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di shining_star_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come tutto è iniziato ***
Capitolo 2: *** Professor Fascino ***
Capitolo 3: *** Complicazioni ***



Capitolo 1
*** Come tutto è iniziato ***



Era una notte buia, piena di stelle luminose che rischiaravano il firmamento illuminando la spiaggia deserta. O quasi.

In una piccola lingua di sabbia, lambita dolcemente dalle onde dell’oceano c’era un piccolo gruppo di giovani seduti attorno a un fuoco che, scoppiettando, rischiarava i loro volti sereni e sorridenti. D’altronde nessuno avrebbe potuto avere un’aria preoccupata o corrucciata in notta come quella, sulla spiaggia e arrostendo marshmellow sulle fiamme rosso vivo. Il gruppetto era silenzioso, rompeva la tranquillità solo con qualche risata sguaiata accompagnata da teste gettate all’indietro e sorrisi celati con la mano.

Il tempo sembrava essere fermo, statico, come in una fotografia appesa al muro e posta sopra al camino, dimenticata da tutti tranne dalla polvere. Eppure i secondi componevano freneticamente i minuti, i quali si trasformavano a loro volta in ore che passavano velocemente; si stava avvicinando l’alba con la sua luce esageratamente luminosa in contrasto con il buio della notte e i suoi delicati toni pastello che riempivano il cielo di pennellate di mille pittori impressionisti.
L’alba sulla spiaggia era semplicemente mozzafiato, come sempre, pensava Sarah accoccolandosi alla coperta che si era portata appresso godendo del tepore che emanava ; tra poche ore sarebbe dovuta andare a lavoro pensò anche, nonostante un pezzo della sua anima rimanesse sempre in quella spiaggia, in quell’esatto punto ferma immobile a guardare dapprima le stelle che lucevano pacifiche e placide nel silenzio della notte e, successivamente, il cielo colorarsi di colori pastello degni di abiti principeschi del 1800.

Purtroppo però la sua anima poteva nutrirsi di bellezza e poesia ma il suo corpo aveva bisogno di qualcosa di più.. diciamo concreto e diciamo anche commestibile per poter continuare a funzionare come si deve. Per poter permettersi questa concretezza aveva bisogna di qualcosa di altrettanto concreto: soldi o un lavoro. Perdendosi e lasciandosi cullare lentamente nel mare dei suoi pensieri Sarah non si accorse che i minuti continuavano a scorrere interminabili e, oramai, non aveva più tempo per tornare a casa e prepararsi per il lavoro ma avrebbe dovuto andarci direttamente. Come invidiava i suoi amici tutti studenti universitari o pseudo tali in quanto era maggiore il tempo che passavano a fingere di essere tali che il tempo passato con la testa sui libri; loro avevano scelto che cosa fare nella vita, lo avevano comunicato a entusiasti ed estasiati genitori che avevano acceso un mutuo per permettere ai loro figli di studiare tranquillamente, senza altri problemi. Bella fregatura, pensò Sarah scalciando la sabbia con il piede mentre tornava verso la macchina.

Una volta arrivata sbattè con forza le scarpe per liberarle dalla sabbia, si guardò nello specchietto constatando la gravità della situazione del suo viso ed entrò in macchina. Guardandosi nello specchietto retrovisore cercò di ravvivare i capelli usando le mani, per poi optare per una più pratica coda di cavallo e sistemarsi il viso, che sembrava un’opera d’arte contemporanea, cancellando il mascara colato e pizzicandosi le guance per farle sembrare più rosee. La situazione sembrava migliorare sensibilmente… oppure no. Delle mezzelune scure erano comparse sotto i suoi occhi castani e contrastavano con il pallore che contraddistingue chi ha appena passato una notte completamente in bianco; bianco quasi quanto il suo colorito quella mattina. Beh per quello non poteva far nulla se non deviare l’attenzione sulle labbra osando con un rossetto acceso e sfoggiando l’accessorio più bello di una donna: il sorriso.
Eppure si sentiva sempre così poco donna e femminile… non che non ci provasse ma i risultati erano sempre sul filo che divide l’imbarazzante, che accende l’empatia e la pietà delle persone al solo guardarla, e il disastroso. Vabbè almeno ci provava si ripetè fino ad arrivare al negozio di articoli di pesca dove passava le sue mattinate e, spesso le sue serate; entrò sgattaiolando e infilandosi la divisa prima che qualcuno potesse vederla e fare qualche commento inappropriato e imbarazzante sul suo vestiario quella mattina.
Lo sapeva che non era esattamente una mise appropriata per mostrarsi alla luce del sole ma quel vestito le piaceva davvero! In realtà c’era qualcosa che non le piaceva di quel bellissimo abito nero, un grande difetto: come le stava addosso. Ma che sarà mai direte voi… eppure per lei era un grande, grandissimo problema! Era troppo aderente e le metteva in mostra tutti i rotolini e le imperfezioni che gli altri non sembravano neanche notare.. scosse la testa sospirando pensando alla cecità della gente davanti all’evidenza dei fatti. Lei lo vedeva eccome e si sentiva un po’ a disagio nonostante lottasse da anni contro la sua insicurezza cronica.

Una voce sembrò risuonare forte come un fulmine nello spogliatoio “Allora smettila! Smettila di mangiare se vuoi che quel vestito ti stia come dovrebbe!”. Quella era Angela, una voce nella sua testa che arrivava precisa come un orologio ogni volta che Sarah sentiva su di sé il peso dell’insicurezza in qualsiasi campo; Angela arrivava e proponeva il digiuno come soluzione a tutti i suoi problemi. Sarah sapeva che non poteva darle ascolto, scappare dai problemi in quel modo non avrebbe avuto alcun senso e poi, anche se l’avesse fatto, sarebbe diventata un angelo. Qui prese il nome quella fastidiosa e arrogante vocina che si serviva della sua debolezza e dall’immagine stereotipata e idealizzata di copertine satinate per farla cedere o, per lo meno vacillare.
Sarah non aveva tempo per questi pensieri, doveva entrare in servizio tra un minuto e mezzo e prepararsi a sorridere incessantemente per due ore e mezza a clienti spesso rudi e fastidiosi; si avete capito bene, non ne aveva alcuna voglia. Si impresse quindi in mente l’immagine che aveva assaporato nel silenzio della spiaggia mentre affondava le mani nella sabbia e si mise dietro al bancone, forte della bellezza di quello che aveva ammirato fino a riempirsene gli occhi.
Stranamente il turno passò in un battibaleno, Sarah era così frastornata che non ricordava con chiarezza neanche quali fossero stati i clienti della mattinata. Si cambiò indossando di nuovo il vestito della vergogna e salì in macchina, sfrecciando verso il college locale; in macchina alzò il volume dell’autoradio e sorrise al pensiero di cosa stava per accadere.

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Capitolo 2
*** Professor Fascino ***


Dopo circa un quarto d’ora di strada stava parcheggiando all’ombra di un folto albero e correndo verso l’aula di storia dell’arte. L’arte era la sua grande, grandissima passione nonostante fosse una mezza frana nella pittura, scultura e qualsivoglia arte plastica… ma aveva il grande dono di apprezzare il bello, in tutte le sue forme. In realtà anche lei aveva le sue preferenze, come i romanticissimi impressionisti che rappresentavano con maestria i giochi di luce e i sentimenti potenti che sentivano intimamente oppure la bellezza e la perfezione dei neoclassicisti , ma era aperta a tutto ciò che ritenesse arte, bellezza. I suoi genitori diciamo che erano meno sicuri del talento della figlia perché “con il bello non si mangia” e si erano opposti con tutte le forze quando, a una riunione di famiglia, Sarah annunciò con tono solenne che aveva deciso che cosa fare nella sua vita: la critica d’arte. Per i genitori, un medico e un avvocato, fu uno shock inaudito, un fulmine a cielo aperto. Eppure Sarah si pagava gli studi da sola e non pesava per nulla sull’abbiente famiglia e, quindi, i genitori non poterono fare molto per farle cambiare idea.

Sarah entrò velocemente nell’ampia aula illuminata da una pioggia di luce, coprendosi il più possibile dietro a un quaderno ma continuando a sentirsi osservata e giudicata da occhi velenosi. Si sedette in fondo all’aula appoggiando sul tavolo il quaderno e estraendo dalla borsa una matita che adorava portare alle labbra e mordicchiare quando era particolarmente nervosa o sovrappensiero.
“Signorina. Si è persa un’introduzione piuttosto rilevante dal punto di vista storico-sociale” disse il professore a voce alta guardandola dritta in faccia.
Non c’erano dubbi: stava guardando lei. “Scusi professore. La recupererò dal testo” promise arrossendo violentemente e sperando che nessuno l’avesse notato.

Lui fece il solito sorrisetto sghembo e ricominciò a spiegare: se ne era accorto, dannazione.

Sarah sprofondò il più possibile nella rigida sedia di legno, sperando di scomparire e ricomparire in una tenuta più comoda nella tranquillità del suo appartamentino.
Si fece coraggio e cominciò a prendere appunti con sempre maggiore trasporto, lasciandosi sedurre dalla sua voce e da ciò che era stato.

La lezione presto giunse alla fine e il professore, uscendo si avvicinò al suo banchetto poggiando un bellissimo quadrifoglio verde sul suo blocco di appunti, poi le sorrise guardandola negli occhi e le disse “pagine da 245 a 254” con voce morbida come la seta. In un attimo sparì oltre la porta dell’aula lasciando dietro a sé una scia di profumo.

Era imbarazzante, decisamente imbarazzante,  ma Sarah era totalmente affascinata e rapita da quell’uomo che rappresentava un’autorità così colta e apparentemente lontana dalla sua realtà; eppure le sembrava che lui la conoscesse intimamente e la potesse comprendere solo con uno sguardo. Almeno lei riusciva a capirlo con uno sguardo e ogni momento passato insieme sia in classe, sia per i corridoi si davanti a un caffè assumevano una rilevanza incredibile diventando fari nel buio della ruotine della sua vita universitaria.

Aprì distrattamente il testo di storia dell’arte alla pagina che le era stata indicata e si ritrovò catapultata nella realtà del 1700, nella ricchezza e opulenza del rococò, che andava a arricchire i castelli dove da piccola sognava di vivere. Ora nonostante fisicamente fosse cresciuta, o almeno quasi tutto il suo corpo era cresciuto, si sentiva ancora una bambina attratta dal mondo dei castelli e delle principesse, che vengono salvate da valorosi principi azzurri e vivono per sempre felici e contente. Ok, so cosa state pensando ma Sarah era una sognatrice e non una sprovveduta: sapeva benissimo di non essere una principessa bionda e bellissima che aveva diritto a un bellissimo principe che l’avrebbe salvata da sé stessa. Se voleva salvarsi era meglio che iniziasse a tirarsi su le maniche e farlo da sola perché del principe azzurro si erano perse tutte le tracce.

Almeno per il momento.

Si avviò verso il parco e fu subito inondata da una cascata di luce, strizzò gli occhi fino a vedere ciò che stava cercando da tutta la mattina. Si avvicinò e disse: “Spero di non averti fatto aspettare troppo. Mi ero lasciata prendere dalla lettura”
“Non ti preoccupare” rispose con un sorriso.
Anche Sarah sorrise.
 
 “Hai visto che figuraccia ho fatto prima?” disse Sarah ridendo e sedendosi a terra vicino alla sua migliore amica.
“Ero più impegnata a vedere come ti stava guardando il prof. D’altronde se ti presenti alle sue lezioni così…” disse indicando il vestito della vergogna “…ovvio che ti abbia guardato come se avesse voluto strappartelo”
“Ma per favore!-rispose Sarah- avrà pensato che sono una battona part time” disse soffocando una risata mentre addentava il suo panino al tonno.
“Secondo me dovresti provarci comunque, magari ci sta e ti fa passare l’esame” disse Carla ridendo sguaiatamente.
“Shhhhh! Uno è sposato e due è il nostro professore!” rispose Sarah sconvolta.
Carla fece spallucce continuando a assaporare il suo pranzo. Sarah si rilassò godendosi il calore sulla pelle e il vento tra i capelli mentre si godeva il pranzo.

Una volta finito di mangiare le due si avviarono verso il corridoio centrale alla volta della miglior macchinetta del caffè di tutto il campus, sicure di non incontrare nessuno in quanto la maggior parte degli studenti era ancora fuori a godersi il bel tempo e chiacchierare sfruttando appieno la pausa pranzo. Come previsto il corridoio era vuoto tranne per una figura che si stagliava proprio davanti alla macchinetta del caffè. Sarah sentì lo stomaco contrarsi e il cuore saltare un battito. Si avvicinò cautamente e constatò che non era lui.
Sorrise a Carla prima di prendere il suo cappuccino alla soia. Una volta avvicinato il bicchiere alle labbra e sorseggiato un po’ di caffè si sentì subito meglio, come ricaricata e cominciò a parlare con Carla della sera precedente rispondendo a tutte le sue domande: sì, si era divertita un sacco, era andata con dei suoi amici, no non c’era nessuno di speciale ma solamente i soliti, sì era sicura che non ci fosse nessuno. Per qualche motivo Carla non le credeva e, così, Sarah iniziò a raccontarle tutta la serata nei dettagli sperando di convincerla; girarono l’angolo e lui era lì. Con due fragili tazzine bianche in mano.

Carla guardò l’amica con gli occhi sgranati e, successivamente, cercò di ricomporsi davanti al professore; Sarah era semplicemente impietrita: non aveva fatto una figura abbastanza terribile quella mattina presentandosi alla lezione in ritardo e con il vestito della vergogna cucito sulla pelle? Sbiancò facendo cadere la tazzina di caffè, ormai vuota a terra. Lui la guardò preoccupato, analizzando ogni singolo muscolo del suo viso alla ricerca di qualche indizio che rivelasse il suo stato d’animo e le chiese se stesse bene.

“Certo. Mmm… scusi ma oggi sono un po’ stanca e mi ha preso di sorpresa, non mi aspettavo proprio di vederla qui” disse balbettando Sarah, continuando a fissare il vuoto che si apriva sopra la sua spalla destra. 

“Avevo visto che eri piuttosto provata stamattina- disse Andrea- per questo ti ho preso questo” disse porgendole con cautela la tazzina di plastica. La osservava attenzione, come se fosse una bomba inesplosa e potesse reagire improvvisamente combinando un disastro. Lei non lo capiva, stava bene e glielo aveva  ma si portò ugualmente la tazzina alle labbra e assaporò il caffè.

No, non era caffè, era cappuccino alla soia. Come diavolo faceva a ricordarselo OGNI VOLTA? Sarah lo guardò con aria sconvolta in attesa di risposta.

“Prego Sarah. Ci vediamo domani a lezione. Puntuale mi raccomando” disse sorridendo mentre sorseggiava il caffè allontanandosi nel corridoio.

Sarah si girò verso Carla, la quale aveva una faccia ancora più attonita della sua. Perfetto, quindi non era solo lei a non capire quell’uomo quando si comportava in modo così…. premuroso e attento. Semplicemente il suo comportamento non pareva aver alcun senso logico.

Sarah si trovò a respirare lentamente e profondamente cercando di mettere ordine tra le migliaia di pensieri che le erano esplosi in testa; ogni incontro, per quanto banale e stupido, era così intenso che la destabilizzava e ci metteva un po’ per riacquistare un livello accettabile di lucidità.
Carla finalmente uscì dalla trance e interruppe i flussi di pensieri di Sarah “Amica mia gli piaci. Non ci sono dubbi; non fa così con nessun’altra nel nostro corso. E ce ne sono a bizzeffe di ragazze bellissime!”

Perfetto, tante grazie pensò Sarah mentre cercava di reprimere quella vocina che confermava quello che Carla le aveva appena detto. Scosse la testa lentamente, confusa e sconsolata, fino ad arrivare all’aula destinata alla prossima lezione; poi entrò in silenzio e si sedette sulla prima sedia libera. Le girava la testa.

Il resto della giornata passò in un lampo, o almeno così parve a Sarah che era totalmente immersa nei suoi pensieri. Stava cercando disperatamente e con tutte le sue forze ed energie di fare ordine e pensare con la testa e non con il cuore; d’altronde sapeva bene che fare un passo falso avrebbe compromesso la sua carriera universitaria e la sua reputazione oltre al rapporto con il professor Andrea, come voleva che solo lei lo chiamasse. Era confusa e riusciva a concentrarsi solo sul ronzio che sentiva dentro alle orecchie, tutto il resto era scomparso. La situazione non migliorò in macchina quando cercò di concentrarsi sulla strada e sul traffico, per evitare incidenti, e neanche a casa dove, appena arrivata, si diresse in cucina dove scaldò dell’acqua nel microonde, vi inserì un bustina di te e si distese sul divano. Non riuscì neanche a finire di bere il tè prima di addormentarsi in un sonno profondo; semplicemente chiuse gli occhi e fu tutto avvolto dall’oscurità.
 
Ciao ragazzi\e! Come potete vedere ho aggiunto un nuovo capitolo introducendo due personaggi nuovi! sentitevi liberi di recensire per farmi sapere chi vi piace di più oppure, in generale, che ne pensate.


A presto! 

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Capitolo 3
*** Complicazioni ***


Timidi raggi di sole fecero capolino dalla finestra del soggiorno e svegliarono Sarah ancora prima che suonasse la sveglia, lei esitò accoccolandosi in posizione fetale sul divano che sembrava trattenerla a sé con forza. La sveglia suonò di nuovo e Sarah si obbligò ad alzarsi; le parole di Andrea parvero accarezzarle le orecchie “Ci vediamo domani. Puntuale mi raccomando”. Schizzò, quindi, in bagno a prepararsi con la stessa calma di un velocista durante una gara così che dieci minuti dopo era pronta e aveva già afferrato le chiavi  e la borsa e stava scendendo a due a due gli scalini per raggiungere la macchina.

Salì in macchina e guidò fino al college sorridendo come un’ebete sicura del fatto che lo avrebbe trovato lì, ad aspettarla al solito posto. Parcheggiò accanto a lui, sorridendo convinta della propria teoria e entrò guardandosi attorno nel corridoio deserto. Lui era lì, appoggiato alla macchinetta del caffè mentre premeva tasti con aria concitata; bello come sempre nella sua tenuta classica: camicia, giacca e pantaloni.

Sarah sorrise mordicchiandosi il labbro e attraversò lo spazio che li divideva con passo felpato “Sta litigando con la macchinetta, anche stamattina?” chiese con voce angelica.
Lui si girò di colpo e la vide; sorrise: “Qualcuno stamattina non vuole collaborare… noto con piacere che sei ben oltre l’essere puntuale oggi, Sarah”.
“Mi spiace molto per ieri- cercò di giustificarsi- ho fatto tardi a lavoro e così…”
“Non importa- rispose calmo Andrea porgendole il suo solito cappuccino di soia- mi ha fatto piacere che tu sia venuta nonostante avessi avuto problemi. Mi hai fatto preoccupare però…- disse scrutandole gli occhi- avevi una faccia stravolta.”
Sarah scherzò: “Più del solito?” disse specchiandosi nei suoi occhi azzurri e freddi come l’oceano, desiderando ardentemente tuffarcisi dentro.
“Decisamente- asserì con sicurezza disarmante- se vuoi possiamo parlare quando vuoi se hai qualche problema, sai dove trovarmi.” Disse lui con aria protettiva.
È vero, Sarah sapeva dove trovarlo e, per non essere tentata e non rischiare di fare sciocchezze, evitava accuratamente non solo la zona dove si trovava il suo ufficio ma, per precauzione, l’intero corridoio.
“Non serve, grazie per l’offerta- replicò Sarah imbarazzata mentre guardava a terra- sto benissimo. Davvero.” Disse con aria più convinta che potè.
“Lo vedo- rispose Andrea squadrandola dalla testa ai piedi mentre la faceva volteggiare- e anche ieri eri molto bella”
Sarah  si bloccò improvvisamente ed emise un rantolo, come se le avessero appena dato un pugno allo stomaco. Sgranò gli occhi guardando Andrea dritto in faccia.
Lui le sorrise e annunciò: “Sono un professore ma questo non significa che sia cieco. Ah, un piccolo appunto- aggiunse- io ho molto apprezzato la tua scelta di stile ma altri professori potrebbero fare storie” le sussurrò all’orecchio mentre le poggiava la mano sul fianco.
Le sfiorò poi il collo con le labbra  e scomparve nel corridoio verso il suo ufficio, senza dare l’occasione a Sarah di reagire, di dire nulla e neanche di respirare. Le aveva tolto il fiato.

Si trovò ad appoggiarsi al muro mentre ansimava mentre controllava la frequenza cardiaca portandosi una mano al petto e cercava di regolarizzare il respiro. Nel corridoio c’era un silenzio assordante eppure lei aveva il mal di testa,  sentendo forte e chiaro nelle orecchie il sangue che scorreva andando a colorale di un bel roso vermiglio l’intero viso.
Molte domande le frullavano per la testa: che cosa significava quell’incontro? Come avrebbe avuto il coraggio di guardarlo in faccia in classe? Che cosa avrebbe dovuto fare? Come interpretare i segnali che le aveva inviato (il sussurrare all’orecchio, il contatto fisico così intimo e quei complimenti così poco adatti a un professore universitario)? Molte domande ma nessuna risposta; così si incamminò con calma in classe mentre il corridoio iniziava a prendere vita.
  Carla arrivò una decina di minuti dopo e Sarah non le lasciò neanche il tempo di poggiare la borsa e sedersi prima di investirla e travolgerla come uno tsunami raccontandole con ricchezza di particolari l’incontro della mattina. Carla l’ascolto in silenzio, totalmente impassibile e alla fine sentenziò che la cosa iniziava a farsi seria; stava a Sarah scegliere come comportarsi. “Pensaci bene- ribadì Carla- ogni azione e scelta avrà delle conseguenze; quindi prendi quella giusta”.

Sarah non riusciva a focalizzare l’attenzione sull’ottimo consiglio che aveva appena ricevuto perché c’era qualcosa che non le tornava, qualcosa di strano e inusuale ma non disse nulla, per timore che fosse tutto nella sua testa. Carla continuava a guardare il vuoto e rispondeva a monosillabi a qualsiasi stimolo Sarah le desse, comprese proposte di uscire per pranzo e di dopo cena in qualche locale. Niente, tutti questi input, che di solito trovavano ben presto terreno fertile in cui crescere grazie all’organizzazione militare di Carla, oggi cadevano nel vuoto.
Sarah avrebbe voluto interrogarla e assicurarsi che l’amica stesse bene ma non ne aveva il tempo: pochi secondi dopo la pesante porta dell’aula si chiuse e il vociferare allegro degli studenti cessò: Andry era arrivato e, assieme a lui, la sua aura di terrore misto a profondo rispetto.

Scese leggiadramente le scale fino a raggiungere la cattedra, dove appoggiò la ventiquattrore marrone; poi si girò e fece un occhiolino con aria scanzonata e ammiccante. Sarah non ne era convinta ma sperava moltissimo e, allo stesso tempo era terrorizzata, che quel gesto così intimo e personale fosse proprio indirizzato a lei. Infatti l’aveva rivolto verso la sua direzione e verso l’alto, proprio dove era seduta lei.  Cercò di lasciar cadere quel gesto apparentemente senza significato e concentrarsi sulla lezione, nonostante fosse preoccupata per Carla, che era sempre più assorta e spenta. Sarah l’osservava di tanto in tanto e più la guardava più Carla appariva distratta, triste e depressa; Sarah era convinta che ci fosse qualcosa che non andava.
Andry era affascinante e interessante come al solito, eppure non riusciva a lasciarsi trasportare dalle sue parole e ritornare indietro nel tempo, nella magia del 1700, tra dame e principesse, re e principi; aveva troppe cose per la testa. Le due ore passarono lente e inesorabili, senza scambiare neanche una parola o uno sguardo con Carla.

Sarebbe stata una giornata dura.

Andrea, una volta finita la lezione, le passò accanto appoggiando con nonchalance un bigliettino bianco ripiegato e il solito quadrifoglio sul suo banco; confusa  come al solito lo guardò in cerca di conferme ma lui non incrociò il suo sguardo proseguendo a passo sicuro verso il corridoio. Aprì con timore il biglietto trovandoci un numero di telefono scritto con una grafia ordinata e chiara; qualcosa però non le tornava: non era quello del suo ufficio, quello lo avevano tutti e dall’inizio dell’anno.
Si voltò verso Carla con un sorriso ebete stampato in faccia, che subito represse vedendo la sua espressione, gettò tutte le su cose entro la borsa e la prese sottobraccio portandola verso il giardino. Appena varcata la soglia dell’aula Carla iniziò a piangere silenziosamente ma Sarah notò comunque le lacrime che le rigavano le guance arrossate dal calore della giornata. Velocizzarono il passo fino a raggiungere una zona d’ombra ai piedi di una quercia lontana dalle porte d’uscita; una volta lì fu tutto naturale. Sarah l’abbracciò forte e le chiese che cosa l’avesse sconvolta e fatta soffrire così; Carla affondò il viso nei capelli di Sarah, forse per vergogna nel farsi vedere fragile.
“Sai che puoi dirmi tutto- esortò Sarah-anzi, in questo caso sei proprio obbligata!” disse guardandola con dolcezza mentre si sedeva sull’erba.
“Sai che mi frequentavo ormai da due mesi con Tom no?”. Sarah annuì, immaginando come sarebbe proseguita la conversazione.
“Ieri sera sono uscita a bere qualcosa e l’ho visto con un’altra” disse singhiozzando e nascondendo il viso nelle mani.
“Magari era una sua amica o suo sorella o sua cugina che ne sai…”, sapeva che era altamente improbabile ma tentò comunque.
In risposta Carla le lanciò un’occhiataccia e aggiunse “Se consideri il modo in cui le palpava il sedere e le ficcava la lingua in bocca le tuo teorie vanno in mille pezzi”.
“Meglio averlo saputo ora che non è un ragazzo affidabile- concluse Sarah- non era il tipo adatto a te. Ne troverai a mazzi e di migliori” la rassicurò.
Carla singhiozzò, doveva essersi creato un rapporto tra loro due durante quei mesi. “Mi sento così rifiutata e non desiderabile” concluse Carla a fatica rima di riprendere a singhiozzare.
Sarah era un’esperta di queste cose e le dette il consiglio migliore che si potesse dare: “Nella vita bisogna continuamente prendere decisioni, che ci piaccia o no. A volte sono cose piccole e insignificanti da decidere mentre, altre volte, le decisioni sono grandi e cambiano tutto. Sono l’inizio di una vita di felicità o di tristezza. Purtroppo non si può avere tutto e bisogna scegliere anche se fa paura”.

Carla la guardò e, nonostante per le lacrime vedesse tutto offuscato, le parve tutto chiaro: era giovane e aveva molto tempo per trovare il ragazzo giusto, ammettendo che ce ne sia uno. Ora doveva puntare su sé stessa e su ciò che la faceva stare bene.
Sarah non capiva da dove le fossero uscite così sagge e allo stesso tempo così concretamente applicabili; anche per lei era tutto chiaro: era stufa di camminare su sentieri battuti, voleva qualcosa di diverso.

Tastò nella borsa alzando gli occhi al cielo, non era umanamente possibile perdere il telefono OGNI SINGOLA VOLTA! Finalmente, nell’angolo più recondito della borsa, tra mille altri oggetti, toccò qualcosa di duro e liscio che poteva essere il telefono e lo tirò fuori in fretta.
Non serviva cercare il bigliettino bianco, che comunque e con tutta probabilità non avrebbe più ritrovato, ce lo aveva stampato in mente. Aprì il cellulare e lo aggiunse velocemente nella rubrica: Andry.
Subito dopo gli stava scrivendo un messaggio: Hei. A cosa devo l’onore dell’avere il tuo numero di cellulare?

Carla in tutto ciò la sguardava aggrottando le sopracciglia mentre cercava di decifrare quelle azioni apparentemente senza significato. “Che diamine stai facendo?” chiese sporgendosi verso il cellulare dell’amica.
Sarah la guardò attentamente per vedere se avesse ancora bisogno di lei per sfogarsi ma, incoraggiata dallo sguardo di Carla le disse con aria più semplice e casuale possibile che aveva il numero di cellulare del professore.

Carla a dir poco impazzì alzandosi e mettendosi a saltare “Che ti avevo detto io! Ahaha, avevo ragione! E tu gli hai scritto vero?”

Sarah annuì, pentendosi per un momento della sua avventatezza; avrebbe dovuto pensarci meglio? E se il messaggio gli fosse sembrato stupido? Ok il messaggio era stupido… cavoli che stupida era! Carla le prese il viso tra le mani e la guardò negli occhi: “Stai calma! Non avrà il telefono sottomano… intanto mangiamo prima di svenire di fame”

Sarah le sorrise, sapeva che non era la sua Carla al 100% ma ci stava provando e il tempo avrebbe fatto il resto.

Presero il pranzo dalle borse e iniziarono a chiacchierare del più e del meno evitando come la peste l’argomento ragazzi.
Le chiacchiere furono interrotte da una vibrazione ben udibile: gli occhi di entrambe sgranarono e fu un attimo prima che Sarah si lanciasse sulla borsa alla disperata, disperatissima ricerca del cellulare che, come al solito, si mimetizzava sul fondo. Appena trovato Sarah lo aprì e notò un messaggio: lo aprì con il cuore in gola.
Era un messaggio di Enrique, un loro compagno di università che la invitata quella sera a prendere qualcosa da bere e chiacchierare.
Dalla faccia delusa dell’amica Carla non ebbe bisogno di chiedere se fosse Andrea, ma chiese semplicemente chi fosse.
Sarah rispose: “Enrique” con un tono decisamente poco euforico considerando che era stata appena invitata a uscire.
“Chi?!”
“Ma come chi- rispose Sarah- quel ragazzo che segue letteratura con me. È alto, con la pelle ambrata, gli occhi castani scuri…”
“No, niente” rispose Carla
“Mi pare venga dal Venezuela e ha un accento bellissimo…” proseguì Sarah nella speranza che Carla capisse, anche perché non sapeva più come descriverlo.
“Aaaah… ok ho capito-rispose Carla- beh è carino” aggiunse alzando le spalle.
“Sì e anche molto simpatico” aggiunse Sara riflettendo velocemente sul da farsi
“Io ci uscirei” disse Carla guardando l’amica con sguardo interrogativo
“Faremo tardi- tagliò corto Sarah- meglio se andiamo in classe”. Si accorse che da lì a pochi minuti avrebbe dovuto vederlo: aveva letteratura. Lanciò il telefono nella borsa e si avviò verso la porta con Carla.
“Sei nei guai cara” le disse prima di entrare in classe sorridendole.

Lo sapeva, lo sapeva molto bene.

ECCOMI DI NUOVO CON UN NUOVO CAPITOLO! SEMPRE PIù CARNE AL FUOCO CON LA COMPARSA DI ENRIQUE... COME PENSATE SI EVOLVERà LA SITUAZIONE? FATEMELO SAPERE IN UN COMMENTO E VEDREMO CHI INDOVINERà.

UN BACIO E ALLA PROSSIMA! ;)
 

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