Sooner Or Later

di frenz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fade Into Darkness ***
Capitolo 2: *** Collide ***



Capitolo 1
*** Fade Into Darkness ***


Fade Into Darkness
capitolo uno
 

Sto seduto sul tavolo come amava fare lei quando eravamo solo noi due in quella stanza, a penzolare le mie gambe nel vuoto e toccando con i miei piedi nudi il pavimento ghiacciato. Quest’estate in particolare il caldo è letale: non mi permette quasi di respirare ma gli impegni giornalieri son pronti ad attendermi al varco della porta. Nonostante la scorsa notte non abbia chiuso occhio e sia rimasto in quella posizione fino al sorgere del sole, non posso definirmi fisicamente stanco. La mia stanchezza deriva dall’arresa, dall’inettitudine di non poter recuperare quello che ore fa ho perso per sempre. È ora di staccarsi da quella superficie di legno, affrontare il gelo del suolo e camminare verso una nuova meta, ma il mio sedere è diventato un tutt’uno con quel tavolo, come l’opera d’arte di qualche scultore che vuole rappresentare l’uomo afflitto dai problemi. Con fatica e un po’ di coraggio riesco a farcela prima che il sole illumini il mio volto solcato da profondo colore viola intorno ai miei occhi. Mi dirigo nella stanza dove si trova il letto matrimoniale, ancora sfatto dalla notte prima di quella appena trascorsa. C’è un Bacio Perugina sul comodino, e senza pensarci, come ogni volta che ne vedo uno, lo scarto e lo mangio. Prendo il foglietto delle citazioni: adoro ridere riguardo alle stupidaggini o alle ovvietà scritte in quei biglietti trasparenti. Stavolta c’è scritto:  “Una fotografia è un segreto che parla di un segreto. Più essa racconta, meno è possibile conoscere” ed era una citazione di Diane Arbus.
 
«Una fotografia è un segreto che parla di un segreto. Più essa racconta, meno è possibile conoscere» disse una ragazza osservando il ragazzo con la Canon al collo.
«E questa chi te l’ha detta?»
«Non mi reputi abbastanza intelligente da poter creare una frase del genere? Guarda che quello che dicono delle bionde non è affatto vero!»
«E cosa si dice esattamente delle bionde?»
«Che sono stupide»
«A me l’unica cosa che sembra stupida qui è che sto parlando con una sconosciuta. Piacere, mi chiamo Niger»
«Che nome particolare! Piacere, io sono Alba»
«Disse la ragazza dal nome più comune di questo mondo»
Scoppiarono a ridere entrambi a crepapelle in quella tavola calda di periferia, seduti uno di fronte all’altro.


 Ho voglia di mangiare anche quel foglietto di carta: se fosse stato letale sarebbe già stato nel mio intestino. Lo accartoccio e lo getto fuori dalla stanza, facendolo rimbalzare vicino all’uscio della porta. Apro l’armadio per trovare giacca e cravatta, nonostante il caldo mi stesse uccidendo e quel cappio così tessuto elegantemente mi avrebbe soffocato lentamente. La camicia di lino bianca è ancora sull’asse da stiro, pronta per essere stirata per evitare le pieghe dell’ultimo minuto. Mancano solo le scarpe. Mi abbasso per prenderle sotto al letto e ne trovo un paio, che non sono mie: a punta, con piccoli fori vicino alle cuciture per dare un tocco di eleganza e dei sottili lacci da merceria. A meno che non esista una linea di calzature maschili che porta il nome di Primadonna collection, credo che quelle siano proprio delle scarpe femminili. E in realtà non lo sembrano: sono della mia misura, un 40. Ho sempre avuto il numero di scarpe piccolo, probabilmente dovuto alla mia bassezza, ma non ho mai avuto reali problemi.
C’erano certe regole: in casa, per esempio, non si parlava di malati, malattie o medicine ma nessuno aveva mai detto di indossare o no le scarpe dell’uno o dell’altra. Li provo per non perdere tempo: non credo che la gente si sarebbe messa a guardarmi le scarpe mentre attraverso da un capo all’altro la città, e se anche si fosse accorta di qualcosa di strano non si sarebbe resa conto che portavo le scarpe di una donna, ed esattamente della mia ex. Guardo l’orologio: segna le 8, e già a quest’ora dovevo essere fuori a consegnare quei fogli di carta che racchiudono il riassunto della mia vita da poter dare a qualche sconosciuto che mi avrebbe valutato solo per quattro righe messe nero su bianco in un foglio di carta riciclata dal colore ingiallito. Prendo la camicia stropicciata così com’era e me la metto addosso, afferro giacca e valigetta ed esco fuori casa.

Sooner or later
I’m gonna tell her
That I regret everything I have done

Con me ho portato il cellulare, ma le chiavi erano rimaste dentro casa. Per fortuna non erano le uniche copie esistenti al mondo, tanto la padrona dei mocassini che indosso mi avrebbe aspettato fin quando non le avessi restituito uno dei suoi beni più preziosi. Toh guarda, mi stava chiamando…
«Ci sei?»
«No, sono al bar!» le rispondo. Rispondevo sempre al telefono in maniera simpatica, nonostante questa non fosse l’occasione adatta per fare una delle mie solite battute. A volte risultavano tristi e la gente riusciva a smascherarmi perché non ho mai saputo mentire.
«Mister simpaticone, hai visto i miei mocassini?»
«Non ne sono sicuro» le dico guardandomi i piedi. Devo dire che mi stanno proprio bene.
«Devi esserne certo. Spero siano lì, sai quanto siano importanti per me: oggi ho un nuovo colloquio.»
«Facciamo così: io ti do i mocassini e tu mi apri la porta»
«Sei rimasto di nuovo fuori?»
Non dico una parola, mi avrebbe detto che sarei stato uno stupido.
«Ho capito, sei il solito stupido» mi disse, e mi staccò il telefono in faccia.

So I have to show her
That this here ain’t over
And I do want more than just having fun

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Capitolo 2
*** Collide ***


Collide
capitolo due



La mia auto è piena di scartoffie, briciole di biscotti che mi hanno sfamato la notte passata e vestiti stropicciati che coprono tutta la visuale: sembra un capannone di colori e, nel poco spazio possibile rilasciato, sono riuscita a sdraiarmi anche se non ho chiuso per niente occhio. I sedili della Fiat Cinquecento, dopo un paio d’ore, sono troppo scomodi e nonostante i vari spostamenti e posizioni, non sono riuscita nemmeno a rilassarmi. Oltre tutto questo, tutti i pensieri si affollavano uno sull’altro e mi è stato difficile distinguerli e scegliere a quale pensare prima. Il mio orologio da polso scandiva il tempo infinito tra la notte e il giorno, e i rumori mattutini della città mi ricordavano che mi trovavo in uno spazio dove era impossibile vivere. Il suono del clacson delle macchine adesso mi ricorda che il giorno deve andare avanti, e che è il momento di iniziare una nuova giornata. Dai sedili posteriori mi sposto sul lato del conducente e accendo il quadrante della macchina per visualizzare l’ora.
Sono passate le 8 del mattino e ancora non ho ascoltato le notizie del mattino, come d’abitudine. Mi accorgo che l’autoradio segna la lettura di un disco inserito al suo interno, ma non riesco a sentire niente. Provo ad alzare l’audio ma nemmeno questo tentativo ha il risultato sperato. Non mi fa nemmeno cambiare traccia perché mi riporta all’inizio della prima. Decido allora di estrarre il disco: è un dvd, Cappuccetto Rosso e Gli Insoliti Sospetti. Sicuramente è stato lui ad inserirlo: non riesce a distinguere i cd dai dvd e ogni volta inserisce tutto quello che gli capita sotto agli occhi, come questo film che dovevamo restituire al negozio dopo averlo noleggiato.
Sospiro, imposto la radio su RTL 102.5 e, mentre ascolto le ultime news del mattino con alcune canzoni che dovrebbero farmi rilassare, inizio a vestirmi. Non trovo le mie scarpe eleganti da abbinare al tailleur nero che ho scelto di indossare stamattina: un importante colloquio mi aspetta. Prendo il telefonino e telefono subito al ragazzo che mi ha permesso di passare questa indimenticabile nottata.
Mi dice di esser rimasto fuori e che i mocassini li ha lui, ma quando lo raggiungo mai avrei pensato che li avesse addosso. Lo guardo stranito:
«Se l’avessi saputo prima che ti piaceva indossare abbigliamento femminile ti avrei lasciato già da tempo!»
«Non era carina come battuta, e poi ammettilo che a me stanno meglio!»
Rido sotto i baffi. Credo di essermi innamorata prima di tutto della sua simpatia e dei suoi modi di fare che di lui e di tutto il resto.
«Ma non siamo ridicoli?» gli dico, guardandolo negli occhi. In meno di un momento son tornata di nuovo seria: non riesco a ridere senza pensare a cosa è successo tra di noi.
«Perché, scusa?»
«Ridiamo e scherziamo come se non fosse successo niente, quando invece fino a poche ore fa eravamo fidanzati e poi…»
«E poi ti ho detto di averti tradita»
Ancora mi fa male sentire quelle parole. Cerco di rimanere composta, ma in realtà voglio disperarmi, stapparmi di dosso quei vestiti e saltare come una mentecatta su quel marciapiede. Chiudo gli occhi e getto un respiro profondo, prendo le chiavi che ho in borsa e le metto dentro la serratura.

 
Something
Is wrong
And I do know just what it is
You no longer with me

Mi tocca le spalle e poggia la sua testa accanto alla mia, ma non sono ancora pronta per un contatto. Mi volto di scatto e mi parte istintivamente un calcio con le mie sneakers che stonano con quel vestito elegante. Lo prendo in pieno nei Paesi Bassi, che tra l‘altro son sempre stati i suoi territori preferiti.
«Ahia! Troia!» mi dice, cadendo per terra come un attore di una soap opera di quart‘ordine.
«Ma grazie!» gli dico, guardandolo negli occhi. Apro la porta, prendo le chiavi e gliele getto per terra.
«La vita è molto più di te e me» ribatte lui, ancora sdraiato.

 
That
Life is
Life is more than me myself and I

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