The Keepsake Tales

di ChocoCat
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'assassina di ricordi ***
Capitolo 3: *** Quando si perde la passaporta che da tempo si aspettava ***
Capitolo 4: *** Prova a premere il Rewind ***
Capitolo 5: *** Io invece ero aria, e tu, tu eri come me ***
Capitolo 6: *** Di strani sogni e Ghermidori ***
Capitolo 7: *** In trappola ***
Capitolo 8: *** Bombarda Maxima ***
Capitolo 9: *** Una lettera scarlatta ***
Capitolo 10: *** Di piani, menzogne e carta bianca ***
Capitolo 11: *** Quella parte di me che odio di più ***
Capitolo 12: *** Il bacio del serpente ***
Capitolo 13: *** Mezzosangue, prigionieri ed ecchimotici ***
Capitolo 14: *** Di Amore, libero, e Barbablù ***
Capitolo 15: *** Lezioni di vita ***
Capitolo 16: *** Nell'occhio del ciclone ***
Capitolo 17: *** Troppo di tutto ***
Capitolo 18: *** Pezzo dopo pezzo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo





Alle volte accadono stranezze anche nel mondo dei portatori di bacchette; basta un incantesimo sbroccato

...tentare la sorte impugnando il pugnale dei ricordi senza paura di ferirsi.

Perché la materia ama se stessa, e non vuole abbandonarsi. Quei preziosi fantasmi del suo passato non volevano lasciare il mondo.

Vagarono attorno a lei in un chiarore argenteo, contornarono il letto di Ron, scintillarono vicino a Seamus ma scesero le scale, come il fumo durante l’incendio, alla ricerca di un’anima spezzata.

Chi sarebbe stato?

Ronald dal cuore puro e il temperamento vermiglio? George e i suoi ricordi di Fred? Molly sfiancata dalla perdita del figlio, braccata dai sensi di colpa?

La stria argentea esitò a lungo su di lei, esitò a lungo su George e superò Ron accarezzandolo appena, spostandogli impercettibilmente le punte dei capelli, e ben presto trovò un luogo perfetto in cui posarsi.

C’era qualcuno, in quella casa, che aveva già subito un incantesimo di memoria permanente.

Quel ragazzo ormai uomo aveva un’insenatura perfetta nell’anima, che quei ricordi coscienti riconobbero come fosse il loro luogo d’origine, perché in un certo senso lo era.

Erano ricordi condivisi, di un amore pazzo e sconsiderato, giudicato frettolosamente immeritevole e cancellato dalla faccia della terra.

La scia argentea si adagiò e i lembi della ferita in quell’anima combaciarono nuovamente.

Hermione perse una parte di sé. Lui riacquistò i ricordi, da un altro punto di vista, ma che importanza aveva?

La materia ama se stessa, e non si sarebbe più lasciata abbandonare.







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Capitolo 2
*** L'assassina di ricordi ***





Note dell'autrice: 1) Per qualche strano motivo il primo capitolo risulta essere questo, ma c'è un PROLOGO! Basta andare indietro di un capitolo ;) 2)Questo capitolo è un po' lento, devo ammetterlo; mi sono persa in mille descrizioni, ma l'ho lavorato molto e non sono riuscita a capire dove tagliare e dove no; ogni parola mi sembrava utile. Non fermatevi alle apparenze, il ritmo cambia con il susseguirsi delle vicende. Ogni personaggio avrà la sua fetta di protagonismo, per cui se all'inizio il vostro favorito scompare per un po' non allarmatevi: tornerà alla carica :-) buona_lettura!


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1.

Era ancora una ragazzina impacciata, quando si ritrovò davanti al proprio riflesso per truccarsi. Perché il mascara non era mai simmetrico e le sue labbra sembravano una salsiccia al sanguinaccio?

Dopo un sospiro carico d’impazienza, Hermione prese un batuffolo di cotone e cancellò ogni traccia del turpe misfatto. Una giovane strega non ha di questi problemi, normalmente, eppure lei si sentì incapace di sfoderare la bacchetta magica. Tremava un po’ la mano che scendeva a stirare le pieghe dell’abito, al pensiero di ciò che l’aspettava.

Il naso a punta, gli occhi spenti, le guance morbide ma pallide erano il suo nuovo ritratto quotidiano. Non se ne accorse nemmeno, di quella sua brutta cera, guardandosi e tentando di ravvivarsi il ciuffo che le si arricciava ribelle in mezzo alla fronte; era da un po’ che non si guardava più abbastanza da vicino. Riunì i capelli in una treccia abbastanza elegante, poi in punta di piedi raccolse i vestiti sparsi sull’antico parquet e si avviò per indossare il cappotto.

In effetti nemmeno da ragazzina aveva passato tanto tempo davanti allo specchio; aveva avuto ben altro a cui pensare, soprattutto l’ultimo anno di scuola a Hogwarts, che aveva frequentato daccapo in seguito alla caduta del Signore Oscuro; non poteva sopportare l’idea di aver perso un anno intero di vita da latitante, e sapeva che questo avrebbe inciso sulla sua futura carriera, ma non aveva avuto altra scelta; e con lei, tutti quelli che erano stati colpiti più o meno direttamente dal morbo di chi stava dalla parte dell’Opposizione e dell’Ordine della fenice.

Hermione, ventitré anni appena compiuti, era diventata una strega eccezionale; paziente, capace, eccessivamente brillante; le sue qualità e la vocazione allo studio l’avevano portata ad iscriversi all’Istituto di Storia della magia di Dublino –il più famoso, in Europa!- e, contemporaneamente, a lavorare in una biblioteca Babbana del Comune per mettere da parte qualcosa.
Così, mentre ci si aggirava per il suo piccolo bilocale ottenuto con tante rinunce, si potevano osservare pile di libri di ogni genere troneggiare sulla stanza e tappezzare le pareti, ingombrare l’unica scrivania e il piccolo tavolo a mezzaluna di alluminio laccato in bianco che lei teneva perennemente aperto contro il muro; era il suo tavolo da pranzo, la sua vera scrivania –si concentrava meglio, perché dava sull’unica finestra della stanza- e in genere era anche la postazione di controllo preferita dal suo gatto.
La cucina si riduceva a un lavello basso e consunto in alluminio e un piccolo forno a gas; c’era un ripiano, ancorato al muro, anch’esso ricoperto di libri. Chiunque si sarebbe chiesto come potesse cucinare in un luogo simile ma Hermione poteva far bollire l’acqua con una bacchetta, e quello era niente, niente in confronto ai potenti incantesimi di cui era padrona.
Avrebbe potuto cuocere un troll in umido, se solo l’avesse voluto, in quell’angusta cucina che dava sul salotto, sullo studio e sulla camera da letto insieme.

I passi di Hermione risultavano delicati sul parquet, quasi avesse una vicina di casa del piano di sotto che non sopportasse i rumori molesti; eppure sotto al suo appartamento c’era una lavanderia, e in quel momento, alle otto e mezzo di sabato sera, era chiusa. Un tappeto logoro di color verde bottiglia dava un po’ di tono all’ambiente, ma non poteva nascondere con i suoi angoli arricciati certi vecchi graffi del legno sottostante; segnava inoltre la stanza, rendendola più piccola, alzando i muri a tal punto da farla sembrare un largo corridoio. La luce era anch’essa scarsa, concentrata nei punti chiave dell’abitacolo, dove lei soleva accovacciarsi con un libro in grembo e una tazza di the al limone in mano. La sua coperta in tweed era ripiegata ordinatamente sulla scrivania, segno che era appena stata riposta dopo una lunga giornata di studio.

Non potendo permettersi una libreria grande a sufficienza, Hermione teneva i suoi libri impilati gli uni sugli altri e succedeva che spendesse un pomeriggio a settimana per spolverarli tutti e mantenerli in ordine. Capitava spesso, inoltre, che fra i suoi libri ce ne fossero in prestito due-tre alla settimana provenienti dalla Biblioteca comunale. Libri Babbani, come lo era lei di nascita.

Fra due colonne dominanti di grossi volumi magici, dalla parte opposta dell’appartamento, spuntava il suo gatto Grattastinchi; era acciambellato sull’unica poltrona di stoffa e la guardava spostarsi avanti e indietro da una stanza all’altra con la calma dell’acuto osservatore che era. Erano anni che la vedeva comportarsi in quel modo; appariva determinata, tranquilla, felice a un occhio disattento, ma Grattastinchi non perdeva di vista la sua pupilla. Hermione era perennemente ansiosa.
Quando studiava si avvolgeva nella coperta e sprofondava nella poltrona, oppure si accovacciava sul tavolino, penna d’aquila in mano, con una borsa d’acqua bollente, costantemente alla ricerca di calore. Non si stupiva, quella maestosa creatura dal pelo fulvo, quando improvvisamente suonava il campanello e lei s’illuminava; dopo qualche minuto di chiacchiere con Harry o dopo un bacio di Ronald, Hermione sentiva il bisogno di togliere uno dei maglioni in lana fatto in casa che indossava a strati quando era da sola. Poi, appena se ne andavano, tornava a far bollire un po’ d’acqua per fare il the. Lo prendeva bollente e poi lo lasciava intiepidire fra le mani, assorbendone i caldi raggi attraverso la pelle.

Così, quando quella sera Ronald suonò il campanello di casa Granger, Grattastinchi si stiracchiò e prese a pulirsi il pelo con soddisfazione. Hermione arrivò all’istante, con le scarpe dai tacchi a punta in mano, per aprirgli la porta.

“Herm, tesoro”

“Ehi”

La ragazza sorrise rapidamente, poi si sedette ai piedi della poltrona, sul suo tappeto verde, per indossare le scarpe. Mentre già allacciava il secondo cinturino, il gatto fulvo si arrestò e la squadrò brevemente, poi riprese il suo lavoro con finta indifferenza.

Era molto bella, con quell’abito viola melanzana; sembrava quasi ridare colore alle sue guance, ma non ebbe lo stesso effetto benefico sul suo umore; la mano tremava e mentre lei si rialzava tornò a lisciare le pieghe già ordinate della gonna. Ron, dal canto suo, non si era accorto di niente.
La osservava, trepidante, con lo sguardo che ha solo un uomo innamorato.
Ai suoi occhi, quei riccioli che irti sfuggivano alla treccia e quei polsi fini che scendevano lungo i fianchi, fra le volute color melanzana, erano semplicemente mozzafiato.
Tuttavia, quell’esile mano destra, sapiente portatrice di bacchetta, non volle smettere di tremare.

“Andiamo, sei pronta?”

“Sì…” e con aria decisa Hermione raccolse la bacchetta e lo seguì sotto l’uscio, non prima di aver spento
le luci e aver mandato un bacio al gatto ancora seduto con aria scettica sulla poltrona.

Grattastinchi rimasse immobile, e neppure il più realista degli uomini avrebbe potuto negare l’aria assorta e preoccupata di quello sguardo d’oro felino che ancora fissava la porta.
Quella sera, Hermione nascondeva decisamente qualcosa.



2.

Harry Potter dormiva beato sul suo divano sfondato in pelle all’incirca da quando era tornato a casa dopo il lavoro; erano già passate un paio d’ore, eppure non voleva saperne di svegliarsi.

Quel pomeriggio da Olivanders c’era stata una nuova consegna di fasci di legni pregiati per bacchette, e dato che il signor Olivanders non era più in grado di fare molto, da solo, Harry aveva passato l’intero mese di giugno a occuparsi del negozio.
Certo, questo infieriva leggermente sul suo rendimento all’Accademia degli Auror Londinese, ma non aveva saputo dire di no a un vecchio, seppur strambo, amico.
Passava le giornate fra ragazzini che riportavano bacchette rotte con le orecchie ancora rosse e strette fra le dita delle loro madri, gli allenamenti fisici dell’addestramento Auror e il laborioso ripasso degli incantesimi tutti nuovi da imparare che riceveva, in una lista a calligrafia infinitesimale su una pergamena lunga sessanta centimetri il primo di ogni mese da quasi due anni.

Dato che la fine dell’anno scolastico a Hogwarts coincideva con l’acquisto massivo delle bacchette per i maghi del primo anno non potevano permettersi di cominciare ad agosto a prepararle; il signor Olivanders ordinava il necessario già verso febbraio, e a giugno riceveva in quantità massicce i suoi misteriosi ingredienti.
Harry non riusciva a frenare la lingua, di fronte a una tale quantità di sostanze magiche sconosciute, tanto che oramai il vecchio mago aveva preso l’abitudine di spiegargli ogni cosa mentre lui si occupava di trasportarla nel negozio.

Olivanders, da quando era stato prigioniero del Signore Oscuro, aveva perso la sua bacchetta ma segnato a vita da quell’esperienza non aveva mai avuto il coraggio di costruirsene una nuova.

Si limitava a venderne, e come le costruisse per Harry era ancora un mistero.

C’era nel retrobottega del negozio una stanza chiusa in cui il giovane mago non aveva il diritto di entrare, e si era –stranamente per i suoi precedenti- attenuto agli ordini, fin ora.

Quel po’ di soldi che vi guadagnava, insieme alla piccola fortuna lasciata dai suoi genitori, gli avevano permesso di comprare così giovane un piccolo appartamento ammobiliato, caldo e confortevole. C’erano due stanze, un salotto, una cucina confortevole e un bel caminetto che usava spesso per comunicare con la famiglia Weasley, poiché da quando Edwige era scomparsa non aveva avuto il coraggio di sostituirla.

Fidanzato da più di tre anni con Ginny Weasley, abitava con lei in quella casetta londinese luminosa e centrale – a qualche passo da lì c’erano i negozi, un parco, perfino una stazione della metropolitana Babbana che prendeva regolarmente per sfizio- in cui però spesso e volentieri si ritrovava solo.
La ragazza, focosa in aspetto e in modi, era stata scelta come candidata ideale in un viaggio a scopi umanitari in Sud America con una compagnia di maghi. Era in pieno apprendistato di Curatrice e Medimago, e la sua ambizione era stata premiata molto precocemente.
Così Harry la vedeva saltuariamente e non poteva fare a meno di sognarla, su quel divano comodo su cui riposava, un giorno no e due sì, perché gli mancava da morire.

Era abituato a stare da solo, lo era stato per tutta la vita, ma da quando era finita la guerra non accettava più le mezze misure. Angoscia, sensi all’erta e incubi bui l’avevano abbandonato solo di recente. Fortunatamente, gli impegni non mancavano mai, e riusciva a distrarsi abbastanza da non soffrire troppo la sua assenza; ma quel giorno, il trentun luglio, era particolare perché era il suo ventitreesimo compleanno, e Ginny gli aveva promesso che avrebbe cercato di esserci, quella sera.



3.

Un bel ragazzo dai capelli rossicci e gli occhi di ghiaccio se ne stava imbambolato davanti all’ultima porta del corridoio più lungo che avesse mai visto, con numerosi promemoria che gli svolazzavano sopra la testa cinguettando furiosamente, e fra le braccia un cartone ricolmo di oggetti pesanti.
Ronald Weasley, più alto e dinoccolato che mai, aspettava il padre con un po’ di apprensione davanti all’ufficio che condividevano da circa una settimana.

Era successo tutto molto in fretta, gli avevano offerto il posto part time rapidamente, e si limitava a seguire il padre e sbrigare le faccende più semplici; era diventato il tuttofare del Dipartimento per l’Uso improprio dei Manufatti Babbani del Ministero.

Era felice di portare a casa un po’ di grana, soprattutto perché nel frattempo riusciva a pagarsi gli studi; come Harry, si allenava per diventare un Auror, ma era stato rimandato in troppi corsi a causa del lavoro ed era ancora al primo anno.

“Ron, porta pure tutto dentro, ho buttato le ultime scartoffie di Perkins… Ron, dove sei? Oh, eccoti!”

“Sbrigati pa’, se no la mamma si arrabbia molto stasera. È da una settimana che organizza la cena di compleanno di Harry…”

Ronald posò con poca delicatezza il macigno che teneva in braccio poco prima; al di sopra di tutti i libri e gli oggetti infilati alla rinfusa, c’era una foto di lui, Hermione e Harry che sorridevano ai tempi di scuola; dovevano avere dodici anni, a giudicare dal fatto che la ragazza era più alta di entrambi e dal suo sorriso spuntavano due incisivi leggermente sporgenti.

Le sorrise con affetto, poi guardò l’orologio e con uno scatto prese suo padre per la manica della veste e lo tirò con insistenza fuori dall’ufficio. Non era il caso di fare tardi, se ci tenevano alla pelle. Certo, la signora Weasley sapeva come farsi rispettare. Lo dicevano tutti in ufficio.



4.

Mentre il signor Weasley, che per l’occasione indossava una meravigliosa camicia a quadri con la cravatta ton sur ton –come un vero uomo d’affari, vero Harry?-, si accingeva ad aprire la porta della Tana al figlio accompagnato da Hermione, il giovane mago Seamus Finnigan chiacchierava animatamente di Quidditch ingoiando con rapidità sorprendente i biscotti glassati al cioccolato e menta piperita della signora Weasley.

“Tieni caro, e mettili sul tavolo questa volta” lo rammonì Molly, porgendogli un nuovo vassoio e scoccando un’occhiataccia anche a Harry, che rosicchiava lo stesso biscotto da qualche minuto, visibilmente sovrappensiero.

“Grazie, signora Weasley. Dicevo, Arthur, che non capisco come mai si siano rammolliti proprio ora che il Manchester…”

“Seamus, che ti avevo detto? Non potevano farcela, senza il secondo battitore; il sostituto è un fallito e non so nemmeno come sia entrato in squadra…”

“Dev’essere un novellino arrivato quest’anno. Com’è che si chiamava?” soggiunse Harry.

In quel momento, apparvero Hermione e Ron, e Harry non seppe decidere quale dei due fosse più bello. Una coppia perfetta, pensava, mentre osservava il suo migliore amico distribuire pacche a tutti i presenti con quelle sue mani grandi, le spalle larghe, il sorriso spontaneo.
Dal canto suo, Hermione era sublime; indossava l’abito che aveva portato, anni prima, in occasione del compleanno di qualcuno –o forse l’aveva indossato già qualche volta? Non importava, era comunque di un’eleganza rara-, un vestito a balze viola con lo scollo a cuore; al collo, sempre lo stesso ciondolo: un medaglione a cuore con un’apertura.
Harry non aveva idea se contenesse veramente qualcosa, ma gliel’aveva sempre visto addosso.

Si riscosse solo quando il suo chiassoso amico gli appioppò una manata sulla nuca.

“Auguri, Harry! Hai sentito? Ginny dovrebbe avere una giornata libera… papà prima parlava di una Passaporta nuova, ma…”

“Ron, lascialo respirare” lo rabbonì Hermione, sorridendo dolcemente all’amico. Posò la borsetta di perline ricamate – la sua vecchia e temibile alleata- su una sedia in vimini vicino al caminetto, poi si voltò verso Harry. Gli posò le mani sulle spalle, guardò lungamente quei suoi occhi smeraldini, poi lo strinse a sé con forza sorprendendolo e trainando Ron nell’abbraccio.

“Auguri, caro…”

“Ehi, ce n’è anche per me?”

Arrivò Seamus, ma prima che potesse avvicinarsi si ritrovò con le gambe all’aria e il sedere dolorosamente a terra; cercò una spiegazione verso l’alto, e un'eminente figura dalla testa rossa gli si era posta davanti, con le braccia incrociate, in tutta la sua statura.

“George, che diamine…”

“Finnigan, quante volte devo dirtelo? Tu non farai MAI parte di quel magico trio, mai. D’accordo? Mettitela via, che so io, inscriviti al circolo delle Gobbiglie del Paiolo Magico, vai in vacanza e fatti un Safari… non vedi quanto sono più belli, più interessanti e decisamente superiori al resto del mondo? Lasciali perdere, è un consiglio da amico” e con un occhiolino, gli tese la mano.

Benché avessero una ventina d’anni a testa, in un istante si ritrovarono a rotolare sul pavimento come ragazzini, facendo cadere tutto sul loro passaggio, in balia di una lotta impari; George era più grande, ma Seamus era decisamente robusto. Ci vollero parecchi strilli di Hermione e della signora Weasley, perché Harry e Ron, in preda a una risata interminabile, si decidessero a separarli.
Nella zuffa, la borsa di Hermione era finita inspiegabilmente sotto di loro e un rumore di oggetti pesanti –probabilmente altri libri- che cadevano rovinosamente richiamò tutti all’ordine in qualche minuto.
Lei raccolse la borsetta, mordendosi un labbro e lanciando un’occhiataccia ai ragazzi.
Al solito, non esisteva serata tranquilla in casa Weasley.



5.

In mezzo ad una radura, sul versante ovest di una montagna irta e verdeggiante in piena luce, una figura esile si dava da fare camminando avanti e indietro davanti ad un vecchio secchiello da spiaggia Babbano appoggiato casualmente ad una radice sporgente e mezzo affondato nella terra.
Che cosa ci facesse in mezzo alla giungla più nera dell’angolo più sperduto sul suolo brasiliano era un’ottima domanda, ma la cosa più strana di quella radura restava la fanciulla che marciava sui propri passi da più di mezz’ora.

Ginevra Weasley indossava un bellissimo abito di raso verde scuro, era truccata a dovere per un gran gala e i suoi capelli –divenuti lunghissimi, durante il viaggio- aleggiavano attorno alle sue spalle donandole un’aria principesca, imprigionati mollemente da un laccio in tinta col vestito.
Peccato che, per l’appunto, fosse mattina presto, e il sole tardasse ad alzarsi per i suoi gusti.

Il cielo ancora scuro lasciava scorgere all’orizzonte uno spicchio di un’arancio caldo e avvolgente che mai avrebbe potuto vedere la luce in Inghilterra.

Ginny guardò la sua bussola per un istante, l’ennesimo in qualche minuto, ma la lucina sul display vibrava con la stessa frequenza di mezz’ora prima.

Non sentiva, dall’alto di quell’area scoscesa e pericolante, le voci dei suoi compagni di viaggio, che si accampavano a qualche chilometro a piedi da li. Tia, Liam e Daniel avevano chiesto di accompagnarla, dopotutto non era il posto più tranquillo in cui stare, soli, di notte; Ginny aveva rifiutato, insistendo sulla propria capacità di self control e sul fatto che fosse armata fino ai denti con la sua semplice bacchetta. In realtà, non voleva che la vedessero così agghindata dopo settimane di abiti smessi e puzzolenti, di caldo afoso e umido e di cibo all’arraffata.
Passavano le giornate fra i maghi più poveri della regione per aiutarli a rimettersi in sesto, a guarire gli ammalati offrendo loro servizi e una tenda in cui riposare e per immunizzare quante più persone a rischio per il vaiolo magico, che sebbene fosse stato eradicato in Europa, ancora aleggiava nei paesi caldi dell’emisfero Sud del globo.
Erano in missione, e non avevano di certo bisogno di vestiti eleganti o fronzoli, ma quella notte Ginny aveva frugato in fondo al baule fra le magliette stracce e i suoi utensili e ne aveva estratto un astuccio contente i suoi trucchi, un nastro di raso per i capelli e il suo abito verde leggermente spiegazzato.

Dopo settimane di duro lavoro, sebbene fosse appassionata e volonterosa, era felice di staccare e poter riabbracciare la sua famiglia, e il suo Harry.

Improvvisamente la bussola scottò e lei seppe che era il momento di agguantare il secchiello, ma un rumore di frana e un urlo disumano richiamarono la sua attenzione, e la Passaporta chiuse il suo passaggio definitivamente, ritornando ad essere un semplice oggetto abbandonato.

A niente servirono le settimane di maturazione, controllo, alienazione… Ginny urlò dando aria ai polmoni per liberare tutta la sua frustrazione. Aveva aspettato quel momento per settimane.

Un secondo urlo, a giudicare dal timbro, maschile raggiunse i suoi timpani e bruscamente interruppe le sue imprecazioni.
"AIUTO! AIUTATEMI... SONO QUI!"








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Capitolo 3
*** Quando si perde la passaporta che da tempo si aspettava ***



Dal capitolo precedente:

Improvvisamente la bussola scottò e lei seppe che era il momento di agguantare il secchiello, ma un rumore di frana e un urlo disumano richiamarono la sua attenzione, e la Passaporta chiuse il suo passaggio definitivamente, ritornando ad essere un semplice oggetto abbandonato.

A niente servirono le settimane di maturazione, controllo, alienazione… Ginny urlò dando aria ai polmoni per liberare tutta la sua frustrazione. Aveva aspettato quel momento per settimane.

Un secondo urlo, a giudicare dal timbro, maschile raggiunse i suoi timpani e bruscamente interruppe le sue imprecazioni.

“AIUTO… AIUTATEMI… SONO QUI”






6.

Un caldo profumo di pan dolce si fece strada dalla cucina, e la signora Weasley fiutò immediatamente che era il momento di mettere la torta in tavola. L’agitazione era palpabile, Ginny, la sua bambina, sarebbe arrivata da un momento all’altro, e visibilmente gli ospiti non aspettavano altro.

C’era Harry che sembrava perso in un’altra dimensione, poi accanto a lui George che discuteva con Ron e Seamus di Quidditch ma che continuava a lanciare occhiate al polso dell’amico per vedere l’ora; infine, Hermione; non alzava più lo sguardo verso nessuno e mogia guardava il suo piatto.

Doveva essere fame, doveva. Così mandò Ron in cucina per sfornare la torta alla melassa, e si avviò in salotto a svegliare il marito che sonnecchiava accanto al caminetto in attesa che arrivasse sua figlia.

Ai piedi del signor Weasley c’era una pila di regali per Harry e qualche vestito nuovo per Ginny con un sacchetto di dolciumi da portare in Brasile per i suoi compagni, al ritorno. Molly aveva pensato proprio a tutto, tranne a quello che stava per succedere, quella calda sera del 31 luglio.

Ron si alzò di malavoglia e Harry lo seguì in cucina, complice la scia profumata e irresistibile che gli annebbiava la mente nonostante la quantità allucinante di cibo che aveva già ingerito in serata.

Ginny non aveva detto a che ora sarebbe arrivata, anzi non ne aveva parlato affatto con lui, dato che non aveva un gufo per risponderle da casa, perciò tutte le notizie le aveva mandate alla Tana.

Harry si mosse familiare in cucina e aiutò l’amico a sollevare quell’enorme torta dal forno rovente.
“Manca la glassa, aspetta” disse Ron, rubando una briciola fragrante e infilandola fra le labbra con soddisfazione.

Si sciolse all’istante e l’assaporò con gusto. Fece scivolare da una ciotola una golosissima glassa rosa sull’intero dolce, senza tenere conto di alcuna proporzione che non fosse d’accordo con la sua ingordigia. Harry, ridendo, faceva il tifo per lui.

Di-più! Di-più!”

Ecco fatto”

“…perché Weasley è il nostro re…”

Non ricominciare, o è la volta buona che ti meno, ex Capitano dei miei parastinchi!”

E lo minacciò col cucchiaio su cui la glassa si era già cristallizzata a formare una golosa patina rosata.


Tutto quel buon umore non aveva raggiunto la tavolata del salotto.

Avevano tutti un’aria assonnata, era mezzanotte passata e la serata si faceva un po’ troppo lunga. Il posto di Seamus era vuoto, ma nessuno si era chiesto dove fosse andato a finire quel disgraziato.

Charlie, il fratello più vecchio di Ron, era seduto a capotavola e giocherellava con il proprio bicchiere; accanto a lui Bill e Fleur chiacchieravano sottovoce; dal lato opposto sedevano, uno di fronte all’altro, George e Hermione, uno scomposto e comodamente adagiato su due sedie, l’altra rigidamente costretta in una posizione di perfetta immobilità da più di un’ora.

Nessuno dei due osava fiatare. Mancava qualcuno, a quel tavolo, e George lo sentiva, gli stracciava il cuore quel silenzio; non ci si abitua alla scomparsa della propria controfigura, del proprio fratello, dell’amico più stretto, più vicino di tutti.

Così disse la prima cosa che gli venne in mente vedendo il viso pallido e stanco di Hermione, sperando di riportare un po’ di brio e di spazzare quel freddo siberiano che gli aveva stretto il cuore per l’ennesima volta.

Ron mi ha detto per voi due. Allora, è vero che ne parlerete stasera ai vecchi?” bisbigliò George con aria cospiratrice. Hermione si alzò improvvisamente, con la faccia di chi avesse ingoiato un limone. Il piccolo cuore di metallo sobbalzava sul suo sterno in preda ai suoi stessi battiti. Lo strinse in mano con forza.

Torno fra un minuto” esalò, con un’aria bizzarra.

Di certo, George si aspettava di tutto, ma non una reazione del genere.


7.

Hermione raccolse la borsetta di perline dalla sedia accanto alla propria e si avviò verso il piano di sopra per entrare nella prima camera che avesse trovato. Si ritrovò davanti al letto sfatto di Ron; sul davanzale della finestra c’era una boccia di vetro vuota, il vecchio Deluminatore e la sua bacchetta. I ricordi la sommersero; in quella stanza, strategie, ansie, affetti, paure, e ancora gioie, disappunto, e amori senza fine…

Fissò lo sguardo davanti a sé e lo incontrò nel riflesso di uno specchio antico che ricopriva l’anta di un trasandato armadio a muro la cui vernice si scrostava a tratti lasciando intravedere un colorito scuro e indefinibile. Quell’armadio e quella stanza incorniciavano un ben triste ritratto di lei. Hermione si vide per quello che era, ed era peggio di ciò che temeva.

Grottesca, falsa, serpe, mangiatrice di ricordi.

Il suo cuore Grifondoro apparteneva a un passato sconosciuto; ora c’era solo un’oscurità accecante che le aveva tolto il soffio vitale dalla carne, e quel visino dagli occhi bugiardamente felici non l’incantava più.

Non riuscendo a trattenersi oltre, scoppiò in lacrime.

Un nodo alla gola troppo stretto da allentare le opprimeva il respiro, ma non portò nemmeno una mano al viso.

Voleva vedere la vera sé, da vicino, per la prima volta in tanto tempo, e anche per l’ultima.

Cercò a tastoni la bacchetta nella borsa, fra i libri crollati e oggetti in quel momento del tutto insignificanti. La bacchetta era scheggiata, ma la sua mano tremante non se ne accorse; la puntò al proprio petto e senza battere ciglio, si guardò per un ultimo, intenso minuto.

Poi, sillabò l’incantesimo. Non sentì i passi di qualcuno dietro di lei, non sentì le sue grida soffocate. Vide tutto nero, tranne il proprio viso, una maschera dolce e nera, sfranta dal rimpianto, poi più nulla: “Oblivion…


Seamus non si sentiva all’altezza della situazione, e sapeva per certo che non avrebbe mai dovuto vedere ciò che aveva appena visto.

La ragazza ora era accasciata fra le sue braccia, il viso rigato di lacrime ma sereno, vuoto.

Espirò una nebbia fine, biancastra, che serpeggiò via da lei, verso il corridoio e le scale che portavano al piano di sotto.

La piccola ruga di tormento che si era accomodata fra le sopracciglia della ragazza anni prima stava lentamente scomparendo sotto ai suoi occhi e lui non aveva idea di cosa significasse; le accarezzava la fronte disperato, in cerca di risposte nascoste, indizi velati nella stanza, sulle pareti, nel corridoio che poteva scorgere da lì ma da cui l’aveva vista pronunciare l’incantesimo senza riuscire a fermarla un attimo prima.

Hermione aveva perso conoscenza, e lui non sapeva cosa fare.

Decise che era meglio non parlarne con nessuno.

Hermione, perché?” mormorò fra sé, ancora sotto shock, mentre la stringeva al petto.


Un paio di minuti dopo scendeva le scale con lei in braccio, un peso trascurabile e soffice quanto la stoffa di quell’abito scuro. Si vide correre incontro Harry e Ron; non rispose nulla per un po’, incapace di farlo. Ingoiò un bicchiere d’acqua e uno di liquore prima di parlare. Si schiarì la gola.

Penso che abbia avuto un malore, ero appena uscito dal bagno ma mi sono accorto di avervi lasciato la giacca, così ero salito di nuovo, e l’ho trovata a terra in bagno. Aveva perso i sensi”

Ma… perché? Come…” Ron non si capacitava. “Aveva appena mangiato. Dovremmo portarla al san Mungo.”

Portarmi dove?” mugugnò Hermione, svegliandosi.

Harry, che si era allontanato a recuperare una spugna inumidita per bagnarle il viso, si accasciò improvvisamente contro il lavello con un fragore pazzesco e batté fortemente la nuca. Una nebbia fine si era appena sospinta fino al suo viso, e lui, involontariamente, l’aveva inalata.

Perse anche lui i sensi e mentre un rivolo caldo gli colava nel colletto della camicia, tutto si rabbuiò.

Cosa sta succedendo qui?” tuonò la signora Weasley, allarmata dal rumore, e precipitatasi immediatamente a controllare il ragazzo a terra. “Per Merlino, non saremo mai tranquilli in questa casa, vero?” singhiozzò in preda all’angoscia, alla vista del sangue di Harry, “ARTHUR!”

Che c’è?”

ARTHUR…” ripeté, minacciosa, con la voce spezzata.

Dal salotto accorsero tutti quanti, e alla vista della scena si attivarono per riordinare e dare una mano a trasportare Harry sul divano. Borbottavano tutti sull’idea di chiamare un Medimago, ma aspettavano ancora che Ginny arrivasse e nel mentre gli avevano messo del ghiaccio sotto la nuca. Hermione era scossa ma si era ripresa; districò le braccia che la tenevano inchiodata sulla sedia e si alzò da sé. Prese docilmente la mano di Ron per raggiungere gli altri.

Seamus li seguì con il cuore che gli martellava nel costato.

Cosa era successo?

Perché era stato coinvolto, ma soprattutto cosa era successo a Harry?

Harry, come ti senti?”

Il ragazzo piagnucolò qualcosa di incomprensibile, poi strinse gli occhi e il viso divenne una smorfia di dolore. Molly guardò rapidamente Arthur con l’occhiata tipica di quando cerca rassicurazione. Arthur annuì silenziosamente, poi si avvicinò al giovane mago e gli posò una mano sul viso.

Hai male?”

Terribilmente… alla fronte.”

Eppure hai dato una botta di nuca… non capisco.”

Fa male…”

Molly, prepara un decotto per favore.”

Ok, ok, sto meglio… sto bene.” si precipitò Harry, che all’idea di ingoiare qualche medicina aspra aveva qualche remora.

Si sentirono tutti più sollevati, ma Hermione sembrava quella più tranquilla. Era da un po’ di tempo che nessuno l’aveva vista così allegra. Il viso era morbido, le lacrime avevano formato strie leggere perché per sua fortuna non si era truccata; il suo dolore, lancinante e subitaneo, non l’aveva scorto quasi nessuno.

E il sorriso di sollievo che aveva avuto, alla vista della smorfia disgustata di Harry che non voleva bere il decotto, l’aveva tranquillizzata.

Ron le stringeva ancora la mano con forza, timoroso. Non si capacitava di quella strana combinazione di sfortunati eventi, eppure non riusciva a immaginare come potessero essere correlati. Ben presto tornarono tutti al tavolo, stavolta con un po’ d’impazienza.

Era passata un’ora dal compleanno di Harry, ma di Ginevra non c’era ancora nessuna traccia, e l’orologio della cucina aveva appena spostato su “pericolo mortale” la lancetta della cadetta dei Weasley.



8.

Ginny non era solo inviperita per aver perso la sua unica Passaporta per tornare a casa quella mattina; aveva anche dovuto scalare un pendio malagevole con il suo vestito più bello rovinandolo irrimediabilmente, e arrivata all’insenatura da cui proveniva la voce che aveva richiesto aiuto, trovò l’ultima persona al mondo che avrebbe voluto rivedere.

Gin...”

Lei lo squadrò per un istante. L’aria ribelle che lo contraddistingueva da sempre non se n’era andata; era sicuramente diventata sua una parte indissolubile, insediata fra quelle sopracciglia ad ali di falco e quegli occhi di caramello liquido che la scrutavano con aria critica e leggermente sorpresa.

I capelli corti sulle tempie e più lunghi sul capo gli conferivano un’aria selvaggia e incivile, per non parlare degli abiti logori e insanguinati.

No, Michael Corner non era decisamente in buone mani con Ginny Weasley, visti i precedenti… eppure non smise di sfidare il suo sguardo, finché lei non si decise a chiudere la bocca spalancata e deglutire rumorosamente.

Si può sapere, per le mutande sporche di Merlino, cosa ci fai tu in un posto così e in questo stato? Fra tutti i posti di questo mondo, tutti, dovevi proprio essere qui? Devo aver fatto qualcosa di veramente brutto nella mia vita passata…”

Con calma, fai pure, non ho due gambe spezzate in questo momento che mi bloccano il respiro da un’ora e che mi fanno rischiare il collasso da un momento all’altro.”

Sei ferito?” Ginny accorse per tastargli il polso e la fronte, poi con un leggero strappo spezzò su entrambe le gambe gli squarci aperti da chissà che volo a faccia in giù fra le rocce avesse fatto quel deficiente.

Respirava aritmicamente, col fiato mozzo e il viso sporco, quel ragazzo arrabbiato col mondo. Il cuore di Ginny fece una capriola; doveva agire, e in fretta.

Mannaggia a te, cosa ti è venuto in mente di cacciarti nei guai? In Amazzonia, per giunta, proprio dietro l’angolo se hai bisogno di un rapido soccorso.”

Io lavoro qui, Weasley.”

Lei gli lanciò un’occhiata fiammeggiante, poi riprese ad osservare le ferite.

Mi ci vorrebbe la mia attrezzatura, ma non ho portato niente.”

Lo vedo.” ingiunse il ragazzo, osservando con curiosità malcelata l’agghindata ragazza mentre si slacciava la chioma. Un ventaglio di capelli rossi gli si aprì addosso e il profumo di agrumi che trattenevano da legati esplose nell’aria.

Michael si ritrovò ad assaporarlo suo malgrado, con un moto di affetto. Ginny spostò un masso appiattito su un lato e glielo mise dietro la schiena, poi lo aiutò ad appoggiarvisi; senza concedergli il tempo di dare un ritmo normale al proprio respiro, morse il suo lungo nastro verde e ne ottenne due, poi li usò a mo’ di laccio emostatico. Un urlo rabbioso del ragazzo echeggiò nell’antro e in tutto il burrone, facendo sollevare un intero stormo di uccelli dalla foresta del versante a loro visibile.

Lei gli tappò la bocca, poi estrasse la bacchetta dalla scollatura dell’abito scatenando l’ilarità del ragazzo che tossicchiò dolorosamente, e la puntò in aria.

Accio Folium Musae Acuminatae!

Hai appena appellato qualcosa per uccidermi?”

Quanto sei idiota.”

Seriamente, Weasley. Cosa stai cercando di fare?”

Si zittì quando quattro gigantesche foglie di banano gli piombarono violentemente addosso in una insolita folata di vento.

Senti un po’, so come aggiustare le ossa con la bacchetta, ma primo non l’ho mai fatto…”

“…allora evitiamo e togli il disturbo, che ne pensi?”

“…e secondo, avrò usato così tanta energia da non riuscire nemmeno a fare un Levicorpus per portarti al mio accampamento.”

Dove io non ho assolutamente intenzione di andare, sia chiaro.”

Siamo d’accordo? Sì? Bene. Ora zitto e lasciami concentrare.”

Cerchiamo di capirci… tu non avrai mica intenzione di…”

Zitto ho detto! Sono in apprendistato per diventare Medimago, abbi un po’ di fiducia, per tutti i Gargoyle! Com’era? Sì, giusto… Femur emendo.

Il ragazzo gridò con tutte le sue forze. Gli occhi lacrimanti rivolsero una sorda implorazione alla strega, che si apprestava a riprendere in mano la bacchetta. Le era caduta, ma a giudicare dal rumore secco che aveva prodotto il suo incantesimo nella coscia macilenta del ragazzo, era andato tutto come previsto. Gli scostò i capelli che rimasero all’indietro, fradici di sudore e carichi di polvere e sporcizia.

I suoi grandi occhi marroni si agitavano in tutte le direzioni, alla ricerca di un appiglio, di sicurezza. Non aveva idea di che lavoro facesse, ma di sicuro non era qualcosa di facile o sicuro. bene le manie di Michael sull’esplorare il mondo e fare “esperienza”.

In quel momento però lui piangeva come un bambino, e lei mise da parte il rammarico, il dolore e il suo cuore spezzato.

Sh, è quasi finito. Su, stai calmo.”

No… basta… non voglio… no…”

Solo l’altra gamba. Solo un attimo… scusami. Femur emendo.” e puntò la bacchetta all’altra coscia, producendo un secondo < crac > di ossa rotte, e un grido che si terminò in un lamento da far venire i brividi. Altri stormi si levarono dalle cime degli alberi, questa volta un primo raggio di sole li illuminava.

Rimase seduta con la bacchetta in mano qualche minuto, a riprendere fiato, anche lei turbata dal dolore del giovane mago. Eppure era abituata alla sofferenza, alla povertà, alla vicinanza con le persone malate. Perché quelle grida la laceravano dentro? Ginevra si osservò le braccia: erano piene di lividi e sporche come al solito; il vestito era sgualcito, ma non aveva ricambi. Non sapeva come avvisare i suoi genitori che non sarebbe venuta quella “sera” da loro, e pregava che nessuno si preoccupasse troppo per lei.


Un’ora dopo Michael ansimava ancora, e il dolore l’aveva reso delirante.

Ginny gli tastò la fronte e scoprì che era bollente. Non c’era niente da fare, doveva passare la giornata con lui e aspettare di ritrovare un po’ di forze per tirarlo fuori da quella situazione.

Nel frattempo, bendò le cosce del ragazzo con le foglie di banano dopo averle tagliate in più bande.

Lo liberò della sua casacca di cuoio puzzolente, di li a poco si sarebbe alzato una calura indecente e lei lo sapeva bene; quel petto sudato dalla pelle di bronzo non voleva smettere di salire e scendere a una velocità impressionante; una volta finito il lavoro, ancora inquieta si accovacciò contro la parete rocciosa, ed esausta si addormentò.


Si svegliò di soprassalto e dovevano essere passati solo pochi istanti, perché il ragazzo in pieno delirio da febbre la chiamava sottovoce. Tastava il suolo con le mani, come accecato dal dolore.

Rivoli di sudore gli rigavano la fronte e la gola, perfino il torace.

Era fra gli effetti secondari del suo incantesimo?

Ginny non lo sapeva; lo guardò preoccupata con mille formule di incantesimi del tutto inutili che le frullavano in mente.

Ginny… stammi vicino…”

Come dici?” replicò lei.

Ho paura… stammi vicino.”

Sono qui.”

Dove sei?”

Si avvicinò e gli prese la mano, a disagio ma con sicurezza.

GINNY, DOVE SEI? NON MI LASCIARE DA SOLO… NON MI… LASCIARE… SOLO…”

Michael si addormentò all’improvviso, completamente incosciente.

La ragazza sentiva il cuore pulsare, la gola stringersi. Non poté fare a meno di ricordare ogni singolo dettaglio del loro ultimo scontro; lui voleva un orizzonte più largo, lei desiderava stargli accanto; lui l’aveva allontanata e se n’era andato, soffocato da un bisogno smisurato di libertà, lasciandola in balia delle sue paure e del suo dolore, lui…

Basta. Harry, c’era Harry con lei e niente contava al mondo più di lui. Si rasserenò improvvisamente, e il balsamo che le addolciva il cuore tornò a fare effetto. Harry l’avrebbe sempre protetta, anche dai suoi stessi ricordi.



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Capitolo 4
*** Prova a premere il Rewind ***




Dal capitolo precedente:

“GIN, DOVE SEI? NON MI LASCIARE DA SOLO… NON MI… LASCIARE… SOLO…”

Michael si addormentò all’improvviso, completamente incosciente di ciò che aveva appena detto. Lei però sentiva il cuore pulsare, la gola stringersi. Non poté fare a meno di ricordare ogni singolo dettaglio di ciò ch’era successo fra loro; lui voleva un orizzonte più largo, lei desiderava solo stargli accanto; lui l’aveva allontanata e se n’era andato, soffocato da un bisogno smisurato di libertà, lasciandola in balia delle sue paure e del suo dolore, lui…

Basta. Harry, c’era Harry con lei e niente contava al mondo più di lui. Si rasserenò improvvisamente, e il balsamo che le addolciva il cuore tornò a fare effetto. Harry l’avrebbe sempre protetta, anche dai suoi stessi ricordi.













10.



Harry non capiva dove si fosse cacciato. Aveva appena aperto gli occhi e attorno a lui si delineava un’oscura radura. Il suo cuscino era un masso e la sua coperta una montagna di foglie secche. Gli alberi alti e fitti coprivano ogni angolo di cielo ma era notte fonda, e si sentiva solo il canto lontano di un cuculo. Era convinto di essere già stato in quel posto, ma non avrebbe saputo dire quando.

Si alzò appoggiandosi sui palmi, poi li strofinò sulla veste e si guardò attorno infreddolito. Sentiva parlare una voce femminile soffusa e gradevole, ma credette di essere vittima di un muffliato; il rumore era ovattato, come quando i Ghermidori erano passati accanto a lui ed Hermione durante il viaggio alla ricerca degli Horcrux, e le loro voci seppur vicine gli apparivano lontane a causa dei sortilegi difensivi.

L’ascoltò parlare, indeciso, ebbro: gli era terribilmente familiare, tanto da aprirgli uno squarcio nel cuore. Sapeva, per un motivo inspiegabile, di essersi perso in un sogno e che quell’ambiente non era reale. Forse… forse era un ricordo? E quella voce femminile, così dolce, così suadente, era quella di sua madre?

Improvvisamente il sogno gli si chiuse attorno fino a soffocarlo, per poi scomparire nel buio di una porta di legno massiccio. Era appena stato chiuso fuori da una stanza, nella sua mente, in cui credeva di non essere mai entrato. Tentò invano di riaprirla, non seppe girare la maniglia e si svegliò di soprassalto nel suo letto. Fece due profondi respiri, ancora disorientato. Agguantò la sveglia per scoprire che erano già le undici e mezzo.

Imprecò fra due sbadigli.

La sera prima non era riuscito ad addormentarsi; era preoccupato per Ginny, ma non aveva voluto dire niente per non inquietare la signora Weasley; inoltre, quella botta sulla nuca gli aveva impedito di mettersi comodo e aveva dormito malissimo.

Si alzò con un gran mal di testa, frastornato e indeciso sul da farsi.





11.



Hermione si svegliò con uno strano sapore dolce in bocca; si sentì avvolta da un odore familiare, e quando aprì gli occhi seppe di essere a casa. Saggiò le coperte per raggomitolarvisi sotto, quando al posto di un cuscino trovò un soffice ciuffo di capelli rossi.

Si avvicinò al viso di Ron, e dopo averne respirato l’odore prese a baciarlo lievemente per svegliarlo.

Il ragazzo grugnì soddisfatto, allungando un braccio per avvicinarla al petto.

La sera prima erano tornati a casa tardi, di Ginevra non si era più saputo niente ma avevano tutti liquidato l’accaduto pensando che era troppo occupata e doveva sicuramente aver perso la passaporta. L’aveva quindi accompagnata a casa, ma l’ora e il malore di Hermione lo avevano convinto a passare la notte da lei. Era rimasto sconvolto, quando la ragazza invece di tergiversare – cosa penseranno i tuoi genitori di me?- gli aveva proposto semplicemente di dormire nel suo letto. Non era da lei farsi pochi scrupoli, eppure ora sentiva finalmente la situazione in pugno.

Dalla guerra ad oggi, Hermione era sempre rimasta un po’ schiva e la sua riservatezza aveva spesso minato alla loro relazione. Quel cambiamento improvviso per lui significava molto; che si fosse finalmente messa il cuore in pace?

Hermione gli accarezzò i capelli ancora per qualche minuto. Adorava quel contatto, adorava non svegliarsi sola nel suo letto, e soprattutto era felice di non sentire nessun peso sul cuore nell’aver agito in quel modo.

Grattastinchi saltò sul letto con uno scatto felino e venne a salutarla strofinando la fronte con la sua, e senza volerlo, quella di Ronald con la coda. Si misero a ridere e lo accarezzarono insieme, fino a che lui non richiamò l’attenzione sul fatto che era decisamente passata l’ora in cui solitamente riceveva la sua razione di cibo.

Hermione fu la prima ad alzarsi.

«Resta a letto, ti preparo qualcosa» gli disse, sorridendo con gli occhi.





12.



Doveva essere pomeriggio inoltrato, quando Michael Corner apriva gli occhi da un sonno offuscante e ansimava debolmente, intorpidito; improvvisamente sentì un gran brivido freddo, nella calura della giungla, e ricordò ogni cosa: lavoro-sorpresa-paura-rabbia-indignazione-dolore-…Ginevra. Gin era con lui? Davvero? Quando si guardò attorno non vide nessuno.

Preoccupato che le due merde vaganti non se ne fossero ancora andate, ebbe un guizzo ansioso e si alzò malamente a sedere per osservarsi le gambe; non aveva il coraggio di muoverle, il dolore che aveva provato il giorno prima gli faceva stringere i visceri al solo pensiero. Ingoiava l’aria rapidamente, nell’ombra umida della grotta, boccheggiando come un pesce.

Un rumore roccioso attirò la sua attenzione, e per la paura contrasse i muscoli delle cosce. Niente. Non sentì alcuna fitta. Ginevra gli aveva aggiustato entrambe le gambe; si ritrovò a gattonare verso il bordo scheggiato che pendeva a strapiombo sul burrone; una raffica di vento gli spettinò i capelli e la pelle sudata gli si gelò, facendogli battere i denti. Il suo sguardo scuro saettò sui dintorni, e Gin era li, sullo strapiombo. Dannazione, era con lui, in Brasile. Era lì per lui? Impensabile.

La ragazza era visibilmente occupata e gli dava le spalle, avvolta nei suoi capelli come in uno scialle, così si avvicinò ancora di più e lei sobbalzò per lo spavento. Ammiccò silenziosamente alle proprie gambe, e lei accennò un assenso. Sembrava abbastanza compiaciuta, e rincuorata dal suo risveglio, tanto che Michael perse l’aria burbera che gli apparteneva e si mise ad osservarla, con un po’ di diffidenza, appoggiato alla parete rocciosa. Un lungo, ventoso silenzio rigenerante riempì l’aria attorno a loro, accogliendoli entrambi in un unico abbraccio. Per qualche minuto, Michael non disse niente; sentiva ancora la bocca impastata, e sembrava che anche Ginevra non avesse nulla da dire.

Si accorse di aver smesso di rabbrividire. Il vento aveva asciugato ogni goccia di sudore, e ora gli afferrava le mandibole con pennellate tiepide, costringendolo a socchiudere gli occhi e strizzare le palpebre. Fra le ciglia, luccichii, bagliori, e Gin. Un secondo la vedeva, quello dopo vedeva la roccia, poi le fronde di un albero incastonato fra due massi scoscesi. Diamine, quella si che era una visione.

Schioccò la lingua con soddisfazione e agguantò il cappello di panama che gli era scivolato via durante la lotta ed era andato a finire all’entrata della grotta.

«Ti sei svegliato»

«Sto meglio, grazie» gracchiò in tutta risposta, da dietro il cappello.

«Grazie a te, sei praticamente guarito da solo, vero?» fu la sua risposta avvelenata.

Ahia.

Michael buttò indietro la testa sbuffando, indispettito ma abbastanza fiacco da non reagire.

La osservò di sottecchi mentre faceva volteggiare un finissimo filo d’acqua lungo quasi un chilometro dal fiume che scorreva sotto di loro a una ciotola di foglie intrecciate fra le sue mani.

«E così, l’incantesimo acuminato non era per uccidermi…»

Ma Ginny, dopo un’occhiata eloquente – mi stai disturbando, Corner- lo ignorò completamente.

«Ti sto parlando, potresti almeno fare finta di ascoltarmi»

La ragazza finì di riempire la ciotola, poi con un gesto rapido e misurato tirò fuori un oggetto tondeggiante dall’aria Babbana dalle pieghe dell’abito.

«Cos’è?»

Lei lo osservò lampeggiare, con aria esultante, e stava per alzarsi quando Michael, improvvisamente avvicinatosi con uno scatto, le agguantò un polso. La bussola le cadde di mano e volò dritta giù nel burrone. La rabbia montò poco alla volta, sempre di più, travolgendola. Si ritrovò a balbettare, mentre strattonava il ragazzo per la camicia di lino lercia, scuotendolo come un sonaglio.

«Sei… veramente… un’idiota Corner! Come credi che farò adesso per trovare un’altra Passaporta? Non ci voleva, non ci voleva, non ci voleva! Prima mi fai perdere quella per stamattina, poi distruggi ogni possibilità di trovarne un’altra!»

«Come facevo a sapere che un gingillo Babbano poteva dirti come trovare una Passaporta?»

«Quel gingillo l’aveva costruito mio padre!»

«Bene, cosa vuoi fare? Andare a prenderlo? Vacci!»

«Levati di torno, prima che ti affatturo!»

«Avanti, Weasley…»

«Ho detto LEVATI! Vuoi che vada a riprenderlo? Adesso ci vado. Per la barba di Merlino, adesso scendo questo fottuto pendio… mi fratturo il collo… e saremo tutti contenti, OK?»

E proprio quando Michael si aspettava il colpo di grazia, lei crollò sulle proprie ginocchia, in lacrime. Scagliò la ciotola d’acqua contro la parete in un impeto di rabbia, e il contenuto si riversò a terra scorrendo in rivoletti fino ai suoi piedi. Michael era rimasto immobile. Non aveva idea di che cosa fare.

«Senti, so che è colpa mia».

Sì, lo è, pensava Ginevra infuriata fra le lacrime; non riusciva a pensare a come avrebbe fatto per ritrovare la bussola, e quel ragazzo l’aveva di nuovo messa nei guai. Inoltre non sopportava l’idea di avergli fatto un favore, quando si era ripromessa anni fa di non avere più niente a che fare con lui. Gli aveva aggiustato le gambe… avrebbe dovuto pestarci sopra finché erano ancora rotte e frantumargliele del tutto!

Addio avventura, addio viaggi per il mondo…

«Gin, ascoltami per favore» mormorò lui, prendendole le spalle, «scusa, sono stato uno stronzo».

Lei non riuscì a rispondergli dalla rabbia; si vergognava terribilmente di aver pianto davanti a lui, così si divincolò e si asciugò le lacrime dagli occhi. Raccolse la bacchetta e appellò un paio di volte la Bussola. Niente da fare, o era rotta oppure la corrente del fiume l’aveva già portata così lontano da renderla irraggiungibile.

Si avvicinò intimamente al ragazzo e gli strappò di dosso un laccio per legarsi i capelli; lui si lasciò sfuggire uno sbuffo ma non osò dirle niente. Era colpa sua se si erano cacciati in quella situazione, e lo sapeva bene; era colpa sua, anche, se lei era in quello stato e se lo era da prima di aiutarlo. Sapeva di averla spinta ad odiarlo prima ancora che tutto finisse fra loro. Era sempre stata "colpa" sua.

«Gin»

«Stai zitto un attimo. Senti anche tu delle voci?» Sussurrò lei, con la voce umida di pianto.

Nel silenzioso cinguettio della giungla si sentivano distintamente il rumore delle cascate sottostanti… e una cupa, rozza voce maschile.

Ginny stava per urlare e chiedere soccorso, ma Michael le tappò la bocca e imprigionandola in un abbraccio la costrinse a seguirlo in fondo alla grotta in silenzio. Un rumore di oggetti pesanti appena gettati a terra alla rinfusa la convinse che qualcuno, una decina di metri la sopra, aveva appena deciso di fare una pausa.

«Michael, si può sapere cosa ti passa per la testa? Ti sei del tutto rimbecillito a forza di vivere nella jungla?»

«Scema» sussurrò di rimando, senza mollare la presa su di lei.

Le spalle fini e cosparse di lentiggini della ragazza non lo avrebbero intimidito se solo fosse stata più vestita e non fosse stata la prima donna che lui vedeva dopo mesi di vita da eremita.

Deglutì, con il cuore rapido in petto, e la lasciò andare solo quando gli schiamazzi si erano allontanati abbastanza una decina di minuti dopo. Allora andò a riprendere la sua casacca e sfoderò la bacchetta.

Se la ripulì sui pantaloni e li rattoppò con due colpi di Reparo.

Cominciò a richiamare acqua, dalla zona sud dell’area scoscesa, quella opposta alla direzione presa dagli uomini; riempì una vasca immaginaria che galleggiava a mezz’aria. Ginny lo osservò con aria scettica ma un po’ di curiosità.

«Chi erano?»

«Banditi»

«Maghi?»

«Sì». E cominciò a spogliarsi, un indumento alla volta, sotto lo sguardo confuso della ragazza.

«Cosa cercano?»

«Dipende da cosa c’è da rubare… è la seconda volta che li incontro da queste parti, ed entrambe le volte mi hanno portato via tutto…»

«Potresti smetterla di…» Ginevra, cercando di guardare altrove mentre lui restava in mutande.

«E tu potresti raccogliere la tua bacchetta e sorreggermi l’acqua mentre mi lavo?».



Lei non rispose, ma obbedì, e quando Michael fu sicuro che lei sostesse la massa d’acqua, posò la bacchetta a terra, nudo, e vi ci si immerse. L’acqua era fresca, lo rinfrancò; si muoveva lentamente al suo interno, come avvolto di una sostanza eterea; le cicatrici sulle sue gambe erano arrossate, ma non erano le uniche sul suo corpo. Ginny non riuscì a impedirsi di sbirciare almeno una volta; l’intero corpo del ragazzo era un fascio di muscoli.

«Cosa mi avevi detto che facevi, di lavoro?».

«Non te l’avevo detto» sorrise lui senza pudore, scoprendola a guardarlo.

Si voltò di schiena e continuò a sorridere fra sé. Ginny mosse la bacchetta, e in un attimo lui si ritrovò in una massa gelida che si apprestava a solidificarsi.

«Raccolgo legno magico e sostanze per bacchette… ora mi lasci andare, per favore?».

Con una risata, Ginevra lo avvolse in una nube di acqua calda e vapore, provocando un grido di frustrazione.

«Brucia, per dio! Vuoi fare qualcosa? Ahi… muoviti!»

«Così impari a buttare la mia bussola giù da un dirupo» disse lei, sciogliendo istantaneamente la bolla d’acqua e rimandandola verso il fiume. Era ferma a mezz’aria quando il ragazzo, ora seminudo, le si avvicinò rapidamente con aria fintamente bellicosa.

«E così, io avrei buttato giù la tua bussola?»

Si ritrovarono a terra, la bolla d’acqua esplose su di loro infradiciandoli dalla testa ai piedi, e rotolarono ridendo sul pavimento della grotta.

«Ahah… smettila dai… Misha, smettila!».

Michael la sovrastava. Non aveva mai voluto vedere quanto era bella; si limitò a fissare i suoi occhi smeraldini per qualche istante, con una punta di... che diavolo era?, estasiato da quello spettacolo; illuminavano l’intera grotta… ma lui fece bruscamente ritorno alla realtà. Misha.

Una miriade di pensieri e ricordi senza data gli affollavano la mente. Nessuno di essi si fermò abbastanza per essere rimpianto. Gli bastò scuotere la testa per sbarazzarsene. Lei, però, era reale. Ed era lì. Non sapeva quanto l’averla allontanata da sé l’avesse poi ferita, o forse non aveva mai voluto saperlo per non danneggiare se stesso; ma non poteva permettersi di riaprire una ferita in lei che forse sanguinava ancora. Si allontanò per sedersi un po’ più in là, leggermente scosso. Nel cielo passavano rapide nubi, e come da una finestra poterono osservarle tutte attraversare l’entrata della loro grotta.

Michael rimase seduto a lungo, con lei accanto, senza voltarsi più a guardarla; fissava un punto vuoto all’orizzonte.
Dal canto suo, Ginny non mosse più un dito. Sentiva di aver appena sprofondato entrambi i piedi in un deserto di sabbie mobili. Non stava andando nella direzione giusta, lo sapeva, e il battito frenetico del suo cuore ne era un’ulteriore conferma. Quelle risate, quel dolceamaro pizzicore al cuore erano un campanello d’allarme… non doveva aprire le porte ai ricordi felici. Inspiegabilmente, tutto il male che si erano fatti le sembrava lontano anni luce, ora che erano di nuovo insieme; desiderava essere in quel luogo, lo desiderava con tutto il cuore, perché lui era una persona luminosa e appassionata, perché le era proibito, e il senno l’aveva lasciato a chi il cuore non voleva seguirlo.

In quelle terre, lontano da casa, lontano da Harry, non poteva soffermarsi a lungo sui suoi pensieri; agiva d’istinto, si riposava poco e bene, respirava aria nuova, saggiava la cruda realtà del mondo e se rimaneva invischiata in situazioni improbabili le affrontava di petto, anche se queste potevano significare la sua rovina.

«È ora di andare, sei pronto?»

Michael squadrò la ragazza che con aria risoluta gli tendeva una mano.

«Ci puoi contare».



Ginevra fece per usare la bacchetta ma fu preceduta dal ragazzo.
Michael si posizionò a gambe larghe, in posizione stabile, sull’orlo del burrone e sollevò la bacchetta al di sopra del fiume.

Cominciò un complicato movimento di mani che finì per continuare con la sola bacchetta; arrancando all’indietro, i capelli spazzati sulla fronte da un vento che proveniva dal basso, prese la ragazza per l’avanbraccio e l’avvicinò a sé.
L’odore del fiume riempì loro le narici e ben presto l’acqua, in un turbine alto e imponente, li raggiunse e li sollevò fino a dieci metri più sopra.

Atterrarono senza troppi danni con i piedi sul suolo, ma stavolta erano bagnati sul serio.

Michael ebbe un po’ di vertigini per la fatica ma tenne duro, e si voltò verso di lei, con una mano sulla fronte a mo’ di visiera; la luce del Sole era bassa, aranciata, potente e s’infiltrava senza problemi fra i rami degli alberi, attingendo un colpo all’uno, un colpo all’altro dei suoi occhi scuri.

Un paio di metri più in là, completamente illuminata dal tramonto, Ginny si strizzava la chioma in una lunga, interminabile treccia bagnata. Si scambiarono uno sguardo silenzioso, e distolsero entrambi gli occhi nello stesso istante, scottati dagli stessi pensieri e dagli stessi ricordi.

Per la miseria, guarda che spreco.”

Una bracciata di legna anonima giaceva bagnata ai suoi piedi.

Che roba è?”

Legno magico. Quello che ho raccolto io cercando quel dannato albero per settimane in questa dannata giungla… e ora è fradicio. Quel babbeo non è stato capace di…”

“…raccoglierlo tutto quando se n’è andato? Ma ti sei fatto mettere nel sacco da un Troll?”

Non mi sono fatto mettere nel sacco da nessuno!” ringhiando.

Sono stati loro a spezzarti le gambe?” chiese lei, prendendolo in contropiede.
Lui non disse niente ma annuì, scalciando la sua merce ormai inutile giù dal dirupo.

Chi sono, Michael?”

Penso siano gli stessi Ghermidori che scorrazzavano per il mondo alla ricerca del tuo fidanzato durante l’Occupazione del Signore Oscuro. Non avendo più un lavoro veramente remunerativo si sono ripiegati su qualcosa che non implicasse direttamente la loro pellaccia…”

Dubito che siano venuti qui per caso.”

“…” il silenzio parlava da sé.

Michael… ti hanno seguito?”

Lui non rispose, le piantò gli occhi addosso con rabbia. Ginny, che aveva letto anche timore, in quegli occhi, si avvicinò piano piano e gli posò una mano sulla guancia. Michael non si mosse, ma guardò altrove, infastidito. Si vergognava. Di che cosa? Ginevra non aveva idea di cosa gli fosse successo, ma di sicuro l’avrebbe messo sotto torchio. Appena tornata a Londra avrebbe sottoposto il tutto a un’inchiesta del Ministero e avrebbe calcato sia con Harry che con Ron; era decisamente un lavoro da Auror. Chi erano quei ladri? E soprattutto, erano organizzati? Michael le aveva detto di essere stato braccato due volte da quegli individui e questo la convinse che non c’era niente di casuale nella loro apparizione in Brasile.

Doveva assolutamente vederci più chiaro.

Gin.” Mormorò il ragazzo, indicando con lo sguardo la sua mano.
Lei si riscosse e la ritirò immediatamente.
Poi gli sorrise.

Andiamo.”

Stava per fare buio, quando s’incamminarono lungo il sentiero a ritroso che portava all’accampamento dei maghi.
Gin era silenziosa, fin troppo.

Michael sentiva la gola secca e non sapeva cosa dire; si era sentito così libero, fino a quel momento.
Al solito lei aveva guastato tutto; camminava davanti a lui, a piedi nudi e con le sue scarpe eleganti in mano assieme alla bacchetta, mentre il vestito le scivolava addosso completamente fradicio. Le onde di quel corpo fine erano un miraggio per gli occhi; Michael cercava di guardare la strada per non inciampare in qualche pianta, ma non la smetteva di perdersi nel
verde sbagliato.

Il mago si sporse in avanti per raggiungerla e le prese la mano. Sapeva che non poteva averla, perché non gli apparteneva e mai gli era appartenuta; non l’aveva neanche mai voluta. Aveva solamente bisogno di quella sua mano.
Ignorò con determinazione lo sguardo confuso della ragazza e allungò il passo, con lo stomaco che oramai gorgogliava sonoramente.

Ginevra rise sommessamente; non si capacitava ancora della fortuna che aveva avuto.
Il suo migliore amico era di nuovo con lei. Quella sua mano fredda, ruvida e secca però le aveva annodato lo stomaco; aveva paura dei suoi sentimenti, del suo passato e di quello che poteva scaturirne se non imparava a trattenersi prima di oltrepassare la linea sottile su cui camminano tutti gli amici; un uomo e una donna che condividono tutto, o che l’hanno condiviso, sono destinati a una forma di collisione.

Non aveva preso nessuna decisione, ma stava semplicemente ignorando la sua mente; non voleva sentire ramanzine, non voleva sentirsi in colpa; era da anni che sentiva il bisogno di vuotare il sacco, spiegarsi con Michael e chi tirava i fili nell’ombra del mondo le aveva appena dato una possibilità inaspettata quanto attesa.



Arrivarono al campo, dove trovarono i ragazzi intenti a preparare da mangiare. Tia si precipitò verso la sua compagna, con ancora il cucchiaio di legno in mano, felice di ritrovarla. Era una giovane strega di colore, bella come un narciso e buona come il pane. Si erano volute bene subito, perché condividevano la stessa passione e gli stessi sogni. Ginny l’adorava; era quasi come se l’avesse conosciuta da sempre, e parlare con lei era facile, razionalizzava sempre ogni cosa e le sembrava tutto più chiaro quando poi ci ripensava da sola. La strinse a sé quando se la ritrovò addosso, un po’ sorpresa e un po’ no, per l’entusiasmo.

Ginny, pensavo saresti tornata domani! Allora? Raccontami! Com’è andata a casa? Te li hanno dati quei famosi dolcetti inglesi di cui parlava tua mamma?”

Tia…” cercò di fermarla lei, con un sorriso bieco.

E Harry, come ha reagito?”

Michael le scoccò un’occhiata insofferente. Era rimasto in disparte, ma accanto a Gin fino a quell’istante. Scostò la mano dalla sua e si avvicinò agli altri per chiedere se ci fosse qualcosa da mangiare anche per loro. Si ritrovò a chiacchierare con Daniel (Danièl, era “franciose”) mentre lui cucinava per la truppa; era un ragazzo solare, ambizioso e gentile; parlava con voce stentorea del loro percorso e non la smetteva di fargli domande con quel suo accento a tratti ridicolo.

Era sinceramente affascinato dallo stile di vita di Michael, che nonostante dicesse di essere un lavoratore stagionale trascorreva una vita da nomade in giro per i vari paesi, alla ricerca di oggetti rari e sostanze magiche.
Nel frattempo, Ginny aveva trascinato la ragazza verso la loro tenda, e mentre si spogliava e si metteva dei vestiti puliti ma slavati la rimbrottava senza remore.

Come avrei potuto immaginare che tu avessi perso la Passaporta? Insomma, Ginny… io non ti capisco… e sai qual è la parte peggiore? Non mi sembri nemmeno tanto delusa di esserti persa il compleanno del tuo fidanzato.”

Questo non è vero!” l’aggredì Ginny, che si morse il labbro subito dopo.

Era verissimo. Era stata talmente presa dal presente che non si era affatto preoccupata di ciò che avrebbero potuto pensare Harry e la sua famiglia di quello che le stava succedendo.

E poi, che razza di storia è mai questa? Ti ritrovi sul ciglio di un pendio per una giornata intera con questo tipo che conosci già, insomma una possibilità su un milione… lui… chi è?”

Tia, tu devi promettermi una cosa…”

Gin! Ti prego... questo ragazzo cosa rappresenta per te?”

Era il mio migliore amico, ma…”

Sì, ma ora. Ora, cosa rappresenta? È una minaccia, per voi due? Per tu ed Harry?”

Tia, no…”

Ti teneva la mano.”

Sì. Ma anche da amici, eravamo molto intimi.”

Che cosa intendi dire?”

Ginevra soppesò per la prima volta il suo rapporto con Tia. Non perché lei fosse una persona inaffidabile o stupida ma nemmeno insensibile… semplicemente, perché non aveva mai parlato a nessuno del suo rapporto con Michael, nemmeno a Harry. Si vergognava, era ancora confusa, dopo tanti anni.
L’idea che qualcuno la sapesse così fragile l’aveva sempre spaventata.

Fra lei e Harry, poi, era successo tutto un po’ di fretta; non le era stato così difficile avvicinarsi a lui quando con Michael avevano preso strade diverse… certo, non l’aveva scelto lei questo… ma, insomma, diamine! Cosa stava pensando?
Era una persona speciale, sì, ma un amico. Solo e soltanto un amico.

Tia, non saprei spiegartelo a parole” cominciò, e pronunciò una frase sottovoce con la bacchetta in mano, poi “ma se vuoi posso farti leggere questo.”

Una montagna di pergamene dall’aria curata, cucite da un lato in una specie di manoscritto le si materializzò in mano. La tese all’amica, con un po’ di timore negli occhi. Tia capì immediatamente.

Ti prometto che non ti giudicherò.”

Grazie, amica.”

Dai, fila a mettere qualcosa sotto ai denti.”

Te lo affido, mi raccomando.”

Non hai paura che qualcuno lo legga? Non hai messo nessuna protezione.”

Posso evocarlo solo io, quindi non l’ha mai scoperto nessuno. E poi è solo una parte, questa.”

Le sorrise, prima di uscire dalla tenda.

Tia guardò l’amica andarsene con un po’ d’apprensione; sentiva addosso la tensione con cui la ragazza le aveva teso il diario, quasi fosse un pezzo del suo cuore. Mettersi a nudo in quel modo davanti a un’amica significava molto, e soprattutto significava che Ginny non poteva più portare quel peso da sola, e che aveva bisogno di un suo consiglio.
Sperò in cuor suo che non ci fosse nulla di troppo complicato, ma vista l’espressione di quel ragazzo temeva il peggio; sembrava così forte, combattivo, e al contempo così fragile… le ricordava proprio Ginny.





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Capitolo 5
*** Io invece ero aria, e tu, tu eri come me ***


Dal capitolo precedente:


“È un frammento del mio diario, ma lo tengo in un posto che non conosce nessuno e posso evocarlo solo io. Se desidero che venga letto, basta farlo apparire. Oppure sparire.” Le sorrise congedandosi, prima di uscire dalla tenda.

Tia guardò l’amica andarsene con un po’ d’apprensione; sentiva addosso l’inquietudine con cui la ragazza le aveva teso il diario, quasi fosse un pezzo del suo cuore. Mettersi a nudo in quel modo davanti a un’amica significava molto, e soprattutto significava che Ginny non poteva più portare quel peso da sola, e che aveva bisogno di un suo consiglio. Sperò in cuor suo che non ci fosse nulla di troppo complicato, ma vista l’espressione di quel ragazzo temeva il peggio; sembrava così forte, combattivo, e al contempo così fragile… le ricordava proprio Ginny.















13.



Michael camminava avanti e indietro davanti alla tenda di Ginevra, dal lato opposto dell’apertura.

Gin, ti dispiace se parliamo? No, troppo diretto… Gin, sto per riprendere il viaggio, e volevo parlarti dei Ghermidori… no, per Merlino, no!”

Strinse i pugni, frustrato. Non mi devo vergognare… non mi devo vergognare, non devo! Solo perché ho fatto un errore… oh, insomma, due volte lo stesso errore, non significa automaticamente che io sia un idiota…

Gin, vorrei che tu chiedessi aiuto a Londra per identificare quei banditi, è troppo pericoloso lasciarli in circolo, potrebbero prendersela con chiunque… sì.”

Si arrestò a metà strada, con una mano sollevata verso il nulla.

Gin, mi dispiace per la tua bussola…” sussurrò, a mezza voce, incapace di formularlo chiaro e forte.

Ginevra, io-” esclamò con aria indifferente, arrestandosi immediatamente alla vista di Tia seduta sulla brandina; fra le mani aveva un pacco di pergamene che lui aveva già visto tempo addietro. Quindi non ha mai smesso di scrivere.
Lesse negli occhi di Tia la verità: lui non aveva il diritto di leggere, e quella ragazza non aveva idea di come impedirgli di farlo, ma più importante ancora, quelle pupille inquiete gli dicevano che nel diario di Ginevra c’era qualcosa che lui non doveva sapere.
E qualcosa scattò in lui, lasciando che per l’ennesima volta agisse d’istinto, senza curarsi delle conseguenze.
Niente era più importante nell’attimo presente del sapere cosa avesse avuto in mente Ginevra in quegli anni, nonostante avesse sempre sostenuto che di lei non gli importava più niente da tempo.
Doveva capirla, ne aveva bisogno, voleva staccarsi da lei una volta per tutte; tuttavia temeva la verità più di ogni altra cosa.

Il sangue gli andò alla testa troppo rapidamente. Così, prima che lei potesse reagire, le prese di mano il malloppo; lei mantenne la presa, e si ruppe a metà.

Evanesco. E ora dammi il resto, se non vuoi che ti faccia del male.”

Puoi sempre provarci.” L’ammonì lui, prendendo la bacchetta “non dirlo a Ginevra, te lo riporto fra un attimo e faremo come niente fosse. Affare fatto?”

Sei un essere insulso. Ora so perché era così turbata. Spero per te che leggi in fretta, perché altrimenti corro a dirglielo. La responsabilità è tutta tua. Stronzo.” Ringhiò Tia. Stava per mettersi a piangere.

Lo guardò andarsene; quei suoi occhi scuri li odiava già.

Si sentiva in colpa per non essere riuscita a fermarlo. Maledisse l’amica per non aver protetto il suo diario, scusandosi mentalmente per non essere stata degna di fiducia. Preparò mille e una bugie da raccontare a Ginny, ma nessuna era plausibile; si convinse che era credibile leggere tutto in un paio di giorni, non di più; ad essere onesta, aveva letto più della metà in un’ora appena; era curiosità accesa e pura, erano emozioni, era la sensazione di averlo già vissuto sulla sua pelle, perché tutti perdono un amico, una volta nella vita.

Si dispiaceva che a Ginny fosse capitato Michael. Si mordicchiò le labbra, impaziente, preoccupata, ma si rassegnò ad aspettarlo, convinta che sarebbe tornato per leggere il resto. Era praticamente impossibile che non lo facesse.



Michael si smaterializzò qualche radura più in là, dov’era stato con Ginevra appena qualche ora prima. Si sedette ai piedi di un albero, guardandosi attorno cauto, poi cominciò a leggere.

Diario di Gin. Weasley

A Michael: il mio amico, il mio cuore, le mie fibre e i miei nervi vitali, cui ho sempre negato tutto pur donandogli interamente me stessa.

Ho deciso –deciso?-, parlerò con te attraverso queste pagine. Non ho molta scelta. Vero? Tu hai ricucito le tue cicatrici, hai leccato ogni ferita e te la sei data a gambe. Avrei dovuto fare lo stesso, invece mentre tu ti voltavi e correvi verso il futuro te, io sono rimasta a guardare la tua schiena, sperando che ti voltassi. Non ti sei mai più voltato; mai più.

Vorrei tanto che tu potessi leggermi, vorrei tanto spiegarti cosa sia andato a rotoli. Ma tu mi hai cancellata e scacciata via dalla tua vita, e io per te non sono più niente. Come spiegarsi perché siamo arrivati a tanto? Eravamo amici, nemmeno amanti. Due ragazzini di sedici, diciassette anni appena, con l’intero mondo davanti e la voglia di mettersi alla prova. Avrei voluto che tu mi vedessi crescere dopo la scuola. Avrei voluto averti accanto, a volte; mi sono abituata a non averti più. Ricordo l’ebbrezza che provavo in ogni attimo passato vicino a quei tuoi occhi luminosi, il tuo sorriso non sbiadisce nei miei pensieri, mi galleggia davanti invitante, e il mio cuore fa male e si arrotola palpitante su se stesso come un riccio.

Mi capita ancora di sognarti di tanto in tanto. Mi sveglio nel cuore della notte con le lacrime agli occhi; il mattino è rabbuiato e mi alzo con l’impressione che la giornata sia già morta. Se durante i miei sogni avessi davvero potuto chiarire i nostri problemi con te come desideravo ardentemente fare, ora sarei un’altra persona, e tu non mi faresti così male. Invece sei ancora qui, una ferita bruciante nella carne. Rivedo i tuoi occhi, no, non sono più gli stessi; sono quelli di quando già ti allontanavi da me.
La consapevolezza di sapere che ti stavo perdendo mi uccideva, eppure tu non te ne accorgevi, il tuo volto cercava ancora di essermi caro. Ragazzo ingenuo sorridevi, e mi dicevi “ci rivediamo a settembre”. L’avevo sentito, io, invece, che quell’estate ti avrebbe cambiato, e che ti avrebbe portato via da me per sempre.

È da circa un anno che ho smesso di sognarti regolarmente, ogni tanto spunti fra i miei pensieri o in una conversazione e mi catapulti in un mondo grigio al quale non voglio appartenere. Mi sento persa ogni volta e ogni volta mi fai vergognare, perché il mio cuore si era aperto per te e tu hai voltato lo sguardo altrove. Io lo sapevo che mentivi, e tu vedevi il mondo attraverso i miei occhi, eri a conoscenza di tutto, anche tu. Ero bugiarda perfino con me stessa. E tu, che non sei mai stato bravo a mentire, negavi tutto.

Perché non abbiamo parlato prima, non abbiamo agito, prima? Solo adesso so cosa eravamo, tu ed io. Quel “tu ed io” che tanto ti ha fatto crucciare e che ci ha separati, cancellando il passato così morbido e ricco, così familiare. Come un fuoco d’artificio abbiamo bruciato tutto attorno a noi e nell’arco di poco tempo non è rimasto più nulla. Si sa che le scintille non hanno vita lunga. Così come abbiamo squarciato il cielo, splendenti di luce propria, siamo ricaduti sull’asfalto. E già non eravamo che polvere.
Speravo di spiegarmi con te faccia a faccia, rivolevo quella luce nel tuo sguardo, la desideravo con ogni cellula del mio corpo, volevo che m’illuminasse di nuovo. Che brillasse per me come aveva già fatto. Non posso; mi fai troppa paura. Non reggerei il confronto, so che cercherei le tue mani che non mi spettano più, e leggerei nei tuoi occhi quel buio che vi ho letto mesi addietro, dopo che tutto era già finito. Finito come? Non ricordo, ah no, forse si, ehm… già. Ti ricordi, vero? Con un bacio.

Le pergamene frusciavano nel tremore delle sua mano, mentre le pupille non poterono fare a meno di continuare a saettare da sinistra a destra, e poi d’accapo; ogni riga uno scalino al buio, ogni parola un sobbalzo in fondo al cuore. Ginevra era molto più coinvolta di quanto avesse mai potuto immaginare. Gin...



Sono sempre stata fedele a me stessa. Una persona con idee semplici, chiare. Crescendo poi ho capito quanto quello che dicevo suonasse stupido nelle orecchie degli altri.
A quindici anni ero una ragazza piuttosto serena, spesso mi instillavo coraggio da sola per l’inspiegabile paura che mi faceva il mondo.
Volevo fare così tante cose che mi perdevo nei miei pensieri e finivo per lasciarmi scoraggiare, schiacciata dalla mia incapacità di scegliere.
Tu eri come me.

Eravamo a scuola insieme da qualche anno, non ti avevo notato. Si, certo, ti conoscevo. Ragazzo scalmanato, facevi parte di quella fetta di Hogwarts che vive per creare caos. Ti trovavi bene con i miei fratelli, infatti; io avevo Luna, la mia più grande amica. Eri bello già allora, ma io non ti guardavo. La tua pelle, tesa sullo zigomo chiaro e vellutato, una pelle di bambino, non chiamava il palmo della mia mano, e no… il tuo sorriso non mi faceva stringere il cuore. Non ancora.
È con orrore che mi chiedo come reagiresti sapendo queste cose.
Se solo tu potessi leggermi…

Era appena finito il quarto anno, quando ci siamo avvicinati.
È stato per caso. Non ricordo con precisione quando ho cominciato a pensare che tu potessi essere un amico per me, un amico speciale. Forse era una gita a Hogsmeade, ai Tre Manici di Scopa, in cui gli amici in comune ci hanno trainato senza troppi complimenti. Tu eri là, brillavi della tua luce, e solo standoti vicino mi sono accorta di quanto ogni tua parola fosse giusta, succosa, interessante.

Abbiamo cominciato a parlare fra noi; per un paio di giorni, quando passavamo del tempo con gli amici –ora riuniti in un unico gruppo-, io e te ci siamo accostati impercettibilmente e abbiamo imparato a conoscerci.
Eri un ragazzo pieno d’ideali, mi sembravi un pacco da scartare, ma ancora non ti prestavo abbastanza interesse per capire chi tu fossi veramente.
"Caspita, è simpatico, però". Quando la sera andavo a dormire e tra le coperte ripensavo alle giornate appena trascorse con te. E subito m’invadeva quella sensazione di essere su una nuvola, neanche fossi la persona più potente del mondo. Parlare con te… mi dava le ali per viaggiare al di là dei muri. Ogni mattone di ogni muro, un briciolo di paura che con orrore scompare dalla mia mente e la lascia libera. Tu questo eri per me; prima ancora di conoscerti bene, prima di capirti. Come ero io? A quindici anni avevo un fisico snello e fine, sapevo che i ragazzi si giravano per guardarmi, ogni tanto. Io arrossivo ma facevo sempre finta di essere una dura, una di quelle che uccidono con lo sguardo. Niente di più falso, ma questo già lo sai. Ero una ragazza con dei capelli luminosi che danzavano sulle spalle, il sorriso spontaneo che si arricciava sulle labbra come una molla senza nessun ritegno; due ciocche sempre davanti agli occhi, uno sguardo timido ma pulito e sincero. Lo stesso sguardo che ti ha fatto scappare via da me.
Mi odio e mi odiavo; non me lo perdono ancora adesso.

Tu avevi quei capelli che andavano in tutti i sensi, color cioccolato al latte; sembravi un istrice, qualsiasi cosa cercassi di fare per metterli a posto. Non lo sapevo, ma eri un fascio di muscoli per il Quidditch sotto quelle vesti scure, quella camicia, quella cravatta. Mi pare ancora di sentire il tuo profumo. Fa male. Lo sentivo anche solo a stare seduta accanto a te per chiacchierare fra una lezione e l’altra. Avevi sempre un maglione di troppo e le tue braccia erano calde, quanto fredde erano invece le tue mani. Arrossivi facilmente senza perdere il buon umore e senza nasconderti.
Cominciavi a balbettare, se imbarazzato, e cambiavi discorso con quell’espressione strana e ridicola che mi viene in mente ora. Gli occhi ridevano e le guance erano rosse e tirate; le labbra di sbieco sui denti piccoli e regolari –miseriaccia, io ho dovuto mettere l’apparecchio per ottenere un fac simile del tuo sorriso!

Anche tu non risparmiavi i sorrisi. Chissà se gesticoli ancora come prima? Era una cosa terribilmente divertente vedere nei tuoi occhi quello che non riuscivi ad esprimere a parole e che cercavi invano di far intendere a gesti. Sì, mi sono affezionata a ogni dettaglio; a distanza di anni me ne ricordo ancora.
Non ti vergogni, Gin! Così mi diresti, se solo… se solo io non avessi rovinato tutto in partenza.

Avevo imparato a leggere i tuoi occhi. Sei stato il mio primo specchio umano: in te c’erano i miei sogni e le mie paure, in me i tuoi. Non passava giorno senza che provassi brividi nel sapere che avrei fatto una passeggiata con te e avrei potuto parlarti. Era quello che sapevamo fare meglio! Chi siamo? Da dove veniamo? Cosa faremo più tardi? Ne vale la pena? È giusto? È sbagliato? Mi piace… no, questo no. Era come gridare in una stanza minoscola e vuota e sentire l’eco.
Nelle stanze l’eco non esiste. Nella nostra invece sì. Esisteva.
Ero stupita dal nostro affiatamento. Mi sei piaciuto subito; eri così interessante.

Ti ricordi quel giorno che siamo finiti in punizione perché Macmillan ha fatto finta di non sapere dove fossimo quando la prof l’ha mandato a chiamarci? Mi bolle ancora il sangue! Una bella fattura non gliela toglie nessuno, se me lo trovo davanti adesso. Io avevo degli ottimi voti, ma non parlavo mai in classe. Tu invece accantonavi una pila di Deludente e Troll sul fondo del baule, ma chiedevano sempre a te di leggere i testi ad alta voce. Adoravo ascoltarti leggere ad alta voce; intonavi ogni parola con la giusta rapidità e modulavi la voce con sorprendente maestria.
Ti ammiravo, e ti invidiavo. Io leggevo bene solo per me stessa, nel mio letto caldo, alla luce di una lampada soffusa nel cuore della notte. Ci piaceva anche parlare di libri, tu mi parlavi di Tolkien e io di Pullman. Ci siamo scoperti a vicenda ed eravamo colmi di gioia, di aspettative.

Un amico, un amico vero!“ Gridava il mio cuore cercando di scoppiarmi in petto.

Poi è venuta l’estate.
L’ho passata a casa con la mia famiglia, ero felice, ero eccitata.
Mille promesse nella mia testa. Con lei arrivò il mio compleanno. Era attorno al dieci settembre, se non sbaglio.
Una domenica.
L’abbiamo festeggiato tutti insieme, mi ricordo di essermi emozionata molto. Gli amici erano tanti, il buon cibo abbondante e i giochi divertenti. Poi, durante l’ennesima pellicola di film babbano trito e ritrito –illegale, a scuola, e fornito dai miei fratelli- io ho continuato a fare come se tu non ci fossi.
Come se fossi solo uno fra i tanti.
Non ho fatto nessun calcolo pensando a te. Non ho fatto nessun calcolo pensando a lui; forse, invece, pensando a lui ne ho fatti troppi.
Ho baciato Dean Thomas.
E tu sei diventato il mio migliore amico.

L’ultima frase era incisa più volte, con inchiostro rossiccio. Era rugosa al tatto, rovinata, vissuta, probabilmente Gin aveva pianto scrivendola. La sfiorò avanti e indietro, con l’indice, piano, prima di continuare la lettura. Attorno a lui si sparpagliavano le pagine che aveva già letto.



Come avrei potuto saperlo? Dimmelo.
Forse dal tuo sguardo? Dal tuo sorriso, quello che rivolgevi sempre a me, solo a me?
Perdonami.
Ma cosa diamine sto dicendo?
Non sei tu che sei sparito con una voragine al posto del cuore.
Tu sei sparito, e basta.
Non sei tu quello che ancora non ci dorme la notte. Io so cosa fai di notte: sogni. Oppure vai a ballare, adesso, da quando hai scoperto quanto ti piace la musica moderna… o meglio, da quando i tuoi nuovi amici te l’hanno fatta scoprire.
Quello che sogna del passato, come se il tempo di mezzo, quello che ci separa adesso, non esistesse affatto, non sei tu.
Quasi fosse tutto come prima... quella sono
io.

Forse più che a te dovrei chiederlo a me stessa. Ginny, perdonati per le stronzate che hai fatto. Per gli errori che hai commesso. Per le persone che hai scelto. Per le situazioni che hai compromesso.
Ti odio, Michael.
Si, ho baciato Dean quella sera. È colpa tua. E mia. È davvero una colpa?
Ci siamo ritrovati vicini, erano mesi che mi stava accanto, è con leggerezza che mi sono sciolta fra le sue braccia, senza pensarci un attimo. Immagino che mi piacesse davvero, in un qualche modo, quel ragazzo. Era molto alto, e molto attraente. Trovavo confortante il calore della sua pelle e della sua anima vicino alla mia. Sorrideva sempre, all’inizio, mi sembrava un’ottima isola per il mio naufragio personale. È durata troppo, tra me e lui, perché ero incapace di chiudere la storia. Accantonavo scuse su scuse. Ma niente. Era di coccio, di legno, di ardesia.
E io invece ero di aria, e tu eri come me.
Ero incapace di ammettere che stavo con lui per comodità, per parlare di qualcosa, per non starmene sola.
Non lo amavo, e lui non amava nessuno al di fuori di se stesso.

Eppure ti avevo sempre attorno! Come ho fatto a non notare subito la differenza? Quella tra lui e te?
Ci ho messo un anno, ad accorgermene.
Ti ricordi? Ci siamo avvicinati ancora di più, con la scusa che entrambi eravamo innamorati di qualcun altro. Parlavamo sempre di loro, quando mettevamo un freno ai nostri bellissimi, rammaricati viaggi mentali.
Tra due pensieri puri, ci ficcavamo loro. Tu eri, testuali parole
, pazzo di Calì Patil, una ragazza dell’anno di Harry e Ron. Io ero, testuali parole, davvero innamorata di Dean Thomas. Ci divertivamo a trovare in loro cose che non c’erano. Lei era perfetta ai tuoi occhi, ma nonostante le tue mille avances non ti ha mai degnato di uno sguardo. Lui era l’uomo della mia vita, ma non abbiamo mai scambiato più di due parole; eravamo su due pianeti lontani anni luce.
E senza accorgercene, io e te eravamo così vicini.

Parlavamo piano, accoccolati ai bordi del Lago, su una panchina, sugli scalini del Castello, in un pub malfamato di Hogsmeade. Su di un prato, le teste vicine, sussurravamo strappando steli d’erba per solleticarci il naso a vicenda, come due bambini. Ridevamo, scherzavamo sempre, eravamo poi seri, ci guardavamo negli occhi qualche istante.
Tu arrossivi; io non avevo il coraggio di guardarti più di quel poco tempo che mi accordavano i tuoi occhi. Avevo paura. Di cosa? Di innamorarmi di te?

Adoravo ascoltarti quando partivi in quarta in uno di quei tuoi discorsi strambi sulla politica, quelli che riservavi ai nostri momenti perché nessun altro ti ascoltava mai come me. Sapevo che avevi, in un modo un po’ contorto, bisogno di me per questo motivo. Io ti ascoltavo e ti rispondevo. Era piacevole come scambio. Nessuno era così disposto a starti accanto come me.
Spesso ti davo anche consigli su come avvicinarti a Calì. Tu volevi sempre fare di testa tua e ogni volta finiva che tornavi da me deluso e mi raccontavi tutto quanto come se il mondo intero ti fosse crollato addosso. Avevo capito da tempo che lei non voleva stare con te, nonostante non ti rifiutasse apertamente. Me lo chiedevo anch’io, come faceva a non vedere quanto vali (valevi?). Tu per me eri divino. Ti trovavo bello, interessante, pieno di risorse, così luminoso.

Perché lei non vedeva la tua luce?
Non sono riuscita a impedirmi di odiarla, per questo. Semplicemente, invece, non eravate fatti per stare insieme.
Eppure avevo paura di dirtelo, come se facendo così potessi scoprirmi troppo, aprirmi troppo.
Sapevo anche che tu probabilmente non l’avresti accettato e avresti fatto finta di non sentirmi.
C’erano certi tipi di discorsi che non potevamo affrontare, nonostante tutto.
Nel frattempo, quando Dean tornava a casa per le vacanze e noi invece restavamo a Hogwarts… e Calì non si sa bene dove fosse andata a finire… ecco che abbiamo avuto tutto lo spazio e il tempo necessari per avvicinarci. Era arrivato il culmine della nostra amicizia… ci siamo dati spazio, quel poco che bastava per farci cozzare come sassi nello spazio e creare scintille sempiterne. Non siamo mai stati così vicini, come durante quelle vacanze. Restavamo sempre soli, passavamo un sacco di tempo insieme. Mangiavo in fretta per venire a trovarti; ci davamo appuntamento nei luoghi più disparati. Solo per stare vicini, solo per chiacchierare, per sentirsi come accarezzati dall’aura che l’altro emanava e per l’effetto benefico che ne ricavavamo entrambi… un tepore piacevole che distendeva le pieghe del cuore. Ho cominciato ad allontanare Thomas per i suoi comportamenti sempre più equivoci ed aggressivi, tu invece, forse per l’aria di vacanza che tirava, non parlavi più tanto di Calì. Siamo andati a una festa in maschera insieme, ti ricordi?

Ti eri travestito da me e io avevo addosso la tua divisa di Quidditch, Merlino sa quant’ero ridicola! Io facevo le tue smorfie strambe e tu continuavi ad andare in giro gridando: “io sono Ginny, io sono Ginny! Guardate che so fare! La secchioncella s’arrabbia facilmente, attenti a voi o vi scateno contro l’inferno con una fattura Orcovolante da brivido!” Facevi quella voce strana e acidula, così orribilmente femminile, e sghignazzavano tutti. Eri l’anima della festa. Io invece stavo in disparte, come al solito.
Ti guardavo da lontano, sorridendo, sentendo quel calore all’anima che infuriava ogni volta che mi lanciavi uno di quegli sguardi rapidi e carichi di affetto tra una battuta e l’altra, dall’angolo opposto della stanza. Così lontani, così vicini…

Michael tratteneva furiosamente le lacrime. Che razza di parole erano quelle? Cosa significavano le scintille sempiterne?
E quelle descrizioni così accurate e poco lusinghiere di lui, eppure così intrise di affetto? Si era aspettato parole di ogni genere, più che altro insulti, ma non tutto quell’affetto e tutto quel rimpianto. Il suo cuore era poco avvezzo al lasciarsi andare a quel genere di sentimenti. Si sentì travolto dalla forza di quelle parole.
Quel calore all’anima che infuriava ogni volta che mi lanciavi uno di quegli sguardi rapidi e carichi di affetto tra una battuta e l’altra... perché faceva così male? Così lontani, così vicini...
faceva male da morire.

Alla fine delle vacanze eravamo più uniti che mai. Improvvisamente gli altri amici sono passati in secondo piano.
Ogni attimo che non passavo con te era un attimo perso. Quando mi eri lontano mi mancava il respiro e ti cercavo con gli occhi. Cercavo la tua mano e tu me la concedevi, apertamente, davanti a tutti. Perché? Perché eravamo amici, di quelli veri, di quelli che farebbero di tutto l’uno per l’altro.
Era così chiaro per noi, nessun sentimento equivoco.

Quando la persona accanto a te brilla di ogni luce e tu ne rimani abbagliato, cosa puoi fare? Quando una calamita vi costringe a stare pelle contro pelle, come se ogni attimo fosse l’ultimo, cosa puoi fare?
Mi riservavi sempre quello sguardo affettuoso, quell’abbraccio stretto ogni mattina per salutarmi, e il mio cuore scoppiava di gioia. È il mio amico.
Mio.

Mio?

Mi ricordo di un giorno, in quel periodo bellissimo, uno fra tanti, uno fra molti. Un giorno che ho custodito a lungo e protetto nel groviglio della mia mente. Ero seduta in biblioteca con Luna, Neville e qualcun altro. Tu sei arrivato dietro di me e mi hai coperto gli occhi con le mani. Le ho riconosciute subito: fredde, secche, ruvide. Profumate di te. Un odore così familiare da farmi girare la testa, da provocare un enorme moto di affetto nei tuoi confronti.
Non me l’aspettavo. Ho perso un battito. Il mio cuore è inciampato. Un bacio sulla fronte.
Il mio cuore è rimasto a terra, incapace di continuare la corsa.
Ora palpitava sconcertato, incapace di stare al passo con i miei sentimenti.
Ho avvertito chiaramente un senso di svenimento, come quelle dame del passato che avevano bisogno di essere rinsavite con i sali.
Una cosa così ridicola.
Luna, Neville, gli altri. Tutti mi hanno guardata. Ho letto nei loro occhi la verità. Adesso sì, c’era qualcosa di equivoco.
Ma né io né te volevamo vederlo.
Abbiamo continuato così per settimane, come se fossimo irraggiungibili, come se la nostra amicizia non potesse mai avere una fine. Sei diventato sempre più necessario, sempre più vitale. Cercavo la sicurezza nei tuoi occhi.
E tu non ti sei mai tirato indietro. Era doloroso. Era bellissimo.

Poi un giorno…

Sai, Gin. Al tuo compleanno, quando hai baciato Dean Thomas.”

Mh, che cosa?” Giocavo con i tuoi riccioli, quelli sulla nuca, più tondi, più a molla.

Parlavamo del tempo che avevamo trascorso insieme, ripercorrevamo i sentieri, le scelte, il passato, alla ricerca di non si sa bene cosa. Era piacevole passare il tempo così.

Eravamo sdraiati in riva al lago, sul lato della Foresta, in modo da non avere seccature. Ci piaceva parlare, ma ci piaceva anche ascoltare il silenzio della natura. Così quello era il nostro covo segreto, il nostro posto preferito a Hogwarts.

Sai, quando ho visto che l’hai baciato non ti ho detto niente; riesco a dirtelo solo adesso, perché sai… adesso non provo più la stessa cosa, siamo amici. Adesso è diverso.”

Cosa è diverso?”

“…”

Eddai! Non puoi pretendere che io non insista… non dopo quello che mi hai detto!”

“…”

Misha?”

Ero pazzo di te, Gin.”

Wow, queste sono notizie” ho ridacchiato, me lo ricordo, mentre il cuore ha accelerato. Inspiegabilmente.
Qualcosa in me si era destato, qualcosa di sconcertante e forte.

Non fare la stronza” subito offeso, rosso in viso e imbronciato per la mia reazione.

Misha, perché ti piacevo?”

Beh, eri… forse era l’estate, non so, comunque i tuoi capelli erano assurdi, chiarissimi, profumavano… dio, non so neanche di che cosa e, davvero non lo so, ricordo che ti ho trovata stupenda. Appena ti ho rivista mi sei piaciuta da matti. Per giorni e notti non ho smesso di pensarti, ero completamente partito… fino al tuo compleanno…”

Sul tuo viso crucciato l’ombra del ricordo di ciò che hai provato per me, in quelle giornate tiepide di settembre.
Rivivo ancora l’entusiasmo nei tuoi occhi e l’aria disinteressata con cui mi hai detto che era solo acqua passata.

Però sono contento che tu sia con lui, alla fine. Altrimenti non saremmo mai diventati amici”

Eh... già.”

Qualcosa mi si era spezzato dentro, ma non lo sapevo in quel momento, non l’avevo riconosciuto.
Come una cuticola squarciata dentro alla quale si nascondeva chissà che.
Qualcosa di piccolo, con un gran potere, che se n’è rapidamente tornato nel suo rifugio dopo essere stato preso a bastonate.

Sono sicuro che insieme non saremmo durati più di due mesi”

Davvero?” Ti ho chiesto io, convinta del contrario.
Non me lo spiegavo quel nostro rapporto ambiguo, così altalenante, così esclusivo.

Eppure non escludevo che, se fossimo stati innamorati uno dell’altra, e insistevo bene sul SE, nella mia mente, beh non avremmo avuto difficoltà. Sarebbe stato un gioco da ragazzi andare d’accordo. Solo immaginare di baciarti, però, mi faceva girare la testa per l’imbarazzo.
No, non ero innamorata di te, mi dicevo. Impossibile, eri come un fratello, come un cugino, come un
amico.
Eppure…

Ovviamente… avevi ragione tu.

Mh-mh, si, certo.” Hai annuito sicuro, come a voler dare conferma a me e anche a te stesso “Non siamo mai d’accordo su niente!”

Ma cosa dici, Misha! Abbiamo solo argomentazioni diverse. Tendiamo sempre alla stessa direzione. Pensavo che fossimo amici, proprio per questo… non ho mai potuto dialogare e imparare così tanto con un’altra persona. Lo sai.”

E anch’io, Gin. Certo che siamo amici per questo, perché ci piace parlare. Ci piace molto! Ma le nostre idee sono sempre diverse” Hai sostenuto tu, con determinazione.

Ti vedevo autoconvincerti e ciò non ha fatto che confermare il contrario in cuor mio, ma la bestiolina nel mio petto non accennava a tornare fuori, era terrorizzata. Mi hai fatto tremare l’anima quel giorno, angustiato di dubbi, con le tue affermazioni hai fatto nascere in me un sentimento nuovo.
La paura di perderti.
Eri ostinato a strapparmi il cuore dal petto il giorno stesso. Ma io non ti avevo mai chiesto nulla di più della nostra amicizia. Non avevo mai preteso niente di più. Mi bastava quello che avevo. A te no?
Tu ci hai portati in questo discorso, quel pomeriggio di maggio a scuola!
E hai battuto tu la terra per il bivio, quello che ci ha costretti a prendere due strade che non si potranno mai più incrociare.
Siamo tornati al Castello vicini ma distanti.
Stavolta erano le nostre menti ad essersi allontanate.
Quella notizia mi aveva elettrizzata.
Una scossa mortale da diecimila volt.
Se io non avessi baciato Dean, Michael si sarebbe fatto avanti. Saremmo stati insieme? Cosa saremmo diventati? Un amore da adolescenti? Un amore da adulti? O due innamorati? L’avrei amato? Ci saremmo lasciati dopo due mesi, come diceva lui?

Una cosa era sicura. Se l’avessi saputo, quel dieci settembre, che tu eri pazzo di me, non avrei mai baciato Dean Thomas. E tu non saresti mai stato il mio migliore amico.





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Capitolo 6
*** Di strani sogni e Ghermidori ***



Dal capitolo precedente:

Michael tratteneva furiosamente le lacrime. Che razza di parole usava quella strega? Cosa significavano le scintille sempiterne? E quelle descrizioni così accurate e poco lusinghiere di lui, eppure così intrise di affetto? Si era aspettato parole di ogni genere, più che altro insulti, ma non tutto quell’affetto e tutto quel rimpianto. Il suo cuore era poco avvezzo al lasciarsi andare a quel genere di sentimenti, e si sentì travolto dalla forza di quelle parole. Quel calore all’anima che infuriava ogni volta che mi lanciavi uno di quegli sguardi rapidi e carichi di affetto tra una battuta e l’altra... perché faceva così male? Così lontani, così vicini... faceva male da morire.





14.

Ginevra assaporò il suo piatto di riso come raramente aveva fatto in vita sua. Ringraziò Daniel per averla sostituita in cucina, a malapena si reggeva in piedi dalla fame. L’arrivo di Tia la rese un po’ inquieta; si raddrizzò sullo sgabello scomodo su cui si era seduta, osservando l’amica sedersi accanto a lei.

Sei stanca?”

Abbastanza, Tia…”

Ho cominciato a leggere, uhm, tu sai cosa.”

Oh.”

Già.”

Daniel scrutò la scena per qualche istante, poi capì di essere di troppo.

Ragosse, vado a occuparmi dell’itinerèrio della settimona prossima. Dovremmo essere in marscia per Sao Paulo già da un paio di giorni, e i rifornimonti arriveronno là. Manderò una missiva per avvisarli che non ci saremo per lundì prossimo. Pulite voi i platti?” ammiccò alle tre ciotole misere, la caffettiera ammaccata, le posate e l’enorme pentola di rame che troneggiava sul tavolo pieghevole a cui erano sedute.

Non c’è problema, va pure.” Tia attese che si fosse allontanato; “Mi sembra comunque che non sia cosa da niente, la vostra amicizia come la chiami tu.”

Come altro diamine dovrei chiamarla?”

Oh, non saprei. Cominciamo dall’inizio, comunque. A me sembra che tu abbia avuto una bella cotta per lui a scuola!”

Ginevra arrossì.
Era la prima volta che inquadrava la questione con l’aiuto di un’altra persona. Fino a quel momento, le ipotesi aveva dovuto cavarle fuori da sola e spesso a furia di pensarci non solo si incupiva e diventava intrattabile, ma capiva ancora meno Michael.
Non aveva idea di quanto le sue congetture potessero avvicinarsi alla realtà, ma anche se fossero state lontano un miglio avrebbe continuato lo stesso a produrne a palate; quegli incubi intrisi di affetto e veleno che la squassavano ancora come una bambina avevano lasciato posto, e se n’erano andati, solo all’arrivo dei ricordi della guerra; non c’era stato periodo più buio di quello in vita sua, ma non appena ci fu la calma, una volta finiti i conflitti, una volta detto addio a suo fratello, si era accorta che gli incubi precedenti stavano svanendo. Aveva avuto un disperato bisogno di mettere quelle sue congetture per iscritto, giorno dopo giorno, alla ricerca del loro significato; non voleva abbandonare quei ricordi, nonostante il loro tempo fosse ormai scaduto.
Non aveva mai accettato la fine della loro amicizia.

Non ho toppato, giusto?”

Giusto. Però non era ricambiata, cara la mia investigatrice.”

Prima rispondi ad un’altra domanda. Era solo una cotta? A te lui non fa più effetto ora?”

Lei non rispose.

Sei fidanzata, e convivi! Adesso ti fai mettere in crisi da dei ricordi?”

Tia, io non sono in crisi! Sono solo arcistufa, e Harry è così lontano, e non ha pensato nemmeno una volta di prendere l’iniziativa di venire a trovarmi.”

Non farmi credere che sia questo il tuo problema, signorina!”



Un’ora, due ore; non aveva importanza. Continuò a camminare fino allo stremo, fino a spremere ogni goccia di sudore che la sua fronte potesse produrre; lasciò che il sudore si mischiasse alla rabbia che sfioccava dai suoi occhi; non poteva crederci, stava piangendo. Si sentiva un’idiota, ma non era in grado, ancora, di venire a capo di quel guazzabuglio che aveva in mente.
Gin era la soluzione. Sapeva di doverle delle spiegazioni, e ora anche lei gliene doveva; aveva bisogno di risolvere la questione e una volta per tutte.

Non gli era mai successo, da quando era partito, di sentirsi così maledettamente debole; eppure non era mai stato così libero.
Era dolorosamente e irrimediabilmente liberato dalle sue menzogne, spazzate via da quelle pagine scavate d’inchiostro e di lacrime e forse anche di baci. Aveva trovato una foto, fra le pergamene, appesa al ricordo della festa alla quale si erano travestiti assieme.
Lui era davvero attraente, con i capelli ordinati e gli occhi ridenti, nonostante la gonna di Gin, la cravatta Grifondoro e il sorriso scempio.
Gin battitrice di Corvonero era sublime, ma qualcuno aveva oscurato il suo viso con un pennarello nero.
Evanesco.
Ecco, quegli occhi incriminanti, quegli occhi innamorati che nessuno dei due aveva voluto vedere.
Fino a quando era diventato troppo tardi. Erano un pugno nello stomaco. I sentimenti di Gin gli turbinarono dentro e gli diedero la nausea; anche lui avrebbe oscurato la foto, se fosse stato in lei. E anche se non lo fosse stato. Facevano troppo male.
Aveva mentito a se stesso, per poter partire con la coscienza pulita e per continuare ad andare avanti. Ora che lo sapeva, che lo aveva finalmente capito, non aveva più senso continuare a mentirsi. Se non poteva dirle almeno una volta in faccia che era stato un’idiota, non se lo sarebbe mai perdonato. La sua intera esistenza, il suo credo, la sua ribellione interiore, era tutto sparito, spazzato via dalla malinconia.

I sensi di colpa gli serrarono le budella, e provò mista alla rabbia anche tenerezza, e comprensione e vergogna insieme. Le voleva ancora bene, da matti, e lo sapeva. Gliene voleva così tanto, così tanto che odiava se stesso nel farlo, perché aveva rovinato tutto, perché se avesse avuto le palle glielo avrebbe detto, a Gin, che lui era solo un vigliacco e che non voleva sentirle, le sue verità. Voleva essere un adolescente ancora per un po’, lasciare che l’unico dolore venisse dall’interno, e da nessun’altra parte.

Gin era come una spina nel fianco, silente quando si è immobili, ma capace di un dolore sordo e lancinante pronto a divampare al primo passo falso. E lui non lo voleva; non aveva mai voluto soffrire per mano sua. Così aveva deciso che sarebbe stato meglio odiare se stesso.

Passò la notte accucciato ai piedi di un albero, lanciando incantesimi alle liane, tagliandole fino a trasformare l’intera matassa che gli faceva da rifugio in un immenso spazio vuoto; ai suoi piedi si posavano sempre più numerosi, ad ogni colpo di bacchetta, squarci teneri e verdi di coriandoli.



Il tramonto. Uno spettacolo da mozzare il fiato; gli uccelli in volo, calava il sipario, i rumori della giungla cambiavano timbro.
Era assieme spaventoso e bellissimo. Per qualcuno, in quel momento, esclusivamente spaventoso.

Ginny, no.”

La ragazza dovette sollevare il capo dal macello di cui era vittima e carnefice. Oggetti di ogni genere e svariati effetti personali galleggiavano attorno alla strega dai capelli rossi, finendo per essere infilati senza delicatezza nello zaino o scaraventati contro le pareti della tenda.

Devo, guarda là fuori! Fra meno di dieci minuti non ci sarà più un filo di luce la in mezzo! Sono passati tre giorni, Tia. E se gli fosse successo qualcosa? Ho aspettato abbastanza.”

Sarà scappato a gambe levate quell’esempio di coraggio e umiltà.” Sibilò Tia incrociando le braccia.

Mi ha sempre fatto penare, ma stavolta...”

Pensi che non sia andato via di sua spontanea volontà?” disse, poco convinta.
A poco a poco nella sua mente si materializzò l’idea che fosse tutta colpa del diario.
Scosse la testa, non voleva pensare che quello scempio fosse tutta colpa sua.

Non lo so, quel che è certo è che lui è un idiota. Si è fatto incastrare due volte da un Troll. Io non posso permettermi di lasciarlo da solo adesso. La sua casacca è ancora qui, e questo può significare una sola cosa. Ha o aveva intenzione di tornare.”

Quel ragazzo, io giuro che...”

Tia imprecò ancora masticando i suoi insulti, ma aiutò l’amica a chiudere lo zaino col sacco a pelo.
Ginevra sapeva essere testarda; non era la prima volta che camminava nel verso opposto al suo.
Solo che stavolta rischiava la pelle.
Aveva tentato di tutto per trattenerla, e non era servito a niente.

Lo riporterò qui prima di domani mattina, stanne certa. Dopodiché chi s’è visto s’è visto. Al diavolo. Lui e le sue trovate da avventuriero dei miei stivali.”

Sei sicura che non vuoi che ti accompagni qualcuno?”

Resta con Daniel.” Le scoccò un bacio rapido sulla guancia prima di uscire dalla tenda.

Indossava la casacca di Michael. In caso debba essere un addio.

Sii prudente, Ginny!”

Aspetta! Mi ridaresti il mio diario? Ci stai mettendo un sacco, è incredibile che macinassi i libri di Patologia Magica più velocemente di queste quattro pergamenucole! Si vede che scrivo proprio male, eh!”

Eccolo. Non è ehm...” Intero. Voleva davvero dirglielo. Ginny però glielo aveva strappato di mano ed era corsa via, infilandolo di malo modo nello zaino stracolmo, senza rendersi conto di niente.

Per fortuna, altrimenti, facendolo evanescere, si sarebbe sicuramente accorta che qualcosa era andato storto.



Non posso farcela.

Misha.

Era circondato da un cuore.

L’immagine si ripeteva ovunque sulle pagine disperse, a volte piccola a volte grande, cerchiata più volte, incisa fino a bucare la pagina, sbavata di inchiostro, raschiata dalla rabbia, riscritta nella disperazione.

Non posso rivederla ora. È tutto troppo diverso.

Michael si vergognò per lei e con lei, e tutto il veleno che le aveva riservato negli anni gli si riversò in vena.
Si alzò con frenesia, doveva andare, partire e subito. Non era in grado di affrontarla tornando al campo.
Tutta la situazione gli era sfuggita dalle dita.

Cosa gli era preso? L’aveva tenuta per mano; lui!; Si era sdraiato su di lei, ridendo; si era perso a studiare le costellazioni delle sue lentiggini, proprio lì sulle spalle; aveva riconosciuto i suoi avambracci delicati, le sue guance tornite, le sue sopracciglia fiere e il suo sguardo buono e amareggiato. Come ai vecchi tempi. Con gli occhi sbarrati e il respiro accelerato, raccolse il malloppo e prese a camminare sempre più rapidamente fra la boscaglia. Come ai vecchi tempi, aveva ignorato i sentimenti di Gin perché non voleva smettere di starle accanto e solo quando il bivio era diventato inevitabile, aveva accettato di separarsi da lei. Umiliandola. Dovette tenersi la gola, perché in un punto impreciso e vacillante, fra il cuore e la lingua, sentiva un dolore pazzesco.

Tornerò Ginevra, e mi scuserò con te, ma non ancora; non adesso.

E poi, dopo, non ci vedremo più una buona volta per tutte.


Ginevra saggiò l’area con lo sguardo, illuminandola con la punta della bacchetta. Era soffocata dall’aria umida, dal buio e dai rumori angoscianti tutto attorno a lei. Con la fronte sudata inghiottì una boccata d’aria e proseguì il cammino facendosi strada fra le liane. Ogni fruscio era un brivido su per il collo, così cercò di concentrarsi su Michael. Non era poi così difficile, via. Era comparso all’improvviso, strappandola alla bolla tiepida e calma in cui si era infrattata, e poi se n’era andato di nuovo, lasciando dietro di sé la scia distruttiva di un uragano. Non era cambiato di un pelo. Lei sapeva che probabilmente quella casacca non significava poi molto per lui, ma aveva voluto darsi una parvenza di dignità davanti a Tia.

Avrebbe dovuto ammettere, allora, che tutti i giorni non aveva fatto altro che mentire a se stessa – va tutto bene, Gin -, che non voleva vedere Michael andarsene un’altra volta senza spiegazioni – ti prego lascia andare la presa sul mio cuore -, che una piccola parte di lei aveva paura che gli fosse successo davvero qualcosa nella giungla – fa che non gli sia successo niente, fa che sia di nuovo, come sempre, colpa sua -.

Percorse a ritroso il sentiero di quel pomeriggio, guidata dal terreno più pulito, da segni precedentemente fatti sugli alberi e dalla luce della bacchetta.

Si fermò quando ebbe raggiunto il limitare degli alberi. C’era un fuoco acceso là in mezzo; poteva trattarsi di Michael.
Oppure…
Nox.

Spegnilo, cretino.”

Chiudi il becco, come faccio ad abbrustolire le salsicce se non ho il fuoco?”

...dai, dobbiamo ripartire.” in un ringhio.

Hai fretta? Il marmocchio di sicuro non ci troverà così facilmente”

Non credo che ci seguirà stavolta.”

Risero sguaiatamente. Erano davvero stupidi come dei Troll. Non c’era traccia di un Muffliato, di un incantesimo di protezione che fosse uno. Non poteva credere che Michael si fosse lasciato derubare da quei due. Un ex-Corvonero come lui? Impossibile... a meno che, non avesse avuto la brillante idea di non proteggersi affatto, esattamente come i due Ghermidori. Ginny sentì di conoscere una delle due voci.
Quando si decisero ad alzarsi per andare via, carichi di legno pregiato e raro, lei non ci pensò due volte: doveva seguirli e scoprire a chi lo vendevano.



15.

«Ron, credo di essere pazzo. Faccio dei sogni»

«Ancora? Dopo tutto questo tempo? Sono passati quattro anni Harry, forse è il caso di parlarne con qualcuno di competente»

«Mi vergogno»

«Come mai? C’è ancora lui?»

«No, Voldemort non c’entra nulla. Sono... ossessionato»

«Ok, ora mi spaventi» deglutì il ragazzo dai capelli rossi, grattandosi il mento ormai irto di barba ramata.

«Sono io la mia ossessione. Mi piaccio, mi idealizzo, mi vedo meglio di come sono... è come se una parte di me lottasse contro il mio buonsenso!»

La frase azzerò il sensore di pericolo acuto dell’altro e gli strappò una risata liberatoria «Ma Harry! Hai abusato di Whiskey ultimamente?»

«Cazzo, Ron. Non sto scherzando. E smettila di ridere! Non ti rendi conto, io sono davvero pazzo. Non sono mai stato così fuori di me! Mi vedo come un estraneo, capisci? Da fuori. Non noti niente di diverso in me?»

«Beh, si. Sei estremamente affascinante, vuoi uno specchio per constatarlo tu stesso?»

«Accidenti a te, deficiente!» soffiò Harry a mezza voce, frustrato «mi sembra di avere un’altra persona dentro. È una cosa folle. Non fare quella faccia. Te lo giuro. C’è qualcuno che mi abita, Ron. Una persona innamorata! Di... me. Capisci?»

«Credi di essere vittima di un incantesimo?» Ron cercò di restare serio, ma solo in nome della loro amicizia; quella faccenda era insensata a tutto campo. Ci avrebbe scommesso cinque zellini. Forse.

«Non lo so, ma non è finita qui» e con un’occhiata esaustiva, riuscì a toccare le corde giuste, tanto che Ron strabuzzò gli occhi.

«Sogni roba di te stesso?»

«Io... sì. Ogni notte. E... mi piaccio parecchio, anche, ma è come se fosse tutto sbagliato, e lo è, cioè, me ne rendo conto! Ma non in quel senso. È come se quella parte innamorata fosse cosciente, ed è convinta di non meritarsi il mio affetto.»

«Harry!»

«Lo so, lo so. Non dovevo nemmeno parlartene. È così vivido che non riesco a smettere di pensarci, mi sta logorando. Seriamente, Ron» disse, «tu cosa penseresti se sognassi di essere in un altro corpo, e da quel corpo di osservarti, provare affetto per te e una miriade di altri sentimenti?»

«Non saprei» sentimenti, eh? Sentimenti e roba. Accidenti, Harry era strano forte.

«Appunto»

«Ne parlerò con Hermione, lei saprebbe dove e come documentarsi – sempre che tu sia convinto di non voler andare all’ospedale, per le mutande di…»

«Sei impazzito? Prova a immaginare cosa penserebbe!» esclamò subito Harry, con la mente piena di ricordi assolutamente indecenti e per niente pronto all’idea di condividerli con qualcuno, figuriamoci una donna «No, bocca cucita. Solo tu devi saperne qualcosa, hai capito?».

«Come vuoi tu Harry. Lasciati logorare dal tuo amore per te stesso allora! Mi pare una cosa così stupida che non sta nemmeno in piedi nei miei pensieri. Scusa, ma mi fa ridere. Io la prenderei più alla leggera se fossi in te».

«Forse hai ragione» disse Harry, per chiudere il discorso.

Non era per niente convinto e lo sapevano entrambi. Harry non avrebbe mollato, non lo aveva mai fatto anche in occasioni più confacenti ma pericolose. C’era della magia, dietro a quelle sensazioni, era chiaro come il sole. Ne avvertiva la presenza con assoluta certezza, come quando aveva capito che la sua bacchetta l’aveva scelto. Ora tutto era in secondo piano. L’Accademia Auror di Londra, Ginevra, gli amici. Era così preso e così cosciente di esserlo che quasi si compativa. Avrebbe aspettato la notte con trepidazione, avrebbe atteso con gli arti formicolanti e le palpebre in fibrillazione fino a sentire sulla pelle quelle carezze leggere come piume, quei pensieri così dolci da toglierli il fiato, e quelle labbra che tanto amavano le sue.

Era nella mente di chi lo amava, non l’avrebbe mai ammesso, ma era sicuro che fosse così. Un ricordo dopo l’altro, a ripetizione, come un vortice; una febbre d’amore che ti costringe a letto e ti rende stupido e felice, perennemente eccitato, in un bagno di sudore.

Era davvero lui ad amare se stesso? Di chi erano quelle mani che studiavano il suo viso, amandone ogni spigolo? Chi era così folle da accendersi di passione solo perché lui spingeva in fuori la mandibola quando rifletteva? Sì, spingeva in fuori la mandibola, e la cosa era imbarazzante, una volta sveglio, ma quel moto di affetto verso se stesso lo stendeva letteralmente.

Era possibile, in un mondo di portatori di bacchette, sentire su di sé ogni sfaccettatura dei sentimenti di un altro come un ricordo lontano e considerarlo normale? Era un tormento così piacevole che il suo corpo reagiva, si lasciava invadere.
Non aveva idea che si potesse avere la pelle d’oca per ore. Doveva indagare, e rischiare di perdere quella beatitudine dei sensi?

Molto meglio soccombere, quando Morfeo lo abbracciava; e così lui s’infiammava dei baci che qualcuno ricordava di avergli dato, baci veri, cancellati e dispersi e poi ritrovati.






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Capitolo 7
*** In trappola ***




Dal capitolo precedente:

Era possibile, in un mondo di portatori di bacchette, sentire su di sé ogni sfaccettatura dei sentimenti di un altro come un ricordo lontano e considerarlo normale? Era un tormento così piacevole che il suo corpo reagiva, si lasciava invadere. Non sapeva nemmeno che si potesse avere la pelle d’oca per ore. Doveva indagare, e rischiare di perdere quella beatitudine dei sensi?

Molto meglio soccombere, quando Morfeo lo abbracciava; e così lui s’infiammava dei baci che qualcuno ricordava di avergli dato, baci veri, cancellati e dispersi e poi ritrovati.









16.



Hermione, sei felice. Sei mai stata così felice? Non senti più quella voragine in petto. Tutto tace in te, mentre vivi il presente. Quanto è piacevole vedere Ron spogliarsi senza paura di leggere in te una reazione frenata o negativa?
Lo accetti, lo abbracci, ti abbandoni con lui e non lo avevi mai fatto.
Ron ha le spalle larghe, la cosa ti fa impazzire.
Sotto l’ombelico la sua peluria di bronzo è solletico, la sua pelle profuma di uomo e le sue gambe robuste e muscolose ti schiacciano, ed è meraviglioso, ti sembra di essere su un altro pianeta.
Ron stavolta non è impacciato, reagisce d’istinto, ti regala sensazioni mai provate... vero?
Non è inebriante, la vita? Ora si che va tutto come vuoi tu...





17.



«Ron, stanotte ho sentito una voce» disse Harry dopo un gran sorso di Burrobirra «sono sicuro di conoscere quella persona».

«Aspetta un attimo, che stai dicendo? Non era un a parte di te?»

«No, sì, no. Non lo è. Sono sicuro che non lo è. Inoltre, in quei sogni, mi sento tremendamente donna. Dio, non hai idea di quello di cui sto parlando, è una cosa allucinante. Ron, sono sempre più convinto che si tratti di un ricordo perso. Leggi qui»

«Ma questo è l’articolo della Gazzetta di quando avevano aperto la Camera dei Segreti!» disse, leggendo rapidamente i titoli della prima pagina, fermandosi all’articolo cerchiato di rosso da Harry con un sussulto «ALLOCK?»

«Esatto. Un Oblivion riuscito male. Te lo giuro, io lo so, ne sono certo.» Harry sembrava combattuto, gli occhi gli scintillavano leggermente per la frustrazione e il timore di essere frainteso.

«È una teoria più che strampalata, ma te lo concedo, forse la vecchia Romilda può non aver stemperato quella sua passione focosa per te»

«Chiunque sia, ho come la sensazione che lo scoprirò presto; sembra che un po’ alla volta il vecchio Gilderoy abbia recuperato la memoria» e si avvicinò a Ron prima di continuare con un tono più contenuto «e questa roba, questi ricordi – perché di ricordi si tratta – non sono venuti qui per caso. Stanno riempiendo uno spazio, una porta nella mia mente che prima era occupata da qualcos’altro. Devo capire di cosa si tratta. Forse, Ron. Forse, ascoltami, ti sembrerà pazzo, ma sento che qualcuno mi ha obliviato in passato, ed è l’unica ragione per cui questi ricordi sono entrati in me e ora sembrano possedermi»

«e pensi che probabilmente sia stata la stessa persona a svolgere i due incantesimi» affermò Ron, mentre Harry annuiva con vigore. Si mordeva il labbro, e il suo sguardo non ammetteva repliche: doveva credergli, o sarebbe impazzito all’istante, e tutto gli sarebbe crollato addosso. Ron sentì un gran peso, ma non lo diede a vedere.
Si considerava da tempo abituato alle stranezze dell’amico, ma questa le batteva tutte.



18.



Cosa c’è che non va? Cos’è questo gusto amaro in fondo alla gola?
Perché si stringe, si secca, e devi deglutire?
Non era esattamente quello che volevi? Ron è stato bravissimo,
anche stavolta.
Ora dorme accanto a te, le sue palpebre pesanti sembrano volerti ricordare che tu sei sveglia, al contrario di lui.
Sveglia, e insoddisfatta. Eppure sembrava tutto perfetto; hai studiato e poi ti sei preparata per il suo arrivo, ti sei perfino truccata. L’attesa ti ha resa eccitata, famelica, i tuoi baci l’hanno quasi divorato appena ha varcato l’uscio.
Ti ha trascinata sul letto, sotto alle lenzuola, e tu hai trascinato lui fra le cosce, con audacia.
Da quando sei diventata audace?
E poi? Poi avete parlato. Man mano, la tua mente si allontanava, distoglieva la sua attenzione, e ti sei persa, lasciandolo solo nella conversazione. Una volta riscossa, ti sei accorta che dormiva pacifico sul tuo stesso cuscino.
Era stato il silenzio a svegliarti?
Fine dell’ebbrezza, fine dei piacevoli sospiri... e poi?

Per quanto ti basterà, quello che hai?





19.



«Ron, lei sta sparendo. Ero così vicino, e ora mi sfugge».

Harry era sconsolato, teneva la testa fra le mani da cui scappavano ciuffi di capelli neri come la pece.
Gli occhiali appoggiati malamente sulla fronte scostavano le ciocche e scoprivano la vecchia cicatrice.
Ron si appoggiò allo schienale e smise di giocare con il sottobicchiere.
Non alzò lo sguardo su di lui.

«Lei ti sfugge?»

«Sì, non riesco più a capire chi sia. Ero sicuro che l’avrei riconosciuta, ma da una settimana i miei sogni sbiadiscono. Non riuscirò mai a capire chi sia stato, di questo passo»

«E ora cosa vorresti fare? Non pensi sia il caso di dimenticare tutto?»

«No, non voglio. Lei mi ha privato di una parte di me, la rivoglio indietro. Rivoglio i miei ricordi. Aiutami a riprendermeli»

«Come vuoi, amico. Vediamo di cercare in settimana nella biblioteca di Accademia, deve pur esserci qualcosa»

Harry notò il tono dell’amico, leggermente incrinato, e intuì che non dipendeva dalla conversazione.

«Qualcosa non va?»

Quello che non si aspettava era che Ron finisse mezza pinta in un unico sorso; non lo aveva mai fatto.
Si erano sempre contenuti, e quella era la loro Burrobirra “dell’amicizia”.
Mezz’ora alla settimana di chiacchiere a quel tavolo spazzava via tutti i malanni, ma stavolta forse non sarebbe bastata.
Ron posò il boccale e trattenne un singhiozzo, poi spostò lo sguardo a terra, avvilito.

«Tutto non va»

Harry lo guardò per la prima volta con attenzione e scoprì con sgomento le lunghe pieghe sulla sua fronte, il suo cipiglio e il verdeazzurro dei suoi occhi intriso di nero, ingrigito.
Ron aveva smesso di tormentare il sottobicchiere solo per strapparsi le pellicine attorno alle unghie; qualche polpastrello era sporco di sangue. Harry capì che era il momento di ridimensionarsi per fare spazio alle preoccupazioni dell’amico.

«TOM, ALTRE DUE PINTE PER FAVORE!» gridò al barista, che risposte con un cenno d’intesa. «Tutto non va, insomma.» disse con tono interrogativo e cauto per non bruscare la timidezza dell’altro.

Ron detestava aprirsi, e sapeva bene quali sarebbero state le sue reazioni se avesse insistito senza delicatezza.
Modulò il tono in modo esemplare: era la chiave giusta. Ron implose nella sua rabbia silenziosa, pronto a parlare.

«Era tutto praticamente perfetto, non eravamo mai stati così bene, e poi un po’ alla volta è peggiorato tutto. Dopo tre anni, Harry! Tre anni insieme – sembrava che andasse tutto meglio – e invece no. Non va bene niente. Non va bene quando faccio da mangiare, non va bene che non so scegliere il tè giusto – scusa tanto se mi sono scordato che lo bevi solo al limone! E io nemmeno lo bevo il tè! – non va bene abbracciarla dopo averlo fatto» disse con disgusto, e neppure l’occhiata di puro imbarazzo di Harry lo fermò, «per non parlare del fatto che io sia indietro di un anno all’Accademia Auror rispetto a te. Ovviamente confrontarmi con gente che ha passato il test solo quest’anno è da deboli, e non conta nulla il fatto che io lavori come un elfo al Dipartimento con mio padre! Niente, Harry! Nemmeno il pane so scegliere, sbaglio i cassetti, dico la cosa giusta al momento sbagliato, il mio dormire la disturba – sì, anche quando non russo! – e le fa schifo il mio alito di burrobirra, nonostante la beva anche lei, e quindi quando tornerò stasera mi spingerà via e non vorrà nemmeno un bacio, e sarà nervosa tutta la sera, miseria ladra! Non so più cosa fare Harry. Lei non mi vuole più»

«Ecco a voi, sono quattro e quattro, otto falci»

«Tieni pure il resto Tom – Ron, stai buono. Te lo devo, accidenti»

«Capisci? Io non sono abbastanza» nascose le lacrime dietro ai pollici, e a Harry si strinse il cuore; voleva sotterrarsi, ma si costrinse a guardarlo. Era costernato e non si aspettava assolutamente una confidenza simile. Cosa poteva fare per il suo amico?




20.

Michael si svegliò immerso in una calma innaturale. Quando ebbe aperto gli occhi del tutto, trovò un tucano a qualche metro da sé. Era colorato e lucente, bellissimo, e non aveva paura di lui. Si sedette e il tucano prese il volo con un poderoso battito d’ali, sollevando uno sbuffo d’aria calda verso il malcapitato. Doveva essere mezzogiorno. Scostandosi i capelli dal viso fece cadere numerosi coriandoli verdi e appassiti.

Dove era finito? Aveva camminato tutta la notte fino a quando la stanchezza aveva preso il sopravvento.
Stravolto, era riuscito ad addormentarsi ai piedi di un albero di mangrovia gigantesco. Ma era stato tormentato dall’inconscio.

Si massaggiò le tempie, scocciato, rendendosi conto di essere a due passi dalla radura in cui gli avevano spezzato le gambe.
Quella in cui Gin gli aveva lanciato quello sguardo acuminato e lucente, mentre si stava legando i capelli.
No. Niente Gin. Basta pensieri. Si alzò e cominciò a camminare in tondo, senza sapere cosa fare.
Dove sarebbe andato? Come avrebbe pagato il prezzo della spedizione senza i soldi della legna?
Se andassi ora da Gin potresti scusarti e lei potrebbe metterti in comunicazione con qualche Auror.

Si sentì punto nell’orgoglio.
Non poteva chiedere aiuto, soprattutto non a lei. Se la sarebbe cavata da solo, a costo di rimetterci di nuovo le gambe.
Doveva solo trovare il modo di farlo. Così fece l’unica cosa che gli venne in mente e che faceva sempre prima di cominciare qualcosa: si sedette a terra, al centro della radura, e chiuse gli occhi.

Se fosse riuscito a tranquillizzarsi, avrebbe acquisito lucidità e senza ombra di dubbio avrebbe macchinato un piano per salvarsi il culo. Era sempre stato così. C’mon Michael.











Ginevra li aveva braccati con la pazienza del felino, ma dovette ammettere a se stessa che stava cominciando ad affaticarsi.
Il nastro verde dei suoi capelli doveva essersi allungato di qualche chilometro mimetizzato nella vegetazione, ma era soddisfatta: ora poteva tornare indietro facilmente.

Era sudata, sporca, piena di escoriazioni e graffi urticati. Non aveva portato unguenti, sicura che avrebbe trovato Michael nel giro di qualche ora. Invece si era ritrovata a inseguire due Ghermidori su e giù per la giungla, senza farsi scorgere, senza perdere traccia pur mantenendo le dovute distanze.

Non era una faccenda facile. Era prosciugata dagli incantesimi di Disillusione, e quando si accorse che si stavano fermando per fare una breve pausa si lasciò cadere a terra fra enormi foglie lattee verdi e viola, lottando contro la stanchezza per non addormentarsi.
Per quanto ancora avrebbe dovuto seguirli?

I due uomini, sulla mezza età, sedevano uno accanto all’altro su un tronco tagliato da loro di fresco. Stavano per mangiare.
A Ginevra si torse lo stomaco dalla fame. Presto le forze l’avrebbero abbandonata.
Tese l’orecchio in uno sforzo immane, e rimase in ascolto.

Prendi la mappa, Zorak.”

Scherzi? Sto mangiando. Fammi finire il panino!”

Scabior ti avrebbe già frantumato la testa. Possibile che io debba lavorare con gente come te?!”

Chi te l’ha fatto fare, eh? Dammi la mia legna, stronzo.”



Ginevra alzò gli occhi al cielo.



Non esiste! Senza di me non saresti mai riuscito a rintracciare il marmocchio.”

E tu non saresti mai stato in grado di spezzargli le gambe.”

Grrrr!”

Senti, la passaporta è qua vicino, me l’ha segnata sulla mappa la Vermiglia di Notturn Alley in persona. Ora smettila di frignare e lasciami mangiare in santa pace!”

La Vermiglia, dici?”

Sì. Parola mia, quella strega è orrenda. Brutta come il Vaiolo di Drago, ma accidenti se ci sa fare.”

Ne ho sentito parlare; non sapevo che lavorasse a pagamento per chiunque” era evidente lo scherno per il compagno “è vero che è in grado di deviare i Caminetti, oltre che le Passaporte, senza che il Ministero se ne accorga? E quale sarebbe il suo nome vero?”



Zorak si guardò attorno con aria cospiratrice, prima di addentare il panino.



Nessuno lo sa. Si fa chiamare La Vermiglia.”



Rimediò uno scappellotto che gli fece sputare il boccone.



E allora cosa ti atteggi a fare?! Siamo in mezzo alla giungla, razza di Troll instupidito. Nessuno di può sentire qui. Nessuno lo sa, pff. Di pure che tu non lo sai.”

Nient’affatto, nessuno lo sa! Puoi starne certo. Vedrai, vedrai!, quando torniamo a Londra. Ti mangerai le dita per avermi contraddetto.”



Londra. A Ginevra balzò il cuore in petto. Il traffico era diretto nientemeno che alla capitale!

Zorak, sei sicuro che a Sinister non dispiaccia, se usiamo il suo magazzino come deposito?”

Accidenti, sì. Mi deve un favore.”

Forza, dobbiamo rimetterci in marcia.”

Ecco la mappa.”

Avevi ragione, è proprio qui dietro.”



Ginevra sospirò esultante; non solo sapeva dov’erano diretti, e poteva quindi mandare una missiva a Harry per allertare tutti quanti, ma avrebbero anche potuto agire in fretta e preparare un’offensiva organizzata prendendoli di sorpresa! Si sentì un genio dell’investigazione, e assaporò la vittoria prima ancora di averla visualizzata. Non solo, ora poteva finalmente tornare all’accampamento, riposarsi un giorno o due e ripartire. Al diavolo Michael, al diavolo tutto!



Guarda un po’ cos’abbiamo qui, Yano.”

Ciao, bocconcino.”



Non aveva fatto in tempo a impugnare la bacchetta; senza che potesse accorgersene, la stanchezza e la sensazione di sollievo avevano allentato i suoi incantesimi fino a renderli del tutto innocui. Ginevra era stata Schiantata prima ancora di rendersene conto.



E adesso cosa facciamo con lei?”

Non vorrei che fosse stata nascosta qua dietro tutto questo tempo. Saremmo irrimediabilmente compromessi, se questo uccellino decidesse di parlare.”

Allora facciamo in modo che non parli più.” Ghignò Zorak.

Sei pazzo? Io non uccido, razza d’idiota. La porteremo dal tuo amico Sinister, sono sicuro che ha un posto dove tenerla, in attesa di vendere il carico. Ci penseremo dopo.”

E va bene” se la caricò in spalla, “ora, in marcia.”











Michael era deciso a tornare all’accampamento dei Medimaghi. Avrebbe affrontato di petto le sue paure.
Si, era finita l’era del Michael cagasotto.
Quando aveva aperto gli occhi dopo la lunga meditazione, aveva ancora due pensieri fissi. L’indulgenza di Gin, che non poteva più attendere oltre, e il risotto bruciacchiato del damerino francese.
Aveva maledettamente fame.

Expecto Patronum!”

Un lupo grigio-argenteo gli venne incontro con le orecchie sollevate e la coda dritta.

Guidami fuori di qui. Devo ritrovare Ginevra.”









Tià, guarda laggiù. Mi sombra di vedere Michel!”



Daniel ci aveva visto giusto. Non aveva previsto però che la strega abbrancasse la bacchetta e la puntasse contro il ragazzo al limitare della foresta, sparando una serie infinita di schianti fiammeggianti senza riuscire a colpirlo.



Tià, sei impazzita! Che stai fascendo?!”

RAGAZZI, VIA. TREGUA?” gracchiò Michael, senza più un filo di saliva in bocca. Un sorriso storto.

Dov’è Ginny? Perché non è con te?!”

Io...” Michael si guardò attorno, accigliato, prima di recepire il messaggio “Gin non è con voi?”

È partita ieri sera per cercarti. Era convinta che tu avessi lasciato la casacca apposta, che non te ne saresti andato. Dov’è?”

Io… mi dispiace, non lo so. La mia casacca?”



Si era quasi dimenticato di averla lasciata lì, tanto era turbato il pomeriggio che aveva lasciato l’accampamento.

Cominciarono a cercare Ginevra nei pressi dell’accampamento, chiamandola a gran voce, lanciando scintille rosse verso il cielo, al di sopra degli alberi, sperando di attirare la sua attenzione.
Passarono una decina di minuti, prima che Michael, accovacciato nel fogliame alla ricerca di qualsiasi cosa, trovasse effettivamente
qualcosa.

Era un nastro verde sbrindellato; quel nastro.
Lo sollevò con una mano, trovando resistenza.
Era incredibilmente lungo.

Ragazzi, credo di avere una pista.”

Merlino ti ringrazio! Senti un po’, imbecille. Se mi fai un altro scherzo simile sei finito. Non mi sei piaciuto fin da subito, ma ho chiuso un occhio per lei. Non ti farò lo stesso regalo un’altra volta!”

Non perdiamo la calma. Prendiamo qualche provvista e seguiamola, non può essere andata così lontano. È stata via solo una notte. La ritroveremo, non preoccuparti. È scaltra, non le sarà successo niente.”

Ti auguro di avere ragione, Corner.”

Tià, ma chérie. Accompagno io Michel.”



Non era in vena, ma Michael non poté fare a meno di notare, nonostante la situazione, che c’era del tenero fra quei due.
Ma chérie. Alla faccia del damerino. Distolse lo sguardo per lasciarli interloquire in privato. Pff.

Sentiva gli arti tremare per la scarica adrenalinica; aveva trovato una pista, Gin non era poi così lontana; l’avrebbero trovata, ne era sicuro; altrimenti… altrimenti non volle nemmeno pensarci. Ebbe un leggero malore, si appoggiò all’albero più vicino, ma decise che non era il momento giusto per svenire. Doveva ritrovarla, prima che le succedesse qualcosa.



Tia, voglio che vieni tu con me.” Disse poi, agguantandola per una spalla, avvicinandola a sé.
Le parlò sottovoce, perfettamente udibile anche da Daniel che lo osservò fare con un sopracciglio alzato. “Punto uno, lui parla crucco. Punto due, conosci Gin senza dubbio meglio di lui, e magari colmerai le mie lacune, rendendomi più facile il lavoro. Punto tre, abbiamo qualche questioncina in sospeso, se non sbaglio.”

E va bene, fammi prendere la veste. Qui di notte c’è un freddo Schiopodo, non si sa mai.”



La ragazza tornò poco dopo con una veste smeraldina e una marrone sgualcita, buttandogliela addosso. Michael la prese al volo, leggermente infastidito. All’interno del suo mantello di fortuna c’era un barattolo con del Fuoco Fatuo.



Weasley Handmade, eh?” Chissà quanti marciotti affatturati per rubar loro le lanterne... “Ottimo. Avremo anche la luce senza usare le bacchette. Andiamo.”

A dopo, Daniel.”

Sois prudente ma Tià.”



Si abbracciarono brevemente, poi Tia raggiunse Michael che teneva stretto il lembo di nastro nel palmo della mano.









Ginevra si svegliò dolorante. Aveva qualche livido in più, ma se l’era cavata con poco.

In un lampo ricordò tutto, e tentò di alzarsi. Non ci riuscì, aveva mani e piedi legati.
I suoi effetti erano appesi a un gancio sulla parete di un’angusta stanza di terra battuta, a giudicare dall’umidità, sotterranea.
Chiuse gli occhi.
Non è possibile.
Si era fatta mettere nel sacco, proprio come Michael.
Se non altro, aveva ancora le gambe intere. Mosse gli alluci con piacere, tentando invano di sgranchirsi appropriatamente.

C’era un’unica luce fioca nella sua prigione, era una torcia appesa accanto al suo zaino. Doveva essere in uno scantinato, una prigione.
Se quel che ricordava era corretto, si trovava sotto al Magie Sinister’s.

Un boato sordo fece tremare il terreno. A Ginny s’incappò il respiro a metà e inghiottì aria e saliva.

Un ruggito spaventoso le squassò le ossa. Un Troll, vero questa volta, si trovava nella cella di fronte alla sua. Erano separati da una palizzata di sbarre metalliche rugginose. Mi schiaccerà e mi ammazzerà prima che io riesca a tirarmi fuori di qui. Il panico la invase. Improvvisamente ricordò anche come era arrivata in quella cella: l’avevano buttata a terra in malo modo, poi Yano e Zorak avevano preso la chiave in prestito a Sinister – cos’era, una specie di prigione a noleggio?! – e se n’erano andati con il loro prezioso carico. Accidenti. Cosa poteva fare? Doveva recuperare lo zaino. Non era in grado di fare incantesimi di appello non verbali. Non gliene era mai riuscito uno. Non è il momento di perdere la calma, Ginny. Respirò profondamente un paio di volte, poi strinse gli occhi.
Attese. Nulla.
Ritentò ancora. Niente da fare.
Non aveva idea di dove fosse la sua bacchetta.
Era in un pasticcio bello e buono.

























Note dell’autrice: 1) Scabior, come molti altri ghermidori, muore nella battaglia di Hogwarts. in particolare cade dal ponte di legno che congiunge la foresta proibita al castello quando Nevile Longbottom lo fa saltare in aria per difendere Hogwarts. (Harry Potter Wikia); 2) la forma del Patronus di Michael l’ho inventata, ho cercato in lungo e in largo, alcuni dicono si tratti di un gufo, altri di un cigno. Per me, Michael è un ribelle, solitario e burbero lupo alpha; 3) Daniel chiama Michael “Miscèl” per via delle sue origini francesi!







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Capitolo 8
*** Bombarda Maxima ***




Dal capitolo precedente:



Accidenti. Cosa poteva fare? Doveva recuperare lo zaino. Non era in grado di fare incantesimi di appello non verbali. Non gliene era mai riuscito uno. Non è il momento di perdere la calma, Ginny. Respirò profondamente un paio di volte, poi strinse gli occhi. Attese. Nulla. Ritentò ancora. Niente da fare. Non aveva idea di dove fosse la sua bacchetta. Era in un pasticcio bello e buono.







21.



Dovevano essere le sei del mattino o giù di lì.

Michael saggiò con i polpastrelli l’ultimo brandello di nastro.

Si ferma qui, mi dispiace.”

Non può essere andata tanto lontano.”

No, infatti.”

Tia osservò Michael cercare indizi, annusare le ceneri di un fuoco ormai spento, sollevare un boccone masticato sospetto, e raccogliere dei legnetti anonimi con gran garbo. D’istinto pensò che fosse pazzo; la ragione la rimandò al loro incontro precedente, e appurò che aveva probabilmente ragione.

L’aveva guardato a lungo, durante il tragitto, e poco alla volta la rabbia si era sopita. Era diventata curiosità a un livello morboso.
Corner si muoveva con disinvoltura nella boscaglia, barcollava appena per la stanchezza evidente – aveva due occhiaie spaventose -, ma non mollava l’osso; era la determinazione fatta a persona; aveva affrontato a muso duro tutte le accuse che lei gli aveva rivolto, finendo per chiedere scusa, dimostrando inaspettatamente di avere un certo grado di controllo sulla propria tempra.
Non era il suo genere, ma aveva decisamente fascino.

Quei capelli quasi rasati sui lati, la massa incolta e mora al di sopra, le spalle eccessivamente muscolose, e tutte le cicatrici della sorte. Non sapeva che Ginny avesse quel genere di gusti.

Non era propriamente un principe azzurro. Sembrava più che altro un paladino dei senzatetto.

Ho una buona e una cattiva notizia.”

Avanti, parla.”

So esattamente dov’è e come trovarla.”

E questa è la cattiva, giusto?”

Sembrò un istante eterno, ma lui non riusciva a parlare.

Spezzò un rametto di quel legno chiaro nel palmo della mano, portando lo sguardo in quello di Tia.

...i Ghermidori.”

Che cosa? Non ci sono più Ghermidori, non da quando gli Auror hanno debellato il morbo Oscuro dal popolo magico.”

Ti stupiresti della quantità di fesserie che escono dalle bocche sporche di quei bastone-in-culo di Auror! Posso assicurarti che ci sono. Vuoi che ti faccia vedere la mia cicatrice più fresca? Se Gin non mi avesse curato e protetto, l’altra notte, non sarei qui parlarti. O forse sì, ma senza le gambe.”

Dobbiamo trovarla subito. Dove si trova?”

A Notturn Alley, da Magie Sinister. Ma tu rimani qui.”

Non esiste, Corner.”

Fidati di me, una buona volta. Torna all’accampamento e contatta la sua famiglia. Suo padre lavora al Ministero della Magia, se non ricordo male, e suo fratello dovrebbe essere in apprendistato per diventare un Auror. Potranno avvisare rapidamente chi di dovere, e raggiungermi a Notturn Alley.”

Non esiste. Verrà Daniel con te.”

Oh, cielo! Non abbiamo tempo da perdere! Dimentica il damerino! Prendi il nastro, tieni. Ecco, ora vai. Io mi Smaterializzo direttamente la. Ci si vede.”

Credo che tu non abbia afferrato la situazione.” Disse lei, agguantandolo per il bavero “Expecto patronum! Vai a dire a Daniel dove siamo.”

Guardarono la volpe lattea saettare nella vegetazione fino a scomparire. Michael aspettò con impazienza che lei lo lasciasse andare con uno strattone. Era tutto, ancora una volta, colpa sua; ma che colpa ne aveva la sua camicia più bella? Se la lisciò sulle spalle.
Gli era costata parecchio, ma era incantata: teneva perfettamente la temperatura, che ci fosse caldo o freddo.
Così come la sua casacca.
Eppure, in un baleno aveva dimenticato le cose importanti, quando si era trovato faccia a faccia con Ginny.
Aveva
svalvolato.
Non avrebbe mai dovuto rubarle il diario.
Continuava a pensare a quanto fosse strano il fatto di averla incontrata nel cuore della foresta amazzonica.
Intendiamoci, lui aveva scelto quel lavoro per stare in pace. Era contento che gli avesse
salvato il culo, ma forse sarebbe stato tutto più facile senza di lei. Forse, se non ci fosse stata lei fin dall’inizio, lui non avrebbe mai sentito il bisogno di andare a lavorare dall’altra parte del mondo. Se lei gli avesse lasciato i suoi spazi, invece di soffocarlo con i suoi modi e le sue attenzioni, lui...

Non poté fare a meno di odiarsi, ardentemente, ancora una volta. Perché pensava alle stronzate, perché Gin era a due dita dal farsi sgozzare dalla prima Creatura prigioniera con lei sotto a Sinister’s se non arrivavano in tempo.
Perché era stata ancora una volta la solita Gin, quella che lo rincorreva malgrado i suoi errori, per aiutarlo a correggersi, per
salvargli il culo.
Si, non sbagliava mai con lei accanto. Non ne aveva il diritto.

Una prigione dalle sbarre preziose.
Una prigione nella quale avrebbe preferito finire i suoi giorni, piuttosto che trovarsi in una situazione come quella, in cui rischiava di scomparire per sempre l’origine di ogni suo dissidio interiore.
Senza Gin, i suoi rancori perdevano vigore. Senza di lei la rabbia non aveva più senso.
Senza la sua coscienza, lui non era che il ragazzino impaurito e ribelle che era stato prima di conoscerla.
Era stata lei, inconsciamente e dolorosamente, malgrado sé stessa, ad averlo plasmato, ad averlo reso ebbro di sé; era per lei che aveva deciso di darsi un senso, di cercarsi in un viaggio lungo come una vita.

Diede un calcio al tronco rovesciato e rimediò un dolore lancinante.

Accidenti!”

Speriamo che Daniel arrivi in fretta.”

Non è quello che mi preoccupa; i Patronus viaggiano alla velocità della luce, se necessario.”

Tia lo guardò dall’alto in basso, e non poté trattenere – bleah - un moto di compassione.
Lui era esausto, logorato dal perdifiato e dal digiuno. Probabilmente non avrebbe retto alla Smaterializzazione.
Probabilmente? Era
certo che non ne sarebbe uscito indenne.
Però non avevano scelta, se volevano arrivare in tempo. Michael non aveva scelta.
Sentì una punta di colpevolezza, sapendo che lui era consapevole di poter morire anche solo nel viaggio verso la meta.

Lo sapeva anche lui che si sarebbe spaccato. Lo dicevano le sue spalle curve, i suoi occhi saettanti, le palpebre tremule, le guance morse a sangue dai denti, le labbra pallide, serrate, le pupille nerastre che dilagavano e gli offuscavano i contorni, deformandogli la vista.
Ma Tia non si lasciò intenerire. Aveva letto abbastanza di lui per sentirsi invasa dai sentimenti della sua amica per lui ogni volta che lo guardava. Sentiva il suo rancore, la sua paura nel rivederlo, l’affetto che non riusciva a trattenere e che infatti era uscito a fiotti ad ogni occhiata; la paura dell’abbandono, la certezza di non essere accettata per quello che era, la sensazione del rifiuto, ma nondimeno quella strana speranza, malsana, che lui fosse così idiota, così ingenuo, da mentire a sé stesso.
Era ovvio, per lei, che Ginny ricadesse preda del passato ogni volta che lo incontrava.
Lui emetteva sentimenti contrastanti, con gli occhi e la bocca da una parte, con i gesti e l’incoscienza dall’altra.
Un perfetto cretino.
Se fosse tutto andato liscio, non gliel’avrebbe mai perdonato. Era disposta a tutto, per dargli quello che si meritava!

Tia sentì le nocche tendersi quando si alzò un leggero alito caldo nell’aria.
Michael spezzettava la legna producendo un rumore fastidioso, che non era disposta a sopportare ulteriormente. Doveva essere passato qualche istante, ma il tempo era fermo e lei sentiva l’angoscia crescerle in petto come una voragine. Il respiro accelerava ogni minuto, arrivando a rendere udibile il suo inquieto sibilare.

E se Daniel non avesse recepito il messaggio? E se Michael non fosse affatto sopravvissuto? Ginny glielo avrebbe mai perdonato?
Sarebbe riuscita a perdonare sé stessa? E soprattutto, cosa avrebbero fatto allora con Ginny? Lei non era in grado di incantare una Passaporta. Si stava preparando all’idea di doversi Smaterializzare con Michael. Ginny…

Non osò immaginare cosa potesse esserle successo. Ginny era una testa calda. Sperò con tutto il cuore che non avesse aperto la bocca a sproposito.

In quel momento, con un crack spaventoso nel quieto rumoreggiare della giungla, apparve Daniel.

Come diamine ha fatto a Materializzarsi qui?”

Il mio Patronus l’ha guidato.”

Tià, cosa è successo?”

Ascolta qui, Daniel” s’intromise Michael, guadagnandosi due occhiatacce “Io e te adesso ci Smaterializziamo a Notturn Alley. Se non la conosci, aggrappati al mio braccio e ti accompagno io. Ti avviso, potresti perdere un pezzo. Non mi sono mai Smaterializzato così lontano.”

Dan, io resterò qui. Tornerò al campo e chiederò un paio di volontari dal campo di Sao Paulo per aiutarmi a spostare l’accampamento; inoltre mi metterò in comunicazione con i Weasley. Ginny è in pericolo; dovete salvarla.”

D’accordo.”

Ottimo. Andiamo allora?”

Michel, sono pronto. Tià…”

Daniel la salutò con lo sguardo intriso di affetto – cercava di rassicurarla -, e ricevette un rapido bacio tremolante sulla guancia.
Lei non disse niente, aveva visibilmente la gola serrata; dedicò una breve occhiata a Corner, che rispose strizzando l’occhio.

Ci si vede, Tia. Tieniti forte, amico. Si parte.”











Doveva essere un arrivo discreto, perché a Notturn Alley Michael Corner non aveva – come dire? - amici.
Si e no c’era la Vermiglia, che se pagata, teneva il becco chiuso e gli vendeva preziose soffiate su
cosa cercare e dove cercarlo – dei veri salassi, ma le sue finanze non erano mai state un granché.

Cosicché, quando mise piede nel sottopassaggio che collegava Diagon Alley a Notturn Alley, fece il suo primo passo falso.
Uno, era atterrato allo scoperto, vicino a un piazzale angusto in cui regnavano odoracci e gente poco raccomandabile.
Due, si era spaccato dall’anulare – mignolo incluso – fino alla clavicola, e aveva perso due dita Smaterializzandosi.
Tre, il suo urlo disumano aveva attirato gli sguardi di tutti i passanti.
Nel giro di poco, se qualcuno lo stava cercando, avrebbe saputo che era lì.
Doveva agire in fretta, e trovare Daniel prima di tutto, ma il damerino era scomparso.
Ma soprattutto, quattro. Non aveva fatto i calcoli col fuso orario.
Era mezzogiorno, e le strade erano gremite di maghi di ogni sorte.

Missione fallita, gridavano tutti i suoi nervi, in preda a un dolore insopportabile, incitandolo ad abbandonare, a calarsi contro il muro sporco per riposarsi, solo per un po’. Era sporco e bagnato di sangue, e la ferita era aperta, palpitava imbrattando la camicia; lui cercava di scollarsela dalla pelle, ma quella, pesante di liquido vermiglio, tornava al suo posto, come un soffio lieve e fastidioso.
Sentiva le dita perse formicolare.

Forza, Michel. Non abbiamo tempo da perdere.”

Non sai quanto sono contento di vederti, damerino.”

Daniel sbiancò di netto quando vide la ferita; lui era indenne, per fortuna; sollevò l’altro di peso e lo trascinò in una viuzza deserta, lontano dai passanti.

Epismendo!”

“…”

Michael sentì le orecchie sturarsi e la vista tornare a fuoco. Se non ci fosse stato Daniel, sarebbe svenuto sul posto e probabilmente, se fosse sopravvissuto, qualcuno l’avrebbe raccolto e venduto. Vendevano qualsiasi cosa, a Notturn Alley. Cercò di scrollarsi di dosso quei pensieri ridicoli, ma il risultato fu disastroso. Ebbe un capogiro e finì dritto per terra. Lottando per tenere gli occhi aperti vide Daniel avvicinarsi e raccoglierlo nuovamente. Il medimago gli passò un braccio sotto alla spalla e gli sussurrò contro un altro incantesimo che Michael non riconobbe, ma che ebbe l’effetto di non fargli sentire più alcun dolore. Il suo sospiro di sollievo assomigliò più a un rantolo.

Non è il momento di sfiancare, l’ami.”

Ora va meglio. Grazie.”

Solo perché non sonti dolore adesso non metterti a fare gesti bruschi. Potresti svenire e non svegliarti più! Tergeo.”

Gratta e netta. Tergeo! Accidenti, non si smacchierà mai. Era la mia unica camicia bianca!”

Quel sens de l’humour per qualcuno che ha appena perso due dita. Risparmia la bacchetta per dopo. Coraggio, alzati. Dimmi dove dobbiamo andare.”

Michael tenne la bocca chiusa, perché non aveva abbastanza forza per parlare e camminare assieme.
Fece del suo meglio per richiamare con la mente ogni briciolo di energia che aveva in corpo preparandosi a fronteggiare il peggio.
C’era freddo, e il vento gli trapanava dolorosamente la fronte. Il grigio del cielo, i tetti svettanti, le finestre sporche, i cocuzzoli e l’odore dei caminetti erano un decoro bizzarro al quale non era più abituato.
Non c’era una traccia di verde, attorno a lui.
Solo pietra e grigiume.

Fece cenno al compagno di fermarsi e gli indicò con lo sguardo un edificio nero, con i vetri unti e appannati, dall’altra parte del viale.

Ci siamo, Daniel. Vedi quel negozio con l’insegna sudicia? Entra lì dentro, fai diversione. Al piano di sotto hanno una specie di prigione clandestina per le Creature Magiche dei contrabbandieri e i rompicazzo come me. Ci sono già stato, e sono già evaso, so dove tengono le chiavi.”

Io li distraggo, tu recuperi le chiavi. Ok. Parfait. E poi? Dove sci ritroviamo?”

A quello penseremo dopo.”

Aspetta, sciocco, ho un’idea. Dove si trova il negozio di bacchette di Olivander’s?

Non lontano da qui, ma-”

Sei capace di spiegarmi esattamonte dove sia?”

Quattro isolati a sinistra da sotto il ponte, poi uno a sinistra, cammini dritto, sei arrivato.”

Daniel mimò con le labbra quell’assurda filastrocca e Michael lesse nei suoi occhi che l’aveva ritenuta perfettamente.
Non male, damerino.

Così sai dove trovarmi se mi cerchi. So che lì sci lavora part time un Auror.”

Così, se succede qualcosa, i bastone-in-culo ci tireranno fuori da là.”

Esatto. Dammi la mano, adesso.”

Michael lo guardò con poco garbo, il sopracciglio sollevato, ma il francese senza chiedergli il permesso gli rialzò la manica della camicia sulla spalla.

Ferula.”

Delle bende apparvero dal nulla e si avvolsero attorno ai suoi monconi fino all’avanbraccio.

Desilludo.” Sussurrò poi.

Michael rabbrividì sotto l’incantesimo di Disillusione, poi si guardò le mani e con gran soddisfazione vi vide attraverso i sanpietrini.

Grazie, amico. Adesso vai la dentro e distraili. Tira fuori tutto quello che hai, mi raccomando.”

Daniel annuì e si avviò. Non si voltò più indietro, attraversò la piazza con un’andatura sicura che avrebbe bleffato chiunque; a Michael parve comunque che non fosse abbastanza convincente. Strinse le palpebre sugli occhi per qualche istante, incitandosi, infondendo coraggio ai suoi arti monchi.
Quando Gin scoprirà che ho perso due dita andrà su tutte le furie.
Il pensiero, invece di provocargli la solita avversione, lo fece quasi ridere.
Sentì suonare il campanello stonato di Sinister’s.
Era venuto il momento di entrare in azione.

Entrò con nonchalance sfruttando la porta ancora aperta – ringraziò che cigolasse da far paura -, sentì indistintamente la voce distante di Daniel che insisteva sul prezzo di chissà cosa, ma il guizzo di adrenalina lo aiutò a proseguire fino al bancone.
Si abbassò immediatamente, e guardandosi attorno frugò nel sottobanco. Trovò il mazzo di chiavi. Gattonò il più silenziosamente possibile verso il retrobottega, dove sapeva della presenza di una botola. L’aprì con cautela, poi si fece coraggio e saltò.
Il tonfo prodotto attirò l’attenzione del vecchio Sinister, e Michael pregò di cuore che Daniel riuscisse a distrarlo.
Non poteva sperare di meglio: il mago francese, in preda al panico, aveva afferrato una merce preziosa e se l’era data a gambe, non senza lanciare un
Bombarda Maxima al bancone del negozio. Michael sentì la botola disintegrarsi per la detonazione appena un metro sopra ai suoi capelli. Il soffio bollente gli diede il capogiro. Cominciò a camminare rapidamente per il corridoio angusto, sorpassando numerosi portoni massicci di qualche lega metallica particolarmente robusta; ogni cella aveva un solo spiraglio, e dovette puntare la bacchetta in ognuna di esse per guardarvi dentro.

Gin, dove sei?” bisbigliò.

Nessuna risposta.

Gin…”

Gin?”

Gin, ci sei?”

Gin...”

Gin, dove sei!”

Michael?”

Appena sentì il suono della sua voce, si precipitò verso la cella e cominciò a trafficare con il catenaccio. Le chiavi erano una cinquantina, tutte diverse.

Come hai fatto a trovarmi? No aspetta, non voglio saperlo.”

Sei incazzata con me? Oh, andiamo, davvero?”

Non mi sembra il momento adatto per parlare.”

Sì, sei incazzata con me.”

Sei proprio un cretino.”

Non ti sento.”

Michael scherzando giocava con il fuoco; voleva allentare l’atmosfera, voleva tranquillizzarsi e tranquillizzare Ginevra, ma la situazione era lungi dall’essere a suo favore; la risata gli morì in gola; il sollievo di averla trovata l’abbandonò del tutto quando l’istante presente prese le parvenze di un incubo. I movimenti delle mani cominciarono a rallentare, le dita mancanti avevano ripreso a sanguinare e Michael pensò che non ce l’avrebbe mai fatta in tempo. Temeva di aver provato le stesse chiavi un paio di volte, di aver saltato quella giusta; sempre che ce ne fosse una, a questo punto…

Senti, Gin. Ce la fai ad aiutarmi?”

Non posso muovermi, sono legata. E la mia bacchetta è appesa al muro, vicino a te”

Ok, allora non abbiamo scelta. Stai indietro. Copriti.”

Non vorrai mica...”

Bombarda!”

La porta rimase sul posto, senza un danno. Michael imprecò. Pensò con angoscia che avrebbe dovuto ricominciare daccapo a provare le chiavi, ma uno scricchiolio sinistro mise i suoi sensi all’erta e si allontanò giusto in tempo prima che il muro di pietra franasse ai suoi piedi producendo un fracasso spaventoso. Era una questione di attimi, tirarla fuori di li prima che arrivasse qualcuno. E se fosse arrivato qualcuno sarebbe stato tutto inutile; Michael si trascinava verso il muro crollato ormai per inerzia, anemico e indebolito dall’incantesimo.

Tutto bene?”

Sono ancora viva.”

Riesci a vedermi? C’è troppo buio da te, non ti vedo.”

Sì, ti vedo. Sposta quella pietra, giusto davanti al tuo piede. No, non quel piede, l’altro!”

Michael spostò un macigno e liberò il passaggio. Si insinuò gattonando nella cella di Ginny e le liberò i polsi dalle catene con un incantesimo esplosivo. Ginny si massaggiò i polsi senza una parola, se non ci fosse stato buio pesto Michael avrebbe potuto vedere le sue labbra tremare per trattenere il pianto.

Lumos. Come stai, eh?”

La sua luce era flebile, si spense in pochi secondi. Aveva visto solo il brillio di due occhi lucidi.
Ginny esitava, con le mani sollevate verso di lui nella penombra. Michael non capiva. Stava soffrendo? Cosa le avevano fatto? Lei prese coraggio e gli buttò le braccia attorno al collo. In quelle circostanze, fra i Troll, i Ghermidori, la prigione di Sinister’s, lei aveva ancora paura della sua reazione. Traumatizzata dal rifiuto. Michael la strinse rapidamente, le accarezzò il capo e si sfilò i capelli di lei dalle labbra screpolate. Ne aveva un macello, erano dappertutto.
Il suo cuore accelerò il battito per il sollievo di sentire quella carne miracolosamente viva fra le sue braccia; ma lui lo ridusse al silenzio. Raccolse le ultime energie per pensare a come uscire mentre si alzava.
La sollevò di peso e l’aiutò ad alzarsi, per scostarsela dal petto.
Finse di non aver sentito le sue lacrime, e non disse nulla del braccio ferito.

Lumos!”

Con una rapida occhiata la giudicò in grado di camminare. Pensò a come sarebbero risaliti dalla botola; aveva abbastanza forza da praticare un Levicorpus? E un Ascendio?

Michael, attento!”

Il suo ultimo pensiero sfumò in un buio senza fine. Cadde addosso all’amica, incosciente.
Ginny dovette spazzare via ogni residuo di debolezza.
Ebbe appena il tempo di sguainare la bacchetta dallo zaino, mentre sorreggeva Michael con un braccio.
Non sapeva chi fosse l’uomo che aveva di fronte, c’era troppo buio, ma non esitò un solo istante.

MONSTRUM…”









22.



Harry si grattò il naso sotto gli occhiali, era fastidioso lavorare con quel freddo pungente, e il sudore inaspriva il prurito.
Inspirava l’aria gelida che sapeva di camini e castagne come fossero boccate di un fumo pregiato. L’autunno era proprio una bella stagione. Sollevò l’ultima cassa di pandano magico con sollievo e la portò nel retrobottega.
Due omaccioni all’entrata stavano discutendo con Olivander, ma Harry non si preoccupò più di tanto. Sapeva per esperienza che il vegliardo si difendeva abbastanza bene. Uscì per riposarsi, ma si appoggiò all’uscio con l’orecchio teso.
Non aveva intenzione di correre alcun rischio.
Nel mentre, scartò una confezione di Tutti Gusti +1. Se l’era meritata, così come la paga che avrebbe ricevuto la sera stessa.
Non vedeva l’ora di portare il suo magro assegno alla Gringott. Niente da fare, la prima era disgustosa.
Doveva essere cerume o giù di lì.

Solo centocinquanta galeoni?! Ma noi abbiamo lavorato come degli Elfi per raccoglierle questa legna! Ha idea di dove si possa trovare?!”

Certo che sì, sciocco!”

Non si permetta di darmi dello sciocco, vecchiaccio della malora! Lo sa dov’è il Brasile? Eh?!”

Zorak, calmati. Senta, facciamo duecento galeoni e chiudiamola qui. Ci sta facendo perdere il nostro tempo.”

Non pagherò mai duecento galeoni per del pandano bagnato e lercio! Ha perso tutta la sua energia, tutto il suo valore! Solo uno sciocco poteva trattarlo così! Non so chi siate, ma fareste bene a dirmi i vostri nomi! Non farò mai più ordini dalla vostra compagnia, spero di essere stato chiaro! E ora, fuori di qui!”

Maledetto... ti farò ingoiare la tua bile, se non cacci fuori i soldi!”

Harry aveva la bacchetta pronta dall’inizio della conversazione. Aveva avuto ragione a non fidarsi, erano loschi, ma non solo.
Zorak. Aveva visto quel nome sulla bacheca dell’Accademia. Era un Ghermidore. Si preparò a scagliare il primo Expelliarmus, ma una mano lo agguantò per il collo del giubbotto e lo tirò indietro. Finì con le spalle al muro, fuori dal negozio, con la bacchetta puntata verso il suo aggressore. Era un giovane mago con i capelli biondi e la pelle limpida. Non aveva l’aria di volerlo fronteggiare, ma allora perché...?

Sei tu, Harrì Potter?”

Sì, sono io. Ti dispiacerebbe…?”

Certo, scusa.”

Si allontanò appena, lasciando andare la sua giacca; Harry non poté fare a meno di notare che sembrava terrorizzato, con gli occhi grigi cerchiati di rosso; aveva la veste leggermente bruciacchiata. In una mano aveva la bacchetta, nell’altra teneva una statuetta di scimmia in granito con due grossi occhi di rubino. Era inquietante, orribile, probabilmente maledetta.
Il mago la lasciò cadere a terra, come se si fosse ricordato solo in quel momento di averla.

Devi ascoltarmi. Ginny Weasley, l’hanno catturata dei Ghermidori e in questo momento è imprigionata da Magie Sinistre… o qualcosa del genere! Dobbiamo fare in fretta, il mago mi ha seguito fino al ponte e poi è tornato indietro e-”

Ma Ginny è in Brasile.”

Non più.”

Ghermidori, dici?”

Sì, un certo Zoràk e un certo Yano.”

Zorak? Aspetta un attimo…”

Io comunque mi chiamo Daniel.”

Ginny a Londra. Zorak. Pandano magico.

Il pandano è un albero che si trova solo in Amazzonia, Harry; non sai quanto mi costa farlo arrivare! È un mestiere rischioso il nostro, perché la merce non arriva mai in condizioni perfette e rischiamo di pagare un prezzo ancora più alto del necessario. Ma le bacchette di pandano, Harry, oh! Sono meravigliose… flessibili, leggere, sono dei conduttori eccellenti.

Per un attimo Harry faticò a trattenere il flusso di pensieri ma si riscosse abbastanza rapidamente. Non avevano tempo da perdere! Agguantò il ragazzo per la manica e lo trascinò dietro di sé. Invece di imboccare Diagon Alley, tornò nel negozio di bacchette. Non poteva lasciarli scappare, non adesso che sapeva esattamente chi fossero. E sicuramente, se fermati, potevano dirgli come trovare Ginny.

Stupeficium!”

Harry! Cosa stai facendo?!” ululò Daniel.

Non fare uscire quel mago! Io mi occupo di legare l’altro”



Daniel bloccò qualche incantesimo, ma il Ghermidore era in netto vantaggio.
Aveva fatto saltare in aria le casse di legno, creando un caos pazzesco.



Harry, cosa succede?”

Sono Ghermidori, signor Olivander.”

Briganti?! E io stavo per dar loro ben 150 monete. Cielo, mi sembrava orrenda la loro merce ma pensavo che fosse perché non ci sono più i commercianti di una volta.”

Potrebbero averla rubata, signore. Non ci interessa molto in questo momento, quanto il fatto che Ginny Wealsey sia in pericolo. Chiami immediatamente la segreteria generale dell’Accademia Auror. Se non rispondono provi all’Ufficio Auror del Ministero. Devono assolutamente mandare qualcuno al negozio di Magie Sinister’s. Questa volta, amico, riusciremo a incastrarlo con delle prove. Sono anni che lo lasciano lavorare impunito.”

Molto bene, Harry. Io mi occuperò di consegnare quest’uomo quando arriverà una squadriglia. Dovresti però dare una mano al tuo amico, non credo che sia molto bravo con gli incantesimi Offensivi.”

Sia prudente. A fra poco!”



Zorak aveva spinto Daniel in un angolo del negozio, ma incredibilmente la situazione aveva finito per ribaltarsi.
Daniel lo scaraventò con un reducto ai piedi del bancone.
Il Ghermidore ebbe il tempo di arrancare verso l’uscio e uscire in strada, ma Harry e Daniel gli furono subito dietro.
Non aveva più scampo.

Arrenditi e non ti faremo niente!” lo avvertì Harry.

Non essere sciocco, ragazzo.”

Uno...”

Se credete di potermi arrestare vi sbagliate di grosso. Serpensortia!”

Due - è davvero grave considerando i tuoi crimini e da che parte stavi durante la guerra, Zorak – o meglio, Ivan Milbevorich per la giustizia-, non conoscere bene il proprio nemico.”

La vipera scaturita dall’incantesimo di Zorak si arrestò in volo, e invece di attaccare Harry si intrufolò in un barile vuoto accanto alla porta del negozio.

Tre…”

Daniel affatturò il fuggitivo.

Non male, Daniel.” Disse Harry, facendo comparire delle robuste corde per legare le mani al criminale.

Daniel Haroche, pour vous servir. Ma ora andiamo, prima che sia troppo tardi!”











Note dell’autrice: 1) il pandano magico è un albero di mia invenzione. Però l’ho creato a partire da un albero vero, di cui ho cercato la localizzazione geografica e che ho trovato molto bello e adatto. 2) Svalvolare non esiste come verbo, però è un’espressione degna del gergo di Michael. Spero che me la passerete come licenza poetica xD 3) Monstrum è l’incantesimo della fattura Orcovolante! 4) Pour vous servir: per servirvi!



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Capitolo 9
*** Una lettera scarlatta ***




Dal capitolo precedente:



Uno...”

Se credete di potermi arrestare vi sbagliate di grosso. Serpensortia!”

Due - è davvero grave considerando i tuoi crimini e da che parte stavi durante la guerra, Zorak – o meglio, Ivan Milbevorich per la giustizia-, non conoscere bene il proprio nemico.”

La vipera scaturita dall’incantesimo di Zorak si arrestò in volo, e invece di attaccare Harry si intrufolò in un barile vuoto accanto alla porta del negozio

Tre…”

Daniel affatturò il fuggitivo.

Non male, Daniel.”

Disse Harry, facendo comparire delle robuste corde per legare le mani al criminale.

Daniel Haroche, pour vous servir. Ma ora andiamo, prima che sia troppo tardi!”













23.



Era ormai notte, ma il caos sollevato da Daniel, Michael e Ginny aveva messo la pulce all’orecchio in ogni strada del fetido sobborgo. Notturn Alley era in subbuglio. Mentre la gentaglia si sparpagliava e spariva a vista d’occhio in un fiorire di Smaterializzazioni, i gendarmi del Ministero accerchiavano Magie Sinister’s in ranghi serrati; la squadriglia Auror di cui Ron era cadetto era arrivata il più presto possibile: c’era Adam, irlandese, primo anno, un ragazzo smilzo con due grandi occhi grigi. Il suo accolita, Rexford, era quello che prendeva tutte le decisioni quando non c’era Shacklebolt; era un ragazzo affascinante e arguto; a Ron non piaceva affatto.
E poi c’era Megan, che era di rango senior rispetto a loro, e non esitava a prenderli in giro quando lo reputava necessario e aveva una predilezione per gli incantesimi offensivi. Essendo la seconda squadriglia, formata principalmente da studenti per primo anno, avevano il compito di starsene impalati fino a quando ci fosse stato bisogno di loro.
Shacklebolt era occupato a parlare con Dawlish, e non aveva notato che mancava uno dei suoi allievi cadetti.

Ron era infatti arrivato per ultimo, trafelato, perché aveva dovuto avvertire i genitori della scomparsa di Ginny.
Non c’era stato verso, ovviamente, di farli rimanere a casa. Aveva dovuto implorare il signor Olivander di prestargli il camino, ma lui aveva insistito che non ne possedeva uno, perché in un negozio di bacchette non ce n’era assolutamente bisogno.
Allora era corso difilato ai Tiri Vispi Weasley, dove George l’aveva accolto e l’aveva condotto al suo camino.
C’era voluta un’ora per convincere i genitori a non mettere piede a Notturn Alley e a starsene buoni nel magazzino di suo fratello.

Era riuscito ad andarsene, con mille raccomandazioni, e a raggiungere la squadra solo dopo aver riferito per filo e per segno ciò che gli era stato raccontato di terza mano. Ginny aveva seguito dei manigoldi, era stata imprigionata e si sospettava Sinister di avere una prigione sotterranea. Inoltre, non era ancora stato chiarito il perché, ma Michael Corner, un suo ex compagno di scuola, pareva essere coinvolto.

La parte peggiore l’aveva scoperta arrivando sul campo.

Riconobbe Harry da lontano, perché i suoi occhiali riflettevano gli zampilli del fuoco che ancora bruciava qua e la attorno all’orrendo negozio di Magie Sinister. Lo conosceva bene, ci erano stati qualche volta durante la guerra.
Ora era distrutto, verosimilmente da un’esplosione.

Harry gli venne incontro con un’aria spaventosa.
Dietro di lui arrancava un ragazzo alto e magro, coi capelli biondi, avvolto in un mantello, che non aveva mai visto. Erano entrambi cosparsi di fuliggine e terribilmente stanchi.

Ron finse di non percepire lo scherno dei suoi compagni di squadra qualche metro più in là – sempre in ritardo, che tempismo, Weasleyera sua sorella, poteva almeno fingere di essere interessato, non vi pare?non credo che siano molto legati, sai, i Weasley hanno una famiglia numerosa; forse hanno dei fratelli preferiti; io che ne so, non ne ho di fratelli, e sto bene così.bah, non so cosa ci trovi Potter in un perdente simile. – io ancora non capisco perché gli hanno permesso di entrare in accademia.zitti, che si avvicinano! - e si allontanò con Harry per parlare. Daniel rimase indietro, forse per lasciar loro un minimo di privatezza.



Allora, mi spieghi cosa è successo?” disse Ron, prendendo il braccio di Harry.

Dei Ghermidori hanno preso Ginny e l’hanno portata qui da Sinister. Li abbiamo beccati per caso mentre vendevano merce rubata, li abbiamo legati, sono da Olivander’s. Dovremmo mandare qualcuno a prenderli, ma sembrano tutti troppo stupiti per muoversi, qui.”

Già, che strano, no? Proprio sotto a un negozio pulito, rispettabile come Magie Sinister. Mi facciano il piacere… ipocriti. E Ginny, l’avete tirata fuori dal macello? Come sta?”

A Ron non piacque fin da subito l’espressione dell’amico.
Era un misto fra una rabbia contenuta, il senso di colpa e la paura.
Strinse la presa sul suo avanbraccio.

È da venti minuti buoni che interrogano Sinister. Non riusciamo a cavare un ragno dal buco. Secondo lui si è Smaterializzata, ma abbiamo controllato il sotterraneo, se anche di presunte celle si trattasse, era protetto. Non ci si poteva Smaterializzare là dentro.”

Cosa vuol dire?”

Che qualcuno sta mentendo, oppure che lei è riuscita a scappare abbastanza lontano, fino alla botola – secondo la nostra versione c’era una botola dietro al bancone, ma è andata distrutta nell’incendio- e che si è smaterializzata da lì.”

Starà bene. Ginny se la caverà.”

“…”

Vero?”

Harry guardò l’amico con costernazione.
Gli sembrava di essere di nuovo quel ragazzino che a dodici anni aveva aperto la Camera dei Segreti per ritrovarla.
Lei.
La sorella del suo migliore amico.

La troveremo Ron, te lo prometto. Potrebbe essere la volta buona che uso una maledizione Senza Perdono. Se è questo che vogliono, lo avranno.”

Ti cancellerebbero dall’albo. Meglio una sana dose di botte per quel che mi riguarda. Quello che non capisco è perché mia sorella si trova sempre coinvolta in questo genere di situazioni!”

Me lo chiedo anch’io. Voglio dire, era in Brasile… non è esattamente dietro l’angolo.”

E Michael?”

Michael? È introvabile.”

E qualcuno ha un’idea di cosa c’entri lui in questa faccenda?”

Non c’è traccia di nessuno dei due. Ovunque si trovino, spero che almeno siano insieme.”

L’idea che Ginny fosse di nuovo da sola gli faceva tremare le mani. Non era bastato tutto il tempo passato lontano da lei alla ricerca degli Horcrux a farlo sentire profondamente colpevole. O almeno, si era sforzato che le cose andassero così.
Aveva messo in sordina i suoi sentimenti, perché altrimenti non avrebbe retto alla tensione.
Ricordava bene le reazioni di Ron quando si preoccupava per la sua famiglia durante quel viaggio interminabile; e tutte le conseguenze, con i loro pro e contro.
Lui invece era rimasto concentrato, freddamente impassibile.
Era stato un terribile vantaggio.
Non aveva idea di dove avesse trovato tutta quella tempra, tuttavia per un anno intero era riuscito a chiudere Ginny fuori dalla sua mente. Ma ora era tutto diverso. Sembrava che i suoi incubi e i suoi ricordi peggiori si rianimassero. Aveva tenuto duro per così tanto tempo, che ora bastava una scossa leggera e crollava, completamente fuori di sé.
Prima non aveva niente da perdere.
Ora avrebbe potuto perdere tutto.

Probabilmente se lo sono inventato. Avranno tirato in ballo un nome a caso, per fare polemica. Michael è sempre stato un tipo a posto. Ti ricordi? Neville ci aveva raccontato che si era fatto torturare dai Carrow per proteggere un ragazzo del primo anno. Era nell’ES. È per forza a posto.”

Non ne ho idea, Ron.” Disse Harry con un moto di stizza. “Non mi ricordo un granché di lui. Però sono sicuro del fatto che c’entri qualcosa con questa storia, perché me ne ha parlato Haroche.”

Daniel Haroche? Mia sorella l’ha citato in un paio di lettere, dovrebbe essere un suo buon amico. E che cosa ti ha detto?”

Un bel niente. Ho avuto poco tempo. Non possiamo parlare con lui qui, però. C’è troppa gente.”

Mi stai dicendo che non hai intenzione di fare rapporto?” stridette Ron, sconcertato.

Per il momento no. Sentiamo cosa ha da dirci Haroche.”

Ok, ma prima di tutto voglio vedere cosa ha da dire Sinister.”

Ti accompagno.”

L’uomo, ormai decrepito, aveva due occhi acquosi, i capelli scompigliati e i basettoni troppo lunghi. L’aria sgualcita non andava di certo a suo favore, sembrava ancora più infimo di quanto non fosse. Harry si chiese come potesse essere ancora vivo; ricordava di averlo visto molto più giovane nel Pensatoio, e rimembrava perfettamente anche le circostanze. Aveva dato dieci galeoni a Merope Gaunt per il suo prezioso medaglione di Serpeverde. Meritava seriamente di finire i suoi giorni in gattabuia con i Dissennatori attorno, ma ancora una volta non c’era uno straccio di prova per incastrarlo.

Sinister sosteneva la stessa versione che aveva già raccontato numerose volte a Dawlish e ai responsabili del Ministero: ovvero, che non ci fosse nessuna dannata prigione sotto al suo negozio. Harry e Ron insistettero a lungo, ma conoscevano bene il loro interlocutore; non avrebbe mai ammesso di essere in torto, nemmeno avesse avuto le prove davanti agli occhi di tutti.
E la ragazzina coi capelli rossi?, gli avevano chiesto.
Quale ragazzina coi capelli rossi? Era stata la risposta.
Niente, non c’era niente da fare. Harry lo maledisse mentalmente un centinaio di volte. Quel vegliardo si ostinava a difendersi, come uno di quei parassiti che non vogliono lasciare lo scheletro di casa che hanno rubato a qualcun’altro.
Ripeteva le stesse parole come una litania. Sembrava completamente fuori di sé.

Sibilava appena, spiegando com’era avvenuta l’aggressione da parte del giovane mago biondo, e la sua voce era quasi fastidiosa, come un fischio nell’orecchio, ma anche alterata e falsa, perché Daniel Haroche era innocente, e Harry lo sapeva. Maledizione.

Naturalmente la parte del negozio in cui esponeva la sua merce oscura e più preziosa si era miracolosamente salvata, ma non c’era nessuna traccia del luogo in cui avevano imprigionato Ginny.

Ci avrebbe scommesso la bacchetta: il bastardo aveva sicuramente incentivato le fiamme a divorare ogni prova a suo discapito.

Le indagini erano in corso da quel pomeriggio, ma Harry non era riuscito a ottenere ulteriori informazioni.
Edwin e Basil, ex matricole in procinto di diventare Auror, erano i suoi compagni di squadra.
Avevano loro il compito di fare le analisi; dopodiché ci avrebbero lavorato insieme in serata, durante una riunione nella sala studio dell’Accademia.

Dawlish aveva preferito escludere Harry sul campo, considerandolo troppo emotivamente coinvolto.



Puoi avvisare i familiari dei presunti scomparsi, se ti va bene. Altrimenti, ci aggiorniamo stasera in Accademia.” Gli aveva detto poco prima che arrivasse Ron, lasciando Harry basito ma ben determinato a non restarsene con le mani in mano.

Capisco.” Aveva detto con semplicità.

Niente improvvisate Potter, siamo in due sul caso, noi e la squadra di Shacklebolt. Ce la caveremo senza di te. Anzi, ho appena mandato i cadetti di Shacklebolt a recuperare i due criminali da Olivander’s. Tra poco dovremmo poterli trasferire.”

Molto bene. Posso almeno ospitare per questa notte il testimone francese? Non ha un posto dove dormire.”

Haroche? E perché mai dovresti ospitarlo tu?”

Me lo ha chiesto personalmente.”

No, Potter. C’è il Paiolo Magico a meno di dieci minuti da qui.”

È venuto senza soldi.”

Pagheremo noi per lui.”

Questo non è legale, Dawlish, e lo so anche io.” Touché. Aveva la situazione in mano, finalmente.

E va bene, Potter. Evita di stressarlo. Mi è sembrato piuttosto suscettibile.”

A stasera, capo.” Harry annuì con aria grave.

A stasera. E niente sciocchezze di cui faresti pentire l’intera squadra, spero di essere stato chiaro.”

Trasparente.”

Voltò le spalle al suo superiore e andò a cercare Daniel. Non ci mise molto a trovarlo.

Harrì, non so come ringraziarti. Se non avessi testimoniato a mio favore sarei già rinchiuso in una cella a quest’ora.”

Non posso garantirti che non succeda più in là, purtroppo Sinister spara a zero su di te, sei il suo unico appiglio per salvare il negozio dallo sfacelo e sé stesso da Azkaban. Insiste a dire che tu l’hai derubato e hai dato fuoco al negozio senza motivo. Essendo andato effettivamente a fuoco, e avendoti io visto con la statuetta rubata, non si può certo dire che le cose vadano a tuo favore. Però, c’è un però. Se riusciamo a dimostrare che c’era una prigione sotterranea, puoi star certo che ti scagionano. E io non solo non denuncerò quello che ho visto, ma farò tutto quello che mi è possibile per innocentarti.”









Harry, stai scherzando?!”

Ron, fidati di lui. E di me.”

Hai camuffato delle prove. Se ti scoprono finisci nei guai, stavolta. Hai idea di quello che può succederti se non riesci a dimostrare che c’era una fottuta prigione sotto al culo di Sinister?”

Harry camminava su e giù per camera sua.
Era arrabbiato con Ron perché non voleva assecondarlo, e anche con se stesso, perché sapeva che il suo amico aveva ragione.
Il ragazzo coi capelli rossi, in quel momento estremamente arruffati, lo osservava sfuriarsi mentre sedeva a gambe incrociate sul letto. Giocava con i fili di lana della trapunta; era una coperta patchwork che Ginny aveva regalato a Harry per natale. Nessuno dei due guardava l’altro negli occhi troppo a lungo. Harry era brusco, agitato, fervente. Ron era preoccupato e abbattuto; ne aveva abbastanza. Entrambi erano stanchi e poco inclini ad ascoltarsi. Un Ron più giovane non avrebbe sopportato le sfuriate dell’amico; era cambiato molto, da quando studiava all’Accademia, e da quando stava con Hermione.
E ora, nonostante fosse sommerso dai problemi – ed Hermione facesse effettivamente parte di quelli -, non aveva ancora perso la calma.

Tu non ti preoccupare di questo, lo scopriremo stasera quando Ed e Basil faranno rapporto. Senti, nessuno ne saprà niente. Sarà una cosa rapida, andiamo alla Gringott e depositiamo questa statuetta senza una parola, e ce ne andiamo così come siamo venuti.”

È rischioso, Harry.”

Se incastrano Daniel se ne va l’unico che può aiutarci e che è dalla nostra parte!”

A proposito di questo, io voglio proprio sentire cosa ha da dirci. Tutte queste elucubrazioni non ci portano da nessuna parte, finché non possiamo aggiungerci la sua versione integrale della faccenda.”

D’accordo. Va bene.” Asserì Harry, stufo di trovarsi un muro davanti. “Penso che stia parlando con un altro apprendista medimago, un certo Liam. Il loro accampamento è rimasto decimato, hanno bisogno di rinforzi, ma soprattutto deve avvisare che probabilmente non tornerà prima di un tot e che quindi dovranno cercare un sostituto permanente. Ci sarà la fila, al College del San Mungo.”

Harry, hanno suonato?”

Aspettami qui. E tieni questo.”

Harry gli appioppò la statuetta – Ron si apprestò a nasconderla fra i cuscini – e tornò in salotto, dove il mago francese parlava animatamente, nel suo inglese farlocco, con un giovane medimago che spuntava dal caminetto.

Quando Harry aprì la porta, trovò sull’uscio il signore e la signora Weasley, e dietro di loro apparve anche George.

Entrate, presto.”

Grazie, Harry.”

Ciao, Harry.”

Chiamo Ron e vi spiego tutto.”

Passò l’ora seguente a raccontare quello che avevano scoperto, per filo e per segno.
L’idea che ci potesse essere
quel Corner rassicurò anche il signor Weasley, ma non attecchì con sua moglie.
Il the che aveva preparato per confortarli sembrava aver invigorito gli animi, forse anche troppo.

Voglio parlare con il ragazzotto biondo.”

Molly, ti prego.” Cominciò Arthur, sperando di placare il suo animo istintivo.

No, avete ragione. Non aspetteremo oltre. Per ragioni di sicurezza, però, ci parleremo io e Ron in privato, e poi vi spiegheremo tutto.”

Ha un pessimo accento, non capireste nulla.” Aggiunse Ron, incoraggiandoli a lasciare la cucina.

George lasciò la stanza poco convinto, dietro ai genitori. Lanciò un’ultima occhiata al fratello, una di quelle minatorie, che lasciano sottintendere tutto. Noi abbiamo il diritto di sapere. Ron lo ignorò e tornò a sedersi. Non era il momento di lasciarsi distrarre, e non era giusto che si sentisse colpevole; dopotutto, era una faccenda da Auror.
Non erano più ai tempi di scuola, quando quello che facevano lui e Harry era sempre, immancabilmente illegale.
Beh, circa.

Daniel sembrava determinato a parlare. Ron e Harry lo guardavano intensamente, pronti a captare qualsiasi dettaglio utile.
Forse lo intimidirono un poco, ma il giovane Curatore non perse il coraggio.

Posò la tazza di the caldo sul tavolo, e piazzò gli occhi in quelli di Harry.

Spiegò tutto quello che sapeva su Michael, sul suo lavoro, sul perché sapesse dove si trovava Ginny, del fatto che fosse sicuro della presenza di una prigione da Sinister perché c’era stato lui stesso. Spiegò inoltre che Michael non aveva dato molte spiegazioni, ma che forse Tia Haldale, la loro compagna di viaggio, ne sapeva più di lui.



Perché non l’ha denunciata a quell’epoca? La prigione, intendo.” Lo interruppe Ron.

Il francese fece una smorfia. Harry gli sfiorò l’avanbraccio con la mano; il gesto ebbe l’effetto voluto.

Ho molta stima per quel ragazzo, è un vero spirito libero. Però credo che questo implichi la sua dissociazione dalle regole implicite della nostra società. Forse sperava di cavarsela da solo, forse non ha fatto in tempo a parlarne con nessuno.”

O forse ha qualcosa da nascondere.” Insisté Ron.

Forse. Però non ha esitato un attimo a Smaterializzarsi direttamente a Notturn Alley per salvare la sua amica.”

Anche questo è molto strano.” Mormorò Harry, guardandolo in tralice con i suoi occhi verdi.

Ha perso due dita e si è spaccato lungo tutto un braccio.”

E tu l’hai visto aprire una botola? Perché di questo si tratta, purtroppo.”

Io non dubito di quello che mi ha detto, mi fido di lui come di voi.”

Ma non l’hai visto aprire la botola.” ripeté Harry, perentorio.

No, non ho visto niente. Ero occupato a fare diversione.” Ammise lui, suo malgrado.

Harry e Ron si scambiarono un lungo sguardo.

Non abbiamo niente che possa aiutarti per ora, Daniel, mi dispiace.”

E non è tutto, ragazzi” Si intromise George dalla porta del salotto, con in mano una busta con il sigillo ufficiale. “Ti è appena arrivata questa.”

Harry lesse la lettera, poi la stropicciò in mano e la scagliò in un angolo della stanza.

Sono scappati i due Ghermidori.”

Impossibile, Harry. C’era Shacklebolt.”

Rexford è al San Mungo.”

Non è possibile…”

Cazzo!” esclamò Harry, battendo una mano sul tavolo.

Può voler dire solo una cosa.” Disse Ron, con gli occhi socchiusi, temendo la reazione di Harry.

Sì. Ci sono degli infiltrati fra gli Auror.”

Di nuovo.”











24.



Sì, forse avrebbe dovuto sentirsi ridicolo, conciato per le feste, con quell’armatura addosso, la bacchetta in mano e il sedere per terra ma Seamus Finnigan si rialzò dolorante in un solo balzo. Ignorò il dolore sordo del suo fondoschiena offeso e riprese a saettare ora su un piede e ora sull’altro.

Expelliarmus! Reducto! Stupeficium!”

Il suo avversario, un guerriero di legno incantato, se ne stava fermo a subire gli incantesimi. Esplodeva e si ricomponeva; perdeva la bacchetta ma quella tornava indietro, al ritmo delle offensive del ragazzo; erano mesi che si allenava discretamente e ancora non aveva avuto il coraggio di dirlo a nessuno, per scaramanzia.

Forse, se avesse tenuto la bocca chiusa, la sua vita non gli sarebbe esplosa in faccia come aveva fatto fino a quel momento con una puntualità da record. Era una riserva. Solo una riserva. Quella piccola R accanto al suo nome, nella lista delle prove di ammissione all’Accademia Auror di Londra significava suo malgrado molto per lui. In barba a quelli che lo credevano incapace, in barba a se stesso – il più gran sostenitore di quella massima -.

Naturalmente, aveva due anni di ritardo rispetto ai suoi coetanei; ma che importava? Avrebbe aspettato il tempo necessario. Era pronto a tutto, per perseguire il suo sogno.

Expelliarmus! Stupeficium! Reducto! Expecto Patronum!”

Niente. Da quando era stato messo in riserva, marchiato come R, non era più riuscito a produrre un Patronus. La sua volpe era scomparsa. Si afflosciò su se stesso e lasciò cadere la bacchetta in un tintinnio ligneo.

Si slacciò i proteggi-polso e disfò le bende che portava alle caviglie. Doveva riuscire quel dannato incantesimo, ce l’aveva fatta quando aveva appena quindici anni. Possibile che non fosse più in grado?

Il ricordo infuriava ogni volta che falliva un tentativo.
Quanti tentativi, e quanti rimorsi.

Molto bene, signor Finnegan. Ci è giunta voce che sapesse produrre anche un Patronus corporeo. Non lo consideri come una prova ufficiale, ma come una dimostrazione della sua personale abilità.”

Certo… io… certo.”

E niente. Il vuoto.
Non era riuscito a farlo, nel giorno più importante della sua vita.
Gli era riuscito un milione di volte, a Hogwarts, cullato dal candore dell’età innocente e dal calore dell’amicizia.
Una volta finita la guerra, gli era stato chiaro fin da subito il suo destino.
Doveva essere un Auror, come Harry e Ron.
Non gli importava un accidente che tutti l’avessero deriso, chiamandolo il Signore del Fuoco, la Fenice Ardente e stronzate simili.
Ma nonostante tutto il suo duro allenarsi, non era entrato in classifica. Perfino Ron ce l’aveva fatta, e a scuola non era poi tanto più bravo di lui in Difesa delle Arti Oscure.

Il nuovo Seamus era molto più caparbio, maturo e forte di quello che aveva affrontato la prova due anni prima.
Eppure non era in grado di produrre il Patronus. Quello stesso ragazzo, stanco e avvilito, stava raccogliendo la bacchetta per andare a riposarsi. Il sudore che gli imperlava la fronte scivolò lungo il naso obliquo, fino alle labbra, dove si mescolò al gusto del sangue e del catarro. Era stanco, davvero stanco, e anche mortificato, ma non era ancora pronto a demordere.

Incendio!”

Il manichino prese fuoco, arse per qualche lungo istante, poi rinacque dalle sue ceneri. Le grosse fiamme blu che avevano invaso la stanza, illuminando tutto di un chiarore accecante, erano scomparse. Se non altro, questo mi riesce sempre.
Sì, Seamus aveva sfruttato la sua indisponente capacità di produrre fiamme fino a comandarla alla perfezione.
Si era allenato nei boschi, in montagna, a lungo. Si era provocato ustioni di vari gradi, e qualche menzione poco meritevole sui giornali, ma ora era in grado di controllare un incendio, se necessario. Si scrollò le spalle, poco appagato.
Non era di questo che aveva bisogno.

Il fruscio di un paio d’ali attirò la sua attenzione, e indirizzò la bacchetta verso un allocco che sfrecciava difilato verso di lui, senza dare cenni di riuscire a fermarsi.

Cosa succede, Paldor? Immobilus!”

Il rapace si ritrovò suo malgrado immobilizzato a qualche centimetro dal viso del mago. Portava una lettera dalla busta rossa, segno che era un messaggio urgente. Seamus liberò la busta dalla presa del suo allocco, che liberato dall’incantesimo volò sulla sua spalla per mordicchiargli l’orecchio.

Caro signor Finnigan, siamo costretti ad annunciarLe che un posto si è momentaneamente liberato fra i nostri ranghi. La sua candidatura è risultata idonea fra molte, e presto provvederemo, con il Suo dovuto accordo, a inserirlo nell’Albo degli Auror della nostra Accademia, nel caso in cui Lei fosse ancora interessato alla Nostra offerta, e a permetterLe di seguire i Nostri corsi.

La preghiamo di recarsi il più rapidamente possibile in segreteria per concordare e firmare alcuni documenti, ed eventualmente pagare la retta.



A fra poco,



Distinti saluti

Kingsley Shacklebolt



Seamus non poteva credere ai suoi occhi. Strinse la lettera fra le mani, mentre un improvviso tremore gli invadeva gli arti. Mise la lettera in tasca, non senza fatica. Stava fremendo di gioia e di smania.

Questa si che è una notizia! Cielo… andiamo, Paldor. Dobbiamo prendere il camino e in fretta, ma prima meriti una fetta di crostata alla marmellata. E una porzione anche per me, diamine. Pensavo non sarebbe mai arrivata.” Questa dannata lettera.









25.



Era forte come non mai. La sofferenza, lo spavento, il disagio, il batticuore; li aveva tutti temuti e poi sconfitti.
Ora respirava affannosamente, tossendo con forza, fino a espettorare l’elettricità pura, guidata dall’adrenalina endogena, che si era impossessata di lei e le aveva salvato la vita.

Appena un attimo prima niente contava più che salvarsi la pelle, e lei non aveva esitato.
Aveva sorretto il suo salvatore e l’aveva salvato a sua volta. Michael giaceva fra le sue braccia, inerme.
Ginevra avrebbe potuto svegliarlo con un Incantesimo Rigenerante, ma non volle farlo.
Quel ragazzo era un incubo anche mentre dormiva.

Era atterrata in mezzo ai campi, a qualche centinaio di metri dalla porta di casa sua, la Tana.
Aveva lo zaino sulle spalle, la bacchetta in mano, e trascinava l’amico svenuto fra le braccia, fra le pozzanghere e le irte spighe che la sovrastavano.
Non
poteva tornare a casa.

Non voleva dare spiegazioni, voleva solo riposare, dimenticare.

Aveva bisogno di tempo, e conosceva una persona, nel vicinato, che non le avrebbe mai chiuso la porta in faccia.





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Capitolo 10
*** Di piani, menzogne e carta bianca ***




Dal capitolo precedente:



Era atterrata in mezzo ai campi, a qualche centinaio di metri dalla porta di casa sua, la Tana. Aveva lo zaino sulle spalle, la bacchetta in mano, e trascinava l’amico svenuto fra le braccia, fra le pozzanghere e le irte spighe che la sovrastavano. Non poteva tornare a casa.

Non voleva dare spiegazioni, voleva solo riposare, dimenticare.

Aveva bisogno di tempo, e conosceva una persona, nel vicinato, che non le avrebbe mai chiuso la porta in faccia.









26.



Ciao, Luna.”

Per tutti i… ciao, Ginny! Presto, vieni dentro.”

L’amica l’invitò a entrare nella sua casa bizzarra. Ora la cucina ospitava una veranda improvvisata in cui si trovava un piccolo divano circondato da pile di numeri del Cavillo. Su un tavolino di taglio orientale, rosso e oro, c’era una foto di Luna e suo padre incorniciata da conchiglie che Luna aveva raccolto a casa di Bill e Fleur. Ginny lo sapeva, perché era stata la prima volta al mare di Luna.
Non proprio un’occasione allegra, ma lei era sempre stata brava a cogliere il lato positivo. Le pareti alte e i muri gialli erano ricoperti di scaffali colmi di cianfrusaglie. Insieme adagiarono Michael sul divano.
Luna le offrì di che saziarsi, senza fare domande.
La casa si riempì dell’odore di minestra calda; mentre i vetri si appannavano, il cielo andava scurendosi.

Non mi aspettavo proprio di trovarti davanti all’uscio. Quando ho fatto la lettura del fondo di caffè stamattina ho letto chiaramente che sarebbe stato un corvo…” osservò Luna sorseggiando una tisana piccante e speziata, qualche ora dopo.

Un corvo, dici?” rispose Ginny andando a cercare la bacchetta che aveva appoggiato casualmente durante la cena sul tavolo della cucina ricoperto di ortaggi di stagione.
Con la pancia piena e il tepore del fuoco era rinsavita.
Indicò Michael con un cenno. “In un certo senso, lui è un corvo.”

So bene cos’è lui. No, la Divinazione è una scienza esatta. Diceva il corvo, l’animale.”

Come preferisci, Luna.” Si arrese lei, bevendo un sorso dalla sua tazza.

Hai intenzione di svegliarlo prima che vada in coma?” chiese con naturalezza, indicando il ragazzo.

L’intenzione era quella.”

Sei stanca, non è vero? Vado a prepararti un cuscino, che ne dici? Possiamo mettere Michael nel letto di mio padre.”

Io… certo.” Esitò Ginny. “Ora lo sveglio, poi ti raggiungo. E un’ultima cosa, Luna… grazie.”

Xenophilius Lovegood scontava gli ultimi mesi della sua pena ad Azkaban per aver tradito Harry Potter e averlo consegnato ai Mangiamorte.
Luna si arrangiava da tre anni.
Aveva rappezzato la casa qua e là e la sua stramba dimora assomigliava sempre più alla Tana dei Weasley; si era rifiutata di farsi aiutare perché Merlino solo sapeva cosa le avesse suggerito il suo intenso mondo spirituale.

Si era tagliata i capelli corti fino al mento, erano ondulati, di un biondo chiaro acceso.
Non era cambiata significativamente, ad una prima occhiata, a parte per quel dettaglio. Il suo viso era un po’ meno paffuto, ma non sciupato. Indossava ancora orecchini e collane bizzarri e vistosi. A Ginny sembrò che i suoi occhi trasparenti fossero meno tristi dell’ultima volta in cui l’aveva vista, che risaliva a quasi un anno prima. Si stritolò le mani in un gesto impacciato; per colpa sua, la sua amica doveva entrare nella camera di suo padre.
Avrebbe voluto dirle che le dispiaceva, o una qualsiasi cavolata il suo cervello fosse in grado di produrre in quello stato, sapeva che Luna avrebbe letto tra le righe.

Si avvicinò a Michael che ancora giaceva immobile in una posizione innaturale sul divano. Aveva la camicia imbrattata di sangue, sporca di fuliggine e bruciacchiata.

Reinnerva.”

Uhh…”

Uh è tutto quello che riesci a dirmi?” gli chiese sussurrando.

Lui non rispose, era molto pallido. Sembrava volerle comunicare qualcosa muovendo appena le labbra e indicando il proprio torace con gli occhi. Ginny si spaventò. Aprì la sua maglia e cominciò a tastare il costato con le mani fredde tremolanti. Se c’era una costante che la legasse a Michael erano le situazioni pericolose; ormai avrebbe dovuto averci fatto il callo.

Hai male qui?” Chiedeva di tanto in tanto, spostando i polpastrelli.

Lui accennava di no con la testa, indicando accanto, sempre più a sinistra. I suoi occhi erano torbidi e impazienti. Ginny fece scivolare la mano sul suo avanbraccio, lo sfiorò appena, e finalmente lui produsse un suono stridente. Non era – come dire- cosa da niente. A Ginny venne un accidente. Il braccio era squarciato in lunghezza e mancavano il mignolo e l’anulare.

Miseriaccia, Misha. Un’altra cicatrice.”

Bella, eh.” Gracchiò lui in tutta risposta, in un tentativo di riprendere il controllo di sé.

Sei un incosciente.”

Ginevra si morse la lingua per non dire altro. Si alzò di scatto per chiedere delle garze a Luna.
Quando ebbe raggiunto l’uscio della sua stanza, si fermò.
L’amica era seduta sul letto, abbracciava il cuscino che aveva preparato per Ginny.

Tutto a posto?”

Ma certo. Sono solo un po’ preoccupata.”

Tornerà presto. È tenace e forte, niente può smussare gli spigoli di Xeniphilious Lovegood.” Sorrise Ginny, con più coraggio di quanto ne serbasse realmente.
“So che tornerà. Spero solo che non sia cambiato. Voglio dire, quando tornerà, spero che sia il solito. Che non sia… un altro, definitivamente. Capisci cosa intendo, vero?”

Oh, Luna… lo spero anch’io.”

Ginny le accarezzò i capelli.

Hai svegliato Michael?”

Sì” si riscosse, le appoggiò la mano sulla spalla. “Ha bisogno di essere medicato. Si è Spaccato.”









Potete restare quanto vorrete. Io in settimana sono fuori per escursioni. Ho bisogno di materiale per il Cavillo.”

Non staremo molto, Luna. Ti ringrazio.”

Figurati. Dev’essere una situazione delicata, altrimenti non saresti venuta da me.”

La frase, onesta come una sferzata d’aria fredda, ebbe un certo effetto sia su Ginevra che su Michael.
Il ragazzo, medicato, bendato e sonnolento, ora sedeva fiacco accanto all’amica e osservava la sua ex compagna di Casa lavorare a maglia una coperta psichedelica nella vecchia poltrona del padre.

Bene, per stasera ho finito.” Disse Luna, alzandosi e infilando le pantofole. Posò il suo lavoro sulla poltrona con delicatezza e raccolse le tazze vuote in un vassoio. “Gin, ti aspetto in camera. Michael, buonanotte.”

Buonanotte, Luna. Grazie ancora per l’ospitalità.”

Grazie.” Rincarò Ginny, appoggiandosi estenuata allo schienale del divano.

Stanca?” azzardò Michael, lanciandole un’occhiata di traverso.

Già. Senti Michael…”

No, ascoltami. Non c’è niente da dire.”

Volevo solo ringraziarti!”

Non farlo.” Disse solo, posando la mano sul ginocchio di lei.
Ginevra si immobilizzò.

Cosa stai facendo?”

Niente!” Protestò lui, piccato.

Il silenzio fu riempito dallo scoppiettare del fuoco.
La situazione era irreale, l’atmosfera strana e palpabile.
Ginny si torceva le mani nervosamente.
Michael riusciva soltanto a fissare lo sguardo a terra.

Dovremo parlare, lo sai.”

Immagino.” Convenne lui, cauto.

Lo faremo quando tu starai meglio.”

Come vuoi tu.”

Ora vado a letto. Cerca di non appoggiarti al braccio.”

Gin. Ho letto il tuo diario.

Uh, sì.”

Buonanotte.”

Gli baciò rapidamente la guancia e si volatilizzò su per le scale.
Merlino, quella ragazza. Era un continuo su e giù per il cuore.
Quando l’ultimo scalino scricchiolò, Michael capì che non sarebbe riuscito a raggiungere la camera, era troppo stanco.
Scivolò lentamente fino a sdraiarsi e si tirò una coperta di lana addosso. Il crepitare del fuoco gli addolcì il sonno.
Si addormentò, troppo stanco per riflettere.











26.



Un orologio a muro ticchettava rumorosamente, ma nessuno gli badava. L’unica finestra dava sul parco dell’Accademia; era una vista molto bella, ma non era sufficiente a salvare la stanza dalla sensazione di claustrofobia che davano i cinque muri troppo stretti e l’odore stantio che si emanava dalla carta da parati con una fantasia di righe rosse, fiori e spighe, alquanto discutibile.
I soffitti erano alti, un caminetto scaldava la stanza; una orrenda moquette bordeaux piena di macchie attutiva il rumore frenetico del piede di Harry che sbatteva contro la gamba della sedia; le fiamme che danzando uscivano dal fuoco acceso si riflettevano su un’infinità di quadri appesi a differenti altezze, illuminando qua e là dei vecchi diplomi incartapecoriti o dei mappamondi piatti del secolo scorso.
Il tavolo, le sedie. Tutto era un pezzo d’antiquariato.
Harry dovette frenare il suo tic nervoso quando lo raggiunse l’occhiata di rimprovero del suo superiore.
Si schiarì la voce, ma non disse nulla, in attesa che i suoi compagni finissero di trascrivere informazioni utili.

Edwin e Basil prendevano appunti in un rumore di carta grattata. Harry sedeva alla destra di Dawlish.
Il tavolo della sala Riunioni era coperto da gomiti sormontati da teste pesanti e sonnacchiose, e numerose tazze di caffè fumante all’americana. I Weasley erano finalmente tornati alla Tana, e Daniel era rimasto a casa sua in attesa di notizie utili.
Harry era uscito nel freddo e si era dunque avviato solo per andare all’Accademia.
Una volta arrivato, si era limitato a sedersi e a tenere le labbra cucite il più a lungo possibile.

Aveva riportato lo stretto indispensabile per non farsi beccare.
Nessuno aveva dubitato della sua parola.
I suoi compagni, Edwin Coulter e Basil Toggenburg – lui li chiamava affettuosamente
il mostro a due teste per la loro abitudine di fare tutto insieme-, stavano per andarsene. Edwin, un ragazzo dai capelli corvini, ricci e arruffati, stava prendendo la sua giacca e quella dell’amico dall’appendiabiti nell’angolo della stanza vicino alla porta.
Basil bevve in un sorso il fondo della sua tazza e raggiunse il compagno verso l’uscita.

Era corpulento, molto alto, probabilmente oltre il metro e novanta, e nonostante avesse la stessa età di Harry aveva un’aria più adulta.
Il viso aveva tratti decisi, la fronte era ampia, il naso dritto e piuttosto importante. Il tutto era cosparso di lentiggini.

Fermò Edwin prima che aprisse la porta, e si voltò verso il suo superiore. Harry guardò i loro volti e sentì i sensi di colpa farsi strada a morsi. Non poteva parlargli di Daniel, non si fidava ancora abbastanza di loro.
Pensava comunque di avere una fortuna sfacciata rispetto a Ron, che non si trovava bene con i suoi compagni di squadra.

Allontanò da sé la tazza.
Il caffè non gli piaceva un granché, ed era già abbastanza agitato per conto suo.

Signor Dawlish!” esclamò Edwin, come se avesse dimenticato qualcosa.
Si voltò nuovamente, cercando il volto lentigginoso dell’amico.

A che ora domattina?” continuò Basil, con la sua voce grave, che aveva rilevato la sua aria interrogativa.
Nel frattempo si lisciò i capelli ramati e vi calcò sopra il berretto.

Io direi di trovarci alle otto in punto all’inizio di Diagon Alley. Dovremo interrogare i testimoni al posto della squadra di Shacklebolt.” Disse, dispiaciuto. “Due passanti e il fabbricante di bacchette. Harry, tu ti metterai in contatto con l’Ufficio Metropolvere per sapere quando il signor Haroche potrà ripartire.”

Molto bene, a domattina.” Disse Basil con un cenno del capo.

Arrivederci, Harry, signor Dawlish.”

Arrivederci, Coulter, Toggenburg.”

Signore, vado anch’io.”

Il vecchio Auror sembrava aver aspettato quell’istante tutta la sera.
Mentre un attimo prima appariva calmo e posato, d’un tratto i suoi lineamenti si erano induriti, e ora serrava le mani una nell’altra con aria tormentata. Non appena fu certo che i due ragazzi se ne fossero andati, si avvicinò al tavolo appoggiandovi il torace, spingendosi verso Harry, che indietreggiò appena per la sorpresa.
Si riscosse e si avvicinò cautamente, con nonchalance.
Nonostante gli premesse di tornare a casa e avesse la mente già satura di domande, si costrinse ad ascoltare con molta attenzione.

Potter, so che questo è davvero sbagliato, ma lei è l’unico che io conosca abbastanza bene e di cui mi possa fidare qua dentro. Anche Megan Reeves, Adam Fullbuster e Rexford Grant, in quanto vittime dirette, sono al corrente della notizia. Speriamo che le voci di corridoio non si facciano troppo chiassose, o rischiamo di allertare i colpevoli. Prometta di non farne parola ai suoi compagni.”

Io… certo.” Rispose lui, preso in contropiede.

Temiamo che ci siano degli infiltrati in seno all’Accademia.” Sputò Dawlish, in un sussurro.
Era evidente lo scherno, il volto era tirato dalla stanchezza, macchiato dal disonore.

Lo sospettavo anch’io.” Convenne Harry, sperando di non essersi troppo sbilanciato.

Non possiamo farne parola con nessuno. Nel verbale di oggi dovrebbe esserci il nome del colpevole – sempre che sia solo uno – ma non possiamo accedere allo schedario.”

No, infatti. È vietato dal regolamento, fino al momento in cui sarà processato, bollato e messo negli archivi. Dove vuole andare a parare?” chiese, con una punta di sorpresa nella voce. Dawlish non aveva mai mostrato tutta quella confidenza.

Il punto è, Potter, che noi abbiamo bisogno di quella lista per poter estirpare il problema alla radice, altrimenti possiamo dichiararci subito vinti e pronti ai prossimi soprusi. Perché se di infiltrati si tratta, questo è solo l’inizio.”

D’accordo, ho capito.” Harry trattenne un sospiro esasperato.

Voglio che lei mi aiuti a procurarmi quel verbale, Potter.”

Ci sto, ma sotto condizione. Voglio fare le cose a modo mio.”

Le lascio carta bianca.”









Il mattino seguente, Harry sedeva al Paiolo Magico in compagnia di Ronald e Daniel.
C’erano pochi altri tavoli occupati, ma la fumarola che annebbiava la vista era quella di sempre. Harry riconobbe due-tre volti, erano vecchi maghi sempre in viaggio che facevano continuamente tappa a Diagon Alley. Fumavano come turchi delle lunghissime pipe viola. Quando Tom il barista arrivò per servirli e riconobbe il suo vecchie ospite s’illuminò come un bambino alla vigilia di Natale.
L’espressione gioviale sul suo volto, quasi veneratrice, gli ricordò tristemente Dobby, ma Harry aveva imparato a giostrarsi con quei ricordi. Si concentrò sul presente, mentre i due grandi occhi acquosi dell’elfo scomparivano pian piano dalla sua mente…



Signor Potter, quanto tempo!”



Dopo un breve scambio di convenevoli, ordinarono tutti e tre una fetta di torta di mele alla cannella e una cioccolata calda. Harry avrebbe preferito tenere Daniel in casa per sicurezza, ma non aveva avuto scelta.
Era da un po’ che aveva gli scaffali vuoti in cucina, e non poteva offrire acciughe sott’olio, riso bollito e caffè solubile al suo ospite.

Ok, riassumendo, Ron. Ieri, prima di andartene, hai detto che conoscevi i nomi di quelli che si dovevano occupare dei due Ghermidori.”

Sì, ho fatto una lista ieri sera.” Stirò una pergamena stropicciata sul tavolo e la pose davanti a Harry e Daniel.

Almeno sappiamo da dove partire. Hai già i tuoi sospetti?” gli chiese, dando una rapida occhiata ai nomi, strizzando le palpebre alla vista della calligrafia di Ronald.

Certo. Sai quanti ex Serpeverde ci sono all’Accademia?”

Non ne ho idea.” Ammise Harry, colpito.

Due. Theodore Nott e Daphne Greengrass. Io direi che dobbiamo partire da loro. Secondo la versione di Megan, la mia compagna di squadra,” spiegò, rivolgendosi a Daniel di tanto in tanto. “C’erano quattro squadriglie sul caso. Le nostre, e altre due che avevano il compito di stare in Accademia come ricambio in caso di problemi. Insomma, Harry, sai com’è che ci organizziamo.” Continuò, sbrigativo. “E a quanto pare, loro due fanno parte di una di queste. Come puoi vedere, i loro nomi sono in cima alla lista.” Concluse, con orgoglio.

Harry non perse tempo a spiegargli che non aveva capito un accidente di quello che c’era scritto.
Si limitò a dargli una pacca sulla spalla a mo’ di ringraziamento. Daniel sorseggiava il cioccolato con aria preoccupata e gli occhi bassi; non era poi molto concentrato sulla faccenda.
Harry e Ron si scambiarono uno sguardo.

Daniel, avevo previsto di andare all’Ufficio Metropolvere del Ministero la settimana prossima, ma se hai necessità di tornare a casa presto farò il possibile.” Disse Harry, con l’aria comprensiva più credibile del suo repertorio. Non era mai stato molto bravo con i sentimenti.

Non voglio che pensiate che io sia un codardo-”

Non lo pensiamo!” lo interruppe Ron. “Senza di te non avremmo nemmeno saputo che Ginny era coinvolta.”

Io non farei fatica a pensarlo, al vostro posto.” Ammise lui, con espressione avvilita.

Abbiamo bisogno di te qui, Daniel.” Insisté Harry, sperando così di infondergli coraggio.

Lo so, e per questo non me ne andrò fino a quando non avremo trovato Ginevra. Però sono nei guai… probabilmente mi perderò le ultime settimane di tirocinio sul campo in Brasile… e… e ho bisogno di mettermi in comunicazione con Tia. Sono convinto che potrebbe spiegarci parecchie cose. L’ho sentita parlare di Michael con Ginny, sono quasi certo che sappia qualcosa che possa interessarci. Dove posso trovare un gufo?”

Io avrei Leotordo, ma purtroppo lo sto dividendo con il resto della famiglia e non sono sicuro che sia a casa oggi. In compenso c’è una guferia da qualche parte qui in centro.”

Ci andremo oggi in mattinata.” Concluse Harry, che desiderava ardentemente rianimare la conversazione precedente. “Invece, Ron. Torniamo alla lista.”

Ovviamente ci sono anche Rexford, Megan e Adam.” Borbottò, spostando lo sguardo sulla tazza vuota.

E gli altri?”

E gli altri non lo so. Sapevo dei Serpeverde perché li sto tenendo d’occhio per conto mio dall’inizio dell’anno.” Disse, arrossendo vistosamente. Stava spiando due futuri Auror come lui in nome delle vecchie rivalse? Sì. Era poi così sbagliato e imperdonabile? Per Harry, decisamente no. “C’è una sola cosa da fare.”

So di cosa parli.” Tossicchiò Harry, fingendo di ignorare la prima parte del discorso. “Dawlish mi ha dato il permesso di frugare negli annali per il verbale di ieri.”

Basterebbe una lista degli iscritti. Penso che ce ne sia una in segreteria. Potremmo dividerci in due gruppi.” Propose Ron con improvvisa veemenza. Azione! Finalmente avrebbe potuto concentrarsi su qualcosa che non fosse estremamente doloroso… “Ti fidi dei tuoi compagni Harry?”

Non saprei, abbastanza, ma non troppo.” Buttò lì lui, poco convinto.

Abbiamo bisogno di numero. Da soli è troppo complicato. E non possiamo coinvolgere Daniel, è già abbastanza inguaiato di suo.”

Daniel annuì, abbassando il capo.

Però posso procurarmi informazioni. Contacterò Tia Haldale.” Disse, spalancando gli occhi azzurri verso i suoi nuovi amici. “Lei… lei è la mia ragazza.”

Oh. Capisco.” rispose Harry, leggermente spiazzato. “Ottimo, allora. Non ci resta che preparare un piano. Una cosa rapida, possibilmente.” Aggiunse, tirando fuori dalla tasca dei jeans una penna Babbana e improvvisando una lista di cose da fare sulla pergamena straccia di Ron.

Harry, che fai? Non ce n’è bisogno. Innanzitutto, mi sono scordato di dirti una cosa.”

Che genere di cosa?” gli chiese lui, seccato.

Il genere importante. Megan mi ha chiesto di incontrarci verso le dieci e io le ho proposto il Paiolo Magico. A quanto pare Shacklebolt l’ha nominata come nuova assistente, frattanto che Rexford è al San Mungo.” Si fermò, agghiacciato dall’aria contrariata dell’amico. “Non guardarmi così Harry! Cosa dovevo dirle?! In più pare che abbiano sostituito Rex con una nuova recluta, e vuole presentarmela.”

Andiamo, Ron… quella ragazza è simpatica come una Caccabomba, e altrettanto esplosiva! E io non mi fido di lei!”

Non dobbiamo dirle per forza tutto.” Suggerì Ron, con aria trionfante. “Eccola là, sta arrivando. Sta a vedere, ci penso io.” Concluse, con un tono che non ammetteva repliche.

Ron fece spazio accanto a se sulla panca da bar e si sedette di fronte a Daniel.
Megan doveva avere venticinque anni o giù di lì. Era una strega spietatamente avvenente, la cui aria calma era ingannevole.
Non era particolarmente dotata di tatto, si era divertita a punzecchiare Ron più di una volta.
Al più giovane dei Weasley ricordava terribilmente i suoi fratelli gemelli. Solo con un’arguzia tutta femminile e un viso grazioso capace di far ammutolire persino i loro superiori. Per questo motivo Shacklebolt si era sempre rifiutato di affidarle la responsabilità del gruppo, ma ora come ora non aveva avuto scelta.
La strega portava i capelli scuri intrecciati e una frangia sbarazzina che la caratterizzava; quel giorno inoltre indossava un cerchietto, che rendeva più marcato il suo cipiglio. Indossava una giacca pesante di pelle e sotto un abito viola piuttosto anonimo.
Ai piedi aveva due imponenti stivali pieni di fibbie, con una suola di almeno cinque centimetri.

Potter. E tu devi essere Haroche, giusto? Il testimone francese.” Disse, senza aspettare risposta.

Ciao Megan.” Bofonchiò Ron, indispettito.

Oh, ciao Ronnie.” Gongolò lei con un sorriso fasullo.

No, hai ricominciato col Ronnie…” esclamò Ron, infuriandosi. “Merlino, quante volte devo dirtelo che…”

Shush, pivello. Devo presentarvi qualcuno.”

Dietro di lei comparve la recluta.
A Ron e Harry cadde la mascella.

Seamus?”

Harry, Ron.” Ammiccò lui, con un sorriso a trentadue denti.

Ottimo. Che dire… cominciamo dalle cose più semplici allora. Seamus, tu ce l’hai un gufo?”









Ci misero un po’ a raccontare la verità intrecciandola sapientemente con qualche balla, ma ormai Harry era un maestro del mestiere. Megan sorseggiava un’Acquarosa, ascoltando silenziosamente i resoconti degli altri; era piuttosto pacifica, per i suoi standard.
Seamus sembrava un altro, Harry l’aveva riconosciuto esclusivamente per i lineamenti marcati del viso.
Ora portava i capelli leggermente più lunghi sulla fronte, aveva una peluria ispida sul mento, negli occhi si leggeva una determinazione tutta nuova. Aveva un’aria allenata, pronta, risoluta, nonostante il suo scarso metro e settanta.
Era pronto a scommettere che il suo vecchio amico aveva delle spalle enormi, nascoste sotto a quel maglione azzurro Babbano.
Ron si era limitato a squadrarlo dall’alto in basso, su e giù, senza riuscire a frenare lo sguardo.

E dunque seguirai le lezioni di quest’anno con Ron.” Concluse Harry, ancora basito dalla notizia.

Proprio così. È un piacere rivedervi ragazzi! Non siete cambiati di un pelo!” disse con affetto.
Ron distolse lo sguardo, leggermente innervosito. Non gli piaceva che rimarcassero la sua bocciatura.
Megan alzò gli occhi al cielo, scatenando l’ilarità generale.

Stava per ricominciare a parlare – Seamus era sempre stato un gran chiacchierone – quando Harry lo frenò tempestivamente.

Abbiamo fretta. Dobbiamo trovare abbastanza gente da fare un diversivo, poi ci serve qualcuno che faccia l’allarme, e dobbiamo dividerci in due gruppi.” Tre, qualcuno doveva anche andare alla Gringott, ma questo lo tenne per sé.

Quanti siamo in tutto?” chiese Seamus, con lo sguardo attento di chi vuole assolutamente partecipare.

Io, Seamus, Ron, Megan, Adam?, Edwin e Basil. Dovrebbe andare, no?” disse Harry, abbastanza convinto dalla piega della situazione.

Andiamo, Harry. Dimentichi qualcuno.” Si intromise Ron, con un’aria combattuta e leggermente contrariata. “Chi ha sempre ideato i nostri piani? Chi si è sempre preoccupata che tutto andasse per il verso giusto?”

Hai ragione, Ron. Dobbiamo parlare con Hermione.”

Andiamo, allora. Harry, stavolta pago io.” Si alzò e indossò rapidamente la giacca e una grossa sciarpa rossa e oro che aveva dai tempi della scuola. Ci era molto affezionato.

Daniel, vieni con noi o preferisci tornare a casa?”

Scherzi? Certo che vengo.”

Megan?” chiese Harry, alzando lo sguardo verso la donna che era già in piedi da un paio di minuti.

Io preferisco raggiungervi dopo, ci troviamo di nuovo qui oggi pomeriggio? Vado a vedere come sta Rexford.” Ammise, con un’aria abbattuta che non sembrava abituata a portare. Harry tergiversò.

D’accordo, allora a questo pomeriggio. Mi raccomando, non farne parola con nessuno.”

Per chi mi hai preso, Potter?” si offese lei. Fece un cenno di saluto a tutti quanti, poi abbandonò il locale per prima. Harry, Ron, Daniel e Seamus stavano ancora cercando di organizzarsi.

Ok. Seamus, conosci l'indirizzo di casa di Hermione? Ci sei già stato?”

Ehm, io… no.”

Molto bene.” Disse Harry. “Andremo a piedi. È a un isolato appena da qui.”



















Note dell’autrice

Siete solo in quattro ad averla messa fra le seguite, ma siete quattro preziosi sostegni. Volevo ringraziarvi di cuore, e avvisarvi che nonostante io continui a scrivere probabilmente pubblicherò i prossimi capitoli quando le vacanze saranno cominciate, perché ho un esame a breve e non riesco a rileggere e a correggere per bene i capitoli. Spero che Megan, Edwin e Basil vi piacciano! Prima o dopo compariranno nuovamente anche Adam e Rexford, e così potrete conoscerli più a fondo ^_^ Inoltre, ho creato una pagina FB per questa storia, in cui spammo banner e citazioni a manetta, se vi interessa è in alto vicino al mio nome sulla pagina autore! Passo e chiudo, buona domenica :*



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Capitolo 11
*** Quella parte di me che odio di più ***




Dal capitolo precedente:



Stava per ricominciare a parlare – Seamus era sempre stato un gran chiacchierone – quando Harry lo frenò tempestivamente.



Abbiamo fretta. Dobbiamo trovare abbastanza gente da fare un diversivo, poi ci serve qualcuno che faccia l’allarme, e dobbiamo dividerci in due gruppi.” Tre, qualcuno doveva anche andare alla Gringott, ma questo lo tenne per sé.

Quanti siamo in tutto?” chiese Seamus, con lo sguardo attento di chi vuole assolutamente partecipare.

Io, Seamus, Ron, Megan, Adam?, Edwin e Basil. Dovrebbe andare, no?” disse Harry, abbastanza convinto dalla piega della situazione.

Andiamo, Harry. Dimentichi qualcuno.” Si intromise Ron, con un’aria combattuta e leggermente contrariata. “Chi ha sempre ideato i nostri piani? Chi si è sempre preoccupata che tutto andasse per il verso giusto?”

Hai ragione, Ron. Dobbiamo parlare con Hermione.”







27.



Hermione si tolse il mantello di lana. Il suo piccolo appartamento non era più stato così pieno dai tempi in cui aveva dato la festa per il trasloco. Grattastinchi saltava dal divano alla poltrona con soddisfazione, incapace di decidere dove fermarsi per sonnecchiare.
Alla fine optò per il grembo di Seamus, che non vedeva più da tanto tempo. Vi si acciambellò con grande sorpresa del proprietario, e prese a fare le fusa. Il suo muso brachimorfo produceva un caloroso seppur molesto rumore di marmitta.
Hermione scosse la testa, quel gatto era davvero mezzo Keatzley.

Nonostante l’urgenza della situazione, il disagio generale era evidente, sembrava inibire i gesti e gravare sui pensieri.
Hermione e Ronald evitavano di scambiarsi occhiate troppo lunghe, Harry e Daniel borbottavano preoccupati per la faccenda della statua rubata, e Seamus faticava a credere di essere finalmente parte dell’élite, una pedina al servizio della giustizia, al posto giusto nel momento giusto, tanto che sentiva le mani fredde e umidicce stringersi una nell’altra spasmodicamente, in attesa che qualcuno si decidesse a parlare. Con un po’ di titubanza cominciò ad accarezzare Grattastinchi che ora gli premeva il muso piatto contro il mento e ora gli solleticava il naso con la punta della coda, alla ricerca svergognata del suo affetto.



Harry si fece coraggio alzandosi in piedi, organizzare il piano senza lasciare indizi per strada era capitale, non era più un ragazzino a cui tutto era perdonato. Se perdeva il suo posto in accademia il suo duro lavoro sarebbe andato perso, per non parlare del danno causato ai suoi amici. E Ginny era ancora dispersa, imprigionata chissà dove. Gli vennero in mente le urla di Hermione quando Bellatrix Lestrange aveva deciso di torturarla. Erano così vividamente impresse nei suoi ricordi da lasciarlo ancora senza fiato.
Temporeggiò, strofinandosi il viso con veemenza. Cercò di riprendere le redini dei pensieri, il che gli costò una fatica immane, e spiegò l’altra parte del piano anche a Seamus, camminando avanti e indietro sul tappeto verde di Hermione; di tanto in tanto si spettinava i capelli, e si passava una mano sulla fronte sudata; il rilievo della vecchia cicatrice era sempre lì, a ricordargli chi fosse e cosa stesse facendo. Era sempre lui, con i suoi migliori amici, alla ricerca di una soluzione a qualcosa di più grande di loro.
Non riuscì a non stupirsi e imbarazzarsi per l’ennesima volta, leggendo l’animata ammirazione sui volti degli amici, soprattutto quello cordiale di Seamus.

Il simpatico ma turbolento ex Grifondoro era con loro e li aveva seguiti dopo l’incontro al Paiolo Magico, ormai la frittata era fatta.
Sperò in cuor suo che non li tradisse e non facesse
saltare tutto in aria come al solito. Harry approfittò della spiegazione aggiungendo dettagli in modo che anche Hermione potesse seguire il discorso. La osservò di tanto in tanto, lanciandole le solite occhiate interrogative, cui lei rispondeva sempre, in un modo o nell’altro, onestamente.
Hermione era stata, in pochi minuti, perplessa, stupita, devastata – cosa sarebbe stato di Ginny? – e Harry capì, alla fine del discorso e con il fiato corto, che il suo piano era arzigogolato ma fattibile, perché ora Hermione gli rivolgeva uno sguardo fatto di comprensione, risolutezza. Si sentì rinfrancato, e finalmente scivolò seduto sul tappeto, con la schiena appoggiata alla poltrona di Seamus.
Aveva accuratamente evitato di notare il disagio fra i suoi amici, ma ora era eclatante. Si sentì ferito e scottato dalla proprio curiosità, ma non poté fare a meno di osservarli. Hermione sedeva accanto a Ron con una tazza fumante di tè al limone.
Era seria e completamente assorbita dalla situazione. Rifletteva e il rapido nistagmo degli occhi dava l’impressione che lei non ci “fosse” con la testa. Ronald era seduto composto, ingombrava la stanza con la sua stazza e il colore folgorante dei suoi capelli rossicci.
Eppure sembrava rannicchiato, quasi volesse scomparire mimetizzandosi fra i mobili.
Erano così vicini, eppure… eppure così distanti – o era una sua impressione? Harry voleva loro un gran bene, era brutto, orribile vederli soffrire, loro non potevano, non dovevano - loro erano la sua
famiglia.
Avrebbe dato qualsiasi cosa in quel momento per aiutarli.







28.



Perché mi hai portato qui?”

Il pallido, umido pomeriggio inglese era malamente incominciato con quella frase, che definirla a doppio tagliente sarebbe stato un eufemismo. Era stata una scelta deliberata, una domanda timida che aveva tardato a lungo perché si nascondeva fra le altre nella speranza di non dover mai comparire sulle sue labbra.
Era successo ugualmente, perché tutti i nodi vengono al pettine, prima o poi.

Dopo una mattina frenata dalla debolezza fisica di Michael che viaggiava dal divano al tavolo da pranzo in un continuo va e vieni e dalle occhiate trasparenti e incriminanti di Luna dietro la sua coperta psichedelica, Ginny si era decisa a parlare con Michael.
Era pomeriggio, ma fuori era tutto grigio e senza un orologio non avrebbero mai potuto dire che ora fosse.
Non era veramente un problema, perché tutto in quelle giornate sembrava indicare che il tempo si fosse fermato.
C’era solo quella ragazza stramba a scandire il tempo con le sue escursioni, ma tutto urlava silenziosamente, come un soffio caldo e muto, che in quella casa, quale che fosse il tempo necessario, sarebbero riusciti a parlarsi.
Perché erano soli.
Perché non c’era altra scelta.

Luna era uscita da poco, lasciando un clafoutis alle ciliegie in forno. Ginny prese a intrecciarsi i capelli nervosamente, allontanando lievemente il viso dal calore del fuoco. Si era seduta sul tappeto del salotto, vicino al caminetto, mentre la pioggia batteva sul tetto della veranda e il vento fuori spazzava la landa, pronta ad affrontare il suo migliore nemico.
Michael non le aveva concesso delicatezze, non le aveva dato il tempo di prepararsi.
Perché mi hai portato qui?
Il tempo si era fermato su di loro, nonostante le lancette ticchettanti e il cucù abominevole del signor Lovegood.
Il profumo aspro della cottura riempiva le narici, imprigionandoli in quel presente bizzarro e scadenzato.

Ginny cercava le parole, Michael contava gli attimi guardandola negli occhi senza sosta. Con un po’ di apprensione in gola, decise di mandare giù il gozzo e dire semplicemente la verità, ad ogni passo, poco alla volta.
Non era mai successo, dal loro litigio, che fosse lui a fare domande. Lui era quello zitto, quello che non provava niente, che si eccitava per qualsiasi questione ma no, non la loro, quella era sempre stata
acqua passata, fin dall’inizio della fine.
E lei si era sempre ritrovata sola a combattere una battaglia contro i suoi sentimenti, rincorrendo i suoi perchè.
Perché siamo riusciti ad implodere per un bacio? Perché io ti ho perdonato tutto, malgrado me stessa? Perché tu ce l’hai ancora con il mondo? Perché il sapore della mia pelle non ti è piaciuto? Perché il tuo invece me lo ricordo ancora, e mi è bastata una volta, e mi è piaciuto, oh, così tanto?

Era sempre stata lei a preoccuparsi di riallacciare i rapporti e riavvicinare malamente i lembi della ferita.

Perché, Michael, non avevo idea di come dare spiegazioni ai miei.”

Di solito lui buttava sale sul sangue.

Sei nei guai, adesso?”

Sembrava provare un malato piacere a rigirare il dito nella piaga.

Sempre meglio che restare in una prigione sudicia, clandestina e di cui nessuno sa nulla.”

Tranne me.”

Già, tranne te Michael.”

È gentile Luna. Sai, la casa…”

Sì, Luna è una persona adorabile e molto luminosa.”

Tu abiti qua vicino, vero?”

Sì, io… beh, in realtà…” ricordò improvvisamente che no, non era così. Che stupida. Come poteva averlo dimenticato? “Prima di partire in Brasile passavo molto tempo a casa di Harry.”

Ne hai di posti in cui tornare, dopo questo…” Episodio? Circostanza? Varco spazio-temporale? Non seppe definirlo. Si trattenne dal mettere in fondo alla frase qualche parola sghemba e inutile. Sapeva che lei avrebbe intuito.

E tu?” chiese Gin, con aria fintamente divertita, come quando si pongono le domande ai bambini meno fortunati. “Tu sai dove tornare?”

Era una domanda-abisso. Michael era stato solo un vecchio fantasma fino a una manciata di notti prima.

Aveva tentato di lottare, all’inizio – quando se l’era trovato davanti in mezzo alla giungla, come un brutto scherzo del passato, ma si era ritirata scottata, rimproverata nientemeno che da se stessa. In fondo al cuore, che fosse a Natale, o al suo compleanno, o davanti a una stella cadente, il suo desiderio più profondo era sempre stato lo stesso. Era costretto, soffocato da strati di nuovi ricordi, da pensieri, paure, emozioni più audaci che non faceva fatica a mostrare.
Ma i suoi sentimenti per Michael… no, per Misha… erano un tormento che datava dai tempi della scuola.
E avevano superato l’ostacolo del tempo, quello che ogni ricordo deve affrontare.
Era sfumato il ricordo di Michael?

No. Ricordava i tratti del suo viso e l’effetto della rabbia e dello stupore e delle risa su quegli spigoli morbidi.
L’aveva ritrovato, come un gatto randagio e arruffato, ma era ancora lo stesso – vero?
Tu sai dove tornare” implicava che lei volesse davvero saperlo.



Non vivo più con i miei.” Ammise lui, rastrellandosi i capelli all’indietro con aria scomoda.

Ah…?” rabbrividì alla vista di quel suo gesto così familiare. Caro. Caro e doloroso. I suoi aggettivi preferiti per Michael.

Ah, eh già.” Lui tagliò lo sguardo che lei cercava di intercettare per posarlo sul fuoco. Nel marrone dei suoi occhi lei vide le fiamme. “A dire il vero viaggio di continuo, dormo un po’ ovunque.”

Quanti incontri, quante vite, quanti ricordi nuovi aveva lui, per proteggersi dal passato?

Il mondo è la mia casa.”

Inaspettatamente, la risposta di Michael la rasserenò un poco.

È… una bella cosa.”

Cosa altro avrebbe potuto dire? Odiava ammetterlo, ma lo ammirava.
Aveva il coraggio di andare contro le convenzioni, contro il solito – diploma-lavoro-casa-famiglia di cui lei si accingeva a superare la prima tappa; Ginny aveva sempre soffocato quella parte di sé per amore degli altri.



Il mondo è la mia casa. Ginny sentì il cuore stringersi in una morsa di dolorosa nostalgia, come se lui le avesse appena dichiarato “ehi, sono ancora io”. Io - io, io, io. Io quello che hai conosciuto un tempo, quello che ti faceva tremare il cuore di gioia per qualsiasi sciocchezza, non il Michael cattivo e spietato che ti ha spezzata come un ramoscello.
Quel
io.
Seguito da un “corri subito a scriverlo sul tuo diario, avida (di –
ahahah - amore), stupida, naïve piccola Ginny”.

Michael la guardava – uno sguardo di cioccolato liquido innocente - e lei non riusciva a capacitarsi dell’incubo ad occhi aperti che la sua mente riusciva a raffigurare. Era innaturale quella voce distorta che le risuonava in testa come le campane. Pensò di essere impazzita.
Era tutto dentro di lei. Erano i suoi demoni. Non aveva un posto dove nascondersi, se lui era realmente di fronte a lei.
Li aveva creati lui, quei mostri oscuri, glieli aveva liberati dentro quando l’aveva abbandonata – abbandonata sì, da tutti, non solo da lui: dai suoi segregati in casa, da Percy quell’invertebrato, da Harry e Ron e perfino Hermione, perché lei era quella piccola, quella che non doveva sapere niente, e da Fred, che non le aveva lasciato il tempo di salutarlo. Finché ci sarebbe stato lui, però – così pensava la
piccola Ginny quando era ancora a Hogwarts e aveva il diritto di sognare, lui che era sempre stato il suo Lumos, non sarebbe mai stata da sola. Misha era la sua solida colonna portante, capace di ridarle tutta la sua tempra con un semplice sguardo dei suoi.

E ora, chi era? Chi c’era dietro quello sguardo così sapientemente lavorato da sembrare quello del suo Misha?

Senti-”

Senti…”

Michael si alzò e prese a camminare sul tappeto, lentamente per non farsi male.

Vai, prima tu.” Disse, con la bocca nascosta dietro la mano, grattandosi nervosamente il mento.

Mi dispiace. Non volevo che ti ritrovassi nuovamente coinvolto.” Rispose lei, abbassando lo sguardo.
Nel tutto. Nei maledetti briganti, nelle convenzioni che tanto sapientemente rifuggi, nel mio amore sciocco e vischioso – pensò, ma non lo disse.

Non è niente, non è quello. Io vorrei parlare di altro. Ci sono tante cose che vorrei… chiarire, con te.”

Lo sguardo atterrito di Gin frenò il suo entusiasmo iniziale.
Sto andando troppo in fretta?
Si spazzò i capelli dal viso e tentò di ricominciare il discorso in modo appropriato.
La ragazza stava lentamente sciogliendo la treccia di prima, in un gesto che sembrava del tutto inconscio. Michael rimase qualche istante a fissarla con le labbra semichiuse, cullato dal gesto meccanico, incapace di formulare la frase.
Si avvicinò al caminetto, Gin era ai suoi piedi e lui abbassò la testa per continuare a guardarla negli occhi. Se l’era ripromesso.
Niente più scappatoie. La punta del piede sfiorava la gamba di lei.
Chiuse gli occhi, pronto a buttarsi nel vuoto, quel vuoto che non aveva mai voluto affrontare.



Michael, prima però devo dirti una cosa importante.”

Gin si aggrappò alla sua gamba, si tirò in piedi. Il suo viso era d’un tratto vicino, sfocato.
Michael avvertì il calore rubato al fuoco emanare dalla sua pelle, liberare la sua fragranza. Il cuore mancò un battito.
Si perse nell’olfatto che lo guidava verso quel nuovo profumo, che aveva note lattee di amore perduto, di bisticci e d’infanzia, nella vista, che scioglieva tutto attorno a lui in una scia di colori per potersi focalizzare su di lei, quella ragazza dai capelli di fiamma, e nel rumore del respiro che sfuggiva fra quelle labbra rosse e succose che lo chiamavano.
Che lo avevano sempre chiamato.
La mano scappò al suo controllo e raggiunse una guancia vellutata e bollente.
Raccolse uno sguardo risoluto fra le dita e vi rispose, suo malgrado, con affetto. Era quello che aveva sempre apprezzato in lei.
Era dinamite pura, appoggiata alla sua pelle, pronta a esplodere.
E lui sarebbe saltato in aria, ne era certo.

Non dovresti.” Accennò lei, beandosi di quel lieve contatto, socchiudendo gli occhi.

Lo so.”
La parte di me che odio di più.

Sono stanca di rincorrerti, Misha, e di perderti, e di ritrovarti.”

Era una confessione? Era un consiglio velato?
Michael non seppe cosa pensare. Vacillò sul posto, mantenendo il contatto.
Gin posò una mano sulla sua e gliela strinse. Lui lo prese come un invito a continuare.

Non volevo che andasse tutto a finire male. Sai, io ero solo molto confuso. Sono sempre stato una persona confusa. Mi sento perso tre quarti del tempo, forse è per questo che mi arrabbio facilmente. Sono perennemente nervoso e preoccupato. E… mi vergogno. Non vorrei essere così.” Sussurrò Michael, lasciando che lei raccogliesse quella mano fra le sue e la portasse contro il petto. “Tu… sembra che sai sempre che tasto pigiare per farmi esplodere.” Guardò attraverso la veranda, inseguendo le folate di vento che spostavano la pioggia, al di sopra del capo di Gin.
Era più facile, così. Guardando altrove.

Non era esattamente quello che voleva dirle, accidenti, ma era uscito da sé.

Mi dispiace.” Soffiò lei. “Ho sempre saputo che era colpa mia.”

Tutto quanto. Le notti insonni, il gioco di rincorrersi, l’affiatamento, solleticarsi il naso con i fili d’erba, scappare dagli altri, nascondersi insieme, condividere tutto, baciarsi per sbaglio…?

Michael si allontanò di scatto.

Che cosa stai dicendo?” le disse, serrando la mascella. “Gin, tu non capisci… hai solo scatenato il solito caos per l’ennesima volta, quante volte hai ridotto in polvere le mie idee? Quante volte mi hai fatto sentire uno stupido… ma non è per questo che è finito tutto quanto. Devi smettere di pensare in modo sbagliato… devi smettere di pensare e basta! È successo, doveva succedere, ora è finito.” Concluse, sperando di farle capire che il discorso doveva essere chiuso lì, ora e per sempre.

Ginny incrociò le braccia, facendo un passo verso di lui.

E questo che cosa rappresenta allora?” indicò lui, se stessa, la casa di Luna con gesto teatrale. “perché io proprio non capisco, Michael. Forse dovresti spiegarmelo tu.” Gli puntò un dito sul petto. “Tu con la tua mente brillante! È tutto finito, vero? Ma certo.”

No, aspetta, non intendevo dire questo…”

Cercavo la sicurezza nei tuoi occhi. E tu non ti sei mai tirato indietro. Era doloroso. Era bellissimo.

Gin, devo dirtelo, io… io non avrei mai immaginato, nemmeno col senno di poi, quanto potessi essere importante per te.” Non senza il diario. “Devi credermi, non ne avevo la minima idea. Perché…” esitò, facendo un passo verso di lei, guadagnandosi un’occhiata orripilata. “Perché io non volevo, Gin.”

Tu non volevi che cosa?”

Non volevo pensare, sapere, sperare ancora, soffrire per mano tua, …non volevo nessuna responsabilità. E tu eri un pacchetto integrale di responsabilità! Così appassionata, così seria, mentre io… ero ancora un ragazzino, spaventatissimo dal potere che mi avevi messo in mano. Avrei potuto farti così male…” Michael prese le spalle di Ginny e la scosse dolcemente. “Non voglio mai più avere quel potere fra le mani. Non sono in grado di gestirlo. Mi capisci?”

Ginny sentì gli occhi farsi lucidi, ma frenò le lacrime in un impeto di forza.

Oh, si che capisco. Capisco tutto, Michael. Sei un cretino, ecco cosa capisco! Avresti potuto farmi così male?” lo scimmiottò acidamente. “Avresti?! Tu mi hai fatto male.” Lo prese per il colletto della camicia e spinse il naso contro il suo, guardandolo negli occhi, annaspando in quell’alito fremente e familiare come un ubriaco in un oceano di vino. “Mi stai facendo male, qui, ora. Mi hai fatto male quanto ti ho visto con le gambe rotte.” Gli morse una guancia, fingendo di ignorare quanto la sua voce fosse instabile. “Quando mi hai perso la bussola.” Gli morse il labbro superiore, senza raccogliere lo spillo di sangue pur vedendolo scaturire.
“Quando mi sei rotolato addosso.” Le scappò qualche lacrima fra le ciglia, giù per il mento, per terra.
Non importa, è la rabbia.
“Quando hai implorato che restassi accanto a te perché avevi la febbre e tremavi di paura!” Michael faceva di no con la testa, voleva allontanarla, spingere via quegli incisivi crudeli, ma le mani stringevano convulsamente due piccole spalle, e lui sapeva che erano coperte di lentiggini, ricordava di aver inventato delle costellazioni osservandole, nude, alla luce del sole – ricordava, oh?, di averle amate.

Sapeva di essere rosso in viso, accalorato per l’imbarazzo, il caminetto scoppiettante e i baci avvelenati, e per la vergogna di provare un immenso piacere. Tutto in lei lo conquistava, il dolore aveva un sapore - un sapore? - invitante, e l’idea che si mischiassero gli accese la mente di pensieri vivi come le fiamme.
Perché la parte di me che odio di più, Ginevra, sei tu.
Quando lei scese a mordergli l’incavo del collo Michael sentì la voce morire – proprio lì, in fondo alla gola; i suoi sentimenti diventarono una nube indistinta di rabbia e desiderio. Voleva concedersi quello che si era sempre negato per codardia.
Non era mai stato così facile focalizzare lo sguardo su di lei, piccola macchia bianca sul suo manto nero.
Ginevra lo guardava e i suoi occhi gli parlavano. Era così triste, arrabbiata e famelica e appassionata, come non aveva mai avuto il coraggio di affrontarla.
Capiva e sapeva di essere capito senza il bisogno di una parola.
E ora, era chiaro, lei stava per fare qualcosa di completamente pazzo. Dunque scappa Michael, oppure…

Sai cos’è il coraggio, Michael?”

Gin…”

Ginevra gli strappò un bacio.
Lo tenne per il bavero, senza lasciarli via di fuga, costringendolo a sbattere il muso contro la realtà, e mentre lo assaggiava prepotente, premendo il viso contro il suo, si mischiarono lacrime e sangue, e quel gusto era buono, salato e metallico.
Non aveva idea di quello che stava facendo, era da tanto tempo che aspettava quell’istante, ma non se l’era immaginato così cruento. Voleva dolcezza, romanticismo, audacia. Michael aveva accettato di mischiare la saliva con la sua come un cucciolo che non sa ancora come reagire, ma che si fida della madre.
Non era quello che voleva.
Eppure il cuore le martellava fino nelle orecchie, perché Michael non l’aveva rifiutata, la sua lingua le era venuta incontro. Era completamente impazzito. Un attimo prima era immobile, passivo, pietrificato. Forse aveva solo bisogno di uno stimolo, o gli era mancato il tempo per respirare.

Gin aveva accennato a scostarsi, ancora affannata, muta per lo stupore, e lui lasciò le sue spalle per stringerla e farla cozzare contro di sé in una stretta mortifera. Se si potesse essere divorati da uno sguardo… Gin era lì, sulla bocca del suo stomaco, come il più buono dei dolciumi, come il più indigesto dei veleni.

Si era accartocciato su di lei, attorno a lei, l’avvolgeva del tutto con ogni lembo di pelle libero d’ingombri, scorrendo l'involucro con le dita, incitandola a fremere di rimando.
La paura, la paura… dov’era andata la paura?

Gin era calda come la brace, sapeva di casa - lei era casa; assurdo, vero?, considerando che non ne aveva una; era sua da sempre – lei, quel tenero fiorire di fiamme e costellazioni, mappa del suo cielo, passato e presente, paura e desiderio.
Gin no, lei no, non può essere mia.
La paura? Eccola. Infantile, sciocca, lo pietrificava, perché lui sentiva il cuore piccolo e pesante, e faticava a trattenerlo dallo scoppiare; si, era convinto che lei non ci sarebbe stata tutta lì dentro, nel suo petto.
Troppa energia in un corpo solo.
Troppe sensazioni per non farlo impazzire.

Tu… tu sei sempre stata troppo, per me. Troppo di tutto.” Le mani corsero a ripulirle le labbra dal suo sudicio sangue.
Le dita premettero sulla cute fino a farla sbiancare, accarezzò il suo viso lasciando strie arrossate fino alla mandibola. “E io non ho i mezzi per
contenerti. Non…” esitò, perché era difficile da ammettere. “Io non sono abbastanza.”

Guardò con rassegnato divertimento i suoi due moncherini fare capolino fra i capelli di Gin, mentre giocando a far rifrangere il colore del fuoco in quel rosso vivo, si beava di quell’accostamento – lui, lei – così sbagliato, pure così giusto.

No, Misha, non è vero…”

Riuscire a non baciarsi, a non far collimare quelle bocche affamate era solamente un gioco, lo sapevano entrambi.

Non sarò mai in grado di farlo, Gin. Prendere o lasciare.”

L’abisso sembrava allontanarsi proporzionalmente alla vicinanza con la sua pelle.

Sentì le mani di lei cercare le sue, studiarne i polpastrelli secchi e le unghie morsicate, sfregarle, riconoscerle.

Credo che la mia scelta sia chiara, no?” sussurrò con voce roca, sospirando contro il suo naso. “Prendere.”









29.





D’accordo, Harry. Ci divideremo in quattro squadre. Due persone con il mantello dell’invisibilità andranno alla Gringott, possibilmente non Daniel. Due resteranno al piano terra dell’Accademia e si sposteranno su e giù per le scale controllando che non salga nessuno. Altre due andranno in segreteria, e l’ultima coppia rimasta andrà nella stanza degli annali.”

Hermione aveva posato la tazza su una pila di libri con aria pensierosa. Seamus era più che elettrizzato all’idea di condividere un segreto di stato; aveva preso la tazza e l’aveva portata nel lavello di Hermione senza dire nulla.
Quando vide l’aria preoccupata di Hermione cominciò a scusarsi infinite volte, fino a farla scoppiare dal ridere per l’imbarazzo e la situazione.

Ho fatto un disegno dell’Accademia, non dovrebbe essere così difficile.” Si intromise Ron per tornare al discorso principale, mostrandole l’altro lato della pergamena stropicciata che aveva portato quella mattina al Paiolo Magico.

Hermione gli lanciò uno sguardo nauseato. Il disegno era graficamente uno scempio, e Harry che se n’era accorto lo prese di mano all’amico e finse di studiarlo con grande attenzione.

Entrate di servizio qui, qui e qui.” Mormorò. “Bene, ragazzi, è molto semplice. Direi che Daniel e io andiamo su agli annali, Edwin e Basil in segreteria, Megan e Adam saranno il diversivo se succede qualcosa al piano terra e tu, Ron, accompagnerai Hermione alla mia cassaforte.”

Ci aveva pensato a lungo, aveva evitato all’amico la vista della sua fortuna per un sacco di tempo, ma stavolta era diverso, c’era in gioco un fidanzamento; come altro definirlo? Si sentiva stupido, a chiamarlo amore ad alta voce nella sua mente.
Quel “fidanzamento” era amicizia, oltre che amore, e rappresentava un’evoluzione durata ben sette anni di scuola, più quelli all’Accademia. Non poteva permettere che si autodistruggessero per chissà quale sciocchezza.
Non si era mai intromesso, aveva accettato di buon grado il loro rapporto, in nome dell’amicizia.
Il trio aveva retto a questo e altro, nel tempo. Ora, in nome dell’amicizia, forse aveva fatto la mossa giusta.
Forse, soli e nel cuore dell’azione, con l’adrenalina in corpo, si sarebbero ritrovati.
Harry lo sperava con tutto il cuore.

E io?” gemette Seamus, imbronciato.

Dannazione, se l’era dimenticato. Era talmente assorbito dalla nuvola di malumore che aleggiava fra di loro che si era dimenticato dell’ultima novità.

Che domande, Seamus.” Disse, tossicchiando per nascondere l’imbarazzo. “Tu vieni con me e Daniel!”

Hermione lo frenò.

Harry, sei convinto del piano?”

Certo, andrà bene. Deve andare bene.” Quel piano, e anche l’altro. L’importante era ritrovare Ginny e far tornare tutto alla normalità.

La normalità.
Una bufala, e lui lo sapeva.
Ginny era scomparsa, il vecchio Sinister mentiva, Daniel era nei guai, e lui aveva la mente travolta da una sfilza infinita di pensieri e sensazioni non sue che lo annientavano da dentro e gli sfuggivano appena cercava di focalizzarle.
Sapeva che non era stata una grande idea, mettersi nella squadra più vulnerabile.
Ma era davvero la sua? Forse no. Accidenti, sicuramente, no.
Sapeva anche che Seamus era di troppo nella sua squadra.
Avrebbe corso il rischio di metterlo nella squadra di Ron? E guastare la possibilità che si riconciliasse con Hermione?
Forse rischiavano troppo e avevano almeno bisogno di una copertura.

Seamus, cambio di rotta. Tu dovrai fare qualcosa di molto più importante…”







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Capitolo 12
*** Il bacio del serpente ***


Dal capitolo precedente:


La normalità.

Una bufala, e lui lo sapeva.
Ginny era scomaprsa, il vecchio Sinister mentiva. Daniel era nei guai. E lui aveva la mente travolta da una sfilza infinita di pensieri e sensazioni non sue che lo annientavano da dentro e gli sfuggivano appena cercava di focalizzarle.
Sapeva che non era stata una grande idea, mettersi nella squadra più vulnerabile.
Ma era davvero la sua? Forse no. Accidenti, sicuramente, no.
Sapeva anche che Seamus era di troppo nella sua squadra.
Avrebbe corso il rischio di metterlo nella squadra di Ron? E guastare la possibilità che si riconciliasse con Hermione?
Forse rischiavano troppo e avevano almeno bisogno di una copertura.
"Seamus, cambio di rotta. Tu dovrai fare qualcosa di molto più importante..."








27.



Harry e il mago francese camminavano con aria sciolta senza parlarsi. Imboccando la via Babbana in cui si nascondeva l’Accademia Auror, videro all’entrata Edwin, Basil, e Adam che parlottavano.
Adam fumava, dando una parvenza di banalità al gruppetto; dovevano essere le otto in punto, perché l’ex Ministro della Magia ora tornato fra i ranghi Auror, Kinglsey Shacklebolt, passò accanto a loro salutandoli a malapena.

Harrì, grazie davvero. Ci tengo a dirtelo prima di…”

Cerca di non dare nell’occhio, qualsiasi cosa accada tu non ne sai nulla, rigetta tutta la responsabilità su me o qualche altro Auror. Abbiamo uno statuto speciale, che aumenta con il grado. Megan è il top e ha la fedina penale pulita. Nel dubbio, è sempre colpa di Potter. Intesi?”

Come vuoi.” Rispose trafelato, faticando a stare al passo di Harry malgrado fosse più alto di lui.

E non ringraziarci ancora. Non sono sicuro di aver avuto una grande idea, mandando Seamus con Ron e Hermione.” Ammise Harry, tagliando il discorso. Erano arrivati.

Finsero tutti di salutarsi come ogni mattina.

Megan è di nuovo da Rexford. Ha detto che ieri quasi lo davano per spacciato.” Bisbigliò Adam sopra la spalla di Harry, con indifferenza.

Mi dispiace. Pensi di cavartela da solo?”

Certamente.” Rispose Adam, sollevando un sopracciglio con aria supponente. “un diversivo è un diversivo.” disse con aria allusiva, come se fosse una faccenda banale. “Non prendertela con lei.” Continuò poi, fingendo di guardare la strada.

Non me la sono presa” ribatté Harry, un po’ infastidito dal suo tono. Intravide l’occhiataccia di Edwin, che allungava il collo cercando di ascoltarli.

Non aveva assolutamente idea di che genere di sentimenti legassero i Senior di Ron, e non gli interessava affatto.
Gli bastava l’adrenalina per quello che stavano per fare, a renderlo matto. Continuava a controllare di avere la bacchetta e la Mappa del Malandrino nella tasca posteriore dei pantaloni, e pregava in cuor suo di non aver lasciato nulla al caso.
Sapeva, naturalmente, che ciò era impossibile.
Pensava di non essere mai riuscito a liberarsi da un’enorme, potente calamita per i guai.

Adam spense la sigaretta con un colpo di tacco, poi la raccolse e la gettò nel cestino dell’entrata; sembrava sul punto di dire qualcosa, ma esitava, come se fosse scomodo, e indubbiamente spinoso da dire.

Trascinò Harry per la manica a qualche metro dal gruppo, con gran disappunto di Haroche, che si sentiva particolarmente a disagio con tutti quei maghi anglofoni.

Sputa il rospo, Fullbuster.” esclamò Harry, con l’impazienza tipica delle situazioni angosciose. Adam si morse il labbro. Poi cedette.

L’altro giorno, non era colpa di Rex, era colpa nostra. Megan… Megan non stava bene, così l’ho accompagnata nel pub di fronte, quello accanto a Mc Clan. Al nostro ritorno, Rex era a terra, e i due ormai latitanti. Lei si sente molto in colpa” disse, lasciando intendere che qualsiasi cosa lei sembrasse provare, per lui non era affatto condivisibile. “Hanno trovato traccia di così tanti incantesimi su Rex che non sono ancora riusciti a definirli tutti. C’è un reparto intero di Medimaghi che se ne sta occupando, sai.”

Non importa, faremo senza di lei.” Concluse Harry, determinato.
Gli toccò appena la spalla, lasciandogli intendere che era il momento di mettere da parte le preoccupazioni per la sua amica.

Certo, certo. Solo, non pensare male di noi. Né di Rex.”

Harry non rispose. Giudicarli era l’ultimo dei suoi pensieri.

Entrarono nell’Atrium della loro scuola, disordinati ma compatti; il custode dell’edificio non alzò nemmeno lo sguardo, li lasciò firmare nella lista delle presenze – “bisogna avere un permesso speciale per entrare qui dentro” spiegò Harry a Daniel mentre gli affibbiava una Toppa Adesiva sul petto: Daniel Haroche, ospite dell’Accademia Auror di Londra.

Harry sperò in cuor suo di non essersi preso un granchio; aveva riflettuto all’idea di farlo entrare con una Polisucco, ma avevano deciso di tenere le scorte private di Hermione in caso di emergenza alla Gringott. Nonostante la tensione si divisero rapidamente ed efficacemente in tre gruppi; non si salutarono; presto l’Atrium risuonò dei passi che si allontanavano in tutte le direzioni, e il nuovo, ricomposto esercito di Silente s’insinuò nei lunghi corridoi muffiti per completare la sua missione: rubare informazioni, frugando in reparti proibiti, e anche combattere, se necessario, in nome della verità.

Harry e Daniel raggiunsero rapidamente il Reparto degli Annali attraversarono il dipartimento degli insegnanti senza incrociare nessuno. Appena prima che il corridoio finisse, per poco non sobbalzarono imbattendosi nientemeno che nel capo di Harry, Dawlish; lui scosse la testa in segno di rimprovero alla vista di Daniel, ma tornò nel suo ufficio rapidamente fingendo un improvviso interesse per la posta appena recapitata da un grosso barbagianni. Harry, un po’ turbato, si riscosse dai suoi pensieri abbastanza rapidamente e costrinse Daniel a seguirlo. Il francese lanciò una lunga occhiata dietro di loro, per accertarsi che nessuno, a parte Dawlish e il suo barbagianni li avesse visti entrare. Dietro a una porta molto semplice, munita di persiane, si apriva un dedalo di scaffali ricoperti di scartoffie.
Harry spinse dentro Daniel e chiuse la porta dietro di sé, sigillandola con un incantesimo temporaneo.
Fino a quel momento era andato tutto fin troppo bene.

Harrì, sembra che quelli più recenti siano là in fondo.” Disse Daniel, indicando un’insegna sbilenca che aleggiava appena sotto al soffitto, con numerose frecce indicative di annate diverse che si intercalavano caoticamente. A Harry parve quasi di essere tornato a scuola.

Andiamo” annuì lui in tutta risposta.

Erano ormai a metà della via principale fra i vari scaffali, quando si ritrovarono immobilizzati, i movimenti e le espressioni del viso congelate prima ancora di poter esprimere stupore, la bacchetta inutilmente appoggiata nella tasca posteriore dei pantaloni.

Voi non andate da nessuna parte.”

Era stata una ragazza a parlare. Harry avrebbe tanto voluto voltarsi per poterla guardare in volto, ma riuscì solo a contrarre maggiormente la mascella, facendo stridere i denti. Daniel accanto a lui non emise alcun suono.

State pure tranquilli, è temporaneo.”

Harry si ritrovò davanti un mago giovane e allampanato che doveva aver frequentato Hogwarts con lui.
Improvvisamente capì tutto.
Lui doveva essere quel Serpeverde, di cui non ricordava il nome, che Ron teneva sotto controllo da qualche tempo.
E quella voce femminile?

Non c’era davvero bisogno di questi due. Ora che facciamo, Daphne?”

Quella Daphne? Daphne Greengrass? La sorella della fidanzata attuale di – ugh, lo sapevano tutti i lettori della Gazzetta del Profeta, grazie alle foto ufficiali dell’incombente matrimonio – Malfoy?

Harry non ci voleva credere, era tutto troppo insensato.

Niente, Theo. Ho quasi finito, aspetta e vedrai.”

Harry pensò che quel Theo, malgrado tutto, avesse un’aria estremamente umana mentre guardava la ragazza alle loro spalle.
Si meravigliò nel riuscire a leggere nei suoi occhi acquosi, nelle sue labbra carnose rivolte all’ingiù, e in quegli zigomi sporgenti, un’espressione che spesso aveva visto in faccia a Ron quando Hermione voleva assolutamente fare di testa sua.

Allora fai. Li tengo d’occhio io.”

I ragazzi sentirono i passi di lei allontanarsi, e cercarono nuovamente di liberarsi dall’incantesimo.

Allora, Potter, come butta?” sussurrò il mago a pochi passi da lui, rianimando la rabbia di Harry, spingendolo a infiammarsi i nervi nella speranza di muovere anche un singolo muscolo.

Si, lo so. Non dev’essere stato facile neanche per te. Voglio dire, basta guardarti per capirlo.”

Harry sopportò a malapena l’occhiata di biasimo.
Sperò che Daniel non stesse ascoltando, ma si rese conto immediatamente di quanto il pensiero appena formulato fosse ridicolo.

Ma non ti preoccupare, stavolta potrai dire che non è stata colpa tua.”

Theo, ce l’ho! L’ho trovato!”

L’ex-Serpeverde fu raggiunto da un turbine di mantello scuro e capelli biondi, che si spinse a un piccolo salto per poterlo abbracciare attorno al collo. Daphne Greengrass stringeva in mano una pergamena curata che Harry non faticò a identificare come il suo stesso obiettivo.

Te l’avevo detto, che l’avremmo trovato.”

Theodore Nott, voglio che sia tu a leggerlo! Avanti” e gli porse la pergamena.

In seguito, successero molte cose contemporaneamente.

Harry sentì di aver riacquistato la capacità di movimento, e prima di poter sfoderare la bacchetta contro Nott – ora ricordava il suo nome, suo padre era nella lista dei Mangiamorte dell’Ordine - sentì una folata sferzargli il viso.
Con un incantesimo abbastanza distruttivo, Daniel Haroche aveva mandato a gambe all’aria i due maghi senza ferirli, riuscendo però a coglierli di sorpresa, e si era lanciato verso di loro con una velocità inaudita.
Harry rimasto interdetto si accontentò di osservare la scena, puntando prontamente la bacchetta verso gli ex-Serpeverde non appena la pergamena finì nelle mani del suo compagno.

Volevate pararvi il culo, ammettetelo.” Cominciò, ringhiando, sentendo la rabbia crescere ulteriormente in lui.

Non fare mosse false, Potter.” Lo minacciò il ragazzo, che aveva puntato la sua bacchetta verso Harry e sembrava non riuscire a trattenere i suoi poteri: degli sprizzi verdastri e luminosi scoppiettavano dalla punta come se lui fosse sul punto di esplodere.
Harry cominciò a indietreggiare, tirando Daniel per il braccio.
Allo stesso tempo, però, non voleva dargliela vinta.
Aveva intenzione di far intervenire Dawlish il più presto possibile.
Ci voleva un diversivo, un modo per distrarli, e contemporaneamente, ottenere informazioni, senza perdere altro tempo.

Daniel, leggimi i nomi.”

Harrì, non mi sembra…”

Daphne Greengrass, vero?” disse, furente, indicando la ragazza bionda, dai lineamenti delicati, seminascosta dal mago che la proteggeva. Daniel abbassò lo sguardo sulla pergamena, poi annuì a Harry che lo guardava, senza riuscire a dire una parola.
La rampolla dei Greengrass e un figlio di Mangiamorte. L’Accademia Auror doveva proprio essere caduta in basso, per accettare simile gentaglia fra i suoi ranghi. A Harry venne in mente il giorno in cui aveva dovuto fare mille prove per entrare.
Per poco non lo rimandavano, ci aveva messo troppo tempo a risolvere un indovinello, e lo stesso aveva messo in crisi Ron quando era venuto il suo turno.
Possibile che quei due avessero passato quella infinita batteria di test e incantesimi senza risultare un minimo fuori luogo? Harry non ricordava di aver mai visto nelle targhette illustrative degli Auror del passato un singolo mago proveniente da Serpeverde.
Doveva pur esserci un buon motivo, dannazione.

Greengrass…” Harry sembrava sul punto di aggredirli entrambi. Daniel non capiva come appoggiarlo, cosa avrebbe dovuto fare. Aveva timidamente cercato di attirare la sua attenzione, ma Harry continuava a fissare la ragazza in cagnesco.

Sì, sono io Potter.” Sibilò lei, con un sorriso fasullo. “Ora, prima di arrivare a brillanti conclusioni incongrue, continua a far leggere la lista al tuo merdaservo.”

Io non ho nessun… che diavolo hai detto?”

Daphne Greengrass, Theodore Nott, Tyler Raeckelboom, Susan Bones, Rexford Grant, Megan Reeves…”

Lascia stare, Daniel, penso che i primi due nomi siano sufficienti.” Lo fermò Harry, pronto ad aprire la maniglia della porta ormai appena dietro di lui.

Complimenti, Potter, hai proprio fatto centro.”

STUPEFICIUM”

EXPELLIARMUS”

Nel giro di qualche secondo l’intera stanza esplose di incantesimi. L’impianto elettrico, preso in prestito ai Babbani, era saltato, e filtrava poca luce dalla porta dietro ai due maghi.
Harry pensava in fretta, ma non capiva cosa potesse essere stato a fare tutto quel baccano.

Harry, li abbiamo presi!”

Lo raggiunse la voce di Ron, e in un istante tornò la luce: il suo amico aveva appena richiuso il Deluminatore.

Harry, ce l’abbiamo fatta senza problemi, e dato che ero già stato qui a fare rapporto ho pensato di portare Seamus ed Hermione con una Materializzazione Congiunta. È tutto al sicuro.” Disse, avvicinandosi, mantenendo la bacchetta puntata appena dietro di lui, dove i due ex-Serpeverde giacevano storditi.

Dalle macerie spuntarono i volti di Hermione e di Seamus, uno vicino all’altro, lontani dalla bolgia ma abbastanza vicini da poter usare le bacchette in caso di necessità.

Non posso credere che siate arrivati fin qui senza danni.” Esclamò Harry, esterrefatto.

Non posso crederlo nemmeno io.” Ammise Hermione, secca, scrollandosi la polvere di dosso e incrociando le braccia. “dove sono gli altri?”

Il ritrovo non era qui.” Ribatté Harry, inflessibile. “Perché avete preso questa decisione?”

Li guardò uno dopo l’altro, ancora scioccato.
Ron, che aveva deciso per tutti, fece spallucce.
Era evidente per ognuno di loro, che senza quell’intervento tempestivo, non avrebbero mai steso i due colpevoli.

Dobbiamo andare, ragazzi. Prima che ci scoprano tutti qui.” Disse allora Harry, prendendo la pergamena con la lista che gli tendeva Daniel.

Cosa facciamo con loro?” chiese Ron, prima che Hermione potesse parlare. Lei lo guardò in malo modo, richiudendo la bocca.

Beh, li abbiamo beccati a frugare qua dentro per occultare le prove. Più anti-sgamo di così.” Rispose Harry, grattandosi il mento.

Ne sei certo?” irruppe Seamus, avvicinandosi a Harry con aria poco convinta. Sembrava avesse un’opinione del tutto diversa, e la sua espressione pacata e riflessiva innervosì più di uno di loro.

Non hanno ammesso di averlo fatto, giusto?”

Cosa ti aspettavi, Finnegan, un giuramento scritto?” rispose acidamente Ron.

Io dico solo che dovremmo dargli il beneficio del dubbio, prima di consegnarli al direttore dell’Accademia, o peggio ancora, ad Azkaban.”

Le faranno loro le indagini approfondite, Seamus.” Sentenziò Harry, che cominciava ad agitarsi e camminava avanti e indietro. Sentiva in fondo che Seamus aveva ragione, ma dall’alto della sua inesperienza, e questo gli dava fastidio.

Per me Seamus non ha tutti i torti.” Si intromise Hermione, avvicinandosi ai ragazzi e fermando Harry nella sua camminata nervosa agguantandolo per il gomito. “Troviamo gli altri, intanto, e portiamoceli dietro. Hai preso il mantello Harry?”

Harry era dubbioso, dubbioso e irritato, ma accettò di consegnarle il Mantello di suo padre; Hermione produsse un Levicorpus e mentre i corpi inerti dei due maghi si alzavano a mezz’aria, li ricoprì rendendoli perfettamente invisibili.
Si voltò a guardare gli altri, con un’aria interrogativa.

Forse dovremmo ripulire questo disordine.” Disse Ron, cominciando a puntare la bacchetta sulle macerie.
Era stupefacente il fatto che nessuno fosse entrato per scoprirli. In quel momento però si aprì la porta, ed entrò Dawlish.
Non commentò la quantità di persone di troppo, in quella stanza, ma Harry sentì il suo sguardo grave soppesare le conseguenze delle sue scelte. Dopotutto, però, era stato lui a dargli carta bianca.
L’Auror non vide Nott e Greengrass, e si limitò a parlare ai presenti in tono basso e preoccupato.

Ho incantato la stanza, prima che arrivaste, con degli incantesimi Insonorizzanti. Vi consiglio di uscire rapidamente prima che io debba rendere conto ai colleghi della vostra presenza in questo corridoio.”

I ragazzi uscirono in fila, in primis Hermione, che nascondeva davanti a sé il Levicorpus e ancora tremava per la paura di essere scoperta. Harry chiudeva la fila. Dawlish lo fermò.

Allora, Potter? Ce l’ha?”

Sì, ce l’ho con me. Questa sera le manderò un luogo e un orario per incontrarci, ora devo andare. Più in fretta facciamo, più in fretta li prendiamo.”

Non erano questi gli accordi. Io volevo che lei mi portasse la lista.”

E io non volevo che per l’ennesima volta fosse coinvolto qualcuno a cui tengo. Eppure hanno in mano Ginny Weasley.”
Harry sapeva di aver usato un asso nella manica. Il mago tergiversò.

Potter, le conviene di non fare cose di cui potrebbe pentirsi non solo lei, ma anche tutta l’Accademia. Intesi, spero.”

Certamente. Arrivederci.” Rispose semplicemente Harry, sfoderando il suo miglior cipiglio di circostanza.

Un rumore di frastuono li fece voltare simultaneamente verso il fondo del corridoio.
Si scambiarono un tacito sguardo di preoccupazione.

Vada, me ne occupo io.” Il vecchio Auror gli lanciò un’ultima occhiata indagatoria prima di allontanarsi di corsa.








28.



Quando Megan Reeves varcò l’entrata dell’Ospedale San Mungo, qualche ora prima, più di un mago alzò la testa e si fermò a contemplarla nella sua totale e insofferente bellezza anomala. Con quel corsetto nero e i nastri viola seminascosti dalla veste aveva un aspetto strano perfino per i maghi. Era graziosa e indisponente, mentre non risparmiava nessuno del suo sguardo di biasimo.
Fece abbassare uno a uno tutti gli occhi che si erano levati, chi di imbarazzo e chi di prepotenza.
Il rumore dei suoi pesanti anfibi si mischiò al brusio ospedaliero quando finalmente ebbe raggiunto la reception, spingendosi nella calca di persone lamentose che aspettavano la loro consultazione. Sbuffò pesantemente, dando una spinta poderosa a un mago stizzito che l’aveva urtata per sbaglio al suo passaggio. Lui si perse in scuse infinite, quando la riconobbe dietro la sua maschera da bambolina babbana arrabbiata, ma lei tentò di zittirlo in ogni modo; non era il caso che il mondo intero sapesse che avevano messo in ginocchio il corpo Auror per l’ennesima volta. Doveva essere più discreta, la prossima volta.

Si, si. Se ne vada. Arrivederci…Oh. Grazie. Pensavo non si sarebbe più levato di torno.” Disse, inscenando un’aria affabile per niente convincente con una famiglia numerosa che si era voltata a fissare la scena, poco più avanti nella sua fila.
Qualcun altro si mise a bisbigliare, esasperando la sua già misera pazienza; essere la figlia dell’ex Magisterium Reeves, morto durante il colpo di Stato di qualche anno prima, giustiziato per aver rifiutato la totale sottomissione ai Mangiamorte, non era divertente.
Ancor meno lo era il fatto che non avesse più parlato con suo padre negli ultimi mesi prima della sua morte, per cui tutto quel rammarico dimostrato dalla gente, quei bisbigli concitati attorno a lei, e le infinite scuse e puntate di dita erano ancora più insulsi alle sue orecchie. Megan guardò l’ultimo ficcanaso come se fosse una mosca fastidiosa, e questo bastò a riportare la calma attorno a lei.
Aveva una confezione famiglia di cioccorane stretta in mano e la Gazzetta del Profeta sotto il braccio; guardava con impazienza la lunga fila che l’aspettava per chiedere il permesso di rendere visita al suo compagno di squadriglia.
Al pensiero le si strinse il cuore, ma non lo diede a vedere.

Basta, la misura era colma.
Decise che non avrebbe perso altro tempo, così sgusciò di lato dalla fila che si era già formata dietro di lei, e guardando a destra e sinistra, con circospezione, scomparve lungo il corridoio e su per le scale, dove sapeva essere la stanza di Rex.
L’aria vissuta, spaventosa per un
babbano, di quei corridoi ospedalieri non ingannava i maghi, che sapevano bene l’importanza del tempo per la potenza della magia. I luoghi più antichi del mondo erano decisamente i più ricchi e propizi in cui preparare pozioni o esercitare incantesimi.

Megan batté le nocche un paio di volte su una porta malandata, la quale rispose con un rumore pieno, a dimostrazione di quanto in realtà non lo fosse affatto. Sotto al numero di stanza compariva il suo nome, in corsivo anticheggiante: Rexford Grant.
Megan bussò ancora, leggermente inquieta.

Quando capì che la porta era aperta e non presentava più nessun sigillo magico, irruppe nella stanza e constatò con uno sguardo quanto era probabilmente accaduto.

Con l’orrore dipinto sul volto, vide il letto sfatto, il bicchiere di vetro caduto a terra che prima era appoggiato sul comodino accanto a una grossa candela giallastra; il cassetto a terra, proveniente dal comodino, era vuoto, se non per una pergamena vecchia e ripiegata più volte.
Della bacchetta di Rex non c’era più traccia.
Chiamò l’infermiera tramite il campanellino vicino al letto, una, due volte, trattenendo a stento un sospiro tremante.

Rex, cosa ti ho fatto…”






29.



Da quando avevano smesso di parlare, Michael e Ginny si erano spostati gradualmente fino alla cucina, in uno strano lento scadenzato, fino a trovarsi a sbattere contro l’isolotto disordinato dei Lovegood.

Smisero di baciarsi di malavoglia, si allontanarono in silenzio. Lei tentò un sorriso incoraggiante.

Trovò un’aria che non le piacque, ad accoglierla. Michael sembrava pericolosamente aver perso il senno.

La studiava assorto, con lo sguardo torbido, passando dalle spalle al viso, dalle labbra al seno.

Le raccolse i capelli in una coda, sulla nuca, usando le dita come i denti di un pettine.

Le spinse la lingua sui denti fino a farle aprire la bocca, e la trascinò nel suo piacevole stordimento.

Ginny cominciò a sentire le fiamme di brividi ardere sotto la pelle, nessuno l’aveva mai toccata in quel modo.

I baci di Michael non erano baci, erano morsi e linguate di forza.
Era quasi opprimente, una vera e propria lotta.
Stava indietreggiando, gli sfuggiva, ma lui la raggiungeva sempre e le toglieva il fiato di nuovo.

Il ragazzo muoveva la mascella a ritmo di lingua, spalancava la rima labiale sulla sua e assaporava ogni angolo della sua bocca con una costanza quasi molesta. Ginny lasciò libera la mente. Il paragone, la sovrapposizione dell’esperienza tattile presente e passata, il vecchio Michael e il nuovo, i suoi amori precedenti e ora. La differenza era lampante e la frastornava. Con lui era tutta un’altra storia.
C’era qualcosa di indomabile e di selvatico, nei suoi gesti e nei suoi tratti sfigurati dalle cicatrici. E nel modo in cui infilava le mani sotto ai suoi vestiti, bruscandola.
Falso. Avrebbe preferito dirsi spaventata di quella voracità.

Ora gli mancavano perfino due dita.
Ginny Weasley, la fidanzata storica del più famoso mago di tutti i tempi… fra le braccia del suo amico d’infanzia, un precario dai legacci non troppo celati con la malavita, di cui nemmeno lei avrebbe più dovuto fidarsi. Eppure… quello che provava per lui era annientante. Come il bianco assoluto, o il sole di mezzogiorno. La sua rudezza la faceva fremere come se fosse la più delicata e amorevole delle carezze. Non era Dean,
finalmente. Non era quel Tassorosso che aveva baciato una volta per sbaglio... non era niente che potesse ricordare con le mani e niente che potesse immaginare con la testa.

E non era Harry.
Non c’era nulla che le ricordasse della sua timida, inglese gentilezza, o della sua calma imperturbabile.

La premura aveva un altro sapore con Michael, e sapeva di occhiate e lampi di comprensione, di maglie strattonate, predominio e un rude riconoscersi nel desiderio dell’altro fra un gesto brusco e l’altro. Michael accompagnava ogni gesto studiandola, scoprendo ogni reazione e insistendo con forza ogni volta che la sentiva sospirare appena. Non avevano fatto altro che baciarsi.
Non avevano bisogno di altro, se non imparare a conoscersi uno nella bocca dell'altro, avvinghiati come due ragazzini.
L'imbarazzo era vinto.
I ricordi non del tutto.

Le labbra fini di Harry si sovrapponevano con quelle screpolate di Michael, che le erano sconosciute, turbandola.
Era come un brutto sogno troppo appiccicoso. E quando apriva gli occhi dopo un bacio, non trovare più il solito verde smeraldo era disarmante, come se avesse accettato controvoglia di fare un salto nel vuoto.

Quello che stava facendo era scorretto. Aveva importanza?
Era così appagante, sentire l’oppressione lasciare in pace il suo cuore.
Quel momento così agognato la stupiva e la travolgeva, come se fosse sul punto di svegliarsi da un momento all’altro.
Non avrebbe mai voluto svegliarsi. Quel momento era già finito, e non si doveva ripetere.
Quella parentesi temporale andava chiusa.

Il campanello li fece sobbalzare, poi ridere.
Era solo un avviso di Luna, che entrò un attimo dopo appoggiando un cesto all’entrata e annunciando il suo arrivo.
Tutta quella premura li fece sentire terribilmente in imbarazzo.

Quando entrò in cucina, la ragazza indugiò a lungo sulle loro dita intrecciate, sollevò un sopracciglio e fece un mezzo sorriso, come se niente al mondo potesse stupirla.

A che punto siamo?”

Direi che siamo a buon punto” rispose Michael, sorprendendole entrambe con un sorriso timido.
"Parlavo anche della torta, Michael." la semplice osservazione di Luna piazzò un lungo silenzio indigesto fra i tre maghi.

Ok, fine del momento imbarazzante, vi prego.” Disse allora Ginny, prendendosi la testa fra le mani.

Io ehm, vado in camera mia. Devo… devo fare una cosa importante.” Borbottò Michael, dileguandosi.

Luna sollevò la torta fra due presine e ne aspirò il profumo con aria sognante.
Appoggiandola sull’isolotto urtò qualche barattolo e pentolino di rame; si affaccendò subito a cercare un coltello, tre piatti e tre forchettine da dolce.

Allora, Ginny?”

Beh… da dove cominciare…”

L’importante è che hai le idee chiare. Tu le hai vero? Voglio dire, adesso dovrai lasciare Harry.” Aveva posto un interrogativo con garbo, ma il silenzio che seguì la frase diede tutto il tempo necessario a Ginny per assorbirne l’impatto.

Che cosa ho fatto Luna…? Sto mandando all’aria tutto.” Si sfogò, appoggiando i gomiti sul marmo dell’isolotto, abbassando la voce.

Se parli del tuo imminente fidanzamento, direi che hai fatto bene a mandare in aria tutto. Come pensavi di vivere tutta la vita con un uomo che non ti interessa?”

Come puoi dire una cosa del genere? È spaventoso!”

Ed è la verità.”

Hai ragione.”

Lui non se lo merita.”

No, lui merita di meglio, hai ragione.”

E anche tu, Ginny.”

Che cosa intendi dire?”

Che né Michael né Harry ti possono dare quello che stai cercando. Sei andata a vivere le tue esperienze lontano da tutti, hai seguito una pista senza chiedere il permesso a nessuno, … hai scelto un modo curioso per capirti, tutto qui. Ma direi che adesso ci siamo. O sbaglio?”

Luna, non ti seguo.”

Tu ti sei imprigionata in una vita che non ti interessa. Ti sei inflitta degli studi duri e pesanti, lunghissimi, e ti sei adagiata in una relazione adolescenziale per darti tempo. Solo che a lungo andare, non ti sei più sentita libera. È brutto non sentirsi liberi.”

La portata delle sue parole era astronomica.
Ginny tentennò sul posto.

Io voglio molto bene a Harry… e voglio diventare un Medimago.”

Però ti stai rifugiando nelle braccia di un altro.”

Michael è qualcosa che non ho mai capito… credo sia il non detto, ad averci portati qui.”

Oppure il non fatto.” La punzecchiò Luna.

E comunque io mi sento libera.”

Pensaci bene.”

E non cerco niente in Michael che non sia lui stesso.”

Io credo che tu abbia bisogno di pensarci su…”

Luna!”

Ti ho detto quello che pensavo e mi fermo qui. Non dovrei interferire, ma la situazione andava chiarita. Ci tengo molto a te, ma tengo anche molto a Harry e non voglio che lo prendi in giro.”

Io…” stava per reagire male, era pronta, una scheggia. Poi abbassò la testa. “Hai ragione, Luna. Scusami.”

Non ti devi scusare con me.”

Pensi che dovrei dirglielo?”

Penso che una brutta bugia sia meglio di una orrenda verità. Voglio dire, io preferirei non saperlo. Non entrare nei dettagli.”

Non intendevo farlo.” Rispose lei, mortificata.

Dove andrai? Hai già qualche idea? E lui?”

Io… non saprei. Penso di tornare a casa. Alla Tana, intendo. Poi penserò a come spiegare tutto a Harry senza ferirlo e… e poi penserò a riprendere gli studi, e scusarmi con i miei compagni di viaggio. Michael… lui dice di non avere una casa fissa. Probabilmente gli chiederò di stare un po’ al Paiolo Magico, il tempo di chiarire, sapere almeno dove voglia andare…”

Vai a chiamarlo, io preparo il tè.”

Ginny lasciò la stanza e si sentì come dopo una lunga chiacchierata con Molly Weasley. Stanca, devastata, sommariamente felice.
Bussò alla stanza di Michael ed entrò subito dopo, spiegandogli animatamente che Luna aveva già messo la torta nei piatti e bisognava scendere; sorrideva, ed era serena, voleva sembrare disinvolta dopo l’imbarazzo di poco prima. Ci mise un attimo di troppo a realizzare l’aria turbata di Michael. Sembrava averlo colto in flagrante.
Non capiva, era sul letto, leggeva un libro, non c’era niente che…

Bastò un’occhiata a riconoscere la calligrafia, le orecchie sugli angoli delle pergamene, e l’attimo dopo aveva già trovato il suo zaino in fondo al letto.

Dammelo. Subito.”

Aspetta, adesso ti spiego. Dovevamo comunque parlarne…”

Dammelo Michael.”
La sua voce tremava.

Michael le restituì il diario.
Un’ombra di rabbia gli offuscò lo sguardo. Scuoteva la testa.
Il gesto di stizza non le sfuggì.

Avevamo appena…”

Vattene.”

Ti prego fammi parlare.”

Ginevra trovò i suoi pantaloni e la sua maglia logora; gli lanciò addosso i vestiti, prima accuratamente piegati su una sedia.

Ho detto VATTENE, MICHAEL.”

E va bene, se non vuoi parlarne sono cavoli tuoi! Lo rimpiangerai, Gin! Appena sarò uscito di qui!”

Non mi interessa!” lo osservò tutto il tempo che gli occorse a raccogliere i suoi effetti sparsi sul comodino e ai piedi del letto.
Tratteneva le lacrime come un velo, ma non le importava di non vedere nulla.
Trattenerle faceva male, e la faceva sentire come se stesse facendo la cosa giusta.

Ti prego.” Le valigie presto fatte, si era messo sulle spalle la sua casacca e non si decideva a lasciare l’uscio.

Si avvicinò furtivamente e le strappò un bacio, rimediando uno schiaffo.
Lui abbassò lo sguardo, non disse nulla. Fine della parentesi temporale. Lo sapevano entrambi, che era stato sciocco lasciarsi andare.

Addio Michael.” Gli voltò le spalle, incrociando le braccia sul petto.

Lasciami almeno spiegare a Luna…”

Luna non fa domande. Le spiegherò io. Capirà.”

Tu sei ingiusta.” Mormorò lui. “Non sei mai stata onesta. Con me e anche con te.”

Come ti permetti, di dire a me che sono ingiusta?” si voltò all’improvviso, piangendo.

Fu come ricevere un secondo schiaffo.

Io non volevo farti del male. Scusami. È l’ultima volta che ti disturbo.” Rispose, grigio in volto.

Fai una cosa, Michael. Prendi questo. E sparisci.” Gli scaraventò addosso il diario.

Scusa.”

Prendilo. Portatelo via. Non lo rileggerò, è già tutto qui dentro” indicò la sua fronte, aspra “E convivi con i tuoi errori. Io non so più cosa farmene, Michael.”

Michael strinse in mano la fodera di cuoio, e sentì il cuore sgretolarsi. Con le labbra livide, accennò a un ultimo saluto, ma trovò solo uno sguardo duro, così voltò i tacchi e se ne andò.

Ginevra si raggomitolò sul letto e chiuse gli occhi. Aveva bisogno di tempo. Ancora. E ancora…

Quando Luna salì per cercarla, la trovò addormentata in posizione fetale.

Cosa hai combinato stavolta, Ginny?”






___

Note dell'autrice: mi dispiace molto di averci messo tanto a scrivere questa parte della storia, ma non ce la facevo, era un periodo difficile sia perché dovevo studiare, sia perché dovevo riordinare le idee. Ho cominciato la stesura dei prossimi due capitoli, vi ringrazio se avete continuato a seguirmi lo stesso, siete grandi! Spero di non deludervi. Ormai sento che ho perso le redini dei personaggi. ChocoCat









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Capitolo 13
*** Mezzosangue, prigionieri ed ecchimotici ***


 

Dal capitolo precedente:

Fai una cosa, Michael. Prendi questo. E sparisci.” Gli scaraventò addosso il diario.

Scusa.”

Prendilo. Portatelo via. Non lo rileggerò, è già tutto qui dentro” indicò la sua fronte, aspra “E convivi con i tuoi errori. Io non so più cosa farmene, Michael.”

Michael strinse in mano la fodera di cuoio, e sentì il cuore sgretolarsi. Con le labbra livide, accennò a un ultimo saluto, ma trovò solo uno sguardo duro, così voltò i tacchi e se ne andò.

Ginevra si raggomitolò sul letto e chiuse gli occhi. Aveva bisogno di tempo. Ancora. E ancora…

Quando Luna salì per cercarla, la trovò addormentata in posizione fetale.

Cosa hai combinato stavolta, Ginny?”















30.

Devo andare, Luna.”

Capisco. È stato un piacere conoscerti, Michael.”

Dici davvero?”

Certo.”

Sei una ragazza strana.”

Me lo dicono in molti. Alcuni in modo meno lusinghiero.”

Non lasciarti condizionare da quello che dicono. Gin ha una buona amica.”

Grazie. Sono sicura che riuscirete a parlare con più calma quando avrete messo a posto il vostro disordine mentale.”

Non credo che ci rivedremo più, Luna. Adesso devo andare.”

E va bene. Se hai bisogno di qualcosa, sai dove cercarmi. Buona fortuna, Michael Corner.”



Era ricominciato tutto d’accapo. Troppo bello per essere vero, Michael. Non ti illudere, Michael.

Cosa stai combinando? Cosa credi di fare? Ma lui non aveva voluto ascoltare la sua coscienza. Ed ecco che era riuscito a ferire Ginny ancora una volta… e mandare tutto a farsi fottere.

Non aveva saputo resistere alla curiosità. Ne era malato. È di lei che sono malato. Voleva solamente capire…

Meglio. Giusto.

Andava bene così.

Non doveva più dirle che aveva letto il suo diario di nascosto, lei l’aveva visto con i suoi occhi.

Non doveva scusarsi, dare spiegazioni, lei gli aveva concesso un espediente per allontanarsi per sempre dalla sua vita.

Era stato un bel periodo. Del tutto irreale. Naturalmente.

E lui comunque non era capace, non si intendeva di quelle cose. Quelle cose là, insomma.

Le scintille sempiterne e via dicendo.

Aveva bisogno di stare da solo, di dipendere solo da se stesso.

Andava bene così.

Gin era troppo, la era sempre stata.

Si era accasciato su una panchina che sembrava messa lì dalla provvidenza. Era praticamente a metà strada fra la Tana e la dimora dei Lovegood.
Il tomo fra le mani era pesante come un macigno.





Si decise a Smaterializzarsi. Non poteva aspettare di rimettersi in sesto, aveva un mucchio di cose da fare.

Prima di tutto, finire di leggere quel dannato diario.

Arrivato al Paiolo Magico, ordinò un pasto sostanzioso e terminò i suoi risparmi. Era quasi pronto.

Sarebbe stato un gesto estremo, da parte sua, ma era convinto che fosse la cosa giusta.

Prima, aveva bisogno di una sferzata, di un po’ di coraggio in vena.

Aprì lì dove le pagine erano strappate, dove aveva lui stesso ferito di mano quell’incongruo rilegato pezzo di vita altrui.

Con il dito seguì la lettura, per apprezzare la ruvidità della carta, carpire eventuali lacrime, indugi e dissidi di Ginevra. Dopotutto aveva avuto il permesso, giusto? Ormai, peggio di così.



Era l’inizio della fine.

Hai cominciato a passare sempre più tempo con i ragazzi del Quidditch, con Finnigan, i gemelli, Jordan, e con Macmillan, diamine, che per altro prima odiavi con tutto te stesso.

Perfino con Dean Thomas, quando c’era anche lui nel gruppo. Ci eravamo lasciati da poco, e lui se l’era presa tantissimo. A me non importava, era fuori discussione passare un altro giorno con lui, con la tempesta che avevo in cuore.

È andata così. Vero? La tua versione quale sarebbe? Chissà, non mi hai dato l’occasione di ascoltarla… ci siamo allontanati un po’ alla volta. Non importa, mi dicevo. Non ha niente a che fare con quella discussione. Assolutamente, categoricamente NO. Invece sì.
Io ho cominciato a uscire spesso con Luna nei week end, senza più parlare di te. Lei non ha commentato, mi è stata accanto e si è comportata come se quei mesi che ci avevano allontanate non ci fossero mai stati.

Mi ha aiutata a distrarmi con ogni sorta di cose, tra cui creature che non esistono e sette macabre di cui erano zeppi gli articoli del Cavillo. Nel frattempo, ci vedevamo ogni tanto, io e te. Sempre di meno da soli, sempre di più con i tuoi amici. Avevo deciso che anche a me andava bene così, che non soffrivo senza averti accanto. Non capivo un accidente di quello che mi succedeva e le mie reazioni alle tue parole erano assurde, sconclusionate.

Una delle ultime uscite è stata con Padma, la gemella di Calì Patil. Ci stava spiegando tutto sull’amore e sul sesso – si riteneva un’esperta, ormai – mentre io e te sorseggiavamo Burrobirra come due abituati, nascondendo i singhiozzi raschiandoci la gola. Te lo ricordi? Ci siamo dovuti legare la lingua per non risponderle, con quell’aria da saputella! Ci ha detto che si vedeva dalle nostre facce che eravamo ancora “piccoli” per quel genere di cose. “Obbiettivamente, eh” Aveva aggiunto poi, per non sembrare troppo scortese. Io e te evitavamo di guardarci, altrimenti Pad avrebbe capito che la stavamo deliberatamente prendendo in giro. A sedici anni appena compiuti, raccontava di quanto fosse diventata esperta, lei, con il suo ragazzo – un mago straniero di cui non abbiamo mai ben capito l’origine-. Appena se n’è andata, io e te siamo andati a farci una passeggiata veloce al Lago e abbiamo sputato fuori ogni pensiero che ci era venuto in mente poco prima e che abbiamo dovuto trattenere per non insultare il suo orgoglio.

Io voglio stare solo con un uomo”

Credo che hai ragione. Allo stesso tempo, però, penso che l’esperienza sia importante.”

Nessuna esperienza, solo amore. Non credo che il sesso sia quel genere di rapporto che ha bisogno di esperienze diverse.”

Mh” hai risposto tu, guardando le stelle, con lo sguardo perso di quando pensi intensamente e chiudi il mondo fuori.

Dai, andiamo. Si fa tardi, se ci beccano sono guai”

Poi, un giorno, ti ho visto uscire dalla sala degli esami per ultimo: nessuno dei tuoi amici ti aveva aspettato. Io ero rimasta dietro la porta, indecisa, obbligando Luna ad aspettarti con me.

Quella gente non ti era amica, e l’idea che tu volessi sostituirmi con loro m’infuocava.

Ti odiavo per la tua testardaggine, volevi sempre vedere il meglio delle persone.

Io, delusa, maturata ancora acerba, avevo già capito che non bisogna pretendere più di quanto gli altri possano dare. Qualche settimana dopo gli esami di fine anno hai chiesto a un po’ di gente di venire alla Testa di Porco per festeggiare. Eri incazzato nero: solo io ero disposta a venire.
Ma non era abbastanza per te. Non era una bella occasione da passare insieme. Per te, per la tua felicità, io non ero più abbastanza.

Si era fatto giugno, ed era il giorno della partenza. Sapevo già che non potevamo stare nello stesso vagone, tu avevi deciso di andare con quei tipi e Luna mi aveva chiesto di raggiungerla con qualche Corvonero. Appena due mesi prima avremmo fatto di tutto per stare seduti assieme, isolati dagli altri, a mangiucchiare bastoncini di liquirizia e raccontarci storie stupide.

Invece non abbiamo fatto una piega.

Oh, insomma.

Tu non hai fatto una piega.

Poco prima di chiudere i bauli, quella mattina, mi hai dato appuntamento al Rifugio.

Mi mancherai quest’estate”

Anche tu, tantissimo, Gin”

Non cambiare troppo Misha” dissi, con una punta d’ansia nella voce.

Sapevo che stavi cambiando, che stavi crescendo. Ti stavi definitivamente allontanando da me.

Come?” hai detto tu, stranito, con un mezzo sorriso, come se scherzassi.

Era il mio addio, in un certo senso. Avevo afferrato il verso delle cose prima che precipitassero. Tu invece l’hai percepito come un inizio.
“Così. Me lo sento, mi fa paura. Non voglio perderti. Sei troppo prezioso.”

Ti ho stretto più forte fra le braccia e tu, basito, hai ricambiato.

Mi hai accarezzato i capelli prima di allontanarmi con fermezza.

Sentivo le lacrime bruciare fra le palpebre ma le ho tenute ben strette.

Se tu le avessi viste, sarebbe stata la fine quel giorno stesso.

Non allontanarti da me. Torna da me. Resta con me.

Ma tu non hai percepito la mia richiesta, il mio sussurro disperato.

Mi hai salutato con un sorriso, entusiasta delle esperienze che avresti potuto intraprendere durante l’estate.

Eri curioso e spavaldo. Volevi conoscere il mondo.
Io avevo paura che questo ti portasse ad avere bisogno di spazi sempre più ampi, di legami meno stretti. Sapevo che eri un’anima libera, che non sopportavi catene, nemmeno fossero d’oro.



Quindi era in quel momento, che si era perso tutto?

Michael tentò di risalire a quel periodo con la mente, ma i ricordi si perdevano.

Per lui era solo, appunto, un momento. Uno come un altro. Non si era reso conto del significato delle sue parole.

Non solo, Gin aveva avuto ragione su tutta la linea. Lui si era terribilmente arrabbiato, dopo quella frase, per la mancanza di fiducia, per il desiderio espresso di lei di non vederlo cambiare – non voleva che crescesse?

Che maturasse e diventasse una persona migliore? – Michael si riconobbe nella sua forma più giovane.

Aveva ragione anche lui, dopotutto. La richiesta di Gin era fuori dalle sue capacità, anzi era fuori dal mondo.

La pagina seguente era talmente rovinata che fece fatica a leggerla.



Questione di nanosecondi. Di un attimo. Cose che non durano. Cose che non hanno il tempo di succedere in questo insulso lasso di tempo.

Eppure…

come sarebbe potuta andare altrimenti?

Doveva succedere qualcosa, dovevamo spezzare il legame malsano che ci legava, ma nessuno dei due ne avrebbe avuto il coraggio. Io desideravo il contrario, e tu non volevi ferirmi.

Alla fine è successo, senza che potessimo controllarlo.

È stato come un impatto contro un muro di mattoni, tanto brusco da azzerare il mio impeto all’istante. Mi sembrava che il mondo mi esplodesse intorno. E poi lava ovunque, addosso a me, pronta a strapparmi tutto ciò che di prezioso possedevo.

Chiacchieravi con i ragazzi, c’era Luna accanto a te.

L’ho abbracciata.

Com’è andata l’estate ragazzi?”

Avete sentito le notizie?”

Oggi pomeriggio abbiamo…”

Ti ho visto, i tuoi occhi brillanti hanno cercato i miei, al solito.

Hai sorriso.

Eri davvero contento di rivedermi.

Ciao, Michael!”

Ginny, dio, quanto tempo!”

Con impeto ho voluto baciarti la guancia.

Tu forse volevi guardarmi negli occhi un attimo in più.

Questione di nanosecondi.

Le tue labbra appoggiate alle mie.

Mi sei scivolato addosso come un nastro di seta, il tuo odore ha preso una nota diversa, attraente, e subitamente ho provato vergogna.

Perché reagisco in questo modo?

Siamo arrossiti, hai riso, nervoso, allontanandomi; ho letto la scossa nei tuoi occhi, la tua reazione negativa, quasi ti avessi scoperto a fare qualcosa che non dovevo vedere. Io, che ero parte dell'istante presente. Parte di quella... cosa.

Ho avvertito il gelo farsi strada dentro di me per poi solidificarsi del tutto attorno al cuore.

Si è fermata ogni cosa, qualcuno ha premuto il tasto pausa.

Era solo un errore, una stupidata, qualcosa di insignificante per due amici.

Ho rivisto tutta la scena da fuori.

Con gli occhi socchiusi, però, in quell’attimo avevo potuto vedere ciò che invece non avevo notato per mesi.



A Michael cominciò a martellare il cuore. Forte e chiaro. Come allora.



Avevo la veste sottobraccio e indossavo un maglione di lana grossa rosa pallido, i jeans stringevano le mie cosce e su di esse tintinnava una catenella, quella sulla quale portavo la chiave del baule. Le mie mani strette delicatamente attorno al tuo viso raccoglievano quel sorriso ancora vivo, ancora mio; i miei pollici accarezzavano le tue tempie sfiorandole appena, le altre dita coprivano le tue orecchie scarlatte. Mi sono avvicinata pericolosamente a te, alla tua guancia, assaporandone già la liscia tessitura, con un moto di affetto in gola che spingeva per non essere più represso.

Baciavo la tua guancia, ma tu inavvertitamente ti sei girato verso di me.

Come potevo fidarmi di me, di te, in quel momento?

Mi sembrava di avere la testa per terra e i piedi per aria.

Perché non ci siamo scostati e non ci abbiamo riso su?

Dev’essere stata colpa mia. La tua pelle emanava calore, le tue labbra erano piacevoli, l’imbarazzo dovuto a chissà quale stratagemma inconscio per farmi sentire sempre come se la mia vita non mi appartenesse.

Rivivo la sorpresa come singhiozzo. Il diaframma che si contrae per errore. L’aria che viene aspirata di forza, la saliva che mi strangola.

Non mi dispiacevi.

Come se non bastasse, durante il respiro seguente, appena ci siamo scostati con una rapidità inimmaginabile, il tuo sguardo mi ha fulminata.

È stato in quel momento. Mi sono scoperta vulnerabile alla tua persona, come avessi perso la mia conchiglia protettiva.

Niente più scudo, niente più amicizia.

È bastato un finto bacio per mettere a nudo i miei sentimenti. Io ti desideravo.

Il mio corpo si ribellava alla mia mente. Il tuo sguardo invece si rivoltava contro il mio.

Il mio cuore palpitava, piangeva, urlava, e il tuo si tappava le orecchie, abbassava lo sguardo, e si voltava definitivamente per guardare altrove.

Un confronto muto.

Tu hai percepito il fremito che mi animava, le fantasticherie dietro al mio sguardo, fra le pieghe attorno alla mia bocca, e ne sei rimasto vivacemente scottato.

Non era quello che volevi.

E, più di tutto, ti mandava in bestia il fatto che per me non fosse lo stesso.

Non era quello che mi aspettavo.

E, più di tutto, desideravo che reagissi diversamente.

Me ne sono andata, con il cuore spezzato, senza spiccicare parola. Tu non mi hai preso per mano, non mi hai fermata, e sei scappato via, lasciando gli amici ammutoliti dalla scena senza spiegazioni.

Non ci siamo più parlati per una settimana.

Ricordo di aver pianto a lungo, senza sapermi spiegare perché. Fiumi di lacrime. Peggio di qualsiasi peggior momento. Come quando da bambino scoppi a piangere nel cuore della notte, perché sei sveglio.

Non volevo capire i miei sentimenti.

Non potevo assecondarli.

Come potevo sentirmi rifiutata per un semplice sguardo? Per una tua reazione muta e irrazionale?

Invece è andata proprio così.

Esistono fiori, su questo pianeta, capaci di sbocciare e morire nell’arco di un giorno.

Ho scoperto di amarti allo stesso istante in cui ho capito che tu non mi amavi.

Di quel tipo di fiore era il nostro legame. Avrei dovuto capirlo prima, ma… ero cieca.

Non avevo visto arrivare nulla.



Michael fu travolto dai ricordi.

Quel maglione rosa… la catenella con cui giocava sempre… quel giorno Ginny aveva i boccoli.

Lui era tornato cresciuto, segnato dall’estate, con qualche lentiggine in più e la consapevolezza di apprezzarsi in un altro modo.

E lei… lei non l’aveva accettato, cazzo!

Voleva il vecchio Michael, o forse il Michael che lei sperava che lui fosse.

Forse non era mai stato quello che lei voleva… forse si erano solo illusi.

Ma l’amicizia, fra ragazzo e ragazza, esiste poi davvero?

Aveva cercato di reprimerli, quei ricordi, perché portavano un malessere che non voleva sentire una seconda volta.
Provare quell’imbarazzo infantile dopo i vent’anni era ridicolo.
Esistono fiori… forse aveva ragione lei. Non su tutta la linea, certo.
Finalmente aveva ammesso con se stesso che aveva sempre provato qualcosa di più per lei.
Amore era una parola grossa.
Però, accidenti.

Di quel tipo di fiore era il nostro legame.

Era tutto riassunto lì.

Il passato e il presente, anch’esso appena divenuto passato.

Addio, Michael.

E forse, forse stavolta lei non l’avrebbe più voluto indietro. Michael si strinse le spalle nella casacca, pervaso da un’improvvisa sensazione di freddo e solitudine.

Nemmeno lui aveva dimenticato la sensazione delle labbra di Gin. Quel bacio frettolosamente cancellato, raschiato via dal suo passato, dichiarato colpevole e processato senza possibilità di appello, era stato un piccolo campanello d’allarme che avevano entrambi volutamente ignorato.

O forse solamente lui.

Lei, forse lei si era aspettata qualcosa da parte sua.









31.



Il ragazzo venne sospinto nello studio prima di poter reagire. Non capiva chi lo avesse trascinato, nel dubbio tirava calci e pugni nell’aria. Si agitava e scalpitava, in preda alla follia. Lo obbligarono a stare seduto, prima con le buone, poi con la forza. L’Auror gli porse un bicchiere d’acqua, e lui lo bevve tutto d’un fiato, sbavando e sputando; era uno spettacolo penoso.

Loro… non capite… no! …erano come loro. I mantelli e le maschere erano i loro…”

Chi? Grant, parla! CHI?”

Stia calma, Reeves, o dovrò mandarla fuori dai piedi.” Tuonò Shacklebolt. “Calma, ragazzo. Li tenevi in pugno, giusto?”

Noi… noi li tenevamo, sì… Potter era andato via… io… forse sono un po’ confuso” ansimava pesantemente, ogni tanto sputava nel bicchiere. Insieme al catarro, c’erano delle macchie di sangue, ed erano viola. “Io sento che mi hanno fatto bere qualcosa…”

Grant, lei era al San Mungo fino a stamattina. In prognosi riservata! Cosa lo ha spinto a venire qui?”

Io… non lo so, io… ricordo di essere stato male… seguivo soltanto la voce.”

Quale voce?! QUALE?”

Non… non lo so, signore! Io ero a Diagon Alley… Meg tu stavi male… mi hanno sorpreso… fuggiti! E poi sono arrivati loro… Avevano i mantelli bianchi… vernice… maschere argentate… hanno cercato di aiutarmi… no, è impossibile. Devo averlo sognato? Merlino, non capisco… non capisco più niente… cosa mi hanno fatto? Signore, risponda…”

Rexford Grant scoppiò in lacrime, ebbe un conato e Megan Reeves si precipitò a sostenergli la fronte. L’odore che emanava era nauseante.

Non credo che sia tutta fuffa, signore.”

Non lo credo nemmeno io. E quest’odore… non bisogna essere un Medimago per capirlo. Qualcuno le ha manomesso il cervello – Merlino mi perdoni –, signor Grant, e anche il fegato”

Il ragazzo sollevò la testa a fatica, aveva gli occhi iniettati di sangue e le guance rigate. Megan si precipitò ad asciugargli le labbra con la manica della veste.

Non è possibile… non può essere tornato, vero? Io… li ho visti… mantelli bianchi… c’era anche un altro, ma… no, non vedo la sua faccia, non me la ricordo. Lui c’era ma non me lo ricordo. No, non ricordo! Non ricordo…”

Di chi diavolo sta parlando?”

Mangiamorte. Bianchi... a Diagon Alley.”

Megan scambiò un’occhiata ansiosa con l’Auror. Rexford svenne, rilassandosi fra le sue braccia con tutto il suo peso, e lei faticò a rimetterlo malamente sulla sedia. Gli teneva le spalle per non farle cadere, ma la testa del ragazzo le ciondolava fra le braccia. Era imbrattato, malamente vestito, in uno stato pietoso.

Sembrava un pazzo fuggito dal reparto Malati Mentali del San Mungo, e non più un fiore all’occhiello dell’Accademia. L’Auror distolse lo sguardo.

Cosa gli hanno fatto?”

La determinazione vacillò appena.

Lo scopriremo presto. Adesso troviamo un modo di spostarlo da qui.”

Come ha intenzione di spiegare la sua uscita dall’ospedale? Il nostro Senior…”

Lasci perdere i ranghi, Reeves. Stavolta dobbiamo cavarcela da soli. Ho appuntamento con Potter stasera, sento di potermi fidare abbastanza da rivelarle le mie intenzioni. Ha rubato il rapporto sull’incidente di Grant e l’incendio di Magie Sinister per me. Intendo scoprire chi ci abbia traditi.”

Mangiamorte bianchi, signore. Ha sentito? Chi può essere così folle da…?”

Ne parliamo dopo. Lo sollevi dalle braccia. Dobbiamo spostarlo, presto.”



Spostare chi?”

Entrò un uomo, alto, magro, con i capelli bianchi e corti, l’aria composta, moderatamente sontuosa.

Megan lo riconobbe immediatamente, per i tratti in comune con il nipote Edwin. Il naso, la fronte, o giù di lì. Ma ne conosceva anche il nome. Era un pezzo grosso. Era il discendente diretto di uno dei due fondatori dell’Accademia. Isaurus Coulter, un nome, una stirpe. Auror di padre in figlio, da generazioni. Mai neanche un passo di traverso, tutti dei dritti. Alla sua età doveva essere in pensione, invece comandava ancora a bacchetta l’intera Accademia. E ficcava il naso, naturalmente, se fiutava qualcosa. Era particolarmente portato.

Ma come faceva ad essere così magro e stare in piedi? Anzi, a minacciarli addirittura, con le braccia conserte?

Li guardò e si chiuse la porta dietro alle spalle.

Sentirono la serratura scattare al suo tocco magico.

Erano imprigionati.

Signor Coulter, il ragazzo si è sentito male, lasci che lo portiamo in infermeria, noi…”

L’ho visto entrare poco fa. Aveva un’aria strana. Quel ragazzo non è a posto. Cosa gli è successo?”

È svenuto, noi…”

Zitta, Reeves. Chi le ha dato il permesso?” sprezzante, il vegliardo.

Aveva tutta l’aria di uno che non amava essere preso per i fondelli.

Mi scusi.”

Avanti, Shacklebolt. Parla. So che mi nascondi qualcosa, è da una settimana che ti vedo agitarti alla tua scrivania.”

Sono preoccupato per le faccende dell’Accademia, come tutti. Tagliamo corto, oppure lascia che Reeves si occupi del ragazzo. È da incivili non soccorrere qualcuno in difficoltà.”

Le diede una spinta, e lei non se lo fece ripetere. Si caricò l’amico sulle spalle e si avvicinò alla porta. Il signor Coulter non si scostò.

Dove crede di andare? Non ho finito. Hai sentito, Shacklebolt? Io so che qualcuno è entrato nella stanza degli annali. Tu, che cosa ne sai?”

Io so solo che è successo qualcosa di grave, in seno all’Accademia, e..”

Fesserie. Stupidaggini. Balle. Non mi prenda in giro-”

È colpa mia, signor Coulter. Sono stata io.”

I due uomini si voltarono verso la ragazza.

Capelli tinti. Rossetto acceso. Occhi di ghiaccio.

Sconvolta e risoluta.

I conati del signor Grant spalmati sulla veste.

Lungo le braccia tremori per lo sforzo del peso morto sulle spalle.

Volevo scoprire chi ci ha tradito. Giuro che vi spiegherò tutto, ma prima posso occuparmi del signor Grant? Vi prego.”







32.



Si stanno svegliando.”

Era ora.”

Avanti, stronzi.”

Ron, chiudi quella bocca.”

Ron si voltò di scatto. Era l’ennesima frecciatina di Hermione. La classica goccia che fa traboccare il vaso. Diede un calcio alla sedia più vicina e si allontanò inviperito. Seamus, più calmo, si avvicinò ai due ragazzi legati e imbavagliati e si sedette di fronte a loro. Hermione, in piedi, teneva la bacchetta puntata. C’era una risolutezza, nel suo sguardo, che avrebbe potuto spaventare i suoi stessi amici. Con un incantesimo li liberò dal bavaglio.

Era ora, mezzosangue.”

Seamus dovette alzarsi per fermare la furia di Ron. Si avvicinò al suo orecchio, mentre lo costringeva a sedersi.

Stai calmo, amico. Per favore.”

Che succede? Non c’è il vostro capo e non sapete più come comportarvi?” sentenzioso, Nott.

Harry sta andando a denunciarvi.” sibilò Hermione.

Che buona idea. Tipico Potter.”

Daphne Greengrass scambiò un’occhiata eloquente con la sua controparte femminile. Hermione non batté ciglio.
Seamus invece rifletteva con un’espressione strana in volto.

Hermione gli lanciò qualche breve occhiata, ma non ricevette risposta.

Il ragazzo, Nott, sembrava giudicarla con lo sguardo. Non appena accennò a parlare, sulle sue labbra si disegnò un ghigno beffardo.

Già, se solo voi non foste una manica di perfetti idioti.”

Quante volte devo dirti di stare zitto?” urlando, Ron.

Weasley chiudi il becco. Mi par di capire che tu non abbia voce in capitolo.”

A me pare di capire invece che voi siete qui e noi siamo in netta maggioranza anche senza capo. Perché non ci spiegate cosa ci facevate nella stanza degli annali oggi pomeriggio?” controbatté Hermione.

Tu non c’entri.”

Liquidata. Hermione boccheggiò, ma si riprese subito.

Tutti c’entriamo. È scomparsa la sorella di Ronald e la mia più grande amica, quella sera. Noi dobbiamo sapere.”

Mi dispiace, avete toppato.” Sentenziò la ragazza. Aveva una pronuncia piuttosto schietta, difficile da dimenticare, e quel tono di voce da strega borghese di alto rango.

Come sarebbe a dire, ‘toppato’?”

La rampolla dei Greengrass si chiuse ermeticamente, e così fece il suo fedele accolita.



Non ci fu verso di farli parlare.
Sconfitti, si limitarono a chiuderli in cucina. Hermione sigillò la stanza; teneva in mano le bacchette dei due maghi. Seamus, seduto fino a quel momento sul divano sfondato di Harry, si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro.

Potremmo aver sbagliato bersaglio.”

Sono sulla lista, Seamus.” Ribadì Hermione.

Perché non parlano, se non sono colpevoli?” si intromise Ron. Era riuscito a calmarsi. Lo sguardo di scusa che rivolse a Hermione fu del tutto inutile; incassò il colpo e abbassò il capo; c’era ben altro di cui preoccuparsi.

Perché nascondono qualcosa o qualcuno.”

Sì, ma cosa? Sono dei futuri Auror come noi. Non possono essere…”

Certo che possono, Seamus.”

E perché invece non vogliamo dar loro una possibilità? Per me non sono colpevoli. Guarda come ci prendono in giro. Bluffano. Ridono. Ridono di noi!”

Forse perché sono delle viscide serpi.” Borbottò Ron, accasciatosi sul divano, giocherellando con la bacchetta fra le dita.

Forse hai ragione, Seamus. Forse Bluffano e nascondono qualcosa. Però non possiamo negarlo. I loro nomi sono sulla lista. Se non ci danno una buona spiegazione… voglio dire dai, che probabilità vuoi che ci sia di averli trovati casualmente al deposito dei documenti? Impossibile, non possiamo escluderli. Colpevoli o meno, sono coinvolti, è poco ma sicuro.” disse Hermione.

Io torno a controllarli. Non si sa mai.” Intervenne Ron, e così dicendo eseguì, chiudendosi la porta alle spalle. Hermione e Seamus si scambiarono un lungo sguardo.

Io sono d’accordo con te Seamus.” Sussurrò. “Ma dobbiamo aspettare Harry. Finché Shacklebolt non gli dice cosa fare…”

Seamus si alzò e si sedette più volte.

Per me abbiamo fatto un grave errore a imprigionarli. E se sono innocenti? Potrebbero denunciarci! E Shacklebolt non sa niente di questa parte del piano.”

Hermione non rispose.

Non ho aspettato mesi, anni, perché tutto questo mi rovinasse la vita definitivamente…”

Come, scusa?”

Hermione… io non sono come Harry o Ronald. Sono entrato dopo. Uno scartino. Mi ci hanno infilato di forza, nel gruppo, e per una situazione di emergenza. Non è nemmeno detto che io rimanga! Non servo a niente. E non ho la protezione e la benevolenza di tutti per aver salvato il mondo magico. Mi capisci?”

Rischiamo tutti allo stesso modo, se ti può consolare.” Rispose lei, con un sospiro. “Ad ogni modo, si vede che un Auror in più non poteva fare male.”

Non mi devi consolare. L’ho scelto io di accettare il posto.” Le strinse la mano.

Hermione alzò lo sguardo nel suo.

Era sempre stato, oltre che un maldestro, un ragazzo tutto sommato immaturo. Aveva litigato con tutti ai tempi del quinto anno per la faccenda di Harry e del Profeta. Doveva essere cambiato moltissimo negli anni del dopoguerra. Era anche diventato sommariamente carino.
Per creare tutta quella massa muscolare doveva aver lavorato parecchi anni di fila; a un corpo mingherlino non basta la buona volontà.

Hermione esitò a lungo, sul suo volto, per studiarlo.

Mezzosangue. Come lei.

Se hanno scoperto dei traditori, e stanne certo, li acciufferanno, avranno bisogno di te. Forse non adesso, ma poi, dopo.”

E detto questo, si alzò e raggiunse Ron e i due prigionieri.

Seamus la guardò andarsene. Sentì che la Granger era proprio una dritta. Anzi, una santa. Ad ogni modo, fu riscosso dai suoi pensieri, perché il caminetto di Harry si stava illuminando di polveri e lingue infuocate. La stanza intera divenne verde.

Tossendo e incespicando, ne uscì Megan Reeves, con un ragazzo sulle spalle.

Presto, aiutami.”

Da dove arrivate?”

La aiutò subito ad adagiare il corpo inerme sul divano.

Direttamente dall’ufficio di Shacklebolt. Non avevo idea di dove partire e dove andare. In infermeria lo avrebbero riportato al San Mungo. Così sono venuta qui. C’è Harry?”

Harry è appena andato all’Accademia.” Con tono di scusa.

Come sarebbe a dire?”

Per la lista. Aveva un accordo.”

Gli altri?”

Sono di là, con i prigionieri.”

Megan intuì il disaccordo nel suo tono. Prigionieri? Chi? Da quando si faceva giustizia in casa?

Siamo allo sbaraglio. Rex è ferito, credo abbia la vescica biliare distrutta dai farmaci, e temo che lo sforzo per venire fino a qui le abbia dato il colpo di grazia. Ha un’emorragia interna grave.”

Farmaci? Vado a chiamare Hermione.”

Hermione, con l’intero armadietto da pozionista di Harry (di Ginny, per la precisione) in braccio, li raggiunse, e al seguito c’era Ron che si trascinava dietro minaccia i due ex Serpeverde. Quando videro chi si prodigava attorno al divano, impallidirono.

Voi?”

Reeves, ti facevo più sveglia. Allearsi con Potter e i suoi amichetti…” la rimbrottò Greengrass.

Io non c’entro niente con questa faccenda.” Sbottò lei. “Ma Rex è rimasto ferito. Aiutatemi, per favore.”

Loro indietreggiarono, fino a cozzare contro il muro, con gli occhi sbarrati.

Qualche ninnolo cadde dal caminetto.

Nessuno ci fece caso.
Ron teneva ancora la bacchetta puntata su di loro. Era distratto, però, dalla scena che aveva davanti. Lì, su quel divano, c’era quello stronzo di Rexford.

Quante volte l’aveva preso in giro.

Quante volte lo aveva trattato come un Elfo Domestico.

Era più morto che vivo, verdognolo, con ecchimosi violacee sparse sul viso e sul collo. E anche sulle braccia, ripiegate sul petto, come se dormisse.

Megan coprì la vista chinandosi sul ragazzo e Ron si sentì meglio.

Se fosse svenuto anche lui, sarebbe stato un bel guaio.

Sta molto male.” Disse solo la ragazza, con un tono che capirono tutti nella stanza.
Non c’era altro da aggiungere.

Gli tolse la camicia da ospedale e gliela appallottolò sul ventre, per pudore.

Si alzò e guardandosi attorno, per studiare i suoi compagni, sguainò la bacchetta.

Qualcuno di voi sa qualcosa di magia medica avanzata? Altrimenti faccio la prima cosa che ci hanno insegnato al nostro corso – una semplice infarinatura. Ma ho paura che non sia abbastanza.”

Io.” Disse solo Hermione. “Ho letto molti libri di interventistica. Per… non si sa mai.”

Hermione, sei sicura?”

Ron, ti prego, lasciami in pace. So quello che faccio.”

Non è Harry, e non sono io. Se succede qualcosa…”

Potrebbe non perdonarmi? Dai, per favore, levati.”

Cosa hai intenzione di fare?”

Un Emendo specifico.”

E ti sembra una buona idea?”

Ne hai una migliore, RONALD?”

Il tono di voce acuto zittì tutti quanti. La mano della bacchetta di Ron tremava violentemente.

Un tremore parkinsoniano. Con le labbra strette, ceree, con rispose.

Hermione aveva cominciato. Nessuno carpì il significato dell’incantesimo. Di certo non era solo un Emendo specifico. Osservarono le macchie scomparire, la pelle diventare bianca, trasparente, e poi grigia.

Tu dovevi fare il Medimago.” Sussurrò Seamus, estasiato.

Ronald lo fulminò.

Ginevra è un Medimago. Se lei fosse qui…” Ma no, lei non c’era. “Mi dispiace.” Si zittì subito, avvilito.

Seamus, andresti a prendere dei vestiti di Harry per questo ragazzo?”

Io non ho idea… indicami…”

Ci vado io.” Disse Ron.

E successe. Aveva scostato la bacchetta un secondo. Solamente un secondo.

L’esplosione nel camino fece voltare tutti, compresa Hermione, che teneva ancora le mani alzate sul corpo inerme. Erano fuggiti. Con la metropolvere di Harry. Andati.

Era finita lì.

Così.

Ron si guardò attorno. Sentì sguardi malevoli, rimprovero, freddezza. Lui non era all’altezza. Non lo era mai stato giusto? Bene.

Non disse niente. Andò e tornò con i vestiti. Scelse quelli vecchi, vecchissimi, in fondo all’armadio. Erano di Dudley, ancora. Lui lo sapeva. Sapeva tutto. Non era uno stupido.

Sapeva che stava per essere massacrato.

E invece silenzio.

Nessuno lo aggredì.

Fu quasi peggio.

Il senso di colpa. Il senso di colpa…







È un ragazzo bellissimo.”

Sì.”

Si riprenderà.”

Sì.”

Eravate amici?”

Sì.”

Hermione smise di fare domande. La ragazza che aveva accanto per certi versi la intimoriva, ma in quel momento aveva occhi solo per il corpo pallido infagottato negli abiti smessi di Harry Potter.

Era vero, era bellissimo. Lo sarebbe stato ancora, Hermione ne era certa. Ma il trauma vissuto, la paura della perdita, era ancora tutto così fresco in lei che non provò rancore e non si spazientì con Megan nonostante il comportamento ermetico. Non l’aveva ringraziata. O meglio, non a voce. Sentì, a modo suo, che il semplice sopportare la sua presenza e le sue domande era una forma di ringraziamento.

Guardò ancora il ragazzo mangiato dal veleno. Aveva dei capelli biondi e sapientemente spettinati, il viso squadrato, le labbra sottili e le orecchio un po’ a sventola.

Qualche lentiggine sparsa. Qualche cicatrice. Niente di che.
Era un ragazzo bellissimo.

Era sotto Imperius.” Disse, quasi senza accorgersene.

Voleva condividere quell’informazione senza il parere di Harry? Non ci si disabitua facilmente da certe abitudini. E lei era abituata, ad aspettare il suo parere. Gli occhi di Megan erano pozzi neri, di ghiaccio, sì, ma erano neri. Non aveva resistito. Voleva aiutarla. A capire, a sopportare, a inquadrare… a vendicarsi?

Ne sei sicura?”

Sì.”

Conosci l’incantesimo per-”

Sì.”

E allora facciamolo.”

Aspettiamo Harry. Ti prego. Saperlo ora o stasera non cambierà niente.”

Aspettiamo Harry, allora.”





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Capitolo 14
*** Di Amore, libero, e Barbablù ***


 

Dal capitolo precedente:



Era sotto Imperius.” Disse, quasi senza accorgersene.

Voleva condividere quell’informazione senza il parere di Harry? Non ci si disabitua facilmente da certe abitudini. E lei era abituata, ad aspettare il suo parere. Gli occhi di Megan erano pozzi neri, di ghiaccio, sì, ma erano neri. Non aveva resistito. Voleva aiutarla. A capire, a sopportare, a inquadrare… a vendicarsi?

Ne sei sicura?”

Sì.”

Conosci l’incantesimo per-”

Sì.”

E allora facciamolo.”

Aspettiamo Harry. Ti prego. Saperlo ora o stasera non cambierà niente.”

Aspettiamo Harry, allora.”













33.

Io penso che dovremmo mangiare stasera, siamo una decina, giusto? Vado a prendere del cinese. Ne ho visto uno all’angolo, venendo in qua.”

Non dimenticare Harry. E il mago francese, anche.” Rispose Hermione all’appello di Seamus.

Ok.”

Vengo anch’io.”

Ron raggiunse la porta. Non si capiva da dove fosse uscito. Era stato come un fantasma, fino a quell’istante.

E va bene.” Rispose Seamus, contando i soldi nel portafogli. Prese in prestito un berretto dall’appendiabiti. “Ci vediamo dopo.”

Megan stringeva la mano di Rex. Hermione si sentiva stanca. Si accoccolò sul bracciolo del divano.

Non posso credere che siano scappati. Forse aveva ragione Weasley.” Buttò lì Megan. Hermione rimase sorpresa. Non dava l’impressione di essere una chiacchierona.

Se non avessero avuto niente da nascondere, non sarebbero scappati. Avrebbero atteso di essere scagionati e ci avrebbero fatto la pelle.”

È quello che penso anche io. Però Daphne è una tipa a posto.”

Non sembra.” Disse Hermione con un tono strano.

Comunque, è un onore incontrarti. Potter e Weasley. Weasley e Potter. Non si fa che parlare di loro. Solo perché sono entrati all’Accademia. Come mai ti sei nascosta? Saresti un ottimo Auror. A dire il vero, anche un ottimo Medimago.”

Non era quello che volevo. Io… volevo solo stare in pace. Io e i miei libri e anche il mio gatto. Nessuno…” Hermione esitò. Ma dopotutto, con chi stava parlando, il Ministro della Magia? “…nessuno fra i piedi. Mi sono diplomata in Storia della Magia, ho reso disponibile il mio indirizzo per delle consulenze, ma in modo protetto. Mi occupo di libri antichi. Libri magici. Fin ora me ne hanno mandati solo due, per cui… adesso lavoro per i Babbani in una biblioteca. Loro non sanno niente.”

E non ti ricordano niente, anche.”

Megan aveva capito l’antifona.

Hermione voleva semplicemente evitare i suoi ricordi.

Preferisco così.”

È comprensibile.”

Tu? Chi sei? Ho già sentito il tuo nome, Reeves. Mi dice qualcosa.”

Mio padre, era un membro del Magisterium.”

Era, ed ora è…?”

Morto e sepolto. Voldemort l’ha ucciso.”

No. No io… credo di aver visto il tuo nome altrove. Ma ora come ora non mi viene in mente.”

Saresti ben la prima!” borbottò Megan, chinandosi a guardare Rex.

Ecco! Tu facevi parte dell’Ordine, non è così?”

Accidenti, Granger.” Stupita, alzò lo sguardo. “Sì.” Disse, “Andava troppo lentamente con i metodi di mio padre. E noi… abbiamo avuto qualche disaccordo, mettiamola così. Avevo bisogno di sentire che stavo facendo qualcosa, nel mio piccolo.”

Quanti anni avevi quando hai cominciato?”

Dovevo averne diciotto. Non è passato poi tanto tempo…”

E invece sembrano secoli.”

Già.”

C’era così tanto da dire, ma avrebbe significato aprire un vaso di Pandora.

Nessuna delle due voleva parlare del passato. Il passato, meno lo maneggi e meglio stai, Meg.

Glielo diceva sempre Rex, quando lei si perdeva a fissare il vuoto.

Così, rimasero zitte per minuti interminabili.

La chiave che girava nella toppa fu una vera e propria liberazione. Hermione corse incontro alla porta che si apriva. Gli buttò le braccia al collo, d’impeto.

Harry. Stai bene.”

Certo. Novità?”

Qualcuna.”

Harry si districò dal suo abbraccio e raggiunse il caminetto per togliersi la giacca. Accese il fuoco con la bacchetta. Daniel Haroche si avvicinò ciondolando per scaldarsi le mani.

Siamo rimasti in pochi, o sbaglio?” disse Harry a Megan. Fu prima di aver visto Rex. “Come sta? Shacklebolt mi ha raccontato tutto. Il signor Coulter vi ha dato del filo da torcere.”

Rex è… stabile.” Si voltò verso Hermione.

Dovrebbe cavarsela. Invece… Greengrass e il suo spasimante sfortunato si sono liberati.”

Perfetto, abbiamo dei latitanti ora.” Sospirò Harry, coprendosi il volto con le mani e guardando di traverso il francese.

Pensavo saresti imploso, Potter.”

Pensavi male, Reeves. Meglio così. Noi la pista ce l’abbiamo. Non possono certo sparire. Se si tratta di loro, li staneremo, non ti preoccupare. E comunque, dove sono finiti tutti?”

Potter, sicuro di stare bene?”

Ma cos’avete tutte e due?”

Hermione si avvicinò a lei. Le pupille allargate allarmarono Harry, che si voltò verso Daniel.

Si può sapere cos’ho in faccia che non va?”

Ehm… prima non c’era, n’est-ce pas? No. Ecco… una…”

Una voglia, Harry.” Sbottò Hermione.

Si avvicinò e la studiò, non si accorse che Seamus e Ron erano rientrati. Il profumo di cibo d’asporto fece gorgogliare più di uno stomaco. Ron si fermò a metà strada, guardandoli come uno strano animale da circo.

Che state facendo?”

Harry ha una nuova voglia.”

Rispose Hermione, voltandosi.

Sì, ed è rosa.”

Aggiunse Daniel, incredulo.

Forse complice l’isteria sovrana, qualcuno cominciò a ridacchiare e qualcun altro seguì. E, forse, propizio il momento, si svegliò anche Rex.

Granger! Presto!”

Hermione raggiunse la nuova, strana, amica.

Meg…”

Era la voce sommessa di Rex. Megan si fece più vicina. I suoi capelli scuri gli solleticavano il naso.

Meno male.” Lei gli strinse la mano, gli accarezzò il volto. “Disgraziato.”

Non è che…”

Nessuno sentì il resto.

Megan arrossì.

Certo.” Si alzò, rovistò nelle buste di Seamus e prese una confezione di spaghetti al curry e un paio di bastoncini. “Ragazzi, devo andare. Torno appena possibile.”

Megan, dove…” cominciò Ron.

A cercare Adam.”

Aspettami, vengo anch’io.”

Silenzio abissale. Il clangore della porta che si chiuse. Il crepitio del fuoco. Il rumore dello stupore.

Mancherebbero i grilli per un cri-cri teatrale.”

Hermione lanciò a Seamus un’occhiataccia.

Scusatemi. È stato più forte di me.”

Ma cosa gli è preso?”

Harry guardò Hermione insistentemente, ma lei non rispondeva, quindi si alzò e si mise a seguirla nelle sue deambulazioni. Seamus si sedette a mangiare accanto a Rexford, e Daniel si torceva le mani davanti al fuoco.

Parto stasera.” Disse, tentando una conversazione con Seamus.

Davvero? Dove devi andare?”

Hermione si chiuse il brusio di fondo dietro alle spalle. Harry sgusciò nella stanza insieme a lei.

Le tese una porzione di noodles e scartò le sue bacchette. Si sedettero uno di fronte all’altro.

Harry era al posto di Ginny, Hermione era al posto di Harry.

Come accidenti si usano questi cosi?”

Devi usare l’indice… così.”

Hm. Grazie.”

Prego.”

Senti, Hermione.”

Merlino, che ansia. E va bene. Sì. Ron ti sta evitando.”

Cos’è successo?”

Si è lasciato sfuggire Greengrass e Nott. È tutta colpa sua. Venderà l’anima al diavolo per espiare i suoi peccati. Sai com’è fatto.”

Sei troppo dura con lui.”

Il tono irritato di Harry le fece alzare lo sguardo dal cibo.

Non è.”

È vero.”

Certe volte Ron è insopportabile.”

Tutti lo siamo.”

Sì, ma io non lo sopporto più.”

Allora lascialo.”

Harry sentì Hermione fremere. Come si era permesso di dire una cosa simile? Come gli era uscita? Non stava cercando di salvare il loro – come l’aveva chiamato? – fidanzamento?

Lascia perdere, scusami. Non sono affari miei.”

Cosa c’è, Harry? Ti stai immedesimando? Ti fa pena?”

Non c’è bisogno che usi quel tono. E no, io…”

Possibile che lo difendi sempre?”

Ma è il mio migliore amico!”

E io sarei?” alzando il sopracciglio.

E tu…”

Lo sguardo di Harry cominciò a vagare per la cucina, alla ricerca di un appiglio. Come avrebbe rimediato a quell’impiccio? Se si fossero lasciati, sarebbe stata colpa sua. Anche, colpa tua, non solo colpa tua.

Come non detto, Harry. Non ti riesce proprio, di essere imparziale.”

Non sapevo fossimo al Wizengamot.”

Senti, hai presente quando la misura è colma? Quando tutto ti fa sbroccare? Basta veramente poco, una briciola, ed ecco che il piatto della bilancia si rovescia.”

Harry deglutì.

Davvero?”

Sì. Io… gli sto dando possibilità su possibilità. In nome del passato, dell’amicizia, del tempo, dei traumi e di tutto quello che vuoi metterci dentro. Perché alla fine è complicato anche fra di noi. Però non c’è verso, Harry. Lui non cambierà mai.”

Ne avete – ehm – già parlato?”

Certo.”

Harry vide che era sul punto di piangere.

Hermione si trovò le bacchette di Harry sotto il naso, con un boccone.

Prendi.”

Cos’è, verdura?”

Sì.”

Ce l’ho anche io.”

Ma questa è mia, è speciale.”

Apprezzo il tentativo, avvocato delle cause perse.”

Un sorriso mesto, e il boccone fu inghiottito.

Non fare così. C’è sempre una soluzione.”

Sì. Solo che a volte non va bene lo stesso. Non era quello che ti aspettavi.”

Già, noi…”

E si zittì.

Che cosa?”

Non so, dovrei stare zitto. Non è il momento giusto per parlare di me.”

Harry, non dire sciocchezze.”

Si tratta di Ginny. Lei… prima di tutto questo. Prima ancora del viaggio in Brasile. Mi mancava moltissimo.”

Hermione si fece seria.

Ma poi ci ho fatto il callo, a stare sempre da solo.”

Harry, non puoi segregare una persona in casa.”

Dai, ma per favore. Io non sono Barbablù. Ma aveva bisogno di andare così lontano?”

E tu, di andare a stanare gli Horcrux, ne avevi proprio bisogno?”

Rivalsa? No. O almeno. Non credo.”

Il paragone, per chiunque altro, sarebbe stato inopportuno. E Harry l’avrebbe percepito come tale, detto da un altro. Hermione c’era sempre stata. Lei sapeva. E tanto bastava.

Forse aveva solo bisogno di viaggiare, imparare a conoscersi.”

Potevamo farlo insieme. Invece ha deciso di farlo da sola.”

Harry, ma mettiti nei suoi panni una buona volta!”

Senti, non ci siamo fidanzati dopo la scuola per questo. Io ho aspettato, lei ha aspettato. Sapevamo almeno vagamente a cosa andavamo incontro. E io non pensavo fosse questo.”

Questo cosa? Non capisci? Londra per lei è una grande casa di Barbablù. Grande e senza finestre! E tu non hai nemmeno tutte le chiavi in possesso per dargliele. E quella tua stanza segreta a lei non è andata giù. Ha bisogno di inseguire i suoi sogni. Ha bisogno di conoscere il mondo senza di te. Come lo hai conosciuto tu, scappando, eppure viaggiando. Soffrendo, ma vivendo.”

No, Hermione. No. No. C’è di più. Lei non ha mai avuto bisogno di me. È sempre stata una scelta. Quella di stare insieme, un giorno alla volta. Mi ha sempre affascinato il fatto che lei potesse andarsene in qualsiasi momento, e invece restava. Probabilmente fa bene al mio orgoglio. Il mio ego fa le fusa.”

Cos’è cambiato?”

Non lo so.” Ammise, quasi stupito da se stesso. “Il Brasile però è lontano.”

Tornerà. Sono sicura che stia bene. Se come dici, non hanno trovato traccia…”

Non voglio parlarne. Non ci devo nemmeno pensare, altrimenti…”

Ok. Scusami.”

Non fa niente. Sono stato io a cominciare.”

E ti fa così male aprirti con me?” gli sollevò il viso per il mento.

Le scintillava lo sguardo. Lui lo vide.

Non fa mai male niente, con te.”

Era uno di quei momenti che restano impressi nella memoria. Per la dolcezza, l’intimità, l’ardore. La luce in fondo allo sguardo, il sentimento puro e condiviso che scorreva dalla mano di lei al viso di lui.

Hermione guardò Harry finire il suo incarto con pacatezza. Il mondo fuori dalla cucina, andasse pure avanti.

Mi fa stare bene parlare in questo modo. Non posso farlo con nessuno.” mormorò Hermione.

Harry sapeva che lei, senza Ron, era sola. Non aveva amici. Non coltivava relazioni. Aveva reciso le sue radici e si era fatta orfana per scelta. Il suo buonismo rasentava la follia. Ed era come lui, ora. Forse in quel momento aveva solamente lui. Si sentì profondamente onorato di essere suo amico, di poter finalmente essere utile.

Che insulsità, lasciare le giornate passare via ad aspettare una donna che vuole vivere solamente con se stessa.

E aspettare, aspettare, aspettare. Giorno dopo giorno, continuare. Liste di incantesimi inutili, un lavoro precario per un uomo vecchio e pazzo un suo amico? Sì, forse. Forse era di quel genere di amici di cui era ricco. Ma di Hermione ne aveva solamente una. Le prese la mano, e la strinse, d’impeto. Lei capì.

Due anime affini, cresciute e vissute insieme in ogni singolo instante. Chi meglio di uno per l'altro poteva capire?

Ho bisogno di una mano. Ho notato che la mia bacchetta è scheggiata. So che Olivander me ne farebbe comprare una nuova, ma io mi sono affezionata. Potresti chiedergli di aggiustarla? So che ti darà ascolto.”

Domanda banale, dolce ma piatta. Aspettare, ancora, e continuare...
Il momento speciale, magico per certi versi, era già finito.

Certo. Ti accompagno domani mattina. Va bene?”

Celere ed efficiente.” Scherzò lei.

Qualcuno bussò alla porta della cucina prima di entrare con circospezione. Era Seamus.

So dove sono andati Nott e Greengrass.”

Harry ed Hermione si guardarono. Sbigottiti.

Come diavolo?”

Conosco molto bene il fuoco. Ho imparato a …a domarlo. Posso convincerlo a fare quello che voglio io. E io… l’ho costretto a farmi vedere in che caminetto sono andati. Posso andarci anch’io, immaginando il posto, ma non posso portare voi senza farvi vedere i miei pensieri. Dovrò andare da solo.”

Harry continuava a fissarlo senza capacitarsene. Hermione invece aveva lo sguardo pieno di malcelata ammirazione. Era perfettamente plausibile, no? Se non fosse che lui era quello del Wingardium Leviosa esplosivo al primo anno. E tantissimi episodi successivi. Non valeva la pena riportarli tutti.

Era semplicemente stupita.

Sei bravissimo, Seamus. Complimenti. Sai quanti maghi sognano di fare quello che sai fare tu?”

Oh, andiamo, Hermione…”

Era impacciato, senza sorridere. Imbarazzato, si sfregava la mandibola.

Davvero. Lo dirò a Shacklebolt. Ne sarà entusiasta.” Disse Harry, facendolo diventare paonazzo.

Comunque, credo sia ora di andare per me. Voi cosa fate?”

Ti seguo a ruota.” Hermione si alzò e cominciò a mettere in ordine la cucina.

Lascia stare, faccio io dopo.” Mormorò Harry.

Se hai intenzione di vegliare su Grant, hai bisogno di qualcuno che ti dia una mano però.”

C’è Daniel! È un tipo veramente simpatico, ho scoperto. Ed è quasi medimago.” si intromise Seamus.

Hermione sospirò, mentre dava loro le spalle, occupata a sciacquare i bicchieri nel lavello.

Harry se ne accorse, ma non lo diede a vedere a Seamus.

Giusto. C’è Daniel. Beh. Allora ci vediamo domani, comunque. Domani che giorno è? Venerdì?”

Sabato, Harry. Ci troviamo qui?”

Se riesci a venire la mattina presto è perfetto. Così mentre esco a fare due commissioni e accompagno Hermione per la sua bacche-”

Andiamo?” sbottò Hermione, rivolta a Seamus.
Cosa stava cercando di nascondere? Non c’era niente di male, a dover riparare la bacchetta. Forse non voleva condividere i fatti suoi con chiunque. Harry la guardò impertinente.

Seamus invece capì. Lei, inconsciamente, si stava proteggendo. Qualsiasi cosa avesse fatto con quella dannata bacchetta, quella sera del compleanno di Harry era stato lui a raccoglierla esanime dopo il misfatto.

Ma non disse nulla. Ognuno i suoi segreti. E lei, nonostante tutto il ciarlare altrui sul suo conto – brava, Hermione, saggia Hermione, brillante, Hermione –, sembrava ne avesse parecchi.











34.



La mattina seguente, Michael sedeva davanti all’Ufficio Auror aspettando l’apertura. Aveva passato la serata al pub e poi era dovuto uscire, avendo speso gli ultimi risparmi per mangiare. Così aveva dormito là. Davanti all’Accademia. Leggeva, accoccolato contro il muro, con la casacca a mo’ di cuscino dietro la nuca.

Leggeva di lui e di lei. Leggeva di quello che era successo e che non sarebbe cambiato mai. Perché il passato non si può cambiare, ma il presente, oh, sì. E lui l’avrebbe fatto. Per cui leggeva distrattamente.

E guardava l’entrata, sperando di veder comparire qualcuno. Odiava aspettare.

Odiava la burocrazia, e odiava la gente.

Era in una posizione pericolosa. Che scelta aveva? Tanto non aveva nessun posto in cui andare.

Nessuno lo aspettava.

Il mondo è la mia casa.



Ricordare o dimenticare.

Camminavo su un'arma a doppio taglio, incapace di scegliere una o l'altra strada, affranta dal tuo totale disinteresse.

Per non parlare della tua reazione. Ti eri arrabbiato.

Come hai potuto distruggermi così? Come hai potuto mandare all'aria tutto?

L'umiliazione brucia come acido sulle debolezze, e io ne sono tanto piena da friggere in ogni punto.

Ho creduto in noi, appena per un istante, e non avrei potuto fare niente di meglio per allontanarti. Quando ci ripenso, brucia ancora; tu improvvisamente, da amico, figura conosciuta che eri, sei diventato un ragazzo degno d'interesse.

Ho capito la passione che votavo alla nostra relazione; non solo mi piaceva parlarti, ascoltarti, condividere le risate con te, ma il tuo fisico atletico, il tuo viso a spigoli morbidi, perfino quei tuoi capelli da istrice mi piacevano. Per non parlare dei tuoi occhi.

Non avevo mai visto una sfumatura di cioccolato così perfetta. Gli aghi verdi a raggera attorno alle pupille non facevano che abbellirli; un concentrato puro di seduzione dagli effetti devastanti su di me. Eppure la luce dei tuoi occhi non era data dalla loro bellezza; emanavano un calore e una passione che non avevo mai scorso in nessun altro. Tu mi piacevi per quello.

Parlavi con gli occhi, combattevi con gli occhi, seducevi con gli occhi.



Michael tossicchiò per camuffare una risata a se stesso.

Quelle parole non l’adulavano, lo facevano sentire ridicolo.



Prima dell'impatto, senza accorgermene, ero stretta sempre più nelle spire di un'attrazione che non avrei mai avuto la forza di contrastare; avresti potuto fare di me quello che volevi.

Forse sono una persona troppo debole per starti accanto. Ero morbida nelle tue mani, duttile, aperta, pazza d'amore fino all'estremo, fino a non rendermene nemmeno conto, tanto i miei sentimenti patinavano ogni situazione della mia vita, attutendo e nascondendo le altre emozioni. Ero carne tenera, e tu non te ne sei mai accorto. Quando anzi te ne sei accorto, troppo tardi, eri già un altro.

Per qualche settimana mi sono dannata a evitare ogni contatto con te. Avevo paura che mi dicessi che non sarebbe mai dovuto succedere, che ringraziavi ma rifiutavi l'offerta, che era una follia.

La mia predizione dell'anno scorso prendeva forma in un modo più doloroso di quanto pensassi.

Ero terrorizzata dalla tua reazione.

Invece tu ti ostinavi a fingere che non esistessi, quasi fosse la cosa più facile, e non ci siamo parlati per un sacco di tempo. Ricordo di essere dimagrita, di aver notevolmente aumentato la mia media scolastica; dev'essere stato tutto quel tempo da riempire. La tua assenza mi inghiottiva sempre di più, non riuscivo più a sorridere. Eri terribilmente vitale per me.

Soffocavo. Morivo dentro, e non potevo parlarne a nessuno; non c'eri più tu ad ascoltarmi.

Mi ero slogata la caviglia circa una settimana prima, quando ci siamo guardati negli occhi nuovamente dopo quello che era successo. Padma ed io andavamo su per le scale, verso l'aula di Incantesimi, e tu avevi un'ora di buco, probabilmente, perché ciondolavi nervosamente.

Io non ero a mio agio, Luna era dispersa da qualche parte e mi aveva lasciata nelle mani di Pad. Insomma, PAD! Lei non perdeva mai occasione per mettermi in difficoltà, nel modo più naturale e incosciente del mondo. Difatti, nutrivo per lei un odio incondizionato, senza fine. Sia tu che Luna lo sapevate.

Pad, sei diventata un facchino?” le hai rivolto la parola, e quasi mi sono soffocata inghiottendo l’aria al suono della tua voce.



Ecco. Quel giorno, l’aveva odiata come un pazzo. Lei era lì, patetica, con gli occhi pieni d’amore per uno stronzo. Senza volerlo, si era resa insopportabile. Ed era stata lei, ad allontanarli. Malvolentieri, forzatamente.

Lo sapeva, in fondo, Ginny. Si capiva dal suo modo di scrivere. Era quello che intendeva, quando gli aveva detto che era tutta colpa sua, che voleva essere perdonata. Ma non erano riusciti ad essere onesti uno con l’altro nemmeno quella volta. Capitolo chiuso.



Hai sorriso, con una voce strana, rivolto alla mia sinistra, dove lei si destreggiava per mantenere l'equilibrio con le nostre borse ed i nostri pacchi di pergamene da mezza tonnellata. Molto gentilmente mi accompagnava a lezione e portava le mie cose per non affaticarmi. Non aveva ancora fatto la sua castroneria giornaliera per cui, nonostante tutto, in quel momento provavo per lei un inconfondibile moto d'affetto.

Tu, verme, non eri nemmeno venuto a chiedermi cosa mi fosse successo.



Io avrei voluto, Gin. Ma tu eri così… così odiosa! E innamorata e odiosa! E non capivi. Non capivi di esserlo.

E io ti odiavo, come un bambino. Come un bambino. Perché avevo bisogno di te. Di te, e non di quel tuo amore vischioso e infantile, assoluto, totalizzante. Soffocante. Malsano.



Nel caso in cui tu non te ne sia accorto, Ginevra ha una caviglia slogata e non riesce più a camminare decentemente. Certo, se tu non l'avessi ignorata in modo ignobile dall'inizio dei corsi ora lo sapresti e non faresti domande così stupide! Sei diventato un vero schiopodo da quando è succ...”

QUELLO CHE È SUCCESSO TRA ME E GINNY NON TI RIGUARDA, FATTI I CAVOLI TUOI”

Pietrificate, io e lei ci siamo lanciate un'occhiata rapida, e io ho sentito l'affanno crescermi in gola.

Ma come ti permetti?! Datti una regolata!”

Tu non osare dirmi quello che devo fare! E poi, se proprio vuoi saperlo, è LEI che mi ignora da settimane!”

Sei scappato via a passi pesanti, quasi ti avessimo fatto il torto peggiore del mondo. Noi. Io.

Si, ho smesso di cercarti.

Se tu però avessi fatto un singolo passo verso di me avrei preso la rincorsa e mi sarei buttata fra le tue braccia. Non sopportavo più di non poter cercare il tuo sguardo per ogni cosa; mi ero accorta di quanto spazio occupassi nella mia mente. Cosa mai ho potuto fare di così brutto, mi chiedevo?

La risposta non tardò ad arrivare. Ero in cortile con i ragazzi di Corvonero, tentavo di ridere insieme a loro, ancora abbattuta dalla tua reazione, quando sei arrivato. Con un sorriso di plastica mi hai detto “Gin dobbiamo parlare”. Ti ho seguito. Non sapevo dove intendessi andare, così sono passata davanti a te e ho scelto io la strada. Tu continuavi ad avere quell'aria nervosa, ne ero terrorizzata.

Senza prenderti la mano, senza toccarti né guardarti ti ho portato dritto nella nostra radura segreta, ai margini della foresta. Non ho avuto il coraggio di sorriderti.

Che idiozia.

Non sono mai stata capace di nasconderti niente.

Allora, cos'hai da dirmi?”

Cominciamo dall'inizio. Si può sapere perché mi eviti?”

Io non ti sto evitando” ma tu mi hai immediatamente aggredita, con una forza la cui origine non mi era chiara.

Si invece! Non mentirmi che mi manda in bestia.”

Ma chi ti mente, idiota! Mi sto solo comportando esattamente come fai tu di solito, ultimamente. Ti lascio i tuoi tanti amati spazi.”

Touché.
Ho riportato le tue parole di quel giorno quando, orripilato, ti eri reso conto che ero l'unica disponibile per le tue uscite strampalate; hai finto che fosse colpa mia.

Esco sempre e solo con te, io ho anche altri amici!” mi avevi urlato, quasi avessi organizzato un complotto per impedirti di vederli.



Michael si stropicciò il viso, scioccato. Non aveva capito niente. Lui non l’aveva mai capita. La piccola Ginny in preda ai singhiozzi che tanto gli faceva paura, eccola, pronta a ferirlo. Ricordò ogni particolare, dai toni striduli e ridicoli della propria voce da adolescente a quelli tremuli e alle occhiate incerte e profonde di lei. Lei che elemosinava il suo affetto… il morso dei sensi di colpa si fece sentire.

Meglio tardi che mai. Così si diceva.



Va bene, è colpa mia. Un peso da niente per me, visti i miei sentimenti. Pestami pure in faccia, Michael. Sarà un piacere. Avevi percepito la punta dell'iceberg dei miei sentimenti, e lo rimpiangevi con una rabbia tale da lasciarmi basita; non capivo quale fosse il problema; potevo continuare ad esserti amica per sempre, non m'importava che tu ricambiassi. Non mi sembrava un crimine.

Ma le cose sono andate così: io non volevo ammettere di provare qualcosa per te, non dopo aver visto la tua reazione; tu non accettavi i miei sentimenti per chissà quale motivo.

Forse non volevi che rovinassero l'amicizia; forse eri cambiato in un modo che non potevo capire.

Ogni volta che ti vedevo, poi, ripensavo alle tue labbra e arrossivo. Anche tu avevi reagito alla situazione in un modo equivoco, e la cosa mi turbava immensamente. Tutt'ora ripensare alla tua espressione in quel momento mi provoca un'immediata sensazione di calore al viso.

Avrei dovuto intuire che tu ed io stavamo prendendo una direzione sbagliata.

Eravamo un vagone allo sbaraglio.

E quel giorno, ecco che mi sputavi in faccia parole, parole spaventose, sbagliate, ingiuste.

Non voglio che la prendi male, non so come affrontare il discorso, ma io non ne posso più. Tutto questo mi sta soffocando.”

Tutto questo cosa?” ho sussurrato io, sentendo gli occhi pizzicare.

Noi due, la nostra... amicizia. Non so perchè le cose siano diventate quello che sono, mi è sempre piaciuto un sacco parlare con te, ma ultimamente parlavamo sempre di cose tristi.”

Cose tristi? Ma...”

Si, tu sei pessimista e io vicino a te lo divento.”



Era vero. Ginny si addossava ogni peso del mondo. Pensava di continuo a quelli che stavano “veramente” male. Passava le giornate a prodigarsi per distribuire il suo immenso amore bianco a chiunque. E poi riversava il dolore ricevuto su di lui. E lui non lo sopportava. Il suo cuore di ragazzo non lo sopportava.



Io non sono pessimista... è la vita, LA VITA, che ti rende pessimista! Possiamo parlare di quello che vuoi! Dimmi di cosa vuoi parlare, allora! Dimmi tu cosa vuoi fare. Io ti asseconderò, ma non dire più cose così stupide. Oppure se non ti va di starmi attorno dimmelo chiaro e tondo, invece di trovare espedienti.”

Io non trovo nessun espediente.”

Oh si invece, tiri fuori sempre la scusa degli altri amici che PER COLPA MIA non riesci mai a frequentare!”

Certo, se tu pretendi sempre che usciamo da soli! Non c'entra niente, e non è una scusa! Non ne posso più, ho anche altri amici, vuoi capirlo? Mi sembra di diventare pazzo vicino a te! Possibile che non capisci? Io voglio conoscere tanta gente, mi piace stare in compagnia, e sinceramente il nostro rapporto si sta stringendo un sacco. Mi manca l'aria; mi sta stretto, e tu sei molto elitaria. Io non ce la faccio ad essere così. E la nostra amicizia è... è malsana, ambigua; allora tu cosa decidi di fare?! Non mi parli più, quasi volessi punirmi. Guarda che noi non stiamo insieme, siamo solo amici. Mettitelo bene in testa.”



E aveva sentito il cuore di Gin fare crac. Lo aveva fatto apposta. Non era affatto sicuro che fosse la scelta giusta, ma all’epoca cos’altro poteva fare? Non era capace di molto. E tuttora…



SO BENISSIMO CHE NOI NON STIAMO INSIEME” ho deglutito io, con più forza in petto di quanto credessi possibile, “E non mi interessa affatto punirti, anche perché tu non sei il mio ragazzo né vorrei che tu lo fossi! Se tu fossi stato più furbo te ne saresti accorto prima! Non ti chiedo di starmi sempre attorno, vorrei solo che quando ci vediamo tu la smettessi di lagnarti perché gli altri non vengono quando organizzi qualsiasi cosa... non sono elitaria, semplicemente ho pochi amici, me ne bastano due o tre...”

Infatti, io invece non sono così.”



I suoi famosi millemila amici? Tigli alti, molto più di lui, svettanti, svaniti. E Gin, come un’edera, ostinata, era ancora lì. Aleggiava attorno alla sua vita, come in attesa di essere estirpata o accolta.



Nessuno ti ha chiesto di essere diverso da quello che eri.”

Sei possessiva.”



Vero anche questo. Gin gli teneva le mani, gli teneva persino gli occhi, in quegli anni l’avrebbe seguita in capo al mondo. Prima dello scatafascio, del crac. Prima ancora del tumulto nel cuore.



Cosa c'entra adesso? E poi, io mi sono sempre comportata come tu mi hai lasciato comportare. Se non ti va bene quello che faccio, devi dirmelo! Ma non mandare tutto a farsi fottere solo perché non sei capace di tirare fuori le palle e dirmi quando qualcosa non ti va bene. Stai parlando di un sacco di cose perfettamente risolvibili con il dialogo. Sei tu che sbagli a non parlarne con me.”



Sì. Sì. Sì, Gin.



Tu hai cominciato da quando è successa quella cosa. Bella mossa, proprio.”

Non diciamo stronzate. Te l'ho già spiegato. Tu ti comporti esattamente così con me. Aspetti sempre che sia io a cercarti, da quando siamo tornati a Hogwarts; io non voglio più starti dietro come un cagnolino mentre tu mi ripeti che vuoi vedere gli altri e mi usi come tappabuchi!”

Io... non ti userei mai come tappabuchi! Come puoi dire una cosa del genere?”



Michael quasi non se ne accorse; lesse la fine sottovoce, muovendo appena le labbra, come se non potesse capacitarsene alla sola vista.

Sono i fatti che parlano per te! E ora scusa, ma devo andare.”

Tranquilla, ho finito anch'io.”

Bene.”

Bene!”

Te lo ricordi, vero? Mi chiedo se tu abbia sofferto anche un decimo di quello che ho sofferto io.

La durezza delle tue parole era senza precedenti; non riuscivo più a deglutire per l'angoscia.

Se solo tu mi avessi degnata di uno sguardo ti saresti reso conto di quello che provavo.

Invece hai tenuto gli occhi bassi, tranne quando gridavi; e li ero io a non riuscire a mantenere il contatto visivo. È terribile sentirsi traditi in questo modo.

Tu non avevi idea di quello che mi avevi fatto; io lo sapevo, te lo leggevo in quella tua aria innocente e cocciuta. Così non ho mai detto quello che pensavo.

Fine dell'amicizia. Nonostante svariate discussioni per metterci d'accordo, non siamo più riusciti a sentirci vicini come prima. Tu credevi che io fossi cambiata; io stringevo i denti perché sapevo che eri tu ad esser cambiato, così come sapevo che sarebbe successo.

Ho perso un amico; sono diventata più forte.



Dio, che brutta cosa. Che brutta cosa il rimpianto.

Una voce lo scosse. Lo fece voltare.

Ha bisogno?”

Doveva essere l’addetto al bureau di accoglienza dell’Accademia.

Sì. Mi chiamo Michael Corner, e vorrei costituirmi.”





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Capitolo 15
*** Lezioni di vita ***


 

 

Dal capitolo precedente:

Dio, che brutta cosa. Che brutta cosa il rimpianto.
Una voce lo scosse. Lo fece voltare.
“Ha bisogno?”
Doveva essere l’addetto al bureau di accoglienza dell’Accademia.
“Sì. Mi chiamo Michael Corner, e vorrei costituirmi.”





35.

Camminava svelto per non perdere il passo. I lampioni erano spenti, qualche
macchina era parcheggiata accanto al marciapiede, ma c’era buio, veramente buio, ed erano poche le finestre ancora illuminate. Si erano appena materializzati, mano di lei sul suo braccio, senza una parola, ed eccoli arrivati in un vicolo che non aveva niente di familiare. Ronald Weasley non sapeva cosa pensare. Era confuso. Era perso.
“Ehi, pivello. Ti spiace aspettare qui?”
Alzò immediatamente lo sguardo all’appello di Megan Reeves, e scosse la testa in segno di diniego. Si sedette su un muretto di mattoni rossi, dietro di lui i cipressi lo costringevano a stare piegato in avanti, con la schiena curva e il capo chino. Che odio, quei cipressi.
Riuscì a sbirciare Megan, le sue lunghe gambe femminili e l’andatura stanca e altalenante, arrivare davanti alla porta. Lei suonò al campanello più volte, in un modo che avrebbe sicuramente innervosito oltremisura una come Hermione. Lo spiraglio della porta fece uscire una fetta di luce dall’interno. La figura era alta, sovrastava quella della sua Senior, ma non lo lasciò all’immaginazione e uscì allo scoperto, accendendosi una sigaretta.
Ron indietreggiò.
Era Adam Fullbuster, l’ultimo membro della loro squadra. Se avesse un’aria preoccupata, Ron non avrebbe saputo dirlo. Lo guardò mentre portava la mano tremante alla bocca per aspirare altro fumo.
Era nascosto nella siepe, su quel muretto, come un bambino. In disparte, come in punizione. Sentì squarci della conversazione.
“…stabile. Ma tu devi andare a vederlo.”
“Cribbio Megan, io non posso.”
“Nessuno giudica nessuno. Sono a posto, davvero… fidarti di me.”
“No. Non se ne parla.”
“…chiesto lui.”
“Come? E gli altri?”
“Nessuno ha sentito. Rex… ti prego. Ha bisogno di te.”
Ron fissava le sue scarpe e i mattoni ordinati, il respiro piatto e disteso, con la finta calma che conferisce il buio della notte, forse per questo sussultò allo sbattere della porta.
Megan era lì, illuminata dalla fioca luce che sfuggiva all’oblò dell’entrata. Era ancora voltata di spalle, e lui pensò che era strano, che stesse voltata così tanto, ma non disse niente.
Come un bambino, attese. E lei dopo qualche minuto lo raggiunse. I suoi occhi pesti di stanchezza e di trucco gli fecero pena in un modo scomodo, che ti fa venire voglia di scappare, e non di consolare.
“Andiamo, Ronnie.”
“...fanculo.”

Un po’ di nausea ce l’aveva. Doveva essere l’indecisione di lei, durante la materializzazione congiunta. Forse avrebbe voluto essere altrove. Anche lui, dopotutto. Posto sbagliato, persone sbagliate.
Al diavolo tutto.
La seguì nel giardino posteriore di due villette a schiera babbane; l’incantesimo che proteggeva la sua casa scomparve e lasciò intravedere una grande villa bianca in fondo a un vialetto.
“Vieni, è per di qua.”
La seguì attraverso il portico, fino all’uscio, avvolti dal buio e dal rumore delle fronde degli alberi.
“Ti va un Jack Daniel’s?”
“Che diavolo è?”
“Va bene, non lo vuoi.”
“Ok, dammelo.”
La seguì, ancora, fino a un gigantesco salotto. Era grande, sgombro, elegante. E lei era in mezzo, vicino a un carrello per le bevande veramente grazioso, doveva essere una cosa da ricchi. Cristallo, ottone. Bottiglie di ogni genere. Megan gli versò quel Jack Daniel’s, e lui si avvicinò, titubante, sull’immenso tappeto orientale.
“Buono.”
“I babbani ci sanno fare con l’alcool.”
“Vieni spesso qui?”
“Questa è casa mia.”
Ronald si guardò attorno sbalordito. Doveva essere cinque o sei volte più grande della Tana. Ed era solo per lei.
“Non ti perdi mai?”
Lei rise, di una risata un po’ roca.
“Vuoi vederla tutta? Non sei mai stato in un posto del genere, vero?”
“Più o meno. Ho conosciuto da vicino Malfoy Manor.”
Il pensiero gli ghiacciava ancora il sangue.
“Vieni, ti faccio vedere.”
Tracannò un sorso che a Ron parve troppo lungo direttamente dalla bottiglia, poi lo prese per il polso e lo strattonò.
E lui, stranito e perseverante, ancora una volta decise di seguirla.
Ogni tanto mandava giù un sorso, e lei lo imitava. Si scambiavano a malapena qualche occhiata di sbieco. Ron abbassava ostinatamente la testa per sottrarsi al contatto visivo.
Non capiva il motivo del suo sguardo triste, storpio, capiva solamente lo sguardo in sé. Era uno sguardo da donna che
parla e sa di saperlo fare.
Non era un totale idiota, pensava. Non era così stupido, così insensibile. Lei, per esempio, era così limpida. Capiva le sue intenzioni. Niente a che vedere con i messaggi crittografati ai quali era abituato.
Così lasciò correre gli occhi su quel corpo di donna.
I fianchi, il fondo schiena, le cosce, gli avanbracci. In un corridoio lungo, in un bagno grande e in una sala da musica con il pianoforte al centro, in forse dieci anticamere con i muri coperti di scaffali e pieni di libri. Finirono nuovamente in salotto. Non aveva avuto l’occasione di toglierle gli occhi di dosso in mezzo a quelle mille stanze. Il ricordo confuso del pianoforte si sovrapponeva ai muri bianchi delle anticamere in un vortice di colori e fattezze irreali. Fino a che lei si voltò lentamente, con l’intenzione di guardare lui negli occhi. Proprio lui.
C’era ancora una vena ilare nel modo in cui lo squadrava, ma ora si nascondeva meglio nel torbido dell’alcool. La bottiglia era quasi vuota e anche il bicchiere di Ron. Lo posò. Le prese la bottiglia dalla mano e bevve l’ultimo sorso. Lei non aveva smesso di guardarlo. Era di fronte a lui, in attesa. In attesa!
Voluttuosa doveva essere la parola giusta per descriverla. Presto Ron non capì più niente. Scuoteva il capo e scuoteva via gli ultimi rivoli di coscienza.
Il Jack Daniel’s era nel suo sangue e gli aveva liquefatto la mente e le gambe. Sentiva solo una parte del corpo sveglia, ed erano i lombi, incendiati da quella situazione assurda, tanto assurda da spingerlo a desiderare, come un chiodo infisso nel cranio, quel corpo di donna.
L’idea martellante lo spinse ad avvicinarsi. Una mano corse a lambire il petto, con un movimento dal basso verso l’alto; e scese, s’impossessò del fianco; s’impresse sui reni, per avvicinare quell’anima guasta alla sua, per portarla a un palmo dal suo corpo confuso e fremente.
Non dissero una parola.
Ron si tolse il maglione e la fece indietreggiare fino al divano. Megan si slacciò il corpetto, scivolò fuori dai suoi proverbiali anfibi e si tolse la gonna corta e spiegazzata.
Ron si sedette accanto a lei. Con una mano impacciata le scostò i capelli dal viso.
“Non devi farlo per forza.” Sussurrò lei, con un sorriso beffardo.
“Che cosa?”
“Essere carino con me.”
La frase lo spiazzò, non riuscì a trattenere una risatina dal timbro basso e canzonatorio.
“Non sono qui per essere carino con te. E nemmeno con me. Credo proprio che domani avremo più grane di oggi.”
“Mi va bene così.”
Lui non seppe cosa rispondere. Sorrise mestamente, e si lavò via l’ultimo barlume di riso.
Era rimasto con la mano sospesa dietro al suo orecchio. Qualche piercing, una piccola croce gotica; un tatuaggio nascosto e leggermente in rilievo sulla nuca; testimoni inanimati della sua animosa diversità.
“Che cos’è questo?” sussurrò avvicinandosi, curioso.
“Una rosa.”
“Perché?”
“Fatti gli affari tuoi, pivello.”
Ron rise ancora.
Ti va bene così?”
“Sì.”
“Tu ami Rexford?”
Gli arrivò una scarica di pugni rivolti al suo stomaco che riuscì a deviare goffamente. Avrebbe dovuto aspettarselo. La odiò ancora un po’ di più. Dopo qualche istante, però, lei gli rispose:
“Rex mi piace. Ma io non piaccio a lui.”
“Mh. Non è tanto diversa la mia situazione.”
Lei lo guardò con tanto d’occhi.
Ron sentì intimamente le viscere torcersi per quegli occhi amari, ma non si sottrasse.
“Cosa c’è, la Granger è troppo per te?”
La Granger ha in mente qualcun altro.”
Fece una breve pausa.
“O comunque non più me.”
“Rex ama un altro.”
Lo aveva detto così rapidamente, fra le labbra arrabbiate, che Ron credette di aver frainteso. Poi capì. Collegò. La conversazione a sprazzi.
Lei che alla richiesta di Rex e se ne andava e quasi dimenticava il cappotto. Lei che accettava la sua presenza e anzi lo invitava a seguirla. Lei che fingeva di desiderarlo, per sballarsi, per dimenticare un attimo tutto e tutto in un attimo.
“Fullbuster?”
Lei fece di sì.
Le accarezzò la nuca, la rosa, il capo.
“Dai, rivestiti, Megan. Andiamo via di qui. Siamo patetici.”
Fece per alzarsi, ma lei lo prese per la collottola e lo baciò.
Un brivido gli s’irradiò dalla nuca verso i reni. Nessuno gli aveva mai infilato la lingua in bocca in quel modo senza chiedere permesso. Le reazioni fisiche, mentali, si contrastavano in un esplodere di sensazioni luminose e dolorosamente gradevoli.
“No.” Megan si scostò, ricoprendogli la bocca di baci brevi e irriverenti. “Non lasciarmi da sola stasera. Potrei morire. Giuro che potrei.”
Ron era rimasto interdetto. Per l’ennesima volta era in bilico. La mente annebbiata rimandava immagini confuse di Hermione, di Harry, dell’Accademia.
Il piatto della bilancia della coscienza si rovesciò con un clangore attutito, abbastanza forte da richiamare l’attenzione ma abbastanza lieve da essere ignorato con disinvoltura.
Ron si divincolò, mentre il petto gli si sollevava incontrollatamente per lo scompiglio profondo.
“Vorresti davvero
scopare con il Pivello? Guarda che poi te lo ritrovi davanti tutti i giorni, a forza. Dico sul serio, Megan, non mi sembra una grande idea.”
Ansimava solo all’idea. Lei era molto attraente, ed era lì, con il capo nascosto nel suo collo, occupata a nascondersi dal suo sguardo. Docile, infinitamente fragile e femminile. Aveva una scorza incredibile. Ron le sollevò il volto con il cuore che batteva a mille. Lo stava facendo? Stava tradendo Hermione? Se lo meritava, davvero?
“Stai pensando a lei.” Lo rimproverò Megan.
“Lei non mi ha mai tradito.”
“E tu non hai mai tradito lei.”
“Falso... questo è… falso. Prima ancora di stare con lei… io ero a conoscenza dei suoi sentimenti, ma mi sono lasciato …lusingare da Lavanda Brown. Una ragazza del nostro anno. Sai, a scuola. Hogwarts. Lei mi ha baciato davanti a tutti e io… cosa potevo fare? Ho accettato. Insomma, mi guardavano tutti! Ma… è stato un errore clamoroso. A me era sempre piaciuta… solo lei.”
“Ti senti in colpa?”
“No… Hermione mi sta lasciando.”
“Allora
lasciala tu per primo.”
La sentì mordergli il petto e le clavicole. Sì, Megan aveva ragione.
E anche la sua bocca ne aveva da vendere. E quelle sue mani…
Si lasciò andare. Finì di spogliarsi senza vergogna, disinibito dall’alcool, e il fine riverbero delle vetrate illuminò a nastri il suo addome diafano che nascondeva a malapena uno stomaco dolorosamente annodato. Incurante del nodo in gola, si sdraiò su di lei. La sentì sospirare sotto al suo peso e di rimando arricciò le labbra in un fremito. Accolse un piacevole brivido di sollievo al contatto con la sua pelle tiepida.
Le scostò i capelli dal viso, prima di baciarla una prima volta con delicatezza.
“Ti ho già detto niente smancerie.”
Lui rise di nuovo, un po’ ubriaco, fra le sue labbra, e in quell’istante, guardandosi cullati dal buio, si sentirono un po’ più vicini, un po’ meno strani.
Come se un semplice bacio potesse suggellare un patto o cancellare la loro abiezione.
Ron capì che lei, in quel momento, Rex o non Rex, era sua. E lei, che il pivello ne aveva da vendere, e quella Hermione non era poi intelligente come aveva pensato.
Si capirono con la lingua, idioma universale.
C’era buio pesto. Il Jack Daniel’s, vuoto, era sul ricco carrello del signor Reeves ormai defunto. E Ron e Megan, avvinghiati come serpenti, ondeggiavano di un amarsi malsano e malvissuto, vero, sfrenato.
Al resto ci avrebbero pensato dopo.





36.

Harry aprì gli occhi all’insistente suono del campanello. Raccolse la coperta in tweed da terra e la mise sopra a quella di Rexford, che dormiva profondamente e non si era svegliato in tutta la notte. Al contrario, Harry non aveva chiuso occhio fino alle ultime ore. Era troppo preoccupato e troppo frustrato. Si mise gli occhiali e tentò di sistemarsi i capelli e la maglia di traverso prima di aprire la porta.
Alla vista di Hermione si sentì profondamente sollevato.
“Ah, già. La bacchetta.”
“Hai dormito, Harry?”
La ragazza entrò senza togliersi la giacca e si avvicinò cautamente al mago addormentato. Indirizzò qualche sguardo verso Harry, e lui rispose con un pollice verso.
“Vado a farmi un caffè, vuoi qualcosa?”
“Non vorrei darti spiacevoli sorprese, ma le tue dispense ieri sera erano vuote.”
“Da quanto controlli le mie dispense?”
“Da quando sono più in questa casa che a lavorare fra i libri. E mi devo occupare di gente che sta male, gente che si lamenta, gente che non sa quello che vuole…”
Lo raggiunse in cucina e finalmente si tolse i guanti e la sciarpa. Li appoggiò nella ciotola vuota della frutta.
Harry appoggiò il bollitore e accese il fuoco. Aprì le ante degli armadietti della cucina alla ricerca di una tazza pulita, sbadigliando sonoramente.
“Com’è andata ieri sera? Era molto abbattuto?”
Il disagio pervase la stanza. Li per li fu certo che lei non avrebbe risposto, perché si era spinto troppo al di là degli affari suoi. Non era la prima volta che qualcuno gli dava del ficcanaso. Sentì Hermione accavallare le gambe alle sue spalle.
“Ron?” disse, “Non ne ho idea.”
Harry si voltò all’improvviso, sbattendo la testa nell’anta aperta.
“Accidenti.”
“Harry, ma cosa fai!”
Hermione si precipitò da lui per vedergli la fronte.
“Ti verrà un bell’ematoma.”
“Ron non è tornato?”
“Non avere quel tono stupito, cosa ti aspettavi da lui?”
“Dai, non dire così. Per favore.”
“E che cosa dovrei dire? – ti fa male qui?”
“AHI, sì, dannazione. Non è che vorresti usare la bacchetta, così, giusto per accelerare la guarigione? Ne ho abbastanza di cicatrici idiote.”
“Giusto per? È solo una botta.”
“Sembro Quasimodo…”
“Va bene, va bene.” Agitò la bacchetta sul bernoccolo di Harry e quello scomparve immediatamente. “Comunque, se ci tieni a saperlo, non ha dato notizie di sé. Zero.”
“Dove si sarà cacciato quel… quello scemo.” Borbottò Harry.
“Notizie di Seamus?” tagliò corto Hermione, visibilmente non in pena per la faccenda.
“No, ancora niente.”
“Allora andiamo, ti va? Ti pago un caffè in centro. Prima che tu ti faccia del male un’altra volta.”




37.

Il cielo era incredibilmente limpido. Qualche stria bianca qua e là si rifletteva sulla landa ombreggiando le spighe ancora tenere del granoturco. In lontananza, uno tetto bitorzoluto invaso dai camini si stagliava svettante contrastando in modo familiare il panorama.
Ginevra giunse in fondo al viale che portava al giardino della Tana. Il vento sibilava così forte da farle temere per i suoi timpani. Si stringeva ancora nella felpa di fortuna prestatale da Luna. Tutto sommato, avanzare a testa bassa, senza guardare la strada, non le era tanto estraneo. Tuttavia, ferma davanti al cancelletto, non riuscì a muovere un muscolo.
“GINNY!”
Si voltò di scatto, intimorita.
“RON!”
“GINNY.”
Ron arrivò correndo, incespicando nei suoi lacci sfatti, la raggiunse e la strinse con forza.
Le baciò tutta la testa, la strinse di nuovo. Ginny respirò profondamente l’odore di suo fratello, e si sentì a casa come non lo era da tanto tempo ormai. Le traballò il cuore nel petto. “Sono così felice, Ginny.”
“Ron, ma cosa ti è successo? Sei tutto scombinato.”
Lo sguardo duro che le rivolse le gelò il sangue.
“Cos’è successo?”
“E a te?”
“Io… ho voluto seguire due Ghermidori e dal Rio delle Amazzoni mi sono ritrovata sotto al negozio di Magie Sinister. Se non fosse stato per… qualcuno, sarei ancora rinchiusa in quella prigione, o più probabilmente il troll prigioniero nella cella di fronte alla mia mi avrebbe uccisa.”
“Ma come… dove sei stata finora?”
“Luna. Mi ha ospitata lei.”
“E Michael?”
“Sta bene. Sta… lui… oh, insomma. Non voglio parlarne.”
“Va bene, andiamo. La mamma probabilmente non dorme dal compleanno di Harry.”
Le mise un braccio sulla spalla e stringendola la sospinse verso casa.
“Oh…”
Ginny si immobilizzò.
“Cosa c’è?”
“Niente, dovrò sistemare la faccenda anche con Harry… ho alcune …cose. A cui pensare.”
“Hai incontrato qualcuno, laggiù? In Brasile?”
“No.” Rispose lei, ingrugnita.
“Strano, non è da te.”
“Se tu sapessi cosa è
da me…”
Entrarono cautamente dal retro della cucina e trovarono la signora Weasley addormentata sulla sedia a dondolo, fra le mani aveva l’ultimo numero della Gazzetta del Profeta. La Tana era rimasta la stessa negli anni, nessuno dei figli l’aveva veramente abbandonata andandosene di casa. Più precisamente, avevano sparso cosi’ tanti oggetti personali che nemmeno con un secolo a disposizione sarebbero riusciti a discriminare cosa fosse di chi, a partire dai gingilli babbani del signor Weasley, passando per i vari maglioni di lana grezza e i diari segreti nascosti fra i libri usati dei figli, le figurine delle Cioccorane – un tesoro comune, le vasche con i girini dello stagno e le puffole pigmee appoggiate sul caminetto in bella mostra vicino alle cornici degli ultimi diplomi.
La ragazza, di ritorno a casa dopo lunghi mesi in mezzo alla foresta, ebbe un potente moto d’affetto che non avrebbe creduto possibile, lei che si reputava un’indomabile viaggiatrice.
Si tolse la felpa e si avvolse attorno lo scialle che sua madre aveva abbandonato su una sedia del soggiorno. Le lancette dell’orologio magico si rimisero in posizione. Ginny era di nuovo al sicuro. Ron si servì una tazza di latte e si avvicinò a sua madre, ancora indeciso sul come l’avrebbe svegliata.
“Mamma…” le mise una mano sulla spalla e la scosse delicatamente.
“Merlino… Ron! Cosa ci fai qui…” ma si zittì non appena vide sua figlia.
Ginny era avvolta nel suo scialle, con i capelli spettinati che le coprivano le braccia fino al gomito, e aveva gli occhi pesti di quando piangeva tutto il sabato mattina per i capricci.
E Ron, lui era conciato come una persona poco raccomandabile, aveva la camicia abbottonata in modo asimmetrico, non infilata nei pantaloni, e i lacci delle sue scarpe si trascinavano pietosamente sotto alle suole e all’incurie di quel benedetto figlio da strapazzo.
Le bastò una lunga occhiata per capire cosa era successo.
Era furiosa, così furiosa che le si riempirono gli occhi di lacrime.
“Vorrei sgridarvi, tutti e due. Ma non ci riesco.”
Li abbracciò stretti, li costrinse a cozzare contro il suo petto. Ron, piegato in due per la sua rimarcabile altezza, allungò le braccia goffamente attorno alle due donne.
“Profumi di donna.” Sentenziò Ginny rivolta a Ron, sbucando dal collo odoroso e familiare di sua madre, storcendo il naso all’odore dolciastro e sconosciuto. Gli pizzicò la guancia con fare ammonitore. Ron sembrò più arrabbiato di prima, ma stranamente non rispose alla provocazione.
“Sei stata via così tanto… Ron vive con Hermione, adesso, sai?” la signora Weasley prese la figlia per mano e la condusse a tavola, lasciando che Ron si adagiasse sulla poltrona ancora calda vicino al caminetto. “Avete fame? Io ho bisogno di un tè caldo.”
“Mamma, più tardi dovrei passare… insomma, testimoniare… contro i Ghermidori…”
“Tu non andrai da nessuna parte fino a nuovo ordine.”
“Mamma ti prego… non ho più dieci anni. È importante, davvero.”
“Sai cos’è importante? È importante non raccontare bugie ai propri cari. E tu,
cara, me ne stai preparando una grossa come una casa. È solo un suggerimento. Ti consiglio di parlare.”
“Mamma, lasciala respirare. Non dev’essere stato facile nemmeno per lei.” Intervenne Ron.
La signora Weasley lo fulminò con lo sguardo.
“Non ho detto questo. Non ho detto questo…”
Ron per poco non si pentì di aver parlato; sua madre sembrava tremendamente avvilita dai sensi di colpa. La osservò mentre preparava la colazione e gli sembrò più piccola che mai.
“Ha ragione lei. Avrei dovuto dirvelo prima che stavo bene.” Disse Ginny. “E mi dispiace. Ho avuto tanti problemi e non sapevo come affrontarli.”
“Non pensi che avresti potuto parlarmene?” rispose la signora Weasley, piazzandole davanti due tramezzini tostati e un bicchiere di latte. Ginny non poté trattenere un sorriso sincero, malgrado il sermone. Sua madre alzò gli occhi al cielo in un tentativo imbarazzato di trattenere le lacrime che in un primo momento non si erano fatte avanti. Ma ora il sollievo era quasi sconvolgente. Sua figlia era lì con lei, e tutto era tornato al suo posto. Ginny, stoica di natura, la guardava con gratitudine. Quasi non credeva di poter assaggiare quelle leccornie ancora una volta. Si avventò sul cibo come un’affamata, mentre sua madre e suo fratello si scambiavano uno sguardo apprensivo.
“Ho mangiato in questi giorni, non vi preoccupate. È solo che… mi è mancata casa.”
Disse, candidamente.
Ron sorrise reclinando la testa all’indietro sullo schienale.
“Tu non mangi niente, Ronnie?”
Ron storse la bocca.
“Magari, qualcosina, se c’è.”
Ammiccò a sua madre indaffarata e socchiuse gli occhi con immensa gratitudine.
“Ti ho messo un’omelette sul fuoco. Stai attento a non bruciarla. Vado a mandare subito un gufo a vostro padre. Speriamo gli concedano di tornare a casa presto oggi…”
Si dileguò su per le scale scricchiolanti alla ricerca del piccolo Leotordo, chiamandolo a gran voce. Rimasti soli, calò il silenzio temporeggiato dai rumori di stoviglie e dalla masticazione sonora della ragazza.
“Si può sapere cos’hai combinato?” chiese Ginny a bruciapelo.
Ron si alzò mollemente e raggiunse i fornelli. Passando, le strinse la spalla.
“Allora?”
“Un pasticcio, ma tanto ormai era già andato tutto in brodo.”
Rispose lui, scrostando la frittata dalla padella.
“Ci stiamo lasciando. Probabilmente.”
Ginny posò la tazza rumorosamente.
“Che cosa accidenti vorrebbe dire
probabilmente?”
Si voltò a guardare suo fratello. Era occupato a rigirare la frittata che ormai era diventata un grumo bruciacchiato al centro della padella. Sembrava profondamente rassegnato.
Ron si servì il materiale grumoso in un piatto con una porzione generosa di ketchup e si sedette vicino a lei. Ginny, a capotavola, gli puntò il cucchiaino sotto al naso.
“Parla, Ronald.”
“Hermione ha deciso che io non vado più bene per lei. Così ho deciso di lasciarla io per primo.”
“…e?” chiese lei, veemente.
“E stanotte ho dormito con un’altra.” Ammise lui, masticando con disgusto un boccone bruciacchiato.
A Ginny cadde il cucchiaio di mano.
“Stai scherzando, spero.”
“Non mi giudicare. Io… ho bevuto alcol e… Merlino, lei è praticamente il mio capo all’Accademia…”
La teiera fischiò indispettita fino a che Ron si decise ad alzarsi per togliere l’infuso.
“Il tè è pronto.” Borbottò. Le versò il tè nel latte in un tentativo goffo di premura, sporcando irrimediabilmente la tovaglia.
Gratta e netta. Sia maledetto il… beh, meglio di niente.”
Tornò a sedersi e a osservare con costernazione il suo piatto. Si mise le mani fra i capelli. Ginny raccolse il cucchiaino e tornò a mescolare il tè nel latte. Quei minuti furono fonte di incredibili sensi di colpa per Ronald. Alla luce del giorno era difficile accettare quello che la sua coscienza si era buttata alle spalle la sera prima.
“Credo sia un difetto di famiglia.” Buttò lì Ginny, tossicchiando.
Ron alzò lo sguardo immediatamente. La guardò fra le dita, stropicciandosi il viso.
“Però tu almeno avevi una motivazione…” si precipitò a dire lei.
“Hai tradito Harry?” gemette Ron in falsetto.
“Zitto, deficiente. Se ci sente la mamma…”
“Hai tradito Harry?”
“Devo ricordarti che sei stato tu il primo a confessare e cosa?” ringhiò Ginny, piccata.
“Con chi?” si protese sul tavolo, urtando ciotole e bicchieri con le braccia. Lei istintivamente indietreggiò.
“Senti, è complicato. Anche perché è stata una cosa sbagliata e insomma ce ne siamo accorti per tempo e adesso non abbiamo più niente a che fare io e lui.”
Riconobbe chiaramente un lampo di comprensione negli occhi chiari del fratello.
“Quel Corner.” La accusò.
“Cos’è questo tono sprezzante? Non posso credere che venga da te. Voglio dire, Ronald, da che pulpito…”
“Cos’ha Harry che non va?”
Ginny si fece di ghiaccio. Cos’era quella domanda, che senso aveva? Non aveva appena detto anche lui di aver fatto qualcosa di sbagliato? Non si sentiva in colpa? Si credeva forse giustificato?
“Senti, Michael e io siamo stati amici per molto tempo e…”
Si interruppe, osservando lo sguardo carico di tristezza di suo fratello. I suoi occhi grigi erano sporcati dal disprezzo, dalla paura, erano così allarmati. Ron sembrava fuori di sé. Era un’altra domanda che stava ponendo.
Cosa ho io che non va.
Se non va bene uno come Harry, come posso andare bene io.

Ecco cosa passò per la mente di lei, mentre osservava Ron afflosciarsi attorno al suo piatto, sconfitto. Ecco che ricompariva quel lato odioso di suo fratello; lui aveva sempre faticato a credere in se stesso, ed Hermione era stata la prima a credere in lui, a notare lui e solamente lui. Non stava andando in frantumi solamente una relazione, ma tutto il mondo e i castelli di carta di Ron. E lei non ci poteva fare niente. Era colpevole di chissà quale crimine.
Aveva preferito dare una possibilità a Michael, piuttosto che restare fedele a Harry, questo sì.
Al di là del contesto, dei suoi sentimenti, lei stava togliendo a Ron qualsiasi possibilità di salvezza, con il suo comportamento.
Se le cose stanno così
Le salì una rabbia in corpo che trattenne a stento mentre sbatteva il cucchiaio sul tavolo.
“Harry non c’entra niente. Harry è buono e caro, ma non è l’uomo giusto per me e io non posso più stare con lui, non dopo aver capito che ho bisogno di altro.”
Lo disse con un tono così basso e risoluto che stupì anche se stessa.
“Ti è chiaro il concetto?”
“Limpido.” Ribatté subito Ron. “E com’è andata a finire, con Corner?” le chiese, velenoso.
“Michael, si chiama Michael! Male, malissimo. Come doveva finire. Non mi interessa.”
“Bugiarda.”
“Non sono affari tuoi!”
“Si che lo sono! Harry è il mio migliore amico e tu…”
“E io l’ho tradito, IO, non tu! Ora smettila di sovrapporti alle sue disgrazie come se l’intero mondo femminile fosse contro di voi!” sbottò. “Non è colpa di nessuno. Oh, non posso credere che mi sto giustificando con te.”
“Giusto, perché dare spiegazioni alla
feccia di tuo fratello…”
"Piantala."
“No che non la pianto! Devo andare.”
Allontanò da sé il piatto con il grumo di uovo bruciato e si alzò rumorosamente.
“Ron.”
Raccolse rapidamente una giacca dall’appendiabiti – poteva essere solo di Percy, vista la taglia e lo stile ricercato – e si avviò a grandi passi, spostando le sedie, verso la porta aperta sul cortile.
“Ron! Dove stai andando?” chiese Ginny, terrorizzata.
Ecco, stava per espiare tutte le sue colpe per aver voluto rispolverare un vecchio sogno dimenticato nel cassetto.
Ci siamo. È la fine.
“Non ti preoccupare, non dirò niente a Harry. Non voglio toglierti il piacere di dirglielo di persona. Vado a spiegargli perché me ne sono andato ieri sera. Almeno lui capirà. Dì a mamma che avevo da fare.” Fece qualche passo senza voltarsi e si dileguò.
Si era smaterializzato.







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Capitolo 16
*** Nell'occhio del ciclone ***


Dal capitolo precedente:

Raccolse rapidamente una giacca dall’appendiabiti – poteva essere solo di Percy, vista la taglia e lo stile ricercato – e si avviò a grandi passi, spostando le sedie, verso la porta aperta sul cortile.
“Ron! Dove stai andando?” chiese Ginny, terrorizzata.
Ecco, stava per espiare tutte le sue colpe per aver voluto rispolverare un vecchio sogno dimenticato nel cassetto. Ci siamo. È la fine.
“Non ti preoccupare, non dirò niente a Harry. Non voglio toglierti il piacere di dirglielo di persona. Vado a spiegargli perché me ne sono andato ieri sera. Almeno lui capirà. Dì a mamma che avevo da fare.” Fece qualche passo senza voltarsi e si dileguò.
Si era smaterializzato.



38.

Fianco a fianco per Diagon Alley, Harry ed Hermione fendevano la calca. Harry era imbacuccato in una sciarpa di lana rossa e oro poco adatta alla stagione, e continuava ad allargarsela con fastidio mentre a ogni passo Hermione si voltava e gliela sistemava con impazienza. C’era un vento quasi tiepido ad accarezzare la pelle, un dannato sollievo per Harry, che si trascinava teso dietro alla ragazza, come se non avesse scelto personalmente di essere lì, ed effettivamente avrebbe preferito essere altrove; a cercare quei dannati Serpeverde, per esempio. Era l’unica cosa alla quale fosse riuscito ad aggrapparsi dopo la scomparsa di Ginny. Li odiava già, e i sentimenti gli erano parsi ricambiati. Quella schifosa della Greengrass l’aveva preso in giro e lui nemmeno sapeva chi fosse fino al giorno prima. Tutto quell’astio nei suoi confronti…
Sorseggiò il caffè dalla tazza di carta che avevano preso da Florian. Hermione gli aveva davvero pagato il caffè. Non che navigasse nell’oro, lui lo sapeva. Era semplicemente troppo preoccupato per il resto, per rendersi conto di aver appesantito le sue finanze. Si sentì un po’ in colpa, ma si ripromise che le avrebbe pagato il prossimo caffè. Un’occasione avrebbero finito per trovarla, no? Fra un disastro e l’altro…
Avevano appena lasciato Rexford alle cure di Daniel Haroche e, sebbene Hermione fosse certa delle sue qualità di Medimago, avrebbe preferito mille volte essere presente se il ragazzo si fosse svegliato, per cui camminava a piccoli passi svelti, e quasi Harry non le stava dietro. Per qualche motivo lui sembrava particolarmente lento, un po’ confuso, forse preoccupato, e aveva dovuto richiamarlo più volte alla sua attenzione. Quando lei si fermò davanti all’erboristeria cedendogli il suo bicchiere di caffè da asporto – con molta panna e molto caramello –, Harry si arrestò accanto a lei, interrogandola con lo sguardo. Era sospettoso da quando lo aveva addobbato come di un albero di Natale appena prima di uscire, e di certo non era per il freddo.
“Aspettami qui.” Gli rispose lei, facendo scampanellare la porta.
“Herm, un attimo.” Le tese il portafogli, che lei spinse indietro più volte, prima di accettarlo per accelerare le cose. “Per il caffè. Dai.”
“Torno fra un attimo.”
Harry non si scompose, e attese svogliatamente che facesse ritorno con una busta di carta piena di ingredienti freschi. Lei frugò e gli offrì un tubo di pomata. Lui scoppiò a ridere. Era una specie di crema coprente per le cicatrici.
“Sul serio? L’ultima volta che ho controllato non avevo più brufoli da almeno sei anni.”
“È per la tua voglia, Harry.” Borbottò lei, arrossendo. Harry non aveva nessun brufolo, naturalmente. Era solo terribilmente pallido, ma lo era sempre stato.
“Ti ringrazio, non credevo di averne bisogno…”
La buttò sul ridere. Hermione a volte era fin troppo premurosa.
“Mi aiuti tu? Non so nemmeno dove diamine sia questa voglia.”
Lei gli fece cenno di sì. Lo spinse in un luogo un po’ più appartato, dove la gente non li avrebbe urtati se fossero stati fermi in mezzo alla strada.
“Togliti la sciarpa.”
“Grazie al ciel… ah, che mani fredde!” esclamò, sobbalzando.
“Vedi di stare immobile.”
“Stavo soffocando con questa sciarpa. C’è veramente caldo oggi. Sai, la signora Weasley è tanto cara, ma… la lana mi fa prudere un sacco. Non mi è mai piaciuta.” Borbottava così serenamente che lei, a una spanna dal suo viso, sorrideva sotto i baffi.
Quando Harry abbassò lo sguardo e trovò il suo naso a punta così vicino, si sentì un po’ strano. Come se non fosse
giusto esserle tanto vicino. Ma non osò allontanarsi. Rimase fermo, a disagio, mentre lei gli picchiettava il collo con i polpastrelli e manteneva una dura espressione corrucciata.
“Ecco fatto. Dovrebbe bastare fino alla tua prossima doccia. Mi raccomando, rimettila frequentemente, non posso fare niente di più per te. La pozione ha bisogno di almeno due settimane per maturare.”
Alzò lo sguardo accigliato e trovò Harry occupato a studiare il suo viso. I suoi occhi avevano una sfumatura chiaramente diversa. Come un riflesso vitreo, ed era assurdo non averlo mai notato prima.
Fece per allontanarsi di scatto, ma lui la precedette, e la spinse al muro, la bocca tanto vicina alla sua che sentì l’alito caldo solleticarle la pelle. Sembrava avesse l’intenzione di… baciarla?
“Harry, che cosa stai…” sbottò subito.
Harry parve sovrappensiero. I suoi occhi tornarono di color verde bottiglia. Gli occhi buoni di Harry. Harry il suo migliore amico. Harry il buono. Harry?
“Harry?”
“Uh. Scusami, Hermione.”
“Andiamo, presto, prima che…” lo agguantò per la giacca, ma lui rimase fermo, e lei, ancora intrappolata, dovette restare ad ascoltarlo.
“Senti, Hermione.” Disse, come se non fosse successo niente, “Non è che mi spiegheresti la faccenda? Perché io personalmente non ci vedo niente di male ad avere una voglia sul collo. Non mi sembra che sia chissà che diavoleria malvagia… ma non vorrei sbagliarmi. Non è una specie di marchio, vero? Mi hai fatto preoccupare.”
Hermione, ancora turbata, rispose con un filo di voce:
“La voglia è l’espressione fisiopatologica di un tuo desiderio recondito, che sembra essere legato a un qualche incantesimo, perché altrimenti non si manifesterebbe – ne esistono di diversi colori, a seconda del tipo di desiderio. È un’aberrazione, ovviamente, altrimenti saremmo tutti cosparsi di macchie fino a diventare multicolore: appare solo sulla pelle delle persone che soffrono di un bisogno… impellente… e non lo risolvono per bene, ovvero che tentano di usare la magia in modo improprio… per esempio…” e si fermò, non aveva preso fiato fino a quell’istante. Arrossì vistosamente. All’improvviso il comportamento di Harry le era parso più chiaro. Poverino, per prendersela con lei non doveva più avere il controllo sulla sua mente…
“Per esempio?” la incalzò lui, avvicinandosi un po’ di più, senza rendersi conto di tenere in una morsa stretta entrambi i suoi avambracci fra le mani.
“Per esempio, se tu cercassi di, uhm, ignorare con delle pozioni amnesiache i tuoi sentimenti per una ragazza, o se prendessi delle pozioni soporifere per dormire e non pensarci troppo, o se tentassi di infatuarti di un’altra con la magia…”
“Ho capito.”
Harry si allontanò in preda a un fremito profondo. I suoi sogni ricorrenti! Mentre Hermione tirava un sospiro di sollievo, lui prese a camminare avanti e indietro, con le sopracciglia contratte e le labbra assottigliate in un’espressione di astrazione analitica. La ragazza si spostò un ciuffo disordinato dalla fronte e portò la mano alla bocca per mordicchiarsi le unghie. Vedere Harry così sovrappensiero… era chiaro. Lui doveva sapere cosa gli stava succedendo, ma, sebbene l’argomento fosse parecchio imbarazzante, Hermione sentì una punta d’inquietudine e di offesa: era la prima volta che non parlava con lei per confidarsi. E se avesse avuto dei problemi con Ginny? No, impossibile… le era sembrato così innamorato, quando avevano parlato di lei. E così preoccupato… Harry interruppe il filo dei suoi pensieri, avvicinandosi di nuovo, con gli occhi alla stessa altezza dei suoi.
“Hermione, c’è altro che dovrei sapere?”
L’urgenza nella sua voce confermò ogni suo dubbio.
“Sì. Tutta la comunità magica sa cosa significa. È meglio non essere visto in giro con quella roba.”
“Cosa rappresenta il rosa?” le chiese, con un accenno di timore, mentre le guance gli diventavano porpora.
Lui sapeva.
“La passione inespressa.”
“Ridicolo.”
Harry scoppiò a ridere in modo leggero, mentre gli angoli delle labbra tornavano invece rapidamente a piegarsi verso il basso. Ora fissava la sua migliore amica come a soppesare quanto lei potesse aver indovinato dei suoi pensieri. L’imbarazzo era tale da spingere entrambi a guardare altrove. Hermione si decise a muoversi per prima, quel siparietto era durato fin troppo, gli diede una spinta sul petto e scartò a destra, facendogli cenno di seguirla.
“Avanti, non c’è tempo da perdere.”
“Cosa vorresti dire?”
“Che quella macchia diventerà sempre più grande, fino a farti diventare rosa dalla testa ai piedi, e poi rosso. E tu non vuoi che il mondo intero sappia che sei sessualmente frustrato.”
“Cos…”
Lei lo prese per mano e si smaterializzò.

Una volta davanti alla porta di casa, Harry comincio a trafficare con le chiavi. Aveva la testa altrove. Doveva assolutamente capire chi aveva instillato quei maledetti ricordi nella sua mente. Per colpa di quella persona, stava rischiando la salute mentale.
Hermione, dietro alle sue spalle, gli regalò un’occhiata sconsolata. Era così agitata per quella faccenda. Com’era potuto succedere? Ora avevano un mucchio di cose a cui pensare: Ginevra scomparsa, Harry in preda a chissà quale ossessione di cui non voleva sapere assolutamente nulla, il ragazzo francese fra i piedi, l’auror Grant più di là che di qua sul divano di Harry e la possibilità di scovare i colpevoli, e non ultimo quel disgraziato del suo fidanzato…
Il suono delle chiavi nella toppa la fece abbandonare contro la parete dell’antro: una volta aperta, avrebbero avuto un miliardo e mezzo di cose da affrontare, e lei non aveva la più pallida idea di quale sbrogliare per prima.
All’ultimo scatto nella toppa, però, il ragazzo si voltò e la sorprese a guardarlo preoccupata.
Vide i suoi pensieri volare via e lasciare spazio all’espressione assillante di Harry.
“Hermione, stai tranquilla.”
“Oh, non dirmi di stare tranquilla Harry Potter.” Alzò gli occhi al cielo.
“Che cosa c’è, adesso?” si apprestò a dire lui, che cominciava a sentire puzza di litigata.
“Ne hai parlato con qualcuno, Harry?” sbottò lei, stupendo anche se stessa.
“Di che cosa?”
“Non fare il finto tonto con me.”
“Ok, sì Hermione.” Replicò lui, con gli occhi che saettavano per evitare il suo sguardo “Con Ron. E gli avevo detto di non parlartene. Non prendertela con lui. È colpa mia.”
Penoso.
Facevano ancora comunella alle sue spalle come dei ragazzini. E lei aveva anche il coraggio di preoccuparsi per loro! Hermione, su tutte le furie, smise di rivolgergli la parola, gli prese di mano la chiave ancora nella toppa e girò, poi spalancò la porta e si premurò di darle una spinta per chiuderla proprio mentre entrava Harry.
“Non puoi prendertela perché ne ho parlato con lui, Hermione! Dai, per favore! Non sarai mica…”
“Gelosa?” si voltò a fulminarlo lei.
Certo che lo era. Come poteva pensare di affidarsi a Ronald e non a lei? Pensava che lui avrebbe trovato una pozione? Che avrebbe anche solo
cercato una pozione? Quell’indicibile gnomo da giardino, quell’insofferente babbeo, quel…


“Ehm, ragazzi…”
Daniel, con i capelli biondi arruffati che sbucavano da un berretto e un sorriso radioso stampato in faccia uscì dalla cucina e cercò di intromettersi, con le mani aperte e volte verso di loro, in segno di pacificazione. Harry stava per dirgli che ne aveva abbastanza sia di lei che di lui, che del ragazzo più morto che vivo sul divano, ma si fermò come se qualcuno avesse premuto il tasto stop. Smise perfino di respirare. C’era qualcuno nascosto dietro il mago francese.
“Ciao Harry.”
“Ginny…?”
Si precipitò a stringerla, scansando Daniel come un fantoccio. Le stampò una scia infinita di baci sulle labbra, preso com’era dall’emozione, ma avvertì rapidamente che qualcosa non andava, e sentì l’entusiasmo scemare bruscamente.
“Ron è stato qui, ma aveva da fare in Accademia, Harrì.” Intervenne Daniel, cercando di farsi piccolo piccolo.
Hermione, da lontano, osservò le spalle di Ginny sciogliersi quasi istantaneamente. Si avvicinò e guardò a lungo l’amica negli occhi; le prese le mani e le strinse. Si guardarono a lungo, senza una parola, e si abbracciarono.
“Mi dispiace di non essere tornata subito. Ho avuto dei problemi… e ho dovuto risolverli. Tutto qui. Sto benone.” Non era del tutto vero. Si stringeva i gomiti nelle mani in maniera spasmodica, e si torturava le labbra guardandoli tutti negli occhi a turno. Harry sembrava non vedere altro che Ginny. Il suo sguardo, tuttavia, l’attraversava senza fermarsi. Nessuna rifrazione. Pareva confuso.
“Ti spiace spiegare?”
“Preferirei parlarne con te in privato.”
Harry lanciò un’occhiata al francese.
“E va bene. Daniel, scommetto che non vedi l’ora di tornare in Brasile? Andiamo in Accademia a chiudere il caso. Ci sono pattuglie, oltre alla nostra, che stanno lavorando senza sosta e, ecco, insomma, Ginny è visibilmente qui. Voglio dire…”
“Ho già preparato le mie cose.”
“Ottimo… Ginny, io… mi aspetterai qui? Insieme a Hermione?”
Lanciò un’occhiata fulminea all’amica che annuì risentita, prima di ricordarsi il motivo della loro litigata.
“Hermione, per la, ehm, cosa… di cui parlavamo prima.”
“Me ne occuperò stasera a casa. A meno che tu non voglia farlo sapere a tutto il mondo.”
Suonava tremendamente come una minaccia, così Harry salutò frettolosamente Ginevra, ancora incredulo, e fece strada a Daniel Haroche per condurlo finalmente fuori dai quattro muri del suo appartamento.


39.

Il Ministero della Magia brulicava di gente, lavoratori impettiti di ogni sorta, stormi di messaggi svolazzanti, ed era intimamente concorde alla sua versione precedente l’avvento del Signore Oscuro. Che la tranquillità fosse tutta scena, comunque, era difficile a dirsi.
Forse era più facile tornare alla normale quotidianità per la maggior parte delle persone.
La vita doveva andare avanti. Alcune categorie di maghi, soprattutto quelli meno fortunati, avevano accettato di buon grado la fine della psicosi, e l’idea che un potente mago “bianco”, come il giovanissimo Potter, fosse pronto a sacrificarsi contro la sua nemesi e a sconfiggerla era tutto sommato accattivante. Risaltavano fra gli altri perché indossavano, in segno di rispetto e gratitudine, un indumento qualsiasi di color verde smeraldo, e poteva trattarsi di una sciarpa elegante come di un vistoso cappello di velluto.
Non fu difficile immettersi nella mischia, ma il fiume di corpi non si fermava mai, soprattutto verso le undici del mattino, l’orario dell’imprescindibile pausa caffè. Era da anni che Seamus non metteva piede nel centro nevralgico del mondo magico. Era basso, tenace, avanzava a spalle larghe e con la testa bassa, ma sembrava impossibile andare contro la corrente. Dopo qualche spintone si decise a mettersi in disparte per osservare una pergamena stropicciata, masticando parole colorite. Non si accorse che qualcuno lo aveva seguito fino a quell’istante e cercava di attirare la sua attenzione.
“Cerchi qualcosa?”
Il signor Weasley, alto, stempiato, con una piccola spilla verde a forma di quadrifoglio appuntata nella veste da mago, gli sorrideva con garbo. Seamus lo trovò tremendamente invecchiato. Perfino il suo sorriso sembrava tirato in una ragnatela di piccole pieghe carnee.
Spiccavano, nel pallore del viso, i suoi occhi grigi, incredibilmente luminosi. Ridevano. Ricordavano tremendamente quelli di Ron, e un istante dopo quelli dei gemelli Weasley, in un modo familiare, tenero e un po’ amaro.
“È così bello incontrarla, signor Weasley! Come sta? È un pezzo che…”
Un leggero tremolio della voce passò inosservato nel suo sincero entusiasmo.
Seamus si zittì, imbarazzato. “Mi dispiace, io… dopo tutti questi avvenimenti…”
“Finnegan, rilassati. È una giornata bellissima, oggi.” Lo prese per le spalle e gli tolse la pergamena di mano, osservando con le sopracciglia corrucciate una serie di indicazioni scritte da qualcuno che doveva aver avuto molta fretta. “Lascia che ti accompagni. È per di qua. Devi sapere, ragazzo, che mia figlia è tornata a casa da sola. Non so se mi spiego.”
A Seamus quasi cadde la mandibola.
Stava per congratularsi, ancora scioccato, stupefatto, quando il mago lo spinse in una stanza senza preavviso.
Il ragazzo starnutì convulsivamente, guardandosi attorno. Sembrava un ripostiglio molto, molto polveroso.
“Ginny! E… sta bene?”
“Sembra che stia bene. Ho avuto il permesso di tornare a casa oggi, pare che sia arrivata stamattina presto. Probabilmente organizzeremo una piccola cena, niente di che, stasera, con Molly e i ragazzi. Vorresti passare a salutare qualcuno?”
Seamus non ci pensò due volte.
“Ma certo!” disse, ancora leggermente a disagio.
Si guardava attorno, ma il signor Weasley non dava segni di volergli spiegare il perché del luogo in cui si trovavano. Sembrava felice in un modo quasi folle. E se non volesse veramente aiutarlo? E se avesse capito qualcosa, se Seamus si fosse fatto sfuggire involontariamente qualcosa? Cosa gli avrebbero fatto?
“Tranquillizzati, ragazzo. Non dirò a nessuno che sei venuto qui. Stai cercando qualcosa che non dovresti, e tu lo sai.” Gli disse, grave, il signor Weasley.
I suoi occhi non ridevano più.
“Si, io… ehm.”
“So che sei stato accettato all’Accademia. Riguarda un’inchiesta?”
“Eh… si, proprio così, signore.”
“Facciamo così, dato che non mi dispiacerebbe vederti dare un paio di calci nel sedere a Ronald – giusto educativi, sia chiaro – e a Harry, ti darò una mano. Prometti che non ne parlerai con nessuno?”
“Certamente.”
“Allora affare fatto. Non una parola, intesi?”
“Chiaro.” Ridacchiò nervosamente.
Il signor Weasley puntò la bacchetta sulla pergamena e gli scarabocchi divennero una mappa perfettamente leggibile dei sotterranei del Ministero. Il sollievo si fece strada nel cuore di Seamus.
“Grazie davvero, non so come ringraziarla.”
“A stasera.”
Il signor Weasley uscì per primo dalla stanza. Seamus si ritrovò solo con la mappa fra le mani. Adesso, doveva sbrigarsi.

40.

Harry, ancora sotto shock per aver rivisto Ginny, lasciò Daniel in balia degli Auror, che si prodigarono a trovare un modo per rispedirlo in missione il più rapidamente possibile. Imboccò così solo le scale per il piano terra dell’Accademia con un passo galoppante. Gli era parsa così cambiata, così… lontana. Forse, se possibile, ancora più selvatica. Probabilmente non si era più tagliata i capelli. Sembrava in forma, non più deperita della volta precedente, in cui era tornata dal Brasile per una breve pausa e doveva aver perso almeno sei o sette chili. No, aveva le guance colorite, la bocca stretta in una smorfia indignata, e quei suoi occhi erano tristi e in tempesta. Quasi non si accorse del bolide che avanzava verso di lui salendo le stesse scale: lo scansò all’ultimo, riconoscendo Seamus sotto al cappuccio.
“Ehi, amico.”
“Seamus, che ci fai qui?”
Si fermarono, entrambi, a qualche scalino appena di distanza, prima dell’urto. Harry rimuginò rapidamente sulle possibili ragioni della presenza della nuova recluta ai piani alti, ma non trovò assolutamente niente. Strano.
“E tu, che ci fai qui?” contro-domanda.
Nascondeva qualcosa.
“Ginny sta bene, ci aspetta a casa. Sto andando proprio a raggiungerla, ho solamente dovuto avvisare le varie pattuglie.”
“Oh. Grandioso. Capisco.”
“Grandioso? Seamus, che ti prende?”
“Niente, amico. Devo proprio salire. Mi ha convocato Dawlish. Mi scuserai con Ginny se passo a salutarla un altro giorno, ora devo andare.”
Harry si materializzò immediatamente davanti alla porta di casa, in preda a dubbi infimi come serpenti in una cesta: cominciò ad avere un gran mal di testa. Troppi intrecci, troppi ostacoli.
Gli aprì Ginevra.
“Harry.”
“Ginny.”
Si chiuse la porta alle spalle, indietreggiando, prendendole la mano e attirandola verso di sé.
“Come stai?”
Lei non oppose resistenza, ma non si avvicinò più di tanto. All’improvviso, cominciò a tremarle il mento.
“Mi dispiace tanto, Harry. Sono un mostro.”
Si infilò sotto alle sue braccia e lo strinse, aggrappandosi alla maglia, singhiozzando in silenzio. Harry alzò lo sguardo e trovò quello di Hermione. Sembrava estranea a ciò che aveva davanti, i loro corpi intrecciati, i lunghi capelli di rame che brillavano sotto al faretto dell'ingresso, l'appendiabiti triste e appesantito accanto a loro, il muro bianco, tetro, la luce che sporcava ogni cosa in prospettiva: ricambiava la lunga occhiata senza voce, e Harry si sentì a sua volta spettatore. Chi erano loro? Chi era Ginevra Weasley, oggi? Chi era Harry Potter, il ragazzo sopravvissuto, il Marchiato, il frustrato con le voglie violacee? E chi era quella damigella che li guardava, da dietro la frangia tutta onde, con un’espressione emozionata e senza tempo?

41.

“…Corner si è costituito.”
“Chi diamine è Corner?”
“Un ex Corvonero del mio anno scolastico. Sarà sottoposto a giudizio la settimana prossima.”
“Per?” lo incalzò il ragazzo, con una voce un po’ nasale, in uno scatto rabbioso, da dietro la maschera.
“Pare che avesse dei contatti a Notturn Alley. È un lavoratore stagionale, si occupa di materie prime e rifornisce erboristi e fattucchieri di bacchette un po’ dappertutto. Pare che quegli stessi contatti lui non li abbia mai denunciati, pur avendone la possibilità, e ora dovrà spiegare perché, visto che è venuto tutto a galla quando è esploso Magie Sinister’s. Era un tipo a posto, a scuola. Frequentava molto Ginevra Weasley, ma non saprei dire se fossero in contatto già prima del viaggio in Brasile.”
“Potrebbe interessarci sapere anche questo.”
“Ah davvero?” Seamus cominciò a perdere la pazienza. “Sentite, non mi piacciono granché i vostri modi.”
“Ci sta minacciando? Ci sta minacciando.”
“Ti sbagli, non mi interessano i conflitti, ma non mi fanno paura. Voglio solo farla pagare a chi è dietro a tutto questo.”
“Il giustiziere di Godric.” Lo canzonò l’altro.
“Falla finita, muso oblungo. C’è altro che vorreste sapere o no? Ho da fare.”
“Sì. Cosa ne pensa Dawlish?”
Seamus fremette, ma non rischiò:
“Dawlish ha collegato un paio di piste a Londra con il traffico sud americano. È convinto di sapere chi ci sia dietro, ma non me l’ha voluto dire esattamente. In effetti, chiacchierare di dossier confidenziali con una recluta neonata con una manciata di giorni di servizio alle sue spalle ha dell’inverosimile. Spero che ne siate entrambi coscienti.”
“Va bene. Noi dobbiamo restare discreti per qualche tempo, non vogliamo destare sospetti in qualche mente particolarmente debole e bacata, e mi riferisco ai tuoi amici ficcanaso. Fai in modo che non succeda, e tutto andrà come si deve. Ci aggiorniamo non appena avrai nuove notizie.”
“Come vi contatto?”
“Ti contatteremo noi.”
“Alla prossima.”
Seamus si calò il cappuccio e uscì dal vicolo buio. Apprezzò la luce giallastra dei lampioni, un po’ meno il vento che lo investì. Quella sera sarebbe tornato a casa a piedi: avevano convenuto così, e poi aveva molte cose a cui pensare.



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Capitolo 17
*** Troppo di tutto ***


Dal capitolo precedente:

"Noi dobbiamo restare discreti per qualche tempo, non vogliamo destare sospetti in qualche mente particolarmente debole e bacata, e mi riferisco ai tuoi amici ficcanaso. Fai in modo che non succeda, e tutto andrà come si deve. Ci aggiorniamo non appena avrai nuove notizie.”
“Come vi contatto?”
“Ti contatteremo noi.”
“Alla prossima.”
Seamus si calò il cappuccio e uscì dal vicolo buio. Apprezzò la luce giallastra dei lampioni, un po’ meno il vento che lo investì. Quella sera sarebbe tornato a casa a piedi: avevano convenuto così, e poi aveva molte cose a cui pensare.”



42.

Ron sedeva nella poltrona del piccolo salotto di Hermione. Si rigirava stancamente una scatolina fra le mani: tanti sacrifici per niente. L’apertura a scatto, che lui fece scricchiolare ripetutamente fino al tintinnare delle chiavi sulla porta, lasciava intravedere un anello magro di argento purissimo, dotato di un diamante circondato da una corona di minuscoli zirconi.
Hermione entrò e appoggiò sul tavolo una busta di tela piena di bottigliette e barattoli di vetro da erborista che richiamarono definitivamente Ron al momento presente.
Era venuto per chiarire: si fronteggiarono.
Hermione abbassò lo sguardo, stanca. Si avvicinò e gli accarezzò i capelli, spazzandoli ai lati, sulle tempie, con un sospiro così pesante da far vacillare la determinazione di Ron.
Si capirono.
Non ci fu bisogno di parlare.
Ron fece scomparire in tasca la scatolina con un gesto tanto indifferente da eludere l’attenzione della ragazza. Hermione si slegò i capelli e appoggiò il fermaglio sul tavolo; cominciò a svestirsi per indossare qualcosa di più comodo. Si tolse i piccoli orecchini che portava e si allontanò, andando nel loculo che era la sua camera da letto. Era ormai in intimo, con la sola canottiera morbida a coprire le sue timide forme. Si lasciò sfuggire un altro sospiro. Che cosa doveva fare? Da dove cominciare? Perché doveva essere sempre tutto così complesso, così pesante? Non aveva voglia di litigare. E nemmeno Ron sembrava averne voglia. Come l'aveva guardata, qualche istante prima... la fece rabbrividre e scuotere vivamente la testa. C'era tanta colpevolezza nel suo sguardo da farle pensare al peggio. Eppure, i suoi occhi grigio-azzurri l'avevano rimirata per l'ennesima volta come se fosse un bellissimo fiore sbocciato per caso nel proprio giardino mal curato. Nessun altro l'aveva mai guardata in quel modo. Era di questo che si era innamorata? Dell'impressione di essere amata? Fisicamente Ronald era un bel ragazzo. La risolutezza e gli anni avevano dato un senso a quelle sue ganciotte morbide. Era attraente, non fosse che per il suo aspetto fisico. Ma era anche sempre stato uno da prima linea. Volente o nolente: anche nei momenti peggiori, avevano combattuto fianco a fianco: come non apprezzare il suo coraggio? L'unico suo limite, in senso stretto, era il legame profondo che lo aveva sempre legato alla sua famiglia. Non era il massimo, per un suicidario alla ricerca degli Horcrux. Non aveva niente che non andava. Non si soffermò a pensare ai suoi difetti, perché dopotutto, ognuno ne ha una bella collezione personale, e i suoi di certo non erano da meno. Il gioco era tutto lì: far combaciare gli sfregi dell'anima. Ci avevano provato, ma provato davvero. Sentiva di aver veramente provato a dargli tutta se stessa; forse non sempre, magari solo in qualche momento speciale, in quelle giornate difficili da dimenticare in cui ci si avvicina tanto gli uni agli altri da sentirsi una cosa sola. E lui, di certo, di più non avrebbe potuto darle. Lavorava e studiava, l'aveva sempre rispettata, tenuta in considerazione, aspettata con pazienza, mai dimenticata del tutto nonostante le distanze o le difficoltà, sia quelle intromessesi man mano nello srotolarsi del filo della vita, sia quelle che lei stessa si era vista erigere a mo' di barriera. Lui non aveva niente che non andava. Semplicemente, non doveva essere suo. Ricordava ogni momento in cui si era sentita vicina a lui, e non si raccapezzava dei pezzi di puzzle sbagliati che aveva, ad oggi, fra le mani. Le era piaciuto far parte della sua famiglia, stringere sua sorella e sentire in fondo al cuore di essere legata a lei dal loro rapporto. Le era piaciuto frequentare quel ragazzo timido e impacciato, che non sapeva vendersi bene, ma che non esitava mai nel dire quello che pensava, e anche con un certo ardore. Anche la forma di cliché in cui era caduta vittima del suo cuore, qualche anno prima: l'amicizia che si tramuta in qualche cosa di più intangibile e inspiegabilmente più potente e più affascinante. Era stato bello.
E ora non lo era più. C'era solo lei, nel suo mondo. Sola, abbandonata perfino da se stessa. Un'infanzia regalata agli altri, e l'esistenza stessa così superficiale che negli ultimi anni le era sfuggita di mano e l'aveva lasciata con un pugno di mosche. Perso Ronald, che cosa le rimaneva per stringere i denti, andare avanti, ancora e ancora e ancora? Non si rendeva conto di quanto fossero malati i suoi pensieri, turbinosi, ricorrenti, malati e impietosi. Forse biasimava Ronald, perché lui era riuscito ad amare quell'essere che lei non era in grado di apprezzare: se stessa.
Era così stanca di tutto quanto che accarezzò intimamente l’idea di un riposo eterno.
Sobbalzò appena quando, inaspettatamente, si sentì abbracciare da dietro. Ron la cullò qualche istante, e lei lo lasciò fare. Sentiva dolore, dolore e fastidio, e nostalgia, e un indefinito moto di affetto. Quando le mani di lui scesero sui suoi fianchi, capì. Capì dal modo inequivocabile in cui si mossero, con una certa dose di determinazione, di virilità, che c’era un non-sapeva-che di nuovo, così come capì che non era un buon segno.
Eppure lo accolse, forse sentendosi veramente coinvolta per la prima volta in tutti quegli anni. Coinvolta, perché quando si percepisce l’inizio della fine, riesce più facile donarsi, dedicarsi, lasciarsi andare. Ron si sedette sul letto e lei si accovacciò su di lui per stringerlo al petto. Ron rispose con ardore a ogni suo movimento: guidava lei, come sempre, eppure era così diverso. Ron la baciò in ritorno, sgomento, e sentì il trasporto che ci metteva lacerargli il cuore definitivamente. Hermione gli stava dando tutto, a cuore aperto, senza una remora, ignorando gli abiti sconvolti, i segni sulla sua pelle - errori di scalpello da parte di una qualche dilettante sulla sua pelle marmorea - e quel suo nuovo odore dolciastro. Hermione lo stava amando, tutto, dalla testa ai piedi, da quella sua nuova pelle alle più nere profondità in cui pensava di essersi ormai perso.
Era troppo, troppo per lui. Troppo per i suoi sensi di colpa. Il suo cuore Grifondoro ruggiva sotto alle stoccate di una battaglia interiore.
Successe proprio così: fecero l’amore, forse per la prima volta. Non riuscirono a concentrarsi sul tempo, persero la cognizione, la sensazione predominante era quella di stare per essere schiacciati fra due muri.
Ron le baciò ogni parte del collo, e lei non smise di accarezzargli il volto. Si stavano salutando. A modo loro, come potevano, come riuscivano: senza urlare, senza odiarsi, senza riuscire a spiegarsi.

Hermione infilò la testa nella canottiera, e poi in una maglia con il collo alto, sentiva terribilmente freddo. Si alzò per recuperare gli altri indumenti precedentemente scalciati in fondo al letto.
“La tua voglia è scomparsa.”
“Scusa?”
Si voltò, guardando Ron ancora nudo, vestito delle sole occhiaie e di una serie di ematomi di cui lei non era l’autrice. Il nulla. Un silenzioso boato in fondo alla gola. Non si chiese nemmeno di chi potessero essere. Di chi fosse Ron, adesso. Forse, per la prima volta, Ron era di Ron e nessuno se ne stava approfittando impropriamente.
“Sulla natica destra. Avevi una voglia. Non c’è più.”
“Non so di cosa tu stia parlando.”
Si affrettò a infilare l’intimo. Era distrutta. Voleva dormire, dormire e non svegliarsi più.
“Tornerò a recuperare le mie cose, per adesso non parliamone con gli altri. Non voglio impensierire i miei.”
Ron esitò qualche istante sulla porta, finendo di chiudersi i pantaloni con la cintura. Le scoccò un’ultima occhiata: lei si era seduta al centro del letto, a gambe incrociate, rinchiusa nel suo stesso abbraccio, come a proteggersi. Una volta vestito, semplicemente uscì, chiudendosi definitivamente la casa di Hermione alle spalle, e si smaterializzò.
Non c’era stato bisogno di dirsi addio.
Hermione avrebbe tanto voluto essere un’entità unicellulare flagellata, come quelle che aveva studiato aprendo qualche libro di biologia Babbano, per non ricordare di aver visto le tracce di un’altra su quello che era il suo fidanzato. Ormai non più. Era finita. Non poteva crederci. Non pensava che sarebbe successo così in sordina: aveva sempre saputo, però, che sarebbe successo.
Ma come poteva esserci tutto quel silenzio attorno a lei? Lentamente cominciò a piangere, e il rimbombo dei suoi singhiozzi finì per chiamare Grattastinchi, che si acciambellò sulle sue gambe. Le lacrime rotolarono sulle guance, caddero sul pelo del gatto e rotolarono nuovamente fino alle coperte. Come era possibile non odiarlo più?
Perché lui non aveva tentato di spiegarsi?
“Hermione, ho fatto un errore, vorrei aggiustare tutto, continuare a stare con te.”
Sarebbe stato molto più normale.
Chi può essere così malato da dire addio facendo l’amore?
Chi può essere così stolto da non tentare nemmeno di parlare, di giustificarsi?
Lui sapeva che lei avrebbe visto tutto. Le scie dei baci di un’altra strega. L’impronta forte, lontana, non più sua, che costei aveva assestato alle dita di Ronald.
Lei sapeva che lui
sapeva.
Ma sapeva anche che non l’avrebbe ferita? Aveva agito in scienza e coscienza?
E perché lei non ne soffriva? Che razza di stregoneria. Perché era una liberazione, pensare di non condividere più niente, dopo aver condiviso tanto?
Perché la sofferenza derivava esclusivamente dall’idea di fallimento totale che le pervase l’anima?
“Oh, Grattastinchi. Mi ha tradita, mi ha tradita e a me non importava nulla!” Lo sollevò da dietro le scapole, portando il muso all’altezza del viso “Nulla… cosa ho che non va, dimmelo. Dimmelo tu, tu lo sai cosa non va in me. Dimmi che cosa ho fatto di male.”
Il gatto soffiò infastidito.
“Hai ragione. È colpa mia. Non mi basta mai quello che ho. Non sono…
non sono capace di essere felice.”
Provò disgusto per se stessa. Hermione Granger odiava Hermione Granger. Si sentiva la Madame Bovary del mondo magico. Ricordava quando aveva letto quel libro:
il più mediocre libertino ha sognato sultane; ogni notaio si porta dentro le macerie di un poeta.
Cosa non andava in lei, per essere riuscita a odiare l’unico uomo che l’avesse mai amata, tanto da spingerlo a rifugiarsi fra le braccia di un’altra ?




43.
“Siete due pazzi.”
“Finnigan, risparmia il fiato per quelli a cui interessa il tuo parere.”
“Come potete pensare che io riesca a coprirvi le spalle mentre stanate un ex carcerato a Diagon Alley? Non vi sembra un’operazione masochistica? Guardate che ho scritto in fronte nuova recluta!”
“Se vuoi saperla tutta, Finnigan, avete anche un incantesimo appioppato sul coppino: seguono ogni vostra mossa, in Accademia. Non siete mai soli. Capisci, quindi, quanto sia importante il tuo intervento sotto copertura? Sei il nostro
diversivo.”
“Non mi sembra di avere molte alternative!”
“Perché non ce ne sono, lo vuoi capire?” la ragazza, sporgendosi sul tavolino dal divano in cui era seduta, lo rimbrottò facendolo sentire come un bambino fra gli adulti. “Chi vuoi essere veramente? Chieditelo, Finnigan. Sono domande importanti, nel caso in cui tu non te ne sia ancora accorto." L'ardore lasciò trasparire quanto le sue convinzioni fossero la cosa più importante alla quale fosse riuscita ad aggrapparsi, pensò Seamus. Lei viveva per servirle. La sua animosità smosse qualcosa, in fondo al petto, facendolo ruggire: certo che ci aveva pensato, a chi voleva essere, a che posto prendere, quali ideali seguire. Aveva sacrificato tutto, per quel dannato posto in Accademia. E adesso? Lei, in un impeto gli afferrò il polso: "In questo mondo, il tempo è la misura più grande che c’è dell’ingiustizia che regna fra le persone. Lo senti? Tic, Tac, Tic? Non possiamo perdere tempo a vivere, mentre la feccia striscia nel buio e fa i suoi danni! O preferisci fare la marionetta nel teatrino per bambini che ti propinano in Accademia?”
Lei sapeva quello che faceva. Seamus sentì l'elettricità scorrere fra di loro, unirli in un qualche modo insperato, ma ancora era tremendamente diffidente, soprattutto per lo sguardo vigile che li scrutava dietro alla maschera dall'altro lato del tavolino. Lei lasciò la presa, senza abbassare lo sguardo da quello di Seamus. Lo stavano guardando, forse speranzosi. Guardavano lui. Lui che era stato solo un ombra, fino a qualche giorno prima. Come era potuto succedere? Come era diventato, improvvisamente, così
interessante? Così utile?
“Ribadisco, siete pazzi.” Seamus si mordicchiò l’unghia del pollice. “Ma non mi tirerò indietro. Io voglio esserci. Devo esserci.”
“Certo che devi esserci.” Soggiunse il ragazzo, da dietro la maschera.
“Gli Auror sono troppo lenti. Devono passare per un labirinto legale che intrappola e non perdona: quand’è stata l’ultima volta che hai sentito la figlia di Charity Burbage?” La voce di lei si ridusse a un sussurro.
Seamus cominciò a tremare violentemente.
“Come fate… come fate a sapere di lei?”
“Sappi solo questo: non si è ancora mosso nessuno, del Ministero, per sbrogliare la faccenda. Quella ragazza è orfana, senza giustizia dalla sua parte, senza amici, senza pezzi grossi, la situazione rimarrà invariata. Lei non sa chi ha assassinato sua madre! Forse non lo saprà mai. Follia. Non ti pare?”
“Cosa sapete voi invece?”
Da dietro le maschere si scambiarono uno sguardo piuttosto rapido. Seamus saettò da uno all’altro, in attesa di una risposta.
“Abbiamo una traccia di lei. Margaret Burbage.”
“Non voglio sapere dov’è. Non ve l’ho chiesto. Io vi ho chiesto…”
“Te lo diciamo, in caso tu voglia partecipare alla missione. Anche perché le piste che stiamo seguendo ci portano esattamente nello stesso posto in cui pensiamo si nascondano quei bastardi di Ghermidori: Diagon Alley.”
“Cosa sapete di me e di lei?” Seamus impallidì all’idea di essere stato spiato. Ma che razza di maghi erano quei due?
“Oh, nulla. Abbiamo controllato gli annali di Hogwarts, mentre facevamo ricerche per il caso Burbage e fra una cosa e l’altra è risultato dai registri che tu frequentassi spesso quella casa durante le vacanze scolastiche. Eravamo pronti, settimane fa, a venire a interrogarti, ma ci sono stati dei contrattempi.”
“Ad esempio?”
“Ad esempio il fatto che tu sia entrato in Accademia. Ma soprattutto…”
Seamus incoraggiò il suo interlocutore mascherato con un cenno di diniego, sollevando le sopracciglia.
“Soprattutto abbiamo cominciato ad avere sospetti su qualche recluta: sapevamo da tempo che c’erano degli infiltrati.”
“Più di uno?!”
“Questo ancora non lo possiamo dimostrare. E comunque, ribadisco, Finnigan: a te deve interessare marginalmente. Considera questa esperienza sul campo come una prova.”
“Aspettate un attimo: mi state proponendo una collaborazione segreta? Del tutto clandestina? Sapete quanto sia vietato dal regolamento dei Coulter dal 1676, ovvero vietatissimo, collaborare con organizzazioni esterne e segrete in seno all'Accademia? Mi cacceranno a pedate nel sedere, se mi scoprono!”
“Tic Tac, Finnigan. Tu che campo scegli? Gli ipocriti, gli inutili, gli egoisti... o i giusti?”



46.
Harry si accasciò sul divano, in preda a mille preoccupazioni, nell’attesa che Ginny uscisse dalla doccia. “Dovevano parlare”.
Sicuramente, pensò. Erano passati mesi dall’ultima volta che l’aveva vista. Si era quasi dimenticato dei suoi tratti: quell’aria da dura che non le si addiceva affatto, le sopracciglia contratte, gli occhi seri. Difatti gli era crollata addosso piangendo, implorandolo di perdonarla per non si sa quale crimine. E piangeva così tanto, che Hermione, da dietro di loro, aveva raccolto le sue cose e se n’era andata mimando a malapena un cenno di saluto, dimenticandosi di avere ancora la bacchetta scheggiata nella borsa. Harry scosse la testa, dispiaciuto; avrebbe sicuramente parlato a Olivander’s il lunedì successivo, non poteva pensare di lasciarla in quella condizione. Oltretutto, come sperava di aiutarlo a far scomparire quella voragine rosacea dal suo collo, senza una bacchetta perfettamente in funzione? Megan era passata a recuperare Rex per portarlo a casa sua, ora che non era più in pericolo di vita. Harry occupava l'intero divano, sfondato in più punti, assieme a quella busta di carta dell'erboristeria. Innervosito da tutta quella scena di falsa tranquillità, si allungò per prendere la pomata coprente che gli aveva procurato Hermione. Ripensò bonariamente al loro litigio di poco prima: lei si arrabbiava sempre moltissimo quando si sentiva messa da parte. Una volta convinto Olivander's, avrebbe cercato un modo per ringraziarla che non fosse il minimo indispensabile, come al solito. Lei se lo meritava tutto. Sempre che non fosse già morto entro lunedì nell’attesa che la sua ragazza uscisse dalla doccia. Si alzò in un guizzo atletico, ormai era una molla grazie agli allenamenti, entrò in bagno e si sedette sul coperchio del water, tenendo in grembo l’accozzaglia di abiti puliti che lei vi aveva lanciato malamente prima di gettarsi nella cabina.
“Avanti, che cosa c’è. Parla, Ginny, oppure implodo.”
Era pronto a tutto. Si sentiva pronto a tutto. Aveva in mente le ipotesi più strampalate. Che avesse cominciato a frequentare un Medimago? Sicuramente… quali altre erano le opzioni? O forse, forse si era solo stancata di quella relazione a distanza, ormai inesistente. Forse voleva solo sentirsi libera, come suggeriva Hermione. Non la biasimava del tutto, anche se faticava ad accettare le sue ragioni. O forse si sentiva solo in colpa di averlo lasciato solo per così tanto tempo: aveva reso così facile, quasi inevitabile, la distanza fra le loro menti. Quello era proprio colpa sua, e lei, prima o dopo, avrebbe dovuto ammetterlo.
Sentì qualche singhiozzo impaurito provenire da sotto il getto, ma il significato si perse nel rumore dell’acqua. Harry chiuse gli occhi, concentrandosi, il vapore gli aveva comunque sottratto il senso della vista.
Dal canto suo, la ragazza continuava a mugugnare, come se si fosse aperta una diga impossibile da controllare. Quando uscì, lui l’avvolse nell’asciugamano, abbracciandola, cosa che la fece singhiozzare più forte.
“Ho sbagliato tutto nella vita. Integralmente. Tutto.”
“Ma certo che no, sei solo scossa. Cosa ti viene in mente, di pensare queste sciocchezze? Forse devi riposare. Prendere del tempo per pensare. È questo che mi stai chiedendo?”
Harry drizzò le orecchie, pronto al peggio. Sollevò lo sguardo dolce negli occhi di lei, gonfi di pianto. La teneva ancora stretta, circondandola, strofinando di tanto in tanto tratti di pelle umida con l’asciugamano.
“Non ho bisogno di tempo.” E Ginevra, visibilmente più turbata, smise di piangere. “So quello che non va bene. Lo so già.” Si sentì attraversato dai suoi occhi: lei non lo stava veramente guardando. O comunque, pensava così rapidamente da non riuscire a concentrarsi sul presente. Strinse la presa su di lei, indeciso, incapace di fare altro.
“E allora, che cosa posso fare io?”
Sempre quel tono rassicurante, con una punta di insicurezza - la voce appena incrinata, terribilmente docile: Harry rendeva tutto più doloroso, nella sua premura.
“Niente, Harry. Tu non puoi più fare niente. Hai fatto anche troppo, per me.”
“Che cosa stai dicendo? Sei impazzita?”
“Io… devo cambiare. Non posso continuare così. Non sono… io e te…”
“Aspetta…” Harry si allontanò come scottato. “Mi stai lasciando?”
La sola idea lo punse e fece centro, come un insettino scaltro e velenoso, disintegrando ogni certezza. Non aveva capito: pensava che lei volesse risolvere. Chiarire per perdonarsi, farsi perdonare. Andare avanti, insieme…
“Non sono felice.”
“Non sei felice.”
“Non lo sono.”
“Che cosa posso fare per renderti felice?”
Lo sbruffo di impazienza a stento trattenuto fece divampare la rabbia di Harry come fuoco nella sterpaglia. Lei non se ne accorse, o forse, in fondo, non le interessava:
“Tu non puoi fare niente. Io devo. Io e io sola. Devo smettere di delegare agli altri la mia incapacità di vivere. Ho deciso… ho deciso che andrò a stare in Collegio per un po’. Al San Mungo. Sarà difficile pagarmi l’affitto, ma con la borsa di studio e un lavoretto dovrei cavarmela. I miei lo accetteranno. Ormai il tempo in Brasile è agli sgoccioli, mi farò sostituire e rimborserò il premio che avevo ricevuto per andare là.” Lo disse tutto d’un fiato, così all’improvviso regnò il silenzio, e si sentì costretta a gettare l’asciugamano sull’anta della cabina doccia per cominciare poi rapidamente a vestirsi, sotto lo sguardo sbigottito di Harry, che cominciava a malapena a capire l’antifona.
“Mi stai lasciando perché devi essere felice… da sola?”
Scoppiò a ridere, sconcertato, ma ritrovò quasi subito una smorfia grave.
“Mi dispiace, Harry.” Il suo sguardo limpido era troppo risoluto per non essere preso sul serio. Lei, quella maledetta donna fiammeggiante, in mutande nel suo bagno del suo appartamento, gli stava dicendo addio in una maniera frettolosa e ridicola, senza un briciolo di pudore, vergogna, senza… senza neanche l’ombra di un dubbio.
“Tu non puoi essere seria. Mi stai prendendo in giro.”
“Harry, non voglio più farti del male, né farti perdere tempo. C’è sicuramente una persona, in questo mondo, che ti sta cercando disperatamente, e io le sto impedendo di raggiungerti. Io con il mio egoismo, le mie paure, la mia incapacità di spiccare il volo. Mi sono adagiata fin troppo sul tuo appoggio. Io… mi sento di dire che sono una persona orribile: ma tu ti sei reso un’ottima stampella da solo. Ecco che cosa mi hai dato: sicurezza, calma, tutte cose che non avresti mai dovuto darmi.”
“E che cosa avrei dovuto fare, di grazia? Farti vivere in bilico? Se vuoi domani ti lascio io, e poi ricominciamo d’accapo, visto che la cosa sembra divertirti tanto. Hai bisogno del brivido? Non ti è bastato vivere per settimane nella giungla? Quando ti stuferai di vagabondare da sola?”
“Non è questo che stavo dicendo! Tu travisi le mie parole!”
Harry non mentiva, ma la verità era dolorosa: è così difficile, accettare le proprie insicurezze, i propri errori.
“Potevamo partire insieme. Potevamo andare in Irlanda, c’è un’ottima Accademia Auror e lo stesso vale per il tuo corso di Medicina. Ma no, tu hai deciso che girare il mondo da sola era un’ottima maniera per recuperare il tempo perso durante la guerra! Ciao ciao Harry, adesso tocca a me!”
Ginny gli afferrò un braccio e lo strinse con forza, per fargli male.
“Tu non ti devi permettere di dire queste cose!” Si avvicinò, tremante, mentre Harry indietreggiava, scuotendo la testa, ormai distante anni luce da lei “Hai idea di che cosa significasse per me restare a Hogwarts, mentre tu e mio fratello siete partiti a cercare gli Horcrux? Non credi di essere un po’ troppo duro, con una persona che ha perso tutto e ha dovuto cercare di
resistere da sola, in qualsiasi maniera possibile? Che cosa ti aspettavi, una mogliettina pronta a riverire l’eroe del multiverso? Io ho dovuto imparare a stare bene senza di te! E tu, tu non hai mai imparato a stare bene senza di me! Lo vedi, che non funzioniamo, si o no?”
“Se volessi, ma se veramente lo volessi, Ginevra, potremmo recuperare tutto. Ma tu non vuoi. Se non hai altro da aggiungere, per me il discorso si chiude qui.”
Ginny ci pensò, perché sapeva bene che non poteva finire così: era troppo semplice. Aveva così tanto, ancora, da dire. Ricordò il consiglio di Luna: la verità, le bugie. La teoria della relatività, applicata ai sentimenti. Presa dal turbinare della mente, non si accorse di quanto tempo ci aveva messo. Harry era scomparso sbattendo la porta così forte da spostare lo specchio, rompendolo in frantumi. Aveva lasciato cadere tutti gli abiti di lei che aveva raccolto con affetto prima della discussione.
Si sentì spossata, terrorizzata: adesso era veramente sola.
Proprio come voleva lei, aggiunse una voce dell'inconscio, terribilmente odiosa. Sentì un rumoreggiare confuso, ma violento, da dietro la porta. Senza aprirla, sapeva esattamente cosa avrebbe visto: Harry che sfasciava ogni cosa attorno a sé in una furia distruttiva. Ma un grido le fece spalancare la porta prima che potesse soffermarsi ulteriormente: Harry era a terra, in ginocchio, si teneva la testa fra le mani.
"Contatta Hermione, ti prego. E poi vai via."
La rabbia nella voce di Harry le spinse un nodo in gola.
"Sbrigati, non resisterò per molto tempo." biascicò, strizzando le palpebre da dietro gli occhiali.
"Stai male, Harry?" Si avvicinò a lui, cominciò a pungolarlo con millemila mosse da Medimago, cosa che non ebbe altro effetto se non innervosirlo ulteriormente. "Si può sapere che cos'hai?"
Lo stato di Harry, però, si aggravò talmente in fretta da costringerla a rivedere le priorità: corse al telefono fisso di Harry e cercò con le dita tremanti, schiacciando più tasti insieme, il numero salvato in rubrica. "Herm, Harry sta male, molto male, mi ha detto che tu sai che cos'ha. C'è qualcosa che io possa fare, nel frattempo?".
Appena mezzo minuto dopo, il rumore della Materializzazione di Hermione li raggiunse dal corridoio dell'uscio. Andò ad aprirle, ed ebbero a malapena il tempo di registrare il minimo indispensabile una sull'altra, prima di lanciarsi verso il ragazzo in preda alle convulsioni.
Hermione stava piangendo.
Ginevra stava piangendo.
Ora anche Harry.
"Era una crisi parziale complessa." Esclamò Ginny. "Herm, da quando Harry è epilettico?"
Lei non rispose. Scostò appena il bavero per vedere la voglia, pastrugnata malissimo con il suo unguento, allargarsi a vista fino alla clavicola. Ginevra non capiva. La guardava e scuoteva il capo, disperata. All'improvviso si alzò, appellò il minimo indispensabile per rivestirsi e andare via da lì. Hermione sfoderò la bacchetta, ma prima di cominciare gli incantesimi su Harry, le lanciò un ultimo sguardo interrogativo.
"Non posso Hermione, non posso più. Mi dispiace, devo andare. Conto su di te. Prenditi cura di Harry."




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Capitolo 18
*** Pezzo dopo pezzo ***


Dal capitolo precedente:

"Era una crisi parziale complessa." Esclamò Ginny. "Herm, da quando Harry è epilettico?"
Lei non rispose. Scostò appena il bavero per vedere la voglia, pastrugnata malissimo con il suo unguento, allargarsi a vista fino alla clavicola. Ginevra non capiva. La guardava e scuoteva il capo, disperata. All'improvviso si alzò, appellò il minimo indispensabile per rivestirsi e andare via da lì. Hermione sfoderò la bacchetta, ma prima di cominciare gli incantesimi su Harry, le lanciò un ultimo sguardo interrogativo.
"Non posso Hermione, non posso più. Mi dispiace, devo andare. Conto su di te. Prenditi cura di Harry."

47.
Aprendo le palpebre, Harry ebbe la sensazione di avere della sabbia negli occhi. Da quanto tempo dormiva? E perché vedeva nero?
“Sono cieco.” Disse, ad alta voce, spaventato.
Una voce femminile gli rispose, ma non riuscì a capire il significato delle parole. Era tutto un garbuglio informe. Ebbe la sensazione di essere spazzato dalla folata calda di un qualche incantesimo. Quella voce lo richiamò… ma non proveniva da davanti a sé, come un attimo prima.
“… Harry, che cosa ci fai qui?”
C’era odore di fogliame, di sottobosco.
Di feci di qualche grosso carnivoro.
E l’umidità era spaventosa, così come il freddo che lo faceva rabbrividire. All’improvviso, di fronte a lui, apparve il suo riflesso. Doveva avere quattordici anni, al massimo quindici. Sotto alla veste e al maglione di lana indossava un pigiama a righe. Il vento gli spostava i capelli e lasciava vedere la cicatrice, e i suoi occhiali erano leggermente storti, a dirla tutta… ma non riuscì a soffermarsi su quei dettagli perché i suoi occhi si spostavano automaticamente sulla sua bocca, sulle sue clavicole che si vedevano a malapena dal colletto del pigiama, e nonostante fosse certo di essere cresciuto almeno un pochino dopo la scuola, si osservava dal basso, e il suo corpo gli parve perfino
un po’ imponente.
Harry il giovane parlava, ma non riusciva a sentirlo. Aveva una sfumatura colpevole, negli occhi, che non gli sfuggì. Cominciò ad avvertire agitazione, sconforto, e un inconfondibile batticuore.
Il mio segreto… il mio segreto.
Scomparve tutto quanto, e riapparve un altro fantasma di Harry: questa volta giocherellava con il boccino sul prato seduto accanto a Ron, molto lontano da lui, quasi a strapiombo sulle sponde del Lago.
Non cadere, Harry.
Il cuore gli arrivò in gola, martellando come un forsennato, mentre la sua vera coscienza, il suo vero io, si malediceva in tutte le lingue del mondo. Aveva odiato suo padre: ed ora eccolo lì a fare il deficiente con il boccino in mano, lasciandolo andare, riacchiappandolo rapidamente, con un’aria completamente ridicola. Se non per quel ciuffo in fronte, così audace, e gli occhi verdi spensierati, e il sorriso luminoso, le risate inconfondibili di Ron che abbracciavano il momento di complicità e rendevano il tutto meno goffo, più sensato… era un ricordo bellissimo. Se ne era dimenticato. Ma chi era? Chi lo stava guardando? Chi? Non poté voltarsi, non poté cercare indizi guardandosi la veste o le mani, perché il mondo lasciava spazio a un vortice scuro e potente…
“Harry!”
Aprì gli occhi per bene, stavolta, sentendoli bruciare, ma la cecità era scomparsa. Il tepore dei ricordi lo abbandonò quasi del tutto mentre scivolava di nuovo nel presente.
“Hermione, sei tu?”
Si alzò a sedere, confuso, stropicciandosi il viso. Hermione lo guardava costernata. Era pallida, con lo sguardo vigile di quando tornava dopo una notte di ronda nella tenda, ai tempi della ricerca degli Horcrux.
“Mi dispiace, Harry. La pozione ha bisogno di più tempo di quanto tu disponga. Io… io non so cosa fare. Vuoi andare al San Mungo?”
“Cosa dici, sto benissimo.” Gracchiò, rassettandosi appena, mentre si rialzava, seguito da Hermione che sembrava pronta a raccoglierlo in caso cedesse nuovamente.
Si guardò intorno. Non capiva. Poi ricordò.
“Senti, Hermione. Mi ha lasciato.”
Si trascinò sul divano e si gettò la coperta addosso. Hermione gli tese un bicchiere d’acqua che doveva aver preparato quella notte.
Bevve a piccoli sorsi, sentendo la gola pizzicare e contrarsi. Lei gli prese la mano, sedendosi, e tirò un po’ di coperta sulle proprie gambe.
“Vuoi parlarne, Harry?”
“Avevi ragione tu, mi sa.” Mormorò. “Le stavo troppo addosso.” Stringeva il bicchiere fra le dita. “Mi ha detto che io ero una specie di porto sicuro. Lei… lei preferisce la tempesta.”
“Vi siete voluti molto bene.” Hermione tentò di scostargli i capelli dagli occhi, ma quelli ricaddero subito al loro posto con uno sbuffo. “Sono cose che succedono. Terribili. Ma succedono.”
“Non devono succedere. Se non sei innamorato, perché fai perdere tempo a qualcuno? Piuttosto resta da solo. Piuttosto prenditi le tue responsabilità. Io… io la odio.”
Si scostò bruscamente, e appoggiò il bicchiere sul tavolino davanti al caminetto con forza, ma poi tornò ad affondare nello schienale. Si voltò a guardare Hermione da dietro i ciuffi scuri, e forse complice la sudata post-convulsioni, quando li sollevò all’indietro loro rimasero impettiti.
“Non perdere tempo a odiare. Non serve a niente.” Hermione gli rivolse uno sguardo dolce, che lui non registrò, occupato com’era a provare rancore.
“Hai idea di quante sere ho passato da solo su questo divano a guardare il soffitto? A pensare a lei?” Sorrise, poi, con mestizia. “Ora mi sento un perfetto imbecille.”
Hermione gli rivolse un sorriso gentile. Se solo lui avesse saputo di lei e Ronald!
“Adesso dobbiamo pensare a come proteggere il tuo cervello, perché stai cominciando a dare i numeri.”
“Hai ragione ma… a dirla tutta, sono un po’ stufo. Di ogni cosa, intendo. Questa frenesia, il da fare, il tempo che corre. Ti dirò che… i miei sogni, ultimamente, sono un grande conforto. A volte vorrei non svegliarmi, restare imprigionato e…” Arrossì, sentendosi invaso da quei sentimenti così semplici da apparire, ai suoi occhi, tremendamente potenti. I sentimenti di quella che, indubbiamente, lo amava più di ogni altra cosa al mondo. Niente a che vedere con Ginevra.
Hermione soppesò le sue parole, incerta se collegarle ai lapsus, ai jamais-vu, alle crisi convulsive o ancora alla macchia che si apprestava a crescere e a ricoprirlo del tutto.
Povero Harry. La vita proprio non riusciva a lasciarlo in pace.
“Come ti senti?” disse, tentando di cambiare discorso. Non voleva che lui si adagiasse in quei pensieri assurdi: doveva restare ben ancorato alla realtà. Il più a lungo possibile, il tempo di somministrargli quella dannata pozione per farlo tornare quello di prima. “Riesci ad alzarti? Dovresti riposare, ma…”
“Che giorno è oggi?”
“Lunedì.”
“Ho dormito tutta la notte per terra e tu sei rimasta qui?”
“Avevo paura di svegliarti, non volevo che tornassi in crisi. Quando durano troppo a lungo, possono danneggiare irrimediabilmente le connessioni… potresti… potresti perdere la testa.”
Harry serrò la mascella. “Non dovevi, hai fatto fin troppo per me. Non so come ringraziarti.”
Il sorriso che lei gli rivolse lo confortò: “Portami ad aggiustare la bacchetta e non parliamone più!”



48.
Erano passati pochi giorni, dalle ultime vicende che avevano scombussolato la vita un po’ a tutti. Senza ombra di dubbio, Seamus Finnegan, nonostante il fervore in Accademia, passava più tempo da solo rinchiuso nella sua stanza che a chiacchierare sulle voci che giravano in seno allo studentato, e aveva le sue buone ragioni.
Se quello che pensava era vero, se ci aveva visto giusto, non solo rischiavano la vita moltissime persone, fra maghi e Babbani, ma anche il suo cerchio più stretto di amicizie. Quando gli era stato proposto se seguire le vie convenzionali o sbarellare del tutto per una strada più dritta, più giusta, ma molto più pericolosa, lui non aveva avuto tutti questi dubbi. Era pronto da una vita, per questo momento. Lì, proprio dove serviva di più, eccolo comparire al momento giusto, con gli strumenti giusti: non era forse un segno? Lui aveva imparato a domare il fuoco… aveva imparato la pazienza, la perseveranza, l’umiltà… e la passione.
Non dormiva da almeno tre notti, perché dedicava ogni momento libero allo studio del caso: qualcuno aveva gettato un incantesimo, una maledizione senza perdono, sul suo compagno di corso, e per nascondere le prove lo aveva avvelenato. Il tutto esattamente quando si stava delineando la possibilità che ci fosse una spia fra i ranghi, una spia destinata a seppellire le accuse e a cancellare i nomi sulla lista degli ultimi scalpori avvenuti un po’ dappertutto nel mondo, ma in particolar modo quelli che avevano coinvolto Ginny Weasley in Brasile appena la settimana prima, ricollegando Magie Sinister’s con una ipotetica massiccia trama a tela di ragno pregna di illegalità, dilagante dai sobborghi di Londra verso tutte le direzioni. Era la giusta occasione: incastrare Sinister’s, ripristinare lo splendore dell’Accademia, rendere giustizia alle famiglie spezzate e non ultimo… seppellire finalmente gli ultimi Mangiamorte sopravvissuti. Ambizione era un eufemismo, per i grandi progetti di Seamus: soprattutto perché aveva l’intenzione di coinvolgere meno persone possibili.
Le sue ultime collaborazioni di certo non lo aiutavano, potendo agire solamente nell’ombra. Era lui l’unica pedina giocabile. E doveva giocare se stesso, giocarsi da solo.
Seamus bevve un lungo sorso di caffè, svuotando la tazza fumante, spandendo qualche goccia sulla scrivania, prontamente asciugandola con le maniche del maglione. Voltò pagina, cominciando a leggere i nomi dei primi indagati sulle scie della pista brasiliana, ma qualcuno bussò sommessamente alla porta del suo dormitorio, e in qualche secondo richiuse tutto e lo ficcò rapidamente nel primo cassetto, chiudendolo a chiave.
Calciò qualche abito sparso sotto al letto, facendosi strada, e aprì la porta a Ron, che aveva la peggior faccia da funerale che lui avesse mai visto.
“Ciao, amico. Vieni dentro.” Accese la plafoniera e spense la lampada ad olio che illuminava poco prima la sua scrivania.
Ron, senza troppi scrupoli, si sedette ai piedi del suo letto, torcendosi le mani. Vedendo che non accennava a parlare, Seamus cominciò a fare due rapidi calcoli guardando l’orologio.
“È ora di mangiare, ti va di scendere in mensa e di discuterne davanti a una zuppa e un po’ di arrosto?”
Ron sembrò riprendersi all’idea; forse aveva avuto ragione, rivolgersi a Seamus non era stato l’ennesimo errore.

“Seamus, posso stare in stanza con te per un po’ di tempo?”
Ron doveva essere a digiuno da qualche giorno, a giudicare dal suo appetito, ma non era quello che aveva sconvolto di più Seamus, durante il pranzo.
“Da me?”
Era evidente che non si aspettava una proposta del genere. Ron alzò lo sguardo da dietro al bicchiere, mentre Seamus prese a bere un lunghissimo sorso.
“Solo il tempo di riprendermi. La tua è l’ultima camera doppia con un posto libero. O meglio, ce ne sarebbe un’altra, ma i miei superiori e io abbiamo qualche problema in questo periodo.”
“Ron, posso solo chiederti per quale motivo? Tu non…” abbassò la voce, posando il bicchiere. “Non abiti più con Hermione?”
“Ci siamo… ci siamo lasciati.”
La pausa convinse Seamus a voltarsi nella stessa direzione che interessava tanto Ron: comparvero in mensa Megan, Adam e Rex, in sedia a rotelle, con una serie di sacche galleggianti che lo seguivano come palloncini festosi.
“Sembra ancora un cadavere.” Commentò Seamus.
“Se la caverà, se la cava sempre.” Ribatté Ron, troppo velocemente. “Cosa ne pensi di andare a berci una birra?”
“Devo intendere che non hai ancora vuotato il sacco…”
Seamus si pulì la bocca col tovagliolo e si alzò immediatamente, riflettendo sul da farsi.
Ron poteva essere un freno, nella sua situazione: come avere una telecamera sempre puntata in camera sua. Era davvero il caso di accettare? Oppure… oppure poteva far girare la cosa a suo favore.
“Birretta sia. Sento che abbiamo un po’ di cose da dirci.”

Alla quinta birra, perfino i più lontani rancori erano sopiti: Seamus e Ron erano diventati, come un tempo, i migliori amici che ci siano. Stavano facendo una gara a braccio di ferro, ma dagli altri tavoli sembrava più che altro uno stringersi convulsamente la mano in maniera cameratesca. Tuttavia, nonostante le parecchie ore passate nel teporoso buio della taverna, avevano finito per girare intorno agli argomenti prefissati, preferendo parlare delle loro squadre di Quidditch preferite. Probabilmente, però, il quinto calice fu quello di troppo.
Ron cominciò a tentennare, con gli occhi umidi, e Seamus, che gli teneva ancora saldamente la mano in pugno, strinse più forte la presa, prima di abbandonarsi sul tavolo appiccicoso, rivolgendogli uno sguardo compassionevole dal basso.
“Dimmi tutto, amico.”
“Prometti… prometti che rimane fra noi, o giuro che…”
“Prometto solennemente!”
Ron fece una pausa ad effetto, forse non tanto voluta quanto necessaria per prendere fiato e far arrivare un briciolo di ossigeno al cervello. I ricordi delle ultime settimane lo travolgevano turbinando, e lui non riusciva
proprio a fare chiarezza.
“Sono andato a letto con Megan, e poi con Hermione. E poi ci siamo lasciati! E avevo l’anello pronto, stavo per chiederle di sposarmi… ma lei non mi vuole, e nemmeno l’altra. Nessuna mi vuole. Cos’ho che non va?”
Nonostante l’ottundimento, Seamus esibì un’espressione stupita. Lasciò il pugno dell’amico per stringere la sua manica, visibilmente impressionato.
“Tu non hai niente che non va amico, sei riuscito a portarti a letto l’eroina del mondo magico e quella
figa da paura della tua senior di rango. Tu, mio caro, sei un mito!”



49.

Dopo nemmeno una settimana di discussioni burocratiche, era riuscita ad ottenere esattamente quello che voleva: tutto, dalla restituzione del premio alla cameretta nel dormitorio femminile dell’ospedale. Perfino il lasciapassare di sua madre, che tuttavia rimaneva fermamente convinta della sua posizione: Ginevra, tu stai scappando, e stai dicendo troppe bugie ai tuoi cari. Ginevra, le bugie hanno le gambe corte. Ginevra, perché copri tuo fratello? Non si fa più vedere qui e non da segni di volerlo fare. Ginevra, perché non vuoi parlarne? Ginevra, che cosa è successo, davvero, in Brasile?
Era stato molto semplice, alla fine, scomparire e trasferirsi in quella cameretta angusta, con una finestra sola che dava sul cortile interno e i bagni in comune con tutto il piano. Era un sabato, il suo primo giorno di turno di guardia, da quando aveva ripreso le lezioni.
Ginevra si infilò nella fessura dell’uscio, silenziosa come un gatto. Indossava gli abiti da lavoro: una casacca e un paio di pantaloni di un colore vinoso. I suoi capelli lunghi erano legati in una solida treccia che partiva dalla cima del capo. Si avvicinò al Medimago turnista senza guardarlo in volto, ma osservando immediatamente il loro primo paziente.
Il suddetto mago, in tutta risposta, le fece a malapena un cenno della testa e cominciò l’esame obiettivo generale, prima palpando, poi passando in rassegna il corpo inerme con la bacchetta illuminata.
“Preparami un’infusione di fluidi tiepidi e un catetere endovenoso. Vado a vedere com’è la situazione di là, sta arrivando un’urgenza.”
“E se si sveglia?” Ginny indicò la donna addormentata, esangue, con un’occhiata eloquente.
“Poi ci penso io.”
Si voltò a guardarla, senza sprecare più di qualche secondo a indugiare sul suo volto, fra gli occhi e la bocca. Senza altre spiegazioni voltò i tacchi. Ginevra sospirò. Sperava in una personalità più cordiale, ma dopotutto era stata sciocca. I medimaghi urgentisti erano
tutti così. Freddi e burberi e… e avvenenti. Era giovanissimo, non poteva avere più di tre anni in più di lei.
Con la bacchetta collegò la bottiglia di vetro contenente i fluidi per la sua paziente ai tubi che l’avrebbero reidratata e riscaldata. Preparò l’ago, un laccio emostatico e si apprestò a tastare per cercare la vena che scorreva lungo l’avanbraccio.
“Non così.” La voce perentoria alle sue spalle la raggiunse e la fece irrigidire. La guardava appoggiato allo stipite, con le braccia conserte. Che stizza.
Aveva fatto quell’operazione centinaia di volte, in Brasile. Andava
benissimo così.
“Ferma, che cazzo fai. Ora ti faccio vedere.”
La scostò di peso, invadendo i suoi spazi personali senza un briciolo di pudore e mormorò un Revelio, impugnando la bacchetta attraverso la sua mano e costringendola a fare l’incantesimo.
“Puntalo sul braccio. Si fa di prassi.”
“Ma io non ho mai sbagliato una vena in vita mia.” Mormorò lei, impietrita.
“Sbaglierai, sbaglierai.” Lui esplose in una risata, prima di gettarsi stancamente su una sedia per osservarla di sottecchi mentre lei si dava da fare a finire il lavoro. “Eccome se sbaglierai.”
Ginny non rispose ma serrò le labbra, nessuno l’aveva mai approcciata con delle maniere così rudi. Sentiva l’orgoglio ferito ruggirle dal petto.
“Ed è giusto così.” Il cambiamento nella sua voce, dal canzonatorio al dolce, la fece voltare per incontrare, per la prima volta, gli occhi di lui. Non la prendevano più in giro: anzi, sembrava imbarazzato dal suo improvviso interesse, dall’aria seria e indagatrice di quella giovane apprendista focosa.
Ginny era
folgorata. Il turnista era un ragazzo, anzi un uomo, visibilmente atletico, dall’aria sana, ma con delle occhiaie tremende. Aveva un paio di occhi marroni dal taglio sottile, che affilavano lo sguardo, con le ciglia e le sopracciglia nere. Portava un taglio corto e comodo, elegante anche se spettinato, e si intravedeva qualche ciocca argentea nella miriade di capelli neri come la pece. Il sorriso storto, ancora un po’ provocatorio, era affascinante, torceva le guance magre e dava vita a due enormi fossette. L’uniforme era uguale alla sua, ma più sgualcita, usata; scivolava troppo bene sulle sue braccia nude. Ginny si sentì arrossire fino ai capelli. Era troppo giovane, per farle da mentore. E troppo attraente perché lei non perdesse la concentrazione.
“Vieni, ti faccio visitare il reparto.”
“Non c’era un’urgenza in arrivo?”
“Morto prima di arrivare.” Rispose lui, con tono neutro. “Come hai detto che ti chiamavi?”
La virata nella banalità la stupì, ma ormai non sapeva più cosa pensare.
“Non abbiamo avuto l’occasione di dircelo. Mi chiamo Ginevra.”
“Piacere, io sono Matthew.”


50.
Seamus si svegliò con un sapore disgustoso in bocca, improvvisamente remore della sbornia epocale che aveva condiviso con Weasley quel pomeriggio, che era poi stata prontamente prolungata fino a sera. Non ricordava se non confusamente come si erano trascinati fino alla camera, e in modo più particolare al letto. Aveva il braccio dell’amico a peso morto sulla trachea. Lo spostò tossicchiando e si alzò malgrado il mal di testa. Ron smise di russare e aprì gli occhi in un minuscolo spiraglio, per accertarsi che non ci fossero troppe luci accese. Distinse vagamente la figura di Seamus davanti a lui, in piedi, appoggiata appena al muro troppo vicino al letto.
“Scusami.”
“Non ti preoccupare, non fa niente. Ti faccio preparare il letto però, che non diventi un’abitudine.” Disse poi ridacchiando.

Quando tornò in camera, Ron era ancora addormentato nella stessa posizione, col braccio messo di traverso, come lo aveva spostato lui alzandosi.
Dietro di lui entrò un letto, levitando, che andò a fondersi con il suo allungando notevolmente i suoi piedi, e poi una scaletta che si fissò in fondo, su un lato.
“Cosa ne pensi?”
Ron si alzò a sedere, ottenendo una sonora zuccata contro le doghe di legno.
“Che è meglio se dormo di sopra, la prossima volta. Grazie di tutto, Seamus. Se posso fare qualcosa per te…”
Lo disse spontaneamente, quasi senza pensarci, con un sorriso sincero dietro le espressioni rammollite dalla sbronza. E Seamus decise, in quel momento, che sarebbe stato più facile affrontare tutto, con qualcuno al suo fianco.
“Forse qualcosa c’è.”
“Ovvero?”
“Sto lavorando su un caso, e penso che questo caso ti stia a cuore. Probabilmente anche a Harry. Ne parliamo domani, con calma. Devo pensarci. Tieniti pronto.”
“Dammi tempo, Seamus. Sono uno straccio… ma domani… domani sarò pronto. Te lo prometto”


51.
“Di nuovo.”
Avis.”
Due uccellini apparvero dal nulla, mentre Hermione, visibilmente spazientita, si lasciava cadere per l’ennesima volta nel buco del divano di Harry.
“È inutile, non mi accetta. Guarda che brutti che sono! E quello è anche spelacchiato!” indicò con la bacchetta l’uccellino più storpio, che si allontanò timoroso, appollaiandosi fra il disordine di Harry al di sopra del caminetto spento.
Harry avvicinò le ginocchia al petto per farle spazio. La bacchetta di Hermione era in riparazione, e ci sarebbe voluta qualche settimana per rimetterla in sesto, secondo Olivander.
Così, in sostituzione, Hermione aveva guadagnato una bacchetta terribilmente simile a quella che usava Ronald ai primi anni, e che non le era per niente affine: salice e crine di unicorno.
“Come ha potuto pensare che questo obbrobrio potesse sostituire la mia bacchetta?”
“Sembra che siano le più reperibili, al momento. E le più adattabili in linea generale. Mi dispiace, Hermione, porta pazienza. Devi solo prendere confidenza. Riprova.”
Avis. Vedi?” Un altro uccellino si appollaiò accanto ai suoi fratelli, con aria circospetta.
“Proviamo a cambiare incantesimo.”
“Abbiamo già appellato tutto il tuo armadio stamattina.”
“Qualcosa di più complicato, prova il Patronus.”
Hermione chiuse gli occhi per concentrarsi qualche secondo, e pronunciò l’incantesimo. Tuttavia avvertì subito la difficoltà farsi strada nelle sue membra.
“Non riesco.”
“Devi stare tranquilla.” Harry si alzò e la raggiunse, per metterle le mani sulle spalle. “Sei sempre stata capace di farlo. Ci devi riuscire anche oggi. Non preoccuparti.”
“Non posso.” Quando alzò gli occhi, Harry capì perché: stava per mettersi a piangere.
“Scusami, ti ho spinta io a farlo. Non era il momento giusto.”
Si pentì immediatamente, dopotutto forse neanche lui sarebbe stato in grado di produrre un Patronus in quelle condizioni. I ricordi felici erano smembrati dal presente.
“Mi dispiace.”
Si sedettero entrambi, sconsolati.
“Hermione, vuoi parlare?”
“Di cosa?”
“Del fatto che non abbiamo più nominato Ron nell’ultima settimana… del fatto che hai quasi sempre dormito qui, praticamente incastrata in fondo al divano, insieme a me, invece di stare a casa tua? E anche… di altro, se c’è dell’altro. Io non sto
così male da aver bisogno del tuo controllo costante.” Cercò di guardarla negli occhi, ma lei sbatteva le ciglia rapidamente e sembrava evitare il suo sguardo. “Perché sei qui con me, Hermione?”
“Forse… forse mi sento un po’ sola.”
“Mi vuoi dire che cosa è successo?”
Hermione si asciugò gli occhi con le dita e finalmente si decise a guardarlo, con le guance intrise di pianto.
“Mi ha tradita e se n’è andato.”
Harry sentì la mascella cedere. Non era semplicemente possibile. Non Ron, non con Hermione. Loro erano delle persone fantastiche. Nessuno dei due avrebbe mai potuto ferire l’altro in una maniera così infima.
“Il peggio…” singhiozzò “è che non sono nemmeno triste. Mi sento semplicemente… sola. Ma non è colpa sua. È solo colpa mia.” Si avvicinò timidamente, sussultando, e Harry la accolse nel suo abbraccio, adagiandosi con la testa contro il bracciolo, i capelli di Hermione ovunque a offuscargli la vista. I suoi singhiozzi gli facevano tremare il petto.
Pezzo dopo pezzo, stava crollando tutto il suo passato, sgretolando le basi del presente. Non c’erano parole per confortarla, nulla che fosse in grado di esprimere. Si lasciò contagiare dalla sua sofferenza, chiudendo gli occhi, sperando che qualche carezza potesse farle capire che, se era da sola, almeno era da sola con lui. E lui non l’avrebbe mai, mai e poi mai abbandonata. Sperò con tutto il cuore che lei lo percepisse, perché non si sentiva in grado di esprimerlo diversamente. Con il cuore pesante e la mente sempre più vorticosa, riuscirono a trovare un punto fermo nel limbo, nella tempesta, addormentandosi in mezzo a tutto quel pericolare di vite intorno, freddando pensieri e ipotesi sciocche, smerciando il tutto per qualche istante di pace.



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