaliere rifecero all’inverso il sentiero appena percorso. Dopodiché, quando fu sicuro di trovarsi a una distanza di sicurezza, Caspian risalì in sella e procedé al passo per fare meno rumore possibile.
Assurdo: Cair Paravel era a meno di quindici minuti di strada, e lui non poteva avvicinarsi senza venire scoperto e catturato dalle guardie di Rabadash, pronte ad attenderlo al varco.
Avrebbe dovuto aggirarli e trovare un altro sentiero per giungere al palazzo.
Ma la stessa scena si ripeté altre due volte: Caspian e Destriero si trivarono costretti a rifare più volte lo stesso percorso. Si nascondevano, avanzavano, tornavano indietro. Cani e soldati erano ovunque, impegnati in una evidente caccia all’uomo. Cercavano lui. Cercavano gli altri: Miriel, Briscola, Lord Rhoop, e chiunque si fosse unito al gruppo. Erano ormai considerati come fuggitivi nel loro stesso paese.
Con ironia, Caspian immaginò Lord Erton mettere una taglia su ciascuno di loro. Uno dei vecchi passatempi del caro Duca, quando lavorava per Miraz, era proprio quello di dare la caccia ai narniani nascosti nelle foreste. Chissà, forse quei soldati erano lì per ordine di Erton e non di Rabadash.
Rabadash…maledetto, era tutta colpa sua!
L’eclissi, il serpente, il rapimento di Susan, quello di Rilian e Myra: tutti questi eventi erano collegati tra loro in qualche modo.
Caspian inspirò profondamente, cercando di non pensare di nuovo ai visetti spaventati dei suoi bambini.
Non li stava abbandonando. Decidere di correre da Susan prima che da loro non voleva dire questo. Una parte della sua mente – la più nascosta, la più oscura, la più pessimista– aveva scelto Susan perché temeva, e forse credeva, che per i piccoli potesse non esserci più speranza.
Caspian aveva tentato con tutte le sue forze di non far affiorare quel pensiero alla superfice, ma nella tensione di quel momento e con nessuno ad aiutarlo a tenere la mente occupata su altro, fu fin troppo facile permettergli di prendere il sopravvento.
Era la sua paura più grande. La paura dell’inevitabile, di scoprire che aveva perso anche loro.
Con tutta probabilità, non sarebbe stato in grado di abbattere quel serpente gigantesco nemmeno se avesse avuto Rhasador con sé, ma questa considerazione razionale non gli fu di alcun aiuto.
Ironia della sorte, se dietro le sembianze di quel serpente si fosse celata realmente la Strega Bianca, ci sarebbe stata la possibilità che Rilian e Myra fossero ancora vivi. A Jadis piaceva giocare con le persone, soprattutto con i reali di Narnia.
In quanto figli suoi e di Susan, di sicuro la Strega avrebbe odiato i gemelli quanto odiava lui e i Pevensie.
Ma se il serpente fosse stato solo un serpente…o comunque un mostro qualunque e non lei
No, non doveva pensarlo. Non poteva essere così.
Rilian e Myra erano sicuramente vivi, spaventati a morte, in lacrime, forse credendo che nessuno sarebbe corso ad aiutarli, nemmeno i loro genitori, ma infine avrebbero gridato i nomi di papà e mamma, e abbracciato forte lui e Susan non appena li avessero visti sopraggiungere per salvarli.
Perché era questo che Caspian avrebbe fatto: una volta salvata Susan, insieme a lei sarebbe andato in capo al mondo pur di ritrovarli.
Insieme. Non lui soltanto. Con lei.
Non aveva idea di dove fossero i bambini, se vicini o lontani, né di quanto tempo ci avessero messo per scoprire dove li avessero portati i loro rapitori. E sulla base di ciò, non poteva attendere troppo a lungo per liberare Susan. Non poteva lasciarla a Rabadash, era impensabile.
Doveva dunque pensare prima a una maniera per giungere da lei.
Credva già di sapere come fare. Il problema era non essere visti, ma con tutti quei calormeniani in giro…
Il Re di Narnia si voltò e tornò di nuovo tra gli alberi, per trovare l’ennesima strada che l’avesse portato verso Cair Parvel e allo stesso tempo lontano dai sodati.
A un certo punto, con suo gran stupore, vide un volto tra le fronde: era scuro, del colore della corteccia degli alberi. Lì per lì pensò ad un amadriade, in seguito si rese conte che non era così. Il volto aveva un copro, per metà uomo e per metà cavallo. Era un Centauro. Era…
“Tempestoso!” fece il Re in un’esclamazione soffocata.
Il Centauro fece un live cenno con il capo in segno di rispetto. Incredibile come anche in un momento come quello, mantenesse sempre il suo comportamento impeccabile.
“Da questa parte, Maestà” sussurrò, tornando indietro su un sentiero che Caspian aveva già percorso. “I soldati hanno già perlustrato questa zona, per un po’ non torneranno”
Tempestoso aveva pronunciato quella frase a voce un poco più alta, il che provò chiaramente che si trovavano in un punto sicuro della foresta.
“Mi fa piacere vedere che sei riuscito a scampare all’assedio” disse Caspian con sincerità. “Come sei riuscito a fuggire?”
“Quasi un miracolo, Maestà. Quando è crollato il ponte, noi Cavalieri eravamo là. E’ stato il finire in mare che ci ha salvati, probabilmente. Abbiamo raggiunto la terraferma a nuoto assieme ad altri compagni, ma dei Cavalieri dell’Ordine del Leone sono l’unico rimasto, insieme ai miei figli maggiori.”
“Che ne è della tua famiglia?”
“Hanno preso il più giovane dei miei ragazzi” rispose Tempestoso, la voce grave, lo sguardo smepre impassibile. “Mia moglie e gli altri due per ora sono al sicuro. Abbiamo amici nei pressi della Collina Segreta, li manderò là.”
“Dovresti andare con loro” suggerì il Re.
Il Centauro raddrizzò le spalle larghe. “Sono il generale dell’esercito di Vostra Maestà, non posso abbandonare né voi né il regno.”
Caspian rimase in silenzio.
“Non hai spina dorsale” gli diceva sempre suo zio. Forse aveva ragione.
Sì sentì un ragazzino egocentrico, il quale crede che tutto il mondo giri intorno a lui e ai suoi problemi, e se ne vergognò.
“Il vostro stato d’animo è più che comprensibile, mio signore” riprese tempestoso, che parve capire cosa gli passava per la mente. “Anch’io vorrei correre a liberare mio figlio, tuttavia mi è impossibile. Cair Paravel è circondata e la sorveglianza è strettissima. Prego solo Aslan che sia ancora vivo”
Il Liberatore abbassò lo sguardo a terra, stringendo le redini di Destriero in un gesto convulso.
Tutti sapevano cosa era meglio fare. Tutti cercavano di non cedere alle emozioni. E lui che era il Re, che per primo avrebbe dovuto dare sostegno ai suoi sudditi e parole di conforto per la grave situazione in cui si trovavano, si lasciava invece consolare da loro.
“Spero che quel che sto per mostrarvi potrà donarvi un po’ di forza” disse poi il Centauro, conducendo il Sovrano lungo un piccolo pendio tra gli alberi più fitti del bosco.
Arrivarono in prossimità del letto di un torrente ed iniziarono a risalirlo per diversi metri.
Infine, tempestoso si fermò e fischiò sommessamente. Poco dopo, un acuto grido d’uccello si levò nell’aria, e il frullare delle sue ali ne annunciò l’arrivo. Ancora un attimo, e Shira si posò sula spalla di Tempestoso.
Ma non era sola.
Il Liberatore osservò con una stretta al cuore altre tre o quattro figure uscire dagli alberi e avvicinarsi: per primo vide Drinian, che sorreggeva un esausto Cornelius, il quale gli tendeva le braccia. Caspian saltò a terra e corse incontro al suo precettore. Non gl’importò un bel niente di apparire vulnerabile: lo abbracciò, facendo poi lo stesso con il capitano del Veliero dell’Alba.
Assieme a loro vi erano Selva, la moglie di Tempestoso, e i loro due figli maggiori.
Caspian s’informò immediatamente sulla salute di tutti, soprattutto su quella di Cornelius: stavano bene. Stanchi, frastornati, ma sani e salvi, anche se il professore sembrava veramente debole.
“Non morirò, ragazzo mio, non ancora” tentò di scherzare quest’ultimo.
Caspian si rivolse a Drinian. “Lady Lora, è…”
“L’hanno presa. Durante l’assedio io ero al porto, come sapete. Sono tornato subito al castello, ero preoccupato per lei. Sono riuscito ad arrivare all’Antica Casa del Tesoro, dove Lora, Cornelius e le ancelle della Regina si erano nascosti. Le ragazze e il professore sono rimasti laggiù, in attesa, io e Lora volevamo cercare rinforzi per aiutare voi, Maestà, che sapevamo sareste arrivato presto. Ma non ci siamo riusciti. Ci siamo rifugiati sulla collina appena fuori dai confini del palazzo, dove siamo stati raggiunti da Shira. E’ stato terribile sapere che la Regina…”
“Cosa?!” proruppe immediatamente il giovane. “La Regina? Cosa è successo alla Regina? Drinian, parlate!”
“Lora voleva tornare indietro per aiutarla” continuò il capitano, “e io sono andato con lei. Ma Lord Erton ci ha scoperti: ho combattuto contro Lord Ravenlock e Lora è stata presa. I soldati erano troppi. Se non fosse stato per Tempestoso avrebbero catturato anche me”
“E Susan?”. Caspian volse lo sguardo attorno a sé. Tutti lo guadavano quasi con…sì, con compassione.
Susan…Susan era forse…?
“Che cosa è successo a Susan?!”
“La stessa cosa che è successa a voi, mio signore” disse infine Shira, sempre sulla spalla di Tempestoso. “Ricordate l’eclissi di ieri notte?”
“Certo che la ricordo” rispose prontamente il Liberatore, la fronte contratta, le mani tremanti, il cuore impazzito.
Voleva sapere dov’era la sua Sue, perché nessuno glielo diceva chiaramente? Cos’erano tutti quei misteri?
“Cosa ricordate di quanto è avvenuto dopo l’eclissi?” chiese ancora Shira.
Caspian fissava il falchetto senza capire.
Dove si fermavano i suoi ricordi? Al dolore…no, a qualche minuto dopo. Al viso di Susan, ai suoi occhi chiari spalancati dallo stupore mentre lo fissava piena d’angoscia.
Perché? Cos’era successo?
Shira si staccò dalla spalla del Centauro e si avvicinò a Drinian. Caspian la vide attendere mentre il capitano estrava qualcosa dalla tasca del farsetto, poi la prese nel becco e gliela portò.
Il Re tese il braccio e Shira vi si posò, mettendogli nell’altra mano il gambo piegato di un fiore dalla cui corolla pendevano un paio di petali blu, e al cui gambo era legato un nastro rosso chiaro.
Il fiocco di Myra e il fiore di Susan.
Susan. Myra. Rilian.
La sua famiglia.
Perché…perché il fiore era spezzato? Chi aveva fatto una cosa simile?
Susan… dove sei, mio dolce amore?
Le era accaduto qualcosa. Lo sentiva. Ne era più sicuro che mai.
“La Regina voleva farvi sapere che era viva. Non sta bene, ma è viva” disse Shira con voce spezzata.
Caspian era immobile, la mano gli tremò. La chiuse delicatamente attorno al fiore e al fiocco.
“Ieri, durante quell’eclissi, voi vi siete trasformato” continuò il falchetto.
“Shira…” fece Cornelius.
“Deve saperlo!”
Era inutile tenere nascosta una cosa tanto importante al Re, decise Shira, anche se dagli sguardi degli altri capì che non erano d’accordo con lei. Volevano proteggere il Re, ma era da sciocchi volerlo difendere da qualcosa che era già accaduta. Così, come aveva fatto con la Regina, era pronta a dirgli tutto se lui avesse voluto ascoltarla.
“Vi prego, lasciatemi spiegare!”
Caspian fece un sospiro spazientito.
Stava perdendo troppo tempo con tutto quel parlare, ma sembrava davvero che Shira dovesse dirli qualcosa d’importante, di estremamente importante, ed era l’unica fino ad allora che sembrava non trattarlo come uno sciocco.
Tutti, da Briscola a Drinian, stavano cercando di persuaderlo a non tornare a Cair Paravel. Perché?
Parlando con C.P.A. quella mattina stessa, aveva avuto la sensazione che ci fosse qualcosa che il nano non aveva voluto dirgli. Caspian non si era chiesto cosa potesse essere, la mente occupata solo dal pensiero di Susan prigioniera di Rabadash, ma il comportamento di tutti lo aveva indotto a pensare giustamente che ci fosse effettivamente qualcosa che gli era stato tenuto nascosto.
Forse, Shira avrebbe potuto spiegarglielo, perciò decise di ascoltarla.
Si spostarono in un punto poco lontano dal resto del gruppo, che nel frattempo decideva sul da farsi.
Caspian sedette su un piccolo masso, Shira appoggiata sulle ginocchia.
“Rabadash ha lanciato una maledizione su di voi e su vostra moglie” iniziò il falchetto. “L’ho sentito mentre ne parlava con suo padre, l’Imperatore Tisroc. E non dirò ‘possa vivere in eterno’, perché spero che quel maledetto vecchiaccio tiri le cuoia domani stesso!”
Caspian avrebbe sorriso in un’altra circostanza, ma non adesso.
“Io…hai detto che mi sono trasformato?” chiese pensieroso.
“Sì, Sire: in un lupo, ieri notte, davanti agli occhi di tutti. La Regina era sconvolta quando ha assistito alla vostra trasformazione”. Caspian non fiatò. Incredibilmente, quella rivelazione non lo lasciò troppo sconvolto. Era come se già sapesse. Come se l’avesse sempre saputo, fin dal momento in cui aveva visto lo sguardo terrorizzato di Susan specchiarsi nel suo, la notte precedente. “Rabadash vuole tenervi divisi, vuole che viviate, ma senza che riusciate mai più a vedervi. Ha imprigionato la Regina, perché….bè, credo immaginiate il perché”. Il falchetto fece un verso di disgusto. “Attende il momento in cui la maledizione colpirà anche lei, sapendo che solo allora voi due non potrete davvero mai più rivedervi. Perché da oggi in poi, finché non troveremo una soluzione, voi vi trasformerete in un lupo, e lei in un falco, in ore alterne del giorno: quando l’uno sarà animale, l’altro sarà umano. E la Regina si è trasformata questa mattina stessa. Ho visto tutto, mentre volavo per venire a cercare voi Maestà, per consegnarvi il dono della vostra sposa. Rabadash le fa credere che siete morto, voi e i principini, e la povera Regina è completamente sopraffatta dal dolore. Mi ha chiesto di cercarvi e di farvi sapere che lei vi aspetta, e vi ama. Vi ama così tanto, Maestà!”
“Sei rimasta sempre con lei?” chiese Caspian, la voce un sussurro, senza sapere che emozioni stesse provando.
Non sapeva se era dolore, o rabbia, o semplicemente il nulla, quel senso di vuoto dentro il petto dove un tempo il suo cuore aveva battuto. Per Susan. Solo per lei.
“Sì. Ieri notte sono rimasta con la Regina tutto il tempo. E vorrei rassicurarvi su una cosa, Maestà: Rabadash non l’ha toccata. Non che non ci abbia provato, ma non c’è riuscito”
Caspian si mosse nervosamente.
“Credo che non possa, sapete? Rabadash, intendo” continuò il falchetto, tenendosi in equilibrio sul ginocchio del Re.
“Che vuoi dire?”
“Che per quanto ci proverà, non avrà mai la Regina. Aslan lo impedirà, ne sono scura”
Caspian fece un mezzo sorriso. “Sai, Edmund aveva ragione su di te, Shira: sai molto più di quello che dici”
“Fa parte del mio lavoro: le spie sanno tutto, ma parlano solo con chi devono”
Caspian la fece posare sul suo braccio e si alzò. “Dove si trova Susan con precisione?”
“Rabadash la tiene rinchiusa sulla Grande Torre. In una gabbia”
Caspian ci mise qualche secondo per registrare le ultime tre parole del falchetto.
“Che cosa hai detto?” scandì con voce più bassa del normale, ferma, dura, stringendo gli occhi in due fessure minacciose.
Adesso, per Rabadash erano guai. Guai seri.
Anche se non era riuscito a far del male a Susan, aveva comunque osato toccare sua moglie. E se credva di riprovarci di nuovo, sfiorarla anche solo con un dito, se aveva anche solo pensato di farlo, di metterle le mani addosso, Caspian poteva dimenticare volentieri di essere chi era e trapassare da parte a parte con la spada quel lurido bastardo.
Era figlio di Caspian IX, il Misericordioso, aveva sempre voluto essere come lui, in tutto e per tutto, ma in quel momento pensò che avrebbe voluto essere come suo zio. Dopotutto, nelle sue vene scorreva anche il sangue di Miraz, quindi, perché non poteva aver davvero ereditato qualcosa anche da lui?
In quell’istante, lo desiderò. Desiderò non avere una coscienza e infischiarsene altamente della bontà di cuore, pensando solo ad impugnare la spada e mettere fine a tutto quella storia assurda.
Se avesse ucciso Rabadash, tutto sarebbe finito.
Se l’avesse ucciso, avrebbe riavuto Susan e i suoi bambini, e il castello, Narnia. La sua vita.
Tutto sarebbe tornato alla normalità.
L’unica cosa che gl’impediva di commettere quell’omicidio, era il pensiero di quel che avrebbe detto lei se avesse scoperto che suo marito aveva ucciso a sangue freddo un altro uomo, anche se si trattava di un nemico.
Non l’avrebbe più guardato con gli stessi occhi.
Susan gli diceva sempre che la forza di un uomo non si misura dalla forza fisica, ma da quella del cuore. E lui aveva un cuore così grande da contenere tutto l’amore del mondo, per questo tutta Narnia lo amava, e lei cento volte di più, ed era fiera di lui, dell’uomo che era, di averlo con sé.
Dolce Susan…
Come avrebbe voluto averla lì con lui, ora, a consigliarlo, a sostenerlo, a dirgli di non commettere quella pazzia, anche se era per lei.
Se non afferrò Rhasador tra le mani e non risaltò sulla sella di Destriero, fu perché gli parve di udire la voce della sua Regina dirgli di fermarsi, perché se avesse ucciso in quel modo anche uno come Rabadash, se ne sarebbe pentito per tutta la vita.
Ed era vero.
Infine, Caspian e Shira tornano dagli altri.
Tutti attendevano le parole del Re.
In silenzio, senza guardare nessuno e ancora riflettendo, il Liberatore si avvicinò a Destriero, sistemandogli i finimenti e assicurandosi che avesse ricevuto acqua a sufficienza prima di riprendere a cavalcare.
“Tempestoso” disse infine. “Un tempo mi giurasti fedeltà, alla Casa di Aslan. Continuerai a mantenere quel giuramento?”
“Vostra Maestà non mi conosce se pensa il contrario. Servirò il mio Re fino alla fine dei miei giorni”
“Allora devi aiutarmi a trovare un modo per entrare nel castello”
“Tornare al castello?” disse Selva con un filo di voce.
“Esattamente” rispose Caspian, volgendo lo sguardo su tutti i presenti. “Cosa pensavate che stessi facendo qui? Una scampagnata?”
“So che vorreste andare dalla Regina” intervenne Drinian, cercando di persuaderlo. “Anch’io vorrei fare lo stesso con Lora, ma ora che il castello è sotto il controllo dei nostri nemici, sarà un suicidio!”
“Se non pensate di potercela fare, capitano, non vi costringerò a venire. Non sto obbligando nessuno. Voi tutti potete farvi guidare dagli spiriti degli alberi fino a dove sono nascosti Briscola, Miriel gli altri. Lo farò da solo: penso di conoscere bene il castello per riuscire a stare alla larga da chiunque voglia fermarmi”
“Sire, non si tratta solo del principe Rabadash, ma di centinaia di soldati, e di Lord Erton anche, che non aspetta altro che rinchiudervi nei sotterranei del castello”
Caspian fece una risatina. “Sul serio?”
“Non burlatevi del nemico, mio signore. Voi non sapete…”
E qui, Drinian s’interruppe e si scambiò uno sguardo nervoso con gli altri. Caspian, lo notò.
“Non so cosa, ancora?!”
“Avete visto anche voi quanto sia stretta la sorveglianza, sia attorno alle mura che nella foresta. Se entrate là dentro non ne uscirete vivo!”
Caspian alzò gli occhi neri su Drinian, scuotendo piano il capo. “Devo andare da lei”
“Lo so, Maestà, capisco come vi sentite, ma è una trappola, non capite?”
“Susan è là dentro, maledizione! Mia moglie, la madre dei miei figli, il mio amore, la mia vita! Voi sapete, capitano, cosa lei significa per me. Cosa sono disposto a fare per lei!”
Sì, Drinian lo sapeva. Aveva assistito personalmente ad ogni sorta di prova attraverso la quale l’amore del Liberatore e della Dolce era passato e aveva resistito. Sapeva cosa Caspian era capace di fare per Susan, quale tipo di amore univa quell’uomo e quella donna: un amore che non si piegava davanti a nulla e nessuno, nemmeno davanti alla Grande Magia. Un amore vivo, vero, tangibile, più forte ogni giorno che passava. E più tentavano di dividerli, più loro erano uniti.
Ma nonostante ciò, Drinian provò di nuovo a persuadere il suo Re.
“Insisto perché vi fermiate ancora un momento a riflettere”
“Basta, sono stanco che tutti mi diciate cosa fare” sbottò il giovane, rivoltandosi verso Tempestoso. “Allora, chi è con me?”
Subito, lui e Shira si mossero verso il loro Sovrano, e dopo un attimo anche i due figli del Centauro fecero lo stesso.
Caspian guardò Drinian, il quale si scambiò a sua volta un’occhiata con il dottor Cornelius e Selva. Questi due ultimi non dissero nulla, ma dalle loro espressioni corrucciate e preoccupate, si capiva che erano dello stesso parere del capitano: era una pazzia.
Ma la maggioranza aveva vinto.
“Quanto tempo ci vorrà per organizzarci?” chiese Caspian, mentre con tutti gli altri sedeva sull’erba consumando un veloce pasto freddo, rendendosi conto solo in quel momento di essere affamato come un...e va bene, come un lupo.
“Due giorni al massimo, Sire” disse Tempestoso con la sua solita calma.
Il Liberatore scosse il capo. “Non posso aspettare due giorni. Devo farlo oggi”
“Siamo troppo pochi, abbiamo bisogno di rinforzi” ripeté Shira per l’ennesima volta.
“Mi sembra di sentire C.P.A” replicò Caspian. “Dove pensate di trovare aiuto? Al suono del corno d’avorio nessuno ha risposto”
“Forse dovremmo indagare se Briscola e gli altri hanno ricevuto un qualche supporto” disse Selva.
“E’ vero, dovremmo avvertirli” aggiunse Shira. “Ecco i rinforzi che cercavate, Maestà. Ho ragione o no? Briscola e gli altri ci saranno di grande aiuto. Dovrete accontentarvi se non volete aspettare ancora.”
Per un nano secondo, Caspian pensò che in qualunque animale Susan avesse dovuto trasformarsi, che non fosse un falco! Se erano tutti stizzosi e irritanti come Shira…
“Posso andare io a raggiungere il gruppo di Briscola, se volete” si propose Selva.
“Non so se li troverai ancora dove li ho lasciati” rispose Caspian. “Avevano programmato di andare verso sud, a Prato Ballerino. Forse sono già partiti”
“Non credo che l’abbiano fatto, Maestà” disse il dottor Cornelius. “Nessuno di noi vi abbandonerà mai, lo sapete bene”
Caspian strinse la mano che il vecchio precettore gli posò sul braccio.
“Scusatemi. Avete ragione. Va bene: Selva, puoi andare, ma non da sola”
“Porterò i miei figli con me” rispose la moglie di Tempestoso, lasciando in fretta la radura.
Ormai era passato il mezzogiorno.
Una mattinata sprecata, pensò Caspian, ma era vero che non poteva agire di fretta e da solo.
Pazienza, si ripeteva. Devo avere pazienza.
Doveva riflettere, doveva pensare a tutte le possibilità di fallimento per poterle evitare, e questo richiedeva tempo.
“Pensavo di entrare nel castello tramite il passaggio segreto che porta nelle stanze della Regina Lucy” disse il Re, tracciando sul terreno una molto approssimativa piantina del castello con un rametto. “Porta fuori dai confini dei giardini, e spunta nel bosco sulla spiaggia al di là dell’isola dove sorge la cittadella”
Gli altri assentirono.
Sembrava l’unica soluzione, d’altra parte: non c’era modo di entrare in Cair Paravel se non quello di attraversare il tratto di mare che divideva l’isola dal resto della città con un’imbarcazione. E ciò era impossibile per loro, dato che sarebbero stati avvistati e riconosciuti immediatamente.
Fecero piani per tutto il pomeriggio. Verso sera, Selva e i suoi figli furono di ritorno, portando notizie di Briscola, Miriel e gli altri.
Proprio come aveva pronosticato Cornelius, Caspian seppe che nessuno aveva avuto intenzione di partire verso sud, non senza il Re.
“Arriveranno qui entro stanotte” lo informò Selva. “Se voi siete pronto, Maestà, per domani mattina potremo patire alla volta del castello”
“Sì” disse Caspian, la voce piatta. “Quando tornerò me stesso”
I centauri, il falchetto, Drinian e Cornelius, non seppero cosa rispondere, e preferirono rimanere in silenzio.
Il tramonto si avvicinava, e presto sarebbe avvenuta una nuova trasformazione.
Caspian, ora che sapeva cosa gli sarebbe successo di li a meno di due ore, si stupì di scoprirsi estremamente calmo all’idea di riprendere le sembianze di lupo.
Sarebbe stato così per molto tempo, aveva idea. Shira gli aveva parlato della maledizione, ma non di una contro maledizione, che probabilmente non esisteva.
“Perdonatemi, amici” disse, mentre le ombre prendevano il sopravvento sulla luce. “So di essere stato arrogante e alquanto irascibile, quest’oggi.”
“Mio caro ragazzo” rispose Cornelius, “nelle ultime quarantott’ore sono accadute così tante cose alle quali nessuno di noi era preparato, e alle quali non siamo stati in grado di far fronte. Ma domani, Maestà, sarete di nuovo insieme alla vostra Susan, e io so che allora troverete la forza che vi è mancata in queste ore. Riposate, adesso”
Caspian ringraziò di cuore per le parole di conforto, che donarono un po’ di ristoro al suo animo in subbuglio.
Sì, domani...Domani C.PA. e Miriel sarebbero arrivati con i rinforzi, e lui e Susan sarebbero stati ancora insieme, in un modo o nell’altro.
Non l’avrebbe mia lasciata. Mai. Qualunque cosa fosse successa...qualunque aspetto lei avesse.
Infine, Il Re di Narina s’incamminò attraverso gli alberi, lasciando il piccolo accampamento allestito dagli altri per la notte.
Attese che la luna sorgesse, e quando l’ultimo bagliore di luce sparì tra le nubi, l’ululato del lupo si alzò nel cielo nero come il suo manto.
 
 
“Bugiarda!” esclamò Rilian. La sua voce riecheggiò tra le pareti di roccia della grotta silenziosa. “Sei una bugiarda! I nostri genitori non sono affatto morti!”
Il piccolo principe sentì che aveva di nuovo voglia di piangere, sentì la collera montare dentro, tutta la sua ammirazione per la bella Signora vestita di verde scomparsa.
“Q-quando il serpente ci ha portati qui sotto, erano vivi! Li ho visti!”
La Signora dalla veste Verde lo studiò con i suoi occhi chiarissimi, un’espressione in cui c’era quasi una sorta di tenerezza.
 “Raccontatemi com’è andata” li esortò la donna con gentilezza.
Stentatamente, i bambi ripercorsero quel momento spaventoso, da quando avevano veduto il mostro in riva al fiume, fino a quando i genitori erano stati colpiti da esso.
“Ah, ecco” mormorò la Signora. “Sì, dev’essere stato allora. Avete detto che li ha colpiti entrambi, vero?”
“Si, ma…” balbettò Myra, tremando come una fogliolina. “Ma papà si è rialzato, e ha cercato di impedire al serpente di portarci sottoterra. Quindi lui non è…m-mor…”
“Non dirlo, Myra!” esclamò Rilian
Lei trasalì, guardandolo sbalordita.
Erano piccoli, ma sapevano la morte che significava. E per quanto tentassero di non credere alle parole della Signora dalla Veste Verde, non riuscivano a sfuggire ai suoi occhi fissi nei loro. Non batteva ciglio.
“Poveri piccoli” disse quest’ultima. “So quanto difficile sia da accettare”
“NO! NO!” gridò Myra, portandosi le mani alle orecchie per non udire altro.
“Dovrete essere coraggiosi. Il vostro papà e la mamma avrebbero voluto che lo foste. Io li conoscevo, sapete?”
Con la sua voce calma, il tono persuasivo, la commozione nello sguardo, la Strega Bianca riuscì di nuovo a catturare tutta l’attenzione dei gemelli.
“Davvero li conoscevate, Maestà?” chiese Rilian.
“Non bene, purtroppo. Sono certa che abbiano combattuto coraggiosamente per salvarvi, ma questa creatura, questo serpente” disse, indicandolo alle proprie spalle, “proviene dal Mondodisotto, e non potevano sconfiggerlo. Le creature che vivono quaggiù sono molto più forti di quelle che stanno nel Mondodisopra. Mio caro, tu prima mi hai chiesto come sono riuscita ad uccidere il serpente. Ebbene, proprio per questo motivo: perché sono la Regina di questo mondo sotterraneo e ne conosco gli abitanti. Anch’io sono più forte degli uomini che vivono lassù, e anche le mie armi sono più potenti delle spade che usano di solito i cavalieri del Mondodisopra”
“Ma allora” fece Rilian, gli occhi azzurri smarriti, “allora non potremo più rivederli. La mamma, e il papà…”
“E non potrete nemmeno tornare a casa, tesori” aggiunse la Signora, celando il divertimento che provava vedendo che ormai i bambini erano alla sua mercé. “La vostra casa, il vostro castello, è stato attaccato da uomini molto, molto malvagi. Vi stanno dando la caccia. Se tornate lassù, vi prenderanno e vi uccideranno”
Rilian e Myra tremarono, stringendosi ancora l’uno all’altra.
“Non temete, non lo permetterò” li rassicurò subito la Signora, allungando le braccia e traendoli a sé. “Mi prenderò cura di voi.”
“Ma a Narnia abbiamo tanti amici che possono aiutarci” replicò Rilian, alzando il viso per osservare quello della donna.
Lei scosse il capo, e lacrime simili a ghiaccio scivolarono lungo le sue guance pallide. “No, caro, nessuno è rimasto”
Nessuno.
Più nessuno, nemmeno Lady Lora, né Miriel, il dottor Cornelius?
Come se avesse letto loro nel pensiero, la Regina del Mondodisotto scosse nuovamente il capo.
Nessuno.
Erano soli al mondo, ormai.
Myra e Rilian si strinsero alla Signora, che subito li avvolse con il suo mantello caldo.
Anche la sua pelle era calda, ma un momento prima soltanto, avrebbero giurato che fosse gelida come neve. Ma il gelo percepito proveniva in realtà dalle gallerie di pietra che si aprivano sull’immensità del Mondodisotto, tra le quali spiravano raffiche di aria fredda.
La Signora dalla Veste Verde sollevò i due bambini senza sforzo, e tenendoli in braccio si allontanò dalla carcassa del serpente, imboccando una delle gallerie.
“Mullughuterum!” chiamò poi.
Rilian e Myra sbirciarono nel buio per vedere cosa sarebbe successo ora, aspettandosi di veder spuntare qualcuno.
A pensarci bene, però, chi mai poteva possedere un nome tanto strano? Forse, quella strana parola apparteneva alla lingua del Mondodisotto, oppure era la formula di qualche sortilegio.
Dopo un attimo, venne fatta luce ai loro dubbi.
Si udì un rumore di ruote, come di un grande carro, e i gemelli videro apparire un alone di luce verde-blu dal fondo della galleria. Man mano che si avvicinava, poterono vedere che il rumore apparteneva alle ruote argentate di una splendida ed enorme carrozza dello stesso colore, così enorme che avrebbe anche potuto contenere un elefante. Era trainata da quattro bizzarre creature cornute: animali de Mondodisotto, immaginarono. Il cocchiere era invece di aspetto simile a un uomo, ma non lo era.
Era lui Mullughuterum, non c’erano dubbi, e a dirla tutta quel nome gli calzava a pennello, perché il proprietario era strano quanto lui. Anche da seduto, si notava che era molto alto, pallido in volto, gli occhi scuri estremamente tristi. Se il suo sguardo – che si posò sui gemelli non appena la carrozza si fermò – fosse stato più cupo, più ostile, Rilian e Myra ne avrebbero avuto paura. Invece, provarono molta pena per lui.
“Cosa gli è successo?” chiese Myra, mentre saliva i tre gradini della carrozza.
“Come, cara?” La Signora non capì la domanda.
“Cosa può essergli successo di tanto brutto per essere così infelice?” domandò ancora la bambina, gli occhi nocciola fissi su Mullughuterum.
“Assolutamente nulla. Quella è la sua naturale espressione” rispose la Signora, lanciando un’occhiata di disgusto al suo cocchiere. “Ora sali, cara, non perdiamo tempo. Sarete molto stanchi. Una volta che saremo al mio palazzo potrete riposare e mangiare un pasto caldo”
Quando i bambini videro l’interno della vettura, ne rimasero sbalorditi e affascinati. Era spaziosa, illuminata da due lanterne poste sopra i sedili imbottiti di velluto nero sui quali si accomodarono, mentre la Signora si arrampicava dietro di loro. Lo sportello si richiuse da sé.
“Partiamo” disse lei.
I gemelli udirono lo schiocco della frusta e la carrozza iniziò a muoversi.
 “Vivrete qui con me, d’ora in avanti” disse la Signora dalla Veste Verde, “fino al giorno in cui non sarete cresciuti e sarete pronti per diventare Re e Regina di Narnia”
“Re?” fece Rilian, gli occhi azzurri spalancati.
“Regina?” gli fece eco Myra, le mani premute sulla bocca.
“Si, miei cari” sorrise la Signora, facendo loro cenno di sedersi ai suoi lati e gettando nuovamente il proprio mantello sulle loro spalle. “Ora che i vostri poveri genitori non ci sono più, voi siete Re e Regina di Narnia, e un giorno, vi prometto che riavrete il vostro regno. Adesso siete così piccini, così indifesi, e non potrete di certo sconfiggere i malvagi uomini del Deserto che hanno invaso casa vostra”
Rilian e Myra singhiozzavano sul petto della Signora, che era tanto buona e gentile, e che si sarebbe presa cura di loro come una madre. Con lei si sentivano protetti, era piacevole ascoltare la sua voce, la quale si mise ad intonare una strana nenia simile a una ninna nanna.
“Dormite bimbi miei, la luna e il sole son sorti e tramontati.
Dimenticate miei tesori, la notte, il dì, e i fiori già sbocciati.
Fate bei sogni, senza perché, senza pensare al prima e al poi.
Starete bene, quaggiù, restate fra di noi”

Piano piano, incantati dalle rime della canzone, Rilian e Myra smisero di piangere, i loro occhi si chiusero, ed entrambi sprofondarono in un sonno tranquillo.
“Procedi lentamente, Mullughuterum” disse la Strega Bianca, coprendo i bambini con una soffice coperta di pelliccia. “Il principe e la principessa si sono addormentati”
Poi, Jadis riprese a recitare l’incantesimo. Alla sua voce se ne unirono tante e tante altre. Tutte cantavano quella litania rilassante, mentre la carrozza proseguiva tra le strade labirintiche del sottosuolo, scendendo giù, sempre più giù, nei meandri del mondo, portando Rilian e Myra lontani dalla luce, lontani da casa.
 
 
~·~



Il freddo le aveva congelato mani e piedi...e naso.
Jill tirò fuori un fazzoletto dalla tasca della gonna e soffiò forte.
Da quando era diventata amica di Eustace, i bulli della scuola avevano quasi perso interesse per lei. Tuttavia restava sempre uno dei loro bersagli preferiti, e quando Scrubb non era nei paraggi, eccoli di nuovo alla carica.
 “Pole? Ehi, Pole, dove ti sei cacciata?” chiamò una voce che lei riconobbe per quella di Eustace.
Ovviamente. E chi poteva essere se non lui?
“Andiamo, so che sei qui. Ah, eccoti!”
La testa di Eustace Scrubb sbucò dietro l’angolo della palestra, dove Jill era rannicchiata contro al muro, seduta sul sentiero bagnato, tra l’edificio e il boschetto che demarcava il perimetro del cortile.
Il ragazzo la guardò, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni.
Jill non era un tipo piagnucoloso, era ben raro vederla in lacrime, ma gli scherni dei bulli la facevano veramente soffrire.
“Siamo alle solite, eh?”
Lei alzò le spalle, stringendosi ancor più le ginocchia con le braccia, affondandovi il viso. “Lascia stare, tanto non risolveremo mai nulla”
Eustace si sedette accanto a lei, ascoltando i suoi singhiozzi.
“Lo so, è assurdo piangere ancora per queste cose a diciassette anni” disse la ragazza la voce soffocata, “ma non…posso…farci nulla. Sono una sfigata!”
“Oh, ma piantala!”
“Taci, tu, che fino a qualche anno fa eri esattamente come loro!” sbottò Jill rialzando il capo, scostandosi i capelli biondi dagli occhi.
“Ehi, io non mi sono mai comportato come Carter e i suoi! Sì, ero un’idiota, ma non ho mai messo le man addosso a nessuno! Lo scherzo più cattivo che ho fatto è stato imprigionare nel bagno un coniglietto di peluche!”
Jill singhiozzò, e Eustace capì che era ancora sottosopra per quello che le era successo.
“Non ti hanno picchiata vero? Me lo diresti se fosse cosi” chiese preoccupato.
Lei scosse il capo. “No. Sto bene. Ma sono così stanca di questa storia…”
“Tieni duro qualche mese ancora, Pole. Dopo il diploma diremo tanti saluti a questa scuola dal cavolo!”
“Non vedo l’ora”
Eustace si frugò in tasca e offrì a Jill una gomma da masticare alla menta. Ne prese una anche lui.
“Questo posto ci va stretto, vero Pole?”
“Puoi dirlo”
Eustace iniziò a fare minuscoli palloncini con la gomma. Sembrava pensieroso, notò lei.
“Che ne dici di marinare la scuola, oggi?”
“Ma sei scemo?!” esclamò Jill, quasi strozzandosi con la gomma.
“Perché no?” chiese il ragazzo scrollando le spalle. “Non ci faranno nemmeno caso”
“Sì che ci faranno caso. Non possiamo…anche se mi piacerebbe” confessò lei, tradendo un sorriso tra le lacrime.
Senza accorgersene aveva smesso di piangere.
“D’accordo, allora” disse Eustace alzandosi e infilando di nuovo le mani nelle tasche, tirandosi su la cerniera del giaccone. “Dove ti piacerebbe andare?”
“Mmm…non so, fai tu” rispose Jill.
In quel momento, le venne in mente solo un posto che avrebbe voluto tanto visitare, ma era impossibile arrivarci.
“Dai, un posto qualunque” disse Eustace.
“Narnia” disse Jill in fretta, con una vocina piccola piccola.
Lui si voltò a bocca aperta e la gomma gli scivolò fuori e cadde a terra.
Jill scoppiò in una risata fragorosa, piegandosi in due. La scena era stata esilarante.
“Cretina! Oh, uffa, era così buona…” Eustace osservò con malinconia la sua povera gomma giacere a terra tra le foglie morte.
“Oddio…scusami…è stato… troppo forte”
“E’ colpa tua! Con quello che hai detto mi hai preso alla sprovvista. Come ti viene in mente proprio Narnia, accidenti?!”
Jill cessò pian piano di ridere, guardando l’amico, il quale aveva una strana espressione.
“Scusa. Hai detto un posto qualunque”
“Intendevo entro i confini di Cambridge, possibilmente”
Jill fece un sorriso di scusa. “Ma sarebbe possibile andarci?” chiese poi a bassa voce, come se nessuno dovesse sentirli, né sapere quel che stavano per fare.
Perché era un segreto, un segreto improntassimo che lei aveva mantenuto per ben quattro anni, anche se non faceva parte della cerchia di Re e Regine o Lord di Narnia.
Nel suo intimo, Jill si sentiva parte di quel mondo. Non l’aveva mai detto a nessuno, neppure a Eustace.
“Bè” ammise Eustace, dopo essere rimasto in silenzio per un pò, “io non so esattamente come ci si arriva. Voglio dire, tutte le volte che ci sono stato, io e i miei cugini siamo stati chiamati”
“Da…Aslan?” domandò Jill, tremante d’emozione.
Il pronunciare il nome del Leone creò attorno a loro come uno scudo invisibile, e furono certi che in quel momento nessuno li avrebbe disturbati, o avrebbe fatto loro del male.
“Sì” rispose Eustace. “Sì, da Aslan”
“E se glielo chiedessimo?” provò Jill, speranzosa. “Se provassimo a chiedere ad Aslan di chiamarci? Di farci andare a Narnia?”
Eustace rifletté molto attentamente. “Forse se…”
“Cosa?” esclamò Jill aggrappandosi al suo braccio.
Non sapeva perché ma si sentiva emozionatissima, come se stessero davvero per partire da un momento all’altro.
“Una volta, mio cugino Peter mi ha detto che c’era una specie di poesia che lui recita spesso, perché lo fa sentire più vicino a Narnia. E’ qualcosa che Aslan disse tanto tanto tempo fa, ai tempi della creazione del mondo”
“Tuo cugino ha assistito a questo evento?!” chiese Jill ammirata. “Nel tuo libro non c’è scritto, non me l’avevi detto”
Eustace si corresse. “No, non Peter. Il professor Kirke, un vecchio amico dei Pevensie”
“Oh sì! Il proprietario dell’armadio guardaroba!”
“Esatto. Ma queste cose le sai, pensiamo a noi due, adesso. Dunque…come faceva la poesia…Ah sì!” Eustace si schiarì la gola e poi guardò attentamente l’amica. “Sei pronta?”
Jill ebbe un fremito e trattenne il respiro. “Oh, no, no, no, aspetta! Dammi un minuto per metabolizzare la cosa. Sto per lasciare questo mondo!”
Eustace trattene rumorosamente una risata. “Detto così sembra che tu stia per tirare le cuoia”
“Sempre delicato, Scrubb” Jill gli diede un calcetto. “Va bene, sono pronta” disse poi, tirando un gran sospiro.
“Allora ripeti insieme a me”
In un qualsiasi altra circostanza, Jill si sarebbe sentita una stupida a fare quel che realmente fece, ma non quel giorno dietro la palestra. Non in quel momento.
“Aslan, Aslan, Aslan” recitò Eustace.
“Aslan, Aslan, Aslan” ripeté Jill.
“Ti prego permetti a Pole e a me di…”
“Di…” la ragazza, che aveva chiuso gli occhi completamente assorta nel momento solenne, li riaprì e fissò il volto dell’amico. “Di fare che?”
“No, scusa, non era così”
Jill piantò i piedi a terra e si mise le mani sui fianchi. “Eustace, Scrubb, tu mi stai prendendo per i fondelli!”
“No, no, scusa, è che non…ora recito quella giusta, scusami”
Lei sbuffò e riabbassò le braccia lungo i fianchi.
“Ci sono: pronta di nuovo, Pole?”
“Sì”
Si alzò un lieve alito di vento che fischiò tra i rami quasi del tutto spogli, tra le mura dell’edificio scolastico.
“Narnia, Narnia, Narnia” recitò Eustace, e Jill ripeté con lui. “Ama. Pensa. Parla”.
Accadde qualcosa o forse niente. Il tempo si fermò o iniziò a scorrere velocemente in avanti, non seppero dirlo. All’improvviso però, udirono delle voci.
Jill, che aveva paura di essere trovata dai bulli, si voltò terrorizzata verso Eustace. Si scambiarono uno sguardo d’intesa e si gettarono a capofitto in mezzo agli alberi, arrampicandosi sulla collina scoscesa dove sorgeva il boschetto. Dopo un minuto circa si fermarono e ascoltarono in silenzio, e dai rumori dedussero che ‘quelli’ li seguivano ancora.
Si voltarono e ricominciarono a salire.
In fondo al declivio stava un grosso muro di pietra con una porta che dava sulla brughiera. Purtroppo, la porta era sempre rimasta chiusa: si diceva che una volta qualcuno l’avesse trovata aperta, e forse era sgattaiolato fuori dalla scuola per andare a godersi le meraviglie della campagna inglese invece che le noiose regole del latino e dell’algebra. Tutti gli studenti della scuola speravano di poter trovare il modo di aprirla nuovamente, o di trovarla aperta come quella volta, ma non era mai accaduto.
Non fino a quel giorno…
Eustace e Jill, ansimanti e sporchi di terra, arrivarono davanti alla porta, che naturalmente era chiusa.
Ma qualcosa spinse Eustace a posare la mano sulla maniglia. “Non è sempre stata così, ma allora…!”
“Scrubb, arrivano, cosa stai…Oh!” esclamò Jill.
La maniglia si abbassò e la porta si spalancò.
I due ragazzi rimasero immobili a fissare quel che c’era al di là, senza più preoccuparsi che i bulli potessero raggiungerli.
Jill e Eustace si erano aspettati di trovarsi davanti la brughiera, con la grigia distesa d’erica che sfiorava il malinconico cielo invernale. Invece, furono accolti da un bagliore accecante che filtrava attraverso la soglia: dall’altra parte la giornata era calda come in un giorno d’estate. Il chiarore meraviglioso faceva brillare le gocce di rugiada come perle sull’erba, e risplendeva sul viso dei due ragazzi.
Sembrava venire da un altro mondo, non era la luce a cui erano abituati. Non lei, almeno, perché Eustace subito rammentò di aver visto una luce simile quand’era sul Veliero dell’Alba, alle soglie della Fine del Mondo.
Attraversarono l’arco della porta e si ritrovarono su un prato di erba tanto morbida e vellutata da non sembrare vera, sotto un cielo azzurro che più non si sarebbe potuto. E videro creature che svolazzavano qua e là, talmente splendide da sembrare gemme o farfalle gigantesche.
Anche se Jill aveva sempre sognato di entrare in un mondo magico e fatato, adesso aveva paura. Guadò Eustace e si accorse che anche lui provava la stessa sensazione.
“Coraggio, Pole” la tranquillizzò il ragazzo.
“Non sarà meglio tornare indietro? Non pensi che ci sarà qualche pericolo?”
Proprio in quel momento, ecco di nuovo le voci di prima.
“La banda di Carter!” fece Jill, spaventata.
“Presto!” esclamò Eustace.
E prima che lei si rendese conto di quel che stava per succedere, lui la prese per mano e la trascinò oltre la porta.
Via dalla scuola, via dall’Inghilterra e dal mondo intero.
Via…verso Narnia.
La porta si richiuse su sé stessa con un tonfo, e tre ragazzi sbucarono dagli alberi, troppo tardi per fermare gli altri due che erano appena passati.
“Oh no!” esclamò Lucy, afferrando la maniglia e strattonandola forte. Ma quella non si mosse, come fosse chiusa a chiave, quando un attimo prima era aperta.
“Se ne sono andati. Sono già a Narnia! Ora che facciamo?”
Edmund e Peter si fermarono un passo dietro la sorella. Tutti e tre fissarono la porta, in silenzio.
Il passaggio si era richiuso. Avrebbero dovuto trovare un altro modo per raggiungere Narnia.

 
 
 
 
 
Arrivare alla fine di questo capitolo è stato un calvario!!! Ma finalmente i giorni infernali dovrebbero essere finiti, da lunedì la vostra Susan riprende il lavoro e il tram tram giornaliero, che dovrebbe permettermi di dedicarmi adeguatamente a questa storia (speriamo!!!)
Miei cari lettori, eccoci qui al 12 capitolo. Anche stavolta sono ricucita a far vedere tutti i personaggi, (Rabadash no, ahahah!!!) e come annunciato ho dedicato molto spazio a Caspian, e pochino a Susan e agli altri Pevensie…recupereremo nel prossimo. Scusate se non riesco a gestirli benissimo a volte, ma faccio del mio meglio U.U

 
Ringrazio:
Per le preferite:
Aesther, aleboh, Araba Stark, battle wound, english_dancer, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, G4693, GregAvril2000, HikariMoon, Jordan Jordan, Joy_10, lucymstuartbarnes, lullabi2000, Mia Morgenstern, Muffin alla Carota, Mutny_Hina, oana98, piumetta, Queen Susan 21, Shadowfax, SweetSmile, TheWomanInRed, ukuhlushwa  e Zouzoufan7
 
Per le ricordate: Araba Stark, Cecimolli, Halfblood_Slytherin, mishy e Zouzoufan7
 
Per le seguite: Araba Stark, bulmettina, catherineheatcliff, Cecimolli, ChibiRoby, cleme_b, ecate_92, FioreDiMeruna, Fly_My world,Fra_STSF, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, JLullaby, Jordan Jordan, Joy_10, Judee, katydragons, Lucinda Grey, lucymstuartbarnes,Mia Morgenstern,
niky25, Omega _ex Bolla_, piumetta, Queen Susan 21, Queen_Leslie, Revan93, Shadowfax e Zouzoufan7


Per le recensioni dello scorso capitolo (scusate se non ho ancora risposto a tutti): battle wound, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, Joy_10, Queen_Leslie, Queen Susan 21, piumetta e Shadowfax
 
Angolino delle Anticipazioni:
Nel prossimo capitolo ci sono un sacco di cose da far succedere, ma per prima cosa, vi avviso che ci sarà un altro salto temporale.
Si partirà probabilmente con Caspian e la sua operazione di salvataggio: ce la farà a tirare fuori Susan dall’orribile prigione in cui Rabadash l’ha rinchiusa?
Rilian, Myra e Jadis arriveranno al castello di quest’ultima, dove troveranno una sorpresa ad attenderli.
Spero di farci stare anche i Pevensie, Eustace e Jill, cosi vedremo in che modo i primi tre raggiungeranno Narnia, e dove sono finiti gli altri due.


Note: nel pezzo dedicato a Eustace e Jill, ho modificato un po’ la dinamica del primo capitolo del libro “La sedia d’Argento”, ma alcune frasi e descrizioni le ho riportate identiche.
Nuova canzone da questo capitolo, che va ad aggiungersi alla colonna sonora di Night&Day: la stupenda “My Immortal” degli Evanesece. L’adoro e credo sia perfetta per il contesto di questi capitoli. Che dite?
 
Bene, per questa settima è tutto. Vi ricordo la mia pagina gruppoChronicles of Queen dove trovare gli aggiornamenti di Night&Day e di A Fragment Of You.
Grazie mille a tutti come sempre, e scusate ancora per i ritardi.
Un bacio immenso,
Susan♥

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Capitolo 13
*** Capitolo 13: La partenza e il salvataggio ***


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13. La partenza e il salvataggio

 
Queste ferite sembrano non guarire
Questo dolore è troppo reale
C'è semplicemente troppo che il tempo non può cancellare

 

 
Rimasero qualche minuto fermi ad ascoltare la campanella che annunciava la fine delle lezioni, le grida degli studenti dello Sperimentale che iniziavano a lasciare l’edificio.
“Dobbiamo muoverci” disse Edmund. “Potremo uscire mischiandoci facilmente alla calca”
Non avevano pensato all’uscire, ma solo all’entrare, sapendo che – come aveva detto Aslan – non appena avessero incontrato Eustace e Jill, il portale per Narnia si sarebbe aperto.
Così era stato, peccato solo che loro tre si trovavano ancora sulla Terra.
Che cosa era successo? Che qualcuno volesse impedire loro di raggiungere Narnia?
“Dannazione!” imprecò Edmund, trattenendosi dall’usare espressioni più colorite, poiché sapeva che a Lucy non piaceva quando i suoi fratelli dicevano le parolacce. Lei non ne diceva mai.
“Adesso come facciamo?” chiese proprio lei, mentre uscivano dal cancello principale.
Gli altri studenti li guardavano con curiosità: si notava che non erano allievi dello Sperimentale, soprattutto la ragazza, che indossava la divisa di una scuola privata.
I tre Pevensie camminarono per un po’ per le strade di Cambridge, fianco a fianco, in silenzio.
“Peter?” fece d’un tratto Edmund.
Il fratello non rispose.
Il Re Supremo fissava l’asfalto, senza guardare dove andava, il viso contratto in un’intensa espressione di concentrazione.
“Peter?”
“Sto pesando, Ed”
Edmund tacque, scambiandosi sguardi preoccupati con Lucy.
“Oh cielo!” esclamò dopo un po’ la Valorosa, “Presto, nascondetevi!”
Afferrò i ragazzi per le maniche dei cappotti, trascinandoli dietro un vicoletto.
“Che succede?” chiese Peter.
“Zia Alberta” disse semplicemente Lucy.
Tutti e tre sbirciarono nella strada affollata, e la ragazza indicò agli altri due un negozio, davanti al quale loro zia discorreva a più non posso con due anziane signore.
“Che succederà, secondo voi” cominciò Edmund, “se Eustace entro breve non torna a casa? Ormai è ora. Insomma, noi siamo qui e lui no, e il tempo…”
“Ho capito cosa vuoi dire” disse Lucy. “Penso che zio Harold e zia Alberta non se ne accorgeranno, dopotutto”
“Che vuoi dire?” chiese Peter, mentre si ritiravano di nuovo al riparo del vicolo
“Vediamo se riesco a spiegarvelo” disse la ragazza. “Vedete, tutte le volte che siamo stati a Narnia e poi tornati, a noi pareva non fosse passato nemmeno un minuto, ma di fatto, il tempo quaggiù continuava a scorrere. Io credo che chi come zia Alberta sia coinvolta in qualche modo nelle faccende di Narnia, pur non sapendolo, venga influenzato dalla magia. Di conseguenza, anche se andassimo da lei a chiederle perché Eustace non è tornato a casa, penso che ci direbbe ce non sa di cosa stiamo parando”
“Vuoi dire” fece Edmund, “che non si sta rendendo conto di quel che le succede intorno? Che non si ricorderebbe di Eustace?”
“No” Lucy scosse il capo, “sto dicendo che, molto probabilmente, per lei il tempo è come se non scorresse. E quando Eustace tornerà, anche se qui saranno passati mesi, per lei è come se fosse passato un secondo. Lo so, è strano, ma meglio di così non so spiegarvelo”
“Più o meno ho capito” fece Edmund, aggrottando la fronte.
“Anch’io” disse Peter, “E quindi, Lu, pensi che anche mamma e papà non si accorgeranno che siamo spariti?”
“Non lo so…” balbettò la Valorosa. “Forse…forse quando anche noi saremo a Narnia…ma per ora…Peter, non sarebbe il caso di telefonargli?”
I tre fratelli si guardarono un momento, Peter ancora riflettendo sul da farsi.
Non potevano tornare a Finchley: Aslan aveva detto loro di recarsi a Narnia e loro dovevano riuscire ad arrivarci, raggiungere Eustace e Jill.
Il Re Supremo si affacciò di nuovo sulla strada: zia Alberta se n’era andata.
“Via libera”
“Ehm…sentite” fece Edmund, le mani sullo stomaco, “lo so che siamo di fretta, ma io ho fame”
“Anch’io” ammise Lucy.
“Io pure” rincarò Peter.
Erano le tre del pomeriggio e avevano saltato il pranzo.
“D’accordo, troviamo una tavola calda” propose Peter.
 “Aslan sarà comprensivo con noi anche se rimanderemo ancora la partenza” disse il Giusto. “Penso che vorrebbe fossimo in piena forma quando dovremo combattere, e al momento io mi sento un tantino deboluccio…”
Il suo stomaco gorgogliò e Lucy rise .
Trovarono un locale abbastanza in fretta, vi entrarono e trovarono un tavolo. Si sedettero togliendosi cappotti e sciarpe, godendosi il calduccio dopo il freddo pungente di gennaio.
Ordinarono da mangiare e, mentre aspettavano, Edmund e Lucy ripresero a parlare tra loro a mezza voce.
Peter tamburellava con le dita sulle superficie del tavolo, lo sguardo che vagava senza meta per tutto il locale, osservando le persone chiacchierare e mangiare allegramente. I suoi occhi si incrociarono un paio di volte con quelli di un uomo.
Normalmente, il ragazzo ci avrebbe messo meno di un secondo per riconoscerlo, ma con la testa piena di pensieri, ce ne volle qualcuno in più.
“Per la criniera di Aslan!” sbottò poi, saltando su dalla sedia e facendo trasalire gli altri due.
“Che c’è? Che ti prende’” chiese Edmund in fretta.
“Giratevi”
Il Giusto e la Valorosa lo fecero, ed entrambi rimasero a bocca aperta nel vedere un signore e una signora sorridere loro e salutarli con la mano dal fondo del locale.
L’uomo aveva una gran massa di capelli bianchi e una corta ma folta barba dello stesso colore, due occhialetti sul naso e gli occhi blu brillanti com’erano stati quand’era giovane.
La donna era aveva i capelli ancora più bianchi, elegantemente intrecciati un una crocchia sotto il cappellino rosa ornato di fiori finti.
“Digory? Zia Polly?” fece Lucy sbalordita, sfoderando un gran sorriso.
Erano proprio loro: il professor Digory Kirke, il proprietario della grande casa di campagna nella quale i Pevensie avevano passato l’estate del 1942, e nella quale avevano trovato l’armadio magico che li aveva condotti a Narnia per la prima volta. E accanto a lui, Polly Plummer, la migliore amica di Digory, che i ragazzi chiamavano affettuosamente zia, ma che in realtà non aveva nessun legame di sangue con nessuno di loro.
A Narnia erano conosciuti come Lord Digory e Lady Polly, primi visitatori umani della terra di Narnia. Per errore, quand'erano bambini, avevano liberato la Strega Bianca dal lungo sonno in cui giaceva. Erano stati i primi eroi di Narnia, della quale avevano visto la nascita insieme alla suddetta Strega, al vecchio zio Andrew Ketterly, al cavallo Fragolino e al cocchiere Frank. Quest’ultimo era divenuto il primo Re di Narnia assieme alla moglie Helen, la prima Regina.
Ma questa è un’altra storia…
Digory fece segno ai ragazzi di avvicinarsi.
Peter, Edmund e Lucy si alzarono dal loro tavolo e li raggiunsero.
“Che cosa ci fate qui?” chiesero i tre Pevensie in coro.
“Potremmo farvi la stessa domanda” dissero all’unisono gli altri.
“Dovreste essere a Narnia a quest’ora!” disse Digory, in un tono quasi di rimprovero.
“Veramente…”
“Ma che ci fate Cambridge?” insisté Edmund.
“Sedetevi” disse Polly. “Abbiamo alcune cose da dirvi”.
Arrivò il pranzo e i cinque amici mangiarono tutti insieme.
“Ci manda Aslan” spiegò Digory. “Ero nel mio studio, quando alle dodici in punto è suonato il pendolo e io mi sono alzato dalla scrivania per scendere in sala da pranzo…e l’ho visto: riflesso nello specchio! Per tutti i leoni, da quanto non vedevo Aslan di persona! Non è cambiato, vero?”
“In realtà, anche noi non lo vediamo da un bel po’ ” ammise Lucy con malinconia.
“Ma se l’abbiamo visto proprio stamani!” ribatté Edmund.
“Sì, ma intendevo che, di persona, anche per noi è passato molto tempo”
“Va bene, va bene, asciamo perdere queste sottigliezze” fece Peter, ponendo fine alla piccola discussione. “Digory, Polly: Aslan vi ha mandato qui per aiutarci, vero?”
I due anziani si scambiarono un’occhiata d’intesa.
“Esatto, caro Peter” disse lei. “Avanti, Digory, daglieli. E’ inutile aspettare”
Lui sbuffò tra i baffi bianchi. “In realtà avrei voluto farlo in un luogo più tranquillo. Sono oggetti pericolosi, Polly, e non vorrei accadesse qualche guaio”
Lei sorrise. “Oh, cosa vuoi che succeda? Che tutto il locale venga trasportato a Narnia?”
“Ah bè, non si sa mai!”
“Di cosa state parlando?” chiese Edmund.
“Io penso di aver capito” fece Peter.
“Su, non teneteci sulle spine” rincarò Lucy.
Allora, il professor Kirke infilò una mano nella tasca della giacca e ne estrasse una scatoletta nera dai bordi ricamati d’argento. Non appena la posò sul tavolo, gli sguardi dei tre ragazzi Pevensie si inchiodarono ad essa, come fossero un pezzo di ferro con una calamita.
C’era uno strano ronzio nell’aria e proveniva dalla scatola.
“E’ quello che penso, vero?”
“Sì, Peter” rispose Polly.
Un attimo dopo, Digory allungò la mano verso il coperchio della scatoletta e lo sollevò. Dentro, adagiati su un fazzolettino bianco, c’erano due coppie di anelli gialli e verdi.
I Pevensie non li avevano mai visti dal vivo, ma sapevano che cos’erano: la prima copia di quegli anelli era stata creata dallo zio di Digory tramite lunghe ricerche ed esperimenti magici, ed era sato grazie a quegli oggetti all’ apparenza innoqui che Digory e Polly avevano raggiunto Narnia per la prima volta.
Lucy, affascinata dallo scintillio delle verette, allungò le dita per toccarle.
“No, mia cara, no” l’ammonì il professore, richiudendo la scatola. “Non a mani nude Lucy, o finirai con lo sparire davanti ai nostri occhi”
“Oh, giusto. Me n’ero dimenticata”
Digory alzò un dito. “Cautela, ragazzi”
Peter, Edmund, Lucy e Polly, lo osservarono mentre tirava fuori i guanti e se li infilava, riapriva il coperchio e prendeva un anello giallo e uno verde.
“Metti i guanti, Peter”
Il ragazzo eseguì e poi, Digory lasciò scivolare gli anelli nella sua mano coperta.
“La magia di questi anelli si sprigiona a contatto con la pelle. Ricordate: mai, mai maneggiarli senza una qualche protezione”
“Come in un esperimento di chimica” fece Lucy.
“Più o meno”
Peter si rigirò gli anelli tra le dita. “Sono il nostro unico passaporto per Narnia, dico bene?”
“Esatto” rispose Polly. “Aslan ha chiamato me e Digory per congegnarveli, così che possiate raggiungere vostro cugino e l’altra ragazza. Aslan ha detto che Susan e suo marito sono in grave pericolo”
“Purtroppo sì” rispose il Re Supremo, stringendo gli anelli nel pungo.
“Come si usano?” chiese Edmund, osservando la scatola con un vago cipiglio.
Magia! Ne era impregnata, come gli anelli, e non gli piaceva.
“Bisogna indossarli per attivarli” riprese a spiegare Digory. “Quello giallo vi trasporterà nella Foresta di Mezzo e da lì a Narnia, quello verde vi farà tornare qui nel nostro mondo. Ora: qui abbiamo solo due coppie, ma non c’è problema: chi di voi deciderà di non indossarli, se resterà sempre vicino agli altri due, non rischierà di essere lasciato indietro. Hanno una magia tattile, per cui, basterà che vi teniate per mano”.
Edmund chiese: “Quando saremo nella Foresta di Mezzo, come faremo a sapere qual è la strada giusta da percorrere?”
“Sorgono decine di piccoli laghetti nella in quella Foresta” gli rispose Polly. “Sono il passaggio per molteplici mondi, ma voi saprete senza dubbio riconoscere quale sarà quello che vi porterà a Narnia. Ci penserà Aslan a guidarvi, abbiate fede”
Edmund annuì.
“Allora, chi usa l’altra coppia?” chiese poi il professor Kirke, posando lo sguardo su ciascuno dei Pevensie.
Lucy si morse il labbro, nervosa. Non voleva che gli altri la considerassero una codarda, ma non se la sentiva di farsi avanti.
“Li prendo io” disse Edmund, infilandosi i guanti.
“Va bene” disse allora Digory, richiudendo la scatoletta vuota e sospingendola verso Lucy. “Tu prendi questa. Puoi toccarla senza guanti ora che non contiene più gli anelli. Quando sarete a Narnia, dovranno stare al sicuro qui dentro”
La Valorosa annuì. “Ci penso io”
Ci fu un attimo di teso silenzio. Tutti osservavano il riverbero delle lampade del locale contro gli oggetti magici, e ancora una volta ne furono come ipnotizzati.
“Non abbiamo tempo da perdere” disse infine Peter, alzandosi per primo e infilandosi gli anelli nella tasca del cappotto.
Polly scattò in piedi e abbracciò forte Lucy, mentre Digory stringeva la mano ai due giovani.
“Vorrei poter venire con voi” confessò, gli occhi blu risplendenti dell’intenso ed evidente desidero di rivedere Narnia. “Portate i miei saluti a vostra sorella. Mi piacerebbe davvero scoprire com’è cambiata la piccola Susy. E che tipo è l’uomo che l’ha sposato”
“E’ un grande amico” disse Peter, pensando a cosa avrebbero trovato effettivamente quando fossero tronati laggiù, a dov’erano Susan e Caspian, e tutti gli altri.
La sua Miriel…i bambini…Emeth, Shanna…
“Buon fortuna” disse Polly, baciandoli tutti sulle guance. “Che Aslan vi benedica e vi guidi sempre”
“Grazie di tutto” disse Lucy, abbracciando ancora sia lei che il professor Kirke.
Poi, i tre fratelli lasciarono di corsa il locale, uscendo in strada e sparendo presto alla vista.
“Accidenti!” esclamò Digory. “Mi hanno asciato da pagare anche il loro conto!”
Polly rise e si risedette al suo posto, mente l’amico si lamentava.
“Li rivedremo?” chiese poi, esitante, una stretta di malinconia al cuore.
“Intendi ora o tra qualche anno? Perché lo sai che un giorno ci rivedremo tutti”
“Sì, lo so” disse Polly, “Intendevo quando questa avventura sarà finita. Torneranno?”
Il professore fece un sospiro. “Non lo so. E’ tempo che anche Peter, Edmund e Lucy, come Susan, decidano il loro futuro e scoprano cosa Narnia significa davvero per loro”.
“Io e te non abbiamo avuto questa fortuna” disse la donna con una nota di malinconia.
Digory le sorrise. “Forse no: forse non abbiamo potuto restare a Narnia, ma noi due abbiamo avuto la fortuna di trovare la persona per noi più importante qui, sulla Terra. E ti giuro, mia cara, che non vorrei essere da nessun altra parte, ora”
“Nemmeno io”
Digory posò una mano su quella di Polly, e lei la strinse nelle sue.
 
 
 
~·~



Nei due giorni successivi, i temporali estivi cessarono e la calura della piena estate si fece sentire.
Caspian sperava in un nuovo acquazzone: con la pioggia, le sentinelle sui bastioni di Cair Paravel avrebbero avuto una visibilità ridotta rispetto al normale; anche il fragore dei tuoni avrebbe aiutato a camuffare altri possibili rumori che avrebbero insospettito le guardie, quando gli intrusi fossero penetrati nel palazzo.
Ma quando avrebbe fatto comodo, la pioggia proprio non ne voleva sapere di cadere.
Inoltre, a Caspian sarebbe piaciuto aspettare la notte per agire: buio e tempeste erano sempre state un ottima combinazione secondo lui. Ma nemmeno questa volta poteva sperare nell’appoggio della natura: di notte, lui era un lupo, e non poteva entrare nel castello con quelle sembianze.
Figurarsi: appena Rabadash l’avesse visto, avrebbe subito capito che non si trattava di un lupo qualunque.
Di quelle ore in cui non era umano, il Liberatore ricordava poco e niente. Il mattino quando tornava uomo, ripensava a quel che poteva essere accaduto, ma non lo rammentava. Era come una sorta di sogno sbiadito, intenso eppure già svanito con le prime luci dell’alba.
L’unica cosa positiva era che, man mano che passava il tempo, il dolore al petto che precedeva la trasformazione si attenuava sempre di più, anche se la maledizione lo lasciava ancora parecchio spossato. Ci sarebbe voluto ancora qualche tempo prima che il suo fisico si abituasse a quella doppia esistenza.
La strada che segnava la rotta della sua vita portava ormai in una sola direzione. Adesso, restava da scoprire soltanto quanto fosse destinata a durare e quanti altri tracolli avrebbe avuto.
Di rialzarsi, per il momento, non se ne parlava.
Aveva deciso che, per adesso, l’unico sguardo al futuro che poteva concedersi era quello comprendente il salvataggio di Susan. Per il resto, nulla.
Ora come ora, non aveva ne la voglia ne la forza di pensare ad una soluzione. Solo quando avrebbe riavuto sua moglie al suo fianco, forse, avrebbe iniziato a vedere le cose sotto una prospettiva un po’ più ottimistica.
Alla fine del primo giorno, Selva e i suoi figli tornarono con Briscola, Miriel, Lord Rhoop, Pennalucida e i suoi amici gufi. Questi ultimi, stavano di nuovo radunando un gran assortimento di creature e animali per aiutare il Re e il suo gruppo. Il cervo e Tartufello erano invece andati direttamente alla casa del tasso, per preparala all’arrivo dei tanti ospiti che si apprestavano ad occuparla.
Quando furono tutti insieme, si fece il piano vero e proprio.
Ancora una volta, Caspian tracciò sul terreno una piantina del castello, segnando la posizione che ognuno di loro avrebbe preso, spiegando come si sarebbero mossi e illustrando a tutti il proprio compito.
“Entreremo come stabilito dal passaggio che va dalla spiaggia fino alle stanze di Lucy. Passa sotto il mare per un un chilometro circa, dopodiché risale fino al terzo piano in un gioco di scale a chiocciola, alcune pericolanti, per cui dovremo fare molta attenzione. A occhio e croce, ci vorranno una ventina di minuti per attraversarlo tutto”
“Ce la faranno gli animali più grossi a passare?” chiese Miriel, inginocchiata terra come gli altri, tutti attorno al Re.
“Dovrebbero” rispose Caspian, riflettendo per un attimo. “Ad ogni modo, una volta dentro, dovranno creare più confusione possibile. Più ce ne sarà, più sarà facile per noi agire indisturbati. Una volta nel castello, ci divideremo: Lord Rhoop, voi resterete a guardia della camera di Lucy insieme alle creature più grandi. Ricordate che è l’unica entrata e l’unica via d’uscita che abbiamo. Cair Paravel è enorme, ma è un’isola: è un vicolo cieco senza quel passaggio segreto”
“Contate su di me, Maestà” assicurò Rhoop con fervore.
“Drinian” proseguì il Liberatore, “Voi scenderete nelle segrete e cercherete vostra moglie”
“Potrei avvalermi di cervi e tori? Per lacerare le sbarre delle celle, serviranno corna e zoccoli”
“Sì, ottima idea. Anche Tempestoso e i suoi figli verranno con te”
“Caspian…” fece Miriel, “Tara e Clipse…”
Il Re la guardò negli occhi solo per un attimo. “Faremo il possibile, Miriel, ma non potremo salvare tutti”
La Driade abbassò la testa, un peso sul cuore. “Sì, lo so”
“Anche il più giovane dei miei ragazzi è stato imprigionato” intervenne severo Tempestoso. “Ma non dimentichiamo che la nostra priorità è la Regina Susan. Non possiamo subito pretendere di riprenderci il castello, né di riuscire a liberare i prigionieri”
“Le cercherò comunque” assicurò Drinian, “Tara, Clipse, e chiunque altro mi sarà possibile. Li farò uscire da quelle prigioni”
Miriel rialzò il capo e rivolse al capitano uno sguardo colmo di gratitudine.
“Va bene” fece Caspian, puntando la lama del pugnale di suo padre sul disegno della Grande Torre. “Shira, avrò bisogno di te quando arriveremo quassù, dato che Susan sarà…un…”
“Un falco” concluse Shira senza scomporsi.
“Sì” Caspian deglutì impercettibilmente. “La condurrai tu in salvo, d’accordo?”
“Certamente!”
Gli costava ancora ammetterlo, ma sapeva che non avrebbe rivisto il suo pesciolino, non con le sue reali sembianze.
Non importava, purché fossero di nuovo insieme.
“Avrete bisogno di aiuto, Maestà” disse poi Briscola. “Servirà qualcuno che vi copra le spalle”.
Era la prima volta, da che si erano ricongiunti, che si rivolgeva al Re.
Il nano provava un certo imbarazzo verso il Sovrano, certo che quest’ultimo non lo avesse perdonato per avergli tenuta nascosta la verità sul suo conto e su quello della Regina. Lui sapeva tutto eppure aveva taciuto.
Gli occhi grigi di Briscola incontrarono quelli neri di Caspian: non c’era rancore nello sguardo del giovane, che d’un tratto gli sorrise.
“Ovviamente, C.P.A, tu e Miriel verrete con me”
Il nano parve soddisfatto e anch’egli accennò un sorriso, borbottando un: “Volevo ben dire”
“Pennalucida” disse infine il Re, “tu controllerai la situazione dall’alto, e se qualcosa dovesse andare storto, avvertirai Selva. Voi due rimarrete a guidare la retroguardia, ovvero le driadi e gli amadriadi. Siete d’accordo?”
La moglie di Tempestoso annuì scalpitando.
“Uh-uh! Ottimo, ottimo!” fece Pennalucida emozionato, facendo frullare le ali. Per lui tutto quel movimento era inusuale: la vita a Bosco Gufo era sempre stata molto tranquilla.
“Questo è il piano. E’ tutto chiaro?”
Un attimo di silenzio in cui tutti annuirono. Nessuno ebbe nulla da ridire…tutti tranne il dottor Cornelius.
“Perdonatemi, Maestà: quale sarà il mio compito?”
Caspian aprì e chiuse la bocca senza trovare qualcosa da dire.
“Dottore, voi resterete qui” disse poi con calma. “Briscola vi lascerà il cordiale della Regina Lucy e lo terrete pronto in caso di bisogno, per quando torneremo”
“No, Sire, io voglio fare qualcosa di concreto. Il cordiale servirà a voi: se la Regina dovesse essere ferita…”
Caspian strinse i pugni a quelle parole. Non voleva pensarci.
“Potrei mettere a vostra disposizione qualcuna delle mie piccole magie”
“Dottore, voi siete…”
“Vecchio, lo so, ma sono ancora utile”
“Non volevo dire questo” disse in fretta il Liberatore, un poco imbarazzato.
“Allora dimostratemi che non lo pensate e fatemi venire”
Il Re non era per nulla convinto che fosse una buona idea far partecipare anche il professore a quell’impresa, ma l’ometto pareva non voler desistere.
“Andrete con Drinian, se tanto insistete. Anche se non sono per nulla d’accordo con la vostra decisione”
Cornelius sorrise, e i suoi occhi si accesero di determinazione.
“Ci ritroveremo qui all’accampamento” concluse Caspian alzandosi in piedi e guardandoli ancora uno per uno. “Buona fortuna a tutti”
 
  Purtroppo, il primo tentativo di entrare a Cair Paravel fu un insuccesso.
Come se sapessero quel che stavano per fare, i soldati di Calormen sembrarono aumentare di numero. Caspian e i suoi li incontravano sempre più spesso per la foresta, tanto che furono costretti a tornare all’accampamento e rimanere laggiù con le mani in mano.
Fu impossibile anche solo avvicinarsi alla spiaggia, tantomeno al passaggio segreto.
Attesero tutto il giorno, ma solo al tramonto i soldati si ritirarono, e durante le ore della notte non se ne vide nessuno. Questo perché – Caspian ne era certo – Rabadash sapeva benissimo che con il buio non ci sarebbe stato alcun tipo di tentativo da parte dei narniani di entrare nel castello e liberare Susan, perché quando era trasformato in un lupo, Caspian era totalmente inutile.
Ed era esattamente così che il Re si sentiva.
Il giorno seguente – il quarto dopo l’assedio a Cair Paravel – fecero un altro tentativo, il cui risultato fu identico al primo.
“Io credo, Sire” intervenne pacatamente Tempestoso, “che avremo molte più probabilità se ci muovessimo di notte, quando tutto è tranquillo”
Pennalucida parve deluso. “Ma come? Uh-uh! E tutta la baraonda che pensavamo di scatenare?”
“Avrai la tua baraonda, non ti preoccupare” lo rassicurò Shira.
“Stiamo perdendo troppo tempo!” esplose Caspian, colpendo con un pugno rabbioso il tronco di un albero.
Il panico lo stava travolgendo e la stanchezza accumulata stava permettendo alle sue emozioni di avere di nuovo la meglio. Mangiava poco e dormiva male. Non era abituato a farlo durante il giorno. E tali mancanza di cibo e di sonno lo rendevano quanto mai nervoso.
“Va bene, andrete stanotte. Senza di me” decise infine, serrando i pugni tanto da farsi male.
“No, Maestà, anche voi verrete” disse Briscola, ricambiando lo sguardo perplesso del Liberatore.
“Ma io non sono cosciente quando…sono un lupo”
Per Caspian, dire quelle parole ad alta voce, rese più concreta che mai la sua situazione.
“Ti guideremo noi” insisté Miriel. “Saremo io e C.P.A ad accompagnarti fino a Susan, come stabilito. Il piano non cambierà di una virgola, sta tranquillo”
“Inoltre, se dovrete combattere contro Rabadash sarete più veloce e più agile di lui” rincarò Briscola con fervore. “Sì, egli avrà la sua spada, ma voi potrete contare su artigli e denti. Avrete gambe più svelte di quelle di un uomo, un fiuto, un udito e un olfatto che vi permetteranno di scorgere i nemici con più facilità del normale”
Passò qualche minuto mentre Caspian rifletteva sul consiglio degli amici.
La soluzione era dunque entrare in Cair Paravel con le sue sembianze di lupo? Ma avrebbe dovuto attendere di nuovo la notte, e la cosa non lo allettava granché: sarebbero dovute trascorrere ancora delle ore.
Le lancette del tempo si avvicinavano inesorabili a far scoccare il tramonto del quarto giorno. Tra poco si sarebbe trasformato di nuovo, non c’era tempo per riflessioni troppo lunghe.
Ricordò improvvisamene un’espressione tipica del mondo terrestre, che aveva sentito spesso usare da Edmund: o la va o la spacca.

Quella notte, la pioggia tornò a cadere su Narnia in grosse e fitte gocce. I tuoni sembravano voler spaccare il cielo.
Il lupo scrollò il pelo bagnato, cercando di rilevare i consueti odori della foresta, dei quali la tempesta cancellava le tracce. Si muoveva con passi decisi, eleganti, attutiti dalla folta erba sulla quale camminava. Fiutava le tracce di un profumo famigliare, fresco, rassicurante, pungente e dolce al tempo stesso. Arrivò in una radura, dove lo aspettava un assortito gruppo di creature: erano numerose, ma non abbastanza da far fronte a un esercito.
C’erano molti animali delle più svariate razze, ma diversi da lui: essi parlavano, proprio come facevano l’ometto basso con la barba rossa, quello con la barba bianca, la ragazza dai capelli rossi (non era umana anche se lo sembrava, non aveva lo stesso odore degli altri), l’uomo dalla pelle abbronzata e quello con i capelli lunghi.
Il lupo si fermò un momento a guardarli: poteva fidarsi di loro, e loro si fidavano di lui.
“Andiamo” disse un cavallo (no, era un Centauro), aprendo la strada al gruppo.
Camminarono a passo sostenuto verso est fino a che arrivarono alla spiagga. Era da là che proveniva quell’odore famigliare, l’unico che la pioggia non riusciva a cancellare: era il mare.
Il lupo fu il primo a mettere le zampe sulla sabbia, lasciandosi alle spalle una scia di orme.
“Per tutti gli stivali! Lasceremo un mucchio di impronte!” udì borbottare l’ometto con la barba rossa.
“Pensa a tenere bassa la voce piuttosto!” sussurrò l’uomo dalla pelle abbronzata. “Ci penserà la pioggia a cancellarle”
“Siamo quasi arrivati” disse l’uomo coi capelli lunghi.
Si fermarono al limitare della boscaglia, dove il Centauro femmina, i suoi figli, una coppia di lepri e un corvo, avrebbero atteso il segnale del gufo.
L’ometto con la barba rossa avanzò verso un gruppetto di scogli alti più o meno quanto lui. I massi formavano un semi cerchio dentro il quale, ben celato sotto la sabbia, vi era una vecchia botola. Aiutato dall’uomo con la pelle abbronzata, l’ometto dovette scavare un poco per scoprirla.
“Attenti ora” disse ancora l’uomo coi capelli lunghi “Prima gli animali, poi Miriel e Shira, poi noi uomini. Passate piano, uno alla volta, e fate meno rumore possibile”.
Quando tutti furono dentro il passaggio segreto, la botola si richiuse e il gruppò iniziò ad avanzare nella lunga galleria sotterranea. Il lupo s’incamminò a fianco alla ragazza dai capelli rossi e all’uomo con la barba bianca.
Il passaggio procedeva in linea retta per alcuni metri, poi prese a salire e curvare.
Il lupo avrebbe voluto mettersi a correre, fare più in fretta.
Alla fine del percorso trovarono una parete nuda, apparentemente un vicolo cieco. Ma alzando gli occhi verso l’alto videro che sul soffitto vi era un’altra botola. L’uomo con la pelle abbronzata l’aprì e, dopo essersi assicurato che non ci fossero pericoli, si arrampicò e fece cenno agli altri di seguirlo.
Entrarono in un nuovo passaggio, fatto di scale di legno che salivano a spirale verso l’alto. Si arrampicarono fino all’ultma rampa e poi si fermarono di nuovo.
“La quarta pietra contando dal basso, partendo da quella alla destra di quella con la scheggiatura trasversale” sussurrò la ragazza coi capelli rossi all’uomo con la pelle abbronzata.
Quest’ultimo aggrottò la fronte e la guardò. “Un po’ più facile no, vero Miriel?”
“Non l’ho costruito io il castello, Drinian”
L’uomo fece pressione sulla pietra indicata e ci fu il rumore come di un meccanismo che scattava. La parete di roccia si aprì e il gruppo entrò in una stanza buia.
Il passaggio si celava dietro un lungo specchio appeso alla parete, il quale, non appena l’ultimo scoiattolo fu passato, venne nuovamente fatto girare su se stesso.
Si mossero verso la porta, forzarono la serratura chiusa a chiave grazie all’aiuto delle unghie di una pantera, e si ritrovarono in un lungo corridoio anch’esso immerso nell’oscurità.
“Da qui ci dividiamo, come dal piano” disse l’uomo coi capelli lunghi.
Tutti annuirono.
L’uomo con la barba bianca rivolse al lupo un’occhiata preoccupata, poi seguì di sotto il Centauro e l’uomo con la pelle abbronzata. Con loro, andarono tori, cervi e daini.
L’uomo coi capelli lunghi rimase a guardia della stanza insieme ad un paio di orsi bruni, due tigri e una pantera, ordinando a tutte le altre creature di sparpagliarsi per il castello.
“Coraggio, noi alla Torre!” esclamò l’ometto con la barba rossa, precedendo il falchetto e la ragazza lungo un altro corridoio. Il lupo li seguì.
Man mano che salivano sempre più in alto, l’odore della pioggia e della pietra antica del castello venne sostituito da un nuovo profumo. Era dolce, simile a quello delle rose.
Quel profumo fece affiorare nella mente del lupo immagini di una vita passata, di una vita che non era sciuro gli appartenesse. Suoni lontani di risate, di parole, un nome che non riusciva bene a ricordare – forse il suo o quello di qualcun altro. Una visione scolorita di un sorriso luminoso come la stessa luce del giorno, quella luce della quale splendeva un cielo -che forse non era un vero cielo- limpido e azzurro, nel quale poteva scorgere il proprio riflesso...
A chi appartenevano quelle memorie? A chi apparteneva quel profumo che sapeva di malinconia?
Il lupo doveva scoprirlo. Seppe che era lì per questo.
“Eccoli, sono loro!” gridò d’un tratto una voce.
L’ometto con la barba rossa imprecò. “Dannazione, ci hanno già trovati!”
Il lupo ringhiò quando vide spuntare dalla curva del corridoio alcuni uomini dalla pelle ambrata, con spade ricurve alla mano e bizzarri turbanti avvolti attorno al capo.
La Driade, il Nano, e il lupo si gettarono all’attacco.
“Shira, tu e il Re andate avanti!” esclamò Miriel, iniziando a scatenare il suo potere.
“Caspian!” chiamò Shira.
Il lupo si volse.
Caspian…sì, era quello il suo nome. Lo ricordava pronunciato da una voce gentile e tranquilla, una voce che amava…
 
 

Susan viveva durante la notte e moriva durante il giorno, ad ogni sorgere e tramontare di sole e luna.
O forse no.
Forse si risvegliava alla vita quand’era un falco, e cadeva nell’oblio della morte quando tornava sé stessa.
Segregata in quella gabbia in cima a una torre troppo alta perché potesse chiamare aiuto, anche mettendosi a gridare con tutte le sue forze fino a perdere la voce, nessuno l’avrebbe sentita. Attorno a lei, solo il soffiare del vento e i richiami degli uccelli.
Passava le sue giornate a fissare il paesaggio: le belle valli di Narnia, i boschi, il Grande Fiume e tutti i suoi affluenti, i Monti d’Occidente. Li poteva guardare ma non poteva toccarli, né raggiungerli. Quei luoghi che le erano parsi incommensurabilmente lontani  quando era sulla Terra, adesso le sembravano ancor più distanti.
Lassù, era sola.
Rabadash aveva fatto chiudere ogni passaggio alla Torre, rendendola inaccessibile, inarrivabile. Susan si ritrovò nascosta alla vista, celata al resto del mondo, alla salvezza. L’avrebbe tenuta in quella gabbia finché non si fosse decisa ad arrendersi a lui, ma lei non lo avrebbe mai fatto. Non avrebbe mai ceduto al principe del sud.
In quella lotta interiore e fisica, comunque, non era sola.
Anche se ogni notte Rabadash tentava di giacere con lei, non ci riusciva. Il suo corpo non reagiva alla smania che aveva di lei. C’era davvero qualcosa, anzi qualcuno, che glielo impediva.
Anche Susan ne era consapevole, e se la prima notte aveva gridato di orrore e vergogna, nelle successive aveva serrato gli occhi e sopportato. Era questione di pochi minuti, nei quali Rabadash le si avventava contro; ma ecco che non appena tentava di spingersi oltre le prime impudiche carezze, subito si sentiva male e doveva lasciarla andare.
Nel concreto non accadeva nulla, ma lei si sentiva sporca.
L’aveva violata nell’animo.
In quei momenti avrebbe desiderato morire.
Non avrebbe mai più avuto la forza di guardare Caspian negli occhi; allo stesso tempo avrebbe voluto essere tra le sue braccia, unica cura possibile per riuscire a dimenticare quel che aveva rischiato di subire.
Pensava sempre a Caspian, l’immagine di lui non l’abbandonava mai, e pensarlo le provocava una sofferenza tanto intensa che la lasciava svuotata.
Sentiva che se non avesse pianto sarebbe impazzita. Il problema era che non ci riusciva. Il dolore era così grande che non poteva nemmeno essere espresso con le lacrime. Non aveva più lacrime. Non aveva più emozioni.
Quel che la preoccupava di più era che Rabadash, nonostante fosse conscio di non poterla toccare, continuasse quel rituale per tutte le notti. Finché fosse rimasta lassù, tutto questo non avrebbe mai avuto fine. Susan sperava che si stancasse presto di lei, che la rinchiudesse in una cella nei sotterranei del castello dimenticandosi della sua esistenza, oppure che l’avesse lasciata lì a morire.
Shira non era più tornata da lei e la Regina non sapeva più cosa pensare. Forse era stata scoperta a fare il doppio gioco e ora Tisroc la teneva rinchiusa, proprio come Rabadash aveva fatto con lei. O forse, aveva trovato Caspian e gli aveva consegnato il fiore blu e il fiocco di Myra.
Susan aveva promesso a suo marito di non lasciarsi andare, ed era decisa a mantenere quella promessa. Non l’avrebbe deluso.
E così aveva continuato a pregare incessantemente, a volte per quasi tutto il giorno, altre fino ad addormentarsi, esausta.
Voleva credere, voleva farlo con tutte le sue forze.
Chiedi e ti sarà dato, diceva Aslan.
Ma Susan non aveva chiesto aiuto, non aveva chiesto più forza. Non voleva nulla per sé stessa, perché non meritava niente. Invece, inginocchiata davanti al cielo fino a farsi venire i crampi alle gambe, fino a che le ginocchia le dolevano terribilmente, aveva implorato e supplicato in tutti i modi e con tutte le parole possibili che almeno Caspian potesse essere ancora vivo.
Almeno lui.
Aveva anche gridato contro quel cielo, picchiando i pugni a terra, mentre le lacrime cedevano il posto alla rabbia.
Voleva solo che Caspian stesse bene, perché se così non fosse stato, in cosa poteva credere ancora lei? In Narnia? Narnia era un mondo vuoto senza di lui.
Tutti gli altri potevano far finta di aver dimenticato il perché lei fosse tornata, ma lei no: non era tornata per vivere a Narnia, ma per vivere al fianco di Caspian, per vivere per Caspian.
Con suo marito vicino avrebbe potuto farcela. Insieme avrebbero superato la perdita di Rilian e Myra. Ma così no…
Così era impossibile.
C’era troppo dolore in lei. Troppo...
Sapeva che il suo cuore non poteva reggere il dolore, non quel dolore: la solitudine.
“Aslan, ascoltami! Ti prego, ti scongiuro ascoltami!”
E Aslan l’aveva ascoltata…
Accadde una sera al sorgere della luna, quando Susan aveva appena ripreso le sue sembianze umane.
L’ululato del lupo si levò nella notte di Narnia e arrivò fino a lei: incredula e immobile figura avvolta in una candida sottoveste sgualcita che la faceva apparire piccola e fragile, debole e straziata, ma ancora viva. Nel suo petto, il cuore si agitò furioso; nelle vene, il sangue scorreva veloce, dandole una scarica d’adrenalina che la scosse da capo a piedi.
Le orecchie tese ad ascoltare, Susan si avvicinò alle sbarre, stringendo il ferro tanto forte che la fede nuziale e l’anello di zaffiri le lasciarono due profondi segni rossi sull’anulare sinistro.
Tremò.
C’erano decine di lupi a Narnia, e chiunque avrebbe pensato che sarebbe stato da stupidi credere che proprio quell’ululato potesse appartenere a lui. Ma qualcosa le diceva che era proprio così.
Nella voce di quel lupo vi era una nota spezzata da un dolore potente come la morte. Lui non stava solo cantando alla luna, stava cantando per lei: per la Regina del suo cuore.
Era lui. Sapeva che era lui! E se lo udiva, non doveva essere lontano.
Quella consapevolezza le fece liberare dalla gola il nome dal suono più dolce che avesse mai pronunciato.
“Caspian…Caspian! CASPIAN!!!”
Aggrappata a quelle sbarre come fossero l’unico appiglio rimastole, continuò a gridare il nome di lui, all’infinito, finché i singhiozzi glielo impedirono.
Si piegò su se stessa, cadendo in ginocchio, appoggiando il viso a quelle sbarre fredde che ancora stringeva.
Chiuse gli occhi ma li riaprì di scatto subito dopo, quando il lupo ululò di nuovo, come se l’avesse udita e le avesse risposto.
“Oddio…” Susan fece un sospiro tremulo, e sorrise per la prima volta da giorni. Un sorriso stanco, che sapeva di speranza e di dolore allo stesso tempo.
Doveva tenere duro. Lui sarebbe arrivato, come sempre. Perché Caspian la trovava sempre, lui avrebbe saputo cosa fare. L’avrebbe slavata, l’avrebbe protetta.
Lui per lei faceva l’impossibile.
Nulla, quella notte, aveva avuto più senso se non quel suono, che l’aveva distratta da tutti i dolori.
E quando si era nuovamente persa nel buio e la sofferenza era tornata a pesare sul cuore, incredibilmente non le parve più così opprimente.
Lo stesso accadde nelle due notti successive, e poi la terza, quando un nuovo temporale si scatenò su Narnia in tutta la sua violenza.
La pioggia cadeva a catinelle e la infradiciava completamente.
Rabadash era venuto come sempre da lei, ma stavolta non l’aveva toccata. Si era invece fermato in fondo alla Torre, accanto alla porta, a guardarla come se stesse decidendo che cosa fare di lei.
Forse, sperò Susan, stava davvero pensando di gettarla nelle segrete.
Bè, almeno per Caspian sarebbe stato più facile trovarla.
Non farti illusioni, disse una vocina nella sua testa...
Il principe rimase là per delle ore, a fissare la sagoma della Regina che si confondeva con il buio.
Lei se ne stava rannicchiata in fondo alla gabbia, lo sguardo rivolto a Narnia, il pensiero a Caspian, ai suoi figli, agli amici. Tremava di freddo per le raffiche di vento che soffiavano violente fin lassù. I lunghi capelli bruni le si erano appiccicati al volto, alle spalle, alla sottoveste fradicia che lasciava intravedere la sua pelle.
Rabadash non poteva sfiorarla neppure con un dito. Ora che era in mano sua, poteva solo guardarla, e questo per lui rappresentava la frustrazione più grande.
Egli la vide tremare, ma lei non si mosse, come se niente la infastidisse: né la pioggia, né il freddo, né il vento. Era come se la sua mente avesse chiuso fuori il mondo intero e lei riuscisse così a sopportare l’umiliazione cui la stava sottoponendo.
“Vi ammalerete” furono le prime parole che Rabadash le rivolse dopo moltissimo tempo. “Non mangiate e non dormite da giorni. Volete davvero morire, dunque?”
“Perché dovrei voler vivere?”
La voce un poco arrochita per il lungo silenzio, Susan pronunciò queste parole in un mormorio appena udibile al di sopra dello scrosciare della pioggia.
“Vi piegherete prima o poi”
Susan si volse e lo guardò con occhi stanchi, vuoti, lontani.
“Vi odio” disse, la voce appena un po’ più forte. Non gridò, non disse nient’altro.
Non c’era stata né offesa né ira nelle sue parole: quella di Susan era stata solo una stanca affermazione. L’evidenza dei suoi sentimenti.
Tali parole scatenarono in Rabadash una rabbia infuocata.
Si scagliò contro la gabbia, le urlò contro, la insultò nel peggiore dei modi, tessendo le sue disgrazie e il suo nero futuro.
La Regina rimase immobile.
Rabadash non sapeva che in lei si era riacceso un barlume di speranza, e non doveva sospettarlo. Se avesse capito che Caspian stava arrivando a salvarla, di certo avrebbe ordinato alle guardie di serrare ancor di più la già impenetrabile sorveglianza.
Caspian... amore mio, dove sei?
Forse era già sulla strada per venire a salvarla...
“Non verrà nessuno, è inutile che aspettate” disse il principe quando finì di gridare.
Ancora una volta, lei si rifiutò di rispondergli.
Aslan ti prego, proteggilo! pensò disperatamente.
Giunse la mani, tremando di freddo a causa delle folate di vento gelato che si abbattevano su di lei.
Non sentiva più il suo corpo.
Udì Rabadash avvicinarsi, infilare la chiave nella serratura e aprire la porta della gabbia.
Susan si voltò appena ma senza guardarlo in viso. Vide il mantello cadere a terra e chiuse gli occhi, cercando di pensare a tutto tranne che a quello che stava per accadere.
Rabadash l’afferrò per un braccio e la spinse a terra malamente, avventandosi su di lei.
“Che cosa farebbe il vostro Caspian se vi vedesse ora?” chiese con un ghigno. “La sua dolce Susan che si dimena tra le braccia di un altro uomo”
“Vi ammazzerà, ecco che cosa farà!” rispose la Regina, la testa voltata dalla parte opposta, nauseata.
Rabadash rise. “Io non credo. Penso invece che non vi vorrà più vedere”
“Probabilmente è vero. Probabilmente mi disprezzerà, ma questo non cambierà le cose, perché io lo amerò ancora”
Il principe le prese il volto con una mano e glielo fece voltare verso il suo. Negli occhi di lei scorse qualcosa che lo turbò.
Era speranza quella che vedeva?
“Anche se il vostro Re dovesse essere ancora vivo...”
Se dovesse essere vivo?” lo canzonò Susan, riuscendo a scostarsi un poco da lui. Come al solito, Rabadash stava perdendo le forze. “Non vi eravate vantato di averlo ucciso voi stesso?”
“Se vi dicessi di no?”
“Se vi dicessi che lo sapevo?”
Rabadash strinse gli occhi in due fessure. “Non sfidatemi, donna!”
“E voi non fate il gradasso, principe. Non siete riuscito ad uccidere un lupo inerme, e non riuscite neppure a soddisfare i vostri piaceri. Dov’è il grande uomo di cui tutti parlano e che avete sempre sostenuto di essere?”
Il principe proruppe in un grido di furore. Colpì la ragazza in pieno viso, facendole sanguinare il labbro inferiore.
Susan aveva davvero osato troppo.
Rabadash la prese per la gola e la spinse contro le sbarre, provocandole un acuto dolore alla schiena e mozzandole il fiato.
“E adesso, mia bella Regina, vorreste che vi uccidessi, vero? No, voi resterete qui, con me, sapendo che il vostro Caspian è vivo, destinato come voi a una vita a metà. Non vi rivedrete mai più, o se mai ci ricucirete, non potrete parlarvi né toccarvi. La morte sarebbe una soluzione troppo semplice per voi due, troppo gentile e sbrigativa, forse persino indolore. Così, invece, avrete una vita intera per soffrire, a lungo, e il dolore vi consumerà giorno dopo giorno, fino a che non darete l’ultimo respiro. E pregherò Tash di mantenermi in vita fino a quel giorno, così che potrò esultare della vostra morte!”
Un tuono squarciò il cielo e fece tremare l’intera Torre. La porta si spalancò con un tonfo, e il lupo saltò alla gola di Rabadash prima che lui o Susan ebbero il tempo di capire ciò che stava succedendo.
“Caspian!” strillò lei, incredula, felice, terrorizzata.
Rabadash riuscì ad allontanare il lupo, rotolando a terra insieme ad esso. Si premette una mano sulla gola, la scostò e osservò le proprie dita macchiate di sangue. Non era grave.
Il lupo era atterrato sulle quattro zampe, i denti scoperti, il pelo nero ritto sulla schiena, la testa abbassata e l’aria minacciosa. Un cupo ringhio saliva dalle profondità della sua gola.
Rabadash sfoderò la scimitarra. “Non vi fermate proprio davanti a nulla, vedo, Vostra Maestà”
“Non toccarlo! Non avvicinarti a lui!” rantolò Susan, una mano premuta sulla gola.
Quando Rabadash l’aveva lasciata andare, si era accasciata lungo la parete della gabbia, ma ora era di nuovo in piedi, pronta ad aiutare Caspian.
Fece per uscire dalla porta della cella rimasta aperta, ma il principe la richiuse in tutta fretta.
“NO! Caspian! Caspian!”
Rabadash fece un ghigno, roteando la spada tra le mani, avanzando lentamente verso il lupo con l’aria di chi ha a disposizione tutto il tempo che vuole.
L’animale non si mosse di un millimetro. Non aveva paura dell’uomo.
Susan osservava la scena senza sapere cosa fare: come aiutare Caspian? Con che cosa?
Il principe attaccò per primo, ma il lupo scansò il suo primo colpo e quelli successivi. Rabadash era un combattente eccellente, tuttavia, con quelle sembiaze Caspian lo superava in rapidità e agilità, e non fu facile per il principe stragli dietro. Il lupo sfrecciava come il vento, e quando l’avversario allungò il braccio per colpirlo, i denti affondarono nella carne.
Nuovamente travolto da una rabbia incontenibile, Rabadash calò la lama sull’animale.
Il lupo lasciò andare l’uomo del sud non appena capì le sue intenzioni. Ma questa volta non fu abbastanza rapido e la spada lo colpì di striscio.
Susan gridò quando vide il sangue e udì un guaito di dolore.
“Maestà!” chiamò una nuova voce dall’alto.
La Regina Dolce, gli occhi fissi su Caspian, distolse lo sguardo da lui solo un momento.
“Shira!”
Rabadash si voltò di scatto, incredulo. “Shira?!”
“Sì, proprio io!”. Incurante che lui l’avesse vista, il falchetto si insinuò nella gabbia, volando tra le braccia della Regina.
“Shira, devi cercare di prendere le chiavi, devo uscire di qui! Devo aiutare Caspian!” disse Susan in tono concitato, spostando di nuovo gli occhi sul lupo che si stava rialzando.
“Non farà nulla del genere!” tuonò Rabadash.
Dimentico per un momento del suo duello, il principe si precipitò verso il falchetto e la Regina. Riaprì la porta della gabbia con un calcio poderoso, la scimitarra alzata sopra la testa in un gesto inequivocabile.
“Sporca traditrice!”
“Shira, scappa!” Susan la lasciò andare e il falchetto si alzò in volo.
Carico di rabbia, Rabadash si abbatté sulla Regina Dolce. Lei cercò di scappare, ma lui l’afferrò per un braccio.
Il lupo si rimise in piedi, incurante della ferita ripotata. Saltò dentro la gabbia e si parò davanti alla ragazza prima che l’altro uomo potesse toccarla di nuovo.
Non doveva nemmeno sfiorarla!
Susan si strinse a lui, posando le mani sul manto fradicio di pioggia, percependo la ferita ancora fresca, il tremito del suo corpo mentre ringhiava in direzione di Rabadash.
“Non gli farete del male!”
“Dovrei commuovermi, adesso?” sbottò il principe, osservandoli.
Inutile. Era inutile. Erano sempre uniti, pur sapendo che non avrebbero mai più potuto stare insieme. Non si sarebbero lasciati mai.
La pioggia aveva cessato di cadere, i tuoni risuonavano ancora in lontananza, ma ormai il temporale era finito e il cielo si tingeva di lilla: l’alba era prossima.
“Arrendersi sarebbe molto saggio da parte vostra”
Susan cercò di trattenere il lupo, ma questo balzò allungando il corpo, tendendo i muscoli, saettando nell’aria in una nera macchia indistinta.
Rabadash alzò la scimitarra, pronto a infilzare la lama nell’addome dell’animale.
Susan schizzò in piedi ed uscì dalla gabbia. Non pensò a che aveva riacquistato la libertà, pensò soltanto a lanciarsi verso Rabadash e ad afferrargli il braccio destro, impedendogli di trafiggere il lupo.
Il principe e la ragazza si spinsero senza avvedersene fin sull’orlo della Grande Torre.
In quel mentre, un’ombra passò sopra le loro teste: era un grosso uccello, e reggeva tra le zampe un oggetto lungo e scintillante.
“Uh-uh! Sire, prendete!”
Caspian alzò il braccio e afferrò Rhasador al volo.
Susan sentì il cuore accelerare i battiti mentre si voltava.
Caspian!
Era là, davanti a lei, in carne ed ossa, Rhasador puntata contro il nemico.
Rabadash afferrò saldamente la Dolce, sospingendola verso l’orlo della Torre.
Lei riusciva a tenersi ancora in equilibrio solo perché era aggrappata al suo nemico. Se l’avesse lasciata sarebbe precipitata nel vuoto.
“Susan!” gridò Caspian, “Lasciala andare, animale schifoso!”
Rabadash si sentì ribollire il sangue nelle vene. “Come desiderate!”
Ciò che avvenne dopo si svolse per tutti come una scena al rallentatore, ma in realtà non durò che pochi secondi.
Rabadash lasciò andare la Regina, ed ella cadde nel vuoto con un grido di puro terrore.
“SUSAN!!!” Caspian si precipitò verso la balaustra afferrandola al volo.
Il principe del Sud tentò di colpire il Re di Narnia alle spalle, ma Pennalucida scese in picchiata su di lui, facendolo rovinare sulle tegole del tetto più in basso. Rabadash rotolò ancora più giù, finché non colpì una merlatura e sentì il braccio spezzarsi. La vista gli si annebbiò per via del dolore molto forte, ma poté ugualmente vedere la scena a pochi metri da lui: era stato più fortunato di Susan. Lei penzolava con i piedi nel vuoto.
“Dai il segnale, Pennalucida! Abbiamo bisogno d’aiuto!” gridò Caspian.
“Sì, Maestà!”
La mano di Susan scivolava nella sua. “Tieniti!
“Caspian, lasciami andare!”
Il giovane sgranò gli occhi, incredulo. “Sei impazzita?!”
“Fidati, ti prego! Lasciami, o cadrai anche tu!”
“NO!”
Lui non riusciva più a tenerla. La trasformazione lo lasciava ancora troppo debole, e la ferita alla spalla sanguinava dolorosa, intorpidendogli il braccio.
“Non posso lasciarti! Non voglio più lasciarti, Susan!”
“Caspian…”. Gli occhi della Regina Dolce si riempirono di lacrime e presto non fu più in grado di vedere il volto di lui.
“No...NO!!!” gridò Caspian, quando infine perse la presa.
Susan strillò e cadde verso il nulla.
Era stato un attimo. Per pochi istanti appena si erano rivisti, si erano toccati.
Quel che aveva detto Rabadash non era vero, lei l’aveva sempre saputo: c’era ancora una possibilità per loro di stare insieme, e l’avrebbero trovata.
E poi il cielo s’illuminò, il sole sorse, e i suoi raggi si stesero su Narnia, sul castello, mentre uno splendido falco appariva davanti agli occhi di Caspian, librandosi nell’aria salutando il nuovo giorno.
 

 



Cari lettori, perdonatemi se non sono riuscita ad inserire né Eustace e Jill, né i gemelli, né a fare il salto temporale di cui vi aveva parlato. Un po’ è stata colpa del nuovo lavoro che mi ha tenuta impegnatissima per tutta la settimana (avevo tempo di scrivere solo di sera) e un po’ è stata anche la piega e la lunghezza inaspettata che hanno preso le vicende riguardanti i nostri Suspian.
Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto, e scusate ancora se ogni tanto le anticipazioni non sono quelle previste. Giuro, giuro, giuro che non vi deluderò più!!! U.U
Non ho riletto il capitolo, per cui se trovate errori non esitate a dirmelo così posso correggerli, e scusatemi tanto!!!
 
Ringrazio:


Per le preferite: Aesther,  aleboh, Araba Stark, battle wound, english_dancer, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, G4693,GregAvril2000,HikariMoon, Jordan Jordan, Joy_10, lucymstuartbarnes, lullabi2000, Mia Morgenstern, Muffin alla Carota, Mutny_Hina, oana98, piumetta, Queen Susan 21, Shadowfax, SweetSmile, TheWomanInRed, ukuhlushwa e Zouzoufan7
 

Per le ricordate: Araba Stark, Cecimolli, Halfblood_Slytherin, mishy, Queen_Leslie e Zouzoufan7
 
Per le seguite: Araba Stark, bulmettina, catherineheatcliff, Cecimolli, ChibiRoby, cleme_b, ecate_92, fede95, FioreDiMeruna, Fly_My world, Fra_STSF, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, JLullaby, Jordan Jordan, Joy_10, Judee, katydragons, Lucinda Grey, lucymstuartbarnes, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_, piumetta, Queen Susan 21, Revan93, Shadowfax e Zouzoufan7
 

Per le recensioni dello scorso capitolo: battle wound, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, Joy_10,piumetta, Queen_Leslie, Queen Susan 21 e Shadowfax,

 
Angolino delle anticipazioni (ehm…un pò approssimativo…)
Prima di tutto, vedremo come si concluderanno le cose a Cair Paravel. No, Rabadash non è morto, tranquilli xD
Come vi dicevo l’altra volta, Rilian e Myra, nel Mondodisotto, riceveranno una sorpresa.
Eustace e Jill si ritroveranno su una altissima montagna e lui sarà vittima di uno spiacevole imprevisto…
I Pevensie, se riesco ad inserirli, arriveranno nella Foresta di Mezzo.
E per quanto riguarda il salto temporale, penso che dovrete aspettare non il prossimo capitolo ma quello dopo ancora per sapere quanto tempo passerà.

 
E anche per questa settimana è tutto!!! Mi spiace davvero di non riuscire più a trovae un giorno fisso per gli aggiornamenti, e vi ringrazio per essere così pazienti e comprensivi. Continuate a seguirmi fiduciosi in quest’avventura!!!
In ultimo vi ricordo la mia pagina gruppo su facebook Chronicles of Queen per gli aggiornamenti
Un bacio enorme,
Susan♥

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Capitolo 14
*** Capitolo 14: Il traditore ***


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14. Il traditore
 
 
Quando hai pianto ho asciugato tutte le tue lacrime
Quando hai urlato ho combattuto tutte le tue paure
Ho tenuto la tua mano durante tutti questi anni
Ma tu hai ancora tutto di me


 
Le ultime gocce di pioggia gli spruzzarono il viso, mentre guardava il falco allargare le ali, stagliarsi contro la luce dell’aurora, liberare un altro acuto richiamo.
Susan…eccola dunque: ecco qual era l’aspetto che la maledizione aveva scelto per lei.
Caspian provò sentimenti contrastanti: da quel momento in avanti avrebbe avuto una vita a metà. Lei, alla quale lui aveva cercato da sempre di dare tutto dalla vita.  Era prigioniera di quelle sembianze, ma allo stesso tempo era libera…libera da quella gabbia, libera da Rabadash e dai suoi soprusi.
Dolce Susan, che aveva combattuto contro tutto e tutti per stare con lui, persino contro sé stessa, riuscendo a vincere le paure e le incertezze.
Si pentì di essere stato duro con lei, di averla rimproverata. Non le aveva nemmeno chiesto scusa e adesso non avrebbe più potuto farlo...
I suoi pensieri vennero interrotti da un rumore di tegole spostate. Caspian si volse e vide Rabadash: un braccio inerme lungo il corpo, con l’altro cercava di risalire sulla Torre.
Il Liberatore ebbe l’impulso di alzare Rhasador e colpirlo senza indugio, ma il richiamo del falco lo riportò alla ragione.
“Sue…” mormorò.
Anche Rabadash si volse.
Il falco era tornato indietro e andava verso Caspian.
Il Re alzò il braccio, accogliendola su di esso.
“Caspian!”
“Maestà!”
Chiamarono due voci all’unisono.
Miriel e Briscola apparvero sulla soglia della Grande Torre, scarmigliati, il respiro affannoso.
Caspian lanciò uno sguardo incerto sotto di sé, verso Rabadash.
I due avversari si scambiarono uno sguardo di puro odio, sapendo che quello scontro era solo rimandato.
“Che tu sia maledetto, Liberatore!” gridò il principe del Sud, mentre il Re di Narnia fuggiva insieme a Susan, la Driade e il Nano. “Oh, dimenticavo…sei già maledetto!” esclamò ancora, scoppiando in una risata glaciale.
“Voi siete pazzo” disse una voce accanto a lui.
Rabadash si voltò. “Shira!”
“Tutta la vostra cattiveria vi si ritorcerà contro, un giorno”
“Tu ritieniti fortunata che non possa spezzarti il collo seduta sante, piccola infedele”
Lei fece un verso sprezzante. “Non vi sono mai stata fedele. Ormai, tanto vale che ve lo dica, e ci terrei che informaste anche il vostro paparino: sono sempre stata dalla parte di Aslan, fin dai tempi del viaggio attraverso l’Oceano”
Senza ascoltare ulteriore insulti, Shira aprì le ali e spiccò il volo, compiacendosi di aver visto la collera sul volto del principe.
Volò verso terra dove gli animali di Narnia avevano scatenato un vero parapiglia. Il diversivo era riuscito in pieno. Ma chissà come se la stavano cavando Drinian, Cornelius e Tempestoso…Erano riusciti a trovare le ancelle della Regina? E Lord Rhoop?
Shira virò verso una finestra aperta, raggiungendo di nuovo il Re, Miriel, Briscola e il falco.
Il gruppetto ridiscese verso il terzo piano, dove Rhoop li aspettava davanti alle stanze della Regina Lucy.
Caspian slittò sul pavimento, fermandosi di colpo.
“Che diavolo è successo qui?” chiese, allibito e ammirato, vedendo decine di soldati calormeniani stesi a terra.
“Abbiamo difeso il passaggio con unghie, becchi, denti e…spada” rispose una volpe.
“Anche Lord Rhoop ci ha aiutato” commentò un corvo.
“Sì” disse quest’ultimo con un sorrisetto, “giusto un pochino”
Dalla curva del corridoio si udirono passi in corsa. Tutti si prepararono a dar battaglia, ma non ce ne fu bisogno: erano Cornelius, Tara e Clipse.
Le due ancelle corsero immediatamente ad abbracciare Miriel.
“Dove sono Drinian e Tempestoso?” chiese Caspian.
“Il capitano è andato a cercare sua moglie” rispose Clipse. “Tempestoso è rimasto con lui per aiutarlo”
“Non eravate insieme a Lora?”
“All’inizio sì” rispose Tara, “ma qualche giorno fa l’hanno portata via”
“Via dove?”
“Non lo so, Sire” Tara scosse il capo, mortificata.
“Maestà, voi dovete andare” intervenne Lord Rhoop. “Era stato stabilito che…”
“Ci ritrovassimo all’accampamento, lo so, milord” concluse il giovane. Respirò profondamente, serrando il pungo sull’elsa di Rhasador.
“Rimarrò io qui ad attenderli. Devo comunque restare per far passare tutti gli animali” disse ancora Rhoop.
“No” disse Cornelius, la fronte imperlata di sudore. “Hanno detto di non aspettarli”
Ci fu un mormorio di incredulità.
“Ma così rimarranno bloccati dentro il castello!” esclamò Miriel, “Se dovessero tornare indietro…”
Se?!” esclamò Caspian, voltandosi verso di lei con espressione furiosa.
“Volevo dire...quando torneranno indietro” si corresse la Driade, “senza Lord Rhoop a guardia del passaggio, non potranno sperare di entrarvi senza venire inseguiti”
“E’ vero” disse Briscola. “In ogni caso, serve sempre qualcuno che resti di guardia a impedire ai calormeniani di insinuarsi nel passaggio segreto”
“Non sanno ancora dov’è l’entrata vera e propria” ribatté la volpe.
“Lo scopriranno in fretta, non dubitarne”
“Dovremo far crollare il passaggio segreto, allora” disse Rhoop. “O i soldati attraverseranno la galleria e finiranno per scoprire dove ci nascondiamo”
“L’idea finale era quella” disse Caspian, “ma mi rifiuto di fare una cosa simile se tutti non sono passati. Il giuramento che feci anni fa sul Veliero dell’Alba è ancora valido: finché mi sarà possibile, proteggerò tutti coloro a cui voglio bene”
Il falco, sulla spalla del Re, si mosse ed emise un verso stridulo di avvertimento.
“Stanno arrivando altri guerrieri di Calormen” disse Cornelius. “Resterò io, voi andate. Tutti. Anche voi Lord Rhoop”
“Non se ne parla!” esclamò subito Caspian.
“Maestà, per una volta devo dirvi di tacere. Io posso impedire ai soldati di scoprire il passaggio segreto, e posso aiutare i nostri amici”
“E come?”
“Semplice: con un poco di magia spicciola. Anzi, mi è venuta un’idea: confonderò il corridoio”
“Confonderete…?” fece Caspian, osservando il precettore armeggiare con dei piccoli sacchettini appesi alla sua cintura, dai quali estrasse qualche strana pietruzza colorata.
“Esatto, esatto!” spiegò velocemente il dottore. “Ho usato lo stesso trucco giù nelle prigioni. Vedete questa pietra? Se ora la poniamo qui, al cento del corridoio, sprigionerà una nebbiolina che confonderà la strada; ossia, sarà come se non esistesse. In questo modo, sia gli animali che Drinian, Tempestoso e Lady Lora, potranno rinfilarsi nel passaggio segreto senza venire inseguiti. Per i soldati sarà come vederli scomparire nel nulla”
“Ma se il corridoio non esisterà agli occhi dei calormeniani” commentò Shira, “neppure Drinian e gli altri lo vedranno”
“Per questo è necessario che rimanga io. Nessuno di voi sarebbe in grado di attivare e disattivare questa magia, soltanto io”
Cornelius si avvicinò alla porta della camera di Lucy e l’aprì, esortando tutti i presenti ad entrare. “Andate, Maestà, presto!”
Caspian prese il falco e lo passò a Tara, la quale osservò lo splendido uccello con curiosità. Lei e Clipse non sapevano ancora nulla della maledizione.
Poi, prima che la porta si richiudesse, il Liberatore posò le mani sulle spalle del suo precettore. Suo padre.
“Promettete, giurate di ritornare con Drinian all’accampamento”
“No, voi dovete partire immediatamente per Prato Ballerino. Non aspettateci. Ci rivedremo alla casa di Tartufello. In qualche modo, vi giuro che vi raggiungeremo. Che Aslan sia con voi”
“Grazie professore. Non so davvero come ringraziarvi”
Quelle furono le ultime parole che Caspian scambiò con il dottor Cornelius.
Non si sarebbero rivisti a Prato Ballerino. Si sarebbero incontrati ancora, ma in un luogo diverso, in circostanze diverse, in un tempo lontano da quel giorno.
Briscola e Caspian furono i primi a raggiungere lo specchio, armeggiando con l’intelaiatura per far scattare il passaggio.
Ora che il Re era abbastanza lontano per non udire, Cornelius afferrò la manica dell’abito di Lord Rhoop, trattenendolo un momento.
“Quando Sua Maestà sarà al sicuro, fate crollare il passaggio con questa” disse il vecchio, mettendo tra le mani di Rhoop un sacchettino rosso scarlatto. “Qui dentro c’è una potente polvere esplosiva”
“Ma professore, voi…”
“Non discutete. Ora andate”
“Sua Maestà mi ucciderà quando saprà che ve l’ho lasciato fare” protestò debolmente il Lord di Telmar, cacciandosi il sacchettino in una tasca del farsetto.
Gli occhi di Cornelius brillarono di lacrime. “Dite a Sua Maestà che faccio questo perché lo amo con tutto il cuore. Lui, la Regina, i principi, e tutti voi. Se la mia singola vita servirà per salvarvi, la donerò volentieri”
Detto ciò, Lord Rhoop richiuse la porta e raggiunse il resto del gruppo. Gli animali stavano già calandosi attraverso il cunicolo, poi toccò alle ragazze e infine agli uomini. Lui e Caspian furono gli ultimi.
Una volta richiusa la botola, dopo che ebbero disceso le innumerevoli rampe di scale a chiocciola, Rhoop rimase un poco più indietro rispetto agli altri senza farsi notare. Si fermò, estrasse la polvere esplosiva e la fece cadere a terra. Quella iniziò a sfrigolare a contatto con la pavimentazione di pietra, e Rhoop si allontanò in fretta.
Dopo un attimo ci fu una fortissima esplosione.
Molti gridarono di spavento. Caspian si volse e osservò sgomento le scalinate segrete piegarsi l’una sull’altra, crollare in un fragore assordante provocando un enorme polverone.
“Via! Va! Allontaniamoci!” esclamò Briscola.
“NO!” gridò Caspian, muovendosi istintivamente per tornare indietro.
Lord Rhoop lo fermò, afferrandolo per le braccia. “Sire, andiamocene”
“C’è ancora Cornelius, lassù! Non posso abbandonarlo!”
“E’ stato lui a volerlo, Maestà, per salvarci tutti!”
Caspian smise di dimenarsi e lo fissò, scuotendo piano il capo. “Mi ha promesso…mi ha promesso che…” non finì al frase, non riusciva a parlare. “Perché gliel’avete permesso?!” proruppe poi, afferrando Lord Rhoop per il bavero della camicia.
“Perché era la nostra unica possibilità di non venire inseguiti dai soldati di Rabadash! Qualcuno sarebbe dovuto rimanere in ogni caso. Ha scelto di restare lui. Dovreste essergli grato per quel che ha fatto. Vi sta donando la sua vita, Maestà”
“Io non ho mai chiesto questo! Non ho mai voluto questo!”. Caspian lasciò andare il Lord, respirando affannosamente.
“E Drinian? E Tempestoso?” chiese debolmente Miriel, quasi avesse paura di parlare.
Lord Rhoop scosse semplicemente il capo, facendole capire – a lei come a tutti – che probabilmente non avrebbero più rivisto nessuno di loro.
 
 
 
~·~

 
 
Quando il castello era stato attaccato dai calormeniani, Lady Lora passeggiava per i giardini insieme a un altro paio di dame. Un corno da guerra era risuonato nell’aria di quel tranquillo pomeriggio d’estate, e i cavalieri avevano subito intimato i castellani a rientrare.
Il primo pensiero di Lora era stato per suo marito. La sua mente era corsa poi alla famiglia reale: il Re, la Regina e i principi si trovavano fuori per una gita nelle foreste. Che Aslan li avesse protetti! Non dovevano tornare indietro, o li avrebbero catturati. Bisognava subito avvertirli.
Purtroppo, la confusione fuori e dentro il palazzo era tanta che Lora non aveva trovato nemmeno un paggetto che l’ascoltasse per più di dieci secondi.
Si era ritrovata nei pressi dell’Antica casa del Tesoro e qui aveva incontrato il dottor Cornelius. Insieme avevano deciso di nascondersi proprio là dentro.
In seguito, erano sopraggiunti Miriel, Tara, Clipse e Briscola, e poi i Lord di Telmar, i quali l’avevano rassicurata sulle sorti di Drinian: era vivo, era lì a Cair Paravel.
I Lord, come lei, si erano rifiutati di ascoltare il consiglio di Briscola, cioè quello di fuggire dal palazzo reale per nascondersi nelle foreste.
Tara e Clipse erano con lei, così Cornelius. Miriel era stata l’unica che si era offerta di andare insieme a Briscola a cercare il Re e la Regina.
Mentre aspettava il ritorno del Nano e della Driade, Lora aveva continuato a lanciare occhiate al passaggio dell’Antica casa del Tesoro, sperando che si aprisse da un momento all’altro. Sperando di vedere Drinian sulla soglia.
E infine, lui era arrivato.
Senza dire una parola, marito e moglie si erano abbracciati per lungo tempo, fino a che il capitano non l’aveva portata via.
“Resterò al tuo fianco, mio caro. Se dovrò morire, lo farò insieme a te”
Era stato difficile lasciare le ancelle e il professore là da soli. Ciò nonostante, la Lady aveva fiducia in Briscola e Miriel: sarebbero stati presto di ritorno insieme ai Sovrani. Re Caspian avrebbe saputo cosa fare.
Lora e Drinian erano riusciti a fuggire e nascondersi, attendendo che la situazione si calmasse un poco prima di muoversi e cercare un rifugio più sicuro. Dal loro provvisorio nascondiglio avevano asstito alle eclissi, visto la foresta accendersi del colore del fuoco, e in ultimo il rapimento della Regina.
Lora aveva insistito per accorrere in suo soccorso. Voleva molto bene a Susan. La Dolce era sempre stata tanto buona con lei, l’aveva sempre trattata da amica; aveva pianto con lei e consolata, quando le aveva raccontato la triste storia. Susan l’aveva resa partecipe della vita dei principini, i quali suscitavano in Lora ricordi dolci amari per via del figlio che aveva perduto tanti anni prima.
“Non permetterò che le facciano del male, Drinian! Mi hai detto che, anni fa, il principe Rabadash era intenzionato a portarla con sé a Calormen. E se i propositi di quell’uomo non fossero cambiati? Cosa potrebbe fare alla nostra Regina?”
Drinian aveva accettato di aiutare sua moglie. Dopotutto, anche se a bordo del Veliero dell’Alba si erano verificate molte incomprensioni tra lui e Susan, il capitano voleva veramente bene alla Dolce.
Ma la fortuna non era stata dalla loro, quella volta. Lord Erton li aveva scoperti.
Il Duca aveva sguinzagliato (nel vero senso della parola) cani e sodati per cercare i fuggiaschi. E mentre Drinian combatteva contro Lord Ravenlock, Lord Galvan si era occupato di Lora, riportandola la castello e rinchiudendola nelle sue stanze. Poco tempo dopo aveva avuto compagnia: Tara e Clipse.
Le tre dame si erano chieste quale fosse il motivo per cui Lord Erton non avesse ordinato di gettalre in prigione assieme al resto dei loro amici. La risposta era arrivata alcuni giorni dopo...
Il Duca era ricomparso con i suoi scagnozzi e un paio di guardie. Aveva studiato attentamente le tre donne e poi si era voltato per conferire con gli altri due.
“La Signora dalla veste Verde esige al più presto una balia per i bambini” disse Erton. “Allora, chi credete che delle tre possa compiere meglio questo compito?”
“Io direi Lady Lora” disse subito Galvan. “E’ più matura, più esperta”
Lord Ravenlock aveva come a solito da ridire. “Scegliere tra le ancelle della Regina è un errore, ve lo dico io”.
“Chi meglio di loro potrebbe essere in grado di allevare quei marmocchi?” ribatté Erton.
“Non pensate che i bambini potrebbero venire…per così dire, ‘distratti’ dall’incantesimo che la Signora dalla Veste Verde ha gettato su di loro? Una delle ancelle, signori! Una persona così vicina alla loro madre potrebbe ispirare in loro qualche ricordo di lei.”
“Non succederà niente del genere” assicurò Lord Erton.
Già, pensò: era più che certo che la Strega Bianca non avrebbe permesso a un abitante di Narnia di scendere nel suo regno di tenebre senza aver prima pensato a come renderlo innocuo. Probabilmente, anche Lady Lora sarebbe stata sottomessa allo stesso incantesimo al quale Jadis aveva sottoposto il principe e la principessa.
“Bene, è deciso” disse il Duca, avanzando verso le tre donne e fermandosi davanti a Lora. “Avete ragione caro Galvan: credo anch’io che lei sia la più adatta per ciò che la Signora richiede. Su, portatela via”
In un attimo, Lora si era trovata le braccia chiuse attorno alle mani di due guardie. L’avevano condotta nel cortile secondario e caricata su una barca. Con questa aveva ragguinto la terra ferma e, una volta lontano da castello, i soldai l’avevano fatta salire su un carro. Un piccolo corteo – capitanato da Erton, Galvan e Ravenlock – aveva percorso stradine secondarie attraverso boschi e cittadine, finché non avevano imboccato un’enorme galleria scavata in una collina.
Dove la portavano? Che cosa volevano farle?
Al carro erano appese due lanterne che illuminavano la strada quel tanto che bastava. Per il resto, la galleria era avvolto nel buio.
Lora cercò di scorgere qualche particolare, ma c’era solo nuda roccia.
Viaggiarono per moltissime ore, forse quasi un giorno intero. La Lady si assopì e si svegliò solo quando il carro fece una brusca frenata. Scattò a sedere e si guardò attorno. Non poté non meravigliarsi del paesaggio che la circondava.
Si trovava ora in quello che pareva essere il cortile di un palazzo sotterraneo. Qua e là crescevano strani alberi dalle fronde cadenti, come fossero malati o…tristi. L’erba era ben tenuta ma di uno strano colore verde-azzurrino, lo stesso dei fiori e delle foglie degli alberi. Forse non era il loro vero colore, forse era colpa della poca luce.
Non sapeva se era giorno o notte, e non avrebbe potuto scoprirlo neanche volendo: erano a metri e metri sottoterra.
Una guardia scese da cavallo e annunciò l’arrivo di Lord Erton. In risposta, il portone di ferro si aprì, stranamente senza emettere un suono. Tutto era così calmo laggiù…
Il carro riprese a muoversi e dopo un po’ si fermò di nuovo.
“Siete in ritardo, Duca” disse una voce acuta e fredda.
Lora rabbrividì, cercando di vedere il volto della sua proprietaria.
Era una donna, alta, bellissima, occhi di ghiaccio e capelli lunghi e biondissimi. Indossava un sontuoso abito verde ornato di pietre preziose, al collo portava un bellissima collana di smeraldi.
Chi era mai?
“Mi avete portato la balia per i bambini?”
“Sì, signora, eccola qui” disse Lord Erton, indicando Lora e facendo cenno alle guardie di liberarla.
La Lady fu fatta scendere e condurre al cospetto della Sinora dalla Veste Verde.
Nessuno, tranne Lord Erton, sapeva chi avevano veramente davanti. Solamente il Duca, Tisroc e Rabadash conoscevano la reale identità della Regina del Mondodisotto.
La Signora osservò con attenzione Lady Lora, la quale tremò di fronte al suo sguardo penetrante.
“Va bene, portatela di sopra” ordinò infine. Poi, in tono affettato aggiunse: “Vostra Grazia, e voi Lord Galvan e Lord Ravenlock, gradireste una tazza di thè?”
E mentre la Regina e i tre uomini si accomiatavano, i soldati di Erton consegnarono Lora nelle mani di strane creature.
I servitori della Signora dalla Veste Verde furono gentili con lei. Le slegarono le mani e le diedero da mangiare e da bere.
Considerato che era quasi un giorno intero che non metteva nulla nello stomaco, la povera Lora mangiò e bevve con avidità, ringraziando.
Infine, spaventata ma anche curiosa di sapere cosa l’aspettava, seguì le creature delle tenebre in una stanza piena di giochi per bambini. Era ben arredata, calda e accogliente, dai colori vivaci. In mezzo a tutti i giocattoli vi erano due figurette immobili, sedute sul tappeto accanto al camino acceso.
Qualsiasi altro bambino avrebbe saputo come occupare il tempo in una stanza colma di tutti i divertimenti possibili, ma non loro. Immobili, seduti l’uno accanto all’altra, il bambino e la bambina alzarono i visetti tristi all’arrivo della nuova ospite.
Non appena si riconobbero, i gemelli scattarono in piedi, ritrovando il sorriso. Lady Lora cadde in ginocchio e allargò le braccia, tra le quali il principe Rilian e la principessa Myra si gettarono, iniziando a singhiozzare.
“Piccoli, state bene?”
“Allora non è vero che sei morta! Non è vero che siete tutti morti!” gridò Rilian, cercando di trattenere il pianto.
“Ma certo che no, tesoro! Chi ti ha detto una cosa simile?”
“La Signora, la Regina”
“Lei dice” fece Myra faticando a parlare tra un singulto e l’altro, “c-che i soldati del Deserto hanno a-attaccato il castello, e adesso N-Narnia non è più casa nostra, m-ma la loro. Ha detto che la mamma e il papà…sono…morti. Che un serpente li ha uccisi!”
I gemelli raccontarono tutto quel che era successo nella radura il famoso giorno dell’assedio.
“Poi, la Signora dalla Veste Verde ha ucciso il serpente e ci ha ospitati qui. E’ tanto gentile con noi, ma dice cose strane” concluse Myra.
“Oh, miei cari” fece Lora, gli occhi chiari colmi di pianto. “Non dovete fidarvi di questa Signora”
Come spiegargli che la loro salvatrice era alleata di Lord Erton, uno dei più agguerriti nemici dei loro genitori?
“No, no lei è buona” sostenne Myra.
“No, tesoro. E’ stata proprio la Signora di cui parlate che mi ha fatta portare qui”
I visetti dei gemelli s’illuminarono di gioia.
“Allora c’è ancora qualcuno a Narnia!” esclamò Rilian, sorridendo tra le lacrime. “La Signora deve essersi sbagliata…Oh, Lora, per favore, dicci dove sono papà e mamma!”
La Lady li strinse di nuovo a sé, non sapendo cosa rispondere. Lei non era sicura che il Re e la Regina stessero bene. Non sapeva dove fossero. Come poteva rassicurarli?
“Bambini, ascoltatemi attentamente: qualunque cosa sia accaduta, qualunque cosa succeda, voi non dovrete mai arrendervi. Voi siete la luce e la speranza del nostro mondo”
Rilian e Myra sentirono i loro piccoli cuoricini battere più forte a quelle parole.
I loro titoli, i titoli dei quali Aslan li aveva investiti.
Erano così piccoli che ancora non potevano rendersi conto del vero significato che quegli appellativi rappresentavano.
“Rirì, mi è appena venuta in mente una cosa!” esclamò d’un tratto Myra.
“Cosa?”
“Mamma e papà ci hanno raccontato che, tutte le volte che Narnia era in pericolo, arrivavano dei salvatori dall’Altro Mondo, dal mondo di mamma, dalla Terra! E quei salvatori erano proprio lei e i suoi fratelli: Peter, Edmund e Lucy. Insomma, i mostri zii!”
Rilian e Myra sapevano di averli conosciuti, ma erano ancora in fasce quando i Pevensie erano stati a Narnia l’ultima volta.
“Credi che potrebbero arrivare? E’ questo che sati dicendo, Mia?”
“Sì” esclamò la bambina, con negli occhi una luce tutta nuova.
Lady Lora osservò i due gemelli stringersi la mano e poco mancò che scoppiasse di nuovo in lacrime.
Sui loro piccoli nobili volti era comparsa una nuova espressione: era la speranza. La speranza che Myra infondeva al fratello, la quale veniva alimentata dalla luce che splendeva negli occhi azzurri di Rilian.
Poco dietro a loro, in piedi sulla soglia, la Strega Bianca osservava quella scena in preda a una sensazione con la quale non faceva più i conti da tanti anni: la paura.
Doveva assolutamente imprimere nuovi ricordi nella mente dei gemelli, e lo stesso in quella di Lady Lora.
Per quest’ultima le sarebbe bastato un semplice incantesimo. Per i bambini, invece, era venuto il momento di usare la Sedia d’Argento. Ormai era pronta, non c’era più motivo di aspettare, soprattutto dopo quanto aveva appena visto e udito.
 
 
 
~·~


 
 
 
Di ritorno dal Mondodisotto, Lord Erton ricevette una sconcertante notizia: venne informato della liberazione Regina Dolce per mano di Re Caspian, del Nano Briscola, della Driade Miriel e di un mucchio di animali parlanti.
Rabadash aveva combattuto contro Caspian, ma ne era uscito sconfitto e con un braccio leso. Nulla di grave, per fortuna.
Il Duca gridò all’ incompetenza da parte dei soldati di Calormen, asserendo che se Tisroc (prima di ripartirsene per Tashbaan) avesse lasciato che fossero le guardie al suo servizio ad occuparsi della sorveglianza del castello, piuttosto che quei barbari con le barbe lunghe, a quest’ora la Regina sarebbe stata ancora al suo posto.
Ma per due brutte notizie, ne ricevette anche una buona: erano riusciti a prendere uno dei fuggiaschi: si trattava del dottor Cornelius.
“Ma quel sorpresa” commentò il Duca con aria divertita.
Dietro di lui, Ravenlock e Galvan soffocarono una risata.
“E ora, avete intenzione di sottomettervi spontaneamente, professore, o devo usare le maniere forti?”
Cornelius, inginocchiato a terra, la fronte sudata di stanchezza, alzò il capo e guardò Erton dritto in faccia.
“Non mi arrenderò mai”
“Non siete nella posizione per dire certe cose. Vi credete forse un prode cavaliere? Siete solo un vecchio sciocco”
“Anche voi lo siete, Erton. Vi siete venduto all’Imperatore Tisroc e a suo figlio”
“Come osate parlarmi così?” esclamò il Duca, con un tono simile a un colpo di gong che rimbombò per l’intera stanza.
“Oso perché non nutro più nessun rispetto per voi, signore, né paura alcuna”
Lord Erton puntò un dito contro il professore. “State attento a quel che dite. Vi ricordo che avete ancora un debito con me”
Cornelius non aveva mai dimenticato quel lontano giorno in cui si era recato da Erton a chiedergli di salvare la vita del Re.
“Un favore per un favore” ghignò il Duca. 
“Non scenderò a patti con voi, se è questo che volete”
“Peccato, perché è proprio quello che voglio: che mi diciate dove si trovano il Re, la Regina e tutti i loro amici”
“Non sarò io a consegnarli nelle vostre mani” ribatté coraggiosamente il professore.
“Prevedo questa risposta. Quando è così…guardie!”
La porta si aprì e un paio di soldati entrarono mettendosi subito sull’attenti.
Lord Erton ordinò ciò che Cornelius si era aspettato: che lo conducessero nelle segrete. Il Duca li seguì.
Ma quando arrivarono laggiù, il professore non venne affatto rinchiuso in galera, bensì venne fatto accostare ad una cella, nella quale erano rinchiusi Drinian e Tempestoso: il capitano aveva i polsi legati dietro la schiena, sul viso chiari segni di percossa. Anche il Centauro presentava diversi lividi, costretto a rimanere accucciato sulle quattro zampe pesantemente incatenate, come le braccia.
Un creatura tanto potente…eppure…
Cornelius vacillò per un momento: quali erano le intenzioni del perfido Duca?
“Pensateci bene, dottore” riprese quest’ultimo, “è in vostro potere salvare la vita di quest’uomo e questo…centauro” Fece una faccia disgustata, lanciando uno sguardo ai due prigionieri. “Decidete: o mi dite dove sono i Sovrani di Narnia e il loro seguito, o vedrete morire davanti ai vostri occhi i vostri due amici”
A un cenno del Duca, i soldati si avvicinò a Drinian e Tempestoso, le spade affilate puntate alle loro gole.
“Oh, no, no vi prego!” implorò il povero Cornelius in lacrime.
“Non dite nulla, dottore!” disse Drinian, la cui gola prese a sanguinare lievemente alla pressione della lama.
“Fate quello che vi dico, e avranno salva la vita” rincarò Lord Erton. “Il vostro commovente sacrificio non sarà servito a nulla, altrimenti. Avete fatto scappare il Re e gli altri, ma sarete comunque l’artefice della morte del capitano e del generale. Avete un minuto per prendere la vostra decisione”
Furono i sessanta secondi più lunghi della sua vita.
Gocce di sudore imperlarono la fronte del dottor Cornelius, che infine piegò la testa, singhiozzando come un bambino.
“Non uccideteli, per carità, non fatelo!”
“Ah!” fece Lord Galvan. “Allora parlerete?”
Cornelius fece un cenno affermativo con la testa.
“NO!” proruppero in coro Drinian e Tempestoso.
“Silenzio, voi!” fece Erton, avvicinandosi di più al professore. “Su, parlate: dove sono il Re e la Regina?”
“Io…io…”
“Sto aspettando”
“Giurate sulla vostra vita” disse Cornelius. “Giurate che non ucciderete Drinian e Tempestoso”
“Lo giuro sul mio onore” disse Erton.                                                                                   
“Voi non avete onore”
Il Duca sbuffò “E va bene, lo giuro sulla mia vita, sete soddisfatto? Anzi, li libererò persino: loro e voi, caro dottore. Se mi dite dove si nascondono i fuggiaschi, vi giuro che vi lascerò andar via tutti e tre insieme”
“Non fatelo, professore!” esclamò ancora Drinian. “E’ una trappola, non lo farà mai!”
 “Lo farò invece” ribatté il Duca, ordinando alle guardie di slegare il capitano e il Centauro. “Ecco, avete visto? Adesso, ditemi dove sono il Re e la Regina
Cornelius distolse lo sguardo dai compagni, e con voce tremante confessò.
“Sono diretti a Prato Ballerino. Altro non so”
“Ottimo!” enunciò Lord Erton in tono trionfante. “Lord Ravenlock, avvertite immediatamente il principe Rabadash. E voi Galvan, prendete quanti uomini occorrono. Partiremo subito”
Tempestoso e Drinian non potevano crederci: Cornelius…uno dei più fidati uomini del Re, l’aveva tradito. Aveva tradito Caspian, Narnia, e tutti loro.
“Avete giurato di risparmiare i miei amici” disse il professore con voce flebile. “Di liberarli insieme a me”
“Sì” rispose Erton. “E vi libererò, ma non prima di avere nelle mie mani i Sovrani”
“Nemmeno a loro farete nulla, vero?”
“Non torcerò loro un capello. Dopotutto, Rabadash desidera che la Dolce e il Liberatore vivano”
“E…e gli altri?”
Erton corrugò la fronte rugosa. “Altri? Oh, alludete al Nano, la Driade e le altre bestiacce. Ma quelli non contano nulla!”
Cornelius riprese a tremare “Avete giurato!” insisté il poveretto.
“Sì, ma solo di risparmiare le vostre spregevoli vite. Non mi avete chiesto di farlo per altri
Detto ciò, Lord Erton marciò fuori dalle prigioni.
Cornelius rimase ancora qualche istante davanti alla cella, ricambiando gli sguardi di biasimo di Tempestoso e Drinian.
“Che cosa avete fatto, dottore?” mormorò quest’ultimo, sentendo che tutta la stima che aveva sempre avuto per Cornelius, stava pian piano venendo meno.
 
 
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Il piccolo seguito del Re rimase nella foresta per qualche ora ad aspettare che o Drinian, o Lady Lora, o Tempestoso, o Cornelius li raggiungessero. Purtroppo, non si vide nessuno di loro.
Caspian avrebbe voluto tornare indietro, ma anche volendo non avrebbe potuto: ormai il passaggio segreto era crollato, precludendo ogni via d’entrata e di uscita.
E poi c’era Susan…non poteva abbandonarla, non adesso.
Era stanca, indebolita dalla prima trasformazione, e non ebbe la forza di muoversi per quasi tutto il giorno. Era riuscita a volare per poco tempo e poi si era accasciata tra le sue braccia.
Caspian l’aveva tenuta sempre accanto a sé, aveva cercato di farla mangiare, e le aveva fatto scivolare qualche goccia d’acqua nel becco.
“Come sta la Regina?” chiese una vocetta acuta.
Caspian alzò il capo e vide Shira zampettare verso di lui.
“Abbastanza bene. E’ molto prostrata dal sortilegio. Ma Briscola ha detto che anch’io, la prima notte, ero così debole”
Caspian provò una stranissima sensazione nell’accarezzare il piumaggio marrone, soffice come lo erano stati i capelli di Susan. Quando lei aprì gli occhi espose iridi scure, non più azzurre come il cielo.
Ma in ogni modo, era sempre la più bella.
“Vorrei che anche lei potesse parlare, come te” confessò Caspian a Shira, un mezzo sorriso triste sul volto.
Shira guardò la Regina-falco e fece un lungo sospiro. “Mi sarebbe piaciuto esservi utile, Sire, ma lei non mi capisce, e io non riesco a capire lei. Normalmente potrei comprendere il linguaggio dei miei simili muti, ma non ce la faccio”
“E’ per via della maledizione, vero?” chiese il giovane.
“Purtroppo sì”
Erano come isolati dal mondo, pensò Caspian.
Se fossero stati animali parlanti, avrebbero potuto esprimersi. O se fossero riusciti a farsi capire da qualcuno, l’uno avrebbe conosciuto i sentimenti dell’altro, avrebbe udito parole non dette, interpretato gesti altrimenti incomprensibili.
Caspian ricordò un episodio avvenuto durante il viaggio sul Veliero dell’Alba: Miriel che parlava con i granchi dell’Isola delle Voci.
Miriel avrebbe potuto aiutarli ma, esattamente come Shira, non era in grado di farlo.
Rabadash non aveva concesso loro neppure di comunicare. Aveva negato loro anche quello.
Susan era lì con lui, lo guardava di tanto in tanto e sembrava rilassarsi al suo tocco gentile. Ma sapeva chi lui era?
No, non lo sapeva.
Caspian non ricordava quasi nulla della sua condizione di lupo, e la ragazza certamente avrebbe provato le stesse sensazioni: vaghe memorie, suoni lontani e indistinguibili, una sorta di consapevolezza velata dalla coltre dell’incoscienza del loro io.
No...quando fosse tornata donna, non avrebbe ricordato nulla.
“Maestà, con il vostro permesso” riprese Shira, riottenendo l’attenzione del Re, “io vorrei partire per l’Isola di Ramandu”
Caspian la fissò un momento, e subito un pensiero attraversò la sua mente:
Shanna, pensò, le Sette Spade…
Il Re e il falchetto discussero a lungo, e alla fine lui acconsentì. Avevano un disperato bisogno di aiuto, era inutile negarlo. In più, la cosa migliore per Shira era sparire per un pò, dato che ormai Rabadash era a conoscenza della sua reale posizione.
Rabadash… pensare a lui lo mandava in bestia.
“Sei una ricercata ora, proprio come noi” commentò Caspian con aria mesta.
“Mi auguro che sulla mia testolina abbiano messo una taglia adeguata” tentò di scherzare lei, e ottenne di veder comparire un debole sorriso sul volto del Sovrano.
Dopo un attimo Caspian si alzò da terra, sempre tenendo il falco tra le braccia. “Buona fortuna, Shira”
“Anche a voi, Maestà. Sarò di ritorno presto”
Il falchetto partì immediatamente, promettendo di portare con sé la Stella Azzurra e le Spade degli Amici di Narnia.
Il Liberatore raggiunse gli altri compagni, i quali ultimavano i preparativi per il viaggio verso Prato Ballerino.
Quando si accorsero della presenza del Re, Briscola, Miriel, Lord Rhoop, Pennalucida, Selva, i suoi figli, Tara e Clipse, abbandonarono immediatamente quel che stavano facendo, in attesa che parlasse.
Caspian lo sguardo su ognuno di loro, indugiando per qualche secondo in più su Selva, la quale faticò per trattenere le lacrime. Pensava a Tempestoso.
“Shira è partita per l’est” iniziò il Liberatore. “Se saremo fortunati, tornerà tra qualche settimana insieme a Shanna e le Sette Spade degli Amici di Narnia. Confido che il corno d’avorio di Susan abbia funzionato e che prima o dopo i Pevensie arrivino”.
Briscola, che aveva suonato personalmente il corno della Regina qualche giorno prima, annuì speranzoso.
Peter, pensò Miriel, Peter torna da me…
“Ho bisogno che qualcuno di voi si rechi invece al Sud, verso il Deserto”
“Il Deserto?” fece Pennalucida.
“Dobbiamo trovare Emeth, amici. Anni fa, quando partì da Narnia, disse che avrebbe cercato i suoi genitori. Suo padre è fuggito chissà dove dopo aver disertato dal suo incarico di comandante delle guardie di Tisroc, e non ho idea se sia riuscito a trovarlo. Ma so che sua madre vive ancora a Tashbaan. Andrei personalmente, ma non posso. Ci metterei il doppio del tempo dato che posso viaggiare solo di giorno”
“Andremo io e Miriel” disse subito Briscola.
La Driade provò un senso di disagio.
Partire? Andare così lontano? Proprio adesso?
“Caspian, perdonami, ma non me la sento di andare. Io…”
“Cosa? Perché?” proruppe il Nano.
Caspian scosse il capo. “Tranquilla Miriel, non voglio che tu vada. Non è a te e C.P.A che pensavo. Tu mi servi qui, in caso il cordiale di Lucy dovesse aver bisogno di essere ritemprato. Spero non succeda mai ma in ogni caso tu sei l’unica che può farlo.”
“Ma Sire…” provò a protestare Briscola.
“C.P.A, ti ringrazio immensamente per esserti offerto. La tua è una straordinaria dimostrazione di coraggio, nonché di affetto nei Nostri confronti, e l’apprezzo moltissimo. Tuttavia, non sei la persona più adatta per questa missione: sei un Nano, e lei una Driade. Se Miriel potrebbe passare inosservata agli occhi dei calormeniani, altrettanto non si potrà sperare per te. Odiano visceralmente qualunque creatura fatata, te lo sei dimenticato? Inoltre, se vedessero anche un solo abitante di Narnia dalle loro parti, sono così prevenuti nei nostri confronti che andrebbero immediatamente ad avvisare l’Imperatore. Per cercare Emeth avrete bisogno di chiedere informazioni, di viaggiare allo scoperto per città e pesi. Nessuno di voi può andare, eccetto Tara e Clipse”
Le due ragazze fissarono il Re come se le avesse appena condannate al patibolo.
“Io...” fece Clipse dopo un lungo silenzio, la voce leggera come un soffio di vento. “Io non sono umana, Vostra Maestà”
“No, lo so, ma lo sembri in tutto e per tutto” le sorrise il Liberatore. “Ve la sentite?”
Clipse guardò Tara, la quale tremava da capo a piedi.
Nonostante ciò, la figlia di Lord Bern annuì, sul viso un’espressione determinata.
Clipse le strinse la mano.
“Grazie, ragazze” sospirò Caspian, “Grazie davvero”
E così, gli animali del bosco prepararono provviste per le due ancelle. Alcuni Nani amici di Briscola diedero loro un po’ di denaro e dei mantelli. Un paio di cavalli selvatici – paranti – le avrebbero accompagnate fino ad Archen.
“Portate questo a Re Kellen” disse Caspian, porgendo a Tara un foglio di pergamena arrotolato su se stesso, nel quel era scritta l’attuale situazione di Narnia e la richiesta di aiutare le ancelle della Regina Susan: Re Kellen avrebbe fornito loro cavalli freschi e riposati per continuare il viaggio verso il Sud.
Dopo ciò, il gruppo di Caspian partì per Prato Ballerino.
Si fermarono alla Casa di Aslan per passare la notte, quando la Dolce riprese le sue sembianze umane.
 
 
Susan si svegliò e si ritrovò sola in un luogo apparentemente sconosciuto. Dopo un istante riconobbe la Casa di Aslan e si chiese cosa fosse accaduto quel giorno.
Si guardò intorno un po’ smarrita, un pò confusa e con una gran fame.
“Buonasera, Susan” la salutò Miriel entrando nella caverna, posandole davanti una ciotola di cibo e acqua fresca.
“Miriel”
Le due ragazze si guardarono un momento e poi, scoppiando a ridere e piangere insieme, si strinsero in un forte abbraccio.
“Mi sei mancata” disse Susan.
“Anche tu”
“Come stai?”
“Bene…io bene, e tu?”
“Bene…sto bene” mentì la Dolce.
“Vuoi raccontarmi cos’è successo su quella torre?”
“No” disse Susan, secca. Si staccò dall’amica Driade e cercò di cambiare discorso. “Mi hai letto nel pensiero. Ho fame”.
La Regina afferrò la ciotola e il bicchiere e cominciò a mangiare con appetito.
“Susan?
Il tono di Miriel era indagatorio. Aveva capito che qualcosa non andava e non si trattava della maledizione.
“Non chiedermi niente” la precedette la Dolce. “Non voglio parlarne”
“Va bene…scusami”
Susan si rese conto del tono troppo brusco che aveva usato. “Scusami tu, Miriel”
Calò il silenzio, che si protrasse per alcuni minuti nei quali la Regina iniziò a consumare il suo pasto.
“Ti ho portato anche questi” disse la Driade di lì a poco, porgendole una sacca più grande e una più piccola.
Susan le aprì: la prima conteneva il suo corno d’avorio, la faretra e l’arco spezzato.
Non fece una piega, osservando i suoi Doni solo per un momento, passando ad aprire il secondo sacchettino. Qui dentro vi erano il fiore blu e il fiocchetto rosso di Myra.
“Non si sa nulla dei miei figli?”.
“No” rispose semplicemente Miriel.
“Capisco… E Caspian dov’è? Lui sta bene?”
“Sì, bene. Sarà qui fuori, da qualche parte. E’ rimasto con te fino a poco fa, lo sai?” sorrise Miriel. “ Ma credo che la sua nuova natura lo porti a cercare la libertà”
Gli occhi di Susan si riempirono di pianto, ma non versò una lacrima.
“L’ho visto…in cima alla Grande Torre. Solo per un attimo ma l’ho toccato, gli ho parlato. C’è ancora una speranza, vero Miriel?”
La Driade le sedette accanto e le mise un braccio attorno alle spalle. “C’è di sicuro. Abbiamo suonato il corno d’avorio qualche giorno fa. Presto arriveranno rinforzi”
“Dici davvero?” esclamò la Regina, quasi incredula.         
I suoi fratelli…forse Eustace…presto sarebbero arrivati!
Volle sapere tutto ciò che era accaduto nei giorni precedenti, quand’era ancora rinchiusa nella grande gabbia, fino ad arrivare al perché erano alla Casa di Aslan.
Miriel le raccontò ogni cosa: del piano per liberarla, delle sorti incerte di Drinian e gli altri, della decisione di Shira di partire per l’est e di quella di Caspian di mandare Tara e Clipse in cerca di Emeth.
“Stiamo andando a Prato Ballerino, Tartufello ci aspetta. Resteremo là finché non avremo deciso come muoverci. Caspian ha anche mandato un messaggio al Re di Archen , sperando in un aiuto anche da loro”
Le lacrime si ritirarono dagli occhi celesti della Regina Dolce. Ma dopo un attimo, fu Miriel a scoppiare in lacrime.
“Susan, perdonami!”
“Oh, ma…Miriel, cosa…?”
“Io…io so che non dovrei, ma è più forte di me…”
“Di cosa parli?”
“Non posso fare a meno di pensare a Peter, al momento in cui lo rivedrò. Quando Briscola si è offerto per andare al Sud, ho sperato con tutto il cuore che Caspian non lo chiedesse a me. E quel che è peggio, è che ho pensato qualcosa di ancora più orribile di questo!”
Miriel singhiozzò più forte e Susan la strinse senza dire niente.
“Per un momento soltanto – uno soltanto, te lo giuro! – ho desiderato che Narnia si trovasse in pericolo, perché ho sempre saputo che solo in questa circostanza Peter sarebbe tornato da me”
“Miriel…”
“Sono orribile! Sono una persona orribile!”
Le loro posizioni si erano invertite.
Miriel aveva pensato di andare da Susan, cercare di tirarle su il morale in quella situazione spaventosamente tragica nella quale si trovava. E invece, ora era Susan che consolava lei, che le accarezzava i capelli con affetto, che le diceva di non sentirsi in colpa per nessun motivo. Perché se avesse saputo di poter rivedere Caspian solo se il mondo fosse caduto in rovina, bè che allora che il mondo si sgretolasse sotto i suoi piedi in quell’istante. Tutto, pur di avere la possibilità di riabbracciarlo.
“Che Rabadash e Lord Erton facciano quel che vogliono di Narnia, a me non importerebbe nulla” confessò Susan, provando un gran senso di colpa nei confronti di suo marito, di Aslan e di tutti i suoi sudditi.
“Non devi dire queste cose”
“Ma è la verità, Miriel. So che Caspian mi odierebbe se mi sentisse parlare così, ma è la pura verità. Che cada il cielo, che si spengano il sole e le stelle! A me non servono tutte queste cose. Io voglio solo lui.”
Fu una notte strana per Susan. Sentì che qualcosa dentro di lei era cambiato, non sapeva se in meglio o in peggio.
La rabbia e l’umiliazione provate per ciò che le aveva fatto Rabadash le avevano scavato una profonda cicatrice dentro. Ma le avevano anche fatto capire quanto forte potesse essere il suo animo, che poteva sopportare più di quanto avrebbe mai creduto.
Non si era mai sentita forte, ma d’un tratto seppe che poteva esserlo, e cominciò a comprendere che questa sua forza poteva aiutarla a non chiudersi in sé stessa. In passato, dopo aver sopportato e subito tutto quel dolore, non avrebbe esitato a voltarsi e chiudere gli occhi per non vedere.
Ma adesso no. Adesso restava ferma a guardare avanti.
Caspian era con lei, bene o male erano ancora insieme. Questo era già tanto e per ora le bastava.
Non pianse mentre parlava con Miriel. Ne ebbe la tentazione, ma non lo fece mentre raccontava tutto ciò che era accaduto sulla Grande Torre. Ne parlò con distacco, come se stesse raccontando una storia che non era la sua. Nel profondo sentiva l’anima lacerarsi ad ogni parola, ma non permise alla soffrenza e alla vergogna di sopraffarla di nuovo.
Doveva iniziare a convivere con la sua nuova realtà, senza sapere per quanto tempo avrebbe vissuto in quel modo: nascondendosi, passando i giorni a metà tra la sua esistenza umana e quella di falco, accontentandosi di vedere Caspian solo di notte sotto la sua forma di lupo.
Ancora una volta, c’era il buio davanti a lei.
Ma c’era una verità inneggiabile in tutta quell’incertezza: l’alba di un nuovo giorno sarebbe sempre sorta.
E un giorno, sarebbe stato quello giusto per ricominciare a vivere.
 
 
Due giorni dopo arrivarono a Prato Ballerino. Tartufello era là ad aspettari.
Il Tasso aveva preparato la sua casa, aprendo gallerie che teneva chiuse da diversi anni: le camere degli ospiti.
“Non ci staremo tutti, per cui ho chiesto al mio amico lepre, che abita qui vicino, di preparare qualcuna delle sue numerose stanze. Sapete, ha tanti figli, molti dei quali sono già fuori casa, per cui ha un sacco di posto”
Tartufello insisté perché il Re la Regina resteranno da lui “Cederò volentieri la mia camera. Ricordo quanto ospitai Sua Maestà la prima volta. All’epoca ancora un Principe”
Le case di Tartufello e della lepre confinavano l’una con l’altra tramite vari cunicoli. Gli ospiti potevano muoversi tra di essi.
Essendo animali parlanti, erano molto più grossi di un tasso e una lepre comuni, per cui le case erano spaziose. Ma per Susan e gli altri era comunque difficile essere costretti a vivere sottoterra. Tuttavia, non era molto prudente uscire all’aperto, almeno finché non fossero stati certi che quel nascondiglio era sicuro.
Lo sembrò finché un giorno accadde qualcosa…
Una notte, udirono un rumore di zoccoli al galoppo. Selva scattò sull’attenti, subito pensando a Tempestoso.
Tutto il gruppo si arrischiò a uscire dalle due casette, scrutando nell’oscurità.
Briscola estrasse la spada e fece cenno a Miriel e Susan di restare sulla soglia, Tartufello con loro.
Pennalucida, sul ramo di un albero lì vicino, emise un basso chiurlare, aprendo bene gli occhi arancioni.
D’un tratto, nel buio si accesero decine di torce infuocate, illuminando la radura nella quale sorgevano le case del tasso e della lepre, rivelando uno schieramento a cerchio di uomini in armature bianche e rosse.
“Per tutti i diavoli, ci hanno trovati!” imprecò Briscola, tornando indietro verso la casa del tasso.
“Prendeteli!” gridò una voce in mezzo agli uomini, e tre figure si staccarono dal gruppo di soldati.
Susan non impiegò nemmeno un secondo per capire chi fossero: Lord Galvan, Lord Ravenlock, e infine lui, uno dei suoi più acerrimi nemici: Lord Erton.
Il Duca e la Regina si fissarono solo per un istante. Quando lui la vide, un ghigno malevolo si dipinse sul suo volto rugoso.
Susan sentì crescere un odio viscerale, e corse dentro la casa per prendere l’arco e le frecce, quasi dimentica che erano inutilizzabili.
Un sitante dopo si sentì afferrare per un braccio. Spaventata si voltò, solo per scoprire che era stato Lord Rhoop.
Senza dire nulla, l’uomo la condusse verso la camera da letto insieme a Miriel, Tartufello e Briscola.
“Ma come hanno fatto a trovarci?” chiese la Driade.
“Non ne ho idea” rispose il Nano, sprangando la porta. “L’unica cosa che mi viene in mente è che qualcuno abbia fatto una soffiata”
“C.P.A, cosa dici?!” esalò Susan. “Nessuno ci avrebbe mai traditi!”
“Basta perdere tempo in chiacchiere” fece Tartufello, caracollando con le tozze zampe verso il fondo della camera. “Di qua”.
Aprì un passaggio che Susan non aveva notato in precedenza.
“Io, Briscola e altri amici ci nascondevamo qui dentro ai tempi di Miraz, per sfuggire agli attacchi improvvisi dei telmarini” spiegò il tasso.
“Non possiamo andarcene!” protestò la Regina. “Devo trovare Caspian! E Selva, i suoi figli e Pennalucida sono ancora là fuori! E le lepri...”
“Il Re vi seguirà, statene certa. Gli altri sono meno importanti di voi, mia signora” disse Lord Rhoop.
“Non è vero! Io non posso…”
In quel mentre, il fumo si levò dalla fessura della porta della camera.
“Oh, no!” proruppe Tartufello, aprendola e correndo nel soggiorno, osservando le chiazze rosse che si andavano allargando sul soffitto. “Mi stanno bruciando la casa!”
“Dell’acqua, presto!” fece Susan.
“Fate uscire la Regina e spegneremo il fuoco!” si udì la voce di Lord Erton dall’esterno.
Susan si fermò, il suo cuore batteva a precipizio. Non si sarebbe mai consegnata, però…
Osservò Tartufello e Briscola armeggiare con stracci e secchi per spegnere le fiamme. In poco tempo, il fumo si fece più denso e tutti cominciarono a tossire.
“Maestà, tra poco sarà l’alba, dobbiamo andare, in fretta!” la incitò ancora Lord Rhoop.
“Andate, Susan, presto!” rincarò Briscola.
La Regina si voltò ad osservare il Nano e il Tasso, poi ancora Rhoop e Miriel.
Infine si decise.
Corse ad abbracciare contemporaneamente Briscola e Tartufello. “Non fatevi prendere, vi scongiuro!”
“Su, via! Via!”
Susan, Miriel e Lord Rhoop tonarono nella stanza da letto e s’insinuarono nel passaggio segreto. Corsero attraverso nuove gallerie, allontanandosi sempre più dalla casa del tasso. Infine, si issarono furi da un tronco spezzato, ritornando all’aperto quando ormai albeggiava.
E là ad aspettarli, c’era il lupo.







Cari lettori, eccoci al 14° appuntamento!!!
Volevo subito precisare una cosa: come avrete notato, in questo capitolo non si vedono né i Pevensie né Eustace e Jill. Stavolta non dipende da che non sono riuscita ad inserirli, ma non li ho fatti vedere di proposito. Il perché è presto detto: quando i ragazzi arriveranno a Narnia, non vi troveranno l’attuale situazione. Perché da questo capitolo al prossimo, passeranno ben due anni. Ecco il salto temporale di cui vi ho parlato! Ho pensato che se li avessi fatti apparire in questo capitolo, si sarebbe creata confusione.
Bene, dopo questa piccola parentesi, dite la vostra!!!
 
Ringraziamenti:

Per le preferite:
Aesther, aleboh, Araba Stark, battle wound, english_dancer, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, G4693, GregAvril2000, HikariMoon, Jordan Jordan, Joy_10, lucymstuartbarnes, lullabi2000, Mia Morgenstern, Muffin alla Carota, Mutny_Hina, oana98, piumetta, Queen Susan 21, Robyn98, Shadowfax, SweetSmile, TheWomanInRed, ukuhlushwa e Zouzoufan7
 
Per le ricordate: Araba Stark,Cecimolli, Halfblood_Slytherin, mishy , Queen_Leslie e Zouzoufan7
 
Per le seguite: Araba Stark, bulmettina, catherineheatcliff, Cecimolli, ChibiRoby, cleme_b, ecate_92, fede95, FioreDiMeruna, Fly_My world, Fra_STSF, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, JLullaby, Jordan Jordan, Joy_10, Judee, katydragons, Lucinda Grey, lucymstuartbarnes, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_, piumetta, Queen Susan 21, Revan93, Shadowfax e Zouzoufan7
 
Per le recensioni dello scorso capitolo: battle wound, FioreDiMeruna, Halfblood_Slytherin, Joy_10, piumetta, Queen_Leslie, Queen Susan 21, Robyn98 e Shadowfax
 
Angolino delle anticipazioni:
Posso dirvi solo che la prossima volta ci concerteremo moltissimo sui ragazzi ‘terrestri’ , chiamiamoli così xD Come detto sopra, passeranno due anni! I Pevensie e Eustace arriveranno a Narnia e la troveranno molto cambiata….

 
Grazie a tutti voi per la pazienza, l’appoggio, l’entusiasmo e le belle recensioni che mi scrivete!!!
In ultimo, come sempre, ecco la mia pagina facebook per seguire gli aggiornamenti di Night&Day e di A Fragment Of You.
Se trovate errori nel capitolo, non esitate a segnalarmeli.
Un bacio e un abbraccio a tutti!!!!!!!!
Susan♥

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Capitolo 15
*** Capitolo 15: Due anni dopo (1 parte) ***


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15. Due anni dopo (1 parte)
 
 
Mi catturavi con la tua luce risonante
Adesso sono costretta dalla vita che hai lasciato indietro...
 
 
 
La porta si richiuse alle loro spalle con un tonfo riecheggiante. Le voci  erano sparite istantaneamente, come quando si spegne una radio all’improvviso. I suoni e i rumori adesso venivano dalle fantastiche creature alate che avevano inizialmente solo intravisto.
Man mano che Eustace e Jill avanzavano sull’erba, un passo dopo l’altro, videro che erano davvero farfalle variopinte, enormi, e più in là vi erano uccelli simili a cicogne, bianchi come neve. Di tanto in tanto, questi ultimi intonavano una bellissima melodia.
“E’ la musica più bella che abbia mai sentito” fece Jill a bassa voce, ancora mano nella mano con l’amico.
Eustace strizzò gli occhi al riverbero del sole. Non riusciva a riconoscere il luogo, e dopo un momento ancora fu sicuro di non averlo mai visto prima. Le creature volanti gli ricordavano moltissimo gli Uccelli di Fuoco, ma erano troppo lontane per potersene accertare.
“E se non fossimo a Narnia?” pensò. Il suo pessimismo stava cominciando a farsi sentire.
“Non aver paura” disse a Jill, più per tranquillizzare se stesso che lei.
“Non ho paura. E’ bellissimo” rispose Jill, continuando a studiare il paesaggio, respirando l’aria fresca e pungente che le dava la sensazione di essere in cima ad un’altissima montagna.
Alberi giganteschi crescevano in ogni direzione: sembravano cedri, ma molto più grandi del normale, e dal momento che non c’era sottobosco e quindi non crescevano uno accanto all’altro, le piante non impedivano ai due ragazzi di vedere lontano, nella foresta e anche più in là. Il paesaggio non cambiava: ovunque c’erano terra erbosa e lussureggiante, cielo azzurro a perdita d’occhio, uccelli bianchi e farfalle colorate, le quali si posavano su piccoli fiorellini selvatici troppo piccoli per loro, il cui polline splendeva come l’oro...E il vuoto.
Era una foresta silenziosa e solitaria. Un luogo solenne.
Eustace e Jill camminarono lentamente, sempre mano nella mano, addentrandosi con cautela in quel mondo sconosciuto ad entrambi.
“E così questa è Narnia” commentò Jill, incantata.
“Credo…dovrebbe…cioè, sì” le rispose Eustace, non troppo convinto.
“In che senso, scusa?” chiese lei, improvvisamente allarmata. “E’ o non è Narnia?”
“Ecco… ora non diventare isterica, ok?”
“Isterica? E perché dovrei?”
Lui espirò profondamente prima di riprendere a parlare. “Perché…non so dove siamo. Insomma, non conosco bene il paese di Narnia. Ho visto l’Oceano Orientale e tutte le sue isole, ma di Narnia vera e propria ho visto assai poco, in realtà”
Eustace si guardò attorno, sperando di scorgere le torri di Cair Paravel o qualsiasi altro segno di riconoscimento.
Il ragazzo ebbe un terribile pensiero: e se fossero passati così tanti anni da non permettergli di riconoscere nemmeno il paesaggio? Magari – proprio com’era accaduto a Peter e gli altri durante il secondo viaggio – erano trascorsi secoli, o addirittura millenni. Se cosi fosse stato, se Caspian, Susan e tutti gli altri non c’erano più, chi avrebbero trovato ad accoglierli? Un esercito nemico? Nella migliore delle ipotesi, si sarebbero imbattuti in qualche creatura fatata di buon cuore che li avesse aiutati.
Non che fosse granché consolante, ma meglio di niente…
“Chi glielo dice ai Pevensie che Susan è passata a miglior vita?”  si disse Eustace. “No, no aspetta, non sei sicuro che le cose siano andate così…”
Il ragazzo deglutì nervosamente, scoccando un’occhiata in tralice a Jill. Vide che l’amica si guardava attorno, incuriosita ma ansiosa.
“Toglimi una curiosità, Scrubb: dove mi stai portando se non sai dove siamo?” gli chiese lei in tono accusatorio.
“Ehm…” balbettò Eustace.
Jill si fermò di colpo, lascando la sua mano, mettendosi i pugni chiusi sui fianchi e battendo un piede a terra.
“Sei un impiastro! Potevi almeno accertarti del luogo in cui siamo, prima di farmi addentrare in questa foresta!”
“In effetti è quello che sto cercando di fare: cercare di capire dove siamo!” ribatté lui.
Jill sbuffò, marciando verso un punto in cui il prato digradava verso un piccolo pendio. Eustace la seguiva pochi passi più indietro.
“Non dovevamo allontanarci” protestò lei. “Ora non riusciremo più a tornare al punto dal quale siamo arrivati, ed è tutta colpa tua!”
“Ma sentila! Chi ha voluto venire qui?”
“Ma se non sai neppure dov’è il qui! Io volevo andare a Narnia, non in un posto sperduto dove…”
“Oh! Guarda là!” esclamò Eustace a voce alta, interrompendola.
Jill spalancò gli occhi per la sorpresa, mentre il ragazzo faceva un passo indietro: dove il pendio terminava, si apriva un enorme precipizio.
Jill non soffriva di vertigini, ma Eustace sì. Assurdo per chi è stato un drago e ha volato a decine di metri d’altezza, ma quel burrone era assurdamente profondo…
La ragazza fece un passo verso l’orlo del strapiombo, sbirciando di sotto.
“Jill, no!”
Jill si sentì tirare indietro e si voltò per protestare, notando che Eustace era diventato pallido come un lenzuolo.
Liberò il braccio dalla presa di lui, facendo un sorrisetto e avvicinnandosi ancor più al burrone, camminando all’indietro.
“Jill, non fare la scema!”
“Oh, ma dai!” lei rise, prendendolo un po’ in giro. Ma quando si voltò di nuovo verso lo strapiombo, capì perché l’amico fosse così impaurito.
Nessun dirupo sul pianeta Terra- e in nessun altro mondo- poteva essere paragonato a quello. La montagna sulla quale si trovavano era la più alta che si potesse immaginare, forse addirittura più in alto degli stessi cieli, ed il baratro era profondo dieci, venti volte tanto di quel che si potrebbe immaginare al primo sguardo. C’erano piccoli puntini bianchi in fondo (o quello che i ragazzi pensavano potesse essere il fondo), simili a pecorelle paffute. In un secondo momento, Jill capì che erano nuvole! Incantata, guardò attraverso di esse e vide ancora oltre… Ed ecco la base del crepaccio: era così lontano che foreste, campi, corsi d’acqua, tutto si confondeva sotto la grande coltre di nubi.
C’era tutto il mondo ai loro piedi, nel vero senso della parola. Era assurdo, incredibile, meravigliosamente spaventoso.
Jill voleva fare un passo indietro adesso, proprio come aveva fatto Eustace, ma non riusciva a staccare gli occhi da quello spettacolo straordinario. Avrebbe voluto voltarsi ma non riusciva a muoversi, le sembrava di avere le gambe di gelatine e tutto cominciò ad ondeggiare. Evidentemente, quella montagna era troppo alta anche per chi, come lei, non soffre di vertigini.
“Pole? Pole, che diavolo fai?” esclamò Eustace spaventato. “Torna indietro, sciocca!”
La voce di lui sembrava lontana…Jill si sentì afferrare di nuovo, ma era rigida come una statua di pietra.
Ci fu una specie di lotta in cima allo strapiombo. Lei era troppo impaurita e confusa per capire cosa stesse per succedere.
Cercò di liberarsi della presa di Eustace: stringeva troppo attorno al suo braccio e le faceva male. Ci riuscì.
Subito dopo, con un urlo da far accapponare la pelle, Eustace perse l’equilibrio e cadde nel precipizio.
Jill urlò a sua volta, cadendo in ginocchio sul terreno, il quale cominciò a tremare sempre più violentemente mentre un animale gigantesco si avvicinava con grandi falcate sull’orlo della montagna.
Jill, lo sguardo fisso sotto di lei, non vide quale sorta di creatura fosse. La sentì fermarsi a qualche metro di distanza e capì che stava soffiando verso la voragine. Dalle grandi fauci emetteva aria calda e profumata.
Di lì a poco, molto più in basso di loro, un piccolo granello nero si staccò dalla montagna, ondeggiando dolcemente verso l’alto. Jill lo guardò salire sempre più su, fino a che la creatura non soffiò un’ultima volta e il granellino si allontanò a grande velocità, e lei lo perse di vista
Possibile che fosse…Eustace? E quell’essere lo avesse salvato?
Se si, come? Cos’era successo?
Finalmente, la ragazza trovò il coraggio di votarsi verso il grande animale, e lo vide: era un leone, enorme, meraviglioso, splendente.
“Oh mio…Dio”
Era lui! Era proprio lui!
Il Leone, senza nemmeno degnarla di uno sguardo, girò su se stesso e tornò verso la foresta.
Jill scoppiò in lacrime, tremando da capo a piedi, dandosi la colpa di quanto era successo a Eustace.
Se non avesse fatto la stupida, se fosse tornata indietro quando lui le aveva detto di farlo, ora non sarebbe…
Desiderò per un istante di non essere mai venuta fin laggiù.
Dopo molto tempo, il pianto si calmò e infine si spense.
La prima cosa che Jill notò quando si fu calamta, fu che gli uccelli avevano smesso di cantare e tutto era immerso nel silenzio, eccetto un suono leggero ma continuo che veniva da lontano. Acqua, sembrava.
Jill si alzò e si guardò intorno. Del leone non v’era traccia.
Iniziò a camminare dentro la foresta di alberi radi, e prima di quanto si aspettasse raggiunse una radura dove scorreva un torrente spumeggiante, azzurro come il cielo. L’acqua doveva essere purissima.
E là, accomodato proprio sulla riva, le zampe anteriori allungate e la testa eretta, c’era Lui.
Per un momento, l’animale e la ragazza si fissarono. Poi, il Leone chiuse gli occhi, rilassato, emettendo un basso sospiro.
Jill vide l’addome possente alzarsi e abbassarsi. Rimase a fissarlo a lungo, quasi un’eternità.
“Questo è il torrente dove scorre l’acqua della vita. Solo coloro che sono degni possono abbeverarsi” fece la Sua voce, profonda, roca, selvatica; una voce possente, gentile ma ferma, che incuteva un timore reverenziale.
“Puoi bere se hai sete”
Jill si avvicinò al torrente in punta di piedi. Poteva davvero? In effetti, ora che ci faceva caso, aveva una gran sete.
“Non…non mi mangerete, vero?” chiese con un filo di voce.
Lui aprì gli occhi d’ambra e la fissò di nuovo. “Ho fatto un boccone di donne e uomini, bambini e bambine, città e reami, re e imperatori”
La ragazza rimase di sasso. Santo cielo, lo aveva fatto veramente! Lo vedeva nei suoi occhi dorati.
“Hai paura di me, ragazza degli umani?”
“Bè…io….un po’ ”
“E’ giusto” annuì la Creatura, l’ombra di un sorriso sul muso dorato. “Su, adesso bevi. Poi parleremo” le ordinò con estrema gentilezza.
Jill obbedì. S’inginocchiò e bevve, le mani a coppa.
Era la cosa più buona che avesse assaggiato, ed era solo acqua! Non ci fu bisogno di abbeverarsi a lungo, le bastarono pochi sorsi e fu sazia, in forze. Si sciacquò il viso rigato di lacrime e infine si rialzò, mettendosi di fronte al Leone.
Lo guardò solo per pochi secondi: non riusciva a sostenere a lungo quello sguardo. C’era l’infinito nei suoi occhi.
“Tu sei l’ultima e la prima” disse la Creatura con solennità. “L’ultima ad arrivare qui, la prima ad assaggiare quest’acqua. Con te si completa il cerchio”
“Temo di non capire”
“Non c’è bisogno che tu capisca ora. Quando il tempo verrà, tutto ti sarà chiaro. Ma dimmi, adesso, ragazza degli umani: che fine ha fatto il tuo amico?”
Jill si fece molto triste. “E’ caduto dal dirupo… Eustace voleva impedirmi di cadere di sotto. Io stavo facendo la stupida, lo stavo prendendo in giro, e… non so bene come sia successo… Io non volevo, mi dispiace! E’ colpa mia!”
“Il tuo cuore è sincero” sentenziò il Leone. “Non farlo mai più”
Jill scosse il capo. “No, signore”
Buffo chiamare ‘signore’ un animale, ma non sapeva come rivolgersi a Lui. Dopotutto, erano in una foresta, e il Re della foresta è il Leone. Di sciuro, laggiù, quella meravigliosa creatura era l’autorità massima.
Lo sbirciò di sottecchi: la studiava attentamente.
Piano piano, il timore nei confronti del Leone si attenuò, lasciando spazio alla curiosità, e la ragazza sentì che doveva assolutamente chiedergli una cosa.
“Posso farvi una domanda, signore?”
“Chiedi e ti sarà risposto”
“Qual è il vostro nome?”
Egli sollevò la grossa testa, la criniera ondeggiante, raggiante come il sole.
“Io sono me stesso. Io sono colui che è, che era e che sarà.”
C’era un milione di cose non dette in quella risposta, ma Jill riuscì in qualche modo ad interpretarle.
Lui semplicemente era.
“Lascia che ti racconti del tuo amico, ora” proseguì il Leone.
“E’ vivo, vero?!” esclamò ansiosa la ragazza.
“Sì, è sano e salvo. Con il mio soffio ha raggiunto Narnia”
“Posso andare da lui, per favore?”
“Dovrai farlo, poiché Narnia ha bisogno di entrambi voi. Per questo siete stati chiamati”
“Nessuno ci ha chiamati” ribatté Jill, cercando di non sembrare troppo irrispettosa. “Siamo stati noi a chiedere di venire qui”
“Non avreste potuto chiamarmi se io non vi avessi chiamato” disse il Leone.
“Lui ci ha chiamati…” pensò Jill. “Lui! Quindi adesso ci aspetterà una missione? A me e Eustace? Un’avventura a Narnia? Oh santo cielo, non sono ancora pronta!”
“Lo sei” Egli rispose.
Jill sussultò dallo stupore. “Mi avete letto nel pensiero, signore?”
“No: ho letto nel tuo cuore. Non sai che è il cuore a parlare prima della mente?”
La ragazza non fiatò, cercando di riflettere su quelle e tutte le altre cose che Lui aveva detto.
“Non abbiamo tempo da perdere” riprese la Creatura, alzandosi in piedi.
Jill fu costretta ad alzare il capo per poterlo guardare bene. Era altissimo.
“Dovrò darti da svolgere un compito molto difficile.”
“Difficile quanto, signore?”
Per la prima volta il Leone sorrise e la sua breve risata vibrò nell’aria immobile. “Fai davvero tante domande, Jill Pole”
Lei lo guardò a bocca aperta. “Conoscete il mio nome?”
“Ti stupisce?” il Leone le sorrise ancora. “Ora ascolta attentamente ciò che dovrai fare: assai lontano da qui, nella terra di Narnia, ci sono un Re e una Regina molto tristi perché hanno perso i loro figli. Alcuni anni fa furono rapiti e nessuno sa dove si trovino e, soprattutto, se siano ancora vivi. Ma io so che vivono! Ecco, Jill Pole, ti ordino di cercare il principe e la principessa scomparsi e di riportarli dai loro genitori. Bada, potresti anche non tornare da questa missione”
Jill ebbe un tremito. “N-non importa. Lo farò ugualmente”
Il Leone non le aveva narrato nei particolari la storia del Re e della Regina, ma lei sentì che doveva essere una storia molto triste e desiderò ardentemente aiutarli.
La Creatura parve molto compiaciuta. “Il tuo coraggio ti fa onore, Jill Pole. Ed ora, memorizza attentamente quattro cose: quattro segni tramite i quali ti guiderò nella missione. Primo: una volta a Narnia, Eustace incontrerà un caro amico. Deve andargli incontro senza paura di quel che vedrà. Se farà questo, vi sarà di grande aiuto. Secondo: dovrete lasciare Narnia e avventurarvi verso nord, fino a quando non vi imbatterete nelle rovine dell’Antica Città dei Giganti. Terzo: in quella città diroccata troverete una pietra con alcune iscrizioni. Leggetele e seguite alla lettera il messaggio in esse contenuto. Quarto: se troverete il principe e la principessa scomparsi, li riconoscerete perché saranno le prime persone nel corso del vostro viaggio a implorarvi di fare qualcosa in mio nome, il nome di Aslan”
Lo sapevo che era Aslan! Lo sapevo, lo sapevo!
“Ho capito tutto, signore. Ma posso farvi un’altra domanda? Ecco…dovremo far tutto questo io e Eustace da soli?
“Dipenderà dalle circostanze, figliola” rispose Aslan. La sua voce era più dolce adesso. “Può darsi che qualcuno verrà con voi, o può darsi di no. In ogni caso, non dovrete farvi sviare in alcun modo da questo incarico, ne va della salvezza di Narnia. Ora, ripetimi i quattro segni”
Con un po’ di difficoltà, perché ancora confusa da tutto ciò che era successo, Jill obbedì.
Molto pazientemente, il Leone la corresse quando sbagliò, facendole ripetere i segni finché non li imparò a memoria.
“Seguili alla lettera, è di vitale importanza”
“Sì, signore”
“Vieni, adesso”
Jill lo seguì con lo sguardo, mentre lasciava la riva del torrente e si dirigeva verso la foresta. Con una piccola corsa gli fu accanto. Camminarono fianco a fianco, come buoni amici, ed infine si ritrovarono nuovamente sull’orlo del precipizio.
Il Leone le disse di mettersi davanti a lui, e lei lo fece.
“Adesso devi stare ferma. Volerai sul mio respiro e raggiungerai Narnia, proprio come ha fatto il tuo amico Eustace”
“Oohh…” fece lei, ammirata. Da bambina aveva immaginato tante volte di fare una cosa simile. Come sarebbe stato volare nel nulla?
Il Leone la guardò dritto negli occhi e stavolta lei non abbassò lo sguardo.
“Ricorda, Jill Pole: ripeti i quattro segni giorno e notte, in ogni momento, fallo ad alata voce se preferisci, oppure in silenzio. Fallo anche se ti sembra di saperli ormai a memoria. I segni dovranno essere in te, e  dovrai trasmetterli a Eustace e a chiunue sarà disposto ad ascoltari. Ma tu, più di chiunque altro, dovrai rammentarli sempre. Non dovrai distrarti dalla loro importanza, qualsiasi cosa succeda”
“Non lo farò”
“Purtroppo potrebbe accadere. Vedi, su questa montagna tutto ti è apparso chiaro, e hai ascoltato e accettato quanto ti ho detto senza il minimo indugio. Ma giù nel mondo non sarà così. Purtroppo, anche se si tratta di Narnia, per colpa di quei Figli di Adamo e di Eva il cui cuore è oramai irrimediabilmente corrotto, l’atmosfera è stata contaminata dal male e potrebbe confondere i tuoi pensieri. Stai bene attenta, perché ciò che hai imparato quassù, giù a Narnia potresti non ricordarlo. Ecco perché è importante che porti i segni dentro il tuo cuore e non dai retta a ciò che appare ma non è. Ricorda i segni, credici. Il resto è niente. E adesso, Figlia di Eva, addio”
La voce del Leone si allontanò.
Un soffio caldo le arrivò in viso e Jill chiuse gli occhi solo per un secondo. Un altro ancora e li riaprì: la montagna e Aslan erano ormai lontanissimi. Il soffio magico della Creatura era stato così delicato che non si era neppure accorta di essersi sollevata da terra.
E adesso volava. Volava sopra la montagna.
Jill poté vedere quanto immensa fosse in realtà: aveva un’estensione, una profondità e un’altezza praticamente illimitate. Non si poteva capire dove iniziava e dove finiva. Si stupì di non scorgere ghiaccio sui picchi più alti. La vetta estrema era invece celata a qualsiasi sguardo, coperta di nubi, nelle quali splendevano arcobaleni sgargianti.
“Chissà che ci vive lassù?”
Poco dopo, il monte sparì. Attorno a lei si spalancò un’infinita distesa, scura come solo un celo di notte può essere, puntellata di bagliori argentei: le stelle. Poi, la luce tornò e sotto di lei apparve una superficie blu intenso, cosparsa di puntini chiari e scuri: oceani e isole.
Viaggiava a una velocità sorprendete, così che presto, lungo l’orizzonte, comparve la linea scura della terra. La terra di Narnia.
Lande incolte, monti verdeggianti e ghiacciai furono le prime cose che Jill vide; scorse un cancello d’oro nel mezzo di una foresta scura, ma prima di scoprire cosa si celasse al di là di esso, la visuale venne sostituta da  altre praterie e foreste; e ancora vulcani, deserti, rovine di civiltà dimenticate…
Qualche ora più tardi (a lei parvero ore, forse era molto di più) le forme sottostanti iniziarono a diventare più chiare, e Jill cominciò a riconoscere qualche particolare: un branco di cavalli selvatici in corsa, un villaggio, le persone, promontori, un porto, baie e spiagge.
“Sto scendendo” pensò.
Una nuvola le venne incontro dal basso e la investì in pieno…o meglio, fu lei che ci finì dentro, dritta in mezzo. La ragazza si ritrovò avvolta da una foschia umida e gelata, e le mancò il fiato ma solo per un attimo. Quando ne uscì, una luce abbagliante l’accecò. Jill si portò una mano alla fronte, schermandosi gli occhi: il sole stava tramontando, gettando i suoi raggi arancione intenso sulle mura di un fantastico castello dalle mura immacolate.
I rumori che sul monte di Aslan e durante il volo erano stati assenti, ricomparvero all’improvviso e le sembrarono troppo forti.
Scendeva ancora, verso la foce di un fiume, le cui sponde erano ornate da alberi dalle foglie dipinte di colori autunnali. La preoccupava la velocità con la quale sarebbe atterrata, ma non ce ne fu bisogno. Mise piede a terra leggera come una piuma, senza fare il minimo rumore.
Era sola sul prato e poté così guardarsi attorno con calma. Osservò il castello da lontano, il vascello che era appena attraccato al molo, la folla che salutava un uomo vestito di nero che scendeva la passerella, scortato da una decina di altri uomini in armature splendenti.
“Che sia il Re? Forse è colui del quale Aslan mi ha parlato” si disse Jill, facendo un passo avanti sull’erba.
“Psst! Jill! Jill dietro di te” sibilò una voce alle sue spalle.
La ragazza si voltò: dove iniziava il bosco, a pochi metri da lei, dietro una macchia di cespugli, spuntava la testa bionda di Eustace. Il ragazzo le faceva cenno con la mano di avvicinarsi.
“Eccoti, finalmente!” esclamò Jill ad alta voce, correndo verso di lui e gettandogli le braccia al collo. “Mi dispiace, Scrubb, scusami!”
“Ehi, ehi, calma, sto bene…E staccati!”
Il ragazzo l’allontanò bruscamene da sé, ma lei sorrise. Dopotutto, il caratteraccio di Eustace non sarebbe mai cambiato, doveva tenerselo così com’era.
Jill riprese a scusarsi, ansiosa di raccontargli tutto quanto era successo dopo che si erano separati, ma lui non le permise di fiatare, trascinandola in fretta al riparo degli alberi.
“Stattene zitta e buona se non vuoi che ci scoprano”
“Che ci scopra chi?”
Eustace le fece cenno di tacere e indicò il veliero.
“Credo di non capire. Quello non è il Re?”
“Il Re?! No di certo!” sbottò il ragazzo. “Conosco il Re di Narnia, e non mi sembra affatto la sua nave, quella. C‘è qualcosa che non quadra qui.”
“Ascolta...” fece Jill. “Cosa sta gridando la folla?”
“Rabadash!” acclamava il popolo, “Evviva Rabadash, il nostro grande e potente signore!”
“Chi è Rabadash?”. Le pareva di aver già sentito quel nome, ma al momento non ricordava dove…
“Un morto che cammina” le rispose Eustace, il viso pallido e tirato. “Presto, allontaniamoci di qui, prima che ci vedano”
“Scrubb, ti senti bene?” Jill non l’aveva mai visto così arrabbiato e angosciato insieme.
Lui non rispose. La giudò dentro il bosco, lontano dalla foce del fiume, dalla spiaggia, finché la risacca del mare non fu che un lieve fruscio in lontananza.
Eustace si muoveva con una certa sicurezza e questo aiutò Jill a tranquillizzarsi un poco.
Lui conosceva abbastanza bene i boschi attorno a Cair Paravel, avendoli visitati insieme ai Pevensie durante la sua ultima permanenza a Narnia, nel tempo in cui al castello vivevano ancora Caspian e Susan.
Dov’erano il Re e la Regina?, pensò Eustace. Perché Rabadash si trovava a palazzo? E soprattutto, perché era ancora vivo?
Camminarono a passo sostenuto, e quando Eustace decise che erano abbastanza distanti dal castello, si fermarono al riparo di un grosso albero caduto che ostruiva per buna parte la strada. Lo scavalcarono e sedettero sull’erba, appoggiando la schiena al tronco.
Jill cominciava ad aver freddo, ma non se ne curò. Improvvisamente, rammentò i quattro segni di Aslan.
“Scrubb ascolta: quando sei arrivato qui hai visto qualcuno che conosci? Un tuo vecchio amico? Perché se è così, devi andare subito a parlarci”
Lui la guardò alquanto perplesso. “Ma che stai blaterando?”
“Pensaci! Quel Rabadash, forse…”
Eustace la fulminò con lo sguardo. “Rabadash è tutto fuorché mio amico!”
 “Oh!” fece Jill. “Ora ricordo: Rabadash è quel principe del Deserto, vero? Quello che vi ha inseguiti nell’Oceano Orientale”
“Esatto. E’ uno schifoso, un maledetto assassino!”. Il ragazzo espirò, cercando di calmarsi.
Jill corrugò la fronte. “Aspetta, ma non avei detto che Rabadash era morto? L’hai scritto nel tuo libro”
Eustace si prese la testa fra le mani “Era quel che credevo anche io, ma... Non capisco…Rabadash a Cair Paravel…”
“Mmm...D’accordo, allora si vede che non hai ancora incontrato questo tuo amico...bè, meglio così”
Stavano parlando di due cose diverse e continuarono così per un po’, fino a che si voltarono l’uno verso l’altra e in coro dissero: “Scusa, che stavi dicendo?”
“Eustace, ti prego pensaci ancora” ricominciò lei. “Sei sicuro di non aver visto nessun altro che conosci a parte quel Rabadash?”
“No, nessuno. Ma perché insiti tanto?”
“Perché…Aslan, il Leone…lui ha detto che quando saresti stato a Narnia, avresti incontrato un tuo caro amico e avresti dovuto parlare con lui”
Eustace era a bocca aperta. “Hai visto Aslan?!”
La ragazza annuì, un’espressione disperata. “Sì, su quella montagna, dopo che tu sei caduto dal burrone. Mi ha dato un compito da svolgere”
Jill raccontò ogni cosa, cercando di ripetere i quattro segni come meglio poteva. A parte qualche parola, li pronunciò esattamente come li aveva pronunciati Aslan.
“Di certo” dichiarò Eustace alla fine del racconto, “Aslan non si riferiva alla prima persona in assoluto che avessi visto. Perché come ti ho già detto, Rabadash non è affatto mio amico. E poi non l’ho incontrato, l’ho visto da lontano. Per fortuna, lui non ha visto me”
Rimasero in silenzio qualche minuto.
“Dovremo cercare un riparo per la notte” suggerì Jill, stringendosi le braccia intorno al corpo. Indossavano entrambi i cappotti, ma l’aria della sera era veramente pungente.
In quel mentre, ci fu un rumore tra i cespugli. Jill, che stava per dire ancora qualcosa, si fermò a un gesto dell’amico.
“Tu resta qui” le disse Eustace, muovendosi con cautela. “Vado a controllare”
“No, Scrubb, non lasciarmi qui da sola!”
“Sshhtt! Resta nascosta e zitta. Torno subito”
“Ma…ma…”
Jill iniziò a tremare da capo a piedi. Osservò il ragazzo camminare a schiena curva, appiattirsi tra i cespugli, lasciare la protezione del tronco dietro al quale lei se ne stava rannicchiata in posizione fetale. Lo vide sparire, udì i suoi passi allontanarsi, e poi avvicinarsi di nuovo…stava già tornando indietro?
“Eustace?” sibilò Jill, sporgendosi dal tronco.
Senza preavviso, da non si sa dove, un lupo enorme e nero come la notte balzò davanti a lei, ringhiando. I denti affilati, bianchi come avorio, brillavano sinistri al riverbero della luna, così come i suoi occhi.
Jill urlò, forte. Il lupo la imprigionava tra di sé e il tronco dell’albero. Era in trappola.
“Jill!!!” urlò in risposta la voce di Eustace.
“Scrubb, aiutami!”
“Bestiaccia, stalle lontano!”
Il ragazzo si chinò, afferrando un sasso di media grandezza e tirandolo addosso al lupo, ma questo lo schivò.
L’animale fissò gli occhi gialli in quelli azzurri del ragazzo, emettendo un ringhio ancor più forte, come intimandolo a non avvicinarsi o avrebbe attaccato la ragazza.
“Ma gli animali di Narnia non erano tuoi amici?!” esclamò Jill, isterica.
“Gli animali parlanti sì, ma questo lupo è una bestia muta e non è diverso da quelli del nostro mondo”
Eustace raccolse un altro sasso, molto più grande del primo, facendo per lanciarlo di nuovo addosso all’animale, ma qualcosa lo fermò.
Il braccio teso all’indietro, Eusace avvertì un dolore acuto alla mano, e lasciò andare la pietra. La sua mano sanguinava. Se l’afferrò con l’altra e guardò a terra, dov’era piantata la freccia che lo aveva colpito: vibrava ancora.
Se non fosse stato buio, avrebbe subito notato un particolare fondamentale, ma non gli fu possibile.
“Fermati!” intimò una voce di donna.
Eustace e Jill si voltarono a guardarla, ma non la videro in volto: arco e frecce pronti ad essere usati, era avvolta in un ampio e lungo mantello nero, il cappuccio alzato.
Incurante dell’avvertimento, Eustace si chinò e riafferrò la pietra, deciso a finire quel che aveva cominciato.
Un’altra freccia gli passò a pochi centimetri dal volto, piantandosi nel tronco di un albero.
“Fallo e stavolta non mi limiterò alla tua mano” disse la donna, la voce bassa e minacciosa. “Se colpisci il lupo, io colpirò te, e ti farò molto più male di quanto potresti farne tu a lui”
Eustace abbassò il braccio. L’altra fece lo stesso con l’arco e si allontanò da lui, andando verso il lupo e Jill.
Non appena gli diede le spalle, Eustace si lanciò contro la sconosciuta e la sbatté a terra.
Jill gridò di nuovo, coprendosi la testa con le mani quando il lupo balzò in aria, ma non per abbattersi su di lei, bensì su Eustace.
“No!” gridò Jill, schizzando fuori dal suo nascondiglio.
Il lupo atterò il ragazzo, allontanandolo dalla donna.
Ci fu una breve lotta tra umano e animale, e quest’ultimo ebbe la meglio.
Eustace fu sbattuto a terra, picchiò forte la testa contro una pietra, e svenne.
Jill gli fu accanto, singhiozzando di spavento, osservando con angoscia lui, il lupo, la donna, la quale adesso aveva il cappuccio abbassato. I suoi occhi azzurri splendevano anche nel buio.
Le due si fissarono un momento.
La più adulta fece per avvicinarsi ai due ragazzi, una mano tesa verso il giovane steso a terra a faccia in giù.
“Mi dispiace, non mi ha ascoltato”
“Vattene via! Stagli lontano!” gridò Jill, parandosi davanti all’amico.
Il lupo ringhiò ancora in direzione della ragazza.
La donna si inginocchiò accanto a lui, accarezzandogli il pelo nero, mormorandogli parole dolci per calmarlo.
“Va tutto bene, mio caro, non sono nemici”
Jill osservò la scena a bocca aperta: il lupo si stava calmando per davvero. Non sembrava più il feroce predatore di poco prima, ma un cucciolo mansueto che risponde con gioia alle tenere attenzioni della sua padrona. E ora i suoi occhi si specchiavano in quelli azzurri della donna, la quale gli sorrideva amorevolmente.
Quella tipa doveva essere una strega, pensò Jill, e delle peggiori, non c’erano dubbi! Aveva letto molti libri di streghe che usano animali come famigli: lupi, gatti, topi e quant’altro.
La donna si rimise in piedi e provò a parlarle ancora. “Non voglio farvi del male. Fammi vedere la sua ferita”
“Ho detto vattene!” esclamò di nuovo Jill, che di quei due non voleva proprio saperne.
La donna sospirò, rassegnata. “Come volete. Ma fareste bene a trovare un riparo per la notte. Ci sono un paio di grotte qui vicino. Sono sicure, nessuno vi troverà”
Jill seguì ogni suo movimento: ella si rialzò il cappuccio sul viso, recuperò le sue frecce e le rinfilò nella faretra che aveva allacciata dietro la schiena, assieme all’arco. Poi guardò lei e Eustace un’ultima volta, e infine se ne andò con il lupo al fianco, docile come un agnellino.
Quando sparirono in mezzo agli alberi, Jill tirò un sospiro, tornando a concentrare tutte le sue attenzioni su Eustace.
“Svegliati, Scrubb, andiamo!”
Lo scosse un poco e il giovane si ridestò con un mugugno e una smorfia.
“Come ti senti?” chiese Jill.
“Ahi…la mia testa…” Eustace si massaggiò la fronte, dove il sangue si stava gia repprendendo. Poi balzò a sedere, sbattendo le palpebre più volte per snebbiarsi la vista.
“Dove sono il lupo e la donna?”
“Se ne sono andati”
Lui aggrottò la fronte. “Andati? Sul serio?”
“Lo so, è strano. Pensavo il peggio ormai, soprattutto perché quella donna è una strega!”
Eustace scattò sull’attenti. “Che dici, Pole?! A Narnia non ci sono streghe, tranne una che è stata sconfitta molto tempo fa”
“E’ una strega ti dico: tu non hai visto quello che ha fatto con il lupo”
 
 
 
~·~


 
 
Peter, Edmund e Lucy tornarono allo Sperimentale entrando di soppiatto dal cancello secondario.
La scuola era deserta, e poterono così raggiungere senza problemi il cortile sul retro, fino ad arrivare davanti alla vecchia porta dietro la quale erano scomparsi Eustace e Jill.
Si inginocchiarono tutti e tre a terra. Peter e Edmund, estrassero dalle tasche dei cappotti le due coppie di anelli magici, posandoli sull’erba. Solo allora tolsero i guanti.
Lucy porse loro le mani: la destra a Edmund e la sinistra a Peter, stringendole forte.
“Siete pronti?” chiese quest’ultimo agli altri due, che annuirono.
Il Re Supremo si scambiò un’occhiata con il fratello. Insieme, allungarono le mani libere da protezione verso gli anelli gialli.
Lucy chiuse gli occhi. Non vide quel che accadde, non vide il cortile della scuola scomparire all’istante; udì però svanire i suoni del suo mondo, e tutto d’improvviso divenne calmo.
“Puoi aprire gli occhi, adesso, Lu” le disse Peter. La sua voce era stranamente ovattata.
Lucy sentì le mani dei fratelli scivolare via dalle sue. Schiuse le palpebre e la prima cosa di cui si rese conto fu che erano ancora tutti e tre in ginocchio, ma non più sul terreno, bensì dentro un laghetto di acqua limpida. Era piuttosto bassa: anche in quella posizione, arrivava loro appena alla vita.
“Accidenti!” proruppe Edmund balzando in piedi, i pantaloni zuppi.
Quelli di Peter e la gonna e le calze di Lucy, erano nelle stesse condizioni. Ma non appena misero piede sulla sponda erbosa, i loro abiti tornarono asciutti.
Non ebbero quasi tempo di stupirsi di questo che il paesaggio attorno a loro catalizzò tutta l’attenzione su di sé.
La Foresta di Mezzo era un tripudio di verde di tutte le sfumature. Gli alberi erano fitti e frondosi, tanto da oscurare la vista del cielo. Attraverso il fogliame filtrava soltanto una tenue luce verde, ma i ragazzi pensarono che, al di sopra di quel tetto naturale, il sole dovesse brillare in tutta la sua potenza.
Il luogo era silenzioso: non c’erano canti d’uccelli, né frinire d’insetti o rumori di altri animali, e nemmeno un alito di vento. L’unico suono che si udiva era un sommesso scricchiolio misto a un fruscio. I Pevensie non avrebbero saputo descriverlo meglio di così. Di una cosa erano certi: il rumore proveniva dagli alberi. Era il rumore degli alberi che crescevano!
Era una foresta vivente, pensante, primitiva, sospesa nel tempo.
“Fantastico” commentò Lucy a bassa voce, il capo riverso all’indietro.
“Lu, andiamo” le disse Edmund.
La ragazza spiccò una piccola corsa e raggiunse i fratelli.
“Ora come facciamo a trovare il passaggio per Narnia?” chiese.
“L’entrata è in uno di questi” le rispose Peter indicando le pozze d’acqua che li cicrondavano.
Tra i tronchi c’erano dozzine di laghetti identici, uno a pochi metri dall’altro, a perdita d’occhio.
“Digory e Polly hanno detto che lo capiremo da soli. Dobbiamo solo aver fede: Aslan ci guiderà”
Gli altri due annuirono con convinzione.
“Aspettate un momento” fece Edmund, tornando verso il loro laghetto. Si tolse la sciarpa, la piegò e la posò sulla riva. “Se non mettiamo un segno di riconoscimento, sarà impossibile identificare il lago da cui siamo venuti”
“Bravo, Ed” disse Peter.
“A che ci serve?” chiese Lucy.
Il Giusto si avvicinò alla sorella e le tirò la fascia blu sulla fronte, spettinandola. “Per quando dovremo tornare indietro, zuccona”
“Tornare…?” fece lei, risistemandosela.
La voce di Edmund vacillò “Dovremo farlo prima o poi”
“Oh…certo”. Lucy si fece triste all’improvviso.
I Pevensie si cambiarono uno sguardo strano, cominciando a camminare in silenzio tra i laghetti.
Tutti lo speravano, lo desideravano da tanto tempo ormai: rivedere Narnia, le persone amate, gli amici più cari, loro sorella, Aslan… ma più di tutto, restare per sempre.
Anche quella volta non sarebbero rimasti, dunque?  si chiese Lucy.
La voce di Edmund la risvegliò dai suoi tristi pensieri. “Credete che la Foresta di Mezzo abbia una fine? Guardate quanti laghi: ognuno di loro è un passaggio per altri mondi, vero? Quanti ce ne saranno? Quante dimensioni diverse esisteranno?”
“Attento, Ed” lo ammonì Peter. “Ricordati che da uno di questi mondi proveniva la Strega Bianca. In molti di essi potresti trovare qualcosa che non ti piacerebbe”
“Sì, lo so, ma non posso fare a meno di chiedermi: oltre ad altri spazi, si potranno raggiungere altri tempi? Non so, l’Inghilterra dei primi britanni, o l’antica Roma, la Grecia, l’Egitto all’epoca dei faraoni…”
Peter sorrise. “Di certo sarebbero incredibili avventure, ma quel che interessa a noi, al momento, è solo Narnia”
“Guardate là, che cosa strana…” fece d’un tratto Lucy, avvicinandosi a una buca nel terreno.
Un tempo doveva essere stata piena d’acqua, pensarono i tre ragazzi, ma adesso era secca e vuota.
“Il mondo che c’era qui dev’essere scomparso”
“Perché dici così, Lu?” chiese Edmund.
“Non so, ho questa sensazione…”
“Da qui si accedeva al regno di Charn” disse Peter, facendo trasalire gli altri due.
Charn era la terra maledetta della quale era originaria la Strega Bianca.
“Non puoi esserne sicuro”
“E’ l’unico lago in secca, Ed. Dev’essere per forza questo. Ricordi? Digory ci ha parlato di quando Jadis distrusse il suo stesso regno: il lago dove si entrava a Charn si prosciugò, perché quel mondo non esisteva più”
“Allontaniamoci da qui, per favore” disse Lucy, facendo un passo indietro. “Questa fossa mi da i brividi”
Peter e Edmund pensarono la stessa cosa, ma non espressero le loro sensazioni ad alta voce.
A un certo punto, nello specchiarsi sulla superficie di uno degli innumerevoli laghetti, Lucy cacciò un grido, e un sorriso si aprì sul suo viso.
“Aslan! E’ Aslan! Peter, Ed, guardate!”
I ragazzi accorsero, mettendosi ai lati della sorella, osservando il muso sorridente del Grande Leone riflesso nell’acqua.
Aslan li guardò tutti e tre, poi si voltò e iniziò a camminare verso il niente, svanendo in fretta alla vista.
“E’ questo” disse Peter, il primo ad entrare dentro il laghetto.
L’acqua arrivava loro un poco più sopra delle caviglie. Si bagnarono calze e scarpe ma non se ne preoccuparono, certi che, appena a Narnia, i vestiti sarebbero tornati perfettamente asciutti.
La scena fu quasi la stessa dell’inizio: Lucy prese per mano i fratelli; Peter e Edmund infilarono le mani nelle tasche dei cappotti, percependo gli anelli sotto le dita, che subito si attivarono.
Stavolta, Lucy non chiuse gli occhi, e poté vedere la Foresta di Mezzo dissolversi davanti a loro, sostituita da un’altra foresta, dall’aspetto più famigliare.
Il silenzio si riempì di nuovo dei consueti suoni di un bosco, ma le fronde degli alberi non erano più verdi, bensì arancioni, rosse, gialli e marroni. La luce andava via via scemando, doveva essere appena passato il tramonto.
Erano arrivati a Narnia in una sera d’autunno.
Non avevano fatto in tempo a lasciarsi le mani che una grossa cosa bianca planò sulle loro teste.
“Intrusi! Uhu! Uhu! Intrusi! Accorrete, presto!”
Era un gufo bianco, grosso quasi quanto un Nano adulto. Si posò sopra un ramo e continuò a chiamare aiuto.
“Ehi, amico, calmati! Non siamo nemici!” esclamò Edmund, ma servì a poco.
In due secondi furono circondati da una miriade di piccoli animali: coniglietti, lepri, tartarughe, rospi, volpi, scoiattoli, ghiri e altri gufi. Questi ultimi portavano nei becchi lunghe corde spesse con le quali, volando in cerchio attorno ai tre ragazzi, li legarono stretti schiena contro schiena.
Peter, Edmund e Lucy caddero a sedere sul prato.
“Presi! Presi!” esclamarono le creature, saltellando attorno ai tre umani come in una sorta di danza della vittoria.
“Ecco! Così imparerete!” disse un ghiro, facendo un nodo complicatissimo alle corde. “Nessuno verrà più a distruggere il nostro caro Bosco Gufo”
“Ma santo cielo!” proruppe Lucy. “Non ho mai visto creature di Narnia tanto maleducate in vita mia!”
“Ah, perché!” fece il gufo bianco. “Sei un’esperta in creature narniane, per caso? Uhu???”
“Certo che sì, dato che ho regnato quaggiù per ben quindici anni!”
Il gufo saltellò sul ramo, inquieto. “Ma io ti conosco?”
“Lo spero bene! Sono Lucy la Valorosa, Regina di Narnia!”
“Oooohhhh!!!” esclamarono le creature, inginocchiandosi all’istante davanti ai tre ragazzi. “La Regina, Lucy, Re Edmund e il Re Supremo Peter!”
“Uhu! Uhu!” gridò il gufo bianco. “Presto, presto, avvertite Lady Miriel! I Regali Pevensie sono arrivati!”
Alcuni scoiattoli e lepri si mossero immediatamente, correndo di qua e di là per la radura.
I gufi, con becchi e artigli, liberarono i Sovrani.
“Le mie scuse, Vostre Maestà” disse il gufo bianco, aprendo le grandi ali in un elegante inchino. “Non vi avevamo riconosciuti con quegli strani abiti”
“Perdoniamo la svista” assicurò Peter. “Posso sapere come vi chiamate?”
“Uh, certo, uhu: io sono Mastro Pennalucida, al vostro completo servizio”
“Mastro Pennalucida, avete nominato una Lady, poco fa. Potreste ripetermi il suo nome?”
Il gufo si rimise dritto e sorrise. “Certo, Maestà Suprema: è Lady Miriel delle Valli del Sole”
Esattamente in quel momento, nella radura apparve una bellissima donna dai lunghi capelli rossi come fiamme, occhi acquamarina splendenti come gemme preziose. Gli animali si fecero da parte per lasciarla passare.
“Miriel!” esclamò Lucy, ma subito Edmund la fermò dal correre da lei.
La Valorosa gli rivolse un’occhiata interrogativa, poi vide che il fratello sorrideva e capì: non potevano rovinare quel momento, quando finalmente dopo tanto, troppo tempo, Peter e Miriel potevano riabbracciarsi.
Miriel volò letteralmente tra le braccia del Re Supremo, quasi rischiando di farlo cadere a terra, iniziando a singhiozzare forte.
Peter non proferì parola, avvinto da un’emozione troppo frote. Rimase là, nel centro del prato, stringendo la Driade con tutte le sue forze, affondando il viso nei suoi capelli.
“Perdonami se ti ho fatto aspettare tanto”
Miriel scosse il capo. “Non importa, ora sei qui, è questo che conta”
Lucy e Edmund osservavano la scena insieme alle creature del bosco, felici per il fratello maggiore, ma non potendo fare a meno di chiedersi quando, anche per loro, sarebbe arrivato il momento di riabbracciare le persone più care...
Il Giusto e la Valorosa si resero conto solo in quel momento che, dietro Miriel, altre due persone erano sopraggiunte: un ragazzo- ormai un uomo- dalla pelle abbronzata, i capelli scuri e un accenno di barba sul viso; e una fanciulla dai lunghi capelli biondi, di età indefinibile, con grandi occhi blu lucenti come stelle.
Lucy si portò le mani alla bocca e poi gridò, correndo incontro al ragazzo dalla pelle scura.
“Emeth!” la Valorosa gli si gettò tra le braccia aperte.
Emeth non perse tempo, infischiandosene di chiunque, persino dei fratelli di lei: la strinse forte e la baciò.
Edmund avrebbe voluto dire qualcosa, ma decise che poteva rimandare i rimproveri a un altro momento. Il suo pensiero, era solo per lei: Shanna.
Il Giusto e la Stella si guardarono a lungo negli occhi.
Lei gli andò incontro piano piano, con passo leggero, un sorriso stentato.
Non era cambiata. Il viso da ragazzina era sempre lo stesso, ora bagnato da lacrime simili a perle.
Edmund allungò una mano verso quel volto, e poi l’abbracciò all’improvviso, lasciandola stupita da quello slancio che mai si era concesso prima.
Shanna si mise in punta di piedi, rispondendo all’abbraccio, forse un po’ esitante, mettendogli le braccia attorno al collo.
“Bentornato a casa”
 

 
 
 
 
 
In ritradissimo come al solito, ecco il tanto atteso capitolo del salto temporale!
Cari lettori, ormai mi odierete, lo so…..T________T
Però, finalmente sono tornati tutti a Narnia, e si sono visti tutti i protagonisti! Dai, ditelo che siete contenti!!! xD
Ok, il pezzo in cui appaiono Susan e Caspian-lupo è di poche righe, e vi confesso che sto pensando a un modo per farli incontrare ancora...rischio di andare fuori trama, ne sono consapevole... voi che ne pensate?
So che Night&Day ha risvolti più tristi e più cupi rispetto a Queen, e mi rendo conto che non a tutti può piacere, soprattutto il fatto che i Suspian non sono molto presenti come coppia... Ma come ha detto la mia DLF, “si assapora molto meglio la felicità se si è faticato per conseguirla!” , così come voi assaporerete al meglio le scene Suspian dopo tutto quello che stanno passando! ;)
 
Ci tengo subito a precisare che il pezzo iniziale - quello di Jill, Eustace e Aslan - non è tutto farina dle mio sacco: ho attinto moltissimo dal libro de "La Sedia d’Argento". E anche la descrizione della Foresa di Mezzo è presa da "Il Nipote del Mago". Ritengo opportuno riportare certe parti quasi identiche a come le ha scritte Lewis. Non è plagio, vero???
 
E con questo dubbio...Passiamo ai ringraziamenti:

 
Per le preferite: Aesther, aleboh, Araba Stark, battle wound, english_dancer, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, G4693, GregAvril2000, HikariMoon, Jordan Jordan, Joy_10, lucymstuartbarnes, lullabi2000, Mia Morgenstern, Muffin alla Carota, Mutny_Hina, piumetta, Queen Susan 21, Robyn98, Shadowfax, SweetSmile, TheWomanInRed, ukuhlushwa, Zouzoufan7
 
Per le ricordate: Araba Stark,Cecimolli, Halfblood_Slytherin, mishy , Queen_Leslie, Zouzoufan7
 

Per le seguite: Araba Stark, bulmettina, catherineheatcliff, Cecimolli, ChibiRoby, cleme_b, ecate_92, fede95, FioreDiMeruna, Fly_My world, Fra_STSF, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, JLullaby, Jordan Jordan, Joy_10, Judee, katydragons, Lucinda Grey, lucymstuartbarnes, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_, piumetta, Queen Susan 21, Revan93, Shadowfax, Zouzoufan7
 
Per le recensioni dello scorso capitolo: battle wound, Joy_10, lucymstuartbarnes, LucyPevensie03, piumetta, Queen_Leslie,  Robyn98 e Shadowfax
 
Angolino delle Anticipazioni:
Nel prossimo capitolo dedicherò un po’ di spazio alle coppie Petriel, Shandmund e Lumeth!!! Ci sarà una bella scena tra Peter e Miriel, preparatevi fan del Re Supremo!!! ;)
Eustace e Jill si incontreranno con Peter, Ed e Lu, e partiranno alla ricerca dei Suspian, dei quali nessuno sa più nulla da ben due anni! Inoltre, ci prenderemo un po’ di tempo per far narrare a Emeth, Miriel e Shanna, come sono andate le cose a Narnia in questo arco di tempo.
Probabilmente farò vedere anche i bambini, e farà la sua comparsa un nuovo personaggio.

 
Anche per questa volta è tutto!
Come sempre, qui sulla mia pagina facebook trovate gli aggiornamenti di Night&Day e della mia short-fic A Fragment Of You.
Vi ringrazio ancora tutti quanti, continuate a seguirmi, mi raccomando!!!
Un bacio grande,
Susan♥

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Capitolo 16
*** Capitolo 16: Due anni dopo (2 parte) ***


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16. Due anni dopo (2 parte)
 
 
Il tuo volto pervade i miei sogni,
una volta piacevoli...


 
 
Fu una lunga serata, colma di racconti ed emozioni.
I Pevensie sapevano che, se Aslan li aveva richiamati a Narnia, la situazione doveva essere critica, ma non erano preparati alla verità.
“Dove stiamo andando?” chiese Peter, mentre Pennalucida guidava il gruppo attraverso il bosco.
“Alla Torre dei Gufi, Sire” rispose il grosso uccello.
“Perché non a Cair Paravel?”
Nessuno rispose. Gli animali si scambiarono sguardi incerti.
“Mastro Pennalucida, per cortesia, vorremmo essere condotti al palazzo reale di Narnia”
Ancora silenzio.
“Non potete tornare al castello” disse infine Pennalucida. “Venite, Vostre Maestà, vi spiegheremo tutto una volta al riparo della nostra Torre”
Peter, Edmund e Lucy, ricordavano la Torre dei Gufi come un antichissimo pinnacolo appartenente a un’era ancora più remota dell’Età d’Oro. Nonostante fosse abbastanza diroccata, aveva sempre avuto un’aria imponente, le mura massicce.
Quando vi arrivarono, però, ebbero una brutta sorpresa. La prima di tante.
La Torre apparì loro con un aspetto più disfatto del solito. Anche attraverso l’edera che vi cresceva intorno, si scorgevano chiaramente segni di bruciature, i laterizi anneriti.
“Che cosa è successo a questo posto?” chiese Lucy.
“C’è stato un incendio un paio d’anni fa” le rispose Pennalucida. “Sono morti tanti amici…”
“E’ terribile!”
Il gufo annuì con aria mesta, emettendo sommessi lamenti. “Davvero, mia signora, davvero. E non è tutto, uh-uh. Che gran tragedia ha colpito Narnia…”
All’interno della Torre, oltre ad altri abitanti del bosco, trovarono ad aspettarli due vecchie conoscenze: Lord Rhoop e Shira.
“Sono proprio contenta di rivedervi, Vostre Maestà” disse quest’ultima. “Vi aspettavamo con ansia”.
Si riunirono tutti in quella che una volta era stata la sala padronale, illuminata da torce appese alle pareti e da un vecchio candelabro posato al centro di un lungo tavolo, attorno al quale i tre Pevensie sedettero assieme a Miriel, Shanna, Emeth, Rhoop, Shira e Pennalucida. Vi era anche un bel fuoco che riscaldava l’ambiente.
Gli altri animali prepararono la cena; Peter, Edmund e Lucy assaggiarono qualche pietanza per non sembrare maleducati, anche se in realtà avevano appena finito di pranzare.
“Sappiamo che Narnia incorre in un grave pericolo: Aslan me l’ha mostrato in sogno” disse Peter, raccontando ogni particolare della sua visione e dell’incontro con i Grande Leone.
“Sono passati otto anni da quando siete stati qui l’ultima volta” disse Lord Rhoop. “Da allora sono accadute molte cose”
“Otto anni?!” esclamò Lucy, osservando i volti degli amici.
Sì, erano cambiati molto, ma non credeva che fosse trascorso così tanto tempo.
“Quanto è passato da voi, sulla Terra?” chiese Emeth.
“Quattro anni”
“Ti sei fata splendida in quattro anni”
Lucy arrossì e gli sorrise.
“Anch’io è moltissimo tempo che non vengo a Narnia” disse Shanna. “Fu Shira ad avvertirmi di ciò che stava avvenendo quaggiù. In seguito, Aslan mi chiamò al suo cospetto per affidarmi di nuovo l’incarico di farvi da guida”
“Hai con te le Sette Spade?” le chiese Edmund.
La Stella annuì. “Poco tempo prima che arrivasse Shira, la cupola di cristallo dentro la quale erano racchiuse le Spade, s’infranse. Io e mio padre capimmo che era giunto il momento in cui anche il settimo Amico di Narnia avrebbe fatto la sua comparsa”
“E tu, Emeth?” chiese Lucy.
“Come Shanna, anch’io manco da Narnia da diversi anni. Chiesi al Re e alla Regina di poter tornare a Calormen, per cercare i miei genitori”.
“Sul serio?” chiese Lucy, stringendogli l’avambraccio. “E li hai ritrovati?”
Lui le sorrise. “Sì, ho ritrovato mia madre. Vive ancora a Tashbaan. Mio padre le fa visita qualche volta. Ho rivisto anche lui, ma…” Il giovane posò una mano su quelle di Lucy. “Non adesso. Ti racconterò tutto più tardi, d’accordo?”
La Valorosa annuì.
Peter tamburellò con le dita sulla superficie di legno del tavolo. “Dove sono mia sorella Susan e Caspian? Perché ci troviamo in questa Torre invece che al castello?”
Miriel e gli altri si scambiarono nuove occhiate, in attesa che qualcuno si decidesse a rompere il ghiaccio.
“Dovrebbe essere Miriel a raccontare tutto” disse Shanna. “Sei quella che è sempre rimasta al fianco dei Sovrani”
La Driade giunse le mani in grembo e annuì.
Era vero: lei non aveva mai abbandonato Caspian e Susan, almeno fino a che…
Miriel iniziò a raccontare, partendo dalla sera del primo compleanno dei gemelli, quando Lord Erton tentò di avvelenare Susan ma, per errore, colpì invece Caspian; di quando, giorni dopo, Erton fuggì prima di essere arrestato e processato, sorte che toccò ai suoi scagnozzi Galvan e Ravenlock. Parlò di come, nei sei anni successivi, Narnia prosperò in armonia, gioia e giustizia; di quanto Susan e Caspian furono felici, di come crebbero i loro figli, dell’assoluto amore che legava quelle quattro anime e dell’immenso affetto che il popolo aveva per loro.
“Poi, due anni fa, Lord Erton tornò e non da solo…Riapparve a Narnia assieme ad alcuni improbabili alleati. Era risaputo a corte, che il Duca godeva dell’amicizia dell’Imperatore Tisroc da molti anni. Alcuni dicono che si sia rifugiato a Calormen durante il bando, altri pensano abbia riparato al nord. Non ho idea di come siano andate le cose, sta di fatto che Erton e Tisroc erano alleati e, un giorno come gli altri, imprevedibilmente, l’esercito di Calormen attaccò Cair Paravel. A guidare i soldati, c’era Rabadash”
I Pevensie trasalirono: Lucy si premette le mani sulla bocca, Edmund scattò in piedi, Peter ripensò immediatamente all’incendio veduto nel sogno.
“Siedi, Ed, per favore” disse il Magnifico, incredibilmente calmo. “Le domande dopo. Continua, Miriel”
E Miriel proseguì, parlando dell’assedio al palazzo reale, della sua fuga nella foresta insieme a Briscola, del rapimento dei bambini, del tentativo di Caspian e Susan di ritrovarli e allo steso tempo di liberare gli amici rimasti al castello; di come Rabadash rapì Susan e la rinchiuse in cima alla Grande Torre, del salvataggio della Regina da parte del Re e la conseguente, ennesima fuga a Prato Ballerino. Informò i Pevensie della partenza di Shira per correre a cercare Shanna, e di quella di Tara e Clipse verso Sud in cerca di Emeth... fino ad arrivare alla notte in cui bruciarono la casa di Tartufello.
“Quella fu l’ultima volta che vidi vostra sorella e il Re. E’ stato due anni fa.”
“E nessuno ha saputo più nulla di loro?”
“No, Edmund. L’unica cosa che sappiamo, è che sono insieme.”
“Miriel…” mormorò Lord Rhoop, lo sguardo fisso su di lei.
“Lo so, lo so! Un attimo solo, per favore. Io… non so come dirlo…”
Miriel strinse la mano di Peter.
“Che succede?” chiese il Re Supremo, osservandola preoccupato.
“Ci sono un paio di cose che non vi abbiamo ancora detto” riprese la Driade. “Vedete, la notte dell’assedio al castello ci fu un’eclissi di sole. Durante questo fenomeno, accadde qualcosa: Rabadash – non sappiamo come, probabilmente con l’aiuto di Tash – lanciò una maledizione sul Re e sulla Regina, un sortilegio che li avrebbe divisi per sempre”
“Ma…” balbettò Lucy, gli occhi spalancati dal terrore, “hai detto che sono insieme”
“E’ così: non si lasciano mai, ma non possono parlarsi, né vedersi”
La voce di Miriel venne meno.
Emeth le venne in aiuto. “E’ un cosa che non si può spiegare, Lucy. Dovrete vederla con i vostri occhi. A dirla tutta, nemmeno io e Shanna abbiamo ancora osservato da vicino questa maledizione, ma Miriel continua a sostenere che Caspian e Susan stanno bene”
I Pevensie puntarono lo sguardo sulla Driade, che annuì.
C’era un profondo dolore nei suoi occhi acquamarina, ma era sincera.
Edmund e Lucy, e soprattutto Peter, si fidavano di lei: non aveva mai mentito da che la conoscevano.
“Rabadash seguitò a dare la caccia a Susan e Caspian” proseguì Miriel a fatica, “dando ordine di bruciare qualsiasi possibile luogo nel quale avrebbero potuto nascondersi: uno di questi fu la Torre dei Gufi, come avete visto. Morirono molti amici del bosco. Altri, come Tartufello, persero la casa e tutti i loro averi. Non c’era possibilità per noi di combattere contro Calormen, eravamo rimasti tropo in pochi. Così, infine, Caspian e Susan decisero di lasciare Narnia: per proteggerci, per evitare che altri morissero e, ovviamente, per cercare Rilian e Myra. Caspian nutriva poche speranze, Susan invece non si è mai data per vinta”
“E nessuno di voi sa dove siano ora?” chiese Peter.
“Abbiamo provato a cercarli, ma hanno fatto perdere ogni loro traccia e noi non…”
Miriel prese un profondo respiro, le spalle sussultarono.
“Va bene così, per ora” disse il Re Supremo, portandosi la mano della Driade alle labbra, dolcemente.
“Qual è l’altra cosa che non ci avete detto?” chiese Edmund, voltandosi verso Shanna.
La ragazza, seduta accanto a lui, esitò un momento.
“Ecco…si tratta del dottor Cornelius. Si trova in esilio…per sua volontà”
“Che significa?” chiese Peter, la fronte aggrottata.
“Significa che ha tradito il Re!” esclamò Shira, agitando le lai.
“Shira!” la rimproverò Shanna.
“E’ vero, lo ha tradito, ci ha traditi tutti! Se non fosse per lui, ora tutte quelle creature di Narnia non sarebbero morte, le case non sarebbero state distrutte, e Caspian e Susan sarebbero ancora qui!”
“Calmati, adesso”
“E’ vero, uhu!” intervenne Pennalucida. “E come se non bastasse, oltre ad aver rivelato il nascondiglio delle Loro Maestà, il professore è anche fuggito!”
I Pevensie si scambiarono sguardi turbati.
“Non posso credere che proprio il dottor Cornelius abbia tradito Caspian!” disse Lucy con enfasi “E’ come un figlio per lui!”
“Purtroppo è vero, Vostra Maestà” riconfermò Lord Rhoop, il quale, durante tutto il racconto, era rimasto in competo silenzio, infilzando ripetutamente la punta di un pugnale sulla superficie del tavolo, creando simboli astratti.
“Il buon cuore di Cornelius lo portò a tradire il Re la Regina, ma dobbiamo capire le circostanze. Chiunque di noi avrebbe potuto cedere in una situazione simile”
“Io no!”
“Davvero, Shira? Nemmeno dopo aver rivisto Lord Ravenlock spezzare tutte e quattro le zampe di Tempestoso?”
“Oh!” esclamò Lucy inorridita.
“Non siate così rude! Uhu!” gracchiò Pennalucida.
Lord Rhoop chinò il capo in segno di scusa, rivolgendosi soprattutto a Lucy e alle altre ragazze.
Edmund mise un braccio attorno alle spalle di Shanna con fare protettivo, sentendola tremare. Lei gli prese la mano e la strinse.
“Cornelius non l’ha fatto di proposito” rincarò Lucy.
“Certo che no, mia Regina” assicurò Rhoop.
“E Caspian come ha reagito?” chiese Edmund preoccupato.
“Ah, non bene, come potete immaginare. Prima della partenza di Re Caspian e della Regina Susan, tra il nostro Sovrano e il suo precettore sono corse cattive parole”
Per lunghi secondi, il crepitio del fuoco fu l’unica fonte di rumore nella stanza.
“Che cosa ne è stato degli altri amici?” domandò infine Peter.
A rispondere fu ancora Miriel.
“Briscola è rimasto con Tartufello. Lasciarono Prato Ballerino insieme ad altre creature. Hanno riparato sui Monti dell’Ovest, come ha fatto anche la famiglia di Tempestoso. Lui rimase gravemente ferito, come vi abbiamo detto. Erton lo imprigionò insieme e Drinian, usandoli entrambi per indurre Cornelius ha denunciare il Sovrani. Il Duca promise di lasciarli andare solo se il dottore avesse parlato. Così fece, ma non erano in buone condizioni. Lord Drinian se né andò poco dopo la partenza del Re e della Regina, in cerca di sua moglie. Non so dove si trovi adesso”
“Lady Lora. Mi ricordo di lei”
“Sì, Lucy. Sembra scomparsa nel nulla, proprio come Rilian e Myra”
“E Tara e Clipse?”
“Si trovano sulle Isole Solitarie” rispose Emeth. “Caspian le mandò a cercare me, a Tashbaan. Quando tornammo verso Narnia, le ragazze si resero conto di non potersi arrischiare a rientrare nel regno. Ormai erano ricercate, come tutti noi che siamo fedeli alla corona. Così, decisero di provare a rifugiarsi su Doorn, dal padre di Tara. Le accompagnai io. Le ho lasciate da Lord Bern: le nasconde entrambe”
“E i cavalieri?” chiese Edmund. “I cavalieri dell’Ordine del Leone che fine hanno fatto?”
“Sono tutti in carcere” rispose Shanna. “L’Ordine del Leone non esiste più. E’ stato sciolto, i cavalieri sono stati rimpiazzati dalle guardie di Rabadash. I nobili e i cittadini di Cair Paravel hanno provato a ribellarsi più volte, ma tutto ciò che ottengono è quello di finire in galera… o peggio, sulla forca”
“Il passatempo preferito di Erton” commentò Rhoop, la voce piena di disgusto.
“Le creature magiche sono sottoposte a ferree leggi e coprifuochi” continuò Pennalucida. “Se non vengono rispettate, possono portare addirittura alla condanna a morte per tradimento. Sorgono spesso piccole rivolte, ma non servono a nulla: Rabadash tiene Narnia sotto dittatura e il popolo ha paura. Molti sperano in un ritorno dei Sovrani ma, dopo due anni, le speranze iniziano a diminuire”
Le parole del gufo furono le ultime.
Il fuoco nel camino scoppiettò, facendo trasalire Miriel, silenziosa accanto a Peter.
Lord Rhoop si alzò per riattizzarlo.
Il Re Supremo cercava di rimettere insieme i pezzi del racconto, per capitolare e decidere come muoversi.
Edmund si abbandonò contro lo schienale della sedia, esausto pur non avendo fatto nulla.
Shanna, il braccio di lui ancora attorno alle spalle, teneva Shira nel grembo, e di tanto in tanto le lisciava le penne delle ali.
Pennalucida sbatté ripetutamente le palpebre, arruffando le penne una sola volta.
Emeth stringeva la mano di Lucy, accarezzandone il dorso con il pollice. La Valorosa si mordeva le labbra per non scoppiare in lacrime.
La sua Narnia... Susan, la sua adorata sorella... e Caspian, i bambini, C.P.A e tutti gli altri…Cair Paravel in mano a Rabadash…era troppo per lei.
Il silenzio fu interrotto bruscamente quando lo scoiattolo Zampalesta entrò nella stanza, provocando un gran fracasso, saltando sul tavolo e facendo tintinnare le stoviglie.
“Presto! presto! Spegnete tutte le luci!”
“Dico! E’ il modo di comportarsi?” fece Shira.
“Zitta, signorina, e fate come vi dico! Sono di ronda i soldati, stanotte”
“Di che state parlando?” chiese Lucy, mentre tutti si alzavano.
“Ogni tre giorni, i soldati di Rabadash attraversano le foreste in cerca di noi, dei fuggiaschi, insomma” spiegò in fretta lo scoiattolo. “C’è una taglia su ognuna delle nostre teste, sapete?”
“Accidenti…” fece Edmund, aiutando Lord Rhoop a spegnere le fiamme nel camino.
“Senza contare il coprifuoco” ricordò Shanna. “Se vedono anche solo un lume acceso dopo l’ora stabilita, sono guai”
Edmund e la Stella si scambiarono uno sguardo.
“Ho quasi pensato che scherzassi, prima, quando l’hai detto” disse lui.
Shanna gli rimandò un’occhiata dolente. “Magari lo fosse...”
“Zampalesta” chiamò Pennalucida a bassa voce. “Porta le Loro Maestà al piano di sopra. Non fate rumore e parlate piano finché non se ne andranno”
Lo scoiatolo aprì la strada ai Pevensie, Miriel, Emeth e Shanna. I sei ragazzi si arrampicarono per una rampa di scale di legno che girava attorno alla Torre.
“Ecco” bisbigliò Zampalesta, fermandosi sul pianerottolo del primo piano. “Queste tre camere sono per voi. Sono le migliori della Torre”
“Vanno benissimo, grazie” assicurò Lucy, aprendo la porta della prima camera.
Edmund fece lo stesso con la seconda, Peter con la terza.
Tutte e tre erano fornite di un vecchio letto in ferro battuto, una toilette, un piccolo armadio, e un comodino di legno a fianco al letto.
“Le abbiamo sistemate alla bell’e meglio” spiegò Miriel
“Non sono le vostre stanze, vero?” chiese Peter “Tua, di Shanna e di Emeth?”
La Driade sorrise. “In realtà sì. Ma non importa”
“Allora non possiamo accettare di dormire qui” disse Edmund. “Non sarebbe giusto”
“Noi dormiremo al piano di sopra” disse Shanna. “No preoccupatevi, ci sono altre stanze. Ora silenzio: i soldati faranno un paio di giri attorno alla Torre, poi se ne andranno, è questione di pochi minuti”
Si udivano voci all’esterno, prima lontane, poi sempre più vicine. I soldati di Calormen girovagavano qua e là per Bosco Gufo, cercando qualche incauto animale rimasto fuori dalla tana, con la speranza di scovarne qualcuno e divertirsi un pò. Per loro sfortuna, i narniani non erano così sciocchi, ormai sapevano cosa rischiavano. Tuttavia, questi ultimi non resistevano all’idea di giocare qualche scherzetto ai calormeniani, stando attenti a non farsi vedere. Quella notte non fecero eccezione.
Superstiziosi per natura, i soldati lasciarono Bosco Gufo molto prima del previsto.
Peter si avvicinò alla finestrella che si apriva sulla radura di sotto e sbirciò nell’oscurità. L’aria fredda della notte lo fece rabbrividire. Si era tolto il cappotto ma aveva tenuto il maglione. Gli abiti terrestri lo riparavano dal freddo, ma sarebbero serviti abiti narniani per iniziare la nuova missione che si prospettava all’orizzonte: comodi, pratici e durevoli. Quelli che indossava ora non lo erano abbastanza.
Presto sarebbero partiti alla ricerca di Caspian e Susan, dei gemelli, e di chissà cos’altro. Anche Lucy e Edmund avrebbero dovuto cambiare i loro indumenti; inoltre, ognuno di loro necessitava di un’arma. Peter aveva bisogno di Rhindon, la sua spada.
Dopo qualche minuto, udì un sommesso bussare.
Ancora affacciato alla finestra, accostò le vecchie persiane gonfie d’umidità e si voltò.
“Si?”
La porta si aprì e apparve Miriel, la quale reggeva tra le mani ciò di cui Peter aveva bisogno.
La Driade portava con sé un involto che comprendeva un mantello da viaggio, calzoni di tela, una camicia di lino, una tunica di lana, un mantello, stivali, una cintura e una sacca di cuoio. Sopra il tutto, coperta dalla sua guaina scarlatta, c’era Rhindon: l’elsa d’oro raffigurante il muso di Aslan scintillava al riverbero della candela posata sul comodino.
“Mi leggi nel pensiero” disse Peter, afferrando subito la sua spada.
Miriel entrò nella stanza, posando il resto sul materasso. “Recuperai Rhindon dall’Antica Casa del Tesoro, insieme al cordiale di Lucy”
“Siete stati molto previdenti” disse il ragazzo compiaiciuto, chiudendo la porta.
“Te l’ho detto: vi aspettavamo”
Rimasero a fissarsi a lungo nella penombra.
Peter posò la spada e le si accostò, passandole una mano sul viso.
“Sarai tu a decidere quando partire, Peter” disse la Driade a bassa voce. “Prenditi pure tutto il tempo che vuoi”
“Vorrei farlo al più presto. Voglio cercare mia sorella e tutta la sua famiglia. Se Aslan ci ha chiamati qui, è perché hanno bisogno di noi”
Miriel gli passò le braccia attorno alla vita, stringendosi a lui. “Mi dispiace così tanto. Mi dispiace di non essere stata in grado di proteggerli. Abbiamo tentato, ma…”
“Non hai alcuna colpa”. Il Re Supremo le posò un bacio sul capo.
L’allontanò da sé per guardarla e si ritrovò il viso a un centimetro da quello di lei. Senza pensare, le cinse la vita e si chinò sulle sue labbra.
Lei rispose al bacio senza indugio.
Peter infilò le dita tra i capelli di lei, mentre Miriel gli accarezzava la schiena.
“Peter, ti amo tanto”
Lui si fermò e la guardò negli occhi. “Dormi con me”
Miriel si specchiò nei suoi occhi azzurri, avvampando per quell’improvvisa richiesta.
“Ma…che diranno gli altri?”
“Chiederemo gentilmente loro di non disturbare” ammiccò Peter.
Lei sorrise e gli accarezzò il viso. Lui si fece serio.
“Ti ho sognata ogni notte, solo tu.”
Le loro voci erano un sussurro.
Miriel chiuse gli occhi e si lasciò baciare ogni centimetro del viso.
“Anche tu eri nei miei sogni, Peter, sempre”
Gli allacciò le braccia attorno al collo, cercando il contatto con il corpo di lui.
Peter la baciò ancora e ancora, mai sazio di quelle labbra morbide e delicate, inebriandosi del suo profumo di fiori.
“Sei ancora più bella di come ti ricordavo”
“Anche tu sei cambiato”. Miriel si scostò un poco, sfiorando con i polpastrelli le guance del giovane, osservando alla luce della candela la leggera ombra di barba sul viso del Re Supremo.
Peter era un uomo, adesso.
“Spero che, nel frattempo, tu non abbia incontrato un giovane cavaliere più affascinante di me” scherzò ancora lui.
Lei rise piano. “Nessuno sarà mai come te” assicurò, cercando nuovamente le sue labbra.
“Ti amo” mormorò lui, prendendole il viso tra le mani, approfondendo il bacio e rubandole un sospiro più profondo.
“Ho desiderato questo momento ogni istante. Rimani con me stanotte”
“Peter Pevensie…” mormorò il suo nome, lasciando che lui la trasportasse gentilmente tra le coperte. 
Un piacevole e familiare calore si propagò in tutto il corpo, come un fuoco ardente. 
Miriel si perse tra le sue carezze, mentre le sue labbra s’infuocavano al contatto con quella di lui.
Peter l’attirò tra le sue braccia, reclamando i suoi baci, audacemente, mentre il cuore scoppiava d’emozione. Il calore del corpo di lei defluì nella sua anima.
Avevano desiderato disperatamente quel momento per lungo tempo.
Troppo tempo…
Rimasero insieme fino al mattino, stretti l’uno all’altra, beandosi della sensazione del risveglio, il percepire il calore dell’altro accanto a sé.
Stretta a lui, una mano sul suo ampio petto, Miriel ascoltava il respiro regolare di Peter.
Poco dopo, lui si destò.
Nonostante fosse consapevole che anche lei fosse ormai sveglia, il giovane non si mosse di un millimetro, continuando a tenerla stretta, tenendo gli occhi chiusi. Quando li riaprì per guardarla, vide che anche Miriel teneva le palpebre serrate.
Dopo un attimo, come richiamata dal suo sguardo, la ragazza aprì a sua volta gli occhi, alzando il viso e sorridendogli teneramente.
“Buongiorno, amore mio” sussurrò il Re Supremo.
“Buongiorno”
Peter si specchiò in quegli occhi verde mare, allungandosi un poco per baciarla sulla fronte, sulla tempia, sulle labbra.
“Peter, ci sei?” fece una voce fuori dalla porta, alla quale bussarono una sola volta.
Il Magnifico e la Driade si separarono subito, cercando di coprirsi con le lenzuola.
“No, Ed, non entra…”
Troppo tardi.
Edmund rimase qualche secondo a fissare il fratello e Miriel con un’espressione disgustata sul volto. Poi esclamò: “Ah, no! Non ricominciamo!”
 
 
 
~·~
 
 
 
Non appena sveglio, Eustace diede in tre starnuti consecutivi.
Lui e Jill avevano dormito in una grotta, rannicchiati vicino a un fuocherello improvvisato dal ragazzo.
Lei era rimasta davvero ammirata dalle doti nascoste dell’amico. Non avrebbe mai ceduto che quello schizzinoso di Eustace Clarence sapesse accendere un fuoco da bivacco.
“Ho imparato a farlo osservando i marinai del Veliero dell’Alba, quando ci accampavamo sulla spiaggia” spiegò lui.
“Ma non odiavi il campeggio?”
“Un volta, sì... bè, era prima di venire a Narnia”
Nonostante si fossero avvolti ben bene nei cappotti, e a dispetto del fuoco, la notte era stata comunque molto fredda.
Eustace si alzò a sedere, strofinandosi il naso. Guardò alla sua destra Jill dormire ancora della grossa.
“Pole, è ora di svegliarsi, avanti”
La scosse per la spalla, ma la ragazza si voltò dall’altra parte.
“Mmm…dai, mamma, ancora un attimo…non è nemmeno suonata la sveglia…”
“Quanto sei cretina, Pole. Non sono tu madre, sono Eustace!”
“Cosa?” fece lei, smarrita, scattando a sedere, i capelli biondi spettinati.
Per un attimo non capì dove si trovava, poi rammentò ogni cosa: la porta del cortile, la montagna, Aslan, Narnia…
Si guardò attorno: le braci spente, la debole luce de sole che filtrava all’interno attraverso l’apertura della grotta.
“Allora non ho sognato”
“No, è tutto vero” disse Eustace alzandosi in pedi, dandosi da fare per smantellare il falò.
“Che cosa fai?”
“Cancello ogni traccia della nostra presenza qui. Se i soldati di Rabadash dovessero per caso trovare tracce di un fuoco da campo, si insospettiranno. Mio cugino Edmund diceva sempre che non bisogna mai lasciare nulla dietro di sé quando si è inseguiti da qualcuno”
“Ma nessuno ci sta inseguendo, Scrubb”
“Non ancora, ma succederà, ormai è inevitabile”
Jill guardò automaticamente fuori, attraverso gli alberi, rabbrividendo per un momento al pensiero della strega e del lupo…
Checché ne dicesse Eustace – il quale sosteneva che le streghe non vanno in giro per Narnia a briglia sciolta – Jill restava della sua idea: la donna incontrata la sera precedente era una strega, maga, o comunque la si volesse chiamare.
Ripresero il discorso quel mattino, quando lasciarono la grotta e si addentrarono nel bosco per cercare aiuto dalle creature di Narnia. Eustace era sciuro che prima o dopo avrebbero incontrato qualcuno.
“Le streghe non sono abitanti di Narnia, Pole, come te lo devi dire?”
“E va bene: non aveva la scopa e nemmeno il naso bitorzoluto, ma…”
“Tu stai parlando delle megere”
Jill sbatté le palpebre, perplessa. “Me-megere? E cosa sono?”
“Quelle che hai appena descritto: le megere sono brutte, ma brutte davvero, e non hanno un famiglio, fanno tutto da sole. Le streghe invece – come le maghe – di tanto in tanto, portano con sé qualche sorta di animale notturno, e non sono necessariamente brutte”
“Allora poteva essere una maga”
“Mmm…no so. Si dice che le maghe siano buone e le streghe no, ma secondo me non c’è da fidarsi né delle une né delle altre”
Jill lo fissava ammirata. “Dove le hai imparate tutte queste cose?”
“Me le ha insegnate mia cugina Lucy”.
Jill avrebbe voluto chiedere ancora tante cose, scoprire di più su Narnia, ma il discorso cadde quando arrivarono a un bivio.
Eustace studiò attentamente entrambe i sentieri. Non sapeva decidersi.
Jill gli scoccò un’occhiata dubbiosa. “Tu stai dove stiamo andando, vero Scrubb?”
Eustace le rivolse uno sguardo incerto. “Io…”
“Non lo sai…” sospirò lei, lasciando ricadere mollemente le spalle.
“No, non lo so, va bene?!” sbottò Eustace. “Una volta i miei cugini mi hanno portato a vistare la Casa di Aslan, ed è là che vorrei andare. Però non ricordo la strada, accidenti!”
“Perché non siamo andati ugualmente al castello? Avevi detto che tua cugina Susan e suo marito abitavano là”
“E’ Rabadash, ora, ad essere il padrone del castello. Non ricordi cosa dicevano quelle persone al porto? Lo acclamavano come fosse lui il re. Non credo proprio che Susan e Caspian siano a Cair Paravel con Rabadash in giro, a meno che non li abbia rinchiusi nelle segrete. Oh, porca misera!”
Eustace si portò una mano alla testa, dove la ferita sulla fronte era ormai rimarginata.
“Ti fa ancora molto male?” chiese Jill.
“No, solo ogni tanto…dai, vieni, per di qua”
Eustace prese il sentiero che scendeva verso sud e l’amica lo seguì.
“Ricordo che la Casa di Asan si trova a sud-ovest di Cair Paravel. Se troviamo il letto del Grande Fiume e lo seguiamo, sono sicuro che ci porterà laggiù”
“Ne sei sicuro?”
“Ho un eccezionale senso dell’orientamento” si vantò il ragazzo, sporgendo il petto in avanti.
Jill rise. “Dovrò fidarmi…”
Camminarono su una strada circondata da pochi alberi, esposta al sole che riscaldava le membra ancora intirizzite. Il percorso declinò e risalì un paio di volte. Poi, finalmente incontrarono alcuni animali parlanti e qualche fauno.
Jill rimase letteralmente a bocca aperta, con un mezzo sorriso sulle labbra, gli occhi sbarrati: un fauno vero, animali parlanti veri! Fino ad allora ne aveva solo letto nei racconti fantastici, o nel libro di Eustace, ma vederli di persona fu più emozionante di quanto pensava.
Gli animali e i fauni dissero loro di tornare indietro e prendere il sentiero a nord, vero Bosco Gufo. Se volevano sapere qualcosa di concreto sull’attuale situazione di Narnia, era là che dovevano recarsi. La Casa di Aslan era il primo posto in cui Rabadash aveva cercato i Sovrani, e solo grazie all’intervento di Aslan non era stata bruciata come era invece toccato a molti altri luoghi.
“Aslan fece piovere per settimane finché Rabadash e Lord Erton rinunciarono ad attaccare quel luogo” spiegò il fauno più anziano. “Ma non è comunque prudente andarci. Raggiungete il Parlamento dei Gufi. Incontrerete Pennalucida, lui vi dirà tutto”
Prima di salutarsi, i fauni si tolsero i pesanti mantelli che portavano e li posero sulle spalle dei due ragazzi. Non appena li indossarono (dopo aver ringraziato) Eustace e Jill sentirono di aver già meno freddo.
“Buona fortuna Lord Eustace, e buon fortuna a voi damigella. Che Aslan vi protegga”
Le creature di Narnia si allontanarono e Eustace e Jill proseguirono per la loro strada.
I due amici rifecero all’inverso il tragitto appena percorso, accorgendosi d’un tratto di avere molta fame.
Eustace propose di addentrarsi un poco nella foresta per cercare qualche frutto commestibile. Purtroppo, tutto ciò che trovarono furono noci e nocciole. Non avevano nulla con cui rompere i gusci, così dovettero rinunciare.
“Chiediamo agli scoiattoli lassù” fece Jill.
“Non sono animali parlanti, quelli” rispose Eustace dispiaciuto. “Credo proprio che…”
In quel momento, voci umane e rumore di zoccoli arrivarono fino a loro.
Eustace imprecò a bassa voce, trascinando Jill dietro un altro albero, un altro e un altro ancora, appiattendosi poi a terra tra le felci.
“Chi sono quelli?!” sibilò lei.
“Soldati di Calormen”
“E l’uomo che sta in testa a tutti? Non sembra uno di loro”
I due ragazzi osservarono da dietro il tronco gli uomini in tenuta bianca e rossa, tipica del guerrieri del Deserto.
Eustace aguzzò la vista. “Credo si chiami Lord Galvan…no, Ravenlock. Sì, un certo Ravenlock. Spostiamoci di qui, prima che ci vedano”
Il sibilo di molte frecce arrivò loro alle spalle. Jill gridò e si portò le mani sulla testa.
“C’è qualcuno laggiù, mio signore” disse una voce, la cui eco risuonò tra gli alberi.
“Andate a controllare”
Eustace e Jill cercarono di acquattarsi ancor più tra i cespugli, indietreggiando carponi.
D’un tratto, un uccello si alzò in volo e l’attenzione dei ragazzi- e fortunatamente anche dei soldati- si concentrò su di esso.
Uno degli uomini alzò la balestra ma Lord Ravenlock lo fermò.
“No, non ucciderlo. Non vedi di che uccello si tratta? E’ un falco: il principe Rabadash ha espressamente ordinato di non toccarli neppure”
“Dimenticavo. Perdonatemi milord” si scusò il soldato abbassando l’arma.
Attraverso il fogliame, Eustace e Jill osservarono Lord Ravenlock scrutare tra gli alberi. Poi, ordinando ai suoi di seguirlo, girò la cavalcatura e tornò indietro, diretto sull’altro sentiero.
Quando scomparvero alla vista, Eustace fece per alzarsi.
“Jill, tu rimani qui. Vado a controllare”
“No, te lo scordi” replicò lei. “L’ultima volta che mi hai detto una cosa simile, un lupo mi ha quasi uccisa”
“Oh, andiamo! Rimani nascosta, non ci metterò molto”
“No, aspetta, per favore!”
Ma il ragazzo era già schizzato in piedi e ora si dirigeva verso il limitare del bosco.
“Accidenti a te!” sbuffò Jill, guardandosi intorno intimorita.
I rumori del primo mattino erano costituiti da canti sommessi d’uccelli di vari tipi, frusciare di foglie. Una di esse si staccò dal nocciolo accanto a lei e le finì tra i capelli. Jill la rimosse, poi si alzò un poco per vedere dove fosse Eustace. Trasalì quando si rese conto che era sparito.
Schizzò in piedi senza preoccuparsi di essere vista da qualcuno.
“Eustace? Eustace?” chiamò più volte, ma non ci fu risposta.
Compì qualche lento passo, indecisa su se andare a cercarlo o rimanere laggiù.
Se Eustace fosse tornato indietro e non l’avesse trovata, si sarebbe infuriato o avrebbe pensato che i calormeniani l’avessero catturata. Ma se invece fosse stato lui ad essere rapito? Non poteva lasciarlo solo. Aslan le aveva affidato una missione, ed era venuto il momento di mostrarsi coraggiosa e prendere in mano la situazione.
Aslan! I quattro segni! Santo cielo, non li aveva ancora ripetuti quel giorno! Ma adesso non era proprio il momento…
Li ricorderò più tardi, quando ritroverò Scrubb, pensò.
Sempre più preoccupata per le sorti di Eustace, Jill lasciò il suo nascondiglio.
Sfortunatamente, i due amici si erano addentrati parecchio nella foresta per trovare da mangiare e Jill, ancora inesperta nel girovagare tra boschi incontaminati, perse presto la strada.
Iniziò a camminare più veloce, gettando calci ai sassi che trovava, senza curarsi di dove andava. Senza rendersene conto si mise a correre, il cuore che le pulsava nelle orecchie.
Aveva voluto l’avventura, ma adesso era stanca, aveva freddo e fame, e voleva tornare a casa.
Ad un tratto, senza preavviso, il mondo si capovolse.
Ci fu un rumore secco, come di un ramo spezzato, qualcosa la sollevò da terra, e lei si ritrovò intrappolata in una rete di corda ricoperta di foglie.
“Ci mancava anche questa!”
Jill cercò di muoversi, ma tutto ciò che ottenne fu di intricarsi ancora di più. Rischiava seriamente di scoppiare in un pianto isterico, proprio come le era successo sulla montagna di Aslan.
Sarebbe senz’altro successo se non fosse stata distratta da uno scalpitio di zoccoli.
I soldati! Pensò immediatamente.
Ma si sbagliava di grosso…
Con suo grande stupore, Jill vide avvicinarsi al passo un cavallo bruno, robusto, elegante, in sella al quale stava un cavaliere totalmente vestito di nero: il farsetto, i calzoni, gli stivali, il mantello con il  cappuccio che gli copriva parzialmente il viso. Da come era vestito, lo si sarebbe detto un brigante.
Uomo e animale si fondevano in un unico colore. Se fosse stata notte invece che giorno, la ragazza non sarebbe stata in grado di distinguerli dal resto della foresta.
Il nuovo venuto tirò le redini e fermò il cavallo.
La ragazza e il cavaliere si fissarono per un momento. Lui le rivolse uno sguardo perplesso.
“Che sorta di creatura sei?”
Jill, rannicchiata dentro la rete, le ginocchia fino al naso, i capelli spettinati, doveva avere un aspetto davvero ridicolo…
“Non sono una creatura. Sono una ragazza”
“Dovresti essere la mia colazione, sai?”
Jill trasalì. “Cosa sei, un orco?”
Il cavaliere scese a terra, abbassandosi il cappuccio del mantello.
Dapprima, Jill credette avesse i capelli corti, poi notò che li teneva legati stretti in una piccola coda di cavallo.
“No, non sono un orco. Perdonatemi, damigella”
L’uomo accennò un sorriso. Sembrava gentile. Il suo sguardo era così triste…
“State ferma, tra poco sarete libera”. Egli le si avvicinò ed estrasse qualcosa dalla cintura.
“Ehm… signore, mi scusi, ma non credo sia una buona idea tagliare le corde…”
Jill si preparò al balzo.
Ma non ci fu bisogno di preoccuparsi, poiché nel momento in cui il cavaliere terminò il suo lavoro, il cavallo si posizionò sotto di lei, così che quando le corde si spezzarono Jill cadde prona sul suo dorso.
“Bravo, Destriero” gli sussurrò affettuosamente il cavaliere.
L’animale emise un basso nitrito soddisfatto.
Jill scivolò sulla sella e scese a terra, allontanandosi di qualche passo.
L’uomo rimise dentro il fodero il pugnale con cui aveva reciso la rete. Fissò di nuovo la ragazza con uno strano sguardo.
I suoi abiti… a parte il mantello di fattura narniana, il resto somigliava in maniera impressionante ai vestiti di un altro mondo…
“Non voglio farvi nulla” disse lui. “Non dovete avere paura di me”
“Tu non sei uno di quelli, vero?” chiese Jill. “Insomma, non sei un soldato”
Il cavaliere si fece scuro in volto. “No, non lo sono. Avete visto dei soldati nella foresta?”
Jill annuì.
Lui non parlò per lunghi secondi, guardandosi attorno.
“Da che parte sono venuti?” chiese infine.
“Da laggiù” Jill alzò una mano, cercando d’indicare un punto preciso. “No, dall’altra parte…no, nemmeno…”
Lui le rivolse un altro breve sorriso. “Vi siete perduta?”
“Credo proprio di sì”. Gli occhi le divennero lucidi all’improvviso.
Il cavaliere le si avvicinò, curvando un poco la schiena per guardarla in viso. La ragazza teneva il capo chino.
“Da dove vieni?”
“Da lontano... Non ti dirò nulla, mi spiace, non ti conosco” Jill scattò sulla difensiva. “Come faccio ad essere sicura che non sei d’accordo con quelli?”
“Ti giuro che non ho niente a che fare con i soldati che hai visto. Voglio solo sapere il nome del paese da cui provieni, nient’altro” disse di nuovo lui in tono cortese.
Ciò indusse Jill a provare meno sospetto.
“Perché vuoi saperlo?”
“Perché è molto importante per me”
Si fissarono ancora qualche istante.
“Vieni dalla Terra, vero? Non sei di Narnia”
Jill lo guardò a bocca aperta. “E tu come lo sai?”
Lui si raddrizzò e tornò verso il cavallo, salendovi in groppa con un agile movimento.
“Forza, sali. Se sei una terrestre, non sei al sicuro qui”
“Non posso andar via! Un mio amico è stato rapito dai soldati, o almeno credo. Ci siamo divisi e non so dove si trova. L’ho già abbandonato una volta da quando siamo qui, non voglio farlo di nuovo”
“Lo cercheremo insieme” disse il cavaliere, porgendole la mano.
Jill esitò, notando la lunga spada legata alla sella del cavallo, la faretra e l’arco, la balestra…accidenti, che arsenale!
Cosa fare? Fidarsi o no? Se avesse voluto farle del male, armato com’era, l’avrebbe già fatto, no? Dopotutto l’aveva salvata. Inoltre, quella luce nei suoi occhi scuri, quella tangibile malinconia che lo avvolgeva, le diceva che non era malvagio. Non poteva esserlo.
“Va bene, voglio fidarmi” si decise infine Jill, afferrando la mano guantata dell’uomo e salendo dietro di lui.
“Posso sapere il tuo nome?” le chiese lui, mentre il cavallo scalpitava.
Jill rifletté. “Scusami, ma la risposta è no. Te l’ho già detto: finché non sarò assolutamente sicura che non sei un nemico, non ti dirò nulla di me”
“Come vuoi. Allora nemmeno io ti dirò il mio”
“D’accordo”
Il cavaliere stinse le redini. “Sai dirmi, almeno approssimativamente, da che sentiero sei venuta?”
“Da quello che porta al castello. Sono arrivata da lì. Ma come facciamo a trovare il mio amico?”
“Ci guiderà lei” disse semplicemente il cavaliere.
“Lei?”
Il richiamo di un uccello risuonò nella fredda aria autunnale. Pochi istanti dopo, uno splendido falco dal piumaggio color nocciola planò dolcemente sul braccio teso del cavaliere.
“Buongiorno, mia adorata” mormorò lui.
Per la prima volta, Jill vide un vero sorriso aprirsi sul viso di lui, mentre guardava il falco. L’animale rispose al suo sguardo.
Quasi la stessa scena della notte precedente, pensò Jill. Quei due si guardavano come si erano guardati la donna e il lupo. Quasi con… amore.
Subito dopo, una seconda creatura volante piombò su di loro.
“Mia adorata? Non osate chiamarla così! Lei è solo mia!”
Il cavaliere alzò gli occhi al cielo, ma sorrise. “Buongiorno anche a te, Ombroso”
Jill si guardò attorno, ma non vide nessuno…a meno che il cavaliere non si stesse rivolgendo allo strano uccello appeso testa i giù sul ramo lì vicino. Qualcosa le disse che era proprio così.
Era un pipistrello, più grande del normale, e scoccava occhiate di disapprovazione all’uomo e al falco.
“Voi non la capite, mio signore, mi rincresce. Solo io comprendo quello che ha dentro” il pipistrello si staccò dal ramo e si mise dritto in piedi. Con fare teatrale continuò: “Lei è la luce dei miei occhi, lei mi tiene sveglio di giorno quando dovrei starmene nella mia caverna...capite quanto appassionato sia il mio cuore?”
Il cavaliere lo ignorò e si rivolse a Jill. “Sei pronta?”
“Sì” fece lei, aggrappandosi saldamente a lui. “Il pipistrello viaggia con te?”
“Si capisce!” fece quello.
Il cavaliere emise un sospiro spazientito. “Non esattamente…Ombroso ci pedina, ma non fa parte della compagnia”
“Siete un ingrato! Dopo che vi ho dato asilo per settimane in casa mia, mi trattate così?” l’animale si parò davanti al cavallo, che si fermò.
“Mia dolcissima lady falco” fece Ombroso, guardando con occhi adoranti l’uccello sul braccio dell’uomo. “Siete così gentile e amabile…come potete sopportare un uomo così dispotico?!”
“Mi chiedo come faccio io a sopportare te” rispose aspramente il cavaliere. “Ora, gentilmente, Ombroso, ti toglieresti dalla strada?”
Il pipistrello e il cavaliere si lanciarono un’occhiata torva.
Jill pensò per un attimo in quale stravagante combriccola si fosse imbattuta: un cavaliere senza nome, un falco, un cavallo e un pipistrello parlante.
E lei che credeva che lo strambo fosse Eustace!
Un colpo di tacchi nel fianco del cavallo, ed erano partiti al galoppo. Ombroso e il falco li seguivano in volo.

 
 
 
 
Buona domenica, carissimi lettori!!!
Siamo giunti al capitolo 16! Ditemi sinceramente: queste storia vi piace? Soddisfa le vostre aspettative? Sapete che non vorrei mai e poi mai deludervi…
Mi scuso immensamente con coloro ai quali non ho ancora risposto alle recensioni….sorry. T____T Lo faccio, dovete solo avere un pochino di pazienza.
Avevo promesso Shandmund e Lumeth, vero? Bè, stavolta abbiamo avuto la Petriel, la prossima…chissà ;)
E l’incontro tra Jill e Caspian, come vi sembra? A proposito di Jill, la sto caratterizzando bene?
Ed è arrivato il nuovo personaggio: il pipistrello Ombroso ;)
A voi i commenti, ora!

 
Ringrazio:

Per le preferite: Aesther, aleboh, Araba Stark, battle wound, english_dancer, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, G4693, GregAvril2000, HikariMoon, Jordan Jordan, Joy_10, lucymstuartbarnes, LucyPevensie03, lullabi2000, Mia Morgenstern, Muffin alla Carota, Mutny_Hina, piumetta, Queen Susan 21, Robyn98, Shadowfax, SweetSmile, TheWomanInRed, ukuhlushwa, Zouzoufan7
 

Per le ricordate: Araba Stark,Cecimolli, Halfblood_Slytherin, mishy , Queen_Leslie, Starlight13, Zouzoufan7
 
Per le seguite: Araba Stark, bulmettina, catherineheatcliff, cat_princesshp, Cecimolli, ChibiRoby, cleme_b, ecate_92, fede95, FioreDiMeruna, Fly_My world, Fra_STSF, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, JLullaby, Jordan Jordan, Joy_10, Judee, katydragons, Lucinda Grey, lucymstuartbarnes, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_, piumetta, Queen Susan 21, Revan93, Shadowfax, Zouzoufan7
 
Per le recensioni dello scorso capitolo: battle wound, Halfblood_Slytherin, Joy_10, lucymstuartbarnes, LucyPevensie03, piumetta, Queen_Leslie,  Shadowfax
 
Angolino delle anticipazioni:
Come detto sopra, ci dedicheremo a una delle coppie: Shandmund o Lumeth? Vedremo…
Eustace verrà salvato dai soldati e si incontrerà con i cugini. Insieme, partiranno alla ricerca di Jill.
Lei e Caspian (e Susan-falco) intanto, stanno cercando Eustace, ma sulla strada si imbatteranno anche in qualcun altro…

 
Prima dei saluti, vi ricordo che gli aggiornamenti di Night&Day e di altre mie fic le trovate qui, alla mia pagina facebook
Inoltre ho un
ANNUNCIO da fare: ho creato una nuova pagina tutta dedicata ai Suspian Caspian&Susan 1300 Years of Love. Mi aiutate ad ampliarla? ^^ Grazie…..
 
Mi pare che anche per questa settimana sia tutto. Un grazie immenso a tutti, come sempre, perché senza di voi le mie storie sarebbero rimaste chiuse in un cassetto…
Grazie ancora e un bacio grande,
Susan♥

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Capitolo 17
*** Capitolo 17: Arrivo alla Torre dei Gufi ***


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17. Arrivo alla Torre dei Gufi
 
La tua voce ha cacciato via
Tutta la sanità in me…

 
 
All’apparire dei soldati, Eustace si era gettato di nuovo tra la protezione delle felci, e si trovava ancora là, il capo ornato di foglie e rametti. Se non altro, era ben mimetizzato…
Le ombre dei noccioli lo avevano tenuto nascosto dai nemici, da molto tempo stava all’erta aspettandosi di vederli tronare indietro.
“Jill, non ti muovere, resta nascosta” si ripeteva nella mente. “Oh, speriamo che non l’abbiano presa. Forse è per questo che non sono tornati indietro, non hanno trovato nessuno... Bè, in ogni caso devono per forza ripassare di qui per andare al castello”
Quando non accadde nulla di ciò e, anzi, non si vide più nessuno, il ragazzo decise di arrischiarsi ad uscire da cespugli.
Tornato di corsa al nascondiglio dell’amica, aveva scoperto che Jill non c’era più.
“Ecco! Lo sapevo!”
Camminò per quasi un’ora, cercando di individuare qualche traccia, ma non era stato molto bravo in certe cose. Le uniche che fu in grado di riconoscere furono quelle lasciate dagli zoccoli dei cavalli.
Forse si era solo nascosta in un altro punto, pensò, oppure…oppure l’avevano presa per davvero.
Cammina, cammina, Eustace iniziò a lasciare che i pensieri vagassero liberi nella sua testa. Uno solo ne afferrò con concretezza, cominciando a valutarlo seriamente solo in quel momento.
C’era una cosa che, tempo fa, gli aveva dato da pensare a proposito di Jill, sul fatto che fosse sempre stata così ricettiva su tutto ciò che riguardava Narnia.
Jill aveva incontrato Aslan, il quel le aveva affidato il compito.
Jill poteva veramente essere la Settima…la Settima Amica di Narnia e detentrice della Spada di Rhoop.
L’amica gli aveva raccontato che il loro compito era quello di ritrovare i principi scomparsi, figli di un Re e di una Regina di Narnia. Non fu molto difficile per Eustace, meditandoci sopra, capire che potesse trattarsi di…
Fu allora, mentre camminava elucubrandosi nelle sue riflessioni, che si sentì afferrare per le spalle e sollevare da terra. Sopra di sé percepì il movimento delle ali del grosso uccello che lo aveva catturato.
Iniziò a dimenarsi per liberarsi dalla presa degli artigli, sollevando il capo, scorgendo un vecchio gufo bianco.
“State fermo per favore, signore, o finirete per cadere” gli disse quest’ultimo.
Eustace smise di agitarsi e lo fissò attentamente. “Sei un animale parlante!”
“Uh-uh, fino a prova contraria… Mi chiamo Pennalucida. Molto piacere, Lord Eustace”
“Pennalucida? Tu sei quello di cui hanno parlato i fauni! Ma…come fai a sapere chi sono io?”
“Semplice: i vostri regali cugini mi hanno detto che anche voi eravate a Narnia, ed è stato facile individuarvi con indosso quegli abiti bizzarri, uhuhuhh!!!”
Il gufo rise, Eustace no.
“I miei vestiti sono normalissimi! Non prendermi in giro e mettimi giù subito!...A proposito, dove sono i miei cugini?”
“Alla Torre dei Gufi. Ordine di vostro cugino, il Re Supremo, è di portarvi laggiù. Ha detto: quando lo troverai, conducilo immediatamente qui”
“Aspetta, prima dobbiamo trovare Jill!”
“Jill? Bhu-uh, e chi sarebbe Jill?”
“Una mia amica, è venuta con me a Narnia. Non posso andarmene senza di lei!”
“Bhu-mmm…il Re Supremo ha accennato a una nuova ragazza, in effetti” disse il gufo tra sé e sé.
“Dev’essere per forza lei! E’ la Settima Amica di Narnia e…Aaahhh!!!!!”
Le ultime parole di Eustace sorpresero così tanto il gufo da fargli perdere la presa.
Il ragazzo gridò e precipitò nel vuoto, ma Pennalucida roteò su sé stesso e lo riprese subito sul suo dorso.
“Ma sei scemo?! Volevi uccidermi?!” gracchiò Eustace, terrorizzato.
“Uhu! Perdonatemi, milord! Ma tutte le volte che sento qualcuno nominare la Settima Amica…Per le barbe di tutti i nani! Che emozione! Sono sicuro che i signori Castoro, quando conobbero i Pevensie, provarono quel che provo io ora. Brhuuu! Con tutti e sette gli Amici riuniti salveremo Narnia e le Loro Maestà!”
“Sarebbe meglio se prima trovassimo Jill, non credi?” disse Eustace, aggrappandosi ben bene alle piume del collo del gufo.
“Oh…Uh! Certo, certo!”
Pennalucida virò nella direzione indicata da Eustace, sorvolando l’intero tragitto percorso dai due ragazzi da quando erano giunti a Narnia fino a quando si erano divisi.
“Hai detto che Peter sa che Jill è la Settima, vero?” chiese il ragazzo, mentre iniziavano a scendere di quota.
“Lo sospetta fortemente, milord. Proprio stamani abbiamo intrapreso le vostre ricerche, sapete? I regali Pevensie sono arrivati ieri sera”
“Anche noi”
Purtroppo, Jill non si vide da nessuna parte.
Eustace insisté per rifare la strada più volte, di scendere più in basso. Ma quando avvistarono di nuovo i soldati, Pennalucida disse che non voleva rischiare li vedessero. Così, malgrado le proteste del ragazzo, puntò verso Bosco Gufo.
Eustace non poté far nulla se non guardare la cima annerita della possente Torre dei Gufi farsi sempre più vicine.
“Eccolo!” strillò una voce femminile, quando il ragazzo e il gufo posarono piede e zampa a terra.
“Lucy!”
“Finalmente, eravamo così in pensiero!”
La cugina corse ad abbracciarlo e in men che non si dica, anche Miriel e Shanna gli furono attorno.
“Hai l’aria stravolta, ti senti bene?” chiese la Valorosa.
“Bè, contando che da quando sono arrivato qui ho dovuto dormire in una grotta fredda e umida, mi hanno inseguito i soldati e una belva feroce voleva uccidermi…sì, direi che nel complesso sto benone”
Le ragazze risero.
“Sempre il solito” commentò Miriel.
“Peter e Edmund dove sono?” chiese Eustace.
“Saranno da qualche parte qui intorno, insieme a Emeth” rispose Lucy. “Ti stavano cercando sai?”
“Pennalucida mi ha accennato qualcosa. Come sapevate che ero a Narnia?”
“Ti abbiamo visto attraversare il portale nel cortile della tua scuola, con la tua amica Jill. Io, Peter e Ed abbiamo usato degli anelli magici, invece, attraversando la Foresta di Mezzo”
“Anelli magici? Foresta di Mezzo? Che roba è?”
Lucy lo guidò verso l’entrata. “Vieni, sarà meglio che inizi a raccontarti qualcosa”
“Aspetta” Eustace la fermò. “Devi prima dirmi che cosa sta succedendo. Quando sono arrivato ho visto Rabadash sbarcare al porto di Cair Paravel, acclamato come se fosse il Re. Che cosa significa? Dov’è Caspian, e Susan e i gemelli?”
Lucy, Miriel e Shanna si scambiarono sguardo incerti.
“Andiamo dentro” rispose infine Miriel. “Mangia qualcosa e rinfrescati un po’, poi parleremo”
Siccome non aveva messo niente nello stomaco dal giorno prima, Eustace fu ben grato di ricevere tutte le attenzioni che gli abitanti della Torre dei Gufi gli rivolsero. Oramai era mezzogiorno e così poté fare un bel pranzetto insieme alle ragazze e Lord Rhoop.
Poco dopo, furono di ritorno Peter, Edmund e Emeth, purtroppo senza Jill.
Ci fu un breve battibecco tra Eustace e Ed, il quale permise a tutti di lasciarsi andare a brevi sorrisi.
“Ma non hanno mai smesso di litigare, in questi anni?” chiese Shanna a Lucy.
“No, purtroppo. Scommetto che litigheranno anche quando saranno due vecchietti sdentati”
“Chi è un vecchietto sdentato?” esclamarono i due ragazzi in coro.
Lucy si coprì la bocca con le mani, soffocando una risata. Shanna, invece, non poté trattenersi.
Poco dopo, quand’ebbe la pancia piena, Eustace iniziò a parlare con i cugini, facendosi spiegare – e spiegando a sua volta – come stavano le cose.
Mentre facevano questo, Shanna prese la mano di Edmund nella sua, stringendola brevemente.
Lui, stupito, si volse a guardarla.
La ragazza, seduta accanto a lui, si sporse un poco per sussurrargli: “Non sei arrabbiato perché ho riso prima, vero?”
“No, certo”
“Bene”
La mano di lei scivolò via da quella del ragazzo, lasciandolo con una insolita sensazione d’insoddisfazione.
Parlarono a lungo, per almeno un’ora o più.
“Infine, Calormen ha ottenuto quel che da sempre voleva” commentò Eustace alla fine, in tono lugubre.  “Come hanno fatto a prendere Cair Paravel senza che nessuno se ne accorgesse? Insomma, lo si nota un esercito in movimento, no?”
“Sembra assurdo, lo so” rispose Lord Rhoop. “Sono spuntati dal nulla, come fossero invisibili”
“E’ vero” intervenne Lucy. “Un po’ come accadde con i Monopodi sull’isola delle Voci, ricordate? Un minuto prima non c’erano e un minuto dopo eccoli apparire”
“Giusto!” fece Eustace. “Avranno usato una magia, ci scommetto!”
“Non Calormen” rispose Emeth, sicuro. “Odiano questo genere di cose”
“Invisibili o no” disse ancora Rhoop, “avremmo comunque udito i passi di un armata in avanzamento”
“Potrebbero essere arrivati via mare” provò ancora Eustace.
Peter rifletté. “Risalendo la Baia di Calormen fino alla foce del Grande Fiume… Potrebbero averlo fatto, sì. Ma, anche in questo caso, qualcuno li avrebbe visti: se non i marinai, le creature del mare”.
“Io credo che non lo scopriremo mai” disse Miriel. “Tanto, ormai, che importanza ha?”
Scese il silenzio, dentro il quale ognuno si sentì per un momento smarrito.
“Avrà importanza quando ci riprenderemo il castello” disse Peter, alzandosi insieme e Emeth e Edmund.
“Dove andate?” chiese Eustace.
“Faremo un nuovo giro in cerca di Jill, sperando che i soldati si siano ritirati”
“Vengo anch’io”
I fratelli Pevensie e il soldato si scambiarono uno sguardo.
“E’ inutile andare tutti” disse infine Emeth. “Rimango io con le ragazze, è meglio”
Lucy gli si avvicinò, senza esprimere il sollievo che le dava sapere che almeno lui sarebbe rimasto al scuro con lei e gli altri dentro la Torre.
La Valorosa raccomandò ai fratelli e al cugino la prudenza. Lo stesso fecero Miriel e Shanna.
“Scusami” disse la Driade a Peter. “Ho avuto un attimo di sconforto”
Il Re Supremo le sorrise, facendole una carezza tra i capelli e baciandola brevemente sulle labbra.
Shanna si avvicinò timidamente a Edmund, entrambi con la voglia di osare di più di un saluto, ma ancora senza trovare il coraggio.
Come al solito, lei allungò il viso e lo baciò sulla guancia.
“Torneremo al tramonto” le disse il Giusto, sfiorandole appena il braccio.
“Così tardi?”
“Peter ha deciso così. Credo che voglia setacciare per bene la foresta. Lui non lo dice, ma spera di trovare qualche traccia di Susan o Caspian”
“Non penso che il Re e la Regina siano a Narnia” rispose la Stella, dispiaciuta. “Ho idea che dovremo muoverci verso nord se vogliamo avere la possibilità di incontrarli”
Edmund passò le mani sulle spalle di lei, sentendo la consistenza setosa dei suoi capelli sotto le dita. Con delicatezza, le sistemò una ciocca dietro l’orecchio.
“Sono felice che tu sia qui fin dall’inizio, stavolta”
Shania sorrise. “Sì, anch’io. Sai, Edmund, io vorrei…”
“Ed?” lo chiamò Peter.
Edmund si voltò. “Sì, arrivo”. Poi guardò ancora Shanna. “Che dicevi?”
Lei accenno un altro sorriso e scosse il capo. “Non era importante. A stasera, Edmund”
 
 
 
~·~

 
 
 
Jill e il cavaliere non parlarono molto durante la cavalcata.
Lei tentò di a intavolare una breve conversazione, ma lui pareva troppo immerso nei suoi pensieri per prestarle ascolto.
Il cavaliere scelse strade secondarie, sentieri serpeggianti, quasi invisibili per un viaggiatore inesperto come lo era Jill. Tutto questo, per evitare i soldati che la ragazza diceva di aver visto nella foresta e che potevano essere ancora lì. Lui non sembrava ansioso di imbattervisi.
“Forse è davvero un brigante” pensò lei.
Si fermarono a fare colazione sulle rive del Grande Fiume. Il cavaliere e Jill raccolsero la legna per accendere un bel fuocherello, mentre Ombroso ebbe il compito di procurare loro qualche bel pesce.
Ma il cavaliere non parve soddisfatto della pesca.
Quando Ombroso scaricò sulla riva quattro minuscoli pesciolini, uomo e animale si scambiarono uno sguardo torvo.
“Questa sarebbe la nostra colazione?”
Il pipistrello scrollò le grosse ali di cuoio, spruzzando Jill e il cavaliere.
“L’acqua è gelata, signore! Dovevamo procurarci delle canne da pesca. Insomma, perché devo sempre essere io a bagnarmi, a stare sotto la pioggia, a fare la guardia, a infilarmi nei posti più assurdi, a…”
Le rimostranze di Ombroso cessarono nel momento in cui il falco si lanciò sul pelo dell’acqua e tronò sulla riva con un pesce molto più grosso.
Il cavaliere sorrise compiaciuto, allungando il braccio sul quale l’uccello si posò, ripiegando le ali soddisfatta.
“Brava, piccola”
“Mia amata!” esclamò Ombroso scandalizzato. “Non fatelo mai più! Oh, mia cara! Si è mai vista una signora pescare?!”
“Io so pescare” rispose Jill. “E credo che il pesce che ha perso il falco abbia un aspetto molto migliore dei tuoi, scusa se lo dico”
Tutti si voltarono a guardare le striminzite bestioline adagiate sulla riva ghiaiosa.
Il cavallo abbassò il muso emettendo un nitrito di disgusto, dirigendosi subito dopo verso il limitare della foresta dala quale erano venuti, iniziando a ruminare con impegno l’erba fresca.
“Tu di che ti lamenti, Destriero?” protestò di nuovo Ombroso. “Nemmeno lo mangi il pesce”
Santo cielo, sembra Eustace in versione animale, pensò Jill, non sapendo bene se la cosa la divertisse o meno.
“Sei sceso dall’albero con la zampa sbagliata, stamani, vero?” chiese il cavaliere.
Il pipistrello borbottò qualcosa, zampettando verso i suoi pesciolini. “Se nessuno ha nulla in contrario, li mangerei io”
“Fai pure” risposero in coro l’uomo e la ragazza.
Certo che era veramente strano vedere un pipistrello camminare a testa in su, pensò ancora Jill, mentre il falco procurava altro pesce e lei aiutava il cavaliere a pulirlo ed infilzarlo su un ramo per metterlo a cuocere.
“Dove hai imparato? Sei molto brava” le domandò lui, mentre mangiavano.
Jill alzò le spalle. “Vado spesso in campeggio con i miei genitori. Mi piace stare all’aria aperta”
La ragazza ingoiò un boccone e osservò di sottecchi l’uomo davanti a lei. Il cavaliere era tornato a chiudersi nel consueto silenzio.
“E’ da molto che vivi così?” gli chiese all’improvviso.
Lui si servì di altro pesce, porgendone una nuova porzione anche a lei.
“Così, come?”
“Così: senza meta, errando per le foreste con loro”
Per ‘loro’ la ragazza si riferiva ovviamente ai tre animali.
“Da un po’ ” le rispose semplicemente lui, osservando il suo cavallo bere sulla riva del fiume, Ombroso che – dopo la colazione – schiacciava un pisolino a testa in giù su un ramo, e il falco sulla propria spalla, la quale gli rivolse uno sguardo profondo.
Jill non fu soddisfatta di quella risposta criptica e il cavaliere se ne accorse.
“Io e lei” riprese quasi subito, accarezzando le penne sul collo del falco, “siamo in viaggio da un paio d’anni, insieme a Destriero. Ombroso si è unito a noi circa sei mesi fa.”
Lui poggiò gli avambracci sulle ginocchia prima di parlare di nuovo.
“Non ho sempre vissuto così, anzi, rimarresti stupita se ti dicessi chi ero”
“Chi eri?”
“Ero una persona diversa prima di cominciare questo viaggio. Ho una meta, ma non so se la raggiungerò mai, non so nemmeno dove sia il punto d’arrivo. La mia è una ricerca del passato, di una vita perduta, di persone che molto probabilmente non ci sono più. La mia vita è scivolata via in fretta”
“Sei ancora giovane”
“Non so più cosa sono”
Jill continuava a fissarlo, e ascoltando quelle parole le parve di avere davanti un uomo che avesse vissuto tutta una vita.
“Quanti anni hai?” gli chiese.
Lui accennò un sorriso. “Tu quanti me ne dai?”
“Non saprei... Venticinque?”
“Quasi. Qualcuno in più. Ne ho ventotto. E tu?”
“Diciassette”. Jill gettò nel fuoco il ramo sul quale era stato infilzato il suo pesce. “Posso farti un’altra domanda?”
“Dipende” le rispose lui.
“Da cosa?”
“Da se anche tu sei disposta a dirmi qualcosa in più su di te”
Jill ci pensò su un momento. “Se è troppo personale no, te l’ho già detto”
“Certo”
“Va bene, allora: volevo sapere se sei in fuga da qualcosa o stai semplicemente andando da qualche”
“Entrambe le cose”
“Quindi, i soldati che ho visto prima…”
Il cavaliere s’incupì un poco. “Può darsi”
“Può darsi cosa?”
“Che stessi fuggendo da loro. Ma anche tu stavi scappando, non è così?”
“Sì…”
“Come sei arrivata a Narnia?”
Ecco che cominciavano le domande troppo personali. Tuttavia, Jill non volle negargli una risposta.
“Ho attraversato una porta”
“Già…”. Lui sorrise ancora, fisando i sassi ai suoi piedi.
“Perché mi stai aiutando?”
Il cavaliere rialzò lo sguardo su di lei. Annuì. “Questa è un’ottima domanda. Bè, perché ho capito che avevi bisogno di aiuto e perché ho avuto come un presentimento su di te”
La ragazza gli rivolse uno sguardo interrogativo.
“Ho capito che eri una terrese, l’ho capito dai tuoi abiti. Mi hai detto inoltre di avere un amico… deduco che sei venuta a Narnia con lui”
Jill fece un cenno affermativo.
“Mi piacerebbe credere che siate giunti qui per aiutarci”
Lei s’immobilizzò, emozionata. Poteva o non poteva dirgli della sua missione? E se fosse stato lui il famoso amico che Eustace doveva incontrare?
“Bè, in realtà ci sarebbe qualcuno che…” iniziò la ragazza, purtroppo vedendo interrotta da un nitrito d’avvertimento di Destriero e dal richiamo allarmato del falco.
Jill e il cavaliere schizzarono in piedi.
“Si avvicina qualcuno” disse il cavaliere spegnendo in fretta le braci. “Sali su Destriero, svelta”,
“Forse non avremmo dovuto accendere il fuoco” commentò Jill.
“Dovevamo pur mangiare…Ombroso, sveglia!”
Il pipistrello si agitò sul ramo, sbattendo le palpebre con fare intontito.
“Dobbiamo andarcene, sbrigati”
Il cavaliere andò verso Destriero, mise un piede nella staffa e fece per montare sulla sua groppa, davanti a Jill.
Si allontanarono in fretta dalla riva e s’inoltrarono di nuovo nella foresta. Ombroso e il falco sparirono in cielo a controllare al situazione e per un po’ non si videro.
“Laggiù! Laggiù!” si udirono d’un tratto voci di uomini gridare.
Destriero si fermò, impennandosi appena. Il cavaliere tirò le redini e lo fece voltare verso un’altra strada.
“Credevo se ne fossero andati” commentò tra sé e sé il cavaliere.
“Che faremo se ci vedono?” chiese Jill.
“Non ci devono vedere, il punto è questo”
“Troppo tardi…”
Il cavaliere imprecò tra i denti, ma la ragazza aveva ragione. Afferrò allora la balestra e caricò un colpo che andò ad abbattere il primo soldato che spuntò dagli alberi.
Jill gridò, coprendosi gli occhi con le mani, inorridita.
In men che non si dica, furono circondati da una decina di uomini.
Il cavaliere cacciò la balestra in mano a Jill e lei la fissò per un attimo, chiedendosi cosa mai avrebbe potuto farne.
Nel frattempo, lui prese la spada: una fantastica arma dalla lama argentea e l’elsa scura ornata da uno zaffiro.
Quando lo scontro ebbe inizio, Jill si accucciò sulla sella, serrando gli occhi per non vedere ciò che succedeva. Sentì il cavallo nitrire e partire di corsa verso i nemici, percepiva i movimenti del cavaliere, lo stridere delle lame, le grida smorzate dei soldati abbattuti.
“Fermi!” ordinò poi una voce altera.
Jill riaprì gli occhi e sbirciò da dietro l’ampia schiena del cavaliere. Tre soldati erano a terra, uno ferito, i rimanenti al fianco dell’uomo che aveva parlato. Era lo stesso che aveva già visto insieme a Eustace: era Lord Ravenlock.
Quest’ultimo aveva ancora una mano alzata, gesto con il quale aveva ordinato agli uomini di fermarsi. Il suo viso era una maschera di stupore.
“Non posso crederci” commentò. “Voi! Siete veramente voi? Caspian X”
A quel nome, fu come se un campanello suonasse nella testa di Jill.
“Siete stupito di vedermi?” rispose il cavaliere.
“Non pensavo ritornaste dopo essere fuggito come un cane… Oh, perdonatemi, volevo dire come un lupo”
Caspian strinse l’elsa della spada nel pungo, convulsamente.
 “Sono qui per reclamare più di una vita. Credo che comincerò con la vostra”
In un lampo, i due uomini incitarono le proprie cavalcature l’una contro l’altra.
Jill dovette stringersi ancora più forte agli abiti del compagno quando le lame cozzarono.
Gli altri soldati li circondarono ma ad essi pensarono Ombroso e il falco, gettandosi in picchiata sui loro volti, facendogli cadere le armi di mano.
Jill avrebbe voluto fare qualcosa per aiutarli, ma non sapeva cosa.
Una freccia nemica le passò vicina, andando a conficcarsi nel tronco di un albero, il quale prese inaspettatamente a muoversi.
“Ehi, mi hai fatto male”
La ragazza spalancò gli occhi scuri e il fiato le si mozzò per la meraviglia.
No….non era stato l’albero a parlare…o sì?
Basita, osservò uno dei rami staccare la freccia dal tronco e gettarla via.
“Meno male che ho la corteccia dura” commentò di nuovo l’albero.
I suoi rami erano diventati mani, le foglie capelli, tra di esse si scorgeva un viso dalle fattezze umane. Il tronco era il corpo e le radici – che adesso spuntavano dal terreno – erano le gambe.
Presto, altre piante si unirono al loro compagno, venendo in aiuto di Caspian.
I pochi soldati ancora in piedi trassero in salvo i compagni feriti, mentre Lord Ravenlock fu costretto ad allontanarsi dall’avversario.
“Vi ringrazio, amici” disse Caspian rivolto agli alberi.
Quelli s’inchinarono e coprirono loro la ritirata.
Il Re di Narnia richiamò Ombroso e il falco, per poi spronare al galoppo Destriero per l’ennesima volta.
“Che succederà agli alberi?” chiese Jill, quando furono abbastanza lontani dai nemici.
Caspian fece una breve risata. “Io mi preoccuperei di più di quel che accadrà ai soldati”
Malgrado tutto – lo spavento, la paura, lo stupore – Jill sorrise.
“Sai, io so chi sei: sei il Re di Narnia” disse poi, emozionata.
Lui sussultò appena. “Come lo sai?”
“Abbiamo un amico in comune, e…Oh!”
Improvvisamente Jill gridò, facendo trasalire tutti, uomo e animali.
Caspian tirò le redini e Destriero si fermò.
“Che ti prende?” lui si volse sulla sella e fissò preoccupato il volto pallido di lei. “Sei ferita? Cosa succede?”
“Oh no! Ma allora…Allora, se sei davvero Caspian, significa che sei tu l’amico di cui parlava il primo segno! Sei tu che Eustace avrebbe dovuto incontrare!”
 
 
~·~

 
 
Lucy si arrampicò fin sulla cima della Torre dei Gufi salendo lunga rampa di scale di legno, scricchiolanti ma comunque  sicure.
La ragazza arrivò sotto la botola dalla quale filtrava la luce del sole. Granelli di polvere danzarono attorno al suo viso quando l’aprì, issandosi fuori, i capelli sferzati da un venticello freddo.
“Emeth?” chiamò la Valorosa. “Si vede qualcuno?”
Il soldato si voltò verso di lei e le sia avvicinò. “Ancora nessuno. Attenta dove metti i piedi, gli ultimi gradini sono pericolanti”
“Tutto a posto”
Lucy osservò il paesaggio, come sempre estasiata dalla bellezza di Narnia.
Somigliava ad un acquerello, i contorni incerti delle cime degli alberi dai colori caldi: giallo, bruno, verdognolo, rosso, arancione. Gli unici ancora verdi erano abeti e pini. le prime ore del pomeriggio erano ancora calde, sotto i raggi delicati del sole ci si scaldava piacevolmente, ma il cielo era pallido, inframezzato da nubi grigiastre che minacciavano pioggia.
“Tra poche settimane, gli alberi inizieranno a spogliarsi e cadranno nel loro lungo sonno invernale” disse la ragazza, spalla a spalla con il giovane tarkaan, entrambi a scrutare l’orizzonte.
“Nell’Età d’Oro avevo un quadro per ogni stagione, sai? Erano piccoli capolavori, ed io li avevo appesi proprio sopra il mio letto”
Emeth l’ascoltava ma non parlava. Sul suo viso c’era un’espressione di estrema serietà.
 “Ti sei cambiata d’abito” disse d’un tratto, squadrandola da capo a piedi. Non era una domanda.
“L’hai notato!” esclamò Lucy, felice. Un secondo dopo arrossì, rendendosi conto di aver espresso ad alta voce quello che aveva sperato.
“Insomma…io…ecco, non so se lo terrò anche per il viaggio. Forse è un po’ troppo ingombrante”
“Per me va benissimo”
Emeth sorrise più apertamente e lei ricambiò.
Lucy indossava una veste molto semplice senza ricami o fronzoli, di un color lilla chiaro, più un pesante mantello bianco.
La Valorosa fissò ancora il giovane per un lungo istante.
Aveva tredici anni quando l’aveva conosciuto,  Emeth sedici. Erano due ragazzini all’epoca, ma adesso…
Arrossì, Lucy, pensando a qualcosa che mai in vita sua aveva pensato: alle forti braccia di Emeth stringerla, stringerla davvero, e lei abbandonarsi ad esse, a lui, al suo amore, il quale avevano entrambi serbato per tanti anni dentro il cuore.
Lucy non sapeva se Emeth pensasse le stesse cose su di lei, certo era che, ora più che mai, la ragazza sentiva la mancanza di una sorella con cui parlare di certe cose.
Dov’era Susan?
“Se hai freddo, possiamo rientrare” le disse lui.
Lucy si passò una mano sul braccio. “No, il mantello mi tiene caldo”.
“Sicura?”
Lei annuì senza guardarlo.
“Adoravo quando parlavamo così, affacciati sul mare, sul Veliero dell’Alba” disse lui, lo sguardo fisso sugli alberi sottostanti.
Lei si volse in sua direzione, emozionata.
Emeth le sorrise. “Te lo ricordi?”
“Sì…”
Lui le si accostò, facendole una carezza sul viso.
Lucy rimase a rimirare gli occhi scuri del giovane, incantata dalle nuove sensazioni che lui le trasmetteva, dal trovarsi tra le braccia di un uomo, non più tra quelle di un ragazzo.
Ma quando incontrò le labbra di lui, fu tutto come prima. Tranne che erano entrambi adulti, ormai.
Sulla Terra Lucy Pevensie era ancora una ragazzina. Ma a Narnia la Regina Lucy era una donna.
Emeth si separò da lei e la guardò negli occhi, i volti ancora vicinissimi. Riprese a baciarla un istante più tardi, senza quasi permetterle di riprendere fiato, con un impeto tale che lei sentì la terra mancarle sotto i piedi.
Protestò appena con un sospiro, premendo lentamente con le mani sul petto di lui. Non voleva che si allontanasse, ma davvero le girava la testa e…
“Emeth…” soffiò, deglutendo.
“Scusami”
“Perché voi ragazzi vi scusate sempre?”
Lucy sorrise, rossa in viso. “Ricordo che anche Susan diceva sempre che Caspian a vote si scusava con lei, e lo stesso diceva Miriel, ma io non capisco perché lo fate”
Emeth emise una mezza risata. “Ah, io…non lo so. Forse ci viene spontaneo, perché non vorremmo mai che la nostra dama pensi male di noi se ci prendiamo qualche libertà con lei”
“Quando c’è l’amore, non ci sono scusanti”
Ancora stretti l’uno all’altra, rimasero a guardarsi, come non avessero mai abbastanza.
“Sono stati otto, lunghissimi anni” disse Emeth, senza smettere di guardala negli occhi. “Me ne sono andato da Narnia anche per questo: perché tu non c’eri. Non è la stessa cosa senza di te, per quanti amici abbia trovato qui, quando non ci sei è tutto buio. Tu sei il mio raggio di luce”
Sul bel viso di lei si aprì un meraviglioso sorriso, uno di quelli che lui adorava.
“E’ la cosa più bella che mi abbiano mai detto, lo sai?”
La Regina si allungò ancora verso di lui, baciandolo teneramente.
“Emeth posso…posso chiederti una cosa?”
“Certamente”
“Ecco…” Lucy abbassò un momento lo sguardo. “Vorrei sapere di tua madre”
Da molto seria, l’espressione di Emeth si addolcì. La sua piccola Lucy aveva sempre avuto a cuore la sua situazione, fin dalla prima volta che gliel’aveva narrata a bordo del Veliero dell’Alba.
“Se non vuoi non fa nulla, ti capisco” aggiunse subito la ragazza, con il timore di essere stata invadente.
“Se c’è una persona a cui voglio parlare di me e della mia famiglia, quella sei proprio tu”
Lei gli tenne una mano, sempre, mentre lui raccontava.
“Come sai, mia madre è originaria di Archen, ma vive a Calormen da ormai più di vent’anni. Prima che mio padre divenisse capitano delle guardie di palazzo, vivevamo in una modesta abitazione appena fuori Tashbaan. Mia madre è ancora là, nella casa della mia infanzia. E' stato bello tornarci, ma anche difficile. Nonostante a Calormen sono considerato un rinnegato per aver tradito l’Imperatore e suo figlio, la mia scelta di votarmi alla sua corona di Narnia mi garantisce la protezione di Re Caspian. Di conseguenza, nessuno avrebbe potuto fare nulla né a me né a mia madre.
“Pensai di fermarmi qualche mese appena e poi tornare a Cair Paravel, ma ci fu un’epidemia al Sud, in quegli anni, e mia madre si ammalò. Non me la sentii di lasciarla, così rimasi molto più a lungo di quanto avevo previsto. Per non metterla in difficoltà, cercai di non farmi vedere da nessuno dei miei vecchi ‘amici’, tantomeno in giro per la città. Se avevo bisogno di qualcosa – di cibo, vestiario o medicine per lei – mi recavo nelle vicine provincie, dov’ero certo che nessuno mi conoscesse”
D’un tratto, il viso di Emeth si fece ancor più serio, fino a divenire triste.
“In uno di quei piccoli paesini, ritrovai mio padre”
Lucy trattenne il fiato, stringendogli istintivamente la mano con entrambe le proprie.
Emeth le sorrise brevemente, poi continuò.
“Per avermi aiutato a fuggire dall'Occhio di Falco, adesso è anch’egli un rinnegato. Non può nemmeno mettere piede a Tashbaan, deve vivere nascosto sotto una nuova identità, o rischia la galera a vita, se non la condanna a morte. Lui e mia madre non possono più abitare nella stessa casa: se li vedessero insieme, anche lei verrebbe accusata di tradimento. Eppure, lui non ha voluto allontanarsi da lei. Non è un tipo che esterna i propri sentimenti, ma io so che la ama molto e farebbe qualsiasi cosa per lei.
“Fui felice di saperlo vivo, ma lui non sembrava particolarmente felice di vedere me. Mi diede la colpa delle sue disgrazie. Quando seppe che vivevo con la mamma, minacciò di cacciarmi via con la forza se non me ne fossi andato di mia volontà; disse che non voleva altri guai. Quando mia madre finalmente guarì, cercai di convincere entrambi a partire con me per Cair Paravel, spiegandogli che avrebbero potuto godere della protezione del Re e della Regina di Narnia, come me. Mia madre fu molto tentata, ma mio padre non volle nemmeno sentir nominare Narnia”
“Oh, Emeth, com’è possibile tutto questo?” esclamò Lucy, terribilmente dispiaciuta. “Fu proprio tuo padre a farti fuggire dall’Occhio di Falco, e ricordo molto bene anche quando Rabadash attaccò il Veliero dell’Alba: tuo padre disse che avrebbe dato la sua vita purché egli risparmiasse la tua”
Emeth scosse il capo. “Mio padre non è una persona malvagia, Lu, solo un uomo disperato. E non dico che non abbia ragione su di me: io sono stato la causa maggiore dei suoi guai”
“Non dire così, sai che non è vero”
“Io so solo che ho dato un dispiacere ad entrambi i miei genitori. Mia madre voleva che rimanessi a Calormen, ma quando Tara e Clipse giunsero a Tashbaan, capii che c’era bisogno di me, qui, a Narnia. Non posso dire di considerare questo regno come casa mia, poiché mentirei. Sono ancora molto legato al Deserto, ma solo perché laggiù vivono i miei genitori. Se fossero venuti qui con me, non avrei più nessun motivo per tornare al Sud”
“Quindi…” balbettò Lucy, “quindi un giorno tornerai a Tashbaan?”
Emeth a guardò intensamente. “Tu verresti con me?”
 
 
 
~·~

 
 
 
Jill raccontò a Caspian come aveva conosciuto Narnia, come c’era arrivata e cosa doveva fare ora che era lì.
Il Re ascoltò molto attentamente tutto ciò che lei disse, senza interromperla.
Insieme, decisero di interrompere momentaneamente le ricerche di Eustace e di recarsi ala Torre dei Gufi, da Pennalucida. Forse, Eustace era già là.
La ragazza ebbe paura che Caspian pensasse due cose di lei: che fosse una bugiarda o che fosse stupida.
Temeva anche le sue reazioni: nel primo caso poteva arrabbiarsi, nel secondo poteva anche ridere di lei.
Potendo scegliere, Jill avrebbe preferito non ridesse, ma nemmeno che la considerasse una mentitrice.
Per sua fortuna, non accadde nessuna di queste cose.
Caspian rimase immobile sulla sella, pensieroso, in silenzio.
Jill non riusciva bene a vederlo in faccia. Scorgeva a mala pena il suo profilo, ma non fu in grado di determinare quale fosse il suo pensiero riguardo ciò che gli aveva appena detto.
“Hai ascoltato quello che ho detto, vero?” non poté fare a meno di chiedere dopo dieci minuti buoni di silenzio.
“Certo che ti ho ascoltato” rispose lui tranquillamente.
“E non dici niente?”
“Che vuoi che ti dica?”
“Non lo so. Qualcosa. Dimmi almeno se sei tu quel Re di cui Aslan ha parlato, e se la Regina è davvero Su…”
“Non parlare di lei” la interruppe bruscamente il Liberatore. “Per favore” aggiunse in fretta più gentilmente.
“P-perché?”
Il falco, appollaiato sulla spalla di lui, lanciò alla ragazza un’occhiata penetrante, lanciando un verso come di protesta.
“Ti cedo, Jill, davvero” disse ancora Caspian. “Ma non ne voglio parlare. Non adesso”
Cavalcarono ancora per tutto il primo pomeriggio, fermandosi solo per pranzare.
Per non lasciarla completamente sola in quel silenzio, Caspian iniziò a chiedere qualcosa a Jill a proposito di Eustace, come stava e quanto tempo era trascorso sulla Terra, da quanto lo conosceva, e se aveva incontrato anche i Pevensie.
Jill parlò volentieri di sé, e fu felice quando anche lui iniziò a raccontarle qualcosa pur mantenendo sempre molto riserbo.
La reciproca diffidenza iniziò ad attenuarsi.
La ragazza non accennò più a Susan, né tantomeno ai principi scomparsi. Cupi pensieri sulle sorti della famiglia del Re iniziarono ad affollare la sua mente.
Le ore del giorno trascorsero fin troppo in fretta. Erano appena le cinque del pomeriggio quando Ombroso riapparve da chissà dove e annunciò al Re che era ora.
Ora per cosa?, pensò Jill.
Caspian fermò Destriero, il falco sempre sulla sua spalla. Il Re la fece posare sull’avambraccio, carezzandole il dorso.
“A più tardi” le sussurrò. “Ombroso, te l’affido”
“Come sempre, mio signore. Venite, mia adorata”
A un lievissimo movimento dell’uomo, il falco si alzò in volo insieme al pipistrello.
“Dove vanno?” chiese Jill, osservando la scena senza capire.
Caspian non le rispose, sviando il discorso.
“Siamo a Bosco Gufo, ormai. Vedi laggiù? Quella è la Torre dei Gufi. Sei arrivata”
Jill lo guardò senza capire. “Come, tu non vieni con me?”
“No” Caspian fece un sorriso gentile. “Coraggio, scendi. Io devo andare”
La ragazza obbedì. Scese a terra e lo fissò in viso. “Non puoi andartene Siamo venuti qui per aiutare te e la tua famiglia”
“Non me ne vado” la rassicurò il Re. “Solo che stanotte non potrò incontrare nessun amico, mi dispiace. Ma ci sarà lei.”
“Lei…Susan? Oh, scusa, non volevi che…”
Caspian sorrise ancora. “Sì, Susan. Parlerete con lei. Dille chi sei e raccontale tutto ciò che abbiamo fatto oggi”
“Ma Susan non mi conosce”
“Conosce Eustace. Fatti trovare con lui quando le parlerai. E dalle questo” disse Caspian, estraendo uno strano ciondolo da sotto gli abiti, passandoselo attorno alle testa e porgendolo a Jill.
Era un piccolo gioiello semplice ma bellissimo. Sembrava una sorta di opaco cristallo dalla forma ovale, ma Caspian disse che era invece un particolarissimo tipo di ambra che, probabilmente, si trovava solo a Narnia e cresceva sulle rocce dei Monti innevati del Nord. Ma quel che più colpì Jill fu che, al centro dell'ambra, vi era incastonato un minuscolo bocciolo di rosa blu.
Dopo ciò, Caspian e Destriero sparirono tra gli alberi e Jill rimase sola a rigirarsi il gioiello tra le mani.
Il chiurlare di un gufo la fece trasalire. La ragazza si guardò attorno con timore, quasi non ricordando dove dovesse andare. Puntò verso la costruzione indicatala da Caspian, lontana meno di un chilometro da dove si trovava lei.
Coraggio, si disse.
Un altro gufo cantò, un altro e un altro ancora, una civetta, e poi un animale che non riconobbe.
“La riunione è iniziata, signorina” disse uno.
“Siete in ritardo” disse un altro.
“Si, in ritardo. Ma come si fa, dico!” disse la civetta.
“Ehm…io dovrei andare laggiù” disse Jill, indicando la Torre.
“Lo sappiam, lo sappiam!” dissero in coro gli animali. “Andiam, andiam!”
Jill sorrise, percorrendo la strada scortata da volatili e piccoli roditori notturni. Per la prima volta da quando era a Narnia, si sentì al sicuro.

 




Rieccoci qui, cari lettori!
Come sempre mi devo scusare per non essere più molto (per niente) puntuale in questo periodo, ma ho un sacco di casini che mi portano via il tempo per scrivere. Come vedete, però, la vostra Susan torna sempre ;)
In questo capitolo non si è vista Susan, lo so, ma è tutto ambientato di giorno per cui non era possibile. Il prossimo ho già programmato di ambientarlo per la maggior parte di notte, quindi la nostra Sue si vedrà molto, mentre Caspian sarà in forma di lupo.
Ho sempre paura che questa loro divisione ‘forzata’ sia una mancanza nella storia…Non so bene come spiegarvelo...
Purtroppo, a mio avviso, questo 17esimo non è uno dei più bei capitoli che ho sfornato, anzi, non so perché ma mi da l’idea di essere ‘vuoto’ voi che dite?

 
Veniamo subitissimo ai Ringraziamenti:
 
Per le preferite:  Aesther, aleboh, Araba Shirel Stark, battle wound, Christine Mcranney, english_dancer, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, Friends Forever, G4693, HikariMoon, Jordan Jordan, lucymstuartbarnes,
LucyPevensie03, lullabi2000, Mia Morgenstern, Mutny_BrokenDreams, piumetta, Queen Susan 21, Robyn98, Shadowfax, Starlight13, Svea, SweetSmile, TheWomanInRed, Zouzoufan7, _joy

 
Per le ricordate: Araba Shirel Stark, Cecimolli, Halfblood_Slytherin, mishy, Queen_Leslie, Starlight13, Zouzoufan7
 
Per le seguite:  Araba Shirel Stark, bulmettina, catherineheatcliff, cat_princesshp, Cecimolli, ChibiRoby, cleme_b, ecate_92, fede95, FioreDiMeruna, Fly_My world, Fra_STSF, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, JLullaby, Jordan Jordan, Judee, katydragons, Lucinda Grey, lucymstuartbarnes, Marie_ , Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_ , piumetta , Queen Susan 21, Revan93, Shadowfax, Zouzoufan7, _joy
 

Per le recesnioni dellos corso capitolo: battle wound, Christine Mcranney, FioreDiMeruna, Friends Forever,  lucymstuartbarnes, piumetta , Queen_Leslie, Queen Susan 21, Shadowfax, _joy
 
Angolino delle anticipazioni:
I Sette Amici di Narnia sono quasi tutti riuniti! Jill ha finalmente raggiunto Eustace e i Pevensie, e poi toccherà a Susan riabbracciare i fratelli e tutti gli altri amici.
Rabadash’s back!!! Eh sì, mi spiace, si deve vedere. Lord Ravenlock deve portargli una notiziona!!!
Infine, andremo nel Mondodisotto a vedere cosa è successo laggiù in questi due anni.
Voglio troppo inserire una scena con i gemelli e la Strega, ma non ce l’ho ancora fatta…

 
Come sempre ecco la mia pagina facebook, dove trovate gli aggiornamenti di tutte le mie storie, e volevo anche riproporre la mia nuova pagina Caspian&Susan 1300 Years of Love”. Vi prego, aiutatemi ad ampliarla!!!
 
Per questa settimana vi saluto, ragazzi, un grazie di cuore a tutti quanti!!! Mi seguite in tantissimi nonostante le mie mancanze…davvero, grazie di cuore!!!
Susan♥

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Capitolo 18
*** Capitolo 18: Una lunga notte ***


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18. Una lunga notte
 
 
Ho provato così tante volte a dirmi che te ne sei andato
ma anche se tu sei ancora qui con me
sono sempre stata sola…
 
 

Il castello di Cair Paravel era immerso nella tranquillità. Solo una voce che ordinava di aprire la porta nord disturbò la quiete della sera.
Ravenlock e i suoi soldati rientrarono al galoppo, il Lord smontò da cavallo e lanciò le redini in mano a uno degli scudieri. Si tolse in fretta i guanti mentre camminava per i portici, parlottando a bassa voce con un paio di paggi, i quali lo precedettero su per le scale.
Marciarono spediti fino alla sala dei banchetti, dove il paggio chiese a Lord Ravenlock di attendere sulla soglia.
Il ragazzo s’insinuò nella grande stanza, facendosi largo tra nobili trakaan e tarkaane venuti da Calormen a far visita al loro principe.
Il paggio si accostò alla parete, passando inosservato ai più, fino ad arrivare all’altro lato della sala dove Rabadash sedeva in mezzo a suo padre Tisroc e a Lord Erton. 
Il giovinetto si chinò all’orecchio del principe e gli mormorò qualcosa. Rabadash porse le sue scuse al padre e si alzò, poi fece un cenno a Lord Erton, il quale lo seguì immediatamente oltre le doppie porte di lucido legno di quercia.
Una volta in corridoio, i due trovarono uno sbrindellato Lord Ravenlock ad attenderli.
“Spero abbiate delle buone ragioni per interrompere la mia festa, milord” disse Rabadash, molto seccato.
“Che cosa vi è capitato?” chiese Erton, osservando gli abiti strappati del suo fidato compagno, i graffi sul viso e sul collo.
“Gli alberi” spiegò l’altro. “Si sono animati mentre ci battevamo nella foresta”
“Vi battevate? E con chi?” chiese Rabadash.
Lord Ravenlock restò in silenzio per un attimo, guardando nei penetranti occhi neri del principe del Sud.
“Caspian è tornato”
Il silenzio che seguì si prolungò per diversi secondi.
Rabadash rimase impassibile, mentre Lord Erton spostò nervosamente il peso del corpo da un piede all’altro.
Infine, Rabadash chiamò il paggio, il quale s’inchinò pronto a ricevere l’ordine.
“Conduci l’Imperatore Tisroc nel mio studio e di a Lord Galvan di intrattenere gli ospiti…lo informeremo di tutto più tardi”
Il ragazzo s’inchinò di nuovo e rientrò nella sala dei banchetti.
“Venite con me, Ravenlock, subito” ordinò poi Rabadash facendo volteggiare il lungo mantello, mentre precedeva il lord e il Duca verso lo studio che una volta era stato del Re di Narnia.
Quando Tisroc li raggiunse, Ravenlock spiegò ogni cosa: del sopralluogo nella foresta, degli strani movimenti che avevano notato, dell’incontro con Caspian e una strana ragazza, e di come gli alberi parlanti li avevano aiutati a fuggire.
“Una ragazza?” chiese Rabadash perplesso.
Per una frazione di secondo, pensò si trattasse di Susan. Ma no, era impossibile: perché mai avrebbe dovuto trnare?
“L’avete vista in volto?”
“Sì, principe”
“Ebbene, l’avete riconosciuta?”
Lord Ravenlock fece un cenno negativo.  “Non credo fosse di Narnia”
Gli altri tre lo guardarono perplessi.
“Gli abiti che portava parlavano da soli: veniva dall’Altro Mondo”
Di nuovo silenzio.
Rabadash prese a camminare lentamente per la stanza, la testa piena di pensieri.
“Siete certo che non fosse la Regina Lucy?” chiese Lord Erton. “Se veniva dall’Altro Mondo, è possibile che fosse lei”
“No, Vostra Grazia, ne sono più che sicuro: non era la Regina Valorosa”
Erton si scambiò uno sguardo preoccupato con Tisroc.
“Tutti sanno” disse quest’ultimo con aria grave, “che quando un Figlio di Adamo e una Figlia di Eva vengono chiamati a Narnia, è per salvarla da qualche pericolo”
“E il pericolo siamo noi” attestò Erton. Poi si rivolse a Rabadash. “Principe, dovremo al più presto scoprire chi sia questa…”
“Non m’importa nulla della ragazza!” proruppe quest’ultimo, aprendo e stringendo i pugni, continuando a misurare la stanza a grandi passi, ora più nervosi.
Infine si fermò davanti a Ravenlock.
“Il falco era con lui?”
“Mio signore?”
“Sto parlando di Caspian, dannazione, e del falco! Doveva esserci un falco!”
La luce tremolante delle candele accentuava la scintilla di odio e pazzia nei suoi occhi.
“Oh, certo” rispose Lord Ravenlock. “Sì, Altezza, il falco è sempre con lui”
“Trovateli” ordinò duramente Rabadash. “Tornate immediatamente in quella foresta, Ravenlock, e non rientrate finché non li avrete presi”
“Ma, Vostra Altezza…”
“Silenzio tutti quanti!” sbraitò il principe.
Susan…
L’aveva inseguita dappertutto, lei e Caspian, ma erano come spariti nel nulla. E ora, tutto a un tratto, il Liberatore era tornato e la Dolce con lui. Perché?
Rabadash sapeva che prima o poi sarebbe successo, ma non aveva mai pensato di poter provare una tale sensazione: Susan lo attirava irrimediabilmente verso di sé, accendeva i suoi sensi, la desiderava ancora e sempre di più. Non avrebbe mai rinunciato a lei, anche se la Regina non sarebbe mai divenuta sua consorte. In ogni modo, seguitava ad essere il suo principale ed ossessionante pensiero.
Si sorprese, gli piacque, ma nello stesso tempo si sentì vagamente preoccupato.
C’era un pensiero che gli consumava il cervello, il terrore che il Re e la Regina potessero trovare il modo di disfarsi della maledizione.
Jadis gli aveva assicurato che sarebbero stati per sempre divisi, fino a quando fossero esistiti il giorno e la notte. Fino a quando la luce e il buio, il sole e la luna, fossero stati l’uno l’opposto dell’altro.
Fino a quando…
Fino a quando non avessero trovato il modo di annullarla.
E se fosse esistita una contro maledizione? Se per un caso assurdo – dato che era un fenomeno veramente raro – fosse avvenuta una nuova eclissi di sole? Che sarebbe successo?
Aveva bisogno di rassicurazioni. Doveva discendere nel Mondodisotto e parlare con la Strega.
Rabadash non ritornò alla festa, lasciando a Tisroc il compito di concludere la serata e scusarsi con gli ospiti per l’improvviso abbandono del principe dai festeggiamenti. L’Imperatore si giustificò con una scusa banale: suo figlio aveva una questione politica molto urgente da risolvere.
“Niente di grave, signori, continuate a divertirvi”
Il banchetto terminò a notte fonda, notte che Rabadash passò insonne, drizzando le orecchie, mentre aspettava - senza rendersene conto - di udire l’ululato del lupo.
 
 
 
~·~


 
Gli animali entrarono nella Torre, i due gufi e la civetta in testa, Jill appena dietro di loro circondata da tutti gli altri.
Le prime stanze che attraversarono erano completamente immerse nell’oscurità ma, pian piano che avanzavano, gli occhi della ragazza si abituarono al buio. Si tenne vicino ai suoi nuovi amici, cercando di non pestare zampe o code.
Poi, finalmente, una debole luce comparve quando iniziarono a salire una rampa di scale di legno scricchiolante. Proveniva da un paio di torce sorrette da due scoiattoli.
“Ecco, così va meglio” commentarono le bestiole. “Benvenuta al Parlamento dei Gufi”
“Il cosa?”
“In assenza di un vero Re” spiegò la civetta, “è qui che prendiamo tutte le decisioni che riguardano il regno. E’ Pennalucida a guidarci, insieme a Lord Rhoop e Lady Miriel. Ma adesso che sono arrivati i nostri Antichi Sovrani, siamo certi che molto presto anche il Re e la Regina torneranno”
Jill ci capì ben poco, per questo non fece domande.
Continuarono a salire su, sempre più su, finché non iniziarono a udire delle voci. Quando arrivarono in cima alla Torre, il gruppetto si fermò di fronte ad una porta scorticata.
Jill ascoltò le parole pronunciate da qualcuno all’interno della stanza: chiunque fosse, parlava con tono autorevole, proprio come potrebbe fare un Re: diceva qualcosa a proposito di una partenza imminente.
La civetta bussò col becco, la voce s’interruppe.
Il cuore di Jill prese a battere più forte.
La porta venne aperta e sulla soglia comparve un uomo con i capelli lunghi fino alle spalle, di un biondo che tendeva al bianco. Il suo sguardo incrociò quasi subito quello di Jill e le rivolse un inaspettato sorriso. Poi si spostò per lasciar entrare il piccolo corteo. 
Il primo gufo svolazzò all’interno, schiarendosi la gola e gonfiando il petto.
“Scusate se interrompo la riunione, Vostre Maestà, ma è con onore che vi presento…”
Il gufo cercò aiuto dal suo compare e dalla civetta, i quali sbarrarono gli occhi tondi, colti alla sprovvista: nessuno di loro conosceva il nome della ragazza.
“Uhm…” fece uno.
“Ehm…” fece l’altra.
“Jill!” esclamò infine una voce.
“Eustace!” esclamò lei di rimando.
Il ragazzo le si fece incontro e i due amici si strinsero in un abbraccio.
“Ero preoccupatissimo!”
“Sapessi io! I soldati non ti hanno trovato, allora, meno male!”
“No, mi ha salvato Pennalucida. Come stai?”
“Sto bene. Non immagineresti mai chi ho incontrato io, invece”
Jill stava per lanciarsi nel racconto.
“Aspetta, prima devi conoscere tutti. Ti stavano aspettando, sai? Sei appena arrivata e sei già famosa, Pole”
Eustace le diede un piccola gomitata, facendole l’occhiolino.
Jill si guardò attorno. Tutti la fissavano.
Lei? Aspettavano veramente lei? Che cosa strana…
Passò in rassegna musi e volti, riconoscendo immediatamente i cugini di Eustace.
“Benvenuta” l’accolse Peter, porgendole la mano.
La ragazza, rispondendo al sorriso di lui, porse la propria e la strinse, provando quella sensazione che già una volta era scaturita in lei davanti al maggiore dei Pevensie: un profondo rispetto.
“Che piacere rivederti” si fece avanti Lucy.
Lei e Jill si conoscevano abbastanza bene, erano amiche di penna da quattro anni, ma non potevano dirsi amiche intime. Eppure, la Valorosa abbracciò l’altra come se lo fossero.
Jill salutò anche Edmund e in seguito le furono presentati Miriel, Shanna, Emeth, Shira, Pennalucida e, per ultimo, Lord Rhoop, l’uomo che le aveva sorriso.
“Finalmente ci conosciamo”
“Io non ricordo di averla mai vista, signore”
Lui rise piano. “Infatti no, ma sono tanti anni che mi domando che aspetto avrebbe avuto il vero proprietario della Spada che porta il mio nome”
Jill fece un’espressione smarrita.
“Ti spiegheremo tutto tra poco” disse Peter, per poi rivolgersi a tutti i presenti.
“Cari amici, questa sera ci siamo riuniti per discutere sulla nostra partenza per il nord, ma ho paura che dovremo rimandare ogni decisone a domani. Abbiamo qui con noi la Settima Amica di Narnia e penso che, prima di ogni altra cosa, dovremmo ascoltare la sua storia”
Gli animali presero a parlare tra loro, eccitati.
“A nome di tutto il Parlamento” disse Pennalucida svolazzando al centro della stanza, “mi dichiaro d’accordo con Vostra Maestà Suprema: innanzitutto le cose più importanti”
“Molto bene, allora”
“Aslan! Aslan! Dicci di lui, per favore” esclamarono gli animali.
“No, no, aspettate” li fermò Jill, improvvisamente nervosa. “Dobbiamo aspettare che arrivi un’altra persona”
Inutile tergiversare. Meglio tutto d’un fiato, come quando si deve mandar giù una medicina particolarmente cattiva.
“Dobbiamo aspettare che arrivi Susan”
Numerose, nuove esclamazioni provennero da tutti i presenti.
Peter, Lucy e Edmund chiesero quasi contemporaneamente:
“Hai visto nostra sorella?”
“Dove?”
“Quando?”
“No, non l’ho vista” spiegò subito Jill, alzando le mani per placare l’assalto dei Pevensie. “Ecco…è stato Caspian a parlarmi di lei. Mi ha detto che sarebbe venuta qui, stasera”
“Caspian?!” fecero di nuovo i Pevensie, tutti insieme.
Jill prese un bel respiro ed iniziò a raccontare la sua assurda ed emozionante giornata in compagnia del cavaliere misterioso, che poi aveva scoperto essere il Re di Narnia.
La ragazza si rivolse a Eustace. “Ricordi che il primo dei quattro segni diceva che avresti dovuto incontrare un tuo vecchio amico? Era Caspian!”
“Come…” balbettò il ragazzo.
“Avresti dovuto incontrarlo tu non io… Ho mancato il primo segno, Scrubb”
Jill sembrava veramente angosciata.
“Dai, non è colpa tua” cercò di consolarla Eustace. “Sono successe tante di quelle cose…”
Mancò poco che scoppiasse in uno dei suoi pianti isterici. Era famosa per quegli scatti d’ansia quando qualcosa la pressava più del dovuto.
“Dove si trova adesso Caspian?” chiese Lucy.
“Cosa sono i quattro segni?” chiese Edmund.
“Calma, calma” intervenne Lord Rhoop. “Adiamo con ordine, o con tutte queste informazioni rischiamo di fare una gran confusione. Signorina, ci avete detto di Re Caspian, e per questo vi siamo molto grati: il Re e la Regina mancano da molto tempo e siamo felici di sapere che sono tornati e che stanno bene”
“Bhu-uh!” esclamò Pennalucida. “Sapevo che con l’arrivo della Settima Amica tutto si sarebbe risolto”
“Lo sapevam! Lo sapevam!” esclamarono in coro gli altri gufi.
“Silenzio!” fece Shira. “Quanto baccano, questi pennuti…”
“Anche tu sei un pennuto” le ricordò Edmund.
Shira voltò la tesa con fare altezzoso e sbuffò.
“Ascoltate” riprese Jill, “penso sia inutile ripetere la storia due volte. Vi racconterò di Aslan e della missione quando anche Susan sarà qui”
Tutti furono d’accordo.
“Allora” disse Lucy, “ora tocca a noi dirti qualcosa di Narnia”
“Ma io so già quasi tutto…cioè…” Jill si morse la lingua.
Poteva o non poteva dire di aver letto il libro di Eustace?
Ormai…
“AH!” esclamò Edmund, puntando un dito contro il cugino. “Mi pareva strano, sai? Jill parla con troppa sicurezza di questo posto per non esserci mai stata…Tu! Non hai mantenuto il giuramento! Le hai raccontato di Narnia!”
“No, no, io…mai…” fece Eustace, scuotendo il capo.
“Invece sì, non negarlo!”
Shanna sospirò. “Ecco che hanno ricominciato a litigare...”
E mentre Edmund e Eustace si azzuffavano, gli abitanti della Torre dei Gufi si organizzarono per accogliere la Regina Susan.
Lucy – come solo lei sapeva fare – cominciò ad esporre a Jill nei minimi dettagli tutto ciò che riguardava l’attuale situazione in cui vergeva Narnia. Le narrò del rapimento dei gemelli, della presa di Cair Paravel da parte di Rabadash, e della misteriosa maledizione che aveva colpito Susan e Caspian.
“Di cosa si tratta?” chiese Jill, sbarrando gli occhi castani.
“Non lo so. Miriel e gli altri hanno detto che dovremo vederlo con i nostri occhi per capirlo davvero. Tu hai notato nulla in Caspian? Qualcosa di strano?”
“No…bè, io quasi non lo conosco…ma no, non mi pare”
Lucy e Jill continuarono a chiacchierare in cima alla torre. Con loro rimasero Eustace, Lord Rhoop e tutti gli animali.
Peter, Edmund e gli altri, scesero invece al piano di sotto in attesa di Susan.
 
 
 
~·~
 
 
 
La luna brillava tra i rami frondosi degli alberi del bosco. Simili a fiammelle sospese nell’aria, alcune finestrelle della Torre dei Gufi risplendevano in lontananza di una luce tremula.
Susan osservava la sagoma dell’alto pinnacolo, Destriero accanto a lei.
A quel luogo erano solo legati brutti ricordi. Nonostante ciò, alla fine, Caspian aveva deciso di ascoltarla e tornare laggiù, a Narnia.
Ne avevano discusso tramite Ombroso per intere settimane.
Susan era venuta a conoscenza di alcuni strani sogni fatti da Caspian, riguardanti Narnia. In quei sogni vedeva di continuo la Torre dei Gufi.
Susan lo aveva esortato più e più volte a non ignorare quelli che potevano essere segni mandati da Aslan, ma Caspian continuava a sostenere che l’unico motivo per il quale sognava la Torre di continuo, era dovuto al costante pensiero dei suoi figli, spariti proprio a Bosco Gufo.
Era stato assai faticoso averla vinta per Susan ma, con Ombroso dalla sua parte (il quale sapeva essere veramente insistente), il Re aveva infine messo da parte l’ostinazione e ascoltato il consiglio della moglie.
“Mia dorabile signora” disse in quel momento la voce del pipistrello.
La Regina Dolce alzò gli occhi sul ramo al quale era appeso a testa in giù, gli occhi scintillanti nel buio.
“Buonasera, Ombroso. Scusami, ero sovrappensiero”
“Nulla, nulla”.
L’animale si staccò dal ramo e si mise dritto sulle zampe, porgendo alla Regina una pergamena arrotolata.
“Non mi servirà, stasera. So già dove siamo” disse lei.
Tutte le notti, prima di trasformarsi in lupo, Caspian le lasciava la cartina di Narnia, sulla quale cerchiava il luogo dove si trovavano così che lei sapesse quale e quanta strada avevano percorso durante il giorno, e potesse organizzarsi di conseguenza.
Quella condizione era divenuta ormai l’abitudine: viaggiare quasi senza meta, lontano da casa, in terre sconosciute, da soli. Di tanto in tanto, trovavano qualche buona creatura di Narnia che li aiutava, che li nascondeva e offriva loro cibo, riparo, abiti puliti, e si prendeva cura di Destriero.
Susan pensava con nostalgia alla sua Aurora, qualche volta, la sua giumenta bianca. Sperava stesse bene, era rimasta con Miriel...
Ombroso, invece, si procurava il cibo da solo, anche se non disdegnava qualche buon pasto caldo preparato dalle brave signore lepri, nane, orse, e via dicendo.
Caspian detestava il pipistrello, per qualche oscuro motivo. A Susan invece era simpatico.
La Regina aveva piacere di conversare con qualcuno; viceversa, il Liberatore aveva sempre sopportato la solitudine molto meglio di lei, e non lo disturbava passare intere giornate nel silenzio. Purtroppo per il Re, con Ombroso intorno, era divenuto assai difficile.
Il pipistrello amava parlare, parlare e ancora parlare, fiero che il Grande Aslan avesse dato quel dono a una creatura della notte come lui: i pipistrelli, tantissimi secoli prima, erano stati al servizio della Strega Bianca.
Non poteva certo sprecare un privilegio così grande restandosene zitto, no? Aslan avrebbe potuto averne a male.
Inoltre, grazie a Ombroso, Susan poteva comunicare con suo marito e lui con lei, anche se non direttamente. Tuttavia, avevano la possibilità di chiedere a Ombroso come stesse l’altro o trasmettersi dei messaggi, cosa che era stata impossibile per tantissimo tempo.
“Raccontami che cos’è successo oggi, per favore” disse Susan al pipistrello, mentre prendeva la balestra dalla sacca legata alla sella di Destriero.
“Oh, sapeste quante novità...”
Ombroso aveva appena iniziato a palrare che lei lo interruppe.
“Aspetta solo un momento…dov’è il ciondolo?”
Susan frugò di nuovo nella sacca ma non ve n’era traccia.
“No, non è possibile che sia andato perso, Caspian non se lo leva mai se non la sera...” disse tra sé e sé.
“Il Re lo ha lasciato alla ragazza dell’Altro Mondo, come segno di riconoscimento per voi, Regina, così che avreste potuto incontrarvi”
Perplessa, la Dolce si voltò in fretta verso l’animale. “Ragazza dell’Altro Mondo? Di che parli? Chi…?”
La Terra, il suo vecchio mondo...
Sapeva bene, Susan, che se un’abitante della Terra veniva chiamato a Narnia, voleva dire che c’era un pericolo e, di conseguenza, una possibilità per la salvezza.
“L’abbiamo incontrata questa mattina” proseguì Ombroso. “Si chiama Jill e dice di essere venuta a Narnia insieme a vostro cugino, Lord Eustace. A quanto pare sono amici”
Susan rimase immobile per qualche secondo, incredula.
“Eustace…”
Era a Narnia. Era tornato.
E i suoi fratelli? C’erano anche loro?
“Vi aspettano alla Torre dei Gufi, signora. Per questo siamo qui”
Susan osservò ancora l’alto pinnacolo.
Come un lampo, nella sua mente si susseguirono uno dopo l’altro i terribili ricordi di quei giorni ormai lontani: le voci dei suoi bambini gridare aiuto, il serpente, l’attacco a Cair Paravel, la sua prigionia nella gabbia, la fuga, la casa di Tartufello che bruciava così come la Torre dei Gufi, e gli amici animali che perivano negli incendi…
“Maestà?”
Susan, che aveva chiuso gli occhi, li riaprì di scatto e le grida nella sua testa scomparvero, le immagini si dissolsero.
“Tutto bene, Maestà? Volete che vada avanti io?”
“No… no, non importa. Dimmi, Caspian che ne pensa?”
Il pipistrello cambiò improvvisamente tono di voce: da dolce e pacata, divenne aspra e rabbiosa.
“Prima di tutto, lasciatemi dire che Sua Maestà si è comportato come un selvaggio con la signorina: l’ha intrappolata in una rete, tanto per cominciare; poi non si è nemmeno presentato e l’ha anche messa in pericolo di vita, povera fanciulla indifesa…”
Susan fece appena un cenno con la mano. “Grazie, Ombroso, ho capito. Potesti rispondere alla mia domanda?”
“Uhm…ebbene, il Re ha voluto dare ascolto alla ragazza. Le ha promesso che vi sareste incontrate questa sera e che avreste parlato riguardo ai vostri figli”
“I miei figli…”
Susan fece in modo che il nodo che le serrò la gola si sciogliesse all’istante.
Ombroso mosse qualche passo verso di lei, fissandola adorante.
“Oh, mia adorabile signora! Vi prego, non rattristatevi!”
Susan abbassò gli occhi su di lui. “Non c’è un giorno, ormai, in cui io sia felice, Ombroso”
Gli occhi di lui si inumidirono.
Non poteva sopportare che la sua Susan soffrisse per qualcosa. Il suo cuore di pipistrello ardeva per lei di un amore appassionato, il quale era nato il giorno in cui l’aveva trovata zuppa fino al midollo, insieme a Destriero, durante un violento temporale.
A quell’epoca, Susan e Caspian si trovavano nei pressi delle Paludi e, una notte, la Regina aveva perso la strada in mezzo ai labirintici sentieri di quei luoghi incolti, dove solo il popolo dei Paludroni aveva trovato il giusto habitat.
Susan era rimasta ferita ad una caviglia nel tentativo di liberare il cavallo dalla fanghiglia nel quale era sprofondato fino a metà zampe.
Ombroso era intervenuto prontamente (a lui piaceva pensare di essere apparso come un prode eroe agli occhi di lei) e l’aveva curata e ospitata nella sua grotta; non proprio adatta per una dolce signora, ma abbastanza confortevole: almeno aveva un tetto sulla testa.
Il primo incontro con Caspian era avvenuto quando il Re era trasformato in lupo, il che terrorizzò il pipistrello. Era stata Susan a rassicurarlo, pregandolo di farlo entrare nella caverna, così che anche lui potesse asciugarsi. Riluttante, Ombroso aveva accettato per amor della ragazza.
I litigi tra il Liberatore e il pipistrello erano cominciati fin dal primo giorno.
Al sorgere del sole, trovandosi davanti uno sconosciuto al posto della sua ospite, Ombroso aveva esclamato:  “Chi sei tu, vagabondo? Che ne hai fatto della mia adorabile signora?”
Molto ma molto pazientemente, con una voglia matta di tirargli il collo dopo soli dieci minuti, Caspian aveva raccontato tutta la storia della maledizione e si era presentato come il Re di Narnia, Caspian X il Liberatore, Signore di Cair Paravel e Imperatore delle Isole Solitarie, chiamato anche il Navigatore dopo il suo grandioso viaggio fino alla Fine del Mondo.
Ombroso era impallidito, le ali avevano tremato, così come le zampe e i denti. Si era inchinato porgendo le sue scuse ma, dopo nemmeno un’ora, eccoli di nuovo a punzecchiarsi.
Quando Susan fu completamente guarita (oltre alla caviglia aveva contratto una brutta influenza che si protrasse per settimane) lei e Caspian ripartirono, e Ombroso decise di andare con loro. Dissuaderlo fu cosa impossibile.
“Lo sai” disse Susan, lo sguardo sempre rivolto alla Torre dei Gufi. “Caspian ha sognato questo posto decine di volte, ed io ho sempre pensato che ci fosse un motivo. Ero sicura che fosse un segno di Aslan e forse lo è davvero”
Susan strinse la balestra tra le mani, percependo il legno segnarle la pelle.
“Questa ragazza è stata chiamata…per aiutarci? E’ possibile che sia così?”
“Sì, certo che sì! Maestà dolcissima, la fanciulla ha ricevuto istruzioni dal Grande Aslan, potete fidarvi di lei, non è una trappola. Anche il Re si fida”
Susan rifletté per un momento. “E va bene, allora, andiamo. Ma tieni gli occhi aperti, Ombroso non si sa mai”
Il pipistrello spiccò immediatamente il volo e si confuse con le ombre della sera ormai inoltrata.
Camminarono verso il limitare del bosco. Non si vedeva anima viva.
 
 
 
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Emeth se ne stava seduto all’ombra degli alberi al limitare del bosco, la spada in mano pronta ad essere usata. Si era offerto per il primo turno di guardia, sperando che Susan arrivasse presto.
Respirò l’aria della sera, stringendosi nel mantello. Si guardò introno, tutto taceva, la tranquillità era sovrana quella notte. Pareva la Narnia di sempre, e invece…
Aveva creduto di poter tornare e rivedere i vecchi amici, non di trovarla devastata e invasa dai calormeniani.
Se suo padre avesse saputo che cosa aveva fatto Rabadash ai Sovrani di Narnia, avrebbe avuto ancora il coraggio di dirgli che doveva cercare di ravvedersi e tornare a servire la corona di Calormen?
Suo padre non capiva. Non aveva mai capito. Era la classica persona che si rifiutava di vedere la verità anche se vi si scontrava.
Tisroc aveva messo una taglia sul fuorilegge Aréf tarkaan, eppure, l’ex capitano delle guardie era convinto che lo sbaglio fosse suo.
“Per colpa di una debolezza ho perso tutto, e sei tu la causa”
Le parole di Aréf risuonarono nella sua mente, taglienti come lame.
Emeth aveva visto la sofferenza negli occhi della madre quando, dopo l’ennesima cattiveria contro Narnia e si suoi Sovrani – i suoi amici – e soprattutto contro Lucy, Emeth aveva reagito ed era quasi venuto alle mani con il genitore.
Quel gesto aveva creato una grande spaccatura tra loro, forse irrimediabile.
“Se te ne vai non tornare mai più” gli aveva intimato suo padre il giorno in cui Tara e Clipse erano arrivate a Tashbaan.
Emeth non avrebbe voluto lasciare sua madre in lacrime, ma aiutare Narnia era un suo dovere.
Sarebbe tornato, che ad Aréf piacesse o meno, ma solo per sua madre. Solo per lei.
Fremette di rabbia ricordando quelle parole, piantando la lama della spada nel terreno, rabbiosamente.
Aveva veramente chiesto alla sua Lucy di seguirlo in un luogo simile? I suoi genitori l’avrebbero accolta a male parole? Sua madre no, ne era sciuro, ma Aréf…
Tuttavia era inutile pensarci adesso. Lucy non gli aveva dato una risposta...
’Un giorno’, aveva detto lei con voce incerta. Un giorno certamente sarebbe andata a Calormen con lui se lo desiderava, ma adesso dovevano pensare a Narnia.
Non era stata esauriente come risposta. Non era né un sì né un no, e a Emeth non piacevano le risposte incerte...
In quel mentre, udì un rumore tra le foglie e un’ombra si staccò dalle altre, uscendo dal bosco.
Emeth balzò in piedi, facendo brillare la lama al riverbero della luna. Vide la figura ammantata di nero alzare le braccia: tra le mani reggeva una balestra.
Attese lo stridio della corda smollata, attimo nel quale sarebbe forse stato tardi per spostarsi ed vitare la freccia.
Ma la figura, anziché colpire, abbassò l’arma.
Il soldato rimase assai stupito dal gesto della sconosciuta (aveva intuito che era una donna), non capendo bene se si stesse arrendendo, se bluffasse o che altro.
Il cappuccio alzato, avvolta nell’ampio mantello nero, non la riconobbe subito.
“Ciao, Emeth” udì poi la sua voce, leggera nella notte. “Sono felice di rivederti”
Emeth la conosceva, eppure…aveva un tono così malinconico, così diverso dall’ultima volta che l’aveva sentita…
“Susan?”
Mentre lui pronunciava il suo nome, la Regina mostrò il proprio volto.
Pelle di porcellana, occhi azzurri come non ne aveva mai visti. Per quanto non avesse mai provato nulla per lei se non amicizia, era innegabile quanto fosse bella. C’era qualcosa in lei che colpiva al primo sguardo, che non poteva lasciar impassibile nessun uomo su qualsiasi terra.
Rimasero lì a fissarsi un momento, poi, lui rimise la spada nel fodero e le sorrise.
“Jill aveva ragione: sei arrivata”
 
 
La porta principale della Torre dei Gufi si spalancò con forza, facendo trasalire i presenti.
Shanna saltò in piedi. “Cielo, Emeth! Non puoi entrare così! Avevamo deciso due colpi e poi…”
La Stella s’interruppe, trattenendo il fiato dallo stupore.
“Maestà!”
“Susan!” gridò Miriel.
“Sue!!!” le fecero eco Edmund e Peter, ancora più forte.
“Ciao, ragazzi”
In quel momento, dalle scale scesero di corsa Lucy, Eustace, Jill e Lord Rhoop.
Per un istante infinto, i fratelli Pevensie rimasero là a fissarsi, immobili.
Gli altri si fecero momentaneamente da parte, capendo quanta emozione dovevano provare i quattro Sovrani nel rivedersi dopo così tanto tempo e in circostanze simili.
Susan fece un passo avanti, quasi con paura. Poi, le braccia di Lucy si chiusero attorno a lei con forza, e così quelle di Peter e Edmund, come se non volessero più lasciarla andare.
La Valorosa proruppe in lacrime di gioia. Anche i ragazzi faticarono a trattenerne la commozione.
Non ci fu bisogno di parlare. Le parole si tradussero in gesti e sensazioni.
Sono a casa, fu il primo pensiero di Susan.
Era stato come camminare costantemente sull’orlo di un precipizio. Ma adesso, con di nuovo i suoi fratelli accanto, un senso di pace si propagò da un piccolo punto nel suo petto fino ad estendersi in tutto il corpo, tramutandosi in lacrime.
Da quanto tempo non piangeva… da quanto tempo non dava modo al suo animo di liberare le proprie emozioni.
La sua mente poté riposare, accantonando per un momento ogni sofferenza, lasciando che le lacrime la purificassero dall’interno da tutto ciò che aveva subito e sopportato, e il carico che stava portando le parve improvvisamente più leggero.
Chiuse gli occhi, ascoltando solo il suono dei singhiozzi, delle sommesse risate di Peter, Edmund e Lucy mischiarsi ai suoi, tutti e quattro provando la sensazione di essere ancora bambini.
Abbracciati così, come dopo la prima sconfitta della Strega Bianca, tanto, tanto tempo fa.
Nulla parve cambiato ma, quando infine si separarono e Susan aprì gli occhi, vide Peter e Edmund divenuti uomini, e Lucy trasformata in una splendida fanciulla.
A loro volta, essi capirono quanto loro sorella fosse diversa da come la ricordavano. L’ultima volta era apparsa come il ritratto della felicità, ora era una donna logorata nell’anima, lo vedevano dai suoi occhi: occhi di chi ha visto tutto e non vuole vedere più niente.
“Fatevi guardare” disse la Regina Dolce, passando una mano sul volto di ognuno. “Cielo, Lucy, come sei cresciuta…” mormorò con nostalgia.
La Valorosa cercò di dire qualcosa ma non ci riuscì. Gettò di nuovo le braccia al collo della sorella, riprendendo a singhiozzare.
Quando Emeth riuscì a calmarla, Susan poté salutare gli altri, prima fra tutte Miriel, che da sempre era la sua più cara amica, la sua confidente e quasi sorella. Poi venne Eustace, il quale trattenne le lacrime a stento; e Shanna, Lord Rhoop, Shira, Pennalucida, e infine l’unica persona che non conosceva.
“E così sei tu Jill” Susan guardò la nuova ragazza e le sorrise. “Piacere di conoscerti”
“Questo è tuo” disse subito la ragazza, porgendo a Susan il ciondolo con il bocciolo di rosa nel centro.
La Dolce ringraziò, infilandoselo subito al collo.
“Ombroso mi ha parlato di te mentre venivamo qui…a proposito, dove si è cacciato?”
La Regina si guardò attorno, quando una voce dalle parti del soffitto disse:
“Sono qui, mia adorabile signora, proprio sopra di voi”
Tutti gettarono indietro la testa, scorgendo un grosso animale appeso alle travi di legno.
“Ah, ecco dov’eri finito” disse Susan, mentre il pipistrello scendeva a terra e s’inchinava davanti a Peter, Lucy e Edmund.
“E’ con sommo onore che mi prostro dinnanzi alle Leggendarie Maestà. Il mio nome è Ombroso”
“Tanto piacere” rispose Lucy, che fin da subito mostrò per lui molta simpatia.
Ombroso continuò a inchinarsi all’infinito, spiegando come si era incontrato con Caspian e Susan.
Quello fu il primo di una lunga serie di racconti.
Fu una lunga, lunghissima nottata.
Dopo che si furono di nuovo trasferisti tutti sulla cima della Torre e Pennalucida ebbe dichiarato aperta la terza riunione della serata, tutti i tasselli del puzzle s’incastrarono perfettamente uno nell’altro.
Per prima cosa, Jill – insieme a Eustace – raccontò finalmente del suo arrivo a Narnia, di Aslan, dei quattro segni e della missione affidatale. Ora sapeva che il Re e la Regina di cui le aveva parlato il Grande Leone erano Caspian e Susan, e i principi scomparsi i loro figli.
Poi toccò a Lucy, Edmund e Peter dire a Susan come avevano raggiunto Narnia, dell’intervento di Digory e Polly e degli anelli magici.
“E adesso che tutti e sette gli Amici di Narnia sono riuniti” disse Shira, “tutto si risolverà”
“Non mi stupisce che Aslan abbia affidato questa missione proprio a te” commentò Susan rivolta a Jill.
Quest’ultima fece un’espressione persa. “Scusate, io credo di essere ancora un po’ frastornata, ma non ho ancora ben capito cosa siano questi Amici di Narnia e perché continuate a chiamarmi così”
Lord Rhoop rise bonariamente di fronte alla palese confusione della ragazza.
Da subito aveva sentito di avere una particolare simpatia per lei. Probabilmente, questo sentimento nasceva dal fatto che Jill Pole era in qualche modo legata a lui, così come gli altri Lord di Telmar lo erano ad ognuno dei Sovrani (eccezion fatta per Peter e Eustace, i quali non avevano mai avuto la possibilità d’incontrare Restimar e Octesian).
“Prima ti ho detto che ero curioso di conoscere la proprietaria della Spada che porta il mio nome” proseguì Rhoop. “Ebbene, sei tu. Ce ne sono sette: sette Spade per i Sette Amici di Narnia. Quand’eravamo ancora ragazzi, io e i miei sei compagni - anch’essi Lord come me, tutti al servizio del padre del nostro attuale Re - ricevemmo in dono da Aslan questi talismani, dei quali avremmo dovuto essere i custodi fino al giorno in cui tutti gli Amici di Narnia non fossero comparsi su questa terra. Purtroppo, le Spade andarono perdute quando…”
“Questa parte la conosco” disse Jill. “L’ho letta nel romanzo di Eustace: Miraz vi costrinse ad andar per mare e voi Lord faceste naufragio”
Rhoop, così come tutti, rimase piacevolmente stupito dalla conoscenza che la ragazza aveva di Narnia.
“Bene, allora verrò al dunque” egli riprese. “I Pevensie, Re Caspian e Eustace, scoprirono di essere sei dei designati portatori di queste mitiche e invincibili armi, forgiate dallo stesso Aslan e dall’ Imperatore d’Oltremare. Tu sei la settima, Jill: l’ultima del gruppo, la vera padrona della Spada di Rhoop”
Shanna prese parola. “Dopo la nostra avventura nell’Oceano, ho tenuto le Spade al sicuro sulla mia Isola, attendendo che tu arrivassi, che il numero fosse finalmente completo”
“Dove si trovano, ora?” chiese Susan.
Shanna esitò. “Ecco, al momento non le ho qui con me. Quando venni a Narnia le consegnai al dottor Cornelius perché le nascondesse. Le ha ancora lui”
Tutti osservarono Susan di sottecchi, aspettando la sua reazione.
Ma la Regina non fiatò. Rivolse invece l’attenzione su Jill, pregandola di dirle quale fosse l’opinione di Caspian in proposito a ciò che aveva detto Aslan.
“Crede che ci sia una speranza per i nostri figli?”
“Questo non lo so” rispose Jill. “Non ha fatto commenti di alcun tipo. Mi ha lasciata parlare fino alla fine e poi ha detto solo che gli sarebbe piaciuto pensare che ero venuta qui con Eustace per aiutarvi”
“Ho capito…”
Jill la osservò attentamente. “Senti, Susan …”
“Dimmi”
“Sei tu la donna la donna dell’altra notte, vero?”
La Regina annuì facendo una mezza risata, spostando lo sguardo su Eustace.
Anche lui accennò un mezzo sorriso di scuse.
“Non ti avevo riconosciuta con quel cappuccio sul viso, cugina”
“Nemmeno io, era così buio… Perdonami se ti ho colpito”
Il ragazzo sventolò in aria la mano ferita. “E’ solo un graffio”
“Come mi dispiace!” proruppe Jill. “Quella volta ho creduto fossi una strega!”
Susan sbatté le palpebre. “Una strega?”
“Sì, per come hai saputo placare la furia del lupo”
“Spero tu ti sia liberata di quella bestiaccia” disse Eustace.
La Regina gli scoccò un’occhiataccia. “Quella bestiaccia, caro cugino, era Caspian”
Scese il silenzio, fatto di tristezza e perplessità. Miriel, Shanna, Emeth, Rhoop e gli animali rimasero a testa bassa.
“Non lo sapete?” chiese Susan, guardando le facce incredule dei fratelli e del cugino. “Miriel...non glielo avete detto?”
“Non sapevamo come fare” rispose la Driade. “Sanno della maledizione ma non dei suoi effetti. Noi…”
“Non ne abbiamo avuto il coraggio, questa è la verità” disse Lord Rhoop.
La Dolce fece un breve sospiro. “Capisco…forse è meglio che lo vediate coi vostri occhi. Venite”
Uscirono di nuovo all’aperto, in silenzio, seguendo Susan, la quale si fermò nel centro del prato di fronte alla Torre dei Gufi.
Di tanto in tanto, la luna veniva coperta da qualche nuvola passeggera. Il vento soffiava leggero portando via le foglie morte dagli alberi.
Tutto pareva tranquillo. Poi, l’ululato del lupo si levò chiaro nella sera facendo trasalire un poco tutti quanti.
Tutti tranne Susan.
Ancora qualche minuto e infine il lupo apparve al limitare del bosco. Si muoveva elegantemente, senza fare il minimo rumore. Lo illuminava la luce argentea dell’astro notturno. Grazie ad essa era possibile distinguere il suo lucente manto nero dalle ombre.
“E’ lo stesso lupo che abbiamo visto noi” commentò Eustace.
Avvertendo la presenza di estranei, l’animale si fermò drizzando le orecchie e abbassando la coda, guardingo. Chinò il bel muso e fiutò il terreno, poi l’aria. Fissò le persone davanti a lui e per un momento i ragazzi pensarono di vederlo fuggire.
Invece, quando Susan fece qualche passo sull’erba, anche il lupo avanzò verso di lei.
“E’ lui?” chiese Lucy con un filo di voce. “E’…?”
“Sì, è lui” rispose la Regina Dolce, inginocchiandosi e aprendo le braccia.
Senza indugio, dimentico di ogni cosa e di ogni possibile pericolo, il lupo le andò incontro e si lasciò abbracciare.
Susan lo strinse a sé senza dire nulla, chiudendo gli occhi, affondando il viso e le dita nel suo folto e caldo manto.
In risposta, anche lui chiuse gli occhi ed emise un basso uggiolio, posando il muso sulla spalla di lei.
Era una scena quasi surreale, piena di tenerezza e disperazione al tempo stesso.
Lucy trattenne un singhiozzo, mordendosi le labbra. Shanna invece pianse, in silenzio. Miriel chiuse gli occhi per non imitarla.
Emeth, Lord Rhoop e Shira, sulla sua spalla, rimasero immobili.
Peter, Edmund e Eustace, invece, erano a bocca aperta.
“Non è possibile…” mormorò sommessamente il Giusto, muovendosi appena verso di loro.
A quel gesto, il lupo aprì gli occhi, abbandonando l’atteggiamento mansueto ed emettendo un basso ringhio, che si spense quasi subito ad una carezza di Susan.
La Regina gli mormorò qualcosa, lo baciò sul muso e poi si alzò, continuando a tenere una mano sul suo dorso per tenerlo tranquillo.
“Non avvicinarti, Ed. Non ti riconosce ancora, ci vorrà un po’ ”
“Ma cosa…?”
“E’ la maledizione” disse Susan. “Questo è ciò che Rabadash ha fatto di noi”
Con quale nobile contegno parlò...senza far trasparire la minima emozione.
“Ora capisco perché ci avevate detto di non potercelo spiegare” disse Peter. Le parole del Magnifico erano rivolte a Miriel e gli altri, ma la sua attenzione era ancora rivolta al lupo e a Susan.
Era cresciuta la sua sorellina. Aveva imparato ad affrontare il mondo da sola, senza più nascondersi dal dolore ma uscendo allo scoperto e guardandolo in faccia.
 
 
Rientrarono nella Torre, dove Il Re Supremo avvertì gli amici che i loro piani non erano cambiati: sarebbero partiti l’indomani.
“In quanti saremo?” domandò Emeth.
“In dieci” rispose Peter. “Se contiamo anche gli animali, tredici”
“Dodici” lo corresse Shira. “Io non verrò, Maestà. Vi servirà qualcuno che possa avvertirvi in caso succeda qualcosa a Narnia, qualcuno che controlli la situazione quaggiù e che sia abbastanza veloce da potervi raggiungere il più in fretta possibile”
Shanna sollevò il falchetto tra le braccia, baciandola sul becco. “E tu sei la più veloce del mondo, amica mia”
“Ovviamente”
“Molto bene, allora” disse Peter. “Dodici è un buon numero: abbastanza per stare al sicuro ma non tanto da richiamare l’attenzione”
Miriel mise una mano sulla spalla di Susan.
“Va tutto bene?” le chiese, notando la strana espressione sul volto dell’amica.
Seduta sul pavimento, il lupo adagiato accanto a lei con il muso posato sulle sue gambe, la Regina Dolce sospirò e scosse il capo.
“Caspian non vi darà mai il permesso di partire verso le Terre del Nord” disse ad alta voce.
Gli altri la guardarono senza capire.
“Perché no?” fece Lucy.
“Perché moltissimi cavalieri, centauri, giganti buoni...a decine sono partiti per ritrovare Rilian e Myra, negli scorsi due anni, ma nessuno ha fatto ritorno. L’ultimo ordine che Caspian ha dato come Re, prima di lasciare Narnia, è stato quello di proibire altre spedizioni”
“E allora che dovremmo fare?” disse Edmund, allargando le braccia in un gesto confuso. “Aslan ha affidato a Jill una missione e noi siamo qui per aiutarla, è chiaro: non siamo stati richiamati per restarcene rinchiusi qua dentro, Sue”
“Non ho detto che non potete, ho detto che Caspian farà di tutto per impedirvelo e non cambierà idea”
“Potrebbe farlo, invece” azzardò Lucy. “Insomma, siamo noi
Susan fece una mezza risata. “A maggior ragione: non vuole perdere altri amici, sia pure per ritrovare i nostri figli”
“Allora perché siete tornati?” chiese Peter. “Se non è per Rilian e Myra…per cosa?”
Susan spostò lo sguardo sul lupo, il quale aveva alzato la testa e la guardava dritto negli occhi. Lei gli accarezzava il pelo sulla schiena.
“Per uccidere Rabadash” rispose, estremamente tranquilla.
 
 
 
~·~
 
 

Myra se ne stata davanti allo specchio della sua grande e sontuosa camera nel Palazzo delle Tenebre. Stava provando un nuovo vestito, regalo della sua madre adottiva. Lady Lora la guardava sorridente mentre la bambina faceva una giravolta su se stessa, ridendo allegramente.
“Siete bellissima, principessa. Un incanto”
“Oh, sono così emozionata! Non vedo l’ora d’indossarlo per la Festa d’Autunno. Sai, mia madre dice che ci sarà una gande sorpresa per me e mio fratello”
Lora fece una strana espressione, alzandosi dallo sgabello imbottito sul quale era seduta, iniziando a sistemare le balze dell’abito color pesca della principessa.
“Tu sai di cosa si tratta, vero?” chiese quest’ultima alla sua balia.
Lora la guardò attraverso lo specchio, lisciandole i capelli lunghi e scuri.
“Su, dimmelo, per piacere!” fece Myra, gli occhioni castani imploranti, uno sguardo da furbetta sul bel visino.
“Penso che vostra madre si arrabbierebbe molto se vi rivelassi tutto avanti tempo, principessina”
“Oh, uffa…”
Sì, la Lady sapeva che, alla Festa d’Autunno, la Signora dalla Veste Verde avrebbe annunciato il fidanzamento tra Myra e il Principe Rabadash di Calormen, attuale Re di Narnia.
Lui era un uomo fatto e finito, lei una bambina di appena otto anni. Come poteva, la Signora, permettere quell’unione? Certo, sarebbero trascorsi ancora diversi anni prima delle nozze vere e proprie, ma Myra sarebbe pur sempre stata molto, molto più giovane di lui.
Certe volte, Lora pensava che, nonostante la grande generosità che la Signora mostrava con i suoi figli adottivi, ella non volesse loro bene come gliene voleva lei.
La Regina del Mondodisotto dava a Myra e a suo fratello Rilian tutto ciò che serviva e che potevano desiderare: una casa, buon cibo per farli crescere in salute, un’educazione, begli abiti, giocattoli e quant’altro. In più, aveva in progetto per entrambi un futuro che qualsiasi principe e principessa del mondo avrebbe sognato: divenire Re di Narnia e Regina di Calormen, le due terre più potenti di tutti i regni esistenti nel Mondodisopra.
Ma una cosa fondamentale mancava in tutto questo: l’amore. E la Signora dalla Veste Verde non si sforzava granché per dimostrarlo ai due bambini.
“Avanti, principessa: ora togliete l’abito se non volete che si sgualcisca”
“No, voglio tenerlo ancora un po’ indosso. Mi piace troppo!”
Lora tentò più volte di convincerla a levarlo, ma non ci fu nulla da fare e infine si arrese al volere della bambina.
In quel momento, la porta della camera si aprì e apparve Rilian.
Era diventato più alto di sua sorella, la superava di tutta una spanna e minacciava di alzarsi ancora di lì a un paio d’anni.
Subito, Myra saltellò verso il fratello, mostrandogli il proprio abito.
“Ciao! Guarda, ti piace? Me l’ha regalato la mamma!”
Rilian la guardò un attimo solo, accennando un sorriso, voltando il viso dalla parte opposta così che la frangia nera gli ricadesse sugli occhi.
“Rirì? Che cos’hai?”
“Niente, scusa, ho dimenticato di fare una cosa” tagliò corto il bambino, marciando verso un’altra porta.
“Principe, aspettate” scattò Lady Lora, fermandolo per un braccio.
Rilian sbuffò quando la balia lo costrinse voltarsi verso di lei.
“Santo cielo…” fu il commento della donna, vedendo il livido rosso sotto l’occhio destro del bambino.
“Non è niente. Un incidente a cavallo” si giustificò lui, liberandosi dalla presa di Lora. “La Signora mi ha portato fuori, oggi, e…”
“Questo non mi sembra un livido da caduta da cavallo, principe Rilian” commentò severamente Lady Lora, passando delicatamente le dita sul suo viso.
“Avrà cavalcato senza sella” disse Myra severa. “Vero, Rirì?”
“Sì, e allora?”
“Lo sai che non devi, nostra madre te l’ha ripetuto mille volte…”
“Non è nostra madre! Smettila di chiamarla così!” gridò il bambino, gli occhi azzurri scintillanti rabbia.
“Oh…ma…”
Myra e Rilian si fissarono mentre Lady Lora continuava ad esaminare il livido del principe.
“Vado a prendere qualcosa”
Quando la balia fu uscita dalla stanza, Rilian sedette pesantemente su una poltrona. Myra rimase in piedi, le mani strette l’una nell’altra.
“La Signora è buona con noi, Rilian, perché le disobbedisci sempre?”
“Perché la detesto e lei detesta me”
“Questo non è vero”
“Invece sì!” ribatté lui. “Tu sei troppo ingenua, non capisci”
Lei strinse le labbra nel suo tipico gesto d’offesa. “Non sono una sciocca!”
Rilian fece una smorfia. “Non ho detto che sei sciocca, Mia, non fare la permalosa come al solito”
“Allora spiegami cos’è che non capsico, secondo te”
Il bambino si appoggiò con il gomito al bracciolo, posando il viso in una mano, guardando altrove.
“Non siamo figli suoi, probabilmente le diamo anche fastidio”
“Se fosse così, ci terrebbe rinchiusi in una cella nei sotterranei invece di darci queste belle camere”
Rilian fece scattare gli occhi azzurri sull’abito della sorella. “Lo fa per tenerci buoni. Anche il tuo vestito è un modo per farti star zitta, per far si che non sospetti di lei”
Myra lo guardò a bocca a aperta. “Che discorsi assurdi, fai! Sospettare della Signora?”
Rilian si segnò con rabbia il livido sotto l’occhio. “Lo vedi questo? Me l’ha fatto lei”
Myra si portò una mano alla bocca. “No, non può essere!”
Lo sguardo di lui s’indurì. “Cosa? Che mi abbia picchiato? Invece sì. E’ andata su tutte le furie quando le ho raccontato il mio sogno e...”
Rilian scosse il capo, tornando a guardare altrove.
“Che tipo di songo?” chiese Myra un poco timida, sedendo accanto a lui.
Rilian si rannicchiò sul lato sinistro della poltrona per farle spazio.
“Nel sogno scopro che tutto quello che la Signora ci ha raccontato della nostra famiglia, dei nostri genitori, non è reale. Lei ci ha detto che il nostro regno è stato distrutto, che noi due e Lora siamo gli unici sopravvissuti. Non abbiamo ricordi del nostro passato, la nostra vita comincia e finisce in questo castello, nel Mondodisotto. Ma io… io so che questi sogni vogliono rivelarmi qualcosa. Forse sto recuperando la memoria”
Il principe fece un’espressione triste e angosciata, cercando sostengo nella sorella.
Myra si aggrappò al suo braccio, gli occhi castani spalancati.
“Rilian, anch’io… anch’io ho fatto sogni simili”
“Cosa?! Ma…” Rilian le prese le mani. “Mia! Perché non me lo hai detto?”
“Non so…avevo paura che non mi avresti creduta”
“E dimmi, che cosa vedi?”
“Io…non so bene…all’inizio erano solo immagini sfocate e colori. Poi, piano piano, tutto è diventato più chiaro. Stanotte, ad esempio, ho visto un uomo che credo di conoscere, però non so chi sia”
“Descrivimelo”
“Aveva i capelli lunghi, un po’ di barba e… non so, non mi ricordo bene…per caso lo hai sognato anche tu?”
“No…non lo so, può darsi. Di solito è tutto molto confuso”
“Sì, lo so…”
Rilian rifletté per un istante. “Hai raccontato ad altri di questi sogni?”
La principessa scosse il capo.
“Non devi dirlo a nessuno” l’avvertì allora il principe.
“Perché no?”
Rilian si posò una mano sul livido. “Alla Signora non ha fatto piacere sapere che ho ricordato qualcosa sul passato, e se sapesse che anche tu fai gli stessi sogni…potrebbe punire anche te”
I due fratelli si fissarono negli occhi, lei incredula, lui ostinato.
“Ci nasconde qualcosa, Myra, e io scoprirò che cosa”

 
 
 
 
Eccomi qui, cari lettori! No, non sono sparita, lo sapete che alla fine riesco sempre a tornare!!!
Mi sembra che la storia si stia allungando molto, voi cosa ne pensate? Siamo al 18° capitolo e non sono ancora partiti per il nord…ma ci sono talmente tante cosa da fare e dire, tanti personaggi da muovere, che mi sembra giusto soffermarmi un poco di più e prendere dentro tutti quanti.
Sì, avete ragione, sono ripetitiva con queste paranoie....Aspetto consigli e commenti!
Siete felici che è tornata Susan? Come avrete notato, i momenti Suspian non mancano nemmeno sotto l’effetto della maledizione di quel *BIIIIIIIIIIIIIP* di Rabadash!!! Ahahah!!!!!!!!!!!!
 
And now….Ringraziamenti!!!
(perché siete dei santi a seguirmi sempre e a non lamentarvi, veramente!!!)

 
Per le preferite: Aesther, aleboh, Araba Shirel Stark, battle wound, Christine Mcranney, english_dancer, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, Friends Forever, G4693, HikariMoon, Jordan Jordan, lucymstuartbarnes, LucyPevensie03, lullabi2000, Mia Morgenstern, Mutny_BrokenDreams, piumetta, Queen Susan, Robyn98, Shadowfax, Starlight13, SuperStreghetta, Svea , SweetSmile, TheWomanInRed, Zouzoufan7, _joy
 
Per le ricordate: Araba Shirel Stark, Cecimolli, Halfblood_Slytherin, mishy, Queen_Leslie, Starlight13, Zouzoufan7
 

Per le seguite: Araba Shirel Stark, bulmettina, catherineheatcliff, cat_princesshp, Cecimolli , ChibiRoby , cleme_b, ecate_92, fede95, FioreDiMeruna, Fly_My world, Fra_STSF, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, ibelieveandyou, JLullaby, Jordan Jordan, Judee, katydragons, Lucinda Grey, lucymstuartbarnes, Marie_, mewgiugiu, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_, piumetta, Queen Susan 21, Revan93, Sandra1990, Shadowfax, Zouzoufan7, _joy, _Rippah_
 
Per le recensioni dello scorso capitolo:
battle wound, cat_princesshp, Christine Mcranney, LucyPevensie03, piumetta, Queen_Leslie, Shadowfax, SuperStreghetta, _joy (<3)

Angolino delle anticipazioni:
Nel prossimo capitolo, arriverà il giorno e tornerà Caspian: accetterà o no di andare al nord? In ogni caso, Peter, Lucy, Edmund e co. finalmente partiranno.
Introdurrò l’ultimo personaggio, Pozzanghera, che seguirà i nostri eroi nel loro viaggio, e si vedrà anche il dottor Cornelius.
Infine, prevedo di inserire un breve incontro tra Rabadash e la Strega Bianca.

 
Come al solito, trovate gli aggiornamenti alla mia pagina facebook, e vi invito ancora ad aiutarmi ad espandere la mia pagina Caspian&Susan 1300 Years of Love.
 
Un grazie di cuore a tutti!!! Prometto che il nuovo capitolo arriverà prestissimo!
Un bacio grandissimo,
Susan♥

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Capitolo 19
*** Capitolo 19: Pozzanghera ***


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19. Pozzanghera
 
 
Un altro giorno senza il tuo sorriso
Un altro giorno è appena passato
Ma ora so quanto significa per te

Stare qui accanto a me
 
 
 
Aveva fatto un sogno.
Le capitava spesso di sognare di svegliarsi accanto a Caspian, nel loro letto, a Cair Paravel.
E invece, al posto delle sue braccia, il vuoto. Al posto del suo respiro caldo, uno soffio di vento freddo. Al posto del suo corpo rassicurante e forte, un materasso consunto adagiato sul pavimento di legno.
Susan si rigirò tra le coperte, sapendo che ormai era ora di andare.
La sera prima, dopo la lunga discussione, avevano dormito qualche ora. La Regina aveva diviso la stanza con le altre ragazze e, nel muoversi, cercò di non fare rumore per non svegliarle.
Era così presto che, molto probabilmente, anche i ragazzi e gli animali stavano ancora dormendo. Meglio così: non sarebbe stata costretta a trasformarsi davanti a loro.
Quando aveva svelato il motivo per cui lei e Caspian erano tornati a Narnia, i suoi fratelli e gli amici l’avevano guardata come fosse un’estranea. Era evidente che non si sarebbero mai aspettati di udire certe parole pronunciate proprio da lei: uccidere. Ma se si trattava di quell’uomo, poteva essere capace di farlo lei stessa a mani nude.
La Regina Dolce di una volta non avrebbe nemmeno voluto sentirne parlare, ma la Regina Dolce era una persona che ormai non aveva più niente a che fare con lei.
I pianti disperati e la stupida commiserazione erano finiti. La nuova Susan affrontava di petto ogni situazione; non si fidava di nessuno, non sorrideva agli estranei, aveva imparato a cacciare, a piazzare trappole, a battersi con la spada... e tutto questo da sola.
Non c’era stato Caspian ad insegnarle e incoraggiarla, a correggere i suoi errori. Aveva imparato anche a fare a meno di lui in un certo senso, almeno per quanto riguardava sostegno e protezione…anche se il lupo di notte, e l’uomo di giorno, non la lasciavano mai.
Prima di incontrare Ombroso era stato come essere sola nel mondo, e anche se quel mondo era Narnia doveva guardarsi da tutto e tutti.
Si era scoperta più forte di quanto aveva mai creduto. Se n’era stupita…e compiaciuta.
Non aveva più paura di niente. Non aveva più niente da perdere.
Attraversando la stanza e aprendo la porta con cautela per non farla cigolare, Susan vide che il lupo se n’era già andato. Anche Ombroso mancava. Sicuramente erano usciti e si erano addentrati nel bosco.
Come lei, Caspian non voleva mostrarsi.
Scese le scale e si recò nella piccola stalla per salutare Destriero, riponendo la balestra nella sacca di cuoio assieme al ciondolo d’ambra. Frugò sul fondo della borsa estraendone un involto di stoffa, scostò un lembo e accarezzò la superficie liscia del suo arco.
Anche se ancora spezzato e perciò inutile, aveva insistito per portarlo con sé.
Udì la porta cigolare e quando si volse trovò Peter sulla soglia. Era stato lui a fare l’ultimo turno di guardia.
“Che cosa è successo al tuo arco?” chiese il Re Supremo.
“Durante l’attacco a Cair Paravel, Rabadash l’ha spezzato. Mi ha privato di tutto ciò che avevo: persone, oggetti...tutto. Briscola ha tentato di ripararlo – i nani sono i migliori in queste cose – ma non c’è riuscito. Lo tengo con me perché non riesco a separarmene. E’ come fosse una parte del mio essere, non so se capisci cosa…”
“Sì, lo capisco perfettamente” disse Peter stringendo l’elsa di Rhindon, legata al suo fianco.
Susan fissò la spada. “Che stupida. Certo che lo capisci”
“Forse Aslan potrebbe fare qualcosa”
Lei scosse il capo. “Non lo so. Lo spero”
Senza dire nulla, i due fratelli camminarono lentamente uno verso l’altro e si strinsero in un abbraccio.
“Non mi sembra ancora vero che siamo di nuovo tutti insieme” disse lei sorridendogli, e per un momento assomigliò alla Susan di una volta.
“Mamma e papà come stanno? E gli zii?”
“Bene. Stanno tutti benone”
Lei continuò a sorridere. “Hai fatto un ottimo lavoro, Peter: hai badato a Edmund e Lucy, e hai condotto qui la Settima Amica di Narnia”
“Era il mio dovere” Peter la guardò con espressione decisa. “Andrà tutto a posto, Sue. Te lo prometto”
Lei voltò la testa e il suo sorriso si spense.
“Non rischiate per nulla” disse. “Io e Caspian siamo stati nelle Terre del Nord: è impossibile vivere lassù, le temperature sono troppo gelide persino in estate. C’è neve, neve e solo neve, per chilometri e chilometri. Non sono nemmeno sicura che ci siano ancora dei Giganti, là. Probabilmente la loro civiltà si è estinta secoli or sono”
“Anche in mezzo all’Oceano Orientale non c’era nient’altro che acqua, Susan. Mare e mare a perdita d’occhio, per settimane, eppure siamo arrivati a destinazione. Ricordi?” Peter le posò le mani sulle spalle. “Aslan pensa…anzi, Aslan sa che Rilian e Myra sono ancora vivi! Non posso credere che non nutri nemmeno un briciolo di speranza”
Susan sospirò stancamente. “Non ho mai smesso di farlo, nemmeno per un momento. Ma non c’è modo. Ovunque siano, se veramente sono ancora in vita, non li ritroveremo mai”
Peter si piegò un poco verso di lei. “Invece sì! Siamo qui per questo, Sue: per riportarli a casa e per annullare la maledizione che tiene prigionieri te e Caspian”
Susan scostò gentilmente le mani di lui. “Lo so. L’ho capito non appena Ombroso mi ha parlato di Jill. Ad ogni modo, l’ultima parola spetta a mio marito: farò ciò che farà lui”
La Regina si avvicinò a Destriero, riponendo l’arco spezzato dentro la sacca.
“Se Caspian vorrà seguirvi – del che dubito – allora verrò. Se deciderà il contrario, le nostri strade si divideranno ancora, anche se mi piacerebbe restare insieme a voi ora che siete qui”
Peter esalò seccamente il fiato.
Ecco che la vecchia antipatia verso Caspian ritornava a galla.
Non gli era mai piaciuta questa accondiscendenza che Susan dimostrava nei riguardi del Liberatore, benché fosse suo marito. Peter non aveva mai dimenticato quanto lei avesse sofferto, e nemmeno che Caspian era stato fidanzato con un’altra donna (pur contro il suo volere) e che lo avesse taciuto a Susan per lungo tempo.
“Non può decidere per te”
La Regina si voltò. “Non lo lascerò, come non l’ho mai lasciato in questi ultimi due anni. Non sai quante volte avrebbe voluto che me ne andassi per trovare un luogo più sicuro”
“Però…”
“Peter, non sono più una ragazzina: sono adulta ora. Sono una moglie e una madre, e una Regina”
Il Re Supremo lasciò ricadere la testa in avanti, annuendo una volta.
“Hai ragione. Scusami”
Susan gli si accostò e gli diede un bacio sulla guancia. “Non discutere con Caspian, o saranno guai per te, fratellone”
Era seria, ma l’ombra di un nuovo sorriso si aprì tra le sue labbra. Peter ricambiò.
“Devo andare, adesso”, disse ancora lei, posando un bacio anche sul muso di Destriero.
“Aspetta, sveglio gli altri” disse Peter.
“No, non fa niente. Non voglio che…Non voglio nessuno, capisci?”
Lui annuì, imbarazzato. “Certo. Scusa”
Susan lo superò diretta verso l’uscita. Lì si fermò ancora un attimo, una mano posata sullo stipite della porta.
“Forse c’è un modo per attraversare le Terre del Nord, dopotutto. Dì a Caspian di parlarvi di Pozzanghera. Potrebbe aiutarvi”
Dicendo questo, la Regina se ne andò.
 
 
“Cosa?! E’ già andata via? Oh…” esclamò una Lucy triste e delusa, quando seppe che la sorella maggiore non aveva aspettato di salutare nessuno.
Anche Edmund sembrava alquanto scontento: la sua espressione era cupa.
“La rivedremo al tramonto, non preoccuparti” la rassicurò Peter.
La Valorosa annuì una volta, scambiandosi uno sguardo con il Giusto.
Quando Peter fu salito al piano superiore, i due fratelli minori si avvicinarono l’uno all’altra, iniziando a parlare sommessamente.
“Hai paura anche tu che Susan e Caspian decidano di mollarci qui, non è vero?” chiese Edmund alla sorella.
Lucy annuì ancora. “Che cosa faremo se decideranno di non partire con noi? Ed, io sono molto preoccupata. Hai sentito Susan, ieri notte? Lei e Caspian vogliono farlo sul serio: vogliono andare a Cair Paravel da soli!”
“Non saranno soli, Lu, te lo posso assicurare” ribatté il ragazzo con una strana luce negli occhi scuri.
Sul volto di Lucy apparve un’espressione d’incredula consapevolezza.
“Non vorrai andare con loro? Da Rabadash?! Edmund, no!”
Lui le fece cenno di tacere. “Abbassa la voce…. Sì, andrò. Sono due pazzi a pensare di competere con un esercito intero: perché Rabadash gli manderà contro tutti i suoi soldati, ne sono sicuro. Rimarrò qui con Lord Rhoop, Shira e gli altri. Raduneremo tutti i narniani che saranno pronti a seguirci. Voi altri, intanto, partirete in cerca di Rilian e Myra”
La Valorosa non credeva alle sue orecchie. “Edmund, per l’amor del cielo, pensa a quel che dici”
“Ci ho riflettuto tutta la notte e non ho quasi dormito”
“Allora, se rimani tu rimango anche io”
Edmund fece roteare gli occhi. “Era proprio quello che temevo…No, tu devi andare: se scegli di restare, Emeth vorrà restare a sua volta e sarà una catena. E poi credo ci sia già qualcun altro che vorrà…”. Improvvisamente, il Re Giusto arrossì. “Insomma, penso che anche Shanna vorrebbe…forse…”
“Restare con te” concluse Lucy. “Si capisce che lo farà”
Edmund si schiarì la gola. “Ecco, appunto: il gruppo verrebbe dimezzato e non credo che Peter sarebbe felice. Ho già messo in contro che dovrò discutere parecchio sia con lui che con Caspian, per cui ti prego, Lu, almeno tu vienimi incontro: parti”
Lei si morse il labbro inferiore, incerta. “Oh, io non so…”
“Senti, dopotutto non è detto che Sue e Caspian non decidano di accettare di venire al nord, ma dato che sembrano più propensi verso il contrario, credo che gli farebbe piacere sapere di non essere soli”
Lucy rifletté, pensando che doveva anche dare una risposta a Emeth riguardo a una certa proposta… Avrebbe tanto desiderato confidarsi con Susan, ma aveva preferito non assillarla con i suoi problemi: la sorella ne aveva già fin troppi, al momento.
“Quando metterai Caspian e Peter al corrente della tua decisone?” aggiunse infine.
“Ancora non lo so” rispose Edmund con un sospiro. “Per ora non accennarlo a nessuno, va bene?”
Lucy annuì, mentre la Torre dei Gufi si svegliava e i suoi abitanti si riversavano nella sala padronale per la colazione.

 
Alla prima luce dell’alba, quando il debole raggio di sole autunnale sfiorò il dorso del lupo, l’animale scomparve e riapparve l’uomo.
Il Re di Narnia aprì gli occhi neri, osservando il nuovo giorno nascere da dietro gli alberi del bosco ancora mezzo addormentato. Solo alcuni uccelli erano già svegli, liberando il loro melodico canto tra la nebbia del mattino.
La figura alta e prestante avvolta nelle vesti nere, i capelli e la barba scuri, percorse senza un rumore la distanza che lo separava dalla Torre dei Gufi. Avanzò in mezzo alla spessa bruma, che minacciava di persistere per tutto il giorno.
“Maestà?”
“Buongiorno, Ombroso”
“La Regina è a caccia, Sire, volevo avvisarvi nel caso vi preoccupaste non vedendola”
“Grazie” rispose Caspian, lo sguardo fisso sulla Torre che si avvicinava sempre più. “Com’è andata la notte?”
“Direi bene: la Regina Susan ha conosciuto Jill Pole e si sono parlate”
“E Eustace?”
“C’era anche lui e… c’è una grande notizia, Maestà: i Pevensie sono qui!”
Ombroso non poté continuare.
Caspian si arrestò di colpo, girandosi tanto in fretta che i capelli gli finirono davanti agli occhi. Li scostò con un gesto d’impazienza, fissando l’animale con la fronte aggrottata, gli occhi neri leggermente sbarrati.
“I Pevensie?” chiese, in quello che fu quasi un sussurro.
Li aveva mandati Aslan, non c’erano dubbi.
L’ultima visita dei Pevensie era avvenuta otto anni prima. I lontani ricordi affiorarono, premendogli sul cuore, appesantendolo sotto il rimpianto del pensiero di quei giorni felici: il giorno in cui erano nati Rilian e Myra.
I momenti più belli della sua vita li aveva vissuti insieme ai quattro fratelli: avevano condiviso avventure, vittorie e sconfitte. I Pevensie erano la sua famiglia.
Allora era proprio come aveva sempre sostenuto Susan: i sogni erano davvero dei segnali. Bosco Gufo, la Torre…Peter, Edmund e Lucy erano là.
Quanto tempo era trascorso sulla Terra? Quanto erano cambiati i suoi amici?
Con queste e mille altre domande in testa, Caspian accelerò il passo senza rendersene conto. Uscì dal bosco, ritrovandosi nel prato di fronte alla Torre dei Gufi. La porta principale era aperta e…
No, non poteva essere Lucy la ragazza che gli correva incontro e che adesso lo abbracciava.
“Lu…”
Lei scoppiò in quello che era un pianto misto a una risata.
“Caspian! Caspian!” gridò felice.
“Lucy!” fu lui ora ad abbracciarla, ridendo insieme a lei. “Santo cielo, quasi non ti riconoscevo!”
Il Re la tenne per mano e la osservò attentamente, provando un senso di fierezza e affetto indescrivibili.
Era cresciuta ma era sempre la stessa piccola Lucy, vivace ed espansiva.
“Ti aspettavamo con impazienza. Siamo qui per aiutarvi, Caspian. Vedrai che ora si aggiusterà tutto”
Lui continuò a stingerle le mani senza dire nulla, mentre il suo sorriso si spegneva.
Poi, quando i due si voltarono per rientrare nella Torre, il Re vide Emeth attendere sulla soglia.
Quando Caspian scoccò a Lucy un’occhiata più che eloquente, lei arrossi e si strinse al braccio del soldato, il suo ragazzo.
Caspian li guardò e sorrise con approvazione. Era bello sapere che, almeno certe cose, erano immutate.
“Mi fa sempre molto piacere vederti tra noi, Emeth” disse il Liberatore, salutando l’amico porgendogli una mano. “Hai più saputo niente di Tara e Clipse?”
“No, purtroppo. Le ho lasciate da Lord Bern e confido che siano ancora sulle Isole Solitarie, al sicuro”
Intanto che il Re e il soldato parlavano, Lucy era sgattaiolata all’interno della Torre ed ora chiamava tutti a gran voce.
“Edmund! Peter! Ragazzi, è arrivato!”
L’accoglienza fu delle più calorose, piena di commozione e di felicità.
Edmund fu il primo a raggiungere Caspian e ad abbracciarlo con gran pacche sulla schiena. Peter avrebbe voluto comportarsi come il fratello ma, similmente ad Emeth, si limitò a una stretta di mano. Anche Lord Rhoop e Eustace abbracciarono Caspian, il quale baciò poi le ragazze sulle guance: prima Miriel, poi Jill e Shanna.
“Va bene, va bene, basta” fece Edmund, mettendo un braccio sulle spalle della Stella, attirandola a sé. “Lei è mia, eh?”
La battuta (ma lo era davvero?) fece sorridere tutti. L’unica che non lo fece fu proprio l’interessata: il viso di Shanna mutò dal consueto colorito niveo ad un acceso porpora.
Sua…Edmund aveva veramente detto che…
Lo guardò in viso mentre gli altri iniziavano a parlare e gli animali facevano un gran chiasso.
Edmund era così affascinante, così…
Lui si volse in quell’attimo preciso e lei abbassò la testa, sciogliendosi dall’abbraccio e spostandosi lentamente verso Lucy, Jill e Miriel.
“Svelti, svelti, amici!” fece Pennalucida. “Apparecchiate per Sua Maestà! Sire, stavamo facendo colazione. Voi gradite…”
“Sì, grazie. Sono affamato” rispose Caspian.
Nel frattempo che si spostavano nella sala padronale, Edmund afferrò Shanna per un polso, trattenendola.
“Ehi…che c’è che non va?”
“Niente”
Lui s’incupì. “Oh, andiamo, sei un libro aperto per me, lo capisco quando c’è qualcosa. Ti sei scostata all’improvviso, prima”
Lei arrossì di nuovo. “Mi sono sentita in imbarazzo” confessò.
Edmund la lasciò andare, addolcendo la sua espressione. “Per quello che ho detto?”
Shanna annuì senza guardarlo.
“Scusa. Non pensavo…”
“Mi hai confusa, Edmund”
I due ragazzi si guardarono, lei incerta, lui dispiaciuto e forse un po’ deluso.
“Stavo facendo il buffone, non intendevo offenderti. Era una battuta” cercò di giustificarsi.
“Sì, lo so, però quello che hai detto…” balbettò la ragazza.
“Ah, ho capito. Io sono solo un amico per te, vero?”
Shanna osservò il viso di lui adombrarsi nuovamente. “Ed…”
“Andiamo” tagliò corto il ragazzo, sorpassandola. “Non dirò più nulla del genere, te lo prometto. Scusami se ti ho urtata”
Shanna allungò una mano come per trattenerlo, ma lui era già dentro la stanza da pranzo. Lei lo seguì ma non sedette come al solito accanto a lui, prese invece posto tra Lucy e Miriel.
Non si rivolsero uno sguardo per tutto il resto della colazione.
Shanna si sentiva ansiosa: Edmund aveva frainteso, non era rimasta infastidita, solo confusa. Lui aveva parlato in modo così aperto, così esplicito…
Lei non era umana e non avrebbe mai compreso appieno l’animo degli uomini. Le Stelle erano esseri miti e fin troppo umili, a differenza degli umani che avevano moltissime sfaccettature. Una stella non si sarebbe mai espressa nella stessa maniera di Edmund per dirle che teneva a lei.
Doveva spiegarglielo, o lui avrebbe potuto pensare che stava rifiutando le sue attenzioni, e non era così. Non era assolutamente così. Voleva stare con Edmund ma erano così diversi…
Dal canto suo, il Giusto si era molto risentito dal comportamento di lei. Shanna lo baciava sulla guancia, si lasciava abbracciare e poi che faceva?, si allontanava non appena lui tentava un contatto un po’ più intimo.
Edmund se la cavava egregiamente con le ragazze, allora perché con Shanna non era capace di gestire la situazione?
C’era qualcosa che lo frenava: forse l’aspetto di lei, così dolce e in un qualche modo fragile, che gli diceva che non era come le altre, che doveva trattarla con amabilità, andando per gradi, perché era così innocente…Certe volte avrebbe voluto piombarle davanti, prenderla e baciarla, e invece…
Accidenti alle donne!
 
 
Durante la colazione, i discorsi si concentrarono ancora sui quattro segni di Aslan, sulla missione di Jill, sulla maledizione, sulla partenza per il nord.
Inizialmente, Caspian parlò in modo scorrevole, apparendo agli occhi degli altri esattamente come lo ricordavano: un ragazzo buono e gentile. Non che non lo fosse più ma, man mano che gli argomenti si facevano più seri, divenne chiaro a tutti quanto fosse cambiato, proprio come Susan. Lo avvolgeva un’imperturbabilità che traspariva sia dai suoi modi di fare che dalle parole. Era come se niente al mondo potesse interessargli o toccarlo intimamente. C’era il gelo nei suoi occhi neri, asprezza nei suoi discorsi, e odio. Tanto odio.
Gli amici gli stavano illustrando l’itinerario per raggiungere le Terre del Nord, ma il Liberatore continuava a scuotere il capo, lentamente.
“Smettila di dire di no” gli disse Jill, la quale aveva già un certa confidenza con il Re.
“Non ho alcuna intenzione di vedervi morire uno dopo l’altro” rispose Caspian, alzandosi da tavola e raggiungendo la finestra, osservando fuori.
“Ci andremo, che a te piaccia o no! E tu dovrai venire con noi!”
“La missione è stata affidata a te, Jill, non a me”
“Aslan ci ha riuniti per uno scopo, non lo capisci?” rincarò Peter. “Jill è la settima Amica di Narnia! Possiamo farcela ora che siamo tutti insieme!”
Caspian si appoggiò al davanzale, dando la schiena agli amici. “Susan che ha detto?”
“Che non ci permetterai di intraprendere questo viaggio” rispose ancora Peter.
Il Liberatore fece un mezzo sorriso e annuì. “Ha ragione”
Strinse con forza la pietra del davanzale, facendosi imbiancare le nocche. Non sapeva cosa fare.
“Ho sognato decine di volte questo posto: la Torre, il bosco…Susan comprese prima di me che cosa significavano quei sogni, e adesso lo so anch’io: riguardavano voi. Mi stavano anticipando il vostro arrivo. Aslan vi ha chiamati per salvare i miei figli, e anche se vorrei venire con voi per vedere coi miei occhi che sono vivi, non lo farò”
“Pensi che per Rilian e Myra non ci sia speranza?” chiese Lucy, sconcertata.
Caspian scosse il capo. “No, non è questo: benché in due anni non abbia nutrito la minima aspettativa di rivedere i miei bambini, ora voglio riporre fede nelle parole di Aslan. Ma sarete voi a soccorrerli, ovunque si trovino, non io. Il mio scopo è un altro”
Caspian raddrizzò la schiena e si voltò verso gli amici. “Ho sempre saputo che nel momento in cui avessi deciso di rimettere piede a Narnia, sarebbe stato per reclamare la testa di un uomo. Anche Susan lo sapeva e vuole quella testa quanto me”
“Caspian, ascolta” disse Miriel, come sempre molto pacata. “Capisco perfettamente il tuo pensiero, ho vissuto la vicenda da vicino e so che vuoi uccidere Rabadash perché pensi sia l’unico modo per annientare il sortilegio. Ma non è così che porrai fine a tutto questo. Aslan è stato chiaro: la soluzione è al Nord. E’ quella la strada giusta per disfarsi della maledizione, per salvare Rilian e Myra, Narnia, e per annientare Rabadash una volta per tutte. Ti supplico, riflettici”
Caspian pareva non aver ascoltato, lo sguardo lontano, l’atteggiamento apparentemente distaccato.
Quando parlò, il suo tono di voce era cambiato. Non aveva più intenzione di discutere.
“Non vi fermerò se voi non fermerete me”
Edmund aggrottò la fronte. “Aspetta....stai dicendo che ci lasci partire se in cambio noi ti lasciamo uccidere Rabadash?”.
“Sì, esatto”
“E se fallisci? Anche se lo uccidi, non hai la certezza che la maledizione scomparirà insieme a lui”
Caspian osservò il cielo, aspettandosi di veder apparire il falco da un momento all’altro.
“Non abbiamo nulla da perdere: ne io né lei”
Durante il breve silenzio che si creò, Peter si alzò dalla tavola e fece qualche passo verso il Liberatore, fissandolo dritto in faccia.
“Preferisci lasciare i tuoi bambini chissà dove piuttosto che rinunciare alla vendetta?”
Caspian si voltò vero il Re Supremo. “La vendetta è l’unica cosa che mi tiene ancora in vita”
I due giovani uomini si fronteggiarono per qualche secondo a forza di sguardi.
Peter comprendeva la sofferenza di Caspian, tuttavia, non approvava quel comportamento egoistico.
“E Susan? La costringerai a seguirti?”
Ombroso saltò su dicendo: “Ecco, esatto! Io la penso come il Re Supremo: non potete obbligare la mia adorabile signora ad andare avanti e indietro per mari e monti!”
“Non la costringo a fare niente!” controbatté Caspian. “Lei sa come la penso e sa che può scegliere liberamente. Se vorrà partire con voi invece che con me, non la fermerò”
Ombroso incrociò ali sul petto, facendo il verso al Re. “Oh, se vorrà partire non la fermerò, bla, bla, bla…AH!”
Ombroso indietreggiò facendo una capriola per aria. Caspian aveva estratto la spada e ora la puntava contro il naso del pipistrello.
 “Caspian, non trattarlo così, poverino!” esclamò Lucy.
Non lo riconosceva più, così come gli altri: mai il Re aveva attaccato a quel modo una creatura fatata. 
“Non preoccupatevi, Regina” rispose Ombroso, per nulla spaventato. “Non mi fanno paura queste minacce, le ricevo da troppo tempo, ormai”
Caspian gli scoccò un’ultima occhiataccia prima di rinfoderare Rhasador.
“Un giorno ti taglierò quella maledetta linguaccia, Ombroso, te lo posso assicurare”
Nel momento in cui si voltò, il pipistrello gli fece una linguaccia alle spalle. Per fortuna, il Liberatore non lo vide.
“Se avete finito…” disse Eustace, tamburellando con le dita sul tavolo in un gesto d’impazienza.  “Grazie…Dovremmo venire a un compromesso, o perderemo tutto il giorno a mettere il punto su cose già discusse, e sinceramente non mi va proprio”
“Già, nemmeno a me” lo appoggiò Jill.
“E’ vero, avevamo programmato di partire oggi” disse Emeth.
“Caspian, ti supplico, vieni con noi!” pregò Lucy.
Tutti gli sguardi erano puntati sul Re di Narnia. Egli lesse le tacite preghiere sui volti degli amici più cari, e l’averli tutti schierati di fronte a sé fece sì che nella nella corazza impenetrabile che si era costruito addosso si aprisse uno spiraglio.
“D’accordo, ci penserò. Siete contenti?” disse, tornando a sedersi con loro.
Gli altri tirarono un sospiro e poi Peter prese di nuovo la parola.
“Questa mattina, prima di andarsene, Susan mi ha detto di chiederti chi è Pozzanghera. Sembrava pensare che potesse aiutarci nel viaggio verso il Nord”
Caspian parve sorpreso. “Pozzanghera il Paludrone. Sì, potrebbe”
“Il che cosa?” chiese Eustace.
“Un Paludrone: sono bizzarre creature che vivono nel luogo dal quale prendono il nome: le Paludi, appunto” Caspian fece un sorriso appena accentato. “Susan ha pensato bene: per attraversare le Terre del Nord vi serve una guida adeguata”
“Ci siamo noi” disse prontamente Shanna, indicando se stessa e Miriel. “Siamo noi le vostre guide”
Caspian annuì a metà. “Certamente, ma credo che Susan si riferisse ad un altro tipo di guida”
“E cioè?”.
“Qualcuno che non teme le temperature rigide e sa muoversi tra le montagne, che sia in grado di riconoscere i cambiamenti atmosferici e sappia come procurarsi il cibo anche in un luogo impervio come quello”
“E questo Paludrone potrebbe farlo?” chiese Emeth.
“E’ un eccellente esploratore, ve lo posso assicurare”.
Ci fu un mormorio d’assenso. La compagnia pareva soddisfatta.
Caspian guardò uno per uno i suoi compagni, risoluto. “Non vi sto promettendo niente, ricordatelo. Posso accompagnarvi a conoscere Pozzanghera, ma poi tornerò indietro”
“Se non avrai cambiato idea, nel frattempo” aggiunse Jill, speranzosa.
Il Liberatore non rispose, assumendo un’espressione un po’ seccata.
“E per le Sette Spade, come facciamo?” chiese Edmund.
“Dove si trovano, a proposito?” chiese Caspian. “Credevo le avessi con te, Shanna”
Nessuno gli aveva ancora detto che i talismani si trovavano in mano al dottor Cornelius. Se lo avessero fatto, sarebbe stato impossibile anche solo persuaderlo a seguirli.
“Sono in luogo sicuro” rispose Shanna, facendo uno sforzo tremendo per guardare in faccia il Re mentre gli mentiva.
Non era nella sua natura, e il solo pensiero di dire una frottola la faceva star male. Ma non era veramente una bugia, no?
“Tranquilla, non lo è” la rassicurò Miriel poco dopo. “Sei rimasta sul vago e hai fatto bene. Voglio che s’incontrino: il Re e Cornelius devono chiarirsi”

Ora, tutti quanti preparavano il necessario per la partenza.
Caspian, che aveva già tutto pronto, uscì all’aperto per godersi il debole sole che era riuscito a fendere la nebbia del primo mattino. Sedette sul basso muretto di pietra appena fuori dalla Torre, Destriero in piedi vicino a lui. Aveva deciso che sarebbero state le ragazze a salire a cavallo, a turno.
Il canto del falco risuonò leggiadro nel cielo dall’aspetto incerto. La vide arrivare danzando tra le correnti d’aria, planando ad ali spiegate sul suo braccio teso.
“Buongiorno, tesoro”
Lei si accomodò meglio, accoccolandosi sulla sua spalla, beccandogli piano una guancia.
“Mia adorabile signora!”
“Oh, santo cielo…rieccolo” fu il sommesso commento del Re all’arrivo di Ombroso. “Mi togli una curiosità, topo volante?”
“Non sono un topo volante! ….Sì, quale?”
“Non dormi mai, tu? Non c’è un minuto nella giornata in cui io possa stare senza sentire la tua voce?”
Ombroso fece finta di riflettere. “Uhm…..No!”
Animale e uomo si cambiarono la solita occhiata torva.
“State pensando cosa fare, Maestà?”
Caspian accarezzò il falco. “Sto pensando cosa farebbe lei”
“La Regina farà ciò che volete voi, lo sapete, anche se io non approvo”
Il Liberatore osservò il falco per alcuni minuti senza parlare. Si accorse che qualcuno veniva dalla Torre, udiva l’erba e le foglie scricchiolare sotto i passi.
“Caspian, posso parlarti?”
Era Edmund.
Il Re di Narnia si voltò, notando subito la serietà dipinta sul volto dell’amico.
“Ti ascolto” rispose.
“Io non parto per il nord” disse il Giusto senza preamboli, “Vengo con te e Susan a Cair Paravel”
Il Re di Narnia rimase di stucco.
“Questa è bella!” esclamò Ombroso.
“Puoi lasciarci, per favore?” chiese il Liberatore al pipistrello, il quale si allontanò poco dopo verso il bosco appendendosi ad un ramo, vigile.
Quindi, Caspian si alzò in piedi lentamente. Il falco agitò un poco e ali e poi tornò comoda sul suo avambraccio.
Edmund li osservò entrambi, l’uno accanto all’altra. Come il lupo era sempre stato vicino a lei la notte scorsa, il falco non lasciava mai lui durante il giorno.
Era surreale saperli e vederli in quel modo.
Non meritavano tutto questo…
“Puoi tentare di dissuadermi quanto vuoi, non cambierò idea: se non vieni con noi, resterò io. Vi accompagnerò e vi darò il mio sostegno”
Caspian scosse la testa. “Non lo puoi fare. Devi stare con i tuoi fratelli”
“Susan è mia sorella e anche tu sei mio fratello!” replicò Edmund con forza.
I due ragazzi restarono in silenzio per un momento, riflettendo su quelle parole.
Il Liberatore posò una mano sulla spalla del suo più caro amico.
“Sono convinto che mi saresti di grande aiuto, Ed: sei un ottimo guerriero, uno spadaccino eccezionale, perciò non pensare che il mio rifiuto sia dovuto al fatto che non credo nelle tue capacità. Ma è una cosa tra me, Susan e Rabadash. Noi tre e basta, capisci?”
“Ma Rabadash ha un esercito!” rincarò il Giusto. “E’ un maledetto bastardo ma non è stupido! Cosa pensi che farà quando Lord Ravenlock gli dirà che sei a Narnia? Vi inseguirà e inseguirà anche noi nel momento in cui capirà cosa stiamo facendo!”
“Ho detto no, Ed”
“Senti, non dico che se verrò farò la differenza, però se anche noi raduniamo…”
“Non voglio nessuno tra i piedi. E’ tanto difficile da capire?” esclamò il Liberatore, aspro.
Il respiro di Edmund si era fatto un poco affannoso per la collera improvvisa. Scosse il capo, lo sguardo fisso sull’amico.
“Allora ha ragione Peter: sconfiggere Rabadash è più importante dei tuoi figli. Non c’è davvero più niente per te oltre la vendetta? E Susan? Hai fatto pazzie per stare con mia sorella: te ne sei quasi infischiato delle tue responsabilità, l’hai portata su un’isola deserta per sposarla di nascosto, e ora le togli la possibilità di riabbracciare i suoi bambini?”
Gli occhi neri di Caspian mandarono fiamme, ma Edmund non si fece intimidire.
“Non ti riconosco più. Che diavolo ti è successo?”
Il Re di Narnia stinse i denti. “Ho perso la mia famiglia non una, ma due volte. Ecco cosa mi è successo. E in entrambi i casi non sono stato in grado di fare niente …niente! Per nessuno di loro!”
Un lampo di dolore e rancore passò negli occhi del Liberatore.
“Hai ragione, non sono più io. In passato ho fatto cose di cui mi stupisco: ho guidato una rivoluzione quando avevo appena sedici anni, mi sono spinto fino ai confini più estremi di questo mondo confrontandomi con i miei peggiori incubi, sconfiggendoli. Ho mentito alla donna che amavo pur di tenerla con me... Ma l’uomo di cui stiamo parlando non esiste più. Sono morto ogni giorno da quando questa maledizione mi ha colpito, e sono stanco”
Caspian diede le spalle a Edmund, facendo posare il falco sulla sella di Destriero.
“Ti sbagli quando dici che sto rinunciando ai miei figli. La verità è che sto combattendo la mia ultima battaglia per loro. Io e Susan ci siamo promessi di arrivare fino in fondo, insieme, anche se questo vuol dire morire. E adesso che so che i miei bambini sono vivi, non ho nessuna intenzione di rinunciare: andremo fino in fondo, per Rilian e Myra”
“Allora veni a salvarli con noi!”
Caspian iniziò ad armeggiare con i finimenti del cavallo, assicurandosi che fossero ben stretti.
“E’ tardi” disse in fretta. “Se vogliamo raggiungere le Paludi prima di sera, è meglio che ci muoviamo”
Per Edmund non ci fu possibilità di ulteriori repliche.
 
 
Fu così che la compagnia di Narnia lasciò la Torre dei Gufi.
Pennalucida verso qualche lacrima, e lo stesso le femmine di animali.
“Bhuuu….è sempre triste quando gli amici se ne vanno”
“Torneremo, sta tranquillo” disse Eustace. “Fate il tifo per noi”
“Lo farem! Lo farem!” risposero in coro gli altri gufi.
Shanna prese Shira tra le braccia, baciandola tante e tante volte sul becco.
“Arrivederci, amica mia”
“Mi raccomando” il falchetto ammonì la fanciulla, scoccando un’occhiata veloce a Edmund. “Guarda che verrò a vedere se ti tratta bene, chiaro?”
Shanna sorrise e la lasciò andare.
“Prudenza, ragazzi” disse Lord Rhoop. “Non dimenticate mai che lo spirito di Aslan è con voi”
Il Lord abbracciò tutti loro: i Pevensie, Caspian, Eustace, Emeth, Shanna e Miriel, la quale pianse.
“Su, su” la calmò Rhoop, dandole piccoli colpetti sulla schiena.
“Mi ero abituata a vivere qui. Voi siete stato un padre per me, milord”
“Il Re Supremo deve essere fiero di averti a suo fianco: sei una donna eccezionale, Miriel”
“Grazie”
“Ci rivedremo presto”
La Driade raggiunse gli altri, già sul ciglio del prato.
In ultimo, Lord Rhoop si avvicinò a Jill.
“Mi sarebbe piaciuto consegnarti personalmente la tua Spada”
“Spero di esserne all’altezza, signore. Io non so tirare di spada”
“Imparerai. Tra una settimana non ti riconoscerai nemmeno. L’aria di Narnia e le benedizioni di Aslan faranno il resto”
Timidamente, Jill si accostò al Lord e a bassa voce gli chiese: “Signore, posso farvi una domanda?”
Lui annui. “Certo”
“Aslan è Dio?”
Rhoop le sorrise. “Sai, io penso che se Aslan fosse qui, ti chiederebbe perché hai fatto questa domanda quando conosci già la risposta”
Gli occhi scuri della ragazza si accesero di emozione “Grazie, signore. Adesso ho molta meno paura di prima. Farò del mio meglio per riuscire nel compito che mi è stato affidato, lo prometto”
“Ci riuscirai”.
Con sguardo fiero, Rhoop le porse la mano, che lei prontamente stinse.
“Arrivederci, Jill”
“Arrivederci”
E mentre si allontanava insieme a Eustace, Peter, Lucy, Edmund, Caspian, Emeth, Miriel, Shanna, Ombroso, Destriero e Susan in forma di falco, Jill alzò gli occhi al cielo e pensò ai quattro segni. Era tantissimo tempo che non lo faceva. La scorsa notte aveva cercato di ripeterli prima di prendere sonno, ma era così stanca che si era addormentata non appena aveva posato la testa sul cuscino.
“Mi sento in colpa, Eustace” disse, mentre camminavano in coda al gruppo attraverso Bosco Gufo.
Lui la guardò senza capire. “Perché, che è successo?”
“Per aver mancato il primo segno”
“Oh, dai, Pole, finiscila con questa storia! Ieri mi ha fatto una testa così! E’ andata, non puoi farci niente. Dopotutto, come facevamo a sapere che il lupo era Caspian?”
“Sì, hai ragione, però se tu avessi riconosciuto subito tua cugina Susan, forse lei ti avrebbe detto della maledizione e tu avresti collegato Caspian al lupo. Aslan aveva detto che non dovevi spaventarti per ciò che avresti visto, e invece siamo a finiti a scontrarci con l’amico con il quale si era tanto raccomandato dovevi incontrarti”
Eustace posò le mani sulla nuca, camminando così per un po’. “Sì, però adesso siamo qui tutti insieme, no? Ormai non fa differenza”
Jill guardò a terra, scalciando un sassolino. “Forse è vero, è inutile pensarci…E va bene: mi darò da fare per non mancare più nemmeno un segno, lo giuro!”
Eustace sorrise compiaciuto nel vederla così determinata. Jill si stava ambientando benissimo. A differenza di lui, che alla sua prima avventura a Narnia aveva piagnucolato tutto il tempo e si lagnava per tutto, Jill appariva molto più coraggiosa e adattabile.
Buon per lei: non sarebbe stata una passeggiata attraversare le Selvagge Terre del Nord.
Poco più avanti di loro, anche Lucy e Emeth camminavano fianco a fianco, ma lui non le rivolgeva la parola, apparentemente di proposito.
La Valorosa credeva fosse solo un po’ di cattivo umore, probabilmente per aver saputo che anche lei, come Edmund, era stata intenzionata a seguire Caspian a Cair Paravel.
Ancora più avanti, in testa al gruppo, Il Re Supremo, Il Giusto e il Liberatore discutevano proprio di questo, Miriel e Shanna con loro.
“Te l’avrei detto” iniziò Lucy, rivolta al soldato. “Non volevo tenertelo nascosto, è solo che Edmund mi ha chiesto di non parlarne...Emeth, mi ascolti?”
“Sì, ti sto ascoltando” rispose lui con voce secca.
“Comunque ho deciso di rimanere, come mi ha consigliato Ed. Forse Caspian deciderà di partire con noi e allora nemmeno mio fratello resterà”
Emeth non rispose.
“Si può sapere qual è il problema?” fece lei, voltandosi a guardarlo. “Emeth, se entro due secondi non mi parli, giuro che mi metto a urlare”
“Brava: così se ci sono soldati nei dintorni salteranno subito fuori”
“Allora dimmi che cos’hai”
Emeth emise un basso sospiro. “Hai scelto di seguire Caspian senza quasi riflettere, e invece a me non hai ancora dato una risposta”
Lucy non capiva. “Cosa centra Caspian con quello che mi hai chiesto?”
“A lui non dici mai di no”
Lucy batté le palpebre, confusa. “Emeth, non puoi essere geloso di Caspian!”
“Lo sono sempre stato” ammise il ragazzo, arrossendo.
La Valorosa osservò il profilo del soldato e non poté trattenersi dal liberare una sommessa risatina. Ma lui sembrò non prenderla bene.
“Ti fa così ridere?”
“Oh, Emeth, andiamo…Non puoi davvero essere…”
Il giovane spostò lo sguardo altrove, offeso. “Per lui ci sei sempre. Se ti chiede di fare una cosa la fai immediatamente. Se dice qualcosa non lo contraddici mai, o almeno cerchi di farlo nel modo più gentile possibile”
“Bè, è il Re. Non ti sembra una scusa sufficiente?”
“A lui avresti risposto subito: se avesse avanzato una qualsivoglia richiesta, saresti subito stata lì a dire di sì. Tu non stai nemmeno riflettendo sulla mia proposta, vero?”
Lucy s’incupì. “Ci sto riflettendo, invece, e molto. E’ solo che attualmente è tutto così incerto... ora come ora, non potrei venire a Calormen con te in ogni caso”
“Ma se un giorno volessi andare a vivere là?”
La domanda spiazzò Lucy. “Ritornare nel Deserto? Avevi detto che era Narnia la tua casa”
Emeth si fermò e la prese per un braccio. Attese che Eustace e Jill li superassero, e poi guardò la Regina Valorosa dritta nei suoi meravigliosi occhi azzurri.
“No, non hai capito: se un giorno io ti sposassi e decidessi che voglio vivere a Calormen…non dico per sempre ma…è pur sempre il luogo in cui sono nato”
Lucy non realizzò il senso di tutta la frase, pensò solo alle prime parole: se un giorno ti sposassi.
Non riuscì a spiccicare una parola.
Sposarsi...sposarlo...lui...lei...sposati...
“Lu?”
“S-sì?”
“Lo sai perché sono geloso?”. La voce di Emeth era divenuta improvvisamente dolce.
“Non puoi esserlo” fece lei, scuotendo il capo. “Non di Caspian. E’ come un fratello per me”
“Ma non lo è. E io ho sempre notato quanto sei attaccata a lui. Anche sul Veliero dell’Alba a volte pensavo che… Eustace all’epoca sosteneva che avevi una cotta per lui”
Lucy rifletté su quelle parole.
Una cotta per Caspian? No, non credeva di aver mai provato nulla di simile per il Re. Aveva sognato d’incontrare a sua volta qualcuno come lui, un Principe, ma non lui. Caspian era bello, gentile, coraggioso, affascinante, ma era….Caspian. La coccolava, la viziava e l’adorava, ma il loro affetto e il loro rapporto era identico a quello che Lucy aveva con Edmund e Peter.
Con Emeth, invece…
Lui la guardava ancora negli occhi, le teneva un polso in una presa gentile ma decisa.
“Lo sai perché sono geloso?” ripeté il soldato, posandole l’altra mano sotto il mento.
Lei non disse nulla e attese, le braccia lungo i fianchi.
“Perché ti amo davvero, Lucy”
Era la prima volta in assoluto che Emeth le diceva che l’amava.
Che l’amava davvero.
Quando si riebbe da quelle parole, la Valorosa si accorse che Peter li chiamava.
“Non rimanete indietro, forza”
Lucy non se lo fece ripetere.
Si liberò gentilmente dalla presa di Emeth, camminando velocemente per raggiungere gli altri... e si fermò a metà strada.
Non poteva lasciarlo di nuovo senza una risposta.
Così, si voltò e volteggiò verso di lui. Il mantello le si aprì sul davanti, come le ali di una farfalla, e quando gli gettò le braccia al collo e lo baciò con impeto, Emeth ne rimase stupito.
Dopo un secondo, il ragazzo affondò una mano nei capelli di lei, l’altra sulla schiena, inspirando il suo profumo
“Non me l’avevi mai detto” mormorò poi lei, mordendosi il labbro inferire, rossa in viso.
“Era ora che te lo dicessi, allora”
“Non essere geloso”
Lui si fece molto serio. “Scusa”
“Forse dovrei essere meno espansiva, vero? Edmund dice sempre che è un mio difetto, invece che un pregio. Pensa che i ragazzi possano farsi idee sbagliate su di me”
“Tu non devi cambiare niente di te stessa. Sei bellissima così come sei”
Lucy si alzò sulle punte dei piedi e lo baciò di nuovo.
“Emeth, ti amo anch’io”. Le parole della ragazza furono un sussurro.
Finalmente, il soldato le sorrise. “Sì, lo so”
 
 
La compagnia uscì da Bosco Gufo e risalì le colline che li portarono verso un paesaggio diverso da quel che avevano visto fin ora.
Si erano lasciati alle spalle le foreste di Narnia e, adesso, davanti a loro si estendeva una grande pianura, sulla quale erano ritagliati fazzoletti di terra che formavano tante piccole isolette verdi-grigie: le Paludi.
“Non sembrano lontane” commentò Edmund, guardandole dall’alto.
“Ma lo sono” rispose Caspian. “Non è facile arrivarci”
Aveva ragione.
Man mano che si addentravano nell’acquitrino, la strada diveniva fangosa e incerta. Procedettero lentamente, abbassandosi per passare sotto i rami bassi di alberi contorti, scavalcando tronchi marci, aggirando stagni fangosi nei quali crescevano vari tipi di piante palustri.
“Ora capisco perché il povero Destriero non riuscì a passare di qui” commentò Miriel, districando la veste da alcuni giunchi.
In effetti, anche adesso il cavallo si trovava un poco in difficoltà, ma grazie ad Ombroso – che era nato in quei posti e li conosceva come le sue tasche (pardon, ali) – il buon Destriero riuscì a trovare tratti di sentiero abbastanza solidi per i suoi zoccoli.
Anche Caspian era già stato laggiù, e fu una bella fortuna. Il Liberatore guidava con sicurezza i suoi compagni in mezzo alla foresta umida e oscura. La città dei Paludroni, spiegò, era ben nascosta dentro le Paludi, nessuno avrebbe potuto entrarvi senza aiuto.
A un certo punto, la nebbia si infittì: oltre un raggio di tre metri, tutto scomparve. Sembrava fosse scesa la sera. Poi, bruscamente, un’ombra si staccò dalla nebbia e si fermò davanti a loro. Una lanterna baluginò nella semioscurità. Destriero emise un nitrito allarmato.
“Salve viaggiatori, cosa vi pota qui?”
I ragazzi non riuscirono a vedere bene il volto di chi aveva parlato.
“Salve, amico” salutò Ombroso.
Un braccio spuntò dalle ombre, reggendo meglio la lanterna davanti a sé, il cui fascio di luce illuminò l’intero gruppo di Narnia.
“Ombroso? Qual buon vento, vecchio mio!”
“E’ Pozzanghera?” chiese Peter a Caspian.
“No, è Molta. Un altro Paludrone”
Il Re fece un passo avanti e la creatura spalancò i suoi tondi occhi verdi. “Ah, ma è Vostra Maestà, Re Caspian X!”
A quelle parole, la Palude si animò. Da chissà dove spuntarono almeno una ventina di Paludroni.
Erano creature davvero singolari: la pelle era di un colore verdognolo, gli occhi tondi, facce magre e lunghe, le guance incavate, i nasi aquilini, la bocca sottile.  I capelli – se la strana peluria che pendeva dai lati delle orecchie si poteva chiamare capelli – erano lisci, di un grigio-verde scuro. Braccia e gambe erano lunghissimi, sproporzionati rispetto al resto del corpo. Le dita delle mani e dei piedi erano unite tra loro da una sottile membrana e somigliavano alle zampe delle rane.
Non erano brutti nel complesso: il loro aspetto ricordava vagamente sia quello un uomo che di un rospo, ma non proprio.
I Paludroni si tolsero i cappelli di paglia che portavano e s’inchinarono ai Sovrani.
“Cosa vi porta in questa landa impervia?” chiese Molta.
“Dobbiamo incontrare Pozzanghera” rispose Caspian. “Potete condurci immediatamente da lui?”
“Certo, Sire, certo. Venite da questa parte”
Molta disse ad alcuni suoi amici di precedere il gruppo e di avvertire il villaggio dell’arrivo degli illustri ospiti. Poi, lui e il resto dei Paludroni, condussero gli umani attraverso una nuova strada che i ragazzi erano stati incapaci di individuare. Era una stretta pista che serpeggiava tortuosa attraverso la vasta distesa paludosa, ma almeno non c’era fango e poterono camminare speditamente e senza impedimenti.
Mentre proseguivano, Caspian, i Pevensie e gli altri, spiegarono a Molta e ai Paludroni perché si trovavano lì. Essi si mostrarono molto interessati al racconto.
“Se le Vostre Maestà hanno piacere” disse Molta alla fine, “potreste fermarvi per il pranzo e raccontare ancora di Aslan ai nostri concittadini”
“Con molto piacere” acconsentì Caspian, benché il suo sguardo tradiva l’impazienza. Non era ansioso di fermarsi a lungo.
Uscire da quel groviglio di giunchi e alberi fece tirare un sospiro di sollievo a tutti, in più, la cappa di nebbia umida e appiccicosa stava diventando insopportabile.
Ed ecco la città dei Paludroni.
Costituita per lo più da capanne molto semplici, sorgeva su isolotti ricoperti di erbacce e collegati tra loro da canali; gli atolli erano limitati da giunchi e canne, che formavano una sorta di siepe divisoria tra uno e l’altro. Miriadi di uccelli andavano e venivano dai cespugli di canne: anatre, aironi e beccacce. Verso est, la piatta palude formava dune di sabbia in linea con l’orizzonte, e dall’odore del vento che sapeva di salmastro si poteva facilmente capire che laggiù, da qualche parte, c’era il mare. Non crescevano alberi sugli isolotti e, grazie alla mancanza d’essi, in direzione nord, i ragazzi poterono vedere colline rocciose di uno strano colore giallastro, punteggiato di colori pastello, in prevalenza di viola e rosa: la Brughiera di Ettins.
Mentre i Sovrani e i loro amici passavano in mezzo a viuzze e capanne, intere famiglie di Paludroni uscirono per accoglierli. Le femmine si distinguevano dai maschi per le tipiche forme femminili, e per i capelli più lunghi e folti.
“Pozzanghera! Pozzanghera!” chiamò Molta a gran voce. “Chissà dove si è cacciato…”
“Eccolo laggiù” disse Ombroso. “Hai ospiti, vecchia rana!”
“Chi è?” fece il Paludrone Pozzanghera, con una voce quasi malinconica. Sedeva sulla riva di uno stagno, la canna da pesca in mano e un cappello di paglia sulla testa.
“Ma come ‘chi è’?” fece Molta, che era tutto emozionato. “Non ti hanno avvertito dell’arrivo dei Re e delle Regine di Narnia?”
“Sono già arrivati?”.
Pozzanghera, con tutta la flemma del mondo, appoggiò la canna da pesca e si alzò, levandosi il cappello.
“Buongiorno, Vostre Maestà. Anche se quando dico ‘buon giorno’ non sono così sicuro che non si metta a piovere, che non scoppi un temporale tremendo e non salga la nebbia…ah, c’è già la nebbia. Eh, che vi dicevo?”
Miriel si allungò vero l’orecchio di Peter. “Mi pare che il nostro nuovo amico abbia una visione alquanto pessimistica della vita”
Caspian si avvicinò per primo e strinse la mano di rana della creatura. “Stiamo abbastanza bene, grazie”
“Sempre troppo educato, il mio Re” commentò Pozzanghera, allungando cautamente una mano verso la spalla del giovane, dove era posato il falco, facendole una carezza sulle ali. “Fa piacere sapere che non mi avete dimenticato, Sire, dato che sono una creatura abbastanza inutile”
“Via, via, vecchio mio” disse Molta, “non dimenticare le buone maniere e fai entrare i nostri ospiti in casa, mentre io vado a chiamare il Saggio: sarà ansioso di vedere i Sovrani”
Dicendo ciò, Molta corse via e Pozzanghera condusse nella sua capanna il gruppo di Narnia.
I ragazzi incontrarono il capo villaggio, un Paludrone vecchissimo e un po’ sordo, il quale non capì molto di quel che venne detto riguardo Aslan e la missione per salvare i principi scomparsi. Tuttavia, sostenne la causa e disse che il suo popolo avrebbe dato tutto l’appoggio possibile.
Ora, mentre e gli altri si riposavano un poco, Pozzanghera e Caspian sedettero insieme sulla riva dello stagno dove il Paludrone aveva lasciato la sua canna da pesca. Il Re voleva parlare in privato con la creatura.
“Ditemi Maestà, in cosa posso esservi utile?” esordì Pozzanghera.
“Ho bisogno che accompagni il Re Supremo Peter, Re Edmund e la Regina Lucy nelle Terre del Nord” rispose Caspian, strappando distrattamente ciuffetti d’erba dalla riva. “So che sei il migliore, Pozzanghera. Mi fido ciecamente di te”
“Una missione molto pericolosa, se mi permettete di dirlo” commentò il Paludrone, sistemando l’amo sul filo della canna da pesca, per poi gettarlo in acqua. “Con l’inverno alle porte non è affatto una buona idea avventurarsi lassù. Ma se l’ha detto il Grande Aslan, allora sono sicuro che c’è un ottimo motivo. Tuttavia, mettete in conto che ci saranno rupi da scalare, fiumi da guadare, momenti di sconforto che ci coglieranno quando non avremo nulla da mangiare e scopriremo di aver smarrito la strada. Potrebbe capitare di tutto ma, ripeto, se lo dice Aslan e se siete Voi a chiedermelo, Maestà…”
Caspian sorrise. “Stai dicendo che lo farai, vero?”
“E’ il minimo: mi avete salvato la vita, mio Re” disse il Paludrone con aria solenne.
“Non potevo lasciarti annegare, Pozzanghera”
“Eh, già già, proprio no, perché voi siete un uomo buono e generoso, mio signore, anche se sareste potuto annegare a vostra volta con quell’acqua gelida che minacciava di atrofizzarci tutti i muscoli”
Caspian ricordava bene quel giorno di quasi un anno prima.
Era accaduto sui Monti del Nord: lui e Susan si erano appena addentrati sulle montagne, Pozzanghera era in esplorazione. Era stata una fortuna per tutti incontrarsi. Povero Pozzanghera, un’annaspante massa di gambe e braccia dentro il fiume ghiacciato: la spessa lastra gelida che lo ricopriva si era spezzata proprio nel momento in cui il Paludrone vi aveva messo piede.
“Voi non verrete, Maestà?” chiese poi Pozzanghera, alzando il viso verso il Sovrano.
“No. Io e la Regina torneremo a Cair Paravel”
Caspian fece vagare lo sguardo sul paesaggio, in cerca del falco. Non si vedeva, probabilmente era lì intorno a sgranchirsi un po’ le ali.
“Ah…” fece il Paludrone rivoltandosi verso lo stagno. “Speriamo che questa impresa non si riveli un fallimento, anche se c’è davvero ben poco da sperarci”
Caspian lo guardò e sorrise: sempre un inguaribile pessimista il caro Pozzanghera, ma anche coraggioso e forte, moralmente e fisicamente. Aveva una gran fede in Aslan, come tutto il suo popolo, e benché le Paludi fossero abbastanza isolate dal resto di Narnia, essi servivano la corona con lealtà.
D’un tratto, la superficie dello stagno s’increspò.
“Ha abboccato” fece Pozzanghera, iniziando ad arrotolare il filo.
“Cosa stai cercando di pescare?” indagò Caspian con espressione divertita.
“Anguille: ho deciso di preparare uno spezzatino per la cena di stasera. A Vostra Maestà piacciono le anguille?”
Caspian mosse le spalle. “Non saprei, non ne ho mai mangiate”
 
 
 
~·~
 
 
 
 
Se stava dormendo o era ancora sveglio, Cornelius non lo capì subito. Gli sembrava di essere andato a dormire pochi minuti prima e invece era ancora sveglio, a fissare il soffitto scrostato della cameretta del monastero.
L’oscurità era fresca e silenziosa. Quando si alzò dal letto con solo indosso la vesta da camera non sentì freddo, e quando uscì all’aperto scoprì che il clima della Brughiera era tiepido come in primavera.
Sì stava sognando…eppure sembrava vero.
Simile a un’ombra, Cornelius scivolò sui prati e tra le lande, seguendo il sussurro che lo aveva destato.
“Vieni” diceva.
Non c’era da temere. Era una voce amica. Si alzava e abbassava di tono a seconda di quanto il professore si concentrava su di essa. Egli cercò allora di chiudere fuori tutti i suoni della landa eccetto quel bisbiglio.
Camminò a lungo ma non si stancò. L’aria era profumata, e gli donava forza e vigore come se fosse ancora giovane.
Vide un luccichio in mezzo alla distesa e si fermò, fissandolo sbalordito. Guardò la luce tremolare, divenire sempre più abbagliante, prendere forma. La figura dell’animale sembrò fluttuare nell’aria per un momento, poi posò le grandi zampe sul terreno e fu ben visibile anche nella notte, perché il suo stesso corpo irradiava luce.
Cornelius si gettò in ginocchio, coprendosi il volto con le mani.
“Aslan! Aslan! Perdonami!”
La voce della Creatura vibrò nella brughiera, forte come il tuono.
“La tua supplica è già stata accettata da tempo, dottor Cornelius. Alzati e guardami”
L’uomo, tremante e con occhi sbarrati dall’incredulità e dalla paura, rimase in ginocchio a fissare il Leone.
“Alzati” ripeté questi, e l’altro lo fece.
“Non aver paura, piccolo uomo” disse piano Aslan, in tono rassicurante. “Questa notte non corri alcun pericolo, ci sono io a proteggerti”
Cornelius fece per parlare, ma quel che uscì dalla sua gola fu solo un suono strozzato. Lacrime di pentimento e dolore rigarono le sue guance, finendo nella folta barba bianca.
“Ho sbagliato, ho fatto un errore terribile!” disse infine, tra un singhiozzo e l’altro. “Ho tradito il mio Re, Narnia, te! Come posso rimediare?”
Aslan gli si avvicinò. “Hai sempre camminato nella via dei giusti, piccolo uomo: hai sempre visto con chiarezza la strada davanti a te, ma può accadere che la vista ci inganni, così come la mente e a volte persino il cuore. Per questo sono venuto, per riportarti sulla giusta via, così che tu la possa indicare a coloro che stanno per giungere da te”
Cornelius smise di singhiozzare.
“I Pevensie sono a Narnia” continuò Aslan. “I Sette Amici di Narnia sono finalmente riuniti”
“A-anche Caspian e la Regina Susan…”
“Anche loro verranno, presto, e tu dovrai fare qualcosa per aiutarli”
Cornelius aprì le mani, come a dimostrare che non possedeva nulla.
“Come posso?”
Aslan alzò la bella testa ornata dalla criniera dorata.
“Te lo dirò. Ti farò una grande rivelazione. Ascoltami, piccolo uomo, e un giorno avrai un posto nel mio Regno”

 
 
 
 
Salve cari lettori! Eccomi con il capitolo della partenza!
Come anticipato, si sono visti sia Pozzanghera che Cornelius. Non c’è stato posto per Rabadash e la Strega, li inserirò nel prossimo…tanto non sentite la mancanza dei cattivi, vero? XD Ma le anticipazioni a dopo, prima veniamo ai Ringraziamenti!
 
Per le preferite:
Aesther, aleboh, Araba Shirel Stark, battle wound, Christine Mcranney, english_dancer, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, Friends Forever, G4693, HikariMoon, Jordan Jordan, lucymstuartbarnes, LucyPevensie03, lullabi2000, Mia Morgenstern, Mutny_BrokenDreams, piumetta, Queen Susan 21, Robyn98, Shadowfax, Starlight, SuperStreghetta, Svea, SweetSmile, TheWomanInRed, Zouzoufan7,_joy
 
Per le ricordate: Araba Shirel Stark, Cecimolli, Halfblood_Slytherin, mishy, Queen_Leslie, Starlight13, Zouzoufan7
 
Per le seguite:  Araba Shirel Stark, bulmettina, catherineheatcliff, cat_princesshp, Cecimolli, ChibyRoby,  cleme_b, ecate_92, fede95, FioreDiMeruna, Fly_My World, Fra_STSF, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin,  ibelieveandyou, JLullaby, Jordan Jordan, Judee, katydragons, Lucinda Grey, lucymstuartbarnes, Marie_ , mewgiugiu, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_ , piumetta, Queen Susan 21, Revan93, Sandra1990, Shadowfax, Zouzoufan7, _joy, _Rippah_ 
 
Per le recensioni dello scorso capitolo: Christine Mcranney, Friends Forever, lucymstuartbarnes, LucyPevensie03, Queen_Leslie, Shadowfax,_joy,
 
Angolino delle Anticipazioni:
Dunque, come detto sopra, Rabadash e la Strega! Cosa si diranno e cosa combineranno insieme questi due? Sicuramente nulla di buono…
Alla compagnia di eroi si aggiunge Pozzanghera, proprio come nel 6 libro di Narnia. I nostri amici lasceranno le Paludi e attraverseranno la Brughiera di Ettins, si incontreranno con Cornelius che consegnerà loro le Sette Spade e……accadrà qualcosa a Susan, ma nulla di grave…

 
Note:
1- la descrizione delle Paludi è ovviamente presa dal libro “La Sedia d’Argento”, così come quella dei Paludroni. Ci ho aggiunto qualcosa di mio, ma non molto.
2- nuova song a inizio capitolo. I Westlife la fanno da padrone nelle mie storie: questa loro canzone s’intitola “I wanna grow hold with you” ed è meravigliosa!!! Ci farò un video appena posso ;)

 
Penso sia tutto. Come sempre, gli aggiornamenti di "Night&Day" e di "Fragment" li trovate alla mia pagina facebook. Per qualsiasi cosa mi trovate là.
Grazie mille a tutti quanti che continuate a seguirmi costanti!!! Vi adoro tantissimo!!!
Susan♥

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20: Attraverso Ettins ***


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20. Attraverso Ettins
 
Il tempo che passiamo lontani
farà diventare il nostro amore più forte…
 
 
 
Caspian e Pozzanghera lasciarono la riva dello stagno. Il Paludrone portava con sé un secchio colmo di anguille. Quando entrarono in casa le mostrarono agli altri, dopodiché, ognuno dei ragazzi si diede da fare per dare il suo contributo nel preparare la cena.
Il Re di Narnia dovette congedarsi di li a poco, poiché ormai il sole tramontava. Ombroso andò con lui.
Mentre aspettavano la ricomparsa di Susan, Pozzanghera mise un pentolone di rame a bollire sul fuoco e poi si occupò di dar da mangiare e da bere a Destriero. Il cavallo se ne stava tranquillo in fondo alla capanna, a gustare la sua razione con golosa soddisfazione.
Nel frattempo, Peter, Edmund e Emeth spellarono e pulirono le anguille, Lucy, Miriel e Shanna sfettarono le verdure da unire allo spezzatino, e Jill e Eustace apparecchiarono la tavola.
“Dovremo tenere da parte un po’ di cena per Sua Maestà il Re” disse Pozzanghera.
“Non credo gli piacerà lo spezzatino” commentò Edmund. “Forse preferirebbe delle anguille crude”
Shanna emise un verso di disgusto. “Il Re mangerà questa roba viscida?”
“Un lupo, Shanna, sarà un lupo!” le ricordò Eustace.
“Io penso” disse Lucy, “che durante la trasformazione, Caspian pensi, senta, odori, e mangi da animale. Non credete?”
“E’ vero” rispose Jill. “Sapete, quando ho conosciuto lui e Susan, ancora non sapevo che lei fosse il falco, ma ricordo che la mattina in cui abbiamo fatto colazione insieme, pescò un pece e se lo mangiò in un boccone.”
“Dici davvero?” chiese di nuovo Shanna, quasi incredula.
Jill annuì. “Anche Caspian farà così, vedrete: si divorerà quelle anguille”
“Allora…” fece Peter contandole, “quante ne devo tenere da parte?”
“Un paio dovrebbero essere sufficienti” rispose Emeth. “Sono enormi”
“E disgustosamente viscide” disse ancora Shanna.
“Non ti piace il pesce?” chiese Edmund, avvicinandosi al lavabo per sciacquarsi le mani.
La Stella lo raggiunse. “No, è che….”, lanciò un’occhiata alle anguille sul tavolo e storse il naso. “Hanno un aspetto inquietate”
“Ti assicuro che cambierai idea quando assaggerai lo spezzatino di Pozzanghera” disse una voce proveniente dalla soglia della capanna.
“Susan!” esclamò Lucy, correndole incontro per prima.
La Regina Dolce ebbe ragione sulle doti culinarie del Paludrone: la cena fu veramente ottima e piacque a tutti, a differenza delle pessimistiche previsioni di Pozzanghera. Inoltre, come previsto da Edmund, il lupo preferì quelle crude.
La notte precedente, Caspian era rimasto accanto a Susan per tutto il tempo; quella sera invece, dopo aver mangiato, stette con lei per pochi minuti, poi uscì, diretto verso la foresta.
“Sta già abituandosi a voi” disse la Regina Dolce, guardandolo allontanarsi. “Credo abbia capito chi siete e che non mi farete del male”
“Non ricordate nulla di quando siete trasformati?” chiese Lucy, mentre rientravano.
“Quasi niente” rispose Susan. “Se cerco di rammentare ciò che ho fatto oggi, o dove sono stata, la mia mente mi rimanda immagini come di un sogno. Sono sensazioni, più che altro”
Lucy prese la mano della sorella. “Susan, devo dirti una cosa”
La Dolce la guardò, aspettando che continuasse.
Lucy divenne di porpora. “Ho bisogno di un consiglio su una certa cosa”
Susan sorrise, intenerita.
“Sediamoci qui” disse, accomodandosi su una piccola panca vicino alla porta.
Lucy raccontò alla sorella di Emeth e della sua proposta riguardante una futura partenza per Calormen, di come lei non fosse certa di dargli una risposta affermativa, del loro battibecco a proposito della gelosia del soldato verso Caspian, e della dichiarazione d’amore. Omise l’accenno al matrimonio, per il momento.
Alla fine, Lucy tirò un grande sospiro, sentendosi alleggerita da un peso.
“Ha recuperato in fretta gli anni trascorsi, il nostro Emeth” commentò Susan, ridacchiando.
“Uffi, non prendermi in giro!”
“Non ti sto prendendo in giro, Lu, tutt’altro. Sono felicissima per te, anche se per come stanno le cose adesso, non ti consiglierei affatto di partire per il Deserto”
Lucy annuì. “Sì, è quello che pensavo anche io. Narnia e Calormen sono nemiche da troppo tempo per poter sperare in una qualche riappacificazione. Anche se dovessimo sconfiggere Rabadash e i suoi, il regno del Sud non accetterebbe mai di tendere la mano a Narnia”
“Purtroppo è vero” disse Susan, lo sguardo lontano. “Non saremo mai amici. Emeth è stata un’eccezione, come lo era Caspian per Telmar. Con la differenza che i telmarini, dopo la morte di Miraz, hanno accettato di vivere secondo le leggi di Aslan e ora sono i nostri primi alleati. Ma i calormeniani…”
Susan scosse il capo, alquanto scettica.
“Allora cosa…” fece Lucy, incerta, “cosa dovrei dire a Emeth?”
“Tu che vuoi fare?”
Le due sorelle si fissarono un istante.
“Non lo so” sospirò ancora la minore, abbassando lo sguardo. “Vorrei dirgli che andrò con lui, però…Calormen…la cosa non mi alletta. Ma non ho il coraggio di confessarglielo. Emeth ci rimarrà malissimo, è casa sua… Oh, Susan, consigliami! Tu che avresti fatto al mio posto?”
La Regina Dolce fece un piccolo sorriso. “Vuoi sapere cosa avrei fatto io se Caspian mi avesse chiesto di andare a Telmar? Sarei andata”
Lucy fece un’espressione stupita.
Susan e Caspian erano uniti da un amore così profondo, così assoluto…Anche lei sarebbe stata capace di lasciare tutto per Emeth? Narnia… la sua Narnia…
“Purtroppo, non sai cosa troverai a Calormen” continuò Susan. “Potresti trovarti in pericolo laggiù, ma devi essere tu a decidere, Lucy. Io ho fatto le mie scelte ed è giusto che anche tu faccia le tue. Se vuoi partire con Emeth, fallo, non sarò io a fermarti, anche se mi piange il cuore nell’immaginarti così lontana. Cionondimeno, non sei più una bambina. Ormai è il momento che anche tu viva il tuo amore in tutta libertà”
Lucy annuì e poi arrossì ancor più di prima. Stava per chiedere qualcosa della quale si vergognava moltissimo ma che voleva assolutamente sapere.
“Sue?”
“Dimmi”
“Io vorrei…ecco, volevo chiederti... qu-quando hai capito di amare davvero Caspian, quanto tempo hai aspettato prima di…”
“Oh!” fece la Regina Dolce, comprendendo la domanda inconclusa della sorella. “Bè,  io non…non ho aspettato”
Lucy spalancò un poco gli occhi azzurri. “Cioè, vuoi dire che…che…quando Caspian ti ha detto che ti amava, tu…e lui…insomma, avete…sul Veliero dell’Alba?”
“No. E’ stato subito dopo la sua incoronazione” confesso Susan, un poco imbarazzata. Non per sé stessa, bensì per Lucy. Era veramente strano parlare di certe cose con lei. L’aveva lasciata tredicenne e ritrovava una giovane fanciulla in fiore, bellissima, inesperta e innocente. Emeth era un bravo ragazzo e un carissimo amico, ma Lucy era pur sempre sua sorella.
“All’epoca, né io né Caspian sapevamo se ci saremmo mai rivisti. Era tutto così incerto per noi…per te e Emeth è diverso”
“Mm….forse sì” balbettò la Valorosa. “E…ti sei pentita? Avresti voluto aspettare il matrimonio?”
Susan scosse piano il capo. “No. Non ho rimpianti di nessun tipo con Caspian”. Susan sorrise a Lucy. “Non seguire il mio esempio, o ti ritroverai Peter alle costole ”
Lucy rise e la sorella con lei.
Infine, la Valorosa disse: “Ci sarebbe ancora una cosa…”
“Avanti”
“Emeth mi ha detto…lui ha… parlato di un ipotetico matrimonio”
Susan emise un’esclamazione di stupore e felicità, aprendo le labbra in vero sorriso.
“E’ meraviglioso!”
Lucy si agitò sulla panca, emozionata. “Non me l’ha proprio chiesto, ma… Oh, Susan, io ho sognato per tutta la vita di incontrare un ragazzo come lui, però la cosa mi spaventa! Credi sia sbagliato?”
Susan accarezzò i capelli della sorella, notando l’espressione turbata apparsa sul suo volto.
“Tesoro mio, è normalissimo che tu sia spaventata. Il matrimonio spaventa chiunque. E’ un passo enorme, un legame eterno”
“Lo so” disse Lucy. “Avevi un anno meno di me quando hai sposato Caspian, ci pensi?”
“Sì, è vero” rispose Susan con malinconia. Poi abbracciò la sorella, parlandole in modo molto serio.
“Tieni stretto questo amore, Lucy, non permettere a niente e a nessuno di portartelo via. Prenditi ogni attimo, ogni secondo e vivilo! L’amore è il sentimento più importante di tutti. Senza amore non c’è vita”
Nell’ascoltare Susan parlare in quel modo, Lucy sentì la commozione trasformarsi in lacrime e i suoi occhi s’inumidirono.
La Dolce si fece ancora più seria. “Prima ho detto di non avere rimpianti con Caspian…non è esatto, uno ce l’ho: lui ha sempre odiato sentirmelo dire, ma io non mi perdonerò mai per non aver lottato e per non essere rimasta con lui fin dall’inizio. Abbiamo perso del tempo ed è stata colpa mia. Non voglio che a te accada lo stesso. Non fare i miei stessi errori: resta con Emeth, lotta per lui, con tutte le tue forze e amalo, Lucy. Amalo con tutto il cuore, la mente e l’anima. Ne vale la pena, credimi, anche se dovrete affrontare mille difficoltà. Ne vale la pena”
Gli occhi di Lucy scintillarono. “Lo faccio già. Certe volte mi sembra di amarlo così tanto da…non so spiegarlo, è come se…”
“Lo amassi tanto da poter morire” concluse Susan. “Sì, so cosa vuoi dire”
La luminosità che era apparsa sul viso della Regina Dolce si spense all’improvviso.
Le due sorelle si abbracciarono ancora.
“Grazie” mormorò Lucy. “Avevo tanto bisogno di parlarne con te”
Susan le prese il viso tra le mani e la baciò sulle guance. “Ci sarò sempre per te”
“Verrai, vero Susan? Tu e Caspian partirete con noi per le Terre del Nord. Dimmi di sì, ti prego!”
Susan fece un mezzo sospiro senza guardarla. “Forse…”
 
Eccezion fatta per il lupo, la compagnia di Narnia sedette attorno al caminetto della capanna di Pozzanghera. Il freddo era sceso pungente, il cielo molto chiaro anche se era notte. C’era neve in arrivo.
“Brutto tempo per partire, sissignore” disse Pozzanghera con aria preoccupata. “Eh, l’ho detto al Re, quest’oggi: è possibile che nessuno di noi tornerà da questa missione”
“Uccello del malaugurio…” fece Eustace a bassa voce.
“Secondo voi, quanta strada dovremo percorrere?” chiese Jill, mentre osservava la cartina di Narnia.
“Prima di tutto” fece Peter, indicando ogni punto con il dito indice, “attraverseremo il fiume Lungocammino, che divide le Paludi dalla Brughiera, vedi? Poi andremo da Cornelius a prendere le Sette Spade. In seguito proseguiremo verso questa gola, che segna il confine tra Narnia e le Terre del Nord”
“La Brughiera di Ettins fa parte di Narnia?” domandò ancora Jill.
“Quand’eravamo Sovrani noi, no” continuò a spiegare Peter. “Nell’Età d’Oro era un territorio indipendente, ma dopo la Guerra della Liberazione divenne un feudo onorifico. Giusto, Susan?”
“Giustissimo. Ed ora, quando si parla dei confini del regno di Narnia, anche Ettins è compresa”.
Miriel sorrise. “Hai proprio la stoffa dell’insegnate, Peter”
Lui le si avvicinò e le pose un rapido bacio a fior di labbra. “Grazie”
Eustace fece finta di star male. Jill gli assestò un calcio sotto il tavolo, costringendolo a piegarsi in due dal dolore.
“Dovremo anche preoccuparci di chi incontreremo lungo la via” intervenne Ombroso.
“Parli degli uomini di Rabadash?” chiese Emeth, mentre lucidava la sua spada.
“Non proprio”
Il pipistrello si scambiò uno sguardo con il Paludrone.
“Chi dovremo incontrare, allora?”.
“Uhm…bè…” rispose Pozzanghera. “Non voglio parlar male degli abitanti della Brughiera, ma sapete, alcuni di loro sono un po’…come dire…insofferenti agli umani”
Tutti fecero un’espressione perplessa.
“I Giganti” disse poi Susan. “Le due razze non sono mai state in buoni rapporti, lo sapete anche voi: gli uomini li hanno perseguitati per troppo tempo”
“Avevi detto di non essere sicura che ce ne fossero ancora” le disse Peter.
“Non lo sono, infatti, ma non posso escluderlo”
“Ci sono, ci sono” confermò Pozzanghera. “Io li ho visti e sono selvaggi e bellicosi, molto più grossi di quelli che vivono a Narnia”
“Aspetta” disse Edmund. “Mi ricordo che Caspian, sul Veliero dell’Alba, ci disse di averli ricacciati al Nord e che erano entrati in pace con il regno”
“Sì, è esatto, e lo saranno fintantoché non entriamo nel loro territorio. Come ha detto la Regina Susan, le due razze non vanno d’accordo. I Giganti del Nord non sono come i Giganti Gentili che vivono sulla Collina dell’Uomo Morto”
Nessuno dei ragazzi sembrava particolarmente agitato nel sapere che avrebbero dovuto incontrare quelle creature. Jill, invece, era divenuta pallida come la morte.
D’accordo: il terzo segno parlava di trovare l’Antica Città dei Giganti, ma non i Giganti in carne e ossa…più carne che ossa, di sicuro...
“Non c’è un modo per aggirarli?” chiese la ragazza con voce tremante.
“Ho paura di no, damigella Jill” disse Pozzanghera.
“E se andassimo a parlarci?”
“Escluso: finiremo polpette prima di dire ‘salve’ ”
“Ma se sapessero che siamo in missione per conto di Aslan…”
Ci fu un momento di riflessione generale, e poi Peter disse:
“Provare non costa nulla, ma non affrettiamo le cose. Ci occuperemo dei Giganti una volta che arriveremo da loro. Prima di ogni altra cosa, pensiamo alle Sette Spade: ci serviranno e vorrei averle al più presto”
L’intera compagnia fu d’accordo: le Spade avevano la priorità al momento. Le prove successive le avrebbero affrontate strada facendo. Era inutile fare pronostici su ciò che non conoscevano.
Mentre si preparavano per andare a dormire Peter, Edmund e Lucy si avvicinarono a Susan, parlando a bassa voce.
Lei li fissò tutti e tre, leggendo nei loro occhi la supplica di non lasciarli.
“Venite qui” disse, abbracciandoli uno per uno. “Anche se non affronteremo insieme questo viaggio, sarete sempre nel mio cuore, lo sapete”
“Susan, io vengo insieme a voi” disse subito Edmund.
Lei scosse brevemente il capo. “Ombroso mi ha riferito della tua conversazione con Caspian, ma la mia risposta, come la sua, è no”
“Ma…”
“Non ci sarà alcun bisogno di discuterne ancora” intervenne Shanna avvicinandosi a loro. “Edmund, potrai rimanere insieme ai tuoi fratelli e, Susan, credo che voi e il Re sarete costretti a venie con noi in ogni caso”
 
 
Un’ora dopo l’alba erano già in piedi. Susan se n’era andata. Trovarono Caspian fuori dalla capanna, Ombroso e il falco al suo fianco, Destriero già sellato.
“Ancora qui, Maestà?” disse Pozzanghera.
Caspian si volse in direzione di Shanna. “Ombroso mi ha detto che hai qualcosa da dirmi”
La ragazza, timidamente, fece un passo avanti a tutti.
“Sì, Sire”
“Prima di tutto, Shanna, inizia a chiamarmi Caspian e basta, per favore. Mi sembrava di avertelo già detto tempo fa”
Lei batté gli occhi blu, sbalordita. “Oh…come volete”
“E senza il voi”
“Non credo di potere…”
“Certo che puoi”
“Va…va bene, allora…Caspian. Cielo, è così strano”
Lui le sorrise.
“Anch’io devo chiamarvi Caspian?” chiese Pozzanghera.
“Come preferisci”
“E io?” fece Ombroso.
Il Liberatore gli rivolse la solita occhiataccia. “Tu-no” scandì.
Ombroso si abbatté su di lui e gli schiaffeggiò la testa con le grandi ali.
Pozzanghera si accese la pipa e marciò in testa al gruppo. “Molto bene, signori, se volete seguirmi, possiamo partire”
Salutarono Molta, il Saggio e tutti gli altri Paludroni, i quali avevano preparato ognuno qualcosa di utile per il viaggio: chi provviste, chi mantelli più pesanti, chi coperte e un bel po’ di munizioni per balestre e archi. Pozzanghera portò il suo e regalò a Jill quello di riserva insieme a una faretra piena di frecce. Eustace prese invece una spada corta. Tutti gli altri avevano le loro personali armi.
Mentre lasciavano le Paludi, Shanna riferì a Caspian il motivo per il quale lui e Susan non potevano tornare a Cair Paravel.
“Si tratta delle Sette Spade” esordì la Stella Azzurra. “Esse sprigioneranno il loro vero potere solo se unite. Traggono la loro forza dal cuore del proprietario, e più voi siete in sintonia, più esse si potenziano. Per questo è necessario che rimaniate insieme, tutti e sette”
La Stella fece vagare lo sguardo sugli Amici di Narnia.
“Quando arriveremo nel luogo in cui sono custodite, dovrò ritemprare il loro potere, e ho bisogno che siate tutti presenti. Fa parte del mio compito di guida del cielo assicurarmi che restiate uniti, ora più che mai”
“E’ vero” disse Miriel accostandosi a Shanna. “Anch’io, come guida della terra, ho percepito la forza che permea l’atmosfera quando siete tutti insieme, anche a dispetto degli effetti della maledizione” La Driade lisciò una volta le ali del falco, posato sulla sella di Destriero. “Per riuscire in questa missione dovrete operare unitamente”
“Capisco” disse Caspian, conducendo il cavallo per le redini.
“I vostri talismani vi saranno molto utili nella ricerca dei principini, lo so” disse ancora Shanna.
Il Re la osservò attentamente.  “Non mi hai ancora detto dove si trovano, però. Cos’è tutto questo mistero?”
Shanna abbassò subito il capo, tradendosi.
Caspian si fermò di botto. “Va bene, cosa mi nascondete? Ragazzi?”
“Niente. Non nascondiamo niente” rispose Peter, tranquillo.
“Non mi state portando da Cornelius, vero?”
“No” rispose Miriel, forse troppo in fretta.
“Davvero?”
“Davvero” disse ancora Peter.
Il Liberatore, la Driade e il Magnifico si fronteggiarono per qualche istante.
Caspian fece un sospiro spazientito. “D’accordo...ma se scopro che mi state incastrando con la scusa delle Spade…”
Man mano che proseguivano verso nord, l’umidità e la nebbia scomparvero. Entrarono in un boschetto di cipressi, dai cui rami pendeva del muschio e radici nodose spuntavano dal terreno. Poi, gli alberi iniziarono a diminuire fino a scomparire quasi del tutto e il terreno cominciò a salire. La compagnia proseguì il suo cammino fino a che la nebbia non si diradò completamente e spuntò il pallido sole dell’autunno. La Palude venne sostituita dalla terra compatta, l’aria era piena del suono cristallino del fiume: il Lungocammino.
Cercarono un punto poco profondo e lo guadarono saltando di pietra in pietra poiché, proprio come aveva detto Pozzanghera, non c’erano ponti.
“E’ stato esattamente qui che Vostra Maestà mi ha salvato”
“Sì, è vero” disse Caspian voltandosi indietro.
“Eh, già. Per fortuna che questa volta il fiume non si è ancora gelato o, quasi sicuramente anche a voi, cari amici, sarebbe capitata la mia stessa sventura”
“Auguraci la migliore delle sorti, Pozzanghera, grazie” commentò sarcastico Eustace.
“Se la superficie si fosse congelata, sarebbe stato più facile attraversarlo” disse Emeth.
 “Peter” disse Lucy ad alta voce, per sovrastare lo scroscio dell’acqua, “ti ricordi quando io, te e Susan attraversammo il grande lago ghiacciato per sfuggire a Maugrim e ai suoi lupi?”
Il Re Supremo sorrise. “Certo che sì!”
“C’era un lago ghiacciato a Narnia?” chiese Jill, allargando le braccia per tenersi in equilibrio su un masso.
“Lucy sta parlando del nostro primo viaggio qui” spiegò Edmund, “quando a Narnia regnava la Strega Bianca e il mondo era sotto l’incantesimo dell’inverno. Il lago è quello che adesso si chiama Lago Arcobaleno”
“Ah, sì! L’ho letto nel libro di Eustace” fece Jill.
Caspian si fermò a guardare il cugino dei Pevensie. “Non ci credo! L’hai scritto davvero?” chiese sbalordito.
“Certo che l’ho scritto!” disse Eustace, senza celare l’orgoglio. “Se avessi saputo di ritornare, ne avrei portata una copia per te e per Susan”
Passarono il resto della mattinata a raccontare storie e ricordare avventure. Arrivati sull’altra sponda del Lungocammino, si fermarono a riposare.
A circa un chilometro dalla riva iniziava la Brughiera, con i suoi pendii e rocce scoscese. Desolata e immensa, si estendeva a perdita d’occhio. Sullo sfondo, le punte innevate dei Monti del Nord.
Proseguirono in mezzo alle eriche, alle ginestre e ai cespugli spogli di mirtillo blu e nero. Le foglie si ammucchiavano ai piedi degli alberi, crocchiando sotto i piedi quando le calpestavano.
Si fermarono a pranzare presso una macchia di betulle bianche, riprendendo in mano la cartina.
“Poco più in là c’è un ruscello, che termina dentro la gola” spiegò Pozzanghera, masticando un boccone. “I Giganti vivono lungo la gola, la usano come una specie di via per andare e venire dalle montagne. Dovremo tenerci alla larga da quella strada”.
“E come passiamo il confine di Narnia?” chiese Emeth.
“Attraversando il Ponte dei Giganti, quello là” Pozzanghera si votò e indicò con il lungo braccio una strisciolina nera all’orizzonte. “Non sono sicuro che riusciremo a passarlo incolumi, badate. Tuttavia, se lo faremo verso l’ora della siesta li troveremo tutti addormentati e, facendo più silenzio possibile, li sorpasseremo senza difficoltà”
“E quando sarebbe l’ora della siesta, per i Giganti?” chiese Jill.
“Verso le due del pomeriggio, di solito”
Purtroppo, quel giorno non fecero in tempo a raggiungere il Ponte. In ogni caso, prima dovevano fare una tappa intermedia.
Camminarono ancora per buona parte del pomeriggio, fermandosi di tanto in tanto a riposare. Jill accusò la stanchezza e Caspian la fece salire su Destriero, proseguendo così per un tratto. Eustace iniziò a prenderla in giro e a chiamarla pappa molla. Jill, approfittando della posizione favorevole, gli assestò un bel calcio.
D’un tratto, la tranquillità della Brughiera venne spezzata da un suono rimbombante.
I ragazzi alzarono gli occhi al cielo, pensando si trattasse di un temporale in arrivo. Successivamente, si resero conto che il suono proveniva dalle loro spalle.
E non erano i Giganti...
 
 

~·~
 

 
Rabadash si svegliò in un mattino quasi privo di luce diurna e la cosa lo allarmò non poco.
Inizialmente, pensò fosse ancora notte, poi si rese conto che erano le nove del mattino.
Per un fugace attimo, credette non fosse sorto il sole, come quella volta in mare, quando l’astro si era rifiutato di levarsi per permettere ai narniani di salvare il Re e la Regina imprigionati sull’Occhio di Falco.
In un secondo momento, un pensiero molto più angoscioso lo spinse a scattare in piedi ed aprire le tende con un gesto deciso.
Osservò il cielo nebbioso, guardò in basso verso i giardini, riuscendo a mala pena a scorgere le cime degli alberi.
Il sole c’era, pallido, coperto dalla foschia invernale, ma c’era.
Rabadash non era abituato a un certo tipo di clima. Nel Deserto di Calormen, il sole splendeva ogni giorno caldo e luminoso.
Il principe tirò un sospiro di sollievo, legandosi le vestaglia attorno alla vita.
Da quando aveva saputo che Caspian era ricomparso a Narnia, nutriva l’assillante dubbio che il Grande Leone fosse comparso al Re e avesse trovato il modo di disfarsi della maledizione.
Non aveva mai considerato questa possibilità, convinto che ormai niente avrebbe più potuto mettersi sul suo cammino: il sortilegio non solo gli aveva dato modo di disfarsi del Liberatore, ma anche di avere il trono di Narnia e, soprattutto, la prospettiva di salvare la stirpe di Calormen grazie al matrimonio con la principessa Myra.
Tuttavia, gli servivano delle rassicurazioni.
Se si fosse verificata un’altra eclissi di sole – vera, non indotta dalla magia – cosa sarebbe successo?
Doveva saperlo.
Perciò, quando si fu vestito ed ebbe fatto colazione con suo padre, Lord Erton e altri nobili, si alzò da tavola e annunciò la sua immediata partenza per la residenza della Signora dalla Veste Verde.
Da un po’ di tempo, a Narnia, girava voce che questa Signora fosse la promessa sposa di Rabadash e che un giorno sarebbe divenuta Regina di Narnia.
Il principe del Sud aveva sfatato tali voci, spiegando che la Signora era una benefattrice, e che sarebbe stata la graziosa figlia di lei a diventare sua moglie.
Mentre viaggiava sulla carrozza lungo le vie del Mondodisotto, Rabadash pensò alla principessa Myra, a come avrebbe reagito la bambina nel momento in cui Jadis li avrebbe presentati come fidanzati e futuri sposi.
La Strega, nelle sue rare visite a Cair Paravel (sempre in gran segreto e sempre di notte) assicurava che Myra reagiva molto meglio di suo fratello Rilian all’incantesimo della Sedia d’Argento, e Rabadash non doveva preoccuparsi di possibili ribellioni.
Rabadash non capiva nulla di magia e nemmeno gl’interessava. Tuttavia, dato che si trattava della sua futura consorte, avrebbe voluto capirci qualcosa di più. Tutto ciò che sapeva era che la Sedia d’Argento aveva cancellato la memoria dei gemelli.
La carrozza scese sempre più tra le viscere della terra, fino ad arrivare a un fiume sotterraneo. Là, simili a traghettatori della morte, aspettavano strane creature dalla pelle giallastra.
Rabadash scese dalla carrozza e disse ai suoi uomini di attendere sulla riva: sarebbe stato di ritorno entro un paio d’ore. Dopodiché, salì su una lunga barca e si fece trasportare dal silenzioso traghettatore verso il Regno delle Tenebre.
“Quale sorpresa, Altezza Reale” lo accolse la Signora dalla Veste Verde, porgendo la mano per farsela baciare.
Rabadash non si perse in convenevoli e venne subito al dunque.
Jadis ascoltò con attenzione i dubbi del principe riguardo all’eclissi, e non si scompose minimamente quando seppe che Caspian e Susan erano di nuovo a Narnia.
“Sono qui per i bambini e per voi: rivogliono loro e vi vogliono morto” disse la Strega.
“Avete visto il futuro con la vostra magia? Sapete già cosa succederà?” chiese Rabadash, notando la sicurezza con cui aveva parlato.
Jadis fece una breve risata. “Non posseggo il potere della preveggenza. Nessuno lo possiede eccetto Aslan. No, principe, sto solamente illustrandovi ciò che la vostra mente superstiziosa e ottusa non vede: è chiaro che il Liberatore e la Dolce sono tornati per riavere ciò che avete loro sottratto. Cosa c’è di tanto sorprendete? Pensavate veramente di non rivederli più?”
Rabadash fece un’espressione offesa. “Ma voi mi assicurate che non c’è modo per far cessare la maledizione? Non mi avete risposto: se si verificasse un’altra eclissi?”
La Strega si fece molto seria.  “Se dovesse verificarsi un’eclissi – e non accadrà perché io non lo permetterò – la maledizione si spezzerebbe”
Rabadash se l’aspettava, dopotutto, ma rimase ugualmente spazzato da quella risposta, quanto dalla straordinaria tranquillità con cui lei lo aveva detto.
“Mettiamo però il caso che accadesse: cosa si potrebbe fare?”
“Nulla. Non si può ripetere il sortilegio, sappiatelo”
Rabadash la osservò con cipiglio. “Sembra non importarvene, signora”
“Infatti” rispose Jadis. “Siete stato voi a chiedermi di maledirli, io non ho mai voluto questo. Se il maleficio si spezzasse, per me non cambierebbe nulla: io ho i bambini e questo mi basta. Quei marmocchi sono la chiave per la mia vittoria, e anche per la vostra. Non preoccupatevi dei Sovrani”
Jadis si avvicinò a una delle grandi finestre della stanza in cui si trovavano, facendo cenno a Rabadash di avvicinarsi.
“Occupiamoci di cose più piacevoli, Altezza. Venite a vedere”
Il principe si avvicinò, scrutando verso il parco con le sopracciglia nere aggrottate, lo sguardo cupo. Poi vide una figuretta in abito azzurro correre sul prato, i capelli castani danzarle intorno al visetto roseo.
Gli occhi neri di lui si accesero. “Ah, ma è la principessa Myra!”
“Somiglia sempre di più a sua madre” sogghignò la Strega. “E’ una bimba obbediente e mi vuole bene come fossi la Regina Susan. E’ così ingenua…”
Rabadash parve compiacersene. “Ingenua e innocente come lo era sua madre. Ma ditemi: la principessa sa che mi incontrerà alla Festa d’Autunno?”
Jadis si portò una mano alla bocca e rise di nuovo. “Non ancora. E’ molto emozionata per la Festa, ma non sa cosa accadrà quella sera. Le ho detto che per lei e suo fratello ci sarà una fantastica sorpresa”
Rabadash sbirciò di nuovo dalla finestra. Accanto a Myra era apparso un bambino dai capelli neri. Alla sua vista, il principe del Sud provò immediatamente un moto d’odio.
“Non ho alcun piacere d’incontrare anche il principe Rilian”
“Si riterrà necessario, Altezza. Se vorrete piacere a Myra, dovrete mostrare affetto anche per suo fratello gemello: i due bambini sono molto attaccati e sarà quanto mai difficoltoso dividerli quando verrà il momento”
Rabadash non fiatò, continuando a fissare i due bambini nel giardino.
Rilian somigliava troppo a suo padre, forse anche nel carattere. Aveva idea che sarebbe stato odio a prima vista, esattamente come era stato con Caspian.
“A Myra piacerete, non temete” lo rassicurò Jadis in tono mellifluo. “O meglio, io farò in modo che sia così. La sto preparando ad essere una donna e una sposa arrendevole e obbediente”
“Bene, bene”. Rabadash annui soddisfatto, portandosi le mani dietro la schiena. “Signora, credo che dobbiate sapere un’altra cosa”
Jadis fissò per un istante il profilo del principe del Sud. “Parlate”
“Lord Ravenlock ha detto che c’era una ragazza insieme a Re Caspian. Una ragazza dell’Altro Mondo”
Gli occhi di ghiaccio di Jadis divennero due pozzi di oscurità. “I Pevensie?”
“Questo non lo so...non credo. Non era la Regina Lucy”
“Ancora peggio!” si animò la Strega. “Vuol dire che Aslan ha trovato nuovi alleati, o forse…”
Jadis prese a girare per la stanza, irrequieta. Rabadash la osservava incuriosito: a cosa pensava per essere così agitata?
Un attimo dopo, ebbe la risposta.
Jadis si fermò, il timore dipinto sul volto. “Potrebbe essere che la settima Amica di Narnia sia giunta in questo mondo”
Rabadash l’aveva già sentita nominare molte volte gli Amici di Narnia, ma non gli era mai importato saperne di più.
Jadis gli si avvicinò e in quel momento parve ancora più alta e minacciosa.
“Altezza Reale, ora che me l’avete detto, sento che è accaduto qualcosa nel Mondodisopra. Molto probabilmente, i Pevensie sono già qui e hanno portato con loro l’ultimo dei prescelti di Aslan”
Come sempre, Rabadash rabbrividì a quel nome. “E voi non avete avvertito la presenza dei Re e delle Regine di Narnia?”
“Purtroppo no”. Jadis strinse la gonna della sua sontuosa veste tra le mani, in un gesto di collera “Deve esserci lo zampino di Aslan, o me ne sarei accorta subito…In ogni caso, è necessario cambiare un poco i nostri piani, principe”
“Vi ascolto”
“Annunceremo il vostro fidanzamento con Myra durante la Festa d’Autunno”
“Mi stupite, Signora: credevo voleste attendere ancora qualche anno, dato che la principessa è così piccola”
“Sì, è piccola, ma il vostro fidanzamento deve essere annunciato il prima possibile”
“Intendete darmi in sposa una bambina?!” chiese Rabadash, incredulo.
“Quanto prima! Myra entrerà in età marito solo tra sei anni, ma alla luce di quanto mi avete riferito, non possiamo aspettare oltre. Se metteremo Aslan e tutta Narnia di fronte a un contratto matrimoniale, nessuno potrà far nulla. Non hanno forse agito similmente il Re Caspian e la Regina Susan sposandosi di nascosto?”
“Cosa?”
“Voi non sapete, Rabadash, ma io sì. So com’è andata tra loro, e andrà così per loro figlia”
“Ma…”
Jadis fece un gesto nervoso. “Silenzio e ascoltatemi attentamente! Ecco cosa faremo: voi e Myra vi fidanzerete da qui a due settimane. In primavera celebreremo le nozze a Cair Paravel. Ovviamente, la principessa non abiterà con voi, né a Narnia né a Calormen. La terrò quaggiù con me ancora per qualche tempo, almeno fino a che non sarà lei a dirimi che vuole venire da voi”
Rabadash non capì.
Jadis piegò le labbra in un sorriso. “Voi, principe, verrete a farle spesso visita, la conoscerete e vi farete amare da lei. Nel frattempo, ci occuperemo dei Sette Amici di Narnia, i quali mi auguro di annientare il più presto possibile”
 
 
 
~·~
 

 
Lord Ravenlock stava in sella al suo cavallo, osservando la landa davanti a sé, attendendo che il suo uomo tornasse con una conferma.
Il sodato arrivò di lì a poco.
“Signore, Caspian e i Pevensie stanno attraversando la Brughiera. Sono troppo esposti, non possono sfuggirci”
“Molto bene, andiamo!”
Ravenlock alzò il braccio e i cavalli alle sue spalle scalpitarono, incitati dai loro padroni. Partirono al galoppo, discendendo il pendio a tutta velocità.
Laggiù, in mezzo alla steppa, il gruppo di Narnia riconobbe il rombo degli zoccoli di un numeroso gruppo di cavalli in corsa. I soldati di Lord Ravenlock spuntarono dagli alberi della foresta, le armature splendenti, le vesti scarlatte che risaltavano contro i colori pastello della landa.
“Correte!” esclamò subito Caspian, liberando il falco e lasciandola volare via. “Ombroso, occupati di lei, proteggila!”
“Certamente, mio signore!”
I ragazzi si diressero verso alcuni grandi massi, appena in tempo per schivare le prime frecce nemiche.
Attesero qualche istante, poi Caspian estrasse Rhasador. Subito, Peter lo imitò sfoderando Rhindon ed Emeth la sua scimitarra. Entrambe si portandosi alla destra del Liberatore. Lo stesso fecero Edmund e Eustace, mettendosi alla sua sinistra.
I cinque si schierarono davanti alle ragazze e a Pozzanghera.
“Non colpite gli animali” disse Caspian.
Un attimo dopo, Shanna sprigionò dalle mani una luce accecante. I cavalli nitrirono e si impennarono, disarcionando numerosi cavalieri.
“Ecco che si comincia” disse il Paludrone, caricando il suo arco e abbattendo il primo nemico.
“Prendi la mia balestra, Lucy!” esclamò Caspian.
La Valorosa eseguì, mentre i ragazzi iniziavano a lottare contro i soldati che erano caduti a terra.
Jill tentava disperatamente di fare lo stesso con il suo arco, ma le mani le tremavano.
“Dallo a me” le disse allora Miriel.
Jill osservò la Driade prendere la mira colpire il soldato più vicino. Si sentì inutile: tutti stavano facendo qualcosa tranne lei. Persino il falco era tornato insieme ad Ombroso, e ora si abbatteva sui nemici, puntando a loro occhi, ferendoli con gli artigli.
“Ombroso, ti ho detto di portarla via!” gridò Caspian, quando si accorse della presenza di Susan.
“Mi dispiace, Maestà, ma è tornata indietro all’improvviso, e io…”
Ombroso planò a terra in malo modo, un’ala trapassata da una freccia.
Jill scattò verso di lui, lo prese in braccio e lo portò al riparo delle rocce. Lucy le passò il suo cordiale, ma proprio quando Ombroso stava per berlo…una roccia si mosse.
Jill e il pipistrello si ritrovarono a fissare la pupilla nera di un occhio gigantesco.
I sassi dietro i quali si erano nascosti non erano affatto sassi, bensì un Gigante addormentato in mezzo alla Brughiera.
Ombroso, ingoiando il liquido, quasi si strozzò per lo spavento.
Troppo terrorizzata per urlare, Jill si limitò a spalancare la bocca e fissare l’enorme creatura stiracchiarsi e mettersi a sedere.
Vi fu uno strano suono che si rivelò uno sbadiglio, e poi il Gigante disse: “Che fracasso. Cosa sta succedendo?”
“Pozzanghera!!!” urlò allora Jill. “Non avevi detto che i Giganti dormono dentro la gola alle due del pomeriggio??? Che ci fa questo qui???”
“Ho detto ‘di solito’ non ‘certamente’. Non puoi prendere per buono tutto quello che dico, ragazza mia” si giustificò il Paludrone.
Alla vista della creatura, gli uomini di Ravenlock iniziarono ad indietreggiare.
“Cos’è?” fece il Gigante, chinandosi verso terra. “Insetti? Che orrore! Mi state dando fastidio. Lo dirò alla mia mamma”
Il Gigante (effettivamente ‘piccolo’ per la sua specie) iniziò a piangere di colpo.
Il suono fu assordante e la terra vibrò. Amici e nemici si tapparono le orecchie.
“Oh, poverino!”
“Ma quale poverino Lu! Vieni via!” esclamò Edmund, prendendola per un braccio.
Infatti, la creatura si era alzata in piedi e ora cercava di afferrare i soldati.
Quelli fuggirono a gambe levate, ma Lord Ravenlock, furibondo e per niente intenzionato a farsi scappare un’altra volta Caspian, afferrò la balestra, mirando alla schiena del Re.
Se non fosse stato per il falco, Caspian sarebbe stato colpito.
Il grido di dolore dell’animale si levò al di sopra del pianto del Gigante.
“Susan, no!!!” fu l’urlo disperato di Caspian quando la vide cadere al suolo, trafitta dalla freccia di Ravenlock.
Quest’ultimo, comunque soddisfatto, girò il cavallo e raggiunse i suoi uomini.
“Avete colpito il falco” disse uno dei soldati. “Se il principe Rabadash venisse a saperlo…”
“Non lo saprà!” tuonò Ravenlock. “Che nessuno di voi si azzardi a dirglielo”
Ed ora, i nemici erano fuggiti, il Gigante aveva smesso di piangere. Il silenzio era piombato sulla Brughiera.
Caspian si gettò in ginocchio sul terreno, accanto al falco.
Ella aprì il becco ed emise un verso strozzato, la freccia ancora nel petto.
“Buona, piccola” le disse il Re in un dolce sussurro. “Tranquilla, andrà tutto bene”
La sollevò con estrema cautela, voltandosi indietro verso gli altri, verso il Gigante.
“Lascia, faccio io” disse Lucy, stappando la boccetta di diamante.
“No, Lu. Non funzionerà, stavolta”
“Impossibile” fece Emeth. “Il cordiale di Lucy ha sempre funzionato”
Caspian scosse il capo. “La maledizione annulla gli effetti del Fiore del Fuoco. Non chiedermi come faccio a saperlo, lo so e basta. Prendila, adesso” disse poi, allungando il falco verso la ragazza.
La Valorosa, confusa, si ritrovò a stringere l’animale ferito.
Caspian si alzò da terra, osservando ora il cielo, ora gli amici.
“Tra poco sarà il tramonto, io mi trasformerò, non posso occuparmi di lei. Miriel, tu sai cosa devi fare”
“Sì…sì, la porterò da Cornelius”
Caspian si limitò a un breve cenno, porgendole le redini di Destriero.
Miriel si scambiò uno sguardo con Peter, il quale annuì.
Allora, la Driade saltò sulla sella. “Lucy, vieni. Noi precederemo gli altri, non abbiamo un minuto da perdere”
La Valorosa si issò dietro di lei, stando attenta a non muovere troppo il falco.
Poi, Destriero partì al galoppo.
Gli altri, Gigante compreso, continuavano a guardare il Re, ansiosi, immobili.
“Muovetevi! Non preoccupatevi per me!” esclamò Caspian. “Seguitele, io vi raggiungerò”
“Io posso aiutare? Io?” chiese il Gigante, titubante, allungando le mani. “Venite. Se salite, vi porto io fino a dove dovete andare. Farete prima che a piedi”
Peter alzò la testa per guardare la creatura in viso. “Lo faresti sul serio?”
Il Gigante annuì.
“Ehi, aspettate” fece Edmund, agitato. “Non voglio salire sul bestione, no...No!” gridò, quando il Gigante lo afferrò per la casacca e lo posò nel palmo della propria mano. Lo stesso fece con Peter, Emeth, Shanna e Ombroso, il quale, anche se la ferita all’ala era guarita, ancora non ricuciva a volare dritto.
Pozzanghera, Eustace e Jill, invece, rimasero indietro.
“Se permettete, noi resteremmo con Vostra Maestà” disse il Paludrone. “Se mai i soldati dovessero tornare indietro…”
“Sarò in grado di difendermi” disse subito Caspian.
“Ne sono scuro, Sire, ma potrebbero servirvi dei rinforzi”
Uomo e Paludrone si fissarono senza parlare nella luce del tramonto.
“Non guarderemo mentre ti trasformi” fece Eustace, “se è questa la cosa che ti preoccupa di più. Ma Pozzanghera ha ragione”
Il Liberatore non aveva voglia di discutere oltre, e così accettò.
Il Gigante partì di corsa: lo guardarono allontanarsi nell’oscurità crescente della sera.
Pozzanghera e i due ragazzi si spostarono verso una folta macchia di cespugli di mirtilli, all’erta, le armi pronte.
Caspian si allontanò da solo, lentamente, sperando con tutto il cure che Miriel e Lucy facessero in tempo e arrivassero da Cornelius il prima possibile.
Aveva tanto fatto per non incontrarlo ed ora gli chiedeva aiuto. Che ironia della sorte…
Ma Cornelius era l’unico che poteva curare Susan.
Non doveva nemmeno pensare alla possibilità che lei potesse non farcela.
Se l’avesse persa…
Lui era niente senza di lei.
Caspian si gettò in ginocchio sul terreno, le ombre che si allungavano sempre più. Pregò per la salvezza di Susan, finché la trasformazione non sopraggiunse.
L’ululato del lupo si levò nell’aria fredda. Un verso disperato, sofferente, diverso dal solito.
Pozzanghera si alzò, spazzolandosi i calzoni. “Andiamo, ragazzi. Il Re ci sta chiamando”
 
 
Il monastero era un ammasso di mura diroccate, eretto sopra un picco spoglio e desolato.
Miriel tirò le redini con forza e chiamò a gran voce il nome di Cornelius. Lucy, dietro di lei, sentiva sotto le mani il corpo del falco tremare, il respiro irregolare.
Dopo un tempo che parve eterno, un lumino si accese lassù tra le merlature, una voce riecheggiò nella sera.
“Chi è là?” chiese. “Andatevene! Non c’è nulla qui per voi, briganti! Sono solo un povero vecchio”
“Dottor Cornelius!” esclamò la Driade, scendendo da cavallo.
“Chi sei? Conosci il mio nome?”
“Sì, sono Miriel! Ci apra il portone, la prego!”
La luce della torcia tremolò “Sei davvero Miriel? Chi c’è con te?”
“Sono davvero, io, vi prego credetemi! Sono con la Regina Lucy! Ci ha mandati Re Caspian: il falco, professore! E’ stato ferito!”
“Per Aslan!” esclamò il dottor Cornelius. “Presto, presto! Entrate!”
Con estrema lentezza, Lucy scese da Destriero e seguì Miriel verso il portone principale.
Pochi istanti dopo, ecco il rumore del chiavistello e poi Cornelius comparve davanti a loro.
Era lo stesso di sempre, anche se le rughe del viso parevano più profonde. C’era qualcosa di diverso in lui, constatò Lucy, come del resto c’era in tutte le persone e creature che aveva incontrato al suo ritorno. Era quasi come se la maledizione che aveva colpito Caspian e Susan si fosse estesa a tutti gli abitanti di Narnia.
“Non credo ai miei occhi!” furono le prime del professore. “Cara Miriel, Regina Lucy, siete proprio voi!”
“Potete aiutarla, vero?” chiese la Valorosa, mostrandogli il falco
Cornelius osservò con angoscia la ferita dell’animale. Quando provò ad avvicinare una mano, l’uccello lo beccò con forza.
“Le rimostranze a dopo, mia Dolce Regina. Presto, Miriel, dammi il tuo mantello, bisogna tenerla al caldo. Entrate e salite al primo piano, veloci!”
Lucy passò il falco a Cornelius e afferrò le redini di Destriero, conducendolo attraverso il portone. Miriel lo richiuse con il chiavistello.
“Gli altri Sovrani, Emeth e Shanna saranno qui molto presto” avvertì la Driade.
Lui l’ascoltava a metà.
“Va bene, va bene. Lucy, starete voi di guardia, e aprirete ai vostri compagni quando giungeranno. Io dovrò occuparmi di cercare le giuste erbe per la medicina. Miriel, tu accendi il fuco e veglia il falco. Dovremo aspettare la luna per operare”
“Operare?” fece Lucy, spaventata all’idea.
“Sì, mia cara” le disse Cornelius. “Purtroppo, il vostro cordiale non funzionerà”
“Lo so, Caspian me l’ha detto. Perché? E’ davvero così forte questa maledizione?”
“Più di quanto possiamo immaginare. Solo Aslan può fare qualcosa”
Il professore stava per aggiungere altro, ma si trattenne. Non era il momento.
Si mise il mantello sulle spalle e si precipitò fuori dal monastero, lasciando le due ragazze in preda alla preoccupazione.

 
 
 


 
Salve a tutti cari lettori!!!
Che ci crediate o no, ieri non ho potuto pubblicare perché non sono riuscita a connettermi a internet…sono tutti contro di meeeeeeeee!!!!! XD
Anyway, ci siamo! Ecco il capitolo 20!!! Vi ho lasciato col fiato sospeso, dite la verità? Ma non temete, come ho detto nelle anticipazioni della scorsa volta, alla nostra Sue non capiterà nulla.
Volevo inserire il pezzo delle Spade ma non mi ci è stato. Per la Shandmund dovrete aspettare il capitolo 21 ;)

 
Passiamo ai ringraziamenti:

Per le preferite: Aesther, aleboh, Araba Shirel Stark, battle wound, Christine Mcranney, english_dancer, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, Friends Forever, G4693, HikariMoon, Jordan Jordan, lucymstuartbarnes, LucyPevensie03, lullabi2000, Mia Morgenstern, Mutny_BrokenDreams, piumetta, Queen Susan 21, Robyn98, Shadowfax, Starlight, SuperStreghetta, Svea, SweetSmile, TheWomanInRed, vio_everdeen, Zouzoufan7,_joy
 

Per le ricordate: Araba Shirel Stark, Cecimolli, Halfblood_Slytherin, mishy, Queen_Leslie, Starlight13, Zouzoufan7
 
Per le seguite:  ale146, Araba Shirel Stark, bulmettina, catherineheatcliff, cat_princesshp, Cecimolli, ChibyRoby,  cleme_b, ecate_92, fede95, FioreDiMeruna, Fly_My World, Fra_STSF, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin,  ibelieveandyou, jesuisstupide, JLullaby, Jordan Jordan, Judee, katydragons, Lucinda Grey, lucymstuartbarnes, Marie_ , mewgiugiu, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_ , piumetta, Queen Susan 21, Revan93, Sandra1990, Shadowfax, vio_everdeen, Zouzoufan7, _joy, _Rippah_ 
 
Per le recensioni dello scorso capitolo:  Christine Mcranney, FioreDiMeruna, , lucymstuartbarnes, piumetta, Queen_Leslie, Shadowfax, vio_everdeen, _joy
 
Angolino delle Anticipazioni:
Allora: prossima volta, Shanna avrà un grande compito: ritemprare il potere delle Spade. Impresa alquanto faticosa, e indovinate chi le starà vicino? Ma il suo Ed, ovviamente! ;) Bacio o non bacio per i due piccioncini??? Vedremo…
Per il resto, il nuovo capitolo è ancora una pagina bianca! Vi dico solo che Cornelius parlerà sia con Susan che con Caspian, ma non ho ancora deciso se si chiariranno o meno.
E il Gigante? No, non si unirà alla compagnia, tornerà nella Brughiera.

  
AVVISO!!! Sto disegnando la mappa di tutto, ma proprio tutto il mondo di Narnia! Se riesco, la prossima volta la inserisco a fine capitolo, così potrete seguire gli spostamenti dei nostri eroi!
 
Come sempre, passate alla mia pagina facebookper gli aggiornamenti di “Night&Day” e “Fragment”
Al prossimo weekend!!! Grazie mille a tutti, e scusate ancora se non ho postato sabato come previsto…
Un bacio enorme,
Susan♥

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Capitolo 21
*** Capitolo 21: Sempre insieme, eternamente divisi ***


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IN FONDO AL CAPITOLO TROVATE LA MAPPA DI NARNIA


21. Sempre insieme, eternamente divisi
 
…ma la lontananza fa male
e non posso resistere ancora a lungo…
 
 
 
La sua mente vagava confusa tra un sogno ed un ricordo.
Il fuoco…
Crepitava tutt’intorno. Scoppiettava e sibilava lambendo le mura della casa di Tartufello, le grida degli animali che vivevano nelle tane vicine le riempivano le orecchie.
Il fuoco brillava tra i rami degli alberi di Prato Ballerino, riducendolo un cumolo di cenere in poche ore. Le fiamme erano simili a spaventose creature dalle facce di demoni, pronte a distruggere, a bruciare il bosco e tutto quanto c’era di vivente.
In pochi si erano salvati.
E poi, quando il fumo si era innalzato in fosche volute dalle macerie, un attimo prima dell’alba, prima di trasformarsi, Susan aveva assistito alla desolazione, alla disperazione, alla morte.
Prato Ballerino, il cui nome derivava dalla particolarità del movimento dei suoi alberi e fiori, i quali al minimo alito di vento si animavano proprio come se danzassero, il luogo più allegro di tutta Narnia…era senza vita.
Se solo avesse potuto spegnere l’incendio, salvare tutti…
Il fuoco…
Il fuoco bruciava ancora.
Le fiamme lambivano il suo petto, la spalla e il braccio destro. Percepiva il proprio respiro affannato.
Poi, qualcosa di fresco si posò sulla sua fronte. Acqua, senza dubbio.
Allora, Susan tirò un sospiro di sollievo. Il bruciore persisteva ma lei si sentì un poco più forte. Qualcosa accadde in lei, cambiò, e le fece capire di potergli resiste meglio di qualche minuto prima.
Si destò dal sogno e aprì piano gli occhi, riconoscendo immediatamente il volto di Lucy e quello di Miriel. Era sdraiata in un giaciglio improvvisato, fatto di paglia e coperte consunte. Non riconobbe il luogo dove si trovava, anche se poteva immaginarlo.
“Susan, come ti senti? Ti fa molto male?” chiese Lucy, agitatissima. “Fortuna che ti sei trasformata. Se fossi rimasta un falco ancora per molto…”
Susan le fece un debole sorriso, per tentare di rassicurarla.
“Sto bene” mentì, la voce un sussurro.
Miriel le tolse la pezza dalla fronte e si voltò per chiamare qualcuno.
“Dottor Cornelius, è sveglia”
Susan udì il basso cigolio della porta, dalla quale apparve proprio lui: Cornelius.
La Regina e il professore incrociarono i loro sguardi, solo per un attimo, poiché lui lo distolse quasi subito.
L’ometto le si avvicinò, reggendo tra le mani una bacinella di terracotta dalla quale emergeva un odore molto forte.
“Ora uscite, ragazze” disse il professore a Miriel e Lucy.
La Valorosa sembrò non volersi muovere, terrorizzata all’idea che capitasse qualcosa a Susan.
“Vieni, Lucy” mormorò Miriel, sospingendo dolcemente la Valorosa fuori della stanza. “Gli altri saranno qui a breve”
Lucy si voltò verso la sorella. “Sue…”
“Ti voglio bene, Lucy”
“Oh, anch’io, tanto!”
Lucy tornò da lei e si chinò ad abbracciarla, con delicatezza.  La Dolce cercò di ricambiare con il braccio che non le faceva male.
“Su, andate, per favore” ripeté Cornelius.  
Comprendeva quanto la Regina Valorosa fosse in ansia per la salute della sorella maggiore, ma era meglio che la Regina Susan rimanesse il più possibile tranquilla. Con famigliari o amici intorno, c’era il rischio che si agitasse.
Quando scese la quiete, il solo crepitio del fuoco come unico rumore di sottofondo, Cornelius iniziò a spalmare uno strano unguento intorno alla freccia ancora nel petto della giovane.
“Sentirete bruciare, ma sarà solo all’inizio. Questo preparato anestetizzerà la zona lesa, così potrò estrarre la freccia”
Susan annuì impercettibilmente, percependo quasi subito un vago alleviamento del dolore.
“Non posso assicurarvi al cento per cento che funzionerà” balbettò il professore, “probabilmente sentirete ugualmente dolore, ma se non altro si eviterà un’infezione”
La Regina fissò di nuovo lo sguardo in quello di Cornelius.
“Non cercate di farvi perdonare”
Cornelius posò da parte la bacinella e si pulì le mani con uno strofinaccio.
“Sto facendo ciò che il Re mi ha chiesto”
“Non ve l’ha chiesto” ribatté Susan con voce più dura del solito. “Caspian mi ha mandato qui solo perché siete l’unico in grado di curarmi. Se il cordiale di Lucy avesse funzionato, state certo che non saremmo mai venuti”
Cornelius abbassò il capo, avvilito. “Un tempo non mi avreste parlato così, bambina”
“Un tempo tutto era diverso, dottore”  commentò Susan aspramente. “Un tempo mi fidavo di voi e vi stimavo”
“Vorrei che tornaste a farlo”
“Non mi è possibile”
Il vecchio uomo divenne una statua di pietra ai piedi del giaciglio nel quale era stesa Susan.
“Sono cambiate molte cose in due anni, Maestà”
Lei fece un mezzo sorriso sardonico. “Sul serio? Io non ho percepito cambiamenti”
“Se la mia signora volesse un momento ascoltarmi…”
“Non ho nessuna intenzione di... Ah!”
Susan fece un brusco movimento e la ferita mandò una fitta improvvisa.
“Non agitatevi” disse il professore. “Ecco, bevete un po’ d’acqua”
Cornelius prese la brocca e un bicchiere sbeccato da un tavolo lì vicino. Tornò da lei ma Susan rifiutò.
“Sto bene” disse lei, voltando il capo dalla parte opposta. “Toglietemi questa dannata freccia. Prima lo farete, prima guarirò e potrò andarmene da qui”
“La mia Regina dovrà riposare a lungo prima di lasciare questa stanza, e dovrà anche prendere la medicina che le somministrerò”
“Non lo voglio il vostro aiuto. Non più del necessario”
Cornelius alzò un poco la voce. “Re Caspian aveva proprio ragione nell’affermare che siete la donna più cocciuta del mondo. Ad ogni modo, giacché siete qui e avete accettato le mie cure, significa che un aiuto lo volete, poiché sapete anche voi che rischiate un’infezione molto seria. Comunque, se non farete ciò che vi dico, mi costringerete a richiudervi qui dentro a doppia mandata finché non sarete ristabilita”
Con uno scatto del capo e un’occhiata torva, Susan si rivoltò per ribattere. Ma prima che potesse farlo, la ferita mandò un’altra fitta, sebbene più debole di prima.
“L’unguento non vi da sollievo, Maestà?”
Lei fece una smorfia. “La spalla e il braccio mi si sono addormentati, ma il petto mi fa male”
Cornelius le posò una mano sulla fronte. “Avrei voluto attendere ancora, ma se vi sale la febbre sarà peggio”
“Fate ciò che dovete”
Cornelius si torse le mani, poi le allungò verso la freccia. “Sentirete ugualmente dolore”
Susan lo guardò, gli occhi celesti che brillavano di timore e determinazione. Non disse nulla, facendogli capire che avrebbe sopportato.
Il dolore fisico era un attimo. Se fosse stata a riposo come il professore aveva raccomandato, sarebbe guarita e si sarebbe presto dimenticata di quel tipo di dolore.
Nulla poteva fare più male del non avere Caspian accanto a lei ogni giorno.
Nulla poteva fare male come il non poter più abbracciare i suoi bambini.
Il grido di acuta sofferenza durò giusto l’istante in cui Cornelius estrasse la freccia dal suo corpo con un gesto deciso.
Il professore ricoprì subito tamponando la ferita di altro unguento, spalmandolo sulla carne viva.
E il dolore cessò
Era stato un momento.
Un momento prima che perdesse conoscenza, esausta.
 
 
Jill, Eustace e Pozzanghera non sapevano dove sorgeva il vecchio monastero in cui era andato in esilio il dottor Cornelius. Si tenevano un metro circa dietro al lupo, confidando nel suo istinto e nel suo fiuto, i quali li avrebbero condotti tutti e quattro a destinazione.
Lo splendido animale era un’ombra tra le ombre, riflessi corvini balenavano sul suo manto alla luce della luna nuova.
Osservandolo, Jill non poté fare a meno di pensare che le parole che aveva sentito pronunciare più volte dai Pevensie, erano vere: quando si è Re o Regina di Narnia, si è sempre Re o Regina.
Ebbene, Aslan aveva rivolto questa frase ai i quattro fratelli, ma valeva anche per Caspian.
Il portamento elegante era evidente ora quanto durante il giorno, quand’era umano. Chiunque, vedendolo, avrebbe capito di non avere davanti un lupo come tutti gli altri. C’era nobiltà nel suo sguardo, mista alla consueta malinconia.
D’un tratto, il lupo arrestò il suo cammino, proprio mentre sullo sfondo appariva la sagoma del monastero, una finestrella accesa.
Pozzanghera allargò le lunghe braccia e intimò i due ragazzi a fermarsi.
Eustace si voltò verso il Paludrone. “Perché…?”
“Ssshhtt!” fece Pozzanghera, portandosi un dito sulle labbra.
I tre compagni osservarono il lupo, immobile, in piedi su tutte e quattro le zampe, il corpo rigido, in attesa o in ascolto di qualcosa.
Trasalirono nel momento in cui l’ululato s’innalzò potente nella notte.
Non una, non due, ma più e più volte il lupo lanciò il suo grido al cielo, all’immota e impassibile luna. Era un grido di rabbia e sofferenza. Una pausa e poi ricominciava.
“Dev’essere successo qualcosa a Susan” commentò Jill a bassa voce. “Ne sono sicura”
Eustace impallidì. Pozzanghera fece un cenno ai due amici di avanzare piano.
Si accostarono al lupo. Lui se ne stava in silenzio, ora.
Udendo i passi avvicinarsi, l’animale si voltò e digrignò i denti. Poco dopo si mosse, ma con gli occhi fece loro capire di seguirlo e basta. Non voleva che gli si avvicinassero troppo, voleva restare solo con il dolore che gli premeva sul petto e nella mente.
In assoluto silenzio, percorsero a passo spedito il tratto di strada che li separava dal monastero.
Il lupo si staccò dal gruppo, scivolando nell’oscurità e sparendo alla vista.
Jill e Eustace si allarmarono, ma Pozzanghera, con la consueta calma, disse di lasciarlo andare e non preoccuparsi per lui: sarebbe ricomparso presto, sicuramente. 
La luce che avevano visto in lontananza si faceva sempre più grande e, quando furono sotto le mura, videro che proveniva da una stanza al primo piano. Confuso tra il buio e le rocce su cui si ergeva il cenobio, c'era il ‘piccolo’ Gigante, segno che gli altri erano già là. Gli passarono accanto ed egli li salutò agitando la mano.
“Puoi tornare a casa adesso” gli disse Jill. “Qui saremo al sicuro. Grazie per quello che hai fatto e scusami se ti ho urlato addosso oggi. Sai, non avevo mai visto un Gigante in vita mia e mi hai spaventata a morte”
Lei arrossi di vergogna e lui si alzò.
“Non fa niente, signorina degli umani. Ora andrò a casa come mi hai detto: la mia mamma sarà preoccupatissima. Posso tornare domani per vedere come sta l’uccellino?”
Jill capì che intendeva il falco, poi annuì. “Certo che puoi ritornare. A proposito, come ti chiami?”
“Sono Scompiglio. E tu, signorina?”
“Io sono Jill”
Il Gigante allungò una mano. “Sì fa così, giusto? Ci si stringe la mano quando ci si presenta. Me l’ha insegnato il papà”
“Sì, esatto” sorrise la ragazza, divertita, stringendogli un dito con entrambe le mani.
Scompiglio salutò allo stesso modo anche Eustace e Pozzanghera, e infine si allontanò nella Brughiera.
“Speriamo che non torni con la famiglia al completo” commentò Pozzanghera. “Da piccoli, i Giganti possono essere amichevoli, ma non si può dire altrettanto degli adulti”
“Non hai pensato che ci potrebbe dare una mano ad attraversare il Ponte incolumi?” fece Jill, mentre si avvicinava al portone con i compagni.
“Non essere troppo ottimista, cara mia. Avrai solo delusioni” rispose il Paludrone, afferrando il battente e bussando un paio di volte.
Jill e Eustace si scambiarono uno sguardo, alzando gli occhi al cielo. Non c’era niente da fare: Pozzanghera non riusciva a pensare positivo in nessuna circostanza.
Ad aprire fu Miriel, che li condusse tutti e tre attraverso il cortile. Entrarono in una sala al pian terreno dove trovarono Peter, Edmund, Lucy, Emeth, Shanna e Ombroso, seduti attorno a un lungo tavolo di legno rettangolare, con panche annesse. Le pareti erano spoglie. Si stava bene grazie al focolare acceso. Altre fonti di luce erano i tre candelabri a sei braccia posati sul tavolo.
“Perché Caspian non è con voi?” volle sapere Peter. “E’ successo qualcosa?”
“No, nulla” rispose Eustace. “Si è allontanato da solo nella Brughiera, ma non lo fa forse tutte le notti?”
“Sì è comportato in modo molto strano, però” disse Jill. “Prima che arrivassimo qui si è messo ad ululare e sembrava che soffrisse”
“Piuttosto, amici miei” disse Pozzanghera, “siamo noi a chiedere perché avete quelle facce atterrite. La Regina sta tanto male?”
In effetti, Peter e gli altri erano pallidi in volto come se avessero ricevuto una terribile notizia.
La realtà era che anche loro avevano udito il guaito del lupo, proprio nell’esatto momento in cui avevano sentito l’urlo di dolore di Susan provenire dal piano superiore.
Lucy, più di tutti gli altri, era bianca come un cencio. Stretta ad Emeth tremava, gli occhi azzurri spalancati dall’angoscia.
“Oh, vi prego: qualcuno vada di sopra a vedere cosa succede, non ce la faccio più ad aspettare”
“Sta tranquilla” la rassicurò Emeth, stringendola di più. “Il dottor Cornelius sa quello che fa. Susan è in buone mani. Oh, eccolo”
Nel mentre in cui il professore varcava la soglia, le panche grattarono sul pavimento di pietra e tutto il gruppo balzò in piedi, circondandolo e riempiendolo di domande.
Cornelius posò sul tavolo ciò che portava con sé: alcuni stracci macchiati di sangue, una ciotola di terracotta che aveva contenuto l’unguento anestetizzante, un’altra bacinella più grande piena d’acqua ormai divenuta rossa, ago e filo, e per ultima la freccia che aveva colpito il falco.
Il professore rassicurò tutti loro, riferendo che la Regina aveva perso conoscenza e ora dormiva un sonno profondo. La ferita era stata pulita e ricucita.
Lucy chiese se poteva provare a farla star meglio con il suo cordiale, ma Cornelius ribadì per l’ennesima volta che, anche se ora Susan era umana e non più sotto l’effetto della trasformazione, non sarebbe servito a niente.
“Ora riposatevi, ragazzi, mangiate qualcosa e dormite tranquilli. Susan guarirà” disse Cornelius, prima di uscire di nuovo dalla stanza.
Shanna lo seguì. “Professore?”
Lui si volse, il viso stanco. “Dimmi, mia cara”
“Non vorrei farvi fretta, ma siamo venuti per le Spade”
“Certo, certo, lo immaginavo. Ma non credo sia il momento adatto, Shanna. Il tuo compito è molto faticoso, perciò sarà meglio che tu faccia ciò che devi fare dopo una buona notte di sonno”
“No, devo farlo ora” insisté lei, ferma, le mani strette una nell’altra. “Non c’è tempo da perdere: Rabadash sa che Caspian è a Narnia, invierà i suoi soldati proprio come ha fatto oggi e tenterà di fermarci, sia che sappia cosa stiamo facendo sia che non lo sappia”
Cornelius annuì. “Ho capito…così, sono già sulle vostre tracce... Va bene, allora: agisci come meglio credi. So che è il volere di Aslan”
“Sì, è così”
La fanciulla e l’uomo si fissarono qualche istante.
Cornelius era ansioso di parlare ai ragazzi dell’apparizione avuta un paio di notti prima e di ciò che Aslan gli aveva rivelato. Tuttavia, attese ancora. Dopotutto, il Leone gli aveva detto di parlane in primo luogo o con Caspian o con Susan, e al momento, purtroppo, nessuno dei due era disponibile.
“Sali sulla torre quando sei pronta” disse così a Shanna. “Le Spade sono lassù, chiuse in un vecchio baule. Se ti serve aiuto, cara…”
Lei scosse il capo. “No, grazie, professore”
Ma non era esatto.
Preparandosi ad adempiere il suo compito, Shanna sapeva di aver bisogno di sostegno, però non da Cornelius.
Non che fosse necessario: avrebbe potuto fare tutto da sola, chiudersi nella torre e pregare gli altri di non disturbarla. Tuttavia, voleva un aiuto. Voleva qualcuno accanto. Qualcuno che con la sua sola presenta sapeva rassicurarla, che con il suo sguardo le donava una forza sconosciuta. Qualcuno che avesse potuto sorreggerla con le sue braccia se fosse venuta meno.
Tornò dagli altri, mangiò con loro, in silenzio. Nessuno aveva molta voglia di parlare.
Poco dopo, Cornelius mostrò loro le stanze in cui potevano dormire: non erano molto grandi né molto calde, ma i letti erano confortevoli, dotati di pesanti coperte di lana.
“Edmund?” chiamò Shanna, prima che questi si chiudesse la porta della camera alle spalle.
Il ragazzo tornò in corridoio. Erano soli.
“Ho bisogno di te, Edmund” mormorò lei, nell’oscurità.
Il ragazzo deglutì, nevoso.
Accortasi del suo imbarazzo, la fanciulla si corresse. “Ho bisogno che tu venga con me sulla torre. Adesso. Ti prego”
I grandi occhi di zaffiro di lei brillavano come stelle.
Quando Shanna lo guardava così, inconsapevole dell’effetto che aveva su di lui, Edmund non sapeva dirle di no. La prima volta che l’aveva veduta, nel castello della Strega Bianca sull’Isola delle Tenebre, aveva un aspetto molto simile ad ora: tesa, spaventata, indifesa.
“Si tratta delle Spade, vero?” le chiese.
Lei annuì.
Senza aggiungere altro, Edmund la seguì.
Salirono una lunga rampa di scale che ruotavano attorno alle mura, i gradini asimmetrici, senza corrimano. A Edmund iniziò a girare la testa e mettere piede sul pianerottolo fu un sollievo.
Davanti a loro vi era una vecchia porta chiusa da un lucchetto arrugginito. Shanna prese la chiave che Cornelius le aveva dato poco prima e l’aprì.
Nella torre vi era un’unica stanza circolare con quattro finestre rivolte ognuna su un punto cardinale. Era vuota, eccetto un baule ricoperto di polvere, chiuso anch’esso da un lucchetto.
Shanna si inginocchiò davanti ad esso, Edmund un passo dietro di lei. Utilizzando sempre la medesima chiave, la ragazza aprì il baule. Dentro, ognuna avvolta in un panno e dentro al suo fodero, c’erano le Sette Spade.
Immediatamente, mentre Shanna le toglieva dal baule e le posava sul pavimento, Edmund cercò la Spada di Bern con lo sguardo. Erano tutte uguali in aspetto, ma lui la individuò senza difficoltà.
Come la prima volta, la Spada lo chiamava, bramava di essere impugnata.
“Posso…?” chiese, sedendo sui talloni accanto alla fanciulla.
Lei si volse e sorrise. “Direi di sì”
Edmund allungò una mano e afferrò uno degli involti, senza riflettere. Era quella, lo percepiva.
Scostò la stoffa e la prese, estraendola dal fodero. L’arma mandò un suono cristallino.
L’impugnatura si adeguava perfettamente alla sua mano, come fosse un’estensione del suo stesso braccio.
Man mano che Shanna scopriva le altre e le liberava dalle guaine, le Spade si acceso di un lieve bagliore azzurro ed iniziarono ad emanare una specie di vibrazione sonora, continua ma non fastidiosa.
Poi, accadde un cosa straordinaria.
“Edmund, stai indietro” disse Shanna.
Il ragazzo sgranò gli occhi mentre le Spade si libravano a mezz’aria, disponendosi in cerchio attorno alla ragazza, in posizione orizzontale, le punte rivolte verso il basso, l’elsa verso l’alto. Distanziavano l’una dall’altra circa un metro.
Rimasero là a galleggiare, in attesa, brillando ed emettendo ancora quel mistico suono.
La Stella Azzurra uscì dal cerchio e si accostò al Re Giusto. Gli prese le mani, guardandolo ancora negli occhi.
“Che cosa devi fare esattamente?” le chiese lui.
“Quando le lasciaste sull’Isola di Ramandu, io e mio padre le sigillammo in una cupola di cristallo per proteggerle, ricordi? Ebbene, devo liberarle dal sigillo e, come ti ho già detto molte volte, rafforzare il loro potere. Non è una cosa da poco, dovrò spendere molte energie”
“Non devi aver paura di non farcela” la incoraggiò Edmund. “Possiedi dei poteri straordinari, Shanna, e sai padroneggiarli perfettamente”
“Non ti ho chiesto di venire perché ho paura di fallire”. La ragazza scosse brevemente il capo. I suoi capelli d’oro mandarono riflessi alla luce della luna che filtrava attraverso le finestre.
Edmund parve stupito.
Come? Non l’aveva voluto lì perché si sentiva insicura?
“Perché mi hai fatto venire, allora? Shanna, come credi che potrei aiutarti? Io non posseggo i poteri che hai tu”
“Non è di una qualche magia che ho bisogno, e nemmeno di una forza fori dal comune. Ma solo di te”
La ragazza gli sorrise e gli accarezzò il viso. Era diventato molto più alto, lo notava solo ora.
“So di potercela fare, anche se non nego che un po’ di paura c’è. Dopotutto, dipenderà da me se le Spade potranno nuovamente essere impugnate dagli Amici di Narnia. Purtroppo è vero, tu non puoi aiutarmi, perciò, tutto quello che ti chiedo è di restarmi accanto, di tenermi per mano. Nient’altro. Solo questo mi renderà più forte”
Shanna ricordò le parole che suo padre Ramandu le aveva rivolto poco prima che lei partisse per Narnia:
“Troverai una forza maggiore di quella che già possiedi. Una forza che non proviene dalla magia ma che è l’essenza della Grande Magia”
Lei non aveva capito, ma adesso lo sapeva.
“Tu sarai la mia forza, Edmund. Più potente di qualsiasi incantesimo”
Lui fece un’espressione mortificata. “Shanna, quando l’altra mattina tu hai…”
“Sì lo so. Mi dispiace”
“No…”
Lei gli posò un dito sulle labbra, leggera. “Ne parliamo dopo, va bene?”
Lui annuì, un poco nervoso.
Un attimo dopo, la ragazza lo trascinò dentro il cerchio delle Spade.
“Quando il potere diverrà troppo forte, dovrai uscire dal cerchio, d’ accordo?”
Lui annuì di nuovo.
La Stella gli afferrò entrambi le mani più saldamente e chiuse gli occhi.
Shanna lasciò che il potere dei talismani entrasse in armonia con il suo. Percepì la spessa barriera che ancora salvaguardava le armi, dietro la quale era celato il vero potere delle Sette Spade. Cercò di aprirsi un varco, gentilmente. La barriera fece resistenza solo per un attimo e infine si spalancò e la lasciò passare. Dietro le palpebre chiuse percepì la luce azzurra divenire più intensa.
Edmund, strizzò gli occhi al riverbero improvviso. Le Spade si accesero una dopo l’altra, come lanterne nella notte, il loro suono si fece più intenso. Si alzò il vento, sferzò i loro volti, i loro capelli. L’abito di Shanna iniziò ad ondeggiare.   
In quell’istante, a Edmund parve ancora più bella avvolta in quella luce azzurra. 
In un secondo tempo, il Giusto comprese che il vento non si era alzato all’esterno ma solo all’interno della torre. Le raffiche erano opera delle vibrazioni magiche che i talismani emanavano.
Dalle sette lame cominciò a scaturire una sorta di nebbia luminosa che confuse i contorni della stanza. Strane scie di luce ondeggiarono attorno a loro.
Shanna lasciò le mani di Edmund e riaprì gli occhi.
“Ora stai indietro” gli disse tranquilla. “La magia potrebbe ferirti”
Edmund spalancò gli occhi scuri. “Ma tu…?”
“A me non succederà niente” lo rassicurò con un sorriso
Allora, lui camminò all’indietro fino ad uscire dal cerchio, lo sguardo fisso su di lei. La vide chiudere di nuovo gli occhi.
Shanna iniziò ad intonare una bassa nenia con la sua voce da soprano. Il canto della Stella si fece più intenso, più acuto. Edmund la udì raggiungere toni impensabili per qualsiasi essere umano. Nemmeno la più brava cantante del mondo avrebbe potuto eguagliarla.
La ragazza si mosse lentamente, sempre ad occhi chiusi, girando su se stessa verso ognuna delle Spade. Prendeva e dava potere, ed esse iniziarono a mutare.
Quando vennero avvolte da una cupola di luce e Shanna con loro, Edmund gridò i nome di lei, per timore che potesse accaderle qualcosa. Fece per muoversi ma il tutto non durò che pochi secondi.
Il canto di Shanna si spense e la cupola svanì, risucchiata dalle Spade. Le scie di luce blu serpeggiarono attorno ad esse e si concentrarono in sette gemme di forma ovale, incastrandosi in cima alle else.
Shanna cadde sulle ginocchia, esausta, e sarebbe finita stesa sul pavimento se Edmund non fosse corso accanto a lei per sostenerla.
La fanciulla si accasciò tra le braccia del Re Giusto, emettendo un sospiro profondo.
“Shanna! Shanna, apri gli occhi!” la chiamò ancora lui, preoccupatissimo.
Lei sorrise ad occhi chiusi. “Sono stanca…ma sto bene, non preoccuparti”
“E’ stato incredibile”
“Cos’è questo tono incredulo? Pensavi davvero che non ce la facessi?” chiese lei scherzosa, schiudendo le palpebre e rivelando i bellissimi occhi blu.
Blu, esattamente come gli zaffiri incastonati sulle else, pensò Edmund, simili a quello incastrato sopra l’impugnatura di Rhasador, la spada di Caspian. E come su Rhindon, la spada di Peter, anche sulle lame delle Sette Spade vi era inciso qualcosa nell’antica lingua di Narnia. L’aspetto dei talismani era veramente mutato, anche se non di molto: erano più lunghe e sottili, in un certo qual modo più raffinate.
“Ho bisogno di dormire” sussurrò Shanna, veramente stanca.
Senza dire nulla, Edmund la sollevò come fosse una piuma. I loro sguardi s’incrociarono per un breve istante.
Non erano mai stati così vicini.
La ragazza gli strinse la camicia sul petto, affondandovi il viso, e rimase così, stretta a lui, anche quando Edmund l’adagiò nel proprio letto. Si addormentò serenamente, mentre lui la vegliava.
 
 
Eustace si era offerto di fare il primo turno di guardia quella notte, ed ora era seduto sulle rocce appena fuori dal portone del monastero. Aveva acceso un piccolo fuoco per scaldarsi, il mantello sulle spalle.
Di lì a poco, Jill, Pozzanghera e il dottor Cornelius lo raggiunsero. Quest’ultimo portava un vassoio con sopra quattro tazze fumanti. Ne porse una a Eustace.
“E’ un’ottima tisana di mirtillo, l’ho preparata con le mie mani”
Il ragazzo sbirciò il contenuto con malcelato disgusto. “Non offendetevi, ma odio le tisane”
“Ti scalderà, se non altro” disse Pozzanghera, sedendo sulle rocce ed iniziando a trafficare con qualcosa avvolto in un vecchio mantello.
“Che cosa stai facendo?” chiese Jill. “Ehi, ma quello è l’arco di Susan!”
“Esatto. Voglio provare a vedere se riesco ad accomodarlo, anche se ho dei seri dubbi a riguardo. Ahimè, non sono un abile artigiano, le mie dita di rana non me lo consentono”
“Siete sempre così pessimista, Mastro Pozzanghera?” domandò il dottor Cornelius con una risatina.
“Non avete visto niente, signore” commentò Eustace a bassa voce.
Il Paludrone gli lanciò un’occhiata. “Ti ho sentito...”
Cornelius attizzò il fuocherello, iniziando a chiacchierare con i due ragazzi mentre Pozzanghera lavorava. Si raccontarono le reciproche storie, l’arrivo a Narnia di Eustace e Jill, la missione affidata loro da Aslan, i quattro segni (Jill si era impegnata per ripeterli spesso durante il giorno).
Cornelius fu di nuovo sul punto di dire qualcosa riguardo al Leone, quando l’ululato del lupo si levò nell’oscurità, distraendolo.
“Ve l’avevo detto che il Re sarebbe presto arrivato” disse Pozzanghera.
“Eravate preoccupati per lui?” chiese Cornelius ai due ragazzi.
“Sì, è così. Io sarei voluta andare a cercarlo, ma gli altri non hanno voluto” rispose Jill. “Avevo paura che potessero ricomparire i soldati di oggi”
“Mia cara, i soldati di Rabadash non si spingerebbero mai fin quassù, hanno troppa paura”
“I soldati di Lord Erton però non ne hanno” obbiettò Eustace. “Quelli che ci hanno inseguito oggi erano guardie di palazzo, comandate da Lord Ravenlock”
Cornelius fece un’espressione cupa. Al nome di Erton e Ravenlock, orribili ricordi erano affiorati alla sua mente.
“Oh, scusatemi!” esclamò Eustace. “Io dimenticavo…”
“No, non fa niente. Immagino sarete tutti a conoscenza del mio passato di traditore”
Pozzanghera si fermò all’istante, scambiandosi uno sguardo di sottecchi con gli altri due.
“Miriel ce l’ha detto” borbottò Eustace. “Ma io penso ci sia stata una ragione se l’avete fatto”
Cornelius fece un verso di disgusto verso se stesso. “La ragione è la debolezza di un vecchio sciocco”
Il lupo ululò di nuovo.
“E’ tutta colpa mia se ora vivono così”
“Non l’avete lanciata voi la maledizione” replicò Eustace in tono asciutto. “Avete parato con mia cugina?”
Cornelius si sistemò il mantello attorno al corpo. “Sì, ho parlato con la Regina, e penso che se fosse stata nel pieno delle forze mi avrebbe torto il collo. Credimi, non è stata felice di vedermi. Ho visto nei suoi occhi tutto il disprezzo che nutre per me. Una volta mi voleva bene, si confidava con me, mi chiedeva consiglio. E’ molto cambiata…”
Bevve un sorso e il suo sguardo si perse nei ricordi.
“Quando la vidi la prima volta, dal vero intendo e non in un ritratto, rimasi incantato. Fu al castello di Miraz l’Usurpatore, durante un attacco dei Vecchi Narniani ribelli. Capii immediatamente perché Caspian si era innamorato di lei”
“Era il volto dell’amore” disse Pozzanghera, senza mai smettere di lavorare.
Cornelius lo guardò, dapprima stupito, poi annuendo comprensivo.
“Anche tu, eh, Pozzanghera? Sì, nessuno di noi è immune alla dolcezza della nostra Regina. La sua grazia, la sua gentilezza e bellezza…Tutti noi eravamo innamorati di lei, in qualche modo, così come lo era il principe Rabadash”
“Rabadash non la ama” replicò Eustace. “Ne è ossessionato. E’ un pazzo”
Cornelius inorridì. “Sì, la sua era una passione morbosa, quasi folle. D’altra parte, in quale altro modo potrebbe amare un uomo malvagio come lui? Le tentò tutte pur di averla. So che, durante il viaggio per mare, la rapì con l’intenzione di condurla a Calormen e sposarla contro la sua volontà”
Eustace annuì.
“Già…” Cornelius attizzò ancora il fuoco, le braci danzarono nel cielo notturno.
Ora, Jill e Pozzanghera – che di quella storia sapevano meno di tutti – pendevano dalle labbra del professore.
“Rabadash non si arrese mai all’evidenza” proseguì Cornelius. “Non capì che mai avrebbe ottenuto il cuore di Susan, nemmeno con l’inganno o con la forza, poiché il cuore della Regina Dolce appartené al Principe Caspian X il giorno in cui si incontrarono per la prima volta nelle foreste di Narnia. Appartenerono l’uno all’altra con un solo sguardo, ed erano già entrambi perduti nel loro immenso amore. Tutti conosciamo la loro storia, e vederli felici, sposati, genitori di due splendidi bambini, fu per noi che li amiamo il regalo più bello. E per loro, fu la benedizione di Aslan.
“Per anni, Caspian e Susan assaporarono la felicità tanto agognata, ma Rabadash tornò per dividerli e maledirli. Per lui, sapere che Susan aveva avuto due figli da Caspian fu quasi un affronto personale. Rabadash chiamò a sé tutti i poteri delle tenebre pur di riuscire a dannare i due innamorati. Giurò che se non l’avesse avuta lui, nessun altro l’avrebbe avuta mai.
“L’amore del Re e della Regina diveniva ogni giorno sempre più forte, più grande, più profondo. Non c’era modo di dividerli, nemmeno con la maledizione. Rabadash lo capì quando imprigionò Susan sulla Grande Torre, trattandola brutalmente, facendole credere che Caspian era morto e poi mettendola di fronte a quella nuova terribile realtà di una vita a metà.
“Ma la Regina non si arrese mai a lui, neppure in preda alla disperazione. Ella avrebbe preferito morire piuttosto che essere violata da un uomo come Rabadash. Eppure, egli ancora insisteva! Ancora si rifiutava di cedere!
“Quando Caspian riuscì a liberare Susan dalle grinfie del malvagio principe, fuggirono per mettersi in salvo. Insieme a Miriel, Briscola e Lord Rhoop, avevano deciso di andare sulla Collina Segreta, il luogo più celato di Narnia, là dove l’Imperatore d’Oltremare incise sulla roccia le Leggi della Grande Magia. Nessuno avrebbe mai potuto scoprire il loro nascondiglio nel cuore delle Grandi Foreste, nemmeno Rabadash, per quanto seguitasse ad inseguirli senza tregua… se solo fossero riusciti a partire prima che un vecchio stolto li tradisse!”
“Dottore…”
“No, Eustace, è vero!”
“Ma Lord Erton minacciò di uccidere Tempestoso e Drinian! Chiunque si sarebbe comportato come voi!”
“No, no!” esclamò più forte il professore. “Erton risparmiò i miei due amici, sì, ma uccise decine di abitanti di Narnia. Morirono per causa mia, capisci? Il Re e la Regina si rifugiarono da Tartufello, ma io rivelai a Lord Erton la loro posizione. Egli, con i suoi soldati, li raggiunse in un attimo ed appiccò il fuoco al bosco. Chi non perì di spada, perì nell’incendio”
“Oh, vi prego, basta!” implorò Jill.
Ma Cornelius continuò, lo sguardo fisso al fuoco.
“Non fui solo responsabile di tradimento, ma anche della morte di tanti amici. Non posso biasimare se il Re e la Regina ora mi odiano” Gli occhi di Cornelius brillarono di lacrime. “Avrei voluto che li vedeste quando erano felici…Non torneranno mai ad esserlo, per causa mia. Povere creature, senza più il ricordo della loro semi vita umana… Se solo fossero stati animali parlanti, avrebbero potuto almeno parlarsi, ma Rabadash non ha concesso loro nemmeno quello. Hanno solo il tormento di un breve istante: è solo un attimo, al sorgere e al tramontar del sole, attimo in cui riescono a malapena a sfiorarsi...ma neanche. Eppure, loro seguitano ad amarsi, e così sarà in eterno”
Jill, come Cornelius, fissava il vuoto, frastornata.
“Sempre insieme, eternamente divisi”
“Sì...Finché il sole sorgerà e tramonterà, finché ci saranno il giorno e la notte. Per tutto il tempo che sarà loro concesso di vivere” Cornelius tornò a voltarsi verso i due ragazzi e il Paludrone. Tutti e tre avevano un’espressione di pena sul viso.
“Vi siete imbattuti in una tragica storia, amici miei. Ed ora, che lo vogliate o no, siete perduti in essa come tutti noi”
Cornelius si alzò, dando loro le spalle, camminando lentamente verso l’interno del monastero.
La voce del lupo si fece sentire di nuovo, più vicina.
Jill, Eustace e Pozzanghera rimasero seduti, avvolti nel buio, aspettando di vederlo arrivare.
 
 
“…signora…”
Susan sbatté piano le palpebre, mettendo a fuoco la stanza.
“Mia adorabile signora?”
“Ombroso?” fece lei con un filo di voce.
Il pipistrello zampettò accanto al giaciglio dove era stesa, l’espressione un misto tra il sereno e il preoccupato.
“Siete, sveglia! Oh, cara, quanto desideravo rivedere i vostri occhi! Come vi sentite?”
“Debole e dolorante. Tu come stai?”
Susan alzò piano la mano, facendo una carezza sulla testa del pipistrello, osservando l’ala ferita. Fece una smorfia, sentendo i punti tirare.
“Non muovetevi troppo”
Ombroso si voltò dall’altra parte, arrossendo, mentre lei si metteva più comoda. La Regina non indossava nulla se non la trapunta con cui il dottor Cornelius l’aveva coperta.
“N-non dovete preoccuparvi per me, è solo una ferita superficiale, la mia. Domani sarò come nuovo. Vostra sorella mi ha somministrato il suo cordiale”
Susan cercò di tirare un respiro profondo, lentamente.
Ombroso si rivoltò per metà. “Per fortuna la freccia non vi ha trafitto dalla parte del cuore”
Susan sorrise. “Già, o a quest’ora avreste mangiato spezzatino di falco”
“Oh, non scherzate!”
“Perdonami, caro Ombroso, ma la tua espressione è troppo preoccupata. Non fare quella faccia, guarirò dopotutto”
Il pipistrello le si avvicinò e sedette accanto a lei, le ali avvolte attorno al corpo.
“Come stanno gli altri?” volle sapere lei. “Caspian?”
“Stanno bene. Il Re è corso subito al vostro fianco, mia Regina. Era davvero sconvolto. Lo eravamo tutti. Mi dispiace di non avervi protetta a sufficienza”
“Dispiace a me” disse lei, chiudendo gli occhi.
Il pipistrello parve stupito. “Voi non dovete chiedere perdono!”
“Sì, invece, perché non è colpa tua se mi è successo questo. Tu non lo avresti mai permesso, sono io che sono tornata indietro quando non avrei dovuto. Non è forse andata così?”
Ombroso si stropicciò le zampe anteriori. “Bè…s-sì. Ma avete fatto ciò che l’istinto vi ha dettato in quel momento, non avreste potuto agire altrimenti: il Re era in pericolo. Nella confusione della lotta, nessuno di noi se n’era accorto tranne voi. Siete stata coraggiosa, mia adorabile signora”
Il pipistrello fece una pausa, poi si morse le labbra e con voce tetra disse: “Porterò sempre nel cuore il vostro dolce ricordo. Oh, il mio cure piange! Snif snif…Vi auguro di trovare i vostri figli e che possiate tornare a vivere la vostra vita com’era prima che ci incontrassimo. Non vi dimenticherò mai...addio”
Susan sbatté più volte le palpebre, confusa. “Come?”
Guardò Ombroso camminare lentamente verso la porta, le ali struscianti sul pavimento, la schiena incurvata.
“Dove stai andando?”
“Vi lascio. Lascio la compagnia di Narnia. Sono venuto meno alla parola data al Re di non permettere che vi accadesse nulla” Ombroso tirò su col naso. “Se fossi più coraggioso, resterei e accetterei la mia sorte, lasciandomi tagliare la testa da Re Caspian. Ma non sono un impavido come potrebbe esserlo un leone. Sono solo una fastidiosa e inutile creatura mangia zanzare!”
Susan lo osservava a bocca aperta.
“Per la criniera di Aslan, Ombroso, che diavolo ti sei messo in testa?! Lasciarci?! Farti tagliare la testa da Caspian?! Sei forse impazzito?!”
“Ma Maestà Dolcissima, io non sono più degno di servirvi!”
Susan scosse il capo. Non rise soltanto perché se lo avesse fatto i punti avrebbero tirato di nuovo.
“Vieni qui un momento” sorrise.
“Signora, dovete riposare…”
“Sto meglio, ora. Vieni”
Ombroso le si avvicinò di nuovo, provando una stretta al cuore nel vedere il volto di lei pallido e stanco.
“Maestà…”
“Ti ringrazio tanto per quello che fai. Sei un caro amico. Non far caso a Caspian se ogni tanto ti da addosso. Credo lo faccia anche con gli altri ragazzi”
Ombroso annuì.
“Cerca di capirlo, Ombroso, e cerca di capire anche che a modo suo ti vuole bene. Ti è affezionato e ti è grato quanto me”
“Mah…su questo avrei dei seri dubbi…”
“Rimani, Ombroso, ti prego”
“Ooohhh!” fece lui, la voce tremula. “Non guardatemi così, Maestà, siete sleale…E va bene, resto!”
Susan sorrise soddisfatta. “Molto bene. Ora potrò dormire tranquilla”
Ombroso la lasciò sola pochi istanti dopo.
Nella sua mente si affollavano vari pensieri di natura romantica…
“Mi ha pregato di rimanere…mi ha guardato in quel modo…ha sospirato…Che ella m’ami, finalmente?”
 
 
Nel silenzio della notte, quando tutti ormai riposavano, si udì grattare alla porta della stanza in cui stava Susan, come se un animale stesse cercando di aprirla con le unghie.
Con un po’ di fatica, la Regina si appoggiò su un gomito, il cuore che batteva più forte.
“Caspian?” chiamo a mezza voce.
Un attimo dopo, si aprì uno spiraglio e comparve il muso del lupo.
Susan sorrise apertamente.
Lui, spingendo con tutta la testa, riuscì ad insinuarsi dentro la stanza, trottando subito vicino a lei, leccandole il viso.
“Ciao” fece Susan, accarezzandogli il manto folto e caldo, dandogli tanti baci sul muso, sul capo, sul naso.
Lei si risdraiò completamente e il lupo le si stese accanto.
Il volto allo stesso livello del suo muso, la giovane guardò nei suoi luminosi occhi gialli.
Era uno sguardo umano. Vi lesse apprensione e amore.
“Sto bene, tranquillo”
Lui alzò la testa e mosse la coda.
Lei sorrise ancora, continuando a guardarlo.
Niente parole, perché non servivano.
Se lui avesse potuto, Susan ne era certa, l’avrebbe presa tra le braccia, l’avrebbe rassicurata, baciata e poi avrebbe dormito con lei, proteggendola, inondandola del suo amore.
Il fiato del lupo era caldo e le dava conforto. In forma d’uomo o di animale, Caspian era il suo sostegno, la sua sicurezza.
Susan si strinse a lui, e per la prima volta dopo mesi e mesi, percepì la serenità dentro al cuore. Sarebbe durata solo poche ore, ma l’aiutò ad addormentarsi tranquillamente.
Il lupo la guardava dormire, il suo dolce profumo gli riempiva le narici placando l’inquietudine. Quel profumo di fiori che sempre lo conduceva a lei.
Il suo senso di libertà era forte quanto il suo senso di protezione: l’istinto lo spingeva ad allontanarsi per attraversare foreste e colline, ma alla fine lo portava a tornare da lei. Anche se il lupo sapeva che i giovani uomini e donne con cui viaggiavano non erano pericolosi, lui doveva rimanerle vicino per far si che non le accadesse nulla.
Guardandola, gli pareva di poter ricordare di lì a un infinitesimo attimo tutto ciò che quella creatura meravigliosa era per lui.
Il lupo era l’uomo e l’uomo era il lupo. Le emozioni e i sentimenti di uno erano quelli dell’altro. Solo il suo aspetto cambiava: il cuore era sempre lo stesso, le memorie erano racchiuse nel suo cuore prima che nella sua mente.
Purtroppo però, un istante dopo aver ricordato un sorriso, un gesto, un abbraccio, dimenticava tutto quanto ed era come non aver ricordato affatto.
Vedeva ma non metteva a fuoco. Era come se stesse osservando la vita della sua metà umana attraverso un vetro appannato.
Nel profondo, il lupo sapeva che lei era più dell’umana che condivideva con lui le notti più dolci e tristi. Tuttavia, non poteva esprimersi in gesti e parole per farle capire cosa sentiva.
L’amava ma non se ne rendeva conto. Non riusciva a dirglielo.
Ma che cos’erano le parole per lui?                                                              
Eppure, lei lo capiva: con uno sguardo, un movimento, nel silenzio della sera, quando il mondo dormiva tranne loro.
In primavera, avevano passeggiato tra boschi freschi e profumati; in estate, si erano seduti sulle rive di qualche lago, facendo il bagno alla luce delle stelle; in autunno, lei lo aveva coperto con il suo mantello dopo la pioggia, scaldandosi con lui davanti alle braci di un fuoco improvvisato; d’inverno, avevano camminato fianco a fianco nella neve, mentre lei gli parlava di cose che lui non comprendeva del tutto.
La voce di lei era il suono cristallino dell’acqua, il soffio del vento, il canto di un uccello. Era il suono che aveva il potere di calmarlo quando la parte più feroce cercava di prendere il sopravvento. Non perché volesse essere malvagio, ma sempre e solo perché qualcosa o qualcuno minacciava di dividerli o di farle del male.
Lei gli donava la forza per respirare e andare avanti.
Lei era la sua vita.
Ciò nonostante, pochi istanti prima dell’alba, prima della trasformazione, se ne andò.
 
 
Cornelius li lasciò dormire più del previsto. I ragazzi erano stanchi morti dopo le emozioni del giorno precedente.
Il professore, intento a preparare la colazione, attendeva la comparsa del Re. Fu anche per parlare in pace con lui che non svegliò il resto della compagnia.
La prospettiva di discutere con Caspian lo innervosiva molto: sapeva che avrebbe ottenuto lo stesso sguardo di disprezzo e le stesse risposte avute dal suo breve dialogo con la Regina. Malgrado ciò, doveva incontralo. Doveva dire al Liberatore che forse una speranza c’era.
Quando il pranzo fu pronto, Cornelius lo mise in caldo e si recò da Susan per vedere come stava. Trasformandosi in donna aveva reagito senz’altro meglio alle cure, da falco era un poco più debole, ma la medicina che aveva preparato appositamente per lei l’avrebbe rimessa in forze.
Fu inaspettato, quando aprì la porta, trovarsi davanti Caspian, inginocchiato a terra accanto al giaciglio vuoto. Il falco se ne stava sul suo avambraccio, allegra allargava le ali, emettendo suoni acuti e melodiosi. Il viso del Re era illuminato dai primi raggi di sole, il sorriso pareva quello di una volta.
Ma lo sguardo di Caspian divenne più scuro della notte quando si volse e vide il suo vecchio precettore.
Lentamente, il Re di Narnia si alzò, fronteggiando l’ometto che lo fissava imbarazzato.
“Pensavo che poteste essere morto, vecchio. Un tempo avrei voluto uccidervi io stesso ma… vi sono molto grato per ciò che avete fatto questa notte” disse, osservando il falco ripiegare le ali.
Cornelius fece un paio di passi dentro la stanza. “La Regina dovrà riposare almeno mezza giornata e prendere questa medicina”
Il professore allungò una mano verso il falco, ma Caspian allontanò il braccio come se non volesse farlo avvicinare.
Garbatamente ma con fermezza, il Re prese la bottiglietta dalle mani del professore.
“Lo farò io” disse risoluto. “Vi ho ringraziato perché era giusto farlo. Senza di voi, lei sarebbe morta, ma nulla è cambiato da quel lontano giorno, dottore. Non cercate scuse per conquistarvi il mio perdono”
Proprio come aveva immaginato, pensò Cornelius: il Liberatore usava le stesse parole e lo stesso tono di sua moglie.
“Non sono un uomo così subdolo, Maestà”
“Non costringetemi a dire cose spiacevoli, professore. La situazione è già abbastanza difficile così”
Caspian gli voltò le spalle e si chinò a raccogliere la piccola sacca di tela che aveva posato a terra, mettendovi dentro la boccetta.
“Più tardi mi darete le istruzioni su come usare la medicina. Destriero dov’è?”
“C’è una piccola stalla sul lato sud del cortile…Sire, vi supplico di darmi un minuto del vostro tempo. Un minuto soltanto, non chiedo di più”
“Non desidero ascoltare nulla di quel che avete da dire”
“Ve ne andrete, dunque? Tornerete a Narnia e affronterete il principe Rabadash? Sì, i vostri compagni me l’hanno detto…Vi supplico di non farlo!”
“Sono finiti i giorni in cui mi dicevate ciò che dovevo fare o no, dottore”
Caspian sorpassò il suo precettore, ma Cornelius lo afferrò per una spalla e lo costrinse a voltarsi nuovamente.
“Mio signore, vi prego, prestate ascolto alle mie parole. Anzi, alle parole di Aslan!”
Caspian sbarrò gli occhi. “Di cosa parlate?”
“Il Grande Leone si è mostrato a me e mi ha rivelato come la maledizione può essere spezzata! Egli ha disposto un termine a tutto questo, ma state attento: non dovrete assolutamente affrontare Rabadash da solo! Se lo ucciderete, il sortilegio non potrà mai cessare! Dovrete invece pazientare e attendere il solstizio d’inverno. Voi e Susan dovrete affrontare Rabadash, entrambi voi, da uomo e donna, veri esseri umani. Così, la maledizione sarà vanificata, finirà, e da quel momento sarete liberi!”
“Impossibile” replicò subito Caspian.
“Finché al giorno seguirà la notte, no. Ma a tre giorni dal solstizio d’inverno, ci sarà una notte senza il giorno e un giorno senza la notte”
Caspian distolse lo sguardo, tradendo una risata. “Siete diventato pazzo restando quassù da solo”
“Non sono pazzo!” esclamò Cornelius. “Maestà, osservate ciò che vi sta accadendo intorno: i Pevensie qui, la Settima Amica di Narnia finalmente tra noi, e adesso, dopo due anni Aslan ha fatto sì che ci ritrovassimo. Egli mi ha dato la possibilità di redimermi, mi ha perdonato! Datemi anche voi l’opportunità di riscattarmi e salvare voi e Susan”
“Potrei anche darvela quell’opportunità, ma non aspettatevi il mio perdono” disse Caspian freddamente.
Cornelius divenne immensamente triste. “Un tempo eravate il mio ragazzo…”
 “Il vostro ragazzo è cresciuto e il suo cuore si è tramutato in pietra. Non cercate di scioglierlo con le vostre lacrime”

 
 
 
Salve cari lettori, come state???
Ho messo la mappa, visto? Vi piace? Non è ancora finita, però non volevo aspettare :) Per ora ne ho postata solo un pezzo, cioè quello che ci interessa di più. Tutta intera la troverete nei prossimi giorni sulla mia pag facebook. Lo so, non è perfetta come se fosse fatta con il pc, ma a me piace disegnare a mano.
Una breve nota: molte delle frasi che appaiono in questo capitolo (il racconto di Cornelius accanto al fuoco e la conversazione tra lui e Caspian) sono prese dal copione di Ladyhawke.
  

Ringraziamenti:
Per le seguite: 
Aesther, aleboh, Araba Shirel Stark, battle wound, Christine Mcranney, english_dancer, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, Friends Forever, G4693, HarryPotter11, HikariMoon, Jordan Jordan, lucymstuartbarnes, LucyPevensie03, lullabi2000, Mia Morgenstern, Mutny_BrokenDreams, piumetta, Queen Susan 21, Robyn98, Shadowfax, Starlight, SuperStreghetta, Svea, SweetSmile, TheWomanInRed, vio_everdeen, Zouzoufan7,_joy
 

Per le ricordate: Araba Shirel Stark, Cecimolli, Halfblood_Slytherin, mishy, Queen_Leslie, Starlight13, Zouzoufan7
 
Per le preferite:  ale146, Araba Shirel Stark, bulmettina, catherineheatcliff, cat_princesshp, Cecimolli, ChibyRoby,  cleme_b, ecate_92, fede95, FioreDiMeruna, Fly_My World, Fra_STSF, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, harukafun, ibelieveandyou, jesuisstupide, JLullaby, Jordan Jordan, Judee, katydragons, lauraymavi, Lucinda Grey, lucymstuartbarnes, Marie_ , mewgiugiu, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_ , piumetta, Queen Susan 21, Revan93, Sandra1990, Shadowfax, vio_everdeen, Zouzoufan7, _joy, _Rippah_ 
 
Per le recensioni dello scorso capitolo:  battle wound, Christine Mcranney,  FioreDiMeruna, lucymstuartbarnes, Shadowfax, vio_everdeen, _joy
 

 Angolino delle Anticipazioni:
Eheheh…..la prossima volta si inizia con il risveglio di Edmund e Shanna!!! Prevedo imbarazzi a go go!!! xD
I nostri eroi lasceranno il monastero e rincontreranno il Gigante Scompiglio, che li aiuterà ad attraversare il Ponte dei Giganti. Cornelius non andrà con loro.
Non vi prometto nulla, ma forse si vedranno i bambini e la Strega Bianca: iniziano i preparativi per la Festa d’Autunno.

  
Come al solito, vi ricordo che per gli aggiornamenti di questa ff e di “Fragment” dovete passare alla mia pagina facebook.
Vi adoro tutti,
Susan♥

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Capitolo 22
*** Capitolo 22: Un regalo per Susan ***


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22. Un regalo per Susan
 
 
Ci sono mille miglia fra noi, ora
Mi domando come sia possibile…
 
 
Shanna si svegliò a metà di un sogno. Si rigirò nel letto, non riuscendo a muoversi bene, c’era qualcosa che le impediva di voltare il busto e mettersi ben dritta. Aprì gli occhi, sbadigliò, ed era ancora a bocca semi aperta quando si ritrovò naso contro naso con Edmund. Subito, la fanciulla arrossì violentemente.
Anche il viso di lui si accese d’imbarazzo, ma lo mascherò dietro un sorriso.
“Ciao”
“C-ciao”. Shanna si coprì svelta con le lenzuola, anche se indossava ancora l’abito del giorno prima e, in ogni caso, lui non avrebbe visto proprio nulla.
Edmund sorrise ancora di più. La sua pelle sembrava brillare alla debole luce del mattino, i capelli biondi spettinati le incorniciavano il viso dai lineamenti delicati, i profondi occhi blu scintillavano come gioielli.
Una fata. Una creatura da fiaba.
“Dormito bene?”
“Sì”
“Sei ancora stanca?”
“No”
Edmund non trattenne una risata. “Perché mi rispondi a monosillabi?”
“Scusami” Shanna nascose il viso nelle coperte.
Edmund si allarmò, alzandosi su un gomito, allungandosi verso di lei per scostarle un lembo dal volto. “Ehi, che succede?”
“Ho dormito nel tuo letto” rispose lei, la voce quasi inudibile.
Edmund si schiarì la gola. “Sì…bè…non è stato tanto male, no?”
Shanna scosse piano il capo, accennando un timido sorriso. Fece scorrere lo sguardo su di lui: gli occhi scuri, i capelli neri, la mascella dritta, i muscoli del petto e delle braccia. Quelle braccia l’avevano stretta dolcemente mentre dormiva.
“Stavi sognando, vero? Mugugnavi nel sonno, prima” disse Edmund, facendole l’occhiolino.
“Sì, io…”
“Cosa sognavi?”
“N-non mi ricordo”
Non era vero: aveva sognato Edmund. Si trovavano ancora sulla torre, lui la prendeva tra le braccia, ma prima di trasportarla in camera…la baciava.
Purtroppo, nella realtà era andata diversamente.
Questo pensiero le fece assumere un leggero colorito aragosta, che risaltava come non mai sulla sua carnagione nivea.
“Sei buffa quando arrossisci” disse lui. “Ma sei sempre bellissima”
Era sincero, più sincero che mai, e gli era costato una certa fatica esternare quel pensiero in un momento del genere. Quella notte, purché non fosse accaduto assolutamente nulla, era crollata una barriera e Edmund sperava con tutto il cuore che Shanna non l’innalzasse di nuovo. Tutte le volte che lui cercava di avvicinarsi, lei si allontanava, intimorita da quello che provava. Era un’arma di difesa.
Era così candida, così pura…
“Ti ringrazio” sussurrò Shanna dopo un po’. “Sei sempre molto galante”
“Solo galante?”
“E anche affascinante…”
Lui fece un’espressione soddisfatta. “Affascinante? Sì, bè, anche le ragazze sulla Terra mi dicevano che lo ero, sai?”
Lei assunse un’espressione smarrita, sentendo il cuore sprofondare nel petto.
Certo, Edmund era stato lontano per tanto tempo e lei non poteva davvero aver pensato che l’aspettasse. Dopotutto era un uomo.
“Hai una ragazza?” chiese, titubante.
“Certo che ce l’ho”
“Nel tuo mondo?”
Lui la fissò insistentemente. “Sei tu la mia ragazza, Shanna”
Lei sgranò i grandi occhi di zaffiro, sentendo il cuore martellarle in petto.
“Ma hai appena detto che…”
“Sì, ci sono state delle ragazze, sono uscito con qualcuna di loro, però...”
“Uscito?”
“Insomma, ho dato loro appuntamento, le ho…portate a passeggiare, ecco. Ma non ero interessato a nessuna”
“Erano carine?” chiese Shanna, un’ombra d’irritazione sul volto.
“Se ti dicessi di sì, saresti gelosa?”
“Sì”
Edmund si chinò verso di lei. “Gelosa quanto?”
“Molto” Shanna arrossì di nuovo, specchiandosi negli occhi di lui.
Edmund portò il proprio viso a pochi centimetri da quello di lei, piano, la vide socchiudere le palpebre. Mancava pochissimo perché potesse baciarla, lei non stava ritirandosi. Ancora un istante e…
Qualcuno bussò alla porta e senza aspettare risposta entrò:
“Ed, sei sveglio?” disse la voce di Caspian. “Gli altri vorrebbero sapere se…Oh, chiedo scusa”
“NO!” fu l’urlo unanime del Giusto e della Stella.
Edmund schizzò in piedi. “No, no, frena! C’è un equivoco!”
Caspian sorrise. “Ma io non…”
“Già, non è assolutamente come sembra!” fece Shanna, scuotendo il capo, gli occhi spalancati come in preda al più puro terrore.
“Ragazzi, guardate che…”
“Invece credo che sia assolutamente come sembra” disse infine una quarta voce, proveniente dai pressi della finestra.
I tre ragazzi si volsero, e videro un falchetto dal piumaggio nero e bianco spingere con il becco la persiana semi chiusa, svolazzare nella stanza ed iniziare a beccare Edmund ovunque le capitasse.
“Shira!” esclamò Shanna. “Smettila subito!”
“Tesoro, quante volte te l’ho detto di stare attenta agli uomini poco onorevoli? E voi, Re Edmund, siete un mascalzone! Come avete osato approfittare così della mia ingenua padroncina?!”
“Non ho approfittato di nessuno! Ahi!”
Caspian rise, un po’ frastornato dall’assurda ed esilarante situazione.
Numerosi pensieri di diversa natura si agitavano nell’animo di ogni membro del gruppo di Narnia. Ognuno con i suoi problemi, con le sue paure, con il suo dolore. Non meno importanti di questi, vi erano anche quelle angosce che riserva il cuore ad ogni essere vivente, umano o meno che sia: l’amore.
L’amore era il più grande, meraviglioso e complicato di tutti i sentimenti. L’amore faceva venire meno il sonno e l’appetito, costringeva a dimenticare per un attimo che nel mondo c’erano problemi assai più gravi. Quando il cuore batte forte, nulla e nessuno può distoglierti dal tuo unico pensiero: la persona che ami.
Era accaduto a Caspian quando aveva incontrato Susan, era accaduto a Peter e Miriel, a Emeth e Lucy, ed ora era il turno di Edmund e Shanna.
“Che diavolo sta succedendo qui?” fece la voce di Peter poco dopo.
Dietro di lui, tutti gli altri: non mancava proprio nessuno.
Piena di vergogna, Shanna avrebbe voluto che una voragine si aprisse e la inghiottisse. Visto che non fu possibile, schizzò fuori dalla stanza coprendosi gli occhi con le mani.
“Shanna, aspetta!” le gridò dietro Edmund, scansando i compagni e inseguendola nel corridoio.
Shira fece per seguirli ma Caspian l’afferrò nel pungo. Lei era così piccola che spuntava solo la testa.
“Maestà, cosa state facendo?”
“Ti impedisco di impicciarti in affari che non sono tuoi”
“Ciao Shira” la salutò Miriel. “Che ci fai qui? E’ accaduto qualcosa a Bosco Gufo?”
“Salve a tutti. No, non accade nulla, ero solo venuta a controllare come state. Sapete, Lord Rhoop e tutti gli altri animali erano in pensiero. A quanto pare sono arrivata al momento giusto... Mi lascereste andare, Re Caspian?”
“No”
Gli altri vollero sapere cosa fosse accaduto, perché Shanna sembrava così sconvolta e, soprattutto, perché si trovava nella stanza di Edmund.
“Mio fratello deve aver fatto il cretino, non ci sono dubbi” fu il commento di Lucy.
“No, Lu, non credo sia colpa di Ed” le rispose Caspian, scoccando un’occhiata a Shira.
Lei ruotò la testolina. “Mh? Bè, cosa c’è?”


Shanna si chiuse nella stanza dove avrebbe dovuto dormire insieme a Miriel, e nemmeno le insistenze della altre ragazze riuscirono a persuaderla ad aprire la porta. Non uscì se non un’ora più tardi, quando la compagnia fu pronta per lasciare il monastero di Cornelius. Non fece nemmeno colazione.
Edmund, dal canto suo, era più che mai determinato a riprendere il discorso da dove era stato interrotto.
Al diavolo tutto, pensò il Giusto: se non si dichiarava adesso, non ci sarebbero state altre occasioni adatte. Probabilmente, quello era l’ultimo momento di tranquillità che si concedevano. Così, bussò insistentemente alla porta della stanza.
“Shanna, per favore, aprimi”
Dopo un attimo, la maniglia si abbassò e si aprì uno spiraglio.
La fanciulla lo sbirciò di sottecchi e poi aprì un po’ di più. Non aveva il coraggio di guardare in faccia nessuno, tantomeno Edmund, temendo fosse in collera con lei per il mancato bacio.
“Perché sei scappata di nuovo?” chiese lui, guardandola serio. “Perché ti allontani da me?”
Lei tirò un sospiro e poi parlò, ma ancora senza guardarlo.
“Shira mi ha insultato. Ha detto che ho la reputazione rovinata e che, se si sapesse, mio padre morirebbe dal dispiacere. Oh, e poi il Re! Re Caspian ci ha visti, proprio lui! So che è il tuo migliore amico ma cosa penserà di me, adesso? Mi premetterà ancora di entrare a corte? E io cosa dovrei fare se…”
D’improvviso, Shanna si sentì afferrare per le spalle e dopo un secondo era stretta al corpo di Edmund, le labbra di lui sulle sue.
Tremò, ma dopo un istante si aggrappò al ragazzo, abbandonandosi al suo abbraccio, al suo bacio. Un bacio vero.
Dapprima, lasciò che fosse Edmund a condurla in quella nuova sensazione, poi ricambiò il bacio, schiudendo la bocca sotto quella di lui, dolcemente.
Quando il giovane si allontanò da lei, i loro occhi s’incatenarono. Quelli della Stella splendevano come non mai.
“La vuoi smettere con tutte queste paranoie, una volta per tutte?” le disse Edmund. “Nessuno pensa che tu abbia fatto qualcosa di male. Shira è solo una piccola guastafeste. Quella apre becco solo perché può parlare”
Shanna rise. “Ha un bel caratterino, sì”
“Mi dispiace di averti messo in imbarazzo” disse ancora il ragazzo, serio.
“E a me dispiace reagire sempre in questo modo. Non voglio respingerti Edmund, io…io...”
Lui accenno un sorriso. “Sì anche io. Insomma, se è quello che intendi tu”
Shanna arrossì di nuovo ma sorrise a sua volta. “Hai detto che sono la tua ragazza”
“Lo sei” affermò Edmund. “Pensavo fosse scontato ma evidentemente non lo è, e credo sia meglio che io mi muova se non voglio che arrivi qualcun altro o che tu ti stanchi di me”
La fanciulla scosse il capo. “Questo non accadrà mai”
Edmund le lisciò i capelli sulle spalle, lucenti come fili d’oro, posando poi una mano sul suo viso.
“Sono innamorato di te, Shanna. Penso di esserlo sempre stato, fin da quando ti ho sognata la prima volta”
Shanna, incapace di parlare tanta era l’emozione, si allungò verso il viso di lui, provando una nuova, improvvisa sicurezza.
Edmund abbassò la testa e la baciò ancora. Non gli servirono risposte.
 
 
Shanna consegnò le Sette Spade agli Amici di Narnia poco prima di partire. Erano divenute splendide, di una bellezza e  robustezza incomparabili, affilate come gli artigli di un leone, resistenti come il ferro ma leggere come stagno, così che si potevano maneggiare anche con una mano sola.
Perfino Jill, che non aveva mai impugnato una spada in vita sua, sentì che non sarebbe stato difficile imparare ad usarla perché la Spada stessa, in un certo senso, avrebbe dato loro un aiuto per capire come sfruttare il potere nel migliore dei modi.
Non sarebbero state pesanti nemmeno da trasportare: Caspian, Emeth, Eustace e Peter le portarono dietro la schiena; Edmund, Lucy, Jill – e probabilmente Susan – le avrebbero legate al fianco (poiché sulle spalle avevano già arco e frecce, e Edmund la sua seconda spada). Erano così leggere che non pareva neppure di averle addosso.
Ci si sarebbe aspettati di vederle scaturire un’energia immensa ora che i Sette Amici erano finalmente insieme. I ragazzi ricordavano la forza straordinaria che era scaturita dai talismani la prima volta che erano stati riuniti sulla Tavola di Aslan. Ma, come ripeté la Stella Azzurra, gli effetti si sarebbero visti davvero quando tutti gli Amici di Narnia avessero impugnato le Spade insieme. Purtroppo, senza Susan o senza Caspian, questo era impossibile.
“Quindi, per vedere di nuovo gli effetti speciali dobbiamo aspettare che la maledizione venga annientata, giusto?” chiese Eustace, facendo roteare la Spada di Octesian tra le mani.
Shanna fece un sorrisetto alla battuta. “Sì, ma non necessariamente. Ti assicuro che le Spade vi riserveranno grandi sorprese anche individualmente, questa volta”
Shanna era raggiante quel mattino e nessuno faticò a capire il perché. Tutti lanciavano occhiate a lei e Edmund, mano nella mano. Anche il Giusto aveva un’espressione diversa e sorrideva a tutti.
Prima di andare, Cornelius consegnò ai ragazzi una sacca per uno colma di provviste e disse una preghiera per loro.
Tutti ringraziarono, Caspian fece appena un cenno con la testa; Shira, invece, non scambiò nemmeno una parola con il vecchio precettore: anche lei incolpava Cornelius di una parte delle disgrazie del Re e della Regina.
“Pensate attentamente a quel che vi ho detto, Maestà” disse Cornelius a Caspian. “Non dovrete tornare a Narnia prima del solstizio d’inverno, quando…”
“Ho capito perfettamente, non c’è alcun bisogno che vi ripetiate”
“Allora tenete bene a mente le mie parole, e che Aslan vi assista”
Caspian gli diede le spalle senza aggiungere nient’altro, aprendo la strada al resto della compagnia.
Gli altri ragazzi porsero i saluti a Cornelius, raccomandandogli prudenza. Lucy, soprattutto, gli diede coraggio:
“Io vi credo, professore, credo nella vostra previsione. Pregate Aslan e abbiate fede. Lui vi ha già perdonato o non vi sarebbe apparso”
“Grazie, mia Regina e buona fortuna”
Il gruppo di Narnia ripartì così attraverso Ettins. Shira li accompagnò per un tratto.
Il cielo era di nuovo di un bianco accecante ma la neve ancora non si faceva vedere.
Sulla strada rincontrarono Scompiglio, il quale si rallegrò molto della guarigione del falco. Insieme al piccolo Gigante - come gli altri avevano temuto- c’era anche sua madre: la Gigantessa Baraonda.
Sebbene i Giganti non erano quei tipi di creature fatate di cui ci si poteva fidare ciecamente, i ragazzi scoprirono con piacere che non avevano da temere dalla famiglia di Scompiglio. Si scoprì infatti che si trattava nientemeno che del figlio di Tormenta, uno dei Giganti che avevano combattuto al fianco di Caspian e dei Pevensie nella Guerra della Liberazione. Poco dopo, ecco arrivare anche lui.
Peter, Edmund e Lucy furono felici di rivederlo dopo tanto tempo.
“Permetti una domanda, Tormenta” esordì Caspian. “Come mai non vivete più sulla Collina dell’Uomo Morto?”
“Purtroppo, Maestà, molti di noi non si fidano più a vivere laggiù” spiegò il Gigante. “Lord Erton e i suoi bazzicano troppo insistentemente da quelle parti. Hanno trovato il coraggio di venire a interrogare anche noi”
“Interrogare su cosa?”
“Su di voi, Sire, su dove siete, se qualcuno vi ha visto e dove siete diretto. Lord Erton e il principe Rabadash offrono grandi ricompense a chi darà loro queste informazioni”
“Mi auguro che nessuno abbia osato farlo” s’infervorò Pozzanghera.
“Eh, purtroppo, signor Paludrone, devo deludervi” disse la Gigantessa Baraonda con aria mortificata. “Mio marito mi ha sempre messa in guardia da un certo tipo di creature, anche se io non volevo credergli. Mi diceva: ‘guardati dai Nani Neri moglie mia, perché sono doppio giochisti e ingannatori’. Aveva ragione, perché un gruppo di Nani Neri è stato visto recarsi al castello, l’altra notte, e portar via un baule pieno di oro”
“Non posso crederci!” esclamò Peter.
Tormenta annuì. “Invece sì, Maestà Suprema. Queste informazioni arrivano direttamente da Grande Quercia. Lui sa tutto ciò che accade al castello”
I ragazzi guardarono Caspian, il quale dopo un attimo si rivolse a Shira.
“Dovresti tornare indietro subito” le disse. “Te la senti di andare a Cair Paravel e spiare Lord Erton e Rabadash per me?”
“Ma certo” il falchetto arruffò le penne in un gesto d’importanza. “E’ per questo che non sono voluta partire con voi: sono la vostra informatrice, Sire, vi terrò al corrente su tutto”
“Te ne vai di già, quindi?” fece Shanna, un po’ delusa.
Shira volò tra le braccia della padroncina. “Amica mia, perdonami per averti detto quelle brutte cose, ma il comportamento di Re Edmund è stato davvero…”
“Io e Edmund adesso stiamo insieme”
Shira aprì il becco senza emettere un suono. Shanna sorrise.

Con Shira se ne andò anche la famiglia di Scompiglio, ma non prima di aver indicato ai ragazzi una scorciatoia per arrivare più in fretta al Ponte dei Giganti.
“Le vedete quelle rocce che formano la lettera M?” disse Tormenta. “Ecco: laggiù si apre un sentiero piuttosto difficile da percorrere, ma che vi farà giungere alla Gola in metà del tempo, e di lì al Ponte. Mi raccomando, prudenza con i miei cugini della Brughiera. Non tutti sono…come dire…civilizzati”
“Sì, questo lo sappiamo” disse Pozzanghera.
Il gruppo di Narnia ringraziò per l’aiuto e poi si salutarono tutti.
Per tutta la mattina, i ragazzi proseguirono attraverso la landa desolata, con i sensi all’erta, nel caso fosse ricomparso qualche soldato. Per fortuna non accadde. Il primo giorno incontrarono solo un branco di cavalli selvatici.
Durante il cammino, Caspian continuava a ripetere tra sé la breve conversazione avuta con Cornelius. Era così immerso nei propri pensieri, la mente così distante che, varie volte, quando gli altri gli rivolsero la parola, non rispose. Era molto più taciturno del solito, di cattivo umore, e nessuno si sentì di disturbarlo ulteriormente.
Quando arrivò la sera e comparve Susan, gli altri la misero al corrente della profezia di Cornelius. La Regina, a differenza di suo marito, ascoltò in silenzio e con molta attenzione, ma la sua opinione in merito non differì da quella del Re.
“Purtroppo, nemmeno io posso fidarmi di Cornelius” disse alla fine. “Forse verrà il giorno in cui sia io che Caspian torneremo a farlo, ma per adesso è troppo presto. In ogni modo, ho paura che il dottore abbia travisato le parole di Aslan: non può esistere una notte senza il giorno e un giorno senza la notte. Non ha alcun senso”
Anche la Dolce, come il Liberatore, non riusciva a vedere quella profezia come una possibilità. Susan pensava che se almeno Aslan fosse apparso a lei o a Caspian, o a chiunque altro dei suoi compagni, sarebbe stato più facile credere alla predizione. Benché fosse Regina di un mondo incantato, se c’erano cose che andavano oltre la sua comprensione, non riusciva ad accettarle. Aveva bisogno di prove concrete, lei era fatta così.
 

Il giorno seguente raggiunsero le rocce a M e presero il sentiero indicato da Tormenta. Era una stradina ben nascosta tra i massi, i quali formavano una specie di barricata ai due lati, dando un senso di protezione.
“Probabilmente ci romperemo l’osso del collo su queste rocce” commentò Pozzanghera, mentre aiutava Caspian a condurre Destriero, i cui zoccoli scivolavano spesso sopra i massi. “Vedrete che qualcuno di noi si romperà una gamba o ruzzolerà di sotto prima di sera”
Il sentiero era malagevole e tutto in salita, ma Tormenta aveva avuto ragione: raggiunsero la Gola molto prima che se avessero seguito la strada in mezzo alla Brughiera, e nessuno si fece male.
A fine giornata conclusero la salita e si ritrovarono sulla cima della Gola. Il Ponte dei Giganti era proprio al di là, di un bianco immacolato, possente, antico come il tempo. Sembrava vicino ma mancava ancora almeno mezza giornata di cammino per arrivarci.
Il terzo giorno, proseguirono su un nuovo sentiero lungo la Gola, decidendo di attendere il pomeriggio per compiere l’ultimo tratto. Pozzanghera ricordò che era meglio aspettare l’ora della siesta dei Giganti.
E il terzo giorno, Peter affrontò Caspian.
Mentre il Liberatore puliva gli zoccoli di Destriero da terriccio e pietruzze, il Magnifico gli si avvicinò.
“Sono due giorni che non parli con nessuno”
Caspian, accovacciato sui talloni, non si voltò. “Mi dispiace, so di essere insopportabile, ma ho un sacco di cose per la testa”
“Pensi di essere l’unico?” disse seccamente Peter. “Tu non credi a una parola di quel che ha detto Cornelius, vero?”
Caspian si fermò un momento. “E’ difficile per me avere ancora fiducia in qualcuno o in qualcosa” rispose, spostando per un attimo lo sguardo sul cielo bianco e gonfio di neve, in cerca del falco.
“Cornelius ha fatto tanto per te, dovresti avere un minimo di riconoscenza” continuò Peter, con il suo solito tono di superiorità. “Ricordo quando lo salvammo dal castello di Miraz: pensavi a lui come a un padre e so che non hai mai smesso di farlo”
Caspian abbassò il capo, i capelli gli finirono sul volto. Era tormentato da sentimenti differenti di rancore, nostalgia, incertezza. Doveva essere sincero con sé stesso: non aveva pensato di rivedere Cornelius vivo. L’averlo rincontrato gli aveva fatto provare una stretta al cuore perché, in fondo, gli voleva ancora bene, ed era questo a fare più male. Se avesse imparato ad odiarlo sul serio, non si sarebbe sentito così.
“Tu puoi capirmi, Peter” disse Caspian alzandosi in piedi. “Tu sai cosa vuol dire essere traditi da una persona a cui vuoi bene e quanto può far male”
Peter strinse la mascella.
Sì, lo sapeva. Rammentava ciò che lui Susan e Lucy avevano provato quando avevano scoperto che Edmund era passato dalla parte della Strega Bianca. Era stato terribile, inaccettabile.
“Sì, ti capisco” disse il Magnifico. “Ma oltre alla delusione ho avuto la possibilità di conoscere la gioia del vedere quella persona tornare sui suoi passi e riunirsi ai suoi cari”
Il Re Supremo si volse indietro solo un istante, osservando Edmund seduto sulle rocce insieme agli altri, mano nella mano con Shanna.
“Cornelius mi mentì già in passato” riprese Caspian. “Per anni mi tenne nascosta la verità sulla morte di mio padre. Non vedo perché non potrebbe farlo di nuovo”
Peter parve incredulo. “Pensi che direbbe il falso sull’apparizione di Aslan?”
“No…no, non credo lo farebbe. Ma una volta avrei prestato fede alle sue parole senza esitazione, ora, invece…” Caspian scosse il capo. “In ogni caso è un’assurdità: una notte senza il giorno e un giorno senza la notte. Che diavolo vorrebbe dire?”
“Molto spesso, Aslan parla per enigmi” rispose Peter. “Sono certo che col tempo lo capiremo”
“Tempo…quanto tempo ancora?”
“Ha detto fino al solstizio d’inverno. Manca poco più di un mese e mezzo, non è molto”
“E’ un sacco di tempo, dal mio punto di vista”
“Il tuo punto di vista è distorto”
Caspian si trattenne dal ribattere. Come al solito, Peter credeva di avere già capito tutto.
“E va bene, ammettiamo pure che Cornelius abbia ragione: ha detto che io e Susan dovremo affrontare Rabadash insieme, e per farlo dovremo tornare a Cair Paravel, ma cosa succederebbe se non riuscissimo a raggiungere il castello in tempo?”
“E’ qui che ti sbagli” ribatté Peter. “Ci riuscirete. Ogni cosa è stata stabilita da Aslan perché accada a suo tempo e a suo modo”
Caspian scosse di nuovo il capo con decisione, iniziando a spazzolare il manto di Destriero. “Non posso aspettare a lungo. Dovrei tornarmene subito indietro come avevo deciso dall’inizio”
“Allora perché sei ancora qui?”
Il Liberatore si voltò verso il Magnifico. “Non mi sarei spinto fino a questo punto se lei non fosse rimasta ferita” disse, lanciando uno sguardo al falco, che si era appena posata su una roccia accanto a loro. “Avevo detto che vi avrei accompagnato fino a Pozzanghera, ma poi Shanna mi ha incastrato con quella storia delle Spade…”
“Smettila” sbottò Peter. “Non cercare scuse, lo sai qual è il motivo del perché alla fine hai accettato di seguirci: è perché hai voluto credere che i tuoi figli sono vivi e li vuoi ritrovare. So che avevi perso le speranze e so cosa ti ha permesso di cambiare idea: la fede. Devi fare la stessa cosa con le parole di Cornelius, avere fede”
Caspian sentì che Peter lo guardava insistente mentre aspettava una risposta, ma il Liberatore tenne gli occhi fissi sul manto nero del suo cavallo, mentre si perdeva in nuove riflessioni.
“Non vorresti credere che ci sia una soluzione anche per te e per Susan?” insisté Peter.
Sì, Caspian lo voleva. Era la cosa che desiderava di più. Scioglierla dalle catene della maledizione, poterla vedere di nuovo con i suoi occhi umani, e liberare i suoi bambini ovunque si trovassero.
Forse Peter aveva ragione, forse era tutto stabilito. Ogni cosa combaciava: il viaggio attraverso le Terre del Nord poteva durare il tempo necessario per permettere loro di adempiere la missione affidata da Aslan a Jill, ed era altamente probabile che quella missione, oltre al salvataggio di Rilian e Myra, comprendesse l’annientamento della maledizione. Il tutto avrebbe potuto svolgersi nell’arco di sei settimane, dopodiché, le circostanze li avrebbero portati tutti a Cair Paravel. Doveva solo credere al significato di quattro segni e di una profezia, eppure esitava.
“Che sia la prima e ultima volta che te lo dico” disse infine Peter “Se sei ancora dell’idea di andartene, è meglio che tu lo faccia adesso, ma non ti azzardare a tornare”
“Mi stai minacciando?” chiese il Liberatore, fulminandolo con un’occhiata.
Il Re Supremo sostenne lo sguardo. “Ti sto accusando. Di vigliaccheria. Io non sopporto i vigliacchi e non voglio averne uno per amico”
“Da quando siamo diventati amici io e te, Peter?”
“Un tempo abbiamo cercato di esserlo. Avevo molta stima di te”
“Non ho bisogno della tua pietà” disse Caspian a denti stretti “Né della tua stima, tantomeno della tua amicizia. Di quella di nessuno. Comunque, sappi che non me ne andrò, non più”
“Bene”
“Bene”
I due ragazzi restarono in silenzio alcuni minuti. Caspian si aspettava che Peter lo lasciasse solo e invece rimase lì, alle sue spalle.
“La maledizione non ti ha privato solo del tuo aspetto umano” disse ancora il Re Supremo, “ma anche di un cuore”
Caspian ripensò alle parole che aveva rivolto a Cornelius quel mattino: gli aveva detto che il suo cuore era divenuto pietra. Non era esatto.
“Il cuore dei morti non batte” sul volto del Liberatore si dipinse la disperazione più pura.
Il Re Supremo rimase molto turbato da quell’espressione e dalle parole che seguirono.
“Non parlarmi di vigliaccheria, Peter, parlami piuttosto di morte e desolazione, comprenderò meglio quello che vuoi dirmi, perché anch’io sono morto e la mia vita è distrutta. Il mio cuore è di Susan e se non ho lei non ho niente, neppure me stesso. Sono un fantasma che cammina”
Da quel momento in poi, Peter non aveva più fiatato.
 
 
I due Re non si rivolsero più la parola per tutto il giorno. Si consultarono un paio di volte su cosa fare una volta sulle montagne, su come comportarsi se avessero dovuto affrontare i Giganti, ma nulla di più. L’antica antipatia era riaffiorata, come c’era da aspettarsi. Cercarono di evitare altre discussioni e l’unico modo per riuscirci era quello di ignorarsi, il che non giovava granché all’armonia della squadra.
Quando fu l’ora, ripresero il cammino per attraversare il crinale della Gola.
Ed ecco i Giganti! Finalmente potevano vederli coi loro occhi, stesi laggiù sul fondo, dormire della grossa come contadini durante la siesta del dopo pranzo. Ce n’erano a decine.
“Ora silenzio” intimò Pozzanghera. “Cercate di non svegliarli, o certamente si arrabbieranno. Non fiatate, camminate svelti a senza fare troppo rumore. I Giganti hanno orecchie enormi e perciò un udito finissimo”
“Scusa tanto, Pozzanghera” disse Emeth, “ma se c’è comunque il rischio che si sveglino e ci facciano a fettine, non sarebbe stato più semplice passare di qui a un’altra ora del giorno? O magari di notte?”
“Assolutamente no! Non ti ricordi cosa ho detto? Ci lasceranno in pace finché non sapranno che siamo entrati nel loro territorio. Non sono mica tutti gentili come Tormenta e la sua famiglia. Seconda cosa, tu te la sentiresti di passare di qui di notte? Con la paura che una di quelle rocce si muovesse rivelandosi un Gigante in agguato e non una roccia?”
Il soldato impallidì all’improvviso. No, la notte non era decisamente il momento migliore…
E così proseguirono a passo sostenuto, prudenti come ladri, tenendo lo sguardo dritto avanti a loro, fingendo di non vedere quei colossi addormentati che avrebbero potuto svegliarsi da un momento all’altro.
Infatti, purtroppo, ecco un movimento che provocò un rumore come di una frana. I ragazzi guardarono appena verso il basso e…
Se non avessero imparato a mantenere la calma davanti a situazioni imprevedibili e spaventose, sarebbero scappati a gambe levate. Jill per poco non si mise a gridare, ma Eustace fu pronto e le tappò la bocca in tempo.
Un enorme facciona senza espressione venne su dallo strapiombo. Il Gigante, con gli occhi ancora semi chiusi, si grattò la testa e si appoggiò con i gomiti sul bordo della Gola, come fosse affacciato a una finestra.
“Non curatevi di loro” bisbigliò ancora Pozzanghera. “Qualunque cosa accada, non mettetevi a correre per nessun motivo”
Il Gigante si accorse subito delle piccole figure che camminavano sul ponte laggiù, e sbatté le palpebre, perplesso.
“Oh, io sento che sto per svenire” disse Jill, tremando tutta.
“Non ti azzardare, Pole” le disse Eustace. “Se lo fai, io non vengo a raccoglierti, chiaro?”
“Fate silenzio” li riprese Caspian.
Il Gigante aveva richiuso gli occhi, la testa ciondolante. Si era riaddormentato.
Ma se pensavano che la calma fosse tornata, si sbagliavano.
Quando furono quasi alla fine del Ponte, ci un sibilo e qualcosa di pesante fendette l’aria, atterrando alle loro spalle e facendo tremare tutto.
“Cercano di colpirci? Ci hanno visti?” fece Miriel, spaventata.
“No, milady” spiegò Pozzanghera. “Sono i bambini che giocano a bersaglio. Guardate: cercano di colpire quel grosso masso laggiù. Non preoccupatevi, continuate a camminare”
Ma non era facile non preoccuparsi. Le rocce continuavano a volare sopra di loro, provocando fischi assordanti, una volta quasi li colpirono. D’un tratto, i piccoli Giganti si misero a litigare tra loro, svegliando gli adulti, i quali brandirono le clave.
“Ora possiamo correre?” fece Lucy.
“Direi di sì, Maestà” rispose Pozzanghera.
Nessuno se lo fece ripetere.
 
 
“E’ stata un’esperienza spaventosa!” disse Lucy a Susan quella sera. “Davvero, non credevo di poter provare una paura simile per una creatura di Narnia, ma quei Giganti erano proprio terribili!”
Susan ascoltò i racconti del giorno senza parlare, un leggero sorriso sulle labbra, facendo tesoro di quei momenti. Quando era falco non se ne rendeva conto ma le mancavano i suoi fratelli, la compagnia di tutti gli amici più cari. Benché il sole tramontasse presto in quella stagione, le ore che trascorreva con loro in forma umana erano comunque meno rispetto a quelle che trascorreva Caspian.
Più di una volta, capì che Lucy avrebbe voluto accennare ancora alla profezia di Cornelius, ma non osava per il timore di dare il via a nuove discussioni, proprio come era accaduto tra Caspian e Peter quel pomeriggio. Susan si trovò silenziosamente d’accordo con lei: non dovevano discutere, non dovevano litigare. Perciò, con Lucy parlò di tutto tranne che della maledizione o della profezia.
La Regina Dolce aveva riflettuto molto, ma non riusciva ancora a credere in una soluzione concreta. Tuttavia, tenne per sé i pensieri più cupi, si mostrò cauta ma fiduciosa, sapendo che i suoi fratelli e gli amici sarebbero stati presto contagiati dal suo stato d’animo. Decise che, almeno lei, avrebbe fatto di tutto per non guastare l’armonia del gruppo, importantissima per la buona riuscita della missione. Intendeva fare la sua parte nel modo che le riusciva meglio, ossia dando la forza interiore a tutti. In quanto a robustezza fisica non poteva paragonarsi ai compagni maschi, ma aveva imparato che poteva dare agli altri più con le parole che con arco e frecce. Susan era sempre stata la forza emotiva del gruppo, così come Lucy. Possedeva una forte empatia e trasmetteva il giusto conforto e coraggio a chi ne aveva bisogno, placando gli animi con le sue parole e i suoi modi fermi ma gentili.
Ad un tratto, mentre erano tutti seduti attorno al fuoco, il lupo ricomparve dalle ombre in cui sempre si nascondeva, mettendosi a ringhiare in direzione nordest.
Le chiacchiere si spensero immediatamente, Emeth, Peter, Edmund e Eustace saltarono in piedi, le spade sguainate.
Qualcuno arrivava dal sentiero che portava sulle montagne. Era la figura di un uomo, con un ampio cappuccio sul viso e un mantello che strisciava a terra. Di primo acchito, credettero si trattasse di Cornelius (forse li aveva seguiti), ma guardandolo meglio videro che lo sconosciuto era molto più alto del professore.
La figura si fermò a qualche metro dal gruppo. “Mettete via le armi, miei signori, sono qui per portare sorrisi, non battaglie, le quali, a mio avviso, sono davvero orribili faccende per delle signore”
La voce dell’uomo era robusta ma buona, e quell’ultima frase suscitò in Susan ricordi di una vita passata.
“Ti conosciamo?” chiese Lucy. Anche a lei sembrava di aver già sentito quella voce.
L’uomo rise e si abbassò il cappuccio. “Lo spero bene”
“No, non posso crederci!” esclamarono i Pevensie in coro. “Babbo Natale!”
Era proprio lui, in carne ed ossa. E per la seconda volta, quel giorno, Jill quasi svenne.
Egli avanzò di qualche passo e alla luce del fuoco non ci furono più dubbi: la gran barba bianca come la neve, il mantello rosso bordato di pelliccia, gli alamari d’oro e l’aria bonaria erano per forza i suoi.
“Aspettavo con impazienza che giungeste sul confine del Monti del Nord” disse, le mani sui fianchi, guardandoli tutti. 
Dopo un attimo di smarrimento, Susan capì immediatamente cosa stava per succedere e non poté trattenere una lacrima.
“No, no, cara, non piangete” disse Babbo Natale. “Ho saputo cosa è accaduto al vostro arco, Maestà, e sono qui per aiutarvi. Non potete partire per il nord senza la vostra arma, vi pare?”
“E’ Aslan che ti manda, vero?” chiese la Dolce, ricacciando le lacrime indietro. Babbo Natale annuì e l’espressione della giovane donna divenne di rimprovero. “Perché adesso e non prima? Perché dopo due anni? Io e Caspian venimmo a cercarti per lo stesso motivo per cui ora sei qui, ma tu non comparisti mai”
“Lo so, lo so, ma non potevo” sia affrettò a spiegare Babbo Natale. “La maledizione che vi tiene prigionieri mi teneva lontano, sapete? Proprio così. Dovete fare del vostro meglio per annientarla, o la nostra Narnia potrebbe…”
Un silenzio pieno di cupi presagi pervase l’aria.
“Narnia potrebbe…che cosa?” chiese Lucy tremante.
Il rubicondo viso di Babbo Natale divenne cupo come non si era mai visto. “Le potenze infernali sono scese su di noi. Se il sortilegio dovesse sussistere in eterno, il regno ne risentirà gravemente”
Edmund parve atterrito. “Vuoi dire che… cadrà in rovina?”
“Peggio: Narnia morirà”
“E’ terribile!”
“La maledizione la sta consumando. Narnia soffre come soffrono il suo Re e la sua Regina, sente il vostro dolore. Ma noi creature fatate crediamo in voi, Sette Amici di Narnia, nostri Sovrani, e nei vostri più cari amici. Vi ho detto che mi è stato impossibile scendere a Narnia per un pò, ma se ora sono qui è perché siete finalmente riuniti” Babbo Natale tornò a sorridere e allargò le braccia, quasi volesse abbracciarli tutti. “Noi sappiamo che presto ridonerete la speranza e la luce al nostro mondo. Ed ora, Regina Susan, datemi il vostro arco, mi metterò subito al lavoro”
Pozzanghera glielo consegnò immediatamente, spiegando che aveva cercato di fare qualcosa per aggiustarlo ma con scarsi risultati.
Babbo Natale lavorò quasi tutta la notte. Estrasse dal mantello una serie di strumenti dai manici dorati delle più svariate forme, più una nuova corda che legò intorno al legno finemente decorato. Scalpellò, intagliò, levigò e, infine, l’arco fu pronto.
Susan allungò una mano e lisciò piano la superficie lucida del suo Dono, tracciandone i delicati intagli, la corda tesa. Sembrava nuovo.
“Grazie” disse con un filo di voce. “Non so come altro esprimermi. Grazie, grazie veramente!”
Liberò un bellissimo sorriso e poi li abbracciò uno per uno: Jill, Eustace, Pozzanghera, Lucy, Peter, Edmund, Miriel, Shanna, Emeth, Ombroso e Babbo Natale.
Il lupo osservava da lontano. Non si era avvicinato, e solo quando lo sconosciuto dalla barba bianca se ne andò si accostò alla sua Regina, sedendo accanto a lei, annusando l’arco e guardandola come se avesse capito. Susan lo accarezzò e lo strinse a sé.
Ormai quasi tutti dormivano, solo loro due erano ancora svegli.
“Dobbiamo provare a credere ancora una volta nell’impossibile, amore mio” gli sussurrò in un dolce soffio. “Narnia sta morendo, come noi. Ma io non voglio morire. Voglio vivere. Voglio tentare ancora”. Susan lo guardò negli occhi. Anche lui la guardava. “Io so che tu sarai con me e questo è tutto quello che mi serve”
Susan ripensò alle parole di Babbo Natale. Lui credeva. Aveva detto che era necessario disfarsi al più presto della maledizione, ed aveva in un certo senso confermato le parole di Cornelius. Poteva davvero esserci un modo, dunque?
Un rametto scricchiolò nell’oscurità immobile. Il lupo drizzò le orecchie e Susan si voltò svelta. Ma era solo Jill.
“Posso sedermi un momento con te?” chiese timida.
Susan le sorrise e annuì.
Il lupo si alzò e andò incontro a Jill, leccandole la mano. Lei lo accarezzò sul capo e insieme a Susan lo guardò allontanarsi, trotterellare intorno al loro piccolo accampamento, sparendo e riapparendo tra le rocce e i cespugli.
“E’ strano pensare che sia Caspian” disse Jill.
“Lo so, per voi che la vivete dall’esterno non dev’essere facile”
“Non la viviamo affatto dall’esterno, siamo molto più coinvolti di quanto credi” Jill strusciò i piedi a terra, imbarazzata.
Susan cercò di metterla a suo agio. “Dimmi, hai già imparato a maneggiare la tua Spada?”
“Uhm…no, purtroppo. Eustace mi sta dando un po’ di lezioni. Lui dice di averle apprese dal suo amico topo, Ripicì”
Susan fece un sorriso amaro, ricordando giorni lontani. “Sei molto amica di Eustace, vero?
Jill arrossì un poco. “Sì, è vero”
“E so che vai molto d’accordo anche con Caspian”
“Già, anche se è un po’ scontroso a volte”
“La maledizione ci ha cambiati molto” mormorò la Regina. Il suo sguardo s’intristì. “Mi fa piacere che parli con lui”
“Cerco di spronarlo a non perdere le speranze, come fanno anche gli altri”
Susan la guardò un momento. “Lo sai, Jill, io mi ricordo di te”
La ragazza la fissò perplessa.
“Ti ho sognata una volta…anche se a dire il vero non era proprio un sogno…Credo che Eustace ti abbia parlato delle prove cui ci sottopose la Strega Bianca durante il nostro viaggio sul Veliero dell’Alba”
“Sì, l’ho letto nel suo libro”
Susan annuì. “Vedi, la Strega mi imprigionò in un incubo e mi mostrò cosa sarebbe accaduto se non fossi rimasta a Narnia. Ho visto un possibile futuro durante quell’incubo, un futuro che fortunatamente non si è avverato. Mi vidi adulta, come sono ora, ma ero un’altra persona e in quella visione c’eri anche tu. All’epoca non capii chi tu fossi, ma ora lo so”
Jill rimase a bocca aperta. “Incredibile”
“E’ vero, ma non così tanto: anche se ancora non ti conoscevo, tu eri già la Settima Amica di Narnia, per questo ti vidi”
“Ehm…scusa, sai, ma io non credo tanto nel destino scritto”
“Non è scritto, infatti. Tu sei stata scelta, come tutti noi, ma avresti potuto non accettare il tuo incarico. Se su quella montagna avessi detto ad Aslan che volevi tornare a casa, lui ti ci avrebbe rimandata”
“Ma io non volevo tornare a casa”
“Esatto. Sei stata tu a scegliere, lo capisci?”
“Credo…di sì”. Jill guardò la Regina, seria in viso. “Susan, noi due non ci conosciamo troppo bene, ma volevo dirti che per qualsiasi cosa puoi contare su di me. Come Settima Amica di Narnia intendo fare del mio meglio”
La Regina Dolce le prese una mano e gliela strinse. “Allora potresti dire una cosa a mio marito da parte mia?”
“Certo” annuì Jill.
“Digli che deve provare ad avere fede anche se non sempre è facile. Digli di ricordare come ha fatto a diventare l’uomo che è. Non ha mai lasciato cadere una sfida, non ha mai avuto paura, non ha mai ceduto di fronte a niente, non ha mai evitato nessuna responsabilità. Digli che io credo in lui, completamente, e che lo amo come il primo giorno, ora e sempre, qualsiasi cosa accada”
Jill sentì lacrime di commozione pizzicale gli angoli degli occhi. “T-tutto qui? Nient’altro?”
Susan inclinò leggermente la testa da un lato. “Ci sono un mucchio di cose che vorrei dirgli, ma se continuiamo a parlare rischieremo di svegliare gli altri”
Jill si portò le ginocchia al mento, rannicchiandosi ben bene nella coperta di lana che si era avvolta attorno al corpo.
“Se parliamo a bassa voce non li disturberemo, e tanto io non ho sonno”
 
 
Alle prime luci dell’alba, la temperatura scese quasi sotto lo zero. L’intera landa era ricoperta da uno strato di ghiaccio che faceva scricchiolare l’erba sotto i piedi.
Ormai erano arrivati al limite settentrionale di Narnia. Si ritrovarono davanti un pendio scosceso che si affacciava su una terra triste e cupa. In fondo vi erano delle formazioni rocciose e poi montagne altissime, precipizi bui e terribili, valli coperte di massi e pietraie, burroni così stretti e profondi che non si riusciva a guardarci dentro, cascate che sgorgavano da gole paurose e confluivano in fiumi dalle acque buie e insondabili. Sui pichi più alti c’era già la neve.
“Le Terre del Nord, signori. Siamo arrivati” disse Pozzanghera. “Attraversato il Ponte dei Giganti saremo fuori dai confini di Narnia”
La compagnia si fermò un momento, voltandosi a guardare il profilo della loro terra che si stavano lasciando alle spalle. Ignorando la stretta al cuore, iniziarono la discesa.
Laggiù in basso scorreva un fiume che procedeva fra i dirupi, colorandosi di un verde cupo che si rischiarava quando veniva toccato dai deboli raggi del sole. C’erano un’infinità di rapide e cascate, il rumore dell’acqua era ovunque, il gorgoglio del fiume era un tuono che sembrava far tremare la terra. Era un luogo selvaggio, dove pochi erano stati, dal quale molti non erano più ritornati, nel quale non c’erano città né persone, ma solo orsi, volpi e lepri artiche, gatti selvatici e altre bestie simili. C’era molta incertezza nel trovarsi lassù al Nord, dove non ci sarebbero state creature fatate ad aiutarli, dove avrebbero dovuto contare solo sulle loro forze, gli uni sugli altri.
Finalmente, eccoli sull’orlo del precipizio che veniva tagliato in due dal famigerato Ponte dei Giganti. Era un arco a dir poco gigantesco che collegava le due parti dello strapiombo. 
“E’ altissimo, enorme” commentò Miriel osservandolo. “Da lontano non sembrava così. Mette paura in un certo senso”
Peter le strinse la mano, rassicurandola, camminando a fianco a lei. “Non temere. Se dovesse accadere qualcosa, io ti proteggerò”
“Secondo voi chi può averlo costruito?” chiese Emeth ammirato. “I Giganti o qualcun altro?”
“Non saprei” gli rispose Lucy. “Quando eravamo Sovrani noi, nell’Età d’Oro, esisteva già. Peter, secondo te chi può essere stato?”
“A me sembra improbabile che siano stati i Giganti” rispose Ombroso. “Non sembrano tanto svegli”
“Quelli di oggi forse no” disse il Re Supremo, “ma la loro antica civiltà era molto più avanzata”
“Oh, allora potrebbe darsi che sia stato eretto dagli stessi Giganti che costruirono l’Antica Città che cerchiamo noi. Giusto, Peter?”
“Ottima osservazione, Jill. Sì, credo che sia possibile”
“Chissà” fece Shanna pensierosa, “forse il Ponte ci condurrà proprio là”
Iniziarono ad attraversarlo, con Pozzanghera che tesseva la loro malasorte ad ogni passo, convinto che non appena avessero messo piede sulla superficie del Ponte, questo sarebbe scomparso nel nulla e tutti loro sarebbero precipitati di sotto.
Ovviamente non fu così. La costruzione era solidissima, benché consumata dal tempo. In alcuni punti, le pietre di sostegno erano cadute, lasciando enormi voragini dalle quali si poteva guardare il fiume che scorreva molto più in basso. Le balaustre erano sbeccate e sgretolate ma le figure incise erano ancora ben identificabili: centauri, minotauri, giganti, più altre strane e spaventose creature, forse esistite nei tempi antichi ed ora estinte. Il vento soffiava forte lassù, tanto erano in alto. Videro persino un’aquila sfrecciare sotto di loro.
Jill corse avanti a tutti, affiancandosi a Caspian e a Destriero, che trasportava le sacche con le coperte e le provviste.
“Ho un messaggio di Susan” esordì la ragazza.
Il Re si volse incuriosito verso di lei. “Di Susan?”
“Sì. Dice di tenere duro, che devi ricordarti chi sei e come lo sei diventato, tutte le prove che hai affrontato, e che non devi mai perdere la speranza. Lei ne ha molta, sai? Credo che voglia credere alle parole di Cornelius, dopotutto. E’ rimasta molto turbata da quel che Babbo Natale ha detto su Narnia, come tutti. Secondo lei, tu dai troppa importanza al passato e non ne dai abbastanza al presente”
Il Liberatore aggrottò la fronte.
“No, non adirarti, ora” lo pregò Jill. “Non dovresti trascurare le probabilità solo perché non nutri abbastanza fiducia in te stesso, e in questo momento è così che stanno le cose, è inutile che cerchi di negarlo. Credi che ormai sia tutto inutile perché hai fallito nel proteggere le persone che ami quando hanno avuto più bisogno di te, ma a volte nella vita bisogna rendersi conto di quando è il momento di lottare e quando è invece il momento di scappare. A vote è necessario, però non sempre scappare è sinonimo di sconfitta. Devi credere nell’ arma che ti è stata data”
Caspian posò la mano sull’elsa di Rhasador, ma Jill scosse il capo.
“No, non quel tipo di arma”
“Stai parlando della Spada di Revilian?”
“No, nemmeno di quella. Sto parlando di un’arma più potente di qualsiasi spada, più della vendetta, più della forza fisica”
“Che cos’ho più di questo?”
Toccò a Jill aggrottare la fronte. “Sei stupido o cosa?”
“Ehi!”
“Hai Susan, Caspian. L’amore che nutri per Susan è più forte di qualsiasi cosa. Quella è la tua vera forza. Ha detto che ti ama come il primo giorno e che continuerà per sempre ad essere così”
Caspian posò lo sguardo sul falco, comodamente appoggiato sulla sella di Destriero.
“Queste cose te le ha dette tutte lei?” sorrise.
“No, qualcuna è mia” ammise Jill un poco vergognosa. La ragazza osservò il Re chiudere un momento gli occhi. “Ti ama più della sua vita, Caspian”
“Lo so”
Jill si turbò, osservando i suoi occhi neri inumidirsi all’improvviso.
“Sei una vera amica, Jill, ti ringrazio. Ora, però, lasciami solo, per favore”
La ragazza comprese il suo stato d’animo e non disse nulla, facendo un paio di passi indietro.
“Dille che…” riprese Caspian d’improvviso. “Dille che sto cercando di capire cosa è meglio fare e che tra poco lo saprò. E che la amo, ora e sempre”

 
 
 
 
Come state, cari lettori, siete in vacanza?
Finalmente sono arrivata con il capitolo 22! Ho idea che sia un po’ vuoto…succedono varie cose ma non questo granché, e siccome sono già 13 pagine e mezzo non ho inserito il pezzo della Strega e dei bambini, che slitta nel prossimo. Non so…ditemi voi cosa ne pensate :/ A proposito: fan della Shandmund, siete contenti??? E bacio fu!!! XD
Ah, avete visto la mappa di Narnia qua sotto? :D Stavolta l'ho messa tutta intera, anche se ancora non ho avuto modo di sistemare il colore e le scritte, sorry...
Un piccolo doveroso avviso: alcune descrizioni delle terre del nord sono prese dal libro originale.

 
Veniamo ai ringraziamenti!
Per le seguite: Aesther, aleboh, Araba Shirel Stark, battle wound, BettyPretty1D007flowers, Christine Mcranney, english_dancer, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, Friends Forever, G4693, HarryPotter11, HikariMoon, Jordan Jordan, lucymstuartbarnes, LucyPevensie03, lullabi2000, Mia Morgenstern, Mutny_BorkenDreams, piumetta, Queen Susan 21, Robyn98, Shadowfax, Starlight13, SuperStreghetta, Svea,  SweetSmile, TheWomanInRed, vio_everdeen, Zouzoufan7,_faLL_ _joy
 

Per le ricordate: Araba Shirel Stark, Cecimolli, Halfblood_Slytherin, mishy, Queen_Leslie, Starlight13, Zouzoufan7
 
Per le preferite:  ale146, Araba Shirel Stark, BettyPretty1D007flowers, bulmettina, catherineheatcliff, cat_princesshp, Cecimolli,  ChibyRoby,  cleme_b, ecate_92, fede95, FioreDiMeruna, Fly_My World, Fra_STSF, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, harukafun, ibelieveandyou, jesuisstupide, JLullaby, Jordan Jordan, Judee, katydragons, lauraymavi, Lucinda Grey, lucymstuartbarnes, Marie_, Mai_AiLing, mewgiugiu, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_ , piumetta, Queen Susan 21, Queen_Leslie, Revan93, Shadowdax, vio_everdeen, Zouzoufan7, _joy, _Rippah_ 

Per le recensioni dello scorso capitolo:  Christine Mcranney, FioreDiMeruna, Ma_AiLing, Queen_Leslie, Shadowfax, vio_everdeen,  _joy
 
Angolino delle Anticipazioni:
La prossima volta, i nostri eroi faranno un incontro molto misterioso. Vedremo la Strega e i bambini, e forse ancora Rabadash. Infine, per i fan di Peter e Miriel è in arrivo un momento tutto loro, anche se le circostanze non saranno delle migliori…

 
Come sempre, vi ricordo che gli aggiornamenti li trovate alla mia pagina facebook.
Vi ringrazio immensamente, tutti quanti, che continuate a seguirmi, a sopportarmi, a consigliarmi e sostenermi, perché grazie a voi Night&Day ha raggiunto e superato le 200 recensioni!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Continuate così!!! Vi adoroooooooooo!!!!!!!!!!!!!!!!!
Susan♥

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Capitolo 23
*** Capitolo 23: Un incontro misterioso ***


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IN FONDO LA MAPPA DI NARNIA


24. Un incontro misterioso
 
 
Il nostro amore stanotte rimane forte
E rende giusto tutto ciò che abbiamo rischiato…

 
 
Rilian dormiva ancora quando Lady Lora entrò nella stanza dei bambini ed aprì le tende per far entrare la pallida luce del Mondodisotto: una luce che nessuno sapeva bene da dove veniva, dato che il castello sorgeva miglia e miglia sottoterra. Era uno dei tanti misteri che i gemelli avevano chiesto alla loro madre adottiva di svelargli, ma che ella aveva liquidato con una frase alquanto enigmatica:
“Certe volte non possiamo chiederci il perché di qualcosa. A volte, le cose stanno così e basta, perché sono sempre state così...”
Il principe si svegliò quando sentì che qualcuno lo scuoteva piano su una spalla, e allora aprì gli occhi.
Il sogno e la realtà si mischiarono: in un primo momento, gli sembrò di non conoscere la giovane donna davanti a lui, bella e sorridente, con lunghi capelli castani e gli occhi azzurri come i suoi.
Sbatté le palpebre, perplesso. La figura divenne più nitida e la prima immagine scomparve, sostituita da quella di…
“Lora...”
La Lady sorrise. “Buongiorno, Altezza. Sembrate stupito, chi credevate che fossi?”
Rilian si mise a sedere, stropicciandosi gli occhi. “Pensavo fosse un’altra persona”
“E chi?”
“Non so…”
Rilian faceva spesso questo tipo di sogni, ma solo a Myra lo aveva confidato. Purtroppo, non riusciva mai a rammentare quasi nulla una volta sveglio, perciò non poteva assolutamente rendersi conto di aver sognato la sua vera madre.
“Non parlate troppo forte” disse Lora a Rilian, indicando Myra ancora addormentata nel letto accanto. “Non svegliate vostra sorella”
Il Principe non capì.
“Vostra Madre vuole portarvi fuori, Altezza”.
“Solo io?” chiese lui sorpreso.
“Sì, solo voi. Ora correte in bagno a lavarvi, io intanto preparo i vostri abiti da viaggio”
“Abiti da viaggio?” Rilian saltò giù dal letto, parlando a mezza voce, seguendo Lora nella stanza adiacente. “Tu sai dove andrò?”
“Non ne sono stata informata” rispose lei sbrigativa. “Su, su, svelto. Lo sapete che a vostra madre non piace aspettare”
“Non è mia madre” bofonchiò il principe, mentre iniziava a sciacquarsi il viso. “Anche se non mi ricordo affatto della mia vera mamma, so di averne avuta una e so che era dolce e gentile”
Lora lo osservò con compassione. “Sì, tesoro, lo so”
Come vorrei poter consolare questi bambini, pensò.
Povera Lora, come riuscirci se nemmeno lei ricordava nulla della sua vita passata?
La Strega Bianca le aveva cancellato la memoria esattamente come aveva fatto con i gemelli. Con lei era bastata una semplice magia; per Rilian e Myra, invece, la Strega aveva dovuto utilizzare la Sedia d’Argento. Grazie ad essa, Jadis aveva eliminato ogni traccia del passato dalle loro menti, introducendone ricordi fasulli e distorti. Ovviamente, i due bambini credevano che l’incantesimo della Sedia d’Argento fungesse da protezione a una maledizione che li trasformava in due tremende creature sanguinarie. Jadis aveva raccontato che era stato un malvagio stregone a gettare il sortilegio su di loro.
Rilian e Myra erano rimasti molto turbati da questa rivelazione, ma la Signora li aveva rassicurati: prima o poi, con l’aiuto della Sedia d’Argento e con il passare degli anni, il maleficio si sarebbe dissolto. Nel frattempo, però, non si sarebbero dovuti assolutamente allontanare dal Castello delle Tenebre, o la protezione della magia benefica avrebbe potuto dissolversi.
“Perché ci hanno fatto questo?” avevano chiesti i due fratellini.
“Perché sono malvagi. Non c’è un vero perché” aveva risposto la Signora…
Quando Rilian ebbe finito di prepararsi, lui e Lady Lora scesero la grande scalinata per recarsi nella sala da pranzo dove Rilian fece colazione. Il principe indossava un completo nero, dal mantello agli stivali, quasi si stesse preparando ad andare in battaglia. Aveva persino un elmo, ma non aveva idea se dovesse indossarlo o no.
Quando giunse  la Signora dalla Veste Verde, tutti i servitori presenti – Lora compresa –  si inchinarono.
Jadis allargò le braccia e fece un sorriso affettato. “Rilian, mio caro! Sei pronto? Immagino che la tua governante ti abbia detto che oggi sarà una giornata speciale”
Rilian annuì e poi chiese subito: “Perché non viene anche Myra con noi?”
“Tua sorella ha cose più importanti da fare, oggi, con Lora e le altre cameriere. Tu ed io, invece, usciremo nel Mondodisopra”
Rilian sbarrò i grandi occhi azzurri.
“Maestà, siete sicura che il principe possa allontanarsi dal castello?” chiese Lora ansiosa.
“Ma certo. Sarà con me e non potrà accadergli nulla. Adesso, Rilian, saluta la tua governate, svelto. Se vogliamo essere indietro prima di sera, dobbiamo affrettarci”
Il principe si rivoltò verso lady Lora. I suoi occhi brillavano di emozione.
“Non dire niente a Myra” sorrise. “Voglio vedere la sua faccia quando stasera le dirò dove sono andato”
“Prudenza, Altezza, mi raccomando” Lora abbracciò brevemente il bambino e poi lo guardò allontanarsi con la Signora dalla Veste Verde.
Il principe aveva iniziato a tempestare la sua madre adottiva di domande, pur sapendo che le dava molto fastidio quando faceva così.
“Ti spiegherò strada facendo” disse Jadis, infilandosi i guanti verde smeraldo.
“Devo indossare l’elmo, Maestà?”
“Non ancora. Ti dirò io quando è il momento. Ti ho fatto preparare questo abito perché tu possa cavalcare in superficie senza che nessuno ti riconosca. E’ per la tua incolumità, mio caro”
Arrivarono al cancello principale del palazzo dove li aspettava Mullughuterum, il fedele servitore della Signora, insieme a due cavalli. La regina salì in groppa a una giumenta dal manto grigio chiaro, mentre Rilian salì su Carbone, il suo destriero personale dal manto nero.
Cavalcarono fino ai confini del Mondodisotto, là dove sorgeva un lungo fiume nero. Lo attraversarono con una grande barca che poteva ospitare sia loro che i due animali.
Rilian osservava Mullughuterum remare. Di tanto in tanto, anche l’altro gli scoccava qualche occhiata. La strana creatura, oltre a essere il capo dei servitori della Signora dalla Veste Verde, era la guardia del corpo di Rilian e Myra: stava sempre intorno a loro, ovunque andassero e qualunque cosa facessero. A Lady Lora infastidiva la sua presenza, ma ai bambini no: Mullughuterum se ne stava sempre in silenzio, non lo avevano mai sentito parlare, e certe volte non ci si accorgeva nemmeno della sua presenza.
Arrivati sull’altra sponda del fiume, ad aspettarli c’erano altre due creature del Mondodisotto, assieme a due meravigliosi cavalli bruni dalla folta criniera di un rosso scarlatto.
“I Cavalli di Fuoco!” esclamò Rilian ammirato. “Non sono i più veloci del mondo?”
“Esatto, mio caro” rispose la Signora. “Normalmente, per raggiungere il luogo in cui dobbiamo andare, ci vorrebbero molti e molti giorni. Ma con i Cavalli di Fuoco voleremo come il vento”
“Dovrò lasciare qui Carbone?” chiese il bambino un po’ dispiaciuto.
“Ci penserà Mullughuterum a riportarlo indietro” spiegò Jadis.
Mullughuterum prese infatti le redini della giumenta della Regina e del cavallo del principe, poi s’inchinò loro e li congedò. Lo stesso fecero le altre due creature dopo che Rilian e Jadis furono montati sui Cavalli di Fuoco.
All’inizio andarono al passo, percorrendo le fredde e labirintiche gallerie del Mondodisotto.
“Dove mi porterete una volta fuori?” chiese Rilian, impaziente.
“Non è ancora il momento di rivelarti tutto, voglio che sia una sorpresa” rispose la Signora dalla Veste Verde. “Intanto dimmi: come vanno e lezioni con il vostro maestro?”
Rilian fece una smorfia: lui e Myra venivano istruiti sia da Lady Lora che da un brutto e vecchio nano raggrinzito.
“Uhm…vanno benino”
“A quanto sembra, i tuoi voti sono peggiorati. Il maestro dice che sei distratto in quest’ultimo periodo, come mai?”
Rilian alzò le spalle, tenendo per sé la verità: erano i suoi strani sogni a distrarlo, ma non poteva dirlo alla Signora dalla Veste Verde, non si fidava di lei purché la rispettasse.
Jadis sapeva che il principe le nascondeva qualcosa, lo aveva capito e voleva scoprire che cos’era. Perciò, parlò con Rilian di questo e di quello, con naturalezza, passando per vari argomenti, cercando di farlo tradire.
Ma il principe era abituato a questi suoi giochetti e aveva imparato a giocare bene a sua volta, per cui non si tradì.
“Se c’è qualcosa che ti turba, Rilian caro, puoi parlarmene in totale libertà” disse Jadis.
La donna e il bambino si fissarono negli occhi.
“No” disse infine Rilian, sfoderando un sorriso. “Non c’è niente che non va”
Jadis ricambiò con enorme sforzo, capendo che lui le aveva mentito per l’ennesima volta.
Non parlarono per un po’. Poi, quando la strada prese a salire ed imboccarono un cunicolo più grande, la città delle Tenebre era ormai lontana e allora spronarono i cavalli al galoppo.
Erano davvero i più veloci al mondo: Rilian faticò a tenersi in sella mentre le strade del Mondodisotto sfrecciavano via velocemente. Le possenti zampe dei cavalli sembravano mandare scintille ardenti ad ogni movimento. Potevano quasi sollevarsi da terra per quanto andavano svelti.
Dopo molto tempo, gli animali rallentarono. Infine, ecco una luce in lontananza.
Il cuore di Rilian prese a martellare più forte.
Quando furono vicini all’uscita, Jadis disse: “Hai con te l’elmo, mio caro? Bene, tieniti pronto ad indossarlo e ricorda bene: se mai dovessimo incrociare qualcuno sulla strada, tu non dovrai assolutamente parlare, intesi?”
“Intesi” rispose lui, mentre trafficava con il copricapo. “Però, con quest’elmo non vedrò un granché di quello che mi vorrete mostrare”
“E’ per la tua incolumità” gli disse ancora lei. “Te lo farò togliere più tardi, ora indossalo, da bravo.”
Rilian fece un’espressione contrariata ma obbedì.
“Se mai ci imbattessimo in qualche uomo malvagio e quello ti riconoscesse, che faremmo?” proseguì teatralmente Jadis. “Che tragedia sarebbe! No, non possiamo rischiare. Nessuno deve sapere che tu e Myra siete vivi, vi credono tutti morti e devono continuare a farlo, altrimenti verrebbero a cercarvi. Se vi rapissero, io non potrei più proteggervi. La maledizione potrebbe scatenarsi e, senza la senza la Sedia d’Argento, se vi trasformerete non tornerete mai più al vostro aspetto umano”
Rilian rabbrividì di paura. “Scusate, Signora, avete ragione”
In quel momento, sopra di loro passò un uccello ad ali spiegate e il suo richiamo echeggiò nell’aria fredda. “Guardate!” esclamò Rilian, alzandosi istintivamente la visiera dell’elmo per poterlo osservare meglio.
“Riabbassala subito” lo rimproverò la Signora. “Ricordati che nessuno deve vederti!”
“Non c’è proprio nessuno, infatti” protestò lui. “Siamo in mezzo alle montagne, chi potrebbe vederci? Guardate, ora, laggiù: che uccello è quello? Un’aquila? Forse un falco!”
Alla parola ‘falco’, Jadis si voltò svelta a scrutare il cielo.
“Dove?” chiese, cercando di non mostrare l’agitazione.
“Ora non lo vedo più” rispose Rilian. “Però sembrava diverso dagli uccelli che ci sono da noi nel Regno delle Tenebre”
“Sì, qui è tutto molto diverso e anche molto più pericoloso”
Rilian si riabbassò la visiera. “Scusate se vi ho disobbedito, Maestà, ma non avevo mai visto un animale come quello”
Lei gli sorrise. “Va bene, va bene…Ora, vediamo se hai indovinato dove ti voglio portare”
Rilian sbatté le palpebre. “Un’idea ce l’avrei, in effetti. Penso che mi stiate portando a vedere la terra che fu di mio padre”
Lei rise, falsamente compiaciuta. “Sei un bambino molto sveglio, mio caro”
Troppo, per i miei gusti, pensò.
“Sì, hai indovinato: ti mostrerò il regno che ti è stato sottratto ma che ti appartiene di dritto. Potrai osservare da lontano, ma voglio comunque che tu veda quello che molto presto sarà tuo”
“Presto quanto?”
“Quando sarai pronto per essere re” 
Rilian si mostrò preoccupato. “Sarò capace di fare il re?”
“Ti insegnerò io, non temere”
“E Myra?”
“Anche lei diventerà regina, in futuro. Le troveremo un buon marito”
Rilian fece una smorfia e la Signora rise. “Anche tu, un giorno, dovrai prendere moglie”
“Io non voglio separarmi da Myra. Io e lei ci siamo promessi di restare sempre insieme”
“Parli così perché sei ancora molto giovane, mio caro. Inoltre, non puoi decidere per tua sorella: è bene che una donna prenda marito, prima o poi”
“Voi non siete sposata, però”
“No, è vero, ma io ho sulle spalle un regno e non ho tempo di pensare alla famiglia. Tua sorella, invece, è giusto che abbia tutte le comodità che una ragazza deve avere”
Rilian non parve convinto. Poi si fece pensieroso e aggiunse: “Io vorrei essere capace di proteggere Myra. Vorrei diventare più forte di così”
“E lo diventerai, te lo posso assicurare”
D’improvviso, uno strano fremito turbò il cuore di Rilian. “Io so che è sbagliato odiare, ma …io odio tutti quelli che ci hanno fatto del male”
Jadis si compiacque di sentirlo parlare in quel modo. “Sarò felice d’insegnarti a diventare potente come nessun uomo lo è mai stato”
“Vorrei diventare forte come voi…madre”
Jadis fissò il bambino, senza tradire la scintilla di trionfo che le accese lo sguardo nel sentirlo chiamarla finalmente in quel modo.
“Non avere fretta, mio caro: la vendetta è un piatto che va consumato freddo”
D’un tratto, dalla strada davanti a loro videro comparire diverse figure. Sembravano esseri umani.
“Chi saranno?” commentò Rilian, preoccupato e incuriosito insieme.
“Non temere, figliolo” lo rassicurò la Signora con voce calma. “Tu fa come ti ho detto: resta immobile e non parlare, al resto penserò io”
 
 
 
~·~
 
 
 
La compagnia di Narnia si lasciò alle spalle il Ponte dei Giganti e proseguì per tutta la mattina lungo una strada che entrava nel cuore di una montagna. Il terreno era lastricato, segno che un tempo quel percorso era stato battuto da esseri viventi, probabilmente l'antica civiltà dei Giganti. In alcuni punti, dove mancavano le pietre, spuntavano erbacce.
Iniziò a cadere la neve che, ben presto, aumentò d’intensità ricoprendo il sentiero di un lieve strato di bianco.
“Ne cadrà molta di più domani” annunciò Pozzanghera, “ e ne troveremo in abbondanza quando saremo più a nord”
“Speriamo di trovare presto questa fantomatica Città dei Giganti” disse Emeth, infilando le mani ghiacciate sotto le braccia, per tenerle più calde.
“Tutto bene?” gli chiese Lucy, che gli camminava a fianco.
Lui rabbrividì. “Dalle parti di casa mia, in novembre ci sono venticinque gradi minimo, sai?”
Lei gli rimandò uno sguardo comprensivo. “Posso immaginarlo. Senti molto freddo?”
“Non preoccupati, piccola, posso resistere”
Lucy arrossì e si strinse al suo fianco. Lui le circondò le spalle con un braccio, percependo il suo calore.
“Ho pensato a quel che mi hai detto alla Torre dei Gufi” riprese lei.
Emeth la guardò: Lucy era molto seria.
“Lu, non voglio forzarti a fare niente se non te la senti. Ti ho messo fretta, lo so, perdonami”
“In effetti, mi sono sentita un po’ sotto pressione” ammise lei. “Emeth, non posso prometterti che verrò a vivere a Calormen con te, ma verrò a conoscere i tuoi genitori – o almeno tua madre – se ne avranno piacere”
Il ragazzo le diede un breve bacio sul capo. “Grazie”
Lei capì che non era pienamente soddisfatto di quella risposta, ma lei aveva voluto essere sincera: non voleva lasciare Narnia.
“L’importante non è dove vivremo, ma che tu rimanga” disse Emeth, fissando gli occhi scuri in quelli chiari di lei. “Il resto verrà da sé, sei d’accordo?”
“Sì, più che d’accordo” Lucy fece una pausa e poi aggiunse: “E’ per i tuoi genitori che mi hai chiesto di venire con te, io lo so“
Lui la guardò. “Per loro, e perché voglio che tu veda dove sono vissuto”
“Non sarebbe meglio per tutti se si trasferissero a Narnia?”
Il ragazzo scosse brevemente il capo. “Mio padre non lascerà mai il Deserto”
“Se temono l’ira dell’Imperatore Tisroc, Caspian potrebbe concedere loro il diritto d’asilo”
“Piuttosto che accettare l’aiuto del Re di Narnia si farebbe decapitare. E mia madre non lo abbandonerà”
La Valorosa fece un’espressione triste.
“Mi dispiace, piccola. So che non vorresti sentirtelo dire ma è la verità: mio padre non verrà mai e non lascerà venire lei. E io non posso lasciarla, ha solo me”
Lucy si mordicchiò il labbro inferiore e riprovò. “Una volta mi hai detto che tua madre è nata ad Archen e vorrebbe rivedere la sua terra: potreste abitare là”
Emeth aggrottò le sopracciglia. “Pensi che a Tashbaan si viva così male?”
Lei arrossì. “N-n, però…”
“Credo tu ti sia fatta un’idea un pò distorta di come viviamo laggiù, Lucy. Abbiamo usanze e costumi totalmente differenti, ma la vita non è male. Eravamo felici quand’ero piccolo, ho molti bei ricordi”.
“Anch’io mi ricordo di Tashbaan, era una città davvero splendida” disse Lucy in tono remissivo, per paura che lui potesse adirarsi. “Vi andai molte volte nell’Età d’Oro, i suoi abitanti erano molto ospitali”
“Ed è ancora così, o almeno lo era finché Rabadash non ha dichiarato guerra a Narnia” commentò il soldato con gravità.
Lei lo fissò attentamente. “Dimmi la verità, Emeth: se non fosse per me, tu ameresti ugualmente Narnia?”
Lui sfoderò un sorriso stiracchiato. “Certo che sì”
“No, non così tanto” ribatté la Valorosa. “Lo dimostra il fatto che te ne sei andato quando io non c’ero”
Emeth distolse lo sguardo e rimase in silenzio. “Di fronte a quello che provo per te, questo non conta. Io voglio solo stare con te, Lucy. Te l’ho detto: a Narnia o a Calormen, m’importa solo che tu ci sia”
Lucy gli strinse la mano senza aggiungere altro, desiderando però che lui potesse sentirsi parte di quel mondo che lei aveva adorato fin da quando vi aveva messo piede la prima volta. Avrebbe voluto spiegare al ragazzo quel che aveva provato nel momento in cui si era ritrovata sotto il lampione, quando aveva incontrato il Signor Tumnus... Non poté, perché all’improvviso due cavalieri comparvero sulla strada davanti a loro.
La compagnia di Narnia rallentò l’andatura ma non si fermò, continuando ad andare loro incontro.
“Tenete pronte le armi, non si sa mai” sussurrò Caspian, il falco sulla spalla, la mano già posata sull’elsa di Rhasador. “Ombroso, non farti vedere”
“Perché?”
“Perché non devono capire da dove veniamo e tu sei la chiara prova che arriviamo da Narnia”
Purtroppo era vero: come tutti gli animali parlanti di Narnia sono più grossi dei loro fratelli muti, Ombroso era molto più grande di un pipistrello normale. Senza contare che se ne andava in giro di giorno: cosa alquanto strana per uno della sua razza.
“Vieni, ti nasconderò io” disse Miriel, scostando il suo mantello. Ombroso si infilò sotto, nascondendosi tra le pieghe del suo abito. “Non fiatare, mi raccomando”
I due sconosciuti fermarono i loro possenti destrieri: uno era un cavaliere (un Nano, forse, data la basa statura) tutto vestito di nero, con un ampio mantello e un elmo con la visiera abbassata. L’altra era una bella donna vestita di una ricca veste di un verde abbagliante; sedeva all’amazzone, la schiena dritta, le spalle erette, un portamento straordinariamente elegante. Quando parlò, lo fece con garbo.
“Salute, viaggiatori”
“Salute a voi, madama” rispose Caspian, chinando appena il capo.
“Cosa porta dei sì giovani avventurieri in queste terre desolate?” chiese la donna, osservando Lucy, Jill e Eustace, che erano i più giovani del gruppo.
“Siamo alla ricerca di una città” rispose prontamente Jill.
“Ma davvero!” esclamò l’altra. “Che cosa singolare. Non è per caso l’Antica Città dei Giganti?”
“Sì, proprio quella!”
Caspian intervenne: “Perdonerete la nostra reticenza nel rispondere, signora, ma non conosciamo né voi né il vostro compagno misterioso. E voi non sapete chi siamo noi. Spero non ne abbiate a male, ma preferiremmo non parlare di faccende private con degli estranei, non è secondo nostra abitudine”
La donna emise una breve risata, che risuonò cristallina nell’aria fredda.
“Sì, capisco. Siete un capo molto saggio, cavaliere” disse, guardando Caspian dritto negli occhi, poi il falco sulla sua spalla. “Ad ogni modo, se posso esservi di qualche aiuto…”
Eustace avvicinò al Re e gli sussurrò in un orecchio. “Forse dovremmo chiedere un indizio a questa bella signora. Sembra sapere qualcosa, approfittiamone: quando ci capiterà di incontrare ancora qualcuno su queste montagne?”
Caspian rifletté un momento, fissò un momento il cavaliere silenzioso al fianco della sconosciuta  e poi si rivolse di nuovo a lei.
“Madama, rinnovo le scuse per il mio atteggiamento di poco fa. Sperando che non vi siate offesa, io e i miei amici vi saremmo grati se poteste dirci se avete mai sentito parlare della città che stiamo cercando”
“Non preoccupatevi, cavaliere, non mi sono offesa. Sì, ho sentito parlare di un’antica città in rovina, ma non ho idea di quale sia la strada per arrivarci. Gli unici che potrebbero dirvi qualcosa sono i Giganti che vivono ad Harfang”
“Altri Giganti?” bofonchiò Jill. “Non so se ho voglia d’incontrarli…”
“Mia cara bambina, posso assicurarti che, tanto quelli della Brughiera di Ettins sono selvaggi e rozzi, quanto quelli di Harfang sono cortesi e miti”
“Quanto dista la città di Harfang?” chiese Lucy.
“E’ piuttosto difficile arrivarci, invero, dovrete fare molta strada, ma se seguirete il sentiero lastricato non sbaglierete. Vi consiglierei di affrettarvi prima che i monsoni invernali si abbattano sui monti. Che idea: potreste passare l’inverno ad Harfang e ripartire per la vostra ricerca a primavera”
“Uhm…io non vorrei mai abitare per così lungo tempo presso di loro” commentò Pozzanghera, producendo spirali di fumo con la sua pipa.
“Io sono stata loro ospite molte volte”
“E siete ancora viva? Tanto di cappello, signora”
Lei rise ancora, portando elegantemente una mano a coprire la bocca.
“Che simpatica compagnia, siete! Mi intratterrei ancora con voi, ma devo proprio andare. Dite così ai Giganti di Harfang: che vi manda la Signora dalla Veste Verde, e che sarete suoi ospiti per la Festa d’Autunno”
I ragazzi non sapevano se fidarsi o no, ma ringraziarono educatamente.
“Quasi dimenticavo” aggiunse la donna infine “Se doveste arrivare ad Harfang di notte, non vi faranno  entrare anche se busserete, poiché i Giganti chiudono le porte della città prima del tramonto e non le riaprirono che al mattino”
“Grazie per l’informazione signora, la terremo a mente” disse Caspian.
Così, con un colpo di tacchi nei fianchi dei cavalli, la donna e il misterioso cavaliere se ne andarono per la loro strada.
“E’ stata veramente gentile” disse Eustace quando ripresero la marcia. “Credevo fossero nemici, invece…”
“Aspetta, aspetta” intervenne Pozzanghera, sistemandosi il cappello. “Anche se è stata gentile, non vuol dire che non fosse una nemica”
“A me piacerebbe sapere da dove spuntavano e dove sono diretti” commentò Ombroso, uscendo dalle pieghe del vestito di Miriel. “Non credete sia assai insolito incontrare una dama così ben vestita in un posto come questo?”
“Ben detto, vecchio mio” disse Pozzanghera. “Chi è così stupido da avventurarsi per le Terre Selvagge del Nord?”
“Noi” risposero gli altri tutti in coro.
“Escludendo voi”
“Guarda che ci sei in mezzo pure tu, bello mio!” protestò Eustace.
Il Paludrone agitò una mano, noncurante. “In ogni modo, questa storia non mi convince affatto”
“Sono d’accordo con te, Pozzanghera” disse Caspian.
“Sì, anche noi” dissero Shanna, Emeth, Edmund e Peter.
“Oh, andiamo” fece Miriel. “Non siate sempre così diffidenti”
“Io ho trovato quella dama semplicemente fantastica” disse Lucy.
“Sì, avete visto che vestito favoloso?” esclamò Jill.
“E che dire dei cavalli?” disse Eustace.                 
“E poi era così bella” fece Ombroso, scoccando poi un’occhiata a Caspian. “Ovviamente, nessuno lo è più della mia Dolce adorabile signora Susan, chiariamoci…”
“Ecco, appunto…” sospirò il Liberatore.
“Mmm…sarà…” bofonchiò il Pozzanghera, “ma a me inquietava parecchio”
“Che mi inquietava di più era il cavaliere al suo fianco” commentò Shanna.
“Quale cavaliere?” disse ancora il Paludrone. “Io non ho visto proprio nessuno”
“Come?!” fece Jill, “Non ti sei accorto che c’era un'altra persona?”
“Io ho visto solo un’armatura”
“E’ vero” disse Emeth. “Quel tizio non ha pronunciato una sola parola, quasi non si è mosso. Non vi è sembrato strano?”
“Inoltre, quale cavaliere se ne va in giro senza spada?” aggiunse Edmund. “Non avete notato? Al fianco non aveva nulla”
“Forse la spada era nascosta sotto il mantello” provò Lucy.
“Io mi chiedo cosa si nascondesse dentro l’armatura” mormorò Caspian, continuando a lanciare sguardi alla strada dove quei due misteriosi figuri erano spariti.
“Che vuoi dire?” chiese Peter.
“Che avrebbe potuto celarsi chiunque dietro quelle vesti”
“Dalla corporatura sembrava un Nano” osservò Shanna. “Forse uno dei Nani Neri delle Montagne del Nord, Sire...cioè, Caspian”
“Può darsi…“
“Oppure, può darsi che sotto quell’armatura non ci fosse proprio nulla” disse ancora Pozzanghera, con aria tetra. “Era un’armatura vuota, o magari c’era un morto dentro, o uno scheletro”
“Uno scheletro a cavallo?” fece Eustace. “Ma fammi il piacere!”
“Ah, non si sa mai, non si sa mai!”
“Santo cielo, Pozzanghera!” esclamò Jill, che aveva iniziato ad avere la tremarella ( e per fortuna era giorno e non notte, o non avrebbe dormito). “Sei l’essere più assurdamente macchinoso e pessimista che abbia mai conosciuto! Ma come te le inventi queste cose?”
“Ora basta discutere” li interruppe Caspian, gettando di nuovo lo sguardo dietro di sé.
Chiunque fosse quel cavaliere, nel guardarlo – anche senza la certezza che quello avesse guardato lui  – il Re aveva avuto come la sensazione di…
Non lo sapeva.
Era assurdo pensare di conoscere un individuo che nemmeno aveva visto in volto, del quale non aveva udito la voce. Eppure…eppure cosa? Eppure gli sembrava di averlo già incontrato, tutto qui.
Se solo Caspian avesse saputo che era suo figlio…
Se solo Rilian avesse ricordato il volto di suo padre…
Se solo la Strega Bianca non avesse progettato tutto così maledettamente bene…
 
 
Continuarono per tutto il giorno a parlare dei due misteriosi stranieri, di Harfang, di cosa avrebbero trovato laggiù.
La stretta strada che iniziarono a salire, divenne presto accidentata e il cielo si oscurò.
La sera, quando tornò Susan, le raccontarono tutto.
La Regina Dolce si rivolse alle tre guide del gruppo: Pozzanghera, Miriel e Shanna, che erano in disaccordo tra loro. La Driade veniva contestata dagli altri due.
“Quella donna non ha detto il falso” stava dicendo Miriel. “Sapete tutti che posso capire il linguaggio della Natura, e in base ai venti ho sentito che i monsoni invernali sono realmente molto vicini. E se la Signora dalla Veste Verde avesse voluto farci morire assiderati su queste montagne – come dici tu, Pozzanghera – non ci avrebbe detto che ad Harfang possiamo trovare un rifugio”
“Anche io so leggere il tempo atmosferico, cara Miriel, non c’era bisogno di…”
“Oh, vi prego, non ricominciate a litigare!” li ammonì Susan, stanca di sentire quei due beccarsi in quel modo. Era da almeno mezz’ora che andavano vanti così.
“Shanna, ascolta” disse la Regina, “tu sei una stella e so che puoi vedere lontano con la tua magia. Lo facevi anche quand’eri prigioniera sull’Isola delle Tenebre, giusto?”
“Sì, esatto. Vuoi che guardi quanto è distante Harfang?”
Susan sorrise. “Te ne sarei grata”
Shanna annuì e buttò la testa indietro.
Il cielo era limpido e chiarissimo ma senza una stella.
“Come farai a porre una domanda alle stelle se non ce n’è nemmeno una?” le chiese Edmund.
Shanna rise brevemente. “Ci sono eccome, solo che non riusciamo a vederle per colpa delle nubi”
Edmund arrossì. “Oh, giusto, che stupido…”
L’intera compagnia si ritrovò automaticamente con lo sguardo rivolto in alto. Tutti stavano in silenzio, l’unico rumore era il crepitare del fuoco.
Gli occhi di Shanna parvero brillare più intensamente mentre guardava il cielo, lei stessa sembrava scintillare.
Dopo qualche tempo disse: “Eccola”
“La vedi?” chiese Susan.
“Sì. Non chiaramente ma la vedo”
Shanna si scambiò uno sguardo con Edmund, Peter, Emeth e Pozzanghera: tutti loro avrebbero dovuto ricredersi sul conto della Signora dalla Veste Verde.
“E va bene, ragazzi” disse il Re Supremo abbassando il capo in segno di resa, “avevate ragione voi: possiamo fidarci delle informazioni della dama misteriosa”
“Evviva!” fecero in coro Lucy, Jill, Eustace e Ombroso. Miriel sorrise soddisfatta.
Il pipistrello svolazzò canticchiando intorno al fuoco. “Il Re non si fidava e io sì! Il Re aveva torto e io ragione! Oh che bellezza, trallallà…”
“Ombroso, ti prego…” sospirò Susan. “Shanna, quanto ci metteremo per arrivare?”
“Non lo so ancora. Le stelle ce lo diranno strada facendo. Ma è laggiù da qualche parte, in quella direzione, proprio come diceva la signora”.
La Stella Azzurra indicò con la mano e Miriel si volse verso Pozzanghera.
“Ora non ne discuteremo più, vero?”
“Mah...Io sento puzza di trappola…”
“Tu senti sempre puzza di trappola, Pozzanghera”
Solo in quel momento Susan si accorse che la voce di Miriel suonava leggermente diversa dal solito.
“Ti sei presa il raffreddore?” le chiese.
La Driade fece un mezzo sorriso. “Ho paura di sì”
“Riguardati, mi raccomando”
“Non preoccuparti. Lucy mi ha fatto bere un po’ del suo cordiale, entro domani mi passerà”
 
 
Ma l’indomani, le condizioni di Miriel non erano affatto migliorate. Anzi: esattamente come quelle atmosferiche, iniziarono a peggiorare.
Si svegliarono con un sole che faceva male agli occhi e si addormentarono con un vento gelido che continuò a soffiare per tutta la notte. Si strinsero l’uno accanto all’altro e Peter sentì Miriel tremare. La Driade disse che non era nulla, ma lui non le credette. La costrinse a prendere di nuovo la pozione di Lucy, che questa volta parve fare effetto.
Il mattino dopo, però, ecco di nuovo il raffreddore e stavolta le venne anche la febbre.
Anche Emeth presentò gli stessi sintomi, e lo stesso Jill. Ma loro due, dopo una sola goccia di cordiale, si sentirono meglio.
“Miriel, sali su Destriero” le disse Peter con tono fermo, perché lei continuava a dire di no.
“Ti prego, non è necessario, sto bene”
“No, non è vero. Sei pallida”
“Ho solo freddo, tutti l’abbiamo”
“Miriel…” la chiamò Caspian, indicandole la sella. “Coraggio”
“No, per favore, non voglio essere un peso”
“Non sei un peso” la rimproverò Peter. “Ora sali, avanti”
La Driade obbedì, senza ammettere che lo stare seduta sulla groppa del cavallo era per lei un sollievo. Si sentiva bruciare, la testa le pulsava, e non si sentiva più mani e piedi.
Il terzo giorno di cammino, una minacciosa massa di nubi si accumulò attorno ai picchi più alti dei Monti del Nord, promettendo una grossa nevicata. Prima che fosse mezzogiorno, la strada si ricoprì di bianco.
“Ci fermiamo per un pò” annunciò Caspian verso quell'ora.
Pozzanghera guidò il gruppo in una fenditura rocciosa. Accesero il fuoco anche se era giorno pieno.
Peter, che guidava Destriero per le redini, aiutò Miriel a scendere.
“Vi sto rallentando” disse lei.
“Devi riposare”
“Continuiamo a fermarci e so che lo fate per me. In questo modo perderemo ore preziose di cammino”
“Non importa!” esclamò il Re Supremo, stringendola in un abbraccio. Poi la guardò e sentì un brivido di paura: Miriel era pallida, troppo pallida, le occhiaie le segnavano il viso.
Lei gli fece una carezza su una guancia e lui percepì il gelo delle sue mani.
“Vorrei darti un bacio” disse la ragazza, “ma rischio di attaccarti il raffreddore”
Il giovane sorrise appena, dandole un bacio sul capo. “Ti amo”
“Lo so”
Prima di sera nevicò per davvero. Il paesaggio attorno a loro si era tramutato in un’immensa distesa bianca. Si accorsero che c’era qualcosa di strano e ben presto capirono che cos’era: il silenzio. Un tranquillo, inquietante, opprimente silenzio. Il vento si era acquietato, non c’erano canti d’uccelli o fruscii di altra natura. Oltre al fuk fuk della neve che si posava al suolo, non si udivano altri rumori.
Erano soli in mezzo al mondo.
Continuò a nevicare per tutta la notte  e per tutto il giorno seguente: il quarto. E la febbre di Miriel salì pericolosamente.
Il sentiero si restrinse e la strada divenne molto accidentata, tutta in salita. La neve caduta la notte precedente li fece arrancare lentamente. Erano tutti molto affaticati e furono grati alla fortuna quando il percorso tornò piano.
Venne di nuovo la notte, la neve cessò ma tornò il vento. Trovarono un riparo scavato nella roccia, asciutto, riparato dalle raffiche. Fecero asciugare i loro mantelli e gli stivali, cercando di alimentare il fuoco in continuazione, di stringersi nei sacchi a pelo. Susan preparò un infuso per Miriel e la costrinse a berlo a piccoli sorsi.
“Va molto meglio, adesso, grazie”
La Regina le mise una mano sulla fronte. “Hai una febbre da cavallo, non cercare di dissimulare”
La Driade non aveva mangiato praticamente nulla per tutto il giorno.
Dopo che ebbe finito di bere, Peter l’aiutò a stendersi nel sacco a pelo e si sdraiò accanto a lei.
“Non fare quella faccia seria” gli disse Miriel, la voce debole.
“Avrei dovuto immaginare che il tuo corpo avrebbe reagito così” disse lui, accarezzandole i capelli. “Anche se sei umana ora, sei pur sempre la Driade del Fiore del Fuoco. Il tuo sangue è diverso dal mio: tu sei fatta per vivere al sole, non qui in mezzo alla neve”
“Durante questi anni in cui ho vissuto a Narnia, cadeva moltissima neve in inverno. Mi sono abituata al freddo”
“Ma eri dentro le mura del castello, al caldo, dico bene?”
Miriel non rispose.
Peter le prese le mani tra le sue e soffiò sopra di esse per cercare di scaldarle. Le strofinò le braccia e le spalle.
Mentre lo guardava, gli occhi di Miriel si riempirono di lacrime. “Guarirò. E’ solo febbre”
“Allora perché mi fissi in quel modo se sai che guarirai?” le chiese Peter, profondamente turbato.
“Peter, non…”
Lui non la lasciò terminare. Posò le labbra sulle sue, con decisione ma con calma.
“Devo portarti indietro”
“No, non possiamo”
“Sì, invece. Abbiamo ancora abbastanza provviste perché ci durino fino a che non saremo di nuovo alle Paludi. Lì ci riposeremo e poi ti riporterò alla Torre dei Gufi. Lord Rhoop e Pennalucida ti cureranno”
“Quando arriveremo ad Harfang starò al caldo in una bella stanza. Mi curerò lì” tentò di convincerlo lei. “Non dovrebbe mancare molto”
Peter la strinse forte e le accarezzò la schiena, mentre lei scivolava nel sonno. Il ragazzo rimase sveglio ad ascoltare il suo respiro flebile e quella notte non chiuse occhio.
Alle prime luci dell’alba, udì qualcuno muoversi tra i sacchi a pelo e capì che era Susan.
Peter si alzò a sedere e lei gli si avvicinò.
“Come sta Miriel?”
“Non bene. Sono molto preoccupato” confessò Peter alla sorella. “Non è una normale influenza. Il cordiale non fa effetto: Jill e Emeth sono guariti in poche ore, mentre lei…quando dorme ho paura che non debba più svegliarsi”
Susan osservò il viso dell’amica e provò una stretta al cuore. “Povera Miriel…”
“Sì è sforzata molto per resistere ma non ce la fa più. Lei è un’abitante delle Valli del Sole, non può stare qui. Voglio portarla indietro”
Susan strinse il braccio di Peter: un gesto per trasmettergli forza.
“Parlane con Caspian, appena arriva” disse la Regina, osservando il cielo mentre si schiariva e portava con sé nuova neve. “Io devo andare, ora”
Quando Susan si fu allontanata con Ombroso, Peter rimase di nuovo solo nel silenzio. Tutti gli altri ancora dormivano.
Accarezzò il volto di Miriel, le spalle, le braccia. La sentì fredda come il ghiaccio.
“Miriel! Miriel!” gridò, sollevandola. La fanciulla ricadde inerme tra le sue braccia. “Oddio, no!”
“Peter, che cosa succede?!” esclamò la voce di Caspian.
Il Re Supremo si voltò e fissò il Liberatore con occhi spalancati dal terrore.
“Non si sveglia”

 
 
 
 
 
Eccomi con il 23esimo capitolo, cari lettori!
Lo so, starete mangiandovi le mani dopo questo finale….ahimè, dovrete aspettare per sapere cosa succederà adesso. Sì, oggi ho la vena malvagia MWAHAHAHAHAHAHAHAh!!!!!!!!!!!
Non ho dedicato moto spazio ai Suspian, ma c’erano altre cose a cui dedicarsi. Che ne pensate della Strega e di Rilian?

Piccola nota: il pezzo dell'incontro tra la compagnia di Narnia e la Singora e il cavaliere, è preso dal libro "La Sedia d'Argento"
 
Prima che posiate linciarmi, passo ai ringraziamenti….
Per le seguite: Aesther, aleboh, Araba Shirel Stark, battle wound, BettyPretty1D007flowers, Christine Mcranney, english_dancer, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, Friends Forever, G4693, Gigiii, Happy_699, HarryPotter11, HikariMoon, Jordan Jordan, LittleWitch, LucyPevensie03, lullabi2000, Mia Morgenstern, Mutny_BorkenDreams, piumetta, Queen Susan 21, Robyn98, Shadowfax, Starlight13, SuperStreghetta, Svea,  SweetSmile, TheWomanInRed, vio_everdeen, Zouzoufan7,_faLL_ _joy, _likeacannonball
 
Per le ricordate: Araba Shirel Stark, Cecimolli, Gigiii, Halfblood_Slytherin, mishy, Queen_Leslie, Starlight13, Zouzoufan7
 
Per le preferite:  ale146, Araba Shirel Stark, BettyPretty1D007flowers, bulmettina, catherineheatcliff, cat_princesshp, Cecimolli,  ChibyRoby,  cleme_b, ecate_92, fede95, FioreDiMeruna, Fly_My World, Francesca lol, Fra_STSF, Gigiii, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, harukafun, ibelieveandyou, jesuisstupide, JLullaby, Judee, Jordan Jordan, Judee, katydragons, lauraymavi, Lucinda Grey, Marie_, Mai_AiLing, mewgiugiu, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_ , piumetta, Queen Susan 21, Queen_Leslie, Revan93, Shadowdax, vio_everdeen, Zouzoufan7, _joy, _likeacannonball, _LoveNeverDies_, _Rippah_ 

Per le recensioni dello scorso capitolo:  battle wound, Christine Mcranney, fiamma di anor, FioreDiMeruna, La bambina fantsama, LittleWitch (che si è messa in pari e ha recensito tuuuuuutti i capitoli precedenti) Queen_Leslie, Shadowfax, vio_everdeen, _joy
 
Angolino delle anticipazioni:
Per prima cosa, vedremo cosa è successo a Miriel. Lei e Peter rilasceranno davvero il gruppo per tornare indietro? Comunque vadano le cose, i nostri eroi arriveranno ad Harfang e conosceranno i Giganti che ci vivono. Saranno buoni o cattivi?
E poi, siccome stavolta abbiamo visto Rilian, nel prossimo capitolo andremo da Myra.
Rabadash? Le sue numerose (?) fans dovranno aspettare ancora…

 
Vi ricordo che per gli aggiornamenti dovete controllare la mia pagina facebook. Quando meno ve lo aspettate ne appare uno…
Vi ringrazio veramente tanto, continuate a seguirmi!!!
Un bacio immenso,
Susan♥

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Capitolo 24
*** Capitolo 24: Il nostro breve attimo ***


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IN FONDO LA MAPPA DI NARNIA


24. Il nostro breve attimo
 
Voglio invecchiare con te
Voglio morire dolcemente fra le tue braccia
Voglio invecchiare con te
Voglio che i tuoi occhi mi cerchino
Voglio essere lì per te
Condividere tutto quello che fai
Voglio invecchiare con te
 
 
Lucy, Edmund e tutti gli altri si svegliarono al grido spaventato di Peter, accorrendo immediatamente.
La Driade aveva l’aspetto di un cadavere.
Lucy mise subito mano al suo cordiale. “Avremmo dovuto rimandarla indietro già da molto tempo” disse, mentre Peter sollevava la testa di Miriel e aiutava la sorella a farle bere un sorso abbondante, poiché era chiaro che poche gocce non sarebbero bastate.
Dopo un tempo che parve lungo un’eternità, la Driade emise un debole respiro.
“Se Lady Miriel rimarrà ancora a lungo in questo gelo, morirà” aggiunse Pozzanghera con aria mesta.
Tutti capirono che, questa volta, il Paludrone non stava facendo il drammatico come al solito, diceva il vero.
“Devo partire subito” disse il Re Supremo guardando gli altri. “So che non è prudente dividerci, ma devo raggiungere Bosco Gufo il più in fretta possibile. Caspian, devi prestarmi Destriero”
Il Liberatore annuì. “Certamente, ma sarebbe più saggio se andassi avanti invece che tornare indietro”
Peter lo fissò un istante. “Intendi…precedervi ad Harfang?”
“Esattamente. Impiegherai meno tempo ad arrivare laggiù piuttosto che rifare la strada all’inverso. Anche se ripartissi immediatamente, non raggiungeresti Narnia se non entro una decina di giorni...ammesso che riuscirai a scendere con la stessa rapidità con cui siamo saliti, del che dubito vista tutta la neve che è caduta”
Peter rifletté qualche istante. Forse, Caspian aveva ragione.
“Non manca più molto per raggiungere la città” lo rassicurò Shanna. “Due o tre giorni di cammino per noi; ma per te e Miriel, se andate con Destriero, anche un giorno e mezzo”
Peter fece un sospiro. “Va bene, allora”
Lucy tastò il polso di Miriel. “Il battito è debole. Dobbiamo accendere un fuoco e scaldarla. Non può affrontare un viaggio se non si rimette almeno un pò”
I ragazzi si diedero da fare per riattizzare le braci della sera precedente. Peter avvolse la Driade in un paio di coperte asciutte e la strinse a sé, cercando di trasmetterle il calore del suo corpo. Restando fermo nella stessa posizione così a lungo, il freddo e l’immobilità gl’intorpidirono gli arti, ma non se ne curò.
Miriel rimase priva di coscienza per ore. Pozzanghera e Lucy si alternavano nel controllarle il polso: a poco a poco, il suo battito tornò più veloce, il che era un buon segno. Nonostante ciò, a Peter sembrava che fosse improvvisamente smagrita, le guance scavate, le braccia esili come i rami di un albero morente, i lunghi capelli rossi avevano perso vivacità.
Improvvisamente, rammentò il momento in cui l’aveva veduta per la prima volta, tanti anni prima: splendida ed eterna come la fiamma che ardeva nel suo cuore. Che ardeva per lui.
Miriel aveva perso la sua eternità per seguirlo. Lo aveva aspettato per lunghi anni, paziente come solo lei sapeva essere, come lo era sempre stata.
Per il Re Supremo, Narnia veniva prima di tutto, per questo nell’Età d’Oro non aveva mai conosciuto l’amore. Il suo dovere era sempre stato verso il paese, verso il popolo nella sua collettività, non concentrato solo su una singola persona…non fino a che aveva incontrato Miriel.
Era sempre stata innamorata di lui; Peter se n’era innamorato quasi subito, benché all’inizio – ricordava – si era quasi imposto di non assecondare quei sentimenti.
Ricordarla luminosa e sorridente nella luce del sole, ma vederla pallida come la morte tra le sue braccia, lo spinse a rimproverarsi duramente per averla lasciata sola così tanto tempo.
Si chinò su di lei e si dondolò avanti e indietro, stringendola tra le braccia. Era così fragile…
“Perdonami, amore mio…perdonami…non ti lascerò mai più sola, te lo prometto”
Miriel si mosse un poco e Peter si sollevò per guardarla.
Quando lei aprì gli occhi, incontrò subito quelli azzurri di lui, limpidi come il cielo, che la guardavano spaventati e sollevati allo stesso tempo. La luce del giorno faceva risplendere d’oro i capelli biondi del Re Supremo. Miriel avrebbe voluto dire qualcosa ma iniziò a tossire e Peter dovette sorreggerla per aiutarla a respirare. La ragazza gemette e si portò una mano alla bocca. Quando la scostò, era macchiata di sangue.
“Oh mio Dio…Lucy!” esclamò Peter. La sorella accorse subito.
Ma Miriel alzò una mano per fermarla, quando la Valorosa cercò di farle bere la pozione per l’ennesima volta.
“Non servirebbe” disse a fatica. “Non sprecarla per me”
“Ma cosa dici?!” fece Lucy.
“Peter, salite su Destriero” disse Caspian in fretta. “Adesso!”
Senza farselo ripetere, senza prestare ascolto alle nuove raccomandazioni di Lucy di attendere che Miriel si rimettesse un poco in forze, il Re Supremo prese in braccio la Driade e la posò sulla sella del cavallo, salendo dietro di lei.
Miriel non ebbe la forza di protestare. Si appoggiò al petto di Peter e chiuse gli occhi, risprofondando in uno stato di semi incoscienza. Lui la sorresse mettendole un braccio attorno alla vita, saldamente.
Gli altri radunarono in fretta tutto il necessario: le armi del Magnifico, i sacchi a pelo e le provviste.
“Affidati a Destriero” raccomandò Caspian, finendo di legare la sacca alla sella. “Lui sa cosa fare”
Peter annuì. “Grazie”
“Fate attenzione” disse Lucy, mettendo in mano al fratello la boccetta di diamante con il cordiale.
Peter guardò stupito prima l’ampolla e poi la sorella. Strinse tra le dita la bottiglietta in un gesto convulso, infilandola nella tasca interna del mantello.
“Ci rivediamo ad Harfang” disse, prima di allontanarsi al galoppo.
Gli altri rimasero a fissare la sagoma nera di Destriero divenire sempre più piccola, finché non sparì alla vista. Le orme degli zoccoli segnavano la strada, ma non sarebbero state visibile ancora per molto, poiché piccoli fiocchi bianchi iniziarono a scendere dal cielo.
“Ricomincia a nevicare” osservò Ombroso. “Sarà meglio rimetterci in marcia, Vostre Maestà”
“Andiamo” disse Caspian, muovendosi per primo insieme al pipistrello e a Pozzanghera.
Gli altri ragazzi rimasero un istante ancora a guardare la strada, quasi frastornati all’idea che Peter e Miriel avessero lasciato davvero il gruppo.
Lucy iniziò a piangere senza un perché. Emeth la strinse a sé e le baciò il capo, calmandola.
C’era un senso d’instabilità che avvolgeva la compagnia di Narnia, ora. Senza Peter, senza Miriel, e con la costante, manchevole presenza di Caspian o di Susan, la sicurezza vacillava. Improvvisamente, si sentirono vulnerabili.
Non era come le altre avventure, c’era qualcosa di diverso. Non sapevano bene come spiegarlo, ma tutti la pensavano allo stesso modo. Erano sempre stati abituati ad agire insieme: prima i Pevensie, a loro si era poi unito Caspian e in seguito tutti gli altri, in ultima Jill. Il fatto di essere legati da un destino comune, li faceva sentire come un’unica persona, nel bene e nel male, nonostante gli screzi.
C’erano già state altre occasioni in cui il gruppo si era diviso, però…
Era accaduto tutto talmente in fretta…erano successe così tante cose…
Non era passato nemmeno un mese da che erano partiti, ma pareva fossero trascorsi dei secoli.
Ripresero il cammino nel silenzio più completo. Nessuno aveva molta voglia di parlare. I loro pensieri erano concentrati solo su Peter e Miriel.
Il gruppo aveva una motivazione in più per raggiungere Harfang, e se qualcuno era stato dell’ idea contraria, ora desiderava arrivarvi il più in fetta possibile.
“Perché Miriel sta ancora così male?” chiese Jill spezzando finalmente il silenzio. “Perché la pozione di Lucy non ha avuto effetto su di lei? Non capisco. Anche io e Emeth abbiamo avuto la febbre, eppure…”
“Prova a piantare un fiore nella neve e poi vedi che succede” commentò Eustace con aria molto seria. “Miriel è una Driade, una creatura della primavera. Narnia è piena di questi spiriti della natura, ma qui sui Monti del Nord non c’è n’è nemmeno uno”
Jill fece vagare lo sguardo intorno. Gli alberi erano immobili, erano solo alberi.
“Ma allora, d’inverno cosa succede alle Driadi e agli Amadriadi di Narnia?” chiese ancora.
“E’ molto semplice” le rispose Caspian. “Gli spiriti degli alberi che abitano le foreste di Narnia entrano in una sorta di letargo, proprio come molti animali. Dormono il loro sonno invernale attendendo la primavera. Chi come Miriel, invece, vive in mezzo agli umani, sa di non potersi esporre al freddo per un tempo troppo prolungato, o rischia di ammalarsi seriamente”
“Ma…ma se ora Peter la porterà ad Harfang, non le accadrà niente, vero?”.
“Lo spero. Prega Aslan perché sia così, amica mia”
Aslan!
Jill ebbe un fremito a quel nome e un senso di terrore misto a colpa si fece strada dal profondo del suo cuore: i quattro segni! Santo cielo, da quanto era che non li ripeteva? Cercò di farlo subito ma si accorse di non rammentarli più. Si concentrò con tutte le sue forze, ma niente.
No, non poteva averli scordati!
Un momento, un momento...Certo che non li aveva scordati, il fatto era che si sentiva troppo provata sia mentalmente che fisicamente. Sì, doveva essere così.
Ricacciò il senso di colpa in fondo al cuore, dicendosi che quando si fosse calmata, le sarebbero tornati alla mente.

 
 
 
~·~
 
 
 
Quando Rilian tornò dalla sua emozionante giornata a cavallo con Jadis, trovò sua sorella in camera ad aspettarlo.
“Ho un sacco di cose da raccontarti!” le disse con un gran sorriso.
Myra, seduta sul suo letto, intenta a giocare con la sua bambola preferita, lo guardò solo un istante e poi gli diede le spalle.
“So già tutto” rispose in tono secco.
“No che non lo sai” ribatté lui, levandosi gli stivali e gettandoli in un angolo. Lo stesso fece con il mantello e poi salì in piedi sul letto della sorella.
Era arrabbiata, c’era da immaginarselo. Come biasimarla: anche lui sarebbe stato invidioso di lei se avesse saputo che aveva trascorso un’intera giornata in superficie, e avesse visto tutte le cose meravigliose che aveva visto lui.
Iniziò a raccontarle quelle che a suo parere erano state mirabolanti avventure, senza curarsi del fatto che lei sembrava esserne infastidita.
Ma Rilian era troppo emozionato per accorgersene. Le parlò così dei Cavalli di Fuoco, delle grandi Montagne del Nord, degli incontri che aveva fatto (uno solo a dire il vero, con una strana compagnia di uomini); e poi della Brughiera, delle tortuose strade nascoste che lui e la Signora dalla Veste Verde avevano imboccato per giungere sul confine di una terra immensa, dagli alberi enormi e le foreste infinite (anche se ora era tutto coperto di bianco). E poi c’era un castello favoloso che guardava su una distesa azzurra come una gemma: l’Oceano.
“E non è scuro e cupo come il nostro, ma come quello che abbiamo studiato alle lezioni con il maestro. Te lo ricordi, Mia? Ricordi quando abbiamo visto un’immagine sul libro e gli abbiamo chiesto come fosse l’Oceano? Scommetto che il maestro non l’ha mai visto con i suoi occhi, ma io si! Io l’ho visto ed è bellissimo! Un giorno sarò il Re di quel mondo, ci pensi? E anche tu abiterai con me e nostra madre in quel fantastico castello sopra il mare! Quando ci andremo, io sarò ancora troppo giovane per regnare, ma ci penserà la Signora. Poi, un giorno, toccherà a me...e anche a te” aggiunse subito, notando il modo in cui la sorella aveva inarcato le sopracciglia. “Anche tu sarai Regina, certo. Ma la Signora dice che prima ti dovrai sposare”
“Sì, lo so. Lady Lora mi ha detto tutto” rispose Myra in tono altezzoso. Era più triste che arrabbiata, ma non voleva darlo a vedere.
Rilian fece un’espressione perplessa. “Davvero?”
Lei saltò giù dal letto e marciò verso la porta. “Sì, proprio! Anch’io ho avuto il mio daffare, oggi, cosa credi? Non ti sei divertito solo tu”
“Oh, Myra, piantala di fare il muso” sbottò il principe. “Avrei voluto che venissi anche tu, ma non è stato possibile”
“Scommetto che non gliel’hai nemmeno chiesto, a nostra madre, se potevo venire”
“Certo che gliel’ho chiesto!”
I due fratelli si fissarono in cagnesco per qualche secondo.
Rilian incrociò le braccia al petto. Se avesse saputo quanto somigliava a suo padre in quel momento…
“E allora? Che cos’hai fatto di così interessante, oggi, qui al castello?”.
Myra aprì la porta e lo invitò a seguirlo. “Vieni, te lo mostro”
Attraversarono i lunghi e immensi corridoi del Castello delle Tenebre, che a quell’ora della sera apparivano assai lugubri.
La principessa guidò il fratello in un’ala del palazzo dove poche volte erano stati, poiché si trovava accanto alle stanze della Signora della Veste Verde, ed ella non aveva piacere di avere i bambini per i piedi troppo spesso.
Myra invitò Rilian a entrare in una camera molto spaziosa e molto sfarzosa. Lì per lì, il bambino pensò si trattasse di una nuova stanza dei giochi: era piena di pacchi colorati, il cui contenuto era sparso un pò dappertutto. Alcune cameriere (non umane, ovviamente) stavano finendo di riordinare. Vedendo che la principessa era tornata, si inchinarono e se ne andarono.
Rilian fece un’espressione contrariata: stavano trattando Myra come un’adulta. Che storia era quella?
“Questa è la ma nuova camera” annunciò allegramente la bambina, cercando di dissimulare la rabbia con un finto entusiasmo.
Lo era stata all’inizio, molto. Per tutto il giorno si era dedicata con piacere all’allestimento della sua nuova stanza. Ma l’euforia iniziale aveva presto ceduto il poto ai veri sentimenti di delusione e rancore nei confronti di suo fratello.
Quel mattino, quando si era svegliata e non aveva trovato Rilian, lo aveva cercato in lungo e in largo per tutto il castello. Poi era venuta Lady Lora, ad informarla che il principe e la Signora dalla Veste Verde erano usciti.
’Usciti’, per Myra significava andati a spasso da qualche parte nel Mondodisotto. Non era cosa inconsueta, dopotutto, così si era limitata a un piccolo broncio e nulla più.
Ma più le ore passavano, più la principessa si era chiesta dove mai fossero andati per fare così tardi. Si era anche preoccupata che potesse essere successo loro qualcosa.
Davanti a questa inquietudine, Lady Lora – pur avendo promesso a Rilian di non dire nulla fino al suo ritorno – aveva rivelato a Myra la verità.
La principessa era rimasta davvero molto male.
Andare nel Mondodisopra era un evento che i due gemelli attendevano con ansia da tanto tempo, sapendo che solo quando lo avesse deciso la Signora avrebbero potuto farlo. Myra e Rilian si erano promessi di vivere insieme quella straordinaria esperienza; per questo, scoprendo che suo fratello era andato in superficie senza di lei, il primo pensiero era stato ‘non mi hanno voluta’.
Si era sentita esclusa.
Il dispiacere era presto mutato in una profonda invidia che mai aveva provato prima di allora. L’invidia era un sentimento che Myra non aveva mai conosciuto…
“La tua camera? Scherzi, vero?” Rilian sbatté le palpebre, perplesso, osservando i mille vestiti colorati, i giocattoli, le scarpe, i capelli e i fiocchi sparsi un po’ ovunque.
“Tu ce l’hai già una camera, insieme a me. E poi che sono tutte queste cianfrusaglie?!”
Myra si allontanò da lui e fece un giro per la stanza. “Nostra madre ha deciso così, me l’ha detto Lora: è venuto il momento che io dorma da sola, perché sto diventando grande. E queste cianfrusaglie, fratellino, sono regali per me. Me li manda una persona…”
Rilian aggrottò la fronte. “Chi?”
Myra ridacchiò. “Un ammiratore segreto”
“Non puoi avere un ammiratore segreto, Mia. Non sei mai uscita dal castello”
Rilian era convinto che la sorellina si stesse inventando quella storia solo perché era arrabbiata. Ma si sbagliava…
Myra tornò da lui e si fissarono ancora.
“Lora mi ha fatto un discorso, oggi” disse la bambina. “Dice che presto incontrerò una persona, un principe che mi ha chiesta in sposa“.
Rilian rammentò subito ciò che la Signora dalla Veste Verde gli aveva detto a proposito di Myra e del matrimonio…
“Non ci credo!” esclamò allibito.  “E’ troppo presto e tu sei troppo piccola!”
“Quanto sei sciocco! E’ ovvio che non mi sposerò subito”. Myra sospirò, lasciandosi cadere a sedere sull’immenso e morbido letto. “Nostra madre dice sempre che non prenderò marito finché non avrò compiuto quattordici anni, ma nel frattempo devo fidanzarmi”
Rilian non era per nulla convinto. “E chi sarebbe questo principe che è venuto a chiedere la mano di una ranocchietta come te?”
Myra gli lanciò un’occhiataccia. “Ancora non so che aspetto abbia. Credo sia molto più grande di me, ma chiunque egli sia, dev’essere una persona molto generosa” disse, indicando i regali.
Improvvisamente, non sembrava più arrabbiata. Il suo ingenuo cuoricino la induceva a pensare a tutto ciò come a una favola. E poi tutti quei vestiti…non abiti per una bambina, ma per una vera signora!
“E se questo principe non ti piacesse?”
“Allora non lo sposerò” tagliò corto Myra, che non si rendeva conto di cosa fosse davvero un fidanzamento. Per lei era quasi un gioco, qualcosa sulla quale tutte le bambine del mondo fantasticano almeno una volta.
“La Signora ha già organizzato il nostro incontro. Lora lo sa ma fa tanti misteri, però io credo di aver capito quando succederà: sarà alla Festa d’Autunno, ormai ne sono quasi certa”
“Ma…ma…” balbettò Rilian.
“Prima o poi dovremo fare quello per cui siamo stati educati” proseguì lei, cercando di assumere un tono da adulta. “Io dovrò diventare una vera signora, perché sono una Regina. E tu sarai un Re e dovrai imparare a comportarti come si deve”
Rilian scosse il capo, incredulo. “Questa non sei tu. Non sei tu che parli. Ti hanno messo in testa delle idee assurde!”
“No, non è vero!”
“Basta, Myra! Lora ha detto questo, Lora ha detto quello...solo Lora, mai nostra madre. Io non credo a una parola se non è lei a confermarlo, e sono sicuro che la Signora non ti darebbe mai in sposa al primo che capita!”
“Non è il primo che capita, è amico di nostra madre, sai?”
“C’è uno sbaglio” la interruppe Rilian, ansioso. “Lady Lora ti avrà raccontato una bugia per farti star buona, perché non facessi i capricci”
Myra si mostrò offesa. “Io non faccio i capricci!”
“E quelli che stai facendo adesso cosa sono? Mi hai trascinato nella tua stanza solo per vantarti, perché sei arrabbiata con me e credi che non abbia voluto portarti nel Mondodisopra”
“E non è così?” lo sfidò lei. “Ammettilo, Rirì: te la sei goduta un sacco senza di me. Non mi volevi tra i piedi, lo so!”
“La Signora aveva detto che non potevi venire e io non…”
“Avresti insistito di più se ci tenessi a me, e invece non l’hai fatto!”
“Smettila, Mia!”
“No, non la smetto! Io voglio essere una vera signora, come la Signora dalla Veste Verde, come Lady Lora, come…la nostra vera mamma”
Gli occhi di Myra si riempirono di lacrime.
Rilian rimase immobile a guardarla piangere.
“Ora va via, voglio restare da sola” disse infine la bambina, gettandosi sul letto e abbracciando il cuscino.
Piano piano, Rilian lasciò la stanza.
Quando Myra udì lo scatto della porta che si chiudeva, iniziò a piangere davvero.
Nascosta dietro un passaggio segreto che portava alla camera della principessa, la Strega Bianca sorrise soddisfatta.
 
 
 
~·~
 
 
 
Trascorsero ancora tre giorni prima che la compagnia di Narnia raggiungesse Harfang.
I pensieri di tutti erano costantemente rivolti a Miriel e Peter, e alla città. Ma il continuo parlare di essa non faceva altro che rendere l’attesa ancora più logorante: pensare a quando avrebbero dormito in letti veri piuttosto che sul suolo duro e freddo, a quando avrebbero potuto farsi un bel bagno caldo, o mangiato un pasto come si deve invece che le loro misere provviste.
Il cibo andava scarseggiando: avevano sempre saputo che non sarebbe durato in eterno, ed avevano contato sulla pesca e sulla caccia per poter mangiare. Ma si erano spinti così in alto che ogni forma di vita sembrava essere sparita dalla faccia della terra. Persino i pesci avevano abbandonato i fiumi, e trovare bacche o radici commestibili era divenuto praticamente impossibile.
Le grotte o le cavità rocciose iniziavano a ridursi, e per due notti di seguito furono costretti a dormire all’addiaccio.
La temperatura si abbassò ancora. Mani e piedi persero sensibilità, ma questo era niente in confronto alle proteste del loro stomaco vuoto. Non c’era legna da ardere; quella che riuscivano a raccogliere era troppo umida e non attecchiva.
Caspian di giorno e Susan di notte, guidavano gli altri attraverso le lande innevate, in certi punti affondando fino alle caviglie, altre fino al ginocchio. Avevano cercato di seguire la strada lastricata, ma ormai non se ne scorgeva più neanche una misera traccia.
“Quanto dovremo ancora camminare?” si lamentò Emeth.
“Manca poco, ormai”
“Dici sempre che manca poco, Shanna, ma io Harfang ancora non la vedo” rincarò Jill.
La ragazza non pensava ad altro e ormai non ripeteva più nemmeno i quattro segni di Aslan. Continuava a rimandare a domani e a domani ancora.
Gli altri non le chiesero mai nulla, convinti che l’amica stesse adempiendo silenziosamente al suo compito, non sapendo che Jill se n’era completamente scordata.
Verso la sera del penultimo giorno, si ritrovarono in un punto delle montagne in cui una gola che avevano appena percorso si affacciava su un bosco di abeti, dove riuscirono a trovare una piccola incavatura rocciosa.
“Avremo un riparo questa notte” disse Caspian, mentre gli amici tiravano un sospiro di sollievo.
Le ragazze entrarono subito dentro la cavità, iniziando a preparare una misera cena con le ultime vettovaglie rimaste.
I ragazzi, nel frattempo, approfittarono dell’ultima luce per esplorare i dintorni. Il bosco non era grande ed era privo di pericoli.
“Maestà, venite a vedere!” esclamò d’un tratto Ombroso, tutto eccitato, guidando i ragazzi fuori dalla boscaglia.
Dovettero aguzzare la vista per accorgersi che le piccole luci danzanti sopra la cima del monte davanti a loro, non erano stelle o fuochi, ma lumi di candele provenienti dalle finestre di un castello.
“Che mi venga un colpo se quella non è una città” disse Ombroso.
“Allora speriamo che non lo sia” disse Caspian, suscitando brevi risate da parte degli amici.
“Purtroppo, amico mio, lo è eccome!” esclamò Eustace al settimo cielo, così come gli altri. “Harfang!”
“Sì, dev’essere Harfang!” gli fece eco Edmund.
“Accidenti” fece Emeth, “è ancora piuttosto lontana”
“Dista ancora almeno un giorno di cammino” sentenziò Caspian, “ma ci siamo, amici. Domani, prima di sera, vi arriveremo”
“Forza, andiamo a dirlo alle signore” disse Pozzanghera. “Saranno molto contente”
Tornarono indietro immediatamente, dando la buona notizia alle ragazze.
In un attimo, sembrò che il cattivo umore e le preoccupazioni fossero scomparse.
Harfang…Peter e Miriel! Non vedevano l’ora di rivederli.
“Speriamo che siano là” disse Pozzanghera. “Potrebbero essere caduti dentro a un burrone, o esser stati sepolti da una slavina, o…”
“Non ci sono state slavine, ce ne saremmo accorti” protestò Shanna, guardandolo malissimo. “E’ mai possibile che tu sia sempre così catastrofico? Mi fai venire il mal di testa…”
“Stai male?” si allarmò Edmund, mettendole una mano sulla fronte. “Non è che hai preso la febbre anche tu, vero?”
Lei arrossì un poco e sorrise. “No, sto bene. La mia era…come si chiama…una battuta”
Il Giusto la fissò e poi fece un sorriso sghembo. “Avevano ragione: ho avuto una cattiva influenza su di te”
Shanna si allungò verso di lui e gli stampò un bacio veloce sulle labbra.
Edmund parve insoddisfatto. “Tutto qui?”
“Non ti aspetterai che dia spettacolo, vero? Mi imbarazzerebbe molto baciarti davanti agli altri”
Lui sospirò. “Adoro quando fai la timida…”
Il sole era quasi sparito dietro le cime dei monti. Caspian si avvicinò a Jill, togliendosi il ciondolo d’ambra e passandoglielo. La ragazza aveva il compito di consegnarlo a Susan la sera e a Caspian la mattina. Era una specie di rituale, ormai.
“Una volta, Susan mi ha raccontato di quando la liberasti sulla torre di Cair Paravel” esordì improvvisamente Jill. Caspian la fissò con un’ espressione tra il perplesso e il sospettoso.
Lei sapeva che al Re non piaceva troppo parlare del passato, ma era da un po’ di tempo che rifletteva su una cosa e quella sera non poté trattenersi.
“Mi disse che la maledizione era già attiva, eppure riuscite a vedervi e parlarvi. E’ vero?”
“Sì” rispose lui in tono asciutto, distogliendo lo sguardo, afferrando il mantello di Susan, l’arco e le frecce.
“Quindi, potenzialmente, potreste incontrarvi se lo voleste. Se è successo una volta, potrebbe accadere di nuovo, giusto?”
“Sei una gran ficcanaso, Jill, lo sai?”
Caspian le voltò le spalle e fece per uscire dalla grotta, ma lei gli si parò davanti.
“Senti, capisco che non vogliate che noi assistiamo alla trasformazione, ma voi due…perché non vi incontrate se potete? Anche se fosse per pochi secondi, io vorrei vedere la persona che amo. Non rinuncerei”
Tu forse lo vorresti, Jill, ma tu non sei me”.
Lo sguardo del Re di Narnia s’incupì pericolosamente, ma la ragazza sostenne lo sguardo senza timore.
“Susan lo vorrebbe, invece, lo so. Dovresti pensare anche un po’ a lei oltre che a te stesso”
Caspian contrasse la mascella. Sembrava furioso. “Penso a lei in ogni istante. Incessantemente. E se fossi al posto mio, Jill, o al posto di Susan, non saresti così ansiosa di bramare un’agonia che durerebbe un momento. Uno soltanto, nel quale ti crogioleresti per il resto della tua esistenza, desiderando solo quello, dimenticandoti di vivere. Pochi secondi nei quali ancora conservi la coscienza umana per renderti conto di ciò che hai visto, di chi stai stringendo tra le braccia…e poi…” la voce di Caspian divenne quasi un sussurro, il suo sguardo si perse nel nulla. “E poi tutto svanisce, come se lo avessi immaginato. Forse è così, lo hai immaginato davvero, perché niente al mondo può essere tanto doloroso, nemmeno negli incubi più terribili. E il giorno dopo, quando torni te stesso, hai solo l’ombra di un ricordo, un sogno che svanisce in fretta. Sarebbe così ogni giorno… Ogni giorno, per tutta la vita”
Jill lo osservò attentamente: sembrò che avesse parlato a sé stesso, non a lei. Possibile che…
“E’ già successo, vero?” chiese, emozionata.
Caspian le lanciò un’occhiata penetrante.
“Oltre a quella volta sulla torre…vi siete rivisti ancora, è così?” insisté.
Lui di nuovo non rispose e questa fu la conferma ai dubbi di Jill. Ma prima che la ragazza potesse aggiungere altro, il Re si era già allontanato.
Ombroso e il falco lo aspettavano poco lontano. Caspian allungò il braccio e lei vi si posò leggera.
“Maestà, state bene?” chiese il pipistrello.
“Sì” mentì Caspian, mentre accarezzava il piumaggio dell’uccello.
Lei lo fissò con i grandi occhi incredibilmente espressivi.
Per un momento, il Liberatore pensò davvero di attendere che il sole calasse definitivamente, che le stelle spuntassero per poterla vedere nella loro luce fatata.
Come quella notte…una notte in cui ancora non avevano conosciuto Ombroso e si trovavano soli ai piedi delle montagne, proprio come ora…
 

  
***
 
 
Un gruppo di Nani Neri li inseguiva e Caspian correva su Destriero per seminarli. Non avrebbe dovuto essere difficile, ma un altro gruppo di creature gli si parò davanti all’altro capo del sentiero boscoso. Altri due drappelli arrivarono da destra e da sinistra, così che il Re si ritrovò accerchiato da tutte le parti./em>
Destriero s’impennò e nitrì quando i Nani li assaltarono, disarcionando Caspian.
“Prendete il cavallo e rubate tutto ciò che ha nelle sacche. Io penso all’umano” ordinò il capo banda.
“C’è anche un falco” osservò un altro Nano. “Potremmo vendere entrambi gli animali a qualche mercato, oppure mangiarceli”.
Caspian sentì esplodere la rabbia nel petto, capendo che quelle creature non erano come i Nani di Narnia: erano selvaggi, fuorilegge, banditi dalla loro stessa gente.
Alcuni di loro cercarono di colpire il falco con le frecce, altri afferrarono le loro corte spade e si avvicinarono a Destriero, prendendolo per le redini e la criniera. Il povero cavallo scalciò con i possenti zoccoli, ma presto fu sopraffatto.
Caspian non perse tempo e afferrò la balestra che si era legato alla cintura. La usò per fulminare quanti più nemici poté. Poi, in un lampo d’argento, sfoderò Rhasador, iniziando a combattere non solo con il capo dei Nani, ma con chiunque provasse ad avvicinarsi a lui, a Destriero o al falco.
Vedendo i compagni abbattuti, la furia dei Nani si scatenò.
Il Liberatore lottò a lungo, da solo, affidandosi completamente alla sua abilità di spadaccino. Il falco lo aiutò come poteva, accecando i nemici.
Presto, l’erba si tinse del rosso del tramonto, e non solo.
Infine, Caspian cadde in ginocchio sul terreno, esausto, respirando affannosamente, gli abiti macchiati di sangue. Sulla lama della spada, segni vermigli brillavano sinistramente alla luce della luna piena.
Non era fiero di ciò che aveva fatto, ma andava fatto.
Doveva uccidere o sarebbe stato ucciso.                
Non fu cattiveria, non fu vendetta, ma puro spirito di sopravvivenza. Per proteggere sé stesso, Destriero…e lei.
Chiuse gli occhi, posando Rhasador a terra, accorgendosi solo in quel momento che il sole era calato.
Percepì il cambiamento dentro di sé, quell’inspiegabile sensazione che lo avvolgeva tutte le volte che si trasformava: il battito del cuore più forte, la testa leggera, l’acuirsi dei sensi. E fu grazie a questi che riuscì a udire la voce di lei prima che la trasformazione lo prendesse.
La sua dolce voce, leggera, quasi avesse paura di parlare.
“Caspian...”
Susan pronunciò il suo nome e lui alzò di scatto la testa.
E la vide, là davanti a lui.
Oh, Susan... Dolce, meravigliosa Susan...
Pochi secondi per poter ammirare il suo viso candido, per poter guardare quegli occhi che l’avevano rapito sin dal primo istante che si era specchiato in essi, per scorgere la sua figura perfetta, i lunghi capelli bruni…
Rimasero a fissarsi, immobili, senza dire niente, aspettando che la maledizione li dividesse una volta ancora e per sempre.
 


***

   
Quel giorno lontano, allo spuntare del sole, si era aspettato di vederla ancora, in forma di donna, ad attenderlo per assaporare quel doloroso e dolce istante.
Nei giorni successivi, la tentazione di rivederla era stata forte. Anche lei avrebbe voluto, lui lo sapeva, ma era meglio che non fosse più accaduto. Nessuno dei due aveva più tentato di farlo.
Una volta, tanto tempo prima sul Veliero dell’Aba, Susan gli aveva detto che non si poteva vivere di attimi.
Era vero. Assolutamente vero. E Caspian era un tipo a cui le mezze misure non erano mai piaciute...
Il ricordo terminò bruscamente a un movimento di Ombroso.
“Sire, è ora. Dovete sbrigarvi”
Caspian, che aveva chiuso gli occhi, li riaprì e osservò il sole svanire dietro le cime dei Monti del Nord.
 

La luce scomparve e il lupo ululò nella notte ventosa, dove sprazzi di neve scendevano dal cielo segnalando una bufera.
Susan lo aspettava all’entrata della piccola grotta, mentre si rigirava il ciondolo d’ambra tra le mani.
Ricordò il primo giorno in cui lo aveva trovato appeso alla sella di Destriero. Non c’era stato bisogno che Caspian fosse lì per spiegarle che cosa significava, perché significava tutto: un bocciolo di rosa blu incastonato in una gemma praticamente eterna.
Caspian…
La sua unica ragione di vita.
C’erano notti, come quella ad esempio, in cui Susan sentiva maggiormente la sua mancanza. In questi momenti preferiva isolarsi da tutto e tutti, per restare sola con i suoi ricordi.
“Susan, va tutto bene?” le disse Lucy a bassa voce, affiancandosi a lei.
La Dolce si voltò un attimo e poi tornò a posare lo sguardo sul paesaggio notturno.
“Sono preoccupata per lui…non si è ancora visto stasera, è strano”
“Sta tranquilla, vedrai che arriverà presto”. Lucy le prese la mano, come per trattenerla. “Non vorrai andare a cercarlo, vero?”
Susan aprì e richiuse la bocca, tirando un respiro. “Sì, lo vorrei, te lo confesso. Non è la prima volta che resta lontano tutta la notte, è solo che sta arrivando una bufera e temo possa succedergli qualcosa”
“Avrà trovato un riparo, vedrai”
Susan sorrise alla sorella e annuì. “Sì, hai ragione. Va pure a dormire ora, io rimango qui ancora un po’. Non temere, non andrò là fuori”
Susan le fece una carezza sul viso, e poi Lucy ritornò accanto ai compagni.
Poco dopo, a farle compagnia arrivò Pozzanghera, che avrebbe fatto il primo turno di guardia.
“Vi da fastidio se fumo, Maestà?” chiese lui, accendendo la pipa.
“No, fai pure”.
“Posso restare un pò anche io qui con voi?” chiese Jill, arrivando vicino a loro.
“Ma certo” rispose Susan sorridendole.
Il vento ululava, facendo stridere i rami degli alberi. Jill si sedette accanto alla Regina, lanciandole occhiate guardinghe, attendendo il momento giusto per parlarle.
Uno dei più grandi difetti che la Settima Amica di Narnia aveva, era che quando si metteva in testa qualcosa, la doveva fare assolutamente.
“Come mai non dormi?” le chiese Susan dopo un pò.
“Volevo chiederti una cosa sulla maledizione” mormorò Jill, cercando di non farsi udire dal Paludrone.
Pozzanghera lo capì e, molto educatamente, voltò loro la schiena.
Jill raccontò a Susan della breve conversazione avuta con Caspian, sperando fosse più disposta di lui al dialogo. Ma non appena le parlò di un possibile incontro con il Re, la Dolce sfoderò la stessa espressione adirata di suo marito.
“Sì, è successo di nuovo” rispose Susan senza guardarla. “Io e Caspian ci siamo rivisti ancora dopo quella volta sulla Grande Torre. Ma è stato un caso, nessuno di noi due lo voleva. E’ durato qualche secondo, non t’immaginare un incontro romantico, Jill. Non è una fiaba questa”
“Ma Caspian ha detto che…”
Susan la fermò. “Ascolta, io ti sono grata per quello che fai, per raccontarmi tutto ciò che lui fa e dice durante il giorno. Però, certe volte ho l’impressione che tu non mi riferisca le cose per quelle che sono. Io lo capisco quando sono parole di Caspian o meno”
Jill arrossì. “Non me lo sto inventando: Caspian vorrebbe vederti” mentì, pentendosene un istante dopo. “D’accordo, non me l’ha proprio detto…Abbiamo parlato di questa cosa, lui si è arrabbiato, e io ho capito che lo vorrebbe ancora. Potreste vedervi tutti i giorni!”
Susan chiuse gli occhi e scosse il capo. “No”
“Perché precludervi questa possibilità? Fintanto che non riusciremo a scongiurare il maleficio…”
“Ancora non sappiamo se riusciremo nell’intento” protestò Susan. “Non guardarmi così, Jill, sai che è vero. L’esserci messi in viaggio non comporta automaticamente la vittoria. Se la maledizione non si spezzerà, io e Caspian saremo costretti a questa vita per sempre. Tuttavia, preferisco vivere nel ricordo degli anni passati piuttosto che nell’inganno di un istante” Susan voltò il viso altrove, stringendo il pungo intorno al ciondolo. “Cosa mi rimarrebbe di lui? Uno sguardo, un fugace tocco, l’illusione di un bacio che non riusciremo mai a darci? No. Non posso accontentarmi di questo. E nemmeno Caspian. Non mi accontenterò di vedere mio marito meno di un minuto al giorno, per tutta la vita, quando ho vissuto anni interi insieme a lui. Rischierei d’impazzire un’altra volta, e mi è già successo”
La Regina Dolce si passò una mano sul polso, scostando la manica dell’abito. Jill sgranò gli occhi alla vista delle cicatrici.
“Susan, ma tu...tu hai cercato di…”
“Sono riuscita a ritrovare la ragione prima di compiere un gesto definitivo. Sì, ho tentato di togliermi la vita. Non dirlo a nessuno”.
La Regina ricoprì i segni e guardò Jill con espressione ferma e impenetrabile.
“Non puoi averlo fatto davvero”
“Invece l’ho fatto. Ti ho delusa?”
Jill non rispose. Sì, forse l’aveva delusa. La Regina di Narnia era per lei come l’eroina di un romanzo, e adesso…
“Voi mi dipingete come una donna meravigliosa, ma io non sono così” riprese Susan. “Sono semplicemente me stessa, e ci sono momenti in cui odio essere me stessa. Momenti in cui non so cosa pagherei per vivere serenamente insieme a Caspian, senza sofferenze e inganni. Un tempo mi detestavo per la mia incapacità, per la mia poca fede, per tutte quelle volte che mi è mancato il coraggio di fare qualcosa. Con gli anni ho imparato a essere più forte ma, dopotutto, la ragazzina che ha attraversato l’armadio, quella piccola Susan impaurita di fronte alle foreste innevate di Narnia, sono sempre io. Non sono poi tanto cambiata. Sono solo una donna, Jill. Solo una donna, con pregi e difetti. Tanti difetti.”
Susan rimase a lungo in silenzio. Jill attese pazientemente che riprendesse a parlare.
Il lupo ululò in quell’istante.
“Io voglio avere un altro ricordo di Caspian: voglio ricordarmi il suo viso sorridente, non le sue lacrime”
“Mi…dispiace” mormorò Jill, la voce improvvisamente alterata. “Io volevo solo fare qualcosa per aiutarvi”
“Lo so”
Pozzanghera si mosse un poco, disegnando con la sua pipa spirali di fumo che svanivano nelle raffiche di vento.
Senza aggiungere altro, Jill si allontanò lentamente dall’entrata della grotta, andando a rannicchiarsi nel suo sacco a pelo.
“Pole? Ehi, Pole?”
Jill, voltata di schiena rispetto agli altri, si girò appena per poter vedere in viso Eustace.
“Che succede?”
“Niente, Scrubb, lasciami dormire”
 
 
La bufera proseguì per tutta la notte ma il lupo non comparve mai.
Dopo Pozzanghera, era toccato a Emeth fare il secondo turno di guardia, e poi a Edmund, insieme a Eustace. I due cugini svegliarono gli altri alle primissime luci dell’alba, quando il cielo è ancora scuro ma s’intravede già una piccola strisciolina di luce all’orizzonte.
“E’ meglio riprendere subito il cammino” suggerì il Giusto, “prima che cada di nuovo la neve”
Mentre raccoglievano le loro cose, Lucy si guardò attorno e chiese: “Dov’è Susan?”
“E’ uscita prestissimo” spiegò Edmund. “Caspian non è tornato e lei è andata a cercarlo”
“Capisco…Sì, anche ieri sera era molto in ansia. Però, Ed, credi che sia stato prudente mandarla sola? Ti prego, andiamo a raggiungerla”
“Vengo anch’io” disse Eustace.
Il Giusto e la Valorosa, insieme al cugino, uscirono così dalla grotta e si addentrarono tra gli alberi. Il cielo era grigio e nuvoloso, preludio di una nuova bufera.
Ora che era quasi giorno, poterono vedere meglio la sagoma del castello di Harfang sulla cima del suo monte, più la valle che si stendeva al di là del bosco. C’era un grande lago in mezzo ad essa, che non avevano notato la sera prima a causa del buio. La superficie era totalmente ghiacciata.
Susan era là, ferma sulla riva, in attesa del lupo.
La chiamarono, e lei si votò e sorrise loro.
“Sta arrivando, è laggiù”
“Te l’avevo detto che non ti dovevi preoccupare” disse Lucy quando le fu vicina.
L’ululato del lupo annunciò il suo avvicinarsi.
Ed eccolo apparire dalla macchia di alberi dall’altra parte del lago. I tre Pevensie e il cugino rimasero a guardarlo mentre lo attraversava. Era a metà strada quando, senza preavviso alcuno, il ghiaccio si spaccò sotto il suo peso. L’animale cadde nell’acqua gelida, iniziando a guaire e a dimenarsi.
“Caspian!” gridò Susan, scattando rapida in avanti.
“Susan, aspetta!” cercarono di fermarla gli altri tre.
La lastra ghiacciata sostenne il peso della Regina finché non si trovò a un paio di metri dal lupo. Quindi, si scheggiò pericolosamente e la ragazza si fermò di colpo.
“Stenditi!” udì Edmund gridare dietro di lei.
Fece come il fratello le diceva, avanzando lentamente, aiutandosi con le braccia. Raggiunse il lupo, ma non riuscì a tirarlo fuori dall'acqua, si agitava troppo ed era pesante da sollevare.
Il Giusto fece per accorrere in aiuto della sorella, ma Eustace fu più svelto. Corse sulla superficie del lago fin dove poté, poi si sdraiò pancia sotto, iniziando a strisciare in avanti.
Lucy corse a chiamare gli altri, mentre Edmund armeggiava con la sua sacca, cavandone una lunga fune che gettò al cugino.
Eustace la prese al volo e raggiunse Susan.
“Aiutami, Eustace! Non ce la faccio!”
Lei gridò quando il lupo affondò completamente e poi riemerse, e così per diverse volte. Eustace si legò in fretta la fune attorno alla vita, gettandosi in acqua.
Edmund, rimasto sulla riva, sentì la corda tirare e piantò i piedi sul terreno, tenendola più stretta tra le mani.
A contatto con l’acqua gelida, Eustace boccheggiò, sentendo come mille coltellate attraversargli ogni parte del corpo. Oltre a ciò, gli artigli del lupo lo graffiarono sul petto e sulle spalle. Cercando di non badare al bruciore, afferrò saldamente l’animale e iniziò a spingere. Con grande sforzo, e con l’aiuto di Susan, riuscì a farlo uscire dall’acqua.
Il lupo scrollò il pelo, inzuppando la Regina, la quale non se ne curò minimamente, mentre lo abbracciava stretto, sospirando di sollievo.
Edmund, sulla riva, tirò la fune in modo da aiutare Eustace a issarsi in superficie.
Donna, ragazzo e lupo ansimavano, esausti.
Il Giusto fece per avvicinarsi loro. Tutto sembrava finito ma, d’improvviso, sul ghiaccio si disegnarono decine di nuove scheggiature.
Edmund, come Susan poco prima, fu costretto a fermarsi di colpo.
“Non avvicinarti, Ed!” intimò la Regina al fratello, cercando di pensare a come venire fuori da quella situazione.
Cosa fare? Erano bloccati lì, non potevano andare né avanti né indietro.
Intanto, Lucy e gli altri erano arrivati e osservavano la scena senza sapere cosa fare.
“Usate le Spade!” gridò d’un tratto Shanna. “Ed, Susan, Eustace, le Spade dei Lord, subito!”
I tre ragazzi si scambiarono sguardi perplessi, ma non c’era tempo per pensare e lo fecero.
I talismani di Bern, Mavramorn e Octesian iniziarono a brillare della consueta luce blu. Quasi che avessero detto ai loro proprietari che cosa fare, Susan, Edmund e Eustace le piantarono nel ghiaccio, ed esso, invece di frantumarsi, si richiuse. La luce blu si espanse su tutta la superficie, finché tornò compatta e fu di nuovo possibile camminarvi sopra.
Tornarono tutti sulla riva. Edmund e Emeth trasportarono Eustace, che tossiva e tremava per il freddo che gli era entrato fin dentro le ossa, le labbra quasi viola.
La Dolce abbracciò il cugino. “Ti ringrazio! Non ce l’avrei fatta senza di te”
“Ohu! Piano, piano…mi fa male ovunque”
“Oh, Eustace!” esclamò Susan inorridita, quando vide i graffi sanguinanti sul suo petto. Si notavano chiaramente perché la camicia era lacera in più punti.
Lucy intervenne prontamente, iniziando ad occuparsi delle ferite del cugino. Anche Jill gli rimase accanto, afferrandogli una mano tra le proprie.
“Non sono un paziente morente, Pole!” la rimproverò Eustace, innervosito da tante smancerie.
“Guarirà anche se non puoi curarlo con la tua pozione, vero Lucy?”
“Certamente, Jill, non preoccuparti” assicurò la Valorosa. “Le ferite non sono profonde”
“E’ cosa da niente per mia cugina...Che fai ora, Pole? Ti metti a piangere?”
Jill deglutì e scosse il capo. “N-no, è c-che io…” svelta, gli lasciò la mano e si alzò, correndo lontano.
“Che cosa le è preso?”
Lucy sorrise. “Niente. Lo capirai da te. Ora stai fermo”
La compagnia di Narnia sostò per qualche tempo nella valle del lago. Susan sedette accanto al lupo, il quale pareva star bene. Gli avvolse il proprio mantello attorno al corpo ed iniziò a strofinare energicamente il pelo. Lui si sdraiò piano sul terreno, il corpo ancora scosso da piccoli tremiti di freddo.
“Mi hai spaventata a morte, lo sai?” mormorò lei, sdraiandosi acanto a lui, guardando in quegli occhi così umani. “Se ti perdessi, lo sai che morirei anch’io”
Il lupo chiuse gli occhi e fece un profondo sospiro.
Susan appoggiò la testa sul suo corpo, ascoltando il battito del cuore forte e vigoroso. Restò così per lunghi minuti, del tutto dimentica che tra poco si sarebbe trasformata. Passò le dita tra il folto manto nero, cercando di tranquillizzarlo, di trasmettergli sicurezza e amore.
Poi accadde qualcosa.
Susan osservò la propria mano che accarezzava l’animale, la quale venne improvvisamente illuminata da un debole raggio di sole. La Regina si ritrasse dalla luce, spaventata da quel tiepido calore sulla pelle. Si alzò a sedere lentamente, posando lo sguardo sulle cime delle montagne, dietro le quali il cielo si era tinto di un pallido rosa. Poi guardò ancora il lupo, provando per un momento il desiderio di restare, almeno per quella volta. Di vederlo com’era già successo.
Come sulla Grande Torre…
Come quella notte lontana dopo l’assalto dei Nani…
Ora, nella luce dell’alba, cercò di prendere fiato mentre lui appariva davanti ai suoi occhi. Trattenne un grido in fondo alla gola, provando l’ardente desiderio di sfiorare la sua pelle, i suoi capelli…
Un momento…solo uno. Poteva farcela, poteva guardarlo e non impazzire ancora.
Allungò una mano, incerta, ma quando Caspian aprì gli occhi, si fermò.
A lui servì un momento in più per rendersi conto di non stare sognando. Aprì le labbra per parlare ma senza che ne uscisse un suono.
Ma non servivano parole per capire ciò che gli occhi esprimevano.
Un singolo, brevissimo istante per guardarsi, gli occhi di lei fissi in quelli di lui. L’azzurro e il nero si fusero. Il giorno che incontrava la notte.
Il cuore martellante nel petto, tutto attorno a loro scomparve, come se il mondo stesso non esistesse.
Lei sembrava una visione, irraggiungibile, irreale.
Susan…
Suo unico, solo ed immortale amore.
Alzò una mano a sua volta per provare a incontrare quella di lei, per sfiorarla solo un istante.
Caspian vide oltre la propria disperazione, riuscendo a scorgere dentro di lei le sue stesse emozioni.
“Susan…”
Lei si premette le mani sulle labbra per soffocare un singhiozzo.
Caspian...La sua voce...
Non ancora pensò Susan con disperazione, percependo dentro di sé l’effetto della trasformazione. Ti prego, un momento soltanto…
Riuscì a sentirlo: il suo abbraccio, quando lui allungò le braccia verso di lei e la strinse.
“Caspian…”
Ma il sussurrò di lei si perse nell’esplosione dell’aurora. Il cielo si chiarì e il sole comparve in tutta la sua magnificenza.
E Susan non lo vide più, non con i suoi veri occhi. Si sciolse dall’abbraccio e si librò nel cielo, la mente già preda dell’incoscienza della maledizione, non più in grado di riconoscere l’uomo davanti a lei.
Le braccia ancora tese, il viso contratto nella disperazione, Caspian alzò gli occhi al cielo e la seguì nel volo, finché la luce non divenne troppo forte.
Lucy, Edmund, Eustace e tutti gli altri, erano immobili alle sue spalle. Non dissero nulla, non si mossero nemmeno quando il Re prese a pugni il terreno, liberando un grido che echeggiò tra le pareti delle montagne.
Un grido che risucchiò la sua anima in un nuovo vortice di oscurità.

 
 
 
 
 
Ce l’abbiamo fatta, carissimi lettori!!!!!
Chi di voi ieri ha letto il mio post su facebook, sa già che in questo capitolo è stato aggiunto un pezzo dell’ultimo minuto…quale? E’ presto detto: sono più pezzi, in verità, ossia i discorsi tra Caspian/Jill e Susan/Jill, e il ricordo di Caspian, quello in corsivo.
Lo so, nel film di Ladyhawke, i protagonisti riescono a vedersi solo una volta, ma a me è piaciuto cambiare, inventandomi che, dopo la maledizione, Caspian e Susan si sono incontrati ben tre volte (l’ultima è quella che avete appena letto). Dai, diciamolo che ci manca la Suspian…..T___T
Spero abbiate apprezzato!!!

 
Passiamo ai ringraziamenti:
Per le preferite: alebho, Araba Shirel Stark, batte wound, BettyPretty1D007flowers, bibliophile,  Christine Mcranney, english_dancer, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, , Friends Forever, G4693, Gigiii, Happy_699, HarryPotter11, HikariMoon, Jordan Jordan, LittleWitch, LucyPevensie03, lullabi2000, Mia Morgenstern, Mutny_BorkenDreams, piumetta, Queen Susan 21, Robyn98, senoritavale, Shadowfax, Starlight13, SuperStreghetta, Svea,  SweetSmile, TheWomanInRed, vio_everdeen, Zouzoufan7,_faLL_ _joy, _likeacannonball
 

Per le ricordate:  anonymously Araba Shirel Stark, Cecimolli, Gigiii, Halfblood_Slytherin, mishy, Queen_Leslie, Starlight13, Zouzoufan7
 
Per le seguite: ale146, Araba Shirel Stark, BettyPretty1D007flowers, blumettina, catherineheatcliff, cat_princesshp, Cecimolli,  ChibyRoby,  cleme_b, ecate_92, fede95, FioreDiMeruna, Fly_My World, Francesca lol, Fra_STSF, Gigiii, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, harukafun, ibelieveandyou, jesuisstupide, JLullaby, Judee, katydragons, lauraymavi, Lucinda Grey, Marie_, Mai_AiLing, mewgiugiu, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_ , piumetta, Queen Susan 21, Queen_Leslie, Revan93, senoritavale, Shadowdax, vio_everdeen,
Zouzoufan7, _joy, _likeacannonball ,  _LoveNeverDies_ ,_Rippah_ 
 

Per le recensioni dello scorso capitolo:  LittleWitch senoritavale, Shadowfax,_joy
 
Angolino delle anticipazioni:
Avevo annunciato l’arrivo ad Harfang, lo so, ma l’ho spostato di proposito, se no il capitolo veniva davvero troppo lungo. In ogni caso, ormai ci siamo: la compagnia sta per riunirsi. Vedremo come stanno Miriel e Peter, poveri! >.<
Il prossimo chappy sarà quasi tutto ambientato alla città dei Giganti, ma prima, i nostri eroi si imbatteranno in qualche collina dalla forma un po’ strana…
Presumo farò vedere ancora i bambini e la Strega… e Rabadash! Eh sì, mi spiace, stavolta ve tocca…ma sarà un pezzo piccolo, non dovrete sopportarlo per molto.

 
Vi ricordo che gli aggiornamenti li trovate sulla mia pagina facebook
 Grazie a tutti, ragazzi, vi amo alla follia per tutta la pazienza che avete!!! Continuate a seguirmi, non ve ne pentirete!!!
Un bacio enormissimo,
Susan♥


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Capitolo 25
*** Capitolo 25: Harfang ***


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IN FONDO LA MAPPA DI NARNIA


25. Harfang
 
Le cose possono andare e venire, lo so,
Ma, piccola, io credo che qualcosa sta bruciando forte fra noi
E mi rende tutto chiaro...
 
 
 
Sopportò il freddo e le raffiche gelate che s’infransero sulla pelle nuda della schiena e delle spalle.
Sopportare era ciò che faceva da due anni.
Ma ogni sopportazione ha un limite.
Gridò e prese a pugni il terreno, senza badare a cosa gli altri avrebbero pensato di lui nel vederlo in quello stato: della debolezza che mostrava, dell’uomo che si sostituiva al Re e al guerriero, per gridare il suo dolore disperato.
Non era più lui.
Caspian quasi dimenticò la presenza degli altri, increduli, sconvolti dall’irrelatà di quell’attimo dolce e straziante cui avevano assistito.
Per Caspian esistevano solo due cose in quel momento: il dolore e Susan.
Susan...
Non ricuciva a muoversi, mentre ogni angolo della sua mente veniva pervaso dalle immagini di lei. Ogni lembo del suo cuore strappato via dalle devastanti sensazioni che aveva provocato in lui.
Forse, il continuo tramutarsi in lupo aveva acuito anche i suoi sensi umani, perché quando l’aveva stretta per quel breve attimo – pochi secondi, nulla più – gli era parso di poterla sentire, toccare, vedere, udire in modo totale, completo.
Il suo profumo gli penetrava ancora i polmoni. Poteva persino sentire il sapore delle sue labbra, come se l’avesse…
Susan...
L’aveva avuta lì davanti e non le aveva detto ‘ti amo’.
L’aveva tenuta tra le braccia e non era stato in grado di trattenerla.
Non aveva sfiorato il suo viso.
Non aveva…
Nulla.
Senza di lei non aveva niente.
Non riusciva a trovarsi in mezzo a tutta quella disperazione, l’anima incatenata dentro un profondo baratro senza fine e senza luce, dove sprofondava ogni volta di più, senza possibilità di risalire in superficie.
Forse nemmeno lo voleva.
Non voleva più niente.
Voleva morire.
Voleva lei.
Trattenne un nuovo grido in fondo alla gola, respirando profondamente per calmarsi, stringendo i pungi, piantando le unghie nel terreno. Si piegò su sé stesso e affondò il volto nelle braccia.
Poi, una mano gentile si posò sulla sua spalla.
“Caspian?”
Era Lucy.
Si era avvicinata piano piano, senza parlare. Gli altri erano rimasti indietro.
La Valorosa attese pazientemente che il Re si voltasse, che facesse un movimento, che parlasse.
Non accadde.
Osservò sgomenta la larghe spalle del Liberatore scosse dai singulti, rimanendone turbata. Lo aveva visto piangere solo una volta, tanto tempo prima, ma mai così, mai veramente. Caspian, per lei, era il ritratto della forza e dell’audacia, così come lo erano i suoi fratelli, Emeth. Non avrebbe mai pensato che potesse abbandonarsi al pianto in quel modo.
Il Re di Narnia raddrizzò la schiena, scattando in piedi all’improvviso, passandosi un braccio sugli occhi, quasi si fosse reso conto del suo stato d’animo solo in quel momento.
Indossava solo i pantaloni scuri, e Lucy si spaventò nello scorgere una profonda cicatrice sul braccio destro, che andava dalla spalla al gomito.
Cosa era accaduto davvero in quei due anni? Cosa avevano dovuto subire lui e Susan dopo essere stati colpiti dalla maledizione?
Lucy incontrò lo sguardo del Re: era tornato duro e freddo, anche se i suoi profondi occhi neri brillavano ancora di pianto.
La Valorosa avrebbe voluto dirgli di non vergognarsi delle sue emozioni, ma lui non gliene diede il tempo. Le fece una carezza sul capo come a dirle grazie per aver tentato di confortarlo, poi la sorpassò.
Caspian non desiderava conforto, voleva solo stare solo con è stesso.
Nessuno fiatò. In costante silenzio, Pozzanghera porse al Sovrano gli indumenti asciutti, che subito il Liberatore indossò.
“Sei contenta, adesso, Jill?” esordì all’improvviso.
La ragazza lo fissò senza capire.
“E’ stata una tua geniale trovata?”
“Cos…?”
“E’ stata tua l’idea di farci incontrare?” ripeté Caspian, legandosi nervosamente la spada alla cintura.
Quando la ragazza non rispose, lui alzò la voce. “Sei sorda? Ti ho fatto una domanda!”
“Non è stata colpa mia!” si schermò subito Jill.
“Ne sei sicura? O stai ancora raccontando bugie?”
“Non racconto bugie! Io non…”
“Forse devo pensare che hai convinto Susan…”
Pronunciare il nome di lei, in un momento come quello, gli fece provare una fitta terribile al cuore.
“…che l’hai convinta con qualche tuo bel discorso e…”
“Non ho fatto niente!” si difese di nuovo Jill. “Non sono stata io a farti cadere nel ghiaccio! Sì, avrei voluto che tu e Susan v’incontraste, ma non certo mettendo in pericolo le vostre vite!”
Caspian non capì a cosa si stava riferendo: non ricordava di essere quasi annegato.
“Perché sei così furioso? L’hai vista! Susan! Tua moglie! La donna che dici di amare più della tua stessa vita! Non ha significato proprio nulla? Non ti ha dato una speranza?”
Caspian distolse lo sguardo.
Aveva significato tutto per lui, ma Jill non poteva capire.
Nessuno poteva capire.
“Dovresti essere felice!” continuò lei.
“Invece non lo sono, affatto!” il Liberatore le puntò un dito contro. “Aslan ti ha affidato una missione e tu pensi già di sapere tutto di Narnia, di me, di Susan, di ogni cosa. Ma tu non sai proprio un bel niente, Jill. Niente!”
“Ehi, ehi, calma” intervenne Eustace, mettendosi in mezzo ai due. “Modera i toni, amico, va bene? Di cosa stai parlando, piuttosto? Di cosa stai accusando Jill?”
“Di essere una sciocca ragazzina impicciona. Di aver interferito in cose che non la riguardano affatto”
Jill si morse un labbro per non mettersi a piangere. “Però sei rimasto” ribatté. “Sei rimasto per poterla incontrare. E lo vedi che non raccontavo frottole, ieri, quando ho detto che anche Susan lo voleva? Se non l’avesse desiderato se ne sarebbe andata. E se nemmeno tu l’avessi desiderato, non avresti gridato in quel modo, prima, e non avresti pianto!”
Sul volto del Liberatore apparve un’espressione di pura disperazione mista a rabbia.
“Non dire…cose che…” la voce di Caspian si spezzò. Fece un sospiro. “Ti stai prendendo un po’ troppa confidenza per essere l’ultima arrivata”   
“Sarò l’ultima arrivata, ma di questa storia ne capisco più di te che la stai vivendo!”
“Ora basta. Dammi il ciondolo, svelta” le disse Caspian, allungando una mano a palmo aperto, in attesa.
Jill tentennò.
“Non…non ce l’ho io. L’aveva indosso ancora Susan quando…” La ragazza spalancò gli occhi scuri, voltandosi svelta verso il lago. “Oh no!”
La consapevolezza si fece strada anche sul volto del Liberatore. Il suo sguardo lampeggiò d’ira: se per colpa di quella ragazzina, l’unico legame che ancora lo univa a Susan fosse andato perduto…
Il ciondolo d’ambra era tutto ciò che gli rimaneva di lei. Da esso traeva un impercettibile conforto, determinato dal pensiero che Susan lo toccava e lo indossava ogni giorno, come lui.
“Jill, se hai…”
“Non è stata colpa mia!” ripeté lei.
“Và a cercare quel ciondolo, adesso!”
“No, vacci tu!”
Caspian la guardò furibondo. “E’ un ordine, Jill”
“Caspian!” esclamarono gli altri, sconcertati dal suo atteggiamento.
Ma Jill non si fece intimidire.
“Non me ne importa un accidenti se sei il Re! Sei un imbecille se non riesci nemmeno a capire che dare la colpa a me è solo un modo per sfogarti, per non ammettere quanto stai male!”
Jill era rossa in volto dalla rabbia: poteva essere davvero così freddo e insensibile, quell’uomo?
Il Liberatore le voltò le spalle, tornando verso il lago.
“Chiedile scusa!” intervenne Eustace, andandogli appresso.
“Lascia stare, cugino” cercò di fermarlo Edmund.
Ma Eustace non lo ascoltò e raggiunse Caspian.
“Che eri diventato un odioso arrogante ce n’eravamo accorti tutti, ma trattare così una ragazza...stai superando il limite”
“Fa silenzio, Eustace” mormorò Caspian.
Il ragazzo afferrò il Re per una spalla, cercando di farlo voltare.
“Chiedile scusa!”
Caspian lo ignorò e si liberò della sua presa. Nel compiere questo gesto, lo spinse indietro con forza, senza intenzione di fargli male. Ciononostante, le ferite di Eustace mandarono fitte brucianti e il ragazzo si piegò su se stesso, cadendo in ginocchio sulla neve.
Jill fu subito al suo fianco.
“Che cos’hai?” chiese Caspian.
“Se qualcuno ha una colpa, quello sei tu” sibilò Eustace, portandosi una mano al torace.
Il mantello che si era avvolto attorno alle spalle si aprì. Sotto non indossava nulla, e i bendaggi un poco macchiati di rosso che gli avvolgevano il petto, rivelarono le sue ferite.
“Che cosa ti è successo?” chiese Caspian, la fronte contratta.
“Sei stato tu” disse Jill, scoccandogli un’occhiata rabbiosa.
Il Re ammutolì.
Lui? Come…
“Basta, non litigate, vi prego!” intervenne Lucy. “Caspian, guarda: il ciondolo è qui, eccolo. Era a terra, laggiù. Dev’essere caduto a Susan dopo che si è trasformata”
La Valorosa si avvicinò, porgendo il gioiello al Liberatore, che subito lo prese. Poi, Lucy s’inginocchiò accanto a Eustace e Jill, aiutando l’amica a fare alzare il cugino.
Caspian rimase là ad osservare i suoi amici, tutti schierati davanti a lui, che lo guardavano come fosse un estraneo.
Sì sentì immensamente solo.
I loro sguardi compassionevoli, arrabbiati, increduli, gli fecero comprendere che non riconoscevano più in lui il giovane Principe di Narnia.
“Che cosa è successo a Eustace?” chiese poco dopo Caspian a Edmund.
“Sei caduto nel ghiaccio, Susan da sola non ce la faceva a trarti in salvo, così Eustace si è gettato nell’acqua gelida e ti ha tirato fuori. Se non fosse per lui, saresti morto”
Il Liberatore rimase molto colpito.
“Vedi di fare meno lo sbruffone, va bene?” lo rimproverò il Giusto.
Caspian fece per ribattere ma il falco arrivò in quel momento, posandosi sulla sua spalla.
Per la prima volta in due anni, il Liberatore si sentì a disagio vedendola in quella forma. Con delicatezza la fece posare sul braccio e, dopo averle fatto una carezza veloce, si allungò verso Edmund.
“Prendila tu, per favore”
Il Giusto l’accolse con stupore sul proprio avambraccio. “Perché?”
“Preferisco così, almeno per oggi”
Caspian gli voltò le spalle e si allontanò di qualche passo.
“Fatti entrare in quella testaccia che non sei l’unico a soffrire” aggiunse seccamente Edmund.
Il Liberatore si fermò.
“Susan non è l’unica ad avere tre fratelli che le vogliono bene, Caspian, li hai anche tu. Fai parte della famiglia Pevensie, ma tendi a dimenticartelo troppo spesso”
Caspian e Edmund si scambiarono uno sguardo, di scuse da parte del primo e di rimprovero da parte del secondo.
“Hai tante persone, tanti amici attorno che ti amano e ti rispettano, non sei solo” continuò il Giusto in tono più pacato. “Condividere il dolore ti aiuterà a farti star meglio. Se ti tieni tutto dentro, finirai per perderti, e se smarrisci la strada sarai una preda facile per i tuoi nemici. Credimi, io lo so”.
 
 
Fu una giornata da dimenticare sotto molti aspetti.
Ripresero il cammino più tardi di quello che avevano programmato. Lasciarono la valle del lago, scendendo verso una pianura desolata e rocciosa. Il debole sole che era riuscito a farsi strada tra le nubi scomparve ancora. Si alzò il vento, così gelido e pungente che sembrava strappar via la pelle dal viso, preannunciando un’altra bufera che durò per tutto il giorno, crescendo d’intensità man mano che le ore passavano. La visibilità fu ridotta quasi a zero.
Nessuno parlò molto. Caspian, Eustace e Jill esibivano tre musi così lunghi che il pessimismo di Pozzanghera sembrò nulla a confronto.
La Settima Amica di Narnia camminava a testa bassa, con un senso di tristezza e rabbia che le chiudeva il petto in una morsa.
Quando il Liberatore si rivolse a lei, per sapere se le rovine dell’Antica città dei Giganti avrebbero potuto trovarsi da quelle parti, Jill non seppe rispondere.
“Aslan non è stato proprio preciso” si giustificò, seguitando a guardarsi i piedi invece che Caspian, il quale capì per primo che aveva dimenticato i segni.
Il Re la strapazzò di nuovo e infine Jill non si trattenne più, scoppiando in pianto. Le succedeva sempre quando assimilava troppa tensione e nervosismo.
“Non è colpa mia!” esclamò per l’ennesima volta.
“Non è mai colpa tua, a sentirti” le disse Caspian, improvvisamente a disagio davanti alle sue lacrime. “Ora smetti di piangere e cerca di concentrarti”
Proseguirono ancora lungo la vallata, esposti alle intemperie come mai prima d’ora.
Eustace, che camminava più lentamente rispetto agli altri per via delle ferite, rimase ultimo della fila insieme a Jill. La prese per mano e cercò di consolarla un poco.
Verso le ultime ore di luce, giunsero alla fine della landa. La strada iniziò a salire verso la montagna sulla cui cima c’era Harfang. Sul percorso apparvero dei grandi massi appuntiti, altri piatti e più bassi: una specie di collinette dalle forme bizzarre. In mezzo ad esse, il terreno era disseminato da una serie di strani solchi: alcuni erano profondi più di un metro e mezzo, altri erano piccoli e stretti, oblunghi o quadrati.
Le schiene curve, le gambe stanche, gli abiti zuppi e pesanti, avanzarono con fatica ma decisi a non mollare. Era l’ultimo tratto di strada: una volta scalate le strane collinette, sarebbero stati davanti ai cancelli della città dei Giganti.
Il sole calò rapidamente. Il gruppo si fermò un momento, mentre Caspian se ne andava e Susan  appariva al suo posto.
Tutti ricordavano benissimo l’avvertimento della Signora della Veste Verde, e cioè che avrebbero dovuto entrare ad Harfang prima del tramonto, o i Giganti avrebbero chiuso le porte. Ma a nord c’era ancora un po’ di luce, il che fece ben sperare di poter raggiungere la città appena in tempo.
Jill avrebbe voluto dirle qualcosa a Susan riguardo gli avvenimenti di quella mattina, ma non lo fece. D’un tratto, lei e Lucy scivolarono dentro un’apertura piuttosto profonda, nascosta alla vista da un blocco di neve che cedette sotto il loro peso quando vi camminarono sopra. Caddero di sotto, assieme a neve e pietrisco, ritrovandosi al buio.
“Jill! Lucy!” udirono le voci degli altri sopra di loro.
“Siamo quaggiù!”
Le due ragazze alzarono la testa, scorgendo i volti dei compagni osservare con curiosità e apprensione la strana fossa in cui erano cadute.
Le due amiche si rimisero in piedi, quando vi fu un suono secco e forte che le fece strillare di spavento.
“Che succede?” esclamarono gli altri di sopra, spaventati.
“Oh! Oh!” gridò Pozzanghera. “Quel fosso sarà sicuramente la tana di un orrendo mostro! Oh poverine, le sta divorando vive!”
“Pozzanghera, vuoi stare zitto?!” fece Susan, avvicinandosi di più al bordo dell’apertura. “Ragazze, mi sentite?’”
“S-sì, Sue, stiamo bene” rispose la voce tremante di Lucy.
“Che cosa è stato quel rumore?”
“Non lo so, non si vede niente, è troppo buio”
“Aspetta, vengo giù” disse Emeth, sedendo sul bordo della buca e lasciandosi scivolare all’interno.
“Tieni, prendi la mia torcia” gli disse Edmund, lanciandogliela.
“Funziona ancora dopo tutti questi anni?” chiese Eustace al cugino.
“Certo. E’ la mia fedele compagna. Trattala bene, Emeth, mi raccomando”
“Sta tranquillo, Ed” disse quest’ultimo, afferrandola al volo. “Tutto bene, ragazze?”
“Solo un po’ di spavento” gli rispose Lucy.
“Il rumore proveniva da lì” disse Jill.
Emeth puntò la torcia nel punto che l’amica indicava. Vide qualcosa a meno di un metro da loro e si avvicinò, inginocchiandosi sul terreno per vedere di cosa si trattava.
“Che cos’è?” chiese Lucy.
“Una tagliola” le rispose il soldato.
“Una tagliola?”
“Esatto. Quando siete cadute, dovete aver smosso qualche pietra, che probabilmente l’ha attivata. Siete state fortunate, potevate farvi male”
Il giovane si alzò, facendo vagare il fascio di luce per tutta la cavità. Sembrava l’inizio di un tunnel, o qualcosa del genere.
“Ragazzi?” fece la voce di Susan.
“E’ tutto a posto, non preoccupatevi” rispose Emeth.
“Che cosa c’è là sotto?”
“Nulla di che” Il soldato raccolse la tagliola con cautela, avvicinandosi all’apertura per mostrarla agli altri. “Una semplice trappola per animali selvatici. E’ stata questa a provocare il rumore”
Susan osservò dall’alto l’oggetto metallico che Emeth teneva in mano, ormai innocuo.
Una trappola per animali…
“Vorrei dare un’occhiata qua intorno” disse ancora il soldato. “Sembra una galleria: forse è una scorciatoia per Harfang”
“No, Emeth, torna su” gli disse Shanna, “ormai siamo arrivati. Se ci mettiamo a perdere tempo con le esplorazioni, rimarremo davvero chiusi fuori”
“E’ vero” annuì Ombroso. “E poi badate a me, che m’intendo di grotte e gallerie: questa qui non mi dice niente di buono, con una trappola piazzata proprio all’entrata…No, no, andiamocene”
“Ben detto, vecchio mio!” commentò Pozzanghera. “Pensate, signori: se il tunnel vi portasse ovunque fuorché ad Harfang? E se vi perdete? Se ci sono altre trappole? E se vi crolla sulla testa o rimanete bloccati dentro?”
“Grazie, Pozzanghera, abbiamo afferrato il concetto” lo fermò Susan.
Così, Emeth, Jill e Lucy risalirono, e si rimisero tutti subito in marcia.
La Regina Dolce sentiva il cuore martellarle in petto: da quando si era trasformata, Caspian non era ancora arrivato, proprio come la sera precedente. Se ci fossero state altre trappole di quel tipo lì intorno…
No, calmati, non può essergli successo niente.
Infine, ecco Harfang.
La città sorgeva sulla vetta del monte. In cima al castello svettavano numerose torri. Non c’erano muri di cinta, a dimostrazione che i Giganti non temevano attacchi di nessun tipo. Più che una fortezza, appariva come una grande e accogliente casa, con belle finestre colorate al pian terreno e un cancello enorme di ferro battuto.
E là davanti, ad aspettare Susan c’era Caspian. Sembrava essere comparso dal nulla, come al solito. La Regina gli andò incontrò e lui camminò fianco a fianco con lei, come per rassicurarla che stesse bene, che non gli sarebbe mai successo nulla di male.
Il grande cancello si aprì come per magia, mentre l’ultimo barlume di luce veniva inghiottito dall’oscurità.
“Ora che siamo qui, come ci presenteremo?” sussurrò Edmund alle sorelle, mentre attraversavano il cortile.
“Per quello che siamo” rispose Susan. “Se davvero non abbiamo nulla da temere da questi Giganti, dire loro che siamo Re e Regine di Narnia non potrà far altro che favorire la nostra visita”
“Chissà dove saranno Peter e Miriel” fece Lucy.
“Presto lo sapremo” le rispose Edmund, e poi chiamò: “Ehilà, del castello!”
Quasi subito, dal portone principale comparve quello che doveva essere il custode: un Gigante alto come un albero, tutto vestito di borchie e catene, i capelli rossi e ispidi, le gambe e le braccia orrendamente pelose. In pochi passi fu davanti a loro.
“Salve, piccoli uomini. Cosa vi porta qui?”
“Sono Re Edmund di Narnia, il Giusto. Sono qui con le mie regali sorelle: la Regina Lucy la Valorosa e la Regina Susan la Dolce, Signora di Cair Paravel e Imperatrice delle Isole Solitarie. Veniamo a chiedere ristoro presso la vostra città su invito della Signora dalla Veste Verde”
“Oh!” esclamò il Gigante, ammirato. “Certo, certo, vi riconosco, Vostre Maestà. Entrate, entrate”
Il custode li guidò nell’ingresso e il portone si richiuse dietro di loro con un tonfo fragoroso. Tutti si voltarono, inquieti.
Ma la paura svanì quasi subito, sostituita dallo stupore nel vedere che il castello di Harfang era totalmente diverso da come se l’erano immaginato: era magnifico e luminoso, con grandi candelabri appesi alle pareti, il pavimento così lucido che ci si poteva specchiare.
“Ragazzo!” chiamò il custode, rivolto a un Gigante più giovane. “Avverti subito il Re che abbiamo qui i Sovrani di Narnia. Svelto, svelto!”
Mentre aspettavano, i ragazzi vennero fatti accomodare accanto al grande focolare che ardeva al centro della stanza. Fu davvero piacevole dopo quasi tre settimane in mezzo al gelo. Si tolsero i mantelli fradici, consegnandoli a un cameriere.
“Stai pensando a quella tagliola, vero?” chiese Lucy a Susan, le mani allungate verso le fiamme.
La Dolce annuì. “Mi sto chiedendo chi metterebbe una trappola dentro una cavità sotterranea. Non era la tana di un animale, vero?”
“No”
“Potrebbero essere stati i Giganti” suggerì Jill. “Per la cacciagione, sapete”
“Non è stagione di caccia” le fece notare Emeth.
“Forse è stata messa lì per un altro scopo” mormorò Susan, mentre cupi presagi si insinuavano nei suoi pensieri.
Lucy trattenne il fiato. “Credi che i nostri nemici si siano spinti fino a qui?”
“Non lo so”
“Pensi che potrebbero averci raggiunti?” chiese Emeth.
“Mi pare improbabile” intervenne Edmund.
“Invece è più che probabile, Ed” rispose Susan. “Non facciamo gli ingenui: Lord Ravenlock avrà senz’altro riferito a Rabadash del nostro scontro nella Brughiera di Ettins, e Rabadash avrà smosso mari e monti per venire a cercarci. Non solo me e Caspian, ma anche voi. Se non ci hanno ancora raggiunti, è perché le montagne glielo impediscono: evidentemente, come accade ogni anno, il passo che divide il confine tra Narnia e il Nord sarà ormai invalicabile, e la neve che lo blocca non si scioglierà prima della primavera. Ma potrebbero benissimo aver trovato un altro modo per raggiungerci”
“Stai diventando paranoica, cugina” commentò Eustace. “Sembri Pozzanghera, vedi sotterfugi dappertutto”
“Infatti, io sono d’accordo con la Regina” disse il Paludrone.
“Ci avrei messo la mano sul fuoco”
“E quindi” intervenne Shanna, “tu, Susan, credi che potrebbero essere stati i soldati di Rabadash a piazzare quella trappola?”
“Forse. E forse ce ne sono più di una”
“Non potrebbero essere stati davvero i Giganti, come ha detto Jill?” chiese ancora Shanna.
Lo sguardo di Susan si spostò verso il lupo, che la guardava attento.
Lucy capì al volo. “Non starai pensando che volessero catturare…lui?”
Il lupo si mosse, nervoso. Susan gli posò una mano sul capo, carezzandolo brevemente per calmarlo.
“Probabilmente è solo una coincidenza che quella trappola fosse lì, e forse ha ragione Eustace, sto diventando paranoica…ma non lo so. Ho come un presentimento”
E i suoi presentimenti si avveravano sempre...
Ritornò il giovane Gigante, e la conversazione, per il momento, si concluse. La compagnia di Narnia lo seguì fuori, in un altro cortile acciottolato, per strade delimitate su entrambi i lati da edifici di pietra. Giunsero davanti al portone del borgo della città, con il doppio battente di legno massiccio, dietro il quale c’era il castello vero e proprio. Una volta dentro, videro camminare per i vasti corridoi decine di Giganti e Gigantesse in abiti eleganti. Tutti loro osservavano i piccoli visitatori con aria curiosa.
Il giovane Gigante si fermò davanti all’ennesima porta, ai lati della quale stavano due guardie.
“Annunciate i Sovrani di Narnia!”
Si ritrovarono infine nella sala del trono, immensa, dal soffitto dorato. In fondo, seduti sui loro troni, c’erano il Re e la Regina dei Giganti.
“Mastodonte e Titania” mormorò Susan agli altri.
“I nomi mi sembrano azzeccati” commentò Ombroso, tremando tutto. Anche i compagni non erano da meno, e il freddo centrava poco in questo caso.
Edmund deglutì. “Sue? P-potresti parlare tu? Io, improvvisamente non me la sento…”
“Ma certo” disse lei, avanzando di un paio di passi e facendo un’elegante riverenza. “E’ un onore essere al vostro cospetto, Re Mastodonte e Regina Titania”
Il Re dei Giganti si sporse in avanti per vedere meglio. “Oh, ma che piacere avervi qui, Signora di Narnia! Non ci siamo mai incontrati di persona, ma ho conosciuto vostro marito tanti anni fa”
Susan si raddrizzò. “Lo so, Maestà: voi e Caspian combatteste quasi dieci anni or sono, proprio al confine tra le nostre due terre. Io non ero ancora sua moglie”
Il Re Mastodonte annuì. “Già, già.Te lo ricordi, Titania cara?”
“Fu una bella batosta per noi, marito” commentò la Regina.
“Ci giunse voce che Miraz era morto” riprese il Re “e che il trono di Narnia era vacante, così, io e i miei uomini pensammo di venire ad appropriarcene. Narnia piace a tutti, impossibile negarlo. Ma ecco che mi ritrovai a combattere contro un temerario ragazzino, il quale insisteva nel dire di essere il nuovo Re. Non gli credetti finché non mi sconfisse. Accidenti, che battaglia!”
“Spero non ce l’abbiate ancora con Caspian, per questo” cercò di sorridere Susan.
Mastodonte agitò una manona coperta di anelli. “No, no, è cosa fatta e finita ormai. Ma ditemi, Regina Dolce, è vero che siete qui con i vostri amici su invito della Dama Verde?”
“Sì, Sire. L’abbiamo incontrata giorni fa sulle montagne. Non le rivelammo la nostra identità poiché, a nostra volta, non sapevamo chi ella fosse. Per cautela, sapete: siamo in viaggio per conto di Aslan”
“Ah, una missione?” fece il Re.
“Interessante, interessante” gli fece eco la Regina.
“Esatto. Siamo in cerca dell’Antica Città dei Giganti, e la Signora dalla Veste Verde ci consigliò di venire ad Harfang, dove pensava potessimo trovare degli indizi, oltre a presenziare alla Festa d’Autunno”
Il Re e la Regina dei Giganti si scambiarono uno sguardo.
“C’era un’antica città” confermò Titania, “c’era eccome, ma oramai è completamente sparita dalla faccia della terra. Fu Aslan a distruggerla, perché i nostri antenati erano divenuti un popolo empio e corrotto”
“Vostre Maestà, non sapreste dirci se, da qualche parte, esistono ancora le rovine di quella civiltà?”
“No, Regina Susan, mi rincresce”
Mastodonte scosse il capo. “Purtroppo non è rimasto nulla dei nostri padri. Erano gente proprio cattiva…Comunque, siete i benvenuti qui, e saremo molto felici di avervi come ospiti d’onore all’evento più bello dell’anno!”
“Vi ringrazio molto. Potrei ora chiedervi un’altra cosa?”
“Certo, dite pure, Regina Susan”
“Giorni fa, mio fratello Peter, il Re Supremo, e la sua fidanzata, la Driade Miriel, hanno lasciato la nostra compagnia per precederci ad Harfang. Ditemi, sono arrivati?”
Fu Titania a rispondere. “Sì, mia cara, sono qui e stanno entrambi bene. Ci hanno raccontato che cosa è successo…povera creaturina, quel fiorellino dai capelli rossi” la Gigantessa tirò fuori un’enorme fazzoletto. “Se ci penso mi viene ancora da piangere. Come stava male…”
“Quali sono le sue condizioni, ora?” chiese Lucy.
“I nostri medici si sono occupati di lei, e sta pian piano riprendendo le forze”
Tutti tirarono un lungo sospiro di sollievo.
D’un tratto, Jill proruppe in un forte starnuto. “Scusate tanto”
“Oh, povera piccina!” esclamò la Regina Titania. “Marito, non possiamo farli stare in piedi, poveretti! Avranno fatto un lunghissimo viaggio, saranno sfiniti”
“Giusto, mia cara” Mastodonte batté le mani due volte, facendo accorrere un paio di maggiordomi. “Preparate immediatamente le stanze per i Sovrani di Narnia e i loro compagni. Che abbiano abiti asciutti e puliti, cibo a volontà, e che possano fare un bel bagno caldo”
Quelle parole furono ristoratrici. I ragazzi assaporarono la prospettiva di una minestra calda e un letto morbido, sentendosi già meno stanchi e infreddoliti.
“Mi dovrò ricredere su questi Giganti” commentò Pozzanghera.
La Regina Titania, che fino a quel momento non aveva fatto molto caso a lui, si chinò dal trono e strizzò gli occhi, per vedere chi fosse quello strano uomo verde che aveva parlato.
“Oh! Che orrore!” gridò, tirando su le sottane fino alle ginocchia. “Una rana parlante! E ora che guardo bene, ci sono anche un topo con le ali e un lupaccio pulcioso!”
“Ehi! Non sono una rana!” protestò Pozzanghera.
“E io non sono un topo con le ali!” gli fece eco Ombroso, anche lui molto offeso. “Possibile che non abbiate mai visto un pipistrello in vita vostra?”
Per finire, anche il lupo emise un ringhio in direzione della Gigantessa.
“Via, via Titania” la riprese il marito. “Non c’è bisogno di far tutto questo chiasso. Non vedi? Sono animali di Narnia, è normale che parlino”
“Io non sono un animale, sono un Paludrone”
“E lui non parla” aggiunse Ombroso, tirando le orecchie del lupo. Quello fece scattare i denti e per poco non gli diede un bel morso.
“Ha la rabbia?” chiese Titania, spaventata.
Susan, che si era mostrata molto rispettosa nei confronti della Regina e del suo consorte, ora non poté fare a meno di fulminarla con un’occhiata assassina.
“Devono per forza stare qui anche loro?” chiese ancora Titania, rabbrividendo.
“Sì, se non vi spiace” rispose la Dolce, secca.
“Non si potrebbe chiudere in gabbia almeno il lupo? Dei tre mi sembra quello più pericoloso”
“Vi assicuro che è innocuo…se non viene disturbato”
“Oh, io non lo disturberò di certo. Sciò, sciò!”
La compagnia di Narnia lasciò così la sala del trono, con Ombroso e Pozzanghera che si lamentavano e Eustace che li prendeva in giro.
“Un po’ rabbioso lo è, però” disse Jill, guardando il lupo e poi Susan. Attese un attimo e poi disse: “Senti…”
“Domani, Jill. Ora sono stanca” la fermò la Dolce.
“Oh...d’accordo…comunque, volevo chiederti scusa per oggi”
Susan la fissò un istante. “Hai qualcosa da farti perdonare? Io non ricordo”
Jill sbatté le palpebre, un poco stupita, guardando la Regina mentre veniva guidata da una cameriera verso quella che sarebbe stata la sua stanza. Avrebbe voluto dire grazie a Susan per non averla rimproverata come aveva fatto Caspian. Dopotutto, il titolo di Regina Dolce non le era stato dato per nulla…
A ognuno fu assegnata una camera singola. Per i Giganti erano di dimensioni normali, ma per i ragazzi erano grandi come una casa, con tappeti soffici, poltrone imbottite ampie come divani, e divani spaziosi come un letto a due piazze. Il letto vero e proprio era ancora più enorme, così alto che c’era bisogno di una scaletta per salirvi. Per non parlare della vasca da bagno, grande come una piscina, dove si poteva nuotare liberamente. E poi c’era il camino, meravigliosamente colmo di legna che ardeva e riempiva la stanza di bagliori danzanti.
Maggiordomi e governanti portarono nuove ed eleganti vesti per tutti. I ragazzi si chiesero dove i Giganti avessero trovato degli abiti su misura per loro, e ottennero la risposta da una vecchia Gigantessa, la quale spiegò che al castello erano sempre disponibili abiti di piccola taglia, sia maschili che femminili, dato che la Signora della Veste Verde veniva spesso in visita, sola o con degli amici.
Dopo essersi rinfrescati un poco, fecero visita a Peter e Miriel.
Li trovarono nella stanza di lei, dove mangiarono tutti insieme.
Miriel non si era ancora ripresa del tutto, ma non era più così debole da non poter abbracciare forte i suoi amici.
“Sono così felice di vedere che stai meglio” disse Susan, concedendosi un sorriso.
“I Giganti non sono così tremendi come pensavamo” disse la Driade.
Erano tutti attorno al sul suo letto, grande quanto una piazza d’armi, così che tutti poterono sedersi comodamente.
“Sono stati gentili con noi” disse Peter. “A proposito, Lucy, il tuo cordiale: te lo dovrò restituire”
“Più tardi. L’importante, adesso, è che siamo di nuovo tutti insieme”
Era vero. Era bellissimo sapere di essere di nuovo uniti.
“Sapevamo che stavate arrivando, sapete?” disse Miriel. Gli altri le regalarono sguardi perplessi. “La Spada di Restimar si è messa a brillare, vero Peter?”
“E’ vero. E’ accaduto questa mattina, e così abbiamo capito che dovevate essere vicini”
“Le Spade percepiscono l’una la presenza delle altre” disse Shanna. “Non mi stupisce che la tua abbia brillato proprio stamattina, Peter: le abbiamo usate”
Peter e Miriel ascoltarono i racconti dei compagni, in particolare gli avvenimenti di quel mattino e la piccola avventura di quella sera. Nessuno, però, accennò all’incontro tra Caspian e Susan, sapendo che lei preferiva così.
“Me l’avevi detto che ci sarebbero state utili anche singolarmente” disse Eustace alla fine, rivolto alla Stella Azzurra. “Sono davvero portentose queste Spade”
“Caspian dov’è, ora?” chiese Peter a Susan.
“In camera mia. Sai, mi preoccupa che la Regina Titania non sia molto propensa ad averlo qui. Più che altro, però, mi domando come farò quando la bufera cesserà: non posso tenerlo rinchiuso”
“Ma non sarebbe nemmeno prudente lasciarlo andare” disse Peter. “Se dovesse imbattersi in qualcun’altra di quelle trappole…”
Susan annuì, pensierosa. “Lo so, c’è anche questo rischio. Non so cosa fare. Inoltre, non possiamo far sapere ai Giganti della maledizione, quindi dovremo trovare una soluzione per quando domattina Caspian apparirà al posto mio, e per quando domani sera se ne andrà”
“Questo sì che è un problema” disse Peter.
I due fratelli si guardarono: il Magnifico sembrò voler aggiungere qualcosa, ma lei distolse lo sguardo.
“Il Re e la Regina non mi hanno chiesto nulla sull’assenza di Caspian” continuò Susan, “per cui, credo che su di lui potrete inventarvi la scusa che volete, purché plausibile”
“Si dice che la notte porta consiglio” disse Lucy. "Forse ci verrà un’idea mentre dormiamo”
“Oppure, potremo pensarci domani, mentre chiederemo anche se sanno qualcosa di quelle trappole” disse Emeth sbadigliando. “Scusate, ragazzi, ma io sono sfinito, vorrei andarmene a dormire”
“Sì, anche io” fece Lucy.
Edmund scattò a sedere sul letto. “Dove vai, tu??”
“A letto”
Con chi?! Cioè…volevo dire…dove?”
Shanna si coprì il viso con una mano, sospirando. Eustace fece finta di soffiarsi il naso con un fazzoletto, per soffocare le risate.
Lucy arrossì violentemente. “In camera mia. Da sola!”
La Valorosa corse fuori, dando una veloce buonanotte a Miriel e Peter.
Poco dopo, Emeth si defilò lentamente. Edmund lo seguì di soppiatto, e se ne andò a dormire solo quando fu certo che il soldato russasse della grossa.
Shanna, Jill, Eustace (che si teneva la pancia con le mani per il troppo ridere), lasciarono la stanza poco dopo, subito seguiti da Pozzanghera e Ombroso: loro due avrebbero dormito insieme.
“Io me ne starei appeso al soffitto, se a te non dispiace” disse il pipistrello.
“No, fai pure” rispose il Paludrone.
Susan fu l’ultima ad andarsene, abbracciando ancora Miriel.
“Buonanotte, amore” disse Peter alla Driade, baciandola piano sulla fronte.
“Tu dove dormi?” chiese la Dolce al fratello.
“La mia stanza è proprio qui, accanto a quella di Miriel” il Re Supremo esitò un momento, e poi disse: “ Avanti Susan, cosa c’è che non mi avete detto?”
Lei lo fissò. “Nulla, perché lo chiedi?”
“Ti conosco tropo bene, Sue: stringi sempre le labbra in quel modo quando menti”
“In che modo?”
“In questo modo” Peter sorrise. “Avanti, cosa c’è?”
Susan sospirò. “Ho visto Caspian. Stamattina” mormorò, tradendo un’emozione repressa per troppo tempo.
Peter rimase stupito. “Vi siete trasformati insieme?”
“Sì”
Un momento di silenzio.
“Ne vuoi parlare?”
Susan abbassò il capo e fece cenno di no.
Il fratello le si avvicinò, mettendole le mani sulle spalle. “Sue…”
Lei fece un passo indietro. “No, non c’è bisogno”
La voce le tremò appena, ritrovando subito dopo la tonalità normale.
“Vado a dormire. Buonanotte”
Ma quando fu nel suo letto, pianse come non faceva da anni, pensando a Caspian e ai suoi bambini.
Il lupo le dormì accanto.
 
 
 
~·~
 
 
 
 
Erano giorni che Rilian e Myra non si parlavano. Il loro litigio si era trasformato in un vero e proprio voto del silenzio, da parte di entrambi.
Lei sembrava tutta presa dai preparativi per la partenza verso la città di Harfang. Stava sempre appresso alla Signora dalla Veste Verde che, improvvisamente, sembrava compiacersi della compagnia della bambina come non aveva mai fatto prima.
Rilian si diceva che stava molto meglio da solo, pensando pesino di non avere più molta voglia di andare a quella stupida e noiosa Festa d’Autunno. Ci avrebbe rinunciato volentieri se non fosse  che poteva uscire ancora nel Mondodisopra.
In cuor suo, Rilian sperava che una volta che anche Myra avesse visto le montagne, il cielo e tutto il resto, forse avrebbe smesso di tenergli il muso, e così avrebbero fatto pace.
Il principe si era lamentato spesso di dover dormire con sua sorella: la prendeva in giro dicendo che russava, che si agitava troppo nel sonno e lo svegliava, che lasciava sempre in giro le sue bambole…ma adesso, nel non averla più intorno, si rendeva ben conto di quanto fosse attaccato a Myra, di quanto avesse bisogno di lei nella sua vita.
Myra era la sua metà.
Era la sua migliore amica.
Era la sua famiglia.
L’unica cosa che gli rimaneva.
Si incontravano solo la sera, quando la Signora dalla Veste Verde li sottoponeva all’incantesimo della Sedia d’Argento.
In quei giorni di solitudine in cui si annoiava a morte senza sua sorella (ma guai a dirlo ad alta voce), Rilian aveva impiegato il suo tempo a giocare all’esploratore, scoprendo un passaggio segreto che portava alla nuova camera di Myra.
Uno scherzo!, aveva pensato. Le farò uno scherzo coi fiocchi e poi ne rideremo insieme, come sempre. Myra adora gli scherzi.
Così, una notte, prima che la Signora venisse a sottoporli all’incanto della Sedia d’Argento, Rilian si munì di un lenzuolo, al quale fece due buchi all’altezza degli occhi. Myra aveva una paura folle di cose come fantasmi, insetti, topi, serpenti, eccetera. Si sarebbe presa un bello spavento.
Ridacchiando tra sé, si avviò il più silenziosamente possibile attraverso il passaggio, spingendo il pannello della parete per entrare nella camera di lei. Si avvicinò al letto in punta di piedi, quando iniziò ad udire dei singhiozzi sommessi.
Il ghigno divertito sparì dal suo volto nel momento in cui vide la sorellina che si agitava nel sonno, piangendo e gridando.
“Myra! Myra, svegliati! Andiamo, svegliati, è solo un sogno”
“Mamma, papà, aiutatemi!” gridava la bambina. “Il serpente! Mamma! Mamma!”
“Myra, svegliati!” ripeté Rilian, scuotendola un poco.
Quando finalmente lei aprì gli occhi, cacciò un urlo spaventoso, rannicchiandosi contro la spalliera del letto.
“Oh, scusami” disse il principe, levandosi il lenzuolo dalla testa. “Sono io, Mia, non piangere”
“R-Rilian! Cosa…cosa…”
“Lo chiedo io a te. Che cosa stavi sognando per urlare in quel modo?”
“E tu che ci fai con quel lenzuolo?”
“Io…ecco, volevo farti uno scherzo, perché…”
Grossi lacrimoni iniziarono a scendere dagli occhi nocciola della principessa.
“Scusami, Mia, non volevo spaventarti. Cioè sì, volevo, ma…”
Myra gli gettò le braccia al collo, piangendo a più non posso.
Rilian, ricambiò subito l’abbraccio, forse un pò stupito.
Rimasero stretti nell’oscurità.
“Ho sognato la mamma” mormorò piano la principessa, separandosi da lui e asciugandosi il viso. Si era calmata.
“La nostra vera mamma?”
“Sì. E anche papà. Però adesso non mi ricordo già più i loro volti. Perché succede sempre così? Perché non riesco a ricordarli, Rilian?”
“Non lo so”
“Anche tu li sogni, vero?”
Lui annuì “Quando mi sveglio, sento ancora le loro voci, ma anche io me ne dimentico subito”
“Io credo di ricordarmi di una ninna nanna che ci cantava la mamma” disse Myra, intonando brevemente soltanto la melodia, a labbra chiuse. “Faceva così, più o meno. Era…come si chiamava?”
“La ninna nanna di Narnia” ricordò improvvisamente Rilian.
I due gemelli si guardarono negli occhi.
“Mi sento tanto sola, a volte” confessò Myra, il visetto triste come non mai.
Rilian l’abbracciò ancora. “Ci sono io, non sei sola”
Myra tirò su col naso. “Rilian?”
“Sì?”
“Scusa…”
“Anche a me dispiace. Ti avrei portato nel Mondodisopra se fosse stato possibile, giuro”
Sul visino della principessa apparve un piccolo broncio.
“Dai, smettila di fare la frignona”
“Non sono una frignona!”
“Lo sei sempre stata”
“Non è vero…”
“E’ verissimo. Ma io ti voglio bene lo stesso”
“Credi che torneremo mai a vivere nel Mondodisopra?”
Rilian si fece molto serio. “Certo! La Signora dalla Veste Verde me l’ha promesso”
“Rirì, raccontami ancora. Raccontami del Mondodisopra”
“Tra poco lo vedrai anche tu, quando viaggeremo verso Harfang”
“Oh, no, non raggiungeremo Harfang dall’esterno, purtroppo” disse Myra. “La Signora non te l’ha detto? Sbucheremo da una galleria sotterranea direttamente davanti alla città. Dice che tu hai rischiato di venire scoperto quando siete usciti, e non vuole che la cosa si ripeta. Su, adesso raccontami, per piacere”
Parlarono fino a tarda notte, seduti sul grande letto di lei. Rilian mimò le avventure che immaginava di aver vissuto in superficie, tra inseguimenti mirabolanti, combattimenti contro feroci draghi e cavalcate nel verde. Myra ascoltava rapita, non senza una punta di amarezza per non aver assistito a quello spettacolo, facendo ricorso alla sua fervida immaginazione per figurarselo come fosse vero.
I due gemelli avevano sempre avuto molta fantasia, cosa che alla loro madre adottiva non piaceva affatto. Ma Jadis non era mai riuscita a impedirgli di usarla, anche se ci aveva provato in tutti i modi.
L’immaginazione era il loro unico conforto, a volte, e non vi avrebbero mai rinunciato.
Dimenticarono ogni rancore, uscendo da quel litigio più uniti di prima, come non fosse mai successo.
Quando la Signora dalla Veste Vede si accorse che erano tornati a parlarsi, non ne fu per niente contenta.
Jadis voleva che litigassero o, ancora meglio, che si odiassero. Doveva tenerli divisi, o sarebbero divenuti pericolosi per lei. Più crescevano, più diventava difficile manipolare le loro menti; più diventavano grandi, più l’inquietante visione che la Strega aveva avuto tempo prima si avvicinava inesorabile.
Jadis aveva scorto qualcosa nel futuro: i figli di Susan Pevensie e di Caspian X avrebbero avuto un ruolo rilevante nella sua rovina.
Trovava sciocco temere quei due marmocchi, ma l’esperienza le insegnava che anche i bambini posso essere pericolosi.
Non provava un’inquietudine simile da quando i Pevensie erano venuti a Narnia la prima volta.
Aveva sottovalutato i quattro fratelli, non una ma più volte, ed era sempre finita male.
Doveva fare attenzione, o anche Rilian e Myra avrebbero finito per riservarle brutte sorprese.





Salve carissimi lettori! Come ve la passate?
Che sudata per postare e finire (soprattutto) questo capitolo! Ma anche stavolta, ce l’abbiamo fatta!
Sono successe tante cose…e non si è visto Rabadash, lo so. Ho rimandato ancora, tanto non interessa a nessuno se non c’è xD Ditelo, tanto lo so…
Io spero vivamente che questi ritardi non tolgano il ritmo alla storia. Lo so, con Queen ero più puntuale…sarà perché ho mille storie cin mente e ho la testa piena di idee che si accavallano?
A proposito di storie: per chi fosse interessato, ho iniziato a postarne una uova dal titolo “Two Worlds Collide” nel fandom di Ben Barnes ;) Vi aspetto anche lì.

 
Passiamo ai ringraziamenti:
Per le preferite: alebho, Araba Shirel Stark, batte wound, BettyPretty1D007flowers, bibliophile,  Christine Mcranney, english_dancer, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, , Friends Forever, G4693, Gigiii, Happy_699, HarryPotter11, HikariMoon, Jordan Jordan, LittleWitch, LucyPevensie03, lullabi2000, Mia Morgenstern, Mutny_BorkenDreams, osculummortis, piumetta, Queen Susan 21, Robyn98, senoritavale, Shadowfax, Starlight13, SuperStreghetta, Svea,  SweetSmile, TheWomanInRed, vio_everdeen, Zouzoufan7,_faLL_ _joy, _likeacannonball
 

Per le ricordate:  anonymously Araba Shirel Stark, Callidus Gaston, Cecimolli, Gigiii, Halfblood_Slytherin, mishy, Queen_Leslie, Starlight13, Zouzoufan7
 
Per le seguite: ale146, Araba Shirel Stark, BettyPretty1D007flowers, blumettina, Callidus Gaston, catherineheatcliff, cat_princesshp, Cecimolli,  ChibyRoby,  cleme_b, ecate_92, fede95, FioreDiMeruna, Fly_My World, Francesca lol, Fra_STSF, Gigiii, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, harukafun, ibelieveandyou, jesuisstupide, JLullaby, Judee, katydragons, lauraymavi, Lucinda Grey, Marie_, Mai_AiLing, mewgiugiu, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_ , osculummortis, piumetta, Queen Susan 21, Queen_Leslie, Revan93, senoritavale, Sere Morgan, Shadowdax, vio_everdeen,
Zouzoufan7, _joy, _likeacannonball,  _LoveNeverDies_ ,_Rippah_ 

 
Per le recensioni dello scorso capitolo:  LittleWitch, osculummortis, senoritavale, Shadowfax,_joy
 
 
Angolino delle anticipazioni:
I nostri eroi resteranno per un po’ alla città dei Giganti, dove si riposeranno, cercheranno indizi dell’antica civiltà aspettando che arrivi il giorno della festa d’autunno. Ne vedremo delle belle! Inoltre, sfrutterò questa momentanea tranquillità 8si fa per dire) per dedicarmi un po’ alle coppie!!!
Rabadash! Sì, dai, stavolta si vede. Mi sa anche che inizierò il capitolo con lui…
E per finire, penso che introdurrò un altro flashback Suspian!!!

 
Per gli aggiornamenti, controllate la mia pagina facebook, dove ogni tanto, tra gli alti post impazziti, appaiono anche questi…
Che sto postando l’altra storia ve l’ho già detto….per cui abbiamo finito e ci salutiamo.
Un bacio enormissimo e grazie a tutti!!! Senza di voi non sarei qui!!!
Susan♥


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Capitolo 26
*** Capitolo 26: Ricordi di noi due ***


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IN FONDO LA MAPPA DI NARNIA


26. Ricordi di noi due
 
La luce di un milione di stelle
In questa bellissima notte
Questa non è una notte per morire…


 
Il sarto prese il metro e lo srotolò, avvicinandosi al suo padrone per prendere le misure di un nuovo abito da cerimonia.
“Allargate le braccia, per favore”
Rabadash eseguì e l’altro iniziò a girargli in torno, borbottando tra sé.
“Dovrò fare un paio di modifiche, ma sarà pronto per la data stabilita”.
Rabadash scese dalla pedana sulla quale era stato fatto salire, osservando la propria immagine nello specchio.
“Se mi permettete un suggerimento” continuò il sarto, “ci aggiungerei un bel mantello rosso scarlatto, per evidenziare la regalità di Vostra Altezza Serenissima”
“Mi fido del vostro senso estetico” commentò il principe in tono svogliato.
“Il mio Re – scusate, Principe – è davvero gentile ad accettare il mio consiglio”
Rabadash fece un sorrisetto. “Non ancora Re. Non ancora”
“Non vorrei essere scortese, Altezza, ma oramai vostro padre è molto in là con gli anni, e…”
“Mi auguro che mio padre campi ancora un decennio, almeno. Siamo da sempre una razza molto longeva. Non mi stupirei se superasse il centesimo compleanno”
“Certo, ce lo auguriamo tutti, Altezza. Il fatto è che siete l’unico figlio maschio del nostro Imperatore – che egli possa vivere in eterno – e tutto il popolo nutre grandi aspettative per voi”
Rabadash si aggiustò i polsini della veste nera, sorridendo compiaciuto.
“Il mio regno, se Tash lo vorrà, sarà ancora più prospero di quello di mio padre. Ho grandi progetti per Calormen…e per Narnia”
Mancava ancora qualche anno al giorno in cui avrebbe cambiato il suo nome da Rabadash XVIII a Tisroc XXXIII.
Lui e Jadis avrebbero regnato su entrambe quelle terre, Calormen e Narnia, unificandole, creando così il più grande impero che si fosse mai visto nella storia dei Mondi: la Strega insieme a Rilian, e lui insieme a Myra.
La veste che portava ora, era stata confezionata proprio per andare ad incontrare la principessina. Lo avrebbe indossato alla Festa d’Autunno, quando, finalmente, la Strega Bianca – alias Signora dalla Veste Verde – li avrebbe dichiarati legittimamente fidanzati.
Rabadash era molto ansioso d’incontrare la figlia di Susan: a detta di Jadis, la bambina era ancora immatura, anche di aspetto, ma tra un paio d’anni avrebbe iniziato a fiorire e, forse, le nozze si sarebbero potute anche anticipare…
Ovviamente, tutto stava anche a come avrebbe reagito Myra.
La Strega sosteneva che la principessa non sembrava per nulla reticente al pensiero di un fidanzamento, e se fossero riusciti a farle mantenere quell’ atteggiamento remissivo, c’erano davvero buone probabilità di poterla condurre a Calormen quanto prima.
Ogni volta che Rabadash pensava a lei, non poteva fare a meno di chiedersi se fosse divenuta come sua madre.
Nel profondo del suo essere, avrebbe bramato di condividere la sua futura gloria con Susan Pevensie. Anni addietro, Tash gliel’aveva promessa come sposa ma, a causa del Liberatore, quella profezia non si era avverata.
Per quanto avesse tentato di odiarla – e forse ormai l’odiava – non riusciva a togliersela dalla testa.
La voleva ancora.
Se avesse potuto cambiare i piani…se avesse potuto piegare Susan alla sua volontà…
Non c’era mai riuscito.
Oltre agli innumerevoli interventi di Aslan, Susan stessa era caparbia come poche donne al mondo, ed era davvero difficile costringerla a fare qualunque cosa, persino usando la forza.
Tuttavia, c’era un modo per farle perdere tutta la combattività: la mancanza di Caspian.
Rabadash l’aveva capito quando l’aveva rinchiusa sulla Grande Torre.
In quei giorni, era apparsa come svuotata persino di un anima vivente: era un corpo in cui batteva un cuore e solo per questo si manteneva in vita. Nelle notti in cui aveva tentato di forzare la sua volontà, non si era quasi ribellata.
Ma aveva veduto la luce della vita riaccendersi nei suoi occhi celesti quando il Re Liberatore era apparso davanti a lei.
Tutt’oggi, Rabadash era consapevole che Susan sopravviveva alla maledizione solo perché aveva Caspian accanto sé, ogni giorno, benché in forma di lupo.
Forse era stato un errore permettere a quei due di rimanere uniti.
Forse avrebbe dovuto dividerli una volta per tutte.
E se fosse accaduto davvero? Se questa volta Caspian fosse davvero morto, Susan avrebbe di nuovo perso la voglia di vivere, di reagire e opporsi?
Non avrebbe potuto divenire la sua regina, ma poteva farne la sua favorita…
La porta della stanza si aprì ed entrò Lord Erton, insieme a Lord Galvan.
Il sarto continuò a lavorare attorno a Rabadash, appuntando spilli qua e là, facendo finta di non udire una parola della conversazione che seguì.
“Mi portate notizie di Lord Ravenlock, Vostra Grazia?” chiese Rabadash.
“Purtroppo no, mio signore. Veniamo appunto per informarvi che siamo molto preoccupati sulla sorte di Ravenlock e dei suoi uomini, e se Vostra Altezza potesse darci dei cavalli per andare a cercarlo…”
“No” fu la secca risposta del Principe.
“Ma, Altezza Reale” intervenne Galvan, “è quasi un mese che lo avete spedito al nord e…”
“E là deve restare” Rabadash osservò i due uomini più anziani attraverso lo specchio. “Ravenlock sa che perderà la testa se tornerà senza Caspian e i suoi compagni. Perciò, è meglio per lui che non si faccia vedere finché non li avrà tra le mani”
Erton e Galvan si scambiarono uno sguardo preoccupato.
Bussarono alla porta.
“Mio signore, il cacciatore è tornato” annunciò una guardia. “Lo faccio passare?”
Sul volto olivastro del principe del Sud si dipinse un ghigno. Annuì, allontanandosi dal sarto per voltarsi e dirigersi verso il centro della stanza.
Galvan e Erton osservarono con perplessità – e un certo disgusto – l’uomo dall’aspetto selvaggio che entrò poco dopo, prostrandosi ai piedi del principe.
Era un calormeniano, non c’erano dubbi: la carnagione era molto più scura di quella di Rabadash, il corpo massiccio, i vestiti sgualciti, sporchi di terra e polvere. Emanava un cattivo odore, così come le pelli che portava appoggiate sulle spalle.
Quando terminò d’inchinarsi davanti a Rabadash alla maniera calormeniana – piegandosi tanto da toccare terra con la fronte per tre volte – il cacciatore prese alcuni pellami e li depose sul tavolo di legno pregiato.
Il ghigno di Rabadash sparì, sostituito dalla delusione, mentre le esaminava.
“Non c’è” sentenziò seccato.
“Mi rincresce tanto, Altezza” disse il cacciatore, in un accento del sud molto marcato.
“Devi cercare altrove”
“Non posso uccidere tutti i lupi di Narnia”
“Narnia?” Rabadash si volse furibondo. “Narnia?! Chi ti ha mai detto di cacciare i lupi di Narnia, ignorante, puzzolente ammasso di inutilità! Ti avevo detto di andare nelle Terre del Nord!”
Il cacciatore si ritrasse un poco. “Ci sono stato, mio signore, finché il tempo atmosferico me l’ha concesso. Nevica troppo lassù, il passo è chiuso. Vi assicuro che nessuno potrebbe sopravvivere a quelle temperature, sono troppo rigide. Neanche un lupo…”
Rabadash prese il cacciatore per il bavero della casacca, avvicinando pericolosamente il viso al suo.
“Allora dimmi: come fanno a sopravvivere i Re e le Regine di Narnia?” sibilò.
“Mio signore?” l’altro lo guardò confuso.
Il principe lo lasciò andare. “Rimettiti in viaggio verso il Nord, subito, e piazza altre trappole, ovunque. E trovami anche la donna che viaggia con lui”
“Una donna?”
“Sì, una donna. Una splendida creatura dalla pelle d’alabastro e gli occhi color del cielo. Ma fa attenzione: la si vede vagare solo la notte, mai di giorno. La luna è il sole per lei. Ed è sempre, sempre, in compagnia di quel maledetto lupo…il lupo che la ama”
Il cacciatore era senza parole.
“E ricordati che il suo manto è nero!” esclamò ancora Rabadash, gettando sul pavimento le pelli grigie e marroni degli altri poveri animali.
Il cacciatore si affrettò a raccogliere la sua mercanzia. Poi si alzò, s’inchinò, e lasciò la stanza camminando all’indietro.
“Cos’è questa storia?!” proruppe Lord Erton quando la porta si chiuse. “Andare a cercare la Regina Susan? Uccidere Re Caspian? Avete cambiato i vostri piani?”
Rabadash si voltò con un sorriso beffardo sulle labbra. “Può darsi…”
 
 
 
~·~
 
 
 
 
La neve aveva cessato di cadere, la bufera si era trasformata in un violento acquazzone.
Il primo giorno ad Harfang trascorse abbastanza tranquillamente.
La compagnia di Narnia si riposò saporitamente, prendendo confidenza con il luogo.
Miriel si alzò finalmente dal letto: la sua salute era decisamente migliorata.
Come per magia, i Giganti non fecero domande sulla mancanza di Susan, e non chiesero mai spiegazioni sul perché Caspian fosse comparso ad Harfang dalla sera alla mattina (nel vero senso della parola).
“Secondo me, c’è lo zampino di Aslan” commentò Pozzanghera con sicurezza.
“Lo zampone, vorrai dire” fece Ombroso di rimando. Poi si rivolse a Caspian, dicendo: “Sire, lo sapete che la Regina Titania detesta la vostra versione notturna?”
“E allora? Io detesto ogni tua versione, Ombroso”
Il pipistrello gli fece una pernacchia e per poco non finì infilzato dalla spada del Re.
“Prima o dopo ti farà davvero arrosto, attento” lo avvertì Pozzanghera.
“Non sono buono da mangiare. Oh, come mi manca la mia adorabile signora, durante il giorno. Lei è sempre tanto buona con me. Vorrei potermi addormentare per non vedere la brutta faccia di questo individuo e sognare lei, invece…”
“Appenditi a un albero e dormi, allora” concluse ancora Caspian.
Durante la mattina, il guardiano che li aveva accolti la sera prima, fece loro visitare il castello. Avrebbero desiderato anche fare un giro del borgo, ma pioveva ancora a catinelle e furono costretti a rimandare.
Emeth propose di andare ad allenarsi con le spade. In realtà, avrebbe voluto estendere l’invito solo a Lucy, con la scusa di insegnarle qualche nuova tecnica (anche se la Valorosa era già molto brava). Purtroppo però, Edmund, Peter e Eustace li sentirono parlare e pensarono bene di andare a far loro compagnia. Jill si unì al gruppetto, decisa a imparare a usare la sua Spada per dimostrare a tutti, e a se stessa, di valere finalmente qualcosa.
“Caspian non si allena con noi?” chiese la ragazza, mentre, insieme a Eustace, raggiungeva gli altri all’armeria.
“No, ha deciso di andare a parlare con i Giganti di quella storia delle trappole”
“Ah, capisco…bè, meglio così”
“Dai, chiedigli scusa” fece Eustace.
Lei si rabbuiò. E’ lui il maleducato, non io. Non mi scuserò se non lo farà prima lui!”
“Quanto sei orgogliosa” sbuffò Eustace.
“Io? E lui, allora? Un gentiluomo non tratterebbe mai in quel modo una signora!”
“Tu non sei una signora, sei solo Jill”
L’espressione di lei divenne ancor più lugubre, e offesa. “Miriel dice che tutte le donne sono grandi dame a Narnia, anche quelle meno aggraziate!”
“Miriel ha il portamento, tu no”
“Ah no, eh?” Jill, le guance rosse di rabbia, gli pestò un piede con tale forza che lo costrinse ad urlare. “E allora beccati questo, brutto cafone!”
Eustace si mise a saltellare sul piede sano, tenendosi l’arto leso. “Sei un orso, altroché!”
“Come mi hai chiamata?!” strillò lei, indignata.
“Mi hai distrutto il piede! Se fossi una vera signora, saresti davvero più aggraziata!”
Jill strinse i denti, osservando il ragazzo appoggiarsi alla parete.
“Ora terrai il muso anche a me?” le chiese Eustace, gli occhi lacrimanti.
Jill gli voltò le spalle, marciando spedita per il corridoio.
“Dai, Pole, non te la prendere! Scherzavo!”
“Non capisci proprio niente!”
Eustace le corse a presso, o meglio, arrancò. “Ho detto che scherzavo!”
“Uffa, lasciami stare!” sbottò lei. “Tanto lo so che non ne ho combinata una giusta da quando sono arrivata: ho mancato subito il primo dei quattro segni di Aslan; avevo promesso a Lord Rhoop di imparare a usare la Spada e non l’ho fatto; avevo detto a Susan che avrei fatto del mio meglio come Settima Amica di Narnia, che mi sarei impegnata, e invece ho scordato i segni. E per concludere, il Re in persona mi odia!”
Eustace la osservò senza parole. “Ma che dici?”
Jill scosse i lunghi capelli biondi. “Non dovevo chiederti di portarmi qui, Scrubb. Senza di me avreste portato a termine il vostro compito già a un pezzo, ne sono sicura”
“E’ Aslan che ti ha chiamata” insisté Eustace, parandosi davanti a lei per indurla a fermarsi. “Sì, hai commesso degli errori, e allora? Nessuno è perfetto”
“Io non servo a niente”
“Piantala di fare la vittima, Pole, non è da te”
Jill teneva lo sguardo rivolto al pavimento. “Non cercare di consolarmi. Tutti voi avete affrontato insieme quel magnifico viaggio alla Fine del Mondo, e questo vi ha reso quasi una vera famiglia. Ma io non c’ero. Io sono davvero l’ultima arrivata, come ha detto Caspian. Non riesco a inserirmi, ho quasi il sospetto di non piacere a nessuno”
“Però piaci a me”
Jill alzò la testa di scatto.
Eustace era diventato molto rosso e sentiva caldo. Riprese a parlare senza guardarla.
“Caspian non ti odia. Susan sa che stai già facendo del tuo meglio, come noi. In quanto a Lord Rhoop, potrai mostrargli quanto sei diventata brava quando torneremo a Narnia”
“Ma io…” deglutì Jill, la gola improvvisamente secca, “non so quasi tenerla in mano la mia Spada”
“Bè…ehm...a questo possiamo porre subito rimedio: ti insegnerò tutte le tecniche che Ripicì insegnò a me sul Veliero dell’Alba”
Si fissarono un momento.
Anche Jill, ora, era rossa in viso.
“Va…va bene” mormorò lei, con un filo di voce. “Se vuoi insegnarmi…Eustace?”
“S-sì?”
“Come…in che senso…ti piaccio?”
Lui si schiarì la gola. “Ehm…nel senso… che sei mia amica”
“Ah…” Jill sorrise. “Ah sì, certo”
“Non mi piaci in quell’altro senso, Pole” si schermò subito lui, assumendo il suo solito tono scontroso.
“No, no, lo so. Nemmeno tu”
“Ecco…”
“Già…”
Si guardarono di nuovo.
Lei fece un piccolo passo indietro. “Scusa solo un attimo…io credo di aver dimenticato…”
“Sì, io ti aspetto…” balbettò lui.
“A dopo!” esclamarono in coro, prendendo sue strade diverse.
Avevano bisogno solo di un istante, per riprendere il controllo, per cacciare il rossore dal viso così da riuscire di nuovo a parlarsi e guardarsi.
Jill si sentiva davvero strana. Le parole ‘mi piaci’, dette da Eustace, le avevano fatto battere troppo forte il cuore.
“Jill, dove corri?” le chiese Edmund, quando la vide svoltare il corridoio. “L’armeria è dalla parte opposta”
“Lo so, è che ho dimenticato di fare una cosa. Ciao!”
Il Giusto la guardò perplesso. Alzò le spalle e s’incamminò di nuovo verso la sua destinazione.
“Ed?”
Edmund si voltò.
“Caspian! Non sei ancora a colloquio con il Re?”
Il Liberatore scosse il capo. “Non vado da Mastodonte. Ho chiesto a Titania di ricevermi. Le sue stanze sono in questa ala del palazzo”
“Come mai?” chiese il Giusto, incamminandosi a fianco con l’amico.
Caspian fece una strana espressione. “Io e Re Mastodonte non siamo troppo amici. Ci rispettiamo, ma non credo che parlare con lui sia una buona idea”
“Ieri sera, quando Susan gli ha chiesto se nutriva del rancore per te, ha assicurato di no”.
“Diciamo che mi fido più di Titania che di suo marito”
“Devi proprio avergliene suonate, eh?” sorrise Edmund.
Caspian ricambiò. “Non ha mai digerito la sconfitta, nonostante il gande stomaco che si ritrova”
Edmund rise alla battuta, scorgendo nel Liberatore l’amico di un tempo.
“Susan pensava che potrebbero centrare Ravenlock e i suoi soldati” aggiunse poi.
“Devo dissentire, stavolta. Dille che non deve preoccuparsi” rispose Caspian, fermandosi alla svolta del corridoio. “Non possono essere già qui. Non possono essere arrivati prima di noi: se ci fossero riusciti, non avremmo ricevuto questa tranquilla accoglienza. Sarebbero saltati subito fuori per catturarci, non credi?”
“E allora, chi può aver messo quella trappola laggiù?”
“Lo scoprirò presto”
Caspian fece per andarsene, ma Edmund lo trattenne.
“Aspetta solo un attimo”
Il Liberatore attese.
“Mancano cinque giorni alla Festa d’Autunno” disse il Giusto, serio in volto.
“Sì, e allora?”
“Anche a Narnia veniva celebrata”
“Lo so, Ed, ed è stato così finché sono stato Re: per salutare la stagione, prima del lungo inverno. Non capisco cosa centri questo con…”
“La profezia di Cornelius ci da una data precisa, se non erro. Diceva: ‘a tre giorni dal solstizio d’inverno: una notte senza il giorno e…’ ”
“ …‘un giorno senza la notte’. Me lo ricordo” concluse Caspian.
Ecco dove voleva arrivare, pensò.
Il Giusto lo fissò con insistenza. “Manca poco”
Il Liberatore non rispose. Per la prima volta non replicò e non si mostrò infastidito, solo pensieroso.
“La festa è il primo dicembre” continuò Edmund. “Il solstizio è il ventuno”
“So anche questo”
“Ci stai pensando?”
“A cosa?”
“A tornare a Cair Paravel entro la data stabilita”
Caspian fece un sospiro a labbra strette. “Forse”
“Vuoi rischiare?”
“Quando si ha già perso tutto, non si ha nulla da perdere”
“Noi andremo avanti e continueremo le ricerche di Rilian e Myra. Tutti noi vogliamo bene a quei bambini, non li abbandoneremo” disse Edmund in tono deciso.
“Smettila di dire cose ovvie” concluse Caspian, voltandogli le spalle.
E mentre varcava la soglie degli appartamenti privati della Regina dei Giganti, alla sua mente affiorò un ricordo. Un ricordo di giorni lontani, felici, quando, in quel periodo dell’anno, la sua Susan era tutta intenta a organizzare il ballo d’Autunno.
Forse, molto presto, avrebbe potuto vederla di nuovo così... 
 
“Sembra tu stia per scendere in battaglia” la prese in giro, bonariamente.
“Ti assicuro che lo è” rispose lei con uno sbadiglio, accoccolandosi accanto a lui sotto le coperte.
Sembrava avere più impegni di lui, indaffarata come non mai, alle prese con camerieri maldestri e damigelle troppo chiassose.
“Certe volte mi fanno impazzire. So che addobbare il castello è divertente, ma è anche molto faticoso. Dopo questo ballo dovremo già pensare ad organizzarne un altro: Natale è praticamente alle porte, ormai, e dovremo sostituire le decorazioni autunnali con candele, ghirlande e…”
“Prenditi un attimo di pausa, tesoro” le disse Caspian, prendendola tra le braccia, l’unico posto in cui lei si rilassava. “Finirai per non avere più tempo per me e per i bambini”
Susan voltò appena la testa per guardarlo. “Mai. Non starò mai, mai, mai lontana da voi. Nemmeno al più gravoso dei doveri permetterò di tenermi distante. Siete l’amore della mia vita. Ogni cosa che faccio, è per voi tre”
 
 
 
~·~
 
 
 
La Regina Titania sedeva su un divano imbottito, attorno a lei cinque o sei ancelle. Quando una guardia annunciò l'arrivo del Re Liberatore, le giovani gigantesse iniziarono a ridacchiare stupidamente alla vista del bell’umano.
La Regina non era da meno: arrossì come una ragazzina nel momento in cui Caspian posò appena le labbra sulla sua grande manona.
“Sono grato a Vostra Maestà per regalarmi un po’ del suo tempo” disse lui.
“E’ più che un piacere” squittì Titania, sedendo di nuovo insieme alle dame, tra le mani un tamburello da ricamo enorme come la ruota di un carro, l’ago grande quanto una spada e il filo spesso come una fune.
Ignorando le fastidiose risatine delle gigantesse, Caspian rimase in piedi e si rivolse alla Sovrana.
“Sono qui per chiedervi se sapete nulla di alcune pericolose tagliole che abbiamo trovato sulla strada per Harfang”
“Tagliole?” ripeté Titania, continuando a ricamare.
“Esatto. La Regina Lucy e Jill Pole hanno rischiato di rimanere ferite, ieri sera”
“Sarebbe stato terribile!”
Caspian assentì con un cenno affermativo “Per caso, sono stati i vostri cacciatori a piazzarle nella pianura appena fuori da Harfang?”
“Che io sappia no, Sire” Titania si posò il ricamo sulle ginocchia. “Però, potrebbe darsi che qualche cacciatore maldestro l’abbia dimenticata in giro”
“Voi credete?”
“Non vedo altra spiegazione”
Caspian rifletté un momento. “Permettete un’altra domanda, signora?”
“Sì?”
“Le trappole che usate qui ad Harfang sono di uguali dimensioni a quelle che usano gli umani?”
Titania annuì. “Gli animali sono di una sola taglia, Sire”
“Capisco. Posso consigliarvi di rimuoverle? Potrebbero essere pericolose anche per voi. Per i bambini, magari”
“Oh, cielo! Avete ragione, Sire. Se dovessero recarsi a giocare nella valle... Lo dirò a mio marito, e le faremo cercare e rimuovere, nel caso ce ne fossero altre. Avete fatto proprio bene a dirmelo”
“Vi ringrazio molto, Maestà”. Caspian fece un inchino di congedo.
“Ci lasciate già? Siete appena arrivato, è un peccato. Avrei desiderato che vi fermaste per il thè”
Le ancelle guardarono il Re di Narnia, speranzose.
“Io dovrei proprio andare, mi rincresce”
“Ma su! Ma su!” fece Titania, allungando una manona e spingendolo in avanti, verso il tavolo. Poi suonò un campanello. “Che venga servito il thé con i nostri migliori pasticcini”
Caspian fu costretto a rimanere. Sarebbe stato da maleducati rifiutare, soprattutto perché sapeva che contraddire un Gigante era un atroce errore che molti, in passato, avevano commesso: avrebbe avuto più possibilità di rimanere tutto intero nel gettarsi in un burrone, piuttosto che dire di no alla Regina Titania.
I camerieri portarono un vassoio colmo di ogni tipo di dolce possibile: oltre ai pasticcini, c’erano biscotti, ciambelle ripiene di crema, torte e tortine con panna, frutta e cioccolato. La Regina dei Giganti costrinse Caspian ad assaggiare tutto.
Lui pensò seriamente che volesse farlo scoppiare. Cosa più atroce, gli fece fare il bis.
Quando, alla fine, lasciò il salotto della Regina…
“Lucy!”
La Valorosa sussultò. Era seduta nella sua stanza a leggere un libro che aveva trovato in biblioteca.
“Ciao, Caspian! Guarda cos’ho trovato!” disse, alzando l’enorme volume con fatica: era alto quasi quanto lei. “Parla delle antiche dinastie di Harfang. Ho pensato che potesse contenere qualche informazione sull’Antica Città dei…Caspian, hai una faccia terribile! Che cos’hai?”
“Ho bisogno del tuo cordiale. Credo di aver fatto indigestione…”
 
 
“Ma com’è successo?” chiese una preoccupatissima Susan quella sera stessa.
Il lupo era sdraiato sul suo letto, gli occhi chiusi. Si notava chiaramente che non era in forma.
“Ha detto che la Regina Titania l’ha fatto mangiare fino alla nausea” spiegò Lucy. “Gli ho fatto bere un paio di gocce della mia pozione, anche se so che non funziona su di voi, in questo momento”
“Forse funzionerà” disse Emeth, “visto che l’ha bevuta quando era ancora umano”
“Spero…In ogni caso, penso guarirà abbastanza presto. Non devi preoccupati, Sue”
Susan gli posò una mano sul capo e il lupo aprì gli occhi.
“Che diavolo hai combinato, amore mio?” mormorò la Dolce, senza poter reprimere un sorriso.
Il lupo richiuse le palpebre, facendo un sospiro.
“Resti con lui o scendi a cena?” le chiese Emeth.
“No, resto. Me la faccio portare in camera”
Quando Emeth e Lucy se ne andarono, Susan riabbassò lo sguardo sull’animale.
“E’ mai possibile che non riesci a stare lontano dai guai?” scherzò, posandogli tanti baci sul muso. “Per giunta, ti sei intrattenuto con altre dame mentre io non c’ero. Vuoi rendermi gelosa?”
Il lupo appoggiò meglio il muso alle zampe anteriori, fissandola.
Lei gli fece una nuova carezza gentile, guardandolo profondamente.
“Mi manchi, lo sai? Mi manca la tua voce: so che mi diresti di non preoccuparmi, forse prendendomi in giro per la mia troppa apprensione. Non è così? Mi sorrideresti e forse mi baceresti. Ma so anche che, nonostante questo, mi avresti chiesto di rimanerti accanto, perché quando ti prendi solo un raffreddore, sei peggio di un bambino viziato”
Il lupo alzò la testa e strofinò il naso umido contro la sua guancia.
Susan gli prese il muso tra le mani, appoggiando la fronte a quella di lui.
“Torno tra poco” sussurrò, alzandosi per uscire un istante e chiedere che le fosse portata su la cena.
“Susan?” si udì chiamare.
“Miriel, non sei a cena con gli altri?”
La Driade avanzò nel corridoio e le andò incontro. “Peter è appena sceso, ma io stasera resto in camera. Sai, il medico mi ha raccomandato molto riposo”
“Ti senti ancora debole?”
Miriel le prese una mano e gliela strinse, un sorriso emozionato sul viso ancora un po’ tirato. “Possiamo cenare insieme? Ho qualcosa da dirti”
La Dolce accettò l’invito, assicurandosi che Caspian non avesse bisogno di nulla, lasciandolo tranquillo a riposare.
“Cosa ti ha detto il dottore?” chiese la Regina.
“Mi ha somministrato la solita medicina. Sono quasi guarita, ormai, mi sento molto più in forze, solo che dovrò stare attenta a quello che faccio, per un po’ di tempo”
Susan fece un’espressione curiosa.
Miriel sorrise. “Susan, sono incinta”
La Dolce ammutolì per qualche secondo.
“Cosa…tu…Oh, Miriel, ma è una notizia bellissima!”
Le due amiche si abbracciarono forte, ridendo come non facevano da un sacco di tempo.
“E’ stata una tale sorpresa” confessò la Driade, accarezzandosi il ventre.
“Peter lo sa già?”
“Sì, era con me quando il dottore me l’ha detto. Spero che stia dando la notizia agli altri in questo momento, perché sai, ho come l’impressione che abbia perso l’uso della parola”
Susan sorrise. “Posso immaginarlo. Anche Caspian restò senza parole per un attimo, quando gli dissi…”
Si fermò, divenendo triste all’improvviso.
Miriel se ne accorse subito, e si portò una mano alla bocca, dispiaciuta.
“Oh, Susan, perdonami! Forse non dovremmo parlarne…”
“Sì, parliamone invece. Questa notizia mi da speranza, sai? E’ la dimostrazione che la vita va avanti, si rinnova, che Narnia vive ancora, come i suoi abitanti”
“Narnia non morirà, Susan, faremo di tutto per salvarla”
“Lo so, cara Miriel, ma tu…tu non potrai venire con noi, come farai? Non puoi esporti al pericolo nelle tue condizioni”
“Ce la farò” affermò la Driade, determinata. “Anche tu affrontasti una dura battaglia mentre aspettavi i gemelli”
Susan storse le labbra. “Sì, è ho rischiato di perderli e di morire io stessa. Sei stata tu a salvarci, tutti e tre, ricordi?”
“Sì, me lo ricordo”
“Non puoi esporti di nuovo al freddo”
“Troverò un sistema” tagliò corto Miriel. “Io e Peter ne abbiamo già parlato: lui non vuole lasciarmi, ma io non posso costringerlo a restare con me. Presto sarà il momento di usare le Sette Spade, tutte insieme, e lui dovrà essere presente. E anche io. Non mi tirerò indietro: sono la vostra guida della terra, e sento che avrete bisogno di me”
Susan assunse un tono di leggero rimprovero. “Il medico ti ha raccomandato un lungo periodo di riposo, lo hai detto tu stessa”
“Lo so, però…”
“Tuo figlio potrebbe essere l’erede di Narnia, Miriel”
La Driade sussultò. “Ma…”
“Se non dovessimo ritrovare Rilian e Myra, sia che tu abbia un maschio o una femmina, è possibile che sarà tuo figlio a indossare la corona, un giorno”
Miriel scosse forte il capo. “Non ho nemmeno mai considerato questa possibilità, e non devi farlo nemmeno tu! Rilian è il vero erede al trono”
“Ho detto se” sorrise tristemente Susan. “Una piccola parte di me nutre ancora l’illusione che li vedrò crescere”
Miriel si allungò verso di lei, posando le mani sulle sue.
“E sarà così!”
 
 
La notizia della gravidanza di Miriel ebbe il potere di rendere l’atmosfera gioiosa e spensierata, almeno per quella sera.
Peter non sembrava più lo stesso: sorrideva a tutti e aveva voglia di scherzare.
In cuor suo, Il Re Supremo provava la sensazione di aver rovinato qualcosa, in un certo modo: avrebbe voluto dare un figlio a Miriel quando fossero stati legati nel vincolo matrimoniale, donarle tutta la tranquillità possibile, e soprattutto certezze sul futuro. Tutte cose che, al momento, non era in grado di offrirle.
“Non pensare queste cose, amore” lo rassicurò la Driade. “E’ come se fossimo già sposati, da tanto tempo. Io mi sono sentita sposata a te dal momento in cui me l’hai chiesto. Il nostro futuro sarà insieme”
Peter la prese tra le braccia e la baciò.
Il viso di lui splendeva di una nuova luce. I suoi occhi azzurri erano così brillanti e puri che Miriel vi poté leggere senza sforzo tutto l’amore che provava per lei, e quel figlio non ancora nato.
“Posso ripeterti di nuovo quanto sono felice?”
Lei gli fece una carezza sul viso. “Sarebbe carino”
Lui la baciò con passione, infilando le dita tra i suoi capelli di fiamma.
“Dirti che sono felice forse è un eufemismo. In questo momento non m’importa di niente se non di questo”
Le posò una mano sul grembo e lei la strinse, gli occhi color acquamarina pieni di lacrime di felicità.
“E’ terribilmente meraviglioso”
“Terribilmente?”
Peter annuì. “Bè, sì. Lo volevo così tanto, e non riesco quasi a credere che sia vero”
Miriel lo fissò negli occhi. “Tu…volevi un bambino?”
“Volevo sposarti e avere una famiglia insieme a te”
“Ora l’abbiamo”
“Manca solo un matrimonio”
“E’ così importante?”
Lui parve stupito. “Credevo che anche per te lo fosse”
Miriel gli sorrise. “Non fraintendere: è quello che ho sempre desiderato, e lo sai. Solo che, qualche tempo fa, pensavo che se tu te ne fossi andato di nuovo da Narnia, non mi avresti sposata. Non sapendo di dovermi lasciare”
Lui annuì. “E’ vero”
“Ma quando il medico mi ha detto che aspettavo un bambino, stasera, ho pensato che non m’importa più se siamo sposati o no. Siamo comunque una famiglia, adesso. Anche se tu te ne dovrai andare ancora, da questo momento in poi, io sono tua moglie e questo è tuo figlio. Per sempre”
Peter le accarezzò il capo con dolcezza. “Ma io non me ne andrò. Non ora che ho compreso cosa significa appartenere veramente a Narnia: non è solo capirla e amarla, è donarle qualcosa come lei ha donato qualcosa a noi. Narnia ci ha accolti, e noi dobbiamo accoglierla nel nostro cuore. Con l’amore. Tu sei Narnia, Miriel. Tu sei la mia casa, sei tutto. E adesso so che posso restare”
Miriel lo baciò di nuovo, stringendolo, lasciandosi stringere. Sentiva che lui si tratteneva per paura di farle male.
Ma non c’era più dolore in quella fantastica notte, e tutte le fatiche passate e il pensiero di quelle future, vennero per un momento dimenticato come non ci fossero mai state.
Dopo cena, come la sera precedente, la compagnia di Narnia si riunì nella camera della Driade, per fare le congratulazioni alla coppia. Ma Peter li costrinse ad andarsene dalla stanza molto prima di quanto avrebbero voluto: Miriel doveva riposare, recuperare le forze per due, e niente storie!
“La farai venire con noi?” chiese Susan al fratello maggiore.
“Non lo so ancora. Non posso lasciare il gruppo un’altra volta, ma non posso lasciare nemmeno lei. Miriel dice di sentirsi più forte, adesso, ma se dovessimo spostarci di nuovo sulle montagne e lei stesse di nuovo male…il bambino…” sul volto di Peter si disegnò un nuovo sorriso. “E’ così strano e bello allo stesso tempo. Non riesco a pensare ad altro”
Susan lo abbracciò forte. “Peter, sono felice per voi”
Era vero, lo era, ma c’erano sentimenti contrastanti in lei, che torturavano la sua coscienza.
Non poteva in alcun modo essere invidiosa di quella felicità.
Però, per un momento, provò ad immaginare che fosse la sua felicità.
Che fosse stata lei, invece di Miriel, a dare la notizia di una nuova gravidanza a tutta la corte di Cair Paravel.
Caspian avrebbe desiderato un altro figlio, ne avevano parlato spesso.
Un ricordo affiorò alla sua mente:
una mattina di qualche anno prima, il sole, il mare, la sabbia, e Caspian…
 
Susan aprì piano gli occhi, il tepore del sole, misto a quello del corpo di Caspian, le scaldava la pelle.
Il respiro ancora affannato, stesi sulla sabbia, attorniati dalla quiete del mondo che ancora sognava i suoi sogni, mentre loro ne vivevano uno ad occhi aperti.
“Ti ho fatta diventare una ribelle” mormorò lui ad occhi chiusi. Caspian stava riprendendo fiato, comodamente appoggiato al suo seno.
Susan sorrise pigramente e spostò appena il viso per baciargli la fronte. “Solo perché abbiamo appena fatto l’amore sulla spiaggia?”
Caspian alzò il volto e i suoi occhi si fusero con quelli di lei. “Bè, sì”
“Non è certo la prima volta. E poi, è la nostra spiaggia: casa nostra, il nostro castello, il nostro regno”
Lui sorrise. “E ci da il diritto di fare quello che vogliamo?”
“Sì”
“Tutto?”
Susan si sollevò appena per arrivare alle sue labbra. “Questo”
Il Re rispose subito al bacio, sorridendo insieme a lei mentre assaporava la sua bocca, che aveva il sapore di salsedine.
Non era mai sazio. Nessuno dei due lo era mai.
Come tante altre volte, svegliandosi poco prima dell’alba mentre i bambini dormivano ancora, erano scesi sulla spiaggia, di nascosto dalla corte. Avevano fatto il bagno e poi l’amore, in riva al mare.
Continuarono a baciarsi, i capelli ancora bagnati, il sudore sui corpi nudi, la voglia di loro ancora incredibilmente viva.
Caspian la fece scivolare su un fianco e la strinse, accarezzandole languidamente la schiena, premendola contro di sé.
Susan sospirò sulle sue labbra, passandogli una mano sul torace, saggiando la virilità e, al contempo, la morbidezza di quel corpo meraviglioso al quale apparteneva.
Solo a lui.
Il cuore riprese a batterle furioso nel petto, mentre Caspian si chinava a baciarglielo.
“Voglio un altro bambino, Sue” mormorò lui d’un tratto, con un tono di voce così dolce…
Susan aprì gli occhi di scatto.
Lui alzò la testa per studiare attentamente la reazione di lei, per quanto, in quel momento, la sua mente non fosse granché lucida.
“Oh, amore…” Susan sorrise radiosa.
Il Re la strinse forte, sovrastandola, prendendole lentamente i polsi tra le sue grandi mani, portandoglieli sopra la testa.
Susan continuava a sorridere dolcemente. Ogni volta era un’emozione unica. Solo lui poteva essere eccitante e tenero allo stesso tempo.
Il Re sfiorò le sue labbra con una carezza delle proprie. “Ti amo, pesciolino”
“E io ti amo di più” rispose lei, trovando appena la forza per farlo, prima di abbandonassi nuovamente e completamente tra le sue braccia.
 
Ma quel figlio, purtroppo, non era arrivato.
Ed ora, più che mai, Susan sentiva la mancanza dei suoi bambini.
Si portò una mano al ventre, come per richiamare alla memoria la sensazione di sentirli crescere dentro di lei.
Quanto amore aveva provato nel vederli per la prima volta…Dopo ore di fatica e sofferenza, era stata ripagata da quei due visetti d’angelo, e Caspian con lei.
La gioia apparsa sul volto di suo marito, il giorno in cui erano nati i suoi figli, era un’emozione che non poteva essere descritta.
Se fosse stata ancora là, sulla quella spiaggia, in quel castello, se non fosse successo tutto questo…
Forse, a quell’ora, nel suo ventre avrebbe potuto portare un altro figlio di Caspian.
Lo desiderò, provando di nuovo una fitta di gelosia nei confronti di Miriel.
No, non doveva!
Miriel era la sua migliora amica, era come una sorella. Doveva rallegrarsi per lei.
Tirò un respiro e si impose di sorridere quando andò a darle la buonanotte.
Bussò una volta e subito la voce di Miriel disse: “Avanti”
“Sono io. Posso restare un po’ o stavi già andando a dormire?”
“Vieni pure, Susan. Lo sai che non disturbi mai”
La Regina si avvicinò al letto e si sedette. Dopo un momento, abbracciò l’amica.
“Sono davvero felice per te, Miriel, credimi”
“Perché non dovrei crederti?” chiese la Driade con perplessità, avvertendo qualcosa di strano nel tono di voce della Dolce.
“Susan, cosa c’è?”
Miriel la fissò qualche istante. La Regina non rispose, lo sguardo rivolto alla grande finestra.
“Ricordi cosa mi dicesti una volta, quando ci nascondemmo alla Casa di Aslan, prima di raggiungere Prato Ballerino? Dicesti che ti sentivi in colpa perché, per un attimo, avevi sperato che Narnia fosse in pericolo, poiché solo così avresti potuto rivedere Peter. Mi chiedesti scusa per il tuo breve momento di egoismo, ed ora io ti chiedo di perdonarmi a tua volta”
“Perdonarti per cosa?”
Susan la guardò, gli occhi colmi di rimorso. “Perdonami per aver desiderato che tuo figlio fosse il mio. Perdonami per aver immaginato di essere al tuo posto, di sognare di dare un altro figlio a Caspian, quando so bene che molto probabilmente non accadrà mai”
La voce di Susan era dolore. Il suo cuore piangeva ma i suoi occhi no.
Era un guscio vuoto, un’anima dannata e perduta.
Era così che si sentiva.
Miriel si raddrizzò dai cuscini, prendendo le mani della sua Regina e amica, stingendole forte.
“Non devi chiedermi scusa, Susan. Né adesso né mai”
La Dolce lesse sul volto dell’altra compassione e tristezza.
“Dai sfogo al tuo dolore. Fallo”
“No”. Susan voltò di nuovo il capo.
Avrebbe desiderato farlo per davvero, dire finalmente a qualcuno cosa provava ogni giorno, anche se non era sicura di riuscire a spiegarlo. Ma era un fardello troppo grande per condividerlo con Miriel, o con chiunque altro. Solo lei poteva sopportare il peso di quella sofferenza.
Solo chi soffre comprende davvero il dolore.
Solo lei e Caspian.
Insieme, sebbene divisi, andavano avanti e sopportavano.
In qualche modo.
Sempre loro due.
Solo loro due.
Fino alla fine.
Oltre la fine.
La fine dove si sarebbero finalmente ritrovati.
Susan tirò un sospiro e sorrise debolmente.
“Non fingere di stare bene” disse Miriel.
“Non sto fingendo. Voglio sorridere per te e per il tuo bambino. Per mio nipote”
La Driade la fissò con decisione. “Crescerà con i suoi cugini accanto. I nostri bambini giocheranno insieme, Susan”
La Dolce continuò a sorridere.
“E’ meglio che torni in camera mia, ora. Caspian potrebbe aver bisogno di me. E poi è tardi. Tu devi riposarti per bene se vuoi ripartire con noi”
Miriel seguì i movimenti della Regina quand’ella si alzò. “Abbi fede, Susan. Non mollare. Mi hai detto che questa notizia ti ha dato una speranza”
“E’ così”
“Allora perché…?”
“Non ho bisogno di una ramanzina, ma di un’amica” la interruppe Susan, posandole una mano sul ventre. “Un’amica che deve pensare a riprendersi completamente per far crescere questo miracolo di Aslan. Ti auguro tutta la felicità del mondo, Miriel. Ti voglio bene”

 
 



 
Cari lettori, finalmente ho aggiornato!!!
Mi sono accorta che è passato quasi un mese intero dallo scorso post….non credo di aver mai tardato così tanto. Sono mortificata!!!!!!!!! >.<
Purtroppo, Rabadash è tornato…*sospiro* Date pure sfogo agli insulti xD. Come da promessa, ho dato spazio alle altre coppie! Cosa pensate della notiziona che riguarda i Petriel??? Ve l’aspettavate? ;) Io era da un po’ che macchinavo quest’idea…
E a proposito di notizie…..c’è una che vi farà piacere sapere: sto iniziando a buttare giù i primi scorci di trama di “The Last Battle”, l’ufficiale seguito di Night&Day!!!

 
Nota: nuova canzone a inizio capitolo: la bellissima “Live” di Celine Dion, che per me è il tema di Susan.
 
Ringraziamenti:

Per le preferite: alebho, Araba Shirel Stark, batte wound, BettyPretty1D007flowers, bibliophile, Christine Mcranney, Dark side of Wonderland, english_dancer, Francy 98, Fra_STSF, Friends Forever, G4693, Gigiii, Happy_699, HarryPotter11, HikariMoon, Jordan Jordan, LittleWitch, LucyPevensie03, lullabi2000, marasblood, Mia Morgenstern, Mutny_BorkenDreams, osculummortis, piumetta, Queen Susan 21, Robyn98, senoritavale, Shadowfax, Starlight13, SuperStreghetta, Svea,  SweetSmile, TheWomanInRed, vio_everdeen, Zouzoufan7, _faLL_ , _joy, _likeacannonball
 
Per le ricordate:  anonymously, Araba Shirel Stark, Callidus Gaston, Cecimolli, Gigiii, Halfblood_Slytherin, mishy, Queen_Leslie, Starlight13, Zouzoufan7
 
Per le seguite: ale146, Araba Shirel Stark, BettyPretty1D007flowers, blumettina, Callidus Gaston, catherineheatcliff, cat_princesshp, Cecimolli,  ChibyRoby, cleme_b, Dark side of Wonderland, ecate_92, fede95, FioreDiMeruna, Francesca lol, Fra_STSF, Gigiii, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, harukafun, ibelieveandyou, jesuisstupide, JLullaby, Judee, katydragons, lauraymavi, Lucinda Grey, marasblood, Marie_, Mai_AiLing, mewgiugiu, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_ , osculummortis, Queen Susan 21, Queen_Leslie, evan93, senoritavale, Sere Morgan, Shadowdax, vio_everdeen, Zouzoufan7, _joy, _likeacannonball ,  _LoveNeverDies_ ,_Rippah_ 
 
Per le recensioni dello scorso capitolo:  LittleWitch, osculummortis, senoritavale, Shadowfax, _joy
 
Angolino delle anticipazioni:
In questo capitolo, ci siamo occupati delle coppie Eustace/ Jill, Caspian/Susan, e Peter/Miriel. La prossima volta toccherà a Lucy/ Emeth e Ed/Shanna <3
Prevedo che il prossimo capitolo sarà quello dedicato alla Festa d’Autunno, almeno sul finale. Vi avverto: vi farò soffrire!!!

 
Gli aggiornamenti di Night&Day, li trovate come sempre alla mia pagina facebook, insieme a quelli di Two Worlds Collide, nuova fanfic nel fandom di Ben Barnes. Se venite a trovarmi anche li, mi farebbe tanto piacere!!! 
Vi ringrazio tutti ancora una volta. Scusatemi davvero se questa storia sta andando un po’ a rilento, prometto che mi impegnerò di più per rispettare la scadenza settimane, o almeno quindicinale!!!
Un bacio immenso,
Susan♥


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Capitolo 27
*** Capitolo 27: Il sogno di Jill ***


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IN FONDO LA MAPPA DI NARNIA


 
27. Il sogno di Jill

Lasciami cantare e ballare sotto il cielo
Ho così tanto amore da dare
Da dare...
Voglio una possibilità di vivere
 
 
Caspian guarì nel giro di un giorno.
A differenza delle tetre previsioni di Pozzanghera, il quale sosteneva che il Re fosse stato avvelenato, l’indigestione si rivelò solo un’indigestione.
Il Liberatore rassicurò gli amici – i quali si erano fatto influenzare dal Paludrone – dicendo loro che non era certo così che ci si sentiva sotto gli effetti di un avvelenamento. Lo sapeva per esperienza personale.
Era però vero che qualcosa di strano in fatto di cibo c’era…
Titania e Mastodonte continuavano a ripetere quando magri apparissero i ragazzi umani, ordinando ai camerieri che fossero loro servite doppie porzioni a colazione, pranzo e cena, più l’ora del thè.
Ma non era possibile riuscire a mangiare tutta quella roba! Così, la compagnia di Narnia si ritrovò costretta ad attuare un piccolo piano per disfarsi del cibo che abbondava: le ampie gonne delle ragazze e i mantelli dei ragazzi, erano un ottimo nascondiglio per le vivande di troppo, le quali, durante il pomeriggio, si premuravano di distribuire di nascosto agli animali del castello: cani, cavalli, capre, galline ecc…In questo modo, non andava sprecato niente e i Giganti non subivano offesa.
I giorni che precedettero la Festa d’Autunno trascorsero tranquilli e in un certo modo sereni, grazie alla bella notizia di una nuova vita in arrivo. Titania andò in brodo di giuggiole al pensiero di un bambino che cresceva tra le mura del suo palazzo: adorava i ‘cuccioli’, così li chiamava. Lei e Mastodonte avevano cinque figli, ma non aveva mai veduto coi suoi occhi un neonato umano.
“Sarà così piccolo che dovrò mettere gli occhiali per vederlo!”
La Regina dei Giganti si comportava come se la compagnia di Narnia dovesse rimanere a vivere ad Harfang per sempre, o almeno per lungo, lunghissimo tempo. I narniani tentarono di spiegarle che, presto – appena dopo la Festa d’Autunno – sarebbero ripartiti per il loro viaggio.
Titania insisté ancora e ancora sul fatto di non volerli lasciare andare finché non fosse svernato, ma Caspian la convinse a non insistere: dovevano ripartire, non c’era altra scelta.
Titania, che odiava essere contraddetta sopra ogni cosa, minacciò di erompere in una scenata isterica come farebbe una bambina viziata alla quale si è sottratto il suo giocattolo preferito.
Ma Caspian la sistemò con una semplice affermazione:
“E’ il volere di Aslan”
Titania sospirò rassegnata. “Quando è così...Uff, e va bene, ma solo dopo la Festa! Magari tornerete a trovarci in futuro!”
Caspian tentennò. “Oh…certo, signora, tenteremo”
Oppure no…
Ma durante quei pochi giorni che precedettero la data del primo dicembre, la compagnia di Narnia non perse di certo tempo a trastullarsi nel non far niente.
Continuarono ad allenarsi con le Spade (soprattutto Jill e Susan, che erano le meno brave) e a cercare indizi sull’Antica Città dei Giganti. Grazie alle informazioni che raccolsero sia tra i libri della biblioteca, sia tra la gente del castello, giunsero alla conclusione più logica: secondo la leggenda, le vecchie civiltà del Selvaggio Nord erano scomparse sottoterra, a causa di una valanga, la più spaventosamente impressionante che si possa immaginare.
Come avevano già affermato Titania e Mastodonte, fu opera di Aslan.
Con il suo ruggito, il Grande Leone aveva ordinato alla Natura di seppellire palazzi, mura, persone...tutto quanto, ponendo il suo retto giudizio sulla vecchia, empia popolazione dei Giganti: malvagi come la Strega Bianca, seminatori di panico e morte tra le altre creature, impenitenti rinnegatori del loro Creatore e dell’allora Re di Narnia, Castor il Mitico, così chiamato per i numerosi miti e le leggente nati dopo il suo regno; tra i quali, appunto, quello dell’Antica Città sepolta sui monti.
Ma i ragazzi sapevano bene che, quando si trattava di Aslan, di leggendario c’era assai poco.
“E’ una cosa terribile a pensarci seriamente” disse Emeth a Lucy. “Grandiosa, forse, per noi che conosciamo Aslan, ma…davvero terribile”
“Non è facile per Lui, sai?” disse la Valorosa, chiudendo uno dei tanti libri che avevano sfogliato.
Lei e il soldato erano soli in quel momento. Lucy lo aveva invitato in camera sua per bere l’ultima tazza di cioccolata prima di andare a dormire. Peter, Ed e Caspian – da bravi fratelli maggiori – non avrebbero approvato, ma lei desiderava stare un po’ sola con Emeth. Avevano avuto così poco tempo durante il viaggio…
Bastava solo non farsi scoprire.
“Aslan non punisce le persone per divertimento, né tantomeno per provare la sua potenza” continuò la Valorosa. “Ricordo, ai tempi dell’Epoca d’Oro, una battaglia contro il primo Rabadash: Aslan gli diede tre possibilità per pentirsi delle parole offensive che pronunciò contro i narniani, ma egli non volle ascoltarlo e allora lo punì”
Emeth si mosse nervosamente sul divano. “E che cosa accadde?”
Lucy sorrise. “Lo tramutò in un asino. E da quel momento, il principe Rabadash I non poté mai più lasciare il palazzo di Tashbaan, o avrebbe preso quelle ridicole sembianze”
Emeth rimase in silenzio per alcuni istanti, poi anche lui sorrise. “Sì, ora ricordo! Me lo raccontasti: fu chiamato Rabadash il Ridicolo proprio per questo”
Lucy annuì. “Esatto. Lo vedi? Aslan non sempre punisce così severamente. Molte volte deve farlo quando non ha altra scelta, quando un popolo è perduto. Io credo che abbia sofferto terribilmente nel vedere tutta quella gente morire”
“Allora perché non ha agito diversamente?”
Lucy scosse il capo. “Non possiamo comprende le sue decisioni, non fino in fondo. Non sono in grado di spiegartelo, ma lo comprendo. Un Re deve fare scelte difficili per salvaguardare il bene del suo popolo”
La ragazza si fece tristissima ma, dopo un attimo, i suoi occhi tornarono a splendere.
“I Giganti non ascoltarono, ed erano decisamente più pericolosi di Rabadash Il Ridicolo. Ma, a chi ascolta, Aslan offre la possibilità – tante possibilità – di rimediare, di tornare indietro di un passo e correggersi, perché sa che nessuna creatura è perfetta, poiché, a causa della disobbedienza dei primi uomini, tutti abbiamo ereditato l’imperfezione. Aslan e suo padre amano così tanto le loro creature che ci hanno dato l’opportunità di conoscerli e amarli, per avere la salvezza e un giorno entrare nelle Terre di Aslan”
Emeth la guardava ammirato.
“Amo sentirti parlare di questo: della speranza, della grande fede che nutri. Sei fantastica, Lucy”
Le fece una carezza sul viso e lei gli prese la mano, fermandola sulla propria guancia.
“Sono imperfetta anch’io”
“Per me non lo sei”
Lucy si sporse un poco in avanti e gli diede un tenero bacio. “Tu credi in quello che dico, non è vero, Emeth?”
Lui esitò un istante. “Vuoi la verità? Per molto tempo ti ho ascoltata senza credere. All’inizio, quando ti ho conosciuta, non ci riuscivo. Sono stato cresciuto in un altro tipo di fede e, certe volte, mi è ancora difficile non ragionare come un uomo del Deserto. Se mi avessi fatto questa domanda qualche anno fa, ti avrei risposto che mi sembrava assurdo che ‘un leone’ potesse spazzare via un intero regno. Inizialmente, pensavo anche che non fosse vero che Aslan amasse tanto i suoi Figli, dal momento che non esita a punirli. Ma ora ho capito che, per quanto soffra nel farlo, un padre deve fare anche questo: punire, a volte severamente, come hai detto anche tu”
Lo sguardo di Emeth si perse tra le fiamme che ardevano nel camino e Lucy capì che stava pensando ad Aréf tarkaan.
La Valorosa gli strinse di più la mano, spingendolo a voltarsi.
“Ho riflettuto parecchio sulla tua proposta di venire a Calormen” disse poi, seria.
Il soldato si fece leggermente nervoso. “E che cosa hai deciso?”
Lei si morse il labbro inferiore, nervosa per quel che stava per dire. “Tu sei stato sincero con me e io devo esserlo con te: lasciare Narnia mi spaventa e mi rattrista. Non so se vorrò vivere a Calormen per sempre, ma…”
“Non dovremo viverci, se non vuoi”
“Se sarà per breve tempo, va bene. Verrò.”
Emeth si spostò un poco per esserle di fronte “Se vuoi pensarci ancora…”
Lei scosse il capo. “No. Il Deserto è casa tua, come Narnia è la mia. Non posso essere egoista e pensare solo a me stessa: anche per te non è stato facile lasciare il tuo popolo, ma lo hai fatto; e anche per me non sarà facile, ma lo farò: verrò con te dalla tua famiglia. Per tutto il tempo che vorrai”
Emeth l’abbracciò all’improvviso, stupendola. Certi slanci non erano da lui.
Non che non le dimostrasse che l’amava, ma era sempre così controllato nei gesti e nelle dolci attenzioni che le dedicava…
Non era sempre stato così, per questo Lucy si era preoccupata un poco credendo che lui la stesse tenendo ‘a distanza’, inizialmente senza capirne il motivo. Poi, aveva compreso: Emeth si frenava, quando era con lei. Quando erano soli.
Era accaduto varie volte da quando si trovavano ad Harfang: quando si salutavano prima di andare a dormire, a volte lei gli chiedeva di trattenersi per qualche altro minuto. Alla fine, era lui a darle per primo la buonanotte, ma Lucy sapeva che se gli avesse chiesto di rimanere, lui non avrebbe esitato a dirle sì.
Ed Emeth non aveva mai insistito solo perché mostrava per lei un profondo rispetto e perché l’amava.
Lucy, a sua volta, non gli aveva ancora chiesto di restare per colpa di quell’ imbarazzo che avrebbe smesso di provare nell’istante in cui si fosse resa conto che, a sua volta, nel profondo, desiderava le stesse cose che desiderava lui.
Forse, il giorno in cui non avrebbe più abbassato gli occhi dopo un bacio troppo insistente, o non lo avesse dolcemente respinto con il silenzio e uno sguardo, allora lui…
Lui cosa?
Lucy si separò dall’abbraccio, arrossendo violentemente, lasciandolo un poco disorientato. Essergli così vicino mentre pensava a…certe cose…Non le aveva mai pensate, Lucy, mai.
Ed Emeth non le era d’aiuto. La guardava in quel modo che…come adesso…
“Lucy”
Lui mormorò il suo nome, senza ragione, accarezzandole il bel viso, avvicinandosi di più per sforare quelle dolci labbra.
Tutti la consideravano ancora una bambina, ma non lo era. La sua Valorosa Regina era una donna, giovane, ma pur sempre donna, meravigliosa e desiderabile come niente al mondo. Eppure, lui non si arrischiava ad andare oltre con lei, anche se lo avrebbe voluto.
Non era facile frenarsi, soprattutto quando le stava così vicino e sentiva il suo profumo, il suono lieve del suo respiro.
Mentre vagavano tra le montagne, gli era capitato di restare sveglio ore, la notte, a guardarla, a chiedersi come sarebbe stato poter toccare quella pelle morbida. Emeth le aveva sempre dormito accanto, ma era stata Lucy a chiedergli di farlo, lui non aveva osato mai, per timore che lei pensasse male e finisse per ritenerlo un individuo poco onorevole.
Emeth aveva ormai venticinque anni, era un uomo, non più il sedicenne che Lucy aveva incontrato sul Veliero dell’Alba. Era probabile che lei non si rendesse conto di quanto tempo fosse realmente trascorso, che lo considerasse ancora quel ragazzo. Per questo, forse, non poteva immaginare che lui voleva...di più.
Li avevano separati solo tre anni, una volta. Ora, il divario era quasi di dieci.
Ma cosa poteva contare il tempo se l’amava?
Anche sua madre e suo padre avevano molti anni di differenza, eppure…
Emeth si allontanò da lei, fissandola negli occhi, il suo volto tra le mani.
“Ti amo come non ho mai amato nulla in vita mia”
Lei liberò un sorriso, uno di quelli che lo facevano impazzire.
Ancora rossa in viso, la ragazza lo baciò di nuovo, mormorando sulle sue labbra.
“Quando tutto tornerà alla normalità, chiederò ad Aslan il permesso di restare, almeno un poco. Il tempo per venire con te”
“No, io voglio che resti per sempre”
Lei riaprì gli occhi, solo un istante, prima di essere catturata di nuovo da labbra di lui, dalle sue braccia che la stringevano tanto forte da non permetterle quasi di muoversi. Sentì una mano del giovane scendere dalle spalle ai fianchi, stringerla di più. Cercò di scostarsi un poco, con gentilezza, ma accadde qualcosa: non seppe come, perse l’equilibrio e cadde all’indietro. Aprì gli occhi quando percepì le labbra di Emeth allontanarsi dalle sue. Li spalancò, quasi impaurita, quando capì di essere distesa sotto di lui.
Il soldato la guardava come fosse la cosa più bella al mondo, con i capelli sparsi sul divano, il viso acceso d’emozione.
“Sei bellissima, Lucy”
Emeth non si fermò a pensare e la baciò di nuovo e subito.
Interrompere le loro carezze non gli sarebbe costato il minimo sforzo, ma lei gli stava permettendo di andare oltre, appena un po’. Lui lo capì dal modo in cui sospirò, nel modo in cui intrecciò le dita tra i suoi capelli.
Lucy provò uno strano brivido in tutto il corpo, una sensazione già sperimentata ma poco familiare, e per questo preoccupante. Sentiva che avrebbe potuto lasciarsi andare, ma…
La mano di Emeth iniziò a tracciare languide carezze sul suo fianco, sulle costole, e poi più in alto.
“Fermati, ti prego” sussurrò improvvisamente all’orecchio di lui.
Non dovette insistere: il giovane si scostò immediatamente, quel poco che gli permise di guardarla, ma sempre rimanendole sdraiato accanto.
Emeth avrebbe dovuto sentirsi almeno un poco offeso per il rifiuto, ma non avrebbe potuto. Non vedendo la paura in quegli occhi color del mare.
Le fece una carezza sul viso, che la calmò subito.
“Ti amo, Lu”
La fanciulla allungò le braccia e lo strinse in un abbraccio tenero. “Lo so. Anch’io, ma….non sono pronta”
Lucy affondò il volto nella spalla di lui per la vergogna, sentendolo sorridere.
“Ehi…”. Emeth le fece scostare il viso, mettendole le mani dietro la schiena per sollevarla a sedere.
“Sei arrabbiato?”
“No. Un po’ deluso, forse”. Le sorrise, sistemandole i capelli leggermente arruffati. “Tu sei dolce e innocente e io non voglio far nulla per ferirti. Però, Lu, io vorrei che tu capissi una cosa: non sono più un ragazzino. Non puoi chiedermi sempre di rimanere con te e pretendere che io non...perda il controllo, qualche volta”. Fece scorrere lo sguardo su di lei. “Forse, non dovresti più invitarmi in camera tua, non quando sei sola”
“Ma…”
“So che tu non te ne rendi conto, però io ti guardo e…ti desidero”
Lucy distolse lo sguardo, pudica. “Non dirmi queste cose”
“Non c’è nulla di male nel parlarne”
“Tu non provi vergogna?”
“No”
Lucy fece un sospiro e tornò a guardarlo. “Scusami. Mi rendo conto di non essere come tu vorresti, di essere ancora troppo infantile, mentre tu sei un uomo, adesso. Sei cambiato da quando ti ho conosciuto e… non fraintendere” si affrettò ad aggiungere, vedendo che lui stava per protestare. “Tu hai…esigenze diverse dalle mie, lo so. Vorresti qualcosa di cui io ho ancora paura. Ti prego, però, non pensare che io non ti ami abbastanza!”
Emeth le prese le mani e le baciò dolcemente. “Mai”
“Vorrei sentirmi pronta, ma non ci riesco”
“Aspetterò”
Lucy intrecciò le dita a quelle di lui, tormentandosi il labbro inferiore mentre una domanda faceva lo stesso con la sua mente.
“Emeth, dimmi la verità” balbettò, gli occhi fissi sulle loro mani. “Sei stato via molto tempo da Narnia, ti saranno successe senz’altro molte cose, avrai incontrato tantissima gente e molte ragazze che…forse tu hai… come posso dire…”
“No”
Lei alzò di scatto la testa, stupita e felice.
“Se vuoi sapere se ho già conosciuto una donna in quel senso, la risposta è no. Io voglio aspettare te”
“Oh, Emeth, io…”
Lui la prese tra le braccia, baciandole il capo.
Lucy si appoggiò alla sua spalla. “Sono proprio una ragazzina”
“E’ questo che adoro di te. E’ quello che ho sempre adorato: la tua ingenuità. Tu sei pura, innocente, ed è per questo che sei la preferita di Aslan. Potrei essere geloso…”
Lucy rise, cacciando via la tensione e la vergogna. “Sei geloso di chiunque”
“Puoi dirlo forte”
“Non dovrai mai esserlo, te l’ho già detto mille volte. Quando immagino il mio futuro, è te che vedo, Emeth, nessun altro”
Lui la tenne stretta ancora qualche istante, poi le prese ancora il viso tra le mani e la baciò una volta a fior di labbra.
Quella fu la sua buonanotte.
Emeth lasciò la stanza della Valorosa poco dopo.
Ma entrambi, quella notte, non riuscirono a dormire sereni.
  
 
Le gocce di pioggia tamburellavano insistenti sui vetri delle finestre, ritmicamente. Sembrava quasi che qualcuno bussasse sulla superficie.
Jill si girò nel letto e aprì gli occhi, convinta che fosse proprio così. Si alzò a sedere, scostandosi i capelli biondi dal viso assonnato. Incurvò le sopracciglia, perplessa.
Davvero pareva che ci fosse qualcuno fuori, e che stesse chiedendo di entrare.
Gettò indietro le coperte e si alzò, camminando verso l’enorme finestrone. Sollevò un poco la camicia da notte per salire sulla panchetta imbottita sotto il davanzale, scostò le tende e sbirciò fuori nella notte.
Subito, qualcosa attirò la sua attenzione, tanto da non rendersi conto che la pioggia aveva cessato di cadere, così da permetterle di vedere meglio la vallata sotto il castello.
Laggiù c’era qualcosa che brillava, come fuochi accesi nella notte, luci che formavano parole:
‘SOTTO DI ME’
Che cosa voleva dire?
Incurante del freddo – non lo sentì, ma neanche di questo si accorse – aprì la finestra, sporgendosi per vedere meglio.
E vide.
Un grosso animale splendente se ne stava sulla cima della collina, osservando severamente la ragazza con i grandi occhi dorati.
“Hai dimenticato i segni, Figlia di Eva” disse.
La voce dell’animale rimbombò nella valle e Jill pensò che avrebbe svegliato tutta la città.
“Aslan! Mi dispiace tanto! Io…”
“Ti aiuterò a ricordarli, Figlia, ma solo per questa volta. Se li scorderai ancora, dovrai cavartela da sola”.
Il Leone voltò la testa verso la landa sottostante, dove le grandi lettere infuocate brillavano ancora.
Anche Jill guardò di nuovo in quella direzione, quando un lampo d’oro, guizzante nella notte, le passò davanti agli occhi.
La figura sfavillante del Leone si stagliò contro il cielo nero. Sembrava volare ma in realtà aveva solo spiccato un balzo strabiliante.
“Leggi attentamente, memorizza, e guida i tuoi compagni alla valle degli strani solchi”
Quelle furono le ultime parole che la ragazza udì.
Il Leone e le scritte brillarono insieme, accecandola. Il primo sparì nel nulla con un altro lampo di luce.
Un battito di ciglia e Jill si svegliò, trovandosi a fissare il soffitto della sua camera.
Era giorno pieno.
Il giorno della Festa d’Autunno.
Saltò su dal letto, corse alla finestra, scostò le tende e guardò fuori.
Non che si aspettasse di vedere Aslan, ma non si poteva mai sapere.
Purtroppo però, niente si muoveva laggiù, nella lontana valle desolata che sorgeva ai piedi della città dei Giganti.
Corse subito a raccontare il suo sogno ai compagni, agitata come non mai.
Con una simile rivelazione già di primo mattino, tutta la compagnia di Narnia capì fin da subito che quello non sarebbe stato un giorno tranquillo.
“E’ colpa mia” disse Jill disperata. Il suo sguardo saettava da un compagno all’altro, frenetico, indugiando soprattutto su due persone: la prima era Eustace, la seconda Caspian.
Ma se il primo sembrava avere la minima intenzione di rimproverarla, non si poteva dire lo stesso del secondo.
Caspian se ne stava accanto alla finestra della camera della ragazza, lo sguardo puntato verso l’esterno, il viso serio, le braccia conserte. A differenza degli altri, che avevano posto molte domande sul sogno, lui non aveva ancora aperto bocca.
Jill non era in grado di constatare se fosse arrabbiato o meno.
“Mi dispiace tanto, veramente! Ho smesso di pensare ai segni, tutto quello che volevo era arrivare ad Harfang per avere un letto morbido e del cibo decente. Se li avessi ricordati, invece, mi sarei accorta che la strana collina che abbiamo attraversato la sera in cui siamo arrivati qui, erano le rovine dell’Antica Città dei Giganti”
“La colpa non è solo tua” la rassicurò Eustace, sedendo vicino a lei, posandole una mano sulla spalla.
Lei provò conforto a quel contatto, ma scosse il capo, mortificata. “Ho rischiato di mandare all’aria tutto, facendovi mancare tre dei quattro segni”
“Anche noi volevamo raggiungere Harfang, cosa credi? Eravamo preoccupati per Miriel e Peter, eravamo stanchi, affamati, esausti! Chiunque di noi, trovandosi al tuo posto, probabilmente avrebbe agito come te”
“La colpa maggiore è mia” si fece avanti Pozzanghera. “Io avevo intuito che quella strana collina poteva essere la città abbandonata ma, a mia volta, ero così stanco che ho pensato soltanto a me stesso e al mio stomaco vuoto”
“Anch’io ho la mia parte di colpa” si fece avanti Miriel. “Se non fosse stato per tutte le preoccupazioni che vi ho dato, forse anche tu ti saresti concentrata meglio”
“La verità” disse Shanna, “è che, ad un certo punto, abbiamo iniziato a pensare solo ad arrivare qui, perdendo di vista il vero senso del nostro viaggio”
“E’ vero” assentì Edmund. “Non sentirti in colpa, Jill. Ormai, quello che è stato è stato”
A quelle parole, Peter e Lucy si scambiarono uno sguardo complice: loro fratello aveva usato la stessa frase rivoltagli da Aslan tantissimo tempo prima, quando lo perdonò per il suo tradimento.
“O magari” intervenne Ombroso, “se la signorina Jill non avesse avuto sempre qualcuno a dirle quanti errori stava commettendo…”
Il pipistrello diede un paio di colpi di tosse, scoccando un’occhiata al Re di Narnia.
Nel breve silenzio che seguì, il sospiro di Caspian fu l’unico suono che riempì la stanza.
“Quello che non capisco” disse poi lui, “riguarda le lettere. Mi chiedo come siano completamente sfuggite alla nostra attenzione”
Il Liberatore continuava a guardare la landa innevata, non dando segno di aver udito l’ultimo commento.
“Già” asserì Peter. “Nemmeno io e Miriel ci siamo accorti di niente, quando siamo giunti qui. Ricordo solo che fu molto difficoltoso percorrere l’ultimo tratto. Destriero continuava ad affondare in strani solchi che…Ci sono!”
“Cosa?” esclamarono gli altri in coro.
“Le parole le ha scritte Aslan stanotte?” azzardò Pozzanghera.
Peter scosse il capo. “Andiamo, è facile: le lettere erano già lì. La scritta è sempre stata lì e…sì, forse hai ragione Pozzanghera, potrebbe essere stato Aslan a metterle, ma non stanotte”
“E noi ci siamo passati in mezzo” mormorò Emeth, pensieroso.
“La buca in cui siamo cadute io e Jill!” saltò su Lucy. “Non era una buca ma una delle lettere!”
“Giusto” disse ancora il Re Supremo, iniziando a camminare per la stanza. “Aslan deve aver fatto in modo che tra le rocce e le mura sgretolate si formasse quella scritta. E sapete questo cosa significa?”
“Che dobbiamo cercare sotto le rovine”
“Esatto, Ed!”
Tutti si alzarono, chi dal letto, chi dal divano, e raggiunsero il balcone.
Sotto di loro, appariva la collina piatta che avevano faticosamente attraversato. Guardandola meglio, si notava benissimo che non era una collina come le altre, ed ora che ne avevano preso coscienza, si dissero di essere stati veramente sciocchi a non notare che avesse qualcosa di strano. La neve la ricopriva quasi tutta. Si vedevano chiaramente spuntare dal terreno quelle che avevano scambiato per rocce e massi, ma che in realtà erano i resti di mura, colonne e tetti. La salita che avevano percorso, non era altro che un’antica scalinata che procedeva verso sud, formando poi la strada lastricata che la Signora dalla Veste Verde aveva loro consigliato di seguire per giungere a destinazione. Molto probabilmente, quello era il sentiero che i Giganti antichi avevano piastrellato per segnare la via che andava e veniva dalle montagne alla Brughiera, così da non perdersi tra i boschi innevati.
“Non dovevamo smettere di seguirla” commentò Caspian, quando furono rientrati in camera. “Ad un certo punto l’abbiamo persa di vista, e invece di cercare di ritrovarla ce ne siamo dimenticati. Se non l’avessimo fatto, se non ci fossimo messi a litigare per cose inutili, forse saremmo anche arrivati prima ad Harfang, chi lo sa. Una cosa è certa: Jill non è la sola a doversi prendere la colpa, nè a rimproverarsi per i suoi errori”
La ragazza e il Re si fissarono un momento. Lui le sorrise. Lei ricambiò.
“Bene, e ora che facciamo?” chiese Ombroso.
“Prima di tutto” rispose Edmund, “dovremo capire come fare ad arrivare sotto la città”
“Potremmo tornare al punto in cui io e Jill siamo cadute dentro quell’apertura” suggerì Lucy.
“Sì, potremmo”
“Io ricordo che laggiù c’era una specie di galleria” disse Emeth. “Forse, se la seguissimo…”
“Un momento solo” li interruppe Pozzanghera. “Sono d’accordo sul fare già un piano per muoverci, signori, ma dimenticate la parte più importante”
“Ovvero?” chiese Miriel.
“Ovvero, milady, lasciare Harfang. Non penserete mica che i Giganti ci lascino andare così, vero?”
“Questo si che è un problema!” fece Eustace, passandosi una mano sulla fronte.
“E se raccontassimo tutto al Re Mastodonte e alla Regina Titania?” propose Shanna. “Lei sembra molto ben disposta nei nostri confronti”
Caspian le lanciò un’occhiata non troppo convinta. “Se oggi vuoi prendere il thé con lei, accomodati”
“Ehm...no, grazie”
“Io proporrei di aspettare domani” disse Lucy. “Sarebbe meglio che non sospettino nulla, sapete quanto la Regina è contraria al fatto che ce ne andiamo, e se insistiamo ancora su questo potremmo irritarla. Presenzieremo alla Festa d’Autunno, stasera, così li faremo contenti. E domani, in tutta calma, gli diremo che dobbiamo per forza andarcene”
“E se volesse che restassimo ancora?” domandò Emeth, scettico. “I festeggiamenti durano una settimana”
“Dovremo insistere, non abbiamo scelta”

Quella fu la decisione unanime: aspettare e comportarsi come nulla fosse, rallegrare i Giganti mostrandosi entusiasti di tutto.
Jill, per farsi perdonare ulteriormente nonostante gli amici l’avessero rassicurata più di una volta, fu quella che s’impegnò maggiormente. Si sacrificò e prese il thé con Titania, accusando un finto mal di pancia quando la Regina le servì una seconda razione di tutti i dolci.
“Oh, povera piccina. Non sarai mica malata?”
“No, no, Maestà, è che sono molto golosa e i vostri dolci sono così buoni che non sono riuscita a fermarmi”
La Regina tirò fuori un fazzoletto enorme e si asciugò gli occhi.
“Maestà, perché piangete?”
“Niente, niente. Forse ti ho fatta mangiare troppo, ma sai, sei così magrolina…”
“In realtà, con tutte le buone cose che ci servite ogni giorno, penso di aver messo su qualche chilo”
Il volto della Regina s’illuminò. “Veramente? Oh, bene, bene!”
Quando fu il momento di andarsene, senza farsi notare da nessuno, Jill si fermò un momento ancora fuori dalla stanza.
Origliare non era una bella cosa, ma le servì per udire la voce di Titania divenire nuovamente triste e pronunciare delle strane parole:
“Sono così carine a quell’età” diceva la Regina alle ancelle. “E’ proprio un peccato… Sì, davvero un peccato…”
“Qualcosa bolle in pentola, Scrubb” confessò a Eustace poco dopo.
“Possiamo rinunciare alla Festa e scappare, che ne dici?” suggerì lui.
“Bravo, così li faremo infuriare” commentò Jill.
“Ma adesso che sappiamo di poter raggiungere Rilian e Myra, tu non senti il bisogno di farlo il più presto possibile?”
Jill abbassò la voce, mentre passavano in mezzo a un assortito gruppo di camerieri che trasportavano grandi vassoi di cibo tra le braccia, diretti verso la sala dei banchetti.
L’ora della Festa si avvicinava sempre più
“Sì, anche io vorrei rimettermi in cammino, ma non possiamo, l’abbiamo già detto”
“Mmm…è vero, però…Oh, attenta!”
Un Gigante andò addosso a Jill per errore, facendola inciampare. In verità la sfiorò appena con il gomito, ma lei era tanto più piccola che, se non ci fosse stato Eustace ad afferrarla in tempo, sarebbe certamente caduta con il rischio di farsi male. Il ragazzo tese le braccia e lei si aggrappò a lui.
“Perdonatemi, signorina” si scusò il Gigante.
“Nulla, è tutto a posto”
Il cameriere si inchinò porgendo nuove scuse e poi si allontanò, lasciando Eustace e Jill in preda all’imbarazzo più totale.
Da quando lui le aveva detto ‘mi piaci’, i due amici avevano cambiato atteggiamento l’uno nei confronti dell'altra. Eustace stava attento a tutto ciò che diceva, era premuroso nei gesti e in tante piccole altre cose, dimostrando una gentilezza a lui inusuale. Jill, dal canto suo, arrossiva ogni qualvolta lo guardava senza capirne il motivo, e ancor di più se le capitava di stargli troppo vicino o sfiorarlo appena.
“Hai già scelto il vestito per stasera?” le chiese il ragazzo, lasciandola andare.
“Sì. La Regina Titania ha messo a disposizione di noi ragazze diversi tipi di stoffe. Ce le ha mostraste qualche giorno fa, così che potessimo scegliere quella che ci piaceva di più. I nostri abiti dovrebbero essere pronti per questo pomeriggio”
Eustace annuì. “Si, anche il Re ha fatto la stessa cosa con noi maschi. Anche se sono sicuro che voi donne ci metterete il doppio del tempo per preparavi”
“Bè, è normale voler apparire carine per un evento importante”
Eustace sbuffò. “Che cosa stupida. Non credevo la pensassi così, sai? Ti facevo un tipo meno frivolo, Pole”
“Non è frivolezza. Sono una ragazza anch’io, voglio vestirmi bene. E poi, gli abiti di Narnia sono davvero fantastici, molto più belli di quelli del nostro mondo”
“Ma non ne hai bisogno” mugugnò lui, improvvisamente impacciato. “Voglio dire, tu vai bene così come sei, senza troppi fronzoli addosso”
Lei lo guardò in tralice. “Mi stai dicendo che sono carina, Scrubb?” chiese con un sorrisetto.
Lui incurvò la schiena, abbassando il capo, guardando a terra.
Jill sorrise sotto i baffi, capendo che era un sì.
 
 
 
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C’era un gran trambusto nelle stanze della Signora dalla Veste Verde, laggiù, nel Mondodisotto.
Era tempo di partire per la città dei Giganti e Jadis stava dando disposizioni per caricare sulle grandi carrozze i suoi bagagli, quelli dei principi, della loro governante e di qualche altro servitore.
“Attenti con quello, contiene un oggetto molto prezioso” disse austera, mentre quattro bizzarre creature sollevavano una grande cassa contenente la preziosissima Sedia d’Argento.
Doveva assolutamente portarla con sé, non c’era altra scelta, anche se aveva paura di danneggiarla.
“Attenti! Attenti!” esclamò di nuovo. “Myra, per tutte le ombre! Vuoi smetterla di correre qua e là?”
“Perdonatemi, madre”
Da quando si era svegliata, la principessa non aveva fatto altro che trotterellare allegramente per il cupo castello, andando e venendo dalle stanze della madre adottiva, ridendo e danzando alla prospettiva del meraviglioso ricevimento cui avrebbe preso parte quella sera stessa. Myra non pensava molto al suo imminente fidanzamento, la sua mente era troppo occupata a vagare sulle bellezze che avrebbe visto nel Mondodisopra, sulla gente che finalmente avrebbe potuto vedere con i suoi occhi. Al palazzo di Harfang, oltre ai Giganti, dovevano essere state invitate moltissime altre persone di chissà quanti paesi diversi.
Myra e Rilian avevano studiato le razze assieme al loro maestro e a Lady Lora. Inoltre, anche se non ricordavano bene, i fratelli sapevano di aver vissuto a contatto con creature diverse dagli uomini.
“Ci saranno anche dei Nani come il maestro, madre? E gli Gnomi? E i Fauni? I Centauri possono vivere sulle montagne, madre?”
“Smetti di scocciarmi, cara, ora non ho tempo di risponderti” la rimproverò la Signora, spingendola fuori dai propri alloggi. “Va a giocare nella tua stanza e sbrigati a cambiarti, o ti lascerò qui!”
Myra mise il broncio. “Anche Rilian non è ancora pronto!”
“Allora digli di correre ad indossare i suoi abiti da viaggio. Tra mezz’ora partiamo”
La bambina emise un gridolino d’emozione e corse via, ignorando l’irritazione sul volto di Jadis.
Per giungere ad Harfang, anche questa volta, la Strega si sarebbe avvalorata della straordinaria velocità dei Cavalli di Fuoco. Avrebbe così coperto la distanza tra il suo Regno e le Terre del Nord in qualche ora, invece che giorni. Sarebbero arrivati alla città dei Giganti entro le prime ore del pomeriggio, avrebbero riposato un poco e poi, prima del banchetto, lei e Mastodonte sarebbero andati ad accogliere il principe Rabadash.
Il Re Mastodonte e la Regina Titania erano stati davvero gentili a trasformare la Festa in una cerimonia di fidanzamento, quell’anno. Non erano a conoscenza della sua vera identità, ovviamente, nessuno tranne lo stesso Rabadash, Tisroc e Lord Erton sapevano chi era in realtà, altrimenti, dubitava che i due Giganti avrebbero accettato di ospitarla.
Tutto doveva avvenire in modo molto semplice, per non spaventare Myra. Un minimo errore da parte sua o del principe del Sud, poteva mandare tutto all’aria.
Nessuno avrebbe potuto impedirle di portare a termine i suoi piani, questa volta. E se tutto andava come programmato, tra quattro anni al massimo, avrebbe seduto finalmente su uno dei quattro troni d’oro come Regina del mondo: Jadis di Charn, la Dama Bianca, la Sovrana della Neve e del Ghiaccio.
Di nuovo signora di Cair Paravel.
Di nuovo Regina di Narnia e Imperatrice delle Isole Solitarie, come prima dell’arrivo dei Pevensie. Allora, ma solo allora, avrebbe fatto cadere la maschera di Signora dalla Veste Verde.
Oltre al raggiungimento dei suoi scopi, però, Jadis aveva un desiderio per quella serata: sperava che la compagnia di Narnia avesse raggiunto Harfang, e che Caspian e Susan fossero là a vedere i loro figli in mano sua.
I Sovrani di Narnia le avevano sempre tolto tutto, ed era ora che capissero che anche lei poteva fare lo stesso: poteva prendere le loro vite, le loro certezze, e farne ciò che voleva. Si augurava anche – perché no? – che Rabadash avesse la possibilità di incontrare il Liberatore e la Dolce. Né l’uno né gli altri sapevano della reciproca presenza, e anche se Caspian fosse apparso in forma di lupo...bè, ci sarebbe stato da divertirsi.
E, cosa ancor più divertente, nessuno dei narniani l’avrebbe riconosciuta.
In ogni caso, non avrebbero potuto nulla contro di lei. I Giganti avrebbero fatto di loro un sol boccone prima che si aprissero le danze.  
 
 
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Il tramonto era prossimo.
Caspian si congedò dai compagni, augurandogli di godersi la Festa il più possibile ma di tenere gli occhi aperti: la prudenza non era mai troppa.
“Ci dispiace molto che tu non possa venirci” disse Jill, ancora un poco impacciata nel rivolgersi a lui dopo giorni che non si parlavano, soprattutto dopo il brutto litigio che avevano avuto.
“Ti avrebbe fatto bene svagarti un pò”
Caspian le sorrise. “Non sono dell’umore per festeggiare nulla, ma grazie del pensiero”
Il Liberatore uscì nel cortile est, dove soffiava un vento gelido di bufera. Nel pomeriggio aveva piovuto parecchio, ma ora, piccoli fiocchi di neve danzavano attorno al suo viso, posandosi tra i suoi capelli. Egli non se ne curò: tra poco si sarebbe trasformato e la neve non gli avrebbe dato così tanto fastidio.
Entrò nella stalla, dove enormi cavalcature sbuffavano inquiete per l’arrivo della tempesta. Tra di loro c’era Destriero e, posato sul suo dorso, il falco.
Caspian si avvicinò loro. Fece una carezza sul muso del cavallo, poi sul collo morbido dell’uccello.
“Sei arrivata, finalmente” le disse, posando sulla staccionata uno splendido vestito blu notte, ricamato finemente. “Questo è il tuo abito. Sarai splendida, stasera. Vorrei poterti vedere”
Il falco strofinò la testa contro la sua mano.
“Ero in pensiero, non ti ho vista per tutto il giorno, dove sei stata?”
Il Re fece per prenderla sul braccio ma lei si divincolò, volando dentro il box di Destriero.
Caspian guardò attentamente tra il mucchio di paglia. Un attimo dopo fece scattare il gancio che teneva chiuso il cancelletto, entrando e inginocchiandosi a terra.
“Shira!”.
Il falchetto bianco e nero, raggomitolato su sé stesso, aprì gli occhietti stanchi. “Maestà, come sono contenta di vedervi!”
Caspian la prese tra le braccia, infilandola sotto il mantello per scaldarla.
“Ecco perché” mormorò, lanciando uno sguardo a Susan. “Sapevi che stava arrivando e sai andata ad aiutarla”
Il falco emise un verso, muovendo la testa come a dire sì.
“La Regina Susan mi ha tenuta al caldo per tutto il giorno, insieme a Destriero. Ho fatto un lunghissimo viaggio per raggiungervi, ed ero così stanca e avevo tanto freddo che non sono riuscita a non addormentarmi, perdonatemi. Ora sto molto meglio”
“Ti porto da Shanna” fece lui, alzandosi.
“No, no, Maestà, non c’è tempo! Devo dirvi una cosa importantissima!”
Caspian osservò le ombre allungarsi. “Ti ascolto, ma fai in fretta”
“L’ultima volta che ci siamo visti, mi avete chiesto di spiare Rabadash per voi, Sire, e l’ho fatto. Quello che dovete sapere è che sta arrivando qui ad Harfang, è partito qualche giorno fa”
Il volto del Re si trasformò in una maschera di odio. “Sa dove siamo”
“Non ne sono del tutto sicura, sinceramente. Non sembrava voler venire qui per voi, Maestà. Ha portato con sé bauli e servitori, come se stesse per intraprendere un viaggio di piacere”
Caspian sospirò a denti stretti. “Lo sapevo che non potevamo fidarci dei Giganti. Scommetto che Re Mastodonte centra qualcosa”
“Non lo so ma, in ogni caso, voi non dovete farvi vedere!”
Il Liberatore la guardò stupito. “Se è lui a venirmi incontro, credi che potrei farmi scappare l’occasione di ammazzarlo?”
“No, Sire, vi supplico! Sapete, ho riflettuto molto su ciò che disse Cornelius e credo che dobbiate dagli ascolto” Shira arruffò le penne in un gesto d’irritazione. “Non sto dicendo che lo perdono per avervi tradito ma, se è stato Aslan a parlargli, dovreste prestare ascolto. Non fatevi vedere da Rabadash! Non fatevi trovare!”
“Mi troverà comunque o…troverà lei”
Shira e Caspian si volsero in direzione del falco, che ascoltava attentamente ogni parola e sembrava capire la gravità del discorso.
“Shira, devi avvertire immediatamente Susan appena si sarà trasformata”
“Assolutamente!”
“E dopo che l’avrai fatto con lei, andrai dagli altri. Ti prego… ti prego!, tienila lontana da lui!”
La voce del Liberatore era collera e preoccupazione.
“Lo prometto Maestà, farò tutto il possibile. Ma c’è un’altra cosa...”
“Non ho più tempo, Shira. Dirai il resto a Susan”
Caspian mise il falchetto a terra e sparì svelto fuori dalla stalla. L’altra lo richiamò indietro ma lui non ritornò.
Poi, Shira udì un fruscio alle proprie spalle, Destriero nitrire piano, come in segno di saluto. Allora si voltò e vide Susan in forma di donna, che la guardava stupita ma consapevole allo stesso tempo.


Il lupo scosse il manto nero, camminando svelto per raggiungere gli alberi dietro il cortile. Aveva bisogno di aria fresca dopo tanti giorni chiuso in una stanza. Le mura del castello erano calde e accoglienti, ma lui sentiva il bisogno di vagare per le foreste.
E fu una fortuna che quella sera - dato che era in corso un evento speciale - le grandi porte della città vennero lasciate per metà aperte, in modo da poter accogliere gli ospiti ritardatari che arrivavano da lontano.
Il lupo annusò l’aria, fiutando i mille profumi di quella notte di festa: il cibo, la neve, i cavalli; udiva le voci allegre delle creature che si riunivano nell’immensa sala dei banchetti: umani, giganti, nani, gnomi, e altre di cui non aveva mai sentito l’odore.
Ma, al lupo, quelle cose non interessavano.
Si allontanò, incurante dei fiocchi bianchi che si posavano sul suo dorso inumidendogli il pelo.
Giunse ai piedi della lunga salita che portava al castello, si fermò e guardò il Leone in piedi in mezzo alla landa solitaria.
Il Grande Animale si girò e il lupo lo seguì.
Camminarono insieme, fianco a fianco, silenziosi, entrambi splendidi: l’uno sfavillante come il sole, l’altro nero come le ombre.
Sono qui da qualche parte, vero?
“Si Figlio. Questa sera incontrerai solo uno di loro, ma li ritroverai entrambi, presto”
Sei fiero di me, Padre?
Il Leone lo guardò e parlò solennemente. “Non dubitare mai di questo. Ti ho scelto per una ragione Caspian, non dimenticarlo mai: tu sei stato l’unico e il solo tra il tuo popolo a cercarmi e trovarmi. Per questo ora sei Re”
Sono ancora un Re?
“Quando si è Re o Regine di Narnia, si è sempre Re o Regine”
Il lupo non poteva dirlo con certezza, ma gli parve che il Leone sorridesse.
Poco dopo, Aslan si allontanò da lui, indicando con la grande testa la collina piatta dinnanzi a loro.
“Laggiù c’è la risposta a tutto. Oggi siete stati molto bravi”
Abbiamo perso la strada.
“A tutti capita di perdere la rotta, qualche volta, anche al miglior marinaio. Dovresti saperlo, hai esperienza in questo” ridacchiò piano il Leone. “L’importante, è non dimenticarsi lo scopo per cui si è intrapreso il viaggio”
Il lupo abbassò la testa.
“Tante sono ancora le difficoltà che dovrai affrontare, Re Liberatore, ma sappi che io sono con te. Con tutti voi. Sempre. Ti aspetterò a Narnia, Maestà. Per ora, arrivederci”
E con queste parole, il Leone si allontanò, sparendo nel buio.
Il lupo rimase di nuovo solo, il silenzio attorno a lui. Un silenzio così profondo che il fischio della freccia fu quasi assordante.
Si spostò appena in tempo grazie ai fantastici riflessi di cui disponeva. Si voltò ed iniziò a ringhiare in direzione del drappello di uomini appena spuntato dietro le mura sgretolate dell’Antica Città dei Giganti. Li capeggiava un individuo sudicio, i denti marci e una pelle di lupo sulle spalle.
“L’ho trovato, Lord Ravenlock. Proprio come diceva il principe Rabadash: il lupo dal manto nero”
Un altro uomo, con i capelli grigi, l’aria malconcia e il viso sciupato, spuntò da dietro i suoi soldati, tutti con le balestre e gli archi puntati sull’animale.
“Avrei dovuto immaginare che le mie trappole non avrebbero funzionato con voi, Sire. Siete troppo furbo per farvi metter nel sacco come una semplice bestia muta” commentò Ravenlock con aria malvagia. “Ma adesso, voglio proprio vedere come riuscirete a sfuggirmi”
Il Lord alzò una mano e, quando la riabbassò, un nugolo di frecce partì in direzione del lupo.

 
 
 
 
 
Carissimi lettori, rieccoci finalmente con Night&Day!!!
Vi ho regalato un capitolo diviso in vari pezzi e scommetto di avervi lasciati con un sacco di dubbi, vero? Sapete, mi sono detta: manco da molto e devo farli un po’ spasimare xD Vi avevo avvertiti: alla Festa d’Autunno sarò un po’ cattivella con i nostri eroi…
Spero non vi abbia annoiato il pezzo Lumeth. Volevo inserire anche una Shandmund, che rimando alla prossima volta. Più si va avanti, più sarà difficile dare spazio alle scene love.
Direi che ormai siamo a metà storia. Adesso inizia il pezzo più difficile per me da scrivere. Siate buoni, mi raccomando!!!
 
Ringraziamenti:
Per le preferite:
alebho, Araba Shirel Stark, batte wound, BettyPretty1D007flowers, bibliophile,  Christine Mcranney, english_dancer, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, , Friends Forever, G4693, Gigiii, Happy_699, HarryPotter11, HikariMoon, Jordan Jordan, LittleWitch, LucyPevensie03, lullabi2000, Mia Morgenstern, Mutny_BorkenDreams, osculummortis, piumetta, Queen Susan 21, Robyn98, senoritavale, Shadowfax, Starlight13, SuperStreghetta, Svea,  SweetSmile, TheWomanInRed, vio_everdeen, Zouzoufan7,_faLL_ _joy, _likeacannonball
 
P
er le ricordate:  anonymously Araba Shirel Stark, Callidus Gaston, Cecimolli, Gigiii, Halfblood_Slytherin, mishy, Queen_Leslie, Starlight13, Zouzoufan7
 

Per le seguite: ale146, Araba Shirel Stark, BettyPretty1D007flowers, blumettina, Callidus Gaston, catherineheatcliff, cat_princesshp, Cecimolli,  ChibyRoby,  cleme_b, ecate_92, fede95, FioreDiMeruna, Fly_My World, Francesca lol, Fra_STSF, Gigiii, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, harukafun, ibelieveandyou, jesuisstupide, JLullaby, Judee, katydragons, lauraymavi, Lucinda Grey, Marie_, Mai_AiLing, mewgiugiu, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_ , osculummortis, piumetta, Queen Susan 21, Queen_Leslie, Revan93, senoritavale, Sere Morgan, Shadowdax, vio_everdeen,
Zouzoufan7, _joy, _likeacannonball ,  _LoveNeverDies_ ,_Rippah_ 
 

Per le recensioni dello scorso capitolo:  fiamma di anor, LittleWitch, senoritavale, Shadowfax,_joy

 
Angolino delle anticipazioni:
Quante cosa da fare!!!
Come ho detto sopra, la Shandmund aprirà il 28esimo capitolo, così poi potrò dedicarmi al caos che deve venire:
Shira rivelerà una sconcertante notizia che riguarda Narnia e che metterà tutti in ansia.
I Giganti si riveleranno per quello che sono: delle creature davvero perfide.
Susan vedrà i suoi bambini, ma riuscirà a parlare con loro? E soprattutto, i gemelli la riconosceranno?
Cosa sarà successo a Caspian? Ravenlock e il cacciatore lo avranno colpito?
Riuscirà Jadis a far fidanzare Myra e Rabadash?
La vostra autrice ce la farà a fare tutto e incastrare per bene gli eventi? Spera di sì…xD

 
Vi ricordo, come sempre, che potete trovare gli aggiornamenti di Night&Day, insieme quelli dell’altra mia ff su Ben Barnes “Two Worlds Collide” su entrambi i miei account facebook Susan TheGentle Clara e Chronicles of Queen. Se avete domande sulle storie, scrivetemi pure!
 

E per concludere, un grazie speciale a Nadie che ha terminato di leggere tutta Queen!!!
 
Un bacio e un abbraccio a tutti voi!!! Grazie di cuore che continuate a seguirmi!!!
Susan♥


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Capitolo 28
*** Capitolo 28. La Festa d'Autunno ***


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IN FONDO LA MAPPA DI NARNIA


28. La Festa d’Autunno
 
Vivere per l’unico che amo
Amare come nessuno ha mai amato
Dare senza chiedere nulla in cambio…
 
 
 
Il suono dei liuti e dei fiati invase l’intero castello di Harfang. Dalle cucine alle torri si udiva il dolce suono degli strumenti prediletti dai Giganti.
“Ascolta: i musici si stanno scaldando” disse Shanna, affacciata insieme a Edmund a una delle grandi finestre di un corridoio, dalle quali si poteva ammirare il viale principale illuminato da centinaia di torce. Le ultime carrozze varcarono il portone in quel momento.
Era arrivata moltissima gente strana ad Harfang, quel giorno: dalle Montagne di Ghiaccio, lassù dove viveva anche Babbo Natale, erano scesi altri Giganti, enormi colossi dalla pelle grigio blu e i capelli bianchi come neve: una popolazione barbara ma saggia; poi era stato il turno di un gruppo di Nani Neri, con le loro massicce e basse cavalcature, i mantelli imbottiti e l’aria arcigna; ancora, Gnomi delle Nevi, più alti dei Nani ma più bassi degli uomini, di corporatura smilza e il portamento leggiadro; infine, era giunta da chissà dove una carovana di creature dall’aspetto indefinibile, gli sguardi tristi, la pelle giallastra o verdognola, capeggiati da una grande carrozza bianca e con decine di servitori al seguito.
“Ma dove si è cacciata mia sorella Susan?” fece Edmund, pensieroso.
“Arriverà, non preoccuparti” rispose Shanna. “La Festa d’Autunno inizia tra due ore, avrà tutto il tempo per prepararsi. Forse voleva restare un po’ sola con Caspian”
“Sì, può darsi…Shanna?”
“Sì?”
Edmund cincischiò per alcuni secondi con la tasca interna del suo farsetto. “Ho una cosa per te”
Il giovane estrasse un sacchettino di velluto e lo porse alla fanciulla.
Lei lo aprì ed emise un’esclamazione di meraviglia. “Com’è bello!”
“Ti piace davvero?”
La Stella annuì, osservando per alcuni istanti il fermaglio di cristallo a forma di stella alpina e poi abbracciando forte il ragazzo.
“Lo terrò con molta cura”
“Mettilo stasera” disse lui, felice ma un poco impacciato.
“Certo, lo metterò di sicuro! Anzi, voglio provarlo subito. Vieni con me!”
Shanna lo prese per mano e lo trascinò fino alla sua stanza.
Edmund la seguì accanto alla specchiera, osservando con interesse i movimenti delle mani esili che appuntavano il gioiello tra i capelli dorati.
“Come mi sta?” chiese lei.
“Sei incantevole”
Shanna arrossì violentemente. Non credeva si sarebbe mai abituata a quegli slanci di sincerità.
“Grazie” mormorò in un soffio.
“No, sul serio. Ogni volta mi stupisco di quanto sei bella”
Shanna fece una risatina, posandogli un leggero bacio sulle labbra. “Spero non sia l’unica cosa in cui ti ho stupito”
“No, certo”. Lui si fermò e la prese per la vita, baciandola di nuovo. “E’ con questi che mi stupisci di più. Mi fai sentire bene”
Lei si beò del suo sguardo innamorato...di lei. Edmund era davvero innamorato di lei. Era ancora così strano pensarlo…
“Una cosa che mi stupisce molto, è come sai sempre capire di cosa ho bisogno e quando” confessò il ragazzo.
“E’ perché ti amo, Edmund” disse lei, facendogli una carezza sul petto. “Quasi non me ne rendo conto, però hai ragione: quando sei da qualche parte, io ti trovo senza che tu mi dica dove sei perché…ti sento”
Lui le rivolse uno sguardo interrogativo e forse un po’ imbarazzato.
“E’ un po’ difficile da spiegare” continuò la Stella. “Vedi, quando ho cercato Harfang con la mia magia, ho dovuto concentrarmi intensamente per vederla. Al contrario, se conosco bene un luogo o una persona, la cosa mi viene molto più facile. Ma se tu ti trovassi molto, molto lontano da me, non dovrei concentrarmi affatto: ti troverei in un battibaleno, perché sei parte di me”
Edmund le passò una mano tra i capelli, attento a non disfare l’acconciatura. “Dici cose bellissime. Io non so esprimere così bene quello che sento”
“Non è vero” Shanna si allungò di nuovo verso di lui, arrivando alle sue labbra. “Le parole non ti servono. Tu mi parli con l’anima, mio Re”
Edmund la strinse forte, schiudendo impaziente la bocca di lei con la propria, sentendola fremere sotto quel nuovo e più intenso bacio. Le braccia di lei gli circondarono il collo, le sue mani si strinsero tra i suoi capelli, e quel corpo esile sembrò divenire un tutt’uno con il suo.
Edmund non era un grande esperto in certe cose, ma sentiva che lei sarebbe stata perfetta per lui. Perfetta in ogni senso.
“Riusciresti a trovarmi se mi nascondessi?” mormorò sulle sue labbra, lo sguardo furbo.
Shanna riaprì gli occhi e fece un sorriso. “Certo”
“Mi vedresti con il pensiero?”
“No. Te l’ho detto: ti sentirei, il che è diverso”
“Allora, mostramelo”
Il ragazzo si separò da lei, lasciandola stupita e un po’ confusa.
“Faremo tardissimo!”
“C’è ancora tempo! Avanti!”
Shanna lo fissò stupita. “Vuoi giocare a nascondino?”
“Una cosa del genere” rispose lui, indietreggiando di qualche passo. “Voglio vedere se è vero: se riesci a trovarmi senza pensarmi”
“Ma…”
Edmund corse via, voltandosi un ultima volta quando arrivò all’angolo del corridoio “Dammi qualche minuto di vantaggio, d’accordo?”
Shanna scosse il capo, ridendo, osservandolo sparire. Poco dopo, si avviò giù per le scale, penando che a Ed era sfuggito un particolare fondamentale in tutto questo…
Mentre correva per i corridoi, pensò che era da tanto che non si sentiva così...anzi, forse non si era mai sentita così: viva e libera.
Nonostante la difficile missione che si trovavano ad affrontare, a differenza del passato, riusciva a vivere quella situazione con uno spirito più positivo. Suo padre Ramandu le aveva detto che sarebbe divenuta più forte, che avrebbe presto imparato ad usare i suoi poteri in maniera più completa. E Shanna attribuiva il merito di questa forza a Edmund. Averlo vicino diminuiva notevolmente la sua ansietà e le donava sicurezza. Ogni giorno ringraziava Aslan per aver messo quel ragazzo sulla sua strada…
Passò accanto alla grande sala dei ricevimenti, davanti alla quale si stavano riunendo i primi ospiti: le porte erano spalancate e mostravano decine di alti candelabri posti sui due lati del salone, i lunghi tavoli apparecchiati, la predella per le danze…
Shanna non si fermò e proseguì con passo sicuro verso una piccola scala che portava di sotto, verso le cucine. I servitori si indignarono parecchio nel vederla laggiù, ma lei non prestò loro molta attenzione: si scusò per l’intrusione e proseguì versa un’altra porta, in fondo alla stanza, entrando in quella che doveva essere la dispensa.
“Ti ho trovato” disse ad alta voce.
Da un mucchio di sacchi di farina accatastati uno sull’altro, spuntò la testa di Edmund.
“Non è giusto! Come hai fatto?”
Lei gli si avvicinò ridendo e lo abbracciò. “Mi hai chiesto di trovati senza pensarti, ma non hai capito una cosa: non ne ho bisogno. Non devo pensarti, perché sei nel mio cuore e io sento il tuo. E’ in questo modo che riesco a vederti. Lo capisci, ora?”
“Credo…di sì” balbettò il ragazzo, osservandola quasi frastornato. “Se scappassi via, non avrei scampo, allora?”
Lei aggrottò la fronte. “Dove dovresti andare?”
“Non si sa mai…se incontrassi una bella straniera…”
“Quanto sei stupido!” sbottò Shanna, incrociando le braccia al petto e voltandogli le spalle.
“Scherzo, scherzo!” si affrettò a dire lui, prendendola per le spalle, baciandola sulle labbra ma senza ottenere risposta.
Shanna seguitava a fissarlo, torva. “Posso diventare pericolosa, sai? Il mio potere è anche offensivo se voglio”
Edmund la prese tra le braccia. “No, non lo faresti”
“Sì, lo farei”
Lui le prese il mento tra due dita. “Non ti credo. Sei troppo dolce e buona, ed è per questo che mi sono innamorato di te: non sei un’isterica musona”
Lo sguardo di lei si addolcì e la battuta la fece sorridere. “E tu sei…”
“Cosa?” soffiò lui sul suo viso.
Shanna chiuse gli occhi. “Niente…”
Il bacio non si fece aspettare, dolce e languido, decisamente intimo. Non importava a nessuno dei due di poter essere visti. L’uno si specchiava negli occhi dell’altro e contava solo questo: guadarsi tra un bacio e l’altro, stringersi, stringersi forte e baciarsi ancora come se le loro labbra non dovessero più disgiungersi.
Shanna sentì la testa vorticare e socchiuse gli occhi, allontanandosi un poco da lui, giusto il tempo di riprendere fiato, per poi lasciarsi prendere di nuovo le labbra da quelle di Edmund.
“Oh, che vergogna!” disse all’improvviso una voce a loro ben nota.
“Pozzanghera, accidenti a te!” esclamò il Giusto, sussultando per lo spavento.
Il Paludrone, le mani a coprire gli occhi, sbirciò i due giovani attraverso le lunghe dita di rana. Il suo viso era diventato rosso…anzi, violetto, visto che il rossore, in contrasto alla sua pelle verdognola, prendeva una sfumatura lilla scuro.
“Non volevo disturbare ma ho sentito dei rumori nella dispensa…non sapevo foste qui, amici” si scusò Pozzanghera.
“E tu, invece, che fai in cucina?” chiese Edmund.
Il Paludrone sospirò teatralmente. “Ahimè, la Regina Titania non vuole né me né il povero Ombroso tra i piedi. Le facciamo impressione, così ha detto”
“Non siete stati invitati alla Festa?” chiese Shanna.
“Eh no, purtroppo. E per non farci restare chiusi in camera come reietti, ci ha assegnato l’incarico di assaggiatori”
“Assaggiatori?”
“Sì. Solo che Ombroso mi ha piantato in asso ed è andato a cercare la Regina Susan, mentre io sono rimasto qui, ad attendere che il prossimo boccone mi avveleni. Perché capiterà, non temete: quando in una reggia eleggono un assaggiatore, è perché qualche ospite sta cercando di attentare alla vita del Sovrano”
“Anche a Cair Paravel avevamo un assaggiatore, ma non perché temessimo che qualcuno ci avvelenasse” disse Edmund con un vago cipiglio.
“Narnia è Narnia, Maestà. Harfang è Harfang. Orsù, il dovere mi chiama...”
Shanna e Edmund seguirono il Paludrone fuori dalla dispensa. Pozzanghera si mise in un angolo dove era situato un lungo tavolo di legno, sul quale erano posati gli antipasti: vari stuzzichini, tartine di ogni genere, torte salate e via dicendo.
“Sono già pieno” fece Pozzanghera, tenendosi una mano sulla pancia, “e se penso che devono venire ancora tutti i primi, i secondi, il dolce la frutta…”
“Possiamo aiutarti noi” disse Edmund con l’acquolina in bocca. “Questa roba ha un aspetto decisamente invitante”
“Sei sicuro che possiamo? Sono per la cena di stasera” chiese Shanna.
“Perché non dovremmo?” fece il ragazzo, alzando le spalle. “Prendine una anche tu”
La Stella prese la tartina che lui le porse, addentandola con gusto. Era ripiena di un pasticcio di carne che non aveva mai assaggiato prima.
“E’ buono…ma che cos’è?”
“Carne di cervo, milady” disse una voce.
Ad un tratto, un’ombra gigantesca – è proprio il caso di dirlo – sovrastò i tre amici.
Edmund, Shanna e Pozzanghera si volsero lentamente, non capendo perché tutti i camerieri li guardassero così insistentemente, con sulle labbra uno strano sorrisetto.
“Carne di c-cervo?”
“Sì, carina” rispose un altro Gigante. “E dovevate sentire come strillava, il poveretto: ‘No, no, non uccidetemi, la mia carne non è buona!’. Ah ah ah! Proprio un gran bugiardo, non trovate?”
I tre amici emisero un urlo, lasciando cadere a terra le tartine.
Edmund sentì lo stomaco rivoltarsi. “Abbiamo...mangiato…la carne di un…animale parlante”
“E’ Aslan che ci punisce!” esclamò Pozzanghera.
Shanna si coprì gli occhi con le mani, disgustata, poi si sentì afferrare un polso e gridò di nuovo.
“Che state facendo? Ehi!” esclamò Edmund, quando il Gigante più vicino si caricò la fanciulla sulle spalle.
“E’ ora di mettervi a nanna, bambini” cantilenò la cuoca. “E’ un peccato, sì, ma d’altra parte…”
Edmund si portò istintivamente la mano al fianco, dimentico di non avere con sé la spada. Imprecò tra i denti, lottando per divincolarsi dalla presa di un altro Gigante. Un terzo afferrò Pozzanghera per il bavero della camicia.
I due ragazzi e il Paludrone vennero legati insieme e gettati dentro uno sgabuzzino buio. Poco dopo, udirono il crepitare delle braci del forno che venivano attizzate, e la cuoca dire: “Sarà proprio un bel pranzetto…”.
“Oh no!” tremò Pozzanghera. “Vi prego, ditemi che non è come penso…”
 
 
 
~·~
 
 
 
Le frecce sibilarono nell’aria in fischi minacciosi.
Tutto si svolse nell’arco di pochi secondi: il lupo spiccò un balzo all’indietro, non abbastanza rapido. Non era possibile evitarle, erano troppe.
Udendo il guaito dell’animale, Lord Ravenlock liberò un sorriso soddisfatto. Era fatta! Il Re non avrebbe potuto sopravvivere con tutte quelle ferite.
Ma quanto si sbagliava…
Il primo dardo prese il lupo di striscio, sul fianco, ma fu l’unico.
Una raffica di neve e vento si sollevò senza preavviso dal terreno, un vortice simile a una muraglia protettiva che si frappose tra il lupo e i suoi nemici, fermando le frecce, spezzandole come ramoscelli secchi. I soldati emisero urla spaventate nel momento in cui videro i dardi cadere a terra uno ad uno, prima di aver raggiunto l’animale.
“Caricate! Tirate di nuovo!” ordinò Lord Ravenlock.
Gli uomini eseguirono, tutti tranne il cacciatore, il quale si gettò in ginocchio coprendosi il volto con le mani, intonando una nenia nell’antico dialetto di Calormen: una preghiera agli dei di risparmiarlo.
Non esistevano dei, pover uomo, esisteva un solo e unico Dio, e il cacciatore vide il suo volto formarsi nella raffica di vento.
Il ruggito esplose come la detonazione di un colpo di cannone, che parve scuotere per intero i Monti del Nord. Poi, il turbine si tramutò in una vera e propria tromba d’aria, la quale si sollevò al di sopra dall’altezza degli alberi, per poi ridiscendere e abbattersi sugli uomini di Ravenlock con una velocità e una forza devastanti. I soldati vennero sbalzati via e sepolti dalla neve. Il vortice risparmiò però Ravenlock e il cacciatore.
“Che Tash ci salvi!” gridò quest’ultimo.
Ravenlock lo trasse in piedi di peso, afferrandolo per gli abiti. “Uccidi quella bestiaccia, o ti ci spedisco io da Tash!”
“Non vi muovete!” gridò una voce femminile.
Ravenlock la riconobbe all’istante, così come la freccia ornata da una piuma rossa che si conficcò nel terreno ai loro piedi. Alzò lo sguardo e la vide: i capelli castani che si agitavano intorno al viso, l’arco teso.
“Siete fuori forma, mia Regina?” chiese beffardo.
Susan caricò un nuovo colpo, parandosi davanti al lupo. “Il mio era solo un avvertimento”
“E’ una ferita di striscio, Maestà” disse Ombroso, planando sul terreno insieme a Shira, esaminando il taglio trasversale sul costato del lupo.
“Lo affido a te, Ombroso, non mi deludere”
“Mai, mia adorabile signora!”
Susan gli sorrise grata. “Shira, averti Peter e gli altri, di corsa!”
“Subito!”
Lord Ravenlock afferrò la balestra del cacciatore, il quale sembrava troppo scosso per potersi muovere, cercando di colpire il falchetto.
Susan glielo impedì prontamente, trafiggendolo a una spalla.
Ravenlock emise un grido strozzato, facendo cadere l’arma a terra. “Senza i vostri amici non siete niente”
“Nemmeno voi senza i vostri uomini” replicò lei.
Ravenlock si strappò la freccia dalla spalla, alzando la spada con l’altro braccio. “Per mia fortuna, ho imparato a maneggiarla con entrambe le mani”
“Buon per voi” commentò la Dolce, caricando il terzo colpo, mollando la corda senza indugio.
Ravenlock lo schivò di pochissimo, avventandosi su di lei.
Susan ripose l’arco dentro la faretra, dietro la schiena, sapendo che non le sarebbe stato d’aiuto in un incontro corpo a corpo. Invece, sguainò la Spada di Mavramorn, che brillò di un’intensa luce azzurra, creando un alone luminoso attorno a lei e al Lord.
Egli sferrò un colpo e lei lo parò, sentendo la vibrazione della lama, causata dall’impatto, propagarsi all’interno delle braccia. Susan rispose con un rovescio, mirando alla testa, ma Ravenlock lo parò senza particolare sforzo.
“Avete imparato la scherma, mi congratulo” la canzonò.
“Non mi faccio trovare impreparata”
La Dolce cercò di combattere al meglio delle proprie capacità, ma Ravenlock era un uomo fatto, robusto e capace, mentre lei era una principiante.
La Regina tentò di ricordare gli insegnamenti di Peter, di Emeth e di Eustace, i trucchi di Edmund e, soprattutto, tutte le lezioni che aveva preso assieme a Caspian.
Quelle lezioni si erano spesso trasformate in piccole lotte, dove lei insisteva sul che lui pretendesse troppo, e Caspian che replicava invece che era lei ad avere troppa poca fiducia e troppa poca pazienza.
“Tu sei convinta di non farcela, per questo non ce la fai”
Ancora una volta, era una questione di fede, dunque…
Strinse entrambe le mani sull’elsa del suo talismano, parando un altro colpo micidiale che la costrinse a piegarsi quasi in ginocchio. Ravenlock fece pressione con la propria spada su quella di lei, e la spinse giù, sulla neve.
Susan era sempre stata onesta nei combattimenti, ma quella volta si concesse una scorrettezza: assestò un calcio al basso ventre dell’uomo, facendolo piegare in due per il dolore, così che riuscì a spostarsi e rimettersi in piedi.
Ravenlock le dava le spalle.
“Colpite, mia Regina, adesso!” incitò Ombroso.
Susan volse una rapida occhiata nella direzione del pipistrello, mentre Ravenlock si rialzava e tornava all’attacco.
“Ombroso, dietro di te!” lo avvertì, parando l’ennesimo fendente.
Ombroso riuscì a scostarsi prima che il cacciatore lo colpisse con l’ascia che teneva in mano. Sbatté le ali, facendo una giravolta in aria, scendendo in picchiata addosso al suo aggressore, il quale tentò di colpirlo ancora e ancora. Il cacciatore ottenne di ferirgli un’ala, ma bastò per far perdere all’animale il vantaggio del volo. Ombroso tentò di difendersi con denti e unghie, ma l’uomo lo colpì con un calcio che lo stordì. Il povero pipistrello si ritrovò schiacciato sul terreno dallo stivale del brigante.
“Ombroso, no!” gridò Susan.
Un attimo dopo, mentre il cacciatore alzava l’ascia sopra la testa, pronto a menare il colpo mortale, il lupo gli balzò addosso, azzannandolo al collo.
La lotta durò poco: l’uomo perse la presa sulla scure, cadde, si dimenò, si rialzò, ricadde, rotolò insieme al lupo sul terreno, tentando di toglierselo di dosso con scarsi risultati.
Caspian non mollò la presa finché l’altro non fu immobile.
Nel frattempo, Susan stava perdendo concentrazione, preoccupata per la sorte dei suoi compagni, continuando a voltarsi verso di loro.
Gridò quando Ravenlock la ferì al braccio.
“Ora siamo pari” disse lui.
Susan ignorò il dolore e non si arrese.
Finora si era solo difesa. Bene, era giunto il momento di attaccare.
Fu questa determinazione a far brillare la lama di Mavramorn ad ogni nuovo colpo. Un lampo blu intenso scaturì da essa, rendendo il talismano più leggero di quel che fosse mai stato. Le pareva quasi di non avere nulla in mano e, al contempo, di stringere tra le dita una potenza enorme, che la inondava, quasi la schiacciava, urlante, chiedente libertà.
Susan si concentrò più su quella forza che sul combattimento, passando in vantaggio senza rendersene conto, stupendosene lei stessa. Non le sembrava di stare combattendo meglio di prima, però, improvvisamente, Ravenlock ansimava e indietreggiava, quasi che ogni colpo lo privasse del vigore.
E più lui colpiva e il suo viso si imperlava di sudore, più lei si riempì di energia.
Ravenlock iniziò ad agitare lo spadone come un forsennato, a gridare, attaccando e parando. L’arma di lei era così sottile e all’apparenza fragile… come poteva non essersi ancora spezzata sotto i suoi colpi?
Poco dopo, la spada gli volò via di mano. Incredulo, fissò il viso della Regina, la spada blu puntata contro il suo collo.
“Ammazza questo lurido verme o te ne pentirai” gridava la mente di Susan.
“Pietà! Pietà!” implorò Ravenlock, in ginocchio davanti a lei.
La mano della ragazza tremò appena nell’indecisione.
“Maestà, vi scongiuro! In nome del Grande Leone invoco il vostro perdono!”. Egli si aggrappò alla sua veste. “Siete sempre stata dolce e buona, siatelo anche con me!”
“Ditemi dove sono i miei figli e forse risparmierò la vostra indegna vita” disse lei, sapendo di avere poco tempo per decidere.
Ravenlock sollevò il capo. “Non so dove sono, non l’ho mai saputo. Ma Lord Erton sì, e stasera è là, ad Harfang, insieme al principe Rabadash”
“Questo lo so già” ribatté freddamente la Regina.
“Allora vedete che non sto mentendo!”
“Mia signora, non ascoltatelo!” la pregò Ombroso.
“Dice il vero, Ombroso, hai sentito anche tu cosa ha detto Shira”
“Sì ma non potete perdonarlo! Non fidatevi!”
Combattuta tra l’odio e la coscienza, Susan non poté non far prevalere la seconda. Abbassò lentamente la lama, facendo un passo indietro.
“Portatemi da Lord Erton”
Ravenlock storse il viso in un ghigno. “Nemmeno per sogno, cagna narniana!”
Il Lord la tirò per la veste e la costrinse a terra. Afferrò un pugnale dallo stivale e fece per colpirla, ma Susan alzò la Spada di Mavramorn e lo trafisse da parte a parte.
Ravenlock rantolò, allontanandosi da lei, alzando le mani sulla ferita. Si accasciò a terra e sputò sangue dalla bocca, poi rimase immobile, gli occhi fissi nel nulla.
Susan si mise a sedere, ansimando, stringendo l’elsa della sua Spada, osservando la macchia di sangue allargarsi sul terreno, sporcare la neve immacolata.
Solo allora il vento si placò.
L’uggiolio sommesso del lupo la riscosse. La Regina si alzò in piedi, andando incontro all’animale zoppicante. Si gettò di nuovo in ginocchio e lo strinse con tutte le sue forze, convulsamente, passandogli frenetica le mani su tutto il corpo.
Lui strofinò il muso contro il suo viso per tranquillizzarla.
Come sempre, non avevano bisogno di parole per dire ciò che desideravano, erano sufficienti pochi sguardi.
Rimasero a lungo uniti.
Poi, Susan sollevò il capo. “Ombroso, come stai?”
“Un po’ acciaccato, Maestà. Le ali sono il mio punto debole”.
Il pipistrello zampettò accanto a lei e al lupo, notando subito la macchia di sangue che le macchiava la manica dell’abito.
“Maestà, siete ferita!”
“Non è nulla” replicò Susan, stringendo anche lui nell’abbraccio.
Ombroso arrossì e balbettò parole incomprensibili.
“Il Re mi ha salvato la vita, ha ucciso quel cacciatore” riuscì solo a dire.
Susan gli fece una carezza sul capo. “Lo so. Anche tu lo hai difeso”
Ombroso annuì, esitò e poi disse:  “Maestà, Lord Ravenlock è …”
Lei volse lo sguardo sul suo corpo senza vita. “Sì, Ombroso”
“Avete fatto bene ad ucciderlo!”
Susan spostò lo sguardo sul lupo. “Ora sappiamo chi ha messo le trappole: sono stati loro, ne sono sicura”
“Ci hanno inseguiti fin da quando eravamo nella Brughiera di Ettins, senza dubbio” disse ancora il pipistrello.
Susan annuì, passando la mano sulla ferita di Caspian. “Guarirai, non è grave ma dobbiamo curarla” gli mormorò. “Ombroso, anche tu hai bisogno di una medicazione”
“E voi pure, mia adorabile signora. Non pensate solo agli altri, pensate anche a voi sessa”
La Regina si alzò, rinfoderando la Spada di Mavramorn. “Non credo di averne il tempo. Se veramente Lord Erton sa qualcosa, devo trovarlo immediatamente e scoprire dove sono i miei bambini”
“Quindi presterete ascolto alla profezia di Cornelius?”
“Non ho altra scelta, non c’è più tempo: Narnia sta morendo, dobbiamo salvarla”
Detto ciò, Susan guardò alle spalle dei due animali, dritto avanti a sé, dove là, nella valle, il Leone la ossarvava con fierezza, ritto sulle quattro zampe.
“Andiamo” disse la Dolce, voltandosi e guidando i due compagni su per la salita che portava al castello di Harfang.
 
 
 
~·~

 
 
Il Re Mastodonte attraversò tutto tronfio l’ampia sala dei ricevimenti, salutando gli ospiti, stringendo loro le mani, quando il suo sguardo cadde su quattro figure in particolare: Peter, Miriel, Lucy e Emeth avevano appena fatto il loro ingresso.
“Vostre Maestà, finalmente!” esclamò allargando le braccione. “Dove sono i vostri congiunti? La Festa d’Autunno inizia tra meno di quarantacinque minuti”
Peter – Miriel al suo fianco che gli dava da braccetto – s’inchinò rispettosamente. “Maestà, sono sicuro che mia sorella Susan e le altre fanciulle stiano ultimando di prepararsi, per questo anche gli altri cavalieri stanno tardando”
“Ah, capisco…Mmm…però, Sire, non potreste andarli tutti a chiamare, e avvertirli che io e Titania vi aspettiamo nella sala delle armature?
I ragazzi si scambiarono sguardi interrogativi.
“Perché dovremo andare nella sala delle armature, se è lecito chiedere?” domandò Lucy.
“Perché dovrete fare un’entrata trionfale, siete i miei ospiti d’onore!” spiegò con entusiasmo Mastodonte. “Dovrete solo attendere là finché io e Titania non vi annunceremo; ciò avverrà quando questa sala sarà gremita di tutti i miei ospiti. Allora, manderò due guardie per avvertirvi, e voi, i vostri fratelli e i vostri amici, verrete accolti in pompa magna! Fatemi fare bella figura, siate buoni!”
I ragazzi si scambiarono un’altra occhiata.
“E sia” disse infine il Re Supremo.
Mastodonte batté le manone. “Molto bene!” poi fece un cenno a un servitore di avvicinarsi e gli disse di condurre i due ragazzi nella sala delle armature.
Ma quando i quattro furono abbastanza lontani, mormorò tra sé: “E’ stato un piacere conoscervi, Sovrani di Narnia…”
Sistemandosi l'ampia gorgiera, si guardò poi attorno in cerca di sua moglie.
“La Regina Titania non è ancora arrivata?” chiese a un’altra cameriera.
“No, Maestà”
“Oh bella! Ho appena visto tra la folla la Dama Verde con i suoi bambini e lei non è qui con me ad accoglierla…Oh, eccovi, mia carissima Signora dalla Veste Verde!”
“Re Mastodonte” disse con voce affettata una bellissima donna, alta e regale, la pelle bianchissima, i capelli biondi e un abito tempestato di smeraldi.
Ella porse le mani, che parevano piccolissime a confronto a quelle di Mastodonte, il quale ne baciò i dorsi.
“Siete sempre più bella, mia cara amica, e meno male che non c’è mia moglie a sentirmi, così posso farvi tutti i complimenti che voglio…Sapete, Sospetto sia gelosa di voi”
La Signora dalla Veste Verde si coprì la bocca con il ventaglio e rise. “Sciocchezze! Piuttosto, posso presentarvi i miei figli?”
Mastodonte piegò la schiena, per stringere la mano del bambino e baciare quella della bambina accanto alla Signora.
Rilian e Myra trattennero il fiato fiato alla vista del Re dei Giganti.
Quando la carrozza aveva lasciato la galleria sotterranea e si era affacciata sul Mondodisopra, i due fratellini erano rimasti letteralmente senza parole di fronte all’imponenza del castello di Harfang, ritto sulla cima del suo monte impervio. Avevano tempestato la Signora dalla veste Verde di un’infinità di domande, ed ella, molto pazientemente ma senza tradire una punta di insofferenza, aveva spiegato loro tutto ciò che avevano voluto sapere.
I due bambini avrebbero preferito scorrazzare per il castello piuttosto che rimanere chiusi nella loro stanza, ma la Signora era stata categorica. Lady Lora, seguendo le sue istruzioni, aveva fatto riposare i bambini, li aveva lavati e cambiati, aveva preso il thè con loro e chiacchierato a lungo. Poi, un paio d’ore prima dell’inizio del ricevimento, li aveva vestiti con abiti adatti ad un principe e una principessa.
Rilian portava un paio di calzoni neri, come gli stivali, una giacca ricamata che secondo lui era veramente ridicola, perché troppo sfarzosa. Sulle spalle aveva un mantello blu.
Myra invece, era fasciata in un abito color pesca, regalatole tempo addietro dalla sua madre adottiva. Si sentiva una vera signora, con l’ampia gonna a balze, il fiocco che le cingeva la vita, i mezzi guanti di pizzo bianco, il ciondolo e gli orecchini dorati, la coroncina tra i bei capelli castani, arricciati per l’occasione.
“Sono tanti anni che attendo di conoscervi, principe Rilian e principessa Myra” disse Mastodonte “La vostra mamma mi raccontò, tempo fa, che eravate malati e non potevate uscire dal suo castello”
“Non siamo malati, Maestà” disse subito Rilian, che non aveva peli sulla lingua. “Ci trasformeremmo in due creature diaboliche se la Signora non ci sottoponesse tutti i giorni a un incantesimo, per questo non possiamo lasciare il nostro palazzo, dobbiamo…”
“Via, via Rilian, che chiacchierone che sei” disse Jadis.
“Non fa niente, non fa niente” assicurò Mastodonte.
E mentre il Re dei Giganti scambiava due parole anche con Myra, la Strega si chinò verso il principe. “Rilian, caro, ti ho ripetuto molte volte che vorrei mi chiamassi madre davanti ai miei amici, e non sempre ‘signora’ ”
Il tono di lei fu calmo ma aspro, freddo; e freddo fu anche lo sguardo che le rivolse Rilian.
“Perdonatemi, madre
“Così va meglio…Ora, da bravi, bambini, andate con lady Lora, io devo parlare con Re Mastodonte di una facendo molto importante.
Detto ciò, la Signora si allontanò con il Gigante, parlando fitto fitto.
“Il principe Rabadash è già qui, Sire?” domandò Jadis.
“Certamente, Madama. Come avete chiesto, il fidanzamento verrà annunciato dopo la seconda danza”
“Benissimo…” La Strega Bianca si guardò attorno. “E, in quanto a quei ragazzi…quella compagnia di viaggiatori che incontrai sulle montagne e vi mandai qui…”
“Ah sì! Quale prelibatezza, Madama! Voi sapete sempre come inviarci i doni più succulenti!”
“Ero sicura che vi sarebbero piaciuti”
La Signora e Mastodonte scoppiarono a ridere.
Da lontano, Myra e Rilian li osservavano.
La principessa si voltò verso Lady Lora. “Perché il Re dei Giganti non ha salutato anche te?”
“Tesoro, io non sono che una servitrice”
Gli occhi nocciola della bambina si fecero tristi. “Ma sei come una seconda mamma per noi, non è giusto”
Lora strinse la bambina in un breve abbraccio. “Fate un bel sorriso, principessina. Tra poco incontrerete il vostro futuro sposo: non vorrete che vi veda triste”
Le guance di Myra si accesero di entusiasmo. “Com’è questo principe, Lora? E’ bello? Sa parlare bene? E’ gentile?”
Lora le sistemò un ricciolo. “Il mio parere non conta molto”
“Per me conta moltissimo, invece! Il tuo come quello di Rilian”
“Non lo conosco, principessa, ma sono sicura che vi tratterà bene”
“Sei veramente decisa a fidanzarti, allora”  disse Rilian alla sorella.
“Sì, se a nostra madre fa piacere. Dopotutto, credo sia giusto per una donna”
“Lora non è sposata” ribatté il principe, afferrando una mela dal tavolo lì accanto, dandole un morso.
Lady Lora gliela tolse dalle mani. “Non rovinarti l’appetito. E comunque, avevo un marito una volta”
“Veramente?” fece Myra. “Chi era? Come si chiamava?”
Improvvisamente, lampi di ricordi si affacciarono alla mente di Lora... ma prima che potesse rispondere, qualcuno interruppe la conversazione.
“Perdonerete l’intrusione, ma non ho potuto far a meno di ascoltare le vostre parole, giacché mi trovavo proprio dietro di voi”
I gemelli e Lora si volsero i direzione della voce, osservando con curiosità un uomo dall’abito scuro e il mantello rosso sangue. Il nuovo venuto aveva la pelle di un colore che i bambini non avevano mai visto; i capelli neri come penne di corvo gli sfioravano appena le spalle; la barba era del medesimo colore, così come gli occhi. La postura altera ed elegante mise subito in soggezione tutti e tre.
Ma se Lora si inchinò e Myra ostentò uno sguardo decisamente curioso, Rilian non si fece ingannare: il sorriso dello conosciuto gli parve fasullo, costruito, così come il tono della voce, le parole con cui si rivolse nuovamente loro.
“Mi presento: sono il principe Rabadash XVIII di Calormen, Signore del Mondodisopra. E voi dovete essere…”
“Principe Rabadash!” fece la voce della Signora dalla Veste Verde.
I gemelli e Lora la videro avanzare in quella direzione e porgere la mano all’uomo, che subito la baciò.
“Che gioia rivedervi dopo così tanto tempo, Altezza”
“Il piacere è mio”
“Vi vedo molto in forma”
“Sto bene, Madama, vi ringrazio”
“E vostro padre come sta?”
“Molto bene anche lui, grazie”
Rilian e Myra pensarono la stessa cosa: quell’individuo, sebbene le mostrasse il dovuto rispetto, conversava con loro madre come se la conoscesse da anni.
“Vedo che non siete venuto solo” disse la Signora, allungando di nuovo la mano verso un altro uomo, più vecchio del primo.
“Duca…”
“Signora…”
“Sono lieta della vostra presenza, Lord Erton”
“E’ stato un lunghissimo viaggio, ma ne è valsa la pena” il vecchio fece vagare lo sguardo sui bambini. “E questi nobili fanciulli sono i vostri figli?”
“Non siamo proprio figli suoi” non poté fare a meno di precisare Rilian.
Jadis gli scoccò un’occhiataccia. “Sono i miei figli adottivi, in verità. I miei dolci ed educatissimi bambini”
“Molto piacere, signori del Mondodisopra” salutò Myra con una graziosa riverenza.
Rilian, invece, chinò appena il capo. Quando lo rialzò, il suo sguardo incrociò quello di Rabadash.
La prima volta che aveva visto i figli di Caspian e Susan, Rabadash si trovava affacciato ad una finestra del castello delle Tenebre, e non aveva potuto farsi un’idea precisa di come fossero veramente. Ma adesso che li aveva davanti, poté constatare quanto somigliassero ai loro genitori: Myra era il ritratto di Susan, tranne che per gli occhi, e prometteva di diventare una bellezza. Rilian, invece, era la fotocopia di suo padre, esibiva persino la stessa ostilità di Caspian, sia nella postura che nello sguardo. Ma quegli occhi erano gli stessi di sua madre, di una sfumatura di azzurro limpido, senza screziature di verde o grigio.
Rabadash dovette trattenersi dal digrignare i denti per la rabbia, stringendo i pugni, al pensiero che quei bambini avrebbero potuto essere figli suoi e della Regina Dolce.
La risata di Lord Erton lo riportò alla realtà. 
“Lasciate che vivano la loro età, Madama” stava dicendo il Duca, “Non c’è nulla di male se sono un poco indisciplinati”
“Non lo siamo affatto!” protestò Rilian.
Jadis lo fulminò con l’ennesima occhiata.
A quel punto, Erton disse: “Venite, principe Rilian, vi mostro il castello di Harfang. Sapete, sono venuto qui molte volte e lo conosco bene. Vi andrebbe di vedere le scuderie?”
Rilian fece per protestare, sebbene quell’ultima proposta fu difficile da ignorare.
“Sì, andate” disse Jadis, facnedo un cenno a Lady Lora di portare via il principe. Lora sospinse il bambino per le spalle, gentilmente, seguendo il Duca.
“Devono parlare del fidanzamento di vostra sorella, Altezza” disse Lord Erton. “Non siate ansioso”
“Perché non posso sentire anch’io?”
“Perché no, tesoro” rispose Lora con voce dolce. “Myra ci racconterà tutto più tardi”
I tre si allontanarono in mezzo alla folla. Rilian, continuò a guardarsi alle spalle, vedendo che anche la sorella lo guardava. Lei gli rivolse un sorriso e lo salutò con la mano come a dirgli che si sarebbero visti più tardi.
La principessa distolse lo sguardo dal fratello quando lui scomparì dietro le porte della sala.
“Myra, mia cara” disse la Signora dalla Veste Verde “ora che siamo noi tre soli, possiamo svelare tutti i misteri. So che sai già più di quel che sembra...”
La bambina arrossì.
“No, non importa. Ma alza il viso, tesoro mio, e non vergognarti di guardare colui che diventerà tuo marito”
La principessa obbedì, scoprendosi delusa di quel che provò.
Niente. Assolutamente niente.
Aveva fantasticato così tanto su quel momento, si era aspettata di sentire almeno un po’ di batticuore, come succedeva alle principesse delle favole che Lora le raccontava, le quali si innamoravano dei loro principe al primo sguardo. Invece...
“E’ dunque questo l’uomo che sposerò?”,  si chiese con amarezza. Non che non fosse bello, però…
Si era immaginata un giovane uomo, più giovane di così, non un tipo tanto alto e robusto, con lo sguardo indecifrabile. Lora le aveva detto che sarebbe stato gentile con lei. Poteva crederci?
“Vi lascio soli un momento” disse la Signora dalla Veste Verde, mandandola nel panico.
“Ma madre!”
“Suvvia, tesoro: non avrai paura?” ridacchiò Jadis, scambiandosi un’occhiata d’intesa con Rabadash prima di allontanarsi.
“Vorreste danzare con me, più tardi?” chiese quest’ultimo.
“Io…sì” balbettò la bambina.
“Mi vedete come l’orco cattivo, vero? Ma vostra madre ha ragione: non dovete avere paura di me. Anch’io mi trovo in imbarazzo davanti a voi, principessina”
“Ve-veramente?”
“Sì, è così. La nostra unione sarà di convenienza, niente più che un contratto che vostra madre e mio padre hanno stipulato. Ma i nostri regni hanno entrambi bisogno di essere rafforzati”
Myra storse il naso. “Non ho ben capito…”
Rabadash iniziò a passeggiare con lei per la sala. “Perdonatemi, principessina. Capirete col tempo”
“Immagino di sì…Ma se sposate me, vuol dire che non avete trovato una fidanzata nel vostro paese, giusto?”
“Purtroppo è vero”
“Ma ci saranno tante ragazze più belle e più grandi di me a…”
“Calormen”
“Sì…”
“Non erano idonee al matrimonio”
Myra fece nuovamente un’espressione perplessa. “Che significa?”
“Anche questo lo capirete quando sarete più grande. E comunque, voi siete molto graziosa”
“Ma ho solo otto anni”
“Crescerete”
“Voi quanti anni avete?”
“Tanti più di voi”
“Sì, questo lo vedo, ma quanti?”
Per Tash, ha anche lo stesso modo di parlare di sua madre…pensò Rabadash.
“Trentaquattro”
Myra si astenne da qualsiasi tipo di commento. Per lei che era così piccola, quella era quasi un’età da vecchio.
“Ho moltissime sorelle, sapete?” disse poi Rabadash. “Diverranno anche sorelle vostre, in un certo senso”
Myra sorrise. “Io ho solo Rilian, e lui è un maschio, non fa certi giochi con me. Le vostre sorelle giocano con le case di bambole, vero?”
“Certamente”
“E hanno tutte la pelle strana come la vostra?”
Rabadash rise. “Sì, tutte quante. E’ il sole che ha colorato la nostra pelle, e so che a voi sembra strana”
“Cos’è il sole?” chiese Myra incuriosita.
“Non avete un sole nel Mondodisotto?”
“No, è sempre tanto buio”
“Ebbene, è un astro – una stella – che scalda e illumina il Mondodisopra”
“Quando sono arrivata ad Harfang non ho visto nulla che somigliasse a una stella luminosa. Non so nemmeno se ho mai visto una stella...”
“Non le avete studiate?”
“Sì, però…oh, mi piacerebbe tanto vedere il sole!”
“Un giorno lo vedrete”
Myra si aprì in un sorriso meraviglioso. “Per favore, principe Rabadash, raccontatemi ancora del vostro paese, mi sembra bellissimo! Credete che mia madre mi permetterebbe di venire a visitarlo?”
Rabadash ghignò di soddisfazione: aveva in pungo la principessa.
 
 
 
~·~

 
 
Dopo aver raccontato alla Regina Susan tutte le novità che aveva portato da Narnia, Shira aveva seguito il suo ordine di restarsene buona nella stalla assieme a Destriero, almeno fino a che la Regina era stata raggiunta dal pipistrello Ombroso, il quale le aveva riferito che il Re Caspian era in pericolo, giù nella valle sotto la città.
Non risposta a starsene con le mani in mano (pardon, ali), era scesa nella valle con loro. Tuttavia, all'ordine di Susan di avvertire gli altri sovrani che Lord Ravenlock li aveva raggiunti, era sfrecciata via come un fulmine, verso i piani alti del castello di Harfang, scrutando dai vetri delle finestre l’interno delle stanze, in cerca di un volto amico.
Purtroppo, le raffiche di vento l’avevano costretta ad abbassarsi di quota, rinunciando quasi subito. Forse, non era il modo migliore per individuare i membri della compagnia...
Aveva deciso allora di entrare nel castello: piccola com’era, e con tutta la confusione che c’era quella sera, nessuno l’aveva notata. Se credeva di essere scoperta, prontamente si nascondeva dietro una statua, dentro un’armatura, dietro i candelieri sulle pareti.
La stanchezza del lungo viaggio si fece di nuovo sentire, costringendola a fermarsi diverse volte per riprendere fiato. Ansimante e sempre meno veloce, continuò a cercare finché non stramazzò di nuovo al suolo, esattamente come quand’era arrivata ad Harfang quel mattino. Solo che all’ora c’era stata Susan a soccorrerla, ma ora…
Si trascinò sotto una panca posta a un angolo di un corridoio, respirando velocemente. Rimase lì a lungo, fino a che non udì due voci che le parve di conoscere…
“E’ tardissimo e mia cugina non si vede ancora” fece quella del ragazzo, seccata. “Se tu non sei preoccupata e non vuoi venire a vedere cosa le è successo, fai pure, ma io vado a cercarla”
“Se le fosse successo qualcosa, vuoi che Peter e gli altri non se ne siano accorti?”
“Che ne so? Non trovo da nessuna parte nemmeno loro, sembrano tutti spariti nel nulla!”
Jill si appoggiò a una parete, afferrando l’amico per il mantello. “Fermati un attimo, per piacere”
“Cos’hai?”
“Mi fanno male i piedi” si lamentò la ragazza, sedendo su una delle panche del corridoio, togliendosi una scarpa e massaggiandosi la pianta. “Non sono abituata a portare scarpe con tacco”
“Allora perché le hai messe?”
“Me le ha date la vecchia governante del castello assieme al mio vestito”
Eustace incrociò le braccia e rimase un momento a guardare Jill, la quale sospirò improvvisamente di sollievo.
La ragazza indossava un abito rosa di raso e seta, le spalle leggermente scoperte, un grande fiocco a farfalla sulla schiena, un ciondolo di diamante al collo che ricadeva sulla casta scollatura, una coroncina di fiori su un lato del capo, i capelli biondi più lucidi di quanto fossero mai stati…o forse, era lui che non se n’era mai accorto?
“Non te l’ho ancora detto” balbettò il ragazzo.
“Cosa?”
“Sei molto carina, stasera”
Jill batté le palpebre e sorrise timidamente. “Grazie”
Lui annuì una volta. “Bene. Continuiamo la ricerca?”
“Mi tocca…” mugugnò lei, rimettendosi la scarpa. “Mi verranno i calli, lo so…ehi, ma che cosa c’è qua sotto?!” esclamò poi, saltando su dalla panca.
Shira sentì due braccia umane raccoglierla. Le palpebre pesanti, cercò di mettere a fuoco i due volti che entrarono nel suo campo visivo.
“Shira, siamo noi, apri gli occhi” disse ancora la voce maschile.
“Chi…Lord Eustace…e Jill Pole!”
I due ragazzi osservavano il falchetto con apprensione.
“Cosa diamine ti è successo? E cosa fai qui ad Harfang?” chiese di nuovo lui.
“E’ successo…Oh, prima mi dareste un po’ d’acqua, per piacere? Non ce la faccio più”
Jill e Eustace trasportarono il falchetto giù nelle cucine, credendo di poter chiedere aiuto ai camerieri.
“Bè, che è questa storia? Non c’è nessuno” fece il ragazzo, le mani sui fianchi. “Battono la fiacca in questo castello!”
“Forse sono occupati di sopra con gli antipasti” disse Jill, posando Shira sul tavolo. “Ormai la Festa d’Autunno sarà iniziata. Grazie a te, Scrubb, che mi hai fatto girare a zonzo per il castello, mi perderò la prima danza”
“Piantala con questa storia…”
Eustace prese una ciotola di legno da un ripiano situato accanto al lavandino, riempiendola d’acqua.
Shira vi tuffò dentro il becco, bevendo avidamente.
“Va meglio?”
Il falchetto annuì. “Un istante solo e vi racconterò tutto. Sono così stanca…”
“Vuoi qualcosa da mangiare?” chiese Jill, correndo ad aprire ante e antine di varie credenze, cercando qualcosa che facesse al caso di Shira.
“Non è mica casa tua, Pole, che fai?”
“Insomma, Eustace! Non vedi che deve rimettersi in forze?!” protestò Jill, issandosi su uno sgabello accanto ai fornelli, per riuscire ad afferrare una cesta di pane situata sopra a una credenza.
D’un tratto, però, il suo sguardo cadde su un librone appoggiato a un vaso di terracotta: un libro di ricette, e...
“Eustace!!!” gridò, quasi cadendo dalle sgabello, facendo rovinare a terra la cesta di pane.
“Che cosa c’è? Perché strilli?”
“Vieni…vieni a vedere!”
Il ragazzo prese Shira tra le braccia e si avvicinò all’amica.
Jill, bianca come un fantasma, gl’indicò il libro.
Le parole erano così grandi che non fu difficile leggerle. Eustace passò in rassegna varie ricette – anatra selvatica, piccione, cervo – prima di capire cosa Jill volesse che notasse…
Arrivato alla quarta voce, il libro diceva così:
 
ANIMALE UOMO: questo bipede, elegante nelle fattezze e nel portamento, è considerato una vera prelibatezza. Viene servito durante il banchetto della Festa d’Autunno, dopo le portate a base di pesce e prima dell’arrosto.
Ciascun uomo…
 
Eustace non poté andare oltre, anche se notò chiaramente altre voci sottostanti parlare di Paludroni (le cui carni, secondo il ricettario, non erano adatte al palato dei Giganti perché piene di nervi e sapevano di fango, ma se mitigate…). E poi pipistrelli (che andavano serviti fritti, secondo i Giganti), e ancora falchi e lupi!
“Ora capisco perché volevano ingrassarci!” esalò Jill in un’esclamazione strozzata. “Vogliono…mangiarci!”
“Ottima deduzione, tesorino” fece una voce.
Prima che se ne rendessero conto, anche Eustace, Jill e Shira finirono tra le grinfie dei Giganti.
“Rinchiudeteli insieme agli altri” canticchiò la cuoca. “Siamo in ritardo: è ora di mettere il pentolone sul fuoco”

 
 
 
 
 
Salve cari lettori!
Oggi sono contenta perché ho aggiornato molto prima del solito, e sono anche soddisfatta di come è uscito questo capitolo! E' un po’ lungo, spero non vi abbia annoiato. E lo sarebbe stato ancora di più se fossi riuscita ad inserire tutto quello che volevo ma, come ho già annunciato sulle mie pagine facebook, non ce l’ho fatta. Ad esempio, ci sono un paio di punti che devo ancora sistemare sul racconto Shira, per cui ho preferito rimandarlo. A volte è difficile mettere su carta/pc quello che si ha in mente…
Vi rassicuro su un punto: Fuori uno! Lord Ravenlock è schiattato schiattatisismo! Sotto a chi tocca! xD
NOTA:La ricetta del libro di cucina dei Giganti l'ho presa dall'originale. 
.  
Ringraziamenti:
Per le preferite:
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Per le ricordate: 
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Per le recensioni dello scorso capitolo:  LittleWitch, Mai_AiLing, senoritavale, Shadowfax,_joy
 
Angolino delle Anticipazioni:
Non sono in fila, ma ecco cosa succederà: Susan, il lupo e Ombroso tenteranno di liberare i compagni rapiti e pronti per essere cucinati, trovando un aiuto decisamente inaspettato tra le mura del castello…
Ci sarà il tanto atteso incontro tra i gemelli e i loro genitori: preparate i fazzolettini…
La compagnia di Narnia dovrà fuggire dal castello, ma non senza aver portato con sé qualcuno che li guiderà lungo la nuova parte del viaggio…chi?? Eh, non ve lo dico mica...

SPOILERUCCIO: Rabadash e Myra si fidanzeranno!
 
Ora mi defilo, prima che mi tirate addosso i vostri pc…ma prima vi ricordo che, per gli insulti, vi spetto alle mie pag facebookSusan TheGentle Clara e Chronicles of Queen
 
A presto e grazie di cuore a tutti!!!
Susan♥


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Capitolo 29
*** Capitolo 29: Alleati inaspettati ***


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IN FONDO LA MAPPA DI NARNIA


29. Alleati inaspettati
 
Libera,
Libera di trovare la mia strada

Libera di dire la mia
Libera di vedere il giorno...
 


Nella cucina si creò un gran trambusto.
Non appena i Giganti tentarono di prenderli, Eustace e Jill iniziarono ad afferrare piatti e pentole, tirandole addosso ai colossi, cercando di colpirli sulla testa, provando a stordirli. Shira, dalla sua - anche se ancora debole ma determinata a non farsi mangiare per nulla al mondo - usò becco e artigli, puntando agli occhi di una cameriera, la quale prese a ululare come una matta.
Nel frattempo, la cuoca, canticchiando come nulla fosse, accese il focolare e riempì d’acqua un enorme pentolone di rame.
Purtroppo, in men che non si dica, il tentativo di fuga dei due ragazzi e del falchetto fu vanificato.
 “Non mi piace ripetere le cose: metteteli con gli altri, svelti!” ordinò la cuoca, agitando il mestolo.
I Giganti trasportarono il gruppetto nella stanzetta dirimpetto alla dispensa.
Quando i tre amici vennero  gettati all’interno, ebbero proprio una bella sorpresa…
La porta si richiuse con un tonfo, il chiavistello cigolò, e poi una voce disse: “Ah, che tragedia! Hanno preso anche loro!”
Jill e Eustace si voltarono. “Ragazzi!”
C’erano altre persone là dentro, ed erano nientemeno che Pozzanghera, Edmund, Shanna, Peter, Lucy, Miriel, Emeth…mancavano solo Susan, Ombroso e Caspian.
“Shanna!” esclamò Shira, alla quale erano state legate le zampe.
La Stella, felice e stupita di rivedere la sua cara amica, cercò di trascinarsi verso di lei, ma invano, poiché tutti quanti avevano mani e piedi legati
“Che diavolo sta succedendo?” chiese Eustace, cercando di voltarsi per vedere gli amici in volto. Il ragazzo era stato legato schiena a schiena con Jill, e tutto ciò che vedeva erano i capelli di lei.
“Pole, piega la testa un po’ di più” sbuffò, una ciocca bionda di Jill a solleticargli il naso.
“Più di così non ci riesco!”
“Non abbiamo tempo per i bisticci!” intervenne Peter.
Gli altri, che avevano iniziato a parlare tutti insieme, alla voce del Re Supremo si zittirono all’istante. Si udiva solo il sommesso piagnucolio di Pozzanghera.
“Come siete finiti qui dentro?” chiese di nuovo Eustace.
“Ci hanno ingannati tutti quanti” disse il Magnifico, iniziando a raccontare piuttosto velocemente quanto accaduto a lui, Lucy, Miriel e Emeth. “Appena siamo scesi nella salone, Il Re Mastodonte ci ha subito chiesto dove foste voi altri. Sembrava molto impaziente di averci tutti riuniti. In seguito, ci fece accompagnare nella sala della armature, dicendo che avremmo dovuto attendere lì finché non ci avesse fatto chiamare, per fare un’ 'entrata trionfale' davanti a tutti i suoi ospiti…”
“Sì, in piatti d’argento assieme al contorno” commentò Emeth sarcastico.
“Già…” Peter scosse il capo. “La cosa mi era sembrata molto strana, se devo essere sincero, ma volevo dar loro il beneficio del dubbio. sapete, dopo l’ospitalità mostrataci nei giorni scorsi, il modo positivo in cui hanno reagito al nome di Aslan…mi stavo quasi ricredendo sul loro conto. Fatto sta che, una volta nella stanza delle armature, i Giganti che ci avevano accompagnato lì ci hanno presi. Purtroppo eravamo disarmati e non abbiamo potuto difenderci in nessun modo. Miriel ha tentato di usare la sua magia del fuoco, ma invano”
“Mi dispiace” mormorò quest’ultima, chinando il capo.
“Non iniziamo a darci le colpe, per favore” commentò Eustace in tono seccato.
“E’ vero” asserì Peter, lanciando uno guardo dolce alla Driade. “Non potevamo proprio far niente. Ci hanno legati e portati qui…”
“Dove hanno trovato noi tre” concluse Edmund, indicando sé stesso, Shanna e Pozzanghera.
Il Giusto si sostituì al fratello maggiore per raccontare la sua versione dei fatti, ricordando con disgusto il momento in cui avevano mangiato per sbaglio la carne del cervo parlante.
“Che cosa terribile!” ricordò Shanna, con le lacrime agli occhi per il dispiacere.
“E’ solo colpa nostra, mia cara” le disse Pozzanghera con aria solenne ma tetra. “Abbiamo trascurato i segni di Aslan, ed Egli ci ha dato un monito: ha rimproverato Jill in sogno e poi noi, facendoci mangiare carne di cervo parlante!”
“Ormai è andata, Pozzanghera, adesso basta” lo riprese Edmund. “Adesso dobbiamo pensare a come uscire da qui, e alla svelta”
“E come?” fece ancora Pozzanghera. “Nessuno può salvarci, nessuno…”
“Vi sbagliate, signor Paludrone” disse Shira, contorcendosi tutta per sdraiarsi sulla schiena e portare le zampe in alto, iniziando a strattonare le corde con il becco. “Se solo riuscissi a slegarmi, potrei passare attraverso quella finestrella là in alto, e andare ad avvertire la Regina Susan, il Re e Ombroso prima che prendano anche loro”
I ragazzi, i cui occhi si erano ormai abituati al buio, si voltarono verso l’unica macchia di luce: una finestra così piccola che nessuno di loro avrebbe potuto passarvi attraverso, eccetto forse proprio Shira.
“Dobbiamo tentare” disse Jill. “Lucy, non è che per caso hai qui con te il tuo pugnale, vero?”
“No, purtroppo. Se l’avessi l’avrei già usato. E’ in camera mia, come la mia pozione.”
“E come tutte le nostre armi” aggiunse Emeth.
“Shira, devo chiederti una cosa” disse Shanna, cambiando discorso.
“So già cosa vuoi chiedermi, tesoro” le rispose il falchetto, “e la risposta è sì: ho notizie da Narnia. Cattive notizie”
Un mormorio di preoccupazione si levò dai membri della compagnia, ma Peter fermò di nuovo l’ondata di domande che stava per sorgere.
“Ragazzi, no. Più tardi. Se Shira si mette a raccontare ora…”
“Ma Peter, si tratta di Narnia!”
“Lo so, Lucy, ma dobbiamo rimanere lucidi e calmi”
Lui parlava di calma; tuttavia, gli altri scorsero una nota di panico nella voce del Re Supremo.
Come sempre, però, Peter non si faceva sopraffare dall’emotività. Anche se Shira portava cattive notizie dal Regno – un Regno che era stato suo e che ancora amava con ogni parte di sé – si trattenne, cercando di pensare a cosa era meglio fare prima di ogni altra cosa.
“La nostra priorità è non finire nello stomaco di quei Giganti, o saremo davvero poco utili a Narnia. Sono certo che Susan si sarà accorta che sta accadendo qualcosa di strano. A quest’ora, molto probabilmente sarà nella sala dei ricevimenti e non vedendoci…”
“Oh, speriamo di no!” fece Shira.
“Già, se anche lei venisse presa…” fece Miriel.
“Non è tanto questo” la interruppe il falchetto, fermandosi un momento per riprendere fiato. “Quello che più mi impensierisce, è se la Regina Susan dovesse incontrare il principe Rabadash! Non oso pensare a cosa…”
“Rabadash?!” esplose un coro di voci.
 
 
 
~·~

 
 
Intanto, ai piani superiori, più precisamente nelle stanze della Regina Titania, una guardia, per conto del Re Mastodonte, era appena venuta a informarsi sul ritardo della sovrana alla Festa d’Autunno.
“Mi dispiace molto” gli rispose una delle ancelle, “la Regina ha avvertito un’improvvisa emicrania e non può muoversi dal letto. Dite al Re che scenderà non appena si sentirà meglio”
La guardia batté i tacchi, s’inchinò e se ne andò. L’ancella richiuse la porta e, svelta svelta, attraversò il salotto dirigendosi in camera da letto. Qui, proprio Titania (che non stava affatto male) aspettava insieme alle altre giovani gigantesse al suo servizio.
“La guardia se n’è andata?”
“Sì, mia signora”
“Molto bene. Che cosa ti ha detto?”
“Che il Re vi attende, che gli ospiti d’onore sono stati sistemati giù in cucina e…attendono anch’essi, anche se manca qualcuno all’appello. Qualcuno è riuscito a scamparla”
“Mmm…ho capito” Titania fece un’espressione cupa. “Non abbiamo tempo da perdere, allora. Venite, ragazze”
La Regina dei Giganti aprì un pannello nascosto nella parete in fondo alla stanza. Le ancelle vi s’insinuarono una dopo l’altra.
“Maestà” piagnucolò una di loro, “se il Re Mastodonte venisse a sapere cosa abbiamo fatto…cosa stiamo per fare…”
“Voi negherete qualsiasi coinvolgimento. Siete sotto la mia protezione, nessuno vi farà del male, lo prometto sui miei antenati!”
Titania afferrò un candeliere da un tavolino lì accanto, sospingendole avanti.
Le ancelle si stringevano l’una all’altra, impaurite, gli occhi sbarrati, mentre percorrevano cunicoli bui a loro sconosciuti. Partirono dalla stanza della Regina e scesero giù, sempre più giù, fino a che non arrivarono alle cucine.
Infine, Titania fece cenno loro di fermarsi, intimando con un gesto di fare meno rumore possibile. La Regina spense il candeliere, avvicinandosi al fondo del passaggio dove la pietra del muro appariva liscia e senza imperfezioni. Ma non era così. Quello che le ancelle avevano scambiato per un vicolo cieco, era in realtà un altro passaggio. Le damigelle osservarono Titania aprire piano piano uno spioncino e guardarvi attraverso. Un piccolo fascio di luce si insinuò nel cunicolo buio. Le ancelle avanzarono di qualche passo per vedere meglio. Subito, l’aroma del cibo invase il corridoio segreto. Dallo spioncino scorsero una porzione delle cucine del castello, i camerieri al lavoro.
Dopo un momento, Titania richiuse la finestrella.
La luce, l’aroma e il rumore dei piatti scomparvero.
“Ricordate il piano, ragazze: aspetteremo qui finché tutti i camerieri non se ne saranno andati di sopra con gli antipasti. Dovremo essere caute ma svelte, avremo solo pochi minuti”
“Sì, Maestà” risposero le ancelle tutte in coro.
Titania si torse le mani. “Oh, speriamo di essere in tempo…”
  
 
 
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“Ce l’ho fatta!” esclamò Shira, muovendo le zampe finché non si liberò definitivamente delle corde.
“Brava!” fece un coro di voci.
“Aspetta, dicci di Rabadash!” disse l’altra metà della compagnia.
“Silenzio! Così facciamo solo confusione!”
“Oh, Peter, piantala di fare l’autoritario, non è proprio il momento!” sbottò Edmund, voltandosi di schiena e porgendo a Shira i polsi legati. “Forza, adesso, prova con me”
Il falchetto ricominciò tutto da capo, iniziando a lavorare con le corde che tenevano imprigionato il Giusto.
“E va bene” disse poi, la voce soffocata, il becco impegnato. “Vi dirò qualcosa, ma il mio racconto è assai più lungo. Per farla breve, Rabadash è partito con Lord Erton da Cair Paravel quasi una settimana fa. Ogni tanto mi recavo al castello per spiarli, come Re Caspian mi aveva chiesto; fu per questo che li vidi partire, o non lo avrei mai saputo. Dovete sapere che Cair Paravel non è più quella di una volta, è cupa e sempre circondata di decine di guardie dalle facce arcigne. Sono arrivati persino degli orrendi Troll!”
“Troll a Narnia?!” esclamò Lucy, sbigottita. “E’ inaudito!”
Shira annuì. “E’ proprio vero, Maestà, ma lasciatemi continuare... Dunque, quando ritornai alla Torre dei Gufi, informai Lord Rhoop e Pennalucida della cosa. Loro mi consigliarono di inseguire Erton e Rabdash fino a qui e di avvisarvi che sarebbero arrivati. Sapevo che non sarebbe stata una passeggiata come lo era stato giungere fino al monastero di Cornelius: le tormente di neve hanno rallentato notevolmente il mio volo e più di una volta ho avuto paura di averli persi di vista. Ho anche sperato di incontrare voi ma, evidentemente, dovevate essere già qui ad Harfang…In ogni caso, sono arrivata questa mattina, completamente stremata. La Regina Susan, in forma di falco, mi ha portata nella stalla dove Destriero mi ha scaldata con il suo fiato. Anche la Regina si è sdraiata accanto a me e mi ha vegliata per tutto il giorno, mentre riposavo” Shira si volse verso Shanna. “Avrei tanto voluto venire da te, amica mia, ma non ho potuto”
La Stella scosse il capo. “L’importante è che tu stia bene. Sei sempre tanto coraggiosa”
Shira arruffò le penne con orgoglio. “Lo so che sono coraggiosa! Comunque, questa sera ho avuto finalmente modo di raccontare a qualcuno tutte le novità su Narnia”
“Le hai dette a Susan quando si è trasformata” disse Lucy.
Shira annuì. “E anche a Re Caspian. Ho fatto in tempo a riferirgli qualcosa, prima che si tramutasse in lupo, ma questo ve lo racconterò dopo, è una lunga storia”
“Narnia è più in pericolo di quanto immaginassimo, vero Shira?” chiese Lucy.
Il falchetto annuì. “Narnia soffre senza il suo Re e la sua Regina, senza i principi, i suoi eredi. Tutto va allo sfacelo. Ma ne parleremo meglio più tardi, Maestà”
I Pevensie si scambiarono uno sguardo atterrito.
“Tu credi che i Giganti siano in combutta con Rabadash e Lord Erton?” intervenne Jill.
“Non so fino a che punto i Giganti siano coinvolti ma, se hanno invitato quei due… a meno che Mastodonte e Titania non siano stati ingannati a loro volta …Fatto! Re Edmund, siete libero!”
“Ottimo! Ora, pensa agli altri”. Il ragazzo si massaggiò i polsi, strattonando poi le corde che gli costringevano i piedi, mentre Shira si spostava verso Peter.
Il Giusto corse invece verso Shanna. Quando la Stella fu libera, lui allungò una mano verso i suoi capelli biondi.
“Mi serve il tuo fermaglio” le disse.
Lei annuì, togliendolo subito. “Cosa devi farci?”
“Ora vedrai” le rispose lui con un sorriso sghembo.
Edmund si avvicinò alla porta, alzandosi in punta di piedi, allungando le braccia il più possibile per arrivare alla serratura (purtroppo, ad Harfang, tutto quanto era di grandezza maggiore, il doppio del normale). Aprì il fermaglio e cominciò a tentare di forzare il lucchetto con la parte più appuntita.
“Ottima idea!” disse Shanna, ammirata.
“Un trucchetto che ho imparato a scuola”
“Ma cosa vi insegnano nelle vostre scuole?” chiese Emeth.
La domanda rimase senza risposta.
Poco dopo, Shira spezzò l’ultimo lembo di corda che teneva legati i polsi di Peter. Lui si precipitò subito verso Miriel, il falchetto verso Lucy e Shanna verso Eustace.
“Tutto a posto?” chiese il Re Supremo alla Driade, stringendola in un abbraccio.
“Stiamo bene” rispose lei, sorridendogli e passandosi una mano sul grembo.
A poco a poco, furono tutti liberi.
Pozzanghera, che era il più alto, si avvicinò a Edmund, invitandolo a salirgli in spalla per arrivare meglio alla serratura. Il Giusto vi stava lavorando ormai da parecchi minuti, la fronte sudata, i nervi tesi, le orecchie pronte ad udire il minimo rumore.
“Andiamo, sbrigati!” lo incitò Emeth.
“Un attimo! Un attimo!”
“Fate silenzio, o ci scopriranno!” sibilò Jill.
“Zitti tutti, per favore” fece Miriel, appoggiando l’orecchio alla porta.
Ci fu un attimo di silenzio.
Dalla cucina non proveniva alcun suono, eccetto un sommesso borbottio che poteva benissimo essere quello del pentolone.
“Cosa senti?” chiese Peter, avvicinandosi a lei.
La Driade scosse il capo. “Niente. Non credo che ci scoprirà qualcuno: la cucina sembra deserta”
“Dici sul serio?” chiese Jill, scettica.
“Forse sono tutti di sopra a servire” azzardò Eustace.
“Allora svelto, Edmund!” rincarò Peter.
Il Giusto lavorò ancor più alacremente.
Dovevano fare in fretta, non sapevano quando i domestici sarebbero ridiscesi in cucina, e poteva accadere da un momento all’altro.
“Dai, Edmund!”
“Gente, smettetela! Così mi fate perdere la concentrazione! Ho detto un attim…ops…”
“Cosa c’è?”
Edmund scese dalle spalle di Pozzanghera, la faccia colpevole: la punta del fermaglio si era spezzata.
 “Oh, no!” fece Lucy. La sua esclamazione fu seguita da un verso di dissenso da parte di tutti gli alti.
“Sei un impiastro!”
“Zitto, Eustace!” Edmund si voltò verso Shanna, porgendole il fermaglio. “Mi spiace…bè, il fiore è ancora intatto, almeno. Potremmo sostituire la chiusura…”
“Me ne regalerai un altro più bello quando torneremo a Narnia” lo rassicurò Shanna, regalandogli un sorriso.
“E adesso come usciamo?” esclamò poi Jill, nervosissima.
“Dobbiamo pensare a un altro modo” si agitò Lucy, iniziando a girare in tondo per lo sgabuzzino (che per i Giganti era piccolo, ma per loro era abbastanza spazioso).
“Io vado ad avvertire la Regina Susan” disse Shira, svolazzando dalle parti della finestrella “o meglio, prima cercherò di trovarla”
“Sii prudente” le raccomandò Shanna.
Un battito d’ali e il falchetto scomparve.
 

 
~·~

 
 
“Questo arazzo ritrae il bis bis bis bis bis nonno di Re Mastodonte, il quale riconquistò il diritto al trono di Harfang dopo un colpo di stato da parte di alcuni Giganti che si dichiaravano i legittimi eredi, ma le cui origini erano assai dubbie. Qui, invece, vediamo…”
Rilian sbadigliò sonoramente, coprendosi la bocca con la mano. Fu premiato da un’occhiataccia di Lady Lora, la quale pure si stava annoiando terribilmente ad ascoltare gli sproloqui di Lord Erton sulle varie dinastie dei Giganti.
Rilian non aveva mai sopportato la storia, non riusciva a ricordare tutti quei nomi, i luoghi e le date...Il principe continuava a guardarsi attorno invece di ascoltare, pensando a un modo per sgattaiolare via. Se Lord Erton non aveva alcuna intenzione di portarlo alle scuderie, che glielo dicesse! Ci sarebbe andato da solo. Il problema più grande era sottrarsi all’occhio vigile di Lora.
D’un tratto, dall’angolo del corridoio spuntò un drappello di guardie. I tre umani si appiattirono contro il muro per far si che i colossi non li calpestassero.
“Che cosa succede?” chiese Lora ansiosa.
“Nulla, dev’essere solo il cambio della guardia” la rassicurò Lord Erton.
Il Duca, inizialmente reticente a seguire Rabadash alla città dei Giganti, più tardi spinto dal suo perverso senso del divertimento, ora pensava di aver fatto bene ad accettare l’invito alla Festa d’Autunno.
Era incredibile ciò che la Strega Bianca era riuscita a fare con la sua magia: vedere Lady Lora e i gemelli non ricordare nulla di Narnia, credere davvero a quel che Jadis voleva far loro credere… Davvero surreale, quanto terribilmente sbalorditivo.
Era rimasto molto compiaciuto dal comportamento di Lora. Lei non poteva riconoscerlo dato che la sua memoria era stata modificata, ed ora gli parlava con rispetto, come mai aveva fatto in precedenza. Ma la cosa più divertente era sentire Rilian e Myra chiamare madre la Signora dalla Veste Verde.
Con un potere simile, in grado di cancellare e manipolare le menti altrui, Jadis era davvero in grado di governare il mondo intero.
Erton non era un uomo abituato a farsi comandare, ma era consapevole di non poter competere con una creatura simile. La Strega non era umana: oltre ai suoi straordinari poteri, era fisicamente più forte del più nerboruto degli uomini, benché non lo sembrasse. In più, si diceva anche che fosse immortale. Se si fosse ribellato alla Strega, se solo ci avesse provato, lei si sarebbe sbarazzata di lui in men che non si dica.
No grazie.
Preferiva di gran lunga continuare a servirla. Se continuava a farlo bene avrebbe potuto ottenere ancora più ricchezze, onorificenze, castelli, eserciti e…chissà, forse anche l’immortalità stessa.
Era una tentazione troppo forte per un uomo ambizioso come il Duca.
E fu proprio per paura nei confronti della Strega Bianca che fece quel che fece di lì a pochi minuti…
Quando i soldati se ne furono andati, Lora si voltò da una parte all’altra del corridoio, allarmata.
“Rilian!” esclamò.
“Che succede, signora?”
“Il principe Rilian, milord, non c’è più! Era qui, dietro di me…”
“Che piccolo…sciocco ragazzo. Avevo capito che si stava annoiando. Dev’essere fuggito via senza che ce ne accorgessimo”
“Dobbiamo assolutamente trovarlo!” Lora si mosse immediatamente, chiamando il bambino a gran voce.
Lord Erton si aggiustò la chiusura del mantello, l’aria scocciata. “Immagino che dovremo prenderci questa seccatura” commentò a basa voce, “o la Signora dalla Veste Verde non sarà felice”
“Credete sia tornato nella sala da ballo?” chiese ancora Lady Lora.
“Non saprei…Potremmo dividerci, lo troveremo prima” propose il Duca.
“Sì, è una buona idea. Vi ringrazio, milord!”
Erton agitò una mano, infastidito. Lora non era mai rientrata nelle sue simpatie. “Nulla, nulla. Voi andate a vedere nel salone, io andrò fuori, alle stalle. Potrebbe essere là”
“Sì, sì, è vero. Oh, se la Signora lo sapesse…”
Con queste parole e l’aria sempre più angosciata, la balia corse via.
Lord Erton rabbrividì ancora una volta, pensando alla furia della Strega nel momento in cui avesse saputo che avevano perso la sua preziosa chiave per divenire padrona di tutta Narnia.
Non voleva affatto incorrere nella sua ira. Così, per quanto odiasse quei marmocchi con tutto il suo gelido cuore e non gli sarebbe importato nulla che finissero in pasto a qualche Gigante, iniziò le ricerche di Rilian.
Decisione che gli costò cara, povero Duca…

 
 
 
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Il tempo passava rapidamente, ma nessuno trovava una soluzione per uscire. I calci e le spallate alla porta erano inutili: era troppo spessa, troppo grossa e alta. Era una porta a prova di umano, come disse Emeth.
“Niente da fare” sentenziò Peter, massaggiandosi la spalla.
“Ascoltate!” esclamò Lucy.
“E ora che succede?” tremò Jill, aggrappata al braccio di Eustace. Lui con fare protettivo, le cingeva la vita.
Dall’esterno provenivano dei rumori, la cucina non era più deserta. Sembrava che qualcuno stesse scendendo le scale, che i passi si avvicinassero alla porta dello sgabuzzino...ed era più di una persona.
I ragazzi si strinsero gli uni agli altri. Peter, Edmund, Emeth e Eustace si scambiarono uno sguardo. Tutti e quattro pensarono la stessa cosa: potevano rischiare di attaccare i Giganti senza armi, almeno per far fuggire le ragazze?
Poi, alcune voci si misero a discutere.
“Cosa fate qui?”
“Cosa ci fate voi!”
“Queste sono le cucine, ci lavoriamo”
“Bè, e io sono la Sovrana e vado dove mi pare”
“Non potete rimanere quaggiù, se il Re lo spesse…”
Le voci si spensero, soffocate da un sonoro gong, seguito un gran trambusto: altre voci, lamenti e tonfi si mischiarono, poi di nuovo silenzio.
Infine, la porta dello sgabuzzino si aprì e un’ombra enorme si stagliò sulla soglia.
“E’ la nostra ora!” gridò Pozzanghera, stringendo a sé la prima persona che gli capitò. La malcapitata fu Lucy, che quasi soffocò sotto la presa del Paludrone.
“Oh, accidenti!” fece la voce dell’ombra, tirando su la sottana e scavalcando il corpo esanime ai suoi piedi. “Ragazze, aiutatemi a tirarlo via di qui, o non potrò passare. Uff…per colpa di questi stupidi, il nostro piano è quasi saltato…”
“Regina Titania?” rantolò Lucy, cercando di liberarsi di Pozzanghera.
“Sì, cara, sono io”
La compagnia di Narnia avanzò piano verso la soglia dello sgabuzzino. Scavalcarono il braccione del cameriere finito a terra, il quale aveva un gran bernoccolo in testa.
I ragazzi osservarono il gran caos che regnava nella cucina: non tutti, ma una buona parte dei servitori era stata messa ko da Titania e le sue ancelle.
“Non li abbiamo uccisi, vero?” chiese una di queste, reggendo ancora tra le mani un grosso tegame.
“No, no, non ti preoccupare” la rassicurò la sua Regina. Poi si rivolse a Peter e gli altri. “E pensare che credevo di aver calcolato bene i tempi, per poco davvero non ci hanno scoperte”
“Ma se arrivassero gli altri e li vedessero così, capiranno tutto!” fece un’altra ancella
“Chi se ne importa, dico io” tagliò corto Titania. “In ogni caso, Sovrani di Narnia, prima che ritornino anche gli altri domestici fareste meglio a filar via”
I narniani si scambiarono sguardo perplessi.
“Perché ci state aiutando?” chiese Peter. “Credevo fossimo il vostro piatto forte per il banchetto della Festa d’Autunno”
“E’ così” ammise Titania con rammarico. “Ma io non sono mai stata d’accordo. Adesso venite con me, per favore, abbiamo davvero poco tempo”
“Perché dovremmo fidarci?” chiese Emeth.
“Capisco la vostra reticenza” rispose ancora Titania, “ma vi assicuro, anzi vi giuro e sui miei antenati, che non ho nessuna intenzione di mangiarvi!”
Peter, Edmund e Lucy si scambiarono uno sguardo e annuirono.
“Va bene, verremo con voi”
“Lucy!”
“Emeth, possiamo crederle, sta tranquillo” la Valorosa gli posò una mano sul braccio. “Ha giurato sui suoi avi: per un Gigante, ciò che più conta al mondo è la memoria dei propri antenati”
“E’ vero, è verissimo!” affermarono le gigantesse, tutte in coro.
“Non avrei motivo per liberarvi se volessi mangiavi, non trovate?” insisté Titania.
“Voglio una conferma” replicò di nuovo Emeth.
“Oh, ragazzo, quanto la fai lunga! Non abbiamo il tempo, ti ho detto! Volete salvare la pelle o no?”
“Io sì! Io si!” saltò su Pozzanghera.
“Ragazzi, come facciamo a sapere che i Giganti non sono in combutta con Rabadash e Erton?” insisté il soldato.
Con molta calma, Lucy fece un passo avanti. “Regina Titania, avete mai sentito parlare di questi due individui? Per noi è molto importante saperlo”
Titania fece una faccia perplessa. “Non conosco nessuno con questi nomi. Io so che la Dama Verde doveva arrivare con degli amici, con un principe che si sarebbe fidanzato stasera al banchetto con la principessa del Mondodisotto”
I ragazzi rifletterono un istante.
“Il principe potrebbe essere Rabadash” disse Miriel, “ma non mi torna la storia del fidanzamento”
“Rabadash ha sempre avuto questa fissa di dover salvaguardare la propria stirpe, ricordate?” disse Edmund. “Potrebbe benissimo essere lui ed aver trovato finalmente una pretendente, questa...principessa del Mondodisotto, o come si chiama”
“In ogni caso, sappiamo che sono entrambi qui ad Harfang, stasera” disse Lucy.
Titania rifletté. “Bè, se sono umani…”
“Lo sono”
“Ebbene, allora devono per forza essere ospiti della Signora dalla Veste Verde. In fondo, so che la principessa è la figlia della Signora”
“Un momento!” fece Eustace “Ma non è il nome della dama che abbiamo incontrato sulle montagne?”
“Sì, è lo stesso” disse Miriel. “Lo ricordo bene: fu proprio lei a dirci di venire ad Harfang”
Titania e le ancelle fecero delle espressioni colpevoli. “Infatti è proprio lei che, quasi tutti gli anni, ci invia dei buoni umani come ospiti d’onore”
Sguardi accusatori vagarono sulle gigantesse.
“Quindi era tutta una trappola” disse Jill. “La Signora ci ha mandato qui per farci mangiare dai Giganti, e in più conosce anche Rabadash e Lord Erton, e Rabadash adesso si sposa con la figlia della Signora... Che cosa significa tutto questo?”
“Non lo so” rispose Peter, “ma lo scopriremo”
Ci fu un rumore fuori dalla cucina, che fece trasalire tutti: stavano tornando anche gli altri domestici.
“Svelti, via di qui!” disse Titania, guidandoli tutti in fondo alla cucina, oltre una porta laterale che dava direttamente su un cortiletto avvolto nel silenzio, chiuso su tre lati.
“Aspettate” intervenne Lucy. “Regina Titania, mia sorella Susan, il Re Caspian e Ombroso non sono con noi, dobbiamo trovarli prima di andar via”
Titania li contò tutti, sollevando un ditone. “Cielo, avete ragione! E ora come si fa? Dove sono?”
I ragazzi si scambiarono sguardi incerti.
“Qualcuno deve andare a cercarli” disse ancora Lucy.
“Ci vado io” si offrì Edmund.
“Vengo con te” disse subito Shanna.
“No, tu rimani con loro”
“Ma Ed, non puoi andar solo!”
Titania fece un cenno a una delle sue dame, la più coraggiosa. “Tunia, scorterai tu Re Edmund, lo accompagnerai dove deve. Ci incontreremo alla porta secondaria nord”
“Sì, Maestà” rispose Tunia.
La dama e il Giusto si scambiarono uno sguardo. Lui annuì, poi si volse verso Shanna per darle un bacio veloce.
“Torno tra poco. Tanto so che non mi perdi mai di vista” sorrise lievemente.
La Stella ricambiò, ma non poté far altro che guardarlo allontanarsi.
“Un momento” disse poi Eustace. “Come facciamo a recuperare tutta la nostra roba? Le armi, i vestiti…”
“Non c’è problema” rispose Titania, voltandosi verso le ancelle. “Ragazze, ci penserete voi”
Le gigantesse si mossero immediatamente, sparendo in men che non si dica.
“E adesso, amici di Narnia, seguitemi, una volta per tutte”
Attraversarono il cortile quasi in punta di piedi, Titania avanti a tutti. Alzando gli occhi verso il castello, notarono con sollievo che da quella parte le finestre erano tutte spente. Non c’era il rischio che qualcuno si affacciasse e li vedesse, almeno.
“Peter, che cosa facciamo con Rabadash e Lord Erton?” chiese d’un tratto Miriel.
“Ci stavo pensando anche io. Credo che dovremo lasciar perdere per il momento”
“Ma se sapessero qualcosa dei gemelli…e poi, quella Dama dalla Veste Verde…vorrei saperne di più”
“Lo so, tesoro, ma non possiamo pensare a tutto ora. Dobbiamo proseguire nella ricerca seguendo i segni di Aslan”
“Credi che tua sorella lasci perdere?”
Peter fece un’espressione cupa. “No, penso di no. Per questo dobbiamo trovarla e convincerla a venir via. Al momento siamo in svantaggio, non possiamo sperare di combattere contro nessuno. C’è un’intera città pronta ad accanirsi su di noi, non avremmo scampo”
Miriel scosse il capo. “Tu hai perfettamente ragione, ma non sarà per niente facile convincere Susan. E ringrazia che sia notte, o avresti dovuto fare i conti anche con Caspian, e lui è molto più cocciuto di tua sorella”
Peter sbuffò. “Sì, questo lo so bene. Ma avevamo deciso – lui ha deciso – di proseguire le ricerche sotto l’Antica Città dei Giganti, e così faremo. Sarebbe inutile perdere ancora del tempo. Rabadash lo incontreranno comunque: il solstizio d’inverno è tra soli venti giorni. Il resto lo scopriremo a tempo debito.”
D’un tratto, Titania li fece fermare.
“Ora attenzione: dovremo camminare a ridosso del muro. Vedete là?” indicò in alto, verso una torretta piuttosto bassa. “Ci sono delle sentinelle. Normalmente non fanno nulla di nulla, se ne stanno lì a bere e basta, ma in casi come la Festa d’Autunno sono abbastanza sobri, per cui non dobbiamo farci vedere. Vi condurrò fino alle scuderie, dove potrete prendere una cavalcatura ciascuno e andarvene via in fretta”
Detto ciò, Titania riprese a camminare velocemente, tenendosi accanto alla parete.
“Non è certo un problema per lei non farsi vedere, è grossa come una casa!” commentò Pozzanghera, sarcastico.
“Ehi, è la prima battuta che dici da quando ci conosciamo” gli fece notare Eustace.
“Non voleva essere una battuta” replicò il Paludrone. “Voleva essere un modo per farvi notare quanto è grossa la Regina e quante poche possibilità ci sono che nessuno ci scopra”
 
 
 
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Approfittando della confusione creata dai soldati, Rilian era riuscito finalmente a defilarsi, aggrappandosi alla cinta di uno dei Giganti, nascondendosi sotto la cotta di maglia.
Nessuno lo aveva visto, nessuno si era accorto di lui.
Lui e Myra erano stati molto ansiosi di vedere altri esseri umani come loro, ma se erano tutti così noiosi e brutti come Lord Erton, ne avrebbero fatto volentieri a meno. Rilian era sicurissimo che sua sorella sarebbe stata d’accordo con lui: gli animali erano decisamente più interessanti, e lui voleva assolutamente vedere le stalle, le magnifiche cavalcature delle razze più disparate: dai piccoli pony dei Nani ai massicci bestioni cornuti dei Giganti venuti dall’estremo nord.
I soldati uscirono all’aperto, per attraversare un porticato e rientrare da un’altra porta. Con molta attenzione, Rilian si staccò dal cinturone del Gigante, nascondendosi subito dietro un focolare, poi filò via svelto come non mai.
La neve aveva ricominciato a cadere, acquosa, non compatta. Rilian prese un fiocco nella mano e lo guardò sciogliersi.
C’erano tante bellissime cose nel Mondodisopra, avrebbe voluto poterci vivere al più presto insieme a Myra.
Povera Myra...certamente si stava annoiando a morte anche lei con quel principe barbuto…
Rilian aveva deciso che avrebbe fatto di tutto per farle cambiare idea sul fidanzarsi con Rabadash. Quell’individuo non gli era proprio piaciuto, fin dal primo sguardo. Lora gli diceva sempre che la prima impressione non era quella che contava, ma…
No, Myra avrebbe sicuramente cambiato idea, ne era certo. Dopotutto, il fidanzamento si poteva sempre annullare. L’ultima parola spettava a lei, checché ne dicesse la Signora dalla Veste Verde. Non erano nemmeno figli suoi, non poteva decidere per loro per tutta la vita!
Arrivato finalmente alle scuderie, il principe spinse la grande porta, richiudendola immediatamente: nessuno doveva vederlo.
Alcuni dei cavalli più vicini sbuffarono e si volsero a guardare il nuovo venuto. Il calore del loro fiato si condensava in piccole nuvolette di vapore.
Rilian intravide subito i Cavalli di Fuoco e si avvicinò loro. Gli erano apparsi tanto grandi ma in confronto a quelli che usavano i Giganti…
D’un tratto, udì come un uggiolio in mezzo agli altri suoni.
Incuriosito, Rilian si spostò verso il fondo della grande scuderia, dove, nell’ultimo box, se ne stava un cavallo nero, che somigliava in modo impressionante al suo Carbone (purtroppo, la Signora non gli aveva permesso di portarlo con sé). Rilian si avvicinò, gli fece una carezza sul muso e poi, udendo nuovamente quel suono, si alzò in punta di piedi per guardare dentro.
Con sua grande meraviglia, steso sulla paglia, vide un lupo. Ma non assomigliava affatto a quelli che vivevano nel Mondodisotto: non aveva il pelo grigio e opaco, non era pelle e ossa; era l’animale più bello che avesse mai veduto, con il manto lucido e folto, gli occhi splendenti nell’oscurità.
Il lupo lo aveva sentito avvicinarsi e aveva aperto gli occhi. Teneva il muso posato sulle zampe posteriori; sul fianco, all’altezza delle costole, una ferita ancora aperta.
Senza pensare che avrebbe potuto attaccarlo, Rilian entrò nel box.
L’animale e il bambino si fissarono.
Gli occhi dell’uno penetrarono in quelli dell’altro, e fu allora che il lupo sollevò la testa, quasi dimentico del dolore fisico.
In silenzio totale, Rilian si tolse il mantello e si avvicinò piano, inginocchiandosi lentamente, posando l’indumento sul dorso del lupo.
“Ti terrà al caldo” disse solo.
Gli occhi del lupo avevano qualcosa di….umano. Non somigliava allo sguardo di un animale quello che si era posato su di lui. Non seppe come spiegarlo, ma Rilian sentiva che era…speciale. Un animale del genere non si sarebbe mai fatto avvicinare in quel modo.
Rilian sentì il suo piccolo cuoricino sprofondare, un immenso senso di tristezza pervaderlo da capo a piedi senza capirne il motivo.
Allungò una mano e accarezzò il lupo, senza provare il minimo timore.
Quello si lasciò toccare, uggiolando piano, quasi sofferente.
“Ti fa tanto male?” chiese il principe, non del tutto certo che fosse per la ferita che l’animale apparisse tanto triste.
Che strano pensiero…
“Mi dispiace tanto”
La porta della stalla si riaprì in quel preciso istante.
Il lupo rizzò le orecchie ma non si mosse.
Rilian si voltò così rapido da farsi male al collo. Il cuore iniziò a battergli fortissimo nel petto. Se qualcuno l’avesse scoperto…
Non era preoccupato per sé stesso ma per il lupo. In qualche modo, sentiva che nessuno doveva sapere che era lì.
Pensò in fretta ma non gli venne in mente nulla.
Sentiva il rumore della paglia pestata da un paio di stivali, i passi sempre più vicini. Si allontanò svelto dal lupo, uscendo dal box, appiattendosi contro la parete e sperando che nessuno lo notasse.
Purtroppo non fu così.
Una donna entrò nel suo campo visivo, si fermò un istante in mezzo alla stalla, poi torno ad avanzare lentamente.
“C’è nessuno?” disse, prendendo un arco da dietro la schiena, caricando un colpo.
L’avrebbe ucciso se l’avesse trovato li?, pensò Rilian.
Completamente terrorizzato, si spostò di lato, piano, cercando di non fare rumore.
Ma la donna udì il suo movimento e si voltò verso di lui, la freccia puntata contro il suo volto...
 
 
 
~·~

 
 
Qualche minuto prima che Rilian incontrasse il lupo, accadde questo:
Susan e Ombroso e Caspian raggiunsero le stalle, dove la Regina fece riposare il Re dentro il box in cui era chiuso Destriero. Lì, sulla staccionata, l’abito che avrebbe dovuto indossare per la Festa d’Autunno faceva ancora bella mostra di sé. Susan lo afferrò e, a malincuore, iniziò a strappare lembi di stoffa per fasciare la ferita del lupo.
“E’ un vero peccato” commentò con un sorriso amaro “L’avevi scelto tu per me, vero?”
Il lupo la guardò con i profondi occhi d’ambra.
Susan si chinò a baciargli il capo. Poi si voltò.
“Ombroso, per favore, va a cercare gli altri e avvertili di quello che è successo”
“Subito, signora”.
Il pipistrello volò fuori dalla stalla, mentre lei continuava a fasciare il costato del lupo. Il blu del tessuto si tinse in più punti di una tonalità più scura, ma presto il sangue cessò.
“Resta fermo per un po’, io vado a prendere la pozione di Lucy. Quando dovremo affrontare Rabadash, tu dovrai essere in piena forma”
Il lupo le leccò la mano che lei aveva posata sul suo dorso.
Poco dopo, Susan si alzò e corse fuori.
Aveva mille cose per la testa: prima di tutto curare Caspian, avvertire gli altri, incontrare Rabadash e Lord Erton e costringerli a parlare, vedere i suoi figli, andarsene da Harfang.
Con passo sicuro si diresse verso il cortile d’ingresso, quando vide sbucare da un angolo una delle ancelle di Titania. Susan pensò di prendere un’altra strada ma ormai l’altra l’aveva vista e inoltre…
“Edmund?!”
“Susan, meno male che ti ho trovata subito!”
Susan osservò le espressioni tremendamente preoccupate del fratello e dell’ancella. “Che cosa sta succedendo?”
Lei non sapeva nulla di ciò che era accaduto giù nelle cucine, così, molto velocemente, Edmund la mise al corrente di tutto.
“Dobbiamo andare via. Dove sono Caspian e Ombroso?”
“Ombroso dev’essere già dentro il castello, vi sta cercando in realtà. Caspian è ferito”
“Ferito? Che cosa è successo?”
Toccò a Susan raccontare brevemente lo scontro avuto con Ravenlock.
“Mi serve il cordiale di Lucy” disse poi.
“Ci penseranno le mie amiche a recuperare gli effetti personali delle vostre Maestà” intervenne Tunia. “Quando ci riuniremo alla porta nord, allora potrete curare il Re con la pozione di vostra sorella”
“Caspian è molto grave?” chiese Edmund.
“No, non molto” rispose Susan.
“Pensi che possa farcela ad arrivare fino alla porta nord?”
“Credo di sì”
“Va bene, allora ascolta: torna da lui e aspettami, io mi procuro un carro e vengo a prendervi”
“Un carro? E come?”
“Ne prenderò in prestito uno da qualche ospite”
“Edmund, io non me ne andrò di qui finché non avrò visto Rabadash: lui sa qualcosa di miei bambini”
Il Giusto strinse le labbra. “Sapevo che l’avresti detto. Ma non puoi, Sue, non adesso. Rischiamo troppo. E poi sei ferita”
“Non è niente”. Susan lanciò un’occhiata alla macchia di sangue ormai rappreso sulla manica dell’abito.
“Susan, non andare da Rabadash, non adesso, è troppo presto” ripeté Edmund.
Lei sospirò, ansiosa. “Lo so, Ed. So che non devo affrontarlo, né io né Caspian. Non lo farò, te lo prometto, ma lui sa qualcosa: sa dove sono Rilian e Myra, e io devo riuscire a scoprirlo, lo capisci?”
Edmund non ebbe il coraggio di insistere ulteriormente. Lui non poteva veramente comprendere cosa significava per lei. Forse un giorno, quando sarebbe diventato padre...
“Faremo così” continuò la Dolce. “Tunia, tu raggiungi Titania e gli altri, e avvertili che mi hai trovata. Edmund, tu mi raggiungerai alle stalle e porterai via Caspian, ma mi lascerai fare il resto”
“No, non…”
“O questo o niente” si impuntò Susan, determinata. “Non vi seguirò comunque se prima non avrò saputo qualcosa! E non farmelo ripetere ancora!”
Ed eccola lì, la sorella autoritaria che non aveva mai avuto il coraggio di contraddire. Quando parlava in quel modo, a Edmund pareva di avere davanti sua madre e allora abbassava il capo, arrendendosi. Era sempre stato così, fin da bambini.
“Verrò con te. Potrebbe servirti una mano”
Susan gli fece una carezza gentile.
Lui alzò il capo e la vide sorridere in un modo che si era quasi scordato.
“Grazie, Edmund”
Così, Tunia ritornò in fretta sui suoi passi, mentre il Giusto e la Dolce correvano verso le scuderie, scrutando il cielo di tanto in tanto per vedere se c’era traccia di Ombroso o di Shira, i quali erano ignari dei nuovi sviluppi. Speravano non si fossero cacciati nei guai, e che fossero presto arrivati.
Una volta alle scuderie, i due fratelli presero direzioni diverse: Edmund corse nel deposito delle carrozze, mentre Susan raggiunse Caspian dove lo aveva lasciato.
Tornò in fretta dentro la stalla, puntando dritto verso il fondo, dov’era il box di Destriero. Sì bloccò un istante, quando vide che il cancelletto era aperto. Lei lo aveva chiuso quand’era uscita, lo ricordava bene.
Il cavallo se ne stava là, tranquillo, come se non fosse venuto nessuno. Eppure, lei aveva come un presentimento.
“C’è qualcuno?”
Un rumore di paglia smossa.
Susan si mosse con estrema cautela, avanzando piano, prendendo l’arco e una freccia dalla faretra. Un altro rumore, un’ombra alla sua destra si mosse lungo il muro. Si volse svelta, puntando l’arma contro una sagoma appiattita nell’oscurità.
“Non farmi del male, per favore, non stavo facendo niente” la pregò una voce infantile.
Una voce che riconobbe all’istante.
Le mani presero a tremarle. Abbassò l’arco e fece un passo avanti. La sagoma ne fece uno di lato e un fascio di luce illuminò il suo volto.
Era un bambino.
Nella semi oscurità si scambiarono uno sguardo.
Ma gli occhi di lei non riuscirono più a staccarsi da quelli di lui. Il colore azzurro era della stessa sfumatura dei suoi, identica.
Susan si sentì morire.
“Rilian…” mormorò così piano che, fu certa, il bambino non l'aveva udita.
Non poteva sbagliarsi, era lui. Era suo figlio.
Fece cadere l’arco a terra, dimentica di tutto quanto se non di lui, e del lupo che li guardava entrambi fisso.
“Stavo solo accarezzando il lupo, non volevo fargli niente” si giustificò il bambino.
“Lo so, non…” il cuore in gola, Susan quasi non riusciva a parlare.
Il lupo si alzò, zoppicando andò verso di loro.
Rilian fece scattare lo sguardo dall’uno all’alta. Cosa stavano facendo? Cosa doveva fare lui?
“Il lupo è vostro, signora?”
Signora?
Susan scosse il capo, mettendosi in ginocchio. “Amore sono io, sono la mamma, non mi riconosci? Rilian…”
“Mamma?”
“Si, tesoro, sono io!” la Dolce allargò le braccia. “Rilian, amore…”
Il bambino ebbe l’impulso di ritrarsi, quasi di fuggire.
“Voi non siete mia madre” gli uscì detto. Ma ne era veramente convinto?
Gli si spezzò il cuore quando la vide iniziare a piangere in silenzio.
“No, sono io! Tesoro, sono io!”, Susan si alzò e lo prese tra le braccia. “Amore mio, piccolo mio, Rilian!” singhiozzò stringendolo.
Il principe rimase là, senza dire una parola, completamente stordito. Poi, fece pressione con le mani sulle spalle di lei per allontanarla.
Non fu una separazione repentina, ma fu come se lui l’avesse schiaffeggiata.
“Rilian…”
“Io non so chi siete, mi dispiace. Io non…non mi chiamo Rilian” mentì, non seppe nemmeno lui perché.
“No…” Susan scosse di nuovo il capo, incredula, le braccia tese.
Il lupo si avvicinò al bambino, ma lui fece un passo indietro, saltellando verso la porta.
“Rilian, non puoi non riconoscermi. Ti prego, tesoro, non puoi avermi dimenticata! Sono io, sono tua madre! Tu…tu hai una sorella, si chiama Myra!” tentò disperatamente Susan.
Il principe trasalì. Come faceva quella donna a sapere quelle cose?
Fece di nuovo un passo indietro, lei cercò di raggiungerlo, ma il lupo la trattenne con i denti per un lembo della veste.
Susan si voltò stupita, ma dopo un attimo capì.
Qualcuno arrivava e chiamava a gran voce Rilian.
Susan riconobbe anche quella voce. Subito dopo, il lupo prese a ringhiare forte.
Un uomo in là con gli anni entrò di gran carriera nelle scuderie. Nonostante il suo spetto apparisse fragile, la sua voce era simile a un tuono.
“Ah, siete qui, principe! Ne ero certo!” Lord Erton afferrò il bambino per il colletto dell’abito. “Ora vedrete come si arrabbierà vostra…”
Erton e Susan si fissarono per lunghi istanti.
“Togliete le mani di dosso a mio figlio” sibilò lei, minacciosa.
Il Duca prese a tremare così violentemente che le sue mani non furono più in grado di trattenere Rilian.
Il bambino si divincolò senza problemi e corse fuori. Non si preoccupò affatto di Lord Erton, voleva semplicemente scappare da quella donna.
Non era sua madre. Non poteva essere sua madre.
Corse via con quel pensiero in testa, la voce di lei martellante nelle orecchie, ciò che gli avevano trasmesso gli occhi del lupo, e il suo nome pronunciato tanto disperatamente...
Intanto, Susan si era lanciata in avanti per raggiungere il figlio, ma Lord Erton ebbe la forza di fermarla, sfoderando un pugnale dal mantello.
“Eh no, Regina, non se ne parla nemmeno!”
“Provate a fermarmi!”
Non fu neanche necessario un cenno da parte di lei: il lupo balzò verso Erton, buttandolo a terra, facendogli perdere la presa sul coltello che cadde a terra con un tintinnio. La zampa posata sul collo, l’animale gli toglieva il fiato e mostrava le zanne affilate, ringhiando più forte che mai.
“Lord Ravenlock aveva ragione, sapete qualcosa sui miei figli” disse Susan, inginocchiandosi accanto al Lord, raccogliendo il suo arco. “Ora mi direte tutto, Duca, subito”
Gli occhi di lei brillavano ancora di pianto, ma tutto sembrava ora tranne che una madre disperata. La dolce voce era ferma, bassa e intimidatoria.
Erton si stupì di questa nuova Susan che ancora non aveva mai visto.
 “Non mi farete del male” balbettò incerto. “Voi non avete mai fatto male a una mosca in vita vostra”
“Le persone cambiano, non sapete quanto”
“Dite a questa bestia di lasciarmi andare!”
Bastò uno sguardo fiammeggiante di lei per fagli desiderare di non aver parlato.
“No, non credo che lo farò”
“Susan!” esclamò in quel momento la voce di Edmund.
La Dolce alzò la testa. Il fratello era sulla soglia, a cassetta di un carro trainato da due cavalli.
Il Giusto saltò giù e corse dentro la stalla. “Susan, dobbiamo andare via in fretta, sanno che siamo fuggiti! I soldati saranno qui a momenti! Prendi dei cavalli e legali al...”
Lord Erton storse il capo per osservare il Giusto, gemendo di disappunto. Lo sospettava: sapeva che, prima o dopo, anche gli altri Sovrani di Narnia sarebbero arrivati a dar man forte al Liberatore e alla Dolce.
“Il Duca?” esclamò Edmund, sbalordito.
“Lui viene con noi” disse Susan con decisione.
“Cosa? Sei diventata matta?”
Il lupo si scostò da Erton che subito si alzò, tremante. Susan e Edmund gl’impedirono la fuga, legandolo e imbavagliandolo, gettandolo sul carro senza tanti complimenti. Poi, il Giusto aprì tre box a caso e rubò tre cavalli, legandoli al fondo al veicolo. Infine vi saltò su, osservando Susan con perplessità, notando che lei non pareva avere l’intenzione di seguirlo.
“Porta via anche Caspian, io devo andare da Rilian” disse in fretta la Dolce.
Il fratello la fissò con tanto d’occhi “Che stai dicendo? Rilian?”
Susan gli rivolse uno sguardo pieno di dolore. “Era qui, l’ho visto! Loro sono qui e io devo trovarli!”
Il ragazzo imprecò. “Sue, non possiamo rientrare nel castello!”
In quel mentre, un gruppo di soldati spuntò da un angolo del cortile, le spade sguainate.
“Eccoli! Eccoli! Catturate i fuggiaschi!”
Senza aspettare, Edmund strattonò le redini, incitando i cavalli a partire.
“Muoviti, Susan!” le ordinò severo.
Lei fu costretta a obbedire. Si precipitò dentro la stalla e saltò in sella a Destriero, mentre il lupo balzava sul carro. Un attimo dopo, stavano correndo verso la porta secondaria nord, dove Titania li aspettava insieme al resto della compagnia.
Sarebbe tornata indietro più tardi, si disse Susan. Quando ci fosse stata un po’ più di calma, sarebbe tornata dai suoi bambini.
 
 
 
~·~

 
 
Myra non si stava divertendo poi molto. I discorsi di Rabadash l’avevano entusiasmata per qualche minuto, poi, il principe si era messo di nuovo a parlare di cose che lei ancora non capiva bene, e quando l’aveva invitata a ballare, aveva constatato che non era neanche un gran ballerino. La principessa aveva persino rimpianto le lezioni di danza che le dava il suo maestro al castello delle Tenebre. Ed era tutto dire, visto che si trattava della creatura più goffa che esisteva al mondo, con braccia lunghe da scimmia e piedi grossi e piatti.
“Siete un’ottima danzatrice, principessina”
“Ehm...grazie”. Myra si voltò verso la Signora dalla Veste Verde, che la osservava compiaciuta da un angolo della sala.
La seconda danza iniziò in quel momento e Jadis si mosse, andando verso il trono dov’era seduto Mastodonte.
Il Re dei Giganti scese dallo scranno, chinandosi verso di lei.
La Strega si coprì la bocca con il ventaglio. “Alla fine di questo ballo annunceremo il fidanzamento”
“Bene, madama”
“Dov’è vostra moglie?”
Mastodonte si adombrò. “Dice di avere l’emicrania. Le donne…oh, senza offesa, mia cara”
“Nessuna offesa”.
“Non vedo nemmeno il principino Rilian e la sua balia, né quell’altro Duca…come si chiama? Erton?”
“Sì…In effetti, non li vedo nemmeno io”. La Strega prese a guardarsi intorno, in cerca di Lora, Rilian ed Erton. Erano fuori da un po’ troppo tempo.
“Desiderate rimandare l’annuncio, madama?”
“No, non ci penso nemmeno!” replicò decisa Jadis.
Assolutamente! Non poteva ritardare un annuncio tanto importante solo perché quei tre perdevano tempo andando a zonzo per il castello.
Quando la musica terminò e la folla applaudì, Mastodonte tornò sulla predella accanto al trono, alzando le mani per indurre il silenzio.
“Cari ospiti, parlo anche a nome della mia consorte, la quale stasera non può essere qui con noi a causa un improvviso malore. Nulla di grave, non preoccupatevi. Comunque sia, siamo molto felici di avervi ad Harfang! Grazie a tutti!”
La folla applaudì di nuovo.
“Ma stasera abbiamo altro da festeggiare. Sto infatti per fare un annuncio importante”
Dalla sala si levò un brusio curioso ed eccitato.
“Questa sera, ho l’onore di annunciare il fidanzamento tra il principe Rabadash, signore del Mondodisopra, e la principessa Myra del Mondodisotto!”
Per la terza volta, la folla applaudì.
Myra si fissava i piedi, rossa in volto per la vergogna. Non era più tanto sicura di essere felice. Quando sentì che Rabadash la prendeva per mano, le venne una gran voglia di piangere. Cercò Rilian tra la folla ma non lo vide. Per un momento, immaginò che suo fratello arrivasse e la portasse via, in salvo da tutte quelle strane creature.
“Brindiamo, amici!” continuò Mastodonte. “Che possano avere una vita felice, e unire i due regni in un unico, prospero e pacifico impero!”
Tutti levarono i calici e intonarono lodi ai futuri sposi.
Ora, gli ospiti si avvicinavano a Myra e le facevano gli auguri, mentre altri mormoravano indignati perché era solo una bambina.
“Vi sentite bene, principessina?” le chiese Rabadash.
Lei annuì, poi una lacrima prese a scendere, e un’altra e un’altra ancora. Myra liberò la mano da quella di lui e corse via.
A metà della sua corsa, andò a sbatterle contro qualcuno. Alzò il capo, trasalendo, vedendo la faccia smunta e senza espressione del fedele servitore della Signora dalla Veste Verde.
“Mullughuterum, lasciami andare, per piacere!”
Lui non parlò, scosse il capo e la riportò verso il centro della sala.
“Myra, tesoro, che cosa succede?” le disse la Signora dalla Veste Verde, sollevandole il viso e asciugandole le lacrime con un fazzoletto di pizzo.
“Voglio andare a casa” singhiozzò la bambina.
“Ma cara, è la tua festa, non vuoi restare qui?”
“No, voglio Rilian! Voglio andare via! Per favore!”
“Oh, povera cara” fece Mastodonte. “Madama, la bimba mi sembra assai provata, forse dovreste mandarla a dormire”
Jadis soffiò infastidita. “In effetti è molto tardi…e va bene. Ma dove si è cacciata la tua balia, vorrei sapere…”
Anche Rabadash, ora, osservava in lungo e in largo per la sala, cercando la figura di Lord Erton.
D’un tratto, un trio di guardie fece il suo ingresso, scatenando non poco stupore. La musica si interruppe, mentre i tre attraversavano la sala e si inchinavano a Mastodonte.
“Sire, i prigionieri sono fuggiti”
Mastodonte capì a volo e il suo faccione divenne paonazzo.
I prigionieri erano ovviamente i narniani.
“Come è possibile?!” tuonò.
“Non lo sappiamo”
“Trovateli subito, è un ordine!”
Le guardie obbedirono, correndo via in un baleno.
Mastodonte si schiarì la voce, sfoderando un sorriso rassicurante che gli riuscì davvero male.
“Continuate a divertirvi, cari ospiti, va tutto bene, tutto bene”.
Gli occhi del Re dei Giganti saettarono verso la Signora dalla Veste Verde, la quale lo fissava con sguardo di fuoco.
“Non è come credo, vero Maestà?”
“Madama, giuro che io non so…”
Ma nessuna spiegazione sarebbe bastata alla Strega Bianca, non quando si trattava dei Sovrani di Narnia. Jadis aveva confidato che, almeno metà della compagnia, a quell’ora, fosse bella che in pentola a bollire, non certo a vagare per il castello con il rischio non calcolato del potersi imbattere nei bambini.
“Madre, cosa succede?” chiese la vocina spaventata di Myra.
Jadis si era completamente scordata di lei.
“Nulla, cara. Ora vai, torna in camera tua con questa gentile signora”
Una vecchia governante si avvicinò alla principessa, prendendola per mano.
“Principessa Myra” la fermò Rabadash. “Non mi salutate nemmeno?”
La bambina fece un inchino garbato. “E’ stato un piacere conoscervi”
“Anche per me” disse lui, baciandole la mano. “La prossima volta che ci vedremo, verrò a trovarvi nel vostro castello e vi porterò ancora dei doni. Vi erano piaciuti quelli che vi inviai tempo fa, vero?”
Myra sorrise lievemente. “Sì”
“Arrivederci, allora”
“Arrivederci”
Rabadash guardò la bambina e la governante uscire dalla sala, poi si voltò verso la Strega.
“Avevate detto che i Giganti si sarebbero sbarazzati facilmente dei narniani”
“State calmo, li riprenderanno”
“Come fate ad esserne così sicura?”
Jadis raddrizzò le spalle. “Perché Harfang sarà anche grande, e possono pure nascondersi dove vogliono, ma la città è chiusa dentro quattro mura. E’ come una fortezza, nessuno esce di qui se non sono il Re Mastodonte o la Regina Titania a volerlo”
Lo sguardo di Rabadash si fece ancor più cupo. “Lo spero per voi, Signora. Perché se Susan dovesse vedere i suoi bambini, stanotte…”
“Non succederà! Era un rischio che avevo già calcolato, ma non dobbiamo preoccuparcene. Myra sta tornando in camera, e sarà sorvegliata da due Giganti e dalla governante per tutta la notte”
“E Rilian dov’è?”
“Con Lord Erton e Lady Lora”
“Dove?”
“Non si incontreranno” insisté Jadis, stringendo il ventaglio così forte che quasi lo spezzò. “Solo Susan e la Driade Miriel potrebbero riconoscere i gemelli, tutti gli altri membri della compagnia di Narnia non li vedono da moltissimi anni, o addirittura non li hanno mai visti. Quante possibilità ci sono che proprio Susan e Miriel si imbattano in Rilian?”
Rabadash e Jadis si fissarono con ostilità.
“E se accadesse?” chiese lui.
“Ve lo ripeto, non succederà. Ora state calmo e godetevi la vostra vittoria, la prima di molte. Siete fidanzato con Myra, no? Ce l’avete fatta, la vostra stirpe è praticamente salva”
Ma le rassicurazioni della Strega non calmarono affatto Rabadash.
E per la prima volta nella sua lunghissima esistenza, anche Jadis dubitò di sé stessa e delle proprie parole.

 
 
 
 
 
Questo capitolo è stato un parto!!! xP Muovere tutti i personaggi è stato particolarmente difficile, più del solito! Voi che ne pensate, è uscito bene?
So che vi aspettavate il racconto di Shira, ma non c’è stato per problemi di spazio...Sorry, sono pessima, è che i personaggi fanno quello che vogliono loro, giuro!!! Non mi danno il tempo di progettare una cosa che subito si rivoluziona tutto... XD
Io sarò ripetitiva, ma ho sempre la paura di annoiarvi con capitoli troppo lunghi, dove so bene che i protagonisti, i vero protagonisti, ovvero Caspian e Susan, non si vedono molto. Ma è necessario, perché come sapete a me non piace scrivere solo dal loro punto di vista, ma da quello di tutti, anche dei cattivi. Quindi, ci tengo che mi diciate sinceramente ciò che pensate nelle vostre recensioni, che aspetto con ansia!!!

 
 Ringraziamenti:
Per le preferite: Annabeth Granger, Araba Shirel Stark, batte wound, BettyPretty1D007flowers, bibliophile,  Callidus Gaston, Christine Mcranney, Dark side of Wonderland, english_dancer, Francy 98, Fra_STSF, Friends Forever, G4693, Gigiii, Happy_699, HarryPotter11, HikariMoon, Jordan Jordan, littlesary92, LittleWitch, LucyPevensie03, lullabi2000, marasblood, Mia Morgenstern, Mutny_BorkenDreams, osculummortis, Queen Susan 21, Robyn98, senoritavale, Shadowfax, Starlight13, SuperStreghetta, Svea,  SweetSmile, TheWomanInRed, Undomiel, vio_everdeen, Zouzoufan7,_faLL_ _joy, _likeacannonball
 
Per le ricordate:  Annabeth Granger, anonymously Araba Shirel Stark, Callidus Gaston, Cecimolli, Gigiii, Halfblood_Slytherin, mishy, Queen_Leslie, Starlight13, Zouzoufan7
 
Per le seguite: ale146, alebho, All In My Head, Annabeth Granger, Araba Shirel Stark, BettyPretty1D007flowers, blumettina, Callidus Gaston, catherineheatcliff, cat_princesshp, Cecimolli,  ChibyRoby,  cleme_b, Dark side of Wonderland, ecate_92, fede95, FioreDiMeruna, Francesca lol, Fra_STSF, Gigiii, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, harukafun, ibelieveandyou, Irene Evans, jesuisstupide, JLullaby, Judee, katydragons, lauraymavi, Lucinda Grey, marasblood, Marie_, Mai_AiLing, mewgiugiu, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex  Bolla, osculummortis, Queen Susan 21, Queen_Leslie, Revan93, senoritavale, Sere Morgan, Shadowdax,  The Core of the Abyss, vio_everdeen, ZouZoufan7, _joy, _likeacannonball,_LoveNeverDies_ ,_Rippah_ 
 
Per le recensioni dello scorso capitolo:  LittleWitch, senoritavale, Shadowfax,_joy
 
Angolino delle anticipazioni:
Allarme rosso per Jadis: Rilian sta per ricordare qualcosa. L’incontro con Susan ha risvegliato i suoi veri ricordi. Cosa succederà?
Alla compagnia di Narnia si è unito un nuovo membro: Lord Erton! Susan e Caspian lo strapazzeranno di brutto…soprattutto lui! Caspian alla riscossa! XD
Stavolta prometto che ci sarà il racconto di Shira! Mi serve spazio e tranquillità per farla parlare, la questione è delicata.
Infine, inizierà la nuova parte del viaggio attraverso il Mondodisotto, dove i nostri eroi scopriranno e vedranno cose straordinarie…

 
Per questa volta è tutto! Vi ricordo come sempre che gli aggiornamenti di Night&Day, come quelli dell’altra mia fic Two Worlds Collide, li trovate su entrambe le mie pagine facebook Susan TheGentle Clara e Chronicles of Queen.
Grazie a tutti, vi adoro!!!!!!!!
Un bacio grande,
Susan♥
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Capitolo 30
*** Capitolo 30: La scoperta ***


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IN FONDO LA MAPPA DI NARNIA


30. La scoperta

Essere come voglio essere
Selvaggia e libera
Per la vita che c’è in me


 
 
Rilian rientrò nella sua stanza, gettandosi sul letto come in preda a uno stato febbrile.
Respirava affannosamente sia per la folle corsa che aveva appena concluso, sia per il dolore lancinante alla testa.
Gli sembrava che scoppiasse.
Fu trasportato in una scia di sogni, o forse di ricordi. Era dentro e allo stesso tempo al di fuori di sé. Vedeva cose che sapeva ma che non comprendeva. Sentiva voci che conosceva, luoghi lontani ormai dimenticati. Giocava su un prato verde come lo smeraldo, insieme a Myra e ad altre persone delle quali non riusciva a vedere il volto. Si sforzò per metterne a fuoco uno e lo riconobbe: era la donna che aveva incontrato nelle scuderie. Ella sorrideva, allargava le braccia e lui la chiamava mamma.
Mamma…
Sua madre era morta, glielo aveva detto la Signora dalla veste Verde. Lui e Myra erano stati portati via per non venire uccisi a loro volta, per far sì che la maledizione che li avrebbe trasformati in mostri potesse essere controllata.
No, non era vero.
Una parte della sua mente lo credeva, ma lo credeva soltanto. In realtà, sua madre era…
Sua madre era dolce, non fredda come ghiaccio. I suoi occhi sorridevano, non lo guardavano con ostilità ma con amore. Sua madre aveva una voce leggera, modi gentili, lunghi capelli color della terra di Narnia.
Narnia…
Cos’era Narnia?
Un nome che non conosceva…o forse sì.
Un nome che apparteneva a una vita passata, lontana, o forse più vicina di quanto credeva.
Si agitò, la fronte sudata, i capelli appiccati ad essa. Poi, sentì una mano tiepida posarsi sulla sua, stringerla. Una voce cara ma colma di spavento lo chiamava...
“Rilian, svegliati! Svegliati, che cos’hai?”
Il principe aprì di scatto gli occhi, il respiro pericolosamente accelerato. Avrebbe voluto parlare ma non ci riusciva.
“My…Myra…”
La sorellina era seduta sul suo letto. Rilian tentò di alzarsi, ma d’improvviso era diventato debolissimo.
Altre voci si accavallarono a quella di Myra: un’altra anch’essa piacevole e amica, mentre l’altra…
Una mano adulta cercò di farlo stendere di nuovo. Rilian spostò lo sguardo dal viso della sorella, incontrando quello della Signora dalla Veste Verde.
Come se si fosse bruciato con il fuoco, il principe cacciò un grido, agitandosi, scansando la mano della donna.
“Non avvicinarti, va via! Myra, scappa, vattene di qui, torna a casa!”
La principessa sgranò gli occhi, completamente terrorizzata: suo fratello sembrava preda della pazzia.
“Lora, allontana la bambina” ordinò Jadis.
“No!” gridò Rilian, riuscendo a sedersi e ad afferrare la mano della sorellina. “Myra! Non credere a una parola di quello che ti sta dicendo! Lei non è nostra madre, è una bugiarda! Myra…”
La bambina tenne più stretta la mano del fratello, ma fu costretta a lasciarla quando Lady Lora la trascinò indietro.
“Che cos’ha Rilian?” chiese con una vocina tremula.
Con una mano, la Signora dalla Veste Verde fece pressione sulla spalla del principe, costringendolo di nuovo a stendersi. Lui tentò di scostarsi ma lei era troppo forte.
E quando la Strega posò l’altra mano sulla fronte del bambino, le loro menti entrarono in contatto.
Jadis vide il volto di Susan Pevensie chiaro come nella luce del giorno.
Gli occhi della Strega Bianca mandarono scintille e, da azzurro ghiaccio, divennero neri come pece. Fissò il principe di Narnia ed egli, come ipnotizzato da quello sguardo, si calmò.
“Lora, va a preparare i bagagli dei bambini: ripartiamo immediatamente”
“Sì, Signora”
“Porta via Myra”
“Voglio stare con Rilian!” protestò vivamente la bambina.
“No, cara, non ora” le disse gentilmente la balia.
“Aspetta” aggiunse la Signora. “Ritorna quando hai fatto e riconduci qui anche la principessa, e va a dire a Mullughuterum di portare la Sedia d’Argento”
Lora s’inchinò, conducendo con sé una riluttante e spaventatissima Myra.
Jadis tornò a concertarsi su Rilian, la mano sempre premuta sulla sua fronte. Il bambino aveva richiuso gli occhi, il respiro ancora troppo forte. Sondò di nuovo la sua mente e vide ancora Susan, il lupo, la stalla…quando incontrò un’opposizione.
Jadis provò ancora, ma niente: i ricordi di Rilian continuavano ma lei non riusciva a vederli.
Un’idea alquanto improbabile attraversò i pensieri della Strega Bianca: potevano, i gemelli, avere un potere latente? No, impossibile se ne sarebbe accorta. Eppure, Rilian riusciva a chiudere le immagini altrove, dove lei non poteva raggiungerle…o, forse, era qualcun altro a farlo per lui, qualcuno di molto più potente.
Aslan!
La porta della stanza si aprì ed entrrò Mullughuterum, seguito da quattro creature che reggevano in spalla la Sedia d’Argento.
Era un oggetto lavorato in argento massiccio, inciso da arcani simboli, imbottita di un cuscino di velluto rosso come i braccioli e lo schienale. Somigliava più a uno scranno che a una sedia, i piedi a forma di teste di drago con le fauci spalancate. Era abbastanza grande perché due bambini potessero sedervisi insieme.
Jadis attese che Lora tornasse insieme a Myra. Quando arrivarono, la bambina provò un brivido alla vista della Sedia.
Di solito, Myra non fiatava mai davanti a un ordine della sua madre adottiva, ma quella sera sentì che avrebbe dovuto rifiutare quando la Signora le disse di sedersi.
La Sedia era stata posta al centro della stanza. Myra avanzò fino a quel punto e, come sempre, non appena la sfiorò entrò come in uno stato di trance. Non ebbe più la forza di dire o fare nulla che non fosse ciò che la Signora le ordinava. Sedette, immobile, gli occhi vacui a fissare il nulla.
Jadis sollevò Rilian e lo sistemò accanto alla sorella.
Il principe non si svegliò mai.
“Non dovevamo portarli fuori dal Regno delle Tenebre” disse la Strega Bianca, più a sé stessa che ai servitori. “Ho fatto bene a portare la Sedia d’Argento con me, sapevo che sarebbe potuto succedere…”
“Che cosa, Signora?” chiese Lora, angosciata.
Che avrebbero potuto incontrare i loro genitori, pensò la Strega, e che questo avrebbe annullato gli effetti della Sedia d’Argento.
“I bambini risentono dell’aria del Mondodisopra” rispose poi, cercando di mantenere la calma. “Quassù sono più esposti alla maledizione che li ha colpiti. Non hai visto cos’ha fatto il principe? Rilian ha rischiato di trasformarsi nell’orrenda creatura che dorme dentro di lui”
I suoi ricordi si sono risvegliati e Aslan lo aiuta a proteggerli, a custodirli nella sua mente e nel suo cuore.
Era stato l’amore per sua madre, l’amore di sua madre a ridestare in Rilian memorie sopite. Solo quello, solo vederla per pochi minuti era bastato a far cadere il sortilegio della Sedia d’Argento.
L’animo della Strega Bianca si turbò.
Iniziò ad intonare la solita nenia, la filastrocca che serviva per far addormentare i gemelli, per sopire il loro vero io, immettendo nelle loro giovani e ancora troppo fragili menti, ricordi fasulli.
Jadis osservò Myra chiudere gli occhi e reclinare il capo di lato, posandolo sulla spalla del fratello.
Non avrebbe dovuto portare i gemelli ad Harfang, avrebbe dovuto chiedere a Rabadash di scendere nel Regno delle Tenebre per il fidanzamento. Ma come poteva immaginare che la compagnia di Narnia sarebbe riuscita a sfuggire alle grinfie dei Giganti? Le era sembrata un’idea più che ottima spedirli ad Harfang: un modo più facile per liberarsi di loro non esisteva.
E invece no. Ancora una volta, avevano trovato il modo di cavarsela.
Chi poteva essere stato ad aiutarli nella fuga? Aslan? Qualcun altro?
Dal momento in cui Rabadash le aveva parlato del ritorno di Caspian e Susan, e della comparsa di una ragazza sconosciuta, Jadis aveva capito che i Sette Amici di Narnia si sarebbero riuniti per volere del Leone. Quello che ancora non aveva compreso era dove stessero andando e perché.
Cosa li aveva spinti fin sulle Montagne del Nord? Qual era la loro destinazione finale? Aslan aveva forse rivelato un modo per salvare i gemelli ed annullare la maledizione lanciata sul Liberatore e la Dolce?
“Mullughuterum!” chiamò infine, quando il silenzio fu calato sulla stanza, il respiro dei principi lieve e regolare .
La creatura si avvicinò.
“Preparate la carrozza”
Mullughuterum si inchinò, facendo un cenno agli altri servi di seguirlo. La Signora dalla Veste Verde lo seguì. Dietro di lei vennero i quattro esseri che avevano portato la Sedia d’Argento: la sollevarono, con essa i bambini sempre addormentati. Lady Lora  fu l’ultima a uscire dalla stanza.
 
 
 
~·~

 
 
Fuggirono senza voltarsi indietro. Edmund strattonava forte le redini, incitando i cavalli, Susan lo seguiva su Destriero.
Dopo una folle corsa attraverso i cortili del castello, si arrestarono un istante, notando con sollievo e soddisfazione di essere riusciti a seminare i Giganti. Ma quell’attimo di tregua non sarebbe durato a lungo: presto li avrebbero raggiunti con le loro tremende falcate, già potevano sentire la terra rimbombare sotto i loro enormi piedoni.
Senza dire nulla, i due fratelli, continuarono per la loro strada. Susan seguiva Edmund, fidandosi di lui, delle strade e stradine che attraversavano, dei portici che oltrepassavano. Il borgo di Harfang era deserto, le luci delle case spente, i negozi chiusi: tutti erano dentro il palazzo a godersi la Festa d’Autunno.
Infine, giunsero in prossimità dell’uscita secondaria nord. Lì, sotto un ponticello, scorreva un basso fiumiciattolo che si univa poi al fossato del castello.
“Di qua, di qua!” udirono una voce chiamare da quella direzione.  “Qui sotto, svelti!”
Videro Titania spuntare da sotto il ponte, agitare la manona. Lei e il resto della compagnia di Narnia erano nascosti sotto il ponte.
“Dovremo restare qui finché non saremo certi di avere via libera” mormorò la gigantessa.
Susan fermò Destriero, incerta se avvicinarsi o meno. “Come posso fidarmi di voi dopo quello che stavate per fare ai miei amici?”
Titania fece un’espressione desolata. “Maestà, vi giuro solennemente che non è mai stata mia intenzione mangiarvi! Sì forse all’inizio volevo ma, man mano che i giorni passavano, riflettevo sempre più sulla missione che vi è stata affidata, capendo che era mio sommo dovere aiutarvi a continuare il vostro viaggio per portarla a termine. Non posso permettere che, per colpa della poca fede di Mastodonte e per qualche sciocca tradizione, ne vada di mezzo la salvezza del mondo”
“Allora è per questo che avete deciso di non infilarci in pentola!” disse Emeth, stupito e finalmente libero da ogni dubbio.
“Sì, e anche perché mi sono molto affezionata a voi tutti”. Titania trasse a sé Eustace, schioccandogli un sonoro bacio sulla guancia.
Il ragazzo emise un verso di disgusto, asciugandosi il viso con la manica. “Questa ve la potevate risparmiare..”
“Dai, Sue, vieni, presto!” la incitò Lucy. “Ha anche giurato sui suoi antenati, puoi crederle!”
Susan condusse Destriero giù per una breve discesa rocciosa. Se sua sorella si fidava, allora poteva stare tranquilla: Lucy aveva sempre saputo distinguere il bene dal male meglio di chiunque altro. La sua capacità di giudizio, soprattutto in merito a ciò che riguardava Narnia, si rivelava sempre giusta.
“Dove sono Shira e Ombroso?” chiese Shanna avvicinandosi.
La Dolce scese dalla sella e guardò il cielo, scuotendo il capo. “Arriveranno presto, vedrai”. Poi, si volse di nuovo verso la sorella.  “Lu, Caspian è ferito. So che la tua pozione non funziona su di noi, però potresti fargliene ugualmente bere un poco?”
“Certo”. La Valorosa scostò il mantello prendendo l’ampolla di diamante dalla sacca legata alla cintura. “Le ancelle di Titania hanno recuperato tutte le nostre cose, ci sono anche delle provviste. Però, Susan, se non è urgente, forse è meglio dargliela domattina quando sarà umano, avrà più effetto. Con l’indigestione funzionò, ricordi?”
Susan sorrise appena. “Sì, me lo ricordo. Va bene, allora faremo così”
Nel frattempo Edmund, aiutato da Pozzanghera e Peter, stava ancora tentando di sistemare il carro sotto il ponte come meglio poteva. Purtroppo, le ruote posteriori finirono dentro l’acqua bassa ma più di così non potevano fare.
“Perché diamine avete preso un carro, Ed?” chiese il Re Supremo, ansimando per la fatica..
Il Giusto fece una smorfia, saltando a terra. “Guarda tu stesso”
Il Magnifico scostò il panno che celava l’interno della vettura. “Che diavolo…?”
“Che brutto, chi è?” gli fece eco Pozzanghera.
L’esclamazione fece accorrere anche gli altri.
Alla comparsa di tutti quei volti noti o meno, ma tanto odiati, Lord Erton, legato e imbavagliato, bofonchiò un lamento scoccando occhiate torve intorno. Accanto a lui, il lupo aspettava solo un movimento per saltargli al collo.
“Perché è qui?” fece Emeth in tono di disgusto. “Che vi è saltato in mente?”
Susan si issò sul carro, calmando l’indole aggressiva del lupo. “Erton sa dove sono i miei bambini, perciò lo terremo prigioniero finché non ci dirà dove li tiene nascosti, e io non me andrò da Harfang finché non avrò trovato Rilian e Myra”
Jill avanzò lentamente di un passo. “Ma Susan, i tuoi i figli non sono qui”
“Sì, invece”
A quell’affermazione seguì un profondo silenzio.
“Sono qui, Jill, stanotte.” La voce della Regina di Narnia tremò leggermente. “Ho visto il mio Rilian”
“Rilian?!” chiesero gli altri in coro, accavallandosi. “Davvero? Dove? Come stava? E Myra?”
“Non so dove sia Myra, ma Rilian sta bene. E’ vivo e sta bene”.
Susan rivolse un gran sorriso a Jill, la quale era la più emozionata di tutti.
Finalmente un segno dei principi! Un segno che Aslan non li aveva abbandonati nonostante lei fosse venuta meno al suo dovere. Forse era stato il Leone a far incontrare la Regina e suo figlio.
“E Lord Erton sapeva tutto del rapimento del gemelli?” chiese Emeth, incredulo.
“Sei sicura che non sia una trappola?” chiese Miriel. “Conosci quest’uomo: mentire è ciò che gli riesce meglio”
Susan scosse il capo. “Non è un trucco, Miriel, perché è stato qualcun altro a confermarmi che Lord Erton sa ogni cosa. Ho incontrato Lord Ravenlock questa sera: come avevamo pensato, lui e i suoi uomini ci hanno seguiti dalla Brughiera, insieme a loro c’era un cacciatore che ha piazzando le trappole per catturare Caspian. Ordini di Rabadash suppongo, non è così, Vostra Grazia?”
Erton sbuffò dal naso.
“Dov’è Ravenlock adesso?” chiese Peter.
“L’ho ucciso” rispose Susan con estrema calma.
“Sue…” fece Lucy.
“Era quello che si meritava” disse Edmund, venendo in aiuto della sorella maggiore. “Uccidere è sbagliato, ma questa è una guerra, Lucy, purtroppo non possiamo evitare che certe cose accadano”
Sul carro, Lord Erton si agitò alla notizia della morte del suo subalterno.
“Non fate quella faccia, milord” proseguì la Dolce. “Non vi dispiace affatto per lui, state solo pensando che ora avete un tirapiedi di meno, un tirapiedi che può avervi servito bene ma che alla fine vi ha tradito: è stato lui ad affermare che avete sempre saputo tutto: dove sono i miei bambini, chi li ha rapiti e come. E me lo direte, o vi costringerò in modi che nemmeno immaginate!”
Erton si ritrasse appena davanti alla furia della Regina di Narnia. Se non che fosse già morto, avrebbe voluto avere Ravenlock tra le mani per punirlo come meritava, quel traditore!
Poco dopo, Titania piegò le ginocchia e si mise a fissare insistentemente il Duca.
“Che cosa fate?” chiese Peter.
“Mi accerto di non aver mi visto quest’uomo. Prima, giù in cucina, vostra sorella minore mi ha chiesto se per caso conoscessi un certo Rabadash e un certo Lord Erron...”
“He…ton” bofonchiò il Duca sotto il bavaglio.
“Uhm…sì, quello che è. Comunque, lo confermo: quest’orrendo individuo non rientra nelle mie conoscenze”
“Il vostro è uno stato di grazia” commentò Susan, poi si rivolse a Peter. “Cosa volevate sapere da Titania?”
“Credevamo che i Giganti fossero in combutta con Rabadash. Sai, tutta questa storia di mangiarci…poteva essere un modo per sbarazzarsi di noi”
“E invece no” intervenne Eustace. “A quanto pare, è tutta opera della Signora dalla Veste Verde”
Susan scattò sull’attenti. “Non è il nome della donna che incontrammo sui monti settimane fa?”
“Proprio lei”
“E che cos’ha a che fare con tutta questa storia?”
Titania fece un’espressione colpevole. “E’ una conoscente di mio marito – a me non è granché simpatica – ed è lei che ogni anno ci invia la carne…ehm…più prelibata per il banchetto”
Shanna emise un verso di disgusto. “Questo lo sappiamo già…”
D’un tratto, Pozzanghera fece cenno a tutti di tacere. “Arriva qualcuno”
Rannicchiati contro la parete rocciosa, tenendo buoni i cavalli perché non nitrissero, ascoltarono il rumore di piedi in corsa. Poco dopo, un drappello di soldati passò sopra le loro teste, attraversando il ponte. Lord Erton cercò di farsi sentire ma bastò che il lupo aprisse le fauci e mostrasse i denti per tenerlo buono. Nessuno si mosse finché non li sentirono allontanarsi.
“Torneranno indietro” disse Titania a bassa voce . “Non è ancora il momento per le Vostre Maestà di fuggire”. Poi, mise una manona sulla spalla di Susan. “Ora ditemi, cara: cos’è tutta questa storia? I principi di Narnia rapiti?”
La Dolce tirò un respiro. “Perdonatemi se non vi abbiamo messi al corrente della faccenda, ma non sapevamo fino a che punto fidarci di voi Giganti: i nostri regni hanno avuto molti contrasti in passato”
“Potete spiegarmi adesso. Odio non essere messa la corrente di qualcosa”
I ragazzi si scambiarono sguardi incerti.
“Io credo che potremmo rischiare” disse Edmund. “Dopotutto, se non fosse per la regina Titania, a quest’ora saremmo nello stomaco dei Giganti e dei loro ospiti”
Susan fece un cenno col capo. “Sì, è vero. Va bene, vi diremo ogni cosa”
Rimasero nascosti sotto il ponte ancora per lunghi muniti, spesi per narrare a Titania tutta la verità: del rapimento dei principi, della missione affidata a Jill, della maledizione che aveva colpito Caspian e Susan.
“Voi non vi siete mai accorta dell’assenza di mio marito, vero?” chiese la Dolce alla gigantessa.
Quest’ultima fece un’espressione stranita, guardandosi attorno. “No, io…Cielo, solo ora mi accorgo che il Re non si trova qui. Incredibile…Solo in questi momenti mi rendo conto di quanto Harfang sia lontana da Narnia, se nemmeno queste notizie giungono quassù. Ma ditemi: il vostro figlioletto, Rilian, non vi ha riconosciuta quando vi ha vista?”
Susan scosse mestamente il capo. “Ha detto di non sapere chi io fossi, ma non è così. So che non è così”. La Dolce si sforzò per tenere ferma la voce.
Titania le picchiettò su una mano. “Di sicuro c’è una spiegazione”
Poco dopo, ecco di nuovo un rumore di passi in corsa: erano i soldati che tornavano indietro.
La compagnia di Narnia rimase immobile e silenziosa.
Pozzanghera si arrampicò a pancia sotto su per il pendio, sbirciando intorno. “Forse ora possiamo muoverci”
“Non ancora” intervenne Miriel, scambiandosi occhiate preoccupate con Peter. “Dobbiamo dirti una cosa importante, Susan, forse la più importante di tutte”
“Oh, sì” ricordò Titania. “Devo dirle anche del fidanzamento, vero?”
“Quale fidanzamento?” fece Susan.
Jill, che si era trattenuta fin troppo, saltò su e disse quasi senza prendere fiato: “Rabadash e Lord Erton sono ospiti alla Festa d'Autunno su invito della Signora dalla Veste Verde. La Signora ha una figlia, la principessa del Mondodisotto, e questa principessa e Rabadash si sono fidanzati stasera!”
Susan le mise le mani sulle spalle. “Aspetta, aspetta…ripeti?”
“Titania ci ha parlato a proposito di un fidanzamento avvenuto stasera al banchetto” intervenne Peter con più calma. “A quanto pare, Rabadash si sposerà presto con la figlia della Signora dalla Veste Verde”
“E io cos’ho detto!” protestò Jill.
Il Magnifico e la Dolce si fissarono per lunghi istanti.
“Sue, non hai capito?”
Susan scosse il capo, confusa. “Capito…cosa? Peter, che stai cercando di dirmi?”
“Io e Miriel abbiamo il forte sospetto che la principessa in questione sia in realtà la tua Myra”
Nessuno aveva osato dirlo ma tutti lo avevano pensato.
Susan aprì e richiuse la bocca, scuotendo ancora la testa, lo sguardo che vagava da uno all’altro dei suoi amici.
“No, è assurdo!” esclamò alla fine. “Rabadash avrà semplicemente trovato moglie per salvare la sua stirpe, come ha sempre voluto, ma non…”
“L’ho detto anch’io” la interruppe Edmund, “però pensaci: è un caso che questa Signora conosca Rabadash e gli dia in sposa sua figlia? E’ un caso che Rilian si trovi qui e che tu lo abbi visto? Rabadash è ossessionato da te, Susan, lo sai. Farebbe di tutto, di tutto, per far soffrire sia te che Caspian: rapire i vostri figli, maledire voi due, e adesso prendersi Myra al posto tuo”
Susan si portò una mano sul petto. “Credevo fosse giunto al limite quando ci ha maledetti” mormorò a bassa voce.
Avrebbe voluto negare che il fratello avesse ragione, ma non poté.
“Quindi, pensate che la Signora dalla Veste Verde sia colei che li ha portati via?”
“E’ probabile, Maestà” disse Pozzanghera. “Una serva di Rabadash, forse”
“E la principessa potrebbe essere davvero Myra” rincarò Miriel.
Titania si intromise garbatemene nella conversazione, dicendo: “Io so che la Dama Verde ha due figli, in effetti – non penso siano davvero suoi – ma nessuno li ha mai visti”
Susan afferrò il bordo del carro, facendosi imbiancare le nocche. “Quanti anni potrebbero avere?”
“Non lo so, ma lei ha sempre chiamati bambini, quindi presumo siano abbastanza piccoli”
“Dove li tiene nascosti?”
“Giù nel suo regno, nel Mondodisotto. Si dice li tenga chiusi nel suo castello, al buio, la principessa e suo fratello”
“Perché al buio?”
“Se venissero esposti alla luce del sole si tramuterebbero in due sanguinarie creature che potrebbero distruggere il mondo”
Susan lasciò andare il brodo del carro, tirando un profondo respiro. “Vi ringrazio per le informazioni, Titania. Ragazzi, Myra e Rilian sono ancora ad Harfang, e io intendo portarli via di qui prima che lo faccia la Dama Verde, o comunque si chiami. Chi viene con me?”
“Io!” si fecero avanti Peter, Edmund e Lucy contemporaneamente.
La Dolce sorrise loro.
“Vengo anch’io” disse Miriel.
“Ho idea che dovremo dividerci un’altra volta, signori” aggiunse Pozzanghera. “Dunque, potremmo…”
D’un tratto, Lord Erton iniziò a ridacchiare in maniera incontrollata. La sua risata era fastidiosa anche soffocata dal bavaglio, acuta come quella di una iena.
Susan balzò sul carro e gli strappò il fazzoletto dalla bocca. “Che diavolo avete da ridere?”
“Tutto questo è così divertente! Oh, se sapeste! Vi consiglio di non farvi troppe illusioni, Maestà”
In quel momento, un nuovo rumore sopraggiunse alle loro orecchie.
Tutti si nascosero di nuovo contro la parete muschiosa, sentendola tremare.
“Ancora soldati?” fece Jill.
“Sembra più…una carrozza” mormorò Eustace.
E infatti, poco dopo, un’enorme carrozza bianca trainata da quattro destrieri neri con criniere rosse fuoco, attraversò il ponte a tutta velocità.
“Chi ha così tanta fretta di andarsene?” domandò Edmund, spiando la sagoma candida ormai lontana.
Erton ricominciò a ridere.
Susan lo prese per una spalla, strattonandolo. “Smettetela e parlate, una volta per tutte!”
“Se proprio volete saperlo” rispose il Duca tra i singulti, “i vostri dolci marmocchi se ne sono andati in questo momento”
Un lampo di angoscia e terrore passò negli occhi di Susan.
La carrozza!
“Per gli antenati!” esclamò Titania. “Quella era la carrozza della Signora dalla Veste Verde!”
“Coraggio, seguiamola!” disse Peter, risalendo per primo il pendio del fiumiciattolo.
Titania, vedendo la difficoltà dei narniani di spingere il carro su per la breve salita, si rimboccò le maniche e prese in mano la vettura come fosse un giocattolo, riportandolo nel cortile. Il lupo restò in equilibrio, mentre Erton venne sballottato qua e là senza che nessuno se ne preoccupasse.
Edmund salì davanti insieme a Pozzanghera. Tutti gli altri tranne Susan, la quale tornò in groppa a Destriero, sedettero dietro caricando i bagagli, le armi e le provviste.
“Stiamo troppo stretti, non possiamo viaggiare così” si lamentò Eustace.
“Avrei voluto prendere un paio di cavalli in più, infatti” spiegò Edmund, “ma non ne ho avuto il tempo. Regina Titania, potreste procurarceli, per favore?”
“Farò del mio meglio, Maestà Giusta. Comunque, sarà molto difficile raggiungere quella carrozza: è trainata dai Cavalli di Fuoco, i più veloci del mondo”
“In qualche modo ci riusciremo” la tranquillizzò Susan, calma da far paura. “Abbiamo una valente guida, qui”
Lord Erton fisso la Regina di Narnia con occhietti malefici.
“Fatevi entrare in testa, milord, che non vi lascerò andare finché non avrò trovato i miei figli”
“Se Rabadash non mi vedrà ricomparire, capirà che mi è successo qualcosa”
“A questo ho già pensato” ribatté la Dolce. “Regina Titania, potete procurarmi cara e penna?”
“E’ una richiesta assai semplice, non ci sono problemi. Ma a cosa vi servono?”
“Lord Erton deve scrivere una lettera”
Il Duca la fissò senza capire.
“Scriverete a Rabadash” riprese Susan. “Gli direte che siete ripartito immediatamente per Cair Paravel poiché, a vostra volta, avete ricevuto una lettera con la quale siete stato avvertito che io e Caspian siamo tornati laggiù”
“Il principe non ci cascherà” sbottò il Duca.
“Io credo di sì. Se conosco bene Rabadash, della nostra compagnia, della missione e del resto non gliene importa nulla. Lui vuole solo me e Caspian. Se crederà che siamo a Cair Paravel, tornerà a Cair Paravel”
“Non volevate incontrarlo, mia signora? Perché ora volete che ritorni nel regno?”
“Perché è ciò che vuole Aslan” rispose semplicemente Susan.
Ed era così. Per quanto avesse voluto fargliela pagare, sia lei che Caspian non potevano affrontarlo fino al solstizio d’inverno.
“Non scriverò affatto questa lettera!” protestò Erton.
“Lo farete, invece” disse Edmund, puntandogli contro la Spada di Bern.
Lo stesso fecero Peter, Emeth e Eustace con le loro.
Con quattro lame alla gola, Lord Erton si rannicchiò in un cantuccio del carro, tremando di rabbia.
Finalmente, eccoli davanti all’uscita. Titania alzò il chiavistello e aprì il portone che dava sulla foresta innevata, sferzata dal vento.
“Nascondetevi nella pineta qui fuori, ma non addentratevi troppo, c’è uno strapiombo più in là. Manderò le mie ancelle con i cavalli il prima possibile”
“Aspettateci! Aspettateci!” gridarono in quel momento due voci amiche.
“Ombroso!” esclamò Susan.
“Shira!” le fece eco Shanna, allungando le braccia verso il cielo per prendere il falchetto tra di esse.
“Mia adorabile signora, come state?” chiese Ombroso, arrossendo fino alle orecchie quando Susan lo strinse forte a sé.
“Sto bene, ma la tua ala…Lucy, potresti…”
“Arrivo”. La Valorosa si occupò della ferita del pipistrello, facendogli bere un paio di gocce del cordiale.
“Perfetto!” esclamò Emeth. “Ora ci siamo proprio tutti”
Susan si voltò un ultima volta verso la regina dei Giganti.
“Vi ringrazio, Maestà. Anche a nome di mio marito, vi ringrazio immensamente per quel che avete fatto. Vi siamo obbligati”
“Nessun obbligo, mia cara” Titania prese le mani di Susan, stringendole nelle sue. “Perdonatemi se ho chiamato ‘bestiaccia’ il Re”
“Perdonate me se non sono stata troppo amichevole con voi”
“Vorrà dire che avremo modo di rifarci”
“Sarete la benvenuta a Cair Paravel se mai tornerò ad essere la Regina di Narnia”
“Mia signora, voi siete la Regina di Narnia, e sempre lo sarete”
Susan le sorrise. “Ancora grazie infinite”
Così dicendo, la compagnia si lasciò alle spalle il castello di Harfang.
Titania richiuse in fretta il portone e sollevò le sottane, correndo dentro il castello attraversando porte secondarie e passaggi segreti.
In ultimo, scostò il pannello della parete della sua stanza. Le ancelle erano là che l’aspettavano.
“E’ andato tutto bene” annunciò la sovrana alle preoccupatissime, giovani dame.
Queste esultarono. “Ora cosa faremo?”
“Prima di tutto, dobbiamo procurare un paio di cavalli di misura umana per i nostri amici di Narnia, e anche un po’ di carta, inchiostro e una penna”
L’ancella Tunia si avvicinò allo scrittoio, riunendo quanto richiesto.
Titania annuì compiaciuta. “E una è fatta. Adesso, una di voi scenderà con Tunia alle stalle e porterà i cavalli nella pineta dove sono nascosti i narniani, rinnovando alla Regina Susan e ai suoi compagni ogni bene da parte mia. Le altre, invece, mi vestiranno per la festa” Titania si lasciò cadere sul pouf davanti alla specchiera. “Devo palesare la mia presenza al banchetto, o Mastodonte inizierà a insospettirsi”
 
 
 
~·~

 
 
Nascosti nel folto della pineta, di nuovo uniti, i membri della compagnia di Narnia attesero pazientemente l’arrivo delle dame di Titania.
Non passò molto che Tunia e le altre sopraggiunsero con quanto richiesto: con due robusti cavalli bai e una cassettina di legno che consegnarono a Susan.
Rinnovati gli auguri di Titania, se ne andarono.
“Addio amici di Narnia, che la sorte vi accompagni”
“Speriamo non si caccino nei guai” commentò Lucy un momento prima di risaltare sul carro insieme a Shanna e Miriel (Peter aveva insistito perché la Driade viaggiasse il più comoda possibile).
“Anche se Mastodonte dovesse scoprire tutto l’arcano, non credo che Titania si farà mettere i piedi in testa” disse Shanna.
La Valorosa sorrise. “Oh, no di certo”
“Tutti pronti?” chiese Edmund, sistemandosi alla guida del carro vicino a Pozzanghera.
“Pronti” confermò Eustace, salendo in groppa al primo dei cavalli di Titania.
Il ragazzo aveva imparato a cavalcare nel periodo in cui aveva fatto visita a Cair Paravel dopo la nascita dei gemelli. Jill, che di cavalcare non era capace affatto, si issò dietro di lui. Peter e Emeth si sarebbero dati il cambio sul secondo cavallo: quando era il Re Supremo a montare in sella, il soldato avrebbe viaggiato sul carro con le altre ragazze e viceversa. Susan cavalcava su Destriero (Caspian avrebbe fatto a turno con lei durante il giorno), mentre Ombroso e Shira potevano decidere di volare o di sistemarsi come meglio credevano.
Fu davvero molto strano rimettersi in viaggio. La permanenza ad Harfang era durata solo pochi giorni ma, con tutto quel che era accaduto in una sola notte, parevano essere trascorsi mesi.
Al momento, tutto ciò che volevano era discendere il pendio e arrivare a valle, là dove sorgevano le strane collinette che si erano rivelate essere le rovine dell’Antica Città dei Giganti: laggiù da qualche parte, avrebbero trovato i gemelli.
In silenzio, ognuno coi suoi pensieri, attraversarono il sentiero principale, del tutto esposto: non c’erano alberi dietro cui nascondersi. Fu allora che incitarono i cavalli al galoppo, per mettere più distanza possibile tra loro e l’imponente montagna sulla quale il castello di Harfang svettava come un vero Gigante, imponente e terrificante. Quand’erano arrivati era sembrato loro il luogo più accogliente del mondo, e lo sarebbe stato davvero se non fosse che gli abitanti facevano un sol boccone di qualunque umano capitasse loro a tiro.
Ora, i ragazzi si trovavano più o meno nel punto in cui Jill e Lucy erano scivolate dentro la buca dove avevano trovato la tagliola.
“Era qui da qualche parte” disse la settima Amica di Narnia.
Lei e Eustace aprivano la strada al gruppo. Lui fermò il cavallo e la ragazza saltò a terra, correndo in direzione di una delle strane colline.
“Sei sicura che fosse proprio qui?”
“Si, Scrubb, sono sicura…ops!”
“Jill!” gridarono tutti in coro quando l’amica sparì nel nulla.
“Tranquilli, sto bene, sono scivolata di nuovo”. Jill ricomparve con i capelli e gli abiti imbiancati dalla neve.
“Che impiastro sei, Pole…L’hai trovata?”
“No. Credo sia un pò più in là. Scusate, mi sono sbagliata, ma di notte è più difficile orientarsi”
All’improvviso, un suono cupo risuonò in lontananza.
“Che cos’è?” chiese Miriel.
“Un allarme, sembra” le rispose Edmund, voltandosi indietro.
Lucy scostò il tendaggio e guardò fuori dal carro. Sul sentiero veniva qualcuno.
“Ci hanno visti!”
Destriero nitrì, così gli altri cavalli, impennandosi quando i dardi degli arcieri iniziarono a piovere su di loro.
Shanna si alzò in piedi sul carro e, insieme a Miriel, allungò le mani avanti: luce e fuoco si unirono, creando una barriera azzurra e rossa attorno alla compagnia.
“Magia! Magia!” sentirono urlare i Giganti.
“Dobbiamo trovare l'entrata!” disse Peter. “Jill!”
La settima Amica di Narnia si guardò attorno frettolosamente.
“Jill!” la chiamò Shanna. “La Spada di Rhoop, usala!”
La ragazza non se lo fece ripetere. Non appena la sfoderò, la lama iniziò a brillare. La Spada sembrò in attesa di liberare il suo potere, ma Jill non sapeva come fare.
“Aiutami” si ritrovò a pensare.
E come se il talismano l’avesse udita, scaturì un potente raggio simile a un fuoco d’artificio. Salì in aria, formò un arco nel cielo e ricadde al suolo parecchi metri più in là, continuando a brillare.
“Laggiù, andiamo!” gridò Peter partendo al galoppo, seguito dagli altri.
Improvvisamente, la barriera magica si dissolse. Le frecce dei nemici ripresero a volare sopra le teste di narniani. Emeth scansò Lucy appena in tempo, mentre un dardo si piantava nel retro del carro.
“Perché avete ritirato la barriera?” chiese la Valorosa alle due guide.
“Non l’abbiamo fatto” rispose Shanna, scambiandosi uno sguardo perplesso con Miriel.
La Driade si fissò le mani. “La magia si è indebolita. Perché?”
“E’ colpa di quello che sta accadendo a Narnia!” disse Shira, infilandosi nel carro insieme a Ombroso. Restando in aria, i due volatili rischiavano di venie colpiti dalle frecce.
“Non appena troveremo un po’ di pace potrò finalmente spiegarvi tutto” sbuffò il falchetto, impaziente.
“Shanna, riproviamo” disse poi Miriel.
La Stella Azzurra si spostò per sederle accanto. Nel muoversi pestò una mano a Lord Erton. Egli emise un lamento ma nessuno gli badò.
Shanna e Miriel unirono le mani e la barriera vene innalzata nuovamente, permettendo alla compagnia di guadagnare terreno.
La luce emanata della Spada di Rhoop brillava come un faro nella notte: una sfera luminosa sospesa nel nulla sopra un solco profondo, là dove un tempo sorgeva la gigantesca scalinata della Città Antica.
“Dentro, presto!” ordinò Peter.
Lui andò per primo, poi Eustace e Jill, poi Susan e Destriero, poi tutti gli altri.
Pozzanghera si coprì gli occhi con le mani. “Il carro non passerà dall’apertura! Ci sfracelleremo!”
“Smetti di fare l’uccello del malaugurio!” gridò Emeth, al quale Lucy, Shanna e Miriel si strinsero. La Driade allungò un braccio e lo passò attorno al dorso del lupo, traendolo vicino a loro.
Il carro passò senza problemi. La sfera luminosa si spense e svanì.
Una volta dentro, Lucy ebbe un’idea improvvisa. Prese la Spada di Agoz e chiuse gli occhi, stringendo l’elsa con entrambe le mani.
“Che i Giganti non possano raggiungerci! Che la neve cada e ricopra l’entrata!”
Così accadde.
Al suono e al movimento che provennero alle loro spalle, i ragazzi si fermarono, osservando neve e pietrisco cadere all’interno dell’apertura. I rumori dell’esterno scomparvero. Tutto divenne buio.
Subito, la torcia di Edmund si accese, illuminando i volti dei compagni.
“State tutti bene?”
“Sì” risposero gli altri all’unisono”
“Miriel?”
“Sono qui, Peter, è tutto a posto”
Il Re Supremo scese da cavallo, salendo sul carro per abbracciarla. “E io che credevo saresti stata al sicuro qui sopra”
Miriel sorrise. “Non lo si è mai in un’avventura per la salvezza del mondo, amore mio”
“Che ne dite di fermarci un momento?” propose Pozzanghera. “Non so voi, signori miei, ma io sono stremato”
La richiesta fu accolta con gioia.
Si addentrarono un poco nella cavità, la quale, man mano che avanzavano, si estendeva in larghezza e altezza. Sedettero tutti insieme a ridosso del carro, accendendo un fuocherello grazie ai poteri di Miriel, razionando le provviste con attenzione, dando da bere ai cavalli e cercando di dividere alla meglio il fieno che Titania aveva procurato per Destriero.
“Come faremo a dar da mangiare agli animali?” chiese Jill, accarezzando il lupo. “Anche Caspian: dovrà cacciare, non può fare come noi e mandar giù pane, formaggio e carne secca”
“Il Re se la caverà con la carne che abbiamo, non c'è scelta” disse Pozzanghera, la voce stanca. “In quanto ai cavalli, domattina uscirò e cercherò di raccogliere quanta più erba possibile Ho notato che ne cresce parecchia tra le rovine dell’Antica Città, l’ho notato prima”
“Sono sterpaglie, andranno bene lo stesso?”
“Certo che sì. Gli animali muti hanno poche pretese, poveri amici. E’ l’acqua che mi preoccupa di più”
Lucy stappò la bottiglietta del cordiale. “Tenete, bevetene tutti una goccia, ci aiuterà a recuperare le forze”
Così fecero, eccezion fatta per il lupo.
“A te domani” disse la giovane Pevensie, facendogli una carezza sul capo.
Lucy indugiò accanto a Lord Erton. “Susan…”
“No, a lui no” rispose seccamente lei.
“Non la voglio quella roba!” sbottò il Duca. “E questo cibo è orrendo!”
“Quel che passa il convento, milord” commentò Emeth. “Ritenetevi fortunato che vi abbiamo dato da mangiare. Ringraziate Lucy, perché Susan non ne aveva intenzione”
Il Duca brontolò confusamente, astenendosi dal dire di più quando incontrò lo sguardo della Regina Dolce.
“Shira” disse poi Susan. “Racconta agli altri di Narnia”
Il falchetto si mosse. “Sì, è il momento giusto”
Il silenzio fu totale.
“C’è una spiegazione al perché la vostra Magia si è dissolta così in fretta” iniziò Shira, rivolta a Miriel e Shanna. “La verità, è che tutta la magia di Narnia si sta pian piano spegnendo. Narnia è malata, molto malata”
“E’ quello che disse anche Babbo Natale” ricordò Pozzanghera.
“Babbo Natale è una creatura magica anche se ha le sembianze di un uomo” disse Susan, il muso del lupo posato sulle gambe. “L’ha percepito prima di tutti noi”
“Proprio così” affermò Shira. “Difatti, è stato Grande Quercia a dirmi tutto. Anche lui è molto debole, e così i Nani, le Driadi e gli Amadriadi, i Fauni, i Satiri; tutte le creature fatate risentono del deperimento del regno. Lentamente, questa condizione si estenderà su tutto il regno, forse oltre.”
“Quindi” intervenne Peter, “può essere stato anche a causa dell’ indebolimento della magia, oltre che al freddo, a privare Miriel di ogni forza”
La Driade si strinse a lui.
“E’ assai probabile” rispose Shira.
“Ma all’epoca di Miraz non accadde nulla di tutto ciò” intervenne Edmund. “Sì, Cair Paravel era distrutta, le creature magiche al bando, ma Narnia non era malata”
“Questo perché la stirpe dei Caspian non maledì la terra sulla quale voleva mettere le mani” chiarì Shira. “Lo so, fecero cose di cui nemmeno il nostro Re va fiero, ma il suo antenato Caspian I divenne sovrano dopo una resa da parte dei narniani, una resa che lo investì legittimamente del titolo di Re. Possiamo dire che Narnia si piegò al suo volere. Rabadash invece, gettando la maledizione sulla nostra terra, ha macchiato per sempre il suo animo con l’ombra del male. Narnia non può accettarlo benché sia un discendete della stirpe di Adamo”
“Anche lui viene dalla Terra?” domandò Eustace ad alta voce.
A rispondere fu Edmund. “Tutti coloro che a Narnia fanno parte della razza umana provengono dal nostro mondo”
“Questo non lo sapevo”
Shira si fece triste. “Perfino la reggia soffre: Cair Paravel piange la perdita del suo Re e della sua Regina, il sole sembra non voler più illuminare le sue mura, le onde dell’Oceano Orientale s’infrangono lente e grigie sulla sabbia scolorita. Rabadash ha notato il cambiamento, ma per quanto abbia fatto lucidare cristalli e pietre, nulla tornerà mai come prima. e il regno non accetta il nuovo re. Il castello l’ha escluso dalla sala del trono: Grande Quercia ha detto che, da più di un anno, le porte della sala sono come sigillate e nessuno è più riuscito ad entrare. Il castello stesso non lo permette”
“Parli del castello come fosse vivo” commentò Jill.
“Lo è” affermò Shira con fervore. “Tutto a Narnia è vivo”
“Ogni ramo e pietra” mormorò Lucy fissando le braci del fuoco, “ogni cosa che si muova o non si muova. Tutto è Narnia”
Gli altri la guardarono.
La Valorosa un sorriso. “Lo disse il signor Tumnus”
“Il tuo caro signor Tumnus disse Emeth, facendola sorridere ancora.
“La maledizione di Rabadash ha portato i Sovrani ad allontanarsi dal regno” concluse Shira, “e con la lontananza dei Sovrani anche la magia si allontana da Narnia, e per Narnia la magia è la vita”.
Calò di nuovo il silenzio, persino Lord Erton era rimasto turbato dal racconto.
“Quindi, ora la nostra missione è una doppia missione” disse poi Ombroso. “Anzi, tripla: salvare i principi, annientare la maledizione, guarire Narnia”
Le cose stavano effettivamente così.
“Su, non fate quelle facce!” esclamò Lucy. “Andrà tutto bene, ce la faremo anche stavolta. Aslan è dalla nostra parte, ricordatelo sempre, e se abbiamo lui niente può sconfiggerci”
Le parole della Valorosa, unite alla certezza che i principi erano vivi, infusero nuova speranza nei membri della compagnia.
La situazione non poteva rimanere la stessa per sempre, pensò Susan quando si sdraiò accanto al lupo per dormire; non era più la stessa già da settimane, da quando lei e Caspian erano tornati a Narnia.
Titania aveva ragione: lei era ancora la Regina, e Caspian era il Re investito da Aslan.
Rabadash, Erton e chiunque altro fosse coinvolto in quella storia, avrebbe avuto ciò che si meritava.
Al pensiero della sua Myra tra le grinfie di quel miserabile, Susan si morse le labbra così forte da farsele sanguinare.
Si era preso sua figlia perché non aveva potuto avere lei.
Pazzo, immorale, un animo deformato dalla cattiveria: questo era Rabadash di Calormen. Narnia non poteva accettare che un essere tanto spregevole sedesse sui troni di Cair Paravel.
Sì, tutto doveva tornare come prima: la terra curata, la magia ripristinata, gli amici fuggiti chissà dove avrebbero potuto tornare alle loro case. E lei, Caspian, Rilian e Myra, avrebbero di nuovo potuto correre nei verdi giardini del palazzo, nuotare ancora tra le acque azzurre dell’Oceano Orientale, le cui le onde spumeggianti lambivano la sabbia dorata, sulla riva a est dove il sole caldo illuminava le candide mura di Cair Paravel.
Con questa dolce e nostalgica immagine nella mente, Susan si addormentò.


 
 
 
 
Dopo 1300 anni, eccomi di ritorno a Narnia! XD
Nel mio caso, però, nulla è cambiato: eravamo rimasti alla fuga dei nostri eroi da Harfang, ed eccoci qui! Scusate davvero se vi ho fatto aspettare così tanto per questo nuovo capitolo, ma tra gli impegni di lavoro, l’influenza e altro, mi era quasi impossibile scrivere.
Ho due notizie da darvi!
La prima riguarda l’aggiornamento di Night&Day: tornerò a posate regolarmente ogni settimana, siete contenti?
La seconda, è che ho terminato di scrivere tutta la storia! Ebbene sì: i giorni di festa mi hanno ispirata! Non ho ancora diviso lo scritto in capitoli, per cui non so quanto ci vorrà per arrivare alla fine. Per ogni domanda, mi trovate sulle mie pagine facebook (i link in fondo alle note) dove sarò felice di discutere con voi di ogni cosa!

 
Ringraziamenti:
 
Per le preferite: 
Annabeth Granger, Araba Shirel Stark, batte wound, BettyPretty1D007flowers, bibliophile,  Callidus Gaston, Christine Mcranney, Dark side of Wonderland, DouphineBlack, english_dancer, Fantasy_Heart, Flemmi, Francy 98, Fra_STSF, Friends Forever, G4693, Gigiii, giuly_dramione, Happy_699, HarryPotter11, HikariMoon, Jordan Jordan, littlesary92, LittleWitch, LucyPevensie03, lullabi2000, marasblood, Mia Morgenstern, Mutny_BorkenDreams, osculummortis, Queen Susan 21, Robyn98, Sara_Trilly, senoritavale, Shadowfax, Starlight13, SuperStreghetta, Svea,  SweetSmile, TheWomanInRed, vio_everdeen, Zouzoufan7,_faLL_ _joy, _likeacannonball
 
Per le ricordate:  Annabeth Granger, anonymously, Araba Shirel Stark, Callidus Gaston, Cecimolli, Gigiii, Halfblood_Slytherin, mishy, Queen_Leslie, Starlight13, Undomiel, Zouzoufan7
 
Per le seguite: ale146, alebho, All In My Head, Aly_F, Amy_demigod, Annabeth Granger, Araba Shirel Stark, BettyPretty1D007flowers, blumettina, Callidus Gaston, catherineheatcliff, cat_princesshp, Cecimolli,  ChibyRoby,  cleme_b, Dark side of Wonderland, DouphineBlack, ecate_92, Fantasy_Heart, fede95, FioreDiMeruna, Flemmi, Francesca lol, Fra_STSF, Gigiii, giuly_dramione, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, harukafun, ibelieveandyou, Irene Evans, jesuisstupide, JLullaby, Judee, katydragons, lauraymavi, Lucinda Grey, marasblood, Marie_, Mai_AiLing, mewgiugiu, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex  Bolla, osculummortis, Queen Susan 21, Queen_Leslie, Revan93, sara_Trilly, senoritavale, Sere Morgan, SerenaTheGentle, Shadowdax,  The Core of the Abyss, vio_everdeen, ZouZoufan7, _joy, _likeacannonball,_LoveNeverDies_ ,_Rippah_ 
 
Per le recensioni dello scorso capitolo:  Fantasy Heart, LittleWitch, Sara_Trilly, senoritavale, Shadowfax,_joy
 
Angolino delle Anticipazioni:
Nel prossimo capitolo Caspian la farà da padrone (visto che non si è visto in questo). Avrà la sua piccola vendetta su Lord Erton: se non vi è piaciuto l’atteggiamento di Susan, quello di Caspian vi piacerà ancora meno!
I nostri eroi si addentreranno nel Mondodisotto e incontreranno strane creature…
Rabadash riceverà una lettera.
E i bambini? Rilian avrà dimenticato tutto?
Vi aspetto la settimana prossima per farvelo scoprire!!! ;)

 
Anche stavolta è tutto!
Ecco i link delle mie pagine facebbok,
Susan TheGentle Clara e Chronicles of Queen, dove trovate, tra le altre cose, gli aggiornamenti di Night&Day dell’altra mia fic fic Two Worlds Collide (fandom Ben Barnes)
Con un bacio enorme, vi saluto.
Grazie davvero per l’infinita pazienza che avete con me!!!
Susan♥
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Capitolo 31
*** capitolo 31: Mondodisopra e Mondodisotto ***


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IN FONDO LA MAPPA DI NARNIA


Capitolo 31. Mondodisotto e Mondodisopra
 
Questo mondo ci divide
Ma siamo ancora insieme nel mio cuore
Voglio che il mondo ascolti il mio grido…
 
 
 
Quella stessa notte, poco dopo essere tornato nelle stanze che occupava alla corte dei Giganti, Rabadash ricevette una lettera da Lord Erton.
La missiva – scritta e firmata di fretta, sembrava – era costituita da poche righe:
 
 
     Altezza Serenissima,
 
perdonate la mia improvvisa irreperibilità al cospetto di Vostra Altezza, ma mi è stato prevenuto un sì urgente richiamo alla corte di Cair Paravel. Voci quasi del tutto certe proferiscono la presenza del Liberatore e della Dolce nei pressi della città.
Avrei voluto avvertirvi immediatamente di tale faccenda, ma sapevo eravate in compagnia della principessa Myra in quel momento, e ho ritenuto opportuno non disturbarvi.
Vostra Altezza è esortata a raggiungermi quanto prima al castello di Narnia, per il quale partirò non appena terminata questa lettera.
 
 
Lord Erton, Duca di Beruna
 
 
Rabadash non ci pensò due volte. Subito chiamò i suoi servitori e fece preparare i bagagli e la carrozza. Non si preoccupò nemmeno di avvertire Jadis della sua decisone, scoprendo solo più tardi che anch’ella se n’era andata da Harfang con i gemelli qualche ora prima di lui.
In un’altra circostanza, Rabadash si sarebbe preoccupato di quella partenza improvvisa da parte della Strega, ma al momento, tutto ciò che non riguardava la Dolce e il Liberatore era superfluo.
Susan aveva visto giusto: la sua ossessione nei loro confronti non si era mai estinta.
A Rabadash non importava nemmeno dove fosse adesso il resto della compagnia di Narnia, se fossero sopravvissuti o meno ai Giganti. Quasi trascurava il fatto che fossero in viaggio alla ricerca dei principi e che Aslan li avesse istruiti in questa ricerca.
Meno che mai gli importava ora che stava per rivedere Susan...la sua bella Susan...
Non aveva mai rinunciato all’idea di poterla avere.
In quanto a Caspian, era sempre stato combattuto sul se mettere fine o meno alla sua vita. Il cacciatore e Ravenlock non erano ancora tornati dai Monti del Nord …forse avrebbe dovuto ritirare l’ordine di uccidere il lupo, dopotutto…
Voleva rivederli entrambi, il Re e la Regina, per assaporare coi suoi occhi quello che erano diventati. Purtroppo, non aveva ancora avuto modo di godere appieno di tale visione.
Un nuovo piano diabolico iniziò a costruirsi nella sua mente contorta: rinchiudere di nuovo Susan in cima alla Grande Torre, magari costruire un’altra gabbia lassù anche per Caspian; costringerli a vedersi per pochi secondi all’alba e la tramonto, e poi lasciarli in preda all’agonia fino alla fine dei loro giorni.
Peccato per lui che quel piano non sarebbe mai stato portato a compimento.
Rabadash lasciò Harfang quella notte stessa. In pochi giorni sarebbe stato di ritorno a Narnia, dove diverse novità lo attendevano, non tutte piacevoli.
 
 
 
~˖~
 
 
 
Caspian si svegliò con un dolore acuto al fianco destro. Era sdraiato sulla dura superficie dell’interno di un carro.
Come ci era finito?
Si chiese per un momento se non l’avessero catturato, ma la mancanza di funi a legargli mani e piedi dimostrarono che non era così.
Seppe che era giorno perché era umano. Attorno a lui, solo silenzio e oscurità.
Scostò la coperta nel quale era avvolto e si alzò a sedere, cercando di infilarsi i vestiti. Il movimento gli provocò un’altra fitta.  Mettersi i calzoni risultò abbastanza facile, ma quando dovette alzare le braccia per indossare la camicia, si rese conto di non potercela fare da solo.
“Sei sveglio finalmente” disse una voce, leggera nel buio. “Posso?”
Caspian incontrò lo sguardo di Lucy, la quale, a un suo cenno affermativo, si issò sul carro e gli si mise accanto. In una mano reggeva la torcia di Edmund, sotto l’altro braccio portava una ciotola piena di cibo. Con lei, c’era Susan.
Il falco volò dal Re, il quale l’accolse tra le braccia.
“Che fai già in piedi, Lu? Dove siamo?”
“Una domanda alla volta. Prima bevi questo”. Lucy posò la torica e la ciotola, passandogli l’ampolla del cordiale miracoloso.
“Non funzionerà” le ricordò Caspian.
“Susan ha insistito perché lo prendessi. Tutti ne abbiamo preso un po’, e lo faremo ancora se sarà necessario: dobbiamo riprendere le forze prima di iniziare il nuovo viaggio”
“Nuovo viaggio?”
Lucy sospirò. “Ieri sera è successo di tutto…Facciamo così: prima fammi vedere la ferita; poi, mentre mangerai, ti racconterò”
Caspian non protestò, non per altro ma perché gli faceva troppo male persino respirare.
Lucy avvicinò la luce al costato del Re, svelando un orribile livido color porpora con tracce nero-giallastre. Un taglio diagonale, non troppo profondo e già quasi richiusosi del tutto,  attraversava la parte alta delle costole di destra.
Un’altra cicatrice da aggiungere alle altre, pensò Caspian.
“Ha fatto infezione?” chiese.
“No. Susan te l’ha pulito ieri notte. Ma credo tu abbia qualche costola rotta. Il cordiale ti aiuterà a sopportare il dolore, però non devi muoverti troppo, intesi?”
“D’accordo” Caspian le fece una carezza fraterna sui capelli. “Sei diventata proprio brava, Lu”
“Volevo studiare medicina nel mio mondo, fare l’infermiera” ammise lei, non senza una piccola nota d’orgoglio. “Credo di essere portata per certe cose”.
Lucy lo aiutò ad indossare la camicia, poi gli mise davanti la ciotola di cibo, quasi con la paura che lo rifiutasse.
Ma Caspian era decisamente affamato. Dividendo il suo pasto con il falco, accoccolatasi nel suo grembo, mangiò in religioso silenzio mentre Lucy raccontava tutto quello che era successo la notte precedente: dei Giganti che volevano far di loro il piatto forte della Festa d’Autunno, della fuga forzata da Harfang, dell’aiuto insperato di Titania, e del resto…
I ricordi di Caspian si fermavano all’arrivo di Shira nella stalla. Non rammentava nulla della battaglia con Lord Ravenlock, né del dopo, di quando aveva visto Rilian.
Aveva visto suo figlio e non se lo ricordava..il destino voleva proprio prendersi gioco di lui.
Arrivata a quel punto, Lucy fece una pausa, osservando preoccupata il viso privo d’espressione del Re. Lui teneva gli occhi chiusi, le labbra serrate, il respiro leggermente accelerato. Per il resto, nessuna reazione.
Lucy, come tutti, ancora non si capacitava di quanto Caspian fosse cambiato, di quando duro fosse divenuto il suo cuore. Ma quando lui riaprì gli occhi, la Valorosa rivide l’amico di una volta nascosto nelle loro profondità.
Le emozioni represse per troppo tempo, l’amore che nutriva per i suoi figli, per sua moglie, per tutti loro, esplosero tutte in una volta. Caspian posò una mano sul dorso del falco, per darle conforto e prenderne da lei: la sua Susan, il suo sostegno, sempre e comunque. Abbassò il capo, i capelli davanti al viso, a nascondere ciò che provava realmente.
Lucy lo vide serrare i pugni, lo sentì sospirare in modo strano.
Poi, il Liberatore risollevò la testa, passandosi velocemente una mano sugli occhi umidi.
“Va avanti. Cosa è accaduto dopo?”
Lucy riprese il racconto, certa che le nuove gli sarebbero piaciute ancora meno.
Quando arrivò il momento di dirgli dei sospetti che aveva su Rabadash e Myra, e sulla strana figura della Signora dalla Veste Verde, Caspian scattò in piedi, tenendosi il fianco e ignorando il dolore.
“La mia Myra? Il mio tesoro, la mia bambina, fidanzata con quel cane?!”
“Molto probabilmente sì” rispose Lucy con una vocina piccola.
Il falco, sulla spalla del Re, agitò le ali, piegando il corpo in avanti, aprendo il becco come in procinto di abbattersi in picchiata sul nemico.
“Dobbiamo ripartire immediatamente” disse Caspian, calmandola.
“Lo faremo appena Pozzanghera e Ombroso torneranno” rispose Lucy.
“Dove sono andati?”
“Poco prima dell’alba sono usciti in superficie, per trovare qualcosa di commestibile per i cavalli e un po’ d’acqua. Caspian, aspetta un attimo…”
Il Liberatore, con movimenti misurati, stava scendendo dal carro.
Lucy lo superò e saltò giù per prima, bloccandogli la strada. “Devo dirti ancora una cosa, l’ultima, e non credo che ti piacerà. Ma tu devi promettere che non fari gesti inconsulti”
“Che vuoi dire?”
“Caspian!” fece la voce di Edmund. “Come va? Stai bene?”
“Sì, più o meno bene”
Il Liberatore osservò gli amici appena svegli rivolgergli grandi sorrisi. Lui ricambiò, felice di vederli sani e salvi dopo l’avventura della notte scorsa. C’era solo una nota stonata in tutto ciò…una persona che non avrebbe dovuto esserci: un vecchio dalle vesti scure scompigliate, i capelli bianchi ricadenti sulla fronte rugosa.
Uno dei rari sorrisi che il Liberatore aveva sfoderato durante il viaggio, scemò all’istante alla vista di Lord Erton.
Peter e Edmund lo fermarono in tempo prima che potesse saltargli addosso.
Susan, invece, poté liberamente lanciarsi verso il Duca. Fu Miriel a impedirle di cavargli gli occhi.
Susan diventava decisamente pericolosa in forma di falco.
“Lasciatemi!” gridò Caspian, lottando con Peter e Edmund che lo tenevano ben saldo per le braccia.
I due amici e una nuova fitta alle costole, costrinsero il Liberatore a fermarsi.
“Ti lasceremo solo se prometti di ascoltare e di non ammazzarlo” disse Peter.
“Non hai il diritto di dirmi cosa fare!”
“Sa dove sono i tuoi figli!” aggiunse in fretta Edmund.
Caspian distese i muscoli. Dopo alcuni secondi, lo lasciarono.
“E’ stata Susan a volere che venisse con noi. Ci serve per dirci dove andare” riprese il Giusto.
Aslan ci ha già detto dove andare” ribatté il Liberatore, la voce dura come pietra. Guardò Jill.
Lei si stropicciò le mani, nervosa. “S-sì, è vero: l’iscrizione del mio sogno diceva ‘sotto di me’, ovvero, sotto l’Antica Città dei Giganti, ed è dove ci troviamo ora. Però, se ci pensi bene, Aslan non ha specificato come arrivare da Rilian e Myra, ha detto solo che li avremmo trovati. Per cui, io credo - noi crediamo - sia possibile che la presenza di Lord Erton faccia parte del disegno di Aslan”
Caspian inarcò un sopracciglio, puntando un dito contro Lord Erton. “Questo schifoso ammasso di  membra sarebbe parte del disegno di Aslan?!”
“Moderate le parole!” scattò il Duca.
Gli altri avevano sperato non parlasse.
“State zitto” sibilò il Liberatore tra i denti.
Il suono di quella voce tanto detestata provocò nel Re di Narnia un’ondata di odio violento. Gli partì dal centro del petto, si espanse, aumentò fino a concretizzarsi in respiri quasi affannosi, spasmi di nervi che gli fecero chiudere e aprire i pugni più volte. Se avesse avuto la spada a portata di mano gliel’avrebbe scagliata contro, passandolo da parte a parte.
“Non lo voglio intorno”
“E’ necessario, Caspian” insisté Lucy.
“Vi ha già indicato la strada per raggiungere Rilian e Myra?”
Gli altri si scambiarono sguardi incerti.
Lucy si morse il labbro inferiore. “Ecco…no. Susan ha tentato di farlo parlare, ma né lei né nessuno di noi è riuscito a cavargli una parola di bocca”
“Lo sospettavo”. Il Liberatore scosse il capo. “Non parlerà. Non contateci”
“Noi pensavamo tu potessi avere più successo” disse Eustace, avvicinandosi con cautela. Quando Caspian era così arrabbiato gli faceva paura. “Con un po’ di persuasione da parte tua, magari…”
“Non ho alcuna intenzione di dirvi dove sono nascosti i gemelli” borbottò Erton.
Caspian fissò il Duca, facendo qualche passo verso di lui.
Miriel trattenne il falco.
Peter e Edmund furono di nuovo pronti a intervenire, ma non ce ne fu bisogno.
Caspian si impose di parlare con calma, reprimendo la rabbia che gli ribolliva in corpo.
“Voi siete uno dei diretti responsabili del rapimento dei miei figli, di questo non ho mai dubitato. Sono tornato a Narnia anche per avere la vostra testa, Duca, oltre che per reclamare quella di tutti coloro che sono coinvolti in questa storia. Susan ha preso quella di Ravenlock; avrebbe potuto prendere anche la vostra, ma se non l’ha fatto, se non vi ha ucciso ieri notte, significa che c’è una ragione. Per quanto vorrei pareggiare con lei e ammazzarvi subito, ho piena fiducia in mia moglie: se è convinta che in qualche oscura maniera potete esserci utile, allora non vi taglierò la gola, non subito. Ma dovete dimostrare che questa ragione esiste, e dovete farlo adesso, o lascerò il vostro corpo in pasto a qualche belva selvatica che vive quaggiù”
“Se vostra moglie mi crede e voi vi fidate ciecamente di lei, non vi devo spiegazioni”
“Voglio sentirlo uscire dalle vostre putride, ingiuriose labbra, milord: ditemi tutto quello che sapete sul rapimento dei miei figli, ditemi dove sono, e giurate su ciò che vi è più caro – se l’avete – che dite il vero”
Caspian era una tempesta in procinto di scoppiare, ma ancora no. Doveva trattenersi.
Eppure, quella calma, agli occhi dei compagni, fu decisamente più preoccupante della furia mostrata poco prima.
Lord Erton, legato così stretto che non era quasi in grado di respirare, fissò il volto dell’uomo senza fiatare.
Rifletté in fretta, cercando di capire cosa era meglio fare per lui.
Non c’erano vie di scampo.
Rivelare il nascondiglio dei bambini, anche se costretto, voleva dire tradire la Strega Bianca alias Signora dalla Veste Verde, ed ella – ne era certo – si sarebbe vendicata nel peggiore dei modi.
Ma se non avesse aiuto Caspian e i suoi, sarebbe comunque stata morte. Il Liberatore non era più il ragazzino insicuro che aveva conosciuto. Nei due anni passati al bando, era divenuto un uomo capace di tutto: se non l’avesse aiutato a trovare i suoi figli, gli avrebbe davvero tagliato la testa.
Dovendo scegliere, Lord Erton preferiva forse quella morte, rapida e indolore. Però…chissà se una possibilità di cavarsela c’era?
Poteva giocare bene le poche carte rimastegli nel mazzo: restare vivo guidando Caspian su una via fasulla e, nel frattempo, pensare a un modo per fuggire. Sarebbe potuto tornare dai Giganti di Harfang, farsi aiutare da loro a tornare a Narnia, dove avrebbe chiesto a Rabadash e Tisroc di invocare i loro stregoni per proteggerlo dalla Strega. Dopotutto, lui e Tisroc erano amici di vecchia data...
Sì, poteva riuscirci.
“Allora?” incalzò Caspian dopo un lungo silenzio. “Cosa avete deciso?”
Erton emise un sospiro grave. “E’ ovvio: voglio che la mia testa resti dov’è!”
“Peccato, speravo il contrario…”
“Non fate lo spiritoso! Voglio la vostra parola che non tenterete di uccidermi nel sonno”
Caspian sembrò rifletterci. “Resisterò alla tentazione. Dove sono i miei bambini?”
“Prima datemi da mangiare”
Caspian strinse le palpebre. “Non siete nella posizione di negoziare”
“La vostra amatissima, dolcissima moglie, mi ha lasciato a digiuno ieri sera!”
“Probabilmente avrei fatto lo stesso, e potrei ancora se non parlate subito. Ve lo ripeterò: dove sono i miei bambini?”
Erton fece un verso esasperato. “Per tutti i numi! Va bene! Sono chiusi in un castello, vicino al centro della terra. Non ho idea se questa sia la strada giusta per arrivarci, di passaggi per il Mondodisotto ce ne sono a decine, sparsi per tutta Narnia”
“Siete stato molte volte in quel castello?”
“Abbastanza”
“Da che parte dobbiamo andare?”
“Io ero solito imbucare una via sotterranea nei pressi della Collina dell’Uomo Morto. Da lì andavo sempre più giù, verso il luogo in cui sono rinchiusi i marmoc…volevo dire, i bambini”
“Non mi interessa che strada percorrevate voi” disse Caspian, facendo uno sforzo terribile per non strangolarlo. “Voglio sapere qual'è quella giusta”
“Siamo troppo a nord, tanto per cominciare; dobbiamo spostarci verso sud-est. A questo proposito, suggerirei di risalire in superficie e vedere se...”
“Non fate il furbo!” scattò Emeth. “Non torneremo in superficie, non vi permetteremo di tentare di scappare”
Lord Erton abbandonò la schiena curva contro la parete della galleria. Il primo tentativo di fuga era andato male.


Pozzanghera e Ombroso furono di ritorno di lì a pochi minuti, con grandi fasci di erba per i cavalli, radici e due otri pieni d’acqua. Portavano anche lunghi rami che servirono per fabbricare delle torce: vi attorcigliarono un panno, imbevuto in un olio apposito fornito loro da Titania.
Fecero colazione, ricapitolando il da farsi, lasciando Lord Erton nel suo angolino.
“E la mia colazione? L’avevate promessa!”
Caspian chiuse gli occhi e sospirò, imponendosi la calma.
“Dategli qualcosa e fatelo star zitto”
Pazienza, si disse, devi avere pazienza…
 
 
Viaggiarono tutta la mattina in un’andatura regolare, avanzando nella galleria da cui erano entrati.
In un primo momento, pensarono che Erton li stesse prendendo in giro: l’aspetto del luogo non cambiò, la strada era un’unica curva serpeggiante, non c’era traccia di un bivio che li portasse a scoprire una nuova parte di quel mondo sotterraneo.
In tutti quanti c’era un senso di urgenza maggiore, la sensazione che il tempo scivolasse loro tra le dita.
Ricominciarono a parlare del solstizio d’inverno. Peter aveva sempre sostenuto che Aslan avrebbe fatto in modo che tutto si sarebbe compiuto al tempo stabilito, ma per quanto gli altri fossero concordi con lui, l’ombra del dubbio e la paura del fallimento restavano vive sotto la speranza.
A metà pomeriggio, la strada prese a scendere. La discesa si fece sempre più ripida, tanto che il carro rischiò di scivolare pericolosamente per quella che divenne una vera e propria scarpata. Tutti, Lord Erton compreso (il quale fu ovviamente costretto), si prodigarono per trascinare il mezzo in fondo al pendio scosceso. Gli unici che non poterono dare una mano furono Miriel – per ovvie ragioni – Shira, Susan e Caspian, che era ferito.
Erton, mani e piedi liberi, sperò vivamente di potersela dare a gambe. Ma prima di poter tentare, fu di nuovo legato e rimesso sul carro. In questo modo, il suo secondo esperimento di fuga fallì.
Piano piano, le nude rocce e il terreno accidentato scomparvero, cedendo il posto a strati di muschio profumato e un’aria leggermente più tiepida.
“Guardate che cosa strana” disse Ombroso a un tratto, indicando con l’ala fasciata gli strani luccichii che si intravedevano in fondo alla galleria che stavano percorrendo. “Cosa saranno? Lucciole? Mi viene l’acquolina!”
“Mangi lucciole?” chiese Pozzanghera.
“Sì, a volte”
Le ragazze proruppero in lamenti di dissenso.
“Lo so, lo so, sono carine, ma io sono un pipistrello, che posso farci? Mangio zanzare, vermi, mosche, farfalle, falene e lucciole”
“Disgustoso” commentò Lord Erton. “Comunque non posso essere lucciole, stupida bestiaccia parlante: fa troppo freddo”
Ombroso agitò le ali, indignato. “Ma come vi permettete di chiamarmi così! Brutto ammasso di ossa rachitiche!”
Nessuno voleva avere a che fare con Lord Erton. Lucy, Miriel e Shanna, le uniche tre che viaggiavo sempre sul carro, se ne stavano tutte e tre su un lato, il Duca dall’altro, solo. Edmund e Pozzanghera, alla guida del mezzo, erano leggermente più fortunati di loro: non dovevano sorbirsi i suoi sguardi arcigni, ma non erano esenti da battutine e lamentele.
Il Duca non aveva più il bavaglio, Caspian gli aveva concesso almeno questo, ma solo perché doveva indicare loro la strada.
“Silenzio” disse il Liberatore, ponendo fine alla lite tra Ombroso ed Erton.
Ora, tutti erano intenti ad ascoltare lo strano fruscio che giungeva dal punto in cui brillavano le piccole luci fluorescenti.
La galleria si allargò sempre più, il soffitto divenne altissimo. La compagnia di Narnia si ritrovò in quello che sembrava un prato immenso, fatto di sottili ciuffetti d’erba di un colore blu scuro; c’erano bassi alberelli dalle fronde verde-azzurro, le quali pendevano come svenute fino a terra, simili a bizzarri salici piangenti; cespugli di quelle che potevano esser eriche, crescevano qua e là. Ed era da questi ultimi che proveniva il fruscio, e lo stesso valeva per i puntini luminosi che avevano scambiato per lucciole.
Peter scese da cavallo per esaminarli da vicino.
“Non sono insetti, sono petali e foglie” Ne prese una manciata dal cespuglio più vicino e quello si agitò tutto come se gli avesse fatto il solletico. “Miriel, che ne pensi?”
La Driade tese la mani, dove il Magnifico posò piccolissimi boccioli di fiori verdi chiari e foglioline blu scuro, i quali, non appena furono lasciati liberi, ripresero a svolazzare a mezz’aria in un minuscolo vortice, frusciando allegramente.
“Non ne ho mai visti così, nemmeno dalle mie parti” disse Miriel. “Non so a quale specie appartengano”
“Fori che si illuminano…” commentò Jill, estasiata.
“Lord Erton” chiamò Caspian. “Riconoscete questo luogo?”
“No” rispose il Duca, rimasto sul carro.
Il falco, che faceva la guardia al Duca, gli becco la mano.
“Ahi! Dico la verità, non ho mai visto questa radura! Da uccello siete ancora più odiosa, Regina!”
“Insultate ancora Susan e vi rimetterò il bavaglio” lo avvertì Caspian, fermando Destriero e scendendo a terra con cautela, tenendosi le costole.
“Le piante sembrano malate” disse Emeth. “Pensate che la malattia che ha colpito Narnia sia giunta anche qui sotto?”
“Quale malattia?” chiese Lord Erton, rimasto sul carro.
Nessuno gli rispose.
Miriel posò il palmo di una mano sul tronco di un albero. “Le piante non sono malate. Sento la linfa scorrere, sembrano sane. Però sono strane, non so come spiegare”
Ombroso prese una manciata di petali da un altro cespuglio e se la ficcò in bocca.
“Mmm… no, non fanno per me. Peccato non siano lucciole…”
“Aahh! Che cosa fai?!” gridò Pozzanghera. “Non mangiare quella roba! Finirai avvelenato, o come minimo intossicato!”
“Oh, smettila, vecchia rana! Piuttosto, guarda Destriero e gli altri cavalli: hanno risolto il problema ‘razione pomeridiana’ ”
Era vero: i cavalli sembrarono gradire quell’erba blu, e lo stesso fecero con l’acqua di un ruscello che scorreva poco più avanti.
“Come fa ad esserci un ruscello sotto terra?”
“Jill, non hai ancora imparato che a Narnia tutto è possibile?” le ricordò Eustace, che una volta avrebbe pensato la stessa cosa.
“Questo posto mi ricorda Prato Ballerino” disse Lucy, stuzzicando un cespuglio, facendolo sussultare. “A Susan piacerebbe molto, così tranquillo… però è anche molto triste”
Era vero. Il luogo, per quanto avvolto da quella luce tenue che conferiva un che di fatato, metteva nostalgia.
Lasciarono la Radura Luminosa (così la ribattezzarono), ripiombando nell’oscurità di una nuova galleria, dove incontrarono il primo bivio. Le torce riflettevano ombre sulle pareti ma non sul soffitto, divenuto ancora più alto.
Si imbatterono in un’altra discesa, meno ripida della precedente ma ugualmente difficoltosa da percorrere. A seguire, ecco un’altra radura simile alla prima, poi un’altra discesa e un’altra radura ancora. Fu in una di queste che si fermarono per la notte.
Non potevano sapere che ore fossero di preciso, non c’erano spiragli da cui la luce del sole potesse filtrare. Solo grazie a Caspian e a Susan - i quali avvertivano il passaggio tra giorno e notte - capivano quando era ora di mangiare, di dormire o di svegliarsi.
Come aveva predetto Lucy, a Susan la Radura Luminosa piacque molto.
“Anche a Myra piacerebbe tanto” commentò la Dolce, “e Rilian andrebbe in cerca di qualche specie di insetto che ancora non conosce”
Susan si perse nei ricordi di quel giorno in cui lei, Caspian e i bambini, si erano recati a Bosco Gufo per un pic-nic. Il giorno in cui la loro vita si era fermata, e con essa quella di tutta Narnia.
Spostò gli occhi celesti su Lord Erton, guardandolo come si guarda un insetto disgustoso.
“Sta collaborando?”
“Più o meno” sussurrò Lucy a bassa voce. “Sapessi che rissa, stamani, con Caspian…”
Sul volto di Susan si dipinse un sorriso. “Raccontami”
 
 
Il giorno seguente, l’ago della bussola segnava ancora il nord, e così il giorno dopo ancora.
Per diverse volte rifecero una strada che avevano già percorso.
Shanna cercò di vedere oltre con la sua magia, ma non ci riuscì. Consigliò allora di usare le Spade come ulteriori bussole.
Funzionò.
La solita scia azzurra scaturì lieve da ogni lama. L’aria si colorò dell’azzurro della loro magia, mischiandosi al rosso delle fiamme delle torce.
“Accipicchia!” commentò Pozzanghera ammirato. “Certo che queste armi sono proprio singolari”
“Vedrai quando le useremo in battaglia” disse Edmund, fiero, girandosi il suo talismano tra le mani.  “Inoltre, la mia Shanna le ha rese ancora più potenti di com’erano quando le trovammo”
La Stella, seduta tra il Giusto e il Paludrone, sorrise timidamente.
“Grazie, Ed” mormorò imbarazzata, stringendosi al suo braccio.
Lui si svoltò a guardarla. “Sei straordinaria, sai che lo penso”
Lei cosse i bei capelli biondi. “No, non ti ho ringraziato per aver decantato la mia magia, ma perché hai detto che sono tua”
Edmund arrossì. “Sì, bè…”
Pozzanghera ridacchiò. Il Giusto gli lanciò un’occhiataccia.
“Spiegami un po’, Shanna” riprese il Paludrone. “Com’è che funzionano queste Spade?”
“Dentro di esse risiede la vera essenza della Grande Magia” iniziò la Stella. “Se cadessero in mani sbagliate, potrebbero anche distruggere il mondo. Unite sono portentose, ed essendo state forgiate per difendere Narnia, la loro potenza si mostra maggiormente durante un’azione offensiva; ma anche da sole sono molto utili. Singolarmente, agiscono e seconda della volontà del loro proprietario e delle circostanze. Ora ci stanno aiutando indicandoci la strada; sul lago ghiacciato, invece, ricorderai come salvarono la vita a Edmund, Susan, Caspian e Eustace”
Pozzanghera annuì.
“I talismani capiscono ciò di cui hanno bisogno i Sette Amici di Narnia e glielo danno” concluse Shanna.
“Quindi è come se fossero…vive” 
“In un certo senso”
“Allora” azzardò Eustace, “se io ora avessi una fame da lupi e chiedessi al talismano di Octesian di far comparire del cibo?”
Tutti si concessero una risata.
“No, non credo che funzionerebbe”
“Perché no?”
“Perché il tuo stomaco è senza fondo, Eustace” disse Edmund. “Nemmeno la tua Spada potrebbe riempirtelo”
“Senti chi parla!”
“L’aiuto che chiediamo deve essere chiesto con discernimento” disse Peter.
“Ma il cibo è importantissimo, sarebbe una richiesta più che lecita!”
“Sì, ma in questo momento non ne hai veramente bisogno, cugino”
“Avremo bisogno di un giaciglio decente per dormire, altroché” bofonchiò Lord Erton.
“L’avete” rispose Caspian. “Dormite comodamente sul carro”
“Oh, ve ne sono grato” disse il Duca con sarcasmo. “Mi tenete legato quassù anche di notte solo perché avete paura che io fugga”
“Non è quello che avete intenzione di fare?”
Lord Erton mormorò qualcosa di incomprensibile.
“Che avete detto?”
“Niente”
“Attento con gli insulti, mi sto stancando. Piuttosto, siete certo che sia a direzione giusta? Sono tre giorni che giriamo in tondo, e la bussola segna costantemente il nord”
“Può capitare di perdersi, quaggiù” ghignò il Duca. “Scusatemi tanto Sire, sono vecchio e ho poca memoria, davvero non ricordo la strada”
Caspian rallentò l’andatura in modo da trovarsi al passo con il carro. “Ci state prendendo in giro?”
Un altro ghigno di Lord Erton tradì la verità. “Chissà cosa ne sarebbe dei vostri poveri figlioletti, se ci perdessimo sul serio…Povera, povera principessina Myra, costretta a sposare un uomo più vecchio di suo padre. Chissà quanti bambini avranno…”
Il Liberatore fece fermare la compagnia, smontando da Destriero.
“Caspian, cosa stai facendo? Caspian!” Edmund balzò in piedi quando il Liberatore trascinò giù dal carro Erton, afferrandolo per il colletto del mantello.
Il Re di Narnia lo sbatté contro la fiancata, premendogli l’avambraccio contro la giugulare, quasi soffocandolo. Contando il fatto che il giovane fosse molto più alto e più forte del Duca, costrinse questi ad alzarsi quasi in punta di piedi.
Erton rantolò. “E’ inutile, non li salverete mai e Rabadash avrà la sua rivincita su di voi e su Susan, sposando vostra figlia, dichiarando il suo primo erede imperatore di Narnia e di Calormen”
“Fate silenzio!” ruggì Caspian, sfoderando il pugnale di suo padre.
“Caspian, no!” gridò Peter. “Non fare l’idiota!”
“Zitto! Se stesse parlando di tua figlia lo lasceresti vivere?”
Peter rivolse il suo sguardo verso Miriel.
“Comunque, non è la maniera giusta. Riflettici: cosa penserebbe di te Myra e Rilian, se sapessero che hai ucciso un uomo disarmato a sangue freddo?”
Gli altri osservavano la scena senza sapere come agire, sperando che le parole del Re Supremo sortissero l’effetto sperato.
Il Re di Narnia strinse il pungo attorno all'elsa del pugnale. Erton mandò un colpo di tosse.  “Non vi servirà a nulla tenermi prigioniero perché non vi porterò mai dai principi”
“Preferite la morte?”
Negli occhi del Duca brillò una luce di cattiveria. “Non avete il coraggio di uccidermi, Caspian. La vostra mancanza di carattere è pari alla vostra capacità di governare: nulla”
Il Re sorrise inaspettatamente. “Mi conoscete davvero poco, allora”
Lord Erton mandò un urlo di pura paura quando il Liberatore gli premette la lama del pugnale contro il collo, facendolo sanguinare.
Gli altri proruppero in grida di stupore.
Lo sguardo di Caspian ardeva come fiamme. “Ora, avete dieci secondi per decidere se iniziare a dire la verità o meno. Dieci secondi prima che io vi recida l’arteria giugulare”
“Se tradisco la Dama Verde e Rabadash, morirò comunque”
“Ma loro non vi faranno soffrire come vi farò soffrire io, ve lo prometto. Sei secondi. Cinque”
Erton tremò. “No, no!”
“Tre”
“Siete un maledetto, Liberatore!”
“Uno”
“Il mondo Mondodisotto è speculare al Mondodisopra. Il castello della Signora dalla Veste Verde si trova in direzione ovest come quello di Narnia sorge a est”
Calò il silenzio.
Caspian lasciò andare Lord Erton, che cadde in ginocchio sul terreno.
“Siete pazzo!” gridò il Duca.
“Può darsi. Devo ringraziare voi e Rabadash per questo, e forse anche la vostra comune amica, dalla quale mi porterete” Il Re di Naria depose il pugnale nel fodero. “Ed, la mappa, per favore”
Edmund, ancora frastornato dalla scena, ci mise un secondo di più per capire cosa doveva fare.
“Ed?”
“Cosa? Oh, sì…eccola”
Lentamente, gli altri si mossero formando un cerchio attorno al Liberatore.
Lucy, ignorando le sue occhiate di disapprovazione, si occupò del taglio del Duca.
Caspian dispiegò la mappa di Narnia, esaminandola con cura. Poi fece una cosa che parve molto strana ma che in realtà non lo era: girò la cartina a testa in giù e la pose davanti a Erton.
“Avanti, fateci capire come la dobbiamo leggere”
 
 
 
~˖~
 
 
 
Rilian si svegliò dopo due giorni di sonno ininterrotto.
Era affamato, e questo rassicurò Lady Lora e Myra, le quali erano davvero preoccupate per lui.
La sorellina restò per tutto il giorno nella sua stanza (che era stata la loro finché lei non si era trasferita in un’altra ala del castello), a fargli compagnia.
La Strega Bianca ordinò a Lora di non perderli mai di vista, di riferirle tutto ciò che facevano e di cui parlavano, con la paura che potessero ricordare ancora qualcosa.
Fortunatamente per lei, i gemelli – soprattutto Rilian – parevano non avere memoria delle ultime ore trascorse al castello di Harfang.
“E così sei fidanzata. Che strano” disse il principe.
“Mmm…”. Myra lisciò le pieghe il vestito della sua bambola preferita senza dire una parola.
Entrambi se ne stavano seduti sul letto di lui, le gambe incrociate.
“Non sembri tanto contenta”
“Rabadash non mi è piaciuto. E’ praticamente un vecchio, Rilian!”
“Sembravi entusiasta fino a pochi giorni fa”
Myra sbuffò. “Oh, smettila di rinfacciarmi le cose!”
Rilian si aspettò di vederla scoppiare in lacrime ma non fu così.
“All’inizio sembrava simpatico…”
Rilian fece una smorfia. “A me è parso antipatico e arrogante fin da subito”
“Ma no…ha raccontato cose incantevoli sul Mondodisopra, ed si è mostrato gentile, solo che…a un certo punto mi ha inquietata”
“Che parole da adulta usi, Mia”
La principessa prese un guanciale e colpì il fratello. “Smettila di prendermi in giro, sto cercando di fare un discorso serio!”
“Tu non fai mai discorsi seri”
Myra gonfiò le guance e lo colpì ancora.
Lui rispose alla lotta, ridendo con lei, afferrando la sua bambola.
“No, no, ridammela!” Myra allungò le braccia, inginocchiandosi sul letto.
Rilian era saltato in piedi sul materasso, tenendo il giocattolo fuori dalla sua portata. “Ammetti che avevo ragione e te la ridò”
“Va bene, avevi ragione: mi sono pentita” sospirò tristemente la bambina.
Lui le restituì la bambola. “Mi dispiace, Myra. No, sul serio. Comunque, avevi detto che se non ti fosse piaciuto non lo avresti sposato”
Lei si intristì. “Ormai sono fidanzata, Rirì. Tu non eri là, non hai assistito al brindisi. Non posso più tirarmi indietro”
Rilian si rimise nella posizione iniziale: a gambe incrociate di fronte alla sorella. Lei fece lo stesso.
Myra teneva il capo chino, la sua bambola stretta la petto. “Nostra madre era così felice…”
“Non è nostra madre, quante volte te lo devo ripetere!”
La principessa puntò i grandi occhi castani in quelli azzurri di lui. “Lo dici sempre, è vero, e io so che hai ragione. Hai sempre avuto ragione su tutto, Rilian, ma io non ho voluto darti retta. Mi dispiace”
Lui parve confuso e compiaciuto allo stesso tempo. Era raro che la sorella gli dicesse che aveva ragione: Myra era molto orgogliosa, come lui del resto.
“Non ti ricordi niente dell’altra sera, vero?” chiese lei, raddrizzando le spalle.
Lui sbatté le palpebre. “Cosa?”
“La sera della Festa d’Autunno, Rirì. Sei sparito prima del mio fidanzamento e quando ti ho rivisto eri steso a letto, dicevi cose strane…”
Il principe si ritrasse improvvisamente. “La Signora mi ha spiegato che sono stato male: ho rischiato di trasformarmi nella creatura oscura. Non è forse successa la stesa cosa anche a te?”
Myra scosse il capo con convinzione. “No. Non so cosa ti è successo quella notte, ma non ti stavi trasformando per niente, e io nemmeno. La Signora ti ha mentito”
Rilian si stupì notevolmente di quella affermazione: mai sua sorella aveva messo in dubbio le parole della Signora.
“Lei ha usato la Sedia d’Argento su di noi, come fa sempre” proseguì Myra, abbassando la voce per paura che qualcuno potesse sentirla. “Ma a differenza di tutte le altre volte io ho sentito quello che mi accadeva intorno. Sentivo la voci della Signora ordinare ai servitori di allontanarci subito da Harfang, che non potevamo rischiare di rivedere...non so cosa. Non ricordo bene: ero sveglia ma era come se sognassi”
Rilian la fissò con tanto d’occhi.
Non era possibile. Quando sedevano sulla Sedia d'Argento, la loro volontà veniva annullata, e lo stesso accadeva alle creature che dormivano all’interno dei loro corpi.
“Non puoi essere rimasta sveglia. Se così fosse, avresti dovuto trasformarti”
“Ma non è successo!” insisté Myra in una esclamazione soffocata. “Quella sera mi hai gridato che dovevo scappare, che non dovevo credere alle parole della Signora, perché ci ha sempre mentito”
“Avrò detto cose senza senso, stavo male”
“No, non stavi male! Non mi ascolti?” Myra mise la sua bambola da parte e prese le mani del fratello nelle sue, fissandolo intensamente. “Non so cosa ti sia successo, però so che stavi per dirmelo e la Signora non te lo ha permesso. Devi aver visto qualcosa, Rilian. Devi aver visto qualcosa che non dovevi vedere”

 
 
 
 
Scusate il piccolo ritardo, cari lettori! Volevo postare giovedì ma efp e internet ancora mi davano problemi. Sono ormai convinta che qualcuno mi abbia fatto il malocchio….o che l’abbia fatto al mio pc XD
In ogni caso, ecco il nuovo capitolo! La prossima volta avrete una nuova mappa (la sto preparando), raffigurante sia Narnia che il Mondodisotto, così capirete meglio i nuovi spostamenti dei nostri eroi.
Passo subito ai ringraziamenti e vi lascio ai commenti! Voglio sapere cosa pensate di Caspian e Lord Erton!!!

Per le preferite: 
Annabeth Granger, Araba Shirel Stark, batte wound, BettyPretty1D007flowers, bibliophile,  Callidus Gaston, Christine Mcranney, Dark side of Wonderland, english_dancer, Fantasy Heart, Francy 98, Fra_STSF, Friends Forever, G4693, Gigiii, giuly_dramione, Happy_699, HarryPotter11, HikariMoon, Jordan Jordan, littlesary92, LittleWitch, LucyPevensie03, lullabi2000, marasblood, Mia Morgenstern, Mutny_BorkenDreams, osculummortis, Queen Susan 21, Robyn98, Sara_Trilly, senoritavale, Shadowfax, Starlight13, SuperStreghetta, Svea,  SweetSmile, TheWomanInRed, vio_everdeen, Zouzoufan7,_faLL_ _joy, _likeacannonball
 
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Per le recensioni dello scorso capitolo:  Fantasy Heart, LittleWitch, Sara_Trilly, senoritavale, Shadowfax,_joy


Angolino delle Anticipazioni:
Ho dedicato un pezzo molto corto a Rabadash, e annuncio che non si vedrà per un pò. Scoprirete più avanti cosa sta succedendo a Cair Paravel.
Intanto, continua il viaggio nel Mondodisotto: nuovi incontri per la compagnia di Narnia in vista.
E Myra e Rilian verranno a conoscenza di qualcosa che non dovrebbero sapere…

 
In conclusione, vi ricordo sempre che per conoscere gli aggiornamenti di Night&Day e dell’altra mia fanfiction (fandom Ben Barnes) dovete passare dalle mie pagine facebook Susan TheGentle Clara e Chronicles of Queen
Per stavolta è tutto!
Un bacione e grazie a tutti!!!
Susan♥
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Capitolo 32
*** Capitolo 32: Il Leone tra le fiamme ***


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IN FONDO LE MAPPE DI NARNIA E DEL MONDODISOTTO


32. Il Leone tra le fiamme
 
E anche se dovrò morire,
il mio amore non morirà.
L’amore cambierà il mondo…
 
 
 
“Quando la Signora ci ha portato via in carrozza” riprese Myra, “io sentivo quello che diceva. Vicino a me c’era una presenza, qualcuno che mi sussurrava ‘non addormentarti Myra, resta sveglia, devi ascoltare”
Rilian fu percorso da un brivido di eccitazione. “Chi era?”
“Non lo so. Comunque, è grazie a questa presenza che sono riuscita a sentire una cosa che la Signora ha detto mentre eravamo sulla carrozza. Lei credeva dormissimo, e si è messa a parlare ad alta voce”
“Con qualcuno?”
“No, credo parlasse tra sé e sé. Ma ascolta: disse che se non fosse intervenuta con la Sedia d’Argento, anche io, come te, avrei potuto ricordare, e una cosa del genere non si sarebbe mai dovuta ripetere o sarebbe stato un grosso guaio. E adesso io non riesco più a capire, Rilian: se la Sedia d’Argento serve a tenere addormentate le creature dentro di noi, cosa centra il non ricordare? Vuol forse dire che la Sedia serve per tenere a bada noi due e non i mostri? Perché io ero sveglia, Rilian, e non ho sentito niente di strano in me, niente mostri che cercano di risvegliarsi”
“Ma la voce che ti ha parlato, allora? Di chi era? Poteva essere quella del mostro?”
“Oh, no, non credo proprio. Aveva tutto fuorché il tono di un mostro sanguinario, credimi”
Il principe picchiò i pugni sul materasso. “Io non riesco a ricordarmi nulla, accidenti! Se solo potessi…”
Myra si posò una mano sul petto. “Ci penserò io, non ti preoccupare! So già come fare”
I gemelli si fissarono: lui un po’ perplesso, lei determinata.
“Mia, cos’hai in mente, di preciso?”
“Semplice: chiederò alla Signora cosa ti è successo veramente. Ovviamente non mi aspetto che mi dirà tutto, anzi, quasi sicuramente non mi dirà proprio niente”
“Forse è meglio che lasci fare a me. Tu non sei tanto brava in queste cose, ti tradisci subito: non le sai dire le bugie”
“No, Rilian, devo essere io a farlo. Se tu iniziassi a gironzolarle attorno tempestandola di domande, capirebbe subito che c’è sotto qualcosa. Se invece lo faccio io, sono sicura che sarà molto più…ehm…come si dice? Accondinden…no…accondiscendevolmente…nemmeno…”
Il principe la guardò storto. “Che diavolo blateri?!”
“Uffa, zitto! Sto cercando di ricordare una parola che ho sentito da Lora…” Myra batté il pugno sul palmo dell’altra mano. “Ecco: accondiscendente!”
“E cosa vuol dire?”
Lei fece un’espressione smarrita. “Questo non lo so”
Rilian roteò gli occhi.
Non era affatto convinto del piano della sorella. Di solito, era lui a coinvolgerla per primo in scorribande notturne, scherzi e giochi pericolosi che facevano infuriare la Signora e angosciare la povera Lady Lora. Quella volta, invece, era stata Myra a prendere in mano le redini di quello che un gioco non era affatto. Spiare la Signora, rischiando che capisse i loro sospetti su di lei…Rilian non voleva nemmeno immaginare cosa avrebbe potuto fare quella donna a sua sorella!
Ma Myra fu irremovibile: era rimasta molto scossa da quel che era accaduto al fratello nel castello di Harfang: la Signora continuava a chiamarla ‘una crisi violenta causata dall’aria del Mondodisopra’, ma la bambina non l’aveva bevuta. La preoccupazione per Rilian e la curiosità, spingevano la principessa a indagare sulla faccenda.
La Strega Bianca stava perdendo presa sui bambini e non se ne avvedeva, troppo impensierita che il potere della Sedia si fosse indebolito.
Fu proprio mentre si accertava che così non fosse che ebbe iniziò il piano di Myra.
La principessina entrò nelle stanze della madre adottiva dopo aver bussato una volta.
“Myra, tesoro, vieni” disse Jadis, allontanandosi dal magico congegno, allungando le mani verso la bambina. “Mia cara, sono contenta che tu sia venuta a trovarmi, non abbiamo ancora avuto modo di parlare del tuo fidanzamento”
“Non sono venuta per questo” disse la principessa, sedendo su una poltrona.
Jadis sedette su un’altra lì accanto. “Cosa ti preoccupa, bambina mia?”
Myra sfoderò l’arte in cui riusciva meglio (dopo l’equitazione, s’intende), e si fece venie le lacrime agli occhi. Era bravissima a indursi il pianto, trucco che usava spesso se voleva qualcosa e questa le veniva negata. Spesse volte, piangeva fino a che Lora o altri servi non si impietosivano e cedevano.
“Madre, sono tanto preoccupata per mio fratello!”
“Perché, che cosa è successo?” la Signora si agitò. “E’ forse stato male di nuovo?”
Myra notò la sua ansia. “No, no, sta bene, però ho paura che succeda ancora ciò che è successo ad Harfang! Mi sono tanto spaventata quella sera! Avevo paura che Rilian morisse!”
Jadis stirò le labbra in un sorriso di circostanza. Si inginocchiò accanto alla bambina, picchiettandole su una spalla con fare materno. In realtà, non le importava affatto dell’angoscia della principessina, le importava solo che Rilian non ricordasse.
“Tesoro, non devi pensare queste cose. Tuo fratello sta bene adesso, la Sedia d’Argento lo aiuta ogni notte”
Myra si asciugò le lacrime, voltando lo sguardo verso l’oggetto magico. “E se non funzionasse più?”
Jadis rise. “Impossibile, cara. ve l’ho spiegato molte volte: ho creato questa Sedia apposta per voi due, per aiutarvi ad annullare la maledizione giorno dopo giorno. Più diventate grandi, più la magia della Sedia si rafforza dentro di voi e, quando sarà il momento giusto, vi permetterà di a sconfiggere del tutto il sortilegio. Quello che è accaduto a Rilian è avvenuto perché siete ancora troppo piccoli. Ho sbagliato: non avrei dovuto portarvi in superficie. Non avevo calcolato che le creature oscure dentro di voi avrebbero potuto risvegliarsi a contatto con la luce del giorno”
Myra cercò di immagazzinare le parole della Signora, in modo da poterle riferire a Rilian per filo e per segno.
“E se la Sedia si fosse rotta?” tentò.
“No, l’ho appena controllata. E’ perfetta, mia cara, perfetta”
Jadis volse lo sguardo verso di essa. Myra la fissò in viso e vi scorse dipinta un’espressione più rilassata.
“Madre, mi promettete che a Rilian non succederà niente?”
“Te lo prometto”
“Grazie, madre, ora sono un po’ più tranquilla”. Myra si alzò in piedi, camminando verso la Sedia.
Jadis scattò in piedi gridando: “Ferma!”
La principessa e la Strega si fissarono, la prima senza capire il motivo di quella reazione da parte della seconda.
Jadis aveva notato qualcosa alle spalle della Sedia d'Argento e non voleva assolutamente che Myra rischiasse a sua volta di vederlo.
Un attimo dopo, si impose un nuovo sorriso e tornò a rivolgersi alla bambina. “Ti ho detto molte volte che non devi avvicinarti alla Sedia quando non è necessario, tesoro”
“S-sì. Scusatemi”
“Su, ora va, torna nella tua stanza. Parleremo ancora domani, adesso ho delle cose da fare”
La principessa corse fuori dalla camera. Fece per chiudere la porta ma, all’ultimo momento, fu spinta dal desiderio di fermarsi, di lasciare una fessura per poter sbirciare ciò che accadeva all’interno.
La Signora stava ancora in piedi al centro della stanza, fissando la Sedia d’Argento, i cui ricami brillavano al riverbero del fuoco che ardeva nel camino dietro di essa.
Ma Jadis non guardava affatto la sedia, guardava proprio il fuoco. Sorpassò il congegno magico e si avvicinò tanto al camino che Myra credette volesse entrarci dentro.
La bambina piegò la testa di lato, aprendo di più la fessura per vedere cosa ci fosse di tanto interessante tra i ceppi ardenti…quando una mano si posò sulla sua spalla.
Fortunatamente, la piccola ebbe l’accortezza di coprirsi la bocca con una mano, soffocando così il grido di spavento che le scaturì dalla gola.
“Scusa, sono io!”
“Rilian!” soffiò Myra, guardandolo con rabbia. “Mi ha quasi preso un colpo!”
“Ero preoccupato per te” disse lui, muovendo solo le labbra.
La sorella gli sorrise.
Poi, spalla a spalla, tornarono a guardare dentro la stanza.
E finalmente videro che cosa stava succedendo al suo interno: le fiamme del camino avevano preso le sembianze di un animale enorme, un felino dalla criniera ondeggiante, le zampe possenti, la coda lunghissima.
“Tu qui?!” sbraitò la Signora, brandendo la bacchetta magica.
“Sono sempre stato qui, Dama Verde” disse il Felino, la voce roca e potente.
Myra la riconobbe subito per quella che aveva sentito nella propria mente.
La Signora emise un verso sprezzante. “E così li aiuti... Avrei dovuto immaginarlo che centravi tu! Ma loro adesso sono miei! Miei, hai capito?”
“Non ti sono mai appartenuti e mai ti apparterranno. Nemmeno l’unione con Calormen ti servirà. Nessun patto terreno potrà mai cancellare un patto nato dal cuore”. Il Leone avanzò versò la donna con un passo elegante, la testa eretta, lo sguardo serio, terrificante. “Ora, io qui ti dirò qualcosa: otto anni fa, ai confini del Mondo, donai un’eredità a un Re e a una Regina: *fu la promessa di una stirpe che sarebbe durata a tempo indefinito e non si potrà enumerare. Ho benedetto quella stirpe, ed essa si moltiplicherà come le stelle del cielo e i granelli della sabbia del mare”
La Strega strinse tanto la bacchetta nel pugno che questa quasi si spezzò. “Io metterò la parola fine a tutto questo, Aslan! Una volta per tutte!”
“La tua rovina è davanti ai tuoi occhi e tu non la vedi”
“Taci!”
Jadis lanciò la bacchetta magica contro il Leone, ma Egli spalancò le fauci e la inghiottì.
Un ruggito fragoroso invase l’aria, facendo tremare le pareti. Ci fu un’esplosione di scintille di magia e fuoco. Rilian e Myra furono costretti a coprirsi gli occhi, ma lo fecero solo per un attimo, poiché erano ansiosi di scoprire cosa sarebbe successo ora.
Il Leone brillava di una luce intensa, il fuoco danzava attorno a lui.
“Vattene, Aslan!”
“Ricorda le mie parole, Signora dalla Veste Verde”
La figura del Leone scomparve, le fiamme danzarono nell’aria per un momento, poi si ritirarono di nuovo nel camino, si quietarono. Sui ceppi di legno era posata la bacchetta magica della Strega Bianca.
Jadis si chinò a raccoglierla, usando il suo potere del ghiaccio per raffreddarla. Poi attraversò la stanza, tirò un cordone e suonò il campanello per chiamare i servitori.
Rilian prese Myra per un braccio. “Via! Filiamocela prima che ci scopra”
I due bambini non fecero tempo a voltarsi che si ritrovarono davanti l’alta figura di Mullughuterum. La creatura li osservò con sguardo inespressivo, come sempre. Non lo avevano mai sentito parlare in loro presenza ma, di sicuro, con la Signora avrebbe parlato eccome! Avrebbe detto di averli trovati a spiarla e allora…
Invece, incredibilmente, Mullughuterum fece loro cenno con il capo di andarsene.
I bambini si allontanarono piano, camminando all’indietro.
Mullughuterum agitò le mani, come a dirgli di sbrigarsi.
Rilian e Myra non se lo fecero ripetere, correndo via alla svelta.
La creatura attese qualche secondo e poi bussò alla porta della stanza della sua padrona.
“Avete chiamato, mia Regina?”
“Sì” Jadis lo raggiunse, il viso contratto per la rabbia. “Dì a Lady Lora di restare con il principe Rilian, sempre, giorno e notte: non deve mai lasciare la sua stanza. Alla principessa Myra penserò io”
“Io non li perdo mai d’occhio, mia signora, come mi avete più volte ordinato”
“Sì, ma nei prossimi giorni non potrai farlo, Mullughuterum. Ho un lavoro per te che ti terrà lontano dal castello”
“Sono ai vostri ordini”
Jadis sedette sulla sua poltrona preferita. “La compagnia di Narnia deve essere penetrata nel Mondodisotto. Ho ricevuto una…visita che mi ha fatto giungere a questa conclusione. Prendi con te i tuoi migliori uomini, cercali, e quando li hai trovati, uccidili”
 
 
 
~˖~
 
 
 
“La mappa va letta come attraverso uno specchio, ma a testa in giù” rispose Lord Erton.
Caspian lo fissava con sguardo minaccioso, all’erta, aspettando un solo pretesto per puntargli di nuovo il coltello alla gola e finire il lavoro.
“Il nord è il sud, l’est è l’ovest” continuò Erton “Non mi sembra difficile da capire. Sappiate però che i due Mondi non sono equivalenti”
Ombroso si chinò all’orecchio di Caspian. “Sire, che vuol dire equivalente?”
Il Re tracciò con il dito indice una serie di linee sulla mappa. “Che la geografia dei due Mondi è pressoché la stessa, ma il Mondodisotto non è l’esatta copia di Narnia”
“Incontrerete luoghi quasi del tutti identici” proseguì Erton, “mentre altri vi saranno difficili da riconoscere”
“Come si arriva al castello della Signora dalla veste Verde?” chiese Emeth, impaziente. “E’ questo che ci interessa di più e non l’avete ancora detto”
“Mi hai tolto le parole di bocca” disse ancora Caspian.
Erton incassò la testa nelle spalle, le labbra serrate. “Ci arriveremo”
“Allora la mappa la terrete voi, milord”. Il Liberatore l’arrotolò e gliela depose sulle ginocchia.
“Non potrò leggerla se avrò le mani costantemente legate!”
“Vi aiuteranno Miriel, Lucy e Shanna a tenerla aperta davanti a voi. Vi servono soltanto gli occhi per guardare, o no?”
Lord Erton bofonchiò vari insulti in direzione del sovrano, mentre Peter e Eustace lo riportavano sul carro.
La sua sorte era ormai segnata, pensava il Duca. Aveva elargito informazioni che aveva giurato sulla propria via di non rivelare mai. Ormai, anche riuscendo a fuggire e avvertire la Strega Bianca dell’imminente arrivo della compagnia di Narnia, non avrebbe potuto impedire al suo povero collo di fare crack, non appena ella avesse saputo che era stato lui a rivelare il nascondiglio dei bambini.
In un attimo, Erton cambiò prospettiva sul suo prossimo futuro: stava seriamente pensando che avrebbe preferito avere Caspian come suo giudice al posto di Jadis. Il Liberatore lo avrebbe fatto processare e, al peggio, sbattuto in galera per il resto dei suoi giorni. Dopotutto, si sapeva che la pena di morte non rientrava tra le leggi di Narnia, poiché solo ad Aslan era concesso decidere chi dovesse vivere o morire.
 
 
Ripresero il cammino di lì a pochi minuti, guardandosi attorno con attenzione.
Lord Erton non aveva mentito: il paesaggio appariva a tratti estraneo e a tratti familiare, ma il Mondodisotto non era un altro mondo nel vero senso della parola, bensì la stessa terra nota a tutti loro e nella quale avevano vissuto, solo all’incontrario. .
“E’ un po’ come guardare il mondo a testa in giù” commentò Ombroso, facendo capriole in aria, volando per un po’ con le zampe all’aria.
“Ma voi vedete sempre il mondo a testa in giù, signor Ombroso” gli fece notare Shira, divertita dalle sue bizzarre acrobazie. “E comunque, i nostri amici umani non devono camminare sul soffitto, per grazia di Aslan!”
“Sarebbe stato divertente!” commentò Jill.
Le chiacchiere aiutavano la compagnia a mitigare l’impazienza e a far passare il tempo. Nei momenti in cui cavalcavano nel completo silenzio, reso ancor più opprimente da quelle caverne prive di qualsiasi forma di vita (o così sembrava), pensieri tristi e preoccupazioni affollavano le menti di ognuno. Era decisamente meglio distrarsi, parlando, ipotizzando su ciò che avrebbero trovato, facendo piani per quando fossero giunti dalla Dama Verde. Questi ultimi erano discorsi sussurrati, in modo da lasciare Lord Erton all’oscuro dei particolari.
Caspian ancora non sapeva cosa farne di quell’uomo. Una volta arrivati a destinazione, e una volta che il Duca avesse detto loro come entrare nel palazzo della Dama Verde, dove avrebbe potuto lasciarlo? Una parte di lui avrebbe voluto toglierlo di mezzo, un’altra era tentata di abbandonarlo laggiù; un’altra ancora gli suggeriva di continuare a portarlo con loro fino a Cair Paravel.
In ogni caso, la sorte di Erton era l’ultimo dei suoi problemi. Caspian sentiva l’ombra del tempo pesargli addosso, come una presenza reale a ricordargli che il momento della resa dei conti si avvicinava ogni ora di più. Era il quarto giorno da che avevano lasciato Harfang: ne avevano sprecati tre girovagando nel nulla per colpa del Duca.
Quanto mancava al solstizio?
Sedici giorni.
Praticamente due settimane.
Due sole settimane.
Mentre il Re di Narnia si perdeva in questi pensieri, ecco apparire davanti ai loro occhi una serie di piatte collinette, che formavano una barriera su tre lati intorno a una piccola valle e un fiume. In quel paesaggio, riconobbero quella che poteva essere la Foresta Tremante e il Fiume Telmar. A differenza di questi però, lì nel Mondodisotto, la foresta si presentava come una landa quasi totalmente spoglia, disseminata di rocce e alberi simili a quelli visti nella Radura Luminosa, con rami rinsecchiti e fronde cadenti. Nessuna presenza di animali. L’acqua del fiume era piuttosto torbida, ma era potabile; in ogni caso, se non volevano morire di sete, non avevano scelta che rifornirsi con quella.
Si fermarono per la notte quasi al confine tra la Landa Desolata e un boschetto di quelle che sembravano piante di alloro. Esattamente come nella Radura Luminosa, le piante emanavano una tenue luminescenza azzurro-verde.
“Pozzanghera?” chiamò Caspian, dopo che si furono sistemati per la notte.
Il Paludrone si avvicinò. “Ditemi, Maestà”
“Tu sei stato in tanti posti, hai visto molte cose…”
“Anche voi. Siete stato alla Fine del Mondo!”
Caspian sorrise, togliendosi il mantello: tra poco si sarebbe trasformato. “Sì, è vero, ma al di fuori di quel viaggio, le mie visite nei paesi vicini a Narnia non si possono definire imprese emozionanti. Tu invece sei stato d’dappertutto, hai fatto cose straordinarie benché tu sembri volerlo tenere nascosto”
“Non mi piace vantarmi di cose che potrebbe fare chiunque possieda un po’ di spirito d’avventura, e tanta imprudenza”
Caspian sorrise ancora. “Cosa credi che troveremo quaggiù?”
“Ah, non lo so dire. Al momento, questo Mondodisotto sembra privo di pericoli, ma non sarei così ottimista”
“Chissà perché lo immaginavo…”
“Non prendetemi in giro, mio signore. Dico solo quello che mi sento nelle ossa: è un posto strano, quasi addormentato. Però, anche un vulcano dormiente può risvegliarsi quando meno ce lo si aspetta”
“Credi che avremo guai? Signora dalla Veste Verde a parte, ovviamente”
“Ancora devo dirvi che non lo so, Sire. Ma se pensiamo a quel che disse Titania, ovvero che anche la anche la Signora dalla Veste Verde è una una regina...bè, dobbiamo dedurne che non può essere sovrana di un regno disabitato, non vi pare?”
“Giustissima osservazione, Pozzanghera” Caspian si guardò attorno. “Speriamo solo che gli abitanti di questo luogo, quando decideranno di mostrarsi, non siano troppo ostili”
 
 
 
La luce degli alberi calò piano piano e, infine, quando la notte calò, si spense quasi del tutto.
Gli si già dormivano, ma Susan restò sveglia a lungo.
La Regina teneva la mappa di Narnia sulle gambe piegate sotto il corpo, osservandola alla luce del fuoco, cercando di comprendere al meglio - così come avevano fatto gli altri - il modo di orientarsi.
Si chiedeva in quali circostanze e in quale tempo si fosse formato quel mondo sotterraneo, cosa o chi ci vivesse: forse creature credute estinte, forse le stesse di Narnia, o chissà quali altre.
Un rumore secco e improvviso, come quello di un ramo che si spezza, la fece trasalire.
In quel silenzio assoluto, il suono era sembrato cento volte più forte del normale.
Se il lupo non fosse stato lì accanto a lei, quella notte, Susan avrebbe creduto potesse essere stato lui a provocare quel rumore.
Ma Caspian, le cui costole non erano ancora guarite, se ne stava tranquillo a riposare. Al rumore secco, però, anche lui aveva alzato la testa, le orecchie dritte, lo sguardo attento fisso in un punto lontano.
Susan ripiegò in fretta la mappa e la posò sul proprio giaciglio, alzandosi in piedi, arco e frecce alla mano.
Il lupo fece per seguirla.
“No, tesoro” lo fermò lei con un gesto della mano. “Torno subito”
Il lupo, in piedi sulle quattro zampe, rimase immobile a guardarla allontanarsi.
La Regina camminò in mezzo ai sacchi a pelo dei compagni, il passo leggero per non svegliare nessuno: non li avrebbe disturbati se non ce ne fosse stato bisogno.
Arrivò al confine della Landa Desolata, cercando di scorgere un movimento o un’ombra dietro gli alberi del boschetto che sorgeva poco più in là.
Nulla.
“Mia adorabile signora?” sussurrò la voce di Ombroso. La sua ombra si staccò da uno degli alberi della landa.
Susan, senza voltarsi, si pose un dito sulle labbra. “C’è qualcuno laggiù” sussurrò più piano ancora.
Il pipistrello guardò lei e poi il bosco.
Infine, qualcosa si mosse al di là degli alberi di fronte a loro.
A Susan e Ombroso parve di scorgere strane facce – o forse erano maschere – che li fissarono per alcuni secondi, per poi scomparire tra leggeri fruscii di foglie.
“Li avete visti?” chiese Ombroso, eccitato e spaventato insieme.
Susan abbassò l’arco e annuì. “Svegliamo gli altri, dobbiamo informarli”
Appena lei si voltò, vide il lupo in mezzo alla landa.
Sorrise, inginocchiandosi quando lo raggiunse. “Ti avevo detto di non muoverti. Perché non mi ascolti mai?”
Lui le leccò il viso.
“Sue? Che succede?” fece la voce impastata di Edmund.
Il Giusto si stropicciò gli occhi, uscendo dal suo sacco a pelo. Lo stesso fecero gli altri poco dopo (tranne Lord Erton, che faceva finta di dormire ma in realtà ascoltava tutto quello che dicevano).
“C’era qualcuno nel bosco appena fuori dalla landa”
“Chi?” chiese Peter.
“Non lo so. Io e Ombroso abbiamo visto strani volti…”
“Sì, nascosti dietro il fogliame. Ci spiavano!”
“Qualcuno ci spia?” disse Shira, facendo frullare le ali.
“Li avrà mandati la Signora dalla Veste Verde?” chiese Miriel, inquieta.
“Improbabile” rispose Peter, un braccio attorno alle sue spalle per placare la sua ansia. “Non può sapere che siamo qui”
“Potrebbero averglielo detto quelle creature” disse Lucy.
“E’ vero” disse Emeth. “Forse hanno notato la nostra presenza, lo hanno riferito alla loro regina e adesso ci seguono”
Tutti quanti voltarono il capo verso gli alberi in lontananza.
“Cos’hanno fatto quanto ti hanno vista?” chiese Shanna a Susan.
“Nulla. Si sono limitati a fissarmi e poi se ne sono andati”
“Forse non ci faranno nulla” azzardò Jill. “Magari sono semplicemente curiosi”
“Troppo ottimista, cara mia” commentò Pozzanghera, accendendosi la pipa. “Ombroso, ti do il cambio. Il secondo turno di guardia tocca a me, vero? Ragazzi, gradirei un po’ di compagnia”
“Vengo io” si offrì Peter, rivolgendosi poi agli altri. “Da stasera, finché non ne sapremo di più su queste creature, i turni si fanno a coppie, è più sicuro”
Tutti furono d’accordo.
Miriel afferrò la manica della tunica del Re Supremo. “Non ti mettere in testa di andare ad esplorare tra quegli alberi”
Peter le passò una mano tra i capelli, afferrando Rhindon con l’altra. “No, te lo prometto. Tu dormi tranquilla, però, va bene?”
Lei annuì.
Il giovane le posò un bacio sulle labbra, poi un altro più intenso e lungo.
“Non vorrei che fossi qui”
Miriel si fece triste per un momento. “Non mi vuoi intorno?”
“Sciocca, non è questo. Non voglio che rischi la tua salute. Dovresti stare a riposo il più possibile invece di viaggiare su un carro in una terra di nessuno. Tu e il piccolo…”
“La piccola”
Peter sbatté le palpebre. “Cosa?”
Miriel gli accarezzò il viso. “Ce la posso fare. Non è come sulle montagne, qui fa più caldo e mi sento bene...a parte le nausee al mattino”
Lui sorrise, lei fece lo stesso.
“In quanto al bambino…è una bambina, Peter”
Lui le accarezzò il ventre. “Come lo sai?”
“Perché, da sempre, le Driadi delle Valli del Sole mettono al mondo figlie femmine come primogenite. Anche se ora sono umana, questa regola vale ancora anche per me. Avrei dovuto dirtelo prima, scusami”
Peter l’abbracciò brevemente, per poi guardare intensamente nei suoi occhi acquamarina.
“Lo senti?” le chiese. “Voglio dire…senti che è una lei?”
“Sì” . Miriel vide un sorriso di pura gioia sul suo bel viso. “Non sei deluso, vero?”
“E di cosa? Che non sia un maschio? I maschi portano solo guai, guarda mio fratello!”
Miriel liberò una risata leggera.
“Ne parliamo ancora domattina” disse lui.
“Certo. Sta attento, mi raccomando”
Peter la baciò ancora e poi raggiunse Pozzanghera.
 
 
Il mattino seguente, la notizia che Peter e Miriel avrebbero avuto una bambina, animò l’intera compagnia.
“Congratulazioni” disse Caspian al Re Supremo.
I due nemici-amici si strinsero la mano.
Adesso condividevano lo stesso destino: quello di padre. Forse, un giorno, questo li avrebbe spinti a conoscersi come non si erano mai conosciuti, a sotterrare quella vecchia ascia di guerra che, neanche loro sapevano perché, ancora brandivano.
Riprendendo il viaggio, Lord Erton li spinse ad inoltrarsi proprio nel bosco in cui Susan e Ombroso avevano avvistato le facce delle creature misteriose.
Queste non si fecero più vive, né di giorno né di notte.
Il giorno dopo ancora uscirono dal bosco e si trovarono davanti il lungo letto di quello che somigliava al Grande Fiume. Più in là, scrosciava fragorosa una cascata, la corrispondente alle Grandi Cascate di Narnia.
Shira, il falco e Ombroso volarono in avanscoperta per controllare se ci fosse un sentiero percorribile. Se così non fosse stato, sarebbe diventato un problema continuare.
A impensierirli non era tanto l’attraversare il fiume. Pozzanghera disse che poteva benissimo costruire una barca abbastanza grande e resistente per tutti, utilizzando i tronchi degli alberi; ci sarebbe voluto del tempo ma, con l’aiuto degli altri e la sua esperienza, era un’impresa fattibile. Tuttavia, la vera difficoltà stava nel trasportare sull’altra sponda carro, cavalli e provviste.
Fortunatamente, al ritorno dei tre volatili, Shira disse che c’era un sentiero che passava proprio sotto la cascata.
“Sembra piuttosto stretto, per cui dovremo percorrerlo in fila indiana. Ma c’è un altro problema” Shira li guardò uno per uno. “Chi soffre di vertigini?”
Aggirarono la cascata, passando dietro il muro d’acqua, bagnandosi un poco per via degli schizzi provocati dal tuffo della cascata dentro il fiume. Man mano che avanzavano, la strada prese a salire e si assottigliò, ma ancora per qualche miglio carro e cavalli la percorsero senza problemi.
Poi, d’un tratto, dopo aver superato una curva, la parete alla loro destra scomparve, lasciando il posto a un immenso strapiombo che si perdeva nella foschia sottostante.
Eustace e Lucy divennero pallidi al solo pensiero di dover continuare.
“Tu dovresti essere La Valorosa, cugina, non puoi aver paura delle altezze!”
“Chiamalo il mio tallone d’Achille, Eustace. E poi senti chi parla! Quello che ha ancora paura del buio a diciassette anni!”
Eustace divenne bordò e mise il broncio. Jill rise fino a farsi venire mal di pancia.
“Fermi dove siete” ordinò poi Caspian. “Ora dovremo rallentare il passo e procedere con molta cautela”. Si voltò indietro. “Edmund, Pozzanghera: ce la fate con il carro?”
“Dovrebbe passarci” rispose il Giusto.
“Molto bene. Shira: tu, Susan e Ombroso andate avanti e guidateci”
“Sì, Maestà”
I tre uccelli furono molto utili alla compagnia. La strada saliva e scendeva a intervalli, la nebbia si alzava dal burrone e impediva ai ragazzi di vedere dove mettevano i piedi. Ma grazie agli avvertimenti dei due falchi e del pipistrello, riuscirono a superare quel punto impervio con successo.
“Ancora uno sforzo, gente. Attenti al masso, lì. Tenetevi a ridosso della parete il più possibile, la strada si stringe. Siamo quasi arrivati, coraggio!”
Infine, quando finalmente trovarono uno spiazzo di terra spazioso e sicuro, tirarono un sospiro di sollievo, . 
Ma le emozioni di quel giorno non erano finite lì.
Jill fece un balzo indietro, finendo addosso a Eustace.
“Che ti prende, Pole?”
“Guarda là!”
Tutti quanti puntarono gli occhi nel punto indicato da Jill: un’enorme caverna, il cui interno appariva più nero del nero, si apriva davanti a loro.
“Mi è sembrato di vedere qualcuno laggiù” disse la Settima Amica di Narnia.
In automatico, le armi vennero sfoderate.
Caspian, Edmund, Peter e Emeth avanzarono per primi, seguiti da Eustace, Jill e Lucy. Shanna e Miriel rimasero indietro assieme a Pozzanghera e Lord Erton, lo stesso Shira e Ombroso. Susan, invece, volò sulla spalla di Caspian, emettendo un verso d’allerta. Il Liberatore le intimò il silenzio.
Sulla soglia della caverna udirono il vento ululare e una lieve raffica d’aria li colpì.
“Andiamo a dare un’occhiata?” chiese Peter.
“Non tutti insieme” disse Emeth.
Lucy sì impuntò. “Se chiedete a me di rimanere indietro, giuro che…”
“Solo i Prescelti possono entrare qui” disse una voce gutturale proveniente dall’oscurità.
Le Spade degli Amici di Narnia (eccetto quella di Susan) brillarono nel buio insieme alla scimitarra di Emeth.
Decine di punte di lancia scintillarono in risposta.
Poi, una creatura alta quasi due metri, il corpo magro, la pelle giallastra, il volto privo di espressione, avanzò all’esterno della caverna. Indossava una tunica color della terra, ricamata con strani segni; sul capo portava quella che sembrava una specie di corona fatta di penne, mentre al collo aveva un ciondolo con una grossa pietra verde. Ai Pevensie e Eustace ricordò l’abbigliamento degli indiani pellerossa.
La creatura fissò gli occhi neri privi di pupilla sulle Sette Spade. Poi alzò una mano, e gli altri esseri abbassarono le lance.
“Potete passare, ma solo voi sei e il falco. Quello con la spada ricurva deve tornare indietro”
Emeth inarcò le sopracciglia. “Chi sei?”
“Il mio nome è Mullughuterum, e sono il guardiano del Mondodisotto”

 



 
*Citazione liberamente tratta dalla Bibbia (Genesi 17:4, 22:17), quando Dio promette ad Abraamo che il suo seme si moltiplicherà su tutta la terra.
 
 
Cari lettori, sono giunta a una conclusione: altro che virus e malaware! Qui qualcuno ha buttato una macumba sul mio pc, ci scommetto quello che volete! Non è possibile che proprio quando devo postare, internet non va! E che diamnieeeee!!!!!
Va bé, non ve ne frega nulla…l’importante è che ce l’ho fatta!
Cosa ve ne pare della nuova mappa? Anche stavolta è fatta a mano dalla sottoscritta! :) Riuscite a seguire gli spostamenti dei nostri eroi, vero? Se avete domande o dubbi, mi trovate alle mie pagine facebook, di cui vi metto i link appena sotto i Ringraziamenti:
 

Per le preferite: Annabeth Granger, Araba Shirel Stark, batte wound, BettyPretty1D007flowers, bibliophile,  Callidus Gaston, Christine Mcranney, Dark side of Wonderland, english_dancer, Fantasy Heart, Francy 98, Fra_STSF, Friends Forever, G4693, Gigiii, giuly_dramione, Happy_699, HarryPotter11, HikariMoon, Jordan Jordan, littlesary92, LittleWitch, LucyPevensie03, lullabi2000, marasblood, Mia Morgenstern, Mutny_BorkenDreams, osculummortis, Queen Susan 21, Robyn98, Sara_Trilly, senoritavale, Shadowfax, Starlight13, SuperStreghetta, Svea,  SweetSmile, TheWomanInRed, vio_everdeen, Zouzoufan7,_faLL_ _joy, _likeacannonball
 
Per le ricordate:  Annabeth Granger, anonymously Araba Shirel Stark, Callidus Gaston, Cecimolli, Gigiii, Halfblood_Slytherin, mishy, Queen_Leslie, Starlight13, Undomiel, Zouzoufan7
 
Per le seguite: ale146, alebho, All In My Head, Aly_F, Amy_demigod, Annabeth Granger, Araba Shirel Stark, BettyPretty1D007flowers, blumettina, Callidus Gaston, catherineheatcliff, cat_princesshp, Cecimolli,  ChibyRoby,  cleme_b, Dark side of Wonderland, ecate_92, Fantasy Heart, fede95, FioreDiMeruna, Flemmi, Francesca lol, Fra_STSF, Gigiii, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, harukafun, ibelieveandyou, Irene Evans, jesuisstupide, JLullaby, Judee, katydragons, lauraymavi, Lucinda Grey, marasblood, Marie_, Mai_AiLing, mewgiugiu, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex  Bolla, osculummortis, Queen Susan 21, Queen_Leslie, Revan93, Sara_Trilly, senoritavale, Sere Morgan, SerenaTheGentle, Shadowdax,  The Core of the Abyss, vio_everdeen, ZouZoufan7, _joy, _likeacannonball,_LoveNeverDies_ ,_Rippah_ 
 
Per le recensioni dello scorso capitolo:  Fantasy Heart, LittleWitch, senoritavale, Shadowfax,_joy
 

Angolino delle anticipazioni:
Attenti a Mullughterum! La compagnia di Narnia ha incontrato il seguace più fedele della Dama Verde: cosa succederà?
Rilian e Myra sono sempre più vicini alla verità, merito anche del costante aiuto di Aslan. Ma scopriranno gli inganni della Signora, o quest’ultima riuscirà a soggiogarli nuovamente?
Lo scoprirete la prossima volta ;)

 
In conclusione, ecco le mie pagine facebook Susan TheGentle Clara e Chronicles of Queen, dove trovate gli aggiornamenti di “Night&Day” e dell’altra mia fic su Ben Banres: “Two Worlds Collide”. A proposito: fan di Ben&Claire, pazientate mezza giornata che arrivo anche con loro!
 
Mi scuso ancora per il ritarduccio…
Grazie a tutti voi, continuate a seguirmi fino alla fine!!!
Un bacio e un abbraccio giganteschi!
Susan♥
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Capitolo 33
*** capitolo 33: Le creature delle tenebre ***


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IN FONDO LE MAPPE DI NARNIA E DEL MONDODISOTTO


33. Le creature delle tenebre
 
Di tanto in tanto mi sento un po’ sola,
e tu non ci sei mai…
 
 
 
Una decina di lanterne si accesero, illuminando l’entrata della caverna di una fredda luce verdastra.
La compagni di Narnia osservò stupita le creature del Mondodisotto: appartenevano a una razza sconosciuta, o forse a più di una razza. Ce n’erano alcune alte più di due metri, smilze, la faccia piatta e lunga come Mullughuterum. Altre erano piccole come Gnomi, con occhi troppo grandi rispetto al resto del viso. C’erano esseri con spalle larghe e corpi massicci, la testa piatta incavata nelle spalle; c’era chi era provvisto di lunghe code, di artigli al posto delle mani, di piedi piatti ed enormi; nasi lunghi e appuntiti, lunghe proboscidi; uno aveva un corno sulla fronte. E ancora, creature con masse di capelli simili a liane che gli ricoprivano la faccia, oppure calve ma con una gran barba ispida o baffi lunghi fino a terra.
Una cosa sola li accomunava tutti: l’espressione triste.
Dopo una prima occhiata, i ragazzi sentirono il timore svanire lentamente, sostituito da una gran compassione per quegli esseri che non dovevano aver mai provato il calore di un sorriso. Dubitarono persino che non potessero sorridere affatto, o che non conoscessero il significato di quella parola.
Infine, Mullughuterum riprese a parlare con la sua voce cantilenante, priva di qualsiasi inflessione.
“Signori del Mondodisopra, cosa vi ha spinto fin quaggiù?”
Caspian avanzò di un passo. “Sto cercando i miei figli: il Principe Rilian e la Principessa Myra. Io sono Caspian X il Liberatore, Re di Narnia, Signore di Cair Paravel e Imperatore delle Isole Solitarie”
Un beve brusio si levò dalle creature.
“Molti sono coloro che cadono nelle viscere del Mondodisotto, pochi coloro che tornano nel Mondodisopra, scaldato dal sole”
Edmund deglutì. “Ecco parole che ti rassicurano” mormorò.
Caspian gli fece cenno di tacere. “Avete detto che solo i Prescelti possono passare. Cosa significa esattamente?”
“Solo coloro che impugnano le Sette Spade di Luce sono invitati a oltrepassare questa grotta” rispose Mullughuterum. “Come guardiano del Mondodisotto, ho il dovere di far rispettare questa legge”
“E’ giusto. Sei un bravo guardiano, ma dimmi: chi ti ha dato quest’ordine?”
“La Dama Verde, regina del Regno delle Tenebre. Ho l’ordine di condurvi da lei”
I ragazzi si mossero nervosamente. Il falco, sulla spalla di Caspian, agitò le ali una volta.
“E’ una trappola” sussurrò Emeth.
“Forse lo è” gli rispose il Liberatore, senza interrompere il contatto con gli inespressivi occhi di Mullughuterum. “Ma va a nostro vantaggio: potremo entrare nel castello”
Il soldato abbassò la scimitarra. Il Re aveva ragione: avrebbero potuto entrarvi su richiesta della misteriosa regina invece che di nascosto. Sarebbe stato più facile, ma l’invito era esteso solo ai Sette Amici di Narnia, e lui non voleva lasciare Lucy.
“Ci dispiace ma non possiamo accettare” intervenne Peter. “Perlomeno, io non posso”
“Che diavolo dici?” sbottò Eustace a bassa voce.
“Allora nemmeno gli altri sei potranno farlo” disse prontamente Mullughuterum.
“Per favore” si fece avanti Jill, “lasciateci passare tutti insieme. E’ il Grande Aslan che ci ha affidato questa missione, quella di salvare i figli del Re e della Regina di Narnia” la ragazza lanciò uno sguardo alle proprie spalle, dove Pozzanghera e gli altri attendevano sul carro. “I nostri compagni laggiù…”
Mullughuterum scosse la testa, interrompendola. “Non è possibile”
“Vi prego!”
“No”
Le creature alle spalle di Mullughuterum avanzarono di pochi passi, le armi sfoderate per metà come avvertimento: se gli umani avessero tentato di violare le regole, avrebbero attaccato.
I ragazzi erano pronti a fare lo stesso. Caspian per primo mise mano sull’elsa di Rhasador, ma gli artigli del falco gli punsero la spalla: Susan lo avvertiva di non fare gesti avventati. Lui lo capì lanciandole uno sguardo. Il becco del falco si aprì in un suono sommesso,mosse le ali una volta.
Gli abitanti del Mondodisotto erano il doppio di loro, sia in numero che in stazza. Non avrebbero potuto batterli, senza contare che senza il loro aiuto non sarebbero riusciti comunque a passare per quella grotta. Caspian aveva la netta sensazione là dentro si celavano spiacevoli sorprese. Ovviamente poteva sbagliarsi, ma sembrava tanto la tana di un drago, a vederla così
Il Re di Narnia fece cenno agli altri di abbassare le armi. Poi si rivolse a Mullughuterum. “Possiamo parlarne un momento tra di noi?”
Il guardiano assenti con un movimento del capo. “Certo. Prendetevi il tempo che desiderate. Quando avrete deciso cosa fare ci troverete ancora qu.Tuttavia, la mia risposta sarà sempre la stessa: solo sette possono passare. Gli altri devono restare.”
Così dicendo, le creature del Mondodisotto voltarono le spalle al gruppo e ritornarono dentro la grotta.
Non appena sparirono, Eustace alzò la voce in direzione del Magnifico.
“Si può sapere che ti è preso? Ci stanno invitando nel palazzo! E’ il nostro passaporto per trovare i gemelli e tu lo butti al vento?”
Il Re Supremo rivolse uno sguardo ai compagni, dispiaciuto ma determinato. “Io non lascio Miriel”
“E io non lascerò Lucy” gli fece subito eco Emeth.
La Valorosa incontrò i suoi occhi e gli sorrise, un tuffo al cuore mentre percepiva tutto il suo amore per lei. Emeth poteva non essere un principe di sangue reale, ma era il suo principe. Era così che lei lo vedeva. Gli si accostò piano e gli afferrò la mano.
Ritornarono poi accanto al carro. Miriel scese a terra e abbracciò Peter, baciandolo una volta sulle labbra. Lei e gli altri avevano sentito tutto quello che i compagni si erano detti con le creature del Mondodisotto. Ora rimaneva da decidere il da farsi. Lord Erton continuò a ripetere più volte che non c’erano altre vie percorribili: l' unica era quella che correva sul ciglio della grande gola. Ma la compagnia non si fidava più dell' ex Duca. Non dopo tutte le volte che aveva cercato di fargli perdere l’orientamento.
“Troveremo un’altra strada” disse Peter a Miriel, accarezzandole i capelli. “Non ci separeremo”
“Non c’è un’altra strada” replicò immediatamente Lord Erton.
“Tacete, per l’amor del cielo” sospirò il Re Supremo.
“Forse mi sbaglio, però…” disse Miriel, un poco incerta. “Io credo che esista davvero un’altra via”
“Cosa te lo fa pensare?” indagò Erton, scettico.
“La Terra mi parla” rispose la Driade con naturalezza. “Sussurra qualcosa. Io posso udirla”
Sguardi ammirati si posarono su di lei.
“Ma certo!” esclamò Lucy. “Dopotutto sei la guida della terra”
Miriel sorrise e annuì. Si inginocchiò e posò le mani a palmo aperto sul terreno. “Aslan creò la Terra, e la Terra riconosce il ruolo di cui Aslan mi ha investita. Sa che ho il potere di creare una connessione con lei ed è come se mi stesse aiutando.  Sento le sue vibrazioni. Le ho sentite fin da quando siamo scesi quaggiù. Non vi ho detto nulla fino ad ora perché non ce n’era bisogno: stavamo seguendo la via giusta, le vibrazioni procedevano con noi. Poco fa, invece, quando siamo arrivati dinnanzi a quella grotta, hanno iniziato a cambiare direzione, come se…”
“Volesse indicanti una nuova direzione” disse Shira.
“Sì” Miriel aggrottò la fronte. “Sì, però…è incerta. La Terra si sposta avanti e indietro, da est a ovest. Non sa bene dove condurci. Come se ci fossero due strade ma non sapesse qual è la più sicura per noi”
Lord Erton trattene rumorosamente una risata. Peter gli lanciò uno sguardo infuocato.
“Non azzardatevi a ridere di lei!”
L’ex Duca si schiarì la voce nel tentativo di tornare serio. “Quante sciocchezze, per tutte le ombre! La Terra vibra e parla…”
“Che c’è di strano?” fece Ombroso. “Anche io parlo, no?”
“Tu sei uno scherzo della natura!”
“Anche voi lo site” ribatterono in coro il pipistrello e Caspian.
Gli altri trattennero le risate.
“Bravo, Sire, mi congratulo” disse Ombroso. “Stavolta siamo d’accordo”
Il pipistrello non avrebbe potuto giurarci ma gli parve proprio che il Liberatore gli avesse sorriso.
“Allora, cosa facciamo?” incalzò Jill l’attimo dopo.
“Io non vorrei separarmi da voi” disse Lucy, mordendosi un labbro.
“Non c’è un’altra via” ripeté Lord Erton per l'ennesima volta. Non potete passare per quella grotta. Dovete dirigervi verso la grande gola, entrare nella foresta e da lì…”
 “Ehi, sentite un po’!” esclamò Jill, ignorandolo completamente . “Perché non decidiamo per alzata di mano?”
Peter, Lucy e Edmund la guardarono allibiti. Eustace si batté una mano sulla fronte. Miriel e gli altri si scambiarono un'occhiata dubbia.
Infine, Caspian fissò Jill con espressione persa e chiese: “Che cosa vuol dire?”
“E’ una cosa che si usa nel nostro mondo. Vedi, quando non si arriva a una decisione si fanno certi…ehm, giochetti. Ad esempio, si tira a sorte con dei fiammiferi – chi prende il più corto perde – ma siccome non li abbiamo, possiamo fare per alzata di mano e…”
“Pole, risparmiaci, ti prego” sospirò Eustace.
“Perché? Mi sembrava una buona idea” Jill arrossì, rendendosi conto di aver detto una sciocchezza.
Scese il silenzio. Caspian prese a camminare lentamente avanti e indietro, le mani sui fianchi, il falco sulla spalla.
Eustace strusciò un piede a terra. “Io sono per dividerci. Scusami Miriel. Ma non possiamo basarci su indicazioni incerte”
La Driade guardò il cugino dei Pevensie con espressione triste. “Non mi credi?”
“Sì, ti credo! Altroché se ti credo! So cosa puoi fare. Mi ricordo ancora come assorbisti l’acqua del mare, costringendo la nave di Rabadash ad arenarsi quando ci battemmo con il suo equipaggio per la prima volta. Però ha ragione Emeth: è tutta una trappola. Anche Caspian la pensa così” aggiunse, come se il fatto che il Re di Narnia fosse d’accordo con lui nessuno avrebbe potuto contestarlo. Eustace non lo ammetteva ancora ma, anche se a bordo del Veliero dell’Alba lo aveva spesso definito un despota, ora lo ammirava davvero: ne ammirava il. sangue freddo e la forza sia fisica che emotiva. Benché la maledizione lo avesse cambiato internamente, indurendo il suo cuore, Caspian continuava a possedere tutte le qualità che facevano di lui un vero condottiero. Un vero Re.
“Provate a pensarci” proseguì Eustace. “Tutto un tratto appaiono quelle creature a dirci che la loro regina, alias Signora dalla Veste Verde, vuole i Sette Amici di Narnia al suo castello. Noi non sappiamo nulla di lei ma lei conosce noi a quanto sembra, e bene. Chissà da quanto tempo ci sta sorvegliando a nostra insaputa. Forse lo sta facendo dal giorno in cui l’abbiamo incontrata sul Ponte dei Giganti assieme a quel cavaliere. Sa chi siamo e cosa vogliamo fare. Lei ha i gemelli, e sta cercando di dividerci per renderci più difficile il compito di salvarli. Ma…” Eustace alzò un dito in segno di avvertimento, “in realtà è proprio quello che dobbiamo fare: dividerci. Qualcosa mi dice che, se passassimo tutti attraverso quella grotta laggiù, non ne usciremo mai più. Ma se ci dividiamo, qualcuno avrà la possibilità di sopravvivere”
“Oh, non dire così!” esclamò Shanna. “Nessuno di noi morirà!”
“Non puoi saperlo”
“Eustace!” lo ammonì Edmund.
“E’ la verità, solo che nessuno di noi lo vuole confessare ad alta voce. Ci avviciniamo alla meta, le cose diverranno ancora più difficili. Dobbiamo scendere a dei compromessi se vogliamo portare a termine la missione, anche se ci costerà caro. Lo so, ora mi direte che sono un’idiota guastafeste, e scusami ancora Miriel, ma io la penso così”
Nessuno disse niente per lunghi secondi.
Jill fissava Eustace con ammirazione. Lui era sempre stato l’amico un po’ sciocco e arrogante, per lei. Sentirlo parlare in quel modo era starno. D’un tratto gli apparve più adulto, più coraggioso. E forse persino più bello. Nei suoi occhi chiari c’era una luce diversa. Il suo viso non aveva la solita aria corrucciata di chi è pronto a replicare su qualsiasi cosa. Sì, era quello che aveva appena fatto, ma non si era lamentato, aveva espresso un suo pensiero, profondo e veritiero: aveva messo tutti quanti davanti alla cruda realtà. Jill si era sentita importante quando aveva saputo di essere la tanto attesa Settima Amica di Narnia. Quell’avventura le era apparsa straordinaria ma era vera, non un romanzo. Qualcuno di loro poteva morire. Jill non ci aveva mai pensato seriamente. Nel corso delle settimane erano accadute molte cose: Susan era rimasta ferita, Miriel si era ammalata gravemente, avevano rischiato di venire mangiati dai Giganti. Eppure, anche in quei momenti di incertezza, pericolo e preoccupazione, non aveva mai dubitato che tutto potesse concludersi nel migliore dei modi. Non aveva mai percepito davvero quanto la morte fosse sempre stata in agguato sul loro cammino. Erano stati fortunati a cavarsela sempre, o forse era merito di Aslan se erano ancora tutti vivi e in salute. Ma sarebbe sempre andata così? Un brivido la percorse da capo ai piedi e lo stomaco le si contorse.
“Eustace non ha tutti i torti” intervenne Lucy. “Se ci dividessimo, Pozzanghera, Ombroso, Shira, Miriel, Shanna e Emeth…”
“E il Duca” disse Lord Erton indicando sé stesso.
“Ehm...sì, certamente” lo liquidò la Valorosa. “Dicevo: Miriel e gli altri potrebbero proseguire secondo le indicazioni della Terra. Noi sette, invece, andremo con le creature del Mondodisotto. Ci ritroveremo tutti al castello della Signora dalla Veste Verde”
“E se qualcosa andasse storto?” disse in fretta Emeth, stringendole la mano che non le aveva mai lasciato.
“Allora ci rincontreremo a Narnia. A Cair Paravel. Te lo prometto” Lucy prese il viso del soldato tra le mani e lo baciò con più passione di quanta si fosse mai concessa.
Gli altri distolsero lo sguardo, un poco imbarazzati.
“Ti amo, Lu” sussurrò Emeth quando si separarono.
“Lo so” sorrise lei. Nei suoi occhi azzurri brillava l’audacia che aveva fatto di lei la Regina Valorosa di Narnia.
“Allora abbiamo deciso” disse Caspian. Non era una domanda.
“Oh, io non voglio separarmi dalla mia adorabile signora!” esclamò Ombroso con fare teatrale. “Cara, quanto mi mancherete! Mia dolce lady falco, voi siet…AHG!”
Caspian afferrò il pipistrello per il collo. “Vuoi smetterla di fare lo stupido? La situazione è seria!”
“M-ma Sire, io sono serio!”
Il falco si staccò dalla spalla del Re e, mentre questi metteva a terra il pipistrello, gli si accostò con un verso melodioso, gentile.
Ombroso non poté resistere e scoppiò a piangere senza ritegno.
Il Liberatore fece roteare lo occhi, poi si rivolse agli altri. “Siamo tutti d’accordo, dunque?”
A malincuore, Peter annuì; lo stesso fecero Jill, Edmund e Shanna.
“Pozzanghera? Shira?”
“Lo sono” assicurò il falchetto.
“Sono d’accordo anch’io, Maestà” le fece eco il Paludrone. “Anche se è quasi certo che il nostro gruppo si perderà senza scampo e voi sette  finirete imprigionati dalla Dama Verde. Ma se i miei amati Sovrani lo comandano, farò quello che devo fare. Per Narnia e i principini”
Caspian sorrise malgrado tutto.
Fu così che la compagnia si apprestò a sperarsi.
Peter e Miriel si strinsero in un nuovo abbraccio che sembrò durare in eterno, sussurrandosi parole dolci, rassicuranti.
Caspian li osservava da lontano: loro, Lucy e Emeth, Edmund e Shanna…e perché no, anche Eustace e Jill. C’era del tenero tra quei due, lo aveva capito.
Il Liberatore si allontanò per primo dal gruppo, fermandosi qualche metro più in là. Si voltò verso il falco, posata sul suo braccio. Sedette con lei sopra una roccia, lisciandole le pene del collo, in silenzio.
Susan emise un suono sommesso, guardandolo fisso, preoccupata.
“Va tutto bene, piccola. Va tutto bene” ripeté, più per convincere sé stesso che lei. Perché Susan era diventata forte, glielo aveva detto Ombroso. Lo era sempre stata, ma se mai avesse dovuto trovare un difetto in sua moglie, questo sarebbe stato la tendenza a lasciarsi andare troppo in fretta di fronte a un problema di grandi proporzioni. Quando le sue certezze crollavano, per lei era difficile rialzarsi. Non era abituata ad appoggiarsi solo su sé sessa. A lui non era mai pesato: voleva esserci per lei, sempre, anche quando non ce n’era bisogno. Anche quando non erano necessarie parole di conforto, Caspian sentiva il bisogno di rassicurarla, di farle sapere che era lì e mai se ne sarebbe andato. Ma tramite i racconti di Ombroso aveva conosciuto una nuova Susan: sua moglie aveva imparato a fare tutto anche senza di lui, e ne era fiero.
La sua Sue...il suo pesciolino.
Sorrise, ripensando a quando la chiamava in quel modo. A lei era sempre piaciuto. Quando avrebbe potuto tornare a parlare in quel modo?
Voltò di nuovo lo sugli amici. Tutti avevano qualcuno da abbracciare, da amare. Anche lui aveva Susan, e l’amava ogni giorno come il primo, ma non poteva averla acanto come gli altri avevano accanto la persona più cara.
Infine si alzò dalla roccia e fece ancora qualche passò verso la grotta. Tutto era immobile. Gli abitanti del Mondodisotto non si vedevano ma lui sapeva che erano là che li aspettavano.
Caspian era stanco e impaziente. Voleva chiudere quella faccenda il prima possibile. Ora basta con inseguimenti e incertezze: voleva entrare in quel castello e trovare i suoi figli.
“Andiamo” incitò poi gli altri.
Peter, Lucy, Eustace e Jill si mossero pian piano verso di lui, salutando ancora tutti gli altri.  Edmund fu l’ultimo.
“Io prendo anche questa, che dici? Non si sa mai” disse a Shanna, recuperando in fretta una balestra dal carro.
Gli occhi blu di Shanna penetrarono nei suoi. Si fissarono senza dire niente.
“Se avessi un cielo sopra la mia testa, invece che tutta questa roccia” disse la fanciulla, gettando il capo all’indietro, “potrei aiutarvi anche io”
“Ci hai aiutati a trovare Harfang”
“Lo so, ma…”
“E hai ritemprato le Spade”
“Sì, però…”
“Oh, la smetti di sminuirti sempre?!” la rimproverò il Giusto, abbracciandola saldamente.
“Vorrei fare di più. Per te, Ed”
Il ragazzo affondò il viso nei suoi bei capelli biondi. “Mi basta che tu ci sia. Non voglio altro”
Shanna lo guardò in viso, seria. “Ricordi cosa ti ho detto ad Harfang? Che riesco sempre a sentire dove sei?”
“Sì, lo ricordo”
“Non sarai lontano da me anche se non saremo insieme” Gli posò una mano sul cuore e lui sentì caldo. “Io sono qui. Anche tu puoi sentirmi se vuoi, Edmund. Devi crederlo e volerlo”
Il giovane le cinse la vita e la baciò, affondando le labbra tra quelle di lei, sentendola sospirare.
“Non ascoltare tutto ciò che dice Eustace” le disse, i volti ancora vicinissimi. “E’ uno stupido imbecille, parla perché ha la bocca”
Lei ridacchiò. La faceva sempre sorridere con quelle battute e così riusciva a dissimulare le sue paure. Edmund l’aveva fatta diventare più coraggiosa. Solo con la sua presenza le infondeva una fiducia in sé stessa che non aveva mai avuto. Si sarebbe sentita persa senza di lui.
“Eustace era preoccupato, per questo ha detto quelle cose. Ma c’è del vero nelle sue parole e lo sappiamo bene. Ma so anche che Aslan non permetterà mai che accada qualcosa a voi sette”
“Nemmeno a voi” aggiunse in fretta Edmund. “Sii prudente”
La Stella annuì. “Tu fa lo stesso”
Edmund le baciò la fronte, poi dovette lasciarla andare per unirsi ai fratelli, Caspian, Jill e Eustace, che lo aspettavano qualche metro più in là. Si fermò a metà strada, rivoltandosi verso di lei.
“Shanna, io…”
“No” lo fermò la ragazza,alzando una mano. “Non adesso. Lo so, Ed. Anch’io. Ma non dirmelo adesso”
Il cuore del Giusto accelerò all’impazzata. L’amore non lo aveva mai attirato. Avere una ragazza non gli era mai interessato particolarmente. Non credeva nemmeno si sarebbe mai impegnato seriamente. Litigava spesso con Lucy per queste sue convinzioni, perché Lucy, come Susan, era convinta che l’amore arriva per tutti prima o poi, e quando lui avesse incontrato la ragazza giusta avrebbe inevitabilmente cambiato idea. Bè, le sue sorelle avevano avuto pienamente ragione. Due occhi blu, lunghi capelli biondi e una voce leggera come brezza: questa era la ragazza che lo aveva fatto innamorare. Questa era Shanna. E lui…l’amava. Tanto. Voleva dirglielo ma lei lo aveva fermato. Forse non aveva fatto male. Decise che poteva aspettare mentre le voltava di nuovo le spalle. Avrebbe aspettato che tutto fosse finito,quando avrebbe avuto la certezza di poterle confessare pienamente i propri sentimenti senza paura che niente lo avesse impedito.
“Lord Erton” fece Caspian, volgendosi indietro un momento. “Non fate sciocchezze. Se solo avrò il sospetto che avete tentato di fuggire o mettere i miei amici in pericolo, vi taglierò la gola non appena avrò la sfortuna di rincontrarvi”
L’ex Duca fece una smorfia mentre Emeth si assicurava che le corde che gli imprigionavano le braccia erano fossero ben strette. “Rallegratevi, Maestà, perché probabilmente non mi rivedrete. Siete degli sciocchi senza speranza: mi avete minacciato più volte perché vi guidassi quaggiù e adesso vi fate un baffo delle mie istruzioni. La strada è una soltanto: non si può passare per quella grotta. Quei mostri vi condurranno verso morte certa, ma tanto peggio per voi”
Shira si posò sulla testa del Lord e lo beccò così forte da strappargli un urlo.
“Non date retta a ciò che dice questo brutto vecchiaccio! Andate, e che Aslan sia con voi”
Lentamente ma con passo deciso, i Sette Amici di Narnia tornarono di fronte all’entrata della caverna. Il silenzio permeava l’ambiente come una cappa spessa e pesante. Avrebbero voluto udire il canto degli uccelli della superficie, il fruscio degli alberi, il rumore della pioggia o quello più sommesso della neve. Invece, l’unico suono che udirono di lì a poco fu quello delle ruote del carro che si allontanava.
Lucy e Jill si voltarono indietro. Furono le uniche. I ragazzi non si mossero.
Ma Emeth, Pozzanghera e gli altri erano spariti e non poterono più vederli.
Poi, ecco ricomparire le creature del Mondodisotto. Si schierarono nuovamente dinnanzi all’entrata della caverna, fronteggiando gli amici di Narnia.
“Avete preso una decisione?” chiese Mullughuterum.
“Passeremo solo noi sette” rispose prontamente Caspian.
“E’ la scelta più saggia. Se foste tornati con i vostri compagni ci avreste costretto a farvi cambiare idea con la forza”
“Non farete loro del male, vero?” domandò Edmund.
“No, li lasceremo in pace. Non siamo un popolo bellicoso. Tutto ciò che desideriamo è mantenere l’equilibrio e la tranquillità del nostro Mondo, scacciando i possibili invasori”
“Noi non siamo invasori” assicurò il Giusto. “Non vogliamo far nulla alla vostra gente”
“In tanti lo dissero prima di voi” rispose Mullughuterum con aria mesta. “Molti come voi si sono avventurati quaggiù e hanno tentato di contravvenire alle regole stabilite, credendo di poterci invadere, di comandarci”
Le altre creature annuirono in silenzio.
“C’è qualcuno che vi sta opprimendo?” chiese Peter, preso da un improvviso sesto senso. “La vostra regina è una brava sovrana?”
Mullughuterum batté la parte bassa del manico della sua lancia contro il terreno. “Niente più domande. E’ ora di andare”
Il modo in cui liquidò la questione insospettì non poco i ragazzi. Tuttavia, preferirono non chiedere altro. Mullughuterum aveva detto che il suo non era un popolo bellicoso, ma non si poteva mai essere sicuri: poteva non essere una buona idea irritarli.
I Sette Amici di Narnia seguirono gli abitanti del Mondodisotto all’interno dell’immensa caverna.
Jill cercò la mano di Eustace quando l’oscurità piombò su di loro, punteggiata solo dagli aloni verdastri delle torce che le creature tenevano in mano.
“Hai paura?” le chiese lui, ricambiando la stretta. La vide annuire in quella penombra spettrale.
“Ho paura di mancare il quarto segno”
“Parlava di qualcuno che avrebbe invocato Aslan, vero?”
Jill annui. Le parve di risentire la voce del Leone e ripeté le parole.  “Se troverete il principe e la principessa scomparsi, li riconoscerete perché saranno le prime persone nel corso del vostro viaggio a implorarvi di fare qualcosa in mio nome, il nome di Aslan”. Guardò il ragazzo. “Eustace, io non so che aspetto abbiano Rilian e Myra”
“Bè, nemmeno io so che aspetto abbiano. Li ho visti per pochissimo tempo quando erano in fasce”
“Sì, ma se li incontrassi e per sbaglio pensassi che siano dei nemici?”
“Mi sembra alquanto improbabile”
“No, non è vero. Metti il caso che la Signora dalla Veste Verde ci prenda in inganno con qualche trucco e….non lo so…io…che cosa farò?”
Eustace le strattonò piano il braccio. “Ehi, non sei da sola. Ci siamo noi”
Jill lo fissò con occhi impauriti. “Anche tu eri insicuro come me al tuo primo viaggio a Narnia?”
“Io?” il ragazzo emise una risatina. “Io ero molto peggio di te! Non ricordi cosa ho scritto nel libro?”
Lei gli diede una spintarella. “Nel tuo libro ti sei reso più simpatico, quindi non conta”
“Perché, non sono un tipo simaptico?”
“Per nulla! Però ti voglio bene, Eustace”
Lui deglutì sonoramente, arrossendo fino alla punta del capelli.
Jill abbassò il capo, i capelli biondi a coprire il rossore apparso anche sulle sue guance. Si rese conto di aver detto qualcosa che non aveva mai detto, ma che pensava. Voleva bene a Eustace. Più bene di quanto si fosse mai resa conto in tutti gli anni in cui erano stati amici.
“Puoi…puoi tenermi per mano?” gli chiese, incerta.
“Certo” rispose lui come se nulla fosse.
“Mi fa sentire più sicura, sai”
“Mh-mh”
“Sei cresciuto, Scrubb”. Gli sorrise, rialzando il viso. “Sei più maturo. Me n’ero già accorta nel nostro Mondo, ma adesso me ne rendo conto maggiormente”
Eustace deglutì di nuovo. “G-grazie. Sì, insomma….grazie”
“Oh, non c’è di che”
 
 
Camminarono nell’oscurità per molti metri. La strada era piana e spaziosa, facilmente percorribile. Nessuno parlava. I Sette Amici di Narnia avevano i nervi tesi ma la curiosità mitigava la tensione. Seppur oscura e facilmente associabile a un luogo pieno di mille insidie, man mano che avanzavano la caverna divenne calda, infondendo in loro una quiete interiore. Ebbero timore che potesse già trattarsi di un trucco degli abitanti del Mondodisotto, o della regina. Ma, dentro di loro, sentivano che era così. Tutti i posti in cui erano stati fin da quando erano scesi nel sottosuolo, erano sembrati ostili, tristi. Ma questo no. Non si sa come, sembrò loro di essere risaliti a Narnia, di essere abbracciati dalla sua aura benefica che infondeva coraggio e forza. In contrapposizione a ciò, persisteva però la malinconia che permeava ogni angolo di quel regno sotterraneo.
Dopo lunghi minuti di cammino svoltarono un angolo dove la galleria curvava. In lontananza notarono una luce debole e diffusa. Più si avvicinavano, più le torce diventavano inutili e, infine, vennero spente. La strada divenne un vero sentiero, che correva in mezzo a un giardino dal terreno soffice, coperto di muschio. Non c’erano fiori ma erano presenti alberi dalle fronde flaccide e pallide. La luce, come per altri luoghi del Mondodisotto, veniva proprio dalle piante e dal tappeto di muschio. Su di esso, qua e là, erano disseminati curiosi ammassi di rocce dalle forme irregolari. Un’occhiata più attenta fece in seguito capire ai ragazzi che non erano affatto rocce, ma strani animali distesi sul terreno, profondamente addormentati. Alcuni sembravano draghi, altri erano unicorni, cavalli alati, enormi pipistrelli, creature dalle forme femminili le cui gambe sembravano unirsi al terreno come radici di un albero.
“Che sorta di creature sono?” chiese Lucy.
“Appartengono al Vecchio Mondo” rispose Mullughuterum. “All’alba dei tempi vivevano nel Mondodisopra, poi caddero quaggiù nel Regno delle Tenebre e si addormentarono. Sono molti coloro che cadono nelle viscere del Mondodisotto, pochi coloro che ritornano nel Mondodisopra, scaldato dal sole”
“Che cosa significa questa frase? L’hai ripetuta anche prima”
“Regina Valorosa, sono tante le cose che non hanno risposta. Certi fatti accadono per caso, altri perché è stato deciso. Ma anche ciò che non ha risposta sarà rivelato, un giorno”
Erano parole così enigmatiche che Lucy preferì non insistere oltre. Aveva idea che, più avesse chiesto, più Mullughuterum avrebbe risposto con frasi incomprensibili.
Arrivarono alla fine del giardino, inoltrandosi di nuovo in una galleria oscura. Fu molto breve da percorrere e, quando ne uscirono, trattennero un’esclamazione di stupore: davanti a loro apparve un enorme arco di pietra, il quale dava l’accesso a una nuova parte della caverna. La parte più interna. Pareva una cattedrale, così grande che avrebbe potuto contenere l’intera reggia di Cair Paravel senza problemi Un’immensa sala scolpita di strani simboli e geroglifici: una lingua antichissima, dimenticata. Anche qui vi era una luce diffusa, che non riusciva a illuminare l’altissimo soffitto. Ma illuminava il copro gigantesco di un uomo addormentato esattamente nel mezzo della sala. Occupava quasi tutto lo spazio. Era steso su un letto fatto di pietra che ai ragazzi ricordò tanto la Tavola di Pietra. L’uomo era persino più grande di un Gigante adulto (avrebbe fatto un baffo a re Mastodonte). Il suo viso era bello e nobile, segnato da qualche ruga intorno agli occhi, i capelli ricadenti sulle spalle di un bianco argenteo, così come la barba liscia, non troppo lunga. Portava una lunga veste nera ricamata e teneva tra le mani giunte una spada dall’elsa color del fuoco.
“Chi è?” chiese Caspian a bassa voce, quasi per timore di svegliarlo.
“E’ Padre Tempo” spiegò Mullughuterum, “che una volta regnava sul Mondodisopra. Venne quaggiù di sua volontà. E’ scritto che si sveglierà alla fine del mondo, come le creature che avete visto poco fa nel giardino”
“La fine del mondo?” fece Edmund.
“Così è stato scritto e detto”
“Chi lo ha detto?”
Gli occhi neri di Mullughuterum si spalancarono leggermente. “Oohh, noi non pronunciamo il Suo nome”
“Mai, mai…” sussurrarono gli altri abitanti del Mondodisotto, in tono reverenziale.
“Perché no?” chiese Peter
“Non ci è permesso”. Mullughuterum si voltò, aggirando il letto di pietra di Padre Tempo. Così fecero i suoi seguaci e i Sette Amici di Narnia furono costretti ad imitarli.
Avrebbero voluto sapere di più di quel luogo, di Padre Tempo e della fine del mondo.
“Adesso capisco perché non abbiamo paura” mormorò a un tratto Lucy.
Gli altri si voltarono verso di lei.
“Avete anche voi la sensazione che quaggiù, in questa grotta, nulla possa farci del male, vero?”
“E’ vero” ammise Caspian. “E’ come essere a Narnia”
“E’ perché Padre Tempo dev’essere una creatura di Narnia” disse ancora Lucy. “Non so se mi capite, ma questo posto deve essere protetto da Aslan. Sono certa che , molto molto tempo fa, Aslan e Padre Tempo si sono conosciuti”
“Mullughuterum ha detto che regnò sul Mondodisopra” disse Edmund. “Chissà in quale epoca…”
E mentre ancora discutevano sui misteri della caverna, gli abitanti del Mondodisotto li condussero fuori da essa. C’era una fitta boscaglia poco più in là, dove Mullughuterum li fece fermare.
“E’ quasi il tramonto” disse Caspian, sentendo su di sé gli effetti della maledizione.
“E’ vero” disse il guardiano. “Ci fermeremo qui per la notte. Domattina dovrete essere riposati e in ordine prima di giungere al cospetto della regina. Volete mangiare qualcosa?”
“Io mi vorrei tanto fare un bagno” borbottò Jill.
“Potete. Laggiù c’è un fiume”
Si addentrarono ancora un po’ tra gli alberi, poi si fermarono. La maggior parte delle creature del Mondodisotto sparì chissà dove. Rimasero solo Mullughuterum e qualche altro.
“Non sembrano davvero pericolosi” commentò Lucy.  “Sono anche gentili”
“Attenta” l’avvertì Peter. “Ricordi cosa è successo ad Harfang? Bei pranzetti, begli abiti, letti comodi e poi volevano metterci in pentola”
“Ops. E’ vero”
“Tutta questa gentilezza è solo una facciata Lu State all’erta stanotte” disse Caspian, facendo posare il falco su un cespuglietto.
“Come faremo a giustificare la presenza di Susan e la tua scomparsa?” chiese Eustace, osservando ora il Re ora il falco.
Caspian poggiò sui talloni, abbassandosi per carezzarla. “Non credo ce ne sarà bisogno. Quando ci hanno detto che solo noi sette potevamo passare intendevano anche lei. sapevano che il falco è Susan”
“Come?”
“Non ne ho idea, ma in qualche modo lo sanno”
“Forse è stata la loro regina a dirglielo” suggerì Jill.
Peter annuì. “Può darsi che la Signora dalla Veste Verde sappia tutta la storia. Dopotutto ha rapito i gemelli, è alleata di Lord Erton, conosce Rabadash…”
“Tutto si collega” annuì a sua volta Caspian, alzandosi. “State all’erta stanotte. Dormite con un occhio solo”
“Puoi giurarci” fece Edmund.
Con quelle ultime parole, il Liberatore si allontanò. Mullughuterum e i suoi non lo fermarono, non chiesero dove andava, neppure lo degnarono di uno sguardo.
“Bè, sentite” fece Jill, spazzolandosi i vestiti dalla polvere. “Io prima di mangiare vorrei davvero fare quel bagno. Lucy, vieni con me?”
“Certamente. Solo un momento” la Valorosa frugò nel mantello che Caspian aveva lasciato, estraendone il corno di Susan. “Portiamo questo per sicurezza” disse, rivolta ai fratelli e al cugino. “Se servirà lo suoneremo”
“State attente, mi raccomando”
“Certo Peter”
“Portiamo anche le nostre Spade, che dici?” suggerì Jill.
“Sì, mi sembra una buona idea”
Così, le due ragazze si allontanarono. Anche nel loro caso, le creature del Mondodisotto non fecero e non dissero nulla. Portarono con sé i mantelli con i quali si sarebbero asciugate; non li usavano da tempo, ormai: nel Mondodisotto faceva più caldo che in superficie. Arrivate al fiume si spogliarono, posando gli abiti sul terreno muschioso. Piantarono la Spada di Agoz e quella di Rhoop sulla riva, in modo da averle il più vicino possibile. Il corno d’avorio fece compagnia alle due armi.
Lucy si immerse completamente, riemergendo con un sospiro soddisfatto, tirandosi indietro i capelli bagnati. “Jill, cosa c’è?”
L’altra ragazza la fissò incerta, immergendosi quasi fino al naso. “Lucy, tu credi che sarò in grado di usare la mia Spada?”
La Valorosa lanciò un’occhiata ai due talismani. “Certo. Perché non dovresti? Sei diventata brava a tirare di scherma. Eustace ti ha insegnato qualcosa mentre eravamo ad Harfang, vero?”
“Sì, ma quello che intendo io è se sarò capace di usare la sua magia. Io non sono come voi”
Lucy inclinò il capo. “Come noi? In che senso?”
“Non sono una regina”
“Nemmeno Eustace è re”
“Sì, ma è un Lord. Aslan lo ha investito del titolo. Mentre io…io che cos’ho?”
Lucy sorrise. “Aslan non ti avrebbe affidato questa missione se non avesse avuto fiducia in te. Ha letto nel tuo cuore e sa che sei speciale, Jill”
La ragazzi si raddrizzò, le spalle fuori dall’acqua. “Spesso mi sono chiesta perché i quattro segni non li abbia detti a te. Tu sei la sua preferita, vero?”
Lucy arrossì. “Bè…tra me e Aslan c’è un rapporto speciale. Non so da cosa dipenda. Ma lui non fa preferenze. Forse…non voglio vantarmi, ma credo di essere il membro del gruppo che lo sente più vicino. Gli parlo spesso, sai? Anche se lui non è qui per rispondermi, io so che mi ascolta”
“Non hai mai avuto un momento in cui hai dubitato di te stessa?”
“Sì, ne ho avuti, ma non troppi a dire il vero. Io sono sicura al cento per cento che Aslan risolverà ogni cosa. Noi siamo il suo tramite Jill, i suoi prescelti. Ognuno di noi ha avuto la sua occasione, la sua missione: io, Susan, Peter e Edmund siamo stati Re e Regine, come adesso lo è Caspian. Lui ha dovuto lottare duramente per rivendicare il suo trono, come noi quattro per sconfiggere la Strega Bianca. Eustace ha dato il suo contributo nella ricerca delle Sette Spade dei Lord: quando si trasformò in drago ci aiutò a uscire dal labirinto di incubi in cui la Strega ci aveva rinchiusi. Si batté persino contro il serpente marino”
Jill ricordò quegli avvenimenti: li aveva letti nel libro del suo amico.
“E adesso tocca a te” sorrise ancora Lucy. “Questo è il tuo momento Jill, la tua avventura. La magia che temi di non saper usare è dentro di te”
“Io non ho poteri magici”
“Nemmeno noi. La Grande Magia è qualcosa di più grande dei semplici incantesimi che intendi tu. La Grande Magia è la forza attiva di Aslan. E’ il suo spirito. Protegge Narnia, mantiene l’equilibrio di tutti i mondi esistenti. Una volta, Susan disse che la Grande Magia era amore, e io credo che abbia ragione. E’ fatta di questo. Le nostre Spade sono state create con essa e traggono forza da noi, da quello che proviamo. Da quello che siamo. Dal nostro cuore. E’ questo il segreto” Lucy si posò una mano sul petto. “E’ questa la vera magia. Quella che è rinchiusa qui dentro”
Jill rimase ammirata dalle sue parole. Anche se la Valorosa non lo ammetteva perché molto umile, non era difficile capire il motivo per cui fosse la favorita del Grande Leone.
“Grazie, Lu. Mi hai incoraggiata molto”
“Di nulla. Siamo amiche, no?”
“Ma certo!”
Con lo spirito risollevato, Jill finì di lavarsi, chiacchierando ancora con Lucy per qualche minuto.
Infine, la Regina fece un paio di bracciate all’indietro. “Ora andiamo, o gli altri inizieranno a preoccuparsi”
Jill la seguì sulla riva. Si asciugarono ben bene, frazionandosi i capelli e rivestendosi.
D’un tratto, la Valorosa afferrò la Spada di Agoz tenendola alta davanti a sé, scrutando tra gli alberi attorno al fiume.
“Che succede?”
“C’è qualcosa là”. Lucy indicò proprio innanzi a loro. Piano, si chinò per prendere il corno d’avorio mentre Jill afferrava la Spada di Rhoop.
La Valorosa non fecero tempo a raddrizzarsi che cadde a terra, picchiando la schiena, gemendo per il dolore.
“Lucy!”
Lei gridò, mente un tentacolo nero la trascinava di nuovo nel fiume per una caviglia. Nella colluttazione, perse la presa sul corno d’avorio. Jill accorse e lo raccolse, per poi lanciarsi in aiuto della sua amica.
Fece qualche passo dentro il fiume, scrutando nel buio. Lucy non riemergeva.
Furono attimi di angoscia terribile.
Poi, i capelli rossicci appiccicati al viso, la Regina riemerse.
“Suona il corno!” riuscì a gridare.
Che stupida! ,si disse Jill.
Suono più volte, per paura che i ragazzi non udissero il richiamo d’aiuto. Quanto ci avrebbero messo per arrivare? Gli aitanti del Mondodisotto gli avrebbero impedito di aiutarle?
Lucy continuava a sparire e riapparire dal pelo dell’acqua, quando il falco planò in picchiata su di lei – o meglio, sul tentacolo spuntato dal fiume.
“Su…” riuscì solo a dire la Valorosa, prima di affondare di nuovo.
Il falco gridò, volando verso Jill, tornando al fiume: stava cercando di dirle che doveva fare qualcosa.
Jill lo sapeva. Alzò la Spada di Rhoop pregando in silenzio di riuscire ad utilizzarla.
Cosa devo fare?
Poi, il ricordo del giorno in cui il lupo era caduto nel ghiaccio le fece venire un’idea. Quella volta era bastato a Ed, Susan e Eustace piantare le spade nella lastra gelida. Se ora avesse fatto lo stesso con l’acqua…
Senza pensare troppo posò la lama di piatto sulla superficie.
Qualunque cosa ci sia là sotto, che lasci andare Lucy! gridò nella sua mente.
E così accadde. Lucy riemerse per l’ennesima volta, tossendo. Ma questa volta nessun mostro la riportò più sott’acqua. Era libera.
Nonostante avesse entrambe le mani occupate – nella sinistra il corno, nella destra la sua Spada – Jill aiutò l’amica a tornare sulla riva, all’asciutto. Peccato che fossero tutte e due fradicie.
Lucy tossì più volte, ansimando. Poco dopo, il falco gridò di nuovo in segno di avvertimento.
Dagli alberi emergevano creature nere come la notte. Erano mostruose. Forme strane e spaventose semi animalesche. La loro visione immobilizzò le due ragazze per alcuni secondi. Attorno a quei corpi da incubo ondeggiavano neri brandelli d’ombra, come se parte dei loro copri – musi, zampe, dorsi – continuassero a sfrondarsi, come vapore nero, in un vento che soffiava solo attorno ad esse.
A Lucy parve di averle già viste ma non riusciva a ricordare dove. Non ebbe tempo di rifletterci: Jill l’afferrò per un braccio e la fece alzare. Corsero insieme per il bosco, cercando di tornare dai ragazzi. Ma altre creature delle tenebre bloccarono loro la strada, costringendole a tornare indietro, a cambiare direzione più volte tanto da non sapere più dove si trovavano.
“Susan, va via!” esclamò Lucy, inutilmente. Il falco non le dava retta.
Susan volava sopra di loro. Di tanto in tanto cercava di lanciarsi contro uno dei mostri. Ma le unghie dell’uccello non riuscivano a lacerare nulla, e nemmeno i talismani di Agoz e Rhoop poterono. Quando Lucy e Jill tentarono di colpire le creature più vicine, le lame fendettero l’ombra ma si bloccarono dentro quei corpi come se si fossero conficcate nella roccia. I mostri spalancarono le fauci e con un balzò si liberarono delle Spade e delle due ragazze.
Vennero sbalzate lontano, malamente. Tentarono subito di rialzarsi, quando si resero conto che qualcosa non andava.
Affondavano.
Affondavano nel terreno melmoso sopra il quale erano atterrate.
“Sabbie mobili!” commentò Lucy.
“E ora che cosa facciamo?”
“Resta ferma, Jill. Più ferma che puoi”
“Ma le creature…”
“Ragazze!!!” fu il grido che ridiede un po’ di speranza alle due amiche.
Peter, Edmund e Eustace accorrevano di gran carriera in loro aiuto, le Spade dei Lord sguainate e scintillanti. Edmund portava con sé quella di Caspian, Peter quella di Susan.
Il falco passò sopra le loro teste, agitata e impotente. Per ora, Susan non poteva aiutarli molto. La trasformazione non era ancora avvenuta, ma non doveva mancare molto. In quanto a Caspian, uomo o lupo che fosse, doveva aver per forza sentito il suono del corno; tuttavia, il Liberatore non si vedeva da nessuna parte.
Erano solo in cinque, mentre le creature d’ombra erano decine.
Eustace, e i due cugini rimasero senza parole di fronte a quegli abomini.
“Che cosa sono?” chiese il Edmund con disgusto.
“Ed, le ragazze!” lo chiamò Peter.
Il Giusto si voltò, vedendo Lucy e Jill intrappolate nelle sabbie mobili. “Tirale fuori, fratello! Ci pensiamo io e Eustace alle quelle creature”
Peter scattò verso Jill e Lucy.
Edmund fece roteare la Spada di Bern nella mano destra, quella di Revilian nella sinistra.
“Caspian, mi perdonerai se la uso per un po’, vero?” disse tra sé con una punta di sarcasmo. “Fatevi sotto bestiacce!” esclamò, balzando veloce come un felino incontro alle belve oscure.
Eustace gli fu subito dietro ed entrambi non si risparmiarono.
Jill, intrappolata nelle sabbie mobili fino alla vita, osservava sgomenta la scena.
“Perdimi la mano” le disse Lucy, distogliendo la sua attenzione dalla lotta.
Jill si allungò verso di lei, sprofondando ancora di più, ma ce la fece.
“Prendi l’elsa di Rhindon, Lucy” disse Peter alla sorella. “Afferrati saldamente. Jill, non lasciarla andare”
Le ragazze obbedirono, stringendosi più la mano.
Il Re Supremo tolse il suo Dono dal fodero. Quello non gli serviva; gli sarebbe scivolato tra le dita.
Per far si che la sorella potesse aggrapparsi all’impugnatura, lui avrebbe dovuto tenere Rhindon dalla parte della punta. Si tolse la casacca che portava sopra la camicia e l’arrotolò attorno all’arma. Non si ferì fino a che Lucy non prese l’elsa e lui iniziò a tirare. A quel punto fu costretto a stringere la lama. Questa lacerò la stoffa e iniziò a tagliargli la pelle.
Lucy e Jill collaborarono quanto poterono per facilitargli il compito, ma non era così semplice: avevano le gambe pensanti a causa della melma.
“Peter!” esclamò la Valorosa, quando vide il sangue colare sulla mano del fratello.
Lui strinse i denti. “Ancora uno sforzo! Non mollate adesso!”
Pochi secondi dopo, Lucy si liberò dalle sabbie mobili e aiutò Peter a far uscire anche Jill.
Rimasero un istante ad osservare Edmund e Eustace che combattevano contro le creature oscure.
Il primo era uno spettacolo: il miglior spadaccino di Narnia, non c’erano mai stati dubbi.
Dopo essere state ritemprate, le Spade dei Lord si erano adattate in proporzione alla forza fisica dei rispettivi proprietari; ma in mano ad Edmund anche la lama più pesante sembrava essere leggera come una piuma. Lui stesso pareva non sentire la fatica. Usava le due Spade muovendole in perfetta sincronia.  Affondava, parava e affondava di nuovo in gesti repentini. Qualche movimento sfuggì agli occhi dei tre spettatori, che non riuscirono a seguire tutta l’azione.
Eustace non era proprio da meno. Ripicì gli aveva insegnato bene. La sue abilità erano completamente diversa da quelle del cugino: Edmund mischiava una tecnica perfetta con movimenti improvvisati, mentre Eustace, calmo e controllato, girava intorno all’avversario prima di attaccare. Eustace giocava con la sua Spada, proprio come aveva sempre fatto Ripicì.
Peter, Lucy e Jill impugnarono i loro talismani e si lanciarono nella mischia.
Le creature di tenebra balzarono all’indietro, sibilando, grugnendo.
“Temono la luce” disse Lucy. “L’ho notato anche prima”
“E la magia delle spade è fatta di luce” aggiunse Edmund, ansimando un poco.
“Bene allora” fece Peter, alzando Restimar. La tenne sopra la testa solo per pochi secondi, poi l’abbassò con un movimento rapito, fendendo l’aria.
La scia di luce partì in direzione del primo gruppo di creature, che ulularono di dolore. Purtroppo non era ancora abbastanza, e adesso erano circondati. Li bloccavano su tre lati, furiose. L’unica via d’uscita era dietro di loro, ma c’erano le sabbie mobili laggiù: impossibile fuggire da quella parte. L’unica cosa da fare era sconfiggere quei mostri.
Le bestie avanzarono di nuovo, più minacciose, sfilacciandosi nell’aria immobile, le bocche spaventose aperte.
I cinque compagni colpirono le creature, ed esse colpirono loro. Qualche colpo andò a segno.
Dal braccio di Edmund sgorgò sangue che schizzò sul terreno. Il Giusto si inginocchiò a terra, improvvisamente preda di un dolore lancinante.
“Ed!”
“Sto bene” mentì. Osservò i graffi sul braccio. Non erano profondi ma notò una cosa stranissima: erano divenuti neri.
“Non fatevi colpire!” avvertì i compagni.
“Edmund, che succede?”. Lucy si inginocchiò al suo fianco, esaminando la ferita.
La pelle del ragazzo scottava come fuoco.
“Mi sta bruciando” disse lui, il respiro affannoso.
“Cosa?”
“Non so come altro spiegarlo. Il mio sangue brucia”
Lucy frugò freneticamente nei propri abiti ancora bagnati e sporchi. “Non ho il mio cordiale! L’ho lasciato dentro la mia sacca, all’accampamento!”
In quel momento, una mano si posò sul suo braccio, delicata.
La Valorosa e il Giusto si voltarono, sfoderando un enorme sorriso. “Susan!”
“Restate qui” disse la Regina sorpassandoli. “Peter!”
Il Re Supremo si votò verso di lei, felice di vederla. Subito capì. Si slacciò dalla cintura la Spada di Mavramorn e gliela lanciò. Susan la prese al volo e abbatté con un sol colpo la creatura che cercò di attaccare Edmund e Lucy.
D’un tratto, nella mano sinistra del Giusto, la Spada di Revilian mandò un lampo di luce blu accecante.
“Che succede?” fece Lucy. “La Spada di Caspian sta...”
In quell’esatto momento accadde qualcosa di straordinario e inaspettato: il Re di Narnia apparve dagli alberi. Ed era umano.
La trasformazione era nella fase d’intersezione tra giorno e notte. Quei pochi istanti in cui i due innamorati potevano appena scambiarsi uno sguardo o una parola. Quagli attimi di cui non avevano mai usufruito anche potendo farlo, perché troppo doloroso.
Ancora una volta, tutto era accaduto per caso.
Ma non ci fu tempo di pensare a niente, solo alla battaglia.
Le creature d’ombra si contorsero, riunendosi in un muro nero attorno al gruppo.
Caspian si avvicinò a Edmund ed egli gli passò la Spada di Revilian.
Immediatamente, tutti e sette i talismani vibrarono come di vita propria nelle mani dei loro proprietari. Reagivano, perché i Sette Amici di Narnia erano finalmente riuniti.
Caspian guardò Susan. Lei guardò lui.
Ma fu solo per poco.
Le Spade dei Lord iniziarono a irradiare una luce blu intenso, che presto divenne sempre più chiara, mutando dall’azzurro fino al bianco, abbagliando tutto finché i ragazzi non ne furono avvolti.
E allora, Susan e Caspian non riuscirono più a vedersi.
Il chiarore si espanse fino ad abbracciare il bosco, avvolgendo le creature delle tenebre che cercarono inutilmente di sfuggirle. Si alzò un vento furioso. Un vento di magia che spazzò via l’oscurità. Le belve emanarono suoni orrendi, di sofferenza e paura. Alcune vennero colpite dalla luce, svanendo nel nulla, come neve che si scioglie la sole. Altre riuscirono a resistere.
Edmund fu di nuovo in piedi. Non vedeva più gli altri ma sapeva che erano accanto a lui. Li sentiva.
I Sette Amici di Narnia si lanciarono ognuno in una direzione diversa, con un grido di battaglia, ingaggiando una lotta dove artigli e denti stridettero contro lame incandescenti di luce.
I ragazzi sentivano la forza scaturire dal profondo della loro anima. Una forza sconosciuta mai sperimentata in precedenza. Andò a concentrarsi nelle mani che stringevano le else. Le Spade divenne come prolungamenti delle loro braccia; come se, colpendo le creature, fossero le loro stesse mani a lacerare i corpi delle bestie demoniache, bruciandole, facendo a brandelli i loro corpi.
Ancora un istante infinito e la battaglia cessò.  
Susan vide la luce scomparire, ritirarsi dentro la sua arma e quelle degli amici. Era stata tanto intensa eppure non le aveva dato fastidio. Si guardò subito attorno per vedere se tutti stavano bene. Sì, sembrava di sì, anche se Edmund appariva molto provato dalla misteriosa ferita infertagli dalla creatura. 
“Sto bene” stava dicendo il ragazzo. “Non fa più male come prima”
E poi, lei lo vide: il lupo era là, poco lontano. Probabilmente, Caspian aveva cercando di starle accanto il più possibile. Lo raggiunse, inginocchiandosi davanti a lui. Il lupo abbassò il muso verso il terreno, dove giaceva la Spada di Revilian. Susan la prese e poi lo abbracciò, senza dire una parola. Lo accarezzò, il dorso, la testa, lo baciò sul muso e sul naso. Lui le leccò il viso.
“Lo so. Anch’io” mormorò con un sorriso triste.
“Susan, va tutto bene? State bene?” chiese Peter.
Lei si voltò e annuì. “Tutto a posto. Siete stati meravigliosi”
“E’ stato incredibile!” esclamò Eustace con fervore. “Ehi, Ed: quando rivedrai la tua ragazza puoi dirle che finalmente ho visto i fuochi d’artificio che tanto aspettavo!”
Edmund ridacchiò. “Glielo dirò”
Poi, Peter e il cugino aiutarono il Giusto ad alzarsi. La sua ferita suppurava uno strano liquido nerastro.
“Guarirai” gli assicurò Peter. “Hai la pellaccia dura tu”
“Non fa male come prima, te l’ho detto” ripeté Edmund. “Quando le Spade hanno brillato mi sono sentito più forte il bruciore è diminuito”
Ritornarono indietro, allontanandosi dalle sabbie mobili, delle quali ormai rimaneva ben poco, spazzate via dal fuoco di luce.
“Io non posso ancora crederci” mormorò Jill, fissando la sua arma.
“Ci sei riuscita, hai visto?” le sorrise Lucy.
“Dubitavi di te?” le chiese Susan.
“Bè, si, un pò. Ma tua sorella mi ha aiutata ad aver più fiducia e…ci sono riuscita” Jill fissò la Dolce con espressione seria. “Susan…tu e Caspian…”
La Dolce abbassò lo sguardo, l’ombra di un sorriso sul viso. “Va bene così”
Jill capì che non voleva parlarne e non disse più nulla. “Ma di cosa erano fatte quelle cerature?” chiese allora per cambiare discorso.
“Di ombra e incubi” rispose prontamente Lucy, fermandosi e fronteggiando gli altri, l’espressione seria e preoccupata. “Non le avete riconosciute, vero? Io ne ho avuto il sospetto fin dal primo istante, anche se nemmeno io riuscivo a ricordare dove le avevo già viste”
“Di cosa parli, Lu?” chiese Susan.
“Del labirinto sull’Isola delle Tenebre. Delle creature d’ombra che ci attaccarono laggiù”
Jill non sapeva di cosa stavano parlando, ma i Pevensie e Eustace avevano capito, e adesso parevano assolutamente increduli.
“Non possono essere le stesse” disse Edmund. “Se così fosse vorrebbe dire che…”
“Le ha chiamate lei” disse Lucy annuendo. “Le ha mandate Jadis”

 
 
 
 
 
 
Carissimi, stupendi, affezionati, entusiasti lettori, eccomi ritornata qui da voi!!! Pensavate che avessi abbandonato questa storia? Giammai!!! Mai mai mai potrei lasciare Narnia e i miei Suspian! Purtroppo però, certe volte non è proprio possibile dedicarsi a ciò che si ama, bisogna fare buon viso a cattivo gioco con la vita di tutti i giorni. Spero tanto che, nel frattempo, non mi abbiate tirato addosso maledizioni varie e non vi siate stancati di aspettare >.< Perdonatemi!!! Fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo, sono ansiosa e mi mancano le vostre recensioni!
 
Ringraziamenti:
 
Per le preferite:
Annabeth Granger,  Araba Shirel Stark, battle wound,  Ben Barnes, BettyPretty1D007flowers,  bibliophile,  Callidus Gaston,  Christine Mcranney,  Dark side of Wonderland,  english_dancer, Flemmi, Francy 98 , Fra_STSF, Friends Forever, G4693, Gigiii, giuly_dramione, Happy_699 , HarryPotter11, HikariMoon, JessAndrea, Jordan Jordan, littlesary92, LittleWitch_, LucyPevensie03, lullabi2000, marasblood, MartaKatniss98, Mia Morgenstern, Mutny_BrokenDreams, NestFreemark, osculummortis, Queen Susan 21, Robyn98, Sara_Trilly, senoritavale, Shadowfax, Starlight13, SuperStreghetta, Svea, SweetSmile, TheWomanInRed, The_Warrior_Of_The_Storm,  vio_everdeen,  Zouzoufan7, _faLL_, _joy, _likeacannonball
 
Per le ricordate:  
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Per le recensioni dello scorso capitolo: LittleWitch_,senoritavale, Shadowfax, The_Warrior_Of_The_Storm, _joy
 
Angolino delle anticipazioni:
Nello scorso avevo detto che si sarebbero visti i gemelli, ma la loro parte, come potete immaginare, slitta nel prossimo capitolo. LI avevamo lasciati dopo che avevano visto Aslan, vi ricordate?
Vedremo poi come gli Amici di Narnia giungeranno al castello delle Tenebre, e anche cosa stanno facendo Miriel e co: avranno trovato un’altra strada per giungere dai compagni?
 

Vorrei aggiornare una volta a settimana, ma non credo che ci riuscirò. Di sicuro, però, il nuovo capitolo arriverà molto prima di questo XD Per sapere quando controllate ogni tanto il mio gruppo facebook Chronicles of Queen, dove trovate anche gli aggiornamenti dell’altra mia fic su Ben Banres: “Two Worlds Collide”.
 
Se trovate errori, non esitate a segnalarmeli! Vi ringrazio tutti per essere ancora qui!!! Continuate a seguirmi, non ve ne pentirete!
Un bacio e un abbraccio giganti,
vostra affezionatissima Susan♥
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Capitolo 34
*** Capitolo 34: Il racconto del guardiano ***


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IN FONDO LE MAPPE DI NARNIA E DEL MONDODISOTTO


Capitolo 34. Il racconto del guardiano
 
 
 
Qualche volta sono un po’ stanca
di ascoltare il suono delle mie lacrime…


 
 
 
Nei pochi minuti che impiegarono nel tornare verso la grotta di Padre Tempo, Lucy e gli altri raccontarono a Susan gli ultimi avvenimenti del giorno. La Regina disse che voleva assolutamente vedere quel posto, ma non prima di aver estorto la verità alle creature del Mondodisotto, sempre ammesso che fossero ancora dove gli altri le avevano lasciate…
Se erano alleati della Signora dalla Veste Verde, era probabile che se ne fossero andati, tornati dalla loro padrona a riferirle che i Sette Amici di Narnia erano stati uccisi dalle belve di tenebra.
Invece, con loro grande sorpresa, quando sbucarono tra i radi alberi che dividevano il boschetto dal loro improvvisato accampamento, i ragazzi videro che Mullughuterum e i suoi compari erano ancora là. Susan e il lupo sbucarono per ultimi da dietro gli arbusti e, alla loro vista, tre o quattro di essi si diedero alla fuga.
Peter e Eustace scattarono immediatamente verso di loro, ma Susan disse: «Lasciateli andare»
Reticenti, i ragazzi obbedirono quando videro Mullughuterum e gli abitanti del Mondodisotto inchinarsi al loro cospetto.
«Perdono! Perdono, Vostre Maestà!»
Jill, tremante di rabbia, alzò la lama di Rhoop contro le creature. «Implori pietà dopo aver cercato di ucciderci?»
«Non volevamo, siamo stati costretti! Vi supplico, lasciate che vi spieghi!»
«Abbassa l’arma Jill» disse Susan con voce calma ma severa. «Restate fermi dove siete, le mani bene in vista» disse poi, rivolta alle creature.
Esse obbedirono.
«Deponete le armi, ora»
Lo fecero, in tranquillità, con nessuna intenzione di sorprenderli e attaccarli in altro modo.
Susan soffiò il suo disappunto per quel che stava per fare. «Non mi piacciono questo genere di cose, ma è necessario. Peter, Ed, Eustace, legate loro le mani»
I tre ragazzi obbedirono e, di nuovo, gli abitanti del Mondodisotto non protestarono in alcun modo.
Nel mentre, Lucy fece sedere Edmund a terra, somministrandogli un paio di gocce del suo cordiale.
La ferita sul braccio del ragazzo cessò subito di sanguinare, ed egli poté concedersi un sospiro di sollievo.
«Come va ora?»
Edmund provò a muovere l’arto, facendo una smorfia. «Brucia. E’ una ferita strana, ma andrà meglio ora che ho bevuto la pozione»
Poco dopo, gli sguardi dei sette ragazzi si fissarono su Mullughuterum e i suoi compari.
«Voi sapete chi siamo, vero?» esordì Susan.
«Sì. Anche se non ci interessiamo di ciò che succede nel Mondodisopra, sappiamo chi siete e cosa rappresentate, poiché i nostri antenati, un tempo, erano abitanti del vostro mondo. Siete i Re e le Regine di Narnia»
«Ehm…io non sono Re» fece Eustace.
Jill gli diede una lieve gomitata nelle costole. «Non mi sembra il momento di puntualizzare»
Susan continuò dicendo: «Sapevate che saremmo arrivati, non è così?»
Mullughuterum annuì.
«Avete mandato voi le creature di tenebra ad attaccarci?»
«No, mia signora»
«Chi allora? La Signora dalla Veste Verde?»
Mullughuterum annuì di nuovo. «Imploro il vostro perdono. Non avremmo voluto obbedirle, siamo stati costretti»
Susan rimase stupita. «Cosa vuoi dire con questo?»
«La nostra sovrana ci ha ordinato di trovarvi e uccidervi, ma non è mai stato nelle nostre intenzioni»
«Non crediamogli» disse Edmund in tono d’avvertimento. «Stanno solo cercando di difendersi come meglio possono»
«Sì, lo penso anch’io» disse Jill. «Nessuno li ha costretti. Sono servitori di quella terribile donna!»
«Non serviamo la Dama Verde per nostra volontà»
«Che prove potete darci per credere che sia la verità?» domandò Susan.
«Lo giuriamo sugli eredi di Narnia!» esclamò Mullughuterum con enfasi.
A quelle parole, la Dolce provò un brivido lungo tutto il corpo.
Gli eredi di Narnia? Voleva forse dire…
«Spiegati» disse, in preda alla confusione.
Mullughuterum fece vagare lo sguardo attorno a sé. I suoi compagni fevery lo stesso. Sguardi ansiosi, come se temessero che qualcuno fosse in ascolto dietro i radi cespugli.
«Parlate senza timore. Non vi nuoceremo, ma dovrete dirci tutta la verità: chi è la regina che vi ha mandato e quali sono le sue intenzioni»
Mullughuterum sembrò voler cominciare a raccontare, ma si trattenne. Si strinse nelle spalle e abbassò così tanto il tono della voce che fu quasi difficile udire le sue seguenti parole.
«Parleremo» assicurò. «Però…»
«Non sei nella posizione di negoziare» lo avvertì Eustace.
«Non posso raccontare niente finché siamo qui fuori» bisbigliò il guardiano del Mondodisotto. «Non posso, perché lei ci sentirebbe. Lei sente tutto»
Susan si chinò verso di lui. «Allora dove?»
«Nella grotta di Padre Tempo. Là saremo protetti e poteremo parlare»
«Ragazzi, aspettate» intervenne Jill, facendo cenno agli amici di avvicinarsi a lei. «Ho paura che sia tutto un trucco. E se, dentro la grotta, avessero preparato qualche trappola mentre eravamo nel bosco delle sabbie mobili?»
«Ha ragione lei» la spalleggiò Edmund. «Avranno sicuramente calcolato che potevamo uscire vivi dallo scontro con le creature oscure, e avranno un piano di riserva«
Non sapevano che fare.
Poteva esser vero, pensò Susan: Jill e Edmund potevano avere ragione, ma non c’era modo di sapere se, realmente, li aspettava una trappola. Sapeva solo di non poter farsi sfuggire un’occasione simile: finalmente aveva davanti qualcuno che avrebbe potuto dirle qualcosa di concreto sui suoi bambini. Sotterfugi o no, doveva rischiare.
«Se entriamo nella grotta, giuri che non proverete ad attaccarci?» disse allora, tornando a rivolgersi a Mullughuterum.
Il guardiano fece cenno di sì con il capo.
Susan sfoderò il pugnale di Caspian dallo stivale, puntandolo alla gola del guardiano. Poi lo costrinse in piedi. «Fai un passo falso e ti taglio la gola»
Bastarono pochi metri per raggiungere la caverna. La Dolce era stata lì dentro da falco; ora, da donna, nel ritrovarsi al riparo di quelle mura fresche e in un qualche modo rassicuranti, percepì le stesse sensazioni che avevano provato tutti gli altri: c’era qualcosa di straordinario in quel posto. Nonostante si trovasse metri e metri sotto terra, l’aria, lì dentro, aveva lo stesso odore che permeava le stanze di Cair Paravel: odore di fresco e di pulito. Un odore familiare che l’aiuto – e con lei i compagni – a rilassarsi un poco.
Mullughuterum e i suoi vennero fatti sedere a terra contro il grande letto di pietra di Padre Tempo.
La Dolce fissò le creature. «Siamo pronti ad ascoltarvi»
«Sarà un lungo racconto»
«Abbiamo tutta la notte»
Gli inespressivi occhi del guardiano, privi di pupilla, penetrarono in quelli celesti della Regina Dolce: gli stessi occhi chiari di un fanciullo che Mullughuterum conosceva bene.
Poi, iniziò al suo racconto.
«Il nostro popolo venne alla luce quasi due millenni fa. Come ho detto pocanzi, i nostri antenati erano abitanti del Mondodisopra…uhm, di Narnia. A seguito della vostra scomparsa, nobili Pevensie, come sapete, nel regno scoppiò l'anarchia, e Narnia entrò in quella che viene chiamata l’Età Oscura. La maggior parte dei narniani rimase a combattere gli invasori; altri, quando la situazione precipitò, si rifugiarono in grotte sotterranee, addentrandovisi fino a raggiungere il sottosuolo. Quaggiù, i nostri antenati trovarono acqua, terra coltivabile, cibo, lande desolate ma abitabili. Non avevano bisogno nemmeno della luce del sole: ci pensavano questi particolari tipi di piante a produrla. Certo, quei vecchi narniani avrebbero dovuto cambiare radicalmente il loro modo di vivere, tuttavia erano pronti a farlo, se era per salvarsi dal caos che opprimeva la superficie. La loro cara, vecchia Narnia non esisteva più: presero a chiamarla semplicemente Mondodisopra.  Era inutile tornarvi, anche se gli anziani dicevano che, prima o dopo, l’Altissimo avrebbe posto rimedio a tutto. Nonostante ciò, preferirono esiliarsi qui, in tranquillità. Attraverso i secoli, il nostro popolo cambiò aspetto, costumi e tradizioni. Solo sporadicamente, qualcuno di noi, si arrischiava ad addentrarsi negli spazi aperti rischiarati dal sole. Similmente, è abbastanza insolito che gente del Mondodisopra si avventuri qua sotto. Succede ma, più che altro, si tratta di uomini o creature in cerca del tesoro di Bism, la grande città degli gnomi, che si trova ancora più a fondo, al centro esatto della terra»
«Conosco la storia di Bism» disse Peter. «L’ho letta tantissimo tempo fa. Esiste davvero, allora»
«Esiste eccome! Ma i cercatori d’oro e gioielli non furono gli unici a venire quaggiù. Come dicevo, sono casi abbastanza rari, ma a volte capita che arrivi qualcuno che, in fuga da qualcosa, decide di nascondersi qui sotto; altri trovano per caso un passaggio e, incuriositi, si addentrano per le nostre gallerie. Noi li aiutiamo quando si perdono, sempre che non si mettano in testa di aggredirci: allora non esitiamo a difenderci. Comunque, per lo più, siamo un popolo pacifico»
Mullughuterum fece una pausa durante la quale nessuno fiatò, poi proseguì.
«Circa un decennio fa, giunse qui una donna. Era molto debole e provata, come se avesse combattuto la più ardua delle guerre. Non disse mai il suo nome, forse non ne ha uno. Si faceva semplicemente chiamare Signora: Signora dalla Veste Verde. Come ho detto prima, non era la prima volta che ci capitava di soccorrere un essere umano in difficoltà. Quando si rimise in forze, ella disse che aveva un debito con noi, e che sarebbe stata felice di ripagarci come meglio desideravamo. Rispondemmo che non ci serviva nulla, avevamo già tutto ciò che ci serviva, ma lei insisté a tal punto che, alla fine, fummo costretti ad accettare. Ci disse che aveva molte nozioni di medicina, che poteva aiutare il nostro popolo se l’avessimo cortesemente accolta tra noi. Non lo nego: fu molto utile alle nostre comunità. Quaggiù abbiamo erbe medicamentose e sappiamo come usarle nel migliore dei modi, ma lei impiegava la magia oltre alle erbe, il che rendeva le cure decisamente più efficaci. La magia è qualcosa che qui possiamo solo sognarci e, entusiasti, l’accettammo come guaritrice. Non potevamo immaginare, buona come si mostrò, che ci stava solo usando»
«Che cosa accadde?» chiedere ancora Susan.
«Impiegò i suoi poteri contro di noi, su di noi. La Dama Verde fece il lavaggio del cervello a tutti gli abitanti del sottosuolo, che ora la riconoscono come unica e sola regina di ogni mondo. Ci stregò attraverso le sue medicine e ripagò il nostro aiuto rendendoci schiavi. Un giorno, le stesse creature di tenebra che avete appena affrontato e sconfitto, ci attaccarono senza preavviso. Purtroppo, con le nostre armi rudimentali, non riuscimmo a far nulla contro quelle bestie informi. Chiamammo la guaritrice per curare i feriti, ma ella non fu disposta ad aiutarci. Sbalorditi, la vedemmo unirsi a quei mostri e prenderne il comando. Quel giorno, la Signora dalla Veste Verde rivelò la sua vera natura malvagia: senza indugio, gettò su di noi un incantesimo, il quale stava già operando da tempo su chi aveva assunto le sue medicine. Ci stava manipolando da mesi. Nessuno riuscì a fermarla, la sua magia era troppo forte e noi non usufruiamo di alcun potere. Ribattezzò il nostro mondo Regno delle Tenebre, proclamandisi regina, erigendo un enorme castello con i suoi poteri. Ci governa da quasi una decade :ci fa la vorare come schiavi nella sua città militare che sta ai piedi del castello, sulla costa del Mare Senza Sole. Ci fa scavare gallerie, ci addestra a combattere un nemico che – lei dice – si trova nel Mondodisopra»
Susan si mostrò scettica. «Ma anche tu e i tuoi compagni siete suoi alleati, eppure hai giurato di non aver avuto intenzioni malvagie nei nostri confronti. Perdonami ma, è un’affermazione contraddittoria cui stento a credere»
«Posso capirvi, mia signora, ma ho giurato sugli eredi di Narnia. Questo non vi è sufficiente per darmi il beneficio del dubbio?»
Susan avvertì un tuffo al cuore. «Tu lo sai, vero?»
«Sì» rispose fermamente il guardiano. «Non ne avevo la certezza, poiché le notizie del Mondodisopra non giungono facilmente fino a noi. Ma, quando questa mattina Re Caspian ha detto di stare cercando i suoi figli, tutto mi è divenuto chiaro»
Udendo il proprio nome, il lupo drizzò la testa, fissando Mullughuterum con occhi attenti, indagatori.
«Un attimo solo» intervenne Jill, la fronte contratta nel dubbio. «Avete detto che la Signora dalla Veste Verde vi ha in pugno grazie a un incantesimo che manipola le menti. Allora come mai, proprio tu e i tuoi compagni, sembrate non essere stati toccati minimamente dal sortilegio?»
«Perché è così, signorina» rispose Mullughuterum. «Io sono l’unico in tutto il Mondodisotto su cui l’incantesimo della Dama Verde non ha avuto effetto. Non so perché. So solo che una notte di due anni fa – e da allora ogni notte – una voce mi parlò in sogno e mi aiutò a tornare in me»
«Ma lei non lo sa» riprese Susan.
«No, la Dama non sa nulla»
«E i tuoi compagni? Come sono riusciti a disfarsi del sortilegio?»
«E’ un mistero!» risposero le altre creature. «Fino a poco tempo fa ci comportavamo come marionette. Poi anche noi, un giorno, abbiamo visto una luce e sentito una voce, forse in sogno o forse no, ed è come se ci fossimo svegliati da una trance»
«Che tipo di voce era?» intervenne Lucy.
«Non sapremmo descriverla…Potente ma rassicurante. Imperiosa ma gentile. C'era un buon profumo mentre ci parlava»
Lucy sorrise. «E’ successo anche ad altri?»
«No, a nessuno, solo a noi dieci»
«Siete i più fidati compagni di Mullughuterum, è così?» disse Susan.
«Sì, Maestà»
«Allora non è difficile capire il motivo per cui solo voi vi siete svegliati dal sortilegio: lui è il guardiano di questo mondo, e voi dovevate aiutarlo al momento quando si sarebbe reso necessario»
Le sorelle Pevensie si scambiarono un’occhiata d’intesa.
Eustace fece un passo avanti. «Non crederete che la voce era quella di…insomma, Lui!»
«Sì, io credo proprio di sì» affermò Lucy continuando a sorridere.
Gli occhi inespressivi delle creature del Mondodisotto si spalancarono leggermente. «Oohh, non osiamo sperare che l’Altissimo si sia scomodato per noi!»
«E perché no?»
«Perché ci siamo fatti soggiogare come sciocchi. Abbiamo obbedito alla nostra regina anche quando abbiamo saputo chi foste»
«Dovevate farlo se non volevate destare sospetti» disse Edmund. «E non siete né i primi né gli ultimi che cadono in un tranello. Nessuno può saperlo meglio di me»
«Ci dispiace immensamente di non aver potuto far nulla» riprese Mullughuterum. «Ho servito la Dama Verde e sono divenuto il suo servo più fidato solo ed esclusivamente per proteggere i bambini, come mi è stato detto»
Tutti guardarono Susan. Sapevano che per lei, adesso, arrivava la parte più difficile.
«Chi te lo ha detto?» domandò la Dolce, apparentemente tranquilla.
«La voce del sogno». Lacrime di rammarico solcarono il viso giallastro del guardiano. «Mia signora! Mia Regina! Per tanto, troppo tempo ho atteso di poter parlare! Non sapete quanto! Ma non potevo, non potevo!, se non volevo compromettere la loro sicurezza! Perdono, perdono!»
Mossa a compassione, e per istinto, Susan si inginocchio accanto a Mullughuterum, estrasse il pugnale di Caspian e recise le corde che gli tenevano legati i polsi.
«Sue, che fai?!»
«Non abbiamo ragione di temerli, Peter. Liberiamoli»
«Ma non siamo ancora certi che la loro storia sia vera! Abbiamo bisogno di più prove»
«Hanno giurato sui miei figli e hanno visto Aslan. E’ una prova più che sufficiente, non trovi?»
«Non hanno esattamente visto…oh, d’accordo!» si rassegnò il Magnifico, aiutando la sorella.
La prima cosa che le creature del Mondodisotto fecero quando furono libere, fu inginocchiarsi al cospetto dei Sovrani di Narnia.
Susan asciugò le lacrime sul volto di Mullughuterum con la manica del suo abito. «Continua il tuo racconto, te ne prego. Dimmi dove sono i mei bambini. Dimmi come posso raggiungerli e riportarli a casa!»
Una ruga di tristezza si contrasse sulla fronte del guardiano. «I bambini non hanno ricordi di voi e del Re. Vi credono morti. Credono che il loro regno sia stato distrutto. La Signora li sta crescendo come figli suoi»
Susan fece un sospiro che trattenne a metà, rilasciandolo lentamente. Il lupo le si accostò di più, per darle maggior conforto, benché anch’egli palesasse un atteggiamento irrequieto.
«Dimmi che cosa è successo»
«Un paio d’anni fa, la Signora dalla Veste Verde salì in superficie. Non era la prima volta che lo faceva ma, quando ritornò, con lei c’erano due bambini. Fui proprio io a guidare la carrozza che li portò al Castello delle Tenebre, e solo in seguito capii chi erano: me lo disse la voce. La Dama Verde mi ordinò di seguirli ovunque, in caso la maledizione che li ha colpiti si fosse scatenata da un momento all’altro»
Susan si portò una mano al cuore.
Di nuovo la maledizione…anche la regina Titania aveva detto una cosa simile.
Mise una mano sul dorso del lupo, cercando conforto nella sua presenza.
«Ed è vero? Sono…sono stati maledetti?»
«Non lo so, Maestà. Io non ho mai visto la maledizione in atto. Ma quando la Signora ha portato i suoi figliastri ad Harfang, ho udito dire che il principino si è sentito male»
«Oh mio Dio…». Susan stinse piano il manto del lupo.
L’animale ringhiò una volta, nervoso.
«Che cosa sai di questa maledizione?»
«Non molto. La Dama Verde dice che, se si espongono alla luce per troppo tempo, la maledizione li trasformerà in orrende creature che distruggeranno il mondo. Dice che sono stati gli uomini che hanno invaso il loro mondo a far questo»
Rabadash! Pensò immediatamente Susan. Chi altri se non lui? Santo cielo, era vero? Rabadash aveva maledetto i suoi bambini oltre lei e Caspian?
«Io non li ho mai visti trasformarsi, se volete saperlo» continuò Mullughuterum.«Certo è che, durante la sera, i bambini divengono più irrequieti, mente durante il giorno sono pacati e obbedienti. Per questo, ogni notte a mezzanotte, la Signora li fa sedere su un piccolo trono che chiama la Sedia d’Argento, iniziando a cantare una nenia finché i bambini non si addormentano»
 «Ma stanno bene?» domandò di nuovo Susan. «Voglio dire, fisicamente, sono in un buona salute?»
«Sì, sì, stanno bene. Non gli manca nulla. Nonostante tutto, la Signora è una madre severa ma cortese e…»
Susan balzò in piedi. «Non è loro madre!» esclamò con rabbia. «Io sono la loro madre! Io li ho portati in grembo, li ho sentiti crescere dentro di me, li ho messi al mondo! Quella donna, chiunque sia, non sa assolutamente cosa vuol dire essere una madre!»
Tutti ammutolirono.
«Susan…» mormorò Lucy. «Mullughuterum non intendeva…»
Susan respirava affannosamente, controllava la rabbia a fatica. Il lupo la fissava immobile: una splendida statua di comprensione e dolore.
La Regina dovette raccogliere tutto il sangue freddo di cui disponeva per non lanciarsi immediatamente alla ricerca dei suoi figli, in quello stesso istante.  Avrebbe voluto correre, fino a trovare il palazzo di quella donna diabolica e…
Scacciò dalla mente il desiderio di vendetta, facendo un lungo respiro. Non avrebbe risolto nulla così. Non doveva essere avventata.
Inspirò ancora un paio di volte prima di parlare di nuovo.
«Perché la Dama Verde ha rapito i bambini? A cosa le servono veramente?»
«Questo non lo so» rispose cauto Mullughuterum. «Il più delle volte, la Signora non si fa problemi a parlare davanti ai noi servi, poiché sa che, se anche udissimo cose che non dovremmo udire, lei potrebbe cancellarle dalla nostra mente.  Gli unici momenti in cui ci allontana, è quando discute con i suoi alleati del piano che hanno realizzato contro il Mondodisopra»
«Rabadash e Lord Erton» disse Peter.
Susan annuì, poi chiese: «Che tipo di piano è il loro?»
«Ancora non so rispondervi. So soltanto che la Signora ha intenzione di dare in sposa la principessa Myra al principe Rabadash, e di potare con sé il principe Rilian nel Mondodisopra. Noi abitanti del Mondodisotto saremo il suo esercito»
«Vogliono Narnia, è logico» disse Edmund. «Se Lucy ha ragione, se la Signora dalla Veste Verde e la Strega Bianca sono la stessa persona, farebbe di tutto per averla. Anche se non capisco il ruolo di Myra e Rilian in tutto ciò»
«Li dobbiamo fermare!» esclamò Peter. «Qualsiasi cosa abbiano intenzione di fare, dobbiamo impedirglielo e in fretta»
Lucy si avvicinò alla sorella, mettendole un braccio attorno spalle. «Sta tranquilla, Sue. Scopriremo che cosa sta succedendo e vi porremo rimedio»
Susan le strinse la mano, rivolgendole un cenno affermativo. Poi chiese a Mullughuterum: «C’è altro che dobbiamo sapere?»
«Questo è tutto quello posso dirvi»
«Bene. Perdonami se ho alzato la voce, poco fa»
Detto ciò, Susan voltò le spalle a tutti e si incamminò lentamente verso l’uscita della caverna. Il lupo le fu subito dietro.
«Dove vai?» domandò Jill.
«Ho bisogno di stare sola»
«Vostra Maestà, aspettate» la fermò Mullughuterum.
Susan si fermò e si voltò con lentezza.
«Non ho ancora terminato il mio racconto. C’è un’ultima cosa che dovete sapere»
Susan fece un sospiro. Improvvisamente si sentiva stanchissima. «Di cosa si tratta?»
«L’Altissimo protegge i piccoli principi»
«Questo lo so»
«Ma non sapete che si è mostrato»
Con quella semplice frase, ecco che una ventata di pura adrenalina invase l’animo dei Sette Amici di Narnia.
«Aslan si è mostrato?» fece Lucy, le guance accese d’emozione.
Al nome del leone, gli abitanti del Mondodisotto iniziarono ad agitarsi e a tracciare strani segni nell’aria. Non come se avessero paura, bensì mostrando un timore reverenziale.
«Per favore, non pronunciate il nome dell’Altissimo! Quaggiù non è concesso!»
«Anche questa mattina lo avete detto» ricordò Lucy. «Come mai non potete?»
«Perché il giorno in cui verrà pronunciato tre volte, in mondo finirà»
«Che sciocchezza» sbuffò Eustace.
Lucy gli rimandò uno sguardo di rimprovero. «Va bene, se preferite lo chiameremo anche noi l’Altissimo»
«Vi ringraziamo»
«Ma diteci, come si è mostrato? E che cosa ha detto?»
Mullughuterum narrò di come - prima che la Signora dalla Veste Vede gli comandasse di trovare i Sette Amici - nel camino delle sue stanze era apparso un leone di fuoco.
«La Signora non è la corrente che anche sia io che i bambini lo abbiamo visto, e io mi sono ben guardato dal riferirglielo. Purtroppo non ho udito chiaramente ciò che si sono detti, ma sono certo che Egli è sempre al fianco dei bambini!»
Edmund ridacchiò. «Non dev’essere stata felice di ricevere la visita di As…voglio dire, dell’Altissimo»
«Oh, era veramente furiosa!» fece Mullughuterum.
Più parlavano della Signora dalla Veste Verde, più i ragazzi si convincevano che fosse davvero la Strega Bianca. Le creature d’ombra erano un primo indizio, ed ora questo: solo la Strega poteva avere la faccia tosta di restare in piedi davanti ad Aslan e addirittura sfidarlo, anche solo a parole.
Gli abitanti del Mondodisotto non sapevano chi fosse la Strega, così Lucy e gli altri si lanciarono in un breve racconto delle loro avventure passate.
Infine, venne il momento di dormire. Lo fecero dentro la caverna, al caldo e al sicuro.
Ma mentre tutti gli altri riposava dalle fatiche del giorno, Susan e Caspian rimanevano svegli. Se ne stavano in disparte, in un angolo dove poter restare soli, dove la luce delle lanterne appese alle pareti della caverna era meno intensa.
La Regina aveva imparato ad amare l’oscurità. Dopo due anni in cui la sua vita era fatta di ombre, rischiarate solo dalla tenue luce lunare o delle stelle, spesso trovava conforto tra le braccia del buio.
Senza una parola, donna e animale si guardavano, comprendendosi. Pensieri e sensazioni fluivano tra loro; immagini angoscianti sulla sorte dei figli tormentavano le loro menti.
Caspian sarebbe stato più consapevole di tutto quanto il mattino dopo, quando Mullughuterum avrebbe dovuto ripetere il suo racconto. Ma Susan già sentiva quanto il cuore del suo Re batteva forte, irregolare, irrequieto. Lui le stava seduto accanto solo perché Susan lo calmava con dolci carezze, che riuscivano a frenare il suo istinto e la ferocia che nascevano dal suo essere predatore.
«Li libereremo» disse lei d’un tratto.
Il lupo emise un breve uggiolio, facendo un movimento inquieto.
Susan lo abbracciò stretto, affondando il viso nel suo caldo manto. «Faremo qualsiasi cosa per salvarli. E chiunque sia quella donna, la pagherà cara. Te lo giuro, Caspian»

 
 
 
 
Non ci credo….NON CI CREDOOO!!! E so che non ci credete nemmeno voi, cari lettori, a sono qui con i nostri eroi!!! Mi sono dovuta fermare, costretta da un sacco di imprevisti: lavoro, salute, un pc a cui si è fusa la scheda di rete (quindi niente internet), ecc ecc. Poi, un’anima pia mia ha regalato un portatile che, anche se usato e un po’ lento, ha la connessione.
Che calvario!!! E’ stata un’estate infernale sotto tutti i punti di vista.
Io mi auguro di non sparire più così a lungo da efp! >.< E spero vi ricordiate dove eravamo rimasti con la storia! Lo so che non siete tonti come me, ma non si sa mai XD Nel caso avvertitemi nelle recensioni o in un messaggio in casella: provvederò a fare un riassunto.
 
Ringraziamenti:
 
Per le preferite:
 Aminta, Annabeth Granger,  battle wound,  Ben Barnes, BettyPretty1D007flowers,  bibliophile,  Callidus Gaston,  Caspietopoli12,  CHIARA26, Christine Mcranney, Crice_chan, Dark side of Wonderland,  english_dancer, Flemmi, Francy 98, Fra_STSF, Friends Forever, G4693, Gigiii, giuly_dramione,  HarryPotter11, Helena Lily, Helen_TheDarkLady, HikariMoon, JessAndrea, jonas4e, Jordan Jordan, Joy Barnes, Len IlseWitch, littlesary92, LittleWitch_ , LucyPevensie03, lullabi2000, marasblood, MartaKatniss98, Mia Morgenstern, NestFreemark, NewHope, Nimrodel_, osculummortis, Queen Susan 21, Rhona, Robyn98, Sara_Trilly, senoritavale, Starlight13, SuperStreghetta, Svea, SweetSmile, TheWomanInRed, Undomiel, vio_everdeen,  Zouzoufan7,  _faLL_, _joy, _likeacannonball
 

Per le ricordate:  Aminta, Annabeth Granger, anonymously, Ben Barnes, Callidus Gaston, Cecimolli, Gigiii, HaileyB, Halfbloos_Slytherin, JessAndrea, love_fire_blade, mishy, NestFreemark, Queen_Leslie, Starlight13, Zouzoufan7
 
Per le seguite: ale146, aleboh, All In My Head, Aly_F, Aminta, Amy_demigod, Annabeth Granger, Ben Barnes, BettyPretty1D007flowers, bulmettina, Callidus Gaston, catherineheatcliff, cat_princesshp, Cecimolli, ChibiRoby, cleme_b, Dark side of Wonderland, ecate_92, fede95,FioreDiMeruna, Francesca lol, Fra_STSF, Gigiii, giuly_dramione, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, harukafun, Helen_TheDarkLady, ibelieveandyou, IreneEvans,Jane8, JessAndrea,jesuisstuoide, JLullaby, Judee, katydragons, lauraymavi, lottlesary92, Lucinda Grey, marasblood, Marie_ , MartaKatniss98, Matita Nera, Ma_AiLing, mewgiugiu, Mia Morgenstern, NestFreemark, NewHope, Omega _ex Bolla_, osculummortis, Queen Susan 21, Queen_Leslie, Revan93, Riveer, Sara_Trilly, senoritavale, SerenaTheGentle, The Core of the Abyss,vio_everdeen, Zouzoufan7, _joy , _likeacannonball, _LoveNeverDies_ , _Rippah_
 
Per le recensioni dello scorso capitolo: cat_princesshp, LittleWitch_ , NewHope, Rhona, senoritavale, _joy
 

Angolino delle Anticipazioni:
Diventa difficile stilare con precisione ciò che deve succedere…
Vediamo: è da un po’ che devo mostrarvi la reazione dei gemelli all’apparizione di Aslan, e non dimentichiamoci dell’altra metà del gruppo di Narnia: dove saranno Emeth e gli altri? Lo scoprirete nel prossimo capitolo!
(in realtà volevo mettere tutto in questo, ma sarebbe diventato davvero troppo lungo e magari noioso).

 
Per spere quando aggiornerò, tenete sempre d’occhio le mie pagine facebook Susan TheGentle Clara e Chronicles of Queen, dove trovate anche quelli dell’altra mia fic “Two Worlds Collide” (fandom Ben Barnes)
Grazie a tutti voi che siete ancora con me!!!
Vi adoro!
 
Susan♥

 
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Capitolo 35
*** Capitolo 35. Il Territorio del Fuoco ***


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IN FONDO LE MAPPE DI NARNIA E DEL MONDODISOTTO


Capitolo 35. Il Territorio del Fuoco
 
Qualche volta mi innervosisce
che gli anni migliori se ne siano andati…
Qualche volta sono un po’ terrorizzata
E poi vedo lo sguardo nei tuoi occhi…
 
 
 
Edmund fu svegliato da una fitta incandescente al braccio, dove la creatura di tenebra lo aveva colpito. Si rigirò nel suo sacco a pelo più e più volte ma non riuscì a prendere di nuovo sonno. Si alzò a sedere con un gemito, scrutando i compagni ancora addormentati lì intorno, Mullughuterum e i suoi qualche metro più in là. Facendo attenzione, scostò il lembo di stoffa lacerata sotto al quale era visibile la fasciatura che Lucy gli aveva messo prima di coricarsi. C’era qualcosa che non andava... Tolse la casacca, aprendo lentamente le bende, notando con un certo disgusto che la ferita si era tinta di un nero rossastro, intorno si diramava una ragnatela di segni rossi e bluastri.
Edmund sospirò lentamente. Forse si era aspettato quel peggioramento.
Fin da quando era stato colpito dalla creatura di tenebra, aveva capito che la ferita riportata non sarebbe stata come le altre. Non era l’aspetto malsano della ferita a preoccuparlo di più, quanto chi –
 o meglio, cosa – gliel’aveva inferta, e ciò che sarebbe successo se il cordiale del Fiore del Fuoco non fosse riuscito a curarla.
Un dubbio lo tormentava: se Lucy aveva ragione, se le creature di tenebra erano state mandate da Jadis alias Signora dalla Veste Verde, non era sicuro di poter affermare che quella lesione non gli avrebbe lasciato strascichi di qualche tipo.
Non era intenzione di Edmund far preoccupare nessuno, perciò si era ben guardato dal mostrare il benché minimo segno del fatto che il dolore non diminuisse affatto, fingendo invece che si fosse alleviato. 
Le ferite riportate nel passato erano venute da spade, lance o frecce, curabili con poche gocce della pozione miracolosa di sua sorella.
Questa volta, però, no.
Comunque, poteva anche essere tutto nella sua testa…
Non fece il minimo rumore, alzandosi lentamente per prendere acqua e bende. Rinfrescò il taglio e cambiò la fasciatura legandola stretta, stringendo i denti ad ogni minimo tocco. Faceva incredibilmente male solo sfiorandola.
Non voleva che gli altri vedessero in che condizioni era il suo braccio, non ancora. Avevano cose più importanti cui pensare, cose più immediate da fare: un piano per penetrare nel Castello delle Tenebre e salvare Rilian e Myra. La priorità andava a loro, come tutto in quel viaggio.
Si rivestì e si alzò, diretto verso l’uscita della caverna di Padre Tempo. Aveva appena notato che Susan e il lupo non c’erano, perciò decise di andare ad aspettarli.
La fasciatura stretta sembrava contenere il dolore, ma doveva stare molto attento a non fare bruschi movimenti, o le fitte brucianti tornavano a tormentarlo.
Come avrebbe potuto combattere con un braccio ridotto così?
Fissò lo sguardo su una macchia di piante che potevano essere felci. La loro luminescenza verde-blu si spegneva durante la notte e risplendeva durante il giorno. In quel momento, le foglie si stavano accendendo lentamente, come facevano i lampioni sulla Terra. Doveva essere appena l’alba.
Molte domande riempivano la testa di Edmund, tutte senza una risposta ben definita. Era veramente la Strega Bianca, ancora una volta, la nemica da affrontare? Era sempre decisa ad avere Narnia, a uccidere loro, a sconfiggere Aslan? Sì, certo che lo era.
Ma si trattava veramente lei? O le creature di tenebra erano una mera coincidenza? Forse, Jadis e la Signora dalla Veste Verde usufruivano degli stessi poteri. In ogni caso, quelle due donne fossero strettamente collegate. Poteva essere che la Dama Verde lavorasse per Jadis, agendo quindi per suo conto?
Edmund tentò di ricordare l’aspetto della Dama Verde quando l’avevano incontrata sul Ponte dei Giganti, ma non riuscì bene a figurarselo. Rammentava lunghi capelli biondi e un abito verde smeraldo, nient’altro. Cercare di rievocare la sua immagine era come guardare un riflesso in una pozza d’acqua torbida.
Un incantesimo per non essere riconosciuta? Comunque fosse, la Strega era ancora là, da qualche parte, Edmund lo sentiva ora più che mai.
Si portò di nuovo la mano sul braccio avvertendo una nuova fitta di dolore. Quelle belve… messaggeri oscuri di una creatura che traeva il suo potere dalle ombre più profonde. Potatori di un avvertimento, come se ella stesse dicendogli ‘vi aspetto’, e quello fosse stato solo un assaggio…
Un movimento alla sua sinistra interruppe il filo dei suoi pensieri. Caspian usciva dalla boscaglia di felci luminescenti, che adesso espandevano il loro bagliore sull’intera radura fuori dalla caverna.
“Ciao” lo salutò il Giusto.
“Edmund, sei già sveglio? È molto presto”.
“Non riuscivo più a dormire”.
Caspian gli si avvicinò, prendendo del cibo dalla sua razione della colazione. “Vuoi qualcosa da mangiare?”.
Edmund fece cenno di no col capo. Si accorse di avere un sentore di nausea. “Più tardi”.
“Io sto morendo di fame” disse Caspian, addentando un grosso pezzo di pane.
“Dov’è Susan?” chiese il Giusto, avvedendosi solo in quell’istante della mancanza del falco.
“Fuori. Credo avesse bisogno di sgranchirsi le gambe… voglio dire, le ali”. Caspian abbozzò un sorriso amaro.
Edmund lo guardò divorare il suo pasto in silenzio. Caspian era il suo migliore amico; forse, se gli avesse confessato i suoi timori avrebbe potuto consigliarlo. E se lo avesse anche pregato di mantenere il segreto con gli altri, non glielo avrebbe negato. Caspian c’era dentro fino al collo: lui e Susan erano stati colpiti da un maleficio tanto oscuro da adombrare persino i loro cuori, cambiandoli dentro.
Sarebbe successo lo stesso anche a lui, Edmund? Era stato maledetto da quelle creature? Dalla donna che le aveva mandate?
Caspian poteva aiutarlo, sì, ma quella scintilla d’orgoglio che Edmund si teneva stretta gli disse di non parlare, così non disse niente.
“Tutto bene, Ed?” chiese il Re, osservandolo attentamente.
“Cosa? Sì. Tutto a posto. Senti… non so quanto ti ricordi di quello che è successo ieri sera”.
Caspian lo guardò ancora un momento, poi abbassò la testa e il suo viso si incupì. “Sai bene che non rammento quasi nulla durante la mia forma di lupo”.
Il Giusto annuì. “Ieri sera abbiamo combattuto…”.
“Questo me lo ricordo” disse il Liberatore. E ricordava bene che per un istante aveva intravisto la sua Susan, nel momento in cui le Sette Spade aveva illuminato il Mondodisotto, nel secondo infinitesimale in cui giorno e notte si erano incontrati. Caspian scacciò il pensiero, concentrandosi su quello che stava cercando di dirgli Edmund. “Che altro è successo? Raccontami”.
Edmund decise che non c’era motivo per aspettare, così riferì a Caspian ogni cosa riguardo la sera precedente, da quando Lucy e Jill erano finite nelle sabbie mobili. Narrò dello scontro con le creature di tenebre, il modo in cui le Spade avevano operato per loro e sconfitto quegli essere infernali. Questo, Caspian lo ricordava, perciò Edmund passò alla parte più spinosa: il racconto di Mullughuterum, di come tutti gli abitanti del Mondodisotto fossero stati ipnotizzati con un sortilegio dalla Signora della Veste Verde, la quale li aveva resi schiavi costringendoli a servirla, per poi proclamarsi Regina; di come Mullughuterum affermasse che lui, e pochissimi fidati compagni, erano stati risvegliati dall’ipnosi da una voce (quasi certamente quella di Aslan), del fatto che avevano ricevuto l’ordine di ucciderli dalla Dama Verde ma di come si fossero rifiutati, implorando pietà. E poi, i bambini… i bambini che la donna teneva nel suo castello, i quali sembravano essere stati maledetti da degli uomini del Mondodisopra; e ancora, lo strano strumento che ella usava su di loro: la Sedia d’Argento. Infine, rivelò il dubbio che ognuno di loro aveva iniziato a maturare: la Signora della Veste Verde poteva essere la Strega Bianca.
Caspian ascoltò con pazienza, tradendo solo un paio di volte un tremito che placò stringendo i pugni così forte da ficcarsi le unghie nella carne, dolorosamente. Era la calma fatta persona, e questo preoccupò Edmund più che se avesse estratto la spada e minacciato di morte qualcuno.
Invece, non fece niente.
Il Liberatore abbandonò il suo pasto, mettendosi in piedi lentamente. “Sveglia gli altri. Abbiamo un piano da escogitare” disse con voce ferma. “Poi voglio parlare con questo Mullughuterum”.
Edmund si alzò a sua volta per andare verso gli altri. Quando furono tutti svegli e ben vigili, Caspian si avvicinò alle creature del Mondodisotto, le quali posarono un ginocchio a terra prostrandosi davanti al Re. Chiese loro di ripetere di nuovo tutto quanto gli aveva raccontato Edmund. Voleva ascoltare entrambe le versioni, capire se Mullughuterum e i suoi avessero cambiato i fatti o se il loro racconto avesse corrisposto perfettamente con quello di Edmund. Peter e gli altri confermarono che la versione era sempre la stessa.
Quando li aveva visti per la prima volta davanti alla grotta di Padre Tempo, il Liberatore non aveva saputo dare un giudizio su quelle creature, non ne aveva avuto il tempo; ma ora scoprì con piacere che non sembravano avere intenzione di ingannarli.
Gli abitanti del sottosuolo soddisfecero pazienti ogni domanda di Caspian, sempre inginocchiati ai suoi piedi, affermando la loro estraneità ai piani della Dama Verde e ancora una volta giurando sugli eredi di Narnia.
Mentre Mullughuterum parlava, Caspian osservava la gigantesca figura di Padre Tempo disteso sul grande letto di pietra, simile a una scultura monolitica. Solo il movimento del possente addome indicava che era vivo e respirava, profondamente  immerso in un sonno misterioso.
Quando infine Mullughuterum tacque, anche Caspian rimase in silenzio.
Il Liberatore fece un lungo sospiro. Non c’era spazio per la rabbia, la sofferenza, o i ricordi passati. Non c'era il passato e non c’era il futuro. Esisteva solo il presente e quello che doveva fare ora. Era tornato a Narnia per uccidere il suo nemico, ma ora non gli era consentito pensare a Rabadash né alla sua sete di vendetta. Li avrebbe messi entrambi da parte per un poco. Troppi pensieri in una sola volta portavano via spazio alla concentrazione, e in quel momento più che mai Caspian aveva bisogno di considerare ogni mossa con mente assolutamente lucida e imperturbabile. In quel preciso istante, l’ostacolo più grande era entrare nel Castello delle Tenebre e salvare Rilian e Myra. Come, non lo sapeva, ma lo doveva fare.
Era alla fine, c’era quasi. Non ci sarebbero state seconde possibilità, aveva già riflettuto su tutto quello che poteva, adesso non era più il tempo per pensare ma per agire. Agire prima di immediatamente.
“Permettete un consiglio” disse Mullughuterum riprendendo parola.
Caspian fece un cenno di assenso con la testa.
“La Signora dalla Veste Verde dispone di un esercito formato da migliaia di abitanti del Mondodisotto. Il mio consiglio è quello di non affrontarla, non in numero così misero”.
Caspian distolse in fretta lo sguardo da Padre Tempo e lo puntò sul guardiano. “Abbandonare l’impresa?” domando, incredulo.
Mullughuterum annuì piano. “Sì, Sire. Il nostro aiuto non cambierà la situazione. Tornate indietro e attendete tempi migliori”.
“Mi stai chiedendo di abbandonare i miei figli, te ne rendi conto?”.
“I bambini resteranno al sicuro nel Castello delle Tenebre. Lì sono trattai molto bene, l’ho visto coi miei occhi, anche se…”, Mullughuterum abbassò la testa con mestizia “…anche se d’ora in avanti potrei non essere più in grado di vegliare su di loro, non dopo che la Signora mi avrà visto tornare a mani vuote e capirà che non vi ho uccisi. Ma l’Altissimo protegge i principi notte e giorno. Voi andatevene, tornate in superficie, chiedete aiuto a tutti quelli che potete e, quando i tempi saranno maturi, forse potrete ritornare ad affrontare la Signora”.
“Non farò nulla di tutto questo” disse Caspian alzando un poco la voce.
Mullughuterum sollevò la testa e guardò il Re di Narnia. La determinazione di quell’uomo sfidava le inevitabili conseguenze dei suoi gesti futuri. Era quella determinazione di chi non ha paura di morire. Egli, tuttavia, rifiutava di arrendersi davanti alla sconfitta, rifiutava la morte pur non temendola. E forse… forse il suo modo di accettare la propria possibile fine, misto al desiderio di sopravvivere, era talmente potente che avrebbe potuto farcela.
Ciononostante, le possibilità erano davvero scarse.
“Mullughuterum” riprese Caspian, la voce chiara e ferma, “se tenterai di fermarmi avrò la stessa pietà che potrebbe avere per te la tua Signora. Sappi che non la temo, poiché io e i miei compagni abbiamo ragione di credere di averla già affrontata. Se non è così, mi batterò con l’ignoto, non sarebbe la prima volta e non sarà certo l’ultima. Non torneremo indietro. Non ho nessuno che possa aiutarmi. Il mio esercito, i valorosi cavalieri che un tempo mi servivano, sono imprigionati, morti o fuggiti. Gli amici a cui potrei chiedere aiuto si sono dovuti nascondere per non morire. Non ho possibilità di rintracciarli, né di aspettarmi che qualcuno risponda al mio richiamo d’aiuto. Potrei mandar loro un messaggio, certo, ma ci vorrebbe troppo tempo e io non ne ho; e comunque, chi risponderebbe non sarebbe che una manciata di uomini. Non chiedo a nessuno – i miei compagni lo sanno – di fare più di quanto farei io. Ma non mi esimerò da questa missione, non dopo aver attraversato l’inferno per ritrovare i miei figli. Essere a un passo da loro e poi abbandonarli? No. Già una volta non riuscii a salvarli, ed ora non mi fermerò finché non ci sarò riuscito. Se tu e i tuoi seguaci vorrete combattere con noi, rimanete al nostro fianco. In caso contrario, siete liberi di decidere per voi stessi. Ma te lo ripeto: non cercare di fermarmi o convincermi in alcun modo”.
Mullughuterum e i suoi compari si scambiarono sguardi impauriti e gesti nervosi.
Caspian guardò i suoi compagni: Peter, Lucy, Edmund, Eustace e Jill lo avrebbero sostenuto qualunque cosa fosse successa. Nemmeno loro erano intenzionati a tornare sui loro passi. Ma da soli non potevano riuscire, non soltanto loro sette.
“Fate ciò che ritenete più giusto per voi” disse infine il guardiano del Mondodisotto.
“Io rivoglio solo la mia famiglia” disse Caspian, una lontana disperazione risuonava nella voce. “Puoi aiutarmi?”.
Mullughuterum lo fissò a lungo senza battere le palpebre, occhi negli occhi. “Se possiamo fare qualcosa, la faremo” rispose infine.
Caspian fece un altro lungo respiro. “Molto bene” disse, la voce di nuovo calma. Poi si allontanò lentamente dalla caverna.
“Dove stai andando?” chiese Eustace.
“Devo pensare. Perdonatemi un momento”.
“Ma…”
Peter mise una mano sulla spalla del cugino. “Lascialo da solo. Ha da poco avuto la conferma che i suoi figli non si ricordano più di lui. Prova a metterti nei suoi panni”.
Eustace non fiatò, continuando a guardare la figura di Caspian allontanarsi tra la debole luminescenza verdastra degli alberi. Il suo sguardo incrociò quello di Edmund: pensavano la stessa cosa: e se a Caspian fosse balenata in mente qualche strana idea individualistica?
“Credete sia prudente lasciarlo andare solo?” chiese ancora Eustace.
“Non corre più pericolo là fuori che da qualunque altra parte” disse Jill. “Credo valga per tutti noi”.
“E poi c’è Susan con lui” aggiunse Lucy.
Il falco era appena comparso al fianco del Re di Narnia, puntuale come sempre.
Per quanto Eustace non vedeva come Susan potesse essere di molta utilità a Caspian nella sua forma diurna, non replicò. A preoccupare lui e Edmund non era il pericolo che correva fuori dalla caverna, quanto la mancanza di una reazione a tutto. Caspian era rimasto fermo e muto davanti ad affermazioni contro le quali, solo qualche settimana prima, avrebbe mostrato tutta la sua collera e il suo dolore. Invece non aveva fatto nulla. Tutta quella calma era in qualche modo preoccupante.
“Non pensate che farà qualcosa di avventato, vero?” chiese ancora Eustace.
“In che senso?” chiese Peter.
“Non so…” Eustace esitò. “Se stesse pensando di agire impulsivamente?”
“Non lo farebbe mai!” esclamò Lucy.
“Sì, lo farebbe” replicò Edmund, ansioso.
“In effetti, la sua reazione è stata fin troppo pacata” commentò Peter, pensieroso.
“Esatto. Proprio per questo motivo io e Eustace temiamo che questa reazione passiva possa essere solo l’inizio di una delle sue azioni istintive” proseguì Edmund. Lanciò un nuovo sguardo al cugino, che annui per conferma.
I ragazzi si scambiarono altre occhiate molto eloquenti.
“Vado a parlargli” disse Jill, scattando verso l’uscita.
“No, aspetta” Peter la fermò afferrandole un braccio.
“Non voglio rischiare che la nostra compagnia si spezzi in tre parti, Peter!” esclamò la ragazza, turbata. “Abbiamo già dovuto lasciare indietro Emeth e gli altri. Se adesso Caspian decide di andarsene con Susan, senza di noi…”.
Peter la lasciò andare. Pensava a Miriel.
“Se commetterà qualche sciocchezza sarà a causa del dolore che non manifesta” proseguì Jill. “Non sarebbe il primo tentativo, ricordate? È tornato a Narnia solo per prendere la testa di Rabadash, lo disse Susan alla Torre dei Gufi, e lui lo riaffermò”.
“Jill ha ragione”, disse Edmund. “Voleva tornare a Cair Paravel da solo”.
. “Forse io non sono la persona più adatta a parlargli” continuò Jill, “visto che sono quella che conosce meno. Quindi, per favore, che lo faccia qualcuno di voi”.
Peter e Lucy non seppero cosa fare. Gli altri dicevano il vero: Caspian era molto cambiato, non gli importava di morire, e non si sarebbe fermato davanti a niente ora che sapeva che i suoi bambini erano vivi e dov’erano nascosti.
“Forse è vero, dovremmo dirgli qualcosa” disse Lucy.
“Io penso che parlargli non servirebbe a un bel niente” fece Eustace, sbuffando. “Lo dobbiamo costringere!”.
“Perché devi sempre essere in disaccordo, Scrubb?“. Jill scosse il capo. “La gente non si costringe, con la gente si parla”.
“Quanto sei ingenua. Pole. Pensi che se gli dicessi semplicemente: ‘Caspian, non andare al castello da solo’, ti ascolterebbe?”. Gli metteresti solo la pulce nell'orecchio se non lo sta già pensando.
Jill s’innervosì. “Voglio solo che prometta di non fare gesti avventati, Io…”.
“Non andrò da nessuna parte, non preoccuparti” disse una voce dietro di loro.
Caspian era rientrato nella caverna, Mullughuterum veniva con lui. Sembrava avessero appena finito di parlare. Caspian sorrideva un sorriso debole ma calmo, che si stendeva sulle labbra senza però illuminare lo sguardo. Gli occhi erano lontani, vigili, come se vedesse già oltre il momento.
Il Liberatore si avvicinò a Jill e le sorrise ancora. “Non me ne andrò, è una promessa. Ma voi dovrete fare esattamente quello che vi dico”. Divenne serio all’improvviso e li guardò uno a uno: sembravano pronti ad ascoltarlo.
Avevano avuto paura che li lasciasse, stavano lì a discuterne, ansiosi. Fu quanto di meglio poteva chiedere: sapere che la sua famiglia sarebbe stata lì a sostenerlo. Aveva un disperato bisogno di averli vicino: Peter, Edmund, Lucy, Eustace, la sua Susan, e anche Jill, quella ragazza che completava il cerchio, di cui sapeva poco o niente ma alla quale voleva bene come se la conoscesse da anni.
“Ascoltatemi: le creature del Mondodisotto dicono che possono a portarci al Castello della Signora dalla Veste Verde, o chiunque sia. Ma dicono anche che dobbiamo fingere di essere loro prigionieri. Hanno promesso alla loro padrona che ci avrebbero uccisi, tuttavia non l’hanno fatto, perciò mi sono accordato con loro: se non possiamo entrare nel castello da vivi, lo faremo da morti”
“Che cosa stai…?” fece Lucy, senza potersi trattenere.
Caspian la fermò alzando la mano. “Un momento, Lu, ti sto spiegando. La Signora… o la Strega… non si accontenterà di averci come prigionieri. Ci vuole morti, tutti, a lei non importa davvero ciò che può aver promesso a Rabadash, farà solo il suo tornaconto. Se noi arriviamo al castello vivi, computerà un fallimento a Mullughuterum e ai suoi compagni, uccidendoli. E ucciderà anche noi. Se invece arriviamo al castello con sembianze di morti, allora abbiamo qualche possibilità di salvarci, e salvare delle vite”.
“Dobbiamo fingere di essere morti?” chiese Peter, allibito, scioccato. “E come?”.
“Con un trucco che mi insegnò a suo tempo il dottor Cornelius”.
Caspian mostrò ciò che aveva in mano: una mezza dozzina di piccoli baccelli verdognoli  dall’aspetto anonimo. Ricordavano molto piccoli fagioli.
“Che cosa sono?” chiese Lucy.
“Germogli di Curaro*, una rara pianta che cresce solo nella Brughiera di Ettins”.
“Non ricordo di averne sentito parlare e neanche di averne mai visti a Narnia”.
“Non mi stupisce, Lu. Erano uso esclusivo dei Nani Neri del Nord”.
“Oh!” fece Lucy, capendo improvvisamente. Oltre che estremamente dotto, il dottor Cornelius era un discendente di quella razza di creature.
“Secernono un potente siero soporifero che, se mescolato a uno specifico preparato, può anche uccidere” continuò Caspian. “I Nani Neri delle Montagne del Nord usavano questa mistura per cacciare più facilmente le grosse prede, evitando il contatto ravvicinato, ed era un ottima arma contro ragguardevoli nemici”. Caspian ripose i baccelli dentro il sacchetto, tranne uno, stringendolo tra il pollice e l’indice per mostralo bene a tutti. Era grande quanto una nocciola senza il guscio. “I Nani Neri immergevano le punte delle loro frecce in una mistura di germogli di Curaro, corteccia resinosa e linfa. La preda colpita dalla freccia avvelenata moriva dopo pochi minuti”.
“Come ne sei venuto in possesso?” chiese Edmund. “Li hai trovati nella Brughiera?”.
Caspian scosse il capo, rigirandosi il baccello tra le dita. “Me li diede Cornelius prima che lasciassi Narnia, due anni fa. Non li ho mai utilizzati. Io e il dottor Cornelius… bhe, lo sapete, non ci separammo nel migliore dei modi” l’espressione di Caspian si fece cupa, la sua voce perse un tono. “Aveva tradito me e Susan, e tutta Narnia, rivelando il nostro nascondiglio ai soldati di Erton e Rabadash. Non ebbi per lui parole molto diverse da quelle che gli rivolsi durante la nostra ultima visita al monastero. Accettai questo dono solo per mera carità di un uomo che per me rappresentò qualcosa di più di un istruttore. Non vado fiero del modo in cui lo trattai”. Caspian chiuse di scatto il pugno attorno al baccello, ricacciando i ricordi e i sensi di colpa in un angolo del mente. “Comunque sia andata, adesso sono felice di aver accettato il suo dono. Noi abbiamo bisogno di apparire morti davanti alla Signora dalla Veste Verde, e questi germogli fanno al caso nostro”.
Edmund osservò Caspian con aria critica. “Noi come li useremo? Dobbiamo…mangiarli?”.
Prima la ferita al braccio e ora questo. Non era sicuro che gli sarebbe piaciuto granché ingoiare quelle palline velenose.
“No, mangiarli no, Ed. Bere il loro siero”.
“Ma hai detto che i Nani Neri preparavano una mistura per immergerci le frecce” intervenne Eustace.
“La via sanguigna non è l’unico modo in cui agisce” spiegò Caspian con pazienza. “I Nani Neri erano riusciti a capire l’efficacia di quel siero attraverso le ferite che infliggevano agli animali o ai loro nemici. C’era però un altro modo di utilizzare i germogli di Curaro: per ingestione”.
“Un infuso di morte apparente” mormorò Jill, affascinata malgrado tutto. “Come quello bevuto da Giulietta”.
“Chi?” chiese Caspian.
“La protagonista di una tragedia del nostro mondo, Romeo e Giulietta, di Shakespeare… ma immagino  tu non conosca la storia, vero?”.
Caspian sorrise malinconico. “La conosco, in realtà” disse, sorprendendola. “Me l’ha raccontata Susan. Non finisce bene per i due amanti”.
“Ehm… no, purtroppo”.
“Mi auguro che a noi vada meglio”. Caspian rimise l’ultimo germoglio nel sacchetto, soppesandolo nella mano. Finalmente, dopo aver cancellato praticamente ogni emozione dal viso, i suoi atteggiamenti così innaturalmente tranquilli tradirono la preoccupazione.
“Che cosa succederà dopo?” disse Peter, incrociando le braccia al petto in un gesto nervoso. “Hai già qualche idea?”.
“Qualcuna, sì”. Caspian fece un lungo sospiro. “L’infuso della morte apparente, come lo chiama Jill, agirà pochi istanti dopo che lo avremo bevuto. Dopodiché, Mullughuterum e i suoi ci porteranno dentro il castello. Ho già detto loro cosa devono fare”.
“Ti fidi davvero?”.
“Devo, Peter, sono l’unico aiuto di cui disponiamo. Non c’è altra maniera di entrare in quel palazzo. A sentire quanto dice Mullughuterum è attorniato da cinta murarie, decine di soldati le sorvegliano da ogni lato: dall’alto, da fuori e da dentro, a ogni ora del giorno. Inoltre, l’esercito della loro Regina è provvisto di centinaia di guerrieri, noi siamo in sette”.
Peter annuì con aria greve. “Va bene, e poi? Una volta dentro le mura che facciamo?”.
“Ancora non so bene. Di sicuro la Signora della Veste Verde vedrà i nostri corpi, sembreremo morti, perciò non avrà il minimo sospetto dell’inganno”.
“Hai pensato che Mullughuterum e i suoi potrebbero tradirci?”.
“Non lo faranno”.
“Non lo sai”. Peter lo guardò accigliato.
“No, è vero” rispose Caspian, tetro. “Hai un’altra idea? Se sì, ti sarei grato se volessi esporla”.
Peter serrò le labbra e voltò la testa. “E’ una follia”.
“Andrà bene, invece” disse Lucy, torcendosi le mani per il nervosismo. “Io... io voglio dar fiducia a quelle creature. Ricorda che hanno giurato su Rilian e Myra, Peter, e hanno sentito la voce di Aslan. Se il loro cuore non fosse aperto verso di Lui, non avrebbero potuto. Ciò significa che c’è del buono in loro. Forse hanno servito la Dama Verde, ma non per loro volontà. E comunque, mi sembrano veramente pentiti”.
Come al solito, Lucy riusciva a dissipare i dubbi e le paure di tutti evocando il nome del Grande Leone.
Caspian le rivolse uno sguardo pieno di gratitudine.
“Il siero di un solo germoglio non è sufficiente ad uccidere”, ricominciò il Liberatore, “tuttavia può causare un sonno molto lungo e profondo, tanto da rallentare le funzioni vitali. Studiai le proprietà del Curaro quand’ero un fanciullo. Cornelius mi insegnò soltanto la teoria, poiché era un preparato illegale – lo era ai tempi in cui regnava mio zio, almeno – cionondimeno, ricordo perfettamente ogni passaggio. Ma dovrete aiutarmi”.
Non c’era bisogno di dirlo, avevano deciso: l’avrebbero fatto.
Sembrava una pazzia, eppure aveva senso. Ogni cosa in quel viaggio seguiva un tracciato astratto, dove fatti e circostanze si intersecavano improvvisamente ma perfettamente tra loro, per portarli sul binario giusto. Il dottor Cornelius, discendente dei Nani Neri del Nord, aveva dato a Caspian una manciata di quei germogli come se sapesse in anticipo che un giorno gli sarebbero serviti. Caspian avrebbe potuto usarli per cacciare o difendersi dai pericoli, invece, erano rimasti inutilizzati fino al momento in cui il loro impiego reclamava uno scopo più grande.
 “La corteccia e la linfa degli alberi del Mondodisotto andranno bene, Caspian?” chiese Lucy, che aveva mandato a mente le istruzioni. “Che tipi di piante usavano i Nani Neri?”.
“Tutte quelle che secondo loro rispondevano ai requisiti. Non fanno eccezione gli alberi di qui. Dobbiamo solo trovarne uno che produca resina”
“Facilissimo, tsk!” brontolò Eustace.
“Tu comincia a cercare” lo rimbeccò Edmund.
“Comunque” proseguì Caspian, “quel che più conta è la quantità di siero che useremo. Il resto verrà da sé se rispettiamo il procedimento e le tempistiche giuste”.
“Quanto ci vorrà?” chiese Peter.
“A occhio e croce direi almeno tre ore”. Caspian prese un bel respiro. “Andrà bene”.
Aveva concepito idee migliori prima di quella, ma era l’unica a loro disposizione.
Nessuno mostrò il proprio timore agli altri, nessuno disse che non ce l’avrebbero fatta e che probabilmente – come avrebbe affermato Pozzanghera – bevendo quel siero sarebbero scivolati in un sonno irreversibile.
Si misero subito all’opera. Non vi furono domande di interruzione sul perché le cose dovevano essere fatte in un certo modo. Cercarono per prima cosa un albero che produceva resina, dal quale avrebbero attinto anche la linfa. Non fu semplice, ma dopo una accurata ricerca nei dintorni individuarono quello che faceva al caso loro.
Mullughuterum e gli altri abitanti del Mondodisotto li studiavano da lontano in silenzio e in completa immobilità, con le loro facce inespressive e quegli occhi le cui palpebre non battevano quasi mai.
I Pevensie, Eustace e Jill stavano attorno a Caspian, eseguendo le sue istruzioni, pronti a venirgli in aiuto.
Accesero un fuoco sulla pietra viva e vi posero un contenitore di rame che di solito usavano per far bollire l’acqua quando cucinavano i pasti caldi. Caspian incise con il suo coltello la spessa buccia del primo germoglio, facendo attenzione a lasciarlo integro, provocandovi appena un taglietto per far uscire il siero di un verde molto chiaro e trasparente, che fece colare in una ciotola di cotto. Intanto, gli altri sbriciolavano la corteccia, toglievano la resina e la facevano sciogliere su un secondo fuocherello. Quando l’acqua bollì, vi immersero linfa, corteccia e la resina sciolta, al momento giusto tolsero il tutto dal fuoco e versarono il composto fumante dentro la ciotola di cotto. Appena si unì alla mistura, il siero dei germogli sfrigolò come se fosse venuto a contatto con dell’olio bollente, emanando fastidiosi effluvi acri. Lo lasciarono raffreddare; sulla superficie si formò uno strato vischioso di un verde-marrone scuro. Rimossa la patina, il composto venne messo di nuovo a bollire, e infine fatto colare goccia dopo goccia da una foglia arrotolata come una sorta di imbuto.
“Dobbiamo rifarlo con tutti i germogli, uno per uno?” chiese Jill, china sul fuoco, la fronte sudata. Se la risposta era sì, sarebbe stato un lavoro infinito. Invece, con grande sollievo vide Caspian scuotere il capo.
“Non con tutti. Tre germogli basteranno” rispose il Liberatore senza guardarla, gli occhi fissi su ciò che faceva. I suoi movimenti erano precisi, le mani ferme. “Un germoglio dovrebbe contenere sufficiente liquido per almeno due persone. Un sorso per ciascuno basterà. È ugualmente necessario preparare un infuso alla volta, poiché se facessimo bollire il siero di ogni germoglio nello stessa ciotola, ho paura di non essere in grado di dividerlo equamente per tutti una volta pronto. Se dovessi sbagliare, una sola goccia in più ci manderebbe dritti al creatore”. Caspian si scostò i capelli dal viso con uno sbuffo. “Maledizione, non sono mai stato bravo in queste cose”.
Jill gli posò una mano sul braccio. “Stai andando benone”.
La quiete di Caspian iniziò a non dispiacere agli altri, poiché ebbe il potere di mitigare i pensieri funesti di tutti. Lui stesso non comprendeva  appieno da dove gli venissero tutta quella tranquillità e sicurezza mentre si apprestava ad attuare un piano che poteva fallire per un miserevole errore. Più si avvicinava il momento, più comprendeva l’assurdità della sua scelta. Tuttavia c’era un specie di eco in fondo al suo animo, qualche volta lo abbandonava, altre risaliva dal suo più profondo io aiutandolo a proseguire. Intimava prudenza, trasmetteva forza. Non sapeva se fosse la voce di Aslan o semplicemente il suo subconscio, o forse entrambe le cose. In ogni caso, insisteva ad ascoltarla.
Infine, tutto fu pronto.
Un paio di centimetri di liquido nerastro riempivano appena il fondo dei bicchieri sbeccati che i ragazzi recuperarono dalle sacche da viaggio.
“Adesso ascoltatemi bene” disse Caspian, l’aria più seria che mai. “Una volta bevuto questo infuso ci addormenteremo entro pochi istanti. Se tutto va come pianificato, ci sveglieremo tra dodici ore dentro il Castello delle Tenebre. Mullughuterum…”.
Subito il guardiano del Mondodisotto avanzò, i suoi compari poco dietro di lui.
“Dovrai simulare delle ferite sui nostri corpi”.
“So già come fare, Sire” assicurò Mullughuterum. “Utilizzerò un po’ della magia a mia disposizione”.
“Molto bene. Dirai alla tua Signora che ci hai sorpresi nel sonno e hai cercato di ucciderci all’istante, ma ci siamo accorti della vostra presenza e abbiamo combattuto. Le racconterai che abbiamo usato le nostre armi; se dovesse chiederti quali, dirai archi e spade, e se dovesse domandarti ancora che tipo di spade, le risponderai che non ne sai niente. Voi siete in superiorità numerica, perciò noi abbiamo avuto la peggio. Ci avete feriti, indeboliti, e alla fine uccisi. Mi raccomando, dovrai essere molto credibile. Se quella donna è la nemica che combattemmo tempo fa, non si farà ingannare facilmente. Ci conosce, sa bene che arrendersi non è nella nostra natura”.
Mullughuterum annuì appena per dire che aveva capito.
Caspian si rivolse di nuovo agli amici. “Se siamo fortunati, la Signora crederà al racconto di Mullughuterum e forse non controllerà le nostre ferite. Probabilmente ordinerà di disarmarci, per cui è possibile che al nostro risveglio non avremo alcuna arma addosso.  In questo caso, dovremo procurarcene di nuove e in seguito recuperare le nostre. Ma a questo penseremo poi”.
“Che cosa succederà una volta che la Signora ci avrà visti?” chiese Peter al guardiano.
Mullughuterum sembrò soppesare la domanda. Sbatté una volta gli occhi senza pupilla. “Di solito, i criminali vengono giustiziati nella pubblica piazza e bruciati subito dopo”.
“Criminali!” sbottò Edmund.
“Per lei lo siete, Altezza” replicò il guardiano in tono distaccato. “Quasi certamente disporrà di seppellirvi oppure di bruciarvi. Dovremo sostituire i vostri corpi con quelli di altri individui realmente morti, e intanto nascondervi in un luogo sicuro”.
“Dove?” chiese Peter.
“Pensavo alla legnaia. Dietro il cortile del castello vi è un’enorme legnaia. Gli operai lavorano in continuazione per svuotarla e riempirla, serve molta legna per scaldare tutto il palazzo. Vedrò di far irritare l’addetto ai lavori, è un tipo molto bellicoso, sapete. Se riesco a dare il via ad una rissa, ci sarà tanto scompiglio che nessuno si accorgerà di voi quando uscirete dal magazzino. Vi fornirò degli abiti come i nostri” Mullughuterum indicò i suoi compagni, “che indosserete al posto di quelli che avete ora. Dovrete camuffarvi per mischiarvi alla nostra gente. Se passerete per semplici servi non avrete problemi ad entrare nelle stanze padronali”.
“Dove si trovano i miei bambini?” chiese Caspian, gli occhi accesi di vibrante determinazione.
“Le stanze del principe Rilian sono al secondo piano, in un’ala chiamata Corridoio del Re. C’è un alto arco luminoso che ne segna l’entrata, presieduto da due sentinelle. La principessa Myra ha da poco cambiato locazione, invece. Adesso le sue stanze si trovano al terzo piano, vicino a quelle della Signora della Veste Verde”.
Eustace imprecò sottovoce. “Sapevo che c’era la fregatura”.
“Non importa” disse Caspian. “Ci arriveremo lo stesso”.
“Devo raccomandarvi, Sire” continuò Mullughuterum. “Non date  nell'occhio: non sorridente a nessuno, non parlate se non siete interpellati. Non guardate negli occhi la Signora se doveste incontrarla”.
“Lo farò invece” assicurò il Liberatore. Serrò i pugni, stringendo i denti. “Voglio vedere la faccia di chi mi ha potato via i miei figli… prima di ammazzarla”.
Nessuno fiatò dopo quell'affermazione. Quelle parole erano la conseguenza del dolore di un uomo disperato. Né Edmund, né Lucy, Eustace o Jill, poteva comprendere fino in fondo la reale portata di quella sofferenza, forse solo Peter, che sarebbe divenuto padre. O forse nemmeno lui, non ancora.
“Cosa ne sarà di Destriero e dei cavalli che ci ha dato la regina Titania?” chiese Lucy, guardando gli animali legati alle rocce appena fuori dalla caverna.
“Li slegheremo. Destriero ci aspetterà qui. Forse rimarranno anche gli altri, altrimenti saranno liberi”.
“Qui sotto riusciranno a sopravvivere?”.
“Tranquilla, Lucy” tentò di scherzare Edmund. “Se ce la faremo noi – e sarà un miracolo – sopravvivranno anche loro per qualche tempo senza che nessuno se ne occupi”.
Lucy andò a sciogliere i finimenti dei cavalli, accarezzandoli uno alla volta. “Torneremo a prendervi” sussurrò rassicurante, anche se sicura non lo era neppure lei.
Caspian la imitò. Si avvicinò a Destriero e lo baciò sul muso. “Non posso portarti con me, questa volta. Tornerò, vecchio amico. E’ una promessa”.
Il cavallo lo fissò negli occhi un istante, poi abbassò la testa tristemente.
Il Liberatore chiamò il falco ed ella, pronta, planò sulla sua spalla. Caspian prese poche gocce da un settimo bicchiere tenuto da parte, facendogliele scendere nel becco.
“Posso farlo io!” esclamò Lucy, balzando in avanti. “Non sei costretto a…”.
“Devo farlo io” replicò il Re. La sua mano tremò appena, ma era difficile capire quale fosse il suo grado di agitazione.
Per un fugace attimo, Caspian pensò a Susan fredda e immobile come se la morte avesse aleggiato su di lei. Come l’incubo che per tanto tempo, in passato, lo aveva tormentato. L’incubo in cui Jadis lo aveva imprigionato sull’Isola delle Tenebre otto anni fa.
Tutti fissavano il contenuto a loro destinato. Eustace non riusciva a parlare; se lo avesse fatto, aveva la netta sensazione che avrebbe vomitato.
Edmund fece una smorfia quando allungò il braccio per afferrare il bicchiere. La ferita mandò una fitta quasi insopportabile.
“Tutto bene?” gli domandò Peter. “Ti fa male la ferita?”.
“Non è niente” tagliò corto Edmund. “Non preoccuparti”.
“Siete pronti?” chiese Caspian. Il gruppo annuì. “Bene. Ci vediamo al risveglio”. E bevve dal suo calice.
 

 
 
~·~
 


 
Il carro procedeva lentamente su percorsi stretti e accidentati. Dopo aver lasciato Caspian e gli altri davanti alla caverna, Emeth, Miriel, Shanna, Ombroso, Pozzanghera, Shira e Lord Erton, erano tornati indietro attraverso la Landa Desolata, ed ora si dirigevano lungo una strada che terminava al limitare di una boscaglia scura.
Emeth avrebbe volentieri staccato i cavalli e proseguito con essi, lui e Shanna su uno, Pozzanghera e Miriel su un altro, Ombroso e Shira in volo… ma con Lord Erton ancora legato e imbavagliato che necessitava di essere guardato a vista, erano costretti a procedere così lentamente che, di questo passo, sarebbero giunti al Castello della Signora della Veste Verde molto in ritardo rispetto agli altri.
A casetta insieme a Pozzanghera, Emeth si voltò un momento a guardare le ragazze dentro il carro. Shanna teneva la mappa di Narnia sulle ginocchia e la leggeva al contrario, come aveva suggerito il vecchio Erton. Erano passati attraverso un paio di radure il cui aspetto aveva immediatamente ricordato loro luoghi cui avrebbero dovuto corrispondere nel Mondodisopra.  Era come viaggiare attraverso un mondo conosciuto ma all’incontrario.
Il primo giorno furono tutti molto silenziosi e preoccupati. Emeth pensava soprattutto a Lucy, Shanna a Edmund, Miriel a Peter, e agli altri che avevano lasciato indietro all’entrata di quella caverna oscura, sperando nel meglio, mentre Pozzanghera elencava le più atroci sofferenze in cui i loro amici erano certamente incorsi. Nessuno si arrabbiava davvero con Pozzanghera, che non parlava per cattiveria ma per puro e innato senso di sconforto. Lord Erton, invece, si crogiolava in tutta quell’ansia, purché non fosse la sua. Più gli amici di Caspian e Susan erano in difficoltà, più si divertiva. Il Duca continuava a ripetere fino allo sfinimento che non avrebbero trovato nulla, né un strada né un sentiero diversi da quelli da lui suggeriti. Si sarebbero perduti nelle gallerie infinite del Mondodisotto e avrebbero trovato la morte. Solo quando Shira minacciò di cavargli gli occhi il Duca si zittì.
Avrebbero preferito tutti quanti uscire di lì al più presto, ma nessuno osava lamentarsi. Sapevano che Aslan non avrebbe chiesto loro di fare qualcosa di impossibile. Tremendamente difficile, questo sì, ma non impossibile. Era stato il Leone a mandarli laggiù attraverso il terzo dei quattro segni, e l’estrema fiducia in Aslan e nelle sue promesse dava loro il coraggio di affrontare ogni cosa. Emeth e gli altri riponevano molta fiducia anche in Miriel, la quale li guidava ascoltando le vibrazioni della Terra con cui riusciva a comunicare in una sorta di linguaggio muto e primordiale.
Una volta addentratisi nella boscaglia scura, dove la luce degli alberi luminescenti creava strani riflessi sui tronchi e ombre spettrali sui loro volti, trovarono un buon riparo per passare la notte. Nonostante l’aspetto sinistro del luogo, non sembravano esserci pericoli di sorta.
All’alba del secondo giorno uscirono dalla boscaglia. Si ritrovarono su una strada più larga, spianata da quelli che sembravano lunghi letti di fiumi disseccati. Un’insolita calura li investì, accompagnata da un rumore insolito, una specie di rimbombo lontano dilatato dall’eco delle gallerie. Il rombo cresceva mano a mano che avanzavano e iniziava a dar fastidio all’udito.
“Che cos’è questo suono?” chiese Shanna.
“Non ne ho idea, ma mi piace poco” rispose Pozzanghera, facendo ballare la pipa tra le labbra.
Lord Erton bofonchiò parole incomprensibili attraverso il bavaglio.
“Sta cercando di dire qualcosa” disse Emeth.
“Devo farlo parlare?” domandò Shanna, incerta.
Nessuno aveva molta voglia di prestargli attenzione, ma quando il Duca prese a muovere la testa per indicare qualcosa al di fuori del carro, Emeth decise che l’avrebbe ascoltato.
“Shanna, levagli il bavaglio. Sentiamo cosa vuole”.
La ragazza si sporse per liberare la bocca del Lord. Con uno strattone gli fece scendere sul mento il pezzo di stoffa che lo impediva.
Lord Erton prese una profonda boccata d’aria. “Siamo vicini alla grande gola. Il rumore che sentite proviene dal centro della terra”.
“Il centro della terra? Ooohhh!” fece Ombroso, affascinato. “Ecco perché fa così caldo”.
Raggiunsero un tratto di strada disseminato da alte rocce dalle forme singolari, simili a sculture di qualche idolo irriconoscibile. Il terreno si restrinse improvvisamente, fino a diventare un corridoio di roccia che guardava direttamente sul fondo della gola: una cavità immensa, senza fondo, che correva per tutto un lato della strada tagliandola in due. Una profonda fenditura irregolare che si stringeva e si allargava a intervalli lungo la sua smisurata lunghezza, come se un tremendo terremoto avesse spaccato in due quello che un tempo poteva essere stato un terreno compatto.
Costeggiando la fenditura, il rombo che saliva dalle profondità del centro della terra si fece fortissimo e quasi insopportabile. Una losanga vibrante sotto le ruote del carro, simile al canto lugubre di una creatura enorme, una lunga nota cupa ininterrotta e minacciosa. Ombroso si premette le zampe sulle orecchie, gli occhi stretti in una maschera di sofferenza. In quanto pipistrello possedeva un udito finissimo, troppo per sopportare tutto quel rumore.
“Fermati, Pozzanghera” disse Miriel a un tratto.
Il Paludrone tirò le redini.
“Qualcosa non va?” chiese Shanna, apprensiva.
“Tutto a posto, dammi un secondo”. La Driade si sporse dal carro e chiuse gli occhi. Ascoltava. Le vibrazioni della Terra si erano spostate. L’avevano guidata sin lì ed ora cambiavano nuovamente direzione. Perché?
“Miriel?”.
“Ho sbagliato” mormorò Miriel, più a se stessa che agli altri.
Ombroso mosse nervosamente le ali. “Cosa vuol dire che hai sbagliato?”.
“Ho sbagliato ad interpretare la voce della Terra”.
“Io ve l’avevo detto che la strada…” fece Erton, il quale venne subito zittio.
“Oh, per tutti i Leoni di Narnia!” sbottò Shira, facendo schioccare il becco. “Se ripetete ancora che la strada non è quella giusta, stavolta vi cavo un occhio per davvero!”.
“Magari gli strappiamo anche la lingua” rincarò Ombroso, speranzoso.
“Ah!” scattò il Duca. “Ecco la vera faccia delle nobili creature di Narnia! Tanto gentili, tanto buone… minacciano di strappare arti a un povero vecchio!”.
“Voi non siete un povero vecchio” dissentì Ombroso, “voi siete un vecchio rimbambito!”
Si misero a parlare tutti insieme. Shanna, Emeth e Pozzanghera chiedevano a Miriel spiegazioni; Ombroso, Shira e Lord Erton litigavano. Nessuno riusciva a capire quello che diceva l’altro.
Finché la Driade gridò: “SILENZIO TUTTI!... Molto bene. Adesso posso spiegarvi”.
“Un momento, un momento, Miriel! Questo vecchione…”.
“No, Ombroso, non puoi strappargli al lingua, ci serve il suo aiuto per andare al castello. Ci deve spiegare la strada”.
“Dicevi che avresti trovato tu un’altra strada” le fece notare Emeth.
“Sì, è vero, ma quando l’ho fatto non avevo considerato la possibilità di sbagliarmi”. Miriel balzò giù dal carro. Emeth la seguì, Shanna, Ombroso e Shira subito dietro. Pozzanghera rimase seduto dov’era. Erton si torse il collo per vedere cosa succedeva.
“Quando ho detto che riuscivo capire dove andare secondo le vibrazioni della Terra, ero davvero convinta che ci stesse portando sulla via giusta, una strada secondaria che secondo Lord Erton non dovrebbe esserci” proseguì la Driade, posando una mano su una delle strane rocce. “Ebbene, pare proprio che non ci sia. Il Duca ha ragione”.
“Come sarebbe?!”. Vi fu un tumulto generale. In mezzo alle proteste, Erton raddrizzò gli arti in tutta la loro importanza e sul viso gli si dipinse un’espressione di trionfo che, suo malgrado, venne cancellata da un cenno di Miriel.
“Tuttavia” proseguì lei, “quella che voi ritenete sia l’unica via, Duca, è solo la più sicura, la strada maestra del Mondodisotto, per così dire. Perciò, non è sbagliato supporre che una strada alterativa ci sia veramente”.
Le proteste si spensero all’istante.
“Va’ avanti, mia cara, non metterci ansia!” disse Pozzanghera.
“Quando abbiamo lasciato gli altri davanti alla caverna, la distanza era ancora troppo grande perché potessi sentirlo con chiarezza. Poi siamo arrivati qui, dove la Terra mi ha guidata. Il frastuono che sale dalla grande gola mi ha costretta a concentrarmi maggiormente sulle vibrazioni, ed è stato solo ora che ho capito”.
“Cosa?! Cosa?!” domandarono gli altri in coro, perfino il Duca.
“Pensavo che le vibrazioni venissero solo dalla Terra. Invece non è solo Lei a mandarmi dei segnali. Ce ne sono due, due tipi di vibrazioni diverse, derivanti da due esseri diversi: la Terra, e chi – o cosa – sta cercando di comunicare con me. Le ho scambiate per la stessa ma, ora che le ascolto bene, la prima è più cupa e dissonante, la seconda, quella che non avevo percepito all’inizio, è ritmica e tranquilla. La Terra mi ha condotta per la strada più sicura, ma la seconda entità sembra volermi dire qualcosa, mi sta chiamando e diventa sempre più insistente. Non siamo lontani”.
“Da cosa, esattamente, non siamo lontani?” chiese Emeth, non senza una punta di timore. “E che cosa starebbe cercando di dirti?”.
Miriel rivolse al ragazzo uno sguardo di scuse. “Purtroppo non posso rispondere a nessuna delle due domande”.
“C’è da fidarsi?” chiese Pozzanghera, guardingo. “Con la fortuna che abbiamo, potrebbe essere un tranello nemico, o magari un mostro terrificante che ci sta attirando nella sua tana”.
“No, io non penso” disse Shanna. “Se questa creatura comunica attraverso la Terra significa che si serve degli stessi poteri di Miriel, quindi dev’essere una creatura magica come lo siamo io e lei. Tutti sanno che le creature magiche sono chiamate i veri figli di Aslan, perciò non dovremmo aver nulla da temere, no?”.
“Tesoro, non si può riporre fiducia in tutte le creature magiche” disse saggiamente Shira. “Una volta, forse, ma coi tempi che corrono…”.
“Giusto, giusto” assentì Pozzanghera. Mollò le redini e incrociò le braccia. “Non vi porterò da nessuna parte se prima non avrò avuto la certezza che non andremo incontro alla morte”.
“Pozzanghera, per favore” esclamò Miriel. “Non essere sciocco”.
“Non sono sciocco, sono prudente”.
“La prudenza l’abbiamo lasciata in superficie, amici” disse Emeth. “In ogni caso noi ci fidiamo delle tue parole, Miriel, e non le metteremmo mai in dubbio. Ma capirai che non conoscere l'identità di questa seconda creatura che sta comunicando con te, ci mette in allerta”.
“Lo so, Emeth, nemmeno io ho certezze, però sento che dobbiamo ascoltare il richiamo. O per lo meno, io devo”.
Il soldato e la Driade si guardarono. Lui non le avrebbe certamente permesso di continuare da sola, e lei non ne aveva l’intenzione. Miriel non era per niente una donna sconsiderata, tutt’altro, era sempre stata molto responsabile e prudente. In quel momento lo pregava in silenzio di non scartare a priori la possibilità di un aiuto insperato, proveniente da una qualche creatura misteriosa che, in qualche modo e in qualche luogo, aveva percepito la presenza della Driade e la stava chiamando a sé. La prudenza era rimasta davvero tra le foreste di Narnia, a Bosco Gufo magari, da dove erano partiti. Incertezza per incertezza, era preferibile cogliere un’opportunità remota piuttosto che non averne alcuna. E, sinceramente, Emeth era molto più propenso a rischiare seguendo i suggerimenti di Miriel piuttosto che quelli del vecchio Erton.
“Da che parte devo andare?” disse allora il soldato, risalendo sul carro accanto a Pozzanghera e prendendo le redini che il Paludrone aveva abbandonato.
La Driade fece un gran sorriso, arrampicandosi sul retro. La fiducia che i compagni riponevano in lei era una ventata di coraggio in più.
Una parte della sua magia se n’era andata quando aveva scelto Peter, rinunciando all’eternità come Driade delle Valli del Sole per diventare la compagna del Re Supremo. I suoi poteri non erano più serviti durante gli anni in cui era vissuta alla reggia di Cair Paravel come ancella di Susan. Si erano pian piano assopiti, fermi e silenziosi dentro di lei. Ma dopo che Rabadash aveva preso Narnia, la magia si era risvegliata, pronta per tornare a scorrerle dentro, chiedendo di essere usata. Miriel le aveva dato ascolto, sapendo di non poter reprimere un bisogno primordiale come quello. Non poteva cambiare la sua natura: anche se per metà era umana, ora, rimaneva in parte Driade. Gli elementi facevano parte del suo essere poiché da essi era stata creata, primi fra tutti il fuoco e la terra, dai quali traeva la sua forza. Ed ora, la sua magia rispondeva alla presenza di un'entità nascosta tra le viscere del mondo che forse era simile a lei.
Proseguirono per un lungo tratto costeggiando la grande gola, con Lord Erton che gracchiava come fossero completamente pazzi, senza cervello e sconsiderati.
“Sta diventando seriamente insopportabile” disse Shanna. “Ombroso, sei sempre del parere di strappargli la lingua?”.
“Sì, sempre!”.
“Iniziamo a pianificare dove buttare il corpo?” propose Shira, reprimendo un ghigno dietro l’ala.
Lord Erton esibì il suo sguardo più malevolo. “Brutte bestiacce, ibridi, topi volanti e ragazzine impertinenti. Il regno di Narnia finirà malissimo se continuffffghh”.
Shanna si sporse verso il Duca e gli rimise il bavaglio. Dopo ciò, non gli fu più permesso di restare senza.
La compagnia andò avanti ancora per quasi un giorno. Miriel li condusse lontani dalla gola. Il rombo delle sue grida si attenuò, infine si spense mentre entravano in un'ampia valle sotterranea fatta di rocce e alberi scheletrici. La temperatura divenne ancora più calda, l'aria attorno a loro si fece incredibilmente pesante, la luce si tinse di un pallido rossore e la strada iniziò ad ondeggiare davanti agli occhi come in una giornata molto afosa. La terra tremò un paio di volte. Tutti lanciavano occhiate perplesse a Miriel, la quale sembrava però assolutamente tranquilla. Era più che mai attenta, in assiduo ascolto, pareva essere con loro e allo stesso tempo lontana chilometri, gli occhi acquamarina fissi in un punto preciso. Sapeva dove andava e cosa stava facendo, e agli altri bastava.
“Emeth” mormorò d’un tratto Shanna. “Emeth, guarda i suoi occhi!”
Gli occhi verde acqua di Miriel erano diventati di un rosso lucente, sembravano pietre preziose.
“Miriel, ti senti bene?” domandò Shanna avvicinandosi lentamente all’amica, posandole una mano sulla spalla.
In risposta, Miriel coprì la mano della Stella con la propria. “Sì, tutto bene”. Sorrise, chiuse gli occhi, e quando li riaprì erano tornati del suo colore. “Adesso so dove siamo e perché siamo qui”.
Miriel era raggiante, sicura di sé.
“Puoi spiegarlo anche a noi?” chiese Emeth.
“Un istante solo. Ferma il carro, intanto. E’ meglio se vado avanti io”.
“Avanti dove?” chiese il soldato, arrestando i cavalli.
“Tra poco vedrai”. Miriel allungò un braccio per indicare un luogo ancora invisibile alla loro vista. Poi scese dal carro quando questo si fermò. “Seguitemi, ma restate un po’ indietro, va bene?”.
Gli altri annuirono e fecero come aveva detto. La lasciarono andare avanti di almeno dieci passi, poi, lentamente, smontarono dal mezzo e si incamminarono dietro di lei.
“Non mi lasciate qui!” strepitò Lord Erton attraverso il bavaglio.
“Lo dobbiamo portare con noi?” chiese svolgiatamente Pozzanghera.
“Sarebbe meglio” disse Shira. “Non vorrei che scappasse, questo farabutto”.
Pozzanghera e Emeth scaricarono il vecchio Duca dal retro del carro. Il Paludrone prese una corda dalla sua sacca, legandone un capo al proprio polso e l’altro a quello di Erton.
“Cosa fate, grossa rana? Non sono già abbastanza legato?”.
“Vi impedisco soltanto di andarvene casomai pensaste di poterlo fare. Sarebbe davvero un peccato non poter più godere della vostra logorante compagnia, signore”.
Così, seguirono Miriel. La ragazza risalì con passo sicuro una collina di nuda terra brulla. Quello che videro una volta arrivati in cima tolse loro il fiato.
Una valle ancora più immensa, fatta di quelli che a prima vista sembravano – no, lo erano davvero! – laghi di lava e fiamme, sorgeva tranquilla sotto i loro piedi. Tutto intorno era protetta da piccole montagnole brune, dalle quali sprizzavano faville incandescenti a intervalli di pochi minuti. Crateri di vulcani spuntavano dalla terra, il resto sepolto a chissà quali profondità. Nessuna creatura avrebbe potuto vivere laggiù, e invece, disseminati per tutta la vale, pascolavano placidamente decine e decine di cavalli, i più grandi che avessero mai visto.
Istintivamente, Miriel si incamminò verso di loro discendendo il versante opposto. Non fu sorpresa dell’intensità dei suoi sentimenti verso quelle creature. Era la Driade del Fiore del Fuoco, quegli animali erano come lei, fatti di carne, sangue e magia del fuoco.
Gli sbuffi di vapore che salivano dai crateri erano intensi e caldi, ma non troppo, almeno non per lei. Quel luogo somigliava un po’ all’Isola del Drago. Miriel si voltò indietro per vedere cosa facevano i compagni: Emeth e Shira davanti, Shanna al suo fianco con Ombroso sulle spalle simile a una mantella nera, Pozzanghera appena un po’ più indietro. Lord Erton veniva con loro, ammanettato al Paludrone. Avanzavano con circospezione, in formazione compatta, tenendosi a distanza debita dagli zampilli incandescenti che il nucleo di Narnia buttava in superficie.
Al contrario, Miriel sembrava perfettamente padrona della situazione.
Il branco dei Cavalli di Fuoco sembrò non prestar loro attenzione, almeno finché non furono abbastanza vicini da udire il crepitio delle fiamme di cui erano fatte le loro criniere, rosse e arancioni. Puro fuoco. Si muovevano come se un venticello costante soffiasse su di esse, lo stesso le belle e lunghe code ondeggianti e la strana peluria di fiamme che cresceva alla base dei possenti zoccoli neri.
Mano a mano che si addentravano in quella landa enorme, notarono pozze d’acqua piuttosto grandi, riflettenti il paesaggio circostante. Arbusti stepposi crescevano a mucchi dal terreno arido, tuttavia a quegli animali sembravano piacere molto.
Ad un tratto, uno dopo l’altro, i cavalli smisero chi di bere, chi di brucare, chi di muoversi. Decine di paia di occhi color rubino si posarono sui nuovi arrivati.
Miriel si fermò, gli altri alle sue spalle fecero lo stesso. Pensarono che le creature fuggissero ora che si erano accorte di loro. Invece, pochi secondi dopo in cui ebbero studiato i narniani con gran curiosità, uno dei cavalli si staccò dal branco e venne avanti. Il portamento solenne, la stazza, nonché la fierezza emanata dal suo sguardo, fecero capire loro che doveva essere il maschio alfa. Era alto quasi due metri, i muscoli possenti guizzavano sotto il manto di un nero brillante screziato di rame, i grandi zoccoli di un lucido color ferro. Una creatura fantastica.
Il Cavallo di Fuoco si fermò con uno sbuffo a un paio di metri dalla Driade. La sua voce rombante vibrò nell’aria, levandosi sopra i suono del vapore e degli zampilli infuocati.
“Slave, sorella” la salutò la creatura.
Miriel si stupì nel notare che non aveva aperto la bocca per parlare. Non comunicava come gli altri animali parlanti. In un primo momento pensò potesse udirla solo lei, ma da uno sguardo veloce agli amici capì che anche Emeth e gli altri l’avevano sentita.
Tornò a concentrarsi sul cavallo. L’aveva chiamata sorella… La creatura sapeva che non era completamente umana, bensì una creatura magica che al pari di lui apparteneva al fuoco e alla terra.
Miriel chinò il capo in segno di rispetto, continuando però a guardare il capobranco negli occhi. Pensava di potersi fidare ma allo stesso tempo trovò prudente non abbassare la guardia. Anche il capobranco restò vigile, tuttavia rilassato.
“Salve a te, amico” gli rispose. “Sono spiacente per aver disturbato la vostra quiete, ma la Madre Terra mi ha guidata sino a voi”.
“Sento…” disse il Cavallo di Fuoco. “Sento quel che sei, sorella degli elementi. Che tu sia benvenuta in mezzo a noi nel Territorio del Fuoco, e con te i tuoi congiunti”. Il cavallo chinò il capo a sua volta. Era un segno di amicizia e stima.
Miriel si voltò indietro sorridendo agli altri, facendo loro cenno di avvicinarsi senza timore.
Pozzanghera punzecchiò con la punta del pugnale il sedere del Duca, che rifiutava di muoversi. Lord Erton non aveva intenzione di restare lì con quel calore insopportabile, la lava che zampillava attorno a loro, il puzzo di zolfo, e quelle creature parlanti e spaventose. Pozzanghera e Erton ingaggiarono una breve lotta, nella quale il Paludrone ebbe la meglio. Riluttante, il Duca avanzò con lui.
Il Lord inveì brevemente in direzione del capobranco. Per tutta risposta, la splendida creatura batté le palpebre un paio di volte con aria perplessa, senza scomporsi.
“Per quale motivo tenete legato questo ammasso d’ossa?” chiese.
Ombroso non si trattenne, scoppiando in una risata fragorosa. “Ahahah, uhuhuh! Ammasso d’ossa! Questa è proprio buona!” Il pipistrello si asciugò una lacrima d’ilarità. “Ah, signore, è necessario, sapete? È davvero – ahah – un individuo brutto e fastidioso”.
“Che ti possano cadere le ali, maledetto topo volante!” bofonchiò Lord Erton.
“Ecco, vedete?”.
Il Cavallo di Fuoco scosse la criniera. “Se ritenete necessario tenerlo imprigionato, fate pure. Per mia somma fortuna, sono pochi gli individui fastidiosi quaggiù nella mia valle”.
“Siete fortunato, mastro cavallo” disse Pozzanghera.
“Il mio nome è Fleunor” disse il capobranco in tono altero ma non arrogante. Era un leader, e per questo desiderava essere trattato con rispetto.
“È un onore fare la tua conoscenza, Fleunor” disse Emeth, il quale aveva fretta di andarsene da lì. Si sentiva a disagio, gli altri Cavalli di Fuoco alle spalle di Fleunor puntavano ancora gli occhi su di loro.
Il capobranco fissò il soldato solo un momento, tornando poi a rivolgersi a Miriel.
Emeth si sentì deliberatamente ignorato, ma non se la prese troppo, anzi, ne fu in qualche modo sollevato. Ancora non capiva come facesse a parlare una creatura che neppure apriva bocca per farlo, e la cosa lo inquietava un po’. In occasioni come quella, dove incrociava il cammino di un essere schiettamente fatato, le vecchie superstizioni calormeniane della sua infanzia tornavano a farsi sentire.  La magia era sempre stata al di fuori della sua comprensione, lo era un po’ meno dopo tutto ciò che aveva visto e affrontato da quando aveva conosciuto Narnia. Tuttavia, Emeth preferiva affrontare qualcosa che poteva comprendere appieno. La sua spada era la sua sicurezza, arcani e magie li lasciava volentieri a chi sapeva leggerli, pur accettandoli come un’inevitabile conseguenze delle sue scelte. Vivere a Narnia voleva dire una vita colma di ogni sorta magia.
“Cosa ti ha portato nei meandri del Mondodisotto, giovane sorella?” chiese Fleunor a Miriel.
“Una missione” rispose lei, desiderosa di capire se potevano sperare nell’aiuto di quelle creature. “Siamo amici del Re e della Regina di Narnia. Non sono certa se siate al corrente di ciò che è accaduto loro”.
“Da tanti secoli non solchiamo le lande del Mondodisopra. Da quando il nostro signore cadde in un lungo sonno”.
“Chi è il vostro signore?”.
“Padre Tempo, colui che dorme laggiù in una caverna sacra in attesa del Grande Risveglio che avverrà nel Giorno di Aslan”. I Cavalli di Fuoco chinarono le belle teste fiammeggianti al nome del Leone. “Noi siamo i fedeli servitori del nostro signore, com’egli lo fu del Grande Leone e dell’Imperatore d’Oltremare”.
“Il padre di Aslan” mormorò Shanna, emozionata.
“Siamo fortunati! Conoscono veramente Narnia!” sussurrò Ombroso fremendo tutto.
“Non c’è bisogno di bisbigliare, giovane Stella” disse Fleunor, facendo un passo verso il gruppo. “E nemmeno tu, amico della notte”.
Shanna e Ombroso si strinsero l’uno all’altra.
“Noi non parliamo allo stesso modo delle altre creature cui è stata data tale facoltà. A noi basta pensare e così percepiamo i pensieri altrui”.
“Leggete le mente?” chiese Emeth, inquieto. Non trovò gradevole l'idea di farsi frugare nella testa da quelle creature. Si pentì subito dei suoi pensieri, poiché se i Cavalli di Fuoco riuscivano a sondarli, non era saggio offenderli in alcun modo. Ma come avrebbe fatto a impedirsi di pensare?
Comunque, Fleunor non pareva essersi offeso. Tuttavia, fissava il soldato con fare critico come se non fosse sicuro della sua presenza lì.
Emeth credette lo ignorasse ancora, invece il cavallo si rivolse direttamente a lui.
“Possiamo farlo se vogliamo. Nondimeno preferiamo siano gli ospiti ad esprimerci i loro pensieri”. Fleunor mosse la criniera infuocata e tornò a rivolgersi a Miriel. “Or dunque, sorella, parlaci: come possiamo aiutarti?”.
Quella domanda non fu inaspettata, non per Miriel. In ogni caso, domandò: “Come sapete che abbiamo bisogno di aiuto?”
“Non ti ho chiamata per caso” rispose Fleunor, donandole uno sguardo eloquente. “Lo sai anche tu”.
Miriel sorrise. “Hai percepito la mia presenza”.
“La Madre Terra mi ha guidato a te” spiegò il Cavallo di Fuoco. “Ha vibrato molto forte un paio di giorni fa, ed io mi sono messo in ascolto. Sono uscito dalla valle spingendomi fin dove ho ritenuto prudente. Noi non usciamo mai dal Territorio del Fuoco. Ho percepito che quaggiù c’era una nuova creatura simile a noi, con un potere uguale al nostro, e ho avvertito il suo bisogno di aiuto. Eri tu. Allora ho lanciato il mio segale, e mi hai sentito”.
“Un segnale?”.
Fleunor batté uno zoccolo a terra con forza. Un tenebroso gong risuonò intorno, dentro e sotto la valle. Il suolo si mosse, e i ragazzi temettero di perdere l'equilibrio.
“Incredibile” disse Pozzanghera, raddrizzandosi il cappello di paglia. “Mastro cavallo – ehm, perdonatemi… mastro Fleunor – tutto questo è sorprendete”. Pozzanghera pestò un piede palmato a terra: non produsse più di un tonfo sordo.
Un basso borbottio fu la risata divertita del capobranco. “Siete una creatura bizzarra”.
“Sono un Paludrone” rispose Pozzanghera, levando il copricapo.
“Ci aiuterete, allora?” chiese Miriel.
“Faremo tutto ciò che è in nostro potere fare. Non potremmo mai ignorare un segnale della Madre Terra. Se ti ha fatta arrivare qui insieme ai tuoi compagni, vi è uno scopo”.
“Dobbiamo raggiungere un castello” disse Miriel, vedendo subito al dunque. Inutile tergiversare. “Il castello della Signora dalla Veste Verde”.
A quel nome, decine di zoccoli pestarono il terreno nervosamente. Nelle teste dei narniani si accese l’eco come di un crepitare di fiamme. Erano i mormorii dei Cavalli di Fuoco.
“Il Castello delle Tenebre” ripetevano, “il Castello delle Tenebre…”.
“Sì, è quello il luogo” affermò Miriel. “Potete portarci laggiù?”.
Fleunor scattò sull’attenti. La sua voce divenne aspra, ma non era ai narniani che tale asprezza si indirizzava.
“Conosciamo l’essere che si annida in quella parte del Mondodisotto” disse. “Giunse qui anni or sono e si impossessò di tutto. Gli abitanti del sottosuolo sono al suo servizio, ora, soggiogati da un maleficio. Ha rapito alcuni dei nostri sottomettendoli per servirla. Non è tollerabile per un Cavallo di Fuoco servire quel genere di essere malefico”.
“La Signora della Veste Verde è dunque così malvagia?” chiese Ombroso, battendo i denti.
“Molto più di quel che credono i suoi servi. Badate, non sarà facile adempiere la vostra missione”.
“Ce ne rendiamo conto” disse Miriel, “tuttavia dobbiamo. Quella donna ha rapito i principi di Narnia. Aslan ci ha mandati in loro soccorso. Il Re e la Regina sono anch’essi stati colpiti da una maledizione, Narnia rischia di morire per questo: il regno è malato e la magia sta sparendo”.
L’effetto delle sue parole fu un tumulto di nitriti indignati.
“Tutto è opera di questa creatura sacrilega?” domandò ancora Fleunor.
Miriel annuì con vigore. “Pensiamo che abbia un ruolo rilevante in tutto ciò. Insieme a lei agiscono due individui: il principe di Calormen e…” Miriel si voltò indietro, indicando Lord Erton. “Quell’uomo laggiù”.
“Se la magia sparisce da Narnia, il mondo andrà incontro alla distruzione totale” disse Fleunor con gravità.
“Lo sappiamo” esclamò Shanna. “Io e Miriel disponiamo di alcuni poteri e ci siamo rese conto che si sono indeboliti rispetto al passato”.
“Parli bene, giovane Stella” annuì Fleunor. “Miriel avrebbe sentito immediatamente il mio richiamo, l’avrebbe riconosciuto per ciò che era se avesse disposto dei suoi pieni poteri. Dunque, la situazione è così seria…”.
Fleunor chiuse gli occhi e rifletté a lungo. Ogni tanto emetteva un respiro ansioso. I Cavalli di Fuoco si avvicinarono piano al loro capo, accerchiandolo come sentinelle per impedire che venisse disturbato.
Miriel e gli altri non si arrischiarono a interrompere quel momento di raccoglimento che, senza dubbio, aveva uno scopo ben preciso.
“Cosa sta facendo?” sussurrò Emeth all’orecchio della Driade. Gli altri si sporsero per ascoltare.
“Credo stia cercando di comunicare con la Terra” rispose Miriel, tenendo prudentemente la voce molto bassa.
“Come lo sai?”.
“La Terra si muove intorno a Felunor, la sento, ma credo sia una conversazione privata”.
“Privata tra Fleunor e la Terra?” chiese Pozzanghera a bocca aperta. “Creature davvero strane questi Cavali di Fuoco”.
Attesero, il calore del Territorio del Fuoco si spandeva intorno a loro come la più afosa delle giornate estive. Infine, Fleunor riaprì gli occhi. Il resto del Branco si dispose intorno a lui.
“Vi aiuteremo” disse solennemente. “La Terra Madre mi ha parlato di nuovo, mi ha mostrato la via per farvi giungere incolumi nel Castello delle Tenebre”.
“Vi ringrazio!” esclamò Miriel. Avrebbe ballato di gioia. “Anche a nome dei miei compagni e dei sovrani di Narnia: vi ringrazio di tutto cuore!”
Fleunor si impennò e nitrì, lo stesso fecero gli altri Cavalli di Fuoco. Le fiamme di criniere, code e zampe mandarono una pioggia di scintille.
“Sorella degli elementi, saremo lieti di entrare al tuo servizio”.

 
 
 
 
*Curaro: pianta realmente esistente in natura.
 
Sono emozionata per essere tornata a postare questa storia dopo così tanto tempo! Rendiamoci conto, sono due anni che non aggiorno, quindi accetterò maledizioni, macumbe woodoo, parolacce, lettere anonime, pallottole in busta, minacce, bombe carta… perché lo so di essere stata orrenda e chiedo perdono! Chi è ancora qui sappia che ha tutta la mia stima. Se sono sparita non è stato perché mi fossi stancata di scrivere questa storia, ma è perché ho avuto parecchi problemi personali che non ho ancora del tutto risolto, e non c’era né il tempo né la concentrazione giusta. A te che stai leggendo va un GRAZIE INFINITE  per non aver abbandonato me e gli eroi di Narnia!!!
 

Ringraziamenti:
 
Per le preferite: Ai_Ran, Aly_Effe, Aminta, aNightingale15, Annabeth Granger, battle wound, Ben Barnes,  BettyPretty1D007flowers, bibliophile, Callidus Gaston, Caspietoli12, CHIARA26, Crice_chan, Dark side of Wonderland, english_dancer, Flemmi, Francy 98, fran_buchanan, Fra_STSF, Friends Forever, Gigiii,
Giulia_Dragon, giuls_2000, HarryPotter11, Helena Lily, HikariMoon, JessAndrea, jonas4e, Jordan Jordan, Joy Barnes, Katie_P, LeaSnow, LenIseWitch, littlesary92, LittleWitch_ , LucyPevensie03, lullabi2000, Marbee Fish, MartaKatniss98, Mia Morgenstern , Miao93, NestFreemark, NewHope, Nimrodel_, osculummortis , POTTERINA02, Queen Susan 21, Rhona, Robyn98, Sara_Trilly, saretta_delenaSS, senoritavale, SerenaTheGentle, Starlight13, SuperStreghetta, Susan Lace, susbetty01, Svea, SweetSmile, takeingood, The Core of the Abyss, TheWomanInRed, Undomiel,  vio_everdeen, VSRB, WaterAlch, Zouzoufan7,  _Abyss_ ,  _faLL_ ,  _likeacannonball 

 
Per le ricordate: Aminta, Annabeth Granger, anonymously, Ben Barnes, Callidus Gaston, Cecimolli, Gigiii, HaileyB, Halfblood_Slytherin,  JessAndrea,  love_fire_blade,  mishy,  NestFreemark, Queen_Leslie, saretta_delenaSS, Starlight13, Zouzoufan7 
 
Per le seguite: ale146, aleboh, All In My Head,  Aly_Effe, Aly_F, Aminta, Amy_demigod,  Annabeth Granger, Aryelle,  Ben Barnes, Betely,  BettyPretty1D007flowers,  bulmettina, Callidus Gaston, CathyH94, cat_princesshp, Cecimolli, ChibiRoby, cleme_b, Dark side of Wonderland, ecate_92 ,  fede95 , FioreDiMeruna, Francesca lol, fran_buchanan, , Fra_STSF, Gigiii, giuls_2000, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, harukafun, ibelieveandyou , Jane8, JessAndrea,  jesuisstupide, JLullaby, Judee, katydragons,  LeaSnow, littlesary92, Lucinda Grey, Marie_ , MartaKatniss98, Matita Nera, Ma_AiLing, mewgiugiu, NestFreemark, NewHope, Omega _ex Bolla_ , osculummortis,  POTTERINA02,  Queen Susan,  Queen_Leslie, redberry , Revan93, Riveer, Sara_Trilly, saretta_delenaSS, senoritavale , Soleil_3, Thaleia thea, vio_everdeen,  VSRB,  Zouzoufan7,  _Abyss_,  _Bruschettina_ ,  _likeacannonball ,  _LoveNeverDies_,  _Rippah_ 
 

Per le recensioni dello scorso capitolo: Ai_Rain, Aura22_Ire31, Fred6,  harukafun, il principe mezzosangue, LittleWitch_, NewHope, POTTERINA02, Rhona, saracaruso04, saretta_delenaSS, Susan Lace, WaterAlch, _Abyss_ , _Bruschettina_

Angolino delle Anticipazioni (non può mancare):
I Cavalli di Fuoco accompagneranno Mirel e co. al Castello delle Tenebre, ma sulla strada incorreranno in qualche ostacolo. Lo stesso accadrà ai Sette Amici di Narnia dopo che si saranno svegliati dentro le mura del palazzo. Riusciranno a passare inosservati o qualcuno rivelerà la loro presenza alla Signora dalla Veste Verde? Lo vedremo... 

 
Spero che il capitolo non sia troppo tedioso, mi rendo conto che è molto lungo. Se vorrete lasciare i vostri commenti sarò più che lieta di leggerli e rispondervi.
Almeno per questa estate non dovrei avere interruzioni di sorta, perciò… stay tuned!
 
Vostra Susan♥

 
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Capitolo 36
*** Capitolo 36. Un debito mai pagato ***


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IN FONDO LE MAPPE DI NARNIA E DEL MONDODISOTTO


Capitolo 36. Un debito mai pagato
 
 
Tutte le volte cado a pezzi
E ho bisogno di te adesso, stanotte
E ho bisogno di te più che mai
E solo se mi terrai stretta
Noi ce la faremo
 
 
 
Il clangore dei bicchieri ruppe il silenzio della caverna, creando un riverbero metallico contro le pareti rocciose. Mullughuterum e i suoi non si scomposero mentre guardavano gli Amici di Narnia accasciarsi a terra uno dopo l’altro. Il guardiano si avvicinò con passo lento, quasi timoroso, accucciandosi accanto ai sei corpi umani e a quello del falco. Tastò la vena sul lato sinistro del collo di Re Caspian. Il battito rallentava, sempre di più, fino a divenire una lievissima, impercettibile pulsazione di sottofondo; una nota flebile, a un passo dal varco dei cancelli della morte. Controllò nel medesimo modo tutti gli altri. Il loro respiro si era apparentemente fermato. I volti dei ragazzi si fecero pallidi, persero colore, le guance sempre così rosee della regina Lucy divennero cineree.
 Nessuno, nemmeno la Dama Verde avrebbe potuto affermare che non fossero morti.
Il guardiano allungò le mani sopra i corpi esanimi dei Sette Amici di Narnia, iniziando a mormorare arcane parole in una lingua sconosciuta. Ferite fittizie apparvero sulla loro pelle, sangue che non era sangue macchiò gli abiti. Fece un cenno ai suoi compagni, ed ognuno di loro si caricò sulle spalle uno degli Amici di Narnia, mentre un paio d’altri presero le loro armi.
Il gruppo di uomini del Mondodisotto lasciò la grotta di Padre Tempo, lasciandosi indietro Destriero e gli altri cavalli, i sacchi a pelo, ed ogni oggetto che aveva rappresentato l’equipaggiamento di viaggio della compagnia di Narnia.
Costeggiarono il fiume sotterraneo, oltrepassarono il laghetto dove erano apparse le creature di tenebra, arrivando alle sabbie mobili. Le loro lunghe gambe si immersero fino al ginocchio, camminando sempre sul lato sinistro, dove sapevano di non sprofondare. Aggiravano ogni ostacolo come nessuno del Mondodisopra avrebbe potuto mai.
Se Lord Erton fosse stato lì in quel momento, avrebbe infine capito che di strade da percorrere ce n’erano in abbondanza, ma solo chi conosceva i segreti di quel mondo senza sole poteva imboccarle senza pericolo. Infatti, nei mille anfratti delle oscure gallerie, abitava ogni sorta di mostri, pronti a colpire chiunque fosse stato riconosciuto come estraneo. Ma Mullughuterum, che apriva il corteo, era il guardiano di quel mondo, e nessuna creatura si sarebbe mai sognata di attaccarlo o disobbedirgli.
Continuarono per qualche minuto a piedi, fino ad arrivare ad una macchia di vegetazione floscia dall’aspetto malato. Uno degli uomini del Mondodisotto tirò fuori un piccolo corno in cui soffiò una nota bassa e prolungata. Quasi subito, dalla macchia uscirono delle bizzarre bestie a metà tra rinoceronti e cammelli, con tre grandi gobbe sulla schiena e tre corna sul capo. Erano le loro cavalcature, le avevano lasciate laggiù ad aspettarli. Mullughuterum e i suoi montarono in groppa alle possenti schiene, sistemando con attenzione i corpi degli Amici di Narnia, iniziando così una lenta processione nel più assoluto silenzio attraverso le gallerie.
Impiegarono alcune ore ad arrivare al castello. Attraversarono una boscaglia fitta e oscura ma senza pericoli, la stessa per cui erano passati Emeth e gli altri. Scesero sempre più giù, tra strette stradine nascoste in spelonche invisibili per occhi non abituati a quell’oscurità, arrivando infine ad una imponente scogliera dai grezzi rilievi.
Poi, la flebile luce di una lanterna si levò in lontananza. Mullughuterum e i suoi fermarono le loro strane cavalcature al limitare di una striscia di sabbia pallida. Là, sulle rive di quello che poteva sembrare un enorme lago nero, vi era un piccolo molo di legno, incrostato da gusci di conchiglie grigiastre e alghe di un verde malsano. Ormeggiata a una palafitta, stava una grande imbarcazione nera dalla forma asimmetrica, simile a una gondola, senza alberi né vele ma con molti remi. Mullughuterum scese dal rinoceronte per avvicinarsi a uno dei marinai di guardia al molo, un tipo con grandi occhi obliqui e piccoli denti aguzzi.
“Molti sono coloro che sono salpati dalle pallide spiagge del Mondodisotto” disse questi.
“Pochi quelli tornati nel Mondodisopra, scaldato dal sole” rispose Mullughuterum, in una sorta di parola d’ordine.
L’uomo dai denti aguzzi alzò una lanterna per vedere meglio. “Ah, siete voi signor guardiano. Cosa trasportate?”.
“Sono i defunti re e regine del Mondodisopra. La Signora dalla Veste Verde ha ordinato di consegnarle le loro spoglie”.
Il tono compassato di Mullughuterum suonò oltremodo convincete.
“Ogni desiderio della nostra Signora è legge. Salite”.
L’uomo dai denti aguzzi chiamò i rematori per aiutare i compagni di Mullughuterum a issare sul barcone i corpi dei narniani, adagiandoli sul fondo.
Lasciarono i rinoceronti sulla spiaggia, sedendo sulle panche di legno della barca. A un cenno del marinaio, le cime vennero sciolte e l’imbarcazione prese il largo.
Impiegarono un tempo interminabile a raggiungere la riva opposta, e quando la barca si fermò, lo fece senza il minimo suono. Non appena Mullughuterum e i suoi ebbero messo piede a terra, la barca ripartì.
Il gruppo scese verso le vie di una lugubre città, un luogo dove tutto si muoveva ma nulla faceva rumore. Nessuno serbò interesse per loro, la gente lavorava e camminava a testa bassa, senza badare al proprio vicino.
Arrivarono di fronte alla scalinata che portava al grande castello. Una spessa muraglia esterna lo proteggeva da tutti i lati, sopra le merlature stavano decine di sentinelle. Le guardie di fronte al portone di ferro attesero che Mullughuterum e i suoi arrivassero in cima alla scalinata.
“Molti sono quelli che cadono nel Mondodisotto…”.
“…Pochi quelli che ritornano nel Mondodisopra, scaldato dal sole” rispose Mullughuterum per la seconda volta.
Le guardie aprirono il portone e il corteo si ritrovò nella piazza della cittadella. Raggiunsero un’altra scalinata e un altro portone, questa volta di legno. La parola d’ordine venne ripetuta una terza volta. Infine, furono dentro il palazzo, dove il silenzio era ancora più intenso. Nessun’altra guardia li fermò né chiese loro qualcosa, li lasciarono camminare tranquillamente fino alle stanze reali. Mullughuterum era conosciuto da tutti come il servo più fedele della regina, non aveva bisogno di spiegare niente a nessuno, fuorché alla sua padrona.
Mentre passavano per un corridoio, si udì uno scatto, come una porta che si apriva. Continuando a camminare, Mullughuterum sbirciò con la coda dell’occhio nella direzione da cui era venuto il rumore. La figura di una bambina si insinuò nella fessura di un’alta porta inagliata, osservando per un attimo la scena che sfilava davanti ai suoi occhi. Non capì cosa stesse succedendo, ma quando l’uomo che trasportava tra le mani il falco più bello che avesse mai visto passò accanto alla stanza, la bambina emise un suono strozzato pieno di compassione.
Mullughuterum si voltò indietro, lanciando alla principessa un’occhiata di rimprovero. La bambina capì che non avrebbe dovuto vedere, e richiuse la porta.
Dopo un attimo, però, la piccola Myra ci ripensò, aprendo di nuovo quella fessura, guardando le schiene degli uomini del Mondodisotto svoltare l’angolo in fondo. Allora, dopo aver ben controllato da una parte e dall’altra che non vi fosse nessuno, si slanciò fuori dalla sua stanza e li seguì in punta di piedi, fermandosi alla svolta del corridoio deserto. Si nascose dietro una grossa statua di bronzo, aspettando di udire le voci delle guardie a sorveglianza delle stanze private della Signora. Un minuto ancora ed eccole: le due guardie parlavano con gli uomini del Mondodisotto: quelli si fecero annunciare, attendendo di essere ricevuti.
Svelta svelta, Myra venne fuori da dietro la statua e tornò in camera sua. Qui, prese lo sgabello della toeletta, portandolo accanto al camino, salì in piedi sulla mensola di quest’ultimo e spinse forte con entrambe le mani una grossa mattonella concava, facendola scivolare in avanti dentro il muro. Si diede una spinta coi piedi, aiutandosi con la forza delle braccia per issare tutto il corpo nel buco apertosi nella parete. Spostò la mattonella da una parte per poter passare, la rimise a posto, e poi iniziò a strisciare carponi lungo quel passaggio buio e pieno di ragnatele. Tutto questo, lo fece in circa mezzo minuto.
Arrivò in fondo al passaggio, respirando un po’ affannosamente. Si portò una mano al viso per soffocare il suono dei suoi respiri, come le aveva insegnato a fare Rilian in una delle loro tante scorribande attraverso i passaggi segreti. La Signora non ne sapeva assolutamente nulla di quei loro giochi, o li avrebbe proibiti. Lei non voleva che gironzolassero senza il suo permesso, ma i due gemelli avevano esplorato il castello in lungo e in largo, e conoscevano ogni anfratto, ogni nicchia da cui si poteva guardare ogni cosa che accadeva nel castello senza essere scoperti, attraverso buchi nelle pareti e grate sui soffitti.
Ora, Myra si trovava acanto a una grata di metallo, la quale era celata dietro una grossa testa d’orso appesa nel salotto della Signora dalla Veste Verde. Myra avvicinò il viso alla grata, spiando di sotto attraverso le orbite vuote e spalancate della testa imbalsamata. Dalla sua posizione, proprio sopra il camino del salotto, poteva vedere e sentire tutto quel che succedeva nella stanza.
Da quando lei e Rilian avevano assistito di nascosto allo straordinario fenomeno del Leone parlante, apparso in mezzo alle fiamme, la bambina aveva usufruito di quel passaggio solo a lei noto – e a suo fratello, ovviamente – per tornare a guardare se per caso, nel fuoco del camino della Signora, fosse ricomparsa quella terrificante e magnifica figura. La Signora ignorava il fatto che avessero veduto quell’apparizione, dalla quale i due bambini si sentivano inspiegabilmente attratti, desiderando ardentemente rivederla.
Il respiro di Myra tornò normale e lei rimase fermissima a guardare ed ascoltare tutto ciò che accadeva di sotto, dentro il salotto della sua madre adottiva…
In quello stesso istante, le porte si aprirono ed entrarono Mullughuterum e i suoi.
La Signora dalla veste Verde fu lieta di vederli, da ore attendeva il ritorno del suo leale servitore.
“Mullughuterum, cosa mi porti qui?” chiese, fingendosi sorpresa.
Bella, regale, inquietante come sempre, Mullughuterum sapeva che sotto l’aspetto avvenente nascondeva un animo crudele, due occhi glaciali e indagatori, capaci di trasformarsi in un stante nei più dolci e sinceri.
Un’incantatrice.
Un’ingannatrice.
Una strega.
Immediatamente, quegli occhi chiari si tinsero di un’ombra di compiacimento, mentre osservavano gli uomini del Mondodisotto adagiare sul sontuoso tappeto i copri inanimati dei Sette Amici di Narnia.
“Porto ciò che avete richiesto, mia signora” disse Mullughuterum.
Ora stava a lui essere il più convincente possibile. Il suo racconto era pronto per essere esposto nei minimi dettagli, come concordato con Re Caspian. Non avrebbe dovuto tradire la minima emozione. Se la Signora gli avesse creduto, il piano sarebbe continuato come da copione; se invece ella avesse scoperto l’inganno, sarebbero stati tutti morti nel giro di dieci minuti.
Lo sguardo avido della donna vagò a lungo sulle sagome inermi, le sue labbra si curvarono in un sorriso estatico. Quale piacere vederli così!
Infine, Jadis aveva avuto la sua vendetta. Erano morti, tutti quanti. Lo erano davvero. Dopo anni, secoli di attesa, aveva vinto. Aveva avuto la meglio sui prescelti di Aslan.
L’avvertimento del Leone, sopraggiuntole attraverso le fiamme, non era servito a niente. Secondo il Leone, il segreto della sua sconfitta si nascondeva in Rilian e Myra, che sarebbero stati un pericolo solo se fossero riusciti a ricongiungersi ai loro genitori. Jadis sapeva che l’amore poteva rivelarsi un’arma potente, sebbene la disprezzasse.
Ma adesso, non aveva più niente da temere.
La Dolce e il Liberatore giacevano senza vita, così come ogni altro membro della famiglia Pevensie. Non c’erano legami di sorta che potessero smuovere nei fanciulli un sentimento tanto forte da spezzare il suo incantesimo di memoria. Resi innocui dalla Sedia d’Argento, Rilian e Myra non erano più un pericolo per nessuno, e qualsivoglia potere o astuzia avrebbero potuto sviluppare ed erigere contro di lei, era una chimera ormai perduta. Nessuno sarebbe più venuto a prenderli, a cercarli, a liberarli. Certo, c’erano ancora la Driade, la Stella e il soldato, ma erano pesci piccoli, li avrebbe annientati in men che non si dica.
“Eccellente” disse trionfante. “Davvero eccellente, Mullughuterum. Sei stato un servo fedele e capace, verrai ricompensato per questo”.
Mullughuterum si inchinò senza guardarla negli occhi, tirando un momentaneo sospiro di sollievo.
Jadis stentava ancora a credere a quello che aveva davanti, era un desiderio troppo grande perché si fosse avverato. Si chinò in ginocchio accanto a Edmund, fissò il suo viso, non più quello di un ragazzo ma quasi di un uomo. Gli accarezzò una guancia con il dorso delle dita, e la sentì fredda. Era un vero peccato che anche lui fosse andato incontro alla morte. Ma si poteva rimediare…
Spostò la mano sul suo braccio, scostando la stoffa già lacera della camicia, dove sotto brillava sinistramente la ferita inflittagli dalla creatura di tenebra. La Strega sorrise tra sé, poi si alzò in tutta la sua statura, suscitando un tremito nei suoi servitori.
“Hai preso le loro armi, come ti avevo detto?”
“Certamente, padrona”. Mullughuterum prese dalle mani di uno dei compagni un fagotto di tela, nel quale erano state  avvolte le Sette Spade.
“Dammele” ordinò imperiosa la donna, avida, allungando le braccia per accoglierle come fossero state un figlio. Scostò la stoffa, divorando letteralmente con lo sguardo i talismani di Narnia, finalmente in mano sua. Con quelle spade sarebbe stata invincibile.
Jadis provò un’eccitazione incontenibile, scoppiando in una risata che avrebbe fatto rabbrividire il più coraggioso degli uomini.
“Ottimo. Sempre meglio, Mullughuterum, bravo” si complimentò. “Dei Doni di Narnia che ne hai fatto?”.
“Ho preso anche quelli”. Mullughuterum mostrò Rhindon, il corno e l’arco di Susan, l’ampolla del cordiale di Lucy. “Ho anche la spada di Re Caspian. Cosa volete che ne faccia, mia sovrana?”.
“Distruggili, tutti quanti. Non mi interessano” ordinò Jadis, deponendo le Sette Spade sopra un lungo tavolo in un angolo della stanza. Passò le dita bianche su di esse quasi con soggezione.
Le lame di un azzurro cristallino non erano come le ricordava, dovevano essere state modificate, percepiva che la loro magia si era fatta più potente.
Si obbligò a staccare lo sguardo da esse per rivolgendosi nuovamente al guardiano. “Avete fatto tutti un buon lavoro. Portate le salme alla fossa comune e bruciatele quanto prima. E finalmente, questa storia sarà finita”. Chiuse gli occhi, sospirando di infinito piacere.
Gli uomini del Mondodisotto sollevarono nuovamente i corpi dei narniani, quando la Strega esclamò: “Fermi. Lui no”. Indicò Edmund, e un nuovo sorriso maligno le incurvò le labbra. “Lui portatelo nella cripta del castello”.
 Mullughuterum ebbe un lieve scatto, senza però osare scambiarsi occhiate con i suoi compari sotto gli occhi vigili della regina. Il guardiano non azzardava chiedere il perché di quell’improvviso ripensamento riguardo Edmund; tuttavia, doveva conoscerne i motivi per sapere come agire.
“Avete altri ordini, padrona?” domandò, cercando di indugiare il più possibile.
“Per ora no. Ma rimani, Mullughuterum, fammi compagnia ancora un poco”.
Una volta che i compagni del guardiano se ne furono andati, la Strega ordinò alle guardie di fuori di lasciare il corridoio per un po’. Poi chiuse ben bene la porta e tornò a rivolgersi a Mullughuterum, il quale attendeva immobile in un angolo.
Inaspettatamente, ella sorrise. “Non voglio che nessuno origli ciò che abbiamo da dirci” spiegò, prendendo dalla credenza di cristallo una bottiglia di liquore e due bicchieri. “Accomodati e brindiamo”.
Sedettero uno davanti all’altra, lei su una bella poltrona imbottita, il guardiano su una sedia dall’alto schienale. La Signora riempì i calici, porgendone uno a Mullughuterum.
Egli lo prese con cautela, chinando il capo. “La mia padrona mi tratta come un suo pari, non dovrebbe”.
“Da oggi sarai molto più che un servo. Sei stato davvero capace, verrai ricompensato oltre ogni aspettativa”.
“La mia signora è troppo buona”.
“Tu dici?” la Strega rise, alzando il calice. “Brindiamo al primo di una serie di molteplici trionfi!”
Lei bevve per prima, rassicurando segretamente il guardiano, il quale fissava il contenuto del suo bicchiere con sospetto. Se il liquore fosse stato avvelenato, non avrebbe avuto il tempo di rendersene conto in nessun modo.  Ma non c’era motivo di crederlo, dopotutto, poiché la regina era sincera nell’offrigli il privilegio di bere insieme a lei. Era troppo presa dall’euforia della vittoria per cedere al sospetto che qualsiasi tipo di sotterfugio stesse tessendosi alle sue spalle.
Approfittando di quel momento di esaltazione, Mullughuterum rischiò e chiese: “Cosa volete farne del ragazzo?”.
La Strega abbassò il calice, sorridendo ancora in quel modo sinistro. Era raro che sorridesse.
“Ho dei progetti riguardo il caro Edmund. Te li rivelerò più tardi. Ma prima di ogni altra cosa, dimmi…”. Si sporse un poco in avanti, come un gatto pronto a saltare sulla preda. “Voglio sapere come sono morti”.
Il guardiano era pronto a quell’eventualità, così iniziò a raccontare secondo gli accordi presi con Caspian.
“Si erano accorti di noi già due notti prima che li incontrassimo. La Regina Susan è stata la prima a notarci, lei e il lupo, cioè Re Caspian. Li abbiamo aspettati davanti all’entrata della grotta di Padre Tempo, come avevate ordinato. Purtroppo le cose sono andate un po’ per le lunghe: la compagnia non voleva dividersi, così hanno discusso per un po’, fino a che il resto del gruppo è stato costretto ad andarsene per un’altra via, lasciando che i Sovrani seguissero noi. Non so dove siano ora”.
“Probabilmente, tenteranno di raggiungere i compagni sino a qui” disse la Signora, provando un sadico divertimento nel pensare a quando la Driade gli altri fossero venuti a conoscenza della fine dei Sette Amici. “Se la compagnia di Narnia è scesa nel Mondodisotto, è perché sapevano dov’erano nascosti i bambini. Mi domando solo chi sia stato a tradirmi”.
La Strega aveva dei sospetti, ovviamente: quel vecchio doppia faccia di Lord Erton. Dopo essersene andati da Harfang, aveva perso ogni contatto con lui. Non doveva escludere la possibilità che fosso morto.
“Se dovessero arrivare, sapremo come accoglierli”.
“Certamente, padrona”.
“Va avanti, Mullughuterum. Cosa è successo dopo?”.
“Una volta arrivati da Padre Tempo, loro ancora non capivano cosa volessimo. Poi è arrivata di nuovo la notte, e due delle fanciulle si sono recate a un laghetto che avevo loro indicato. Speravo potessero annegare nelle paludi, però sono sopraggiunti gli altri in loro soccorso. Allora ho richiamato le creature di tenebra con l’incantesimo che mi avevate insegnato, esse si sono abbattute sui ragazzi ma essi le hanno spazzate via con una facilità sorprendente. Non ci aspettavamo fossero così abili nel combattimento”.
“Hai dubitato che la mia magia fosse più potente della loro?” domandò seccamente la Strega.
“No, padrona. Confesso, però, che per un attimo ho temuto non saremmo riusciti a batterli. Avevano armi fatte di luce”.
“Sì, lo immagino” disse la Signora, sprezzante, indicando con un gesto della mano le Sette Spade allineate sopra il tavolo. “I talismani dei Lord di Telmar sono armi molto potenti, intrise della più pura e antica magia”.
Jadis si alzò, avvicinandosi al tavolo dove le Spade rimandavano bagliori azzurrini sulle pareti, giocando con la luce del fuoco.
“Adesso che sono in mano mia, serviranno a ben altro scopo. Con queste armi conquisterò Narnia una volta per sempre, piegherò al mio volere il potere che impregna le mura di Cair Paravel, e in meno di un battito di ciglia avrò ai miei piedi tutti i regni del mondo!”. Un lampo di gelido trionfo illuminò quegli occhi di ghiaccio, poi tornò verso la poltrona. “Ma continua, Mullughuterum, voglio ogni particolare”.
“Durante la battaglia con le belve oscure, Re Edmund è rimasto ferito”.       
“Bene! Speravo fosse lui a subire un attacco così ravvicinato”.
“Sua sorella lo ha curato, ma non è servito a molto” proseguì Mullughuterum, che cercava di capire cosa la Signora stesse macchinando. “Siamo stati legati e costretti a confessare le nostre intenzioni, ovvero che qualcuno ci aveva mandato per assassinarli. Abbiamo finto di essere dispiaciuti e, come avevate previsto, ci hanno dato il beneficio del dubbio. Dopodiché, abbiamo promesso loro di accompagnarli qui al castello. Quando è stato il momento di dormire, pensavamo di sorprenderli nel sonno, ma temevamo le loro armi, quindi abbiamo atteso e atteso. Hanno montato la guardia a turni per tutta la notte, solo all’alba ci siamo decisi, quando Re Edmund ha lasciato il suo posto. Lo abbiamo ucciso per primo. Era molto provato, credo a causa della ferita, anche se ha combattuto bene e con coraggio. Sottratta la sua spada luminosa, abbiamo recuperato le altre sei prima che gli altri si svegliassero. Quando poi hanno capito cosa avevamo fatto a Re Edmund, si sono avventati su di noi. Avevano ancora altre armi, noi però eravamo superiori in numero; inoltre, la rabbia li ha resi vulnerabili. Non è stato facile sottometterli, ma alla fine, uno dopo l’altro, sono caduti”.
La Strega raddrizzò la testa, trattenendo un respiro di soddisfazione. 
“Perdonate la nostra inettitudine, mia regina. Ci abbiamo impiegato più del dovuto”.
“Fai bene a chiedere scusa, Mullughuterum. Se non avessi portato a termine questa missione, avresti sofferto una dura punizione per la tua esitazione. Comunque, non posso punirti dopo che hai esaudito il mio più grande desiderio: i Sette Amici di Narnia sono morti”. Pronunciò queste ultime parole con infinita compiacenza.
Mullughuterum chinò il capo con servilità. “La mia signora è davvero generosa”.
“Lo sono. E lo sarò ancor più permettendoti di sapere cosa ne farò di Edmund”. Jadis si alzò di nuovo, non riusciva a star seduta tanta era l’eccitazione. “Ho voluto che fosse portato nella cripta perché intendo al più presto averlo tra le mie fila”.
Mullughuterum sbatté gli occhi senza pupilla, la fronte appena solcata da una ruga di incomprensione. “Mia signora, non è possibile. Non più”.
“Ah, qui ti sbagli, Mullughuterum”. La Signora dalla Veste Verde fece frusciare la sua bella veste mentre si sposava per la stanza. “Lascia che ti racconti una storia…una storia che risale all’inizio dei tempi...
“Una volta ero la regina di una terra lontana, morente, distrutta da una magia che fui costretta ad usare a discapito del mio stesso regno. Necessitavo di una nuova dimora, giovane, rigogliosa, e avrei dovuto lasciare il mio mondo per trovarla. Ma non esisteva possibilità…finché, un fortunato giorno, due ragazzini provenienti da un altro mondo, giunsero nel mio. Avevo sentito parlare molte volte di portali magici che collegavano le dimensioni; inaspettatamente, scoprii che i due ragazzini possedevano degli anelli magici capaci di far questo. Sfruttai la loro l’ingenuità, viaggiai tra le dimensioni, e raggiunsi quella che ancora non era Narnia: un luogo appena nato, avvolto nel nulla e senza luce. Volli quel nuovo mondo con tutta me stessa!”. Una tormentata ossessione distorse per un momento i bei lineamenti della donna. “Percepii immediatamente che laggiù si era concentrata la più alta fonte di magia mai esistita prima. Non era uguale alla mia, era pura, senza contaminazioni; la temevo, ma la desideravo. Quando però giunse il Leone, capii chi era, cosa rappresentava, e seppi che non avrei potuto impadronirmi di tutta quell’immensa magia, non subito. Sebbene possedessi poteri strabilianti, non sarei riuscita ad eguagliare quelli della Creatura. Egli intuì i miei pensieri, ed io, impaurita, fuggii come una codarda. Ma la codardia si rivelò un’inaspettata alleata quando mi trovai in un giardino favoloso, dove crescevano frutti meravigliosi, portentosi! Scoprii di poter ottenere  salute e giovinezza eterni, ed io dovevo vivere a lungo per conquistare una forza eguale e superiore a quella del Leone, e impadronirmi di Narnia. Mangiai il frutto, ottenendo l’eternità insieme a un potere incommensurabile. Ma, allo stesso tempo, non fui più me stessa. Fui consapevole del prezzo che pagavo e non lo trovai caro”. La Strega sorrise della propria audacia, per nulla pentita. “Soffrii terribilmente dopo aver mangiato quel frutto, sembrò che qualcuno mi strappasse l’anima dal corpo. Forse accadde proprio così, forse no, non l’ho mai saputo e non mi interessò saperlo mai. Tutto ciò che mi interessava era la nuova energia che sentivo scorrermi nel sangue. La magia di Narnia era entrata in me! Era mia!”
 Un lampo di fanatismo saettò dentro lo sguardo di ghiaccio di Jadis, le mani ad artigliare i braccioli della poltrona. Sembrava doversi trattenere per non scoppiare di nuovo in quella sua risata orribilmente gelida e riecheggiante.
“Dal giorno in cui mangiai il frutto della giovinezza, il mio spirito si costituì di pura magia, la stessa posseduta dal Leone. Ero diventata come Lui, e sarei divenuta ancor più potente! Fui in grado di impedirgli di entrare a Narnia per ben cento anni!
“Da quel momento, l’equilibrio delle cose si spezzò per sempre, ero stata io a infrangerlo, e non si ripristinerà finché non sarò sconfitta”.
Una nota divertita risuonò nella sua voce, quando scorse l’ombra di un interrogativo nel mutismo del suo servitore.
“Mi sono appena contraddetta, vero Mullughuterum? Lo riconosco. Vedi, so per certo di essere una creatura unica al mondo, la mia forza e la mia intelligenza sono straordinarie, ho rubato il segreto dell’immortalità, tuttavia ho anche dei punti deboli. Non posso essere uccisa come gli altri esseri umani, non più. Una volta sarei perita trafitta da una spada; ora, l’unico modo per annientarmi è usare qualcosa che sia fatto della mia stessa materia”.
Fu certamente terrore quello che Mullughuterum vide dipingersi sul viso della Signora, quand’ella si volse un istante a guardare le Sette Spade disposte sopra il tavolo.
“Ma questa è un’altra faccenda, non divaghiamo.
“Quando i Pevensie entrarono a Narnia per la prima volta e mi sconfissero, fu così inaspettato che pensai fosse la mia fine. Invece, ero ancora viva, aggrappata all’ultimo brandello di magia rimastami. Perché finché a Narnia vi fosse stata la magia, io sarei sopravvissuta. Impiegai un tempo immenso per tornare in vita, per riuscire a capire come fare ad essere quella che ero. Ma capii. Il sangue era la chiave, con esso potevo rigenerarmi. E qui, arriviamo a noi”.
L’aria nella stanza vibrò di attesa e terrore.
“Se il sangue di un Figlio di Adamo può rigenerare il mio corpo, il mio sangue può rigenerare il copro di un figlio di Adamo. Una magia antica, proibita, quella dei sacrifici, ma non me ne sono mai preoccupata.
“Ora, quando Edmund Pevensie tradì i suoi fratelli e venne da me, Narnia stipulò un accordo tra noi senza che il ragazzo lo sapesse. A quei tempi era un bambinetto sciocco, arrogante, troppo giovane per capire ciò cui stava andando incontro. Difatti, alla prima occasione, vedendo quel che ero disposta a fare per proteggere la mia posizione di regina, il piccolo ipocrita tornò con la coda fra le gambe da Aslan e dai suoi fratelli, i quali aveva tanto disprezzato in precedenza.
“Le leggi di Narnia sono molto severe con i traditori: un traditore appartiene a colui che ha tradito. Il sangue di Edmund doveva essere mio, ma il Leone intercedette per lui. Quella volta presi al balzo l’occasione di avere Aslan al posto suo, ma non oggi.
“Sono troppe le volte in cui Edmund il Giusto mi è sfuggito. Ha un debito con me: un debito di sangue mai pagato. Perciò, stanotte scenderò in quella cripta, bagnerò il suo corpo del mio sangue e lui ritornerà in vita! Grazie alla ferita che le mie creature di tenebra gli hanno inflitto, parte della mia magia è già dentro di lui. Quando si desterà dalla morte, l’oscurità penetrerà nel suo cuore per sempre, disprezzando ancora una volta Aslan e gli amici che gli restano. Mi servirà, diverrà la mia più fidata marionetta, la sua anima sarà mia, ed egli sarà mio schiavo per l’eternità!”.
La Strega alzò una mano e serrò il pugno nell’aria. Mullughuterum pensò che avrebbe preferito avere il collo di Edmund Pevensie sotto quelle dita sottili, bianche come la neve.
“Non preoccuparti, Mullughuterum”, continuò Jadis, tornando a sorridere di falsità. “Non ti verranno tolti i privilegi che meriti, non dubitarne. Tu sei il miglior servitore che abbia mai avuto, non vorrei perderti per nulla al mondo”.
“Non dubito mai della mia Signora”. Mullughuterum abbassò la testa. Non fu un segno ossequioso, ma un modo per nascondere la preoccupazione. Se la Signora dalla Veste Verde faceva tornare in vita Edmund, avrebbe scoperto che non c’era nulla da far rivivere, perché non era mai morto. Se ne sarebbe accorta, e allora non si poteva immaginare quel sarebbe stata la sua reazione di fronte alla realtà.
“Maestà, posso dire una cosa?”.
“Parla”.
“Non sarà pericoloso permette al ragazzo di servirvi così da vicino? Egli è lo zio dei principi, dopotutto, e i bambini potrebbero riconoscerlo”.
La Strega sorrise, scaltra. “Impossibile. Edmund non ha praticamente mai visto i suoi nipoti, non li riconoscerebbe, e nemmeno Rilian e Myra riconoscerebbero lui. Comunque, oltre ad essere sotto il mio potere, se sarà necessario userò la Sedia d’Argento anche sul ragazzo e gli farò dimenticare tutto. Con Lady Lora e i gemelli non ha mai fallito”.
“Certo, avete ragione, Maestà. Perdonatemi se ho fatto una domanda tanto sciocca”.
“I tuoi dubbi sono leciti, ma non c’è nulla da temere. Ora vai, Mullughuterum, devo preparare tutto per il rituale. Questa notte non voglio esser disturbata per nessun motivo, ti raccomando: appena caleranno le tenebre mi recherò nella cripta. Non deve volare un insetto”.
“Agli ordini, Signora”.
Quando Mullughuterum lasciò le sue stanze, la Signora dalla Veste Verde richiamò le guardie, poi fece chiamare anche una serva perché sistemasse la camera. Controllò l’ora, decidendo se fosse meglio andare prima da Edmund oppure dai bambini, per sottoporli al quotidiano incantesimo della Sedia d’Argento. Decise per la prima, era tropo ansiosa di vedere finalmente il ragazzo inginocchiarsi al suo cospetto e giurarle fedeltà eterna. I gemelli potevano aspettare qualche minuto in più, non sarebbe successo niente. Veleggiò così vero la camera da letto, lasciando in salotto solo la cameriera.
E Myra, rimasta per tutto il tempo ad ascoltare, lassù nel passaggio dietro la grossa testa d’orso, aveva la mente confusa, con mille domande che si accavallavano tra loro. Quasi non badò al dolore alle ginocchia e agli arti rattrappiti, per esser rimasta rannicchiata tanto a lungo in un posto così stretto. Gli occhi fissi sul salotto vuoto, cercava di capire il significato della conversazione appena terminata tra la Signora e Mullughuterum. Lui aveva ucciso delle persone per ordine di lei…
 E c’erano un mucchio di alte cose da considerare, ma quelle erano le uniche cui la bambina riusciva a pensare in quel momento. La Signora era una persona malvagia, come Rilian aveva sempre sospettato. La sua risata le aveva ghiacciato il sangue, tanto che Myra non riusciva quasi a muoversi per il terrore che le aveva suscitato. Poi, qualcosa dentro di lei scattò, come un meccanismo. Doveva tornare indietro in fretta, perché se la Signora fosse arrivata nella sua stanza e non l’avesse trovata, avrebbe passato dei guai.
Strisciò più veloce che poté attraverso il passaggio, tornò in camera sua, rimise a posto la mattonella concava, saltò giù dalla mensola del camino, e si tuffò sotto le coperte, dove avrebbe dovuto essere. Sapeva che non sarebbe riuscita a dormire, e che forse sarebbe sgattaiolata verso un altro passaggio segreto: quello nella parete, per andare in camera di Rilian e raccontargli tutto.
 
 
 
~˖~
 
 
Susan si risvegliò con la sensazione di essere avvolta in strati e strati di ovatta. Le ottundeva i pensieri, premeva sulle orecchie azzerando i suoni, le palpebre pesantissime, le gambe e le braccia atrofizzate come se non le avesse usate per molto tempo.
“Mi è successo qualcosa”, pensò subito.
A stento percepì i suoni esterni: scalpiccii lontani, un tintinnio simile a un martello sopra il ferro, lievi tonfi, leggere vibrazioni. Non c’erano voci, e questo era alquanto strano, perché i passi e i rumori dovevano provenire da qualcuno – o qualcosa. Si mosse piano ma, anche così, la sensazione che le piombò addosso quando si mise a sedere fu la stessa che si prova ad un improvviso calo di pressione. La vista le si schiarì lentamente, rivelando ai suoi occhi una grande stanza buia e silenziosa, permeata dall’odore di legna. Vari riquadri di tenue luce bluastra, simile a quello della luna ma non altrettanto brillante, penetravano da alcune finestrelle, situate a livello della cima di alte e numerose cataste di grossi tronchi, illuminando fiocamente quello che doveva essere un deposito. I mucchi di legname arrivavano quasi al soffitto, divisi tra loro da uno spazio di un metro scarso, mentre un lungo corridoio correva nel mezzo, da un capo all'altro del magazzino.
Susan era distesa sul freddo pavimento di pietra viva in fondo al depostio, nello spazio tra due cumuli di legna. A tutta prima, pensò di essere stata imprigionata dagli uomini del Mondodisotto, ma una legnaia era un posto davvero inusuale dove rinchiudere una prigioniera. Inoltre, non aveva né mani né piedi legati, per cui scartò la possibilità di un rapimento.
Un lamento fu il primo suono umano che udì.
Quando la vista si fu abituata alla quasi totale oscurità, Susan scorse due sagome muoversi poco distante, che riconobbe per quelle di Lucy e Peter. Un po’ più là, nascosti nell’ombra, dovevano esserci gli altri.
La Dolce incrociò lo sguardo della Valorosa, la quale le rivolse un sorriso rassicurante.
“Mi chiedevo se al nostro risveglio ci saresti stata tu”.
“Dove ci troviamo?” chiese Susan, desiderosa di capirci qualcosa.
“Ora ti racconto tutto” rispose Lucy, alzandosi dal pavimento.
Susan notò che anche lei si muoveva in modo strano, a scatti, come se non riuscisse a far funzionare gli arti nel modo giusto.
In fretta ma senza saltare un particolare, Lucy raccontò alla sorella del piano di Caspian e dell’accordo con gli uomini del Mondodisotto.
 “Adesso capisco perché ho tutti i muscoli irrigiditi” disse ancora la Regina Dolce, finalmente consapevole. “È il rigor mortis”.
Lucy annuì. “Piuttosto macabro, eh?”.
“Ringrazia tuo marito per questo, Sue” commentò aspramente Peter, arrivando accanto alle sorelle, massaggiandosi le braccia per riattivare la circolazione.
“Io l’ho trovato un piano geniale!” disse la voce di Jill, da qualche parte ancora avvolta nel buio. Poco dopo, avanzò insieme al lupo e Eustace verso il quadrato di luce che che la finestra a loro più vicina disegnava gettava sul pavimento.
Susan si appoggiò con la schiena al muro, incrociando le braccia. “Geniale, certo, anche azzardata, per non dire folle. Ti sei messo a giocare all’alchimista?”.
Il lupo la guardava come sfidandola.
“Sì, sto parlando di te, tesoro, lo sai. Certe volte mi stupisco di quanto poco buon senso tu abbia. Un filtro di morte apparente…”. Scosse il capo, tradendo un sorriso. “Potevamo restarci secchi, e per di più non mi hai nemmeno dato scelta”.
Il lupo sbuffò dal naso la sua disapprovazione. Capiva che lei non era veramente arrabbiata, ma se avesse potuto parlare le avrebbe detto quanto somigliava a suo fratello Peter quando assumeva quell’aria saccente.
“Però ha funzionao. Almeno finora” aggiunse Lucy, tastandosi gli abiti macchiati e laceri in alcuni punti.
Susan fece lo stesso con i suoi, riconoscendo la sostanza rappresa sulla stoffa. “Sangue. Ma non siamo feriti”.
“Mullughuterum ha detto qualcosa a proposito della magia che poteva utilizzare, per rendere la cosa più reale possibile” spiegò Peter. “Deve aver simulato delle ferite su di noi”.
“Una mossa intelligente” osservò Susan. Se erano ancora vivi lo dovevano a quelle creature. Si erano esposte molto per aiutarli, ora non aveva più dubbi sulla loro fedeltà.
“Il risveglio è stato di sicuro peggio di quanto credessi” considerò Eustace. “Però non lamentiamoci, è andata fin troppo bene”.
Jill lo guardò con un sorriso stupito. “Sei davvero tu a dire agli altri di non lamentarsi? Parola mia, Scrubb, non ti riconosco più”.
Eustace non rispose, rimandandole il sorriso.
“Basta parlare, adesso” disse Peter, perentorio, porgendo ai compagni alcuni indumenti un po’ sgualciti. “Dobbiamo cambiarci per poterci mischiare agli abitanti di questi posto. Fate in fretta. Edmund, muoviti, dove sei?”.
Ma Edmund non rispose.
Solo allora gli altri si resero effettivamente conto che non avevano ancora udito la sua voce.
Un’improvvisa ondata di panico aleggiò nell’aria.
“Ed?... Edmund?”. Peter si voltò verso i compagni. “Dov’è?”.
“Come sarebbe? È…” rispose Lucy, finendo di infilarsi una giubba troppo larga. Iniziò a cercare negli gli spazi tra i mucchi di legname, percorrendo in lungo e in largo il magazzino senza fare troppo rumore. Gli altri la seguirono, ma solo per non lasciarla cercare da sola. Era evidente che, della presenza di Edmund, non v’era traccia.
Peter si mise le mani sui fianchi, traendo un forte sospiro rabbioso. “Perché succede ogni volta? Perché non può starsene buono e fare quel che gli si dice?”.
“Non rimproverarlo prima di aver saputo cosa gli è successo” cerò di calmarlo Susan.
Peter scosse la testa, raccogliendo la calma. “Mi auguro che non gli sia venuto in mente di fare l’eroe”.
“Non è più un ragazzino incosciente, Peter”.
“Sai com’è fatto, Susan, è sempre stato una gran testa calda”.
“Potrebbe non essersi allontanano di sua iniziativa” osservò giustamente la Dolce. “O, se l’ha fatto, ha sicuramente avuto una buona ragione”.
“Non l’ha fatto” intervenne Eustace con sicurezza. Era profondamente turbato. “Ho appena controllato la porta del deposito: siamo chiusi dentro”.
Un breve silenzio carico di inquietudine calò dentro il deposito.
“Come fa a non essere qui, se non poteva uscire?” disse poi Lucy, concretizzando in parole i pensieri di tutti. “Non ha senso”.
“Avrebbe senso se si fosse risvegliato prima di noi” disse Jill, torcendosi le mani. “Se qualcosa fosse andato storto… se si fosse risvegliato prima e qualcuno se ne fosse accorto…”.
Eustace picchiò un pugno sulla parete. “Gli uomini del Mondodisotto ci hanno tradito!” esclamò. “Non dovevamo fidarci!”
“Credi che abbiano venduto Edmund per averci in pugno?” chiese Susan, non del tutto convinta.
“E’ l’unica spiegazione” confermò il cugino. “Ti fidi davvero di Mullughuterum? Davvero? Come puoi, dopo che si è chiamato il servitore più fedele della donna che ha rapito i tuoi figli?”
Susan fece un respiro profondo. “Mi voglio fidare”.
“Non è proprio la stessa cosa, Sue”.
“No, non lo è. Ma se non lo facessi, saprei che abbiamo già perduto, e io non accetto di perdere”.
Eustace era incredulo. “Sei veramente ingenua, cugina”.
“No, ha ragione lei” disse Lucy. “Se la Signora della Veste Verde avesse scoperto l’imbroglio, non saremmo vivi”.
Eustace guardò Peter per trovare appoggio alla propria teoria. Ma il Re Supremo non si espresse a riguardo, la sua preoccupazione era un’altra.
“È inutile star qui a fare congetture. Dobbiamo andare a cercare Edmund, subito!”.
Finirono in fretta di indossare gli indumenti del Mondodisotto, i quali non avrebbero potuto essere più diversi dai begli abiti dai colori vivaci che si portavano a Narnia: calzoni color fango, una casacca marrone con ampie maniche, un mantello nero con cappuccio.
Finito di sistemarsi, attraversarono la legnaia con ampie e frettolose falcate, raggiungendo la grande porta scorrevole, tirando, spingendo.
“Niente, non si apre!” ansimò Jill.
Non potevano restare lì, ma non potevano uscire. Non avevano idea di quanto tempo sarebbe passato prima che Mullughuterum fosse venuto a dar loro il via libera. Potevano trascorrere delle ore.
Peter alzò lo sguardo verso un’altra delle finestre quadrate. Non era particolarmente ampia, ma un adulto sarebbe riuscito a passare, anche se con un po’ di fatica. Il problema più grande stava nel raggiungerla. Se però usava la legna accatastata come fossero scalini... Avrebbe potuto fuggire attraverso la finestra e aprire agli altri la porta dal di fuori.
“Usciremo da là”.
“Non puoi, è troppo in alto” disse Lucy.
Peter non le diede retta. Iniziò a scalare una delle tante pile di legna per provarle il contrario, ottenendo però di scivolare e far ruzzolare a terra con sé alcuni ceppi. Nel silenzio del magazzino, il suono secco del legno parve molto più forte di quanto non fosse.
“Peter, attento! Ci farai scoprire!” esclamò Susan, risistemando in fretta i ceppi al loro posto.
“Fammi riprovare” insisté il Magnifico, arrampicandosi ancora.
“Silenzio!” esclamò Jill a un tratto. “Viene qualcuno. Nascondiamoci, svelti!”.
Peter represse un’imprecazione, nascondendosi dietro la catasta di legname. Susan e il lupo lo seguirono. Lucy, Jill, e Eustace si appiattirono accanto a un’altra, un poco più in là.
Venne il cigolio di un chiavistello, e la porta scorrevole scivolò di lato. Due ombre, dalle forme troppo strane per appartenere a un umano, si disegnarono sulla soglia.
“C’è stato un rumore” disse la prima.
“Dammi la torcia, vado io a vedere” disse la seconda.
La prima ombra rimase sulla porta, mentre la seconda avanzò piano dentro la legnaia. Passò davanti a Peter, Susan e Caspian. Quando fu abbastanza vicino, essi poterono vedere il viso barbuto di un uomo del Mondodisotto. Non somigliava a Mullughuterum e i suoi compagi: la sua espressione non era di perenne sconforto, aveva invece due occhietti cattivi infossati nel volto aguzzo, scrutava intorno a sé, aguzzando le orecchie per percepire il più piccolo rumore.
Quando li oltrepassò, Peter e Susan si azzardarono a gettare un’occhiata fuori dal loro nascondiglio. Peter fece un cenno a Lucy, Jill e Eustace. I tre fecero per muoversi nella loro direzione. Se fossero riusciti a spostarsi, sarebbero stati tutti abbastanza vicini all’entrata per poter uscire senza essere visti. Il primo uomo avrebbe probabilmente fatto il giro del deposito, quindi si sarebbe allontanato sempre di più, e loro, complice l’oscurità, sarebbero sgattaiolati alle spalle di quello rimasto sulla soglia. Quest'ultimo non sembrava troppo sveglio: in quel momento stava studiando con interesse un ragno sulla parete.
Eustace fece però un cenno negativo a Peter, per fargli capire che voleva aspettare che il primo uomo si allontanasse da loro ancora qualche metro. La torcia che reggeva non faceva molto più che creare un alone luminoso attorno a lui; comunque, egli la puntava in ogni angolo, su ogni ceppo e tronco. Se la luce si fosse insinuata nella nicchia dove Eustace e le due ragazze erano nascosti, li avrebbe visti e avrebbe dato certamente l’allarme. I ragazzi indossavano gli abiti del Mondodisotto, ora, certo, ma i loro volti erano palesemente umani. Avrebbero volentieri camuffato anche le loro fattezze, se fosse stato possibile.
Ci fu un istante in cui tutti furono immobili, anche l’uomo con la torcia. Si era fermato di colpo, e altrettanto repentinamente puntò il fascio di luce dritta sulla pila di legna dietro la quale stavano Lucy, Eustace e Jill.
Solo la fortuna seppe quanto poterono esser svelti a spostarsi senza un rumore verso un’altra pila di legna, e poi un’altra, e un’altra.
Susan, Peter e il lupo, dalla loro posizione, videro più o meno bene tutta la scena, sudando freddo, nell’attesa spasmodica di una conclusione a loro sconosciuta. Seguivano con lo sguardo la luce, sapendo che i compagni non erano stati scoperti solo perché, ad ogni spostamento, non seguivano grida di allarme.
L’uomo del Mondodisotto esaminò con cura ogni cantuccio. Ogni volta che si avvicinava troppo a Lucy, Jill e Eustace, essi si spostavano ancora più indietro, tornando piano piano nel punto in cui si erano svegliati. Girarono attorno alle cataste di legna, si schiacciarono il più possibile contro le pareti, spostandosi ancora e nascondendosi di nuovo. Andando avanti così, avrebbero fatto il giro dell’intero magazzino, sperando, per assurdo, che non li vedesse.
Ovviamente, non fu possibile.
D’un tratto, l’uomo del Mondodisotto prese a camminare più velocemente. Allo stesso modo, i tre ragazzi indietreggiarono per l’ennesima volta. Nella fretta, Lucy colpì con il piede un ceppo, facendo traballare pericolosamente uno dei mucchi di legna. Il suono non fu molto forte, ma abbastanza per le orecchie dell’uomo, il quale sembrava allenato a percepire anche solo un battito d’ali di farfalla.
“Ah…” fece, le labbra sotto la barba che si curvavano in un ghigno.
“C’è qualcuno?” chiamò la prima voce dall’entrata del magazzino.
“Sì, c’è qualcuno”.
“Devo chiamare il capo?”.
“No, non serve. Sono solo topi”. L’uomo del Mondodisotto si accostò pericolosamente a dove era nascosta Lucy. Con la punta dello stivale di cuoio, toccò il pezzo di legna che la ragazza aveva inavvertitamente colpito e spostato. L’uomo guardò in su: la legna era perfettamente in ordine. Afferrò il ceppo da terra e lo rimise al suo posto.
Lucy, a meno di un metro da lui, ansimava il più silenziosamente possibile. Jill aveva gli occhi spalancati dal terrore, Eustace li aveva addirittura chiusi. Bastava un passo ancora: se quel tizio avesse girato l’angolo dietro la pila di legname, li avrebbe visti.
“Topi?” ripeté quello rimasto alla porta. “Non ci sono mai stati i topi. Abbiamo un mucchio di gatti”.
“Invece ci sono” ribatté l’altro. “Topi grandi, enormi! Forse hai ragione, è meglio andare a chiamare il capo”.
“Va bene, vado subi…”.
La frase si interruppe a metà. Un colpo, un gemito e un tonfo. L’uomo con la torcia si girò per vedere che cosa era stato, e scorse Susan brandire un ciocco di legno, con il quale aveva evidentemente appena colpito alla nuca l’uomo sulla porta.
L’altro grugnì di malvagia felicità. “Cosa succede? Ah! Lo sapevo che c’era qual…”.
Ma anche lui fu interrotto. La stessa scena si era ripetuta alle sue spalle: Lucy era balzata in avanti, colpendolo alla testa con lo stesso ceppo che aveva fatto cadere. L’uomo lasciò cadere la torcia, crollando a faccia in giù sul pavimento.
Susan e Lucy si fissarono un istante, da un capo all’altro del magazzino, prima che Eustace saltasse fuori dal nascondiglio, sbraitando.
“Che cosa avete fatto?! Non dovevate ammazzarli! Adesso non potremo passare inosservati, ci farete scoprire e addio piano!”.
“Non strillare come un gallo!” esclamò Lucy. “Non li abbiamo ammazzati per niente, sono solo svenuti…credo”. Allungò titubante una mano, stuzzicando il corpo dell’uomo, controllando se respirava. “Sì, è vivo”.
“Comunque, il piano è andato in fumo quando abbiamo scoperto che Edmund non era con noi” disse Peter.
“Va bene, va bene, ma è ugualmente un gran casino! Sapete cosa succederà quando questi due si riprenderanno? Andranno a dire di aver visto degli intrusi, ecco cosa succederà!”.
“Non c’è alcun bisogno che tu ce lo dica, Eustace, lo sappiamo benissimo, ma era l’unica cosa che potevamo fare” dichiarò Susan, scavalcando il copro dell’individuo che aveva colpito. “Per lo meno abbiamo guadagnato un po’ di vantaggio. Se vi avessero visti, avrebbero immediatamente dato l’allarme. Coraggio adesso: dobbiamo nasconderli e metterli in condizione di non potersi muovere per un bel po’ ”.
“Mi fai quasi paura, Sue” commentò Peter, afferrando per i piedi l’individuo accanto alla porta. Avrebbe voluto sorriderle ma non era momento per i sarcasmi. “Dai, prendilo per le spalle e spostiamolo in fondo al deposito”.
Così fecero. Lucy, Jill e Eustace li imitarono, trasportando l’altro uomo del Mondodisotto nello stesso punto. Li sistemarono dietro l’ultima catasta di legna, una delle più alte e più in ombra, laddove la luce delle finestre non arrivava. Dato che i loro vecchi abiti non sarebbero più serviti ora che avevano quelli del Mondodisotto, strapparono i loro vecchi mantelli per farne strisce di stoffa, con cui legarono e imbavagliarono per bene i due malcapitati abitanti del sottosuolo.
“E adesso cosa facciamo?” chiese Lucy, osservando la porta del magazzino spalancata. “Non abbiamo armi. Con cosa ci difenderemo se là fuori incontrassimo altre ostilità?”.
“Non possiamo pretendere di avere la stessa fortuna di poco fa” disse Jill. “Mullughuterum aveva detto che ce le avrebbe procurate”.
“E allora...?” fece Eustace, incalzante.
“Allora”, riprese Jill, “metà di noi rimarranno qui ad aspettarlo. L’altra metà andrà a cercare Edmund”.
Il piano originale prevedeva che Mullughuterum provocasse l’addetto ai lavori, causando la rissa che avrebbe permesso loro di confondersi nel caos e uscire dalla legnaia senza essere notati. Ma non c’era più tempo. Il piano attuato nella caverna di Padre tempo era ormai dimenticato.
 Si scambiarono sguardi in silenzio, cercando di determinare chi sarebbe rimasto e chi no. La decisione sembrava ovvia per tutti.
“Noi dobbiamo andare” disse Susan, guardando il lupo e poi di nuovo gli altri, scuotendo il capo una volta come a volersi scusare di quella necessità. “Rilian e Myra sono in quel castello”.
“Va bene” disse Peter, “faremo così: io e Eustace andremo a cercare Ed. Susan e Caspian entreranno nel castello, spianandoci le via. Lucy e Jill, voi rimarrete qui ad aspettare Mullughuterum, e lo metterete al corrente di tutto”.
Jill lanciò un’occhiata Eustace ma poi annuì. Avrebbe voluto andare con lui. Non sapeva spiegarsi quel bisogno improvviso di stargli vicino. Temeva che se non gli fosse stata accanto, qualcosa di terribile sarebbe potuto capitargli.
“Troveremo delle armi strada facendo” disse Peter, facendo alcuni passi verso l’uscita, controllando se vi fosse qualcuno. La legnaia si trovava in un cortile interno, a ridosso delle mura del castello; al momento era vuoto.
“Sbrighiamoci, prima che arrivi qualcuno”.
“State attenti” disse Susan.
“Ci rivediamo tutti qui” rispose Peter, abbracciando brevemente lei e Lucy. “Eustace, andiamo”.
Ma Eustace non seguì subito il cugino. Guardava Jill.
“Che cosa fai, sbrigati!” gli disse lei.
“Non ti  preoccupare per me, d’accordo?” le disse lui, prendendole un braccio per avvicinarla a sé, senza sapere perché lo faceva. Non voleva saperla in ansia, voleva dirle che si sarebbero rivisti e che l’avrebbe riportata a casa. “Andrà bene. È sempre andata bene, in un modo o nell’altro”.
“Sì, lo so” disse Jill sommessamente.  Lui non le lasciava il braccio. “Sbrigati” ripeté.
Lo sguardo di Eustace cambiò radicalmente: se prima era apparso impaurito, pronto a replicare su ogni cosa come mai mancava di fare, ora era divenuto più serio di quanto Jill lo avesse mai visto.  Lei lo vide come non lo aveva mai visto prima, in un modo completamente diverso.
Un attimo dopo, lui le cinse la vita e si chinò su di lei. Fu talmente improvviso che, in un primo momento, Jill rimase un istante ad occhi spalancati, poi li chiuse, le labbra di Eustace sulle sue.
Durò troppo poco perché potesse capire cosa stesse provando. Solo dopo che lui se ne fu andato, correndo via senza una parola, Jill riconobbe quel che significava, e quel che avrebbe significato se non fosse più tornato da lei.
Santo cielo, era innamorata di Eustace! Il suo migliore amico!
Era un pensiero totalmente fuori luogo. Ed era sconfortante perché, anche se lui la ricambiava, la situazione era pressoché assurda.
“Jill” la chiamò dolcemente Susan. “Vieni dentro”.
Jill fece un paio di passi indietro, fissando le due sorelle accostare la grande porta scorrevole, fino a lasciare uno spiraglio che avrebbe permesso loro di guardare fuori. Jill fece un sospiro e le guardò.
Lucy e Susan avevano due sorrisi appena accennati. Sapevano benissimo – e da molto – cosa l’amica provava per loro cugino. Sapevano anche che Eustace provava lo stesso, e tanto bastava. Lui aveva voluto lasciarla con una promessa, e non c’era niente meglio di un bacio per esprimere l’importanza che la persona di Jill rappresentava per lui.
Mentre le sorelle Pevensie si accordavano sulla prossima mossa, Jill sedette in un angolo, la mente altrove. Il lupo le si avvicinò, e lei lo accarezzò distrattamente. Improvvisamente, senza una ragione apparente, le affiorarono alla mente i quattro segni di Aslan. Fece di tutto per scacciare il pensiero di Eustace e del bacio – ancora non le sembrava reale – che si erano scambiati. Anche se, a ben vedere, era stato lui a baciarla, lei era rimasta ferma a riceverlo soltanto, troppo frastornata per fare qualsiasi cosa. Tuttavia, i quattro segni avrebbero dovuto essere più importanti. Fresca di nuove sensazioni, si scoprì a rammentarli meglio di quanto avesse fatto lungo tutto il viaggio. Più scacciava il pensiero di Eustace, meno ci riusciva, e più la sensazione cresceva, più ricordava i segni. La mente si snebbiava, la paura svaniva, una nuova forza prendeva vita in lei senza che se ne avvedesse. Un gran calore le scaldò il petto e il viso, si sentì viva, forte, con la sensazione di poter fare tutto. Le parole di Aslan risuonarono nella sua testa forti e chiare, e non capì per quale motivo non era stata in grado di ripeterle perfettamente come adesso.
Era così facile!
“Ve la sentite di rimanere qui da sole?” stava dicendo Susan. “Se volete, posso aspettare un poco e restare con voi fino all’arrivo di Mullughuterum”.
“No, tu devi andate” rispose Jill, decisa, balzando in piedi. Si sentiva piena di energie. “Ce la caveremo benissimo. Vero, Lucy?”.
“Certamente” affermò con sicurezza la Valorosa. “Non devi preoccuparti per noi”.
“Va bene”. Susan tirò il cappuccio del mantello sopra il capo, accostandosi alla porta. “Caspian?” chiamò poi, ma il lupo era già pronto a seguirla ovunque lei volesse guidarlo.
La Regina Dolce si accostò alla fessura della porta, spingendo con l’aiuto delle altre per aprila di più, ed insinuarsi all’esterno. Rimase qualche istante ancora sulla soglia, mentre il lupo scivolava via per primo.
“Dovrai fare molta attenzione, Sue” disse Lucy, non riuscendo a reprimere l’ansia per ciò che la sorella maggiore si apprestava a fare.
“Sarò silenziosa come un gatto, non mi scopriranno” rispose lei, guardando in alto, verso le mura massicce che svettavano su di loro simili a un gigante di pietra. L’aiuto del guardiano del Mondodisotto sarebbe stato prezioso, ma ormai non si poteva più rimandare.
“Susan, aspetta” la fermò Jill. I suoi occhi brillavano. “Ricorda l’ultimo dei quattro segni: Se troverete il principe e la principessa scomparsi, li riconoscerete perché saranno le prime persone nel corso del vostro viaggio a implorarvi di fare qualcosa in mio nome, il nome di Aslan. Non farti ingannare, Susan, non credere a chi dovesse invocare Aslan per sviarti. Non dare ascolto a nessuno se non al tuo cuore. Lui sa, e saprai anche tu”.
Susan rivolse a Jill un sorriso grato, ammirato. Non c’era tempo per dirle in quale misura considerava prezioso il modo in cui aveva affrontato i suoi mille timori per aiutarli.
“Vi dovrò chiudere dentro. Se arrivasse qualcun altro a controllare e notasse che la porta è aperta, si insospettirebbe”.
Lucy e Jill fecero un cenno affermativo.
“Sei una vera amica, Jill. Una vera Amica di Narnia” disse ancora Susan, prima di chiudere definitivamente la porta.
Jill e Lucy si ritrovarono al buio, con di nuovo la sola luce proveniente delle finestre. Udirono il rumore del chiavistello che veniva calato al suo posto, i passi di Susan e di Caspian allontanarsi.
Un silenzio innaturale piombò su di loro come una cappa di calore soffocante.
Erano sole. Adesso avrebbero dovuto contare solo sulle proprie forze.
 
 
 
~˖~
 
 

Era appena passato il crepuscolo quando Pozzanghera si sistemò sopra una montagnola brulla che sovrastava gran parte del Territorio del Fuoco. Priva di alberi ad impedirgli la visuale, la valle si stendeva placida e silenziosa sotto di lui, con i suoi suoni di sbuffi di vapore e gorgogliare di lava. Era quasi impossibile che qualcuno potesse arrivare di soppiatto senza essere visto, il luogo era pressoché privo di anfratti adatti a nascondersi. Fleunor sosteneva che il Territorio del Fuoco non era mai stato violato da alcuno, ma Pozzanghera, che era un tipo sospettoso e previdente, preferiva far da vedetta. Che ne sapevano loro che gli uomini del Mondodisotto, incontrati davanti alla grotta di Padre Tempo, non avessero rapito Caspian e il resto degli amici, e non si fossero poi messi sulle loro tracce?
Oltre le rocce frastagliate che delimitavano il confine, laggiù da qualche parte, la luminescenza verde-blu, pallida imitazione di un sole che segnava le ore del giorno e della notte, spegneva il sottosuolo, facendolo piombare in una ancor più fitta oscurità.
Anche durante la sera, il caldo del Territorio del Fuoco era asfissiante. Per Pozzanghera, nato e vissuto in una palude, dove in piena estate le temperature sfioravano i quaranta gradi, non era faticoso da sopportare. Lo stesso Emeth e Miriel, l’uno originario del Grande Deserto e l’altra delle calde Valli del Sole. Anche Shira sopportava abbastanza bene il caldo. Chi soffriva di più erano Ombroso e Shanna, i quali erano appena andati a rinfrescarsi presso una delle pozze d’acqua, scoprendo con rammarico che le fonti erano troppo calde per dare refrigerio.
Infine c’era Lord Erton. Al pari della Stella e del pipistrello non vedeva l’ora di lasciare il Territorio del Fuoco per tornare nelle gallerie di fresca pietra. Il Duca aveva già tentato la fuga due volte, mentre gli altri si accordavano con Fleunor su come raggiungere il Castello delle Tenebre. Fortunatamente, Pozzanghera non lo perdeva d’occhio un secondo, così aveva impedito entrambe le fughe del Lord attraverso la valle. Il lato negativo fu che dovette nuovamente ammanettarsi a lui.
Tutti quanti avevano come l’impressione che Lord Erton non desiderasse affatto andare al castello della Signora dalla Veste Verde. Cosa davvero strana, visto che ella era sua amica e alleata. Come mai tanta riluttanza? Che il Duca temesse l’ira della Dama Verde? Ne avrebbe avuto ragione: l’aveva tradita, sebbene non di volontà propria, nel momento in cui era stato costretto a rivelare il nascondiglio di Rilian e Myra. Sicuramente, la Signora non aveva previsto tutto ciò, ed Erton non pareva ansioso di metterla al corrente della situazione. I tentativi di fuga del Duca non dovevano dunque attribuirsi al desiderio di riunirsi alla sua alleata, bensì di fuggire chissà dove e sparire dalla circolazione.
A tutti sarebbe piaciuto levarsi di torno il vecchio Erton, ma, ovviamente, era inaccettabile, poiché il Duca rimaneva ugualmente il tramite tra la Signora e Rabadash. E, benché non volesse più servire la prima, rimaneva ancora fedele al secondo.
“Pozzanghera!”.
Pozzanghera si guardò attorno, vedendo Shanna risalire la montagnetta per venire a sedersi accanto a lui.
“Vedi qualcosa?”.
“Niente. Tutto tace, tutto è tranquillo”.
“Meglio così”. Shanna emise uno sbuffo profondo, spostando da una spalla all’altra i lunghi capelli biondi. “Questo posto è una fornace. Non vedo l’ora di andarmene. Oh, mi raccomando però, non ditelo a Fleunor. Non vorrei che si offendesse”.
Lord Erton emise un grugnito. Shanna gli lanciò un’occhiata appena.
“Come dite?”.
“Dico che, una volta tano, sono dello stesso parere: se restiamo ancora in questo luogo infernale, ci scioglieremo come cera”.
“Ah, signore, non sono sicuro che avremo tempo di scioglierci” ribatté Pozzanghera, con l’aria di uno che sta per annunciare la morte di qualcuno. “Molto più probabilmente, chi di noi sopravvivrà all’impossibile missione che stiamo per compiere, impossibilitato a tornare a Narnia, sarà obbligato a riparare per sempre in questa valle, e qui non c’è nulla di commestibile. Potrebbe accadere di esser ridotti alla fame, e allora ci ritroveremo costretti a mangiarci tra di noi”
Che cosa?!” esclamò Shanna in uno strillo strozzato. “Pozzanghera, ora stai esagerando! Non è affatto possibile che…”
Ma il Paludrone le fece l’occhiolino, e lei capì che scherzava.
“Proprio così, Shanna, credi a me. Non c’è nulla qui per noi, neppure una radice, di sicuro non quegli arbusti stopposi che piacciono ai Cavalli di Fuoco, e loro non si preoccuperanno certamente di trovarci qualcosa di mangiabile. Ah, come ci siamo ridotti! Rimpiango i pranzetti nella mia casetta. All’ora mi lamentavo quando scarseggiavano i raccolti, ma un pezzo di pane e una bella zuppa d’anguilla erano un banchetto a confronto delle prospettive future”.
“Non ho mai udito tante fandonie in tutta la vita!” gracchiò un acido, sempre più irritato, ed ora impaurito Lord Erton.
“Non avete mai sentito parlare di istinto di sopravvivenza?”.
“Tu parli di cannibalismo, per gli spiriti!”.
“Per necessità si fanno tante cose, Duca, anche le più disperate”. Pozzanghera sospirò tetramente.
“Farei anche a meno di ascoltare le tue assurde storie”.
“Sono solo considerazioni” si difese Pozzanghera. “A questo proposito, mi viene in mente una storia… Alle Paludi girava voce che uno dei nostri fosse stato cacciato dalla comunità perché aveva cucinato l’intera famiglia in salmì. Bè, non sono proprio sicuro che avesse tutte le rotelle a posto, ovviamente, discendeva da generazioni di follia violenta…Ahimè, faremo quella fine anche noi. Saremo costretti a mangiarci tra noi, vedrete se non ho ragione”.
“Per le ombre, taci, razza di ranocchio troppo cresciuto!”.
“Oh, perdonatemi, signore” sogghignò Pozzanghera, alzando appena il cappello. “Spero di non avervi turbato”.
Lord Erton, inorridito e preoccupato che le previsioni di Pozzanghera si avverassero, si rannicchiò su sé stesso, continuando a lanciare occhiate sospette al Paludrone.
“Sei tremendo quando ti ci metti” commentò Shanna, che si era sforzata di non scoppiare a ridere. Si sporse verso l’amico Paludrone, sibilandogli nell’orecchio cosi che Lord Erton non sentisse. “La storia di quel Paludrone che ha mangiato la famiglia n-non è vera”.
Pozzanghera esitò, si grattò distrattamente il mento, poi rise e sibilò a sua volta: “Certo che no!”
Shanna rise piano con lui, sollevata. Per un momento aveva temuto fosse una storia reale.
“Bè, direi che qui non c’è nulla di nuovo” disse ancora Pozzanghera, alzandosi dalla cima della montagnola, spazzolandosi i calzoni dalla terra. “Scendiamo e andiamo a vedere a che punto sono gli altri”.
Lord Erton fu costretto ad alzarsi con lui. Doveva camminare costantemente al fianco di quella creatura iettatrice, visto che erano legati insieme. Shanna venne dietro a loro.
Mentre scendevano il pendio, Pozzanghera si tolse il cappello di paglia e lo osservò con aria critica.
“Uhm… è ridotto piuttosto male. Dovrò farmene un altro quando tornerò a casa”.
“Dà qua” disse Shanna, allungando una mano. “Vedo se riesco a sistemartelo”.
Accadde all’improvviso.
Shanna si fermò di colpo. Il cappello le cadde di mano. Immagini fatte di lampi di colori e volti le esplosero davanti agli occhi. Dovette cercare il braccio di Pozzanghera e tenersi a lui per non cadere, tanta fu la forza e la repentinità con cui la visione apparve.
“Shanna, va tutto bene?” domando ansioso il Paludrone.
“No” rispose lei, concitata. “Edmund… È successo qualcosa a Edmund”.
“Lo hai visto?”
“Sì. Non è più con gli altri. Non so dove si trovi, ma so che è in grave pericolo”.
“Dobbiamo subito dirlo agli altri. Vieni”. Pozzanghera si mosse in fretta, trascinando con sé Lord Erton, che inciampava a ogni passo.
Scesero a precipizio la montagnola, suscitando la curiosità dei membri più giovani del branco dei Cavalli di Fuoco, dispersi per la valle. Corsero tra pozze di lava, rocce, zampilli, fino a un grande cratere privo di fuoco dove, all’ombra delle rocce, c’erano Miriel, Emeth, Ombroso, Fleunor e i membri più anziani del branco.
“Che succede?” domandò subito Emeth, vedendoli arrivare a gran velocità.
“Dobbiamo partire immediatamente!” disse Shanna. Gli occhi di rubino dei Cavalli si posarono su di lei, seri, misteriosi. La fanciulla non riuscì a capire se la stessero rimproverando per averli interrotti o meno, ma non le importava.
“Per favore, Fleunor, non c’è tempo da perdere!”.
“Calmati” disse Miriel, posandole le mani sulle spalle. “Che cosa è accaduto? Perché sei così agitata?”.
“Ho visto Edmund. È in pericolo!”.
Queste poche parole bastarono per smuovere gli animi.
Shanna tentò di spiegare come meglio poté la sua visione, il luogo oscuro in cui aveva visto il Giusto, un posto che non aveva saputo riconoscere ma che le aveva dato i brividi. Le tenebre più oscure si addensavano attorno a lui, era solo, non aveva aiuti, non aveva nemmeno la sua Spada. Una presenza terribile aleggiava su di lui.
Shanna provava una sensazione agghiacciante, aveva brividi fin nelle ossa. Il legame della Stella con il ragazzo andava oltre la sua stessa comprensione, era un potere che si era sviluppato in lei dopo il ritorno di Ed a Narnia. Ramandu le aveva detto che in questo viaggio avrebbe scoperto un potere diverso, solo suo. Sulla Torre dei Gufi, quando aveva ritemprato le Sette Spade, aveva iniziato a capire. Shanna non avrebbe saputo dargli un nome. Chiamarlo amore le pareva troppo riduttivo, anche se la fonte di quella forza sconosciuta veniva dal suo cuore.
Aveva tentato di spiegarlo molte volte a Edmund, in qualche modo lui aveva compreso, ma non sarebbe mai stata in grado di rendere la giusta idea di quel che era realmente. Nessuna Stella, prima di allora, aveva mai manifestato un legame tanto profondo con un umano.
Riusciva a vedere anche gli altri Amici di Narnia, perché lei era guida del cielo, in grado di scorgere pericoli con la forza della mente, sentire i prescelti, sapere dove si trovavano. Però, con Edmund era diverso. Degli altri percepiva uno strato sottile dei loro pensieri, la superficie, ombre e colori riconoscibili ma non del tutto definiti. I colori di Edmund invece, erano brillanti, cristallini. In certi momenti, era come se potesse vedere con gli occhi di lui, sentire ciò che provava, percepire i suoi sentimenti, che in quel momento erano fatti di paura, dolore, rabbia.
I Cavalli di Fuoco che Fleunor aveva scelto tra il branco per accompagnare i narniani, si disposero in fila, pronti per essere montati. Erano molto più alti dei cavalli comuni, perciò i ragazzi dovettero salire in piedi su delle piccole rocce per aiutarsi a issarsi sulle groppe.
 Pozzanghera trascinò Lord Erton dietro di sé, avvertendolo di aggrapparsi bene ai suoi vestiti e stringere le ginocchia contro il fianco dell’animale. Lo stesso fecero Emeth, Shanna e Miriel, che montava su Fleunor e stava in capo al gruppo. Non avevano né selle né briglie, per di più temevano di ustionarsi sporgendosi troppo sul collo degli animali. Ma i Cavalli di Fuoco dissero loro di tenersi alle criniere senza paura, poiché erano in grado di raffreddarne le fiamme di cui erano fatte.
Shanna verificò immediatamente la cosa, affondando le mani nella criniera del suo Cavallo di Fuoco, la quale era divenuta tiepida come un venticello primaverile.
Partirono senza indugio, lasciandosi alle spalle i crateri e i laghi di fuoco, Shira e Ombroso che li seguivano in volo.
La corsa fu più piacevole del previsto. Piacque soprattutto a Emeth, che amava i cavalli e adorava montare senza sella. Sarebbe stato tutto molto più bello se non avessero avuto la mente occupata da mille problemi, a partire dalla sensazione dell’aria fresca delle gallerie dopo l’asfissiante calura del Territorio del Fuoco.
Per un attimo, furono in grado di scorgere i particolari del paesaggio intorno. Poi, quando i Cavalli di Fuoco partirono sul serio al galoppo, non vi riuscirono più. Il paesaggio sfrecciava via in un turbine di colori e forme.
  Tra gli animali appartenenti alla loro specie, I Cavalli di Fuoco erano i più veloci del Mondodisotto (esattamente come nel Mondodisopra lo erano le Blue Singer, le mitiche balene azzurre di Narnia). Non avrebbero saputo dire a quanti chilometri orari stavano andando, ma erano certamente di molto superiori alla norma.
“Quanto ci metteremo ad arrivare?” chiese Emeth al suo Cavallo, al di sopra del fischio dell’aria e al rombo degli zoccoli.
Il Cavallo era una femmina, grande quanto un maschio ma più snella. Si voltò appena per guardare il ragazzo e, di nuovo, Emeth ebbe l’impressione che lo stesse valutando in qualche modo.
“Alla nostra velocità non impiegheremo più di mezz’ora. Voi ci avreste messo un giorno ancora”.
“Grazie” disse Emeth.
 La cavalla non rispose.
Fin da quando erano scesi nel Territorio del Fuoco, i suoi abitanti lo avevano ignorato con cortesia. Nessun membro del branco gli aveva rivolto la parola, eccetto Fleunor, che comunque l’aveva fatto una vola soltanto. Emeth non ne capiva la ragione.
 “Posso sapere il tuo nome?” le chiese.
“Perché vuoi sapere il mio nome?”.
“Per poterti ringraziare come si deve”.
 “Alphasia”.
“Grazie, Alphasia, per quello che state facendo”.
La creatura si voltò ancora un breve istante, poi tornò a guardare la strada con uno sbuffo.
“Qual è il motivo della vostra ostilità nei miei confronti?” non poté fare a meno di chiedere Emeth.
Alphasia parve ponderare la domanda per non dare una risposta troppo scortese.
“La tua pelle è del colore dell’ambra. Tu vieni da un luogo diverso”.
Emeth aggrottò la fronte e scosse la testa. “Non capisco”.
“C’è un uomo, un principe, giunto quaggiù molte volte, dalla pelle color ambra. La stessa che possiedi tu. Noi, del Mondodisopra, ricordiamo solo i tempi in cui il nostro signore, Padre Tempo, regnava lassù. Oggi leggiamo le informazioni che la Madre Terra ci riporta, ed essa ci racconta di uomini crudeli  e spietati, con la pelle colorata dal sole, che desiderano la distruzione della magia”.
“Il principe Rabadash” disse subito Emeth. Alphasia non poteva riferirsi ad altri che lui.
“Non conosco il suo nome, ma forse è lui”.
“Io non sono così, puoi credermi” esclamò vivamente Emeth, chinandosi sul collo dell’animale. “Non desidero affatto la distruzione della magia, anche se ancora non la comprendo appieno. Sì, sono un abitante del Deserto, come Rabadash, ma non siamo tutti come lui. C’è molta gente che preferirebbe vivere sotto la corona di Narnia, piuttosto che subire la dittatura che il padre di quell’uomo infligge al suo popolo”.
C’era una sfumatura indignata nella voce del soldato. Il fatto che fosse mezzo calormeniano non aveva mai influito sui rapporti intrecciati con gli abitanti di Narnia. Solo al principio, appena salito a bordo del Veliero dell’Alba,  i marinai avevano dubitato di lui; un dubbio legittimo, dato che era stato al servizio di Rabadash. In seguito, nessuna questione era mai stata sollevata riguardo la sua provenienza.
“È questo il motivo per cui mi guardate come un estraneo? Voi non vi fidate di me perché sapete che sono un tarkaan”.
Per la prima volta, la cavalla mostrò più curiosità che indifferenza. “Cos’è un tarkaan?”.
“Un nobile del Grande Deserto. Nel Mondodisopra, voglio dire”.
“Capisco. Quindi, hai un cuore nobile”.
“Non per parte di madre. Mio padre era il nobile”. Ma da quando era stato bandito, aveva perso tutti i suoi averi. Emeth provò una stretta al cuore pensando ai suoi genitori.
“No, io parlo della nobiltà spirito” disse Alphasia. La sua voce si era addolcita. “Siamo a conoscenza della malvagità del tuo popolo, e ci rincresce. Non avevamo capito. Siamo rimasti stupiti nel vederti assieme a tante creature chiaramente magiche. Ci siamo chiesti com’era possibile che l’unico essere umano del gruppo – eccetto il vecchio – fosse un ragazzo dalla pelle colorata come il crudele uomo che trama alle spalle delle brave creature di lassù”. Alphasia tacque, poi emise un altro sbuffo, diverso dal precedente. “Ti prego, a nome di tutto il branco, di accettare le mie scuse, nobile tarkaan”.
“Non importa” disse Emeth, sentendo fluire via il rancore nutrito fino a quel momento per i Cavalli di Fuoco.
“Siamo abituati a una vita lenta e priva di cambiamenti. Qui, una creatura che manifesta una certa indole, difficilmente tende a cambiare. Non abbiamo modo di fare molte esperienze come invece potete voi nel Mondodisopra. Le esperienze mutano, rafforzano e aiutano a comprendere meglio molte cose. Noi, invece, siamo creature immutabili, abituate a un certo equilibrio che non credo cambieremo mai. Mi capisci?”.
“Credo di sì”.
“Non provare tristezza per noi. Siamo nati così, e a noi sta bene”. Alphasia guardò ancora Emeth, emettendo un debole nitrito divertito. “E adesso tieniti forte”.
La corsa sfrenata dei Cavalli di Fuoco continuò verso il limitare della grande gola. I narniani credettero si fermassero, o almeno rallentassero. Invece, gli animali aumentarono l’andatura, spingendosi pericolosamente verso lo squarcio che interrompeva la strada presso la gola. Fleunor emise un nitrito che suonò come un’indicazione per gli altri, e deviò verso destra. Ma non stava cambiando tragitto, prendeva solo una lunga rincorsa per tornare più veloce che mai verso il crepaccio. Con uno scatto che fece quasi scivolare dalla loro groppa i narniani, le creature del fuoco compirono un salto straordinario e impossibile, librandosi nel vuoto per lunghi secondi, quasi volassero. Le possenti zampe continuarono a muoversi nel nulla, proprio come se corressero sull’aria invisibile. Poi, scesero in picchiata e tornarono sul suolo con un tonfo assordante degli zoccoli. Il paesaggio attorno era cambiato. Nei brevi secondi che servirono al branco per riassestare il ritmo del galoppo, i narniani videro una bruma salire da qualche punto imprecisato, simile a quella visibile lungo una costa marina. Ma non poteva esserci il mare laggiù… o si?
A un certo punto, i Cavalli di Fuoco rallentarono, fermandosi sopra un rilievo roccioso, protetto su tre lati da altissimi picchi di granito di forma irregolare, che nascondevano il paesaggio al di là.
“Siamo arrivati” disse Fleunor.
“Dobbiamo scendere?” gli chiese Miriel.
“Ancora no”.
“Signor Fleunor, io non vedo il castello” disse Ombroso.
“Ancora un minuto e lo vedrai”.
Girarono attorno alle pareti rocciose, trovandosi su un’aperta scogliera nera punteggiata da arbusti alti e flosci, che crescevano tra le fenditure della roccia. Sotto di loro, una spiaggia di sabbia pallida accompagnata da un immenso mare nero, le cui acque immobili si estendevano nell’oscurità più totale. E poi, chilometri e chilometri più in là, un cerchio di luce apriva uno squarcio attraverso il telo di tenebra, segnando l’esistenza di una città sovrastata da un immenso palazzo.
Dal punto in cui si trovavano era ancora piuttosto lontano, ma si capiva perfettamente che, una volta arrivati, il Castello delle Tenebre sarebbe loro apparsa come una costruzione aguzza e minacciosa, situata nei più profondi recessi del Mondodisotto.
“Non potremo accompagnarvi direttamente al palazzo” disse Fleunor, mettendo in parole i pensieri di tutti. “Ora, voi scenderete verso la spiaggia e prenderete una barca per giungere alla città .”
“Non venite con noi?” chiese Miriel, delusa. la presenza dei Cavalli di Fuoco era stata rassicurante.
“Abbiamo fatto una promessa, sorella. Non ti abbandoneremo” rispose maestosamente Fleunor. “Anche noi desideriamo liberare i nostri amici che sono stati stregati, e costretti a servire l’odiosa donna che abita il castello. Vi seguiremo lungo questa costa. Se avrai bisogno di noi, arriveremo”.
Fu così che il gruppo dei narniani si separò dai Cavalli di Fuoco. Pozzanghera espresse la sua riluttanza nel portare Lord Erton con loro, preferendo lasciarlo li sulla scogliera, legato a qualche roccia. Uno dei Cavalli si offrì di fargli la guardia. Lord Erton sputacchiò e si dimenò, ma non l’ebbe vinta.
“Dovreste ringraziarci. Se restate qui, la Signora dalla Veste Verde non vi vedrà e non sarete ucciso. Perché è questo che temete, vero?” disse Shira nel suo tipico tono sarcastico, sbatacchiando le ali sulla faccia del Duca prima di librarsi in volo. “Ci penserà il tribunale di Narnia a voi, non vi preoccupate”.
“Vi odio tutti!” furono le ultime parole che udirono da Erton, prima di incamminarsi lungo l’avvallamento che portava alle Spiagge Pallide.
Emeth si guardò alle spalle molte volte, osservando la figura di Alphasia ritta sullo sperone roccioso insieme agli altri Cavalli. Il branco li seguì con lo sguardo per un po’, poi sparirono dietro le pareti della scogliera, nascosti alla vista di chiunque.
Contrariamente, Miriel, Emeth, Pozzanghera, Shira, Ombroso e Shanna si ritrovarono esposti, nemmeno uno scoglio, non un albero a poterli nascondere. La Stella era inquieta, continuava a guardarsi intorno, cercando di ascoltare.
“Ho perso il contatto con Edmund” disse in tono disperato, l’angoscia per la sua sorte che cresceva ad ogni passo.
“Presto saremo da lui” disse Shira, posandosi sulla sua spalla per confortarla, strofinando la testolina piumata contro la guancia della ragazza.
Shanna le fece una carezza affettuosa sulle ali. Tenne la mano su di lei, per trarre maggior forza dal suo corpicino caldo.
Camminarono per lunghi minuti sulle Spiagge Pallide, al buio, la risacca del mare era un lieve scroscio attutito. I loro stessi passi non facevano rumore. Le onde si infrangevano pigre sulla battigia, portando a riva mucchi di alghe verdastre, nere e violacee.
Lentamente, un luce apparve a una distanza indefinita. I narniani tennero gli occhi fissi su quel punto, che per molto tempo restò immobile, sospeso nel nulla simile a una grossa lucciola in attesa. Poi prese finalmente a divenire più grande, e man mano che si avvicinavano capirono che era la luce di una lanterna.
Lentamente, la figura di un molo di apparve nell’oscurità, l’odore di legno marcio penetrò nelle narici. Tre figure indistinte si mossero nel fascio di luce, e quando furono a pochi metri dal molo, i ragazzi videro che erano ovviamente creature del sottosuolo.
Il gruppo dei narniani e gli uomini del Mondodisotto presero a fissarsi reciprocamente.
“Che cosa facciamo, adesso?” bisbigliò Ombroso all’orecchio di Miriel.
Il più minaccioso dei tre individui fece qualche passo verso di loro. Aveva due occhi obliqui e troppo grandi per la sua faccia magra. Quando parlò, esibì due file di denti aguzzi come piccole zanne.
“Molti sono coloro che cadono nel Mondodisotto…” disse, interrompendo la frase con una strana inflessione di tono, come se si aspettasse che qualcuno continuasse.
Nessuno lo fece, perché i narniani non sapevano qual era la parola d’ordine che in quel luogo veniva pronunciata di continuo.
Quando fu chiaro che nessuno avrebbe risposto, il capo dei marinai spalancò i già fin troppo grandi occhi neri. Faceva impressione a vedersi.
Miriel pensò fosse il caso di dire qualcosa. “Vorremmo essere portati alla città sotto il castello”.
L’uomo dai grandi occhi indietreggiò, facendo un cenno con la mano verso il molo, dov’era ormeggiato un enorme barcone di legno nero somigliante a una gondola.
“Prego” disse, invitandoli a salire a bordo.
I due marinai sistemarono altre due lanterne, una a poppa e l’altra a prua dell’imbarcazione, presero i grossi remi e attesero che i narniani si furono sistemati sulle lunghe panche di legno.
“Buon viaggio, stranieri” disse l’uomo dai grandi occhi, sorridendo in modo strano.
La barca si staccò dal molo senza far rumore, iniziando a veleggiare sull’immensità di quelle acque immote.
Emeth cercò di vedere dentro il buio, guardando verso destra, cercando di scorgere anche solo la sagoma della scogliera, o il luccichio delle criniere dei Cavalli di Fuoco. Ma non c’era nulla da vedere, ormai erano troppo lontani dalla riva e da qualsiasi altra cosa viva.
Al di fuori dei due aloni di luce verdastra e spettrale lanciata delle lanterne, l’oscurità completa.  Un’immagine paragonabile a una traversata sul fiume dei morti, con i marinai nella parte di due perfette imitazioni di Caronte in persona, tanto era orribile il loro aspetto: mantelli neri, facce piatte e scarne, occhi infossati.
Navigarono per quelle che parvero ore. In un momento, calò una cappa di buio così intenso da sembrare solido. L’aria si fece gelida, il freddo investì i ragazzi facendoli rabbrividire nonostante fossero ben coperti. Si udiva solo lo sciabordio dei remi fendere l’acqua.  
A un certo punto, l’ombra di una seconda imbarcazione più piccola scivolò entro il fascio di luce, li sorpassò e sparì; dopo qualche tempo, un’altra barca fece lo stesso. Pian piano, la luce aumentò e, là in fondo, di fronte al barcone, apparve una striscia di terra, lucine in lontananza aleggiavano nell’oscurità come fuochi fatui. La luminosità divenne via via più intensa, dando ai narniani la sensazione di riuscire a respirar meglio dopo tutto quel buio.
Decine di barche partivano e attraccavano a un altro molto, molto più grande di quello da dov’erano partiti. C’era gente che si muoveva, voci sommesse, suoni di passi come in marcia, e le mura e torri di un castello somigliante, più a una vera e propria fortezza sbozzata nella roccia viva. Sovrastava minaccioso il tutta la città,  insinuato profondamente nella montagna sotterranea, costruito – come il suo gemello in superficie – sulle rive del mare, arroccato su una sporgenza rocciosa, la cittadella ai suoi piedi. Le torri di forma conica si perdevano in un’oscurità impenetrabile. Il soffitto della caverna non si vedeva. Era come percepire tutto il peso della terra sopra le loro teste, quintali e quintali di pietra che, se fosse crollata, avrebbe distrutto la città fino alle rive opposte del mare senza sole.
Quando la barca si fermò, Miriel e gli altri scesero immediatamente. I marinai li guardarono con strane e indecifrabili espressioni. Nessuno pensò di dire ‘grazie’, quasi sapevano che non avrebbero gradito.
Fecero qualche passo sulla banchina del porto, poi si udì una voce, un comando, e prima che potessero capire cosa stava accadendo, i due marinai si mossero, balzando giù dalla barca per avventarsi su di loro.
Emeth fu pronto ad estrarre la spada, Miriel e Shanna la loro magia, Pozzanghera il suo arco, ma un sibilo bloccò qualsiasi azione da parte loro. Dall’alto vennero gettate grosse reti da pesca, che si aggrovigliarono attorno alle gambe, alle braccia, segnarono la pelle del viso e resero nulla qualsiasi difesa.
Emeth e Pozzanghera imprecarono ad alta voce. Avevano immaginato di imbattersi in qualche guaio, solo non credevano così presto e, soprattutto, non si aspettavano di essere attesi. Qualcuno doveva aver avvisato i sudditi della Signora dalla Veste Verde del loro arrivo.
“Prendente gli uccelli! Prendeteli!” gridò qualcuno.
Ombroso e Shira si erano librati in aria, sfuggiti all’assalto delle reti. Ruotarono nell’aria sopra la piccola folla ammassatasi sul pontile. Braccia si allungavano, mani cercarono di afferrarli, ma nessuno vi riuscì. Il falchetto e il pipistrello, con il cuore in gola, dovettero allontanassi dagli amici, trovare un rifugio e pensare, pensare in fretta, a un modo per aiutarli.

 
 
 
 
 
Cari lettori, come state?
Pensavate che avrei fatto passare ancora due anni per questo aggiornamento, dite la verità? ^^’
No, non sarò più tanto brutta e cattiva. Darei non so cosa per tornare ad aggiornare una volta a settimana come facevo con Queen of my Heart, ma non mi riesce davvero più. Sigh…
Anyway, vi è piaciuto il capitolo? Ho dovuto accorciarlo, perché va bene che non vi lamentate, ma 30 pagine mi sembrava un po’ esagerato. Quindi le ho ridotte a 21.
Spero che abbiate apprezzato la prima parte, anche se è dedicata alla Strega Bianca. Mi piace scrivere sui cattivi, inoltre ci tenevo in modo particolare a ripercorrere la sua storia, non solo per ciò che accadrà a Edmund, ma anche per gettare le basi su un potenziale seguito di Night&Day!!! ;)))  
Commentate, voglio sapere cosa ne pensate degli sviluppi! Quanto mi piace incasinare le vite dei miei personaggi xD

 
Passiamo ai ringraziamenti:
 
Per le preferite: Ai_Ran, Aly_Effe, Aminta, aNightingale15, Annabeth Granger, battle wound, Ben Barnes, BettyPretty1D007flowers, bibliophile, Callidus Gaston, Caspietoli12, CHIARA26, Crice_chan, Dark side of Wonderland, english_dancer, Flemmi, Francy 98, fran_buchanan, Fra_STSF, Friends Forever, Gigiii, Giulia_Dragon, giuls_2000, HarryPotter11, Helena Lily, HikariMoon, JessAndrea, jonas4e, Jordan Jordan, Joy Barnes, Katie_P, LeaSnow, Len IlseWitch, 
littlesary92, LittleWitch_ , LucyPevensie03, lullabi2000, Marbee Fish, MartaKatniss98, Mia Morgenstern , Miao93, NestFreemark, NewHope, Nimrodel_, osculummortis , POTTERINA02, Queen Susan 21, Rhona, Robyn98, Sara_Trilly, saretta_delenaSS, senoritavale, SerenaTheGentle, Starlight13, SuperStreghetta, Susan Lace, susbetty01, Svea, SweetSmile, takeingood, The Core of the Abyss, TheWomanInRed, Undomiel, vio_everdeen, VSRB, WaterAlch, Zouzoufan7,  _Abyss_ ,  _faLL_ ,  _likeacannonball 

 
Per le ricordate: Aminta, Annabeth Granger, anonymously, Ben Barnes, Callidus Gaston, Cecimolli, Gigiii, HaileyB, Halfblood_Slytherin,  JessAndrea,  love_fire_blade,  mishy,  NestFreemark, Queen_Leslie, saretta_delenaSS, Starlight13, Zouzoufan7 
 
Per le seguite: ale146, aleboh, All In My Head,  Aly_Effe, Aly_F, Aminta, Amy_demigod,  Annabeth Granger, Aryelle,  Ben Barnes, Betely, BettyPretty1D007flowers,  bulmettina, Callidus Gaston, CathyH94, cat_princesshp, Cecimolli, ChibiRoby, cleme_b, Dark side of Wonderland, ecate_92 ,  fede95 , FioreDiMeruna, Francesca lol, fran_buchanan, , Fra_STSF, Gigiii, giuls_2000, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, harukafun, ibelieveandyou , Jane8, JessAndrea,  jesuisstupide, JLullaby, Judee, katydragons,  LeaSnow, littlesary92, Lucinda Grey, Marie_ , MartaKatniss98, Matita Nera, Ma_AiLing,mewgiugiu, NestFreemark, NewHope, Omega _ex Bolla_ , osculummortis,  POTTERINA02,  Queen Susan, Queen_Leslie, redberry , Revan93, Riveer, Sara_Trilly, saretta_delenaSS, senoritavale , Soleil_3, Thaleia thea, vio_everdeen,  VSRB,  Zouzoufan7,  _Abyss_,  _Bruschettina_ ,  _likeacannonball ,  _LoveNeverDies_,  _Rippah_ 
 
Per le recensioni dello scorso capitolo: Ai_Rain, Aura22_Ire31, cat_princesshp, Giulia_Dragon, Rhona, saracaruso04, saretta_delenaSS, senoritavale
 
Angolino delle Anticipazioni:
Dunque dunque, vediamo come siamo messi: abbiamo una fetta della compagnia di Narnia che è appena stata catturata dagli uomini del Mondodisotto, mentre la seconda fetta è dispersa per la città delle Tenebre in cerca di Edmund, che si trova in balia della sua più acerrima nemica.
Ombroso e Shira si incontreranno con Rilian e Myra, e con un piccolo aiuto, i due bambini potrebbero iniziare a ricordare qualcosa...
La prossima volta sarà ancora notte, quindi avremo di nuovo la nostra Susan in forma umana e Caspian in quella di lupo.
E Lord Erton? Se pensate che se ne stia con le mani in mano, vi sbagliate.

 
 Detto ciò, vi ricordo che se volete conoscere gli aggiornamenti di Night&Day potete iscrivervi al mio gruppo Facebook Chronicles of Queen.
 
Un enorme grazie a tutti!!!
Susan ♥

 
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Capitolo 37
*** AVVISO ***


Salve, cari lettori.
Mi costringo a mettere questo annuncio per avvisarvi che non so quando sarò di nuovo attiva. Ho avuto recentemente un grave lutto in famiglia. La storia non rimarrà incompleta, ho promesso a me stessa che non la abbandonero', così come tutte le altre aperte, più quelle nuove che avevo in mente.
È un periodo davvero buio e difficile, cercate di capire.
Vi ringrazio per la pazienza, sperando di tornare presto da voi.
Buone feste a tutti.
Vostra Susan.



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Capitolo 38
*** Capitolo 37. Nella tana del nemico ***


Capitolo 37. Nella tana del nemico
 
 

La Strega scese nella cripta un’ora dopo che Mullughuterum se ne fu andato. Non era riuscita ad spettare un minuto di più, e non c’erano motivi per farlo. La Sedia d’Argento poteva attendere per una volta, i bambini non ne avevano un bisogno così urgente. Negli ultimi giorni erano apparsi molto più tranquilli, proprio come li aveva sempre voluti. Forse, presto sarebbero stati completamente soggiogati al suo volere e non sarebbe più stato necessario usare il congegno magico.
L’adrenalina scorreva come un fiume di elettricità nelle sue vene. In mano reggeva la sua bacchetta magica, scintillante d’oro nella luce rossastra della lanterna che teneva nell’altra e illuminava infinite rampe di scale che scendevano sempre più giù, sempre più giù.
Quand’ era arrivata nel sottosuolo a cercar rifugio, dopo la sconfitta nell'Oceano Orientale, il Castello delle Tenebre non esisteva. Al suo posto, la Strega aveva trovato le macerie di un'antica dimora. Gli abitanti l’avevano lasciata così in memoria di qualche re che ancora veneravano, vissuto centinaia d’anni prima. Ma la cripta, situata a un livello ancora più profondo delle fondamenta abbattute, era intatta.
Le catacombe si estendevano per centinaia di metri. Là sotto erano state sepolte generazioni di regnanti e nobili guerrieri del Mondodisotto, situati ognuno nella sua nicchia tra le fredde pareti di pietra. I defunti riposavano laggiù, ormai consumati e ridotti a mucchi d'ossa, alcune simili a quelle umane, altre appartenute a creature mai viste.
Ed ora, in mezzo ad essi, disteso su un monumento di pietra scura, c’era Edmund.
Tra i copri ormai decomposti, quello di un ragazzo ancora in possesso delle sue fattezze stonava come un gioiello in mezzo a un mucchio di sassi.
Jadis pensò a come sarebbe stato appagante scendere là sotto ogni giorno e vederlo decomporsi lentamente. Provò un piacere crudele mentre lo immaginava, misto a un lieve rammarico che i suoi fratelli non fossero lì a vederlo divenire il suo fantoccio più prezioso. Sarebbe stato delizioso osservare le diverse reazioni degli altri.
Jadis si sentiva libera ogni qualvolta rimandava il pensiero ai suoi nemici privi di vita, come se per tutti quei secoli avesse portato un fardello pesantissimo legato sulle spalle, ed ora se ne fosse liberata.
Si portò accanto al corpo del ragazzo, osservandolo per qualche minuto. Averlo alla sua mercé era un invito ad affondargli nel costato la punta della sua bacchetta, come già una volta aveva fatto, quando ancora non era il Giusto.
Ma non ancora. Più tardi di certo, per uno scopo diametralmente opposto.
Edmund era stato il fallimento che l'aveva segnata nell'orgoglio. Nemmeno la distruzione del regno di Charn l'aveva turbata tanto; e neanche quando Digory Kirke le era sfuggito, dopo che lei aveva tentato di persuaderlo a mangiare il frutto dell’immortalità; o ancora, quando non era riuscita a prendere il sangue del giovane Principe Caspian per tornare in vita. Niente di tutto ciò l'aveva fatta infuriare come il tradimento di Edmund Pevensie.
Ora era morto, e lei avrebbe dovuto gioirne e lasciarlo li a consumarsi in balia dei vermi. Eppure, no. E se all’inizio progettava di farne una perfetta esca per fratelli e amici, adesso che questi ultimi erano passati a miglior vita, egli poteva ugualmente darle soddisfazione strisciando al suo comando. Sarebbe stato altamente divertente osservarlo eseguire gli omicidi più atroci ch’ella gli avrebbe comandato.
Inoltre, oltre a Rilian e Myra, aggiungeva un altro membro della gerarchia reale di Narnia alla sua collezione, e al quale Cair Paravel non avrebbe mai negato di sedere su uno dei suoi troni.
La Strega posò sul pavimento la lanterna, per poter stringere la bacchetta magica con tutte e due le mani. Tese le braccia in alto, portandola proprio sopra il cuore del ragazzo. Chiuse gli occhi, rilassando i nervi, allargando i sensi. Immediatamente percepì nell’aria presenze invisibili solo a ei note, mentre iniziava a tessere una trama di incantesimi uno dietro l’altro, a bassa voce, come se temesse di spaventare le presenze. Ad ogni parola, uno strano sussurrare saliva di intensità dalle profondità ignote. Spettri di nero nulla iniziarono a volteggiare intorno, andando ad ammassarsi ai suoi piedi come cani fedeli. I sussurri venivano da questi, voci che incontravano quella della Strega, amplificandola, facendo rimbalzare il suono contro le pareti della cripta in una tetra eco mortale.
Il corpo di Edmund ebbe appena uno spasmo, ma Jadis non lo vide perché teneva ancora gli occhi chiusi.
Intenta nella sua arte, la Strega staccò una mano dalla bacchetta, andando a stringerla sulla punta affilata, contro la quale si provocò volutamente un taglio obliquo sul palmo. Con la mano ferita afferrò il braccio del giovane, e le due ferite vennero in contatto. Quella di Edmund divenne subito calda, già infiammata dall’oscurità penetratavi in precedenza.
La voce di Jadis si alzò di un tono ed ella riaprì gli occhi. Occhi di ghiaccio che si tinsero di un nero d’inchiostro.
Ora poteva vedere le forme vagare nell’etere, creature ombrate con volti di bestie che emettevano grugniti e ansimi, aspettando di avere un nuovo compagno tra le loro fila. Sentivano la magia e la Strega le invitò a lasciare ogni nicchia della cripta, chiamandole tutte a sé.
La bacchetta magica vibrò tra le sue dita, e la donna seppe che era il momento. Chiamò le ombre, ed esse risposero, innalzandosi da terra per attorcigliandosi come serpenti alla sua veste, sul dorso, sulle braccia, arrivando alla bacchetta magica. Vennero risucchiate in essa, tingendola di una non-luce violacea.
Adesso doveva affondare la punta nel cuore di Edmund, imprimendo all’organo, ora immobile, di tronare a battere, per poi svuotarsi completamente il corpo da ogni sentimento e volontà, e lei sarebbe stata in grado di controllarlo.
Calò la lama sul corpo del giovane, ma qualcosa di inaspettato accadde.
Edmund spalancò gli occhi all’improvviso, con gli arti intorpiditi ma con la mente perfettamente sveglia e vigile.
Per un millesimo di secondo, il ragazzo e la Strega si trovarono a fissarsi, e nello stesso secondo, in un riflesso fulmineo, lui alzò le braccia per fermare quelle di lei. La donna era molto più forte di lui, soprattutto in quel momento, così Edmund rotolò di lato, liberando anche il braccio dalla morsa dell’altra mano di lei. Scivolò giù dal monumento sul quale era disteso, trovandosi a terra dietro di esso, nascoso alla sua vista.
La bacchetta magica colpì la pietra invece del corpo, e il rituale si interruppe bruscamente. Le ombre scivolarono fuori dalla bacchetta con un lamento, disperdendosi, tornando rabbiose ad occupare il loro posto nella cripta.
Edmund si rialzò con una certa fatica, i muscoli ancora induriti dalla bevanda della morte. Non capiva cosa succedeva, il perché si trovava lì invece che con i compagni.
Ma il suo stupore non era nulla confronto a quello della Strega.
Il viso di lei era una maschera di stupore e collera. Tutto si era aspettata, tranne questo. Il ragazzo si era risvegliato prima che l’incantesimo fosse finito. Come?
Il rituale serviva a destare i defunti, perciò c’era una sola spiegazione: era stata ingannata, e per tutto il tempo, Edmund non era mai stato nemmeno lontanamente vicino alla morte.
Jadis non seppe spiegarsi in che modo avessero attuato quell’inganno, ma non le ci volle nulla per capire che se Edmund era vivo, lo erano anche gli altri.
Con passo sicuro, senza tradire la collera che ribolliva in lei, Jadis aggirò il monumento di pietra, avanzando minacciosa verso il ragazzo.
“Non riesco a spiegarmi ciò che ho davanti” disse. “Dovresti essere morto”.
“Ti è andata male”. Edmund indietreggiò d’istinto, sbattendo contro una delle numerose tombe. Il braccio ferito mandò una fitta terrificante.
Gli occhi della Strega, tornati color ghiaccio, saettarono in quella direzione. Ella vide attraverso la stoffa strappata della camicia che, nonostante il rito incompleto, il suo sangue a qualcosa era servito. L’oscurità rispondeva alla magia appena evocata. Edmund poteva ancora essere suo, anche se non come avrebbe voluto. Avrebbe dovuto costringerlo con mezzi diversi.
“Non credo, dopotutto, che sia andata così male”.
 “Io so chi sei veramente” disse lui, per prendere tempo, mentre pensava come uscire da quel luogo che puzzava di morte, e da lei.
“Davvero?” lo schernì la donna. “In effetti, ci siamo già incontrati sul Ponte dei Giganti, qualche settimana fa”.
Edmund scosse il capo. “Sai cosa voglio dire”.
La Signora strinse i gelidi occhi, bloccandolo con lo sguardo nel punto in cui si trovava. Lui bluffava. Non poteva sapere veramente. Nessuno sapeva… a meno che Lord Erton non avesse raccontato anche questo.
Jadis avanzò ancora. Il ragazzo le rimandò uno sguardo di sfida che la fece ridere.
“Non ostentare tanta sicurezza. Non sei convincente in quella posizione, rannicchiato come un topo contro una parete. Sei sempre stato un codardo, dopotutto”.
La collera montò dentro Edmund. Lui non era un codardo.
“Ammazzami se è quello che vuoi. Avanti!” la incitò, afferrando una corta spada arrugginita dal sepolcro che stava dietro di lui, sfilandola con un certo disgusto dalle dita consumate dello scheletro.
“Non ricordavo fossi così divertente, Edmund caro”.
Il Giusto rabbrividì. La sua voce… Poteva aver camuffato il proprio aspetto, tanto che anche adesso, di fronte a lui, ancora non riusciva a vedere il travestimento. Ma quella voce la riconosceva, e quel nomignolo odioso che aveva sempre usato su di lui, come a permettersi una confidenza che li metteva sullo stesso piano. 
“Smetti di affannarti. Non abbiamo tempo per i combattimenti”.
Gli occhi di Edmund saettarono verso la bacchetta magica, poi ancora su di lei.
“Oh, no, non ho alcuna intenzione di ucciderti con questa” disse Jadis, alzando la sua arma.
“E allora cosa vorresti farci?”.
“Stavo recitando un complicatissimo incantesimo, poco prima che ti svegliassi e rovinassi tutto. Avrebbe funzionato alla perfezione se solo fossi stato morto. Purtroppo, adesso sarà molto più doloroso”.
Lei balzò in avanti più veloce del fulmine. Edmund indietreggiò di nuovo, brandendo la spada. Ma la Strega la scansò e gli fu addosso, afferrandolo al collo con una mano, sbattendolo contro la parete.
Edmund, il fiato mozzo, alzò le mani ad afferrarle i polsi. Avrebbe potuto spezzargli il collo in un istante.
“Dimmi, Edmund caro: perché, se il mio servo vi ha portati al mio cospetto chiaramente senza vita, tu respiri, ti muovi, e puoi parlare?”. La voce di Jadis era calma, canzonatoria, mentre la sua collera veniva tutta scaricata nella stretta spasmodica sul collo del giovane.
“Gli avevo ordinato di uccidervi… non capisco, davvero. Lui mi ha assicurato di avervi uccisi. Forse lo avete ingannato, o devo pensare che mi abbia mentito? Può darsi vi siate messi d’accordo per ingannarmi tutti insieme”. Inclinò la testa di lato. “Allora, com’è andata veramente?”.
Edmund non rispose. Non avrebbe venduto Mullughuterum a quella donna, nemmeno sotto la peggior tortura, neanche se lei già sospettava la verità. Rimase a fissarla colmo d’odio, ansimante, le mani artigliate a quella di lei, dure come il granito, che lo teneva alzato da terra con una tal facilità come fosse privo del suo peso.
Jadis lo lasciò andare, soltanto perché sapeva era arrivato al limite della sopportazione. Edmund cadde sul pavimento tossendo, tenendosi la gola.
“Mi avete ingannata. Non ve lo perdonerò”.
La Strega era furiosa, i lineamenti del viso deformati dala furia repressa. Se non si fosse trattenuta sarebbe esplosa, devastante, tremenda. Ma non doveva, perché avrebbe solo sprecato energie, energie che le occorrevano per portare a termine il rituale.
Alzò la bacchetta, dalla quale partì un raggio di magia che colpì Edmund in pieno.
Il Giusto fu sbalzato all’indietro da una potente ondata di potere simile ad aria solida. Atterrò malamente sopra un’altra tomba, rotolando poi a terra. Aveva ancora in mano quella vecchia spada, e pensò di usarla.
 Si lanciò contro di lei, pronta a parare il primo colpo.
 Non si sarebbe lasciato sopraffare, nemmeno se il braccio gli doleva da morire, tanto che non fu in grado di reggere l’arma e dovette combattere con la sinistra. Fortunatamente, era sempre stato abile con entrambe le mani.
“Ti fa male, vero?” chiese lei, alludendo alla ferita.
“No”.
“Bugiardo. Non negare, lo so. Consideralo un regalo da parte mia”.
La Strega incastrò la bacchetta tra la lama tra l’elsa della spada, iniziando a farle roteare insieme, cerando di far indietreggiare di nuovo il ragazzo, metterlo alle strette. Mancò davvero poco a che non gli strappò l’arma dalle mani, ma il Giusto era altrettanto abile e conosceva quel genere di mosse. Edmund fece un balzo indietro prima che lei liberasse la bacchetta dall’incastro, così che con la sua forza potesse riuscire a farla volar via, disarmandolo.
“Tutto sarà molto più semplice se ti arrendi al dolore” disse lei. “La ferita che ti ha inflitto la mia creatura sta radicando l’oscurità dentro il tuo corpo”
“Avevamo ragione, allora. Sei stata tu a mandare quelle belve oscure”.
“Ti stupisce?”
“Un po’, ad essere sincero”. Edmund balzò in avanti, facendola inciampare nella lunga gonna smeraldina. La donna ebbe un attimo di esitazione e lui ne approfittò per spingerla contro un sepolcro. Le armi si incastrarono di nuovo, ma era il Giusto ad essere in vantaggio, ora.
Edmund la guardò dritta in viso, senza paura, prima di pronunciare queste parole: “Avrei dovuto immaginare che la Signora dalla Veste Verde e la Strega Bianca fossero la stssa persona”.
Jadis digrignò i denti, il suo viso si deformò. Spinse via il ragazzo, gridando, e ripartì all’attacco. 
Edmund di nuovo non rispose, cercò di sorridere per farla arrabbiare ancora di più, nonostante sapesse quanto poteva essere pericoloso farlo. E inaspettatamente, la colpì. Affondò la lama nella sua gamba, lei era troppo furiosa per essere stata scoperta, per essere stata presa in giro.
Jadis gridò di dolore, poiché quello lo poteva sentire. Alzò la mano libera, sfruttando la vicinanza con Edmund, colpendolo con un man rovescio che lo mandò a terra senza fatica.
Il ragazzo fu stordito da quel semplice colpo di mano, il labbro gonfio, il naso dolorante e sanguinante. Gli aveva quasi rotto la mascella. Poi vide Jadis rimettersi dritta, la veste macchiata di rosso. Non riuscì a rialzarsi stavolta e lei fu su di lui. Lo afferrò per il braccio ferito, facendolo gridare di dolore e lo spezzò come fosse un ramo secco.  
Le urla di Edmund si infransero contro le pareti della cripta, le ombre parvero ridere del suo dolore. Il ragazzo si accasciò a ridosso di una parete, reggendosi l’arto spezzato. La Strega torreggiava di nuovo su di lui.
“Tu sei mio, Edmund. Hai fatto il grave errore di ribellarti ad Aslan, una volta, e da quel momento sei di mia proprietà. Ricordalo per i brevi minuti che ti restano, perché tra poco sarai solo un guscio vuoto pronto ad obbedirmi ciecamente”
E Edmund lo fece. Decise che doveva lanciare tutta la sua rabbia contro quella donna una volta per tutte.
“Tornatene all’inferno da dove sei venuta, lurida bastarda!”
“Io sono l’inferno, Edmund caro”.
La Strega lo colpì così violentemente che ricadde a terra di lato. Un altro dolore, molto più intenso di tutti quelli provati finora, persino dell’osso rotto. Con il terrore negli occhi, Edmund osservò la punta della bacchetta magica di Jadis conficcata nella ferita inferta dalle belve oscure.
Un’ondata di panico lo travolse. 
Aveva capito cosa lei aveva intenzione di fare: il suo aspetto esteriore non sarebbe mutato, ma dentro sarebbe divenuto solo ombra.
Una volta, Jadis aveva voluto ucciderlo e forse, pensò, la morte poteva essere più dolce della consapevolezza di continuare a vivere senza una volontà.
Se non era stato immolato sulla tavola di Pietra, era stato solo grazie ad Aslan che aveva preso il suo posto. Edmund aveva contratto con il Leone un debito eterno che non sarebbe mai riuscito a estinguere, nemmeno con le azioni più nobili. 
E ora lei mi ha preso di nuovo.
La vista gli si annebbiò, si sentì intorpidito e poi il nulla.
 
 
~˖~
 
 
 
Emeth, Miriel, Shanna e Pozzanghera vennero condotti verso il Castello delle Tenebre, dondolando dentro le reti in cui erano strettamente avvolti e che gli uomini del Mondodisotto trasportavano, due alla volta. Cercarono di capire dove fossero finiti Ombroso e Shira, senza trovare traccia dei due volatili sopra le loro teste. Meglio che fossero scappati, comunque, e che riuscissero a ricongiungersi con il resto della compagnia e avvertirli dell’accaduto.
Uno dei marinai con cui avevano attraversato il mare, bussò a un grosso portone. Si aprì uno spioncino, dal quale apparvero due occhietti neri incassati dentro un elmo: una guardia.
“Sì?”
“Vorremmo vedere la regina” disse il marinaio.
“Non è possibile. La regina ha ordinato di non essere disturbata, questa notte”.
“Ma noi abbiamo dei prigionieri”.
“La Signora ha detto per nessun motivo ”.
La guardia richiuse lo spioncino. Il marinaio bussò di nuovo e quella si riaprì.
“Ho detto che non potete entrare!”
“La Signora ha sempre ordinato che chiunque di sospetto fosse arrivato in città, dovevamo catturarlo e portarlo da lei”.
La guardia si grattò il mento. “Lo so che lo ha ordinato…Però stasera non potete vederla. Metteteli in cella e ripresentatevi domani”.
Il marinaio grugnì la sua delusione, facendo cenno agli altri uomini di seguirlo. Tornarono indietro e imbucarono una via scendendo verso quelli che dovevano essere i bassifondi della città. Non c’era anima viva, solo qualche animale. Continuarono lungo un piazzale presieduto da un corpo di guardia, attraverso un portone di legno massiccio, dentro la prigione. L’ingresso era squallido spoglio, una sola guardia seduta su uno sgabello era intenta a rosicchiare una coscia di pollo. Diede un’occhiata distratta alle figure che si divincolavano dentro le reti, sputò un pezzo d’osso e in tono svogliato disse: “Giù di sotto”.
Il marinaio e gli altri uomini lasciarono i prigionieri nelle mani delle guardie, tornando da dove erano venuti. Le reti venero tagliate e, al loro posto, Miriel, Emeth, Shanna e Pozzanghera, si ritrovarono un paio di pesanti catene di ferro ai polsi. I quattro furono condotti dai soldati per una rampa di gradini bagnati e scivolosi. Giunti in fondo, si avviarono verso un corridoio alle cui pareti ardevano alcune torce, e sul quale si affacciavano una serie di robuste porte di ferro. Suoni e gemiti giungevano da dentro le celle. Strani e spaventosi volti consumati apparvero dagli spioncini per vedere chi si aggiungeva loro. Mani putride si sporsero dalle fessure per cercare di toccare qualcosa di ancora vivo, perché loro, là sotto, stavano morendo. Un temerario mise fuori tutto il braccio e artigliò quello di Shanna, la quale fece un balzo indietro, terrorizzata da quel tocco scheletrico e gelido. La guardia prese la lancia e ricacciò nella cella il braccio del detenuto.
Si fermarono davanti a una delle celle, una guardia prese una chiave e l’aprì, cacciando all’interno senza remore i quattro prigionieri. Un pungente, acre odore di marcio permeava l’ambiente. Sul pavimento di pietra sudicia era ammucchiata della paglia che doveva fungere da giaciglio.
Le guardie non lanciarono loro nemmeno un’occhiata, chiusero la porta e se ne andarono.
Nessuno parlò per lunghi minuti. Emeth e Pozzanghera rimasero in piedi nel buio. Miriel si aggirò lentamente per la cella, non per esaminarla ma solo per non restar ferma, o la disperazione l’avrebbe sopraffatta. Shanna sedette in un angolo e pianse in silenzio, avvilita, pervasa da un senso di impotenza e terribilmente preoccupata per Edmund. Non poteva aiutarlo rinchiusa lì dentro.
“Questi sono i momenti in cui è lecito disperare”.
“Pozzanghera, ti prego…” fece Emeth.
“Capirai che la situazione è tragica, amico mio. Ci rimangono si e no una decina di ore di vita, perché quando domani la Dama Verde saprà della nostra presenza qui…”. Pozzanghera tracciò un segno sulla propria gola. Lasciò ricadere le braccia e le catene tintinnarono.
“Dobbiamo pensare” disse Miriel, cercando di mantenere la calma. Non c’era neppure una finestra da cui spiare fuori e vedere cosa succedeva, anche se dubitava avrebbe visto granché a parte il cortile deserto. La luce delle torce in corridoio penetrava ben poco attraverso la finestrella della cella. “Shanna, puoi vedere dove sono Peter e gli altri?”
La Stella si asciugò il viso con le maniche del vestito e annuì. Rimase dov’era, nell’angolo più in ombra. Non voleva far sapere agli altri che aveva pianto. Lasciò vagare i sensi, disperdere le sensazioni, concentrando le emozioni sugli amici e allontanando la propria vista da quel luogo orribile. Un lampo dietro i suoi occhi, e poi un filamento di spazio invisibile si aprì per mostrarle una sensazione.
“Preoccupazione” scandì ad alta voce. “Inquietudine. Non sono insieme. Non hanno i talismani con loro. Non sono lontani da noi. Stanno bene”.
“È già qualcosa” commentò Emeth. “Dobbiamo ritrovarli in fretta”.
“Come, di grazia?” chiese Pozzanghera.
“Per prima cosa uscendo di qui. Ragazze, potete usare la vostra magia per fare qualcosa?”
“Non con le mani legate” rispose Miriel, avvicinandosi alla porta. “Se solo fosse stata di legno avrei potuto tentare qualcosa, ma il fuoco servirebbe a poco contro il ferro”.
“Neanch’io riuscirò fare molto” aggiunse Shanna. “Ma forse una cosa posso”.
La Stella cercò di muovere le mani come meglio poteva, concentrandosi al massimo. Era difficile compiere i giusti movimenti con le manette ai polsi, necessitava di maggior libertà, ma doveva accontentarsi. Era una magia complessa quella che stava tentando di evocare, suo padre aveva impiegato molto tempo per insegnargliela. La sentì fuoriuscire da sé, una scintilla sprizzò sul palmo della sua mano, il fantasma di una sfera iridescente delle dimensioni di un uovo.
“Questo è quello che noi stelle chiamiamo ‘messaggero’ ” iniziò a spiegare Shanna, le dita in movimento attorno alla sfera. “Posso inviarlo ovunque io desideri, per cercare e trovare qualcosa o qualcuno, mandare un avvertimento. La parte migliore e che è dotato di volontà propria”
“Somiglia a una piccola cometa” commentò Emeth, affascinato, osservando i filamenti di polvere luminosa che circondavano la sfera.
La piccola luce danzava adesso davanti a loro, rischiarando la cella di una luce bianco-perlacea. Svolazzò leggiadra ad esplorare il luogo, tornando poi accanto a Shanna, come un cucciolo ancora troppo insicuro per allontanarsi dalla protezione di chi aveva cura di lui.
“Sa già cosa deve fare”. Shanna portò la sfera verso lo spioncino intagliato nella porta, protendendo le mani all’esterno il più possibile.
Il messaggero stentò a distaccarsi dalla sua proprietaria, ma alla fine decise che poteva cavarsela. Ondeggiò nel vuoto per qualche secondo, poi volò via in una scia di luce bianca.
“Troverà gli altri, vero?” chiese Miriel.
“È quello che mi auguro”.
“Ma i soldati la vedranno!” esclamò allarmato Pozzanghera. “Come farà ad uscire dalla prigione?”
 “Non lo noteranno neppure, te lo garantisco”. Shanna sembrava molto sicura di sé. “Il messaggero ha una sua sorta di intelligenza primordiale, per cui riconosce i pericoli ed è in grado di evitarli. Come dici tu, è piccolo; saprà nascondersi meglio di come farebbe uno Paludrone alto quasi un metro e novanta”. La ragazza gli toccò un braccio con affetto.
Ma Pozzanghera non si era offeso. “Questo è poco ma sicuro” disse, prima di testare se il pagliericcio nell’angolo era meno sudicio di quel che pensava.
Rimasero nella cella a parlare per molto tempo, poiché era l’unica cosa che potevano fare. Non sapevano con certezza cosa aspettarsi una volta che il messaggero avesse intercettato gli amici, sempre che riuscisse nell’intento. Miriel aveva piena fiducia nell’amica, ma Pozzanghera e Emeth nutrivano qualche dubbio. Non perché non credessero in Shanna, era più il fatto di non avere la minima idea di quale fosse la sorte toccata al resto della compagnia. Poteva essere accaduto loro qualsiasi cosa, dopo che avevano seguito il guardiano del Mondodisotto e i suoi sgherri dentro la caverna. Emeth, Pozzanghera e le due ragazze non sapevano che Mullughuterum aveva aiutato i Sette Amici di Narnia a entrare nel Castello delle Tenebre, che avevano bevuto un filtro di morte apparente, e nemmeno che la Signora della Veste Verde era in realtà la Strega Bianca sotto mentite spoglie. Possedevano un’unica certezza: i Sette Amici avevano già raggiunto la Città delle Tenebre, certezza confermata da due fattori: il primo era la visione di Shanna; il secondo era il comportamento degli abitanti del luogo durante il loro arrivo.
“La Signora dalla Veste Verde avrà sparso la voce d’dappertutto che potevamo arrivare” dichiarò Pozzanghera. “Io so com’è andata, oh sì! Quella là ci sta tenendo d’occhio fin da quando l’abbiamo incontrata sul Ponte dei Giganti. Ha sentito puzza di guai, e una volta saputo dal re dei Giganti che il suo intendo di darci in pasto a loro era miseramente fallito, avrà capito che abbiamo scoperto tutto sul rapimento dei principi, e allora ha sguinzagliato chiunque per acciuffarci. Non è da escludere che anche gli altri siano rinchiusi da qualche parte in questa prigione”.
“Oh no, Pozzanghera, sarebbe terribile!” proruppe Miriel. “In questo modo solo Ombroso e Shira potrebbero aiutarci, ma da soli non ce la faranno mai!”
“Fleunor aveva detto che avremmo potuto chiamarlo, se avessi avuto bisogno di lui” ricordò improvvisamente Emeth. Il suo sguardo corse a Miriel, l’unica in grado di richiamarli con l’aiuto della Terra.
La Driade gli rimandò un’occhiata desolata. “Non mi sono ancora arrischiata ad avvertirlo”.
“Perché no?”.
“Ho paura per i Cavalli di Fuoco, Emeth! Se arrivassero fin qui e gli uomini del Mondodisotto catturassero anche loro? Non ci sarebbe più nessuno in grado di venire in nostro soccorso. Li chiamerò soltanto quando usciremo da qui”.
Emeth la guardò a labbra serrate. Fosse stato al suo posto, non avrebbe esitato.  Miriel era molto più riflessiva di lui e il soldato capiva che la Driade non voleva arrischiarsi a giocare l’ultima carta della salvezza. Agire calcolando male i tempi avrebbe prodotto effetti disastrosi sulla loro condizione.
“Non hai tutti i torti, Miriel” disse Pozzanghera. “Agiamo con cautela. I Cavalli di Fuoco sono probabilmente l’ultimo barlume delle nostre già pietose speranze”.
 
 
 
~˖~
 
 
 
Peter e Eustace sgattaiolarono attraverso vicoli, tenendosi lontani dalle strade principali e maggiormente illuminate. Dopo aver superato un’enorme quantità di porticine e portoni di negozi e case, emersero all’ombra di un magazzino in prossimità di un molo. Si stupirono nello scoprire che vi era un mare nero come pece che lambiva la banchina, con le navi che andavano e venivano. La Città delle Tenebre era un grande formicaio, dove gli uomini lavoravano instancabili anche durante le ore notturne: fonderie, fabbriche magazzini, taverne, nonché sentinelle e drappelli di soldati in cotte di maglia e lance in resta che pattugliavano le strade e le piazze.
Mescolarsi agli abitanti del sottosuolo era un passo inevitabile se volevano recuperare un’arma e avvicinarsi all’entrata della fortezza. Tirarono i cappucci fin sopra gli occhi e a testa china uscirono allo scoperto, unendosi a un gruppo di mercanti che si allontanava dalla folla del molo. Sembrava che in quel posto la gente non dormisse mai ma lavorasse e basta. Andavano e venivano come formiche dentro un enorme formicaio, forse alternandosi tra giorno e notte per tenere la città sempre attiva.
Quando il gruppo si disperse per le vie, Peter e Eustace si allontanarono in fretta al riparo di un altro vicoletto. Imboccarono una strada secondaria alle spalle dei magazzini del porto, passando davanti a un uomo seduto fuori dalla sua bottega intento a battere con un martelletto su un ferro rovente. Accanto a lui, disposte in fila accanto al muro, stavano una decina di spade di varie dimensioni. Un altro gruppo di uomini del Mondodisotto passò di lì in quel momento, così Peter ne approfittò per sfilare da sotto il naso del fabbro un paio di quelle lame. Le infilò sotto il mantello, rimanendo impassibile. Seguì il gruppo di uomini, controllando se Eustace lo seguisse. Il cugino aveva continuato a camminare sull’alto lato della strada, come nulla fosse. Si riunirono a un incrocio di due nuove strade, procedendo ancor per un po’ insieme al gruppo di uomini del Mondodisotto, e  poi via di nuovo, verso l’ennesimo riparo.
“Tieni” mormorò Peter, infilando una delle spade tra le mani di Eustace. “Infilala nella cintura e nascondila bene con il mantello. Sembra che in questo posto nessuno, eccetto i soldati, possieda un’arma”.
“E che succederebbe, secondo te, se ci beccassero con una spada addosso?” chiese Eustace con sarcasmo.
“Faccio a meno di coprirlo”.
La faccia inespressiva di una donna del Mondodisotto apparve alla finestra di una casa, chiuse le imposte e spense le luci all’interno. Eustace e Peter rimasero immobili fino a esser certi che non sarebbe riapparsa. Si spostarono da sotto la finestra, all’ombra di una nicchia nel muro del vicolo.
“Edmund potrebbe essere ovunque” disse Eustace. “Nel castello, o più probabilmente in una prigione”.
Peter annuì. “Dobbiamo cercare di sapere qualcosa attraverso gli abitanti. Ma per farlo dovremo travestirci meglio di così. I vestiti che abbiamo indosso non bastano”.
Dietro la casa, diviso da un recinto, c’era un piccolo porcile e alcuni animai molto simili a rotondi maiali che grufavano ignari. Peter si avvicinò di soppiatto, adocchiando la finestra, nel caso la donna avesse lanciato un’occhiata di sotto. Infilò una mano tra le assi del recinto, afferrando una manciata di fango, spargendosela sul viso e sulle mani.
“Io passo, grazie” disse Eustace, un po’ disgustato. Il fango aveva un odore terribile.
“Se vuoi farti acchiappare alla prima occasione, fa pure”.
Eustace osservò il pantano con aria schizzinosa. Facendosi coraggio, imitò il cugino e sparse una buona manciata della fanghiglia puzzolente su di sé.
“Tranquillo, ce la toglieremo di dosso alla prima occasione” sogghignò Peter, “così potrai riabbracciare Jill senza che lei ti scambi per un verme gigante di palude”.
Anche attraverso lo strato di fango, il rossore di Eustace fu ben visibile fino alla punta dei capelli. Mise su un cipiglio permaloso, concedendo al Re Supremo un attimo per sorridere.
Sporchi e trasandati, potevano rassomigliare per due individui male in arnese. Decisero che, per sapere qualcosa sugli ultimi eventi di città, le taverne erano il luogo migliore. Ne trovarono una piccola ma molto affollata, dove poterono sedere in un angolo senza che nessuno badasse loro. Ascoltarono brandelli di conversazione mentre si spostavano tra i tavoli. I due cugini notarono molti uomini tenevano cappucci e cappelli calati sul viso mentre parlavano e bevevano, così anche il loro gesto di non voler mostrare il viso non risultò troppo strano. Furono costretti a ordinare una bevanda scura dal forte odore di benzina, ma che il gestore chiamò con orgoglio il miglior idromele del Mondodisotto. I due ragazzi non toccarono una goccia di quella brodaglia per paura di avvelenarsi.
“Avete sentito cos’è successo giù al porto?” disse un uomo al bancone. La sua voce era una cantilena monotona, come se stesse per raccontare una storiella di poco conto. “Dicono che è arrivato un gruppo di uomini del Mondodisopra”.
 “Qualche volta arriva qui gente dal mondo del sole” ribatté un altro uomo. “Sono amici della Signora dalla Veste Verde”.
“Questi no. Questi sono stati fatti prigionieri. Ero là, prima, e doveva essere appena success, tutti ne stavano ancora parlando”.
L’attenzione di tutta la taverna si focalizzò su quell’argomento. Peter e Eustace erano tutt’orecchi.
“C’era un marinaio, e stava raccontando di aver accompagnato qui dalle Spiagge Pallide uno strano gruppo di viandanti. Non erano dei nostri, si vedeva benissimo. Gli uomini del Mondodisopra che di solito vengono a trovare la regina sono persone illustri, dai ricchi abiti. Questi, invece, pare avessero addosso degli indumenti fin troppo consumati, come se avessero compiuto un lungo viaggio. Comunque, sapete tutti che la nostra regina ha ordinato di avvertirla se fosse giunto qualche individuo sospetto; così, i marinai del porto, insieme a quelli che li avevano guidati attraverso il mare, li hanno acciuffati e portati dalla regina”.
Un mormorio eccitato e spaventato si diffuse nel locale.
“E lei che cosa ha fatto? Li ha uccisi?” domandò un uomo raggrinzito, al pari di uno che chiede che tempo farà domani.
“Mh, no. Il marinaio ha detto di non essere riuscito a vedere la Signora, perciò non ha potuto avvertirla di aver catturato degli intrusi. A quanto pare, sua maestà sta facendo qualcosa di molto importante e non vuol essere disturbata, stasera”.
“Allora dove sono i prigionieri, adesso?” domandò qualcun altro.
“In carcere” rispose l’uomo al bancone. “Probabilmente li giustizieranno all’alba”.
“Ma cosa hanno fatto?” chiese una donna.
L’uomo al bancone non seppe rispondere. “Non ha molta importanza. Se la regina ritiene che gli intrusi vadano fermati, significa che sono pericolosi, quindi è giusto sbatterli in galera e poi impiccarli”.
Tutti annuirono, mormorando che la parola della loro sovrana era legge e non andava discussa.
“Che aspetto avevano? C’erano delle fanciulle?” chiese un giovane curioso. “Ho sentito che le donne del Mondodisopra sono molto belle”.
“Pare di si, belle come la nostra regina. In effetti, mi sembra che il marinaio abbia parlato di due fanciulle e di un uomo, e di una creatura strana. Quest’ultima non ha saputo descriverla; pare avesse la pelle verde, ma io non ci credo…”.
A Peter e Eustace non servì sapere altro.
La descrizione degli intrusi rinchiusi in prigione era niente meno che quella di Miriel, Shanna, Emeth e Pozzanghera, e se erano arrivati loro c’erano anche Ombroso e Shira. Non si chiesero dove fosse finito Lord Erton (poiché nessuno aveva nominato un vecchio), forse era stato proprio lui a consegnarli agli abitanti della città ed ora si trovava a colloquio con la dama Verde a ridere dell’imminente esecuzione. Ma far supposizioni sul Duca non era importante adesso.
Scivolarono fuori dalla taverna mentre la conversazione era ancora in atto. La Città delle Tenebre si aprì ancora una volta davanti a loro, piena di pericoli. Avvolti nei loro mantelli, sotto i quali tenevano ben strette le uniche armi a disposizione, Peter e Eustace si lanciarono in cerca della prigione.
Un atteggiamento sospetto avrebbe attirato l’attenzione, così non camminarono furtivamente, ma con calma e cautela. Cercarono le vie che sembravano meno frequentate, strette, scure, tutte uguali, tanto che più volte passarono nello stesso punto. Poi, ad un tratto, si aprì davanti a loro un piazzale governato da un corpo di guardia. Le sue luci ardevano nell’oscurità, gettando sulle mura ombre sinistre, le quali sembravano dire ai due ragazzi che non sarebbero mai passati oltre.
“Qui” disse Peter, indietreggiando nell’angolo della strada adiacente. “Ci siamo”.
“Come diavolo facciamo ad entrare? Guarda quanti soldati” disse Eustace, indicando la pattuglia della guardia notturna sfilare per la piazza.
Peter si ritrasse nel buio, poggiando la testa e la schiena alla parete. Non parlò per molto tempo, chiudendo gli occhi per attenuare momentaneamente la tensione. Miriel era a pochi metri da lui, e Shanna, Emeth, Pozzanghera, forse anche Edmund. Forse avevano catturato e rinchiuso anche lui insieme a gli altri. Il Magnifico ripeté più volte a sé stesso che un modo lo avrebbe trovato, ma la verità era che non aveva idea di cosa fare. Saltare fuori nella piazza voleva dire farsi catturare nel giro di due secondi.
“Peter…” lo chiamò Eustace, come da molto lontano.
Il Re Supremo fece un gran respiro e riaprì gli occhi. “Scusa. Avevo solo bisogno di un attimo per…”.
Peter dimenticò ciò che voleva dire, troppo sorpreso da quel che vide. Tra lui e Eustace volteggiava una piccola sfera di luce, che risaltava sullo sfondo scuro della squallida stradina in cui erano nascosti. La luce restò immobile a lasciarsi rimirare dai due ragazzi sbalorditi.
I cugini rimasero col fiato sospeso per alcuni istanti, aspettando che succedesse qualcosa. Non pensarono neppure per un secondo che potesse essere qualcosa da cui guardarsi. Senza spiegarsi come, percepivano in lei una sorta di rassicurante familiarità.
“Cosa credi che sia?” chiese Eustace.
“Non ne ho idea, però…”
La luce sembrò reagire alle loro voci, iniziando a muoversi in cerchio attorno ai due ragazzi. “Sembra una…”,  iniziò Eustace.
“… stella”, concluse Peter.
La comprensione prese forma sui loro volti mentre si fissavano. E a una sola voce mormorarono: “Shanna”.
In risposta, la luce schizzò via fino in fondo alla strada da cui erano venuti.
“Ehi! Ferma!”
Eustace e Peter le corsero appresso, cercando di afferrarla. Il globo di luce non diede segno di voler tornare verso la prigione, eppure loro dovevano andare da quella parte. Il Re Supremo cercò di afferrarla, ma fu come tentare di catturare l’aria. Le dita si chiusero attorno alla sfera, la quale si disgregò in una nuvola gassosa. Peter credette di aver combinato un guaio ma, dopo un attimo, le particelle di magia tornarono a consolidarsi e riunirsi tra loro.
“Cosa dobbiamo fare?” ansimò Eustace, stanco di correre avanti e indietro per le vie della città senza arrivare da nessuna parte.
“Credo che dovremmo seguirla”.
Eustace annuì. “Va bene, allora”.
La sfera pulsò come un faro nella notte, come se avesse capito le intenzioni dei due ragazzi e li portò nuovamente ad attraversare la città. I due cugini la seguirono senza posa, notando con stupore sempre crescente che la luce li conduceva dove non c’erano soldati, sapeva con esattezza il tempo in cui fermarsi e poi proseguire, imboccando vicoli quasi invisibili che non avevano notato in precedenza, sgombri da qualsiasi pericolo.
Infine, si arrestarono in un vicolo cieco.
Il Magnifico si accucciò a terra, per esaminare una grata sul terreno, accostata al muro di una palazzina. Dalle fitte sbarre saliva un filo d’aria, portatrice di odori malsani.
“Fognature? Vuoi scendere là sotto?” domandò Eustace con disgusto.
“Arrivano d’dappertutto. Senti…”. Peter afferrò la spalla del cugino. “Non sarà una passeggiata entrare nelle prigioni. I soldati saranno ovunque, le mura sorvegliate al massimo. Non potremo tener testa a tutti, non senza l’aiuto dei nostri Talismani. Dovremo combattere duramente con quello che abbiamo”, mise mano sulla spada che avevano sottratto al fabbro, “e se non verremo raggiunti in tempo dalle ragazze, dovremo farlo da soli”.
Eustace annuì vigorosamente, la determinazione negli occhi. “Io rimango qui. Nel caso non riuscissi a farcela, sarò qua fuori per darti una mano, cugino”.
Peter strinse di più la sua spalla, grato. Fu fiero di vedere quanto era diventato coraggioso il ragazzino che sul Veliero dell’Alba si era lamentato praticamente ogni giorno.
Infine, Peter tolse la grata. “Nasconditi qui vicino” disse prima di infilarsi dentro. “Ti rimanderò lei se avessi bisogno” guardò la piccola luce, la quale attendeva quasi immobile nell’aria. Poi si infilò nel condotto insieme ad essa.
Eustace richiuse il passaggio e sgattaiolò dentro lo spazio vuoto di un incrocio, ascoltando attentamente rumori che non vennero mai.
 
 
~˖~
 
 
Con passi cauti e lenti, Susan si muoveva per le vie introno al castello. Aveva già fatto il giro un paio di volte, tentando di captare un indizio, scorgere un punto qualsiasi per poter sgattaiolare all’interno. Una sola volta era stata fermata da un grosso uomo del Mondodisotto che le aveva chiesto dove fosse la sua arma. Susan non aveva alzato il viso per fronteggiarlo, chinando invece ancora di più la testa in segno remissivo. “L’ho persa” borbottò.
“Incapace” aveva sbottato l’altro. “Vai subito a rifornirti nel magazzino, se il capitano scopre che l’hai persa ti fa frustare certamente”.
Susan aveva annuito ed era andata verso la direzione indicatale, sempre con passo tranquillo e un’indifferenza tipica di quel mondo, ma che in quel momento non le apparteneva affatto. Tuttavia recitò bene. La sua andatura sicura, il mantello nero e il cappuccio alzato la facevano somigliare a una sentinella. Aveva notato che le guardie del palazzo portavano tutte questo tipo di abbigliamento e non aveva potuto credere alla fortuna di indossare abiti simili.
Il lupo non era con lei, non accanto almeno; l’animale si muoveva tra le ombre qualche metro più avanti, spianandole la strada dai potenziali pericoli.
Arrivò davanti a una porta a doppio battente, lasciata semi aperta. Infilò dentro la testa e vide una serie di spade, archi e lance appese a delle reticelle disposte lungo le mura dell’ampio magazzino. Un ometto basso e con lunghi baffoni era intento ad esaminare un lungo pugnale insieme a un'altra guardia.
“Prendi, prendi e vai. Sono impegnato” le disse con voce svogliata.
Susan afferrò una balestra e uscì di nuovo senza alcuna fretta. Aveva pensato di provare ad entrare nel castello tramite il magazzino, ma le era andata male.
A metà della strada da cui era venuta trasalì, quando suonò una campana. Fortunatamente non era quello che aveva creduto. Un frastuono alla sua sinistra la fece voltare e vide che il portone del palazzo stava venendo aperto per permettere il cambio della guardia.
Non ci sarebbe stata un’altra occasione come quella.
Emise un basso fischio e vide un’ombra muoversi da qualche parte. Si unì in coda alle creature che stavano attraversando il portone e dovette continuare a seguirle anche quando fu all’interno della sala d’ingresso. I passi degli uomini del Mondodisotto risuonavano come quelli di un esercito in marcia. Svoltarono lungo un corridoio a destra, verso un altro portone che conduceva in un cortile; ma Susan non lo scoprì mai. Appena ne ebbe l’occasione si mosse più silenziosa di un gatto – proprio come aveva promesso a Lucy – gettandosi all’ombra di un enorme braciere.
Attese e attese finché il gruppo con cui era entrata non sparì al di là del secondo portone, dal quale un altro gruppo di guardie era uscito per attraversare la sala d’ingresso e sostituire i compagni all’esterno. Le porte principali si richiusero e nel castello scese il silenzio.
Susan ascoltò per quasi un minuto il suono del suo respiro e quello delle fiamme che ardevano nel braciere. Poi si mosse furtiva, andando ad aprire uno spiraglio. Nessun stridio di cardini, nessun rumore, e questo fu più inquietante del se avesse cigolato almeno un po’. Emise di nuovo un basso fischio e il lupo apparve da un angolo. Lo riparò sotto il lembo del proprio mantello, tornando verso il braciere. Seppellì il viso nel pelo dell’animale, attirando a sé la sua determinazione e la sua forza di volontà per unirle alla propria, come uno strato protettivo per la mente, invocando la fermezza che le sarebbe servita per sopravvivere.
La verità era che Susan non aveva la minima idea di che cosa fare adesso, Né di dove andare. C’erano almeno tre corridoi che davano su quella sala, e scegliere uno si sarebbe rivelata la cosa più difficile di quanto avesse mai ammesso. Ci sarebbe stato uno scontro prima o poi, qualunque strada potesse scegliere. Le sarebbe piaciuto avere un’idea migliore dell’impresa che doveva compiere, perché questa volta il solo amore per i suoi figli non sarebbe riuscito a portarla sino a loro. Affidarsi solo all’istinto era fuori discussione. Forse…
Quando la sua mente finalmente si calmò, Susan lasciò andare il lupo, trovando la risposta nello sguardo profondo di lui. Immobile, splendido come lo era sempre stato in qualsiasi forma le si presentasse, era fermo ritto su tutte e quattro le zampe, in una postura di totale allerta. Ma niente l’avrebbe fermato. Lui sapeva che lì c’era qualcosa, qualcosa che gli apparteneva, Susan lo capì dalla luce che balenava nei suoi occhi. Non stava attento a quello che faceva lei, guardava altrove, non si era quasi mosso quando lo aveva abbracciato, il suo dorso era rimasto rigido nell’attesa di poter scattare. Caspian stava cercando una strada nel solo modo in cui un lupo poteva trovarla.
“Tu ricordi il loro odore” mormorò la Regina a bassa voce. Lui mosse appena il muso. “Tu lo sai, non è vero? Sai dove sono. Lo percepisci”. Affondò le dita nel suo manto. “Caspian…”
E fu allora che il lupo la guardò.
Susan gli prese il muso in una stretta gentile, posando la fronte su quella morbida di lui. “Portami da loro”.

 
 
 
 
Lo so, non ci credo nemmeno io ma alla fine ce l’ho fatta!
Non immaginate l’emozione di tronare a scrivere questa storia dopo tre anni che non la prendevo in mano. Com’è stato? Facilissimo. Nemmeno io me lo aspettavo dopo il lungo blocco che mi impediva di riavvicinarmi a questa storia. Non so dire cosa sia successo, forse mi serviva semplicemente del tempo e qualcosa di buono nella mia vita per darmi l’ultima spinta. È arrivata, piccola e insignificante per i più, ma per me è stato un faro nella notte…
Comunque, non sono qui per annoiarvi con elucubrazioni mentali ma col dirvi che spero con tutto il cuore che qualcuno dei vecchi lettori sia rimasto. Se sì, aspetto ovviamente un vostro segno (battete un colpo! xD)
 
Che dite, ce lo facciamo il solito…

Angolino delle anticipazioni? Ma sì, dai…
 
Allora, io non so cosa succederà adesso…cioè, lo so, ma non immagino il caos che avverrà nella storia. Ormai Susan e Caspian si avvicinano sempre di più ai loro figli e il fatto che la Strega sia occupata con il povero Edmund potrebbe essere un vantaggio nonostante tutto.
Peter e Eustace dovranno correre contro il tempo per salvare i compagni in prigione, e necessitano al più presto dell’aiuto di Lucy e Jill.
Nel prossimo capitolo partiremo con i Suspian, a cui ho dedicato poco spazio in questo, ma mi premeva descrivere bene la parte di Edmund e Jadis.
Rabadash lo lasciamo dov’è, ovvero a Cair Paravel. Ormai la sua ora è segnata. E Lord Erton? Occhi aperti, potrebbe riuscire a scappare dai Cavalli di Fuoco!

 
Le scorse volte mettevo sempre i ringraziamenti… non che questa volta non voglia farlo, ma penso che dopo tre anni il pubblico sia leggermente cambiato, perciò mi limito a dire grazie a chi c’è ancora e a chi ci sarà.
 
Un abbraccio grande, e spero a presto!
 
Susan

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