Hyperversum. Il gioco continua

di Carme93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Capitolo I
Phoenix, Arizona, Stati Uniti d’America, fine marzo, giovedì pomeriggio
 
 
«Matt, c’è il tuo amico» disse affannato Seby, mentre con una mossa improvvisa lo disarmava cogliendolo completamente di sorpresa. Credeva di essere in vantaggio. Per una volta.
Matt riprese la spada che il ragazzo più grande gli porgeva e si voltò, incrociando gli occhi del suo migliore amico. Il ragazzino lo salutò con la mano, ma non si mosse. Seby l’aveva rimproverato tante di quelle volte che ormai aveva compreso che non doveva avvicinarsi ai quadrati di allenamento.
«Puoi andare se vuoi, per oggi abbiamo fatto abbastanza. E poi non devi fare i compiti per la scuola?».
«Ok, grazie. Sì, in effetti dovrei» rispose vago. Il suo tono insospettì senz’altro Seby che, però, non fece domande. Matt sospirò, ormai nessuno gli poneva domande. Credevano di leggergli in volto ogni pensiero. E forse era vero, ma aveva poca importanza se le persone che avrebbero dovuto comprenderlo, non potevano più farlo. Avrebbe continuato volentieri ad allenarsi. La scherma lo aiutava a sfogarsi, ma se Gabe era arrivato fin lì, significava che aveva bisogno di qualcosa di importante. In teoria nessuno dei due aveva il permesso di stare in quella zona abbondonata della città, ma a suo zio importava solo che stesse fuori dai piedi il più a lungo possibile e Gabe di certo non l’avrebbe raccontato ai suoi genitori.
«Cavoli, sei sempre più bravo!» lo accolse quest’ultimo sinceramente ammirato.
«Non quanto Seby, però» ribatté Matt dirigendosi verso la panchina su cui aveva appoggiato lo zaino.
«Vabbè dai, lui ha molta più esperienza. Tu ti alleni solo da due anni!».
«Sarà… Andiamo?» disse dopo aver messo lo zaino in spalla.
«Dovresti metterti il giubbotto. Sei anche sudato» disse Gabe indicando il suo maglioncino.
«Ti sei fatto contagiare da tua madre?» replicò scontroso. Gabe se ne rese conto e non insisté. «Allora, che succede? Perché sei venuto fin qui?» gli chiese Matt, mentre uscivano dall’ampio spiazzo dove il gruppo di rievocazioni medievali si allenava.
«Devo assolutamente prendere una A o una B al test di storia di domani».
Matt lo fissò interrogativo. «Perché?».
«Sabato ci sarà la fiera dei videogiochi! Qui a Phoenix, ricordi? Per la prima volta! Non posso perdermela!».
«Continuo a non capire che cosa c’entri il test di domani» disse Matt nel tentativo di comprendere la logica dell’amico.
«I miei. Se dico loro che ho preso una A o una B non potranno trovare scuse per non darmi il permesso».
«Sì, ma domani arrivano le pagelle del secondo trimestre. Non credo che la Tarner ti metterà più di C. Ci arrivi a una C?».
«No. Se mi mette D è già un miracolo. È questo il problema. Dopo i risultati del primo trimestre i miei mi avevano avvertito che non volevano vedere voti inferiori a C. Se io li dico che il test è andato bene, è fatta».
«E la pagella?» ripeté Matt, continuando a non comprendere.
«La nascondo prima che tornino da lavoro. Gliela farò vedere domenica. Sabato ce ne andiamo alla fiera. Poi mi potranno recludere in casa fino a giugno».
«Ah» commentò solamente Matt. «Ti uccideranno, lo sai? Delle detenzioni con la Tarner e la Matthews gliene hai parlato?».
«No. Scopriranno anche questo domenica. Tu aiutami».
«Come?» chiese lievemente spaventato Matt, intuendo dove l’amico stava andando a parare.
«Come facevamo gli anni scorsi».
«Ma avevamo la Michaelson! Era vecchia e rimbambita! Potevamo metterci a ballare davanti a lei senza che capisse!».
«Ce la possiamo fare. E poi la Tarner ti adora!».
«Ciò non significa che non sia severa. Non ci lascerà copiare facilmente».
«Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego…» iniziò Gabe con voce lamentosa.
«Va bene, va bene» si affrettò a ribattere Matt, conoscendo la tenacia dell’amico.
«Evviva!» strillò Gabe saltellando.
In quel momento Matt non si stupì che le ragazzine del loro anno lo ritenessero uno dei più carini: corti capelli biondi, occhi azzurri e un sorriso furbo e sbarazzino dipinto in volto.
«Gabe, posso cenare da te? Non mi va di tornare a casa» disse Matt, mentre prendevano posto sul primo autobus che trovarono, diretto in centro città.
Gabe lo scrutò per un attimo, soppesando un livido scuro sullo zigomo destro che Matt il giorno prima non aveva e su cui quella mattina non aveva voluto dare spiegazioni neanche alla Matthews, che era sempre molto premurosa con tutti (tranne quando la facevano arrabbiare, s’intende). Sorrise e annuì. «Certo. Stasera cucinerà mia madre, sei fortunato».
«Tua sorella quando torna dalla Francia?».
«Non lo so. Sai, non credevo che l’avrei mai detto: mi manca».
«Ora sai che cosa significa essere figli unici».
«I miei sono sempre vaghi quando faccio domande su di lei. Non riesco a capire perché non la posso chiamare o mandarle una mail!».
«Neanche via Skype?».
«In nessun modo. Sono trascorsi mesi, ormai. Non capisco che abbiano di più le università francesi rispetto alle nostre! La Sorbona! Chissenefrega?!».
Matt fece spallucce, sapendo che l’amico più passava il tempo più diventava suscettibile sull’argomento.
«Ho anche proposto ai miei un accordo. Se a fine anno avessi portato loro una pagella con tutte A, mi avrebbero permesso di andare in Francia a trovarla».
«Addirittura? E loro? Avranno acconsentito…».
«No. Hanno iniziato ad accampare scuse: sei troppo piccolo per andare da solo, noi dobbiamo lavorare, devi studiare per te stesso e non per ottenere qualcosa ecc. Mi nascondono qualcosa» concluse serio Gabe, guardando la strada che sfrecciava davanti ai suoi occhi oltre il finestrino.
«Tipo?» indagò Matt, mentre Gabe si incupiva sempre di più.
«Ci ho riflettuto a lungo. Credo che sia in carcere».
«Cosa?!» sbottò Matt sorpreso.
«E sennò perché tutti questi misteri?».
«E cosa avrebbe fatto Alex per finire in prigione?».
«Non lo so. Magari ha ucciso qualcuno» buttò lì Gabe. Per tutta risposta Matt gli tirò un pugno sulla spalla abbastanza forte da farlo strillare per il dolore e far brontolare qualche vecchietta per la maleducazione dei giovani d’oggi.
«Scusa» disse immediatamente Gabe, pentendosi delle sue parole. «Non avrei dovuto dirlo».
«Non scherzare su queste cose!» lo redarguì Matt, chiudendosi in un silenzio mesto e teso per il resto del tragitto. Arrivati alla villetta in cui abitava Gabe, fu quest’ultimo a spezzarlo. «Sarei dovuto essere già a casa» mormorò preoccupato fissando le luci accese.
«Dirò che è colpa mia. Che hai aspettato che finissi il corso di tedesco».
«Non ce l’hai oggi» replicò Gabe.
«Ti si è inceppato il cervello? Mica loro conoscono il mio orario!».
«Ah, giusto. Allora, grazie. Entriamo».
«Aspetta, per favore dici ai tuoi che mi hai invitato tu a cena? Mi vergogno troppo ad autoinvitarmi».
«Sì, non c’è problema» disse Gabe. «Sono a casa» urlò dopo essere entrato in casa.
«Alla buon’ora» rispose una voce d’uomo dal piano di sopra.
«Andiamo, mio padre sarà nel suo studio».
Salirono al piano di sopra e lasciarono gli zaini in camera di Gabe. «Ciao, papà» disse quest’ultimo facendo capolino sulla porta dello studio.
«Dov’eri? Iniziavo a preoccuparmi» chiese con severità l’uomo, di cui Gabe sembrava essere la fotocopia. Matt ne rimaneva sempre impressionato.
«È colpa mia, signor Freeland. Gabe, ha aspettato che terminassi il corso di tedesco» disse facendosi vedere.
«Ciao, Matt. Non ti avevo visto».
Il ragazzino entrò nello studio e gli strinse la mano. Il signor Freeland era il Direttore dell’Istituto Nazionale di Fisica. Era un vero genio, dal suo punto di vista. D’altronde Matt odiava le materie scientifiche, per quanto se la cavasse egregiamente a scuola.
«Papà, ti dispiace se Matt rimane a cena?».
«Matt è sempre il benvenuto» replicò il signor Freeland.
«Bene, allora noi andiamo a giocare un po’ prima di cena» disse Gabe pentendosene subito. Perché non pensava mai prima di aprire la bocca?!
«Giocare? Non dovreste fare i compiti?» chiese, infatti, suo padre.
«Ah… ehm…».
«Sì, signor Freeland. Non si preoccupi, andiamo a studiare» gli venne in aiuto Matt.
«Mi raccomando» sentirono dire al signor Freeland mentre si allontanavano.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II
 
Troyes, Contea della Champagne, Francia Nord-Orientale, Marzo 1242
«Thierry!».
Il ragazzino, dai folti capelli castani, si voltò al richiamo e non poté fare a meno di sorridere. «Marianne! Quando siete arrivata?».
«Or ora» replicò la giovane, che a malapena dimostrava i suoi quattordici anni. Era così bella che per un attimo Thierry rimase a fissarla quasi ipnotizzato. Ella giocava con i capelli biondi e ridacchiava. Rideva di lui! Si riscosse arrossendo. Oh, se l’avessero visto i suoi genitori!
«Faresti qualunque cosa per me, vero?» domandò Marianne maliziosa.
«Naturalmente, madamoiselle» rispose e fu contento di non aver balbettato.
«Magnifico! Andiamo a fare una passeggiata a cavallo» propose la ragazza con un ampio sorriso.
Thierry sgranò gli occhi e si sentì a disagio. «Madamoiselle, né vostro padre né il mio ci daranno il permesso» mormorò imbarazzato.
«Non lo sapranno! Sono tutti in attesa dell’arrivo di Sua Maestà e di Marc. Madama Alexandra è la più in ansia. La gravidanza ormai avanzata la rende particolarmente suscettibile».
«Madamoiselle!» replicò preoccupato Thierry. «Non ho il permesso di uscire dal castello!».
«Suvvia, Thierry. Renderai felice una dama!».
«Mi dispiace, madamoiselle. Credo che sia più consono che io vada a salutare i vostri genitori, invece».
«Sei noioso. Hai solo dodici anni! Marc non ti ha insegnato nulla?» lo provocò Marianne. «E comunque i miei genitori non sono ancora arrivati. Io li ho preceduti».
Thierry ebbe l’impressione che Marianne non avrebbe dovuto farlo. La sua espressione era tutto tranne che innocente.
«Ah, capisco. Comunque vi chiedo scusa, ma padre Mathieu mi attende per la lezione di latino».
Marianne alzò gli occhi al cielo e in maniera ancor meno elegante lo prese per un braccio e lo trascinò lungo il corridoio.
«Madamoiselle!» si lamentò indignato, ma con sua onta non riuscì a liberarsi dalla sua presa. Era un ragazzino molto gracile e dalla debole salute. Per i suoi primi anni di vita i suoi genitori avevano a lungo disperato che sopravvivesse. L’unico maschio del casato. L’erede. Però ce l’aveva fatta per la felicità di tutti.
«Ti insegnerò a divertirti» disse solamente Marianne e lo liberò solo quando raggiunsero le scuderie. «Ora dimostra la tua cavalleria e sellami il cavallo».
Thierry la fissò sconcertato. Non sapeva come comportarsi. L’ultimo suo desiderio era quello di far adirare il padre, ma non era solo questo il problema: aveva il terrore di far arrabbiare anche il padre di Marianne, che sarebbe dovuto diventare il suo tutore. Sospirò e si affrettò a prendere la sella per Marianne prima che lo facesse da sola. Sarebbe stato poco cavalleresco da parte sua. E così, suo malgrado, si ritrovò ad assecondarla.
«Torneremo prima che qualcuno si accorga della nostra assenza. Te lo prometto» disse Marianne saltando in groppa al palafreno color nocciola che si era scelta personalmente. Thierry non poté non ammirarne l’eleganza e la semplicità. Sapeva che molti avevano già chiesto la sua mano, ma il padre, o lei (cominciava a sospettare che potesse essere così), non aveva acconsentito, affermando che non era ancora abbastanza matura. Quando aveva sentito queste parole, Thierry non vi aveva dato peso, ma ora che faticava a seguirla lungo le vie della cittadella, ne comprese il significato: si stava comportando come una bambina disubbidiente e poco giudiziosa. E tu le stai andando dietro gli ricordò immediatamente la sua coscienza. 
«Rallenta!» la pregò. Era da veri irresponsabili correre al quel modo in mezzo alla folla!
«Tranquillo!» replicò ella, che sembrava divertirsi molto.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III
 
Phoenix, Arizona, Stati Uniti d’America, marzo, giovedì sera
 

«Era tutto molto buono, signora Freeland».
«Grazie, Matt. Gabe dovresti imparare da lui. Qualche gentilezza in più non ti ucciderebbe».
«Se mangio, significa che è buono» replicò il ragazzino.
La donna alzò gli occhi al cielo, evidentemente infastidita.
«Gabe, dovresti essere più gentile con tua madre» lo redarguì suo padre.
«Sì, va bene. Possiamo andare a giocare con la play adesso?» chiese Gabe alzandosi da tavola.
«Sparecchia» ordinò sua madre.
«Ti aiuto» si offrì immediatamente Matt anticipando la rispostaccia dell’amico.
«Daniel, sei sicuro che abbiano fatto i compiti?» chiese la signora al marito.
«Sì, ho controllato personalmente, Jodie».
 
*
 
Liceo di Phoenix, venerdì mattina
 

«Freeland! Johnson! Cosa credete di fare?».
Il richiamo della professoressa Tarner congelò la classe, ma soprattutto i due amici.
«Nulla, professoressa» tentò Gabe, ma un lieve tremore nella voce lo tradì.
«Non fare il finto tonto, Freeland. Fatemi vedere i vostri fogli».
La Tarner analizzò i due fogli. «Questa è la scrittura di Johnson, Freeland. Sbaglio?».
«È la mia» tentò Gabe.
«Ah, sì? Allora vediamo che ne pensa il Preside!» sbottò la professoressa di fronte alla sua insistenza.
«No, professoressa la prego. Non è necessario… noi…» provò a rimediare Matt, impallidito notevolmente alla minaccia dell’insegnante.
«Troppo tardi, Johnson».
 
«Mi dispiace» sussurrò Gabe, mal sopportando il silenzio in cui si trovavano. La Tarner aveva chiamato uno dei collaboratori scolastici perché li accompagnasse in presidenza, visto che lei non poteva abbandonare la classe durante il test. Una volta fuori dalla Presidenza li era stato ordinato di attendere seduti sulle sedie. E non ci voleva un genio a capire perché. Il vecchio rompiscatole aveva convocato i loro genitori. Matt neanche gli rispose. Gabe comprese che stava tentando miseramente di nascondere la sua paura e si odiò per essere stato così egoista. Ora non sapeva che cosa fare per tirare fuori dai guai l’amico. «Posso dire di averti costretto oppure ricattato. Il vecchio avrà pietà di te, se appari vittima di bullismo» propose.
Matt si voltò furioso verso di lui. «Sei cretino?! Per una cosa del genere rischi l’espulsione! Con la verità ce la caveremo a buon mercato. Tutto sommato abbiamo la fedina pulita, non calcherà la mano. Non il vecchio almeno» concluse amaramente.
Gabe tacque a fatica. Sapeva di chi l’amico aveva paura. L’attenzione di entrambi fu attirata da dei passi sempre più vicini. Sentì il cuore in gola quando vide suo padre in compagnia di un uomo di poco più giovane e dalla corporatura massiccia. Matt si irrigidì al suo fianco. Daniel Freeland sembrava furibondo e gli gettò un’occhiataccia appena lo vide. In effetti pensandoci Gabe si rese conto che mai i genitori erano stati convocati dal Preside, nemmeno quando Alex andava a scuola. Stavolta l’aveva fatta grossa. Non si sorprese quando Matt scivolò quasi casualmente alle sue spalle. Il fatto che l’amico cercasse la sua protezione lo inorgoglì, ma allo stesso tempo il senso di colpa per averlo tirato in quel guaio si rafforzò. Avrebbe voluto chiedere aiuto al padre, si fidava ciecamente di lui. Se solo fosse arrivato prima dell’energumeno!
«Gabriel, spero che tu abbia una buona spiegazione» esordì severo Daniel.
Il ragazzino annuì. La spiegazione ce l’aveva eccome, anche se al padre non sarebbe piaciuta per nulla. Solo in quell’istante si rese conto di aver tirato troppo la corda e che avrebbe deluso terribilmente i suoi appena l’avrebbero compreso.
«È tutta colpa mia, però. Matt è qui per sbaglio» tentò gettando un’occhiata disperata al padre. Sperava che capisse e lo aiutasse.
«Ho i miei dubbi» sospirò una voce stanca facendoli sobbalzare tutti. Il Preside Williams. «Entrate, prego».
Gabe lasciò andare avanti l’energumeno e tentò di fare qualche segno al padre. Daniel aggrottò la fronte nel tentativo di interpretare i suoi gesti. Una volta dentro lo studio non ebbero più la possibilità di comunicare.
«I ragazzi sono stati colti in flagrante, mentre imbrogliavano al test di storia. Al di là di quanto afferma Gabriel, ritengo che la colpa sia di entrambi. Dico bene o devo pensare, e ne sarei profondamente deluso, che tu Gabriel hai costretto il tuo amico in qualche modo?».
Matt, seppur con voce tremante, precedette qualunque risposta avventata di Gabe. «È andata come dice lei, signore. Ho agito di mia spontanea volontà».
Il Preside annuì. «Ho voluto convocarvi perché ritengo sia abbastanza grave imbrogliare, ma soprattutto perché si tratta di due ottimi studenti e vorrei essere sicuro che questa sia la prima e ultima volta che si cacciano nei guai. D’altronde stanno entrando in un età turbolenta».
«Ci dispiace molto, signore. Non accadrà più» disse Gabe, sperando che fosse sufficiente. D’altronde non avevano fatto male a nessuno. Matt, al suo fianco, annuì con convinzione.
«Non avevo dubbi. Per questa volta ve la caverete con una nota di demerito».
«Beh, Einstein non è mai stato bravissimo a scuola» borbottò Gabe una volta fuori dall’ufficio. Daniel lo fulminò con lo sguardo.
«Matthew, andiamo a casa» disse con voce dura l’energumeno.
Il ragazzino, che in quell’istante mostrava meno del solito i suoi quattordici anni, con gli occhi cercò l’aiuto di Gabe. Quest’ultimo entrò in panico, non sapendo cosa fare.
«Veramente, io e Matt dobbiamo fare una ricerca di inglese per lunedì. La professoressa Matthews si è raccomandata di lavorare in coppia. Ed è una lavoro lungo e complicato, quindi non possiamo cominciare tardi o non faremo un buon compito» inventò su due piedi sorprendendo tutti.
«Sì, infatti. Questa ricerca avrà peso sul voto finale» gli venne in aiuto Matt.
L’energumeno sembrava sul punto di esplodere per quanto era diventato rosso in faccia. Gabe fissò il padre nella speranza che li aiutasse. Daniel era palesemente perplesso non capendo a che gioco giocasse il figlio. Gabe si maledisse per non avergli raccontato la verità a tempo debito, Matt l’aveva supplicato di non farlo e lui aveva acconsentito.
«Se è così importante, forse è il caso che i ragazzi si mettano subito a studiare. D’altronde dopo questa bravata è la cosa migliore che possano fare. Le assicuro, signor Green, che mi accerterò di persona che lavorino» disse alla fine Daniel. Gabe avrebbe voluto abbracciarlo in quel momento.
L’uomo sembrò lottare con sé stesso. E Gabe sapeva che cosa si stesse muovendo nella sua testa in quel momento: da una parte un motivo legittimo per maltrattare Matt, dall’altra la possibilità di non vederlo.
«Sì, se lei li controllerà va bene signor Landfree» concesse alla fine, recitando la parte del tutore preoccupato e attento.
«Freeland» lo corresse Daniel pacatamente.
«Sì, sì non importa… faremo i conti stasera…».
Le ultime parole fecero sbiancare totalmente Matt. I tre rimasero fermi a osservare il signor Green allontanarsi.
«Andiamo» disse secco Daniel e notando l’espressione di Matt gli mise un braccio intorno al collo. «Avete molte cose da raccontarmi».
 
*
Casa Freeland, Phoenix, venerdì, tardo pomeriggio
 

«A me peggio non poteva andare» sospirò Gabe sbuffando.
«Stare sdraiato sul letto non corrisponde perfettamente al voglio vederti sgobbare sui libri di tuo padre» mormorò Matt, sollevando gli occhi dagli esercizi di matematica.
«Mi ha sequestrato tutti i videogiochi e il portatile! Ti rendi conto?».
«Che ti aspettavi, scusa?».
Gabe non rispose, ma riprese a lamentarsi. Matt tornò agli esercizi ignorandolo. Per quanto lo riguardava non avrebbe potuto andargli meglio. Aveva trovato finalmente il coraggio di raccontare a qualcuno come lo zio lo maltrattava spesso e senza un buon motivo. Daniel Freeland gli aveva dato la sua parola che non sarebbe più tornato a casa, non da solo almeno. Si dispiacque un po’ per sua madre, ma per lei non poteva fare più nulla. Non lo riconosceva nemmeno. Era riuscito a mantenere un certo contegno di fronte al padre dell’amico, ma adesso iniziò a elaborare ogni cosa che era successa non solo quella mattina, ma negli ultimi anni. Aveva solo quattordici anni, ma aveva già compreso quanto la vita fosse imprevedibile. Si prese la testa tra le mani e sentì le lacrime calare lungo le guance. «Matt» Gabe se ne era accorto ed era saltato giù dal letto e l’aveva raggiunto. «Non piangere! Posso convincere i miei a chiedere il tuo affidamento. Saremo veramente fratelli! Sempre se non ti secca avere genitori rompiscatole come i miei». L’ultima parte l’aggiunse per sdrammatizzare.
«Dopo i due anni di inferno che ho trascorso, i tuoi genitori sono i migliori del mondo» mormorò Matt aspramente.
Gabe si morse il labbro. Decisamente non era bravo con le parole. «Senti, ti va un giro a Hyperversum?».
Matt lo fissò sorpreso. Aveva sempre desiderato giocare a quel gioco, perché era appassionato di storia. Suo padre però non gradiva i videogiochi in generale e non gliene aveva mai comprati; dopo l’attentato nessuno si era più preoccupato dei suoi bisogni, figurarsi dei suoi desideri. «Mi piacerebbe, ma siamo entrambi in punizione e tuo padre non vuole che giochi con quel gioco». Questo in effetti non l’aveva mai capito: Gabe aveva sempre avuto i giochi che desiderava, ma il divieto assoluto di toccare quel gioco.
«Io sono in castigo, certo che se dovessi rimanere qui molto probabilmente si estenderà anche a te. Ma solo per la storia della convocazione. Te la caveresti con molto poco. La tua pagella avrà senz’altro tutte A».
«Non sono sicuro di non aver preso B in fisica».
«Dettagli» disse alzando gli occhi al cielo Gabe. «Allora giochiamo?».
Matt era combattuto: da una parte era estremamente grato al signor Freeland, dall’altro voleva davvero provare quel gioco e dimenticarsi del resto per un po’.
«Avanti!» lo esortò Gabe, trascinandolo verso lo studio del padre. «I miei torneranno solo fra qualche ora. Facciamo una partita e chiudiamo. Non lo sapranno. Ci starò attento, te lo giuro. Mi immagino già la predica di mia madre quando mio padre le racconterà quello che ho combinato. Meno male che in ospedale tiene il cellulare chiuso. Spero che il Preside abbia chiamato direttamente mio padre».
Matt non replicò e lo seguì. Si sedette sulla sedia che Gabe gli indicò e prese guanti e visore, mentre il computer si avviava. Appena fu acceso Gabe cliccò l’icona di Hyperversum ed entrambi indossarono guanti e visore. In quest’ultimo apparve una scritta:
 
HYPERVERSUM
Configuring game.
Please wait…
 
La clessidra indicava che il gioco si stava caricando.
«Come ti vuoi vestire?» chiese Gabe, tra i due era il più abile con il computer.
«Da scudiero».
Gabe fece una smorfia. «Un servo? Io invece mi vestirò da nobile. Lasciamo i nostri volti, però? Non mi piacciono troppo gli avatar».
«Di solito gli scudieri non sono servi. Spesso sono futuri feudatari affidati a un altro per essere addestrati e un giorno diventare cavalieri».
«Se lo dici tu» replicò Gabe, intento a scegliere gli indumenti più pregiati e appariscenti. «Mi farai da scudiero allora. Io sono già diventato un nobile feudatario. Scegli pure l’ambientazione».
«Se lo dici tu… Hai un atlante storico?».
«Vedi nella libreria».
Matt non impiegò molto a trovarlo, ma a trovare un luogo adatto sì, tanto che l’altro ragazzino si spazientì. «Allora? Quanto ci vuole? Tra poco tornano i miei e ci beccano!».
«Ci sono, ci sono! Che ne dici di Troyes?».
«Per me è una città come un’altra. Anche se ha un nome ambiguo» replicò Gabe ridacchiando.
«Scemo! Nel 1242 vi si riunì la corte di re Luigi IX. Il re Santo! Sarebbe forte vederlo!».
«Come vuoi» disse Gabe inserendo i dati della partita. «E perché la corte non se ne stava a Parigi?».
«All’epoca era ancora itinerante. Nel mese di marzo si attendeva la nascita del figlio di uno degli uomini più vicini al re. Marc de Ponthieu. Speravano che fosse un maschio».
«E furono accontentati?».
«A quanto pare sì».
«Bene, allora io sarò un nobile feudatario che partecipa ai banchetti. Mi piace».
«Non sarà solo un banchetto. Ricordo di aver letto di questo evento su un altro libro. La felicità dell’erede maschio era una specie di copertura per un incontro militare del re. Gli Inglesi minacciavano i confini sud-occidentali del regno. Nel luglio di quell’anno ci saranno due battaglie, che vedranno vittoriosi i Francesi».
«Ancora più divertente».
«Le guerre non sono divertenti» sibilò Matt. «Non muoiono solo i soldati».
Gabe esitò un attimo e poi si rimise a lavoro completando sia il suo avatar sia quello dell’amico. «Matt, sei pronto?».
«Se diventerò Presidente degli Stati Uniti dichiarerò illegale la partecipazione a ogni guerra».
Gabe annuì, fingendosi convinto. Come spesso gli veniva rimproverato viveva nel mondo immaginario dei suoi videogiochi, ma dopo l’attentato in cui aveva perso la vita il padre di Matt aveva iniziato a porsi domande. Suo padre aveva tentato di spiegargli nel modo più semplice possibile che cosa accadeva da anni in Medio Oriente. In un certo senso era una guerra senza limiti dettati dall’onore e dal rispetto: donne e bambini venivano colpiti indiscriminatamente. Il padre di Matt era un ambasciatore americano e l’amico ne era sempre andato fiero. Terminò di inserire tutti i dati e avviò il gioco.
 
Game ready.

«Start» ordinò.
Lo schermo era nero e punteggiato di stelle. Di fronte a loro il pianeta terra girava su se stesso. In alto apparve un contatore alfanumerico. Matt fremette eccitato. La Terra si fermò in punto preciso e il contatore si arrestò indicando l’anno 1242 d.C. Ai due ragazzi per un attimo sembrò di cadere in picchiata e sotto i loro occhi si profilò l’Europa e man mano che l’immagine diventava sempre più nitida anche la Francia. Si spostarono verso l’area Nord-Orientale.
Gabe prontamente saltò l’introduzione al XIII secolo d.C.
«Ehi!» si lamentò Matt.
«È noiosa. E poi tu sai tutto di storia».
«Non è proprio così. Ho letto solo alcuni libri che mi ha consigliato Seby. Hai già giocato, vero?».
«Certo. Se una cosa è vietata, diventa più interessante. Figurati un videogame».
Una voce metallica li costrinse a tacere.

Giocatori, vi trovate nella Contea di Champagne. È il 30 marzo 1242. La corte del re si sta riunendo nel castello di Troyes per festeggiare la nascita di Gael, primo figlio maschio di Marc de Ponthieu, il Falco del Re. In realtà re Luigi IX ne ha approfittato per avere intorno a sé i feudatari più fedeli e comprendere gli umori degli altri. Gli Inglesi continuano a minacciare i confini sud-occidentali e il sovrano vuole risolvere la situazione definitivamente. Alla corte sono stati invitati anche…

«Inizia partita» ordinò Gabe.
«Perché?! Questo avremmo dovuto ascoltarlo!».
«È solo un gioco» lo liquidò Gabe.
Pochi secondi dopo si trovarono in una vasta zona collinosa. Era ancora giorno e si scorgevano filari di viti che si perdevano in lontananza. Sembrava una zona fertile e florida.
«Proprio un bel posto» commentò Gabe. «Andiamo a incontrare il nostro re, mio prode scudiero».
Matt si voltò verso la direzione indicata dall’amico e rimase a bocca aperta. Un castello, che sembrava uscito da una fiaba, si ergeva non molto distante da lì.
«Oh» si limitò a dire prima di seguire l’amico, che era già montato a cavallo. «E questi? Io non so cavalcare».
«Fanno parte del nostro equipaggiamento. Inoltre tra le nostre abilità ho inserito anche l’equitazione. Vedi perché mi piacciono i videogiochi? Nel mondo virtuale puoi essere quello che vuoi e non deludere nessuno».
Matt si sorprese delle sue parole: Gabe era più insicuro di quanto volesse mostrare. Spronarono i cavalli e si avviarono senza aggiungere altro. Si sentì rilassato e forte. Gabe aveva ragione, potevano essere chiunque nel gioco.
«Perché i tuoi non vogliono che giochi con Hyperversum? Non mi sembra pericoloso».
«Valli a capire» borbottò Gabe.
«Il re è già qui» disse Matt quando furono alla prima cinta di mura.
«Come fai a dirlo?».
Il ragazzino indicò gli stendardi appesi alla torre più alta. «Quello azzurro con i gigli d’oro è del re. È consuetudine che affianchi quello del padrone di casa. Gli altri sono dei vari feudatari».
«Forza, andiamo allora. Non possiamo stare molto. Non perdiamo tempo» lo esortò Gabe.
«Aspetta» lo fermò Matt. «Guarda quel cavaliere, è davvero fantastico!».
Gabe a malapena vide il cavaliere parlare con il soldati all’ingresso di Troyes, che successe qualcosa di assurdo. Urlò. Matt gli fece eco. Erano a terra nel fango. I cavalli erano spariti. La strada principale era affollata di gente che andava avanti e indietro dalla città. Il vento freddo di marzo li fece rabbrividire.
«Questo non è normale» disse spaventato Gabe tastandosi la faccia e sporcandosi di fango. Fissò Matt a bocca aperta.
«Il visore e i guanti sono spariti» sussurrò Matt altrettanto terrorizzato.
«Non ha senso!» si intestardì Gabe.
«Siamo nel Medioevo» borbottò Matt e gli venne dal ridere alle sue stesse parole. «Impossibile».
«Voi siete apparsi dal nulla?».
Si voltarono di scatto verso quello che apparve loro come un contadino e si irrigidirono.
«No, giocavamo qui in giro» borbottò Matt.
«Non ci vedo più bene» si lamentò il vecchio. «Sparite, monelli che mi spaventate le pecore. Solo perché siete al seguito di un feudatario non significa che potete fare ciò che volete! Se una delle pecore si fosse allontanata, troppo vi avrei denunciato al conte in persona!».
I due ragazzi compresero che la predica sarebbe durata in eterno, così scapparono verso la città, mentre il vecchio inveiva contro di loro. Quando si fermarono per riprendere fiato, Gabe scoppiò a ridere: «Proprio come le vecchiette sull’autobus».
«Ci è andata bene, invece» bofonchiò Matt. «Qui la pena di morte la comminano per molto poco e di certo non ci sono i nostri tribunali e i nostri giudici».
«Wow» disse Gabe attaccandosi a un carro che stava entrando in quel momento.
Matt gemette. Non gli aveva dato retta. Lo seguì: sarebbe stato peggio dividersi.
«Dobbiamo provare se Hyperversum funziona» richiamò l’amico, dopo che furono scappati dai rimproveri del carrettiere.
«Dopo, divertiamoci un po’».
«Gabe, per l’amore di Dio» perse la pazienza Matt, tirandolo per la tunica.
«Va bene, va bene. Mangiamo qualcosa e poi proviamo Hyperversum» disse Gabe indicando un fornaio poco distante. Matt inquieto acconsentì. Non che avesse altra scelta visto che l’amico si era fiondato nella bottega. Quando lo raggiunse aveva già addentato una semplice focaccia, o almeno così apparve ai suoi occhi. C’era un buon odore. Quello che doveva essere il garzone del fornaio disse qualcosa a Gabe in francese e l’amico si voltò verso di lui.
«Vuole che paghi» replicò semplicemente Matt. Gabe mise le mani in tasca e sul suo viso si disegnò un’espressione terrorizzata. «I soldi sono spariti come i cavalli» gli sussurrò. Matt sbiancò.
«Digli che mio padre, un feudatario, pagherà per me» inventò Gabe.
«Tuo padre non è un feudatario» ribatté Matt sotto l’occhiata sospettosa del garzone.
«Lui non lo sa. I miei vestiti traggono in inganno. Come il vecchio pastore».
«Era cieco» sospirò Matt con un senso di de-jàvu che lo inquietò di più. «Le pére de mon maître est Marc de Ponthieu. Il paiera l’addition» butto lì con finta sicurezza. Il garzone credulone gli fece addirittura un inchino, ma il fornaio si avvicinò urlando.
«Imbécile! Marc de Ponthieu n’a pas héritiers mâles! Paghete ou je vais appeller les gardes![1]».
Matt si diede mentalmente dello stupido. E meno male che aveva ascoltato l’introduzione del gioco! Lui e Gabe si scambiarono un’occhiata e corsero fuori dal negozio, spingendo via chiunque trovavano nella loro direzione.
«Voleur! Voleur![2]» gridò il fornaio attirando l’attenzione della folla e purtroppo anche delle guardie lì intorno.
«Usciamo dalla città!» urlò Matt a Gabe.
Pessima idea. All’entrata del borgo c’erano molte più guardie. Accanto a loro persino il cavaliere che tanto li aveva colpiti poco prima. Furono bloccati.
« vous exécutez?[3]» chiese una di quelle. Indossava dei colori araldici.
«Marcher[4]» provò Matt.
«Sont des voleurs![5]» gridò il fornaio, che si teneva una mano sul petto e respirava a fatica.
«Cavolo, per una stupida focaccia. Proprio tenace, eh?» sbottò Gabe. Matt sgranò gli occhi. Aveva parlato in inglese attirando maggiormente l’attenzione su di loro.
«Qui êtes-vous? Avez-vous enregistré?[6]» chiese minacciosa una guardia, mentre altre due li affiancavano. Intanto il cavaliere si era tolto il cappuccio e li scrutava sospettoso. Fissava con insistenza soprattutto Gabe. Era giovane, non dimostrava neanche trent’anni.
«Il est le fils d’un seigneur féodal[7]…» riprovò Matt.
«Mon seigneur, ces gars-là faire le tour en disant qu’il est le fils de Marc de Ponthieu[8]» disse trionfante il fornaio al cavaliere.
«Come osate?» disse irritato il cavaliere. Il suo inglese, con un forte accento francese ma corretto, sorprese i due amici.
«Signore» provò Gabe. «Non volevamo mancare di rispetto a nessuno. Sono un figlio illegittimo di Marc de Ponthieu» insisté ignorando l’occhiataccia di Matt. Il cavaliere scese da cavallo furioso. E lo afferrò per il bavero della tunica spaventandolo a morte.
«Come osi!» sibilò. «Non sai con chi stai parlando. Chiedi perdono e ti lascerò andare, piccolo furfante. Continua con le tue menzogne e calunnie e ti farò tagliare la mano per il furto e la lingua per le tue parole insolenti!».
«Sir! La prego, il mio amico è stolto. Le assicuro che non volevamo far male a nessuno. Aveva fame e ha mangiato solo un pezzo di focaccia. Perdonateci» disse subito Matt.
Il giovane puntò gli occhi scuri su di lui, sembrò rilassarsi forse considerando che erano solo due ragazzini.
«Perché parlate inglese?» chiese mollando Gabe per agguantarlo subito dopo al braccio. Per fortuna un soldato a cavallo che si avvicinava attirò l’attenzione di tutti i presenti.
«Monsieur, il signor conte e vostro padre sono preoccupati. Monsieur Thierry e madamoiselle Marianne si sono allontanati dal castello e non sono ancora rientrati. Presto farà buio. Un servo li ha visti uscire a cavallo dalle scuderie. Vostro fratello è accanto a madame Alexandra. Non sta molto bene, dopo il viaggio. Vostro padre vorrebbe che andaste a cercarli con un gruppo di uomini».
Il soldato indossava colori diversi: bianco e azzurro. Il cavaliere si incupì e sembrò irritarsi sempre di più.
«Incoscienti!» mormorò.
Gabe tirò un calcio nelle parti bassi a un soldato approfittando della sua distrazione, Matt colse al volo l’occasione e scivolò tra altri due. Le guardie si misero in allarme, ma il cavaliere le richiamò. «Lasciateli andare. Sono due ladruncoli. Dobbiamo cercare mia sorella, piuttosto».

 
 
 
[1] “Imbecille! Marc de Ponthieu non ha eredi maschi! Pagate o andrò a chiamare le guardie!”
[2] “Al ladro! Al ladro!”.
[3] “Dove correte?”.
[4] “Una passeggiata…”.
[5] “Sono dei ladri”.
[6] “Chi siete? Vi siete registrati?”.
[7] “Lui è il figlio di un signore feudale”
[8] “Mio signore, vanno in giro dicendo che lui è figlio di Marc de Ponthieu”.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV
 

«Forse è il caso che torniamo al castello».
«Thierry!» sbuffò Marianne.
«Sta facendo buio» ribatté il ragazzino.
«E va bene. Comunque siamo vicini, tranquillo».
Thierry conosceva perfettamente le terre intorno a Troyes, vi si era recato spesso con il padre, non aveva bisogno di lei per orientarsi. Osservò con un certo orgoglio il frutteto in cui si erano trattenuti per diverso tempo. Era rigoglioso. Suo padre era particolarmente bravo ad amministrare i suoi possedimenti quasi quanto lo era a combattere. Non sarebbe stato mai stato un cavaliere alla sua altezza. Non si illudeva minimamente. Sperava, però, di poterlo eguagliare nell’amministrazione del feudo ed essere apprezzato dalla popolazione almeno quanto lui. Un giorno sarebbe diventato un buon conte e suo padre sarebbe stato fiero di lui. Pronunciò quella promessa in silenzio.
«Andiamo…» iniziò a dire notando il cielo tingersi di rosso, ma il resto della frase gli morì in gola.
«Non così in fretta, miei signori» disse un uomo vestito di nero con un sorriso che non si estendeva agli occhi freddi.
Thierry si guardò intorno alla ricerca di una fuga, ma li avevano circondati. Erano così distratti che non li avevano neanche sentiti avvicinare.
«Chi siete?» disse con voce ferma Marianne. Thierry non poté fare a meno di ammirarla in quel momento: si ergeva a testa alta sulla sella e fissava truce quegli uomini. Sembrava quasi una delle amazzoni descritte da Virgilio. «Se siete briganti e meglio che giriate a largo. Non sapete chi vi state mettendo contro».
Thierry si voltò verso quello che sembrava il capo e tentò di affrontarlo a testa alta. In realtà era molto spaventato.
«Oh, lo so benissimo madamoiselle. Il mio signore mi ha chiesto esplicitamente di voi. Siete stata molto scortese con lui e ha deciso di mostravi a modo suo che non potete desiderare uno sposo migliore».
Marianne strinse con foga le redini e i suoi occhi mandavarono lampi. «Dica al suo signore, chiunque egli sia, che visti i suoi modi sono ancora più convinta che egli non sia adatto a me. Ora, fateci passare».
«Non così in fretta, madamoiselle. Il mio signore vuole che la porti da lui e così farò».
«Non oserà» sibilò Marianne.
Gli uomini, circa una decina, strinsero il cerchio intorno a loro. Erano in trappola.
«Allontanatevi! Non osate sfiorarci o mio padre vi manderà al patibolo» disse Thierry, ma la sua voce tremò e non risultò minimamente autoritario come avrebbe voluto. Gli sgherri risero di lui.
«Vi prego di seguirmi con le buone maniere o dovrò usare le cattive» continuò il capo, fintamente preoccupato per la loro sorte.
«Scordatevelo, monsieur. Ve ne pentirete» disse Marianne con rabbia ed estrasse un pugnale da sotto il mantello. Thierry rimase sorpreso e si diede contemporaneamente dello sciocco: non aveva armi. Non aveva mai pensato di doversi difendere nel proprio feudo. Gli sgherri estrassero a loro volta le spade. I due ragazzi avvicinarono i cavalli. Marianne lanciò un altro pugnale all’amico.
«Non ci prenderanno senza combattere» gli disse Marianne e sembrò quasi un ordine.
«Ammirevole, madamoiselle. Ma non faccia la sciocca. Siamo in dieci uomini armati contro due ragazzini con un misero pugnale».
L’uomo allungò la mano come a prendere le redini del cavallo di Marianne, ma ella lo colpì con il pugnale. Quello urlò e furioso si avventò con la spada contro il cavallo ferendolo a morte. Marianne cadde a terra urlando. Thierry saltò giù dal suo palafreno, pochi secondi prima che venisse ucciso, e si avvicinò all’amica, che si era subito rialzata. Sembrava stesse bene, ma nella caduta le era sfuggito il pugnale. Uno degli armati balzò su Marianne e l’afferrò per un braccio. Ella tentò di divincolarsi con forza. «Non faccia capricci, contessina» disse l’uomo con sprezzo. Gli altri risero. Si stavano prendendo gioco di loro, pensò Thierry con rabbia e con uno scatto che non avrebbe creduto possibile piantò il pugnale nel braccio dell’uomo, che urlando mollò Marianne. La ragazza si allontanò subito e si accostò a Thierry.
Il ragazzino ansimava. Non aveva avuto la prontezza di estrarre il pugnale e ora erano completamente disarmati.
«Avete finito di giocare!» sbottò il capo infuriato. «Tu non mi servi, piccolo conte. Me la pagher-».
Non finì la frase, poiché fu costretto a indietreggiare con un urlo di sorpresa. Qualcuno li stava prendendo di mira con dei sassi.
Thierry e Marianne tentarono di proteggersi la testa, ma le pietre raramente li sfioravano: qualcuno li stava aiutando. Il ragazzino vide un movimento vicino agli alberi. Prese la mano della fanciulla e la tirò con sé.
«Scappiamo!» disse concitato.
Non erano abbastanza vicini al castello per allarmare le guardie, ma dovevano almeno provare ad allontanarsi. Tra gli alberi videro due ragazzi, che non dimostravano più di quattordici anni.
«Questo sì che è tempismo!» disse uno dei due. Era biondo e chiaro. Sembrava anglosassone, ma a Thierry non importava molto in quel momento.
«Sì, certo. Ora corriamo» disse, invece, l’altro.
«Da lì usciremo sulla strada» disse Thierry. I loro nemici erano a cavallo non avevano possibilità di seminarli, ma forse sulla strada che portava a Troyes avrebbero potuto incontrare qualcuno. Non che a quell’ora avessero grandi speranze, ma era la migliore possibilità che avevano. Dio aiutaci, pensò con fervore, stringendo tra le mani la croce d’oro che portava al collo. I cavalli era lievemente rallentati dai cavalli e questo li diede qualche minuto in più. Thierry respirava a fatica e sentiva un dolore sordo al fianco per lo sforzo intenso e improvviso.
«Resisti» gli gridò Marianne, che conosceva perfettamente le sue debolezze. Sbucò sulla strada a occhi chiusi e si fermò: non ce l’avrebbe fatta a correre di più. In quello stesso momento il ragazzo biondo urlò. Thierry pensò subito che i nemici li fossero addosso. Sentiva rumore di zoccoli.
«Siamo circondati» disse il moro con un forte accento straniero.
Thierry alzò gli occhi: un gruppo di armati veniva verso di loro lungo la strada. Gli inseguitori uscirono in quello stesso istante dal frutteto. Il corteo sempre più vicino si allarmò.
«Verso di loro!» gridò Marianne. Thierry annuì, ma non ce la faceva e la ragazza lo trascinò per un braccio. Gli inseguitori si erano fermati vedendo gli altri, tentando di capire chi fossero.
«Ma che fai!» si lamentò il ragazzo moro, bloccandosi insieme al suo compagno nella terra di nessuno.
«Sono cavalieri che vengono alla corte del re!» s’impuntò Marianne.
Thierry non aveva la forza di correre ancora, ma sapeva che la fanciulla aveva ragione. Un gruppo di cavalieri si avvicinò a galoppo.
«Che succede?» chiese un giovane dal colorito bruno. Aveva un forte accento, simile a quello del ragazzo biondo. Gli inseguitori batterono in ritirata.
«Se siete alleati dei Ponthieu prendeteli. Mio padre vi ringrazierà» rispose Marianne con foga.
Il giovane cavaliere fece cenno ai suoi compagni e si buttò all’inseguimento.
Thierry tentò di riprendere fiato, ma fu colto da un attacco di tosse. Marianne si chinò su di lui.
«Che cos’ha?».
Marianne sobbalzò quando si accorse del cavaliere accanto a lei, indossava una veste scura ma estremamente pregiata, segno del suo alto lignaggio. Pensava che tutti si fossero messi all’inseguimento. Era un uomo adulto, avanti negli anni. Doveva avere all’incirca l’età di suo padre. «Monsieur, nulla di grave. Credo» rispose mordicchiandosi il labbro. Thierry si riprese lentamente e si raddrizzò. «Grazie, monsieur».
«Chi dobbiamo ringraziare?» chiese la fanciulla con un sorriso sul volto rosso e affaticato per la corsa.
«Geoffrey Martwall, barone di Dunchester» rispose il cavaliere inchinandosi leggermente.
Marianne gonfiò il petto. «Il Leone di Dunchester! Mio padre mi ha molto parlato di voi. Le dobbiamo la vita, monsieur».
«Madamoiselle, siete la figlia di Jean?».
«Sì, monsieur».
«Non si offenda, allora, se le dico che possiede la stessa capacità di suo padre di cacciarsi nei guai».
Marianne, che non accettava rimproveri da nessuno di solito, incassò quello senza proferir parola: era stata lei a trascinare Thierry fuori dal castello senza alcuna scorta e senza avvertire i loro genitori. Una donna ancora abbastanza giovane e bella ridacchiò alle parole dell’uomo.
«Madamoiselle de Ponthieu, le presentò mia moglie Brianna».
Marianne ricambiò il saluto cortese della baronessa.
«Avviamoci» disse il barone, dopo aver parlottato con un altro cavaliere. Ordinò ai suoi uomini di portare delle cavalcature per i ragazzi. Thierry sapeva di doversi comportare in maniera diversa, ma si sentiva stanco e molto infreddolito. Marianne lo costrinse a salire a cavallo con lei e non ebbe la forza di ribellarsi, anche perché si sentiva più tranquillo in quel modo.
«Come vi chiamate voi?» chiese Marianne ai due ragazzi che li avevano soccorsi.
«Io sono Matthew, mia signora. Il mio amico si chiama Gabriel. Non conosce il francese».
«Mio padre vi ricompenserà» promise.
I quattro ragazzi si avviarono verso Troyes sotto la protezione del barone di Dunchester.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Capitolo V
 
«Ecco i miei figli! Sembra che abbiano fatto caccia grossa!» disse palesemente soddisfatto il barone.
Thierry osservò un gruppo di soldati e cavalieri all’entrata del borgo. Gli Inglesi erano mescolati agli uomini di suo padre e quelli dei Ponthieu. Il giovane cavaliere inglese, che li aveva aiutati, scorgendoli li venne incontro. Con lui c’erano altri due giovani. Uno dei due era più piccolo, sembrava suo fratello; l’altro indossava i colori bianco e azzurro dei Ponthieu.
«Michel!» disse con voce strozzata Marianne.
«Razza di incoscienti! Avete molto da spiegarci! Avete messo in subbuglio l’intera corte!» sbottò il ragazzo. «E voi cosa ci fate ancora qui?».
Matt e Gabe gemettero nel riconoscere il cavaliere che quel pomeriggio li aveva letteralmente graziati.
«Ci hanno aiutato! Li avete presi, vero?» ribatté subito Marianne.
Michel la incenerì con lo sguardo, ma annuì. «Sì. Con i cavalieri inglesi siamo riusciti a stringerli da due lati». All’improvviso i soldati si spostarono lasciando spazio a due cavalieri dall’aspetto austero; entrambi scesero da cavallo per andar loro incontro.
Gabe rimase a bocca aperta riconoscendo il più alto dei due e vide, come in un sogno, Marianne saltare giù dal palafreno e correre da quest’ultimo e abbracciarlo.
«Che ti prende?» sussurrò Matt.
«Non mi dire che non lo riconosci!» replicò Gabe senza distogliere lo gli occhi dal cavaliere che ascoltava il discorso concitato della fanciulla. Il ragazzino che era con lei era sceso anche da cavallo e si era avvicinato all’altro cavaliere, che nel frattempo stava parlando con il barone inglese. A differenza di quanto era apparso loro in un primo momento, aveva sentito il ragazzino avvicinarsi e, appena fu abbastanza vicino, gli pose una mano sulla spalla. Sembrò incupirsi alle parole del barone e si chinò sul ragazzino per fargli qualche domanda e poi lo avvolse nel suo mantello.
«In effetti mi sembra di averlo già visto. Non ricordo dove, però. Forse su un libro di storia…» disse Matt meditabondo.
«Ma che libro e libro! Ti pare che io legga libri di storia? Quello sembra proprio mio zio Ian. Te l’ho presentato una volta. Suo padre è stato nell’esercito con mio nonno».
«L’archeologo girovago? Gli assomiglia, magari è un antenato…».
Intanto, però, Marianne doveva essere arrivata alla parte della loro piccola avventura nella quale i due americani erano entrati in scena. Con un puro gesto di incoscienza pensò con un brivido Matt. Il cavaliere li fissava con una strana espressione.
«Gabriel» chiamò ad alta voce. Sembrava irritato. Per un attimo Matt pensò che volesse procedere laddove era rimasto il cavaliere di nome Michel quel pomeriggio. L’attenzione dei presenti si focalizzò su di loro.
«Lo conoscete, padre?» chiese palesemente sorpreso proprio quest’ultimo.
Il cavaliere fece una smorfia irata e annuì. «Vi presento Gabriel Freeland, erede maschio di sir Daniel».
Gabe sgranò gli occhi e fissò il cavaliere come se fosse matto. Matt guardava ora l’amico ora il nobile. Erano tutti impazziti? Aveva chiamato il signor Freeland sir, come se fosse un cavaliere?
«A quanto pare Jean, il giovane Gabriel ha dimostrato di possedere lo stesso coraggio del padre. Dobbiamo a lui e al suo compagno se Thierry e Marianne sono riusciti a scappare da quei malfattori. Thierry l’ha appena detto a me e Geoffrey» disse l’altro cavaliere.
«Sì, Marianne mi ha appena detto la stessa cosa. Ciò non toglie che Daniel abbia qualche problema di disciplina» replicò arrabbiato Ian.
«Temo che anche noi abbiamo lo stesso problema» disse seccato l’altro gettando un’occhiataccia al ragazzino al suo fianco. Thierry abbassò la testa e non proferì parola.
«Questo è evidente» si limitò a dire Jean poi si rivolse al barone inglese, ringraziandolo per il suo tempestivo aiuto.
«Sir Jean. Ci sono anche io!». Un cavaliere inglese che non dimostrava neanche quarant’anni si avvicinò con un grande sorriso.
«Beau, è un piacere vederti» disse il cavaliere ammorbidendosi palesemente.
«Ho portato anche mio figlio maggiore. Jean» disse chiamando a sé un ragazzino dal volto abbronzato e con riccioli biondi. «Presto diventerà lo scudiero di sir Martwall».
Gabriel si era avvicinato e aveva potuto ascoltare lo scambio di battute. Vide che lo zio Ian si era commosso.
«Benvenuti a Troyes» disse semplicemente il padre di Thierry. Il gruppo si mise in cammino e attraversò le tre cinta di mura fino al torrione centrale del castello. Ian aveva preso con sé sul cavallo Gabe, che ne approfittò per fargli delle domande.
«Non ci sto capendo più nulla! Michel è tuo figlio? Tu che fai qui? Perché tutti ti obbediscono a te e all’altro cavaliere!? Perché hai chiamato sir mio padre?».
«Abbassa la voce e smettila di fare tutte queste domande» lo redarguì Ian. «Io sono Jean Marc de Ponthieu, conte cadetto. Tuo padre è uno dei miei cavalieri. L’altro cavaliere è il conte di Grandpré. È un feudatario maggiore. Portagli rispetto. Oltre che il padrone di casa, è un mio caro amico. Sì, ho tre figli: Marc, Michel e Marianne».
Il numeroso gruppo si fermò nel cortile del torrione e immediatamente fu raggiunto dai servi che presero in consegna i cavalli.
«Senti Michel è uno che minaccia invano?» chiese preoccupato.
Ian si accigliò, ma fu il giovane stesso a rispondere. A quanto pare la maggior parte dei presenti aveva sentito la domanda.
«Io non minaccio invano. In questo caso però ti devo delle scuse, la mia reazione è stata eccessiva. Inoltre devo delle scuse anche al conte di Grandpré, non avevo il diritto di minacciare nessuno non avendone l’autorità» disse Michel chinando il capo.
«Michel, sai benissimo di averne il diritto invece. Se il Signore Iddio non mi avesse benedetto con la nascita di Thierry, con il permesso di tuo padre e del conte Guillaume, saresti stato tu a prendere il mio posto. L’ho dato per scontato nel momento stesso in cui ti ho concesso la mano della mia adorata Celeste».
«Grazie, monsieur Henri» mormorò Michel e la sua voce tremò di gratitudine e commozione.
«Padre, monsieur Henri. Li avete trovati, vedo».
Un giovane muscoloso, che sembrava la fotocopia di Ian, si ergeva a testa alta sui gradini più bassi che portavano al portone del castello.
«Marc» strillò Marianne e corse dal fratello maggiore. Il giovane la strinse a sé sorridendo.
«Veramente sono stati sir Geoffrey e Michel a trovarli» disse Ian.
«Aspetta che ti veda nostra madre. È furiosa» disse Marc alla sorella con un guizzo divertito negli occhi. La fanciulla si imbronciò e si voltò verso il padre in cerca di appoggio.
«Non ci pensare nemmeno. Questa volta l’hai fatta grossa» ribatté Ian.
«Comunque signor conte» disse Marianne rivolgendosi direttamente a Henri de Grandpré con disinvoltura. «Ho trascinato io Thierry. Non avrebbe voluto disobbedirle».
«Peccato che tu non abbia di questi nobili propositi!» disse caustico Ian. Marianne non si scoraggiò di fronte alla severità del padre e lo prese per il braccio. Ian non ebbe scelta che scortare all’interno la sua piccola dama.
Il conte Henri non aveva replicato se non con un cenno alle sue parole. Thierry non aveva osato dire alcunché in sua difesa. D’altronde non gli sembrava il momento adatto, neanche suo padre gli aveva detto ancora nulla. Quando il barone gli aveva detto che era stato male si era preoccupato delle sue condizioni e l’aveva coperto con un caldo mantello. Si vergognava a essere sempre il debole della situazione. Quando entrarono nel torrione il padre si rivolse a lui. «Vai nella tua stanza e cambiati per la cena. Attendimi lì».
Thierry annuì mogio e si separò dal gruppo. Con la coda dell’occhio vide Marianne sul punto di dire qualcos’altro a suo padre, ma una voce irritata glielo impedì. «Signorina, è mai possibile che io non riesca a insegnarti come si comporta una nobile signora? Che vergogna! Ti comporti come lo scudiero più indisciplinato!».
Il ragazzino si inchinò passando accanto a madame Isabeau, che appariva particolarmente furiosa. La donna gli rivolse un’occhiata severa e poi scese in fretta le scale per continuare a rimproverare la figlia. Dopotutto non era consono che una signora gridasse. Non del loro rango, comunque. Thierry trovò i vestiti già pronti per la cena e la sorella Agnes ad attenderlo.
«Ma che ti è saltato in mente!» disse saltando giù dal suo letto, su cui si era seduta. «Mi hai fatto stare in ansia! Anche Celeste e Beatrice sono preoccupate per te. In questo momento sono entrambe con madame Alexandra».
«Perdonami» mormorò Thierry. «Ti prego, però, non infierire. Nostro padre ha detto che verrà da me tra poco e non ho dubbi che mi voglia rimproverare».
Agnes sospirò e lo abbracciò stretto. «Lo sai che ti voglio bene».
«Anche io, tantissimo».
«Sono sicura che nostro padre non sarà troppo duro con te».
Thierry non replicò, ma chiese: «Madame Alexandra come sta?».
«Bene, ha avuto un malessere passeggero a causa del lungo viaggio, che ha dovuto affrontare da Chantal-Argent» rispose Agnes, poi gli tolse il mantello. «Lascia che ti aiuti. Ho ordinato ai servi di prepararti un bagno caldo».
«Grazie, Agnes».
Il bagno e la compagnia affettuosa della sorella lo fecero sentire meglio. Il padre entrò nella stanza proprio mentre Agnes finiva di allacciargli la camicia di seta e attese che la ragazza lo aiutasse a indossare una tunica verde smeraldo con rifinimenti dorati. Una delle più preziose che possedeva. Non per nulla avrebbe cenato con il re. Era la prima volta che vedeva da vicino re Luigi ed era molto emozionato.
«Lasciaci soli, per cortesia» ordinò pacatamente il conte alla figlia. Agnes ebbe un attimo di titubanza e fissò il padre come se volesse dirgli molte cose ma non sapeva come. Henri le concesse un tiepido sorriso dimostrando di aver compreso le sue parole inespresse e le accarezzò il volto. «Non ti preoccupare. Va’ pure. Thierry ti raggiungerà a breve a tavola».
Agnes fece un timido sorriso, annuì e dopo aver fatto un lieve inchino al padre abbandonò la stanza.
«Vi chiedo perdono, padre» mormorò immediatamente Thierry, tenendo sempre la testa china. «Mi dispiace di avervi disobbedito».
«Non mi aspettavo un comportamento del genere da parte tua. All’inizio mi sono arrabbiato, poi è arrivato il re e io e Jean siamo stati convocati da lui. Neanche ti immagini quando, dopo essere stati congedati, abbiamo scoperto che non eravate rientrati. Ho temuto che vi fosse accaduto qualcosa. La paura di perderti ha superato la mia rabbia» disse Henri, che apparentemente non aveva ascoltato le scuse di Thierry. Il ragazzino per conto suo non osò interromperlo, ma era realmente spaventato. «Stai bene? O vuoi che chiami un medico?» chiese Henri de Grandpré prendendolo di sorpresa.
«Sto bene, padre» disse Thierry continuando a non sollevare gli occhi da terra.
«Questo mi tranquillizza. Sua Maestà vuole occuparsi personalmente dei delinquenti che vi hanno aggredito. Non può permettere che i suoi feudatari vengano attaccati in sua presenza. E in questo momento la corte è qui a Troyes. Vorrei ascoltare la tua versione adesso». Thierry gli raccontò ogni cosa senza omettere nulla, poi tacque in attesa. «Jean, è molto preoccupato… Comunque chiunque sia il responsabile, la pagherà».
«Non volevo deludervi» sussurrò Thierry.
«Non l’hai fatto» replicò sorpreso il conte. Dopo un attimo di esitazione lo abbracciò.
«Madamoiselle Marianne è stata di gran lunga più brava di me. Me ne vergogno».
«Madamoiselle Marianne è più grande e tu non ha iniziato il tuo addestramento per diventare cavaliere. Non voglio che tocchi le armi senza saperle maneggiare. Lo sai perfettamente. A meno che tu non te lo sia dimenticato».
«No, padre».
«Mi fa piacere, anche perché domani luciderai tutte le armi» sentenziò il conte. Il ragazzino sgranò gli occhi: l’armeria era enorme. «Un cavaliere deve imparare la disciplina e quando diventerai scudiero di Jean, mi aspetto che tu gli obbedisca sempre».
«Sì, padre» mormorò Thierry.
«Sai come abbiamo scoperto che eravate andati a cavalcare?» chiese il conte. Thierry scosse la testa. Henri sedette sull’unico scranno presente nella stanza e lo scrutò per alcuni istanti. «Padre Mathieu mi ha raggiunto proprio mentre stavamo accogliendo il re. Era spaventato, temeva che tu stessi male. Non hai mai saltato le sue lezioni».
Thierry non poté fare a meno di alzare gli occhi di scatto e fissare il padre in volto. Si era completamente dimenticato della lezione di latino con il prete. Il conte aveva un’espressione severa, ma molto più rilassata di quando era entrato nella camera del figlio.
«I-io… m-mi…».
«Ti dispiace?» gli venne in soccorso il padre. «È bene che tu inizi a imparare che non sei più un bambino e non basta un mi dispiace nella vita per rimediare ai propri errori. Bisogna affrontare sempre le conseguenze delle proprie azioni. A testa alta. È questo che mi aspetto da te» continuò severamente.
«Sì, padre» replicò con voce tremante. Gli occhi gli si riempirono di lacrime.
«Vieni qui» disse Henri in tono più morbido.
Thierry obbedì e con sollievo si ritrovò stretto nuovamente tra le braccia forti del padre. Scoppiò a piangere, incapace di trattenersi. Il conte di Grandpré si limitò ad accarezzarli delicatamente la testa e gli permise di sfogarsi sulla sua spalla.
«Ho avuto molta paura» confessò Thierry in mezzo ai singhiozzi.
«Solo gli stolti non hanno paura. La paura deve inspirare prudenza e non deve dominare un cavaliere».
Henri attese che si calmasse e poi gli diede il permesso di sedersi sullo sgabello vicino al fuoco.
«Come faccio a rimediare?» chiese con voce ancora lievemente tremolante Thierry.
Per la prima volta quella sera il volto del conte di Grandpré si aprì in un lieve sorriso. «Visto e considerato che si tratta di Jean, hai pur sempre permesso che sua figlia si mettesse in pericolo e soprattutto perché non hai dato gran prova di te a chi presto diverrà il tuo tutore, e di padre Mathieu, credo che sarà sufficiente che tu chieda loro perdono e se vorranno, avranno il diritto di punirti».
Thierry lo fissò spaventato, ma annuì. Padre Mathieu era molto buono per cui non si preoccupava troppo, invece monsieur Jean gli faceva più paura nonostante conoscesse anche lui dalla nascita.
«Non possiamo far attendere Sua Maestà» disse il conte alzandosi.
«Padre, che cosa dovrò fare durante l’udienza del re?» chiese con concitazione Thierry. Una volta fuori da lì non avrebbero più potuto parlare in privato.
«Ce ne occuperemo io e Jean. Se e solo se ti viene espressamente dato il permesso di parlare, dovrai raccontare la verità. Io mi devo avviare subito, ma tu puoi andare a chiamare padre Mathieu. Mi ha detto che non desidera cenare con noi questa sera, a causa della presenza dell’intera corte. Preferisce un pasto più frugale. Tu, però, puoi provare a invitarlo nuovamente».
«Sì, padre» disse Thierry contento di quell’opportunità.
«Non tardare» si raccomandò il conte nel momento in cui si separarono sulle scale. Thierry gli promise che sarebbe stato veloce e corse via. Si fermò all’ingresso della cappella e si ricompose. Come immaginava, padre Mathieu stava terminando le preghiera serali. Spesso prima di cena pregava accanto a lui, ma in quel caso preferì inginocchiarsi negli ultimi banchi sentendosi troppo in colpa per avvicinarsi. L’anziano sacerdote, però, l’aveva sentito. Si girò verso di lui e con un mezzo sorriso gli fece segno di raggiungerlo. In silenzio il ragazzino obbedì e si inginocchiò accanto a lui. Mormorò qualche preghiera, non potendo far a meno di pensare a quello che era accaduto nella radura. Avrebbe potuto uccidere quell’uomo. Un brivido gli percorse la schiena. Era un’idea terribile.
«Mio signore, prendiamo insieme l’eucarestia. Non vorrà far attendere Sua Maestà?».
Thierry lo fissò per un attimo e poi replicò: «Vi prego, padre, prima confessatemi». Dopo essere stato assolto si sentì molto più leggero. Terminarono le preghiere e prima di scappare disse: «Vi chiedo perdono per aver saltato la lezione di oggi pomeriggio e di avervi fatto preoccupare».
Padre Mathieu sorrise e annuì. «Non si preoccupi, mio signore. L’importante è che stiate bene. La lezione la recupereremo».
Thierry si sentì in dovere di ripetere quello che gli aveva detto il padre riguardo le conseguenze delle proprie azioni. Il sorriso del sacerdote si addolcì ulteriormente e replicò: «Nostro Signore ha perdonato ogni nostro peccato arrivando a sacrificare se stesso. Io non sono nessuno per giudicare voi. E conoscendo vostro padre, temo che sia stato sufficientemente severo».
Il ragazzino gli raccontò dell’enorme armeria che lo aspettava il giorno dopo e il prete rise bonariamente. «Siete sicuro di non voler cenare con noi?».
«Un uomo di Dio deve accontentarsi di poco e voglio evitare qualsiasi tentazione».
 

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Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


Capitolo sei
 
Gabe e Matt furono condotti in una saletta da Ian, dopo che, evidentemente, questi si era assicurato che la moglie non avrebbe ucciso la figlia. Per esperienza Gabe sapeva che spesso erano peggio le madri. Mai far arrabbiare Jodie Freeland.
«Tutto ciò non ha senso» dichiarò Gabe appena Ian si chiuse la porta alle spalle. Sembrava più tranquillo.
«No, non ne ha. Tuo padre l’ha cercato a lungo, ma non ha trovato alcuna spiegazione scientifica. Sappiamo solo che Hyperversum funziona come portale temporale solo quando io, o uno dei miei discendenti, siamo presenti sulla scena. Nel vostro caso Michel».
«È assurdo! No, non è impossibile. Presto mi sveglierò e scoprirò che è solo un sogno» disse Gabe scuotendo la testa convinto. «Ahi! Ma che fai?».
Matt gli aveva dato un forte pizzicotto sul braccio. «Siamo svegli» replicò semplicemente.
«Domani mattina, tornerete a casa. Non potete sparire dal castello a quest’ora e probabilmente Sua Maestà vorrà conoscervi. Hyperversum funziona, vero?» disse Ian pensieroso.
«Non abbiamo avuto modo di provarlo» rispose teso Matt.
«Fatelo» quasi ordinò Ian.
«Help» disse Gabe, ma nessuna mela rossa per l’uscita d’emergenza apparve. «Com’è possibile?».
«Ci dev’essere qualche problema. State tranquilli, Daniel lo sistemerà senz’altro» tentò Ian, ma si era incupito. «Ora…».
Non finì la frase che la porta fu spalancata. «Dov’è?» strillò una ragazza sicuramente aveva meno di trent’anni. Era vestita con una lunga veste bordeaux con un gioiello d’oro appeso al collo. Visibilmente incinta. Dietro di lei veniva Marc, anch’egli con un abito dello stesso colore, ma più chiaro. Gabe spalancò la bocca tanto che un altro poco la mascella avrebbe toccato terra.
«Scusate, padre. Alex non ha voluto attendere» disse Marc, richiudendo la porta.
Alex nel frattempo si era fermata di fronte a Gabe e lo scrutava sconvolta come se fosse un fantasma.
«Com’è possibile? Papà aveva detto che avrebbe evitato di… portarti qui…» concluse dopo un attimo di titubanza.
«Era a una riunione» replicò Gabe come se fosse sufficiente, ma sia Ian che Alex lo fulminarono con lo sguardo. «Piuttosto che diavolo fai qui?».
«Ancora non comprendo perché monsieur Daniel ha tenuto monsieur Gabriel all’oscuro» disse Marc attirando l’attenzione di tutti. Alex guardò Ian in cerca di aiuto.
«Perché quando vi siete sposati Gabriel era troppo piccolo per compiere un viaggio lungo, come quello per arrivare fin qui dalla loro terra natale. E poi non se l’è sentita di raccontargli di non averlo fatto presenziare alle nozze» rispose asciutto Ian.
«Tu sei sua moglie?» disse sconvolto Gabe. Altro che Sorbona! I suoi gli avevano raccontato un sacco di balle. Oh, ma appena li avrebbe avuti di nuovo a tiro lo avrebbero sentito, così avrebbero imparato a fargli la morale sulla fiducia e simili.
«Sì» rispose semplicemente Alex stringendo la mano a Marc.
«E quindi diventerò zio? Ora? Tra quanto?» chiese incerto indicando la pancia di sua sorella. O Dio, quanto era confuso! Meno di sei mesi prima sua sorella si era diplomata e aveva sì e no diciotto anni; adesso se la ritrovava di fronte molto più vecchia e incinta!
«Veramente lo sei già».
«Abbiamo due bambine» disse Marc con un sorriso. «Danielle e Jodie».
Matt non sapeva se dire qualcosa al suo migliore amico, che sembrava fuori di sé, ma decise che la scelta migliore sarebbe stata tacere.
«Danielle ha cinque anni, mentre Jodie tre».
La porta si aprì di nuovo ed entrò una bimbetta dai lunghi capelli castani decorati da fili argentati e dorati, con intensi occhi nocciola; quando vide i due ragazzi si bloccò intimorita. Ian si aprì in un immenso sorriso e spalancò le braccia, la bambina corse da lui e nascose la testa nel suo petto evidentemente imbarazzata, viste le guance tinte di rosso. Dietro di lei un cavaliere, che i ragazzi non avevano ancora visto, decisamente maturo, la seguiva insieme a un bambino vestito molto finemente e dai capelli biondi pieni di boccoli.
«Jean, era ora di scendere per la cena. Non possiamo far attendere sua Maestà».
«Certamente. Guillaume, permettimi di presentarti Gabriel Freeland, figlio di sir Daniel e il suo amico Matthew. Se per te non è un problema, saranno nostri ospiti».
«Ormai sono abituato ai tuoi ospiti» replicò il cavaliere dopo averli fissati come a passarli allo scanner.
«Ragazzi, vi presento mio fratello Guillaume, conte di Ponthieu».
«I ragazzi sono troppo grandi per sedere a tavola. Come lo vuoi spiegare?» chiese Guillaume spostando lo sguardo su Ian.
«In nessun modo» rispose quest’ultimo. «I ragazzi serviranno insieme al mio scudiero, Grégoire. Li terrà anche d’occhio e li spiegherà come comportarsi».
Il conte Guillaume annuì soddisfatto. Gabe e Matt si scambiarono un’occhiata preoccupata: non ci avevano capito molto. E comunque Gabe scrutava la bambina in braccio a Ian e si chiedeva se fosse lei sua nipote, ma a prima vista non assomigliava né a Marc né a sua sorella.
«Oh, siete qui» disse dama Isabeau. Ian si avvicinò subito a lei. «E ci sei anche tu Amélie. I tuoi genitori sono preoccupati!».
La bambina assunse un’aria spaventata, ma Ian le sussurrò qualcosa all’orecchio. Proprio mentre Michel entrava nella stanza insieme a una bellissima ragazza dai tratti delicati e vestita in modo ricco e sfarzoso.
«Sei qui!» disse rivolto alla bambina.
«Su, Michel» lo richiamò Ian.
«La bambina era con me» dichiarò Guillaume.
Gabe e Matt sentirono Marc sussurrare ad Alex: «Quella bambina è un angioletto, ma solo per aver rubato il cuore a zio Guillaume credo abbia qualche virtù particolare».
Alex ridacchiò.
Marc si voltò verso i due americani e spiegò: «Amélie è la figlia di mio fratello Michel e di Celeste figlia maggiore del conte di Grandpré. Deve compiere sei anni».
«E l’altro bambino?» chiese cercando di ordinare le idee Gabe, mentre Michel stringeva Amélie tra le braccia.
«Oh, lui è il piccolo Henri. Figlio di Laurent, un mio caro amico, e di Elodie, mia cugina la figlia di zio Guillaume. Ha circa sette anni».
«Tuo fratello non ha altri figli?».
Marc si incupì e fece cenno agli altri di precederlo. Con loro rimase solo Alex.
«Ti prego non parlare di queste cose davanti a lui. Celeste ha perso da poco un bambino. Entrambi ancora ne soffrono. Michel non lo ammetterebbe mai, ma si vede dall’atteggiamento duro che ha ultimamente» spiegò Marc mestamente.
«Marc, precedimi. Io presento ai ragazzi le bambine e poi ti raggiungo».
Il giovane annuì. Matt e Gabe seguirono Alex in una stanza poco distante. «Prego, entrate».
Due bimbe giocavano di fronte a un fuoco scoppiettante e sul tappeto c’erano molti giochi intagliati in legno.
«Loro sono Danielle e Jodie» disse Alex. Gabe le vide negli occhi un guizzo fiero mentre lo diceva, che gli ricordò tanto la mamma quando li presentava agli amici.
Gabe si avvicinò alle bambine che con sua sorpresa non scapparono o si nascosero come aveva fatto Amélie. Fissò sua sorella sorpreso.
«Sono figlie di Marc» sentenziò lei come se questo rispondesse alla sua domanda inespressa.
«Forza, ora dobbiamo andare» disse spingendoli fuori. Le bambine rimasero con la nutrice. «Dovete servirci e non possiamo farci aspettare» disse con un ghigno Alex.
«Mi spieghi cos’è questa storia?».
«Gli scudieri si comportano così» rispose, poi si fermò e li fissò. «Comportatevi dei veri medievali o vi giuro che sarò io a staccarvi la testa senza l’aiuto del boia» minacciò e nessuno dei due pensò minimamente di prenderlo per uno scherzo. Per quanto risultasse ancora assurdo da credere a Gabe, sua sorella era la moglie di uno dei primi cavalieri del re di Francia. Se l’avesse detto a qualcuno dei suoi amici a Phoenix l’avrebbero preso per pazzo e avrebbe rovinato per sempre la sua reputazione.
«Lascia parlare solo me» disse concitato Matt.
 

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Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


Capitolo sette
 
«Can I call you Greg?[1]».
Matt fulminò Gabe. E meno male che gli aveva detto di tacere! Aveva voglia anche di fare dello spirito. Lo scudiero di Ian, però, non conosceva l’inglese e lo fissò interrogativo.
«Non ci fare caso. Dice solo sciocchezze» gli spiegò.
Il ragazzo aveva quindici anni e già da diverso tempo era lo scudiero del Falco d’Argento. Era abbastanza serio. «Digli di non combinare guai» borbottò. «Monsieur Jean mi ha raccomandato di non perdervi di vista un solo istante».
«Tranquillo» replicò Matt.
Grégoire de Chailly non sembrava convinto, ma si accontentò e li fece cenno di seguirlo.
Decisamente il lavoro degli scudieri era noioso e per una volta Gabe aveva avuto ragione: facevano da servi ai signori. Dovevano versare da bere e servire non solo Jean, ma anche sua moglie e sua figlia Marianne. Fortunatamente non Alex, perché probabilmente Gabe non avrebbe retto. Sia Marc sia Michel avevano i loro scudieri.
«I bambini non stanno a tavola con i genitori?» chiese a un certo punto a Grégoire. L’altro ragazzo lo fissò stranito come a chiedersi se lo stesse prendendo in giro.
«È un banchetto ufficiale. Dei bambini si occupano le nutrici e a quest’ora saranno già a letto» rispose, poi aggiunse: «Il Falco ha finito il vino. Occupatene tu. Vado a prendere il secondo».
Matt con molta attenzione versò il vino a Ian, che gli sussurrò: «Tutto bene?».
«Abbastanza» replicò rapidamente.
Thierry era l’unico ragazzino seduto a tavola. «Perché lui sì?» non poté trattenersi dal chiedere allo scudiero.
«Perché è il figlio del conte di Grandpré. Naturalmente appena diverrà scudiero anche lui starà con noi».
*
Thierry era emozionatissimo. Aveva conosciuto il re! Ed era stato molto cortese con lui! Addirittura si era preoccupato per la sua salute e gli aveva chiesto come stava dopo la brutta avventura del pomeriggio. Per fortuna non era stato molto impacciato nell’inchinarsi e non doveva aver fatto una cattiva impressione. Aveva preso posto al fianco del padre. Era la prima volta che partecipava a un banchetto reale. A causa della sua salute cagionevole il padre non l’aveva mai portato con sé nei suoi spostamenti, ma ora le cose sarebbero cambiate: monsieur Jean sarebbe diventato il suo tutore e l’avrebbe seguito a Chantal-Argent. Ciò lo spaventava: non voleva lasciare sua sorella Agnes, suo padre e padre Mathieu. Sempre se il Falco d’Argento non avesse cambiato idea e non lo volesse più. Non erano seduti vicini, d’altronde era un conte cadetto. Vicino a lui vi era Etienne de Sancerre e la moglie. Marc, invece, era seduto poco distante insieme a madame Alexandra. Sembravano molto felici insieme. Cercò con lo sguardo sua sorella Celeste e la trovò accanto a Michel e altri cavalieri. Irrimediabilmente tornò a fissare Jean de Ponthieu e i suoi scudiere. Chissà se sarebbe stato sufficientemente bravo. L’uomo incrociò il suo sguardo e gli fece un cenno con la testa, Thierry rispose il più educatamente possibile e si affrettò a distogliere lo sguardo temendo di aver osato troppo a fissarlo tanto.
«Mangia» lo richiamò suo padre. Sua madre gli gettò un’occhiataccia. Ella non riteneva opportune le attenzioni che gli dedicava il padre. Sapeva che i suoi genitori non si erano mai amati ed erano state le sue zie a scegliere la sposa per il padre. Non capiva, però, perché la madre lo odiasse tanto. Era abbastanza grande da capire quando madame Isabeau amasse la figlia e per questo quel pomeriggio si era arrabbiata tanto; la sua non si era neanche premurato di chiedergli se stesse bene. Agnes gli aveva fatto più da madre di lei in quelli anni. Aveva imparato a convivere con la consapevolezza di non essere voluto bene dalla propria madre. Obbedì per evitare una sua reazione.
*
Dopo cena il re si ritirò insieme ai conti di Ponthieu, al conte di Grandpré, Marianne, Thierry e un uomo che quest’ultimo non conosceva.
«Siamo qui far chiarezza sullo spiacevole episodio che è avvenuto questo pomeriggio tardi. I miei ufficiali non hanno avuto difficoltà a scoprire il mandante di quelli uomini. Tuttavia mai avrei creduto che proprio lei, monsieur de Dreux potesse compiere una simile azione ai danni di due dei feudatari più fedeli alla corona» iniziò grave re Luigi IX. Tutti i presenti rimasero sconvolti dalla notizia. I Dreux era una famiglia direttamente imparentata con il sovrano! E Alinor, la seconda moglie del conte Guillaume, era una De Dreux.
«Vi chiedo perdono, mio signore. Mio figlio ha agito senza chiedere il mio permesso. Le assicuro che gliel’avrei impedito, se l’avessi saputo. Se solo ne avessi avuto sentore!» disse il conte molto avanti con gli anni.
«Perché vostro figlio Baptiste ha commesso un simile crimine?» chiese il re.
«Mio signore, Baptiste è innamorato di madamoiselle de Ponthieu e non ha preso bene il rifiuto di monsieur Jean» mormorò l’uomo.
A Thierry sembrò sincero nel suo dispiacere. Sbirciò suo padre e monsieur Jean, ma avevano entrambi un’espressione indecifrabile.
«Non ritengo che mia figlia sia pronta a sposarsi. D’altronde il suo comportamento stolto di questo pomeriggio ha dimostrato la sua immaturità» commentò Jean dopo che il re, con uno sguardo, l’aveva invitato a parlare. Marianne s’imbronciò.
«Mio signore, la prego di perdonare me e mio figlio. È giovane e stolto».
«Io potrei anche perdonarvi monsieur de Dreux, dopotutto siete sempre stato fedele alla corona, ma non è il mio perdono che dovete cercare, bensì quello del conti de Ponthieu e Grandpré».
Thierry fissò ancora una volta il padre e il futuro tutore, i due si erano scambiati uno sguardo. E fu sicuro che avevano già discusso tra di loro.
«Maestà» iniziò suo padre, «siamo disposti a perdonare il giovane Baptiste in virtù della sua giovane età, ma sia io sia monsieur Jean pretendiamo delle scuse».
«Naturalmente, monsieur Henri, mio figlio si scuserà immediatamente» convenne il conte di Dreux.
«Bene allora chiudiamo questo spiacevole incidente» dichiarò re Luigi.
 
 
[1] “Ti posso chiamare Greg?”.

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Capitolo 8
*** Capitolo otto ***


Capitolo VIII
 
Nei giorni seguenti Gabriel e Matthew ebbero la possibilità di assistere a un vero e proprio torneo medievale. Matt ne fu entusiasta, anche perché in qualità di scudiero poté toccare le spade con le proprie mani ed esercitarsi seriamente. L’unico problema era che Seby non ci avrebbe mai creduto e d’altronde come biasimarlo? Egli stesso per primo avrebbe preso per matto chiunque gli avrebbe detto che un giorno sarebbe stato catapultato nel Medioevo.
Gabriel trovava divertente ogni cosa e rischiò più volte di mettersi nei guai, con palese fastidio dello zio Ian e nervosismo di Alex, che il ragazzo evitò accuratamente in quanto la considerava intrattabile a causa della gravidanza. Eppure Matt non se l’era sempre sentita di rimproverarlo, alle volte quella realtà era veramente troppo distante dalla loro. Come quando Gabriel si era messo a giocare con Danielle e Jodie e tutti e tre avevano rischiato di travolgere una dama di alto lignaggio. A quanto pareva non era consono che uno scudiero si mettesse a giocare con delle contessine.
Decisamente i libri di storia non rendevano minimamente quanto fosse profondamente cambiata la mentalità nel corso del tempo. Matt aveva avuto la possibilità di parlare con Ian in privato, scoprendo quanto fosse preparato in storia e, quindi, il suo trascorso come insegnante universitario. Inutile dire che la stima nei suoi confronti era notevolmente aumentata.
 
♦♦♦
 
Mark si era particolarmente distinto durante le prove del torneo e Matt era rimasto strabiliato dalle sue capacità con la spada. Inoltre, con il benestare di Ian, aveva chiesto a Mark di prenderlo come sue scudiero e così ebbe la possibilità di allenarsi con lui. Era un maestro senz’altro più bravo di Seby, ma anche più severo. D’altronde erano nel Medioevo e la scherma non era uno sport, ma la miglior arma di difesa e di attacco per ogni uomo degno di rispetto, perciò per ogni cavaliere.
Gabriel, per conto suo, non apprezzava tutte le attenzioni che il suo migliore amico dedicava al primo cavaliere del re e no, non era gelosia come aveva ripetutamente ipotizzato sua sorella. La verità è che aveva uno strano presentimento e più trascorrevano i giorni più sperava che il padre arrivasse presto a prenderli. Lo zio Ian gli aveva spiegato che in tutti quegli anni non erano ancora riusciti a capire come funzionasse il collegamento temporale tra il presente e il Medioevo, ma soprattutto che il tempo scorreva diversamente. Gabe non faceva fatica a comprenderlo, in fondo erano passati solo pochi mesi da quando sua sorella Alex era ‘partita’ per la Francia, invece nel Medioevo era trascorsi molti anni. Per cui era convenuto con lo zio Ian che nella sua Phoenix potevano benissimo esser trascorse soltanto delle ore e magari in quello stesso momento i suoi stavano rientrando a casa dal lavoro. Ci avrebbero messo molto a capire quello che avevano fatto? Sicuramente si sarebbero accorti all’istante della loro assenza, ma avrebbero pensato che gli avesse disobbedito ancora e avesse spinto Matt a uscire? E se il computer avesse qualche grave danno? In fondo aveva ripetutamente tentato di richiamare il gioco e uscire come se nulla fosse, ma non era accaduto nulla. A differenza di Matt sempre più entusiasta di quella vita, Gabe s’incupiva ogni giorno di più. Quel posto non gli piaceva: c’erano troppe regole, ma specialmente troppe formalità e non c’erano i suoi amati videogame. Spesso si chiudeva nella camera, che gentilmente il conte di Grandpré gli aveva messo a disposizione, e immaginava i suoi genitori che scoprivano la loro assenza, sperando che fossero più vicini a riportare lui e Matt indietro. Solo Alex e lo zio Ian sembravano comprendere il suo stato d’animo, perciò spesso gli spedivano le bambine perché lo distraessero. E accidenti, era davvero bello essere zio, ma il Medioevo gli toglieva anche questo piacere alla fine: non poteva insegnare a Danielle e Jodie degli scherzi da fare ai genitori, specialmente alla madre e simili altre cose, perché avrebbe rischiato di farle comportare in modo non ‘consono’ al Medioevo e metterle anche nei guai.
Marianne era molto simpatica e alle volte si intratteneva in sua compagnia. Era veramente diversa dalle altre dame che popolavano la corte di re Luigi IX e proprio per questo, probabilmente, era seguita a vista d’occhio dalla madre Isabeau o da damigelle.
Michel si era rivelato molto più gentile rispetto al loro primo incontro e si era premurato, insieme alla moglie Celeste, di mostrargli il castello di Troyes e dintorni.
Aveva avuto, però, pochissimo tempo da trascorrere in compagnia dello zio Ian e di farsi un’idea precisa sul padrone di casa, poiché entrambi erano molto occupati con le riunioni del re.
 
♦♦♦
 
Una sera, poco prima di cena, Ian entrò, bussando a malapena, nella camera di Gabe. Il ragazzino era particolarmente di cattivo umore, poiché Matt l’aveva ignorato tutto il giorno, preferendo alla sua compagnia una battuta di caccia organizzata dal re. Ed era anche tremendamente eccitato quando gliel’aveva comunicato la sera prima. E se l’era pure presa quando gli aveva risposto che non aveva alcuna intenzione di seguirlo. Anzi gli aveva detto di rimanere al castello con lui, perché sentiva che suo padre sarebbe andato presto a prenderli. Matt si era rifiutato, affermando, con gran dispiacere di Gabe, che non gli interessava e che voleva godersi il più possibile quella nuova vita. Non gli era piaciuto per nulla che il suo migliore amico avesse parlato di ‘nuova vita’, perciò Gabe in quel momento era parecchio immusonito.
«Se non sei qui per dirmi che mio padre è arrivato, puoi anche risparmiare la voce».
Ian si accigliò lievemente e sospirò. «Sai che una risposta del genere non sarebbe stata tollerata da un padre medievale?».
«Tu non sei mio padre» replicò freddamente Gabe.
«Alex è entrata in travaglio».
«Eh?» chiese Gabe interdetto.
«Sta per partorire» replicò Ian pazientemente.
«Lo so che vuol dire, mia mamma è un medico» si pose sulla difensiva Gabe. «Ma come si fa? Dov’è l’ospedale?».
«Quale ospedale, Gabe? Siamo nel Medioevo, te lo sei dimenticato? Ci penserà la levatrice».
«Ma ce l’ha la laurea questa?» sbottò alzandosi, deciso a controllare che sua sorella stesse bene.
Ian lo fermò. «La levatrice è esperta, ha fatto nascere moltissimi bambini. Tu, dove credi di andare adesso?».
«Da Alex, naturalmente! Mark è dentro con lei?».
«No, Gabe».
«Un cavaliere del re non ha abbastanza fegato da assistere al parto della moglie?» lo interruppe Gabe.
Ian roteò gli occhi, ma tentò di non perdere la pazienza. «Il marito non entra nella stanza della moglie mentre partorisce. È una faccenda di sole donne».
«Questo posto è stupido! Voglio vedere mia sorella, subito!» ribatté Gabe.
«Ti porto da Mark e potrai fargli compagnia nell’attesa, ma devi smetterla di dire scemenze dalla bocca e…» iniziò Ian, ma fu nuovamente interrotto.
«Padre, è arrivato sir Daniel» disse Michel in compagnia di uomo alto, che Gabe riconobbe all’istante.
«Accidenti, quanto ci hai messo!» quasi urlò Gabe, abbracciandolo di slancio, sotto lo sguardo sorpreso di Michel. Al diavolo i Medievali e la loro anaffettività.
«Michel, per favore, lasciaci soli. Ti consiglio di raggiungere Mark. Lo conosci, sarà molto preoccupato» disse Ian.
«Sì, padre. Vado subito da lui».
Daniel, in un primo momento sorpreso dallo slancio del figlio, lo abbracciò a sua volta.
«Ci avete fatto preoccupare da morire» sbottò, quando sciolsero l’abbraccio. «E osi anche lamentarti?».
«Il Medioevo fa schifo» dichiarò Gabe.
«Che problema aveva Hyperversum stavolta?» domandò Ian.
«Hyperversum nessuno. Abbiamo avuto una visita non gradita in casa in nostra assenza. I ladri hanno tirato la presa e il computer si è spento. Per fortuna è scattato l’allarme e la polizia è intervenuta prontamente, ma quando io e Jodie siamo tornati a casa e non abbiamo trovato Gabe e Matt… ci è preso un colpo… La polizia ha interrogato i delinquenti, ma loro insistevano nel dire che la casa era deserta. Puoi immaginare in che condizioni eravamo quando siamo tornati casa dal commissariato… speravamo che i ragazzi fossero usciti per conto loro… ma i cellulari erano a casa. Jodie ha pensato di chiamare alcuni loro amici ed è entrata nel mio studio per usare il telefono…».
«Qui avete scoperto che avevamo usato il computer, dico bene?» lo interruppe Gabe, realmente dispiaciuto per le preoccupazioni causate ai genitori.
«Tua mamma ha notato la spina staccata, l’ha rimessa e il computer si è ravviato, così come il gioco e a quel punto ha capito e mi ha chiamato» precisò Daniel.
«Mi dispiace, Matt era giù di morale per la storia di suo zio, siccome gli piacciono terribilmente questi giochi… e poi non capivo che male potesse esserci in Hyperversum… ora lo so, ma se me l’aveste detto prima…».
«Abbiamo sbagliato» convenne Daniel. «Mi dispiace. Dov’è Matt?».
«Non lo so» replicò scontroso Gabe.
Daniel fraintese e preoccupato si rivolse a Ian.
«Probabilmente è nelle scuderie. Gli piace molto combattere e trova sempre qualche scudiero disposto ad allenarsi con lui» disse tranquillamente quest’ultimo.
«Prima di andare dobbiamo occuparci di Alex, papà. Zio Ian pensa di farla partorire senza un ginecologo. Dov’è la mamma?».
«Partorire? È già ora?» chiese sorpreso Daniel.
«È un po’ in anticipo, ma la levatrice è tranquilla» rispose Ian.
«Papà?! Non puoi permetterglielo! Alex ha bisogno di un medico vero!» strillò Gabe.
Daniel sospirò. «Tua sorella ha fatto la sua scelta. Comunque vado a prendere tua madre, se si dovesse perdere la nascita del nipotino, mi ucciderebbe».
 
♦♦♦
 
Alex era contenta, sfinita ma contenta. E non perché avesse dato a Mark l’erede maschio tanto desiderato, ma perché, per la prima volta da anni, la sua famiglia era riunita. Certo, mancavano lo zio Martin e la nonna Silvia, ma non si poteva pretendere troppo dalla vita. La mamma le accarezzava la testa in quel momento, mentre gli altri decantavano il piccolo erede. Nulla le aveva dato più coraggio durante il parto che vedere entrare all’improvviso Jodie Freeland.
«Lo chiameremo Gael» annunciò Mark. Alex non commentò, gli aveva promesso che se il bambino fosse stato davvero un maschietto, avrebbe potuto scegliere lui il nome.
Gabe era felice per il nipotino e la presenza dei suoi genitori lo metteva a suo agio più di quanto lo fosse stato nei giorni precedenti. Matt, però, lo preoccupava maggiormente. Quando aveva visto suo padre, non era stato per nulla felice, anzi ne era rimasto visibilmente scontento. E adesso, mentre tutti festeggiavano, aveva chiesto allo zio Ian di potergli parlare in privato ed erano spariti da un bel pezzo.
Ian rientrò in quel momento, neanche l’avesse chiamato con il pensiero, ma non lo guardò nemmeno. Attirò l’attenzione di Daniel e lo invitò a uscire fuori.
Un peso si depositò sul cuore di Gabe e il presentimento che aveva avuto negli ultimi giorni s’impossessò di lui.
«Gabe, avvicinati» lo chiamò la madre sorridente.
Il ragazzino obbedì controvoglia e nel giro di pochi secondi si ritrovò il piccolo Gael tra le braccia. Per un attimo dimenticò tutti i brutti pensieri.
 
♦♦♦
 
«Mi mancherete» disse Alex abbracciando i genitori e per ultimo Gabe.
«Torneremo a trovarti» promise Jodie, commossa quanto la figlia.
«Sì, stai tranquilla» disse Daniel.
«Quanto ci hai messo?» quasi urlò Gabe a Matt appena entrato nella saletta, che il conte aveva messo loro a disposizione.
Matt, vestito come un perfetto scudiero, era terribilmente incerto su quali fossero le parole giuste per confessare la sua scelta al suo migliore amico. «Ho deciso di rimanere qui. Sarò lo scudiero di Ian».
«Sei impazzito?» urlò Gabe, attirando l’attenzione di tutti su di loro.
«No, ho riflettuto a lungo e ho preso la mia decisione» replicò pacatamente Matt.
«Non puoi farlo. Non puoi sparire così. Diteglielo…» disse Gabe rivolto ai suoi genitori.
«Ho parlato con suo zio, ho ottenuto l’affidamento di Matt. Diremo che è andato in una scuola privata in Europa, perché aveva necessità di dimenticare i recenti avvenimenti. Lo faremo tornare durante le vacanze per rendere la cosa credibile, almeno finché non compirà diciotto anni» spiegò Daniel.
Gabe si sentì pugnalato. «La fate facile a mandare tutti in Europa a studiare. Me ne vado io in Europa e voglio vedere!» urlò Gabe.
«Gabriel, io non sono felice a Phoenix. Se sei mio amico non mi costringere a tornare» lo supplicò Matt.
E Gabe cedette.
 
♦♦♦
 
Gabe osservò suo padre in silenzio, mentre sistemava i parametri del personaggio di Matt e, infine, chiudeva il computer.
«Non so proprio come tu faccia» gli disse.
«Che cosa?» replicò Daniel.
«Hyperversum ti ha portato via una figlia e il tuo migliore amico. A me ha preso solo il mio migliore amico e non riesco a non odiarlo. Se non precludessi anche a voi la possibilità di vedere Alex, lo distruggerei».
Daniel sospirò. «Alla fine hai accettato la decisione di Matt, perché sapevi che null’altro l’avrebbe reso più felice. Io ho fatto lo stesso con Alex e Ian».
Gabe comprese perfettamente le sue parole e annuì. «Fa comunque molto male» confessò dopo qualche secondo.
«Spesso ci vuole coraggio a render felici le persone a cui vuoi bene» sentenziò Daniel abbracciandolo.
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Vi chiedo scusa per aver impiegato così tanto tempo per aggiornare e spero che il finale non vi deluda.
Questa storia è nata come un piccolo regalo per due persone a cui voglio molto bene e che sono molto appassionate di questa saga. Personalmente ho letto tutti i romanzi di Hyperversum e mi sono piaciuti tantissimo, ma il mio amore indiscutibilmente sarà sempre e solo per Harry Potter. Adesso, a circa un anno di distanza (decisamente troppo tempo!), finalmente metto la parola fine a questa breve storia. Spero che almeno un po’ vi sia piaciuta e che piacerà anche alle persone a cui di fatto è dedicata.
A presto,
Carme93

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