Le Nuove Cronache - il drago e il leone

di Arya23
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


                   Prologo
La pioggia picchiettava a ritmo cadenzato sulle finestre alte e arcuate, come se ballasse al suono di una musica tutta sua. Minuscole goccioline perlacee si rincorrevano sui vetri spessi e opachi, per poi dissolversi inesorabilmente nei massicci intagli di pietra che li circondavano. Il cielo era di blu intenso e sinistro, di tanto in tanto squarciato da qualche subitaneo lampo biancastro, che fiammeggiava nel velluto della notte per una manciata di secondi prima di sparire inghiottito dalle nuvole. Re Oberon stava in piedi davanti ad una delle finestre piangenti di pioggia, dritto e affusolato come un giunco, le mani incrociate dietro la schiena e lo sguardo corrucciato fisso nel buio della tempesta. Mentre osservava il turbinio di gocce d’acqua che infuriava tra le nubi, batteva nervosamente il piede sul freddo pavimento di pietra, impaziente, come se stesse aspettando che qualcuno o qualcosa sbucasse improvvisamente in mezzo ai lampi e alla pioggia ghiacciata. Proprio in quel momento, quasi in risposta alla sua veglia agitata, un soldato comparve nel buio del corridoio, dirigendosi verso il sovrano a passo svelto, l’armatura grondante di pioggia e macchiata di terriccio che riluceva tetra nella notte del castello. Si fermò a pochi passi da lui, inchinandosi rigidamente con un sonoro sferragliare di armi e cotta di maglia: aveva il viso stanco, ma lo sguardo era vigile negli occhi grigiastri, ben visibili nonostante l’oscurità. La stuoia di cotone leggero era imbrattata di fango, ma nonostante la sporcizia accumulata era ancora riconoscibile lo stemma della casata Pendragon, raffigurante un drago bianco rampante su un fondo rosso sangue. Oberon fece un cauto cenno di saluto col capo in risposta al composto inchino del soldato. “ Dunque?” chiese poi, quasi in un sussurro. Il soldato si schiarì la voce con un colpo secco di tosse. “ Miraz è caduto. Suo nipote Caspian X è il legittimo re di Narnia”.
Un’espressione indecifrabile si aprì sul volto dai lineamenti sottili del sovrano; eppure, nonostante la maschera marmorea impressa sul viso, un guizzo di paura gli attraversò gli occhi di un brillante verde smeraldo, prima di scomparire, subitanea, tra le rughe profonde che segnavano la pelle diafana. Aprì la bocca per ribattere, ma il rumore di altri passi nel corridoio lo distrasse. Alzò gli occhi verso il punto da cui sembrava provenire il rumore e, pochi attimi dopo, comparve la figura evanescente di una donna avvolta da una sottile veste grigio perla, i lunghissimi capelli di un incredibile biondo fragola che le svolazzavano selvaggi sulle spalle e lungo la vita. Oberon incontrò il suo sguardo, e si perse per un istante nelle profondità dei suoi occhi violetti, leggermente allungati come foglie di alloro selvatico. La donna li raggiunse e dopo uno sbrigativo saluto rivolto al soldato si gettò ansiosa tra le sue braccia, tremante, forse più per la preoccupazione che per il freddo, che pure era pungente. “Non dovresti stare alzata, Titania” la redarguì premuroso Oberon. “E’ tardi, e fa molto freddo”.
La donna scrollò le spalle. “ Come posso dormire in una notte come questa? Miraz è caduto” ribadì. Oberon annuì grave, mentre il soldato faceva saettare lo sguardo incerto prima sul re e poi sulla sua consorte. “ Come faremo ora?” fece di nuovo la regina, stringendosi nella leggera veste da camera che aveva indossato in tutta fretta appena saputa la notizia della sconfitta di re Miraz. Oberon sospirò piano, e passandole un braccio attorno alle spalle tornò a guardare la tempesta che si infrangeva sui vetri delle finestre. Stettero tutti e tre in silenzio per un po’, ascoltando l’ululare del vento che rimbombava sordo tra le mura di pietra e cercando di mettere ordine tra i pensieri. Titania appoggiò dolcemente il capo nell’incavo del collo del marito, che la accolse timidamente mantenendo il silenzio.
“Tornerà, Oberon, e rivendicherà ciò che crede suo di diritto” disse la donna con voce flebile, continuando a guardare fuori dalla finestra assorta. “ Sarà la guerra”. A quelle parole il re delle fate parve ridestarsi, come se qualcuno lo avesse pungolato con uno sperone particolarmente acuminato. Anche Titania si risollevò, sconcertata e quasi infastidita, osservando il marito con aria interrogativa. Questi le puntò addosso i penetranti occhi verdi, risoluto e regale nel portamento, come se si stesse preparando ad un discorso ufficiale, e un lampo di tremenda determinazione gli attraversò lo sguardo smeraldino.

“ Se è guerra ciò che mio fratello vuole da me, guerra avrà. Puoi starne certa”. Un tuono ruggì poderoso nel cielo color pece, e un lampo illuminò per un fugace istante il drago bianco sulla cotta di maglia del soldato. Poi cadde di nuovo il silenzio.


***


La battaglia si era conclusa da parecchie ore ormai, forse era addirittura passato un giorno intero: Peter perdeva sempre la cognizione del tempo in guerra. I minuti, le ore, i giorni passavano inesorabili, incuranti e impietosi delle sofferenze che si lasciavano dietro. Ogni secondo era macchiato di sangue, sia amico che nemico, e per quanto non fosse certo la prima volta che affrontava una guerra il giovane re Supremo pensò che non ci avrebbe mai fatto davvero l’abitudine. Nonostante avesse dormito una notte intera dopo settimane di insonnia era stanco e spossato come non mai, grondante di sudore sotto il sole alto e bollente di una tersa giornata di fine primavera. Camminava assorto in uno dei cortili della corte che era stata di Miraz, la mano mollemente posata sull’elsa della spada in un gesto ormai abitudinario, mentre un brulicare di umani e creature d’ogni razza e dimensione gli scorrevano davanti agli occhi spenti. Ancora una volta Peter si trovava ad affrontare quella soffocante sensazione di vuoto che lo opprimeva alla fine di ogni battaglia, come se i giorni interminabili passati a combattere per la propria vita e per la sopravvivenza di tutto ciò che aveva di più caro al mondo gli avessero lasciato un’enorme voragine nel petto, ben più profonda di qualsiasi ferita inflitta da una spada. Edmund sosteneva che fosse una sorta di tecnica di difesa attuata dalla sua mente per sopravvivere agli orrori della guerra, come se una parte del suo cervello cercasse disperatamente di mantenere le distanze dal proprio io guerriero. “Dal mio io assassino” si corresse amaramente, facendo vagare lo sguardo in cerca di uno dei suoi fratelli. Non dovette attendere a lungo: una corrucciata Susan, avvolta nel suo vestito migliore, si dirigeva verso di lui; Aslan, fiero e possente alla luce del sole, le trottava accanto placidamente. Peter andò loro incontro silenzioso, aspettando un cenno dalla sorella che, però, rimase zitta, con lo sguardo stranamente basso e le mani nervosamente attorcigliate al petto. Il re Supremo aggrottò pensoso le sopracciglia.
“ Seguitemi”  fece ad un tratto il leone con la consueta voce calma e profonda, che parve per un istante riempire la voragine nel petto di Peter. “Abbiamo molte cose di cui discutere. Edmund e Lucy ci aspettano”. I due Pavensie annuirono lentamente e seguirono Aslan in uno dei cortili interni del castello di Miraz, lussureggiante di fiori profumati e piacevolmente ombreggiato. Peter accolse con un brivido di piacere l’improvvisa frescura che lo avvolse appena fatti pochi passi nel cortile, assaporando la sensazione della pelle prima ardente che si asciugava sotto i vestiti di pregiata fattura. Edmund, il terzo dei fratelli Pavensie, stava comodamente seduto tra le colonne del peristilio che correva tutto intorno al cortile, la testa adagiata su una colonna e una gamba penzoloni sulla quale sbatacchiava distratta la spada. Accanto a lui Lucy, la più giovane, camminava nervosamente avanti e indietro, torcendosi le dita e mordicchiandosi il labbro nel vano tentativo di calmare i nervi. L’espressione sul suo visetto volpino era talmente simile a quella di Susan che Peter rimase sconcertato per qualche secondo, non accorgendosi che Aslan, nel frattempo, li aveva riuniti in una sorta di semicerchio attorno a sé . Seguirono attimi carichi di silenziosa trepidazione, poi finalmente il leone parlò:
“ Non è stata una battaglia facile, ma avete combattuto coraggiosamente, nonostante non fosse la vostra guerra: questo vi fa onore”. Peter ed Edmund si scambiarono una rapida occhiata interrogativa. “ Tuttavia” - riprese - “ E’ giunta l’ora per voi di prendere una decisione altrettanto difficile”.
“ Che intendi?” squittì Lucy stringendosi alla sorella maggiore, che la strinse di rimando per tranquillizzarla. Il leone parve accennare un sorriso da sotto i lunghi e vibranti baffi argentei. “ Siete i sovrani di questa terra, e lo sarete per sempre, ma siete anche dei giovani studenti nel vostro mondo” disse il regale felino con tono improvvisamente più greve.
“ Cosa ci stai chiedendo, Aslan?” lo interruppe improvvisamente Edmund, ridestandosi dalla stentata posizione rilassata che aveva assunto fino a quel momento, rabbuiandosi di colpo. Il leone parve ignorare quello scatto improvviso e non rispose subito, facendo ondeggiare ipnoticamente la lunga coda per qualche secondo. “Tipico di Aslan” pensò Peter, ammirando e quasi invidiando l’aurea di calma placida e primordiale che sembrava sempre avvolgerlo a dispetto di qualunque evento terreno.
“ Vi sto chiedendo” fece ad un tratto il felino ridestandolo dai suoi pensieri. “ Di scegliere. Avete lottato per queste terre più strenuamente di chiunque altro, e non posso imporvi di passare il resto dei vostri giorn lontani dai luoghi che vi appartengonoi: nessuno ha questo diritto, neppure io”. Lo sguardo dei fratelli Pavensie si incupì all’unisono.
“ Nonostante ciò, ritengo che prove di coraggio come le vostre meritino di essere riconosciute. E il riconoscimento più grande che possa darvi è la possibilità di scegliere: potrete tornare nel vostro mondo, e concludere in pace la vostra esistenza sapendo di aver contribuito al trionfo del bene nella eterna lotta con l’oscurità…” si fermò per qualche istante, come se stesse soppesando le parole sotto lo sguardo ora sbigottito dei quattro fratelli. “Oppure, potete scegliere di restare e governare su queste terre con saggezza e giustizia finché l’imperatore d’Oltremare non vi richiamerà a sé” concluse con solennità. 

Era come se un intero battaglione gli fosse passato sopra al galoppo: Peter non si era mai sentito più frastornato e confuso come in quel momento. Aveva sempre avuto l’intima consapevolezza che, prima o poi, i suoi soggiorni a Narnia si sarebbero conclusi per sempre e una parte di se, seppure a fatica, stava cominciando ad accettare l’idea di terminare la sua vita come - magari - un professore di letteratura inglese - di certo non come Re Supremo. Ma le parole di Aslan,ora, cambiavano tutto. Anche se, a ripensarci, non miglioravano affatto le cose: chi mai prima di lui era stato messo davanti alla titanica scelta di decidere in quale mondo vivere? In effetti, si disse, c’era un motivo per cui, semplicemente, si nasceva in uno dei due o più universi esistenti: nessuno, uomo o animale che fosse, sarebbe mai stato in grado di compiere una scelta simile senza perdere il senno. Eppure quella scelta si imponeva ora su di lui come una inaspettata e distruttiva spada di Damocle, gettandolo nello sconforto e nella confusione più assoluti. Si volse a guardare Edmund al suo fianco, che esibiva un famigliare piglio accigliato, che Peter collegava ai momenti di riflessione più intensa del fratello minore. Quest’ultimo, quasi avesse sentito il peso degli occhi turchini di Peter su di lui, volse lo sguardo verso il re Supremo, cercando risposte che purtroppo né lui né nessun altro poteva dargli.
“ Io resto”. La voce di Susan, più chiara e decisa che mai, irruppe nel silenzio di piombo che era nel frattempo calato sul gruppo. Peter ed Edmund si volsero repentini verso la sorella con espressioni indecifrabili in volto, mentre lei sospirava piano. “ Aslan, io resto” ripeté quasi meccanicamente, come se dovesse ancora convincersene.
“ Susan…” fece Edmund muovendosi verso di lei. “ No” disse perentoria in risposta, puntandogli addosso gli occhi dello stesso azzurro di quelli di Peter, traslucidi per l’emozione. “ E’ questo il nostro posto, non capite? Non apparterremo mai più all’altro mondo, mai” la voce era tremante di pianto. “ E’ qui che dobbiamo stare. E’ questo che siamo destinati ad essere”.
Solo allora la profondità e la grandezza di quelle parole colpirono Peter con la forza di un uragano. Aveva ragione: non lo aveva mai creduto davvero fino a qual momento, o per lo meno aveva sempre tentato di allontanare il pensiero per evitare di impazzire, ma ora lo vedeva con una chiarezza ed una lucidità che non aveva mai avuto. Era il Re Supremo, non per sua scelta, ma per elezione, e aveva un dovere nei confronti di una terra e di popoli interi che non poteva essere ignorato. Si vide scorrere davanti agli occhi immagini sfocate della sua vita in Inghilterra, la scuola, le ore passate a leggere solitario nei meandri delle biblioteche tentando invano di accettare la vita ordinaria di uno studente di letteratura e, di colpo, capì che quella era la vita di un altro, che per troppo tempo si era ostinato a voler vivere. Guardò suo fratello Edmund, suo migliore amico e consigliere fidato, e nei suoi occhi d’inchiostro lesse quella stessa consapevolezza che pian piano gli si allargava nel petto, riscaldandolo e curando i solchi profondi della sua anima, che temeva sarebbero rimasti aperti per sempre.
Con un gesto fluido e al contempo maestoso estrasse la spada dal fodero: Rhindon luccicò, tremenda e bellissima, sotto la luce primaverile del sole narniano. Strinse con decisione l’elsa a forma di testa di leone e si inginocchiò davanti ad Aslan, offrendogli la spada nel massimo gesto di lealtà. Un freddo rumore metallico di fianco a lui gli disse che Edmund lo aveva imitato, ma non si volse a guardarlo: teneva gli occhi fissi sul possente leone davanti a sé, che gli restituiva uno sguardo grave e impenetrabile. Un frusciare leggero di vesti e anche Susan e Lucy si inchinarono, le teste ossequiosamente abbassate come a voler sottolineare la solennità del momento.
“Io e mio fratello ti offriamo le nostre spade, Aslan. Per Narnia”. Peter disse poche parole, la voce resa roca dall’emozione ma lo sguardo più fiero che mai. Il leone mosse la coda lentamente, continuando a guardare il re di Narnia inginocchiato davanti a sè, come se volesse scrutare gli angoli più reconditi del suo spirito. “ Allora alzatevi, re e regine di Narnia: vi affido queste terre e la mia gente finché l’Imperatore l’Oltremare non vi chiamerà al suo regno eterno”. I quattro Pavensie obbedirono; Lucy e Susan erano raggianti mentre Peter ed Edmund, più seri che mai, riponevano le armi nel fodero.
“ Per Narnia, allora?” Edmund si rivolse a Peter dopo parecchi minuti di silenzio, e il re Supremo lesse sul suo viso la stessa, profonda determinazione che ormai lo pervadeva totalmente. Sorrise.
“Sempre”.
Aslan ruggì maestoso e tutta Narnia seppe che finalmente una nuova era si era appena aperta.



****

Eccoci qui! Intanto devo ammettere che è per me un onore gigantesco essere tornata a scrivere di Narnia, perché è stata la saga che mi ha avvicinato al mondo della scrittura e per questo occupa un posto davvero importante nel mio cuore. Prima di tutto ritengo necessarie alcune precisazioni sulla storia ( forse saga, ma non vi prometto niente) che mi accingo a scrivere:
- Partendo dall’inizio, sarà stato evidente a tutti come mi sono brutalmente appropriata di due personaggi Shakesperani ( Oberon e Titania sono il re e la regina delle fate in “Sogno di una notte di mezza estate”) ma è bene anche sottolineare che di Shakespeare hanno solo i nomi e il ruolo: sono infatti re e regina delle fate anche nella mia storia, ma è tutto ciò che rubo al caro William, lo giuro!
- Piccola anticipazione -> le fate saranno i personaggi principali di questa storia, insieme a tutto il mondo narriamo e, ovviamente, i Pavensie. Non essendoci descrizioni di fate nei libri - quanto meno che io ricordi - ho deciso di attingere un po alla mitologia britannica nella declinazione del loro mondo: avrete infatti notato che il nome della casata è Pendragon - i Pendragon sono una leggendaria casata britannica a cui appartenevano re Artù e la sua sorellastra, la fata Morgana. Devo però dire che non si tratta di una trasposizione fedele delle leggende britanniche, ma solo una fonte di ispirazione: spero che ciò non turbi nessuno - se così è non abbiate paura di scriverlo nelle recensioni ai prossimi capitoli!
- Ho stravolto del tutto l’epilogo de “Il Principe Caspian” e, per amor di verità, devo preannunciarvi che cercherò di dare un tocco un po’ diverso ai nostri Pavensie: ora infatti sono regnanti veri e propri, sono cresciuti e non possono più essere solo gli immacolati cavalieri che lottano per la strenua difesa del bene - continueranno a farlo, certo, ma con un po’ più di sangue e noir.
Ho un sacco di idee per questa FIC, è già tutta nella mia testolina e aspetta solo di essere messa su carta! Il primo capitolo è già in cantiere, cercherò di postarlo ASAP. RECENSITE!!!!! Da brava scrittrice quale cerco di essere ho assoluto bisogno di feedback - positivi e negativi che siano.
Sperando di avervi incuriosito, sempre vostra,
A

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Cair Paravel - due anni dopo la caduta di Miraz 

 

Caspian osservava pensoso e in cupo silenzio la lunga tavolata di marmo della sala del Consiglio, mentre intorno a lui esplodeva un coro di voci polemiche e arrabbiate che si parlavano l’una sopra l’altra. 

“E’ una vergogna! Un vero affronto!” la voce tonante di Briscola riuscì, infine, a superare tutte le altre.   “Sono secoli, ma che dico, millenni, che Archen e Narnia sono alleati! Non rinnovare il Trattato…. ma che roba!” .  Accanto a lui un preoccupato Trufflehunter annuiva sconsolato, mentre il dottor Cornelius si grattava la barba con fare accigliato: in effetti, si trovavano davanti ad una situazione politica senza precedenti. Dopo la vittoria di Caspian e la resa definitiva dei telmarini, le cose non erano andate esattamente come sperato dai ribelli narniani, e il regno del giovane re si era dimostrato, fin da subito, ricco di insidie. 

Incuriositi dalla schiacciante vittoria che un imberbe sovrano aveva inflitto ad un navigato guerriero come Miraz e, al contempo, spaventati dalla relativa facilità con cui un esercito guidato da una manciata di adolescenti aveva abbattuto l’orda telmarina, la gran parte dei nobili del regno - che per secoli era stata a guardare da lontano l’ascesa di Miraz - era stata da subito sospettosa nei confronti di Caspian, col risultato che molti di essi avevano preferito un atteggiamento di estrema cautela nei  nuovi scenari di alleanze che si erano aperti dopo la guerra di liberazione. Tra di essi, in particolare, aveva destato scalpore la manovra del sovrano di Archen, che dopo una quasi millenaria tradizione - come aveva giustamente osservato Briscola - si era rifiutato di confermare le condizioni del Trattato di Alleanza con Narnia, adducendo come scusa una devastante carestia che aveva costretto le finanze del regno alla fame e che, tuttora, non consentiva la sicurezza interna necessaria per partecipare all’accordo. Sarebbe stata una spiegazione credibile -  nonché stranamente accorta - se non fosse che tra le condizioni dell’alleanza stessa era previsto anche un aiuto economico, qualora uno dei due regni ne avesse fatto richiesta all’altro in condizioni di particolare bisogno. Ciò aveva definitivamente convinto i narniani non solo del fatto che il re di Archen fosse un discreto ignorante ( conoscere i trattati di alleanza e le loro clausole era il minimo che un buon sovrano potesse fare ), ma anche e soprattutto che le finanze del suo regno stavano benissimo, e che l’unico, vero motivo per cui il Trattato non era stato rinnovato era il malcontento nei confronti di Caspian. 

“E’una vera assurdità” intervenne Peter, cupo almeno quanto Caspian mentre osservava lo scontento generale della Sala del Consiglio.  “Per di più, un’assurdità piuttosto sciocca. Il re di Archen non ha mosso un dito contro Miraz per anni, e ora volte le spalle a noi? Preferiva avere il fiato di un tiranno sul collo?” . 

 La sua affermazione venne accolta da un’ondata di approvazione,  fischi di incitamento e  pugni arrabbiati sbattuti sul marmo lucido della tavolata. Caspian, tuttavia, restava in silenzio, e come lui anche il Dottor Cornelius, come se entrambi si fossero già fatti una idea piuttosto precisa ma avessero paura di dirla ad alta voce. 

“Diciamo piuttosto che il re di Archen preferirebbe mille volte dover sottostare ad un tiranno adulto, piuttosto che allearsi con un re illuminato che ha la metà dei suoi anni”. La voce di Edmund, più profonda del solito e leggermente roca come quella di tutti i sedicenni, risuonò sul frastuono della sala, suscitando l’attenzione di molti, che si volsero a guardarlo con interesse. Anche Caspian, a quelle parole, alzò impercettibilmente il capo e piantò sul Giusto i suoi occhi di ossidiana, come se volesse invitarlo a proseguire. 

“ Che intendi, Ed? ” domandò Lucy, piuttosto perplessa: la sua disarmante schiettezza e limpidezza, spesso, le impedivano di vederci chiaro tra le fitte trame politiche di Narnia, essendo esse troppo distanti dal suo modo di vedere le cose; lo stesso non poteva dirsi invece di Edmund, che dotato com’era di una mente incredibilmente acuta e brillante, si era da sempre dimostrato il più abile nel districare anche le più spinose questioni diplomatiche, rendendolo un consigliere prezioso.

“Intendo” perseguì il ragazzo, - “ che un re giovane come Caspian fa paura: appena ventenne, nel fiore degli anni e sprizzante di retorica idealista da tutti i pori. Gente come lui ispira il popolo, lo rende più forte. E a nessuno, credetemi, piace un popolo forte” . L’intera sala del Consiglio, dopo ore e ore di discussioni, cadde improvvisamente in un attonito silenzio, come un bambino al quale si rivela per la prima volta che la fatina dei denti non esiste. Tutti tenevano gli occhi puntati su Edmund, il cui discorso, in effetti, non faceva una piega, e pareva spiegare al meglio la situazione attuale. “Inoltre” fece ancora il Giusto, sfoggiando uno dei suoi sorrisi sardonici,  “non guasta neppure che tu sia piuttosto bello, amico mio” .  Il giovane telmarino, a quelle parole, si concesse un sorriso più disteso, mentre l’intera Sala del Consiglio esplodeva in una sonora risata e Lucy e Susan si scambiavano occhiate d’intesa: Caspian, in effetti, godeva di quella bellezza luminosa che è tipica di tutti i ventenni, esaltata da una incredibile bontà d’animo e un ineccepibile senso della giustizia. Guardandolo da lontano senza farsi notare, Susan comprese esattamente cosa intendesse suo fratello Edmund dicendo che la bellezza del giovane re poteva addirittura  infastidire : il viso dall’incarnato olivastro e dai lineamenti perfetti aveva sempre una espressione gentile e mai altera, così come gli occhi, profondi e neri come l’inchiostro ma sempre limpidi. Ad un tratto, il re alzò gli occhi verso di lei, e i loro sguardi si incontrano inaspettatamente. Lui sorrise, vagamente sorpreso, mentre lei arrossì violentemente e si affrettò a distogliere lo sguardo, maledicendosi per essere così irrimediabilmente goffa.

“Vostra Grazia, penso che voi abbiate ragione” intervenne in quel momento Cornelius rivolto ad Edmund.  “Come al solito il vostro intuito non sbaglia. Ma come possiamo fare per ovviare a questa spiacevole situazione? Come possiamo agire?” . 

Le lecite domande del dottore sollevarono di nuovo un chiacchiericcio sommesso, mentre tutti si interrogavano sul da farsi.

“Io un’idea ce l’avrei” . La voce del re Supremo risuonò sicura sopra il mormorio diffuso, invitando tutti al silenzio. Caspian scoccò uno sguardo interrogativo a Peter, che però gli rispose con un cenno sicuro del capo, come se lo stesse intimando a dargli fiducia. Il giovane re annuì, e Peter riprese la parola:

“E’ chiaro che i nobili ci si stanno rivoltando contro perché non si fidano di Caspian, o quanto meno sono sospettosi. Hanno paura che così come ha preso potere a Narnia, possa farlo altrettanto facilmente altrove”. 

“Che sciocchezza…!” borbottò arrabbiato Briscola, che ancora non riusciva a spiegarsi il perché di quella insensata reazione alla presa di potere di Caspian. 

“No, non lo è amico mio” rispose Peter con tono fermo.   “Non è una sciocchezza, ma un pensiero piuttosto ovvio in realtà. Come diceva mio fratello, Caspian è giovane, intelligente e con un popolo e un esercito forte: è normale che questo desti paura, specie considerando il ruolo che i telmarini hanno avuto nella storia negli ultimi secoli” . Lo sguardo di Caspian a quelle parole si rattristò, benché sapesse che Peter aveva ragione e che, probabilmente, l’ombra di anni e anni di crudeltà perpetrate da suo zio non si sarebbe cancellata così velocemente come aveva sperato.  “Non è colpa vostra, Sire” gli sussurrò Cornelius, avendo notato l’improvvisa ombra di tristezza che era calata sul volto del giovane sovrano. Questi gli rivolse un sorriso incerto senza dire nulla, e volse di nuovo la sua attenzione alle parole del re Supremo. 

“Quello che intendo dire è che se i nobili e i Lord non si fidano di Caspian, forse hanno bisogno di qualcuno che li convinca a riporre in lui la loro fiducia”  proseguì Peter, che nel frattempo si era alzato e aveva posato la mano sull’elsa della spada come a sottolineare l’importanza di ciò che stava dicendo.

“Cosa proponi, dunque?” gli chiese Caspian con interesse, non riuscendo a capire dove volesse andare a parare. 

“Lascia che me ne occupi io, Caspian. Consentimi di incontrare i Lord per convincerli che allearsi con Narnia è la scelta migliore che possano fare. Dopotutto…” - e qui il re biondo si fermò, soppesando le parole con attenzione -  “ Dopotutto, io in questo mondo ci sono invecchiato, un tempo. Alcuni degli attuali Lord e nobili sono i discendenti di coloro con i quali io stesso, in passato, strinsi accordi e alleanze” . 

Caspian lo fissò con serietà, mentre tutto il resto della sala mormorava eccitato dalla proposta del re Supremo. Lucy e Susan si scambiarono un’occhiata preoccupata: anche loro, come Peter, erano cresciute a Narnia per poi tornare ragazzine, ma non avevano dimenticato quanto pericoloso potesse essere quel mondo, specie se ci si immischiava nella sua politica e nei suoi giochi di potere - che nulla, in effetti, avevano da invidiare all’Europa del ‘900. “Potrebbe essere un’ottima pensata, Sire …” disse Briscola a Caspian con tono finalmente più cauto, dopo ore passate a sbraitare su quanto fosse vergognoso il comportamento dei nobili e dei Lord nei confronti di Narnia.   “Il re Supremo ha ragione: ha regnato su queste terre per anni, sa come imbonirsi i pezzi grossi” . Caspian sospirò a fondo, ma l’espressione seria e preoccupata sul suo bel viso non accennava a distendersi. 

“No, è troppo pericoloso Peter” esclamò infine, nello stupore generale.  “Non posso permettertelo, non con buona parte dell’esercito telmarino ancora in circolazione e bramoso di vendetta. Ti faresti solo ammazzare” .  A quelle parole, Peter sorrise amaramente.   

 “ Ho già rischiato la mia vita per queste terre innumerevoli volte, Caspian, e ne sono sempre uscito vivo. Una in più non farà la differenza” aggiunse poi con tono altrettanto disilluso, tornando per un attimo ad essere un re con alle spalle quindici anni di regno, e non un diciannovenne che tentava di portare avanti una missione decisamente più grande di lui. “ In più, non sarà solo” intervenne Edmund risoluto, alzandosi in piedi come il fratello maggiore e portando anch’egli la mano all’elsa della spada con fare serioso.  “Io andrò con lui. Sai bene che so muovermi piuttosto bene in politica, Caspian “ ribadì, sfoggiando un’espressione al contempo decisa e deliberatamente provocatoria: sapeva infatti di essere il più indicato per operazioni diplomatiche di quel tipo, e che Caspian sarebbe stato un vero sciocco a rifiutare un’offerta del genere dai due re dell’Età dell’Oro. Caspian, dal canto suo, era più che consapevole che fosse una proposta intelligente, forse l’unica vera soluzione a quel momento di crisi, ma rimaneva comunque restio all’idea di gettare i suoi due più fidati amici e consiglieri in pasto ad una  nobiltà arrabbiata e bramosa di potere. Il giovane re si volse allora verso Lucy e Susan, che avevano osservato in silenzio l’intera scena ma entrambe non riuscivano a nascondere del tutto un’espressione evidentemente contrita e preoccupata.

“Cosa ne pensate voi due?” chiese loro Caspian, dedicando particolare attenzione alle reazioni della regina Susan. Quest’ultima sospirò sommessamente, poi disse: “Edmund e Peter hanno ragione, Caspian: la loro esperienza è l’arma migliore che abbiamo in questo momento, e dobbiamo sfruttarla. Fidati di loro: non ti deluderanno”. Gli occhi azzurri e limpidi della ragazza, identici a quelli di Peter, inchiodarono quelli di ossidiana di Caspian, il quale trasalì appena per l’intensità di quello sguardo. 

“Ma è una follia!” esclamò in quel momento Lucy, la voce resa più acuta dalla preoccupazione. “Susan, come puoi dire una cosa del genere? Si faranno ammazzare!” . “Non vedi che non ci sono alternative? Se non agiamo in qualche modo, se non cerchiamo in fretta di rinsaldare le alleanze, finiremo per farci ammazzare tutti quanti davvero, Lucy. E non sarà piacevole” . Susan aveva parlato in modo accorato, con gli occhi lucidi per l’ansia e la tensione, ma aveva ragione: la proposta di Peter ed Edmund era la più ragionevole cui fossero giunti, e sarebbe stato assurdo non prenderla in seria considerazione. Lucy si accasciò sulla sedia in segno di resa, nonostante la sua espressione fosse tutt’altro che arrendevole: gli occhi verde bottiglia, infatti, dardeggiavano furiosi da un lato all’altro della sala, come a voler sottolineare che accettava la proposta dei fratelli, ma di certo non era d’accordo con essa.

“Molto bene, allora. E’ deciso” disse Caspian con fermezza.  “Sarete miei ambasciatori presso i Lord più potenti di queste terre, e farete in modo che si alleino con noi. Trufflehunter, sii cortese: va’ a recuperare il sigillo reale, così che possa consegnarlo ufficialmente a re Peter e re Edmund. Che tutti sappiano che viaggiano sotto il vessillo di Narnia e del Leone” . Il tasso, con una rapida riverenza, si dileguò dalla sala del Consiglio, che esplose di approvazione alle parole del re mentre Peter ed Edmund si inchinavano leggermente, in segno di ossequio e rispetto per l’incarico appena ricevuto. Quando i due sovrani si furono seduti di nuovo ai loro posti, prese parola Cornelius. 

“Da dove intendete iniziare il vostro viaggio diplomatico, Altezze?” chiese con fare pratico. “Andrete subito ad Archen?  La corte di Anvard pare sia tanto bella quanto insidiosa” . 

Peter ed Edmund, a quelle parole, si scambiarono uno sguardo di intesa talmente intenso, che Caspian, notandolo, ebbe subito chiaro che i due re avevano già discusso a lungo di come muoversi in quella situazione politica così strana e instabile, e che molto probabilmente progettavano il viaggio diplomatico da tempo. Per un istante ne fu infastidito, ma d’altronde c’era da aspettarselo: i due fratelli avevano governato per anni insieme, e insieme avevano affrontato decine di battaglie, cosa che aveva creato nel tempo un legame e una sintonia assoluti. Era un dato di fatto che Caspian doveva accettare se sperava di regnare con successo su quelle stesse terre che, un tempo, erano state governate dalla lungimiranza e dall’abilità dei quattro Pavensie. 

“A dire il vero, pensavamo ad una prima tappa diversa” rispose Edmund al dottor Cornelius, cercando l’appoggio del fratello maggiore con lo sguardo. “In effetti, vorremmo incontrare il Duca di Beruna”. 

L’intera sala del Consiglio esplose come un sol uomo, protestando con così tanta vivacità che Edmund fece una smorfia di sincero disappunto. Caspian, dal canto suo, strabuzzò gli occhi e si scagliò contro i due fratelli dimentico di ogni formalità. 

“Vi siete bevuti il cervello?  Il ducato di Beruna è stato alleato dei telmarini fin dalla loro ascesa con Caspian I, non stringerà mai una alleanza con dei narniani. Se vi presenterete al castello di Beruna come miei ambasciatori, vi ritrovereste una freccia piantata in gola prima ancora che possiate raggiungere il ponte levatoio!”.  Caspian vide Susan trasalire alle sue parole, e si rimproverò immediatamente di essere stato così duro e schietto con Peter ed Edmund. D’altra parte, però, il giovane re aveva ragione: il Duca di Beruna era un uomo molto ricco e potente, e il suo ducato era stato per secoli alleato dei telmarini, sostenendo inoltre con ingenti risorse finanziarie l’ultima campagna di Miraz. Nulla lasciava credere che si sarebbe lasciato convincere a stringere un patto coi narniani, tanto meno se promosso da due ambasciatori adolescenti. 

“Lord Meridion è un uomo molto pericoloso, è vero” intervenne allora Peter con fare ragionevole, cercando di placare gli animi. “Ma è anche e soprattutto un uomo d’affari. Sa bene che l’ultima campagna di tuo zio gli è costata un patrimonio, sia in termini di denaro che di uomini, e ora come ora non può permettersi di schierarsi dalla parte del perdente. Non di nuovo, per lo meno”.  Il re Supremo guardava fisso Caspian, che però continuava a scuotere la testa, per niente convinto. 

“Sono  convinto” riprese Peter, ignorando il disappunto del re, - “che con la giusta proposta e con la retorica di Edmund, potremmo portare dalla nostra un alleato prezioso. Il suo Ducato è in una posizione strategica incredibilmente importante, Caspian, ed è troppo ricco per rischiare che si allei con Archen o con chiunque altro! Se riusciamo a convincere Meridion, un’intera schiera di nobili e Lord seguirà il suo esempio” . 

“Se non per avere te come alleato, quanto meno per non rischiare di avere il Duca di Beruna come nemico” rincarò Edmund con tagliente schiettezza . 

Caspian si voltò in direzione del dottor Cornelius, il quale era accigliato e si grattava la barba pensieroso, soppesando le parole dei due re. Peter ed Edmund erano stati convincenti, e Caspian doveva ammettere che avere un alleato come Lord Meridion lo allettava non poco, ma era anche consapevole dell’estrema pericolosità di quella manovra diplomatica, e temeva davvero che al minimo passo falso i due giovani re si sarebbero trovati infilzati nelle spade del Duca senza troppe cerimonie. Sospirò a fondo, cercando di riflettere in fretta : se Peter ed Edmund fossero morti per una sua avventatezza non se lo sarebbe mai perdonato - e neanche Susan, molto probabilmente, lo avrebbe mai fatto. D’altro canto, però, poteva essere l’unica, vera occasione per farsi un alleato davvero potente, cosa che avrebbe di certo risollevato le sorti di Narnia e del suo regno: era infatti certo che il discorso di Peter fosse più che corretto, e che se fossero riusciti ad assicurarsi la lealtà di Meridion molti altri Lord sarebbero stati spronati a seguire il suo esempio. Si sentì d’un tratto incredibilmente frustrato: non gli piaceva affatto l’idea di mettere in pericolo le vite dei suoi amici e consiglieri per ottenere un’alleanza, ma non vedeva altra via d’uscita. Inoltre, re Peter era pur sempre il re Supremo, e aveva comunque l’ultima parola su tutto;  se aveva deciso di andare a Beruna per tentare di ingraziarsi il Duca, lo avrebbe fatto in ogni caso. Tanto valeva che lo facesse col suo beneplacito ufficiale. 

“Sei incredibilmente testardo, re Supremo” disse infine Caspian con tono severo. “Ma in fondo, è proprio per questo che ti sei guadagnato la mia stima e il mio rispetto. Tu ed Edmund avete la mia autorizzazione ufficiale: partirete per Beruna quando vi sembrerà più opportuno, ma lasciate almeno che invii un messaggio al Duca”

Peter ed Edmund annuirono scambiandosi uno sguardo di trionfo, e nonostante le riserve iniziali da parte di tutti, la risposta affermativa del re fece sollevare un sonoro scroscio d’applausi. Quella logorante riunione del Consiglio poteva dirsi finalmente chiusa, e per quanto fossero giunti ad una decisione difficile, in tutti vi era la speranza che essa potesse portare ad un risvolto positivo per il regno.  

“E’ andata bene, tutto sommato” disse Edmund accostandosi a Peter, mentre entrambi si dirigevano verso la sala dei banchetti per la cena. Peter sorrise sommessamente, lasciando che Lucy e Briscola li superassero chiacchierando concitati tra di loro. 

“Sì, direi di sì” disse infine il re Supremo, volgendosi verso il fratello con uno sguardo grave nei limpidi occhi azzurri.  “Ma sarà una missione molto pericolosa, Ed. Dovremo muoverci con estrema cautela. Lo sai, vero?”. 

Edmund sbottò in una mezza risata, passandosi distrattamente una mano tra i capelli corvini. “Credi che non sappia che rischiamo di trovarci una bella lama nello stomaco per una parola di troppo, Pete? Abbiamo vissuto in queste terre per quasi vent’anni, so come funzionano le cose. D’altra parte, però…”. 

“Cosa?” lo incalzò Peter.  Il fratello minore alzò gli occhi nocciola su di lui, sfoggiando una delle sue più fastidiose espressioni sardoniche. 

“Come si dice in questi casi? Fortuna audaces iuvat, fratello mio” . 

Peter borbottò qualcosa in risposta, sperando ardentemente in cuor suo che Edmund avesse ragione. 

 

 

 

***

 

Avalon - roccaforte ribelle di Nurmenghard 

 

Ginevra Pendragon, in tutta la genuina sfacciataggine dei suoi diciassette anni, aveva sempre pensato di essere piuttosto brava come stratega, sebbene fosse relativamente giovane. In effetti era difficile biasimarla: nonostante la sua età era uno dei migliori soldati di suo padre, e godeva di uno spiccato intuito militare che era le era valso la stima e il rispetto di molti dei guerrieri più anziani e navigati. Tuttavia, sebbene gli argomenti a favore della sua abilità bellica fossero di fatto indiscutibili, la giovane principessa delle fate se ne stava china su una dettagliata mappa di Avalon, al centro della piazza d’armi della roccaforte, con una espressione tutt’altro che soddisfatta dipinta sul volto scultoreo. La situazione era davvero preoccupante: le armate di suo zio Sarastro, che aveva preso il potere del regno con un colpo di mano ormai due anni fa strappandolo al fratello maggiore, legittimo re di Avalon, erano sempre più potenti e numerose, e avanzano quasi inarrestabili verso gli ultimi avamposti ribelli rimasti a combattere per Oberon. La roccaforte di Nurmenghard era uno di questi, ma erano mesi ormai che tre compagnie di soldati nemici pattugliavano le zone limitrofe e la vicina foresta di Therandor, in attesa del momento propizio per sferrare un attacco e prenderne possesso. La roccaforte era uno degli ultimi, veri baluardi della resistenza insieme all’avamposto di Serafan, incastonato tra le montagne e, per la sua posizione ottimale, praticamente imprendibile: se fosse caduta nelle mani dello zio, solo l’avamposto avrebbe potuto arginare le forze del tiranno, e per Avalon e il suo popolo sarebbe stata una lenta e rovinosa agonia. 

“Dannazione!” esclamò improvvisamente la ragazza, ribollendo di frustrazione. Erano giorni che passava intere ore china sulla mappa del regno, tentando di studiare un piano d’attacco che permettesse ai ribelli di respingere i soldati dello zio nella foresta senza lasciare sguarnito il castello, ma non era ancora riuscita a venirne a capo. Si sentiva terribilmente impotente, e temeva che la sua incapacità di trovare alla svelta una soluzione avrebbe finito per compromettere ancor di più la precaria situazione dei ribelli e del suo popolo. 

“Che fai, parli da sola?” . 

Una voce femminile, limpida e famigliare, le arrivò alle orecchie facendola trasalire per la sorpresa. Di fronte a lei, dall’altro capo del tavolo su cui stava posata la mappa di Avalon, stava una ragazza di circa sedici anni, vestita da uomo e armata di tutto punto, nonché incredibilmente bella. Una lunga massa di capelli rossi le incorniciava il viso dai lineamenti perfettamente disegnati e completamente cosparso di lentiggini, al centro del quale si aprivano due penetranti occhi di un blu così intenso da apparire quasi viola. Sotto la folta matassa di capelli fulvi, tenuti indietro da una semplice fascia di tessuto nero, era impossibile non notare due delicate orecchie a punta, segno della sua appartenenza alla razza elfica. 

Ginevra rivolse all’amica un’eloquente occhiataccia, tornando a rivolgere la sua attenzione alla mappa senza dire una parola. L’elfa, tuttavia, non gradì di esser ignorata, perché incrociò le braccia al petto e prese a picchiettare nervosamente lo stivale sulla pietra del pavimento, finché la principessa non sollevò gli occhi dal tavolo visibilmente spazientita.  

 “Ti prego, Brianna, non è proprio il momento” disse infine con tono acido. L’elfa inarcò le sopracciglia, per niente contenta della risposta sgarbata ricevuta. 

“Non è il momento per cosa, esattamente?”replicò, sbattendo le mani con decisione sulla mappa e facendola sussultare.  “Per dormire? Per mangiare qualcosa? Hai un aspetto orribile, saranno giorni che non ti dai tregua!” .  Ginevra sospirò pesantemente, esasperata. Tutti non facevano che ripeterle la stessa cosa, e sperava che almeno la sua più grande amica avrebbe capito cosa le passava per la testa senza fare troppe domande.  Sollevò lo sguardo verso l’elfa piantandole addosso un paio d’occhi di un verde mozzafiato, brillante e corposo come quello delle colline sotto il sole estivo. La loro bellezza, tuttavia, era irrimediabilmente turbata da profonde occhiaie gonfie e grigiastre, che davano veridicità al rimprovero di Brianna. 

“Speravo di non doverlo spiegare anche a te” mormorò Ginevra, continuando a fissare l’amica.  “Se non troviamo in fretta un modo per respingere le compagnie di soldati che bivaccano indisturbate nella foresta, potremmo essere assediati con sorprendente rapidità”.  Brianna, a quelle parole, picchiò nuovamente la mano sul tavolo in segno di frustrazione. “Se ti lasci morire di fame e di sonno, non sarai mia abbastanza lucida per pensare! E allora sì che ci infilzeranno come spiedini, ma solo perché TU non hai dato retta a ME quando ti dicevo di prenderti una pausa!” . 

Ginevra contrasse la mascella nervosamente. Una parte di sé sapeva che l’amica aveva ragione - e anche il suo stomaco, in effetti, reclamava a gran voce qualcosa da mangiare -, d’altra parte, però, non riusciva ad allontanare il pensiero snervante che se avesse abbandonato il suo lavoro sarebbe successo qualcosa di irrimediabile. Si passò distrattamente una mano tra i capelli, scuotendoli appena; quelli brillarono come specchi sotto il sole del pomeriggio, che ne esaltava incredibilmente l’insolito biondo fragola ereditato dalla madre. Quel gesto le ricordò quanto spesso  le dicessero che, se non fosse stato per il colore dei capelli, si sarebbe potuto pensare che fosse nata dal solo  Oberon tanta era la somiglianza col re, e le sfuggì un sorriso. 

“Sono lieta di averti divertita” fece Brianna con vena polemica.  “Ma ero piuttosto seria quando dicevo che…”. 

La voce dell’elfa venne improvvisamente interrotta dal rombo sonoro dei corni delle guardie, che con tre lunghi squilli segnalavano un avvicinamento alla roccaforte. Le due ragazze si scambiarono un fugace sguardo preoccupato, e corsero veloci verso la più vicina torretta di avvistamento. “Chi c’è?” urlò Ginevra ad una delle guardie sulla torretta. 

“E’ vostro fratello Therus, principessa”  rispose quella sporgendosi dabbasso.  “Sta tornando con la sua squadra di esploratori, ma… aspettate!”.

“Cosa? Cosa vedete?” incalzò Brianna. La guardia non rispose, ma le due ragazze la sentirono imprecare mentre afferrava un pesante campanello d’ottone e iniziava a scuoterlo selvaggiamente, segnalando alle altre guardie di aprire i portoni. “Sono feriti, Altezza!”  gridò allora la guardia rivolto a Ginevra, continuando a scampanellare .  “Con loro c’è un ferito, hanno appena issato la bandiera rossa!” . 

Ginevra e Brianna si scambiarono un altro sguardo contrito, e corsero verso il portone principale nello stesso momento in cui questo si aprì per lasciare entrare la squadra di ricognizione.

“GINEVRA!” .

L’urlo di suo fratello la fece trasalire, e si affrettò a raggiungere lui e i suoi uomini mente Brianna, pochi passi dietro di lei, ordinava alle guardie di richiudere immediatamente il portone. La principessa raggiunse trafelata la squadra di ricognizione, accorgendosi con orrore del corpo esanime di un giovane, completamente ricoperto di sangue, che due compagni stavano trasportando. “E’ Kilian” . La voce di suo fratello le arrivò come da molto lontano.  “E’ solo un ragazzo…”. 

“Per Aslan, che diavolo è successo? “ esclamò in quel momento Brianna avvicinandosi.  “Non statevene lì impalati, portiamolo dentro immediatamente!” . I compagni che trasportavano il ragazzo non se lo fecero ripetere due volte, e corsero tutti alla volta di una delle stanze che dava sulla piazza d’armi. Una volta entrati, quelli che non trasportavano il corpo si affrettarono a liberare due tavoli dalle cianfrusaglie così da adagiarvi sopra il  ferito, che assumeva via via un colorito sempre più grigiastro. Una volta che fu disteso, Ginevra gli si avvicinò e strappò con un colpo secco di pugnale la tunica bianca totalmente zuppa di sangue, togliendo i lembi di tessuto dalla carne viva e scoprendo una profonda ferita all’addome che non accennava minimamente a smettere di sanguinare. Fece una smorfia: c’era solo un motivo per cui la ferita inferta ad una fata non guariva da sola, e la risposta non le piaceva per niente. Il leggero quanto insolito odore di menta e violette che emanava la ferita le confermò ciò che stava pensando.

“Sorbo degli uccellatori” sussurrò con voce roca.  “La lama che lo ha ferito doveva esserne impregnata, ecco perché non guarisce” .  Sul volto del fratello e dei suoi commilitoni si dipinsero delle espressioni di puro orrore. Il sorbo degli uccellatori era una delle poche cose in grado di uccidere una fata, e si diceva che provocasse dolori inimmaginabili mentre il veleno si faceva strada nel sangue e nelle membra della sua vittima. “Non c’è tempo da perdere” disse con voce più sicura, la mente straordinariamente lucida, come se qualcuno le avesse improvvisamente dettato istruzioni precise sul da farsi. “Servono bende pulite e acqua calda; Brianna, tu va’ in infermeria e prendi tutte le erbe che ci sono. Therus…” si rivolse infine al fratello, che la fissava con serietà da un paio d’occhi smeraldini identici ai suoi, una maschera di marmo dipinta sul volto.  “Therus, ho bisogno che tu resti qui con me. Dobbiamo trovare un modo per svegliarlo: da svenuto i suoi poteri sono inattivi, e non avremo alcuna speranza di salvarlo. Forza!” . 

Tutti eseguirono diligentemente gli ordini della principessa senza batter ciglio, dileguandosi veloci da quella  sala operatoria improvvisata e tornando poco con quanto richiesto da Ginevra. La ragazza si affrettò a pulire la ferita con gesti rapidi e precisi, dopodiché si rivolse ancora al fratello. 

“ Therus, ora devi tenerlo fermo” disse in sussurro. “Perchè quello che sto per fare non sarà affatto piacevole…”. Così dicendo socchiuse gli occhi e, chiedendo mentalmente scusa al suo paziente, assestò una decisa gomitata all’addome ferito del giovane. Quello spalancò di colpo gli occhi, urlando di dolore e contorcendosi, le gambe prese da incontrollabili spasmi di sofferenza; Therus tuttavia, ligio alle indicazioni della sorella, lo tenne ben fermo dalle spalle, evitandogli così di spaccarsi le costole. 

“Si può sapere che cosa hai in mente?” le urlò Brianna, mentre correva dall’altro capo del tavolo e tentava di tenere ferme le gambe di Kilian. Ginevra nel frattempo armeggiava freneticamente tra le boccette e i contenitori di erbe che Brianna le aveva portato, imprecando sommessamente ad ogni urlo di dolore del suo paziente. Dopo diversi minuti, finalmente, emise un’esclamazione di vittoria e afferrò qualche foglia verde intenso da un contenitore quadrato, iniziando a pestarle con una pietra e a mischiarle con l’acqua calda fino a creare una densa poltiglia. Dopodiché spalmò il composto sulla ferita ancora sanguinante di Kilian, che cacciò un’ultimo, lancinante urlo di dolore e si afflosciò, immobile e pallido come un cencio. Ginevra deglutì piano, scoprendo di avere la bocca secca come paglia. Nessuno osava muovere un muscolo, ed era calato un silenzio di tomba. La principessa si avvicinò cauta al corpo inerme del ragazzo, sul cui bel viso era scomparsa qualsiasi traccia di sofferenza e sembrava stesse riposando placido. Accostò due dita tremanti alla giugulare, temendo il peggio, e quasi pianse di gioia sentendo il battito leggero ma regolare del sangue che pulsava nelle vene. Alzò il viso verso suo fratello, che non aveva spiccicato parola per tutto quel tempo, e gli rivolse un sorriso raggiante. 

“ E’ vivo” mormorò Ginevra con voce roca. “Si riprenderà”. 

Le sue parole vennero accolte dalle grida di gioia e tripudio dei suoi compagni, mentre Brianna le correva vicino e la abbracciava forte, come se fosse stata lei sul punto di morire. 

“ Sei stata eccezionale” le sussurrò nell’incavo del collo. “Gli hai salvato la vita”. Ginevra rispose all’abbraccio, grata per quella inaspettata dimostrazione d’affetto. 

“ Brianna ha ragione” intervenne Therus, sorridendole anche lui, mentre i suoi uomini si dileguavano per festeggiare adeguatamente e le due amiche si scioglievano dall’abbraccio. Il maggiore dei Pendragon afferrò una sedia e vi si accasciò pesantemente con un gran sbatacchiare di armi, lasciando finalmente scivolar via tutta la stanchezza e la tensione accumulate. Ginevra lo imitò e gli si sedette affianco, facendo un tacito cenno all’elfa che annuì e li lasciò soli. Stettero in silenzio diversi minuti, con il solo, lieve respiro di Kilian a tener loro compagnia. Ginevra conosceva abbastanza bene suo fratello per sapere che, in casi del genere, non andava forzato, e che avrebbe parlato solo quando si sarebbe sentito pronto a farlo. 

“ Erano il doppio di noi. Ci hanno accerchiati nei pressi di Radura del Falco, siamo riusciti a scappare per un soffio” disse ad un tratto Therus, non riuscendo a distogliere lo sguardo dalla ferita di Kilian. Si schiarì la voce tremante con un colpo di tosse. “Per lo più elfi, il che spiega come siano riusciti ad impregnare le lame di sorbo senza avvelenarsi loro stessi” continuò. “ Ovviamente niente di tutto ciò gioca a nostro favore, perché significa che nostro zio è riuscito a tirare dalla sua altre famiglie. In effetti, su alcuni di loro mi è sembrato di riconoscere lo stemma dei Gormenghast” .  Ginevra fece una smorfia e imprecò a mezza voce: i Gormenghast erano tra le più ricche e potenti famiglie del regno, e il fatto che combattessero tra le fila dello zio non era certo rincuorante. 

“ Ci sarà mai qualche buona notizia?” chiese ad alta voce, più a se stessa che al fratello. La guerra era logorante e si combatteva senza tregua un giorno dopo l’altro, costringendoli ad uno stato di allerta costante. Gli uomini della resistenza si erano sempre dimostrati valorosi e di animo saldo, ma Ginevra sapeva bene che guerre di quel tipo rischiavano di portare ad una lenta ed inesorabile pazzia anche il guerriero più impavido. Sotto certi aspetti era decisamente più allettante l’idea di morire subito: meglio una lama nel petto, rapida ed immediata, piuttosto che perdere il senno in anni e anni di combattimenti. La voce del fratello, ora più calma e profonda,  la riscosse dai suoi pensieri. 

“ Lo spero. Nel frattempo, l’unica cosa che ci rimane da fare è continuare a combattere”. 

Ginevra annuì grave, e mentre osservava il colorito di Kilian farsi via via più roseo abbozzò un sorriso. Posò poi gli occhi sul fratello, accorgendosi solo in quel momento che lui la stava già guardando con un misto di affetto e rassegnazione. 

“ Già” disse infine. “ Non ci resta nient’altro”. 

 

 

 

 

 

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- PERSONAL CORNER - 

 

Eccomi di nuovo! Ho deciso di pubblicare insieme prologo e primo cap per cercare di darvi subito uno sguardo il più generale possibile sulla storia. Che dire, spero vi sia piaciuto! E’ solo il primo capitolo, quindi mi sono concentrata per lo più nel presentare i personaggi e nel cominciare a delinearli, ma come vedete ho già inserito qualche spunto per guidarvi nel successivo svolgimento della storia:) 

Come al solito invito chiunque sia rimasto sufficientemente incuriosito dalla lettura di lasciare un commentino, per me le vostre critiche sono linfa vitale per migliorare ogni volta il mio lavoro. 

Cercherò di aggiornare ogni settimana,  con l’augurio che lo studio universitario et similia me lo permettano. Il capitolo II comunque è già in scrittura, quindi spero proprio di riuscire a pubblicarlo già settimana prossima. 

Vi mando tanti baci e abbracci:) 

Sempre vostra, 

 

A.

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