Back for Love 1

di Sospiri_amore
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01 OGGI: Solo una foto ***
Capitolo 2: *** IERI (quattordici anni prima) - Una calda estate ***
Capitolo 3: *** IERI: Un incontro a New Heaven ***
Capitolo 4: *** IERI: Trasloco ***
Capitolo 5: *** IERI: Trinity Institute ***
Capitolo 6: *** IERI: Vassoi e promesse ***
Capitolo 7: *** IERI: Alla ricerca di un futuro ***
Capitolo 8: *** IERI: Questione di chimica ***
Capitolo 9: *** IERI: Dolce come il gelato, amaro come la gelosia ***
Capitolo 10: *** IERI: Una mattinata movimentata ***
Capitolo 11: *** IERI: Troppi pensieri ***
Capitolo 12: *** IERI: Lezione di Italiano ***
Capitolo 13: *** IERI: Una penna rossa ***
Capitolo 14: *** IERI: Un invito inaspettato ***
Capitolo 15: *** IERI: Shopping con sorpresa ***
Capitolo 16: *** IERI: La festa a casa di Rebecca (prima parte) ***
Capitolo 17: *** IERI: La festa a casa di Rebecca (seconda parte) ***
Capitolo 18: *** IERI: Una bella lezione ***
Capitolo 19: *** IERI: Doppia faccia ***
Capitolo 20: *** IERI: Il Club di Teatro ***
Capitolo 21: *** IERI: Come la neve in un giorno d'estate ***
Capitolo 22: *** IERI: Incontri scontri ***
Capitolo 23: *** IERI: Sai mantenere un segreto? ***
Capitolo 24: *** IERI: Tanti auguri a me ***
Capitolo 25: *** IERI: Rivoluzione al Trinity ***
Capitolo 26: *** IERI: La verità fa male ***
Capitolo 27: *** IERI: Ci vuole coraggio ***
Capitolo 28: *** IERI: Cara mamma ***
Capitolo 29: *** IERI: Buon Natale ***
Capitolo 30: *** IERI: Nuovo anno, nuove paranoie ***
Capitolo 31: *** IERI: Il posto segreto ***
Capitolo 32: *** IERI: Si può smettere di amare? ***
Capitolo 33: *** IERI: Scandalo al Trinity Institute ***
Capitolo 34: *** IERI: Un turbine di nevrosi, congetture e ipotesi ***
Capitolo 35: *** IERI: Una cicatrice in fondo al cuore ***
Capitolo 36: *** IERI: Come hai potuto farlo? ***
Capitolo 37: *** IERI: Non posso fare a meno di amare ***
Capitolo 38: *** IERI: Fame d'amore ***
Capitolo 39: *** IERI: Che si aprano le danze ***
Capitolo 40: *** IERI: La coppia perfetta ***
Capitolo 41: *** IERI: A silent devotion ***
Capitolo 42: *** IERI: Trinity VS Saint Jude ***
Capitolo 43: *** IERI: La gara di dibattito ***
Capitolo 44: *** IERI: Keep calm ***
Capitolo 45: *** IERI: Una promessa è una promessa ***
Capitolo 46: *** IERI: Cuori infranti ***
Capitolo 47: *** IERI: Non ricordare più ciò che eravamo ***
Capitolo 48: *** IERI: Ferite che non si possono curare ***
Capitolo 49: *** IERI: Epilogo? - Una tela bianca ***
Capitolo 50: *** Back for love 2 è online! ***



Capitolo 1
*** 01 OGGI: Solo una foto ***


OGGI:

Solo una foto

 

Stringo il bicchiere di champagne da troppo tempo, quasi tutte le bollicine sono sparite. Per tranquillizzarmi sfioro con le dita la sottile giuntura sullo stelo di vetro mentre gli occhi, instancabili, si muovono alla ricerca di particolari nella foto appesa sulla parete di fronte a me.

Sono aggrappata a quel bicchiere come fossi sull'orlo di un precipizio, quello è il mio unico appiglio. Niente e nessuno riuscirebbe a scollarlo dalle mie mani.
 
Ci sono tutti nella foto, non manca nessuno: James, Jo, Stephanie, Lucas, il professor Martin, Rebecca, Adrian. Poi ci sono anch'io con i miei lunghi capelli castani, le lentiggini e l'espressione sorpresa. Non sono mai riuscita a risultare naturale in fotografia. 
Sono passati circa quattordici anni da quando Kate l'ha scattata.
È tanto tempo fa. Troppo tempo fa.
Ricordo tutto di quel momento: il fruscio della toga, la gara appena conclusa, gli abbracci, le lacrime e la voglia che quel momento non finisse mai, perché quello è stato un momento di felicità vero, l'ultimo, prima che tutto cambiasse. 
 
Quella foto è un chiaro messaggio per tutti noi. Di questo ne sono certa.
 
«Mamma». Una voce acuta mi strappa dai miei pensieri. «Mamma, ho fame». Anche se Sebastian ha solo cinque anni mi si avvinghia alla gamba con tanta forza che mi fa oscillare. Delle gocce di champagne mi cadono per terra.
«Adesso vado a prenderti qualcosa amore». Adocchio subito il tavolo con il buffet in mezzo alla folla.
«Piccolo furfante! Mi scappi sempre», una risata cristallina, pura e felice, si leva da Sebastian, un uomo gli sta facendo il solletico.
«È proprio bella la mostra di Kate, i suoi scatti sono così intensi... Tutto bene Elena?», mi chiede l'uomo, mentre prende il bimbo in braccio.
«Sì, tutto bene...», rispondo mentre le dita non smettono di torturare il calice.
«Hai visto come eravamo belli?». L'uomo indica la foto che da troppo tempo sto fissando, poi dolcemente mi bacia sulla bocca e mi sussurra: «Sei sempre stata la più bella e lo sarai per sempre».
«Uffa, ho fame“, dice il piccolo spazientito.
«Prendo qualcosa da mangiare per questo piccolo furfante e poi sono da te, non scappare Elena», mi dice schiacciando l'occhio.
Abbozzo un sorriso ad entrambi, poi torno a fissare quella foto.
 
Sono passati quattordici anni, molte cose sono cambiate.
La foto lo dimostra.
Ho fatto tante scelte d'amore nella mia vita, ma quando ripenso a tutti loro non posso fare a meno di sentire un peso enorme nel mio petto. Mi sembra di soffocare.
Una lacrima scivola veloce sulla guancia per poi cadere dentro il calice e perdersi tra le poche bollicine rimaste.
 
«Non credevo saresti venuta». Una voce fin troppo familiare mi scuote dai miei pensieri.
Non mi muovo.
Perdo un battito del mio cuore.
Respiro a fatica.
Alla fine cedo alle emozioni, poi mi perdo nei ricordi lontani come se il mio passato mi colpisse e mi trascinasse verso ciò che è stato. È come se il tempo trattenesse il fiato, bloccasse tutto e congelasse quell'attimo facendomi rivivere momenti precisi, emozioni e dolori che speravo di aver dimenticato.
Ieri è adesso.
Il mio presente cede il posto al mio passato.
---------------- Spazio autrice:
Questo capitolo è nel presente, i prossimi ripercorreranno tutta la storia di Elena, nel passato, e si capirà cosa è successo.
Chi è l'uomo che la bacia?
Chi è il padre di suo figlio?
Di chi è la voce che la turba alla fine?

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Capitolo 2
*** IERI (quattordici anni prima) - Una calda estate ***


IERI (quattordici anni prima):

Una calda estate

 

Un'italiana a New Haven può fare poche cose: lavorare in un ristorante come cameriera o lavorare in un ristorante come lavapiatti.

Un'italiana adolescente a New Haven può fare ancora meno.
Roger mi ha trovato un lavoretto per l'estate, prima che iniziasse la scuola. Niente di particolare, lavoro in una gelateria. Devo riempire i coni o le coppette, pulire quando faccio il secondo turno e accentuare, il più possibile, il mio accento italiano.
In una gelateria che si chiama Italians Cream non ci si può aspettare altro che una commessa italiana. Quindi, nonostante sia cresciuta con i miei genitori bilingue, entrambi traduttori di libri dall'inglese, dovevo sembrare una appena arrivata negli U.S.A. Uno strazio.
La Signora McArthur entra con la solita aria seria. Ogni mercoledì alle quattro del pomeriggio si compra una vaschetta gigante di gelato, troppo grande per una persona sola, ma evidentemente la gola dell'anziana signora non deve pensarla così.
«Psss», faccio a Kate che però non mi degna della minima attenzione è ipnotizzata dal gelato che le scivola dal cucchiaio dentro la coppa semi vuota davanti al suo viso. Ha mangiato così tanti gelati questa estate che credo non ne possa più.
«Psss», soffio più forte cercando di non farmi beccare dalla Signora McArthur che sbircia i vari gusti di gelato annuendo e borbottando tra sé e sé. È troppo presa dalla scelta dei gusti per accorgersi di me.
Kate si riprende dallo stato semi comatoso in cui è caduta e appena riconosce la vecchia scoppia a ridere, si alza e inizia a scimmiottare alle spalle della vecchia i suoi gesti, le scrollate di testa e i ripensamenti di fronte alla vetrinetta dei gusti gelato. La imita alla perfezione tanto che devo trattenermi, la mia faccia sembra un palloncino pronto ad esplodere.
«Cara ragazza vorrei il gusto pistacchio, crema e nocciola», dice con piglio deciso la Signora McArthur come se avesse appena promulgato qualche legge di interesse nazionale.
«Le faccio subito la vaschetta». Cercando di controllare i miei movimenti facciali servo la donna, alle sue spalle Kate improvvisa un balletto talmente comico che è impossibile non ridere.
 
Controllo Elena.
Controllo Elena.
 
Solo quando la donna se ne va iniziamo a ridere, le lacrime ci scendono dagli occhi come fontane.
«Devi provare ad entrare nel Club di teatro della scuola quest'anno», dico a Kate mentre mi asciugo il volto con la manica della camicia.
«Solo se tu ne farai parte», mi dice abbracciandomi stretta.
Adoro il profumo di Kate, sa di buono, di casa.
Ci conosciamo da sempre, abbiamo passato ogni estate della nostra vita insieme in Italia. Mi sono Trasferita qui in America solo un paio di mesi fa.
Mia madre è morta da tre anni, per mio padre è stato un duro colpo. Non l'ha mai superato. Non che io non soffra, ma era ammalata da così tanti anni che ho avuto tutto il tempo di prepararmi. Non è stato facile, ma alla fine il tempo guarisce tutto. Il ricordo delle parole di mamma mi ha aiutata. Lei è il mio angelo, è sempre riuscita a farmi capire tutto, con semplicità.
Per questo ci siamo trasferiti qui a New Heaven, per sfuggire ai ricordi dolorosi che papà non riesce a dimenticare, per provare a ricostruirci una vita, per provare a ricominciare vicino a persone che ci vogliono bene.
Per ora stiamo da Roger e Hanna, i genitori di Kate, sono i migliori amici dei miei genitori, hanno frequentato la stessa università a Boston da ragazzi. Non hanno mai smesso di volersi bene.
Mi piace definirli gli amici perfetti.
Ci sono le coppie perfette, ma ci sono anche le amicizie perfette.
Io e Kate siamo perfette insieme nonostante siamo molto diverse l'una dall'altra.
Il campanello sulla porta d'ingresso della gelateria tintinna. Entrano nuovi clienti.
«Vedo che ti sei fatta la fidanzata Kate doppi occhi», dice una spilungona bionda e abbronzata che con aria snob squadra il locale e la mia divisa color giallo limone.
«Credo tu debba chiederle scusa», dico alla spilungona. Nessuno si deve permettere di offendere Kate in questo modo, il fatto che indossi gli occhiali non è niente di così strano e anche se lo fosse deve starsene con la bocca chiusa. Proteggerei la mia migliore amica in qualsiasi situazione, sempre.
«Tu chi sei?», mi chiede la ragazza mentre altri ragazzi entrano in gelateria dopo di lei, fanno parte dello stesso gruppo di amici. Sono tutti abbronzati, indossano capi d'alta sartoria, vestiti che non potrei mai permettermi e anche se avessi più soldi non comprerei mai visto che donano loro l'aria di adulti in miniatura piuttosto che quella di ragazzi della mia età: golf in cotone griffati, pantaloni in lino candidi, top in seta, scarpe lucide e t-shirt senza la minima piega.
È evidente che sono appena tornati dalla villeggiatura estiva, una costosa villeggiatura estiva.
«Sono quella che ti servirà il gelato e deciderà se sputarci dentro oppure no», le dico con le mani appoggiate sui fianchi, non ho la minima intenzione di farmi mettere i piedi in testa da quella lì.
Kate mi blocca per un braccio portandosi davanti a me.
«Rebecca non ti preoccupare. Elena è nuova, non sa come vanno le cose qui. Non sputerà dentro al tuo gelato, te lo posso assicurare", dice la mia amica alla spilungona mentre mi stritola il braccio per farmi stare zitta.
«Lo spero bene doppi occhi», risponde in tono altezzoso Rebecca lisciandosi i capelli simili ad una cascata d'oro senza smettere di squadrandomi con disgusto. 
 
Adesso quella lì la strozzo.

Prendo Kate da parte appena la spilungona e il suo gruppo di amici si avvicina alla vetrinetta per scegliere i gusti di gelato da comprare.
«Mi spieghi che cosa ti è preso?», le chiedo a bassa voce e con tono duro.
«Sono i nostri compagni di scuola, frequentano il terzo anno. Elena non ti conviene rispondergli male perché possono renderti la vita impossibile. Fidati, lo so». L'allegria della mia amica, che aveva fino a pochi minuti fa, pare svanita.
Kate è triste, non ci vuole molto per capirlo. Soffro quando la vedo così: «Perché non mi hai detto che dei bulli ti... Ti...».
«Mi tartassavano? Non so, forse perché avresti pensato che poi non sono così speciale come credi. Ci vediamo qualche settimana durante l'estate, preferivo tu pensassi che la mia vita andasse bene e che avessi molti amici». Kate tira su con il naso. L'abbraccio, anzi la stritolo.
«Non dire più scemenza del genere, capito?».
Kate accenna a un sorriso anche se i suoi occhi lucidi mi raccontano un dolore più profondo.
«Scusi sguattera. Vorrei un cono gusto fragola e melone», mi dice Rebecca mentre suona con insistenza il campanello sul bancone divertita dal fatto che debba ubbidirle e stare calma.
Mi avvicino alla postazione e le faccio il cono senza staccare lo sguardo dai suoi occhi, non ho intenzione di farmi sottomettere. 
«Questo è il tuo gelato», le dico secca. Vorrei schiacciarlo sulla fronte abbronzata di quella tizia, ma mi trattengo non voglio creare problemi al locale solo per la maleducazione di Rebecca.
«Grazie sguattera. I miei amici vorrebbero delle coppe, le porti loro al tavolo laggiù», mi dice con arroganza mentre un suo amico dalla chioma folta e riccia mi indica i gusti.
Senza aggiungere altro riempio quattro coppe con gli abbinamenti richiesti e senza la minima espressione li porto al tavolo di Rebecca e compagnia.
Kate se ne sta al suo tavolino, poco distante dal bancone, a giocare con il cucchiaio e il gelato ormai sciolto nella sua coppa. Se ne sta con la testa bassa e l'aria cupa.
Borbotto, vorrei cantargliene quattro a quella tizia, ma mi trattengo. Probabilmente sembro matta, i miei gesti sono nervosi. Pulisco il bancone passando più volte lo stesso punto cercando di mettere in ordine perfetto cannucce e tovagliolini di carta. 
 
«Scusa», uno degli amici della spilungona mi chiama. Ha l'aria annoiata.
«Che vuoi?», gli rispondo in tono brusco mentre la mia torre di tovagliolini meticolosamente accatastata cade spargendosi su parte del bancone.
«Vorrei un nuovo cucchiaino, il mio è caduto», mi dice appoggiandosi con il braccio sul bancone facendo cadere dall'alto i quadrati di carta come se fossero fiocchi di neve danzanti. «Sei strana. Non so quanto durerai al Trinity Institute».
Gli allungo un cucchiaino senza dire nulla, anche se la ma faccia rossa e le vene che pulsano sul mio collo descrivono alla perfezione il mio stato d'animo.
Il ragazzo mi fissa e sorride: «Auguri pivella», mi dice mentre prende il cucchiaino lasciandomi da sola in mezzo a quella distesa bianca di fazzoletti candidi come la neve.



CHIEDO INFORMAZIONI:
Scusate il disturbo.
vorrei capire come funzione EFP.
Come faccio ad avere recensioni?
Come faccio a far conoscere la mia storia?
Le note sotto i capitoli infastidiscono o piacciono?
grazie.

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Capitolo 3
*** IERI: Un incontro a New Heaven ***


IERI:

Un incontro a New Heaven

 

Da poche settimane ho ripreso a dipingere, ogni volta che c'è qualcosa che non va nella mia vita i colori e i pennelli vanno in vacanza. Non sono un'artista, mi considero più una capace di mettere i colori sulla tela. Copio paesaggi da cartoline a volte ho fatto ritratti, ma solo di persone a cui tengo veramente. Negli ultimi tre anni non ho portato a termine molti lavori. In questo periodo mi è mancata quella bella sensazione che mi da scegliere un soggetto, pianificare il lavoro e realizzarlo al meglio delle mie capacità.

La nuova vita a New Heaven mi ha dato una inaspettata energia, non credevo che lasciare Milano avrebbe dato una sferzata rinvigorente alla mia passione, saranno i nuovi odori, la luce diversa o il semplice fatto che mi sento più libera, come se potessi essere di nuovo me stessa.
Cammino per strada verso la mesticheria perché devo acquistare un tubetto di giallo ad olio che ho finito. Con la musica sparata nelle orecchie mi godo il sole e l'aria frizzante osservando la gente che passeggia e sbircia le vetrine.
New Haven si è ripopolata. L'estate è quasi finita, per le vie della città si vedono famigliole felici, pronte a ricominciare con la vita di tutti i giorni. Sorrisi bianchi, capelli acconciati ad arte, vestiti svolazzanti. Un po' inquietante tutta questa perfezione mi sembra di vedere tanti cloni di Rebecca camminare per strada, sono tutti così biondi, abbronzati e alti che mi sento una nanerottola scolorita. Non sono mai riuscita a stare al sole per più di dieci minuti, ho la pelle troppo chiara e le mie lentiggini si trasformerebbero in macchie bruciate sul volto.
Detesto sentirmi a disagio, eppure la discussione in gelateria, avuta qualche giorno fa, mi rimbalza nella testa e non ne vuole sapere di andare via. Essere chiamata sguattera e essere trattata in quel modo non è una cosa facile da scordare soprattutto se tutti per strada mi guardano come mi squadrava Rebecca.
 
Mi sento osservata.
Sono una estranea ai loro occhi.
Mi sento diversa. 
Sono stonata confronto a loro.
Mi sento giudicata.
Sono una sguattera per tutti loro.
 
È come se improvvisamente la maglietta di cotone e la gonna lunga che indosso fossero fatti di stracci. Come se i miei capelli raccolti in uno chignon non fossero abbastanza alla moda.
Una valanga di paranoie mi investe, tutte insieme. Un'insicurezza che non provavo da tempo mi blocca le gambe.
Gli sguardi di quelli sconosciuti mi paiono accuse, le loro chiacchiere sembrano pettegolezzi contro di me. Sorrisi. Ghigni. Occhiate. 
 
Basta!
 
Mi fermo a prendere fiato. Non ho ancora iniziato la scuola e già sono preoccupata, non oso immaginare come possa essere l'ambiente al Trinity. Se Kate non mi ha mai parlato di quei bulletti che la prendono di mira a scuola credo che lo stress a cui è sottoposta sia tremendo. Anche se fa finta di nulla so che sta soffrendo. La conosco da sempre è come fosse mia sorella. In questi mesi che abbiamo abitato insieme e dormito nella stessa stanza ho imparato a conoscerla meglio. Le estati che ha passato in Italia sono stati uno spasso tra mare, piscina, corse in bici e gelati, ma qui a New Haven le cose sono un po' diverse. I rapporti sono più intensi.
Io sono più io e lei, credo, sia più lei.
Ho imparato ad amare i suoi silenzi, la sua timidezza e riservatezza.
Spero riuscirà ad aprirsi del tutto con me. Le voglio bene, non potrei mai pensare male di lei. Mai.
Le fronde di un albero mi riparano dal sole caldo. Respirando con calma e concentrandomi su pensieri positivi riesco a ritrovare la calma e la lucidità necessaria. Le ansie svaniscono.
Il mio cellulare mi passa una canzone che amo molto, mi metto a canticchiare Creep dei Radiohead a bassa voce. Probabilmente sembrerò una matta, ma non me ne frega nulla. Non mi è mai importato quello che pensa la gente, la crisi di poco prima è archiviata, l'importante è restare fedeli a sé stessi, sempre.
 
...I wish I was special
You're so fucking special
But I 'm a creep, I 'm a weirdo
What the hell am I doing here?
I don't belong here
I don't care if it hurts,
I want to have control
I want a perfect body,
I want a perfect soul
I want you to notice
When I'm not around...
 
Adoro questa canzone, mi viene la pelle d'oca ogni volta che l'ascolto.
Sarebbe bello poterla dedicare a qualcuno. Qualcuno da amare. Qualcuno che mi ami per come sono. Qualcuno come i personaggi dei miei adorati romanzi d'amore, una delle due cose che riesce sempre a tirarmi su di morale, l'altra è il cioccolato.
Peccato che non abbia nessuno di tanto speciale, nessuno mi è mai piaciuto tanto da farmi girare la testa. Mamma mi diceva che lo avrei capito, che quando si è innamorati non si può sbagliare, basta seguire ciò che si prova.
Già.
Peccato che io sia sola come un cane.
 
Cioccolato e libri, un'accoppiata perfetta.
Ho bisogno di entrambi, subito, visto che il mio umore oggi oscilla come un pendolo impazzito.
Penserò più tardi alla mesticheria e a quello che devo comprare.
 
Dietro l'angolo c'è una libreria con un bellissimo café dove posso sbranare un muffin doppio cioccolato mentre mi leggo un romanzo strappalacrime-romantico-tristissimo-dolcissimo. Animata da nuovo entusiasmo, vagando tra sbalzi d'umore neanche fossero montagne russe, mi lancio tra gli scaffali della libreria con esposte le ultime uscite dei romanzi d'amore.
Vampiri.
Licantropi.
Alieni.
Elfi.
Cavalieri.
Credo di averli già letti tutti.
 
Immensa tristezza.
 
Rassegnata mi butto su una poltroncina color glicine in attesa che un'idea, su quale libro comprare, mi colpisca.
Ahia.
Un libro mi cade in testa, non metaforicamente ma fisicamente.
Non credevo che le idee facessero così male!
 
«Scusa», mi dice un ragazzo con gli occhiali e la faccia rossa dall'imbarazzo.
«Non fa nulla», dico mentre mi massaggio la testa. Poi raccolgo il libro per darglielo: «Tramonti sul cuore», leggo ad alta voce.
Non mi sembra il tipo per libri del genere.
«Tu leggi libri romantici?», chiedo curiosa.
«Sì... Cioè no. Insomma, io... Ok, lo ammetto. Adoro la saga, non posso più fare a meno devo sapere come finirà la storia d'amore tra...».
«John il pirata e Melina la bella dama», dico io finendo la frase al posto suo.
Il ragazzo spalanca gli occhi e ride: «Non avrei mai creduto di trovare qualcuno orgoglioso di leggere questo tipo di libri".
«Perché? Sono così romantici, pieni di avventure e dolci», dico con occhi sognanti sbattendo le ciglia giuliva.
«Ecco, troppo dolci. Melensi, aggiungo io», dice sistemandosi gli occhiali sul naso cercando di darsi un tono.
«Però ti piacciono. Me l'hai confessato», lo rimbecco.
«Sì, però abbassa la voce. Uno come me non dovrebbe leggere questo tipo di libri», mi dice schiacciandomi l'occhio e indicandomi la felpa con il simbolo di Yale, l'università di New Haven. Qui in città molto, se non tutto, ruota intorno all'ateneo, molti lavorano nel campus o per la struttura. Del resto è una delle migliori università del paese, non potrebbe essere altrimenti.
«Ah, ho capito. Sei un secchione e non vuoi far sapere che ti piacciono i romanzetti rosa!».
«Più o meno», mi dice, «Comunque mentirei se me lo chiedessero, non ammetterei mai di aver comprato questo libro».
«Ed io userei il video di sorveglianza della telecamera della libreria per dimostrare il contrario. È una prova schiacciante», dico divertita
«Studi giurisprudenza? A che anno sei?», mi chiede.
 
Ok, quel ragazzo mi ha confusa per una studentessa dell'Università.
Decido di mentire, più per scherzo che per altro motivo.
 
«Sono Italiana, inizio quest'anno la specializzazione a Yale». A volte ho la faccia così tosta e la lingua così lunga che mi stupisco di me stessa.
«Ah, bene. Allora ci vediamo al campus». Lo sconosciuto mi stringe la mano senza smettere di sorridere. «È stato un grande, grande, grande, grande, piacere conoscerti...», il ragazzo mi osserva, aspetta che dica il mio nome.
«Mi chiamo Elena. Elena Voli. Tu?».
«Sono Nicholas Martin, ma tutti mi chiamano Nik. Adesso devo andare, ma cercami in ateneo. Sicuro che mi trovi», mi dice mentre guarda l'orologio al polso.
«V-va bene, ti cercherò», gli dico mentre trattengo le risate.
«Mi dispiace Elena, ma devo scappare». Con il libro stretto in mano si avvia verso le casse inciampando di tanto in tanto e sbattendo contro gli scaffali, i suoi occhi azzurri non smettono di fissarmi.
Senza smettere di sorridere seguo Nik uscire dalla libreria e correre per strada dietro al bus appena partito. Mi accomodo nella poltroncina color glicine, una sensazione piacevole pervade tutto il mio corpo, i brutti pensieri non esistono più. New Heaven non è poi così male.

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Capitolo 4
*** IERI: Trasloco ***


IERI:

Trasloco

 

«Elena la smetti di fissare il vuoto». Hanna mi passa la mano davanti agli occhi più volte.

«Scusa», le dico distrattamente mentre finisco di mettere nello scatolone l'ultimo sacchetto con le scarpe da ginnastica.
Velocemente Hanna lo chiude con lo scotch e scrive con un pennarello 'vestiti Elena - 3'.
«Mamma, la smetti di essere così precisina. Tanto dovrà aprire tutti gli scatoloni quando sarà nel nuovo appartamento. Credo che Elena sia in grado di capire che quelli sono i suoi vestiti», dice Kate. Hanna risponde con uno sbuffo mentre solleva lo scatolone e lo mette in corridoio, pronto per essere caricato sul camion.
«Credo che a mia mamma dispiaccia che ve ne andiate. Ha sempre tutto sotto controllo, il fatto che vi trasferiate la turba un po'», mi dice Kate stando ben attenta a non farsi sentire da sua madre.
Abbozzo un sorriso.
 
Lasciare casa Husher mi dispiace.
Kate è una perfetta compagna di stanza, ho passato nottate intere a chiacchierare con lei, ho imparato a conoscerla meglio. I pranzetti di Hanna non sono niente male, a parte la pasta stracotta che sembra colla. Sicuramente meglio delle cose che cucina papà. Roger è sempre gentile con me, mi ha prestato più volte anche i suoi preziosi libri d'arte e la sua calma riesce a tranquillizzarmi.
In questi due mesi, ho imparato a vivere la loro quotidianità. Mi piaceva. È come se fossi a casa mia. Anche se non lo sapevo, mi mancava essere ascoltata, accudita e coccolata un po'.
Non che mio padre non pensi a me, ma senza mamma non è più lo stesso. Lo so io, lo sanno gli Husher e lo sa anche lui. Senza mamma le cose sono diverse per tutti.
Papà sembra perso, lontano con i pensieri.
Con il nuovo lavoro presso la casa editrice Golden Rose le cose vanno un po' meglio, ha conosciuto nuovi colleghi, ritrovato vecchi compagni di Università e sembra un po' più sereno. Ma la notte lo sento agitarsi. Piange.
Piange perché non riesce a rassegnarsi del tutto.
Credo che un giorno speri di trovare mamma a casa, alla scrivania, intenta a leggere un libro con una matita dietro l'orecchio, come faceva sempre quando traduceva un testo.
Io so che non accadrà più. Lui no.
Vorrei strappare la tristezza dal suo cuore e buttarla via, lontano.
Vorrei vederlo sorridere, solo per un giorno.
Mamma mi diceva che siamo tutti di passaggio, che si deve pensare a vivere, che la vita è bella, unica, e non ci si deve buttare giù. Mai. Perché i momenti buoni arrivano per tutti, basta saper aspettare ed imparare ad amare.
Amare tutti: amici, parenti, amanti, ma soprattutto i nemici.
 
«Elenaaaa», mi urla Hanna dal salotto, «Hai dimenticato di mettere via la tua divisa della gelateria, l'ho trovata nel bagno qui sotto».
«Cavolo». Corro a due a due le scale per andare a prenderla.
Kate mi segue ridacchiando: «Dove hai lasciato la testa, in libreria?».
«Shhh». Tappo la bocca alla mia amica, mio padre non vuole che io esca con dei ragazzi, pensa che sia troppo piccola. «Non parlare, accennare, insinuare, nulla che riguarda Nik. Mio padre ha il radar per queste cose», dico categorica.
«Ma allora lo rivedrai?», mi chiede maliziosa Kate.
«No, certo che no. Come potrei fare? Mica vado a Yale è poi è più grande, ho solo sedici anni, io», le rispondo a bassa voce.
«Ma dai? Credevo fossi una studentessa di giurisprudenza». Kate parla con i toni bassi cercando di imitare una voce maschile.
«Giurisprudenza?». Papà spunta alle nostre spalle con uno scatolone tra le braccia.
Attimo di panico.
Devo inventarmi qualcosa.
«Già, Kate ha visto i corsi di giurisprudenza di Yale su internet. È rimasta molto colpita», dico con la mia solita faccia tosta ed un sorriso smagliante. Sono brava ad improvvisare.
«È un corso di studi molto difficile, sono felice che tu stia pensando al tuo futuro, a differenza di qualcun altro di mia conoscenza». Papà mi fissa con troppa insistenza.
Senza rispondergli, corro da Hanna a prendere la mia divisa della gelateria, non ho la minima voglia di affrontare l'ennesimo discorso sul mio futuro o sui miei progetti inesistenti. Secondo lui dovrei programmare la mia vita, il mio percorso di studi e ogni singolo giorno, non tanto per tornaconto personale, ma per la sua serenità. Papà non ama le sorprese, soprattutto se vengono da me, ho una certa predisposizione ad attirare i guai.
Meglio concentrarsi sulle cose da caricare sul camion piuttosto che stare a rimuginare più del necessario. Il mio futuro può aspettare come mio papà, prima o poi capirò cosa voglio fare, credo.
In un paio d'ore riusciamo a trasportare tutti gli scatoloni nel nuovo appartamento, non è enorme, ma ho una stanza tutta per me dove posso rilassarmi senza le intrusioni di papà.
Per il resto della giornata organizziamo gli spazi della casa, il più grosso almeno. Hanna dirige tutto con polso fermo, mentre tutti noi corriamo da una parte all'altra a svuotare, piegare, infilare tutto quello che ci capita a tiro.
«Senti Elena, tra pochi giorni inizia la scuola. Le cose che devi fare sono molte, per prima cosa devi organizzare la tua postazione studio, poi ritirare le divise del Trinity Institute, riempire il frigorifero di cibi sani...». Hanna ha in mano una lista di cose che neanche in un anno potrei fare, figuriamoci in meno di una settimana.
Kate prende di mano il foglio alla madre: «Ok, mamma. Non assillare Elena. Già lo fai con me!».
Le braccia conserte di Hanna, la fronte corrugata e le labbra strette della donna, non sono un buon segno:«Cercavo di ottimizzare tempo e impegni», dice con voce stridula.
«Grazie Hanna, senza di te ci avremmo messo un mese come minimo», le dico sincera.
«Ma...». Kate prova a ribattere, ma la blocco. Non credo si renda conto di quanto sia prezioso l'aiuto di sua madre. Certo Hanna è piuttosto asfissiante e ha un'innata predisposizione al comando, ma i suoi intenti sono dei migliori, lo fa perché ci vuole bene.
«Bene. Visto che Elena apprezza il mio aiuto possiamo continuare. Apri lo scatolone con scritto 'Elena scuola - 2'. Troverai tutto il necessario per sistemare la zona studio».
«Sissignora». Scatto sull'attenti come fossi un soldato pronta a obbedire. 
Kate mi segue di malavoglia: «Che strazio», mi bisbiglia.
«Dai vedrai che non ci vorrà molto», le dico appoggiando un braccio sulle sue spalle.
In poco tempo riusciamo a svuotare parte degli scatoloni, andiamo avanti fino a sera. Kate e sua madre vanno via solo dopo che i miei vestiti sono appesi con ordine nell'armadio con la promessa che finirò il resto il prima possibile.
 
Finalmente posso dire: casa dolce casa.
 
Papà con la faccia stravolta per la fatica mangia una pizza davanti la TV, non ha neanche la forza di cambiare canale, se ne sta lì impalato a guardare un canale di vendite a domicilio. 
Comprate questa collanina, vi renderà bellissimi.
Comprate questa padella, vi permetterà di cucinare bene.
Comprate questa crema, vi renderà più giovani.
Il suo sguardo spento mi fa capire che si stia per addormentare.
Con una fetta di pizza mi rintano nella mia camera e anche se sembra un campo di battaglia, con tutti i sacchetti che Hanna non ha fatto in tempo a svuotare, non posso far altro che sentirmi felice. Finalmente ho un mio rifugio, un posto dove nascondermi quando ho voglia di stare sola. I romanzi d'amore sono ben ordinati sulla libreria, la mia preziosa scatola di legno è sul comodino, il resto delle cose ho i prossimi giorni per metterlo a posto.
La mia nuova vita a New Heaven sta carburando, le cose sembrano andare sempre meglio.
Senza rendermene conto mi massaggio la testa nel punto esatto in cui il libro di Nik mi è caduto sulla testa. Ho un piccolo bernoccolo proprio sulla parte superiore del cranio.
Lo schiaccio leggermente e sorrido.
Fa male, ma non mi importa.
Sono felice.

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Capitolo 5
*** IERI: Trinity Institute ***


IERI:

Trinity Institute

 

Impegno

Dedizione
Perfezione
 
Queste tre parole sono incise sull'arco di pietra che si affaccia sul parco del Trinity Institute. Le osservo con diffidenza, mentre cerco di abituarmi alle grosse scarpe nere che indosso e alla ridicola gonna verde smeraldo che arriva alle ginocchia. A scuola devo portare una divisa, una stupida, orrenda divisa. A Milano frequentavo il Liceo Artistico e lì non dovevo mettere nulla di simile. Se i miei ex compagni di classe mi vedessero mi prenderebbero in giro per un anno intero, se non di più.
Ho lo sguardo corrucciato, Kate se ne è accorta sa che sono una testona se mi fisso. I miei grugniti la dicono lunga su come sia il mio umore in quel momento, Kate mi conosce troppo bene per dirmi qualcosa. Il silenzio è la migliore medicina.
Del resto, non sono una che si spaventa di fronte alle difficoltà, le affronto a muso duro, senza nascondermi. Mia mamma mi ha sempre insegnato ad essere onesta con me stessa e con gli altri. Non posso fingere: quella dannata divisa la odio!
Speravo che durante il trasloco fosse andata persa, visto che non la trovavo più, ma invece ieri mattina Hanna è spuntata con la divisa ben avvolta in un cellofan di plastica. L'aveva portata in lavanderia per darle una bella sistemata.
In quel momento l'ho detestata. Giuro.
Purtroppo però, mi tocca metterla.
 
Coraggio Elena, mi dico per farmi forza.
 
Il tiepido sole di settembre mi scalda le gambe, gli alberi del parco della scuola sono pieni di foglie, il vento le accarezza spargendo nell'aria un leggero fruscio. Mi rilasso ad ascoltare quel rumore. Non voglio rovinare il mio primo giorno per un motivo così stupido.
Decine di ragazze sono raggruppate nel parco di fronte la scuola, stanno ridendo, chiacchierano e spettegolano tra di loro. Molte indossano gioielli e borse firmate, altre hanno i capelli così curati da sembrare appena uscite dal parrucchiere.
Io mi sento un brutto anatroccolo a confronto, ma non voglio darlo a vedere. Non mi piace essere mortificata da quelle quattro ochette rinsecchite.
Kate cammina a testa bassa, credo che l'idea di rivedere certe compagne di scuola non le piaccia per nulla. È poco più bassa di me, quindi riesco ad avvolgere facilmente il mio braccio intorno al suo collo e sbaciucchiarla sulla testa.
Kate ride ed io sono felice.
Trascino la mia amica ad un muretto, vicino ad un grosso albero, poi tolgo dalla cartella un piccolo astuccio di stoffa ed uno specchietto. Spingo verso il basso le spalle Kate e la faccio sedere a forza. Le tolgo gli occhiali e le metto una dose generosa di mascara sulle ciglia e un lucidalabbra trasparente che, sulle sue piccole labbra a cuore, sta benissimo. Intreccio i suoi lunghi capelli castano chiari in una treccia laterale che chiudo con un bel nastro blu. Un colore molto simile alla giacca.
Kate si guarda nello specchietto sorpresa del risultato.
È così carina che neanche se ne accorge: «Sei uno schianto», le dico rimettendole gli occhiali sulla punta del naso.
Io mi ripasso la matita nera sugli occhi e sistemo la molletta che mi blocca i capelli da un lato. Le lentiggini risaltano sul mio viso, proprio come risaltavano su quello di mia madre.
«Pure tu non scherzi», mi dice Kate sorridendo.
«Modestamente... Sono fantastica», le dico scherzando.
Un gruppo di ragazzi, poco lontano da noi, urla il motto del Trinity Institute ad alta voce per poi prendersi a manate sulla schiena. Altri cantano in coro l'inno della scuola, trascinando buona parte degli altri studenti e studentesse nel coro.
Ci credono davvero, lo si capisce dal tono con cui cantano.
«Impegno, dedizione e perfezione?», chiedo scettica a Kate, «Che stupidata colossale».
«Non dire così Elena, in questa scuola si sono diplomati molti politici, manager e avvocati importanti. È una scuola di alto livello. Dovresti sentirti fortunata del fatto che la preside ti abbia ammessa», mi dice Kate con la sua vocina sottile.
«Prima di tutto mi ha ammessa perché ho sempre avuto ottimi voti a scuola. Secondo mio padre paga una retta salatissima e terzo, il fatto che sia italiana aggiunge un po' di folclore alla scuola».
«Folclore?», mi chiede la mia amica confusa.
«Certo», dico io con convinzione, «È di moda essere italiani negli U.S.A., non lo sapevi?».
Ci fissiamo per meno di un secondo e poi scoppiamo a ridere, come facciamo sempre tra di noi. Gli occhi ci si riempiono di lacrime di gioia.
«Dai muoviti, che rischiamo di fare tardi il primo giorno di scuola. Non voglio finire in punizione», mi dice Kate mentre cerca di asciugare gli occhi senza rovinare il mascara.
In tutta fretta raggiungiamo la massa di studenti che sta entrando dal portone principale, ma c'è talmente tanta calca che si va a passo d'uomo.
I minuti passano e siamo ferme, immobili. A quanto pare nessuno riesce ad entrare. Dalle voci che circolano pare che qualche studente abbia bloccato la porta dall'interno con una panca che si trova di solito all'ingresso.
«Come primo giorno sono successe un bel po' di cose interessanti», dico a Kate.
Gli studenti rumoreggiano, la campanella è suonata da un po', ci vorrà diverso tempo prima che i professori si accorgano della porta bloccata.
«Mi è venuta un'idea». Kate mi prende per mano e mi trascina lontana dalla massa di ragazzi e ragazze.
«Che ti è preso?», le chiedo curiosa.
«Il Professore di chimica, il signor Tompson, lascia sempre la finestra leggermente aperta nella sua aula. Dice che la puzza di adolescenti gli da fastidio», mi risponde senza smettere di tirarmi come una matta.
«Puzza di che? Ma è matto?», sono un po' confusa.
«Oh, scoprirai ben presto che tipo è il professor Tompson», mi dice ridacchiando.
Costeggiamo tutto l'edificio, il resto degli studenti sono all'ingresso a spingere senza riuscire ad aprire il portone. Siamo due macchie verdi e blu che corrono dalla parte opposta a tutti gli altri. Kate non è certo il tipo da fare cose del genere, i colpi di testa sono una mia specialità, non sua. Credo di avere una cattiva influenza su di lei.
Speriamo che un po' della sua calma e pacatezza arrivino a me.
«Dietro quell'angolo c'è un'uscita di emergenza, ma è chiusa dall'interno. Se noi entriamo dalla finestra dell'aula di chimica possiamo far entrare tutti gli studenti da lì o perlomeno, possiamo far entrare qualcuno in grado di sbloccare il portone principale», mi spiega Kate.
«Geniale», le dico correndo più velocemente che posso. In pochi minuti potremo essere le star della scuola, quelle che hanno salvato il primo giorno di lezione. Non che io desideri essere popolare, non mi importa molto, ma certo sarebbe un bell'inizio.
Appena giriamo l'angolo, sul muretto della scala dell'uscita di emergenza, troviamo un ragazzo mollemente sdraiato a fumare una sigaretta.
«James?!», dice Kate sorpresa. Lo zaino del ragazzo tiene la porta dell'uscita di emergenza aperta.
«Ciao occhi doppi. Vedo che sei con la pivella», dice soffiando una nuvola di fumo nella nostra direzione.
È l'amico di Rebecca, quello che mi aveva chiesto un cucchiaino pulito in gelateria.
«Che... che... Succede?», balbetta Kate disorientata.
Da dietro il muretto spuntano tre studenti.
Una ragazza dai capelli rossicci a caschetto è abbracciata ad un ragazzo con i capelli talmente ordinati e appiccicati che sembrano leccati da una mucca. L'altro ragazzo, con i capelli ricci, ha le cuffiette nelle orecchie. Ci sorride, poi salta dei gradini per venirci incontro.
«Ciao sono Adrian. Ci siamo visti l'altro giorno in gelateria. Ti ricordi?», mi chiede cordialmente togliendosi le cuffiette dalle orecchie.
Ci metto un attimo a mettere a fuoco, ma mi ricordo di tutti loro e dei gusti di gelato che hanno ordinato.
«Certo. Io sono Elena». Allungo la mano verso Adrian.
«Loro sono i piccioncini Stephanie e Lucas. Invece quello lì è James», mi dice Adrian indicando il ragazzo con la sigaretta.
Abbozzo un sorriso, non so che fare. Quelli sono i tizi che tartassano Kate, eppure non mi sembrano male. Sento la mia amica farsi piccola dietro di me. La prendo per mano per darle forza.
«Il portone d'ingresso è bloccato e Kate ha detto che il professor Tompson lascia sempre la finestra leggermente socchiusa per...», non finisco la frase che i quattro ridacchiano.
«Sì, sappiamo del portone d'ingresso», dice Stephanie sghignazzando.
«Già!», James ha un'espressione divertita.
Non ci vuole certo un genio per capirlo, quei quattro hanno bloccato il portone d'ingresso. Hanno fatto lo stesso ragionamento di Kate e sono entrati dall'aula di chimica.
«Voi avete..». Sto per chiedere se sono loro ad aver combinato tutto quel trambusto quando vengo interrotta bruscamente.
«Che ci fa questa feccia con voi?». Rebecca spunta da dietro l'angolo con i suoi lunghissimi capelli color del sole, la pelle abbronzata e il tintinnio dei braccialetti d'oro. Ci ignora, come fossimo due rifiuti abbandonati per strada. Poi bacia sulle guance Stephanie e Lucas, abbraccia Adrian e si avvinghia al braccio di James.
«Grazie per aver ritardato l'ingresso. Stamattina non mi sono svegliata in tempo», dice maliziosamente nell'orecchio di James ridacchiando.
«Di nulla. Adesso andiamo. Sblocchiamo la porta e diventiamo gli eroi della scuola», dice il ragazzo lanciando il mozzicone di sigaretta nella nostra direzione.
«Ciao doppi occhi». Rebecca manda un bacio verso Kate che abbassa ancora di più la testa. Adrian, Stephanie e Lucas, seguono gli amici all'interno della scuola.
Credo di stare per esplodere.
Io detesto quella tipa, soprattutto perché Kate è terrorizzata, sta tremando.
Senza la minima intenzione di lasciar perdere trascino Kate per le scale fin dentro la scuola.
«Lascia perdere Elena», mi sussurra la mia amica. «Lei è fatta così. Non farti una nemica per colpa mia. Ti prego».
«Ma... Ma lei ti tratta troppo male». Sono su tutte le furie.
«Non fa nulla ci sono abituata. Adesso non pensarci più, vieni che ti porto al tuo armadietto».
Kate non mi ascolta, cambia direzione e mi porta in un grosso corridoio che si sta riempiendo di studenti mentre i professori sulle porte delle aule, attendono che i ragazzi entrino in classe. Il ritardo accumulato non è molto, ma è troppo per il decoro della scuola.
Un istituto che ha come motto: Impegno, Dedizione e Perfezione, non ammette disguidi di questo tipo. Mai.
«Oddio, ho appena sentito una ragazza che dice che la Preside Marquez è in giro. Vuole capire cosa sia successo». Kate cammina così veloce che faccio fatica a starle dietro.
«Tranquilla, mica è colpa nostra. Basta dire che Rebecca e i suoi amici hanno combinato il guaio». Con le mani piene di fogli cerco di orientarmi con la piantina dell'edificio.
Kate si ferma di colpo: «Giurami che terrai la bocca chiusa».
«Cosa?». Sono stupita, non è da lei comportarsi così.
«Giurami che terrai la bocca chiusa», mi ripete Kate con un tono più alto.
«Ma... Perché?».
«Giurami che terrai la bocca chiusa». Kate non molla. Mi fissa negli occhi talmente intensamente che non riesco a dire di no.
«Ok, sto zitta. Lo giuro. Però mi devi spiegare che sta succedendo. Prima eri talmente spaventata da quei cinque da tremare come una foglia, adesso invece mi chiedi di mentire per loro?». Sono confusa, la dolce Kate mi sembra diventata, tutto ad un tratto, schizofrenica.
«Adesso non c'è tempo è una lunga storia...». Kate si incupisce. Gli occhi sono umidi e le guance hanno una sfumatura rosata più intensa del solito. Vorrei che riuscisse ad aprirsi totalmente con me, come io faccio con lei. È la mia àncora qui a New Haven, senza di lei sarei persa.
La campanella suona per la seconda volta.
A quest'ora tutti gli studenti dovrebbero essere già in classe, invece buona parte dei ragazzi saetta per il corridoio con pile di libri in mano e zaini straripanti di quaderni.
«Se non ci sbrighiamo finiamo in punizione». Kate comincia a correre verso un gruppo di armadietti grigio-azzurro su una lunga parete. La seguo a ruota provando a memorizzare il percorso e cercando di capire la marea di informazioni che Kate mi sta urlando. Parla così veloce che sembra non prendere fiato tra una parola e l'altra: «Iltuoarmadiettoèilnumero137haiunlucchetto questoèiltuocodicedevifareungiroasinistraetifermisul1 poiungiradestraevaisul3unoasinistraevaisul7dopoche l'haiapertopresoilibrilochiudiperòdevicambiarecodice ricordachedevischiacciarequestopulsantinoaltrimenti nonloprendeepoifiliinclasse». Kate ha il fiatone, mi ha spiegato tutto in meno di dieci secondi.
La guardo terrorizzata.
Non ho capito nulla di quello che mi ha detto.
Panico.
Abbozzo un sorriso, sperando che questa volta mi spieghi tutto con un po' più di calma.
Invece mi bacia sulla guancia e scappa via verso il suo armadietto nell'altro corridoio.
 
Elena stai calma, hai affrontato cose peggiori nella vita.
 
Delle ragazze passano dietro di me correndo, provo a bloccarle, mi ignorano.
Provo a chiedere aiuto ad un paio di ragazzi, ma corrono così veloce che non mi sentono.
Cerco di ricordare quello che mi ha detto Kate. Appoggio i fogli per terra e inizio ad armeggiare con il lucchetto.
Prima a destra e poi a sinistra. Confusione. No, era il contrario. Ansia. Quando devo schiacciare il pulsantino? Paura. Ok, adesso a destra per due volte. Panico. Il primo numero era 1 o 7?
Mi rassegno. Sono stata battuta da un lucchetto.
Appoggio la fronte contro il freddo sportello, mi sento una sfigata con la S maiuscola.
«Se non ti sbrighi ti tocca la sala punizioni», un ragazzo con i capelli castani lunghi fino alle spalle sta aprendo l'armadietto di fianco al mio.
«Non riesco ad aprirlo». Resto con la fronte appiccicata allo sportello sbirciando con un occhio il ragazzo che, in fretta e furia, riempie lo zaino.
«Giornata a movimentata. Vero? Scusa ma ora scappo, non voglio finire in punizione», il ragazzo si infila lo zaino mentre cerca di dare forma alla massa ribelle che ha in testa e poi corre sparato per il corridoio.
Mugolo. Mugolo come un cane abbandonato.
Non so che fare.
Finirò in punizione il primo giorno di scuola, credo che non sia capitato mai a nessuno prima d'ora al Trinity.
Neanche tre secondi dopo mi sento picchiettare sulla spalla.
«Senti ti apro l'armadietto e poi scappo. Ok? Mi chiamo Jonathan», mi dice il ragazzo frettolosamente.
«Certo!», rispondo con così tanta energia che Jonathan è confuso.
«Ma come, prima sembravi sul punto di piangere e adesso ridi? Stai bene?», mi chiede Jonathan ridendo, poi indica il numero stampato del mio armadietto: «Il tuo armadietto è il 137, il codice di partenza è lo stesso numero. Devi girare a sinistra e raggiungere l'1, poi a destra e vai sul 3 e infine a sinistra sul 7. Capito?».
Annuisco mentre l'armadietto si apre.
Impilati in ordine trovo i libri che mi aspettano. Prendo quello di storia e matematica, li metto nella cartella che porto a tracolla.
«Adesso devi decidere il codice nuovo. Schiacci qui e imposti il nuovo codice», mi dice Jonathan con calma, armeggiando con il lucchetto.
Siamo a pochi centimetri l'uno dall'altra, sento i suoi capelli sfiorarmi le guance. Profuma di caffè e vaniglia, sa di buono. Mi ricorda le domeniche mattina passate con mamma nel lettone in attesa di papà che ci portasse la colazione. Allora la casa era invasa dal profumo della Moka che riempiva l'aria, l'odore dolce di mia madre mi invadeva le narici.
Mi sento come allora, serena, in pace.
Le mie dita sfiorano quelle di Jonathan mentre mi spiega cosa devo fare con il lucchetto. Basta un tocco più deciso delle sue dita e le mie mani, come le sue, fanno cadere il lucchetto per terra.
Ci fissiamo negli occhi.
Non so per quanto tempo restiamo a guardarci. I suoi occhi scuri, neri, profondi come la notte, mi hanno paralizzata.
«Ciao Jonathan, io sono Elena Voli. Sono nuova», gli sussurro.
«L'avevo capito che sei nuova. Tutti mi chiamano Jo qui a scuola», mi dice sorridendo.
 
Sembra il classico inizio dei libri romantici che leggo di solito: lui incontra lei, lei conosce lui, lui aiuta lei, lei ringrazia lui, lui si innamora di lei, lei ama lui. E vissero felici e contenti.
Nessun personaggio ha mai dubbi, paure o confusione, tutto è chiaro, liscio e semplice.
Ecco, con Jo lì davanti mi sembra che tutto sia così.
 
Ma.
C'è sempre un MA ad interrompere una bella storia.
 
Un ticchettio fastidioso si leva per il corridoio. Me ne accorgo soltanto quando il rumore si ferma a pochi passi da me.
Sono nei guai.
«Miss Voli e Mister Kurtz, credo che a quest'ora dovreste essere in classe». La Preside Marquez ci sta fissando inferocita.
Raccolgo il lucchetto e lo mostro alla donna: «Jo, mi ha aiutata con il lucchetto, si è bloccato». Sto mentendo, mi sembra la spiegazione più semplice e plausibile.
Jonathan non proferisce parola, con la testa bassa tende la mascella nervoso.
La Preside ci squadra per qualche secondo: «Miss Voli vada subito in classe a seguire la prima lezione. Per quanto riguarda a lei Mister Kurtz veda di non ripetere quello che è successo l'anno scorso. La sua borsa di studio è attiva solo se si comporterà come di dovere».
«Sì, Signora», rispondiamo in coro io e Jo.
Senza aggiungere altro, la preside si allontana ticchettando per il corridoio vuoto.
«Scusa Jo... Non volevo...», dico sinceramente dispiaciuta.
«Tranquilla. La Marquez mi tiene d'occhio perché non sono un ricco figlio di papà che regala biblioteche o inaugura musei. Adesso vai a lezione».
«Grazie, sei un amico». Chiudo l'armadietto e corro verso l'aula di storia sperando di trovare la giusta concentrazione per la mia prima lezione al Trinity Institute, visto che per essere il primo giorno sono già successe un mucchio di cose.

Se qualcuno legge legge la mia storia,
potrebbe spiegarmi come far conoscere il libro?
mandatemi un messaggio privato.
Vorrei capire come comunicare con altri utenti.
grazie.

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Capitolo 6
*** IERI: Vassoi e promesse ***


IERI:

Vassoi e promesse

La mattina del primo giorno di scuola è andata abbastanza bene.

Il professore di storia è stato gentile anche se di una noia pazzesca. Un paio di ragazzi mi hanno consigliato di ricordare a memoria le sue lezioni perché chiede sempre quello che spiega, per questo tutti in classe, me compresa, hanno preso una marea di appunti. A quanto pare al professore piacciono gli studenti noiosi come lui.
La lezione di matematica invece è passata tranquillamente, abbiamo fatto delle equazioni e risolto qualche problema. Niente di particolarmente difficile.
Non ho visto Kate per tutta la mattina, il pranzo in mensa è l'unico momento in cui posso parlarle prima di riprendere con le lezioni del pomeriggio.
«Ciao traditrice». Saluto la mia amica dandole un colpetto sulla testa con un vassoio vuoto.
«Scusa. Scusa. Scusa. È che dovevo correre al mio armadietto e in classe altrimenti avrei potuto incontrare la preside Marquez... Non volevo finire nei guai il primo giorno».
«Avevi paura di incontrare una donna sui cinquant'anni con tacco dodici e i capelli raccolti in uno chignon?», dico io.
Kate ha la faccia atterrita, è sbiancata: «Non dirmi che l'hai vista!».
Spalanco gli occhi e faccio un sorrisino ironico: «Non solo l'ho incontrata, ma ho anche avuto il piacere di parlarle».
«C-Che cosa le hai detto?», mi chiede nervosa mentre prende il un tramezzino dal bancone con il cibo.
«Tutto. Le ho raccontato di Rebecca e i suoi amici, di come hanno sabotato l'ingresso a scuola», le bisbiglio in un orecchio divertita del fatto che la bugia appena raccontata la manderà fuori di testa. Solo per un pochino, però. Non sono così sadica.
«Cosa?». Kate urla talmente forte che metà degli studenti si gira a guardarla. Il vassoio le trema tra le mani. Piange.
Cavolo, l'ho combinata grossa, non volevo farla reagire così. Era solo uno stupido e innocente scherzo.
«Calmati Kate... Era solo uno scherzo scemo. Ti ho giurato che non lo avrei detto a nessuno e così ho fatto», le dico mentre le massaggio la schiena cercando di calmare i singhiozzi della mia amica. Mi fa troppo male vederla così, possibile che sia così terrorizzata da Rebecca e i suoi amici?
Ristabilita la calma tra di noi finiamo di riempire il vassoio con il cibo per poi sederci in un tavolo appartato dove poter finalmente parlare in pace.
Molti studenti ci osservano, un po' per la sceneggiata appena avvenuta, un po' perché sono una studentessa nuova. Una faccia mai vista, attira parecchie attenzioni.
«Kate, mi vuoi dire perché hai paura di Rebecca e dei suoi amici?», le chiedo mentre prendo una forchettata di riso fumante.
«È una storia lunga... Cioè non è molto lunga, ma un po' complicata», mi dice sconsolata.
«Sono qui per ascoltarti. Siamo le amiche perfette. No?! Perché hai così paura ad aprirti», le chiedo mentre inizio a mangiare.
Basta un boccone di riso e il mondo mi appare un bel posto in cui vivere.
Fragrante.
Profumato.
Saporito.
La perfezione.
È una delle cose più buone che io abbia mangiato in vita mia: «So che il tuo racconto sarà avvincente cara Kate...», Le dico mentre infilo una forchettata dietro l'altra nella mia bocca,«...Ma prima mi vuoi spiegare come diavolo è possibile che in una mensa scolastica si mangi così? Sembra di stare in un ristorante». Nel dirlo indico il piatto davanti a me.
Kate ride. Ride di cuore: «Elena solo tu potresti entusiasmarti per un piatto di riso».
«Ma cavolo, è fantasmagorico. Credo potrei mangiarne tre piatti pieni!».
Kate non ride più fissa il suo vassoio mezzo vuoto con una mela, un tramezzino e un succo. Non è molto, di solito a casa mangia con gusto, nonostante la cucina non proprio eccelsa di Hanna.
«A scuola non mangio più il riso, la pasta o altri cibi grassi», mi dice con un filo di voce.
«Perché?». Sono confusa e preoccupata. Non è mai una bella cosa quando una ragazza smette di mangiare per paura di ingrassare.
«Non li prendo più perché Rebecca ti maltratta se prendi certe pietanze. Hai notato che nessuno o poche ragazze in mensa hanno preso i piatti più conditi?».
Mi guardo intorno, sul tavolo di fianco al nostro ci sono tre ragazze che mangiano in fretta e furia il loro piatto di purè guardandosi intorno circospette. In bella mostra sul vassoio hanno tre mele rosse e tre bottiglie d'acqua. Poco distante un paio di ragazze sgranocchiano delle verdure crude, altre ancora smangiucchiano dei cracker, un'altra beve un succo. Nessuna di loro, come molte altre, ha nient'altro nei vassoi.
La mia carnagione bianca prende una sfumatura violacea, poi rossa. Sto per impazzire.
«Dimmi che ti ha fatto quella stronza di Rebecca, subito». Non ammetto più scuse da parte di Kate, doveva raccontarmi quello che succedeva molto tempo prima. Su certe cose non si scherza.
Con gli occhi umidi mi racconta che l'anno scorso Rebecca le ha spinto la faccia nel piatto perché aveva preso una fetta di pizza in mensa. Ma non era l'unica a cui era successo, molte ragazze avevano subito la stessa sorte, più volte.
«Vuoi dirmi che quella pazza passa a vedere cosa mangiano le studentesse e le mortifica in questo modo?», chiedo allibita.
«Sì. Cioè no. Manda in giro per la mensa delle ragazze che seguono Rebecca come fossero cagnolini. Loro fanno il lavoro sporco», mi spiega.
«Quindi queste sue amiche...». Vengo interrotta da Kate.
«No. Non sono amiche di Rebecca, sono le sue tirapiedi. I suoi amici sono solo Adrian, James, Lucas e Stephanie».
Quello che mi sta raccontando Kate è il colmo: una scuola sotto l'assedio di una tizia completamente folle. Non è possibile accettare una cosa del genere.
Le mani mi formicolavano, vorrei spaccare tutto.
 
Com'è possibile che nessuno si sia mai ribellato?
 
«Kate, sono infuriata, spiegami perché non ne hai parlato con me, i tuoi genitori o la preside Marquez?». Il mio tono è duro. Non doveva tenersi dentro una cosa del genere.
Kate mi guarda con uno sguardo strano, sembra rassegnata, avvilita, demoralizzata: «Elena, sei la solita idealista. In questa scuola viene premiata l'ambizione. Essere più potenti qui significa avere più potere in futuro. Anche se non direttamente c'è una pressione sociale molto forte. In tutto. L'aspetto fisico, l'intelligenza, lo studio. In questa scuola non esistono pessimi studenti, la media qui è dell'8. Se prendi meno sei considerato un perdente. Se non ci fosse Rebecca ci sarebbe qualcun altro a fare come lei», mi dice triste.
Mi è passata la fame.
Sento un'ansia che mi logora dentro. In che diavolo di posto sono finita?
«Questa scuola può essere dura e gli insegnanti possono chiedere molto ai loro alunni, ma il fatto non toglie che nessuno studente è tenuto a far male agli altri. NESSUNO». Scandisco l'ultima parola per farla entrare nel cervello a Kate.
«Parli facile tu. Sei così carina, non hai idea di come la gente ti guardi. Riesci sempre a coinvolgere tutti», mi dice la mia amica arrossendo, «Vorrei essere come te».
 
Sto per urlare.
Adesso scoppio.
Vorrei aprirle il cranio e infilarle in testa l'idea che è stupenda, fantastica, unica.
 
Mi alzo di scatto con il vassoio in mano: «Dimmi dove siede Rebecca». Non ammetto nessun tentennamento.
«Ma...». Kate è terrorizzata.
«Niente MA. Se non mi dici dov'è inizio ad urlare».
Kate si dirige verso una grande finestra che si affaccia direttamente sul parco della scuola. Scorgo subito Rebecca che ride con Stephanie. Vicino a loro ci sono Lucas e Adrian che chiacchierano e James che, con una sigaretta dietro l'orecchio, legge un libro.
Senza il minimo timore mi piazzo davanti a loro sorridendo e sbattendo il vassoio sul tavolo.
Piccoli chicchi di riso schizzano da tutte le parti.
Con un sorriso tra lo sfrontato e l'ironico li fisso negli occhi, uno ad uno.
«Che vuoi feccia?», mi chiede Rebecca disgustata.
Senza rispondere prendo la forchetta e la riempio di riso, spalanco la bocca e ingoio il boccone: «Qualche problema?», chiedo con finta ingenuità.
Stephanie si avvicina al suo fidanzato, mentre Adrian e James paiono divertiti dalla scenetta.
«Vedo che doppi occhi ti ha spiegato come funzionano le cose qui al Trinity», mi scandisce Rebecca facendo tintinnare i braccialetti d'oro.
«Sì. Kate mi ha spiegato come andavano le cose qui a scuola fino ad oggi», dico io decisa. «Vedi, le cose cambieranno. Penso sia giusto che ognuna si senta libera di mangiare quello che vuole".
Rebecca ride: «Chi lo decide? Tu?».
Guardo per qualche secondo quella strega abbronzata : «Carissima Rebecca. Io so chi ha bloccato la porta questa mattina», le dico appoggiando il mento sulle mani.
All'improvviso ottengo l'attenzione di tutti i presenti.
«Rischieresti di farci espellere», mi bisbiglia Lucas con un certo fastidio.
«Lo so. Credimi, non lo vorrei mai. Del resto la colpa non è la tua, ma quella della tua cara e buona amica Rebecca. LEI ti ha costretto, LEI ti ha plagiato. Credo di poter raccogliere abbastanza testimonianze sul fatto che Rebecca abbia compiuto atti di bullismo vero e proprio in tutta la scuola», spiego con calma a Lucas.
«Non oseresti mai farlo», dice la bionda a denti stretti.
James gioca con la sigaretta, pare più divertito che spaventato: «Non male pivella... Non male».
«Non ho video, foto, o altro che ti possano incastrare, ma ho il foglio del parcheggiatore della scuola. Lui registra ogni veicolo con l'ora di entrata. È stato facile averlo... Probabilmente non dimostrerò nulla però posso mettere la pulce nell'orecchio alla Preside Marquez», dico bluffando alla grande. Spero che l'arpia abbocchi all'amo.
«Che vuoi feccia?», mi chiede schifata Rebecca, lanciandomi occhiate assassine.
Ci penso un attimo, quel tanto per darle fastidio ancora un po': «Prima di tutto smetti di chiamare Kate doppi occhi. Questo vale anche per voi», dico agli altri ragazzi, «Poi smetti di tiranneggiare, offendere e imporre le tue folli idee alle ragazze e ragazzi della scuola. In poche parole, fai la brava».
Rebecca sta fumando dalla rabbia, se potesse credo mi caverebbe gli occhi: «Prometto che farò la brava, ma stai tranquilla che te la faccio pagare», poi si alza ed esce dalla mensa seguita dai suoi amici.
 
Kate è bianca come una statua, sembra abbia trattenuto il fiato per tutto il tempo.
Io tremo leggermente. L'adrenalina sta scendendo, l'euforia se ne sta andando. Non è mai bello discutere, soprattutto quando ci sono altre persone che potrebbero pagarne le conseguenze.
Stringo la mano della mia amica.
«Elena, ma tu non hai il foglio con l'orario del parcheggiatore, vero?», mi chiede Kate con un filo di voce.
«No, stavo bluffando», le dico io con un sorrisetto.
Kate mi fissa un secondo, ci pensa un attimo e poi sorride. Sorride come se si fosse liberata di un peso enorme: «Credo mi mangerò un piatto di spaghetti, ho una fame pazzesca».

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Capitolo 7
*** IERI: Alla ricerca di un futuro ***


IERI:

Alla ricerca di un futuro

Nelle due settimane successive dall'inizio della scuola, il mio armadietto ha subito diverse incursioni.

Succo di frutta.
Fango.
Milkshake.
Latte.
Coca-Cola
Più una serie di liquidi dolci e appiccicosi, non ben identificati.
Ho cambiato per ben cinque volte i libri di testo finché la preside si è stancata ed ha fatto chiudere le fessure sullo sportello del mio armadietto. Non solo il mio armadietto è stato sigillato, ma anche quelle di Kate e di altri studenti. Da allora nessun liquido è stato fatto sgocciolare sulle mie cose o quelle degli altri.
Non ci vuole certo un genio per capire chi abbia organizzato questi attentati liquidi: Rebecca. O meglio, le sue tirapiedi. Quei gesti erano il sintomo evidente di quanto fossero sceme quelle ragazze, si comportavano come bambine.
Piccole bambine capricciose.
Le cose in mensa erano migliorate, ma per il resto c'erano infinite possibilità di infastidire, molestare, sminuire e offendere uno studente, e Rebecca lo sapeva bene.
«Vuoi dell'altro sformato?», papà mi allunga una badilata di sformato di patate. Ha l'aria minacciosa, mi dice che devo crescere e quindi mangiare.
«Papà, ne ho mangiate già due porzioni. Il mio stomaco è pieno!». Un burp mi esce all'improvviso dalla bocca. Mio padre mi guarda in cagnesco come se cercasse di capire se stessi dicendo la verità o meno. Alla fine si convince grazie al bottone dei jeans slacciato e dalla mia aria assonnata di quando si mangia troppo.
«Come va a scuola?», mi chiede mentre sbuccia una pera.
«Bene», rispondo lapidaria mentre di digerire il prima possibile.
«Hai già deciso quali Club frequentare? Roger mi ha detto che al Trinity Institute hanno ottimi...».
«Papà ti prego. Basta! Ho solo sedici anni...», alzo gli occhi al cielo annoiata.
«... Quasi diciassette..», mi corregge lui.
«Va bene. Ho quasi diciassette anni, mi mancano ancora due anni di scuola prima di andare all'università. Credo di avere tutto il tempo per capire cosa voglio fare e non sarà uno stupido Club a farmi decidere», rispondo con il suo stesso tono impertinente.
«Certo, però dovresti iniziare a pensarci. Roger mi ha detto che al Trinity Institute è importante decidere che carriera si vuole intraprendere da grandi, loro possono indirizzarti». Le parole escono a tratti tra un boccone di pera e l'altro.
Adesso giuro che scoppio, grido, spacco tutto: «In Italia frequentavo il Liceo Artistico, mi piaceva molto. Allora non eri fissato con l'università e il mio futuro. Che ti prende?».
Mio padre tentenna, sembra voglia dirmi qualcosa, ma non trova le parole. Detesto vederlo in questo stato. Capisco dal suo sguardo che ha paura, paura di non essere un bravo padre o almeno, così pensa lui. Senza mamma le cose sono più difficili, ogni giorno è una lotta, ogni giorno è una sfida. A volte è difficile aprirmi con lui è così cocciuto che spesso mi da sui nervi. So che desidera il meglio per me, ma deve smetterla di assillarmi. Mamma mi diceva sempre di seguire il mio cuore, il mio istinto, al momento giusto saprò cosa scegliere.
Lo stesso vale per i Club a scuola.
Deve capirlo anche lui, non si può programmare la vita di nessuno.
«Papà», gli dico con un filo di voce accarezzandogli la mano, «Andrà tutto bene, stai tranquillo».
A volte mi sembra di essere io l'adulta e lui l'adolescente.
«Sei come tua madre. Stessa tempra, non esiste niente che possa abbattervi», mi dice con la voce tremante e gli occhi lucidi. «Scusa. Dovrei avere più forza, invece... Vuoi della frutta tesoro?», mi chiede cambiando discorso come fa sempre quando si parla di mamma.
«Sì, papà. La mangio in camera se non ti dispiace». Prendo una mela, triste del fatto che come sempre i nostri discorsi finiscano in lacrime.
«No, tranquilla. Vai pure, oggi sparecchio io», mi dice iniziando a raccogliere i piatti in tavola.
Senza farmelo ripetere, attraverso il corridoio fino alla mia tana che dal trasloco ha preso una forma più definita. Niente più scatoloni, niente più sacchetti, tutto è in ordine. Un bel letto comodo occupa buona parte della stanza, vicino ho messo una scrivania con il computer e una libreria stracolma dei miei libri preferiti. I miei tesori.
In un angolo ho il cavalletto con la tela che dovrei cominciare a dipingere, solo che mi manca l'ispirazione.
Appoggio la mela sul comodino poi prendo Tramonti sul cuore, il terzo libro della mia saga preferita che avrò letto minimo sei volte. Forse sette. Sono arrivata al decimo capitolo, quando John il pirata è prigioniero sul galeone mentre cerca di liberare la bella Melina rapita dal Duca Richelieur.
Oh cavolo, quanto mi piace questo libro. Non mi importa di sembrare una sciocca ragazzina, una sognatrice, una immatura, le storie così romantiche ed avventurose mi fanno impazzire. Le adoro.
È difficile trovare qualcuno che le ami come me, Kate li ha definisce una noia mortale.
Ma scherziamo?
Nik, il ragazzo della libreria, deve averlo letto tutto. Almeno credo. Sono già passate più di due settimane da quando l'ho visto in libreria. Immaginare un ragazzo di Yale che legge questi libri mi fa sorridere.
Chissà cosa sta facendo adesso?
Sullo schermo del computer in stand-by leggo l'ora: sono le 20.30.
Probabilmente Nik sta cenando, oppure sta studiando. Magari è in compagnia di qualche ragazza oppure a bere una birra con gli amici.
Avrei voglia di rivederlo, ma è troppo grande. Mio padre non vuole che abbia un ragazzo della mia età, figuriamoci cosa direbbe se gli presentassi uno studente universitario. Mi crocifiggerebbe.
Smettila di fantasticare Elena!
La luce dello schermo del computer si accende illuminandomi il volto all'improvviso e facendomi socchiudere gli occhi.
La pagina si apre su Google.
Inizio a scrivere: Nicholas Martin.
Aspetto.
Non ho il coraggio di proseguire.
Prendo un grosso respiro e aggiungo: Yale.
Basta cliccare per scoprire qualcosa in più su Nik.
Un solo click e saprò come trovarlo.
Fermati Elena.
Non lo fare.
Il mio cellulare squilla.
È Jonathan.
Ritorno con i piedi per terra in un decimo di secondo.
«Ciao Jo, come va?», dico con tono rilassato.
«Tutto bene. Senti ti chiamavo per sapere se è domani il tuo ultimo giorno di lavoro in gelateria, vorrei portare la mia ragazza. Il gelato gratis non si rifiuta mai», mi dice ridendo.
«Certo. C'è anche Kate, potete venire con lei se non conoscete il posto».
«Grazie Elena. Volevo dirti che... Insomma... Sono felice di averti conosciuto. Credevo che al Trinity ci fossero solo studenti snob che pensano solo ai soldi», mi dice un po' imbarazzato. «In due anni non avevo stretto amicizia con nessuno. Poi sei spuntata tu... E... Io...».
Anche se non mi vede arrossisco. Dentro di me sorrido e sono lusingata del suo imbarazzo..
Non sono mai stata innamorata come nei miei libri, di solito descrivono momenti magici, emozioni incontrollabili, ma a dirla tutta non so cosa si prova.
Quello che sento per Jo è amore?
Il cuore mi batte forte quando sono con lui. Ma sarà abbastanza?
«Elena. Elena ci sei?». Jonathan ha il tono leggermente allarmato.
«Scusa. Sto digerendo la cena che ha preparato mio padre. Ho i riflessi rallentai. A-anche io sono felice di averti conosciuto».
«Allora ci vediamo domani a scuola e più tardi in gelateria».
«Ok... Ah, aspetta. Sei tu che mi hai attaccato un foglietto sul mio armadietto? L'ho trovato oggi pomeriggio, prima di uscire». Rovisto nella mia cartella appoggiata sul letto.
«Foglietto? No, non sono stato io. Che dice?» mi chiede.
«A dire il vero è una lista dei Club del Trinity Institute, sono quelli per il terzo anno», gli spiego mentre osservo con attenzione il foglio mezzo stropicciato.
«Che cosa strana. C'è ne sono a centinaia di fogli del genere in segreteria... Adesso vado che mia madre mi chiama. Ciao». Jo attacca.
«Ciao», dico a mezz'aria sapendo benissimo che il mio amico non mi sentirà.
Il foglio che reggo è una copia come tante altre, ci sono decine di Club che posso seguire: c'è quello del Teatro, quello di Scienze, quello degli Scacchi, quello di Musica, quello di Economia, e molti altri.
Ho un'ampia scelta.
Uno però è cerchiato in rosso più volte.
Un paio di frecce segnano un solo club.
Quello di Dibattito.

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Capitolo 8
*** IERI: Questione di chimica ***


IERI:

Questione di chimica

 

Ho passato la notte facendo un incubo dietro l'altro. Ho sognato che una penna rossa gigante mi inseguiva cercando di schiacciarmi mentre scarabocchiava da tutte le parti. Sarà stato lo sformato di patate di papà, oppure il misterioso biglietto trovato attaccato al mio armadietto, sta di fatto che non ho praticamente chiuso occhio.

Stamattina ho provato a mascherare le occhiaie, gonfie e scure, con il correttore e il fondotinta, ma sono così marcate che sembra abbia preso dei pugni negli occhi.
 
Mi tocca un'altra giornata al Trinity e non ne ho assolutamente voglia.
 
Kate mi parla con la sua solita voce pacata, è emozionata perché domani si può fare richiesta per i vari Club della scuola. Le piacerebbe fare Teatro, lavorare alle scenografie sarebbe per lei il massimo, e Musica, ha un certo talento per il canto. Di certo non le manca il gusto per il bello, ha sempre avuto un occhio speciale per le immagini visto anche l'ottimo gusto di Roger per i libri d'arte.
 
«Perché non ti iscrivi al Club di Fotografia?», le chiedo tra uno sbadiglio e l'altro.
Kate mi guarda come fossi impazzita: «Non so neanche montare il rullino. Figuriamoci».
«Si dice caricare il rullino, non montare», le rispondo sghignazzando.
«Ecco appunto, non so nulla di nulla. Proverò con Teatro e Musica. Se non mi dovessero prendere cercherò qualcos'altro. Tu invece?».
«Non so. Sono indecisa». Gioco da diverso tempo con una ciocca dei capelli, non so se dirle del bigliettino cerchiato di rosso che ho trovato ieri.
«Qui a scuola non c'è un Club di pittura, potresti fare richiesta per Teatro. Per me ti divertiresti», mi dice allegra.
«Ho visto che c'è il Club di Dibat...».
Vengo interrotta da Jo che urla alle nostre spalle.
«Ciao ragazze!», è pimpante e su di giri.
«Ciao», rispondiamo in coro io e Kate.
Jo si mette in mezzo e appoggia le sue braccia sulle nostre spalle: «Entrare al Trinity con le fanciulle più carine della scuola, mi farà guadagnare un sacco di punti popolarità», dice ironico.
«Cretino», gli dico mentre Kate sghignazza.
Il profumo dolce di Jonathan mi rilassa talmente tanto che, se sommato alla stanchezza che provo, credo potrei addormentarmi da un momento all'altro. Il calore del suo corpo è come una calda coperta, il rumore del suo respiro una melodiosa ninna nanna.
Potrei stare così per ore.
«Ok, io vado. Devo... Devo... Insomma devo andare». Kate è una pessima bugiarda, mi ha lasciata da sola con lui apposta.
Senza scomporsi, Jo stringe il suo braccio intorno al mie spalle. Siamo così vicini che i nostri visi quasi si sfiorano quando parliamo. Non mi sento a disagio, mi sento bene. Tutte le preoccupazioni vanno via quando chiacchiero con Jo, credo che valga lo stesso per lui.
«Quindi oggi pomeriggio facciamo una scorpacciata di gelato. Sappi che adoro il cioccolato... La vaschetta sarà tutta mia», mi dice mentre varchiamo la soglia dell'aula di chimica.
«Aspetta, il cioccolato è il mio gusto preferito. Non ti permetterò di assaggiarlo perché lo sbranerò prima che tu venga in gelateria», gli dico posizionandomi di fronte a lui, cingendolo per la vita. Gli occhi scuri e profondi, le labbra carnose, i capelli leggermente spettinati lo rendono estremamente attraente. Jo mi scosta una ciocca ribelle dal volto e accenna un sorriso.
Passiamo pochi secondi a fissarci, poi la campanella suona.
In un nano secondo i ritardatari entrano in classe di volata.
Oggi abbiamo chimica.
Un brusio si leva per l'aula. A quanto pare il professor Tompson è rientrato ufficialmente nel corpo insegnanti. Si diceva in giro che avesse avuto un esaurimento nervoso o qualcosa del genere, nessuno lo sa di preciso. Per le prime settimane abbiamo avuto una supplente piuttosto tranquilla, mentre adesso mi tocca vedere di persona lo strambo professor Tompson.
Appena entra in aula, la classe si zittisce.
«Di norma appena entra spalanca la finestra. Per la puzza di adolescenti», mi bisbiglia pianissimo Jonathan, che è seduto nel banco di fianco al mio.
Il professore controlla il registro di classe impassibile. Così allampanato con i suoi occhialini tondi, il papillon e la giacca blu, sembra una caricatura, un fumetto.
I primi minuti li passa fissando uno studente alla volta. Quando incrocia il mio sguardo, mi indica: «Lei chi è? Si presenti Miss?».
«Mi chiamo Elena Voli, sono una nuova studentessa. Vengo dall'Italia e...», dico tutto d'un fiato.
«Non si direbbe dal suo accento. Ha studiato chimica nella sua vecchia scuola? Mi porti la scheda di valutazione sulla preparazione della mia materia», mi dice serio.
«L'ho consegnata alla supplente, credo l'abbia messa nel registro».
Il professor Tompson controlla, trova la scheda e inizia a leggerla.
«Venga qui, Miss». Con la manina ossuta mi fa cenno di raggiungerlo alla cattedra.
Spero non mi interroghi. Incrocio le dita dietro la schiena.
«Da quel che vedo ha una preparazione puramente teorica. Non ha mai fatto laboratori di chimica?».
«No, professore».
«Hmmm». Scruta con attenzione il foglio e poi la classe, «Miss Voli credo sia il caso di farla sedere vicino a Miss Smith». Una ragazza dai capelli castani si alza lasciandomi un posto libero lontano da Jo e vicino alla ragazza appena nominata dal professore. A malincuore cambio posto.
Nei successivi dieci minuti metà classe ruota e cambia postazione, sembra che gli accoppiamenti non siano mai giusti e non piacciano al professore. Sembra una giostra.
In poco tempo mi ritrovo a cambiare tre persone e tre tavoli.
«Ecco. Per il resto dell'anno questi saranno i vostri posti», dice severo il professore aprendo la finestra e respirando l'aria fresca a pieni polmoni. «Adesso prendete il libro a pagina 11».
Vorrei urlare.
Il mio compagno di banco è James che con la solita aria annoiata mi saluta divertito: «Ciao pivella».
«Credo che tu debba smetterla di chiamarmi così. Del resto ho il foglio del parcheggiatore, posso far sempre la spia alla preside Marquez per quella faccenda che sai», bisbiglio dura al mio compagno di postazione, cercando di essere più minacciosa possibile, nonostante la balla colossale.
«Smettila pivella. Io non sono Rebecca, ho più sale in zucca di lei. So benissimo che il custode della scuola che lavora al parcheggio, non prende nota delle targhe e dell'ora. Stai mentendo», mi dice mentre prende nota degli appunti del professore con una penna stilografica ad inchiostro blu.
«Non è vero», dico un po' troppo forte facendo girare il professore che per fortuna non mi ha vista parlare. «Non sto mentendo».
«Tu non faresti mai la spia, pivella», mi dice James convinto.
«Certo... Certo che la farei se servisse».
«Una ragazza che si batte per le altre persone come hai fatto tu nella mensa scolastica non farebbe mai male ad una mosca. Sei una idealista, una sognatrice. Scommetto che leggi libri di avventure o romanzi d'amore».
Il mio silenzio la dice lunga, mi ha inquadrato perfettamente. La cosa mi infastidisce parecchio.
«Ecco lo sapevo. Non ci vuole mica molto a capire come sei fatta», mi dice annoiato. «Solo una come te poteva stare con Jonathan. Uno sfigato del genere è meglio perderlo che trovarlo».
Un calore immenso mi sale dalla punta dei piedi per arrivare fino alla testa.
Non deve permettersi di giudicare e criticare Jo. Se fossimo per strada gli urlerei in faccia, lo massacrerei con le mie parole.
Prendo un bel respiro e cerco di mantenere il controllo.
 
Conto fino a dieci: 1, 2, 3.
Calmati Elena, 4, 5, 6.
Non ti innervosire, 7, 8, 9, 10.
 
«Prima di tutto io e Jo non siamo una coppia, lui ha la ragazza da molti anni. Siamo ottimi amici. Secondo...».
«Certo come no? Eravate avvinghiati come due polpi prima». James mi imita sbattendo gli occhi velocemente come fossi un'oca senza cervello.
«Secondo», dico in tono duro, «L'unico con una ragazza sfigata sei tu. Rebecca sarà pure carina, ma è una pazza furiosa».
«Ma Rebecca non è la mia ragazza. Il fatto che lei sia sempre appiccicata a me non vuol dire che stiamo insieme. Sai, piaccio a molte ragazze». James mi sussurra lentamente le ultime parole scandendole con calma. Inavvertitamente con le labbra tocca di sfuggita i miei capelli. Un brivido di solletico mi avvolge il collo.
«Davvero?», gli chiedo allontanandomi turbata.
«Certo. Anche tu sei cotta di me, ma non vuoi ammetterlo», dice con il suo solito tono strafottente ed annoiato mentre riprende a copiare dalla lavagna.
Giuro che lo strozzo.
L'idea di dover stare vicina a James mi fa impazzire.
Vorrei prenderlo a calci nel sedere, strappargli le braccia e cavargli gli occhi.
Cercando di mantenere il controllo, per quanto possibile, mi allontano dal mio compagno di postazione, sperando che le prossime lezioni di chimica non siano un incubo come la lezione appena passata.

Se qualcuno legge legge la mia storia,
potrebbe spiegarmi come far conoscere il libro?
mandatemi un messaggio privato.
Vorrei capire come comunicare con altri utenti.
grazie.

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Capitolo 9
*** IERI: Dolce come il gelato, amaro come la gelosia ***


IERI:

Dolce come il gelato, amaro come la gelosia

 

Oggi passerò l'ultimo pomeriggio in gelateria, l'Italian Cream mi mancherà. Con l'arrivo dell'autunno i clienti sono diminuiti, Karl, il titolare, riesce a seguire il negozio da solo. Mi ha già prenotata per l'estate prossima, da giugno sarò nuovamente dietro al bancone.

Oggi è una specie di festa per me, finalmente non dovrò indossare più quel ridicolo cappellino con stampati i colori della bandiera italiana e potrò offrire gelati ai miei amici. Una specie di liquidazione. Karl è sempre stato gentile con me, è un brav'uomo.
Oggi è mercoledì e la signora McArthur viene sempre a comprare una vaschetta di gelato.
La signora è così buffa che con la sua aria severa, tipica delle maestre d'altri tempi, sceglie i gusti con meticolosità e fin troppa attenzione.
Mi devo trattenere, altrimenti rischio di riderle in faccia
«Cara ragazza. Vedo che avete aggiunto il fico. Gradirei assaggiarlo».
Prendo un cucchiaino di ferro per farle assaggiare il gelato. La signora non vuole un cucchiaino di plastica come i comuni mortali.
«Karl l'ha fatto stamattina. Sentirà che bontà!».
La signora McArthur mi squadra, credo mi detesti quando sono troppo euforica.
Alla fine sceglie i soliti gusti: pistacchio, nocciola, caffè e crema.
Mai una volta che cambiasse.
Mentre incarto la confezione gelato, il campanello della porta tintinna: Kate, Jo è una ragazza che non conosco varcano la soglia.
Saluto con gentilezza la vecchia senza aspettarmi un saluto, di solito non mi calcola per niente. Invece oggi mi rivolge la parola: «Ho saputo, cara ragazza, che oggi è il suo ultimo giorno qui. Ha svolto un lavoro decente anche se c'è sempre margine di miglioramento". Senza aggiungere altro la signora esce a piccoli passi squadrando i miei amici da capo a piedi.
Una scena comica di tutto rispetto.
Kate scoppia a ridere mentre Jo è interdetto: «Chi diavolo è quella vecchia matta?».
«Una cliente abituale un po' particolare», spiego ridendo.
«Sarà anche particolare, ma guarda che razza di macchina ha», dice la ragazza in compagnia del mio amico.
Una Rolls Royce nera e lucida, con tanto di autista, aspetta la signora fuori dal negozio.
Non avevo mai fatto caso alla macchina della signora. È proprio vero che le apparenze a volte ingannano.
«Quindi questa è una gelateria per ricconi?», la sconosciuta osserva con attenzione il negozio. «Non si direbbe», aggiunge sarcastica.
«Io... Beh... Io lavoro qui per mettere da parte un po' di soldi. Non mi piace chiedere a mio padre di pagarmi tutto».
«Ah, quindi sei una riccona che lavora per piacere. Questa mi giunge nuova. Pensare che potresti lasciare il lavoro a chi serve davvero».
 
Ma vaffan... Elena trattieniti.
È l'ultimo giorno di lavoro, mantieni la calma.
 
Jo le da una gomitata e le lancia uno sguardo interrogativo.
«Che c'è. Non posso dire la verità?», dice la ragazza.
«Smettila Maria. Se fai così, risulti solo maleducata», le dice il ragazzo.
«Che fai? Li difendi? Non credevo che ti stessero a cuore i figli di papà che frequentano la tua scuola? Di solito ne parli male».
Maria ha l'aria di sfida, ci detesta senza nasconderlo. Gioca con i suoi ricci corvini, lanciandoci occhiatacce. Kate è intimorita, io invece cerco di alleggerire l'atmosfera fin troppo pesante: «Allora che gelati volete? Abbiamo i gusti crema e frutta, e...».
«Grazie Elena, ma finché Maria non vi chiede scusa, niente gelato», Jo è incavolato nero. Con le braccia tese lungo i fianchi aspetta la risposta dalla fidanzata.
«Ma stai scherzando? Non sei mica mio padre. Sai una cosa. Mi avete rotto. Soprattutto tu. Adios chico». Maria gira sui tacchi e come una furia esce dalla gelateria, sbattendo la porta. Jonathan la segue.
Io e Kate rimaniamo zitte per qualche secondo.
Siamo in imbarazzo.
«Prendi il solito?», chiedo alla mia amica provando a cambiare discorso.
«E me lo chiedi? Doppia panna, mi raccomando», mi dice schiacciando l'occhio e tuffandosi su uno sgabello.
Non è stato proprio il massimo vedere Jo e Maria litigare, certe sceneggiate rovinano l'umore a tutti. Non che siano fatti miei, ma non sembrano andare molto d'accordo quei due.
Ridacchio sotto i baffi, mentre mangio la mia coppa al triplo cioccolato.
«Perché ridi? Mi stai nascondendo qualcosa». Kate mi osserva da dietro gli occhiali.
«No». Strillo io con una voce acuta e stridula. Quel suono mi esce ogni qual volta dico delle bugie che faccio fatica a trattenere. Non voglio ammettere, che un po' mi fa piacere che Jo abbia discusso con la fidanzata.
Il campanello della porta del negozio tintinna.
Jo è tornato, da solo.
Io e Kate gli andiamo incontro, non sappiamo cosa dire.
Jonathan rompe il ghiaccio: «Maria ha preso un bus per tornare a casa. Detesta che io frequenti il Trinity, crede che mi possa cambiare. Anzi dice che sono già cambiato".
Prendo Jo per mano, la stringo forte. Lui ricambia la stretta.
Non posso farci nulla, ma la situazione che si è creata mi fa piacere.
Avere il mio amico tutto per me, mi rende felice.
Porto a Jo una coppa come la mia: triplo cioccolato con panna extra, il massimo.
Non ci vuole molto tempo per riportare il buon umore in gelateria.
Le battute di Jo e le chiacchiere di Kate sono meglio di un massaggio rilassante, senza contare la montagna di cioccolato che ho ingurgitato. Mi sento in paradiso.
«Mi dispiace per Maria», dice Kate addentando l'ennesima ciliegia candita.
«Non ti preoccupare. Purtroppo crede che frequentare il Trinity mi possa cambiare a tal punto da farmi dimenticare i miei princípi», spiega Jonathan. «Ho avuto la fortuna di poter entrare e avere un'istruzione superiore... Non credo sia una colpa».
«No, assolutamente no. Studiare è importante. Soprattutto se ti serve per raggiungere i tuoi obbiettivi», dice Kate.
«Ma tu sei una secchiona! Studiare è importante, ma anche essere in pace con se stessi lo è», dico io.
Jo ci guarda divertito: «Avete ragione entrambe. Studiare serve per realizzare i miei sogni, ma allo stesso tempo non voglio perdermi, non voglio dimenticare da dove vengo e chi sono. Da grande sarò un avvocato, il miglior avvocato in circolazione. Aiuterò le persone come mia madre che sono costrette a fare due lavori per mantenere la famiglia. Lavora in nero, è sfruttata. Quando mio padre se ne è andato le ha portato via i pochi soldi che aveva in banca. Erano per i miei studi".
Ho il magone, sentire parlare così il mio amico mi colpisce molto. Dritto al cuore.
Kate sta ascoltando a bocca aperta, credo non abbia mai conosciuto nessuno che abbia problemi di soldi in vita sua: «Io... Io, non sapevo. Mi dispiace».
«Non è mica colpa tua. Purtroppo certa gente si approfitta dei più deboli. Io voglio aiutare chi ne ha davvero bisogno. Tutto qui», le spiega Jo con dolcezza.
«Wow. Se dovessi mai aver bisogno di qualcosa io sono qui», le dice Kate.
«Siamo qui», la correggo io.
«L'unica cosa che potete fare per me è pregare, invocare gli Dei, i Santi e tutto ciò che potrebbe aiutarmi ad entrare nel Club di Dibattito. Domani mi iscrivo», dice Jo con la sua solita allegria mentre incrocia le dita.
Kate ride: «Auguri! Magari vuoi anche entrare nel Gruppo A?».
«Certo. Punto al massimo», le risponde il ragazzo.
«Stop. Pausa. Di che diavolo state parlando?», chiedo confusa. Il Club di Dibattito è lo stesso che mi è stato segnalato di rosso sul foglio attaccato al mio armadietto.
Kate mi guarda stupita: «Ma scusa Elena, hai letto il fascicolo di presentazione della scuola?».
Sorrido imbarazzata.
Che figuraccia.
Non ne ho letta neanche una pagina.
Bisbiglio parole senza senso.
«Evidentemente non hai a cuore il tuo futuro», mi dice Jo sorridendo.
«Ma dai... Che cavolo sarà mai? Un Club vale l'altro, è un'attività extra scolastica per passare il tempo e...».
«Passare il tempo?», ripetono in coro Kate e Jo guardandomi scioccati.
«In base al Club che sceglierai deciderai del tuo futuro... Quello di Dibattito è il più ambito, la gente si strapperebbe le vene pur di accedere. Gli ultimi due anni di scuola vengono formati solo due gruppi: A e B. Non ci vuole molto per capire che se fai parte del gruppo A, sei tra i migliori», mi spiega con calma Kate.
«Fanno dei colloqui. Dei provini, per vedere se sei in grado di sostenere il ritmo. Si fanno delle prove, gare, insomma è una guerra vera e propria», mi dice Jo animato, «Devi saper parlare, mentire, convincere e soprattutto devi voler vincere. Sempre. Non puoi farti coinvolgere da nulla, devi essere come un avvocato vero e proprio".
«Io non ci provo nemmeno, non riuscirei mai. Mi interessa altro. Non che gli altri Club siano meno anzi, la pressione è molto alta in tutti, ma quello di Dibattito è il più tosto. Lo sanno tutti», aggiunge Kate.
Trattengo il fiato. Non credevo ci fosse tanta animosità dietro ai Club del Trinity.
Guardo i miei amici, desiderosi di mettersi in gioco e provare ad essere bravi o i migliori in qualcosa.
Io non so neanche cosa farò domani, come posso decidere cosa vorrò fare da grande?
Detesto essere spaesata è così indecisa.
Con uno scatto corro dietro al bancone e prendo la mia cartella poi rovisto al suo interno.
Tolgo il foglio che ho trovato attaccato al mio armadietto e lo allungo verso i due.
Ho bisogno del consiglio dei miei amici, non posso tenermi tutto dentro.
«Ecco qua», mostro a Kate e Jo il foglio.
Lo osservano con attenzione, notando subito i segni rossi.
«Che significa?», mi chiede Kate, «Non mi avevi detto di tutto questo».
«Non so nulla. L'ho trovato così».
«Quindi hai intenzione di iscriverti al Club di Dibattito?», mi chiede Jo.
«Io... Io... Vi giuro che non so. Non so cosa devo fare», rispondo candidamente mentre alzo le spalle.
«Se ti iscrivi, diventeremo rivali. Nemici. Al Club di Dibattito non ci sono amici, ma solo ostacoli da superare», Jo è serio. Troppo serio.
 
Non dico nulla, non ho una risposta da dargli.
Vorrei spiegarmi, ma non so cosa dire.
Fisso quegli occhi, più neri del nero, cercando di capire quale sia la cosa giusta da fare.
Potrei iscrivermi a qualsiasi altro Club pur di continuare ad avere l'amicizia di Jo, oppure potrei provare ad iscrivermi a quello di Dibattito, rischiando di perdere tutto.
Non ho risposte.
L'unica cosa a cui penso è: come mai qualcuno mi ha lasciato quel foglietto sul mio armadietto? Cosa avrà voluto dirmi?

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Capitolo 10
*** IERI: Una mattinata movimentata ***


IERI:

Una mattinata movimentata

 

Il telefonino squilla.

Apro gli occhi.
È ancora buio pesto.
Mi rituffo sul cuscino.
Il telefono ri-squilla.
Mugugno qualcosa.
Prendo il telefonino: è Kate.
Rispondo in preda al panico.
Una telefonata alle 05.30 del mattino, significa che qualcosa non va.
«Kate, che cavolo succede? Stai bene?».
«Ciao tesoro, buongiorno anche a te!», Hanna mi risponde con energia.
«Hanna. Tutto ok? È successo qualcosa a Kate?», il cuore mi batte all'impazzata.
«No, tranquilla. Oggi è il giorno in cui dovete scegliere i Club quindi dovete alzarvi per tempo. Ho pensato fosse una buona idea andare un po' prima a scuola».
Se avessi avuto la mamma di Kate tra le mani, l'avrei strozzata: «UN PO' PRIMA? Hanna dimmi che è uno scherzo e che in verità Kate si è rotta un braccio, perché se non è così, appena la vedo, io...».
«Scusa. Mia madre mi ha costretta, minacciata, forzata... Io non volevo svegliarti», la mia amica urla vicino al telefonino.
«Un po' di contegno Kate», dice Hanna alla figlia, «Vedrai che Elena sarà felice, magari non adesso, ma con il tempo capirà che abbiamo fatto la scelta migliore».
Detesto svegliarmi presto, ma soprattutto odio essere svegliata all'improvviso.
Possibile che si debba andare a scuola così presto per colpa di quei stupidissimi Club?
«Ok, Hanna. Non maltrattare troppo Kate... Perché ci penserò io appena la vedo!», urlo nel telefonino.
«Hai venti minuti. Tuo padre ti aspetta fuori dalla porta con una tazza di tè e una divisa stirata. Noi siamo in strada. Se quando arriviamo non sarai pronta verrò a prenderti di persona». Hanna butta giù il telefono.
 
Merda.
 
Mi lancio sulla porta della camera, appena la apro il profumo del mio tè preferito mi inonda le narici.
«Papà!», dico in tono lamentoso, «Perché le dai sempre retta».
«Hanna sa essere molto convincente, lo sai», mi dice alzando le spalle.
«Ammetti che hai paura di lei», dico per provocarlo.
«Perché tu no?», poi mi schiaccia l'occhio allungandomi la tazza, «Buona fortuna per la scelta dei Club, tesoro». Con calma mi appoggia la divisa sul letto mentre cerco di non ustionarmi con il tè caldo e di non farmi prendere dall'ansia.
 
Ho troppo poco tempo, riuscirò a fare tutto?
Elena ci vuole sangue freddo e concentrazione.
Forza!
 
In venti minuti riesco a fare: doccia rapida (senza lavare i capelli), mangiare due fette di pane tostato con marmellata (gentilmente preparate da papà), indossare la divisa (che stranamente profuma di lavanda), trucco (matita nera, mascara e lucidalabbra) e parrucco (uno chignon alto per raccogliere e contenere la massa informe che ho in testa) e infine prendere fiato.
Il citofono suona.
Hanna e Kate sono arrivate.
«Buona giorn...», prova a dire mio padre, ma lo zittisco con uno sguardo. Quel vigliacco cerca di trattenere le risate visto che intravedo le sue labbra tese dietro alla barba.
«Se ridi, ti strozzo», gli dico minacciosa, poi gli mando un bacio con la mano e corro per le scale del palazzo.
 
Kate è fuori dalla macchina con un muffin al cioccolato in mano. Vuol farsi perdonare quella traditrice.
«Se hai una mamma pazza, non vedo perché debba essere coinvolta anche io, nei suoi assurdi piani», dico alla mia amica mentre prendo il muffin e lo addento.
«Scusa. Sai che se di mette in testa una cosa, non riesco a trattenerla», mi risponde mogia.
«Sei perdonata, a patto che mi offri un'altra di questa delizia cioccolatosa».
 
Kate ride, è serena, quindi sono felice anch'io.
 
In macchina l'atmosfera è diversa. Hanna è seria. Mi spiega che dal terzo anno i Club del Trinity, diventano una cosa da non sottovalutare. La competizione è alta, devo dimostrare di tenerci, aver voglia di imparare e devo impegnarmi. Dice che probabilmente molti studenti saranno già a scuola, perché chi si iscrive per primo dimostra ai professori di tenerci di più. Scegliere almeno un Club di alto livello ed entrare nel Gruppo A è importante.
Io sono fritta.
Non ho particolari interessi a parte dipingere. Mi rilassa, mi diverte e mi fa stare bene, ma nessun Club contempla tale attività. Quello che più si avvicina è il Club di Teatro che è considerato uno importante al Trinity perché dotato di orchestra, coreografo e regista professionista. Probabilmente mi iscriverò a quello puntando alle scenografie o alla parte costumi.
«Credo sceglierò Teatro», dico ad Hanna, mentre mangiucchio un paio di briciole di muffin cadute sulla gonna. Invece di sapere di cioccolato hanno il sapore di lavanda, uno schifo: «Come mai la mia divisa puzza?».
Mi annuso schifata la manica della giacca. Mi sembra di essere un deodorante per il bagno.
«La lavanda serve per concentrarsi è rilassante ed è considerato un profumo ideale per fare una bella impressione. L'ho fatto mettere anche sulla divisa di Kate».
La mia amica mi guarda sconsolata: «È un caso perso».
«Chi?», chiede Hanna non capendo che la figlia si sta riferendo a lei.
«Nulla mamma, lascia perdere. Siamo arrivate, lasciaci qui. Andiamo a piedi».
Io e Kate voliamo fuori dalla macchina, Hanna ci saluta dal finestrino.
 
Mi sarebbe piaciuto avere mamma in questi giorni così strani, avrei potuto raccontarle quello che mi sta capitando, delle scelte che devo fare e del mio futuro.
Ci saremmo accoccolate sul divano a chiacchierare come quando ero piccola e lei stava ancora bene. Mi raccontava tante storie facendomi capire tutto soprattutto mi spiegava come a volte si debbano prendere decisioni difficili che, purtroppo, influenzano la vita di tutti i giorni. Ne abbiamo passati tanti di giorni così anche quando ha iniziato a stare male, perdere la forza e non riuscire più a camminare.
Le avrei parlato di New Haven; di Jo, di come mi piace la sua compagnia; di Rebecca e i suoi amici; di Hanna, Roger e Kate; di me e dei miei sogni.
Mi avrebbe detto di fare scelte, solo e solamente per amore, che il resto non conta.
Amore per la famiglia, per gli amici, ma soprattutto per me stessa.
Quanto mi manca mamma.
 
Kate mi passa una bottiglietta di profumo. Ne spruzzo un po' sul collo.
«Tutto ok Elena? Sei pronta?», mi chiede Kate mentre svoltiamo l'angolo della strada che porta al Trinity, «Sembri strana».
«Sì, non ti preoccupare», la prendo a braccetto, cercando di allontanare gli ultimi ricordi di mia madre stesa a letto incapace di parlare. È per lei che faccio tutto, non mi sono mai tirata indietro in niente. Voglio che sia orgogliosa di me.
Fuori dalla scuola c'è quasi tutto l'istituto, il sole è sorto da poco, eppure c'è una frenesia pazzesca. I ragazzi dei primi due anni sono pochi ci sono solo i più curiosi mentre quelli del terzo e ultimo anno sono già in fila dietro ai tavoli dei Club che vogliono frequentare.
Teatro, Economia, Dibattito, Fisica e Matematica, sono quelli con le file più lunghe.
Musica, Fotografia, Recitazione, Scacchi, Informatica, hanno poca gente in coda.
«Dimmi che è uno scherzo. Possibile che siano qui per i Club?», chiedo a Kate.
«Qui al Trinity non si scherza, tutti prendono tutto sul serio», mi risponde mentre mi trascina verso gli altri studenti. «Hai detto che volevi fare Teatro. Giusto? Io faccio la fila per entrambe. Tu vai a Musica e fai la fila per me... A meno che tu non voglia iscriverti a Dibattito», mi chiede Kate maliziosamente.
«Non dire scemenze. Solo perché qualcuno mi appiccica un bigliettino sull'armadietto non vuol dire che io debba fare quello che c'è scritto. Ho molto da studiare, credo che Teatro possa bastare».
«Così non spezzerai il cuore al tuo amicuccio Jonathanino», mi dice con voce acuta e mielosa.
Per tutta risposta le faccio una linguaccia.
Non faccio neanche tre metri che vedo proprio Jo venirmi incontro, ha l'aria seria.
«Ciao, stai bene?», gli chiedo cercando un contatto visivo. Sembra faccia di tutto per non guardarmi in faccia.
«No. Cioè, sì. Volevo dire, che... Allora... Hai deciso a che Club ti iscriverai? Ieri in gelateria eri così indecisa», mi chiede.
«Teatro, solo quello. Non voglio complicarmi troppo la vita».
Jo pare rasserenato, mi prende la mano e la stringe.
«Io vado a fare la fila per Dibattito, sono già in tremendo ritardo».
«Ti accompagno, devo iscrivere Kate a musica. La mia fila è dopo la tua», gli rispondo.
Insieme ci incamminiamo parlando del più e del meno. Sono solo pochi passi, ma stare in compagnia di Jo mi ricarica di energia. Ci stiamo tenendo per mano da quando ci siamo visti, lui gioca con le mie nocche, mentre io sfioro il dorso della sua mano.
«Io sono arrivato. A quanto pare metà dei ragazzi del nostro anno vorrebbero entrare in questo Club» dice ironico, «Chissà a che ora si è svegliato il primo della fila».
Sghignazzo: «Per me ieri, dopo scuola, non è tornato a casa».
Jo si avvicina e mi bacia sulla guancia. È uno di quei baci teneri, senza malizia.
Il suo naso sfiora il mio. Appoggio la testa al suo petto, sono imbarazzata.
In Italia sono uscita con qualche ragazzo, non è la prima volta che mi trovo in una situazione del genere, ma come ogni volta mi trattengo. Jo mi piace moltissimo, però sono confusa, lui ha la ragazza. Non mi piace essere considerata il terzo incomodo.
«Quindi lo sfigato e la pivella si sono fidanzati ufficialmente?», la voce annoiata di James disturba quel momento speciale.
«Evapora James», dico io, mentre trattengo Jo già pronto a litigare.
«Dai lasciali in pace», Adrian prende l'amico per il braccio, «Dobbiamo iscriverci».
Adrian, James e Stephanie, sono alle nostre spalle. Stanno facendo la fila per Dibattito.
«Quindi pivella, ti iscrivi anche tu a questo Club?», James gioca con una sigaretta spenta.
Non rispondo, tengo stretto il braccio di Jonathan affinché non reagisca, rischierebbe l'espulsione se prendesse a cazzotti James. Cosa che mi renderebbe particolarmente felice.
Passano diversi minuti, gli insegnanti addetti alle iscrizioni non sono ancora arrivati. James, Adrian e Stephanie, parlano tra di loro. Ci ignorano.
Meglio così non avevo la minima voglia di discutere con loro.
«Sto con te finché non ti sei iscritto. La fila per Musica è questa». Indico a Jo un gruppo di ragazzi di fianco a noi, «Non voglio che ti capiti qualcosa».
Jo appoggia un braccio sulle mie spalle e mi avvicina a sé.
Poi, d'improvviso, una frenesia colpisce tutti gli studenti presenti.
I docenti che prendono le iscrizioni sono seduti ai diversi tavoli, stanno preparando il materiale per accogliere gli studenti.
«Che ci fa lei qui?», Rebecca si riferisce a me, «Chi se ne frega, di questa nullità. Coraggio ragazzi, andiamo. Dobbiamo iscriverci per primi».
James con la sigaretta accesa in bocca ci saluta con le dita, Adrian e Stephanie lo seguono. Lucas è di fianco a Rebecca, stanno passando davanti a tutti. Stanno saltando la fila.
Tra gli studenti si leva un brusio di disaccordo. Sono giustamente infastiditi, ma nessuno ha il fegato per bloccarli. Quei cinque si comportano come fossero i padroni della scuola.
Un ragazzo davanti a noi ci spiega che Rebecca e gli altri erano gli studenti migliori nel Club di Dibattito gli anni scorsi e che verranno ammessi senza ombra di dubbio.
 
Jo sta fremendo, capisco che vorrebbe dire qualcosa, ma non vuole mettere a repentaglio la sua borsa di studio al Trinity. I capelli scuri coprono parte del suo volto, le labbra strette e la mascella tesa, sono un chiaro segnale.
Vorrebbe urlare, spaccare tutto.
Non è giusto per lui e per gli altri studenti.
 
Non posso stare zitta.
Non riesco.
 
«Fermati, bionda senza cervello», dico ad alta voce sfilando vicino alla fila dei ragazzi e delle ragazze pronte ad iscriversi al Club di Dibattito. Tutti si zittiscono.
Rebecca è davanti al tavolo delle iscrizioni e sta scacciando in malo modo i primi della fila. L'insegnante, con la penna in mano, osserva la scena con disinteresse, evidentemente queste sceneggiate sono una consuetudine.
«Che vuoi nullità?», Rebecca è furiosa.
«Tu, con i tuoi amici, farai la fila come tutti gli altri. Non darai il tuo nome per prima», dico io.
«Certo, e come me lo impedirai?».
«Se vuoi ti trascino a forza, oppure ricorda che ho sempre delle informazioni che ti riguardano», nello stesso momento in cui finisco la frase sbircio la reazione di James. Si sta divertendo, anche se sa che non posseggo nessuna prova sta zitto.
«Adesso mi ricatterai sempre?», mi chiede Rebecca.
 
«Vorrei avere il nome da scrivere sulla lista», dice l'insegnante con voce robotica.
 
«Un attimo», dico alla signora.
«Se tu ti comporti da bulla con mezza scuola...».
Rebecca mi interrompe: «Io non sono una bulla! Faccio solo...».
«Non sei una bulla? Ma guarda cosa...».
I toni si stanno alzando sempre di più.
 
«Vorrei avere il primo nome da scrivere», dice l'insegnante al tavolo.
Rebecca la zittisce con mano tesa.
 
«Io faccio solo valere la mia persona, non è...», mi urla Rebecca.
«Sei solo una arrogante, viziata...».
Le nostre voci si sovrappongono.
 
«Allora questo nome?», l'insegnante al tavolo parla più forte di Rebecca e me.
«Elena Voli!», urlo senza pensarci.
 
La donna scrive il mio nome: «Perfetto, ora lei è ufficialmente in lizza per entrare al Club di Dibattito», poi mi consegna una specie di ricevuta.
Ha scritto in grande il numero 1. Sono la prima ad essermi iscritta.
Tutti sono rimasti senza parole.
Mi fissano.
Jo mi fissa.
 
In che guaio mi sono cacciata?

Se qualcuno legge legge la mia storia,
potrebbe spiegarmi come far conoscere il libro?
mandatemi un messaggio privato.
Vorrei capire come comunicare con altri utenti.
grazie.

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Capitolo 11
*** IERI: Troppi pensieri ***


IERI:

Troppi pensieri




Cenare a casa Husher mi è sempre piaciuto, Hanna non è una cuoca eccelsa, ma la compagnia di tutti loro, serve sempre a tirarmi su di morale.

Quella sera però, le cose non andavano come sempre.
 
Ero triste.
 
Per tutta la mattina e il pomeriggio ero stata additata per i corridoi del Trinity, come quella che si era iscritta per prima al Club di Dibattito.
Se, per una parte dei ragazzi, ho messo a tacere Rebecca e la sua combriccola, per altri, sono risultata una prepotente, saltando la fila che altri studenti avevano fatto con ordine e metodo per ore. C'era chi mi diceva che ero stata coraggiosa, chi invece mi considerava una bulla della peggior razza. 
E poi c'era Jo.
Mi sorrideva, mi parlava come sempre, ma credo che abbia considerato il mio gesto come un affronto personale. Ho provato a spiegargli cosa era successo, ma non ha voluto ascoltarmi.
Sono morta dentro.
 
Un vago mal di testa, mi ronza per il cervello da ore.
Il polpettone di Hanna ha quel sapore rassicurante che dovrebbe avere, le verdure hanno un aspetto gustoso, la compagnia è piacevole, eppure non sto bene.
Kate non mi stacca gli occhi di dosso, non ha detto nulla, credo capisca quello che sto passando. Mio padre parla di lavoro con Hanna e Roger. 
Io vorrei solo rintanarmi in camera mia a dormire. Sempre che riesca.
 
"Ho dovuto consegnare il progetto in una settimana. Ti rendi conto? Fortuna che gli stagisti mi hanno aiutato", dice Roger a papà.
"Impazzirei a fare l'architetto. Lavorare con clienti isterici, sempre nervosi. Non fa per me", risponde mio padre.
"A me piace, è una scarica di adrenalina pazzesca. Una sfida. Non sai mai se un progetto andrà in porto o meno".
 
Hanna sta servendo delle patate arrosto, anche se alzo la mano perché non mi vanno, mi riempie lo stesso il piatto: "Devi crescere Elena, oggi ti vedo sciupata", mi dice.
Se potesse mi ingozzerebbe con un imbuto. 
"Tutto ok, sono solo stanca", rispondo mogia.
"Ci credo, iscriversi ai Club del terzo anno del Trinity, è una battaglia", dice Roger ridendo, "Mi ricordo il mio terzo anno, pioveva. Mio padre mi aveva portato un paio d'ore prima, metà degli studenti si prese un raffreddore".
Hanna e papà ridono.
"Sai Bruno, questa esperienza servirà ad Elena per costruire il suo futuro. È stata la prima ad iscriversi al Club di Dibattito", dice Elena con enfasi a mio padre, che non sembra particolarmente colpito dalla frase.
"È il Club più impegnativo della scuola. Un massacro. Io ho provato ad entrare il terzo anno, non ho passato neanche la selezione", dice Roger ridacchiando, "Un vero incubo".
 
Già, un incubo.
Dover sostenere un provino per una cosa che non mi interessa, non è certo il massimo.
Se poi lo faccio male, penseranno che non mi importi della scuola e delle tradizioni del Trinity.
 
"A proposito, Elena. Ho un favore da chiederti", Hanna mi allunga una fetta di polpettone, sopra a quella che ho ancora nel piatto. Ho talmente tanto cibo da poter sfamare un esercito.
"Dimmi pure", cerco di usare un tono gentile, anche se non ho la minima voglia di chiacchierare.
"Una mia cara amica ha bisogno di lezioni di italiano, o meglio, lo conosce già. È una ex cantante d'opera, sta preparandosi per uno spettacolo. Ha bisogno di ripassare la pronuncia. Visto che non lavori in gelateria, ho pensato che queste lezioni potessero farti comodo per mettere da parte un po' di soldi".
"Ho molti impegni. Tra i Club e la scuola. Non credo sia una buona idea", le rispondo mentre mangiucchio un fagiolino. Non ho la minima intenzione di passare ore a correggere la pronuncia di una sconosciuta qualsiasi.
"Hmm", fa Hanna.
"Perché Hmm?", chiedo io sospettosa.
"Le ho detto che vi incontrerete domenica pomeriggio per discutere sul compenso e tutto il resto".
"Ma, Hanna!", detesto quando fa così.
"Vedrai che ti divertirai. Poi aiuterai una persona in difficoltà", dice mio padre serafico.
 
Giuro che sto per esplodere.
Possibile che tutti debbano decidere della mia vita?
Ma chi si credono di essere?
Sono furiosa, mi alzo di scatto da tavola. Tutti mi guardano come fossi impazzita.
"Grazie per la cena, ora ho voglia di tornare a casa. Quindi io vado".
"Ma aspetta che almeno finisca di mangiare", mi dice papà con la bocca piena di patate.
"Io voglio andare, adesso", lascio la sala da pranzo, infilo il giubbotto ed esco senza salutare nessuno.
 
Non mi importa se dovessi metterci una, due o tre ore, per tornare a casa. Non ho paura di niente e nessuno, ho talmente tanta rabbia, che credo potrei distruggere qualsiasi cosa con le mani.
Ad ogni passo, l'astio monta sempre di più. Vorrei piangere per potermi sfogare, ma non lo faccio da anni, le lacrime le ho usate tutte quando è morta mia madre.
Detesto New Haven.
Detesto Hanna.
Detesto mio papà.
Detesto il Trinity.
Detesto quei dannatissimi Club.
 
"Vuoi farla veramente tutta a piedi?", Kate sta guidando l'auto di suo padre, "Mi hanno mandata in missione di recupero", mi dice ironica.
"Non salgo, ho voglia di aria fresca", rispondo io in malo modo.
"Calmati Elena. Io non c'entro nulla".
"Dillo a tua madre, forse lei potrebbe organizzarci anche come dobbiamo parlare, rispondere, pensare", le urlo dall'altro lato della strada.
Kate inchioda, scende dalla macchina e mi viene incontro con l'aria severa.
"Senti cara. Io vivo da diciassette anni con quella donna, so benissimo come è fatta. Quello che fa, lo fa per il tuo bene, solo che ha un modo un po' contorto per dimostrarlo".
"Kate, ti ricordo che Hanna non è mia madre. Non può permettersi di fare di testa sua...".
La mia amica, con un tono di voce più alto del solito, mi blocca: "Credi di essere l'unica a cui è stato strappato un pezzo di cuore quando è morta Margherita? Probabilmente non posso capire tutta la tua sofferenza, ma in parte sì. Tua madre non era una semplice conoscente, lo sai. L'ho amata come fosse parte della famiglia, come amo te e come amo tuo padre. Mia madre e mio padre, sono morti dentro quando Margherita è mancata. Erano amici per la pelle, gli amici perfetti. Ogni giorno mia mamma, ci ripeteva che doveva fare qualcosa per voi. Per te e Bruno. Si comporta così, perché tua madre vorrebbe che facesse in questo modo. Margherita ti vorrebbe impegnata nelle cose che ti piacciono, ti vorrebbe vedere serena con i tuoi amici. Ti vorrebbe con una famiglia al tuo fianco... che ti vada bene o meno, adesso, noi siamo la tua famiglia. Saremo strani, fissati, bizzarri, ma vi vogliamo bene", Kate ha il fiatone, credo di non averla mai sentita parlare così a lungo.
 
Mi sento piccola. Una piccola, capricciosa poppante.
 
"Scusa. Credo di aver incolpato Hanna di cose che non c'entrano nulla. Purtroppo ho tanti pensieri in testa e non riesco a mettere chiarezza", le rispondo mogia e abbracciandola stretta.
"Credo di sapere cosa devi fare. Ti fidi di me?", mi chiede Kate.
Fisso la mia amica con curiosità, non so se seguirla o meno: "S-Sì?", le dico titubante.
Kate mi trascina dentro la macchina. Mette in moto in un secondo, poi con una manovra ad U, degna di un pilota di formula uno, cambia corsia. Sulla strada lascia i segni degli pneumatici.
"Dove cavolo vuoi andare?", chiedo mentre mi schiaccio sul sedile, aggrappandomi alla maniglia interna dello sportello.
"Dall'unica persona che può liberarti dai tuoi pensieri".
 
Non mi importa dove Kate mi voglia portare, l'importante è che riesca a togliermi le mille cose che mi frullano in testa.
La strada è illuminata dai lampioni, la sera è arrivata presto. Anche se è Ottobre, non fa troppo freddo. Gli alberi pieni di foglie, gialle e rosse, del parco cittadino sfilano di fianco alla macchina, negozi e locali che conosco, sono chiusi a quell'ora. La gente per strada sta tornando a casa, oppure va al ristorante a cenare. Facce sconosciute, mondi infiniti.
Kate prende la statale, che porta nella zona industriale. Le strade, più buie, sono deserte. Grandi caseggiati anonimi, si susseguono. Non c'è lo sfarzo del centro, non ci sono boutique o librerie alla moda. Grigiore, sporcizia.
"Manca poco", mi dice Kate mentre segue la mappa sul telefonino.
Non le rispondo, resto con la testa girata a contemplare la città che passa veloce, fuori dal finestrino.
 
Poco dopo, l'automobile si ferma.
 
"Eccoci, vai", mi dice la mia amica.
"Dove? Dove devo andare?".
Kate mi guarda, stringe le labbra, un dolcissimo sorriso si stampa sul suo volto: "Lo sai. Sei così giù di morale, perché credi di averlo deluso".
 
La mia bocca è un deserto, il mio cuore un tamburo.
 
"Io non so dove abita", le dico a capo chino.
"È quel palazzo. Terzo piano. Cerca tra i campanelli".
La sbircio con aria interrogativa.
"Mi ha detto dove abita, l'altra giorno, quando siamo venuti in gelateria", mi spiega Kate.
 
Non so come, con che coraggio, scendo dalla macchina. 
Le guance si tingono di rosso, il cuore pompa il sangue velocemente, non ho idea di cosa succederà.
Cerco Kurtz sul citofono.
Suono.
Una voce gracchiante esce dallapparecchio: "Chi è?".
"Cerco Jonathan, sono Elena, una sua compagna di scuola".
Passano diversi secondi di silenzio.
"Arrivo", dice la voce. Quello era Jo.
 
Non passa molto prima di vederlo sbucare dal portone d'ingresso. Indossa una maglietta bianca, una camicia a scacchi e un paio di jeans. I capelli scuri spettinati, gli donano moltissimo.
"Che succede?", mi chiede mettendo le mani in tasca ai pantaloni.
Io sono paralizzata, la bocca è così asciutta che non esce un suono.
"Tutto ok?", Jo stringe la mano intorno al mio braccio. 
"Io... Io volevo chiederti scusa. Oggi con i Club ho fatto un casino".
Jo pare stupito dalla mia franchezza: "Non ti preoccupare, andrai benissimo a Dibattito".
"Ma non lo voglio fare, è stato un malinteso", dico tutto d'un fiato.
"Elena, non hai più cinque anni. Le cose non capitano per caso, se hai dato il tuo nome era perché volevi iscriverti a quel Club".
"No, ti sbagli. Non saprei neanche da parte iniziare... Non ha senso che partecipi", replico.
Jo mi guarda, è tenero e duro, allo stesso tempo: "Io scelgo il Club di Dibattito. Scelgo il Trinity Institute. Scelgo di fare quaranta minuti di Bus tutte le mattine. Scelgo di realizzare i miei sogni. Questo viene prima di tutto".
"Ma io... Ma noi...", ho il magone.
 
Jo appoggia la sua fronte alla mia, sento i suoi capelli sfiorarmi le guance. Siamo una di fronte all'altro, con le mani intrecciate. Il suo profumo mi fa sentire bene. 
"Noi siamo amici. Niente di più, anche se forse lo vorrei. Sto bene con te, troppo bene. Se io provassi a baciarti credo che... Che... Potrei perdermi tra i tuoi baci, Elena. Io non posso perdermi, ho un obbiettivo, non posso rinunciare adesso", mi sussurra in un orecchio. 
Sento il suo corpo fremere, come il mio. 
"Il Club non può separarci, come può succedere?", dico spingendo il mio volto sul collo di Jo.
"Sei ingenua Elena...", Jonathan di allontana da me, sfiora con le dita il mio mento, sembra ipnotizzato, "... Sei una dolce, pazza, ingenua. Non hai idea di cosa succederà al Trinity quando cominceranno i Club del terzo anno, faranno di tutto per affossarti. Farò di tutto anch'io".
"Cosa?", non posso credere a quello che mi ha appena detto.
"Non posso rinunciare a diventare il migliore, lo capisci? Guarda dove abito, guarda lo schifo di vita che faccio. Mia madre si spacca la schiena per pochi dollari. Non posso tollerarlo. Non posso farmi distrarre da nulla".
"Distrazione? Quindi sono solo quello per te?".
Jo ha la mascella tesa, indietreggia qualche passo: "Sì, solo quello".
 
Vorrei sprofondare nella terra, essere sommersa dal mare, vorrei sparire.
Le parole di Jo mi risuonano nelle orecchie. Nessuno mi aveva mai definita una Distrazione.
"Quindi, da ora in poi saremo in guerra?", la mia voce è dura, sono arrabbiata.
"Mi dispiace Elena, ma siamo sempre stati in guerra. Al Trinity Institute, tutti sono contro tutti".
 
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Spazio autrice:
 
Sono successe molte cose, Elena è esasperata da Hanna, ma si rende ben presto conto che i suoi pensieri sono occupati da altre preoccupazioni.
Kate la porta da Jo.
La discussione tra i due è dolce e amara, allo stesso tempo.
Alla fine prevarranno i sentimenti o la ragione?

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Capitolo 12
*** IERI: Lezione di Italiano ***


IERI:
Lezione di Italiano





Anche non volendo, continuo a pensare a Jo. Da una parte vorrei strozzarlo, dall'altra capisco benissimo perché mi abbia detto quelle parole.

Una cosa però, di tutte le cose che mi ha detto, non riesco a digerire. 
Sono una distrazione. 
Essere considerata una distrazione, non mi va proprio giù.
 
Il venerdì l'ho passato a nascondermi da tutti. A scuola non avevo voglia di discutere con Rebecca, essere presa in giro da James o essere, in qualche modo, offesa da qualcuno.
Me ne stavo appiccicata a Kate, con lo sguardo basso, e tra un cambio di classe e l'altro, sgattaiolavo via, cercando di non essere importunata da nessuno. 
Volevo essere invisibile.
Volevo essere invisibile a Jo.
Il sabato l'ho passato barricata a casa di Kate a studiare, che mi ha aiutata a recuperare le lacune in diverse materie. Non mi ha chiesto più nulla di Jo. L'altra sera in macchina, mi ha lasciata piangere, in pace. 
Sono felice di avere un'amica come lei. Non so come avrei fatto senza.
 
"Svegliati pigrona, sono le dieci passate", papà mi toglie le coperte dal letto.
"Noooo", dico lamentosa, nonostante fossi sveglia già da un'ora buona.
"Oggi è domenica. Hai l'incontro con l'amica di Hanna. Vedi di non fare tardi".
"Ma papà, perché devo andarci?".
"Perché Hanna ha organizzato tutto per te. Se non vuoi fare questo lavoretto, basta che tu lo dica alla signora. Non sei mica obbligata... Adesso alzati", papà mi toglie il cuscino su cui ho premuto il volto, ridendo me lo sbatte sulla testa.
 
Tra le lenzuola sono intrecciati i libri della mia saga preferita: Tramonti sul cuore. Ho passato l'intera notte a rileggere le parti più belle di tutti i volumi: quando il pirata John conosce la bella Melina, quando il conte Richelieur rapisce la dama, quando John bacia Melina. E molte altre parti ancora.
Vorrei poter entrare nel libro ed essere la protagonista, già mi immagino con un bel vestito, trucco perfetto, accompagnata da un bel cavaliere, che mi ama, mi vuole bene. Desidera solo me. Nella mia fantasia, provo a mettere il volto di Jo a posto di quello del pirata. Lo immagino mentre mi porta ad una festa, lo immagino galante e delicato. Lo immagino che... Che... Che mi dice che sono una distrazione.
 
Maledetta fantasia.
 
Sbuffando mi alzo dal letto per andare a buttarmi sotto la doccia, sperando che l'acqua possa cambiare il pessimo umore di quella mattina.
Neanche i toast caldi, ricoperti di burro e marmellata, riescono a rallegrarmi.
"Hai l'indirizzo?", mi chiede papà, mentre sorseggia una tazza di caffè.
"Sì", rispondo annoiata.
"Se vuoi che ti accompagni, basta dirlo".
"No, preferisco andare da sola. Devo solo prendere un bus in centro".
"Sicura?", insiste mio padre.
Alzo gli occhi al cielo, mi infilo un toast in bocca ed esco dalla cucina.
Se non mi lascia respirare, urlo.
 
So che Hanna vorrebbe che lavorassi per la sua amica, mi ha detto che è una brava cantante, che ha smesso di lavorare per dedicarsi alla famiglia, ma non ne ho voglia. Non so nulla dell'opera, essere Italiana non significa per forza conoscerla. Hanno una strana idea di noi, gli americani, credono che mangiamo pizza ogni giorno, che tutti sappiano cucinare e che si vada in giro in vespa. Stereotipi ridicoli.
 
Prendo il Bus 35 che porta verso le colline. Non ho mai preso questa linea. 
Il percorso mi fa conoscere un lato nuovo della città: i viali sono molto curati, ci sono grosse ville nascoste dalla vegetazione che i parchi circondano, c'è molta calma. New Haven non è una cittadina poi così grande, eppure questa parte della città non la conoscevo affatto.
Appena scendo dal bus, mi trovo in una via quasi deserta. È lontana dal traffico cittadino, poche macchine transitano, c'è solo qualche pedone che passeggia in tutta tranquillità. Sembra di stare in campagna, l'atmosfera è rilassante. 
Con calma mi incammino verso l'indirizzo indicato i da Hanna. Dopo pochi minuti, mi trovo davanti ad un grosso cancello di ferro battuto. Curiosa, sbircio tra le inferriate.
Quello che vedo mi lascia senza parole: un vialetto di piccoli sassi bianchi porta ad una villa enorme. È un edificio di inizio secolo, in muratura, perfettamente conservato. Il parco è pieno di alberi altissimi, l'erba è talmente curata da sembrare finta.
Sembra un set cinematografico, dove tutto è al posto giusto.
 
Con un po' di apprensione schiaccio il pulsante del citofono.
Una telecamera, posta in cima al cancello, si muove e punta nella mia direzione.
Deglutisco tutta la saliva che ho in bocca. Me la sto facendo addosso.
"Chi è?", una voce maschile gracchia dal citofono.
"Sono Elena Voli, sono venuta per la lezione di italiano", cerco di mascherare l'ansia, dandomi un certo tono.
Un ronzio meccanico accompagna l'apertura del cancello. Aspetto che sia spalancato del tutto, prima di fare un passo.
Sono sbalordita, sconvolta, stupita. 
I sassolini candidi, sembrano posizionati uno ad uno, per quanto sono perfetti; le piante creano un gioco di ombra e luce, degno di un quadro; la casa sembra una villa imperiale, tanto è maestosa.
Che cavolo di amiche ha Hanna?
So che guadagna bene come dirigente, ma non credevo avesse conoscenze così altolocate.
 
Appena arrivo davanti al portone, decorato con geometrie anni '20 dorate, non so che fare.
Il problema è che non c'è il campanello. Lo cerco a destra, a sinistra. Non lo trovo. 
Provo a bussare, ma l'unica cosa che ottengo è un timido Toc Toc e una mano spappolata. Un portone così grosso e robusto, non risuona sotto le mie fragili nocche.
 
"Iniziamo bene", bisbiglio mentre mi tuffo dietro ad un cespuglio, piantato in una fioriera vicino l'ingresso, sperando di trovare quel dannatissimo campanello.
"In che senso... Iniziamo bene?", la voce di una donna mi coglie di sorpresa.
"Mi scusi è che non trovavo il...", dico ad alta voce, mentre cerco di districarmi tra i rami del cespuglio.
"Tu?", mi dice la donna.
"Lei?", dico io spalancando gli occhi, come non mai.
"Come mai sei qui? Non mi pare sia mercoledì e non mi pare che tu stia lavorando ancora in gelateria".
"Signora McArthur... Io... Io, no sapevo fosse lei la persona a cui devo fare lezioni di Italiano".
"Non dire sciocchezze, cara ragazza. È mia nuora, l'artista. Io sono solo una sua sostenitrice".
 
La mia faccia è un grosso punto esclamativo. Mai e poi mai, mi sarei immaginata di incontrare la vecchia McArthur fuori dalla gelateria. 
L'anziana mi spiega che quella è casa sua, che la nuora si esercita da lei. Mi dice che pretende puntualità per le lezioni e gradirebbe che il mio abbigliamento sia più consono all'ambiente.
"Mi scusi...", provo ad interrompere la vecchia, che con piglio deciso cammina da una stanza all'altra, "... Io non conosco l'Opera, non so nulla di nulla. Non credo di essere la persona più adatta ad aiutare sua nuora".
La signora McArthur si blocca, mi fissa negli occhi, come fosse un predatore all'attacco: "Cara ragazza, non mi importa se lei è così ignorante da non apprezzare l'Opera, mi importa solo che abbia una ottima pronuncia della lingua italiana. Lei ha o non ha un'ottima pronuncia della lingua Italiana?".
"Ehm... Sì, sono Italiana, quindi io...".
"Perfetto, non si discute, allora. Può iniziare subito", mi risponde la vecchia, mentre spalanca una porta introducendomi in una stanza enorme: sulle pareti ci sono quadri con scene di caccia, il pavimento è in legno, ci sono diverse poltrone antiche in chintz verde, un grosso camino con un fuocherello, illumina allegramente le lampade in cristallo. In mezzo alla sala c'è un enorme pianoforte a coda, dove un signore dall'aria compita sistema gli spartiti.
Mi sembra di essere catapultata in un romanzo di Jane Austen. Se entrasse Mr Darcy o Elizabeth Bennet, non mi stupirei.
Sento i miei abiti fuori luogo, proprio come aveva detto la Signora McArthur poco prima. I miei jeans, le converse mezze distrutte e la felpa, sembrano un affronto a tanta bellezza.
 
"Ciao", una donna dai lunghi capelli castani e gli occhi verdi, mi viene incontro con la mano tesa. Indossa un completo con pantaloni, è elegantissima. Una spilla di diamanti spicca sul bavero della giacca.
"Buongiorno", rispondo. Per un attimo mi viene in mente che forse mi devo inchinare. Poi, per fortuna, mi riprendo dalla mia idea balorda.
"Io mi chiamo Demetra. Sono felice che tu sia venuta ad aiutarmi. Hanna mi ha parlato molto di te".
 
Arrossisco. 
 
"Bene, bando alle ciance. Il personaggio che Demetra dovrà interpretare è Mimì, una dei protagonisti della Bohème di Puccini. Tu sai chi è Puccini, vero?", mi chiede la vecchia.
 
Arrossisco sempre di più.
 
"Hmmm...", la vecchia sembra contrariata, "la Bohème è un'opera sublime. Che parla di amore, amicizia e sogni. Rodolfo e Mimì, Marcello e Musetta? Tubercolosi? Morte?", la signora McArthur scandisce le ultime parole come se stesse parlando ad una bimba piccola.
 
Arrivo ad un livello di rossore, mai sperimentato prima.
Faccio cenno di no con la testa, sconsolata.
 
"Cara Geltrude, Elena è così giovane, è normale che non la conosca", Demetra è così dolce nel parlare che non posso fare a meno di seguirla, come fossi ipnotizzata. È così delicata nel muoversi, che sembra sempre sul punto di rompersi, come fosse fatta di porcellana.
"Mah. Questi giovani di oggi, non li capisco", conclude la vecchia.
Demetra mi allunga un foglio con un testo in Italiano: "Partiamo da questo, mi dice. Ho alcuni dubbi sulla pronuncia. È da quasi vent'anni che non provo questo pezzo".
Poi rivolgendosi al pianista:"Maestro, I Quadro, Mi chiamano Mimì".
 
Le note iniziano a uscire dal pianoforte, trasformando la stanza in un posto nuovo. La voce potente di Demetra irrompe e carica l'aria di energia. Con cura e attenzione, pronuncia le parole, caricandole di emozione.
 
Mi chiamano Mimì,
ma il mio nome è Lucia.
La storia mia è breve.
A tela o a seta
ricamo in casa e fuori...
Son tranquilla e lieta
ed è mio svago
far gigli e rose.
Mi piaccion quelle cose
che han sì dolce malìa,
che parlano d'amor, di primavere,
di sogni e di chimere,
quelle cose che han nome poesia...
Lei m'intende?
 
Credo di non aver mai sentito nulla del genere in vita mia. La voce è così potente che ho la pelle d'oca ovunque. Il suono pulito, curato, praticamente perfetto, mi avvolge e mi trasporta in un mondo lontano. Mi sento così piccola e stupida di fronte a tanta bellezza.
 
"Chiuda quella bocca, cara ragazza", la signora McArthur mi sta bisbigliando vicino all'orecchio.
Chiusi la bocca in un secondo, non mi ero accorta di avere quell'espressione ebete.
"Vede che talento, com'è brava. Pensi che ha smesso per curare la famiglia... Che spreco", mi dice.
"Forse... Forse l'ha fatto perché...", ma non finisco la frase.
"Non dica sciocchezze, cara ragazza. Saper cantare in quel modo è un dono. Solo perché ha sposato quell'asino di mio figlio, non significa che dovesse dedicarsi a lui tutto il tempo. Siamo donne moderne, suvvia. Poteva continuare la sua carriera comunque".
 
Non so come controbattere. Normalmente il fatto che una madre dia dell'asino al proprio figlio mi sembra strano, ma il fatto che l'abbia detto la vecchia McArthur, non mi suona così strano.
 
"Demetra viene ad esercitarsi qui da me, per paura di disturbare Andrew, mio figlio. Inconcepibile", dice con disappunto, "Ha paura di essere una distrazione, di infastidire il marito. George non vuole che lei riprenda la carriera... Ho un figlio asino".
 
Distrazione.
Quella parola sembra ossessionarmi.
Come potrebbe essere una distrazione Demetra?
Come potrebbe essere una distrazione una voce e una donna così bella?
Mi monta una rabbia, che faccio fatica a contenere.
Ripenso a Jo che ha paura di lasciarsi troppo coinvolgere, ripenso alle sue parole di pochi giorni prima. Non è giusto. 
Non è colpa mia se sono come sono, se Jo non è in grado di starmi dietro, di aver paura di essere troppo coinvolto, che vada a quel paese. Non è giusto che io stia così male per una storia neanche iniziata. 
 
"Gli uomini sono proprio degli stupidi", dico la frase ad alta voce, senza rendermi conto che la vecchia sta ascoltando.
"Concordo, cara ragazza. Concordo", mi dice.
"Quante volte a settimana devo venire?".
"Se non è un problema, l'ideale sarebbe il mercoledì e la domenica".
"Perfetto", aggiungo io, "Voglio che tanta bellezza venga ammirata da tutti. Renderò l'italiano di Demetra perfetto".
Con una forte stretta di mano, la vecchia McArthur mi saluta, per accomodarsi su una poltrona vicino al camino, ad ascoltare finire l'aria di Demetra.

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Capitolo 13
*** IERI: Una penna rossa ***


IERI:

Una penna rossa
 


 

Mercoledì è finalmente arrivato.

Non ne potevo più di vedere, per i corridoi della scuola, studenti in preda a crisi di nervi, pianti e attacchi di panico. L'attesa per i colloqui, per le ammissioni ai Club, erano più snervante di qualsiasi test, interrogazione e compito in classe del Trinity.
 
Più volte Hanna e Roger mi avevano chiesto che strategia avrei usato per entrare nel Club di Dibattito, come risposta: stavo in silenzio, alzavo le spalle o blateravo cose senza senso. Non ne potevo più. 
A differenza dei suoi genitori, Kate non mi aveva chiesto nulla. Sapeva che se mai fossi riuscita ad entrare al Club di Dibattito il rapporto con Jo, già traballante, sarebbe stato definitivamente distrutto. Non voleva farmi stare peggio, anche se non sapeva che peggio di così, non potevo stare.
Jo non voleva avere niente a che fare con me, a prescindere dai Club. Quindi se Jo non mi voleva, perché avrei dovuto volerlo io?
Il mio cuore non voleva far passare in secondo piano quello che provava per il mio amico, per questo, il cervello e la razionalità, erano la mia àncora di salvezza. Dovevo essere distaccata e provare a vedere le cose con lucidità. O almeno ci provavo.
 
Conoscere Demetra e sentire la sua magnifica voce, per me era stato illuminante. Una donna così bella, talentuosa e di carattere, che portava avanti i suoi sogni, andando contro il volere del marito, era una fonte d'ispirazione.
Cantare per lei è essenziale.
Dipingere per me è essenziale.
Il Club di Dibattito, no.
Non c'era motivo perché io lo frequentassi.
Per questo avevo deciso di fare scena muta al colloquio. Di certo non mi sarei attirata la simpatia dei professori, ma del resto, quel Club non mi interessava per nulla.
 
"...Quindi dopo che ho cantato e fatto il provino per il Club di Canto, vado in quello di Teatro. Mrs Scarlett è la direttrice. È molto brava. L'anno scorso ha messo in scena McBeth di Shakespeare è un classico. Pensavo quindi di portare...".
Kate parla, ma io non l'ascolto. Continuo a giocare con i miei capelli cercando di dare ordine ai miei pensieri.
"Cucù!", la mano di Kate mi sventola davanti alla faccia, "Sei tra noi, Elena?".
"Sì scusa. Stavo pensando a...", sto prendendo il libro di chimica dal mio armadietto. Incastrato tra le pagine trovo il foglietto che è stato appiccicato al mio armadietto diversi giorni fa. Con l'indice seguo i tratti rossi lasciati dalla penna. 
"Club di Dibattito", sospiro a bassa voce.
"Cosa? Che hai detto?", Kate si avvicina per sentire meglio.
"No, nulla. Sono un po' sovrappensiero. Voglio finire la giornata di oggi, non ne posso più di tutto questo stress".
"Tranquilla, vedrai che andrà tutto bene. Guarda la cosa dal lato positivo, facciamo solo due ore di lezione e poi ci saranno i colloqui. Una volta fatti, abbiamo la giornata libera", Kate mi scuote cercando di caricarmi.
"Già. Io però mi becco Tompson. Due ore di chimica. Tu invece hai letteratura inglese... Non è giusto", le dico ridacchiando. 
"Ho saputo che tuo padre porterà i tuoi quadri. Li presenti al colloquio per il Club di Teatro?".
"Sì, visto che voglio lavorare alle scenografie. Credo sia la cosa più semplice, serve per far capire ai professori cosa posso fare", le spiego mentre finisco di riempire la cartella dei libri che mi servono quella mattina.
"Andiamo, tra poco suona la campanella", dice Kate mentre mi trascina per le mani.
 
L'idea di fare due ore di lezione, non mi va proprio.
Mi accomodo alla mia postazione, cercando di non pensare a Jo che è seduto a pochi banchi di distanza dal mio. Mi ignora, stamattina non mi ha neanche salutata.
Prendo il blocco degli appunti, iniziando a scarabocchiare un volto di donna sul foglio.
"Non male, pivella", James lancia il suo zaino sulla sedia di fianco alla mia, "Sei un artista".
Chiudo il blocco di colpo: "Era un disegno senza senso. Fatti gli affari tuoi".
"Sei nervosa? Hai litigato con quello sfigato del tuo fidanzato?", mi chiede mentre inizia a svuotare lo zaino sul tavolo.
"Jo non è il mio ragazzo. Quante volte devo dirtelo!".
"Quindi consideri Jo uno sfigato! Io non ho detto il suo nome, sei tu che hai pensato a lui, quando prima ho detto sfigato", James ridacchia, mentre prende una penna rossa dall'astuccio e inizia a scrivere qualcosa su un foglio.
"Ma... Io... Non intendevo che...", una forte rabbia mi prende lo stomaco. Vorrei strozzare James. Sento la faccia in fiamme. Decido di stare zitta solo perché il professore è entrato in classe e ha iniziato subito a spiegare.
 
James mi passa un bigliettino.
-Nervosa per i colloqui?-
Lo guardo dritto negli occhi, cercando di capire a che gioco stia giocando. Non riesco a capirlo, a volte sembra una persona normale, mentre altre volte si trasforma in un cinico senza cuore.
Decido di ignorare il biglietto concentrandomi sulle formule che il professore sta scrivendo alla lavagna.
James mi da una gomitata nelle costole, mi ripassa il biglietto.
-Smettila. Voglio seguire la lezione- gli scrivo.
-Quindi ho ragione. Sei nervosa per i colloqui- mi risponde.
 
Elena, mantieni la calma: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10.
Do fondo a tutto il mio autocontrollo.
 
-Non mi importa nulla dei Colloqui. Non mi importa nulla dei Club. Sono nervosa per fatti miei-.
-Quindi ho ragione quando dico che sei nervosa-, mi risponde, sottolineando l'ultima parola più volte voce la penna rossa. Con l'indice tocco il foglio. I solchi lasciati mi ricordano qualcosa. Certo! Il foglio che ho trovato attaccato al mio armadietto.
-Sei stato tu ad attaccarmi questo al mio armadietto? Perché lo hai fatto?- scrivo velocemente sul bigliettino, allegando quello con la lista dei Club con le sottolineature in rosso.
James osserva con attenzione i fogli che gli ho allungato. Mi guarda per qualche secondo, poi si mette a scrivere: -Non ne so nulla. Non ho mai messo niente sul tuo armadietto-.
Non credo ad una sola parola di James. Tutto torna. Mi ha messo quel biglietto per mettermi in ridicolo davanti a tutta la scuola, per umiliarmi. Probabilmente c'è lo zampino di Rebecca dietro a tutto questo.
-Sei uno stronzo. Non sono scema, ho capito perché hai fatto tutto questo- gli scrivo sul foglio il più velocemente possibile.
James rimane colpito dalle parole scritte, le rilegge più volte. Ridacchia.
Senza farsi vedere dal professore, si avvicina, con delicatezza mi scosta i capelli dal volto per sussurrarmi nell'orecchio: "Perché avrei dovuto crearmi una avversaria in più. Una come te è meglio non averla al Club di Dibattito. Ti posso assicurare che non l'ho messo io".
"Davvero?", gli chiedo. Non so ancora se fidarmi di lui o meno.
"Parola d'onore", mi dice schiacciando l'occhio.
"Miss Voli, credo sia il caso che segua la lezione invece di disturbare il suo collega", mi dice il Professor Tompson spazientito.
A testa china, prendo appunti, cercando di non pensare ai messaggi appena scambiati con James. Ma la testa è persa, faccio fatica a seguire la lezione.
 
Possibile che James stia mentendo? Che sia lui ad aver messo il bigliettino sull'armadietto? Una volta smascherato, perché dovrebbe continuare a mentire?
 
"Guarda che se continui a fissarmi, rischi di innamorarti di me", dice James senza smettere di prendere appunti, "Ti ho detto che non sono stato io. Adesso fai la brava e segui la lezione".
Rossa come un peperone, mi dedico al mio blocco e agli appunti. Non mi ero accorta che lo stavo fissando tanto intensamente. Che figuraccia. Per il resto del tempo mi sforzo di seguire la lezione, anche se capisco meno della metà delle cose scritte alla lavagna.
 
La campanella della seconda ora squilla.
 
La classe si riversa fuori dall'aula, in lontananza scorgo Jo che si sistema la giacca e cerca di domare i suoi lunghi capelli. Si sta preparando per il colloquio di Dibattito, sembra nervoso. Vorrei raggiungerlo, per augurargli buona fortuna, ma una massa di studenti impazzita corre per il corridoio, deviando il mio percorso.
Il Trinity sembra un manicomio. Alcuni hanno in mano cartelloni, altri computer e proiettori, alcuni indossano parrucche strane, altri recitano o cantano.
Sembra un circo. Un circo di gente folle.
 
A fatica raggiungo l'ingresso della scuola, dove mio padre mi aspetta con i miei quadri. Li agguanto, bacio papà sulla guancia, poi mi lancio verso il teatro della scuola, in attesa di fare il colloquio.
Sono abbastanza fortunata, ho solo sette persone davanti a me. Di Kate non c'è traccia, starà facendo la fila al Club di Canto.
 
"Cosa porti?", mi chiede un ragazzo. È Adrian, ha il fiatone.
"I miei quadri".
"Vuoi entrare nel gruppo che si occupa della scenografia?", mi chiede mentre si sistema la giacca e infila i libri nello zaino.
Annuisco.
Nonostante sia amico di Rebecca e James, Adrian è sempre stato gentile con me. Saranno i suoi capelli ricci, lo sguardo gentile, ma non posso fare a meno di trovarlo simpatico.
"Tu cosa porti?", chiedo.
"Niente. Cioè, vorrei fare l'aiuto regista. Ho lavorato anche l'anno scorso con Mrs Scarlett e mi è piaciuto un sacco. Prende un paio di assistenti. Mi piacerebbe essere uno di loro", mi spiega mentre cerca a tastoni qualcosa. Continua a ripassare le mani nelle tasche della giacca e dei pantaloni. È parecchio buffo.
"Ti posso aiutare? Cerchi qualcosa?".
"La penna. Sono così sbadato che a volte rischio di dimenticare il cervello a casa. Non so mai dove metto le cose", mi dice senza smettere di guardare in tutte le tasche e pieghe dei suoi vestiti.
La penna risalta tra i suoi capelli scuri. L'ha appoggiata su un orecchio. È rossa.
"Eccola", gli dico sfilandola.
"Grazie. Chissà perché lo messa lì", dice.
 
Possibile che sia stato Adrian a mettermi il biglietto sull'armadietto?
 
"Proverai ad entrare anche a Dibattito?", gli chiedo per capire se può essere lui ad avermi lasciato il biglietto.
"Certo. Anche quel corso l'ho seguito l'anno scorso. Da quest'anno però i giochi di fanno più duri. Spero di rientrare nel Gruppo A, quello dei migliori studenti. So che anche tu hai il colloquio, se vuoi dopo andiamo insieme", mi dice candido.
Osservo Adrian con attenzione. Sembra un bravo ragazzo, molto dolce. Non mi sembra il tipo da fare giochetti. Resta comunque amico di Rebecca, per lei e gli altri farebbe di tutto, ma non credo possa aver messo il bigliettino. A che scopo, poi?
"Certo, ti aspetto qui all'uscita", rispondo con un sorriso.
 
La fila scorre abbastanza velocemente, quando arriva il mio turno sono tranquilla.
Salgo sul palco del Teatro, sedute davanti a me ho la Preside Marquez e una donna dai corti capelli neri e gli occhi color ghiaccio. Credo sia Mrs Scarlett.
Mi presento brevemente, mostrando subito i miei lavori. Ho portato un paesaggio di campagna, dipinto l'anno scorso in Italia e una serie di ritratti, uno di questi è quello di mia madre, il mio quadro preferito.
"Quindi ti presenti per far parte del gruppo di scenografia. Ho saputo che hai frequentato una scuola d'arte in Italia. Sono molto colpita, mi piacciono i tuoi ritratti, sono intensi", Mrs Scarlett sta esaminando i quadri da vicino, "Credo tu debba fare parte di questo gruppo, abbiamo bisogno di talenti come il tuo".
"Grazie", dico con entusiasmo. Sono felice.
La Preside Marquez pare soddisfatta, confabula con Mrs Scarlett mentre commentano i miei quadri. 
"Faremo grandi cose con te nel gruppo, non vedo l'ora. Adesso vai pure, fai entrare il prossimo", Mrs Scarlett mi saluta con un grande sorriso.
 
Esco dal teatro, mi appoggio ad una parete in attesa che Adrian finisca il suo colloquio.
Sono al settimo cielo. Finalmente potrò fare quello che mi piace di più. Non vedo l'ora di conoscere altre persone che hanno la mia stessa passione e lavorare in gruppo.
 
Passano pochi minuti e Adrian è già fuori.
"Sei stato veloce", gli dico.
"Non dovevo fare molto. Mrs Scarlett sa come lavoro", mi dice mentre guarda l'ora, "Sei pronta per Dibattito?".
"Sì, credo farò scena muta. Non mi interessa quel Club".
"Ma se ti sei iscritta per prima?", Adrian mi offre una caramella alla liquirizia. Ne prendo una.
"È stato un malinteso. Non volevo iscrivermi, l'ho fatto per sbaglio", dico mentre succhio la caramella.
"Hmm. Se lo dici tu", mi dice sorridendo, "Io seguo la politica, mio padre è un Repubblicano, in casa nostra passa un sacco di gente del settore. Parlerò di quello che conosco, è la strategia migliore. Da grande vorrei diventare giornalista".
"Wow. Hai le idee chiare".
"Chi non le ha al Trinity... Guarda".
 
Intorno a noi, fuori dai Colloqui per il Club di Dibattito ci sono decine di persone, molte hanno poster o cartelli, cartelloni con grafici, risme di fogli pieni di numeri. Sembravano piccoli uomini e donne d'affari.
 
"Credi che gente del genere possa passare?", mi chiede Adrian.
"Non so. Credo di sì. Sembrano preparati", aggiungo io.
"Sanno delle cose, ma non sanno tutto. Come potranno argomentare la loro tesi, davanti a degli esperti? Credi che i professori non ne sappiano più di loro? Saranno massacrati".
"Già", dico io.
 
Uno dopo l'altro, i ragazzi in fila entrano a sostenere il colloquio. 
Uno dopo l'altro, i ragazzi escono affranti. La competizione è più dura del previsto.
Me la sto facendo addosso, più passa il tempo e più mi pare stupido entrare e fare scena muta. Potrei offendere i professori e venire additata come irrispettosa, al Trinity certe cose non si scusano facilmente. 
Ansia.
Continuo a tamburellare con le dita sulla cartella. Adrian è entrato da dieci minuti buoni, non ho idea di come stia andando.
Panico.
In che guaio mi sono cacciata?
Mi sembra di essere in attesa di un plotone di esecuzione.
La salivazione è pari a zero.
Chissà se Jo ha fatto un buon provino?
Penso a così tante cose nello stesso momento, che non mi accorgo che è il mio turno.
 
"Elena, tocca a te", Adrian mi riporta con i piedi per terra.
"Co-come è andata?", gli chiedo.
"Bene. Credo", dice mentre si spettina i ricci in testa, "Vai e parla di quello che sai... O stai zitta. Vedi tu!".
 
Con un groppo in gola entro nella stanza. A testa bassa mi metto in mezzo all'aula, cercando di trovare il coraggio di alzare lo sguardo. Il battito del mio cuore è a mille.
Sudo. Credo potrei svenire.
 
Tic. Tac.
 
Qualcuno sbatte qualcosa.
 
Tic. Tac.
 
Qualcuno cerca di attirare la mia attenzione.
 
Tic. Tac.
 
Qualcuno picchietta una penna rossa sul tavolo.
 
Tic. Tac.
 
La penna rossa è mossa da un uomo.
 
Tic. Tac.
 
Alzo la testa e guardo i professori dietro al tavolo.
 
Tic. Tac.
 
Perdo un respiro. Il cuore accelera. La vista si annebbia.
Sorrido istericamente.
 
Tic. Tac.
 
Quel qualcuno risponde al mio sorriso.
 
"Benvenuta Miss Voli. Da quel che vedo lei si è iscritta per prima al Club di Dibattito. Qui di fianco a me, c'è il Professor Martin. Nicholas Martin, direttamente da Yale, che terrà il corso qui al Trinity Institute. Quando vuole può iniziare la sua presentazione", dice un uomo in completo grigio.
"Nik", sussurro cercando di trattenere i brividi.
"Elena", dice divertito il Professor Martin, "Sono curioso di sentire cosa hai da raccontarci".
 
Confusa, stupita, sorpresa, prendo fiato.
L'unica cosa che fisso, prima di parlare, è la penna rossa che Nik tiene tra le dita.
Non una penna qualsiasi, non una come tante.
Quella penna ha cambiato per sempre il corso del mio destino, mi ha fatto essere lì a sostenere quel colloquio, mi ha fatto rincontrare Nik.
Quel Nik che mi ha fatto cadere il libro in testa in libreria, quel Nik che mi ha fatto battere il cuore, quel Nik che credevo non avrei mai più rivisto.
Nik, o meglio il professor Martin, mi sta fissando da dietro un tavolo. Il signore in completo grigio gli sta dicendo qualcosa, ma lui non sembra dargli retta.
Nik guarda me. Sorride, senza togliermi gli occhi di dosso.
Ho la salivazione azzerata, il cuore batte così forte che sembra stia per uscire dal petto.
 
Che voglia prendersela con me?
Vuole farmela pagare perché gli ho mentito?
Sono in una posizione molto delicata, se faccio scena muta potrei peggiorare la mia situazione, se parlo rischio di dire un mucchio di stupidate. Non ho preparato nessun discorso, argomento, non ho approfondito nulla.
Con la mano mi sto torturando una ciocca di capelli, faccio fatica a stare ferma. 
Sono nel panico più totale.
 
"Quindi Miss Voli, come mai ha scelto di iscriversi a questo Club?", mi chiede l'uomo con il completo grigio.
"Io... Io...".
 
Cerco una risposta che abbia senso, che mi permetta di fare bella figura, che mi tolga da quell'impiccio. Purtroppo ho la mente svuotata, come se avessi lavato il cervello in lavatrice.
 
"Quindi?", insiste l'uomo in grigio.
"Io... Un amico mi ha segnalato questo Club. Visto che è molto popolare e molti ragazzi vogliono iscriversi, ho voluto provare".
"Quindi ha la passione per la dialettica, per il dibattito. Quale professione le piacerebbe svolgere da adulta".
 
Quale lavoro vorrei fare da grande? Ma che ne so!
Astronauta. Infermiera. Architetto. Impiegata. Spazzina. Lavandaia. Panettiera. Poliziotta. Centralinista. Commessa. Cuoca. Parrucchiera. Giornalista. Maestra... Non ne ho idea.
 
"Io... Io...", balbetto.
"Cosa ti piace fare Elena? Quale è la cosa che ami di più di tutti?", Mi chiede Nik con dolcezza.
"Mi piace dipingere e leggere", dico a testa china.
L'uomo in grigio scarabocchia su un foglio le mie risposte. Dal suo viso non riesco a capire se ho detto a cosa stupida o meno.
 
Gli occhi mi si riempiono di lacrime.
Vorrei scappare lontano, fuggire da quelle domande. Vorrei urlare.
Non sono mai stata una che si allontana dai problemi, ma in quel momento non so davvero cosa fare.
 
"Tieni", Nik è a pochi centimetri da me. Ha in mano un bicchiere d'acqua.
"Grazie", ingoio l'acqua in un sorso, poi mi aggrappo al bicchiere come fosse l'unica cosa capace di non farmi sprofondare nell'ansia.
"Parla di quello che sai. Non avere paura", mi sussurra Nik.
"Mi sono iscritta per sbaglio, io non sono giusta per questo Club. Il biglietto sull'armadietto mi ha confusa... Ho combinato un casino", due grosse lacrime mi scivolano sulle guance.
Nik irrigidisce la mascella, riprende il bicchiere sfiorando il suo indice contro il mio, con delicatezza: "Il biglietto l'ho messo per farti sapere che ero qui. Quando ti ho vista nei corridoi del Trinity mi è venuto un colpo. In Ateneo a Yale, non ti trovavo. Era un modo per incontrarci, senza equivoci e dubbi. Io sono un tuo professore, quella volta in libreria è stato un malinteso. Non sapevo fossi una studentessa di High School". 
Arrossisco. Sono talmente imbarazzata che spingo il mento sul petto: "Mi dispiace, non volevo mentire. Io voglio andarmene da qui, non c'entro nulla".
"Sicura? Sei riuscita a convincere uno delle migliori promesse di Yale di essere una studentessa di giurisprudenza. Perché ti spaventi davanti a questo stupido colloquio? Come dico sempre ai miei studenti: parlate solo di quello che conoscete alla perfezione. Se non lo conoscete, studiatelo da ogni punto di vista. Tu cosa sai alla perfezione?", gli occhi azzurri di Nik brillano dietro gli occhiali,mi sorride. Con calma poi raggiunge il suo posto dietro al tavolo.
 
Sono una brava studentessa, mi è sempre piaciuto studiare, ma non ho una materia preferita. Mi piace dipingere, ma non posso parlare di colori, pennelli e tele. Non posso spiegare come mi sento ogni volta che finisco un quadro. Del resto, non posso neanche raccontargli che divoro romanzi rosa, romanzi d'amore.
Romanzi d'amore.
Amore.
Una scintilla, piccola piccola, fa breccia nel mio cervello svuotato. Come una fiammella in una stanza buia, inizia ad attivare la mia memoria, il mio intuito e la mia determinazione.
 
Parla solo di quello che conosci alla perfezione.
Me lo ha appena detto Nik, ma me lo aveva detto anche Adrian prima di entrare.
Devo parlare della cosa che conosco meglio di tutti, l'unica cosa di cui né Nik né l'uomo in grigio potranno mai controbattere.
 
Con il dorso della mano asciugo le lacrime, un colpo di tosse e inizio a parlare:"Sono pronta per esporre le mie argomentazioni".
"Bene, prosegua pure", dice l'uomo in completo grigio.
"Pongo alla vostra attenzione la saga Tramonti sul cuore, e...".
"Scusi?", l'uomo in completo grigio sobbalza sulla sedia, "Di solito gli studenti portano argomenti come la politica, l'inquinamento, il debito pubblico, la guerra... Lei ci vuole parlare di uno sciocco romanzetto per femminucce?".
"Non credo che definirlo romanzetto per femminucce sia corretto", controbatto io, "Questo è l'errore in cui incappano molte persone. Stereotipi".
 
Nik trattiene le risate cercando di nascondersi dietro la penna rossa che stringe in mano.
 
"Stereotipi. Sono stata investita da tanti di quegli stereotipi, da quando sono a New Haven, che ho vissuto episodi pieni di pregiudizi e bullismo. Perché? Perché spesso ci si crea delle idee, per cui si pensa che le cose debbano andare in un modo. Ma non sempre funziona così".
"Cosa vuole dimostrare con la sua argomentazione?".
"Lei stesso ha detto che Tramonti sul cuore è un romanzo da femminucce. Da cosa lo deduce?"
L'uomo in grigio è stupito di essere interrogato da me, balbetta la risposta: "Pe-Perché lo leggono ragazzine giovani come lei".
"Quindi mi sta dando della femminuccia? Dal suo tono posso dedurre che reputa femminucce un offesa bella e buona. Mi sta per caso insultando?".
L'uomo in grigio trasale, si sistema la cravatta cercando di mascherare il rossore: "No, Miss Voli. Non mi permetterei mai".
 
Nik si sta mordendo le labbra. Sembra stia per scoppiare a ridere.
 
"Quindi lei ha pregiudizi su un libro e sulle persone che leggono quel libro, senza neanche aver letto il libro o conosciuto le lettrici".
"No, è che quel genere di libri di solito è...", l'uomo in grigio è arrossito, non si aspettava un interrogatorio in piena regola.
"È per femminucce? Per ragazzine come me?", la sfacciataggine riesce sempre a salvarmi nei momenti di crisi.
"Sì, di solito sì".
"Se io le dicessi che ho le prove per dimostrare che un esimio professore, laureato a Yale, è un grande fan della Saga, lei cosa direbbe? Tramonti sul cuore sarebbe un libro per ragazzine e femminucce, oppure cambierebbe idea?".
L'uomo in grigio è attonito. Mi guarda con la bocca spalancata: "Sta dicendo che potrebbe dimostrarmi che un intellettuale, una mente fina, laureata a Yale, legge quella roba... Pardon.. Quei libri?". 
"Ho un video che lo dimostra, inoltre potrei convocare la persona in questione a testimoniare", guardo Nik che pare divertirsi un sacco. Non ho la minima intenzione di rivelare che è lui il mio testimone, che l'ho conosciuto in libreria e che legge romanzi rosa.
"No. Miss Voli, non è il caso", l'uomo in grigio accenna un sorriso, "Tutto questo discorso serve per dimostrare cosa?".
"Vi ho fatto questo discorso per dimostrare che l'apparenza a volte inganna, che avere pregiudizi è sbagliato, se non si conosce il contesto, e che l'amore va oltre ogni categorizzazione, classificazione e regola".
"L'amore? La tesi che porta è che l'amore è senza regole?".
"Sì, me l'ha insegnato mia madre e i libri come Tramonti sul cuore. Non si può decidere di chi innamorarsi, l'importante è eliminare i pregiudizi o preconcetti... Come del resto si dovrebbe fare nella vita di tutti i giorni. Come dovrebbe fare lei, provo a leggere il libro, rimarrà stupito".
 
L'uomo in grigio prende appunti su un foglio, mugugna un paio di cose a Nik che gli risponde con piccoli cenni della testa, mentre mordicchia il tappino della penna rossa.
Il mio cuore batte a mille all'ora. Sento le guance arrossarsi, sotto lo sguardo intenso del professor Martin.
 
"Bene Miss Voli, le faremo sapere come è andata", mi dice l'uomo con il completo.
"Grazie per il vostro tempo", dico io.
"No, grazie a lei per la sua... Ehm... Esposizione originale", mi risponde.
 
Esco velocemente dalla stanza senza sapere se ho combinato un casino o meno, senza sapere se ho fatto una figuraccia colossale davanti a Nik.
Le mani mi formicolano, ho il fiatone.
Sfilo vicino agli altri ragazzi in attesa di entrare, alcuni mi chiedono come è andata. Non rispondo a nessuno, non so cosa dire e cosa pensare.
Recupero velocemente i miei quadri e mi lancio nel corridoio, non ho una meta, non so che fare.
D'istinto prendo il cellulare dalla cartella e chiamo Kate.
Dopo due squilli risponde: "Ciao Elena. Hai già finito? Io sono con le ragazze del Club di Canto stiamo provando un pezzo e... ".
"Kate. Kate. ho bisogno urgente di parlarti. Emergenza rossa... È successo un casino", le dico tutto ad un fiato.
"Che succede? Dove sei?", mi chiede allarmata.
"Hai presente Nik, quello della libreria? Ecco, Nik è il professor Martin. Quello del Club di Dibattito", le dico in preda ad una mezza crisi isterica.
"Merda!", dice lei.
Già, merda, penso io.
 
PIACIUTO IL COLPO DI SCENA? ;)

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Capitolo 14
*** IERI: Un invito inaspettato ***


IERI:
Un invito inaspettato
 




"Quindi adesso che farai?", Kate mi fissa in attesa di risposta.
La domanda più logica che potesse farmi, talmente semplice che pure un bambino avrebbe saputo rispondere senza esitazione, per me è un dilemma. 
Io non so che dirle. 

Pochi giorni prima avevo scoperto che il Nik conosciuto in libreria, era anche il mio professore. Qualsiasi fantasia romantica mi ero costruita in testa, era andata a farsi friggere. Nik era un uomo mentre io una ragazzina, non avrebbe mai potuto funzionare.
Certo, tra di noi c'era un feeling particolare, l'avevo capito appena conosciuto. Ma era troppo grande, la cosa non era per niente giusta.
Dall'altra parte c'era Jo. Un fantasma. Da quando ero andata a casa sua per chiarire, era come scomparso. In mensa non si vedeva, in aula prendeva sempre appunti senza alzare mai lo sguardo nella mia direzione. La nostra amicizia, anche se nata da poco, era ad un punto morto. Mi dispiaceva, soprattutto perché Jo era una persona speciale, con cui mi sentivo bene, a mio agio.

"Allora?", mi incalza Kate mentre sistema i libri nel suo armadietto.
"Non so...", ho la fronte appoggiata al muro, sono immobile.
"È da una settimana che ti scervelli. Non mi pare complicato. Da una parte c'è Nik che è un tuo PROFESSORE, quindi scordatelo. Dall'altra hai Jo che è talmente preso da se stesso, che sembra un altro".
"Già, questa cosa del Club di Dibattito non ha di certo aiutato".
Kate mi accarezza la schiena. Vorrei sprofondare, odio sentirmi insicura, Eppure nell'ultimo periodo pare che tutto giri nel senso sbagliato. 

Un calca di studenti corre per il corridoio, vanno così veloci che rischiano di investirci.

"Che succede?", chiedo ad un ragazza che per poco non cade per terra ai nostri piedi.
"Stanno esponendo le graduatorie per i Club", mi risponde euforica.
"Dove?", chiede Kate improvvisamente ansiosa.
"All'ingresso".

Senza perdere un secondo ci tuffiamo nella mischia. Veniamo trascinate dalla fiumana di persone fino alla hall. Attaccate alle pareti ci sono le graduatorie per i diversi Club, dal primo al quarto anno. Gli studenti del terzo e quarto anno sono i più curiosi, spingono per cercare di avvicinarsi il più possibile. Alcuni scattano foto con il cellulare, altri prendono nota su quaderni, mani o qualsiasi cosa trovano.

"È impossibile raggiungere le graduatorie", dico a Kate che, sulle punte, cerca i leggere i risultati, "Andiamo fuori, tra dieci minuti potremo avvicinarci".
Trascino Kate per un braccio, ma fino all'ultimo si ostina a sbirciare.
Fuori dal portone d'ingresso una manciata di studenti commenta le graduatorie, alcuni sono felici per essere passati, mentre altri paiono parecchio abbacchiati. 
Kate sta divorando le unghie: "Smettila, tra poco sapremo se siamo passate", le do una piccola sberla sulla mano.
"Hai ragione, solo che vorrei sapere subito se sono passata".

Jo sta correndo nel giardino verso l'ingresso. Probabilmente deve aver saputo delle graduatorie.
Senza salutarci si affaccia dal portone, ma viene investito da altri studenti che spintonano per leggere i cartelli appesi.
"Merda", dice mentre si morde il labbro.
"Credo tu debba aspettare, è impossibile avvicinarsi", gli dico cercando di mantenere un certo contegno.
"Non siete riuscite a sapere se siete passate?", ci chiede Jo. Scalpita il posto, credo che darebbe tutto ciò che possiede pur di sapere se è entrato o meno al Club di Dibattito.
Kate ed io facciamo cenno di no con la testa.

Imbarazzo.
Jo mi spia attraverso i lunghi capelli scuri, poi abbassa lo sguardo. Credo voglia parlarmi. Sono così nervosa che non so cosa dire.
Kate prova a rompere il ghiaccio: "Ehm... Quindi tu hai fatto il colloquio solo per Dibattito?".
La domanda è talmente ovvia che lancio a Kate un'occhiataccia.
"No... Ehm... Volevo dire... Hmm...", mugugna cercando di rimediare la figuraccia.
"Sì, solo per quello", risponde Jo con un sorriso. Un magnifico sorriso che non vedevo da giorni. Il respiro mi si blocca, lo osservo con attenzione: le labbra morbide, gli occhi scuri. Il mio cuore accelera. Jo e Kate parlano con tranquillità come se non fosse ucciso nulla, come se tutto fosse tornato a posto.
"Tu come stai?", mi chiede Jo con dolcezza.
"Be-bene", balbetto stupidamente, "Ho iniziato un nuovo lavoro. Faccio lezioni di italiano ad una cantante d'Opera. È molto brava, riesce a produrre dei suoni che neanche sapevo esistessero".
Jo ride.
"Elena mi ha promesso che una volta mi porterà... Potresti venire anche tu", Dice maliziosamente Kate a Jonathan.
"Certo, come no. Sono stonato come una campana, ma creo di poter apprezzare una bella voce".
Sorrido come non facevo da giorni: "Figurati, quando canto i cani scappano".
Jo e Kate ridono.
"No, non sei così male. Sei solo un po' stonata", dice Kate.
"Un po'? I vetri tremano, i bimbi piangono e i vicini chiamano la polizia".
Mi piace stare con Jo e Kate, con loro mi sento a casa, al sicuro. Sentirli ridere mi fa stare bene.

Un paio di studenti escono dal portone in lacrime. 
Le graduatorie dei Club sono ancora prese d'assalto, forse più di prima. Alcuni si spingono malamente, mentre altri fanno sgambetti o strattonano. La hall della scuola sembra un ring.

"Cavolo, passeremo la pausa pranzo in attesa di sapere se siamo passati o meno", lo stomaco di Kate brontola.
"Che ne dite se andiamo a mangiare e poi torniamo?", dice Jo, "Almeno gioiremo o piangeremo a stomaco pieno".
"Ottima idea. Oggi prendo doppia razione di dolce", prendo a braccetto Kate e insieme a Jo andiamo verso la mensa della scuola.

I più ritardatari stanno correndo nel giardino della scuola verso l'ingresso della scuola. Come è ovvio non riescono ad entrare. Noi tre siamo mosche bianche, andiamo nella direzione opposta.
La mensa è un deserto, nessuna fila, i vassoi sono ordinati e ci sono montagne di cibo fumante in attesa di essere mangiate. Mi lancio subito sui dolci, prendo due fette di torta di mele e della macedonia multicolore, una bottiglia d'acqua e una tazza di té profumato. Sono al settimo cielo. 
Anche Kate e Jo riempiono il loro vassoio.

"Sediamoci vicino alle vetrate, così vediamo quando la folla ha lasciato la hall", dice Jo.
Io e Kate lo seguiamo, pronte a abbuffarci di dolci e frutta. L'atmosfera è rilassata, c'è molto silenzio, è tutto molto calmo. La mensa dovrebbe essere sempre così.

Poi.

"Ciao Pivella. Vedo che sei in compagnia dello sfigato e di Kate", James sottolinea il nome della mia amica con leziosità. Di solito l'avrebbe chiamata doppiocchi.
Nessuno di noi risponde, automaticamente ci giriamo per andare dalla parte opposta della mensa.
"Smettila James. Non essere maleducato", dice Rebecca in tono duro. Poi si alza e ci raggiunge mettendosi di fronte a noi.
"Sedetevi con noi. Non c'è nessuno", Rebecca trascina Kate per la manica e la fa accomodare a forza vicino a Stephanie. Jo ed io la seguiamo.
"Come state?", ci chiede Rebecca mentre addenta una mela.
La sua gentilezza è alquanto sospetta.
"Bene", dico io in malo modo.
"È proprio una bella giornata. Non trovate?", continua Rebecca con lo stesso tono allegro.
James e Adrian ridacchiano mentre Stephanie e Lucas osservano curiosi la nostra reazione.
"Che diavolo vuoi? Sputa il rospo", Jo sembra davvero spazientito.
"Visto che saremo colleghi di Club le cose cambiano. Credo sia importante conoscerci meglio", dice Rebecca.
"Colleghi di Club?", diciamo in coro io, Kate e Jo.
"Sì, Teatro e Dibattito? Non ditemi che non sapete se siete passati o meno", Rebecca estrae il cellulare dalla sua borsa di coccodrillo, "Guardate".
Sullo schermo vediamo passare le foto dei cartelloni con le graduatorie. 
In quello di Teatro, nel Gruppo A ci siamo: io, Kate, Adrian, Rebecca.
In quello di Dibattito, nel Gruppo A ci siamo: io, Jo, James, Adrian, Lucas, Stephanie e Rebecca.

Sono confusa, spaventata, nervosa.
Avere Rebecca in entrambi i Club, non promette nulla di buono.

"Le mie tirapiedi stanno in mezzo alla calca a mandarmi foto dei vari tabelloni", dice Rebecca sfogliando con noncuranza le foto sullo schermo del telefonino.
"Hai per caso le graduatorie di Canto?", a questo punto, tanto vale sfruttare il vantaggio. 
Rebecca guarda le foto poi mi allunga il telefono: "Ecco, ma quello è un Club meno importante di Teatro e Dibattito", dice con disgusto.
Cercando di trattenermi il piu possibile dal tirare la Macedonia in faccia a Rebecca, agguanto il telefonino e lo mostro a Kate. È stata messa anche lì. È al settimo cielo, mi abbraccia felice.

"Farai parte del coro?", chiede Stephanie a Kate.
"Sì, mi piace molto cantare. Non sono bravissima, ma me la cavo", risponde arrossendo.
"Anche a me sarebbe piaciuto, ma...", non conclude la frase, il suo fidanzato Lucas la interrompe, "Non ha tempo per cantare. È brava, ma non deve perdersi dietro a sciocchezze inutili", poi le accarezza la mano, mentre Stephanie abbassa la testa.

Sono sconvolta. Possibile che abbia rinunciato ad una cosa che gli piace perché il suo fidanzato non vuole? Siamo nel Medioevo?

Sto per aprire bocca quando Jo mi appoggia una mano sulla gamba per trattenermi.

"Te lo richiedo... Che diavolo vuoi?", chiede Jo a Rebecca.
"Semplice. Organizzerò una festa e voi siete invitati. Sto facendo stampare gli inviti, presto vi verranno consegnati", Rebecca si guarda lo smalto perfettamente applicato alle unghie.
"Cosa?", sbotto io.
"Non ti è chiaro? Farò una festa e voi siete invitati", mi dice sorridendo Rebecca.

Jo mi stringe ancora la gamba per farmi stare zitta.
"Aspettiamo gli inviti. Adesso vorremmo mangiare all'aperto", dice Jo alzandosi in piedi portando il vassoio con sé. Kate ed io lo seguiamo a ruota.

Appena raggiunto il cortile della mensa chiedo nervosa: "Perché quella pazza si comporta in quel modo?".
"È tipico di Rebecca, quando le serve qualcuno non guarda in faccia a nessuno", aggiunge Kate.
"Hai notato le graduatorie Elena?", mi chiede Jo.
Alzo le spalle e annuisco, non capisco dove vuole arrivare.
"L'ordine con cui è stata scritta la lista è importante. Essere al primo posto è meglio che essere al secondo", continua, "Elena, tu sei più in alto in graduatoria di lei, sia in Teatro che in Dibattito. Kate, tu in Teatro".
"Cosa significa?", chiedo.
"Significa che adesso siete nel mirino di Rebecca e farà di tutto per affossavi", mi spiega Jo.
"Ma allora perché ci ha invitato alla festa? Mi sono sentita come Biancaneve quando la strega le regala la mela, ho ancora i brividi".
"Per un motivo molto semplice, l'ha detto prima in mensa: per conoscervi meglio. Per sapere chi sono i suoi nemici. Rebecca, Lucas, Stephanie, Adrian e James farebbero di tutto pur di primeggiare", dice a denti stretti Jo.

... Farebbero di tutto pur di primeggiare...

Le parole di Jo riecheggiano nella mia testa, parla di Rebecca e gli altri come se lui fosse diverso. Mi ha rifiutata per paura di non riuscire a seguire il Club, per paura di non poter realizzare i suoi sogni. Ripenso ai Club, ai colloqui, alle graduatorie, ripenso allo stress e l'ansia dei giorni scorsi. Ripenso al sorriso gentile di Jo il primo giorno che l'ho conosciuto, alla sua risata contagiosa, ai suoi occhi profondi, alla sua allegria.
Niente di tutto ciò, è rimasto nel ragazzo che ho di fronte.
Vedo rabbia, invidia, frustrazione e paura.
Jo è arrivato secondo al Club di Dibattito, al primo posto c'è James.
Jo vuole essere il primo.
Jo farà di tutto per affossare James, come Rebecca farà di tutto per affossare me e Kate.


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Spazio autrice: 
Le graduatorie sono uscite. I giochi di potere si stanno mettendo in moto.
Rebecca spiazza tutti invitandoli ad una festa. Che vorrà combinare?

Jo sembra tornato quello di sempre, ma essere arrivato secondo al Club di Dibattito, non gli piace per nulla. Cosa sarà disposto a fare?

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Capitolo 15
*** IERI: Shopping con sorpresa ***


 
IERI:
Shopping con sorpresa

 


Sono già quattro lezioni di Italiano che faccio a Demetra. La sua pronuncia rasenta la perfezione, ma lei insiste che la aiuti. Non si sente abbastanza sicura.
La suocera, la Signora McArthur, non si perde neanche una lezione, passa due ore ad osservare la nuora e applaudisce ad ogni fine esibizione.
Durante le prove ho ottenuto il permesso di studiare, non che sia molto facile, visto che la voce di Demetra è forte e squillante, ma almeno non resto troppo indietro con i compiti.

"Sei soave cara. Vuoi un po' d'acqua, ti vedo pallida.", la vecchia allunga un calice alla donna.
"Non è niente Geltrude, sono solo stanca. Ho sempre mille cose da fare", risponde Demetra. 

Quando sono in compagnia di Demetra mi sento più buona anch'io, è come se avesse un fluido magico per addolcire il più duro degli animi. Del resto, se pure la Signora McArthur la adora, ci sarà un motivo.

"Non vorrei che quello sfaticato di mio figlio ti faccia affaticare troppo", borbotta la vecchia.
"Figurati, è impegnato con il suo lavoro, non ha tempo per interessarsi ai fatti miei", risponde Demetra con un po' di amarezza.
"Asino!", commenta acida la vecchia.
Faccio fatica a trattenermi dal ridere quando la Signora McArthur sbotta in quel modo.
"Cara ragazza, perché ridi?", mi chiede con lo sguardo severo.
"Stavo... Stavo...", devo inventarmi qualcosa, "Stavo pensando ad una cosa successa oggi a scuola e...".
"Cosa è successo di tanto divertente da farti ridere ora", la vecchia sottolinea la parola ora.

Elena spremiti le meningi e pensa.

"Pensavo ai Club... Ehm... Sì proprio ai Club. Oggi ho saputo che sono entrata a quello di Teatro e Dibattito", sorrido cercando di sembrare felice.
"Gruppo A?", mi chiede la vecchia avvicinandosi sempre di più al mio volto. Da vicino noto i suoi occhi blu intenso.
"S-sì, per entrambi".
"Oh, complimenti. Ci sono sempre il professor Martin e Miss Scarlett?".
"Sì, sono ancora loro", la mia faccia è un enorme punto di domanda, "Ma come fa a conoscere il Prof...".
"Mia cara ragazza, faccio parte di una delle famiglie più ricche e facoltose dello stato. Ho finanziato biblioteche, sale di musica e teatri in tutte le scuole più importanti. Anche se molto giovani, il Professor Martin e Miss Scarlett, sono persone di tutto rispetto".
La Signora McArthur si distrae appena vede la coppa gelato sul tavolo, si avvicina e inizia a gustarla a grosse cucchiaiate, dimenticandosi di me.
"Mia suocera può sembrare un po' burbera, ma è una brava donna. Ama molto, ma è incapace di dimostrarlo... Credimi quando ti dico che gli sei simpatica", mi sussurra Demetra accarezzandomi un braccio.

La calda carezza della donna mi riempie il cuore, la sua bontà d'animo è contagiosa. Mi ricorda mia madre, o almeno una parte del suo modo di fare. Riusciva sempre a farmi capire tutto in poche parole, proprio come Demetra in quel momento.

"Che confabulate voi due? Mi pare che le due ore siano passate. Non avevi un appuntamento con una tua amica in centro città?", mi chiede la Signora McArthur con tono brusco.
"Stavamo ripassando le doppie, Geltrude", le risponde  Demetra schiacciandomi l'occhio.
"Il mio autista ti accompagnerà dove vuoi", grugnisce la vecchia.
"Ma posso prendere l'autobus, non c'è bisogno che si disturbi", dico tutto d'un fiato e un po' imbarazzata. 
"Bazzecole. E poi non guido io, ma il mio autista. Lo pago per portare persone in giro, quindi non fa altro che svolgere il suo lavoro".
Senza aggiungere altro fa cenno con la mano al maggiordomo che mi porta la mia giacca. In tre minuti sono fuori dalla villa, una Rolls Royce nera mi sta aspettando con il motore acceso. 
Un uomo in completo nero mi apre la portiera: "Dove vuole che l'accompagni Miss?".
"In centro, in Olive Street, vicino alla libreria".
Senza aggiungere altro, l'uomo si inchina e chiude la portiera.

L'interno dell'auto è uno spettacolo: finiture in radica, i sedili sono in pelle, vetri oscurati. C'è anche un telefono, un piccolo bar e un televisore, senza contare che posso allungare le gambe e stare stesa senza il minimo problema. Quella macchina è meglio della mia cameretta, credo potrei viverci.

Il viaggio dura troppo poco, mi stavo giusto rilassando, quando intravedo Kate che mi aspetta vicino alla fermata del bus.
Toc. Toc.
Batto sulla parete divisoria che c'è tra me e l'autista.
"Mi dica Miss", la parete si abbassa lentamente.
"Potrebbe ritornare indietro e affiancarsi a quella ragazza?".
"Intende quella con i jeans e gli occhiali?".
"Sì, proprio lei. Vorrei farle una sorpresa".
L'uomo trattiene un sorriso: "Mi chiami Micheal, mi dia pure del tu se vuole".
"Grazie Micheal", dico io, sorridendo all'autista.

La Rolls Royce fa manovra e ripercorre la strada, rallenta e con attenzione si affianca a Kate. Dal finestrino posso osservare la faccia intimorita e preoccupata della mia amica, che indietreggia appena la macchina si ferma di fronte a lei.
Abbasso il finestrino: "Buongiorno Miss. Cosa sta facendo di bello?", cerco di imitare una voce maschile senza riuscirci.
Kate spalanca gli occhi, non si aspettava di certo di vedermi lì dentro: "Ma che diavolo fai? Mi è preso un colpo!".
"La vecchia McArthur mi ha prestato il suo autista... Mica male la macchina, vero?", con il braccio le indico gli interni. Kate infila la faccia dal finestrino e osserva con curiosità i sedili, il bar e la TV.
"Mamma mia! Ma è fantastico", urla Kate nel mio orecchio.
Come un lampo inizio a farle vedere tutto quello che ho trovato: il cassetto con i cioccolatini, le bibite fresche, la radio satellitare. Ad ogni cosa che le mostro, Kate spalanca sempre di più la bocca.

Un colpo di tosse ci blocca, viene dalla strada.
Michael, l'autista, ci sta osservando: "Se desidera Miss, può salire. Vi porterò dove desiderate", ci dice.
"Ma... Ma la vecchia non si arrabbierà?", chiedo io.
"La Signora non si arrabbierà, posso assicurarglielo", dice Michael, poi apre la portiera e Kate si siede vicino a me. Scoppiamo entrambe a ridere, sembriamo due principesse su una carrozza magnifica. Per quanto possa essere corto il viaggio verso Olive Stree, non la smettiamo di toccare, guardare, sbirciare da tutte le parti. 

"Siamo arrivati", Michael spegne la macchina poi scende per aprirci la portiera.
"Grazie", gli dico stringendogli la mano, forse, con un po' troppo vigore. 
"Di nulla, Miss", mi risponde divertito e sorpreso dai miei modi poco signorili.
Senza aggiungere altro, Kate ed io entriamo nel piccolo centro commerciale del centro città. Oggi dobbiamo fare shopping.

"Giuro che questo me lo ricorderò per sempre", mi dice Kate ancora euforica.
"Pure io", poi cambiando discorso, "Credi che qui ci sia tutto quello che cerchiamo?".
"Fidati è il posto migliore dove trovar cose carine".
"Ho fatto una lista delle cose che potrebbero servirci, te la leggo?", chiedo a Kate.
"Certo, poi ti dico cosa pensavo io".

Vestito per la festa.
Scarpe.
Mollette/Nastri.
Smalto coordinato al vestito.
Pigiama/Camicia da notte.

"Metti pure un completino intimo", aggiunge Kate imbarazzata, "Dato che fermiamo a dormire da Rebecca, dopo la festa, credo dovremmo apparire al massimo. Potrebbe attaccarsi a qualsiasi cosa pur di affossarci. Non trovi?".
"Hmmm, forse hai ragione. Conoscendola avrà tutti capi firmati. Non è certo una che compra le cose senza guardare il prezzo. La mia biancheria le sembrerebbe da bambina, se la vedesse", dico a Kate mentre ripenso a quello che indosso.
"Da dove partiamo?", mi chiede Kate, guardando le vetrine dei vari negozi.
"Per prima cosa pensiamo al vestito, poi verrà tutto il resto".

Scegliere. Provare. Specchiarsi. Farsi consigliare. Provare un altro vestito. Trovare la taglia giusta. Specchiarsi. Ascoltare la commessa. Guardare il prezzo. Impallidire. Provare tre modelli. Indossare scarpe. Cadere dai tacchi. Scegliere tessuti. Confrontarsi. Guardarsi allo specchio. Piacersi. Decidere. Comprare.

In meno di quaranta minuti Kate ed io abbiamo trovato i vestiti e le scarpe in un unico negozio. Fortunatamente la commessa ci è stata di aiuto, sia nella scelta che con il prezzo. Kate ha scelto un abito fino al ginocchio, azzurro ghiaccio e di seta, con spalline larghe e con una cintura sottile. Io invece ho optato per un vestito bronzo e oro in pizzo, con maniche al gomito e gonna morbida. Entrambe abbiamo scelto dei sandali semplici e dal tacco non troppo alto.

"Direi che adesso ci basta cercare gli accessori per i capelli, lo smalto e un pigiama", dico alla mia amica, guardando la lista.
"Io credo che porterò una camicia da notte che mi ha regalato mia zia lo scorso Natale. Se vuoi ti porto in un negozio, al secondo piano, dove hanno cose molto carine. Hanno anche completi intimi niente male", sentire Kate di parlare di cose frivole mi fa sorridere, non è certo il tipo che ama mettersi in mostra.

Con calma arriviamo al negozio indicato dalla mia amica. È una boutique piccola con prodotti di alta qualità, in vetrina ci sono dei manichini con indosso lingerie elegantissima dai colori tenui e vestaglie di seta bianca. Appena entriamo la commessa ci offre dei biscottini al cioccolato. Basta quello, e il sorriso amichevole della donna, per metterci a nostro agio. Le spieghiamo dove dobbiamo andare e cosa ci serve. Osserviamo diversi modelli, ne proviamo alcuni, non senza qualche imbarazzo. La stoffa è così morbida che mi sembra di indossare nuvole.
Alla fine scegliamo due completini colorati, comodi ma eleganti. Totalmente diversi da quelli di cotone che indosso normalmente.
Kate pare più sicura di sé. Un pomeriggio di shopping fa sempre bene all'autostima.

"Andiamo in profumeria, così ci facciamo consigliare uno smalto adatto. Io ho solo quello nero o bianco", dico a Kate.
"Oh no", bisbiglia la mia amica a testa china,
Adrian e James stanno camminando nella nostra direzione, paiono divertiti.
Decisa di ignorarli, prendo Kate a braccetto e faccio dietro front. Purtroppo però, i due ragazzi sono più svelti e ci raggiungono subito.
"Che sorpresa vedervi", dice Adrian.
"Ciao Adrian, come va?", gli chiedo cortese.
"Bene, siamo...", James, con il suo solito tono da sbruffone, lo interrompe, "Ciao anche da parte mia", poi sventola una mano davanti ai miei occhi.

Detesto quel ragazzo, detesto tutto ciò che rappresenta, è l'incarnazione perfetta di tutte le assurdità del Trinity Institute.

Gli sorrido malvolentieri, Kate ha lo sguardo abbassato e non proferisce parola.
"Vedo che siete andate a fare shopping", James indica le nostre borse, "Interessante, vedo che avete comprato anche della meravigliosa biancheria intima... Adoro quel negozio", il ragazzo prova a sbirciare dentro la busta contenente il mio completino intimo.
"Stai fermo maniaco!", allontano le buste e avvicino il mio pugno al muso di James, "Fatti gli affari tuoi".
Adrian e Kate ridacchiano, mentre James fa finta di aver paura di me.

Sono completamente rossa per l'imbarazzo.

"Perdonalo Elena, a volte si dimentica le buone maniere", dice Adrian.
"Non mi interessa aver niente a che fare con lui", gli rispondo.
"Come no. Si vede lontano un miglio che mi desideri", James mi schiaccia l'occhio.
Sto per prenderlo a borsettate in testa, quando due ragazze dell'ultimo anno del Trinity si avvicinano a noi, hanno in mano due frullati a testa. I ragazzi ne prendono uno ciascuno.
"Hai fatto aggiungere doppio cioccolato?", chiede James a quella più alta.
"Sì. Sì. Come mi hai chiesto", si affretta a rispondere quella, come fosse un cagnolino.
"Brava piccola", James inizia a bere il frullato, senza smettere di fissarmi, ridendo della situazione venutasi a creare.

Una rabbia immensa mi monta dentro, vorrei prendere il frullato e rovesciarlo in testa
a quell'idiota . Detesto come tratta le persone, detesto come mi fa sentire: piccola e sciocca. 
Odio James.
Senza aggiungere altro, prendo Kate per mano, la trascino via da quell'odioso antipatico. 
Odio James.
Senza smettere di mugugnare raggiungiamo la profumeria, ma appena entriamo sbattiamo contro ad un uomo e una donna. 
Bam.
Le borse mi cadono di mano, rovesciando per terra il contenuto.

Di male in peggio. Ci manca solo che si sia rovinato il vestito.

"Mi scusi, non l'avevo vista", farfuglio mentre raccolgo le buste.
Kate è accucciata di fianco a me, sta raccogliendo i miei sandali.
"Non ti preoccupare Elena, tieni", senza neanche alzare lo sguardo, riconosco quella voce maschile.
Nik. 
Nik mi sta porgendo il mio vestito di pizzo.
"G-grazie Nik", balbetto.
"Ci incontriamo sempre in modi bizzarri noi due", mi dice gentilmente. Accanto a lui c'è una ragazza dalla pelle ambrata e i lunghissimi capelli corvini, che lo tiene a braccetto.

Sorrido.
La bocca è asciutta.
Mi sento sprofondare.
Gli occhi azzurri di Nik mi fissano. Io non posso far altro che immergermi in tanto splendore, sentendomi ancora più piccola e sciocca di quanto non mi senta già.

<<<<<<<<<<<<<<<
Spazio autrice:
Scusate il ritardo, ma ho la febbre, quindi ho fatto più fatica a scrivere. :(
(Scusate gli errori).

Elena e Kate hanno fatto shopping, vi piacciono i vestiti he ho pensato per loro?
(Immagine inizio capitolo).

Al prossimo capitolo ci sarà la festa a casa di Rebecca.
:)

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Capitolo 16
*** IERI: La festa a casa di Rebecca (prima parte) ***


:IERI
La festa a casa di Rebecca (prima parte)


"Hai preso tutto?", Hanna sta svuotando e rimettendo in ordine le cose della figlia, "Avresti dovuto mettere sotto la pochette con i trucchi e sopra la camicia da notte. Così rischia di rovinarsi".
Kate sta sbuffando, credo si stia trattenendo dallo strozzare la madre. Io me la rido, sono stata più furba,ho chiuso il mio trolley prima che Hanna venisse a curiosare.
"Ecco, così è tutto a posto. Sicura di aver preso tutto?".
"Per la milionesima volta ti dico di sì", risponde Kate infastidita.
Hanna adocchia il mio trolley: "Se vuoi ti sistemo le cose?", mi chiede.
"No, grazie Hanna. Sono a posto così".
"Ciao mamma", Kate spinge la madre fuori dalla stanza, chiudendo la porta alle sue spalle.
"Non ne potevo più. Possibile che debba sempre impicciarsi?", Kate si butta sul letto esausta.
"Non sei tu che mi avevi detto che lo fa per il nostro bene?", le dico sarcastica.
"Quando? Dove? Perché? Probabilmente avevo bevuto, oppure ero sotto effetto di qualche droga. Se dico un'altra volta una cosa del genere, puoi prendermi a pedate nel sedere".

Scoppiamo entrambe a ridere. 
Mi butto al suo fianco sul letto, fisso il soffitto bianco della sua camera. Adoro stare con Kate, lei mi capisce al volo.

"Stai pensando a Nik?", mi chiede.
"Già".
"Stai pensando pure a Jo?".
Mugugno qualcosa.
"Scommetto che stai pensando anche a Rebecca", mi dice sollevandosi e sdraiandosi su un lato.
"È così evidente?", le chiedo.
"Già", mi risponde, "Sei convinta di portare avanti il piano? Cioè, scoprire qualche segreto di Rebecca per poter stare tranquille ai Club? Non credi sia un po' meschino?".
"Che altro possiamo fare? Hai sentito Jo, la festa è una scusa per cercare di affossarci. Lo stesso vuole fare lui con James, non che me ne freghi, ma è prassi comune comportarsi in quel modo", le dico sedendomi a gambe incrociate sul letto.
"Il fatto che lo facciano tutti, significa che dobbiamo farlo anche noi?", quando Kate è così saggia, mi fa sentire molto stupida. So che ha perfettamente ragione, so che comportarmi come Rebecca non porterà nulla di buono, ma non vedo alternative.
"Sono le 16.00. Tra poco passa mio padre, facciamoci trovare pronte all'ingresso, sai che non ama i ritardatari", dico a Kate cercando di non pensare troppo alle sue parole.

Mio padre arriva con qualche minuto di anticipo, carica il mio trolley, il borsone di Kate e le custodie protettive per i vestiti, sulla macchina. Non è felice della festa, non vuole che io frequenti ragazzi, crede che sia troppo piccola per certe cose. Hanna e Roger l'hanno convinto a farmi partecipare, anche se leggo dai suoi occhi che vorrebbe che io restassi a casa con lui.
"Quindi siete solo ragazze?", mi chiede sbirciandomi dallo specchietto retrovisore.
"Sì. Saremo Kate, Rebecca, Stephanie ed io. Ci prepariamo per la festa, poi quando finisce dormiremo da Rebecca".
"Ma verranno ragazzi alla festa?", mi chiede nervoso.
"Papà smettila! Ti ho già detto che sono tutti ragazzi della scuola e che ci sono i genitori di Rebecca a controllare. Puoi stare tranquillo", gli dico spazientita.
Mio padre mugugna qualcosa, sembra non troppo convinto della cosa.
Per il resto del viaggio in macchina sta zitto, solo quando arriviamo davanti alla villa di Rebecca mio padre mi sussurra: "Se qualcuno ti infastidisce, ti fa del male, non esitare a chiamarmi. Ok?".
"Ok papà", gli rispondo abbracciandolo forte.

Rebecca ci aspetta fuori dal portone, la sua casa è una grossa villa nel quartiere ricco di New Haven. Un bel giardino perfettamente curato circonda la casa. Sul vialetto è parcheggiata una vistosa auto sportiva rossa. 
Kate ed io siamo un po' intimorite, sappiamo che Rebecca è capace di tutto, trovarci lì è come stare nella tana del lupo.
"Benvenute", Rebecca ci accoglie con un sorriso, ha i capelli così lisci che sembrano seta, indossa una camicia bianca senza una piega è un paio di jeans attillatissimi.
Senza dire nulla la seguiamo. La casa è stupenda, un misto di arredamento moderno con pezzi d'antiquariato, quadri enormi dai colori accesi abbelliscono le pareti, tappeti antichi ricoprono i pavimenti. C'è molto lusso e sfarzo, un po' troppo per i miei gusti, ma tutto è perfettamente in linea con lo stile di Rebecca.

"Becca, sono arrivate le tue amiche?", una voce di donna proviene dal salotto.
"Sì mamma. Queste sono Elena e Kate".
Una donna dai capelli biondi, raccolti sulla nuca, ci squadra dall'alto al basso. È molto alta ed esile, come un filo d'erba. Indossa scarpe con tacchi a spillo eun completo di alta moda, in mano ha un bicchiere con un liquido ambrato. Ci sorride, ma sembra completamente disinteressata della nostra presenza.
"Andate dove volete e se vi serve qualcosa chiedete ai domestici", ci dice mentre sorseggia il liquore.
"Certo mamma", Rebecca ci prende per le braccia e ci trascina fuori dal salotto, poi ci porta in cucina, "Consuelo!", urla così forte che mi viene naturale tapparmi le orecchie.
Una donna paffutella di origini sudamericane entra nella stanza: "Miss Rebecca cosa le serve?".
"Porta le valige in camera mia, mi raccomando non farle cadere", il tono di Rebecca è tutt'altro che accomodante.
"Come desidera", Consuelo si inchina leggermente e sparisce con i nostri bagagli.
"Se avete fame, sete, freddo, caldo... Insomma se vi serve qualcosa, chiedete a Consuelo. Adesso andiamo nel mio studio, Stephanie ci sta aspettando".
Kate ed io, ammutolite e disorientate da tanta gentilezza, la seguiamo. Una grande scala con decorazioni dorate, ci porta al piano superiore dove troviamo un lungo corridoio con diverse porte.
Entriamo in una stanza, Stephanie è accomodata su un divanetto, sta leggendo. Appesa alla parete c'è una lavagna con scritto il programma della giornata:

17.30 supervisione preparativi festa.
19.00 cena leggera.
20.30 trucco - capelli - vestito.
21.30 arrivo ospiti.

Le ore successive le passiamo ad aiutare Rebecca e i suoi domestici a sistemare il seminterrato di casa. Normalmente una festa tra amici è una cosa semplice: musica, patatine, pizzette, magari qualche birra. Quella di Rebecca è un evento a tutti gli effetti: fiori freschi, luci soffuse, Dj alla consolle, buffet di prim'ordine, punch analcolico e calici di champagne. Tutto è così perfettamente curato, che il mio aiuto si riduce a sistemare le orchidee bianche sui tavolini. 
Il seminterrato non è una stanza buia e disadorna, ma una vera e propria sala per feste perfettamente attrezzata. Un ampio spiazzo si affaccia sul retro del giardino, dove una pedana in legno accoglie una jacuzzi e delle sedute ricoperti da cuscini.
Kate è imbarazzata, non era mai stata invitata a nessuna festa di studenti del Trinity prima di allora, non sa bene come muoversi. Stephanie l'aiuta, a spostare degli sgabelli, mentre Rebecca comanda tutti i domestici a bacchetta.

Alle 19.00 un piatto di sushi appena fatto e una macedonia di frutta, ci aspettano in cucina. Consuelo ci versa della spremuta di arancia in calici di cristallo, l'accoglienza di Rebecca è più che ottima, sembra la padrona di casa. Per ora non è stata sgarbata, maleducata, provocatoria. Che stia tramando qualcosa? È molto diversa da come si comporta a scuola, sembra serena. 

"Vi piacciono le decorazioni? I fiori li ho selezionati stamattina, credo diano un tocco di classe", Rebecca inzuppa un maki nella salsa di soia.
"Sei sempre la migliore", Stephanie sorride all'amica.
Quelle due sono come il giorno e la notte: Rebecca è determinata, decisa, ambiziosa, mentre Stephanie è introversa, timida e remissiva. Eppure vanno così d'accordo. 

"Come acconcerai i capelli?", Stephanie chiede a Kate che arrossendo alza le spalle.
"Non siamo molto esperte in fatto di moda", dico io,"A me piace truccarmi e intrecciare i capelli, ma più di tanto non so". Sembra che mi stia giustificando, ma a parte la matita nera e il mascara, non so molto altro sul make up.
Rebecca e Stephanie si lanciano uno sguardo d'intesa, ridacchiano tra loro: "A te penserò io", dice Stephanie prendendo Kate per mano e trascinandola fuori dalla cucina.
"Mentre tu ti farai truccare e sistemare da me", Rebecca è determinata, mi osserva con attenzione: "Sei carina, ma troppo... Troppo... Troppo provinciale. Devi darti una bella sistemata se vuoi diventare qualcuno". 
Intimidita e allo stesso tempo incuriosita, seguo Rebecca nella sua camera da letto che sembra uscita da un set fotografico, da tanto è in ordine: cuscini coordinati al copriletto floreale, stampe antiche, accessori bianchi, pizzo, pareti rosa e mobili chiari. Ha anche un caminetto tutto per sé.
Vicino all'armadio ci sono due brandine, i nostri bagagli sono appoggiati sopra.

"Mostrateci i vostri vestiti", ci dice Rebecca.
Con attenzione Kate ed io li estraiamo dalle custodie protettive.
"Belli!", esclama Stephanie, poi si avvicina a Kate ed inizia a toccarle i capelli, "L'azzurro ti sta bene. Si abbina ai tuoi occhi e alla tua carnagione. Lascerei i capelli sciolti e lisci".
"Non è male neanche il tuo, c'è solo un piccolo problema...", mi dice Rebecca.
Panico.
"Cosa? Quale?", dico a raffica.
"Le tue lentiggini. Hai preso un vestito dorato con sfumature bronzo, che richiamano quelle macchioline che hai su tutto il volto, hai la pelle così chiara che spiccano. Il vestito le accentua", Rebecca sembra schifata.
Automaticamente mi appoggio le mani sulle guance. Non sono mai stato un problema le mie lentiggini, mi ricordano mia madre, anche lei le aveva.
"Ma? Quindi?", sono talmente a disagio che non so come comportarmi.
"Peccato che tu non abbia la mia taglia, altrimenti ti avrei dato uno dei miei vestiti. Credo che dovremmo usare il trucco per migliorarti un po'".

Senza avere il tempo di rispondere, Rebecca mi fa sedere su uno sgabello ed inizia a provare sul mio voto, una serie di trucchi, creme, ombretti e terre. Mi sento la sua bambola, credo si diverta un sacco ad impiastricciarmi la faccia con tutta quella roba.
Kate, a differenza mia, pare serena, si è messa a cantare con Stephanie. Hanno entrambe una voce meravigliosa, sembrano due angeli.
La situazione è surreale, fino a pochi giorni prima eravamo in guerra aperta con Rebecca e Stephanie, mentre adesso sembriamo amiche di vecchia data. Che cavolo sta capitando?

Alle 21.00 Consuelo entra in camera con un vassoio pieno di cioccolatini e dolcetti vari.
"Grazie!", urla Stephanie iniziando a mangiare un cioccolatino dietro l'altro. Kate la segue a ruota, mentre io sono prigioniera sotto le grinfie di Rebecca.
"Posso un cioccolatino? Ti prego. Non rovinerò il trucco", con lo sguardo più supplichevole che conosco, provo a convincere la mia aguzzina a lasciarmi andare.
"Se hai una sola macchia mi arrabbio", mi dice Rebecca accigliata.
"Promesso", le rispondo per poi lanciarmi sul vassoio e prendere un piattono di delizie al cioccolato con mandorle, nocciole, fragola e pistacchio.
"Ma lo mangi tutto?", mi chiede scioccata Rebecca vedendo la pila di cioccolatini nel mio piattino.
"No, certo che no", dico imbarazzata, anche se in verità non avrei avuto nessun problema nel mangiarli tutti, "Li ho presi anche per te".
"No, io non mangio cioccolato".
"Come? Non mangi cioccolato? Dovresti assaggiare quello con il ripieno alla fragola... È buonissimo", le dico con la bocca piena.
Rebecca tituba un attimo, osserva il piattino, poi guarda la mia faccia soddisfatta. Ne prende uno alle mandorle. Lo mangia con gusto iniziando a schioccare la lingua, poi ne assaggia uno al pistacchio. 
Ridiamo insieme. 
Questo lato di Rebecca mi piace, si è comportata così bene che sembra animata da buone intenzioni. Forse Jo si sbagliava, forse voleva diventare veramente nostra amica.

La porta della camera si apre, la madre di Rebecca entra.
"Manca poco all'arrivo degli ospiti. Siete pronte?", la donna indossa un lungo abito color glicine, ricoperto di cristalli. I capelli sono sciolti e pieni di boccoli, sembra una modella da rivista di alta moda.
"Sì mamma, manca poco".
"Che stai facendo?", la mamma di Rebecca si lancia sulla figlia, "Vuoi diventare una botte? Non sarai mai nessuno se continui a mangiare queste schifezze. Ti ho fatto fare un vestito su misura, adesso corri il rischio di non entrarci più", le dice con cattiveria.
"Ma sono solo un paio di cioccolatini?", dico io senza riuscire a trattenermi.
"Vedo che tu ne sai qualcosa di cioccolatini", mi dice maligna, squadrandomi dall'alto al basso.

Kate è alle mie spalle, mi piazza una mano sulla bocca, mentre Stephanie mi tiene ferme le braccia.  Avrei voluto insultare quella maleducata, insopportabile strega. Non mi importava fosse la madre di Rebecca, cose del genere non si devono dire, mai.

"Smettetela di mangiare. Sbrigatevi!", dice la donna prima di uscire dalla camera sbattendo la porta.
Kate e Stephanie mi lasciano libera. L'atmosfera rilassata è diventata improvvisamente pesante. Non riesco neanche ad immaginare cosa significhi avere una madre del genere.
"Rebecca io... Scusa, ma non sono riuscita a trattenermi", dico a mezza voce.

Rebecca non guarda nessuno. Ha gli occhi lucidi.
Si alza e corre nel bagno della sua camera.
Passano pochi secondi prima che dei rumori di gola, dei conati di vomito, ghiaccino il sangue nelle mie vene. Kate è atterrita, sta tremando.
Credo di non aver provato mai così tante emozioni negative in un solo secondo: paura, rabbia, tristezza, ansia, confusione.
"Lei fa così quando... Quando...", Stephanie non ha parole per descrivere il dolore della sua amica.
Tutte e tre ci prendiamo per mano, in attesa che Rebecca esca dal bagno.

Il Trinity. 
I club.
I voti.
La festa.
Tutto sembra aver perso d'importanza.

Rebecca esce dal bagno.
Ha gli occhi rossi, ma lo sguardo è fiero. Sembra ritornata la ragazza meschina che ho conosciuto a scuola. Non c'è traccia di dolcezza o della gentilezza manifestata durante la giornata, sembra una statua di marmo, altera e glaciale.
"Manca poco prima che arrivino gli ospiti. Vestitevi. Dobbiamo essere perfette".
Kate, Stephanie ed io scattiamo come molle, iniziamo ad infilarci gli abiti e i sandali.
Rebecca è di fronte allo specchio, si sta sistemando il rossetto sulle labbra, continua a ripetere a bassa voce: "Io devo essere perfetta. Io devo essere perfetta. Io devo essere perfetta".

Il campanello squilla, gli ospiti sono arrivati.

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Un capitolo un po' particolare, si vede un lato inedito del carattere di Rebecca e anche un suo grande problema. Il rapporto burrascoso con la madre la porta ad essere bulimica e ossessionata dal peso. (Ho voluto aggiungere questo tipo di argomento perché purtroppo troppe ragazze credono che, controllando il peso, possano rendere "migliore" la loro vita o il rapporto con gli altri).

Cosa succederà alla festa? Vi assicuro che ci saranno parecchi colpi di scena. ;)

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Capitolo 17
*** IERI: La festa a casa di Rebecca (seconda parte) ***


IERI:
La festa a casa di Rebecca (seconda parte)



Mentre scendo le scale per andare ad accogliere gli ospiti, l'unica cosa a cui penso è quello che è successo poco prima a Rebecca. Sta male, deve farsi aiutare. Non sono certo io la persona più adatta, ma Hanna o Roger potrebbero indicarmi il nome di qualche esperto nel settore dei disturbi alimentari da consigliarle.

"Rebecca", sfioro la spalla scoperta della ragazza, indossa un abito rosso ciliegia, molto attillato, "Quello che è successo prima...".
"Quello che è successo prima è meglio che te lo scordi", mi dice stizzita, "Mi conosci da un paio di mesi e credi di essere mia amica? Il fatto che ti abbia invitata qui non significa nulla".
"Ma... perché fai così?", sono disorientata dal suo atteggiamento.
Rebecca mi spinge contro un mobiletto nell'atrio dell'ingresso: "Credi che non sappia che sei gelosa di me? Altrimenti perché mi avresti attaccata e minacciata a scuola?".
"L'ho fatto perché sei stata meschina con i miei amici e me", le rispondo.
"A dire il vero, quelle come te, non le calcolo minimamente. Hai usato Kate per farti notare dal mio gruppo di amici, perché vuoi essere come me. Tutti vogliono essere come me", Rebecca sembra una furia.
"Guarda che ti sbagli, io non voglio essere come te. Mai e poi mai lo sarò", le rispondo a tono.
"Sei sicura? Allora perché hai accettato l'invito a casa mia? Se pensi che io sia così tremenda, perché ti sei lasciata truccare e acconciare come me?", Rebecca mi prende per le spalle e mi gira di scatto. Uno specchio è appeso sulla parete di fronte.
La mia immagine si riflette e mostra ciò che i miei occhi non avevano notato: il fondotinta copre totalmente le mie lentiggini, delle ciglia finte avvolgono gli occhi, un trucco colorato e complicato ricopre le palpebre. Rebecca è truccata quasi come me, sembriamo una la copia dell'altra.
"Me lo hai fatto fare perché vuoi essere me, puoi negarlo quanto vuoi, ma alla fine la verità è una sola. Questa festa è per quelli come noi, due sanguisughe, due vampiri. Non possiamo fare a meno di intrufolarci nella vita delle persone e cercare di comandarle e modificarle. Cara Elena, dici di non sopportarmi, ma quella che in verità non sopporti, sei tu", mi sussurra ad un orecchio.

Il campanello all'ingresso suona. 

Io sono fissa, immobile mi guardo allo specchio. I domestici hanno acceso decine di candele per tutta la casa, due ragazze prendono i cappotti degli ospiti e consegnano loro una maschera e un bicchiere di champagne. I bassi del DJ rimbombano nel seminterrato. L'atmosfera è frenetica.

"Kate, Stephanie, indossate queste maschere di pizzo, ogni ospite ne avrà una", dice loro Rebecca, poi mi lega una maschera di pizzo sul volto, accarezza i miei capelli, così lisci che sembrano seta, e mi sussurra: "Bevi questo e lascia libera la vera te. Nessuno sa chi sei".

Mi ritrovo con in mano un calice di champagne, la faccia mascherata e il magone in gola. Mi sembra di essere su una nave, in balia del mare in tempesta. 
Mi gira la testa, le parole di Rebecca mi hanno ferita. 
Voglio davvero essere come lei? 
Impongo la mia personalità a Kate?
Inconsciamente desidero l'approvazione dei suoi amici? 
Non riesco a darmi nessuna risposta. Ho bisogno d'aiuto, cerco un paio d'occhi amici tra le decine di persone intorno a me. Cerco Kate, ma pare scomparsa. Un gruppo di ragazzi e ragazze del Trinity si sta riversando dentro casa e tutti indossano una maschera.
Mi sento così sola che mi manca il fiato. Vorrei scappare. Prendo il cellulare e seleziono il numero di mio padre. Basterebbe chiamarlo e mi porterebbe via da lì. 
Ci penso qualche secondo, lo schermo del telefonino illumina il buio della stanza.

Non ti devi far abbattere da Rebecca.
Non farti intimorire.

Ingoio, in un solo sorso, il calice di champagne, rabbrividendo leggermente per il disgusto.

"Elena?", La voce di Jo arriva a salvarmi.
"Jo!", lo abbraccio più forte che posso.
"Sei bellissima. Il tuo vestito è meraviglioso, tu sei così... Così...", Jo non ha parole, vedo i suoi occhi illuminarsi appena mi vede.
Mi sento desiderata, al sicuro, in pace.
"Hai trovato una nuova fidanzata Jonathan? Non è niente male l'Italiana", la voce di Lucas interrompe quel momento intimo. Lo smoking che indossa è di alta sartoria, la seta della cravatta riflette la luce delle candele che sono state accese per tutta la casa.
"Ciao, finalmente sei arrivato", Stephanie saluta il fidanzato. 
Lui la guarda per meno di un secondo: "Certo che potevi scegliere un altro vestito. Con tutti quei fiori sembri un prato. Guarda quello di Rebecca, mette in mostra un po' di carne, anche se non so se a te sarebbe stato bene come a lei", Lucas, con una mano in tasca, prende un calice di champagne e ne beve un grande sorso. 
Stephanie abbassa lo sguardo, Kate le prende la mano e la stringe.

Normalmente avrei zittito quel maleducato, ma dopo le parole di Rebecca, e lo champagne in corpo, mi sento terribilmente insicura. Non so che fare.
Lucas trascina Stephanie verso il seminterrato dove, il DJ ha iniziato a mettere i dischi, e tutti gli ospiti stanno andando a ballare.

"Ma perché non hai detto nulla?", mi rimprovera Kate, "Hai visto come l'ha trattata?".
"Cosa?", il mio corpo mi sembra più leggero dell'aria, lo champagne mi ha attutito i sensi.
"Quel viscido di Lucas. Hai visto come ti guardava?", mi dice Jo.
"Quando?", dico io.

Sono confusa, mi sembra di essere fuori sincrono, di non essere collegata con il mondo che mi circonda. Sento le parole dei miei amici, ma non so cosa fare, non so cosa pensare. Le parole di Rebecca mi hanno scombussolata. Kate e Jo avrebbero voluto che zittissi Lucas, avrebbero voluto che mi intromettessi e aiutassi Stephanie.

"Credo siano affari loro. Non posso salvare tutti", dico ai miei amici prendendo un altro calice di champagne e bevendolo in un sorso.
"Ma che ti è preso? Guarda che Stephanie è una ragazza dolcissima, non merita di essere trattata così", mi urla in faccia Kate. 
"Lo so, ma che posso fare?", rispondo a testa bassa, mentre vedo la mia amica andarsene verso il seminterrato. È infuriata.
Jo è ancora al mio fianco, mi prende per mano e mi sussurra: "La cosa migliore che puoi fare è essere te stessa, cioè essere la ragazza più dolce, intelligente e forte che io abbia mai conosciuto".
"Non credi che io sia una persona meschina e che si approfitta delle persone?", l'alcool sta iniziando a fare effetto, la testa mi gira sempre di più.
"Ma che dici? Sei diversa da tutti gli altri, sei speciale", Jo mi accarezza il volto, mi sfiora la punta del naso, con un dito, e poi appoggia la sua guancia alla mia, "Stasera sei così bella, è come se la parte migliore di te fosse uscita allo scoperto".
"Cosa?", ma non faccio in tempo a parlare che le labbra di Jo incontrano le mie.
È un bacio morbido, dolce. Un bacio che ho sognato molte volte, un bacio che sa di casa, di bello. Le braccia di Jo avvolgono la mia vita, il suo respiro è caldo. Per i secondi che dura il contatto, mi sento felice. Le parole di Rebecca sembrano svanite, le mie insicurezze sono state spazzate via. Vorrei che quel momento non finisse mai.

"Mi dispiace se ti ho allontanata. Ho avuto paura. Il Club di Dibattito è una cosa importante, non volevo rischiare di perdere il mio sogno", mi dice Jo mentre gioca con i miei capelli.
"Ti capisco. Almeno credo", sorrido imbarazzata per tanta intimità. Con la testa appoggiata al suo petto mi sento invincibile.
"Andiamo a divertirci", Jo intreccia le dita della sua mano con le mie e mi trascina, verso il DJ, in pista a ballare. 

Luci, candele, fiori.
Champagne.
Musica, ballo, saltare.
Champagne.
Ridere, girare, baciare.
Champagne.

La tristezza provata a inizio serata è svanita. Jo mi sta facendo ballare, da non so quanto tempo. Kate mi ha chiesto scusa, si è resa conto di aver esagerato e adesso è in pista con noi. Stiamo ridendo così tanto che ci fa male la faccia. Ho bevuto molti calici di Champagne, forse un po' troppi. 
Altri studenti del Trinity stanno facendo gli scemi con noi: c'è chi improvvisa balletti ridicoli, chi fa facce strane e chi danza senza sosta. Un ragazzo si è messo la cravatta sulla fronte e rotea la testa, un suo amico gli è saltato sulla schiena e urla come un pazzo. Stiamo ridendo tutti, cose del genere non si vedono spesso.
Bevo un po' di champagne, ma il sorso che ingoio mi disgusta. Lo stomaco si contorce, un retrogusto acido mi riempie la bocca. 
Aiuto. 
Sto per vomitare.
Come una saetta cerco l'uscita dal seminterrato, trovo l'affaccio sul giardino del retro. Spalancò la porta finestra e corro verso il prato.
La testa mi gira così forte che mi accuccio e mi aggrappo al pavimento di legno del patio.

"Mi chiedevo chi sarebbe stato il primo", James è seduto sulla Jacuzzi, ha una sigaretta spenta tra i denti e indossa un cappotto, "Avrei puntato su qualche sfigato del Club di Scacchi, invece guarda un po' chi arriva".
Non ho voglia di discutere con James, ha la capacità di farmi irritare con nulla. Con una mano lo zittisco, mentre cerco di mantenere il controllo. Provo a contare fino a dieci, ma l'unica cosa che ottengo è sentire lo stomaco rivoltarsi. Non voglio vomitare.
"Tieni", James mi porge un piatto con delle tartine, "Mangia solo il pane. La base. Vedrai che a stomaco pieno starai meglio". 

Con calma mi alzo e mi avvicino alla Jacuzzi, con un piccolo salto mi siedo sulla copertura della vasca idromassaggio. È fine ottobre e fa molto freddo, con il vestitino e i sandali sto ghiacciando. James mi porta una coperta e mi avvolge le spalle. Mi appallottolo subito, sentendo quasi immediatamente sollievo.

"Grazie", dico mogia mentre mangiucchio qualche tartina.
"Solo una pivella come te potrebbe bere dello champagne a stomaco vuoto".
Non rispondo, sono stata una sciocca, non posso dargli torto.

James non indossa la maschera di pizzo, la sua cravatta è appoggiata di fianco a me. Sotto il cappotto vedo il primo bottone della camicia aperto, ha i capelli meno in ordine del solito.
"Sei reduce da una serata di passione?", gli dico prendendo in mano la sua cravatta.
James sorride. È un sorriso strano, come se fosse triste.
"No, niente del genere. Devo portare quella stupida divisa tutto il giorno a scuola, quando esco voglio sentirmi libero".
"Libero? Con tutti i soldi che hai, puoi essere libero quando vuoi", nel momento in cui dico la frase, mi rendo conto di aver detto una stupidata, "Scusa, io... Insomma... Credo di essere un po' ubriaca".
"Non fa nulla. Vedo che stasera non sei te stessa, per questo ti perdono", James mi fissa negli occhi, mentre gioca con la sigaretta tra i denti.
"Mi perdoni? Ma chi ti credi di essere. Guarda che io sono sempre me stessa", gli rispondo irritata.
"Sicura?", James mi sfiora una ciocca di capelli, poi mi slaccia la maschera e mi accarezza il volto, "Non ci sono più".
"Cosa?", non capisco quello a cui si riferisce.
"Le tue lentiggini. Centinaia di macchioline color caramello sparse sul tuo volto. Sono belle, perché le hai coperte?".

Il cuore accelera il battito, l'ansia, provata ad inizio serata, ritorna prepotente come un fiume in piena. Le parole di Rebecca mi martellano in testa, i dubbi, le insicurezze trovano spazio nel mio cuore. Non so cosa rispondere a James, sono sorpresa dalle sue parole. Delle calde lacrime mi riempiono gli occhi, sciogliendo parte del trucco.
La maschera interiore, che ho indossato quel giorno a casa di Rebecca, sta crollando.
La matita nera riga le mie guance. A testa china, avvolta nella coperta, mi sento fragile e vulnerabile.
James mi prende il volto tra le mani, bloccando la discesa delle lacrime. Avvicina il suo volto al mio, appoggiando il naso sul mio zigomo. Le sue labbra sono a pochi millimetri dalle mie, percepisco il calore del suo volto.
Stiamo così per secondi, minuti, ore. Non saprei. 
Sono così confusa che non so che fare.

"Mi-Mi vuoi baciare?", balbetto.
"Aspetto che tu sia di nuovo te stessa", mi sussurra con un soffio di voce.
Il mio corpo sembra fatto di burro, il sangue pompa veloce nel mio corpo, donandomi una sensazione di calore mai provata prima. Muovo le mie labbra verso quelle di James, sento che anche lui sta facendo lo stesso. Con gli occhi chiusi mi lascio trasportare da quello che sento, senza pensare a quello che sto facendo. Siamo una di fronte l'altro, le nostre labbra si sfiorano e...
"Toglile le mani di dosso!", Jo mi sta raggiungendo a grosse falcate, "Giù le mani dalla mia ragazza".
"Jo, non è successo nulla. Stavo male e James mi ha aiutata", provo a spiegare mentre mi metto in piedi.
"Come no? Baciandoti? Come puoi approfittarti di una ragazza in questo modo", Jo tiene James per il bavero del cappotto.
"Guarda che è lei che stava baciando me", dice James con il solito tono arrogante. Sembra parecchio divertito dalla situazione.
"Non è vero... Tu... Tu... Stavi baciando me", rispondo infastidita, mentre sbatto i piedi.
"Figuriamoci. Perché dovrei voler baciare una pivella come te, quando posso avere chi voglio?".
D'istinto prendo la coperta, in cui sono avvolta, e la lancio verso James: "Idiota! Io non ti bacerei per nulla al mondo", poi prendo Jo per mano e lo trascino all'interno del seminterrato.
"Come no. Tanto lo so che sei già cotta di me", urla James ridacchiando. Le sue ultime parole si perdono nello sbattere della portafinestra. 

Siamo ritornati alla festa, la gente balla divertita, la musica batte forte. Sono furiosa, cammino a grandi passi verso il centro della pista, scansando malamente le persone.
"Elena fermati. Che diavolo stava succedendo là fuori?", Jo mi blocca, vuole una risposta.
"Niente. Quell'idiota di James faceva il cretino".
"Ma lo stavi baciando?", mi chiede Jo.
"No. Non lo farei mai... Io voglio te", il mio volto si avvicina a quello di Jo, le mie labbra si uniscono alle sue, mi perdo nel calore del suo corpo, cercando di dimenticare il fiume di emozioni provato poco prima con James.

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Spazio autrice:

Vi è piaciuto il capitolo? 
Elena è in crisi, non sta capendo più chi è e cosa vuole.
Rebecca è stata dura. Aveva ragione?
Jo l'ha baciata.
James la stava per baciare.
Cosa succederà?

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Capitolo 18
*** IERI: Una bella lezione ***


IERI:
Una bella lezione

 

La tazza di tè si è ormai raffreddata, sto fissando fuori dalla finestra da cinque minuti buoni. Ho così tanti pensieri che non so da che parte iniziare per metterli in ordine.
Jo mi ha baciata, questo è un fatto.
James mi ha... Mi ha... Non mi ha baciata, ma mi ha capita.
Mi è piaciuto baciare Jo, non posso negarlo, però James mi ha fatto stare bene. Se non fosse per la discussione finale, in cui diceva che non gli interesso, posso affermare che è stato un gentiluomo. 

Sbatto i pugni sul tavolo, la faccia è rossa. 
Mio padre mi guarda come fossi impazzita: "Tutto bene Elena?".
"Sì", borbottando inzuppo i biscotti nel tè.
"Ieri hai dormito e studiato tutto il giorno, non abbiamo avuto modo di parlare. Come è andata la festa sabato?".
Papà cerca di essere disinvolto, anche se freme dalla voglia di conoscere i minimi particolari. Se sapesse di Jo, credo potrebbe impazzire di rabbia.
"Abbiamo ballato, mangiato tartine e riso un sacco", dico con noncuranza.
"Tutto qui? E il pigiama party con le tue amiche?".

Amiche. Già, come vado a spiegarglielo che Rebecca non è mia amica? Non capirebbe quello che c'è dietro ai Club, al Trinity. 

"Tutto bene, siamo crollate. Io dormivo con Kate, mentre Stephanie e Rebecca hanno dormito insieme. La mattina abbiamo fatto colazione e poi sono venuta a casa".

Papà sembra deluso, prova a farmi un paio di altre domande, ma le mie risposte si riducono a piccoli cenni con la testa. Mi dispiace non potergli raccontare quello che mi è successo, ma non riesco a confidarmi con lui. 
Non ho mai avuto una cotta vera per nessuno, Jo mi è piaciuto subito, ma ha avuto un comportamento strano, a volte mi cerca a volte mi allontana. James è sempre stato sarcastico e provocatorio, eppure l'altra sera sembrava una persona diversa.
Prendo la mia cartella ed esco, non ho voglia di essere accompagnata a scuola, voglio stare sola. Non mi va di essere assillata dalle domande di papà o dai silenzi di Kate, lei sa benissimo in che pasticcio mi trovo. Mi voglio godere gli ultimi giorni di sole a New Haven, tra qualche giorno dovrebbe arrivare pioggia e freddo. L'autunno è finalmente arrivato.
Mia madre ha sempre adorato questa stagione: le foglie gialle sui marciapiedi, la sciarpa intorno al collo e la cioccolata calda sotto le coperte. Diceva che l'autunno era il momento dell'intimità, il momento in cui una persona deve pensare a se stessa. Come se non pensassi a me stessa già abbastanza, mi sento un parafulmini che attira guai e casini.

In venti minuti raggiungo la scuola, manca ancora mezz'ora prima che suoni la campanella. Mi siedo su una panchina, sul retro del parco che circonda il Trinity.
Il vecchio edificio grigio, sembra abbandonato. Non c'è il solito via vai di studenti.
Mi metto le cuffiette, accendo la musica e cerco di non pensare a niente, almeno per un po'. Il sole mi colpisce il volto, chiudo gli occhi cercando di assorbire più raggi possibile.

...che pace...

"Ciao", un'ombra mi scherma il sole.
Ci impiego un attimo, ma poi riesco a mettere a fuoco: "Nik?! Cioè, volevo dire, Professor Martin".
"Come va? Sei mattiniera".
"Sì, avevo voglia stare un po' all'aria aperta", gli rispondo mentre sistemo le cuffiette nella custodia.
"Mi hanno detto che c'è stata una bella festa sabato. Ti sei divertita?", Nik mi sbircia da dietro gli occhiali.
"Hmmm, sì. Direi di sì", non so cosa rispondere, non ho la più pallida idea se sa di Jo e James.
Nik beve un sorso dal suo caffè Starbucks cannella e vaniglia: "Hai indossato il vestito che hai comprato l'altro giorno al centro commerciale in centro?".
Arrossendo, ripenso allo scontro-incontro dell'altro giorno. Nik era in compagnia di una ragazza. Non so se è la sua fidanzata o meno, la cosa non dovrebbe importarmi, ma non posso fare a meno di chiederglielo: "È vero, mi ero dimenticata, quel giorno che eri con la tua ragazza? Com'è che si chiama?".
"È una mia cara amica e si chiama Louise. Mi ha accompagnato a fare shopping, non sono molto ferrato in certe cose", mi dice sorridente.
"Ho notato. Nessuno avrebbe mai il coraggio di indossare quella sciarpa. È orrenda", dico ridendo.
"Perchè? Ammetto che ha i colori un po' accesi, ma la fantasia è bella".
"Un po' accesi? Potresti usarli come faro di segnalazione durante la notte, oppure come deterrente per i ladri", rido così tanto che ho le lacrime agli occhi.
"In che senso deterrente per i ladri?", Nik si è girato verso di me, mi guarda con i suoi occhi dolci.
"Nessun ladro verrebbe a rubare in casa di una persona che possiede una sciarpa del genere, penserebbero che ha troppo cattivo gusto. Quindi, tutto quello che possiede, fa inevitabilmente schifo". 
Nik prende la sua sciarpa e me la mette intorno al collo: "Ecco, tieni. Un regalo per proteggerti dai ladri".

Ridendo la tolgo dal collo e cerco di mettergliela in mano, Nik cerca di liberarsene. Le mie mani si intrecciano con quelle del Professor Martin, per un attimo ci fermiamo a fissarci negli occhi. 
Uno.
Due.
Tre.
Che cavolo sto facendo? 

"Elena... Noi non possiamo...", il Professor Martin stringe la mascella e scuote leggermente la testa. Le sue mani sono ancora intrecciate con le mie, nessuno dei due molla la presa.
"No. Nik, lo so. Non sono stupida... Sei un Professore. Il mio Professore, quindi...", abbasso lo sguardo.
"Non sei stupida, sono io che continuo a incrociarti e... e... Credo sia meglio provare a essere semplicemente un'alunna e un professore. Sei così giovane, non sarebbe corretto da parte mia", le sue mani si allontanano dalle mie.
"Ho già un mucchio di casini in testa, ci mancherebbe solo questo", gli dico con tutta la sincerità che ho in corpo, "Qui al Trinity il livello di competizione è così alto che non so più di chi mi possa fidare o meno. Gli studenti sono uno contro l'altro. Mi sento sola. Ti sembro strana?".
"No. Mi sono diplomato al Trinity diversi anni fa, le cose non erano molto diverse. Devi credere in te stessa, studiare e fregartene di quello che dicono. Fidati è l'unico modo. Nessuno sarà mai veramente sincero con te, qui a scuola".

La campanella suona.

Nik prende il suo caffè alla cannella e vaniglia:"Ci vediamo dopo a Dibattito. Mi raccomando, fatti forza". Poi entra nella scuola che, pian piano, si sta animando di studenti.
Senza voglia mi alzo e mi dirigo verso l'aula della prima ora, sperando che quella giornata passi il più in fretta possibile.

Storia.
Letteratura inglese.
Letteratura inglese.
Fisica.

Pranzo.

Informatica.
Informatica.

La mattina è passata senza grossi impicci, mi hanno dato una marea di cose da studiare, diversi esercizi di fisica da fare e un programma da impostare sul mio computer. Niente di particolarmente esaltante. Il pranzo sono riuscita a passarlo da sola, Kate ha fatto compagnia a Jo, cercando di convincerlo che dovevo portarmi avanti con lo studio. Una balla colossale, ma non ero dell'umore adatto di vedere nessuno. 
Adesso mi aspettano due ore con Nik, ho la prima lezione del Club di Dibattito. In tutto il Gruppo A sono stati ammessi solo quindici studenti e studentesse, lo stesso numero di persone è nel Gruppo B. Trenta fortunati studenti che possono considerarsi tra i migliori della scuola. Certo, come no.
Io, migliore di altri. Che idiozia.

"Ciao, sei un fantasma oggi", Jo mi saluta nel corridoio, sembra impacciato. Da quando ci siamo baciati alla festa di Rebecca non abbiamo avuto più occasione di stare soli.
"Scusa ho un mucchio di cose da fare. Tra lo studio, i Club e le lezioni di Italiano, non ho un attimo di respiro", spiego a Jonathan.
"Certo, capisco bene", con delicatezza mi prende una mano, si guarda intorno e solo quando il corridoio è vuoto, mi bacia. Basta poco perché mi rilassi e mi lasci trascinare dalle sue morbide labbra, sento il suo viso premere sul mio, le mani di Jo mi stringono forte. I pensieri negativi e le preoccupazioni, svaniscono. Purtroppo solo per qualche secondo, la realtà finisce col metterci lo zampino: dobbiamo entrare in classe per la lezione.
"Credo sia meglio non farci vedere, al Trinity non è visto di buon occhio chi si bacia nei corridoi", mi sussurra Jo, mentre entriamo in aula.
"Perché?", sono sorpresa, un bacio non mi sembra niente di così particolare.
"Decoro, solo per quello. Ci tengono parecchio alle apparenze", mi spiega velocemente Jo prima di sedersi ad un banco. Mi accomodo di fianco a lui, vorrei approfondire il discorso, ma il Professor Martin è in aula e ci sta fissando, uno ad uno.

"Buongiorno a tutti. Per alcuni di voi questa è la prima lezione in assoluto, per altri invece no. Quello che farete da quest'anno sarà quello di cercare di conoscere voi stessi, pregi e difetti, e di migliorare i vostri punti forti", Nik si gira e scrive sulla lavagna tre parole: Impegno, Dedizione, Perfezione. Poi chiede a tutti noi: "Chi sa dirmi a cosa si riferiscono queste parole?".
Rebecca alza la mano di scatto: "Sono le parole incise fuori dalla scuola, sono il motto del Trinity".
"Esatto Rebecca", risponde Nik, "Ma io vi ho chiesto a cosa si riferiscono quelle parole...".
Rebecca alza ancora la mano: "La scuola è stata fondata il secolo scorso da Sir Mc...".
"Conosciamo tutti la storia della scuola, Rebecca. Voglio sapere cosa vogliono dire quelle parole a chi sono rivolte".
"Agli studenti?", interviene Adrian mentre si gratta la chioma riccia.
"Certo, gli studenti sono i protagonisti. Bene. Ma cosa vogliono dirvi?".
"Che dobbiamo impegnarci nello studio ed essere i migliori di tutti", dice una ragazza con gli occhiali.
"Migliori di chi?", Nik cammina tra i banchi con le mani dietro la schiena.
"De-Degli altri", risponde sempre la stessa ragazza.
"Sei sicura? Metteresti la mano sul fuoco?", Nik la guarda con attenzione senza staccarle gli occhi di dosso.
"S-Sì? No? Non so", risponde la ragazza con un filo di voce.
"È bastato un mio sguardo per farti vacillare, per avere dubbi. Questo cosa mi dice di te? Sei insicura, non credi in quello che dici è probabilmente hai soggezione di me. Con tutte queste informazioni, non credi possa batterti con facilità in un'aula di tribunale, durante un dibattito politico o durante un'inchiesta?".
"Con quella lì è facile Professore, non ci vuole un genio per capire come è fatta. Basta guardarla... Impegno, Dedizione, Perfezione? Mi guardi, il motto del Trinity parla di me", James fissa Nik negli occhi, ha lo sguardo furbo.
"Hai paura James? Di cosa?", Nik gli si è avvicinato, non l'avevo mai visto così concentrato.
"Paura? Io non ho paura di nulla", James si mette le mani dietro la testa come se fosse su una sdraio al mare.
"Vedi, se il motto del Trinity fosse veramente la tua descrizione, significherebbe che sei un automa senza emozioni, dedito solo allo studio e alla ricerca costante della perfezione. In questo caso saprei che non saresti in grado di capire l'emotività e l'anima delle cose, in un dibattito ti distruggerei facilmente. Visto che non esiste essere del genere, a parte i sociopatici o i serial killer, significa che adesso stai bluffando con me. Vuoi farmi credere di non avere punti deboli, ma tutti ne hanno almeno uno. Quindi mi chiedo: perché stai mentendo? Di cosa hai paura?".
James è impallidito, è con la bocca spalancata. Credo che in vita sua, non sia mai rimasto senza parole.
Siamo tutti ammutoliti, nessuno ha il coraggio di parlare.
"Jonathan?", chiede Nik.
"Impegno, Dedizione, Perfezione?", Jo deglutisce un milione di volte, "Dobbiamo applicarlo nella vita di tutti i giorni, credo".
"Lucas?", il Professor Martin sta chiedendo a tutti gli studenti, uno dopo l'altro.
"Credo sia un monito da seguire nel lavoro, nella professione che svolgeremo da adulti. Perfezione e dedizione al proprio progetto di vita", risponde Lucas con decisione.

Ogni studente dice la sua. Quando tocca il mio turno non so bene che dire, Nik mi esorta a parlare, io tentenno un attimo.
"Impegno, Dedizione, Perfezione. Coraggio Elena, dimmi a chi si riferiscono, cosa vogliono dire".
"Io... Non sono perfetta, anche se mi piacerebbe. Non mi impegno mai in maniera costante nelle cose, anche se dovrei. Non seguo con dedizione ciò che è veramente importante, anche se so di sbagliare. Credo che il motto si riferisca a ciò che potenzialmente potremmo essere, un traguardo ipotetico da raggiungere, ma che nessuno raggiungerà mai. Una me migliore, ma fredda e distaccata, lontana dal capire veramente chi sono. Devo tendere al miglioramento e non considerarmi mai arrivata... Devo diventare creta. Posso trasformarmi in tutto o niente", guardo in successione Jo, James, Rebecca, Lucas e Stephanie. 
Nik mi sta fissando con intensità: "Non potevi trovare metafora migliore. Siate creta, trasformatevi in tutto o niente. Conoscete voi stessi, amate il vostro lato oscuro e distruggete le vostre certezze. In questo modo sarete imbattibili in ogni dibattito,  nessuno potrà mai anticipare le vostre mosse".

Sento gli sguardi di tutti i miei compagni su di me. Arrossisco e chino il capo.

"Tra due settimane dovrete portare uno scritto su chi siete e su cosa volete. Inizieremo a dibattere su quello, quindi preparatevi a battagliare", Nik passa vicino al mio banco e mi da una piccola pacca sulla schiena di incoraggiamento.
"Cocca del Professore", mi bisbiglia da dietro Rebecca, "Hai fatto colpo. Contenta?".

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Spazio autrice:
Capitolo di passaggio. Elena sempre più in crisi.
Ha un chiarimento con Nik, tra i due non può funzionare, anche se l'alchimia è molto, molto, molto forte. Resisteranno?

Jo è molto furtivo quando bacia Elena a scuola. Nasconde qualcosa?

Il discorso di Nik è chiaro, nessuno potrà mai essere perfetto, per poter eccellere in Dibattito devono imparare a conoscersi, mettersi in gioco e sconfiggere le loro paure.
 


 

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Capitolo 19
*** IERI: Doppia faccia ***


Ieri:
DOPPIA FACCIA




"Mi vuoi stare ad ascoltare?", Kate pare una furia è da due giorni che non mi molla.
"Che vuoi? Ti ho già ascoltata ieri. Devo prepararmi per andare dalla Signora McArthur, rischio di fare tardi", cerco di legarmi i capelli, ma c'è così tanta umidità nell'aria che sembrano un gomitolo di lana arruffato.

Kate mi blocca le spalle, anche se più piccola di me ha una forza pazzesca.

"Ahia, mi fai male", le dico lagnosa.
Kate mi guarda con sufficienza: "Se non la smetti di fuggire, giuro che ti chiudo in casa".
"So già cosa vuoi dirmi. Ok? Me lo hai ripetuto mille volte. Ti ho già risposto...".
"No, Elena. Non mi hai risposto. È quello il problema".
"Non esagerare, non è un problema, è solo che non ne voglio parlare", rassegnata mi infilo i capelli in una grossa fascia colorata, in quel modo non sembro uno spaventapasseri impazzito. Un filo di matita nera, mascara. Sono pronta per la mia lezione di Italiano a Demetra.
"Hai visto il libro di Letteratura Inglese?", chiedo a Kate mentre cerco sulla libreria.
La mia amica, con le braccia incrociate, mi guarda con le sopracciglia alzate. 
"Che c'è? Che ho fatto adesso?", controllo nella cartella di scuola.
"L'hai in mano".

Tra le dita stringo il grosso volume di letteratura. Chissà da quanto tempo me lo porto dietro.

"Sono con il libro in mano da tutta mattina?", chiedo a Kate sperando in una sua risposta negativa.
Kate annuisce tra il divertito e il preoccupato.
"Cavolo", dico sbattendo il libro sul letto, "Che cosa mi prende?".
"Semplicemente devi rispondere a una sola domanda. Quella che ti faccio da due giorni. Ti sembra normale come Jonathan ti sta trattando?".

Accasciata su me stessa, guardo con occhi supplichevoli la mia amica. Non voglio rispondere a quella domanda, non posso. Se lo facessi, probabilmente, l'idealizzazione che ho fatto di Jo crollerebbe come un castello di carte. Sono passati dieci giorni dalla festa a casa di Rebecca, dieci giorni di sotterfugi, bugie e cose strane.

"No", le dico sbuffando, "Non credo dovrebbe comportarsi così il ragazzo con cui esci".
"Ti snobba. Evita di parlarti in pubblico. Ti obbliga ad incontrarlo di nascosto. Insomma... Sei la sua ragazza o la sua amante?", mi chiede Kate spazientita.
"Ehi. Ferma. Guarda che non ho fatto niente altro con Jo! Ci siamo solo baciati", dico per chiarire.
"Lo so. Era per farti capire che il suo modo di fare è troppo strano. Ci sono molte coppie al Trinity, nessuna si nasconde. La Preside non ha mai sospeso nessuno per un abbraccio, una carezza o altro. Certo, non tollererebbe atti osceni...", Kate ridacchia.
"Oddio le prenderebbe un colpo, già me la immagino... Verrete sospesi per aver pomiciato in mensa. Verrete espulsi per aver fatto l'amore nell'atrio...", imito malamente la Preside Marquez.
"Capisci cosa voglio dire? Perché Jo ti tiene nascosta?".

Alzo le spalle.
Ci ho pensato così tante volte che non riesco proprio a capire.

"Non lo so. Non so cosa fare. Mi continua a ripetere che è per il decoro, sembra quasi crederci. Dici che si vergogna di me?".
"E perché dovrebbe? Sarebbe un pazzo. Cerca di capire al più presto, perché più passa il tempo e più le cose si complicheranno", Kate mi sta girando la sciarpa intorno al collo, "Adesso vai alla lezione di Italiano, che altrimenti la vecchia si arrabbia".
Abbraccio la mia amica è la sbaciucchio sulla guancia: "Grazie", le sussurro, poi esco in fretta e furia da casa.

L'autobus arriva puntuale. Nei quindici minuti del viaggio non faccio altro che pensare a quello che mi ha appena detto Kate. Voglio bene a Jo, è un bravo ragazzo, molto ambizioso e determinato, ma anche molto rigido. A volte ha finto di non vedermi, solo perché parlava con altri studenti, oppure mi ha salutato con freddezza, mentre era con il suo gruppo di studio. È come se si trattenesse di fronte agli altri, come se temesse il loro giudizio. Nei momenti in cui siamo soli è di una dolcezza disarmante, parliamo benissimo, abbiamo molte cose in comune. Sembra abbia due facce, due volti, due personalità. 

L'autobus si ferma.
Appena scendo mi accorgo che piove a dirotto ed io sono senza ombrello.
D'istinto metto la cartella sotto il cappotto, per non far bagnare il libro di letteratura inglese, e corro a perdifiato per la strada che mi porta a casa della vecchia McArthur.
L'acqua entra dentro la schiena, nelle scarpe, nelle braccia.
Sono zuppa, intrisa d'acqua da capo a piedi.
Come una furia suono il campanello della villa e solo dopo interminabili secondi il cancello si apre. Senza pensare mi lancio verso il portone ed entro in casa.
Il prezioso tappeto persiano all'ingresso è pieno di acqua e fango. Sembro una mummia marina, un mostro di lago, una medusa inzuppata.
Il maggiordomo mi guarda inorridito.
La cameriera ha la bocca spalancata.
La Vecchia McArthur scuote la testa.
Demetra trattiene le risate.
"Sc-Scusate", dico con un filo di voce e accennando un sorriso.
La cartella mi scivola da sotto il cappotto, rovesciando acqua da tutte le parti e mostrando un libro di letteratura inglese gonfio e deformato.
Ops.

Una domenica da dimenticare.

Fortunatamente l'istinto materno di Demetra ha la meglio sulla sfuriata della vecchia. È riuscita a procurarmi una tuta della mia taglia, un paio di calzini morbidissimi è un grande cardigan di cachemire. 
Con un asciugamano in testa me ne sto davanti al camino del salotto cercando di recuperare il libro di scuola. Le pagine asciugate dal calore del fuoco sono tutte piene di grinze, fortunatamente riesco a leggere anche se è parecchio scomodo prendere appunti. 

"Scusate, non volevo creare tanto trambusto", dico alle due donne mentre divido con attenzione due pagine incollate dall'acqua.
"Ci mancherebbe. Una giornata di lavoro persa e che non ti verrà retribuita, sia ben chiaro", mi dice la vecchia.
"Geltrude non essere così severa. Anche se avesse avuto l'ombrello si sarebbe bagnata comunque, hai visto come piove", Demetra mi schiaccia l'occhio.
"Avevamo preso un bel ritmo con le lezioni, interromperle oggi è un vero peccato. La prossima volta che piove, nevica o grandina, il mio autista ti verrà a prendere. Non accetto un NO come risposta. Demetra deve essere sicura e pronta. Tra un mese avrà una prova a teatro, non abbiamo tempo da perdere", la vecchia mi guarda con il suo solito sguardo severo. 
"Che ne dici cara Geltrude se vai di sopra ad intrattenere il Maestro. Io arrivo subito a provare", Demetra sorride così dolcemente che un iceberg si scioglierebbe.
L'anziana borbottando esce dal salotto.

Demetra mi porge una tazza di tè fumante è un piattino colmo di biscotti al burro. Si appoggia allo schienale della sedia, chiude gli occhi e prende un respiro profondo.
I lunghi capelli castani sembrano scolpiti, morbidi boccoli le cadono sul lato. Sembra pallida, più pallida del solito. 
"Scusa, ne approfitto e prendo una pausa anch'io. Fosse per mia suocera dovrei provare dieci ore al giorno. Ho smesso di cantare perché mi affaticavo troppo, la famiglia richiede molte attenzioni", mi dice.
La osservo ammaliata, mi piacerebbe essere come lei da grande: elegante, dolce e paziente. Doti che però mi mancano del tutto: "Vuole un biscotto?", è l'unica cosa che mi viene da chiederle.
"Grazie", sorridendo ne prende uno e lo stringe tra le mani senza mangiarlo, "Posso chiederti una cosa? Se non vuoi rispondere non c'è problema".
"Chieda pure, non ho problemi a rispondere", dico io.
"Ho saputo che hai perso tua madre qualche anno fa. Mi dispiace molto. È stata dura, immagino".
"Sì. Mia madre era speciale, mi sapeva capire. Litigavamo come matte, ma poi trovavamo sempre il modo di fare pace. Anche quando stava male non mi ha mai mentito, mi ha sempre spiegato tutto. Per questo ho accettato la sua perdita, ovviamente non sono felice, ma so che ogni secondo della sua vita ha pensato a me e mio padre. Mi ha preparata, mi ha aiutata. Lei è in me, quindi è come se ci fosse ancora".
Demetra ha gli occhi lucidi: "Io non ho conosciuto mai mia mamma, sono orfana. Geltrude è la figura più simile ad una madre che io abbia mai avuto. Per questo sono molto legata a lei. Grazie per avermi raccontato della tua perdita, io... io... Spero non ti sia sentita offesa".
"Si figuri. Parlare di mia madre deve essere una festa. Mi diceva sempre così: ricordami con un sorriso, perché altrimenti la gente penserà che ero noiosa", ridacchio.
"Tua madre era anche molto simpatica", anche Demetra sorride, "Se mai avessi voglia di parlare con qualcuno sappi che sono qui. So che non siamo in confidenza, ma credo che a volte un estraneo possa capire meglio le cose, farci vedere le cose con chiarezza".

Tentenno.
Non so perché ma mi risulta più facile parlare con Demetra che con Kate. Adoro la mia amica, ma a volte sento l'obbligo di doverle spiegare tutto, incastrandomi in pensieri contorti, entrando in un circolo vizioso di ragionamenti e supposizioni senza fine.

"Mi sono baciata con un ragazzo", arrossisco, "Però lui mi evita in pubblico, non mi saluta, non mi parla. Non capisco. Ho paura che di vergogni di me".
"A te lui piace?", mi chiede Demetra mentre sgranocchia il biscotto.
"Sì. Credo. Penso di sì".
"Perché hai dubbi? C'è qualcun altro?".
"No. Figuriamoci. C'è solo un altro ragazzo che mi prende sempre in giro, ma a volte è gentile. È come avesse una doppia faccia. Ma lui non c'entra nulla, non ci siamo mai baciati. Non so neanche perché l'ho nominato", ingoio il tè incandescente ustionandomi il palato. La faccia mi diventa rossa.
Demetra sorride: "Credo che se ti piace il ragazzo che hai baciato, sia necessario chiarire. Nessuna donna deve nascondere il proprio amore. Se ha problemi ad andare in giro con te, lascia che resti un suo problema e non diventi il tuo. Se invece ti piace il ragazzo che ti prende in giro...".
"No. No, no. No! Figuriamoci. Lui è così irritante, fastidioso, arrogante, a volte prepotente. Uno così è meglio lasciarlo perdere", mi infilo due biscotti in bocca ed inizio a masticarli con vigore. Come può pensare che mi piaccia James? È un'ipotesi assurda.
"Bene, credo sia ora che vada di sopra a provare. Geltrude sarà in attesa, non voglio farla arrabbiare", Demetra mi abbraccia e con calma esce dal salotto.

Mi ha fatto piacere parlare con lei. Non ha risolto il casino che ho nel cervello, ma di certo mi ha dato sicurezza. Detesto sentirmi inerme, non mi piace essere vittima dei malumori altrui. Devo chiarire con Jo il prima possibile.

Il pianoforte suona. Sento la melodia dell'Aria di Demetra prendere forma. La voce potente e armonica della donna riempie il vuoto della stanza. Mi sono così abituata a sentirla cantare, che spesso a casa metto della musica d'Opera mentre studio. Mi aiuta a concentrarmi.

Sfoglio un paio di pagine del libro appiccicate dall'acqua. Vorrei salire ad aiutare Demetra.
Mi tolgo l'asciugamano dalla testa, i capelli sono leggermente umidi. Vorrei sedermi sulla poltrona verde, al piano superiore, e ascoltare la musica.
Provo a rilassarmi davanti al camino. Guardo con insistenza la porta del salotto.

Non riesco a trattenermi. Esco dalla stanza, non ho voglia di stare da sola. 
Ho voglia della dolcezza di Demetra e della cocciutaggine della Signora McArthur.
Mi piace stare con loro, mi sembra di stare in famiglia.
In un paio di minuti sono al piano di sopra. Con calma entro nella stanza, il Maestro è al pianoforte mentre Demetra canta il suo pezzo. La Signora McArthur ascolta la nuora mentre di gusta il solito gelato alle creme.
Cercando di fare meno rumore possibile mi dirigo verso le poltrone. La mia preferita è una verde, con un morbido cuscino ricamato, mi metterò lì a studiare letteratura Inglese.
Sto per sedermi quando due gambe sbucano di lato dalla poltrona.
Mi affaccio con cautela, non ho idea di chi possa essere.

Mi si gela il sangue.

"Tu?", dico schifata.
"Ciao pivella, come stai?", James se ne sta stravaccato sulla poltrona verde.
"Che ci fai qui?", a bassa voce cerco di fargli capire il mio disgusto.
"Sto qui perché questa è casa di mia nonna. Sto qui perché mia madre sta provando e avevo voglia di ascoltarla. È un problema?".

Demetra la mamma di James?
La Signora McArthur sua nonna?
Adesso svengo.

"Ma... ma... Tu sapevi che io... Perché non mi hai detto...", sono molto confusa.
"Credevo lo sapessi. Mi chiamo McArthur di cognome. Non ci vuole un genio per collegare mia nonna a me", James mi fissa divertito, in bocca ha una penna e tra le mani un libro di scuola.
"Dico solo che potevi dirmi che Demetra fosse tua madre. Se lo avessi saputo io...".
"Tu cosa? Non avresti accettato? E perché mai? Mia nonna ti paga bene, il lavoro è semplice... Il fatto che siano la mia famiglia non ti dovrebbe interessare. A meno che tu non voglia reprimere il fatto che io ti piaccia. In questo modo si spiegherebbero molte cose", James mi sussurra le ultime parole con malizia.

Cavolo, quanto lo odio. Mi fa impazzire. Possibile che sia così arrogante, vanitoso e irriverente? Sto cercando di trattenermi. Vorrei urlare e spaccare tutto.

"Allora spiegami perché sei spuntato solo oggi. Vuoi farmi impazzire?", mi avvicino a James minacciosa, sono così arrabbiata che potrebbe uscirmi il fumo dalle orecchie.
"Stai calma pivella. Era da anni che non sentivo mia madre cantare. Ho aspettato che si sentisse più sicura per assistere alle prove. Tu non c'entri... Non montarti la testa".
Il mio sguardo la dice lunga. Vorrei strozzare James.
"A proposito... Complimenti per l'abbigliamento. Sei molto sexy", James mi squadra da capo piedi.

I calzini pelosi, la tuta e il grande cardigan mi fanno sembrare una palla di stoffa senza forma.

Senza aggiungere altro mi siedo su un divanetto poco distante. Con il mio libro di letteratura Inglese mezzo bagnato sulle gambe, cerco di concentrarmi sul testo, provando a non pensare a James che mi sta fissando divertito.
Non mi stacca gli occhi da dosso.

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Spazio autrice:
Scusate l'assenza, na quest'anno mi becco tutte le influenze possibili ed inimmaginabili. :(

Elena è in crisi. Jo si comporta in modo strano, sembra si vergogni di lei.
Cosa nasconde? 

Demetra è molto dolce, si preoccupa di Elena. Tra le due sta nascendo un bel rapporto.

Colpo di scena: James è il nipote della Signora McArthur e Demetra è sua madre.
Chi lo aveva pensato?

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Capitolo 20
*** IERI: Il Club di Teatro ***


IERI:
Il Club di Teatro


A volte vorrei stare sola. 
Credo che mio padre abbia capito che una valanga di pensieri mi frullano in testa. Mi coglie di sorpresa con domande a bruciapelo, mi sbircia mentre studio e mi controlla quando telefono. Ci manca solo che mi pedini e siamo a posto.

"Sei sicura di aver mangiato abbastanza?", papà mi riempie il bicchiere di succo fino al bordo.
"Papà devo andare. Ricorda che oggi pomeriggio ho Teatro, quindi faccio tardi", ho in bocca un toast mezzo mangiucchiato, sparo briciole da tutte le parti. Mi infilo la cartella a tracolla, prendo l'ombrello ed esco di corsa da casa.
"Sai che con me puoi parlare di quello che vuoi! Elena. Elena. Mi hai sentito?".
"Ok, papà", gli urlo dalle scale. Il bus sta passando sotto casa, se corro posso ancora prenderlo.

Da quando ho saputo che James è il figlio di Demetra, tutto mi sembra ancora più confuso. Il rapporto tra di loro è molto intenso, James ha una cura e dedizione per la madre insospettabile. Si adorano.
La Signora McArthur non risparmia al nipote le sue solite frecciatine, anzi, sembra divertirsi un mondo a provocarlo. Lo stesso fa James con la nonna. 
Ecco da chi a preso, nonna e nipote sono uguali.

Quando l'ho detto a Kate è ammutolita. Credo abbia avuto uno choc.
Desiderava così tanto conoscere Demetra e assistere ad una prova, che credo si sia ricreduta dal venire a sentirla.

"Mercoledì allora vieni anche tu?".
Kate mi guarda con gli occhi sbarrati.: "Non ci penso nemmeno! James potrebbe prendermi di mira. Non ci tengo".
"Dai. Dai. Dai. Non voglio passare il pomeriggio con lui", dico io mentre sistemo le cose nel mio armadietto.
"Mi hai detto che non ti ha infastidita, non credo farebbe scherzi con la madre e la nonna nella stessa stanza", Kate gioca con una ciocca di capelli, fa sempre così quando è nervosa.
"James mi ha fissata per buona parte del pomeriggio... Ti assicuro che è stressante avere uno come lui  nella stessa stanza. Già me lo devo sorbire in chimica".
"Appunto! Non voglio che mi guardi, parli, o mi faccia scherzi. Anche se credo di non interessargli molto... Penso che la sua attenzione sia per un'altra persona", Kate ha lo sguardo furbo.
"Chi?", chiedo.
"In questo periodo non mi sembri molto perspicace. Tu. Chi altro vuoi che gli interessi?", Kate mi passa i libri che sistemo nell'armadietto. 
"Ma no. Lui fa con tutte così, è sempre circondato da ragazze sbavanti. E poi l'hai detto tu, con sua madre e sua nonna nei paraggi non può comportarsi male, quindi mercoledì TU verrai con me".
"Ma Elena...", Kate mi implora con le mani giunte.
"Niente ma. Ho bisogno di te", in un colpo solo, appoggio sulle braccia di Kate tre grossi tomi d'arte che Roger mi ha prestato. Mi servono per il Club di Teatro.
Kate mi guarda male. Non riesce però a tenermi il muso a lungo, saranno i miei occhi imploranti o i baci che le stampo sulla fronte, alla fine cede e mi sorride serena.

"Ciao ragazze", Jo sbuca da dietro il mio armadietto, sta prendendo dei quaderni per la lezione.
"Ciao", Kate lo saluta frettolosamente, "Allora porto questi libri in classe così poi li facciamo vedere a Mrs Scarlett".
Senza attendere risposta mi lascia sola con Jo.

"Che ne dici se dopo il Club di Teatro ci vediamo nel giardino sul retro? Di solito non ci sono molte persone", gli occhi neri di Jo mi sorridono. Possibile che sia lo stesso ragazzo che mi snobba e mi evita in mezzo alle persone?
"Io, ecco. Non so se riesco".
Come un fulmine Jo mi stampa un bacio sulla bocca. Poi ridacchia.
"Scommetto che non è niente di importante. Non vuoi passare del tempo con me?".

Vorrei chiedergli un milione di cose, vorrei avere la forza di mandarlo a quel paese, ma non ci riesco. Non posso credere che mi stia nascondendo qualcosa, non voglio pensarlo. Eppure qualcosa non quadra.

"Ok, ci vediamo dopo Teatro", dico.
"Io resto in biblioteca a studiare, tu non fare tardi, ho voglia di stare un po' con te", Jo mi accarezza la guancia, mi sposta una ciocca di capelli dietro le orecchie. Mi fissa così intensamente che sto per squagliarmi.

La campanella suona.
Il corridoio si anima di studenti che corrono da tutte le parti.
Jo si stacca da me, si guarda intorno, riempie il suo zaino e scappa in classe.
Non un Ciao.
Non un A dopo.
Niente.

Sono imbestialita, quella è la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Mia madre non mi ha cresciuta dicendo che dovevo accontentarmi o sottomettermi a qualcuno. Mi ha insegnato a esprimere me stessa. Sempre.

Le ore in classe passano veloce, non mi rendo conto neanche di prendere appunti in matematica e fisica. La mano si muove da sola, non so neanche quello che sto scrivendo. Le chiacchiere dei docenti sono talmente noiose che non riescono a distrarmi dai miei pensieri.

Jo.
Jo perchè fai così? 

Passo la pausa pranzo con Kate. Non ho voglia di parlare, mangio un piatto di verdure e pollo senza alzare lo sguardo dal vassoio. La mia amica sta zitta, ha capito il mio malumore. Non vuole peggiorare la situazione.
Jo ha la brillante idea di sedersi, con altri ragazzi, al nostro tavolo. Mi ignora, mi rivolge parola un paio di volte, ma la maggior parte del tempo la passa a scherzare con tutti, come se fossimo semplici amici.
Kate mi tiene sotto osservazione, credo abbia paura che io possa esplodere da un momento all'altro: la mia espressione corrucciata, i miei respiri profondi, non sono certo un segnale rassicurate.
Fortunatamente squilla la campanella che indica l'inizio delle lezioni pomeridiane. Di scatto abbandono il tavolo, senza salutare nessuno. Non ho la minima intenzione di sopportare e supportare le stranezze di Jo.

"Elena", Kate mi prende per un braccio, "Stai bene?".
"No", dico con il massimo della sincerità che possiedo, "Non voglio stare male. Non mi piace. Non me lo merito", gli occhi mi si riempiono di lacrime.
"Hai ragione. Adesso andiamo alla lezione di Storia, vedrai che passerà".
Anche se non sono per niente sicura, seguo la mia amica sperando che i miei brutti pensieri svaniscano il prima possibile.

Jo. Jo. Jo. Jo. Jo.
Accidenti.

La lezione è un supplizio, non capisco nulla di quello che spiega la professoressa.
Date, condottieri, sovrani, guerre.
È come se la lezione mi venisse spiegata in arabo.
Zero totale.

Penso solo a Jo.
Il primo bacio a casa di Rebecca.
Gli altri baci.
Nessuno ci deve vedere a scuola.
Perché?

Come un automa vado verso il Teatro della scuola, il mio gruppo, quello della scenografia, sta già armeggiando con grosse tavole di legno. Spero che lavorare mi metta di buon umore.
Kate è con il coro. Sta provando vicino ad un pianoforte.
Vado nei camerini per appoggiare i libri d'arte e la cartella, quando Adrian mi sbuca di fronte all'improvviso. Ha i capelli ricci tutti scombinati, la camicia fuori dai pantaloni.
"C-ciao Elena", Adrian pare sorpreso.
"Tutto bene?", non ha certo l'aria di chi aspetta di vedere qualcuno.
"Sì. Sì. Assolutamente sì. Stavo... Ehm... Stavo venendo in Teatro. Dovevo prendere delle cose per il tuo gruppo", si guarda intorno poi afferra dei tubi di cartone lì vicino, "Ecco puoi portarli tu".
"Grazie Adrian", osservo i tubi di cartone senza sapere a cosa possano servire, "Se hai bisogno di qualcosa, chiedi pure. Posso...".
"No, tranquilla. Tutto sotto controllo", mi risponde con la sua solita aria allegra. Poi si allontana camminando all'indietro mentre si gratta la testa con le mani. Colpisce di striscio uno scatolone e finisce a piedi all'aria. 
Un volo epico.

Rido così tanto che mi manca il fiato.

"Potresti aiutarmi, invece di stare lì a ridere", Adrian è sommerso da parrucche variopinte. Senza smettere di sghignazzare lo aiuto a sollevarsi.
"Oggi sei un po' strano", gli dico con le lacrime agli occhi, "Più del solito, almeno".
"Già. Purtroppo me ne capita sempre una", Adrian tira fuori la sua scatoletta di latta e mangia una caramella alla liquirizia.
"Ma le porti sempre dietro con te?", chiedo indicando il contenitore che ha in mano.
"Sì, è un regalo di mio nonno. Ci sono molto affezionato. Lui ci metteva il tabacco, ma dato che io non fumo, preferisco metterci queste delizie. Vuoi?", Adrian mi offre una caramella.
Ne prendo una volentieri, sono ottime.
Con calma ricomponiamo lo scatolone pieno di parrucche, poi andiamo sul palco insieme agli altri studenti. 

Mrs Scarlett sta consultando una cartellina, sta dirigendo gli attori:"Allora ragazzi, la sceneggiatura è stata scritta. Ho già assegnato i ruoli, mi serve solo il foglio con i nominativi", come una furia sfoglia quelli che ha in mano.
"Adrian! Billie!", la voce della donna risuona in tutto il teatro.
"Merda", Adrian si lancia sulla prima fila di poltroncine alla ricerca del suo zaino. Estrae un foglio mezzo stropicciato. Un po' impacciato lo consegna a Mrs Scarlett.
"Ti avevo detto di conservarlo con cura", la donna sventola il foglio in faccia al ragazzo.
"M-mi scusi, ero un attimo impegnato", cerca di giustificarsi.
"Impegnato? Ti ho dato il ruolo di primo aiuto regista perché esigo e pretendo che tu sia sempre vicino a me ad aiutarmi. Non puoi permetterti di bighellonare in giro con chi ti pare e piace. Chiaro? Altrimenti chiederò a Billie di prendere il tuo posto", gli occhi color ghiaccio della donna paiono lanciare saette.
"Sì Signora", Adrian si piazza a fianco all'insegnante senza dire più una parola.
"Adesso riprendiamo... ", consultando il foglio inizia ad assegnare le parti ai diversi studenti.

Il resto del gruppo riprende a lavorare, come se nulla fosse. 
Inizio a spostare dei grossi pannelli. Dobbiamo dipingere molti fondali. Il capo gruppo ha avuto un'ottima idea, il tutto sta a riuscire a realizzarla. Lo spettacolo sarà una versione moderna di Romeo e Giulietta, quindi niente ambientazione classica, ma vestiti e musiche moderne.

"Come va?", Rebecca spunta all'improvviso con un paio di sue tirapiedi.
"Ciao", girandole le spalle continuo a fare il mio lavoro.
"Ho saputo che dovrete fare i ritratti ai due protagonisti. Volevo darti questa", Rebecca mi allunga un paio di sue foto, "Gradirei che tu prendessi il mio lato destro, è il migliore".
"Ma non sei Giulietta? Sei solo la sostituta. Abbiamo il compito di ritrarre Elisabeth".
Rebecca sorride, le sue tirapiedi sghignazzano.
"Miss Scarlett ha fatto un errore. Lei non lo sa ancora, ma Elisabeth non è adatta".
"Il suo provino è stato ottimo. Non capisco", con calma appoggio un pannello per terra e osservo i ritratti fotografici di Rebecca.
"Elisabeth è grassa, brutta e bassa. Credo che tra qualche settimana rinuncerà alla parte", Rebecca ha le mani sui fianchi, il suo sguardo è diabolico, "Volevo evitarvi un doppio lavoro".
"Cosa?", chiedo allibita.

Adrian arriva in fretta e furia, manca poco che inciampi in un vaso di vernice appoggiato per terra. Ha in mano un copione.
"Rebecca tieni. Queste sono le battute di Giulietta, Miss Scarlett ha detto che devi impararle a memoria, nel caso Elisabeth non possa recitare la sua parte".
"Come vuoi", Rebecca spettina i capelli ricci di Adrian, "Cerca di ricomporti caro, hai un aspetto pessimo", poi gli tira la camicia che penzola fuori dai pantaloni.
"Scusa", Adrian tutto rosso si sistema.
"Mi raccomando Elena. Voglio il mio profilo destro... Tutto chiaro?", mi dice Rebecca.

Chiaro? Mi è fin tutto troppo chiaro.
Quei due se la intendono e Rebecca sfrutta Adrian per i suoi giochetti. Che strega.
Disgustata esco dal Teatro, distrutta anche per il lavoro fatto. Non ho voglia di vedere nessuno, tantomeno Jo. Dalla finestra del secondo piano lo vedo seduto sulla panchina del giardino sul retro della scuola. 
Mi sta aspettando.
Senza la minima esitazione esco da scuola, prendo il bus che mi porterà a casa e con le cuffiette nelle orecchie inizio a piangere.

Mi sento così sola che vorrei avere mia madre qui, ad abbracciarmi.
Invece sono sola.
Sono sola e triste.

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Spazio autrice:

Elena è un crisi con Jo, è decisa a non sentirsi più umiliata.

Adrian ha avuto un comportamento un po' strano. Cosa nasconde?

Rebecca è la solita, riuscirà ad essere Giulietta?

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Capitolo 21
*** IERI: Come la neve in un giorno d'estate ***


IERI:
Come la neve in un giorno d'estate


"Puoi dire quello che vuoi pivella, ma ieri da mia nonna ti sei comportata malissimo", James si è seduto di fianco a me per la lezione di Dibattito.

Jo è in ritardo, sono un paio di giorni che lo evito. Non abbiamo ancora chiarito.
Non che ci sia nulla da aggiungere, il suo comportamento è sbagliato, punto e basta.
Adesso mi tocca sorbirmi James pure qui, si è seduto vicino a me. A casa della Signora McArthur non ha smesso di stuzzicarmi, non gli è importato nulla che ci fosse Kate. Quello lì si diverte a prendere in giro tutti, me in particolare.

"Dico solo che sono arrivata prima e quindi mi sono seduta sulla poltrona verde. Mi piace stare lì a studiare. Non credo sia un crimine", gioco nervosamente con la matita, non lo sopporto. Giuro che se non fossi in classe lo strozzerei.
"Ma è casa mia...", aggiunge subito James.
"Tecnicamente è ancora casa di tua nonna. Tutto ciò che possiede è suo. Visto che non mi ha mai impedito di sedermi su quella comodissima, fantasmagorica poltrona, non capisco perché ti impicci tu".
"Stai scherzando? Io ho diritti su tutti. Da quando sono bambino mi metto lì a leggere. Sia ben chiaro, non ho intenzione di fartela passare liscia", James è infastidito, lo si capisce da come sta perdendo il controllo.
Di tutta risposta gli alzo le spalle con noncuranza, come se le sue parole non mi interessassero affatto.
"Kate è stata più saggia. Non ha detto nulla, è stata buona e cortese. Mia nonna la adora. Non hai notato che la tratta meglio di te? Dovresti chiederti come mai", James alza la voce, metà classe si gira a guardarci. Un secondo dopo riprende il controllo, si sistema la cravatta della divisa, e continua a parlare: "Sei così impertinente, non tieni mai la bocca chiusa. Ti interessi degli affari altrui e non riesci dal trattenerti da dire la tua".
"Tu sei un arrogante, un esaltato, un montato esibizionista. Te ne vai in giro con una ragazza diversa al giorno per dimostrare che puoi avere chi vuoi e quando vuoi. Ti informo, caro mio, che non tutte pendono dalle tue labbra", con le braccia conserte lo guardo, non ho intenzione di abbassare lo sguardo.
Lo stesso fa James mi fissa con tale intensità che non si accorge che Jo è alle nostre spalle.

"Tutto bene Elena?", la voce di Jo è contenuta, come se cercasse di trattenere la rabbia.
"Sì, tutto bene", non è il momento di chiarire con Jo. Davanti a tutti sarebbe proprio una vigliaccata, "Dopo la lezione con Nik ci becchiamo fuori?".
"Certo", riluttante Jo si allontana e si siede qualche banco lontano da me.

Detesto i ragazzi.
Giuro.
Non si capisce cosa gli frulli per la testa.
Possibile che Jo tenga a me? Da come si è comportato sembra quasi geloso di James.
Eppure da come mi tratta a scuola non si direbbe.

"Allora? Problemi paradiso?", James ha la solita faccia da schiaffi. È ovvio che si riferisca a Jo.
"Che diavolo vuoi? Lasciami in pace. Vuoi sederti su quella pulciosa e inutile poltrona verde di tua nonna? Sei accontentato. Ti prometto che non la toccherò più".
James mi guarda sorpreso, non si aspettava certo un'uscita del genere da parte mia: "Quindi pivella vuoi dirmi che è solo mia?".
"Ti ho accontentato. Hai vinto. Tanto quelli come te vincono sempre", senza aggiungere altro appoggio il braccio al banco, in quel modo posso tenere la testa girata dalla parte opposta a James. 
Jo è sulla mia traiettoria visiva. Sta giocando con i capelli, fa sempre così quando è nervoso.

"Buongiorno a tutti. Oggi è il gran giorno. Avete portato il tema che parla su chi siete e cosa volete? Oggi ne leggeremo alcuni a caso e ne discuteremo", Nik è entrato in classe portando una valanga di allegria e leggerezza.
È come se un vento fresco avesse spazzato via l'aria viziata.
Adrian raccoglie gli scritti di tutti, poi li consegna al professor Martin.
Non ho voglia di leggere e discutere il mio testo, è piuttosto noioso, nulla di interessante. Tantomeno ho voglia di ascoltare quello degli altri. In questa classe sono tutti talmente presi da loro stessi, che non farebbero altro che sbrodolarsi addosso.
"Chi se la sente? Non dovete per forza leggere, potete improvvisare. Usate il testo come guida. Quando finirete di esporre inizierà la discussione", spiega Nik mentre sistema il plico di scritti.

Rebecca alza la mano.
Nik la invita sulla piccola pedana vicino alla cattedra.
Sto per vomitare, posso solo immaginare cosa dirà quella serpe.

"Buongiorno a tutti. Come ben sapete sono Rebecca Eloise Palmer. La determinazione è la caratteristica che mi identifica maggiormente, come anche il carisma. Sono responsabile delle attività extra scolastiche qui al Trinity. Tutte le studentesse vorrebbero essere come me, comprese quelle dell'ultimo anno. Purtroppo nessuna è al mio livello . Voglio essere la migliore, essere perfetta. Voglio tendere al massimo le mie doti. Ho grandi obiettivi e sono determinata a raggiungerli. Il mio motto è: più sai è più potere avrai. Io so tante cose. Molte. Per questo io sono io", Rebecca, con i suoi capelli lisci come seta, i gioielli e il trucco curato al massimo, sembra appena uscita da uno spot pubblicitario del Trinity.
"Leggo dal tuo scritto che vuoi frequentare Yale e diventare un avvocato. La strada è dura. Sei sicura di avere le carte in regola?", chiede Nik.
"Sì Signore. Sono il perfetto esempio di ciò di cui Yale ha bisogno".
Nik sorride: "Va bene Rebecca, grazie. Resta pure lì. Adesso vorrei che i tuoi compagni cerchino di smontare la sua presentazione e cerchino di far vacillare le due certezze. Non sono ammissibili, insulti od offese. Dialettica, solo quella".

La classe borbotta, nessuno sa cosa dire di preciso. 
Potrei replicare che Rebecca è insicura, falsa, ipocrita e manipolatrice, ma non farei altro che fare il suo gioco. Il fatto che tenga così tanto all'aspetto fisico, che abbia problemi con il cibo, che abbia una madre iena, non la giustificano. Rebecca potenzialmente potrebbe essere una grande amica, ma di fatto è una stronza colossale.
Non parlo. Non voglio complicare la mia situazione.
Tutti devono pensarla come me, perché nessuno dice nulla.

Poi James alza la mano.
"Bene James dicci pure", lo invita Nik.
Rebecca si irridisce, non credo pensasse che uno dei suoi amici potesse controbattere.
"Ciò che dici vale nel momento esatto in cui tu parli con te stessa. Non consideri le opzioni, gli imprevisti", dice James.
"Cosa intendi?", chiede Rebecca.
"Se ti capitasse di inciampare, crollare, sbagliare, cosa faresti? Se i tuoi bei piani venissero interrotti inaspettatamente?", il modo di parlare di James è strano è come se cercasse di dire altro.
"Non può accadere niente fuori dal mio controllo senza che io lo voglia. Quello che sto facendo lo programmo da così tanto tempo che niente e nessuno potrà mai cambiarlo", Rebecca inizia ad innervosirsi, detesta essere colta alla sprovvista.
"Quindi credi che niente possa farti cambiare progetti?", chiede Nik alla studentessa.
"Assolutamente no. Cosa potrebbe succedere, di così grave, da farmi cambiare progetto?".
"Non te lo auguro, ma un lutto in famiglia cambierebbe molte cose", dice un ragazzo dai capelli biondissimi.
"Figuriamoci. I miei genitori desiderano il massimo per me, se rinunciassi ai miei progetti non me lo perdonerebbero, anche se fossero sotto terra", il cinismo di Rebecca rasenta i limiti.
"Vuoi dirmi che se tua madre morisse non ti sentiresti vuota, distrutta e metteresti in discussione tutto, tutti i tuoi progetti?", sbotto senza il minimo ritegno. 
"Io so chi sono, una cosa del genere non mi toccherebbe. Se mi chiedi questo è perché forse tu non sai chi sei. Chi sei, cara e dolce Elena?", Rebecca gioca sporco, conosce la mia storia, sa come far leva sui miei punti deboli. Mi sta provocando.
"Da qualche anno non faccio più progetti. Non ho aspettative perché puntualmente vengono deluse", è chiaro, almeno per me, che quando dico aspettative mi rivolgo a Jo e alla delusione che ho avuto con lui.
"Le tue aspettative vengono deluse perché credi che siano fatte in un unico modo e basta. Il mondo è fatto da infinite sfumature di grigi", replica James, "Non c'è differenza tra il tuo modo di ragionare e quello di Rebecca, entrambe create compartimenti stagni dove chiudete le idee, pensieri e progetti. Anche se lo neghi, detesti che le cose non vadano come tu dica".

Guardo James esterrefatta.
Mi ha paragonata a Rebecca. Quella vipera di Rebecca.
Dice che ragiono come lei? Che sono rigida?
Ma come cavolo si permette.
Sto cercando di trattenermi, perché se potessi lo prenderei a calci nel sedere.

"Dimmi il nome di una persona a cui piace che le cose non vadano come vorrebbe? A nessuno. Tutti siamo alla ricerca di conferme e vorremmo che le cose fossero chiare. Niente bugie. Niente sotterfugi. Eppure c'è sempre qualcosa sotto, perché siamo terrorizzati e spaventati di essere noi stessi", fisso Jo. I suoi occhi neri non smettono di scrutarmi.
"Questo dicevo prima a Rebecca", James riprende la parola, "Non si può essere sinceri, con se stessi e gli altri, perché siamo fatti da tanti strati e tanti colori. Non si può essere sicuri di nulla perché le nostre paure ci possono annientare in qualsiasi momento. Non ci conosciamo abbastanza per sapere cosa vorremmo essere e cosa vorremmo fare. L'unica cosa che si può fare è accogliere gli imprevisti e viverli".
"Cosa intendi con imprevisti?", chiede il professor Martin a James.
"Imprevisti... come la neve in un giorno d'estate", dice James.

Tutta la classe lo fissa. La frase che ha appena detto non ha il minimo senso.

"Spiegati meglio", Nik esorta James a continuare.
"Come la neve in un giorno d'estate. Se nevicasse d'estate sarebbe una bella cosa perché allevierebbe il calore, sarebbe un piacere. Allo stesso tempo però spaventerebbe. Il fatto che nevichi, quando fa caldo, è una cosa fuori norma. Un imprevisto è così, non credevi che una cosa sarebbe successa, ma quando accade devi cercare di cogliere le opportunità che essa ti offre. In questo modo non rischi di deludere le tue aspettative, perché non ti aspetti nulla, essendo tutto capitato per caso. Cogli l'attimo. Segui quello che provi al momento, non quello che credi di dover provare per qualcuno o per le aspettative che ti sei creato in testa", James dice l'ultima frase nella mia direzione. Mi fissa.

La campanella suona.
"Bene ragazzi. Un'ottima discussione. Adesso fate una breve pausa poi riprendiamo", dice Nik.

La mia bocca è spalancata, non sono sicura di aver capito a cosa si riferisse James, so solo che il mio cervello sta andando a tutta velocità.
"Elena. Elena", Jo mi sta chiamando, ma è come se non lo sentissi. La mia attenzione è rivolta tutta ad un'altra persona. 
"James, ma...", non so che dirgli. Sono così spiazzata che non sono certa di aver capito. Vorrei avere un registratore per riascoltare le parole che ha appena detto, una ad una, per poter chiarire i miei pensieri.
"Chiudi quella bocca pivella, le tue aspettative ti stanno chiamando", dice sarcastico James indicando Jo, poi prende una sigaretta dal pacchetto, la infila dietro l'orecchio ed esce dall'aula.

Il cuore è diviso.
Jo.
James.
James.

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Capitolo 22
*** IERI: Incontri scontri ***


IERI:
Inccontri scontri


Possibile che non capisca cosa stia succedendo intorno a me? 
Da una parte Jo mi evita come avessi la peste, dall'altra James mi ignora.
Cosa è successo?
Nulla. Almeno credo.
Le parole di James mi hanno scombussolata. Possibile che si riferisse a me?
Non devo essere l'unica a pensarla così perché tutto il Club di Dibattito si è animato, si sta cercando il soggetto delle sue parole. C'è chi dice sia Rebecca, sua amica storica, chi punta su qualche ragazza dell'ultimo anno. Ipotesi.
Jonathan era furioso, dopo la lezione di Nik ha provato a parlarmi, ma io ero assorta in troppi pensieri per ascoltarlo. Ha visto la mia distrazione nei suoi confronti come un affronto personale. Un secondo dopo era scappato via. Non ha voluto parlarmi. Non ci sentiamo da giorni, non ha risposto alle mie chiamate e non sono nemmeno riuscita a beccarlo al suo armadietto. 
Un disastro colossale.

"Elena. Elena. Allarme rosso, viola e giallo. Sono nel panico", Kate parla così veloce che non riesco a capire che ha detto. 
"Cosa?", le chiedo mentre mangiucchio una macedonia in mensa.
"A I U T O", per la prima volta dopo giorni mi stacco dai miei pensieri. Ero così presa da me stessa da non accorgermi di cosa stesse capitando intorno a me.
Kate ha in mano una macchina fotografica e dei rullini, li guarda come fossero alieni: "Miss Scarlett vuole un reportage sul Backstage dello spettacolo. Solo che non permette a quelli del Club di Fotografia di scattare foto. Ha paura possano fare la spia e quindi ha pensato di affidare a me il compito. Hai capito, a me?".
"Spia? Che cosa significa?", chiedo mentre carico un rullino sulla macchina.
"I nostri rivali, quelli del Saint Jude Institute. C'è sempre stata competizione tra le due scuole. In particolare con i Club di Dibattito e Teatro. C'è una certa animosità. Miss Scarlett ha paura che ci possano copiare", mi spiega Kate.
"Per questo Miss Scarlett chiude sempre il Teatro? Ha paura di infiltrati?".
Kate fa cenno di sì con la testa mentre osserva le mie mani muoversi agilmente con l'apparecchio fotografico.
"Al Liceo, in Italia, avevamo anche una camera oscura. Era divertente stampare foto... Anche se preferisco dipingere", consegno a Kate la macchina pronta a scattare, ma lei la rifiuta.
"Pensaci tu. Io non so da che parte iniziare".
"Smettila", le dico prendendo la sua mano, "Hai buon occhio, lo so. Ti conosco da tanto tempo. Miss Scarlett ti ha dato questo compito, non devi far altro che scattare".

Kate sembra ancora più pallida del solito i suoi occhi chiari si muovono febbrilmente da tutte le parti. Da un lato non vuole deludere l'insegnante, ma dall'altro non vuole infastidire le persone scattando loro fotografie.

"Adesso vado da Miss Scarlett e le dico che non ho la minima intenzione di fare la fotografa dello spettacolo... Io non voglio!", Kate si è tirata in piedi e parla ad alta voce. Un po' troppo ad alta voce. Tutta la mensa si gira a guardarla e per una come lei, così riservata e timida, quello è la realizzazione di uno dei suoi incubi peggiori.
Il suo volto inizia ad avere strane sfumature, prima virano sul rosa acceso, poi sul rosso, fino a raggiungere il viola.
Kate sta per scoppiare. Non l'ho mai vista così in ansia.
"Stai tranquilla vedrai che sarai bravissima", cerco di rassicurarla.
"No. Sarò pessima. Non sono capace", Kate è talmente demoralizzata che ho paura scoppi a piangere.
"Di cosa non saresti capace?", Miss Scarlett è dietro Kate, probabilmente ha assistito a tutta la scenata. Conoscendo il carattere fumantino della donna mi aspetto strilla e urla da manuale. Ha un vassoio in mano, senza esitazione lo appoggia al nostro tavolo e si siede accanto a me e Kate. Entrambe siamo più che sorprese. Di norma un insegnante non si siede con gli alunni. Mai.
"Allora Kate, hai problemi con la macchina fotografica?", chiede Miss Scarlett mentre inizia a mangiare la zuppa.
Kate emette scricchiolii con la bocca, non sa cosa dire. Il suo volto è passato dal rosso/viola al bianco/verde. Manca poco che vomiti.
"È preoccupata di non saper svolgere un buon lavoro. Ha paura di deluderla", dico io cercando di tranquillizzare la mia amica.
Kate annuisce.
"Lo sai perché faccio fare a te le foto? Per due motivi: il primo è che, durante il colloquio per il Club di Teatro, mi ha descritto con estrema precisione la tua idea di scenografia per lo spettacolo che metteremo in scena quest'anno. Mi ha colpito molto il tuo modo di visualizzare e raccontare. Sai osservare e cogliere i particolari, questa non è una dote comune. Il secondo motivo è che sei una persona riservata e onesta. Lo capisco da come lavori con gli altri studenti. Credo tu sia perfetta come fotografa. Del resto, devi solo sbirciare il mondo da dietro l'apparecchio e cogliere i particolari che ti circondano. Tutto qui", credo che Miss Scarlett non potesse usare parole più belle. Ha colto nel segno quello che penso di Kate. 
"Gra-grazie", Kate pare più serena. Con curiosità osserva la macchina fotografica cercando di capire come funziona.

Sorrido a Miss Scarlett, è stata così brava che mi viene da chiedermi se stesse recitando o meno. Del resto lavora in teatro da così tanto tempo che credo abbia imparato a mentire alla perfezione.
La donna però pare distratta, si sta sbracciando. Chiama qualcuno.
Curiosa mi giro, in cerca del soggetto delle sue attenzioni.
Nik sta venendo verso noi con un vassoio in mano.
Miss Scarlett sta chiamando Nik.

"Ciao Nicholas. Siediti qui", Miss Scarlett invita l'uomo a sedersi al suo fianco. Appena seduto gli appoggia una mano sulla spalla e gli sussurra una battuta nell'orecchio.
Entrambi ridono.
Io non ho il coraggio di guardarli per un secondo di più.
"Tutto bene Elena?", Nik mi sta fissando con i suoi dolcissimi occhi azzurri.
"Sì professore", sono talmente imbarazzata che mi sono irrigidita. 
Inizio a riempirmi la bocca di macedonia, probabilmente sembrerò pazza, ma non voglio stare a quel tavolo un secondo di più, mi sento il terzo incomodo. Vedere Miss Scarlett avere tanta confidenza con Nik, mi fa male.
Kate pare su un altro pianeta, le parole incoraggianti della professoressa l'hanno spinta a imbracciare la macchina fotografica e iniziare a scattare.

Clic.

Il soggetto della sua prima foto sono io con la bocca piena di frutta e lo sguardo corrucciato. Niente di peggio.

Ingoio il boccone enorme con estrema fatica. Miss Scarlet parlotta con calma al professor Martin che continua a sbirciare nella mia direzione.
"Kate ed io dobbiamo andare", dico a voce un po' troppo alta.
"Perché?", Kate non capisce la mia reazione, poi si guarda intorno e vede che Nik è seduto al nostro tavolo, "Oh... Oh... Ecco... Sì. Certo, noi dobbiamo andare. Grazie Miss, mi eserciterò a fare foto".
Fregandomene di come possa apparire agli occhi dei due insegnanti, mi alzo di scatto e prendo Kate per un braccio. La tiro con così tanta forza che facciamo un balzo all'indietro, trascinandoci a vicenda, rischiando di cadere con il sedere per terra.

Ma qualcosa mi blocca.
Qualcuno.

James mi sta tenendo in piedi mentre io sorreggo Kate.
Pare stupito di incontrarmi in quel modo.
"Scusa", gli dico mentre cerco di ricompormi.
Con la sigaretta in bocca mi fissa senza espressione. 
Non riesco a capire cosa stia pensando. È felice di vedermi? Dall'ultima lezione di Dibattito non abbiamo avuto più modo di parlare.
"Non fa nulla. La prossima volta cerca di stare più attenta pivella", James si sistema la giacca poi allarga un braccio. Una ragazza dell'ultimo anno gli si fionda addosso sbaciucchiandolo. Lui le cinge la vita e la tira verso di sé.
"Ok", sussurro con la voce rotta. James è troppo impegnato a ridere con quella ragazza per poter sentire la mia risposta.

Le mani mi formicolano.
Il cuore mi esplode nel petto.
Che succede?
Mi sembra di essere in bilico su una corda, sopra a un dirupo profondissimo.

Kate mi prende la mano e delicatamente mi porta fuori dalla mensa.
Il calore della sua stretta è l'unica cosa reale, l'unica cosa concreta.
Sono così confusa che non so cosa fare e cosa provare. Mi sento trascinata e trovolta dalle emozioni che provo, non riesco a ragionare lucidamente. Dei flashback mi ossessionano, ritornano a presentarsi sempre più velocemente.
Prima l'immagine di Nik con Miss Scarlett.
Dopo quella di James con la ragazza dell'ultimo anno.
Che cosa potrebbe accadere di peggio?

Jo.

Jo è di fronte a me. Ma è uno scherzo?
Non ho la forza per affrontarlo.
Non adesso.

"Elena voglio parlarti", i capelli neri gli coprono parte del volto, gioca nervosamente con il polsino della giacca.
"Posso andare?", mi chiede Kate a bassa voce.
Se ne va appena annuisco. Resto sola con Jo.

La pioggia cade fitta, siamo riparati dal porticato ad archi della scuola. L'odore di terra bagnata mi riempie le narici. Quasi tutti gli studenti sono dentro l'edificio a ripararsi dal freddo. Tremo, con indosso solo la divisa.

"Mi piaci. Mi piaci tanto. Ho rotto con Maria per stare con te", dice Jo.
"Anche tu mi piacevi, ma le cose tra di noi funzionano meglio se restiamo amici", con calma mi avvicino a lui.
"Ti piace quel buffone di James, vero? L'ho capito definitivamente durante l'ultima lezione di Dibattito. Dovevo capirlo prima, quando alla festa di Rebecca ti stava per baciare. Credevo fossi migliore", La voce di Jonathan è dura. Mi ferisce.
"Lascia perdere James, lui non c'entra nulla. Dici che credevi fossi migliore? Come osi dire una cosa del genere, quando tu mi hai sempre allontanata, ignorata e nascosta. Nessuno a scuola doveva vederci insieme. Perché?".
Jo si irrigidisce: "Ancora con questa storia? Il decoro a scuola è importante, non volevo che pensassero che...".
"Chi? Chi non volevi che pensasse cosa? Non capisco: mi cerchi e mi allontani. Mi vuoi ma fuggi. Cosa diavolo devo pensare? Come posso fidarmi di te se non ti apri. È come se nascondessi qualcosa, come se non volessi che io faccia parte del tuo mondo".
Jo ha gli occhi lucidi, si morde nervosamente il labbro: "Non voglio perderti. Sei l'unica persona di cui mi importi qui dentro. Al Trinity sono tutti così falsi e ipocriti che non credo potrei sopportare di non averti al mio fianco".

Ogni volta che sto vicino a Jonathan mi sembra di stare a casa, al sicuro. Il suo profumo mi rilassa, mi da pace. Le sue dita, intrecciate con le mie, sembrano fatte apposta per le mie mani. Si incastrano alla perfezione. Vorrei poter stare così per sempre e dimenticare le umiliazioni e le sue bugie subite, ma non riesco.
Non riesco a togliermi dalla testa tutte le volte che mi ha ignorata oppure si è nascosto, pur di non farsi vedere con me in pubblico. Mi ha fatta sentire inferiore, inutile e di poca importanza. 
Nonostante i miei sensi siano sereni in sua presenza, il mio intuito mi lancia un messaggio chiarissimo che non posso ignorare: Elena vai via.
Con la tristezza nel cuore, libero la mie mani dalle sue e faccio un passo indietro.

"Elena... no...", Jo ha la voce spezzata dall'emozione.
"Jo, mi dispiace. Non siamo fatti per stare insieme".
"Merda", Jo da un calcio ad un cestino della spazzatura. Un rumore sordo e metallico echeggia per il porticato, "Mi fai impazzire! Quando quella sera mi hai cercato a casa sono riuscito ad allontanarti. Mi sforzavo di stare lontano da te, perché... Perché... Non posso, lo capisci? Te l'ho detto quella sera. Non posso rischiare di essere espulso. Io non posso avere storie a scuola".
"Ma perché non puoi? Tenerci per mano, abbracciarci o darci un semplice bacio potrebbe farti espellere? Ma cosa dici? Non ha senso", gli rispondo con lo stesso tono.
"Elena. Ti prego, fidati di me. L'ho fatto per il tuo bene, l'ho fatto per salvare il rapporto speciale tra di noi. Se si fosse saputo io... Tu... Non volevo farti soffrire". 
"Non mi stai dicendo la verità. Non mi stai spiegando. Basta. Non ne posso più, è finita Jo. Finita per sempre", urlo.

Senza attendere risposta corro fuori dal porticato, in mezzo al parco della scuola. La pioggia mi bagna i capelli e le gambe, mentre corro verso la fermata del bus. 
Non voglio stare a scuola.
Non voglio vedere nessuno.
Non voglio più parlare.
Non voglio che nessuno veda le lacrime che mi stanno cadendo dagli occhi. Sono confusa. Non capisco ciò che provo, soprattutto per chi sento la tristezza che mi pesa dentro come un macigno.
Nik?
James?
Jo?

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Capitolo 23
*** IERI: Sai mantenere un segreto? ***


IERI:
Sai mantenere un segreto?

 
Di solito, la domenica mattina, la passo ad aiutare mio padre con le faccende in casa.
La tabella è sempre la stessa: camere, salotto, cucina e bagno. Solo se ho molti compiti posso evitare di lavorare, ma visto che ho già fatto il programma per informatica, ripassato matematica e iniziato a lavorare sul progetto di chimica, oggi mi tocca pulire.
Ho passato il venerdì sera e tutto il sabato a studiare con Kate. Lei è bravissima e non perde tempo, ha la capacità innata di organizzarsi alla perfezione. Avrà preso da Hanna che in quanto a meticolosità non la batte nessuno.
Mi fa bene tenermi impegnata, così non devo pensare a Jo e alla discussione che abbiamo avuto. Perdere un amico come lui è la cosa che mi fa più male. Tra di noi è durata poco, probabilmente non eravamo destinati a stare insieme.

"Elena, mi aiuti a mettere le lenzuola ad angolo", mio padre mi chiama dalla sua camera.
"Arrivo", appoggio il detersivo con cui sto pulendo le piastrelle del bagno e lo raggiungo.
Infilo l'angolo del lenzuolo mentre papà sta alzando il materasso. In due minuti finiamo di sistemare il letto.
"Che ne dici se domenica prossima andiamo da Hanna e Roger a pranzo? Sarà il tuo compleanno. Vorrei fare una festa come si deve. È da tre anni che non lo festeggiamo", papà osserva il lenzuolo teso, è soddisfatto del lavoro.
"Sì. Credo possa andare. Devo sentire la Signora McArthur se posso stare a casa. Demetra ha bisogno di me", gli spiego mentre infilo un cuscino in una federa.
"Da quando in qua chiedi il permesso ad estranei? Sono tuo padre, credo che la risposta più adatta sia: Sì, papà. Come vuoi, papà", anche se la sua è una battuta percepisco una certa irritazione.
"Sì, papà. Certo, papà", ripeto a pappagallo, "Ma non posso saltare una lezione in questo momento".
"Elena, da quando siamo qui a New Heaven sei cambiata. Sei distratta, come ti stessi allontanando da me. La cosa non mi piace. Capito? Voglio festeggiare il tuo compleanno in famiglia, quindi domenica prossima andremo a pranzo da Hanna e Roger", quando papà fa così non lo si può contraddire.

Cosa gli direi poi? Come potrei spiegargli il mio cambiamento?
Ho baciato un ragazzo che mi piace, ma ci siamo lasciati perché lui mi ignora di fronte agli altri? 
Oppure, sai papà ho un debole per un mio professore, forse anche lui l'ha per me? 
O meglio, c'è un ragazzo che mi prende in giro ogni volta che ci vediamo, però ogni tanto è di una dolcezza disarmante?

"Ok. Ok. Stai calmo", rispondo sbuffando e alzando gli occhi al cielo cercando di dissimulare, "Solo che la Signora McArthur non la prenderà bene, lo so già".
"È il tuo compleanno, fidati che capirà. Più tardi gli spiegherai", papà mi lancia l'atro cuscino in pieno volto e poi ride. Con lui è impossibile tenere il muso per più di cinque minuti.

In fretta e furia mi preparo per la lezione di Italiano. Come al solito ho calcolato male i tempi. Mi infilo un paio di jeans e un maglione lungo, un paio di scarpe da ginnastica. Con il cappotto, cappello e sciarpa sono al calduccio mentre corro per le scale del palazzo.
Appena esco dal portone un uomo in giacca e cravatta mi aspetta. È Micheal, l'autista della vecchia. 
"Ciao Micheal! Come stai?", mentre lo saluto guardo il cielo. Non cade neanche una goccia.
"Buongiorno Miss. Sto bene, grazie. Sono venuta a prenderla per portarla alla lezione con Mrs Demetra", mi risponde con il suo solito tono pacato e controllato.
"Ma non piove, nevica o grandina. Potevo benissimo venire da sola".
"La Signora ha insistito, non vuole che arrivi tardi. È stata categorica", Michael mi apre lo sportello posteriore. Mi accomodo sulla macchina sperando che ci siano le delizie dell'altra volta.

La macchina parte.

"Se vuole può mangiare quello che vuole. Ci penserò io a rifornire il bar della macchina", Micheal mi schiaccia l'occhio, lo vedo riflesso nello specchietto retrovisore.
"Grazie!", apro la ciotola di fronte a me e scopro una piramide di cioccolatini artigianali di primissima qualità. Mi lancio all'attacco.
"Spero che siano di suo gusto", mi chiede Michael.
"Certo... Oh, scusa. Ne vuoi uno?", dico allungando la ciotola verso l'autista.
"No. Non si preoccupi. Sono a posto".
Senza aggiungere altro Michael riprende a guidare, mentre io mi lecco le dita sporche di cioccolato.

Casa McArthur è splendida come sempre, gli alberi spogli sembrano più aggraziati di un qualsiasi albero che abbia mai visto. I rami sembrano più slanciati, armoniosi e simmetrici. Nonostante sia inizio dicembre, nel giardino non c'è nessuna foglia caduta. L'erba verde, umida della pioggia dei giorni scorsi, è sempre perfettamente curata.
Michael va nei garage a parcheggiare la Rolls Royce. Lo saluto con la mano, mentre salgo gli scalini che mi portano all'ingresso. Ogni volta che entro in casa provo una forte emozione, quella casa è la più bella che esista sulla faccia del pianeta. Almeno per me.
Con cautela entro, stranamente non ci sono domestici ad accogliermi.
Mi tolgo il cappotto, sciarpa e guanti e li appendo. 

Silenzio.
"Buongiorno", mi arrischio a dire.
Nessuno risponde.
"Sono Elena. C'è qualcuno?".
Sembra che non ci sia nessuno in casa.
Tentenno un attimo, mi guardo in giro e poi mi decido a salire al piano superiore.
Faccio pochi passi, un colpo di tosse rompe il silenzio.
Ancora tosse.
Mi sporgo e vedo Demetra seduta sulle scale. È lei che sta tossendo.

"Demetra va tutto bene?", la donna è seduta sui gradini della scalinata, ha la testa appoggiata alla ringhiera. È molto pallida.
"Sì. Elena potresti prendermi un po' d'acqua?", mi dice con un filo di voce.
Senza esitazione, corro in cucina e riempio un bicchiere. In pochi secondi Demetra lo stringe tra le mani e lo beve avidamente mentre ingoia una pastiglia.

Non ho il coraggio di dire nulla, vederla in quello stato mi fa male. Mi ricorda mia madre quando stava male.

"Non volevo spaventarti. È che... Sai mantenere un segreto?", mi dice a bassa voce, la donna sta riprendendo colore in volto.
"Certo, dica pure".
"Ho un po' di mal di gola. Geltrude e James non lo sanno. Dovrei cercare di prenderla con calma, ma non posso fermarmi ora", mi spiega.
"Ma se canta ancora, rischia di perdere la voce?", le chiedo mentre l'aiuto ad alzarsi.
"No, le corde vocali stanno bene. Devo solo stare attenta. Purtroppo mi stanco facilmente", sorridente e con le guance rosa, saliamo insieme le scale.
"Non crede sia meglio avvertire i suoi famigliari?".
Demetra scuote la testa: "Adesso sono su tutti a sistemare la stanza, spostare i mobili solo perché mia suocera dice che l'acustica è pessima. Cosa farebbero se dicessi che ho la gola infiammata? Immagina il pandemonio".

Rido. Non sono l'unica ad aver paura della vecchia.

La stanza con il pianoforte è tutta sottosopra, i domestici stanno spostando mobili da una parte all'altra della stanza. La Signora McArthur impartisce ordini come fosse un direttore d'orchestra. James sta trasportando, con il maggiordomo, la grossa poltrona verde.

"Mia cara, non abbiamo ancora finito. Manca poco. Ho allestito una parte della sala tutta per te, così potrai iniziare a studiare i movimenti del tuo personaggio", dice l'anziana mentre osserva con attenzione gli spostamenti dei mobili.
"Ma Geltrude non era necessario. Settimana prossima inizio a provare a Teatro. Lì avrò tutto lo spazio che voglio", Demetra accarezza la spalla della vecchia che pare addolcirsi al contatto.
"Certo. Certo. Credo però sia importante darti spazio", poi rivolgendosi a me con piglio deciso, "Domenica prossima dovrai presentarti al Teatro comunale di New Heaven. Terremo lì le lezioni".
"A dire il vero domenica è il mio compleanno. Mio padre ha organizzato un pranzo, non credo di riuscire ad essere presente", mi dispiace molto, avrei voluto assistere alle prove.
"Bazzecole, lo spettacolo è più importante", dice accigliata.
"Ma Geltrude! Si compiono diciassette anni solo una volta nella vita", dice Demetra.
La Signora McArthur borbotta qualcosa, poi si gira e inizia ad urlare contro i suoi domestici.
"Stai tranquilla, passa la domenica con tuo padre. Una lezione in meno non mi creerà problemi", Demetra si avvicina al Maestro che seduto al pianoforte ripassa lo spartito.
Dopo un paio di colpi di tosse inizia a cantare. Melodia pura.
Il resto dei domestici esce dalla sala mentre la vecchia si gusta la sua coppa gelato vicino alla nuora.

James si è stravaccato sulla poltrona verde, l'ha messa vicino alla finestra.
Ha in mano un libro e gioca con una vecchia pipa in ceramica.
"Ti sei messo a fumare quella adesso?", mi accomodo su un grande divano che mi permette di vedere il grande parco della villa.
"È un problema?", mi dice annoiato.
"No. No. Fai pure. Che vuoi che me ne freghi", detesto quando fa così.
"Ecco, appunto. Non te ne frega nulla".

Girando le spalle a James inizio a prendere nota delle parole che devo correggere a Demetra. La R è la SC hanno qualche difetto, nulla di serio, ma visto che lei ci tiene tanto voglio aiutarla per quanto mi è possibile.

"Ti diverti tanto?", mi chiede James.
"A fare cosa?".
"A fare la maestrina, la perfettina. Mia madre pronuncia in modo corretto le parole", mi dice con una certa acidità. 
"Stai scherzando, vero?! In quanto Italiana conosco la pronuncia meglio di qualsiasi altra persona presente in questa stanza".
James mi zittisce con la mano, toglie il cellulare dalla tasca dei pantaloni, inizia leggere ridacchiando alcuni messaggi: "Kimberly è una sagoma, mi fa morire dal ridere. Oltretutto è molto sexy".
"Patetico", bisbiglio. 
"Cosa? Cosa hai detto?", mi chiede James improvvisamente interessato a me.
"Sei patetico. Sbandierare davanti a me le tue conquiste. Tanto...".
"... Tanto a te non te ne frega nulla", James conclude la frase al mio posto.
"Esatto! Hai colto nel segno".
"Poi sarei io il patetico? Ti spacci per quella forte invece sei uguale alle altre. Da quando stai con quello sfigato di Jonathan, sei diventata lagnosa, insopportabile", James mi parla con una certa animosità, pur cercando di controllare il tono per non farsi beccare dalla nonna.
"Io non sono lagnosa. Capito? Ho passato un periodaccio, ma adesso ne sono fuori... Comunque io e Jo siamo solo amici. Sia chiaro", punto il dito alla spalla di James che indietreggia alle mie spinte.
"Certo come no. Siete così teneri che vi nascondete quando vi sbaciucchiate: giardino sul retro della scuola, aule vuoti... Se vuoi continuo?".

Decido di non rispondere alla provocazione, detesto quando fa così. Abbraccio il mio blocco per gli appunti cercando di ignorarlo.

"Fai scena muta? Possibile che il vostro grande amore non sia degno di essere raccontato al Trinity?", James sbatte gli occhi velocemente, mi imita come fossi una stupida oca.

Stringo le mani intorno alla carta, provo a seguire le prove di Demetra senza successo, la voce di James mi rimbalza nel cervello.

"Oh Jo come mi piaci... Oh Tesoro, mi piaci anche tu... Baciamoci amore...", James fa delle vocine leziose cercando di offendermi.

Inizio a respirare velocemente.
Elena, mantieni il controllo.
Trattenere la rabbia sta diventando difficile.
Elena, calmati.

"Siete voi due dei patetici. Nascondere quello che...", James non finisce la frase. 
Il mio autocontrollo va a farsi friggere.
"Smettila! Io non ho mai nascosto nulla, ok? Jo... Jo... Lui non voleva farlo sapere. Non so il perché, va bene? Sì, mi piaceva Jo quando era normale. Adesso non mi piace più. Non mi piaceva sentirmi umiliata, allontanata e tenuta nascosta. Io non sono come voi del Trinity. Non riesco a mentire, imbrogliare o complottare. Tutti nascondete qualcosa. Sono stanca!", sto urlando. Tutti mi guardano con la bocca spalancata. 

Elena, pessima mossa.

Oddio, voglio sprofondare.
Demetra, la Signora McArthur e James, non me lo perdoneranno mai.

Senza dire altro me ne vado.
Non voglio guardare in faccia a nessuno.
Non ne posso più di tutti questi drammi.
Basta!

Senza dire altro lascio la villa McArthur, forse, per sempre.

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Capitolo 24
*** IERI: Tanti auguri a me ***


IERI:
Tanti auguri a me

 

Happy birthday to you
Happy birthday to you 
Happy birthday dear Elena
Happy birthday to you.

"Soffia!", mio padre urla così forte che mi trapana i timpani.
Con tutto il fiato che mi esce soffio sulle diciassette candeline della torta. A malapena ne spengo tre.
"Dai Elena. Se le spegni tutte puoi esprimere un desiderio", mi incita Roger.

Un desiderio? Vorrei essere lontana da lì, fuggire da New Heaven e starmene da sola.

Per farlo contento soffio un'altra volta, ma l'unica cosa che ottengo è far tremolare le fiammelle. Sono così demotivata che influenzo l'umore dei presenti, tutti se ne stanno con la faccia lunga e lo sguardo vuoto.
Solo Kate mi guarda, sembra preoccupata. Dopo che le ho raccontato della scenata a casa della Signora McArthur, crede che abbia bisogno di allontanarmi da tutto per fare un po' di chiarezza. Come posso darle torto, mi sento un parafulmini attira guai.

L'ultima settimana al Trinity ho cercano di essere invisibile: non ho pranzato in mensa, ho evitato di passare per i corridoi troppo affollati, ho saltato la lezione di Tompson, chimica, pur di non stare in classe con James e Jo nello stesso momento.
Kate dice che allontanarsi non significa fuggire ma affrontare ciò che provo. Il problema è che non so cosa provo. Se ripenso a tutto quello che mi è successo mi sento molto sciocca. Ho sempre detestato i drammi, le sceneggiate, eppure ne sono invischiata fino al collo.

"Elena adesso basta. Stiamo festeggiando il tuo diciassettesimo compleanno. Potresti fingere di essere allegra?", papà mi guarda accigliato. So che è preoccupato, ma non ci posso fare nulla.
"Che c'è?", chiedo senza espressione.
"Tesoro, sei un po' strana è come se pensassi ad altro, come se fossi su un altro pianeta. C'è un ragazzo che occupa il tuo cuore?", mi chiede Hanna senza tanti giri di parole.
"Figurati se Elena pensa ai ragazzi. Lei è ancora una bambina, non può piacerle nessuno. No?!", mio padre ingoia un sorso di vino.

Roger e Hanna si guardano, Kate abbassa la testa ed io divento rossa per l'imbarazzo.

"Elena, cosa significa questo silenzio. Non capisco".
"Papà non sono una bambina, credo sia normale mi possa piacere qualcuno", le mie guance si intensificano di colore. Rosso pomodoro.
"No. No. No e poi no. Tu non uscirai più di casa, non potrai ricevere telefonate e... E...", mio padre sta urlando, non l'avevo mai visto così.
"E poi? Mi incatenerai e mi farai fare la passeggiatina una volta al giorno?", sono furibonda, quando sono così arrabbiata parlo in Italiano. Hanna, Roger e Kate non capiscono una parola, ma ci osservano ammutoliti.
"Non osare trattarmi così. Tutto quello che faccio, lo faccio per te. Venire a New Heaven e il Trinity Institute, sono una grande opportunità. Forse però ho fatto un errore, forse sei troppo piccola per tutto questo".
"Piccola? Io non ti ho mai chiesto nulla. Nulla, capito!? Odio New Heaven, odio il Trinity, odio tutto quello che c'è qui. Credevi che allontanarti da Milano ti avrebbe tolto il ricordo della mamma dal cuore, invece l'hai ancora stampato a lettere cubitali nel cervello. Sei voluto venire qui per dimenticarla, ma non ci sei riuscito. Adesso le cose non vanno come avevi progettato e dai la colpa a me? Beh, sai la novità? Mai nulla va come uno vorrebbe", senza aggiungere altro, giro sui tacchi ed esco da casa di Hanna e Roger. 

Sono così arrabbiata che spaccherei tutto. In questo periodo perdo le staffe per nulla. 
Ho detto delle cose tremende a mio padre. Mi odio. Possibile che non riesca a trattenere le mie emozioni? 
A passo veloce giro dietro la casa di Kate e taglio per il giardino dei vicini, in questo modo evito di stare sul marciapiede e rischiare di farmi intercettare. Non ho voglia ti parlare con nessuno. Voglio restare sola.

Il mio cellulare squilla.
È Kate.

"Pronto", dico senza smettere di camminare.
"Dove diavolo sei? Non riesco a trovarti. Dai, torna a casa, tuo padre è distrutto", Kate è in macchina sento il rombo del motore in sottofondo.
"Voglio starmene per fatti miei. Non ti preoccupare".
"Ma Elena... Non fare così...", prova a controbattere Kate.
"Devi dire a mio padre che mi dispiace. Ora però voglio fare tue passi. Ok?", interrompo la chiamata e con passo veloce taglio per i giardini di tutte le villette del quartiere, evitando così di farmi vedere da Kate.

Sono le tre del pomeriggio del 7 dicembre e non so dove andare.
Una leggera foschia ricopre tutta la città, un freddo vento spira da nord. Se sto troppo in giro rischio di prendere un bel raffreddore, l'unica cosa che posso fare è andare verso il centro e ficcarmi in qualche locale.
Penso subito alla libreria in Olive Street, quella dove ho conosciuto Nik. Lì hanno pure un bar dove posso bermi una tazza di tè caldo. 
Senza perdermi d'animo mi dirigo verso il centro cittadino, evitando di percorrere le vie principali. Allungo di un bel pezzo la strada, ma non mi importa. L'aria fresca mi schiarirà le idee.
Le strade sono piene di persone, molti stanno acquistando i regali di Natale. Le luci e decorazioni dei negozi mi distraggono dai miei pensieri. Mi è sempre piaciuto questo periodo dell'anno, andare a fare compere con i miei genitori era uno spasso, soprattutto perché non erano mai d'accordo su cosa acquistare. Erano capaci di passare mezz'ora per decidere se prendere una cosa piuttosto che un'altra. Mamma e papà discutevano, litigavano, ma alla fine facevano pace. Quei due erano come cane e gatto, ma si amavano così profondamente che non avrebbero mai potuto fare a meno l'una dell'altro. Il passato è passato, è inutile rimuginarci su.

Un gruppetto di bambini corre verso un negozio di giocattoli, decine di studenti universitari passeggiano, diverse famiglie ridono e scherzano, io sono sola. 
Decisa a non farmi venire il magone, mi dirigo verso la libreria. Sto per entrare nel negozio quando noto che sulla porta del negozio è appesa una locandina: PROSSIMAMENTE, al Teatro Comunale di New Heaven, La Bohème.

Le prove! Posso andare a vedere Demetra a teatro.
L'unico problema è che l'ultima volta che l'ho vista stavo urlando in faccia a James.
Forse è una pessima idea... O forse no. Far la pace con lei potrebbe riportarmi il buonumore. Sì, devo chiederle scusa il prima possibile.
Animata di nuovo spirito, mi dirigo verso il Teatro che è poco distante. 
L'edificio è chiuso, questa domenica non ci sono rappresentazioni. Provo a percorrere un vicolo laterale dove trovo un'uscita secondaria del Teatro.

Busso. 
Il portone di ferro rimbomba sotto ai miei colpi, ma non risponde nessuno.
Busso un'altra volta.

Dopo pochi secondi, un uomo con la pelle dipinta di bianco e un vestito sgargiante mi apre: "Che c'è?".
"Sono Elena Voli l'insegnate di Italiano di Mrs Demetra McArthur. Devo assistere alla prova", la mia faccia tosta arriva sempre al momento giusto.
L'uomo mi fissa un attimo, poi mi fa entrare. Il mio accento italiano ha fatto effetto.
"Vai da quella parte, Demetra è nel suo camerino. Non toccare nulla, mi raccomando", il signore corre verso altri attori tutti indaffarati a vestirsi.
Con calma gironzolo dietro alle quinte. C'è un via vai di persone impressionante: tecnici luci, scenografi, costumisti. Una marea di gente indaffarata a creare lo spettacolo.

Per mia fortuna trovo Demetra fuori dal suo camerino.
"Ciao".
"Ciao Elena. Che piacere, non credevo ti avrei vista. Ma la tua festa?", la donna indossa un vestito lungo, d'altri tempi. Una sarta lo sta puntando con degli spilli.
"La festa per il mio compleanno è finita in anticipo... Sono venuta per chiederle scusa, settimana scorsa ho perso le staffe, non dovevo comportarmi in quel modo", sono veramente dispiaciuta.
"Stai tranquilla. Mio figlio a volte fa perdere la pazienza pure a me", Demetra mi accarezza il volto e subito mi sento meglio.
"Lei come sta? Come va la gola?".
"Bene. Stai tranquilla è passato tutto", mi risponde con dolcezza.
"Che ci fai tu qui?", con toni bruschi la Signora McArthur mi saluta. Anche se non vuole dimostrarlo credo sia felice di vedermi.
"Sono venuta per le prove. Le chiedo scusa per...", ma vengo malamente interrotta.
"Niente scuse. Non mi interessano. Adesso sei qui, quindi potrai verificare se mia nuora pronuncia tutto correttamente. L'acustica in teatro è diversa, alcuni difetti potrebbero accentuarsi", la vecchia non mi guarda sta controllando con attenzione il vestito che la sarta sta sistemando a Demetra.
"Vado a sedermi allora", dico già pronta a gustarmi un pomeriggio a teatro.
"Ferma ragazzina. Vedi il palchetto centrale lì in alto? È quello della mia famiglia. Vai pure sopra, io ti raggiungo subito. Così potrò aiutarti a segnare i momenti dello spettacolo da migliorare", mi dice la vecchia.
Senza controbattere prendo un blocco di carta e una penna e mi dirigo al palchetto della Signora McArthur.

Vedere il Teatro senza spettatori fa un certo effetto. Da una parte c'è la frenesia del palco, dove persone corrono da una parte all'altra intente a creare lo spettacolo, dall'altra c'è il silenzio, solo poltroncine vuote. Mi piace poter far parte di tutto questo.

Trovo il palchetto della vecchia dopo qualche minuto. Una targa con inciso McArthur è appeso sulla parete di fianco ad una tenda di velluto bordeaux.
All'interno ci sono quattro sedie dorate, con la seduta in velluto dello stesso colore delle tende e della moquette. Appena mi affaccio mi accorgo che il palchetto è nella posizione centrale, proprio di fronte al palco. Non c'è posto migliore per poter assistere alla rappresentazione.
Come fossi una bimba in un negozio di caramelle inizio a toccare tutto: gli stucchi dorati, le lampade in cristallo, le decorazioni e le passamanerie. Tutto è così bello che non mi sembra vero.

Senza neanche accorgermene l'Opera inizia. Gli attori non indossano i costumi e le scenografie sono provvisorie, la prova di oggi serve proprio a capire come costruire lo spettacolo. A me non importa, avere la possibilità di sbirciare tutto questo, mi basta e avanza.
Il buio della sala, le voci potenti degli attori, le comparse, sono come un grande organismo vivo e pulsante. Sono ipnotizzata, ho la pelle d'oca.

La tenda alle mie spalle si apre.
Mi sposto per far accomodare la Signora McArthur, non vorrei essermi seduta al suo posto. Assistere ad una sua scenata è l'ultima cosa che voglio.

"Ciao".
James si è seduto di fianco a me, lo fisso incredula.
"Che ci fai tu qui?", chiedo.
"Ti ricordo che questo è il palchetto della mia famiglia e inoltre mia madre si sta esibendo", mi dice con ironia.
"Lo so. Intendo dire: Che ci fai qui, visto che ci sono io? Che vuoi?".
James sorride, fissa il palco. Pare ignorami.
"Questa parte è tra le mie preferite. I protagonisti si incontrano per la prima volta. Ascolta", James è assorbito dallo spettacolo, sembra un altro ragazzo. La boria e l'arroganza hanno lasciato spazio ad un James inedito, più calmo.
"Ok", bisbiglio, lasciandomi andare alle melodie e armonie. Le note che raggiungono i cantanti hanno del meraviglioso.

Le ansie provate i giorni scorsi paiono svanire, non ho più voglia di drammi, voglio solo godermi lo spettacolo. Non ho più voglia di litigi, sotterfugi. Voglio semplicità, voglio chiarezza. Ne ho bisogno.

"Come è andata la tua festa?", mi chiede James a bassa voce mente lo spettacolo continua.
"Ho litigato con mio padre proprio mentre stavamo per tagliare la torta", dico con tutta la sincerità che ho in corpo.
"Quindi non hai aperto neanche i regali?".
Faccio cenno di no con la testa: "Non mi importano molto, cioè sono felice di riceverli, ma non sono la cosa fondamentale".
"Aspetta un attimo", James corre fuori dal palchetto come una furia.
Dopo qualche minuto ritorna. Ha il fiatone.
Mi prende per mano e mi fa sedere per terra, sulla moquette dietro alle sedie.
"Che fai?", gli chiedo confusa.
"Meglio non rischiare, non voglio creare problemi", James toglie dalla tasca una merendina confezionata, la scarta. La appoggia su un tovagliolino di carta, poi prende un fiammifero e lo accende. Infilza il fiammifero nella merendina e fissandomi negli occhi mi sussurra: "Soffia. Esprimi un desiderio".

Sono senza parole. Il cuore batte fortissimo, le lacrime mi inumidiscono gli occhi, ma non sono triste. Stare lì al buio, illuminata da quella flebile luce con in sottofondo l'Opera cantata dal vivo è una sensazione indescrivibile.

"Co-cosa?", balbetto.
"Soffia, così i tuoi desideri si realizzeranno", mi ripete dolce James.
Con forza soffio e spengo il fiammifero.

Nello stesso istante, chiudo e gli occhi ed esprimo un desiderio. 
Penso all'unica cosa che voglia in quel momento.

"Non puoi dirmi a cosa hai pensato, altrimenti non si avvererà", mi dice James mentre toglie il fiammifero spento dal dolcetto. Con le mani fruga tra le tasche, toglie un pacchetto di sigarette e una scatola di fiammiferi, "Credo che questi non vadano bene come regalo".
Sorrido divertita: "Con una torta così preziosa non posso aspettarmi che un regalo altrettanto bello".
James mi fissa. Mi guarda come non ha mai fatto. Mi scruta, mi osserva come se cercasse di capirmi, di leggermi il pensiero. Come se volesse capire chi sono.
I suoi occhi verdi si illuminano: "Che ne dici di questo, ti può piacere come regalo?".

James si avvicina al mio volto con delicatezza. Per qualche secondo la sua fronte è appoggiata alla mia, i nostri nasi si sfiorano. Il mio respiro aumenta, il battito del mio cuore raggiunge livelli mai provati prima. 

"Tanti auguri Elena", James non aveva mai pronunciato il mio nome prima di adesso.

Le sue labbra si posano sulle mie. Una. Due. Tre volte.
Come un fiume che travolge gli argini, le nostre bocche si fondono. Le mie mani afferrano la testa di James, le sue circondano la mia vita. Senza smettere di baciarci ci stringiamo una all'altro desiderando solo che quel momento non finisca mai.
È come se una tensione provata per mesi si sciogliesse, come se quello fosse il perfetto antidoto al mio malumore. 
Calore. 
Sospiri.
Pelle.
Desiderio.

"Elena. Elena. Elena", James pronuncia il mio nome con una dolcezza disarmante, con la mano mi accarezza i capelli.
"James. Io... Io... Non credevo", ad un centimetro dal suo volto bisbiglio parole senza senso.
"Come no? Appena ti ho visto sono come impazzito. Sei stata il mio imprevisto... La mia neve", mi dice mentre mi bacia il collo, "La mia neve in un giorno d'estate".

Le sue labbra raggiungono le mie ed è come se perdessi me stessa in un oceano di desiderio, come se il mio corpo vibrasse. Nessun bacio è mai stato così intenso e desiderato. Voglio baciarlo per sempre, provare quella pace nel cuore ogni istante della mia vita. 
Voglio James.
Vorrò James per sempre.
 

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Capitolo 25
*** IERI: Rivoluzione al Trinity ***


IERI:
Rivoluzione al Trinity
Ama, ama follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è peccato, 
ama il tuo peccato e sarai innocente.
WILLIAM SHAKESPEARE

Sono dieci minuti che non riesco ad alzarmi dal letto. Ho un sorrisino ebete che pare incollato sul mio volto, provo a stare seria, ma non riesco. Vorrei cercare di sembrare una persona normale, ma dopo i baci di James mi sento a mille metri d'altezza. Non posso far altro che ripensare a tutto quello che ha fatto per me: dal dolcetto, al fiammifero, alle coccole a Teatro.

"Alzati, è pronta la colazione", papà è furibondo, non gli è piaciuta per niente la mia sceneggiata. Ieri sera non mi ha rivolto la parola, ha fatto come se io non ci fossi. Uno schifo, non mi piace quando è in quello stato.
Non posso dargli torto, mi sono comportata male, però se non me ne fossi andata via, James ed io non ci saremmo incontrati a teatro. È brutto da dire, ma per me è stato un bene.

"Grazie", di scatto mi alzo, infilo la vestaglia e corro in cucina per gustarmi la mia tazza di tè.
Papà beve il suo caffè, non sembra abbia gran voglia di parlare.
Devo fare la prima mossa, altrimenti non usciremo più da questa storia: "Come stai?".
"Ci sono state giornate migliori", mi dice mentre spalma della marmellata sul pane.
"Mi dispiace papà, mi sono arrabbiata. Ho sbagliato".
"Possibile che tu debba reagire così? Se qualcosa ti turba scappi. Se litighi ti allontani. Non puoi cercare di controllarti?", gli occhi lucidi di papà mi fanno star male.
"Mi ha dato fastidio quando hai detto che ero piccola, che non potevo innamorarmi".
"Sei innamorata?", papà prende una sfumatura tra il verde e il grigio, credo che questa parola lo terrorizzi.
"No. Aspetta non sono innamorata, ma potrei un giorno. Vorresti che facessi tutto di nascosto?", il vapore caldo del tè copre il mio volto imbarazzato. Non sono abituata a parlare con lui di certe cose.
"Non vorrei mai che tu mi nascondessi qualcosa. Mai. Però mi fa male pensare che ti possa allontanare da me, non lo sopporterei", papà mi allunga la mano, la stringo forte, "Quindi... Ehm... Adesso ti piace un ragazzo?".

Ci penso un attimo. Non so come andranno le cose con James, non ho idea se mi ignorerà come Jo, se mi tratterà male o mi prenderà in giro come ha sempre fatto, l'unica cosa che so è che ieri sono stata benissimo.

"Si chiama James. Fa parte del Club di Dibattito, è il figlio di Demetra".
"E questo James ti tratta bene? Fa cose che non vuoi?", l'ansia di mio padre è salita alle stelle, con la sua domanda mi sta chiedendo se ho fatto sesso.
"Calmo papà. Ci stiamo solo frequentando... Non siamo fidanzati", gli spiego mentre assaggio una fetta di torta del mio compleanno avanzata ieri.
"Meglio così... Solo una precisazione, ieri mi hai detto che odi New Heaven, il Trinity Institute, lo pensi davvero?".
Come fossi una bimba piccola gli salto in braccio, lo sbaciucchio: "No papà, adoro stare qui".
"Ah, le donne. Più passa il tempo e più non le capisco. Possibile che non comprenda mai quello che vuoi?", stare tra le braccia di papà mi fa star bene.
"Perché voi maschi? Siete così... Così, irritanti" dico scherzando.
"Dai sbrigati, tra venti minuti passa il bus, se non ti sbrighi rischi di perderlo".
Papà mi fa alzare e mi da un calcio nel sedere.
Ecco, così mi piace, quando fa lo scemo con me mi diverto un mondo.

L'orrenda divisa del Trinity mi aspetta attaccata al gancio della porta. Per la prima volta mi assalgono un milione di dubbi.

Se James preferisse ragazze di buona famiglia con gioielli o borsette firmate?
Se James volesse che io fossi più raffinata?
Se James desiderasse una ragazza più provocante?

Tutti questi Se mi hanno fatto girare la testa. Non so neanche se posso definirmi la sua ragazza, figuriamoci il resto. Decido di essere come sempre, un filo di matita nera, mascara e lucidalabbra. Semplice, come mi ha conosciuta.
In tutta velocità mi intreccio i capelli di lato, metto cappello di lana e guanti, infilo il cappotto ed esco di casa.
Sono in anticipo di qualche minuto, posso fare la strada che mi porta alla fermata in tutta calma.

Il vento gelido di Dicembre mi pizzica le gote, una lieve pioggerella mista neve mi inumidisce i vestiti. Per strada c'è movimento, tra scuola e lavoro, tutti hanno una meta da raggiungere. Mi aspetta una piccola salita, dopo la quale c'è la fermata.

Un piccolo sforzo Elena. 
Mi dico cercando di non pensare al freddo pungente.
Poi noto una macchina scura.
C'è un ragazzo appoggiato alla portiera.
Mi sta guardando.

È James.
James è venuto a prendermi.
Non mi sono sentita così felice in vita mia.

"Freddino oggi, vero? Ho pensato che avresti preferito un passaggio in macchina con me, piuttosto che il bus affollato", James indossa una giacca pesante, i capelli sono leggermente bagnati dalla pioggerella.
"Decisamente", mi avvicino non so se baciarlo o meno.
James mi strattona per il cappotto e mi stringe a sé. Le sue labbra si appoggiano alle mie per lunghissimi secondi. I secondi più belli che io abbia mai vissuto.
"Se non ci sbrighiamo rischiamo di fare tardi. Già creeremo un casino, meglio non peggiorare la nostra situazione. Sali pivella", James mi apre lo sportello della macchina poi corre dall'altro lato al posto del guidatore.
Anche se mi chiama pivella non mi arrabbio: "In che senso creeremo un casino?", cerco con le mani il getto d'aria calda sul cruscotto.
"Noi due. Insomma, io non ho mai portato nessuna ragazza a scuola. Ho una certa fama, credo che spettegoleranno parecchio".
"Non credo che interessi a qualcuno se esci con me. Sono piuttosto anonima, non conosco molte persone a scuola".
James ha acceso il motore e sta guidando verso la scuola. Ha quel suo solito sorrisetto ironico, come se sapesse qualcosa che non so: "Fidati. Sanno chi sei. Hai bloccato Rebecca in mensa, sei nei due Club più importanti della scuola, in più sei straniera. Credo non esista nessuno nella scuola che non ti conosca".
"Dici? Per me non ci calcolerà nessuno. Scommetto un dollaro", cerco di buttarla sul ridere, mi sembra esagerato che qualcuno si impicci degli affari miei.
"Accetto", James pare divertito.

Stare in macchina con lui mi fa stare tranquilla. Sono elettrica, felice, emozionata ed euforica, allo stesso momento. Certo, siamo una coppia strana, ci siamo punzecchiati per così tanto tempo che credevo mi odiasse, ma invece mi sbagliavo.

"Posso chiederti una cosa?", James pare improvvisamente serio.
"Certo".
"Jo... Ecco... Ti piace ancora? Come... Come...".
Vederlo così insicuro mi fa tenerezza., mi verrebbe voglia di abbracciarlo stretto: "Come siamo rimasti? Diciamo che tra noi non è mai iniziata. Ci siamo baciati qualche volta, ma lui mi nascondeva, non ho ben capito perché. Alla fine credo che si vergognasse di me".
"No, figurati. Non si vergognava di te è che... Che... Hmm... Forse non gli piacevi abbastanza. Ecco, sì. Non eri il suo tipo", James muove con agitazione la mani sul volante, sembra infastidito e nervoso.
"Tutto bene? Sei agitato?", improvvisamente tutti i dubbi che ho mi si rovesciano addosso come una valanga.

Potrei non piacere tanto a James come a Jo.
Potrebbe ripensarci e non volermi più.
Potrebbe aver paura del giudizio altrui.

James parcheggia. Si asciuga le mani sudate sui pantaloni: "È che ho paura...".
"Paura che ti possano prendere in giro perché ti vedono con me?", a testa china osservo il bordo del cappotto, mentre gioco con un bottone. Vorrei sparire. Non sopporterei se mi dicesse di sì.
"Senti Elena, non pensarlo neanche. Ho paura... Paura che tu possa vedermi per come sono veramente. Questa è l'ultima cosa che voglio. Jo è un bravo ragazzo, confronto a me è un santo. Se tu dovessi provare qualcosa per lui credo dovresti dirmelo adesso, perché io...".
Di scatto gli prendo il volto te le mani e lo bacio. 
Lo bacio con passione. 
Lo bacio con desiderio.
Quello che sento per James non è nulla se paragonato a Jo. 
"Ok, credo di aver capito. Baci bene per essere una pivella", con la solita faccia da schiaffi mi morde un labbro, poi salta giù dalla macchina e mi viene ad aprire lo sportello: "Sei pronta?".
"Certo, che vuoi che sia. Il dollaro che abbiamo scommesso è già mio", dico con tranquillità. 
"Solo una cosa. Se dovessi sentirti a disagio stringimi la mano. Più forte sarà la presa, più capirò che qualcosa non va. Capito?".
"Sissignore", scatto e metto una mano sulla fronte come fanno i soldati.
"Ricorda: tu sei meglio di tutti loro. Tutti. Non scordarlo mai e cammina a testa alta", James pare serio, forse un po' troppo per una situazione del genere.
"Non credi di esagerare un pochino? Che vuoi che succeda?".
James mi prende per mano, la bacia. 

Ci incamminiamo verso l'ingresso. Visto il tempaccio sono tutti dentro l'edificio in attesa che suoni la campanella, a parte Kate che mi aspetta fuori dal portone principale, l'ho avvisata ieri sera di quello che era successo. Sta trattenendo le risate, credo che vedermi, mano con la mano, con James sia una delle cose che non si sarebbe mai aspettata di vedere.

"Siete pronti?", ci chiede con un misto di felicità e ansia.
"Per cosa?", chiedo io.
James alza gli occhi al cielo mentre Kate mi sventola una mano davanti agli occhi: "Dovrete sfilare nei corridoi del Trinity. Hai presente? Cucù, terra chiama Elena, c'è qualcuno?".
"È convinta che nessuno dirà o farà nulla, non vuole ascoltarmi", le risponde James.
Kate ride: "Elena, non so se hai presente: James è uno degli studenti migliori della scuola, tra i più ricchi, il più corteggiato, il più arrogante e impertinente... Scusa James", Kate alza le spalle mentre James ridacchia, "Insomma, metà scuola vorrebbe essere al tuo posto. Tu sei l'ultima arrivata, la ragazza straniera che tiene testa a Rebecca ed è entrata nei Club migliori della scuola!".
"Siete così esagerati! Vi dimostrerò che nessuno ci mangerà, picchierà o squarterà", prendo Kate per un braccio e la trascino dentro la scuola. La mano di James è salda nella mia.

Una volta entrati a scuola le cose non sembrano diverse dal solito: studenti che armeggiano con i loro armadietti, gruppi di ragazzi che chiacchierano mentre altri ripassano la lezione. Tutto è come sempre stato.

"Visto!", dico ai due. 
Kate è indietreggiata qualche passo, cammina a testa bassa, James ha appoggiato un braccio intorno alle mie spalle, mi aggrappo alla sua mano a penzoloni iniziando a giocare con le dita.

Brusio e mormorio. Gli studenti iniziano a girarsi uno ad uno.
Mi sento a disagio.
Chiacchiericcio. Molti si parlano nelle orecchie senza smettere di fissarci.
Stringo la mano di James.
Pettegolezzo. Alcuni ci scattano foto con i loro cellulari.
James mi bacia sulla testa per rassicurarmi.
Risatine e stupore. Molte ragazze mi guardano con aria torva.
Mi manca il fiato.
Emozione ed euforia. Commenti maligni e indici puntati.
Vorrei scappare da lì.

Con le mani tremanti cerco di aprire il mio armadietto. Lo sguardo di tutti quegli studenti mi pesa addosso come un macigno. 
"Stai tranquilla, ci sono io. Vedrai che tra qualche giorno la smetteranno", James mi sta appiccicato come volesse proteggermi. Kate è al mio fianco e mi guarda con attenzione, credo che il mio pallore la preoccupi.
"Ok, va bene. Credo di aver perso un dollaro", provo a fare dell'ironia per stemperare un po' la tensione.
James sorride con il suo solito sorrisetto furbo: "Visto che abbiamo creato scandalo, che ne dici se diamo spettacolo?".
Kate ridacchia: "Oh sì! Vado a godermi la reazione di questi impiccioni", mi abbraccia e si allontana leggermente.
"Cosa... Cosa devo fare?", chiedo.
"Immagina che siamo io e te soli, a teatro. Immagina che hai spento il fiammifero. Chiudi gli occhi e rilassati", James mi sussurra queste parole nell'orecchio.

Cercando di dare fondo a tutto il mio autocontrollo provo ad immaginare di essere in un posto diverso con James, in solitudine, solo io e lui. Un posto dolce e romantico, pieno di significato.
James mi accarezza il volto, mi bacia la fronte. Io mi rilasso e, sempre con gli occhi chiusi, appoggio le mani al suo petto. 
"Brava, così", James mi bacia una guancia poi il collo. Un brivido mi percorre tutta la schiena. La mia bocca cerca la sua e quando l'incontra sento il sapore e profumo di James invadere il mio corpo. 

Sono in un altro pianeta.
Sono sul pianeta James.

Ci baciamo come se fossimo soli, come se il tempo e lo spazio non esistessero.
Il brusio, le cattiverie e tutto il resto, è come sparito. Non mi importa di quello che penseranno, non mi importa di nulla a parte me stessa.
Le regole del Trinity sono andate in frantumi.
James il ricco, sfrontato, arrogante che bacia l'italiana appena arrivata. L'unica che sia riuscita a conquistarlo. Anarchia pura.

La campanella suona.
Il bacio finisce.

La realtà si insinua lentamente, con gradualità emergo dal mio mondo perfetto per incontrare lo sguardo di estranei che mi fissano come fossi una bestia allo zoo.

"Sorridi. Non aver paura di loro. Sono nulla confronto a te", mi bisbiglia James.

Guardo quei nulla analizzarmi, scrutarmi, spiarmi. Mi sento in trappola. 
Quei nulla mi giudicano e parlottano. Scappare è l'unica soluzione.
Su tutti quei nulla solo tre paia di occhi mi gelano e feriscono l'anima.
Jo, Nik e Rebecca mi guardano stupiti.
Mi manca l'aria.

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Capitolo 26
*** IERI: La verità fa male ***


IERI:
La verità fa male

 

Troviamoci in aula Magna 

durante la pausa pranzo.

Vieni da sola.

N.

 

In tasca ho questo messaggio scritto a penna rossa. Una penna che ho imparato a conoscere fin troppo bene.

Nik mi ha scarabocchiato questo messaggio su una pagina del quotidiano che legge tutti i giorni. Lui è un mio professore, lo so, ma quando stamattina mi ha vista baciarmi con James era stupito. Forse troppo stupito.

Non posso recriminarmi nulla, ho deciso di non mentire più a me stessa. Da quando sono qui al Trinity ne sono successe di tutti i colori, per colpa delle bugie e menzogne. Voglio poter vivere la mia storia con James in pace.

 

Il corridoio è libero, tutti gli studenti sono in mensa. L'argomento principale sulla bocca di tutti siamo io e James, la nuova coppia della scuola. Detesto avere troppa attenzione, per questo ho convinto James a stare da sola. Con la scusa di sistemare il programma di informatica, me la sono svignata. Non volevo mangiare con tutti gli studenti che mi fissavano.

 

Non credo che vedere Nik sia una cosa sbagliata. Certo, non potrei mai dire a James che ho un'amicizia particolare con il Professor Martin, non la prenderebbe bene. Non sto mentendo, sto cercando di evitare di aggiungere pesantezza ad una situazione che rischierebbe di andare fuori controllo.

 

Raggiungo l'aula Magna del Trinity. È una grande stanza, piuttosto asettica, con tante sedie e un piccolo palco. Di solito la preside Marquez la usa per le comunicazioni agli studenti: l'arrivo di un nuovo professore, qualche evento particolare, cambi nell'organizzazione scolastica. Per il resto dell'anno è praticamente inutilizzata.

Le luci sono spente, dalle finestre entra una luce fioca. Le nuvole cariche di pioggia rendono il cielo grigio e scuro.

 

"Elena?", Nik esce da dietro un pilastro.

"Nik, che succede? Perché mi hai dato quel biglietto?", parlo a bassa voce, la stanza vuota fa rimbombare ogni più piccolo suono.

"Io lo so che non dovrei impicciarmi, ma devo dirtelo: James è un ragazzo molto dotato e brillante, ma ha un passato poco raccomandabile. Usa le ragazze. Non mi importa che lo faccia con le altre, ma non voglio che ti faccia del male. Ti parlo come un fratello maggiore, come uno zio, un amico. Non fraintendere".

Al buio della stanza non posso vedere gli occhi azzurri di Nik, ma percepisco la sincerità nella sua voce: "So com'è fatto James. Forse non conosco tutto il suo passato, ma non ho paura di scoprirlo. Non ti preoccupare per me, ho la scorza dura".

Nik si avvicina: "Mi stupisci sempre. Non voglio intromettermi nella tua storia, voglio solo che tu sappia che se ti farà soffrire hai un professore e un amico con cui parlare. Ok?".

"Ok", dico io.

Nik mi accarezza una guancia: "Adesso vai a mangiare, a stomaco vuoto si ragiona male".

Sto per rispondere quando sento la porta dell'aula Magna che si apre alle mie spalle.

 

Panico.

Se qualcuno ci vedesse insieme potrebbe fraintendere.

Nik corre verso il palco per nascondersi, io mi appiattisco contro al muro.

 

La luce si accende.

Tutta l'aula Magna risplende.

 

"Ciao, con chi stavi parlando?", Rebecca mi sta squadrando da capo a piedi. 

"Co-cosa?", balbetto.

"Smettila di fare la santarellina, so benissimo che c'era qualcuno. Ho sentito la sua voce ed era un uomo", Rebecca avvicina il suo volto al mio, siamo a pochi centimetri di distanza, "Non era di sicuro James, il tuo ragazzo. Ragazzo poi?! Pfui... Tra una settimana ti scaricherà come tutte le altre. Lo conosco, io. Siamo amici fin da bambini. Le nostre famiglie sono... Sono... Come dire, dello stesso livello".

"Sei meschina e perfida", mi giro per andarmene, non ho voglia di stare da sola con lei.

"No, dico solo la verità. L'origine della propria famiglia incide molto sul proprio carattere e sugli obbiettivi che una persona vuole raggiungere", il suo sguardo esprime tutto il disprezzo nei miei confronti.

"Addio Rebecca", sto impugnando la maniglia della porta per andarmene quando Rebecca mi prende una spalla.

"Non ho finito. Non so cosa tu stia tramando, ma non mi ruberai James, lui è mio. Le nostre famiglie progettano il nostro fidanzamento da sempre".

"Cosa? Ma stai scherzando? Non siamo mica nel medioevo!".

"Vedi, lui adesso se la spassa con te e con qualche altra troietta, ma alla fine sceglierà me. Sceglie me, sempre", Rebecca scuote i suoi lunghi capelli biondi.

"Io mica mi voglio sposare, fidanzare o altro. Vivo giorno per giorno. Adesso sto bene con James, quello che succederà domani con lui non è affare tuo. Capito?", non sono indietreggiata un passo, non ho intenzione di farmi mettere i piedi in testa da quella lì.

"Oh, come sei tenera, cerchi di fare la dura con me... Mi ricordi tanto qualcuno. Credo tu conosca piuttosto bene la persona di cui sto parlando", Rebecca ha l'aria diabolica, non promette nulla di buono il suo sguardo.

"Di chi parli? Non capisco".

"Te lo dico solo se tu mi dici con chi stavi parlando. Che ci facevi qui? Non dovevi sistemare il tuo programma in sala computer?", Rebecca urla, la sua voce rimbomba nella stanza vuota sembrando ancora più minacciosa.

"Parlavo da sola. Volevo... Volevo provare... Ecco, volevo provare la canzone di Kate. Lei sta cercando un posto dove esercitarsi quando il teatro della scuola è chiuso. Sai che Miss Scarlett non lascia entrare gli studenti, blocca sempre le porte. Sono passata qui di fronte, ho pensato che potesse essere un buon posto visto l'acustica. Ero sola facevo vari tipi di voce per provare", non ho idea di come abbia fatto ad inventare una balla simile. Meriterei il premio Oscar come miglior attrice.

Rebecca mi fissa per qualche secondo, non sa se credermi o meno.

"Adesso dimmi a chi ti riferivi prima, chi voleva fare la dura con te?".

"Non la dura, ma il duro. Ci ha provato, ma alla fine ho vinto io. Ha abbassato la cresta quel poveraccio. Devo dire che però baciava bene... Belle labbra, capelli neri e occhi scuri. Ha un certo fascino, non posso negarlo, ma quando si tratta di uno come lui e una come me, la gente crede di più a questi...", Rebecca sbatte gli occhi come fosse un cerbiatto ferito.

"Cosa stai blaterando?".

"Parlo del tuo amichetto Jo. Non lo sapevi? Ma dai! Ahahah. Io so tutto dei miei amici, tutto. Ogni singolo peccato, guaio, malefatta e tradimento che hanno fatto", Rebecca gioca con una ciocca dei miei capelli, "Tu invece? Sai tutto di loro?".

 

Sta parlando di Jo? 

Rebecca ha baciato Jo?

Cosa è successo tra loro due?

 

"Adesso devo andare nell'aula d'informatica, ho perso troppo tempo con te. Non ne vale la pena", di scatto esco dall'aula Magna. Non ho voglia di sentire più nessuna parola di quell'arpia.

Mentre corro per il corridoio prendo il telefono e compongo un numero.

Il cellulare, dall'altra parte, squilla.

 

"Che vuoi?", la voce di Jo è dura, capisco che è arrabbiato con me anche solo sentendolo al telefono.

"Dobbiamo vederci. Adesso", dico io.

"Senti, non ho voglia di sentire le tue scuse e...".

"So cosa è successo con Rebecca", non ho la minima intenzione di lasciare perdere, mi deve spiegare, per filo e per segno, tutto.

 

Jonathan tace. Sento come sottofondo il rumore delle posate che colpiscono i piatti e il vocio degli studenti in mensa. Sto per scoppiare, se non dice qualcosa entro cinque secondi inizio ad urlare.

 

"Va bene. Dove ci becchiamo?".

"Aula computer", poi butto giù.

 

I minuti che passano sembrano ore. L'idea che Jo è Rebecca si siano baciati mi fa venire il voltastomaco. Possibile che non mi sia accorta di nulla? Effettivamente Jo mi ha sempre parlato male di Rebecca, ha sempre cercato di evitarla, ma eppure è andato alla sua festa e adesso sono nello stesso Club. A volte hanno anche parlato tra di loro, mai in modo sereno, però non ho mai notato nulla di strano. Che diavolo è successo tra di loro?

 

Jo arriva in aula computer prima del previsto, ha il fiatone. Non so cosa dirgli, non so proprio come iniziare il discorso.

Decido di farlo parlare, voglio capire.

 

"Elena. Mi dispiace. Avrei voluto dirtelo, ma... Ma... Non ho avuto il coraggio. Per questo era meglio non stare insieme e non rendere pubblica la nostra storia. Ti immagini che interrogatorio ti avrebbe fatto la Marquez. Quella stronza di Rebecca mi ha incastrato per bene", Jo si tortura le unghie, non riesce a stare fermo.

"La Marquez? Che c'entra la preside?", se un alieno sbucasse dalle orecchie di Jonathan non mi stupirei, tutta la storia sta prendendo una piega molto strana.

"Ma James non ti ha raccontato tutto?", Jo mi guarda con aria interrogativa.

"James? Che c'entra? No. Rebecca mi ha detto che ti ha baciato. Non sto capendo più nulla, vuoi spiegarmi per una buona volta che cosa è successo?", sono su tutte le furie.

 

Jo si accascia su una sedia e si tiene la testa con le mani, pare distrutto.

 

"L'anno scorso ho fatto il colloquio per entrare nel Club di Dibattito. Lo desideravo così tanto che mi sono buttato. Era andato tutto bene, forse troppo. Si era sparsa la voce che il ragazzo povero, era stato bravo. Rebecca era furiosa, se fossi entrato io, probabilmente non ci sarebbe stato posto per lei. Lo sanno tutti che tra quelli del Gruppo A lei è la più scarsa".

"Cosa c'entra la Marquez, il bacio e tutto il resto", mi siedo vicino a Jo e lo ascolto con attenzione.

"Rebecca non sarà una cima a Dibattito, ma se la cava molto meglio di altri. Inoltre è bella, sa come attrarre un ragazzo se vuole", Jo si alza e guarda fuori dalla finestra, "Mi ha sedotto, ha finto che io gli piacessi. Non ho resistito, lei è così affascinante e perfetta... Ha tutto quello che io non ho, tutto quello che vorrei per la mia famiglia. Sì, l'ho baciata. Ci incontravamo in un'aula vuota dopo le lezioni. Tutto questo è durato tutta la settimana di attesa degli esiti alle ammissioni ai Club. Il giorno prima che venissero esposti i risultati, Rebecca ed io ci siamo incontrati. Mentre ci baciavamo è entrata la preside Marquez e...".

"E cosa?", non mi perdo neanche una parola.

"... E Rebecca ha iniziato a piangere. Ha detto che l'avevo obbligata, che avrebbe voluto andarsene ma io glielo impedivo. Capito? Quella vipera ha fatto intendere che l'avessi forzata, ha organizzato tutto per farmi incastrare dalla Preside".

"Ma tu non lo faresti mai! Come ha potuto la Marquez credere alla parole di Rebecca?", sono allibita, confusa.

"Lei è ricca, suo padre è un uomo potente. Io... io non sono nessuno. La Preside non potendo verificare nessuna delle due versioni ha preferito allontanarmi da Dibattito e da tutte le attività extra scolastiche. Capito? Ero stato ammesso anche l'anno scorso al Club!".

"Mi avevi detto che quest'anno era la prima volta che tentavi", dico io.

"Ho mentito. Non volevo che si ripetesse la stessa storia dell'anno scorso. Del resto non ti conoscevo... Ti ricordi in gelateria quando ti ho detto che saremmo diventati nemici? Ti ricordi che ho cercato di stare lontano da te fin da subito? Se la Marquez avesse saputo di noi, ti avrebbe fatto un terzo grado. Ti avrebbe messa alle strette per cercare di capire se ti forzavo o meno. Non potevo permetterlo, non a te", gli occhi neri di Jo sono lucidi, quella dolcezza che avevo visto il primo giorno che l'ho incontrato, finalmente è riapparsa.

"Perché non me l'hai detto?".

"Se l'avessi fatto avresti cambiato idea su di me. Capivo quanto mi volevi bene, quanto fosse speciale la nostra amicizia. Hai la capacità di farmi sentire amato, compreso e speciale. Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati agli armadietti? Ti ricordi che ci siamo fissati negli occhi?".

Annuisco, mi ricordo perfettamente di quel momento.

"La Marquez è spuntata all'improvviso e mi ha detto: 'veda di non ripetere quello che è successo l'anno scorso. La sua borsa di studio è attiva solo se si comporterà come di dovere'. Si riferiva a quello successo con Rebecca. Quando mi ha visto in intimità con te mi ha messo in guardia. Dovevo starti lontano, non potevo rischiare di perdere tutto".

 

Jo è distrutto. Capisco molte cose, soprattutto il perché mi abbia tenuta nascosta: non voleva compromettere il suo futuro e tutti gli sforzi che la sua famiglia aveva fatto per lui. Mi sento egoista, stupida e piccola. Mi lamentavo del fatto che non volesse farsi vedere in giro con me, quando in verità voleva solo proteggermi.

 

"Sono uno stupido, mi sei scivolata via senza che potessi far nulla per fermarti. Se fossi stato sincero forse saremmo ancora una coppia", Jo si avvicina e mi abbraccia, le sue braccia mi stritolano, "Elena, sei sicura che James sia quello giusto?". 

 

Fisso quelle due perle nere, tanto profonde quanto luminose.

Mi perdo, per un attimo.

Jonathan avvicina le sue labbra alle mie.

Pochi millimetri e saranno unite.

Il mio cuore batte, ma non abbastanza veloce.

È tutto diverso, adesso.

 

Con un filo di voce rispondo: "Sì. James è quello giusto".

 

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Capitolo 27
*** IERI: Ci vuole coraggio ***


IERI:
Ci vuole coraggio

Nonostante adori dipingere, oggi non ne ho voglia.

Me ne sto con il pennello in mano a fissare il vuoto.

Il pensiero di Jo e Rebecca è un chiodo fisso. 

 

Non ho avuto il coraggio di chiedere a James se sapesse o meno tutta la faccenda. Non voglio rovinare quello che c'è tra di noi. In questi giorni si è comportato più che bene: mi è venuto a prendere tutte le mattine, abbiamo pranzato insieme e ci siamo avvicinati l'uno all'altra. Ho scoperto molte cose di lui. Il suo carattere è diverso da come mi sarei aspettata, ha una certa tenerezza, farcita da battutine e ironia, che lo rendono intrigante e divertente allo stesso tempo.

Ossessionarlo con le mie paranoie mi sembrerebbe di fargli un torto, soprattutto perché riguardano Jo e tra i due non scorre buon sangue.

Secondo Kate devo fare chiarezza il prima possibile altrimenti potrei correre il rischio di rovinare tutto. Probabilmente ha ragione, ma non ci riesco.

 

"Elena hai finito? C'è da sistemare i ritratti dei due protagonisti", Mike, un ragazzo di scenografia, mi scuote dai miei pensieri.

"Hmm... Sì", osservo il fondale appena dipinto, non è certo uno dei miei migliori lavori, ma è accettabile. Lo sistemerò appena avrò un attimo di concentrazione in più.

 

Adrian, con la cartelletta in mano, sta prendendo nota dei lavori finiti. Ha una tabella di marcia che Miss Scarlett gli ha dato: "Come va?", mi chiede osservando il mio lavoro.

"Insomma... Benino. Lo sistemerò più avanti, adesso devo lavorare sui ritratti dei protagonisti", con le mani sporche di colore guardo il grande lavoro che mi aspetta.

"La regista vorrebbe che tu finisca il prima possibile, affinché tu possa aiutare i ragaz...", un urlo disumano arriva da dietro le quinte. È Miss Scarlett che sbraita con le ragazze che si occupano dei vestiti.

Tutti i ragazzi sul palco impallidiscono, sanno che quando Miss Scarlett urla ci sono guai in vista. Le cinque costumiste corrono piangendo sul palco, sono terrorizzate, la donna le sta seguendo con in mano diverse paia di abiti e vestiti.

"Possibile che riteniate questi vestiti moderni e attuali? Li avete comprati al mercato delle pulci?", Miss Scarllet sventola un paio di jeans che non mi sembrano affatto male.

Non sono all'ultimo grido, ma per una rappresentazione teatrale, a mio parere, vanno più che bene.

"Ci scusi, non abbiamo avuto tempo per trovare il modello che ci aveva detto. Ho preso quelli che indossa mia sorella e...", una ragazza con gli occhiali ha la faccia inondata di lacrime.

"Tua sorella ha un pessimo gusto. Possibile che non mi possa fidare di voi?".

 

Gli occhi ghiaccio della donna scrutano i presenti, uno ad uno abbassiamo lo sguardo. Il tipo di impegno che richiede questo Club è molto più alto di quello che pensassi.

 

"Kate Husher. Voglio che fotografi le tue colleghe con il trucco sfatto, voglio che cogli la loro disperazione e il loro fallimento", Miss Scarlett non ammette repliche.

Kate sta provando con le ragazze di canto, è colta alla sprovvista: "Ma... Non so se riesco a...", prova a ribattere Kate.

"Scatta!", urla inferocita la donna.

Kate prende la sua macchina fotografica cercando di scattare foto a quelle povere disgraziate che, tremanti e avvilite, se ne stanno inermi.

 

La scena è surreale, siamo impietriti. Di sfuggita guardo il fondale appena dipinto, mi assale il dubbio che anche io non abbia fatto un buon lavoro. Se facesse a me una sceneggiata del genere non so come reagirei.

 

"Oggi è più nervosa del solito", Adrian mi bisbiglia a bassa voce.

"Sai perché?", chiedo.

"Pare che quelli del Saint Jude Institute vogliano fare Romeo e Giulietta in chiave moderna, come noi. Il rischio di essere copiati è molto alto. Tutto deve essere perfetto altrimenti l'intera scuola farà una figuraccia".

Miss Scarlett passa ad osservare tutti i lavori, Adrian lo segue aggiornandolo sui progressi o i ritardi. Quando la donna passa davanti al mio lavoro la faccia mi diventa rossa. Fortunatamente Miss Scarlett non urla, mugugna qualcosa senza senso poi prosegue nella sua ispezione.

Dall'aria contrariata che ha sembra non essere soddisfatta di niente.

 

"Esigo la perfezione. Ogni Gruppo ha un ruolo ben definito, la gerarchia è stata chiarita fin da subito. Esigo che i leader in ogni settore siano più duri e rispettino i tempi di consegna. È chiaro?", la donna sembra una militare.

Tutti annuiamo.

"Mi raccomando dobbiamo battere quelli del Saint Jude Institute. La nostra rappresentazione sarà la migliore", Miss Scarlett è su di giri, forse un po' troppo, si volta di scatto e si schianta contro Adrian. Lei, così piccola e minuta, è come se avesse sbattuto contro un albero. In un secondo si ritrova a piedi all'aria.

"Adrian! Vuoi stare attento?", digrigna tra i denti.

"Sì Signora", risponde il ragazzo mentre aiuta a rialzarla.

Io trattengo a stento le risate, Adrian combina un guaio dopo l'altro, è così impacciato che non lo si può trovare adorabile.

 

Il resto del pomeriggio lo passo a decidere con gli altri ragazzi del gruppo di scenografia la tabella di marcia. Ci aspetta molto lavoro. Considerando il fatto che nessuno di noi è un professionista, dobbiamo rimboccarci le maniche se vogliamo fare un buon lavoro.

Fortunatamente, da quando Demetra ha iniziato le prove al Teatro di New Heaven, non devo fare più due lezioni di Italiano a settimana, ma solo una. Questo mi toglie un bell'impegno, così posso dedicarmi di più allo studio, ai Club e a James.

 

A fine giornata sono sfinita, sentire Miss Scarlett andare fuori di testa mi ha prosciugato ogni briciolo di energia. Se penso che devo studiare fisica quando arrivo a casa mi prende malissimo.

Manca poco a Natale, l'aria fredda mi ghiaccia le mani. Provo a scaldarle sfregandole tra di loro, ma ottengo poco. Piccoli sbuffi di vapore bianco mi escono dalla bocca come il fumo di una locomotiva a carbone. Non vedo l'ora di avvolgermi in una coperta e bermi una tazza del mio tè preferito.

 

"Buonasera", una macchina scura ha accostato sul marciapiede. È James.

"Ciao. Come mai sei qui? Non avevi lezione di tennis oggi pomeriggio?", chiedo mentre mi affaccio dentro la macchina dal finestrino.

"Hai visto che ore sono? È tardi... Piuttosto, quanto sei stata al Teatro della scuola? Oggi hai fatto gli straordinari?", mi chiede mentre gioca con una sigaretta spenta, "Sali che ti porto a casa".

 

Senza farmelo dire due volte salto in macchina, rilassandomi al calore nel veicolo.

 

"Oggi Miss Scarlett era fuori di testa. Ha maltrattato delle ragazze, poi ha urlato a tutti. 

Pretende molto da noi. È difficile cercare di raggiungere i suoi standard, soprattutto perché siamo persone diverse. Ognuna ragiona con il suo cervello".

James ha i capelli umidi, profuma di doccia schiuma al muschio. Le sue guance sono leggermente rosate e gli occhi sembrano stanchi. Anche lui deve essersi affaticato molto durante l'allenamento.

"Mi dispiace che tu abbia passato una giornataccia. Miss Scarlett è così, un po' impulsiva, almeno per quanto ne so. Adrian dice che ha sbalzi d'amore, è difficile da capire", mi dice mentre continua a guidare.

 

Difficile da capire.

Non solo lei lo è. 

Quello che mi è capitato in pochi mesi mi sembra un rebus. 

Prima Jo. Poi James. Rebecca. Lucas e Stephanie. Nik. I Club. Mio padre. La Signora McArthur. Demetra. Tutti sembrano trottole impazzite.

Avere il coraggio di affrontare ognuno di loro, confrontarsi e cercare di costruire qualcosa di bello è molto faticoso. Tutti hanno esperienze di vita così diverse che non riesco a capirli fino in fondo. Forse è un mio limite o forse per tutti è così. 

 

Sbircio James con un po' troppa insistenza. Vorrei avere la forza per chiedergli di Jo, ma ho paura. Vorrei poter chiarire almeno con lui e porre fine a uno dei diecimila pensieri che mi riempiono la testa.

 

"Mi vuoi dire che ti frulla in testa? Sei strana pivella", James guida guardando la strada. È come se riuscisse a leggermi dentro: "Se vuoi dirmi qualcosa fai pure. Non ti mordo. Stai tranquilla".

"Non vorrei che ti arrabbiassi", sento però che la sincerità è l'unica soluzione, "Ho saputo di Jo e Rebecca e... e... Volevo sapere se tu lo sapevi. Cioè, quando mi hai baciata sapevi di loro due?".

James non risponde subito, tra le labbra tiene la sigaretta spenta.

"Sì. Sapevo tutto. Tra di noi non ci sono segreti, siamo amici da sempre. Rebecca mi aveva detto quello che aveva combinato. Qualche giorno fa, in macchina, mi hai detto che non sapevi il perché Jonathan ti nascondesse... Non ti ho detto nulla perché avevo paura che scegliessi lui al posto mio, una volta saputo come fossero andati i fatti. Per questo ero nervoso. Poi mi hai baciato e ho creduto che...".

"Hai creduto bene. Non voglio stare con Jo, mi ha mentito. Detesto le sue bugie... Mi piaci tu".

 

James inchioda di colpo sul lato della strada facendomi sobbalzare.

"Ma che succede? Abbiamo fatto un incidente?", gli chiedo mentre guardo dallo specchietto se abbiamo investito qualcuno.

"Stai zitta pivella". Le labbra di James si schiantano sulle mie, con potenza e intensità. I piccoli morsi e il suo vigore scuotono il mio corpo. Le mie mani si intrecciano ai suoi capelli umidi, l'odore del bagno schiuma al muschio invade le mie narici. Le sue mani sui miei fianchi, sulla schiena, sono energiche. James mi desidera come lo desidero io. Siamo due fuochi. Siamo un unico corpo. Sento il suo sapore fondersi con il mio, il mio cuore vola. Non voglio smettere mai di baciarlo. Mai.

 

"Anche tu mi piaci Elena. Mi piaci come non mi è piaciuta nessuno", James mi bacia la fronte, le gote, il mento, "Sei così bella. Mangerei, una a una, le tue lentiggini se potessi".

Non sono abituata a tutti quei complimenti, mi sembrano esagerati. Imbarazzata abbasso la testa. So di non essere brutta, ma non sono di certo niente di eccezionale. 

"Credo di essere come tante altre. Penso tu abbia qualche rotella fuori posto", gli dico sghignazzando.

James mi fissa con uno sguardo malizioso e la sua tipica smorfia: "Te l'ho già detto... Stai zitta pivella", riprendendo a baciarmi con una passione mai provata prima, facendomi sprofondare in un paradiso di fuoco.

 

Il mio cellulare trilla.

Dannazione, è papà che mi ha scritto un messaggio.

Vuole sapere dove sono.

 

"James... James... James! Devo tornare a casa. Mio padre mi aspetta", gli mostro il cellulare per farlo smettere di baciarmi.

"Peccato, mi stavo divertendo parecchio", dice mentre si sistema i capelli e prende tre profondi respiri.

"Beh, anch'io a dire il vero", il mio volto rosso per l'imbarazzo tradisce le mie più intime  emozioni.

"Cavolo smettila di fare così!", mi dice guardandomi e mordicchiandosi un labbro. 

"Come?", alzo le spalle.

"Quando tu sei tu, mi fai impazzire. Ti bacerei in continuazione", mi dice mentre accende la macchina.

Mi diverte prenderlo in giro e stuzzicarlo: "Invece quando tu sei tu, mi fai impazzire... Ma in un altro senso. Sei: arrogante, dispotico, prepotente, egocentrico e snob". 

"Davvero pivella? Credevo ti piacesse quel lato di me? È un'ottima maschera per sopravvivere nel mio mondo e al Trinity Instirute".

"Il tuo mondo?! Lo stesso in cui tu sei il futuro fidanzato di Rebecca?".

James mi guarda allibito: "Come fai a sapere di questa idiozia?".

"Le voci corrono a scuola. Un uccellino biondo, abbronzato e con abiti firmati, mi ha riferito questa cosa", rido come una pazza all'idea di un fidanzamento combinato tra i due.

"Lascia perdere. Quella sciroccata della madre di Rebecca tira fuori sempre questa storia. Mia madre è troppo educata per mandarla a quel paese. A mio padre forse piacerebbe, del resto a lui interessano solo i soldi. Domani Rebecca mi sente, detesto quando si impiccia negli affari miei". 

"No, non dirle nulla. A me non importa cosa va in giro a dire quella matta, i fatti nella realtà sono altri", mi avvicino e bacio sulla guancia James.

 

Siamo sotto il mio palazzo.

Ho ancora le mie labbra sulla guancia di James quando il faccione di mio padre compare fuori dal finestrino.

Sobbalzo dallo spavento.

Lo stesso fa James.

Merda, sono nei guai.

 

Di fretta e furia scendo dalla macchina cercando di trascinare mio padre verso il portone di casa, ma non ho abbastanza forza.

James, con la faccia rossa e teso come un bastone, è sul marciapiede di fronte a noi.

"Quindi tu saresti il coso che piace ad Elena?", papà sembra un gangster mentre minaccia la propria vittima.

"Sissignore", il tono troppo alto di James rimbomba nell'aria. 

"Cosa stavi facendo alla mia piccola?".

"Papà smettila!", se potessi sparire, sprofondare o emigrare, lo farei all'istante.

"Ci stavamo salutando Signore", James è teso come una corda di violino.

"Non faresti mai nulla che io non vorrei alla mia piccola, vero? Perché se scopro che vuoi usarla io...".

 

Con le mani tappo la bocca di mio padre che mi guarda come fossi io quella strana.

 

"Ciao. Ci vediamo domani a scuola. Ok?", dico a James mentre allontano papà.

Con fatica riesco a portarlo vicino al portone del palazzo, non senza qualche reticenza da parte sua. Stiamo per entrare nell'edificio, quando la voce di James arriva squillante: "Ah, Signor Voli. Volevo il permesso di avere Elena ospite a casa mia il giorno di Natale? La mia famiglia vorrebbe conoscerla".

La faccia rossa di mio padre sembra sul punto di esplodere.

Fortunatamente riesco a chiudere il portone prima che le imprecazioni di mio padre raggiungano James. O almeno lo spero.

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Capitolo 28
*** IERI: Cara mamma ***


IERI:
Cara mamma
 

Cara mamma, 

Questa è la quarta lettera che ti scrivo da quando non ci sei più. Ne ho tre, ben sigillate  in una scatola di legno che tengo vicino al letto. La promessa che ci siamo fatte era quella che avrei dovuto riassumere quello che mi era successo in un anno. Tutto in un foglio. Mi dicevi sempre che se fossi riuscita a condensare in poche parole un evento accadutomi nei mesi trascorsi, allora avrei saputo che era importante. In questo modo avrei capito cosa valesse la pena vivere e ricordare.

 

Potrei raccontarti degli ultimi mesi in Italia, di come ho lasciato il Liceo Artistico con tutti i miei amici, oppure potrei raccontarti del casino che abbiamo combinato, papà ed io, con gli scatoloni. Mancavi proprio tu ad organizzare il tutto. Il viaggio verso gli USA è andato bene, a parte un tizio vicino a noi che non la smetteva di parlare. Mancava poco che papà lo gettasse giù dall'aereo. Sai che non sopporta la gente che chiacchiera troppo.

 

Sono successe tante cose, alcune belle, altre buffe, ma niente che tu non abbia visto quando eri in vita. Le solite cose, le solite ansie. La normalità.

Kate sta bene. Abbiamo legato ancora di più, siamo come sorelle. Hanna rompe con la sua mania di organizzare tutto, mentre Roger è perso in mille progetti. Sono come li hai sempre conosciuti, matti da legare. Manchi molto anche a loro, come a me e papà. A volte lo sento piangere, papà. Lui crede che io stia dormendo, preferisco che si sfoghi piuttosto che tenga tutto dentro.

 

Ho pensato molto a cosa scriverti su questa lettera, ci ho riflettuto molto, avevo diverse opzioni. Potevo parlarti della nuova scuola, tutta regole, Club e studio, ma poi ho pensato che non te ne fregherebbe un gran che. Allora ho pensato di scriverti di una ragazza tremenda che si comporta male con tutti gli studenti (No, non ti dico il suo nome perché non voglio sprecare inchiostro per lei). Quando però ho pensato a quella ragazza, mi sono resa conto che se le dessi importanza forse le darei più potere. Quindi ho deciso di non parlartene.

La cosa che voglio raccontarti mamma, è accaduta negli ultimi mesi qui a New Heaven. Sono cresciuta e cambiata, non so se è stato il tempo o gli stravolgimenti degli ultimi mesi, ma tutto ha un sapore nuovo.

Ho conosciuto delle persone che mi hanno arricchita e hanno demolito le mie certezze rendendomi più forte. Tra tutti, una ha rapito il mio cuore. Si chiama James, ha splendidi occhi verdi, è molto carino e, anche se ha un carattere un po' particolare, riesce a capirmi come nessuno è mai riuscito. A volte credo mi legga nel pensier...

 

"Elena vuoi una tazza ti tè e biscotti?", Hanna entra in camera di Kate come una furia.

"Mamma! Elena sta scrivendo una cosa importante. Potresti imparare a bussare?".

"Sciocchezze Kate, Elena potrà continuare a scrivere quando me ne sarò andata. Stephanie a te va del tè?".

"Sì Signora, grazie", Stephanie se ne sta seduta per terra a sbirciare tra i CD di Kate.

Da quando l'abbiamo conosciuta meglio a casa di Rebecca stiamo spesso insieme. A volte abbiamo studiato in biblioteca, è molto brava in letteratura inglese. Il carattere dolce di Stephanie lega perfettamente con la riservatezza di Kate.

"Mi dispiace Elena, sai com'è è fatta mia madre", Kate si butta sul letto di fianco a me, "Hai finito?".

"No. Credo continuerò stasera. Ci impiego un sacco a scrivere questa lettera. L'anno scorso l'ho riscritta cinque volte".

"Credo sia molto tenero quello che fai. Io non so come farei senza mia madre, siamo molto legate. Da quando mio padre se ne è andato con un'altra, contiamo l'una sull'altra. Mia madre è molto fragile, io... Io... Io a volte devo aiutarla. Ha sbalzi d'umore che la portano a buttarsi giù", gli occhi smeraldo di Stephanie sono umidi, "Fortuna che Lucas e Becca mi aiutano. Se non fosse per loro non so cosa faremmo, mia madre ed io".

Pensare a Rebecca altruista mi fa venir da ridere. Non dico niente però, evidentemente tra loro c'è un affetto che non riesco a capire.

 

Hanna entra con un vassoio ricco di dolci della migliore pasticceria di New Heaven e una teiera piena di tè alla vaniglia.

 

"Da quanto state insieme te e Lucas?", chiedo mentre addento un biscotto ricoperto di cioccolato.

"Elena!", Kate mi da una gomitata.

"Che c'è?", chiedo mentre sputacchio briciole di biscotto.

"Non è educato", puntualizza Kate.

Stephanie ridacchia: "Tranquilla K. Non ho problemi a rispondere".

"K? Da quando in qua Kate ti fai chiamare K?", sto letteralmente soffocando dalle risate.

 

Kate mi prende a cucinate in faccia e per dispetto inizio a farle il solletico. Dopo dieci secondi, torturata dalle mie dita, si arrende accasciandosi al pavimento.

Stephanie è divertita, ha il volto rosso dalle risate.

 

"A volte cantiamo insieme Stephanie ed io, vorremmo formare un coro con altre ragazze. Abbiamo pensato di unire le iniziali per il nome del gruppo", Kate si sistema gli occhiali e cerca di sistemarsi i capelli arruffati dalla lotta.

"Qui ti tu sei S e tu K?", chiedo.

Stephanie annuisce.

"Allora S... Da quanto state insieme tu e Lucas?".

"Credo da circa quattro anni. Mi è sempre piaciuto il suo carattere forte. Ci conosciamo fin dalle elementari. A dire il vero conosco tutti i miei amici da sempre", Stephanie si versa una tazza di tè e inizia a sorseggiarlo con eleganza.

L'idea che conosca James da così tanto tempo solletica la mia curiosità: "Quindi conosci tutti loro da molto. Come erano da bambini?".

"Allora... Lucas era un bimbo determinato fin da piccolo, se ne stava sempre zitto, parlava solo quando qualcosa lo disturbava. Gli è sempre piaciuto che le cose andassero come volesse lui. Becca... Becca era stupenda, come lo è adesso. Sapete, ha fatto molti concorsi di bellezza, non so quante coppe ha vinto. Era una bimba molto divertente, giocavamo molto insieme. Adrian era un po' cicciotello, spesso veniva preso in giro. James l'ha sempre difeso. Ha un rapporto molto protettivo nei suoi confronti... Sapete Adrian a volte è un po' maldestro e goffo, anche se piace molto alle ragazze. Lui però è impegnato, più o meno. Ha la testa occupata".

 

Non avevo mai considerato Adrian un conquistatore, ha l'aria così ingenua che non mi sembrava particolarmente interessato al genere femminile. Certo, quello che avevo visto a Teatro con Rebecca mi aveva stupita, ma non ci avevo dato molto peso. Del resto lei è un'arrivista senza scrupoli, farebbe di tutto per ottenere la parte di Giulietta, anche spezzare il cuore a un suo caro amico. Nonostante si frequentino non vuole farlo sapere in giro. Tutta questa storia non mi piace per niente, mi ricorda troppo quello che mi è successo con Jo.

 

"Mi dispiace che sia una tua cara amica, non voglio offenderti, ma credo che Rebecca sia un'arpia senza scrupoli. Dovrebbe dire quello che prova, invece sta sempre a fare giochetti rovinando la vita agli altri", il mio tono acido non nasconde la mia avversione per come stia trattando Adrian.

Stephanie mi guarda sorpresa. Non credo abbia visto molta gente opporsi a Rebecca: "Io capisco che possa apparire cattiva a volte, ma fidati, lei è una brava persona. Ha molti problemi...", Stephanie si riferisce ai disturbi alimentari dell'amica, "Ma dice sempre tutto quello che prova. A noi non ha mai nascosto nulla. Se ti riferisci al fatto che sia cotta di James da sempre, fidati, gli ha chiesto più volte di stare con lei, ma lui non ha mai voluto".

 

Non capisco perché parli di James. So benissimo che Rebecca è innamorata di lui, è talmente palese che non c'è neanche bisogno di dirlo. Mi stupisce il fatto che Stephanie non sappia che Rebecca e Adrian siano passati dalle parole ai fatti. Probabilmente crede che nella coppia ci sia un interesse solo da parte di lui, per questo l'ha definito impegnato. Impegnato a vivere un amore non corrisposto, come del resto Rebecca con James.

Kate mi lancia uno sguardo strano, sta pensando la stessa cosa che penso io. Tutta questa storia sembra una matassa ingarbugliata.

 

"Non preoccuparti Elena, tu piaci molto a James. Becca ha provato a dissuaderlo dal frequentarti, ma lui non le ha dato retta. Anche a me ha chiesto di non vedervi... Credo abbia paura di perderci", Stephanie è molto imbarazzata, parla con un filo di voce.

"Posso dirti una cosa con franchezza? Tu fai quello che vuoi, non stare ad ascoltarla. Se hai voglia i passare un pomeriggio con me o K, fai pure. L'importante è che tu sia serena".

Kate abbraccia Stephanie: "Se inizia a trattarti male, faccelo sapere. Ok?".

Stephanie annuisce: "Che ne dite se adesso mangiamo?", dice mentre prende un pasticcino alla crema e frutta fresca.

Senza farmelo dire due volte mi prendo un dolce al cioccolato, ripieno di cioccolato e ricoperto di cioccolato. Una bomba cioccolatosa capace di farmi dimenticare Rebecca e tutti i suoi piani, complotti e sotterfugi.

 

Mentre mastico il dolce mi accorgo di aver ricevuto due messaggi sul telefonino.

Uno è di James, mi chiede quando può chiamarmi. Digito la risposta con stampato in volto un sorrisino ebete. Mi piace la sua attenzione nei miei confronti.

Il secondo messaggio è di Jo, vuole sapere se può fare una cosa. Non specifica però cosa sia la cosa.

 

Elena - Puoi fare la "cosa" solo se mi dici prima di cosa di tratta - INVIO

Jo - Niente di scandaloso, spaventoso. Volevo farmi perdonare per essere stato un idiota patentato -

Elena - Sei disposto a cospargerti il capo di ceneri, inginocchiarti sui ceci e dire duecento Padre Nostro? - INVIO

Jo -Non esageriamo. Pensavo ad un regalo ;) -

Elena - Inizi a ragionare. Che tipo di regalo? :D - INVIO

Jo - Tra una settimana è Natale, potrei passare a portartelo a casa tua. Che ne dici? -

Elena - Ma scusa, tua madre? Non passi il Natale con lei? - INVIO

Jo - Sto con lei la mattina. Il pomeriggio lavora, quindi sono tutto per te -

Elena - Il pomeriggio di Natale ho un impegno. Potresti darmi il tuo regalo a scuola. Sarebbe più comodo - INVIO

Jo - Ma scusa Babbo Natale arriva il 24 notte, come mai potrei avere prima il tuo regalo? Ahahah! -

Elena - Ovvio come ho fatto a non pensarci! :| Passa dopo pranzo, dovrei essere ancora a casa :) - INVIO

Jo - Dopo devi andare dal tuo fidanzato super ricco, super bello, super tutto? Non puoi regalare un po' del tuo tempo ad un semplice amico che vuole scusarsi? -

Elena - Tu sei un super idiota! Tra l'altro non potevi chiedermelo domani a scuola? - INVIO

Jo - Il tuo super fidanzato mi avrebbe fatto parlare con te? ;) -

Elena - Scemo, anzi sei un doppio scemo. A domani super scemo >_< - INVIO

 

Divertita dallo scambio di messaggi con Jo mi lancio su un'altra delizia al cioccolato.

"Con chi stavi messaggiando?", mi chiede Kate.

Ci penso un attimo prima di rispondere: "Un amico, un caro amico che non sentivo da tempo".

 

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Capitolo 29
*** IERI: Buon Natale ***


IERI:
Buon Natale

Sono furiosa. Giuro che se non mi sfogo spacco qualcosa.

Sbatto così forte la porta che il rimbombo fa tremare i muri dell'appartamento. Cavolo, quanto mi fa arrabbiare, ho messo più di un'ora per prepararmi, e solo adesso mi dice che non posso andare da James. Si comporta come un bambino piccolo, quanto lo detesto.

 

"Elena Voli. Non osare mai più rispondermi in quel modo. Capito? Non sei la principessa di casa a cui tutto è dovuto", gli occhi grigi di mio padre lanciano saette. 

"Potevi dirmelo i giorni scorsi che non volevi che andassi da James", cammino avanti e indietro come un animale in gabbia.

"Credevo di essere stato chiaro. Tu da quel coso, il giorno di Natale, non ci vai!".

"Per prima cosa chiamalo con il suo nome. J A M E S. Seconda cosa, i mugugni, i borbottii che hai fatto per giorni NON credevo significassero: non voglio che tu vada da James", imito la voce di papà malamente.

"Tu mi hai detto che ti stai frequentando con questo ragazzo. Il fatto che ti inviti a casa sua il giorno di Natale, per conoscere i suoi, significa che siete F I D A N Z A T I, il che vuol dire che avete fatto... Fatto... Insomma hai capito cosa intendo", papà pare indemoniato.

Furiosa prendo il mio cuscino e glielo lancio urlando: "Non ho mai fatto sesso con James, mi invita a casa sua solo perché è educato".

"Educato? Scherzi vero? Se non sei andata a letto con lui significa che fa tutto questo per rubare la tua purezza, il tuo candor...".

Urlo più forte per zittirlo: "Lui non ruba nulla! Non ti passa dal cervello che forse potrei essere io a voler fare l'amore con lui?".

 

Che diamine ho detto?

Sono impazzita?

Panico.

 

La faccia di mio padre inizia a cambiare colore, sembra stia per vomitare. Le occhiaie sembrano più scure, gli occhi paiono uscire dalle orbite. Sta per esplodere.

 

Dlin Dlon.

Suona il campanello di casa.

 

"Chi è?", urliamo in italiano sia io che mio padre. Il nostro tono non è certo tra i più accoglienti possibili.

"Se è quel coso lo caccio via di casa", papà percorre il corridoio a lunghi passi, con il corpo mi impedisce di superarlo. Se osa far una cosa del genere non gli rivolgerò mai più la parola.

 

Il campanello risuona.

Dlin Dlon.

 

Papà apre di scatto la porta deciso a mandare via James a calci nel sedere: "Cosa credi di far...", Ma il ragazzo che si ritrova davanti non è James, ma Jo.

"Tu chi diavolo sei?", mio padre lo scruta da cima a fondo.

"So-sono Jonathan un compagno di scuola di Elena".

"Vieni", prendo per mano Jo e lo trascino dentro casa, "Vorrei scusarmi con te per i modi bruschi di mio padre a quanto pare ha dimenticato le buone maniere".

Jo pare confuso, non sa cosa fare. Stringe al petto un pacchetto con un piccolo nastro: "Non volevo disturbare", dice impacciato.

"Non disturbi, figurati", abbraccio Jonathan e faccio la linguaccia a mio padre.

 

Da buona padrona di casa invito il mio amico a sedersi in salotto, gli offro dei dolcetti che ho messo in un cestino. Cerco di ristabilire l'ordine e la normalità, faccio finta che la discussione con mio padre non sua mai avvenuta. Mi infilo in bocca un torroncino, Jo ne prende uno senza smettere di tenere d'occhio mio padre che lo segue a braccia conserte.

 

"Senti coso... Anche tu fai la corte a mia figlia?".

"N-no Signore. Siamo solo amici. Le ho portato un regalo per Natale".

"Papà smettila. Ti prego, sembri pazzo", con tutta la forza che possiedo lo faccio sedere su una poltrona poco distante da noi. Adesso sta esagerando, deve smetterla.

Inizio a chiacchierare con il mio amico, gli chiedo di sua madre, dei compiti. Parlo a ruota libera cercando di sollevare l'umore a tutti. Nonostante provi ad alleggerire la situazione mio padre ci mette il carico da cento e inizia ad interrogare Jo.

 

"Come ti chiami? Quali sono i tuoi voti a scuola? Cosa vorresti fare da adulto? Quale è il tuo sogno più grande?".

"Mi chiamo Jonathan Kurtz. Ho la media del nove e sono al Trinity con una borsa di studio. Da adulto voglio fare l'avvocato. Il mio sogno più grande è fare in modo che mia madre possa avere una vita serena e non sia più costretta a fare due lavori".

 

Io me ne sto con le mani sul volto. Sono rossa per l'imbarazzo. 

Possibile che l'amabile e l'intelligente padre, che ho sempre conosciuto, si sia trasformato in un rozzo, maleducato uomo delle caverne?

 

"Hmm. Quindi sei venuto solo per portare un regalo ad Elena. Niente doppi fini?".

"No, Signore", Jo mi allunga il pacchettino con la mano tremante.

"Grazie papà. Ciao papà", non ho la minima intenzione di aprire il pacchetto davanti a lui. Con le braccia incrociate lo fisso. Non mi muovo finché non se ne sarà andato.

"Ok, ho capito", grugnisce, "Dimmi coso... Perché non le hai dato il regalo a scuola?".

"Pe-perché oggi è Natale, mi sembrava carino passare oggi a darle il regalo. Poi Elena sta con James. Non credo che lui avrebbe visto di buon occhio il mio gesto".

 

Il broncio di mio padre pian piano si scioglie. Sul suo volto compare un sorriso tra il diabolico e il folle. È come se un'idea improvvisa lo avesse illuminato.

 

"Carissimo Jonathan. Chiedo scusa per i miei modi bruschi... Vuoi una tazza di cioccolata calda?", papà sta cingendo il mio amico per le spalle che lo guarda atterrito.

"Adesso basta! Sembri schizofrenico. Che ti prende?", ho ripreso ad urlare. Non mi importa di nulla, questa storia sta rasentando il ridicolo.

"Signorina, modera i termini. Non credere che io mi sia dimenticato del discorso di prima su quello che vuoi o non vuoi fare con quell'altro coso".

 

Il campanello suona.

Dlin Dlon.

 

Merda, questo è James.

 

"Visto! Parli del diavolo e spuntano le corna", dice mio padre divertito mentre apre la porta d'ingresso.

 

James con un elegantissimo cappotto blu è sulla soglia di casa. Sta per entrare quando si accorge di Jo. La sua espressione serena diventa tutto ad un tratto cupa.

 

"Ciao coso... Non mi ricordo. Com'è che ti chiami?", papà picchietta l'indice sulla barba come se cercasse di ricordare il nome. È un pessimo attore.

"James McArthur, Signore".

"Ah ecco. Elena, qui c'è coso Mcqualcosa che ti cerca. Penso io al carissimo Jonathan, che così amorevolmente ti ha portato un regalo il giorno di Natale. Che classe e che educazione il mio caro amico Jonathan". 

 

Furiosa allontano malamente mio padre dalla porta. Mi sento così male. Lo sguardo freddo di James mi ferisce l'anima. Tutta questa situazione è paradossale.

Vorrei poter spiegare e farmi capire, ma dalla mia bocca non esce nessun suono. Mi sento in trappola, mi manca l'aria. Devo andarmene da lì il prima possibile.

 

Prendo il mio cappotto e lo indosso.

Metto in tasca il regalo di Jo.

Infilo nella borsa il cellulare e le chiavi di casa.

 

"Grazie per avermi fatto passare il più brutto Natale della mia vita. Quasi più brutto di quello passato senza mamma per la prima volta. Mi auguro che tu sia soddisfatto adesso", le parole mi scivolano di bocca con una cattiveria che mai ho provato in vita mia. Mai lo ho odiato, mai mi sono opposta a lui. Mai ho desiderato che lui non fosse mio padre.

 

James e Jo mi seguono senza emettere fiato.

L'eco della porta d'ingresso sbattuta è come un pugno nello stomaco. Il silenzio assordante è rotto dai passi veloci sulle scale. 

Voglio andarmene via.

Voglio fuggire.

Le gambe mi tremano, appena metto piede sulla strada crollo sul marciapiede come un sacco di patate. Sono così mortificata che il mio volto rispecchia alla perfezione come mi sento: un fantasma smunto è scolorito.

Sono svuotata, non ho energie. Non ho il coraggio di guardare in faccia nessuno.

 

James e Jo si siedono vicino a me. 

 

"Bevi un po d'acqua", Jo apre una bottiglietta che tiene nello zaino.

"Sei pallida pivella. Hai bisogno di una dose doppia di cioccolata", il sorrisetto furbo di James mi da forza, "E pensare che credevo di essere l'unico ad avere i parenti strani. Mia nonna Geltrude prima di tutte, poi ho una serie di lontane cugine che proprio normali non sono".

"Dovresti conoscere mia zia Anna. Parla con la televisione. A volte ci litiga pure", dice Jo.

 

Inizio a ridere, non riesco a trattenermi: "Chi credeva che mio padre fosse un tale idiota. Mi dispiace per tutto. Credo sia spaventato, non ho mai frequentato ragazzi prima. Non seriamente almeno".

James trattiene un sorriso mentre mi prende per mano: "Tanto prima o poi doveva succedere. Credo che a parte il suo amico Jonathan non gli vada a genio nessun altro".

"Ehi. Non voglio intromettermi. Ok? Il padre pazzoide te lo becchi tu James. Io alzo bandiera bianca. Ero venuto solo a dare un regalo a Elena".

 

Prendo il pacchetto dalla tasca del cappotto, rompo con attenzione la carta. Tolgo un bracciale multicolore di fili intrecciati con attaccati piccole decorazioni. Jo lo appoggia intono al mio polso e lo annoda stretto.

"Questo bracciale l'ho fatto io. Da piccolo mia mamma mi ha insegnato come intrecciarlo, è una vecchia tecnica messicana. Rappresenta il simbolo dell'amicizia. Vedi il ciondoli d'argento che sono attaccati? Ognuno di loro ha un significato preciso: la chiave è quando ci siamo conosciuti all'armadietto del Trinity, la penna quando ci siamo iscritti ai club, la maschera quando ci siamo... Ehm...", Jo tentenna.

"Coraggio dillo pure, giuro che non ti picchio", risponde James divertito.

"Dicevo... La maschera quando ci siamo baciati a casa di Rebecca e infine il computer quando abbiamo chiarito e capito che funzioniamo meglio come amici. Vedi tutto lo spazio che manca sul braccialetto? In teoria si dovrebbe riempire con tanti ciondoli. È di buon auspicio, vuole significare che la nostra amicizia durerà per molto tempo".

 

Sono stupita. Quel bellissimo regalo è il segnale che Jonathan ed io siamo legati da un sentimento forte. Forse non siamo adatti per stare insieme, ma siamo perfetti per essere amici. 

 

Faccio tintinnare i ciondoli divertita: "Mi auguro di poter aggiungere decine di nuovi ciondoli", poi abbraccio stretto Jo, "Grazie", gli sussurro in un orecchio.

Jonathan risponde al mio abbraccio con trasporto: "Adesso devo andare. Devo passare da mia zia Anna... Quella che parla con la TV", dice sghignazzando mentre da una pacca sulla spalla a James.

"Buon Natale", dico mentre lo guardo allontanarsi per andare verso la fermata del bus.

 

James ed io siamo finalmente soli.

Quello che gli ho fatto passare a casa mia non ha scuse. È stato orribile. 

A testa bassa vado verso la sua macchina parcheggiata poco lontano.

 

"Allora pivella è vero che non hai mai frequentato ragazzi seriamente prima di me?", James mi abbraccia da dietro. Mi sta bisbigliando ad un orecchio con la voce profonda. Sento il suo corpo appiccicarsi contro al mio e le sue mani intrecciarsi con le mie.

"Mai", ansimo leggermente per la vicinanza della sua bocca al mio collo. Una cascata di brividi mi percorre della punta dei capelli a quella dei piedi.

"Bene Elena... Bene", i baci di James sulla nuca, i morsi leggeri sulle orecchie e il suono dei suoi respiri affannosi, mi sciolgono. Tutto lo stress provato prima con mio padre è un ricordo lontano, archiviato.

Mi giro e lo bacio come se volessi entrare nel suo corpo, come se volessi fondermi con lui. Il desiderio di amarlo cresce dentro di me. James mi spinge contro la macchina e solleva leggermente una mia gamba, accarezzando la coscia.

 

"Sei rilassata adesso?", Dice James staccandosi improvvisamente da me.

"Co-cosa?", rispondo confusa.

James sfodera il suo solito sorrisetto furbo: "Io ho dovuto conoscere tuo padre. Tu sei pronta ad incontrare il mio?".

 
 

-------


La neve cade lenta. Piccoli fiocchi danzano davanti al finestrino. Un lieve manto bianco ricopre gli alberi, i prati, i tetti delle case. Per strada c'è poca gente, quasi tutti se ne stanno a casa a festeggiare con i parenti. 

Vorrei che la giornata di oggi fosse andata diversamente, vorrei che mio padre non fosse impazzito dalla gelosia e vorrei che mia madre fosse viva per potergli spiegare come mi sento. Mi sento in colpa, anche se non ho fatto nulla. Crescere, diventare adulta, cambia le carte in tavola. Desiderare di essere amata, esplorare i sentimenti e le sensazioni, non può essere considerato uno sbaglio. 

Volere James non è uno sbaglio.

 

"Tutto ok? Non ti preoccupare, tuo padre vuole solo proteggerti. Capirà che ha esagerato e ti chiederà scusa", James sta guidando attraverso il centro di New Heaven.

"Lo spero", dico mentre gioco con il braccialetto che mi ha regalato Jo.

 

L'attico di James è nel palazzo più antico della città, a pochi passi dalla piazza principale. Ci fermiamo all'ingresso di un parcheggio privato, una serranda metallica si alza appena ci avviciniamo. 

Sono agitata. L'idea di conoscere il padre di James mi stressa molto. So che è uno stimatissimo avvocato, nulla di più. James non ha mai voluto parlarmene in maniera approfondita.

 

"Che ne dici se ci scambiamo i regali adesso", James guida per una rampa sotterranea fino ad una serie di garage privati. Parcheggia la macchina in un posto libero vicino a diverse auto di lusso.

"Hai mantenuto la promessa?", chiedo.

"Come no", mi dice divertito, "Non più di quindici dollari per il regalo. A dire il vero ne ho spesi solo poco più di dodici".

"Bravo", sono felice di avere un attimo da sola con lui. D'istinto mi avvicino e lo bacio dolcemente, gli accarezzo il volto per poi passare la mano tra i capelli.

"Come facciamo a scambiarcelo?", mi chiede. 

"Facciamo in contemporanea... Sei pronto?".

 

Estraggo dalla borsetta un cartoncino ripiegato, mentre James prende un pacco dal sedile posteriore.

 

"3... 2... 1...", diciamo in coro. 

 

Mi ritrovo in mano un plico rettangolare, alla prima impressione sembra un libro.

Lo scarto.

Estraggo un fascicolo piuttosto alto tenuto insieme da una spirale di plastica. non capisco di cosa si tratta. Aspetto un secondo prima di chiedergli spiegazioni perché James sta leggendo il mio cartoncino: "Non vale! Hai detto che dovevamo stare sotto i quindici dollari... Il materiale ti costerà molto di più".

"Il cartoncino costa 20 cent. il regalo è quello, non avevamo specificato che se ci fosse stato scritto qualcosa che costa di più non sarebbe andato bene. E poi ho già parecchi colori a casa, non ho ispirazioni e voglio dipingere qualcosa di diverso dai fondali per Miss Scarlett", ridacchio.

"La prossima volta scriverò un contratto vagliando ogni opzione possibile. Tu mi hai truffato. Il mio regalo non è così bello, un quadro fatto da te è meraviglioso mentre il mio è una stupidata", James prende il fascicolo dalle mie mani.

"Fermo. È mio. Spiegami di cosa di tratta", gli dico riprendendo il regalo.

 

James mi guarda di striscio, se non lo conoscessi bene direi che è arrossito.

 

"Direi che è una specie di guida per capirmi. Trovi diversi capitoli: etica, gusti personali, sogni e... Paure", James passa le mani sul volante fingendo di ignorarmi, "Non sapevo cosa comprarti per così poco pivella".

Sono senza parole, l'idea che abbia passato del tempo a scrivere quella guida per me mi lusinga molto: "È la cosa più bella che potessi regalarmi. Credo che lo leggerò molto volentieri", gli dico stringendolo al petto. 

"Sai non sono bravo con i regali, ho pensato che sapere qualcosa in più...", dice James mordendosi il labbro. 

 

Quando è così insicuro mi fa scattare qualcosa dentro. Lo strapazzerei di baci, lo riempirei di abbracci. Intravedere la sua dolcezza dietro alla faccia tosta che ha di solito, mi fa impazzire.

 

"Perché mi guardi così?", James ha l'aria interrogativa, non capisce perché lo stia fissando con tanta intensità.

"Perché mi fai impazzire. Sei a tratti odioso e insopportabile, ma poi te ne esci con un regalo del genere. A volte sembra che tu legga i miei pensieri".

James si avvicina, le sue labbra sfiorano le mie: "Se i miei poteri funzionano, leggo nella tua mente che adesso hai voglia di uno di questi".

Mi aspetta un bacio epico, come ogni nostro bacio.

 

Stop al momento romantico!

 

Un ticchettio proviene dal finestrino.

La Signora McArthur sta picchiettando un anello, farcito di pietre preziose, sul finestrino.

 

"Volete sbrigarvi voi due? Ad una certa ora voglio tornare a casa. Sai quanto detesti il Natale e feste simili", la vecchia sbraita senza un minimo di classe.

"Ciao nonna", James scende dall'auto e viene dalla mia parte per aprirmi lo sportello, "Conosci già Elena. Vero?".

"Non fare lo stupido, caro ragazzo", nel frattempo mi squadra da capo a piedi, "Con una bella sistemata e un filo di trucco in più, non sei niente male ragazza".

A modo suo quello era un complimento.

 

James mi prende per mano e tutti e tre andiamo verso un ascensore che ci porterà direttamente all'attico.

La Signora McArthur ha in mano un sacchetto colmo di pacchetti. Non la smette di parlare lamentandosi di tutto: dalla luce fioca nel garage, dell'aria viziata dell'ascensore e del traffico del centro città.

 

"Fortuna siamo arrivati", sbotta la vecchia appena le porte dell'ascensore si aprono.

Il viaggio sarà durato, sì e no, dieci secondi.

 

Mi ritrovo in un ampio salone, grande quanto il mio appartamento. Un enorme albero decorato con fiori e foglie di stoffa color oro, palle di vetro azzurre e fiocchi color panna, svetta per la stanza. Una scala, con un'enorme vetrata, porta al piano superiore.

Posso vedere i tetti di tutta New Heaven, mi sembra di stare tra le nuvole.

 

"Cara Elena", Demetra mi abbraccia stretta, indossa un bellissimo abito dorato con una parure di gioielli in diamanti. Il mio abito comprato al centro commerciale sfigura, tutti gli altri sembrano usciti da una rivista di alta moda.

"Buon Natale Demetra", le dico ricambiando l'abbraccio.

James mi raggiunge, mi cinge la vita mentre mi porta da suo padre.

 

"Papà, lei è Elena Voli".

L'uomo mi guarda come se fossi trasparente. Poi si volta per ammirare il panorama fuori dalla finestra senza degnarmi di una parola.

"Papà, lei è la mia ragazza Elena Voli", James ha un tono freddo. 

 

Il taglio degli occhi e il naso dell'uomo sono identici a quelli del figlio. I capelli brizzolati e le rughe d'espressione non tolgono fascino, anzi gli donano.

 

"Molto piacere signorina, ho saputo che anche lei frequenta il Club di Dibattito. Quando ero ragazzo l'ho frequentato pure io. Non c'era spazio per tutti allora".

Fingo di non cogliere l'allusione: "Sì, frequento il Club, ma non sono brava come James. Lui è il primo della lista".

"Da lui non mi aspetto meno di quello, ma evidentemente non è per tutti lo stesso".

Se non fosse il padre di James credo che lo manderei a quel paese.

"Elena segue anche il Club di Teatro. Si occupa delle scenografie, è un'ottima pittrice", James mi sorride anche se scorgo nei suoi occhi emozioni contrastanti.

"... Una pittrice che fa ripetizioni a mia moglie e la badante a mia madre. Te la sei scelta bene figliolo".

"George!", la Signora McArthur rimbecca il figlio, "La ragazza ci è stata utile e non è la mia badante. Demetra ha recuperato perfettamente l'italiano. Certo, la fanciulla non ha nemmeno un po' di classe ed eleganza, ma son cose che può sempre imparare".

 

Imparare?

Ma chi si credono di essere?

 

"Nonna, smettila. Elena va bene come è. Non deve cambiare per fare felice te o papà".

"Se vuole stare con te deve per forza cambiare. Non può mica restare la timida provincialotta Italiana in cerca di marito per avere la carta verde", l'uomo si riempie un bicchiere di whisky per poi berlo in un sorso. 

"Scusi?", la mia voce raggiunge un tono così acuto che sembra un ultrasuono.

"Sei carina, non posso negarlo, ma nel nostro mondo tu sei la sguattera, la serva, quella che paghiamo per fare cose. Per intenderci, quella che viene pagata per fare tutto quello che vogliamo", il fiato dell'uomo puzza di alcool in maniera impressionante.

 

James scatta e si mette di fronte al padre: "Ma ti senti quando parli?".

Sono muso contro muso. 

"George. James", Demetra si mette in mezzo si due, "È Natale, cerchiamo di comportarci bene".

"Bene? È talmente ovvio che papà non abbia voglia di stare qui. Non puoi proprio staccarti dal tuo ufficio a Boston? Se ti mancano le tue scartoffie non trattare male Elena, lei non c'entra nulla".

"Appunto. Lei non c'entra nulla. Porta solo guai", il padre di James pare arrabbiato, non capisco perché mi porti rancore.

"George, è stata mia la decisione. Capito? Lei non c'entra nulla", Demetra alza il tono della voce. Anche da arrabbiata è così armoniosa che sembra stia cantando.

"Che diavolo significa?", James mi sta stritolando la mano è su tutte le furie.

"Quell'asino di mio figlio non vuole che tua madre riprenda a cantare", dice la Signora McArthur.

"Demetra... Tu...", il padre di James stringe la mascella. Nonostante sia apparso freddo, cinico e distaccato, nel momento che ha pronunciato il nome della moglie è sembrato un altro uomo. Triste, immensamente triste.

"George. Te l'ho ripetuto mille volte, sono io che lo voglio. Lo faccio solo per me", la donna si avvicina al marito baciandolo sulla guancia. L'uomo si ritrae andando al bancone dei liquori a farsi un altro whisky.

 

"Idiota di un asino", la vecchia si siede su un divano e mi fa cenno di sedermi vicino a lei. James raggiunge la madre che pare impallidita. 

"Non fare caso a lui. Anni fa ha fatto smettere Demetra di cantare per gelosia. È molto possessivo purtroppo", la vecchia sbircia il figlio e la nuora discutere.

 

Mi dispiace che stiano litigando per colpa mia.

 

"Tieni", la vecchia mi allunga una scatola con i cioccolatini che tanto amo. Deve aver saputo della razzia di cioccolatini che faccio ogni volta che viaggio sulla sua Rolls Royce.

"Grazie. Non doveva. Io non ho nulla da...", dico sorpresa.

"Figurati ragazza. Non voglio nulla a parte uno al pistacchio", mi dice mentre adocchia un cioccolatino.

Io ne assaggio subito uno al ripieno di fragola. Quella squisitezza mi catapulta, per un paio di secondi, in un mondo perfetto dove io non sto antipatica al padre di James, dove papà non è un pazzo geloso e dove tutti si vogliono bene.

 

Ripeto. Un paio di secondi.

Poi basta.

Una voce troppo famigliare mi riporta alla realtà.

 

Rebecca saluta con il suo braccio ricoperto di bracciali d'oro. È appena uscita dall'ascensore.

Demetra e George smettono di discutere e accolgono la famiglia Parson con entusiasmo.

James abbraccia Rebecca che non manca di lanciarmi un'occhiata divertita.

 

Io quella strega la strozzo.

 

In preda ad un raptus di gelosia mi infilo quattro cioccolatini in bocca pentendomene subito amaramente. La mia bocca si è talmente impastata che mi è impossibile pronunciare una parola.

 

La madre di Rebecca, con indosso un abito nero talmente attillato da sembrare la sua seconda pelle, mi guarda schifata: "Ciao Elena. Ti becco sempre a mangiare cioccolato".

Io sorrido cercando di ingoiare il blob cioccolatoso che ho in bocca.

Il padre di Rebecca ha lo stesso sguardo tagliente della figlia: "Che ne dici George di un goccetto?". I due uomini vanno verso il bar a riempire i bicchieri.

"Pure per me caro", la madre di Rebecca prende sotto braccio Demetra e la Signora McArthur e insieme si allontanano a chiacchierare.

 

James, Rebecca ed io, siamo rimasti soli.

 

"Buon Natale JJ", Rebecca butta le braccia al collo a James, "Lo chiamo così fin da quando siamo piccoli. Vero JJuccio?".

"Smettila Rebecca! Sai che detesto quando fai così", James allontana l'amica, "Vuoi qualcosa da bere Elena?".

Annuisco. Non ho il coraggio di aprire la bocca, sento il sapore forte del cioccolato ancora in bocca, sicuramente ho i denti tutti sporchi.

"Prima che tu vada James, devo dirti una cosa. Gli Smith ci hanno invitato per il solito aperitivo natalizio. Credo che lo facciano per mostrarci la loro ridicola collezione di orologi d'epoca. Quei due ragazzini sono patetici, farebbero di tutto per attirare la nostra attenzione. Se non fosse per il ruolo che ha suo padre a New Heaven, credo che nessuno li calcolerebbe", Rebecca parla con confidenza su argomenti che non conosco. Non ho idea di chi siano gli Smith e non so nulla di orologi d'epoca.

 James mi accarezza una guancia parlandomi a bassa voce: "Tranquilla. Se non vuoi venire posso andarci da solo dagli Smith. Sono amici di famiglia che ci invitano ogni anno, ti annoieresti".

Annuisco, sempre a bocca serrata, mentre lo vedo allontanarsi per andare a prendere un bicchiere d'acqua. 

 

Resto sola con Rebecca che mi sta squadrando da capo a piedi.

 

"Pessimo esordio, feccia. Non credere che lasci James nelle tue mani. Lui è mio", Rebecca sfiora il colletto del mio vestito, pare schifata, "Del resto ha già scelto da che parte stare... Non ti ha voluta portare dagli Smith perché si vergogna di te. È così evidente, no?!".

 

L'eco della sua risata maligna mi rimbomba nel cervello.

Giuro, se potessi prenderei a calci quel suo sedere striminzito e le distruggerei i gioielli che indossa. Le urlerei che si sbaglia, che James tiene a me e non si vergogna di come sono fatta.

James non si vergogna di me.

Vergogna.

Io ho vergogna di me.

Mi sento brutta in mezzo a loro.

Tutto quel lusso, quello sfarzo e poi ci sono io.

Una sguattera, ecco come mi ha chiamata il padre di James.

Quella che viene pagata per fare tutto quello che vogliono loro, i padroni di New Heaven.

Forse non valgo quanto loro.

James si vergogna veramente di me?

 

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Capitolo 30
*** IERI: Nuovo anno, nuove paranoie ***


IERI:
Nuovo anno, nuove paranoie


 


New Heaven è coperta di neve. I miei scarponcini fanno scricchiolare il manto bianco sulla strada che mi porta alla fermata del bus. Kate è al mio fianco silenziosa.

Le poche macchine che girano per strada hanno le catene, e vanno a passo d'uomo. Decine di studenti sono asserragliati alla fermata. Le strade sono così piene di neve che è sconsigliata la circolazione. 

 

Sbuffo. Non vedo James da giorni.

 

"Credo che per James sia impossibile guidare, guarda quanta neve", dalla bocca di Kate, oltre le sue parole, escono candide nuvole di vapore.

 

Sbuffo di nuovo e alzo gli occhi al cielo.

 

"Lo so che non lo vedi da dopo Natale, ma credo che tu possa aspettare ancora un po'. Del resto non poteva fare altrimenti, la sua famiglia era partita", Kate si stringe la sciarpa intorno al collo.

 

Incrocio le braccia e metto il broncio.

 

"Sai che avrebbe voluto passare l'ultimo dell'anno con te, ma la festa era organizzata da mesi, non poteva mancare. Certo, il fatto che fosse a un'ora di macchina da qui non ti ha aiutata, se poi consideri la nevicata... Insomma, non ha il dono del teletrasporto", Kate guarda l'orologio, il bus è in ritardo.

 

Picchietto il piede e stringo la mascella.

 

"Lo so. Lo so, che c'era pure Rebecca con lui. Ma c'era pure Adrian, Stephanie e Lucas. Fidati, James non avrà fatto avvicinare quella strega".

 

Aggrotto la fronte ed emetto strani mugolii. 

 

"Capisco che il fatto che sia andato dagli Smith, senza te, ti abbia dato fastidio, ma tu non gli hai detto che volevi star con lui. Che doveva fare? Non sapeva che in verità tu volevi accompagnarlo", Kate si affaccia sulla strada, in lontananza vede i fari del bus.

 

Stiracchio le braccia lungo il corpo e prendo respiri profondi.

 

"Ovvio che tuo padre si è comportato male non mandandoti alla festa. Ma tu sei stata così tonta da dirgli che volevi fare sesso con James! Come pretendevi che ti lasciasse stare fuori casa per giorni e giorni?", Kate riesce ad infilarsi davanti alla massa di studenti e salire per prima sul bus.

 

Ho un gran mal di testa, con le dita mi massaggio le tempie.

Lascio scorrere il fiume di persone per poi cercare la mia amica che ha trovato due posti a sedere.

 

"Ricorda che non è successo nulla. Tu piaci a James, solo che è dovuto partire con la sua famiglia. La nevicata l'ha bloccato fuori città. Il fatto che non sia venuto a prenderti oggi è sempre per colpa della neve. Capito? N E V E", Kate mi parla come fossi una bimba di tre anni.

Tossicchio cercando di contenere le emozioni che mi turbinano dentro come un ciclone:  "Ok, posso capirlo. La neve gli ha impedito di tornare in città dopo la festa in campagna organizzata dai suoi genitori. Posso capire che non mi abbia portato dagli Smith, visto che non gli ho detto che non volevo andare", piccoli tic nervosi mi stanno facendo chiudere gli occhi, traballare le guance e scattare le spalle, "Posso capire che Reb... Reb... Reb... Insomma quella strega, sia stata invitata. Posso capire anche che mio padre mi abbia segregata in casa. Kate, posso capire tutto razionalmente. Ne parliamo e riparliamo da giorni. Ma allora perché mi sento un palloncino pronto ad esplodere? Perché sono arrabbiata, frustrata, ansiosa, furiosa, preoccupata e immensamente triste?".

Kate mi guarda con un risolino stampato in faccia: "Perché sei cotta, stracotta. Sei completamente andata fuori di testa per James. Non so come possa essere possibile, ma ti piace il suo carattere arrogante, la sua faccia da sbruffone e i suoi modi prepotenti. C'è da dire che ha dimostrato molta dolcezza e dedizione nei tuoi confronti. Il regalo che ti ha fatto è una cosa davvero speciale".

"Cotta? Nooo. Che dici? Pfui. Io innamorata di James. No. No. Mi piace, questo sì. Ti ricordo che sono una ragazza forte e indipendente e non saranno certo un paio di occhi verdi, due labbra morbide, un profumo estasiante e parole dolci, a farmi sciogliere come una pera cotta".

Kate sta per scoppiare a ridere: "Ma ti senti? Non hai visto James per più di una settimana appena. Mica è partito per la guerra. Fidati, sei completamente andata".

 

Kate mi spinge, vuole scendere. Il bus è arrivato in prossimità della scuola.

"Sei pronta a rivederlo? Mi raccomando non fargli paranoie inutili, non ha fatto nulla di male. Ok?".

"Ok", le dico poco convinta.

 

L'idea di poter stare con lui, anche solo per cinque minuti, mi spaventa molto. Del resto usciamo insieme da un mese circa, non è mai successo che stessimo lontani per troppo tempo. Se James fosse cambiato? Se avesse ascoltato Rebecca e si vergognasse di me?

Ci siamo sentiti molto per telefono e con i messaggi, ma non è la stessa cosa.

 

Man mano mi avvicino a scuola la mia tensione aumenta.

La preside Marquez è con un megafono davanti al portone d'ingresso, sembra una vigilessa: "Tutti gli studenti sono pregati di entrare nell'edificio. Recatevi nelle vostre aule senza perdere tempo nei corridoi. Causa neve, molti studenti non sono riusciti a raggiungere la scuola. Siete pregati di muovervi".

Diversi professori dirigono il flusso di ragazzi verso l'interno. Per essere il primo giorno di scuola dopo le vacanze, ci sono pochi studenti. Kate ed io ci aggreghiamo al gruppo principale che, con molta calma, si sta muovendo. Il rischio di scivolare e farsi male è molto alto.

 

Mi arriva un messaggio. È James.

-Sono bloccato da mia nonna. Maledetta neve. Appena liberano la strada vengo a scuola. XO-

 

Odio la neve. Il clima gioca a mio sfavore

Adesso come faccio a stare attenta in classe se l'unica cosa che mi frulla per il cervello è James?

Ci provo a prendere appunti a storia, a matematica e a letteratura. Giuro, ci provo. Quello che invece faccio per tutta mattina sono scarabocchi, guardare fuori dalla finestra e mangiucchiare la penna. Ore buttate al vento.

Pure in pausa pranzo non faccio altro che osservare chi entra in mensa. Ogni cigolio di porta mi giro di scatto. Kate non dice nulla ma ridacchia sotto ai baffi. 

Stephanie, Lucas e Adrian stanno da soli in un tavolo vicino. Vorrei chiedere loro qualche informazione sui giorni trascorsi fuori città, ma non credo che mi direbbero molto. Soprattutto Lucas, non penso di starle molto simpatica. Da quando Stephanie è diventata nostra amica pare infastidito della nostra presenza.

Tartasserò Adrian al Club di Teatro nel pomeriggio. Lui è tranquillo, poi è il miglior amico di James, non ho problemi a parlare con lui.

 

"Notizie di Jo? L'hai più visto dopo l'ultimo dell'anno?", mi chiede Kate mentre sgranocchia delle carote.

"No. Lavorava da suo zio per qualche giorno, in attesa che riprendesse la scuola. Credo che sia rimasto anche lui bloccato dalla neve", le rispondo.

"Ci siamo divertiti noi tre. Mia madre ha rotto un po' le scatole, ma non troppo", Kate vuole chiacchierare, ma io non sono dell'umore adatto, "È il primo capodanno che lo passo con i miei amici. Non mi era mai successo prima".

Kate è arrossita. 

Mi accorgo di quanto sia stata egoista, pensavo così tanto a me stessa da non accorgermi che aveva voglia di sfogarsi un po': "E ne passerai decine, decine, decine, decine... In mia compagnia. Promesso?".

"Promesso", ripete Kate scoppiando a ridere.

Ci abbracciamo. Quel contatto mi rigenera, mi riempie il cuore.

Mi sento decisamente meglio.

 

Grazie al buon umore ritrovato, tutto merito di Kate, il pomeriggio passa senza grossi traumi. Il laboratorio di Informatica scorre senza grossi intoppi. Schiacciare tasti, leggere codici mi aiuta a non pensare a James. Non troppo almeno.

 

La scuola semi deserta fa un certo effetto, di solito decine di studenti corrono da un'aula all'altra. Mi ritrovo a percorrere il corridoio che porta al Teatro della scuola in solitudine. Ho ancora dieci minuti buoni prima che Miss Scarlett faccia l'appello.

Estraggo dalla cartella il fascicolo che mi ha regalato James.

 

Lo sfoglio fino a pagina 15: Capitolo 3 - I miei Sogni.

Avrò letto questo capitolo come minimo cinquanta volte. Come tutto il fascicolo del resto. Con un sorrisino ebete i miei occhi si spostano su le parole che James ha scritto. Parole solo per me. Un vero e proprio tesoro.

 

"Che fai qui? Ti sei persa?", la voce di Nik mi distrae dalla lettura.

"No, stavo leggendo una cosa prima di andare al Club", con attenzione ripongo il fascicolo nella cartella.

"Stavo andando anche io a Teatro. Quelli del Gruppo B del secondo anno sono rimasti a casa, bloccati dalla neve. Pomeriggio libero", mi dice mettendosi le mani dietro la testa.

Insieme ci incamminiamo, una accanto all'altro.

"Come hai passato le vacanze?", chiedo.

"Sono stato a Boston per lavoro, abbiamo un grosso caso tra le mani. Solo all'ultimo dell'anno ho festeggiato con amici. Tu?".

"Natale in famiglia e il 31 l'ho passato con Kate e Jo", non ho voglia di approfondire il discorso.

"Kate e Jo?", dal suo sguardo capisco che si sta chiedendo come mai non l'abbia passato con James. 

"Tanto per la cronaca James era con i suoi genitori in campagna. Con la nevicata di questi giorni è rimasto bloccato", mi rendo subito conto di aver alzato un po' troppo la voce e i toni, Nik non c'entra nulla, "Scusa... È che...".

"È che ti manca e non vedi l'ora di rivederlo".

"Già. Banale vero?", arrossisco leggermente.

"No. Voglio solo che tu sia felice e serena. Se James ti fa stare bene allora è la cosa giusta", gli occhi azzurri di Nik mi fissano. Mi guardano come se cercassero di capire cosa penso. Poi, con delicatezza mi accarezza i capelli, "Credo che sia la cosa giusta, adesso". 

"Lo credo anch'io", rispondo con un sorriso.

 

Un trambusto proviene dal Teatro.

Adrian rotola fuori dalla porta insieme a più di una ventina di accessori di scena: cappelli, bastoni da passeggio, occhiali e scarpe. Sono tutti sparsi per terra mentre lui è a faccia in giù. Nik ed io accorriamo subito e rialziamo Adrian, che tutto scombinato, cerca di mettersi a posto. 

"Sono inciampato nello scalino tra il Teatro e il corridoio", dice mentre raccoglie gli abiti per terra.

Lo scalino sara alto, sì e no, mezzo centimetro, è praticamente invisibile.

Adoro la sbadataggine di Adrian.

Nik raccoglie un vistoso cilindro rosso a pois verdi e me lo mete in testa, poi scoppia a ridere. Io prendo un paio di occhiali da clown e li metto sul suo naso, sopra a quelli che porta di solito. 

"Per evitare di cadere, la prossima volta usa questo", porgo ad Adrian un bastone da passeggio a strisce bianche e nere. Il ragazzo cerca di trattenere le risate, ma alla fine esplode. Sembriamo tre pazzi vestiti per carnevale.

 

"Adrian!", la voce di Miss Scarlett risuona per il corridoio vuoto. La donna si sta avvicinando a gran passi, "Ti avevo detto di mettere via il materiale di scena. Perché è tutto per terra?".

Adrian strappa dalla mia testa il cappello e dal volto di Nik gli occhiali, poi come un fulmine raccoglie il materiale. In pochi secondi si ritrova tutto tra le braccia in equilibrio precario.

"Ciao Nicholas. Come stai tesoro? Ripreso dall'ultimo dell'anno?", Miss Scarlett bacia sulle guance Nik e lo prende a braccetto.

 

Adrian ed io li fissiamo imbarazzati. Immaginare quei due insieme mi fa un certo effetto. Tra me e Nik non c'è nulla, ed è giusto così, ma mi sembra che nessuna donna vada bene per lui. Miss Scarlett ha troppi sbalzi d'umore, un momento è serena l'altro sembra una iena.

 

"Sì, tutto bene. Sono venuto a vedere come procedono i lavori a Teatro. Oggi pomeriggio non ho studenti", Nik si incammina insieme alla donna. Adrian li segue cercando di non far cadere il materiale. Io sono l'ultima della fila.

Il Teatro è al buio. Una decina di studenti è sul palco e sta già lavorando.

Le risatine di Miss Scarlett e gli sbuffi di fatica di Adrian, rompono il silenzio della grande sala. Tutto quel vuoto e quella calma mi fanno venire i brividi. Ho speso così tante energie a pensare a James che adesso sono esausta e stanca. 

 

Un brivido mi percorre la schiena.

Provo disagio, mi sento osservata.

C'è qualcosa che non va. 

Mi guardo intorno, ma non noto nulla

Una mano mi afferra il polso.

Vengo tirata.

Nel buio della sala non capisco che sta succedendo.

Mi ritrovo con la schiena appoggiata contro un angolo coperto del Teatro.

Due labbra si appoggiano sulle mie.

Un profumo conosciuto e desiderato riempie le mie narici.

James.

 

"Che diavolo fai? Sei impazzito? Mi è preso un colpo", bofonchio tra un bacio e l'altro.

"Shhh", James mi bacia con passione, ha afferrato il mio viso. Il suo corpo è schiacciato contro il mio. Sento il suo petto muoversi a ritmo, "Non devi stare più lontana da me. Capito? Stavo impazzendo".

Alle sue parole mi sciolgo. Mi sembra tutto così strano: "Ho avuto un piccolo contrattempo con mio padre".

"Male, molto male. Dovrò comportarmi da bravo ragazzo se voglio ottenere la sua fiducia", James mi spinge contro al muro sollevandomi leggermente. Sento le sue mani infilarsi sotto la maglia e i suoi morsi sul collo.

"Magari non troppo da bravo ragazzo", dico maliziosamente.

James ridacchia: "Senti la pivella. Mi piace questo lato di te". I suoi baci si fanno più misurati, con le dita gioca con i miei capelli mentre con il naso sfiora il mio volto, "Questo non è il posto giusto. Credo sia meglio darci una calmata".

"Già, tra l'altro devo andare. Ho una lezione che mi aspetta", dico mentre mi sistemo il maglioncino e cerco di pettinarmi i capelli. James mi passa la cartella caduta per terra, ha il suo solito sorrisetto furbo stampato in faccia. 

"A dopo", con la mano mando un bacio a James.

"A dopo", risponde.

 

Andando verso il palco non penso altro che a James. Non ho più paranoie o paure, ho solo emozioni. Come in preda ad una allucinazione senza fine, mi perdo nel ricordo dei suoi occhi verdi, nella forza dei suoi abbracci e nel desiderio che ho per lui.

 

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Capitolo 31
*** IERI: Il posto segreto ***


IERI:
Il posto segreto

"Dove mi stai portando?", James mi ha messo una sciarpa sugli occhi e non vuole dirmi dove stiamo andando. Ha detto che vuole farmi vedere un posto che per lui è importante. 

"Tra poco siamo arrivati", mi risponde.

Anche se non posso vederlo riesco ad immaginarmelo con quel suo solito sorrisetto stampato in faccia mentre guida.

 

Siamo in macchina da un quarto d'ora, da un paio di minuti mi ha messo questa maledettissima sciarpa sugli occhi. Non è facile riconoscere la strada, sono sballottata da una parte all'altra senza molta logica. Il rumore del traffico sembra diminuito, quindi credo siamo diretti fuori città. 

Non ho altri punti di riferimento. 

 

"Dai. Dai. Dai. Dimmi dove stiamo andando?", dico lagnosa, "Tra un po' mi addormento".

"Senti pivella, devi portare pazienza. Voglio che sia una sorpresa. Ok?", James mi da un pizzicotto sul braccio. Di tutta risposta provo a ridarglielo, ma essendo bendata non riesco a beccarlo. Una pernacchia nella sua direzione andrà più che bene.

James ride: "Mi hai fatto la doccia con i tuoi sputacchi!".

"Se non mi dici dove stiamo andando, giuro che continuo fino a che non scendiamo".

"Guarda che sai benissimo dove siamo diretti. Hai letto il fascicolo che ti ho regalato?"

"Certo. Lo so quasi a memoria. Posso citarti frasi intere", dico convinta.

"Allora spremiti le meningi. Non ci vuole un genio per capirlo. Zuccona".

 

Resto un paio di secondi a bocca spalancata per l'insulto ricevuto, poi cerco di concentrarmi e passare al vaglio tutto quello che ho letto. Però più ci penso più mi si forma il vuoto nel cervello. Ripenso ai primi capitoli, a quelli più personali, a quelli ironici. Niente, vuoto totale. Non riesco a capire.

Con il broncio mi infosso nel sedile mugugnando parole in Italiano.

Mi sento molto stupida.

 

James continua la sua guida senza proferire parola. Non abbiamo molto tempo, tra poco più di un'ora abbiamo le lezioni pomeridiane al Trinity.

 

La macchina si ferma. James scende e viene ad aprirmi lo sportello.

Con cautela scendo, un'aria fredda mi colpisce in pieno volto. L'aria profuma di erba, è pulita. Respiro a pieni polmoni.

Mi avvinghio al braccio di James, sento che porta qualcosa nell'altra mano che lo sbilancia leggermente. Stiamo camminando piano, non è facile andare dritti sulla strada sterrata. In lontananza sento degli strani rintocchi piuttosto cadenzati, ma non riconosco il suono.

 

"Che strano rumore. Che cos'è?", chiedo.

James non risponde. Mi prende per mano e mi aiuta a fare un paio di gradini.

Un cigolio stonato di un cancello viene aperto.

"Resta qui un attimo", mi dice mentre sento il rumore dei suoi passi allontanarsi.

Passano diversi secondi, provo a concentrarmi, ma a parte l'aria fresca e quello strano rintocco non sento altro.

 

James mi abbraccia da dietro sfilandomi la sciarpa dagli occhi: "Questo è il posto che per me ha un'importanza fondamentale. È stata l'unica volta che mio padre mi ha mostrato un po' di affetto".

 

Ci impiego qualche secondo per mettere a fuoco. Davanti a me c'è un campo di tennis in disuso, ciuffi serba spuntano dal pavimento, diverse parti sono rovinate o ammaccate. La rete manca del tutto. In mezzo al campo c'è una coperta con sopra un cestino da picnic. 

 

"Questo è il campo da tennis dove hai vinto le tue prime gare", James aveva ragione, nel suo fascicolo mi aveva parlato di questo posto. Il rintocco che sento è il rumore della pallina che rimbalza sui campi da tennis nuovi poco lontani.

"Sì. Gareggiavo con i bambini più grandi. Li ho battuti tutti. Ero una promessa del tennis, mio padre era così orgoglioso. Diceva a tutti che suo figlio era un campione. Poi però le cose sono cambiate", James osserva ogni minimo particolare del campo perdendosi tra i ricordi lontani.

"Che è successo?", gli chiedo mentre vengo guidata verso il cestino da picnic.

"Da ragazzino mi sono slogato una spalla. In poche settimane mi sarei ripreso. Mio padre, per quel periodo, ha smesso di starmi vicino, era come se lo avessi deluso. Come se avessi infranto i suoi sogni. Lui crede che quell'infortunio abbia compromesso la mia carriera, invece non era nulla. Non è neanche andato a parlare con i medici ed io non ho fatto nulla per fargli credere il contrario. Volevo solo che fosse fiero di me e basta. Lui voleva il campione, non gli interessa sapere altro di me", James si accomoda sulla coperta e apre il cestino togliendo un contenitore con tramezzini e una ciotola di frutta fresca a pezzi.

"Ma se tu gli parlassi? Se tu provassi a raccontare chi sei?".

"Elena, hai visto come ha reagito quando mia madre gli ha detto che voleva riprendere a cantare. Si beve un bicchiere di whisky e si butta sul lavoro. Credi che a fine anno abbia passato un po' di tempo con noi? Aveva metà del suo ufficio che andava e veniva da casa, ha un caso difficile in ballo".

"Ma sarà fiero di te. A scuola hai una media altissima, a Dibattito sei...".

"Sono il più bravo? Il Professor Martin collabora con lo studio di mio padre, il quale credo sia convinto io sia passato solo perché lavorano insieme", James mi riempie un bicchiere d'acqua mentre prende un pezzo di mela.

"Nik... Cioè, il Professor Martin non farebbe mai preferenze solo perché sei il figlio del suo capo".

"Io lo so. Tu lo sai. Ma metà degli studenti del Trinity pensano che sia più importante una raccomandazione o l'estrazione sociale, piuttosto che il talento".

"Tu hai talento da vendere. Capito? Che si fottano tutti. Non hai l'approvazione di tuo padre? Fregatene, hai la mia è quella dei tuoi amici. Il resto non conta".

 

James sorride. Gli occhi sembrano due fari da tanto sono intensi. Mi osserva con attenzione, come se cercasse di capire qualcosa: "Come cavolo è possibile che una pivella come te riesca a farmi fare tutto questo? Scrivo, dico cose dolci, organizzo picnic... Mi sto trasformando in un budino senza spina dorsale".

"Prima di tutto adoro il budino, soprattutto se al cioccolato", mi avvicino sedendomi a cavalcioni sulle sue gambe, "Secondo, il fatto che tu sia gentile con me mi piace tanto", le mie labbra sono a pochi centimetri dalle sue. James mi mette le mani sui fianchi, "Terzo, se smetti di essere come sei, ti picchio", gli sussurro a bassa voce prima di baciarlo.

 

James mi stringe come se volesse stritolarmi, i nostri corpi sono appiccicati. Le nostre bocche sono fuse, incollate. Non riusciamo a smettere di cercarci, stuzzicarci e desiderarci. Passiamo non so quanti minuti a sussurrarci ricordi, emozioni, sensazioni che ci legano ancora di più l'uno all'altra. Siamo come due pianeti che non possono smettere di ruotare vicini, siamo inseparabili. James è la mia gravità.

 

"Credo sia ora di andare", tra venti minuti riprendono le lezioni a scuola.

"Noooo. Ancora un attimo", mi dice mentre bacia le mie mani che lo accarezzano.

"Mangeremo in macchina. Dai, su", con uno strattone riesco a farlo alzare. Insieme raccogliamo il cesto da picnic e mano nella mano andiamo verso il parcheggio.

 

Il tragitto verso scuola è silenzioso. Abbiamo fame, quindi mangiamo i tramezzini e la frutta che James ha portato. 

Mi piace l'intimità che c'è tra di noi, non solo quella fisica, ma quella della quotidianità. Le piccole cose che ci legano, che abbiamo in comune. La semplicità dei piccoli gesti.

 

"Pronta a passare un altro noiosissimo pomeriggio al Trinity?", mi chiede James mentre stiamo salendo le scale dell'ingresso.

Sto per rispondere quando Jo esce sparato verso di noi.

"Ciaaaaao", con le braccia spalancate ci abbraccia e ci costringe a tornare indietro.

Malvolentieri lo seguo. James fa lo stesso, ma si capisce che è contrariato.

"Che vuoi? Tra cinque minuti riprendono le lezioni", gli dico in tono brusco.

"Volevo farvi ammirare il paesaggio, il cielo... Hmm... Le macchine parcheggiate".

"Jonathan che succede?", James toglie il braccio del ragazzo dalle sue spalle.

"Niente. Perché?", Jo continua a girarsi verso il portone d'ingresso e poi verso noi. Sembra abbia una sorta di tic nervoso.

"Mi hai stancato", James mi prende per mano e prova a fare dei gradini, ma Jo si para davanti.

"Jo! Che ti prende, stai esagerando", dico stizzita. 

 

Jonathan si siede per terra, all'improvviso, senza nessuna logica. Si mette le mani nei capelli e inizia a piangere. James ed io ci accucciamo per cercare di capire cosa sia successo, perché finora non abbiamo capito molto.

Quello che dice Jo è poco chiaro, è come se pronunciasse parole a caso alternate da singulti e lamenti. Sembra abbia una crisi di nervi.

 

Kate spunta dal portone tutta trafelata: "Muoviti. Piano B", sussurra in un orecchio a Jo. James ed io ci guardiamo. Non capiamo cosa stia succedendo.

 

Che stanno complottando quei due?

 

Jo, come se nulla fosse, si alza e mi si piazza vicino prendendomi a braccetto. Con energia inizia a tirare verso l'entrata cercando di farmi prendere il corridoio di sinistra. 

"Devo passare dal mio armadietto. Ho i libri di fisica da prendere", stacco a fatica il mio braccio dal suo, "Lasciami Jo!".

James si mette in mezzo e alterna l'indice contro Jo e Kate: "Se non ci dite che state facendo vi assicuro che...".

"... Che vi prendo a calci nel sedere. Fidatevi, ho un'ottima mira", concludo io.

 

Jo e Kate tentennano.

Detesto quando fanno così.

 

"È che Rebec...", Kate sta parlando quando viene interrotta.

"Rebecca. Rebecca. Rebecca. Tutti parlano sempre di me", sventolando una busta Rebecca mi si avvicina, poi spettina i capelli di James. Con lei ci sono le sue tirapiedi che sghignazzano come tante oche.

"Ciao Becca. Che succede?", chiede James.

"Niente, devo dare una cosa a Elena", Rebecca mi allunga la busta che tiene in mano, "L'altra volta non le hai volute, adesso ti serviranno".

"Di cosa si tratta?", chiedo dubbiosa.

"Le mie foto. Adesso che interpreterò Giulietta come prima attrice, dovrai fare il mio ritratto".

"Cosa?" diciamo in coro io e James.

"Sì JJ. Ho il ruolo!", poi abbraccia l'amico stringendolo forte senza smettere di guardarmi.

"È magnifico", dice James dandole un bacio sulla guancia.

Jo mi prende a braccetto mentre Kate mi stringe la mano.

Io quella arpia la strozzo: "Ma... Ma Elisabeth era la prima scelta?".

"Purtroppo Elisabeth ha capito che non era adatta a quel ruolo. Del resto il suo aspetto non era il più giusto", Rebecca appoggia la testa sulla spalla di James con finta ingenuità.

"In che senso non era adatta?", sto digrignando i denti.

"Elisabeth amava un po' troppo il cioccolato", con la mani finge di avere la pancia grande. Allude al fatto che fosse grassa, cosa assolutamente non vera.

"Sono felice per te. È un vero peccato che Elisabeth abbia rinunciato di sua spontanea volontà, era brava a recitare quel ruolo", cerco di modulare la mia risposta con finta cortesia.

 

La campanella suona.

 

Sento la stretta di Jo farsi più forte, mentre Kate mi sta trascinando verso l'armadietto.

Vogliono allontanarmi da Rebecca prima che possa fare una scenata o peggio. Hanno paura che possa prendere a sberle quell'oca abbronzata. 

 

Con uno scatto mi libero dai miei amici e mi getto tra le braccia di James che mi accoglie con uno dei suoi meravigliosi sorrisi: "Che c'è pivella?", mi chiede.

"Volevo ringraziarti per le cose dolci che mi hai detto, per avermi mostrato il tuo posto segreto e per il fatto che tu abbia voluto mostrarmi il tuo lato più intimo", modulo le parole in modo che Rebecca le possa sentire. Con delicatezza bacio James, poi appoggio la mia fronte alla sua, prima di correre a prendere i libri di fisica.

 

Ok, è orrendo che abbia approfittato del rapporto che ho con James per ferire Rebecca. 

L'ho fatto perché volevo che una cosa le fosse ben chiara: può avere il ruolo che vuole a Teatro, può essere la 'capa' della scuola, può rovinare la vita a tutti gli studenti che vuole, ma una cosa non si deve azzardare a toccare, James.

Lui è mio, se solo si avvicina la distruggo.

 
Ciao. Visto che la storia è seguita qualcuno/a potrebbe lasciare un commento per farmi capire se vi piace? Grazie :)

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Capitolo 32
*** IERI: Si può smettere di amare? ***


IERI:
Si può smettere di amare?




"Che ne dici K se domani pomeriggio ci troviamo con le altre a provare?", Stephanie sta saltellando come una bimba piccola, gironzola intorno a Kate che ride come una matta.

"Avete trovato altre ragazze per il vostro gruppo?", chiedo mentre finisco di sistemare gli appunti di chimica.

"Sì, le ho conosciute al Club di musica. Sono bravissime", Kate prende per mano Stephanie e la fa sedere vicino a lei, "Tra l'altro sanno pure suonare diversi strumenti".

"Bello. Peccato non abbia il dono della musica, del ritmo e dell'armonia, altrimenti ne avrei fatto parte pure io", mi sarebbe sempre piaciuto cantare, ma purtroppo sono pessima.

"Puoi fare la nostra supporter. Sarai la fan numero 1!", dice Stephanie con la sua voce dolce.

"Certo. Tra l'altro potreste chiedere a Demetra qualche suggerimento. Oggi pomeriggio devo passare da lei per un ripasso, posso vedere se ha un po' di tempo per voi".

"Bello, grazie! Ma non avevi smesso di andare a farle lezione?", mi chiede Kate.

"Praticamente sì. Da quando è al Teatro comunale con le prove è molto impegnata. Il più delle volte mi piazzo su una poltrona a fare i compiti", oltre a quello posso passare un po' di tempo con James in tutta tranquillità. 

Stephanie e Kate ridacchiano.

"Che c'è?", chiedo ad entrambe.

"Fare solo i compiti? E James? Se ogni volta che stai con lui non fai altro che sbaciucchiarlo per tutto il tempo", Kate mi da una spintarella.

"Quando passate per il corridoio tutti vogliono vedervi tubare. Siete una coppia famosa. Se non mi sbaglio è nato un fan club di alcune ragazze del primo anno", dice Stephanie.

"Stai scherzando? Chi vuoi che ci calcoli, io non...".

 

Adrian irrompe come un ciclone.

"Elena hai finito di fare il ritratto di Rebecca? A che punto sei? Miss Scarlett vuole sapere come procede il lavoro".

"Ciao Adrian. Tutto bene Adrian. Grazie per l'interessamento", dico ironica.

"Scusa è che devo controllare lo stato di avanzamento dei lavori. Corro da una parte all'altra da tutto il giorno".

 

I capelli arruffati, le occhiaie marcate non mentono. Quel ragazzo è stressato. L'altro assistente ha rinunciato all'incarico a causa dell'atteggiamento della regista. Dispotica è dir poco. Da quando, un mese fa, Rebecca ha avuto il ruolo da protagonista, Miss Scarlett è impazzita: i costumi sono da rifare, la scenografia da migliorare e la recitazione da supervisionare. Un mese di ansie per tutti, in particolare per Adrian.

 

"Stai tranquillo, il pannello deve asciugare bene. Non posso aggiungere i particolari prima. Basterebbe una ditata per rovinare la superficie", spiego al ragazzo mentre chiudo il libro di chimica.

"Grazie", Adrian si siede vicino a Stephanie e appoggia la testa sulla sua spalla mentre prende una liquirizia dalla sua scatoletta. Sembra un cucciolo assonnato, "Mi riposo solo cinque minuti", dice senza smettere di succhiare la caramella.

 

Kate, Stephanie ed io sorridiamo. Non si può non voler bene ad Adrian, è così candido che non potrebbe far male a nessuno, nemmeno ad una mosca.

La pace di quel momento viene rotta da delle urla gracchianti: "Adrian! Che fai? Ti ho dato un compito. Se l'hai finito vieni da me così potrai fare il prossimo", Miss Scarlett, con i suoi occhi chiari, lancia saette. Tiene in mano un manichino di plastica e una parrucca bionda.

 

Adrian scatta in piedi e corre prima a destra poi a sinistra.

Guarda la cartelletta che ha in mano.

Pensa.

Riguarda la cartelletta.

Prende appunti.

Sta per uscire dalla sala studio, quando Miss Scarlett lo agguanta per la giacca della divisa. Anche se piccoletta, quella donna ha una forza mostruosa.

 

"Devi andare dalle costumiste per vedere se hanno pronti i vestiti diRebecca è da quattro settimane che ci stanno lavorando. Già che ci sei porta questo in attrezzeria", Miss Scarlett lascia tra le braccia di Adrian il manichino con la parrucca bionda. Il ragazzo, senza aggiungere altro, corre come un pazzo fuori dalla stanza.

Kate, Stephanie ed io siamo con la bocca aperta. Non riusciamo a capire come Adrian possa sopportare tutto questo. Io avrei mandato Miss Scarlett a quel paese già da tempo.

 

"Tu chi sei?", senza il minimo tatto la donna si rivolge a Stephanie, che imbarazzata balbetta il suo nome, "Hai un bel viso, una bella presenza. Perché non ti sei inscritta al mio Club? Avresti potuto avere un ruolo nello spettacolo. Sai recitare?".

Stephanie, timida com'è, non dice una parola. È impietrita.

"Lei canta molto bene, come Kate", intervengo cercando di stemperare la tensione.

"Ah, bene bene. L'anno prossimo presentati ai colloqui. Abbiamo sempre bisogno di nuove voci. Tu invece, come vanno le foto alla Marquez?".

 

Kate si è rivelata un'ottima fotografa, i suoi scatti sono piaciuti così tanto a Miss Scarlett e alla preside, che è diventata la fotografa ufficiale del Trinity in occasioni ed eventi. Il Club di fotografia non ha molto gradito che una esordiente avesse quel ruolo, ma ha dovuto ingoiare il rospo e adeguarsi.

 

"Bene. Per ora stiamo facendo dei ritratti nel suo ufficio, spero che il materiale le piacerà", risponde Kate a voce bassa.

"Bene, bene", Miss Scarlett si guarda intorno è evidente che sta cercando qualcuno, "Bene, adesso devo andare. Mi raccomando Elena, finisci il prima possibile il ritratto di Rebecca".

Senza aspettare la mia risposta la donna raggiunge Nik che è appena entrato in sala studio. Lo abbraccia e bacia sulle guance, poi lo prende a braccetto iniziando a ridacchiare.

 

"Tutto bene Elena?", mi chiede Kate.

"Sì, tranquilla. Detesto Miss Scarlett, mi fa venire una rabbia", anche se mi da fastidio ammetterlo non mi piace che ronzi intorno a Nik. Inoltre ha un carattere orribile, è maleducata, arrogante e crede di avere sempre ragione.

"Già. Però insomma... È brava nel suo lavoro. Credo che qualcuno possa volerle bene e apprezzarla", dice Stephanie imbarazzata.

"Nessuno potrebbe voler bene a quella strega. Solo uno come il professor Martin avrebbe la pazienza di sopportarla. Dovrebbero farlo santo", dico categorica.

Stephanie alza le spalle mentre Kate ridacchia.

 

Lo schermo del mio cellulare lampeggia. Papà è venuto a prendermi.

Abbraccio le ragazze e corro fuori dal Trinity.

 

"Ciao", anche se abbiamo ripreso a parlare, papà ed io, siamo ancora un po' tesi. 

"Come va? Hai studiato?", mi chiede mentre mette in moto la macchina.

"Sì, ho fatto chimica. Da Demetra ripasso Storia".

"E lui?", mi chiede imbarazzato.

"James aveva l'allenamento di tennis. Non ti preoccupare non ci sarà dalla Signora McArthur", alzo gli occhi al cielo. 

"Volevo dire... Insomma... Uscite da circa due mesi, giusto?".

"Sì", rispondo lapidaria.

"Ecco, mi pare si sia comportato bene con te. Ti vedo serena. Forse... Dico forse... Potrei aver esagerato un pochino a giudicarlo. Del resto non stai più chiusa in camera a rileggere quei tuoi romanzi d'amore. Forse ti ha fatto bene. Ripeto... Forse", papà ha le guance rosse, anche sotto la barba posso vederle.

"Sì, mi fa star bene. Forse sei partito prevenuto", dico io ridacchiando.

"Hmm. Non mi fido ancora di James, ma potrei iniziare a tollerarlo".

 

So quanto sia costato a papà dire quelle cose, soprattutto pronunciare il nome di James. Con uno scatto gli schiocco un bacio sulla guancia color pomodoro.

"Stai ferma. Rischi di farmi fare un incidente", mi dice in finto tono burbero, "Tra poco siamo arrivati, fai la brava".

Cercando di trattenere le risate, mi affosso sul sedile.

Mi concentro sul paesaggio, la neve è ormai un ricordo passato, anche se fa ancora freddo le giornate sono più limpide. La città lascia spazio alle grandi ville, ormai conosco a memoria la strada.

Di solito vado al Teatro comunale a vedere le prove, ma oggi Demetra voleva una lezione privata.

 

Il cancello si apre appena ci fermiamo fuori da villa McArthur, i domestici ormai riconoscono la macchina di mio padre.

"Ciao papà, stasera mi accompagna a casa Micheal, l'autista".

"Ok, fai la brava", papà mi pizzica il naso tirandomelo.

Di tutta risposta gli faccio una linguaccia.

 

Sul portone d'ingresso mi aspetta la domestica che mi prende il cappotto: "La Signora stasera non c'è, non sapevo del suo arrivo. Se cerca Mrs Demetra la trova al piano di sopra", mi spiega gentile.

 

Meglio così. Penso.

A volte la vecchia si intromette troppo.

 

Salgo a due a due i gradini, a passo veloce mi dirigo verso la sala dove Demetra prova. Non sento il solito rumore di pianoforte o gli esercizi vocali di riscaldamento, ma delle voci di persone e i versi di un bambino.

Possibile che ci siano altre persone? 

Con cautela mi avvicino alla porta ed origlio. Non capisco nulla di quello che dicono, le voci sono come impastate. 

Timidamente busso.

 

"Avanti", dice Demetra.

Apro la porta. 

La stanza è immersa nel buio, sulla parete bianca scorrono delle immagini di diverse persone. Sequenze di altri tempi, filmati girati parecchio tempo fa. 

Riconosco Demetra, era molto più giovane ma bella come sempre, c'è anche suo marito George, con più capelli e meno rughe, e un piccolo James che sgambetta incerto.

 

"Mi scusi, non volevo...", sto per andarmene quando Demetra mi blocca. È seduta sulla poltrona verde che di solito uso per studiare.

"Ciao Elena. Come mai sei qui?", con un telecomando la donna abbassa il volume lasciandolo di sottofondo.

"Avevamo appuntamento per oggi pomeriggio. Se ha da fare però posso tornare un altro giorno".

"No, vieni pure", Demetra mi fa cenno di sedersi vicino a lei, "Hai visto che carino era James da piccolo?".

Nel buio della stanza faccio fatica a non inciampare nei tappeti. Appena raggiungo la poltrona verde mi accoccolo lì vicino: "Certo, sembrava un angioletto".

 

Per qualche minuto osserviamo il filmato.

Un piccolo James sta facendo i primi passi e non posso fare a meno di commuovermi nel vederlo. George lo tiene per le mani, lo incita a fare dei passi da solo. Quando cade il piccolo piange, poi si rialza per ricadere e piangere di nuovo. 

È tutto così tenero che mi si stringe il cuore. Penso ai miei genitori, ai filmati della mia famiglia, ai ricordi che ho vissuto. Briciole di memorie risalgono nei pensieri e colpiscono direttamente al cuore.

 

"È proprio un bel video", dico io con gli occhi lucidi.

Demetra fissa quelle immagini, ma è come se pensasse ad altro. Sul suo volto leggo, tra un riflesso di luce e l'altro, che sta vagando lontana: "Hai ragione, un bel video", poi si passa le mani sui capelli, "Credi... Credi che si possa smettere di amare? Intendo smettere di amare ciò che si è desiderato tanto. Cosa dovrebbe fare una persona che non ha più questo sentimento?".

 

Le domande mi colgono alla sprovvista. 

Il filmato mostra George sorridente che tiene in braccio il piccolo James. Tutti e due salutano con la mano.

 

Demetra tossisce.

"Ti dispiace allungarmi quella tazza di tè?", con la mano mi indica il tavolino dietro la mia schiena.

Con molta cautela passo la tazza alla donna che, con un gesto rapido, ingoia un paio di pastiglie: "Tra poco andrà meglio. I brutti pensieri svaniranno".

 

Non so che dire. L'atmosfera è molto strana. 

Demetra pare immersa in un mondo e pensieri che non riesco ad interpretare. 

"Non dire niente a James. Di tutto questo intendo. Lui non capirebbe", mi dice mentre finisce di sorseggiare il suo tè.

 

Io, nel buio della stanza, sento un grande peso dentro che non so spiegare.

È come se conoscessi il copione, ma non ricordassi la storia.

È come se affogassi, lentamente trainata verso il basso.

 

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Capitolo 33
*** IERI: Scandalo al Trinity Institute ***


IERI:
Scandalo al Trinity Institute




Da un paio di settimane, dopo l'incontro con Demetra, mi sento strana. Non sono riuscita a parlare con James, non che debba raccontargli chissà che cosa, ma quello che è successo mi ha turbata molto. Un po' perché di solito Demetra è sempre dolce e paziente, un po' perché mi ha colto alla sprovvista con le sue domande.

 

Non è più innamorata del marito?

Che voglia lasciare George? 

E se sbagliassi?

Come faccio a dirlo a James se ho promesso di tenere la bocca chiusa?

 

Nel tragitto per andare a scuola non faccio altro che guardare fuori dal finestrino e giocherellare con il braccialetto che Jo mi ha regalato a Natale.

James parla da cinque minuti buoni, faccio fatica ad ascoltare, i miei pensieri frullano nella testa come una trottola. 

 

"... E poi un Ufo è venuto sul campo da tennis e ha rapito il mio allenatore. Poco dopo uno sciame di vespe si è attaccato alla rete e l'ha strappata...", dice James.

"Hmm? Ah, ok. Bello. Deve essere stato divertente", dico io.

James inchioda.

"Ehi! Ma la tua è proprio una mania!", d'istinto guardo se arriva qualche macchina da dietro, la strada è deserta.

"Ho controllato prima di frenare. Non sono pazzo. Adesso tu mi dici cosa hai, altrimenti non mi muovo di qui", James fa scattare la chiusura automatica delle portiere. Volendo non potrei scappare.

"Non ho niente, sono un po' preoccupata per gli esami", provo a mentire.

"Esami? Saranno tra un mese, aprile è ancora lontano. Poi con il nostro gruppo di studio siamo a cavallo. Tra Stephanie, Kate, Jo, Adrian, Lucas e Rebecca siamo coperti in molte materie".

"Poi c'è lo spettacolo teatrale, insomma ho molte cose da fare", dico lagnosa.

 

Se potessi mi prenderei a schiaffi, mi trovo insopportabile.

 

James incrocia le braccia. Non crede a nessuna delle mie parole.

"Vuota il sacco. È da dieci giorni che sembri su un altro pianeta. Mi vuoi lasciare?".

"No. Che dici! È che è successa una cosa che mi è sembrata strana, tutto qui".

"Ti ha dato fastidio qualcuno? Hai problemi con tuo padre? Hai litigato con Jo?", James fa domande a raffica.

"No. No. No. Solo che l'altro giorno ho visto... Ecco... Tua madre triste", abbasso lo sguardo, non riesco più a trattenere tutto dentro.

"Fammi indovinare: sfogliava un vecchio album di ritagli di giornale? Oppure lucidava la sua vecchia collezione di binocoli da teatro?", mi dice con l'aria annoiata.

"Guardava un vecchio filmato".

James scatta, diventa rosso. Non l'avevo mai visto così imbarazzato: "Era quello della paperella? Giurami che non hai visto il video della paperella e se anche dovessi averlo visto dimmi lo stesso che non l'hai guardato! Ti prego".

"Paperella? No, nessuna paperella", dico io scuotendo la testa.

James tira un sospiro di sollievo poi mi osserva in cagnesco: "Ma l'hai visto o no?!".

Rido: "No, non l'ho visto. Era quello in cui tu facevi i primi passi, c'era anche tuo padre".

James tira un sospiro di sollievo: "Ogni tanto a mia mamma prende un po' di nostalgia del passato. Stai tranquilla, le passerà".

 

Annuisco, anche se dentro capisco che qualcosa di profondo ha turbato Demetra. Non me la sento di spiegare a James la sensazione che provo, è come se capissi cosa sta succedendo, ma allo stesso tempo non afferrassi il senso. 

Il peso dentro di me non è sparito del tutto, ma almeno si è un po' alleggerito, quel tanto che basta per non essere più imbronciata e pensierosa.

"Cosa ha di tanto speciale il video della paperella?", provo a stuzzicarlo.

"Lascia perdere", mi dice arrossendo, "Cose da bimbo".

Siamo arrivati a casa di Kate che ci sta aspettando fuori dalla porta. In pochi secondi sale in macchina. Il tragitto fino a scuola è tranquillo, nella norma, come tutti i giorni: si scherza, si ride e si chiacchiera con leggerezza.

 

Appena arriviamo a scuola è impossibile non notare un certo trambusto, buona parte degli studenti è fuori la scuola. Altri sono al piano superiore e lanciano dei fogli dalla finestra. I professori cercano di prenderli, ma alcuni finiscono negli zaini o sotto i cappotti degli studenti.

 

"Che diavolo succede?", dice James mentre parcheggia.

Nello stesso momento gli squilla in cellulare. È un messaggio.

"È di Rebecca, dice: doppiocchi l'ha combinata grossa. Ma che vuol dire?", James guarda Kate.

"Non-non lo so", balbetta la mia amica.

"Rebecca deve smetterla di chiamarti così", dico infastidita.

"Non è quello il problema", James è pallido mentre ci mostra il telefonino, "Guardate qui".

 

Sullo schermo c'è l'immagine di una fotocopia fatta da una foto. Si vede una schiena di uomo nudo, due braccia di donna che lo abbracciano. Si intravede la testa della donna ed è facile riconoscere di chi si tratta: Miss Scarlett. Sullo sfondo è possibile riconoscere il tendaggio del Teatro della scuola e diversi indumenti appoggiati su un tavolo.

Non ci sono dubbi, quei due stanno facendo sesso.

 

"Ma-ma io che c'entro?", chiede Kate.

"Sei l'unica che può fare foto nel Teatro del Trinity, sei l'unica che può girare lì dentro con una macchina fotografica senza problemi", James prende per le braccia Kate, "Dimmi, sei stata tu a scattare questa foto? Ne hai altre?".

"No. No, io non farei mai una cosa del genere. Elena, che succede? Pensano veramente che sia stata io?", Kate mi si lancia tra le braccia, sta tremando.

"Vedrai che si sistemerà tutto", le dico stringendola più forte che posso.

 

James riaccende la macchina e ci porta sul retro della scuola: "Andate in aula magna, lì non dovrebbe esserci nessuno".

"Ma l'ingresso è bloccato, i professori stanno sequestrando tutte le foto. Non fanno entrare nessuno", dico mentre abbraccio Kate che pare un fantasma da tanto è pallida.

"Tompson, l'aula di chimica? Ricordi il primo giorno di scuola? Lui lascia aperta la finestra", James apre la portiera dell'automobile come una furia, "Correte, io vi raggiungo appena possibile. Tutti si aspetteranno che siate con me, li distrarrò per qualche minuto".

Trascinando Kate, che sembra un sacco di patate, riesco a raggiungere il cortile fuori dall'aula di chimica. Mi arrampico sul cornicione e spalanco la finestra. Con circospezione vado per il corridoio e apro l'uscita di emergenza: "Forza Kate, vieni!".

Kate è imbambolata, ho paura che svenga da un momento all'altro.

Senza farmi troppi problemi la scuoto con vigore per farla riprendere: "Se non muovi il tuo culo da lì, sei fritta".

Kate entra nella scuola, mentre balbetta parole senza senso.

 

Espulsa. Umiliata. Traditrice. Rovinata. Vergogna. Spia.

 

Appena entriamo ci accucciamo dietro ad un mobile per vedere se arriva qualcuno, poi raggiungiamo il corridoio principale. Un paio di professori ci sfrecciano di fianco senza però vederci.

 

Merda, che colpo.

 

Ancora appiccicate alle pareti percorriamo correndo buona parte della distanza che ci manca per raggiungere l'aula magna. Per gli ultimi metri facciamo uno scatto, fiondandoci all'interno dell'aula tirando un sospiro di sollievo.

 

Kate ed io ci nascondiamo dietro alle tende del palco, dove si era nascosto Nik quandoRebecca lo stava per beccare. 

Non ho mai visto la mia amica così spaventata. Ci stringiamo l'una all'altra, mentre la rassicurò sul futuro, anche se non ho idea di come finirà questa storia.

 

"Elena! Elena!", James è arrivato, non ci ha messo molto.

Mi sporgo con cautela da dietro le tenda del palco. Con lui c'è Lucas.

Entrambi corrono verso di noi, poi si nascondono dietro le quinte.

 

"Allora l'hai scattata tu quella foto,sì o no?", Lucas ha un tono tutt'altro che amichevole.

"N-no", balbetta Kate.

"Visto? Non può essere stata lei", dice James.

"Da una come lei non me lo aspetterei mai, ma potrebbe avere uno scopo a mentirci", Lucas è assorto, non stacca gli occhi dalla mia amica.

"E quale sarebbe? Rischiare di essere espulsa? Una trovata geniale!", dico sarcastica.

"Chi potrebbe rischiare di fare una cosa del genere? Come faceva a sapere che Miss Scarlett si vede con un uomo in Teatro?", ragiona Lucas.

"Chiunque sia stato non ha idea di cosa abbia scatenato. Al Trinity nulla succede per caso, lo so bene", dice James.

"In che senso?", chiedo. 

"Hai notato che nessuno commette infrazioni a scuola? Nessuno arriva tardi, risponde male, imbratta la scuola. Nessuno fa mai nulla di nulla?".

 

Ripenso ai primi giorni al Trinity e a come Rebecca abbia fatto la bulletta in mensa, a come ha rovesciato litri di schifezze nel mio armadietto e a come abbia incastrato Jo.

 

"Insomma, non è proprio così", dico a James con chiaro riferimento a Rebecca.

"Appunto. Qui a scuola nessuno farebbe mai una cosa del genere, avrebbero paura di una nostra reazione. Il nostro gruppo è... Diciamo... Ecco", James non sa finire la frase, Kate lo aiuta "Voi siete i padroni della scuola".

 

Con le sopracciglia alzate guardo in alternanza James e Lucas: "Ma fatemi il piacere! Padroni di cosa?! Della scuola?".

"Non proprio padroni, ma monitoriamo quello che succede. È una legge naturale qui a scuola, i più popolari possono decidere il buono e il cattivo tempo", Lucas sta camminando avanti e indietro, non l'ho mai visto così interessato, di solito è freddo e distante.

"Questo significa che solo uno di voi può aver fatto una cosa del genere", dico alzando le spalle, come se fosse una logica conseguenza.

"Impossibile. Fidati. Rebecca non rischierebbe mai di compromettere lo spettacolo dove è la protagonista, Stephanie non avrebbe il coraggio e Adrian... Lui non lo farebbe mai", dice James.

"Potrebbe darsi che Adrian abbia scoperto Miss Scarlett. Visto come lo tratta non ci sarebbe nulla di così strano", prova ad intervenire Kate.

"Scherziamo? Chi credi saranno i primi sospettati ad aver scattato quella foto? Tu e Adrian, gli unici che hanno accesso allo spettacolo. Tu non sei stata e neanche Adrian. Lo so perché ci diciamo tutto, non abbiamo segreti. Se Adrian lo avesse scoperto si sarebbe consultato con noi. Siamo come fratelli, mai bugie e menzogne tra di noi", Lucas prende il telefonino e allarga l'immagine della foto incriminata.

 

La osservo con più attenzione. I tendaggi sono quelli della scuola, si vede il logo stampato. Il volto della donna è inequivocabilmente quello di Miss Scarlett, inoltre si vede un tatuaggio che la donna ha sul braccio. Impossibile non associarlo a lei. La schiena dell'uomo non ha segni particolari. L'immagine però è troppo sgranata, per averne la certezza.

 

"Potrebbe essere un fotomontaggio, magari Miss Scarlett non c'entra nulla", dice Lucas, "Se una persona volesse rendere pubblica questa storia avrebbe fatto vedere il volto dell'uomo. No?".

 

James e Lucas si fissano per secondi come se comunicassero attraverso invisibili gesti. Stanno ragionando, cercando di capire chi possa aver fatto una cosa del genere.

 

"E se invece fosse un attacco alla scuola? Se quelli del Saint Jude Institute avessero architettato tutto? Del resto gli spettacoli delle due scuole sono uguali", ipotizza James.

"Ma come hanno fatto ad entrare?", chiedo, "Dovrebbero conoscere la struttura del Trinity Institute".

"E se fossero quelli del Club di fotografia? Del resto Miss Scarlett ha affidato a Kate un lavoro importante, adesso deve fare le foto pure alla preside", Lucas si mette le mani nei capelli spettinandoli, si trattiene la testa come se stesse per esplodere.

 

La campanella suona.

Per il corridoio si sente lo scalpicciare degli studenti che stanno andando nelle classi.

 

"Che facciamo?", chiedo a James.

"Contegno, mi raccomando. Nessuno a scuola deve vederti vacillare, altrimenti tutti crederanno che sia tu l'autrice della foto", Lucas sta parlando dritto in faccia a Kate che annuisce spaventata.

James mi bacia sulla guancia poi prende Kate per mano e l'accompagna fuori dall'aula magna.

 

"Sento che finirà male", dico a Lucas.

"Non far capire agli altri quello che senti. Trattieni tutto, non puoi mostrarti debole. Mai", Lucas si sta passando un pettine su i suoi capelli lisci rimettendoli in ordine, "Credi di farcela Elena?".

 

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Capitolo 34
*** IERI: Un turbine di nevrosi, congetture e ipotesi ***


IERI:

Un turbine di nevrosi, congetture e ipotesi



.. CONTROLLATE DIAVER LETTO IL CAPITOLO PRECEDENTE...

 

Una giornata così schifosa non la passavo da tempo. 

 

Non riesco a stare seduta.

Non capisco la lezione. 

Penso solo a Kate e a quella maledettissima foto.

Fisso la lancetta dell'orologio appeso sopra la lavagna.

Tic. Tac.

Oddio impazzisco. 

Muovo il piede ritmicamente.

Mangiucchio il tappino della penna.

Sguardi pesanti. 

Tutti mi osservano, vogliono capire se so qualcosa.

Contegno Elena, le parole di Lucas mi rimbombano nelle orecchie.

Altro che contegno, sembra che sia pronta alla fuga da tanto sono tesa.

 

Sono in un turbine di nevrosi, congetture e ipotesi. 

Nessuna idea fila.

Tutto è talmente campato in aria che non ha senso nulla.

 

Kate non ha voluto mangiare in mensa, ha preferito rintanarsi in aula magna. Le ho fatto compagnia. Non ci siamo dette molte cose, più che altro siamo state in silenzio.

Anche con l'arrivo di Jo le cose non sono migliorate, nessuna domanda che ha fatto è riuscita a districare la matassa. È sconcertato, confuso e preoccupato per Kate. Non riesce a capire chi possa fare una cosa del genere proprio a lei. 

Sempre che l'attacco sia rivolto a Kate e non a Miss Scarlett o alla scuola. 

 

Le lezioni del pomeriggio sono uno strazio. Anche se i professori fanno finta di nulla è ovvio che tutta la scuola sta pensando a quella foto. Mi sembra di sentire i loro pensieri e le loro accuse belle e pronte.

 

Non ne posso più, mi sembra tutto così surreale: Kate additata da tutti come la colpevole, Miss Scarlett che fa sesso nel Teatro della scuola, qualcuno che scatta quella foto. Un incubo.

 

Il professore di fisica sta assegnando le pagine da studiare, le annoto sul quaderno senza neanche capire quello che sto scrivendo. Mi sento dissociata, come se il corpo facesse delle cose e la testa delle altre. È una sensazione orrenda.

Quando la campanella suona corro fuori dalla classe. Sul cellulare ho una serie di messaggi, uno è di Kate, mi dice che starà in biblioteca fino alla fine della lezione di Dibattito che devo seguire. Le ho proposto di venire a dormire da me stasera, così almeno starà un po' più tranquilla. Almeno lo spero.

Per il corridoio ci sono capannelli di persone che sbirciano le poche fotocopie che sono rimaste in circolazione, la osservano come fosse un tabù. 

Sghignazzano. Parlottano. Giudicano.

Al mio passaggio si zittiscono, anche senza voce sento i loro pensieri da benpensanti. Come se non avessero anche loro scheletri nell'armadio. Tutti li hanno, nessuno escluso.

Quando arrivo davanti all'aula di Dibattito, trovo James, Lucas, Adrian, Stephanie e Rebecca intenti a chiacchierare. Mi unisco a loro.

James mi mette una mano sulla spalla, mentre Stephanie mi bacia sulla guancia.

 

"Kate come sta?", mi chiede Lucas.

"Io e Jo abbiamo pranzato con lei, era uno straccio. Adesso è in biblioteca, viene a dormire da me stasera", rispondo mogia.

"Le voci si stanno facendo più insistenti, ho sentito dei ragazzi del secondo anno che volevano fare altre fotocopie e appiccicarle sull'armadietto di Kate. Quindi dobbiamo piantonarlo ed evitare che succeda qualcosa di simile", spiega Lucas.

"Io non perdo il mio tempo per quella lì. Ho da studiare, un ruolo importante da recitare... Insomma, è talmente ovvio che non sia stata lei. Non ha il carattere per fare una cosa del genere", Rebecca pare annoiata, si guarda lo smalto e sbadiglia.

"Sappiamo tutti perché dobbiamo evitare ulteriori scandali cara Rebecca. Ti sei dimenticata?", Il tono di James è molto duro. Stephanie, Lucas e Adrian annuiscono.

"Ok. Ok. Va bene, farò questa cosa inutile se vi rende felici".

"Tu come stai?", chiedo ad Adrian che sembra più pallido del solito.

"Sono agitato. Ho paura che... Insomma, potrebbero incolparmi. Io non ho fatto quella foto, non farei mai nulla del genere a Miss Scarlett. Lei è... Lei è...", con i capelli tutti arruffati Adrian si asciuga gli occhi umidi. È sconvolto quanto Kate.

 

Mi fa rabbia pensare a due ragazzi così genuini e onesti, accusati di aver fatto una cosa così tremenda. Non ho idea di come finirà questa storia, ma non voglio che degli innocenti paghino al posto di altri.

 

Jo arriva correndo, ha il fiatone.

"Hai sempre uno stile così elegante caro Jonathan che mi meraviglio di come possano averti ammesso a Dibattito", Rebecca guarda disgustata il ragazzo.

"Quest'anno non ho avuto serpi velenose che mi hanno colpito alle spalle", dice lui senza scomporsi.

 

Jonathan 1

Rebecca 0.

 

Dentro di me ridacchio, ben le sta.

 

"Ci sono novità", dice Jo, "Gira voce che l'uomo sulla foto possa essere il Professor Martin".

"Cosa?", sbotto ad alta voce. Metà degli studenti nel corridoio si gira a guardarmi.

"Durante informatica, oggi pomeriggio, ho sentito due ragazze che si lamentavano del fatto che Miss Scarlett stesse con Il Professor Martin. Si riferivano alla foto. A quanto pare lo definiscono: un figo pazzesco", Jo alza le spalle.

"Ma non è lui, figurati. Non potrebbe mai... Miss Scarlett è una donna odiosa, con sbalzi d'umore pazzeschi. Mentre lui è calmo e paziente.", non potrei accettarlo, è troppo assurdo.

"Potrebbe funzionare", dice Lucas.

"In che senso?", chiedo.

"Potrebbe funzionare distrarre l'attenzione da Kate e Adrian e puntarla sul Professor Martin. Del resto ci siamo preoccupati di capire chi possa aver scattato la foto, ma non chi fosse l'uomo nella foto".

"Quindi vorresti incolpare il Professor Martin? Ma sarebbe ingiusto!", provo a replicare, ma nessuno mi segue. A quanto pare tutti condividono il pensiero di Lucas.

"Se girasse questa voce potremmo capire da dove ha origine tutta questa storia. La persona che ha scattato la foto potrebbe fare un passo falso e...", James pare convinto, un po' troppo per i miei gusti.

"... E cosa? Rovinare la carriera di un professore alimentando una bugia?", dico.

"Chi ti dice che sia una bugia, magari è davvero lui. Potrebbero essere amanti, non puoi escluderlo", dice Lucas.

"Anche se il Professor Martin avesse una storia con Miss Scarlett, non ha fatto del male a nessuno, Miss Scarlett è una donna adulta e consenziente", aggiungo io.

"Non si può dimenticare che hanno fatto sesso a scuola. Se uscisse che sono una coppia sarebbe un bel guaio", dice Stephanie.

"Quindi? Umiliamo un uomo per...", ma vengo interrotta da James, "Per salvare i nostri amici". I suoi occhi verdi mi fissano con intensità, è lo stesso sguardo di quando lotta per qualcosa a cui tiene, qualcosa di più importante di tutto.

 

No, James non chiedermelo.

 

"Che vuoi fare? Kate e Adrian o il Professor Martin?".

"Che idiozia...", mi giro per andarmene, non voglio rispondere a questa domanda.

James mi blocca per un braccio: "Allora?".

"C'è bisogno di chiederlo? Farei di tutto per Kate".

"Perfetto. Se noi mettiamo la pulce nell'orecchio agli studenti la voce si spargerà in poco tempo. Rebecca sai quel che devi fare", Lucas pare un generale, ha un piglio deciso quando parla, non ammette repliche.

"Ok. Informo le mie tirapiedi", Rebecca armeggia sul suo cellulare e in pochi secondi manda un messaggio, "Ok, ho sganciato la bomba".

"Bene, adesso serve mettere un po' di carne sul fuoco. Durante la lezione dobbiamo provocare il professor Martin. James?", chiede Lucas all'amico.

"Un gioco da ragazzi", dice con la sua solita aria da sbruffone.

"Sia chiaro. Ognuno appoggia l'altro, sempre. Non ti succederà nulla Adrian, capito?", Lucas abbraccia forte l'amico che sembra sempre più provato.

 

La campanella suona.

Sta per iniziare la lezione di Dibattito ed io mi sento male.

Non voglio ferire Nik, ma non voglio che Kate o Adrian paghino per cose che non hanno commesso. Mi sento una codarda, mi sento una persona orrenda.

 

Mi accomodo vicino a James. Lucas e Adrian sono seduti nei banchi dietro di noi, Stephanie e Rebecca davanti. Jo è seduto nella fila accanto, a meno di un metro da me.

Non riesco a smettere di muovere la gamba su e giù, faccio sempre così quando sono nervosa.

 

Nik entra con la sua solita borsa in pelle marrone. Non sembra particolarmente preoccupato, sembra il solito Nik di sempre. Apre il registro, scrive un paio di cose, prende il suo blocco per gli appunti e lo appoggia sulla cattedra, come ad ogni inizio lezione. Sta per iniziare a parlare quando la mano di James si leva sopra le nostre teste.

 

Io vorrei sprofondare, sparire. 

Non credo di poter resistere.

 

"Prego James, dimmi pure", Nik lo invita a parlare.

"Ho una domanda da farle. È consentito tra professori, che lavorano nello stesso edificio, avere una relazione? Sessuale intendo", James sfodera un sorrisetto malizioso.

"Sì, l'importante è che non intralcino la normale routine scolastica. Se il rapporto è sano, non vedo perché non potrebbe nasce una relazione", Nik si è seduto sulla cattedra e osserva divertito James. Non ci vuole un genio per capire cosa stia facendo e Nik l'ha capito al volo.

"Quindi per ipotesi se lei iniziasse una relazione con una insegnate farebbe in modo che si sappia o meno? Per il decoro intendo", James non ha intenzione di mollare, i ragazzi in classe mormorano incuriositi. 

Nik sorride. Non è un sorriso dolce il suo, sembra amareggiato: "Dipende dal sentimento. Sono un grande sostenitore dei colpi di fulmine. Credo che se mi piacesse una persona non avrei problemi a far sapere in giro che la sto frequentando, anche se non credo che interessi molto qui a scuola. Deve valerne la pena".

 

Nik prende il suo blocco di appunti, sta per riaprire la bocca quando James alza ancora la mano. Sotto il banco gli stringo con forza il braccio, non voglio che James infierisca ancora con il professor Martin: "Basta così", gli bisbiglio.

Vengo bellamente ignorata.

James non demorde e spinge la sua mano ancora più in alto.

 

"Sì, James. Sei ancora interessato alla mia vita amorosa?".

"Se capitasse che due docenti facessero sesso in un edificio scolastico, per esempio nel Teatro della scuola, che rischi correrebbero?", la classe mormora ad alta voce, quella di James è una provocazione molto forte.

"Espulsione e radiazione. Niente di meno".

"Crede che i soggetti della foto che gira per la scuola debbano essere puniti, o meglio, espulsi o radiati?", James sta esagerando.

"Vedi James, io credo che trasgredire la legge sia sbagliato come andare contro le regole che ci sono qui al Trinity Institute. Amare non è un errore, andare contro la legge sì. Credo che i soggetti della foto avrebbero dovuto stare più attenti, perché c'è sempre chi conosce la verità. Una verità scomoda, forse. Dipende dai punti di vista. Quindi se fossi in te, chiuderei la bocca e inizierei a prendere appunti sulla lezione di oggi". 

Nik è a un palmo dal viso di James che abbassa la mano.

Tutti tacciono.

 

L'altoparlante, posto sulla parete dietro la cattedra, gracchia.

La voce della preside Marquez riempie il silenzio che si è venuto a creare.

 

- Tutti gli studenti e i professori sono invitati a presentarsi in aula magna per una riunione eccezionale. Sarà presente anche il comitato genitori e insegnanti. Tutte le lezioni sono sospese -

 

In un trambusto di zaini riempiti e sedie spostate, lo sguardo ferito di Nik mi pesa come un macigno sullo stomaco. 

Due occhi azzurri umidi, una mascella tesa e pugni stretti deformano il suo modo di essere, sembra un'altra persona.

Non è più il paziente e dolce Nik, ma un uomo deluso. 

Deluso da me che non ho creduto nella sua innocenza. 

Deluso da me che ho voluto giocare sporco insieme a James.

 

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Capitolo 35
*** IERI: Una cicatrice in fondo al cuore ***


IERI:

Una cicatrice in fondo al cuore




"Silenzio ragazzi e ragazze. Siete pregati di spegnere il cellulare e prestare attenzione a quello che sto per dirvi. È successo un fatto increscioso che rischia di minare l'ottima nomea che il Trinity Institute ha da più di cent'anni. Gira per la scuola un'immagine che è una chiara infrazione alle regole dell'istituto e alla decenza. Perquisiremo armadietti, zaini e cappotti, se necessario. Non permetteremo la circolazione di questa immagine al di fuori di queste mura. Sotto al palco c'è un contenitore dove potrete mettere le copie che possedete. Lo lasceremo per tutto il pomeriggio, voglio che ve ne liberiate il prima possibile. Chi verrà sorpreso anche con una sola copia verrà espulso. Il comitato genitori e quello insegnanti si sta già muovendo per rimuovere definitivamente la persona incriminata dal suo incarico. Se qualcuno di voi dovesse avere informazioni sull'uomo ritratto e su chi ha scattato la foto, venga subito a riferirlo a me. Sono stata chiara?", la preside Marquez parla dal palco dell'aula magna. 

Dietro di lei ci sono i due comitati, la presidente di quello dei genitori è Vivian, la mamma di Rebecca. La donna guarda tutti con la sua solita aria snob, come se tanti insetti disgustosi strisciassero ai suoi piedi.

 

Lucas, Rebecca, Stephanie, Kate, Jo, Adrian, James ed io, siamo seduti in fondo all'aula magna. Quello che è successo prima, durante la lezione di Dibattito, mi ha turbata molto. Il pettegolezzo su Nik, cioè che potesse essere lui l'uomo ritratto nella foto, ha fatto il giro della scuola. Molte studentesse hanno chiesto conferma della notizia a Rebecca, prima che iniziasse la riunione, e lei, da buona pettegola, ha infarcito la storia di particolari inventati. In meno di un'ora si raccontava in giro una nuova versione della storia, frutto della fantasia e immaginazione di Rebecca.

 

La Marquez sta puntando il suo discorso sullo onore e l'immagine che dovrebbe avere il Trinity Institute per lo stato e la nazione. Chiede che venga cancellata la foto dai cellulari e non circoli per i Social network. 

 

"Penso sia impossibile non far trapelare questa storia. Siamo adolescenti, adoriamo gli scandali...non credo che in molti cancelleranno la foto", dico a James.

"Non sottovalutare gli studenti del Trinity. Entrare in questo istituto è una cosa importante per il 99,9% degli studenti. Nessuno di loro vorrebbe infangare il nome della propria scuola, soprattutto in vista della festa di raccolta fondi degli ex studenti. Sarebbe uno smacco difficile da digerire".

"99,9%? E chi sarebbe lo 0,1% scontento?", mi immagino già la risposta.

James mi bacia la mano: "Pivella si vede lontano un miglio che detesti tutte queste cose. Per questo mi piaci".

 

Non posso far a meno di sorridere. 

Nonostante tutto quello che è successo non riesco a staccarmi da James. Sapevo che uscire con lui avrebbe minato le mie certezze e mi avrebbe fatto fare cose che probabilmente non avrei mai immaginato di compiere. Mentire, complottare e imbrogliare non è certo tra le mie specialità. 

 

"Cari ragazzi", Vivian con un tailleur color cipria parla dal palco, "Gli anni che state vivendo sono tutmultuosi, lo sappiamo bene. Il desiderio di stupire, essere i migliori e cercare di essere popolari è la spinta che serve a molti di voi per farvi notare. Lo so bene che l'apparenza conta, che le azioni che uno compie sono il biglietto da visita più importante, ma non è rovinando un'istituzione come il Trinity che otterrete qualcosa. Verrete odiati dai vostri compagni, umiliati e derisi. Fidatevi di me, ho frequentato il Trinity diversi anni fa e, adesso come allora, ho capito l'importanza del rispetto delle regole. Posso scorgere nei vostri occhi il desiderio di far parte dell'America che conta, quella parte che regge e rende grande il nostro paese. Rispettate il Trinity e ricordate: Impegno. Dedizione. Perfezione".

 

Adesso vomito.

Scoppierei a ridere se fossi in una situazione normale, le parole di Vivian sono di un cinismo spaventoso. Apparenza, soldi, potere. Null'altro.

Il problema è che metà studenti applaudono convinti, l'altra metà urla il motto del Trinity con entusiasmo: Impegno, dedizione, perfezione.

 

"È inutile che scuoti la testa pivella, purtroppo sono quelle le cose che fanno girare il mondo", mi dice James. Nonostante voglia apparire freddo e distaccato so benissimo che non condivide il pensiero di Vivian.

"Se non credi a quelle parole perché non dici nulla?", dico un po' stizzita.

"Perché questo è il mio mondo. Oltre a questo, per quelli come me, non esiste nient'altro", con una sigaretta spenta tra i denti si accascia nella poltroncina.

"C'è sempre una via d'uscita. Potresti...".

"Potrei cosa? Oppormi? Rinunciare a studiare? Andare a lavorare in un Fast Food e maledire il sistema? Cosa otterrei? Quando ci si affaccia, anche solo per sbirciare, a tutto questo si viene risucchiati. Immagina com'è viverci da sempre! Guarda Jo, sarebbe capace di vendere la sua anima pur di accedere a Yale. Guarda te. Cosa faresti per stare qui? Sapresti rinunciare a te stessa? Io credo di sì".

"Scusa James, ho bisogno di una boccata d'aria", mi alzo ed esco dall'aula magna senza voltarmi. Che vada a quel paese, non mi è piaciuto il suo discorso.

 

Non mi importa se mi espellono, puniscono o sgridano, non voglio sentire una parola in più di quegli esaltati. Soprattutto, non ho più voglia di ascoltare James. Crede che potrei rinunciare alla mia identità per far parte dell'élite di New Heaven? Si sbaglia di grosso.

 

Sbuffando mi dirigo verso il mio armadietto, giro l'angolo e imbocco il corridoio principale. Seduto sui gradini delle scale che portano al piano superiore c'è Nik. Ha l'aria pensierosa, ha i gomiti appoggiati sulle ginocchia e lo sguardo perso a fissare il pavimento.

 

"Ciao, non sei ad ascoltare quello che ha da dire la Marquez?", chiedo con un filo di voce.

"Neanche tu a quanto vedo. Se annoiano te non posso annoiare anche me?", il tono di Nik è duro.

 

Mi siedo vicino a lui, sono molto imbarazzata.

 

"Sono il colpevole quindi? Stanno dando la colpa a me?", mi chiede sempre stando con la testa china.

"A dire il vero stanno puntando il discorso sull'onore del Trinity, sul futuro e sulle ambizioni che ha ogni singolo studente. Non vogliono che questa storia esca da qui".

"Discorso trito e ritrito, lo tirano fuori ad ogni scandalo. Comunque stai tranquilla, non si saprà nulla, i giornali taceranno. Succede sempre così", Nik si tira indietro e appoggia la schiena sugli scalini. Non indossa gli occhiali, li ha infilati nel taschino della giacca. 

Sembra così vulnerabile e stanco, non l'ho mai visto in questo modo. 

"Sono già successe cose del genere?", chiedo.

"Elena, succedono continuamente, solo che non vengono dette. Storie tra professori, tra studenti, bugie, sotterfugi. Credi che tutti siano candidi e puri? Ti sbagli, ci sono più segreti tra le pareti del Trinity che in altre scuole".

"Questa volta è uscita però", sottolineo.

"La cosa importante non è scoprire chi sono i soggetti nella foto. Basta aguzzare la vista per capirlo, nella foto ci sono tutti gli indizi necessari per avere le risposte che si vogliono. Quello che bisogna capire è perché è stata messa in giro", Nik mi guarda per la prima volta, non è il suo solito sguardo dolce, sembra di ghiaccio, freddo e distaccato.

"Io credo che non mi importi sapere chi sono i soggetti nella foto, tanto...".

"... Tanto per te, io sono il colpevole. L'uomo misterioso. L'amante che fa sesso con una donna a scuola, quando ho rinunciato ad una storia semplice con una ragazzina che potevo avere quando volevo. Credi che non sappia che potrei usare la mia influenza, il mio aspetto, per avere decine di storie al Trinity? Credi che non sappia che potrei usare la mia dialettica per plagiare giovani menti? La mia non è arroganza, è una constatazione. Se solo avessi voluto, tu saresti stata mia", Nik è a un palmo dal mio naso.

"Nik io... io..", sono imbarazzata. Mi sento così sciocca, non riesco a dire una parola.

"Per alcuni sono uno stupido a non approfittarne. Per altri un santo. Io credo solo di essere un uomo vero. Non voglio bambole senz'anima, voglio vicino a me una persona con personalità e un'identità precisa. Purtroppo sono un romantico, un sognatore. Tendo ad idealizzare troppo le persone che mi piacciono, alla fine resto sempre fregato".

 

Non c'è bisogno che Nik faccia nomi è chiaro come il sole che si sta riferendo a me. 

Mi sento da schifo.

 

"Io credevo potessi essere tu nella foto. L'ho creduto per un attimo, non posso negarlo", adesso sono io che sto a testa china.

"Se solo mi conoscessi non avresti dubbi. Ci sono segni che non possono essere nascosti neanche volendo. Se mi conoscessi, sapresti con certezza che non sono io l'uomo nella foto, non perché avresti visto la mia schiena nuda, ma perché sapresti da dove vengo e cosa ho passato. Ci sono cicatrici di vario tipo, alcune posso scavarti la carne, altre restare nascoste in fondo al cuore. Io purtroppo ho entrambe. Sulla mia schiena ci sono i segni che mio padre mi ha gentilmente donato con la fibbia della sua cintura, ma quelle che mi hanno fatto più male sono state le offese alle quali ho creduto per anni. Se solo avessi provato a chiedermelo te lo avrei detto dolcemente, come mi piace fare, perché dopo tutto quello che ho passato ho imparato come le parole possano cambiare la vita di una persona. Per questo faccio l'avvocato, per questo insegno Dibattito".

 

Sono una idiota.

Una piccola lagnosa idiota.

Come ho potuto pensare che Nik potesse essere l'uomo nella foto?

Mi sento un verme, mi sento uno schifo.

Ho gli occhi lucidi, le parole di Nik mi hanno toccata nel profondo.

 

"Mi dispiace, non volevo che James ti umiliasse in quel modo", la mia voce trema leggermente.

"Lui è un ragazzo molto sveglio, non si fa problemi a fare quello che vuole. Credevo che la tua influenza lo avrebbe migliorato, invece non ha sortito nessun effetto. Resta sempre il solito James".

"Non sapevo cosa fare, sono preoccupata per Kate, volevo che l'attenzione si allontanasse da lei. Sta così male che non riesco a ragionare lucidamente", ho gli occhi lucidi. Le mie scelte potrebbero rovinare la vita ad un uomo stupendo ed io sto male.

Come ho potuto farmi influenzare così?

"Kate? che c'entra Kate?", mi chiede Nik.

"In giro circola la voce che sia stata lei a scattare la foto. Potrebbe essere espulsa".

"Ma chi ti ha messo in testa questa storia? È ridicola. Nessuno crederebbe mai che Kate possa fare una cosa del genere".

"James mi ha detto...".

"James? Dopo quello che ha fatto ti fidi ancora delle sue parole?", Nik estrae dalla tasca interna della giacca un foglio ripiegato e me lo porge, "Usa il tuo cervello Elena, non lasciarti abbindolare".

 

Prendo in mano il foglio e lo apro.

È una copia della foto incriminata.

 

Il tendaggio del Teatro scolastico è facilmente riconoscibile.

Il volto di Miss Scarlett è chiarissimo, come il suo tatuaggio.

La schiena dell'uomo è senza segni particolari.

Non so cosa stia cercando, ma è chiaro che Nik voleva che notassi qualcosa.

Il tavolo nella foto è pieno di abiti.

Un maglioncino, credo.

Una scarpa, mi pare.

Un oggetto.

Ha la forma di parallelepipedo.

Una scatoletta.

Sembra metallica con delle incisioni.

Incisioni che conosco.

Quella scatoletta era un vecchio porta tabacco.

Un porta tabacco che ora contiene caramelle alla liquirizia.

Caramelle che ho assaggiato più volte.

Solo una persona le porta lì dentro.

Solo una.

Adrian.

 

James sapeva che era Adrian l'uomo della foto e non mi ha detto nulla.

James sapeva che Kate poteva essere accusata e non ha fatto nulla.

James sapeva.

Tutti loro sapevano.

Non mi hanno detto nulla.

 

Elena sei una stupida!

 

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Capitolo 36
*** IERI: Come hai potuto farlo? ***


IERI:
Come hai potuto farlo?


 

Non ho mai visto Kate in questo stato: capelli arruffati, pallore cadaverico e sguardo fisso nel vuoto. Sembra uno zombie.

Non credo sia sotto choc, almeno credo, penso sia solo profondamente arrabbiata, confusa, delusa e amareggiata. Provo a passarle la mano davanti agli occhi, ma non ottengo nessuna reazione.

 

"K-Kate? Tutto bene?", provo a chiederle.

Le sue sopracciglia si inarcano.

"Pensavo fosse giusto dirtelo...", aggiungo.

Kate stringe i pugni.

"Non hai nulla da dire?", le chiedo.

"Nulla da dire? Ho molto da dire! Tutti loro sapevano che Adrian faceva sesso con Miss Scarlett e hanno tenuto la bocca chiusa!? Tutti loro avrebbero potuto evitare di farmi stare con la tachicardia e non l'hanno fatto?", Kate è in piedi al mio letto e sta urlando.

"Shhh. Abbassa la voce. Non voglio che papà senta", con uno strattone abbasso la mia amica e la faccio cadere seduta sul letto.

"Elena quei cinque sono dei miserabili... Cavoli, li prenderei a sberle. Stephanie faceva la nostra amica, invece... Quindi ci sbagliavamo, Adrian non era innamorato di Rebecca e quella volta a Teatro, tutto spettinato, era appena stato con Miss Scarlett!", Kate pare una furia.

"Sì, non avevamo capito nulla e...".

 

Il mio cellulare squilla, è James.

 

"Perché non rispondi? Se vuoi lo insulto io da parte tua", Kate è così determinata che stento a riconoscerla.

"Lascia perdere", le dico mentre blocco la chiamata.

 

Avrò ricevuto quaranta chiamate da James e altrettanti messaggi.

Non ho voluto chiarire con lui questa storia per telefono, dovevo prima informare Kate. Non era giusto che soffrisse inutilmente.

 

Mi butto sul letto con Kate e l'abbraccio:"Almeno adesso sappiamo cosa è successo".

"Non sappiamo un bel niente cara a Elena", mi dice Kate.

"In che senso?".

"Chiunque abbia scattato la foto sapeva benissimo che l'uomo era Adrian. È stato ben attento a non fotografare la testa e fare in modo che non fosse riconoscibile. Quindi significa che chiunque abbia scattato la foto non vuole rivelare questa informazione".

"Secondo te perché?", mi sollevo di lato e osservo la mia amica concentrata a ragionare.

"Ci sono tre possibilità. Chi ha scattato la foto voleva colpire solo Miss Scarlett, per esempio il Club di fotografia. L'altra ipotesi è che il Saint Jude volesse rovinare il buon nome del Trinity, oppure... Oppure nessuna delle due".

"In che senso?", chiedo.

"Non ti sembra strano che non sia girato nessuna informazione, pettegolezzo, che potesse essere Adrian l'amante di Miss Scarlett? Come mai?".

 

Le parole di Kate mi fanno scattare qualcosa. È come se la mia mente avesse collegato ricordi lontani ed eventi recenti, servendomi su un vassoio d'argento la soluzione.

Mi alzo dal letto, prendo il cellulare e compongo un numero di telefono.

"Che fai?", mi chiede Kate stupita dal mio gesto.

"Pongo fine a questa buffonata", le rispondo.

 

Bastano solo due squilli. James risponde subito.

 

"Che diavolo succede Elena? Sei sparita durante la riunione e...", James è furioso lo capisco dal tono.

"Tra venti minuti, tu e i tuoi amici sotto casa mia. So chi ha scattato la foto", poi butto giù. 

Kate mi guarda con gli occhi spalancati: "Ma-ma come? ".

"Avevamo la soluzione sotto gli occhi e non ci siamo rese conto".

 

Venti minuti sono solo venti minuti, eppure venti minuti possono sembrare una eternità. Kate ha finito le unghie da rosicchiare, cammina avanti e indietro come una matta. Io cerco di mantenere la calma, cosa molto difficile visto quello che è successo.

Papà non mi ha chiesto nulla, ha capito che deve essere successo qualcosa di grosso, perché non ha avuto obiezioni quando gli ho detto che avremmo fatto tardi per cena.

 

L'inverno sta finendo, non ci sono più giornate fredde e glaciali. Tra poco sarà aprile e la natura fiorirà in tutto il suo splendore. L'aria, pur sempre frizzante, è più mite. Con il cappotto ben abbottonato, aspetto che arrivino James e gli altri.

Per la via passano diverse macchine, ma nessuna è quella che ci interessa. Passano i vicini che ritornano dal lavoro, famiglie con le buste della spesa, qualche lupo solitario con il cartone della pizza in mano. Ordinaria quotidianità. Una quotidianità che si interrompe quando due auto scure si fermano proprio davanti a noi.

Sono quella di James e Lucas.

 

Lucas apre lo sportello a Stephanie, mentre con James c'è Adrian e Rebecca.

"Spero tu abbia una valida ragione per questa sceneggiata. Mi aspetta un'ottima cena a casa. Io odio che vengano stravolti i miei piani", Lucas incrocia le braccia al petto indispettito.

"Che succede Elena? Perché non mi rispondevi. Sei fuori di testa? Stavo per venire a vedere se stavi bene", James viene verso di me, ma io non faccio nessun cenno per abbracciarlo. Si blocca in mezzo al marciapiede confuso.

"Sentite voi due. Ho di meglio da fare che stare qui, quindi...", Rebecca si avvicina a James e lo prende a braccetto portandolo verso gli altri.

 

Osservo con attenzione ognuno di quei cinque. Non abbasso lo sguardo, voglio che percepiscano la rabbia che provo.

"So chi è l'uomo della foto", non stacco gli occhi da Adrian che impallidisce all'istante, "Per tutto il tempo voi sapevate che era lui e non ci avete detto nulla? Perché ci avete preso in giro così?".

Lucas di scaglia contro James prendendolo dal bavero del cappotto."Perché non hai tenuto la bocca chiusa con la tua ragazza?"

"Non ho detto nulla ad Elena. Non ho rotto il nostro patto", James allontana Lucas in malo modo.

"Tranquillo Lucas, James non mi ha detto nulla. La foto ha parlato, mi ha mostrato chi fosse l'amante", allungo a quei cinque l'immagine indicando la scatoletta di metallo con le caramelle di Adrian.

"Merda! Se qualcun altro le dovesse notare Adrian finirebbe nei guai", Lucas accartoccia la fotocopia arrabbiato. Stephanie e Rebecca mettono le mani sulla bocca terrorizzate.

"Perché non ci avete detto nulla? Perché ci avete mentito così? Kate poteva finire in guai seri", a denti stretti fisso James.

"Non sarebbe mai successo nulla a Kate, non so neanche come possa essere uscito il suo nome. Quando ho sentito dire che era stata lei a scattare la foto, mi sono stupito anch'io. Per me l'importante era proteggere lui", Lucas prende il volto confuso di Adrian tra le mani, poi abbraccia l'amico per rincuorarlo.

 

James cammina sul posto, non riesce a stare fermo. Vorrebbe venire da me, lo capisco da come si muove. Non ho intenzione di farlo avvicinare.

 

"Elena non potevo dirti nulla, Adrian era coinvolto. Per questo volevo scoprire chi avesse scattato la foto, non sapevo se avrebbe usato l'informazione contro di lui", James con una sigaretta accesa in mano non smette di stare fermo.

"Mi dispiace, davvero. Avrei voluto dirvelo di Adrian, ma... Ma tra noi cinque c'è un rapporto molto stretto, ci siamo promessi di non dirlo a nessuno", Stephanie è di fronte a me e Kate, "Non potevamo rischiare che venisse espulso, messo in ridicolo o altro".

"Però vi sarebbe andata bene se avessero espulso me!", urla Kate in faccia alla ragazza.

"No! Per questo ci siamo messi d'accordo con Elena di sviare l'attenzione sul Professor Martin. In quel modo tu e Adrian sareste stati salvi", Stephanie ha le lacrime agli occhi.

"Lascia perdere queste due. Non capisci il loro gioco? Cercano di farci sentire in colpa per una cosa in cui non centriamo nulla", Rebecca ha le mani sui fianchi e viene verso di me minacciosa, "Da quando vi siete intromesse nella nostra vita, avete portato solo guai. Se si sapesse che Adrian era l'amante di Miss Scarlett scoppierebbe un casino! Dovete stare lontane da noi e tenere la bocca chiusa". 

"Sai Rebecca, mi sono chiesta più volte quale fosse il motivo per cui hai scattato quella foto. Adesso mi è chiaro. Che stupida che sono, mi chiedo come abbia fatto a non capirlo prima", sono a pochi centimetri da Rebecca, questa volta non la passerà liscia.

"Che cosa stai dicendo? Rebecca ha scattato la foto?", Lucas mi guarda come fossi pazza.

James ha la bocca spalancata: "Elena, che dici? Lei non lo farebbe mai, Adrian è come un fratello per tutti noi".

 

Mi allontano di qualche passo e prendo per mano Kate che sta tremando come una foglia, la tensione accumulata per tutto il giorno la sta facendo crollare.

 

"L'hai detto tu James: nessuno a scuola può far nulla senza il vostro permesso. Chi potrebbe osare sfidare i ragazzi più popolari del Trinity? Il Club di fotografia? Assolutamente no, non hanno il fegato. Quelli del Saint Jude? Se avessero scoperto Adrian con Miss Scarlett avrebbero sparso subito la notizia. L'unica persona che può aver scattato la foto deve conoscere la scuola, i soggetti fotografati, ma soprattutto deve conoscere le vostre dinamiche. James, chi ti ha inviato il messaggio che ti informava che Kate era sospettata di aver scattato la foto?".

James pensa un paio di secondi: "L'ho ricevuto da Rebecca, appena arrivati a scuola".

"Chi può spargere un pettegolezzo e in pochi minuti renderlo ufficiale se non Rebecca? Ha fatto così anche con il Professor Martin, rischiando di rovinargli la carriera per sempre".

"Non vogliono dire nulla queste cose, stai cambiando il discorso. Tu sei il problema!", Rebecca mi sta urlando contro.

"No, sei tu il problema. Sei entrata a scuola dall'aula di chimica, il professor Tompson lascia sempre la finestra aperta, poi ti sei intrufolata nel Teatro perché sapevi che Adrian e Miss Scarlett si sarebbero incontrati", non ho intenzione di fermarmi, Rebecca ha fatto soffrire troppe persone, deve pagare: "Ricordi quando a lezione di Dibattito dovevamo scrivere un testo che ci rappresentasse? Quel giorno hai detto una cosa che mi ha colpito molto: 'Più sai è più potere avrai. Io so tante cose. Molte. Per questo io sono io'. Allora ho pensato che fossi un po' esagerata, invece mi sbagliavo. In quella frase c'era tutta la tua perfidia e l'hai dimostrata proprio contro i tuoi amici".

 

Lucas ha le mani nei capelli, cammina avanti e indietro nervoso, mentre Adrian è seduto per terra abbracciato a Stephanie. James, con il respiro accelerato e gli occhi lucidi, si è immobilizzato: "Becca. Becca. Ma cosa... Cosa significa? Ha ragione Elena? Perché l'hai fatto?".

Rebecca stringe i denti così forte che il volto pare deformato, le braccia tese lungo i fianchi tremano: "Vuoi saperlo caro James? Sicuro? Perché a quanto pare non ti importa più niente di noi da quando c'è quella lì. Elena di qui. Elena di la. Tutti voi credete che Elena sia buona e cara, invece è una serpe che vuole rovinare la nostra amicizia".

"Ma cosa stai dicendo?", Stephanie si è alzata in piedi urlando.

"Pure tu ci sei cascata. Eri la mia migliore amica, adesso stai sempre con quelle due. Cosa hanno in più di me? Nulla!", Rebecca sta andando a grandi passi verso l'amica.

Lucas si mette in mezzo proteggendo la fidanzata con il suo corpo: "Hai esattamente dieci secondi per spiegarmi perché hai fatto tutto questo. Dieci secondi". Lo sguardo furibondo di Lucas non ammette un no come risposta.

"Noi cinque avevamo un patto, da bambini abbiamo promesso che saremmo stati sempre insieme, ci saremmo aiutati e avremmo fatto di tutto l'uno per l'altra, vi ricordate? Per tutti questi anni ho fatto affidamento a voi per tutto. Tutto. I nostri segreti, le paure, i problemi, erano una cosa nostra, solo nostra", Rebecca sta piangendo, il mascara sta colando sulle guance, "Poi è arrivata Elena e tutto è cambiato. Lei vi ha portato via da me, vi ha allontanato. Volevo che lei soffrisse, volevo che anche lei perdesse la sua migliore amica e il ragazzo che le piace. Volevo toglierle Kate e James. Volevo farle quello che aveva fatto a me".

"Che c'entro io? Perché hai incluso me nel tuo piano contorto?", Adrian mugola la domanda caricandola di una tristezza che non avevo mai sentito prima in vita mia.

"Perché... Perché...", Rebecca non sa cosa dire.

"Lo sai perché? Perché non te ne importa nulla degli altri, ma solo di te stessa. Avresti dovuto essere felice per James e Elena, stanno bene e si piacciono. Lo stesso per Stephanie, è così timida che nuove amicizie non possono farle che bene. Invece hai rovinato la mia storia d'amore solo per capriccio?", Adrian singhiozza le ultime parole. 

 

Un silenzio irreale cade tra tutti noi. Un amore spezzato, per un motivo così futile, è uno spreco. Non me la sento di giudicare Adrian, il suo sentimento è così sincero che non posso fare a meno di sentirmi vicina alla sua disperazione.

 

"Posso capire che spargendo il pettegolezzo di Kate saresti, forse, riuscita a farla espellere. Ma io, con quella foto, che c'entro? Come avresti potuto rovinare la storia tra me ed Elena?", James osserva l'amica con incredulità. 

Rebecca sorride maligna: "Perché, credi che non ci sia riuscita a rovinare la tua storia cin Elena? Lei non si fida più di te. Non sei più il suo principe azzurro che le organizza picnic romantici, le regala un libro personalizzato o la fa sentire speciale. Tu per lei sei lo stronzo che le ha mentito, il vigliacco che avrebbe potuto rovinare la vita di un professore innocente e quello che non rinuncerebbe a nulla della sua vita costruita su menzogne e complotti. Le ho mostrato solo quello che sei veramente. James, non puoi fingere di essere buono, tu non lo sei e non lo sarai mai".

"Quindi per te sono destinato ad essere un bastardo senz'anima?", James fissa Rebecca come se la vedesse, per quello che è, per la prima volta.

Rebecca ride di gusto: "James è ora che tu finisca di recitare la commedia del bravo ragazzo. Tu sei un bastardo senz'anima da sempre. È ora di smetterla di giocare".

 

L'eco delle parole di Rebecca sono ancora nell'aria.

Il tempo di un respiro.

Una lacrima cade dalla guancia di James frantumandosi al suolo.

Non ho mai sentito un rumore più assordante.

 
 

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Capitolo 37
*** IERI: Non posso fare a meno di amare ***


IERI:
Non posso fare a meno di amare
 

Non so se ho dormito stanotte, non lo capisco. Mi sembra di essere sveglia da una settimana, ho le ossa rotte e i muscoli indolenziti. Il ticchettio della pioggia sui vetri è l'unica cosa che riesce a distrarmi. Sento la mia testa vagare lontana, non so neanche io dove. Credo di non aver cambiato posizione nel letto durante la notte, il piumino non ha una piega, il pigiama non è arrotolato e storto come al solito. Forse ho dormito, ma non mi sono riposata. Forse.

 

Papà sta preparando la colazione, la moka sta borbottando allegramente sul fuoco, se non la toglie dalla fiamma rischia di bruciare il caffè. 

Rumori di stoviglie, scatola dei biscotti e barattolo di miele. La tavola è pronta.

Papà corre per spegnere il fornello, il caffè per oggi è salvo. 

Eccolo che arriva, apre piano la porta. Mi chiama.

Non so se ho voglia di alzarmi, sto abbastanza bene qui immobile. Forse. 

 

Una carezza. Due carezze.

Gli occhi pungono, non riesco a trattenermi. 

Piango.

Vorrei che mamma fosse qui abbracciata a me. Vorrei non sentirmi così sola.

 

"Vuoi andare a scuola oggi?", papà raccoglie una lacrima. Anche se non sa cosa è successo ha capito come mi sento.

Annuisco.

"Allora alzati, il tè è pronto", mi sussurra con delicatezza, poi si alza per uscire dalla stanza.

"Papà", lo chiamo, non voglio che mi lasci sola.

"Che c'è tesoro?", mi chiede con la mano ancora sulla maniglia della porta.

"Poi il male passa? Quando hai il cuore ferito intendo, si torna più come prima?", gli chiedo.

Papà deglutisce un paio di volte, tira su con il naso. Tentenna: "Oggi non è ieri. Oggi non sarà domani. Devono passare tanti oggi per sentirsi un po' meglio... Adesso sbrigati che la colazione si raffredda".

 

Oggi non è ieri.

Oggi non sarà domani.

Quando oggi dovranno passare per sentirmi un po' meglio?

 

Il bus che mi porta a scuola è pieno di studenti, non me ne ricordavo così tanti. Non ho trovato neanche posto a sedere. Kate sale alla solita fermata, mi si avvicina e mi prende per mano. La stringo forte.

 

"Come hai passato la notte?", mi chiede. Dalle occhiaie sotto i suoi occhi capisco che non ha riposato neanche lei.

"Mi dispiace per ieri sera, per Rebecca e tutto il resto. Per colpa mia potevi rischiare grosso. Non credevo potesse essere così meschina".

"Tu non centri nulla, è lei che ha un problema serio. Spero non ti sia offesa perché sono tornata a casa. Avevo voglia di... di...".

Completo la frase al suo posto: "... Di stare un po' da sola a pensare. Penso tu abbia fatto bene, non sarei stata di buona compagnia".

"Poi hai sentito James o no?", mi chiede con un filo di voce.

Faccio cenno di no mentre mi mordicchio un labbro.

"Ah ok".

Per il resto del viaggio restiamo in silenzio a occuparci dei nostri pensieri.

 

A scuola sembra tutto come al solito. Una selva di studenti, rintanati sotto gli ombrelli, aspetta di entrare a scuola, parlano e ridono come sempre. Lo scandalo della foto è passato, nessuno dice più nulla è come se non fosse mai successo niente. Dimenticato, come la polvere nascosta sotto il tappeto. 

Kate apre il suo piccolo ombrello a pois bianchi e cerca di coprirmi. Non mi importa di bagnarmi, non mi importa di molto oggi.

"Andiamo sotto quell'albero, così non prendiamo tutta la pioggia", Kate mi trascina verso una grossa quercia.

Mi appoggio al tronco dell'albero in attesa che suoni la campanella.

"Hai un piano per oggi? Per James e gli altri. Come dovremmo comportarci?", Kate si sta asciugando gli occhiali dalle gocce d'acqua.

Alzo le spalle, non so che dire.

"Elena, tu hai sempre qualcosa in mente. Sei così strana oggi che stento a riconoscerti. Non puoi stare in questo modo, cerca di riprenderti", Kate prova a scuotermi inutilmente.

Kate ha ragione, mi sento come in un limbo.

 

Buona parte degli studenti sono già entrati nell'edificio, me li immagino andare ai loro armadietti oppure fermarsi a chiacchierare con qualche amico. Una controllata ai compiti, una battuta e due risate. Di solito io stavo mano nella mano con James, almeno fino a ieri.

Mi mancano quelle piccole abitudini, mi manca sentirmi desiderata.

 

In lontananza intravedo la chioma riccia di Adrian scendere da una macchina scura, quella di James. Il parcheggio è abbastanza lontano, non credo possano vedermi, ma non voglio correre nessun rischio.

 

"Io entro dal retro della scuola, non ho voglia di incontrare nessuno. Ci becchiamo dopo alla lezione di informatica. Ok?", come un fulmine corro sotto la pioggia senza aspettare la risposta di Kate. Cerco di saltare più pozzanghere possibili, con la cartella sulla testa provo a coprire i capelli. Fortunatamente non piove molto.

Svolto l'angolo ovest dell'edificio, passo sotto la finestra di chimica per poi ritrovarmi nel cortile dietro la scuola. Rallento il passo, mi riparo sotto un tettuccio in attesa che suoni la campanella. Non ho voglia di affrontare James, non adesso.

 

Un ombrello rosso è appoggiato sulla ringhiera dell'entrata sul retro. Miss Scarlett è lì vicino, fuma una sigaretta senza smettere di andare avanti e indietro sul piccolo scalino.

Appena mi nota apre l'ombrello e viene verso di me.

 

Che cosa le dico adesso?

Devo fingere di non sapere di Adrian?

Sa che è stata Rebecca a fare la foto?

 

"Ciao Elena. Hai dimenticato l'ombrello?", gli occhi color ghiaccio della donna sono più lucidi del solito.

"Già, oggi va così", alzo le spalle.

 

Non so che dirle. Si è creato un imbarazzo tra di noi che mi spinge a non guardarla in faccia. Mi prende male se ripenso che la sua storia d'amore è stata scoperta anche per causa mia. Mi sento in colpa.

 

Miss Scarlett ha un sorriso amaro: "So che non dirai nulla di me e Adrian. La nostra storia era... Era sbagliata. Non so neanche come abbia potuto iniziarla. Purtroppo quando ami una persona non riesci a fare a meno di lei, anche se sai che ti farà stare male".

Gli occhi mi si riempiono di lacrime. Mi sento uno schifo.

"La Preside Marquez è stata gentile a non alzare un polverone. Ha creduto alla mia versione dei fatti. Sono stata brava a recitare, le ho detto che ero nel Teatro con il mio ipotetico fidanzato. Nel caso qualcuno me lo chiedesse, un attore disposto a interpretare il ruolo è facile da trovare".

"Miss Scarlett mi dispiace, io non...", le lacrime rigano le mie guance.

"Adrian mi ha raccontato tutto. Rebecca è una ragazzina, come lo sei tu. Tutti fanno errori, bisogna imparare a perdonare", Miss Scarlett mi abbraccia, mi stringe così forte che mi toglie il respiro. 

 

Cavolo, quanto vorrei che quella maledettissima foto non fosse stata mai scattata.

 

"Adesso devo andare, i miei giorni al Trinity sono finiti", Miss Scarlett sta piangendo, "Mi raccomando completa i tuoi magnifici lavori per lo spettacolo, sono sicura che piaceranno a tutti".

"Sì, non dubiti", le dico con la voce rotta dal pianto.

 

Un Hey risuona nell'aria.

È Adrian, con lui c'è James.

 

"Ciao, come stai?", gli chiede il Adrian visibilmente emozionato.

"Sto bene, ho preso un paio di cose prima di lasciare il Trinity", la donna indica un piccolo scatolone posto poco lontano. 

"Te lo porto io in macchina. Ok?", Adrian, incurante della pioggia, solleva lo scatolone e si dirige verso l'auto di Miss Scarlett che lo segue con il suo ombrello rosso.

 

James è in mezzo al cortile e osserva la scena.

Ha l'aria sbattuta, sembra provato.

 

"Si sono conosciuti l'anno scorso al Club di Teatro. Sono rimasti diversi pomeriggi a lavorare insieme e si sono affezionati. Adrian può essere molto dolce, anche se un po' imbranato. Non ha mai avuto molta fiducia in se stesso. Io non so se la storia con Miss Scarlett fosse una cosa giusta o sbagliata, so solo che lui era felice", James segue con lo sguardo il suo amico che sistema lo scatolone nella macchina della donna.

"Mi hai trattata come una stupida, come se non fossi in grado di capire. Mi sono sentita presa in giro. Ci eravamo promessi di dirci tutta la verità, sempre", James si sta avvicinando, con il suo ombrello mi copre il capo. Siamo a meno di trenta centimetri l'uno dall'altra.

"Adrian, Lucas, Stephanie, Rebecca ed io siamo molto uniti. È come fossero tante Kate per te. Per loro farei tutto, ci siamo promessi di aiutarci in qualsiasi caso, qualunque cosa fosse successa. Non ho pensato alle conseguenze delle mie azioni, ho sbagliato", James prova ad accarezzarmi il volto, ma lo abbasso. Non mi sento a mio agio.

"Scusa è che questa storia mi ha un po' confusa. Quello che ha fatto Rebecca è... è assurdo. Non capisco la gelosia che prova per me, del resto tu ed io stiamo insie...", mi blocco di colpo e sbircio James. 

 

Siamo ancora una coppia?

Lo voglio veramente?

 

"Rebecca ha commesso un errore grande, non ha giustificazioni. L'ho sempre difesa e protetta, ma questa volta l'ha combinata grossa", James stringe la mascella e le mani intorno al manico dell'ombrello, il suo tono cambia, sembra così fragile, "Elena, scusa. Scusa ancora".

 

Non faccio in tempo a rispondere che Adrian ci raggiunge.

Ha gli occhi lucidi.

 

"È stata dura dirle addio. Io non posso fare a meno di amare tutto di lei. Proprio non ci riesco. Sento un peso nel petto, una voragine, come se mi mancasse l'aria. Come se nulla avesse senso", Adrian si copre il volto con le mani. James lo abbraccia.

"Mio padre stamattina mi ha detto che si deve fare un passo alla volta, giorno dopo giorno, per cercare di ritornare come prima. Oggi non è ieri. Oggi non sarà domani. Devono passare tanti oggi per sentirsi un po' meglio".

"È molto saggio tuo padre", mi dice James, poi allunga la mano nella mia direzione, "Possiamo iniziare insieme a vivere un nuovo oggi, se ti va?".

 

Con delicatezza sfioro le sue dita. La sua mano è ancora lì tesa, non vuole perdere la mia. I movimenti sono lenti, non riesco a resistere, James è come una calamita e io un pezzo di ferro. Stringo la sua mano cercando di concentrarmi su ogni minimo dettaglio di quella presa: calore, morbidezza, forza e pressione. È pura perfezione.

Non posso fare a meno di amare tutto di lui, anche il suo buio e il suo lato oscuro. Mi sento in alto, mi sembra di toccare il cielo, non voglio guardare in basso e preoccuparmi della caduta. Non posso pensare di stare senza lui.

Non riesco a smettere di gravitare intorno alla sua essenza.

 

James mi sorride, sento il vuoto nel mio cuore colmarsi di felicità.

 

"Basta bugie?", gli chiedo.

"Prometto", mi risponde.

 

La campanella suona, è ora di entrare in classe.

 

James, sempre abbracciato ad Adrian, sale gli scalini dell'entrata sul retro. Io sono al suo fianco.

Facciamo pochi passi, quando la porta si spalanca.

La madre di Rebecca è di fronte a noi.

Mi sarei aspettata di vedere chiunque, ma non lei.

 

"Vivian? Che ci fai qui?", chiede James sorpreso.

"Ciao James caro. Cercavo Miss Sarlett, volevo chiederle una cosa sullo spettacolo, ma a quanto vedo è già andata via", Vivian tiene tra le mani una cartelletta, "Su Adrian caro. Che faccia lunga, la vita continua!".

La donna da un pizzicotto sulla guancia ad Adrian.

"Non capisco... Rebecca dov'è?", James è confuso quanto me.

"Becca starà a casa qualche giorno, ha preso freddo ieri sera. Non sta molto bene", la donna mi lancia uno sguardo severo, "Per quanto riguarda me, avete davanti la nuova regista dello spettacolo teatrale. Magnifico, no? Apporterò qualche modifica, ma non preoccupatevi ho esperienza, ho lavorato in televisione e so come vanno fatte queste cose".

"Ma-Magnifico", James pare sconcertato dall'entusiasmo forzato della donna.

"Bene ora filate in classe, non voglio che vi mandino in punizione per colpa mia".

Vivian si sposta lasciandoci entrare.

 

Mi sento a disagio, mi sento squadrata da capo a piedi.

Faccio solo pochi passi quando mi sento tirare per il braccio. Vivian mi bisbiglia appiccicata all'orecchio: "Cara Elena volevo solo dirti che le tue scenografie non le useremo, non vanno bene. Dovrai rifare tutto da capo. Mi raccomando, voglio cose migliori di quelle robe che hai dipinto fino ad ora. Chiaro?".

"Sì signora", le rispondo cercando di trattenere il fastidio che provo.

 

Non mi importa quanto mi voglia far lavorare, umiliare o offendere.

Non mi importa di nulla di quello che mi dirà.

Fintanto avrò la mia mano stretta in quella di James, niente e nessuno potrà abbattermi.

 

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Capitolo 38
*** IERI: Fame d'amore ***


IERI: 
Fame d'amore

... CONTROLLATE SE AVETE LETTO IL CAPITOLO PRECEDENTE...

 

Mi chiedo coma Hanna abbia potuto convincermi. Me ne sto qui da trenta minuti buoni a reggere questo ridicolo striscione per la festa degli ex-alunni del Trinity. Come se me ne importasse qualcosa. Non conosco nessuno degli invitati e non mi importa molto della loro vita né dei traguardi da loro raggiunti. Credo che poi se mi conoscessero non mi apprezzerebbero un gran che. 

Jo e Kate sono in fibrillazione, il primo non vede l'ora di incontrare i più importanti avvocati di Boston, la seconda vuole rendere felice Roger, suo padre. Da ex studente è uno degli invitati. 

 

Per me è un incubo.

L'accoppiata Vivian e Hanna è micidiale, da un lato c'è la madre di Rebecca che non smette di lanciarmi frecciatine e dall'altra c'è la madre di Kate che esige una perfezione maniacale.

"Più su lo striscione. Vai a destra. Ferma. Adesso a sinistra. Più in basso, ancora un po'...", Credo che Hanna si diverta a tartassarmi.

"Dai su, cosa vuoi che cambi?", le dico scocciata.

Kate sghignazza, sta tenendo ferma la scala su cui sono arrampicata.

"Elena le cose vanno fatte bene... Adesso fermati così. Adesso metti lo striscione nel gancio e legalo".

 

Fosse facile, ho solo due mani.

Come era previsto lo striscione mi scivola e cade per terra. Devo rifare tutto, mi prende male, molto male.

Kate scoppia a ridere mentre Hanna mette il broncio.

"Scusa è che non riesco, le mie mani oggi non collaborano", sono demoralizzata per la mia incapacità a compiere un'azione così semplice.

Sto per risalire a rifare tutto, quando mi sento sollevare da dietro.

Jo mi ha presa e spostata di peso. Mi sbaciucchia una guancia, prende lo striscione e sale sulla scala. 

"Va bene così Hanna?", Jo si è arrampicato senza problemi e regge il tutto con una mano.

"Perfetto! Visto Elena, non ci voleva poi molto", dice la donna sistemandosi gli occhiali sul naso.

 

Con le braccia conserte aspetto il mio amico. Detesto quando mi fanno apparire una stupida. 

"Solo perché sei alto non significa che tu debba farmi sentire una nanerottola", con il dito puntato sul suo petto lo faccio indietreggiare.

"Scusa, solo che ci avresti messo altri venti minuti. Ci sono molte cose da fare", Jo e Kate ridono.

"Dai non fare quella faccia. C'è da sistemare i tovaglioli nei tavoli. È un'attività in cui non dovresti avere problemi", Jo mi abbraccia poi mi strofina il pugno sulla testa arruffandomi i capelli.

È ufficiale, lo odio.

Inizio a rincorrerlo per la sala cercando di fargliela pagare, ma è più agile di me. Il risultato è che io ansimo come avessi fatto la maratona di Boston, mentre lui si diverte a farmi impazzire.

Kate è piegata in due dalle risate.

 

Vivian mi osserva schifata, non aspettava altro per richiamarmi all'ordine: "Se vuoi diventare una persona rispettabile è ora che tu cresca e la smetta di giocare come una bambina piccola. Una vera signora si nota dall'atteggiamento elegante e dai modi controllati".

Tengo a stento le risate, non ho il minimo rispetto per quella strega rinsecchita. Non è una mia professoressa. Non è un'amica. Non le voglio bene. Tutto quello che mi dice mi entra in un orecchio e mi esce dall'altro.

Con artificiosità scimmiotto un inchino, poi vado a sistemare i fazzoletti sui tavoli.

 

Jo e Kate scoppiano a ridere, insieme a me, quando Vivian si allontana per sgridare un paio di operai addetti all'illuminazione.

"Quella ti odia. Ha eliminato perfino le tue scenografie. Tale madre, tale figlia", Kate mi prende a braccetto.

"Cerca solo di mantenere la calma, ok?", Jo mi appoggia un braccio sulle spalle mentre tira i capelli a Kate per scherzo.

"Uffa Jo, smettila!", Kate prende a pizzicotti l'amico che corre per la sala facendoci linguacce.

 

Questa è la parte migliore dei miei amici.

Senza di loro sarei persa.

 

Con calma inizio a piegare i tovaglioli da distribuire sui vari tavolini mentre quei due continuano a stuzzicarsi. Stasera ci sarà la festa degli ex studenti e tutto deve essere perfetto. Mi sono garantita un invito in quanto frequento il Club di Dibattito, quelli degli ultimi due anni possono partecipare. Uno strazio assicurato, fortuna che c'è Roger, almeno posso stare appiccicata a lui quando James sarà occupato a parlare con tutte quelle persone importanti. In quanto McArthur non può che fare altro che comportarsi in quel modo: saluti, strette di mano e sorridi di circostanza.

 

Intorno a me sono tutti presi a lavorare: Lucas sposta pile di sedie, Stephanie sistema gli addobbi floreali, Adrian scarica contenitori carichi di calici di cristallo mentre James trasporta bottiglie di champagne. Non li ho mai visti lavorare così duramente prima di allora. È piuttosto buffo vederli sudare.

C'è una tale frenesia nella sala che lo scandalo della foto pare un argomento archiviato. 

Non un accento. Non una battuta. Niente di niente.

Kate è rinata dopo lo stress che ha provato. Negli ultimi dieci giorni è rifiorita e i rapporti con gli altri sembrano normalizzarsi, quasi tutti almeno, Rebecca non si fa vedere a scuola da più di una settimana. Per me è un sollievo, senza i suoi complotti, sotterfugi e intrighi, posso passare del tempo in tranquillità con James. Non ho dimenticato quello che mi ha fatto, la paura resta, l'idea che possa mentirmi mi fa impazzire, per questo non riesco a rilassarmi del tutto quando sto con lui. Non che ci sia qualcosa che non va, ma sento un blocco che mi impedisce di sentirmi a mio agio come prima. 

 

Kate mi dice che passerà.

Speriamo.

 

Un trambusto attira l'attenzione di tutte le persone in sala. 

Stephanie ha rovesciato diversi vasi di rose rosse spargendo acqua da tutte le parti. Nel cercare di prendere un mazzo di fiori si è graffiata le mani e sta piangendo.

Kate è corsa a tamponarle la mano, mentre Jo raccoglie i vasi cercando di mettere in ordine.

 

"Tutto bene Stephanie?", mi avvicino per vedere la mano della ragazza, fortunatamente sono graffi superficiali.

"S-sì", balbetta tra le lacrime.

"Che succede S? Perché fai così?", le chiede Kate. La reazione di Stephanie è spropositata, i fiori possono essere riutilizzati senza problemi e i vasi non si sono rotti.

"Niente... È che sono un po' distratta", ci dice stringendo il pugno al petto.

"Ehi, S. Non mentire, ti prego. Che hai?", Kate dolcemente abbraccia l'amica.

"Se hai voglia di parlare noi siamo qui", le dico accarezzandole i capelli.

"Non capireste, pensereste che sono pazza".

 

Kate mi guarda, credo neanche lei capisca cosa stia succedendo.

James, Lucas, Adrian e Jo sono tutt'intorno. 

 

"Dai parla. Non ci fare preoccupare" dice Adrian accollandosi al suo fianco.

Stephanie, con gli occhi lucidi e gonfi di lacrime, dice solo una parola: "Re-Rebecca".

"Non ti preoccupare, non sta venendo a scuola da diversi giorni. Vedrai che le passerà. Rebecca ama le sceneggiate, lo sai", Lucas è di fronte a Stephanie e le osserva i piccoli tagli sulla mano.

"Appunto. Io credo che possa aver smesso di... di mangiare. Sapete come è fatta. Ha il cellulare spento, non risponde ai messaggi", le lacrime non smettono di caderle dagli occhi.

 

Il sangue mi si gela nelle vene. La mente ritorna al momento in cui l'ho sentita vomitare nel bagno di casa sua. In quel caso era bastata una battuta infelice di sua madre per mandarla in crisi. Non oso immaginare adesso, con tutti i suoi amici contro.

James non dice una parola, per quanto lei lo abbia ferito, non può fare a meno di pensare all'amica. Glielo leggo negli occhi. Lo stesso vale per gli altri. Anche se non capisco l'affetto che lega quei cinque a Rebecca, posso comprendere la sofferenza in fondo ai loro cuori per aver perso una persona cara.

 

"Vado io", dico ad alta voce.

"Dove?", James e gli altri sono confusi.

"Parte di questa storia è dovuta alla antipatia che Rebecca ha per me. Visto che lei non vuole affrontarlo, andrò io direttamente da lei".

"Ma non vuole vedere nessuno", dice Stephanie, "I domestici non fanno passare né estranei e né conoscenti".

"Non ti preoccupare, ho in mente un piano. Basta che mi confezioni un mazzo di rose rosse e il gioco è fatto. Non abbiamo tempo da perdere".

 

In dieci minuti Kate e Stephanie riescono a comporre un mazzo di fiori di tutto rispetto. Lucas, con le chiavi della macchina in mano, mi aspetta vicino alla porta della sala. 

James mi abbraccia forte e mi bacia: "Grazie", mi sussurra in un orecchio, "Non ha risposto a nessuno dei miei messaggi".

"Non ne posso più di tutta questa storia. È ridicola, lo faccio solo per quello", gli rispondo mentre mi infilo il cappotto. Adrian mi da un paio di pacche sulla schiena.

Sto per uscire quando Vivian mi si piazza davanti: "Elena non ti ho dato il permesso di andartene", con le braccia sui fianchi mi blocca la strada.

"C'è una persona che ha bisogno d'aiuto", le rispondo dura, "Non voglio che lei muoia di fame per una scemenza successa dieci giorni fa". Fisso intensamente la donna, non ho intenzione di rinunciare ad andarmene. Voglio che capisca che mi sto riferendo a sua figlia, la figlia che si diverte ad umiliare.

Vivian tentenna. Stringe la mascella, si capisce che odia la mia insubordinazione nei suoi confronti: "Credo che lei sia abbastanza grande da decidere. Lei ha sbagliato e sottovalutato l'intelligenza della persona che voleva effettivamente colpire. Lei sta semplicemente pagando le conseguenze dei suoi errori".

Senza rispondere a quella sottospecie di donna esco dalla sala, pronta a sfrecciare per le vie di New Heaven, direzione casa di Rebecca.

 

 

La casa di Rebecca sembra disabitata. Le tende dei piani superiori sono chiuse, un silenzio surreale circonda la villa. Lucas ha parcheggiato proprio di fronte l'abitazione dell'amica. Senza indugi scendo dalla macchina e percorro il viale d'ingresso con il mazzo di rose in mano.

Dopo pochi secondi aver suonato il campanello, Consuelo, la domestica di Rebecca, mi apre la porta. Parla a bassa voce, come se non volesse disturbare una persona che sta dormendo: "Buongiorno Miss Voli. Miss Rebecca non sta bene, non vuole vedere nessuno".

"Io devo consegnare questi fiori a Rebecca. Non me ne andrò finché non lo avrò consegnato. La informo che sono testarda, molto testarda. Se per puro caso dovessi suonare il campanello dieci, cento, mille volte non esiterò a farlo".

Consuelo spalanca gli occhi, l'idea che io possa creare tutto quel trambusto la spaventa.

"Mi promette che aspetterà in salotto, vedrò se Miss Rebecca vuole ricevere i fiori".

 

Annuisco. Sorrido e sbatto gli occhi platealmente. 

Ovviamente non ho la minima intenzione di ubbidirle.

 

"Si accomodi qui. Vado a chiedere", Consuelo mi lascia in salotto mentre percorre la scalinata principale che porta al piano superiore. Senza aspettare attraverso l'ingresso ed entro in cucina, lì c'è la scala di servizio che usano i domestici per andare da un piano all'altro. In pochi secondi sono al piano superiore. Mi apposto e aspetto che Consuelo esca dalla camera di Rebecca per infilarmi nel corridoio e bussare alla porta della ragazza.

 

Un paio di colpi.

Un avanti stanco è la risposta di Rebecca.

 

Coraggio Elena, anche se è insopportabile ha bisogno di aiuto.

 

Entro.

Rebecca è avvolta dal piumone e abbraccia un grosso cuscino. Ha i capelli tutti arruffati e gli occhi sono rossi. Ha l'aria sciupata, le guance hanno un brutto colorito.

 

"Ma che diavolo succede? Consuelo? Consuelo?", Rebecca sta urlando.

Senza farmi problemi mi lancio sul letto, incrocio gambe e braccia: "Io da qui non mi muovo. Quanto ci scommetti?".

"Sei completamente matta, tu... tu...non puoi fare questo", Rebecca è spaesata.

"Certo che posso. Sono tutti preoccupati per te. I tuoi amici vorrebbero tu tornassi a scuola. Credo che manchi loro qualcuno che li comandi a bacchetta, che li intimorisca e sia totalmente egoista", il mio tono è volutamente forzato, rasenta il comico.

"Vattene, altrimenti chiamo la polizia", Rebecca prende in mano il cellulare e lo accende, "Adesso ti becchi una bella denuncia per...".

Rebecca non finisce la frase. Decine e decine di messaggi riempiono il suo telefonino.

"Visto? Non stavo mentendo. Non so perché, ma a quanto pare ti vogliono bene".

 

Rebecca, con la bocca aperta per lo stupore, sta piangendo.

 

"Inoltre stasera c'è la festa degli ex studenti del Trinity. C'è il rischio concreto che io sia la più splendente e meravigliosa ragazza presente. Potrei addirittura parlare con il rettore di Yale e convincerlo ad ammettermi prima del previsto", faccio finta di ammirarmi in uno specchio immaginario facendo smorfie con la faccia.

Rebecca ridacchia: "Con quei capelli non saresti mai la più splendente, avresti bisogno di un miracolo".

"Dici? Sarebbe interessante un po' di sana competizione. Del resto il fatto che non ci sopportiamo non è più un segreto, quindi tu potresti essere tu ed io essere io. Niente sotterfugi. L'importante è non coinvolgere i nostri amici".

Rebecca mi fissa per qualche secondo: "Nemiche dichiarate. Una lotta a carte scoperte, potrebbe essere interessante", mordendosi il labbro si rilassa tra i cuscini del letto.

"Sì. Ti informo che non ho la minima intenzione di perdere. Non ho intenzione di rinunciare a ciò che ho conquistato. Non faccio favori", ovviamente mi riferisco a James.

"Un favore da te? Ti prego, tu sei la mia nemica numero uno, non voglio nulla da te", mi dice con il suo solito tono arrogante.

"Davvero? Un piccolo favore voglio fartelo comunque. Ti informo che se non ti vai a fare una doccia, a riempire lo stomaco e a prepararti per stasera, tutti gli occhi saranno puntati su di me e il mio cavaliere. Quindi hai esattamente quattro ore per rimetterti in forma!", con un gesto deciso tolgo il piumone dal letto, poi spalanco le tende e prendo per mani Rebecca facendola alzare.

 

La porta della camera si spalanca. Consuelo è con il fiatone e il mazzo di rose rosse in mano. Ha hai occhi spiritati, credo mi abbia cercato per tutta casa.

Balbetta parole senza senso tra un respiro e l'altro.

 

"Che c'è?", Rebecca dice dura, "Consuelo sono in ritardo per la festa di stasera. Vai in cucina a preparami uova e bacon. Ho fame".

"Ma Miss...", prova a ribattere la donna confusa.

"Niente ma. Muoviti. Tra quindici minuti deve essere pronto tutto. Chiaro?".

Consuelo corre fuori dalla stanza.

 

Rebecca è tornata la solita odiosa Rebecca.

 

"E tu? Perché sei ancora qui? Non ho voglia di fare la tua baby sitter!", con uno strattone libera le sue mani dalle mie. Quello è il segnale che me ne devo andare, adesso è in grado di occuparsi di se stessa da sola.

 

Non so se ho fatto bene a presentarmi da Rebecca. Potevo fregarmene e lasciarla sola. Sicuramente avrei avuto meno problemi, ma probabilmente non sarei stata serena.

Anche se mi scoccia ammetterlo, non voglio che soffra per causa mia. Dovrà farsene una ragione, dovrà imparare ad accettare che io e James stiamo insieme e che Stephanie abbia altre amicizie. Non mi pento di quello che ho fatto, se non fossi intervenuta sarei stata uguale a Rebecca. Non voglio diventare come lei.

 

"Grazie", mi dice Rebecca, "Ti prometto che non ti dirò più altri grazie, nemica mia".

"Ci conto, non mi deludere", le dico prima di uscire per andare a casa a prepararmi per la festa degli ex studenti del Trinity. 

Che la guerra cominci, io non ho intenzione di perdere.

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Capitolo 39
*** IERI: Che si aprano le danze ***


IERI:
Che si aprano le danze
 
 
 

 

Il quartetto d'archi suona da un'ora buona, le rose rosse sono sparse sui tavoli nella sala, le luci illuminano i gioielli che le dame indossano . Caviale, ostriche, frutti esotici, sono sistemati elegantemente su un tavolo da buffet. I camerieri che girano per la sala sembrano fatti con lo stampino: capelli pieni di gel, sguardo serio e passo felpato.

 

Kate ed io siamo appoggiate ad un muro annoiate a morte. 

 

"Da quant'è che parla quella signora?", chiedo a Kate.

"16 minuti e 46 secondi. Non credevo che una persona potesse aver tanto da dire... Guarda Jo, sembra pure interessato", Kate sbadiglia mentre sbircia l'orologio che tiene in borsetta.

"Mi chiedo come faccia a sopportarla. A proposito hai visto James? L'ho perso di vista mentre parlava con il senatore Taylor", mi guardo intorno, ma vedo solo vecchi imbellettati dall'aria seria e signore addobbate con gioielli.

"Mi pare di averlo visto andare a incontrare i soci dello studio McArthur. C'erano anche Lucas e Adrian con lui".

 

Perfetto, James è con suo padre, una delle persone che più mi detesta. Quando George McArthur stasera mi ha vista non mi ha neanche salutata, ha storto la bocca in una smorfia di disappunto. Fortuna c'era Demetra che mi ha abbracciata e salutata come si deve. Del resto non è il solo, George è in buona compagnia, Vivian mi ha gentilmente consigliato di non parlare con gli ex studenti per non rischiare di far fare brutta figura alla scuola. 

Come se avessi voglia di parlare con quei vecchi tromboni.

Stasera non so chi desidera mettersi più in mostra, se gli studenti dell'ultimo anno del Trinity, desiderosi di entrare a Yale, oppure quelli del terzo anno, che per la prima volta partecipano alla festa di raccolta fondi.

Fortuna che c'è Kate, suo padre da ex studente è stato invitato, quindi anche lei può partecipare.

 

Finalmente Jo si è liberato. Si avvicina a noi tutto soddisfatto.

"Sapete chi era quella? L'amministratore e della Tech Infonet, era nel Club di dibattito pure lei quando frequentava il Trinity. Ha saputo che ho la media più alta della scuola, ha voluto complimentarsi con me".

"Attento, se gonfi ancora un po' il petto potresti scoppiare", gli dico ridendo.

"Dovresti smetterla di fare la guastafeste, se vuoi avere qualche possibilità di entrare a Yale dovresti trovare un pezzo grosso che ti scriva la lettera di raccomandazione", Jo mi da un leggero pugno sulla testa, "Sei così testarda che ti smonterei il cranio per vedere se hai un cervello o meno. Lo stesso vale per te Kate, mettiti un po' in mostra".

Di tutta risposta gli faccio una linguaccia.

"C'è qualcuno che non ha bisogno del cervello per attirare i pezzi grossi, basta un tacco a spillo, una scollatura generosa e molte, moltissime paillettes", Kate fa cenno verso Rebecca che, nonostante sia un po' più smunta del solito, riesce ad attirare lo sguardo di tutti. Mentirei se non dicessi che è molto bella stasera.

"Certo Kate, perché no? Un bel vestito appariscente, trucco e capelli all'ultima moda... Per me faresti un figurone", dice Jo.

Kate lo guarda in cagnesco da dietro gli occhiali. 

Credo potrebbe cadere il sole sulla terra prima di vedere Kate conciata in quel modo.

 

Un uomo con uno smoking nero si sta avvicinando a noi, Nik è al suo fianco.

Non parlo con il professor Martin da diverso tempo, non ho avuto il coraggio di affrontarlo. Dopo quello che mi ha detto, dopo lo scandalo della foto, non sono più riuscita a guardarlo in faccia. Anche durante le sue lezioni ho preferito non intervenire e lui non mi ha interpellata. Potrei aggiungerlo alla lista di quelli che mi odiano al Trinity.

 

"Buonasera ragazzi. Volevo presentarvi Charlie Spencer, un mio collega. Lavora con me nello studio McArthur. È in cerca di nuovi futuri talenti", Nik indossa un elegantissimo smoking. È molto affascinante.

"Buonasera", Jo allunga la mano e la stringe con vigore. Kate ed io lo imitiamo.

"Nicholas mi ha detto che quest'anno ha trovato dei nuovi studenti con cui sarebbe interessante lavorare", l'uomo ha una parlantina molto fluida, ha l'aria sveglia.

"Lei è Elena Voli e lui Jonathan Kurtz, quest'anno seguono per la prima volta Dibattito. Sono due studenti molto promettenti. Lei invece è Kate Husher, ha scattato lei le foto per la preside Marquez".

"Complimenti. Adoro l'arte, in modo particolare la fotografia", dice Charlie sfoderando un sorriso ammaliante.

Kate arrossisce e abbassa la testa intimidita.

"Quali progetti avete per il futuro?", ci chiede il collega di Nik.

 

Jo inizia a parlare a ruota libera del futuro, dei suoi sogni, degli obiettivi che vorrebbe raggiungere. Ha tutto talmente chiaro che, devo ammettere, mi irrita un po'. Come cavolo fa a sapere tutto? Come può essere sicuro di quello che vuole essere da adulto?

Io non so neanche cosa farò domani, figuriamoci se so che lavoro vorrò fare da grande.

Vorrei scappare, detesto questo genere di situazioni.

Nik lo sa come mi sento. Lo capisco dalle occhiate che mi lancia. Sa che questo posto, questa festa, non sono cosa per me, nulla di questo mondo mi appartiene come non appartengono a lui.

 

"Tu Elena, che cosa vuoi fare da grande?", Charlie mi scruta con attenzione. 

"Io... Io...".

 

Che cosa gli dico adesso?

 

"Io...", sono bloccata, non so cosa inventarmi. Devo mentire, cioè che vorrei fare l'avvocato, o dire la verità, che non so assolutamente che fare?

Nik non dice una parola, non mi aiuta. Non che sia obbligato a farlo, ma di solito avrebbe fatto in modo di farmi sentire a mio agio. Sta bevendo il suo calice di champagne tutto in un sorso, non guarda più nella mia direzione. 

Mi sento così inutile.

"Io...", se dico un'altra volta io giuro che mi prendo a sberle, "...Cioè... Vorrei...".

 

L'arrivo provvidenziale di Demetra mi salva da una figuraccia garantita.

 

"Scusate l'intrusione. Posso rubarvi Elena solo per un attimo", Demetra, avvolta in un abito finemente ricamato, mi prende per mano.

Charlie si inchina leggermente, mentre Nik sorride: "Certo Demetra, nessun problema".

"È solo questione di attimi", risponde con garbo la donna prima di allontanarsi con me.

 

Superiamo parte della sala, fino a trovare un angolo tranquillo vicino ad una grossa vetrata. Transita poca gente e possiamo parlare in tutta tranquillità.

 

"Grazie per avermi salvata, non sapevo cosa rispondere. Odio quando mi fanno domande a cui non so rispondere", dico tutto ad un fiato.

"Stai tranquilla, farai l'abitudine come l'ho fatta io. Devi essere diplomatica senza però rinunciare ad essere te stessa. Dopo un paio di feste nessuno ti chiederà più nulla, se non racconterai mai niente che serva ad alimentare i loro pettegolezzi", Demetra mi schiaccia l'occhio.

 

Le sorrido, non posso fare altro che adorarla. 

 

"Ti volevo dare una cosa", Demetra estrae dalla borsa una busta, è chiusa con della ceralacca con impresso lo stemma dei McArthur, "So che la tradizione vuole che si facciano regali solo agli studenti dell'ultimo anno, ma non ho potuto resistere. È un regalo per te e James".

"Non posso aprirlo adesso, James non c'è. Se vuole lo vado a cercare e...".

Demetra mi interrompe: "No, non lo devi aprire in questo momento. È una specie di sorpresa. Visto che ultimamente sono successe parecchie cose spiacevoli, tra Rebecca e la foto di Miss Scarlett, vorrei che tu aspettassi di essere felice e serena con James. Vorrei che lo apriste quando capirete di amarvi".

La mia faccia diventa rossa e incandescente: "Demetra, ma se non dovesse mai succedere? Che ne faccio del pacchetto?".

"Mi ridai tutto. È una cosa molto semplice, un pensierino, che però voglio lasciarti in custodia. James non avrebbe la pazienza di aspettare. Mi fido di te, voglio che tu lo apra nel momento giusto".

"Momento giusto? È come faccio a sapere quand'è?", questa cosa mi mette molta ansia.

Demetra ridacchia come una ragazzina: "Fidati non avrai dubbi. Quando capirai di amarlo e lui capirà di amarti, quello sara il momento giusto. Non si tratta altro che di guardarlo negli occhi e comprendere tutto di lui e lui comprenderà tutto di te. ".

"Non voglio dire bugie a James, non è giusto", ribatto.

"Non è mentire, è semplicemente che sono un impicciona e voglio fare una sorpresa a te e a mio figlio. Ti ripeto, se poi doveste lasciarvi, odiarvi, detestarvi, potrai riconsegnarmelo senza problemi. Lo terrai con te? Mi prometti che non lo aprirai prima?", Demetra mi schiaccia l'occhio. Il mio rossore arriva a livelli mai raggiunti prima.

"Promesso", prendo la busta e la infilo nella borsa.

 

Ritorniamo nella zona della sala più animata. Parecchie coppie stanno ballando in pista, decine di studenti chiacchierano con gli ex studenti cercando di impressionarli. 

Demetra mi prende a braccetto tutta pimpante, è così diversa da quando l'ho vista a casa della suocera intenta a guardare quei vecchi filmati. Sembra un'altra persona.

 

"Lei sta meglio? Quel giorno era parecchio triste", mi arrischio a chiederle.

"A volte, quando il tempo passa, ho attacchi di nostalgia. Essere troppo sensibili a volte fa male. Non credo si possa smettere di amare... È quello il mio problema. Il mio vero problema è che non posso smettere di amare ciò che amo", Demetra appoggia la mano sulla spalla del marito che abbiamo appena raggiunto in mezzo alla sala.

L'uomo si gira, ha in mano un bicchiere di Whisky.

Per un attimo gli occhi di lui si fermano a scrutare la bellezza della moglie, intravedo amore nel suo sguardo, ma anche molta tristezza. È come se sbirciassi, per un attimo, nel cuore di lui. Quella fragilità mi ricorda terribilmente James.

"Ti dispiace Elena se ballo con mio marito?", Demetra ha gli occhi lucidi, "Ti ricordi George il nostro primo ballo? Facciamo finta di essere ancora giovani, solo per questa sera".

L'uomo abbozza un sorriso, bacia la mano della moglie e con un gesto deciso la porta in pista a ballare. La sala sembra svuotarsi, il vestito di Demetra ondeggia come se fosse fatto di onde del mare, i piedi di George si muovo sicuri. Sono uno spettacolo incantevole.

 

Ho i brividi. Mi sembra di assistere ad una scena che di solito leggo nei miei romanzi d'amore.

 

"Posso avere l'onore?", Nik è al mio fianco e allunga la mano nella mia direzione.

"L'onore di cosa? ", sono un po' confusa.

"Voglio ballare con te", mi sussurra.

 

Ballare? Io! Ma sta scherzando? Io non so ballare.

 

Non faccio in tempo a rispondere che Nik mi trascina in pista e mi appoggia una mano sulla schiena. La musica parte ed io non so da che parte iniziare.

"Lasciati andare, segui me. Conta, 1... 2... 3... 4..., ripeti 1... 2... 3... 4.... Così, brava", Nik mi sta facendo volteggiare con leggerezza nonostante la mia goffaggine. Non oso immaginare come apparirò vista da fuori: un tricheco danzante in abito da sera.

 

"Non sono capace", dico lagnosa.

"Puoi far tutto se vuoi. Non devi buttarti giù così", è così dolce che sembra il Nicholas che ho sempre conosciuto.

"Sarò ridicola agli occhi degli altri", di sfuggita mi rendo conto che mezza sala ci sta osservando con un po' troppo interesse.

"Non sarai ridicola, sarai invidiata. Il fatto che abbia scelto te per ballare ha un significato preciso", Nik mi fissa con intensità, "Nulla viene fatto a caso al Trinity, ricordalo. Tutti adesso sanno che sei la mia protetta, la mia studentessa più promettente".

"Io? Ma non ho le conoscenze che hanno gli altri, non me ne intendo di Dibattitto e...".

"... E hai l'anima Elena, ma soprattutto non hai paura di mostrarla. Le nozioni si possono imparare, basta studiare. Codici, leggi e statuti non fanno un buon avvocato. Quello che tu hai è la capacità di vedere oltre le apparenze e possiedi la curiosità di capire le persone", Nik mi sta facendo girare, non mi rendo neanche conto che sto ballando. Ho per la testa una miriade di pensieri che non riescono a prendere forma.

"Credo tu mi stia sopravvalutando. Non credo di volere essere parte di questo, non mi appartiene. È tutto troppo complicato".

"Sei sicura? Un giorno potresti trovarti al mio posto e aiutare giovani brillanti studenti a trovare la loro strada. Non ti piacerebbe? È un bel lavoro", Nik sorride e l'azzurro dei suoi occhi diventa più luminoso.

"Non credo, nessuno potrebbe mai prendere il tuo posto. Sei unico Nik, il miglior professore che esista".

"Le cose cambiano Elena. George mi ha offerto di diventare socio dello studio. Abbiamo casi importanti ed ha bisogno di tutto il mio supporto. Se accettassi, l'anno prossimo potrei non insegnare più al Trinity", Nik stringe la sua presa sulla mia schiena. Stiamo volteggiando e io mi sento cadere, sprofondare nella tristezza.

 

Nik non sara più al Trinity?

Non lo vedrò mai più? 

No. Non può essere vero.

 

La musica finisce, gli spettatori applaudono.

Io ho il fiatone per il ballo, ma anche per le parole di Nik.

 

"Grazie, è stato un onore", Nik si inchina e mi bacia la mano. La stringe così forte da fare male.

"Di... Di nulla Professor Martin".

 

Imbambolata, come fossi in trance, cerco Kate in mezzo alla folla.

Vorrei scappare.

Mi manca l'aria.

Non credo di poter resistere.

Aiuto.

 

... La seconda parte della festa nel prossimo capitolo...

 
 

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Capitolo 40
*** IERI: La coppia perfetta ***


IERI:
La coppia perfetta
 

... Inizia nel capitolo precedente..

Un signore grasso mi sta parlando da non so quanti minuti. È un pezzo grosso, blatera di profitti, investimenti e altre cose che non capisco. Non mi importa nulla di quello che sta dicendo.

Ho appena saputo che c'è la possibilità che il Professor Martin non ci sia più il prossimo anno, l'unica cosa che voglio è stare appiccicata al muro insieme a Kate. Vorrei sparire.

 

Intorno a me ci sono altre persone che mi osservano incuriosite. Aver ballato con Nik non è passato inosservato, sembra che improvvisamente tutti siano accorti della mia presenza. Sembrano un branco di lupi pronti a sbranare la mia carcassa.

 

"Ciao carissima, complimenti per il ballo, sei stata magnifica", Rebecca mi bacia sulle guance, mi prende a braccetto ed inizia a parlare con il signore grasso. 

Entrambi ridono, fanno battute e spettegolano su persone che neanche conosco.

Si inserisce nella discussione una vecchia coppia, poi un paio di signori in smoking.

Rebecca mi tiene stretta a se, spostandomi leggermente sempre più lontana.

Tutti quanti parlano come se fossero amici di vecchia data.

"Sorridi e stai zitta. Tra un po' sarai libera", mi bisbiglia Rebecca prima di riprendere a conversare con quelle persone.

Adrian e Lucas arrivano e salutano con calore gli uomini in smoking. Parlano di progetti e idee da sviluppare in futuro, investimenti esteri senza farsi mancare battute e pettegolezzi. Lucas mi si piazza davanti continuando a parlare con quelli sconosciuti.

Rebecca mi lascia il braccio e inizia a giocare con i suoi capelli mettendo in mostra il suo lucente abito di paillettes. Tutti la guardano.

 

Mi sento prendere dai fianchi e tirare indietro.

È Stephanie che si è appiccica a me: "Tieni la testa bassa e sorridi. Sorridi sempre. Annuisci ogni tanto. Così, brava. Non guardare in faccia nessuno. Ok?".

Ubbidisco.

Insieme andiamo verso un paravento, dietro c'è la porta di uno sgabuzzino.

Entriamo.

Nella piccola stanza, piena di mensole con stoviglie, pentole e tovaglie, c'è James che cammina avanti e indietro.

 

"Che succede?", chiedo ad entrambi. Capisco benissimo che c'è qualcosa che non va, lo capisco dalle loro facce.

"Elena, hai ballato con il Professor Martin. Sai cosa significa?", Stephanie è molto ansiosa.

"N-no. Cioè, il Professore mi ha spiegato che è una specie di premio".

"Un premio che di solito viene concesso ad uno studente dell'ultimo anno. Il professore di ogni Club seleziona il miglior studente, con un ballo o semplicemente mettendolo in mostra. Il Professor Martin ha scelto te, capito? Non un diplomando, ma te!", James ha una sigaretta spenta tra i denti, è molto nervoso.

"Ti sei attirata molte antipatie. Quelli dell'ultimo anno dovranno affrontare tra poco la sfida con quelli del Saint Jude Institute. Come credi che si sentano se il loro insegnante non considera nessuno di loro il migliore? Negli ultimi tre anni ha vinto il Trinity... Ma quest'anno non so", Stephanie pare preoccupata.

 

Non credevo che un semplice ballo avrebbe creato tanto trambusto.

 

"Inoltre non hai tra le medie più alte della scuola. Pensa a tutti quelli del terzo anno che faticano per raggiungere il massimo. Come credi si sentano?", James mi sta trattando in modo brusco, sembra voglia sgridarmi.

"Non è colpa mia. Che c'entro io?", sbotto. Non potevo certo sapere che ballando con Nik sarebbe successo un tale pandemonio.

"Già, tu non centri mai nulla", Rebecca è arrivata con Adrian, Lucas, Kate e Jo.

Tutti mi fissano con un'espressione preoccupata.

"Mi dispiace di averti rubato la scena. Giuro che non era nei miei piani", con un sorrisetto rispondo a Rebecca che indispettita alza le spalle.

"Il Professor Martin ha giocato un brutto scherzo a tutti noi, sia a quelli del terzo che quarto anno. C'è da capire perché ha scelto te tra tutti i suoi studenti", Lucas mi osserva, ha in mano un calice di champagne che sorseggia piano.

"Mi sembra ovvio", Kate ha un tono così squillante che tutti rimaniamo stupiti, "Elena non è voi. Se smetteste di essere così... Così... Insopportabilmente voi, potreste forse capire che c'è altro. Guardate la storia di Miss Scarlett, avete mentito, offeso, imbrogliato e chissà cos'altro. Cosa avrebbe dovuto fare il Professor Martin? Premiare uno studente che l'ha giudicato e incolpato a prescindere? Siete così ossessionati dal Trinity e dal Club di Dibattito che non vi rendete conto di quello che vi circonda. Il Professor Martin vi ha voluto dare un segnale bello è chiaro, compresi quelli dell'ultimo anno".

 

Tutti stanno zitti.

Non credo che James e gli altri abbiamo mai sentito Kate parlare in quel modo. 

 

"Bene. Allora brindiamo ad Elena, l'unica capace di dividere, confondere e ammaliare, tutti noi", Lucas alza il calice in alto, è chiaro il suo tono polemico, poi beve lo champagne tutto in un sorso, "Adesso non ho più voglia di giocare, mi sono stancato. Andiamo Stephanie, voglio ballare".

I due escono dallo sgabuzzino mano nella mano.

Jo mi si avvicina e mi abbraccia: "Hai ballato benissimo, non hai schiacciato il piede al Professor Martin. Credo sia una conquista, no?".

"Già, potevo renderlo zoppo a vita", dico ironica.

Jo mi schiaccia l'occhio e abbracciata Kate che mi sorride dolcemente, entrambi tornano nella sala principale.

"A me non importa nulla di te. Prima ti ho salvata solo perché James mi ha chiesto di intervenire. Fosse stato per me ti avrei fatta fare a pezzi", Rebecca ha le braccia conserte, percepisco tutta l'avversione che prova per me, "Adrian ho fame. Accompagnami al buffet".

Il ragazzo apre la porta dello sgabuzzino all'amica per poi prenderla a braccetto.

 

Restiamo solo io e James.

C'è molto silenzio, troppo.

 

"Cosa devo fare con te?", James ha messo la sigaretta dietro l'orecchio.

"In che senso?", dico.

"Mi fai impazzire. Quando mi sembra di averti capita, succede qualcosa che stravolge tutto. Quando mi sembra che le cose funzionino c'è sempre un imprevisto. Io sono... Sono... Cavolo, non so neanche come mi sento", James si accascia su un vecchio sgabello.

"Credi che per me non sia lo stesso? Mi hai mentito, hai un milione di personalità diverse, non so mai se sei il James che mi piace o..."

Vengo interrotta: "... O il James che odi? Quello che giudichi a priori? Credi che non sappia quanto detesti quando sono quello che sono", James è in piedi di fronte a me, è arrabbiato, "Tu hai un'idea di me che non è reale, è una fottutissima idealizzazione. Io non sono il cavaliere senza macchia che trovi nei tuoi romanzi, non sono l'eroe. Io sono il bastardo senz'anima, quello che non potrà mai essere diverso da quello che è".

 

Le lacrime mi riempiono gli occhi.

Sentirlo parlare così mi fa venire in mente Rebecca qualche settimana fa, diceva le stesse cose su James.

 

"No. Non ci credi neanche tu. Non puoi pensarlo davvero", gli dico singhiozzando.

"Cosa importa cosa credo io. Io sono James McArthur, figlio di uno degli avvocati più importanti di Boston, erede di metà New Heaven e rampollo dell'alta societa, quella che conta. Io non posso essere che lo stronzo. Fidati, so interpretare bene il mio ruolo", James è a pochi centimetri dal mio volto, la punta del suo naso sfiora la mia.

Sento tutta la rabbia e la frustrazione che prova.

"Poi capiti tu. Che mi travolgi, mi sconvolgi. Trema tutto sotto i miei piedi quando sto con te. Riesci a tenere testa a Rebecca, hai la stima del Professor Martin, conquisti il mio cuore. Ma chi diavolo sei? Io non ti capisco. Mi sforzo di entrare nel tuo cervello, ma non riesco".

 

James appoggia le labbra su una lacrima che mi scivola sul volto. La assapora per qualche secondo, poi con le dita mi asciuga le guance. Con decisione mi prende la nuca mentre con l'altra mano mi accarezza il mento e le spalle, arrivando a sfiorare la curva del mio seno. Ansimo al contatto. 

Un bacio sul collo si trasforma in un morso deciso e delicato allo stesso tempo. La sua bocca risale e cerca la mia.

Ci baciamo con passione, foga, rabbia, desiderio. Sento un misto di emozioni contrastanti che mi portano a volere che James non smetta, non smetta mai.

Il suo petto preme contro il mio, James mi ha spinta contro uno scaffale, mi sta sollevando il vestito. Le dita stringono le mie cosce. Sento la sua forza, sento la voglia che ha di me. Lo abbraccio e infilo le mani nei suoi capelli, inarco la schiena cercando di aumentare il contatto con il corpo di James. Adoro il suo sapore, il suo profumo. 

È tutto così bello, così perfetto.

 

"Elena... Elena...", James smette di baciarmi, all'improvviso, "Siamo sbagliati insieme, come fai a non vederlo. Non voglio farti del male, non posso", James si stacca da me, "Credevo di poter essere migliore, ma non lo sono. Tu sei la parte buona, sei così candida che riesci a conquistare tutti. Potrei approfittarmi di te, potrei usarti. Non voglio ferire i tuoi sentimenti, credimi l'ho già fatto in passato con altre ragazze".

"Non mi importa del tuo passato. Non mi vuoi? Non ti piaccio?", sono confusa, ho ancora il sapore delle sue labbra sulle mie, il cuore mi batte all'impazzata.

 

James si passa le mani sul volto, poi si liscia i capelli. Appoggia le mani ad uno scaffale, se ne sta lì con la testa bassa.

"Io vorrei che tu volessi me. Il me che non deve indossare maschere, il me che potrebbe essere anche un bastardo senz'anima. Non sono diverso da come mi hai conosciuto, sono lo stesso che ti ha portato al picnic al campo di tennis, ma anche quello che farebbe di tutto per proteggere Adrian e i miei amici. Non voglio più mentirti, non voglio farti soffrire raccontandoti bugie".

"James non capisco. Cosa vuoi dirmi? Cosa?", le ultime parole sono cariche di rabbia e frustrazione. Vorrei poter leggere nel suo cervello, poter entrare nei suoi pensieri e cercare di comprendere quello che sente. Vorrei potergli spiegare chi sono, mettere chiarezza e porre fine a tutta questo casino.

"Significa che non voglio rovinare ciò che sei, non voglio distruggere il tuo carattere, i tuoi sogni e il tuo essere speciale. Non voglio farti male, ma finirò per fartelo, non posso nascondermi dietro a un muro di bugie. Vorrei riuscire a lasciarti andare, ma l'idea che qualcuno possa stare con te, il pensiero che tu non sia al mio fianco mi fa impazzire. Sono totalmente perso senza di te. Non sarei capace di vivere senza i tuoi baci, morirei dentro. Ti voglio, ma ho paura di distruggerti, voglio che tu sia solo mia, ma finirò per rovinare tutto... Io ho paura".

 

James spinge la sua fronte contro la mia.

Il suo respiro, le sue lacrime, le sue carezze sono così intensi da entrarmi dentro all'anima.

 

"Anch'io ho paura", sussurro, "Ho paura di perderti, paura che tu capisca che poi non sono così speciale, paura che tu ti possa annoiare di me... Che ne dici, potremmo aver paura insieme, se ti va".

James abbozza un sorriso:"Ti ricordi che ti avevo paragonato alla neve d'estate? Ecco, adesso sei come una tormenta di ghiaccio a ferragosto".

"Copriti allora, perché io non voglio smettere di far nevicare".

 

Con delicatezza appoggio le mie labbra a quelle di James, piccoli baci, dolci e delicati. Accarezzo il suo volto soffermandomi sulle curva degli zigomi e del mento. Ho voglia di tenerezza, di tranquillità, ho voglia di noi.

 

"È meglio andare adesso. Sarai la ragazza più ricercata della festa, ti vorranno conoscere tutti", James mi prende per mano mentre si avvia verso la sala principale.

Nell'istante in cui apre la porta la musica e la luce dei grandi lampadari di cristallo invade il piccolo sgabuzzino. Decine di persone, intorno a noi, chiacchierano, ballano e sorseggiano champagne.

"Sei pronta?", James mi stringe la mano sorridente.

Sto per rispondergli quando Vivian ci si para davanti, ha il fiatone.

"Carissimo James. Per fortuna ti ho trovato. Rebecca ha bisogno di un cavaliere per il valzer di fine serata. Sai che non può non ballarlo, sarebbe un affronto per lei. Tutti la giudicherebbero. Su, su. Raggiungila", Vivian prende il braccio di James e lo stacca a forza dalla mia mano.

"Tu permetti cara, vero?", Vivian mi sta fissando con finta dolcezza.

"Ce-certo", dico.

"Se vuoi rimango, Rebecca troverà un altro cavaliere", James mi scruta con attenzione.

"No, vai pure. Lei è una tua amica e ha bisogno di te. Fa parte di te e devo accettarlo, giusto?", cerco di sorridere anche se sento dentro un peso enorme.

James mi bacia sulla guancia, poi raggiunge Rebecca a bordo pista.

 

Il valzer attacca.

Rebecca scivola sulla pista come fosse una farfalla.

James muove i piedi con precisione ed eleganza.

 

"Sono belli vero?", Vivian, con le braccia sui fianchi, osserva la figlia, "Sono così belli che credo tutti pensino siano perfetti insieme. Una coppia perfetta, sì. James e Rebecca sono la coppia perfetta".

 

James e Rebecca sono la coppia perfetta?

Li osservo danzare, non stacco gli occhi dal loro ballo. 

I movimenti, l'armonia, la complicità tra di loro è evidente.

Così evidente che non posso dar torto a Vivian.

 

Mi manca l'aria, non riesco a respirare.

 

James è James, non cambierà e non voglio che lo faccia.

Lui e i suoi amici avranno sempre un ruolo importante nel suo cuore.

Sono gelosa di quello che lui ha, vorrei che James fosse tutto mio.

Solo mio.

 

Devo uscire, devo andarmene di lì il prima possibile.

 

Sono una codarda, sono una perdente.

Non voglio vedere James tra le braccia di un'altra. 

Preferisco scappare.

 

Senza guardare indietro esco dalla sala da ballo in cerca di aria fresca. Le stelle illuminano la notte buia e, come fossero una pista, le seguo e non mi fermo. Le seguo finché non mi portano in strada, in città, persa tra i vicoli di New Heaven.

Persa tra le mie paure.

Tra la mia paura più grande, perdere James.

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Capitolo 41
*** IERI: A silent devotion ***


IERI:
A silent devotion
 

James ed io siamo sdraiati su un letto.

Ci stiamo baciando. Io sono sopra di lui e gli accarezzo i capelli.

James mi stringe e mi avvolge con le braccia.

Ho voglia di stare sola con lui, il mio corpo è in fibrillazione.

Un colpo di tosse.

Vivian, mio padre, Rebecca e Nik ci stanno guardando.

Senza dire nulla James si alza, abbraccia Rebecca ed esce dalla stanza.

Vivian li segue, ha un sorriso diabolico.

Mio padre fa cenno di no con la testa mentre esce dalla porta 

dove sono passati gli altri.

Nik, con in mano una valigia, mi guarda triste.

Anche lui se ne va.

Resto sola.

Urlo.

 

Driiiiiiin.

La sveglia suona.

Era solo un incubo, un orrendo e schifoso incubo.

 

Oggi non mi muovo, non voglio. Non ho il coraggio di uscire dal piumone.

L'altra sera sono scappata dalla festa, mi sento uno schifo, possibile che non riesca a sopportare l'idea che Rebecca ronzi intorno a James? Eppure lo so che a lui non piace lei, ma nella mia testa tutto sembra complicarsi.

 

Stupida Elena.

Stupida Elena.

 

Mi odio quando faccio così. Mi sento una donnicciola, una di quelle lacrimevoli ragazzine che mettono i cuoricini ovunque. Non faccio altro che a pensare a James, a parlare di James e sognare James.

 

Ahhhhhh, impazzisco.

 

Un té fumante mi aspetta sul tavolo della cucina insieme ad un barattolo gigante di Nutella. Mi siedo ed inizio a prepararmi un toast pieno di crema al cioccolato.

Credo che papà ormai si sia abituato ai miei sbalzi d'amore. Non che non li abbia mai avuti, ma negli ultimi mesi si sono moltiplicati.

 

"Come è andata la festa degli ex studenti? Ti sei divertita?".

Non rispondo, affondo i denti nel toast riempiendomi la bocca di cioccolata.

Papà sorseggia il caffè mentre legge l'inserto domenicale del quotidiano: "Ho sentito Roger ed Hanna stamattina, mi hanno detto che l'organizzazione era perfetta, gli ospiti eleganti e il cibo squisito".

Lo ignoro continuo a masticare l'impasto colloso.

"Mi hanno anche detto che ad un certo punto sei sparita, ma James è rimasto alla festa. Ti ha cercata a lungo, lo sai. È andato anche da Roger e Hanna per sapere dove ti fossi cacciata. Perché, me lo chiedo anch'io, dove sei stata Elena?", papà chiude con calma il quotidiano e mi lancia una delle sue occhiate, una di quelle capaci di analizzare ogni mia espressione facciale ai raggi X.

"Avevo voglia ti fare due passi per la città e...".

Vengo interrotta: "Due passi per strada con i tacchi ed un vestito da sera?", papà non ci crede minimamente, "Che diavolo sta succedendo?".

 

Senza il minimo ritegno abbasso la testa sul piano del tavolo, per me non è facile parlare con lui, è sempre mio padre. In quella posizione mi sembra di vergognarmi meno.

 

"James ha ballato con Rebecca. Lui mi ha chiesto se mi dava fastidio, io gli ho detto di no. Mi ha preso male, molto male, vederlo con un'altra", dire ad alta voce quello che è successo mi sembra estremamente ridicolo.

"E perché gli hai detto che non ti dava fastidio se invece ti dava fastidio?", sento i suoi occhi grigi scrutarmi.

"Perché volevo... Cioè, pensavo che così avrebbe capito che lo accettavo, che mi andava bene come è fatto, comprese le sue amicizie", dico lagnosa.

"Quindi mentendogli avrebbe dovuto capire che tieni a lui?".

Alzo la testa e sbircio papà da dietro i capelli: "No?! Sì?! Io non so", la testa mi ripiomba verso il basso colpendo il tavolo producendo un rumore sordo.

"Credo che questa sia gelosia bella e buona. Dovresti chiarire con James, scappare non risolve nulla", Papà mi da una piccola sberla sulla testa, "Ora fatti una bella doccia, vedrai che tutto ti sembrerà più chiaro".

 

Mi prenderei a pugni da sola. Possibile che non riesca ad esprimere quello che provo, amplificando ogni singola sensazione? Se fossi restata avrei passato un paio d'ore in compagnia di James. Se fossi restata avrei potuto divertirmi con Jo e Kate. Se fossi restata... Già, ma io non sono restata.

 

Stupida Elena.

 

Papà sta sistemando negli scaffali i piatti puliti che stazionano nella lavastoviglie. Il silenzio della stanza è rotto dallo sbattere delle stoviglie e delle posate. Con calma riprendo a mangiare, cullata da quei rumori, sperando di trovare il coraggio di accendere il mio telefonino.

 

"Tua madre diceva che è meglio dire in faccia quello che si prova. Lei lo faceva sempre, non riusciva a trattenere un'emozione per molto tempo. Ci ha provato diverse volte, ma era più forte di lei...", papà si appoggia al bancone della cucina, sta asciugando una ciotola, "... Una volta mi ha fatto una scenata perché credeva avessi una storia con una nostra collega, amica in comune. Non sapeva che in verità stavamo organizzandole la festa di compleanno. Mi ricordo la sua faccia quando ha capito l'errore. A volte basta chiarirsi, parlare. Almeno ti togli il dubbio, no?".

"Già", dico, "Credo che mamma avesse ragione, meglio parlare... Solo che io ho fatto un casino".

"Allora che aspetti? Chiarisci con James. No?", papà mi schiaccia l'occhio complice.

"Ma non lo detestavi?", gli chiedo sorpresa della sua reazione.

"Certo. Lo detesto profondamente, ma che ci posso fare? Tu cresci a vista d'occhio, prima o poi doveva capitare. Meglio un ragazzo come James che ha paura di me, che uno svitato qualsiasi. Mi diverte vederlo tremare".

 

Corro tra le braccia di papà. Quando si mette d'impegno riesce ad essere saggio.

 

Carica di nuove energie mi butto sotto la doccia, l'acqua calda lava via tutte le mie insicurezze. Sono così sciocca, come diavolo ho potuto andarmene dalla festa? 

Mi spazzolo i capelli fino a farli diventare lisci, un filo di trucco, jeans e maglione, un paio di scarpe da ginnastica e sono pronta.

Corro per le scale del palazzo con il cellulare in mano. Lo accendo, una miriade di messaggi vocali e di testo riempiono lo schermo. Quasi tutti sono di James.

 

Stupida Elena.

Stupida Elena.

 

Il bus che porta in centro passa ogni venti minuti circa. Armata di santa pazienza provo a chiamare James per avvisarlo che sto per raggiungerlo.

Chiamo.

Aspetto.

James non risponde.

 

Merda.

 

Riprovo a chiamare.

Il telefono squilla a vuoto.

Richiamo decine di volte.

James non risponde mai.

 

Il panico inizia a prendere posto nel mondo cuore.

Se non volesse più parlare con me?

Se fosse così arrabbiato da odiarmi?

Cammino avanti e indietro, le persone in attesa del bus mi guardano come fossi pazza. Parlotto da sola, sbircio il telefonino, provo a chiamare.

Vado avanti così per dieci minuti buoni.

Sto impazzendo.

Quando intravedo arrivare il bus mi metto davanti a tutti, come se questo mi potesse portare più velocemente da James. Sono tesa e nervosa, maledico la mia impulsività e la mia incapacità di mantenere il controllo.

Seduta sul bus osservo New Heaven dal finestrino. La primavera è arrivata, la giornata è soleggiata e luminosa. La gente per strada si attarda nei locali per il brunch domenicale, chiacchiera con i conoscenti, legge il giornale o sbircia le vetrine dei negozi. Tutti sembrano tranquilli, tutti sembrano felici.

Tutti tranne me.

 

Appena il bus arriva alla fermata spingo per scendere, mi becco pure degli insulti. Me li merito tutti. Sembro in preda ad una frenesia, come se la mia vita dipendesse da quel momento.

Corro per il marciapiede, rischio di investire una coppia con un cagnolino, percorro Olive Street, per poi curvare nella strada principale. Il palazzo dove abita James è proprio davanti a me. Attraverso la strada fuori dalle strisce, fortunatamente senza farmi investire, entro nell'androne del palazzo con il fiatone e mi butto sul vetro della portineria.

Il rimbombo si sente per tutta la stanza.

 

"Miss Voli. Giusto? Co-cosa posso fare per lei?", l'uomo in portineria è sconcertato dal mio arrivo acrobatico.

Cercando di darmi un contegno fingo di avere un appuntamento dai McArthur: "Mrs Demetra mi...".

"Mrs McArthur è uscita con il marito, sono andati fuori città", mi dice.

"Ecco... Infatti... Appunto. Dicevo che... Mrs Demetra voleva che prendessi il suo copione per lo spettacolo perché... Perché devo impararlo a memoria. Sì, ha bisogno del mio aiuto. Sì. Ecco", non ho mai detto una bugia così male.

"Quindi deve solo prendere una cosa. Mi dispiace ma non credo di poterla accontentare", mi dice l'uomo divertito dal mio imbarazzo.

"Potrei chiedere al figlio. Per caso James McArthur è in casa?", chiedo con finta indifferenza.

L'uomo mi guarda e sorride: "Poteva dirlo subito chi voleva vedere. Ascensore 2, la porterà direttamente all'attico".

Rossa come un pomodoro mi dirigo verso l'ascensore, sperando che i pochi secondi del viaggio scorrano più veloci del previsto.

 

 

Appena metto piede nell'appartamento il maggiordomo mi riceve. Non ha espressione, non fa commenti, si limita a prendere la mia giacca e appenderla.

Poi si dilegua.

Resto sola nell'attico. La casa sembra vuota, le luci sono spente e non si vede nessuno nella sala. Nell'aria si sente della musica.

Seguo quei suoni tristi, note di pianoforte, musica struggente, voci dolci che cantano.

Musica d'amore, malinconica. Musica che quando l'ascolti ti mette nel cuore il ricordo di un amore o il desiderio di viverne uno.

Salgo le scale che portano alle camere, la musica esce da una porta socchiusa.

Sbircio.

James è sdraiato sul letto, intorno a lui ci sono decine di foto staccate da un album fotografico.

Busso.

Busso un po' più forte.

 

"Che c'è?", James non si alza dal letto, se ne sta con le braccia sugli occhi.

Entro con calma, con rispetto. 

Mi accomodo sul letto, James scatta, non si aspettava una cosa del genere.

Mi guarda come fossi un miraggio, mi sfiora un bacio come volesse capire se sono reale o meno.

 

"Ciao", gli dico.

James non mi risponde. Si siede sul letto stropicciandosi gli occhi. Raccoglie le foto sparse sul letto e le mette in ordine sul comodino. Una musica dolce risuona nella stanza.

Con le gambe incrociate James mi fissa, non smette di staccarmi gli occhi di dosso. Non parla, non servono parole per capire la rabbia che sta provando.

Vorrei spiegargli che sono una stupida, che ho reagito d'impulso, che l'idea di perderlo mi fa impazzire, che... Un milione di che incapaci di prendere forma nella mia bocca.

 

"Scusa", è l'unica parola che mi viene in mente, "Non riesco ad accettare che Rebecca...".

"Rebecca non ha fatto nulla. Tu hai scelto. Potevi dirmi di non andare a ballare. Perché fai così?".

"Non volevo pensassi che non ti accetto per come sei. Lei fa parte di te e...", sprofonderei sotto terra se potessi.

"Devi accettarmi per come sono, questo è vero, ma non devi forzare i tuoi sentimenti. Bastava dirlo", James è a un palmo dal mio viso, "Sei una stupida. Ieri stavo impazzendo. Ti diverti a farmi morire di paura? Se ti fosse successo qualcosa? Se ti avessero fatto del male?".

"Ho preso un taxi", provo a dire.

James mi da un piccola sberla sul capo: "Testona di una testona. Non riesci a smettere di fare così?".

Faccio cenno di no. Ho gli occhi pieni di lacrime.

James mi accarezza il volto.

 

Angels dei The XX, inizia a suonare dallo stereo.

 

"Adoro questo pezzo", è una delle mie canzoni preferite.

"Pure a me piace molto", la fronte di James è appoggiata alla mia, sta cantando la prima strofa.

 

Light reflects from your shadow                 La luce si riflette dalla tua ombra

It is more than I thought could exist          È più di quanto pensavo potesse esistere

You move through the room                        Ti muovi attraverso la stanza

Like breathing was easy                                Come se respirare fosse facile

If someone believed me                                Se qualcuno mi credesse

 

They would be                                                Sarebbero

As in love with you as I am.                        Tanto innamorati di te come lo sono io

They would be                                               Sarebbero

As in love with you as I am                         Tanto innamorati di te come lo sono io

They would be                                               Sarebbero

In love, love, love                                          Innamorati, Innamorati, Innamorati

 

Adesso svengo, ha una voce così dolce che pare un angelo: "Sei bravo a cantare, potevi entrare nel Club di canto", le mie labbra baciano il suo volto.

"Merito di mia mamma, mi ha insegnato lei a cantare. Non mi piace farlo davanti ad un pubblico", James prende il mio volto e intreccia le dita nei miei capelli. Muove le mani come se cercasse di entrare nella mia testa, come se volesse leggere i miei pensieri. Con piccoli morsi, baci e respiri affannati, segue il collo da un orecchio all'altro.

Io, con la testa reclinata indietro, mi lascio andare. Il mio cuore batte più forte di un tamburo.

"Ho scelto la foto che vorrei che tu dipingessi. Sono con i miei genitori, eravamo ad una festa in campagna. Avrò avuto dieci anni. Può andare?", James si stacca dalle mie labbra e mi allunga una foto.

 

Demetra tiene in braccio James, George abbraccia la moglie e sorride.

È una foto di una dolcezza disarmante.

 

"È l'unica foto in cui ride. È sempre serio. Non ho mai capito il perché", James mi abbraccia, affonda il volto sul mio petto. Sta piangendo.

Gli occhi mi pizzicano, non riesco a trattenere le lacrime.

James è capace di dare tanto amore che neanche si accorge di quanto è unico e speciale, di quanto la sua anima sia perfetta.

 

And everyday                                                E ogni giorno

I am learning about you                             Imparo di te

The things that no one else sees               Le cose che nessun altro vede

And the end comes too soon                     E la fine arriva troppo presto

Like dreaming of angels                             Come quando sogni di angeli

And leaving without them                         E te ne vai senza di loro

And leaving without them                         E te ne vai senza di loro

 

Being                                                              Essere

As in love with you as I am                       Tanto innamorata di te come lo sono io

Being                                                              Essere

As in love with you as I am                       Tanto innamorata di te come lo sono io

Being                                                              Essere

As in love, love, love                                    Innamorata, Innamorata, Innamorata

 

Lo stringo forte, lascio che sfoghi la tristezza che ha dentro, la tristezza che anche io gli ho procurato. Mi sento così sciocca, così inutile. Come ho potuto dubitare di James?

 

"James, io ti... Io ti...", non riesco a dire quelle due parole. La gola si stringe, non esce nessun suono. È come avere un vulcano d'amore dentro che non riesce a esplodere.

"Anche io ti...", blocco le sue labbra con la mano. Non voglio che lo dica. Non voglio. Devo riuscire a dirlo insieme a lui. Non merita un mio silenzio a parole tanto belle.

 

Le mie dita descrivono il profilo delle sue labbra. Solo Dio può aver creato una linea così morbida e perfetta, capace di farmi dimenticare il passato, il presente e annullando la mia paura del futuro. Lo bacio. Lo bacio con una passione vera, istintiva, pura. Lo bacio perché voglio sentire il suo sapore.

Con decisione lo spingo sul letto e mi metto a cavalcioni sopra di lui. Le sue mani mi accarezzano la schiena, sento la voglia che ha di me. Senza pensarci mi tolgo il maglione e lo butto per terra.

"E-Elena ma...", James ha gli occhi spalancati dalla sorpresa, ha il respiro corto.

"Stai zitto", gli dico. Poi, sempre sopra di lui, gli slaccio la felpa e gli sollevo la maglietta. 

Il suo petto nudo è arte, bellezza, poesia. 

Non ho paura di mostrarmi, lui desidera le mie imperfezioni, il mio essere unica. Non vuole altro che me. Io non voglio altro che lui.

 

Con uno scatto James si siede, mi prende per i fianchi e mi gira. La mia schiena è sul letto. Senza smettere di baciarci, di cercarci, di accarezzarci, sfiliamo i vestiti dai nostri corpi.

 

Siamo energia.

Siamo scoperta.

Siamo calore.

Siamo un nuovo sguardo alla vita.

James ed Elena.

Elena e James.

Astri nati per orbitare uno a fianco all'altra.

Siamo materia e spirito.

Siamo un atto di puro amore.

 

Non ci sono parole, frasi che possano descrivere quello che ho provato facendo l'amore con James. Eravamo come energia in movimento, spiriti affini che si fondono. Incastro perfetto tra due anime imperfette, desiderose di amare.

Non esiste parola sul vocabolario, in italiano o americano, capace di riassumere l'infinito che ho dentro.

 

I nostri corpi intrecciati sono così belli da sembrare una cosa sola.

Avere James addormentato tra le mie braccia è la cosa più bella che mi potesse capitare. Lo sento respirare tranquillo, sereno. Gioco con i suoi capelli, lo osservo, scruto ogni millimetro del suo volto, voglio imparare a memoria la forma di ogni piega, ruga e poro della pelle. Conoscere il colore di ogni ciglia e imparare le curve del suo volto.

Lo accarezzo dolcemente come avessi tra le mani l'oggetto più prezioso del mondo.

 

"James ti amo", sussurro. 

Ma lui, con gli occhi chiusi, non sta sentendo.

Una lacrima cade sul cuscino. Poi un'altra. 

Non sono triste, sono felice. Immensamente felice.

 

And with words unspoken                         E con parole non dette

A silent devotion                                          Una devozione silenziosa

I know you know what I mean                 So che sai cosa voglio dire

And the end is unknown                            E la fine non si conosce

But I think I'm ready                                  Ma penso di essere pronta

As long as you're with me                         A patto che tu stia con me

 

Being                                                              Essere

As in love with you as I am                       Tanto innamorata di te come lo sono io

Being                                                              Essere

As in love with you as I am                       Tanto innamorata di te come lo sono io

Being                                                              Essere

As in love, love, love                                    Innamorata, Innamorata, Innamorata

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Capitolo 42
*** IERI: Trinity VS Saint Jude ***


IERI:
Trinity VS Saint Jude 
 

"Avete portato le bottigliette d'acqua?", Nik controlla una lista lunga un chilometro.

Un ragazzo solleva una delle tre casse d'acqua.

"Fazzoletti. Gomme da masticare. Snack. Cioccolato. Camicie di riserva?", prosegue Nik.

"A cosa servono le camicie?", chiedo.

"Ssssh!", tutti i miei compagni del Club di Dibattito mi zittiscono.

"Diciamo che la sudorazione può giocare brutti scherzi. Tre anni fa uno studente ha macchiato la toga per la tensione. Il decoro prima di tutto", mi spiega Lucas.

"A voi del terzo anno chiedo di mantenere la calma, i vostri compagni tra poco dovranno affrontare una sfida molto importante. Non sappiamo quale saranno i temi su cui dovranno dibattere, certo è che bisogna mantenere un ambiente rilassato. Ok?", il Professor Martin ci sta parlando a bassa voce, non vuole agitare nessuno dei ragazzi del quarto anno, i quali sembrano in preda ad attacchi nervosi: c'è chi muove istericamente la gambe su e giù, altri masticano gomme a una dopo l'altra, una tizia non riesce a stare ferma e cammina ossessivamente in circolo mentre altri prendono profondi respiri cercando di calmarsi.

Rebecca e Stephanie, insieme ad altre compagne del Club, distribuiscono acqua e generi di prima necessità, James, Lucas e Adrian, incoraggiano i ragazzi a dare il massimo.

Kate sta scattando foto senza sosta, deve documentare il backstage della gara di Dibattito contro quelli del Saint Jude. Non proferisce parola, con la sua discrezione riesce a fare foto senza infastidire nessuno, riesce a cogliere i momenti e gli attimi più intensi.

Io osservo la scena da fuori, mi sembra tutto molto strano e troppo esagerato.

Va bene che è una sfida importante, ma mi sembra una follia agitarsi in quel modo.

 

"Vedrai che andrà tutto bene", mi avvicino a Nik che non smette di controllare la lista che ha in mano, "Questa non serve, fidati".

Nik mi guarda, ha le occhiaie, credo non faccia una bella dormita da un po': "Hai ragione Elena. Loro daranno il massimo, lo so".

"Devi fidarti di loro, come loro devono fidarsi di te. Sono bravi per forza visto che sono tuoi studenti", gli dico.

Nik sorride come solo lui sa fare: "Grazie, devo restare lucido".

Dopo un bel respiro, il Professor Martin riunisce in cerchio i ragazzi del quarto anno, hanno le braccia appoggiate sulle spalle del compagno vicino. Sembrano un corpo solo.

Bisbigliano, parlano, incitano. Battono i piedi a ritmo, come per caricare l'energia. Sembrano una tribù pronta a sfidare i rivali. Sono disposti a tutto.

"Ragionate fuori gli schemi. Non pensate come studenti del Trinity, ma come individui. Liberatevi dalle regole. Siate voi stessi", Nik  è in mezzo al gruppo e guarda tutti negli occhi, come se cercasse di entrare nel loro cervello, "Usate la materia grigia che avete qui dentro e siate creativi".

Il gruppo batte i piedi più forte. 

L'adrenalina sale. 

Urla. 

Le parole di Nik sono sommerse dalle voci eccitate degli studenti.

 

Adrian e altri ragazzi del terzo anno distribuiscono le toghe con i colori del Trinity, verde e blu. Rebecca e Stephanie aiutano le ragazze a sistemarsi i capelli e il trucco prima di uscire sul palco. Mancano pochi minuti, tra poco inizierà la gara.

 

James mi prende la mano e mi porta vicina al palco, sposta leggermente il sipario e mi indica il pubblico.

Le poltroncine sono tutte piene, oltre ai genitori degli studenti che gareggeranno, ci sono molti ragazzi delle due scuole, ma le persone che contano di più sono in prima fila: i rappresentanti di Yale, coloro che i partecipanti dovranno impressionare.

Nel momento che i miei occhi si posano sulla prima fila capisco finalmente il panico dei ragazzi del quarto anno. In questa gara si decide il loro futuro. Entrare a Yale è una sfida che solo i migliori possono vincere.

 

"C'è in ballo tutto. Capisci perché è così importante vincere?", James mi sta abbracciando da dietro, fissa gli spettatori con me.

"Capisco, ma non credi che sia un po' esagerato? I nostri compagni hanno diciott'anni e devono subire tutta questa pressione... Mi sembra eccessiva", le mie mani si stringono alle sue.

"Se vuoi Yale devi passare tutto questo. Non ci sono scorciatoie".

Mi giro, sono di fronte a James: "È se una persona non volesse Yale, studiare legge o non sapesse che fare del futuro?".

"Vuoi dirmi che vuoi rinunciare ad avere la possibilità di vivere da sola, in un campus universitario, dove puoi passare ore a baciare e coccolare il tuo ragazzo?", le mani di James scivolano sui miei fianchi, i nostri corpi sono incollati.

"Hmm... Potrei fare un pensierino per Yale", mi avvicino alla bocca di James e la mordo leggermente. Con il naso sfioro il mento mentre gli bacio il collo.

"Pivella, smettila. Sai che quando fai così non riesco a trattenermi ", James è con gli occhi chiusi, il suo respiro è accelerato.

Volendolo provocare ulteriormente gli allento la cravatta della divisa.

"Te la sei cercata tu", James mi stringe, mi solleva e mi spinge contro a una parete coperta da parte del sipario e nascosta ai nostri compagni poco distanti. Se qualcuno del pubblico si sporgesse verso il palco, potrebbe vederci senza problemi.

Le sue mani si infilano sotto la camicetta, le mie braccia lo avvolgono.

Da quando abbiamo fatto l'amore non passa un attimo senza che io desideri che capiti ancora, purtroppo però tra i Club, gli esami di fine anno e la gara di Dibattito, non abbiamo mai tempo di restare soli.

"Elena, mi fai impazzire", James mi solleva per le gambe e mi fa sedere su una cassa di legno. Le mie labbra baciano senza sosta il suo meraviglioso viso.

 

Lo amo così tanto che non credo potrei vivere senza di lui.

 

Il pensiero, continuo e martellante, che possa andarsene e lasciarmi è come un'enorme diga che non lascia passare il fiume d'amore che provo per lui.

Lo bacio e penso al peggio.

Lo bacio e penso che non staremo insieme per sempre.

Lo bacio e ho paura.

Non posso perdere anche lui. 

Non posso perdere un'altra persona che amo.

Non riuscirei a vivere con questo dolore.

Non un'altra volta.

 

Gli occhi sono pieni di lacrime, mi odio per questo. Sono abbracciata al ragazzo che amo, ma a cui non riesco a dichiararmi, non riesco a liberare il mio cuore.

James si accorge delle lacrime, si blocca: "Tutto bene? Ho fatto qualcosa che non va?".

È allarmato, lo capisco da come mi sta guardando. I suoi grandi occhi verdi mi scrutano con attenzione.

"No, solo che... Vorrei dirti tante cose, ma purtroppo non riesco".

James mi abbraccia forte: "Che importa delle parole, pivella. Non sempre servono".

 

Uno scampanellio risuona per il teatro. Tra quindici minuti inizierà la competizione.

 

"È meglio sistemarsi", James si stringe la cravatta e si abbottona la giacca, poi con l'indice mi asciuga una sbavatura della matita nera sotto gli occhi.

"Grazie... Per tutto", gli dico prendendolo per mano.

 

Raggiungiamo i nostri compagni che, come un esercito pronto ad obbedire, osservano i concorrenti mettersi in fila dietro le quinte. Dall'altra parte del palco gli studenti del Saint Jude stanno facendo lo stesso. Indossano una toga rossa e grigia.

La tensione si taglia con il coltello.

Nik sta dando le ultime indicazione ai ragazzi, cercando, per quanto possibile, di motivarli e tranquillizzarli allo stesso tempo.

 

"Ahhhh", una ragazza del quarto anno si sta toccando la toga da tutte le parti. È impallidita, sembra stia per svenire.

James ed io, che siamo i più vicini, la sorreggiamo.

"Che succede?", le chiede James.

"Il mio portachiavi portafortuna. L'avevo preso. Non posso... Non posso fare la gara senza il mio portachiavi", la ragazza sta piangendo.

Stephanie e Rebecca accorrono subito a sistemarle il trucco e darle un bicchiere d'acqua per farla calmare.

Lucas, Adrian e gli altri ragazzi del terzo anno iniziano a cercare per tutto il dietro alle quinte spostando tutto quello che trovano.

"Che forma ha?", le chiedo.

"È un piccolo orsetto giallo".

"È così importante? Non puoi farne a meno?".

"Me lo ha regalato il mio ragazzo. No-non posso gareggiare senza", mi dice la ragazza scoppiando ancora a piangere.

Rebecca e Stephanie mi lanciano un'occhiata severa. Se continuo a farla piangere il trucco sciolto farà sembrare la faccia di quella ragazza una tavolozza di un pittore.

"Provo a cercare nei camerini", dico a James.

"Ok pivella. Se lo trovi, portalo subito qui", mi dice baciandomi una guancia.

 

Correndo il più velocemente possibile raggiungo la stanza con tutti i borsoni e cappotti.

C'è talmente tanta roba che è come cercare un ago in un pagliaio. Inizio a guardare nelle tasche delle giacche, poi passo alle borse, guardo con attenzione il piano su cui sono appoggiati gli zaini. Nulla, quel dannato portachiavi con l'orsetto giallo non c'è da nessuna parte.

 

"Merda", dico tra i denti.

"Sapevo che al Trinity l'educazione lascia un po' a desiderare, ma non credevo che la maleducazione raggiungesse un tale livello", un ragazzo in completo blu e cravatta rossa è appoggiato allo stipite della porta. Non ho idea di chi sia.

"Scusa, ma non ho tempo da perdere. Quindi, ciao!", non ho voglia di dare corda a quel damerino, devo trovare il portachiavi il prima possibile.

"Mi avevano detto che sei una che va dritta al sodo. Mi piacciono le ragazze decise", con una mano nella tasca entra nel camerino, guarda schifato il disordine della stanza, "Si vede proprio che voi del Trinity non avete un minimo di amor proprio. Sono un po' deluso, speravo in qualcosa di meglio".

"Senti, la vuoi smettere di blaterare. Non mi interessa chi tu sia e non mi interessa cosa pensi del Trinity. Ok?", in malo modo lo scanso, inizio a rovistare negli zaini.

Il ragazzo misterioso inizia a fischiettare allegramente, mentre con i piedi, chiusi in scarpe in pelle nera lucidissime, sposta gli oggetti per terra come se avesse paura che possano contaminarlo in qualche modo.

 

Adesso lo strozzo.

Se emette un altro fischio giuro che urlo.

 

"Smettila! Mi dai sui nervi. Capito? Se non lo avessi capito sto cercando una cosa molto importante prima che inizi quella maledettissima gara!", ho le vene del collo che pulsano come mai prima.

"Cercavi questo?", il ragazzo sta facendo roteare sul l'indice il portachiavi con un piccolo orsetto giallo.

 

Lo guardo allibita. Se un alieno fosse atterrato con un UFO sarei stata meno stupita.

Come faceva a sapere che stavo cercando proprio quello?

 

"Chiudi la bocca Elena, potrebbe entrare qualche mosca", il ragazzo mi passa vicino lanciando il portachiavi in aria. Lo prendo al volo.

"Come fai a sapere il mio nome? E il portachiavi?", chiedo.

Il ragazzo sta uscendo dai camerini: "Quando incontri il tuo innamorato digli che Andrew Cossé-Brissac del Saint Jude vi ha fatto vincere la gara quest'anno. Avrei potuto tenere quello stupido portachiavi e mandare in crisi la vostra squadra, ma visto che detesto vincere facile, ho preferito aiutarvi".

"Ma... Ma... Non hai risposto alle mie domande", non mi piace essere trattata in quel modo.

Il ragazzo torna indietro è a un passo da me.

Mi fissa con intensità. I suoi occhi nocciola scrutano ogni singolo centimetro del mio volto, mi sento a disagio. Con un filo di voce mi sussurra all'orecchio: "Non importa chi io sia, la cosa importante è che io so più di quanto tu possa immaginare. È facile comprare informazioni se si è un Cossé-Brissac", con delicatezza mi sposta una ciocca di capelli che mi cade sulla guancia, "So tutto di voi del Trinity, tutto. I vostri segreti sono al sicuro... Per ora".

 

Sono immobile e disgustata. Non mi piace il suo modo di fare, non mi piace l'arroganza con cui mi ha parlato. Andrew porta solo guai, meglio stare lontani da tipi così.

 

"A proposito Elena. Se vuoi far sesso con il tuo innamorato dovresti cercare un posto più intimo del backstage di un palco. Credevo tu fossi una brava ragazza. Non posso dire altrettanto di James... Quel ragazzo adora mettersi in mostra. Fatti raccontare cosa abbiamo combinato due anni fa ad Aspen. Credo potrebbe interessarti quella storia".

 

Senza aggiungere altro lo sconosciuto lascia il camerino.

Non ho idea di cosa si riferisca Andrew, non conosco tutto il passato di James. Quello che ha combinato in passato non mi riguarda, l'importante è che adesso io e lui stiamo insieme. Nessuno si deve intromettere, nemmeno quel damerino da quattro soldi.

 

Senza perdere tempo corro verso i miei compagni per portare il portachiavi alla ragazza. Passo dopo passo una brutta sensazione mi si appiccica addosso.

Come se qualcosa di brutto dovesse succedere da un momento all'altro.

Come se fosse iniziato un conto alla rovescia che non porta nulla di buono.

 
 

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Capitolo 43
*** IERI: La gara di dibattito ***


IERI: 
La gara di dibattito
 

Applausi.

Il pubblico sta battendo le mani. Sul palco la Preside Marquez e il Preside del Saint Jude stanno presentando la gara che si sta per svolgere. La tensione è molto alta, i ragazzi delle due scuole sono schierati in ordine, sorriso di circostanza stampato sul volto e strette di mano falsamente amiche.

L'astio tra i due gruppi è più che evidente.

Nik è dietro le quinte, sembra un animale in gabbia, sta osservando la grande ciotola piena di bigliettini con gli argomenti che potrebbero discutere i ragazzi. È talmente teso che tutti gli stiamo lontani. 

Una ragazzina, sorella di qualche studente in gara, sta girando la mano nella grossa ciotola. Estrae a caso un biglietto che porge ad un signore piuttosto grasso e con una grande barba.

 

"Quello è il giudice Smithson, è andato in pensione qualche anno fa, ma è ancora in gamba. Da qualche anno è lui che regola il dibattito nella gara", Adrian è appiccicato a me, sta sbirciando quello che succede sul palco.

"Quindi decide chi vincerà o meno?", chiedo.

"Diciamo che si capisce. Nella discussione di solito un gruppo spicca su un altro. A lui spetta l'ultima parola, decreterà il vincitore".

 

Osservo con attenzione l'uomo, ha l'aria benevola, non sembra per niente un ex giudice. Sarà la camicia verde pistacchio o la folta barba grigia, ma quell'uomo mi mette simpatia.

 

"Senti Adrian. Tu conosci un certo Andrew Cossé-Brissac del Saint Jude?", non voglio stressare James con paranoie inutili, voglio capire di chi si tratta prima.

Adrian sbianca. Mi guarda con la bocca spalancata, credo non sappia cosa dire: "Lui... Cioè Andrew fa parte del passato, del nostro passato. Lui ha avuto una certa influenza su di noi. Però adesso non lo frequentiamo più. Perché me lo chiedi?".

"L'ho conosciuto prima nel camerino, quando cercavo il portachiavi a forma di orsetto. Era lì a curiosare, mi ha detto che è amico di James... Io non ho capito bene chi fosse", gli dico con sincerità, non voglio creare equivoci inutili.

 

Adrian si stacca da me e raggiunge James.

Gli sta parlottando all'orecchio con molta foga.

 

James mi ha raggiunta, ha l'aria seria: "Adrian mi ha detto che conosciuto Andrew. Che ti ha detto?".

"Mi ha detto che siete amici e che avete passato ad Aspen delle belle serate", sono un po' imbarazzata, non mi piace questo genere di discorsi. Quello che ha fatto James nel passato non mi importa.

"Sono cambiate molte cose. Io sono cambiato. Ho fatto cose che non fanno più parte di me... Andrew fa parte della mia vita precedente, prima che incontrassi te", James mi prende per mano e mi bacia delicatamente sulla bocca, "Dimenticalo. Ok?".

Annuisco: " Non ti preoccupare, mi è sembrato solo un gran montato", certo non mi fa piacere che James abbia provato cose o vissuto esperienze particolari, non voglio neanche indagare, ma non ci posso far nulla. Quello che ha vissuto lo hanno trasformato nel ragazzo che è oggi. E oggi io lo adoro.

 

Il rumore del martelletto battuto sul legno risuona per tutto il teatro.

Silenzio.

Il giudice Smithson sta per leggere l'argomento che gli studenti dovranno discutere: "Il petrolio come risorsa o come veleno per l'ambiente? Adesso lancio il buon e vecchio dollaro d'argento che uso sempre durante questa competizione. State in campana ragazzi... Siete pronti?".

L'uomo fa scattare il pollice lanciando la moneta verso l'alto e facendola cadere per terra.

I secondi in cui rotea sul pavimento ci lascia con il fiato sospeso.

"Se i miei stanchi occhi non mi ingannano questa è testa! Quindi voi del Trinity sosterrete la tesi pro petrolio, mentre voi del Saint Jude dovrete sostenere la tesi opposta".

I due gruppi di ragazzi si riuniscono in circolo e iniziano a discutere tra loro, hanno mezz'ora per costruire una base solida su cui argomentare la loro tesi.

 

"Merda", non ho mai sentito Nik dire parolacce, con quel tono poi, "Decisamente più facile la posizione di quelli del Saint Jude, basta vedere le catastrofi che il petrolio ha combinato per pendere dalla loro parte. Devono giocare d'astuzia se vogliono batterli, devono smontare il sentimento di sconcerto, empatia e il moralismo dietro l'utilizzo del petrolio".

"Come possono fare?", chiede Lucas.

"Devono ragionare fuori gli schemi e capire come colpire il nemico. Devono essere un gruppo unito e ragionare come una squadra. Nessuna primadonna, nessun leader. Una voce deve racchiudere il pensiero di tutti", Nik si sta asciugando il sudore sulla fronte.

 

Io non saprei da che parte iniziare. Se penso al petrolio non posso far a meno che immaginarmi un liquido viscoso e puzzolente, pensare alla benzina, alla plastica. Ci sono molti interessi economici, guerre e dissapori tra le nazioni. Come cavolo si può sostenere che il petrolio sia una cosa buona? Siamo fritti.

 

Stephanie, Rebecca ed altre ragazze hanno predisposto un carrellino con bottigliette d'acqua piene, e snack disposti su un piatto. Li porteranno ai ragazzi nel caso avessero bisogno.

"Tanto poi non toccano mai nulla. Chi vuoi che abbia il tempo per mangiare in una situazione del genere. Se ci fossi lì io...", Lucas viene interrotto da Jo.

"Se ci fossi tu cosa faresti? Avresti una paura fottuta come l'hanno loro. Ci sono i reclutatori di Yale. Forse per tipi come te, pieni di soldi, non conta nulla, tanto puoi comprartela la tua ammissione".

Lucas prende Jonathan per il bavero della giacca della divisa.

Stephanie corre a dividere i due, mentre James trattiene Lucas che scalcia come un matto.

"Siete impazziti? Se volete litigare andatevene di qui. Non è il momento di perdere la testa. I nostri compagni stanno rischiando grosso, non possono rischiare fare una figuraccia e perdere", Rebecca zittisce i due. Per una volta, mio malgrado, non posso far altro che darle ragione.

"Il fatto è che, questo stupido idiota, dice che con i miei soldi possa comprare ciò che voglio. Fidati quando ti dico che l'onore di entrare a Yale con le mie forze non ha prezzo", Lucas si liscia i capelli rimettendoli in ordine all'indietro.

"Sei solo un figlio di papà, un venduto. Consideri quelli come me solo spazzatura", Jonathan, in preda ad una crisi isterica, lancia una bottiglietta vuota addosso a Lucas che reagisce saltandogli addosso.

Se non fosse per James, Adrian e gli altri ragazzi del Club, quei due se le darebbero di santa ragione.

 

Raccolgo la bottiglietta da terra, la sto per buttare quando ho una illuminazione.

 

"Rebecca Stephanie, svuotate qualche bottiglietta di plastica e recuperate le cartacce degli snack".

"Cosa? Io non metto le mani lì dentro", Rebecca guarda schifata il cestino.

"Vuoi che vinca il Trinity? Fai come ti dico", il mio muso è a pochi centimetri dal suo.

Senza ribattere mi porta degli incarti.

Svuoto il carrello e ci metto bottiglie schiacciate e le cartacce di snack: "Dammi il tuo burro cacao", chiedo sempre a Rebecca.

"Fossi matta. Prima di tutto io non ho burro cacao, ma un favoloso lucida labbra. Secondo, non vedo perché dovrei dartelo", Rebecca stringe al petto la sua borsetta.

"Perché se non lo fai ti strozzo... Ok?".

Stephanie prende a forza la borsetta dell'amica e me la passa: "Spero tu abbia una buona idea".

Rovisto nella borsetta di Rebecca e trovo la scatoletta cilindrica del lucida labbra. Piccolissimo, sul fondo del contenitore, ci sono scritti gli ingredienti.

"Penna. Penna. Penna!", allungo la mano alla cieca. 

Adrian mi passa una penna.

Con attenzione sottolineo la parola petrolatum.

"Che cosa succede?", mi chiede James.

"Non so per quale motivo voglia aiutare la nostra squadra, visto che detesto le competizioni, ma non posso permettere che quelli del Saint Jude vincano facile. Se devo essere a favore del petrolio, devo ragionare in modo subdolo, meschino e malefico. Esattamente come Rebecca".

"Ehi!", Rebecca strilla acuta.

Sul carrello distribuisco i vari oggetti di plastica, dalle bottiglie, agli incarti degli snack al lucida labbra: "Sono tutti oggetti che ogni giorno usiamo e non pensiamo derivino dal petrolio. Sono oggetti che ci fanno male, ma fingiamo di non sapere. Se il Trinity vuole vincere deve dimostrare che la nostra società è quel che è, grazie al petrolio. Noi siamo gli unici colpevoli, visto che nessuno ha intenzione di perdere le comodità e i lussi che lo circondano. Dobbiamo accettarlo. Ecco, la frase giusta è accetta il petrolio".

Con la penna scrivo la frase dentro un incarto, poi spedisco Stephanie a portare il carrello sul palco. Spero che i ragazzi del quarto anno colgano i segnali.

 

"È un'idea geniale!", Lucas mi abbraccia.

"L'ho sempre detto che sei una grande, vinceremo di sicuro", Jo mi da una pacca sulla schiena.

Rebecca accenna ad un sorriso, anche se non vuole ammetterlo ha apprezzato il mio gesto per la squadra.

James mi guarda con sospetto: "Sei la Elena che conosco? Quella che odia le bugie e i complotti? Quello che hai appena fatto è...".

"Orrendo? Riprovevole? Amorale?", dico a raffica.

"Eccitante", James mi sussurra la parola direttamente dentro l'orecchio.

Per tutta la schiena sento dei brividi che arrivano fino alla punta delle dita.

"Davvero?", sono spiazzata dalla sua reazione.

"Devo dire che mi sorprendi ogni giorno di più. Prima mi seduci a casa mia, poi organizzi un piano diabolico per vincere la sfida contro il Saint Jude. Sei una ragazza cattiva. Mi piace", James mi sta spostando i capelli da un lato e baciando il collo con passione.

"Credo di iniziare a capire come funzionano le cose al Trinity", sussulto quando le sue labbra sfiorano il mio volto. James mi guarda e sorride, poi incolla la sua bocca alla mia.

 

Applausi.

Il Saint Jude ha appena finito di esporre la propria tesi.

Ora tocca alla nostra squadra.

Anche se a malincuore mi allontano dalle braccia di James, non voglio perdermi una sola parola del dibattito. 

I ragazzi del quarto anno alternano la loro esposizione in modo chiaro, il messaggio che gli ho inviato è arrivato forte e chiaro. Sono come macchine da guerra, disposti a tutto pur di vincere, disposti a credere che un male come il petrolio possa essere un bene, disposti a convincere le persone che ascoltano che sia la cosa giusta.

 

Per una frazione di secondo mi chiedo se ho fatto la cosa giusta. Imbrogliare, mentire e manipolare. Credevo di non esserne capace, invece questa volta ho fatto tutto io.

Per una frazione di secondo mi chiedo cosa avrebbe fatto la Elena di qualche mese fa. Avrei giudicato oppure no? Mi sarei astenuta dall'intromettermi? 

Per una frazione di secondo mi chiedo se sono diversa da Rebecca, da tutto ciò che odio di lei.

Questo vortice di pensieri durano solo una piccolissima frazione di secondo. Esattamente l'attimo prima di essermi persa in un paio di occhi verdi che mi guardano esultante. 

Due occhi che non riesco a smettere di amare.

 

Il Trinity ha vinto.

James è felice.

Quindi anch'io lo sono.

Imbrogliare una volta non può cambiarmi per sempre, no?

 

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Capitolo 44
*** IERI: Keep calm ***


IERI:
Keep calm
 

Zombie.

Cadaveri senza anima circolano per il Trinity.

Io sono una di quelli. 

Le ultime due settimane le ho passate a compilare test, rispondere domande e presentare tesine. Un incubo. 

Fortunatamente il nostro gruppo di studio è ben assortito, ci siamo aiutati a vicenda. Chimica è stato un mezzo disastro, il Professor Tompson mi ha fatto fare un esperimento davanti a tutti. Il fatto che il liquidi mischiati abbiano iniziato a ribollire violentemente non ha giocato a mio favore. Per il resto delle materie non mi posso lamentare, c'è chi sta peggio di me.

Jo vive di soli caffè, Kate ha la testa china sempre sui libri, Rebecca non ha più tempo per guardarsi allo specchio, Stephanie ha divorato tutte le unghie delle mani, Adrian sbatte dappertutto mentre ripassa, Lucas è così teso da sembrare un manico di scopa, mentre James fuma una sigaretta dopo l'altra.

 

Sembriamo folli. 

Forse lo siamo davvero.

 

Nik ci ha chiesto di scrivere una tesina relativa ad un caso di cronaca che ha diviso l'opinione Americana. Dovevamo argomentare una tesi piuttosto che un'altra, quindi cercare di prendere una posizione e portare avanti le nostre idee. 

Dire che ho fatto fatica è poco. Mi sono ritrovata a scrivere di notte, stanca e con poche idee, mischiando l'italiano con l'americano, sbagliando verbi, scrivendo cose senza senso e maledicendomi per aver scelto un Club così difficile.

Spero di aver prodotto qualcosa di decente perché non vorrei mai deludere il Professor Martin. 

 

La campanella suona.

L'ultima lezione di Dibattito dell'anno è finita.

 

"Bene ragazzi. Vi ho dato i titoli dei libri che sarebbe il caso che studiaste quest'estate, soprattutto se volete riproporvi per questo Club. Adesso vi chiamo in ordine alfabetico, vorrei che mi consegnaste la vostra tesina, poi potrete andare", Nik ha in mano il registro sta chiamando uno ad uno i miei compagni. Siamo in quindici, non ci vuole molto prima che arrivi alla V di Voli, l'ultima della lista.

 

Nel tragitto dal mio banco alla cattedra, Nik non stacca gli occhi dalle sue mani. Sta giocando nervosamente con una penna rossa. 

 

"Grazie", Nik prende la mia tesina e l'appoggia sopra quella dei miei compagni.

"Non ti ho fatto ancora i complimenti per la vittoria contro il Saint Jude. Quelli del quarto anno sono stati bravissimi. Il merito è tutto tuo", sono sincera. La gara è stata dura, ma il Trinity era una spanna sopra.

"Merito dei miei ragazzi, hanno dato il massimo", gli occhi di Nik sono lucidi.

"Quindi... l'anno prossimo ci sarai?", chiedo con un filo di voce.

Nik fa cenno di no con la testa: "George McArthur ha bisogno di me, il fatto che mi faccia socio dello studio è una cosa grossa. Mi ha chiesto di scegliere, ed io ho scelto. Non posso rinunciare. Lo capisci?".

"Certo. Certo. Figurati se non lo capisco. Non credo che mi iscriverò al Club di Dibattito l'anno prossimo. La tua tesina mi ha fatta impazzire", rido istericamente mentre delle lacrime solcano le mie guance.

"Elena. Ti prego non fare così", Nik ha ripreso a giocare con la penna rossa, mette e toglie il tappino senza fermarsi.

"Addio Nik, ti auguro il meglio. Lo dico davvero".

Nik mi prende per mano, le sue dita sfiorano le mie. Con delicatezza mi passa la penna rossa che ha in mano: "Sei stata un'ottima allieva o forse è meglio dire... amica. Qui al Trinity ci vorrebbero molte più persone come te. Sei speciale, soprattutto per quello che hai fatto durante la gara contro il Saint Jude".

"No, Nik. Ti sbagli, non ho fatto nulla di eccezionale. Sei tu che rendi speciali le persone".

 

Le mie dita scivolano via dalle sue stringendo la penna rossa che mi ha regalato. Con il dorso della mano mi asciugo le lacrime, non voglio che James mi veda in questo stato.

 

Nel corridoio mi stanno aspettando tutti. 

 

Kate ha appena sostenuto l'esame del Club ti canto, sembra sollevata. Adrian sta discutendo sulla tesina del Club di Dibattito con Jo, a quanto pare la pensano in modo opposto. Lucas, abbracciato a Stephanie, sta ridacchiando con Rebecca, mentre James, appoggiato agli armadietti mi sta fissando. Ha quel suo solito sorrisetto furbo, l'aria di chi ha sempre un dispetto pronto da fare. 

 

"Tutto bene? Sei stata dentro una vita", mi chiede James.

"Sì, tutto ok. Mi sono complimentata con il Professor Martin per il successo della gara contro il Saint Jude. Non credevo fossero così forti", mi accoccolo tra le braccia di James stringendolo forte.

"Sono solo la nostra brutta copia. È da anni che perdono, non hanno il minimo stile", Lucas si sta sistemando i capelli perfettamente lisciati all'indietro.

"Quell'Andrew mi è sembrato un tipo tosto. Sembra saperla lunga. L'anno prossimo ci darà filo da torcere", dico.

"Andrew è solo un montato. Non pensare a lui, non lo rivedremo prima della gara, manca ancora molto tempo", James mi bacia sulla testa mentre mi stringe la mano.

 

Ci stiamo incamminando verso l'uscita della scuola. Le facce sbattute degli altri studenti  non sono dissimili alle nostre. Si stanno ultimando gli ultimi esami, quindi per tutti è arrivato il momento di tirare un sospiro di sollievo. Mancano ancora diverse settimane prima che finisca la scuola, le passeremo a ripassare o cercare di recuperare le materie andate male. Credo che a me tocchi chimica, anzi ne sono certa.

 

A parte noiosissime lezioni di recupero, Adrian, Kate, Rebecca ed io, dobbiamo finire di preparare lo spettacolo teatrale. Da quando Vivian ha preso il posto di Miss Scarlett andare a lavorare per lo spettacolo è diventato un peso. Non posso lavorare più su nessun progetto, devo pulire i pennelli, svuotare i cestini e spostare pannelli. Faccio buon viso a cattivo gioco, ovvio che la cosa non mi piace per nulla, più che altro mi dispiace che Vivian abbia voluto togliere i dipinti che avevo fatto. Uno spreco di tempo e materiali.

Adrian, anche se non lo dice, è quello che soffre di più. Del resto prima lavorava con la donna che amava ora gli tocca seguire quell'arpia rinsecchita, capace solo di criticare. Più volte l'ho beccato intristirsi, il Teatro della scuola è per lui un posto pieno di ricordi, belli e dolorosi allo stesso tempo.

 

"Che fate? Io vado in biblioteca a rivedere letteratura", Jo si stiracchia mentre estrae dallo zaino il pesante tomo.

"Vengo anch'io, un ripasso non fa mai male", dice Stephanie, anche se quella è la sua materia preferita, non ha certo bisogno di studiare nulla. Lucas e James si uniscono al gruppo.

"Ci vediamo dopo. Stasera a cena da me, così ripassiamo fisica. Ok?", Rebecca prende il cellulare dalla borsetta, "Siamo in otto, giusto? Dico a Consuelo di preparare la pizza".

Annuiamo tutti.

 

Mi fa strano pensare che noi otto siamo diventati amici, certo ci sono sempre scontri, discussioni e litigi, ma in definitiva possiamo definirci un gruppo armonico. 

Jo e Lucas spesso sono in disaccordo, ma in fondo hanno un gran rispetto l'uno per l'altro, Adrian e Kate sono in sintonia, la loro dolcezza è molto simile, Rebecca ed io... Beh... Rebecca ed io, ci sopportiamo e questo è un enorme passo avanti.

 

Sto per salutare i miei amici, quando dei ragazzi del Gruppo di scenografia mi corrono incontro. Hanno il fiatone.

"Elena! Per fortuna ti abbiamo trovata. Vivian vuole che distruggiamo i tuoi ritratti e il resto dei dipinti".

"Cosa? Le ho già detto che non ho problemi nel lasciarle in magazzino, ma mi sembra ridicolo rovinarle, potrebbero servire in futuro per altri spettacoli", sono furiosa.

Non posso permettere che quella pazza vanifichi il mio impegno in questo modo.

 

Saluto al volo James e gli altri, corro verso il Teatro della scuola con la speranza di fermare Vivian. Kate, Adrian e Rebecca mi seguono.

Domani c'è lo spettacolo, quindi nel Teatro c'è una frenesia particolare: ci sono gli attori che ripassano le nuove battute, il coro si esercita sulle canzoni appena imparate, le costumiste corrono da una parte all'altra con stoffe e vestiti fatti all'ultimo, i tecnici luci provano i cambiamenti imposti da Vivian. Sembra un manicomio.

Vivian controlla, con polso di ferro, che tutti facciano la loro parte e sistemino le modifiche da lei apportate. A confronto, il caratteraccio di Miss Scarlett, sembra quello di una educanda. 

 

"Piccolo idiota, ti ho già detto di mettere i segni in terra per gli attori. Il numero 1 è per Rebecca. È lei l'attrice principale", la donna urla ad un ragazzo.

"Miss Scarlett ha detto di assegnare i numeri in base all'entrata in scena e Rebecca non entra per prima", prova a ribattere il ragazzo.

"Miss Scarlett se n'è andata. Capito?", le pareti del Teatro rimbombano causa le urla stridule della donna, "Adesso ci sono io, quindi il numero 1 è per Rebecca".

"Sì-sissignora", il ragazzo, buttato per terra, stacca tutto e ricomincia il lavoro da capo.

 

Quanto la odio.

Credo non possa esistere una persona più schifosa sulla faccia della terra.

 

"Vivian!", non ho voglia di sopportare il boicottaggio dello spettacolo. Il lavoro fatto da Miss Scarlett era ottimo, non ha senso rovinare tutto. 

La donna mi guarda schifata, poi allarga le braccia e accoglie la figlia a braccia aperte: "Cara Becca, ho fatto stampare nuovi volantini per lo spettacolo. Non sarà più Romeo e Giulietta oggi, ma La scelta di Giulietta. In questo modo sarai al centro dell'attenzione come meriti".

 

Cosa? È impazzita?

Lo spettacolo sarà orrendo.

 

"Vivian perché vuoi distruggere le mie scenografie e cambiare tutto quello che ha fatto Miss Scarlett? Era uno spettacolo bellissimo, non ha senso", le dico fregandomene di come reagirà.

"Per tutto il Club questo è un suicidio. Abbiamo faticato tanto per metterlo in piedi", Adrian è al mio fianco, è furioso come me.

"Hai faticato soprattutto tu, vero caro Adrian?", Vivian si accosta al ragazzo e gli sussurra, "Ricorda caro, che tengo la bcca chiusa solo perché sei amico di mia figlia. La preside Marquez potrebbe casualmente venir informata su chi sia l'amante di Miss Scarlett. Come credi che la prenderebbero i tuoi genitori? Fossi in te inizierei a comportarmi come si deve".

 

Adrian è impallidito, se la sua famiglia lo sapesse scoppierebbe uno scandalo. La carriera politica del padre sarebbe compromessa.

 

"Per quanto riguarda te, italiana dei miei stivali, i tuoi lavori non mi piacciono e ho deciso di distruggerli perché offendono il buon gusto. Sono fatti male e potrebbero rovinare la buona riuscita dello spettacolo", Vivian mi guarda con decisione, non ha intenzione di cedere.

"Non è giusto. Potrebbero essere utili, ho faticato tanto per farli. Rovinarli e distruggerli è una cosa bruttissima", ho le lacrime agli occhi, detesto le ingiustizie.

"I tuoi lavori sono orrendi. Se vuoi lamentarti vai pure dalla preside Marquez. Credo sia già stata avvisata dei tuoi colpi di testa nei miei confronti", il sorriso diabolico sul suo volto non promette nulla di buono.

"Colpi di testa? Ma non le ho mai risposto male. Non ho fatto nulla!", ho la faccia rossa. Quella strega senza cuore vuole rovinarmi.

"A chi pensi crederà la Marquez? A te oppure ad una stimata rappresentante della comunità?".

"Brutta str...", Kate mi mette una mano sulla bocca, mentre Adrian mi trattiene.

Ho una serie di imprecazioni perfette per lei.

 

Vivian è soddisfatta. 

Gioisce nel vedere le persone soffrire, gioisce nel far star male, gioisce nell'umiliare.

Rebecca è al suo fianco mi guarda con l'aria annoiata: "Mamma ci penso io a tutto. Verificherò che tutti i lavori di Elena facciano la fine che meritano. Lo spettacolo deve essere perfetto, come hai detto tu".

Vivian bacia la figlia: "Bene. Non ho voglia di perdere tempo con questa feccia".

 

Adrian, Kate ed io stiamo schiumando dalla rabbia.

Come ha potuto Rebecca permettere che sua madre facesse una cosa del genere?

Come ha potuto rinnegare l'amicizia per Adrian una seconda volta?

 

"Mi sarei aspettata di tutto da te, ma non credevo avresti mai avuto il coraggio di fare una cosa simile. Lo spettacolo sarà orrendo e non perché mancheranno i miei dipinti, ma perché l'ossessione di tua madre è andata oltre i limiti dell'umanità decenza", non mi importa se James tiene a Rebecca, non mi importa di rovinare la loro amicizia. Quando è troppo è troppo.

Adrian ha le mani intrecciate nei capelli: "Rebecca. Rebecca. No. Perché?".

"Cavolo come siete melodrammatici!", Rebecca prende il cellulare dalla sua borsetta.

"Melodrammatici?! Ma stai scherzando? A tua madre è andato di volta il cervello come a te", le urlo in faccia.

Rebecca, con l'indice sulle labbra mi fa cenno di stare zitta. 

È al telefono con qualcuno: "Consuelo. Sì, sono io. Prima ti ho chiamato dicendo che volevo che cucinassi la pizza per otto persone. Annullo l'ordine. Devi cucinare per una ventina di persone... Cosa vuol dire che non hai abbastanza farina? Esci e vai a comprarla. Non ci vuole una laurea per capirlo!".

 

Kate, Adrian ed io siamo a bocca aperta. Non capiamo.

 

"Perché quella faccia? Visto che dobbiamo rimettere in piedi lo spettacolo avremo bisogno dei vari capigruppo di ogni reparto: scenografia, costumi, luci... Per gli attori ci penso io. Stasera spiegherò a tutti il mio piano".

"Piano? Quale piano?", chiede Kate.

"Il piano per rovinare lo spettacolo di mia madre e rimettere in piedi quello di Miss Scarlett!", Rebecca ci guarda come fosse una cosa ovvia.

"Ma... Ma... Prima tu hai detto che...", dico parole senza senso.

"Prima ho detto a mia mamma che verificherò che i tuoi lavori facciano la fine che meritano. Il posto più adatto è sul palco", spiega Rebecca," Mia madre mi ha insegnato che se voglio ottenere qualcosa non devo guardare in faccia a nessuno. Bene. Visto che lo spettacolo che sta organizzando è ridicolo e mortifica la mia persona, ho deciso di fare di testa mia".

"Quindi?", chiede Adrian.

"Quindi è ora di mettersi al lavoro. Un buon piano, per uscire, ha bisogno di tempo e concentrazione".

 

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Capitolo 45
*** IERI: Una promessa è una promessa ***


IERI:
Una promessa è una promessa
 

"Pizza con ananas?! No, grazie", con un sorriso di circostanza allontano quella sottospecie di pizza e mi prendo una fetta con pomodoro e salame.

Lucas sta spremendo una tonnellata di Ketchup sulla sua. Adesso vomito.

Mangiare pizza fatta in casa da una signora messicana, trasferita negli USA, è un'esperienza che non voglio mai più ripetere. Spero di non sentirmi male prima che Rebecca abbia spiegato il suo piano.

 

"Le idee di mia madre rischiano di rovinare lo spettacolo. Miss Scarlett poteva avere tutti i difetti del mondo, ma aveva un'idea precisa e un ottimo gusto. Noi dobbiamo semplicemente riorganizzare tutto come era prima", Rebecca sta consegnando dei fogli a tutti.

"Ma come facciamo? Lo spettacolo è domani sera, Vivian starà tutto il giorno a Teatro. Ci vogliono ore per rimettere tutto a posto", il ragazzo responsabile dell'illuminazione osserva sconcertato il foglio di Rebecca.

"Inoltre se Vivian ci scopre potrebbe darci un brutto voto. Non posso abbassare la mia media scolastica", pigola una ragazza addetta ai costumi.

Rebecca la fulmina con uno sguardo: "Senti un po'. Sto boicottando lo spettacolo di mia madre, credi che mi importi di uno stupido voto? Fidati quando ti dico che non si arrabbierà se lo spettacolo uscirà perfetto. Si prenderà tutti i meriti e i complimenti. Lei adora questo genere di cose".

"Cosa dobbiamo fare?", chiede il responsabile alla scenografia.

"Semplice, ogni reparto terrà mia madre occupata per una decina di minuti. Dovrete farla impazzire, fare tutto quello che c'è scritto sul foglio. In questo modo riusciremo ad allontanarla e potremo mettere a posto le varie parti", Rebecca mostra la scaletta che ci ha consegnato.

"Come fai ad esserne certa che tua madre se ne andrà?", chiede una ragazza.

Rebecca sorride: "Se tutti voi le romperete le scatole, come scritto sul foglio, le verrà una crisi isterica e un mal di testa epocale, vorrà scappare a tutti i costi. Io le suggerirò un massaggio rilassante alla SPA, così potrà godersi lo spettacolo per la sera in tutta tranquillità. In questo modo non ronzerà per il Teatro della scuola e noi potremo lavorare in pace".

"Come fai a sapere che avrà mal di testa?", chiede Kate.

Rebecca con le mani appoggiate sul tavolo osserva Kate schifata: "Il solo starvi ascoltare, qui e ora, mi ha provocato un cerchio alla testa piuttosto fastidioso accompagnato da un ronzio molesto... Immagina cosa sentirà mia madre se tutti ci accanissimo su di lei".

Lucas ride: "Adoro vedere Vivian quando perde le staffe".

"Sicuri che funzionerà?", chiede la ragazza responsabile dei costumi.

"Sì, funzionerà. È una promessa. L'importante è che facciate le cose che ho scritto sul foglio che vi ho dato. Tutto chiaro?", chiede Rebecca.

"Sì", rispondiamo tutti in coro sollevando in aria le nostre fette di pizza.

 

Non ho idea se il piano di Rebecca funzionerà o meno, ma non possiamo permettere che Vivian rovini il lavoro fatto fin qui da tutto il Club. 

Non posso far altro che fidarmi e sperare che tutto vada come deve andare.

 

Dopo una notte agitata, svariati incubi, una colazione veloce e una doccia calda, mi ritrovo in macchina con James. Stiamo andando a prendere Kate.

Per tutto il tragitto continuo a leggere il foglio che mi ha dato Rebecca: "Devo farlo davvero? Non so se riesco".

"È solo per finta. Vedrai che ti divertirai", James pare elettrizzato, adora questo genere di cose.

"E se non funzionasse?".

James sorride divertito: "I piani di Rebecca funzionano sempre. Metti via quel foglio e rilassati".

 

Bella spiegazione. Non è che ho problemi a partecipare al piano, il fatto è che ci sono sempre degli imprevisti che non si possono prevedere, non tutti almeno. Ho un milione di dubbi e un milioni di domande, non mi piace sentirmi così insicura.

Nonostante i dubbi metto il foglio in fondo allo zaino sperando che tutto vada come deve andare.

 

Kate ci aspetta fuori casa, sembra agitata quanto me.

Non dice una parola, le sue occhiaie parlano da sole, sale in macchina a testa china con il foglio di Rebecca stretto in mano e la macchina fotografica intorno al collo. Per lei è difficile fare qualcosa di perfido, comportarsi male è contro la sua natura.

 

Arriviamo al Trinity in poco tempo, è sabato e quindi c'è meno traffico.

Per la scuola ci sono solo gli studenti del Club di Teatro e di Canto, anche se nessuno dice niente siamo tutti parte di un patto silenzioso, una promessa tra tutti noi che nessuno può infrangere.

Vivian è già sul palco a dare istruzioni, Rebecca è al suo fianco e guarda tutti con sufficienza.

 

"Pronta?", James mi schiaccia l'occhio.

Annuisco.

James scatta in avanti a passo deciso, non mi guarda. Evita gli altri studenti e punta diretto al palco: "... Smettila Elena con le solite paranoie. Sei sempre pronta a giudicare tutti. Ti ho detto mille volte che Rebecca è solo un'amica".

Prendo fiato e inizio ad urlare: "Dici sempre così, però poi vai da lei quando ci sono problemi".

"Lei mi conosce e mi capisce, sa chi sono e da dove vengo. Da chi vuoi che vada?", James è bravo, dovrebbe fare l'attore. Sale sul palco e si avvicina a Rebecca e l'abbraccia. Anche se so che sta facendo finta non posso far meno di essere un po' infastidita.

Vivian con le braccia conserte e l'aria vittoriosa, mi guarda schifata, non vedeva l'ora di vedermi litigare con James.

Io, come da copione, scoppio a piangere. O almeno ci provo, i miei versi sembrano più miagolii stonati. James e Rebecca trattengono a stento le risate.

Fintamente infastidita mi nascondo dietro le quinte e sbircio l'evolversi della situazione.

Rebecca, tenendo per mano James si allontana con la scusa di dover parlare con l'amico, in questo modo Vivian resta da sola in teatro. 

 

Che lo spettacolo abbia inizio.

 

Le costumiste accerchiano Vivian, ognuna inizia a riempirla di domande, c'è chi le chiede di verificare l'orlo, chi le chiede un consiglio, chi le butta addosso decine di scampoli di stoffa. Una ragazza più intraprendente la abbraccia piagnucolando e asciugandosi il naso sul suo prezioso vestito firmato. Vivian è sconcertata, guarda tutte quelle ragazze come avesse a che fare con ratti arrivati direttamente dalle fogne. 

I ragazzi addetti all'illuminazione puntano tutti i fari sul viso della donna, accecandola. Con l'altoparlante le chiedono chiarimenti su una scena. Vivian accaldata dalla stoffa che le hanno buttato addosso, dai fari che le stanno sciogliendo il trucco, cerca di dare risposta alle domande. Nello stesso momento i ragazzi del coro iniziano a intonare una canzone proprio di fianco a lei, il volume è così alto che anche io mi tappo le orecchie.

I ragazzi della scenografia, trasportando attrezzature e strumenti vari, fingono di lavorare ad un pannello proprio dietro a Vivian. Casualmente un barattolo di vernice si rovescia ai suoi piedi macchiando irrimediabilmente le sue Louboutin ultimo modello.

Quello è il colmo, in pochi minuti l'abbiamo fatta imbestialire.

 

In presa ad una crisi nervosa Vivian inizia a sbraitare contro tutti gli studenti. Parole improponibili da dire e ascoltare, parole che una stimata membra della comunità non direbbe mai.

Kate con la sua macchina fotografica digitale sta riprendendo la scena. 

Vivian è fregata.

 

Rebecca entra in scena con James. Inizia ad urlare, sta sgridando chi le capita a tiro.

Tutti gli studenti si dileguano lasciando madre e figlia da sole a parlare.

Non c'è che dire, il piano di Rebecca è andato come aveva progettato, Vivian è un catorcio: sudata, spettinata, sporca, sciatta. Non sembra la solita donna di sempre. James la prende a braccetto e l'accompagna giù dal palco fino a farla uscire dal Teatro.

Passano diversi secondi prima di aver realizzato che siamo rimasti soli, bastano un paio di sguardi d'intesa per farci esultare tutti. Tutti corrono addosso a Rebecca abbracciandola e, anche se non vuole dimostrarlo, le fa piacere ricevere tanto affetto.

 

"Bene, adesso che siamo liberi diamoci da fare. Ognuno rimetta le cose come aveva impostato lo spettacolo Miss Scarlett. Se qualcuno finisce prima vada ad aiutare gli altri. Ok?", Rebecca incita tutto il gruppo che, animato di nuove energie, si mette al lavoro.

 

Sembriamo una piccola squadra di formiche, nessuno ha un attimo di tregua, tutti sanno quel che devono fare e lo fanno al meglio.

Prima copriamo con teli neri le nuove scenografie, poi montiamo i dipinti fatti da me e i lavori fatti dagli altri. Spostare. Incollare. Martellare. Appendere. 

Le costumiste recuperano i vecchi vestiti di scena e li mettono a disposizione degli attori, ultimando le modifiche necessarie. Cucire. Tagliare. Provare. Decorare.

Viene impostato il vecchio progetto per le luci e le musiche. Ascoltare. Accendere. Illuminare. Programmare.

Gli attori rispolverano le vecchie posizioni sul palco ripetendo le battute a memoria. Recitare. Riprovare. Sbagliare. Ricordare.

È un continuo spostare e cambiare, come se il palco avesse preso vita. Piano piano la scena cambia, piccole metamorfosi che ridonano carattere e personalità allo spettacolo. L'idea da cui era partita Miss Scarlett sta prendendo forma definitiva, finalmente riusciremo a mettere in scena il nostro spettacolo: Romeo e Giulietta oggi.

 

Le ore passano in fretta, lavoriamo fino all'ultimo riuscendo ad ultimare anche i più piccoli particolari. Stanchi ed esausti ci accasciamo dietro alle quinte in attesa che lo spettacolo cominci. Il Club di Teatro è tutto lì, sfinito ma soddisfatto. Gli attori e i ragazzi del coro sono andati a casa a cambiarsi, in questo modo Rebecca può tenere d'occhio la madre.

 

Tra una Coca-Cola, un pacchetto di patatine e uno snack al cioccolato arrivano le otto di sera. Tra circa mezz'ora saremo in scena.

 

Il mio cellulare squilla.

"Allora non è divertente complottare?", sento James ridacchiare dall'altra parte dell'apparecchio.

"Hmm... Se i malcapitati sono gli altri, direi di sì".

"Sei pronta a mostrare i tuoi capolavori?", mi chiede dolce.

"Il solito esagerato! Speriamo vada tutto bene invece".

"Tranquilla, sarà perfetto. Io ti aspetto fuori alla fine dello spettacolo".

"Ok. Adesso vado, hanno bisogno di me", un paio di ragazzi faticano a trasportare un grande pannello, è meglio che li aiuti prima che combinino qualche disastro.

Chiudo la chiamata con il sorriso sulle labbra, mi infilo il cellulare nella tasca dei jeans e corro verso i miei compagni.

 

Il brusio nel Teatro aumenta di minuto in minuto, ci hanno informato che il pubblico sta arrivando. Oltre agli studenti, ci saranno anche i genitori, i professori e alcuni rappresentanti della comunità. Lo spettacolo richiama parecchie persone, è una piccola vetrina per la gente che conta a New Heaven.

La preside Marquez è salita sul palco, dirà due parole prima che inizi lo spettacolo: "Benvenuti Signore e Signori. Benvenuti cari studenti. Questa sera, come ogni anno, ci godremo lo spettacolo che alcuni studenti del Trinity hanno costruito con impegno e dedizione. Voglio ringraziare in anticipo Vivian Parson per avermi aiutato in questo progetto".

Un applauso si leva dal pubblico. Mi immagino Vivian gongolarsi e pavoneggiarsi come una oca giuliva.

"Inoltre vorrei ringraziare voi tutti per essere qui. Lo spettacolo di stasera si intitola: Giul...", la preside Marquez viene interrotta. Sul palco esce Rebecca che tiene in mano un foglio che consegna alla donna.

"... Hmm...Mi-mi informano che il titolo corretto è: Romeo e Giulietta oggi. Bene, scopriremo insieme di cosa si tratta. Mi raccomando, spegnete tutti i telefonini, se non l'avete ancora fatto", la preside scende dal palco per sedersi tra il pubblico.

Non vedo l'ora che si apra il sipario, pagherei non so cosa per vedere in faccia quella strega di Vivian.

 

Buio.

Silenzio.

Il palco si riempie di attori.

Pochi secondi e lo spettacolo comincia.

 

Driin.

Driin.

 

Chi cavolo mi può chiamare in questo momento?

Sullo schermo un numero sconosciuto.

Chiudo la chiamata.

Sto per spegnere il telefonino quando squilla ancora.

Lo stesso numero sconosciuto.

 

"Pronto? Chi è? Non posso parlare", dico a bassa voce andando il più lontana possibile dal palco per non disturbare.

"Mi prometti una cosa Elena? Ti chiedo solo una promessa", una voce parla tra un brusio confuso.

"Demetra? Demetra è lei?", non sono sicura di quello che ho sentito.

"Mi prometti una cosa, una cosa sola. Non mi tradirai vero?", mi ripete la voce, sembra molto stanca.

"Certo. Non si preoccupi, tutto quello che vuole".

"Non dire nulla a James, capito? Neanche a George. Chiaro?", Demetra sta piangendo.

"Demetra che succede?", mi sto iniziando a preoccupare.

"Promettimelo su tua madre, su tutto quello che hai di più caro!", non ho mai sentito Demetra parlare in quel modo. Non sembra lei.

"Ce-certo", dico io.

"Ho paura Elena. Ho tanta paura. È arrivato il momento, credevo che sarei stata pronta, invece...".

"Pronta per cosa? Non capisco?", adesso sono allarmata.

"Lo sai. Lo hai sempre saputo, vero? I segnali li avevi tutti, del resto tu li hai già vissuti, non puoi non averli capiti", Demetra sta piangendo mentre delle voci concitate strillano vicino a lei.

 

Mi manca il fiato.

Un angolo del mio cuore, sepolto e nascosto, risuscita emozioni che credevo dimenticate. Gli occhi mi si riempiono di lacrime, sto affogando nei ricordi, nei segnali, nei piccoli indizi che Demetra mi ha lasciato per tutti questi mesi. Mi perdo nelle piccole cose che Demetra ha detto solo a me, ero l'unica che poteva interpretarli, l'unica che li aveva già vissuti, ma non ha avuto il coraggio di interpretarli una seconda volta.

Non ho voluto vederli per non soffrire.

Pallore.

Stanchezza.

Medicine.

Malori.

I vecchi filmati.

Lo stesso viaggio che mia madre ha percorso anni fa.

 

"Demetra! Demetra!", disperata urlo al telefono.

"Parlo con Elena Voli?", la voce di un uomo sconosciuto è dall'altra parte dell'apparecchio.

"S-sì", balbetto.

"Venga al Center Hospital, abbiamo bisogno della sua presenza".

"Devo avvisare il figlio e il marito che...", ma vengo interrotta.

"Miss Demetra ha lasciato scritto che solo lei può assisterla. Nessun altro. Le consiglio di sbrigarsi non c'è molto tempo".

Senza preoccuparmi di quello che accadrà corro sul palco, gli attori mi guardano come fossi pazza, il pubblico mormora.

"James! James!", urlo.

Poi solo buio.

 

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Capitolo 46
*** IERI: Cuori infranti ***


IERI:
Cuori infranti


 

Ci sono suoni e odori che associo a momenti e luoghi precisi; come il cinema e l'odore dei popcorn, la pioggia e il ticchettio sui vetri, il letto appena rifatto e il profumo di pulito.

Anche per quando è morta mia madre ho un suono e un odore ben fissato nel cervello: il bip della macchina a cui era attaccata e il profumo di disinfettante che c'era per tutto l'ospedale. 

Credevo che non li avrei più sentiti, credevo che sarebbe passato molto tempo prima che quella nausea, che mi aveva colpito allora, si ripresentasse. Eppure eccomi qui, adesso, seduta su una sedia d'ospedale a rivivere tutto per una seconda volta. Ciò che credevo di aver superato in questi anni, mi ha investita talmente forte da fare più male di quanto pensassi.

 

La morte ha ribussato alla mia porta strappandomi un altro pezzo di cuore.

 

James ha le labbra bianche, gli occhi scavati. Non ha versato una lacrima, credo sia sotto choc. Guarda fuori dalla finestra come se aspettasse che sua madre compaia da un momento all'altro per dirgli che è tutto uno scherzo, uno stupido scherzo.

 

Demetra è morta. Sola.

Non abbiamo fatto in tempo a raggiungerla.

James non è riuscito a salutarla.

 

I dottori entrano ed escono dalla stanza, dicono poche parole, le solite frasi di circostanza. Le infermiere ci offrono qualcosa da bere, ma ne io ne James abbiamo fame.

George ha un grande plico di fogli in mano che continua a sfogliare. È arrivato subito in ospedale, aveva una grossa cartelletta con scritto Demetra. 

"Demetra ha lasciato a te la delega di firmare le carte post-mortem, ma sei minorenne e neanche una parente. Quindi...", George mi allunga un foglio.

"Certo, nessun problema", appongo un paio di firme, in questo modo se la vedrà lui con tutta la burocrazia. Io non saprei neanche da che parte iniziare.

 

Il silenzio nella stanza è surreale. Il ticchettio della mia penna sulla carta rimbomba come se qualcuno stesse urlando, la carta che passa tra le mie dita scricchiola come se stessi spezzando rami, lo sbattere delle mie ciglia umide ricorda il frangersi di una cascata sulle rocce.

 

"Grazie", aggiunge George rimettendo in ordine i fogli.

Alzo le spalle. Non deve ringraziare di nulla, non avrei potuto fare altrimenti.

"Tra poco verrà il Primario, devo consegnare un paio di vecchi elettrocardiogrammi della mamma e poi possiamo tornare a casa", George sta parlando a James che non fa nessun cenno, "James? Hai capito figliolo?".

"Che cosa è successo. Perché siamo qui?", chiede James.

"Come perché? Tua madre è... è...".

"Morta. Questo l'ho capito. Mi chiedo perché sono l'unico in questa stanza ad esserne così sorpreso", James si è girato a fissare il padre, non l'ho mai visto così arrabbiato.

George è imperscrutabile, con la schiena dritta e i documenti in mano osserva il figlio senza un minimo di emozione: "Devi cercare di mantenere il controllo. Non è questo il luogo e il momento per fare sceneggiate del genere".

"Cosa? Sceneggiate? Cazzo, è morta mia madre, tua moglie! Possibile che anche in questo caso non te ne freghi nulla? Te ne stai lì a fare l'avvocato composto e controllato, quando la nostra famiglia è distrutta, fottuta per sempre", James ha gli occhi contornati di rosso da tanto sta urlando.

George stringe le mascelle: "Credi che non mi importi nulla? Credi che non stia soffrendo? Il fatto che non stia urlando significa che non stia male?".

"Non so. Non so cosa pensare. Non dici mai nulla tu. Non ti è andato mai niente bene di quello che facevamo io o la mamma, hai sempre quell'aria arrabbiata. Te ne stai sempre a lavorare, sei sempre impegnato con i tuoi preziosissimi clienti. Salvi vite, patrimoni, aziende... A noi non ci hai mai amato come a loro", James sta buttando fuori diciassette anni di frustrazione, sta vomitando parole di rabbia.

 

Schiaffo.

A mano tesa George colpisce in volto James.

Con le mani sulla bocca osservo la scena, ho paura di quello che potrebbe succedere.

 

James è dapprima sorpreso, poi si lancia verso il padre facendo cadere il plico di fogli che l'uomo tiene in mano. Come in una scena a rallentatore in un film, James spinge il padre contro la parete, mentre decine di referti, ricette, diagnosi si spargono nella sala.

L'uomo non si oppone, si lascia strattonare senza reagire come fosse un manichino senz'anima. Ogni muscolo di James è teso, il suo volto è una maschera di sofferenza.

 

"Perchè? Perchè? Perché?", James sta prendendo a pugni il muro vicino al volto del padre. Ad ogni colpo sfiora i capelli di George senza mai colpirlo veramente.

L'esplosione di rabbia di James sta cambiando, non ci sono più urla, ma solo singhiozzi gonfi di dolore. Un dolore che conosco bene.

George prende tra le mani il volto del figlio, è come se lo vedesse per la prima volta: "I tuoi occhi sono identici a quelli di Demetra. Ogni volta che ti guardo è un colpo al cuore.  Tu hai questa immensa fortuna... Lei è dentro te, per sempre. Io invece non ho più il mio amore, l'unica donna che mi abbia mai capito. L'unica... L'unica...".

James, con le labbra tremanti e gli occhi carichi di lacrime, abbraccia il padre. Sono talmente stretti l'uno all'altro che non posso fare a meno di ripensare a papà e me qualche anno fa. 

Cambia la nazione, cambiano i protagonisti, ma l'emozione che si prova è la stessa.

 

Vuoto.

Fondamenta distrutte.

Insicurezza.

Dolore.

Spaesamento.

Tristezza.

Incredulità.

 

Mi sento una intrusa. Non ho nessun diritto ad essere lì, non voglio disturbare nessuno.

Quello che stanno vivendo è così intimo e personale che non posso intromettermi.

Mi accoccolo per terra e inizio a raccogliere i documenti.

C'è un po' di tutto tra i fogli sparsi, dalle cartelle con gli esami ospedalieri, alle ricette mediche, insomma tutti i documenti medici che una persona accumula nella propria vita. Un po' troppi forse. Demetra aveva intorno ai quarant'anni, tutti questi fogli mi sembrano spropositati per una persona sola. 

Ne prendo in mano uno.

 

Anomalia di Ebstein.

Cuore.

Incurabile.

Tachicardie.

Rischio durante gravidanza.

Cure.

Medicine.

Aspettativa vita 50 anni.

Morte prematura.

 

George mi sta fissando. Ha tra le braccia James sconvolto, ma sta fissando le mie mani che stringono quel foglio. Nei suoi occhi scorgo una stanchezza, come se improvvisamente avesse deciso di mollare, di lasciarsi andare.

"Mamma è... Era malata da tempo", George sta parlando a James, i loro volti sono a pochi centimetri di distanza.

"Perché non mi avete detto nulla? Avrei potuto starle vicina e aiutarla. Non sono un bambino, potevo capire", James ha la faccia completamente bagnata di lacrime.

George accenna un sorriso e con un fazzoletto pulisce il volto del figlio: "Lei non ha voluto, sai che quando prendeva una decisione non c'era verso di farla ragionare. Testarda come un mulo".

"Però ero l'unico a non sapere. Ti sembra giusto?", ringhia James a denti stretti.

"Non lo sapeva nessuno a parte lei ed io. Neanche nonna lo sapeva. Già. Questo era un segreto che tua madre ed io avevamo da molto tempo".

"Molto tempo? Cosa vuoi dirmi papà?".

George accarezza le spalle del figlio più volte, poi si avvicina ad una brocca e si versa un bicchiere d'acqua che beve in un sorso: "Mi sono chiesto un milione di volte cosa ti avrei detto nel momento in cui sarebbe morta. Sai che non ho mai trovato la cosa giusta da dire?".

"Dillo e basta! Non ne posso più di tutte queste bugie", James scatta verso il padre mettendosi di fronte a lui.

"Lo sapevamo da sempre, da più di vent'anni. Io stavo finendo il mio praticantato e lei aveva un tour che stava riscuotendo parecchio successo. Ha scoperto la malattia dopo un concerto, è svenuta tra le mie braccia. Non puoi immaginare la paura che ho avuto... La mia Demetra incosciente tra le braccia...", George guarda fuori dalla finestra, la sua voce trema, "... Dopo il ricovero abbiamo avuto la notizia che il suo cuore era debole, malato da sempre, solo che non lo aveva mai saputo. Tua madre non avrebbe potuto più cantare, troppo sforzo, e viste le sue condizioni fisiche le avevano consigliato di non avere figli. Ma sai com'è tua madre, se si mette in testa un'idea, non c'è verso di...".

"... Farle cambiare idea", James conclude la frase.

"Mi ha promesso che avrebbe smesso con il canto, in giro abbiamo fatto credere che l'impegno della famiglia la occupava troppo. Ti ha voluto più di quanto tu possa immaginare. Ti ha desiderato più di ogni cosa esista sulla faccia della terra. Era un rischio ed ha voluto correrlo".

James ha il respiro affannato: "Perché non mi avete detto mai niente?".

"Eri un bimbo, come potevamo dirtelo, non avresti capito. Poi sei cresciuto e hai iniziato a vivere la tua vita, credo tua madre non volesse... Non volesse darti fastidio, spaventarti, incupirti. Non ho mai ben capito perché si rifiutasse di parlartene", George accarezza il figlio sulla testa, "Mi hai accusato di avere sempre l'aria arrabbiata. Come ti sentiresti se sapessi che l'unica donna che ami potrebbe andarsene da un momento all'altro? Cosa penseresti se riprendesse a cantare nonostante il divieto dei medici?"

James guarda il padre sotto una luce diversa: "Sarei furioso".

 

Ripenso alle parole di Demetra. Ripenso al discorso che mi ha fatto quel giorno a casa della suocera. Mi aveva chiesto se si poteva smettere di amare. Solo adesso la capisco, comprendo le sue parole. 

Si può smettere di amare la vita a discapito della felicità?

Si può smettere di amare i propri sogni per la serenità altrui?

Si può smettere di amare il proprio talento per qualche anno di vita in più?

Demetra voleva vivere, cantare, amare. 

Demetra voleva tutto anche se sapeva che non avrebbe mai potuto averlo.

 

Mi sento tremendamente in colpa, le mie lezioni l'hanno affaticata, la mia presenza ha velocizzato la sua morte. Un senso di colpa enorme mi assale. Scoppio a piangere.

George mi si avvicina: "Aveva molta fiducia in te. Ti ha cercata fino all'ultimo. Credo rivedesse un po' di se stessa da giovane in te".

Le parole dell'uomo mi fanno scoppiare a piangere ancora più forte. Non credo di essere nemmeno paragonabile a Demetra, neanche lontanamente.

 

Qualcuno bussa alla porta.

Rebecca e Adrian entrano nella stanza.

"Ci hanno detto che possiamo entrare solo pochi alla volta", Rebecca stringe la mano a George poi corre da James ad abbracciarlo. Entrambi scoppiano a piangere. Adrian con gli occhi rossi cammina avanti e indietro nervoso, poi si unisce all'abbraccio con gli amici.

La Signora McArthur, spettinata e struccata, si avvicina a piccoli passi al figlio. Con gli occhi lucidi lo accarezza più volte in volto per poi perdersi tra le lacrime e sospiri.

 

Li osservo con dolcezza e tristezza allo stesso tempo. Ognuno di loro ha bisogno dell'altro, in questo momento sono tutti così vulnerabili che l'unica cosa che serve è buttare fuori tutto il dolore. Un dolore che probabilmente non andrà mai via.

 

"Hei", una grande mano mi accarezza la testa.

"Papà?", non mi sarei mai aspettato di vederlo qui.

"Kate mi ha detto... Sono venuto qui subito".

"Io... Io...", non riesco a proseguire. Un groviglio di emozioni che avevo cercato di nascondere per molto tempo sono ritornate a galla. La sofferenza del distacco e la paura del futuro mi fanno mancare il fiato, la sofferenza della perdita inonda il mio cuore.

"Non avere paura. Sarò per sempre vicino a te", mi dice con la voce tremante.

 

Lo sa lui come lo so io.

Quelle sono le esatte parole che mamma mi ha detto prima di morire.

Prima che la morte rubasse parte del mio cuore.

 
 

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Capitolo 47
*** IERI: Non ricordare più ciò che eravamo ***


IERI:
Non ricordare più ciò che eravamo
 
 

Non vedo James da giorni, a scuola non si è presentato. I professori chiudono un occhio, del resto ha già sostenuto tutti gli esami, quindi ha già tutti i voti necessari.

Kate ha smesso di chiedermi sue notizie, lo stesso Jo. Sono preoccupati, ma cercano di non darlo a vedere. Sul mio volto si legge tutta l'ansia che ho addosso.

Mio padre mi accompagna ogni giorno a scuola e mi viene a prendere, siamo stati due volte al cinema, una volta al ristorante e pure in un centro commerciale a fare shopping. Tutte attività che avrebbero dovuto distrarmi, ma che invece non hanno fatto altro che peggiorare la mia preoccupazione.

 

James non risponde alle mie chiamate. Non vuole parlare con me, non so cosa fare.

 

"Quindi il professor Tompson ti ha dato chimica?", mi chiede Lucas.

"Sì", non smetto di muovere la gamba su e giù. 

"Basta che ripassi il programma, di solito il test di recupero lo fa su quello", mi spiega Stephanie. 

 

Non ascolto nessuno dei loro discorsi, non riesco proprio a concentrarmi. L'unica cosa che mi frulla in testa è James.

 

"Credo che appenderò in camera il ritratto che mi hai fatto per lo spettacolo. Non è male... Direi che può star bene con i miei mobili", Rebecca si sta mettendo lo smalto.

"Bella idea. Dove vorresti metterlo?", chiede Stephanie.

"Pensavo a sopra il camino o vicino alla parete con la libreria. Tu cosa ne pensi?", mi chiede Rebecca mentre soffia sullo smalto per farlo asciugare.

"Cosa?", non ho capito nulla di quello che ha detto.

"Il ritratto che hai fatto per lo spettacolo? La Preside Marquez ha apprezzato molto il tuo lavoro, stavano benissimo sul palco", mi dice Kate.

"Spettacolo?", la mia aria stralunata preoccupa tutti.

"Sì, lo spettacolo che abbiamo fatto a scuola, quando... Insomma... Ecco... È piaciuto a tutti. Abbiamo preso il massimo dei voti. Non male, no? Vivian è stata costretta vista l'ovazione del pubblico", Adrian cerca di sdrammatizzare, ma l'unica cosa che ricordo di quel giorno è la chiamata di Demetra.

"Vo-Voti?", balbetto.

"Elena, non fare così. Non è sano. James verra a scuola quando si sentirà pronto", Jo mi prende per mano e la bacia, "Hanno voluto fare un funerale con soli i membri della famiglia per tutelare la loro privacy, sai che i McArthur sono una famiglia molto influente".

 

I miei occhi rossi e lacrimosi sono la risposta alle sue parole. So benissimo che il funerale era una cerimonia privata, c'erano solo i parenti stretti, ma James poteva almeno farmi sapere se aveva bisogno di qualcosa, se potevo aiutarlo. 

Invece nulla, James non mi ha mai chiamata.

 

"Credo tu debba lasciarlo in pace. James non ha voglia di vederti, ok? Scusa la franchezza, ma fattene una ragione", Rebecca mette via lo smalto nella borsa e mi fissa.

"Becca!", Stephanie mette un dito sulla bocca, come per zittirla, cercando di non farsi vedere da me.

"Che diavolo succede? Rebecca? Stephanie? Se sapete qualcosa dovete dirmelo. Lo avete incontrato? Come sta?".

Stephanie e Adrian abbassano lo sguardo, Lucas giocherella con la cravatta della divisa mentre Rebecca osserva lo smalto appena steso: "Elena cerca di calmarti, ok? È in un periodo strano... Insomma, cerca di capirlo, non essere egoista".

"E-egoista? Non capisco perché non mi chiami! Non dico che debba essere sempre presente, ma almeno che mi dica come sta, sono molto preoccupata", la mia voce trema, non per rabbia, ma per la tensione.

"Lascialo stare, non è un buon momento", ribadisce Stephanie prendendomi per mano.

"Quindi James vuole vedere voi e non me? Ma cosa gli ho fatto?", adesso le lacrime cadono a cascata.

"Insomma... Credo sia ovvio...", Rebecca è sbottata.

"Stai zitta Becca! Non sono cose che ci riguardano!", Lucas da una gomitata all'amica.

"No, dimmelo. Ti prego, sto impazzendo. Non riesco a capire", sto supplicando Rebecca a spiegarmi come mai James non mi voglia più parlare, non avrei mai immaginato potesse succedere.

Rebecca tentenna, si morde il labbro.

Lucas, Stephanie e Adrian fanno cenno di no con la testa.

"La telefonata di Demetra. Perché Demetra ha cercato te? James non capisce? Insomma, è strano, no? Inoltre eri l'unica che poteva firmare i documenti... Capisci che c'è qualcosa che non va, no?"

"Io-io non so. Potrebbe aver trovato il cellulare di George spento oppure quello di James".

Rebecca scuote la testa: "James non ha trovato nessun messaggio in segreteria, neanche suo padre".

 

Sbianco, il cuore batte a mille all'ora. Non ho idea di perché Demetra mi abbia cercata, perché cercasse il mio aiuto. Non lo so. Non posso credere che James non mi parli per questo, che colpa ne ho io? 

 

"Lascialo stare, almeno per un po'. Deve digerire tutto quello che è successo. Non asfissiarlo", Lucas, insolitamente dolce, mi accarezza il braccio.

Kate mi ha messo un braccio intorno alle spalle e mi sussurra di stare calma.

"Te l'ho detto perché credo sia giusto. Tra di noi non scorre buon sangue, eppure vederti così, credo mi faccia star male. Non penso tu abbia fatto nulla, non ne saresti capace. Questa faccenda però è strana", Rebecca parla con franchezza, forse troppa.

"Becca!", Adrian, Stephanie e Lucas zittiscono l'amica.

"Ok. Ok. Chiudo la bocca", Rebecca giocherella con le unghie sbirciando nella mia direzione di tanto in tanto.

 

James ha dubbi su di me.

Crede che io c'entri qualcosa.

Come può crederlo?

 

La campanella suona, la pausa pranzo è finita.

 

"Vuoi saltare le lezioni questo pomeriggio? Se vuoi andiamo insieme al parco, è una bella giornata", mi chiede Kate.

"Vengo anch'io se vuoi", aggiunge Jonathan.

 

Non vogliono che resti sola, hanno paura che possa fare qualcosa di sciocco. Possono pensare quello che vogliono, ma non ho intenzione di lasciar perdere. Le cose che mi ha detto Rebecca mi rimbombano nel cervello, se James è confuso devo chiarire il prima possibile.

 

"Vado a prendere il quaderno di fisica nel mio armadietto. Ci vediamo in classe", cerco di sembrare più naturale possibile.

"Vuoi che ti accompagni?", mi chiede Stephanie.

Faccio cenno di no con la testa. 

Con calma usciamo dalla mensa, ognuno prende la sua strada. Cercando di mantenere il controllo, mi dirigo verso il corridoio dove c'è il mio armadietto.

"Elena, ci vediamo in classe. Ok?", mi dice Jo.

"Certo", gli rispondo.

Una volta svoltato l'angolo, lontana dagli sguardi indagatori dei miei amici, inizio a correre. Non ho intenzione di aspettare un minuto di più, devo assolutamente vedere James, il Trinity può aspettare.

 

Corri Elena, vai più veloce che puoi.

 

Il bus arriva con qualche minuto in anticipo, prendo quello che porta verso la villa di Geltrude McArthur, so che James è lì da quando è morta Demetra. 

Jo mi ha chiamata sul cellulare diverse volte, si deve essere accorto che non sono in classe. Spengo, non ho voglia di parlare con nessuno.

Il viaggio è abbastanza lungo, ci sono parecchie fermate lungo il tragitto. Non guardo fuori dal finestrino, come faccio di solito, il nervosismo è tale che sono assorbita totalmente dai miei pensieri. 

James. James. James. 

È l'unica cosa a cui riesco a pensare. Non mi rendo neanche conto di essere arrivata alla fermata e di camminare spedita verso la villa.

Sono dissociata, il mio corpo e la mia mente viaggiano su binari diversi.

 

Campanello.

Cancello.

Vialetto.

Portone.

Bussare.

 

Attesa.

 

La domestica mi fa accomodare in casa, mi prende la giacca. Senza aspettare, mi catapulto sulle scale alla ricerca di James. Non ho idea di dove potrebbe essere, provo ad andare nella stanza dove si esercitava Demetra.

I tendoni di velluto sono tirati, nella stanza c'è penombra, vedo poco e niente.

 

"James? James? Sono Elena", chiedo senza sapere se c'è qualcuno o meno.

"Elena cara?", la voce di Geltrude arriva dalle poltrone.

"Signora McArthur? È lei? Tutto bene?", chiedo muovendomi con cautela cercando di non rovesciare nulla.

"Diciamo di sì. Tiro avanti per amore di mio nipote e di mio figlio", la vecchia ha l'aria sfatta, molto diversa dall'eleganza che ha di solito.

Mi accomodo su una poltrona di fronte la sua.

"James è in casa?", chiedo a bruciapelo.

"Sta riposando. Ha gli orari sballati, non riesce a dormire la notte. Appena può si sdraia per qualche minuto per cercare di recuperare un po' di energia".

"Aspetterò", non ho intenzione di andarmene, devo chiarire con James, dovessi stare in quella casa per un mese intero.

 

Il ticchettio del pendolo riempie il silenzio che si è venuto a creare. L'anziana pare assorbita dai suoi pensieri come io lo sono dei miei. 

Tutto in quella casa mi ricorda Demetra: la prima volta che l'ho sentita cantare, i pomeriggi che abbiamo passato a ripassare le parole in italiano, la sua dolcezza nei miei confronti. Tutto. Anche le cose brutte, come quando l'ho vista arrancare sulle scale o quando guardava i vecchi filmati.

 

"Vorrei chiederti una cosa Elena. Mi piacerebbe mi rispondessi".

"Mi dica pure, se possibile più che volentieri", mi avvicino alla donna.

"Cosa ti ha detto Demetra per telefono prima che morisse?", la voce tremolante di Geltrude mi commuove, l'affetto che legava le due era molto profondo.

"Non mi ricordo di preciso, è stato tutto così veloce. Mi pare che mi chiedesse di non dire nulla a James e George. Non ho ben chiaro a cosa si riferisse. Sono stati pochi secondi, il mio cervello non ha registrato tutte le parole".

"Credo non volesse farli preoccupare. Voleva informarti, ma non allarmarli. Credo pensasse di riprendersi, che non fosse arrivata la sua fine. Tipico di Demetra, ha sempre avuto a cuore la sua famiglia", la vecchia mi accarezza il volto con molta dolcezza.

Scoppio a piangere.

"De-Demetra mi ha detto che aveva paura...", i singhiozzi interrompono le mie parole, "... Mi ha detto che io sapevo, che dovevo aver capito i segnali. I segnali che mi ha dato in questi mesi".

La Signora McArthur piange, lo capisco dal modo in cui respira, lo capisco dal suono dei suoi sospiri: "Elena cara, come potevi capire che sarebbe mancata? Non è possibile. Neanche io che la conoscevo da tanti anni avevo mai sospettato nulla. Il fatto che avesse rinunciato al canto lo imputavo alla gelosia di George, mai avrei supposto che... Che... Non avresti mai potuto prevenire la sua morte, mai. Nessuno di noi avrebbe potuto. La sua ora era segnata, purtroppo".

Con la testa appoggiata sulle gambe della vecchia singhiozzo come una bambina: "Mi dispiace. Mi dispiace. Io non ho voluto vedere, non ho voluto credere che potesse succede ancora. Ho scelto di essere cieca, ho scelto di non affrontare ciò che Demetra mi diceva. Me lo ha detto in mille modi, quando sulle scale ha preso le pillole, quando pallida si sedeva a riposare e quando guardava i vecchi filmati. Era come con mia madre. Conoscevo il copione, ma non ricordavo la storia. Dentro di me sapevo che c'era qualcosa che non andava, ma non ho voluto affrontarlo".

Le mani dell'anziana mi accarezzano la testa senza fermarsi: "Elena, non è colpa tua".

"Sì, ho tenuto la bocca chiusa. Non ho detto nulla perché... Perché... Non volevo ammettere che stesse male. Ho fatto finta di nulla", dico in preda alla disperazione.

 

Poi, d'improvviso, un suono squarcia l'aria.

 

"Quindi avevo ragione, tu lo sapevi e non mi hai detto niente!", la voce rabbiosa di James risuona per la stanza.

Colta alla sprovvista mi guardo intorno, James è di fronte ad una porta spalancata, una forte luce è alle sue spalle, intravedo solo la sagoma del suo corpo.

"James", il mio cuore è impazzito dalla gioia nel sentire la sua voce.

"Vattene da questa casa. Non ho niente da dirti", mi dice con tono duro.

"Cosa? Cosa? James, perché?", mi alzo di scatto per andare verso di lui.

"Per me sei il nulla, non ti voglio mai più vedere. Mai più.", quelle sono le sue ultime parole prima che la porta, alle sue spalle, sbatta con violenza.

 

Basta un attimo per vedere crollare tutto.

Dicono che è come se un terremoto distruggesse la terra sotto i piedi.

Un attimo e poche parole.

Cadere sempre più in basso fino a non ricordare più ciò che eravamo.

Elena e James erano per sempre.

Ora non più.

James non mi vuole più.

Mai più.

 

... CONTINUA NEL PROSSIMO CAPITOLO...

 
 

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Capitolo 48
*** IERI: Ferite che non si possono curare ***


IERI:
Ferite che non si possono curare


 

... CONTROLLATE DI AVER LETTO IL CAPITOLO PRECEDENTE...

 

La porta è chiusa di fronte a me, James è lì dietro.

 

Sto tremando, non posso credere che mi abbia detto quelle parole, non posso credere che pensi che la morte di sua madre sia colpa mia. Ho sbagliato a non parlargli con franchezza, solo adesso me ne rendo conto, ma non è stato intenzionale. Il mio errore è stato quello di non leggere i segnali, non sapevo di sapere.

Non so cosa fare, devo seguirlo o lasciarlo perdere?

Devo spiegarmi o lasciare che si calmi?

 

Tra le dita ho le frange del tappeto su cui sono seduta, le stringo così forte che ne ho staccata qualcuna. Non riesco a razionalizzare, non riesco ad essere lucida.

 

"Fossi in te andrei a chiarire. Credo abbia bisogno di sfogare la rabbia che ha dentro. Meglio farlo con una persona che ama, no?", la Signora McArthur mi ha presa per le spalle e mi invita ad alzarmi.

"Ma ha detto che...", provo a ribattere.

"Non fare la stupida. È sconvolto", la vecchia mi liquida spingendomi verso la porta chiusa. A piccoli passi la raggiungo.

Aspetto qualche secondo prima di toccare la maniglia, quel tanto che basta per tranquillizzarmi. Prendo dei bei respiri profondi per farmi coraggio.

 

Forza Elena.

 

James è seduto su un divano in pelle marrone, si sta tenendo la testa con le mani. Non sono mai entrata in quella stanza, è un piccolo studio pieno di libri. Sulla parete sono proiettate immagini di vecchi filmati, molto simili a quelli che guardava Demetra tempo fa. Non c'è audio, nessun suono.

 

"James. James", con delicatezza mi avvicino, "Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Io...", ma vengo interrotta.

"Volevi che anche io soffrissi? Volevi che anche mia madre morisse? Perché non mi spiego il fatto che tu non mi abbia detto nulla", la voce di James è irriconoscibile, ogni parola è come un colpo al cuore.

"Non sapevo. Non avevo capito. Ho sbagliato a non dirti i miei dubbi, ma non credevo avesse importanza", provo a spiegare come mi sento, anche se quello che provo è un misto di paura, angoscia e frustrazione.

"Quindi mi hai mentito? Hai omesso di dirmi delle cose", con tono tagliente sottolinea l'ultima frase.

"Sì, cioè no. Non sapevo...".

"Bugie, sei capace di dire solo bugie. Tempo fa mi hai fatto sentire in colpa perché non ti avevo detto di Adrian e Miss Scarlett, mi hai convinto che fosse sbagliato omettere. Adesso che i ruoli sono ribaltati, vuoi farmi credere che hai ancora ragione tu? Com'è possibile che hai sempre ragione tu? Se è sbagliato mentire in amore, perché adesso vuoi convincermi che sia giusto quello che hai fatto?", James ha uno sguardo tagliente, crudele.

"È diverso...", provo a spiegare, ma i singhiozzi non mi permettono di continuare.

"Perché? Perché sei tu ad aver sbagliato? Perché sei tu ad avermi mentito, omesso, raccontato frottole? Quando le cose riguardano te hanno un'altro peso, chissà perché?", James mi si scaglia addosso prendendomi per le spalle, "Non sei neanche riuscita a dirmi che mi ami. È stato tutto finto, tutto un gioco. La vita di mia madre è stato uno scherzo per te". 

 

Non ho la forza per continuare, non riesco a dire nulla. È come se il sangue non scorresse nelle vene, come se i muscoli avessero perso forza, come se l'aria non entrasse nei polmoni. Vuota, mi sento svuotata di ogni energia.

 

"Dimmi. Mia madre ti ha confessato che non stava bene?", James mi scuote leggermente.

"No. No", rispondo tra le lacrime.

"Ti ha fatto vedere qualcosa di strano. Medicine? Ricette mediche?", il tono di James è duro, aggressivo.

"No", scuoto la testa disperata.

"Ti ha mai dato qualcosa in segreto? Qualcosa di diverso dal solito?".

 

Stop.

Tump. Tump.

Il cuore batte un colpo diverso.

Un ricordo sepolto, dimenticato.

La busta. La busta che Demetra mi ha consegnato durante la festa degli ex studenti al Trinity.

 

Il ricordo delle ultime parole di Demetra mi investe.

Una promessa, Demetra mi ha chiesto di rispettare una sola promessa.

 

..."Mi fido di te, voglio che tu la apra al momento giusto".

"Momento giusto? È come faccio a sapere quand'è?".

"Fidati non avrai dubbi. Quando capirai di amarlo e lui capirà di amarti, quello sara il momento giusto. Non si tratta altro che di guardarlo negli occhi e comprendere tutto di lui e lui comprenderà tutto di te. "

 

Capisco finalmente le ultime parole di Demetra, quando al telefono mi diceva di non dirlo a James. Si riferiva alla busta, non voleva che la consegnassi a lui adesso. 

Devo mantenere la promessa, l'unica cosa che Demetra volesse da me, per questo mi ha chiamata, per chiesto ha voluto parlarmi. Sapeva che era giunta la fine e sapeva che avrei potuto cedere.

 

Con gli occhi spalancati fisso James.

"Quindi c'è qualcosa? Cosa? Cosa? Devi dirmelo Elena, non puoi tenerlo per te", James è su tutte le furie. Cammina avanti e indietro come un animale ferito in gabbia, "Se possiedi qualcosa di mia madre che non mi hai dato, vuol dire che hai mentito. Se nascondi qualche cosa che poteva informarmi sulla sua morte, vuol dire che sei complice della sua fine".

"No, non mi ha dato nulla", mento. Mento con una strana consapevolezza, mento con la certezza di star facendo la cosa giusta.

 

Guardo negli occhi il ragazzo che amo, ma non lo comprendo.

Guardo negli occhi il ragazzo che amo, ma non lo conosco.

Adesso James non è pronto per quella busta come non lo sono io.

 

Un brusio interrompe i miei pensieri.

Riconosco le voci dei nostri compagni di scuola, sono nella stanza di fianco, stanno parlando con Geltrude. Non devono averci messo molto prima di capire che sono uscita da scuola di nascosto, ancora meno per scoprire che ero diretta qui da James.

Passi.

Bisbiglii.

Sguardi.

Rebecca cammina a lunghi passi attraverso la stanza. Lucas, Stephanie e Adrian la seguono. Tutti quanti si piazzano vicino a James, leggono sul suo volto la rabbia sta provando nei miei confronti.

"Che ti ha fatto quella lì?", Lucas osserva l'amico con attenzione.

"Dice un mucchio di bugie", risponde James.

"Per me ti nasconde qualcosa? A scuola faceva la santarellina, mentre adesso si dimostra quello che è, una ipocrita senza spina dorsale. E pensare che quasi ci credevo alla sua innocenza", Rebecca mi squadra da capo a piedi con un certo disgusto.

Jonathan e Kate si mettono di fianco a me, entrambi mi prendono per mano.

"Sei così stupida che non capisci che è sotto choc. Non vedi che è sconvolta?", Jo abbaia contro Rebecca.

"A me non sembra stia così male. A scuola sembrava uno straccio. Guardala adesso, se ne sta lì tutta seria con l'aria convinta... Mi pare un atteggiamento un po' strano per una che dichiarava di stare male per James", dice Lucas.

"Siete tutti degli idioti. Come potete credere che Elena sapesse qualcosa? Vi siete bevuti il cervello?", Kate urla.

"Non credo che Elena ti nasconda qualcosa. Non ne sarebbe capace. James, devi calmarti... Non puoi incolparla di una cosa che prima o poi sarebbe successa comunque. La morte di tua madre era annunciata", Stephanie prende tra le mani il volto dell'amico deformato dalla rabbia.

Rebecca, con un movimento rapido, allontana in malo modo Stephanie facendola barcollare. Poi le dice con aggressività: "Che fai? Ci tradisci? Preferisci credere ad Elena o a James?".

"Non è questione di stare da una parte o l'altra, qui si parla di incolpare Elena della morte di Demetra. Non ha senso!", Stephanie sta piangendo. Non è certo da lei opporsi ai suoi amici.

"Che cosa diavolo credi di fare? Vieni subito vicino a me e modera il tono. Non tollero questo atteggiamento, capito?", Lucas ha la faccia rossa, sembra stia per esplodere.

"No", Stephanie indietreggia, "No. Non darò ragione a James perché non sarebbe giusto. Elena non ha fatto nulla".

"Stephanie, che cosa fai?", le urla di Lucas mi gelano il sangue nelle vene.

Jo solleva la ragazza accasciata al pavimento, sta tremando.

"Se osi rivolgerti ancora in questo modo a qualcuna di loro, ti spacco la faccia. Noi dei quartieri bassi sappiamo menare bene le mani", Jonathan si è piazzato di fronte a Kate, Stephanie e me.

 

La tensione nella stanza ha raggiunto livelli altissimi.

 

"Te lo chiedo per l'ultima volta. Sai qualcosa su mia madre che non mi hai detto? Ti ha dato qualcosa che le apparteneva?", James mi guarda con disgusto.

"No", la mia voce trema, "Niente di niente".

"Bene. Allora potete andarvene da casa mia", James si gira di spalle a fissare i vecchi filmati proiettati sulla parete.

"James, io... Io...", avrei un milione di cose da dire, ma non so da che parte iniziare, "Ti prego non fare così. Quello che c'è tra di noi è unico, non puoi buttare tutto al vento per la rabbia, la paura e l'ostinazione. Ho sbagliato a non parlarti di quello che succedeva, ma non potevo prevedere nulla di simile, se lo avessi saputo...".

 

Disperata corro verso James, lo abbraccio. 

Il mio corpo vibra al contatto con il suo. Il profumo dolce e caldo della sua pelle mi fa stare bene, per un decimo di secondo mi sento serena e tranquilla. Infilo le mani nei sui capelli, i suoi occhi gonfi di lacrime scrutano ogni angolo del mio viso. 

"James, ti prego. Ritorna in te. Io sono Elena, la tua Elena. Quella che ti fa impazzire, ridere, arrabbiare. Quella a cui hai raccontato tutto di te, quella a cui hai regalato il tuo cuore", il mio volto è sommerso dalle lacrime.

James mi passa un dito sul naso, poi sulle guance. Con piccoli tocchi sfiora le mie lentiggini, poi sorride con quel suo solito sorriso furbo: "Ti sbagli Elena, io non ho un cuore. Ricorda, sono un bastardo senz'anima. Adesso vattene feccia, non sopporto le tue lagne", con una spinta sulla spalla mi allontana. Jo mi prende prima che cada per terra.

 

Non so più se sono viva.

Non so più che cosa sia la felicità.

Urlo, forse.

Non ho memoria.

Mi pare di ricordare gli occhi spaventati di Kate, le lacrime di Stephanie e la mascella tesa di Jo. Cosa sia successo prima o dopo, non lo so. Non mi è chiaro se vivo il presente o il tempo mi sfugge come la sabbia tra le dita, come il ricordo di un amore sfumato.

Amore trasformato in polvere e volato via, disperso nell'aria.

Resta l'ombra, il miraggio di ciò che siamo stati l'uno per l'altra.

 

Chiuso a chiave, nel mio cuore, ho una promessa fatta a Demetra che probabilmente non riuscirò a mantenere. 

Una busta che mai verrà aperta, perché James non mi ama più. 

James ed Elena erano per sempre.

Mai più saremo.

Mai più sarò.

 

Un pianeta può perdere il proprio sole?

La neve d'estate può oscurare il cielo? 

 
 

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Capitolo 49
*** IERI: Epilogo? - Una tela bianca ***


IERI:
Epilogo?
Una tela bianca



 
 

Dalla finestra della mia camera entra un'aria tiepida. Il profumo dell'estate è ovunque: nei frutti dolci sugli alberi, nelle risate dei bimbi che giocano per strada, negli scampanellii delle biciclette. 

La vita scorre, va avanti per tutti.

Papà ha avuto una bella promozione, deve lavorare su una collana di libri che ha riscosso molto successo negli USA. Ha un team di collaboratori che lo aiutano, una bella soddisfazione. Ogni volta che mi racconta qualcosa del lavoro, qualche novità, io sorrido.

È più felice quando sembro serena.

Già.

Tutti sono più felici quando sembro serena.

 

Incurva quelle cavolo di labbra. Dai, tirale su.

Muoviti Elena. Non vedi che poi si preoccupano.

 

Se fingo di stare bene, nessuno mi chiede più nulla. Hanno il timore che qualche domanda di troppo possa risvegliare il dolore che ho dentro. Tutti si muovono in punta di piedi, sono attenti ad ogni mio gesto e reazione. Sono sotto sorveglianza, non lo dicono, ma lo capisco da come mi trattano. È una finzione da parte di tutti, lo fanno per vivere un'armonia artificiale, qualcosa di piacevole e accettabile che aiuti ad andare avanti.

A nessuno importa della voragine che ho nell'anima, nessuno vuole sapere cosa si prova a perdere se stessi, a cadere in un pozzo senza fondo. L'oscurità fa paura. Guardare negli occhi la mia parte oscura li porterebbe a riflettere sulla loro, perché tutti hanno qualcosa da nascondere, perché tutti mentono a loro stessi quotidianamente. 

Io sono lo specchio dell'inferno, sono il nero più nero che c'è. 

 

Mangia Elena.

Dormi Elena.

Esci Elena.

 

Parole che mi hanno detto un milione di volte in poche settimane, da quando James ha preferito credere ai fantasmi nella sua testa, alla tristezza nel suo cuore e alla sofferenza nella sua anima.

Io sono un manichino sempre più smunto e vuoto. La mia essenza è stata divorata dal dolore, un mostro che scalpita instancabile nel mio petto. Nulla, non sono più nulla.

 

L'estate è arrivata, io sento tanto freddo.

L'inverno ha ghiacciato il mio cuore.

 

"Pronta per andare in gelateria?", Kate sta tirando fuori dall'armadio la divisa dell'italian Cream, "Dopo il lavoro andiamo da Jo. Sua madre ha organizzato una cena messicana di tutto rispetto. Stephanie ci raggiunge più tardi, sua madre non sta bene in questo periodo".

 

Mi sfilo la maglia per indossare la camicia della gelateria.

Vuoto.

Disperazione.

 

"Mia mamma dice che la casa al lago degli zii è libera settimana prossima, ci possiamo passare un paio di giorni. Inoltre c'è una bellissima fattoria fuori città, fanno anche salire sui cavalli. Dobbiamo andarci".

 

Mi chiudo i pantaloni della divisa e infilo le scarpe da ginnastica.

Il nulla.

Indifferenza.

 

"Sai che mio padre ha preso dei nuovi libri d'arte? Quando hai un pomeriggio libero passi da noi così li guardiamo insieme", Kate mi passa lo zainetto.

 

Con calma chiudo la finestra della camera e tiro le tende.

Solitudine.

Incomprensione.

 

"Sai che Stephanie ha ripreso a suonare il piano? Era anni che non lo faceva. Con una base musicale potremmo esercitarci più spesso a cantare. Venerdì sera facciamo le prove. Potresti venire con Jo. Che ne dici?".

 

Infilo il cellulare e il portafoglio nello zainetto.

Apatia.

Assenza.

 

"Hai ripreso a dipingere? Che bello. Vedi Elena, le cose stanno andando per il verso giusto. No?", Kate si avvicina alla tela, coperta da un lenzuolo, di fronte alla mia scrivania. Prova a toccarla, ma con un gesto rapido le blocco la mano.

"È bianca. È solo una tela bianca", le dico senza espressione.

"O-ok. Ti aspetto in salotto, così finisci di prepararti", Kate imbarazzata esce dalla camera.

 

Non voglio che nessuno tocchi le mie cose.

 

Quel quadro è mio, non l'ho ancora finito e non credo che lo completerò mai. Ci sono 

i McArthur, è il quadro che ho promesso a Natale come regalo a James. Ho finito il ritratto di George, mi manca il volto di Demetra e quello di James. Non riesco a dipingere i loro sguardi, non riesco a riprodurre la felicità nei loro occhi. C'è una luce che colgo, ma la mia mano non sa rifare. Ho raschiato via strati di colore, la tela è lisa e rovinata. Non riesco più a fare le belle pennellate colorate che facevo un tempo.

La mia mano ha disimparato a dipingere. 

 

"Elena sbrigati!", mi urla papà mentre lo sento trotterellare da una stanza all'altra mentre si prepara per andare al lavoro.

 

Prendo la matita nera e la passo intorno e dentro l'occhio. Mi spazzolo i capelli e poi mi sistemo il cappellino della divisa. Davanti allo specchio vedo riflessa una ragazza che non sono io, una brutta copia, uno spettro.

Sono la caricatura di me stessa.

Con l'indice sfioro il profilo del mio naso, passo poi alle guance e picchietto le mie lentiggini. Non è lo stesso se lo faccio io, non è lo stesso se non lo fa James.

 

Gli occhi si inumidiscono.

Il fiato si fa corto.

Le dita affondano nei miei pugni stretti.

 

Eccolo che arriva il momento che tanto odio e tanto amo.

Il ricordo di ciò che sono stata, di ciò che avevo, mi dilania. Aver perso quella meraviglia mi fa mancare l'aria. Vorrei gridare, vorrei riuscire a trovare qualcosa che mi faccia stare bene, ma nulla riesce a darmi sollievo. Non trovo la via d'uscita, non so cosa fare per poter emergere dal buio. Vivo nei ricordi brutti e ho il terrore di perdere quelli belli. Ogni giorno è un incubo senza fine.

 

Papà bussa alla porta: "Tesoro sbrigati. Rischi di fare tardi".

"Un attimo", mi guardo l'ultima volta allo specchio cercando di non soffermarmi sui miei occhi umidi. Prendo lo zainetto lo infilo in spalla, metto gli occhiali da sole.

 

Il cellulare squilla.

È un numero sconosciuto.

 

"Pronto?", chiedo con un filo di voce.

"Elena? Elena sei tu?".

"N-Nik? Io... Io...", sono realmente sorpresa nel sentire la sua voce. 

Non mi ero accorta di quanto mi fosse mancato, a volte accorgersi della mancanza serve a dare più significato alle persone. 

Piango.

Nik non dice nulla, dall'altra parte dell'apparecchio sento i suoi respiri profondi accompagnare il mio sfogo. 

"Mi dispiace non averti chiamata prima. Ho pensato sarebbe stato meglio far passare un po' di tempo", la dolcezza di Nik riesce a raggiungermi ovunque io sia.

"Tranquillo, sono solo un po' giù di tono, vedrai che riuscirò a riprendermi", mento spudoratamente.

"Devi lasciarlo andare, lo sai?", mi dice risoluto, ma con dolcezza.

"J-James è in California con Rebecca, Lucas e Adrian . Io... Io l'ho lasciato andare", la mia voce è flebile come il mio corpo.

"Lo so che tutti loro non sono in città. Non intendevo quello. Liberati dell'idea che avevi di James, non puoi restare aggrappata a quello che non c'è più. Se stessi affogando preferiresti essere attaccata ad un salvagente vero oppure al ricordo del tuo salvagente preferito? Alcune cicatrici resteranno per sempre, ne so qualcosa, ma non posso condizionare la tua vita per sempre".

Dopo settimane di apatia e tristezza, un accenno di sorriso muove le mie labbra: "Ci proverò, te lo prometto".

"Ovvio che me lo prometti, ci mancherebbe. E ti controllerò, sappilo", Nik ridacchia divertito.

"In che senso mi controllerai?", gli chiedo.

"Parte dello studio legale si trasferirà a New Heaven. George preferisce lavorare qui per stare vicino a sua madre. Abbiamo bisogno di assistenti, quindi voi studenti del Trinity diventerete i nostri tuttofare".

"Non capisco...".

"Fare il caffè, fotocopiare documenti, temperare matite, portare il pranzo. Tutte cose simpatiche che noi avvocati veri non abbiamo tempo di fare", Mi immagino la faccia di Nik mentre si gongola.

"E dimmi, perché dovrei fare la tua schiava?".

"Semplicemente per il gusto di vedere la loro faccia quando sapranno che hai un'attività extra curriculum di questo livello? Hai Yale quasi assicurata".

"Loro chi?", non capisco a chi si riferisce.

Nik ridacchia: "Credo che in California faccia troppo caldo. Non trovi?".

"Forse", quando ha detto loro, si riferiva a James e gli altri.

"Inoltre Jonathan e Stephanie hanno già accettato. Farete a rotazione, tutti avrete l'onore di aiutare un grande e brillante avvocato come me", la voce pomposa ed eccessiva di Nik mi fa sorridere, "Allora, accetti?".

"Io... Ci penserò", gli dico, "Adesso devo andare in gelateria a lavorare".

"Mi raccomando Elena, tieniti stretta al salvagente vero. Ok?".

"Ok".

Chiudo la chiamata.

 

Le parole di Nik mi scivolano nel cervello come una carezza, come una cascata di dolce miele capace di riempire la voragine che sento nel petto. Un calore, che non sentivo da tempo, parte dalle dita per irradiarsi in tutto il corpo.

Seduta sul letto, con stretto in mano il telefonino, sto sorridendo.

Lo sguardo vaga per la stanza in cerca di qualcosa: sulle tende chiuse, sui libri immobili della libreria, sul lampadario spento appeso al soffitto.

Una busta con un sigillo in ceralacca è appoggiata su una mensola.

La prendo con cautela, la rigiro per le mani. Sfioro la ruvidezza della busta, spingo sugli angoli per poi scivolare sui bordi. Il sigillo McArthur è una grande macchia rossa.

Mi avvicino al comodino del letto, apro la grande scatola di legno dove conservo le lettere che ho scritto a mia madre in questi anni e ci aggiungo anche la busta che mi ha dato Demetra.

Il rumore del coperchio di legno che si chiude è assordante.

 

"Elena, siamo in ritardo mostruoso. Sei pronta?", papà si affaccia in camera mia tutto trafelato.

"Sì, papà. Adesso sono pronta".

 

 

 

FINE






TRA POCHI GIORNI ANDRÒ IN VACANZA.
TORNERÒ CON BACK FOR LOVE 2 AD AGOSTO.
PREPARATEVI A NUOVE SCONVOLGENTI STORIE.

LASCIATE UN COMMENTO, FATEMI SAPERE COME VI È SEMBRATO QUESTO LIBRO.

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Capitolo 50
*** Back for love 2 è online! ***


È ONLINE BACK FOR LOVE 2.
CERCATELO AL MIO PROFILO.

CIAO!
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