Il lungo inverno

di HimeHime
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La notte prima della battaglia ***
Capitolo 2: *** LA MATTINA DOPO ***
Capitolo 3: *** al tuo fianco ***
Capitolo 4: *** la Signora di Grande Inverno ***



Capitolo 1
*** La notte prima della battaglia ***


Ciao popolo di EFP!!!
Mi fa moooolto piacere tornare dopo molto tempo dall'ultima pubblicazione! 
Per la prima volta scrivo su questa che è una delle mie serie preferite. Il motivo è che non posso aspettare di vedere Jon e Sansa canon e sento di dover controbilanciare un po' tutte queste fanfic che vedo su Jonerys.
Ammetto che non ho mai amato particolarmente Jon, ma dalla sesta stagione è tutta un'altra cosa. E anche la mia piccola Sansa è cresciuta tantissimo *_* sono sempre più orgogliosa di lei. 


COOOMUNQUE: fatemi sapere che ne pensate, se la storia sarà apprezzata o se ci sono come me altri sostenitori della Jonsa potrei pensare di continuarla o di scriverne delle altre. 
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“Verrò anch’io”
Jon non riusciva mai a dormire bene, prima di una battaglia; a maggior ragione dopo l’ultimo battibecco che aveva avuto con sua sorella. Cugina.
“Non ti lascerò avvicinare di nuovo ad una battaglia, Sansa”
“Starò nelle retrovie, non ti intralcerò, ma devi lasciarmi venire”
“Non se ne parla”
A quel punto Sansa gli aveva preso la mano, come usava fare sempre più spesso ormai. L’aveva guardato con quei suoi occhi di ghiaccio, che pure sapevano essere così caldi: “Jon, sai che ho ragione… deve esserci almeno uno Stark in battaglia, per dare fiducia ai soldati, sai che è così.”
Era vero. Da quando la vera identità di Jon era stata rivelata, la situazione si era fatta più complicata. Anche se i lord delle casate avevano cercato di sostenere colui che voleva ancora essere chiamato Snow, le voci tra gli uomini giravano. Qualcuno si chiedeva perché avrebbero dovuto, altri si domandavano come si potesse lasciare il Nord nelle mani di un Targaryen, altri si aspettavano il momento in cui lui li avrebbe traditi.
“è troppo pericoloso, per Bran, venire in battaglia, e Arya è ancora una bambina, non lascerò che combatta. Loro sono tutto ciò che ci è rimasto, Jon. Devo andare per loro”.
Jon ricordava di averla guardata, in quel momento, e di aver pensato quanto diversa fosse, quella donna che si trovava di fronte, dalla ragazzina che aveva visto partire con suo padre per Approdo del Re qualche anno prima. La Sansa di una volta non gli rivolgeva la parola, quasi non lo chiamava per nome, pensava solo a rendere orgogliosa sua madre e a comportarsi da vera Lady. Poi, gli eventi avevano trasformato quella ragazzina in una donna del tutto diversa, quasi irriconoscibile. Lei che non aveva mai amato il Nord, che aveva sempre sognato di sposare un principe del sud, era diventata una vera lupa ora. Era sveglia, scaltra, e proteggeva la sua famiglia con una ferocia che Jon, prima di allora, aveva visto solamente in altre due donne: Cersei Lannister e Catelyn tully, la madre di Sansa.
Ed era coraggiosa, Sansa, quando si trattava di difendere il Nord, e la sua casa.
Jon era orgoglioso di lei e forse, si diceva, non sarebbe stato lostesso, se lei non ci fosse stata; non soltanto perché gli aveva portato l’esercito della valle, che lo aveva aiutato nella battaglia contro Ramsay, ma perché da quel momento era sempre stata al suo fianco. Aveva presenziato ad ogni discussione con i signori delle casate del Nord; ogni volta che Jon aveva voltato lo sguardo, l’aveva trovata al suo fianco; all’inizio avevano anche avuto modo di scontrarsi, è vero, ma Sansa non aveva mai perso occasione per dirgli quanto credesse in lui.
Se Jon fosse morto, in quella battaglia, avrebbe voluto che il Nord passasse nelle mani di Sansa. Lei sarebbe stata capace di governarlo, Jon lo sapeva. E poi sentiva che non avrebbe potuto concentrarsi sulla bataglia, sapendola nelle retrovie.
“Questa è la mia decisione, non verrai, questa volta.”
“Smettila, Jon!” Sansa aveva alzato la voce, ma subito dopo si era ritirata, come se pensasse di aver esagerato:  “non ti aspetterai che una Stark dia ascolto a un Targaryen”
Il tono che aveva usato era stato dolce, in parte scherzoso. Solo Sansa poteva sapere come tirare fuori quell’argomento tanto difficile in una maniera quasi…delicata.
“Non abbiamo ancora avuto tempo di parlare di questo…”  Jon si era fatto pensieroso.
“Di cosa dovremmo parlare?”
“Non sono uno Stark. Se sopravviveremo alla battaglia dovremmo affrontare la discussione difronte a tutti i lord”
“Lo faremo”
“Una volta finita la battaglia, non mi lasceranno più essere il Re del Nord. Credo tu debba prendere il mio posto.”
“Jon. Ne parleremo una volta conclusa.” Sansa gli stringeva una mano.
“Dovresti andare a dormire”
“Non riesco a farlo”
“Neanche io”
“Potresti insegnarmi ad usare la spada. Nel caso avessi bisogno di difendermi..”
Lo sguardo di Jon si era fatto allarmato “Ti ho dato il permesso di accompagnarmi in battaglia, non di combattere. Non appena la cosa si farà pericolosa, devi promettermi che seguirai Brienne e ti lascerai scortare nelle cripte”
“Stavo solo scherzando; non sono come Arya”
“Non lascerei combattere neanche lei”
“Ne sono sicura” 
Ora Jon sentiva il bisogno di parlare di qualcos’altro.
“Grazie…per avermi sostenuto”
Sansa aveva capito il significato implicito della sua frase. Jon stava pensando al passato: fin quando erano bambini, Sansa non lo aveva mai degnato di uno sguardo, era stata fredda e distante nei suoi confronti, proprio come sua madre Cat: “Mi dispiace, non ti ho mai trattato come un fratello”
“A quanto pare non avevi ragione di farlo” l’ombra di un sorriso era apparsa sulla bocca di Jon. Ne aveva curvato solo gli angoli , ma questa cosa aveva stupito sansa.
“Ero una ragazzina stupida…”
“Non devi scusarti” Jon l’aveva interrotta.
“Invece sì. Non abbiamo mai avuto modo di parlarne. Non ho potuto salutare mia madre e Robb, prima che morissero, non ho potuto chiedere scusa a mio padre, prima che fosse troppo tardi, non perderò anche questa occasione. Mi dispiace, Jon. E sono contenta, di averti ritrovato. Credo che tu sia un uomo buono, e confido in te per vincere questa guerra. Farai sempre parte della mia famiglia.”
“Vieni qui” jon l’aveva attirata a se e l’aveva abbracciata. Sansa aveva nascosto il viso tra il collo e i capelli di lui, e aveva respirato a fondo quell’odore che ultimamente era tanto familiare. Era tanto che non provava quella sensazione: la sensazione di sentirsi al sicuro, protetta, la sicurezza di potersi fidare dell’uomo che la teneva tra le braccia. L’ultima volta che le era successo era stato suo padre.  Poi c’erano stati Joffrey, Ramsay e Petyr. Il mastino l’aveva messa in salvo due volte, ma una parte di lei non poteva che sentirsi spaventata, e Tyrion era un uomo buono ma era pur sempre un Lannister.
L’abbraccio di Jon era l’unico che assomigliava in tutto e per tutto a quello del padre. Era una stretta salda, forte, di un uomo greve, taciturno eppure dolce. Era un abbraccio dato senza volere niente in cambio: ne il suo nome, la sua sottomissione o il suo affetto. Quando Jon l’abbracciava, Sansa sentiva che una piccola parte di lei, almeno per qualche secondo, poteva tornare ad essere la ragazzina spensierata che era stata. Sentiva di poter abbassare la guardia, fare sonni sereni, perché c’era qualcun altro che si sarebbe preso cura di lei.
Jon non avrebbe lasciato che le facessero del male.
“Vorrei che tu dormissi, almeno un po’” Jon lo aveva detto quando ancora la stava abbracciando, e lei si era limitata a fare di sì con la testa.
Poi aveva aggiunto “Posso rimanere qui con te?”
La stanza in cui Jon dormiva era quella che Ned aveva diviso con Catelyn. C’era un tavolo, a ridosso del muro, sotto la finestra, un camino e un letto al cento della stanza. Tutto era stato lasciato come prima.
“Devo ancora finire di scrivere qualche messaggio, puoi usare il mio letto. Scriverò a mastro Tarn di procurarti un’armatura per domani”
Sansa si era distesa sul letto, slacciandosi il mantello e disponendolo a mò di coperta. Prima di coricarsi aveva baciato delle bambole di paglia che pendevano da chiodi disposti sulla parete. Doveva averle fatte sua madre; Jon ricordava che Cat era sempre solita farne per chiedere agli dei protezione per i propri figli.
“Vuoi vedere una cosa?”
Sansa aveva fatto cenno di sì con la testa.
“Apri la cassapanca, lì, vicino alla porta”
Sansa era scesa dal letto, ed aveva fatto come le aveva suggerito. In prima fila, sopra una serie di abiti e coperte ripiegate, aveva trovato un piccolo involucro, costituito da un fazzoletto che recava le iniziali del padre. L’aveva portato sul letto, sciogliendo il laccio che lo teneva insieme. Dentro c’erano una serie di statuette intagliate nel legno. Di alcune si capiva che cosa volessero rappresentare (il più delle volte un lupo, o un soldato) altre erano solamente una massa informe e marrone. Erano i tentativi di Robb di diventare un bravo intagliatore, quelli che aveva fatto non appena aveva ottenuto il suo primo coltello e portato orgogliosamente al padre. Ned li aveva tenuti tutti.
“Jon, puoi smettere di scrivere?”
Il viso di Sansa era rigato dalle lacrime, ma lei era rimasta seduta sul letto, cercando di tenere un’espressione contenuta e non cedere al pianto.
Jon aveva arrotolato ciò che stava scrivendo, era uscito un secondo in corridoio, per consegnarlo alla guardia, poi era rientrato nella stanza. Si era seduto al suo fianco slacciandosi a sua volta il mantello, dopodiché aveva preso tra le mani uno dei peggiori soldatini fatti dal fratello.
“Jon è sempre stato un pessimo intagliatore”
Sansa aveva riso, prima di tornare a piangere più forte di prima.
“Andiamo” Jon le aveva portato un braccio attorno alle spalle “credevo che non ti avrei più rivista piangere”
La ragazza, allora si era asciugata le lacrime, abbozzando un sorriso. Poi era tornata a nascondere di nuovo il viso contro il collo dell’altro.
Le piaceva quella sensazione. Tanti anni prima non lo avrebbe mai detto, eppure ciò di cui aveva più paura, ora, era di perdere Jon.
“Promettimi che vincerai la guerra. Che saremo per sempre una famiglia”
“Ci proverò”      

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Capitolo 2
*** LA MATTINA DOPO ***


La mattina dopo Sansa si era svegliata con una lama di luce che entrava dalla finestra tagliandole il viso, all’altezza degli occhi.
Era ancora molto presto, ma l’aria frizzante della mattina portava già l’odore della battaglia alle porte.  Si chiese quante volte, Jon, l’avesse sentito; era come se potesse sentire vicino a sé il respiro di tutte quelle migliaia di uomini, che in questo momento si stavano preparando, o bevendo, o pisciando sotto, ai piedi delle torri di Grande Inverno.  Li sentiva fremere, saltare dalla XXXX o dalla paura.
Jon.
Adesso che ci pensava, l’ultimo ricordo che aveva del “fratello” era di quando sedevano vicini, gli aveva poggiato la fronte sul collo, poi più nulla. Doveva essersi addormentata così; eppure qualche minuto prima aveva creduto di non poter riuscire a dormire.
Chissà se lui era riuscito a dormire, invece; Jon.
Allungò il braccio sul letto, al suo fianco, e lo trovò vuoto. Ma poteva ancora sentire il suo odore, era così vicino.
Per forza! Era il suo mantello, che la copriva fino quasi al mento: si alzò stringendolo al petto.
“Jon?”
Lui stava leggendo qualche lettera, in piedi di fronte ad una delle finestre della stanza.
Si voltò e abbozzò un sorriso per salutarla; cercava di rassicurarla, ma le occhiaie nere e pesanti sotto i suoi occhi dicevano tutt’altro. Sansa se la prese con se stessa, serrando i denti sul labbro inferiore, perché lei era riuscita a dormire, e lui no.
Si scoprì pensare che avrebbe voluto essergli al fianco, stringergli la mano nell’oscurità. Invece, una volta ancora, l’aveva abbandonato, ed ora lo sentiva di nuovo distante, come tanto tempo prima.
Quella notte, per la prima volta, avevano condiviso un momento di vera intimità, aveva visto un lato di Jon che gli era sconosciuto, ed ora tutto era finito.
Lui era tornato ad essere il Lord di Grande Inverno, il comandante dei guardiani della notte, rinchiudendosi nella torre più alta della Fortezza Nera, in un posto in cui nessuno poteva arrivarlo. Per più di un attimo le aveva fatto venire in mente suo padre, Ned Stark: erano così simili! Uomini del nord, dai tratti pesanti, ma allo stesso tempo nobili, dalle sopraciglia increspate in un’espressione quasi turbata. Imponenti quanto fragili, gentili, buoni.
Sansa lo vedeva che, proprio come il padre, neanche Jon amava combattere, ma i suoi uomini avevano scelto lui, e lui avrebbe combattuto fino alla fine, se questo sarebbe servito per portarli in salvo, per difendere il Nord, la loro casa.
Per un attimo si era persa nei suoi pensieri e si era ritrovata a sognare ad occhi aperti,  come non faceva più da molto tempo. Guardare Jon, ricordare suo padre, l’avevano fatta tornare la ragazzina spensierata che era. La Sansa di una volta ora sarebbe corsa incontro al padre, gli avrebbe messo il mantello sulle spalle, allacciandogli la fibbia a forma di lupo proprio sotto il mento, e si sarebbe alzata sulle punte per schioccargli un bacio su entrambe le guancie.
Non poteva farlo con Jon, Jon che ormai stava volando distante da lei, proiettato già forse sul campo di battaglia. Strinse il mantello al petto ancora per un secondo, prima di alzarsi ed appoggiarlo sulla sedia accanto a lui: “è meglio che io vada a cambiarmi, chiederò di farti portare qualcosa per colazione”
“Grazie” poi si ricordò di qualcosa: “Sansa”
“Sì?”
“Ti ho fatto procurare degli abiti adeguati, ho chiesto a Brienne di aiutarti a indossare l’armatura, ti starà aspettando nelle tue stanze, in questo momento”
“Grazie.”
Perché era tutto così difficile?
Ad ogni passo che faceva, lungo i corridoi di Grande Inverno, si rendeva conto di quanto la battaglia fosse ormai imminente, mentre soltato la notte prima, lì nella stanza dei suoi genitori, le era sembrata qualcosa di così IMMATERIALE XXXX
Ovunque voltasse lo sguardo, non vedeva che uomini armati dalla testa ai piedi: uomini Stark, Karstark, Manderly e Mormont. Uomini della valle e anche qualche uomo di casa Tully.
La guardavano e Sansa sentiva il peso delle loro vite nelle proprie spalle, ma non poteva abbassare lo sguardo, doveva sostenerli tutti, uno per uno. Proprio come faceva Jon.
Brienne la stava aspettando in camera sua, proprio come lui aveva detto. Le aveva fatto indossare una camicia da uomo, una veste, una cotta di maglia, dei pantaloni e degli stivali di pelle fin sopra al ginocchio.
Si guardò e sorrise: in quegli abiti era tanto fuori luogo quanto Arya in abiti da lady.
Arya. Chissà che cosa non stava facendo in quel momento per uscire dalle cripte. L’aveva salutata, la sera prima, assieme a Bran, poi Jon l’aveva  affidata a Tormund e alcuni dei suoi uomini per portarla al sicuro: sapeva che lei si sarebbe ribellata, che avrebbe fatto di tutto per combattere, ma in fondo era solo ancora una bambina. Sansa scommetteva che non aveva dormito per tutta la notte, ignorando Bran che le diceva di stare calma. Sperava con tutto il suo cuore che quella sera non fosse l’ultima in cui avrebbe rivisto i suoi fratelli.
“Vinceremo” si disse.
In quel moemento qualcuno bussò alla porta. Era Jon.
Senza neanche che dovesse chiederglielo, Brienne uscì dalla stanza.  
“Sei pronta?”
“Sì”
“Ti ho portato una cosa” Jon aveva tra le mani una spilla argentata, la usò per chiuderle la pelliccia, sotto al mento.
“Era di nostro padre”   Non l’aveva più chiamata sua “sorella”, da quando aveva scoperto chi fossero i suoi veri genitori, eppure non aveva smesso di considerare Ned suo padre.
“Mi raccomando, Sansa, se dovesse succedermi qualcosa, dovrai seguire Brienne”
“Jon, se ti succedess”
“Seguirai Brienne!”
“Che senso avrebbe, se tu fossi..” morto. Non riuscì a finire la frase.
Jon le diede un bacio sulla fronte. “Fa come ti ho detto” e sperò con tutto il cuore che lei gli desse ascolto.
Poi uscirono nel piazzale principale, insieme; li seguirono Brienne, Tormund, che non aveva accettato di stare a guardia delle cripte tutto il tempo, Ed l’addolorato e Sam, che si era da poco ricongiunto a Jon e non aveva accettato di stare nelle retrovie.
Sansa aveva un sorriso di circostanza, fatto ad arte per convincere Jon che avrebbe fatto quello che voleva, ma dentro di se pensava che, quando il momento sarebbe venuto, avrebbe fatto la sua parte. Se tutti fossero stati uccisi, che senso avrebbeavuto scappare, rifugiarsi nelle cripte? La morte sarebbe arrivata anche per lei. Certo avrebbe voluto rivedere Arya e Bran un’ultima volta, ma non avrebbe lasciato Jon solo in quel momento.
Dopotutto non era l’unica donna a combattere: Brienne combatteva, la regina dei draghi, Daenerys, sarebbe scesa in campo e anche sua sorella, se glielo avessero permesso, avrebbe combattuto.
Neanche Tyrion, suo marito, si era tirato indietro, e Jaime Lannister si era unito a loro dopo aver tradito la sorella.
Aveva visto Jaime e Brienne allenarsi con la spada, un giorno, non lontano dal parco degli dei. Aveva chiesto a Brienne di insegnarle qualcosa. Jaime sulle prime aveva riso, mentre Tormund, che sonnecchiava sotto un albero poco distante, aveva grugnito un assenso. Jon aveva detto “tutti, da dieci a sessant’anni, devono combattere”, non era giusto che lei ne rimanesse fuori solo perché il suo nome era Stark. La reazione del Lannister aveva convinto la donna, che le aveva messo in mano una spada, nei giorni a seguire, insegnandole una cosa o due, tutto ovviamente senza che Snow venisse a conoscenza di nulla. Anche Jaime aveva pian piano cambiato idea su di lei: certo non sarebbe mai stata una guerriera feroce come Brienne, ma se non altro ora la rispettava per l’impegno che dimostrava mettere negli allenamenti. Sansa non era più la ragazzina che aveva visto piangere per le vessazioni della sorella ad Approdo Del Re, questo doveva concederglielo.
Quando fu il momento di salire a cavallo, fu proprio Jaime ad avvicinarsi a lei e sistemarle qualcosa nella parte sinistra della sella: era una spada, maneggevole, di media lunghezza, più pregiata di quelle con cui avevano fatto allenamento ma non troppo pesante da non riuscire a brandirla.
“Buona fortuna” le aveva detto, dando un colpo al sedere del cavallo. 

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Capitolo 3
*** al tuo fianco ***


CIIIIIIIAOOOOOO A TUTTI! 
Mi sono accorta che la scorsa volta non ho messo neanche un accennino-ino-ino di saluto, tanto ero presa dal finire di scrivere e pubblicare il capitolo al più presto. 
Oggi, quindi, me la prendo con più calma. 
Innanzitutto grazieeee infinite a tutti voi che siete arrivati fin qui: spero che continuerete a seguirmi anche dopo questo capitolone stra lungo e "mattonoso".


Per quanto riguarda il capitolo, ecco che entriamo nel bello, la battaglia è arrivata e i nostri si preparano ad affrontare il re della notte. Ovviamente è ancora una Jonsa, ma mi sono trovata a dover far fronte a qualcosa di inaspettato (dal momento che questa storia era stata progettata come una one shot e quindi non sarebbe dovuta arrivare a questo punto): insomma, in questo capitolo, mi sono sentita in dovere di descrivere e far entrare brevemente anche altri personaggi secondari (Tyrion, Bronn, Jaime, Brienne, quelli che noi tutti conosciamo bene, insomma), perchè pur sempre della battaglia finale si tratta, e spostare tutta l'attenzione su Jon e Sansa solamente mi sembrava estremamente oooof topic, ma davvero tanto. Ho cercato di non strafare, di rendere tutto abbastanza piacevole e di condirlo con un po' di romance, quindi spero che mi seguiate anche in seguito e non vi facciate scoraggiare dalla lunghezza della cosa (e soprattutto che mi diciate la vostra, se commenterete, anche su questi altri personaggic he ho aggiunto e provato a descrivere: che cosa ne pensate, vi piacerebbe vederli ancora, o torno a concentrarmi su Jon e sansa??) 

Mi sono dilungata anche troppo, ciao e buona lettura!!!
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Fuori da Grande inverno c’erano gli accampamenti dei Lannister, Tully e Targaryen.
Anche Daenerys aveva dormito fuori, in una tenda sistemata poco più in là, perché molti dei signori del nord non si fidavano ancora, di dormire fianco a fianco con tre enormi bestie sputafuoco.
Avevano cavalcato per quasi mezza giornata, driti incontro agli estranei; La notizia che questi avevano distrutto la barriera, passando il confine, era arrivata solo un giorno prima, assieme a Edd L’addolorato che era riuscito a salvare se stesso e pochi altri pochi altri dalle grinfie del re della notte.
Jon l’aveva abbracciato con aria corrucciata, e aveva sentenziato l’entrata in guerra.
Non ci aveva pensato un attimo, o forse lo aveva fatto, per giorni e mesi, dalla notte in cui la donna rossa l’aveva portato indietro, senza dare da intendere a nessuno ciò che lo turbava.
Sembrava tutto un sogno – un incubo. Sansa non credeva possibile di star vivendo quello che vedeva difronte a se.
L’esercito più grande che aveva mai calcato i territori del Nord, era pronto a scontrarsi con la schiera dei non morti. Se glielo avessero raccontato non avrebbe creduto a quella storia: sembrava uno dei racconti della vecchia Nan, una delle sue vecchie leggende condite di presagi e terrori. A Sansa non erano mai piaciute, si chiedeva perché dovesse raccontare quelle stupide storie dell’orrore quando si poteva parlare di principi e principesse, castelli e atti di coraggio.
Ma ora erano quelli di quegli uomini malridotti, bruti e cittadini del westeros, gli unici atti di coraggio che contavano.
Si rendeva conto solo ora di quanto le storie che prima amava sentirsi raccontare fossero ancora più surreali di quegli oscuri racconti nella bocca di Nan.
La verità era un’altra, e Jon ne sapeva qualcosa.
Aveva fatto difficoltà a credergli, qualche tempo prima, quando si erano riincontrati. E invece ora si rendeva conto di quanto ancora una volta era stata lei la stupida, la bambina che non voleva ascoltare, che preferiva dipingersi la vita a colori brillanti, invece che con quelli freddi e cupi del mondo in cui vivevano.
Erano quelli i veri eroi.
Jon, era un vero eroe: l’uomo che combatteva di fronte a lei tra il fango e il sangue dei nemici.
Tyrion, suo marito, con il suo volto tagliato e le gambette di nano, che eppure faceva ciò che poteva.
Brienne, la donna d’onore, l’orsa senza macchia, la possente.
Anche Bronn e Tormund, Dondarrion e il prete rosso di Myr, per quanto mercenari, bruti e fuorilegge.
E Jaime Lannister; anche lui, alla fine, si era schierato dalla giusta parte. Sansa aveva fatto difficoltà ad accettarlo: ogni volta che la guardava, lei sentiva su di se’ lo sguardo idifferente di quei giorni ad approdo del re, quando senza fare una mossa guardava il figlio che la torturava. Ma Brienne aveva un’altra opinione di lui, e lei aveva imparato a fidarsi di Brienne. E poi ora sapeva riconoscere le persone, e vedeva nello sguardo di Jaime qualcosa di diverso, l’umiltà di chi non riesce a perdonarsi per aver commesso un errore.
Jaime, dopotutto, le ricordava così tanto se stessa, quando era arrivata quasi a vendere il padre e la sorella, accecata dall’amore che provava per Joffrey. Dopotutto per il suo stesso errore, Lady, la sua lupa , aveva perso la vita, e Jory Cassel e altri uomini del nord: come poteva, ora, accusare Jaime?  
I veri eroi non indossano armature scintillanti e vesti eleganti, i veri eroi sono sporchi, feriti, ammaccati, perché non si tirano indietro di fronte alle sfide. Non comandano l’esercito dalle retrovie, ma scendono in campo in prima linea.
Ecco perché Jon aveva rifiutato di montare Rahegal, il drago che portava il nome del padre, del suo vero padre: perché voleva stare in mezzo ai suoi uomini, a quelli che si erano battuti con lui fin dall’inzio.
Eppure la bestia lo seguiva dall’alto come un’ombra: sterminava i nemici con il suo alito di fuoco alla sua destra e alla sua sinistra. Lo difendeva con un battito di ali o disarcionando i cavalieri con le zampe anteriori, sembrava che sentisse con lui un legame più forte di quello che aveva con la sua stessa madre.
 
**
 
La battaglia era cominciata da tempo.
I vessilli del Nord e delle casate alleate, dei Targaryen e dei Lannister erano ormai invisibili in mezzo a quel mare di uomini.
I colori terrosi di sangue e fango la facevano da padrone; la neve era diventata una poltiglia sporca, sotto gli stivali dei soldati. Alcuni specchi di ghiaccio qua e là facevano scivolare i cavalli disarcionando i soldati.
Podrik Pain era caduto; Sansa aveva sentito Brienne gemere al suo fianco: la prima e unica reazione da donna, che avesse sentito fino a quel momento in bocca alla donna.
“Puoi andare, Brienne”
Ogni muscolo della donna fremeva, voleva entrare in battaglia. Era come se Sansa potesse vederla sotto i vestiti, l’armatura e la cotta di maglia. L’orsa dell’isola di zaffiro era stata abituata a combattere fin da che ne avesse ricordo; nessuno le aveva mai insegnato ad essere una lady, ad aspettare paziente, mentre gli uomini combattevano nel campo di battaglia. Sansa non poteva nemmeno immaginare come si sentisse, quando anche lei non riusciva più a trattenersi, seguendo il fratello e i suoi cavalieri con gli occhi.
Eppure Brienne era una donna d’onore, e il suo voto la legava a Sansa, e alla promessa che aveva fatto al Re del Nord, di tenerla al sicuro.
Il corpo di Podrik, ora, era in balia dei cavalli e degli estranei. Era uno spettacolo difficile da guardare:
“ Puoi andare, ho detto. So che hai fatto una promessa a Jon, ma il tuo voto ti lega a me. Prometto che rimarrò al mio posto.”
Brienne non sembrava convinta, ma Sansa intuì che era solo una cosa quella che stava aspettando:
“Te lo ordino. Vai e porta indietro il corpo del ragazzo. Poi torna in dietro e vendica la sua morte”
L’Orsa sembrò sollevata, e senza farselo ripetere lasciò le redini in una corsa all’impazzata verso il centro della battaglia.
                Anche Bronn era stato ferito, insieme a una manciata di uomini delle tribù delle montagne che, una volta ancora, combattevano al fianco del folletto.
Aveva preso un colpo di spada in piena guancia, e stava sanguinando così copiosamente che Sansa si chiedeva come facesse a respirare. In tutta risposta aveva sfilato un arakh dalla cinto del primo dothraki che gli era capitato a tiro, e aveva sbudellato due o tre uomini di ghiaccio con un colpo solo. Sapeva che non sarebbe servito a niente, visto che l’arma non era fatta di vetro di drago, ma era un modo per prendersi la sua rivincita, prima di dar loro il colpo di grazia con la sua spada d’ossidiana.
Lui e Jaime combattevano uno alla destra e uno alla sinistra di Tyrion, proteggendo quello che in un modo o nell’altro era un fratello per entrambi.
Sansa si disse che il folletto non aveva niente da invidiare agli altri cavalieri, in quanto a grinta. Era stato lui a voler combattere, sostenendo che non era più tempo per le parole, seppure quella era la cosa in cui era più bravo “se perdessimo la battaglia, dubito che il Re della Notte mi accetti come suo consigliere, tanto vale dare prova di quel poco che ho imparato da quel bastardo di mio padre”.
Anche l’altro Lannister si batteva con ferocia: pur con la mano sinistra il suo modo di combattere era leggero come una danza, agile  e sgusciante come un animale selvatico.
                Tormund e Spettro erano due belve, al fianco di Jon Snow:era difficile dire chi fosse l’animale e chi la persona.
Se suo “fratello” non avesse portato i bruti, chissà a quel punto dove sarebbero finiti.
                E poi la regina dei draghi, che volava distante e imperiosa sopra le teste degli altri. Cavalcava Drogon, il drago rosso, incenerendo i nemici più lontani, prima ancora che si avvicinassero agli altri.
Daenerys, l’ultima Targaryen, o almeno così si pensava prima che Jon venisse a sapere la verità sulla sua nascita. Daenerys nata dalla tempesta, la non bruciata, la regina venuta dall’est.
Daenerys.
Solo al pronunciarlo, molti uomini dell’ovest rabbrividivano.
Le casate del sud si erano inginocchiate al suo passaggio; tutte all’infuori di cersei e i pochi che le erano rimasti fedeli. Prima che lei li bruciasse.
Ma gli uomini del Nord erano diversi. Per quanto non volessero ammetterlo, gli uomini del Nord erano più simili ai bruti che ai signorotti delle terre del sole: quegli uomini sceglievano il loro comandante secondo la forza e la giustezza che dimostrava al comando, e non a seconda del suo nome.
Jon Snow li aveva liberati dall’incombenza di doversi inginocchiare a colei che si proclamava regina, quando egli stesso non l’aveva fatto. E loro avevano scelto Jon Snow, di nuovo, anche dopo aver saputo. Perché Jon aveva tenuto quel suo nome da bastardo, perché Jon non aveva mai voluto essere Re, eppure aveva combattuto per il Nord con piùà ferocia di un vero lupo.
“Sei uno Stark, per me” gli aveva detto Sansa una volta.
Ora lei vedeva negli occhi di quegli uomini che lo era anche per loro: si fidavano, lo rispettavano, non l’avrebbero tradito come avevano fatto i suoi confratelli guardiani della notte.
                Jon era così diverso da quella regina di fuoco la cui espressione sembrava ghiacciata in uno sguardo inperioso.  C’era un fuoco, dentro Jon, che a Daenerys mancava.
Sansa la rispettava, è vero: da quello che aveva saputo la sua vita era non era stata meno difficile della sua. Sapeva che voleva dire essere promessa sposa, maritata e stuprata da un uomo di un popolo sconosciuto, un uomo brutale. Essere venduta, perdere la propria casa, venire tradita da coloro che si credeva amici, ma non riusciva più a vedere benevolenza  nello sguardo della Khaleesi.
Quella ragazza così giovane sembrava all’esterno una donna matura, anziana, con il cuore tramutato in pietra. Tutto quello che aveva vissuto l’aveva attaccata al cuore, agli organi vitali, espandendosi dentro di lei come una malattia, veloce e letale come il morbo grigio si narrava che fosse.
E poi c’era in lei quella consapevolezza di essere una Targaryen, quel sentirsi l’unica vera erede del sangue di drago che la rendeva così distante e inarrivabile. Se sansa aveva imparato qualcosa guardando la madre, Cat, e poi Cersei e Margaery, quel qualcosa ora le suggeriva che Daenerys non sarebbe mai stata una buona regnante, non come lo sarebbe stato Jon.
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Jon ora avanzava verso la collina a nord ovest, dalla quale il Re della Notte comandava il suo esercito.
Spettro al suo fianco e Rhaegal al seguito.
Il lipo e l’uomo mordevano, fendevano e artigliavano un white walkers dopo l’altro, facendosi strada in mezzo all’orda dei non morti.
Sansa fu presa da una stretta allo stomaco, non potè farci niente, anche se sapeva che sarebbe toccato a lui: capiva che era compito del Re del Nord, scontrarsi finalmente con il re della notte. Non poteva esserci altra via, non c’era uomo più valoroso: quella sarebbe stata la battaglia decisiva.
Se ci fosse stato Ditocorto, pensò, sarebbe stato contento, nel vedere il ragazzo correre di così buona lena verso una morte quasi certa. Avrebbe messo su quel suo solito ghigno maligno, e avrebbe pensato che, per una volta, non aveva dovuto nemmeno perdere tempo a tramare, per ottenere quello che voleva.
Era sicura che anche una buona parte degli uomini del nord la pensavano allo stesso modo: non era così stupida da pensare che una piccola fetta degli Umber, dei Karstark e dei Mormont, che già non vedeva di buon occhio il giovane Snow, non aveva fatto i salti di gioia a venire a conoscenza del suo sangue Targaryen. Molti di loro, pensava, avevano accettato di chiamarlo ancora “Re del Nord”, solo perché sapevano che sarebbe toccato a lui, poi, vedersela nella battaglia più dura.
Quello era il modo più veloce per ammazzarlo. Quegli uomini avevano piantato un coltello nel petto di Jon, ancora più a fondo di quanto non avessero fatto i suoi confratelli, lì sulla barriera.
Sansa avrebbe voluto stanarli e ucciderli lei stessa uno per uno. Passarli a fil di lama come il padre usava fare con i traditori, per aver anche solo pensato che Jon potesse tradirli, e per aver accettato che si immolasse per il regno.
Al solo pensiero le sue dita fremevano. Si accorse di stringere tra le mani il pomo della spada che Jaime le aveva allacciato alla sella.
                Jon.
Erano così distanti, ora.
Jon. Avrebbe voluto dare di speroni e raggiungerlo; poter chiamare Viserion, il drago bianco, come riusciva a fare Bran, per farsi portare in volo fin da lui, ora che la battaglia era cominciata.
Jon.
Sansa sentiva una nuova stretta allo stomaco, ogni volta che il ragazzo menava un fendente o ne riceveva uno in risposta.
Fremeva dal sentirsi ancora una volta impotente, ancora una volta impossibilitata a far niente.
Jon!
Anche con Spettro al fianco quel mostro era più potente, più forte di lui. Lo superava di quasi due spanne e fendeva l’aria senza sentir ragioni.  Sembrava non provare stanchezza, implacabile, mentre il Re del Nord sudava e ansimava, boccheggiando ossigendo ad ogni stoccata.
Jon, Jon, JON!
Guardati alla destra, Jon.
Alla sinistra, ora: arrivano anche da là!
Come avrebbe fatto a vincere? Dopotutto, l’esercito dei non morti non conosceva nobiltà d’animo. Non avevano un etichetta da seguire, loro, potevano semplicemente attaccare alle spalle o sferrare un colpo a tradimento mentre il nemico era già impegnato ad affrontare qualcun altro. E pure con Spettro alle spalle, Jon rimaneva spesso scoperto, vulnerabile.
Perché nessuno lo aiutava? Perché nessuno gli guardava le spalle?
Sansa si guardò intorno: certo. Che stupida. Erano in mezzo a una guerra, nessuno poteva aiutare Jon perché ognuno era impegnato a salvare se stesso. Ognuno cercava di mantenersi in vita, come poteva, di vincere.
E che cosa stava facendo lei?
Li guardava morire.  Da tutte le parti: a destra a sinistra, dovunque girasse lo sguardo vedeva uomini del Westeros, Dotraki o immacolati cadere a terra incoscienti, formando ampie pozze di sangue che ormai non potevano più colorare quel ghiaccio già saturo.
Aveva perso di vista Brienne, ma Tyrion e Jaime erano sempre lì, davanti a lei, a metà della distanza che la separava da Jon. La situazione per Bronn era peggiorata: con il braccio sinistro già grondante sangue, per averlo usato come scudo, tra se stesso e un fendente a tradimento, ora anche l’altro era stato passato a fil di lama, tanto che faticava a stringere la spada. Le braccia gli cadevano lungo il corpo, come se le spalle non potessero più sostenerle.
Così gli uomini della notte si erano ricavati una via verso di Tyrion, che ora aveva il fianco sinistro scoperto. Il folletto, inesperto com’era, aveva iniziato a vedersela brutta e si era preso un colpo frontale in pieno elmo, che però gli aveva riaperto la cicatrice che portava nel volto e l’aveva fatto svenire.
Jaime, invece, non aveva perso un colpo. A vedere il fratello cadere era diventato una furia, proprio come Spettro accanto a Jon. Era irriconoscibile, ma sempre leggero, nella sua danza.
Aveva caricato il fratello sulle spalle e l’aveva messo su un cavallo, che aveva appena disarcionato il suo cavaliere moribondo. Ora menava fendenti a destra e a manca, dalla groppa dell’animale, arpionando Tyrion con il braccio monco di mano e tenendosi in equilibrio sulla sella con i soli muscoli delle gambe.
Una piccola parte di Sansa, sperò che potesse fare lo stesso per proteggere Jon; poi si morse la lingua, perché in fondo Tyrion era stato un uomo buono con lei,non meritava di morire.
Ora ser Davos si stava avvicinando al Re del Nord, ma era lento, e vecchio, e sicuramente non era un soldato.
Clang! Un’ascia risuonò cozzando contro la placca frontale di Jon, lacerandogli in parte le vesti sotto la spalla destra: un altro colpo a tradimento, che fece raggelare la ragazza per un attimo. Aveva sentito il suono chiaro e cristallino come se tutto fosse avvenuto lì, a due centimetri dal suo naso.
Il brivido di terrore che la percorse le diede una scossa di adrenalina tale da speronare il cavallo più forte di quanto avesse voluto, tirare le redini e buttarsi alla carica.
Jon intanto sie era sbilanciato indietro di un solo passo, alzando lungo artiglio in difesa.
“Sto arrivando!”
Il cavallo di Sansa filava dritto attraverso la battaglia, verso la collina in cui si trovava il suo Re come se i cavalieri e i non morti attorno a loro fossero fragili fili d’erba: non potevano farle del male, lei era immune dalla battaglia, immune da tutto quel dolore lì attorno, perché in quel momento c’era solo Jon.
E per un attimo ricordò Brienne e ciò che le aveva detto in uno dei loro addestramenti:
“ quando sei in battaglia, tutto cambia. Non avere paura, non ti preoccupare di non saper reagire, perché quando arriverà il momento, il tuo corpo e la tua mente sapranno esattamente cosa fare. Quando vedo un nemico, la mia testa si libera, e non riesco a pensare ad altro che al mio obiettivo; è l’istinto di sopravvivenza, e sono sicura che tu ne hai uno tanto forte quanto il mio, mia Signora.”
Brienne aveva ragione. Aveva sempre le parole giuste: Sansa, ora, vedeva solo Jon e i suoi avversari, il suo nemico. Si era lanciata nella mischia senza neanche il bisogno di pensare, e ora il suo braccio segnava archi attorno al cavallo con la spada senza che lei dovesse comandare di farlo. Anche il cavallo sembrava sentire quella sua stessa sensazione: erano come una cosa sola, lei e la bestia, a protendersi in avanti o ai lati per tracciare un cerchio attorno a Jon o scalciare un nemico sotto le zampe anteriori.  
“Ti avevo detto di stare lontana”
Sansa non aveva neanche risposto, intenta com’era a guardarsi a destra, a sinistra e anche alle spalle.
E poi non le importava: se fosse dovuta morire, lo avrebbe fatto proteggendo Jon, al suo fianco, e non dopo, da codarda. Se c’era invece anche una sola chance di vincere, lei avrebbe aiutato a far possibile che si realizzasse.
Non riusciva neanche a immaginare un mondo senza Jon, per quanto la morte la spaventasse. Da quando l’aveva riincontrato a Grande Inverno, aveva passato la maggior parte del suo tempo al suo fianco: quello, ormai, era il suo posto; non alle sue spalle, a guardarlo morire.
Ma Sansa non era una guerriera, e al seguente attacco, uno dei White walkers, l’aveva disarcionata.
“Spettro!” : Jon, per quanto in difficoltà, per quanto preso dalla battaglia, riusciva ancora a guardarsi attorno, e pensava a venirle in soccorso. Al comando del suo padrone, l’enorme metalupo bianco le fu al fianco, azzannando tre nemici in un solo agguato.
Sansa si diede ancora della stupida: ora Jon era di nuovo in difficoltà, solo davanti al nemico.
Stupida, Stupida, stupida, mille volte stupida!
Cercava come poteva di difendersi dagli attacchi che trapelavano oltre la guardia di Spettro, mentre il ragazzo si buttava alla carica contro il Re della Notte. Il mantello caduto ormai da tempo, sul campo; Lungo Artiglio era poco più che una visione fugace, veloce com’era il braccio di Jon, seppur ferito; colpiva l’uomo di ghiaccio a destra e a manca, ma quello sembrava non sentire dolore.
Jon lo colpì dietro alle ginocchia, e poi alla destra, ma quello  schivò  perdendo parte dell’orecchio come fosse poco più che un granello di roccia, che si stacca da un’enorme montagna. Poi fu il turno del nemico, di contrattaccare: con un fendente orizzontale sorprese Jon tagliando di netto la sua cotta di maglia allo stomaco, e proseguendo dritto fino al polso destro, disarmandolo.
Ora Jon sanguinava, ma non si piegò neanche un secondo, mentre Sansa aveva tirato un urlo, correndogli incontro.
Il Re della Notte aveva alzato la lama sopra la testa, per abbassarla definitivamente sull’uomo del Nord: era arrivata la sua ora… fino a che qualcosa non glielo impedì.
L’uomo di ghiaccio si bloccò di colpo, emise un alito di ghiaccio e rantolò lievemente, prima che il suo torace iniziasse a disintegrarsi in piccoli pezzi, e dal suo stomaco emerse una lama, nera come la pece, e alla sua estremità la mano dalle dita mozzate di Ser Davos: a quanto pare, il vecchio contrabbandiere aveva ancora qualche asso nella manica da sfoderare.
Ora il Re della Notte, o quello che ne rimaneva, stava collassando in avanti, verso Jon, che alzò di fronte a se la sinistra, dove stringeva il pugnale di ossidiana che una volta era appartenuto ai Lannister, e poi a Ditocorto,  Sansa e infine a lui.
Gli aprì un buco nel cranio, spaccandolo in due come un frutto maturo delle terre del sole. Tutto il resto si disintegrò in neve limpida, e poi uno a uno, tutti i suoi uomini, si dispersero nel vento come granelli di sabbia, lasciando nel campo di battaglia un silenzio surreale.
Gli uomini, ora, si guardavano intorno come paralizzati dal terrore che quelle bestie del diavolo potessero tornare. Non si fidavano di abbassare la guardia.
Eppure i draghi avevano smesso di sputare fuoco, e i lupi e i cavalli si erano calmati, prendendo a leccarsi le ferite: il loro sesto senso diceva che la battaglia era finita.
Solo i più vecchi, si erano concessi di cadere a terra, stremati, e Ser Davos tra loro: si era abbandonato con le ginocchia a terra, le mani sulle cosce a riprender fiato, e sembrava ora riacquistare in una volta tutti quegli anni che aveva dimenticato di avere sulle spalle durante l’attacco.
Sansa era corsa verso Jon, quasi di riflesso: aveva abbandonato la spada a terra, come si fosse fatta d’improvviso bollente ed era corsa da lui, che a differenza del vecchio cavaliere delle cipolle non aveva dato segni di cedimento, anzi aveva raccolto la spada con la sinistra, e si era tirato più ritto nelle gambe.
Il Re del Nord rimaneva Re del Nord anche a battaglia terminata.
Umile, ma allo stesso tempo fiero, solido, saldo come una roccia, nonostante il combattimento fosse stato lungo, e per niente semplice.
Eppure, quasi per contrasto, c’era quel lato tenero in lui, amorevole, che non ti aspetteresti di vedere in un uomo del nord e che per questo era tanto singolare da osservare, quanto incantevole.
Jon non si era fatto sorreggere, quando Sansa gli era scivolata sotto la spalla, anzi era stato lui a portarsela tra le braccia , alzandola al cielo quel tanto che l’armatura gli permetteva. L’aveva stretta al petto tanto forte, da aver avuto paura di farle del male, fino a che lei non aveva ricambiato l’abbraccio con ancora più forza, fino quasi a soffocarlo.
Sansa aveva respirato il profumo maschile del corpo di Jon, di sangue e di guerra, infilando il naso tra i suoi capelli e l’armatura fredda, e poi non aveva più resistito: era scoppiata in un pianto a dirotto, inaspettato e rumoroso come non faceva dai tempi in cui era ancora attaccata alle sottane della madre, a Grande Inverno.  Era come se in quel preciso momento, in quell’abbraccio, avesse sentito tutta la tensione di quei giorni, mesi, anni, svanire di colpo, e non era più riuscita a resistere.  Non si vergognava di quelle lacrime, che non stavano facendo altro che portare via anni di sofferenze, sopprusi e tutte le difficoltà che aveva dovuto superare: quelle gocce erano il suo bagno di vita, una pioggia rigenerante che le avrebbe lavato solcato le guance, il mento, il seno, giù fino ai piedi, portandosi via la pelle morta, da depositare a terra come le spoglie di ciò che era stata.
Sarebbe rimasta solo Sansa Stark, poi; La lady di Grande Inverno, il lupo dai capelli rossi e gli occhi di ghiaccio, la principessa che tutti gli uomini del nord avevano imparato a rispettare e amare.
Jon lo sapeva, il significato di quelle lacrime, per questo non disse niente.
Anche ser Davos la guardava apprensivo, come fino ad ora aveva solo guardato Shereen, la piccola lady di Roccia del drago.
                Poi da lontano qualcuno aveva iniziato a produrre un rumore metallico, ritmato, ed altri avevano seguito. Tormund si era ricavato uno scudo ed era salito sulla carcassa di un cavallo, facendo cozzare forte la sua ascia su di esso.
E così tutti i bruti. Era il loro modo per inneggiare alla vittoria.
Poi, pian piano, anche gli uomini del Westeros avevano seguito le loro mosse, ed iniziato a battere le loro spade, picche o coltelli lunghi contro qualsiasi altra superficie metallica capitasse a tiro.
Daenerys era scesa a terra, e gli uomini degli Stark avevano preso a inneggiare al Re del Nord, mentre gli immacolati erano imperturbabili e silenziosi, come loro solito.
Sciolto l’abbraccio, Jon Snow aveva mandato Spettro a dare una mano a Ser Davos ( il lupo ormai era più grande di un cavallo, e non faceva difficoltà a farsi carico di una persona sul dorso), mentre lui aveva accettato infine l’aiuto di Sansa, che non aveva voluto sentir ragioni, e gli si era offerta a stampella.
Dal suo torace, effettivamente, scendeva un rigolo leggero di sangue; la cotta e la veste di cuoio spesso erano squarciate quasi a metà, mentre la sua mano destra era ormai completamente coperta del sangue che stillava dal polso.
“Dobbiamo fermare l’emoralgia”
“Sto bene.”
“Devo fermare il flusso sanguigno o morirai dissanguato.”
“Andrà tutto bene”
“Jon!”
“Va bene, prendi il mio pugnale, strappa un pezzo del mio mantello.”

“E adesso andiamo, torniamo a casa”
 

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Capitolo 4
*** la Signora di Grande Inverno ***


Ciaooooo a tutti!!! 
Questa volta è passato un po' più di tempo tra un capitolo e l'altro. Devo ammettere che per una serie di ragioni, tra cui il caldo micidiale, sono rimasta un po' bloccata nello scriverlo. 
Poi mi sono sciolta. 
Volevo dare una svolta alla relazione fra sansa e Jon, una svolta che facesse capire anche a loro quanto tengono l'uno all'altra: spero di esserci riuscita! 
Come sempre: ogni commento è più che apprezzato. per favore: recensite, recensite, recensite :) 
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Quella notte, Sansa passeggiava per i corridoi di Grande Inverno: la carovana di soldati che avevano combattuto per difendere il Westeros aveva proceduto tutta la notte, senza sosta, per dare a quegli uomini un letto caldo in cui dormire.
I feriti più gravi erano stati trasportati su carri di legno, trascinati da palafreni grandi quanto metalupi, ma i più si erano rifiutati di coricarsi, così come Jon, che non aveva sentito ragioni ed aveva cavalcato tutta la notte, come non sentisse fatica. Sansa, preoccupata, aveva cavalcato al suo fianco per tutto il tempo, con Brienne alle calcagna, e quando il ragazzo era sceso da cavallo non si era fatta sfuggire la smorfia di dolore che aveva tentato di soffocare:
“è ora che tu vada nelle tue stanze, Jon: farò chiamare un maestro”
“Non ancora: c’è da dividere il cibo e affidare una stanza ad ogni ferito, organizzare i soccorsi e i lavori di ricostruzione”
“Tutte cose di cui posso occuparmi io”
“Sam si è già occupato delle mie ferite”
“ti ha ricucito alla meglio sul campo di battaglia! è stata una fortuna che i punti non si siano aperti durante la notte”
“Andranno a posto”
“Ti prenderai un’infezione, passo a trovarti fra poco, e spero di trovarti in camera tua”
Sansa aveva imparato ad essere imperiosa come sua madre, Cat. E Jon non sapeva resistere al suo sguardo minaccioso, tanto più ora, che il prurito al taglio sul torace gli dava qualche motivo di credere che, in fondo, lei non avesse tutti i torti.
Si ritirò nelle sue stanze, mentre lei prendeva una pergamena arrotolata dalle mani di Brienne.
                Sansa sospirò, guardandosi intorno, desolata: aveva lasciato andare Jon perché sapeva che era la cosa giusta da fare, ma in quel momento avrebbe tanto voluto averlo al suo fianco.
Erano le tre di notte, ma il cortile era illuminato quasi fosse pieno giorno. Grande Inverno si era appena riempita di uomini e donne che passeggiavano ferventi di lavoro per i suoi corridoi come accadeva solo nei giorni di festa, o quando il Re o qualche nobile veniva a far visita.
Era sola, a doversi occupare di tutti quegli uomini, donne e bambini feriti e stanchi; alcuni non avrebbero superato la notte, altri avevano solamente bisogno di un giaciglio, ma tutti avrebbero fatto appello a lei. Per di più aveva congedato molti dei suoi uomini più fidati perché si facessero prestare soccorso, con la promessa che sarebbero tornati al suo fianco non appena avrebbero ricevuto le cure adeguate.
Brienne teneva duro, nonostante solo qualche ora prima l’aveva colta mentre attaccava una quercia millenaria con tutta la forza che aveva nel braccio: la morte di Podrik l’aveva sconvolta nel profondo e Sansa sapeva che, chechè se ne dicesse, Brienne aveva pur sempre i sentimenti di una donna, la fragilità di una donna.
Il vecchio Davos era stato acclamato come un eroe sul campo di battaglia ma subito dopo, anche se all’inizio non  aveva voluto saperne, era caduto in un sonno profondo. Jon gli aveva lasciato il suo giaciglio, sul carro riservato al Re del Nord e ai suoi consiglieri, un po’ per ringraziarlo, un po’ per rendere chiaro che lui non intendesse usarlo.
                Sansa aveva fatto portare del fieno per i cavalli, e carne fresca per i draghi a patto che se ne stessero ben lontani dalle mura: gli uomini, nonostante tutto, continuavano ad averne paura.
Daenerys aveva acconsentito di accomodarsi in una delle stanze della torre orientale, con i suoi consiglieri e capitani nei piani inferiori.
Nella sala grande della fortezza era stata allestita un’infermeria per i feriti più importanti e quelli più gravi; i maestri e le infermiere dell’Essos  si affacendavano correndo da una parte all’altra, come avessero le ali ai piedi.  Una seconda infermeria, per il resto dei soldati e la gente comune, era stata allestita in tre grandi tende comunicanti appena fuori le mura.
“Convocate Thoros di Myr, Melisandre e tutti i preti rossi che riuscite a trovare: che mettano a disposizione delle infermiere le loro conoscenze di unguenti e malattie”
“Si sa qualcosa di Baeric Dondarrion? Dobbiamo fissargli un appuntamento con Jon prima che si volatilizzi con la sua banda di mantelli gialli” : non potevano perdere uno come Dondarrion, Sansa sapeva che molti del popolo si fidavano di lui molto più di tutti i nobili e sedicenti re e regine; Jon avrebbe dovuto ottenere il suo appoggio, se avesse voluto conservare il titolo di Re del Nord.
Sansa pensò per un secondo a quanto sarebbe stato utile, in quel momento, avere Ditocorto al suo fianco: avrebbe dimezzato il suo lavoro, togliendole parte del peso che portava sulle spalle. Non che si pentisse della sua decisione, ma a volte guardava con rammarico ai vecchi tempi, a quei giorni in cui riusciva a rigirarselo tra le mani a suo piacere. Forse aveva ragione Jon, forse stava diventando troppo simile a Cersei: avrebbe smesso di pensarci, dopotutto Petyr le aveva insegnato bene, poteva fare ciò che avrebbe fatto lui e anche di meglio.
                Assegnò una stanza a Brienne, e quella vicino a Jaime Lannister: aveva notato il rispetto reciproco che provavano l’una per l’altro, e credeva che entrambi avessero lo stesso bisogno di visi amici, in quelle terre in cui erano considerati degli estranei.
Brienne le aveva prestato giuramento, è vero, ma non era mai diventata un vero soldato del Nord, e sospettava non lo sarebbe mai stato. Mentre Jaime era in una posizione ancora più difficile: gli uomini lo odiavano già da quando era diventato “lo sterminatore di re”; sempre lui aveva appoggiato la sorella per tutti quegli anni, combattendo Ned e poi suoi figlio Robb, e solo alla fine si era ribellato, decidendo di unirsi alla loro causa.
La stanza subito adiacente l’aveva tenuta per Tyrion, per quando si fosse rimesso. Le sue ferite, grazie a Bronn e all’intervento repentino del fratello, erano in fondo non troppo gravi.
Il mercenario era quello che era messo peggio. Aveva perso conoscenza sul campo di battaglia in seguito a una ferita alla schiena. Un’ascia gli aveva mozzato un’orecchia di netto e aveva quasi perso l’occhio sinistro.
Fortunatamente, poco dopo Ser Davos aveva provveduto a distruggere il Re della Notte, salvando Sir Bron da morte certa..
 Sansa aveva proseguito così per tutte le due ore successive, dando ordini a destra e a sinistra, fino a che tutte le stanze di Grande Inverno non furono affidate e che tutti non ebbero avuto qualcosa da mettere sotto i denti, poi si era diretta verso la vecchia stanza dei suoi genitori.
Sapeva che c’era un’altra questione ancora da affrontare, una questione che non sarebbe stata affatto semplice: prima o poi avrebbe dovuto affrontare Arya, che per quanto ne sapeva se ne stava ancora a menar calci alle guardie che l’avevano tenuta lontano dalla guerra; per questo, si disse, avrebbe aspettato Jon.
Il fatto di non averlo visto da nessuna parte, quella notte, la faceva ben sperare che avesse ascoltato i suoi ordini e ne avesse approfittato per riposarsi. A volte si diceva che avrebbe quasi potuto imparare a distinguere da quanti giorni il ragazzo non dormisse, a giudicare dalla profondità delle fosse scure sotto i suoi occhi.
Bussò alla sua porta e la voce di Davos la invitò ad entrare.
Il vecchio cavaliere delle cipolle aveva già ripreso il suo posto al fianco del Re del Nord; non si era dato neanche il tempo di cambiarsi le vesti che aveva indossato sotto l’armatura. Jon invece sedeva sul suo letto, con indosso solo dei pantaloni di cuoio e una camicia larga di cotone aperta sul petto fino a metà.
Il maestro Balwar stava riponendo gli strumenti con il quale l’aveva curato, e cercava di avere la sua attenzione in merito a qualche unguento che avrebbe dovuto usare per curare la cicatrice. Jon non ascoltava, continuando a discutere con Davos la strategia migliore per gestire tutti quegli uomini sotto lo stesso tetto, senza che si dessero battaglia, almeno fino a che ognuno non fosse guarito.
“Grazie, maestro, mi assicurerò io che prenda le sue cure; puoi occuparti di Ser Davos, ora: ho fatto allestire una stanza alla fine del corridoio”
Quando i due furono usciti, anche Brienne si congedò, sentendosi d’improvviso di troppo.
                Sansa abbracciò Jon di slancio, libera, per un momento, di fare ciò che il cuore le suggeriva. Poi si ritirò, e quella stanza divenne in un attimo piccola e claustrofobica.
“Abbiamo vinto!”
Jon l’aveva baciata sulla fronte, di nuovo, in quell’atteggiamento paterno che Sansa non sapeva definire. Non aveva mai avuto quelle attenzioni per lei, prima: non se lo sarebbe mai permesso, quando era considerato solo il bastardo di Grande Inverno, quello che non aveva neanche il permesso di sedere alla tavola grande durante le feste.
Sansa si colpevolizzò ancora una volta, per averlo allontanato, per tutto quel tempo.
Eppure d’altra parte c’era qualcosa che la infastidiva, in quel gesto, che la avviliva un po’:  era come se Jon stesse segnando le distanze; come se volesse proteggerla, ma allo stesso tempo escluderla da un contatto più intimo.
Jon la trattava con un rispetto freddo, ecco.
La teneva a distanza come non aveva mai fatto con Arya: era solito stritolare la “sorella” minore tra le braccia fin da quando questa era solo uno scricciolo. Sansa provò una fitta di gelosia.
Lei non era Arya, e che cosa poteva fare per lui, ora?
Che cosa poteva fare a battaglia terminata, per il grande Re del Nord, l’uomo che era riuscito a congiungere gli eserciti di tutto il Westeros sotto un unico stendardo?
“Dovrai avere freddo, faccio accendere il fuoco..” stava già mandando a chiamare una delle sue servette, all’infuori della porta, quando Jon la fermò: “faccio io”
Si era alzato dal letto e diretto verso il caminetto.
Lei vedeva i suoi muscoli flettersi sotto la camicia larga, nell’atto di impilare tre, poi quattro, cinque pezzi di legno. Mise un piccolo mucchio di rametti secchi alla base e gli diede fuoco.
In poco tempo il crepitio delle fiamme era già più rumoroso dei loro respiri.
Jon non aveva bisogno di lei, Jon avrebbe potuto governare il nord da solo, per quel che aveva potuto vedere. Lui non era soltanto un uomo forte, non era soltanto abile in battaglia, lui era il ragazzino che aveva sempre sopravvissuto contando su se stesso, forse più bravo a combattere persino di Robb (anche se non l’aveva mai dato a vedere); colui che aveva sopportato il gelido inverno al di là della barriera, e che aveva visto tanti compagni morire al suo fianco.
                Sansa stava per parlare ma in quel momento, come una furia, Arya era entrata nella stanza: le guardie l’avevano lasciata andare non appena saputo l’esito della battaglia, esausti per averla dovuta tenere sotto controllo tutto quel tempo.
“JON!!!” aveva urlato, nel piombare lì, un po’ sorpresa di vedere anche la sorella maggiore nella sua stanza.
“Arya?” Jon era stupito; si era quasi dimenticato, di dover ancora parlare con Arya.
“Mi hai fatta mettere sotto chiave, mi hai rinchiusa nelle cripte mentre tu andavi in battaglia, come hai potuto? JON!!!”
Jon Snow non aveva parole, era stato colto in contropiede dalla reazione di Arya, che fino ad ora non gli aveva mai urlato contro.
“Non mi hai permesso di partecipare alla battaglia! Non sono una bambina, Jon. Perché Sansa sì e io no? So combattere meglio di dieci dei tuoi soldati messi insieme!”
Jon ancora non rispondeva, a parte per qualche monosillabo mugugnato “Arya…io..”
Fu allora che Sansa prese la parola “Arya! Smettila, non dovresti comportarti da bambina, se non vuoi essere trattata da tale. Jon ha fatto quello che doveva per mettere in salvo te e Bran. E poi è ferito: dovresti lasciarlo riposare.” Poi, guardando Jon con rammarico, aggiunse “dovremmo tutti lasciarlo riposare”
Arya se ne andò con la testa bassa, prima ancora che Sansa finisse di parlare, senza neanche scusarsi.
Sansa, invece, si trattenne ancora un attimo per confortare Jon, che ora guardava a terra e si tormentava per ciò che gli aveva detto Arya.
“Non te la prendere, tra qualche giorno tornerai ad essere il suo preferito”
“Ha ragione”
“Non è vero, e lo sai. Avresti voluto vederla combattere? Avresti voluto vederla m..” (morire?)
“Non sono stato giusto: ho lasciato te venire, e lei…”
Certo, avrebbe voluto dire Sansa: lei è sempre stata la tua sorella preferita, lei ti ha voluto bene da sempre, e io invece…
Quello che disse, fu solamente : “anche se non lo da a vedere, anche se combatte al pari di un uomo, Arya è ancora una bambina, io non lo sono più da tempo”
“è vero, eppure non mi hai dato ascolto e ti sei lanciata in mezzo alla battaglia!”
“Eri in pericolo”
“che cosa avresti potuto fare?!” era vero: che stupida, stupida, stupida! Uccidere il re della Notte, brandire lungo artiglio, che cosa ?
“Ti avevo ordinato di ritirarti, quando le cose si fossero fatte difficili”
“ Ma non potevo..”
“mi avevi dato la tua parola. E Brienne: dovrei cacciarla, per averti lasciato sola.”
“è stato un mio ordine..”
“Un ordine molto stupido. Che cosa ti è preso, Sansa?”  Sansa sentiva le tempie pulsare. Poche volte aveva visto Jon urlare, e mai lo aveva fatto contro di lei.  In poco tempo, la conversazione si era fatta un litigio.
Ma Jon aveva ragione, che cosa le era preso? 
Aveva spronato il cavallo dritto verso le braccia del Re della Notte; perché lo aveva fatto?
Ditocorto le aveva insegnato ad essere scaltra, a ragionare bene prima di compiere qualsiasi azione e a non fare niente di stupido ed avventato, eppure quando aveva visto Jon da solo, lì in mezzo al campo non aveva saputo resistere. Ricordava ancora quelle fitte, quel vuoto allo stomaco che aveva provato ogni volta che un estraneo affondava la lama su di lui.
Le uniche cose che riusciva a ricordare erano quella sensazione di assoluto terrore e smarrimento, e la certezza che non poteva accettare di perderlo così, davanti ai suoi occhi, senza far niente.
                Jon, un gomito in alto, appoggiato alla trave orizzontale sopra il caminetto, si era piegato a massaggiarsi lo stomaco. Il suo viso era contratto, infuriato.
Sansa, dal canto suo, aveva deciso di non dargli ragione: non poteva trattarla come una bambina, lei era la signora di grande inverno, non poteva dirle cosa fare. Era furiosa con se stessa, perché aveva fatto qualcosa di tanto stupido che non riusciva neanche a comprendere, ma allo stesso tempo era furiosa con Jon per averglielo fatto notare, per avergli rinfacciato di essersi preoccupata di lui.
Voleva essere solo? Poteva pensare a se stesso? Bene!
Prima di uscire dalla stanza, però, si ricordò del maestro Balwar: “Siediti sul letto!” disse, con la voce ancora urtata, che non ammetteva repliche.
Jon le rivolse uno sguardo interrogativo, anche lui ancora corrucciato. Sembravano due bambini che avessero appena litigato; due testardi bambini a volto chino, che non volevano ammettere di aver esagerato.
Sansa prese le boccette che erano sul comodino e con un braccio tirò Jon sul letto, davanti a se’, gli slacciò la camicia in malo modo, e iniziò a spalmargli i tre diversi composti nell’ordine che le aveva mostrato il maestro, dapprima con troppa foga, poi più delicatamente, quando sentì Jon soffocare dei gemiti di dolore.
Sempre a testa bassa sì pulì le mani in un lembo del mantello e prese ad allacciare la camicia di Jon stringa dopo stringa. La stizza e la fretta, data dall’imbarazzo, la fecero ingarbugliare; Jon le prese il “lavoro” dalle mani, e finì di rivestirsi da solo.
Lei lasciò svelta quella stanza.
*******
*****
Per giorni, quella scena si ripetè allo stesso modo, in perfetto silenzio: quando Sansa bussava alla sua porta, Jon sapeva che non poteva essere per altro motivo se non per medicare la sua ferita, così si faceva già trovare in pantaloni e camicia, si sedeva sulla sedia o sul letto, e aspettava che quei cinque minuti passassero senza fiatare.
Cocciuti e testardi, nessuno dei due voleva essere il primo a cedere.
O meglio: Jon era convinto che Sansa l’avrebbe fatto prima di lui.
Si sbagliava.
Il volto della ragazza era sempre la solita maschera di pietra, assorta nel suo lavoro quando doveva spalmare gli unguenti, e seria e impenetrabile non appena aveva finito e stava per abbandonarlo di nuovo.
Al quinto giorno Jon si era stancato di quella routine stupida; aveva guardato la boccetta della medicazione consapevole che di lì a poco sarebbe finita, e ciò significava che era ora di darci un taglio.
Era seduto sul letto, con la schiena appoggiata alla testata di legno: “Ieri i Tyrell e i Martell mi hanno chiesto il permesso di rimettersi in viaggio per tornare a casa…”
“Il gran maestro dice che Tyrion si rimetterà nel giro di una settimana, gli ho fatto sapere che gli hai fatto preparare una stanza…”
“Arya ha ripreso a parlarmi, proprio come avevi detto tu. Vuole riprendere ad allenarsi, ha chiesto che le mandi un maestro di spada, credi che..” a quel punto Sansa era scoppiata. Aveva alzato il viso livido, due occhi quasi in lacrime su di lui quasi urlandogli contro la risposta: “Cosa credo? stai davvero chiedendo il mio parere, Jon?”
“Certo”
“Perché credevo non ti importasse, credevo tu fossi il Re del Nord, ora, che dovessi solamente eseguire gli ordini. Stai indietro, Sansa. Fai come ti dico, Sansa.”
“Mi è sempre importata, la tua opinione”
“Non dovresti chiederla, invece,  ad una persona che sa fare solo ‘scelte stupide’ “
“una. Una sola scelta stupida. E non mi  rimangio quello che ho detto: non capisco come tu possa aver fatto una scelta così stupida!”
“ Davvero, Jon? Ero preoccupata per te! Cosa c’è da capire?”
Jon ora era spaesato : “… stavo combattendo, Sansa”  fu tutto quello che disse, come a voler dire che avrebbe dovuto aspettarselo, che non era normale alterarsi per tanto.
“Ma stavi per morire!”
“è la guerra.”
Sansa aveva tirato un respiro, e copiose lacrime avevano preso a scendere dalle sue guance: “Perché non puoi accettare che qualcuno sia preoccupato per te, Jon? Perché tu puoi prenderti cura di tutti e non puoi accettare che gli altri facciano lo stesso con te?”
Jon allora le aveva fermato la mano, con la sinistra, e con l’altra le aveva aferrato il collo e se l’era portata accanto. Sansa, la faccia appoggiata sulla sua spalla, aveva ora smesso di mascherare i singhiozzi: “Scusa, sono stata stupida, non so che mi è preso. Io ho agito d’impulso e…”
“Va tutto bene.”
 
 
 
 
 
 
    

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