La sirena

di Echocide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Titolo: La sirena
Personaggi: Tikki, Plagg, Altri
Genere: mistero, sovrannaturale, romantico
Rating: G
Avvertimenti: Alternative Universe, longfic, Original Characters
Wordcount: 1.494 (Fidipù)
Note: Salve salvino! Bene, se avete aperto questa fanfiction mi avete dato una possibilità (oppure ormai date per scontato che sia qualcosa di bello. Ah, illusi!). Ok, la pianto di scherzare e passo subito a spiegarvi la storia: qualche tempo fa, da avida lettrice quale sono, ho finito un libro sulle sirene e presa dal vortice in cui ero mi son detta: 'perché non scrivere qualcosa su Miraculous con le sirene?'. Ho pensato e ripensato, ma non volevo scrivere la solita storia con Adrien e Marinette, finché non si è accesa una lucina: perché non fare una fanfiction con Tikki e Plagg umani? E quindi ecco che nasce 'La sirena' (momento di attenzione per la fantasia del titolo).
Vi informo che questa storia, inoltre, si alternerà a ruota con Inori e Scene e...niente. Fine delle spiegazioni.
Vi lascio direttamente alla lettura!


Chiunque i lidi incautamente afferra
Delle Sirene, e n’ode il canto, a lui
Nè la sposa fedel, nè i cari figli
Verranno incontro su le soglie in festa.
[Odissea – Omero]



Lo sguardo blu osservò il pescatore, mentre alzava la testa e si guardava attorno: una vittima ignara di ciò che lo attendeva, che proseguiva tranquilla le ultime ore della sua vita.
Rimase immobile, guardando l’uomo prendere gli abbecedari e controllare la lenza, prima di effettuare una manovra e lanciare l’amo in acqua non molto distante dalla barca: lo aveva seguito per giorni, studiando la sua vita e cercando di capire perché era stato scelto.
Perché il Mare voleva proprio lui.
Ma non aveva trovato risposta alla sua domanda, scoprendo che si trattava solo di un uomo in pensione, la cui unica passione era la pesca e che amava alla follia le sue due nipotine.
Nient’altro.
Eppure Lui lo voleva, così come aveva voluto tante altre persone.
La ragazza chiuse gli occhi, issandosi sulla roccia e ignorando le onde che le spruzzavano il volto, mentre i lunghi capelli cremisi le aderivano alla schiena nuda: doveva cantare, doveva farlo e dare quella vita al Mare che tanto l’agognava.
Inspirò profondamente, ascoltando la canzone provenire da dentro di lei e poi aprì la bocca, iniziando a far uscire le prime note.
Chiuse gli occhi, decisa a non vedere il teatrino che presto sarebbe iniziato: l’uomo avrebbe abbassato la canna da pesca, si sarebbe guardato intorno con l’aria confusa e poi si sarebbe gettato, venendo accolto dai flutti.
Una vita per cento.
Era questo che si diceva, ogni volta che induceva un umano a gettarsi.
Ogni volta che uccideva qualcuno.
Il rumore di qualcosa che cadeva in acqua la ridestò, facendole aprire le palpebre e osservare la barca abbandonata, mentre lei continuava a cantare la sua nenia e una lacrima silenziosa le scendeva lungo la guancia: era un mostro che uccideva persone e poco importava che lo facesse per salvare altre vite, per tenere buona la furia del Mare.
Finì di cantare, quando fu certa che la vita era stata assimilata e inglobata e sentì la vibrazione nell’acqua, segno che Lui era contento.
Si asciugò veloce la lacrima che era sfuggita, gettandosi poi nell’acqua e nuotando veloce verso la costa, fino ad arrivare nella piccola baia nascosta da cui era partita – da cui partiva ogni volta – e si issò sugli scogli, rimanendo ben nascosta dalla spiaggia poco distante e dalla strada, che si affacciava su quella parte di mare: sarebbe stato un po’ difficile spiegare perché, al posto delle gambe, aveva un’enorme coda di pesce.
Sarebbe stato un bel problema rivelare che era una sirena e quello che faceva.
Si appoggiò con le braccia alla roccia, osservando il cielo sereno: non ricordava molto della sua vita prima di diventare una sirena; il Mare non parlava mai molto e le poche cose che sapeva le aveva apprese, quando cercava un legame con il suo Genitore.
Sapeva di essere stata una ragazza umana e che, in qualche modo, era stata in bilico fra la vita e la morte mentre l’acqua si chiudeva attorno a lei e Lui l’aveva reclamata per sé, donandole una vita immortale e una voce che era fiele per gli esseri umani.
In cambio di ciò, doveva semplice sfamare quel Padre e Sposo non voluto: una vita per salvarne altre cento, questo era stato il monito che Lui le aveva detto, la prima volta che aveva dovuto uccidere.
Per salvarne molte, per impedire al Mare di riversare la sua furia contro la terraferma e chi ci viveva, doveva condurre alla morte poche vittime: era semplice. E doloro allo stesso tempo.
Abbassò lo sguardo, osservando la coda asciugarsi e scivolare via come polvere, lasciando posto a un paio di gambe umane; con poca fatica si issò in piedi e veloce andò a recuperare gli abiti umani che aveva nascosto lì vicino: sarebbe rimasta in quel posto ancora per un po’, il tempo per osservare i cari della sua vittima piangere la perdita e, se fortunati, il Mare avrebbe dato loro anche un corpo da sotterrare, anche se raramente lo faceva.
Si vestì con difficoltà, mentre le sue mani tremavano come ogni volta: quanto ancora avrebbe resistito? Quante vite doveva ancora togliere, prima che s’incrinasse e si rompesse?
Aveva incontrato altre sirene come lei, alcune anche più anziane e in quest’ultime aveva avvertito la stessa freddezza del Mare: non c’era umanità nei loro sguardi o dolore quando cantavano e uccidevano.
Erano Figlie del Mare, esattamente come sarebbe diventata lei un giorno.
Non c’è futuro per una sirena, le aveva detto un tempo una delle anziane, diventerai una Figlia del Mare prima o poi; si era fermata poi, facendo vagare lo sguardo verso l’acqua azzurra e aveva sospirato: c’è una sola possibilità, che ti può dare una vita umana: trovare qualcuno che ti ami più del Mare. Ma dove pensi di trovare un amore più forte di quello di Lui? Dove puoi trovare qualcuno che veda al di là dell’aspetto che il Mare ti ha donato?
E, in effetti, era difficile che qualcuno oltre la sua apparenza: sapeva che gli umani venivano ammaliati dal suo aspetto esteriore, non molto diverso da quello che aveva da umana ma enfatizzato dal potere del Mare.
Chi avrebbe mai potuta vederla davvero per quel che era?, si domandò mentre si legava i capelli in una treccia e recuperava il berretto che si era portata dietro, calandoselo in testa e calcandolo bene, in modo che la visiera le coprisse parte del volto.
Si issò sugli scogli, raggiungendo velocemente la strada e iniziando a camminare verso il piccolo paese: sapeva che il figlio dell’uomo che aveva ucciso possedeva l’unico bar-ristorante del posto ed era intenzionata ad andare là e attendere il momento in cui la notizia sarebbe giunta.
Infilò le mani nelle tasche del giaccone, tenendo la testa bassa e camminando spedita, raggiungendo così velocemente le prime case del centro abitato e, poco dopo, il locale: entrò, osservando i pochi avventori e sorrise al ragazzo dietro al bancone.
Nooroo, così le aveva detto di chiamarsi quando aveva provato a interagire con lei e racimolando solo sorrisi cordiali che erano stati accolti da un balbettio imbarazzato: non poteva parlare, altrimenti lo avrebbe condannato e lui aveva associato il suo mutismo a un atteggiamento altezzoso e  glaciale.
Il ragazzo accolse il suo sorriso con un’espressione impacciata e lei si accomodò a un tavolo in disparte, aspettando che Nooroo le portasse la sua solita ordinazione, voltandosi poi verso la grande vetrata e osservando il mare che si vedeva in lontananza, sentendo il rumore delle onde nonostante il vetro e gli schiamazzi degli avventori del locale.
Il Richiamo, così veniva chiamato dalle altre sirene ed era anche il motivo per cui loro non vivevano molto sulla terraferma: il Mare le richiamava sempre e incessantemente.
Si strinse nel giaccone, sentendo un brivido correrle sotto la pelle molto simile a quello che avvertiva quando, nell’acqua, si trovava nelle vicinanze di un predatore; spostò lo sguardo, vagliando i pochi clienti e notando solo allora il giovane uomo che la fissava sfacciatamente: gli occhi verdi avevano un che di felino e seguivano attentamente ogni suo movimento, quasi come che lei fosse la preda.
Quasi come un gatto con il topo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Titolo: La sirena
Personaggi: Tikki, Plagg, Altri
Genere: mistero, sovrannaturale, romantico
Rating: G
Avvertimenti: Alternative Universe, longfic, Original Characters
Wordcount: 2.045 (Fidipù)
Note:Buon mercoledì! Ed eccoci qua con un nuovo appuntamento de 'La sirena' (perché è mercoledì, vero?). Bene, bene. In verità non è che ho molto da dire, prima di questo capitolo (sono abituata a Miraculous Heroes, dove di norma faccio discorsi pieni di informazioni randomiche), quindi...beh, che posso dire! Grazie veramente per aver apprezzato il primo capitolo di questa storia che, a conti fatti, è un esperimento che ho voluto provare.
Grazie tantissimo a tutti voi che avete letto, commentato e inserito la storia in una delle liste.
Grazie veramente tanto!



La donna stava piangendo, mentre alcuni volontari tiravano a riva il corpo senza vita del padre: nonostante il rumore delle onde che, incessanti si abbattevano su quella porzione di spiaggia, Plagg poteva sentire le urla strazianti.
Poco prima era corso al locale uno dei pescatori, additando a una barca abbandonata e tutti si erano messi in allarme: non era la prima vittima che il mare reclamava e, chi viveva in paesini come quelli, sapeva benissimo che non sarebbe stata neanche l’ultima.
Andare in mare, molto spesso, era una scommessa.
Ma non in una giornata come quella.
Plagg strinse il pugno, osservando il mare che era leggermente mosso e non così agitato da provocare il ribaltamento di una barca e l’annegamento di un pescatore esperto. Come era possibile che fosse avvenuto ciò?
Un malore forse?
Si appoggiò alla ringhiera, osservando il medico del paese sgambettare lungo il pontile.
Fu era l’unico dottore nel raggio di chilometri, da cui tutti andavano: uomini, donne, bambini, vecchi, animali. L’anziano cinese fungeva per il piccolo porto sia da medico che da veterinario e, com’era solito dire, non è che ci fosse poi così tanta differenza fra uomini e animali: se il cuore smetteva di battere erano morti entrambi.
«Secondo te cosa sarà successo?» domandò Nooroo, poggiando gli avambracci sulla ringhiera vicino a lui e tenendo lo sguardo sulla folla riunita attorno al cadavere: «Avrà avuto un malore?»
«Probabile.» commentò il ragazzo, passandosi una mano fra i capelli scuri e spostando la sua attenzione sulla figura solitaria che, molto distante da tutti, stava osservando la scena: la Rossa, com’era solito chiamarla fra sé, era arrivata poche settimane prima e, da subito, era stata sulle sue, senza parlare con nessuno.
Anche Nooroo era stato vittima di quel muro di silenzio, quando aveva provato ad avvicinarla.
E ogni volta che lei entrava nel locale, unico bar della zona fra l’altro, ci ricascava con tutte le gambe.
Plagg assottigliò lo sguardo, osservandola mentre si stringeva fra le braccia con quel giaccone che era molto più grande del suo corpo: poco prima, al locale, lei si era accorta che la stava fissando.
Di norma non succedeva mai o, comunque, era molto bravo a non farsi notare.
«C’è la tua bella» commentò, indicando con un cenno il punto in cui la Rossa era ferma e osservando lo sguardo di Nooroo calamitarsi in quella direzione, mentre le guance gli diventavano rosse: «Beh, non vai a parlarle?»
«Per cosa? Per vederla fissarmi in silenzio?»
Plagg abbozzò un sorriso, tornando a fissare i lavori per riportare il corpo senza vita, sentendo su di sé lo sguardo dell’amico: «Che c’è?» mormorò, dopo un po’ e infastidito da quell’attenzione non richiesta: «So di essere bello, ma non pensavo di essere il tuo tipo.»
«Stai pensando alla…» Si voltò, fulminando con lo sguardo l’altro e osservandolo mentre chinava lievemente la testa: «Scusa, non volevo.»
«Non importa.» mormorò Plagg, stringendo le mani a pugno e facendo vagare lo sguardo sulla grande distesa d’acqua: odiava il mare e sapeva che era un sentimento reciproco. Quando era piccolo adorava nuotare e stare a mollo nell’acqua: ricordava ancora le prese in giro di sua madre, mentre gli spalmava la protezione solare e lo riprendeva per la pelle scura che aveva.
Sei come tuo padre, ti abbronzi subito. Anche tua sorella è così, mentre io…, questo era solito ripetergli, per poi mostrare le sue braccia pallide come il latte.
Un urlo straziante lo riportò alla realtà, facendogli lasciare la madre nei ricordi, ove era relegata da quando il mare gliel’aveva portata via assieme al padre e alla sorella: osservò la figlia del deceduto notare la Rossa e correre verso di lei: «Ma cosa…?» mormorò, muovendosi velocemente e scendendo sulla spiaggia, osservando la donna prendere un sasso e lanciarlo in direzione della ragazza.
«E’ tutta colpa tua!» urlò quest’ultima, fra i singhiozzi e fermandosi a pochi passi dalla Rossa: «E’ colpa tua se mio padre è morto!» continuò, con le mani strette a pugno, mentre altri la raggiungevano: Plagg si fermò a pochi passi, osservando la ragazza fissare la donna con lo sguardo mortificato e poi farlo vagare sul resto delle persone.
«E perché sarebbe colpa sua?» domandò la voce stanca del dottor Fu, facendosi largo fra la folla e sistemandosi fra la donna e la Rossa: «Ho visto personalmente questa ragazza al bar, proprio durante l’orario in cui tuo padre dovrebbe essere morto. Anche Plagg e Nooroo possono confermare.»
«L’ho vista parlare con lui qualche giorno fa…»
«Tutti hanno parlato con lui, fino a prima che andasse in barca. Siamo tutti colpevoli?»
«E’ una straniera.»
Fu sospirò, annuendo con la testa e sorrise: «Giusto. Dimenticavo quel piccolo particolare che, se sei straniero, sei anche un omicida. Dove avevo la testa quando ho curato quel tipo, che si era tagliato quando gli si è fermata la macchina? Sono sicuro che, a quest’ora, avrà già ucciso delle bambine…»
«Non è divertente, dottore.» dichiarò la donna, fissandolo con il volto rigato dalle lacrime: «Questa…»
«Questa ragazza è innocente. E lo diresti anche tu, se non fossi accecata dal dolore, Marie.» bofonchiò Fu, scuotendo il capo e fissandola con lo sguardo assottigliato: «Tuo padre è morto per un malore e, appena quei bravi sommozzatori la smetteranno di prendere il the e si decideranno a tirar fuori tuo padre dall’acqua, ti dirò anche quale è. Non questa ragazza.» continuò l’anziano, voltandosi verso la Rossa: «Vuoi dire qualcosa, mia cara?»
La ragazza lo fissò un attimo, scuotendo poi la testa e incassandola fra le spalle, facendo un passo indietro e andandosene velocemente sotto gli occhi di tutti: «Lo vede? Lo vede come è strana? E’ arrivata qua da settimane e non parla mai…»
«Ma come? Non avevi detto, proprio poco fa, che ha parlato con tuo padre?» domandò Fu, scuotendo la testa: «Posso comprendere che è il dolore che ti fa parlare, Marie. Piangi tuo padre, ne hai tutto il diritto. Ma non accusare nessun innocente.»
Plagg ridacchiò, osservando la donna tirare su con il naso e fissare il dottore imbarazzata, mentre quest’ultimo aveva spostato l’attenzione proprio sul ragazzo: «Oh. Plagg! Volevo proprio te!» esclamò, avvicinandosi al giovane e guardandolo: «Avrei un lavoretto da darti…»


Chiuse la porta con forza, sobbalzando quando sentì il rumore secco: si voltò, osservando il foglio attaccato ove erano le poche regole del piccolo albergo in cui si era fermata.
Quando la figlia della vittima – della sua vittima – era corsa verso di lei, per un attimo Tikki aveva sperato.
Sperato che sapessero la verità e che l’avrebbero uccisa, permettendole quella libertà che non aveva da viva.
Ma così non era stato…
Certo, la donna l’aveva incolpata ma senza nessuna prova: non aveva mai incontrato l’uomo che aveva ucciso di persona. Lo aveva studiato da lontano, apprendendo la sua vita come faceva con ogni altro obiettivo che il Mare le dava, ma incontri ravvicinati? No, quelli mai.
Eppure la figlia la incolpava e, sebbene il dottore del paese, aveva preso le sue difese, lei sapeva quanto le parole della donna fossero vere: era colpa sua. Era lei che, con il suo canto, aveva spinto l’uomo a suicidarsi, gettandosi nelle acque del Mare.
Era lei che lo aveva ucciso.
Inspirò profondamente, osservando i suoi pochi oggetti sparsi per la stanza e annuì, afferrando il borsone consumato con cui viaggiava e iniziando a riempirlo velocemente: il suo lavoro era concluso lì, non avrebbe avuto senso continuare a rimanere in quel piccolo paese che si affacciava sull’Oceano Atlantico.
Per un po’ il Mare non le avrebbe chiesto altre vittime, quindi poteva viaggiare per i fatti suoi.
Era in Francia, quindi perché non visitare qualche zona di quella nazione?
Gettò la spazzola e una felpa, annuendo alla sua scelta: sebbene vivesse da tanto tempo, si era sempre limitata a rimanere nelle zone vicine al Mare, poiché  come sirena sentiva la mancanza del suo Padre e Sposo non appena si allontanava di qualche chilometro ma, perché non resistere a quella forza che la invocava, spingendosi un po’ nell’entroterra? Vedere qualche città e scendere verso sud, fino a raggiungere Marsiglia.
Se non ricordava male, lì viveva un’altra sirena.
Sì, avrebbe fatto così.
Se ne sarebbe andata e avrebbe viaggiato.
Non sarebbe rimasta un secondo di…
Un leggero bussare alla porta della sua stanza la interruppe: si voltò verso l’unica entrata alla camera e rimase in allerta, quando un secondo lieve toc toc la sospinse verso la porta: «So che sei lì dentro, Rossa.» dichiarò una divertita voce maschile: «Ti ho seguita dalla spiaggia, sai?»
Tikki inspirò profondamente, poggiando una mano sulla maniglia e sentendo il metallo freddo contro il palmo; respirò nuovamente e aprì la porta, osservando la figura ferma dall’altra parte: la pelle inscurita dal sole, i capelli mori leggermente lunghi e lo sguardo verde dal taglio felino.
Conosceva fin troppo bene la persona dall’altra parte, anche se non aveva mai avuto nessun contatto con lui.
Ma Plagg era famoso in tutto il paese.
Conosciuto per il suo odio verso il Mare, che gli aveva portato via la famiglia; per il suo aspetto fra le ragazze, che sospiravano ogni volta che lui entrava da qualche parte; e, soprattutto, lo conosceva per quella sensazione di pericolo e allerta che lui le metteva addosso.
Lo osservò guardare l’interno della stanza, mentre lo sguardo si posava sul borsone sul letto: «Te ne stai andando da qualche parte, sirenetta?» le domandò, storcendo il naso e facendo qualche passo indietro, come se la vicinanza con lei non gli piacesse. Tikki sgranò gli occhi a quell’appellativo, aprendo la bocca e richiudendola, portandosi poi le mani alla gola: «Non hai mai visto il film della Disney? La protagonista almeno?»
Tikki l’osservò, mentre lui si poggiava contro il muro parallelo a quello della porta e incrociava le braccia, inclinando la testa: «Rossa. Occhi azzurri. Non parla…Avevo pensato fosse carino come soprannome.»
Non sapeva chi era lei.
Era solo uno stupido soprannome.
Lasciò andare il respiro che aveva trattenuto, inclinando la testa e rimanendo in attesa: che continuasse pure con il suo sproloquio, lo avrebbe messo al suo posto come ogni altro essere maschile a quel mondo; alzò la testa, osservandolo mentre, comodamente poggiato contro il muro, ricambiava il suo sguardo con un sorriso tranquillo sulle labbra.
«Posso stare qui per tutto il tempo che voglio, ti avviso.» la informò, dopo una buona manciata di minuti e notando i segni di irrequietezza di Tikki: «Sono una persona molto, molto, molto paziente. Io.»
Tikki sbuffò, rientrando nella camera e afferrando il bloc notes e la penna che, lo staff dell’ albergo, aveva lasciato nella camera insieme ai campioncini di bagnoschiuma e shampoo e ad altri piccoli gadget che dovevano renderle confortevole il soggiorno.
Cosa vuoi?, scrisse sulla prima pagina e la mostrò a lui.
Plagg lesse le due parole, spostando poi l’attenzione sulla ragazza: «Non parli?» le domandò, ricevendo in cambio uno scuotimento del capo come segno di negazione: «Nel senso che non parli parli o non vuoi parlare con me?»
Non posso parlare, scrisse Tikki sul foglio, sotto il primo messaggio: ho un problema.
Plagg annuì, leggendo le nuove frasi e prendendosi un po’ di tempo: «Ok. Ecco svelato il mistero del tuo mutismo, allora.»
Cosa vuoi?
«Cosa vorrei? Mh. Dormire, ecco. Ma quel maledetto di Fu mi ha nominato tua guardia del corpo e quindi…» si fermò, allargando le braccia: «Tadan! Eccomi qua.»
Guardia del corpo?
«Sì, crede che la figlia di Gustav farà qualcosa contro di te e…tu sai di chi parlo, vero? La tipa che…»
Sì, lo so.
Plagg annuì, scostandosi dal muro ma rimanendo sempre distante da lei: «Bene. Ottimo.» si fermò, passandosi una mano fra i capelli scuri e giocherellando con la fascia nera e verde, che portava legata attorno al capo: «Non devo spiegarti più di tanto allora: sarò la tua ombra, almeno finché quella donna non si sarà calmata o tu te ne sarai andata, sirenetta.» dichiarò, entrando nella stanza e lasciandosi andare sul letto: «Ah, ti sconsiglio di farlo ora: saresti sospetta ed io non prenderei un soldo. Grazie.»
Tikki l’osservò, mentre chiudeva gli occhi e si rilassava nel suo letto: aprì la bocca, richiudendola e pestando stizzita un piede a terra.
Maledizione.
Non poteva parlare, altrimenti avrebbe dichiarato morte certa per quel tipo.
Ma la voglia di dirgliene tante era veramente enorme.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Titolo: La sirena
Personaggi: Tikki, Plagg, Altri
Genere: mistero, sovrannaturale, romantico
Rating: G
Avvertimenti: Alternative Universe, longfic, Original Characters
Wordcount: 2.300 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua con un nuovo capitolo de La sirena (storia per la quale mi sto maledicendo, perché non è per niente facile muovere un personaggio che non può parlare) e, per rispondere a chi nei commenti mi aveva chiesto se ci sarebbero stati anche Marinette e Adrien...beh sì, ci saranno. Non avranno un ruolo primario, ma ci saranno.
Ma vi lascio subito al capitolo e, come sempre, vi ringrazio tantissimo perché leggete le mie storie, le commentate (leggo sempre ogni commento che mi lasciate, anche se sono una pessima autrice e non rispondo mai. Sono pessima, lo so), le inserite nelle vostre liste e me fra gli autori preferiti.
Grazie tantissimo e di tutto cuore!



Tikki strinse le labbra, osservando l’occupante del suo letto mentre la sua mente lavorava alacremente: in verità era tutta la notte che rimuginava dato che il signorino, dopo aver detto tutto quello che gli pareva, si era tranquillamente buttato sul suo letto e si era addormentato.
Senza curarsi di ciò che avrebbe fatto lei.
Era una fortuna che, per una sirena, fosse superfluo dormire.
Tornò di nuovo a prestare attenzione all’ospite non voluto, avvicinandosi e studiandolo in volto: aveva dei lineamenti molto decisi e la pelle era bruciata dal sole, significando che passava molto tempo all’aperto. Ma dove? Nel periodo in cui era rimasta lì, l’aveva visto solamente al bar del paese.
Inclinò il capo, decidendo sul da farsi e lanciando un’occhiata sfuggevole alla sua borsa, abbandonata vicino alla porta: era ancora intenzionata ad andarsene da quel posto e poco le interessava cosa avrebbero pensato di lei gli abitanti o se il suo ospite indesiderato non guadagnasse nulla.
Non era un problema suo.
Osservò per un’ultima volta il ragazzo e poi, silenziosamente, scivolò nella camera fino a raggiungere la borsa, si chinò e strinse la presa sulla cinghia, voltandosi e controllando se il suo guardiano stesse ancora dormendo; con il sorriso sulle labbra, si issò in piedi e si sistemò la tracolla sulla spalla, allungando poi una mano verso la maniglia della porta.
Ancora poco e sarebbe potuta andare via da quel posto.
Ancora…
«Dove stai andando, sirenetta?»
La voce del ragazzo la fermò, Tikki si voltò osservandolo mentre, comodamente poggiato sui gomiti, la fissava dal letto, con lo sguardo verde che non era per niente assonato, come quello di una persona che si era svegliata dal momento: le sorrise, passandosi una mano fra i capelli scuri, spettinandoli più di quel che erano e osservandola divertito, quando un’espressione di puro disappunto le apparì in volto.
Plagg era sveglio già da un po’, per quanto la sirenetta fosse silenziosa a livello di voce, non lo era altrettanto quando si muoveva e lui era rimasto in ascolto, mentre lei si aggirava per la stanza: aveva trattenuto il fiato, quando l’aveva sentita avvicinarsi, per poi rilasciarlo quando si era allontanata.
Aveva socchiuso le palpebre, osservando la figura della ragazza avvicinarsi alla porta e, solo allora, aveva deciso di intervenire onde evitare che la sua fonte di guadagno se ne andasse: «Anche oggi sei di poche parole, noto.» dichiarò, stirando i muscoli delle braccia e sorridendo all’espressione di puro odio che la ragazza aveva in quel preciso momento: ah, se uno sguardo poteva uccidere…
Si alzò in piedi, sistemandosi la maglia e osservandola di sbieco: «Non penso che tu mi abbia detto come ti chiami, vero? Per caso è Ariel, il tuo nome?» le domandò, osservando lo sguardo blu – lo stesso colore del mare – fissarsi inespressivo su di lui, poi la ragazza incrociò le braccia, voltandosi di lato e non degnandolo di una risposta.
«Guarda, non ho nessun problema a chiamarti Ariel, sirenetta. Oppure Rossa, eh? Che ne dici?»
La ragazza alzò gli occhi al cielo, tenendo sempre le labbra sigillate e sciogliendo le braccia intrecciate, si avvicinò al tavolino ove la sera precedente aveva abbandonato il bloc notes e, chinandosi, scrisse velocemente una parola, mostrandogli poi il foglio: «Tikki…» lesse Plagg, facendo scivolare lo sguardo dalla parola, vergata velocemente, al volto della ragazza: «E’ il tuo nome?»
La rossa annuì e Plagg la imitò, rileggendo il nome e poi sorridendole: «Tikki. Perfetto. Io mi chiamo Plagg.» si presentò, posandosi il palmo aperto sul petto e osservandola mentre piegava le labbra in un sorriso, mentre una nota ilare le illuminava lo sguardo: «Trovi buffo il mio nome, rossa?»
Tikki scosse il capo, chinandosi e, dopo aver girato il foglio, scrisse velocemente qualcosa: «Mi chiamo Tikki, non rossa. E sì, il tuo nome è buffo.» lesse Plagg, quando lei gli mostrò la pagina, imbronciandosi: «Non è buffo, è un nome…beh, particolare.» La ragazza lo fissò per un secondo, scuotendo la testa e andando verso la sua borsa: «Ehi, ti ho detto…» iniziò Plagg, zittendosi quando lei alzò l’indice destro verso di lui, come a intimarlo di stare in silenzio.
Il ragazzo sbuffò, osservandola mentre recuperava una felpa e la indossava, facendo notare solo in quel momento che lei era stata con una canotta per tutta il tempo in cui avevano parlato, aveva anche pensato di uscire in quel modo e fuori, per quanto non fosse ancora freddo, non c’era certo la temperatura ideale per andarsene in giro con le braccia completamente nude: «Ma non hai freddo?» le domandò, incrociando le braccia e osservandola, mentre indossava il capo di vestiario: «Ok, il fatto che tu abbia messo una felpa dovrebbe essere una risposta affermativa, giusto?»
La ragazza sorrise, annuendo con la testa e poi legandosi i lunghi capelli rossi in una coda di cavallo e pettinandola poi con le dita, lasciandola adagiata sulla spalla sinistra: «Sai, penso che abbiano inventato una cosa chiamata pettine. Dovresti provarlo, fa miracoli contro i nodi…» Tikki l’osservò, alzando poi le spalle e recuperando il bloc notes: «Posso uscire?» lesse Plagg, quando lei gli mostrò la pagina: «Ovviamente, finché non lasci il paese, puoi fare quello che vuoi. Ed io sarò la tua fedele ombra.»
Vorrei andare in un posto. Da sola.
«Sarò la tua fedele ombra.» ripeté Plagg, sorridendo di fronte all’espressione furente che aveva assunto nuovamente Tikki: «Anzi, sai che ti dico: andiamo a fare colazione, offro io.»
La ragazza l’osservò, rimanendo ferma al suo posto mentre lui si avvicinava alla porta e l’apriva: Plagg si voltò, sostenendo lo sguardo dell’altra e, dopo una buona manciata di minuti di quella guerra, sospirò: «Senti, non è che ti chiedo di rimanere qui in eterno. Una settimana, niente di più. Il dottor Fu vuole solo che le acque si calmino e che Marie accetti che la morte del padre sia stato solo un incidente: è un villaggio piccolo questo e sono molto – diciamo – suscettibili per quanto riguarda gente estranea e cose nuove, soprattutto se combinate con la morte di uno del posto. Solo una settimana e poi potrai andartene dove più ti piace e dire addio a questo posto, mentre io intasco un po’ di soldi.»
Solo una settimana?, scrisse Tikki mostrando poi il foglio e fissandolo, in attesa di una risposta.
«Solo una settimana. Te lo prometto.» dichiarò Plagg, facendole cenno di uscire: «E ora andiamo, perché sto veramente morendo di fame.»
Tikki annuì, infilandosi il bloc notes e la penna nella tasca della felpa e, dopo aver recuperato la chiave della camera, lo seguì nel corridoio, chiudendosi la porta dietro di sé: solo altri sette giorni in quel luogo, quindi, e poi sarebbe stata libera di andarsene.
E se il Mare, in quel breve lasso di tempo, le avesse richiesto un’altra vita?
Gli aveva dato Gustav, il giorno prima, quindi non sarebbe successo niente: di solito ci voleva un po’, prima che il Mare chiedesse un altro essere umano e sette giorni erano veramente un periodo molto breve.
Non sarebbe successo niente.
Seguì Plagg fuori dall’albergo e lungo la strada principale del paese, cercando di pensare: sette giorni in cui sarebbe stata con quel tipo e ciò significava che non avrebbe potuto toccare l’acqua, altrimenti avrebbe scoperto la sua vera natura; sarebbe dovuta anche stare attenta a non emettere il più piccolo suono o Plagg sarebbe stato il prossimo pasto del Padre.
A cosa altro doveva stare attenta poi?
Che non la toccasse e sentisse quanto fredda era, rispetto a lui.
Nessuna ferita, altrimenti si sarebbe accorto delle sue capacità rigenerative.
E poi?
Ah, giusto. Niente lacrime, dato che si tramutavano in perle.
Poi? Poi cos’altro? Ah, ma perché non la lasciava stare in pace? E perché il dottore del luogo gli aveva imposto una guardia del corpo?
Socchiuse gli occhi, cercando di reprimere la voglia di piangere e urlare che aveva addosso; infilò invece le mani nella tasca della felpa, toccando il bloc notes che si era portata dietro e sorridendo: certo, doveva stare attenta a tante cose ma era bello avere di nuovo un contatto abbastanza lungo con un’altra persona.
Era bello poter parlare – per quanto quello che aveva poteva essere definito conversazione – con qualcun altro.
«Ehi, bella addormentata. Dove stai andando?»
Tikki si fermò, osservandosi attorno e notando che Plagg si era fermato parecchi metri prima di lei e la stava fissando, la mano destra ferma sulla maniglia della porta del negozio: «Ammettilo, eri già persa in chissà quale sogno ad occhi aperti, dove m’immaginavi padre dei tuoi figli e…» il bloc notes contro la faccia lo interruppe dal continuare la frase e Plagg si portò le mani al volto, osservandolo irato: «Ma che problema hai?»
Tu, scrisse velocemente Tikki, mostrandogli il foglio e poi superandolo ed entrando nella panetteria del paese, regalando un timido sorriso all’uomo corpulento al di là del bancone: «Plagg l’ha fatta arrabbiare?» le domandò una voce giovane e femminile: la rossa si voltò, incontrando un ragazzina dai capelli scuri e gli occhi azzurri che fissavano ilare il giovane uomo fuori dalla porta.
«Di sicuro è la prima che non gli cade ai piedi.» sentenziò l’uomo nel negozio, mentre si lisciava i baffi: «Gli serve qualcuna che lo rimetta al proprio posto. A proposito, io sono Tom Dupain.»
«Ed io mi chiamo Marinette.»
«E sei anche in ritardo per la scuola.»
Tikki sorrise, recuperando la pagina in cui aveva scritto il proprio nome e mostrandola ai due, abbozzando un sorriso agli sguardi che dalla parola scritta si spostavano al suo volto: «Piacere di conosceeee…» Marinette scivolò sul pavimento, nel tentativo di avvicinarsi e Tikki si lanciò in avanti, afferrandola per un braccio e impedendole così di rovinare a terra: «Grazie mille!» esclamò la ragazzina, regalandole un sorriso luminoso e abbassando poi lo sguardo sulla mano che la teneva per il polso: «Uao, sei veramente fredda.»
La rossa ritrasse di scatto, portandosela al petto e chinando lo sguardo: «Io vado a scuola.» dichiarò Marinette, sorridendole: «Spero di rivederti presto, Tikki. E parlare un po’ con te…cioè io parlo e tu…beh, hai capito.»
«Vai a scuola, signorina.» esclamò Plagg, entrando nella panetteria: «E mi raccomando: anche oggi balbetta davanti ad Adrien Agreste!»
«Co-co-co-cosa? I-io n-non…»
«Uh, oggi cominci prima del previsto! E non l’hai ancora visto!»
«Plagg, sei uno stupido!» sentenziò la ragazzina, uscendo dal negozio e quasi scivolando appena fu fuori, suscitando l’ilarità del moro e un sospiro da parte del padre.
«Quella ragazza...» sospirò Tom, scuotendo il capo e portando tutta l’attenzione su Plagg: «Il solito?»
«Sì, grazie.» sentenziò il moro, poggiandosi al bancone e osservando Tom incartargli i due cornetti che erano stati messi da parte: «Ancora nessuno li vuole?»
«Sei l’unico che mi chiede cornetti salati al camambert, Plagg.»
«Non sanno quel che si perdono questi miscredenti. Come sta Sabine?»
«E’ di sopra. Ah, ti ha già parlato del problemino che abbiamo con la luce del bagno?»
«Non funziona di nuovo?»
«Va a intermittenza.»
Plagg annuì, voltandosi verso Tikki e sospirando: «La controllerei anche ora, ma il dottor Fu mi ha dato un lavoro da babysitter.» spiegò, indicando la rossa: «Posso venire…» Tikki si avvicinò, picchiettandogli un dito sulla spalla e mostrandogli un foglietto: «Davvero? Non ti da problemi aspettare?»
La ragazza scosse il capo, fissandolo seria: che problemi poteva avere ad aspettare che aggiustasse la luce del bagno di quella famiglia? Nessuno, non aveva niente da fare in quel posto, quindi poteva tranquillamente rimanere in attesa e permettere a Plagg di aiutarli.
Il moro sorrise, recuperando il sacchetto con i due cornetti e indicando la porta dietro il bancone: «Di sopra, allora.» sentenziò, osservandola entrare dall’altra parte e osservare le scale che portavano al piano di sopra.
«E’ la ragazza che Marie ha accusato per la morte del padre?» domandò Tom, non appena Tikki fu uscita dalla stanza: «Povera ragazza, si vede lontano un miglio che non farebbe del male a una mosca.»
«Fu ha paura che le possano fare qualcosa, quindi mi ha chiesto di tenerla sotto controllo fino a che Marie non si calmi un po’.»
«Mh. L’ho vista stamattina, quando ho portato le brioches al signor Kubdel in negozio e continuava a dire che è colpa della straniera.»
«Quella donna…»
«Non è del posto e sai cosa pensa la maggior parte della gente…» Tom sospirò, scuotendo il capo: «Poverina, non parla nemmeno. Chissà cosa le è successo per farla giungere fin qua.»
«Chissà…» sentenziò Plagg, sospirando e scuotendo il capo, prendendo la stessa porta dalla quale era uscita Tikki: si fermò, osservandola in attesa vicino alle scale che portavano al piano superiore e rimase a fissare  gli occhi blu mare che lo guardavano seri: «Che c’è?» le domandò, superandola e salendo i primi gradini: «Sono così bello che non riesci a togliermi gli occhi di dosso, rossa?»
Plagg sorrise, osservandola mentre tirava fuori il foglio dove aveva scritto il proprio nome e glielo mostrava: «Rossa mi piace di più.» dichiarò, vedendola gonfiare le guance indispettita: «Ah, prima che mi dimentichi. Non farti incastrare da Sabine, la moglie di Tom…» sentenziò, mentre lei chinava il capo e un’espressione confusa le appariva in volto: «Vorrà cercare di farti mangiare e…beh, per quanto tu abbia degli argomenti decisamente interessanti, sei un po’ troppo magra…»
Tikki abbassò lo sguardo, sentendo il volto avvampare quando notò cosa il giovane stava guardando e, recuperato il bloc notes, lo uso per colpire in faccia al moro: «Ma la pianti di sbattermelo in faccia?»
Avrebbe cantato.
Oh, lo avrebbe fatto.
«Andiamo, rossa. Non ho tutta la giornata.» sbottò Plagg, massaggiandosi il volto e sorridendo, mentre saliva le scale: «Ah, non guardarmi il sedere.»
Sì, lo avrebbe portato in barca, al largo, e poi avrebbe cantato.
«Ehi, ti ho detto di non guardarmi il sedere.»
Oh, avrebbe cantato.
Sette giorni in compagnia di quel tipo significavano un pranzo extra per suo Padre a breve termine.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Titolo: La sirena
Personaggi: Tikki, Plagg, Altri
Genere: mistero, sovrannaturale, romantico
Rating: G
Avvertimenti: Alternative Universe, longfic, Original Characters
Wordcount: 1.808 (Fidipù)
Note: Nuovo capitolo de La sirena e si continua con la nascita  del rapporto fra Plagg e Tikki (e il camambert). Che altro c'è da dire? In verità poco o nulla, dato che non mi baso su un paese realmente esistente e quindi non posso fare da guida turistica, quindi bando alle ciance e cianco alle bande, passo subito ai ringraziamenti e a ciò che vi aspetta ancora questa settimana, ovvero il secondo aggiornamento di Miraculous Heroes 3 e il nuovo aggiornamento di Lemonish.
Detto questo, come sempre, vi ringrazio tantissimo per il fatto che leggete la mia storia, la commentate, la inserite in una delle vostre liste e me fra gli autori preferiti.
Grazie di tutto cuore!


Tikki sbadigliò, osservando il suo carceriere mentre, dall’altra parte della strada, stava aiutando il proprietario del negozio di fiori a sistemare i nuovi arrivi: non avendo niente da fare, aveva seguito Plagg per tutto il giorno, scoprendo che lui dava una mano a chiunque nel piccolo paese, in cambio di compenso.
Che fosse denaro o altro, per lui andava sempre.
Se si trattava poi di camambert…
Beh, aveva visto gli occhi di quel tipo illuminarsi, quando il sindaco della città lo aveva ripagato con una forma di formaggio puzzolente, perché aveva controllato il motore della sua vettura.
Formaggio che, in quel momento, era stato sistemato sulla sedia vicino alla sua e di cui le era stata intimata la salvaguardia.
Quel tipo era completamente e totalmente assurdo.
Tikki tamburellò le dita sul tavolo, voltandosi verso la direzione in cui sapeva c’era il mare e socchiuse gli occhi: se riusciva a concentrarsi poteva sentire il rumore delle onde e il richiamo del Padre.
Avrebbe voluto fuggire dalla supervisione di Plagg, ma nelle due volte in cui aveva provato, lo sguardo verde era stato subito su di lei e, con tutta la nonchalance del mondo, le aveva fatto constatare che non stava mantenendo la sua parte di promessa.
Solo che lei…
Lei era una sirena e iniziava a sentire il bisogno impellente di gettarsi nell’acqua.
Si voltò, notando che lui era sparito.
Forse era la volta buona.
Si alzò, attenta a non fare il minimo rumore e rimase ferma un attimo, osservando il negozio, quasi aspettandosi che Plagg uscisse e la fissasse, intimandole col solo sguardo di tornare seduta e aspettarlo.
Ma non avvenne.
Tikki sorrise, spostandosi leggermente alla sua sinistra e quasi sentendo già l’odore di libertà: non se ne sarebbe andata, gli aveva promesso che sarebbe rimasta almeno una settimana, sarebbe solo andata alla spiaggia, immersa e avrebbe parlato con il Padre, spiegandogli il perché della sua decisione di rimanere lì per un po’.
Certo, omettendo la parte della tipa che la voleva quasi morta.
Non l’avrebbe presa bene e voleva evitare che scatenasse la sua furia contro quel piccolo porto di mare.
«Tikki!» La voce allegra di Marinette la fece voltare: «Plagg, ti ha fatto impazzire?» le domandò, fermandosi a pochi passi da lei, assieme a un’altra ragazza dalla carnagione scura: «Ah! Lei è Alya, la mia migliore amica.»
Alya alzò il volto dal cellulare, sorridendole: «Piacere! Marinette non ha fatto altro che parlare di lei, oggi.»
Tikki sorrise, recuperando il blocco che aveva sul tavolo e scrivendo velocemente qualcosa, mostrandolo poi alle due: «Perché si scusa?»
«Perché Tikki è molto educata» dichiarò Marinette, scostando una sedia e osservando la forma di camambert poi la rossa che, girata la pagina del blocco, vergò il nome del proprietario: «Ah, lo hanno pagato di nuovo in formaggio? Poi si lamenta che non arriva a fine mese!»
«Se vuoi, Marinette, ti dico anche chi l’ha pagato con quella!» esclamò Alya, alzando gli occhi al cielo e sorridendo all’altra: «Bourgeois!» esclamò, in contemporanea con la moretta, e ridacchiando poi entrambe.
Tikki le osservò, sorridendo in silenzio: ridere e parlare così con qualcun altro per lei era impossibile e, anche se si fosse trattato di un’altra sirena, non avrebbe mai avuto quella complicità e quel calore che vedeva tra le due amiche davanti a lei.
Era strana a desiderare quello?
In fondo anche lei era una sirena.
Eppure…
«Marinette. Marinette» Alya ridacchiò, indicando con un cenno del capo la direzione da cui erano venute e Tikki notò Marinette voltarsi un attimo e arrossire vistosamente, tornando poi a guardare l’amica con un’espressione fra l’imbarazzato e il sofferente: «Andiamo, devi solo dire ‘Ciao, Adrien’» la prese in giro l’altra, sedendosi e poggiando il volto contro il palmo aperto: «Ripeti con me…»
«Ciao, Marinette!»
Tikki osservò il biondo, che stava passando in quel momento, con lo sguardo rivolto verso le due ragazze e un sorriso gentile in volto; Marinette, se possibile, diventò ancora più rossa e balbettò un qualcosa  che doveva essere un saluto, prima di sedersi e tenere lo sguardo rivolto verso il tavolo.
La sirena inclinò la testa, osservando curiosa lo strano comportamento e ricordandosi che Plagg aveva preso in giro la ragazzina proprio quella mattina…
Era qualcosa sul non balbettare troppo davanti qualcuno.
Spostò l’attenzione sul biondo, che aveva continuato per la sua strada, e annuì: quindi quel ragazzo era quel qualcuno.
Sorrise dolcemente, portandosi una mano alle labbra e osservando il blocco sul tavolo, indecisa se scrivere qualcosa: «Tu!» esclamò una voce femminile, facendole spostare l’attenzione verso la donna, che marciava verso di lei.
La figlia dell’uomo che aveva ucciso.
«Che cosa fai ancora qui? Stai cercando la tua prossima vittima?» le ringhiò contro, fermandosi a pochi passi da lei e fissandola astiosa: «Non ti è bastato uccidere mio padre?»
«Marie, andiamo…»
«Non intrometterti, Alya» sbottò Marie, voltandosi un attimo verso la ragazza e poi tornando a dedicare tutta la sua attenzione a Tikki: «Questi capelli rossi…»
«Oh, dai! Non siamo nel medioevo! E questa ragazza mi sembra tutto tranne che una serial killer!»
Marie la fissò astiosa, prendendole la coda e tirandola con forza: «E’ tutta colpa tua!» sputò la donna, costringendola a inginocchiarsi a terra e stringere i denti: non doveva fiatare, non doveva far uscire nessun suono altrimenti le persone attorno a lei sarebbero state condannate.
Sopportare.
Quello sapeva farlo bene.
Sopportava quando cantava.
Sopportava quando lasciava che suo Padre si prendesse una vita.
Doveva sopportare anche in quel momento.
Marie le tirò più forte la coda e Tikki si morse il labbro inferiore, poi qualcosa la colpì e una sensazione di bruciore le si irradiò dalla guancia destra; chiuse gli occhi, aspettando che tutto finisse e, poco dopo, sentì la presa sui suoi capelli farsi meno e qualcosa di caldo le si posò sulla guancia: «Stai bene?» le domandò la voce di Plagg.
Tikki riaprì gli occhi, osservando il volto inscurito dal sole a pochi centimetri dal suo e annuì, osservando gli occhi verdi che avevano perso quella  nota scanzonata: «Toccala di nuovo, Marie, e te ne pentirai» ringhiò, voltandosi verso la donna e fissandola: «Non voglio sapere quale collegamento ha fatto il tuo cervellino, ma ti posso assicurare che questa ragazza non centra assolutamente niente con la morte di Gustav.»
«Cosa c’è? Anche tu, ti sei fatto abbindolare da quel bel faccino?»
«Sì, è bella. Ma puzza troppo di mare per i miei gusti.»
Puzzava?
Tikki abbassò il mento, odorandosi e cercando di capire se era vero: forse aveva giocato troppo con i pesci l’ultima volta e il loro odore le era rimasto addosso?
«Sei come tutti gli altri, ma io…»
«Andiamo, Marie. Non renderti più ridicola di quello che sei» sbuffò Plagg, alzando gli occhi al cielo: «Fu mi paga per tenerla al sicuro ed io lo faccio.»
«Non pensi che sia strano che Fu ti abbia chiesto di proteggerla?»
«Forse me l’ha chiesto perché c’è una decerebrata che l’accusa della morte del padre e le vuole far del male?»
«Tu…»
«Io adesso ti osserverò continuare per la tua strada, come se nulla fosse. Ok?»
Marie strinse le labbra, facendo saettare lo sguardo da Plagg alla ragazza per terra, che si teneva la guancia lesa: «Non finisce qui» ringhiò, alzando il mento e riprendendo il suo cammino, regalando l’ennesimo sguardo d’odio a Tikki.
«E’ completamente impazzita» sospirò Alya, scuotendo la testa: «Completamente andata.»
«Può succedere quando perdi qualcuno che ami…» mormorò Plagg, voltandosi verso Tikki e osservandola: «Tutto ok, rossa?»
Tikki annuì, dopo un momento di titubanza, poi indicò il blocco che aveva lasciato sul tavolo e osservò Plagg recuperarlo e passarglielo, chinandosi accanto a sé e aspettando che lei scrivesse; strinse la penna, mordendosi il labbro inferiore e guardando la pagina, già piena di scritte, alla ricerca di un angolino vuoto: doveva prenderne un altro, se voleva continuare a comunicare con il resto del mondo.
Rimase a fissare il foglio, scrivendo le prime parole che le vennero in mente e voltando poi la pagina verso Plagg che, una volta letto, rise divertito: «Sì, grazie. Ero in pensiero per il mio camambert.» dichiarò lui, sorridendole: «Stai bene tu? Marie ti ha tirato per un bel po’ i capelli.» allungò una mano, massaggiandole la testa e scrutandola, mentre i polpastrelli scivolavano lungo il profilo della mandibola e le carezzavano il graffio: «Sei stata fortunata che non ti abbia preso bene con la borsa.»
Tikki lo osservò, spostando poi l’attenzione sulle due ragazzine, che avevano assistito alla scena, e regalò loro un sorriso: «Stai bene, Tikki?» domandò Marinette, inclinando la testa e studiandola seria.
La rossa annuì nuovamente e poi prese a girare i fogli del bloc notes, alla ricerca di uno spazio bianco per scrivere qualcosa: possibile che li avesse usati già tutti? Ok, Sabine l’aveva fatta scrivere per un bel po’, ma poi…
Poi quasi tutti quelli da cui era passato Plagg le avevano fatto domande e lei aveva dovuto rispondere.
Sorrise, carezzando le parole che aveva vergato in quella giornata e abbassando le spalle sconsolata: a quanto pareva non poteva più comunicare, se non a gesti o altro, finché non avesse preso un nuovo quaderno.
«Ragazze, potete accompagnare Miss non parlo ma mi faccio intendere benissimo a prendere un nuovo quaderno?» domandò Plagg, voltandosi verso Marinette e Alya: «Io finisco di aiutare Theo con il negozio e poi vi raggiungo.»
«Miss non parlo ma mi faccio intendere benissimo?»
«Sì, Alya. Perché anche se sta zitta, posso sentire nella mia testa una vocina che fa: uffa! E adesso come faccio? Non ho più posto dove scrivere! Uffa! Uffa! Uffa!» Tikki alzò il capo, fulminandolo con lo sguardo e Plagg sorrise: «Adesso sta sicuramente pensando a come uccidermi. Nel modo più lento e doloroso, possibilmente» dichiarò, piegando le labbra in un sorriso innocente al segno secco di affermazione di Tikki: «Visto?»
«Io devo prendere gli acquerelli» dichiarò Marinette, sorridendo a Tikki e porgendole una mano: «Tu prendi un quaderno nuovo e così puoi dirne quattro a Plagg.»
«Ehi! Tu dovresti stare dalla mia parte?»
«E perché?»
«Perché io potrei mettere una buona parola per te con Adrien, semplice.»
«E da quando in qua Adrien ti ascolta, Plagg?» dichiarò Alya, ridacchiando: «Solo perché vivi a casa loro, non è che lui ti dia retta»
«Punto primo: non vivo a casa loro, sono il guardiano e ho la mia casettina. Punto secondo: conosco Adrien da quando era un moccioso e, tutto quello che sa in fatto di donne, gliel’ho insegnato io.»
«Andiamo bene.»
«Alya, potrei lasciarmi scappare con Nino di quando tu avevi una cotta per me e hai provato a sedurmi, sai?»
«Ero una bambina»
«Un dettaglio che posso facilmente togliere dal racconto.»
Alya sbuffò, aiutando Tikki ad alzarsi e sospingendo lei e Marinette: «Andiamo, prima che lo uccida» dichiarò, voltandosi e facendo una linguaccia al moro: «Altrimenti, Tikki dovrà trovarsi una nuova bodyguard.»
«Ci vediamo dopo, signore.»

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Titolo: La sirena
Personaggi: Tikki, Plagg, Altri
Genere: mistero, sovrannaturale, romantico
Rating: G
Avvertimenti: Alternative Universe, longfic, Original Characters
Wordcount: 1.991 (Fidipù)
Note: Ed eccoci con un nuovo capitolo de La sirena (vi ricordo che il prossimo verrà postato il 14 giugno. Lo so, è un po' in là ma devo dare spazio anche alle altre due storie del mercoledì) e, come sempre, non è che abbia granché da dire su questa storia (rispetto alle note che faccio su Miraculous Heroes 3 sono davvero esigue queste), quindi passo subito alle informazioni di servizio e ai ringraziamenti.
Per gli aggiornamenti rimasti, vi informo che domani ci troveremo di nuovo con Laki Maika'i, venerdì ci sarà il nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3 e sabato il nuovo aggiornamento di Scene.
Vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e ricevere piccole anteprime.
Infine, come sempre, voglio ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!


Plagg fece un cenno del capo a Nooroo, impegnato dietro al bancone, mentre entrava nel locale con Tikki al seguito: lo superò tranquillamente, andando a sedersi al tavolo che occupava sempre e voltandosi verso l’ampia vetrata, in direzione della spiaggia; il giovane notò subito come lo sguardo dell’amico seguisse la rossa e poi, dopo un momento, tornò a occuparsi dei clienti che aveva davanti.
Dette una veloce occhiata a Tikki e, notando che lei era rimasta fissa al suo posto, decise di andare dall’altro: «Come va?» domandò, accomodandosi a uno degli sgabelli e sorridendo al ragazzo: «Serata piena, vero?»
«Wayzz mi ha detto che Fu te l’ha mollata come lavoro» dichiarò Nooroo, sorridendogli e iniziando a spillargli la birra che prendeva sempre, mettendogli poi davanti il bicchiere colmo di liquido ambrato: «E poi tranquillo: è bellissima ma non sono così stupido. Non le interesso…»
Plagg annuì, prendendo il boccale e voltandosi in direzione del tavolo: giusto, doveva sentire che cosa voleva…
«Dove accidenti è andata?» tuonò Plagg, posando con forza il boccale sul banco e osservando il posto che la rossa aveva occupato.
Vuoto.
Si era dileguata.
Nel suo silenzio.
«Quella…» strinse i denti, reprimendo ciò che voleva dire e si diresse velocemente verso la porta: non poteva essere andata tanto lontana e poi doveva passare dall’albergo a recuperare le sue cose.
«Plagg! E la tua birra?»
«La tua rossa è morta, Nooroo.»


Sembri stanca…
Tikki sorrise, ascoltando la voce del Padre dentro di sé, mentre si lasciava cullare dalla corrente marina: sto bene. E’ stata solo una giornata faticosa, gli rispose sentendo l’acqua vibrare attorno a lei: girò su sé stessa e, con due colpi di coda, raggiunse una profondità maggiore.
Mi dispiace.
Tikki si morse il labbro, piegandosi su sé stessa e assumendo una posizione fetale, mentre si lasciava cadere sempre più a fondo; le sarebbe piaciuto raggiungere il fondale e sdraiarsi, osservando l’acqua che l’avvolgeva completamente: non è per quello che ho fatto…, mormorò dopo un po’, ci sono abituata.
No, tu non ti abituerai mai. Sei diversa dalle altre.
Sono…
E va bene così. Fa parte della tua bellezza, Tikki.

La sirena annuì, adagiandosi sul fondale marino e, intrecciate le braccia, poggiò il mento contro di esse: il dottore del villaggio non vuole lasciarmi andare via…, mormorò dopo un po’, incapace di nascondere alcunché al genitore: la figlia del sacrificio pensa che io centri qualcosa con la morte…
Ha forse nota...
No, non affronta il dolore.
Vuoi che ci pensi io?

Tikki scosse il capo, girandosi e mettendosi supina: il dottore se ne sta già occupando.
Fu è un bravo uomo.
Lo conosci?
Più o meno. Io conosco tutti coloro che vivono nelle mie vicinanze, bambina.
Giusto.

Tikki annuì con la testa, socchiudendo gli occhi e lasciando andare i pensieri: aveva atteso un momento di distrazione di Plagg, uscendo velocemente dal locale e raggiungendo la spiaggia; quasi poteva immaginare quante gliene avrebbe dette quando lei fosse tornata sulla superficie ed era certa che avrebbe anche dato fondo al suo colorito vocabolario.
Ma sarebbe stato un po’ complicato spiegargli perché voleva andare in spiaggia e immergersi completamente nuda…
Anzi, da quel poco che lo conosceva, avrebbe sicuramente detto qualcosa sul farle compagnia o altro.
Era stata senza dubbio la soluzione migliore.
Chi è Plagg?, le domandò il Padre, riportandola alla realtà e facendola alzare di scatto: Tikki poggiò il proprio peso sui gomiti, osservando alcuni pesci nuotare poco distanti da lei: i tuoi pensieri mi arrivano e sono un vortice attorno a questa persona…
E’ il mio guardiano.
E perché dovresti avere un guardiano?
Perché Fu ha detto che mi serve.

L’acqua vibrò attorno a lei, facendola sorridere mentre allungava una mano e la corrente s’intrecciò attorno alle sue dita, stringendole appena e poi rilasciandole: va tutto bene, mormorò al Padre, devo rimanere qui solo una settimana. Il tempo di far calmare le acque…
Oh, ma io sono calmo, dichiarò il mare vibrando di allegria.
Tikki rise, continuando a giocherellare con l’acqua: è un modo di dire degli umani.
Non li capirò mai.

Anche io, mormorò la sirena, sorridendo e continuando a lasciarsi cullare dalla corrente del mare: anche lei non avrebbe mai capito un umano e il suo modo di fare, così opposto a come voleva far apparire.
Plagg era sprezzante, faceva battute sarcastiche eppure era il primo ad aiutare chiunque.
Era un controsenso.


Sapeva di aver fatto qualcosa di sbagliato.
Lo poteva leggere in quegli occhi blu scuro, mentre le stava davanti con i lunghi capelli rossi bagnati che, a loro volta, inumidivano anche la felpa: per la prima volta, da quando la conosceva, Plagg ringraziò il fatto che Tikki non potesse parlare e che solo lui sarebbe stato il protagonista indiscusso di quel soliloquio.
«Quale parte del ‘non sparire dalla mia vista’ non arriva al tuo cervellino?» mormorò il moro, tenendo le mani ben ferme nella tasche del giubbotto e osservandola, mentre inclinava la testa e sbatteva le palpebre, fissandolo con quello sguardo che rappresentava un misto fra risentimento e incredulità: «E poi perché hai i capelli bagnati?» sbuffò, continuando il suo rimprovero e notando che Tikki aveva abbassato lo sguardo verso i suoi piedi, osservando interessata la borsa, indicandola e spostando poi l’indice verso di lei: «La tua borsa? Sì, sono andato all’albergo mentre la signorina faceva il bagnetto delle sei e ho preso la tua roba – fra l’altro sei proprio una barbona, lo sai? -, perché…» si fermò, mentre notava le iridi tingersi di rabbia e ridacchiò: «Oh, la rossa se l’è resa a male?»
Tikki strinse la mascella, respirando a fondo e maledicendosi per non essersi portata dietro il bloc notes: non ne aveva bisogno in acqua e, di certo, non pensava di incontrare quell’idiota una volta ritornata sulla terraferma, Plagg poi sembrava trarre una gioia estrema dal fatto che lei non poteva parlare o scrivere, lasciandogli il pieno dominio di quella pseudo-conversazione.
Si accucciò davanti a lei, prendendo la cinghia della borsa e sollevandola senza sforzo, mettendogliela letteralmente in braccio e sorridendo: «Ho disdetto la tua camera e parlato con Tom. Da stasera starai dai Dupain-Cheng: Marinette stava letteralmente saltando dalla gioia.»
Cosa aveva fatto?
«E, cara la mia rossa, non pensare di liberarti di me un’altra volta» continuò Plagg, chinandosi un poco e tenendo gli occhi alla stessa altezza di quelli della ragazza: «Sarò la tua ombra, dovrai stare sempre davanti e…» si fermò, allungando una mano e dandole una lieve pacca sul sedere: «Almeno avrò un bel panorama per questa settimana.»
Tikki inspirò profondamente, lasciando andare la propria borsa e alzando un braccio: non pensò a nulla mentre, con la mano ben aperta, gli regalò un sonoro schiaffo e si sentì soddisfatta mentre vedeva lo sguardo verde di lui animarsi di rabbia.
Così imparava a toccarla…
«Ti odio, rossa.»
Sentimento reciproco, maniaco.


Fu sorrise, osservando la ragazza dai lunghi capelli rossi entrare nella casa dei Dupain-Cheng: «Ciao, Tikki» mormorò, chinando lievemente il capo in segno di saluto, senza alzarsi dalla postazione sul divano: «Mi dispiace tantissimo di non essere venuto a parlare subito con te…» continuò, mentre posava il bicchiere sul tavolino basso e la fissava: «Ma ho mandato Plagg, con l’ordine di spiegarti il tutto.»
Tikki annuì, mordendosi il labbro inferiore e scoccando un’occhiataccia al ragazzo dietro di lei: «Ti serve un quaderno per scrivere?» le domandò Marinette, dalla cucina ad angolo che dominava parte della stanza, prendendo immediatamente un blocco e una penna dalla roba della scuola, che aveva seminato sul tavolo: «Tieni!»
Tikki le sorrise, accettando ciò che le era stato offerto e stringendoselo al petto: «Credo voglia ringraziarti» bofonchiò Plagg, avanzando e poggiandosi contro il muro, le mani ben infilate le tasche e ricambiando lo sguardo sorpreso di Tikki: «Che c’è?»
La rossa scosse il capo, osservandosi attorno e sorridendo appena ai padroni di casa: «Immagino che avevi i tuoi piani» riprese Fu, tenendo lo sguardo su di sé: «Plagg mi ha detto che, quando ti ha raggiunta, stavi preparando i bagagli ma…» si fermò, storcendo le labbra e inspirando profondamente: «Marie era molto legata a suo padre, soprattutto dopo la morte della madre e penso che, quando ha visto il cadavere del genitore, qualcosa si sia rotto dentro di lei…» l’ometto si fermò, scambiandosi uno sguardo con Tom: «Non sono uno psicologo o uno psicoterapeuta, però, posso notare benissimo che Marie, da quando ha visto il padre, è cambiata in maniera totale…»
«Non che prima fosse un amore di donna, eh» bofonchiò Plagg, facendo voltare tutti gli altri: «Andiamo, non mi dite che prima di trovare Gustav fosse una santa!»
«No, però…»
«Forse non faceva la caccia alla strega rossa, però non è che era una di quelle che ti…»
«Plagg, ricordati di Marinette» l’ammonì Fu, sospirando e scuotendo il capo: «Per quanto apprezzi il tuo colorito vocabolario, vorrei evitare che…»
«Marinette è abbastanza grande per sapere!»
«Tesoro…» mormorò Sabine, sorridendo alla figlia: «Perché non vai a finire i compiti in camera?»
«Perché voglio stare con Tikki.»
«Ecco, Marinette» dichiarò Plagg, ridacchiando: «Prendi Tikki e portala a vedere la sua stanza: è meglio che le bambine non ascoltino i discorsi dei grandi»
Tikki si voltò verso il moro, osservandolo male e spostando poi lo sguardo sulla ragazzina, rimanendo in attesa: «D’accordo, d’accordo» sospirò Marinette, scivolando giù dallo sgabello e, nell’operazione, urtò contro la zuppiera piena di frutta: Tikki balzò in avanti, afferrando una mela che stava rovinando per terra e si scontrò contro Plagg, che aveva avuto la stessa idea, e sbilanciata dal movimento gli cadde addosso, finendo entrambi in un groviglio di gambe e braccia.
«Scusate…» pigolò la ragazzina, osservando i due mentre cercavano di rialzarsi: Tikki usò la spalla di Plagg per issarsi su ma, nel farlo, cozzò contro il tavolo e, mordendosi il labbro inferiore, si portò le mani alla testa, toccandosi la parte lesa.
«Hai una degna compagna, Marinette» bofonchiò Plagg, ridacchiando e osservando la ragazza: «Fa male?»
«Vieni, Tikki» mormorò Marinette, aiutando la rossa a rialzarsi: «Ti mostro la tua camera»
Tikki annuì mentre, tenendosi sempre una mano sulla testa, seguiva Marinette nel corridoio che si snodava dietro le scale che portavano al piano superiore e si voltò un’ultima volta indietro, osservando Plagg farle la linguaccia: «Tu piaci a Plagg» dichiarò Marinette, quando la rossa si fu voltata verso di lei: «Non l’ho mai visto così…» continuò, sorridendo all’altra e fermandosi davanti a una porta: «Beh, questa è la tua camera. Ti avviso, mamma e papà non la prenderanno bene se ci porterai Plagg…» continuò, ridacchiando all’espressione scandalizzata che si dipinse sul volto di Tikki: «Ti ho lasciato un po’ di quaderni e penne, così non avrai problemi a comunicare e…» Marinette si guardò attorno, allargando le braccia: «Beh, è tutto qui. Se hai bisogno di qualcosa…»
Tikki sorrise, avvicinandosi a Marinette e stringendola in un abbraccio, lasciandola poi andare e portandosi entrambe le mani al cuore: «Penso sia il tuo modo di dire grazie, giusto?» mormorò Marinette, sorridendole: «Plagg è più bravo di me a capire quello che vuoi dire.»
Tikki sorrise, ascoltando la ragazzina che le stava mostrando tutto e annuendo di tanto in tanto con la testa, voltandosi poi indietro quando sentì la porta aprirsi: Plagg rimase sulla soglia, osservando le due e la camera: «Parlavamo proprio di te! Cioè prima…» esclamò divertita Marinette, scivolando fuori dalla stanza e ridacchiando quando il ragazzo le scompigliò i capelli.
Tikki rimase immobile, guardandosi attorno e poi fermandosi su Plagg: «Allora, rossa, tu rimarrai qui, ok?» le domandò, sorridendo al cenno affermativo della giovane: «Niente bagnetti notturni. A meno che non inviti anche me» si fermò, incrociando le braccia e sorridendo: «soprattutto se li fai nuda, anche. Ehi, oggi eri nuda per caso? Per questo…» La  rossa assottigliò lo sguardo, avvicinandosi a lui con la mano ben alzata e pronta ad assestargli l’ennesimo schiaffo ma l’osservò balzare indietro e sorriderle innocentemente: «Beh, devo andare. Sicuramente gli Agreste si domanderanno dove sono finito…» dichiarò, facendole l’occhiolino: «Ci vediamo domani, Rossa.»

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Titolo: La sirena
Personaggi: Tikki, Plagg, Altri
Genere: mistero, sovrannaturale, romantico
Rating: G
Avvertimenti: Alternative Universe, longfic, Original Characters
Wordcount: 1.991 (Fidipù)
Note: Salve salvino, eccoci qua con un nuovo capitolo de La sirena (ricordo che il prossimo verrà postato il 5 luglio) e sinceramente non è che abbia molto da dire, con il fatto che questa storia è molto inventata e non basandosi su cose reali, ho veramente ben poco da dire, quindi passo subito subito alle informazioni di servizio.
Domani ci sarà un nuovo aggiornamento di Laki Maika'i, mentre venerdì sarà il turno di Miraculous Heroes 3 e sabato sarà la volta di Lemonish.
Come sempre vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati.
E, al solito, voglio ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.



Tikki sbadigliò, entrando nella cucina dei Dupain-Cheng e osservando Sabine lavorare intorno ai fornelli, rimanendo immobile e guardando incantata quella scena di vita familiare: quando ancora era umana, aveva avuto una madre come Sabine? Ne aveva osservato la schiena, mentre lavorava alacremente per dare un pasto alla famiglia? I suoi ricordi si perdevano nel tempo ed erano ormai sbiaditi, solo pallide forme di qualcosa che c’era stato.
La sua famiglia.
Era da veramente tempo immemore che non pensava alle persone che l’avevano generata, che si ricordava che una volta, anche lei, era stata una ragazzina umana come Marinette.
Quanto tempo era passato da quei giorni?
Quanti giorni, mesi, anni, secoli?
Ricordava a stento chi era stata e dove aveva vissuto, tutto il suo mondo era sempre stato solo ed esclusivamente il Mare.
Nient’altro.
Scosse il capo, stampandosi in faccia un sorriso tranquillo prima di battere le mani e fare segno ala donna della sua presenza: «Oh, Tikki!» esclamò Sabine, voltandosi e pulendosi le dita sul grembiule che portava: «Buongiorno! Hai dormito bene?»
La ragazza annuì, sorridendole mentre Sabine posava davanti a uno degli sgabelli un piattino con dei biscotti al cioccolato e una tazza di quello che, dall’odore, sembrava caffè: «Spero ti vada bene come colazione» mormorò la donna, ricevendo in cambio un cenno affermativo dalla rossa, mentre si sistemava sullo sgabello e prendeva uno dei dolcetti.
«Sai, sono contenta che tu abbia legato con Plagg» dichiarò Sabine, riprendendo a lavorare attorno ai fornelli: «Anche se lo conoscono tutti in paese, lui non lascia avvicinare nessuno» si fermò, scuotendo il capo: «Prima non era così, quando aveva l’età di Marinette era un ragazzino allegro e solare, ma poi i suoi sono morti in mare ed è dovuto crescere tutto insieme.»
I genitori di Plagg erano morti in mare?
Tikki alzò la testa, osservando la donna di schiena mentre la mente lavorava velocemente: e se fossero stati un tributo per il Padre? Però era strano, di solito chiedeva una vita sola ad ogni sirena e non più di una.
Un incidente forse?
«Erano andati a fare una gita in barca, i suoi genitori e la sua sorellina. Sembrava fosse una bella giornata ma il tempo è cambiato velocemente…» Sabine si fermò, scuotendo la testa e voltandosi verso di lei, con un sorriso triste in volto: «Il padre di Plagg ha cercato di riportare la barca a riva, ma non sono mai arrivati in tempo e le onde li hanno inghiottiti.»
Tikki annuì, abbassando la testa e osservando il liquido scuro nella tazza, mentre sentiva il suo cuore diventare pesante: no, non erano stati un tributo che il Padre aveva richiesto ma bensì anime che anche loro avevano pianto, come ogni volta che succedeva qualcosa del genere.
Solo i tributi erano necessari al sostentamento del Mare, tutto il resto erano vite che non andavano spezzate.
E la famiglia di Plagg rientrava in queste.
«Scusami, non volevo rattristarti con questa storia…» mormorò Sabine, sospirando e scuotendo la testa: «E’ solo che da allora Plagg tiene lontano chiunque, anche Nooroo per quanto sia un suo amico d’infanzia; ma con te…» la donna si fermò, sorridendo dolcemente e posando una mano sulla sua, facendo alzare la testa alla giovane: «Con te è diverso, lui si è aperto e sono felice di ciò.»


«Quindi che hai in mente di fare oggi?» le domandò Marinette, mentre Tikki alzava il viso verso il cielo terso e sorrideva: «Non vuoi dirmelo?»
La rossa scosse il capo con un sorriso allegro in volto, fermandosi e indicando con un cenno del capo davanti a sé: Marinette seguì la direzione indicatele e s’irrigidì alla vista del ragazzo dai capelli biondi che stava camminando nella loro direzione: «Buongiorno, Marinette» la salutò cortese il ragazzino, spostando poi la sua attenzione verso Tikki: «Buongiorno…» si fermò, aggrottando lo sguardo e cercando aiuto nella moretta, che sembrava aver perso l’uso della parola.
Tikki sorrise, recuperando il blocco e scrivendo il proprio nome: «Oh! Tikki! La ragazza di cui mi ha parlato Plagg!» esclamò il ragazzo, regalandole un sorriso luminoso: «Io sono Adrien Agreste.»
«Ah…b-b-b-b-b-uongornio…volevo dire, buongiorno Adrien!»
Adrien si voltò verso Marinette, regalando l’ennesimo sorriso e facendo poi vagare lo sguardo su entrambe: «Stavi andando a scuola, Marinette?»
«S-s-sì.»
«Posso venire con voi?» domandò il biondo, ricevendo un cenno affermativo da parte di Tikki, voltandosi poi verso Marinette che, rimasta in silenzio e con lo sguardo sgranato fisso sul ragazzo, sembrava aver perso per la seconda volta l’uso della parola: «Forse ti disturbo…» mormorò titubante Adrien, ricevendo in cambio un cenno negativo da parte di Marinette.
Interessante.
Marinette si comportava in un modo veramente interessante.
Tikki abbassò lo sguardo, iniziando a scrivere qualcosa: «Adrikins!» l’urlo femminile la fece sobbalzare, voltandosi e osservando una biondina gettarsi fra le braccia di Adrien: era forse un modo di salutarsi degli umani che ancora non conosceva? Spostò lo sguardo verso Marinette e trovandola improvvisamente cambiata: da impacciata e tremante a fumante di rabbia.
Ok, forse non era un modo di salutare degli umani.
Ed era incredibile come gli esseri umani cambiassero così velocemente stato d’animo.
«Oh. Marinette Dupain-Cheng!» esclamò la nuova arrivata, sorridendo freddamente a Marinette: «Al solito ti accompagni al peggio» continuò, spostando la sua attenzione su Tikki, che inclinò il capo, cercando di capire cosa la bionda stesse dicendo: «Mio padre è andato anche questa mattina ha tranquillizzare la povera Marie, sai? E la tua famiglia cosa fa? Prende in casa la persona che…»
«Chloè» mormorò Adrien, posandole una mano sulla spalla e allontanandola un poco da sé: «Non è colpa della signorina Tikki e tu lo sai bene.»
«Marie sostiene il contrario. Ed io credo a Marie.»
«Beh, che tu non avessi cervello l’ho sempre saputo» dichiarò Marinette, alzando il mento e fissando furiosa la bionda: «Ma non ti permetto di parlare male di Tikki. E’ mia amica.»
«Ovviamente, fra spazzatura ci si intende.»
Mh. Poteva chiedere a Marinette e Adrien di tapparsi le orecchie e cantare un bell’assolo per quella biondina antipatica?
«Adrikins, tu…»
«Io penso che Marie sia distrutta dal dolore e parli di cose non vere» sentenziò Adrien, facendo un passo indietro e sorridendo gentilmente: «Sono certo che, appena sarà di nuovo capace di pensare lucidamente si renderà conto di quello che ha detto…»
«Adrikins!»
«Marinette, dobbiamo andare a scuola» sentenziò il biondo, prendendo per le spalle la moretta e sospingendola nella direzione dell’istituto: «Spero di incontrarla nuovamente, signorina Tikki!»
Tikki li salutò con la mano e un sorriso sulle labbra, voltandosi poi verso la bionda che sembrava essersi pietrificata sul posto: le agitò una mano davanti agli occhi, vedendola sobbalzare e fissarla astiosa.
Ahia.
«Io non mi lascio ingannare» sentenziò la bionda, indicandola e fissandola malevola: «Se Marie dice che sei la causa della morte di suo padre, allora ha ragione. Sei solo un’estranea e gli estranei sono sempre il male!» dichiarò, quasi sibilando ogni parola e andandosene poi a testa alta.
Tikki rimase sola, osservando le persone attorno a sé, notando come la maggior parte l’additava e la scansava, rendendosi conto che quello che Chloé aveva detto il vero: era estranea ed era veramente la causa della morte del padre di Marie.
Che cosa stava facendo ancora in quel posto?
Perché rimaneva lì e non scappava?
Le importava così tanto di dar retta alle parole del dottore?
Gliene doveva veramente importare se Plagg non prendeva i soldi per averle fatto la guardia?
Alzò la testa e mosse i piedi, diretta nell’unico posto dove, era certa, avrebbe trovato una qualche risposta alle domande che le affollavano la mente; attraversò velocemente il paese, raggiungendo la spiaggia e si avvicinò alla riva, allungando poi una mano sull’acqua e, stando ben attenta che questa non le bagnasse i piedi, la sfiorò appena con i polpastrelli: Perché sei così triste, bambina mia?, le domandò la voce del Padre nella sua mente, facendola sorridere e sentire immediatamente a casa: Che cosa ti turba?
La sirena rimase interdetta, cercando di capire cosa la potesse rendere triste: non era andata lì con quei pensieri ma, mentre si avvicinava al Padre, la sua mente aveva vagato e i suoi ricordi erano andati fino alla conversazione con Sabine; il suo genitore e sposo doveva aver seguito l’andamento della sua mente perché si agitò sotto le sue dita: Erano persone che non dovevano morire, sentenziò con quella nota di tristezza che lo caratterizzava sempre quando parlava di chi non era un suo tributo.
Un controsenso come lo stesso Mare era: fonte di vita e di morte, egli poteva donare e poteva togliere.
Amava gli uomini che vivevano sulla terra, eppure chiedeva la loro vita come pagamento per non scatenare la forza che teneva nascosta.
Loro stesse, le sirene, erano prese da quei tributi che lui richiedeva.
Erano state umane tutte loro.
Lo so, mormorò Tikki nella mente e alzando lo sguardo verso il cielo: perché queste morti non richieste?
Alle volte è la stupidità dell’uomo, altre solamente quella cosa che gli umani chiamano destino.
Esiste il destino?
Non so dirtelo, bambina. Ma ho visto succedere cose e non erano per una mera sequenza di avvenimenti…
Forse esiste qualcosa che…
Come esisto io, può esistere anche il destino. Non credi, bambina mia?
Quando sono sirena è tutto più semplice.
L’uomo è affascinante, non è vero? Si fa domande così complesse e a cui non troverà mai le risposte…
, mormorò il Mare e le sue acque gorgogliarono: Come sta andando?
Bene. Presto tutto si calmerà ed io potrò andarmene.
Sento qualcosa in te.
Le persone qui…
, Tikki si fermò, scacciando dalla sua mente Marie e Chloé, concentrandosi invece sui altri visi a lei più cari: sono gentili con me, penso mi dispiacerà andarmene.
Ti stai legando?

Quella domanda, Tikki rabbrividì mentre scacciava dalla sua mente i Dupain-Cheng e Plagg: No, bisbigliò e tirò via la mano dall’acqua, guardandosi i polpastrelli come se si fosse scottata: si stava davvero legando alle persone di quel posto?
No. Non poteva succedere così in fretta.
E lei non poteva legarsi a nessuno…
Era una creatura immortale e, prima o poi, avrebbe iniziato ad avere la freddezza delle altre sirene dentro di sé e i legami non erano una cosa che quelle come lei comprendevano: «Solo chi mi ama più del mare…» bisbigliò ad alta voce, portandosi veloce una mano alle labbra, meravigliata della sua stessa imprudenza: da quanto non sentiva il suono delle parole che pronunciava?
Da quanto non parlava?
Si morse il labbro, scuotendo la testa e alzando il viso, donandolo alla brezza marina: era la vicinanza con gli umani, era questo che le stava provocando tutti quei pensieri; strinse le palpebre ma qualche lacrima scivolò lungo le guance, solidificandosi e cadendole in grembo: perle.
Le sirene non piangevano, poiché le loro lacrime si tramutavano in perle.
Si asciugò velocemente gli occhi, prendendo le sfere bianche in grembo e contandone una decina: chissà, magari se le avesse vendute avrebbe potuto ripagare i Dupain-Cheng per l’ospitalità.
Però dove poteva portarle?
«Ehi, rossa!»  La voce di Plagg la fece trasalire e si voltò, osservando il giovane andare verso di lei con un’andatura appesantita dagli scarponi che affossavano nella sabbia: «Quando Sabine mi ha detto che sei venuta da queste parti, ho pensato volevi suicidarti» le dichiarò, con un ghigno in volto: «poi ho pensato che hai una mente troppo vuota per simili pensieri» si fermò, mentre lei scattava in piedi e lo fissava risentita: «Hai il cervello di un pesce, sì.»
Il cervello di un pesce? Lei?
Lei non era così stupida.
I pesci erano idioti e lei ne conosceva abbastanza per poterlo dire senza problemi!
Lo fissò, scuotendo il capo con un gesto stizzito e andandosene decisa, scivolando pochi passi dopo per colpa di un’alga: Tikki inspirò profondamente, osservando furiosa quel filamento verde e reputandolo l’artefice di tutti i mali del mondo; si voltò indietro, osservando il giovane che, piegato in due, se la rideva della grossa: «Dovevi vederti, rossa» le disse, cadendo a terra e continuando a ridere: «Sarebbe stata una bella uscita ma…»
Tikki si issò in piedi, guardandola furente e mosse un passo, scivolando per la seconda volta e aumentando così le risate da parte di Plagg: si rialzò, inspirando profondamente e stringendo i pugni, tenendo lo sguardo sul moro che, le mani sulla pancia, stava ridendo divertito delle sue sventure.
Avrebbe cantato.
Prima o poi avrebbe cantato e avrebbe donato quella vita al Mare, così da salvare il mondo da quella piaga che era Plagg.
Strinse i denti, rialzandosi lentamente e, dopo averlo fissato furente per un l’ultima volta, si voltò stizzita e cercò di imitare quelle donne che, aveva visto proprio la sera prima, camminavano a testa alta su delle cose che Marinette aveva chiamato scarpe con il tacco: «Ehi, rossa. Non dirmi che te la sei presa?» la voce divertita di Plagg la raggiunse e lei si voltò, il fuoco nello sguardo mentre lo fissava rialzarsi e raggiungerla, ghignando divertito: «Non è colpa mia se sei inciampata su quelle alghe, testa di pesce.»
Ok. Questo era troppo.
Tikki si mosse, alzando il braccio e calandolo sulla faccia di Plagg, venendo intercettata dal giovane: «Non ci provare, signor…» iniziò, facendo un passo verso di lei e Tikki sentì la presa sul suo polso tirarla giù, mentre Plagg scivolava a terra e lei fissava sorridente alcune alghe che, forse per puro senso del dovere, l’avevano aiutata.
Sorrise trionfante, muovendo gentilmente il polso e, una volta liberatasi dalla stretta del moro, gli fece l’occhiolino andandosene saltellante.
Uno a zero per lei.
Forse.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Titolo: La sirena
Personaggi: Tikki, Plagg, Altri
Genere: mistero, sovrannaturale, romantico
Rating: G
Avvertimenti: Alternative Universe, longfic, Original Characters
Wordcount: 2.089 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua con un nuovo capitolo de La sirena (vi ricordo che il prossimo sarà postato il 26 luglio. Ebbene sì, luglio vedrà due capitoli di questa fanfiction) e, sinceramente, come al solito non è che abbia così tanto da dire in queste note: non ci sono informazioni su Parigi o robe random su Pokémon, quindi è sempre un 'problema' trovare qualcosa da dire e, quindi, si passa alle classiche e consuete informazioni di servizio che bene conoscete.
Come sempre vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e  ricevere piccole anteprime dei capitoli o dei miei scleri.
Vi ricordo che domani sarà aggiornata Laki Maika'i, mentre venerdì sarà il turno di Miraculous Heroes 3 con il secondo aggiornamento settimanale e, a conclusione di questi sette giorni, ci sarà un nuovo capitolo di Scene, con la seconda parte di Fuoco fatuo II.
Come sempre ci tengo a ringraziarvi tutti quanti per il supporto che mi date: grazie a tutti voi che mi leggete, commentate e inserite questa storia (e le altre) nelle vostre liste.
Grazie tantissimo!



Il suono della sveglia irruppe nella stanza, facendo storcere la bocca al giovane disteso nel letto che, a tentoni, cercò di spegnere l’apparecchio infernale, voltandosi poi sulla schiena e fissando il soffitto della camera, prima di coprirsi gli occhi con un braccio: doveva alzarsi, lo sapeva bene. Doveva cominciare una nuova giornata lavorativa, ma la voglia di rimanere a letto era veramente enorme.
Socchiuse gli occhi, lasciando andare un respiro lento e si decise.
Sbuffò, girandosi nuovamente sul materasso e mettendo le gambe fuori dal letto, girando il collo per sciogliere i muscoli del corpo e, con uno sbadiglio, si trascinò stancamente verso il piccolo bagno mentre si grattava il petto nudo: alzò la testa, fissando il suo riflesso nello specchio sopra il lavabo e sbadigliò nuovamente, guardando poi il proprio riflesso allo specchio, concentrandosi sui capelli scuri sparati in ogni direzione.
Doveva lavarsi, poi sarebbe stato il turno di vestirsi e infine, dopo un’abbondante colazione, si sarebbe messo al lavoro.
Sbadigliò, aprendo il getto della doccia e, tolti con velocità i pantaloni che usava per dormire, si mise sotto il getto d’acqua, lasciando che questa portasse via con sé la sonnolenza; si lavò rapidamente, uscendo poi dal box della doccia e, gocciolante e nudo, si diresse verso il mobile degli asciugamani, afferrandone uno a casaccio e passandoselo sul corpo alla bell’e meglio.
Ritornò poi nella camera, recuperando un paio di pantaloni sporchi e consumati, assieme a una maglia che aveva visto sicuramente giorni migliori, ma poco importava: quando uno ha a che fare con riparazioni o altro, non controlla come si veste.
Sbadigliò nuovamente, passandosi le mani fra i capelli scuri e bagnati e si voltò verso il letto, guardandolo con l’adorazione negli occhi: sarebbe stato bello buttarsi nuovamente lì, magari con un po’ di compagnia femminile su cui metter mano.
Scrollò il capo, cercando di scacciare i pensieri che la sua mente aveva formulato e non voleva assolutamente concentrarsi sul contrasto fra le lenzuola candide del suo letto e i capelli di una certa rossa di sua conoscenza.
Non doveva pensarci.
Doveva scacciare tutto ciò dalla sua mente e con velocità.
Lei non sarebbe rimasta per molto e poi, era certo, che non avrebbe accettato.
No, la vedeva già con lo sguardo blu cobalto sgranato, mentre le linee del suo viso si piegavano all’indignazione, prima che uno schiaffo o peggio si sarebbe abbattuto su di lui.
Sì, era sicuramente meglio scacciare certi pensieri dalla sua mente.
Sospirò, mentre si chinò e recuperò gli scarponi da sotto al letto, mentre il suo pensiero andava a Tikki: quella ragazza era strana e questo era un dato di fatto, oramai; ma anche tutto ciò che la riguardava scivolava nel mistero: chi era? Che cosa faceva in quel posto dimenticato da dio? Come poteva viaggiare da sola?
Non riusciva a comprenderla.
Era muta, eppure non comunicava in altro modo tranne che per iscritto, quasi come se il linguaggio dei segni che, ogni tanto vedeva in televisione, le fosse completamente sconosciuto. Eppure, da quel poco che sapeva, chi non poteva esprimersi con la lingua parlata, utilizzava quello…
Aveva veramente poco e, dubitava, avesse con sé anche molto denaro.
Non sapeva nulla di lei e, sebbene vivesse dai Dupain-Cheng da tre giorni buoni, quando aveva tormentato Marinette per avere qualche informazione sulla rossa, la ragazzina non aveva saputo dirgli nulla: Tikki non parlava di sé, non diceva assolutamente niente di chi era e da dove provenisse.
Nulla di nulla.
Il campanello dell’abitazione lo tirò fuori dalle sue elucubrazioni, facendogli alzare la testa e sospirare pesantemente al pensiero di chi poteva esserci dall’altra parte della porta: Nathalie, magari con una lista infinita di lavori di manutenzione alla villa Agreste? Oppure il Gorilla che, sotto ordine di Nathalie, era lì a chiedergli un qualche lavoro?
Oppure Adrien, in cerca di qualcuno con cui parlare di questo o quel problema?
Si passò una mano fra i capelli mori, tirandoli indietro e avvicinandosi con tutta la tranquillità del mondo alla porta, posando la mano sulla maniglia e girandola, sorridendo di fronte alla persona che si trovò davanti a sé, una volta aperta la porta: «Rossa!» esclamò, vedendola lì, davanti a sé con i lunghi capelli rossi legati in una treccia che, adagiata su una spalla, superava di molto la curva del seno; la ragazza piegò le labbra in un sorriso luminoso, alzando la busta di carta marrone che teneva in mano, quasi a dimostrargli il motivo per cui lei era lì: «San Tom» dichiarò Plagg, prendendo ciò che gli era offerto e aprendo i due lembi, assaporando il profumo di croissant caldo e camembert che si levava da dentro: «Vuoi entrare?» le domandò, facendosi da parte e voltandosi verso la sua piccola casa.
Come la vedeva Tikki?
Come le sembrava il salotto barra cucina, completamente in preda al caos?
Plagg scosse il capo, alzando le spalle e liquidando così le sue mere preoccupazioni: non gliene era mai importato molto di come appariva al mondo e di cosa pensassero della sua casa, quindi perché iniziare ora?
La lasciò, mentre osservava interessata il mobile di legno consumato, che sicuramente aveva visto giorni migliori, e la televisione piatta dominante tutta la stanza, un piccolo gioiellino che aveva pagato non poco e del quale andava particolarmente orgoglioso: «Vuoi favorire?» domandò, prendendo un croissant e allungandolo in direzione della giovane, vedendola sgranare lo sguardo e scuotere immediatamente la testa, rifiutando così l’offerta.
«Ti avviso: non ho altro in casa» sentenziò, poggiandosi con i fianchi al bancone della cucina e addentando la brioche, mugolando di piacere quando fu investito dal sapore dolce della pasta e da quello più deciso del formaggio: «Non hai idea di cosa ti perdi…» sospirò sognante, leccandosi le labbra e dando un secondo morso.
Tikki scrollò le spalle, senza dargli nessuna risposta e osservando interessata ciò che la circondava: Plagg la guardò, mentre faceva scivolare le mani sul vecchio divano e saltava gli indumenti che vi aveva gettato sopra, voltando poi la testa nella direzione della libreria ben stipata di volumi, fermandosi davanti a questa e fissando con interesse un particolare preciso.
Il giovane si spostò dalla sua postazione, avvicinandosi con calma, mentre addentava nuovamente la brioche e, buttato giù il boccone, sorrise quando vide ciò che l’aveva attirata: «E’ una foto dei miei» rispose alla domanda che, quasi sicuramente, lei si stava facendo: «Con me e mia sorella. Lei era appena nata.»
Tikki annuì con l’espressione completamente neutra, prima di voltarsi verso di lui e allungare una mano, stringendogli la maglia e chinando la testa: l’aveva visto, quello sguardo quasi prossimo alle lacrime, lui l’aveva visto.
«E’ successo parecchio tempo fa» bofonchiò, scuotendo il capo e abbozzandole un sorriso: «Non…» si fermò, inspirando e lasciando andare l’aria: «Tu invece? Hai una famiglia da qualche parte?» Tikki alzò la testa, fissandolo negli occhi e poi scuotendo il capo e, portatasi l’indice sinistro alla tempia, picchiettò contro di essa: «Che non sei tanto rifinita l’avevo già intuito, non preoccuparti» scherzò Plagg, osservandola mentre stirava le labbra e le piegava poi in una smorfia.
Le sorrise, mentre accartocciava il tovagliolo di carta e lo poggiava sul tavolo già ingombro, spostando un po’ di roba e recuperando un foglio che aveva avuto giorni migliori: «Da qualche parte dovrei avere anche una penna…» mormorò, alzandosi e guardandosi attorno, venendo fermato dalle dita di Tikki che si erano posate sulla sua mano.
Abbassò lo sguardo, avvertendo sulla pelle il tocco freddo di lei e guardandola, mentre tirava fuori il bloc notes e una penna.
La vide guardarsi intorno e, spostate alcune cose da una sedia, sistemarsi e chinare lo sguardo sul foglio bianco e iniziare a scrivere velocemente: «Casa tua è un porcile» lesse a voce alta Plagg, quando lei gli mostrò le prime parole: «Sì, lo so ma, ahimé, sono troppo povero per far venire qualcuno a pulire e non ho voglia, né tempo, per mettermi a farlo io.» Tikki lo ascoltò, annuendo con la testa e tornando poi a scrivere, inclinando il capo e fermandosi, rileggendo quello che aveva scritto prima di annuire con la testa: «Potrei farlo io? Seriamente, rossa, non…» Tikki alzò una mano, fermandolo dal continuare e abbassò nuovamente il blocco, scrivendo velocemente e mostrando le nuove parole a Plagg: «Sicura? Non ho problemi a…»
La ragazza annuì decisa, con un sorriso sulle labbra e Plagg, sospirò mentre poggiava il fianco contro il tavolo e incrociava le braccia al petto: «Come vuoi. Non è che mi dispiaccia avere casa in ordine, ma non credere che mi sia dimenticato cosa ti avevo chiesto. La tua famiglia, Rossa.»
La vide abbassare appena le spalle e tamburellare le dita sul tavolo, prima di iniziare a scrivere parole, che sembravano uscire pesantemente dalla sua penna: «Non ricordo niente della mia famiglia o di chi ero» lesse a voce bassa Plagg, iniziando a dare ordine ai pezzi che aveva di Tikki: amnesia. Adesso comprendeva perché non parlava molto di lei, poiché non aveva niente da dire: «Niente? Assolutamente niente?» le domandò, vedendola scuotere la testa con decisione: «Deve essere brutto, per quanto siano dolorosi, io ho ricordi ma non averne nessuno…»
La vide stringersi nelle spalle e fare un’espressione serena, quasi come se non le importasse nulla di non sapere chi era o chi era stata la sua famiglia; allungò una mano, carezzando con il polpastrello del medio la pelle candida e fredda di Tikki, seguendo il contorno della guancia e scendendo verso il mento, osservandola negli occhi e notando come lei non si ritraeva al suo tocco: «Mi dispiace per te, testa di pesce» dichiarò, allontanando la mano e vedendola aprire la bocca, mentre gli occhi lo fissavano indignato. Tikki si alzò, picchiando le mani sul tavolo e guardandolo con furia, mentre lui scivolava lontano da lei: «Devo andare al lavoro, conto su di te per rendere questo posto vivibile» dichiarò, avvicinandosi alla porta e sorridendole divertito: «Ci vediamo, Rossa.»



Deficiente.
Stupido.
Idiota.
Cretino.
La sua mente stava dando prova di conoscere molti sinonimi per additare Plagg, mentre camminava a passo svelto per le strade del paese e ritornava alla boulangerie dei Dupain-Cheng: per quanto l’aveva fatta arrabbiare, non era riuscita a non sistemargli quel porcile che lui chiamava casa e ciò le aveva portato via gran parte della giornata.
Il sole stava tramontando sulle acque del Padre, mentre la sua mente andava a ciò che avrebbe detto a Sabine: come giustificare la sua assenza? Come spiegarle che aveva passato tutto quel tempo a pulire quel buco di fogna che era la casa di Plagg?
Aveva pensato che alcuni fondali fossero sporchi, almeno fino a quando non aveva conosciuto quel piccolo bungalow: era carino e intimo, peccato che il giovane l’aveva trasformato in una discarica con quattro mura.
Già immaginava Sabine che leggeva tutto e sorrideva, scuotendo lentamente il capo mentre continuava a preparare la cena; Marinette avrebbe squittito e, dopo aver domandato se per caso aveva incontrato anche Adrien, sarebbe partita con una solfa romantica su lei e Plagg.
A quanto pare era fermamente convinta che loro due stessero bene assieme.
Tikki sorrise, scuotendo il capo e sentendo quella strana sensazione che l’aveva colta negli ultimi giorni: possibile che le era bastata una manciata di giorni a casa dei Dupain-Cheng per sentirsi accettata e parte integrante della famiglia?
Quel pensiero la bloccò, facendola fermare al centro del marciapiede e portarsi le mani alla bocca, mentre ascoltava i rumori attorno a sé e si rendeva conto che stava facendo ciò che più temeva: la sua vita, il suo essere, si stava legando a quel luogo, le persone che vivevano lì stavano diventando importanti per lei.
Non doveva avvenire.
Non doveva succedere.
Che cosa avrebbe fatto se, un giorno, il Padre le avesse chiesto di cantare e far affondare nelle sue acque qualcuno dei Dupain-Cheng? O il dottor Fu? O qualcun altro di quel posto?
Plagg.
E se le avesse chiesto come sacrificio Plagg?
Plagg che aveva già dato molto al Mare, con la morte della propria famiglia.
Plagg che la prendeva in giro costantemente.
Plagg che cercava di aiutarla e capirla.
Non avrebbe potuto cantare, sapeva già la risposta.
Come sapeva il perché le sirene non si avvicinavano mai così tanto agli uomini.
Tu sei diversa.
Il Padre glielo diceva sempre e, adesso quella diversità, si stava mettendo contro di lei perché, era certa, che il giorno in cui sarebbe dovuta tornare in quel luogo, lei non avrebbe cantato.
Mai e poi mai.
E una sirena che non canta era destinata a tornare ciò che era stata all’inizio, un sacrificio per il Mare.


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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Titolo: La sirena
Personaggi: Tikki, Plagg, Altri
Genere: mistero, sovrannaturale, romantico
Rating: G
Avvertimenti: Alternative Universe, longfic, Original Characters
Wordcount: 2.037 (Fidipù)
Note: Nuovo capitolo di La sirena (vi ricordo che il prossimo capitolo di questa storia sarà pubblicato il 23 agosto) e, come al solito, non è che ci sia poi molto da dire: la storia prosegue come un fiume che si getta nel mare e, capitolo dopo capitolo, si avvicina sempre più alla conclusione. Quindi la smetto di farvi perdere tempo e passo subito alle informazioni di servizio!
Come sempre vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e ricevere piccole anteprime dei capitoli o dei miei scleri.
Vi ricordo che domani sarà aggiornata Laki Maika'i, mentre venerdì sarà il turno di Miraculous Heroes 3 con il secondo aggiornamento settimanale e, a conclusione di questi sette giorni, ci sarà un nuovo capitolo di Lemonish, con una RafaelSarah (finalmente tornano anche loro).
Come sempre ci tengo a ringraziarvi tutti quanti per il supporto che mi date: grazie a tutti voi che mi leggete, commentate e inserite questa storia (e le altre) nelle vostre liste.
Grazie tantissimo!

 

 

 

Aprì la porta del bungalow e la vista che ebbe dell’interno le fece abbandonare le braccia lungo il corpo, quasi avessero sentito arrivare tutta la stanchezza del genere umano assieme.
Il problema era che non lo era affatto.
In vero, si era svegliata da poco ed era nel pieno dell’energie.
Non aveva ancora mosso un dito, ma il disordine che aveva visto nella casa di Plagg l’aveva demoralizzata.
Aveva sistemato tutto il giorno precedente: aveva pulito, ordinato e messo a nuovo l’abitazione, eppure…
Un sospiro silenzioso le uscì dalle labbra, mentre faceva un passo all’interno dell’abitazione, facendo vagare lo sguardo sul disordine e il caos che regnava ovunque: non un angolo era stato salvato dalla devastazione e dalla confusione, non un mobile era libero e il pavimento sembrava ospitare una vasta gamma di indumenti maschili.
Sembrava che una tromba marina fosse passata da lì e, invece di alghe e pesci morti, avesse lasciato dietro di sé pantaloni, maglie e mutande.
Poteva un essere umano creare tutto quel caos in un solo giorno?
Si morse il labbro inferiore, avvertendo il sapore salato del suo stesso sangue sulla punta della lingua e si leccò la bocca, scuotendo la testa e ascoltando i rumori che la circondavano, socchiudendo gli occhi: il cinguettio degli uccellini appena fuori dalla finestra, il frusciare delle foglie che si muovevano nella gentile brezza che spirava dal Padre e…
La voce stonata di qualcuno che cantava e lo scrosciare dell’acqua nel bagno attiguo.
Scosse nuovamente la testa, poggiando il sacchetto di carta con le brioches al camembert e ascoltando la melodia che Plagg cantava con parole abbozzate in una lingua a lei sconosciuta.
E, in quanto sirena, era a conoscenza di ogni lingua parlata dal genere umano.
Strinse le palpebre quando un acuto, non proprio intonato, le perforò le orecchie, facendole accarezzare l’idea di proporre Plagg al Padre come primo tritone della storia: per quanto le leggende parlassero di quella figura mitologica, lei sapeva benissimo che non n’era mai esistito uno.
Sirene dall’aspetto poco femminile? Sì, tantissime.
Tritoni? No.
Un nuovo vocalizzo le fece mordere di nuovo il labbro inferiore, impedendo a se stessa di non urlare contro il novello cantante: una voce particolarmente stonata non meritava di certo una condanna a morte.
Si guardò attorno, decidendo il punto in cui avrebbe iniziato la sua missione di pulizia e notando che, alla fine, era semplicemente il disordine che regnava e non lo sporco come i giorni precedenti: aveva messo un bel po’ a ripulire tutto, domandandosi come Plagg facesse a vivere in un simile porcile ogni volta, quasi tentata di dar voce alla sua domanda su carta, ogni volta che lui rientrava a casa.
Si avvicinò al tavolo, iniziando a recuperare gli indumenti e constatare se avessero bisogno di una bella lavata o meno, iniziando a fare due mucchi per terra: ma possibile che avesse tirato fuori e indossato tutta quella roba nella manciata di ore, da quando lei se n’era andata il giorno precedente?
Quanto tempo era passato?
Una decina d’ore?
Come era umanamente possibile creare tutto ciò in una notte?
Scosse il capo, riprendendo il lavoro e sollevando una maglia color sabbia, studiandola con attenzione e cercando qualche segno che le facesse comprendere se era da lavare o meno, non prestando più attenzione ai suoni che la circondavano: la casa era diventata silenziosa e nessuna voce stonava note, inventando parole…
Tikki si voltò, sobbalzando alla vista del moro, nudo come la natura l’aveva creato, che la fissava a sua volta con lo sguardo verde sgranato: lo vide portarsi una mano, in modo da coprirsi la parte anatomica atta alla riproduzione della sua specie, e poi un sorriso gli comparve sulle labbra: «Che fai qui?» le domandò, poggiando il peso sulla gamba destra e continuando a rimanere completamente privo di vestiti come se nulla fosse.
La ragazza inclinò la testa, cercando di tenere lo sguardo sul volto di Plagg e di non scendere oltre le spalle: aveva già visto molti uomini nudi nella sua lunga vita ma, doveva ammettere, che Plagg era un degno rappresentante della razza con il fisico asciutto e leggermente muscoloso, la pelle scurita dal sole fino alla vita, ove iniziava una zona più chiara si estendeva fino a metà polpaccio, e la faccia da schiaffi di sempre: «Rossa, posso capire che mi stai letteralmente sbranando con gli occhi» iniziò con quel sorrisetto che lei tanto odiava e che sembrava canzonarla ogni volta: «Ma ti sto chiedendo cosa stai facendo qui.»
Tikki inspirò profondamente, affondando i denti nel labbro inferiore e, dopo essersi guardata attorno, afferrò un paio di pantaloni abbandonati vicino a lei, lanciandoglieli con tutta la forza che aveva in corpo e gongolando quando questi gli finirono sulla testa: una gamba che penzolava davanti al volto di Plagg e l’altra che cadeva con noncuranza sulla spalla scura.
Plagg scosse il capo, prendendo l’indumento e infilandoselo, dandole la possibilità di dare una breve occhiata ai gioielli di famiglia – così alcuni uomini li chiamavano, da quanto aveva sentito – domandandosi se tutti gli uomini avessero un batacchio simile fra le gambe.
Non ricordava molto della sua vita da umana, ma era certa di una cosa: non aveva mai avuto un contatto diretto con un pendaglio simile.
Lo avrebbe ricordato di sicuro.
«Hai finito di guardarmi? Mi metti in soggezione» le parole scanzonate di Plagg la riportarono alla realtà, facendole scivolare lo sguardo sull’addome ancora nudo e poi sulle iridi verde che la fissavano piene di divertimento: «E’ stato di tuo gradimento, Rossa? E giusto per ripetermi: cosa ci fai qui?»
Tikki si guardò attorno, prendendo poi il bloc notes abbandonato sul tavolo e vergando le parole senza curarsi di scrivere con una calligrafia comprensibile: «Sei venuta a mettere a posto? Cavolo, Rossa, scrivi meglio» borbottò Plagg, avvicinandosi e stringendo gli occhi: «Ma perché? La settimana è finita. Ero convinto saresti scappata immediatamente.»
La settimana era finita?
Come era possibile?
Quando il tempo era trascorso?
Lei non ricordava che fossero passati così tanti giorni.
Si portò l’indice destro alle labbra, massaggiandosi quello inferiore e rendendosi conto che erano effettivamente passati sette giorni da quando aveva cantato la sentenza di morte del padre di Marie, sette giorni da quando aveva conosciuto Plagg e pochi meno da quando i Dupain-Cheng erano entrati nella sua vita.
Sarebbe dovuta andare via, quindi?
Non poteva rimanere lì e…
«Beh. Si vede che ti sei trovata bene qua» commentò Plagg, alzando le spalle e guardandosi attorno, storcendo le labbra: «Hai già messo a posto una maglia grigia?» le domandò, osservandola indicare distrattamente uno dei mucchietti ai suoi piedi: «Capito. Vado a prenderne una pulita in camera» dichiarò, allontanandosi da lei e sparendo dalla sua vista velocemente, lasciandola completamente in balia dei suoi pensieri.
Sarebbe dovuta partire. Immediatamente.
Diventare un’ombra fugace nelle vite di tutti.
Non lo voleva, però. Non voleva che Plagg, Marinette e gli altri che aveva conosciuto la dimenticassero – Marie e Chloé Bourgeois sì, però – come se fosse stata schiuma di mare.
Non voleva questo.
Inspirò profondamente, scostando una sedia dal tavolo e lasciandosi cadere sopra, poggiando poi le braccia sul tavolo e nascondendo il volto fra di queste mentre sentiva le prime lacrime scivolare lungo le guance e solidificarsi: non avrebbe dovuto piangere, non con Plagg nell’altra stanza e prossimo a tornare da lei, ma non era riuscita a trattenerle.
Troppa la tristezza al pensiero di abbandonare tutti.
Troppo il dolore che aveva sentito nel cuore.
Sentì i passi di Plagg avvicinarsi e si issò su, osservando la manciata di perle dai riflessi grigiastri che aveva creato e che risaltava contro il legno del tavolo: velocemente le prese, infilandole nella tasca della felpa, asciugandosi poi gli occhi con le dita, quando Plagg ricomparve nella stanza, vestito di tutto punto: «Stavi piangendo?» le domandò dopo averla scrutata per un secondo in volto, avvicinandosi e allungando una mano, carezzandole la guancia e fissandola in volto: «Rossa, puoi stare qui quanto ti pare: Tom e Sabine ormai ti hanno adottato e Marinette sarebbe capace di rinchiuderti in casa, piuttosto che farti andare via» le dichiarò, sorridendole appena e chinandosi verso di lei: «Quindi niente lacrime, ok?»
Tikki lo fissò per un po’, annuendo poi lentamente con la testa e piegando gli angoli della labbra in su, concentrandosi poi sui polpastrelli di Plagg che continuavano a carezzarla, bollenti contro la sua pelle: «E se ti cacciano, puoi sempre venire a vivere qui» le bisbigliò, posandole la mano a conca sulla guancia, avvicinandosi ancora di più: poteva sentire il suo respiro sulla pelle e indugiò un poco, prima di posare una mano sul petto, sentendo la solidità del corpo di Plagg sotto le sue dita: «Dove dovresti andare?»
Nel mare, avrebbe voluto pronunciare, mentre fissava le labbra di lui e sentiva una strana sensazione avvolgerla, concentrandosi in un punto fra le gambe e costringendola a serrare i fianchi, senza capire cosa le stava succedendo: uno languore sconosciuto, un bisogno che non sapeva identificare…
Socchiuse le palpebre, sentendo l’altra mano di Plagg poggiarsi sul suo fianco e tirandola appena contro di lui, costringendola a posare entrambe le mani sul suo petto: «In effetti non sarebbe male se vieni a vivere qui» continuò, chinandosi appena e quasi sfiorando le sue labbra con le proprie.
Tikki voleva quel contatto, qualunque cosa significasse.
Si alzò leggermente sulle punte dei piedi, avvicinandosi di un poco alla bocca di Plagg e sentendolo sospirare, mentre quasi poteva già pregustare le sue labbra: come sarebbero state al tocco? Ruvide come il suo sarcasmo o morbide come la sua gentilezza?
«Plagg? Ci sei?»
La voce giovane e conosciuta a Tikki la riscosse, facendole sgranare gli occhi e allontanarsi dall’altro, stringendosi poi le braccia attorno al corpo e fissando il volto di Plagg, soffermandosi sulla linea stretta delle labbra e lo sguardo affamato che aveva; rimase immobile, mentre lui sospirava e si voltava verso la porta, aprendola e palesando la presenza di Adrien dall’altra parte: «Toh. Il moccioso» borbottò, facendosi da parte e lasciandolo entrare: «Che vuoi?»
«Buongiorno anche a te, Plagg» decretò Adrien, sorridendo tranquillo e poi voltarsi verso la ragazza: «Signorina Tikki! Marinette mi aveva detto che sarebbe dovuta partire presto ed era veramente triste.»
«Detto o balbettato?» domandò Plagg, scuotendo la testa: «Perché quando si parla di Marinette…»
Adrien strinse le spalle, mentre un sorriso dolce gli compariva in volto: «E’ timida» mormorò, quasi a scusarsi della compagna e continuando a piegare le labbra in quel particolare sorriso: «Sai che ha problemi a parlare. Con me, specialmente.»
«Io non posso credere che tu sia così cieco, Adrien.»
«Cieco?»
«Idiota senza speranza mi sembrava brutto da dire.»
Tikki sorrise, scuotendo la testa e ignorando i due, voltandosi e iniziando a sistemare gli abiti ancora a giro, mentre un sorriso divertito le compariva, ascoltando il battibecco fra i due: si fermò, portandosi una mano alle labbra e massaggiandosele, sentendo il suo cuore aumentare velocemente l’andamento dei battiti e quasi si meravigliò che nessuno lo sentisse oltre a lei, venendo nuovamente accolta da quel languore mentre la sua mente riandava a quel quasi incontro di labbra.
Che cosa era quello che stava provando?
E perché le stava capitando con Plagg?
Si chinò per prendere una maglia da terra, voltandosi poi e incontrando lo sguardo verde: Plagg sembrava ascoltare Adrien, ma in verità stava tenendo la sua attenzione su di lei, con un sorrisetto divertito in volto che lei ricambiò senza alcuno sforzo e senza comprendere cos’era quella strana connessione che adesso avvertiva.
«Fammi vedere cos’ha in mente tuo padre» sentenziò Plagg, quando Adrien smise di parlare e si avviarono entrambi verso la porta: «Ah, Rossa. Mi raccomando: tutto lindo e profumato al mio ritorno» le urlò l’uomo, chiudendosi dietro la porta e ignorando lo sguardo e il broncio che lei gli rivolse.
Tikki strinse la mascella, scuotendo il capo e piegando con gesti veloci e imprecisi la maglietta, lanciandola poi sul tavolo e ignorando il fatto che questa si era nuovamente spiegata: connessione? L’unico legame che sentiva con quel tipo era di morte certa. E per mano sua.
Quello che aveva provato poco prima era semplicemente stato un trascinamento nella acque, esattamente come quando in mare si lasciava portare dalle correnti marine.
Ecco. Era stato esattamente uguale.
Nulla di più.
Nulla di meno.

 

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Titolo: La sirena
Personaggi: Tikki, Plagg, Altri
Genere: mistero, sovrannaturale, romantico
Rating: G
Avvertimenti: Alternative Universe, longfic, Original Characters
Wordcount: 1.876 (Fidipù)
Note: Finalmente si torna ad aggiornare anche questa storia, dopo...beh, praticamente secoli! Non vi tormento più di tanto e, anzi, passo subito alle informazioni di rito: il prossimo capitolo, verrà postato il 4 ottobre e, come sempre, vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e ricevere piccole anteprime dei capitoli o dei miei scleri.
Come sempre ci tengo a ringraziarvi tutti quanti per il supporto che mi date: grazie a tutti voi che mi leggete, commentate e inserite questa storia (e le altre) nelle vostre liste.
Grazie tantissimo!

 

 

 

Tikki piegò le labbra in un sorriso, mentre passava il sacchetto di carta marrone all’uomo magro e allampanato, cliente abituale della boulangerie dei Dupain: «Immagino di spendere il solito» commentò l’uomo che rispondeva al nome di monsieur Remier, posando i propri acquisti sul bancone, mentre Tikki annuiva con la testa, muovendo poi le mani ed effettuando una sequenza di movimenti, indicando con le dita l’importo che l’uomo doveva.
Il cliente si tastò le tasche della giacca di tweed, tirando poi fuori un portafogli dall’aria consunta e lasciando cadere una manciata di monete sul piattino vicino la cassa, sorridendo: «Avete fatto un ottimo acquisto, Sabine» dichiarò Remier, voltandosi verso la piccola donna che aveva finito di servire un altro cliente e ridendo: «Immagino che le vendite sono aumentate con queste belle signorine» continuò, abbracciando con lo sguardo sia Tikki che Marinette: la prima piegò le labbra in un sorriso di cortesia, mentre le guance di Marinette s’imporporarono diventando di un colore rosso accesso.
Remier rise a voce alta, suscitando l’ilarità negli altri pochi clienti del negozio, prima di portarsi una mano alla bombetta che indossava e salutare così le signore: «A domani, mia dolce Tikki» concluse, aprendo la porta e lasciando passare un cliente ben familiare a Tikki e Marinette.
Adrien si spostò di lato, salutando Remier con un cenno del capo e voltandosi poi verso l’interno, regalando un sorriso alla coetanea dell’altra parte del bancone: «Buongiorno» mormorò il ragazzino, senza distogliere lo sguardo da Marinette, notò Tikki mentre le labbra le si piegavano in un sorriso divertito.
Abbassò il capo, ascoltando distratta le chiacchiere impacciate di Marinette e la risposta pacata di Adrien, mentre sistemava le buste di carta, rendendosi conto che per prendere quella che aveva fornito a Remier era riuscita a metterle in disordine tutte quante: «Plagg mi ha chiesto di venire a prendere la sua roba» dichiarò Adrien, attirando l’attenzione di Tikki: «E’ al molo a fare un lavoro per Raincomprix e quindi non può passare…»
«E ovviamente ti usa come suo schiavetto» dichiarò Sabine, sorridendo e sistemando una serie di croissant in un sacchetto di carta, arrotolando l’estremità e posandolo sul bancone di vetro: «Ecco qua, croissant al camembert per Plagg.»
Tikki rimase immobile, seguendo i movimenti di Sabine e Adrien, stringendo le mani a pugno e rendendosi conto di essere incapace di capire alcunché di ciò che stava provando: il suo essere non voleva incontrare Plagg, non dopo quello che era successo – o meglio non successo – al suo bungalow, il giorno prima; eppure al tempo stesso, sentiva il bisogno di vederlo, di essere con lui.
Un controsenso.
Un qualcosa che non capiva.
Come poteva avere il desiderio di due cose totalmente opposte?
Come poteva essere così divisa nello stesso momento?
Era abituata a essere una cosa sola, era abituata a un mondo dove non c’era una simile dualità interna: il Padre poteva essere crudele e distruttivo, oppure prodigo di vita, ma mai assieme.
Difficilmente dava la vita e la distruggeva nello stesso esatto momento.
Una cosa o l’altra, questo era ciò a cui era abituata.
«Forse vuole portarli lei?» domandò la voce di Adrien la riscosse, riportandola alla realtà e notando che era rimasta a fissare il sacchetto di carta, ancora abbandonato sul bancone: «Penso che a Plagg farà piacere se è lei a portarlo, signorina Tikki» dichiarò il ragazzo, prendendo il sacchetto e allungandolo verso di lei con un sorriso tranquillo sulle labbra: «Non è vero, Marinette?»
«Cos…? Oh. S-sì. Ce-certo.»
Sabine annuì con la testa, avvicinandosi a Tikki e spintonandola al di là del bancone della panetteria, con un sorriso pieno di certezze sulle labbra: «Beh, qui che la possiamo cavare Marinette ed io» dichiarò, mentre le slacciava il grembiule bianco e sporco di farina, aiutandola a toglierselo, mentre Adrien le metteva in mano il sacchetto di brioches: «Tu va pure da Plagg.»
Tikki osservò i tre, annuendo poi con la testa e stringendo la busta al petto con una mano e indicando l’esterno del negozio con quella libera, poi spostando l’indice su Sabine e Marinette: «Sì, nessun problema» le rispose Sabine, avvicinandola e sospingendola verso la porta: «Il boom è finito e possiamo occuparci del resto noi. Va pure, oltretutto non sei ancora andata a sistemargli casa oggi, no? E conoscendolo, avrà creato il caos. Quel ragazzo è un cataclisma ambulante.»
Tikki piegò le labbra in un sorriso appena accennato, stringendo maggiormente la busta e poi annuendo con la testa, facendo qualche passo verso la porta e salutandoli con la mano libera, scivolando poi fuori e venendo accompagnata dal suono del campanello che avvisava l’arrivo o l’uscita di un cliente.
Adrien aveva detto che era al molo per conto di Raincomprix.
Raincomprix che, se non ricordava male, era il capo delle forze dell’ordine: un uomo in sovrappeso, con i capelli rossicci e la tendenza ad asciugarsi sempre il sudore dalla fronte.
Inspirò profondamente, voltandosi verso l’interno del negozio e trovando su di sé gli sguardi curiosi dei tre che l’avevano esortata a uscire, più quelli dei pochi clienti rimasti; regalò loro un nuovo sorriso e poi s’incamminò, annusando l’aria e inspirando il profumo di mare che aleggiava per le strade, mentre il cuore le batteva furioso nel petto all’idea di vederlo.
Camminò lenta per la via, avvicinandosi lentamente al piccolo porto del paese e osservando le barche che, placide, dondolavano al ritmo delle onde: quel giorno il Padre era tranquillo, rilassato, e il lento sciabordio che le arrivava alle orecchie era un suono familiare; rimase ferma sul piccolo molo di legno, la busta stretta al petto, e il rumore delle onde nelle orecchie, inspirando appieno l’aria e sentendosi in pace con tutto.
«Sei venuta tu?»
Tikki aprì lentamente le palpebre, sorridendo al suono della voce che conosceva bene come il suono che aveva appena finito di assaporare e osservò il giovane uomo che, senza maglietta, offriva la pelle abbronzata al sole e la fissava in attesa, mentre rimaneva immobile su una piccola barca a remi, ormeggiata non molto distante; Tikki alzò la busta che teneva, notando come le iridi verdi si erano illuminate alla vista: «Avevo mandato quell’idiota a prenderli» dichiarò Plagg, issandosi sul molo e recuperando la maglia che aveva abbandonato sulle assi del pontile, infilandosela e coprendo così l’addome e il petto muscolosi.
Tikki storse le labbra, mordendosi quello inferiore mentre inclinava la testa, rendendosi così incapace di emettere alcun suono: «Direi che non ti piace il fatto che mi sia rivestito» commentò Plagg, con il divertimento nella voce mentre le si avvicinava e si parava davanti a lei; alzò gli occhi, incontrando quelli di lui e trattenendo il fiato, quando sentì le mani calde di lui posarsi sui suoi fianchi.
Serrò la presa sulla busta, timorosa di far cadere il prezioso contenuto, e aprì le labbra mentre Plagg la tirava leggermente contro di lui e chinava la testa: «Sì, direi che decisamente è qualcosa che non dovevo fare…» le bisbigliò, piegandosi un poco e sfiorandole il lobo con le labbra, la guancia con le punte dei capelli: «Ammettilo, da quando mi hai visto l’altro giorno, non puoi fare a meno di pensarmi, non è vero?»
Tikki inspirò, socchiudendo gli occhi e mordendosi il labbro inferiore, troppo il bisogno di parlare, di gemere semplicemente al suono di quella voce che le mormorava nell’orecchio: «Sai, stavo pensando di passare dalla boulangerie dopo» continuò Plagg, serrando maggiormente la presa e sfiorandole la guancia con le labbra: «Invitarti a uscire stasera. Che ne dici, Rossa?»
Rossa.
Il nomignolo che usava per lei.
Il modo in cui lui la chiamava.
«Preferisco trovare una soluzione a questa situazione, piuttosto che sguazzarci» continuò, scivolando con le labbra lungo la guancia, facendosi più vicino all’angolo della bocca e incontrando lo sguardo di lei, il sorriso che gli alimentava la luce nello sguardo verde: «Anche tu, non è vero?»
Trovare una soluzione a quel dualismo che la divideva?
A quella tensione che si era impadronita del suo corpo dal giorno precedente, quando senza avviso, era entrata nella sua casa e l’aveva trovato senza vesti?
Tikki annuì lentamente con la testa, inspirando profondamente l’aria densa di sale e vedendo qualcosa nello sguardo di Plagg accendersi: sicurezza, vittoria, consapevolezza.
Sinceramente non sapeva che nome dare a quella luce.
Plagg storse le labbra, un sorriso compiaciuto che gli arrivò fino allo sguardo, aumentando poco la stretta sui fianchi di lei e poi lasciandola libera, notandola barcollare leggermente mentre recuperava il sacchetto di carta dalle mani di Tikki e lo apriva, assaporando il profumo: «Brioches al camembert» dichiarò sognante, socchiudendo un poco le palpebre e gemendo soddisfatto: «Ne vuoi uno?» le domandò, ben sapendo quale sarebbe stata la sua risposta e sorridendo non appena lei negò con la testa: «Uno di questi giorni, li assaggerai e ti ricrederai.»
Tikki roteò in modo teatrale gli occhi, inclinando poi la testa e sentendo le labbra stendersi in un sorriso tranquillo, mentre si tastava le tasche della felpa alla ricerca del bloc notes con il quale comunicava, storcendo le labbra quando, infastidita, si accorse di non essersi portata niente dietro: «Scrivi qui» le ordinò Plagg, allungandole il proprio palmo, mentre addentava una delle brioches: «Una lettera per volta sul palmo» le spiegò, parlando con la bocca piena di pasta e formaggio.
Tikki annuì, afferrando la mano di lui per il polso e tracciando sulla pelle del palmo le lettere delle parole che voleva dirgli: «Cosa faccio qua?» domandò Plagg, ripetendo ciò che aveva scritto e vedendola annuire: «Raincomprix mi ha chiesto di sistemargli il motore della barca. Sembra non vada.»
Tikki assentì, chinando la testa e storcendo le labbra, muovendo il capo con piccoli movimenti, prima di iniziare a scrivere qualcosa di nuovo: «Cosa faccio dopo? Mh. Devo sistemare il giardino degli Agreste, andare dal dottore e aiutare Wayzz con la cantina…» Plagg dette un nuovo morso al croissant, inspirando profondamente: «Passerò da Nooroo per farmi dare la nostra cena e poi sarò a casa. Tu che farai, Rossa?»
Tikki aggrottò lo sguardo, iniziando a scrivere velocemente sulla mano di Plagg, mentre un sorriso gli piegò le labbra: «Se vai così veloce non capisco» dichiarò lui, osservandola mentre si fermava e poi ripartiva: «Ah, avevo detto che ti avrei invitata fuori? Beh, casa mia è fuori, no? E poi favorisce una certa privacy» si fermò, aspettando che lei scrivesse il suo nuovo pensiero e sorrise: «Perché? Mh. Come dire? Sarà interessante far scomparire questa tua ingenuità, Rossa.»
Ingenuità?
Tikki alzò lo sguardo e inspirò, incontrando quello verde di lui e leggendo una nuova luce, ben diversa da quella che l’aveva alimentato fino a poco prima e sentendo il proprio corpo rispondere a quel richiamo che vedeva: si passò la lingua sulle labbra, chinando la testa e lasciando andare la mano di Plagg, indietreggiando di un passo e portandosi le dita ai capelli, iniziando a lisciarli con gesti lenti e precisi: «Mh. Mi sa che non sei così ingenua come pensavo» commentò Plagg, avvicinandosi nuovamente a lei e poggiandole per la seconda volta le mani sui fianchi: «Sarà una serata veramente interessante» Tikki sentì il corpo venire posseduto da un languore, mentre apriva le labbra e fissava il volto di Plagg, sentendo il calore del corpo di lui ed essendo più che consapevole della loro vicinanza: «Penso che stasera ci divertiremo, Rossa.»

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Titolo: La sirena
Personaggi: Tikki, Plagg, Altri
Genere: mistero, sovrannaturale, romantico
Rating: G
Avvertimenti: Alternative Universe, longfic, Original Characters
Wordcount: 2.063 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua con un nuovo capitolo de La sirena e non sto troppo a indugiare con i discorsi, anche perché...beh, l'ammetto: voglio andare a dormire. Scherzi a parte, in verità non c'è molto da dire e quindi vi lascio direttamente al capitolo.
Come sempre vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e ricevere piccole anteprime dei capitoli o dei miei scleri e il gruppo Two  Miraculous Writers, aperto e gestito con kiaretta_scrittrice92.
Come sempre ci tengo a ringraziarvi tutti quanti per il supporto che mi date: grazie a tutti voi che mi leggete, commentate e inserite questa storia (e le altre) nelle vostre liste.
Grazie tantissimo!

 

Tikki osservò il proprio riflesso nello specchio del negozio, lisciando la stoffa impalpabile all’altezza dello stomaco e inclinando il capo: «Stai proprio bene» le dichiarò la commessa, comparendole alle spalle nel riflesso e prendendola per le spalle: «Sinceramente non pensavo che queste tonalità pastello si adattassero così bene a una rossa.»
«Questo perché, mia cara Trixx, abbiamo seguito le direttive dell’astro nascente delle moda, Marinette» dichiarò Alya, scattando alcune foto a Tikki e sorridendole: «Sa sempre come far vestire al meglio una persona. Certo, con Tikki è facilissimo, è così bella.»
Tikki piegò le labbra in un sorriso, abbassando lo sguardo e carezzando ancora la stoffa, mentre cercava di riordinare i pensieri: l’invito di Plagg, il ritorno alla boulangerie e il terzo grado di Marinette, quando l’aveva trovato con la testa fra le nuvole – ancor più di lei, aveva dichiarato la ragazzina – e poi le parole vergate sul blocco che, in quel momento, giaceva abbandonato vicino al registro di cassa.
Quando Marinette le aveva chiesto cosa avrebbe indossato per l’appuntamento con Plagg, Tikki aveva osservato i jeans e la maglia che indossava, alzando le spalle e rimediando uno sbuffo infastidito da parte della giovane: Marinette era stata decisa, come poche volte l’aveva vista da quando la conosceva, quando l’aveva presa per mano e aveva dichiarato ai genitori di portarla a fare un po’ di shopping, convincendoli a darle una specie di stipendio per il lavoro che aveva svolto alla boulangerie.
Era stata così portata in quel posto, ove assieme alla commessa, che aveva scoperto chiamarsi Trixx e avere un debole per l’assistente del dottor Fu, e ad Alya, che era giunta immediatamente dopo la chiamata di Marinette, Tikki non aveva fatto altro che provare abiti su abiti, sotto l’occhio attento delle tre.
Trixx ridacchiò, mentre andava da qualche parte del negozio con l’intento di trovare qualcosa da abbinarsi al vestito e Tikki tornò a fissare il proprio riflesso, lisciando ancora una volta la stoffa e sorridendo alla se stessa che ricambiava il proprio sguardo, sentendosi umana per la prima volta in vita.
Sentendosi come le ragazze che aveva visto più e più volte nella sua lunga esistenza, iniziando a capire il perché dell’esaltazione che ogni tanto mostravano e la continua cura del proprio vestiario.
Adesso le comprendeva.
Adesso capiva cosa c’era dietro quei comportamenti e le piaceva.
La faceva sentire…
Umana.

 

Marinette sorrise, fermandosi al semaforo e attendendo che questo diventasse verde, scorrendo le foto che aveva a Tikki e annuendo soddisfatta del suo lavoro: quello di lavorare nella moda era stato il suo sogno fin da piccola, ma in un piccolo paese come quello aveva ben poche possibilità.
Non quante ne avrebbe avute se fosse nata a Parigi.
«Oh. La signorina Tikki è veramente bellissima lì.»
La voce maschile la fece trasalire e ritornare alla realtà e Marinette si accorse di essere balzata all’indietro quando incontrò lo sguardo stupefatto di Adrien che, a pochi passi da lei, la fissava attonito, prima che il sorriso gentile e dolce di sempre gli tornò sulle labbra: «Se non sbaglio stasera si vedeva con Plagg?»
«Co…S-no. Coiè volvo dire sì.»
«Beh, Plagg mi ha intimato di non avvicinarmi al bungalow o mi avrebbe ucciso, quindi sì» Adrien annuì, sorridendo alla ragazza: «L’hai aiutata te?»
«S-sì.»
«Sei brava, potresti diventare una stilista.»
«I-o non…»
«Sarebbe bello potermi vantare di conoscere la stilista Marinette Dupain-Cheng, creatrice del marchio…» Adrien si fermò, portandosi la mano al volto e guardando verso l’alto, puntando lo sguardo verde verso il cielo che si stava tingendo dei colori del tramonto: «Ma certo. Del marchio DC.»
«Ma-marchio DC?»
«Dupain-Cheng. Sono le iniziali del tuo cognome, Marinette.»
«Oh.»
«Ed ovviamente io farò da modello» dichiarò Adrien, indicando il semaforo che, nel frattempo, era diventato verde: «Potremmo mettere su una bella società, Marinette.»
«Eh…ah…i-io…e-ecco…»
«Ma prima dobbiamo finire il collége» Adrien sbuffò, infilando le mani nelle tasche dei jeans e incassando le spalle: «Alle volte vorrei essere più grande e poter fare come mi pare.»
Marinette lo fissò, ridacchiando e portandosi una alla bocca, nascondendosi dalla vista del giovane: «A-anche io» bisbigliò, sorridendo alla sicurezza che aveva sentito in quelle due parole: forse non era così complicato parlare con lui.
Forse.


Tikki strattonò leggermente lo scialle, spostandolo meglio sulle spalle e prendendosi un momento per ammirare i suoi acquisti: oltre al vestito, Trixx l’aveva convinta a prendere anche gli stivaletti, la borsa e lo scialle che indossava, assieme a quello che aveva definito intimo da battaglia e dichiarando che una serata con Plagg poteva finire in un solo modo e doveva essere preparata.
Lei non aveva compreso appieno cosa quelle parole significavano, ma si era lasciava convincere e aveva preso e indossato quel tripudio di pizzo che le aveva messo sotto il naso.
Scosse il capo, aprendo la borsetta e recuperando al suo interno il blocco e la penna, bussando poi alla porta e rimanendo in attesa che il padrone di casa le aprisse.
Tikki inspirò profondamente, socchiudendo gli occhi e cercando di calmare il cuore che le batteva veloce e furioso nel petto: il corpo le tremava e smaniava di qualcosa a cui non sapeva dare nome, cercava di farlo, di dare una definizione a ciò che sentiva ma non riusciva a comprenderlo. Le sembrava di attendere le onde, quelle alte spumeggianti, e allo stesso tempo di nuotarvi già dentro.
Trattenne il respiro, quando sentì il rumore della serratura che scattava e aspettò, stringendo il laccio della borsa, osservando la porta aprirsi e Plagg fare la sua comparsa nello spiraglio di luce che si era creato: «Ah. Sei già qui» commentò, aprendo maggiormente la porta e facendosi da parte, permettendole di entrare nella piccola abitazione e richiudendo poi l’uscio dietro di sé.
Tikki osservò il salotto del bungalow, trovandolo stranamente in ordine e quasi si immaginava Plagg mentre si muoveva per le stanze, mettendo a posto il caos che gli veniva naturale creare; si diresse verso il tavolo, poggiando il blocco e chinandosi appena per scrivere poche parole e voltarsi poi, mostrandole al ragazzo: «Ah. Sì, so che ti avevo detto quest’orario, però di solito…» si fermò, scuotendo la testa e inspirando profondamente: «Ok. Fai finta di niente, continuo a pensare che potresti comportarti come una ragazza normale.»
Tikki piegò appena le labbra, poggiando la borsa sulla sedia e stringendosi nelle spalle, facendo vagare lo sguardo per la stanza, mentre le parole di Plagg venivano assimilate: normale, lei era tutto fuorché normale.
Era una sirena, una dispensatrice di morte.
Si sentiva un pesce fuor d’acqua in quel mondo umano in cui vagava e a cui si stava velocemente attaccando, sapeva di avere un tempo limitato e che, prima o poi, i suoi giorni lì sarebbero finiti.
Presto il Padre le avrebbe chiesto nuovamente di cantare, fare il suo dovere come sirena, forse dalla parte opposta del globo e lei avrebbe dovuto abbandonare tutto, andare e dire addio a tutto quello che aveva conosciuto lì.
La gentilezza dei Dupain.
La dolcezza di Marinette.
La fame e l’agitazione che le erano state instillate da Plagg.
Tutto sarebbe finito e il suo tempo stava velocemente scivolando verso quella conclusione.
«Allora, Rossa» esordì Plagg, avvicinandosi e poggiandole una mano sul fianco, carezzando la stoffa leggera e risalendo con il polpastrello lungo il lato in una lenta carezza: «Vuoi mangiare?» le domandò, chinando la testa e sfiorandole il lobo con le labbra, mentre lei stringeva le labbra per non mugolare: «Sai, ho passato un po’ troppo tempo fra i fornelli per impressionarti, e non vorrei…»
Tikki sorrise, allontanandosi dal suo tocco e avvicinandosi alla cucina, chinandosi e recuperando, dal cestino dei rifiuti, la busta del locale dove Plagg era solito andare, sventolandogliela poi davanti il viso e vedendo lo sguardo verde brillare di una luce divertita: «Touché. L’ammetto: sono un cliché. E il fatto che nei film il tipo viene sempre smascherato avrebbe dovuto farmi pensare…»
Tikki scosse il capo, lasciando andare la busta e avvicinandosi nuovamente a Plagg, allungando una mano e sfiorando le dita di lui, osservando il contrasto delle loro pelli: chiara la sua, scura quella di lui. Intrecciò la mano con l’altra, premendo il proprio palmo contro quello di Plagg e facendo lo stesso anche con la mano opposta, avvicinando il suo corpo a Plagg e passandosi la lingua sulle labbra: «Rossa, non mi rendi le cose facili così» bisbigliò lui, chinando la testa e fermandosi a un soffio dalle labbra di lei: «Sai, volevo fare le cose per bene e con calma…»
Calma.
La calma richiedeva tempo e lei non ne aveva, non poteva permettersi il lusso di fare con calma.
Lei lo voleva.
Voleva calmare quella fame che aveva, attenuare la smania che la possedeva.
E lui era la soluzione, lo era dal giorno che era apparso nella sua vita.
Lo sentiva.
Lo sapeva.
Aprì appena la bocca, passandosi nuovamente la lingua sulle labbra e poi annullò lo spazio che li separava: Plagg non si ritrasse ma lasciò che lei lo baciasse, che carezzasse le sue labbra e poi decise di prendere il controllo, portando le mani di entrambi dietro la schiena di lei e stringendola più a sé, mentre la convinceva a schiudere le labbra e ad approfondire il bacio.
Tikki inspirò, stringendo con più forza le dita intrecciate a quelle di Plagg e seguendolo fedele quando iniziò a spostarsi per la casa, evitando ogni ostacolo fosse presente sul suo cammino, senza staccarsi da lei se non per riprendere un po’ fiato: non si rese conto dove la stava portando, non le interessava a conti fatti, fino a quando lui non li fece girare e Tikki avvertì il letto contro le gambe.
Camera.
Camera da letto.
Inspirò maggiormente, leccando le labbra di lui e aprendo gli occhi, tenuti chiusi fino a quel momento, osservando lo sguardo famelico e predatore di Plagg: sorrise, liberando una mano e alzandola, carezzando i lineamenti del volto di lui e sentendolo mentre scioglieva l’intreccio dell’altra mano, lasciandola completamente libera mentre poggiava le sue mani sui fianchi di lei, iniziando ad ammucchiare lì la stoffa, stringendola fra le dita: «Io non…»
Tikki gli posò le dita sulla bocca, sorridendo appena e negando con la testa, muovendo un poco i fianchi e chiedendogli così di lasciarla libera; lo guardò nuovamente, piena di gratitudine e aprì la bocca, inspirando profondamente l’aria e lasciandola andare, togliendosi poi il vestito e rimanendo solo con gli stivaletti e quello che Trixx aveva definito intimo da battaglia.
Sentì Plagg inspirare profondamente, osservandolo chinarsi e toglierle prima una calzatura e poi l’altra, poggiando poi le labbra sulla coscia nuda e baciarla, risalendo verso l’alto e assaporando la pelle nivea: «Mi vuoi morto. Vero, Rossa? Come fa un uomo a resistere a tutto questo bendidio?»
Il corpo di Tikki vibrò per la risata silenziosa, mentre Plagg risalì ancora, baciandole la pancia e succhiandole il punto morbido sotto l’ombelico, carezzandole i fianchi e le natiche, poggiando la fronte contro il corpo freddo di lei: «Stenditi» le bisbigliò, guardandola mentre eseguiva l’ordine e poi si spogliò velocemente, togliendosi ogni indumento e raggiungendola veloce nel letto, distendendosi al suo fianco e liberandola dalla costrizione della biancheria, carezzando e baciando il corpo candido, sorridendo appena quando sentì la mano di lei posarsi timida sul suo petto.
La prese, stringendo le dita più piccole e portandosela alle labbra, baciandole il palmo mentre le scivolava sopra e si sistemava fra le sue gambe: «Sicura?» le mormorò, prima di riprendere a baciarla e leccarla, carezzandole i fianchi e lasciando che l’onda di piacere iniziasse a nascere e crescere.
Tikki inspirò, scivolando con le dita sulla schiena nuda di Plagg e con il dito indice scrisse una parola di due lettere sulla pelle abbronzata, facendolo ridere e lei accompagnò quella risata con una delle sue silenziose, aprendo la bocca quando sentì la pressione fra le gambe e poi la fitta di dolore che le salì lungo la spina dorsale.
Rimase immobile, gli occhi spalancati e le mani artigliate sulle spalle di Plagg, il corpo ora irrigidito e completamente dimentico della dolcezza e del piacere di poco prima; rimase immobile, attendendo che le ondate di dolore l’abbandonassero, venendo sostituite da altro: si sentiva piena, completa quasi, ora che Plagg era dentro di lei e, quando lui iniziò a muoversi, nuovamente il piacere invase il suo corpo, salendo lentamente sempre di più.
Era perfetto.
Era tutto perfetto.
Era un momento dove non esistevano nient’altro che loro due.

 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Titolo: La sirena
Personaggi: Tikki, Plagg, Altri
Genere: mistero, sovrannaturale, romantico
Rating: G
Avvertimenti: Alternative Universe, longfic, Original Characters
Wordcount: 1.961 (Fidipù)
Note: E si riparte anche con La sirena, un'altra storia che è veramente da parecchio che non vedeva un aggiornamento: che posso dire? Con questo capitolo ho dovuto alzare un poco il rating perché...beh, sapevo già che se avessi tagliato di netto la scena in molte mi avrebbero rincorso con i bastoni, quindi ho preferito fare un piccolo switch di rating (da Giallo ad Arancione, in pratica) e non togliere assolutamente niente. Detto ciò...che dire, ormai ci stiamo avvicinando alla fine e solo una manciata di capitoli manca prima della conclusione.
Detto questo, vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e ricevere piccole anteprime dei capitoli o dei miei scleri e il gruppo Two Miraculous Writers, aperto e gestito con kiaretta_scrittrice92.
Come sempre ci tengo a ringraziarvi tutti quanti per il supporto che mi date: grazie a tutti voi che mi leggete, commentate e inserite questa storia (e le altre) nelle vostre liste.
Grazie tantissimo!

 

L’acqua si chiuse sopra di lei, fagocitandola all’interno della sua oscurità senza fine: i polmoni le dolevano e lei aprì la bocca ma, invece che aria, ingurgitò solo acqua; il vestito, diventato pesante e impregnato d’acqua, la trascinava con forza verso il fondo, rendendo vano ogni suo tentativo di provare a risalire, di provare a salvarsi.
Sarebbe morta lì.
La sua vita si sarebbe consumata lì: gettata come una vittima sacrificale in quelle acque che le toglievano la vita, esattamente come stavano facendo con il suo villaggio.
Lei non era altro che un’offerta, un tentativo di placare quel dio che sembrava non trovare fine alla sua furia.
Vuoi salvarti?
La voce fu chiara nella sua mente, quasi come se qualcuno le stesse parlando proprio davanti a lei e non si trovasse immersa nell’acqua: socchiuse gli occhi, lasciandosi andare e sentendo il corpo smettere di lottare, di cercare di rimanere in vita.
Si lasciò cullare dalla corrente, stanca di continuare a lottare contro qualcosa più forte di lei.
Sì, le sarebbe piaciuto vivere ma, a quanto pareva, il suo destino era la morte.

 

Tikki aprì gli occhi di scatto, tirandosi a sedere nel letto e guardando la stanza immersa nella luce fioca del primo mattino, rimanendo immobile e incapace di capire cosa era appena successo: le sirene non dormivano e tantomeno sognavano e quindi che cosa aveva appena avuto?
Un movimento alla sua sinistra la fece sobbalzare appena e si voltò, sorridendo alla vista del giovane uomo ancora immerso nel sonno; tirò su le gambe, poggiando la guancia contro le ginocchia e continuò a fissare Plagg immerso nel sonno: erano passati tre mesi da quando, accettando l’invito di lui, era entrata in quella casa e gli si era concessa.
Tre mesi dove, un passo per volta, si era trasferita nel piccolo bungalow al limitare della proprietà degli Agreste e la sua vita aveva iniziato un percorso ben preciso e tranquillo: lo guardava svegliarsi e sorriderle, passare un po’ di tempo con lei e poi ricordarsi del mondo esterno e andare a svolgere le proprie attività.
Plagg come tuttofare del villaggio, lei come commessa nel negozio dei Dupain-Cheng.
Una vita…
Umana, ben lontana da quella da sirena a cui era abituata.
Non era più sola, immersa nella fredda acqua del Padre, ma assieme a persone che le volevano bene e la facevano sentire accettata e amata.
Ma quello che era appena successo aveva un qualcosa di preoccupante: non sognava da quando era umana e tutto ciò che ricordava di quell’attività era immerso nella nebbia del tempo; inoltre, non sentiva più l’impellente bisogno di andare dal Padre, di immergersi nelle sue acque.
Erano trascorsi tre mesi da quando aveva cantato per Lui, da quando si era stabilita sulla terraferma, eppure non sentiva l’impellente bisogno di andarsene, anche se sapeva benissimo che, presto o tardi, sarebbe stata chiamata: ogni giorno che passava si avvicinava quello in cui avrebbe dovuto dire addio a tutto.
Addio a quel posto.
Addio ai Dupain-Cheng.
Addio a Plagg.
Era l’inevitabile fine a cui si avvicinava e sapeva quanto ciò l’avrebbe distrutta, solo il pensare di andarsene le straziava il cuore e le provocava fitte all’altezza del petto, non osava immaginare come sarebbe stata il giorno in cui ciò sarebbe successo nella realtà.
Non sarebbe mai potuta tornare, non sapeva dove il Padre l’avrebbe mandata.
La sua vita sarebbe tornata a essere quella di una creatura del mare e tutti, in quel paesino, avrebbero presto dimenticato la straniera dai capelli cremisi che era stata fra loro per un po’.
Inspirò, stendendosi nuovamente nel letto e voltandosi verso Plagg, ancora profondamente addormentato, mentre la sua mente viaggiava: anche lui si sarebbe dimenticato di lei, relegandola in un angolo della mente e riportandola a galla di tanto in tanto, magari parlando con Marinette.
Stirò le labbra in un sorriso, allungando appena la mano e fermando le dita a pochi millimetri dalla pelle del viso di lui: avrebbe continuato la sua vita, avrebbe incontrato qualcun'altra da amare e sarebbe invecchiato con lei al suo fianco, giungendo alla fine di quel viaggio che gli umani chiamavano vita. Lei sarebbe rimasta immobile, invece, ferma nel tempo e relegata al suo mare.
Non c’era futuro per loro e lo sapeva bene.
Come conosceva bene il momento che adesso stava vivendo: non era la prima volta e non sarebbe stata neanche l’ultima in cui si lasciava andare a simili pensieri, a simili congetture e rendendosi conto che non stava facendo altro che profetizzare ciò che sarebbe avvenuto.
Sfiorò appena la punta del naso di Plagg con l’indice, sorridendo e osservandolo mentre storceva la bocca e scuoteva appena il capo, aprendo poi lentamente le palpebre e sbattendole un paio di volte, prima di voltarsi verso di lei e guardala appena confuso e con il sonno ancora nello sguardo: «Te l’hanno mai detto che sei troppo mattiniera, Rossa?» le domandò, girandosi su un fianco e passandole un braccio attorno alla vita, facendo aderire così i loro corpi nudi; una gamba le imprigionò i piedi e Plagg piegò l’altro braccio sotto la testa, lasciando andare un sospiro e richiudendo le palpebre: «Cosa c’è che non va?» le domandò con la voce ancora impastata e biascicando appena.
Tikki scosse il capo, circondandogli a sua volta la vita e carezzandogli la parte di schiena che poteva raggiungere, seguendo con la punta del dito la colonna vertebrale e sentendolo rabbrividire fra le sue braccia: «Signorina, se continui così…» si fermò, sibilando appena e, rotolandole sopra, la imprigionò fra lui e il materasso: «Sai cosa succede quando mi svegli così, vero?» le domandò, osservandola negli occhi e studiandola appena: Tikki annuì mentre piegava le labbra in un sorriso, inspirando appena quando sentì le mani di Plagg carezzarle i fianchi in quel modo lento e circolare che le anticipava cosa sarebbe successo di lì a poco.
Plagg riusciva a capire sempre cosa lei volesse e come darle piacere: seguendo il ritmo del suo respiro sapeva quando toccarla e quando no, dall’irrigidimento dei suoi muscoli riusciva a comprendere quando era prossima all’orgasmo o se poteva spingersi ancora un po’ e continuare in quella tortura piacevole.
Lo assecondò, passandogli le braccia attorno al collo e stringendogli appena le gambe attorno al bacino, sentendolo già pronto per lei, stringendo le labbra quando sentì le labbra che le carezzavano la gola e scendevano lungo il collo, mentre una mano di Plagg le si posava fra le gambe, avvertendo quella scarica di attesa salirle lungo la schiena e che anticipava il tutto: «Sei la mia rovina, Rossa.»
Lo strinse con forza quando i loro corpi si unirono, afferrando le ciocche scure e adeguandosi al ritmo che Plagg impose al loro amplesso finché entrambi non vennero: un suono gutturale lui, in completo silenzio lei.


Tikki stirò le braccia verso l’alto, alzando il capo e offrendo il volto al sole invernale che poco o nulla riscaldava: la mattina era diventata via via più freddo, abbandonando le temperature autunnali per quelle più rigide dell’inverno e anche il sole sembrava essersi rassegnato a essere nient’altro che una mera fonte di luce.
Sorrise, fermandosi lungo la strada che portava alla panetteria dei Dupain-Cheng e osservando il mare poco lontano, notando come la grande distesa di acqua si muovesse placida e le onde si infrangevano piano sulla spiaggia, quasi come se il Padre non avesse nessuna voglia di muoversi.
Si appoggiò alla balaustra che delimitava la strada che dominava la spiaggia sottostante e chiuse gli occhi, inspirando e avvertendo appena il richiamo del genitore e sposo: era flebile, quasi impercettibile alle sue orecchie e non aveva più quella forza trascinante che l’aveva sempre attirata come una falena alla luce.
Un’altra cosa che stava cambiando in lei.
Un’altra cosa che la rendeva più umana e meno sirena.
Riaprì le palpebre, abbassando lo sguardo e posandolo sui palmi delle mani, concentrandosi appena sulle linee che li attraversavano: poteva essere la lontananza dal Genitore che la faceva sentire così? Forse il non immergersi per tanto stava dando i suoi sintomi oppure…
Oppure non sapeva neanche lei cosa le stesse succedendo.
Cosa succedeva a una sirena che rimaneva sulla terraferma per tanto tempo?
Perché sognava? Perché non avvertiva più il richiamo del Padre?
Perché stava cambiando così tanto?
Lasciò andare un respiro, chinando maggiormente il capo fino a toccare con la fronte la balaustra di ferro e sentendolo ghiacciato al contatto con la pelle: non c’era nessuno con cui parlare, a cui chiedere consiglio; l’unica opzione a sua disposizione era il Padre ma sapeva benissimo come questi si sarebbe messo in allarme non appena avesse saputo cosa le stava accadendo.
Forse l’avrebbe portata via da lì, forse l’avrebbe tenuta in acqua e le avrebbe impedito di tornare sulla terraferma.
Non voleva saperlo e quindi rimaneva in silenzio, lontana da lui poiché paurosa che i suoi pensieri potessero tradirla, ignara di ciò che le stava accadendo e continuando a vivere come se nulla fosse la vita da umana.
Si tirò su, scuotendo la testa e storcendo la bocca quando una lunga ciocca le rimase sul naso, scacciandola infastidita e voltandosi, riprendendo a camminare e notando solo in quel momento la donna a pochi passi da lei: Marie era immobile, le braccia abbandonate lungo i fianchi e i pugni stretti fino a far diventare bianche le nocche, lo sguardo che la fissava e le labbra strette fino a diventare una linea sottile: «Sei ancora qui, assassina?» le domandò, quasi stesse sputando ogni parola che le rivolgeva: «Perché sei qui? Perché nessuno si accorge di ciò che sei veramente?»
Tikki aprì la bocca, richiudendola e stringendo le labbra, voltandosi poi e, aperta la borsa che teneva alla spalla, cercò il blocco con il quale era solita comunicare: non poteva non negare che lei era l’assassina del padre di Marie, sapeva benissimo che era l’uomo per cui aveva cantato quando era giunta in quell’angolo di mondo, ma ciò che non comprendeva era la certezza della donna nell’accusarla.
Marie non poteva sapere cosa lei era e cosa aveva fatto, eppure era certa che lei avesse ucciso il padre.
Plagg, i Dupain-Cheng e il dottor Fu erano convinti che, nella disperazione, Marie l’aveva additata come assassina perché semplicemente una straniera in quel luogo. Ma poteva essere questo un motivo valido?
«Oh, non userai quella cosa con me» la voce di Marie le provocò un brivido lungo la schiena, la minaccia nel tono della donna le fece alzare la testa e si trovò la donna a pochi passi: incapace di muoversi, la guardò mentre le tirava via il blocco dalle mani e lo gettava nella spiaggia sottostante, afferrandole poi una ciocca di capelli e tirandola con forza, tanto che Tikki sentì il cuoio capelluto dolerle mentre Marie la strattonava: «Tu sei quella che ha ucciso mio padre. Lo so. Sei stata tu e lo proverò ad ogni costo!» dichiarò, continuando a tirare con forza, mentre Tikki stringeva i denti, portandosi le mani alla testa e sopportando in stoico silenzio il dolore.
Non doveva parlare.
Non doveva emettere alcun suono.
Non avrebbe condannato a morte certa quella donna.
Chiuse gli occhi, sentendo l’altra mano di Marie agguantarla una seconda ciocca e rimanendo completamente in balia della donna, gli occhi che le pizzicavano per le lacrime trattenute e le labbra che si aprivano: «Basta!» mormorò con un filo di voce, avvertendo immediatamente l’altra lasciare i suoi capelli e portandosi una mano alla gola, mentre apriva gli occhi e osservava Marie: lo sguardo aveva perso ogni luce completamente spento, il corpo era immobile e le braccia erano di nuovo abbandonate lungo i fianchi, le mani aperte con i palmi rivolti verso le cosce; Tikki si portò le mani alla bocca, osservando con orrore ciò che aveva appena fatto: aveva parlato e così aveva condannato a morte certa Marie: «Cosa ho fatto?»

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Titolo: La sirena
Personaggi: Tikki, Plagg, Altri
Genere: mistero, sovrannaturale, romantico
Rating: G
Avvertimenti: Alternative Universe, longfic, Original Characters
Wordcount: 1.950 (Fidipù)
Note: E finalmente ecco qua il tanto atteso (?) capitolo de La sirena e, sinceramente, non ho molto da dire stavolta, quindi passo subito alle classiche informazioni: vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e ricevere piccole anteprime dei capitoli o dei miei scleri e il gruppo Two Miraculous Writers, aperto e gestito con kiaretta_scrittrice92.
Come sempre ci tengo a ringraziarvi tutti quanti per il supporto che mi date: grazie a tutti voi che mi leggete, commentate e inserite questa storia (e le altre) nelle vostre liste.
Grazie tantissimo!

 

Che cosa aveva fatto?
La domanda sembrava ripetersi all’infinito nella sua testa, mentre osservava Marie: il capo della donna era reclinato verso sinistra, le labbra leggermente aperte e lo sguardo aveva perso ogni barlume.
Non c’era più niente in Marie, nulla se non il desiderio di raggiungere le acque del Padre e morire nel suo abbraccio.
La sua voce aveva annientato ogni cosa, riducendo la donna a un guscio vuoto.
La guardò mentre alzava lentamente la testa e si voltava verso il mare, il cui sciabordare placido sembrava attirarla: «Oh no» mormorò Tikki, osservando Marie girare su se stessa e avviarsi la scalinata che conduceva alla spiaggia: «No, no, no, no» continuò a bisbigliare seguendola e afferrandola per una mano, cercando di trattenerla sul posto.
Marie la ignorava, tentando di avanzare e avvicinarsi, un passo dopo l’altro, all’acqua che l’attendeva: non aveva la forza per fermare quel cieco bisogno di uccidersi, sapeva benissimo quanto coloro che avevano ascoltato la sua voce fossero determinati a morire.
La lasciò andare, abbandonando le mani lungo i fianchi e osservando la donna continuare la sua lenta marcia: Marie non aveva fretta, camminava tranquilla e con la testa alta, dirigendosi fiduciosa verso il Padre.
Avrebbe ucciso anche lei come aveva fatto con il genitore, diventando l’assassina che Marie aveva sempre dichiarato che era.
Non c’era stato nessun obbligo stavolta, non c’era stato nulla se non la sua sconsideratezza nel lasciare uscire la sua voce.
Strinse le labbra, correndo in avanti e afferrando nuovamente Marie per un braccio e strattonandola con tutta la forza che disponeva: puntellò i piedi nella sabbia, tirandola e trattenendola sul posto, nonostante avvertisse la donna usare tutta la propria energia per liberarsi e continuare: «Non ti lascerò andare» dichiarò, trattenendola nuovamente e sentendo l’equilibrio mancarle.
Cozzò contro la sabbia, storcendo le labbra alla fitta di dolore che le si irradiò dal fianco e avvertì il peso di Marie sopra di lei, mentre la donna si muoveva e si contorceva per rialzarsi e continuare la sua marcia funeraria: Tikki strinse la presa attorno al polso, cercando di impedirle di andare e facendo lavorare velocemente la testa.
Cosa poteva fare?
Non poteva trattenerla per sempre.
Come poteva…
Un attimo di distrazione le costò la fatica fatta, permettendo a Marie di liberarsi e correre verso le acque che l’attendevano, mentre Tikki si rialzava appena e la fissava a bocca aperta mentre affondava i piedi nella battigia: Marie rimase immobile e lei ne approfittò per raggiungerla in fretta, correndo con difficoltà sulla sabbia fine e raggiungendola, fermandosi al suo fianco e sentendo l’acqua avvilupparsi attorno alle scarpe.
Il Padre non capiva, lo poteva immaginare benissimo anche senza bisogno del contatto diretto con lui ma era anche certa che non avrebbe rifiutato quell’offerta inattesa.
Marie si mosse improvvisa, avanzando di un passo verso l’acqua e subito un altro, avviandosi incontro alla morte: «No, no» mormorò Tikki, seguendola e sentendo il proprio corpo entrare in contatto con il Padre: distrattamente avvertì il rumore della stoffa dei pantaloni che si rompeva, incapaci di contenere la sua coda e avvertì la trasformazione delle proprie gambe.
Tikki?
La voce del Padre risuonò forte nella sua testa: aveva solamente detto il suo nome ma quella semplice parola racchiudeva in sé tante domande: «Ti prego, lasciala. Io ho…» Tikki si fermò, guardando la distesa d’acqua e la donna che avanzava sempre di più: «Io ho parlato per sbaglio e lei…»
Lei mi appartiene adesso.
E’ mia.

«No, non è tua.»
Perché comunichi con me così, Tikki? Perché usi il linguaggio degli umani?
«Io…Ti prego, lasciala andare.»
No.
«Ti prego.»
Tu hai parlato e lei ha ascoltato, sai molto bene cosa ciò comporta.
«Ma non volevo e tu non hai richiesto ancora un tributo. Lasciala, ti prego.»
Lei mi appartiene e sarà ciò che mi placherà fino al prossimo tributo. Perché dovrei lasciarla andare? Perché me lo chiedi tu, Tikki? Tu che mi hai lasciato per camminare sulla terra? Perché dovrei ascoltarti?
Aprì la bocca, incapace di far uscire altre parole e rimase a fissare Marie continuare la sua lenta discesa nell’acqua: presto sarebbe stata completamente sommersa, non avrebbe più avuto ossigeno e sarebbe affogata. Poteva salvarla.
Doveva salvarla in qualche modo.
Osservò la testa della donna scomparire fra i flutti dell’acqua e si tuffò, recuperandola subito: le passò un braccio sotto le spalle e la tirò su, avvertendo il Padre ghermirle la coda e trascinarla verso il mare aperto e il basso; storse la bocca, cercando di resistere a quella presa ma Marie le scivolò fra le dita e sprofondò nell’acqua; allungò una mano, cercando di recuperarla ma il Padre la trascinò lontana da lei: «Tu non puoi…» bisbigliò, respirando a piene boccate e rendendosi conto che Marie era morta.
Non c’era salvezza per la donna.
Suo Padre l’aveva trascinata lontana da lei e l’avrebbe lasciata cadere verso il suo fondale.
Marie era…
Era…
Perché non posso?
«Io non ho cantato, non ho parlato volontariamente.»
Il Mare le si avviluppò attorno al corpo, come un lungo tentacolo che la teneva prigioniera: Mi hai abbandonato e sei tornata per impedirmi di reclamare ciò che mio. Vedo tante cose nella tua mente, Tikki. Tu cosa stai cercando di fare?
Io non lo so, Tikki non provò nemmeno a usare la propria voce, riadattandosi subito a quel mondo fatto di silenzio e lasciando che il Padre penetrasse ogni sua difesa e guardasse in ogni suo ricordo: cosa serviva nascondere tutto adesso?
Come sarebbe potuta tornare indietro, adesso che un’altra vita macchiava le sue mani?
Lui…
Non ti lascerò tornare indietro.
Quella fra se la mise in allerta e subito l’istinto la fece fuggire dalla stretta del Padre e nuotare veloce verso la riva: arrivò sulla battigia, strisciando nella melma creata da sabbia e acqua e sentendo quest’ultima trattenerla lì, impedendole di raggiungere la sabbia asciutta e sfuggire così alla presa del genitore.
Non poteva muoversi.
Non poteva andarsene.
Sbatté con forza la coda contro il bagnasciuga, avvertendo la melmosa presa della sabbia e del Padre e sapendo benissimo che non avrebbe mai allentato la presa con cui la stava trattenendo lì: non era più libera, non le era più possibile tornare alla sua forma umana.
Strinse le labbra, affondando le dita nella sabbia asciutta e osservando la strada distante, ben sapendo che la sua borsa era abbandonata lì, a terra, e con essa anche il blocco con la quale era solita comunicare.
Sorrise senza allegria, mentre l’acqua la trascinava con lentezza dentro di sé: avrebbe voluto dire addio, avrebbe voluto scrivere qualcosa per spiegare il motivo della sua scomparsa, avrebbe voluto buttare giù qualche parola per Plagg e spiegargli perché aveva dovuto abbandonare il suo fianco e, invece, se ne andava senza niente.
Chiuse gli occhi, non facendo resistenza alla forza del Padre e lasciando che la riportasse dentro di sé, lasciando che la sua mente rievocasse tutti i momenti che aveva vissuto in quel luogo, tutte le persone che l’avevano toccata e amata: Plagg, i Dupain-Cheng, Marinette, Alya, Adrien…
Tutti apparivano e scomparivano, mentre lei non poteva dire o scrivere nulla.
Non una parola, non una lettera.
Niente di niente.
Se ne andava silenziosa, esattamente come lo era stata per tutto il tempo che era vissuta.

 

Plagg sbadigliò, massaggiandosi la nuca e infilando la chiave nella toppa della porta con la mano libera, aprendo l’uscio ed entrando nella casa completamente al buio: un fatto strano, considerato che Tikki era già ritornata a quell’ora ma, forse, era stata trattenuta da Trixx.
Tikki gli diceva sempre – o, per meglio dire, scriveva – che era entrata nelle grazie della commessa dai capelli aranciati e molto spesso la invitava a uscire.
Forse era un giorno di quelli.
Anche se gli pareva strano, visto che Tikki cercava sempre e comunque di rientrare a casa prima di lui.
Storse la bocca, avvertendo il corpo che quasi lo pregava di dargli un po’ di pace e gettarsi in doccia o, ancor meglio, a letto: quel giorno era stato massacrante e aveva aspettato con impazienza il momento di tornare a casa da lei.
Gettò lo zaino vicino al divano, afferrando i lembi della maglia e iniziando a tirarla su, optando per una doccia veloce e poi una sana spaparanzata nel letto ma il lieve bussare alla porta lo bloccò, facendolo voltare verso l’uscio di casa: possibile che Tikki avesse dimenticato le chiavi di casa?
Lasciò perdere la maglia, avvicinandosi alla porta e posando la mano sulla maglia: «Ehi, rossa, sei arrivata…» iniziò, spalancando l’uscio e bloccandosi alla vista di Tom e Sabine: «Che succede?» domandò, osservando le facce dei due e avvertendo una sensazione allo stomaco: entrambi avevano uno sguardo preoccupato e la mano di Tom era posato sulla spalla di Sabine, stringendola con fare rassicurante, un gesto che Plagg aveva visto fare molto spesso all’uomo quando la moglie era in preda all’ansia.
«Tikki non si è presentata oggi.»
«Che cosa?»
«Plagg, tu sai dov’è?»
«Doveva venire in negozio e poi…boh, fare quello che fa sempre lei.»
Tom negò con la testa, lasciando andare un respiro e guardandosi attorno: «Non è mai arrivata. L’abbiamo aspettata tutto il giorno, poi Marinette è tornata da scuola con Alya e Adrien e…» si fermò, passandosi la lingua sulle labbra: «Sono andati a cercarla ma…»
Quella tipa…
Dove cavolo era andata?
Plagg strinse la mascella, superando i due e lasciandoli lì sull’uscio di casa, iniziando a correre e dirigersi verso il cancello della villa: non poteva essere andata tanto lontano, no? Sicuramente si era persa da qualche parte e non sapeva come tornare.
Doveva essere così.
Tikki non poteva essersene andata.
Non doveva.
Lei stava con lui.
Corse lungo la strada che faceva sempre e costeggiava la spiaggia, mantenendo un’andatura costante che non gli costasse fin troppa fatica e si guardò attorno, cercando qualcosa: un oggetto, un segno, un qualsiasi cosa che gli permettesse di capire dove la rossa fosse andata.
Ignorò con forza il ricordo di lei, di quando l’aveva conosciuta, e di come aveva cercato di liberarsi di lui per fuggire via.
No, quello non era qualcosa che Tikki avrebbe fatto adesso.
Ora avevano una vita assieme, aveva una vita lì.
Rallentò, osservando due figure chine per strada a pochi metri di distanza e storse la bocca quando riconobbe la capigliatura dorata di Adrien: «Ohi» mormorò, avvicinandosi e attirando l’attenzione del ragazzo e della sua compagna: Marinette teneva stretta al petto un qualcosa e la luce del lampione non gli permetteva di capire esattamente cosa fosse: «Ma che…»
«Questa è di Tikki» dichiarò la ragazzina, alzando appena la borsa di stoffa che Tikki aveva quella mattina, Plagg ricordava perfettamente quando l’aveva osservata infilarci dentro la scorta di bloc notes e penne, di come l’aveva presa sul fatto che aveva intenzione di chiacchierare parecchio quel giorno e della faccia imbronciata di lei: «Lei…»
«Dov’era?»
«L’abbiamo trovata qui» rispose Adrien, allargando le braccia e facendo spaziare lo sguardo sulla zona: «Però…»
«Lei…» la voce di Marinette s’incrinò e la ragazzina strinse le palpebre, scuotendo il capo e voltandosi di lato: in un altro momento Plagg avrebbe preso in giro Adrien per la velocità con cui si era subito avvicinato e posato una mano sulla spalla, in un altro momento avrebbe annotato mentalmente ogni cosa per riportarla a Tikki e vederla gioire alla possibilità di una storia fra i due.
In un altro momento lui non si sarebbe dovuto preoccupare di sapere dove lei fosse andata.
«Io la troverò» dichiarò, trovandosi stranamente calmo di fronte a quello che stava succedendo alla sua vita: un’altra persona importante era sparita, aveva lasciato un vuoto, eppure lui stava affrontando il tutto con una calma quasi esasperante.
Non era da lui comportarsi così.
Non era da lui reagire così.
«Io la troverò.»

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Titolo: La sirena
Personaggi: Tikki, Plagg, Altri
Genere: mistero, sovrannaturale, romantico
Rating: G
Avvertimenti: Alternative Universe, longfic, Original Characters
Wordcount: 2.262 (Fidipù)
Note: Ed ecco qua il nuovo capitolo de La sirena, vi avevo lasciati in un brutto momento con il precedente, vero? Per quanto riguarda questo capitolo, ho provato a far spiegare al Mare il perché del suo comportamento, del suo essere così e...bon, spero di esserci riuscita, volendo rendere con le sue azioni ciò che è veramente: un qualcosa che non può essere compreso dalla mente umana e che si comporta seguendo canoni incomprensibili per noi poveri comuni mortali. E...cavolo, ancora due capitoli e anche questa storia è finita. Che cosa strana e triste...
Passando ad altro, ecco quale consuete informazioni: vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e ricevere piccole anteprime dei capitoli o dei miei scleri e il gruppo Two Miraculous Writers, aperto e gestito con kiaretta_scrittrice92.
Come sempre ci tengo a ringraziarvi tutti quanti per il supporto che mi date: grazie a tutti voi che mi leggete, commentate e inserite questa storia (e le altre) nelle vostre liste.
Grazie tantissimo!

 

Fu entrò nella boulangerie, aspirando il profumo di pane e brioches e rimanendo un attimo sulla soglia in modo da gustarsi l'aria del negozio, passandosi la lingua sulle labbra e sentendo l'impulso di comprare una brioche e affondare i denti nell'impasto caldo: «Dottore!» la voce di Sabine lo fece sobbalzare appena, facendolo voltare verso il bancone e notare la figura minuta di Sabine: un sorriso che non arrivava agli occhi: «Buongiorno!»
«Questo posto è un attentato al mio colesterolo» commentò l'anziano, avvicinandosi al bancone e sorridendo: «Cosa mette Tom nell'impasto per creare questo odore?»
«Le stesse cose di ogni altro panettiere» commentò Sabine, scuotendo la testa e piegando appena le labbra: «Ma posso comprenderla: io non ci faccio più caso, ma i primi tempi era impossibile non infilarsi qualcosa in bocca mentre servivo i clienti» si fermò, battendosi la mano sinistra sul fianco: «Come risultato, ho avuto questi.»
«Sei ancora una donna bellissima, Sabine.»
La donna annuì appena, voltandosi di lato e abbassando le spalle, quasi come se un peso si fosse calato su di loro: «Anche Tikki lo faceva» bisbigliò, sorridendo e passandosi una mano sul volto: «Le piacevano i pan au chocolat e i biscotti giganti di Tom. Sa quelli con le gocce di cioccolato?»
Fu annuì con la testa, inspirando profondamente l'aria e rilasciandola andare con un sospiro: «Ancora niente?» domandò, sapendo benissimo quale sarebbe stata la risposta: Sabine scosse il capo, chinando lo sguardo e tirando su con il naso mentre Fu si guardava intorno, avvertendo il peso del vuoto che Tikki aveva lasciato dietro di sé.
Sparita. Andata.
Esattamente come era arrivata nelle loro vite, se n'era andata.
«Niente» mormorò la donna, dopo un po', riportando su di sé l'attenzione: «Tom ha aiutato un po' Plagg a cercarla, ma…» si fermò, storcendo le labbra e inspirando forte: «Sono passate quasi due settimane e non credo che…»
«Plagg la sta ancora cercando.»
«Sì» Sabine accompagnò la parola con un cenno di affermazione del capo, prendendo alcune buste di carta e sistemandole, quasi come se non riuscisse a rimanere ferma: «Mi chiedo se sia giusto non dire niente e lasciarlo fare» mormorò, dopo un po', inclinando la testa: «Vorrei vederlo tranquillo, ma allo stesso tempo non me la sento di fermarlo.»
«Plagg è…»
«Plagg è Plagg, tutti qui in paese sappiamo bene com'è fatto» dichiarò Sabine, sorridendo appena: «E Tikki era riuscita a tirarlo fuori da…beh, da qualunque posto si era nascosto dopo la morte della sua famiglia: sembrava che non gli importasse di niente finché non ha conosciuto lei.»
«Di niente, tranne del camembert.»
«Vero» Sabine sorrise, chinando appena la testa e scuotendola: «Cosa ci troverà mai di buono in quel formaggio. Puzza. Puzza tantissimo! Quando Tom fa i cornetti per lui, non riesco a stare in laboratorio!»
Fu annuì, lasciando libera Sabine di chiacchierare e ascoltandola mentre passava da un argomento all'altro: era un modo di affrontare la realtà, facendo finta che tutto andava bene e rifugiandosi nella quotidianità. Lo conosceva bene, poiché era una tecnica che lui stesso aveva usato quando c'era stato bisogno: nulla era più rassicurante che della banalità quotidiana: «Puoi darmi il solito, Sabine?» domandò, riportando su di sé l'attenzione della donna e vedendola annuire, mentre si voltava e recuperava due baguette dalle ceste di vimini alle sue spalle; l'osservò mentre infilava il pane nella busta e poi batteva sulla cassa il prezzo: «Marinette è ancora a scuola?» domandò, accorgendosi dell'assenza della ragazza e guardandosi attorno, come se potesse apparire da un momento all'altro.
Sabine si voltò verso l'orologio appeso al muro e aggrottò appena lo sguardo: «Dovrebbe essere uscita da poco, ma se non ricordo male, stamattina saltellava per casa tutta allegra perché Adrien l'aveva invitata a bere una cioccolata calda assieme.»
«Adrien ha invitato Marinette?»
«Ebbene sì» Sabine sorrise appena, carezzando la carta marrone della busta mentre passava gli acquisti a Fu: «Hanno legato parecchio mentre…beh, aiutavano Plagg a…ecco…»
«Capisco. Sono una bella coppia, no?»
«Moltissimo, anche se guai a dirlo a Marinette! Diventa rossa e inizia a strillare.»
«Ma come?» Fu ridacchiò, afferrando la busta con il pane e infilandosela sottobraccio: «Dovrebbe fare i salti di gioia e roba varia, no?»
«Sappiamo com'è fatta Marinette, no?»
Fu annuì più volte, socchiudendo gli occhi: «Vero, dimentico della particolarità di quella ragazza: immagino che abbia creato un film mentale degno di lei e si stia movendo in base a quello. Oppure è convinta di vivere in un sogno dal quale non vuole svegliarsi.»
«Il secondo» precisò Sabine, portandosi una mano alla bocca e ridacchiando, ridiventando poi seria: «Alle volte dice che le sembra di vivere un sogno e un incubo nello stesso momento: non le pare vero dell'interesse di Adrien per lei e…le manca Tikki. Moltissimo.»
«Posso immaginare» bisbigliò Fu, storcendo le labbra e riportando alla mente il legame che si era instaurato fra Marinette e Tikki: erano entrate subito in sintonia, affiatandosi ogni giorno di più e diventando l'una parte importante dell'altra.
A Tikki stava mancando Marinette? Stava sentendo il dolore della lontananza da Plagg? Sentiva qualcosa di…umano?

 

La corrente la trascinò con forza e lei non si oppose, socchiudendo gli occhi e lasciandosi completamente in balia della furia del Padre: che facesse ciò che voleva, che la punisse e tormentasse per ciò che aveva cercato di fare.
Non le importava.
Nulla aveva più un senso per lei.
Sbatté contro una delle rocce aguzze del fondale e avvertì il dolore sul fianco: aprì appena le palpebre osservando il graffio dai contorni slabbrati che le segnava la parte iniziale della coda, mentre alcune squame si erano staccate e fluttuavano vicino a lei.
Si era ferita.
Era importante?
Doveva interessarle?
Scosse il capo, abbandonandolo all'indietro e chiudendo di nuovo gli occhi: che il Padre facesse ciò che voleva, lei non avrebbe posto resistenza, non avrebbe dimostrato rimorso.
Nulla di nulla.

 

Poggiò le braccia sulla ringhiera, osservando il mare che si estendeva sotto di lui mentre il rumore delle onde, che s'infrangevano contro gli scogli, lo cullava e irritava allo stesso tempo: quel rumore continuo, infinito, sembrava deriderlo dei suoi fallimenti.
Sembrava ricordargli che non l'aveva ancora trovata, che lei era come sparita nel nulla.
Forse era stata risucchiata nel mare.
Forse era…
No, non voleva pensare a quell'opzione.
Non voleva credere di aver perso un'altra persona cara per colpa del mare.
«Non puoi aver preso anche lei» mormorò, afferrando con forza la balaustra e stringendo i denti, irrigidendo il volto: «Non anche lei. Non lei.»
«E se ti dicessi che potrebbe essere andata così?»
Plagg si voltò, osservando la figura del dottore di paese e continuò a fissarlo finché l'uomo non fu al suo fianco: «Si è già attaccato alla bottiglia?» domandò, chinando la testa e assottigliando lo sguardo in cerca di qualche segno rivelatore: non era la prima volta che il dottor Fu superava il bicchierino di troppo e cominciava a parlare di cose senza senso, parlando della sua vita passata quando ancora era un giovane pieno di speranze e non era ancora diventato il medico di paese dall'aria misteriosa che sembrava sapere ogni cosa.
Ogni tanto parlava anche di un grande amore perduto e Plagg aveva ancora impressa nella mente l'ultima sbronza dell'uomo, mentre fissava un punto avanti a sé con il bicchierino pieno di whisky in mano e le parole che uscivano dalla sua bocca: una donna lo aveva incantato, sedotto, eppure lui l'aveva lasciata andare e l'aveva perduta.
«Sono ancora lucido, signorino» commentò Fu, staccando un pezzo dalla baguette che fuoriusciva dalla bocca e addentandolo con forza, masticando e buttando giù il boccone: «Ma stavo pensando…» si fermò, scuotendo la testa e fissando anche lui il mare avanti a loro: «Forse avrei dovuto parlartene per tempo, forse avrei dovuto pensare al fatto che tu potessi…»
«Io potessi cosa?»
«Quello che provi, quello che credi di sentire, non è nient'altro che un'illusione, Plagg. Nulla di più» Fu chinò la testa, alzando appena un angolo della bocca mentre osservava la punta consumata della sua scarpa sinistra, fissandosi su quel particolare senza un vero e proprio motivo: «Non è niente di vero.»
«Cosa?»
«Io ho conosciuto una donna come lei, tanto tanto tanto tempo fa» Fu sorrise, alzando nuovamente il capo e riportando lo sguardo sul mare: «Era esattamente come Tikki: bellissima, impossibile da non notare, impossibile non provare qualcosa per lei. Mi stregò fin dalla prima volta che la vidi e cercai con ogni mezzo di tenerla con me, ma lei…» si fermò, negando con la testa e inspirando: «Io non l'amavo più del mare e lei dovette fare ritorno nell'acqua, sparendo per sempre dalla mia vita.»
«Ma che diav…»
«La donna del mio passato, Tikki, entrambe sono sirene: fanciulle che sarebbero dovute morire in mare ma che questo ha salvato, rendendole sue ancelle. Avrebbero cantato per lui, conducendo vite per placare la sua furia e permettere alla vita di prosperare.»
«Lei è ubriaco. Lo sa, vero?»
«Ti sto dicendo la verità, Plagg. Puoi credermi oppure no, ma ti sto dicendo semplicemente la verità» Fu si fermò, sorridendo appena: «E lo sto dicendo per il tuo bene: credimi, quello che pensi di provare per Tikki…»
«Tikki adora il cioccolato, diventa una bambina quando lo vede. Le piace vedere film sugli animali e quando guarda gli horror ha talmente paura che si copre gli occhi con la mano, è ignara di tutto, è innocente, gentile, non farebbe del male a una mosca» Plagg si fermò, sorridendo: «Non può parlare ma ha mille modi per comunicare: basta guardarla in faccia e capisci esattamente cosa pensa e vuole, ancora prima che si metta a scrivere qualcosa. Sì, è vero, magari non fosse stata una bomba sexy non l'avrei notata subito, ma se pensa che io mi sono innamorato di lei solo perché ha due tette stratosferiche e un culo da urlo…beh, si sbaglia di grosso. La amo perché è Tikki, semplicemente: potrebbe essere piatta, brutta, avere il naso storto o qualsiasi altra cosa, io la amerei ugualmente, quindi mi faccia il favore di prendersi i suoi giudizi e andarsene a quel paese.»
«Sempre diretto, eh?»
«E' il mio fascino, no?»
«Già. E' il tuo fascino.»

 

Perché non reagisci?
Tikki aprì le palpebre, mettendo nel semplice gesto ogni oncia della propria energia e osservando ciò che la circondava: il fondale era cambiato, non c'erano più pietre aguzze e i grandi carnivori non le nuotavano al fianco, attratti dal profumo del sangue che era fuoriuscito dalla sua ferita.
Sotto di lei poteva sentire la sabbia, affondare le dita in essa mentre piccoli pesci azzurri le nuotavano vicini, attratti dalla sua presenza: perché non hai reagito?
Non ne ho le forze.
Non sapeva come dirlo in altro modo: non aveva la forza di opporsi al Padre, né la voglia.
Voleva semplicemente chiudere gli occhi e lasciarsi andare, sparire in un mondo dove non sentiva niente: dove non c'era il dolore causato dal tormento del Mare, dove non c'era quel peso sul cuore, dove il solo pensare a Plagg non le faceva venir voglia di…
Di cosa?
Di abbandonarsi al nulla?
Non poteva più stare con lui, che senso aveva tutto il resto?
Che senso aveva continuare a vivere quell'esistenza, continuare a cantare per quel genitore tiranno, sapendo come ci si sentiva fra le braccia di Plagg?
Sapeva cosa voleva dire essere amata adesso, sapeva cosa voleva dire trovare riparo e calore in un'altra persona, come avrebbe avuto la forza di rinunciare a tutto ciò, dimenticare, adesso?
Preferiva lasciarsi andare e sparire, piuttosto.
Ecco perché.
Cosa?
Ecco perché lascio andare coloro che hanno ricevuto amore da qualcuno che non sono io.

Tikki alzò la testa, sentendola pesantemente e osservando il mare attorno a sé, cercando di comprendere cosa il Genitore le stava dicendo: che vuoi dire? Spiegati.
Io vi amo tutte. Siete tutte figlie mie e non potrei mai farvi soffrire: adesso tu mi vedi come un mostro, qualcuno che ha agito in un modo inconcepibile ma io non sono umano e mai lo sarò. Io sono il Mare e come tale agisco: non ho rimpianti per aver accolto la vita di Marie, perché è questo che faccio. Esattamente come accolgo le vite di coloro che muoiono anche quando voi non cantate: Marie doveva morire quel giorno e così è stato. Ma ciò che io ho fatto, ciò che ho sempre fatto, è conforme alla mia natura e in un altro momento, lo avresti compreso. Lo avresti capito. Ma adesso, tu…
, il Mare si fermò e Tikki avvertì l'agitazione dell'acqua attorno a sé, tu adesso mi vedi con occhi umani. Tu sei umana, Tikki, e non puoi più concepire il mio modo di essere e pensare. Non sei più una sirena, non sei più legata a me. Hai incontrato qualcuno che ha visto al di là dell'aspetto che io ti ho dato, al di là della bellezza eterea, qualcuno che ha visto la vera te e l'ha amata. E così hai fatto tu ed io non posso competere, per questo lascio sempre andare le sirene che incontrano questo tipo di amore, le lascio tornare alla terra.
Io…
E devo lasciarti andare, altrimenti morirai. Non puoi rimanere qui.
Ma tu…
La morte di Marie, il mio accanirmi su di te, tutto ha seguito la mia natura: mi conosci, no? Sono tranquillo ma posso anche agitarmi e scatenarmi.
Io…
Devo portarti al luogo da cui ti ho strappato, Tikki. Devo farlo o ti perderò: preferisco vederti vivere come un'umana piuttosto che questo.
Io non ti capisco.
Ovvio, sei umana. Non puoi capirmi.
E invece vorrei farlo, vorrei…
Vivi felice per tutto il tempo che ti resta, mia piccola Tikki. Vivi.

 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Titolo: La sirena
Personaggi: Tikki, Plagg, Altri
Genere: mistero, sovrannaturale, romantico
Rating: G
Avvertimenti: Alternative Universe, longfic, Original Characters
Wordcount: 2.145 (Fidipù)
Note: Penultimo appuntamento con La sirena: ebbene sì, il prossimo capitolo sarà l'ultimo di questa storia breve che ha visto come protagonisti Plagg e Tikki: devo ammetterlo, mi sono veramente divertita ad avere Plagg come protagonista e...beh, penso proprio che questa non sarà l'unica fanfiction con il bel kwami 'versione umana' che scriverò. In vero ho già un progetto in mente...
E come al solito, le classiche informazioni di rito: vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e ricevere piccole anteprime dei capitoli o dei miei scleri e il gruppo Two Miraculous Writers, aperto e gestito con kiaretta_scrittrice92.
Come sempre ci tengo a ringraziarvi tutti quanti per il supporto che mi date: grazie a tutti voi che mi leggete, commentate e inserite questa storia (e le altre) nelle vostre liste.
Grazie tantissimo!

 

Nooroo poggiò il bicchiere capovolto sul piano di lavoro in acciaio, gettando una veloce occhiata alla testa china sul bancone e poi facendo vagare lo sguardo sui pochi avventori del bar: presto avrebbe dovuto cominciare a mandare tutti fuori e chiudere dopo una giornata di lavoro, ma quello non era problematico perché la clientela abituale era conscia dei ritmi e presto avrebbero cominciato ad andarsene da soli.
No, il problema era la persona che era seduta al bancone, con la testa china e la mano stretta attorno al bicchiere semivuoto.
«Plagg» mormorò, avvicinandosi e allungandosi, dando una scrollata all'amico e osservandolo mentre tirava su la testa e si guardava attorno confuso, sbattendo più volte le palpebre: «Amico, dovresti andare a casa e…» si fermò, cercando qualcosa da dire ma trovandosi completamente senza parole, incapace di dire qualcosa. Cosa poteva mai dire a qualcuno distrutto dal dolore come era Plagg?
Aveva cercato Tikki ovunque, non trovandola da nessuna parte, e quasi come se si fosse reso cosciente che non avrebbe più avuto notizie della ragazza, aveva cominciato ad abbandonarsi all'alcool: ogni sera era lì, pronto a stordirsi fino al punto di non ragionare più.
«Immagino che sei contento» biascicò Plagg, con la voce alterata, strascicando le parole e mangiandosene alcune: «In fondo a te piaceva.
«Plagg, io non…»
«Ci sei rimasto di meda quando ha scelto me e ora starai facendo i salti di gioia, eh?»
«Sei ubriaco, Plagg. Va a casa.»
«No. Tu…»
Nooroo, poggiò lo straccio con cui stava asciugando i bicchieri sul bancone, incrociando le braccia al petto e fissando l'altro: «A me piaceva Tikki, è vero, ma era una cosa da niente, non…beh, non certo come te: io non mi sono dato all'alcolismo perché aveva scelto un idiota come te.»
Plagg si alzò, barcollando e sbattendo le palpebre, afferrando lo sgabello sul quale era seduto con entrambe le mani e scuotendo la testa: «Io…»
«Sei ubriaco, amico. Vai a casa e dormici su» dichiarò Nooroo, voltandosi e adocchiando, fra i pochi nel locale, qualcuno che poteva aiutarlo: «Wayzz, puoi portarlo a casa, prima che mi vomiti sul pavimento?»
«Posso abbandonarlo per strada?»
«Se vuoi.»
«Siete due coglioni…»
«Sarà» commentò Wayzz, avvicinandosi e osservando l'amico mentre ondeggiava paurosamente e sembrava avere problemi a inquadrarlo: «Ma non saremmo tuoi amici, sennò.»
«Vai a quel…»
«Andiamo, amico. Quasi quasi prendo la panoramica e ti faccio fare una romantica passeggiata sotto le stelle.»
«Vai a quel paese, Wayzz.»


Ansimò, strisciando verso la parte asciutta della spiaggia, e strinse le labbra quando avvertì una fitta al fianco; affondò le dita nella sabbia, lasciandosi andare contro di essa e inspirando a pieno, sputando poi i granelli di sabbia che aveva ingerito e girandosi sulla schiena, rabbrividendo alla brezza fredda che si era levata e le carezzava il corpo completamente nudo: dove era? Dove si trovava?
Aprì appena le palpebre, osservando il cielo terso e azzurro, sinonimo di una bella giornata, e le richiuse, lasciando andare un respiro e voltandosi, rannicchiandosi su se stessa e cercando di trattenere così il poco calore del corpo.
Strinse i denti per non farli battere, mentre cercava di stringersi maggiormente e ignorare il dolore che saliva dalle dita: non sapeva definirlo, non riusciva a dare una denominazione a quella sensazione, sapeva solo che faceva male. Tanto male.
Sarebbe finita lì?
Uccisa dal freddo?
Così si sarebbe conclusa la sua vita?
Chiuse le palpebre, serrandole con forza e abbassando il volto, nascondendolo nell'intreccio delle braccia, raggomitolandosi maggiormente su se stessa, e cercando un minimo di conforto nel proprio calore che, con velocità, si stava disperdendo.
Avrebbe dovuto alzarsi, ma non ne aveva la forza.
Perché era così stanca? Non lo comprendeva?
Così come non riusciva a dare un ordine ai suoi pensieri, troppo impegnata a cercare di non soccombere al bisogno di lasciarsi andare: sapeva che non doveva farlo, da qualche parte dentro di lei, sentiva il ricordo di un vecchio monito, anche se non riusciva a comprendere dove l'avesse sentito e perché.
Strinse le gambe, ansimando appena e tirando su la testa, aprendo un poco le palpebre e osservando la spiaggia che si estendeva davanti a lei: la strada sembrava così lontana e non aveva assolutamente le energie per riuscire a percorrere quel tratto che la separava.
Cosa poteva fare?
Sciolse l'intreccio delle braccia, stringendo un pugno e affondandolo nella sabbia, tirandosi su e strisciando sulla rena, ignorando il leggero pizzicore che avvertiva sulla pelle, ben poca cosa rispetto al freddo che provava, e cercò di avanzare, arrivare un po' più vicina.
Si fermò, chinando la testa e inspirando a fondo, sentendo il proprio respiro affannato per colpa dello sforzo: ancora, doveva continuare ad avanzare. Allungò il braccio sinistro e poi il destro, usandoli come perno per strisciare di qualche altro centimetro, per poi lasciarsi andare nella sabbia una seconda volta.
Doveva farcela.
Doveva continuare.
Non doveva abbandonare tutto ora.
Batté i denti fra loro, stringendo di nuovo la mascella con forza e inspirando profondamente, il corpo che ormai le sembrava un blocco di ghiaccio e mille spille le bucavano la pelle, causandole dolore: doveva…
Doveva…
Chiuse le palpebre, sentendo il bisogno di lasciarsi andare farsi forte e carezzandola con la quiete dell'oblio: doveva cosa? Per cosa stava lottando così duramente? Cosa stava cercando di fare? Perché non si lasciava semplicemente andare?
Lasciò andare il respiro, voltandosi di lato e rannicchiandosi, seguendo il corso dei suoi pensieri e la decisione di abbandonarsi alle offerte che il sonno le proponeva: se avesse dormito un po', avrebbe recuperato le energie e sarebbe potuta andare dove voleva.
Avrebbe potuto raggiungere la strada.
Già, doveva solo dormire.
Solo…
«Tikki!»
L'urlo forte, acuto e femminile, la scosse, riportandola al presente: con fatica si girò nella sabbia, voltandosi e aprendo le palpebre, osservando la figura di una ragazza correre verso di lei, appesantita dalla sabbia, che faceva affossare gli stivali rosa.
Conosceva quella persona, era a lei cara.
La guardò mentre si chinava su di lei e si portava le mani al cappotto, muovendole frenetiche sui bottoni e slacciandoli uno dopo l'altro; ne seguì i movimenti mentre si toglieva l'indumento e usava per coprirla, ben attenta a infilare i bordi sotto al suo corpo: «Tikki. Cosa ti è successo?» le mormorò, allungando una mano e sfiorandole la guancia, mentre sorrideva e gli occhi azzurri le si velavano di lacrime: «Pensavo che non ti avrei più rivista, che…»
Tikki sorrise, socchiudendo gli occhi e osservando la ragazzina chinarsi su di lei, avrebbe voluto dirle qualcosa, ma non aveva la forza e si abbandonò, completamente al sicuro e certa che, da quel momento in poi, non le sarebbe capitato niente di male.


La testa pulsava e sembrava anche andare a ritmo con il rumore sordo e ripetitivo, che sembrava provenire da qualche parte al di fuori di lui: non era la prima volta che si abbandonava all'alcool nell'ultimo periodo, trovando quasi confortante l'oblio e quella sensazione anestetizzante che non gli faceva provare assolutamente niente.
Era bello non sentire ogni tanto.
Ma la realtà bussava ogni mattina e lo faceva nel modo peggiore possibile.
Mugugnò, inspirando profondamente e cercando di riuscire a uscire dalla nebbia: si tirò a sedere sul letto, ignorando le fitte che gli attraversavano la testa e il continuo martellare sembrava non volerlo abbandonare. Era lì, costante e continuo, quasi come se qualcuno stesse bussando contro il suo cranio.
Biascicò, storcendo le labbra al sapore orrendo che si sentì: «Devo smettere di bere» mormorò a se stesso, sbattendo più volte le palpebre e strizzando gli occhi, portandosi entrambe le mani al volto e strusciandolo, tentando in qualche modo di far scomparire ogni traccia dei bagordi notturni.
Doveva andare al lavoro, continuare con la sua vita, anche se tutto ciò che voleva fare era annegare da qualche parte, possibilmente con una bottiglia con un tasso alcolico alto.
Il rumore riprese, facendolo grugnire e voltarsi verso la porta della camera e comprendendo, solo in quel momento, che qualcuno stava bussando all'uscio del bungalow.
Bofonchiò qualcosa, non curandosi minimamente del senso della sua stessa frase, e si alzò dal letto, barcollando leggermente e aggrappandosi al comò, evitando così a se stesso di cadere. Strinse con forza il bordo del mobile, scuotendo la testa e cercando di schiarirsi le idee: socchiuse le palpebre, inspirando a fondo e riaprendo poi gli occhi, lasciando andare la presa sul comò, un dito dopo l'altro, trovandosi nuovamente in piedi senza l'aiuto di niente.
La stanza giava ancora leggermente, mentre si avventurava per l'abitazione e raggiungeva la porta d'ingresso, addossandosi contro di questa e respirando profondamente, quasi come se la camminata avesse esaurito tutte le sue forze.
La persona all'esterno, dopo un momento di pausa, riprese a bussare e Plagg trattenne a stento un ringhio, mentre posava la mano sulla maniglia e apriva con violenza la porta: «Tu» grugnì, osservando Adrien e storcendo la bocca di fronte all'espressione di pura felicità che l'altro aveva spalmata in volto: «Senti, moccioso, non ho voglia di stare ad ascoltar…»
«Marinette…»
«Ecco. Appunto. Non ho voglia…»
«Marinette ha trovato Tikki!»


Si sentiva al sicuro, cullata dal tocco gentile di Marinette, ascoltando le voci che parlavano in un punto imprecisato sopra di lei: la ragazza aveva chiamato il dottore e Adrien, facendo correre lì il primo e mandando il secondo a casa di Plagg.
Plagg.
Dov'era Plagg?
Perché non era lì?
Voleva Plagg.
Dov'era lui?


Il cuore gli batteva con forza nel petto, mentre scendeva velocemente i gradini che portavano alla spiaggia e si fermò alla fine, piegandosi sulle ginocchia e inspirando a fondo: le parole che Adrien gli aveva detto si ripetevano dentro di lui, mentre si tirava su e faceva un passo, affondando il piede nella sabbia fine e si guardò attorno, con il terrore di non trovare nulla, di essersi immaginato tutto o di stare sognando e svegliarsi poi nel suo letto, completamente solo.
No. Tikki doveva essere lì. Per forza.
Lei doveva essere tornata da lui e, non appena l'avesse vista, le avrebbe dato una strigliata: se ne fregava di quello che gli aveva detto Fu, di quello che lei doveva essere secondo il medico del paese, si era allontanata da lui e l'avrebbe pagata per questo.
Inspirò, adocchiando due persone sulla spiaggia, molto vicine al bagnasciuga, e corse riconoscendo le figure di Marinette e Fu sulla sabbia, poi il fagotto fatto di coperte che era fra loro: non si curò di nessuno, mentre li raggiungeva e il suo sguardo era completamente rivolto alla ragazza addormentata.
Tikki era lì, con la pelle diafana e i capelli rossi.
Si chinò, allungando le braccia e passandole sotto al corpo della ragazza, tirandola su e sistemandosela contro il corpo: poggiò la testa contro quella di Tikki, cercando di metterla il più comoda possibile e sfiorandole la tempia con le labbra.
Lei era lì.
Lei era tornata.
La strinse con più forza, chinando il capo e sfiorandole con il naso la guancia, avvertendo il respiro contro la pelle: «Io non so cosa dire» commentò Fu, facendogli nuovamente alzare la testa e posare lo sguardo sull'anziano: «Io non pensavo…»
Plagg scosse il capo, chinandolo di nuovo verso Tikki quando la sentì muoversi appena fra le sue braccia: la guardò, osservando le palpebre della ragazza fremere e poi aprirsi lentamente, mentre lo sguardo di lei gli si posava addosso: «Ciao, rossa» mormorò, sfiorandole la guancia con il pollice e scostando una ciocca cremisi: «Dobbiamo parlare.»
Tikki annuì, aprendo le labbra e bloccandosi, richiudendole e scuotendo appena la testa: «Dillo, rossa» mormorò Plagg, avvicinando il volto a quello di lei e sfiorandole il naso con il proprio: «Dì il mio nome.»
Poteva farlo?
Poteva chiamarlo con la propria voce?
Inspirò, stringendo le labbra e aprendole di nuovo, lasciando andare l'aria e aspirandone una nuova boccata, provando a dire qualcosa e sentendo solo un verso rauco fuoriuscire dalla sua bocca: «Plagg, non è sicuro» mormorò Fu, avvicinandosi e chinandosi accanto a loro: «L'ho visitata e mi sembra sia tutto…normale, diciamo. Ma…»
«Dì il mio nome, Tikki. Voglio sentirtelo dire.»
Tikki scosse il capo, stringendo le labbra e sentendo gli occhi pizzicare per le lacrime trattenute: non voleva parlare, il dottore aveva ragione e, ora che poteva concentrarsi su altro, ricordava quanto letale era la sua voce.
Non voleva metterlo in pericolo.
Non voleva mettere nessuno di loro in pericolo.
«Dì il mio nome, Tikki.»
Eppure non riusciva a resistere a quel richiamo, a non dire quella semplice parola che lui invocava: lo guardò negli occhi, socchiudendo le labbra e piegandole appena in un sorriso: «Plagg» mormorò, sgranando poi lo sguardo e sentendo la sua voce come se fosse diversa: non più quel canto ammaliatore che avrebbe condotto chiunque alla morte, ma piuttosto la voce comune di una donna.
Lo guardò, notando che non era caduto nella trance tipica delle sue vittime ma che, piuttosto, la fissava con un sorriso in volto: «Bentornata, Tikki.»

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Titolo: La sirena
Personaggi: Tikki, Plagg, Altri
Genere: mistero, sovrannaturale, romantico
Rating: G
Avvertimenti: Alternative Universe, longfic, Original Characters
Wordcount: 1.048 (Fidipù)
Note: i ringraziamenti a fine capitolo.

 

Osservò il giovane, mentre alzava la testa e si guardava attorno, portandosi poi una mano alla testa e tirando indietro il berretto di lana, rivelando la capigliatura scura come l'inchiostro e completamente spettinata: una vittima ignara di ciò che lo attendeva e che proseguiva con tranquillità la sua vita.
Rimase ferma al suo posto, continuando a studiarlo e osservandolo mentre riprendeva il proprio lavoro: era il momento perfetto per agire, adesso che era distratto e non poteva notarla.
Strinse al petto il piccolo fagotto, facendo un passo verso il bordo della banchina e poi allungando un braccio, in modo che la sua vittima fosse sospesa sopra l'acqua: «Ferma lì, rossa!» il richiamo imperioso la fece sobbalzare appena, mentre spostava la propria attenzione verso Plagg e l'osservava saltare sul molo, lo sguardo fisso sul sacchetto di carta: «Tu non ucciderai i miei cornetti al camembert.»
Tikki l'osservò, stringendo lo sguardo e continuando a tenere, con ostinazione, il braccio teso oltre il bordo della banchina: «Ehi, cosa hai promesso riguardo le offerte da dare al Mare?» dichiarò Plagg, avvicinandosi lentamente e con le mani protese avanti a lui, osservando il volto della ragazza e quasi intuendo i ragionamenti che stava facendo: «Nelle offerte non rientrano i miei croissant.»
La vide storcere la bocca, battendo nervosamente un piede per terra e portando nuovamente al petto il sacchetto, facendolo sospirare di sollievo: «Brava ragazza» decretò, avvicinandosi e sfiorandole le labbra con le proprie, catturando poi la povera vittima indifesa e tirandola via dalle grinfie della perfida sirena.
Una sirena.
Ancora adesso, nonostante fosse trascorso più di un anno dal primo incontro con quella rossa con un caratterino tutt'altro che facile, gli era quasi impossibile pensare a tutto ciò che aveva scoperto: Ariel esisteva. Beh, non propriamente Ariel, ma le sirene esistevano e la rossa davanti a lui lo era stata.
Una qualcosa di talmente assurdo, irreale che pensava fosse frutto di una bevuta colossale nel bar di Nooroo, eppure ogni volta che vedeva Tikki sapeva semplicemente che quella era la verità: si era innamorato di una sirena e lei era tornata da lui perché, come gli aveva detto il dottor Fu, lui l'amava più del Mare.
Giovani fanciulle a cui un’entità misteriosa donava l’immortalità e la possibilità di vivere sott’acqua, figlie del Mare che, per tenerlo sotto controllo, donavano delle vittime al Padre e Sposo, usando il loro canto, con il quale irretivano le vittime e le costringevano a suicidarsi, gettandosi in mare.
Esattamente come era successo a Marie a suo padre.
Non aveva mai accusato Tikki per ciò che aveva fatto, era stata una vittima anche lei, costretta dal Mare a dargli quei tributi e si sarebbe sentito un verme a trattarla come un'assassina, cosa che invece la ragazza faceva con se stessa, soprattutto quando i ricordi diventavano troppo dolorosi, troppo forti, troppo tutto.
Non avrebbe mai potuto accusarla di qualcosa, visto quando già faceva lei stessa da sola.
Non voleva essere una fonte di dolore per Tikki, ma qualcosa a cui aggrapparsi e per il quale andare avanti: era tornata e, per lui, tutto era cominciato quel giorno in cui l’aveva ritrovata sulla spiaggia, nuda e infreddolita, circondata da Fu e Marinette.
Tutto ciò che era stato prima non esisteva, a parte i ricordi belli.
Le sorrise, chinando la testa e poggiandola contro la spalla di lei, assaporando il profumo di sale e fiori che la circondava: l'odore del mare non l'aveva mai lasciata del tutto e, se prima lo odiava, adesso lo trovava confortante perché era quello della ragazza: «Dì il mio nome» le mormorò, carezzandole la parte di gola, lasciata scoperta dalla sciarpa, con le labbra e sentendola irrigidirsi.
Tikki cercava di parlare il meno possibile, affidandosi ancora alla parola scritta o a quel suo linguaggio fatto di gesti e sguardi che lui aveva imparato a decifrare benissimo: aveva paura di essere la causa di morte di qualcun altro, di avere ancora quel potere letale nella voce, sebbene non fosse così.
La sentì scuotere la testa, un piccolo movimento che lo fece rialzare e fissarla negli occhi: «Non c'è nessuno» dichiarò, guardandosi un attimo appena e appurando che il molo fosse veramente deserto: «Ci sono solo io. E ti vorrei ricordare di quello che ho combinato al tuo abito preferito, stamattina: sai, quello dove ho inavvertitamente versato il caffè…»
«Inavvertitamente versato» lo scimmiottò, allontanandosi e posando le mani sui fianchi, guardandolo come se fosse pronta a dar battaglia: «Adesso si dice così?»
«Beh, la mia idea era di tirarti su il vestito e…beh, penso che tu avessi chiaramente capito le intenzioni che avevo, solo che ti sei mossa all'improvviso e quindi ho versato per sbaglio il caffè. Sono innocente, mia cara.»
«Quindi adesso la colpa è mia?»
«Se non saltavi su come un'anguilla, io non avrei fatto danno» sorrise, con il petto gonfio di orgoglio davanti a quell'arringa perfetta: era inaccusabile sotto ogni punto di vista. Non poteva dirgli niente. Assolutamente niente.
La sentì sbuffare, mentre pestava per una seconda volta il piede per terra e si allontanava a grandi passi da lui, sicuramente indignata per non avere nessuna possibilità di replica; ridacchiò, poggiando il sacchetto con i suoi croissants preferiti per terra e la raggiunse, fermandola e posandole le mani sui fianchi: «Prometto che stasera mi farò perdonare» dichiarò, osservando il profilo del suo viso e sorridendo, mentre si chinava e le sfiorava la guancia con le labbra: «Quindi…»
Tikki annuì con la testa, voltandosi fra le sue mani e fissandolo, scuotendo poi il capo e dichiarando così che lo aveva perdonato per la malefatta di cui era totalmente innocente: «Rossa…» la riprese, schioccando le labbra e sorridendo: «Dì il mio nome.»
Gli sorrise, gli occhi blu cobalto che lo fissavano mentre inclinava la testa di lato e le punte dei lunghi capelli rossi gli sfioravano appena il dorso delle mani, ferme sui fianchi della ragazza: «Plagg» mormorò lei con dolcezza, posando le mani sul volto di lui e carezzandogli gli zigomi con i pollici: «Colui che mi ama più del Mare.»
Storse le labbra, accentuando la stretta e voltando appena la testa, in modo da sfiorarle con la punta della lingua il centro del palmo di una mano: «Non tirartela tanto, sirenetta.»




I discorsi di ringraziamenti non mi vengono mai bene: nella mia testa immagino roba che solo la gente agli Oscar potrebbe tirare fuori e poi mi limito a scrivere qualche parola banalissima, qualche ciofecata finale giusto per non perdere il vizio.
Ho iniziato a scrivere questa storia dopo aver letto un libro sulle sirene, spinta dall'impulso di fare qualcosa con quella figura mitologica che tanto adoro e non volevo fare l'ennesima Adrien/Marinette, volevo…
Qualcos'altro.
E quindi ecco che la mia scelta ricade su Tikki e Plagg, una coppia che tanto adoro, ma su cui mai avevo fatto qualcosa di concreto a parte Tikki, la prima Portatrice e così, per quasi un anno, questa storia mi ha fatto compagnia, penalizzata da aggiornamenti lenti e dal surplus di idee che il mio cervello ha iniziato - e sta continuando - a tirar fuori.
E' stato un percorso interessante, con un personaggio che non poteva esprimersi a parole - e chi conosce le mie storie, sa quanto io punti sulla comunicazione verbale - e mi ha costretto a trovare altri metodi per farla…beh, parlare.
E' stato un quasi-anno bellissimo, disegnato dalla bellissima immagine di copertina che Hanon993 ha creato, dopo avermi sentita sclerare sul fatto che non trovavo un qualcosa di decente, dove ho sorriso mentre leggevo ogni vostro commento.
Un grazie a tutti voi, o coraggiosi che siete giunti fino a queste note finali, che mi supportate sempre con la vostra presenza e le vostre parole.
Grazie davvero tantissimo!
Un viaggio è finito, ma sicuramente ne comincerò altri e spero di ritrovarvi.
Echocide


 

 

 

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