I Figli di Tanaros - Vol.I

di Eleanor S MacNeil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap. 1 ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 ***
Capitolo 4: *** Cap. 3 ***
Capitolo 5: *** Cap. 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***







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I Figli di Tanaros - Trailer





Prologo







«Anticamente i regni erano una terra unica, fertile e incontaminata dalla mano dell'uomo. Cinquecento anni fa, un gruppo di coloni approdò sulle coste di quello che oggi è il regno di Crùn. Fuggivano dalla devastazione della loro terra natale, morte e guerra avevano consumato la loro patria e, impauriti, avevano scelto di solcare il mare per colonizzare e trovare la pace.» era la voce della loro madre, quella nota calda e dolce che aiutava a chiudere occhio. Adoravano la storia degli antichi, soprattutto quando era Seraphi a narrarla. «L'antico impero era caduto e ai sopravvissuti non era restato altro che la speranza in una vita migliore su Dòchas. I coloni erano capitanati da quattro nobili, rappresentanti le quattro principali famiglie che, fino a quel momento, aveva fatto parte del consiglio della corona dell'antico impero. Dòchas ospitava già da tempo un piccolo gruppo di donne.»

«Erano le sacerdotesse, madre?»

«Sì, mia piccola Soraya, erano le sacerdotesse della dea Àrsaidh, giunta molti secoli prima della colonizzazione per custodire in queste terre i mistici segreti della dea, la custode del destino. I quattro clan lasciarono loro l'isola di Coltas, già da tempo loro tempio, e, ben presto, colonizzarono questa terra, dividendola in cinque regioni e quattro regni, Crùn, Logh, Keyll, Talamh e la regione di Clagh, le miniere dei regni.» Seraphi guardò sua figlia Soraya negli occhi, accarezzandole i capelli neri. La piccola di quasi cinque anni non voleva proprio saperne di dormire, mentre Erik chiudeva ed apriva gli occhietti ogni volta che sentiva la voce della gemella. «Ad est, oltre le montagne che dividevano Dòchas, sorsero i regni di Keyll e Logh, la regione dove risiede la saggezza delle sacerdotesse e dei sacerdoti e dove, nella baia di Adhar, sorge la famosa e sacra isola di Coltas.»

«Il regno dove sei nata?» stavolta fu Erik a porre la domanda, con sguardo assonnato.

Seraphi gli accarezzo i capelli biondi. «Sì piccolo mio. Poi ad ovest, fu fondata la regione di Clagh ed i regni di Talamh e Crùn. I quattro re si suddivisero i regni e Clagh, promettendosi pace e trasparenza, alleanza e sostegno l'un l'altro. Dòchas non doveva conoscere carestie o morte, tanto meno battaglie e sangue, ma molti anni dopo, sul letto di morte, la regina di Logh, Aiyana Nathair-sgiathach, pronunciò una profezia che ancora oggi aleggia nell'aria di questa terra.»

«Cosa dice la profezia, madre?» domandarono all'unisono i due bambini.

«Quando il tempo di cinque volte cento giungerà, l'ambizione ed il potere porteranno la guerra e Dòchas verrà bagnata da un'onda di sangue e morte. Una regina porterà la guerra, un'altra porterà la morte, e dal mare antichi nemici giungeranno per reclamare Dòchas. Quando i re cadranno nuovo sangue regnerà.»

«Aiyana era la tua antenata, madre?» Soraya spalancò i grandi occhi blu, sorridendo alla madre.

Seraphi le sorrise di rimando, scostandole una ciocca di capelli dalla fronte e lasciandole un bacio per poi spostarsi e lasciarne uno ad Erik, ormai mezzo addormentato. «Anche la vostra, piccoli miei.» con fatica Seraphi si alzò dal letto, reggendosi il pancione di nove mesi.

«Cosa significa il tempo di cinque volte cento?»

«Non lo so, ora dormi, Soraya!»

«Buona notte, madre.»

«Buona notte, miei piccoli scorpioni.»


...Tredici anni dopo...


Sua madre era morta sul finire della primavera, subito dopo aver dato alla luce il piccolo Marek. Soraya guardò la statua raffigurante Seraphi, ricordando quell'ultima volta in cui l'aveva vista serena e in pace. Era spirata poco dopo il parto, tenendo i suoi tre figli tra le braccia. Soraya non aveva più pianto da quella notte, si era fatta forza, rifugiandosi nei ricordi e nelle favole della sua nutrice, raccontando al fratello Marek chi fosse la madre e quanto fosse dolce e protettiva. Lei ed Erik si erano presi in carico l'educazione del giovane, cercando in ogni modo di non fargli mancare la figura materna.

Dopo il funerale suo padre, re Markos an Sgairp, sovrano di Crùn, aveva fatto erigere un piccolo mausoleo nei giardini della Rocca, sul lato sud, da dove si poteva ammirare la baia di Liath ed il porto. Era un piccolo gazebo di marmo bianco circolare, con sette colonne, ognuna a rappresentare una delle dee e, al centro, la statua raffigurante l'amata regina Seraphi Nathair-sgiathach. Ogni notte il re faceva accendere le candele ai suoi piedi, talmente tante da illuminare quell'angolo del giardino e, attorno al gazebo, negli anni, erano stati piantati gigli bianchi in ricordo della defunta. Là, circondata dai fiori e gli alberi del giardino, sembrava una dea.

«Era così bella» sospirò Soraya, piegando la testa di lato. Ricordava ancora i lunghi capelli biondi come il grano e gli occhi blu di Seraphi. Da piccola si soffermava spesso a guardarla mentre si pettinava o tesseva al telaio. A differenza di molti matrimoni reali, suo padre l'aveva sposata per amore e non per politica. Ora la nuova regina, Antee, figlia del re di Talamh, era stata scelta per riempire un posto vacante e non per amare Markos. Per sua fortuna, lei aveva sposato l'uomo amato, sebbene quella scelta l'aveva portata a rompere un fidanzamento politico voluto dal padre.

«Sapevo di trovarti qui.»

La giovane si voltò, osservando la figura massiccia del fratello farsi avanti con passo pesante. Gli sorrise, riportando lo sguardo sulla statua. «Sono così prevedibile, Erik?»

«No, la tua arroganza supera la tua prevedibilità!» esclamò lui, dandole un colpo con la spalla.

«E così, la data delle nozze è stata decisa.»

«Quattro settimane da oggi.» annuì Erik, contraendo i muscoli della mandibola.

«Nostro padre vuole vederti sposato prima del tuo diciottesimo compleanno.»

«Nostro, dimentichi troppo spesso che siamo gemelli.»

«Non me lo ricordare» sospirò lei, ridendo lievemente. «Ti sopporto da fin troppo tempo.»

«Ed io no?» Erik scoppiò a ridere, porgendole un braccio per condurla verso la Rocca, il palazzo reale. «Io mi sposerò tra quattro settimane e tu, tra pochi mesi, lascerai Crùn per diventare regina di Logh.»

«Ti mancherò, fratello?»

«Ricordi cosa ci disse nostra madre, prima di morire?»

«Noi siamo gemelli, due metà della stessa anima.»

«Esattamente. Possiamo anche separarci, vivere in due regni distanti, ma saremo sempre l'uno parte dell'altra, in eterno.»

«Ed io che pensavo non ci fosse niente in quella testa da caprone che ti ritrovi!»

Erik rise, spintonandola leggermente. «Vedrai, anche se sentirai la mancanza di casa nostra, non riuscirai a dimenticarti di tutto questo» le disse, indicandole la città fuori dalle mura della Rocca, dal punto alto del giardino potevano ammirarla in tutto il suo splendore. Il fulcro nevralgico di Crùn, Rìoghachd, si estendeva lungo il fiume Uisge che la attraversava. Era un insieme caotico di case e piccoli edifici di pietra, dove i fabbri forgiavano le armi migliori di tutta Dòchas e venivano addestrati veri e propri guerrieri. Non solo gli uomini, ma anche le donne apprendevano l'arte del combattimento, gli abitanti del regno o diventavano soldati dell'esercito, oppure pescatori o fabbri.

Erik aveva ragione, ma Soraya temeva di dimenticare il volto della madre, se si fosse allontanata dal regno e dalla sua casa. Logh era così lontano, oltre le montagne, a due settimane di marcia, ma questo la rendeva più vicina alle sue origini e a quelle di sua madre Seraphi.

Dopo la sua morte la corona era passata a lei, in quanto unica discendente della casata e, suo suo zio Calder, fratello minore della madre, aveva giudiziosamente amministrato le terre di Logh in sua vece, ma ora il suo diciottesimo compleanno si stava avvicinando e, con esso, l'incoronazione.

Sovrana di un regno che conosceva poco, era questo il suo destino. Un fato che non voleva, ma necessario per evitare che altri avanzassero diritti su Logh. Diversi nobili da anni avevano posato lo sguardo sulle vaste terre del regno di sua madre, sui pascoli di pecore, sulle risaie e sui campi d'orzo e lavanda, ma più di tutto faceva gola il giacimento d'oro ai piedi della montagna di Òir, nella miniera ritenuta sacra dai sacerdoti del dio Geamhradh, il sovrano dei morti e degli inferi. Si diceva che la miniera fosse l'entrata del suo regno.

Proteggere Logh dagli sciacalli era il suo compito e doveva esserne la regina per poter ottemperare a tale incarico. Non poteva lasciare che uomini vanesi e avidi entrassero nella montagna sacra e rubassero al dio senza occhi l'oro dei morti, come ormai era stato battezzato.

Mai disturbare gli dei, diceva sempre Azar, la sua balia, si rischiava d'incorrere nella loro ira e di vedersi portare via tutto ciò che si amava.




Pronunce:

Dòchas – Dochès la H aspirata

Logh – Logh GH aspirata

Talamh – Taloch CH aspirata

Keyll – Chil

Clagh – Clagh H aspirata

Crùn – Crun, con la u chiusa

Coltas – Colter

Adhar - Aar

Àrsaidh – Aarsid

Liath – Lit

Nathair-sgiathach – Naar-sghiea la TH è quasi assente nella pronuncia di Nathair, non si sente, la H aspirata

an Sgairp – en Sgheirp

Rìoghachd – Riaach CH aspirata

Tuath - Tua

Uisge – Osghe O chiusa

Òir - Or

Geamhradh – Ghiamrad




Angolo Autrice:

Questa storia è la trasposizione originale della mia fan fiction Fire and Blood, liberamente ispirata a Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R. R. Martin.

É la mia prima fantasy, quindi se avete consigli, accorgimenti o quant'altro, siete i benvenuti.

I nomi dei luoghi ed i cognomi dei personaggi sono la traduzione in gaelico scozzese di nomi comuni di cose e animali.

Per qualsiasi cosa, critiche, accorgimenti, consigli, siete i benvenuti, non si cresce solo con i complimenti, ma solo grazie a critiche costruttive e ad una sana conversazione civile.

Avendo aggiunto un nuovo personaggio alla prima versione, sto revisionando i capitoli, aggiungendo e apportando modifiche varie alla trama. Quindi se troverete discrepanze tra un capitolo e l'altro è a causa di tale revisione in corso. Prevedo di riuscire a pubblicare i capitoli revisionati nel giro di una settimana, in caso...abbiate pazienza, a breve arriveranno anche gli altri.

Mappa Dòchas

Ele.

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Capitolo 2
*** Cap. 1 ***













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I Figli di Tanaros – Trailer

I Figli di Tanaros – This is War

Soraya an Sgairp – Broken Crown



Cap. 1

Crùn








In piedi, sopra la scarpata, guardava la valle sotto di lei. Cadaveri e sangue ornavano la terra, corvi neri dalle ampie ali banchettavano sui corpi dei caduti, il canto dei lupi la travolse, nefasto e terrificante. Un teatro di orrori e supremazia, quanto poteva essere oscuro l'animo degli uomini.

Soraya guardava quello scempio con occhi terrorizzati. Sentiva il cuore batterle all'impazzata mentre scrutava tra i volti dei cadaveri, cercando qualcuno di sua conoscenza.

All'improvviso il cielo si fece terso e nuvole rosse oscurarono il sole, rendendo quella visuale più cupa e tetra. La pioggia cominciò a cadere, ma a bagnarle il volto non era acqua, ma sangue caldo e denso che cominciò a sporcarle la veste bianca. Sentiva il sapore ferreo nella bocca, la vista si offuscò e sentì il terreno cedere sotto i suoi piedi, lasciandola cadere in mezzo ai cadaveri. Si sollevò, cercando di tenersi in equilibrio tra quei corpi e arti morti, ma era tutto inutile, sembrava che le sue gambe fossero paralizzate. Poi, guardandosi attorno, scorse uno stendardo sventolare su una lancia. Il blu marino con lo scorpione nero degli an Sgairp era logoro e sporco, ma sembrava svettare in mezzo a quel mare di morte e sangue.

«Devi fermarlo.»

Soraya si voltò di scatto, cercando la fonte di quella voce, ma c'erano solo i corvi che volavano sopra la sua testa.

«Prima che un'altra alba giunga.»

«Chi sei?» urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, guardandosi attorno. «Cosa vuoi da me?»

«Sono io, mio piccolo scorpione.» Occhi blu come il mare, capelli biondi come il grano e una veste bianca che pareva non toccare terra, ma sporca di sangue sul ventre. Sua madre la stava osservando con le mani giunte, il volto pallido e lo sguardo vuoto di chi aveva perso la vita.

«Madre.»

«Ogni uomo combatterà la propria guerra, è inevitabile, figlia mia. Il nostro è un mondo di cenere e morte e nessuno vi può sfuggire.» Parole criptiche quelle di Seraphi, tanto quanto quel campo di battaglia dove la carneficina aveva avuto luogo.

Cercò di muoversi, ma le sue gambe erano come bloccate, inghiottite dalla terra sporca di sangue. Si divincolò nel tentativo di liberarsi, ma più si muoveva, più sprofondava.

Paura, ansia, rabbia. Poi il buio e tutto divenne ombra.

Soraya spalancò gli occhi, alzandosi di scatto. Era nella sua stanza, nel suo letto, a Rìoghachd. Si guardò attorno, respirando affannosamente. Un altro sogno, un altro incubo.

Fuori la notte regnava sulla capitale del regno di Crùn e il mare s'infrangeva contro l'alta scogliera su cui sorgeva la Rocca. D'istinto si alzò, uscendo sul balcone per osservare il mare di Iar.

Il castello sorgeva su uno dei corni che delimitavano la baia di Liath, da lì poteva scorgere il faro e il porto. Alla sua destra il mare, alla sua sinistra la baia e, dietro di lei, Clagh e le miniere.

Lasciò che la brezza marina le sfiorasse il viso, muovendo i lunghi capelli sciolti sulla schiena. Era così inebriante, restare ferma con gli occhi chiusi ed il rumore delle onde ad animare i suoi pensieri. Le navi ondeggiavano nel porto, il faro illuminava la baia conducendo le imbarcazioni in acque sicure. Perfino le stelle, quella notte, sembravano voler alleviare i suoi pensieri, risplendendo nel cielo notturno. Solitamente, quando si svegliava da un incubo, Ragnar, suo marito, la rassicurava, ma quella notte non era nel letto con lei. Con il Re a Clagh metà della Guardia Corvina era con lui e Ragnar ne faceva parte.

«Non riesci a dormire?» domandò una voce maschile alle sue spalle. Erik la stava guardando preoccupato, in piedi sulla porta.

«Tu che ne dici?»

«Un altro incubo?»

«A volte ho paura ad addormentarmi» rispose Soraya, lasciando che il gemello l'abbracciasse. Era molto più alto di lei, con spalle larghe e fisico prestante; un guerriero biondo scuro con occhi azzurri, una perfetta combinazione tra il padre e la madre.

«Posso restare con te, se vuoi» disse Erik, baciandole la testa e cullandola nel suo abbraccio. «Come quando eravamo bambini.»

«Come quando eravamo bambini» ripeté lei, lasciando che le cure di Erik spazzassero via le immagini dell'incubo.


***


«Tre settimane.» Andràs guardava lo stendardo della sua casata dove un cervo dorato ed un lupo nero svettavano su uno sfondo verde.

Mancavano tre settimane alle nozze di sua sorella Dyani con il principe Erik ed il pensiero non lo entusiasmava. Sapeva ben poco del principe, conosceva solo alcune usanze del regno di Crùn, come quella d'insegnare alle donne l'arte del combattimento, la stessa principessa Soraya, gemella di Erik, sapeva usare la lancia.

Il re, suo padre, aveva usato una strana analogia per spiegare questa tradizione. “Gli an Sgairp hanno il sangue dei guerrieri. Uomini e donne devono essere un tutt'uno con la spada come uno scorpione ha nella coda la sua arma.

Andràs si passò una mano tra i capelli castani, voltandosi poi per rientrare nel castello. I preparativi erano ormai iniziati da giorni, sua madre aveva riempito bauli di abiti e cianfrusaglie che completavano il corredo nuziale di Dyani e le ancelle parlottavano fra loro indecise su chi avrebbe seguito la giovane principessa nel nuovo regno.

«Ansioso?» Ivar, suo fratello, gli si parò davanti mentre entrava nella sala principale. «Io lo sarei.»

Stessa altezza, stessi capelli castani, solo in alcuni tratti i due fratelli differivano. Se Andràs possedeva occhi grigi e lineamenti marcati come il padre, Ivar li aveva verdi, come quelli della madre, ed un volto dal mento appuntito e affilato. Avevano un anno di differenza, ma a guardarli non si notava. Andràs era un ventenne che si rifugiava nella foresta di Firth a cacciare con arco e frecce, bravo con la spada e dal carattere fiero, un re in piena regola. Ivar, al contrario, preferiva i libri e le donne dei bordelli alla caccia e alla strategia militare. Non erano come gli an Sgairp, un clan di guerrieri e pescatori, le cui donne sapevano combattere come uomini.

«Credi che Erik tratterà bene nostra sorella?» domandò Andràs.

«Di sicuro tratta con rispetto la sorella. Dicono che a volte dormano perfino nello stesso letto.» Ivar scrollò le spalle, avviandosi per i corridoi del castello insieme al fratello. «Sono gemelli, i sacerdoti hanno credenze molto ferree a riguardo. In più il loro regno ha usanze molto differenti dalle nostre, probabilmente nessuno pensa che sia sconveniente, ma io...io ho seri dubbi che sia solo affetto fraterno.»

Andràs non riusciva a capire dove Ivar volesse arrivare con quel discorso. Lo guardò curioso, aggrottando la fronte e guardandolo dubbioso. «Pensi che abbiano una relazione?»

Ivar alzò le mani in segno di resa. «Penso che sia strano che una principessa sposi una guardia reale e, di tanto in tanto, divida il letto con il fratello gemello.»

«Chi divide il letto con il proprio fratello gemello?»

Ivar e Andràs furono presi alla sprovvista quando sentirono la voce della sorella. Dyani era arrivata alle loro spalle con passo leggero, accompagnata dal fruscio dell'abito verde scuro in tinta con gli occhi grandi e dolci. Le labbra carnose ed i capelli lunghi e castani la facevano sembrare una statua di qualche bella ancella delle antiche leggende. Erik stava per sposare la più bella fanciulla di tutta Dòchas.

«Pettegolezzi, cara sorella.» Ivar sorrise alla sorella, dando una gomitata nelle costole ad Andràs invitandolo ad assecondarlo.

«Ivar stava solo riportando un pettegolezzo udito alla taverna.»

«Non dovremmo essere noi donne a raccontare pettegolezzi?» domandò Dyani, sbattendo le lunghe ciglia. «Oppure state di nuovo confabulando sul mio futuro sposo?»

«Siamo solo preoccupati per te» affermò Andràs, ricevendo un'occhiata torva da Ivar. «Vogliamo solo essere sicuri che il principe Erik ti tratti come di dovere e non come...»

«Come una fanciulla qualunque?»

«Esattamente, Dyani. Vogliamo solo proteggerti.»

«E questo vostro atteggiamento protettivo implica pettegolezzi riguardanti un presunto incesto tra il principe Erik e la principessa Soraya?»

«Esattamente!» esclamò Ivar, annuendo animatamente. «Anche se il vostro è un matrimonio combinato, resta pur sempre un matrimonio e tradire la propria moglie con la sorella non mi pare consono.»

Dyani sorrise, sebbene quel gesto sembrò più una smorfia di rassegnazione. «Vi ringrazio per le vostre premure, ma ormai la data delle nozze è stata fissata ed io devo rallegrarmi di ciò, in fondo diventerò la futura regina di Crùn e, se non dovessi riuscire ad amare il mio sposo, amerò i nostri figli più di ogni altra cosa al mondo.»

Rassegnazione. Ecco cosa videro negli occhi della sorella i due uomini. La guardarono allontanarsi con il capo sollevato ed il mento alto, ferma, regale, come solo una principessa poteva essere. Un portamento aggraziato totalmente differente da quello grezzo e arrogante della futura cognata.


***


«Io sono Soraya an Sgairp, figlia di Markos an Sgairp e Seraphi Nathair-sgiathach» urlò, cercando di convincere le guardie a lasciarla passare, ma non ebbe successo. Accadeva sempre quando cercava di raggiungere le stanze di suo padre e nei dintorni c'era Antee. La regina e lei non andavano molto d'accordo, sin da quando aveva memoria.

«É inutile che lo ripeti, mia piccola principessa, loro rispondono solo ai miei ordini.» Antee arrivò con passo flemmatico e il portamento degno di una regina. Era la figlia minore di re Egor di Talamh, una principessa di nascita, abituata al lusso e alla nobiltà, non conosceva e non approvava gli usi meno sfarzosi di Crùn, dove il metallo più pregiato era l'acciaio delle spade e non l'oro dei gioielli. Una donna scaltra, viziata e troppo altezzosa che non conosceva le armi o il sapore del sangue.

«Io non sono la vostra piccola principessa, Antee!» disse a denti stretti Soraya, guardandola in quegli occhi castano chiari che lei disprezzava. Era bella, dal fisico asciutto, la pelle chiara e il portamento regale. I lunghi capelli castano chiari raccolti in un'elaborata acconciatura, gli orecchini d'oro pendevano dai lobi con perline d'ambra e sul volto quel ghigno vittorioso che le mostrava sempre.

Antee le sorrise, sorpassandola, seguita dalle sue ancelle. «Soraya, io sono la Regina, mentre tu sei solo...solo una piccola principessa!»

Soraya osservò la matrigna allontanarsi, quanto avrebbe voluto prenderla per i capelli e gettarla in mare. Antee aveva sposato suo padre due anni dopo la morte di Seraphi, un anno più tardi aveva dato alla luce Sahen, un fanciullo fin troppo pieno di sé incapace d'impugnare una spada. Il bambino ora aveva dieci anni, ma non possedeva nulla di suo padre, a parte il nero dei capelli.

Con passo spedito entrò nelle stanze di Markos, trovandolo seduto allo scrittoio intento a firmare dei documenti reali. «Ancora mi domando perché l'avete sposata!»

«Credimi, è la stessa domanda che mi pongo da ben undici anni.» Markos era un uomo muscoloso, imponente, con lo sguardo freddo e la barba nera a coprirgli la bocca. Un guerriero, un capo, un leader, il cui volto era sfregiato da una lunga cicatrice sul lato destro che partiva dalla fronte ed arrivava al mento. «Ansiosa per le nozze imminenti?»

Soraya sorrise all'indirizzo del padre, piegando la testa di lato. «Io mi sono sposata tre mesi or sono, quello ansioso dovrebbe essere Erik, non io.»

«Tuo fratello trascorre troppo tempo sul campo di addestramento e nei bordelli per pensare al suo stato d'animo.»

«Ha una relazione più intima con la sua spada che con una qualunque prostituta.» Soraya ascoltò il padre esplodere in una fragorosa risata. «Grazie agli dei sei tornato presto, mi sei mancato.»

Markos si alzò, avvicinandosi alla figlia, sovrastandola, le prese il volto tra le mani, per gli dei, aveva gli occhi di sua madre, con quella voglia di vivere che faceva invidia perfino al sole e alla luna. Blu come il mare in tempesta, lo stesso mare che i loro avi avevano solcato per fuggire dall'antico regno. Blu, come il vessillo della famiglia.

«Mi ricordi tua madre.»

«Lo so» sussurrò Soraya, abbassando il volto.

«Sembri stanca.» Come ogni volta che si sfiorava il discorso “Seraphi”, Markos cambiava subito argomento. Erano trascorsi tredici anni, ma la ferita ancora bruciava come fosse stata appena inferta. «Ancora i tuoi sogni?»

Soraya annuì, mentre suo padre si allontanava, avvicinandosi al balcone, guardando l'esterno. «Ultimamente sono sempre più frequenti.»

«Dovresti provare a pensare meno alle storie che ti racconta Azar, sono quelle che ti turbano.»

«Io credo che siano altro» protestò lei. «Ricordi la profezia di Aiyana?»

«Quella favoletta che ti raccontava tua madre?» Markos si voltò, odiava parlare di superstizioni e magia, non esisteva nulla del genere, erano solo storie per far addormentare i bambini. «Non è altro che un'invenzione.»

«Eppure sento sempre una voce nei miei sogni, una donna che la ripete di continuo, e poi il sangue e la devastazione. La terra di Dòchas macchiata di rosso e la guerra.»

«Azar dovrebbe smetterla di raccontarti le storie del passato, sei una donna sposata, hai quasi diciotto anni, non hai bisogno di queste fandonie!» urlò il re, voltandosi di scatto verso la figlia. «Sei la principessa di Crùn, mia figlia, e non accetto che ti lasci influenzare da certe favolette.»

«É vero, ma sono pur sempre la futura regina di Logh e ben sai quanto gli abitanti del regno siano superstiziosi e inclini a credere a quelle che chiami favole della buona notte, padre!» Soraya non ascoltò oltre, girò i tacchi ed uscì dalla stanza. Discutere con suo padre dei sogni che faceva era totalmente inutile. Lui li definiva solo sciocche fantasie, ma restava il fatto che, al suo risveglio, Soraya aveva il terrore di riaddormentarsi.

Era consapevole che, probabilmente, i suoi sogni non erano altro che lo specchio delle sue paure, ma c'era una parte di lei che sentiva di aver ragione riguardo ad Aiyana, l'antica regina di Logh il cui dono della preveggenza era noto in tutti i regni. Non credeva di averlo ereditato, ma c'era qualcosa in lei che la spingeva a pensare che qualcuno volesse dirle qualcosa con quei sogni terrificanti.

Sconsolata Soraya si lasciò andare contro la porta della sua stanza, stringendosi le ginocchia al petto. Ormai doveva esserci abituata, mai contestare suo padre quando si trattava di favole e leggende. Lui era un uomo con i piedi ben piantati a terra e non poteva di certo sperare che di punto in bianco cambiasse idea e le credesse su due piedi. No, lui era quello che credeva solo se vedeva.

Sospirando portò lo sguardo sul bracciale che portava al polso sinistro, l'ultimo ricordo che aveva di sua madre. Una fascia rigida riportante due serpenti uno d'argento ed uno d'oro, intrecciati tra loro, l'uno mordeva la coda dell'altro, in modo che quel groviglio ordinato e rotondo fosse infinito, era lo stemma della casata di sua madre, il cui sangue scorreva nelle sue vene. L'ultima della discendenza e la sola legittima erede al trono. Presto, nel giorno del suo diciottesimo compleanno, come da tradizione, avrebbe giurato sul Sangue delle Regine, l'antico codice di leggi di Logh, diventando a tutti gli effetti regina.

Chissà come sarebbe stato, vedere per la prima volta le terre di sua madre, quelle distese verdi brulicanti di fiumi e laghi. Si diceva che il castello della famiglia reale sorgeva sulle pendici della montagna, proprio sopra un dirupo, raggiungibile solo tramite un ponte che sovrastava il torrente. Davanti la valle, dietro la montagna e tutta Logh ai piedi. Presto avrebbe lasciato le mura della Rocca, abbandonando Rìoghachd per abbracciare la sua nuova vita, la corona e il fardello che ne conseguiva.

Avrebbe detto addio ad Antee ed al suo disprezzo, a Sahen e alla sua faccia tosta. Perfino suo zio Slane, il fratello minore di suo padre, non le sarebbe mancato. Voleva andarsene e lasciarsi alle spalle ogni singolo dispiacere, ricordandosi solo le risate con suo padre, il volto sorridente di sua madre, il primo incontro con Ragnar ed il loro matrimonio. Eppure aveva paura di quel viaggio, di quel nuovo ruolo al quale era stata predestina prima ancora di nascere. Essere regina voleva dire sacrificio, prigionia e doveri ai quali lei voleva sfuggire. Perché era nata con quel titolo? Quanto avrebbe voluto essere semplicemente Soraya, la moglie di Ragnar.

«Gli dei non tollerano vedervi piangere, mia signora.» Fu la voce di Azar a riportarla alla realtà. Quegli occhi verdi la scrutavano dolci e materni, come quelli di una madre.

«Non stavo piangendo.»

«Stavate per farlo.»

Saggia Azar, quante volte l'aveva consolata, impedendole di piangere. Dalla morte di Seraphi era stata la figura più vicina ad una madre che lei aveva.

Soraya si rialzò, sistemandosi l'abito blu scuro. «Gli dei dovrebbero pensare a impedire che le bambine diventino orfane di madre, piuttosto che alle mie lacrime.»

«Gli dei, mia cara, hanno un piano per ogni cosa, basta solo saper guardare oltre.»

«Sicura di non essere una sacerdotessa dell'isola di Coltas?» a volte Azar la sorprendeva con frasi sugli dei tipiche delle sacerdotesse dell'isola sacra, ma poi la guardava negli occhi e capiva di sbagliarsi. Le donne votate alla dea Àrsaidh possedevano gli occhi ambrati tipici delle veggenti e capelli rossi come il fuoco, Azar, al contrario, aveva iridi verde pallido e capelli ingrigiti dall'età.

«Ne sono sicura.»

«Mio marito è tornato?» domandò, notando l'assenza dell'armatura nera di Ragnar.

«Non ancora, ma non siate così tesa, sono certa che la notizia lo renderà molto felice.»

Soraya aggrottò la fronte per poi aprire bocca per ribattere. «Cosa?»

Azar le sorrise, avvicinandosi e posandole una mano sul ventre piatto. «Dimenticate che ho fatto nascere voi ed i vostri fratelli. Io so quando una donna porta in grembo una nuova vita e voi, mia dolce Soraya, ne custodite una.»

«Non sono incinta.»

«Ne siete sicura?» Azar la guardò sorniona. «Molto appetito, nausea persistente, stanchezza, seni doloranti ed è ormai un mese che il vostro sangue mensile si è fermato.»


***


Tenendo leggermente sollevate le gonne dell'abito imboccò il corridoio che conduceva al cortile, ben presto cominciò a sentire l'acciaio delle lame accozzare tra di loro ed i versi del fratellino che cercava di battere il suo avversario.

Sorrise quando, affacciandosi, vide Marek destreggiarsi abilmente con la spada. Ser Riley Gaisgeach, maestro d'armi e comandante della Guardia Corvina, lo stava sfidando con spade d'acciaio senza filo, proprio per abituare il ragazzo al peso dell'arma.

«Nostro fratello migliora ogni giorno che passa.» Soraya affiancò Erik, appoggiato ad una delle colonne, con le braccia conserte e lo sguardo fisso sul giovane fratello di appena tredici anni. «Presto potrà allenarsi nell'arena, ancora due anni e riceverà il marchio.»

«Sei sempre ottimista, vero sorellina?» Erik le sorrise con quel ghigno strafottente che le rivolgeva ogni volta.

«Ti ricordo che siamo gemelli, la differenza d'età tra noi si misura in minuti.» Soraya odiava quando Erik la chiamava sorellina. «Sei più grande di sette minuti, Erik, questo non ti dà il diritto di chiamarmi sorellina.»

Erik sorrise, alzando le mani in segno di resa a guardandola negli occhi. «Credo che mi mancherai.»

«Anche tu mi mancherai.»

Il gemello le sorrise, allargando il braccio destro per invitarla accanto a sé, stringendola in un abbraccio forte.

«Hai visto Ragnar?»

«Sta informando i soldati della guardia degli ultimi accorgimenti per l'arrivo dei Cù Allaidh.» Erik guardò la sorella con un sorriso divertito e mascalzone. «Già vuoi accoglierlo a gambe aperte?»

Soraya non si sorprese della sua volgarità, vi era abituata. Avendo avuto come unico riferimento femminile Azar, era stata cresciuta più come un maschio che come una femmina. «Smettila con queste volgarità, sai che odio quando fai battute oscene che mi riguardano. Ho solo una notizia da dargli e vorrei farlo il prima possibile.»

Erik corrugò la fronte, guardandola curioso. «Non sarai incinta?»

Soraya non rispose, il rumore delle ovazioni del padre verso Marek li distrasse da quella conversazione, ma ormai Erik aveva già capito di aver ragione.

Con un colpo deciso, il fratellino era riuscito a far arretrare il suo avversario, sebbene Riley fosse nettamente superiore sia in astuzia che in preparazione.

Soraya guardò prima il padre, sulla balconata superiore, riportando subito dopo lo sguardo sul fratello, notando il suo solito errore. Lasciava sempre scoperto il fianco destro e questo non sfuggì a Riley che lo disarmò e colpì proprio nel punto non protetto. Per fortuna l'imbottitura dell'armatura attutì il colpo, ma non impedì a Marek di cadere a terra come un sacco di patate sotto le risate divertite del padre e dei fratelli.

«Ben fatto figliolo!» esclamò Markos, battendo le mani e osservando il figlio con orgoglio. «Ma ricorda, una battaglia persa non fa di te un debole. Riconosci i tuoi errori e migliorali, solo così diventerai un grande guerriero.»

«Un giorno diventerai un ottimo soldato, caro fratello.» Soraya si avvicinò a Marek, aiutandolo a rialzarsi.

«E potrò sfidarvi in un incontro amichevole.»

«Sicuro di voler rischiare?» domandò Erik, arruffandogli i capelli neri.

«Ho alcune possibilità.» Marek rise, scacciando la mano del fratello. Era ricoperto di sabbia e polvere, sporco in volto e con un labbro gonfio.

«Vi consiglio di aspettare a sfidare i vostri fratelli, giovane principe.» Riley gli sorrise, affiancando Soraya. «Prestate troppo il fianco quando attaccate e vostra sorella usa la lancia, arma che le permetterebbe di ferirvi mortalmente prima ancora che voi possiate avere l'opportunità di portare a termine l'attacco, mentre vostro fratello è tanto astuto quando forte e si accorgerebbe all'istante di ogni vostro minimo vacillamento.»

Marek annuì, ringraziando il cavaliere mentre si allontanava. Riley aveva combattuto con il re nella guerra contro Talamh e l'aveva salvato quando il generale di re Egor aveva prima ucciso re Morven, fratello maggiore di Markos, e poi infierito su di lui, causandogli la ferita al volto e costringendolo a terra. Se non fosse stato per Riley, probabilmente sul trono sarebbe salito Slane e non Markos.

«Sentito, fratellino?» Erik aveva sempre quel tono strafottente e sarcastico, con tutti, specialmente con i suoi fratelli. Guardò Marek negli occhi azzurri come i suoi, lasciandogli un buffetto sulla spalla.

Soraya alzò un sopracciglio, sbuffando. «Abbandonerai mai i tuoi modi superbi e presuntuosi?»

«Solo quando la farai anche tu, Soraya» ribatté il gemello. «Sappiamo tutti quanto sei meravigliosamente arrogante.»

I tre scoppiarono a ridere, ma delle voci concitate dal terrazzo sopra di loro li distrassero. Riconobbero all'istante Antee e Markos, discutere animatamente.

«Non puoi pretendere che combatta, Markos, è solo un bambino!»

«É un an Sgairp, deve saper impugnare la spada.»

Capirono immediatamente che i due sovrani stavano discutendo a proposito di Sahen. Il bambino non aveva ancora appreso l'arte della spada, la madre lo teneva perennemente ancorato alle sue gonne, impedendo a Markos d'imporgli la tradizione di famiglia.

«É un principe, non un guerriero!»

«Anche Erik, Soraya e Marek sono principi, eppure hanno appreso l'arte del combattimento molto prima di Sahen. Seraphi non si è mai opposta a tale tradizione.»

«Seraphi, sempre Seraphi, quella donna è cenere e ancora tormenta le nostre vite!»

Sentirono un colpo secco, il suono di una mano che colpiva una guancia. Antee se l'era cercata, pensò Soraya, stringendo il pugno. Mai insultare la memoria di Seraphi.

«Non osare mai più insultare mia moglie, Antee, ricordatelo. Seraphi era una donna straordinaria, una madre e una regina migliore di te e non accetto di sentire la tua bocca velenosa pronunciare il suo nome.» Markos sembrava infuriato, molto più di quando vedeva qualcuno fallire. «Ti ho sposata solo per impedire che tuo padre mi dichiarasse guerra di nuovo, quindi ricordati bene il tuo posto. Avrai una corona, ma non sei una regina!»

I passi pesanti del re si allontanarono, ma non sentirono altro. Soraya alzò gli occhi, guardando la balconata da dove venivano le voci, scorgendo la figura di Antee avvicinarsi e sporgersi. Aveva una guancia arrossata e gli occhi infuriati. Per un attimo i loro sguardi s'incontrarono e, Soraya, vide in essi puro odio e desiderio di vendetta.





Pronunce:


Iar - Ir

Firth - Fart

Feandan - Fendan

Gaisgeach – Ghesghich CH aspirata

Cù Allaidh – Chiu Ali




Angolo autrice:

I nomi propri dei personaggi non sono stati scelti per preferenze personali, come i nomi comuni dei luoghi o quelli delle divinità presenti, bensì hanno uno scopo ben preciso. Sono stati scelti per i loro significati che ricalcano per alcuni il carattere dei personaggi, per altri il loro ruolo all'interno della trama.

Per esempio, Riley significa “valente”, Erik “capo, comandante”, Andràs “coraggioso”. Insomma, non ho lasciato nulla al caso, se pensate che il significato di Àrsaidh è “antico” e Dòchas significa “speranza”, potete ben immaginare cosa vi aspetti. Gli stessi cognomi sono nomi comuni di animali e vegetali. An Sgairp significa proprio “scorpione”.

Bene, dopo questa, spero di non avervi tediato con queste lunghe spiegazioni, per qualsiasi cosa chiedete, sono a vostra disposizione.



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Capitolo 3
*** Cap. 2 ***













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I Figli di Tanaros – Trailer

I Figli di Tanaros – This is War

Soraya an Sgairp – Broken Crown




Cap. 2

Ragione

















Dòchas era una penisola a sud del vecchio continente, una piccola appendice bagnata dal mare su tre lati, il solo collegato con la terra ferma, oltre il quale vi era deserto, era quello a nord, un confine delimitato da una catena montuosa aspra e ripida. A volte si era soffermata a guardare verso nord, domandandosi cosa vi fosse oltre quel deserto. I sacerdoti che venivano in pellegrinaggio al tempio del dio Sealgair, il dio del sole e del giorno, sposo della dea Àrsaidh, dicevano che non esisteva più nulla, la sabbia aveva divorato ogni edificio o paesaggio delle terre da cui venivano, il più grande impero della storia era sparito per sempre. Ciò che restava della civiltà si era rifugiata su quel fazzoletto di terra chiamato Dòchas, ancora di salvezza di un popolo disperato e senza più dimora che, cinquecento anni prima, aveva scelto di abbandonare la patria natale per cercare la speranza.

Dyani guardò oltre il finestrino della carrozza, mentre attraversavano il passo di Feadan, unica apertura presente nella catena montuosa che divideva Dòchas. Era il solo modo per raggiungere i regni di Crùn e Talamh per via terra. L'altro era via mare, ma era un viaggio più lungo e meno faticoso della traversata a cavallo.

Le alte montagne sembravano così minacciose viste dal basso. Sentiva l'eco degli zoccoli e dei carri infrangersi sulle ripide pareti rocciose. Ogni tanto poteva scorgere qualche piccolo sasso rotolare lungo la scarpata. In primavera era pericoloso, come aveva detto suo padre, i ghiacci invernali si scioglievano e questo poteva provocare delle frane.

Il corteo reale procedeva per quell'angusto spazio con estrema cautela. Gli uomini erano scesi da cavallo per poter controllare meglio la carrozza sulla quale lei, sua madre Acantha e suo fratello minore Safford viaggiavano, mentre Andràs, Ivar ed il padre Derek procedevano a cavallo, in testa alla carovana.

Nessuno parlava, per paura di provocare qualche danno. Si vedeva negli occhi dei presenti che quella traversata era pericolosa, ma negli anni i punti critici erano stati messi in sicurezza e gli incidenti si erano dimezzati. I mercanti ormai utilizzavano quel passaggio molto più frequentemente e Dyani non aveva alcuna intenzione di perdersi nessun paesaggio che Dòchas aveva da offrirle.

Avevano lasciato Gorm, la capitale di Keyll, da ormai dieci giorni, mancava poco per raggiungere le assolate terre di Crùn e la chiassosa capitale ricca di mercanti, fabbri e pescatori.

Lanciò un ultimo sguardo al crocevia che si erano lasciati alle spalle, la piccola biforcazione che conduceva in due sole direzioni: Keyll o Logh. Chiuse gli occhi per rivedere nella sua mente il fiume che fungeva da confine tra i due regni. Oltre la sua sponda c'erano le terre di Logh, da cui proveniva sua madre, con i pascoli di pecore, i templi degli dei Ceart e Geamhradh e delle dee Sgàile e Ùir, il lago Lauchlan, la capitale Abahinn ed il castello della casata dei Nathair-sgiathach. Logh era famosa proprio per essere la regione dove risiedeva la fede ed i sacerdoti venivano istruiti. Il regno era importante non solo per i pascoli di pecore che fornivano la lana a tutti i regni, ma anche per la presenza della baia di Adhar, al centro della quale sorgeva la famigerata isola di Coltas, il sacro luogo dove le sacerdotesse veneravano la più importante divinità del loro pantheon, la dea Àrsaidh.

Keyll, invece, era più fredda. La reggia nella quale era nata e cresciuta sorgeva in cima ad una collina che sovrastava la valle, alle sue spalle la foresta di Firth e la catena montuosa. Una delle reggie più antiche e grezze di Dòchas. A differenza della Rocca era ricoperta di muschi ed edera, tanto da essere chiamata la Reggia Verde. Era stata costruita vent'anni dopo l'approdo degli antenati su Dòchas, edificata attorno ad una pietra che nessuno fu mai stato in grado di spostare. Quel masso era diventato il trono dei re di Keyll, intagliato e lavorato perché fosse il seggio e il centro del potere del regno. Era circondata da mura di pietra alte, al di fuori delle quali si diramava la città di Gorm; l'aria, sapeva di bosco e terra in primavera estate e autunno, ma d'inverno era la neve a governarla.. Si diramavano torrenti, fiumi, pascoli erbosi e boschi in cui cacciare. Gli inverni a Keyll erano rigidi e nevosi, il sole sorgeva dal mare e tramontava dietro le montagne, ma non era mai abbastanza caldo da riscaldare la terra. Difatti l'unico alimento coltivabile erano le patate, il regno era popolare per la selvaggina e l'allevamento di bovini, il commercio con Talamh era il mezzo di sostentamento della regione.

Già le mancava la sua casa, la sua terra. A stento trattenne una lacrima, raccolta dalla paziente mano di sua madre. «Hai sedici anni, figlia mia, piangere non ti aiuterà di certo.»

«Piango per la nostalgia, non per la tristezza.»

«Ivar dice che a Crùn non piangono» s'intromise Safford, guardando la sorella con occhi curiosi. Povero piccolo, aveva dieci anni, doveva ancora scoprire molte cose del mondo.

Acantha sorrise dolcemente, accarezzando il viso del figlio. «Regno diverso, usanze diverse, ricorda piccolo mio.»

«Certo madre!»

Dyani, Safford e Ivar avevano ereditato dalla madre gli occhi verdi, Andràs somigliava molto più al padre.

Acantha aveva trentasei anni, Derek quarantaquattro, la stessa età di re Markos, forse per questo motivo erano buoni amici, oppure perché entrambi erano saliti al trono dopo la morte dei rispettivi predecessori avvenuta durante la battaglia finale della guerra civile contro Talamh.


***


Finalmente la sera giunse presto, Soraya non vedeva l'ora di abbracciare il marito e dargli la bella notizia, erano giorni che continuava a rimandare a causa dei preparativi per l'arrivo dei cù Allaidh, ma era ormai stufa di tenere quel piccolo segreto che, sapeva, avrebbe fatto felice Ragnar. Ancora non credeva di essere incinta, dopo solo tre mesi di matrimonio.

Camminava avanti e indietro per la camera, torturandosi le mani nervosamente. Voleva abbracciare Ragnar, baciarlo, sentire il suo corpo stringerla, le sue labbra sfiorarle il viso. In quei giorni si erano visti talmente poco, quando lui rientrava in camera lei ormai dormiva e quando Soraya si svegliava la mattina lui ormai era già uscito. Per gli dei, quell'uomo la faceva impazzire.

Poi la porta di aprì ed il marito entrò sorridendole. Gli occhi azzurro-grigio, i capelli biondo scuri, le spalle larghe ed il corpo muscoloso di un guerriero. Bello e micidiale come uno scorpione.

Gli corse in contro, saltandogli addosso, cingendogli la vita con le gambe. Sentì le mani grandi di Ragnar tenerle i fianchi mentre la baciava con urgenza, passione, amore.

«Odio questi giorni di distacco.»

«Ed io odio stare lontano dal tuo corpo.» aveva la voce profonda e roca, così calda e seducente.

Con un colpo del piede Ragnar chiuse la porta, conducendo la moglie verso il letto. Si stese sopra di lei, continuando a baciarla mentre la spogliava.

«Non vuoi sapere cosa ho da dirti?» domandò Soraya, spogliando il marito a sua volta.

«Dopo, prima voglio farti mia.»

«Non vuoi nemmeno sapere se ci sono delle novità?»

Ragnar la guardò negli occhi per qualche secondo. «Dopo.»

Soraya sentiva il sesso del marito premerle contro la coscia. Sapeva che non poteva fermarlo, nemmeno se avesse insistito, così si lasciò andare ai suoi baci, alle sue carezze. Inarcò la schiena quando lo sentì entrare in lei. Ansimò mentre facevano l'amore con urgenza, desiderio. Aveva desiderato sposare Ragnar sin dal primo istante in cui si erano conosciuti ed ora erano sposati ed in procinto di avere un figlio.

Con un colpo di reni invertì la posizione, ritrovandosi a cavalcioni sopra di lui, dettando le il ritmo di quella danza carnale.

Le mani di Ragnar si spostarono dai fianchi sui seni. «Mi sembrano più grandi, oppure sono stato troppo tempo lontano dal tuo corpo!»

«Non hai detto di voler parlare dopo?»

Ragnar non rispose, si mise seduto, spingendola contro il suo petto. Adorava vedere il volto di Soraya contrarsi di piacere ogni volta che la prendeva. Ed anche quella sera vide il suo sguardo di puro godimento mentre raggiungeva l'orgasmo e lui poco dopo lei.

Si accasciarono sul letto, ascoltando i loro respiri affannosi.

Soraya lo abbracciò poggiando il volto sul petto di Ragnar, intrecciando le gambe con quelle possenti del marito. «Ora vuoi sapere la novità?»

Ragnar la guardò, baciandole le labbra. «Dimmi pure, moglie.» la guardò sorridergli, sfiorando quella piccola cicatrice sul sopracciglio destro, scendendo con il dito fino alle labbra, baciandole con dolcezza.

«Aspetto un figlio.»

Ragnar rimase immobile per qualche secondo, sentendo il cuore battere all'impazzata come se avesse appena terminato una corsa attorno al regno. «Un figlio?»

Soraya annuì, tenendo il mento poggiato sul petto. Poi Ragnar si sollevò, sdraiandosi sul fianco e lei si mise sulla schiena, prendendogli la mano destra e portandosela al ventre. «Un figlio.»


***


A quindici anni avevano affrontato il rito di passaggio, il battesimo di sangue che li aveva visti uscire vittoriosi e guerrieri a tutti gli effetti, la prova era impressa nella loro carne, con inchiostro e sangue.

Erik si guardò l'avambraccio sinistro, toccandosi lo scorpione tatuato, per i membri della famiglia reale simboleggiava l'ingresso nell'età adulta, la fine della fanciullezza e l'inizio della maturità. Tutti i membri della famiglia reale di Crùn dovevano sottoporsi al battesimo una volta raggiunta l'età, erano pochi quelli che, nel corso dei secoli, non erano riusciti a superare la prova, perdere comportava la morte o, nel caso di sconfitta e sopravvivenza, si veniva esiliati. Il principe Bergen, figlio di re Steinar e della regina Tayb era morto durante il battesimo di sangue, ucciso dalla lama del padre. Fu la principessa Aliyah, la figlia maggiore, a succedere al trono di Crùn, diventando la prima regina an Sgairp. Lo stesso Slane aveva rischiato la morte, se l'era cavata solo grazie ad un inganno ben riuscito. Era sempre il re l'avversario da sconfiggere, poiché solo il migliore dei guerrieri poteva ambire al trono.

Anche Soraya aveva affrontato Markos ed era sopravvissuta al battesimo di sangue. Lo scorpione le era stato tatuato tra le scapole, insieme al serpente che le circondava il polpaccio sinistro, il simbolo che solo l'erede al trono di Logh poteva portare.

Erik bevve un altro sorso di birra, guardando verso la sua sinistra, poco distante scorse il balcone della stanza di Soraya e Ragnar, le luci erano spente, probabilmente si erano dati alla pazza gioia.

Sbuffò, non era molto felice di dover sposare una fanciulla sconosciuta solo per rafforzare un'alleanza, ma era il futuro re di Crùn, non poteva tirarsi indietro come aveva fatto Soraya quando, sei mesi prima, aveva scelto di sposare una guardia corvina.

Era stata promessa in sposa ad Andràs quando aveva solo cinque anni, eppure si era innamorata di Ragnar ed aveva lottato con le unghie e con i denti per ottenere ciò che voleva. In autunno quell'amore nato due anni prima era sfociato in qualcosa d'incontrollabile che Soraya non aveva più potuto nascondere al padre ed aveva supplicato il sovrano di lasciarla libera da quel fidanzamento imposto.

Markos aveva acconsentito ma ad una condizione, Ragnar non poteva pretendere titoli nobiliari o altre cariche prestigiose, era e sarebbe restato una guardia corvina senza privilegi alcuni rispetto ai suoi compagni. Questo non aveva turbato il guerriero, lui voleva solo Soraya, nient'altro. Non aveva mai avuto brame politiche o nobiliari. Il fatto che Soraya fosse una principessa era una semplice nota a piè di pagina, nulla di più.

C'erano voluti tre mesi perché Markos accordasse alla figlia il permesso di sposare un uomo normale, un guerriero, un soldato, ma Ragnar aveva dimostrato forza e coraggio, amore e dedizione che avevano convinto il sovrano a rompere il fidanzamento.

A causa di questa scelta lui ora doveva sposare Dyani. Ma non gli importava. Voleva vedere sua sorella felice e se questo voleva dire sposare una perfetta sconosciuta, allora non vi erano problemi. Era pur sempre una femmina nel suo letto, l'importante era che non fosse una di quelle che parlava senza sosta di merletti e canzoni.


***


Man mano che la carovana reale avanzava verso la Rocca, Erik cercava di trattenere la nausea provocata dal troppo bere della sera precedente. Lui e Ragnar erano andati alla taverna, ma mentre il cognato era rientrato abbastanza sobrio e lucido, lui aveva ingurgitato talmente tanta birra da non reggersi in piedi.

«Devi smetterla di ridurti in questo stato» lo rimproverò sottovoce Soraya, mentre stavano in piedi nel cortile principale del palazzo insieme al resto della famiglia reale e della Guardia Corvina al completo.

«Non sono affari che ti riguardano, sorella.»

«Lo diventano quando costringi mio marito a seguirti ogni sera alla taverna.»

«Non lo costringo, lui viene di sua spontanea volontà.» Erik sbuffò. «Cerca di stare tranquilla, sei gravida, devi rilassarti.»

«Sei sempre il solito, finirai per farti del male.»

«Sto per sposare una fanciulla a me sconosciuta solo perché tu non hai voluto sposare suo fratello, infrangendo un fidanzamento prestabilito da molti anni e sposando una guardia corvina per amore, dovresti solo ringraziarmi, invece di rimproverarmi.» Erik si pentì all'istante del tono accusatorio utilizzato. Non voleva ferire in alcun modo la sorella. «Mi dispiace, io non...»

Soraya deglutì, abbassando il capo. Le sue azioni avevano portato a quel momento. «Ho capito, e so cosa stai passando in questo momento. Mi sono innamorata di un uomo, sono andata contro il volere di nostro padre, ho rotto un fidanzamento per poter seguire il mio cuore, ma non pensavo che sposare Ragnar causasse tutto questo» bisbigliò lei.

Erik cercò di scusarsi nuovamente, ma le trombe suonarono e re Derk entrò dai cancelli in sella al suo baio nero, seguito dai figli maggiori, Andràs e Ivar.

«Re Derek, benvenuto!» esclamò Markos, andando in contro al vecchio amico, abbracciandolo come un fratello.

Ragnar scrutò attentamente ogni membro della famiglia reale di Keyll. Da dietro l'elmo nero vedeva i principi Andràs e Ivar salutare prima Erik e poi Soraya con un baciamano. L'erede al trono di Keyll aveva lanciato uno sguardo strano alla principessa, troppo allusivo per i suoi gusti, ma si dovette trattenere. Lui e Markos avevano stretto un patto quando aveva sposato Soraya: ogni volta che indossava l'armatura nera lui era semplicemente una guardia corvina, doveva proteggere la famiglia reale e salvaguardarla, poteva comportarsi da marito solo quando svestiva i panni della guardia. Non aveva preteso titoli nobiliari o terre, aveva solo chiesto di poter sposare una fanciulla che per lui non era altri che una giovane donna nel fiore dei suoi anni. Non una principessa o una futura regina, solo Soraya. Il loro matrimonio non aveva destato molti scandali all'interno del regno, una serva poteva sposare un nobile, o viceversa, senza problemi; era accaduto fuori dai confini di Crùn il vero dissenso. Doveva ancora scoprire cosa pensavano a riguardo gli abitanti di Logh, ma data la successione e la gerarchia a stampo matriarcale, non doveva essere un vero e proprio problema la sua provenienza non nobile.

Pian piano anche Acantha e gli altri figli scesero dalla carrozza, avvicinandosi. Dyani era di una bellezza candida e dolce, con lunghi capelli castani lasciati sciolti sulle spalle ed occhi grandi da cerbiatta. Safford era più piccolo, solo dieci anni, ma si vedeva la sua voglia di diventare adulto, se ne stava in piedi con il petto gonfio nel tentativo di imitare i fratelli maggiori.

Soraya notò lo strano sguardo che Acantha lanciava agli avambracci di Markos, o meglio, ai suoi tatuaggi. Il regno di Keyll non conosceva l'usanza di marchiare il corpo con disegni rituali, solo Crùn e Logh vantavano tale tradizione. I tatuaggi erano un segno distintivo del rango a cui si apparteneva, nobile o popolano quale fosse.

Ivar, intanto, guardava incuriosito le figure massicce dei dodici guerrieri che svettavano alle spalle della famiglia an Sgairp. L'armatura nera non sembrava pesante, era fatta principalmente in cuoio trattato e qualche placca di metallo nei punti vulnerabili. Dietro gli elmi si scorgevano solo occhi, naso e bocca, non abbastanza per dare loro un volto ben definito.

Li chiamavano “la guardia corvina”, erano un corpo speciale dell'esercito di Crùn, una specie di confraternita, addestrati per proteggere e combattere al fianco dei reali. Erano i migliori di tutto il regno, allenati sin da bambini e cresciuti con l'unico scopo di servire il re e la casata an Sgairp. Il loro nome derivava dai mantelli e dalle armature nere che portavano, per nascondere il sangue delle loro vittime. Non toglievano mai l'elmo, nessuno poteva vederli in volto, solo il re egli altri membri della famiglia reale.

La guardia contava dodici guerrieri da quando il primo re di Crùn, Erik I, aveva fondato quel corpo speciale. Quando ne moriva uno, veniva sostituito da un altro. A differenza degli altri soldati vivevano all'interno della Rocca e non nella caserma, erano figli di Guardie Corvine, scelti dal sovrano e addestrati per diventarlo a loro volta. Ragnar, difatti, era figlio e nipote di un ex Guardia, morto per proteggere re Morven durante la guerra civile contro Talamh.

Il loro comandate, si diceva, era il migliore tra tutti, secondo solo a re Markos. Riley Gaisgeach era il suo nome, la sua fama era ben nota a tutti i regni; primo guerriero di Crùn, si era distinto in battaglia salvando Markos da morte certa, il suo coraggio l'aveva portato a diventare il comandante della Guardia Corvina.

Riley non era solo una guardia, un guerriero, ma per anni si era occupato dell'addestramento dei principi Erik, Soraya e Marek, sotto ordine del re. Non spettava ad un membro della guardia addestrare i figli reali, ma Markos si fidava a tal punto di Riley da affidargli questo compito. Era anche l'unico dei dodici a poter stare senza elmo.

Ivar si accostò ad Andràs, sussurrandogli all'orecchio. «Chissà chi è la guardia che ti ha sottratto la futura sposa.» rise sommessamente, sentendo il corpo del fratello irrigidirsi.

Andràs non aveva preso di buon grado l'annullamento del fidanzamento, soprattutto perché era stato infranto a causa di un guerriero, un semplice soldato e non un nobile.

Il fastidio e la curiosità dei principi non sfuggì ad Erik, il quale non perse tempo ad avvicinarsi ai due. «Curioso, vero?» domandò, una volta affiancati i due. «Se fossi un bandito o un mercenario non mi metterei mai sulla strada di uno di loro. Sono più letali di uno scorpione.»

Andràs corrugò la fronte. «Sono così pericolosi?»

«Sono assassini addestrati ad uccidere chiunque minacci un membro della famiglia reale. Non provano pietà, non fanno domande, non vogliono sapere perché, loro uccidono e basta.»

Andràs guardò Erik allontanarsi con passo spavaldo. Non gli piaceva per niente, troppo sicuro di sé, troppo arrogante, senza tralasciare gli sguardi lascivi che lanciava a Dyani. No, Erik an Sgairp non era un principe, ma un guerriero nato e cresciuto nel sangue e nella sabbia di un'arena da combattimento.


***


Non si era mai preoccupata della sua bellezza, solitamente lasciava che fosse Azar ad acconciarla come meglio voleva. Aveva sempre portato le sue attenzioni e le sue cure alla lotta, alla lancia e al tiro con l'arco. Non le interessava superare Antee o le altre dame con l'aspetto fisico, si preoccupava di essere una formidabile guerriera. Ma ora, in mezzo ad Acantha e Dyani si sentiva in soggezione. Donne algide e bellissime.

Sola nella sua stanza si guardò allo specchio, scoprendosi le spalle e il seno. I capelli neri erano ondulati e abbastanza morbidi, merito degli impacchi di olii e erbe a cui Azar li sottoponeva una volta alla settimana, se fosse dipeso da lei non si sarebbe mai sognata di curarli così tanto. La pelle aveva qualche segno, lividi procurati durante gli addestramenti e la cicatrice sulla scapola sinistra, un ricordo del battesimo di sangue. Osservò i suoi tatuaggi, un serpente che si arrampicata attorno al polpaccio sinistro, dalla caviglia al ginocchio e lo scorpione tra le scapole.

Gli occhi, la parte del suo corpo alla quale prestava molta attenzione, dal taglio orientale di un blu intenso che ricordava il mare in tempesta. Il volto ovale, dagli zigomi alti, il naso lievemente storto, merito di un serpente che aveva fatto imbizzarrire il suo cavallo, disarcionandola e facendole sbattere la faccia su una radice sorgente, e la bocca dalle labbra asimmetriche, con il labbro superiore più sottile, rispetto a quello inferiore.

Soraya sospirò, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia, senza staccare lo sguardo dal suo riflesso. «Non sono bella come la mamma.»

«Voi avete una bellezza diversa, principessa.»

Soraya si voltò, scorgendo Azar in piedi, sulla porta. «Da quanto sei lì?»

«Abbastanza» rispose la nutrice, avanzando verso la principessa. «Possedete uno sguardo magnetico, capace di attirare gli uomini come solo il mare sa fare.»

«Il mare è magnetico?» sorrise Soraya, lasciando che Azar le spazzolasse i capelli.

«Gli uomini sono da sempre attratti dal mare, dalle sue vastità. Sognano di solcarlo, di esplorare le sue profondità. Il mare non è come la terra, è acqua e l'acqua non può essere lavorata o manipolata. L'acqua è un elemento forte, indomabile, riesce a farsi strada nella terra, a corrodere la pietra, a spegnere il fuoco. E voi siete proprio così, voi avete una tempesta marina negli occhi, la più potente che esiste al mondo.»

«É questa la mia bellezza?»

«Ci sarà un motivo per cui vi sottopongo ad ore di torture, come le chiamate voi» disse Azar, mettendosi le mani sui fianchi e guardando il riflesso di Soraya. «Voi non fate mai caso al vostro aspetto fisico, se in questi anni non ci fossi stata io, probabilmente sareste più simile ad una selvaggia che ad una principessa. Io vi faccio quegli impacchi ai capelli, al corpo e al viso non per divertimento personale, ma per rendervi bella e desiderabile.»

«Oh, quindi la mia bellezza sarebbe merito tuo, Azar?» domandò con sarcasmo Soraya, ridendo e osservando il volto segnato dal tempo della donna.

«Voi avete la bellezza di vostra madre, ma spesso la nascondete sotto tonnellate di polvere e sabbia, solo per il divertimento di vedere degli uomini cadere sotto i colpi di una donna. Io vi aiuto a tirarla fuori.»

«Non vedo cosa ci sia di male a mettere al tappeto degli uomini. Sono di Crùn e sanno tutti che nel regno le donne imparano a combattere per potersi difendere quando non ci sono gli uomini.»

«Meglio essere come te, che come le donne là fuori!»esclamò una voce maschile.

Soraya rimase spiazzata, voltandosi verso Erik. Era entrato senza bussare, raggiungendo il letto a grandi passi e gettandocisi sopra. «Hai per caso lasciato l'educazione nell'arena?»

«Ascoltami bene, Soraya, non diventare come quelle oche starnazzanti là fuori.»

Soraya alzò gli occhi al cielo, suo fratello non la stava minimamente ascoltando. «Che hanno le donne di Keyll?»

«Non ho fatto un solo passo, da stamane, senza avere i loro occhi puntati addosso» rispose Erik. «Va bene, sono attraente, bello, affascinante, ma quando vi parlo fingete almeno di sapere cosa sto dicendo. Vi racconto dei combattimenti e degli addestramenti e voi restate lì senza nemmeno commentare.»

«Le donne di Keyll non hanno a che fare con la guerra, gli uomini le sposano per la loro bellezza, non per il loro valore in combattimento.»

«Dovrebbero imparare a difendersi, invece di aspettare che venga un uomo a salvarle!»

Soraya si alzò, avvicinandosi al fratello e sedendosi accanto a lui. Lo guardò sdraiato sul letto, con gli occhi fissi sul soffitto e le mani intrecciate sull'addome. «Prima, nel cortile, le tue parole mi hanno profondamente ferita, Erik.»

Erik corrugò la fronte, sollevandosi e puntandosi sui gomiti. «Sai che non pensavo quello che ho detto. Ero solo stanco e...e con i postumi di una sbornia. Non volevo ferirti né, tanto meno, darti la colpa di queste nozze.» Erik le prese la mano, accarezzandole il dorso. «Purtroppo non possiamo scegliere di chi innamorarci, giusto?»

Soraya annuì, poggiando la fronte contro quella del fratello. «Un giorno sarai un ottimo re.»

«E tu un'ottima regina. Avrai il trono di nostra madre, il suo regno, la sua eredità.»

Presto, pensò, al compimento dei suoi diciotto anni sarebbe stata incoronata regina di Logh e, sulle sue spalle, sarebbe pesato il destino di un regno che non aveva mai visto o conosciuto.


***


La sera giunse presto e, con lei, anche il banchetto in onore degli ospiti. A cinque giorni dalle nozze quel convivio era un modo per mettere tutti a proprio agio e riposarsi prima del grande evento.

Dyani aveva tentato in ogni modo di avvicinare Erik, anche solo per scambiare qualche parola, ma ogni volta che provava a muovere un solo passo verso di lui, egli sfuggiva al suo sguardo. Eppure si circondava di belle donne, fanciulle del seguito di Acantha che non avevano mai visto un uomo di Crùn in vita loro. Con quelle ochette senza ritegno parlava, con lei invece sembrava volesse evitarla come la peggiore delle malattie.

«Non pressarlo, lascia che sia lui a venire da te.»

Dyani scattò sul posto, udendo alle sue spalle la voce di Soraya. Si portò una mano al petto, prendendo un respiro profondo. «Principessa, mi avete spaventata!»

«In primo luogo ti consiglio di smettere di darmi del voi, abbandonalo, non sopporto quando si rivolgono a me con tanta riverenza. Chiamami semplicemente Soraya ed io ti chiamerò Dyani.»

«Come volete, scusami, come vuoi.»

«Così va meglio.» Soraya sorrise, porgendole una coppa di vino. «In secondo luogo...mio fratello è un donnaiolo, non sopporta le donne troppo appiccicose e pressanti, devi lasciare che sia lui a volerti avvicinare.»

«Non mi ha ancora rivolto la parola.»

«Oltre che donnaiolo è un completo idiota, devi tenerlo a mente se vuoi riuscire a far breccia nel suo cuore.»

Dyani annuì. Guardò attentamente la giovane che aveva davanti. Aveva i capelli neri raccolti in trecce attorno al capo, il collo corto scoperto, come le spalle e le braccia, ed il vestito blu e nero le scendeva sul corpo morbido, solo i seni erano fasciati, stretti da una striscia di stoffa nera ma, benché l'abito fosse leggermente largo, riusciva a scorgere fianchi larghi e vita stretta. Era poco più alta di lei, snella, con lacci di pelle nera legati alle braccia. Non indossava gioielli, all'infuori di una bracciale argento e oro raffigurante due serpenti.

Aveva l'aspetto di una guerriera nonostante l'abito femminile ed il viso sorridente.

«Altri consigli?» domandò Dyani, sorseggiando il vino offerto.

«Evita di parlare di pizzi e merletti o di canzoni e danze. Prova a fargli domande riguardo agli addestramenti o alle armi. Erik è narcisista, adora parlare di sé.»

«E tu, Soraya? Che tipo sei?»

«Io sono quella che odia le domande e preferisce i fatti alle parole.»

Intanto Ivar e Andràs avevano scoperto chi era Ragnar, il famoso soldato che aveva provocato la rottura del fidanzamento tra Soraya e l'erede al trono di Keyll. I due lo trovarono seduto con Riley, entrambi senza armatura. Era stato loro concesso di partecipare alla festa come membri della famiglia e non come guardie.

«Ragnar Gaisgeach, giusto?» domandò Andràs, sedendosi sulla panca accanto a lui.

Ragnar lo guardò di striscio. «Piacere di conoscervi, vostra altezza.»

Il sarcasmo usato dall'uomo non piacque particolarmente ai giovani principi, ma sorvolarono sul tono, dopotutto avevano a che fare con un assassino addestrato, non con un semplice soldato.

Ragnar aveva ventotto anni, era figlio di Rohan Gaisgeach, fratello maggiore di Riley ed ex membro della guardia corvina deceduto quando lui era solo un bambino, era stato lo zio a crescerlo. Della madre non si sapeva molto a parte il fatto che era una sacerdotessa di Coltas.

«Ero curioso di conoscere l'uomo che aveva rubato il cuore della principessa Soraya causando la rottura del nostro fidanzamento.» Andràs era ubriaco e questo non era passato inosservato a Ragnar, il quale si limitò ad annuire, continuando a bere la sua birra.

Riley alzò un sopracciglio, sorridendo dietro i baffi scuri. Suo nipote si stava trattenendo dal prendere a pugni i due principi che stavano cercando di provocare in lui una reazione rabbiosa. «Ragnar, credo che tu debba andare a controllare la principessa Soraya.»

«Giusto, Soraya, la principessa che ha sposato un semplice soldato.» Andràs stava riversando in quelle parole tutta la rabbia provata mesi prima. Aveva desiderato Soraya, nonostante il loro fosse stato un fidanzamento politico, e si era sentito umiliato quando lei aveva preferito un uomo qualunque a lui.

Ragnar si passò una mano su barba e baffi, alzandosi dalla panca, imitato dal principe ormai brillo. «Vorrei ricordarvi, principe, che a Crùn non ci sono soldati, bensì guerrieri.» Era nettamente più alto di Andràs, di almeno una spanna e mezza, ed anche più grosso, ma questo non fermò di certo il principe, il quale cercò di sferrare un pugno al volto di Ragnar. Il colpo andò a vuoto, causando la caduta del giovane e le risate de presenti.

«E ancora vi chiedete perché lei abbia preferito me a voi» sospirò Ragnar, osservando Andràs cercare di rimettersi in piedi, sorretto dal fratello. «Con permesso.»

Riley rise di quella scena. Non aveva mosso un solo muscolo, era rimasto seduto a bere la sua birra e ad osservare il nipote umiliare involontariamente sua altezza reale il principe Andràs cù Allaidh, l'erede al trono di Keyll che ora guardava paonazzo i presenti, consapevole di essersela cercata. Grazie agli dei non si era mai innamorato.

Ma quella scena così disastrosa venne subito dimenticata quando re Markos si alzò attirando l'attenzione dei presenti. Il silenzio calò all'istante mentre Soraya e Ragnar lo raggiungevano, mettendosi alle sue spalle.

«Vorrei approfittare di questo gaudio banchetto per condividere con voi, amici e alleati, una notizia che giorni fa mia figlia, la principessa Soraya, mi ha comunicato.» Markos sorrise alla figlia e al genero. «Quest'estate, tra meno di quattro mesi, la vedremo incoronata come regina di Logh, ma in autunno potremo ammirarla nel ruolo di madre, poiché aspetta un figlio che, speriamo sia una femmina!»

I presenti proruppero in un applauso generale, accompagnato da grida di gioia e risate.

Ragnar sorrise alla moglie, lasciandole un lieve bacio sulle labbra. Forse non possedeva una bellezza algida e abbagliante, ma era diversa dalle altre donne. Lei era fiera, caparbia, aveva un sorriso contagioso e quando la guardava negli occhi era come immergersi nelle profondità marine, in quelle acque sferzate dalla tempesta estiva capace di sradicare alberi e affondare perfino la nave più robusta.

Questo per lui era Soraya, una tempesta capace di rinfrescare e distruggere al tempo stesso.






Pronunce


Ceart - Chersht

Sgàile - Sgale

Ùir – Uir, U chiusa

Sealgair - Scialacal

Lauchlan – Lichlan, CH aspirati

Abahinn - Apein

Firth – Farsh, H aspirata

Gorm - Gor



Angolo Autrice

Iniziamo a conoscere meglio le tradizioni dei vari popoli, la storia, i personaggi. Siamo venuti a sapere di un precedente fidanzamento rotto.

Abbiamo fatto un salto nelle tradizioni di Crùn, l'uso dei tatuaggi, il battesimo di sangue, lo stesso vale per Logh, regno che approfondiremo più avanti. Per non parlare della religione, che avrà un ruolo quasi cruciale nella trama.

Lo so, in questi capitoli sto dando molta importanza a Soraya, ma abbiate pazienza, presto anche gli altri personaggi avranno un loro siparietto.

Spero che non abbiate sbadigliato leggendo questo capitolo!

Buona lettura.

Ele

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Capitolo 4
*** Cap. 3 ***












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I Figli di Tanaros – Trailer

I Figli di Tanaros – This is War

Soraya an Sgairp – Broken Crown




Cap. 3

Onore








La religione di Dòchas non contemplava divinità con un volto. Ogni singolo dio o dea era percepito e visto come spirito abitante negli alberi, negli animali o nelle montagne. Erano la natura stessa e tutti dovevano portarle rispetto.

Nel corso dei secoli, da quando la penisola era stata colonizzata, erano stati costruiti diversi templi in onore di ogni divinità, dove le persone portavano offerte, pregavano, cercavano risposte dai sacerdoti e dalle sacerdotesse, ma erano gli stessi rappresentanti degli dei a invogliare la gente a pregare in mezzo alla natura, a cercare il divino in ogni singolo sasso o insetto. Del resto gli dei venivano rappresentati tramite simboli o animali. Si pensava che quando un pavone si posava sulla soglia di una casa, la coppia che l'abitava avrebbe avuto un matrimonio lungo e felice, in quanto quell'animali rappresentava la dea Bethia, la protettrice dei matrimoni e delle donne.

Se un serpente veniva visto su un campo non ancora seminato, i contadini si prodigavano subito a preparare la terra per la semina, perché la dea Ùir, la signora del raccolto e dei campi, aveva appena benedetto quel fazzoletto di terra con la sua presenza in forma di serpente. Ogni luogo e città era impregnato di fede e credo, si portava rispetto anche verso gli animali da macello, pregando e ringraziando lo spirito dell'esemplare quando veniva ucciso.

Quindi Soraya non si sorprese quando Dyani le raccontò che i cacciatori abbassavano le armi di fronte alla quercia sacra, l'albero che il primo re di Keyll aveva piantato al centro della foresta di Firth e, ai piedi del quale, ogni re veniva incoronato. Un albero vecchio di cinquecento anni, alcuni cacciatori andavano dicendo che il dio Sealgair, il padre di tutti gli dei, l'aveva scelto come sua dimora, altri pensavano fosse solo un albero vecchio al quale bisognava portare rispetto. Non c'era una sola versione, ma tutti gli abitati di Keyll, quando vi passavano accanto, vi porgevano i propri omaggi o lasciavano offerte.

Per Soraya era strano trascorrere del tempo con un'altra fanciulla, era abituata ai maschi, agli allenamenti, l'unica donna con cui parlava era Azar.

E per Dyani? Lei cercava di abituarsi a quelle nuove usanze, alle donne poco inclini alla danza e più favorevoli alla guerra. Soraya le aveva mostrato ogni singolo angolo della Rocca, dalle mura interne che custodivano il palazzo ed i giardini, alle mure esterne dentro le quali sorgevano la caserma dove alloggiavano i soldati con le loro famiglie e l'arena dove le Guardie Corvine e i membri della famiglia reale, eccetto i più giovani, si allenavano.

Quella mattina, invece, l'aveva condotta tra le vie di Rìoghachd, portandola a visitare il mercato, il porto, la spiaggia. La baia di Bearg, dove lei era solerte recarsi con la madre, era diversa, con sabbia rossa scura e scogli neri ricoperti di alghe. Le acque avevano una tonalità di rosso che ricordava il sangue ed i pesci che vi nuotavano si scorgevano a fatica, non era come la baia di Liath o la costa di Crùn. Le spiagge erano formate da sabbia e scogli bianchi come latte, talmente forte da abbagliare. Le acque della baia erano limpide, cristalline, di un verde-azzurro talmente chiaro da poterci scorgere i pesci blu che nuotavano in essa.

Alla spiaggia erano state raggiunte da Erik e, per lei, era stata una vera e propria sorpresa. Era rimasta ancora più sbalordita quando lui le aveva rivolto la parola, chiedendole cosa pensasse dell'arco sotto il quale si sarebbero sposati. Dyani stava iniziando a sperare in un matrimonio felice, ma era ben lontana dal realizzarlo, prima doveva conquistare la fiducia e l'affetto del futuro marito, ma non doveva aspettarsi nient'altro che amicizia, ben pochi erano i matrimoni combinati che poi si trasformavano in vere e proprie storie d'amore.


***


«Quando hai capito di amare Soraya?»

Ragnar corrugò la fronte. «Perchè me lo chiedete, principe?» domandò con affanno, piegandosi sulle ginocchia.

Erik aveva l'abitudine di allenarsi anche al tramonto. Fino a qualche settimana prima anche Soraya si univa a loro, ma con la gravidanza aveva ridotto le ore di addestramento, concentrandole nella prima mattinata.

Erik sbuffò, asciugandosi il sudore con la camicia che poco prima si era tolto. «Smettila con queste formalità, sei mio cognato.»

«In questo momento sono una Guardia Corvina che vi sta aiutando negli allenamenti, non vostro cognato.»

«Allora smetti di esserlo e comportati come mio cognato.»

Ragnar annuì bevendo l'acqua dal mestolo di legno. «Come preferisci, Erik.»

«Grazie. Come e quando hai capito di amare mia sorella?»

«Credo di averla amata da subito, dal primo momento in cui la vidi.» Ragnar si fermò, guardando le proprie mani. Erano ruvide, sporche di terra e sabbia, le mani di un guerriero. «Non so spiegare come e perché, lei aveva quello sguardo perso di chi non ha la minima idea di cosa vuole fare, aveva gli occhi lucidi ma senza lacrime e se ne stava seduta ai piedi della statua della regina. Era il mio primo giorno nella guardia, avevo da poco ricevuto la spada da vostro padre, e Riley mi aveva mandato a cercarla, quando la vidi rimasi immobile, fino a quel momento avevo solo sentito parlare di lei e della sua straordinaria tenacia e arroganza, ma quando la vidi quel giorno non era forte, tanto meno arrogante era...era fragile e triste.»

Ragnar non parlava mai dei propri sentimenti o di quello che aveva vissuto con Soraya, non si apriva mai. Era considerato un uomo freddo e distaccato, ligio ai suoi doveri e ferreo nei modi di fare. Il suo volto non mostrava mai nulla se non una maschera di marmo senza espressioni. Le Guardie Corvine erano assassini, eppure si era innamorato di Soraya e con lei aveva sorriso. Si era perfino lasciato andare ad un bacio in pubblico, cosa che non era da lui.

«Vorrei poter provare qualcosa per Dyani, ma non credo accadrà mai.» Erik si mise seduto sulle scalinate dell'arena, sentendo il sudore bagnargli il petto nudo. «Vorrei renderla felice, ma non ne sono capace.»

«Il matrimonio non è facile» disse Ragnar, sedendosi accanto al cognato. «Nemmeno quando a tenerlo in piedi c'è l'amore. Il matrimonio è fatto di compromessi e litigi. Di passione e complicità. Inizia con il cercare di dare a Dyani ciò di cui ha più bisogno, poi verrà il resto.»

«Sembra facile.»

«Ma non lo è» disse Ragnar, passandosi una mano sul volto. «Le donne danno la vita ed è solo da loro che noi veniamo, senza saremmo persi.»

«Siamo tutti nati dal ventre e dal sangue di una donna» sospirò Erik, ricordando una frase di sua madre. «Mia madre me lo ripeteva sempre quando insinuavo che gli uomini erano superiori alle donne.»

Ragnar annuì. «Aveva ragione.»

Era strano per Erik parlare di sua madre, non lo faceva quasi mai, nemmeno con Soraya, ma in quel momento ne sentì la necessità, soprattutto con il matrimonio alle porte e l'incoronazione di Soraya sempre più vicina.

«Allora, qualcuno ha portato della birra?» Erik urlò a squarciagola, cambiando immediatamente discorso, subito sentito da alcune serve. «Voglio quella di Logh, non la finta birra che distillano a Talamh!»

Il disprezzo per Talamh non era per nulla velato. Erik non sopportava re Egor, un uomo ambizioso e privo di etica. Il sentimento era condiviso, anche suo padre cercava di stare il più lontano possibile da Egor, ma il re di Crùn ne aveva sposato la figlia, consapevole di portare nel suo regno una vera e propria spina nel fianco. Antee era la secondogenita, il primogenito era morto in un incidente di caccia, lasciando il diritto di successione al terzo figlio, Ecbert.

La famiglia reale di Talamh, gli an Leòghann, avrebbero partecipato al matrimonio, compresa Agar, l'ultima figlia di Egor, da poco diventata vedova. Si prospettava un giorno al quanto movimentato per loro.


***


Ancora tre giorni e il matrimonio più atteso di Crùn si sarebbe svolto sulla spiaggia come da tradizione, accompagnati dal rumore delle onde che s'infrangeva sugli scogli, dall'odore salmastro e dal venticello lieve che faceva ondeggiare le campanelle dell'arco nuziale, sotto il quale gli sposi si giuravano amore eterno.

I sonagli servivano a richiamare gli dei, perché benedissero l'unione e lei ci credeva, pensava veramente che quel suono potesse invocare le loro divinità.

Si chiedeva cosa stesse passando Dyani, doveva essere tesa, piena di dubbi e, ormai, rassegnata, ma aveva visto in lei qualcosa quella mattina, un tentativo di avvicinamento ed Erik. Le donne erano più inclini ai sentimenti, rispetto agli uomini, forse lei cercava di rendere quel matrimonio forzato meno teso.

Immersa fino al collo nell'acqua calda, Soraya si portò una mano al ventre piatto. Il giorno in cui aveva sposato Ragnar era stato il più bello della sua vita. Vederlo sotto quell'arco, con la casacca bianca ed il volto sereno l'aveva fatta sentire ancora più al sicuro. Con l'abito di sua madre e sotto il braccio di suo padre, l'aveva raggiunto e, intrecciando le mani, avevano giurato di amarsi per sempre, di proteggersi a vicenda e di essere l'uno l'ancora dell'altra.

«Hai intenzione di diventare un pesce?»

Era rimasta talmente immersa nei suoi pensieri da non aver sentito Erik entrare di straforo senza nemmeno ascoltare le repliche di Azar. Il fratello la stava fissando impaziente, come se volesse dirle qualcosa di urgente.

«Magari sì!»

Erik alzò un sopracciglio, per poi sollevare entrambe le mani, aveva con sé una brocca di terracotta e due coppe. «Ho portato la birra.»

«Allora esco!» esclamò lei, uscendo dalla vasca. Non aveva vergogna di mostrare al fratello il suo corpo nudo, avevano condiviso l'utero della madre, erano cresciuti insieme facendo il bagno nudi nel mare quando erano piccoli. Non c'era nulla di cui vergognarsi, era il suo gemello.

«Ragnar?»

«Turno di notte» sospirò Soraya, avvolgendosi nella vestaglia e seguendo il fratello fuori dalla camera da bagno che confinava con la sua stanza di letto. «Dyani?»

«Pudica.»

Soraya sorrise, sedendosi sul letto con le gambe incrociate. «Non era questo che intendevo.»

«Lo so.» Erik le porse un boccale di birra, facendole l'occhiolino. «Nonostante abbia caldo continua ad indossare abiti pesanti e che mostrano ben poco del corpo.»

«Le donne di Keyll sono pudiche, ho sentito dire che il solo mostrare una caviglia le faccia sentire nude agli occhi degli uomini.»

«Tu non hai difficoltà a farti vedere da me senza abiti.»

«Sei mio fratello ed io ti ho visto nudo chissà quante volte!»

«Per noi è normale, per loro no.»

«Tante cose per noi sono normali e per loro non lo sono. Pensa ai combattimenti, alle donne che prendono in mano la spada invece di un arcolaio.»

Erik annuì, sedendosi sul pavimento, con la schiena poggiata al letto della sorella mentre lei si sdraiava tenendo la testa contro la sua, sentiva i suoi capelli toccargli la spalla. «É comunque poco consono per una donna mostrarsi senza abiti ad un uomo che non sia suo marito, anche se quest'uomo è il fratello gemello con il quale ha nuotato nuda fino a pochi giorni prima.»

Soraya rise fragorosamente, portandosi una mano al volto. «E da quando c'importa del pensiero degli altri?»

«Da quando le voci corrono più veloci delle tempeste.»

«Intendi i pettegolezzi riguardanti una nostra relazione carnale?» domandò Soraya in tono sarcastico, sfiorandosi il ventre piatto. «Sono solo voci, nulla di più.»

«E secondo te chi le ha messe in circolazione?»

«Antee?» Soraya ormai aveva una vera e propria avversione verso la matrigna. Non perché aveva preso il posto di sua madre sul trono di Crùn, ma per il modo in cui trattava sia lei che i suoi fratelli.

«Domani pomeriggio arriverà la famiglia reale di Talamh al completo.» Erik si alzò, guardando la sorella dall'alto. «Ci conviene prepararci.»

Soraya annuì, mettendosi seduta e volgendo lo sguardo alla sinistra del letto. Proprio accanto al lato su cui dormiva, c'era la sua lancia, la sua arma per eccellenza. Si alzò, prendendola tra le mani. L'asta in legno intagliato, di colore nero, la punta di acciaio era stata lavorata fino a farle ottenere una colorazione bluastra cangiante con uno scorpione nero in rilievo. Proprio sotto la lama, la giuntura, che saldava l'acciaio all'asta, aveva la forma di due serpenti che s'intrecciavano tra loro. Due nastri, uno blu ed uno viola, pendevano da essa, a ricordare i colori delle casate a cui apparteneva.

Suo padre l'aveva fatta forgiare per i suoi quindici anni, subito dopo aver ricevuto il battesimo di sangue.

Certo, non era come Lasair, la spada di Markos, arma tramandata di generazione in generazione, la spada degli scorpioni, come la chiamava Slane. Un'arma di pregiata fattura, forgiata nei tempi antichi, quando il loro popolo ancora abitava nell'antico impero. Lasair era destinata al re di Crùn, al legittimo successore, di conseguenza, un giorno sarebbe stato Erik ad impugnarla.

«Per questo Ragnar sta facendo il turno di notte. Lui e Riley stanno controllando i passaggi segreti della Rocca.»

«Anche quelli sconosciuti ad Antee?»

«Tutti.»


***


La mattina giunse presto e, con lei, gli allenamenti. Quella mattina avevano combattuto tra loro, sotto gli sguardi curiosi degli ospiti di Keyll, compresi i principi e la principessa Dyani. Nessuno di loro aveva mai assistito agli addestramenti del loro popolo. O meglio, non avevano mai visto una donna combattere.

Lo stesso re Derek si era fermato con Markos ad osservare i due principi all'opera, sorridendo quando vide Erik chiedere una pausa solo per bere un boccale di birra. Quel ragazzo era una forza della natura, molto simile al padre in gioventù.

Soraya ed Erik prendevano parte agli allenamenti della Guardia Corvina, ben più cruenti e duri rispetto a quelli dei soldati comuni, ma necessari se si voleva temprare una generazione di sovrani forti e consci dei loro limiti.

Nonostante la gravidanza Soraya non aveva rinunciato ai combattimenti, li aveva solo ridotti sotto consiglio di Ragnar. Era freddo e distaccato, ma quando si trattava della moglie mutava diventando protettivo.

Dopo due ore di corse, sollevamento di secchi d'acqua, combattimenti con le proprie armi e lotta, la colazione era d'obbligo. Nessuno dei due principi andò a cambiarsi, si presentarono nella sala dei banchetti sporchi di fango e sudati, sedendosi al tavolo con entrambe le famiglie reali.

Acantha aveva squadrato Soraya, storcendo il naso alla vista degli abiti sporchi e del suo aspetto rozzo. Per non parlare dei modi da troglodita di Erik che tracannava birra come fosse acqua.

Atteggiamenti ben lontani da quelli del fratello minore di Markos, Slane, e del piccolo Sahen. Lo stesso Marek aveva assorbito i modi diretti dei fratelli maggiori, a volte allungava la mano e rubava la birra dalla caraffa di Erik. Perfino il re beveva alcolici a colazione e non latte di capra o acqua come il resto degli uomini, giustificandosi con frasi del tipo «L'acqua è per le femminucce, la birra per gli uomini!»

La regina di Keyll sembrava quasi schifata, i suoi occhi verdi saettavano da Markos a Derek come se volesse far notare al marito quanto diverso fosse dall'amico. I due re erano in ottimi rapporti da quando erano giovani, ormai si conoscevano a tal punto da non vedere più le loro diversità caratteriali e comportamentali. Re Derek era un uomo taciturno, sempre con lo sguardo severo, gli occhi grigi che facevano rabbrividire, mentre Markos era un tipo rumoroso e imprevedibile, bastava poco per farlo infuriare e altrettanto per farlo calmare.

Uno riflessivo, l'altro impulsivo.

«Ho saputo che sapete combattere con la lancia.» fu la prima frase che Acantha rivolse a Soraya dal suo arrivo. Sembrava cordiale, sebbene si sentisse quanto quel tentativo di conversazione fosse tirato.

Soraya annuì, sorridendo alla sovrana, cercò di essere il più femminile possibile. «La lancia è solo una delle armi con cui ho appreso il combattimento, ma la sola con cui mi sento un'unica persona.»

«Un'unica persona?» stavolta fu Dyani a rivolgere la domanda, sbattendo le folte ciglia.

«Per combattere un guerriero deve essere un tutt'uno con la propria arma. Saper maneggiare una spada non fa di un uomo un guerriero, ciò che lo renderebbe tale è la consapevolezza che quell'arma è parte di lui come un braccio o una gamba.»

«E non sapete fare altro? Intendo, oltre combattere.» Acantha ora sembrava volerla mettere alla prova.

Soraya non abbandonò il sorriso, con la coda dell'occhio le parve di vedere suo padre sogghignare da dietro il boccale di birra, mentre Erik aveva perfino smesso di masticare. «In verità, sono stata istruita sulle proprietà curative delle erbe, potrei recitarle a memoria l'intero statuto di Crùn ed anche quello di Logh. So pescare e comandare una nave, nuoto e cavalco da quando avevo un anno.»

Acantha strinse gli occhi, sentendosi presa in giro dalla principessa. Troppo volgare, maschile e rozza per poter essere una regina aggraziata e ben educata.

«Inoltre, vostra altezza, riconosco quando sono poco voluta ed è quello che voi state cercando di farmi capire.»

Ivar scoppiò a ridere, battendo una mano sul tavolo e guardando prima la madre e poi Soraya. «Finalmente qualcuno capace di zittire mia madre!»

Ma Acantha non era dello stesso parere. Guardò Soraya come un leone pronto a sbranare la sua preda, ma la principessa non vi fece caso, troppo impegnata a battere la mano sulla schiena di Erik che, cercando di non ridere, si stava strozzando con il cibo.

«E voi, principe Erik?» domandò Acantha, rivolgendosi al principe, sorvolando sulla conversazione appena avvenuta.

«Io cosa?»

«Voi sapete fare altro oltre che combattere?»

«Pescare, mia regina, cavalcare, cacciare...»

«Ubriacarsi, andare per bordelli» intervenne Marek, causando la risata fragorosa del padre.

Ma quella battuta non fu ben vista da Acantha, la quale lanciò uno sguardo raggelante prima a Marek e poi ad Erik.

«Girano voci, riguardo al legame che unisce voi due.» Acantha indicò Erik e Soraya. «Si vocifera che sia troppo morboso.»

«Morboso?» domandò Soraya. «Ah, intendete quelle calunnie riguardanti un rapporto incestuoso.»

Erik quasi si strozzò nuovamente con un pezzo di pane.

Soraya non vi fece caso. «E di sicuro vi starete chiedendo se il figlio che porto in grembo è di mio marito o di mio fratello.»

Stavolta fu Markos a rischiare l'asfissia da strangolamento.

Ma Soraya non si fermò. «La risposta a tutti questi quesiti è no. Io e mio fratello abbiamo un legame speciale che si ferma al semplice attaccamento, l'unico uomo che conosce il mio corpo e mi soddisfa in camera da letto è mio marito e, mi creda mia regina, mi soddisfa ogni notte. A volte anche a metà giornata, e non solo in camera da letto.»

Era ufficiale, Soraya non piaceva ad Acantha, ma nemmeno la sovrana rientrava nelle simpatie della principessa.

Per fortuna suo padre cambiò immediatamente discorso, rivolgendosi al piccolo Sahen, seduto accanto ad Antee. «Sahen, oggi ti addestrerai con Marek, Riley ha già pronta un'imbottitura per te.»

«Addestrare?» la sua vocetta era più bassa di quella degli altri bambini, sembrava quasi un sussurro. Guardò impaurito la madre, come a chiederle di intervenire al suo posto.

«Credevo ne avessimo discusso, Sahen è troppo piccolo.» difatti Antee non tardò a nascondere il figlio sotto le sue sottane, metaforicamente parlando. Non faceva altro da quando era nato. «Non può addestrarsi!»

«Erik, quanti anni avevi quando iniziasti ad allenarti con Riley?» domandò Markos.

«Cinque.»

«E tu Soraya?»

«Cinque.»

«Marek?»

«Cinque.»

Markos rivolse uno sguardo fermo e furioso alla moglie, facendole un cenno con la mano. «Cinque anni. Sahen ne ha dieci, è abbastanza grande. Ho lasciato correre, ti ho dato tempo, ora decido io. Se vuoi che il bambino sopravviva alla suo battesimo di sangue, tra cinque anni, ti conviene smetterla con i tuoi soliti piagnistei da donnina di Talamh e fare quello che ti dico, hai capito?»

Ma Antee non rispose, strinse i denti, sentendosi umiliata di fronte a tutti, un conto era litigare sulla questione in privato, un altro era trattarla come una serva davanti ai sovrani di Keyll e alla loro prole. Per non parlare della presenza di Soraya, Erik, Marek e Slane.

«Hai capito, donna?» stavolta Markos mise così tanto disprezzo chiamandola donna, che Antee si sentì avvampare.

«Siete voi il re, marito» sibilò lei a denti stretti, alzandosi e prendendo Sahen per mano. Fece per lasciare la sala, ma Markos la fermò.

«Sahen resta qui!» esclamò, afferrando Sahen per il braccio e strascinandolo accanto a sé. Mai far infuriare Markos an Sgairp, si finiva sempre per perdere qualcosa.


***


Subito dopo la colazione, Soraya si era cambiata, indossando vesti più femminili e, insieme ad Erik, aveva deciso di assistere al primo allenamento di Sahen.

Slane era già sulla balconata che dava sullo spiazzo ad osservare i giovani principi dall'alto. Da lì potevano sia vedere che sentire tutto.

«Oh, i miei nipoti preferiti» li accolse Slane, con quella sua solita esuberanza. A volte sembrava che lo facesse di proposito.

«Caro zio.»

«Zio Slane.» Erik si fidava poco dello zio paterno, di rado lo si vedeva combattere ma, del resto, nemmeno Markos si allenava con un pubblico.

Soraya, invece, cercava solo di comprendere quei suoi atteggiamenti troppo marcati. Forse era la somiglianza con il padre, oppure quei tentativi di approccio con lei, ma non se la sentiva di detestarlo come faceva Erik. Secondo lui non era un bravo guerriero, tutti sapevano che il suo rito di passaggio l'aveva quasi ucciso, era riuscito a superarlo per puro miracolo, guadagnandosi diverse ferite sulla schiena e sulle gambe. Sebbene avesse un fisico prestante Slane non era più stato in grado di combattere contro una delle guardie corvine senza rischiare grosso, a stento riusciva a battere un normale soldato.

«Assistete agli allenamenti?» Soraya si rivolgeva allo zio con formalità, rispetto al padre.

«Volevo vedere come se la cavano i due» precisò Slane. «Marek sembra a suo agio.»

«Sahen pare impacciato.» Erik si appoggiò alla balaustra, piegandosi in avanti per appoggiare il mento sugli avambracci incrociati, sentendo la mano della sorella posarsi sulla sua schiena. «A volte mi chiedo se sia veramente nostro fratello.»

«Che intendi dire?» Slane aggrottò la fronte, studiando il nipote.

«Guardalo, non ha spina dorsale, è pelle e ossa e non ha il minimo senso della precisione» rispose lui, indicando il fratellastro cercare di tenere in mano una spada. «Non ha l'aspetto di molti altri guerrieri della nostra casata, si diverte di più a torturare gattini e infastidire i piccioni nei giardini.»

«Quanta arroganza, caro nipote, ma vorrei ricordarti che anch'io, da giovane, ero a dir poco impacciato nel combattimento. Magrolino, cagionevole, sempre preso di mira dagli altri ragazzi più grossi di me.»

«E poi, che è successo?» domandò Soraya, studiando lo zio. Quegli occhi azzurri come quelli di Markos la facevano sentire a disagio.

«Sono cresciuto, ho imparato che a volte non serve una spada per vincere una guerra, serve anche l'ingegno e l'astuzia. Così sono diventato più furbo di molti altri.»

«Certo, raccontalo alla guardia corvina che stava per ucciderti durante il tuo battesimo di sangue. Sappiamo tutti che ti sei salvato solo perché zio Morven intervenne.» Erik lo guardò con sdegno, sollevandosi e lanciandogli sguardi di sfida.

Non era ben voluto e Slane lo capì. «Con permesso» disse, chinandosi lievemente e allontanandosi dai nipoti.

Soraya attese che lo zio fosse abbastanza lontano e fuori dalla loro portata prima di dare un colpo secco alla nuca del fratello. «Sei davvero così stupido?»

«Sarà pure nostro zio, ma non mi fido di lui.»

«E per quale motivo?»

«Lo stesso per cui tu non ti fidi di Antee.»

Soraya strinse la mascella, sbuffando dal naso. «Non mi fido di Antee perché è figlia di re Egor, e abbiamo sentito tutti le voci che circolano sulla famiglia reale di Talamh.»

«Certo, fratelli che uccidono fratelli, mariti che uccidono mogli, una vera e propria famiglia felice, ma non era questo che intendevo dire.» Erik prese la sorella per le spalle. «Tu ed io ci fidiamo del nostro istinto più di qualsiasi altra cosa ed il mio mi dice che Slane non è una persona in cui confidare.»

Soraya guardò il fratello negli occhi, aveva ragione. Come il suo istinto le diceva di non fidarsi di Antee, quello di Erik gli diceva di fare lo stesso con Slane. Quegli occhi azzurri e quei modi zelanti nascondevano qualcosa e il giovane erede al trono l'aveva capito da molto tempo.


***


«Non ti piace, vero?»

Acantha aveva sentito il marito arrivarle alla spalle, ma non si era voltata, restando ferma ad osservare la vita scorrere fuori da quella finestra.

«La trovo troppo arrogante e volgare.»

«É una fanciulla di Crùn, le loro femmine impugnano le spade, le nostre ago e filo.»

«Ed Erik? Veramente vuoi che sposi nostra figlia?»

«Acantha...»

Acantha si voltò, mettendo le mani sul petto del marito. «Lo so, il primo matrimonio politico prestabilito doveva essere tra Soraya e Andràs e, grazie agli dei il loro fidanzamento è naufragato, ma veramente vuoi lasciare la tua unica figlia, la perla preziosa di Keyll qui, nelle mani di un troglodita che tracanna birra dal mattino alla sera?»

«Penso proprio che questo matrimonio porterà molti vantaggi sia per noi che per gli altri regni» disse il re, lasciando un bacio sulla tempia della moglie. «In più nostra figlia diventerà cognata di colei che fra cinque mesi sarà sovrana di Logh ed anche la tua regina.»

«Io sono la regina» sorrise Acantha, ben sapendo a cosa si riferiva il marito.

«Tua madre era una lady di Logh, mia cara, per metà appartieni a quelle terre.» Derek le mise le mani sulle spalle. «E, in merito a nostra figlia, qui starà benissimo, non esiste luogo più sicuro di Rìoghachd, qui sarà protetta e, con il tempo, amata. Dai solo una possibilità a queste nozze, come hai fatto con me.»

La donna non sembrava tanto convinta, ma il modo in cui Soraya le aveva risposto l'aveva colpita. Nessuna principessa o lady di Keyll aveva mai osato sfidare apertamente la regina, eppure lei l'aveva fatto e, questo, la rendeva una fanciulla o troppo stupida o coraggiosa abbastanza da difendere le proprie idee e convinzioni da chiunque cercasse di dirle che sbagliava. In più Derek aveva ragione. Lei gli aveva dato una possibilità il giorno in cui l'aveva sposato, forse poteva anche darla ad un donnaiolo arrogante come Erik.




Pronunce:

Bethia – Beia, TH mute

Ùir - Oir

an Leòghann – en Lioan

Lasair – Losar

Bearg – Bir




Angolo Autrice:

Ed ecco il nuovo capitolo. Abbiamo scoperto qualcosa di più della religione, per la quale mi sono ispirata agli antichi culti praticati dai celti, greci e pagani.

Lentamente apprendiamo la storia delle famiglie reali, i nomi, le loro usanze. Credetemi, i capitoli noiosi e di conoscenza stanno per finire, nel prossimo ci sarà il matrimonio e vedremo per la prima volta re Egor, scoprendo alcuni piccoli tasselli riguardanti la sua ascesa al trono ed i suoi figli.

Erik ha accennato alle morti di fratelli e mogli, ne scopriremo di più nel prossimo capitolo.

Intanto vi lascio a questo e vi auguro una buona serata. Per qualsiasi cosa, se notate errori, o volete darmi dei consigli, accorgimenti, dite pure, non mi offendo!

Ele

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Capitolo 5
*** Cap. 4 ***





Attenzione!

I primi capitoli sono stati revisionati a causa dell'inserimento di un nuovo personaggio, perciò, se non li avete ancora letti, vi consiglio di farlo, altrimenti la lettura di questo capitolo vi farà sorgere molti dubbi, in quanto la trama stessa ha subito una notevole variazione!








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Video

I Figli di Tanaros – Trailer

I Figli di Tanaros – This is War

Soraya an Sgairp – Broken Crown



Cap. 4

Sangue e Mare








Acantha intrecciava i capelli della figlia. Aveva la mente altrove, immersa in pensieri lontani e poco felici. Non era un mistero che le nozze tra Dyani ed Erik non fossero ben viste da lei, tanto meno il futuro sposo, ma aveva deciso di dare al giovane una possibilità. Se sua figlia aveva scelto di sposarlo senza troppe remore, cercando sin dal loro primo incontro d'instaurare un qualche approccio, qualcosa di buono doveva pur venir fuori.

Sorrise al riflesso di Dyani nello specchio. Quei suoi occhi verdi da cerbiatta le ricordavano lei alla sua età, quando, ancora fanciulla, attendeva il giorno delle sue nozze con Derek.

Lei ed il marito erano stati promessi sin dalla nascita, fidanzati senza essere innamorati. La prima volta che lo vide fu il giorno prima delle nozze. Lui era così attraente, dal fisico mascolino e forte. Lei aveva appena sedici anni, lui era già un uomo di ventiquattro. L'aveva amato sin dal primo momento, ma sapeva perfettamente di non essere ricambiata. Derek era un frequentatore di bordelli, amava le donne e non era un uomo da matrimonio. Sapeva che l'aveva sposata per volere del padre, re Akin, ma non si era data per vinta.

Con la nascita di Andràs, dieci mesi dopo le nozze, aveva giurato a sé stessa di rendere il suo matrimonio felice e tenuto saldo dall'amore. C'era riuscita, aveva fatto capitolare un donnaiolo come Derek ed aveva reso la loro unione felice e basata sulla fedeltà.

Erano trascorsi ormai vent'anni dalle loro nozze e, da allora, non erano state celebrate altre unioni reali, solo il funerale di re Akin, avvenuto diciannove anni prima, quando il regno di Talamh o, per meglio dire, re Egor, si era sollevato contro gli altri regni, pretendendo il dominio sulle montagne che dividevano Talamh da Logh. La questione era da secoli incerta, alcuni dicevano che la montagna di Òir rientrasse nei confini di Logh, altri in quelli di Talamh, ma al termine di quella guerra civile, Egor aveva dichiarato la resa, lasciando al regno di Seraphi la catena montuosa e, di conseguenza, il monte e le miniere dei Morti, ma in quella diatriba due re avevano perso la vita e due nuovi sovrani erano ascesi al trono. Suo marito era divenuto re di Keyll e Markos era succeduto al fratello maggiore Morven.

Le campane la distolsero dai suoi pensieri, riportandola alla realtà. Re Egor stava per fare il suo ingresso nella Rocca. Le nozze si sarebbero tenute l'indomani, al tramonto, e il sovrano di Talamh aveva deciso di pernottare il meno possibile a Rìoghachd e questo a lei non dispiaceva.

Silenziosamente e con grazia, si diresse verso il cortile, Dyani la seguiva senza proferire parola. Controllò attentamente che i figli fossero in ordine, prima di affiancare il marito e re Markos.

Erik era in piedi alla destra del padre, accanto a lui Soraya e Marek. Vide lo sguardo fin troppo teso dell'erede al trono di Crùn, sembrava volesse saltare al collo di Egor da un momento all'altro.

Intemperante e impulsivo, troppo per un futuro sovrano, pensò Acantha, sistemandosi l'abito e riportando gli occhi verdi sul re di Talamh. Era un uomo di cinquantacinque anni, dai capelli di un castano chiaro quasi biondo ed occhi castani.

Si diceva che per salire al trono avesse ucciso i suoi quattro fratelli. Stessa cosa per il figlio Ecbert, suo erede al trono, il quale aveva tolto la vita al primogenito del padre, Efrem, alla tenera età di quindici anni. Ma erano solo dicerie, forse messe in giro per demolire il sovrano, ma le morti sospette in quella famiglia non si fermavano ai fratelli, perfino la prima moglie di Egor, sterile, morì cadendo dalle scale, la seconda, madre di Antee ed Ecbert, ed anche ex moglie di uno dei fratelli deceduti del re, era morta dando alla luce un figlio morto, dopo ben tre aborti. La terza, ed ultima moglie, era morta annegata nella vasca da bagno, tre mesi dopo aver dato alla luce una figlia, Agar. Per non parlare del marito di quest'ultima, morto anche lui in seguito ad una strana febbre.

Una famiglia davvero singolare. Markos aveva sposato Antee per salvaguardare la pace con Talamh, ma doveva ben guardarsi dalla famiglia reale, se le voci erano vere, si era portato alla corte la figlia di un assassino.

I tre sovrani si strinsero la mano prima che Egor potesse rivolgere il suo sguardo alla futura regina di Logh. La guardò con una strana smorfia sul volto, come se si aspettasse chissà quale fanciulla.

Porse a Soraya un lieve inchino, per poi baciarle il dorso della mano. «Finalmente ho l'onore d'incontravi, principessa Soraya.»

Ma Soraya non rispose, sentendo il fratello accanto a lei irrigidirsi. Erik lo detestava, l'aveva incontrato un paio di volte durante i viaggi a Talamh che compiva con il padre, e mai, in nessuna di quelle occasioni, aveva avuto modo di cambiare opinione su quell'uomo dallo sguardo d'avvoltoio.

Non ci fu il tempo di porgere altri ossequi, qualcosa in lontananza si stava avvicinando alla Rocca. Si udivano canti e tamburi, suoni dolci e insieme forti. Re Egor si voltò di scatto, scostando il mantello di pregiato velluto rosso, facendo attenzione a non sbilanciarsi troppo, per non rischiare di far cadere la pesante corona d'oro che portava sulla testa. Qualcuno stava interrompendo il suo ingresso nella capitale e questo non era di suo gradimento.

Man mano quel suono divenne un canto distinto accompagnato da tamburi. Le campane cominciarono a suonare, preannunciando l'ingresso delle sacerdotesse di Coltas. I loro capelli rossi sembravano fiamme ardenti alla luce del sole mattutino ed i loro occhi ricordavano l'ambra degli alberi della foresta di Firth.

Marek osservava quelle donne camminare a passo moderato verso di loro, la loro somma sacerdotessa doveva avere l'età di Azar, ma i suoi capelli non avevano assunto il tipico colore argentato della vecchiaia, c'erano solo alcuni ciuffi grigi, ma nulla di più.

Quando poi i tamburi cessarono di suonare e con loro le campane, calò un silenzio spettrale nel cortile del castello, ed il giovane principe si sentì sopraffatto dall'ansia.

Si avvicinò ad Erik, tirandolo per la manica. «É vero che le sacerdotesse di Coltas sono le sole persone ad essere immuni al veleno degli scorpioni, poiché si pensa che siano nate proprio da esso?»

Erik fece spallucce, sbuffando lievemente dal naso. «Nascono da un uomo e una donna esattamente come tutti gli altri esseri umani.»

«Sì, ma si pensa che la prima sacerdotessa della dea Àrsaidh sia nata dal veleno di uno scorpione e che il suo sangue fosse incendiario.»

«Sono donne, Marek. Semplici donne con il dono della preveggenza, nulla di più!»

La leggenda della prima sacerdotessa, narrava che una donna gravida era stata punta da uno scorpione nero, proprio mentre implorava la dea Àrsaidh di lavare via la sua sofferenza causata dall'uomo che l'aveva abbandonata con un figlio in grembo. Pochi mesi dopo la donna aveva dato alla luce una bambina i cui capelli erano rossi come il fuoco e gli occhi ambrati come il tramonto. La piccola era nata proprio sull'isola di Coltas, dove la madre era stata mandata in esilio a causa della gravidanza indesiderata.

Quella bambina era poi cresciuta e, dopo la morte della madre, aveva deciso di dedicare la sua vita alla dea da cui aveva ereditato il dono della preveggenza, fondando un tempio in suo onore sull'isola di Coltas. Era poi tornata nell'antico regno, dove la madre era nata, raccogliendo intorno a sé altre fanciulle con lo stesso dono, portandole a Coltas per istruirle nel nome della dea. Erano solo leggende, poco chiare e con svariate lacune, ma erano proprio i misteri che le circondavano a rendere quelle storie così attraenti.

Erik e Soraya erano cresciuti ascoltando quei miti, ma mentre la sorella vi credeva fermamente, lui era rimasto scettico proprio come il padre. Non credeva alle storie mitologiche di donne nate dal sangue degli scorpioni o di uomini il cui corpo era fatto di legno e corteccia. No, credeva nella volontà degli uomini e nelle leggi della guerra.


***


Non visitava mai quel luogo, ma quella notte era speciale. Markos chiuse gli occhi, riportando alla mente il volto di Seraphi, i suoi lunghi capelli biondi, gli occhi blu come il mare. Una donna dalla bellezza eterea e algida. Quanto gli mancava il dolce suono dei campanelli che tintinnavano ad ogni suo passo, Seraphi portava sempre quelle cavigliere tintinnanti e di rado indossava calzature. Soraya aveva ereditato quell'abitudine, ma i campanelli alle sue caviglie non producevano lo stesso suono poiché aveva un'andatura diversa da quella della madre.

Quanto avrebbe voluto riaverla al suo fianco, sentire la sua voce, il suo profumo. Lei era la regina di due regni, forte e indomita, caparbia e giusta. In sua assenza sapeva dominare gli animi ardenti dei soldati di Crùn, nonostante provenisse da un regno do poeti, pastori e bardi. Ogni suo consiglio era più prezioso dell'oro per lui.

«Padre.»

«Dovresti riposare, Soraya.» Markos non si voltò, rimase fermo, ascoltando i passi della figlia avvicinarsi, quei campanelli lo fecero sorridere. «Uscire di notte non è sicuro.»

«Temi per la mia sicurezza?»

«Temo per la sicurezza di chi potrebbe cercare di farti del male.»

Soraya sorrise, affiancando il padre, osservando la statua raffigurante Seraphi. Le candele accese attorno al piedistallo la illuminavano abbastanza e la luna, quasi piena, la rischiarava. Il piccolo tempietto circolare di marmo bianco era circondato da gigli del medesimo colore, ma uno blu era stato messo ai piedi della statua. Solo a Logh crescevano gigli blu, solo nei giardini del palazzo reale.

«Oggi è l'anniversario del nostro fidanzamento.» Era raro che Markos nominasse Seraphi, non era avvezzo ai ricordi, era un guerriero che non mostrava mai i suoi sentimenti.

«Mi manca. Mi manca la sua voce, il suo sorriso, mi mancano le sue carezze, la sua dolcezza.»

«A me no.» Markos voltò lo sguardo verso la figlia, guardandola dritta negli occhi. La luna piena brillava abbastanza da illuminare quella notte. «Ogni volta che ti guardo negli occhi rivedo tua madre, la sua forza, il suo coraggio. Ogni volta che ti guardo rivedo lei e il senso di mancanza svanisce.»

Soraya annuì, poggiando il capo contro la spalla di Markos, respirando l'aria fredda della notte. «E pensare che zio Slane dice che somiglio molto più a te.»

Markos rise, allargando il braccio per poter stringere le spalle di Soraya. «Caratterialmente parlando, tu sei più simile a me, ma nei tuoi occhi...nei tuoi occhi c'è la fierezza di Seraphi e la tempesta marina che ha accompagnato la tua nascita.»

Soraya sapeva a cosa si stava riferendo. Era la storia della sua vita, la storia della sua nascita, delle circostanze in cui lei ed Erik erano venuti al mondo.

«La notte in cui tu ed Erik siete nati arrivò una tempesta dal mare, i tuoni vibravano nell'aria, le saette cadevano dal cielo e il vento soffiava talmente forte da sradicare gli alberi» disse Markos, guardando la statua della moglie. «Nulla è più forte e devastante di una tempesta marina, tranne te. Sei rumorosa e spavalda e questo mi spaventa perché ti tuffi nel pericolo senza pensare, senza riflettere, ed io vorrei solo proteggerti da quel rischio che tu cerchi.»

La giovane sorrise, stringendosi di più al corpo del padre. Era così rilassante chiacchierare con lui, parlare di tutto e restare ferma ad ascoltare la sua voce profonda che la cullava come le braccia di sua madre.

«Sei indomabile e forte proprio come la tempesta che si abbatté su Crùn quella notte. A volte credo che ti sia entrata dentro, che quella forza della natura risieda nel tuo cuore. Come risiede nel mio, ecco perché siamo uguali, mio piccolo scorpione.» Markos guardò la figlia per un breve istante. Quegli occhi blu, profondi come il mare, erano lo specchio di un animo ribelle. «Hai il mio carattere, ma somigli a tua madre molto più di quanto pensi. Il giorno delle nostre nozze fuggì in groppa al suo cavallo e dovetti correrle dietro per poterla riportare a palazzo. Seraphi era una forza della natura, era una guerriera ed una regina, sebbene non adoperasse la lancia come te, figlia mia, lei era comunque una combattente, sapeva quando era tempo di riflettere e quando bisognava agire. Crùn non avrà mai una regina come lei, purtroppo, ma Logh sì!»

Soraya annuì, cercando di sembrare convinta, ma più ci pensava, più sentiva di non essere adatta a regnare. Lei voleva la battaglia, il sangue, la gloria, non la corona e la responsabilità di un popolo.

«Tu sei figlia della tempesta, non dimenticarlo mai!» esclamò Markos, come se i pensieri di Soraya fossero arrivati a lui. Voleva infonderle coraggio, forza. Quanto avrebbe voluto tenere quella fanciulla sotto una teca di cristallo per sempre, proteggerla dalle avversità di un mondo di sangue e morte, dove gli uomini erano avidi e superbi, quanto avrebbe voluto, ma non poteva.

L'aveva cresciuta forte e determinata, aveva fatto del suo meglio per darle tutto ciò di cui aveva bisogno, ora doveva solo lasciarla andare e vedere quanto aveva imparato.

Soraya non era più la bambina che gli rubava la spada per giocarci, la piccola che correva per i corridoi della Rocca con un elmo troppo grande in testa, che urlava rincorrendo il gatto di Antee. No, sua figlia non era più quella bambina. Giorno dopo giorno si era trasformata in una giovane donna intraprendente e caparbia, forse anche troppo, ma era comunque la sua bambina, sua figlia.

Da bambina era diventata fanciulla, da fanciulla guerriera, da guerriera donna, da donna moglie e, presto, madre, regina. E che regina. Sì, ne era certo, sua figlia aveva i requisiti adatti per essere una sovrana, doveva solo trovare la sicurezza e il coraggio di accettare la corona e adempiere al suo destino.


***


Dyani se ne stava seduta davanti allo specchio, il sole era ormai sorto da ore ed il giorno delle nozze era giunto fin troppo velocemente. Non aveva avuto modo di parlare con Erik per più di due minuti, ogni volta lo vedeva allontanarsi con una qualche scusa ridicola e lei, sconsolata, si ritrovava a chiedersi che cosa avesse di sbagliato.

Sussultò quando sentì bussare alla porta. Con flemma aprì trovandosi di fronte il soggetto dei suoi pensieri.

«Voglio mostrarti una cosa» disse semplicemente Erik, invitandola a seguirlo. Non era stato brusco, tanto meno scortese, solo frettoloso e sbrigativo.

Lo seguì lungo i corridoi della Rocca, fino nei giardini dove aveva passeggiato spesso con sua madre. Da lì imboccarono una piccola scalinata di pietra che li portò in un giardino superiore che, fino a quel momento, non aveva mai visto. Là, proprio a ridosso della scogliera, tra piante di azalee rosa e glicine, gigli e fiori di ciliegio, un piccolo tempietto circolare di marmo bianco spiccava tra il verde ed i colori viola e rosa dei fiori. La primavera era giunta e poteva inebriarsi del dolce profumo dei fiori e l'odore salmastro del mare sotto la scogliera.

Erik si fermò di fronte al tempio e lì Dyani vide per la prima volta il volto di Seraphi, la regina di Logh e Crùn dall'incomparabile bellezza.

«Dyani lei è mia madre.» Erik indicò la statua facendo un piccolo cenno di riverenza con il capo. «Mio padre fece costruire questo piccolo tempio poco dopo la sua morte e, nonostante abbia sposato Antee, non ha mai smesso di amarla.»

«Perché mi avete portata qui?»

«Innanzitutto non sopporto il tono formale, tanto meno il voi» specificò Erik, ricordando a Dyani la prima conversazione avuta con Soraya. «In secondo luogo, ho deciso di portarti qui perché non voglio un matrimonio politico come quello tra mio padre e Antee.»

Dyani annuì, forse tutti i suoi tentativi ed i consigli avuti sia dalla madre che da Soraya avevano sortito il loro effetto?

«Stasera io ti giurerò rispetto e devozione, ma sappi che dovrai avere molta pazienza con me. Non sono sicuro di essere tagliato per fare il marito, ma ti chiedo di sopportare i miei modi rudi e distaccati. Non sono avvezzo alle effusioni o alle dimostrazioni di affetto, non posso prometterti di essere un marito amorevole e presente, ma proverò a non ignorarti e darti quel poco di affetto che riuscirò ad esternare.» Erik si piegò verso di lei, lasciandole un bacio sulla guancia.

Dyani sentì il tocco delle sue labbra calde, accompagnate dall'ispido della barbetta bionda. Un piccolo passo era stato fatto, almeno non si sarebbe sentita ignorata e poco voluta.


***


Agar an Leòghann non aveva il volto tipico di una vedova. Suo marito era morto da meno di due mesi e lei non accennava ad alcun segno di costernazione o lutto, anzi, vestiva abiti dalle tonalità chiare e portava i capelli castani sciolti lungo la schiena. Nessun velo, nessuna treccia, nessun abito scuro.

Il suo defunto marito era un nobile di Talamh, un Lord molto più vecchio di lei e alquanto insignificante. Per tre anni l'aveva sopportato, ma due mesi prima era stato colpito da una febbre contratta a causa di una ferita infetta che l'aveva ucciso nel giro di quattro giorni dopo atroci sofferenze.

Non aveva avuto figli e, di certo, non ne voleva. Alcune dame vociferavano che avesse fatto di tutto pur di non partorirne. Il suo istinto materno era pari a quello di un sasso, se si voleva ascoltare il parere di Azar.

Camminava per i corridoi della Rocca con passo deciso e spavaldo, con il mento alto e la schiena dritta, sempre al fianco del padre, come per mostrare al mondo che era lei la figlia prediletta e non Antee, la regina di Crùn.

«Sei arrivata solo ieri e già ti metti su un piedistallo?»

Agar si voltò verso la sorella. «Stavo giusto cercando te, sorella.»

«Ebbene, eccomi qui.»

«Nostro padre vuole vederti.»

«Ed ha mandato la sua piccola prediletta a chiamarmi. Scommetto che dietro a quel falso sorriso si cela il ghigno divertito di una vipera.» Antee non amava la sorella minore, nata da Netia Coineanach, una lady di Talamh, che aveva fatto carte false per entrare nel letto di suo padre quando era ancora sposato con Alasia an Tarbh, sua madre.

Ma Agar non disse niente, si limitò a sorridere, sorpassando la sorella per invitarla a seguirla.

Antee fece il suo gioco, Agar era una donna subdola, calcolatrice, proprio come sua madre, e non si era sorpresa quando la notizia della morte di suo cognato era giunta a Crùn. Probabilmente l'aveva ucciso lei, o aveva chiesto a Ecbert di farlo, oppure a qualche suo amante. Ormai la conosceva, non faceva mai niente per nulla. Ogni sua azione era mossa da un desiderio, ogni suo minimo gesto era ben calcolato per ottenere una conseguenza a lungo termine. Chissà cosa le passava in quella testolina.

Quando entrò nella stanza di Egor, vide che era presente anche Ecbert, seduto allo scrittoio con un taglia carte in mano. Un altro figlio nato con il desiderio di potere nella mente e nel cuore.

«Sorella!» esclamò Ecbert, alzandosi e abbracciandola, per poi sussurrarle all'orecchio. «Vedo che ancora continui a fallire.»

Antee fece un finto sorriso, ricambiando l'abbraccio e sussurrando a sua volta. «Vedo che continui ad essere la seconda scelta di nostro padre.»

Nonostante i palesi insulti, i due non abbandonarono quel finto sorriso di cortesia quando si staccarono, rivolgendo poi i loro sguardi al padre, intento a guardare la sua immagine allo specchio.

«Sei riuscita nel tuo intento?»

«Non ancora, padre» rispose Antee, avanzando di qualche passo. «Soraya aspetta un figlio e Azar controlla tutto quello che mangia e beve.»

«Non importa, i piani stanno cambiando.» Egor si voltò, guardando i figli. «Uccidere Seraphi ci ha portati più vicini a Logh di quanto pensassimo, ora dobbiamo solo trovare la soluzione al problema Soraya.»

«Posso pensarci io, padre.» Agar avanzò verso il padre, ma lui scosse il capo.

«No, Agar, per il momento deve restare viva, ma non il figlio che porta in grembo.»

«Ci vorrà del tempo» affermò Antee.

Agar però non era della stessa opinione, ansiosa di compiacere il padre. «No se la lasciate a me, padre. Stasera al banchetto posso...»

«Non adesso, non con questa confusione in atto, desterebbe troppi sospetti su di noi.» Egor fece cenno a Ecbert di alzarsi, per potersi sedere dietro allo scrittoio. «Accadrà poco prima della sua partenza per Logh, per poter rimandare l'incoronazione.»

«Ed Erik?» domandò Ecbert, fissando il padre negli occhi gemelli.

«Lui? Il futuro re morirà quando prenderemo Crùn e non prima.»

«A tal proposito, ho un piano da proporvi, padre, ed un perfetto capro espiatorio.» Antee, si avvicinò a Egor, piegandosi per sussurrargli qualcosa all'orecchio.

Ecbert e Agar cercarono di ascoltare, ma la voce della sorella era troppo bassa e loro troppo lontani per riuscire a sentire, ma dal ghigno compiaciuto di Egor capirono che la regina aveva ideato qualcosa di talmente malvagio da soddisfare le brame di potere del padre.


***


Il tramonto aveva colorato il cielo con tinte calde, le fiaccole lungo la scalinata esterna, che dalla Rocca scendeva fino alla spiaggia lungo la parete della scogliera, erano state accese ed i campanelli dell'arco suonavano leggeri mossi dal lieve venticello.

Dyani avanzava lenta sulla spiaggia, sotto al braccio del padre, mentre gli invitati la osservavano rapiti. Per la prima volta aveva vestito un abito più leggero, dalle maniche lunghe di un tessuto quasi trasparente, bianco come imponeva la tradizione di Keyll. I capelli adornati di nastri e fiori, raccolti in trecce, lasciavano scoperto il collo sottile e lungo.

Erik era vestito con i colori della sua casata, la casacca blu faceva risaltare il colore dei suoi occhi, i pantaloni neri e la cintura del medesimo colore sembravano fuori luogo per un matrimonio, ma per gli an Sgairp era il colore del loro stendardo.

Dyani si sentiva come attratta da quel giovane di fronte a lei. Era magnetico, bello, forte, carismatico, ben diverso dagli uomini di Keyll, molto lontano dall'idea che si era fatta di lui. Quando suo padre mise la sua mano in quella di Erik, lasciandola definitivamente alla sua protezione, sentì una strana scossa attraversarle il braccio, ma non vi fece caso, troppo concentrata sul suo futuro sposo.

Sentiva in lontananza le parole del sacerdote del sio Ceart e della sacerdotessa della dea Bethia, come un'antica favola trasportata dal vento, un lieve canto dolce e significativo. Lasciò che legassero la sua mano sinistra a quella di Erik con una corda formata da nastri colorati. Li guardò attentamente, notando per la prima volta che ogni corda nuziale era diversa, poiché era formata dai colori delle casate dei due sposi, nel loro caso vide il blu ed il nero degli an Sgairp unito al verde, argento e oro dei cù Allaidh.

«Nel nome della dea Bethia io ti giuro eterno amore. Nel nome del dio Ceart io ti giuro eterna fedeltà. Da questo momento, fino alla fine dei miei giorni, ogni mio respiro sarà per te, ogni mio sguardo sarà per te, ogni mio battito sarà per te. Nel nome degli dei, io ti dono il mio cuore e la mia anima, per sempre» dissero Erik e Dyani all'unisono, quando ormai la cerimonia si stava concludendo.

Ecco, da quel momento lei non era più Dyani cù Allaidh, principessa di Keyll, in quell'istante divenne Dyani an Sgairp, principessa e futura regina di Crùn.


***


«Niente pugni mancati stasera?»

Ragnar credeva di poter sopportare tutto, ma quei banchetti erano un vero e proprio tormento. Caotici, pieni di persone ubriache e falsi sorrisi. Preferiva ancora il chiasso della taverna ai convivi reali.

Soraya l'aveva affiancato, trovandolo in piedi appoggiato con la spalla alla colonna. «Niente pugni?»

«Stasera il tuo precedente pretendente ha deciso di corteggiare le dame.» Ragnar indicò Andràs, intento a fare gli occhi dolci ad una delle giovani lady accorse alla Rocca per il matrimonio. Probabilmente non aveva ancora capito di che pasta erano fatte le donne di Crùn. Difatti, proprio in quel momento, la fanciulla gli rovesciò addosso il calice di vino che teneva tra le mani.

«Per fortuna ho sposato te.» Soraya lo guardò negli occhi, ricevendo in cambio un bacio sulla tempia. «Ho scelto e sceglierò sempre te.»

«Lo so.»

«A proposito di matrimoni combinati, sai chi vuole accordare un fidanzamento tra nostro figlio, non ancora nato, e il primogenito di Ecbert?»

Ragnar fece una smorfia di disgusto, mettendosi dritto. «Re Egor» disse tra i denti.

«Già si pensa ad un matrimonio tra la nostra prima figlia femmina, quindi l'erede al trono di Logh, con il primogenito maschio di Ecbert.»

«Nostra figlia non sposerà mai un uomo di Talamh, chiunque egli sia.» Ragnar era molto chiaro a riguardo. Odiava i matrimoni combinati e, in particolare modo, le brame di potere di Egor e del suo erede.

«Non preoccuparti, nostra figlia si sposerà per amore, ne sono convinta.»

Ragnar sorrise, sfiorandole il ventre. «Oppure non si sposerà affatto.»

«Sei ancora convinto di poterla rinchiudere in una torre per sempre?»

«No...la rinchiuderò nelle sue stanze, la torre mi pare troppo drastica come soluzione.»

I due risero insieme, beandosi di quel piccolo siparietto familiare così tranquillo. Si erano ritrovati spesso a pensare al futuro di quel figlio non ancora nato. Ragnar era totalmente convinto che si trattasse di una femmina, Soraya sperava solo che fosse sano. Forse dare alla luce una femmina come primogenita l'avrebbe aiutata a guadagnarsi la fiducia ed il rispetto dei Lord e delle Lady di Logh, dandole una spinta in più, come sperava suo padre, ma cercava di non dare alla questione molta importanza, preferiva concentrarsi sulla gravidanza e sull'incoronazione ormai alle porte.

Si lasciò abbracciare da dietro, osservando Erik ridere con altri uomini. Sentì un nodo alla gola al pensiero di doverlo lasciare, di doversi separare dall'altra metà della sua anima.

«Come farete l'uno senza l'altra?» le domandò Ragnar, interpretando quello sguardo. Ormai aveva compreso il loro rapporto, quello stretto legame che li univa e li portava a quei comportamenti a volte male interpretabili.

Soraya sospirò. «Sopravvivremo, sebbene non riesca ad immaginare una vita senza lui al mio fianco.»

«Devo ingelosirmi?»

«No» rispose Soraya. «Io e lui siamo gemelli, secondo i sacerdoti siamo due metà della stessa anima mentre tu...tu sei l'altra parte del mio cuore.» Soraya poggiò la testa contro il petto del marito, sentendo il suo fiato caldo sfiorarle il viso. «Nulla potrà mai separare me ed Erik, e poi, abbiamo giurato sugli dei che moriremo insieme, l'uno tra le braccia dell'altra.»





Pronunce:


Coineanach – Coenach, la CH aspirate

an Tarbh – an taref





Angolo Autrice:

ed eccoci al matrimonio. Egor ha rivelato la sua faccia da cospiratore, abbiamo appreso che la morte di Seraphi non è stata naturale, ma intenzionale. Ma chi della famiglia di Talamh ha compiuto il gesto e, soprattutto, come?

Vedrete più avanti, già dal prossimo capitolo scopriremo un piccolo tassello del puzzle.

Al prossimo capitolo!






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