Il giorno della falena

di Mladen Milik
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inizi e ritorni ***
Capitolo 2: *** Una visita color lilla ***
Capitolo 3: *** Le Colombe Rosse ***
Capitolo 4: *** La Vipera e il Tasso ***
Capitolo 5: *** Lapislazzuli ***
Capitolo 6: *** Corvi e Colombe ***
Capitolo 7: *** I Campioni ***
Capitolo 8: *** Tazzine da Tè ***
Capitolo 9: *** Spirale Temporale ***
Capitolo 10: *** La Prima Prova ***
Capitolo 11: *** Il Giorno Della Falena ***
Capitolo 12: *** La Prima Prova (Parte 2) ***
Capitolo 13: *** Hermione Granger ***
Capitolo 14: *** La prima Prova (Parte Finale) ***
Capitolo 15: *** Boys meet girls ***



Capitolo 1
*** Inizi e ritorni ***


Inizi e ritorni

 

 

Con un colpo forte ed elegante allo stesso tempo lo spostò di lato, permettendole di passare, aggiungendo al gesto uno “Scusa” appena accennato e continuando il suo cammino verso la scaletta che conduceva alla carrozza dei prefetti.

Steven spostò lo sguardo dall’amico con cui stava parlando, pronto a inveire contro la persona che gli era appena passata davanti, ma il suo volto nervoso mutò totalmente in una dolce espressione persa non appena vide chi l’aveva toccato.

Persino di spalle l’aveva riconosciuta, l’avrebbe riconosciuta tra un milione di ragazze. Aveva i capelli di un biondo scuro con striature amaranto che facevano tendere i suoi capelli al rosso in alcuni periodi dell’anno, non era particolarmente alta, ma era considerata da tutti come la più bella ragazza dell’intera scuola, tanto che persino Steven non riusciva mai a toglierle gli occhi di dosso ogni volta che, per caso, la vedeva passare tra i corridoi.

Era il suo desiderio da quando aveva memoria, ma mai aveva trovato il coraggio di parlarne, non che la faccia tosta per fare le prima mossa con una ragazza non ce l’avesse, ma Eris era qualcosa di più, qualcosa di diverso, non era come le altre ragazze e non aveva ancora trovato il modo per approcciarsi a lei.

Questa volta però era stata lei a parlargli e aveva addirittura avuto l’onore di essere spintonato da Eris Keats.

“Valle a parlare, è la tua grande occasione, lo so che fremi dalla voglia di farlo, che cosa diamine ti trattiene?” gli disse il suo cervello, “Se conoscerla mi farà smettere di battere come gli zoccoli di un cavallo in corsa ogni volta che la vedi...almeno non perdere la dignità” gli disse il cuore, ma le sue gambe non si mossero, così come i suoi occhi che continuavano a fissare la figura di lei che camminava veloce tra un rivolo di studenti in festa.

“Ehi amico, ti ho già detto che non fa per te, non pensarci nemmeno” gli disse una voce accanto alla sua, una voce grave e maschile.

Eris salì le scalette della carrozza dei prefetti e uscì dal suo campo visivo. Steven tornò in sé, le sue membra si rilassarono e davanti ai suoi occhi ritrovò l’amico Alvaro che lo fissava divertito con i suoi occhi scuri.

“Cos...cosa hai detto?” chiese Steven.

“Non fa per te amico, credimi” ripeté lui, gettando un’occhiata alla carrozza dei prefetti.

“E cosa te lo fa credere? Magari sono il suo tipo”

“O magari no. Credimi, meglio stare lontani da Eris Keats, ne parlo per esperienza”

“Non mi hai mai raccontato perché vi siete lasciati, ha un carattere così acido come dicono?” chiese Steven leggermente avvilito.

Alvaro che era molto più alto di lui si limitò ad alzare le spalle e a sorridere. “Diciamo che non è il massimo della compagnia, ma non intendo andare oltre in questa conversazione” rispose lui.

“Sei comunque stato il suo unico fidanzato da quando è ad Hogwarts, per noi comuni mortali sei una leggenda”

“Ci sarà un motivo se sono l’unico e per così poco tempo che non lo considererei un fidanzamento...comunque penso che mi tocchi raggiungerla, tutti i prefetti sono già saliti, non vorrei fare la figura del solito ritardatario”

“L’anno scorso ci lasciasti senza portiere contro i Corvonero, abbiamo schierato Annie e abbiamo perso 250-170, se Pam non avesse preso il boccino d’oro, sarebbe stata una sconfitta ancora più bruciante” gli disse Steven, guardandolo male.

“Quest’anno non succederà, la pantera nera sarà sul campo e la coppa non ci sfuggirà dalle mani!”

I due si salutarono e Alvaro salì sulla carrozza, pronto per frequentare il suo ultimo anno ad Hogwarts come prefetto di Grifondoro. Steven l’aveva sempre visto come il suo mentore, un maestro di vita che era sempre riuscito a ottenere il massimo risultato con il più infimo sforzo a e che lo aveva preso sotto la sua ala sin dal primo anno. Erano stati compagni di squadra, di casata e diventarono presto amici, nonostante i due anni di differenza si rispettavano moltissimo anche perché erano molto simili e Steven non riusciva ancor a pensare che presto gli avrebbe detto addio.

Il treno fischiò, rumore che segnalava l’imminente partenza. Steven si guardò intorno con un ghigno maligno, poi vedendo che nessuno lo stava fissando, notò un gruppo di graziose corvonero e le seguì, salendo gli scalini e entrando nell’espresso per Hogwarts. Era pronto a presentarsi e passare l’intero viaggio con loro, quando la sua spalla venne raggiunta da una mano.

Steven si girò, pronto a gelare con lo sguardo chiunque gli stesse facendo perdere un gruppo così succulento di giovani e ingenue prede, quando si ritrovò davanti due grandi occhi marroni, inclinati in un cipiglio violento e accompagnati da due guancia rossastre che lo fissavano a due centimetri dal suo naso. Steven riconobbe subito il pericolo e mutò il suo volto in una innocua immagine di sorpresa e confusione.

“Avevi detto che saremmo andati insieme, ti ho aspettato per mezz’ora, rischiando di arrivare in ritardo” gli disse Annie, con tono alterato.

“Non crederai mai a quello che sto per dirti...” iniziò a dire lui, ma venne subito fermato dalla voce della ragazza che si era fatta normale visto che sul treno aveva attirato qualche sguardo curioso.

“Infatti non ci credo e a giudicare da quelle tre gallinelle che ci fissano divertite, forse ho capito anche il motivo”

“No, ma come puoi pensare una cosa simile, tesoro! Saranno sì e no del secondo anno, sono colpito dalla tua mancanza di fede, e mi ritengo offeso” replicò lui, cercando di sembrare il più convincente possibile.

Annie dal canto suo aveva rilassato il suo viso e ora guardava un punto indistinto del treno, come se da un momento all’altro potesse mettersi a piangere. Steven allora colse la palla al balzo. “Annie, mi sono dimenticato dell’appuntamento, giuro che non c’è altro motivo. Io...ehm...io ti amo, e non c’è nessun’altra...” ma ancora una volta il suo discorso venne interrotto, questa volta da una risata.

Steven fu costretto a voltarsi ancora una volta e questa volta davanti a sé si trovò Trixie Skinkler e Eric Vetsin, due serpeverdi del suo stesso anno che lo fissavano particolarmente interessati.
“Tesorino, io ti amo, amo solo te, perdonami per essere un demente” disse Trixie prima guardando Eric e poi fissando Steven con occhi seducenti.

“Che hai da ridere, Trixie? Non sei rimasta coinvolta in qualche incidente quest’estate, che magari ti abbia tagliato la lingua? Posso provvedere nel caso” disse lui alla ragazza che continuava a fissarlo con i suoi soliti e belli occhi verdi smeraldo.

“Per tua sfortuna no, Sfighen e devo dire che non potevo sperare in un inizio migliore, con del bel materiale per distruggere la tua dignità...ah ops te la sei già distrutta da solo quando sei nato” replicò lei.

“Gira al largo e torna dalle tue amiche serpi, non ti conviene farmi perdere la pazienza”

“Ohoh che stai cercando di fare? Spaventarmi? Se il tuo cranio avesse un cervello forse ti fermerebbe...è un consiglio”

“Vattene viscida puttana!” le disse quindi ad alta voce Annie, mettendosi davanti a Steven.

“Come mi hai chiamato?!” sbraitò Trixie e il capo di alcuni curiosi uscì dalle cabine per assistere alla scena. Trixie prese mano alla bacchetta, ma Eric, il suo compagno di casata che lei amava definire il suo ragazzo le fermò la mano, fissandola con il suo solito sguardo spento, ma che bastò per fare rimettere a Trixie l’arma nella tasca della mantella.

Steven era pronto a inveire di nuovo sulla coppia di serpeverde, ma Annie ebbe l’intelligenza di prendere la mano del fidanzato e voltare le spalle ai due inserendosi nella prima cabina vuota che trovò.

Era bella anche se Steven non lo notava spesso, forse perché era stato così tante volte vicino a lei che ormai si era fatto l’abitudine, ma in un’estate intera era diventata ancora più attraente e questa volta, guardando il suo viso che fissava fuori dal finestrino, la trovò stupenda. Avevano lo stesso colore degli occhi e dei capelli, chiunque li avesse visti insieme avrebbe detto che erano fratelli da tanto erano simili, il suo viso era rotondo, ma grazioso e sottile ai bordi, aveva due grandi occhi marroni e i capelli castani erano pettinati in un caschetto che le copriva la fronte fino alle sopracciglia. Indossava un maglione rosa con la v del collo ampia che le arrivava fino all’ombelico, scoprendo la maglietta fuxia che aveva sotto, i pantaloni lunghi invece erano bianchi.

Quando il treno partì lei non gli aveva ancora dato nemmeno uno sguardo e Steven si sentì un po’ in pena per lei. Si conoscevano da quando erano bambini, erano vicini di casa e persino i loro genitori erano molto amici e in tutta la loro storia insieme lei aveva deciso di dichiarare il suo amore solo l’anno prima, amore che nutriva da sempre e che non riusciva più a trattenere.

Lei sapeva che per quanto fossero amici Steven era una persona pericolosa a cui fare una simile dichiarazione, ma non ce la faceva più e l’inizio della loro relazione fu per lei una sorpresa, sorpresa che si rivelò però meno idilliaca di quanto potesse immaginare. Annie amava Steven, ma lui non amava lei, o almeno, non abbastanza per evitargli di provarci con altre ragazze.

Era sempre stato così Steven Lineker, ossessionato dalle ragazze, non passava ragazza attraente che Steven aveva già dimenticato Annie e il fidanzamento e i suoi occhi erano tutti per la nuova arrivata. Non lo faceva con cattiveria, Annie era importante per lui, ma era la sua natura e certo faceva fatica a controllarla.

Annie lo sapeva, amava credere che lui l’amasse comunque e che fosse solo molto ingenuo, ma tre mesi senza quasi mai vedersi non avevano certo aiutato il suo stato d’animo e sapeva che l’anno seguente sarebbe stato importante per la loro relazione che lei non voleva affatto finisse.

“Mi dispiace” disse quindi Steven guardandola con occhi di sincero rammarico. Lei spostò lo sguardo verso di lui e gli sorrise, annuendo, all’improvviso la porta della cabina si aprì.

“Ehi! Vi ho colti nel momento intimo sbagliato?” disse una voce forte e squillante.

“Pam!” esclamò Annie, alzandosi e andando ad abbracciare l’amica, dietro di lei c’era Andrej, il migliore amico di Steven e questa volta fu il ragazzo ad alzarsi e stringere l’amico dopo averlo salutato calorosamente.

“Com’è andata l’estate, la Russia è fredda come la ricordavi?” gli chiese Steven sedendosi, mentre l’amico si posizionò davanti a lui.

“Non più di tanto, era afosa San Pietroburgo questa estate e poi con tutto il ben di Dio che c’è lì, come si fa ad essere freddi, non so se mi spiego” rispose lui facendo l’occhiolino.

“Ma parlate solo di questo voi due? Siete noiosi” intervenne Pam che si era seduta accanto ad Andrej, mentre Annie si era messa accanto a Steven.

“Mai noiosa quanto tu che parli del Quidditch” le disse quindi Steven e ad Andrej scappò una risatina.

“Ah, a proposito, avete visto chi ha acquistato l’Arsenal?” chiese lei con gli occhi che si erano spalancati al massimo, con scure dilatate.

“Te pareva” sbuffò Andrej che non andava certo matto per il quidditch dato che aveva paura persino a salire su una scopa.“Sentiamo, che grande campione avrà preso la tua squadra del cuore...con cui ci martelli le palle ogni singolo anno?”

“Tenetevi forte...” Ma proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta.

“Chi è?” chiese Steven a gran voce, mentre Pam sbuffava annoiata.

“Sono Penelope, ehm...ecco, volevo solo salutare”. Annie si alzò e andò ad aprire la porta, abbracciando l’amica. “Oh, hai tagliato i capelli, stai benissimo!” disse Annie alla ragazza dai capelli neri che aveva una frangia molto simile alla sua. Pam la canzonò facendo finta di vomitare, generando le risate di Steven.

Le due parlarono per qualche minuto del più e del meno, poi si salutarono e nell’andare Penelope esclamò un silenzioso “Ciao Steven” a cui lui non rispose.

“Perché non l’hai salutata?” gli chiese Annie “E’ sempre così gentile con te, ti passa sempre i compiti di trasfigurazione e incantesimi”

“Solo perché non me li passi tu” replicò lui cercando di guardarla con occhi lusinghieri che lei non apprezzò particolarmente.

Penelope era una ragazza corvonero particolarmente brava a scuola, tanto che alla fine della scorso anno era la migliore in quasi tutte le materie, era amica di Annie e di Steven anche se lui tendeva a tenerla a distanza, trattandola più come una risorsa che come un’amica.

Il treno procedeva spedito tra la campagna inglese, superando colline, oltrepassando gallerie e attraversando fiumi, mentre i i ragazzi grifondoro continuavano a parlare.

“E tra voi due?” chiese Pam con sguardo curioso e tono indagatore.

“Tra me e chi?” chiese Steven confuso.

“Trixie, chi secondo te?” si intromise Andrej.

“Non stavi dormendo tu?” gli disse Pam.

“Se abbassassi quel tuo starnazzare forse potrei riposare” Pam lo colpì con uno schiaffo sul callo che risuonò forte in tutta la cabina, prima di spostare lo sguardo nuovamente su Steven.

Lui fissò Annie che dormiva sulla sua spalla e rispose: “Cosa volete che vi dica...va avanti”

“E’ sempre un piacere parlare con te, grazie dei dettagli. Cambiando argomento chi sono i prefetti per quest’anno?” chiese quindi lei.

“Alvaro per Grifondoro sicuramente e mi sembra Eris Keats per Tassorosso” il suo corpo ebbe un tremito quando pronunciò quel nome.

“Eris Keats!” esclamò con forza Andrej “Quegli occhi violacei”

“Le labbra sinuose” aggiunse Steven.

“I capelli dorati”

“E un gran bel paio...”

“Non andate oltre...è un ordine” disse loro Pam con rabbia.

“Ehm...comunque” disse quindi Andrej, spaventato dal tono dell’amica “Per Corvonero dovrebbe essere Thomas”

“Quel pallone gonfiato” disse quindi Steven gettando uno sguardo sprezzante fuori dal finestrino.

Steven odiava Thomas, lo odiava dal primo giorno che lo aveva conosciuto e i due erano sin da subito diventati nemici e rivali per l’unico obiettivo che li avvicinava, le ragazze. Thomas era il più bello, il più ricco e non faceva altro che sottolinearlo in tutto quello che faceva, il più amato tra le ragazze e persino il più abile giovane mago della scuola, tutto quello che Steven non era, o almeno non era al suo livello.

La sua rabbia era data sopratutto dal fatto che lui fosse il preferito di tutto il genere femminile ad Hogwarts non solo per la sua bellezza, ma anche per i suoi modi sempre cordiali e cavallereschi che Steven sapeva fossero una maschera, visto che di cordiale aveva solo le scarpe e l’unico suo obiettivo era quello di aggiungere più ragazze possibili alla sua collezione e magari rubare a Steven la sua amata di un particolare periodo, togliendosi la soddisfazione di averlo umiliato.

“Toccato un tasto dolente?” esclamò Pam sorridendo maliziosamente. “Thomas Shelley prefetto, sarà quindi vicino vicino con la bella Eris, e Dio non voglia che i due si mettano insieme, sarebbero davvero perfetti”

“Mai!” urlò Steven alzandosi di scatto e facendo sbattere a Annie la testa sul cuscino del sedile, svegliandola. Pam e Andrej scoppiarono a ridere, mentre Annie si rialzava frastornata e il treno continuava a sfrecciare, mentre il sole calava e la campagna si tramutava sempre più in collina boschiva, accompagnandoli al loro quinto anno ad Hogwarts, un anno che sarebbe stato solo l’inizio della loro avventura.

 

Le sue gambe si muovevano veloci tra gli arbusti e tra i bassi cespugli del bosco, cercando in tutti i modi di uscirne il più presto possibile. Il suo passo si trasformò velocemente in una corsa isterica quando sentì un ululato in lontananza e dopo aver emesso un urletto moto poco virile superò un piccolo torrente andando a sbattere contro un albero e finendo con la schiena dentro l’acqua.

Dopo aver gettato qualche bestemmia e alcune imprecazioni ad alta voce, insultando la natura e le sue creature, si alzò cercando di strizzare il mantello e constatò con rabbia e terrore che tutto il percorso che aveva fatto nelle ultime ore era stato inutile, visto che era tornato al torrente a cui si era abbeverato al tramonto.

Ora era notte inoltrata e la luna bianca e piena splendeva sopra la sua testa. Non aveva controllato le calende lunari prima di partire, ma non si aspettava certo che sarebbe rimasto nella foresta per tutto quel tempo. Era due giorni ormai che vagava nei boschi senza riuscire a trovare una via di uscita e nemmeno i segnali di richiesta di aiuto avevano funzionato, non aveva idea di dove fosse e la cosa lo terrorizzava, i boschi ungheresi non erano certo famosi per la loro ospitalità e anzi, al contrario, erano famosi per essere la meta di famosi lupi mannari erranti durante le notti di luna piena.

Oswald, riempì per la quinta volta la stessa borraccia dallo stesso torrente e continuo, con la bacchetta in pugno il suo percorso, questa volta andando verso un ipotetico sud, diverso dal sud scelto la volta prima. Non sapeva se i lupi fossero attirati dalla luce della sua bacchetta, ma la teneva comunque accesa perché altrimenti avrebbe rischiato l’infarto ad ogni rumore.

Un altro ululato lo fece trasalire e ancora una volta si mise a correre non accorgendosi che il terreno finiva in un precipizio e facendo un volo di due metri. Cadde rovinosamente a terra con la caviglia dolorante, mentre continuava a sentire ululati alle sue spalle, farsi sempre più vicini. Si mise nuovamente in posizione eretta, ma sentì un terribile dolore alla caviglia che lo costrinse a rimettersi seduto.

Fu in quel momento che avvertì uno strano rumore.

Era come un tamburo, che lentamente continuava a bussare e pulsare in lontananza. Oswald, nonostante la caviglia, probabilmente rotta, si rialzò e iniziò a camminare lentamente e con fatica verso il rumore, quasi attirato dal suono tambureggiante che si faceva sempre più forte. Superò un gruppo di alberi, mentre il suono si faceva più vicino fino a quando non toccò con il piede dolorante qualcosa di duro.

Una bestemmia uscì con un sussurro dalla sua bocca, si abbassò e con la punta della bacchetta fece luce, trovando un piccolo bauletto di legno che a quanto sembrava era la fonte di tutto quel rumore. Non appena lo toccò i battiti si fecero violenti tanto che sembrava che lui stesso stesse suonando un enorme timpano, ormai spinto da una curiosità insaziabile aprì il bauletto che all’improvviso gli sfuggì dalle mani con forza facendolo cadere a terra sul fondo-schiena.

Da bauletto di legno uscì quindi un fumo nero e denso che iniziò a roteare su sé stesso, iniziando a formare sempre di più quella che sembrava una figura umana. Oswald puntò velocemente la bacchetta sulla figura che ora aveva assunto l’aspetto di una donna in carne ed ossa.

Non era particolarmente alta, aveva i capelli folti e neri, spettinati, gli occhi rosso scuro, la pelle molto pallida e indossava un lungo abito verdognolo talmente antico che sembrava uscita da un’altra epoca.

“Puoi abbassare quella cosa, o devo levartela con la forza?” le disse la donna e lui subito spense la bacchetta, mentre le sue mani e le sue gambe tremavano dalla paura. “Non puoi immaginare, cosa debba essere stare in questo orribile pezzo di legno, scomodo e senza nemmeno un cuscino” continuò lei e Oswald poté sentire il bauletto venire distrutto dal suo piede.

“Comunque ti ringrazio, non sai per quanto ho aspettato un inetto che si addentrasse in questa foresta. Con tutta la fatica che facevo per fare rumore”

“Ehm ehm. Beh, mi sono perso qui dentro...ecco…forse lei potrebbe aiutarmi ad uscire” disse quindi lui, estremamente impaurito dalla situazione.

“Tranquillo piccolo, la mamma è qui per riportarti a casa. Questa foresta è stregata, è impossibile uscire se si entra al suo interno. Hai avuto però la fortuna di liberare Elspeth Karolyi, non capita a chiunque, la maggior parte di voi viene mangiata”

“Mangiata da cosa?”

Un ululato molto vicino si sentì e subito Oswald scattò in piedi per correre, finendo con la faccia a terra per via della caviglia dolorante. Si sentì un violento rumore di passi in corsa, poi un ringhio minaccioso e infine un “Avadakedravra!”.

Il lupo cadde a terra senza esprimere nemmeno un lamento, né un ululato, mentre sopra di lui si ergeva Elspeth con la bacchetta di Oswald nelle mani che ancora scintillava di verde.

“Sono veramente libera allora! Non credevo sarei potuto diventarlo di nuovo e tutto per colpa di quel biondino bastardo...Ehi!” disse lei prima di girarsi e rivolgersi ad Oswald che se l’era letteralmente fatta addosso dalla paura ed era rimasto pietrificato. “Sai dirmi per caso dove posso trovare quello stronzo infame di Gellert Grindelwald?”

“Grindelwald? Ma…credo sia morto...bah lo presumo almeno”

“Che significa? E chi l’avrebbe ucciso sentiamo? Quel buono a nulla di Stormfront? Uno dei pagliacci dell’Oblansk?”

Oswald si limitò a fissare i suoi occhi rossi che si vedevano al buio con un espressione a metà tra il terrorizzato e il confuso. “Ma tu sai di essere al mondo per caso? Non sai chi sono io? Non hai paura di me?” chiese lei quasi stizzita e sicuramente arrabbiata.

“Veramente non l’ho mai sentita nominare...ma ho molta paura di lei comunque”

“Come? Io sono la vampira più famosa d’Ungheria, la persona più ricercata dell’Est Europa dal 1814 al 1896, non puoi non conoscermi!”

“1896...Ma siamo nel 2006”

Le palpebre di lei si chiusero due volte e la ragazza rimase in silenzio per un buon minuto intero.

“Mi aiuta a uscire dalla foresta adesso?” chiese quindi Oswald.

“Quel bastardo e il suo bauletto di merda...Sì, tra poco ti faccio uscire da qui, ti sono grata per avermi liberata. Perché eri nella foresta, tra l’altro?” disse quindi lei con il tono che si era fatto stranamente rilassato.

Lui deglutì violentemente, poi rispose: “Beh...ecco...Girava voce che ci fosse un oggetto magico molto potente nella foresta, speravo di poterlo trovare, vorrei diventare un mago potente un giorno”

“L’hai trovato...credo. Bene, ti vorrei chiedere se, per caso, mi aiutassi appena usciti di qui, sai, sono passati un po’ di anni da quando metto piede nel mondo reale...mi servirebbe una guida. Anche se prima ti chiederei di aspettare un momento, vedi non bevo da molto e ho molta sete”
“Ah...ehm...sì. Non c’è problema.” replicò lui, prima di comprendere meglio le parole di Elspeth.

“Spero sia femmina” disse lei, mentre i suoi denti si conficcavano nel collo del mannaro appena morto.

 

 

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Capitolo 2
*** Una visita color lilla ***


Una visita color lilla

Gli occhi di Steven squadrarono uno per uno tutti gli insegnanti che sedevano dietro la grande tavolata sul fondo della Sala Grande.
Al centro riconobbe subito la professoressa McGrannit che avrebbe iniziato un altro anno ad Hogwarts come preside. Girava voce che questo sarebbe stato il suo ultimo anno, non che qualcuno conoscesse quanti anni avesse, ma era sicuramente prossima alla pensione e negli ultimi tre anni era invecchiata notevolmente. Nonostante ciò dimostrava ancora la stessa fermezza e sicurezza dei suoi primi anni come preside di Hogwarts, erano stati anni difficili, anni di ricostruzione, sacrifici e lavoro duro, ma grazie al suo impegno e alla sua costanza era riuscita da sola a risollevare la scuola che era tornata alla fama e allo splendore di dieci anni prima.
Alla sua destra sedeva il professor Indoh e osservandolo Steven non riuscì a trattenere una risata. Era alto poco più di un elfo domestico ed era universalmente riconosciuto in tutta la scuola come “La Rana” per via del suo aspetto grottesco che ricordava il muso di un rospo.
Non era diventato una leggenda nella scuola solo grazie alle sue fattezze comiche, ma sopratutto per il suo carattere e temperamento completamente incontrollabili. Nessuno sapeva come si sarebbe comportato il professore in una lezione, egli cambiava totalmente atteggiamento ogni giorno e non avevano ancora capito per quale motivo avesse un temperamento così instabile, che passava dal tranquillo e pacato, passando per uno stato avvilito e catatonico, fino ad arrivare ad una condizione simile a quella di un vulcano in eruzione.
L’aspetto, però, che lo rendeva celebre era però la sua completa ossessione per gli spiriti, entità che nessuno conosceva, nessuno vedeva e che nessuno poteva immaginare. Indoh vaneggiava in continuazione sulla presenza di spirito maligni e benigni che fossero che si aggiravano nella scuola che nessuno era in grado di vedere e che sembravano visioni allucinate dello stesso insegnante che scandivano con costanza le sue giornate.
Steven ricordò la lezione in cui era entrato una mosca in classe e Indoh era saltato sulla cattedra e aveva iniziato a suonare un tamburo con l’obiettivo di far allontanare un terribile spirito-bestia, con l’unico risultato di aver scatenato le risate tra il pubblico di studenti scioccati.
Il fatto che insegnasse difesa contro le arti oscure, poi, non aiutava certo l’apprendimento, troppo incostante e che non costringeva gli studenti a prepararsi per conto proprio nella maggior parte dei casi per recuperare la materia più importante in programma.
Gli occhi scuri di Steven si spostarono quindi verso sinistra e il purè che stava avidamente mangiando cadde come una cascata dalla sua bocca, spalancata in una espressione inebetita e quasi alienata.
Samantha Indoh era l’insegnante di pozioni, la più severa, fiera e vendicativa di tutto il personale insegnanti, quella che dava più compiti, quella con le verifiche più difficili, quella in grado di sospendere con un solo battito di ciglia e farti passare un anno infernale solo per il gusto di farlo, nonostante questo Steven la considerava l’essere più meraviglioso che gli fosse mai apparso allo sguardo, forse solo seconda ad Eris Keats.
Era la nipote del professore di difesa contro le arti oscure ed era molto giovane, tanto che insegnava da soli tre anni ad Hogwarts, dopo sette anni scolastici passati nell’anonimato per via del suo studio coatto e costante per la materia che sarebbe andata poi ad insegnare. Con l’insegnamento era però sbocciata sia nell’aspetto che nel carattere, trasformando un anatroccolo occhialuto e timido in un cigno carismatico severo e sensuale allo stesso tempo.
Tutti la odiavano, ma Steven la vedeva come un premio, una bellezza che non voleva considerare come irraggiungibile e che lo spingeva ad eccellere nella materia, l’unica che studiava e l’unica in cui aveva risultati soddisfacenti.
“Dio! Ma ti guardi quando mangi? Smetti di guardare quella iena e tirati insieme!” la voce di Pam squillò nelle sue orecchie e uno schiocco di dita raggiunse il suo orecchio riportandolo alla realtà. Steven scosse il capo come a volersi togliere l’immagine di Samantha dalla testa e si pulì la bocca e il mento ricoperti di purè.
Davanti a sé c’era Pam che lo guardava con rimprovero, mentre accanto a sé c’era Annie che rideva di gusto, mentre mangiava avidamente una fetta di arrosto, poco più in là, lungo la tavolata di Grifondoro, c’era Andrej che discuteva con Marcus Sanders, il battitore della squadra di Quidditch e accanto a loro il gruppo del settimo anno con Alvaro e Gillan Flower che erano particolarmente allegri.
Il suo sguardo si spostò verso il resto della Sala Grande il cui cielo rifletteva una notte senza nuvole e con stelle luminose. Dietro di sé cercò di raggiungere lo sguardo di Eris Keats di Tassorosso, ma era troppo lontana per incrociare i suoi occhi, in compenso incontrò lo sguardo di un’altra ragazza che riconobbe essere nella squadra di quidditch e alla quale distribuì un seducente occhiolino a cui lei rispose voltando lo sguardo, ma senza riuscire a trattenere il rossore sulle guance.
Si voltò quindi verso destra per vedere i Corvonero e i Serpeverde, ma all’improvviso le porte della sala si aprirono facendo voltare di scatto tutti gli studenti e tutti gli insegnati che sembravano impreparati. Steven si voltò verso di loro e vide la preside in piedi con sguardo severo e nervoso, mentre il resto del personale si guardava confuso e discorreva a bassa voce.
Anche tra gli studenti si alzò un silenzioso vociare che ricordava il suono di un mite sciame d’api. Annie alzò lo sguardo per osservare oltre quella selva di teste che cercava di capire cosa stesse succedendo, visto che tutti, nessuno escluso, sembravano confusi e non sembrava che fosse qualcosa di preparato.
“Ehi, che cosa c’è?” chiese Pam a bassa voce.
“E’ un uomo...oh...beh…che uomo” rispose Annie e nel suo tono si poteva leggere una strana nota di confusione, unita ad un improvviso rossore sulle guance.
A Steven non passò inosservato e subito abbassò la fidanzata che si era messa in ginocchio sulla panca, riponendola seduta e osservò la figura di un uomo alto e slanciato che incedeva fiero al centro della sala, come se niente fosse, come se nessuno fosse presente e lo stesso guardando, come se stesse passeggiando su una passerella d’alta moda.
Intorno a lui tutte le ragazze lo fissavano con occhi sgranati e bocche spalancati, mentre lentamente si avvicinava al tavolo degli insegnanti, alcune di loro reagivano con risolini imbarazzati, altre sembrava che avessero avuto un’apparizione spiritica.
Era un uomo di mezza età, ma sembrava molto più giovane dell’età che avesse, o almeno, non aveva segni di deperimento fisico, il suo volto era liscio e la mascella definita e squadrata non aveva un segno di barba, gli occhi erano sottili e azzurri e persino i capelli, biondi e luminosi, erano perfettamente pettinati in un ciuffo voluminoso, senza un segno di stempiatura e sbiancamento. Il fisico scolpito e sportivo era ricoperto da un completo lilla seguito da un mantello dello stesso colore.
Dietro di lui, appoggiate alla porta c’erano due figure che osservavano la stanza con occhi glaciali come a cercare di carpire ogni minimo movimento. La prima era una ragazza con i capelli biondi e lisci che le scendevano fino alle spalle che sembrava più affascinata dal soffitto che dalla scena, il secondo era invece un maschio, uguale in tutto e per tutto alla ragazza se non per il colore dei capelli, nero come le piume di un corvo, che masticava una cicca con gli occhi puntati sull’uomo in lilla.
“Buonasera. Cosa sono queste facce? Pensavo mi avreste aspettato almeno per la seconda portata. Pazienza, vorrà dire che per oggi starò a dieta...ahahahaha” disse l’uomo la cui voce era vellutata e maschile allo stesso tempo.
Si udì il rumore di una sedia che veniva spostata con forza e poi la voce della professoressa McGrannit risuonò forte dal fondo della sala. “Gilderoy Allock...che cosa la porta qui? Come può vedere è il primo giorno di scuola, non è permesso agli esterni di venire ad Hogwarts” disse lei con forza, guardando torvo l’uomo che continuava ad ostentare un sorriso seducente.
“Esterno? Ma io insegno difesa contro le arti oscure, qui, ad Hogwarts. Scusate il ritardo, ma il treno era già partito e ho dovuto arrangiarmi” replicò lui.
“No. Non credo proprio che lei insegni in questa scuola, non più almeno e le intimo, cordialmente, di andarsene. Non è il benvenuto”
“Come sarebbe non sono il benvenuto? Ehi! Io insegno in questa scuola, non intendo essere preso in giro. Io sono il grande e il magnifico Gilderoy Allockl’alchimista della meraviglia, il cacciatore di streghe, l’elegante duellante, il plasmatore del sublime romantico, il”
“Più grande impostore della storia del mondo magico”
A queste parole Gilderoy tacque e cambiò espressione mostrando un volto scandito dalla rabbia. L’uomo iniziò a camminare verso il tavolo degli insegnanti e subito il gigantesco professor Hagrid, guardiacaccia e insegnante di cura delle creature magiche, si mosse verso di lui.
“La preside le ha detto di andarsene” disse lui cercando di essere minaccioso, ma con un tono che non avrebbe spaventato una mosca.
All’improvviso però si sentì uno schiocco e il corpo di Hagrid cadde a terra come un mobile instabile, sollevando dei versi di paura di molti studenti e allarmando tutti gli insegnanti tra i quali Indoh che ora era in piedi sul tavolo con la bacchetta in mano.
Senza che nessuno li vedesse i due ragazzi che erano appoggiati alla porta avevano raggiunto Allock e avevano lanciato un incantesimo silenzioso contro il guardiacaccia.
“Allock! Che cosa pensa di fare!? Le do un’ultima occasione per andarsene o diventerà un affare non solo tra lei e questa scuola, ma anche del ministero della magia” disse la McGrannit con la bacchetta in pugno puntata alternativamente verso uno dei due accompagnatori di Gilderoy che avevano lo stesso sguardo spento e attento di prima.
“Mai” disse Allock e questa volta il sorriso gli ritornò sulle labbra. “Non si permetta, assolutamente, darmi dell’impostore, lei può pensare quello che vuole di me e può anche decidere di non darmi la cattedra che merito, ma non si permetta, mai più, ha capito? Perché io non sono quello che dice lei e la memoria è ben forte ora...so quello che sono e non voglio certo che questo dialogo diventi una guerriglia”
“E allora che cosa vuole?”
“Giustizia, per avermi lasciato solo e malato in un ospedale senza far nulla per farmi riprendere la cosa più cara che ho al mondo, me stesso, che si era perduto e che ora è tornato e merita rispetto”
“Non so cosa sta pensado, signor Allock, ma le ripeto che qui non stiamo giocando. Non so come abbia fatto ad entrare ad Hogwarts questa sera, ma non c’è posto per lei qui. Se vuole ne possiamo parlare, ma non qui, non ora e non in questo modo. Se ne vada, è l’ultimo avvertimento”
“Sì. Andiamo. La ringrazio per avermi concesso il suo tempo” disse lui con un inchino “Spero davvero che ci possa essere un accordo, ma non accetterò un trattamento simile di nuovo, è un avvertimento e non un consiglio. Buonaserata” rispose lui e senza battere ciglio, né scambiare uno sguardo si girò e così fecero i suoi accompagnatori, lasciando la Sala Grande.
All’improvviso Hagrid si sollevò con un forte sospiro, mugugnando parole senza senso, mentre nel vociare che era ripreso, Samantha e Indoh erano scesi per sincerarsi delle sue condizioni.
Anche la McGrannit si avvicinò al mezzo-gigante e disse qualcosa di impercettibile ad Indoh che uscì da una porta laterale con passo veloce, seguito da Samantha e Hagrid ancora intontito e sostenuto da alcuni studenti più grandi tra qui Alvaro che si era subito avvicinato alla scena.
Dal tavolo dei Corvonero proveniva il fracasso maggiore con le ragazze che continuavano a commentare riguardo quanto fosse bello Allock e i ragazzi che si interrogavano su chi fosse costui, dato che in pochi sembravano conoscerlo.
Una che sicuramente sapeva di cosa stessero parlando lui e la preside era Penelope, lei sapeva ogni cosa, ma con sguardo indifferente e spento si disinteressava del dibattito continuando a mangiare il dessert con calma.
Dal tavolo dei Serpeverde, invece, volavano per lo più risate e schiamazzi vari, sia per il professor Indoh, da sempre la loro vittima preferita per qualsiasi cosa in qualsiasi momento, sia per il tonfo di Hagrid che aveva scatenato l’ilarità dei presenti. Su tutti la voce di Aaron Sanders era sicuramente quella più rumorosa, segnata dal divertimento e dalla solita nota superiore con cui parlava ai compagni di casata.
“Grande, grosso ed è bastato un’occhiata da quella biondina per farlo cadere come un prosciutto e pensare che questi pupazzi dovrebbero proteggerci” disse lui e Trixie fece partire un piccolo applauso.
Era il fratello maggiore di Marcus di Grifondoro ed era uno dei più famosi personaggi della scuola, non per le amicizie che avesse o per le ragazze che lo frequentassero, ma semplicemente perché era ovunque, contro qualunque cosa e sempre rigorosamente fine a sé stesso. Era ormai al settimo anno e sentiva dentro di sé ancora di più la possibilità di essere un gradino sopra gli altri, sentiva che questo era l’anno buono per svoltare definitivamente la sua esistenza che nonostante fosse stata, fino ad ora, immersa nella vita di Hogwarts a 360 gradi non l’aveva soddisfatto granché. I l titolo di caposcuola era una possibilità concreta che non voleva lasciarsi sfuggire, né aveva le qualità, era uno dei migliori in gran parte delle materie, apprezzato dai professori e sempre pronto ad intervenire, e sopratutto era pronto a tutto per raggiungere quel traguardo.
Accanto a lui spiccavano alla vista i capelli rosei di Gienah Pheles che non sembrava condividere la piega che aveva preso la discussione e si limitava ad alzare gli occhi quando Trixie prendeva la parola.
“Forte il vostro professore eh, Grifomerda?” disse lei ad alta voce e, per sua fortuna, nessun professore la sentì, non era nuova ai radar delle sospensioni, ma la cosa, in questi quattro anni ad Hogwarts, non sembrava l’avesse mai allarmata.
“Se un giorno mi vedrete diventare una nullità come quei pagliacci, state pur certi che penserò da solo a porre fine alla mia esistenza” continuava Aaron fiero, in piedi e con il piede appoggiato alla panca, mentre i Serpeverde intorno a lui annuivano convinti e divertiti.
“Oh guarda chi arriva, little miss lecchina, chissà cosa ci dirà questo burattino” disse ancora, mentre si avvicinava al tavolo Diana Milligan, ragazza serpevere del terzo anno famosa in tutta la scuola per la sua splendida voce, ma poco apprezzata dai più perché era considerata come una delle preferite degli insegnanti, sopratutto per il suo carattere fin troppo amichevole verso di loro.
Questo fu troppo per Gienah che si alzò di scatto, fissando con sguardo omicida Aaron che non sembrava certo intimidito dalla ragazza. “Se odi così tanto questa scuola e le sue persone nessuno ti ha chiesto di restare e commentare ogni cosa che succede” gli disse lei con tono quasi di sfogo.
“Sei divertente e sei anche una blatta insignificante e io amo schiacciare le blatte” replicò lui leccandosi con soddisfazione le labbra.
Gienah si sentì il sangue ribollire nelle vene e sentì le sue membra mentre cercavano di trattenere il suo braccio destro dal colpirlo dritto sul volto. Gli voltò le spalle e non volle nemmeno sentire quello che le disse, si incamminò verso il posto dove si era seduta Diana e si mise accanto a lei.
Anche a Grifondoro la conversazione era vivace, nessuno riusciva a capire come reagire a questa scena inusuale e nessuno aveva mai visto la preside così alterata e allarmata nello stesso tempo. “Secondo voi chi diavolo era quello?” chiese Andrej divertito “Mai visto i professori così impreparati, uno spasso”
“Era un figo, mi basta per ora” intervenne Gillan con i suoi consueti capelli rosso accesi, lisci e tenuti insieme davanti da una fascia rosa.
“Ah ciao, Gillan! Non ti avevo vista, sei pronta per il Quidditch? Io non sto nella pelle, ho pensato per...” Pam non poté finire la frase che tutti erano inveiti contro di lei per fermarla dal parlare di quello sport, dato che non avrebbe più smesso.
“I suoi occhi erano così azzurri...” sospirò quindi Annie guardando il soffitto.
“Sono qui, lo sai vero?” le disse quindi Steven.
“Ma sei non fai altro che parlare delle tette di Eris, credi che io ne sia entusiasta?” replicò lei, ma capì subito di non aver ricevuto ascolto dato che lui si era già girato al tavolo dei Tassorosso con aria sognante.
Una forte pacca lo raggiunse alla schiena e fu costretto a rimettersi composto. All’improvviso la voce della preside si fece alta nella sala, richiamando all’ascolto gli studenti.
“Chiedo scusa per il piccolo disguido, è tutto risolto ora, possiamo finalmente dare il via a questo speciale anno scolastico e non ho detto la parola speciale invano” Molti ragazzi si guardarono incuriositi. “E’ arrivata una richiesta scritta del ministero qualche mese fa ed è stato deciso che Hogwarts ospiterà un evento senza precedenti che per via del recente presente non era stato possibile continuare. Per celebrare la fine dell’epoca buia del mondo magico e per inaugurare un nuovo periodo di pace e collaborazione, gli uffici della cooperazione internazionale magica e l’ufficio della sezione sportiva hanno organizzato, insieme ai rappresentati delle scuole il Torneo Tremaghi!”
Esclamazioni di meraviglia e stupore si levarono dai tavoli, dai Serpeverde si sollevò un ruggito quasi battagliero, guidato da Aaron Sanders, mentre nel resto dei tavoli regnava l’attenzione più di ogni altra cosa.
“Oddio! Non ci credo, un torneo tremaghi! Sarò in vita per vedere un Torneo Tremaghi, geniale” esclamò Gillan con la gioia che le usciva da tutti i pori.
“Io non so cosa sia” replicò Steven scettico.
“Cosa? E’...è...Semplicemente il massimo che possa capitare ad uno studente, il vincitore ottiene fama, gloria e il suo nome verrà ricordato negli anni avvenire, come Harry Potter, lui vinse il torneo a suo tempo”
Gli occhi di Steven si spalancarono i immaginò sé stesso immerso in una vasca termale con intorno decine di ragazze con Eris, Annie e Samantha che a turno lo nutrivano con acini d’uva e vino d’annata.
“Devo vincere” disse con tono spiritico.
La McGrannit continuò: “Forse tutti voi sanno di cosa si tratta, ma nessuno sa per certo che cosa comporti partecipare a questo torneo. Non è un gioco, vi trovate davanti ad una prova per cui solo i migliori di voi sono preparati e che possono sperare di superare, non è uno scherzo, chi partecipa non può sottrarsi e non può ritirarsi. Alcuni sono morti in questi giochi e non troppo tempo fa, ragazzi, è una cosa seria e spero che la prendiate come tale” Si fece un silenzio tombale. “Tra un mese esatto arriveranno le altre due scuole partecipanti, le compagini di Durmstrang e Bauxbatons con cui spero possiate condividere momenti irripetibili, il ministero tiene molto a questo aspetto, allora vi diremo in cosa consiste il torneo, ma prima ci tengo a precisare una cosa. Le lezioni continueranno e guardo sopratutto gli studenti del quinto anno che hanno gli esami. I GUFO ci saranno e con essi i MAGO per i ragazzi del settimo, so benissimo che ci saranno delle distrazioni in più, ma mi aspetto disciplina e maturità da parte vostra. Detto questo, vi auguro un anno felice e senza precedenti, buonanotte ragazzi, i ragazzi del primo anno aspettino i prefetti per essere accompagnati nei dormitori”
Alvaro comparve quasi dal nulla tra loro e subito fece segno ai ragazzi del primo anno di seguirlo, accanto a loro sembrava un padre con i suoi figli da tanto fosse più alto, il suo profilo scuro si perse dietro la porta, seguito dagli altri prefetti.
Steven incrociò lo sguardo di Thomas di Corvonero che lo fissò con il suo solito sorriso infame e sarcastico. Davanti a sé c’era il gruppo di Tassorosso e dopo aver indicato Eris disse con un labiale molto pronunciato “E’ mia”, cosa a cui Steven rispose con un dito medio.
Proprio in quel momento gli passarono sotto il naso i capelli rosa di Gienah Pheles di Serpeverde, ragazza con cui certo non aveva un rapporto idilliaco.
“Ah. Ciao Steven, non ti avevo visto, tutto bene?” gli chiese lei, sorprendendo Steven che non le aveva più parlato da quando ci aveva provato con lei in maniera fin troppo brusca due anni prima, ottenendo solo una furiosa reazione come risposta e un busto senza ossa.
Allora non aveva la tinta rosa né il piercing sul labbro, ma doveva ammettere che era cresciuta davvero bene, si biasimò leggermente.
“Io...beh...io sto bene, tu?” replicò lui non trovando molto da dirle.
“Si ricomincia un nuovo anno, sono felice e...” ma non fece in tempo a finire la frase che si bloccò di scatto quando i due vennero raggiunti da Andrej.
“Dai andiamo alla torre, Harry mi ha portato la roba che mi aveva promesso, festeggiamo un po’...oh. Ehi, ciao...tu”
“Ciao...ehm...beh, vi lascio allora, avete certo di meglio da cui discutere, buonanotte” disse lei e si girò velocemente scomparendo nella scala che conduceva al dormitorio dei Serpeverde.
Salirono le varie rampe di scale che portavano alla torre fino a quando si trovarono davanti un quadro di una signora grasse e vestita di un pomposo abito che sottolineava ancora di più la sua stazza mastodontica.
“Parola d’ordine?” chiese la donna con una voce pacata e stanca.
“Senti questa...Corvomerda” disse con enfasi Andrej “L’ha scelta Alvaro dopo che quelle fighette hanno vinto la coppa delle case”
Il quadro aprì un passaggio nel muro e i due entrarono nell’unica sezione del castello che era finalmente loro.
“A proposito...hai intenzione di partecipare?” chiese Andrej.
“Non lo so, ci devo pensare. Non sarebbe male però, pensa a quante ragazze, una cascata di femmine tutte ai tuoi piedi e non ti ho detto tutto...gloria, onore...” rispose Steven.
Davanti a loro i ragazzi più grandi erano pronti a fare baldoria fino a tardi, sfruttando le serate in cui la scuola non era ancora entrata nel vivo.
Annie gli corse incontro e buttò le mani al collo di Steven abbracciandolo.
“Che hai? Burrobirra?” chiese lui, sorpreso dal comportamento della ragazza, sempre fin troppo educato e quasi mai fuori luogo e che fece allontanare l’amico che gli gettò un occhiata divertita. “No, volevo solo abbracciarti” rispose lei guardandolo negli occhi “Volevo iniziare l’anno con un bacio, non voglio essere arrabbiata con te, dopotutto, che ci piaccia oppure no, abbiamo iniziato insieme no?”
I due si scambiarono un bacio dolce e lento fino a quando una scatola di popcorn non raggiunse le loro facce intrecciate e non li coprisse di cibo.
“Anche io vi voglio bene, ora venite, mi chiedo sempre come faccia quel matto di McLaughin a portare questa roba nelle mura di Hogwarts” esclamò Alvaro guardando dentro la busta che portava Andrej.
“Andiamo via da qui, però, non tutti i personaggi dei quadri sono dalla nostra parte, ci sono delle spie” aggiunse Andrej.
Steven e Annie li raggiunsero e insieme si incamminarono lungo la strada per i dormitoi con un unico argomento che viaggiava nei loro pensieri e arricchiva le loro discussioni, il torneo tremaghi che aveva messo nell’ombra persino quanto successo poco prima e quel Gilderoy Allock apparso dal nulla e andatosene senza dare spiegazioni.


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Capitolo 3
*** Le Colombe Rosse ***


Le Colombe Rosse


Dei passi si muovevano rapidi e veloci lungo la strada, calpestando le pozzanghere che avevano tappezzato la via.
Una figura scura e rapida si nascose per qualche secondo dietro una macchina parcheggiata, poi, si sentì un sottile e delicato fischio e da una stradina laterale uscirono un gruppo di uomini che si posizionarono ai lati di una porta in legno nero.
L’atmosfera notturna era spettrale, la cittadina era completamente in silenzio e solo il frusciare del vento sulle fronde dei pochi alberi faceva loro compagnia. Il cielo era coperto da una fitta coltre di nuvole grige e prometteva pioggia, la stessa che cadeva da settimane, non permettendo alla Gran Bretagna, nemmeno un raggio di sole.
La stessa persona che si era prima nascosta dietro l’automobile si alzò con calma, sistemando il vestito umido con una nota di disapprovazione e iniziò a camminare verso la porta, presidiata dai suoi compagni che le facevano segno con la mano di avvicinarsi.
“Lumus” esclamò uno di loro e i loro volti vennero illuminati, facendo chiudere a tutti gli occhi per il contrasto di luce. La ragazza si tolse il cappuccio, mostrando il suo volto giovane e attraente se non per una profonda e larga cicatrice che dall’occhio sinistro le percorreva tutta la guancia. Teneva i capelli neri corti, con una pettinatura maschile, gli occhi erano marroni, alla luce sembravano quasi arancioni e osservavano con insistenza il citofono mentre cercava con la manica di pulirlo per leggere il nome che riportava.
“Sicura che siamo nel posto giusto? Non vorrei essere venuto qui per nulla” disse una voce maschile non particolarmente grave.
“Trattieniti Geoffrey, il gallo ha cantato ed è stato fin troppo preciso, il posto è questo” rispose lei, osservando il nome con un’espressione soddisfatta.
“E’ da un po’ che non sgranchisco la mia bacchetta e devo dire che la tua ferita è cicatrizzata veramente bene, sembri un quadro di arte moderna” disse Geoffrey sorridendo, mentre la compagna non fece altro che voltarsi, gelandolo con lo sguardo.
“Sempre di arte si tratta” intervenne una terza voce, questa volta molto grave e maschile. Alle loro bacchette illuminate si aggiunse quella di un uomo alto e calvo con gli occhi azzurri glaciali e un profilo squadrato.
“Dici che sa che siamo qui, Katie?” chiese quindi lui, guardandosi attorno con i suoi occhi che sembravano poter scalfire l’oscurità autunnale che si stava impossessando della campagna e delle città inglesi.
La ragazza estrasse la bacchetta, mentre con gli occhi chiusi pronunciava delle formule a bassa voce.
“Ah, al diavolo, queste manfrine!” esclamò Geoffrey impaziente, muovendosi per aprire la porta con la forza, ma la sua mano venne fermata dalla mano di Katie che ancora una volta gli gettò uno sguardo omicida. Questa volta il ragazzo che aveva i capelli di un biondo scuro e gli occhi di un azzurro così scuro che pareva blu, si allontanò dalla porta nervoso, ma consapevole che non ci sarebbe stato un terzo richiamo.
“E’ stregata vero?” chiese quindi il terzo uomo.
“Sì, Joseph, sicuramente magia avanzata, non so quanto possa essere pericoloso, ma è la nostra unica occasione, o lo facciamo adesso, o forse non lo troveremo mai più, dobbiamo rischiare” rispose lei, mentre osservava con rabbia la porta che nessuno aveva ancora osato toccare.
C’era un feroce clima di tensione, mentre Katie pronunciava per la terza volta incantesimi contro la magia oscura e incantesimi di protezione, alcuni del gruppo erano attenti e nascosti lungo tutta la via, pronti ad intervenire al minimo segnale, pronti a schiantare o, alla peggio, eliminare chiunque fosse stato visto avvicinarsi o uscire dalla casa che rappresentava il prossimo obiettivo delle Colombe Rosse. Katie stava sudando, tanto che fece cenno a Joseph di toglierle il cappotto nero, mostrando la camicia rossa e bianca, simbolo del suo gruppo.
Geoffrey osservava la scena annoiato, appoggiato di peso contro il muro dell’edificio, mentre la compagna avvicinava lentamente la mano al pomello. I loro mantelli vennero scossi da una folata di vento che trasportava alcuni fogli di carta volanti. Geoffrey ne raccolse uno e iniziò a leggere che cosa ci fosse scritto.
Era una pagina della Gazzetta del Profeta che portava il discorso che Tristan aveva fatto il giorno prima davanti all’intero Wizengamot, durante una delle tante riunioni degli ultimi tempi.
“Io non servirò un ministro che non è stato eletto e che pretende di essere ascoltato da maghi e streghe che hanno pregato...” La sua lettura venne bruscamente interrotta dall’urlo acuto di Katie che fece saltare in aria dalla paura tutti i presenti, Geoffrey compreso, che lasciò andare il giornale al movimento violento del vento.
“Silentium” esclamò Joseph e quello che sarebbe diventato un pianto disperato rimase un piccolo stridore che si perse nella notte.
La ragazza si contorceva dal dolore tenendosi la mano, ma dalla sua bocca spalancata non fuoriusciva alcuna voce. L’uomo non solo ebbe la prontezza di riflessi per fermare l’urlo, che avrebbe svegliato l’intero quartiere, ma, velocemente, roteò la bacchetta verso l’arto di lei ed esclamò: “Aguamenti!”
Dalla sua bacchetta fuoriuscì un turbine leggero di acqua che impattò sulla mano di lei. Il contatto generò un’alta dose di vapore che iniziò a salire nell’aria, perdendosi nell’atmosfera. Il viso di Katie, rigato da lacrime voluminose e continue si rilassò piano piano, mentre la sua bocca riassumeva una forma naturale, emettendo forti respiri.
“Nuncupo” esclamò quindi Joseph e con un sospiro di paura e fatica allo stesso tempo Katie ritornò tra loro con la voce, mentre ancora si teneva la mano con forza, continuando a piangere.
Era rossa e stava lentamente diventando sempre più scura, mentre la ragazza continuava a soffrire, ma si sforzava di non aprire bocca, anche se il dolore era terribile, come se avesse inavvertitamente messo la mano nelle fiamme e le avessero provocato una brutta ustione.
“La porta è stregata con un incantesimo antico, non lo conosco e non sono in grado di renderlo inefficace” disse quindi Joseph, mentre la ragazza cominciava di nuovo a piangere, guardando alternativamente lui e la porta con occhi pieni di dolore.
“Ci conviene tornare...” iniziò a dire lui, ma venne fermato dalla voce di Geoffrey che con sguardo soddisfatto osservava Katie divertito.
“No, non sono venuto qui per giocare a dolcetto o scherzetto e, per quanto sia stato esilarante vederti piangere come una bambina, non è il genere di intrattenimento che mi soddisfa a pieno”
“La tua compagna ha probabilmente un ustione e va portata in ospedale al più presto, siamo venuti qui, eravamo impreparati e abbiamo fallito, non voglio rischiare la sua salute un’altra volta” replicò quindi lui sovrastando il ragazzo che lo guardava felice dal basso verso l’alto.
“Beh il fegato non ti manca...” disse Geoffrey e prima che l’uomo potesse ribattere ecco che Katie intervenne.
“Joseph, lui ha ragione. Mhm...non possiamo fermarci ora, dobbiamo tentare”
“Andate al diavolo entrambi. Quando tornerai con una nuova cicatrice, ne riparleremo, non dirmi che non ti avevo avvisato” replicò lui con rabbia, scostandosi dalla porta e raggiungendo la coda del gruppo.
Geoffrey fissò con soddisfazione Katie che, nonostante il dolore e la paura, non aveva mutato verso di lui, il suo sguardo rabbioso e ricco di disprezzo.
“Posso?” chiese lui, imitando un tono gentile. Katie annuì e subito lui fece segno ai suoi uomini di spostarsi, mentre Joseph osservava con occhio critico da dietro.
“Bombarda!” esclamò lui con la bacchetta rivolta verso l’edificio. Una luce viola esplose dalla bacchetta un raggio che al contatto con la porta la disintegrò completamente, facendo esplodere pezzi di legno e cemento ovunque sulla strada, tanto che i presenti dovettero ripararsi per evitare che dei detriti potessero ferirli.
“Ehi Joseph! Ora sa che siamo qui, sei vuoi saperlo” disse quindi lui, in piedi davanti all’enorme buco che aveva lasciato nel muro, azione che probabilmente aveva svegliato tutto il vicinato, a breve i babbani non avrebbero tardato a raggiungerli, dovevano fare in in fretta e Geoffrey lo sapeva. Katie riprese in mano la bacchetta che le era caduta e con la mano non ferita pronunciò delle parole sottovoce e immediatamente il dolore svanì, lasciandole un senso di sollievo nel corpo che le diede nuovamente respiro. Non sarebbe durato a lungo, ma non voleva permettere che quel presuntuoso le togliesse la scena che si meritava. Si alzò di scatto e fece segno a tre dei loro compagni di seguirla insieme a Geoffrey dentro la casa, mentre Joseph, in mezzo alla strada aveva già pronunciato diversi incantesimi contro i babbani che aggiunti all’incantesimo anti-smaterializzazione non avrebbero permesso a nessuno di entrare o uscire, o almeno così pensavano.
La casa all’interno era quanto di più abbandonato e sciatto lei avesse mai visto, era stretta, sporca, inospitale e sopratutto non sembrava che qualcuno ci abitasse. Davanti a sé aveva una singola rampa di scale che portava ad un piano superiore, mentre alla sua destra due piccole porte, chiuse. Katie fece segno ai tre uomini che li avevano seguiti di controllare il pian terreno, mentre lei e Geoffrey iniziarono a salire le scale che ad ogni passo scricchiolavano con forza, minacciando ad ogni gradino il cedimento. I due arrivarono velocemente al piano di sopra che consisteva in una sola grande stanza che occupava tutta la superficie di base della casa. I mobili erano sparsi per terra, disseminati come se qualcuno li avesse voluti distruggere, il pavimento era pieno di macchie di muffa e oggetti rotti. Katie con la bacchetta in pugno nella mancina iniziò a muoversi con cautela nella stanza, osservando ogni dettaglio che potesse cogliere la sua attenzione. Sulla destra c’era un divano squarciato dal quale fuoriusciva imbottitura come fosse sangue, accanto ad esso un lettore di vinili pieno di muffa, la scritta del disco era illeggibile e una crepa lo percorreva per tutto il suo diametro. Sulla parete opposta c’erano segni neri sul muro, mentre la carta da parati era strappata in più punti, appoggiata ad essa c’era una scrivania che sembrava l’unica cosa che la distruzione non avesse toccato. La terza parete era anch’essa in stato di degrado con l’armadio sventrato dal quale uscivano vestiti che emettevano un forte odore di muffa e il letto le cui lenzuola sembravano ricolme di sangue anche se forse era solo una spettrale impressione.
Katie si avvicinò alla scrivania, linda e pulita che aveva su di essa solo un quaderno, una fotografia i cui bordi cominciavano a smussarsi e un casco, costruito di un metallo luminoso che lei non aveva mai visto. Prese tra le mani la foto pallida e sgualcita, sporcata da macchie marroni e vide che vi erano presenti un uomo e una donna, entrambi sorridenti che si abbracciavano, mentre guardavano l’obiettivo. Katie ebbe un triste e brutto presentimento, mentre un brivido le percorreva la spina dorsale che la spinse a rimettere sulla scrivania la foto.
“Finite incantatem” disse Geoffrey, ma il suo incantesimo non ricevette risposta.
“Qualcosa non va, è ancora qui, quello schifoso mangiamorte è ancora qui” replicò quindi Katie, mentre i suoi occhi correvano veloci per tutta la stanza.
“Signorina Bell, non abbiamo trovato traccia di Hawkmoth al pian terreno” disse una voce dalla base della scala.
“Non è lì” rispose lei, sapeva che si trovava nella stanza al piano di sopra, sentiva che si trovava lì, come se percepisse una certa aura di presenza, non voleva certo lasciare quella casa a mani vuote.
All’improvviso però si sentì un rumore come di sparo, poi delle luci come ad intermittenza volteggiarono tra gli anfratti della casa, condite da gemiti e parole di battaglia, qualcosa stava succedendo in strada.
Geoffrey aprì velocemente una delle finestre polverose della stanza e osservò con sgomento che qualcuno li aveva seguiti e stava intrecciando battaglia contro i loro uomini. Notò Joseph al centro della lotta, intrecciare la bacchetta con una figura scura e slanciata che si muoveva come a passo di danza tra gli incantesimi dell’uomo di ghiaccio.
“Sono loro, che meraviglia!” urlò lui e si scaraventò giù dalla tromba delle scale, pronto a prendere parte alla lotta e magari togliersi la soddisfazione di aver ammazzato qualche Auror. Katie si sporse quindi alla finestra fino a quando una fattura non raggiunse l’anta distruggendola e costringendola a rientrare.
Era combattuta dall’idea di rimanere nella stanza e aspettare che la sua preda uscisse fuori o scendere e dare man forte ai suoi compagni che sembravano in grande difficoltà, a quanto pare, gli Auror del ministero gli avevano scoperti e cosa ancora più grave, forse sarebbero stati persino catturati.
Guardò un’ultima volta la foto sulla scrivania, poi, con uno sguardo quasi di rabbia, si gettò al piano di sotto pronta a dare una mano. Uscì in strada, scavalcando un suo compagno schiantato e si ritrovò al centro della lotta, proprio mentre una auror dai capelli castano chiaro aveva appena messo al tappeto uno dei suoi.
Gli occhi scuri della giovane donna si intrecciarono con i suoi e sui loro volti si mostrò un’espressione confusa e atterrita allo stesso tempo, erano state compagne di scuola e il suo nome era Hermione Granger.


I gufi delle specie più disparate si riversarono dalle finestre sopraelevate nella sala grandi, con i becchi pieni di lettere e pacchetti, inaugurando nello stesso momento la prima giornata di posta e la prima colazione ad Hogwarts per questo nuovo anno.
“Wow! Oh mio dio! Mamma mia che meraviglia!” esclamò con forza Pam sollevando una maglietta rossa, abbracciandola come fosse un orsetto di peluche.
“Che cos’è, Pam?” chiese Annie, curiosa.
“Rifatti gli occhi, sorella…oh mio dio sto per mettermi a piangere” rispose lei mentre gli occhi spalancati fissavano la maglietta che aveva tra le mani, quella della sua squadra del cuore di Quidditch, l’Arsenal. Sul retro di essa brillava con lettere bianche il nome Krum e sotto di esso il numero sette, mentre Pam non sembrava calmarsi e come in preda ad un raptus si alzò dal suo posto per andare a mostrarla a tutti i membri della squadra di Grifondoro.
Il primo fu Steven che non appena venne raggiunto dall’abbraccio violento di Pam per poco non rigurgitò i biscotti, mentre davanti a lui Andrej continuava a fissare l’amica con occhi di brace, dato che il vicino tavolo dei tassorosso aveva cominciato a osservarla con tono divertito.
“Pam! Pam! Mollami il collo, non respiro!” provò ad esclamare lui, ma la sua amica non lo ascoltava e continuava a parlare in uno stato estatico.
“E’ soltanto uno sport, diamine!” disse Andrej, lasciando le parole di Pam, strozzate nella sua gola.
“Come?” chiese lei fissandolo storto e lasciando la presa su Steven che prese fiato.
“Dico che è solo uno sport e potresti evitare di renderci ridicoli sin dal primo giorno, sei snervante” rispose lui pacato.
“Mai insultare il quidditch davanti a me e mai dirmi che sono snervante davanti a me!” sbottò lei e fece per avvicinarsi a lui per colpirlo, ma venne sollevata di peso da Alvaro che senza il minimo sforzò se la sistemò con la pancia sulla propria spalla, portandosela con sé e scatenando le risate della tavolata.
“E il boccino d’oro viene preso da Alvaro Orozco, Grifondoro vince la coppa del Quidditch, la folla è in delirio” disse lui correndo sul posto e imitando il tono e la voce del commentatore del campionato inglese di Quidditch Lee Jordan.
Pam intanto cercava di divincolarsi, ma non riusciva a trattenere le risate, dopotutto, erano l’unica famiglia che aveva, erano i suoi migliori amici. Le braccia scure di Alvaro la posarono davanti a Annie che rideva di gusto e lei rimise la maglietta nel pacchetto che le aveva spedito sua nonna e ancora una volta non aveva ricevuto nessuna lettera da suo padre.
Intanto al tavolo di Serpeverde c’era un atmosfera molto più silenziosa, un po’ per il sonno che aveva colpito tutti i presenti, un po’ perché Aaron Sanders non era ancora arrivato, era sempre il primo a svegliarsi e l’ultimo ad arrivare e sopratutto quando c’era una conversazione da iniziare lui era sempre in prima linea a molti lo vedevano come una guida oltre che come un compagno, dopotutto era il suo ultimo anno e quella mattina avrebbe saputo se sarebbe stato davvero il caposcuola maschio per quest’anno di Hogwarts.
Gienah Pheles aprì con pigrizia la lettera spoglia che aveva tra le mani, ma subito notò che sulla copertina non c’erano né sigillo, né intestazione. Si insospettì e dopo aver brevemente notato che non fosse oggetto di occhiate troppo invadenti aprì la busta.

Cara Gienah,
sono papà, ti scrivo per dirti di non preoccuparti per quello che leggerai sui giornali, io e tua madre stiamo bene e siamo al sicuro.
Non innervosirti e non trarre conclusioni affrettate, devi sapere che stiamo bene e desideriamo solo che tu possa passare bene quest’anno ad Hogwarts, non farti turbare dalla Gazzetta.
Non posso scrivere molto, ma voglio dirti che ti vogliamo bene e che ti aspettiamo per le vacanze di Natale, ti dirò io dove le passeremo, io e Aria non abbiamo ancora deciso.
Nel frattempo spero tu possa divertirti e stare serena, stiamo bene e l’unica nostra preoccupazione sei tu, non dimenticarlo,
a presto
Papà.

P.S. ti spedisco anche le carte che avevi chiesto per il compleanno, divertiti.

I suoi occhi erano fermi sulla carta riempita di scritte veloci e quasi illeggibili, come se suo padre stesse scrivendo la lettera mentre era in fuga da qualcuno e qualcosa. Il cuore le batteva feroce nel petto e il stava iniziando a respirare affannosamente. Accanto a sé Diana Milligan stava parlando ad alta voce con Eric, che sembrava disinteressato, di quanto fossero state belle le sue vacanze, prima a Parigi con suo fratello, poi ai Caraibi con tutta la famiglia ecc…
Con uno scatto prese dal fagotto dell’amica il giornale che non era ancora stato aperto e iniziò a osservare con paura e attenzione quasi ossessiva la pagina che riportava un articolo riguardante il ministero della magia. Intorno a sé notò che anche altri ragazzi stavano leggendo con attenzione le pagine, molti rapiti da essi, altri preoccupati, altri ancora divertiti. In breve tempo la voce si sparse e tutti stavano leggendo i giornali disponibili.

Le piume della colomba si diffondono

Ancora attacchi alle residenze e ai nascondigli di importanti maghi oscuri da parte del noto gruppo terroristico della Colomba Rossa, ieri in un attacco congiunto due squadre sono penetrate nella nota residenza Morris nella periferia di Manchester e nel piccolo borgo di Whitby, con l’obiettivo di continuare quella che è stata già definita come la caccia al mangiamorte. Sappiamo bene che tutti i noti seguaci del signore oscuro sono ben che rinchiusi ad Azkaban, ma a quanto pare qualcuno la pensa diversamente e sono sempre più frequenti gli attacchi e le sparizioni tra i membri delle più famose ed estremiste famiglie purosangue che fossero o no dalla parte di voi sapete chi al tempo della seconda guerra magica. A quanto pare i coniugi Morris sono stati costretti alla fuga e non è ancora possibile sapere cosa sia successo nell’attacco alla residenza dato che le informazioni che abbiamo potuto reperire al ministero sono insufficienti. Nessun corpo però è stato trovato ed è quindi plausibile pensare che i Morris siano ancora vivi, mentre le squadre di auror dell’ufficio sparizioni sono già alla loro ricerca e alla ricerca di chi ha aggredito la loro proprietà. Molto più singolare, invece, quanto accaduto a Whitby, dove una casa abbandonata è stata sventrata e distrutta quasi interamente dalle Colombe Rosse. L’identità della persona o delle persone che erano andate a cercare è ancora sconosciuta e si pensa che il gruppo abbia commesso un errore, visto che nessuno è stato trovato dagli Auror accorsi sul posto con prontezza che hanno persino combattuto contro alcuni di loro, riuscendo anche a catturare dei membri dell’organizzazione. Siamo riusciti anche a strappare una dichiarazione a Hermione Granger, braccio destro del ministro Shacklebolt accorsa sul posto, insieme agli altri Auror e protagonista dello scontro. “Chiunque stia dietro queste persone deve essere scoperta e fermata e dovrebbe smetterla di nascondersi, magari smettendo questa farsa politica. Si sta iniziando a versare del sangue nella nostra nazione, di nuovo, sperando che quello delle persone scomparse scorra ancor saldo nelle loro vene. Oggi sette auror sono stati feriti e poteva accaderci di peggio, la Colomba Rossa non vuole la pace, non cerca di combattere per i diritti dei maghi e la scusa dell’attacco ai maghi purosangue non deve annebbiare la nostra mente. Si sta parlando di aggressioni e la violenza non deve più avere spazio nel nostro ministero” L’Auror sembrava indicare e puntare il dito contro Tristan Coleridge, Auror e responsabile per la cooperazione internazionale nella sezione apposita del ministero, allineato al pensiero delle Colombe Rosse e che molti additano come possibile leader del gruppo. Egli ha ribadito così: “Di solito non mi intrometto per smentire parole di qualcuno che fa parte di un ministero che non è stato eletto da nessuno e governa senza autorità né legittimità, ma mi trovo a ripetere di nuovo che c’è una differenza tra chiedere controlli e restrizioni ai maghi purosangue, alcuni dei quali recentemente rilasciati in seguito alla legge suicida proposta dal ministro, e ordinare il loro sterminio. L’unica cosa che mi sento di dire è che quando si agisce in un certo modo è naturale che si creino situazioni a volte spiacevoli, la violenza è frutto delle loro azioni” La situazione inizia a scaldarsi ed è normale pensare che bisogni fare qualcosa perché le bravate e la goliardia di oggi si possono trasformare nelle aggressioni e nella violenza di domani, qualunque cosa si celi dietro questa storia, speriamo tutti che il ministro e i suoi collaboratori abbiamo la lucidità per intervenire.

Rita Skeeter”

Gienah chiuse delicatamente il giornale e lo pose sul tavolo, con le mani tremanti di paura e con un unico pensiero nella mente: i suoi genitori erano in pericolo e al di là di quello che diceva il Profeta, la situazione era grave.
Velocemente si alzò dal tavolo e senza dare a nessuno uno sguardo uscì dalla sala grande per dirigersi nei sotteranei, con il cuore che batteva ancora a mille e gli occhi che minacciavano il pianto.
Nessuno la notò, tutti erano ancora immersi nella lettura e al tavolo di Corvonero si era già accesa una forte discussione.
“Che sciocchezza è mai questa. Tristan Coleridge, un terrosista? Qui iniziamo a dare i numeri” disse con forza Thomas gettando nel piatto il giornale. “E’ solo scomodo e quella civetta di Hermione Granger ha paura della sua popolarità”
Molte ragazze si erano affollate intorno a lui e iniziavano ad ascoltare con attenzione anche se probabilmente non avrebbero capito una parola, erano troppo impegnate a fissare i suoi occhi neri. “Credetemi se vi dico che tutta questa storia è una montatura della Skeeter o del ministero stesso, quello che dice Tristan non ha niente a che vedere con i maghi purosangue o i mangiamorte, lui invoca solo la rivoluzione che il ministro sta tardando a far arrivare, siamo una nazione medievale” continuò lui.
“Potrebbe essere come la pensi tu, ma ti sbagli” intervenne Penelope alzandosi dal tavolo.
Intorno a loro si erano anche avvicinati altri ragazzi. Steven si era fatto largo tra la folla per trovarsi proprio accanto a Penelope, mentre alla sua sinistra si trovava proprio Eris Keats di Tassorosso che osservava la conversazione con attenzione. Thomas le gettò un sorriso a cui lei non rispose, mentre Steven stava iniziando a sudare per l’ansia di essere accanto a lei che da vicine gli sembrava ancora più bella.
Penelope notò che Steven le era accanto e ebbe un piccolo tremito, poi ripropose uno sguardo determinato verso Thomas, togliendosi gli occhiali, cosa che la rendeva molto più bella.
“Tu, la mangialibri, che hai fatto ai capelli, hai per caso tenuto il casco per troppo tempo?” disse lui con tono di scherzo riguardo alla frangia della ragazza, poi resosi conto di aver improvvisamente cambiato atteggiamento si rimise composto con il suo consueto sguardo gentile e educato.
“Non hai nessun diritto di commentare i miei capelli, Shelley e a quanto pare nemmeno la lucidità per parlare senza dire complete baggianate. Il punto non è quanto sia bravo Tristan o quanto sia giusto, il punto è che quello che dice viene preso alla lettera e basta un singolo pazzo per scatenare una guerra” disse lei con forza e quasi si stupì dell’orgoglio con cui aveva parlato, dopotutto Hermione Granger era il suo idolo e non avrebbe permesso a Thomas Shelley di canzonarla.
“E cosa ci può fare lui? Dimmelo se sai tutto, sono curioso”
“Magari smetterla di tirare merda sul ministero e collaborare forse?”
“Il ministero è in grado di tirarsela benissimo da solo”
Steven che non capiva nulla di politica si limitava a spostare lo sguardo tra tutte le ragazze nel gruppo cercando di stilare una classifica su quali fossero le più appetibili fino a quando Eris Keats non prese la parola.
“Sbagliate entrambi” Aveva tutti gli occhi e tutte le orecchie del gruppo, tutti si aspettavano che parlasse, erano rare le occasioni in cui lo faceva e nessuno voleva perdersela, persino Trixie di Sperverde era accorsa in silenzio per ascoltare.
“Voi litigate su chi abbia ragione quando in realtà hanno tutti torto, ha torto il ministero e hanno torto le Colombe Rosse. Persino tra noi che siamo ragazzini si gioca a chi molla prima l’osso in un dibattito e loro non sono diversi da noi, dei bambini. Forse se...” ma si bloccò improvvisamente, con gli occhi fissi in un punto indistinto del tavolo.
Poi con uno scatto repentino lasciò il gruppo e uscì correndo dalla sala grande, lasciando alle sue spalle un folto chiacchiericcio. Subito Steven scattò dalla sua posizione proprio nel momento in cui Penelope stava per rivolgergli la parola, lasciandola interdetta e delusa, pronto ad inseguire Eris. La vide che correva per raggiungere il bagno delle ragazze nei sotterranei, quello meno utilizzato e la seguì.
Si appostò dietro una colonna, quella poteva essere la sua occasione per rimanere solo con lei, qualunque cosa fosse successa, Annie non l’aveva visto ed era solo, ma all’improvviso una mano gli toccò la spalla.
“Lineker”
“Shelley”
“Che cosa ci fai qui?”
“Potrei chiederti la stessa cosa. Credevi che mi sarei lasciato scappare una tale opportunità, per permettere poi a uno come te di parlarci? Non credo proprio” disse Thomas osservando la porta del bagno.
“E credi davvero di avere speranze?”
“Io sono Thomas Shelley, tu piuttosto, chi diamine saresti? E’ chiaro...” ma la sua voce venne bloccata da un forte gemito ed un forte rumore di porcellana in frantumi proveniente dal bagno.
I due si guardarono ed estrassero le bacchette pronti ad intervenire. Thomas aprì la porta per primo, e si abbassò appena in tempo per schivare un lavandino che si frantumò nel corridoio lasciando un potente eco.
I due entrarono e videro intorno a loro il teatro di quello che sembrava una battaglia. I lavandini e i gabinetti spruzzavano acqua che lentamente stava allagando il bagno, c’erano pezzi di porcellana ovunque e continuavano a sentirsi rumori di fattura e incantesimi. Steven si sporse dai separé di legno dei gabinetti e vide Eris al centro di una nube nero-rossastra dalla quale fuoriuscivano continuamente getti di magia che causavano devastazione intorno a sé. Steven guardò Thomas che per una volta si era trasformato in un valido alleato che gli fece un cenno con la testa prima di spostarsi dall’altra parte del bagno, anche lui difeso da un separé di legno.
“Cambiato idea su di lei?” chiese Thomas sospirando.
“Se cerchi di fregarmi, no, non ho cambiato idea su di lei” rispose lui.
“Bene, nemmeno io” replicò il Corvonero e, uscito dal nascondiglio, iniziò a colpire la sagoma buia e scarlatta della Tassorosso che sembrava in uno stato ti Berseker.
“Stupeficium!” urlò lui, ma il suo schiantesimo rimbalzò contro la nuvola di magia e per poco non lo colpì a sua volta, costringendolo a riparare con diversi incantesimi di protezione.
A questo punto Steven lanciò una preghiera al cielo, guardò l’orribile braccialetto con la croce argento che gli aveva regalato Annie per il compleanno, ma che teneva sempre in tasca, gli diede un bacio e uscì dal nascondiglio pronto a quella che stava assumendo le note di una lotta.
“Petrificus totalus!” urlò lui, ma l’incantesimo rimbalzò di nuovo e andò a colpire proprio Thomas che cadde a terra come un ghiacciolo.
Steven non si scompose e si buttò di lato per evitare un lavandino che, altrimenti, gli avrebbe rifatto il viso. In quel momento però si accorse di una cosa, a pochi metri da Thomas giaceva un altro corpo dal quale poteva vedere chiaramente delle strisce di sangue che si diramavano nell’acqua che si era depositata sul pavimento. Senza indugio prese il corpo immobile di Thomas e lo portò al sicuro dietro una fila di lavandini, mentre intorno a loro continuava ad essere completa e assoluta distruzione ed Eris ne era la causa.
A terra giaceva Gienah Pheles che aveva una busta per le lettere in mano e nell’altra stringeva ancora una penna d’oca, ormai fradicia. Era pallida, ma respirava ancora, nonostante avesse una botta sulla fronte e perdesse sangue dalla gamba.
“Reducto!” urlò lui, mentre un gabinetto volante li stava per schiacciare, mandandolo in pezzi, poi però un pezzo di legno lo raggiunse dritto sulla nuca, prima di cadere e svenire ebbe l’opportunità di vedere la professoressa Samantha entrare nel bagno, bacchetta alla mano, che sparava un voluminoso raggio arancione verso Eris.


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Capitolo 4
*** La Vipera e il Tasso ***


La Vipera e il Tasso


La sua figura si stagliava fiera e virile davanti alla ragazza dai capelli biondo scuro e dagli occhi violacei che lo fissava con occhi incantati e quasi devozionali. Intorno a lui appariva un’aura che ricordava l’alone che circonda i numi celesti, come se un’aureola lucente e dorata gli stesse circondando il corpo. Steven osservò davanti a sé Eris in ginocchio che sembrava pregare e adorare la sua figura che rimaneva ancora impassibile e troneggiante come il profilo di un arcangelo cristiano, uno di quelli che suo padre gli aveva insegnato a pregare da bambino e di cui ora, ormai, non ricordava più nemmeno il nome.
“Sei tu il mio salvatore?” chiese lei con gli occhi che avrebbero potuto benissimo assumere una forma a cuore da quanto erano adoranti.
“Sì” rispose lui con una voce profonda e calda “Io sono il tuo salvatore, ma non ringraziarmi, è stato un dovere ed un piacere farlo. Davanti all’amore che provo per te il dovere non può che trasformarsi in piacere”
Eris si alzò e stringendo le mani con quelle di Steven e guardandolo intensamente negli occhi si avvicinò lentamente alle sue labbra, pronta a dargli un bacio.
“Hei! E’ me che hai salvato, semmai e poi, Eris, non so quanto ti convenga stare con quello lì” La voce di Gienah bloccò la scena romantica tra i due.
Steven si girò e vide la ragazza serpeverde che lo fissava con uno sguardo divertito. Era vestita solo di una stretta camicia lunga da ospedale, cosa che esaltava le sue forme, e sulla fronte, coronata dai capelli rosei, vi era un grosso livido viola.
“Che vuoi da me, Gienah? Esci dal mio sogno, non sei la benvenuta!” le disse lui e si girò nuovamente verso Eris.
“Beh, se sono nel tuo sogno un motivo ci sarà. Tanto non te la da” replicò lei, causando la rabbia di Steven che si staccò dall’amata, pronto a scagliarsi su Gienah, che, però non era più da sola.
Accanto a lei c’era, ora, Annie che, in contrasto con lo sguardo sprezzante e divertito della Serpeverde, aveva un viso contratto in un ghigno di odio, con le mani tremanti di furore, come se fossero pronte per strangolarlo e invece del suo solito maglione rosa con il cerchietto rosso indossava un abito nero come la pece e intorno agli occhi aveva un pesante trucco dello stesso colore, che risaltava ancora di più la rabbia che teneva dentro di sé.
“Annie...” provò a dire lui, ma la fidanzata esplose prima che potesse finire la frase e iniziò ad insultarlo e riverberarlo con epiteti che non aveva mai sentito uscire dalla bocca della sempre pulita e dolce ragazza.
“Tu! Brutto ingrato spregevole! Io ti apro il mio cuore e tu lo spremi come una granita andando con quella...zoccola!” strillò Annie avvicinandosi a lui con foga e stampandogli una sberla sulla guancia.
“Annie...io...io...posso spiegare”
“Lo spiegherai ai miei pugni” replicò lei e si scrocchiò le dita, mentre dietro di loro Gienah continuava a ridere. La scena venne però bruscamente interrotta da un’altra voce femminile.
“Ehi! Che diavolo stai facendo al mio Steven?! Allontanati!” urlò Penelope interponendosi tra Steven e Annie.“Non azzardarti a sfiorarlo”
“Penelope!” esclamò Annie con rabbia “Quello è il mio infedele e demente fidanzato, non il tuo!”
Penelope sembrò tornare sulla terra da una dimensione alternativa e iniziò a fissare un punto indefinito del pavimento, prima di scoppiare in un pianto con un singhiozzo acuto. Steven ora fissava la scena con terrore, le voci delle quattro ragazze gli entravano nella testa come una carovana di indiani a cavallo, le urla furiose di Annie, i latrati di Penelope, le risate di Gienah e persino Eris adesso aveva iniziato ad insultarlo, mancava solamente…
“Bene Bene, cosa vedo. Sempre beato tra le donne...ah no, forse sarebbe meglio dire sbranato. Piccolo e povero Steven, vuoi un abbraccio?”
Era la voce di Trixie che gli si era avvicinata vestita di una tunica bianca e luminosa con un aureola sopra il capo, mentre i suoi occhi verdi non erano certamente angelici, ma sembravano gli occhi del demonio in persona. Steven si accasciò sulle ginocchia con le mani alle orecchie e iniziò a urlare loro di smetterla di smetterla di parlare. Il rumore si fece insostenibile, sentiva i timpani scoppiare, le voci si fecero un unico e assordante suono, poi all’improvviso gli occhi si aprirono di scatto.
Davanti a sé aveva gli occhi scuri e grandi di Annie che lo guardava con apprensione, mentre gli stringeva la mano.
Ebbe un sussulto e cercò di alzarsi di scatto non appena la vide, poi notando la sua reazione di puro spavento, tornò in sé e capì che era stato veramente tutto un brutto incubo.
“Steven, stai bene? Ero così preoccupata” gli disse lei con la mano ancora stretta alla sua.
“Sei stata qui tutto il tempo?” le chiese quindi lui.
“Ha insistito” gli rispose una voce femminile adulta alla sua destra.
Steven voltò lo sguardo e vide che in piedi accanto a sé c’era la professoressa McGrannit.
“Professoressa, buongiorno. Che cosa...” disse lui.
“Tutto a suo tempo, vi aspetto nel mio ufficio quando vi sarete ripresi”
“Vi?”
La preside si spostò e Steven notò che dietro di lei, nel letto accanto al suo c’era Thomas, seduto che leggeva il manuale di pozioni. La preside fece loro un cenno del capo e lasciò l’infermeria. “Lineker” disse Thomas senza voltare lo sguardo.
“Shelley”
“Bel lavoro là sotto comunque”
“Grazie”
Steven voltò lo sguardo quindi verso Annie che gli sorrideva ora, sempre con la mano stretta nella sua e sentì una fitta al cuore: era stara lì tutta la mattina, chissà quanto avesse insistito per saltare scuola, ma l’aveva fatto ed era lì accanto a lui, di nuovo, come sempre quando ne aveva bisogno, come sempre da quando erano piccoli, ancora una volta era stato il suo primo pensiero. Era troppo buona, Steven lo sapeva e sapeva anche che non voleva per nessun motivo al mondo che, per qualche ragione, si lasciassero, ma non riusciva a non trattarla male, anche se indirettamente, sapeva che la infastidiva e le portava tristezza quando lo vedeva fissare altre ragazze, ma non ci riusciva, era sempre stato più forte di lui come se una sola, per quanto importante, non gli bastasse.
“Qualcosa non va?” chiese lei.
Lui scosse la testa e le sorrise.
“Non provare a farmi più scherzi come queste...pensavo fossi morto”
“Morto? Non esagerare, beh ti saresti finalmente liberata della mia presenza fastidiosa”
“La considero un’occasione persa allora” Annie si allungò verso di lui e gli diede un bacio sulla bocca.
“Ah. Penelope mi ha portato questo per te” disse lei dopo una piccola pausa, trafficando nella sacca e porgendogli un libro.
“Il ministero della magia, guida alle istituzioni”
“Mi ha detto che ti sarebbe servito, durante la convalescenza”
“Ma io sarò fuori entro poche ore”
“Sì, ma lei non lo sapeva, nemmeno io in effetti. E’ stata gentile...sei sempre così freddo con lei, mi sorprende che non ci provi anche con lei come fai con le altre” replicò Annie e gli diede un’occhiata inquisitrice.
Steven per un attimo sudò freddo.
“Scherzavo” aggiunse lei, ma con un leggero amaro in bocca.
Steven ringraziò il cielo quando la campanella suonò per segnalare la pausa pranzo, la conversazione si stava muovendo in acqua pericolose.
“Penso di dover andare, vuoi che ti porti qualcosa?”
“Carne?”
“Se c’è” Si diedero un ultimo bacio veloce poi Annie scomparve dalla sala.
“Una così graziosa ragazza insieme ad un ingrato come te...dovresti vergognarti” gli disse Thomas.
“Parla quello che ha messo le corna a Petra Dickens con non una, non due, ben tre ragazze diverse, di cui una babbana...cosa le avevi detto che studiavi per non insospettirla?”
“Un collegio di zoologia in Svizzera, non pensavo mi avrebbe aspettato davvero”
A entrambi scappò una risata, erano rivali sì e si odiavano per questo, ma per un giorno erano stati compagni di un avventura della quale avevano ancora bisogno di risposte.
“Cosa hanno raccontato a Annie?”
“Che abbiamo avuto un duello magico, non ha menzionato né Eris né la Serpeverde formosa” rispose Thomas.
“Gienah? Sai dove si trovi? Era messa male...”
“San Mungo, ma è fuori pericolo a detta della McGrannit” gli rispose lui.

La preside gli fece accomodare su due poltrone rosse che si rivelarono incredibilmente comode, davanti a loro vi era una imponente scrivania dietro la quale sedeva con il suo solito profilo fiero la professoressa McGrannit, accanto a loro, in piedi appoggiato ad un piccolo caminetto spento, Alvaro lanciò un occhiolino a Steven, non aveva ancora notato le strisce dorate sulla sua divisa a simboleggiare che era un prefetto. Steven alzò lo sguardo per contemplare gli scaffali e gli armadi ricchi di oggetti alchemici e artefatti magici, tra tutti troneggiava, incastonata in un credenza, la spada di Godric Grifondoro.
“E’ tempo che io vi dia delle risposte riguardo quanto accaduto oggi, ma prima mi dovete promettere e quando dico promettere intendo dire che se per caso oserete proferire parola a qualcuno verrete espulsi”
Steven guardò Alvaro che annuì e lui capì che probabilmente anche lui, sapeva già quanto successo. I ragazzi annuirono e si misero composti, pronti ad ascoltare.
“Eris Keats, non è una maga ordinaria. Lei possiede dentro di sé un organismo parassita che viene generalmente chiamato Obscuriale. E’ un fenomeno ormai molto raro, ma gli obscuriali sono creature oscure che per sopravvivere e proliferare devono infettare il corpo di un mago. Non sono un virus o un batterio qualunque, questo mostro va ad interagire direttamente con la scintilla magica del suo involucro, controllandola e facendola esplodere in un alveare magico senza ordine o logica. Queste crisi che colpiscono il soggetto si manifestano come avete visto e sono impossibili da prevedere, da controllare e persino da combattere. L’Obscuriale rende il mago infetto un organismo notevolmente più potente di un mago normale, tuttavia la mancanza di razionalità può essere un vantaggio oltre che una fonte di violenta devastazione”
Steven e Thomas erano bloccati e rigidi sulle poltrone e non sapevano cosa dire, erano spaventati e increduli davanti alle parole della preside.
“Eris è da oltre quattro anni che possiede dentro di sé quel mostro, ma ha avuto solamente tre crisi e io non la considero una minaccia, ha doti magiche elevate e più un mago è esperto più è difficile per l’Obscuriale prenderne il controllo, tuttavia lei necessita di perpetuo controllo su tutto quello che fa. Se perde anche solo per un secondo la calma o la ragione, l’Obscuriale assopito rischia di risvegliare la sua furia” continuò la McGrannit.
“Steven” disse Alvaro “Ricordi la partita contro i Corvonero...ero con Eris quel pomeriggio, quando stavamo insieme, mi sono beccato un Confringo e ho passato in infermeria almeno tre ore, avete perso per quel motivo. Ora posso dirtelo”
Steven sorrise e poi continuò a guardare con ansia la McGrannit.
“Il punto è un altro, gli obscuariali per quanto rari sono considerati una minaccia di livello magico internazionale e il ministero non ci penserebbe due volte ad eliminarla” continuò la McGrannit. “Se anche solo ci fosse il sospetto di un obscuariale ad Hogwarts, la nostra vita scolastica non sarebbe più la stessa, ma non posso permettere, né potrei mai perdonarmi di aver consegnato una ragazza nelle mani del ministero e aver causato la sua morte”
“Mi offro di proteggerla, professoressa, lo farò con tutto il mio onore e la mia perseveranza” esclamò Thomas assumendo il solito tono serio che usava per fare colpo sulle ragazze.
“Non serve spingersi così lontano, Eris è in grado di controllarsi da sola, ormai ci è, come dire, abituata. Serve però che voi due non ne parliate con nessuno, altrimenti avrete sulla coscienza la morte di Eris Keats, ci siamo intesi?”
“Sì” risposero insieme i due e con Alvaro uscirono dall’ufficio del preside.
“Ecco perché non ne parlavi mai! Era un oscucoso! Pensavo fossi solo modesto” disse Steven ad Alvaro facendolo ridere.
“Ed è anche per questo che siamo usciti solo una volta” replicò lui tornando serio.
“Non avevi tutti i torti nel dire che non fosse il massimo della compagnia. Chissà poi dove si trova ora”
“Con Samantha Indoh” rispose Thomas “A quanto ho capito deve stare in convalescenza per qualche giorno”
“Samantha ed Eris insieme! Nemmeno vincendo alla lotteria di capodanno capita un jackpot del genere!” esclamò Steven con gioia.
Thomas e Steven si diedero un ultimo timido ed impacciato saluto che sanciva che la loro tregua era finita e che ora si sarebbe tornati alla vita di tutti i giorni, poi Steven e Alvaro si diressero verso la torre di Grifondoro per discutere della situazione, ma anche e sopratutto del torneo Tremaghi. L’argomento era sulla bocca di tutti, non si parlava d’altro nei corridoi, in qualsiasi situazione qualsiasi argomento veniva soppiantato da una discussione sul torneo Tremaghi, riguardo chi potesse essere il campione, mentre alcuni speravano che il regolamento potesse permettere di partecipare anche i minori di diciassette anni e che, per caso, si potessero scegliere due campioni per scuola.
“Parteciperai?” chiese Steven ad Alvaro che ormai al settimo anno era completamente in regola per un’iscrizione.
“Non lo so, ci devo pensare, non è il genere di cose che mi piace affrontare” rispose lui.
“Cosa? Hai abilità sufficienti per vincerlo un torneo del genere, io parteciperei anche se non ne fossi in grado, è un opportunità unica”
“Per cosa?”
“Per farmi conoscere nello stesso momento da ogni ragazza della scuola e sai cosa si dice delle straniere in vacanza...”
“So bene cosa si dice delle straniere in vacanza...e confermo”
Entrambi risero di gusto, mentre stavano salendo le scale per andare al dormitorio.
“Secondo te chi parteciperà? Sei un prefetto, dovresti sapere un po’ di gossip” chiese Steven curioso.
“Sanders sicuramente, è troppo pieno di sé e orgoglioso per non partecipare, oltre al fatto che avrebbe tutte le carte in regola per vincere; anche Gillan credo parteciperà e spero davvero venga scelta lei al posto del serpeverde, dopotutto sarebbe bello avere un vincitore di Hogwarts no?”
“Anche Trixie parteciperà, non può permettere a nessuno di essere migliore di lei, spero finisca male nel torneo”
“Non so se faranno partecipare studenti del quinto anno, in passato era possibile, ma l’ultima edizione è stata molto restrittiva” disse Orozco aggiungendo alla frase un “Corvomerda”, parola segreta per entrare nel loro dormitorio.

“Tu! Come è possibile che quella megera abbia scelto te?! Cosa avresti di speciale sentiamo? Oltre a essere un inutile insetto, ovviamente” disse Aaron Sanders a Matthew Guarnerio con rabbia e odio.
“Come prego? Beh, intanto io sono il caposcuola maschio per Hogwarts e non tu. Quindi se gli insegnanti hanno scelto me...” provò a replicare lui, ma Aaron era già intervenuto pronto a canzonarlo.
“Gli insegnanti hanno scelto me...bleah. Uno stormo di falliti, niente di più”
“Sai che sono un caposcuola e sai che potrei firmare per la tua sospensione”
“E sai che potrei romperti ancora di più quella faccia storta, anche se madre natura ha già fatto il suo mestiere”
Intanto Gillan Flower, fresca della sua nomina come caposcuola femminile, li aveva raggiunti tramutando il suo sempre acceso sorriso in un ghigno di disprezzo non appena aveva sentito parlare il serpeverde a cui probabilmente non era andato giù il fatto che non lo avessero nominato caposcuola. Guarnerio si avvicinò petto contro petto con Aaron, entrambi erano alti, ma il Tassorosso sembrava molto più grande, con delle spalle larghe e un fisico robusto anche se non troppo scolpito.
“Ehi! Che avete intenzione di fare? Fermatevi!” intervenne lei frapponendosi tra i due e spingendo via Guarnerio.
“Ohoh ecco Pinkie Flower! Non hai un vestito rosa con cui accecarci la vista oggi? Pensare che un essere come te sia caposcuola, mi fa capire che l’evoluzione sta cadendo verso il basso” le disse lui sorridendole.
“Beh...ecco. Sei...uno stupido!” gli disse lei, sentendosi a disagio per le parole di lui che non l’avevano lasciata indifferente.
“Cattivo Aaron cattivo” replicò lui e qualche serpeverde tra la folla che si era radunata sghignazzò con gusto.
“Perché non scendi dal tuo piedistallo di merda e vieni a prenderle da un comune mortale?” chiese una voce dalle retrovie.
Tra il gruppo di studenti si fece largo Harry McLaughin di tassorosso. Era alto, più alto di Sanders, aveva i capelli biondicci lunghi fino alle spalle e spettinati, gli occhi scuri e un profilo scolpito con un naso appuntito e non particolarmente bello e una mascella squadrata, qualità che però gli davano una certe fama e un certo apprezzamento tra il gentil sesso di Hogwarts.
“Siamo al festival degli idioti. Mancano solo Lineker e Shelley e faccio una cinquina perfetta alla tombola dei disastri ambulanti”
“Se non vuoi diventare un disastro ambulante tu, ti conviene allontanarti” replico Harry, mostrando un viso agguerrito e quasi violento, mentre lentamente si posizionava davanti a Gillan, che sembrava caduta in uno stato catatonico e Guarnerio che, invece, sembrava sul punto di picchiare qualcuno.
“Non mi spaventi, il tuo naso fa provincia da tanto...” ma prima che finisse di parlare si ritrovò per terra dopo che il Tassorosso l’aveva steso con un gancio perfetto alla guancia.
“E la tua guancia fa continente da tanto te la gonfierò” replicò Harry, muovendo il polso nell’aria con dolore.
Trixie uscì dal gruppo per cercare di aiutare Aaron ad alzarsi, lui la scacciò con stizza, lasciandola interdetta in mezzo al cerchio, insieme al resto del gruppo.
“Ora, io e te! Dovunque tu vuoi, a qualunqu regola, veloce” esclamò Aaron con rabbia, raramente perdeva il controllo come in questa situazione, anzi non lo perdeva proprio mai. Harry si avvicinò al suo orecchio e gli disse: “Tra cinque minuti alla capanna di Hagrid”

I tre stavano camminando lungo il sentiero di ghiaia che costeggiava il pendio collinare, mentre già potevano vedere il comignolo della casa di Hagrid.
“Che diavolo ti è saltato in mente!? Spiegami” gli chiese con ansia Gillan.
“Aveva parlato troppo” rispose freddo Harry “Non mi piacciono quelli che parlano troppo”
“Ma quello è Aaron Sanders, il migliore del mio corso, migliore di me sia nella difesa contro le arti oscure, sia in incantesimi e tu sei solo al sesto anno!”
“Quinto, sono stato bocciato ai GUFO ricordi?”
“Appunto”
Gillan, Harry e Guarnerio arrivarono alla casa di Hagrid, notando che Aaron era già lì, ripulito e pettinato che attendeva fiero appoggiato al muro di pietra della casa. Accanto a lui c’era Trixie che si sentiva un po’ a disagio a stare vicino a lui, era rossa in viso, probabilmente avevano litigato, una cosa molto comune tra di loro ormai da qualche anno dato che lottavano da sempre per la leadership nella casata.
“Sei in ritardo. Paura per caso?” chiese Aaron con un tono divertito.
“No, stavo ripensando a come ti concerò la faccia quando avrò finito con te” rispose lui.
Gillan e Guarnerio si guardarono straniti, mai avevano visto Harry comportarsi così, era sempre stato una persona pacifica e serena, famoso per i suoi scherzi e le sue bravate e conosciuto sopratutto per la sua erba che non si sa ancora bene come circolava indisturbata nella scuola, nonostante la restrizione imposta dalla preside.
“Ti sei portato il cagnolino al guinzaglio?” chiese Guarnerio gettando un’occhiataccia a Trixie. “Come!...”iniziò a dire lei, ma Aaron la precedette. “Serve qualcuno che asciughi il tuo sangue”
Gillan ebbe un tremito, anche lei di solito sempre allegra e vivace non era in vena di fare dell’umorismo, era in ansia per cosa sarebbe accaduto e per di più era una caposcuola ora, avrebbe dovuto fermarli quando poteva, sospirò rassegnata e iniziò a guardare il terreno. Harry si avvicinò alla porta e bussò tre volte. Un omone di tre metri aprì accompagnato dal suo mastino apparve davanti a loro, sfoderando un largo e accogliente sorriso.
“Harry! Sei in ritardo per...ehm...il tè” disse lui cambiando tono a metà frase dopo aver visto che non era solo.
Il ragazzo tassorosso allungò lo sguardo per vedere all’interno della casa e salutare il professore di erbologia Neville Paciock e la sua compagna di casata Maud McLaren che stavano allegramente sorseggiando delle tisane.
“C’è stata una complicazione, ho tutto quello che hai ordinato, ma in cambio ho bisogno di un favore” disse quindi Harry ad Hagrid, allungandogli una busta che Hagrid nascose nella tasca.
“Che genere di favore?”
“Vedi devo risolvere una questione tra uomini con quel ragazzo biondo, niente di grave, solo una sonora azzuffata. Ma ho bisogno che tu mi copra, non vorrei finire nei casini” rispose lui sfoderando un sorriso innocente, ma sinceramente a disagio.
Hagrid gettò uno sguardo al ragazzo biondo che riconobbe in Aaron Sanders poi guardò ancora Harry e gli disse con calma: “Capisco, non preoccuparti ragazzo, sono cose che succedono. Ma devo essere presente”
“Nessun problema, potrai fermarci quando lo riterrai opportuno”
“Ehi che succede?” chiese Neville avvicinandosi alla porta “Oh Harry! L’hai presa? Quella che dicevi?”
Harry annuì poi guardò Hagrid speranzoso.
“Ehm...Neville, noi abbiamo una faccenda da sbrigare nella foresta proibita...ehm...ho bisogno dell’aiuto dei miei...beh...migliori allievi” rispose il mezzo gigante con una recitazione approssimativa.
“Se andiamo nella foresta vengo anche io” intervenne quindi Maud, la migliore del suo anno in cura delle creature magiche.
“Ciao Maud. Beh...è una cosa pericolosa, non so se...”
“Ti salvai da un mannaro errante l’anno scorso. Ti pisciasti sotto” replicò lei fredda.
Harry sorrise imbarazzato poi acconsentì e il gruppo numeroso si diresse nella foresta, con Neville che, rassegnato dall’idea che non avrebbe fumato ritornò al castello. Fecero pochi passi nella foresta fino a quando non trovarono un luogo appartato, ma allo stesso tempo aperto per un duello.
“Cosa dobbiamo trovare Hagrid?” chiese Maud osservandosi con sospetto attorno.
“Beh ecco...rocce”
“Rocce...Ammettilo che è una cafonata”
“Ehi tassograsso! Ti svegli e iniziamo, non sono venuta per vedere arbusti e lucertole” esclamò Trixie guardandosi intorno con paura, mentre intorno a loro l’atmosfera iniziava a farsi leggermente spettrale, con il sole sul punto di tramontare.
“Hai ragione, per quanto mi faccia male sentirmelo dire, dobbiamo finire al calar del sole” replicò Harry e gettò un’occhiata ad Aaron che era ormai da qualche minuto in silenzio come se stesse raccogliendo la concentrazione. Estrasse la bacchetta, ma Harry lo fermò con il braccio.
“Hai detto “mie regole”...non sono stupido non ti affronterei mai in un duello magico, sono stato pur sempre bocciato a difesa contro le arti oscure e non mi sono presentato ad incantesimi e trasfigurazione. La risolviamo alla babbana” disse quindi Harry e si tolse il maglione di Tassorosso mostrando tutto il suo fisico scolpito sotto una canottiera bianca.
Maud ebbe un leggero arrossamento sulle sue guance sempre pallide, Gillan ebbe un tremito e non riuscì a spostare lo sguardo dalle sue spalle, la cosa riuscì a farla tornare in sé pienamente, persino Trixie ebbe un sussulto e rimase a bocca aperta per due buoni minuti. Aaron Sanders non si scompose, gettò la bacchetta in malo modo a Trixie e si tolse il maglione, mostrando un fisico che non era certo da buttare e rimanendo a torso nudo.
“Ragazzi” intervenne Hagrid “Sono un professore e prometto di non fare parola di questo avvenimento, ma sono anche un mezzo gigante...non fatemi intervenire”
“Ok Sanders. Le regole sono semplici: Vedi questo cerchio intorno a noi, il primo che getta fuori l’avversario vince, non ti avrei sfidato se non avessi saputo che te la cavi anche con le mani...sarà una bella sfida”
Aaron annuì, non aveva più il suo solito atteggiamento menefreghista e superbo era concentrato e sembrava interessato e motivato dalla sfida.
“Serve un arbitro che ci dia il via” disse quindi Harry. Senza dire niente a nessuno Trixie corse tra i due e dopo averli guardati negli occhi disse soddisfatta.
“Al mio tre! Uno...Due...Tre!”
Aaron scattò contro Harry e gli rifilò un gancio cattivo sulla mascella che gli fece perdere l’equilibrio. Harry schivò un montante, ma il calcio che tentò di rifilare alla caviglia del Serpeverde venne agilmente scavalcato dall’avversario che lo gettò a terra con un pugno sul labbro. Aaron si massaggiò il pugno destro, mentre Harry si rialzò a fatica, ma con un sorriso sulle labbra, nonostante il labbro tagliato.
“Hai tempo per uscire dal cerchio se vuoi” gli disse Harry con sprezzo e quasi canzonandolo.
“Non prima di averti conciato per le feste, chissà che rumore può inventarsi quel naso quando si rompe” replicò Aaron attaccandolo con uno scatto fulmineo.
Harry schivò agilmente gli prese il gomito e lo tirò verso terrà, Aaron urlò e Hagrid fece un passo in avanti, ma con una mano Harry lo fermò, mentre con un ginocchio colpì l’avversario sul petto facendolo cadere con un colpo di tosse.
“Sei mai stato a Belfast? Beh io ci sono nato e diciamo che non è un bel posto per crescere. Sei rapido sì, ma quando gente più rapida di te ti affronta con bottiglie rotte o peggio con armi da fuoco diventi abbastanza abile nelle risse da strada. Dovresti provare a nascere in una famiglia come la mia” gli disse quindi Harry soddisfatto, mentre tutti i presenti erano rimasti senza parole davanti all’abilità del Tassorosso che aveva steso Aaron senza il minimo sforzo.
Il Serpeverde si alzò a fatica e si diresse fuori dal cerchio guardando negli occhi l’avversario e auto eliminandosi.
“Hai vinto” disse lui “Sono stato stupido ad iniziare questa sfida, ma non finisce qui, avrò modo di rifarmi sul mio campo credimi. Per il momento ti sei guadagnato il mio rispetto, non provare a cantare vittoria, le vipere mordono quando meno te l’aspetti, avrò la mia vendetta, andiamo nullità” gli disse Aaron visibilmente alterato, ma incredibilmente serio nel suo discorso, prima di riferirsi a Trixie che lo seguì dopo aver inviato un occhiolino a Harry che non reagì.
“E quello da dove veniva?” gli chiese Gillan sorpresa e con un sorriso a trentadue denti.
“ E’ stata una vacanza movimentata a Belfast” rispose lui, mentre tutti si stringevano attorno a lui per complimentarsi.
“Hai dato una bella lezione a quell’infame, bestiale” disse Matthew non riuscendo a smettere di sorridere.
“Ehi voi!” intervenne Maud. I tre si girarono e fissarono la ragazza che li guardava con uno sguardo freddo e privo di empatia.
“Non dirai niente vero, Maud?” disse Harry leggermente imbarazzato. Lei non rispose e lui capì che non avrebbe parlato anche se probabilmente non aveva preso bene il fatto che non ci fosse nessun animale nella foresta da catturare.

Podgorica, Montenegro

I due entrarono nel negozio senza nessuna esitazione. Elspeth si guardò attorno colpita dal gran numero di bacchette che coprivano gli scaffali della stretta e antica bottega, anche Oswald sembrava interessato, anzi da quando i due avevano iniziato a camminare insieme si comportava come un bambino al lunapark, pronto a sgranare gli occhi alla prima cosa nuova che vedeva e pronto a pendere dalle labbra della sua nuova compagna di avventure con le quale pensava di imparare tutto quello che c’era da imparare sulle arti oscure e coronare il suo sogno, diventare un grande mago, il più famoso della sua generazione.
“Uh guarda questa bacchetta! E’ completamente bianca!” esclamò lui.
“E’ una betulla” replicò lei con superficialità “Dio, non poteva capitarmi una persona più intelligente, io e la mia solita fortuna”
I due fecero qualche passo tra gli scaffali poi Elspeth comprendendo che si trovavano al posto giusto esclamò: “C’è qualcuno? Desidero prendere una bacchetta”
“Sì!” rispose una voce squillante “Arrivo subito!”
Una ragazza bionda con una bandana rossa in testa scese una piccola scala a pioli che avevano superato poco prima con in mano una pila di scatole che caddero tutte una dopo l’altra, spargendosi sul terreno.
“Non è giusto! Scusatemi, sono un po’ distratta, io sono Jacqueline Mikevic Gregorovich al vostro servizio” disse lei e con un semplice movimento di bacchetta le scatole tornarono in ordine una sopra l’altra.
Era molto carina, aveva un bel paio di occhi verdi, grandi e luminosi, un fisico sportivo e atletico, per non parlare delle curve su cui Oswald non riusciva a spostare lo sguardo. Elspeth non si scompose, tirò un piccolo ceffone al compagno e seguì la ragazza al bancone.
“Desidero una bacchetta” disse lei.
“Beh devi essere più precisa, zuccherino. Anche se per te vedrei bene una splendida bacchetta di quercia polacca, cuore di drago, decisamente versatile” replicò la ragazza con un tono fin troppo amichevole, cosa che non lasciò indifferente Elspeth che si limitò a rispondere con un sorriso alle sue avances.
“No no. Ne cerco una specifica. Legno di Sambuco, Crine di Thestral...grande più o meno così” disse quindi lei approssimando una lunghezza con le mani.
“Beh, non credo proprio che troverai quello che cerchi, tesoro. Quella è la bacchetta di sambuco”
“Sì, ebbene...”
“Come ebbene? Non ce l’ho certo qui, è una bacchetta leggendaria, non certo un articolo da bottega” disse quindi Jacqueline sporgendosi in avanti sul bancone e mostrando la scollatura.
Elspeth le abbozzò un sorriso poi si avvicinò alla sua faccia e con uno sguardo beffardo le disse: “Sei la figlia di Gregorovich?”
“Nipote, non sono ancora così vecchia a meno che tu non lo voglia”
“Dipende da quello che cerco”
“State veramente facendo questo?” chiese Oswald confuso e facendo il finto stizzito, anche se era euforico.
“Sì, aspettami fuori, veloce” replicò Elspeth con lui che non se lo fece ripetere due volte, dopo aver visto quello che aveva fatto al mannaro non esitava ad ascoltarla.
“Chi sarebbe lui? Il tuo fidanzato?” chiese Jacqueline sospettosa.
“No. Un parassita che mi porto appresso” rispose Elspeth.
“Beh, è pure piacente, mica furba lei, magari la bacchetta che porta...” fece per dire Jacqueline, ma Elspeth la interruppe.
“Passiamo alle cose formali, rivoglio la mia bacchetta”
“Tua?” Le scappò una risata “Scusami, ma come puoi pensare che io abbia quella bacchetta?”
“Perché tuo nonno me la rubò anni fa e ora vorrei riaverla” rispose Elspeth ora serissima.
“Ma quanti anni hai?”
“Quelli che vuoi tu...ehm...carina” rispose cercando di recitare la parte della lesbica.
“Beh sicuramente non l’abbiamo più, sono la proprietaria e credimi che te lo direi”
“Ma sicuramente devi saperne qualcosa, dai...ehm...raccontami, pendo dalle tue labbra” disse Elspeth mostrando una faccia desiderosa anche se in cuor suo voleva morire.
Jacqueline ebbe un tremito e arrossì in viso, in tutti questi anni non aveva mai avuto una simile cliente che assecondasse le sue avances e sopratutto che fosse così bella. Aveva i capelli mossi e spettinati, un paio di occhi rossastri, due labbra quasi rosse e una pelle liscia e candida, aveva anche comprato dei vestiti giovanili poco prima, dato che Oswald l’aveva ammonita riguardo il suo abito ottocentesco e la nuova moda tra i maghi le donava molto.
“Va bene” disse imbarazzata Jacqueline “Ma solo perché sei così carina. Sì mio nonno l’aveva, ma gliel’hanno rubata”
“Chi?”
“Non lo so, non lo sapeva nemmeno lui, ma quella bacchetta l’ha condotto alla tomba, non so quanto ti convenga cercarla”
“Gregorovich morto? Chi è stato?” chiese quindi lei.
“Si faceva chiamare Lord Voldemort, uno dei più potenti maghi oscuri della storia anche lui morto qualche tempo fa, non ricordo con precisione. Sono sicura che c’entrava con quella bacchetta”
“E dove trovo questo Voldamorte?”
“Voldemort?” esclamò Jacqueline sorridendo “In Inghilterra, sicuramente non nell’Oblansk, adesso possiamo passare alle cose formali?”
“Che cosa intendi?” chiese Elspeth con uno sguardo seducente e facendo ballare le ciglia, ormai sapeva di averla in pugno e non serviva recitare ora, sapeva sarebbe stato un immenso piacere.
Jacqueline corse a chiudere il negozio, tornando precipitosamente, pronta a slacciarsi la salopette di jeans, ma proprio in quel momento Elspeth non c’era più.
“Ehi, ti piace giocare?” chiese lei divertita.
“No” I denti della vampira si gettarono sul collo della ragazza che stramazzò al suolo morta in un battito di ciglia.
“Sei stata utile, mi dispiace, quindi Inghilterra mhm...Inghilterra sia”


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Capitolo 5
*** Lapislazzuli ***


Lapislazzuli


“Ciao Harry,
l’Arsenal ha finito la trasferta in Romania con una vittoria, abbiamo così passato i preliminari della Coppa Europea, ti racconterò poi quando arrivo a casa, è stato bellissimo e non puoi immaginare quanto sia forte Krum!
Comunque tra due giorni dovrei tornare a Londra, spero che non sentirai troppo la mia mancanza e spero di rivederti presto, mi manchi.
Ci vediamo presto, ti amo
La tua Ginny”

Harry pose la lettera con delicatezza sul mobiletto di legno accanto alla porta di ingresso. Chiuse la porta con tre serrature con calma e con la stessa calma si diresse ad una piccola credenza sopra un piccolo televisore che ricordava più una scatola di cartone che un apparecchio elettrico. Prese dalla credenza una piccola ampolla di vetro contenente un liquido scuro, l’appoggiò sul tavolo, si tolse cravatta e camicia e iniziò a sorseggiare il liquido, seduto su una sedia. La casa era piccola, un piccolo appartamento vicino all’entrata per Diagon Alley, la cosa più economica che erano riusciti a comprarsi insieme appena finita la scuola, non avevano voluto aspettare, avevano deciso sin dal primo giorno dopo lo scontro con Voldemort che sarebbero andati a vivere insieme e così hanno fatto, nonostante le difficoltà economiche. Harry aveva una base economica abbastanza solida alle spalle, a differenza della fidanzata, ma aveva deciso di tenere quei soldi per quando avrebbe preso uno stipendio più sostanzioso, usandoli solo per compiacere qualche vizio, come il restauro della moto di Sirius che era parcheggiata nel loro garage. Avevano già iniziato a cercare casa, magari in campagna, con il nuovo stipendio da auror di Harry se lo potevano permettere e in più era riuscito anche a convincere Ginny a giocare ancora per un anno a Quidditch, nonostante lei gli avesse già detto che era ormai pronta per avere un figlio. Ginny giocava nella squadra femminile delle Holyhead Harpies che però non riusciva mai a superare il centro classifica del campionato, non si aspettava certo di venire chiamata dall’Arsenal, la squadra di Londra e la più titolata d’Inghilterra, vedendosi quindi raddoppiare lo stipendio, ma era una buona opportunità e Harry insisteva perché portasse a casa ancora qualche soldo prima di concentrarsi su una nuova vita.
Harry allungò la mano verso l’ampolla, ma proprio in quel momento venne colto da uno strano presentimento e il suo naso venne raggiunto da uno strano odore floreale, bello e profumato, quanto invasivo e crescente.
Lentamente, come se ogni suo piccolo movimento dovesse essere architettato alla perfezione raggiunse la bacchetta che teneva nella tasca dei pantaloni e con uno scatto veloce si alzò dalla sedia puntando l’arma alle sue spalle.
“Expelliarmus!”
La bacchetta di Harry volò a due metri di distanza in cucina.
Harry iniziò a guardare nella direzione da cui era venuto l’incantesimo e non poté che reagire con confusione e sorpresa nel vedere chi aveva di fronte.
“Harry, Harry, Harry, avresti mai immaginato che io e te ci saremmo rivisti? Con sincerità. Rispondimi dai” gli disse Gilderoy Allock venendo verso di lui con calma olimpica e con un grande sorriso sul viso.
“Allock...lei...come. Cosa è venuto a fare in casa mia e come è entrato?” chiese quindi Harry confuso.
Harry sentì dei passi provenire dalla cucina, poi, dopo essersi voltato vide una ragazza bellissima appoggiata allo stipite della porta che teneva e faceva ruotare tra le sue mani la sua bacchetta. Aveva i capelli biondi e due profondi e sottili occhi azzurri che lo fissavano senza lasciar trapelare alcuna emozione, si limitava a fissarlo senza cambiare espressione e, ogni tanto, si sistemava i capelli con la mano sinistra quando questi le andavano a coprire l’occhio.
“Ti ha trovato lei, vecchio amico. Lei e suo fratello, ah non vi ancora presentati, lei si chiama Lazuli e lui è Lapis, ragazzi quello che avete davanti è Harry Potter” rispose Allock indicando prima la ragazza e poi un ragazzo che si era seduto silenziosamente e senza il minimo rumore sulla sedia su cui era seduto Harry e poi spostando la sua mano verso Harry che reagì con un ghigno.
Lui era identico alla ragazza se non che i suoi capelli erano di un nero corvino e indossava abiti maschili.
“Hai da mangiare?” chiese la ragazza ad Harry senza mutare la sua espressione.
“Eh ecco. Sì, c’è qualcosa nel frigorifero” rispose lui così confuso da non sapere come reagire.
Lei scomparì dietro la porta e nel salotto rimasero solo lui, Allock e il ragazzo.
“Perdonami Harry se sono venuto qui senza preavviso e ti ho disarmato solo per precauzione, non intendiamo farti del male, desidero solo parlare, ma sai quanto me quanto sia difficile avvicinarti perciò...”
“Basta parlare, vai al dunque, Allock, non ho tempo da perdere” replicò Harry infastidito dalla voce e dai modi di Allock, che non ricordava così fastidioso. Allock sorrise e iniziò a parlare: “Voglio solo che tu dica la verità, tutto qui”
“Riguardo a cosa?” chiese lui.
“Lo sai benissimo. Vedi da quando ho recuperato la memoria ho sentito alcune dicerie, calunnie principalmente, riguardo me, ovviamente la maggior parte delle persone è tornata, giustamente e quando dico giustamente dico giustamente ad adorarmi, ma non mi piace quando la gente complotta alle mie spalle,sopratutto quando non si può replicare, eheh...ero senza memoria, sai” rispose Allock, mentre Harry iniziava a scaldarsi.
“Posso capire il tuo gesto, davvero, volevi la gloria. Chi non la vuole e sei stato comunque capace di eliminare quella creatura, questo non lo nego…”
“A che gioco sta giocando, Allock? Lei è in casa mia con questi due...individui che suonano molto simili ad una scorta e non capisco dove stia andando a parare. Se ne vada o parli, non voglio perdere altro tempo con lei, sono contento che le sia tornata la memoria, ma lei non ha niente a che vedere con la mia vita, né con la mia casa” disse Harry e fece per muovere un passo in avanti, ma si sentì una mano raggiunsero alla spalla e spingerlo con una forza inconsueta verso terra.
Senza che potesse reagire si trovò seduto su una sedia, girandosi vide la ragazza di prima che stava avidamente addentando un panino e che con sinistro silenzio l’aveva fatto sedere.
“Mi dispiace, ma non sei nella posizione di decidere quando questa conversazione avrà fine. Io voglio da te un’unica cosa e non voglio certo farti del male, non ti odio per ciò che mi avete fatto, altri maghi hanno commesso errori in passato e non sarà certo un po’ di sana competizione tra uomini ad iniziare una guerra tra il sottoscritto e Harry Potter” disse lui avvicinandosi e arrivando faccia a faccia con Harry che replicò con uno sguardo presuntuoso e sprezzante al sorriso pacato di Allock.
“Alcune persone mi danno del ciarlatano, dell’ipocrita, dell’imbroglione, mi chiamano pagliaccio, buffone, ladro e falso e certo non mi spiego come questo sia possibile, visto che io non sono certamente tutto questo, la mia storia parla da sé, io sono un grande mago, forse non il migliore, ma certo poco ci manca e...”
“Vada al punto” replicò Harry con rabbia.
“Tu sei un mago...”
“Non mi dica”
“Sicuramente il più popolare della sua epoca e non è per adularti, non sei me dopotutto, ma ho bisogno che, per ripagarmi del torto che mi feci anni fa, dica al mondo magico che Allock è tornato, più bello e abile di prima. E’ solo un piccolo favore, ma non so cosa sia successo nel periodo in cui la mia memoria era altrove e desidero rimettermi in gioco”
“La sua memoria è ancora altrove, Allock. Lei non è per niente abile, lei è tutto quello che la gente dice, anzi, potrei aggiungere che lei è un narcisista, ignorante, vile ed egocentrico mago e la parola mago va presa con le pinze visto che dimostra la stessa abilità di una scimmia”
Il sorriso di Allock scomparì per far posto ad uno sguardo serio che non lasciava trasparire rabbia o instabilità, fissava Harry negli occhi come il poliziotto fissa il ladro nell’interrogatorio e sembrava avere la situazione sotto controllo.
“Speravo potessi intercedere per me per prendere la cattedra che mi è di diritto ad Hogwarts, quella che persi per colpa tua, ma evidentemente non sei disposto a tornare sui tuoi passi”
“Non so come potesse sperare di trovare una risposta affermativa, in lei non vedo un nemico né un avversario, Allock, vedo solo un bambino con cui non ha senso discutere” replicò Harry con cattiveria.
“Io non voglio farti del male, non sono un malvagio, non è nelle mie corde la violenza e non desidero la tua sofferenza. L’odio fa male e acceca la mente, non desidero certo che una così piccola emozione mi annebbi la memoria che ho rischiato di perdere tempo fa, perciò non voglio odiarti e non voglio vederti come un nemico, ma voglio che tu sappia una cosa. Non ti trovi davanti ad un mago ordinario, non ti trovi davanti ad un impostore o ad un vile pagliaccio, se pensi davvero tutto questo sei libero di farlo, speravo non fosse così, ma devi stare attento perché ci rivedremo, stanne certo e le circostanze potrebbero essere...complicate per iniziare una conversazione amichevole”
“Vieni qui senza scorta e poi ne riparleremo”
Ci fu un momento di silenzio in cui i due si fissarono intensamente come stessero giocando una partita a scacchi nella mente, poi il ragazzo di nome Lapis prese la parola con una voce poco espressiva.
“Ti dispiace se prendo la moto nel tuo garage? Signor Allock è d’accordo?” chiese lui non muovendo lo sguardo da Harry.
“Nessun problema per me. Harry, potresti concedere questo prestito al mio ragazzo?”
Harry venne colpito da un moto di rabbia, ma comprese che non era nelle condizioni di giocare con il fuoco, odiava Allock e non capiva quello di cui stesse parlando, né quali fossero le sue ragioni per essere lì, dopotutto che fosse un imbroglione non c’era alcun dubbio, allora perché venire da lui per una richiesta così strana? Come faceva a sapere della moto? Non l’aveva nemmeno vista passargli davanti che la ragazza bionda era andata nella sua camera da letto ed ora era di ritorno con una pila di vestiti di Ginny. Harry venne colto ancora di più da un moto di rabbia, ma qualcosa lo tratteneva ed erano gli occhi del ragazzo che non si scostavano dai suoi, erano azzurro scuro e sembravano essere in grado di captare ogni sua mossa, non sapeva cosa fossero, ma gli davano un sensazione strana, qualsiasi cosa Allock si fosse portato con sé, aveva fatto la mossa giusta.
“Prendila” rispose Harry con stizza.
“Bene, Harry, credo che questo sia un arrivederci, mi dispiace se ti ho recato fastidio, ma era una cosa che dovevo fare. Manda i miei saluti alla tua ragazza” disse Allock dirigendosi verso la porta e uscendo con calma, dopo aver aperto le serrature.
Lapis si alzò dalla sedia con la mano destra rivolta verso Harry, con l’obiettivo di chiedere le chiavi della moto. Harry indicò un cestino appoggiato sul mobiletto accanto alla porta e subito il ragazzo si allontanò. Lazuli aveva finito di contare i vestiti e dopo aver appoggiato un paio di abiti verdi sul divano si diresse verso Harry e gli consegnò la bacchetta tra le mani, lui rimase colpito e sorpreso da questo gesto, tanto che non sapeva cosa fare, una parte di lui gli diceva di schiantarla, ma un’altra ancora non riusciva a colpirla, aveva qualcosa di strano quella ragazza, si convinse ancora di più che non era normale.
“Non ti conviene” gli disse lei con un tono spento, poi si allontano veloce verso la porta, tra le mani ancora stretta la pila di vestiti di Ginny e si chiuse la porta alle spalle, lasciando la stanza nel completo silenzio. Harry si alzò e si avvicinò ancora all’ampolla di vetro che era rimasta intoccata, fece per bere un sorso, ma notò che sotto di essa c’era una foto, era una vecchia immagine di lui e Allock insieme alla libreria di Diagon Alley, lui con un abito blu notte e oro, Harry, invece, sporco di fuliggine e dall’aspetto trasandato. Prese la foto e la gettò con stizza nel cestino della spazzatura, si sedette sulla sedia e iniziò a sorseggiare la bevanda, pensando allo strano incontro che aveva avuto luogo a casa sua quella sera che l’aveva turbato e ora gli stava facendo ribollire la rabbia che aveva in corpo.

Era passata una settimana e il giorno che tutti stavano aspettando era finalmente arrivato, oggi finalmente avrebbero conosciuto i ragazzi delle altre scuole e forse addirittura i campioni per il tanto atteso Torneo Tremaghi che era diventato l’argomento più popolare tra tutti gli studenti. Harry McLaughin di Tassorosso aveva già iniziato una seria di scommesse addirittura prima dell’estrazione dei campioni, per scommettere su chi si sarebbe proposto tra i ragazzi di Hogwarts, la cosa gli era già valsa un richiamo durante una lezione, ma non era pronto a mollare, anzi, aveva già organizzato il luogo delle puntate, la capanna di Hagrid. Eris e Gienah erano tornate alla loro vita “normale” dopo l’incidente segreto nel bagno nei sotterranei ed entrambe non erano più le stesse da allora. La Tassorosso aveva iniziato ad evitare i contatti con gli altri dopo aver saputo quello che aveva fatto e se ne stava sempre più spesso chiusa nel dormitorio, rendendo quasi impossibile vederla fuori dalle lezioni, la Serpeverde invece si era guadagnata una sorte ben più brutta con una bella frattura al perone. La convalescenza nel mondo magico non è certo lunga come per i babbani, ma si parlava comunque di un mese di gesso e la cosa la infastidiva molto oltre che a farle male. Tanto che era tornata solo da un giorno ed era parecchio nervosa con tutti, molti dicevano che fosse perché desiderava partecipare al torneo e in quelle condizioni non ci sarebbe riuscita, altri semplicemente la evitavano per evitare brutte risposte. Thomas e Steven, invece, erano tornati alla loro ordinaria vita da donnaioli, come se tutto quello che fosse successo fosse stato solo una piacevole avventura, come se avessero già dimenticato, ormai il torneo era alle porte e la memoria di tutti sembrava essere invasa solo dalle volatili informazioni che arrivavano dal torneo.
“Andrej, ma tu potrai parlare con quelli di Durmstrang! Penso che ci sarai molto utile” disse Gillan avvicinandosi al gruppo del quinto anno con un grande sorriso sulle labbra.
“No, non ancora. Sei la terza ragazza che mi chiede se potrò fare da interprete e la risposta è sempre la stessa, no” replicò lui immergendo il cucchiaio nella zuppa al pomodoro.
“E poi servirà a me per convincere quelle cosacche del nord...”si accinse a dire Steven, ma in men che non si dica si ritrovò gli occhi inclinati di Annie davanti al viso.
“A...venderci le loro scope...per il...Quidditch...mi è uscita male” provò a mentire lui.
“Sì, ti è uscita male e prova anche solo a guardarne una che ti trasfiguro la minestra in un ragno” replicò lei con un sorriso sereno sulle labbra. Steven strabuzzò gli occhi e allontanò il piatto da sé, terrorizzato dall’idea, aveva una paura mostruosa per i ragni ed era esilarante quando chiamava Annie da una parte all’altra del dormitorio per ammazzare quello che “lo fissava male” dall’angolo del soffitto sopra il suo letto. Pam arrivò proprio in quel momento, tutta sporca di fango, con degli occhiali spessi da pioggia sopra la fronte, i capelli bagnati e la divisa da Quidditch macchiata.
“Sei stata là fuori?” chiese Annie esterrefatta dato che pioveva a dirotto da tutto il giorno.
“Non potevo perdere un giorno di allenamento, se voglio sperare di giocare nell’Arsenal non posso permettere a quattro gocce di fermare la miglior cercatrice della scuola” “rispose lei fiera, sedendosi sulla panca davanti a loro e scatenando lo sguardo schifato di qualche ragazza.
“Quattro gocce? Sembri uscita da una trincea” aggiunse Andrej guardandola male.
“Quello lo mangi?” chiese quindi Pam a Steven, ancora scosso dall’immagine del ragno e che non aveva più toccato la minestra. Non ricevendo risposta, la ragazza prese il cucchiaio e lo immerse con foga nella minestra, iniziando a mangiare animosamente.
“Mangi come un orso” disse Andrej con un espressione di schifo.
“Scusami piccolo lord se io sono una ragazza sportiva”
“Più che ragazza sportiva direi animale sportivo”
Lei si alzò con rabbia guardandolo con i suoi occhi scuri e gelandolo con lo sguardo, poi riprese a mangiare con voracità inconsueta. All’improvviso Steven si sentì chiamare con un colpo alla schiena, si girò e vide un ginocchio ingessato.
“Ciao, volevo...” iniziò a dire Gienah, ma Steven l’aveva fissata con uno sguardo nervoso, visto che proprio accanto a lui c’era Annie che sapeva avrebbe poi cominciato a porgli domande, fin troppo invasive. Lei non capì, ma dopo aver incrociato uno sguardo non particolarmente amichevole da parte della Grifondoro dai capelli castani, virò con velocità i suoi occhi da Steven verso Andrej e con un goffo movimento di stampelle si avvicinò al ragazzo russo. Anche Andrej era un bel ragazzo, particolare, aveva una mascella forse fin troppo squadrata, teneva i capelli castano chiaro corti con un ciuffo verso l’alto e aveva gli occhi di un forte color azzurro, era anche molto alto, con un fisico non muscoloso, ma sicuramente armonioso con la sua statura. Lui e Steven erano diventati amici sin dal primo anno e da lì non si erano mai abbandonati, il loro unico fine era sempre quello di conoscere nuove ragazze e cercare insieme di sorvolare riguardo i propri difetti, ma nonostante fossero molto famosi tra la parte femminile d Hogwarts, sopratutto tra le ragazze più piccole, non avevano molto successo. Steven era riuscito inimicarsi gran parte delle ragazze del proprio anno, con uscite e commenti poco appropriati e in generale per una molto scarsa lealtà, mentre Andrej viveva degli errori dell’amico ed aveva guadagnato la fama di “Scaricatore”, dato che spesso aveva lasciato lui per conto di Steven la ragazza con cui il Grifondoro voleva rompere in quel momento, tanto che le ultime ragazze di Steven avevano iniziato a stare alla larga da lui, per la sua fama di uomo senza cuore.
“Ciao...ehm...Andrej” esordì Gienah sentendosi un po’ a disagio, era venuta a ringraziare Steven per averla salvata, ma si ritrovava davanti all’amico, scatenando delle occhiatacce qua e là per via del suo essere una serpeverde. Andrej spalancò gli occhi alla sua vista e iniziò a sudare.
“Volevo dirti che ti ringrazio per...gli auguri di...ehm...guarigione...grazie” inventò lei, sentendosi a disagio e consapevole di avere addosso gli occhi di gran parte della tavolata, un po’ per la sua bellezza, un po’ per la sua casata. Andrej non rispose e in quel momento Gienah si accorse che non stava fissando lei, ma i suoi occhi erano altrove. Andrej si alzò di scatto e superò la Serpeverde senza degnarla di uno sguardo arrivando faccia a faccia con Trixie. Anche Steven si alzò di scatto e iniziò a fissare la scena con disgusto, mentre Gienah, con due o tre manovre in retromarcia, si era girata confusa.
“Ciao Trixie. Io...ecco. Ti ho portato la copia del libro che mi avevi chiesto, sono riuscito a procurarmelo, te l’aspettavi da un grifondoro?” le disse Andrej con un tono fin troppo amichevole.
“Elevato sì. Ti facevo più un piccolo coleottero indifeso come il tuo amico, a quanto pare però devo ricredermi” rispose lei ammiccando un sorriso con i suoi occhi verde scuro, le cui pupille sembravano fin troppo dilatate. Gienah e Steven spalancarono ancora di più gli occhi, confusi e esterrefatti.
“Forse dovrebbe prendere appunti da me allora” disse quindi lui.
“Decisamente” replicò lei e i due si scambiarono un intenso ed appassionato bacio, proprio lì davanti a tutto il tavolo di grifondoro. Gienah aveva gli occhi spalancati e un ghigno rabbioso sul viso, mentre Steven non sapeva se essere felice per l’amico o schifato perché si stava appena baciando con Trixie, la cui bellezza non era in discussione, ma che certo era, secondo lui, l’essere più ripugnante dell’intera scuola.
“Ah. Ciao statua di gesso, che ci fai da queste parti?” chiese quindi Trixie a Gienah, notando la ragazza che sembrava davvero una statua da tanto era bloccata. La ragazza sembrò tornare in sé e si allontanò più veloce che poté, con le stampelle che tintinnarono sul pavimento della sala e un espressione di rabbia sul volto. L’intero gruppo era scioccato alla vista dei due insieme, tanto che persino Pam, sempre la prima a parlare, non aveva parole da spendere. Trixie si allontanò dando le spalle al tavolo e lasciò Andrej che ritornò tranquillo e quasi fiero al suo posto.
“Trixie?!” esclamò scioccata Pam.
“Trixie?!” aggiunse Annie.
“Trixie! Oh mio dio sei un cazzo di genio!” esclamò Steven e allungò il cinque all’amico e ricambiò con un piccolo urlo di guerra. Mentre i Grifondoro discutevano della svolta sentimentale di Andrej, in sala si fece sempre di più silenzio alla vista di due nuovi personaggi che fecero il loro ingresso nella sala direttamente dalla porta della sala dei professori. Gli occhi di parte degli studenti erano su di loro dato che erano due uomini che non avevano mai visto, anche se molti di loro iniziarono ad indicare e sbracciarsi per cercare di immaginare chi potessero essere.
“Oh mio dio! E’ lui! E’ lui! E’ Tristan Coleridge, ragazzi, il più grande auror del ministero nonché responsabile degli affari internazionali!” esclamò con estasi Thomas dal tavolo dei corvonero, poi notando alcuni sguardi confusi riguardo il suo atteggiamento esaltato, quando in realtà si comportava sempre in maniera composta ed educata cambiò tono.
“Beh...sicuramente c’entra con il torneo, presumo che si arrivato il momento e non c’era uomo migliore di Tristan Coleridge, un esempio di virtù e capacità”
Penelope si voltò verso il tavolo e notò anche il secondo uomo che con molta più calma stava salutando i professori, aveva una folta balba nera ed era alto e di bell’aspetto, per un attimo pensò che aveva fatto bene a togliersi gli occhiali per quella sera, mentre aveva capito che a breve sarebbe iniziata la vera avventura per questo nuovo anno scolastico, iniziò a battere con insistenza il piede contro il pavimento. Non era di buon umore negli ultimi tempi e non usciva volentieri dalla biblioteca, il suo posto preferito dove spendere il tempo, persino Layla la sua amica che condivideva con lei la casata era leggermente in pensiero per lei.
“Ehi. Qualcosa non va?” le chiese lei guardandola con occhi amorevoli.
“Dici a me? Oh...io...sto benissimo, guarda. Ero solo un po’ via con i pensieri...tutto qui” disse con fretta e poca convinzione lei, spostando lo sguardo verso il soffitto. Layla stava per iniziare a parlare quando ad un tratto la McGrannit si alzò dalla sedia del preside, nella sala si fece silenzio.
“Studenti, studentesse, ragazzi e ragazze. Posso finalmente dire che sta per iniziare una nuova e grande avventura per ognuno di voi, sono arrivati poco fa entrambe le rappresentative degli studenti delle due scuole che, per tradizione, partecipavano alla grande manifestazione del Torneo Tremaghi che oggi, siamo pronti ad inaugurare, di nuovo. Prima di presentare, però, i ragazzi che condivideranno con voi quest’anno che spero possa essere per voi fonte di momenti di gioia, amicizia e che vi possa dare ricordi incredibili, intendo presentarvi le due personalità che ci accompagneranno in questo viaggio e che hanno reso possibile tutto questo. Signori e signori un applauso a Tristan Coleridge, responsabile della sezione per la cooperazione internazionale del ministero e Ruud Bond, responsabile della sezione sportiva”
Dalle tavolate si levarono degli applausi scroscianti, ma molti si interrogarono tra loro riguardo Coleridge, visti i recenti avvenimenti riguardo le tensioni al ministero, di cui lui ne era il protagonista più attivo e acceso.
“A questo punto sono pronta a dare il benvenuto ai ragazzi della scuola di Bauxbatons, venuti dal sud del nostro continente e pronti a portare anche qui la loro gioia e la loro allegria! Un applauso!” aggiunse la McGrannit e le porte si aprirono di scatto, permettendo ad un vivace e delicato odore di rose di penetrare nella sala. I più vicini ragazzi di serpeverde e corvonero si sporsero per guardare meglio e all’improvviso un gruppo di tre ragazzi sui manici di scopa entrò in scena a tutta velocità scatenando ondate di espressioni di meraviglia. Ad ogni virata lasciavano strisce elettriche e colorate nell’aria e ben presto tutta la sala venne ricoperta di luci e colore. Una ragazza atterrò con delicatezza accanto al tavolo di grifondoro, smontando dalla scopa e mettendosi quasi sull’attenti, così fecero gli altri due ragazzi. Steven allungò lo sguardo verso di lei che incrociando i suoi occhi con quelli del ragazzo gli allungò un sorriso amichevole, tale che lui per poco non si sciolse. Aveva i capelli neri lunghi fino alla vita e pettinati in una treccia, due occhi blu quasi nero che illuminati dai colori riflettevano le tonalità dell’arcobaleno, un naso che sembrava scolpito nella roccia da tanto era perfetto e un fisico da fare invidia ad Eris Keats, o quasi. I ragazzi si lasciarono andare in un applauso, mentre il resto degli studenti procedeva in linea accompagnati da un essere mastodontico. Era una donna, una gigantessa di donna, immensa, più alta di Hagrid, ma con un portamento così fiero ed elegante che l’altezza non sembrava un peso, ma una virtù. Gli occhi dei ragazzi non sapevano se seguire lei o la schiera di ragazzi e ragazze vestiti di abiti azzurri imbottiti di lana, cosa che gli rendeva altamente ridicoli. Alcuni di loro sembravano infastiditi dall’ingombro che avevano addosso, altri, invece, si stavano già guardando attorno e gettava occhiate di disgusto qua e là, come se la sala e l’arredamento non fosse di loro gradimento. Accanto alla immensa donna c’era un ragazzo alto completamente calvo che indossava un abito molto più particolare delle divise invernali dei suoi compagni. Era un abito lungo fino ai piedi di colore verde con una cintura bianca di stoffa che gli stringeva la vita, l’abito gli copriva anche il busto e gli dava un aspetto che ricordava quello dei monaci tibetani, se non che il suo aspetto fosse puramente occidentale. Accanto a lui c’era un piccolo essere molto particolare che gli zampettava tra le gambe: aveva una testa rotonda fin troppo grande per il corpo che in dimensioni era più piccolo di quello di un elfo domestico, aveva gli occhi grandi e rotondi con delle pupille nere e il colorito della sua pelle era bianco come la neve, mentre il viso era privo di naso. Anche quel coso indossava un abito dello stesso colore e della stessa forma del ragazzo a cui era vicino, solo in misura ridotta e in più indossava un berretto invernale con un pon pon rosso. All’improvviso si sentì un tonfo violento e tutti si girarono verso la tavolata dei professori allarmati. Il professore di difesa contro le arti oscure Indoh con la sua testa pelata e la sua statura da gnomo si era arrampicato sul tavolo con la sua bacchetta in mano puntata contro l’essere dal colorito cadaverico, i suoi occhi sprizzavano ardore e fierezza e tutti già stavano per immaginare che cosa sarebbe successo.
“Ade retro orrida creatura! Ritorna da dove sei venuto, spirito maligno e abbandona il mondo mortale! Liberaci dalla tua sventura e tornatene nella tua dimensione!” esclamò lui roteando il bastone e causando le risate generali tra gli studenti e una grande vergogna tra gli insegnanti, sopratutto la McGrannit che si mise le mani nei capelli rassegnata. Il piccolo essere si nascose dietro il vestito del suo portatore che con calma olimpica non batté ciglio continuando a proseguire il suo cammino.
“Ti avverto, mostro, un altro passo e sarò costretto ad esorcizzarti! Abbandona subito questa sala e...” ma venne interrotto dalla nipote e insegnante di pozioni Samantha che con un colpo ben assestato con il lato del mestolo, lo colpì sotto la nuca facendolo cadere sul tavolo e lasciandolo svenuto. Si levarono grosse risate dalle tavolate che vennero subito represse dalla voce della preside che invocava l’ordine. La donna gigante che si rivelò essere la preside di Bauxbatons andò a sedersi accanto alla McGrannit, in una delle due sedie lasciate libere, mentre gli altri studenti si sedettero proprio al tavolo di grifondoro. La ragazza che aveva preso parte allo spettacolo con la scopa si sedette tra Steven e Annie, staccandoli quasi con forza e salutando con un largo e sincero sorriso.
“Ciao! Io sono Rarity, piacere di conoscervi” disse lei allungando la mano prima verso Annie e poi verso Steven.
“Il piacere è tutto mio e devo dire che il tuo numero con la scopa è stato davvero...illuminante. Mi sono emozionato” disse Steven guardandola negli occhi solo come lui sapeva fare.
“Sai che difficoltà” mugugnò Pam fissando altrove.
“Oh davvero? Grazie, ne sono sorpresa e lusingata, beh non credevo certo che sarebbe andato così bene, sono andata ad istinto”
“Oh l’istinto va più che bene” disse quindi Steven e Annie si sporse dietro Rarity che ora le aveva dato le spalle con occhi a metà tra il furioso e lo spaventato. La ragazza con il caschetto fece un cenno a Pam che prese la parola per interrompere la loro conversazione.
“Ehm...tu...tu giochi a Quidditch?” chiese lei.
“Te pareva” sospirò Andrej “Non sei resistita un secondo”
“Fatti gli affari tuoi, io almeno non sto con una sanguisuga” replicò Pam alludendo a Trixie.
“Non parlare male della mia Trixie!” Steven e Annie che intanto si era imposta con forza e si era seduta di nuovo vicino al fidanzato, lo fissarono sorpresi e scoppiarono in una forte risata.
“Oh, Trixie, cara Trixie, perché non andiamo a lanciare insieme i sassi sui ragazzi del primo anno, è così divertente!” canzonò Annie imitando la voce grave di Andrej.
“Sì, pulcino mio! Però prima devo andare a ricordare a Penelope quanto io sia più brava di lei, mi aiuti a rovinare la mia dignità?” aggiunse Steven imitando la voce di Trixie, con tanto di erre moscia. Tutti i grifondoro presenti scoppiarono a ridere e anche Andrej si lasciò andare in una risata, dopotutto sempre di Trixie si stava parlando, ci avrebbero fatto l’abitudine, solamente Rarity non reagì con allegria, si alzò stizzita gettando un’occhiataccia ad Annie e si diresse verso i suoi compagni.
“Ne avevo trovato uno così carino, ma una specie di suorina me l’ha rubato!” piagnucolò lei con un ragazzo alto e eccezionalmente bello. Il ragazzo la fissò con sguardo spento e continuò a divorare lo stufato che era apparso davanti a lui.
“Diventano cattivi” disse lui con la bocca piena di cibo.
“Bleah, orrore. Sentirti parlare ogni volta è paragonabile ad un crimine di guerra, Selim” replicò lei.
“I tuoi capelli sono un crimine di guerra” disse con un tono canzonatorio una voce femminile davanti a lei.
“La tua divisa è un crimine di guerra, Charlotte, non metti nemmeno un minimo di cura nelle cose, sembri uscita da un tornado” replicò Rarity squadrandola con occhi dispiaciuti.
“Oh povera me, adesso non so proprio cosa fare, chiederò un consiglio a Rarity, lei sa sempre cosa fare”
“Oh sì! Ti aiuto io, darling! Lascia che...”
“Lascia perdere” tagliò corto Charlotte, ignorando la ragazza e continuando a mettere sul bordo del piatto le carote che non aveva certo intenzione di mangiare. Anche lei era carina, aveva i capelli castano chiaro e un fisico invidiabile, sottolineato ancora di più dall’altezza, inconsueta per una ragazza, accanto a lei sedeva,invece un’altra ragazza dai capelli ricci e corti che le arrivavano alle spalle, mentre il resto era una pettinatura abbastanza ribelle, ma non particolarmente scomposta. I suoi occhi erano scuri e si guardavano intorno con interesse metodico come a voler captare e osservare qualsiasi persona nella grande sala.
“Vuoi le mie carote, Marinette?” chiese Charlotte alla ragazza accanto. Lei senza risponderle prese il piatto e versò la verdura arancione nella ciotola di Selim davanti a loro che non aveva ancora smesso di mangiare e che, come un treno in corsa, continuava ad ingerire cibo con disappunto di Rarity.
“Oh! Eccolo! Eccolo quello che voglio! Il meglio che c’è, meraviglioso” esclamò Marinette con uno scatto inconsueto ed improvviso. Charlotte si sporse e osservò che al tavolo accanto al loro c’era un ragazzo bellissimo che guardava proprio nella loro direzione. Aveva i capelli neri, pettinati all’indietro e due occhi dello stesso colore, scuri, ma che sembravano perle di ossidiana incastonate nel marmo da tanto erano luminosi e belli, il suo profilo del viso inoltre era perfetto e non aveva mai visto niente di simile, sembrava un angelo sceso in terra, era Thomas Shelley.
“Marinette, ma che occhio hai?” chiese Charlotte sorpresa.
“Non so e l’avrò ancora se rimarrò a fissarlo...mi sto sciogliendo” rispose l’altra.
“Oh quello che ho visto io è molto più carino” disse Rarity con gioia e arrossendo leggermente. Marinette le diede uno sguardo omicida che per un attimo sembrava volerla incenerire poi, con calma repentina le chiese: “Chi?”
Rarity indicò il tavolo di Grifondoro dove Steven stava parlando con Alvaro e iniziò a fissarlo sognante. Steven aveva i capelli castani, occhi grandi dello stesso colore e un naso piccolo, per niente invadente cosa che apprezzavano la maggior parte delle ragazze.
“E’ come un fiocco su un pacco regalo” sospirò lei.
“E’ come un martello sulla tua testa bacata...ehm...cioè sei davvero una ragazza fortunata” disse Marinette correggendosi a metà.
“Grazie, ti voglio bene”
“Spero morta” disse sottovoce l’altra, causando la risata sommessa di Charlotte.
All’improvviso però l’atmosfera venne rotta dalla voce della preside che con forza accolse i ragazzi di Durmstrang. In men che non si dica una figura esile e incredibilmente veloce comparve dalla porta con una serie di piroette e all’indietro e in avanti in serie continua che si conclusero con un doppio salto mortale in avanti. Era una ragazza, esile e bassina, ma con delle gambe perfette, indossava un body rosso con striature di giallo e blu e fissava davanti a sé con due grandi occhi scuri, parzialmente coperti da una frangia a caschetto, ancora più marcata di quella di Annie. Steven spalancò la bocca in segno di meraviglia, aveva un debole per la frangia e un debole per le ragazze castane e un debole per gli occhi scuri, in generale più gli assomigliavano meglio era, ma la frangia era quel tocco di classe che riusciva sempre ad intrigarlo. Subito la ragazza al centro della sala venne seguita da due ragazzi estremamente fisicati che con acrobazie simili si posizionarono ai suoi lati. Le ragazze di tutta la scuola era una vampata di calore unica. Uno dei due era alto quasi due metri e sollevò con una sola mano la ragazza che iniziò a roteare come una trottola attorno al suo braccio che non sembrava avvertirne il peso, l’altro si posizionò qualche metro in avanti di spalle e dopo qualche secondo la ragazza si proiettò in avanti con un salto e dopo un carpiato all’indietro venne raccolta dall’altro ragazzo che l’appoggiò a terra tra gli applausi a scena aperta della sala. Subito dopo entrò il resto dei ragazzi che, invece, indossavano magliette a maniche corte con pantaloncini estivi entrambi rossi con cucito sul petto il simbolo della scuola. Un uomo vestito interamente di bianco guidava il gruppo, era alto e spallato, un armadio vivente, aveva un folto paio di baffi neri e i capelli tirati all’indietro con gli occhi sottili e minacciosi, resi ancora più freddi dalle folte sopracciglia e dalla camminata fiera. Accanto a lui c’era una ragazza che gli arrivava al petto, con due grandi occhi azzurri e i capelli più strani che avessero mai visto in quella scuola, con i lai della testa tenuti molto corti e una cresta rosso scuro centrale che dalla fronte le arrivava alla nuca, ma che sembrava naturale sia nel colore che nella forma che ricordava il movimento del fuoco. Lei, che aveva un bellissimo paio di labbra e un naso piccolo, era vestita, invece, di una divisa quasi militare con i pantaloni marroni e degli stivaletti scuri, non sembrava una studentessa. L’uomo baffuto e la ragazza si diressero al tavolo degli insegnanti, l’uomo si sedette accanto agli altri presidi, mentre la ragazza si sedette accanto a Tristan Coleridge, i due si salutarono come vecchi amici. Il resto del gruppo si divise tra serpeverde e corvonero, con i ragazzi, protagonisti del numero atletico che andarono dalle serpi, mentre la ragazzina raggiunse gli altri dai corvi.
“Nessuno ci caga mai, come al solito” esclamò Harry dopo aver bevuto un bicchiere di acqua dal tavolo di tassorosso.
“Meglio da soli che mal accompagnati” replicò Maud gettando un’occhiata ai serpeverde.
“Ma che diavolo di proverbio è?”
“Non è un proverbio, è la vita” rispose lei senza mutare espressione e lasciandolo senza parole, non era facile vincere un dibattito con lei, anzi, per lui era impossibile. Intanto al tavolo di corvonero Thomas si era subito impegnato per sedersi davanti a due ragazze di Durmstrang, provvedendo a spostare Penelope.
“Ciao ragazze, io sono Thomas Shelley, è un piacere per me conoscervi, avete fatto un buon viaggio?” chiese lui mostrando un sorriso gentile e premuroso, tanto che Layla accanto a lui roteò gli occhi, conoscendolo ormai fin troppo bene e avendo provato nella propria esperienza quanto potesse essere falso e vigliacco. La prima era la ragazza del numero di ginnastica che dopo averlo fissato con occhi spenti per qualche secondo, gli strinse la mano e si presentò: “Io sono Nadia Dumitrache” Thomas allora volse lo sguardo verso l’altra ragazza che lo fissava con gli occhi a fessure e le sopracciglia aggrottate e dalla quale non ricevette risposta. Lui fece per allungarle la mano e la ragazza fece per ritrarsi con uno scatto, prima che Nadia non fermasse la sua mano e non la ricacciasse indietro con forza. Thomas rimase confuso, mentre Nadia lo stava gelando con lo sguardo e l’altra si limitava a sospirare con la bocca aperta con lo sguardo altrove.
“Ho fatto qualcosa che...” provò a dire lui, ma Nadia lo bloccò di nuovo.
“No, non hai fatto niente di sbagliato, ma ora vattene”
“Cercavo solo...” disse lui questa volta sinceramente dispiaciuto.
“Va” replicò Nadia fredda e lui, confuso e leggermente irritato, si allontanò da loro lasciando il posto a Penelope che reagì con rabbia a sentirsi spostata da destra a manca.
“Tutto ok, Monica?” chiese Nadia all’altra ragazza senza concederle uno sguardo. Monica annuì e si mise a mangiare con calma dal suo piatto. Layla era rimasta leggermente confusa dalla scena e anche lei, tolse lo sguardo dalle due ragazze per mettersi con discrezione a mangiare il suo pollo, si sentiva a disagio in quel silenzio e dovette ammettere che la presenza di Thomas, per quanto non l’apprezzasse, probabilmente avrebbe alimentato una conversazione, si immaginò Nadia che lo schiaffeggiava e si fece scappare una risata, poi alzò lo sguardo verso di lei, sorridendole. Nadia spalancò i suoi grandi occhi marroni e continuò a mangiare, lasciando Layla nel suo disagio e costringendola a girare lo sguardo come se niente fosse successo. Monica continuava a mangiare con calma, portava degli occhiali con montatura rettangolare, gli occhi erano scuri, come i capelli, poi un ragazzo dai capelli scuri e dalla pelle olivastra le camminò alle spalle.
“Old man” disse lui con un tono che avrebbe riconosciuto tra un milione. Si voltò e mostrò finalmente un leggero sorriso sul suo viso spento.
“Non è in casa, credo. Passa più tardi” disse lei con tono freddo. Lui reagì leggermente imbarazzato poi lei gli sorrise e capì che lo stava prendendo in giro. Nadia le gettò uno sguardo indagatore, ma non ci rimase troppo continuando a mangiare.
“Non posso credere che saremo insieme per tutto l’anno, cugina. Mi sei mancata” disse lui sorridendole.
“A dir la verità, non sono molto convinta di tutta questa...calca di persone, ma penso sarà...beh”
“Divertente”
“Sì”
“Ti farò conoscere i miei amici, vedrai che ti piaceranno, lo spero” disse lui con tono leggermente poco convinto.
“Non penso che mi piaceranno e non ci tengo che tu me li presenti” replicò lei senza voler essere cattiva, ma lasciando il cugino con un po’ di amaro in bocca, non se la legò al dito, conosceva Monica e sapeva sarebbe stato un tentativo vano, non amava la compagnia sopratutto maschile, lui lo sapeva e la capiva perfettamente, tuttavia un po’ gli dispiaceva per lei, voleva che fosse un anno speciale, per tutti e due.
“Arthur, scusami, non volevo sembrare fredda”
“No no. Scusami tu, non avrei dovuto chiederlo”
“Hai fatto bene a chiedermelo, chiunque lo farebbe, magari me li presenterai e io ti presenterò i miei...beh compagni” gli disse lei e a lui scappò un sorriso. Erano cugini, ma non frequentavano la stessa scuola, lui dopotutto non risiedeva certo nell’Oblansk e frequentava la scuola di Bauxbatons, non si sarebbero mai aspettati di trovarsi per una manifestazione così singolare.
“Oh...ehm...lei è Nadia” disse Monica e indicò la sua compagna di tavolo che per poco non ingoiò la forchetta, non era certo abituata a sentire Monica parlare.
“Piacere, Arthur Van Pelt” disse lui porgendole la mano, che lei strinse con circospezione, non aveva mai visto parlare Monica con un ragazzo con così tanta tranquillità e la cosa la turbava, compreso il fatto che lui fosse un Bauxbatons.
“Nadia” disse lei con tono spento.
“Sono il cugino di Monica”
“E perché non sei a Durmstrang?” chiese quindi la ragazza con la frangia castana, non cambiando il suo sguardo inquisitorio.
“Beh...io sono francese, non vedo come...” provò a rispondere lui, sentendosi molto a disagio, ma Nadia si era già voltata verso il suo piatto. Arthur guardò Monica imbarazzato e deluso e lei aggrottò le spalle concedendogli un tiepido sorriso.
All’improvviso si sentì un rumore di vetri rotti e un ragazzo di Durmstrang dal tavolo di serpeverde si alzò di scatto dalla panca, allontanandosi con le mani nei capelli e con un espressione di shock in viso, era pallido ed era come se fosse successo qualcosa di completamente inaspettato. Vicino a lui c’era la ragazza con la cresta rossiccia che si sentiva leggermente imbarazzata a stare al centro della scena e che poco prima gli aveva consegnato una lettera, subito dal posto accanto a quello del ragazzo si alzò un altro giovane, molto alto e magro, dalla lunga chioma bionda che seguì il compagno, così fece anche Nadia che spostò con una spinta il ragazzo francese e superò lo sguardo freddo di Monica. I tre uscirono dalla sala e il primo uscì dalla porta principale superando il goffo custode di Hogwarts che non riuscì a fermarlo e trovandosi sotto il temporale. Nadia accorse subito dietro di lui correndo e superandolo.
“Janko! Che succede?” chiese lei preoccupata, ma con il solito sguardo determinato e serio negli occhi. Janko piangeva, sembrava che i suoi occhi stessero provvedendo da soli a bagnarli la faccia e che la pioggia fosse solo da contorno. Era un ragazzo alto e spallato con un fisico snello, ma incredibilmente sportivo, era lui il ragazzo che aveva raccolto Nadia dopo il suo salto nella presentazione. Anche l’altro ragazzo gli raggiunse dopo aver tentennato qualche secondo sotto il portico. Janko fece per spostarla, ma lei si attaccò a lui e gli diede un caldo abbraccio a cui lui non riuscì a rimanere indifferente, la strinse con le braccia e iniziò a piangerle sulla spalla. L’altro ragazzo sfilò dalla sua tasca una lettera che stava per essere distrutta dalla pioggia, la lettera che Janko aveva lasciato sul tavolo dopo aver rotto il bicchiere.

Signor Janko Mikevic Gregorovich,
La informiamo con sentite condoglianze, con sentito rispetto e con sommo dispiacere che questa mattina abbiamo trovato il corpo di vostra sorella, Jacqueline Mikevic Gregorovich morto nella sua bottega.
Stiamo già facendo delle indagini e aspettiamo che lei ritorni nell’Oblansk per risolvere tutte le formalità che ne conseguono.
Ci dispiace molto per questo avvenimento e le assicuriamo che daremo il massimo per scoprire i dettagli di questo triste avvenimento, ancora condoglianze.
Ufficio omicidi, Oblansk, distretto 4.

Il ragazzo biondo fissò la lettera che ormai si stava sciogliendo per l’acquazzone e rimase senza parole, confuso e terribilmente dispiaciuto per la notizia che il suo amico aveva ricevuto proprio in un giorno così gioioso. Nadia interrogò con lo sguardo il ragazzo, mentre era ancora stretta nell’abbraccio di Janko che continuava a singhiozzare. Il ragazzo biondo si limitò a guardare a terra, mentre le sue membra iniziavano a tremare. All’improvviso l’atmosfera venne bloccata dall’arrivo della voce potente e virile del preside di Durmstrang che precipitò sotto la pioggia per raggiungere il trio.
“Dammi qua, Astal” disse lui al ragazzo biondo che gli allungò la lettera che l’uomo lesse tutto d’un fiato.
“Gregorovich, non saranno delle lacrime a darti pace e risposte” disse quindi l’uomo parlando in slavo, in modo che né Nadia né Astal potessero capirli. Janko si staccò dall’abbraccio della ragazza che, ancora interdetta riguardo quello che stava succedendo, rimase pietrificata davanti al preside, con la frangia bagnata che le copriva gli occhi.
“E’ il momento che ora, in questo momento, tu guardi a te stesso, vieni con me, andiamo a fare due passi” disse quindi l’uomo e Janko annuì seguendo il passo deciso del preside che si incamminò giù per la collina nonostante l’acquazzone.
“Voi due tornate dentro, Nadia, affido a te gli altri studenti, pretendo disciplina” disse l’uomo a Nadia, questa volta in russo, che annuì decisa e si diresse con Astal dentro la scuola, lasciando i due da soli. Astal le raccontò il contenuto della lettera e Nadia si mise le mani nei capelli spalancando i suoi occhi marroni e rimanendo pietrificata. Quando entrarono gli occhi dell’intera scuola erano per loro che erano bagnati dalla testa ai piedi nella sala.
“Dici che devo dirlo ad Ivan?” chiese Astal a Nadia.
“No, gli parlo io” rispose secca lei e si diresse al suo posto senza battere ciglio, sedendosi accanto a Monica che sapeva non l’avrebbe infastidita né le avrebbe fatto troppe domande.
“Tutto ok?” chiese invece Layla allargando i suoi occhi verdi. Nadia per un attimo le scagliò un’occhiata gelida che lasciò la corvonero di sasso, poi rispose con tono freddo: “Non ti interessa se sto bene o no” Layla abbassò lo sguardo imbarazzata e si mise a guardare altrove, leggermente dispiaciuta. Intanto Nadia si era persa la classica esibizione canora di Diana Milligan di serpeverde che ora stava sorridendo come un’oca davanti ai ragazzi di Durmstrang che con il loro inglese appena abbozzato tentavano di tesserne le lodi. Tra loro spiccavano un ragazzo altissimo e con un fisico estremamente muscoloso che si faceva accompagnare da un altro biondino ben più basso che stava cercando di tradurre il russo dell’amico con Trixie che commentava divertita. Anche Aaron era particolarmente energico e sembrava aver superato la delusione per non essere stato nominato caposcuola e ora conversava animatamente con alcuni ragazzi di Durmtrang cercando di esaltare la loro scuola che per lui era una fonte di ispirazione e di disciplina. Solo Gienah non sembrava in vena di parole e rimaneva in disparte, coperta dalla voce squillante dell’amica Diana, mentre stava muovendo lo stesso cucchiaio nella minestra da qualche minuto.
“Qualcosa non va?” le chiese Astal che si era seduto davanti a lei e non era in vena di stare con i suoi compagni, ancora all’oscuro riguardo cosa fosse successo a Janko. Gienah sembrò risvegliarsi da uno stato di sonno.
“Oh...a parte una gamba rotta, tutto a meraviglia. Sono Gienah” disse lei presentandosi.
“Cristopher” rispose lui. “E’ divertente vederli mente tentano di compiacere quella biondina”
“Non è una biondina è una merda” replicò acida lei e rivolse un’occhiata aggressiva a Trixie che continuava a mostrare gli occhi dolci e a reagire con smorfie divertite. Cristopher rimase colpito dalla risposta e gli scappò una risata, cosa che fece sorridere anche lei. La McGrannit chiamò a raccolta i prefetti e diede le indicazioni per la permanenza della scuola, posticipando il discorso riguardo il Torneo Tremaghi al giorno successivo. Le ragazze di Bauxbatons sarebbero andate a dormire nella torre di Grifondoro, mentre i maschi si sarebbero diretti al dormitorio dei tassorosso, le ragazze di Durmstrang, invece, sarebbero andate con i tassorosso, mentre i maschi, infine, avrebbero raggiunto il dormitorio serpeverde. Eris chiamò a raccolta i suoi compagni e subito i ragazzi di Bauxbatons non appena la videro si scagliarono come una mandria di bufali per occupare i posti davanti a lei. Uno di loro sopratutto arrivò come una furia impazzita, piazzandosi ad un centimetro dal suo naso e lasciandola interdetta. Era bellissimo, uno dei ragazzi più belli che avesse mai visto, con gli occhi azzurri, la mascella perfetta e i capelli biondo scuro lunghi con una folta barba che gli dava un aspetto selvaggio, ma terribilmente virile. Eris arrossì leggermente e rimase per qualche secondo con la bocca aperta, non aveva mai avuto fidanzati da quando era diventata un obscuriale, troppo pericoloso e l’unica volta che ci aveva provato aveva quasi ammazzato Alvaro, nonostante ciò però aveva un debole per i ragazzi più grandi e quello che aveva davanti rispondeva al caso suo, sembrava un uomo fatto e finito. Era completamente assorta nel suo viso, fino a quando non aprì la bocca e una ventata di cipolla per poco non le sciolse il trucco.
“Ciao” disse lui con una voce primitiva, mentre l’odore aveva fatto allontanare la maggior parte dei presenti. Arthur Van Pelt si avvicinò a lui e con una leggera spinta lo tolse dal viso di Eris che era passato dall’estatico allo schifato.
“Scusalo tanto, Selim ci è andato un po’ pesante con la tarte flambè alla cipolla” disse lui con tono imbarazzato.
“Ma, Arthur, cosa fai...lei è ancora lì. Perché mi stati spostando?” chiese quindi il bestione con tono scimmiesco.
“Perché lei è la guida e non possiamo...beh...starle appiccicati” inventò lui e la mente semplice dei suo amico acconsentì.
“Ehi ciao, ragazzi! Io sono Harry e penso proprio che voi due dormirete con me” disse lui con tono effemminato ai due ragazzi che si erano spostati nella sua direzione. Arthur sgranò gli occhi, ma subito il ragazzo di tassorosso scoppiò in una risata sonora, mentre accanto a lui Maud replicava roteando gli occhi.
“Eh...ti sarebbe piaciuto ammettilo. Avresti dovuto vedere la tua faccia, scherzavo, puoi stringermi la mano, non toccherò altre parti di te” disse Harry allungando la mano e sorridendo al ragazzo. Arthur la strinse con un po’ di apprensione poi il gruppo si presentò e insieme si diressero verso il loro dormitorio con Eris in testa.
“Preparatevi alla bamba ragazzi” aggiunse infine Harry che notò inoltre che il ragazzo aveva una protesi al posto di un braccio. Il gruppo venne superato dai serpeverde che virarono subito verso i sotterranei, mentre davanti a loro guidavano i grifondoro con Alvaro Orozco in testa. Annie stava salendo le scale tenendo Steven per mano, notando che proprio dietro di loro c’era Rarity che ora stava conversando con Pam di Quidditch, ma che continuava a distribuire occhiate interessate al suo ragazzo. Una parte di lei desiderava tirarle una gomitata “casuale” sul naso, ma già le saltarono alla mente i sensi di colpa e cercò semplicemente di aumentare il passo trascinandosi dietro Steven. Lui inciampò nella scarpa di una ragazza di Bauxbatons e si ritrovò quasi per terra sulle scale, con il braccio di Annie che venne pesantemente strattonato dalla sua caduta, venne salvata dall’intervento di Andrej che sollevò la ragazza, ma che fece capitolare con la faccia sulle scale il povero Steven. Una mano si protese per aiutarlo e si ritrovò faccia a faccia con gli occhi scuri di Marinette che dopo essersi guardata intorno con circospezione lo aiutò ad alzarsi. Quando si ritrovarono vicini, lei, senza apparente motivo, si passò la lingua sulle labbra guardandolo negli occhi e aggiunse al tutto un bell’occhiolino. Steven deglutì un chilo di saliva e le sue membra subirono un tremito, tanto che questa volta fu lui, in preda ad una crisi emotiva, che si allontanò velocemente e raggiunse Annie, sincerandosi delle sue condizioni. Marinette sorrise soddisfatta, mentre veniva raggiunta da Charlotte.
“E’ carino, ha ragione troiararity” le disse Marinette soddisfatta.
“Marinette! Trattieniti e poi Rarity non è così male tutto sommato. Per me è troppo basso” replicò Charlotte, sempre critica riguardo gli atteggiamenti fin troppo espliciti dell’amica che a volte si comportava come se avesse gli ormoni che le esplodessero.
“Non conta l’altezza” disse l’altra con un sorriso beffardo a cui Charlotte reagì con un espressione a metà tra la confusione e una netta volontà di non desiderare di capire le sue parole, arrossendo leggermente. Il gruppo salì le varie rampe di scale e, dopo aver superato il ritratto della donna grassa, Alvaro li introdusse nel dormitorio.
“Eccoci qua, ragazze di Bauxbatons, questa è la nostra casa, le ragazze poi vi mostreranno i vostri alloggi, intanto potete sedervi qui nel refettorio, di solito organizziamo qualcosa la sera” disse lui con tono festoso.
“Pacchiano” esclamò Rarity guardando l’arredamento “Ci metterei un po’ di azzurro”
“Beh quello lo trovi dai corvonero e non abbiamo un ottimo rapporto con loro” le disse Steven e lei subito mostrò un sorriso a trentadue denti.
“Ehi che ne dici se ci mettessimo a cantare davanti al camino, ho portato una chitarra, non so voi cosa facciate per passare la serata” disse lei sempre sorridendo.
“Steven!” chiamò Annie.
“Ma...lei….ehm...beh...è per caso la tua ragazza?” chiese Rarity con il sorriso che era improvvisamente scomparso dalla sua faccia. Lui non riuscì a sentire la domanda che Annie gli aveva già raggiunti e aveva esordito con uno spento “Ciao” alla ragazza francese.
“Ti ho portato i biscotti” gli disse lei e lui non poté che reagire con un sorriso allo sguardo speranzoso di lei.
“Grazie” le disse lui e lei lo baciò proprio davanti alla faccia spenta di Rarity che si allontanò malinconica, raggiungendo le amiche. Marinette si girò per trattenere una risata colossale, mentre Charlotte le allungò un bicchiere che lei bevve tutto d’un fiato.
“Non farne una tragedia, ti prego” le disse quindi lei che era abituata alle uscite da teatro drammatico di Rarity. La ragazza dai grandi occhi blu scuro si limitò a sorriderle e leggermente abbattuta si diresse con la sua valigia verso il dormitorio, insieme a Pam che, ancora sporca di fango necessitava urgentemente una doccia. Intanto il gruppo grifondoro aveva già iniziato i festeggiamenti, con i tamburi da stadio che erano stati tirati fuori per l’occasione e Alvaro che a piedi nudi e con un copricapo di fiori era già in mezzo al gruppo a ballare come solo lui sapeva fare. Era finalmente iniziata la loro nuova avventura e tutti sapevano che sarebbe stato speciale, dal primo all’ultimo sapevano che avrebbero creato delle relazioni e delle amicizie che difficilmente avrebbero conosciuto in un altro momento, tutti erano pronti per l’inizio del torneo, ma sopratutto ora, non ne vedevano l’ora.

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Capitolo 6
*** Corvi e Colombe ***


Corvi e Colombe


Ministero della magia
I suoi occhi scuri fissavano il muro riflettente davanti a sé con un leggero tremito che le aveva raggiunto la mano destra e uno spicchio di unghia che girava da qualche minuto nella sua bocca. Nella stanza spoglia e grigia c’erano Dean Thomas e Maxwell Flower che stavano interrogando una delle colombe che erano state catturate qualche sera prima, ma sentiva in cuore suo che quello che stavano facendo si sarebbe rivelato del tutto inutile. “Non collaborerà. Non ci dirà assolutamente niente, cosa speravi di ottenere da questo interrogatorio?” chiese Harry appoggiandosi al muro e guardandosi le punte dei piedi. Hermione si morse ancora un’unghia e si girò verso di lui con occhi di brace e visibilmente innervositi.
“Quello che sta succedendo non ha senso. Come è possibile che si siano ancora persone così...così” fece per dire lei con tono agitato, ma Harry la fermò pacato.
“Umane”
Lei lo guardò colpita e confusa, poi continuò a parlare.
“La rappresaglia e la rivolta non sono atteggiamenti umani, sono comportamenti immorali”
“La rivoluzione è umana e fino a quando lo penseranno non sarà così facile fermarli” replicò lui.
Hermione gettò un altro sguardo rassegnato ai due auror all’interno della stanza e proprio in quel momento il prigioniero le lanciò un’occhiata gelida, condita con un sorriso soddisfatto. Ebbe un colpo al cuore e subito voltò lo sguardo, prima di indicare a Harry una porta sulla sinistra. I due entrarono e la ragazza frugò nelle tasche per tirar fuori un pacchetto di sigarette. Harry la fissò colpito, mentre lei si accendeva la sigaretta e iniziava nervosa a fumare.
“Da quanto fumi?” chiese lui.
“E tu da quanto bevi?” Lui fece un’espressione poco interessata e iniziò a fissare lo scaffale dietro l’amica.
“Ginny lo sa? Dio Harry...come puoi” provò a dire lei, ma lui ancora una volta l’aveva fermata con il tono che si era fatto più aggressivo.
“Saranno cazzi miei, Hermione” Lei lo guardò nervosa, poi fece un tiro fin troppo espansivo di sigaretta che si concluse con un forte colpo di tosse, subito dopo se la tolse dalla bocca e la spense in un posacenere di porcellana.
“Scusami” disse lui e lei scosse la testa quasi con amarezza.
“Non è colpa tua, è tutto questo che mi rende nervosa, ho persino iniziato a fumare, la sotuttoio Granger che fuma, dovrebbe venirlo a sapere Malfoy” disse lei scuotendo il capo e tirando un debole pugno di rabbia alla parete.
“Harry, io ho bisogno che tu mi dica qualcosa, che mi dia una mano, mi sento sola, sola contro qualcosa che non posso affrontare. Non siamo più a scuola, i libri non servono, ora lavoro con il ministero e la cosa ci sta sfuggendo di mano, mi sta sfuggendo di mano” “
Se ti fosse sfuggita di mano, le colombe avrebbero già preso il potere. Stai andando bene, credimi, devo solo stare calma, si vede quando sei nervosa ed è molto più facile ribatterti se mostri debolezza” le disse lui e lei lo guardò, questa volta più calma. Lei si sedette davanti a lui e gli strinse la mano, lui reagì con un sorriso dolce, mentre lei era ancora visibilmente scossa. Non era un bel periodo per il ministero e per Hermione in particolare, dopo una veloce scalata nelle gerarchie degli uffici ministeriali la sua carriera sembrava sul punto di crollare contro una barriera rossa che avanzava e che non sapeva come affrontare e che sopratutto l’aveva mostrata debole e umiliata davanti all’intero mondo magico. Il giorno prima il suo partito, lo stesso del ministro Shacklebot, aveva subito una terribile sconfitta nel Wizengamot. Il suo gruppo aveva deciso di mandare a processo le tre colombe catturate e cercare in questo modo di poter rendere ufficialmente fuorilegge il movimento, ma il risultato era stato qualcosa di inaspettato. Tristan Coleridge aveva distrutto il suo discorso, l’aveva innervosita, umiliata e l’aveva fatta sembrare una piccola bambina indifesa in una tana di iene, pronta per essere sbranata. Le sue parole erano state bruciate dalla voce più forte e determinata del giovane rappresentante del partito di centro che era riuscito a far perdere l’intera causa ad Hermione, segnando un record clamoroso con oltre l’85% del tribunale che aveva seguito la sua arringa. Giornali, emittenti e radio avevano segnato questo evento e Hermione, come rappresentante del ministro, era stata presentata come una incompetente e inutile ragazzina che, citando le parole di Rita Skeeter, “Ha lasciato il suo carattere e il suo carisma nei libri di scuola”. Era un disastro e le colombe erano ancora a piede libero con pochi auror e poco appoggio per fermarle e sopratutto con una traballante posizione al potere, con oltre la metà del tribunale pronta a votare per le elezioni.
“Tristan Coleridge ha ragione...non sono pronta, ha vinto lui” disse lei con tono avvilito.
“Ha ragione” Hermione guardò l’amico con gli occhi scuri spalancati “Ha ragione non sei preparata, ti comporti come un pulcino indifeso e non fai nulla per non farti sbranare e ti spiego anche il motivo del perché è così, perché tu stai pensando questo di te stessa. E finché lo penserai tu, lo penseranno tutti e Tristan sarà il nuovo ministro della magia”
Hermione si sentì il cuore salire in gola, Harry aveva ragione, aveva sempre ragione e lei aveva paura, una paura tremenda, paura di fallire, paura di essere la ragione di una possibile rivoluzione, positiva o negativa che fosse.
“Tu hai il mio appoggio, Hermione. Mi fido di te, sei stata la più giovane nella storia nella tua posizione e non c’è nessuno più qualificato di te per gestire questo uragano, devi solo crederlo”
“Mi sembra retorica la tua”
“Tristan la usa, alla gente piace, perché non dovremmo essere retorici anche noi” replicò lui , strappandole un tiepido sorriso.
“Tutti gli altri partiti stanno appoggiando lui ora, non possiamo rischiare delle elezioni, persino Starlight Glimmer e i suoi fanatici giacobini ora parlano in suo nome, è stata una fortuna inviarlo al Torneo Tremaghi”
“Una mossa intelligente, ma che può rivelarsi controproducente, le prove che lui sia effettivamente a capo delle colombe diventeranno sempre minori e senza quella prova è un politico come gli altri e come te, che può legittimamente agire e credere in un’elezione” disse Harry e capì che era riuscito ad accendere per anche solo un momento l’attenzione e il morale dell’amica.
“Per quante colombe catturiamo non ne parlerà nemmeno una e persino Katie Bell, quella infame...è passata impunita sotto processo”
“Adesso si è presa una pausa dal lavoro, ci andrò a parlare io” disse lui con tono deciso.
“Harry non devi farlo per forza, potrebbe essere pericoloso e pensi davvero di ottenere qualcosa?” “Non lo so, ma un’idea penso di averla...” rispose lui, ma proprio in quel momento la porta si aprì e comparve il volto stanco e sudato di Dean Thomas che scosse la testa avvilito.
“Dean, forse mi serve il tuo aiuto” gli disse Harry.

Diagon Alley
Allock entrò con passo spedito nella libreria con un eccentrico sorriso sulle labbra e come se fosse pronto ad aspettarsi decine di ammiratori pronti a chiedergli un autografo. Il suo viso mutò però in un espressione spenta non appena vide che delle persone nella libreria nessuna si era voltata se non qualche signora di mezza età che gli lanciava occhiate compromettenti che lui riusciva lestamente a schivare.
“Ragazzi, entrò qualche secondo a discutere con il mio editore, aspettatemi fuori” disse lui a Lapis e Lazuli che erano rimasti a fissarlo fuori dal negozio.
“Va bene” disse lei, mentre masticava con quasi noia una gomma da masticare. Gilderoy si chiuse quindi la porta della libreria alle spalle lasciando i due da soli con il giorno che si stava lentamente proiettando verso la sera e il cielo prometteva pioggia con un gelido vento che si muoveva sinuoso tra le vie di Diagon Alley.
“L’hai sentito, vero?” chiese lui che aveva sempre il suo viso freddo e spento e che stava fissando un punto indistinto davanti a sé, mentre intorno a loro la strada era deserta e l’insegna della libreria sbatteva insistentemente avanti ed indietro.
“Dubiti del mio udito?” chiese quindi lei che gli lanciò un’occhiata fredda prima di continuare a fissare alla sua sinistra, con la gomma da masticare ancora stretta tra i denti.
“Cercavo di tenerti all’erta. Ci segue da quando siamo usciti, cosa credi che stia aspettando?” chiese ancora lui.
“Che ci liberassimo di lui, chiunque sia non penso abbia buone intenzioni, ti senti pronto, fratellino?” disse lei lanciandogli un sorriso beffardo, mentre lui non era più così tanto sereno e tranquillo come prima.
“E’ veloce” disse lui “Si muove in continuazione, sorella, ci spostiamo” Lei sputò la cicca terra dopo aver sbuffato leggermente, poi con calma olimpica si diresse a sinistra.
“Vado a prendere dei vestiti” disse lei ad alta voce, mentre il fratello annuiva e si dirigeva verso destra. Lyra era nascosta dietro la grande fontana di marmo al centro della piazza, poggiata sulle ginocchia in una scomoda posizione che le dava incredibilmente fastidio, mentre nelle mani stringeva con cura e forza la spada, la cui lama veniva costantemente colpita dalle gocce di pioggia che erano appena iniziate a scendere. Alzò lo sguardo e vide Lapis prendere un vicolo qualche decina di metri davanti a lei, mentre la ragazza procedeva lungo la via. Con uno scatto repentino si spostò sotto il portico di legno della serie di casa che aveva davanti, nascondendosi dietro la colonna e senza perdere il contatto visivo con la ragazza che le dava le spalle. Il suo cuore batteva fortissimo, i respiri erano forti e continui, mentre la cresta rossa che erano i suoi capelli era caduta di lato coprendole la visuale dall’occhio destro. La ragazza spostò con la mano i capelli, ma proprio in quel momento, Lazuli era scomparsa. Venne colta da un tremito e si voltò di scatto, correndo dietro una cabina del telefono e sedendosi a terra con il fiato alla gola e la spada sempre stretta in pugno come a volerle lanciare una preghiera. Si sporse tra i vetri coperti di gocce di pioggia della cabina e non vide nessuno lungo la strada, Lapis non era più nel vicolo Lazuli non era più davanti a lei, venne colta da un’ansia terribile. Sentì il suono di un passo che scalfiva una pozzanghera e si voltò di scatto pronta ad infilzare chi aveva alle spalle, ma dietro di sé non c’era nessuno. Si allontanò con il cuore che sembrava volerle uscire dal petto verso la fontana che fungeva da incrocio per una serie di quattro strade. Alla sua sinistra aveva la libreria nella quale era entrato Gilderoy Allock, dietro di sé aveva due vie pressoché identiche circondate dalla medesima striscia di case di legno, mentre davanti a sé, c’era un’altra strada che si ricordava essere quella che portava alla Gringott. Intorno a lei non c’era anima viva, sembrava come se l’intero quartiere fosse addormentato per paura della pioggia che scendeva violenta ora su tutta la piazza, il vento sferzava le strade gettandole dei violenti e gelidi abbracci che le stringevano le braccia e le gambe sui suoi vestiti fradici, mentre sopra di lei il cielo iniziava a farsi sempre più scuro. Sentì il suono di una lampadina che scoppiava alle sue spalle e iniziò a correre con ansia seguendo la strada che aveva davanti a sé, nascondendosi poi dietro ad una colonna di legno, coperta dalla pioggia, ma ancora davanti, dietro e intorno a lei non c’era nessuno. Proprio in quell’istante davanti a lei spuntarono due occhi azzurri spenti e freddi che la fissavano intensamente, un piccolo naso e una bocca sottile, conditi da dei capelli biondi che circondavano un viso che la fissava dall’alta al basso. Proprio davanti a lei la ragazza che stava seguendo le penzolava sopra con le gambe che la tenevano fissata ad una trave del portico, mentre il suo busto capovolto la fissava con le braccia conserte, Lyra che era pietrificata dalla paura. La ragazza bionda continuava a fissare gli occhi chiari di Lyra che era diventata pallida, tremante ed aveva completamente perso il controllo del suo corpo, non si era mai sentita in questo modo in tutta la sua vita e non si spiegava il perché di questo puro e livido terrore. Si staccò con forza dalla colonna e iniziò a correre dalla parte opposta, calpestando con forza le pozzanghere intorno a sé e con la netta sensazione che qualcuno la stesse seguendo o aspettando, poi girò in una via laterale e si ritrovò la strada bloccata da Lapis che la fissava con occhio spento, ma con le sopracciglia inclinate, come a volerle far credere che non avesse via d’uscita. Tornò indietro con forza e si ritrovò alla fontana, iniziò a respirare con forza, con le mani appoggiate a bordi umidi e freddi della costruzione, con i polsi che tremavano e che ancora stringevano l’elsa fredda e pesante della spada che lei fissava con occhi ricchi di ansia e preoccupazione. Aveva visto la paura in quei giorni, l’aveva assaporato come nessun altro ancora, aveva sentito i passi lenti del terrore percorrere le sue vene fino a trasformare la sua sicurezza e la sua freddezza in un instabile concentrato di pianto e sofferenza. Sentiva il cuore farsi debole da tanto stava battendo, mentre gli occhi iniziavano a vedere sfocato. Non si era ancora ripresa dall’ultima terribile notte nonostante sapesse a cosa stava andando incontro, avrebbe dovuto fermarsi e riposare, non avrebbe dovuto tentare di affrontarli a viso aperto, non in questo momento, non con la mente instabile che si trovava, non con il fisico ancora oppresso dalle ferite, non con quegli occhi scuri che la fissavano ad ogni angolo. Sentiva ad ogni passo, ad ogni goccia di pioggia che le cadeva sui capelli, ad ogni folata divento che le faceva chiudere gli occhi, i suoi respiri che chiedevano sangue e la sua voce che suonava come un rasoio affilato sulle sue braccia. E sapeva con forza che questi altri due non sarebbero stati clienti altrettanto facili, ma non pensava che sarebbe stata così incapace di reagire alla paura. Si voltò e vide davanti a sé Lapis che con la solita espressione indifferente e menefreghista la fissava quali a volerla studiare, per cercare di capire se quella spada fosse lì solo per bellezza e avrebbe tentato di usarla.
“Chi sei?” chiese lui con una voce così gelida che lei per poco non ebbe un tremito, non riusciva più a riconoscersi, non era più sé stessa, si sentiva una bambina indifesa. Si sentiva la gola fredda e congelata come se ogni parola fossero spicchi di ghiaccio che potevano roderle il collo e tagliarle le corde vocali, persino il respiro era come se stesse masticando vetro, si sentiva fuori controllo, fuori controllo fisico e mentale, ma non sapeva come evitarlo, avrebbe potuto ucciderla, in quel momento, si vide trapassata da parte a parte dalla sua spada, non avrebbe potuto evitarlo era in balia del momento, in cuor suo pregò Lapis di ucciderla.
“Che diavolo pensi che abbia?” chiese Lazuli che era seduta sulla statua della fontana e che fissava Lyra confusa e curiosa.
“Perché ci segui?” chiese ancora Lapis, ma Lyra ebbe uno scatto veloce, prese la spada e cerco di colpirlo proprio sulla fronte. Sentì il sangue ribollirle nelle vene, il fuoco scoppiare dentro il suo fuoco, ma l’unico sapore che sentì fu quello del sangue che si ruppe dentro la sua bocca dopo che la ragazza le aveva stampato un forte e deciso calcio sulla guancia che l’aveva fatta volare a qualche metro di distanza. Lapis gettò un’occhiataccia alla sorella che reagì roteando gli occhi e facendo spallucce. Lyra ebbe il tempo di vedere ancora una volta gli occhi scuri del mostro che aveva nella testa e il suo sorriso aguzzo e terrificante, condito dalla sua risata acuta e maligna, prima di svenire con un forte sapore di ferro in bocca e la testa appoggiata sul pavimento. Lazuli si sporse su di lei, ma il fratello la fermò con la mano.
“Che cosa fai?”
“Voglio la sua giacca”
“Morirà di freddo”
“E allora?” Lapis la gelò di nuovo con lo sguardo e lei si allontanò con qualche imprecazione raggiungendo la fontana e iniziando a lanciare dei sassi al suo interno. Lapis la sollevò e se la pose quindi sulla spalla, prima di adagiarla contro la parete di un pub dal quale provenivano dei rumori, bussò alla porta quattro volte, poi sparì con uno scatto fulmineo, lasciando la ragazza svenuta e con il sangue alla bocca, mentre la porta, cigolando si apriva.

Hogwarts
Trixie si alzò da terra con foga e rabbia, con un’espressione di dolore e furore sul viso, mentre con le mani cercava di levarsi la polvere dalla divisa. I suoi occhi si spostarono sulla sua avversaria davanti a sé che la fissava con sguardo freddo e determinato, ma che in cuor suo provava molta paura. Penelope l’aveva appena schiantata e l’aveva scaraventata contro la parete, facendola poi ricadere a terra con un tonfo violento, tanto la corvonero che già si sentiva in colpa per quello che aveva iniziato e avrebbe voluto scappare e nascondersi da qualche parte per evitare complicazioni. Trixie barcollò leggermente verso destra prima di ritrovare il contatto visivo con Penelope e gettarle un sorriso maligno.
“Non mi sono fatta male, non mi sono fatta niente! Così patetica che...” esclamò con forza Trixie, ma per la voce troppo alta fece un colpo di tosse per il colpo alle costole che aveva subito. Dietro di lei si erano fermati alcuni studenti di Durmstrang che fissavano la scena divertiti. Tra di loro c’erano Nadia che fissava la scena con non molto calore e un enorme bellimbusto di nome Ivan che, invece sembrava parecchio divertito, tra i due c’era un terzo ragazzo biondo, particolarmente basso per essere un maschio che cercava di attirare l’attenzione di Nadia.
“Ehi, Nadia! Su chi scommetti? Dai su, io dico la bionda, guarda com’è incazzata” disse lui sorridendo e sgranando gli occhi.
“La bionda non ha speranze, è in balia di una psicologia fragile e compromessa, l’altra è molto più brava, potrebbe finirla con un colpo semplice e veloce, spero che siano tutti come quella...Trixie i miei avversari al Torneo Tremaghi” rispose Nadia fissando il ragazzo biondo con occhi determinati.
“E sei così sicura di essere presa? Ci sono anche io in gara, per non parlare di Astal, o Janko...beh forse Janko no, ma comunque...” disse lui, ma la ragazza aveva alzato le sopracciglia stupita.
“Non era una domanda, Nikolaj, io vincerò e tu non sei un termine di paragone”
Nadia voltò lo sguardo di nuovo verso il piccolo scontro che stava avendo luogo davanti a loro, mentre Ivan rideva di gusto alle parole che l’amica aveva spedito a Nikolaj che ora fissava il pavimento irritato.
“Beh allora...” fece per dire lui con tono rabbioso, ma Ivan gli tirò una gomitata, invitandolo a fare silenzio. Nadia sorrise. Intanto Trixie aveva ripreso la bacchetta e studiava l’avversaria che rimaneva attenta e vigile. Dietro a Penelope, invece, c’erano un piccolo gruppo di studenti di Hogwarts, alcuni dei quali controllavano dietro l’angolo che non arrivassero professori, pronti poi a correre via non appena avessero visto Gazza, il custode, o qualche insegnante, tuttavia Penelope sapeva che la cosa non sarebbe finita con un banale richiamo, Trixie non avrebbe riposto la bacchetta per nulla al mondo, era la sua occasione per dimostrare alla scuola che lei era la migliore, migliore di Penelope, migliore di quanto lei potesse mai sognare. Ci aveva provato in continuazione, era stato il suo obiettivo per tutti questi anni, stuzzicare Penelope per farla reagire e dimostrare finalmente al mondo e a sé stessa che era la numero uno, la migliore. Aveva sempre sofferto la serpeverde la distanza tra lei e la corvonero, per quanto Trixie fosse la migliore in incantesimi, nonostante Penelope fosse poco alle sue spalle, l’altra era la migliore in tutto quello che si poteva permettere, in ogni materia in cui si doveva usare la bacchetta e questo per Trixie era inaccettabile. Era sempre stata così lei, competitiva fino al midollo, senza alcuna capacità di sopportare che poteva essere seconda a qualcuno, doveva sempre essere lei ad avere il ragazzo più bello e non mancava di sottolinearlo a Penelope in continuazione, doveva sempre essere lei ad avere i voti più alti, doveva essere lei ad essere più popolare, tanto che si era convinta a diventare prefetto e aveva persino imparato il Quidditch per avere qualcosa in più con cui rivaleggiare con lei che era cacciatrice per corvonero, una delle migliori della scuola. Penelope era diventato il suo totem, la sua bambola vudu personale, la fonte delle sue ansie e delle sue paure, la fonte della sua rabbia e l’unica sua nemica degna di questo nome in tutta la scuola, Penelope era il vertice del suo odio e non c’era momento che non provasse ad alimentarlo, Penelope era la sua ossessione. Quel giorno però la corvonero, una delle persone più tranquille e sicuramente meno propense alla violenza della scuola non aveva resistito a reagire, per la prima volta da quando Trixie l’aveva presa come nemica, nonostante lei non provasse nessun sentimento di odio verso la serpeverde.
“Hei ciao, Penelope Sparkle. Ancora in giro per i corridoio a portare questo tuo profilo sciatto e trasandato, dovresti curare la tua immagine” le aveva detto Trixie, un normale commento, in un normale giorno per le due.
“Non sono in vena, Trixie” aveva replicato lei, cercando di superarla, ma quella le si era messa davanti.
“Sai, mi stupisce sempre come tu riesca a peggiorarti ogni volta e poi quella frangetta scura non ti dona proprio, ti chiamerò testa di cocco d’ora in poi, oppure frangetta stronzetta!”
“Trixie, io sto cercando di andare in biblioteca e non voglio parlare con te ora”
“Ah adesso non merito la tua attenzione, ah ma certo io sono Penelope Sparkle, la regina della scuola, la più brava, bleah! Così brava da venire evitata e come posso dire...ignorata ecco, dal suo unico vero amore...”
Gli occhi di Penelope si erano tinti di rosso.
“Tesoro, una frangia come quella non farà certo cadere il tuo adorato Steven tra le tue braccia”
“Finiscila”
“Così tanta patetica fatica per cercare di farti piacere quando per lui non sei nemmeno un insetto”
“Smettila”
“Per quanto ti impegnerai tesoro a cercare di assomigliare ad Annie, lei sarà sempre un passo avanti a te, ah è pure tua amica, vero?”
“Trixie...”
“Chissà come ti senti quando li vedi insieme? Piangi?”
Penelope l’aveva schiantata contro la parete, senza una parola di troppo, senza nessun insulto, solo un’ondata tremenda di rabbia scaraventata contro Trixie. Le scese una lacrima pensando alle parole terribili dell’avversaria e per un attimo ebbe una dolce immagine di lei e Steven abbracciati che svanì velocemente con la voce irritante e furiosa di Trixie.
“Oh sì! Finalmente ti sei decisa a reagire! Aspettavo questo momento da una vita”
“Non voglio duellare con te, non volevo nemmeno schiantarti, vattene via e lasciami sola!” disse Penelope con una nota di tristezza nella voce.
“Sembra che tu stia per metterti a piangere. Sarebbe soddisfacente farti piangere, ma mai quanto sconfiggerti in duello” replicò l’altra e scagliò un incantesimo veloce all’avversaria che parò facilmente con un protego.
“Andate via di qui!” esclamò Penelope a quelli dietro di lei, ma non si accorse che Trixie aveva già reagito alla sua parate e la stava colpendo con un getto di fiamme. Penelope schivò con un salto, ora più preoccupata a porre fine a questa follia piuttosto che a colpire l’avversaria che continuava ad attaccare con gli incatesimi più disparati che la corvonero stava iniziando a controllare con fatica.
“Sai qual è il mio incantesimo preferito?”
“Finiscila Trixie! Si farà male qualcuno!”
“Lo spero, Wingardium Leviosa!” esclamò lei con forza e sollevò un’intera stata di due metri di altezza dal pavimento.
“Reducto!” urlò Penelope non appena la statua la stava per schiacciare, frantumando il marmo che la componeva, ma si sentì colpire fortemente alla spalla e rimbalzò indietro cadendo sul pavimento. Si alzò dolorante e vide che l’avversaria stava sollevando con un solo incantesimo ben cinque busti di statua diversi, mentre si sentiva la spalla dolore. Penelope scosse la testa, mentre vedeva la ragazza con un’espressione quasi folle in viso, pronta a scagliarle contro tutti e cinque i busti.
“L’incantesimo più facile, ma anche il più inaspettato. Così scarso che viene sottovalutato, mentre io ne sono diventata una maestra, con l’obiettivo unico di usarlo in questo giorno, oggi finisce il regno di Penelope Sparkle e inizia quello di Trixie Skinkler” disse lei con tono vittorioso, mentre i busti rotearono verso di lei.
Penelope colpita al cuore per il brutto dialogo di prima e con il solo obiettivo di porre fine a questa barbarie era sul punto di lasciarsi colpire, quando Steven intervenne sulla scena e con estrema velocità la raccolse da terra e schivò i colpi. Penelope aprì gli occhi e vide davanti a sé il volto serio di Steven e, prima di svenire per il dolore alla spalla, sorrise.

C’era un immenso silenzio nella sala grande quando Tristan Coleridge si alzò dalla sedia per dirigersi proprio al centro della sala, in modo da poter essere ascoltato da tutti gli studenti senza bisogno di usare incantesimi. Era giovane e bello, sicuramente il più affascinante tra gli adulti, i capelli erano rasati a zero con i lineamenti spigolosi e gli occhi neri e grandi, vestiva una camicia bianca con i pantaloni neri che gli davano un aspetto elegante, ma ance molto lontano dalla tradizione magica, chiunque avrebbe detto che stesse vestendo volgari abiti babbani.
“Mi sentite, ragazzi?” chiese lui con una voce forte e chiara, come se fosse abituato a parlare davanti a tante persone.
“Non vi ho sentito” Tutta la sala in coro rispose affermativamente.
“Benissimo. Io sono Tristan Coleridge, dipartimento internazionale e sono qui come rappresentante del ministero per questo evento. Forse molti di voi mi conoscono come il cattivo dei giornali, ma per chi non sapesse nulla di me sono io che organizzerò questo torneo ed è mio compito, ora, spiegarvi come funzionerà, so che non siete nella pelle di partecipare e penso che le mie parole, vi faranno abbastanza felici. Per la prima volta nella storia il Torneo Tremaghi non sarà un Torneo Tremaghi”
A queste parole iniziarono a levarsi parole di confusione tra le tavolate.
“Prima che iniziate a porvi troppe domande e la vostra mente vaghi su possibili interpretazioni, rispondo subito alla vostra curiosità. Non ci sarà un campione per ogni scuola, bensì, quattro”
Ancora più vociare si levò tra le panche, tanto che fu necessario che Tristan richiamasse al silenzio tre volte prima d continuare a parlare.
“Capisco l’emozione ragazzi, ma contene i vostri ormoni di campioni, non siete ancora alla prima prova, abbiate pazienza. Come da tradizione per selezionare i campioni utilizzeremo un giudice imparziale, il calice di fuoco!” continuò lui e alzò il braccio con forza. Il responsabile degli uffici sportivi del ministero Ruud Bond, tolse quindi la copertura di stoffa che copriva la costruzione che si ergeva davanti al tavolo degli insegnanti, mostrando una colonna spoglia su cui capitello era poggiato un pesante calice bronzeo dal quale fuoriuscivano fiamme azzurre. Ci furono altre esclamazioni di stupore e meraviglia, poi Tristan riprese la parola.
“Io stesso mi impegnerò a fare in modo che il mio giudice non si faccia infinocchiare come un pollo da dei ragazzini. Solo i ragazzi dal quarto anno in su potranno partecipare e non sarà possibile per i più piccoli nemmeno tentare, perché intorno è disegnata una linea dell’età che non permetterà a nessuno di iscriversi al torneo”
Esclamazioni di giubilo si udirono tra i ragazzi di quattordici, quindici e sedici anni che non pensavano gli avrebbero permesso di partecipare, mentre i più vicini si sporgevano per vedere la linea dell’età che era già stata tracciata.
“Avete tempo tre giorni per iscrivervi, poi, solo quando i campioni saranno rivelati, vi diremo in cosa consisterà il torneo, ma un piccolo, ma necessario avvertimento. Questa non è una piccola scampagnata in compagnia, non è una partita di Quidditch, non è un gioco e sopratutto non è uno scherzo. Il calice sceglierà chi reputerà migliore, ma iscrivetevi a vostro rischio e pericolo, sarà una prova dura, difficile e pericolosa, sopratutto pericolosa, in cui solo i migliori potranno...sopravviere”
A questa parola si levarono esclamazioni di paura e nella sala si fece nuovamente alto il vociare.
“Non era certo per allarmarmi, ma dovevo avvisarvi, solo i migliori possono farcela, non è un torneo per maghi ordinari, preparatevi, futuri campioni, buona serata” concluse lui e si rimise seduto sul lato sinistro della tavolata con Ruud Bond alla sua destra e Lyra Orzhov, l’accompagnatrice di Durmstrang, alla sua sinistra.
“Quattro campioni? Interessante. Ragazze, abbiamo la possibilità di partecipare...oh mio dio che cosa stupenda!” esclamò Charlotte con foga.
“Non ti agitare” disse Marinette “Ci sono solo quattro posti e noi siamo in due”
“Tre!” intervenne con forza Rarity “Come dite che dovrò vestirmi per la prima prova? Blu secondo me...oh forse viola. Rosso, rosso senz’altro”
“E la cosa divertente è che io la ascolto ancora” disse Marinette sottovoce a Charlotte.
“A chi lo dici, sembra un disco rotto...blablabla Steven...blablabla vestiti….blablabla darling” replicò l’altra.
Accanto all’acceso gruppo di Bauxbatons c’erano i grifondoro che non capivano una parola quando parlavano in francese, di loro però non c’erano né Steven, né Andrej.
“Che fine ha fatto Steven?” chiese Gillan a Annie che stava mangiando con non troppa voglia del salmone.
“A testimoniare dalla preside per il casino che ha tirato insieme Trixie”
“E non ti fa ingelosire il fatto che sia con Penelope?” chiese Pam con tono maligno.
“No!” esclamò lei, ma si accorse che aveva alzato troppo la voce visto che alcune teste si erano levate verso di lei.
“Sono così gelosa?” chiese Annie con una nota di preoccupazione. Gillan fece segno di così così con la mano.
“Oh ma lo sarei anche io se stessi con Steven, cioè...beh io forse l’avrei già lasciato…nel senso...capisci no? Non so come tu faccia a sopportare” disse quindi Gillan notando lo sguardo non particolarmente apprezzato di Annie.
“Steven mi am...mi vuole bene e non mi tradirebbe mai, io lo so con certezza, lo so che voi avete sempre diffidato di lui, ma io credo nella nostra relazione e non so come potreste capirmi” disse lei abbassando lo sguardo.
“Oh ma io ti capisco!” disse Pam con la bocca piena di cibo “Mi passi il sale” Annie roteò gli occhi e allungò il sale all’amica.
“Non ho mai avuto un ragazzo, ma penso di capire quello che dici”
“Davvero? E come?”
“Istinto femminile” rispose l’altra strappando un sorriso all’amica. Intanto anche al tavolo di serpeverde la conversazione era particolarmente accesa.
“Sicuramente i quattro campioni saranno tutti nostri, di serpeverde intendo, se permetteranno ancora a Trixie di circolare nella scuola per lo meno, quella fallita si è divertita a spaccare i corridoi” disse Aaron con un ghigno divertito.
“La sua telecinesi è impressionante, sarebbe stata un bell’avversario disse Nikolaj, mentre accanto a lui Astal traduceva a Ivan che non sapeva una parola di inglese.
“E adesso lei e il suo fidanzatino sono dalla preside sarei curioso di vedere la scena della sua espulsione” replicò lui con enfasi “Da quando si è messa con quel grifondoro poi mi è proprio caduta in basso e se poi qualcuno non si rompesse le gambe a caso, saremmo veramente una squadra vincente, tra te e Trixie, Gienah non so chi sia messa meglio”
“Come? Mi stai paragonando a quella biscia? Piuttosto mi ingesso anche l’altra gamba, meglio che essere quella stronza” rispose Gienah alla chiamata con rabbia e disprezzo nella voce.
“La odi da così tanto,? Io leggo una nota di invidia nelle tue parole, non sarà mica perché lei ha un fidanzatino e tu no? Sono sempre disponibile per soddisfare i tuoi istinti animaleschi se ti serve” disse quindi lui fissandola con tono divertito, mentre come sempre, lui stava seduto sul tavolo guardando dall’alto al basso i presenti. Gienah arrossì leggermente, ma subito mutò il suo sguardo in ghigno rabbioso.
“Se pensi che accetterei mai, sei proprio senza speranza e sei disgustoso”
“Le tue guance dicono il contrario” Gienah girò con rabbia il volto e si mise a parlare con un altro gruppo di serpeverde.
“E’ carina” disse quindi Nikolaj gettando un’occhiata desiderosa alla ragazza.
“E’ un pezzo di legno, c’è di meglio qui intorno, corvonero sono le migliori, facili, stupide e così dolci da far sembrare tutto un gioco” replicò Aaron con soddisfazione.
“Mai carine e belle quanto quella là però” disse quindi Astal indicando Eris Keats.
“Quella è intoccabile amico. Per il poco che so non ha mai avuti fidanzati e ha una terribile lista di friendzone intorno, se non ce l’ho fatta io non ha senso tentare, puoi rilassarti”
“Mi intriga, potrebbe essere anche questa una sfida, siamo in clima di tornei no? “ disse quindi Cristopher gettando un ulteriore sguardo ad Eris che quella sera era particolarmente bella.

I due erano appoggiati contro le pareti opposte del corridoio ed entrambi avevano il capo chino come ad aver paura a fissarsi negli occhi. Lei indossava gli occhiali con la montatura spessa nera i capelli erano lisci e spettinati, persino la frangia nera era scompigliata e mostrava una parte di fronte. Lui aveva il suo classico taglio corto con un folto ciuffo rivolto verso l’alto che si continuava a spostare insistentemente da una parte all’altra del capo.
“Hai fatto un bel gesto a chiedere a Pix di prendersi la colpa, pensavo mi avrebbero espulsa” disse Penelope con tono indeciso e timido.
“Mi doveva un favore, l’importante è che non si sia fatto male nessuno. La tua spalla?” chiese Steven anche lui molto a disagio.
“Va meglio, grazie. Perché l’hai fatto? Nel senso...non me lo sarei mai aspettata da te” disse quindi lei.
“Io sono stato uno stronzo con te...ti ho ignorata e ti ho trattata come se tu non esistessi da quando sto con Annie, questo non significa che non tenga a te. Sono un vigliacco e mi sentivo male anche solo a guardarti, ma non posso negare che sei stata parte della mia storia”
“Io ti amo ancora”
“Lo so, lo vedo ogni volta che mi guardi e non posso fare altre che scusarmi con te, di nuovo”
Tra i due si fece di nuovo silenzio, così tanto silenzio che si potevano sentire le lacrime di Trixie dal bagno dei prefetti al piano di sopra. Non erano state espulse, ma poco ci era mancato, era stato solo grazie a Steven ed Andrej che avevano convinto Pix, il poltergeist che infestava la scuola, di prendersi la colpa, dopotutto, per fortuna, nessuno si era fatto male, ma un duello del genere in un corridoio dentro la scuola non sarebbe certo stato tollerato. Steven e Penelope si sentivano due sconosciuti ormai a parlare dopo così tanto tempo e intorno a loro c’era un velo di imbarazzo e paura a essere da soli in quel momento, sembrava come se al centro del corridoio ci fosse un muro che li divideva e che non permetteva loro di guardarsi. Erano stati fidanzati, si erano voluti bene, forse amati e nessuno oltre a loro due conosceva questa storia, nessuno lo sapeva, solo il loro passato ricordava il loro amore, che nonostante fosse solo vecchio di un anno, sembrava datato di un secolo. La loro storia non era mai stata tutta rose e fiori ed era stato un rapporto difficile da costruire, ma erano sopravvissuti ai loro caratteri così diversi, almeno fino a quando in mezzo alla loro storia si era messo un altro personaggio, un personaggio che Penelope non avrebbe mai immaginato e che avrebbe cambiato la sua vita ad Hogwarts per sempre. Lei e Annie erano amiche, forse migliori amiche un tempo, ora poco più di due conoscenti, al tempo della sua storia con Steven lo erano senza dubbio, ma la grifondoro non sapeva della loro storia, non l’avevano rivelata a nessuno e lei e Steven non la ostentavano certo tra i corridoi, al massimo si concedevano qualche bacio in biblioteca, quello era forse stato il suo errore. Annie amava Steven, loro si conoscevano da quando erano bambini e da molto prima di Hogwarts, pensava che finalmente sarebbe riuscita a mettersi con il suo migliore amico, non pensava certo che fosse fidanzato, lui non amava farsi vedere in giro con le proprie ragazze, che fosse perché non voleva che le altre pensassero fosse occupato o per semplice desiderio di privacy, tuttavia Annie credeva fosse libero e non ci aveva pensato due volte, la sera di Natale dell’anno prima a rivelare tutto quello che aveva dentro di sé da troppo tempo. Penelope non lo venne a sapere, lui e Annie erano vicini di casa in un quartiere di Birmingham e la ragazza aveva scelto il momento migliore per provarci, quando Penelope non poteva saperlo, ne poteva essere lì per ribattere o tentare di tenersi stretta il suo Steven. I due non potevano negare l’amicizia e i ricordi che avevano tra loro, si conoscevano meglio di chiunque altro e Steven non era riuscito a resistere all’amica, si era velocemente innamorato di Annie, come non mai in vita sua e avevano passato insieme le più belle vacanze di Natale della loro storia. Così era finita e da quando si erano lasciati non si erano quasi mai parlati, se non per qualche volta che lei si era offerta di aiutarlo con i compiti, sia perché provava ancora molto per lui, sia perché, comunque, sperava ancora in un possibile ritorno di fiamma, che non era ancora avvenuto e ormai ci aveva perso le speranze.
“Non voglio darti illusioni, Penelope, ho solo fatto la cosa giusta da fare” disse lui questa volta guardando gli occhi tristi e spenti di lei che si era tolta gli occhiali appannati e ora lo fissava quasi speranzosa di sentire da lui le parole che aveva desiderato per tutta l’estate.
“Lo so e non ti biasimo per questo, sono stata forse troppo stupida a sperare fino a questo momento, ma credimi quando ti dico che sto facendo fatica” replicò lei e lui abbassò nuovamente lo sguardo.
“Non riesco a dimenticare, in cinque anni sei stato il mio unico fidanzato e non è finita bene”
Il corridoio era vuoto e dalle alte finestre penetrava la luce della luna, era una delle poche notti in cui la pioggia aveva concesso all’astro notturno di diffondere la sua candida luce.
“Sento di aver sbagliato qualcosa” disse lei e delle lacrime leggere le scesero lungo le guance.
“Non hai sbagliato nulla, è stato solo...” provò a dire lui, ma lei lo fermò e guardandolo con gli occhi bagnati gli disse: “Sì che ho sbagliato! Ho sbagliato tutto. Dal primo giorno in questa scuola, sono un asociale, mi piacciono solo i libri e pur essendo un anonima sono persino riuscita a farmi una nemica”
“Non darti colpe che non hai, staremo ancora insieme se...”
“Non provarci nemmeno a dirlo! Non giocare con i miei sentimenti, tu mi hai lasciata per Annie e l’ho accettato, è stato corretto dopotutto. Ma non dire cose solo per farmi stare meglio” disse Penelope quasi con rabbia e Steven si scostò dal muro iniziando a camminare avanti ed indietro con le mani poggiate sulla nuca e il viso carico di nervosismo.
“E’ la prima volta che ne riparliamo” disse quindi lui.
“Mi hai evitata e credimi lo capisco...Annie non lo sa vero?” chiese lei con tono triste. Steven scosse la testa e si sedette con la schiena appoggiata alla parete, gli occhi fissi sulla luna e la mano destra nei capelli. Penelope si staccò anche lei dalla parete e si sedette accanto a lui, aveva smesso di piangere, sentiva come se avesse già speso troppe lacrime per questa storia.
“Mi hai ferita, ma hai anche fatto il possibile per non farmi soffrire allora, mi eviti perché non vuoi che ti amo ancora, non so se lo stai facendo per me, per proteggerti da Annie o solamente per il tuo orgoglio, ma apprezzo che a volte pensi ancora a me, come è successo questo pomeriggio” disse quindi lei con un tono dolce e quasi felice.
“Non dovresti ringraziarmi, non dovresti provare affetto per me, io non lascerò Annie e devi versare altre lacrime per questa storia, non te lo meriti” disse quindi lui e lei gli strinse la mano, lui ebbe un sussulto e il suo cuore iniziò a battere con insistenza.
“Con tutti i libri che leggo e tutte le pagine che imparo, non sono ancora riuscita a voltare quella della mia vita...buffo no?” disse lei con un debole sorriso sul volto.
“Forse è meglio che vada” disse quindi lui, ma lei gli strinse la mano più forte e con le lacrime agli occhi gli disse: “Non riesco proprio a evitare di piangere, sono patetica. Per favore, vuoi stare ancora un po’ qui con me?”
Steven annuì e lei lo abbracciò con forza, stringendolo come non l’aveva mai stretto, come a non volerlo lasciare andare, come a voler credere che fosse ancora lì con lei e pianse, pianse ancora una volta, mentre lui guardava la luna e non riusciva a pensare a niente. Sentiva il vuoto dentro la sua testa, come se avesse troppi pensieri che circolavano uno sull’altro e lasciassero spazio ad una poltiglia informe che non gli permetteva di capire quello che stava succedendo, era con Penelope, ancora una volta dopo tutto questo tempo e lo amava ancora, nonostante si fossero lasciati, nonostante Annie, gli venne una fitta al cuore e guardando la sua ex ragazza piangere sulla sua spalla, lasciò andare una piccola lacrima.

Intorno alla villa c’era una tenebrosa e sepolcrale aura di silenzio notturno, con solo la luce della luna ad illuminare il panorama boschivo sotto la villa e il suo grande giardino che un tempo doveva essere qualcosa di meraviglioso, ma che ora assomigliava più ad un prato infestato da spettri e rampicanti. Anche la casa sembrava vecchia e fatiscente, non certo il maniero antico e meraviglioso che doveva essere un tempo, sembrava abbandonato, come se nessuno ci avesse messo più piede da decenni e l’avesse lasciata al suo lento degradare. In effetti nessuno entrava in quella casa da almeno trent’anni, un tempo era stata un luogo importante nella storia magica, ora non era altro che un rudere che faceva da meta per cacciatori di fantasmi babbani o qualsiasi persona desiderasse un’avventura spettrale, quella sera però la villa Markov si era svegliata ancora una volta. Una piccola luce si mosse per qualche secondo alla finestra, prima di scomparire qualche secondo dopo.
“Delphi, spegni quella candela” disse una voce maschile potente nella stanza buia.
“Non riesco a leggere niente” replicò una voce di bambina con irritazione. Una mano raggiunse la candela e la spense con un soffio rapido, proiettando l’intera sala nella completa oscurità.
“Nessuno deve sapere che siamo qui, siamo in pericolo ovunque, per non parlare di quello che è successo negli altri posti in cui abbiamo tentato di nasconderci” disse nuovamente la voce maschile sedendosi su una sedia e scomparendo nell’oscurità. La bambina poggiò il libro per terra e si diresse con rabbia dall’altra parte della sala, sedendosi su un divano polveroso.
“Siamo qui da una settimana e non abbiamo fatto niente per sistemare questo rottame. Ragni, topi e questo odore di morto non ti danno fastidio?” chiese lei le cui parole determinate la facevano apparire molto più grande della sua vera età.
“E’ appunto per questo che non dobbiamo fare assolutamente nulla, finché pensano che questo luogo è abbandonato, non verranno a controllare” intervenne un altra voce maschile molto simile alla prima.
“Villa Markov, il primo covo del nostro signore oscuro, un tempo luogo di terrore e centro di potere, ora un nascondiglio per poveri erranti come noi, dalle stelle alle stalle, decenni sull’altare, decenni nella polvere” disse quindi l’altro uomo con un tono sempre serio, ma ora quasi nostalgico.
“Non possiamo però continuare così. Ho visto casa mia venire attaccata da un branco di reietti e non so quanto posso sopportare una simile condizione” questa volta a parlare era stata una voce di donna forte e fiera.
“Non è niente rispetto a quello che abbiamo subito io, mio fratello e mia figlia, solo per il nome che portiamo, Lestrange!” esclamò lui e tirò un forte pugno alla poltrona.
“Voi siete fuggiti, noi abbiamo dovuto combattere e abbiamo subito la sconfitta e la distruzione totale della nostra antica magione, lei avrebbe saputo cosa fare, Rodolphus” intervenne l’altro uomo che era poggiato al bordo della finestra con lo sguardo rivolto verso l’esterno.
“Lei non è qui e non devi tirarla in ballo. Sono tempi diversi, siamo noi i topi ora e se sopravvivere significa che dobbiamo nasconderci come ratti, questo è quello che faremo, Rabastan” replicò l’uomo sulla poltrona.
“Perché non combattere? Piuttosto che continuare a scappare...” intervenne la donna, ma Rodolphus si era alzato con foga.
“Va bene, combattiamo. Siamo io te, mio fratello, tuo marito e una bambina di nove anni. Cinque contro qualche centinaia, se non di più. Aria Morris, è una storia seria, lui non c’è più, non siamo più quelli di una volta e fino a quando non troveremo una soluzione, questa è l’unica cosa che ci resta da fare”
“Tesoro, non c’è fretta” disse una terza voce maschile alla donna che reagì con rabbia.
“Nostra figlia è ad Hogwarts ora! E fino a quando porta il tuo cognome è in pericolo, non starò ad aspettare, mentre distruggeranno lei come hanno fatto con la nostra casa!” disse Aria con rabbia al marito.
“Perché non la portate qui? Se non vi fidate della sicurezza di Hogwarts” disse Rabastan.
“Mi odierebbe per tutta la vita, come se già non le stessi antipatica e poi per cosa? Per portarla in questo covo di muffa?” replicò la donna quasi con tristezza.
“Papà” disse Delphi e Rodolphus cercò i suoi occhi verdi nell’oscurità della sala.
“Quando torniamo a casa?”
“Non torniamo, piccola, non torniamo” rispose lui quasi con rabbia, mentre la bambina spostava lo sguardo verso terra e rimaneva in silenzio con la testa poggiata su un cuscino rosso.
“E degli altri cosa mi dici? I Malfoy? Hawkmoth, che ne è di quelli che sono fuggiti alla cattura?” chiese Aria.
“I Malfoy sono fuggiti, i coniugi almeno, non so dove si siano nascosti, ma non ci hanno invitato e la loro villa è già stata fatta passare a setaccio. Per quanto riguardo lui, invece, so che hanno trovato il suo nascondiglio, ma che sia fuggito, è sempre stato un tipo solitario” rispose Rabastan.
“Il resto è a marcire ad Azkaban, noi siamo gli unici fortunati dei provvedimenti del ministero, tanto per mettere altra carne sul fuoco” aggiunse Rodolphus e Aria si alzò velocemente per andare a prendere una sigaretta e mettersi a fumare in un angolo con la debole luce che emetteva che le illuminava parzialmente il viso.
All’improvviso però l’attenzione del gruppo venne attirata da un rumore sordo come di schiocco di dita e subito tutti i presenti estrassero le bacchette. Aria gettò via la sigaretta e la schiacciò con la scarpa, mentre persino la bambina aveva estratto la bacchetta, la stessa che usava sua madre, mentre Rodolphus si er avvicinato a lei con fare protettivo. Rabastan si avvicinò alla porta e i suoi occhi iniziarono a fissare l’oscurità cercando di captare qualsiasi cosa di sospetto potesse provenire da fuori. Poi sentirono dei rumori sul soffitto come se qualcuno stesse camminando sul tetto. Qualcuno aveva annullato gli incantesimi di protezione, qualcuno sapeva che erano lì e già tutti sentivano puzza di colombe, come avessero fatto a trovarli rimaneva un mistero.
“Aria, sei contenta? Ora non ci resta che combattere, non possiamo più fuggire” disse Rodolphus con tono agguerrito e quasi eccitato.
“Mi mancava, spero di essere ancora in forma” replicò la donna che puntò la bacchetta contro la porta. Poi all’improvviso si sentì un rumore di vetri rotti ed entrambe le finestre vennero distrutte, due figure che indossavano abiti rossi erano entrate nella sala.
“Lestraaaange! E’ arrivata la pizza” esclamò una voce maschile squillante e subito scagliò un incantesimo verso il gruppo che si disperse.
“Ci pensiamo noi, voi andate” urlò Aria, invitando i due fratelli e la bambina a scendere al piano di sotto, mentre lei e il marito si sarebbero occupati dei due al piano di sopra. I tre iniziarono a scendere velocemente le scale, mentre dal piano di sopra iniziavano già a diffondersi suoni di battaglia. Rabastan si fermò a guardare fuori dalla finestra e vide che nel giardino si stavano velocemente radunando decine di uomini vestiti di rosso, segno che questa era davvero un’operazione di vitale importanza per il movimento, dopotutto i due Lestrange erano l’obiettivo primario dell’organizzazione e non gli era andata giù la loro fuga durante il precedente attacco. Rodolphus dovette prontamente reagire con un protego davanti alla fattura scagliatagli da uno di loro che era già entrato nella casa dalla porta principale.
“Avadakedavra!” urlò Rabastan e l’uomo vestito di rosso cadde a terra leggero come una piuma, prima che si accorgesse da dove provenisse l’incantesimo.
“Rabastan! Sei completamente uscito di senno?!” urlò Rodolphus correndo nella direzione opposta all’ingresso.
“Mi sono stancato di correre, adesso mi diverto un po’” disse quindi Rabastan fermandosi e iniziando a scagliare incantesimi di fuoco verso l’ingresso, bloccando i nemici.
Rodolphus scosse il capo e prendendo per mano Delphi, ancora confusa e scioccata sia dalla scena dello zio che aveva appena ucciso un uomo, sia perché era la seconda volta che accadeva qualcosa alla sua famiglia e nessuno le aveva ancora spiegato il motivo. I due entrarono nelle cucine e chiusero le porte intorno a loro.
“Papà” provò a chiamare la bambina, ma l’uomo le disse di fare silenzio, mentre il silenzio intorno a loro veniva velocemente invaso da un brusio crescente.
“Rodolphus Lestrange” esclamò una voce femminile, una delle più belle voci che avesse mai sentito e che riconosceva perfettamente.
“Marito di Bellatrix Lestrange e recentemente rilasciato da Azkaban dove era rinchiuso con una sentenza per la tortura di Frank e Alice Paciock”
“Il ministero mi ha fatto uscire, non vedo perché questo ti debba dare fastidio, Glimmer, esci fuori così possiamo fare un duello decente, l’ultima volta è finito con un attimo di anticipo” replicò Rodolphus con tono esaltato.
“Hai tagliato la faccia ad una mia compagna” replicò con ira lei e uscì dall’oscurità che la copriva mostrando un viso giovanile. Aveva i capelli castani cotonati e lunghi con una lunga ciocca che le copriva parte del viso e sembrava attaccata alla fronte con la colla da tanto era innaturale, un occhio era coperto da una benda scarlatta, mentre l’altro era viola e fissava l’avversario con odio puro.
“Eravate in casa mia”
“La casa di un criminale e un assassino”
“Ohoh. Esageriamo già che ci siamo dai” “
Non è la verità? Tu sei un essere che l’armonia sociale dovrebbe fare di tutto per estirpare, nel caso questa sia debole e incapace, è compito di altre facoltà pulire le erbacce dal giardino del nostro stato” disse lei e Rodolphus scoppiò a ridere con foga.
“Che hai?” chiese lei con stizza e mostrando un ghigno di rabbia.
“Parli come uno di quei bambini che vendevano i giornali nel secolo scorso….Edizione straordinaria siamo uno stato razzista e problematico, Starlight Glimmer ci salverà!” rispose lui continuando a ridere in modo maligno, mentre l’altra si stava trasformando in un braciere incandescente.
“Brucerete tutti in questa merda di casa, Ardemonio!” dalla sua bacchetta scaturì un potente getto di fiamma che inondò velocemente l’intera cucina.
“Sei folle!” urlò Rodolphus e con uno scatto prese tra le braccia la figlia e corse velocemente fuori dalla casa, mentre la cucina esplodeva di fiamme che uscirono dalle finestre inondando velocemente la casa. L’uomo corse verso la foresta e si nascose dietro un cespuglio, mentre una colomba rossa stava lentamente divorando la casa, stanza per stanza, parete dopo parete, non si sarebbe fermato fino a quando non avrebbe lasciato dietro di sé un cumulo di cenere.
“Ehi Rodolphus! Non ho finito con te” sentì lui provenire dal prato nei dintorni, Starlight Glimmer era ancora sulle sue tracce e come le fiamme che stavano divorando la casa non si sarebbe fermata fino a quando non avrebbe divorato lui e nel caso sua figlia.
Rodolphus prese Delphi per le spalle e con occhi amorevoli le sorrise, pulendole le guance sporche di fuliggine, poi tolse dalla tasca una collana con un medaglione sottile e la legò attorno al cuore della figlia.
“Piccola mia, non permetterò che ti prendano” disse lui e le ordinò di correre e salvarsi distruzione che aveva davanti agli occhi.
“Papà, io non corro via senza di te” disse lei con le lacrime agli occhi.
“Tu devi, tu devi sopravvivere, tu sei il futuro della...sua famiglia” disse quindi lui con tono avvilito.
“Non ti permetto di dirmi cosa devo fare, io starò con te e in caso morirò, non ti abbandonerò” Lui le sorrise, poi la abbracciò con dolcezza e guardandola negli occhi esclamò: “Imperius”
La bambina lo guardò con i suoi intensi occhi verdi, prima di assumere, un’espressione trasognata e allontanarsi correndo nella foresta.
Si alzò dal suo nascondiglio e arrivò faccia a faccia con Starlight Glimmer che lo fissava come si fissa un arrosto prima del cenone di Natale, doveva prendere tempo per permettere alla figlia di allontanarsi.
“Sembra che ti sia deciso a duellare...finalmente potrai avere la sentenza definitiva che ti meriti” disse lei con l’occhio sinistro iniettato di ira.
“La smetti di dire frasi ad effetto? Sei parecchio ripetitiva e di solito quelli come te vengono sconfitti” replicò lui con un sorriso convinto.
“Lestrange! Voi mangiamorte credevate di essere superiori a tutti, ma sai non solo nel mondo dei vivi tutti sono uguali, anche nel mondo dei morti lo sono e tutti hanno la stessa identica sentenza, oblio, non c’è redenzione per voi purosangue privilegiati” esclamò quindi lei con tono forte e deciso.
“Nemmeno per la feccia come te, c’era un tempo in cui insetti come te venivano schiacciati, mi stupisco come la tua stirpe sia sopravvissuta alla pulizia del mio signore, non avrebbe permesso ad un pagliaccio come te di crescere” disse quindi lui e notò con chiarezza che aveva ancora una volta toccato l’ira della ragazza che ora digrignava i denti con fare folle.
“Per tutta la vita ho combattuto l’ingiustizia, ma non si può combattere qualcosa di così naturale, così impresso nella nostra memoria, l’unico modo per raggiungere l’uguaglianza è estirpare l’ingiustizia dal mondo magico”
“Oppure puoi morire e diventare concime come tutte le persone prima di te”
“Avis” esclamò lei e attorno al suo corpo comparvero una serie di uccelli, che continuavano a moltiplicarsi fino a quando l’aria non sembrava invasa completamente da pennuti neri come corvi. Rodolphus fissò la scena con paura, non pensava certo che gli incantesimi di quella ragazza fossero così avanzati e non sapeva come controbattere allo sciame svolazzante che aveva intorno a lei.
“Avadakedavra!” urlò lui, ma una decina di uccelli si frappose tra il suo incantesimo e la ragazza, morendo nell’impatto, ma salvato Starlight il cui cuore stava esplodendo di paura dopo aver visto il getto verdastro.
“Oppugno” disse quindi lei e lo stormo terrificante si riversò sull’uomo facendolo cadere e coprendolo delle loro piume nere, mentre le sue urla di dolore erano coperte dal suono della distruzione della casa. Si sentirono i suoi ultimi lamenti, poi gli uccelli scomparvero, lasciando il corpo del mangiamorte coperto di sangue e irriconoscibile da tanto era stato massacrato dai corvi, morto, con le braccia aperte e il volto tumefatto. Starlight si avvicinò al corpo morto dell’uomo e vide che stringeva nella mano destra un medaglione dentro il quale, nella parte destra, era disegnata la foto di sua figlia appena nata e che, se aperto, produceva una musica di carillon. Ebbe una fitta al cuore per quello che aveva fatto, ma subito tornò in sé, prese il medaglione e se lo mise con cura in tasca, poi si allontanò dal cadavere, ammirando con soddisfazione la villa Markov che crollava, divorata dalle fiamme.

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Capitolo 7
*** I Campioni ***


I Campioni

Il gruppo si stava incamminando velocemente lungo la scalinata che portava al campo di Quidditch, molti di loro erano assonnati e mostravano segni di stanchezza attorno agli occhi, altri, invece, sembravano arzilli come non mai, pronti per il primo giorno ufficiale di allenamento del nuovo anno. Pam sembrava non stare più nella pelle e saltellava continuamente su ogni gradino come a non vedere l’ora di saltare sulla sua scopa di acero e sfrecciare accanto alle tribune. Gli altri grifondoro non era molto impazienti della cosa, la seguivano con occhi pronti a gelarla non appena andava troppo oltre con l’entusiasmo, mentre molti di loro probabilmente desideravano semplicemente tornare a dormire.
“Ripetetemi di chi è stata l’idea di venire qui alle otto del mattino, nell’unico giorno della settimana in cui possiamo svegliarci tardi?” chiese Steven sbadigliando e grattandosi la testa.
“Non c’è miglior mattino di quello passato rincorrendo un boccino” gli rispose Alvaro imitando la voce squillante di Pam che si girò gelandoli con lo sguardo.
“Io sono il capitano, io decido, a meno che non vogliamo anche quest’anno come per gli ultimi cinque anni arrivare secondi e magari vedere corvonero vincere la coppa” disse lei con orgoglio e cercando di stimolare la loro attenzione, guadagnando solo sbadigli come risposta.
“Non ci sarà nemmeno il Quidditch quest’anno, che senso ha allenarsi” provò a dire Marcus Sanders, il battitore della squadra.
“Devono. Solo. Provarci” replicò lei e il suo sguardo di pura furia e determinazione bastò a non tirare in ballo l’argomento. Con il torneo tremaghi di solito il campionato di Quidditch scolastico veniva sospeso, ma per Pam questa non era un’opzione contemplabile.
“Ragazzi ho io quello che fa per voi!” esclamò Gillan con insolita verve. Il gruppo si girò con fare annoiato e confuso, mentre lei aveva con sé sette borracce che teneva nei modi più disparati e impensabili.
“Da dove hai tirato fuori quella roba?” chiese Annie che aveva delle profonde e marchiate occhiaia scure.
“Sono tisane! Con un ingrediente segreto, però, vedrete vi sveglierete subito, io sto una favola, mi sento come se potessi correre da quella torre fino a Hogsmeade compresa, mi sento un levriero” disse lei fissando l’orizzonte con un sorriso sicuro sulle labbra.
“No” disse Alvaro “Mi sembri solo pazza, ma è per questo che ti vogliamo bene!”
Intanto Pam si era avvicinata a lei con fare minaccioso e aveva preso una borraccia iniziando a studiarla con attenzione, davanti al sorriso speranzoso di Gillan.
“Non doperò i miei guerrieri, per chi mi hai presa, soldato semplice Flower…”
“Ecco che ci risiamo con la parabola militare” disse sottovoce Annie a Steven causandogli una risata.
“Non userò sudici trucchi per vincere una partita, mai! Le battaglie si vincono sul campo e l’unico doping che useremo sarà il sudore, l’ardore di guerra e il sapore di erba bruciata che le nostre scope lasceranno al proprio passaggio” continuò lei gettando Gillan nell’imbarazzo e nella sconsolatezza.
“Erano solo fragole, l’ingrediente segreto, pensavo di risultare gentile” sospirò la caposcuola con tono infimo.
“Oh davvero? Adoro le fragole!” replicò Pam e prese una borraccia, trangugiando il contenuto con foga.
“Evviva la bipolarità. Full metal Pam è tornata” disse Steven sorridendo.
“Sai cosa facevo io alla tua età?” esclamò Orozco imitando la voce dell’amica “Quando entravo in campo prendevo l’erba la portavo a mia madre e le dicevo: “Mamma, condiscimela”, perché io la mangiavo l’erba” continuò lui citando una celebre frase della cercatrice che insieme alla squadra cominciò a ridere, dopo aver tirato un forte schiaffo sul collo al suo portiere mentre avevano raggiunto il campo, tuttavia quello che trovarono davanti non era certo uno spettacolo che si sarebbero aspettati. Proprio al centro del campo c’era già una squadra di Quidditch che stava iniziando l’allenamento e le loro divise non erano di un colore che ricordavano, erano studenti di Bauxbatons. Pam iniziò a camminare con foga verso di loro e Steven e Annie si guardarono temendo il peggio, lo sguardo dei due poi mutò ancora di più quando videro con stupore che Rarity era in quel gruppo e stava facendo con eleganza una serie di flessioni. Gli occhi di Annie si fecero fessure, che fosse per gelosia o per altro quella ragazza francese le stava già sullo stomaco, non sopportava che lei ci provasse continuamente con Steven nonostante sapesse che stavano insieme e tutto questo come se lei non esistesse, ignorandola completamente, per un momento le venne l’impulso di scatenare la sua furia sulla pluffa e colpire quel bel visino francese, ma trattenne la sua rabbia.
“Abbiamo prenotato noi, cosa ci fate qui? Dobbiamo allenarci” disse Pam fissando un ragazzo alto e calvo che l’aveva fissata come si fissa un matto.
“Mais oui, darling, anche noi ci stiamo allenando” intervenne Rarity che non perdeva mai occasione per fare una conversazione.
“No, no. Io non sono la darling di nessuno e ti consiglio di parlare con più rispetto alla miglior cercatrice della scuola” replicò Pam sempre fin troppo presuntuosa quando si parlava di Quidditch.
“Signorina miglior cercatrice non vedo corona sulla tua testa, devo dedurre che tu non sia la regina di questo campo e non starò certo seduta a guardare, dato che sono arrivata prima io” disse quindi Charlotte che aveva seguito la conversazione e ora si trovava faccia a faccia con Pam.
“Ragazze, ma che modi sono, per favore, potremmo discutere più civilmente” disse Rarity mettendosi tra le due.
“Stai zitta!” le dissero in coro le due cercatrici e Charlotte la spostò di lato con una spintarella.
“Allora dimmi...chi saresti tu per parlarmi così? Mhm? Cosa non ho sentito, hai appena detto che ti dispiace e chiedi perdono?” disse Pam con tono canzonatorio.
“Ma come diavolo parli? Non chiedo scusa a nessuno, non mi faccio mettere i piedi in testa da una principessina appena scesa dal letto per rompere le palle di prima mattina, tu e la tua squadra di domatori da circo potete anche andare via” disse Charlotte con orgoglio e questa volta anche il resto della squadra di grifondoro si sentì offesa dalle parole della francese e accorso intorno al suo capitano pronta a reagire con forza.
Intanto a bordocampo, nascosti sotto i tendoni delle tribune, due figure silenziose stavano osservando la scena.
“Che si dicono vedi qualcosa?” chiese Thomas con voce fin troppo bassa.
“Litigano” rispose Penelope con ansia.
“E che si dicono?” chiese nuovamente lui.
“Cosa vuoi che ne sappia” rispose lei nervosa.
“Sei inutile, dammi qua il binocolo” replicò lui con stizza e tirò via dalle mani l’oggetto alla compagna di squadra che rimase nella confusione del momento, in realtà stava fissando con insistenza Steven e Annie e non si stava certo interessando alla discussione.
“E dire che dovevamo venire qui per studiare le loro tattiche e, invece, ci sorbiremo della telenovela tra adolescenti, ma aspetta diamine cosa! Chi diavolo è quella?” disse lui cambiando tono a metà.
“Quella chi?” chiese Penelope roteando lo sguardo.
“Quella con il vestito azzurro” rispose lui senza togliere gli occhi dal binocolo.
“Hanno tutte il vestito azzurro”
“Sì, scusami. Intendevo quella che sta parlando con Steven, meravigliosa creatura dagli occhi blu. Oh guarda adesso la fidanzatina si è messa in mezzo, oh un po’ di wrestling tra ragazze beh...cioè volevo dire, spero non si faccia male nessuno, anzi mi sembra necessario un intervento” disse lui con tono confuso.
“Cosa?” si affrettò ad esclamare Penelope, ma Thomas era già scattato in piedi e si dirigeva a passo spedito verso il piccolo gruppo, attirato dalla visione di Rarity e dalla grande opportunità di abbordaggio.
“Ehi che diavolo stavi pensando di fare? La devi smettere di stare appiccicata al mio Steven” esclamò Annie con rabbia, mentre Steven stava sudando di ansia in mezzo alle due che lo strattonavano per le braccia.
“Il tuo Steven? Non mi sembra che abbia il tuo nome inciso sopra” replicò Rarity strattonandolo verso di lei.
“Ti va di cercare?” “
Sei una...villana! E una suorina!”
“Io sarei cosa? Io voglio essere educata, ma saprei benissimo che epiteto conferirti”
“Oh avanti, darling, dillo se hai il coraggio”
“Ragazze, non mi sembra il caso di litigare, non stiamo giocando nessuna partita, penso sia una disputa risolvibile e poi, se mi è permesso, per uno come Steven...” disse Thomas che si era unito alla conversazione e ora guardava Rarity con la posa migliore che il suo bel viso potesse offrire. Tutti si girarono verso di lui, attirati dal suo intervento improvviso e tutte le ragazze assunsero un’aria a metà tra il sognante e il cadaverico. Charlotte e Pam che stavano per venire alle mani, con Alvaro e il ragazzo calvo di Bauxbatons che cercavano di dividerle si bloccarono come davanti ad un’apparizione e contemplarono il corvonero con occhi spalancati e arrossamenti vari, così come Gillan, alla quale erano cadute le borracce che ora giacevano sul prato umido.
“Shelley, che cosa ci fai qui? Eri venuto a spiarci vero?” chiese Steven con il viso che si era contratto in un ghigno di sfiga, mentre le ragazze lo tenevano ancora per le braccia, con gli occhi però ora puntati verso Thomas.
“Informarmi, Lineker, niente di più e poi non è una bella giornata per una passeggiata? Resa ancora migliore dai tuoi occhi blu, piacere Thomas, sono molto felice di conoscerti” Thomas allungò la mano a Rarity che la fissò con non molta convinzione prima di stringerla e vedere lui inscenare un profondo inchino.
“Stronza” sussurrò Charlotte invidiosa.
“Bene, hai fatto il galletto abbastanza, ora puoi anche andartene” disse Steven con un sorriso maligno sulle labbra.
“No” intervenne Annie “Resta pure, Rarity è così...estroversa è sempre disposta a nuove conoscenza, ne sarà felice”
La francese le lanciò un’occhiata bruciante e subito si disinteressò di Thomas che rimase bloccato come uno stoccafisso, tornando con lo sguardo dritto sulla rivale.
“No grazie, Annie. Io sto bene così, ho conosciuto abbastanza persone oggi”
“Sono le otto del mattino”
“Non sono in vena di compagnia”
“Allora tornatene a letto, tesoro”
“Lo faccio se lasci la presa”
“Devi solo provarci”
“Silenzio!” urlò Pam con foga, mentre tutt’attorno si era fatto un grande alone di caos e tutti stavano discutendo di cose che ormai avevano abbandonato il quidditch.
“Non ha senso litigare di cose del genere” intervenne il ragazzo calvo di Bauxbatons con tono risoluto.
“Oh, ha senso eccome, questa ragazzina...” disse Charlotte con enfasi scatenando l’ira di Pam.
“Questa ragazzina ha prenotato il campo e noi siamo qui senza prenotazione e le stiamo facendo perdere tempo, quindi mi dispiace ragazzi, ma siamo noi nel torto, avremo altre occasioni per allenarci” disse quindi lui con tono serio.
“No. Un allenamento è un allenamento e non intendo perderlo” disse quindi Charlotte, rimproverando il ragazzo che si limitò a scuotere la testa, segno che per lui la situazione era già chiusa. Il ragazzo le voltò le spalle senza starla a sentire e in silenzio si allontanò dal campo, mentre intorno a lui si era fatta un’aura misteriosa. Era alto ed era il ragazzo che guidava la fila del gruppo di Bauxbatons nel giorno di presentazione, assumeva sempre lo stesso atteggiamento attento e calcolatore, pacato, ma sempre pronto ad intervenire, silenzioso, ma molto energico quando prendeva parola, nessuno era ancora riuscito ad inquadrarlo. Una cosa era certa, tutti lo rispettavano nella sua scuola e lo seguivano come si segue un insegnante e nemmeno Charlotte che era il capitano della squadra sportiva riusciva a tenergli testa, quello che diceva Dominic Thien era la cosa giusta da fare.
“Non mettere le mani nelle tasche degli altri” disse Dominic a Rarity spostandola da Steven e prendendola per mano, con lo stesso tono serio e senza prestare attenzione ai ragazzi che le stavano intorno che guardarono la scena con sorpresa, Annie compresa. Il gruppo di Bauxbatons si allontanò velocemente e con eleganza, senza dire una parola di troppo e senza protestare, chiunque fosse Dominic Thien, l’avevano ascoltato. Tutti i grifondoro allora si girarono verso Thomas, l’unico “straniero” rimasto nel gruppo, gettandogli contro occhiate di odio e rivalità, sopratutto Pam che quasi di corsa gli arrivò davanti. Thomas era il cercatore di corvonero nonché capitano della squadra, nonché più grande rivale di Pam, almeno secondo lei e non le era andato giù l’esito dell’ultimo campionato in cui avevano perso lo scontro diretto con corvonero, permettendo loro di arrivare primi in classifica e vincere la coppa.
“Se vuoi imparare come si prende un boccino, puoi chiedere ai quei francese, io sono impegnata” le disse lei con tono acido.
“Riuscirete a non arrivare secondi anche quest’anno e vi devo insegnare come si vince?”
“Thomas Shelley, non sai quanto godrò quando ti sbatterò la coppa del campionato davanti agli occhi!” replicò Pam con rabbia.
“Ci stai provando con me?” chiese lui con tono divertito cosa che la fece arrossire leggermente, ma non era un rossore di emozione, era un rossore di rabbia.
“Senti! Tu!…” urlò lei, ma venne fermata da Alvaro che l’aveva bloccata.
“Vattene Thomas dai, non sei il benvenuto, non scateniamo un altro litigio inutile” gli disse Orozco e davanti alle parole del prefetto di grifondoro non esitò ad ascoltare, gettando un saluto irriverente a Pam e un’occhiata a metà tra il sarcastico e il romantico a Annie e Steven che reagì con un ghigno di rabbia.

“Uno. Due. Tre. Quattro! Cambio!”
“Uno. Due. Tre. Quattro! Cambio!”
“Da quanto va avanti così?” chiese Harry McLaughin confuso e sorpreso, mentre soffiava fuori il fumo bianco dalla bocca.
“Quasi due ore. Che cos’ha nei polmoni? Benzina?” replicò Maud che fissava la scena con gli occhi sgranati, mentre stava arrotolando il tabacco in una cartina.
“Una cosa è sicuramente certa, se le offriamo questa roba non l’accetterà” disse quindi Harry facendo un tiro.
“Non fumano molto in quelle zone, bevono. Ieri sera ne ho beccati due o tre che schimicavano al limitare della foresta, ero andata da Hagrid con Neville per portargli una nuova pianta carnivora” disse lei ora fissando la grande macchia scura del lago che si trovava sotto la collina su cui erano seduti. Sotto di loro sulla riva Nadia si stava allenando con il preside di Durmstrang in persona, un allenamento che chiunque avrebbe definito inumano, ma che lei stava continuando da quasi due ore senza mostrare segni di stanchezza e senza avere bisogno di molte pause, se non qualche bevuta da una borraccia. I due tassorosso fissavano la scena che sembrava appena uscita da un film di arti marziali, con la ragazzina che tra set di flessioni, addominali e esercizi avanzati di ginnastica si esibiva in calci e pugni ad un ceppo di legno che il preside le teneva davanti. Lei vestiva una maglietta a maniche lunghe fin troppo aderente bianca che metteva in mostra le sue forme ancora da bambina, mentre alle gambe indossava dei pantaloncini rossi con delle calze pesanti rosse che le arrivano alle ginocchia, le scarpe, invece, erano da ballerina. Anche l’uomo era in tenuta sportiva e nonostante l’età mostrava un fisico invidiabile, anche se la cosa più sorprendente era che Svetan Gorgodze, preside di Durmstrang, si scomodasse personalmente per allenare questa piccola macchina da combattimento che faceva paura da tanto era allenata e dall’ardore che metteva nell’esercizio, sembrava che ogni calcio, ogni pugno, ogni piegamento fosse per lei il più importante dalla grinta che metteva in ogni movimento. Intanto il resto dei ragazzi di Durmstrang presenti stava correndo intorno al lago, anche loro vestiti in modo sportivo, sulle collinette circostanti alcune ragazze di Hogwarts varie stavano ammirando la scena con occhi interessati. Tra queste c’era Eris che non era certo venuta lì per civettare in presenza di virili maschi dell’est Europa, ma rimaneva seduta in disparte, mentre leggeva con tranquillità un libro di pozioni. Mentre correvano i ragazzi gettavano sorrisi e occhiate alle ragazze sulla collina che sembrava una piccola tribuna improvvisata, mentre i ragazzi che le accompagnavano reagivano con facce poco divertite.
“Ehi, Janko! Hai visto quelle due sotto l’albero? Uhuh, quasi quasi faccio una piccola deviazione al mio percorso” disse Nikolaj con tono agguerrito all’amico che fissava davanti a sé senza apparente interesse. Era tornato il giorno prima dal Montenegro, dove abitava con la sorella che ora, però non avrebbe più abitato con lui. Aveva reagito alla sua scomparsa in maniera strana e si era completamente disinteressato delle indagini di cui l’Oblansk gli aveva parlato, non gli importava, sua sorella era morta e non sarebbero state certo delle macchinazioni di polizia a portargliela indietro. In generale si era trasformato in una statua di ghiaccio con tutti, non parlava e cercava di evitare di parlare dell’argomento, lo irritava e lo innervosivano quelli che gli facevano le condoglianza, lo sapeva benissimo che era morta sua sorella non gli servivano altre persone che glielo ricordassero e odiava essere visto da quelli che aveva intorno come il ragazzo che era dovuto tornare a casa per un funerale. Anche in questa occasione non reagì alle parole di Nikolaj e, apparentemente ignorandolo, accelerò la corsa per raggiungere Ivan, ben più taciturno. Nikolaj scrollò le spalle in segno di indifferenza e gettò un sorriso alle ragazze che sedevano accanto a loro che non reagirono con altrettanta emozione, impegnate a guardare fisici migliori.
“Oh, guarda quello! Mio dio, sembra la bella copia di Sean Penn” disse Diana Milligan a Gienah con entusiasmo. “Oh Dio Padre!”
“Puoi abbassare leggermente la voce, sto cercando di studiare, abbiamo una verifica di pozioni e sono venuta in riva al lago per rilassarmi, è la terza volta che te lo dico” replicò Gienah gelando con lo sguardo l’amica che continuava a fissare i ragazzi con fin troppo ardore.
“Sì, ma davanti a manzi di questa categoria, capisci che mi trovi costretta a commentare” disse l’altra cercando con un sorriso di convincere l’amica dagli occhi azzurri e capelli rosati che reagì con un sguardo misto di odio e disprezzo. Gienah si voltò e vide proprio dietro di lei Trixie e Andrej che passeggiavano insieme, con lei che poggiava la sua testa sulla sua spalla e aveva legato nei capelli un fiore che presumibilmente le aveva appena portato lui, le ribollì il sangue nelle vene e si girò con uno sguardo omicida ed esplosivo verso il lago, che mutò velocemente in un più controllato occhio nervoso. Diana colse subito il nervosismo dell’amica e vide anche lei i due fidanzati che passeggiavano e si godevano il loro sabato, come tutti ad Hogwarts, prima ovviamente della sera che tutti stavano aspettando, la serata in cui avrebbero conosciuto i dodici campioni.
“Da quanto ti piace?” chiese Diana all’amica che arrossì e la fissò con uno sguardo confuso.
“Come? No! Lui non mi piace” rispose l’altra, sapendo che si era tradita, era impossibile nascondere qualcosa alla persona più pettegola della scuola.
“Le tue guance dicono il contrario”
“Le mie guance dicono solo vaffanculo a te, a lui e Trixie” Diana girò lo sguardo offesa.
“Scusami, è solo che sono nervosa sì. Sono carina no? Rispondimi per favore” le disse quindi lei guardandola con occhi sinceri.
“Più che carina, sarei volentieri lesbica, peccato che ho gusti diversi. E’ per quello che guardi Trixie in modo cagnesco in questi giorni ogni volta che la vedi?” chiese lei con tono malizioso.
“Non la guardo in modo cagnesco!”
“Wuf Wuf! Un po’ di scena la fai, fidati” Gienah sospirò leggermente amareggiata e fissò il lago con rabbia e tensione.
“Sì, va bene! Mi piace Andrej, da molto più di quanto tu pensi e vederlo insieme a...l’essere più spregevole che conosca...mhm...Mi fa innervosire, ecco qua! Pensavo che questo sarebbe stato l’anno buono, invece mi sono fatta superare ancora una volta e per di più ho una merda di gamba rotta e chissà se riuscirò a partecipare al torneo” disse lei sfogando un po’ di rabbia, verso l’amica che non era certo abituata a vedere così aperta verso certi argomenti.
“A me sembrano carini” disse Diana cercando di attivare il senso dell’umorismo dell’amica.
“Carini?! Ma per chi stai giocando?” esclamò ad alta voce lei e si sdraiò sull’erba con gli occhi aperti e rivolti al cielo, quasi a voler lanciare una preghiera o una bestemmia.
Intanto Trixie e Andrej procedevano tranquilli lungo il sentiero di ghiaia bianca che costeggiava il lago.
“Dici che il calice sceglierà me? Sono così in ansia, Andrej, dici che il calice mi sceglierà? Per favore rispondimi” chiese Trixie con ansia ed insistenza, mentre si morsicava un unghia.
“Ah io non ho messo il mio nome nel calice, hai una possibilità in più di sicuro” rispose lui leggermente irritato dal tono della ragazza.
“No. Sono seria, Andrej. E non posso pensare che possa essere scelta quella iena di Penelope, invece che me” replicò Trixie con il tono che da ansioso si era trasformato in maligno.
“Tra le due la iena sei tu, chissà poi cosa ti ha fatto quella povera figlia, è sempre così tranquilla” disse Andrej e Trixie bloccò la sua camminata di colpo guardandolo con occhi tinti di rosso e il naso arricciato in u ghigno innaturale.
“Quella mi provoca, da quando sono ad Hogwarts, è dalla prima lezione che alza la mano dopo che parlo io per rispondere sempre in modo migliore del mio, se la odio ci sarà un motivo poi, mi credi una pazza?” Lui la fissò in maniera contraddittoria quasi a voler rispondere affermativamente, poi scosse la testa e le sorrise, avvicinandole per scambiarle un bacio sulla bocca che lei schivò con forza, lasciandolo di stucco.
“Quando sarò campionessa di Hogwarts, festeggeremo, ora non ho bisogno di romanticismo” disse lei e si incamminò con passo spedito verso la scuola. Andrej roteò gli occhi e la seguì di corsa per mettersi accanto a lei e porgerle una mano sulla spalla che lei allontanò prontamente. Accanto a loro stavano invece camminando, nella direzione opposta Monica e Arthur che speravano anche loro di godersi una rara giornata di sole inglese, sopratutto Arthur, abituato a temperature ben diverse.
“Pensavo andassi con gli altri ad allenarti” disse lui alla cugina fissando Nadia che ora stava facendo una verticale perfetta da qualche minuto.
“Io? Clopin semmai, io non mi muovo da questo sentiero e sopratutto non mi alleno con lei, è un’invasata ed è la cocca del preside, nemmeno con una pistola alla testa” replicò secca Monica che gettò un’occhiata fredda a Nadia.
“Pensavo foste amiche” “Io non ho amici” disse lei e lui la guardò preoccupato, mentre lei reagiva con naturalezza.
“Che c’è? Non la odio, ma non mi dà fastidio, non è che siano tutti questa gran compagnia e non è un ambiente rosa e fiori a Durmstrang, tu non ce la faresti” disse quindi lei e lui non seppe come reagire a queste parole.
“Non sottovalutarmi, sono migliorato negli ultimi tempi e fidati quando ti dico che ormai sono un ragazzo nuovo, pronto a fare amicizia e diventare popolare, finalmente” disse lui con tono estatico e attivo.
“Bene, va da quei ragazzi allora e parlaci” disse lei con tono spento indicando due tassorosso.
“Rimarrai senza parole” disse quindi lui e si diresse con lei dai due ragazzi che stavano fumando. Non appena Arthur si avvicinò ecco che il maschio tra i due si alzò di scatto e corse verso di lui con la canna in mano e con un largo sorriso sulle labbra.
“Ehi! Chi abbiamo qui? Arthur, come te la passi?” chiese Harry con tono festoso.
“C’è il sole, mi basta questo”
“Ti abituerai all’Inghilterra, una tragedia di Shakespeare è più allegra del cielo inglese. Oh conosci già Maud? Maud lui è...” disse Harry, ma la ragazza aveva già superato la sua voce.
“Quello che si è fumato Godzilla la prima sera, sei fuori tesoro” disse lei sorridendo e stringendo la mano al francese che si girò verso la cugina con una sorriso soddisfatto, anche lei gli sorrise felice.
“Oh ragazzi! Lei è mia cugina, Monica” disse lui e Monica con un passo incerto si avvicinò al gruppo.
“Maud” disse la ragazza di tassorosso e Monica le strinse la mano con poca enfasi e con un leggero tremito, quando però Harry gli porse la sua lei la fissò con ansia e fece un passo indietro.
“Puoi stare tranquilla, uso le protezioni” disse lui cercando di essere simpatico e causando la risata di Maud. Monica lo fissò come si fissa un precipizio, oppure come un cervo illuminato dai fari e con passo quasi spedito si diresse giù dalla collina, raggiungendo il gruppo di Durmstrang e iniziando a correre con loro, come se niente fosse, con un passo inconsueto per essere una minuta ragazzina.
“Ho detto qualcosa che non va?” chiese lui confuso.
“E’ un umorismo che non apprezza, non apprezza molte cose in effetti, ma tranquillo, non se la legherà al dito...credo. Beh, magari...”
“Non preoccuparti, ce ne sono di persone strane in giro e non mi faccio certo intimidire, pensa che mi trovo a girare con quest’essere, non dirglielo, ma è simpatica come la varicella”
“E tu sei un dito infilato in quel posto” replicò Maud con rabbia, lasciando entrambi di stucco per la volgarità gratuita della ragazza che sembrava sempre abbastanza controllata nel linguaggio.
“Arthur, ti fermi con noi? Offriamo noi” gli disse lei e lui accettò contento di aver già trovato una nuova compagnia di amici, mentre Monica ora guidava il gruppo della corsa, comprendendo la situazione ora con chiarezza.
“A proposito, ieri sera ho visto una tua compagna credo...vicino alla foresta, non ricordo il nome...” disse Maud con gli occhi che erano sempre inclinati con fare annoiato che fissavano il francese come si fissa un quadro di arte moderna che non si comprende bene.
“Beh...ne abbiamo un bel po’ di ragazze” replicò lui.
“Aveva un gran bel paio di...”
“Rarity”
“Oh sì, lei! Aveva gettato una bistecca nella foresta e si era allontanata, tutta sola. Di cose strane ne succedono ad Hogwarts e noi due ne siamo l’emblema, ma mi ha stupito quella scena, non capita tutti i giorni” disse lei che aveva finito di arrotolare l’erba per Arthur che ne era completamente incapace e le aveva fatto già storcere il naso in precedenza.
“Questa mi è nuova, indagherò se volete”
“No, non ci facciamo gli affari degli altri” disse quindi Harry “Ma se riesci a reperire il suo numero di telefono” Maud gli diede una gomitata, mentre lui alzava i pollici in segno di intesa e Arthur sorrideva, alternando le risate alla tosse, non era abituato a fumare questo genere di tabacchi, ma già dalla prima sera ad Hogwarts, che era stata il degrado, sentiva che desiderava ancora fumare quella roba, lo tranquillizzava e gli dava un enorme senso di pace, anche se forse questa era la bella sensazione che provava quando riusciva a farsi dei nuovi amici. Poco lontano da loro Eris stava ancora leggendo il libro di pozioni con le auricolari nelle orecchie con la musica fin troppo alta, chiunque si fosse avvicinato avrebbe sentito i Beatles che cantavano nelle sue orecchie. Attorno a lei, lontano dal suo sguardo erano appostati i ragazzi delle più disparate nazionalità ed età, tutti pronti ad osservare la più bella ragazza dell’intera scuola, nonostante la concorrenza di francesi e cosacche, a tutti sembrava che comunque non ci fosse paragone, Eris in confronto alle altre sembrava una donna bella che finita, in confronto a lei le altre erano bambine. Non che fosse più alta e la sua dotazione fisica importante non era la causa, ma ad ogni passo, ad ogni rara parola, ad ogni occhiata sembrava che sapesse già cosa avrebbe fatto dopo, possedeva una risolutezza e un controllo che l’avrebbero resa interessante anche senza la sua bellezza che restava elevata. I suoi occhi di un viola quasi indaco fissavano alternativamente il libro e il lago, mentre alternava la mano destra e la mano sinistra a toccarsi i capelli lunghi e biondo scuro che all’ombra dell’albero sotto il quale era seduta assumevano il loro colore naturale. Tuttavia nessuno sapeva il suo terribile segreto che doveva essere nascosto non solo agli altri, ma anche tenuto rinchiuso dentro di sé anche da sé stessa, visto il pericolo che poteva causare. Aveva anche mandato dei fiori a Gienah per la gamba, ma nonostante la serpeverde avesse accettato senza problemi il suo segreto, sentiva ancora su di sé i suoi occhi di odio per averle spezzato una gamba, dopotutto non si trattava di una ferita superficiale e un po’ si sentiva in pena per quanto era successo, non le era mai successa una crisi così improvvisa e con così tanti testimoni, con Alvaro erano solo loro due e tutta la scuola era allo stadio di Quidditch, questa volta, nei bagni, aveva rischiato davvero di correre un grosso pericolo. Era molto in ansia per il torneo, non perché volesse partecipare, non poteva rischiare di ammazzare qualcuno durante le prove e con il ministero nei paraggi, la situazione era pericolosa e la cosa non la lasciava indifferente nemmeno fisicamente, sentiva spesso palpiti al cuore insistenti, mal di testa e a volte sentiva le vene di braccia e gambe farsi calde, segno che il parassita che aveva dentro di sé, premeva per uscire, perdere il controllo non era un’opzione contemplabile. Proprio in quel momento sentì una voce che la chiamava e diceva il suo nome, per un attimo ebbe un senso di paura e ansia cosa che le fece pulsare il polso in maniera innaturale, dovette chiudere gli occhi e rilassare i muscoli per evitare situazioni spiacevoli, poi si accorse che aveva ancora le cuffie ad alto volume e le tolse, tornando alla realtà.
“Sei Eris, giusto?” le chiese una voce maschile e girandosi vide davanti a sé un ragazzo alto e biondi che le sorrideva, seduto sul ramo più basso dell’albero sotto cui era seduta.
“Sì” rispose lei cercando di essere il meno amichevole possibile, un po’ la irritava dover reagire sempre in maniera distaccata, ma le aveva temprato il carattere, ormai le veniva naturale. Lui rimase un po’ spiazzato, era visibilmente nervoso, probabilmente non si aspettava una risposta così fredda, intorno a loro si era fatta una schiera di curiosi, chi era l’incosciente che ci stava apertamente provando con Eris Keats? Tra di loro c’era anche Aaron che fissava la scena con soddisfazione, insieme alla sua schiera di serpeverdi, pronto a ridere in faccia al ragazzo dopo aver visto il suo violento e veloce buco nell’acqua.
“Avevi la musica un po’ alta e non ho potuto fare a meno di ascoltare, i Beatles sono un classico” disse lui cercando di attaccar bottone con sicurezza.
“Ci sarà un motivo se ascoltavo la musica così alta, ascolti spesso gli affari degli altri?” chiese lei senza mutare il suo sguardo superiore e senza quasi degnarlo di uno sguardo, ogni volta che fissava un ragazzo i suoi occhi ostili bastavano ad allontanare il povero malcapitato, la maggior parte non ci provava nemmeno.
“Solo se ascoltano buona musica, mi chiamo Cristopher comunque, piacere di conoscerti” replicò lui che non si era fatto intimidire. Eris lo fissò infastidita, ma curiosa dalla sua audacia era curiosa di vedere fino a quando sarebbe riuscito a resistere prima di andarsene.
“A quanto pare tu sapevi il mio nome, mentre io no, devo preoccuparmi?” “A quanto pare sei una celebrità in questa scuola, non è difficile sapere chi sei”
“Se sono una celebrità allora non dovresti trovarti qui” “Ero qua già da prima che arrivassi tu, non mi hai visto perché eri persa nei tuoi pensieri e nel tuo libro, ero sull’albero” replicò lui con sicurezza cosa che non le fece abbandonare il suo sguardo stronzo, ma la incuriosì molto, questo ragazzo sapeva essere ostinato.
“Adesso ti senti in diritto di giudicare il mio comportamento, invitami almeno a cena” disse credendo di averlo colpito nel segno e abbozzando un sorriso maligno.
“Va bene, ti aspetto al mio tavolo stasera”
“Declino l’offerta” disse lei dopo un secondo di pausa in cui rimase visibilmente colpita.
“Va bene, sarà per un’altra volta allora, ci rivedremo” disse lui e scese dall’albero lasciandola da sola. Eris gli diede un’ultima fugace occhiata poi fissò il lago e si lasciò scappare un sorriso, pensando che comunque quel ragazzo di Durmstrang aveva avuto fegato.

C’era un’atmosfera di silenzio quasi spettrale, le candele azzurre erano basse e svolazzavano tra le loro teste come tiepidi fuochi fatui pronti ad apparire all’improvviso tra le lapidi di un cimitero. La stanza però era luminosa, la debole e chiara luce rifletteva i visi pallidi dei ragazzi che si fissavano l’un l’altro con le più disparate emozioni, ma che riflettevano tutti la luce delle candele, dando ad ogni studente un aspetto cadaverico e inespressivo. Al centro della sala il calice di fuoco che sgorgava fiamme azzurre, azzurre come la linea incantata che circondava l’artefatto, intorno ad esso tutta la scuola, compresa degli studenti ospiti attenti e pronti a reagire non appena qualcuno si fosse avvicinato al calice e avesse dato inizio all’estrazione dei campioni, nessuno poteva più stare nella pelle. Aaron Sanders fissava il calice con un fiero sorriso sottile sulle labbra quasi a volerlo chiamare a sé e leggere già il suo nome scritto su di esso, sicuro di essere scelto, sicuro che non sarebbe uscito da quella casa senza la corona e il titolo di campione, il fatto che avrebbe dovuto condividerlo con altre tre persone non era rilevante, alla fine avrebbe vinto solo uno e, compagni di squadra o no, anche loro sarebbero stati eliminati. Accanto a lui Trixie lo fissava con ben più ansia, quasi a voler pregare al calice di sceglierla, era convinta delle sue possibilità, ma ne sarebbe stata un grado? E la possibilità che passasse Penelope, le avrebbe portato notevole vergogna, sentiva come se quella fosse l’ultima goccia, non si sentiva affatto bene, le veniva da vomitare. Poco distante dai due sedeva Gienah che nonostante la gamba rotta aveva messo il suo nome nel calice, era una possibilità unica e non poteva pensare di non poterci nemmeno provare, avrebbe trovato un modo per accelerare la cura, intanto reagiva con tranquillità alla scena, muovendo con qualche movimento ansiogeno le mani e passandosi istintivamente la lingua sulle labbra, se non fosse stata scelta non sarebbe stato un problema, ma vedersi campionessa tremaghi, non era un’emozione che la lasciava indifferente. Davanti a loro gli studenti di Durmstrang guardavano il calice con sguardi scimmieschi e quasi primitivi. Janko aveva messo il suo nome nel calice, alla fine era venuto lì solo per quello e aveva bisogno di distrarsi, tuttavia aveva lo sguardo perso nel vuoto, il calice non era nella sua mente, non in quel momento almeno, Jacqueline sarebbe stata così fiera di lui, nascose una lacrima sotto la manica della divisa. Anche gli altri avevano messo il loro nome, Ivan come Nikolaj e Astal e tutti, nonostante la tranquillità che mostravano, non potevano nascondere l’ansia di poter essere dei campioni sopratutto Nikolaj che fissava con insistenza Nadia nel tavolo di fronte che sembrava tranquilla come ad un normale giorno di allenamento, quasi annoiata, provò odio per la piccola ragazzina che era sempre stata la cocca del preside e che aveva sempre fatto lezioni differenziate, le avrebbe fatto vedere che aveva le capacità per partecipare, non si sarebbe fatto superare anche questa volta. Anche Cristopher si guardava intorno cercando gli occhi degli altri studenti come a cercare di capire in che stato fossero gli altri e chi tra quelli volesse partecipare. Per un attimo guardò Trixie che era sull’orlo di una crisi di nervi, ebbe quasi l’impulso di rassicurarla, ma comprese che l’avrebbe fatta solo infuriare, poi spostò i suoi occhi su Eris, era sicuro che avrebbe partecipato e guardava la scena con il solito sguardo da regina del mondo, nonostante ciò non riusciva a togliere gli occhi da lei, anche il calice sembrò dissolversi.
“Ho già preparato il Fantatremaghi” sussurò Harry nell’orecchio a Maud che non gli rispose, ma roteò gli occhi con fare annoiato. Davanti al gruppo di Tassorosso i ragazzi di Bauxbatons erano ben più tranquilli di quelli di Durmstrang, o almeno così pareva. Thien, che aveva accanto la strana creatura umanoide dagli occhi a palla e che era vestita come lui, teneva gli occhi chiusi come stesse dormendo anche se tutti sapevano che era attento come non mai e che anzi, sapeva meglio di loro quello che stava succedendo, era in uno stato di meditazione. Nessuno aveva ancora capito cosa fosse quel piccolo compagno che lo seguiva ovunque e che causava collassi e scongiuri ogni volta che Indoh lo incontrava, nessuno aveva il coraggio di chiedere. Accanto a lui il fratello di Rarity, Selim, stava, invece, veramente dormendo e a volte sganciava profondi e selvaggi grugniti che le ragazze più schizzinose non potevano sopportare, nonostante il suo aspetto di una bellezza profonda e virile. Arthur, invece era in ansia completa, pregava il signore di non estrarlo nonostante avesse messo il suo nome dentro il calice, chiedendosi in quale stato di incoscienza l’avesse fatto e dire che si sentiva forte e motivato, ma ora oltre ai dubbi questa situazione gli stava facendo salire anche la cena. Il tavolo davanti a loro era quello più ansioso di tutti con tutta l’energia di grifondoro, tramutata in nervosismo e paura e l’ansia naturale delle ragazze francesi che si guardavano tra di loro smarrite, la maggior parte almeno. Gli unici due che avevano messo il loro nome nel calice per grifondoro erano Steven e Gillan, il primo solo per aumentare la sua popolarità e il suo range di attacco verso il gentil sesso e che infatti era sorridente e tranquillo come non mai, dato che non si aspettava certo di essere estratto, la ragazza, invece, era leggermente ansiosa e batteva con insistenza il piede sul pavimento, sperava di passare, pensava fosse una bella opportunità ed era sicura delle sue possibilità, sopratutto dopo che Alvaro aveva detto, con sorpresa generale di non aver intenzione di mettere il suo nome nel calice. “Troppa fatica inutile, meglio fissare voi pupazzi che vi menate in un arena, tempo sprecato” aveva detto lui, la cui pigrizia era conosciuta e invidiata.
“Oh dio! Oh dio! Ragazze vi prego, aiutatemi, sto per svenire, prendimi la mano Marinette, ho la febbre?” chiese Rarity con ansia a terrore.
“Tieni via la tua mano da me! E stai zitta, ci fissano tutti” replicò l’altra che aggiunse un sommesso “Troglodita”
“Sarebbe così bello passare, però sarà anche così difficile, però quel ragazzo carino, però se poi rischio di morire...” continuava come una cantilena la ragazza dai capelli scuri.
“Ballerei sulle tue ossa” replicò Marinette e Charlotte fece loro segno di stare zitte, mentre con attenzione Tristan Coleridge scendeva dal tavolo insegnanti per avvicinarsi al calice, la sala divenne una tomba, si potevano sentire i respiri di tutti gli studenti. Elargì alla platea un convinto sorriso, poi accarezzò con delicatezza il calice e le sue fiamme assunsero un colorito rosso acceso, lasciando esclamazioni di sorpresa come conseguenza.
“Cominciamo quindi, prima, il nostro giudice ci dirà i campioni per la scuola di magia e stregoneria di Bauxbatons” Non appena disse queste parole un rumore di carta bruciata si fece largo nella sala e il calice esplose un piccolo biglietto che finì con leggerezza tra le mani di Tristan Coleridge.
“Nervosi eh?” esclamò lui sorridendo.
“Il primo campione...beh forse sarebbe meglio dire campionessa. Ricordo che il calice non sceglie in ordine di importanza...La prima campionessa di Bauxbatons è Rarity Le Tissier”
“Sì!” esplose Rarity con un suono acuto, mentre la sua scena aveva scatenato qualche risata, qualche sguardo confuso e molto odio, oltre a qualche occhio allupato, ma questo era normale visti gli elementi che possedeva questa scuola. Charlotte e Marinette si fissarono con ansia, un posto era andato. La ragazza dai lunghi capelli neri e dai profondi occhi blu si incamminò con eleganza, vestita di una minigonna azzurra e i capelli legati in due codini che le scendevano oltre le spalle, verso il calice prima che Tristan le indicasse sorridendo una porta, la porta per la sala professori, probabilmente era lì che gli altri insegnanti stavano aspettando.
“Bene, possiamo procedere, era parecchio euforica” disse lui e un altro foglietto gli scese tra le mani.
“Ancora una ragazza per Bauxbatons, la seconda campionessa è Charlotte Blanchard” Charlotte si alzò tirando un profondo sospiro di sollievo, mentre si incamminava con decisione e quasi fierezza verso la porta dell’aula insegnanti, non appena questa si chiuse alle sue spalle, un altro pezzo di carta raggiunse la mano di Trista.
“Avete dei maschi a Bauxbatons? No, spiegatemi, bestiale. Marinette Pinard è la terza campionessa per Bauxbatons” Marinette esordì con un’espressione sorpresa, mentre si alzava e consapevole di essere osservata, sculettava volutamente in minigonna passando accanto al tavolo di grifondoro e gettando un’occhiata compromettente a Steven che deglutì nervosamente, non aveva ancora capito che cosa volesse da lui quella ragazza e la cosa lo eccitava e innervosiva nello stesso momento.
“E ora, l’ultimo, finalmente maschio campione di Bauxbatons che è Dominic Thien!” Il ragazzo calvo si alzò con il suo accompagnatore dalla pelle pallida seduto sulla sua spalla e si diresse senza aprire gli occhi verso la porta sorridendo come se sapesse già, quando, come e in che modo sarebbe stato estratto. In sala ora si fece un ampio vociare sopratutto tra gli studenti di Bauxbatons che non erano stati scelti, alcune ragazze si misero a piangere.
“Bene, bene, molto bene. Abbiamo visto i campioni di Bauxbatons e ora, assisteremo ai campioni di Durmstrang che spero possano donarci maggiore presenza maschile, non che sia contrario a voi ragazze, ma spero di vedere qualcosa di molto vario, sarebbe interessante” Il calice sputò fuori il nome.
“Nadia Dumitrache!” esclamò con forza lui. Nadia sorrise fiduciosa e si alzò senza indugiò facendo un cenno di intesa a Tristan e dirigendosi spedita verso la stanza. Davanti a lei Thomas osservò la scena sapendo benissimo che lei sarebbe stata una dei quattro. Non passò molto che Tristan era già pronto ad esclamare con forza il secondo nome della scuola dell’est.
“Il primo campione maschio di Durmstrang è Cristopher Astal” Il ragazzo alto si alzò, tirando un sospiro di sollievo e dopo aver gettato un’occhiata a Eris che non lo degnò di uno sguardo accelerò il passo, superando la porta.
“Nikolaj Ivanov” disse quindi senza troppi giri di parole Tristan e il ragazzo biondo e bassino di Durmstrang si alzò con sguardo fiero e un sorriso convinto sulle labbra, muovendosi come aspettandosi di essere guardato ad ogni passo verso la porta che superò gettando un ultimo sguardo alla stanza.
“Ebbene, ora l’ultimo ragazzo di Durmstrang...Monica Kyolansky, vi ho fregato, pensavate fosse un maschio e invece...Monica Kyolansky!” disse lui sorridendo e la ragazza dai capelli scuri che portava gli occhiali si alzò dal tavolo di corvonero per dirigersi senza fissare altre persone attorno a sé, alla porta e lasciando la sala all’ultima, ma più sentita estrazione, dopotutto Hogwarts era in netta maggioranza nella sala e tutti avevano i loro pupilli, le ragazze speravano in Thomas, Aaron, alcune magari Harry, altre Steven, i maschi d’altra parte, vedevano già le nomine di Eris e Trixie o magari di Layla di corvonero, passando per Gienah, nonostante la gamba rotta. Si fece silenzio nella sala, mentre il calice espelleva il primo pezzo di carta per Hogwarts, quel foglietto portava scritto su di esso il primo campione della scuola di casa. Tristan lo prese con cura e lesse: “Gienah Pheles” Gienah ebbe un colpo al cuore e non poteva certo immaginare che sarebbe stata scelta,si alzò con le stampelle e cominciò ad incamminarsi, mentre si sentiva terribilmente ridicola, anzi, credeva dentro di sé di aver davvero rubato il posto a qualcuno di più valido, la sua gamba avrebbe funzionato? Si lasciò dietro di sé la stanza. Rimanevano tre posti.
“Steven Lineker” esclamò con forza Tristan e il ragazzo di grifondoro rimase in uno stato mezzo morto per l’emozione, non ci poteva credere, era stato davvero scelto, “Che culo” pensò, prima di alzarsi e dirigersi con il sorriso sulle labbra verso la sala professori. Annie reagì con uno sguardo di pure nervosismo, aveva cercato di fermare la sua iscrizione, ma per quanto fosse uno studente valido non pensava certo in un suo successo, ora si stava lentamente mangiando le mani, rimpianse di non essere una grande maga, ora avrebbe voluto partecipare anche lei, con lui e contro Rarity.
“Aaron Sanders” Il ragazzo di serpeverde si alzò quasi ergendosi con fierezza animale sugli altri studenti, mentre Trixie si stava mangiando le mani dall’ansia e lui godeva nel vederla in quello stato catatonico, sperava che sarebbe passata Penelope e vederla piangere come una bambina, ma non c’era tempo per questi pensieri e si diresse veloce verso l’altra sala, si era già guadagnato il suo momento di gloria.
“A questo punto abbiamo l’ultimo candidato” disse lui, mentre il foglietto gli cadeva nella mano “L’ultimo campione di Hogwarts è...Thomas Shelley” Thomas si alzò con un leggero velo di ansia sul viso, non metteva in dubbio la sua partecipazione, era al livello di Aaron che considerava il più pericoloso tra i quattro e sicuramente il più dotato, ma l’ultima estrazione gli aveva messo addosso delle leggere preoccupazioni. Si alzò gettando uno sguardo felice a Layla e Penelope che non gli diedero molta attenzione, mentre tutta la sala femminile si girò verso di lui, anche dal lato maschile Hogwarts aveva probabilmente offerto il candidato migliore. Pam lo gelò con lo sguardo e lui le fece l’occhiolino, così come fece a Eris che gli sorrise sorpresa, prima di voltare lo sguardo altrove, lui non era più nella sala grande.

Davanti a lui si trovavano tutti i suoi prossimi avversari, seduti nelle zone più disparate della grande sala professori, sicuramente la migliore della scuola, munita di tutti i comfort possibili ed immaginabili, meglio della sala ricreativa della torre di corvonero. Cercò con gli occhi Rarity e la vide immersa in una conversazione con Steven, cosa che lo fece alterare non poco. Accanto al camino di sinistra sedevano i ragazzi di Durmstrang, attorno al fuoco con Nadia che conversava in rumeno con il preside che sembrava avere davvero attenzioni solo per lei, non aveva ancora guardato gli altri ragazzi. Sulla destra, invece stavano le ragazze di Bauxbatons con Dominic seduto in disparte in apparente meditazione, mentre le tre ragazze insieme a Steven conversavano allegramente, lui e Rarity sicuramente. Infine i suoi “compagni” erano sparsi qua e là. Aaron stava parlando sottovoce con Samantha, la professoressa che controllava la casa di serpeverde, mentre Gienah si era unita ai ragazzi di Durmstrang dopo avergli concesso un’occhiata amichevole, non se lo sarebbe mai aspettato.
“Ciao ragazze, complimenti per il torneo” disse lui con fare amichevole e sempre elegante, avvicinandosi al gruppo di ragazze francesi, Steven lo fissò come si fissa un nemico.
“Lo sai che siamo rivali e io potrei doverti eliminare” disse Charlotte, mentre Rarity continuava a fissare Steven, con disapprovazione di Thomas e Marinette guardava entrambi come si guarda una coppa di gelato.
“Tranquilla, ti eliminerò al momento opportuno” replicò lui con il sorriso migliore che aveva e Charlotte che non si era certo preparata nel suo vestito migliore ebbe un tremito lungo la schiena.
“Ne saresti in grado? Non sei un solo un piccolo lord? Te la caveresti in un torneo tremaghi?” chiese lei con tono canzonatorio.
“A differenza tua io sarei stato selezionato anche se il posto fosse stato singolo, vedendo i tuoi compagni, mi sembri la pecora nera della festa” disse lui e lei si sentì offesa nell’orgoglio, si sentì in grinta per ribattere quando la McGrannit insieme a Tristan fece il suo ingresso nella sala, subito raggiunta dagli altri insegnanti, pronti a riferire nuovi messaggi ai campioni. Tutti spostarono i loro sguardi attenti verso il gruppo di insegnanti che sembravano giudicarli da tanto erano seri e quasi severi, mentre loro si mettevano composti sui loro posti di fortuna che si erano ritagliati in quella stanza.
“Sarò breve e concisa, non voglio certo farvi perdere i festeggiamenti per le vostre nomine e spero che possiate tornare presto con i vostri amici per godere di questi momenti di pace, perché quello che vi sto per dire, non vi farà dormire sogni tranquilli” disse la McGrannit e i ragazzi si fecero attenti come rapaci.
“La prima prova avrà luogo tra un mese esatto e tutti ad una settimana da essa verrete avvisati su come prepararvi, riguardo questo non posso essere più precisa, tuttavia il torneo non si baserà semplicemente sulle tre prove tradizionali, ma in seguito ad una serie di lettere che definirei inquietanti e quasi minatorie abbiamo deciso di non sospendere il Quidditch per questa stagione” continuò lei e Steven sorrise comprendendo che il responsabile della serie di lettere era stata senza dubbio Pam.
“Le regole però saranno diversi e le squadre saranno composte solamente da campioni della stessa scuola, per sfide interscolastiche” Gienah strabuzzò gli occhi con terrore, mentre tutti si guardarono tra loro confusi.
“Ma a Quidditch si gioca in sette” disse Aaron, saccente.
“Appunto per questo sarete voi a dover formare la squadra, tra i vostri compagni di squadra e amici, cercando di collaborare e allo stesso tempo dimostrare valori di leadership, la squadra migliore farà guadagnare punti per la classifica finale a tutti i campioni in essa” intervenne Ruud Bond, il responsabile della sezione sportiva del ministero con un tono basso e virile. Thomas si scambiò un’occhiata con Steven prima di cadere in uno stato di disperazione per sapere che avrebbero giocato nella stessa squadra, almeno erano in ruoli diversi. Nadia sbadigliò annoiata già contrariata dal fatto che ci fossero più campioni e ancora più scocciata dal fatto che ora era chiamata persino a collaborare con i suoi compagni che,invece, si guardarono entusiasti, tranne Monica che non veniva molto considerata dai due ragazzi, tendevano a evitarla. Charlotte spalancò gli occhi di gioia alla notizia e dovette trattenersi dal saltare in preda all’isteria, anche Rarity reagì con gioia, mentre Marinette allontanò lo sguardo dalle due pensando all’orrore a cui doveva costringerle, era una giocatrice pessima.
“Non ha senso ripetere che non è un gioco” disse quindi Tristan più serio del solito “Da questo momento inizia il torneo e ci sono solo delle ultime, ma secondo me estremamente importanti cose da dirvi. Come potete vedere siete in dodici quindi le prove non saranno solo una mera valutazione che metterà in contrasto le vostre doti magiche e la vostra destrezza nell’arte della stregoneria, ci sarà molto altro che entrerà in gioco, l’intuito, lo spirito di squadra perché no? La tattica e lo studio e sopratutto non dimenticate che non esistete solo voi, ci son altri campioni e forse non riuscirete a superare da soli determinati ostacoli, è un consiglio, non un avviso, la libertà è la prima caratteristica di questo torneo, vi avviseremo per il Quidditch e vi daremo le istruzioni per la prima prova, buona fortuna ragazzi” disse quindi lui lasciando tutti nel silenzio più totale, a quanto pareva era finalmente iniziato il torneo, era il loro momento e non c’era occasione migliore per sottolinearlo, forse questa sarebbe veramente stata l’ultima notte di pace.

Steven e Annie si trovarono soli nella sala della torre di grifondoro dove si era tenuta poco prima la festa per lui e per le ragazze francesi che erano state scelte, Alvaro non aveva badato a spese e aveva scatenato tutto il suo repertorio, con musica raggea, danze colorate e tanta, tanta burrobirra, aveva persino chiuso a chiave i dormitori dei ragazzi del primo, secondo e terzo anno. Annie raccolse una ciotola di popcorn che era stata abbandonata a terra al suo destino e all’immondizia e la appoggiò con delicatezza sul tavolo, mentre l’unica cosa che faceva loro compagnia era la luce della luna che penetrava dalle finestra alte e che illuminava i lineamenti armoniosi della ragazza, sempre coperti dal suo pesante pullover rosa con il collo a v dal quale spuntava una camicia di un rosa più chiaro e una piccola collana, la cui croce di legno era nascosta sotto il maglione. Lei si appoggiò alla finestra, aprendola con delicatezza e venendo colpita dal fresco venticello notturno che le mosse i capelli scuri, Steven ammirava appoggiato alla scala, una delle poche volte in cui si ricordava di quanto fosse bella Annie, sempre composta, mai fuori posto, fin troppo gentile, fin troppo tranquilla e paziente, forse fin troppo anonima, ma non c’era dubbio che fosse bella. Steven le si avvicinò e si appoggiò come lei con le braccia sul bordo della finestra, mentre lei fissava la luna con i suoi occhi grandi e marroni, luminosi.
“Complimenti, per il torneo, sono molto orgogliosa di te” disse lei guardandolo con un sincero sorriso stampato sulle labbra.
“Pensavo fossi arrabbiata” disse lui sorpreso.
“Magari lo ero, ma non ero in me, è giusto che tu partecipi, è una bella opportunità anche se...sono un po’ preoccupata”
“E di cosa, Annie? Dimmelo avanti” chiese lui apprensivo.
“E’ pericoloso, Steven, non è un gioco e mi sembra che tu lo stia prendendo un po’ troppo sottogamba. Hai messo il tuo nome per...non voglio sapere cosa e mi sta bene, non posso e non voglio controllare le tue decisioni, ma non è un gioco...non voglio perderti, io ti amo e...”
“Annie, non mi perderai, so badare a me stesso e se vedo che questa cosa è oltre le mie possibilità mi ritirerò e poi, finché ci sarà questo sorriso sugli spalti a fare il tifo per me come puoi pensare che io possa farmi del male, mi condurrà alla vittoria” disse lui con un tono sinceramente romantico. Lei gli sorrise con le pupille dilatate e le membra che si stavano lentamente scaldando, sentì il desiderio di liberarsi del maglione, non le capitava spesso, come non capitava spesso che avessero momento come questo, le sembrava come se fossero tornati alla loro vacanza insieme in montagna a natale, lì era tutto diverso, non era gelosa allora, sentiva come se la loro amicizia che si era fatta amore non sarebbe mai finita, si fidava di lui, delle sue parole, delle sue promesse e anche se poi non l’aveva mai tradita, o almeno che lei sapesse no, sentiva come se quell’armonia fosse finita, si sentiva nervosa e forse stavano ancora insieme solo per il ricordo di quello che c’era stato.
“Allora io sarò lì per te e pregherò per te, griderò il tuo nome e sarò la prima ad abbracciarti quando solleverai la coppa” disse quindi lei.
“Come let me love you, let me give my life to you, let me drawn in your laughter, let me die in your harms...” cantò lui con la sua voce invidiabile, mentre lei tremava e aveva la pelle d’oca, mentre dentro di sé credeva ancora che sarebbero tornati come prima, era la sua canzone quella che le aveva regalato a natale al pianoforte, insieme alla collana che portava sempre con sé e che si chiama proprio “Annie’s Song”, la loro canzone e lui aveva scelto questo momento per cantarla di nuovo, anche se solo in parte.
“Let me lay down beside you, let me always be with you...come let me love you, come love me again” cantò lei.
“Sei sempre stonata” le disse lui ridendo.
“E tu sei sempre simpaticissimo, come un pugno sui denti” replicò lei.
“Anche io sono preoccupato per il torneo, Annie, ma ora credo che non avrò paura, non con te accanto a me” disse lui, mentre lei sperava che queste parole fossero sincere.
“Vincerai” gli disse lei e, mentre il calore si faceva per lei insopportabile lui si allungò su di lei e le diede un bacio, lungo e appassionato, uno dei migliori che lei ricordava, uno di quelli che le lasciavano le guance rosse per ore e che le facevano venire i brividi quando le ritornava alla memoria. Lui la prese per il fianco e lei si lasciò andare senza lasciare le sue labbra, stringendolo contro il suo petto con un abbraccio. Lui le accarezzò i capelli e i due si guardarono negli occhi con entrambi un profondo sorriso sulle labbra. Lui le sistemò la frangia che adorava e lei si mise a ridere come una bambina. Non dormivano insieme da quella vacanza invernale, ma questa volta si addormentarono vicini, sul divano del dormitorio comune, abbracciati, lei con la testa appoggiata sopra il suo petto e lui con la mano nei suoi capelli, sembrava davvero come se niente potesse separarli, Annie lo sperava e pregava che fosse così, mentre lentamente gli occhi si chiudevano e in cuor suo anche Steven lo sperava e si odiò con tutto il cuore perché non era mai riuscito a essere il ragazzo che Annie meritava, era pronto a cambiare, quella sera, si era innamorato di nuovo di Annie, non avrebbe rischiato di perderla.


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Capitolo 8
*** Tazzine da Tè ***


Tazzine da tè


Dean continuava a guardare con apprensione la strada, nascosto dietro il muro sicuro del vicolo e con solo il viso scuro e impenetrabile che osservava i dintorni con circospezione. Harry poggiava sulle ginocchia e guardava in silenzio il suo viso stanco in una pozzanghera, si vedette più vecchio di quanto ricordava, ma non ci prestò molta attenzione, estrasse dalla tasca interna della giacca scura una fiaschetta argentea e sorseggiò con delicatezza il contenuto, prima di richiuderla e rimetterla dentro con cura.
“Sicuro che ci possiamo fidare?” chiese Dean con tono preoccupato senza spostare gli occhi dalla strada. Harry annuì senza mutare il suo sguardo e senza spostare le sue iridi di un centimetro, continuando a fissare la sua immagine nello specchio d’acqua che aveva davanti. Intorno a loro c’era il silenzio più assoluto, solo il vento freddo e leggero che si aggirava per le strade della città faceva loro compagnia, solo il loro respiro si udiva nel buio della notte. All’improvviso Harry si alzò quasi di scatto, allarmando il compagno che si voltò verso di lui con sguardo attento e preoccupato.
“Arriva, tieniti pronto per qualsiasi evenienza” disse Harry con tono serio e concentrato. Si udì come un frusciare di foglie sotto i loro piedi, come se il vento si stesse concentrando in un solo punto, poi dopo il suono di un vortice d’aria Draco Malfoy comparve davanti a loro, smaterializzandosi dal nulla.
“Potter” disse lui mostrando un sorriso beffardo con tono di sfida.
“Malfoy” replicò l’altro non rispondendo al sorriso e guardandolo con attenzione.
“Pensavo saresti venuto da solo” gli disse quindi l’ex serpeverde con i capelli biondo quasi bianco.
“E’ un problema?” chiese quindi Harry senza mutare la sua concentrazione.
“No, non lo è, ma speravo di poter fare una bella rimpatriata con il mio vecchio amico, dico bene Potter?” disse Malfoy sempre sorridendo e con l’atteggiamento di chi aveva tutto sotto controllo.
“Basta con il sarcasmo, tu non volevi vedere me e io non volevo vedere te, ma mi devi un favore, quindi dimmi in fretta quello che voglio sapere, non ho tempo da perdere con te” replicò Harry acido.
“Mi aspettavo un benvenuto diverso, ma non serbo rancore e poi...hai ragione, devo saldare un debito. Quando sono qui a Londra si riuniscono sotto la cattedrale di Saint Paul, c’è un passaggio nella sagrestia, dietro il quadro di Thomas Becket, ma per passare avrete bisogno di questi” disse quindi lui e porse loro delle spille a forma di colomba rossa.
“Dietro c’è uno specchio, ma è stregato e se vi passate attraverso senza queste o senza altri loro oggetti, verrete intrappolati in una dimensione ombra e non è molto facile uscirne” Harry prese la spilla e se la mise in tasca velocemente, mentre Dean rimase fermo e statuario davanti a Malfoy senza prendere la spilla.
“Non mi fido di lui Harry, cosa ti fa credere che stia dicendo la verità? Stiamo parlando di Malfoy, un mangiamorte, cosa credi che ne sappia uno come lui di Colombe Rosse?”
“Non sono un mangiamorte, non lo sono mai stato, non per mia scelta almeno” replicò Malfoy perdendo all’improvviso il suo sorriso e fissando il ragazzo di colore con rabbia.
“Davvero? E cosa hai fatto per evitarlo, tira fuori il marchio che hai sul braccio se hai il coraggio” replicò Dean che non aveva dimenticato quando i Malfoy lo avevano rapito durante la seconda guerra magica. Malfoy gli sorrise e tirò su la manica, mostrando quello che non era un marchio nero o almeno non lo era più. Sull’avambraccio aveva un orribile sfregio rosso, tagli profondi che gli avevano inciso la pelle e gli erano entrati nella carne per coprire quello che c’era prima tatuato sul suo braccio e che ora rappresentava qualcosa di totalmente diverso. Inciso con il sangue e lacerato nella sua pelle c’era una colomba con le ali spiegate, cicatrizzata terribilmente e abbandonata al suo dolore.
“Anche per loro ero un mangiamorte e me l’hanno voluto ricordare” disse quindi Malfoy con tono rabbioso, cosa che bastò a calmare Dean che si ammutolì e prese la spilla che Mafloy gli aveva offerto poco prima.
“Che cosa troveremo là, Malfoy?” chiese quindi Harry.
“Non l’ho mai vista e non sono certo della sua fedeltà, ma Glimmer ci sarà, qualche sera fa hanno fatto un bel jackpot con un attacco in una residenza del nord, questa sera festeggeranno. Verrei con voi, ma non intendo andare in quel posto” rispose lui quasi rabbrividendo di paura, ma cercando con tutte le sue forze di non mostrarlo.
“E di Ron che mi dici?” chiese Harry quindi e ora il suo viso si rilassò in un’espressione di ansia e preoccupazione.
“Non so dirti se ci sarà, è ancora incredibile per me che voi due siate finiti uno contro l’altro, davvero strabiliante”
“Non tirare in ballo quella storia, Malfoy, è un avvertimento. Sai altro o possiamo salutarci?”
“Ti ho fatto questo favore Harry, ma tra perdere un braccio e perdere la vita ho già perso la prima e non intendevo perdere la seconda, tuttavia ti dovevo questo favore, spero che ti possa ringraziarmi almeno” replicò Malfoy ora serissimo.
“Grazie a te ora so dove sono, devo trovare la prova che Coleridge o Glimmer siano a capo delle Colombe, ma più aspettiamo e più il ministero si avvicina al collasso e loro continuano a fare quello che vogliono” disse quindi Harry.
“Hanno preso più potere di quanto potessimo immaginare, la Granger ha proprio un bel lavoro da fare, non ti nascondo che tutto questo mi faccia sorridere”
“Non mi aspettavo altro da te e non mi aspettavo un tuo cambiamento, ma mi fa piacere aver potuto contare sul tuo appoggio, nonostante il pericolo” disse quindi Harry e si mosse in avanti per stringere la mano al rivale che lo fissò quasi confuso e sinceramente sorpreso. Malfoy gli strinse la mano con rispetto prima di salutare con un gesto veloce della mano e scomparire smaterializzandosi come era arrivato.
“Sei ancora sicuro di quello che vuoi fare, Harry?” chiese Dean ancora preoccupato.
“Non possiamo attendere ancora, siamo rimasti solo io te e qualche manciata di auror, tra non molto accadrà qualcosa, è nostro compito cercare di evitarlo” disse quindi Harry e insieme a Dean uscì dal vicolo con passo veloce, perdendosi nel buio della strada.

Trixie iniziò a correre con foga verso il bagno dei prefetti, spintonando chiunque le capitasse a tiro, cercando i tutti i modi di guardare i gradini delle scale che aveva sotto i piedi in modo che nessuno potesse notare che stava piangendo come una fontana. Spinse a terra senza nemmeno vederlo un ragazzino del primo anno che si sistemò con fatica gli occhiali rotti e subito la ragazza dai capelli biondo chiaro si gettò nel bagno con la manica del maglione grigio, con le striature di serpeverde imbevuta di lacrime. Subito si diresse quasi con fretta verso il lavandino. Lo aprì con le mani tremanti di un misto confuso di odio, paura e malinconia e iniziò a spalmarsi avidamente l’acqua sul viso come a non poter accettare di vedere il suo viso corroso da un’emozione così patetica. Fissò la sua immagine davanti allo specchio, gli occhi grandi e verdi erano circondati da trucco sbavato che le colava lungo le occhiaia finalmente visibili e ben marcate, mentre la bocca e il dolce naso erano contratte in un’espressione di shock innaturale. Le venne da singhiozzare a vedersi in quello stato, tanto che i biasimò ancora di più per non riuscire nemmeno a tirare insieme la sua condizione estetica. Con uno scatto di odio puro scagliò un violento pugno contro lo specchio distruggendolo e lasciando pezzi di vetro sul lavandino e il pavimento, con la mano candida e morbida ricoperta di tagli e sangue che le stava già macchiando il maglione.
“A cosa vuoi che mi serva un fidanzato!? Me la sono cavata sempre benissimo da sola” disse lei alla sua immagine che ormai la fissava dietro delle schegge di vetro ricoperte di sangue.
“Io sono Trixie, per chi mi ha presa, per una nullità? Io sono la migliore studentessa della scuola e sono stata io a lasciarti, non il contrario! Io decido quando una cosa è giusta e quando una è sbagliata, non ti lascerò dirmi quello che devo o non devo fare!” continuò lei con la voce che si stava facendo sempre più esagitata.
“Ma chi voglio prendere in giro. Sono patetica, parlo da sola e sono persino impresentabile, incapace di fare un singolo incantesimo, umiliata in continuazione da una povera crista che non pensa nemmeno che esista da tanto sono un insetto ai suoi occhi...Penelope...Laida Stronza!” Si staccò dal lavandino e si spostò alla vasca da bagno, un piccolo lusso che la scuola concedeva ai prefetti, aprendo tutti i suoi rubinetti che iniziarono a espellere acqua e vapore.
“Alla fine hai raggiunto il tuo obiettivo, piccola stronzetta con la puzza sotto il naso, mi hai fatto esaurire, no, no non ti lascerò l’ultima parola, piccola bastarda! Io ti dimostrerò che sono la migliore, torneo o non torneo, cosa servirà un duello tra pagliacci? A decretare chi sarà la miglior verginella della scuola? No grazie, non voglio essere te!” Il voltò da rabbioso e determinato si fece però cupo e malinconico.
“Invece no, io voglio essere come te, io voglio essere come te da quando sono una bambina, tranquilla senza nessun nemico, senza avere occhi intorno che ti fissano a metà tra la libido e l’odio, essere la migliore senza desiderarlo e stare bene così come si è,io voglio essere come Penelope, lei non è un fallimento, io sono un fallimento” L’acqua continuò a scendere e arrivò a riempire mezza vasca.
“Sono un fallimento, sono io la nullità, non te, ho passato tutta la mia vita lottare una guerra contro un avversario che non mi considerava e di cui ero solo un’ombra fastidiosa, ho legato la mia vita ad una sfida, ho perso e non sono nemmeno riuscita a dimostrare a me stessa di essere in grado di fare qualcosa, mi faccio schifo...sono patetica, io sono patetica” Trixie ricominciò a piangere e dopo essersi tolta i pesanti vestiti si immerse di getto nella vasca con solo il collo che usciva dall’acqua e le mani, che avevano colorato di rosso l’acqua, che cercavano di fermare gli occhi che sembravano copie in miniatura dei rubinetti della vasca, solo che di caldo in quelle lacrime c’era solo il dolore acuto che la stava bruciando secondo dopo secondo. All’improvviso sentì qualcosa toccarle la spalla e trasalì di paura, pensando che qualcuno la stesse fissando, per poi vedere che l’unico essere che le stava facendo compagnia era una piccola e chiara falena che sembrava fissarla negli occhi verde scuro, quasi a volerle fare coraggio. Le scappò un piccolo, ma troppo flebile sorriso, sulle labbra sottili e si asciugò le lacrime con la mano sana prima di fissare nuovamente l’insetto che non si era mosso di un millimetro. All’improvviso ebbe una strana sensazione, sentì dentro di sé come se tutta la confusione che aveva nella testa le si stesse riversando nel corpo che alternava vampate di calore a brividi gelidi, mentre aveva ricominciato senza volerlo a piangere e la bocca si era nuovamente arricciata in ghigno rabbioso, sentiva come se la sua mente fosse altrove e non sapesse più dove cercare, come se tutto quello che aveva intorno stesse scomparendo in una lacrima amara e in un pugno sul vetro, sentiva il sangue lacerarle la mano e provò dolore, poi la vista le si annebbiò e fu più che certa che le lacrime non ne erano la causa, poi si fece buio intorno a lei, ma non poteva urlare, non poteva chiedere aiuto, forse non voleva nemmeno, non si sentiva più sé stessa, ma le piaceva, si sentiva abbracciata, protetta, non era più in una culla sfatta di viaggi mentali nella sua sofferenza privata e di emozioni contorte e spinose che le facevano male ogni volta che chiudeva o apriva gli occhi, non era più in quella vasca e in quel bagno con il pavimento pieno di vetro e con uno specchio rotto e coperto di sangue.
“Ciao, Trixie, mi senti?” Una voce le aveva parlato, una voce le stava parlando, non poteva fare altro che ascoltare, voleva ascoltare.
“Io sono un tuo amico ora e vedo quello che ti stai facendo e credimi quando ti dico che ho a cuore la tua salute, non voglio che rischi di entrare in qualcosa da cui farai fatica a uscire e credimi quando ti dico che imboccare il tunnel sbagliato può fare deragliare la tua vita sul fondo di un precipizio. Ascolta io ti do un’opportunità, io sento quello che tu desideri, respiro quelle che sono le tue brame, sento le tue malinconie e le tue gioie, so quello che vuoi, quello che ti fa sentire triste e quello che ti dà felicità e posso davvero fare in modo che la tua vita sia un’autostrada a senso unico verso la tranquillità. Tu brami potere, desideri rispetto e desideri che gli occhi della gente siano ricchi di ammirazione e adorazione e non che ti giudichino come una povera nullità, tu sei molto di più di questo e io ti darò quello che cerchi, io sarò il mezzo della tua ricerca. Tuttavia, ho bisogno del tuo aiuto, altrimenti questo patto non avrà ragione di essere stretto, io ho bisogno di te e te sola Trixie e penso davvero di potermi fidare di una così brava ragazza. Questa notte devi dirigerti nella foresta proibita e trovare per me quello che ti sto per dire, non preoccuparti, io ti aiuterò, sarò con te e non c’è bisogno di aver timore, sei forte, sei la migliore. Devi però portarmi, una pietra, una pietra speciale, credi di riuscire a farlo?” Trixie non aveva più lacrime, non aveva più rabbia, sembrava tornata la ragazza che era prima di entrare nel bagno, prima di litigare con Andrej e di lasciarlo con le brutte parole che gli aveva scagliato, prima del torneo e persino prima del duello improvvisato con Penelope, sentiva come se lei non fosse più un peso e si sentiva forte, forte come una roccia, era inarrestabile, si sentiva leggera come una foglia.
“Certamente, tutto quello che vuole” rispose lei. La falena sulla spalla era andata via.

Il trio procedeva con calma olimpica lungo il pendio della collina, un po’ per la stanchezza, un po’ perché avevano bisogno di godersi una piacevole serata notturna in compagnia, non capitava spesso di questi tempi, sopratutto da quando Radek continuava a insistere riguardo l’ultimo loro obiettivo, non dava loro tregua, almeno adesso sarebbe stato soddisfatto, avevano finito il loro lavoro.
“Ti fa male, Lazuli?” chiese Gilderoy Allock sinceramente preoccupato per le condizioni della ragazza.
“Sono stata meglio in altre occasioni e mi dà fastidio vedere questo moncherino che penzola accanto a me, ma penso che tu possa sistemarlo” rispose lei con rabbia guardandosi con disprezzo il braccio destro che era completamente tranciato a metà e bendato all’estremità.
“La prossima volta ci penserai due volte prima di mettere la mano nella bocca della verità, sorellina, guardare, ma non toccare, si dice così ai bambini vero?” intervenne Lapis e gettò un freddo sorriso di intesa alla sorella che lo mandò non molto gentilmente a quel paese.
“Sei carina anche così, se ti fa piacere saperlo, te lo sistemo quando saremo a casa” disse quindi Allock spostando da davanti al viso un ramo, mentre la vegetazione si faceva più fitta.
“So di essere carina, non ho bisogno che lei me lo dica, ma sono piena di graffi e quel coso mi ha rovinato il vestito, l’avevo rubato alla fidanzatina del tuo amico, quello con gli occhiali, era carino e ora devo cambiare pure questo, non bastava il braccio” replicò lei freddamente e Allock si irrigidì subito.
“Cosa pensa che farà ora Radek? Ha quello che vuole, ormai, non gli serviamo più” chiese quindi Lapis con le mani appoggiate sul collo.
“Dovevo un favore a quell’uomo e ora potrò ripagare il mio piccolo debito, potrò concentrarmi sul mio ritorno all’insegnamento al cento per cento subito dopo” rispose Allock e fissò con fierezza la luna piena alta nel cielo, soddisfatto di sé stesso, ma in cuor suo dispiaciuto per la piega che aveva preso la sua vita.
“Mi sono sempre chiesto una cosa, ma voi due avete delle emozioni?” I due si fermarono e lo fissarono con sguardo glaciale, come a stare solo decidendo chi dei due dovesse ucciderlo.
“A volte sorrido” rispose lui e sorrise leggermente, per poi mostrare un viso visibilmente soddisfatto di sé stesso, mentre lei indicò i suoi vestiti e disse: “Io mi arrabbio e mi innervosisco, lui è il poliziotto buono e io quello cattivo, sono pur sempre una ragazza. E poi solo perché nessuno ci ha ancora insegnato cosa siano le emozioni non significa che siamo due robot”
“Oh ma ci sono qui io! Siete sempre stati i miei aiutanti in questi giorni, ma abbiamo avuto così poco tempo per parlare, siete sempre così silenziosi e poi io sono un professore chi meglio di me per insegnarvi certi argomenti…tortuosi” intervenne lui e i due lo guardarono come un cervo davanti ad una macchina.
“Non siate spaventati, non mordo mica, sono un insegnante di prestigio, l’ordine di Merlino terza classe non si guadagna per caso ed ero anche un tuttologo del gossip e dell’amore” I due ragazzi non mutarono il loro sguardo e continuarono a fissarlo confusi e molto molto scioccati, per quanto lo rispettassero e seguissero quello che decideva il loro capo, non pensavano che sarebbero stati chiamati ad intrecciare conversazione con lui e sopratutto non di argomenti come questi, che a ma la pena avevano poi sentito nominare.
“Che c’è non avete mai avuto un fidanzato barra fidanzata?”
Silenzio
“No, non ci credo, ma vi devo davvero insegnare tutto, siete dei così carini ragazzi, le farfalle nello stomaco? Mai sentite? Salivazione incontrollata, dilatazione delle pupille, battito accelerato, sogni ad occhi aperti?”
Silenzio
“Non vi siete mai innamorati?”
Lazuli arrossì leggermente e si voltò di scatto, non abbastanza velocemente però per bloccare l’occhio vivace e ormai energico di Allock che colse la palla al balzo per comportarsi da genitore acquisito alla ragazza, come un padre che tratta con la sua figlia adolescente. Si sentì ringiovanire Allock, per quanto non fosse abituato a non essere sotto i riflettori in continuazione aveva imparato ad apprezzare la loro silenziosa compagnia, desiderava sciogliere quei pezzi di ghiaccio, era una missione che lo rendeva felice, gli faceva dimenticare che non era più la vita che era abituato a vivere.
“Ti sei tradita, tesoro, adesso devi raccontarmi tutto e poi io ti insegnerò come si fa veramente colpo su un ragazzo” disse Allock, mentre la ragazza aumentò il passo imbarazzata, mentre Lapis sogghignava.
“Allora eri serio quando dicevi che ti diverti ogni tanto” disse quindi Allock fissando il ragazzo dai capelli neri che lo fissò allegro, stranamente allegro.
“E’ diventata rossa come un cartello stradale” disse lui e iniziò a ridere di gusto, in quel momento Allock capì che anche se fossero molto lontano da essere una compagnia normale, quei due erano umani e serviva solo un po’ di amicizia per fare di Lapis e Lazuli due adolescenti alla scoperta del mondo, l’uomo sorrise e diede una forte pacca sulla spalla al ragazzo che mutò il suo sguardo e lo squadrò con i suoi occhi gelati. Allock indietreggiò di paura, terrorizzato da quegli occhi che esprimevano distruzione anche solo a fissarli.
“Ci sei cascato, era uno scherzo” disse lui e iniziò a ridere meccanicamente come se fosse un’azione che aveva appena imparato a eseguire. Allock tirò un sospiro di sollievo e iniziò a ridere imbarazzato, per un attimo si era visto morto. Erano stanchi e spossati, quello che erano andati a fare non era una passeggiata tra amici di scuola, era stata una missione terribilmente tosta, l’ultima e la più difficile che aveva trinciato il braccio a uno di loro e aveva lasciato gli altri ricchi di graffi e ferite, Allock fissò la sua bacchetta di betulla spezzata in due e ripensò a come l’avrebbe sistemata a casa, conosceva l’incantesimo, prima di dormire l’avrebbe tentato. I tre, con Lazuli che guidava qualche metro davanti a loro, raggiunsero una casa nascosta sotto una ripida e fitta edera e subito bussarono alla porta nel buio e nel silenzio della foresta che li circondava. Aprì loro un uomo che indossava un pesante mantello scuro che teneva le mani nascoste dentro di esso e che aveva due profondi e penetranti occhi gialli.
“Siete voi. Siete in ritardo” disse lui squadrandoli dalla testa ai piedi e invitandoli ad entrare. L’uomo non era particolarmente alto, aveva i capelli grigi e stempiati con una coda che gli scendeva oltre le spalle e un folto paio di baffi scuri sul viso, vecchio e logoro. Sembrava molto più vecchio di quanto in realtà fosse con rughe che nascevano da zone dove non si pensava esistessero, mentre i suoi movimenti erano lenti e cigolanti come una porta senza olio.
“Che ci hai fatto con quel braccio? Non potrò ripararti per tutta la vita, Lazuli, sono vecchio anche io” le disse lui fissandola torvo per poi girarsi verso uno scaffale ricco di barattoli e ampolle di vetro di ogni forma e colore. La casa era piccola e stretta con una sola stanza che fungeva da tutto quello di cui l’uomo avesse bisogno, sulla sinistra c’era la sua scrivania, piena zeppa di attrezzi e materiali da lavoro, con ampolle ricche di liquidi strani e un paiolo incavato sul fuoco dentro la parete, sulla destra c’era un abbozzo di cucina, con un fornello elettrico babbano, tutto intorno alla casa vi erano libri e ingredienti e ricettari per porcherie alchemiche, il pane per i denti di quell’uomo, sembrava che tutta la sua esistenza fosse rinchiusa in quella isolata catapecchia di collina. Attorno alla porta era volgarmente ammassati tre materassi marci con tre cuscini, erano i loro letti, per quanto riguardo il vecchio Radek, non l’avevano mai visto dormire.
“Non dica “riparare” non sono un suo giocattolo” replicò lei con freddezza, nonostante sapesse che stava parlando con il suo capo. “Gilderoy, se vuoi procedere...”disse quindi Radek senza fissare la scena. L’uomo dalla chioma bionda luminosa annuì e esclamò con forza “Brachium emendo!”, dopo aver preso una bacchetta non rotta dalla scrivania sulla sinistra. Il braccio ritornò come nuovo, davanti alla faccia meravigliata di lei che non poté trattenere lo stupore di vedere la sua mano ricomparire davanti ai suoi occhi.
“Non ci aveva detto che sarebbe stato così difficile, per quanto lei sappia qualsiasi cosa, questa volta mi sembra abbia sbagliato dei calcoli” disse Allock all’uomo che si girò con un’espressione interessata sul viso. Allock prese quindi mano alla tasca e estrasse la pietra dal colorito scarlatto che si illuminò tra i vapori e i colori strani della casa, mentre gli occhi dell’uomo fissavano l’oggetto come si fissa un messia sceso in terra. L’oggetto emanava un calore strano e quasi accogliente, persino i due gemelli, sempre composti e servili, rimasero colpiti dal potere sconosciuto che emanava quell’oggetto.
“Finalmente, sapevo che avevo fatto la scelta giusto ad affidarmi a te, hai ripagato ben oltre la mia fiducia, hai trovato l’oggetto che cercavo da anni di triste errare per l’Europa, non posso che mostrarti grande e profonda gratitudine, è davanti a questi occhi, quanto vorrei poterla stringere tra le mie mani” disse l’uomo con gli occhi lucidi e ricchi di umanità ed emozione nel vedere un oggetto che aveva cercato per tempo immemore. L’uomo tirò fuori le braccia dalle tasche e mostrò le mani che non aveva più da tempo e che purtroppo non potevano essere sistemate con un semplice movimento di bacchetta, era una lunga storia.
“Siamo fortunati ad averci rimesso solo un braccio su sei, quel dottore aveva dei sistemi di protezione niente male, chissà da quanto aspettava che qualcuno lo trovasse” disse Allock e poggiò la pietra rossa sul tavolo.
“Almeno sedici, sicuramente, da quando è stata vista l’ultima volta, non pensavo di poterla trovare così velocemente, devo sentirmi un uomo benedetto dalla fortuna, la stessa che mi ha permesso di incontrarti”
“Lei mi ha curato, sarei ancora in una stanza d’ospedale con giovani cameriere che mi fanno occhiolini, mi portano la minestra e mi accompagnano a pisciare, niente di più e niente di meno, lei mi ha ridato la vita, era il minimo che potessi fare” replicò Allock sorridendo, mentre l’uomo iniziava a fissare il tavolo che aveva davanti, pieno di ingredienti, fogli sparsi con simboli alchemici e sopratutto ora anche l’ingrediente principale, la leggendaria pietra filosofale.

Il molosso scuro procedeva respirando affannosamente tra radici esposte e alberi dal fusto elevato, con il muso puntato verso terra, annusando la via che dovevano prendere. Dietro l’animale tre figure dalle altezze variabili procedevano con tranquillità, con solo una luce di lanterna a fare loro strada nella foresta scura e penetrante.
“Le notti si fanno più fredde, avrei dovuto portare una sciarpa, domani avrò il raffreddore” disse Harry McLaughin contrariato e starnutendo nel silenzio della foresta.
“Te l’avevo detto, ma tu non ascolti mai, la tua testa è un pezzo di legno” replicò Maud che, invece, era rinchiusa in un completo invernale, ormai rassegnata al fatto che con Novembre si sarebbe anche avvicinato l’inverno inglese, non certo un compagno piacevole per le loro uscite nella foresta. Dietro di loro Hagrid procedeva con la lanterna in mano, osservando ogni singolo movimento intorno a sé come se da un momento all’altro potesse accadere qualcosa di pericoloso, la foresta proibita aveva comunque sempre in serbo delle sorprese.
“Che cosa stiamo cercando Hagrid? Ne vale davvero la pena?” chiese Harry infreddolito.
“Certamente, con l’inverno arriva anche il momento di riscaldare i nostri polmoni con le ricette migliori che possa offrire la foresta, ci sono le “Lacrime di chimera”, Fiorenzo mi ha detto che le ha viste sbocciare in questa zona, fidatevi quando dico che sono una botta di vita” rispose lui euforico, quasi stesse già assaporando l’erba che avrebbe assaggiato il giorno dopo.
“Mi sono sempre chiesta una cosa, ma come hai insegnato a quel cane a fiutare l’erba?” chiese Maud perplessa e con il sorriso sulle labbra.
“Per forza, quell’infame mi ruba le scorte e se le mangia tutte, è peggio di me e non passa giorno che non fiuti nuovi ingredienti, potrebbe avere una carriera nell’antidroga” rispose lui facendo ridere divertiti i due. Passò qualche minuto prima che riuscirono a trovare quello che cercavano. Delle splendide piante verde chiaro con il fusto bianco che lasciavano splendida polvere bianca ogni volta che le si sfiorava e che alla luce della lampada sembravano illusioni magiche. Hagrid le raccolse con cura e le mise dentro barattoli di vetro che mise nel suo zaino e in quello di Maud, tuttavia all’improvviso il cane smise di sbavare per la droga e si mise sull’attenti con il muso rivolto alla foresta, era dopotutto un cane da guardia. Il gruppo si ammonì e rimase in silenzio, pronto ad ascoltare qualsiasi cosa potesse uscire da quei cespugli scuri, reagirono con sorpresa quando videro Trixie raggiungere con gli occhi socchiusi per la luce della lanterna che la stava accecando.
“Puoi spostare quella cosa, non vorrei rovinare il mio viso con degli occhiali per colpa tua” disse Trixie con calma, senza la minima paura, nonostante non sapesse chi avesse davanti.
“Trixie? Che diavolo ci fai qui? Il bagno dei prefetti non è abbastanza intimo?” chiese con sarcasmo e malignità Harry, mentre lei li aveva raggiunti.
“Sei spiritoso e ti invito a rimangiare quello che hai detto se non vuoi finire male questa notte” replicò lei sorridendo e fissandolo con odio.
“Ehi Ehi! Che state dicendo? Smettetela, avete un professore davanti, piuttosto che cosa stavi facendo qui?” chiese Hagrid a Trixie con il timore che lei li stesse seguendo e sapesse dell’erba.
“Non posso? Ero solo andata a fare una passeggiata, ho avuto una giornata stressante” rispose lei.
“No, non puoi, si chiama proibita per un motivo”
“Non mi sembra, se lei con due studenti di tassorosso la visita regolarmente per recuperare erba che usate poi nei più disparati modi” disse lei con un sorriso beffardo sulle labbra.
“Scacco al re” pensò Maud.
“Tranquilli la vostra roba è un materiale molto richiesto nel mercato della scuola, non sapevo che questo sprovveduto avesse tirato in ballo anche un professore, ma non farò la spia, non sono così infame”
“Io avrei detto il contrario, tu sei l’essere più infame di questa scuola” disse con disprezzo Harry, conoscendola fin troppo bene. “Intendi zittirmi, se hai paura che faccia la spia, ammazzami e seppellisci il mio cadavere qua, daranno la colpa a qualche ragno e tu sei salvo” replicò lei passandosi la lingua sulle labbra e facendogli l’occhiolino. Harry si zittì e la mandò a quel paese sottovoce, mentre Hagrid e Maud si erano ammutoliti e non sapevano come reagire.
“Un segreto sarà un segreto, lei non dice che io ero qui, noi non ne parliamo più e io non riferisco a preside e vari il vostro piccolo vizio di fumo” disse quindi la serpeverde che era sembrata fin troppo diplomatica. Harry si fece scuro in viso, dipendere da Trixie non era una cosa che lo faceva stare tranquillo, aveva fatto la spia per molto meno, aveva persino fatto sospendere diversi ragazzi solo per il gusto di farlo, era solo una sadica bastarda ai suoi occhi.
“Io vado allora?” chiese lei sempre sorridendo beata.
“No, torni con noi, non ti faccio andar in giro da sola per questa foresta” rispose Hagrid e Trixie si avvicinò al gruppo. All’improvviso però vennero assaliti da un altro rumore, Thor non si era spostato dal luogo di prima e il trio trasalì di paura. Era un ululato, ed era molto vicino. I tre maghi estrassero le bacchette, in tempo per vedere un enorme lupo mannaro uscire dai cespugli con un balzo e venire illuminato dalla lanterna di Hagrid. Era alto e con il pelo biondiccio, pieno di pelo che rendeva meno spaventoso il normale aspetto di un mannaro, con gli arti anteriori estremamente lunghi e il corpo magro, che in questo caso era, invece possente e muscoloso, il lupo più grosso che Hagrid avesse mai visto.
“Vingardium Leviosa!” urlò Trixie e dal terreno fuoriuscì un’enorme radice di albero che colpì il mostro al ventre facendolo latrare di dolore e sbalzandolo a terra.
“Maud, che cosa si fa in questi casi?” chiese Harry terrorizzato.
“Si corre” rispose Hagrid e il gruppo iniziò a correre lungo il pendio, seguiti dai respiri aguzzi e mostruosi del mannaro che li seguiva come si segue una cena. Il cane di Hagrid corse sulla collina per primo.
“Infame” gli urlò il padrone, mentre la paura li stava assalendo e aveva l’aspetto di un cane gigantesco con le fauci spalancate. All’improvviso però, proprio mentre Trixie si stava sentendo i lunghi capelli sfiorare dagli artigli lacera-carne della bestia, un fulmine cadde tra i due e li sbalzò dalla parte opposta. Trixie finì addosso a Harry e caddero uno sopra l’altro, mentre il mannaro ricadde indietro con dolore e furia nei suoi occhi chiari. Tra il lupo e l’agnello c’era ora una ragazza vestita di un pesante cappotto blu con le imbottiture in lana bianca, non era particolarmente alta e i capelli neri le scendevano fino al sedere. Il lupo le si scagliò contro, ma dalla sua bacchetta fuoriuscì un altra scarica elettrica che lo raggiunse davanti al muso e poi un’altra lo colpì alla zampa. L’animale si allontanò impaurito. Harry aprì gli occhi e vide davanti a sé lo sguardo di odio di Trixie. I due erano caduti uno sopra l’altro.
“Hai la mano sotto la mia gonna e...mhm...sento che ne sei parecchio felice” le disse lei e lo fissò con imbarazzo, tirandogli un forte schiaffo e lasciandolo a terra ancora poco cosciente di quanto fosse successo, mentre lei si alzò di scatto e si sistemò il vestito corto con le lunghe calze di lana che le ricoprivano le gambe. Davanti a loro c’era Rarity che ora si avvicinò a loro, sincerandosi che stessero bene. I tre giovani maghi la guardarono sorpresi, sia perché non sapevano per quale motivo fosse lì, sia perché era arrivata nel posto giusto al momento giusto.
“State bene? Vi siete fatti male? Oh davvero, ve la siete vista brutta!” esclamò lei avvicinandosi a loro, cercando nell’oscurità di leggere qualche espressione sui loro volti scuri.
“Beh se non fossi arrivata tu saremmo stati la cena di un grosso cane” disse Harry sincerandosi con stupore di stare bene. Trixie lo guardò ancora male per lo spiacevole inconveniente di poco prima e lui si zittì fissando d’altra parte.
“Bell’incantesimo comunque, sei la ragazza del torneo giusto?” chiese Trixie avvicinandosi a lei e stringendole la mano, Rarity reagì con un largo e sincero sorriso.
“Oh sono famosa! Sì, io sono Rarity, molto piacere, siete pazzi a stare qui fuori con questo freddo e questi mostri” replicò Rarity che sembrava il più naturale possibile. Maud la fissò stranita e con un occhio da interrogatorio, ricordando che alcune sere prima l’aveva vista dirigersi nella foresta di nuovo alla stessa ora.
“E’ una fortuna che esiste qualcuno pazzo come noi” disse quindi Trixie sorridendo a Rarity.
“Davvero? E chi è? Dov’è? E’ in pericolo” disse lei che aveva frainteso la battuta.
“Sei seria?” reagì con confusione Trixie.
“No, siamo solo noi...Rarity...ehm. Che ci facevi qui da sola, invece, tu?” chiese Maud curiosa.
“Io? Io esco molto spesso per questa foresta, mi rilassa passeggiare nei boschi” rispose lei sempre sorridente. “Solo?” provò a chiedere Maud, ma Harry le aveva tirato una gomitata e lei si era zittita, era stata fin troppo invadente, non sapeva nemmeno chi fosse, ma era estremamente incuriosita da quella francese, c’era sotto qualcosa, tuttavia il suo sorriso sembrava sincero e la sua naturalezza adorabile, Trixie la odiava già.
“Ragazzi, dimentichiamo questa serata e torniamo nei nostri dormitori ok? Venite, torniamo al castello” intervenne Hagrid e i ragazzi lo seguirono, Rarity compresa che aveva gli occhi di Maud puntati come il faro di un penitenziario.

“Basta con i convenevoli e fate attenzione!” esclamò con voce forte e sicura Starlight Glimmer che fissava il gruppo davanti a sé con un sorriso sincero sul viso candido, allungato dall’alcool.
“Non saranno burrobirra e whisky il piatto forte di questa serata, statene certi, ho un regalo per tutti voi in questa serata speciale” continuò lei e si avvicinò ad una porta sulla destra, mentre intorno a lei tutti la ascoltavano con goliardia, tra un bicchiere e l’altro che scivolavano oltre le loro gole.
“Cosa ci ha portato, comandante, qualche bella ragazza?” chiese Geoffrey alzando il bicchiere e mostrando un sorriso maligno sul volto.
“Non ti bastano quelle intorno a te, il tuo comandante non è abbastanza carino?” replicò lei fissandolo con un sorriso di sfida.
“Estremamente, signorina” disse quindi lui facendole l’occhiolino. Glimmer era sicuramente la donna più bella nella sala, occhi di un marrone scuro, ma che sembrava, nonostante fosse un colore comune, unico nel suo genere, la pelle era chiara e morbida come quello di un neonato, mentre i capelli erano castani, tendenti al bordeaux. Nonostante avesse appena 22 anni era già a capo di un partito e per quanto fosse fin troppo impulsiva e eccessivamente estremista, aveva dimostrato buone doti oratorie, un gran carisma e aveva conquistato un bel numero di seguaci, diventando il quarto partito nel wizengamot. Quando parlava sembrava potesse scuotere da sola una città da tanta forza ci metteva e persino adesso sembrava un discorso di vitale importanza, nonostante fosse solo una festa. Un altra sua qualità era il fatto che fosse un leader prima di un politico e nel suo gruppo non era solo il capo, ma era la prima compagna di ognuno di loro, la prima confidente, la prima amica e per quanto il suo motto fosse “Il fine giustifica i mezzi”, la parola e il bene del partito erano per lei come la bibbia per un sacerdote. Glimmer tornò accompagnata da due dei suoi più nerboruti uomini con un uomo imbavagliato tra le mani che scagliò con cattiveria a terra, facendolo sbattere con il viso sul pavimento freddo, mentre intorno a lei tutti si erano ammutoliti. Lei sorrise e, prendendolo per i capelli, gli sollevò la testa, strattonandolo per farlo sedere su una sedia affinché tutti potessero vederlo. Gli tolse il bavaglio.
“Saluta Rabastan, saluta tutti” disse lei con un sorriso beffardo sulle labbra morbide, avrebbe fatto tremare qualsiasi uomo accanto a lei la sua voce seducente, sembrava che ogni parola fosse pronunciata sotto maledizione imperius da tanto la sua nota vocale era perfetta.
“Rabastan Lestrange, mangiamorte convinto da oltre trent’anni, responsabile di numerosi omicidi, tre dei quali avvenuti settimana scorsa a villa Markov, della tortura di Frank e Alice Paciock e rilasciato da Azkaban due mesi fa in seguito alla normativa del ministero...e ora prigioniero delle colombe rosse, ho ragione?” continuò lei, mentre alcune colombe avevano espressioni sul viso come quelle di cani attorno ad un gatto, altre erano al limite della paura. Rabastan non rispose guardava dritto davanti a sé con lo sguardo spento, ma ricco di odio, aveva il viso sciupato e sembrava dimagrito, con profonde occhiaia scure e i capelli lunghi e castani che sfuggivano nelle direzioni più selvagge, sembrava il ritratto sbiadito dell’uomo affascinante che era stato.
“Hai perso la lingua? Non eri così silenzioso i primi giorni, bestemmiavi, insultavi e continuavi a invocare il tuo schifoso signore oscuro, spero che avrai voce per urlare quando provvederò di persona alla sua esecuzione” continuò lei arrivando faccia a faccia con lui e continuando a fissarlo con un sorriso maligno sulle labbra. Lui le sputò in faccia e il getto le arrivò sotto l’occhio. Un pugno violento lo raggiunse e lo scaraventò a terra, mentre lei aveva perso il sorriso e ora aveva solo odio negli occhi.
“Sarà un piacere ucciderti” aggiunse lei sottovoce e prese mano alla bacchetta.
“Expelliarmus!” urlò una voce femminile alle sue spalle. Starlight si girò di scatto, mentre Rabastan, stremato, che perdeva sangue dalla bocca veniva rimesso sulla sedia da altre colombe.
“Scarface, dammi la bacchetta” le disse con tono gentile Glimmer, ma desiderando in cuor suo di incenerire la ragazzina che le aveva tolto la soddisfazione della morte di un mangiamorte.
“Lui non lo vorrebbe, noi non uccidiamo, non siamo come loro e credimi quando ti dico che è giusto punirli, anche fisicamente forse, ma non siamo nessuno per dire quando loro debbano morire” disse Katie Bell in piedi in mezzo al gruppo che guardava la scena con terrore, Katie si era esposta come nessuno prima davanti a Starlight Glimmer, lei non conosceva cosa significasse la parola perdono o misericordia, chi le pestava i piedi era un nemico del partito, era spazzatura per la rivoluzione e doveva essere smaltito.
“Hai finito con il tuo discorso strappa-applausi, carina? Non voglio essere scortese, siamo ad una festa e potrei perdonare questo tuo gesto di insubordinazione, ma dammi la bacchetta, dammela e dimenticherò questo tuo folle discorso sulla pace e sull’amicizia tra i popoli” replicò Glimmer con la voce che aveva perso il tono politico per raggiungere quello pratico.
“No, non le darò la bacchetta, lei risponde al nostro leader e non può decidere di ucciderlo senza che lui abbia parlato in merito”
“Lui non c’è io comando, lui non sa, io decido, stiamo parlando di un mangiamorte, odi i mangiamorte come noi o sei una nemica del partito?” chiese Glimmer avvicinandosi alla ragazza con tono minaccioso.
“Io non sono iscritta al tuo partito, io seguo il mio capo, non te” Le aveva dato del tu e Glimmer l’aveva notato, non l’avrebbe perdonata, la voleva morta e l’avrebbe fatta sparire, ma poi si rese conto di una cosa importante.
“Ma! Io so chi sei! Sì, sì! Tu sei quella che sta con Coleridge, sei la sua fidanzatina, la ragazzina del reparto sparizioni, fino ad ora pensavo fossi solo la ragazza con la faccia tagliata di villa Lestrange” Katie non replicò e si limitò a fissarla con odio, sarebbe stata una lotta e ora persino lei la voleva morta, odiava Starlight e odiava il suo partito di esaltati, servivano al movimento, ma i suoi giacobini erano violenti e desideravano il caos politico più di qualsiasi altra cosa, in nome di uno stato sociale estremista, ebbe i brividi.
“Tristan lo sa che la tua faccia ora ricorda una maschera di carnevale o quando lo fate pensa a qualcun’altra?” Continuava a stuzzicarla, sapeva dove voleva andare a parare, ma non avrebbe ceduto, era una lotta in cui voleva andare fino in fondo, Tristan non avrebbe voluto e lei gli era fedele, fidanzamento a parte, Glimmer era andata oltre la sua sfera di competenza e oltre la pazienza di Katie.
“Cuciti la bocca giacobina! Non nominare mai più Tristan Coleridge davanti a me, noi se nemmeno degna di pulire il pavimento dove cammina” replicò quindi Katie con rabbia.
“Sai, tu non sei degna nemmeno di guardarmi negli occhi, tu stai parlando a Starlight Glimmer, mi basta un gesto e tu non esisti più, Coleridge ha bisogno dei miei voti e del mio appoggio, perciò le cose qui si fanno come dico io e non credere di essermi superiore solo perché ci vai a letto, perché credimi ti tratterò come chiunque altro prima di te, sei un nemico per me in questo momento, al livello di quel signorino seduto là” le disse quindi Glimmer squadrandola dall’alto al basso, mentre Katie ora sudava freddo, odiava i mangiamorte, che diavolo le era saltato in mente? Sfidare Glimmer così apertamente era da suicidio, che brutta fine che stava per fare, si sentì terribilmente triste e pensò a Tristan, chissà se l’avrebbe perdonata quella pazza giacobina? All’improvviso però, mentre per il terrore Katie si era pietrificata e Glimmer stava per avventarsi su di lei, sfogando tutto il suo odio sulla ragazza, un esplosione sconquassò la stanza, gettando tutti i presenti a terra e facendone volare altri dall’altra parte della sala, il resto era tutto ormai immerso nella polvere. Katie si sentì spintonata a terra da qualcuno e cadde con il viso su quello di un suo compagno che era svenuto, era la sua occasione per scappare, qualunque cosa fosse successa. Harry Potter si scagliò con forza contro Glimmer che non lo vide nemmeno arrivare, si ritrovò velocemente sollevata per le gambe e portata di forza dall’altra parte della sala.
“Pietrificus Totalus!” disse lui prima che lei potesse dire o fare qualsiasi cosa. Il piano era stato improvvisato e doveva uscire da quella sala subito, portando via la loro prova, magari evitando di essere visto, si trovava nella tana del suo nemico e ci era finito di suo spontanea volontà, chiunque gli avrebbe dato del folle. Dean lo stava aspettando nel corridoio dietro la porta davanti a lui, ma all’improvviso venne fermato da una voce, l’avrebbe riconosciuta tra migliaia.
“Harry, che stai facendo?” Si girò e vide Ron, il suo migliore amico, davanti a lui con la bacchetta puntata sul suo busto e il volto a metà tra il confuso e lo spaventato.
“Lo devo fare, non siamo più amici ormai” gli disse Ron con tono freddo e irriconoscibile.
“Ron, tu non sei uno di loro, puoi ancora...”
“Stupeficium!” Harry cadde a terra così come fece Glimmer e l’ultima immagine che aveva negli occhi prima di perdere i sensi era quella del suo migliore amico che lo schiantava.

Steven stava leggendo velocemente il libro di storia della magia, con tutto l’impegno e la fama che aveva generato la sua nomina come campione del torneo si era completamente dimenticato della verifica e nessuno aveva parlato di sospensione degli esami per i campioni, era nel casino più totale e non sapeva nemmeno una riga, sperava almeno che sarebbe riuscito a copiare da qualcuno, ma i grifondoro erano la classe peggiore dell’istituto e l’avevano già beccato tre volte con la verifica uguale a quella della fidanzata, tanto che una volta Indoh l’aveva annullata ad entrambi, Annie si era messa a piangere, erano al secondo anno. “Va bene, questo non l’ha spiegato, oppure ero al bagno, ma io lo ascolto quando parla? Vabbè non lo studio” pensava lui mentre sfogliava le pagine “Questo lo so dai, questo è facile, questo salta, questo non lo metterà mai, ridendo e scherzando ho finito il libro, sono un demente” Poteva puntare almeno sulla sua fortuna sfacciata, sembrava sempre che in ogni situazione scolastica lui fosse il massimo della fortuna, erano cinque anni che non faceva assolutamente nulla, cinque anni di cazzeggio e nonostante tutto era il migliore della classe con voti eccellenti in quasi tutte le materie. Ad incantesimi gli usciva sempre al primo colpo l’incantesimo che non aveva mai azzeccato una volta, a pozioni poteva farle ad occhi chiusi che erano migliori di quelle dell’insegnante, poteva persino scivolare e buttare dentro ingredienti a caso che sarebbero stati quelli giusti, a difesa contro le arti oscure non si sapeva se fosse lui che aveva culo o fossero le creature che affrontava che in quel momento erano ritardate, Steven Lineker era anche questo, ma volte non funzionava e arrivavano batoste terrificanti. Si ritrovò sul punto di addormentarsi sul libro, ma venne svegliato dalla voce squillante di Rarity.
“Ciao Steven! Sei ancora sveglio?”
“No, no. Dormo con gli occhi aperti” rispose lui sarcastico.
“Davvero? Io non ci riesco mica, che bravo! Che cosa fai?” “Studio” rispose lui stanco e non in vena di una conversazione con Rarity che ormai l’aveva irritato, per quanto fosse carina continuava a stargli addosso e infastidirlo e rappresentava un pericolo se Annie fosse stata nei paraggi, non aveva voglia di litigi, non ora che la loro relazione stava andando bene.
“Ah è vero che voi dovete studiare, per noi gli esami sono sospesi” disse lei sorridendo e togliendosi la giacca di lana pesante e liberando una canottiera bianca attillata che definirla trasparente sarebbe stato riduttivo. Steven non riuscì a spostare lo sguardo dal suo petto, si girò velocemente cercando di farle credere che non fosse successo nulla quando invece lei sapeva benissimo cosa fosse successo e ovviamente non faceva nulla per evitarlo.
“Beh...ecco...forse è meglio se vado a letto, domani ho questa verifica molto importante” si affrettò a dire lui che non voleva stare più un minuto accanto a quella ingombrante e troppo seducente presenza, si sentiva in pericolo, aveva paura di Rarity e aveva ancora più paura di Annie che nonostante stesse dormendo la sentiva dietro le sue spalle ad ogni secondo che passava vicino alla francese.
“No dai. Perché non mi fai un po’ di compagnia qui attorno al fuoco, io non sono stanca, mangiamo qualcosa...non trovi che faccia caldo?” disse quindi lei con la voce che non era più il suo classico tono innocente, lo voleva sedurre, Annie non c’era ed era la sua occasione per coglierlo in castagna, non c’era possibilità migliore, avrebbe avuto il ragazzo che tanto sognava dal primo giorno che l’aveva visto, quello che le faceva battere il cuore a mille e la faceva sognare, fidanzato o no che fosse. Steven deglutì, mentre la ragazza gli stringeva il polso con la sua mano morbida e calda, voleva morire, voleva morire in quell’istante e voleva scappare da quella tentatrice che gli aveva fatto girare i nervi, ma che ora gli stava sottolineando con forza tutte le sue debolezze. Il cuore chiamava Annie, il cervello era completamente in panne, il corpo si sarebbe gettato volentieri su Rarity senza pensarci su due volte.
“No...ehm...davvero...io non credo sia il caso...magari un’altra volta” provò a dire lui, ma si trovò faccia a faccia con il sorriso sincero e gioioso di lei che era più felice di una bambina che dà il suo primo bacio sotto il vischio a Natale.
“Voglio solo passare un po’ di tempo con te” gli disse lei con tono sincero “Mi piaci, lo sai? Mi piaci, molto, e non so nemmeno il perché, credi che non sappia che tu sei fidanzato? Lo so e me ne sono fatta una ragione, ma io ti desidero, credimi, non voglio essere un peso, voglio solo un bacio, poi ti lascerò in pace”
“Io...non posso. Non posso farlo, io sto con Annie...mi dispiace Rarity ma...” provò a balbettare lui. Lei si sporse su di lui e le loro labbra si intrecciarono con forza, lui desiderava staccarsi, ma più ci provava più lei si faceva insistente e infine si trovarono abbracciati in un bacio passionale, un tonfo gli staccò. Steven si girò confuso e spaesato, ma abbastanza attento per riconoscere Annie davanti alle scale dei dormitori che guardava la scena con il viso ricco di shock. Era nel suo pigiama rosa con la croce che le aveva regalato lui sopra la maglia, i capelli a caschetto senza cerchietto e lisci lungo le spalle, sotto i suoi piedi c’era un vassoio rovesciato con due tazze frantumate a terra e il tè che circondava questo piccolo disastro. Lui la guardò quasi a volersi giustificare anche se sapeva che aveva fatto una cazzata, per quanto non volesse farla, maledì Rarity in quel singolo istante in cui sembrava che tutti i suoi ricordi si intrecciassero nel suo cervello confuso, maledì sé stesso e provò vergogna, voleva piangere. Gli occhi di Annie si tinsero di lacrime che iniziarono a sgorgare con forza lungo le guance rosse di rancore e tristezza, mentre la sua bocca sottile tremava come le sue mani. Annie prese la collana che aveva al collo e la gettò per terra con disprezzo e tristezza, poi iniziò a piangere e corse su per le scale singhiozzando, per poco non cadde. Steven rimase bloccato davanti alla scena, chiuso in una stanza buia di pensieri e paure, si odiava, si stava odiando, aveva ceduto proprio ora, proprio ora che amava Annie, amava la sua ragazza e non l’avrebbe mai abbandonata, doveva andarsene via come avrebbe voluto, al diavolo Rarity, non doveva starla a sentire, l’aveva baciato lei, ma non era riuscito a fermarla, era colpa sua e ora Annie piangeva, ancora. Pensava che non avrebbe più dovuto asciugare le lacrime che lui le aveva causato, pensava che le uniche lacrime che avrebbe versato sarebbero state di gioia e amore, ora Annie piangeva per colpa sua e forse non sarebbe stato in grado di asciugarle, si odiò di nuovo, si odiò con tutto il cuore. Rarity era in silenzio, si sentiva uno schifo, si sentiva sporca e si sentiva in colpa, che cosa le era preso? Che cosa pensava di ottenere? Lui non avrebbe lasciato la ragazza, non amava Rarity e lei lo sapeva, allora perché aveva insistito? Perché a volte si comportava come una bambina viziata che deve avere tutto e vuole averlo ad ogni costo? Rarity si odiò e scoppiò in lacrime, aveva forse rovinato una coppia, ma non voleva farlo, non era quello che voleva, forse dentro di sé ci sperava, ma vedere quella scena l’aveva distrutta, si sentiva uno schifo, provò vergogna, aveva ancora una volta fatto la cosa sbagliata, continuò a piangere e lasciò Steven da solo che in silenzio guardava le tazzine da tè che giacevano da sole per terra. Sentiva come se anche lui e Annie si fossero rotti in quel momento, cosa sarebbe successo non lo sapeva, ma aveva un brutto presentimento, si vide in quella tazzina, si alzò e la raccolse, quella cosina di porcellana era Annie e lui l’aveva rotta, di nuovo, forse irrimediabilmente. Gli scese una lacrima e pestò con forza l’altra tazzina che ancora giaceva a terra.


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Capitolo 9
*** Spirale Temporale ***


Spirale Temporale


Una goccia di sangue scarlatto cadde davanti al suo naso e iniziò a scenderle lungo gli occhi che dovette chiudere con dolore e quasi rassegnazione, quasi a non volere vedere quello che davanti a sé la stava torturando a furia di mazzate. Si sentiva impotente, sconfitta nel fisico e nello spirito come mai in vita sua, sentiva ogni singolo centimetro del suo corpo come se fosse stritolato dalla morsa di un serpente velenoso e percepiva le sue membra pietrificate come se fossero state strappate con violenza dai nervi che le collegavano tra loro. Aveva paura, per la prima volta in vita sua aveva paura, un terrore puro e cattivo che la prendeva da dentro il cuore e la faceva sentire fredda come una lastra di ghiaccio, crepata al centro e pronta ad essere disintegrata in mille pezzi, scomparendo dal campo di battaglia. Niente era stato come in quei giorni, non avrebbe mai pensato che avrebbe assistito a qualcosa di questa portata, si sentiva impreparata, si sentiva una bambina al primo giorno di scuola, picchiata e umiliata da un ragazzo più grande che le aveva appena rubato la merenda, si sentiva inutile, si sentiva piccola come un insetto pronto ad essere schiacciato e la sofferenza e la rabbia che si contraevano come muscoli dentro di sì la spingevano solo a desiderare che tutto questo finisse, con la vita o con la morte non aveva importanza, voleva scappare via e non vedere mai più quegli occhi rossi. Intorno ai due la scena era di totale e terribile distruzione, il panorama era di un grigio sepolcrale, come se tutto fosse intasato da una nebbia invisibile che cementava gli animi dei presenti in un passivo e oscuro terrore, come se sapessero già che quello che rimaneva di loro era un pallido e tetro cimitero. Intorno a quella spianata di morte e tortura emotiva tutti guardavano come gli spettatori di un sacrificio, incapaci di reagire, incapaci di fuggire e incatenati al loro destino che sembrava inesorabile. Davanti ai loro occhi di giovani che sembravano invecchiati di secoli, lui stava tenendo sollevata per i capelli Lyra le cui gambe senza forze e prive di spirito penzolavano a peso morto, anche loro rassegnate al loro destino. Lungo le braccia smorte e su tutto il viso il sangue colava tra tagli e ferite più o meno gravi, lui non avrebbe permesso al giovane corpo di lei di morire troppo in fretta, voleva gustare questa scena fino alla fine, voleva sentirla soffrire fino all’ultimo lamento, voleva vederla morire decidendo lui quando sarebbe successo e in tutto questo sorrideva con una insana e superiore soddisfazione, era lui il protagonista in quel momento, lei un inutile straccio.
“Tormentum Anima!” urlò Dominic Thien dall’altra parte della spianata polverosa e dalle sue mani tese in avanti comparì una luce gialla che si diresse come un raggio verso Mira. Lui perse il sorriso che aveva sul volto sicuro e scagliò Lyra a terra con violenza prima di schivare senza fatica il raggio, un attimo dopo era dietro il ragazzo calvo senza che il suo corpo stanco dallo scontro di prima potesse reagire. Con un colpo secco gli staccò di netto il braccio destro e Dominic cadde a terra con un urlo straziante, tenendosi quello che restava del braccio, mentre tutti si domandavano con le ferite che aveva come facesse ancora a provare a combattere quel mostro.
“Voi umani non imparate mai, non vi arrendete mai, sarebbe bastato una singola parola, un singolo e semplice inchino e tutto questo non sarebbe successo, non siete solo deboli, siete anche ostinati” disse lui, la sua voce era ricca di disprezzo, ma suonava calma e leggera, una voce splendida, ma che nascondeva un latrato di morte ad ogni respiro. Lyra si alzò con fatica, tossendo sangue e notando con sgomento che era in condizioni disperate, era finita, era veramente finita. Aprì l’occhio destro, l’unico che riusciva ad aprire e si accorse ancora una volta che non era l’unica che stava lentamente morendo, tutti, persino chi era ancora in vita e tremava dietro qualche roccia o nascondiglio, era già morto. Li vide tutti davanti a sé, stesi come mosche nella polvere e ricoperti del loro stesso sangue, giovane anime che probabilmente avevano già lasciato i loro corpi o che aspettavano solo la venuta del mietitore per abbandonare il mondo dei vivi. Nadia era stesa sopra Janko, la sua gamba sinistra non era più con lei, mentre il ragazzo sembrava dormire da tanto sembrava naturale come fosse disteso, Ivan e Christopher erano stai uccisi uno dopo l’altro quasi a non aspettarsi nemmeno un simile epilogo, le loro bacchette erano ancora in tasca, poco più in là il corpicino di Monica stava rannicchiato come dentro una crisalide, quel diavolo le aveva spezzato il collo senza pietà. Lyra voltò il capo e vide Svetan Gorgodze, il suo preside, vivo, l’uomo che l’aveva accompagnata nella sua missione che guardava la scena con terrore, pietrificato davanti ai suoi studenti che erano stati tutti eliminati così come molti delle altre due scuole, non era riuscito a salvarli, non si sarebbe dato pace, anche Nadia era morta, la sua Nadia. Lyra si alzò con rabbia, le lacrime che si erano fatte sangue che ora le macchiavano le guance, mentre accanto a sé stringeva ancora la spada di grifondoro, sarebbe morta combattendo, l’avrebbe fatto. Si mosse per scagliarsi contro Mira, il mostro che aveva sterminato chiunque si era messo contro di lui, e che ora parlava con i superstiti di cose che nemmeno con una mente sana sarebbe riuscita a comprendere, tuttavia qualcuno la trascinò per la maglia e la ragazza, voltandosi, vide il volto depresso e spaventato di Hermione Granger, anche lei piangeva e lacrimava , era scioccata da quanto stesse succedendo, si vedeva che era rimasta preda degli eventi, sembrava appena arrivata, non aveva un graffio.
“Tu sei la ragazza dell’Oblansk?” le chiese con una vocina debole e quasi timida, sembrava una bambola abbandonata in un cassonetto. Lyra annuì, si sentiva uno spettro e vedere Hermione Granger in quello stato la spaventò.
“Tieni questo...non so come spiegare, tu eri stata mandata qui per cercare di...fermare questo, o così credo, me l’ha detto Viktor...Non so cosa sto facendo, ma se tu sai come evitare questa fine, ti prego, ti prego, prendi questa giratempo...almeno potrò sperare di poter sopravvivere da qualche altra parte...è terrificante...non posso vedere tutto questo” le disse lei e Lyra tremò di paura nel vederla allucinata e in preda ad un pianto sfrenato, raccolse dalle sue piccole mani la giratempo.
“Non sentirti la nostra ultima speranza, ma spero tu possa...non sprecare la tua vita con quella spada ora...ci penso io qui...clicca quel bottone quante volte ti serve, ogni volta corrisponde ad un’ora...attenta a non incrociare la te del “presente”...potrei dirti altro, ma...provaci almeno...ti prego”
La sua voce era un lamento disperato, una piccola vergine che implorava il cielo, Lyra provò pietà, poi i suoi occhi si aprirono e si risvegliò in un letto comodo, era stato tutto un incubo, era sveglia, anche se sapeva che tutto questo era successo davvero. Si ricordò che il giorno prima era andata a cercare i due ragazzi a Diagon Alley, ora era chissà dove, il respiro affannoso per l’incubo si stava rilassando, era tornata alla realtà. Vide accanto al suo letto la spada di grifondoro, chiunque l’avesse raccolta la sera prima non gliel’aveva rubata, quei ragazzi non gliel’avevano rubata, ne rimase colpita. Per quanto fosse stato un incubo sapeva che quello che era successo era successo solamente due giorni prima e non sarebbe bastata una giratempo per cancellarlo dalla sua memoria, per quanto il destino le avesse concesso un’altra possibilità non poteva dimenticare la morte e il sangue di quel giorno, non se n’era ancora liberata, ad ogni angolo era un incubo ad occhi aperti, gli occhi rossi di quel mostro erano un incubo e non era stata in grado di fermarlo, aveva fallito e non poteva più permettersi di sbagliare ancora, l’aveva promesso a quella giovane donna che le pianse davanti, implorandole di salvare la sua memoria, si sentì vuota. All’improvviso la porta si aprì e comparve una ragazzina dai capelli biondi lunghi e gli occhi blu notte che portava con sé un bicchiere di latte e un tozzo di pane.
“Oh ti sei svegliata! Bene, ti ho portato la colazione” disse la ragazza con una voce candida e premurosa e mostrando un tenero sorriso. Lyra arrossì, era carina, molto carina. La ragazzina posò le cose sul comodino e sorrise allo sguardo perso di Lyra.
“Grazie” disse la ragazza dai capelli rossi.
“Per qualsiasi cosa, dimmi pure, puoi fermarti quando vuoi, almeno finché mio padre non insiste per farti pagare”
“Pagare non è un problema, tra poco dovrei essere ok comunque”
“Ne sono lieta” disse la biondina e si diresse alla porta.
“Scusa, posso sapere il tuo nome?” chiese Lyra assorta.
“Jeanne, tu?”
“Lyra”
“Piacere di conoscerti” Per un attimo Lyra smise di pensare al dolore e alla sofferenza delle ultime ore, quegli occhi blu l’avevano riportata alla realtà, il mondo era ancora bello per essere salvato, era una missione che doveva portare a termine. Era stata mandata in Inghilterra dall’Oblansk come scorta della rappresentativa di Durmstrang al torneo tremaghi, una copertura per la sua vera missione che ora andava ultimata, evitando di fare gli errori che aveva fatto nel precedente arco di tempo, ora sapeva cosa doveva fare e aveva tutto il tempo per farlo, non avrebbe lasciato che Mira uccidesse anche Jeanne, non l’avrebbe sopportato, anche se l’aveva appena conosciuta.

Hogwarts
“Ancora nessuna notizia riguardo gli strani rapimenti che stanno avvenendo intorno all’area di Brighton, per il momento il numero di bambini rapiti è rimasto quello di 13, ma la situazione sta degenerando e il clima di terrore che...” lo sguardo di Thomas, attento e serio che era posato sul giornale venne interrotto dagli occhi azzurri di Gienah e dal suo sorriso imbarazzato.
“Ciao Gienah, come va la gamba? Sicura che riuscirai a partecipare al torneo?” le chiese lui sorridendo in modo seducente.
“Pensi di farmi mollare con il tuo sorriso? Non sono come le ragazzine di corvonero che si sciolgono alle tue parole, la gamba starà più che bene” replicò lei sorridendo maliziosamente e sedendosi con calma davanti a lui che non aveva ancora capito se ci stesse o meno provando con lui, ci avrebbe fatto molto volentieri un pensiero, più di uno.
“E allora perché sei qui da un tuo rivale? Tra due settimane inizierà il torneo, stai cercando di proporre improbabili alleanze solo a me o anche agli altri? Sei interessante” disse quindi lui.
“Dobbiamo discutere del Quidditch, tra poco giocheremo contro i ragazzi di Durmstrang e il fatto che questo week-end giochino le altre due squadre non è una scusa per non prepararsi” rispose lei seria.
“E perché ne parli con me? Aaron non è abbastanza carino?” Gienah lo fissò male.
“Aaron mi ha fissato il seno per qualche secondo e mi ha gentilmente detto di non rompergli, l’avrei strozzato e l’altro genio è inavvicinabile, hai saputo no?”
“Devo dire che un po’ mi dispiace, per quanto sia stia parlando di Lineker, Annie non lo meritava, magari ci parlerò, non mi sarei mai aspettato che si sarebbero lasciati” disse quindi lui, pensando con rabbia che Rarity aveva scelto Steven invece che lui, non glie-l'avrebbe lasciata passare liscia.
“Sappiate solo che io sono inadatta a quello sport, vedete voi dove sia meglio buttarmi” disse lei con un tono di invidia, pensò anche alla sua gamba, doveva ancora studiare una soluzione. Thomas la guardò negli occhi e ritornò alla realtà, si accorse che veramente avrebbero dovuto collaborare, almeno per il quidditch, provò un profondo senso di rabbia al fatto che avrebbe dovuto giocare nella stessa squadra di Steven e Aaron, ma capì che era forse l’unico che in questo momento poteva prendere in mano le redini del torneo, Gienah era zoppa e non era in grado di stare su una scopa, Steven non si capiva bene in che condizione fosse, mentre Aaron era semplicemente un infame agli occhi di lui, l’avrebbe volentieri eliminato durante la prima prova, non si sarebbe fatto intenerire.
“Parla con Lineker, se mi permetti io cerco di radunare i battitori e il portiere, non so quanto tu sia informata di quidditch”
“Devo fidarmi di questa tua intraprendenza o alla prima occasione mi schianterai alle spalle?”
“Dipende cosa intendi per schiantare alle spalle? Sicuramente non potrei torcere un capello dal tuo bel visino” rispose lui con un sorriso falsamente sincero, Gienah arrossì, era troppo bello per non essere creduto. La ragazza si alzò imbarazzata e recitando la parte della finta indispettita, salutandolo con: “Non c’è bisogno di leccare il culo”. Thomas sorrise e stava per continuare a leggere quando scorse Annie Bridge da sola, seduta sulle scale, con lo sguardo vuoto che fissava il cielo piovoso fuori dalla finestra. Dall’altra parte del corridoio c’era, invece, Rarity che sembrava aver perso l’allegria che l’aveva contraddistinta fino ad allora, era seduta con Marinette e Charlotte, probabilmente parlavano della partita di quel week-end, sembrava anche lei spenta come Annie, Steven era riuscito a rovinarne due in un sol colpo, Thomas sorrise pensandoci, ma poi sul suo viso venne colto da un espressione da colpo di genio e la sua mente maturò un nuovo obiettivo che gli era balenato in mente come un flash improvviso.
“Che cosa le prende? Non l’ho mai vista così” disse Astal confuso e guardando il profilo leggiadro di Nadia che si allontanava velocemente dalla riva del lago, risalendo il pendio.
“Lasciala perdere! In anni di scuola non l’ho mai vista una volta fare una lezione, non l’ho mai vista fare un incantesimo, ci ha sempre guardato come gregari e mai come compagni, per quello che vi dico è meglio perderla una così che averla, schifosa” replicò con rabbia Nikolay che odiava Nadia con il profondo del suo cuore, soprattutto dall’inizio del torneo. Non aveva fatto altro che guardare tutti loro dall’alto al basso, come fossero i suoi burattini, non sopportava che ci fossero più campioni, lo trovava uno spreco di risorse inutile, l’aveva detto loro lei stessa ed era sembrava fiera delle sue parole.
“E’ invidia quella che sento, Nikolay?” chiese Monica con un tono di sarcasmo.
“E tu non rompere, stai sempre zitta, non cominciare ora a farti gli affari miei” rispose lui e diede la spalla alla minuta ragazza che alzò gli occhi al cielo quasi a tenere dentro sé la volontà di colpirlo.
“E’ pur sempre una nostra compagna che lei lo voglia o no, io sono caposcuola a Durmstrang e posso dirvi di averla conosciuta, non mi spiego questo comportamento”
“E’ la cocca del preside, la sua bambolina, ci manca solo che camminino mano nella mano, è assurdo! Non ho mai visto niente di più ripugnante, non l’ho mai vista fare un esame che uno, chissà che cosa avrà di speciale?”
“Il calice l’ha scelta, dovrebbe bastarti, non ti permetto di andare oltre questa conversazione, dobbiamo cercare di collaborare” disse Astal alzando la voce.
“Sentite voi due, io il mio posto da cacciatore ce l’ho, non voglio pentirmi di quello che potrei dire. Ci vediamo alla partita” disse con rabbia Nikolay e se ne andò anche lui. Cristopher e Monica rimasero soli a guardarsi imbarazzati negli occhi, lui non si ricordava di averle mai parlato, sapeva che fosse strana e che era un’ottima battitrice, niente di più, ma si era preso la responsabilità di organizzare una squadra e quella ragazza era una sua compagna, torneo o non torneo, nonostante le parole affilate di Nadia e la rabbia invidiosa di Nikolay.
“Chi pensi che dovremmo prendere negli altri ruoli, Monica?” Anche lei sembrò sorpresa dalla sua parola, non amava la presenza di maschi ed era seduta su un ceppo quasi a volersi chiudere su sé stessa come una crisalide, tuttavia quel ragazzo era di buon cuore e sentiva che voleva veramente fare qualcosa per la squadra, a Clopin sarebbe piaciuto molto giocare con lui, era un buon leader, magari sarebbe riuscito a mettere in riga le due mine vaganti della squadra.
“Ivan e io saremo i battitori, dovrai chiedere a Janko per il ruolo di cacciatore, il terzo potrebbe essere Werther insieme a Nikolay, Nadia cercatrice non si muove dal suo ruolo, tu ti dovrai accontentare del ruolo di portiere, ti senti pronto?” Monica rispose con un tono risoluto e quasi schematico che colpì il ragazzo che la guardò colpito, aveva detto sì e no due parole fino a questo momento, ma la ragazza sembrava sapere il fatto suo, la vide tranquilla, più serena di prima, sentiva come di aver preso la sua fiducia, Nikolay l’aveva ammonito sul fatto che non amesse stringere la mano o presenze particolarmente vicine maschili, l’aveva anche chiamata “Lesbomonica”, dato che tutti pensavano fosse lesbica per i suoi comportamenti che a volte sembravano fin troppo maschili.
“E’ proprio la squadra che ho assemblato giorni fa, mi hanno già confermato tutti, spero solo di non essere un disastro in porta, l’anno scorso ero secondo portiere dietro Jedinak, peccato sia troppo giovane per partecipare, quel ragazzo ha un futuro”
“La partita che giocasti l’anno scorso, l’unica, fu una bella gara, la tua sezione aveva vinto, parasti un tiro di rigore” gli disse Monica con tono calmo e serio.
“Momento nostalgico” replicò lui, facendola sorridere, era molto carina quando sorrideva, si chiese se le voci fossero vere riguardo il suo orientamento sessuale, pensò fosse un vero peccato in quel caso.

Nadia era seduta sulla collina accanto a Janko, ma i due non si parlavano, lui fissava davanti a sé come se il suo arrivo non fosse stato nemmeno percepito, mentre lei d’altra parte rimaneva in silenzio, imbarazzata, a volte provava a gettargli qualche timida occhiata, ma non ricevendo risposta i suoi grandi occhi scuri ritornavano sul lago e si inondavano di tristezza, non sembrava lei quando era con lui, era un’altra persona. I due sembravano due estranei in quel momento, due sconosciuti che aspettano l’autobus e vedono passare davanti a loro occhi indifferenti occhiate di persone varie, varie come loro, che non sembravano conoscersi, né sembravano voler provare a parlare, sembrava che avessero dimenticato la loro amicizia.
“Domani giocherai?” chiese Nadia con tono insicuro e la mano che si sistemava i capelli castani dietro l’orecchio, chiunque l’avesse vista in quel momento non l’ avrebbe riconosciuta, la fiera, fredda e superiore ragazzina di Durmstrang che sembrava aver distrutto il mondo che la proteggeva dai suoi sentimenti e ora li stava facendo piovere fuori dal suo corpo di ragazzina uno dopo l’altro. Provava pena, pena per il suo migliore amico, forse unico, che da quando era accaduto il fatto della sorella non aveva più parlato con nessuno, nemmeno con lei, anzi, sembrava proprio volerla evitare, i suoi occhi si spingevano altrove quando incrociava quelli di Nadia, che si inondavano di nascosta tristezza. I due erano sempre soliti trascorrere insieme il sabato pomeriggio, di solito andavano a correre, facevano degli esercizi sportivi e parlavano come veri amici, come fratelli quasi, o come fidanzati anche si poteva pensare, Janko era l’unica persona con cui Nadia si sentiva a suo agio, si sentiva una persona vera, con tutti gli altri si mostrava fredda e quasi ostile, credendosi superiore e degna solo della propria attenzione, ma con Janko era diverso, lei lo amava, anche se non lo sapeva o forse non voleva nemmeno domandarselo, lo amava. Ed era quello il sentimento che dentro Nadia dominava su tutti, dominava sulla paura, sull’ansia, persino sulla rabbia, era l’amore a trionfare tra loro, lei voleva amarlo senza saperlo, ma lui non sembrava mai volerla ricambiare, in questo momento poi, sembrava che per lui non esistesse nemmeno. Gocce di pioggia iniziarono a scendere insistenti, ma Nadia non si mosse e continuava a fissare i suoi occhi neri che guardavano il lago immobili, mentre i loro lunghi capelli iniziavano a diventare pesanti.
“Giocherò sì, pensavo lo sapessi già” rispose lui, il suo tono era gelido, il cuore di Nadia iniziò a battere forte, qualcosa non andava.
“E’ la prima volta che parliamo da...”
“Da cosa? Da cosa Nadia?” “Da quando siamo qui ad Hogwarts” Lui non mosse un muscolo.
“Perché sei qui?” chiese quindi lui, non c’era calore nella sua voce.
“Janko...io, sono preoccupata, non ho avuto modo di vederti, di dirti che mi dispiace, mi stai mancando terribilmente e ancora di più mi rattrista vederti così” rispose lei con voce insicura.
“Così come?”
“Janko, tu non stai bene, non ti ho mai visto così io...”
“Non venirmi a fare la morale, Nadia, non tu, non ora. Cosa ne sai tu se io sto bene o no? Tu che non vedi nessuno all’infuori di te stessa” disse quindi lui e Nadia iniziò a tremare, non lo riconosceva più, che ne era stato del suo amico, sembrava aver dimenticato tutto, sembrava odiarla, si senti rompere.
“Io ti sto aprendo il mio cuore...io sono seriamente preoccupata...io ti...”
“Tu cosa? Aprire il tuo cuore? Tu non hai un cuore, sei un essere senz’anima, una bambola di metallo che ha sentimenti solo per sé stessa e non riesce a vedere un granello di polvere oltre il proprio naso, una bambina viziata in un corpo di ragazza che crede che le persone siano talpe da schiacciare” disse quindi lui sempre con la stessa voce spenta, monotona, vuota.
“No no! Io non sono così! Tu! Io ti voglio bene e...non può dirmi cose del genere! Non capisco cosa stai facendo, io...io...perché mi dici questo? Non volevo farti arrabbiare”
“Io non sono arrabbiato, sono abbastanza superiore da ignorare uno sciacallo come te che banchetti sulle tavole degli innocenti per aumentare il tuo ego, io non sono te e lasciami dire che tu sei proprio così, una viziata approfittatrice” Gli occhi di Nadia erano spalancati in uno stato di shock, non sapeva che cosa stesse succedendo, perché le stesse dicendo cose così ingiuste e davvero sentì dentro di sé il suo cuore spezzarsi e qualcosa di naturale si mosse dentro di lei, gli occhi si fecero fessure, il naso sia arricciò, il volto si contorse in un’espressione di rabbia, si era rotta, tutto dentro di sé si era rotto e rimaneva solo l’armatura d’acciaio che la ricopriva, sarebbe rimasta quella ora, non ci vedeva più dall’ira.
“No! Ora ascoltami, io sono venuta qui perché tu hai perso una sorella non io! Non sono io quella rotta, quella sbagliata, sei tu, sei tu che hai un problema e speravo di poterti aiutare a risolverlo, ma queste tue parole mi hanno...Tu sei un pezzo di spazzatura, tu sei uno scarto che farà bene a stare lontano da Nadia Dumitrache perché chiunque mi sbarra la strada verrà schiacciato, non ti voglio più avere nella mia vita, io ti odio!” disse quindi lei e gli tirò un schiaffo prima di abbandonarlo da solo sotto la pioggia. Lui non si scompose e una lacrima gli scese lungo la guancia.
“Speravo così che sarebbe stato meno doloroso perderti, dimenticarti, ma non pensavo sarebbe stato così doloroso ora” disse lui e alzò gli occhi al cielo, quasi a voler parlare con le nuvole.
“Preferisco perderla che piangerla quando non ci sarà più...ma adesso anche dentro di me, sta piovendo come sopra di me...Nadia, mi dispiace”

Le squadre entrarono in campo sotto un terribile acquazzone, sugli spalti erano stati applicati speciali incantesimi che fungessero come tettoie invisibili da parte di Indoh, mentre tutta la scuola, ospiti compresi, erano pronti ad assistere all’inizio ufficiali del torneo tremaghi, la prima partita di Quidditch del campionato tra le squadre organizzate dai campioni che vedeva le formazioni di Durmstrang e Bauxbatons, pronte a darsi battaglia, i vincitori avrebbero guadagnato dieci punti a testa. La squadra di Bauxbatons iniziò a sistemarsi elegantemente in campo con Charlotte Blanchard, la cercatrice che con qualche evoluzione stava facendo crescere le esclamazioni di stupore e meraviglia dalle tribune, gettando anche dei sorrisi, sembrava sicura di sé.
“Gillan, non perderti un punto! Voglio la descrizione di tutte le loro azioni, intesi? La tattica va preparata alla perfezione, non possiamo farci trovare impreparati” disse Pam nella sezione di grifondoro con in mano il suo immancabile binocolo.
“Ma tu non sei un campione tremaghi...tu non giocherai” replicò Gillan confusa.
“Ma un genio della tattica come me, sarà utile per la vittoria di Hogwarts, darò i tuoi appunti a Steven! A proposito, dov’è Steven?” chiese quindi lei ad Andrej che era seduto accanto a lei.
“Non veniva, penso non sia in vena di Quidditch e poi pensava che ci fosse Annie” rispose lui che non aveva una bella cera, era abbastanza cupo.
“Ci dovrò parlare, sono così...incazzata per quanto è successo, non credi che si possa risolvere?” chiese ancora lei.
“Hanno già provato a parlarsi, hanno litigato, due volte. Annie è uno straccio a quanto so, spero stia bene” rispose lui.
“E tu? Tu stai bene?” chiese Pam con tono preoccupato.
“Da quanto questo affetto? Pensavo fossi felice che non stessi più con la tua amata Trixie, non facevate che criticarla”
“Tu sei più importante di Trixie, se ti piaceva perché non le parli?”
“Sta per iniziare, basta parlare” rispose secco lui, proprio mentre il boccino veniva gettato nel campo e le squadre iniziarono a darsi battaglia nella bolgia. La pluffa venne catturata da Rarity che con un elegante giravolta si liberò prima di Janko e poi di Nikolay arrivando a scaricare la palla ad Arthur Van Pelt al quale però scivolò dalla mano cadendo verso il fondo del campo e venendo raccolta da un velocissimo Werther che si involò a campo aperto verso i pali della squadra francese senza che i battitori riuscissero ad abbatterlo, tuttavia il tiro verso il palo lontano venne agilmente bloccato a mano aperta da Dominic Thien, il ragazzo calvo che con profilo fiero, schivò un bolide e lanciò il contropiede.
“Sono in due contro tre” disse Penelope dalla sezione corvonero. Layla e Thomas la guardarono confusi e attenti.
“La ragazza con il numero 4, Marinette, non sta giocando, sono due cacciatori contro tre, una mossa terribilmente azzardata, ma penso di aver capito il motivo” continuò lei che osservava la partita con calcolatrice attenzione.
“Cosa, Penelope?” chiese quindi Thomas. In quel momento un tiro violento di Janko venne parato senza problemi da Dominic.
“Il portiere è il loro miglior giocatore, puntano sulla difesa per colpire in contropiede, il fatto che una di loro non sia capace non è un limite, sarà una partita con pochi punti, il boccino sancirà il vincitore” disse lei con precisione tattica esemplare.
“Sei un genio, Penelope, se non avessi un tiro ad incrociare così fiacco ti prenderei in squadra” le disse lui sorridendo.
“Grazie, avevo bisogno di un complimento serale da parte tua, mi scaldi sempre il cuore” replicò lei rabbuiandosi. Proprio mentre Nikolay stava per scaricare un tiro sul primo cerchio ecco che Selim Le tissier, il fratello nerboruto di Rarity gli sagliò contro il bolide, lui schivò d’istinto, ma Rarity gli soffiò la pluffa da sotto il naso e scattò verso i pali avversari a gran velocità, si liberò di Werther con una finta e segnò nel palo centrale con un tiro violento. Bauxbatons 10-0 Durmstrang. Ben presto però la partita perse il fascino tattico che poteva avere, tutti avevano capito che il duello vero e proprio era una partita nella partita, quella tra le due cercatrici che si stavano dando battaglia, una lotta che sembrava abbastanza epica da entrare nella storia del Quidditch a Hogwarts, le due sembravano tra le migliori cercatrici che quel campo avesse incontrato. Le due comparvero una dietro l’altra accanto alla tribuna ovest e i tifosi di Durmstrang iniziarono a incitare il nome della loro ragazza, Nadia, per loro era una routine vederla giocare, per gli altri era uno spettacolo, Charlotte arrancava dietro di lei.
“Ma che cosa ha nella scopa?” pensò Charlotte barcollando dopo una virata fin troppo audace.
“E’ completamente pazza, con questo vento e questa pioggia, se continuo così rischio di perdere qualche arto, non riuscirò a reggere molto, devo trovare una soluzione” Intanto Arthur e Rarity cercavano di penetrare a fatica nella difesa dei ragazzi di Durmstrang, fino a quando Monica non scagliò il bolide proprio contro la pluffa di Arthur che finì nelle mani di Janko, i due cugini si guardarono e lui lesse negli occhi di lei qualcosa di diverso, sembrava un’altra persona, sembrava un guerriero che mordeva il campo ad ogni colpo di mazza, negli occhi c’era solo il bolide, il bolide e il suo bersaglio, capì che non doveva considerare quel giocatore come sua cugina, capì la situazione, non doveva farsi prendere dal panico. Per fortuna della squadra francese Dominic Thien sembrava insuperabile e senza sforzo aveva parato un altro tiro, poco dopo Rarity segnò il 20-0, Christopher, dalla porta, capì che così non andava, affidarsi alla forza di Nadia, era un rischio. Nadia prese una curva terribile contro le tribune e strisciò con la punta del manico contro le transenne scatenando le urla di Layla e Penelope in prima fila, i suoi occhi erano occhi di una tigre pronta a mangiare la sua preda, il boccino era poco davanti al suo naso, la partita sembrava sul punto di finire in poco tempo, la ragazzina minuta proveniente dalla Transilvania sembrava più veloce del boccino stesso. Selim se ne accorse e insieme al suo compagno battitore scagliò entrambi i bolidi contro la ragazza, con precisione chirurgica, sembravano pronti a colpirla al volto e nello stomaco, ma lei schivò il colpo allo stomaco agilmente e con il polso colpì il bolide mandandolo a rompere la struttura delle tribune, tutti urlarono di terrore, pensando che se lo fosse fratturato, ma la ragazza continuò la sua rincorsa al boccino senza che niente fosse, mentre Charlotte non poteva credere a quello che aveva appena visto, non aveva mai visto un cercatore reagire in quel modo, ebbe paura, sentì per la prima volta che tra lei e l’avversaria vi fosse una distanza notevole, ma non poteva permetterle di umiliarla così, senza aver nemmeno visto il boccino, si fermò e iniziò a volare nel verso opposto. Monica e Ivan, intanto, sotto indicazione di Astal stavano bersagliando il portiere avversario che però sembrava avere le molle sulla scopa e schivava ogni colpo, tuttavia nel tentativo di prendere una pluffa venne colpito allo stomaco e dovette aggrapparsi con forza alla scopa per evitare di cadere, Arthur salvò il punto con un miracolo difensivo, la pluffa però era ancora tra le mani di Janko che venne spintonato da Rarity, l’arbitro fischio un fallo. Intanto Nadia e Charlotte stavano volando una contro l’altra, il boccino nel mezzo delle loro traiettorie, un momento prima che entrambe potessero colpirsi con una violenta testata ecco che la piccola pallottola d’oro volò verso l’alto perpendicolarmente. Le due lo seguirono dopo una frenata violenta e iniziarono a dribblare compagni e avversari, il boccino voleva proprio al centro dell’azione, era il momento per Charlotte di usare la sua chance. Con una mossa avventata volò venti metri verso l’alto e iniziò a scendere in picchiata per atterrare davanti agli occhi di Nadia e guadagnare la posizione di vantaggio che non aveva ancora guadagnato, avrebbe poi tentato uno scatto estremo verso il boccino, il calcolo però doveva essere preciso. La ragazza dopo la salita iniziò a scendere in picchiata ad una velocità impressionante, se avesse colpito qualcuno sarebbe morto, vide con la coda nell’occhio l’avversaria arrivarle contro, sentiva di aver calcolato alla perfezione l’arrivo e proprio in quel momento vide il boccino balenarle davanti alle palpebre, era a portata di mano, poi all’improvviso si sentì cadere nel vuoto, non era più sulla sua scopa. Il bolide di Monica aveva disintegrato la sua scopa e a quella velocità l’aveva fatta cadere dal suo manico, senza l’intervento di madame Maxime dalle tribune sarebbe morta. Si sentì adagiare sulla sabbia bagnata del campo e con rabbia tremenda e quasi le lacrime agli occhi gettò un pugno sul terreno.
“Dannazione a te, Nadia! Mai visto un avversario così” disse lei con rabbia.
“Se vuoi provo a prenderlo io” le disse Marinette che stava guardando la partita dal fondo del campo e che ora l’aveva raggiunta per soccorsi eventuali.
“Almeno stiamo ancora vincendo! 30-0! Abbiamo la vittoria in pugno”
“Il boccino vale 150 punti, dannazione! Dammi la tua scopa!” le urlò Charlotte vedendo Nadia che scartò un bolide che colpì in pieno Astal dietro di lei, permettendo ad Arthur di segnare. Marinette le concesse la scopa quasi con spavento e la ragazza sembrò sfrecciare come un razzo verso l’alto, nei suoi occhi c’era una nuova determinazione. Le due erano appaiate, l’una vicino all’altra , due generali nemici pronti a darsi battaglia per l’onore dei loro uomini, due guerrieri esemplari, superiori per talento e disciplina che si odiavano e volevano a tutti i costi battere l’avversario, perché non potevano permettere di vedere allori del vincitore sulla testa del loro nemico. Intorno a loro quel campo pieno di pioggia e vento sembrava un campo di battaglia dove soldati e arcieri si stavano dando battaglia a suo di pluffe e bolidi, dove uomini armati di scudo difendevano i loro tesori con onore, pronti a rispondere con la vita al fuoco avversario, e intorno a tutto questo due eroine guerriere si stavano sfidando ad un duello sanguinario. Nadia non la degnò di uno sguardo e continuò a fissare dritto davanti a sé, sembrava sicura di sé, perdere non era una possibilità. Charlotte capì che doveva dare il tutto per tutto e spintonò l’avversaria con un colpo di spalla, le sembrò di colpire il marmo e sentì la spalla scricchiolare terribilmente, urlò di dolore, ma sbalzò l’avversaria, lontano era lei davanti ora e vedeva l’oggetto dorato. Il boccino svoltò e la virata ad angolo acuto fu più difficile del previsto, Nadia la raggiunse e le gettò con un calciò la sabbia del campo negli occhi, erano quasi sul fondo, Charlotte sentì la sabbia morbida raggiungerle il viso, poi il resto del corpo la raggiunse, era caduta di nuovo, aveva perso, tirò un pugno alla sabbia di nuovo. Rarity aveva segnato altri venti punti, ma il pugno di Nadia si strinse nel boccino, l’arbitro fischiò la fine.
Bauxbatons 60-150 Durmstrang

Londra
“No io non ci posso credere, ripetimi chi è stato sconfiggere Grindelwald?” chiese Elspeth fissando male Oswald che sembrava nervoso.
“Albus Silente, il più grande mago della storia...ehm...almeno così dicono” rispose lui.
“Mai sentito, ma non può essere che sia stato sconfitto in un duello, nemmeno il miglior tagliagole dell’Oblansk ci era riuscito e dire che Stormfront ha imprigionato me in un bauletto, figlio di puttana, non era in grado di torcere un capello a Grindelwald. Questo Silente doveva essere forte” disse quindi lei e sorseggiò dal suo calice di vino. I due erano seduti l’uno davanti all’altra in un tavolo di pub, affollato e rumoroso per via della partita di calcio che trasmettevano al televisore, Liverpool contro Chelsea, c’era più birra in quel pub quel sabato sera che in tutta Londra. Elspeth sorseggiò ancora il vino rosso e si guardò intorno, era confusa dal periodo storico in cui si trovava, ad ogni passo che faceva si sentiva un’estranea, si sentiva fuori posto, sentiva dentro di sé che questo non era il mondo che conosceva e la cosa la turbava. Si sentiva più insicura, meno forte, sentiva come se con la prigionia e questo improvviso salto temporale anche sé stessa fosse cambiata, si chiedeva dove fosse finita la famigerata vampira d’Ungheria, ora doveva persino avere un badante per accompagnarla in giro, provò rabbia.
“Ai miei tempi due maghi come noi avrebbero dovuto eliminare senza pietà questa schiera di smidollati che si infiocinano di birra fino a scoppiare, pulizia sociale” esclamò lei con rabbia e disprezzo, fissando quella massa di alcolisti sovrappeso.
“Non siamo stati molto lontani da tornarci a quei tempi, l’uomo che dobbiamo trovare, è stato capace di cose indicibili” replicò lui, serio e spaventato.
“Cosa? Allora esistono ancora sani principi magici! Dimmi di più, ti prego! Devo conoscere quest’uomo straordinario di cui mi parli, sembra essere stato un grande mago” disse lei euforica e scolò il contenuto del bicchiere interamente. Una cameriera le passò accanto e lei dopo averla tirata per la camicia verso di sé con forza le porse una moneta di bronzo.
“Un altro!” disse lei con ardore.
“Ehm…questa non è una sterlina” replicò l’altra spaventata.
“Non vuoi accettare i miei soldi?” chiese quindi Elspeth digrignando i denti e mostrando i canini, lasciando l’altra pietrificata dal terrore.
“Ecco qui, ecco qui! Non intendeva offendere, perdoni la sua irruenza” disse Oswald dandole delle vere sterline, Elspeth lo fissò con occhi di brace.
“Quella femmina ha infangato il mio orgoglio”
“Avrebbe iniziato una carneficina, non siamo più nell’ 800’, signorina Elspeth, non si risolvono così le dispute” Elspeth per un momento sembrò volerlo squartare con i canini, poi si calmò e sorseggiò il suo vino con calma, consapevole che il pesce fuor d’acqua in quel momento era lei, provò vergogna.
“Tornando a noi, quell’uomo era lord Voldemort, un mostro che ha conquistato il mondo magico ben due volte” “Ma a quanto ricordo è morto...chi l’ha ucciso?” chiese quindi lei.
“Harry Potter...è una lunga storia, ma se davvero la sua bacchetta di sam...”
“Sambuco”
“Se davvero l’aveva il signore oscuro, allora Harry Potter sa dove si trova”
“Dopotutto in un duello la bacchetta del possessore viene perduta in caso di sconfitta o disarmo, deve essere lui quello che possiede la mia bacchetta! Finalmente potrò tornare alla ribalta nel mondo magico, questo Henry Poller non sarà nessuno dinanzi alla magnificenza di Elspeth Karolyi!” disse lei con tono alto e festoso, Oswald sorrise, non era facile tenere a bada quella ragazza, ma era la sua più grande occasione per diventare qualcuno, riguardo i suoi progetti di distruzione poteva chiudere un occhio per ora, l’avrebbe fermata a tempo debito, tuttavia, finalmente si sentiva parte di qualcosa, nemmeno il momento del fidanzamento con Samantha era stato per lui fonte più grande di gioia come si sentiva in questi giorni, aveva una missione e sentiva la fiducia della sua compagna di viaggio, si sentiva vivo.
“Ehi tu, bellissima, che ne dici di fare quattro salti con questo maschio vero, invece che stare con questo scricciolo” disse una voce profonda, un uomo alto e tatuato era davanti ai due e parlava a Elspeth con il chiaro obiettivo di rimorchiarla.
“Sparisci babbano” replicò lei senza volgergli lo sguardo.
“Ehi andiamo, non vuoi fare un giro sul mio bolide, è parcheggiato fuori, una gran bella moto”
“Cos’è una moto?” chiese lei sottovoce a Oswald che stava pregando che lei non l’uccidesse in quel momento.
“Che fai, così gnocca e ti spaventi per un uomo come me? Avanti andiamo a farci un giro!” le disse lui e le strinse il braccio, sentendo che la pelle di lei era gelida.
“Ti do un secondo per togliere quella mano, altrimenti ti stacco il braccio” disse lei, ma lui strinse più forte e fece per strattonarla verso di lui…
“Corri veloce! Dobbiamo andare via da questo quartiere, dio! Che cosa ti è saltato in mente?” le disse Oswald correndo verso un vicolo scuro.
“Che cosa vuoi da me? Mi ha provocata” rispose lei.
“Sì ok! Ma le altre venti persone? Oh mio dio mi sento male, io mi sento male, che cosa ti è saltato in mente?” continuò lui e i due si nascosero dentro un magazzino abbandonato.
“Senti! Io sono Elspeth Karolyi e l’unico motivo per cui non ti ho ucciso il primo secondo in cui ti ho visto è solo per la gratitudine che ti devo, la nobiltà e la lealtà sono qualità che c’erano anche ai miei tempi, la mia fama è stata dimenticata e il mio orgoglio perduto, avevo bisogno di un gran inizio per dichiarare al mondo che la vampira d’Ungheria è tornata! L’Inghilterra dovrà temere il mio nome, la mia fama e il mio viso, io sono destinata a regnare su questo paese, tutti saranno miei vassalli, il mio feudo sarà la Gran Bretagna e Hogwarts il mio giardino!” disse lei con voce esaltata e con nuova luce negli occhi rossi. Olswald la guardava terrorizzato, aveva appena assistito all’omicidio di venti babbani, una strage.
“No! Io non ti permetterò di fare questo! Io ho il compito di salvar...”
“Imperius! Non volevo farlo, pensavo mi fossi fedele, ma tu mi darai tutte le informazioni che mi servono in questa epoca, dalle strisce pedonali al ministero della magia, io devo sapere tutto” le disse lei accarezzandogli il viso.
“Sì signorina, sono al suo servizio” replicò lui ormai sotto incanto e incapace di reagire.
“Nessuno oserà rovinare il mio progetto, io avrò la vendetta e la corona che ho sempre meritato, io scolpirò finalmente il mio nome nella storia, non sarò più la pazza rapitrice di fanciulle che ero in Ungheria, sarò la più temuta anima del mondo magico, tutti cadranno sotto la mia bacchetta. Mi ero dimenticata che sapore avesse l’omicidio e quanto fosse buono l’odore del sangue” continuò lei.

“No! Figurati se è stata la prima volta! Io non ti credo più, hai rovinato la mia fiducia, come puoi chiedermi di andare a fare una passeggiata? Non hai capito che voglio stare sola?” disse Annie con le lacrime agli occhi, mentre Steven la guardava con occhi speranzosi e ricolmi di tristezza.
“Ti giuro che è stato il mio unico errore, ma credimi quando ti dico che non volevo farlo, io ti...” provò a dire lui, ma lei lo fermò con la voce singhiozzante.
“Risparmiami il tuo amore, davvero! Io ti amo, io ti amo, io sono quella che ti amava che ti ha sempre perdonato tutto, che ha chiuso due occhi più di una volta con te, che ha avuto la pazienza di una santa, perché? Perché ti amavo, io ti amavo e mi hai accecato la ragione” disse lei, che sembrava voler tirar fuori tutto quello che aveva dentro di sé da mesi.
“Sì era più carina di me! Vestiva più elegante, si truccava gli occhi, io non lo faccio, vero? Sono troppo acqua e sapone vero? Non ti eccitavo? Che cosa ne so? Ero una suorina agli occhi tuoi e lo sono ok ? Sono una suora e sono contenta di esserlo! Oh beh, Rarity è tutto quello che hai sempre desiderato, va da lei e lascia stare questa povera ragazzina che è troppo stupida per smettere di amarti! Rendimi tutto più facile, ok? Lasciami sola!” Nella sua voce c’era solo rabbia, rabbia lacrime e paura, Steven stava in silenzio, aveva capito che non c’era possibilità, l’aveva persa. Capì che non era una questione del bacio o no, era semplicemente stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, il sassolino che ha fatto deragliare il treno, la scintilla che ha generato l’incendio e capì che la colpa era veramente sua. Amava Annie e non l’avrebbe scambiata con nessuna, lo sapeva e ora sentiva che era davvero così, ma era stato troppo tardi, non se ne era accorto in tempo e l’aveva sempre trattata come una prassi, come una consuetudine, il loro amore non era più stato come i primi giorni, lei era sempre lì, lui lo sapeva, non sarebbe andata via, tanto valeva divertirsi, c’era sempre il tempo per tornare da Annie. L’aveva trascurata e trattata male, l’aveva delusa e lei sentiva come gli avesse mentito, non provò rabbia per le sue parole, aveva tutto il diritto di pensare che lui l’avesse già tradita, si odiò ancora di più.
“Non volevo alzare la voce, scusami” aggiunse lei, non poteva essere sgarbata nemmeno adesso, nemmeno quando ne aveva il diritto, Steven provò pena per lei, era la ragazza con cui voleva stare e la sentiva ormai troppo distante da sé.
“Lasciami sola ok? Non voglio più parlarti per un po’, poi magari sistemeremo, ma non adesso, non stiamo più insieme...ehm...Sei libero di andare con chi vuoi, finalmente” disse lei singhiozzando e si allontanò con passo veloce e incerto. Lui si mise la mano in tasca e strinse con forza la collana che le aveva regalato per il compleanno, era finita veramente, si sentì vuoto, ma sentì anche che non si sarebbe lasciato andare, doveva trovare il giusto riscatto, non era una persona che si abbandonava alle emozioni, cercò di guardare il lato positivo e vide che finalmente era di nuovo libero, senza vincoli e con tante belle straniere a scuola, decise di distrarsi, non doveva pensarci, doveva trovare di nuovo sé stesso, anche se non era la soluzione giusta. Non poteva però che sentirsi triste, non poteva prendere in giro sé stesso, amava Annie e lei voleva solo dimenticare la loro storia, per quante ragazza avrebbero potuto distrarlo, in questo momento, sarebbe riuscito a pensare solamente alla sua fidanzata, che ormai aveva sul suo capo una corona da ex.
“Ti vedo abbattuto” disse una voce femminile divertita alle sue spalle. Steven si girò e vide davanti a sé Marinette che lo guardava come si fissa una crostata, mentre aveva tra le mani una pila di divise da Quidditch.
“No, io sto bene, un po’ di ansia per la prima prova, tutto qui. Tra una settimana saremo uno contro l’altra” disse quindi lui mentendo.
“Mi aiuti con questa roba?” chiese quindi lei. Lui prese la pila dalle mani della ragazza dai capelli bordeaux.
“Non sono l’unica che odia Rarity ora vero?” chiese lei, mentre i due si dirigevano verso la lavanderia.
“Lo sanno già tutti vero?”
“Penso proprio di sì, ma non biasimarla, è solo una bambina viziata, non è la prima coppia che rovina, è così stupida da pensare di essere la sola persona al mondo, credimi, ne so qualcosa” gli disse quindi lei.
“Non la odio, è stata solo ingenua, ma io di più, ma non parliamo di me, andiamo a lavare questi panni” I due entrarono in lavanderia e non appena furono dentro ecco che Marinette spinse con forza Steven contro il muro fissandolo dal basso verso l’alto con un espressione di vittoria sul viso e un sorriso maligno sul volto. Steven rimase confuso e spaventato dalla scena, ma dentro di sé sentì l’unico desiderio di baciare anche quella ragazza, voleva dimenticare la tristezza e ci sarebbe riuscito, anche se si sarebbe rivelato un errore. La baciò e lei baciò lui, sperò di avere voltato pagina in questo modo e non si lasciò trattenere dalla coscienza, si sentì tornare il vigore di prima, ma mentre i loro occhi erano chiusi i suoi vedevano solo una frangia castana e due grandi occhi marroni, un sorriso dolce e innocente, un maglione rosa e una collana d’argento, un cerchietto rosso e un piccolo nasino delicato, Annie se ne era andata.


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Capitolo 10
*** La Prima Prova ***


La Prima Prova


Nonostante nella tenda ci fosse un camino magico acceso e l’atmosfera fosse calda e accogliente, tutt’intorno a loro sentivano solo il freddo dell’ansia e l’attesa gelida della prestazione che di li a poco avrebbero dovuto fare. Era il giorno tanto atteso, il giorno che tutti stavano aspettando, la prima prova sarebbe iniziata a momenti, anche se con molta probabilità i campioni che in questo momento rimanevano in un profondo silenzio nella tenda, avrebbero preferito essere a casa, alcuni di loro almeno. Seduto su uno sgabello alla finestra che divideva la tenda rossa da un triste e classico panorama inglese con pioggia e nebbia a circondare il perimetro della scuola, Aaron sorseggiava tranquillo una tazza di caffè, impaziente di poter iniziare la sua prova e speranzoso che fosse qualcosa di difficile, magari qualcuno dei suoi avversari avrebbe gettato la spugna o magari sarebbe rimasto impossibilitato a continuare, la cosa lo faceva sorridere. Davanti al camino erano invece sedute su un divano Charlotte e Marinette, con la prima che era molto più in ansia dell’altra e a volte si portava alla bocca le sue dita con fare nervoso, davanti a loro seduto su una poltrona c’era Thomas che con atteggiamento serio rimaneva impassibile, rispondendo ogni tanto alle occhiate desiderose di parlare di Charlotte. Poco d’istante da loro c’era Gienah che caratterizzava la principale attenzione dei presenti, visto che per la prima volta da un mese aveva tolto il gesso che le circondava la gamba e camminava tranquilla senza stampelle. Thomas la guardava con attenzione, convinto che la ragazza avesse fatto qualcosa, ma non sicuro che fosse stata la scelta giusta, vedeva sul suo viso delle smorfie di dolore quando doveva muoversi, capì anche che tutti intorno a lui la stavano fissando con circospezione. Nadia rideva sadicamente, mentre Gienah fece una smorfia dopo che si alzò dalla sedia su cui era seduta per raggiungere la finestra sulla destra, sentiva che quella sarebbe stata una dei primi agnellini che sarebbero stati macellati, se l’avesse avuta sulla sua strada non avrebbe esitato a colpirla proprio sulla coscia. Molto distanti da lei erano invece gli altri tre ragazzi di Durmstrang che discutevano in silenzio. Steven si alzò dalla sua poltrona e si diresse al bagno, non vedeva l’ora che iniziasse la prova, non perché fremesse dalla voglia di iniziare un esame mortale, ma solamente perché l’attesa dei giudici si era fatta eccessiva e i campioni iniziavano ad innervosirsi. Non appena stava per entrare nella latrina ecco che sentì alle sue spalle la voce dolce di Rarity.
“Steven, posso parlarti?” chiese lei con un’espressione avvilita sul viso. Vestiva del suo abito migliore con una minigonna blu e le calze dello stesso colore che rendevano visibile solo un sottile lembo di coscia, i capelli scuri erano legati in due lunghi codini perfettamente simmetrici, era bellissima, nessuno avrebbe detto il contrario. Steven la fissò facendo un sospiro quasi stanco e annuì, guardandola nei suoi splendidi occhi blu.
“Non ho mai trovato il coraggio di parlarti e volevo farlo prima della prova. Mi dispiace e sono sincera, non volevo andasse a finire così con tu che mi odi e Annie che ti odia e odia anche me, non so che cosa pensassi quella sera, voglio solo dirti che mi dispiace” disse lei con gli occhi puntati verso il basso con vergogna.
“Sei stata stupida, ma so che ti dispiace, non volevi far soffrire me, te o Annie, è andata così e la colpa è mia, non tua, avrei potuto evitare quel bacio” replicò lui.
“Io ti ho baciato! La colpa è mia e se vuoi ne parlerò con Anni eh...”
“Non servirà, la farebbe andare ancora più in collera e non merito il tuo aiuto, tu mi hai baciato e io ti ho scaricata senza nemmeno dirti una parola”
“Hai fatto bene, se tutti i ragazzi fossero come te Steven, così dolci, gentili e generosi. E’ un peccato che sia andata così” disse quindi lei con Steven che spostò lo sguardo dalla ragazza quasi a non voler fare in modo che lei si innamorasse ancora di lui, nonostante probabilmente lo era ancora. Dopo un momento di imbarazzante silenzio Rarity si accorse che Steven necessitava veramente del bagno e esclamò con voce innocente: “Oh perdonami! Scusami, dovevi andare al bagno. Scusami se ti ho disturbato...beh...ecco...quindi”
“Ci vediamo dopo la prova ok? Ehm...Ti augurò buona fortuna” replicò lui sorridendole imbarazzato e entrando nel bagno. Gli occhi di Rarity si spalancarono e diventò tutta rossa sulle guance, estasiata dal fatto che Steven le avesse detto che si sarebbero visti dopo la prova, si sentì scogliere e sentì tutta la tristezza volarle via come pillole d’ossigeno all’aria. La ragazza ritornò nel salotto e sorrise a Marinette e Charlotte sedendosi accanto a loro. Marinette la fissò come si fissa un infetto, se avesse potuto l’avrebbe uccisa in quel momento, la rabbia e l’invidia però si trasformarono velocemente in un ghigno beffardo. In quel preciso momento entrarono Tristan Coleridge, accompagnato dai presidi e da Ruud Bond, pronti a dare le ultime direttive riguardo la prova. Subito i ragazzi si affollarono impazienti attorno a loro, pronti a pendere dalle loro labbra per sapere quello che avrebbero fatto di lì a pochi minuti, l’ansia era a mille e solo la pioggia che batteva sui contorni della tenda faceva compagnia al loro silenzio.
“Cosa sono queste facce? Potete respirare per Diana! Non stiamo andando in guerra” esclamò Tristan sorridendo, ma non raccolse particolare successo, erano troppo nervosi persino per cogliere dell’umorismo, solo Nadia sorrise.
“Ok...beh. Comunque vedo che ci siete tutti...tranne...”
“Sono qui! Ero al bagno” intervenne Steven e si mise proprio in mezzo a Rarity e Marinette, la seconda gli accarezzò il sedere, Steven sentì un tremito e deglutì.
“Benissimo, possiamo cominciare, do la parola al mio collega per descrivere in che modo procederà la prova, signor Ruud a lei la parola” L’uomo dal fisico possente e della folta barba scusa si fece in avanti coperto da un imbarazzante impermeabile giallo.
“La prima prova avrà un regolamento molto particolare e vi chiedo la massima attenzione, perché non ripeterò tutto il discorso una seconda volta” disse l’uomo con una voce profonda, mentre i colli dei ragazzi si sporsero in avanti.
“Il luogo della prova sarà la foresta proibita e non spaventatevi quando vi dico che si terrà tutta in un unico momento. La foresta è stata recintata in modo che nessuno di voi possa uscire, quelle che vedrete sono barriere magiche, in caso le oltrepassiate verrete squalificati dalla prova e otterrete zero punti. Gareggerete tutti insieme nella foresta” A queste parole alcuni di loro ebbero un brivido.
“A ognuno di voi verrà distribuito uno tra questi due pezzi degli scacchi. Sei di voi avranno il re nero, sei di voi la regina bianca. Questi due piccoli oggetti sono la cosa più importante che dovete cercare di avere, il vostro obiettivo è quello di averli entrambi e raggiungere il centro della foresta dove ci sarà uno tra noi che aspetterà ognuno di voi. Questo significa che per ottenere la regina o il re che sia voi dovrete cercare di sottrarlo ad uno dei vostri avversari che siano o non siano della vostra stessa scuola. I vincitori saranno coloro che riusciranno a raggiungere il centro della foresta con entrambi i pezzi, ottenendo 60 punti” Tutti i ragazzi iniziarono a guardarsi tra di loro.
“Chi raggiungerà il centro con un solo pezzo sarà autorizzato a finire la prova solo allo scadere del tempo, riuscirà comunque a ottenere 20 punti. Inoltre punti bonus verranno distribuiti a quelli che concluderanno prima degli altri campioni la prova” continuò Ruud.
“Questa prova non è un semplice duello tra maghi che servirà a mostrare le vostre doti” intervenne Tristan “E’ una vera e propria lotta di sopravvivenza dove le vostre abilità magiche potrebbero non essere sufficienti, questa prova è un esame totale che vi misura nella capacità, nella versatilità e nell’intelletto, non pensate che entrati nella foresta avrete il vostro duello e correrete dritti verso il centro vincendo, chi la pensa in questo modo ha già perso” I ragazzi continuarono a esprimere ansia e timore.
“La foresta è un immenso sistema di flora e fauna nella maggior parte dei casi a voi sconosciuta e che farà di tutto per ostacolarvi, inoltre voi non sapete che cosa possiede il vostro avversario nel proprio bagaglio tecnico e come se non bastasse non sarà veloce come un duello e come una lotta contro una bestia, la prova durerà tre giorni”
“Tre giorni?” esclamò con paura Gienah, ma subito si accorse che era stata fissata da tutti e si mise composta.
“Non scherzavo quando dicevo sopravvivenza, non sarete autorizzati a portare altro all’infuori della vostra bacchetta e vedo con piacere che avete tutti ascoltato quando vi fu detto di portarvi abiti caldi. Ovviamente potete ritiravi quando lo desiderate e raccogliere zero punti, basterà scagliare un “Periculum” verso il cielo e immediatamente uno di noi sarà lì, ma sappiate che sarete eliminati dalla prova, dovete essere in grado di sconfiggere un ragno gigante da soli” Steven ebbe un tremito gelato lungo la schiena pensando alle tarantole enormi che abitavano quel bosco, ebbe l’impulso di darsi per vinto.
“Ci sono anche delle zone con cibo acqua e utili vari, ma dovrete guadagnarveli, non ci sarà nessun regalo in questa prova”
“E’ tutto chiaro? Ci sono domande?” chiese Ruud.
“Sì. Ci sono delle...limitazioni agli incantesimi che si possono usare?” chiese Aaron con un ghigno malefico sul viso, Thomas lo fissò male, il serpeverde era agguerrito ed era una minaccia.
“Quello che non vediamo non sappiamo, ma le vostre bacchette verranno controllate subito dopo la prova, chiunque venga sorpreso a compiere incantesimi proibiti e eccessivamente pericolosi, verrà giudicato e espulso dalla competizione” intervenne la McGrannit togliendo a Tristan la possibilità di parlare e lasciandolo con uno sguardo gelido sul viso, probabilmente lui non avrebbe risposto in questo modo, ma ne avevano già discusso il giorno prima.
“Se tutto è chiaro, la prova inizierà proprio ora” disse Tristan ora sorridente e quasi eccitato. I ragazzi si guardarono confusi e preoccupati, ma nessuno fiatò. Uno alla volta vennero chiamati per ricevere il loro pezzo, prima di essere accompagnati fuori dalla tenda. Non appena uscirono ci fu un intenso boato proveniente dalla tribuna costruita apposta, mentre alla loro sinistra la foresta si stagliava in tutta la sua grandezza.
“Vai Thomas! Se vinci ti darò un bel regalo!” esclamò una voce squillante e femminile dalle tribune.
“Vai Steven! Coraggio!” esclamò, invece, Pam.
“Nous sommes fort parce que nous avons Thien Dominic, le grand’homme!” inneggiarono i francesi, mentre i ragazzi di Durmstrang urlavano a ritmo ogni 5-6 secondi il nome di Nadia, preceduto da suoni di tamburi, il pubblico aveva già scelto i suoi campioni. I ragazzi vennero accompagnati alle altre entrate, mentre quella centrale venne riservata per Cristopher che si ritrovò osannato dalla folla senza volerlo. Le sue gambe tremavano e il suo fisico alto sembrava un ramoscello da tanto si sentiva piccolo davanti a quelle piante altissime, sembravano cresciute nella notte. Impugnò con forza la bacchetta e non appena sentì un rumore di tromba entrò nella foresta, scomparendo dietro il velo magico. Tre giorni. Sarebbe stato lì dentro tre giorni e ancora non se ne era reso conto, a saperlo avrebbe mangiato come un suino i giorni precedenti la prova, ma era stato tutto così improvviso, sapeva che acqua e cibo avrebbero giocato un ruolo importantissimo, ma sopratutto sapeva che provare ad orientarsi in quel labirinto sarebbe stata un impresa ardua. Prese dalla tasca il suo re nero e lo fissò sorridendo, prima di iniziare a incamminarsi con attenzione, doveva studiare una strategia, mentre tutto intorno a lui sembrava così uguale, scuro, piovoso e freddo antro boschivo, amava la natura, le sue forme e la sua tranquillità, ma sentiva già che dopo questa prova l’avrebbe odiata e avrebbe desiderato vedere per qualche tempo solo strada, palazzi e città, con acqua corrente e fastfood a portata di mano. All’improvviso però sentì dei passi e rumore di rami spezzati venire verso di lui a buona velocità. Istintivamente si aggrappò all’albero a lui più vicino e iniziò con un po’ di fatica a scalarlo, rimanendo nascosto dai rami ricchi di aghi verdi dell’abete e con la visuale a portata di mano. Sotto di lui comparve Marinette, aveva un taglio sulla guancia destra e imprecava in francese. Si strappò un lembo dalla camicia che aveva sotto la giacca e si asciugò il sangue dalla guancia. Astal pensò di piombarle addosso con un balzo, ma non sapeva chi aveva davanti a sé, poteva essere molto più brava di lui, non aveva idea di cosa lei fosse capace, tuttavia decise di seguire le sue tracce, la terra sotto di loro era umida ed era facile seguirla anche da grande distanza. Non appena la ragazza scomparì dal suo campo visivo, scese dall’albero con un balzo e iniziò a seguirla, magari Marinette aveva dalla sua qualche asso nella manica per quanto riguardo cibo e acqua. Steven si portò la bacchetta alla bocca e esclamò “Aguamenti” chiudendo gli occhi, il getto però fuoriuscì con troppa forza e si ritrovò in un secondo fradicio e per terra, almeno era riuscito a bere. Continuava a piovere e il cielo nuvoloso rendeva tutta la foresta un luogo spettrale e nascosto, sentiva ad ogni passo come se fosse per qualche strana ragione tornato indietro di tre, sembrava tutto così uguale e ne aveva paura, sopratutto per il fatto che non sapeva come procurarsi del cibo, né conosceva incantesimi per generarlo, se anche fossero esistiti. Si appoggiò stanco ad un albero e iniziò a meditare sul da farsi. Era difficile, era molto difficile, tanto valeva andare a cercare le altre ragazze e sperare che anche loro fossero rassegnate come lui, magari sarebbe riuscito a rimediare qualcosa almeno, anche se vedeva questa prospettiva come un sogno fin troppo irrealizzabile. All’improvviso sentì un rumore provenire alle sue spalle e istintivamente mise mano alla bacchetta, cercò di voltarsi senza fare rumore e sporgersi oltre il tronco dell’albero per vedere cosa ci fosse dietro di lui. Pregando e sospirando si sporse e vide davanti ai suoi occhi quelli di un animale che stava mangiando dei fiori. Per un attimo non successe niente, poi la bestia dal corpo argenteo si alzò sulle zampe posteriori nitrendo di rabbia, era un unicorno e Steven era entrato nel suo territorio, subito si alzò e iniziò a correre velocemente dalla parte opposta. Sentì l’animale caricarlo alle spalle e si girò di lato appena in tempo per vedere l’equino infilzare un abete da parte e a parte, Steven iniziò a sudare di paura e a tremare. Continuò a correre, ma l’animale era tornato sulle sue tracce, pronto a infliggerli un altro colpo mortale, Steven si voltò ed esclamò con forza: “Impedimenta!” Tuttavia nulla accade e gli sembrò come se stesse tenendo tra le mani un pezzo inutile di legno. La bestia inforcò il suo corno nel terreno e Steven ringraziò il fatto che fosse il ragazzo più veloce della scuola, si era ancora salvato, ma qualcosa non andava.
“Incendio!” esclamò quindi lui con il tentativo di spaventarlo, ma dalla sua bacchetta non uscì nemmeno una scintilla. Questa volta lo sentì e sentì il grande dolore che gli squarciò il fianco, prima di cadere sulle ginocchia urlando di dolore. L’unicorno l’aveva caricato dal davanti e l’aveva tagliato sul fianco, appena prima che potesse spostarsi, fu fortunato a non essere stato colpito in pieno stomaco, tuttavia il dolore era grande e sentiva come se non riuscisse a muoversi.
“Gli unicorni non erano carini?” chiese Steven quasi a voler implorare Dio. Nessun colpo però lo raggiunse alle spalle e girandosi con una smorfia di dolore vide una ragazza davanti a lui, girata di spalle che accarezzava il muso dell’animale con dolcezza. Avrebbe riconosciuto il suo fisico tra mille, era la prima volta che avrebbe fatto qualsiasi cosa affinché lei fosse lì e lo salvasse, se l’era vista brutta, ma non si spiegava come avesse fatto Rarity a fermare quell’essere. L’unicorno si allontanò trottando lasciando i due ragazzi da soli.
“Steven! Oh mio dio, Steven! Ti ha colpito? Sono stata una stupida ad arrivare così in ritardo” esclamò lei con le lacrime agli occhi nel vedere il fianco destro di Steven sanguinare come una fontana.
“Devi smetterla di dispiacerti per me, sei stata bravissima. Che cosa hai fatto...con quel mostro?” chiese lui con tono dolorante.
“Dopo le parole ora...ehm...” disse lei e arrossì violentemente su tutto il viso “Ti dovrei gentilmente chiedere di togliere la giacca...e...il maglione...anche la maglietta” Steven con molto dolore rimase a torso nudo davanti a lei che rimase con la bocca spalancata nel vedere il gran bel fisico del ragazzo che la guardava divertito.
“Mi hai appena chiesto di spogliarmi, era per guardarmi o curarmi?” chiese quindi lui sorridendole.
“Oh! Certo, io stavo per curarti” disse lei mettendogli una mano sul petto e tremando di eccitazione. I due rimasero per qualche secondo a guardarsi negli occhi, poi la francese tornò in sé e disse con forza: “Epismendo!” La ferita smise di sanguinare, ma il taglio profondo non si era rimarginato, probabilmente contro una ferita di quel genere di creatura un incantesimo come questo non sarebbe bastato.
“Devo trovarti delle bende” disse quindi lei e trasfigurò un masso in un rotolo di carta igienica che subito usò per asciugare il fianco di Steven, applicando una fasciatura superficiale.
“Puoi anche fare con più calma, mi hai già salvato la vita, non morirò” le disse quindi lui.
“Ah. No, cioè sì...volevo essere sicura di averti bendato bene” replicò lei bagnandosi le mani con la bacchetta. Steven guardò il fiocco che lei le aveva fatto con la stoffa della sua maglietta, usata come benda e sorrise, Rarity gli aveva appena salvato la vita.
“Ti rimarrà la cicatrice, ma non credo possa infettarsi, fino ad ora è sempre funzionato quell’incantesimo” disse quindi lei mordendosi il labbro, era visibilmente nervosa e continuava a fissargli gli addominali con troppa insistenza, si sforzò di girarsi dall’altra parte.
“Perché ti sei girata?”
“Io...dopo quello che ti ho fatto, non mi sembra il caso di fare cose di questo tipo”
“Tipo salvarmi la vita? Sei stata meravigliosa, Rarity, non posso che ringraziarti, se non fossi arrivata tu, quel mostro mi avrebbe tagliato a metà, per qualche strana ragione la mia bacchetta non funzionava”
“Quel mostro era un bellissimo unicorno, darling. E poi eri tu che urlavi come una scimmia, io ti ho solo trovato” disse lei sorridendogli in modo seducente e pentendosi dentro di sé di quello che stava facendo, non riusciva a controllarsi.
“Urlavo? Allora potrebbero averci sentito altri campioni, faremmo meglio ad andare via di qui, siamo pure sempre una fonte di re o regine” le disse quindi lui preoccupato. Lei ritornò con i piedi per terra e si rese conte che, nonostante tutto, loro due erano rivali, si chiese se avesse fatto un errore a salvarlo, al di là di quanto a lei potesse piacere, lui non l’amava a maggior ragione dopo quanto successo con Annie, non voleva tirarsi di nuovo la zappa sui piedi.
“Perché parli al plurale? Io e te siamo avversari per quanto mi riguarda tu potresti avere la regina che mi serve e...” disse lei e subito si tappò la bocca con le mani e uno sguardo avvilito e depresso comparve sul visi, si voleva colpire con un pugno, gli aveva appena rivelato il suo pezzo.
“Parlo al plurale perché mi fido del tuo buon senso, mi hai salvato e mi avresti potuto lasciare a dissanguare, rubarmi la mia regina e correre dritta verso il centro della foresta, ma non l’hai fatto, nonostante io ti abbia evitata per tutto questo tempo” disse quindi lui e fece vedere alla ragazza il suo pezzo della scacchiera, la regina bianca, Rarity aveva un re nero.
“Stiamo per allearci? E’ così che si dice, vero?”
“Sì, ti sto chiedendo se hai voglia di farmi compagnia in questa prova, almeno non morirò” rispose lui sorridendole. Lei sorrise e per poco non si mise a piangere, non le aveva certo chiesto di mettersi insieme a lei, ma avevano fatto pace ed era tutto merito suo, aveva rimediato ai suoi errori, era contenta di sé stessa.
“Ora però andiamo via da qui” disse lui e la ragazza lo aiutò ad alzarsi, mentre i due si dirigevano nel folto della foresta.

Gienah arrivò con grande fatica al luogo da dove aveva sentito provenire le urla, ma lo ritrovò deserto. Provava dolore, grandissimo dolore, riusciva a camminare, senza nessun problema, la gamba funzionava, l’incantesimo aveva avuto effetto al 100%, tuttavia non pensava che il dolore sarebbe stato così atroce. Aveva bevuto una pozione che aveva preparato, una pozione che le avrebbe risistemato le ossa, tuttavia era una pozione difficile da preparare e aveva sbagliato alcune dosi, non riuscendo a togliere, insieme alla frattura, il dolore. Ad ogni passo sentiva del vetro striderle contro l’osso, la frattura non c’era, ma il dolore era lo stesso del giorno in cui un gabinetto le aveva spezzato il femore a metà, provò rabbia e angoscia e dovette sdraiarsi a terra, respirando affannosamente, non sarebbe riuscita a continuare in queste condizioni, camminare in una zona così vasta senza sosta, non avrebbe sopportato il dolore, anche se avrebbe fatto di tutto per continuare la sua gara, sua madre sarebbe stata così fiera, le avrebbe raccontato tutto per lettera, anche se era da una settimana che non riceveva lettere dai suoi, era preoccupata, ma non era il momento per pensare ai suoi genitori. Doveva trovare cibo, quella era la priorità e magari un posto per dormire riparata dalla pioggia. Notò con paura che c’era del sangue sul terreno, pezzi di stoffa e impronte di una creatura, ringraziò che il suo dolore non le permetteva di camminare più velocemente.
“Ha già ceduto?” le chiese una voce femminile alle sue spalle. Si girò e vide davanti a sé Nadia che la fissava dall’alto al basso con un sorriso soddisfatto sulle labbra.
“La ragazzina di Durmstrang” disse Gienah e si mise in piedi dolorante.
“Di ferite né ho viste molte e subite altrettante, ma camminare su una gamba spezzata...questa mi è nuova, fa male vero?”
“Non è spezzata, è più che funzionante e ti conviene andartene se non vuoi che ti spezzi anche la tua di gamba” replicò Gienah con rabbia.
“Dovremmo duellare per i nostri pezzi, non credi? O almeno, io devo farlo, non mi capiterà forse più una preda così facile” disse Nadia con ora uno sguardo freddo e concentrato.
“Se credi di potermi sottovalutare ti sbaglio io...” Urlò, urlò così forte che pensò che l’avessero sentita fin dalla tribune fuori la foresta, si sentì la gamba spezzare di nuovo, provò lo stesso insano dolore della prima volta e lacrime di furiosa sofferenza le scesero lungo il viso, mentre il suo corpo cadeva a terra con un tonfo secco e brutale. Nadia si buttò sul suo corpo inerme e iniziò a tastarle tasche e sporgenze varie.
“Gran bei seni, provo una profonda invidia, Gienah, ma avresti dovuto capire le mie intenzioni” disse Nadia aprendole la felpa e trovando il re nero in un tasca interna, mentre Gienah lacrimava di dolore tenendosi la gamba infortunata. Era bastato un singolo pugno a Nadia per abbatterla e lo stesso pugno era bastato per distruggerle di nuovo la gamba, Gienah tra il pianto irrazionale e il dolore ebbe paura di quello che Nadia potesse farle e iniziò a singhiozzare ad alta voce, era la prima volta che provava così tanto panico, lei che riusciva sempre a sembrava decisa, forte e concreta ora si stava lasciando andare alla disperazione.
“Mi dispiace, davvero. Ma io sono qui per vincere e non voglio avere seccature, se ti ritiri dal torneo, tanto meglio, sarà un avversario in meno per la prossima prova. Io mi ritirerei, il rumore attira le acromantule” le disse Nadia rubandole persino la felpa e lasciandola in maglietta al freddo. Gienah imprecò con rabbia.
“Figlia di puttana” disse lei che non riusciva a muovere la gamba, pensando a come le avrebbe restituito il favore con la stessa moneta alla seconda prova, sempre se la gamba non l’avrebbe davvero costretta al ritiro, continuò a piangere, almeno fino a quando non cominciò a sentire il freddo. Provò ad alzarsi, ma cadde rovinosamente al suolo con dolore.
“Me la pagherai, Nadia di Dumitrache, piccola stronzetta con la puzza sotto il naso, tu mi spezzi la gamba e io ti staccherò un braccio” disse lei, poi con un’espressione di odio sul viso, puntò la bacchetta al cielo e disse rassegnata.
“Periculum” Nadia continuò a camminare concentrata e preso il re che aveva tra le mani lo distrusse stringendolo nel pugno. Se era la sua stessa pedina questo non significava che avrebbe lasciato agli altri la possibilità di prenderlo, per lei questo significava che una persona in meno avrebbe preso 60 punti. Si sentì forte, invincibile e consapevole che era l’unica che poteva contare sulle sue proprie forze a pieno ritmo, tuttavia le brontolò lo stomaco e capì che forse era meglio iniziare a procurarsi del cibo, forza o no, era comunque una donna come le altre, doveva mangiare. Camminò fino a quando una scena macabra non si presentò davanti ai suoi occhi, un unicorno sventrato sul collo e divorato lungo tutta la giugulare.

Aaron si sporse lungo il fiumiciattolo e bevve un sorso d’acqua, mentre sul fuoco cuoceva sereno un coniglio, pronto per essere mangiato, mentre intorno a lui stava scendendo l’oscurità, aveva però smesso di piovere. Il fuoco poteva essere una controindicazione in una gara di questo tipo, ma non aveva paura di essere visto era fin troppo fiducioso dei suoi mezzi e una visita da parte di un campione o di un animale, gli sarebbe passata liscia sulla pelle come un abbraccio, quasi sperava che arrivasse qualcuno, li aveva cercati per tutto il giorno senza sosta, ma non era riuscito a trovarli e la cosa l’aveva innervosito, voleva arrivare primo e ottenere quel bonus del tempo, si chiese se qualcuno avesse già concluso la prova. Riuscì a parare l’incantesimo appena in tempo, sorrise, mentre la magia dell’avversario sbatté contro il suo Protego, finalmente l’avevano trovato.
“Potresti almeno avere la decenza di non colpire alle spalle” disse lui alzandosi e illuminando verso i cespugli da dove era venuto il colpo. Marinette chiuse istintivamente gli occhi e alzò le mani sorridendo teatralmente, mimando una resa incondizionata.
“Volevo solo vedere se fossi sveglio” disse lei con voce volutamente di una esasperata e seducente innocenza.
“In Francia usate gli schiantesimi per svegliare le persone? Già non vi lavate, quali altri strani usi avete in quel paese dimenticato da Dio?” replicò lui avvicinandosi con la bacchetta.
“Abbiamo usi molto particolari, fidati, se vuoi te ne mostro qualcuno” rispose lei e si passò la lingua sulle labbra rosee. Aaron sorrise e provò piacere in queste parole, per quanto fosse una sua avversaria era seducente, caparbia e sensuale, avrebbe capito se lo voleva fregare e voleva farlo, non sarebbero state delle avances di una ragazzina a distrarlo, tuttavia comprese che poteva giocare quel suo atteggiamento come vantaggio.
“Sei sicura di esserne capace o vuoi che ti mostri come si fa?”
“A cosa stai alludendo, biondino? Io parlavo di incantesimi” Marinette si avvicino e i due si ritrovarono faccia a faccia, entrambi sorridenti, entrambi volevano fregare l’altro e lo sapevano, stavano scommettendo su chi sarebbe rimasto schiacciato dall’eros e chi avrebbe guadagnato il pezzo dell’altro, dopotutto attorno al fuoco c’era un’atmosfera molto più calda, una lotta magica sarebbe stata uno spreco. Marinette partì all’attacco senza lasciarli il tempo di reagire e strusciandosi sul corpo slanciato di Aaron, iniziò a baciarlo con passione, lasciando che le mani e le braccia facessero il loro corso sulla figura del ragazzo che stette al gioco, senza chiudere un occhio. Lei lo spinse a terra contro il fuoco e senza togliersi la maglia si slacciò il reggiseno, lanciandolo accanto ad Aaron che senza che lei lo vedesse aveva preso mano alla bacchetta.
“Adesso ti mostro come duelliamo noi francesi” gli disse lei mordendosi il labbro fino a farlo sanguinare, Aaron si chiese se fosse seria o meno, qualunque fosse la risposta era dannatamente brava, peccato fosse una sua avversaria, per un secondo pensò di lasciare la bacchetta, poi i due vennero interrotti.
“Scusate se interrompo, ma non muovete un muscolo” disse una voce maschile alle spalle di Marinette.
“Petrificus totalus!” urlò Aaron, puntando la bacchetta sulla ragazza, ma nulla scaturì da essa e la francese si voltò verso di lui con le sopracciglia contratte e un sorriso sadico sul viso.
“Ho detto fermi!” disse quindi Cristopher che svettava sui due, accovacciati l’uno davanti all’altra.
“Calmati, cowboy, hai tu il bastone dalla parte del manico e ti assicuro che il bell’imbusto qui davanti non farà niente” disse Marinette voltandosi.
“Vai contro l’albero o finisci nel falò” le disse quindi lui e la ragazza si alzò serena appoggiandosi contro l’albero.
“Incarceramus” disse lui e attorno a Marinette comparvero fronde di liana e radice che la legarono al tronco.
“Oh. Tu si che sai strizzare una ragazza, che ne dici se...”
“Non attacca con me, stai zitta altrimenti ti farò star zitta io” Marinette che aveva una mano legata accanto alla bocca mimò una cerniera sulle sue labbra. Aaron si alzò e prese in mano la bacchetta nervoso, non capiva perché il suo incantesimo non avesse funzionato, era un incantesimo facile e non si spiegava ciò, capì che c’era qualcosa che non andava, iniziò ad aver male alla testa.
“Expelliarmus” disse Astal e il protego di Aaron questa volta non funzionò, la bacchetta arrivò nella mano del ragazzo svedese, lasciando il serpeverde con una espressione confusa sul viso.
“Che cosa mi hai fatto?” chiese quindi lui e Cristopher lo guardò confuso.
“Brutta puttana che cosa mi hai fatto?!” urlò lui e si scagliò sulla ragazza che iniziò a ridere di gusto.
“Impedimenta!” urlò quindi Astal e come se stesse inciampando su un sasso Aaron cadde a terra rovinosamente, con la rabbia che gli ribolliva nelle vene e la netta sensazione che la francese gli avesse scagliato qualche incantesimo senza che lui lo sapesse.
“Incarceramus” disse quindi Astal e anche Aaron rimase bloccato a terra da delle radici. “Dai, avanti! Questo Gesù Cristo biondo qua ci ha appena fottuti! Dimmi che cosa mi hai fatto! O giuro che appena mi libero ti stacco quel sorriso dalla faccia” disse quindi il serpeverde che aveva occhi di odio solo per la ragazza. Lei fisso Astal senza degnare di uno sguardo il ragazzo.
“Mi stavi seguendo vero?” chiese lei. Astal non rispose, era la sua occasione per ottenere almeno una regina, non l’avrebbe sprecata doveva rimanere concentrato.
“Eh sì ti ho visto, un pezzo di maschio così non passa inosservato e credimi quando ti dico che mi sono fatta catturare solo per poter sentire su di me la tua potenza e...” disse lei con tono seducente, mentre Aaron notò che Astal aveva assunto un’espressione strana.
“Ehi! Non stai parlando con lui! Rispondimi feccia francese! Che cosa mi stai succedendo?” chiese ancora Aaron, mentre iniziava a sentire sonno e il corpo gli stava cedendo. Lui notò che il ragazzo di Durmstrang si stava avvicinando quasi sbavando alla ragazza che ora sorrideva come un diavolo e urlò: “Ehi amico! Ti sta ingannando, svegliati!” Cristopher rientrò in sé appena per vedere il sorriso di Marinette e capire quello che lei cercava di sregarlo, comprese che non aveva davanti una comune maga e si allontanò velocemente.
“Dammi il tuo pezzo, veloce” disse quindi lui, ora più nervoso, alla ragazza.
“Dovrai cercarlo sul mio corpo per prenderlo, non aspetto altro” replicò lei, mentre Aaron non riusciva più a parlare e boccheggiava a fatica, si stava addormentando, o almeno sperava di non stare morendo. Astal si avvicinò a lei e iniziò tastare a debita distanza le sue tasche e i suoi vestiti, mentre lei fingeva di trarne piacere, all’improvviso però le corde si slegarono e Marinette portò al suo collo una lama di coltello, mentre con un colpo ai reni l’aveva messo in ginocchio cosicché non fosse troppo in alto per poterlo guardare. Astal la fissò con paura, colto alla sprovvista, ma prima che potesse schiantarla ecco che lei l’aveva baciato e aveva stampato le sue labbra su quelle del ragazzo, lasciandolo confuso, mentre lei replicava sorridendo.
“Stupeficium!” urlò lui, ma non accadde nulla.
“Che cosa?...”
“Eh sì, basta un semplice movimento di bacino, qualche manfrina per farvi eccitare e magari un paio di seni che voi maschi cadete uno dopo l’altro nella mia rete, quanta pateticità in tutti voi. Che disgusto per il vostro genere, provare tutta questa eccitazione per me e finire per essere sempre sconfitti” disse lei ora senza sorrisino innocente, senza occhi candidi e dolci, solo godimento e superbia.
“Vedete, mi è bastato mettere una pozione velenifera sulla mia carinissima boccuccia e baciare due stupidi plebei come voi per lasciarvi qui a dormire fino alla fine della prova, che cosa meravigliosa! E sì! Mi sono fatta seguire apposta, caro il mio biondone, non ero certo attratta da te, ne tanto meno da questo buffone che aveva già la vittoria sul sorriso. Ci vediamo alla secondo prova allora ok? Au revoir!” Astal perse conoscenza ancor prima di fare mente locale sul perché i suoi incantesimi non funzionassero, ma con la convinzione che ora Marinette aveva la pedina di entrambi.

Lei si avvicinò con la bocca ricca di saliva al suo viso, con un gesto delicato le tolse la giacca e le allargò la camicetta cosicché il collo fosse per lei ben visibile. Vedendo quella pelle così liscia e candida per poco non la scompose, era da molto tempo che non banchettava con una ragazza così carina, capelli castano chiaro, occhi celesti e un fisico da paura, era uno spreco cibarsi solo del suo sangue. Elspeth si avvicinò con calma al suo collo e dopo averlo finemente annusato aprì la bocca mostrando i lunghi e acuminati canini che stavano per lacerarle la carne senza che lei potesse fare nulla anche se sapeva benissimo quello che stava succedendo. Charlotte guardava la scena piangendo e disperandosi, anche se sapeva che il suo corpo non avrebbe risposto, aveva sentito l’incantesimo, era pietrificata. Iniziò a pregare e pregare che qualcuno arrivasse a salvarla che qualcuno la trovasse, poteva già sentire il dolore della morte che la prendeva mentre lei non poteva fare niente per evitarlo e provò paura, troppa paura, non aveva la forza nemmeno per svenire, aveva la forza solo per disperarsi e morire, sapeva sarebbe morta, una vampira la stava per trucidare con foga, avrebbero fermato il torneo almeno, chissà che notizia. Ma non accadde niente di ciò, lei rimase sdraiata a terra e intorno a sé poté sentire un suono di incantesimo e un tonfo violento a terra. Elspeth venne sbalzata con violenza lontano dal corpo di Charlotte, ma senza scomporsi atterrò come un leopardo sulle quattro zampe i denti ancora digrignati in un espressione vorace, probabilmente aveva ancora il sapore del sangue che non aveva ancora assaggiato nella gola, chiunque avesse fermato il banchetto sarebbe stato ucciso. Davanti a sé nell’oscurità vide avvicinarsi un ragazzo alto e con spalle large e torace ampio, privo completamente di capelli e che subito si porse su Charlotte per sincerarsi delle sue condizioni.
“Tranquilla, Charlotte, ci penso io a eliminare questo mostro” le disse Dominic Thien con tono deciso.
“Mostro?!” sbottò Elspeth alzandosi come una ragazzina e puntando i piedi.
“Osi chiamarmi mostro! Io sono bellissima, ci sono uomini che fanno la fila per me e ti conviene rimangiartelo se ci tieni alla giugulare”
“No, sei un essere immondo e devi essere eliminata, chiunque ti abbia permesso di stare in questa foresta dovrà rispondere a me, nel frattempo, ci penserò io a fermare la faccenda” replicò lui, alzandosi e togliendosi il pesante parka che gli arrivava alle caviglie e mostrando il torso nudo e incredibilmente muscoloso, mentre nella mano aveva la bacchetta pronta all’uso.
“Serio? Tu vuoi uccidermi? Non ti ho fatto niente, senti, vattene via e lasciami alla ragazza ok? Quel bel vedere mi è bastato a non arrabbiarmi, ma non attenderò oltre” disse quindi lei avvicinandosi e leccandosi le zanne. Uno schiantesimo la raggiunse in pieno petto e venne sbalzata tra i cespugli. Thien sapeva contro cosa aveva a che fare e sapeva che era pericolosa, i vampiri sono esseri temibili, più forti e più veloci di un essere umano, ma le aveva visto la bacchetta e i vampiri che gli era capitato di incontrare non sapevano usare la magia, finalmente aveva forse trovato il duello magico che aspettava da tanto tempo, forse iscriversi al torneo si era rivelata la scelta migliore. Con uno scatto impressionante Elspeth gli arrivò incontro con l’intento di morderlo al collo, lui schivò il colpo e la colpì con un pugno violento nello stomaco che la fece cadere a due metri da lui. Prese in mano la bacchetta e iniziò a colpirla con altri schiantesimi che lei schivò senza paura, prima di tornare su di lui e ricevere un altro colpo sul mento. Lei si alzò di nuovo, senza nessuno dolore e Thien capì che la forza non sarebbe bastata.
“Sei forte, ma non quanto me, sei veloce, ma non quanto me, resistente, ma non quanto me e sei morto” disse lei.
“Engorgio” esclamò quindi estraendo la bacchetta prima di rispondere con un protego al suo attacco di fuoco, e ingrandendo i suoi canini fino a trasformali a vere e proprie sciabole che le pendevano dalla bocca. Spiccò un salto e gli colpì con il dente di striscio il braccio sinistro, facendolo sanguinare, lei tornò quindi all’attacco pronto a infilzarlo brutalmente nel petto, ma i suoi denti sciabola vennero fermati da una lunga spada che Thien teneva salda e ferma ai lati della bocca di lei non permettendole di avanzare con il morso, quando sentì la sua pelle iniziare a squarciarsi la vampira spiccò un salto all’indietro e rientrò i denti al loro posto, con due rivoli di sangue che scendevano copiosi dai lati della bocca. Lei si passò la lingua sulle ferite e con un’espressione di gioia e appagamento disse: “Il sangue mi rinvigorisce, avrei preferito non ricorrere a questo espediente, ma mi sembri un avversari valido e vorrei combattere come mi compete” disse quindi lei e estrasse dalla tasca un succo apparentemente di frutta che lei iniziò a bere con avidità, facendo segno con la mano di aspettarla, stava bevendo sangue per prendere forza.
“Scusa per l’attesa”
“Figurati”
“Hai trasfigurato la tua bacchetta in una spada, ma ora non avrai il tempo per fare il procedimento opposto e senza magia non ti vedo molto bene in questo duello” gli disse lei.
“L’avrei fatto altrimenti? Non sono un normale campione tremaghi, essere ripugnante, se credi che sarà una bacchetta a fare la differenza tra me e te, ti sbagli di grosso” disse lui, mentre lei sorrise agguerrita e disse con gioia, anche lei trepidante per un duello che sembrava interessante, sicuramente la cosa più interessante da quando si trovava in quella foresta, almeno fino al pasto con il sangue di quell’unicorno, quello sì che era stato rinvigorente. Elspeth si lanciò su di lui che provò a colpirla con la spada, lei schivò e questa volta il pugno gli arrivò dritto sugli addominali, ma non sortì effetto. Elspeth lo guardò spaventata e un calcio la raggiunse nel ventre, lasciandola questa volta molto dolorante e piegata in due sulle ginocchia.
“Anche gli uomini possono avere la pelle dura” Lei reagì con rabbia e si scagliò contro di lui con calci e pugni velocissimi, uno lo colpì alla tempia, l’altro all’addome, arrivò persino a morderlo sul braccio, conficcando con forza i suoi denti all’interno della sua carne, ma lui non sembrava sentire il dolore. Lui la prese per il collo e iniziò a stringere con forza la mano, con il chiaro intento di spezzarglielo. Lei iniziò a boccheggiare, tirandogli calci al mento che però non sembravano avere effetto, fino a quando non prese mano alla bacchetta e lui fu costretto a scaraventarla lontano, prima che il raggio di luce verde lo colpisse in pieno. Lei si alzò tossendo e con gli occhi ricchi di paura, si era vista morta e non si spiegava come un semplice umano potesse essere così forte, decise di farla finita.
“E’ strano come l’essere più forte che abbia mai visto debba morire così miseramente e in una foresta così fredda, ma sei tu ad esserti messo in mezzo, non lamentarti, io non ne ho colpe” gli disse lei.
“Dici così a tutte le persone che uccidi? O le attacchi mentre sono immobili come hai fatto con Charlotte?” chiese quindi lui.
“Ah la conosci! Siete fidanzati per caso? Non voglio impicciarmi ma...”
“Non stavi per uccidermi?” chiese quindi lui annoiato.
“Che impertinente, se proprio insisti. Avadakedavra!” urlò lei e un getto di luce verde fuoriuscì dalla sua bacchetta, pronto a colpirlo in pieno. All’improvviso però dalle mani di Thien scaturì una strana aura gialla che bloccò il raggio. Come due onde di energia le due diverse fonti di potere si scontrarono in un duello selvaggio, tanto che intorno a loro gli alberi iniziarono a scuotersi, spinti da un vento potentissimo che scaturiva dallo scontro magico, mentre la maledizione senza perdono scagliata da lei non riusciva a penetrare la sua difesa che tuttavia mostrava segni di cedimento. Non era un caso se l’Avadakedavra si definiva un incantesimo impossibile da bloccare, nessun mago ordinario poteva farlo, ma nessun mago ordinario poteva scatenare energia magica senza usare la bacchetta, Thien era un altro livello di mago e Elspeth, per quanto fosse potente, l’aveva capito, le ricordava una persona e ebbe paura. Thien provava una enorme fatica mentre il raggio cercava di penetrare la sua difesa, era fortissima la sua maledizione e si sentiva davvero il corpo freddo e smorto come se fosse stato già colpito, non sapeva quanto avrebbe potuto resistere, aveva rilasciato l’energia magica che prima aveva utilizzato come scudo corporeo, ma quello non era un calcio o un morso, era un incantesimo che non aveva mai bloccato prima, ma non era pronto a mollare ora, avrebbe vinto il torneo, doveva farlo, era la sua missione. Con uno sforzo terribile rispedì la maledizione al mittente che passò accanto ai capelli di Elspeth senza colpirla, ma lasciandola sconvolta e terrorizzata. Non appena aveva visto la luce verde arrivarle contro si era urinata addosso, ora ringraziò il cielo per non essere stata colpita, anche le sue ciocche di capelli di destra erano diventate bianche, non se ne era nemmeno resa conto, i suoi capelli di destra erano appena morti. Thien si accasciò a terra e così fece Elspeth, i due si fissarono con il fiatone e lei lo guardò con le lacrime agli occhi, iniziando a singhiozzare.
“Potevi uccidermi! Che cosa ti è saltato in mente?!”
“Sei seria o è teatro? Sei stata tu a volermi uccidere per primo” rispose lui confuso, ma troppo stanco per ribattere.
“Ecco, mi hai anche fatta macchiare! Erano nuovi i pantaloni, adesso devo ritornare in uno di quegli orribili negozi babbani, se non fossi incapace di muovere un muscolo per lo sforzo dell’incantesimo, verrei a suonartele di brutto” disse quindi lei, asciugandosi le lacrime, a Thien non sembrò niente di più che una bambina, infantile e presuntuosa, ma la divertiva, un po’ si dispiaceva di quello che stava per fare. Thien si alzò a fatica e tirò fuori dalla tunica un bauletto di legno che posò proprio davanti a lui, Elspeth lo fissò confusa e terrorizzata, aveva già visto quel bauletto e la cosa non le piaceva.
“No! No! Che cosa vuoi fare?” chiese lei, provando ad alzarsi e ricadendo sulle ginocchia.
“Mi dispiace, ma non posso lasciarti qui in giro a cercare di mordere fanciulle, non ho la forza per ucciderti, ma devo imprigionarti in questo baule, ne va della salute di tutti gli altri campioni” disse quindi lui con tono severo. Elspeth iniziò a piangere e non ebbe la forza di ribattere, era appena stata liberata dalla stessa maledizione e ora dopo solo un mese di viaggio, un ragazzo pelato francese stava per imprigionarla di nuovo, non riusciva nemmeno ad arrabbiarsi era disperata.
“Exponentia capitivitatis!” disse lui con voce forte e dal bauletto fuoriuscì una luce bianca che illuminò l’intera zona intorno a lui, Elspeth continuò a disperarsi, mentre i muscoli del suo corpo non le consentivano la fuga, ma per qualche strana ragione sentì l’effetto diverso da quello dell’ultima volta e in pochi secondi si ritrovò nel bosco con davanti Thien ancora più esausto e il bauletto aperto e vuoto.
“Sei già stata impriogianata?” Elspeth annuì spaventata, se l’era ancora fatta addosso, era un vizio ormai, non si sentiva così spaventata da secoli, anzi non si era mia sentita così indifesa e spaventata. Non era possibile farlo una seconda volta contro chi aveva già subito questo incantesimo difficilissimo, si chiese chi fosse veramente questa vampira e chi fosse in grado di utilizzare questa tecnica, pensavo di essere l’ultimo rimasto. Confuso e stanco ebbe la forza di prendere in spalla Charlotte e fuggire, prima che la vampira prendesse mano ad un altro flacone di sangue, non sarebbe sopravvissuto ad un secondo attacco in quelle condizioni.


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Capitolo 11
*** Il Giorno Della Falena ***


Il Giorno Della Falena


Harry si svegliò di soprassalto non appena sentì il getto gelido di acqua che gli aveva colpito senza preavviso il viso. Sentì un brivido gelato percorrergli il collo e come un ingranaggio arrugginito che improvvisamente era costretto a funzionare di nuovo iniziò lentamente ad aprire gli occhi, rendendosi conto che non si trovava nella comodità del suo appartamento, né in un posto a lui conosciuto, il luogo dove si trovava era una stanza buia. La stanza era illuminata solo di una debole e psichedelica luce a neon bianca che dava all’atmosfera qualcosa si spettrale e tetro, oltre al fatto che qualcuno gli aveva versato dell’acqua ghiacciata sulla testa e che aveva mani e piedi legati alla sedie fredda su cui era seduto. Si guardò il corpo legato e notò con stupore che era rimasto intoccato, non ricordava niente se non il viso di Ron prima che lo colpisse, ma conoscendo contro cosa aveva a che fare poteva benissimo essere che gli avessero fatto le più improbabili torture e poi avergli cancellato la memoria. Intorno a sé vedeva solo la sua ombra e il buio che la circondava, tuttavia sentiva degli eleganti e tranquilli passi che camminavano sul pavimento umido, non era da solo e lo sapeva, qualcuno stava semplicemente aspettando che lui acquistasse conoscenza.
“Ti sei svegliato finalmente| Hai fame?” chiese una voce femminile dolce e quasi seducente. Harry non rispose e si limitò a fissare concentrato la zona da dove era arrivata la parola della ragazza. “Non sono qui per torturarti o che, non sei un mangiamorte, ma capisci che un intervento così diretto nella nostra casa base era quanto meno inaspettato, devi lasciarci pur il tempo di indagare” disse la voce che era ancora nell’ombra.
“Ormai ho visto il tuo viso, Starlight Glimmer, tu mi lasci andare e io non esiterò a metterti fuorilegge” replicò Harry con tono serio e per nulla spaventato. La ragazza uscì dall’oscurità e si mostrò con un sorriso candido e sincero sulle labbra, mentre appoggiata con la spalla alla parete lo fissava dall’alto al basso.
“Com’è essere schiantati dal proprio migliore amico?” chiese lei come se fosse una conversazione tra due amici alla fermata dell’autobus, Harry non aveva intenzione di rispondere ad una domanda del genere.
“Non ha avuto nemmeno il coraggio di venire a interrogarmi lui stesso, né salutarmi, ha preferito che venissi tu per paura, o è la prassi che il leader del movimento venga di sua spontanea volontà?”
“E’ la prassi, non è un’opportunità da tutti i giorni quella di avere Harry Potter, il più grande mago del nostro tempo, a completa disposizione per le mie domande”
“Come se io intendessi rispondere a tutto quello che mi dici” replicò lui serio.
“Non mi aspetto questo, dopotutto se sei venuto qui due sere fa, era per rapirmi non per altro e provare che il movimento giacobino è un movimento terroristico e allontanare la possibilità che il nostro progetto di vittoria elettorale avvenga” disse quindi lei, prendendo una sedia e sedendosi con il mento appoggiato allo schienale della sedia e un’espressione curiosa e serena sul viso. Harry aveva timore nel fissarla, non l’aveva mai vista in questo stato di apparente felicità, l’aveva sempre vista come una spietata politica e leader, possibile capitana di un gruppo di brigatisti violenti e avversaria diretta del partito di Hermione, il suo stesso partito, non l’aveva mai vista con questi occhi sinceri e un viso così rilassato, nonostante avesse tentato di rapirla, era terrorizzato da quel sorriso, non era preparato ad affrontare questa Starlight Glimmer, non era solo una strega eccezionale quella che aveva davanti era una donna che sapeva ben nascondere le sue intenzioni.
“Quindi la mia intuizione era esatta?” chiese lui che cercava di trovare la sua parte in questa partita a scacchi.
“Più o meno, sicuramente non si può cambiare il mondo dall’opposizione e un colpo di mano sarebbe anticostituzionale, la domanda ora è diversa però. In tutto questo che cosa simboleggi tu?” chiese lei fissando i suoi occhi azzurri con i suoi grandi occhi marroni.
“Sembri così preparata in tutto quello che dici e non sai per che partito politico lavoro, sono un auror del ministero ed è mio compito servire il ministro della magia, il partito liberale di Shaklebot” rispose Harry, ma lei scuoteva la testa con aria delusa.
“No, non intendo per cosa lavori, intendo dire che cosa tu voglia da questa “guerra” politica?” chiese quindi lei con uno sguardo sbarazzino e brillante. Harry la fissò storto e capì che quella ragazza era un osso ben più duro di quello che pensava e per di più aveva la spada dalla parte del manico, inoltre sentiva qualcosa di diverso dentro di sé e non riusciva a controllarlo, quegli occhi marroni stavano facendo qualcosa e il suono era quello di uno scacco al re, era con le spalle al muro.
“Riformulo” disse lei e si alzò dalla sedia iniziando a camminare in cerchio, indossava un vestito sportivo e aderente a tutto il corpo, formato da un unico tessuto nero che le rivestiva tutte le forme e i muscoli, era troppo bella per non essere fissata.
“Intendevo dire. Lo so benissimo che sei amico della Granger e che lavori per il ministero, ma molti auror sono dalla mia parte, Ron compreso, molti sono rimasti dietro le spalle del ministero, ma altri non sono ancora riuscita inquadrarli, non tutti si sono ancora schierati in questa battaglia diplomatica e tu sei uno di questi”
“Io sono schierato, Glimmer” replicò Harry quasi con rabbia.
“Allora per quale motivo sei venuto qui, senza autorizzazione di nessuno, da solo con li chiaro intento di fare qualcosa che avrebbe sancito la mia sconfitta? Potresti rispondermi che lo hai fatto per Hermione, ma io non me la bevo, no, credo che ci sia qualcosa sotto questa storia e sono molto curiosa di sentirla” disse quindi lei e si sedette di nuovo davanti ad Harry, continuando a sorridergli, ormai lui la vedeva come una cosa naturale, per qualche strana ragione sentiva che lei non stesse recitando una parte e ancora una volta, aveva ragione. Aveva iniziato a bere, non si ricordava nemmeno il perché, con Ginny andava bene, avevano trovato casa, erano pronti ad avere una famiglia, lui era riuscito a superare l’esame per diventare un auror e ora aveva anche un bello stipendio, ma aveva iniziato e non era mai riuscito a capirne il motivo, anche se ora tutto gli si palesava davanti come una foto istantanea. La mattina era il lavoro, lavoro d’ufficio, nessun movimento, nessun azione, quattro carte da firmare, una pausa alla macchina del caffè, quattro chiacchiere con Ron o con Dean e poi il capo ritornava basso sulla scrivania, non certo il lavoro che pensava di sognare quando era un ragazzino. Poi era l’arrivo a casa, la cena cucinata da Ginny che lasciava sempre una lettera di saluti per le sue trasferte in giro per l’Europa o se, invece la trovava a casa, era il solito sesso e poi era solo il buio della notte ad accompagnare il suo sonno e infine era di nuovo mattina. Era questa l’età adulta? Sentiva come se la sua vita fosse un binario morto, fermo da anni ad un bivio che però non portava alcuna scelta da compiere, lui era pronto a scegliere, ma non arrivava niente che lo potesse smuovere, non arrivano cambiamenti, la sua vita era ferma su un altro binario dal suo e non riusciva a smuovere il suo vagone per farla cambiare di marcia, si sentiva freddo. Non era questo quello che voleva, amava Ginny, ma non era il matrimonio che forse desiderava dalla loro relazione, amava il suo lavoro e il suo mondo, ma la politica e la burocrazia non facevano per lui e quando accadeva che bisognasse inseguire o catturare uno sbandato era per lui una vera e propria fuga dal quotidiano, un raro caso dove finalmente poteva tornare a sognare quello che sognava da ragazzo, quando era il prescelto senza volerlo essere. Quando era una scoperta continua anche solo il camminare per la strada, il parlare con gli amici, l’innamorarsi di una ragazza o la lettura di un libro, quando la sua vita, movimentata e quanto mai malinconica, era però piena di trame e risvolti che lo spronavano a continuare e che l’avevano portato alla felicità, una felicità però appassita presto dal niente che circondava la sua vita in quegli anni. Ora la gente chiedeva lui autografi, lo fissava con ammirazione, parlava di lui come il miglior mago del mondo, ma lui vedeva solo un uomo che era invecchiato ben di più dei suoi 26 anni, un uomo che non voleva essere nessuno se non quello di una volta e che non aspettava altro che succedesse qualcosa alla sua vita, il mondo non era più una scoperta, non meritava la sua ricerca. Ma poi era arrivato Gilderoy Allock, una sera come tante, Ginny non c’era, lui era solo con la sua bottiglia e il suo appartamento, ma era arrivato un uomo che disprezzava e che gli aveva persino rubato la moto del padrino, ma lui ringraziò in cuor suo quell’incontro, lo ringraziò con tutte le sue forze e quella notte non chiuse occhio non perché intorno a sé non sentiva niente se non il vuoto, ma perché qualcosa era successo ed era stato magnifico! Poi erano iniziati gli scontri e la caccia al mangiamorte, le Colombe Rosse era solo un movimento di esaltati, niente che potesse completarlo, ma poi era arrivato il tradimento di Ron al ministero e a Hermione e lui ringraziò anche Ron in quel momento, il treno della sua vita era ripartito e ora era suo compito non perdere questa opportunità e ritornare a vivere la sua vita, una vita che aveva bisogno di avventure e che sopratutto aveva bisogno di amicizia e non poteva permettere di perdere lui o Hermione, non ci era riuscita la sua depressione e non sarebbe stato un gruppo di passeri a rubargli quello che aveva di più caro al mondo, aveva ritrovato la sua strada ed era tutto merito di Starlight Glimmer, quella stronza l’aveva svegliato con un getto d’acqua fredda e l’aveva riportato alla realtà.
“Non ti bastava il lavoro, la burocrazia, la famiglia magari, avevi bisogno di azione, di adrenalina...ti chiederai perché la penso così, beh perché ne avevo bisogno anche io. Cinque anni a distribuire yogurt per i dipendenti, la postina del ministero! Ma no! Io non era destinata a quello, avevo un sogno e così sono diventata quella che sono, tutti hanno bisogno di stimoli e la mia vita è cambiata. Puoi pensare quello che vuoi di me, che io sia una sadica, che io sia una pazza estremista che le mie idee siano il contrario del liberismo magico che regna da tempo e che le mie azioni potrebbero portare ad una violenta rivoluzione, ma io voglio solo sentirmi libera di scegliere cosa sia giusto per me, la gente che mi segue ha creduto a quello che pensavo e ora devo loro la vita”
“Perché mi dici questo?” chiese quindi Harry, non era più concentrato e con lo sguardo che tentava di capire le sue intenzioni, lei era sincera e ora lo fissava con gli occhi lucidi e orgogliosi di sé stessa, per quali fossero le sue ragioni lei credeva in quello che faceva, il partito era la sua vita.
“Perché sei diverso da Tristan o da chiunque dei miei uomini, tu sei come me, ti sei solo svegliato dopo per rendertene conto, non so nemmeno perché noi stiamo parlando di questo, sei pur sempre un mio prigioniero e non posso certo farti andare via da qui, o convertire il tuo ideale” rispose lei non spostando il contatto ottico.
“Non ci riusciresti, io voglio il tuo movimento fuorilegge e desidero più di ogni altra cosa dimostrare che tu e Coleridge siete dei terroristi, portare le prove in tribunale e svegliare il mondo magico da questa vostra azione di golpe”
“Ma non lo fai per Hermione, dico bene?” chiese quindi lei. Harry la guardò per qualche secondo e poi sorrise.
“No, lo faccio per me, perché penso che sia giusto, non mi interessa quello che può pensare o volere lei, io so quello che voglio io, io voglio che Hermione non fallisca nel suo lavoro, voglio che Ron capisca che ha fatto un errore e torni da lei per non lasciarla mai più e io voglio tornare da mia moglie la sera con la convinzione di non aver buttato via nemmeno un minuto della mia giornata” rispose lui quasi tutto d’un fiato. Starlight iniziò a tremare leggermente e iniziò a respirare quasi con fatica, poi lei si avvicinò con calma al viso di Harry che non si mosse di un centimetro, continuando a guardarla negli occhi marroni, ci fu un attimo di stasi tra le loro labbra chiare poi lui la baciò e le sue mani fredde le strinsero la guancia rossa e i capelli morbidi. Starlight arrossì e accarezzò il suo collo, non aveva mai provato niente di così forte in vita sua e sentiva come se volesse rimanere in quell’abbraccio per tutta la sua vita. Il baciò continuò per qualche minuto, senza mai staccarsi, senza il bisogno di prendere fiato, sembrava un corso necessario e naturale che i due stavano facendo, poi qualcuno bussò alla porta e Starlight staccò le labbra da quelle del suo prigioniero, sorridendogli come una bambina, non sapendo cosa fosse giusto fare in quel momento, non si sentiva più a leader di nessuno, era solo sé stessa. Harry rimaneva impassibile, quasi stupefatto, ma completamente cosciente che le voleva dare quel bacio e avrebbe voluto molto di più, non aveva spiegazioni. Lei chiese chi fosse alla porta e una voce maschile le disse che Tristan desiderava parlarle. Starlight fissò Harry e uscì, senza salutare, abbandonando la sala, ma per Harry era come se fosse ancora lì con lui, non desiderava altro se non un altro bacio.

“Perché siamo tornati qui?” chiese Lazuli con un’espressione contrariata sul viso candido. Gilderoy si guardò intorno, nella stanza che non sembrava avesse avuto ospiti da qualche giorno.
“Pensavo di potergli parlare di nuovo, avevo persino portato il tè” rispose lui quasi dispiaciuto, mentre lei come per la prima volta che era entrata lì aveva iniziato a trafugare il frigorifero.
“Non le sembra strano signor Allock?” chiese Lapis a lui che iniziava a pensare a dove fosse finito Harry Potter.
“Non era al ministero e non è qui, certo che penso che sia accaduto qualcosa, il problema è sapere cosa” rispose lui.
“E’ così vitale per lei avere la presenza di Harry Potter?” chiese ancora Lapis.
“No, ma senza la sua confessione io non potrò insegnare mai più ad Hogwarts, non capisco perché lui abbia messo quelle brutte dicerie sul mio conto, ma se sarà un duello quello che vuole per rimangiarsi la parola, ebbene lo avrà, ma non posso fare un duello con Harry Potter senza Harry Potter, non trovate?” Lapis fece per sdraiarsi sul divano, ma proprio in quel momento venne colto da un improvviso istinto e le sue orecchie si fecero attente e vispe.
“Fratello” gli disse Lazuli che aveva sentito la stessa strana percezione, mentre lui le faceva segno di stare in silenzio. Allock li fissava confuso, ma proprio mentre e era pronto a chiedere spiegazioni ecco che una sagoma veloce era piombata alle sue spalle, pronta a tagliarlo senza pietà con la sua spada affilata. Lazuli fece uno scatto veloce, e il fendete di Lyra tagliò l’aria lasciandola scoperta per il pugno di Lapis che la scaraventò contro la parete.
“Che diamine! Per tutti i folletti chi diavolo sei?!” chiese Allock furioso e confuso.
“Ti sei fatta più silenziosa” le disse Lapis mentre lei si puliva sorridente il labbro sanguinante.
“Non ero al massimo delle forze la prima volta, ma questa è un’altra partita, se non fosse per quel gradino che ha scricchiolato, l’avrei ucciso”
“Sopravvaluti la tua velocità”
“Ehi! Qualcuno mi può spiegare perché quella pazza scatenata a tentato di uccidermi?” chiese Allock spaventato e puntando la bacchetta verso la ragazza.
“Ci ha già attaccato, quando l’abbiamo accompagnata alla libreria, non sappiamo né chi sia né cosa voglia, ma questa volta non saremo soft, carina” disse quindi Lazuli alzandosi a sua volta e scrocchiando bruscamente il collo.
“Ci sarebbero molte cose da spiegare, ma per quello che potete sapere e che io so di voi, l’unica cosa che vi serve conoscere e che è necessario che voi moriate, so che possa sembrare strano o sbagliato, ma non posso permettere la vostra sopravvivenza e devo essere io a distruggervi” replicò lei e Lazuli si mise a ridere di gusto schernendola.
“Tu? Con quello stuzzicadenti che ti ritrovi tra le mani, uccidere noi, penso che tu non abbia capito contro cosa tu stia combattendo” Allock non aveva più l’uso della parola e fissava la scena da completo spettatore, sembrava che ci fosse molto dei suoi due aiutanti e della situazione che fosse a lui oscuro.
“Andiamo via di qui ok? Troviamo un posto migliore per combattere, questa non è casa nostra” disse quindi Lapis e Lyra annuì. Il gruppo si diresse sotto un tombino e si ritrovò in un ampio spazio, direttamente sotto le fogne di Diagon Alley. Allock allora prese orgoglioso la parola.
“Ehi! Non so chi tu sia, ma non posso accettare che una ragazzina con una spada abbia tentato di uccidere me, il grande e meraviglioso Gilderoy Allock, perciò se non ti dispiace, intendo sfidarti io stesso e chiudere qui la faccenda, poi mi dirai chi sei e io provvederò a punire l’invidioso che ti ha mandata”
“Nessuno mi ha mandata, sono sola, purtroppo e non posso perdere altro tempo, questa potrebbe essere la mia sola occasione, se vi dicessi che cosa nasconde la mia missione non mi ascoltereste, ma dovete sapere che non sono una malvagia qualsiasi, la vostra morte salverà molte vite, credetemi” replicò lei e impugnò la spada. V “Se mi permette signor Allock, vorrei combattere io, abbiamo un conto in sospeso io e questa ragazza” disse quindi Lapis e camminò con calma davanti ad Allock che gli concesse senza protestare l’onore.
“Uno contro uno questa volta quindi?” chiese Lyra soddisfatta.
“Non sapevamo chi fossi e in due io e mia sorella siamo molto più forti, avremmo preferito evitare sorprese” rispose lui. Scese un silenzio tombale in cui ognuno di loro sembrò scrutare nel cuore degli altri che cosa avesse intenzione di fare. Allock si chiedeva ancora chi fosse lei che per qualche strano motivo non voleva rivelare le sue intenzioni, né il suo mandante, ma che nonostante tutto voleva ucciderli, tutti e tre, la cosa lo spaventava e il suo occhi si spostavano ovunque nel perimetro delle fogne, come se fosse sicuro che non fossero soli. Lazuli era seduta sulle scalette sotto il tombino e fissava la scena annoiata, per niente preoccupata della cosa, aspettava solo che il fratello eliminasse quella scocciatura, provava solo fastidio quando la vedeva. Lapis invece era curioso e voleva seriamente sapere il motivo di questo duello, sentiva puzza di bruciato. Lyra fissava con un sorriso animoso sul viso il ragazzo che stava per affrontare, ben conscia che questa era forse la sua unica possibilità per salvare il futuro, eliminare lui per evitare che Mira lo prendesse prima di lei, non era una questione di misericordia o perdono, quei ragazzi potevano benissimo essere bravissime persone, ma Lyra era stata addestrata per essere una tagliagole dell’Oblansk e non si sarebbe fatta intenerire, la missione necessitava la loro morte e il fine giustifica sempre i mezzi. Questa volta fu lui a partire all’attacco e con uno scatto rapidissimo arrivò a colpire in pieno la spada di lei che le riparò il viso che altrimenti sarebbe stato colpito con violenza. Allock fissò la scena con paura, non aveva mai visto il ragazzo muoversi così velocemente, si chiese cosa ancora non sapeva dei due gemelli, capì che forse era all’oscuro di molte cose. Lei parò con la spada anche il calcio che l’avrebbe dovuta colpire al fianco e cercò di affondare la stessa nella sua gamba, causando la sua ritirata. Lyra allora si avventò su di lui e iniziò a colpirlo con fendenti continui che lui però continuò a schivare senza problemi, fino a quando non riuscì con un singolo salto ad andare alle sue spalle calciandola con un preciso movimento e facendola cadere a terra. Lyra si alzò senza demordere e iniziò un ennesimo impeto che non venne percepito da Lapis come una minaccia tanto che iniziò a sorridere divertito, tuttavia lei riuscì questa volta a evitare il suo pugno fin troppo superficiale e bloccò il braccio del ragazzo sotto la sua ascella prima di tagliarlo di netto con la spada causando il suo urlo di dolore.
“Lapis!” urlò Lazuli alzandosi dal suo sedile con un tono quasi di rimprovero rabbioso. Lui si allontanò agilmente dalla ragazza con il braccio che sanguinava copiosamente, sangue che improvvisamente smise di colare, l’aveva curato, Lyra non capì come, ma il braccio mozzato non sanguinava più. Lapis sorrise guardando il suo braccio e disse: “Mi costringi davvero ad impegnarmi allora, ti avevo sottovalutato, errore mio, ma ti consiglio di impegnarti al massimo a tua volta, altrimenti, il prossimo colpo sarà l’ultimo” disse lui e Lyra fece un ghigno di paura. Il ragazzo allungo la mano sana verso di lei, come a volerle concedere un saluto, ma dal palmo fuoriuscì un lampo giallo luminoso a forma di lama che si diresse alla velocità della luce verso di lei che fece appena in tempo a parare il suo corpo con la spada e a dividere un due il raggio che si diresse ai lati delle sue spalle infilzando il muro dietro di lei in due punti. La scena rimase come ghiacciata per qualche secondo poi la voce di Allock sbottò su tutte.
“E quello che diavolo deve rappresentare, Lapis?! Non ho mai visto niente di simile!”
“Non sa che cosa sono questi due, Gilderoy?” chiese Lyra con un sorriso affaticato “Sono Omuncoli”
Gilderoy rimase sorpreso da questa affermazione e gettò un’occhiata di confusione a Lazuli che voltò lo sguardo.
“E che cosa sarebbe un omuncolo?” chiese quindi lui.
“E’ un uomo tale e quale a lei, signore, solo che la sua nascita non necessita di un involucro femminile” rispose Lapis con tono serio dalla cui mano ancora fuoriusciva la spada di luce.
“Cosa?”
“Siamo stati creati da lei, signor Allock, sono colpita che non se lo ricordi” disse quindi Lazuli con volto deluso e sempre con la solita espressione superiore.
“Io non ho creato proprio niente e ora ho solo bisogno delle vostre spiegazioni” replicò lui sempre più confuso.
“Oh sì che lo hai fatto, o almeno, non direttamente” disse una voce acuta e acida alle loro spalle. Lyra trasalì e iniziò a sudare, riconosceva quella voce, anche se era quella di un bambino. Gilderoy si voltò e dietro di lui c’era un bambino che lo fissava con un’espressione maligna sul viso. Aveva i capelli neri corti che gli cadevano in parte sulla fronte, gli occhi viola ampi e allungati, vestiva un camicia nera e dei pantaloni dello stesso colore e fissava alternativamente Lazuli e Lapis come si fissa un pranzo, con la lingua che gli pendeva dalle labbra, inumidendole.
“E tu chi saresti? Sei un bambino, non dovresti andare in giro da solo a quest’ora, torna in superficie velocemente o mi costringerai a usare un incantesimo di memoria” gli disse Allock irritato.
“Ti escono particolarmente bene quelli ricordi?” chiese quindi il bambino guardandolo sorridendo.
“Che cosa dovrei ricordare? E’ un incantesimo come un altro no?” chiese Allock confuso da quel bambino che sembrava conoscerlo meglio di lui.
“Non è l’argomento per cui sono venuto a discutere qui con voi questa sera” rispose lui, mentre ormai aveva gli occhi di tutti addosso. All’improvviso un enorme macchia scura simile ad un tentacolo affilato comparve velocemente da sotto i suoi piedi e arrivò a infilzare per la gamba contro il muro Lyra che si era avventata su di lui, spada in pugno, per ucciderlo.
“E tu chi saresti?” chiese il bambino senza togliere lo sguardo dai due gemelli. Lyra iniziò a gemere di dolore, mentre la gamba iniziava a perdere sensibilità.
“Io sono stata inviata per distruggerti, Mira, te e il tuo creatore” rispose lei con rabbia.
“Il mio creatore? Mhm...Chissà che legame vi leghi, non che mi interessi, dato che entro pochi minuti morirai dissanguata, ora ho altro a cui pensare” disse lui, mentre la ragazza perdeva i sensi.
“Ora dimmi chi sei e che cosa vuoi, mostro! Non ho mai visto una magia del genere, ma se non vuoi essere eliminato dal sottoscritto ti conviene dirmi quali siano le tue intenzioni” disse quindi Allock, mentre Lazuli aveva raggiunto Lapis, non sembravano preoccupati, non conoscevano quel ragazzino e non avevano paura del suo potere, sarebbe stato divertente.
“Io voglio solo riunirmi con i miei fratelli, o almeno, che loro si uniscano a me” rispose il bambino e attorno a lui si generò un aura scura tentacolare che iniziò ad avvicinarsi pericolosamente ai due ragazzi.

Si sporse con calma per guardare oltre la sagoma scura del muretto di pietra per poter raggiungere con gli occhi la figura che stava piangendo da dietro il muretto. Quello che vide fu una bambina, raggomitolata su sé stessa che stringeva un piccolo medaglione tra le mani e piangeva con gli occhi chiusi nei piccoli pugni.
“Hai freddo, ragazzina?” chiese l’uomo con tono amichevole, causando la paura istantanea di lei che si alzò di scatto e lo fissò con paura, nascondendo il medaglione dentro le lunghe calze grigie.
“No, no. Non intendo farti del male. Posso darti il mio cappotto se hai freddo” disse lui, ma non ricevette risposta, la ragazzina si limitò a fissarlo spaventata. Aveva i capelli bianchi e gli occhi rossastri, colori che le conferivo un aspetto molto raro, l’uomo capì che non si trovava davanti ad una ragazzina come le altre, ma non poteva prescindere dal rapirla. L’uomo si avvicinò, mai lei estrasse la bacchetta e gliela puntò contro.
“Non ti muovere, babbano!” urlò lei con le membra che tremavano. L’uomo le sorrise e estrasse a sua volta la bacchetta mostrandole che si trovava davanti ad un mago.
“Non credo tu sappia usare quella bacchetta, ti conviene darla a me prima che tu ti faccia male, non trovi? Lascia solo...” Ma la bambina aveva iniziato a parlare una lingua a lui incomprensibile e istantaneamente l’uomo urlò di dolore, permettendole di voltarsi e fuggire nel bosco. Egli si sporse sulla caviglia e vide un aspide con ancora i canini infilzati nella sua gamba, lentamente lo prese con la mano e gli schiacciò la testa, uccidendolo e osservando il bosco con un sorriso famelico sulle labbra. Delphi continuò a correre nella foresta scura, non riuscendo a vedere oltre il proprio naso, con la sola paura che era capace di muovere i suoi passi uno dopo l’altro, così grande che le sembrò di poter correre per tutta la sua vita. I suoi occhi vermigli si posarono su quello che la stava seguendo e sentì dietro di sé un’ombra scura avvicinarsi velocemente, un’ombra che le sembrò volerla inghiottire da tanto era potente, poi non riuscì a vedere dove mise il piede e si ritrovò a terra con il cappotto grigio sporco di fango. In quel momento una falena le si appoggiò sul naso e i suoi occhi la fissarono con il fiato che si faceva pesante e le membra che tremavano ormai fuori controllo, era sola, completamente sola, Rodolphus questa volta non l’avrebbe protetta. All’improvviso sentì una mano stringerle il collo con violenza e la falena era scomparsa, davanti ai suoi occhi di bambina c’era lo stesso uomo di prima, l’aveva catturata. “Avrei preferito evitare la violenza, ma non potevo lasciarmi sfuggire un catalizzatore magico di questa portata, con te, sono certo che riuscirò ad avere quello su cui sto lavorando da troppo tempo a questa parte” disse lui con una voce estatica. Era un uomo alto e dal fisico prestante, nonostante l’età non fosse più quella di un giovane, aveva i capelli biondi che ormai tendevano al bianco stempiati sulla fronte, degli occhi azzurri glaciali e penetranti, un profilo armonioso e un sorriso sincero e tranquillo se non fosse per una mano che stava per strangolare una bambina, chiunque l’avesse incontrato avrebbe pensato che fosse un uomo comune e felice.
“Tu non sai chi sono io” sussurrò lei con la poca voce che le rimaneva. L’uomo non l’ascoltò, ma gli scivolò l’occhio sulla foto all’interno del piccolo medaglione e vide l’immagine di Bellatrix Lestrange e il marito Rodolphus Lestrange che si concedevano un bacio al loro matrimonio, lasciò la presa e Delphi iniziò a tossire, con il viso coperto da lacrime e le gambe che erano state colpite da un tremito incontrollato. Era loro figlia, la figlia di colore che erano stati suoi compagni nell’ultima guerra magica, non sapeva avessero una figlia, ma questo cambiava le cose, cambiava totalmente i suoi piani. Ci fu un attimo di silenzio in cui lui non sembrava ancora consapevole della prossima mossa che avrebbe fatto, mentre lei sembrava semplicemente pietrificata dalla paura e incapace di reagire alla scena.
“Dov’è?” chiese lui a lei, ma la bambina non rispondeva, era ora rannicchiata su sé stessa lacrimante e fissava il medaglione spaventata.
“Mamma…perché non torni mamma?” sussurrava lei quasi a voler lanciare una preghiera.
“Dov’è lui? Tuo padre? Parla!” chiese nuovamente lui, ma lei non rispose.
“Perché mi hai lasciata sola mamma?” continuava lei che non sembrava avere nemmeno il controllo dei suoi pensieri. Lui si avvicinò verso di lei, ma questa volta fu un’altra voce ad intervenire.
“Non ti muovere, Hawkmoth!” gli disse una donna dai capelli biondi corti che le scendevano appena sulle spalle e dagli occhi molto scuri. Accanto a lei c’era un uomo affascinante con occhiali sottili e capelli neri anche lui, come la donna, con la bacchetta puntata verso di lui che sorrise malignamente ai due.
“Aria Morris e Roger Pheles, mangiamorte della prima ora, suona un po’ come un ritrovo questo, non trovate? Vedo che siete sopravvissuti all’attacco dei rossi” disse lui alla coppia di sposi.
“Rabastan ci ha permesso di scappare, se eri in zona avresti potuto aiutarci, ti credevamo morto” disse quindi Roger con voce leggermente ansiosa.
“Hanno scoperto il mio nascondiglio, ma non sanno che io sia un animagus, scappare è stato abbastanza semplice, quanto a voi, le colombe non sono un affare che mi riguarda o interessa” disse quindi lui calmo.
“Il giorno della falena è arrivato quindi, ti sei finalmente mostrato, tu che scappasti dalla battaglia e tradisti il tuo signore, con che coraggio ci guardi ora, noi che siamo scappati da Azkaban per puro miracolo” disse quindi la donna con la voce ricca di disprezzo.
“Il vostro signore mi ha mentito!” urlò lui, ma subito ritornò calmo e continuò pacato “Non sono qui per discutere di vecchie rogne con voi, potete voltarvi e tornare sui vostri passi io, come vedete, ho qualcosa da portare a termine” Aria fissò Delphi che era ancora sotto shock a terra e con un ghigno di rabbia fissò Hawkmoth che la guardava sereno.
“Immaginavo ci fossi tu, dietro questo orrore. Già allora era un alchimista che si dilettava nell’occulto, ma non pensavo saresti arrivato a rapire così tanti bambini, sei disgustoso” gli disse lei senza abbassare la bacchetta.
“Una vita è sempre una vita che sia di un vecchio, un uomo o di una bambina, toglierla ha lo stesso valore che darla e non saranno dei pianti innocenti a distrarmi per il mio progetto, togliere una vita per la possibilità di risparmiarne cento! Non sarà il tuo disgusto a farmi desistere, vi prego nuovamente di voltarvi e andarvene o sarò costretto a intervenire”
“E’ compito mio, come sua madrina, proteggere questa bambina e non ti permetterò di portarla con te” disse lei e fece un passo in avanti, arrivando faccia a faccia con lui.
“Avadakedavra!” disse quindi Hawkmoth e Aria cadde a terra come una foglia, seguita poco dopo dal marito che non aveva ancora capito quello che stava succedendo, nella foresta tornò il silenzio.
“Stupidi” disse quindi lui e subito raccolse Delphi che non sembrava più in grado di intendere o volere e sparì in un veloce movimento di fumo, lasciando i due coniugi mano nella mano, morti in quel bosco solitario e invernale.


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Capitolo 12
*** La Prima Prova (Parte 2) ***


La Prima Prova (Parte 2)


Il raggio magico esplose dalla sua bacchetta per raggiungere l’avversario, ma questi, non si fece trovare impreparato e con un protego riuscì a deviare il getto, ritrovandosi faccia a faccia con il suo aggressore. Thomas capì che molto probabilmente aveva compiuto una mossa azzardata e si mise in posizione, pronto per duellare con il ragazzo di Bauxbatons che sembrava provato fisicamente. “Hai colto l’occasione migliore per attaccarmi” gli disse Thien respirando a fatica e posizionandosi a sua volta.
“Scontro impegnativo?” chiese quindi Thomas.
“Improvviso diciamo, come quello che ti sta per colpire” replicò l’altro, mentre la bacchetta del ragazzo di corvonero scivolava via dalla sua mano per raggiungere quella di Charlotte che lo fissava divertita alle sue spalle.
“Mi avevi detto che potevo stare tranquilla a lasciarti qui da solo, Thien, non ti sei ancora ripreso e la mia magia non funziona” disse quindi la ragazza al suo compagno di scuola, lanciandogli tre pesci legati insieme con un filo magico che caddero davanti a quello che sembrava l’inizio di un piccolo falò.
“Ehi biondina, tu da dove spunti? Perché non mi ridai la bacchetta e mi lasci iniziare il duello con il tuo amico?” chiese quindi Thomas girandosi verso di lei e fissandola con il sorriso più seducente che poteva mostrare. Charlotte arrossì vedendo gli occhi neri e limpidi di quello che in quel momento era il suo nemico, ma non si lasciò trasportare dalle emozioni e tenendo la bacchetta puntata su di lui si affiancò a Thien.
“Avanti, tiralo fuori” disse quindi lei e Thomas reagì alzando le sopracciglia e sorridendo divertito.
“Beh...mi aspettavo almeno una dichiarazione prima di passare al sodo, ma se proprio insisti”
“Demente…sporco...villano!” reagì con rabbia, ma sempre arrossendo, lei e scagliò una piccola scarica elettrica al ragazzo che tornò serio immediatamente.
“E poi chi prenderà il mio pezzo della scacchiera? Tu, biondina? O il testa lucida qui? Posso assistere al vostro scontro?” Charlotte avanzò con cattiveria e nervosismo, ma venne fermata con il braccio da Thien.
“Ha ragione” le disse lui “Io ti ho salvata e tu mi hai curato, ma entrambi dobbiamo portare a termine questa prova e c’è solo un pezzo, dobbiamo decidere ora chi di noi due lo prenderà e poi dividere le nostre strade” Charlotte lo guardò quasi dispiaciuta, ma consapevole che quelle parole erano la verità e che se voleva sperare di vincere, per quanto lui fosse un alleato, avrebbe dovuto prima o poi combattere con lui, tanto valeva farlo pacificamente.
“Prendilo...” iniziò a dire lei, ma Thomas fermò la sua voce.
“Tienilo, biondina, voglio darlo a te e solo a te, consideralo un pegno d’amore, ma voglio in cambio la mia bacchetta”
“Il tuo sarcasmo mi irrita e se non...” esordì lei tornando a fissare Thomas e vedendo che lui aveva già portato la mano con appoggiata su di essa la regina bianca verso di lei. La ragazza esitò, fissando la mano di lui, mentre Thomas sembrava confuso e non aveva ancora escogitato un modo per allontanarsi da lì, tra di loro cadde il silenzio più assoluto e nessuno dei tre riusciva a capire cosa passasse per la testa dell’altro, all’improvviso salì una palpabile tensione. Thomas che di solito riusciva sempre a cavarsela con delle parole, sentiva il suo palmo tremare leggermente, consapevole che se anche stava recitando la parte di chi aveva tutto sotto controllo, in realtà stava consegnando la sua vittoria nelle mani di un avversario senza avere una contro-offensiva valida e senza una bacchetta. Charlotte, invece, non sapeva come reagire e rimase nella stessa posizione di quando aveva visto nella mano di lui, il suo stesso pezzo, non riusciva a trovare un senso nel raccogliere un doppione.
“Posso darvi un consiglio?” chiese una voce morbida e femminile poco distante. I tre si girarono di scatto e videro che non erano soli.
“Marinette? Che sorpresa, ti facevo già addosso a qualche ragazzo” disse l’amica Charlotte sorridendo all’amica, ma leggermente confusa dall’espressione avida della ragazza.
“Di questi tempi mi rimangono un po’ sullo stomaco gli stupidi e poi vedo che non hai esitato a muoverti anche tu” replicò l’altra avvicinandosi e facendo un occhiolino a Thomas che si irrigidì, aveva un brutto presentimento. Marinette volteggiò sinuosamente verso Thien e dopo avergli dato una carezza si avvicinò a Charlotte, mostrandole senza nessuna paura il re nero. Thomas e Charlotte dilatarono subito le pupille alla vista del pezzo che per loro era mancante, mentre Thien si limitava a scrutare la scena un passo indietro, convinto che la situazione non si sarebbe conclusa senza un graffio.
“Perché mi mostri il tuo pezzo?” chiese Charlotte che ora era confusa rispetto al comportamento bizzarro dell’amica.
“Chi ha mai detto che fosse mio?” replicò l’altra, allontanandosi e avvicinandosi a Thomas che continuava a provare paura nei confronti di Marinette che sembrava l’unica che in quel gruppo sapesse cosa stava facendo, sembrava il burattinaio che muove i fili delle sue marionette che la fissavano vuote in attesa di ricevere un ordine.
“Marinette, dimmi che cosa stai macchinando. Potrai recitare la parte che vuoi con questo stoccafisso, non certo con me” disse Charlotte, molto irritata dal comportamento irriconoscibile della migliore amica che si limitò a volgere lo sguardo verso Thomas.
“Non lo vuoi? Charlotte? Allora lo consegnerò a lui, dato che a entrambi serve la pedina che ho tra le mani” chiese lei all’amica che digrignò i denti con rabbia.
“Tu. Vigliacca. Non sei degna di essere mia amica che se ti comporti in questo modo. Sono Charlotte! Non ti ho mai vista comportarti così, mi sembri un’altra persona. Che cosa ti gira per la testa?”
“Niente. Solo che possiedo un re che voglio consegnare a voi, tuttavia non so scegliere se darlo alla mia più cara amica, oppure a questo splendido fanciullo dai capelli neri, io lo trovo bellissimo e so che lo pensi anche tu” rispose Marinette e Charlotte scagliò uno schiantesimo verso di lei che si riparò con un protego.
“Non ho finito di parlare!” urlò Marinette. Thomas e Thien fissavano la scena confusi e attenti, pronti ad intervenire in caso le cose si mettessero male, una cosa era sicuramente certa, erano pronte a darsi battaglia, ma quella con il coltello dalla parte del manico era sicuramente Marinette.
“Io voglio che voi vi battiate per questo re, chiunque tra voi due vinca il duello, lo riceverà, in cambio mi aspetto di ricevere quella regina bianca. Mi sembra un giusto compromesso” spiegò lei sorridendo malignamente, mentre Thomas e Charlotte si scambiarono un’occhiata confusa. Proprio in quel momento Dominic si scagliò contro di lei, quasi a volerla placcare al suolo, ma Marinette riuscì con molta semplicità a schivare il corpo ancora ferito dell’avversario ed immobilizzarlo con un incantesimo incarcerante, lasciandolo legato contro l’albero alla loro destra. Tuttavia la forza fisica di Thien non si fece attendere e in men che non si dica spezzò le corde, pronto a scagliarsi verso di lei. Lui con velocità disarmante colpì la ragazza negli addominali, con il chiaro tentativo di stordirla a terra, ma lei continuò a fissarlo con occhi dolci e, mostrando la pancia che aveva appena trasfigurato in una lastra di acciaio e cogliendolo alla sprovvista lo baciò sulla bocca. In quel medesimo istante Thien, spaventato, iniziò a rantolare a terra dolorante, tenendosi la gola che gli bruciava dal dolore, come se Marinette gli avesse sputato qualcosa nella bocca, mentre si sentiva i muscoli irrigidire e tremare. Marinette reagì con inaspettato shock a questa scena, quasi non volesse che finisse così o non si spiegasse il motivo di questa situazione, rimanendo inerte al centro della scena. Thomas si gettò quindi su di lei, buttandola per terra e iniziando una piccola lotta sugli aghi caduti delle conifere per toglierle dalle mani il re che gli serviva.
“Non si toccano le signorine, maiale!” urlò Marinette, tirandogli una gomitata e alzandosi. Si ritrovò faccia a faccia con Charlotte. Le due si fissarono come se si fossero dimenticate di essere amiche, come se davanti a loro avessero velocemente perso anni di amicizia e li avessero senza pensarci due volte buttati in un cestino della spazzatura, tutto solamente perché una aveva nelle mani un pezzo scuro, mentre l’altra uno diverso chiaro, era bastata una scacchiera a incrinare il loro rapporto.
“Dammi quella merda di bacchetta e finiamola insieme, mi ha innervosito questa francesina” disse Thomas a Charlotte, alzandosi dolorante da terra, il gomito di Marinette era stato particolarmente doloroso e iniziò a toccarsi la zona dolorante con fatica, notando che perdeva sangue dallo stomaco.
“E da quando saremmo diventati alleati?” iniziò Charlotte con sarcasmo, tuttavia mentre spostò lo sguardo su di lui, sentì il desiderio di rimangiarsi le parole, vedendolo piegato in due dal dolore. Marinette alzò il mento con uno sguardo sadico e indicò con la mano destra il gomito che aveva trasfigurato poco prima in una punta di lancia.
“Sei un mostro” disse Charlotte.
“Ah. Non è carino darmi del mostro, sono sicura di essere più carina, avanti Charlotte che cosa ti frena dal colpirmi?”
“Magari il fatto che siamo amiche da quando abbiamo undici anni, demente? Che cosa ti salta in mente, Marinette? Davanti a me vedo una bestia assetata di sangue, non certo un amica, se credi che ti lascerò andare dopo quello che hai fatto” replicò l’altra con i denti tesi e le guance contratte.
“Mhm. Mi rimproveri per aver baciato Dominic o per aver colpito Thomas? Ci provavi con entrambi? Potevi dirmelo che ti piaceva anche Dominic, anche se è dal primo giorno che sbavi dietro a quel moro sanguinante” Charlotte trasalì, mentre Thomas le scambiò un sorriso dolorante.
“Ne riparleremo, ok? Dammi la bacchetta, sono ancora in condizione di combattere. I due si guardarono negli occhi con lei che aveva la pupille lucide e dilatate, mentre lui le sorrideva, sembravano estraniati dalla gara, poi con una dolcezza quasi inusuale lei aprì la bocca e disse: “Imperius”
Subito Thomas il suo sorriso convinto e sprezzante e, dopo aver preso con delicatezza dalla mano di lei la bacchetta, si avvicinò a Dominic, lo prese mantenendolo sopra la propria spalla e iniziò ad allontanarsi dalla scena, con il chiaro interesse di Charlotte che i due, feriti, si curassero in un luogo sicuro.
“Eh no che non andate via” disse Marinette che puntò la bacchetta verso il lento duo che procedeva, dandole le spalle, ma Charlotte si frappose sul colpo ed esclamò con orgoglio: “Expelliarmus!” Marinette evitò l’incantesimo e iniziò a scagliare dei piccoli incantesimi punzecchianti sull’amica che doveva reagire con velocità alle piccole scariche di energia magica che la stavano raggiungendo su tutto il corpo, quasi che l’altra stesse cercando di bersagliare ogni zona del suo corpo con il chiaro intento di evitare che lei parasse i colpi. Una scossa dolorosa la raggiunse sulla coscia, poi una seconda la colpì accanto al polso, poi al collo, allo stomaco, sul ginocchio, si sentì bersagliare da ogni direzione, tanto che non riuscì più a percepire il dolore dalla mitragliata di scosse che la stava raggiungendo. Iniziò a urlare, urlare di paura e di immenso dolore, i colpi continuavano con precisione sadica, sentiva ogni centimetro del suo corpo venire colpita dai colpi dell’amica, che faceva di tutto per martoriarla, cercando quasi di provocarle più agonia possibile. Le urla si fecero strazianti, tanto che con molta probabilità chiunque nei paraggi le stesse sentendo, sembrava davvero che potesse morire da un momento all’altro. La bacchetta le scivolò dalla mano, si lasciò cadere sulle ginocchia, piangeva e si era talmente tanto morsa il labbro da lasciarlo sanguinare lungo il mento. I colpi di mitraglia cessarono.
“Piaciuta la mia mitraglia? L’ho inventato io questo incantesimo, tutti che ci insegnano che i colpi devono essere precisi e potenti, quando bastano tanti colpi, ma veloci per abbattere un avversario, a volte mi stupisco che io riesca sempre a vincere, nonostante non sia lontanamente la migliore, poi mi ricordo che il vostro cervello è scimmiesco in confronto al mio e mi ricordo che io ho un passo in più rispetto al resto del mondo” disse Marinette e si avvicinò con delicatezza a Charlotte che straziata, piangeva e respirava affannosamente, con lo sguardo basso. L’amica la tastò senza che l’altra opponesse resistenza, fino a trovare la regina che cercava.
“Mi dispiace” le sussurrò nell’orecchio, anche se c’era solo scherno e non sincerità in quelle parole, prima di guardare l’amica agonizzante negli occhi e scambiandole un bacio quasi passionale, arrivando anche a morderle il labbro e lasciandola spaesate e ancora troppo dolorante per reagire.
“Dormi bene” concluse Marinette, voltandosi e abbandonando la scena.
“Crucio!” urlò Charlotte ripresasi per un momento dallo stato di shock, prima di cadere nel sonno più profondo, con gli occhi che già si richiudevano sulle sue deboli palpebre.
“Heavy Metal!” replicò l’altra e con la bacchetta punto a tutto il suo corpo che istantaneamente si ricoprì di metallo indistruttibile, tanto che la maledizione senza perdono si perse su quella impenetrabile corazza, svanendo nell’aria e lasciando un sorriso disperato sul viso di Charlotte che si perse nel suo sonno, cadendo sugli aghi di pino.

“Dovresti mangiare, Monica, è già passato un giorno e non hai toccato cibo” disse l’uomo alto fissandola appoggiato all’albero.
“Non sono certo io quella che sta con le mani in mano in questa situazione, Clopin e tu lo sai, come dovresti sapere che non dovresti trovarti qui, sono io il campione tremaghi non te, non sei nemmeno uno studente” replicò l’altra che si stava innaffiando la faccia stanca con l’acqua di un ruscello .
“Se non vuoi il mio aiuto, dillo e ti abbandono” disse l’altro quasi scocciato.
“Se ti rendessi utile magari, ti lamenti che non mangio e che sono troppo minuta, beh, vammi a recuperare un coniglio un cervo e poi potrò lodarti quando vuoi, old man” L’uomo fece per allontanarsi dall’albero sul quale era appoggiato, ma subito evitò di staccarsi di colpo, colpito nell’udito da un rumore che aveva colto la sua attenzione e il suo sospetto.
“C’è qualcuno” disse lui.
“Vattene allora” replicò lei e l’uomo scomparì in un lampo dalla scena, ormai era abituata alle sue entrate e uscite di scena sempre improvvise e imprevedibili. Monica alzò lo sguardo verso l’alto e quella che vide era l’ultima persona che avrebbe voluto incontrare in una gara come questa. Nadia si ergeva dura e stoica sulla cima del pendio scosceso sotto il quale c’era invece Monica che la fissava fredda e quasi brutale. Nadia i pantaloni completamente stracciati e le calze bianche che ricoprivano le sue gambe tese avevano graffi sanguinanti che circondavano ferite considerevoli e quasi spaventose. Il suo occhio sinistro era bendato con un pezzo della sua maglia bianca ora tinta di sangue e ora sul suo busto rimaneva solo il top rosso con il simbolo di Durmstrang, tuttavia, nonostante l’inverno, il freddo e il vento gelido che brinava tra quelle piante, lei non sembrava colpita dal clima e nemmeno dalle ferite, rimaneva ferrea e impassibile davanti alla sua nuova preda, la sua psiche era troppo aggressiva e violenta per potersi fare intrappolare da un patetico clima, sembrava quasi che la situazione le desse vantaggio. Ci fu silenzio tra le due, poi un immenso aracnide peloso fuoriuscì dai cespugli, arrancando con una zampa rossa e pronto ad azzannare Nadia che, tuttavia, gli staccò la testa con un calcio, solo allargando la gamba, facendo crollare il mostro lungo il pendio e quasi scagliandolo come regalo di benvenuto a Monica che non fissò nemmeno la carcassa, per niente colpita dalla scena, né intimidita, nessuna delle due aveva perso lo sguardo sull’altra.
“Parlavi da sola prima?” chiese Nadia con tono intimidatorio, faceva paura, faceva dannatamente paura, coperta di graffi e con le occhiaia viola attorno agli occhi. Monica la temeva, era l’unica che veramente temeva dei partecipanti, era misteriosa, fredda, violenta, la conosceva per il quidditch dove era un mostro da battaglia che non esitava a scagliare le cercatrici avversarie giù dalle scope e che distruggeva i bolidi con la sola forza delle braccia, inoltre la sua magie era un mistero ancora irrisolto, non frequentava le lezioni, non prendeva parte alle esercitazioni, ma in tutto questo era la prediletta del preside, era la migliore senza averlo mai dimostrato e la sua occasione era finalmente arrivata, non avrebbe perso nemmeno contro di lei, ma più che la sconfitta aveva paura della violenza di Nadia, aveva paura per la sua salute.
“Non ti deve interessare, e tu lo sai che esistono gli incantesimi per uccidere quei cosi?” chiese Monica che non perdeva mai il contatto con lei, non sapeva quando avrebbe colpito, ma sapeva sarebbe stato rapido e cinico.
“Sei una stupida se pensi che quel pezzo di legno ti potrebbe aiutare” replicò Nadia con Monica che aveva estratto la bacchetta. La ragazza sentì un frusciò di vento e prima di vedere i piedi di lei compiere un balzo mostruoso verso di lei ecco che la sua voce tuonò: “Impedimenta!” Nadia sembrò crollare sulla sue gambe quando il terreno di fece scosceso e iniziò a crollarle sotto i piedi, tuttavia lei si lasciò cadere sulle braccia e lungo il pendio iniziò a piroettare prima sulle braccia poi sulle gambe arrivando a sfiorare il viso di Monica con il ginocchio, colpo che l’altra riuscì a evitare con un tuffo, finendo bagnata nell’acqua. Monica capì che Nadia non aveva tutti i torti ad averla ammonita sull’inutilità della bacchetta, era troppo veloce, qualunque cosa fosse quella piccola bambina di quattordici anni, non era umano, era qualcosa di vorace. Il pugno di Nadia la raggiunse alla gamba e la sentì rompere da tanto provò dolore, prima di venire colpita anche allo stomaco, seguito dalla spalla e per finire bloccata a terra dalle cosce di lei che le si erano strette attorno al collo, con le ginocchia piantate duramente sul terreno. Prima che potesse anche solo provare a reagire ecco che Nadia aveva iniziato a stringere la presa sul suo collo, con il chiaro intento di strangolarla. Monica puntò la bacchetta, ma il braccio di Nadia la superò in rapidità e le schiacciò a terra il polso, rendendole impossibile spostare la mano o muovere le dita. I loro occhi si incrociarono e Monica vide nelle voragini scure dei suoi occhi qualcosa di davvero spaventoso, qualcosa che avrebbe potuto causarle incubi, vide dolore e non era dovuto alla stretta al collo, ma a quegli occhi voraci, sentiva come se davvero nella foresta fosse stato liberato un mostro che anelava alla vittoria come un lupo anela al cervo come cena.
“Clopin...ti prego..aiutami” sussurrò lei in preda alla paura più totale, sia perché la stretta si era fatta insopportabile e non sembrava intenzionata a diventare più morbida, sia perché sentiva davvero come se Nadia volesse e potesse veramente farla fuori, quello sguardo l’aveva già uccisa. In un improvviso schiocco di dita il braccio sinistro di Monica si scagliò con furia omicida verso il volto freddo e stoico di Nadia, con una potenza tale da sbattere la ragazza contro un albero, albero che si spezzo del tutto al contatto. Il fusto della pianta iniziò a cadere addosso a Nadia, che con forza e lucidità mostruose, lo sollevò con la sola forza del braccio destro, prima di scagliarlo contro Monica che, in piedi e in una posizione furiosa e inconsueta, fissava l’avversaria con rabbia, prima di schivare il colpo. Le sue spalle erano meno rilassate, più ingobbite quasi a seguire le braccia nude con i muscoli quasi gonfi e tesi che si chiudevano nei pugni chiusi e stretti, mentre il suo volto era contratto in un espressione di vendetta. Monica lanciò la bacchetta contro un albero e si scagliò contro Nadia che iniziò a schivare con confusione, sorpresa e quasi fatica, i pugni veloci e rapidi di Monica che sembrava anch’essa posseduta da qualcosa di innaturale, i pugni avevano una potenza superiore a quella di qualunque donna, superiore a quella di qualunque ragazzo maschio della sua età, sembravano sullo stesso livello. Monica incassò un calciò in pieno petto e tossì un grumo di sangue, prima di evitare il secondo pugno di Nadia e arrivando a centrarla con una testata in piena fronte, aprendole un taglio dal quale iniziò a scendere copioso liquido scarlatto. Nadia non riuscì a capacitarsi di questa mutazione violenta e potente di Monica che un gancio selvaggio la raggiunse in piena guancia, così potente da buttarla con forza a sbattere contro il pendio scosceso. Nadia batté la schiena con durezza contro una roccia, rimanendo con la faccia a terra e il corpo accasciato al suolo. Monica però non sembrava volersi fermare, sembrava veramente un’altra persona e si avvicinò a Nadia con il chiaro intento di rubarle il pezzo della scacchiera, tuttavia senza che lei potesse prevederlo Nadia la colpì con il tacco del piede sul mento facendola barcollare all’indietro. Poi, con gli occhi che avevano fisicamente assunto un colorito giallo ecco che Nadia si tolse i polsini che teneva sulle braccia e le fasce che teneva sulle tibie, lanciandole a terra. Al contatto con il terreno quegli indumenti lasciarono dei solchi profondi quanto le impronte di un drago e causando un grave e rumoroso tonfo, la ragazza si era appena liberata dei pesi che le impedivano di colpire con troppa forza gli avversari o gli animali, ma questa volta Monica ritornò in sé, quasi fosse stata colpita da un tornado per tutto il duello e fece in tempo a capire che il duello era terminato in quel momento. Non vide nemmeno la ragazza partire, aveva ancor davanti a sé, l’immagine dell’ultimo peso che dalla mano di lei cadeva pesante al suolo che si sentì girare la spalla, se non staccare, prima di perdere conoscenza nel ruscello.
“Che scarsa, Clopin, non trovi?”

La notte scese cupa e fredda sulla foresta, sancendo che anche il secondo giorno della prova stava per giungere al suo termine. La luna piena illuminava la poca neve che era riuscita a penetrare le fitte fronde delle conifere, rendendo il sottobosco uno spettrale campo santo, con fuochi fatui gelati che sembravano fungere da piccoli lumini di un sentiero. La bacchetta di Steven continuava a non funzionare e all’ennesimo “Lumus” fallito, la gettò per terra con noia, trattenendo la volgarità perché Rarity stava riposando accanto a lui. In due giorni non era riuscito a scagliare nemmeno un incantesimo, nessuna fattura l’aveva protetto dall’unicorno che senza l’intervento di Rarity l’avrebbe ucciso ed era stata sempre lei a proteggerlo dall’attacco di un gruppo di centauri teppisti lungo il torrente, mentre lui non aveva fatto altro che guardare, tremare di paura e venire colpito da uno zoccolo sul braccio, il livido cominciava a diventare viola, inoltre, un leggero mal di testa, che lo colpiva da giorni, iniziava a dargli sempre più fastidio e la cosa lo faceva arrabbiare sempre di più. Non sapeva cosa fosse successo alla bacchetta, non sapeva se fosse un suo problema, magari perché stressato per la storia con Annie o la per la presenza invadente della francese, o se magari fosse un problema della sua bacchetta, tuttavia, si sentiva inutile, senza speranza e il fatto di dipendere da lei lo metteva in soggezione, avrebbe sicuramente chiesto un tornaconto. In quel momento Rarity gli comparì davanti alla vista e andò ad alimentare un fuoco con degli arbusti proprio davanti a loro.
“Avevamo deciso che avrei fatto io la guardia” disse lui, troppo infreddolito e avvilito per prendere sonno.
“Non per essere villana, ma nelle tue condizioni non credo riusciresti a proteggermi” rispose lei, voltandosi verso di lui e cercando di mostrarsi cordiale.
“Io non ho nessun problema e so badare a me stesso, sto solo preservando le energie per i duelli finali” disse quindi lui.
“Fammi vedere la bacchetta” disse quindi lei e lui la fissò sgranando gli occhi, con il battito che aveva accelerato all’improvviso.
“Che c’è?” La mente deviata di lui iniziò un impercettibile viaggio nell’immaginazione, prima di tornare sulla terra con una sonora risata.
“Intendevi quella bacchetta, d’accordo”
“E di quale bacchetta pensavi? Ne hai solo una no? Non credo esistano maghi con più bacchette, o forse sì?” Steven scosse la testa confuso e consegnò la sua arma alla ragazza. Rarity agitò il polso e delle scintille fiammeggianti fuoriuscirono da essa, alimentando il timido fuocherello che li proteggeva, insieme a pesanti cappotti di lana, dal gelo.
“Credi che si possano dimenticare cinque anni di incantesimi in due giorni?” chiese lui, notando che effettivamente la bacchetta funzionava.
“E’ possibile? Non lo so mica io, darling, però ho sentito che ci sono incantesimi che fanno perdere la memoria, mi chiedo perché tu voglia dimenticare tutto però”
“Qui un incantesimo servirebbe per potenziare la tua memoria” mugugnò lui senza farsi sentire, notando quanto la ragazza fosse ottusa e di scarso aiuto, per quanto fosse una talentuosa maga, si chiese come avesse imparato la sua magia così elevata, iniziando a credere che fosse tutto per una ragione casuale.
“Dovremmo fare un piano per domani, il centro della foresta è poco più avanti, oltre il villaggio dei centauri che abbiamo costeggiato questa mattina, probabilmente saremo accolti da una ressa, una battaglia campale per gli ultimi pezzi, visto che servono a entrambi, sarebbe utile essere preparati” disse quindi lui e Rarity si sedette davanti a lui, con gli ampi occhi blu che lo fissavano come al solito, a metà tra il dispiaciuto e l’innamorato, anche se Steven li trovava soltanto incantevoli.
“Sai com’è fatto quel posto, io non sono di Hogwarts?” chiese quindi lei attenta.
“Al centro c’è un tempio celtico, in passato si facevano gare per chi fosse il primo a raggiungerlo, per quanto questa foresta sia proibita Harry di tassorosso l’ha setacciata tutta nei suoi sei anni qui e grazie a lui, siamo riusciti ad arrivare fin qui per primi, tuttavia il posto è un prato aperto ampio in cui tutti vedono tutti, quando arriveremo ci saranno altre persone e se uno entra nella zona, subito tutti lo vedrebbero” spiegò quindi lui, abbozzando un disegno sulla neve con un bastone.
“Per questo io credo che sarebbe utile muoversi nella notte, in modo da essere i primi a castare sulla zona incantesimi di protezione, in modo da conoscere chi e in che modo può avvicinarsi” Rarity annuì, ma subito dopo, scattò in piedi velocemente schiantando con un incantesimo una serpe immensa che scomparì come cenere. In un attimo si ritrovarono circondati da quattro enormi rettili lunghi più di sette metri, che strisciavano minacciosi verso di loro. Steven provò a lanciare una magia, ma ancora una volta fallì e la testa subì un’altra fitta dolorosa, sintomo che c’era veramente qualcosa che non andava
“Vipera Evanesca!” urlò Rarity verso un pitone, ma l’essere sembrò sbalzare l’incantesimo, emettendo un soffio sinistro verso la ragazza che reagì con terrore, portandosi schiena contro schiena con Steven.
“Hanno qualche incantesimo che protegge il loro corpo, sono sicuramente frutto di una magia” disse lei e alzò un potente incantesimo di fuoco che incenerì i due mostri all’istante. Steven schivò il morso violento di un serpente, ma venne colpito dall’altro con un testata allo stomaco, così potente da farlo cadere addosso a Rarity. La ragazza pietrificò il primo rettile, ma il secondo con silenzio disarmante le salì lungo la gamba, arrivando a stritolargliela velocemente.
“Expelliarmus!” esclamò una voce e la bacchetta della ragazza cadde qualche metro indietro. Il pitone bloccò la ragazza in una morsa mostruosa, tanto che il suo viso iniziava già a diventare viola per la pressione, mentre il rettile puntava a stringerle mortalmente il collo. Steven si alzò di scatto, correndo verso Rarity, ma si ritrovò subito dopo a terra, con il volto nella neve.
“Non pensavo che l’idea di scambio culturale tra nazionalità venisse tradotta così, ma a quanto pare non avete perso tempo, Accio pezzo della scacchiera!” disse Nikolay che comparve dall’oscurità con un sorriso sardonico sul viso e una grande nota di soddisfazione.
“Sono fatti in modo che quell’incantesimo non funzioni, microcefalo” replicò quindi Steven, subendo una sottile scossa di ripicca che il ragazzo russo gli scagliò contro.
“Taci, idiota, e dammi subito il pezzo che mi serve, altrimenti, spremo la ragazza, anche se sarebbe uno spreco, non mi faccio intenerire da una inutile donna” disse quindi lui e il pitone iniziò a stringersi con più forte, Rarity iniziò a piangere, mentre la voce iniziava ad andarle via. Steven si alzò nuovamente e un altro schiantesimo lo scagliò contro un albero, con Nikolay che rinnovava la minaccia, soddisfatto della sua vittoria. Il ragazzo di grifondoro sfruttò l’oscurità della notte per prendere dalla tasca una fiala dal liquido trasparente che bevve tutto d’un fiato senza pensarci. In quel momento le parole di Nikolay svanirono dal suo campo uditivo, così come l’immagine di Rarity, si trovò seduto su un trono dorato, intorno a lui nuvole rosee fluttuavano nel cielo, una musica angelica proveniva alle sue spalle e notò di stare indossando un abito greco con filamenti in oro e lino.
“Vuole altro vino, padrone?” chiese una voce femminile che ricordava molto fastidiosa e che invece ora sembrava soave e dolce come una tisana benedetta. Steven si voltò e vide Trixie che vestiva un chitone candido, con ampi occhi verdi e capelli biondo acceso e che gli sorrideva sincera, non sembrava lei.
“Vuole che le sistemi il cuscino, padrone?” Alla sua sinistra Rarity non meno angelica di Trixie teneva un morbido cuscino tra le mani, mentre i suoi occhi facevano fremere e tremare il suo corpo, per quanto fossero seducenti. Davanti ai suoi occhi comparve un grappolo d’uva e d’istinto ne mangiò un acino, dietro di lui Annie che non aveva mai visto in abiti così femminili gli porgeva il frutto con intervalli regolari. Il suo cuore iniziò a palpitare, il suo viso si inarcò in un sorriso eccitato ed esaltato allo stesso tempo, mentre i suoi occhi spalancati ruotavano tra ognuna di quelle quatto figure angeliche e il suo corpo provava un vigore mai visto prima, poi una schiera di donne comparve al di sotto del suo trono, come un harem paradisiaco e lui riconobbe tutte le ragazze più belle della scuola. Persino Pam risultava meravigliosa tra quella schiera, con i capelli pettinati, qualche linea di trucco e sopratutto con qualche dose in più di sapone, sentì il suo ego volare in alto come su un razzo spaziale, quelle donne volevano lui, si sentiva invincibile, imbattibile, si sentiva fortissimo, non era mai stato così potente, regale e maestoso allo stesso tempo.
“Hai visto che la pozione che hai imparato ti sarebbe servita, Steven?” chiese una voce di donna così sensuale da farlo diventare rosso istantaneamente.
“Sì! Sono io Steven” replicò lui con voce sommessa e vide Samantha Indoh, la professoressa di pozioni che gli massaggiava la schiena. Poi Rarity comparve tra loro e gli diede una sberla.
“Ehi! Ma che ho fatto di male?!”
“Dio, mi fai paura, ti prego svegliati, oh mio dio! Non voglio che tu muoia” replicò lei e la vide in lacrime, coperta di fango e vestita di un pesante cappotto, ritornò alla realtà e si trovò di nuovo nella foresta proibita, sembrava come se avesse perso conoscenza per diversi minuti.
“Io...Rarity? Che cosa mi è successo? Dove sono le succubi? Come hai osato svegliarmi da quel mondo lussurioso e...”
“Wow! E che mondo era? Posso venire anche io?” Steven si guardò intorno e vide la carcassa di un rettile accanto a loro, con Nikolay che giaceva svenuto contro un albero con il naso rotte e un rivolo di sangue che gli scendeva dalla narice, era davvero ritornato alla realtà e quello di prima era stato solo un sogno ad occhi aperti. Si portò la mano alla tasca e si ricordò che era ricorso alla sua arma segreta, sfruttando la sua innata abilità per le pozioni, unica materia sufficiente a causa della presenza di Samantha che riusciva a motivare il suo studio.
“Non preoccuparti, Rarity, ho sole bevuto della Felix Felicis e credo che la mia mente si leggermente andata a viole” disse lui, imbarazzato.
“A viole? Wow e dove si trova questa città? E’ bella?”
“Sì...meravigliosa, che cosa ho fatto?”
“Ti sei alzato e ti sei scagliato contro di lui, tirandogli un pugno sul naso, prima di liberarmi dal serpente, è stato magnifico e il tuo corpo ha resistito a ben tre schiantesimi” rispose lei estatica e con gli occhi a forma di cuore.
“Felix Felicis...Una pozione che esalta la mente, proiettando abilità istintive ed esaltando i riflessi, probabilmente ho schivato gli incantesimi, pazzesco” disse lui fra sé e sé. Rarity tirò quindi fuori la regina bianca di Nikolay ed esclamò gioiosa:
“Ce l’hai fatta, mi hai portato una regina, ora sarà mio compito trovare un re per te, così potrò davvero sdebitarmi” disse lei, abbracciando il ragazzo, prima di tornare con imbarazzo indietro, arrossendo e vergognandosi.
“Mi hai salvato la vita, tre volte con oggi, non credo che una regina basti a sdebitarmi”
“Sono io che ho fatto infuriare, Annie, finché non tornerete insieme io non potrò che vergognarmi di me stessa, almeno però potrò aiutarti nel torneo, non trovi che sia giusto?” disse quindi lei e il suo morale le crollò addosso, era una cosa che non avrebbe mai voluto dire, ma che ora sentiva davvero fosse la cosa giusta da fare. Rarity aveva gli occhi chiusi e si sentì baciare le labbra, un bacio leggero e fugace, Steven l’aveva baciata e si sentì sciogliersi dentro. Lui si alzò di scatto, completamente in mano al proprio istinto che l’aveva baciata, senza lasciarle il tempo di replicare e senza lasciare il tempo a lui di pensarci su. Rarity spalancò gli occhi.
“Sei ancora sotto effetto di quella pozione, vero?”
“Oh...beh...sì! Non mi è ancora passato e ti conviene starmi lontana in questo caso” mentì lui, ben consapevole che quanto successo, non fosse certo colpa della pozione. Rarity si voltò e tra le lacrime spalancò un sorriso di felicità immensa, si sentì anche lei sotto l’effetto della felix felicis.

“Pensavo che i vampiri fossero ben più forti di questo patetica scena che sto osservando” esclamò Trixie ridendo di gusto e tirando un calcio alla neve che raggiunse Elspeth in pieno volto, cosa che le fece assumere uno sguardo furibondo. La vampira barcollò su sé stessa, prima di mettersi in una corretta posizione, fissando la ragazza dagli occhi completamente neri che aveva davanti.
“Tra tutti quelli che potevo trovare qui, ho beccato l’unico insetto che non conosco, ma ci tengo a farti sapere che non voglio guai, quindi sparisci, prima di costringermi a farti fuori” disse quindi Trixie mostrando il suo classico aspetto scontroso e allo stesso tempo arrogante.
“Bambina, modera il tono, stai parlando con una vampira ultra-centenaria, perciò vacci piano, perché potresti pentirtene, nonostante sia parecchio stanca in questo momento” replicò Elspeth boccheggiando assetata, non era riuscita a trovare fonte di sangue umano per tutto il giorno e proprio mentre era riuscita a stanare un unicorno era stata fermata da questa spocchiosa ragazzina, in questo modo non sarebbe riuscita a riprendere le forze dallo scontro che aveva avuto nel pomeriggio, che aveva provato il suo fisico arrugginito fino al limite.
“Una vecchia? E’ questo che sei? No, penso che tu sia un secchio dell’immondizia, uno scarto da buttare, ti conviene implorarmi in ginocchio se desideri sopravvivere” disse quindi Trixie che aveva la bacchetta in pugno e uno sguardo quasi sadico con gli occhi neri che non ricordavano lontanamente le sue belle pupille smeraldine, nei suoi occhi era riflesso il male puro, persino un mostro come Elspeth si sentiva condizionata e pensò seriamente che fosse necessario smorzare il tono della discussione, quella Trixie non era affatto male e la trovava pericolosa.
“Perdonami se ho provato a morderti” disse quindi Elspeth mostrando un sorriso finto teatralmente orribile.
“Risparmia la tragedia greca, sei un pipistrello succhia-sangue è naturale. Ma ti dirò che non intendo ucciderti questa notte, dato che, qualsiasi sia il motivo per cui tu sia qui, non mi dispiacerebbe sapere che un mostro del tuo calibro si aggira nella foresta, insieme a schifezze come di Steven Lineker o Gienah Pheles” disse quindi lei e Elspeth la fissò attenta e concentrata. Le due avevano combattuto per qualche minuto, fino a quando Trixie non aveva sradicato una abete con la magia di levitazione, rompendole la caviglia e rendendo difficili i movimenti della vampira, già compromessi dalla tremenda stanchezza e dalla sete.
“Forse però, il motivo che mi porta qui potrebbe interessarti” disse quindi Elspeth.
“Quali affari schifosi può avere in Scozia uno schifo vivente come te?” “Affari che riguardano la pietra della resurrezione forse?” Trixie sbiancò e si sentì cadere, il suo volto venne impossessato dalla rabbia e si ritrovò a dover forse condividere la stessa missione di Elspeth, la situazione iniziò a spaventarla e odiava perdere il controllo, era una cosa che l’abitudine non le aveva insegnato a sopportare, in più il suo padrone le aveva chiesto di trovarla, ed era stato molto chiaro sul suo compito, ma non poteva setacciare tutto il bosco, stava fallendo il suo compito.
“E tu che ne sai, pezzente?” chiese Trixie con voce rabbiosa e nevrotica. Elspeth si schiarì la voce e iniziò a imitare la serpeverde con tono stridulo e fastidioso: “Dannazione! Che idiota che sei, Trixie! Di questo passo non troverò mai la pietra della resurrezione. Parli da sola, lo sai?”
“Lo faccio per concentrarmi meglio” replicò Trixie imbarazzata e contrariata dal fatto che questa sconosciuta sapesse il suo segreto.
“E comunque, in che modo potresti mai aiutarmi? Non so chi tu sia e tu non sai chi sono, né perché mi trovi qui, perché mai dovrei fare un patto con te, sei ferita, disgustosa e potrei semplicemente voltarmi e andarmene” continuò la ragazza bionda che sudava di nervosismo, con la bacchetta puntata verso Elspeth che, invece, sembrava a proprio agio.
“Perché si dà il caso che anche io stia cercando uno dei doni della morte” disse quindi la donna, ma Trixie reagì con confusione.
“Non sai di cosa parlo?”
“Certo che so di cosa parli! Io so qualsiasi cosa, non per questo sono la migliore studente di Hogwarts, non prendermi per una perdente e mostrami rispetto, biscia!” Elspeth roteò le iridi.
“I doni della morte sono tre: Bacchetta di sambuco, mantello dell’invisibilità e pietra della resurrezione e, per fartela breve, un tempo tutti volevano possederli, diventando il signore della morte, il mago imbattibile che avrebbe ottenuto il potere necessario persino per sfuggire alla morte stessa, entrando nella leggenda”
“Tutte cose che sapevo già...” mentì l’altra.
“Io voglio solo recuperare la bacchetta di sambuco, che so trovarsi nella tomba di un certo Albus Silente, ma si dà il caso che in passato io abbia posseduto non solo la bacchetta, ma anche la pietra e che quindi io sia indissolubilmente legata ad essa, riesco a percepire la sua presenza” Trixie spalancò gli occhi confusa e si fece attenta rispetto a quello che Elspeth stava per dirle, non accorgendosi che da sotto la gonna la bacchetta di Elspeth iniziava ad emanare un alone verdastro acceso e i suoi occhi rossi si tingevano di sangue. Trixie sentì come un frusciò scuoterle la testa e i capelli, poi una figura minuta e più bassa di lei le comparve alle spalle e colpì con un violento calcio Elspeth, che volò oltre un cespuglio nel folto della foresta. Una ragazza con i vestiti stracciati, le gambe e le braccia piene di graffi e i capelli raccolti in una coda si ergeva davanti a lei, piccola, sottile, ma con intorno un’aura minacciosa. Nadia non si voltò nemmeno.
“Non dovresti essere qui” le disse la ragazza rumena, con tono freddo e superiore.
“C-c-c-come ha-a-a-ai fatto?” balbettò Trixie terrorizzata.
“E’ tutto il giorno che mi sfuggi, mostro, ma adesso ti farò pentire di aver scelto questo bosco per ammazzare ragazzine. Non credere che fosse così debole perché tu la battessi, lotto con lei da questa mattina” disse quindi Nadia e aggiunse: “Qualche chilometro a est c’è il lago, da lì forse non ti vedranno uscire e non sarai espulsa, la prossima volta che ti vedo, ti porto via con me” Nadia scattò verso la coltre ombrosa dei cespugli, lasciando Trixie tremante e spaventata come un cervo illuminato dai fari, ringraziò il fato di non aver ricevuto in pieno lei quel calcio.


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Capitolo 13
*** Hermione Granger ***


Hermione Granger

 

 

Hermione aspettava con ansia di prendere posto nelle file del tribunale, l’attesa era stata talmente snervante e stressante che non sapeva per quanto tempo fosse rimasta chiusa dentro il bagno. Aveva una brutta, anzi bruttissima, sensazione e si sentiva lacerare e tormentare dall’interno quasi che ogni suo organo stesse tremando al solo pensiero di mettere piede in quel tribunale. Non sapeva se questo sua improvvisa tensione e forte paura fosse dovuta alla paranoia che nelle ultime settimane aveva ormai preso alloggio fisso nei suoi pensieri, tuttavia aveva la percezione che in quella precisa riunione del Wizengamot sarebbe accaduto qualcosa di grosso e si sentiva completamente impreparata ad affrontare un processo giudiziale in un momento come quello. Non aveva ancora ricevuto notizie da Harry, che a quanto sapeva si era immischiato in qualcosa di pericoloso con le Colombe Rosse e la cosa non la teneva certo tranquilla, non che potesse pensare che a Harry fosse capitato qualcosa di brutto, ma la sicurezza e la fiducia in sé stessa che aveva guadagnato in quei primi anni di brillante carriera al ministero, sembravano crollate nel giro di pochi giorni come un castello di carte. Si sentiva debole e fragile come un fuscello al vento, piccola, inesperta, troppo giovane e troppo presuntuosa, si sentiva in tutto e per tutto inadeguata e da quando aveva subito la prima sconfitta in sede di tribunale parlamentare, davvero pensava che le cose che sarebbero successe di lì a quel giorno sarebbero state colpa sua. Non si sentiva adatta per il ruolo che le aveva conferito il ministro Shacklebot, non si sentiva in grado di guidare un partito e da quando il vento aveva iniziato a soffiare verso sinistra non era riuscita a imboccarsi le maniche per fronteggiare il nemico, aveva a mano a mano perso il controllo dei suoi sentimenti, aveva perso fiducia e probabilmente aveva perso membri del suo stesso partito e la cosa la contorceva dall’interno, tutti le dicevano che era il miglior elemento che il ministero della magia potesse trovare da almeno cinquant’anni, ma non era di lusinghe che aveva bisogno, aveva bisogno di coraggio e l’unico che poteva darle coraggio quello era Harry, il suo migliore amico, che le aveva proposto di uscire da un momento di smarrimento e paura insieme, ora, in quel momento, si sentiva solo sola e pronta a essere sbranata da quelle bestie delle colombe rosse che sapeva avrebbero agito in quel momento, se lo sentiva. Ora si trovava seduta sulla latrina fredda, con le mani a cingerle la nuca, mentre dentro la sua testa non sentiva altro che vuoto, e un senso di paura che le stringeva lo stomaco e le faceva venir voglia di vomitare, ficcarsi due dita in gola e scappare via da quel bagno e quel tribunale, non voleva mettere i piedi in una seconda sconfitta e si sentiva già il latte alle ginocchia dalla paura. Non si ricordò con che forza riuscì ad alzarsi dal cesso e uscire da quel gabinetto, ma ricordava il viso pallido che l’accolse quando il suo sguardo incontrò lo specchio, sembrava davvero che nel giro di settimane non solo la vita le fosse crollata addosso, ma anche la sua intera salute. La porta si aprì all’improvviso e questo le portò il cuore alla gola, sopratutto quando vide davanti a sé gli occhi scuri, quasi granata, di Glimmer. Hermione non la considerava né un politico, né un dipendente del ministero, né un membro del tribunale o del parlamento magico, l’unica cosa che lei pensava di Glimmer era che fosse una fanatica pericolosa, una criminale da internare nei peggiori istituti e che per via della netta maggioranza che ora possedeva il partito di Coleridge, risultava intoccata, nonostante tutti sapessero che quella che avevano davanti fosse una terrorista. Vedersela comparire davanti agli occhi, fu per lei una brutta sorpresa, sicuramente provava un forte senso di rivalità e rabbia nel vederla ancora a piede libero invece che in un carcere di sicurezza, ma ancora di più la terrorizzava che una delle sue avversarie fosse tranquilla, pacata, sicura di sé, mentre invece lei non aveva ancora finito di cadere nel baratro. “Ti vedo sciupata, Granger” disse Glimmer pulendosi con un fazzoletto bagnato la fronte, mentre si era tranquillamente posizionata davanti allo specchio accanto a quello di Hermione. Non avevano mai parlato e la cosa che la faceva imbestialire era che quella criminale le parlasse come se fossero colleghe, facendo finta che non fossero nemiche. “Non vedo perché ti debba interessare, Glimmer, interessati ai tuoi di grandi elettori, non a quelli degli altri” replicò secca Hermione, acida. Glimmer intanto aveva tolto da una borsetta l’imponente e ricca uniforme da membro del tribunale magico, piegata nella borsa con un incantesimo per aumentarne all’infinito il contenuto, con tanto di appendiabiti e senza degnarsi di chiedere ad Hermione il permesso si era tolta un maglione rosso e si era mostrata ad Hermione con il busto nudo. Hermione sgranò gli occhi con sdegno, prima di volgere lo sguardo altrove. “Se continuate a pensarla così non cambierete mai le cose, se continuate a pensare ai vostri parlamentari, non farete altro che perderli, se foste dei veri progressisti lo avreste già capito” disse quindi Glimmer, mentre anche la gonna scivolava via dal suo corpo, lasciandola completamente nuda. “Come osi dire che il mio partito è un partito conservatore!? Da quando il ministro è al governo sono passate più riforme che in tutta la storia della magia, tu potrai anche dire queste cose in campagna elettorale ma la verità è tutta un’altra questione” replicò quindi con rabbia e nervosismo Hermione, mentre cercava di non volgere lo sguardo al corpo nudo della nemica politica. “Tu sei stata troppo sui libri” disse quindi Glimmer indossando la tunica per la seduta “Siamo sempre in campagna elettorale, non si è mai troppo stanchi per prendere fiato, ti auguro una buona seduta” Senza che Hermione potesse ribattere e con la stessa naturalezza con cui era entrata e persino cambiata, Glimmer uscì dal bagno delle donne, lasciando Hermione nella solitudine, si sentiva svenire.

L’aula del tribunale, che era la stessa in cui si riunivano le riunioni parlamentari era gremita, come uno stadio, prima ancora che cominciasse la seduta, un assillante vociare aveva accompagnato le tribune, tutti sembravano in trepida attesa di una riunione che era da molti sentita come una riunione politica di svolta. Tra i molti problemi di questo governo a tempo indeterminato c’era il fatto che le cariche si trovavano in una posizione di costante disequilibrio, molti movimenti volevano che il ministro e le altre importanti cariche dello stato, mai state elette, venissero sostituite tramite regolari elezioni, tuttavia Kingsley aveva sempre mantenuto il potere con una schiacciante maggioranza all’interno del Wizengamot senza porsi il problema che il sistema potesse ribaltarsi. La situazione ora per il partito che aveva con Hermione, la rappresentante del ministro stesso, era completamente diversa e il parlamento aveva una percentuale nettamente diversa e ben più drammatica, la coalizione guidata da Coleridge aveva la maggioranza e per un anno intero nessuna proposta del ministero e del governo magico era riuscita a superare la barriera del parlamento a tal punto che si era arrivata alla scadenza per la carica di giudice supremo del tribunale che sarebbe stata discussa ad elezione in quel medesimo istante. L’elezione ministeriale era ancora salva, ma Kingsley non poteva evitare di venire sollevato dall’incarico di giudice supremo, visto che egli deve ricevere la fiducia dal tribunale ogni due anni per continuare a esercitare le sue funzioni, la fiducia era svanita da tempo. Hermione fissava dal lato dove Glimmer aveva serenamente preso posto a sedere, conversando allegramente con altri membri del tribunale intorno a lei e per la prima volta nella sua vita provò invidia atroce nei suoi confronti, una percentuale quasi integrale del tribunale la riteneva una terrorista, il suo partito rispettava in maniera molto fragile i regolamenti che gli permettevano di esistere senza essere perseguitato dalla legge, eppure, affrontava il tribunale con tutta la naturalezza del mondo, allo stesso modo di come non provasse vergogna a spogliarsi davanti ad una sconosciuta, non aveva niente da nascondere, non provava paura e sopratutto era così sicura di sé da permettersi addirittura di fare la morale ad Hermione che era stata selezionata tra tutti i candidati, ai tempi delle selezioni ministeriali, come un’eccellenza assoluta. Glimmer per lei era inaccettabile, non c’erano parole diverse o distinte per descriverla, non sarebbe dovuta essere una politica, non sarebbe dovuta essere in quella stanza, sarebbe dovuta essere in una prigione, ma la verità era che Glimmer vinceva, mentre Hermione Granger stava perdendo e di questo ne era ben consapevole. Quando il sommo giudice del Wizengamot entrò in aula e tutti i parlamentari si alzarono, Hermione rimase seduta per qualche secondo, coperta dalla schiera che aveva appena mostrato il saluto, alzandosi in piedi, poi sentendosi osservata dai suoi elettori si alzò frastornata, osservando Kingsley che con un gesto della mano richiamava i parlamentari a sedersi. Kingsley Shacklebot, imponente, dalla pelle scura e con la barba bianca che iniziava ad abitare il suo viso, si mostrava davanti al tribunale più stanco del solito, consapevole che di lì a poche ore il giudice supremo sarebbe stato un laburista, forse Coleridge stesso. Kingsley diede uno sguardo amichevole a Hermione che reagì però come una rana infreddolita, poi si portò la bacchetta alla gola per amplificare il suono della sua voce.

“Signori parlamentari del tribunale ministeriale del Wizengamot, vi do il benvenuto a questa nuova seduta. E’ mio compito, prima di discutere l’agenda odierna, aprire la seduta numero 768432 della storia del nostro Ministero della Magia. Rinnovo il mio benvenuto e lascio la parola alla presidentessa dell’alto castello, Lara Tindall, incaricata, come ogni sessione primaria, di elencare i punti in programma dell’agenda di questa udienza” disse con voce ferrea, ma stanca e quasi spossata il vecchio giudice. Dai banchi paralleli, posizionati sotto il palco sopraelevato del giudice una piccola ragazza dai capelli color carota, si alzò in piedi, tra le mani un lungo foglio di pergamena, ma appena iniziò a pronunciare la prima sillaba dell’agenda ecco che si sentì un forte rumore sordo, poi un colpo d’aria accarezzò i capelli dei presenti, infine Tristan Coleridge apparve dal niente al centro del tribunale, smaterializzandosi al suo interno tra lo stupore generale, non era possibile smaterializzarsi nel ministero della magia, tanto meno nella sala principale del tribunale parlamentare. Dai banchi si levarono dei mugugni e la sala si trasformò in un bar, mentre Coleridge, vestito di tutto punto dell’uniforme parlamentare si osservava intorno serenamente. Il martello del giudice echeggiò e venne fatto silenzio.

“Signor Coleridge, non è possibile smaterializzarsi nel ministero e quello da lei commesso, è un comportamento inaccettabile!”

“Non mi sono smaterializzato” replicò Coleridge senza chiedere il permesso di parlare, tra i banchi sempre ligi al regolamento del tribunale si alzarono altri commenti. Coleridge alzò il braccio per mostrare nella mano destra un piccolo pomo di ottone, in modo che tutti potessero vederlo.

“Il regolamento non segnalava invece la presenza di una Passaporta però e io ora mi trovo qui per discutere di questa sessione parlamentare, come compete al mio ruolo, chiedo dunque il permesso di sedermi ai banchi, anche per via del fatto che non mi è stato possibile usare ulteriore mezzo per giungere qui, essendo impegnato al Torneo Tremaghi” Hermione Granger alzò con forza la mano, il viso pallido, ma con espressione combattiva sul viso, quello era un affronto al regolamento che non poteva contemplare.

“La signorina Granger può parlare” disse la ragazza dai capelli arancioni, Lara.

“A me non interessa quali siano le ragioni del signor Coleridge, quello che mi interessa è che questo tribunale millenario possiede delle leggi e dei regolamenti che vengono rispettati da politici d’onore ogni giorno, come sono stati rispettati per tutta la sua storia. Il comportamento che abbiamo tutti visto qui è inaccettabile per la corretta condotta di una sessione plenaria e dunque penso che il signor Coleridge non debba essere autorizzato a partecipare a questa riunione, perché completamente disinteressato alla condotta che un politico di mestiere dovrebbe mantenere”

“Un politico di mestiere, come dice lei, è un politico che fa qualsiasi cosa per lavorare quotidianamente per il suo partito, ma anche e sopratutto per l’intera comunità magica. Il fatto che io abbia rischiato di infrangere una regola per essere qui e lavorare per il mio paese anche da una trasferta, per me è un attributo di coraggio che va oltre i regolamenti su qualche antica pergamena” replicò Coleridge ancora una volta senza chiedere il permesso di parola. Hermione lo incenerì con lo sguardo e alzò la mano.

“La signorina Glimmer può parlare” disse la pel di carota e Hermione diventò viola di rabbia.

“Penso che fossilizzarci su questa questione sia irrilevante e senza un fine logico. Il signor Coleridge non ha infranto una legge magica e la presenza di una passaporta in quest’aula non era contemplata da noi, come non lo era dalle leggi di questo luogo, per quanto sia di mia competenza, chiedo come in qualsiasi situazione che il Wizengamot risponda alla questione con una votazione democratica” La presidentessa dell’alto castello guardò dunque Hermione, ma questa le fece capire di non voler più ribattere all’avversaria, andare contro il principio democratico sarebbe stato pericoloso, Glimmer l’aveva ancora una volta schiaffeggiata davanti a tutti.

“Che si proceda con una votazione plenaria” disse dunque Kingsley nervoso. Hermione si sentì svenire quando vide le mani alzarsi, la maggioranza che Coleridge aveva il parlamento era diventata schiacciante, sentiva quasi che solo la sua schiera fidata le fosse vicino. Hermione osservò il volto di Coleridge arricciarsi vincente e si rese conto che non avrebbe avuto potere per fermare quello che sarebbe successo. La presidentessa venne invitata a continuare a leggere l’agenda, ma un uomo seduto nei primi banchi alzò la mano per chiedere la parola e fu ancora una volta accolto. “Un saluto a tutti i miei colleghi parlamentari” esordì e Hermione riconobbe fosse un laburista di Coleridge “So bene che l’agenda viene sempre rispettata perché stilata in sessioni ad hoc, per quel preciso scopo, dunque il mio intervento non intende minare il valore delle istituzioni, ma il regolamento dice chiaramente che prima del programma giornaliero i parlamentari possono proporre delle disposizione che possano rimandare o modificare il contenuto in esame, io dunque, come parlamentare chiedo ora che venga posta in esame al tribunale una richiesta di sfiducia nei confronti del ministro Kingsley Shacklebot” Clamore si levò dall’aula, e un vociare ben poco sommesso, simile a gracchio di gabbiani si fece intenso. Tutti si guardarono sconvolti, ma Hermione invece rimase tranquilla, consapevole che le sue paure si sarebbero avverate in quel giorno, almeno sarebbe caduta nel baratro con una faccia pulita, ma davanti a sé vedeva solo la fine della sua carriera politica.

 

 

Improvvisamente si sentì soffocare, provò ad aprire gli occhi, ma la vista fu subito opaca e gli occhi iniziarono immediatamente a bruciare, non ci volle molto per capire che si trovava dal nulla in acqua. Con bracciate rabbiose tento di raggiungere la superficie e quando si ritrovò a respirare aria, bagnato, il suo cuore trovò respiro e calma. Allock si guardò intorno circospetto e si rese conto che si trovava dentro un piccolo laghetto, intorno a lui alberi e un panorama montano, neve e ghiaccio ovunque e il cielo nuvoloso, non era più in quella cloaca buia. Si rese conto immediatamente che gli era sfuggito qualcosa, poi colto da un improvvisa fitta alla testa si accorse che in quel lago non sarebbe dovuto essere solo e senza nemmeno prendere fiato si inabissò in acqua, dopotutto era stato bagnino a Montecarlo per diversi anni e senza il master in nuoto magico non avrebbe mai guadagnato l’Ordine di Merlino Terza Classe. Con velocità eseguì un incantesimo testa-bolla e con la vista di nuovo forte osservò il corpo esanime che stava lentamente andando a fondo. Allock diede sfogo alla sua forza fisica ormai latente e con forti colpi di gambe raggiunse Lazuli che sembrava morta, con un incantesimo bombarda maxima si diede una spinta rapida verso il terreno e uscì dal lago con un esplosione in un geyser di acqua. “Arresto momentum!” urlò spaventato il mago e con Lazuli tra le braccia si adagiò con calma sull’erba delle rive del lago. Subito l’uomo la mise sdraiata, constatando che non stava respirando e ironico pensò che fossero stati creati per combattere ed uccidere, ma che non sapessero nuotare, come robottini difettosi. Allock diede quindi sfogo a tutta la sua maestria magica, impugnò la bacchetta e recitò, puntandola al suo pugno: “Spark militum!” Il pugno fu scosso da una forte dose di energia elettrica e immediatamente sentì un dolore che lo raggiunse a tutto il corpo, ma con un ghigno sofferente non si diede per vinto e resistette in maniera sufficiente per colpire con un pugno il petto della ragazza. Una scarica elettrica raggiunse il suo corpo e la ragazza si risvegliò immediatamente di soprassalto rigurgitando un quantitativo non indifferente di acqua e ritrovandosi davanti un Allock con i capelli biondi e folti sparati verso l’alto, elettrificato dal suo stesso incantesimo. Allock era impegnato a constatare che il suo stile fosse indecente, lontano dallo charm impeccabile di sempre e davvero impresentabile persino per la sua personale vista, ma mentre lui si guardava sofferente Lazuli, ripresa cosciente mostrava un viso così inconsueto che se Allock avesse prestato attenzione sarebbe rimasto senza parole, la giovane donna stava sorridendo e i suoi occhi lucidi esprimevano gratitudine, mentre guardava il volto dell’uomo che le aveva salvato la vita senza che ne fosse obbligato. Questo strano e primo flusso di emozioni però finì in meno di un battito di ciglia quando davanti ai suoi occhi non aveva più la cloaca di Diagon Alley, ma uno splendido paradiso montano e sopratutto che accanto a lei e a Gilderoy non ci fosse suo fratello Lapis. La memoria fu rapida a ritornare e riascoltò nelle sue memorie le urla del fratello mentre veniva inghiottito da un mostruoso fascio di ombre, per scomparire poi per sempre. L’immagine del volto terrorizzato del fratello sarebbe stata l’ultima immagine che si sarebbe ricordata di lui, mentre quel bambino mostruoso l’aveva ingoiato senza dargli nemmeno il tempo di difendersi. Lazuli non sapeva se il quel momento stesse provando tristezza e angoscia nel pensare suo fratello scomparso forse per sempre, non si sentiva creata per provare quel genere di cose, lei era un omuncolo e questo era sufficiente per darle una definizione, era un essere umano artificiale, creato dalla magia alchemica per servire gli uomini, non per provare amore o altre emozioni, ma sicuramente percepiva dentro il suo freddo cuore artefatto di provare una rabbia devastante, avrebbe vendicato il fratello questo era sicuro. Si chiese anche se quella fosse una sua volontà, aveva una volontà? Per la prima volta nella sua vita si chiese se desiderasse davvero qualcosa, aveva provato per tutta la sua finora breve esistenza a volere, ma non ci era mai riuscita, aveva provato a bramare dei gioielli come una donna vera, ma quando li aveva rubati non le avevano dato nulla, aveva provato a vestire elegante, ma quando aveva trovato gli abiti migliori questi non le avevano fatto provare nulla. In poche settimane non aveva mai avuto né il tempo né la voglia per meditare su cosa fosse, se fosse un essere umano o un androide, o semplicemente un mezzo magico, non diverso da una bacchetta, ma quando sentiva chiaramente di stare provando qualcosa, che fosse rabbia o gratitudine, nella sua mente libera iniziava a diventare meno lucida e più pensierosa, situazioni che non sapeva nemmeno potessero esistere. Perdere suo fratello non le faceva male, ma non la lasciava indifferente, anche se non era stata progettata per avere una volontà, ora sapeva chiaramente che voleva sopravvivere, almeno fino a quando quel mostro non fosse morto, quell’essere di nome Mira, l’avrebbe braccata fino a quando il suo corpo non fosse scomparso nel suo.

“Dannazione! Sono orribile, tutta la lacca nei capelli andata a farsi friggere e non parliamo del mio abito! Questo era una serie limitata di Jean Faufon! Il più grande stilista magico della sua generazione! Ora è tutto perso, rovinato!”

“Sei orribile” replicò fredda con occhi taglianti Lazuli, ancora seduta con le mani alle ginocchia, fissando il vuoto dritto davanti a sé.

“Grazie. A volte protesti mostrare un po’ di empatia, signorina, rovinare vestiti come questi mi fanno considerare alla stregua di un criminale” Lazuli non rispose e continuò a guardare dritta davanti a sé, si erano smaterializzati in un posto che non conosceva per fuggire da quel mostro, senza Lapis, la fuga era stata inevitabile, Mira sembrava avere un bagaglio di poteri magici creati appositamente per distruggerli.

“Puoi stare tranquilla, Lazuli, stai certa che il più meraviglioso mago della sua generazione e del mondo occidentale, farà in modo che Lapis torni qui con noi; è una promessa di un gentiluomo, non una promessa qualsiasi”

“Lapis non tornerà” replicò fredda ancora una volta Lazuli “Chiunque sia quel Mira esiste per assorbirci, fare del nostro corpo il suo, Lapis non esiste più, c’è solo Mira adesso e il suo obiettivo è fare questo procedimento anche con me”

“Cosa?! Non esiste niente del genere nella magia tradizionale! Certo ci sono delle bizzarrie, ma un essere come lui non può esistere e te lo dice uno che di magia se ne intende, dopotutto sono Ordine di Merlino”

“Terza classe...” concluse lei e lo sguardo che gettò ad Allock era lo sguardo di una che sapeva quello che stava dicendo.

“E’ vero?” chiese dunque Allock ora più concentrato.

“Che cosa?”

“Quella cosa che vi avrei creati. Io non saprei nemmeno da dove iniziare con voi, sarò un grande stregone, ma non sono un eccellente alchimista e di omuncoli ne avrò sentito parlare una o due volte da qualche mago anziano, niente di più, mi sembra tutto così strano, come se mi mancasse la memoria...”

“Posso dirti quello che so io, prima era il buio, poi ho aperto gli occhi è ho visto la tua faccia, un secondo prima non esistevo, un secondo dopo ero viva. Non sono stata una bambina, o se così si chiamano quei piccoli mostri che portano in giro gli umani nella strada e sono stata sempre come ora e penso che potrei avere questa forma per l’eternità. Mi hai creata? Non ne ho la minima idea, non so nemmeno cosa sono”

“Ci deve essere una spiegazione, forse Radek ne sa qualcosa! Dopotutto io lavoro per lui da quando sono stato licenziato da Hogwarts, dio, io pensavo foste tipo suoi nipoti o dei famigli, una specie di servi”

“Che sia stato tu o Radek a darci la vita non importa, noi non desideriamo niente, io non desidero nulla, non voglio essere una principessa, né un astronauta, non ho fame, non desidero dolci o pizza, non amo lo sport e non desidero praticarlo, io sono solo capace di fare quello che mi viene chiesto, perché io non voglio fare proprio niente”

“E’ orribile! Ma tu sei qui no? Esisti, hai un corpo e sei sei sei una bellissima ragazza. Puoi fare quello che vuoi, basta che ti lasci andare, un idea ce l’avrei”

“Gilderoy non hai inquadrato la questione” disse lei, ma venne fermata dalla voce squillante di Allock.

“Se davvero dobbiamo scappare e combattere contro quel Mira, allora lo faremo a modo mio. Questo posto è un luogo che mi porta ricordi positivi, venivo qua a praticare uno sport babbano in inverno, ti insegnerò a sciare” Lazuli spalancò gli occhi quando Allock le strinse la mano per portarsela con sé lungo il pendio nevoso, per la prima volta le sue guance si fecero rossastre.

 

Lyra penzolava ormai al muro viscido da qualche minuto, si sentiva svenire e la sua vista era completamente appannata, si chiedeva come non fosse ancora morta dissanguata, davanti a sé c’era un alone di nebbia e ombre scure che si addensava, riusciva a percepire delle urla e dei gemiti, anche se la concentrazione per Lyra non era davvero delle migliori. La nebbia si diradò improvvisamente come un colpo di aria e apparve una figura nuova dove prima ce ne erano due distinte. Gli occhi di Lyra ritrovarono linfa e vita quando videro quel mostro, il primo step del suo piano era già fallito, vedendolo evolversi così velocemente si rese conto che se non fosse riuscita ad eliminare anche la ragazza, quel mostro avrebbe ottenuto la sua forma perfetta e, forse, per il mondo magico sarebbe stata la fine. Si ricordava bene l’immagine di massacro che era stata Hogwarts in quello che per lei era il passato, ma che in quella linea temporale sarebbe stato il futuro, sempre se lei non avesse eliminato l’omuncolo donna, Mira in quelle condizioni, pur devastante, non era in grado di eliminare l’intera forza magica di Hogwarts. Si ricordava bene perché era venuta in Inghilterra, spacciandosi per una studentessa di Durmstrang, anche se la scuola l’aveva finita tempo prima, ma quando sperava di braccare Radek, che per l’Oblansk era un criminale in fuga, un ricercato, non pensava certo che il dottore di Sofia avrebbe creato con se l’essere perfetto per la distruzione, lei da sola non sarebbe stata capace di eliminarlo, ma ora che conosceva il procedimento per bloccare la sua evoluzione, sentiva di poter davvero cambiare il futuro, tuttavia, Mira ora era cresciuto ad uno stadio giovanile, la sua forma adulta perfetta si sarebbe costruita in meno tempo di quanto potesse pensare, sempre se lei non fosse arrivata prima al collo di Lazuli. Davanti ai suoi occhi che vedevano il mondo a testa non c’era più il bambino di prima, lo stadio definibile come larvale della creatura, ma un giovane alto e spallato, non certo la bestia assettata di sangue che aveva visto in azione ad Hogwarts, ma senz’altro un mostro dall’aspetto ben più minaccioso di un lattante. I capelli ora erano biondi e lunghi, esaltati però verso l’alto, quasi fossero contro la forza di gravità, gli occhi rossi come rubini e sul volto angelico un sorriso estatico, inoltre sembrava interamente nudo se non che diverse porzioni del suo corpo fossero coperte da un liquame violaceo, quasi nero, simile a sangue, che sembrava avere vita propria, come se le ombre che era in grado di manovrare ora fossero la proiezione della sua pelle. Mira si guardò intorno circospetto per qualche minuto, si osservò i muscoli tirati, notando che non aveva più braccia e gambe di un bambino e che ora poteva usufruire del suo corpo anche per difendersi e offendere i suoi nemici. Sul suo viso si arricciò l’espressione della follia e si rese conto che la semiperfezione non gli sarebbe bastata a lungo, si sentiva imbattibile, fortissimo, devastante, ma bramava di scoprire cosa la perfezione sarebbe stata in grado di dargli. Il suo attimo di narcisistica contemplazione venne fermato dalla vista di quella carcassa che oscillava appesa alla parete, Lyra si sentì osservare dal male assoluto.

“Com’è la vista da là sotto?” chiese lui e percepì chiaramente eccitazione nel sentire una voce più adulta.

“Orribile, come lo era prima, perché la verità è che sei raccapricciante e io ti eliminerò”

“Non in quella posizione, in quella posizione non puoi fare proprio niente se non morire e ti giuro che io mi siederei qui e ti guarderei agonizzare fino alla morte per tutte le ore che ti serviranno, senza dire una parola”

“Puoi dire quel cazzo che ti pare, forse io di magia ne capisco proprio poco, ma tu non dovresti esistere né oggi né mai”

“Una razzista eh? Solo perché sono diverso da te, dovrei morire? Ci sono tante creature pericolose nel mondo magico e la maggior parte di queste viene protetta da leggi del ministero, persino le Acromantule, che sono veramente raccapriccianti. Ma penso che non sia questo il tuo punto di vista, tu mi vuoi morto perché mi reputi malvagio, vero? Allora hai tutta la ragione del mondo, perché desidero sterminare qualsiasi essere che striscia, corre o cammina su questo sudicio pianeta” replicò Mira e si inginocchiò per arrivare a guardarla negli occhi, anche se la sua testa era capovolta e la cresta rossa svolazzava nel vuoto.

“Sei un personaggio imbarazzante, uccidi senza uno scopo, creato dal nulla solo per desiderare sangue, sei noioso e non riesco a comprenderti”

“Dicevi di essere venuta qui dal futuro, dolcezza...Quindi sai quello che ho fatto, quello che desidero fare e quello che queste mani commetteranno, ma se cerchi di comprendermi, dovresti metterci più impegno” Lyra caricò uno sputo diretto alla sua faccia, ma essendo a testa in giù e poco lucida, finì con lo sputarsi sul naso, causando un sorriso maligno e divertito per Mira.

“Sei qui per uccidermi e a parte quel pezzo di carne bionda di mia sorella e quel deficiente di Allock sei anche l’unica che sa cosa sta per accadere alla Gran Bretagna, allora che ne dici se facciamo un gioco? Io non ti ammazzo, ma mi aspetto che tu cerchi di uccidermi con tutte le tue forze, altrimenti non sarebbe un gioco divertente no? Quindi vedi di non morire dissanguata e liberati da questo spadino, poi ti aspetto, vediamo chi ucciderà per primo quella troietta bionda”

“Hai fatto il più grande errore della tua vita” replicò Lyra in preda a crisi di svenimento.

“Anche tu venendo qui in Inghilterra” concluse Mira e il liquido con consistenza petrolifera sul corpo arrivò a coprirlo integralmente, trasformandolo in una massa umanoide nera, prima di scomparire come nebbia al vento.

 

 

Dopo essere passata davanti allo stesso muro per tre volte la piccola porta di legno nero comparve improvvisamente alla sua vista. I suoi splendidi occhi viola si posarono sul pomello in ottone dorato e con le mani delicate e davanti ai suoi occhi si aprì una buia e ricca di oggetti Stanza delle Necessità. Eris iniziò dunque a camminare tra quegli ammassi di apparente roba vecchia, passò accanto ad un orribile chimera impagliata, sulla sinistra vide un intera vetreria con gioielli per dame, probabilmente maledetti. Per un momento rischio di inciampare in una giratempo rotta rimasta per terra, quando ritrovò l’equilibrio si ritrovò davanti uno strato di stanza più ampio, richiuso tra una statua in marmo di Merlino e un manichino vestito di un polverosissimo e osceno cappotto. Quando sentì il suo cuore darle un forte colpo nel petto, colpo che sentì con forza anche nelle vene che si fecero sporgenti, fece un forte sospiro e appoggiò la schiena ad un gruppo di scatole. Non ricordava da quanto tempo soffrisse della presenza dell’Obscuriale nel suo corpo, sinceramente non riusciva proprio a ricordare il momento, o l’anno in cui aveva iniziato a essere malata, la sua infanzia era ricca di buchi bui in diversi punti e l’unica cosa che sapeva era che un giorno all’improvviso si era ricordata di poter diventare, dal niente, una macchina di distruzione. Eris ora era un’adolescente serena, seria, forse troppo fredda, anche se non dava colpa al mostro che la possedeva per avere un brutto carattere, ma sicuramente lo incolpava di essere una ragazzina solitaria, senza amici e senza passatempi. Da sola riusciva a controllare l’obscuriale, ormai lo percepiva fisicamente, le sue vene e le sue arterie iniziavano a pompare sangue, si ingrossavano, così come i muscoli, diventando una piccola macchina assassina, cosa che guardandosi allo specchio non la divertiva affatto, avere i bicipiti gonfi di veleno era una sensazione in primis dolorosa, ma anche atroce da osservare. Subito dopo il sangue le iniziava a pompare il cuore e l’organo iniziava a uscirle dal petto, ingrossandosi e pompando come una piccola granata scoppiettante, i polmoni si facevano dunque deboli e affaticati, il fiato mozzo e, per ultima, la sua pelle iniziava a colorarsi di lividi viola. Tuttavia da sola, riusciva a controllare questa deriva fisica e se riusciva a tranquillizzarsi, il potere magico dell’obscuriale non usciva, invece in gruppo raramente riusciva a concentrarsi e crisi devastanti potevano essere all’ordine del giorno, generando calamità per gli altri, ma anche causando la sua morte, visto che gli obscuriali erano ancora creature sulla cui testa pendeva la pena di morte del ministero e, nel caso in cui catturata, se non fossero riusciti a toglierle il mostro dal corpo, anche lei avrebbe fatto la stessa fine. Le vene rientrarono velocemente al loro posto e così i muscoli, ma ora davanti ai suoi occhi non era più sola, davanti c’era l’uomo che doveva incontrare.

“E’ sempre doloroso, Eris?” chiese l’uomo che aveva capelli biondi stempiati, barba rasata e ormai biancastra, occhi azzurri e forti, fisico in forma per la sua età, vestito interamente di abiti neri.

“Non mi piace fare la martire” rispose Eris seria e quasi avversa, non sembrava in vena di incontrare quell’uomo “Perché mi hai chiesto questo incontro? E perché sei qui a Hogwarts, sei un ricercato” disse lei con il battito del cuore che si faceva più aggressivo.

“Perché volevo vederti, la mia latitanza mi fa perdere di vista le cose importanti, e tu per me sei importante, lo sei sempre stata”

“Potevi scrivermi, se sei venuto qui non è solo per questo motivo, tu vuoi che io faccia qualcosa, credimi in un anno sono diventata più perspicace” disse Eris sempre in punta di fioretto, sembrava davvero molto più grande della sua età, non solo per l’aspetto maestoso e troppo bello per essere reale, ma anche perché il suo tono era davvero quello di una donna fatta e finita.

“Non ti posso nascondere nulla”

“Sono tua figlia, non vedo perché dovresti nascondermi qualcosa, quando ti chiamavi ancora Randall Keats non mi avevi nascosto di essere un Mangiamorte, non vedo perché tu abbia paura del mio giudizio ora” disse ancora lei. L’uomo si prese qualche secondo per riflettere e constatare che aveva davanti una figlia diversa di quella che aveva lasciato e di quella che si era immaginato, rispondendo alle lettere che gli arrivavano nel corso dell’anno, si chiese se fosse una mossa saggia chiederle quello che le stava per chiedere.

“Non sono più Randall Keats e non devi usare quel nome davanti a me. Io sono tuo padre e se sono qui è perché voglio bene a mia figlia, il resto viene in secondo piano” disse dunque lui, una voce stanca e spossata, ma forte e fiera, non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa da una ragazzina.

“Parla dunque” disse lei e una goccia di sudore le scese sulla guancia, le vene incominciavano a farle male, iniziava a provare ansia per quello che il padre le avrebbe chiesto e l’obscuriale si era inevitabilmente svegliato, reagendo alla situazione di paura del suo portatore.

“Non sono mai stato un buon padre, non sono mai stato presente e di questo non mi sono mai pentito abbastanza e ti chiedo scusa Eris, così come ti chiedo scusa se hai dovuto fare i conti con il mio passato” disse dunque l’uomo senza però sembrare sincero in quello che stava dicendo, sembrava cercare di allungare il brodo per arrivare al piatto principale del discorso.

“Tu sei stato un assassino e potresti benissimo esserlo ancora, hai ucciso, torturato e sterminato persone per ragioni che non voglio conoscere, ma credimi quando ti dico che sono in pace con questa storia. Ho saputo dopo quello che Randall Keats è stato per il mondo magico inglese e non mi ha toccato come pensavo, ma ricordo i miei occhi di bambina quando mi hai rivelato con freddezza di essere un mangiamorte e che da quel giorno avresti ucciso i nati babbani della nostra città e questo lo recepii con meno facilità. Non ti incolpo di nulla, padre, anche perché faccio fatica a considerarti tale”

“Io potrei dirti che in ogni momento della mia vita ti ho pensata e che ho fatto quello che ho fatto per il tuo futuro, ma sarebbero tutte bugie, ho condotto le mie attività spesso senza pensare di chi mi aspettasse a casa, ma posso dirti che tu e lei siete state la cosa più importante della mia vita”

“Siamo state...Io sono morta con lei, Randall, non cercare di recuperare quello che è perduto, sono stata morta per te per otto anni e non sarà qualche fugace visita a cambiare questa situazione” disse Eris con rabbia e sdegno, mentre sentiva le braccia farsi più forti e dolorose sotto il maglione grigio della divisa di Hogwarts, anche il respiro iniziava a farsi diverso e più aggressivo. Randall si mosse furioso verso la figlia, afferrandola per il collo, ma ritraendosi con dolore quando un’improvvisa nube nera si avvolse alla sua mano, scatenando anche delle piccole scariche elettriche. Per un secondo gli occhi di Eris bianchi, poi tutto sembrò tornare alla normalità, con Eris che fissava il padre quasi spossata, mentre lui replicava freddo, ma sorpreso.

“Dovresti ricordarti che sono un mostro, se mi attacchi, lui ti ucciderà, non importa quanto forte possa essere la tua magia oscura” disse abbattuta Eris, ma con grande determinazione nella voce, determinazione sia nell’affrontare il padre, sia affinché l’obscuriale non uscisse e distruggesse la stanza delle necessità.

“Non osare chiamarmi più in quel modo! Io sono Hawkmoth! Quell’uomo non esiste più, non sono più l’assassino spietato che ero, ora sono un uomo diverso, sarò anche un mangiamorte, ma sai bene che del signore oscuro e della sua setta mi è sempre importato ben poco, quello che ho fatto l’ho fatto per te” disse dunque Hawkmoth ribadendo la sua identità segreta, utilizzando il suo nome da mangiamorte.

“L’hai fatto per lei, non per me, l’hai fatto per la mamma” sospirò Eris afflitta e ascoltando quelle parole anche Hawkmoth spalancò le palpebre e rimase in silenzio “Perciò dimmi quello che vuoi che faccia e vattene via”

“Me la ricordi tantissimo” disse dunque il padre guardandola dritta negli occhi e Eris ascoltò in silenzio deglutendo, mentre sentiva il sangue scoppiarle nelle vene, sentiva il bisogno di mettersi in ginocchio con la testa nelle ginocchia per aspettare che l’Obscuriale si assopisse. “Se ti dicessi perché sono qui, penso che mi uccideresti, Eris, ma non sono in questa stanza per chiederti qualcosa, volevo solo vedere ancora il tuo viso, augurarmi che tu stessi ancora bene, che fossi ancora come ricordavo. Sono qui per dirti che ucciderò ancora Eris, ho ucciso e continuerò a farlo, volevo che tu sapessi di persona che tuo padre è ancora l’uomo che tu conosci”

Eris sentì le narici farsi fuoco, così come la gola farsi totalmente secca, ormai non riusciva più ad ascoltare, aveva occhi e orecchie solo per il mostro che si stava muovendo nel suo corpo che aveva brama di uscire, uscire per respirare e cibarsi ancora di aria e paura. Hawkmoth vide chiaramente che Eris non fosse in grado di rispondere e senza salutarla, né soccorrerla, il suo corpo si trasformò improvvisamente e quello che prima era un uomo, ora era diventato una falena che velocemente svolazzò lontano da Eris. Eris non pensava a suo padre o a quello che le aveva appena detto prima di andarsene, pensava solo che la tentazione di mollare la presa era ormai troppo forte per non essere ascoltata, dopo qualche minuto di crisi percepiva dentro di sé quasi con eccitazione l’obscuriale, la sensazione di liberarsi dalla coscienza e dal dolore e farsi cullare da un mostro che l’avrebbe protetta in uno stato dormiente a volte era una droga difficile da non provare, contenere quel mostro, provando dolore a volte era una scelta più difficile di lasciarlo andare. In pochi secondi i muscoli si erano fatti scolpiti e gonfi, il collo e i polsi lividi, gli occhi bianchi e senza più visione, sembrava una piccola bambina rannicchiata e in preda a convulsioni, subito dopo dalla sua pelle iniziò a fuoriuscire il fumo scuro, poi l’aura rosso-violacea la circondò come un campo di forza energetico, quasi come un incantesimo di protezione visibile e dai tratti elettrici. Eris non riusciva a sentire la proiezione del suo urlo, ormai incosciente, si lasciò cullare nel beato vortice del caos, poi intorno a sé, il mostro iniziò ad uscire a poco a poco, questa sarebbe stata la più grande crisi da diverso tempo, ne aveva troppo bisogno, sentiva di dover liberare la belva e provare una soddisfazione più forte di un orgasmo. Quell’addensamento ciclonico di nebbia oscura e energia magica esplose poco dopo, l’obscuriale si fece un tutt’uno con lo spazio e iniziò a distruggere tutto quello che aveva davanti, l’intero contenuto della stanza della necessità sarebbe stato la sua cena.

 

 

La sua mano calda e nervosa si strinse all’altra quasi con violenza, mentre le braccia si tendevano lungo la parete. Le loro labbra si fusero in un unico e intenso bacio che sembrò durare diversi minuti senza trovare respiro, lei con una mano stretta tra le coperte per reggersi al materasso, lui con una mano che cercava di esplorare il corpo della sua compagna di letto, una mano forte, sicura, una mano che la faceva sentire sempre più donna. Lei staccò le labbra da quelle dell’uomo e riportò la spina dorsale in una posizione naturale, occhi chiusi e quasi sognanti, bocca aperta e labbra che si morsicavano ogni tanto, il viso angelico contrito in un’espressione di vitalità passionale, si sentiva libera. I loro corpi nudi erano ormai fusi insieme da qualche minuto, ma lei li aveva già percepiti come anni, faticava a pensare, completamente imbalsamata sopra di lui, si sentiva bene, stanca e distrutta, ma non si sentiva così leggera da troppo tempo. Lo stress le scivolava via come il sudore lungo la schiena e i piccoli seni, nei suoi pensieri non c’erano più nuvole e nebbia, tutto seguiva lo spirito animale del corpo che la possedeva e la stava trasformando in una regina. Si era sentita troppo debole negli ultimi tempi per credere di poter ancora desiderare piacere, si era sentita immatura e troppo bambina per credere di potersi ricordare ancora di essere donna e si era sentita troppo vuota per credere di potersi invece sentirsi ancora piena di nuova energia. L’uomo la voltò e lei cacciò un urlo acceso senza preoccuparsi del volume, sentiva come se quel momento non dovesse finire mai, provava quasi la sensazione che quel momento, quell’istante fosse il migliore della sua vita, mai si era sentita così bene, mai aveva desiderato così tanto qualcosa e mai aveva pensato che del banale sesso sarebbe riuscito a sciogliere il suo viso quasi oppresso e sicuramente distrutto. Perché di questo si stava parlando, sesso, solo sesso e per giunta affatto serio, non era suo marito quello nel suo letto, lo conosceva certo, ma per lei non era ormai che un ricordo lontano, qualcosa che non si sarebbe dovuto trovare lì, qualcosa di proibito, nascosto, ma che si era mosso dentro di lei quella sera e che aveva chiamato senza porsi domande, con l’acquolina alla bocca e il desiderio di dimenticare. Dimenticare dei mesi assurdi, senza logica, senza sorrisi, mesi di ansia da torcerle le budella, mesi di lacrime, sigarette spente da sola nel suo appartamento, sola. Provare l’emozione di fare l’amore con qualcuno era fortissima e non credeva fosse per lei così necessaria, che aveva sempre visto il sesso come un accessorio superfluo, qualcosa di cui si poteva fare a meno, ma che ora stava bramando con tutto il suo corpo spento. L’idea stessa di condividere un letto con qualcuno, di non dormire sola era stata per lei nuova linfa vitale, in quel momento non si sentiva più sola, si sentiva quasi la ragazza di un tempo, quando ancora la vita non le si era rivoltata contro, quando ancora aveva un marito che amava, quando ancora suo marito la amava, quando ancora era orgogliosa della sua esistenza. Sentì chiaramente di aver raggiunto da diversi minuti il climax, ma non voleva che l’uomo smettesse, voleva a tutti i costi che la notte continuasse, anzi voleva che non finisse mai, non voleva ritrovarsi sola in quella stanza che ora odiava. Non le importava di quanto potesse urlare o fare rumore, sentirsi libera ancora una volta valeva tutto il casino del mondo e tanti saluti ai vicini. Non si rese conto di quanto rimase immobile e quasi tremante nel letto quando tutto finì, la faccia nascosta nel cuscino, il corpo nudo adagiato a pancia in giù, sembrò risvegliarsi da un sogno meraviglioso quando sentì lui baciarle il collo. Hermione si girò su sé stessa e vide davanti ai suoi occhi il viso di Krum che le sorrise, prima di baciarla senza preavviso, bacio che lei accolse molto volentieri. Era cambiato negli anni, le era piaciuto anche al tempo del torneo tremaghi, ma era solo stato il fascino di un ragazzo più grande di lei di qualche anno, ora aveva una barba lungo la mascella che smagriva in maniera geometrica il suo viso, gli occhi erano grandi e scuri e i capelli tenuti più lunghi a coprirgli parte della fronte.

“Sei bellissima” disse lui con una voce che aveva anche un minore accento slavo rispetto al passato. Hermione sorrise, ma aveva poche parole per rispondere, sentiva che si stava troppo godendo il momento per poterlo rovinare con la sua scarsa predisposizione alla conversazione romantica.

“Sono impresentabile” replicò lei sorridendo e non pensò a tutte le implicazioni di quella sera, non pensò alla miriade di errori che aveva commesso con quel gesto, non pensò proprio a niente e si limitò a sorridere, ritrovò piacere nel sorridere. Si sarebbe buttata nel Tamigi uscita dal ministero, si ritrovò senza ombrello sotto la pioggia, non le interessava passare inosservata, tanto valeva deprimersi nel mondo babbano, poi uno scontro contro un armadio d’uomo e poi davanti ai suoi occhi era apparso Viktor Krum, cercatore di Quidditch professionista e sua vecchia fiamma, a cui aveva dato il suo primo bacio. Il resto era capitato molto in fretta, Hermione aveva scelto di tornare a vivere e non aveva pensato troppo alle conseguenza, aveva deciso di portarsi a letto Krum e l’aveva fatto e le era piaciuto, quella era l’unica cosa che le importava, non si chiedeva se avesse fatto bene o se fosse invece sbagliato, lei voleva sfogarsi e l’aveva fatto a pieno. Per una sera non aveva più pensato a Glimmer, Coleridge e al ministero, non aveva pensato a Ron che l’aveva abbandonata, quando normalmente ci piangeva tutte le notti, aveva fatto sesso con Krum e ora si trovava sul letto a sorridere e quello valeva per lei tutti gli errori del mondo. Non si sentiva nemmeno in imbarazzo a trovarsi nuda con lui, si sentiva troppo bene per provare vergogna, voleva davvero che quella notte non finisse mai, anche se sapeva che il domani avrebbe già dovuto affrontare la realtà, ma almeno con la certezza che quella notte non sarebbe stata sola, e per lei era una cosa che valeva moltissimo.

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Capitolo 14
*** La prima Prova (Parte Finale) ***


La Prima Prova (Parte finale)

 

 

Monica si sollevò da terra dolorante, la testa le rimbalzava da una tempia all’altra e si sentiva la fronte scoppiare. Provò ad aprire gli occhi per provare a ricordare dove fosse, ma erano troppo stanchi e sfocati per darle un immagine nitida, sicuramente riconosceva di essere sdraiata su un ammasso di fango e ghiaccio. Faceva quasi fatica a ricordare quello che fosse successo, le faceva troppo male la testa anche solo per pensare di muoversi, figurarsi fare delle valutazioni più complicate. Si rese conto di poter muovere le mani, con la mano destra strinse un grumo di neve e quando la sua vista ritornò e vide davanti al suo viso una benda rossa e sporca di terra si sentì il cuore salirle in gola. Nadia. Nadia non l’aveva appena sconfitta, l’aveva appena distrutta e finalmente riuscì a ricordare il motivo del perché fosse sdraiata a terra come un cadavere e il motivo era che un mostro di ragazza le aveva fatto male, infinitamente male. L’aveva sempre temuta, non era mai stata una sua amica, ma erano state compagne e aveva sempre pensato che Nadia rispettasse il suo silenzio, quando Monica si ritrovava in una delle scure aule studio di Durmstrang per fare pratica di pozioni spesso Nadia la raggiungeva e rimaneva con lei a osservare silenziosa fuori dalle finestre. Raramente avevano parlato e raramente Nadia si era mossa da quella situazione, ma spesso si facevano silenziosa compagnia anche se Nadia non la considerasse certo un amica sembrava che la compagnia della piccola e solitaria Monica non le desse fastidio. Erano state anche per diverse partite compagne di squadra a Quidditch, ma oltre al prendere boccini e vincere partite Nadia non aveva parole per i suoi compagni di squadre. Il tempo di farsi una doccia fredda e Nadia era già fuori dagli spogliatoi, per i suoi compagni neanche un saluto, nemmeno una parola, forse qualche occhiata di rispetto, non di più. Dopotutto Nadia era sempre stata un’entità particolare per Durmstrang, quasi misteriosa, nessuno conosceva la sua storia, nessuno sapeva se fosse una studentessa o altro, alcuni dubitavano fosse umana, l’unica cosa certa è che avesse 14 anni e che il preside Gorgodze vedeva in lei quasi una nuova luce per la scuola. C’era da aspettarsi che il preside la allenasse personalmente proprio per questo evento, per stravincere il Torneo Tremaghi, ma subire la sua furia in battaglia era stata per Monica una sorpresa terrificante. Nadia non era affatto una maga e non combatteva come tale, qualsiasi cosa fosse appena era entrata in quella foresta si era trasformata in una potente macchina assassina. Negli occhi dell’avversaria aveva visto solo la vittoria, sembrava non pensare ad altro, la sua potenza era tale che Monica si chiedeva quanto lontano si sarebbe potuta spingere per vincere, una cosa era certa, Nadia sembrava in grado di rendere la morte facile come soffiare su delle candeline, si chiese dove sarebbe finita se Clopin non l’avesse aiutata forse non si sarebbe rialzata da quel cumulo di fango. Con gambe stanche e distrutte provò ad alzarsi, spingendo sulle ginocchia, ma quando si ritrovò in posizione eretta barcollò sulle caviglie e ricadde di peso nel ruscello ghiacciato alla sua sinistra. Con mani tagliate e grondanti sangue si tirò su e si appoggiò ad un albero per prendere fiato, si rese velocemente conto che al di là di come si sentisse non avesse niente di rotto, si chiese se Nadia non ci fosse andata piano perché fosse lei, la cosa la lasciava perplesse, ma che Nadia l’avesse sempre difesa questo era vero. Solitamente era Clopin che interveniva, non sempre senza che lei protestasse, dopotutto conosceva quanto l’amico fosse irascibile e spesso temeva che per difenderla il francese tirasse troppo la corda, ma a volta la rabbia era tale che lasciava semplicemente che le cose andassero come dovevano andare, dopotutto si fidava di Clopin forse più di quanto si fidasse di sé stessa. Si ricordava ancora di qualche situazione non precisata in cui Clopin sembrava l’avesse aiutata, quasi per vendicarsi con qualche bullo che nei primi anni di scuola erano stati per lei un vero problema, ma non si era fatta troppe domande, dopotutto qualunque cosa fosse capitata loro se l’erano meritata, se fosse stato Clopin a intervenire o meno non le importava, dopotutto anche se sotto sotto forse lo era, non si sentiva eccessivamente vendicativa, sopratutto con le persone che per lei avevano poco valore. Tuttavia Nadia aveva preso le sue difese spesso in passato, senza dirle una parola, quasi come un guardiano e senza mai darle spiegazioni, si ricordava quando Nikolaj iniziava a tirare troppo la corda prendendola in giro sul fatto che fosse lesbica. Lei ci aveva fatto l’abitudine, trucco inesistente, vestiti quanto meno maschili, braccia poco eleganti e anche se di bell’aspetto, sicuramente non agghindata come una principessa, tuttavia detestava essere definita lesbica solo per una questione estetica, che fossero venuti a chiederglielo no? Lei avrebbe risposto di no, senza nessun problema, ma sentire le persone parlarle alle spalle con ignoranza era per lei fastidioso, sopratutto su quell’argomento, odiava le persone che parlavano di sessualità come se niente fosse, la volgarità la disgustava e l’argomento del sesso quasi la spaventava. Nikolaj continuava a inveire e lei continuava a stare zitta, ma sentiva le vene pulsare e immaginava che Clopin sarebbe potuto intervenire da un momento all’altro e lei iniziava a non sentirsi in vena di fermarlo, ma all’improvviso tra i due si era messa Nadia, occhi enormi, marroni, espressione fredda e vuota, fissava Nikolaj senza lasciare trapelare emozione.

“Che cazzo vuoi? Sei la sua fidanzatina?” aveva chiesto Nikolaj, grave errore. Monica non aveva sentito mai più in vita sua schiaffo più forte di quello che Nadia aveva tirato a Nikolaj, era caduto a terra e si era persino messo a piangere, che fallito. Monica si stava per voltare imbarazzata, quasi a voler ringraziare, ma Nadia se ne era già andata e stava già trottando verso un altro corridoio. Forse era solo carità femminile, ma Nadia era sempre stata dalla sua parte, anche se adesso l’aveva appena massacrata di botte. Monica si specchiò nel fiume e notò il suo aspetto essere disastrato, capelli sporchi e sudatile scendevano lungo le linee del viso, sembravano secchi, accanto alle sue cosce rigate di sangue giacevano per terra rotti i suoi occhiali, benvenuta miopia, raccolse dolorante la bacchetta e si incamminò nella foresta spoglia. Si sentiva a disagio a zoppicare in mezzo alla foresta, ma non aveva la minima tentazione di lanciare un incantesimo nell’aria per farsi soccorrere, sarebbe uscita con le sue gambe e si sarebbe difesa anche con i denti se necessario, il prossimo campione sarebbe stato uno sconfitto ne era sicura. “Monica, sei ferita che cosa pensi di fare?” chiese una voce con forte accento francese.

“Old man, fatti i fatti tuoi, lo so benissimo di essere ferita, ma ti prego di non prendere il sopravvento sul mio corpo senza preavviso” replicò Monica a Clopin secca.

“Ti avrebbe ammazzata, ma chérie. Tempo di chiederti il permesse e adieu! Saresti finita stecchita come quella acromantula”

“Non ti sto criticando, anzi ti sono grata di avermi aiutato, ma devo saper risolvere questa storia da sola, non dovresti nemmeno essere qui, mi fai fare la figura della fuori di testa”

“E sarebbe sbagliato?”

“Fatti i cazzi tuoi, ok? Non mi sono mai sentita così debole e insignificante in un duello magico, se devo fallire preferisco farla da sola, che vincere grazie a te, non sono una macchina da competizione, ma ho un orgoglio, Clopin” disse dunque Monica fredda, ma determinata.

“Quello che desideri, ma non farti ammazzare e mi sarà difficile farmi sentire ancora” replicò dunque Clopin e intorno a Monica si fece nuovamente silenzio. La ragazza si biasimò leggermente per come si era mostrata fredda, ma si era stupita di poter essere così orgogliosa e sentiva davvero di voler fare il Torneo Tremaghi una cosa propria, sentiva quasi di voler essere lei a vincere. Qualche passo lungo un pendio scosceso e si ritrovò davanti una piccola pianura senza conifere, quasi uno spazio separato, al centro un Mehnir di epoca celtica, un arco trilittico che Monica riconobbe come il centro della foresta, era dunque giunta al gran finale. Osservando la radura vedeva quasi che ci fosse davvero uno spazio separato, posizionato da qualche mago, davanti a sé non vi era nemmeno un movimento di insetto. Monica estrasse la bacchetta e sotto voce disse in russo un incantesimo di protezione ad area, usando una piccolissima dose di energia magica, la bacchetta si illuminò leggermente ed ecco che la scintilla entrò in contatto con un incantesimo già presente. Qualcuno era già giunto lì e aveva piazzato un incantesimo su tutta la pianura. A seconda di quanto quell’incantesimo fosse stato potente, se avesse fatto un passo in avanti sarebbe potuta anche morire, probabilmente non era il caso, ma aveva la sensazione che intorno a lei anche gli altri campioni stessero osservando in silenzio la situazione. Sentì dei passi e dei movimenti di ghiaia, si nascose dietro un albero ad ampio fusto e osservò Nikolaj farsi avanti con poca cura per l’incantesimo di protezione. Detestava Nikolaj, era un bulletto senza spina dorsale, non era un mago mediocre, aveva incantesimi di valore, ma la possibilità di schiantarlo senza che lui se ne accorgesse era troppo grande, tuttavia c’era un incantesimo di protezione da abbattere e decise di rimanere in silenzio.

 

Steven osservava la scena nascosto dietro ad un cespuglio, il centro della foresta era davanti ai suoi occhi, ma aveva la sensazione che qualcosa sarebbe andato storto, era già arrivato qualcuno e l’incantesimo di protezione era già stato piazzato, il suo piano era stato anticipato, probabilmente qualcuno era già giunto a destinazione e aveva già vinto la prova. Rarity osservava la scena con sguardo annoiato, Steven le aveva appena afferrato il braccio mentre lei aveva cercato di saltare

nella mischia con una magia di Levicorpus, lei aveva reagito con rabbia.

“Uffa che cosa mai dobbiamo aspettare?” chiese Rarity con la voce squillante. Steven le tappò la bocca con la mano e la gelò con lo sguardo.

“Non urlare! Vuoi che ci scoprano? Chi è ancora in grado di lottare si trova già qui, non è uno scherzo quello che potrebbe accadere” le disse Steven severo.

“Ma che noia! Siamo qui da mezz’ora e non è successo proprio un bel niente! Sono stufa di aspettare e poi non trovi che sarà divertente un bel duello magico”

“Non so te, ma la mia bacchetta non funziona, io pensavo di correre dritto verso l’arco di pietra non appena scade il tempo. Almeno mi porterò a casa i miei venti punti”

“Ma cosa dici, sciocchino! C’è qui Rarity per te, vedrai, ti recupererò il re che ti serve, tu aspettami qui” disse Rarity e si alzò elegantemente dal cespuglio senza nemmeno guardarsi intorno.

“No! Che cosa stai facendo?!”

“Mi farò ripagare per tutti i torti che ti ho fatto! Te lo prometto, Steven” disse lei e scavalcò il braccio del ragazzo che si stava aggrappando alla sua caviglia, per trottare lungo il pendio con la bacchetta in pugno. Steven osservò Rarity allontanarsi e per un secondo venne mosso dall’istinto di seguirla, quell’emozione eroica però durò poco, si nascose nel cespuglio con l’occhio stretto su quella che da radura si stava per trasformare in un’arena, avrebbe corso come una gazzella inseguita dal ghepardo verso quell’arco non appena gli altri campioni avessero finito di scannarsi, sarebbe stato vile, ma l’idea di finire in quel massacro gli dava i brividi. Il suo occhio si alternava dall’arco di pietra al sedere rotondo di Rarity che osservava ottusa che effettivamente ci fosse una barriera magica, chiunque fosse passato l’avrebbe schiantata. Steven si vergognava per lei, si chiedeva come facesse a essere così stupida, magari aveva abilità istintive di matrice aliena, ma sicuramente non era una cima, anzi, sembrava proprio una bambina incapace. In quel momento si chiese per quale motivo la sera prima l’avesse baciata, per Rarity provava gran poco, era bellissima su questo non c’era dubbio, ma era diversa da Eris, sua fiamma eccelsa, o Samantha, loro era irraggiungibili, indecifrabili, degli angeli che i comuni mortali non era degni di fissare, Rarity invece era fin troppo mortale e di divino non aveva proprio nulla. Voce fastidiosa, cervello inesistente, personalità troppo instabile e difficile da comprendere, ma nonostante queste considerazioni l’aveva baciata volentieri e quasi sentiva il desiderio di rifarlo, in tre giorni in compagnia di Rarity si era sentito molto meglio, non aveva dimenticato Annie, anzi, la pensava continuamente e si biasimava continuamente, ma stare con Rarity lo rendeva tranquillo, nonostante le sue stranezze. Sembrava quasi che la sua semplicità fosse contagiosa, un’ingenuità che lo evacuava da pensieri scomodi, si chiese se fosse vero effettivamente che le persone stupide fossero anche le più felici, ma al di là delle battute anche se Rarity era ottusa a livelli cosmici, lui non ci trovava niente di male e a starle vicino si sentiva bene. Si chiese se Annie fosse sugli spalti ad aspettare insieme al resto della scuola che la prova finisse, si chiese se quando l’avesse visto avrebbe spostato lo sguardo, si chiese se lei gli avrebbe parlato, si chiese tante cose riguardo la forse definitivamente ex-fidanzata, ma per tutto il tempo che la sua mente roteava tra Annie e Rarity ecco che quasi con uno scoppio la barriera magica cadde all’improvviso. Steven alzò gli occhi e poté chiaramente riconoscere proprio sotto l’arco di pietra che Marinette fosse sola al centro della radura. “Ci mancava il terzo incomodo” pensò lui, ricordandosi che la notte prima della prima prova era stato parecchio bene con quella ragazza francese. Non si erano detti molto lui e Marinette, lei l’aveva sedotto e semplicemente aveva ottenuto quello che voleva, si erano gettati nel magazzino dei panni sporchi e si erano trovati dopo pochi secondi completamente nudi, nessun discorso sulle cause o sugli effetti delle loro azione, nessuna preoccupazione, solo una serata di divertimento che sarebbe finita in quel giorno come era iniziata. Steven non si era affatto biasimato per quello che aveva fatto, con Annie era appena finita certo, ma sapeva di non essere un uomo esemplare, né una brava persona e sopratutto, Marinette sapeva sedurre un uomo così come sapeva come farlo divertire. Anche se per Marinette non provava proprio niente, ancora avrebbe baciato le sue labbra che odoravano di fiori, si rese conto che in quel momento della sua vita avrebbe baciato un gran numero di ragazze e si chiese se avesse imparato qualcosa dalla storia con Annie, ma prima che potesse ragionare sulle sue tresche degli ultimi giorni ecco che Marinette aveva iniziato a parlare, la sua voce era amplificato dalla magia “Sonorus” ed era una bella voce. “Salve, campioni. Vi chiedo scusa se vi ho allarmato con questa barriera, ma era solo un’illusione potevate attraversarla senza problemi, non sono affatto capace di compiere un incantesimo di quella portata, ma non vi giudico per la vostra stupidità, davvero, ho avuto modo di valutare il vostro scarso acume. Comunque non sono qui per deridervi, sono qui per dirvi che intendo farvi i miei più caldi auguri per l’esito della prova, io ho già concluso la mia, volevo dire a chi fosse una bella reginetta bianca, che il suo compagno re nero è proprio qui, su questa piccola pietra, insieme a un ulteriore gemello. Per me non ha senso portarmeli dietro, non sono così infame da non darvi l’opportunità almeno di pareggiarmi, per questo, vi auguro che per questi due pezzetti di legno scateniate una bella mattanza” disse Marinette senza che Steven riuscisse a leggerne l’espressione facciale, non sapeva cosa avesse fatto la francese, ma aveva già vinto da qualche minuto. “Stupeficium!” urlò una voce dal lato destro della foresta e un incantesimo esplose nella direzione di Marinette, bloccandosi però davanti ad una barriera di energia. “Non sono così stupida” replicò lei divertita e scomparì oltre l’arco di pietra senza comparire dalla parte opposta, Steven si rese conto che la prima vincitrice forse era già giunta davanti al pubblico di Bauxbatons pronto ad acclamarla. Per un attimo ci fu silenzio, i campioni era tutti lì, Steven lo sapeva, ma nessuno sembrava pronto a fare la prima mossa, poi diede uno sguardo a Rarity e il sedere della francese era già scomparso.

“Oh no” sospirò Steven rassegnato.

 

“Levicorpus!” esclamò una voce femminile squillante e all’improvviso alla sua sinistra qualche decina di metri più avanti apparve Rarity, svolazzante sopra le cime delle ultime conifere, con un incantesimo di levitazione eccelso. Rarity atterrò al centro della radura con eleganza e subito venne raggiunta da un incantesimo che lei fu costretta a parare con un protego. Il ragazzo biondino di Durmstrang di cui non ricordava il nome si era scagliato contro di lei e i due avevano iniziato a duellare proprio al centro della spianata, l’arco di pietra una cinquantina di metri davanti a loro. Thomas Shelley guardò alla sua destra l’improbabile compagno di duello, Dominic, con cui era giunto, senza che si ricordasse le modalità, proprio davanti a quella radura. La sua mente era rimasta all’ultimo scontro, si ricordava Charlotte pronta a duellare con Marinette ed ora Marinette aveva appena vinto e di Charlotte non c’era traccia, sicuramente non c’era più tempo per lui di cercarla, si chiese perché era spinto dalla curiosità di vedere se la bionda francese stesse bene, ma si rese bene conto che la sua occasione era davanti ai suoi occhi. In un duello di quel genere avrebbe sconfitto chiunque e il sangue ritornò forte nelle sue vene, Marinette aveva vinto? Ma quei 60 punti erano suoi. Dominic aveva anche lui una regina e i due non si erano ostacolati nella silenziosa marcia verso il limitare della foresta, non avevano parlato, ma erano sulla stessa barca e avevano deciso di non mettersi i bastoni tra le ruote almeno fino a quando non avessero incontrato un altro campione.

“Quei re sono i nostri, pelato” disse Thomas al francese senza scambiargli uno sguardo e rimanendo concentrato al duello tra i due ragazzi al centro, nessun altro si era mosso intorno alla radura. Rarity con un ulteriore levicorpus aveva spinto lontano l’avversario, ma lo schiantesimo del russo era stato preciso e anche Rarity era finita pancia a terra qualche metro lontano dal re sulla pietra, a Thomas fu chiaro che anche a lei serviva quel re di legno.

“Le nostre strade si divino, se ti metti tra me e quel re sarò costretto a colpirti” replicò il francese freddo, ma con occhi così concentrati da risultare quasi preoccupati.

“Non mi aspetto altro, nel caso sarà un onore duellare con te, ma se non è troppo tardi ti chiederei un favore. Promettimi che nella prossima prova, se non sarò io, la farai pagare a quella smorfiosa riccia” disse dunque Thomas riferendosi a Marinette. Dominic lo osservò e i due si strinsero la mano, poi il francese si alzò e si allontanò da Thomas, muovendosi lungo il limitare verso destra, da quel momento anche lui sarebbe stato un suo nemico e il francese avrebbe intrecciato la sua strategia personale. Thomas riportò lo sguardo sulla scena, aveva bisogno di quel re e c’erano solo tre persone, nel giro di pochi secondi sarebbe potuta essere una tonnara, doveva tentare il tutto e per tutto immediatamente. Thomas uscì si concentrò con assoluto silenzio, non poteva smaterializzarsi, non era possibile dentro i confini di Hogwarts, ma poteva avvicinarsi con velocità, bastava solo trovare l’incantesimo meno rischioso, tuttavia mentre pensava ad un tentativo valido ecco che osservò chiaramente una sagoma rapida corrergli proprio accanto. Voltò velocemente la testa e incrociò lo sguardo con la ragazzina di Durmstrang, quasi il tempo si fosse fermato per un attimo. Nadia era uno straccio, coperta di sangue e con i vestiti stracciati, gli diedi uno sguardo freddo e disinteressato, poi con velocità impressionante si mosse direttamente al centro della radura, scavalcò Rarity direttamente con un salto e arrivò proprio davanti all’arco. Thomas la vide terribilmente stanca, sembrava avesse affrontato delle sfide oltre le sue possibilità, sembrava quasi sul punto di scoppiare. Uno schiantesimo lanciato da Nikolaj la raggiunse alla schiena e Nadia si inginocchiò affaticata e dolorante, ma subito dopo si alzò quasi che non le avesse fatto troppo male. “La cocca del preside! Avanti vieni qui e affrontami come si deve, finalmente avrò la possibilità di...” iniziò a dire estatico Nikolaj, ma Nadia con un balzo l’aveva già raggiunto e caricava un pugno dall’aspetto micidiale. Nikolaj lo schivo e il pugno infilzò il terreno erboso e nevoso, una nuvola di fumo si alzò da terra, segnale che il gancio fosse veramente potente. Thomas era confuso dalle capacità della ragazza e sembrava davvero senza possibilità di reazione, si chiedeva se si fosse trovato lì in mezzo e quel pugno l’avesse colpito, cosa sarebbe accaduto. Thomas ritornò in sé poco dopo e decise che era giunto il momento di intervenire e l’avrebbe fatto a modo suo, un sorriso si arricciò sul suo viso e un lungo bastone sulla sua destra venne trasfigurato velocemente in una scopa Torpedo 88, la sua scopa da gara, subito dopo stava già sfrecciando verso il re nero sulla pietra. La sua scopa era la più veloce del momento, creata da migliori artigiani dell’Oblansk, la scopa di tutti i migliori giocatori dell’est europa, non c’era da aspettarsi che la Transilvania avesse vinto il campionato del mondo e che l’altra finalista fosse la Bulgaria. Prima che tutti gli altri potessero reagire Thomas raccolse entrambi i re come se fossero un boccino, Rarity voltò la testa stupita nel vedere quella scena, mentre Thomas si trovava ben alto nel cielo ora. Nadia non era invece interessata e Nikolaj la colpì con un incantesimo senza parole, conosciuto come Incanto di Antonin Dolohov, in grado di aprire forti ferite interne, come fendenti di spada, conosciuto da tutti gli studenti di Durmstrang e magistralmente ideato dal mago oscuro poi diventato Mangiamorte. Nessuna goccia di sangue uscì dal corpo di Nadia e il sorriso esaltato di Nikolaj si perse, quando Nadia gli saltò alle spalle e lo abbatté a terra con un singolo colpo sulla spalla, il russo svenne a terra dal dolore senza proferire parola. Rarity si ritrovò improvvisamente davanti alla furia rumena di Nadia e tremante le puntò la bacchetta contro pronta a lottare, ma la ragazza di Durmstrang le tossì davanti agli occhi un grumo di sangue, sembrava una piccola macchina da guerra, ma Rarity poté chiaramente notare che fosse al limite. Rarity si chiese se fosse il caso di schiantarla, ma dopo un fugace scambio di sguardi Nadia corse verso l’arco a buona velocità per poi frenare bruscamente e ritrovarsi davanti alla porta Dominic, intenzionato a non far passare nessuno senza avere il re nero tra le mani. Thomas svolazzò oltre una coltre di nuvole, lontano dalla possibilità di essere colpito da incantesimi, stretti nella mano destra entrambe le pedine lasciate da Marinette, osservò con rabbia che Nadia e Dominic bloccavano la via, passare al massimo della velocità era una mossa rischiosa, uno schiantesimo improvviso e la caduta dalla scopa l’avrebbe potuto uccidere, decise di limitarsi ad osservare, aspettando che uno tra Dominic e Nadia ribaltasse la situazione permettendogli di passare. Mentre Rarity rimaneva al centro della scena, un po’ confusa a valutare la situazione e Nadia e Dominic sembravano sul punto di sbranarsi, una voce tonante fuoriuscì dalla foresta, era la voce di Ruud, probabilmente proveniente direttamente dal limitare della foresta dove erano state piazzate le tribune.

“Il tempo è scaduto! Da questo momento nessun punto aggiuntivo verrà distribuito, ora chiunque abbia anche solo un pezzo e desideri concludere la sua prova con 20 punti, potrà farlo, auguro a tutti i campioni buona fortuna per l’esito della prova” disse il ministro per lo sport e certificò lo stallo degli ultimi secondi. Rarity si sentiva stupida in mezzo alla scena senza la possibilità di fare nulla, ma osservando i due contendenti per darsi battaglia davanti all’arco, non poteva fare altro che avere paura, Nadia sembrava un mastino anche se ferita, ma Dominic, lui lo conosceva bene ed era il mago più formidabile che conoscesse, in mezzo a quei due aveva seriamente paura di poter morire. Nadia continuava a guardare negli occhi Dominic, che rimaneva impassibile davanti all’arco, con la muscolatura impressionante tesa e potente, sembrava davvero il guardiano del portale, senza il re che gli serviva non avrebbe fatto passare nessuno. Nadia si ripulì la bocca dal grumo di sangue che aveva tossito poco prima, ma prima che potesse valutare con quale mossa abbattere Dominic ecco che una voce la disturbò nuovamente.

“Hey troia! Sì, schifosa cocca del preside” disse Nikolaj arrivandole alle spalle con la bacchetta in pugno.

“Io non so che razza di sgualdrina sei, ma se pensi di battermi così facilmente, ti sbagli, adesso ti faccio soffrire signorina, oh sì! Ti torturo fino a farti implorare di...” continuò lui, ma Nadia si era già voltata, il volto poco impressionato, freddo e impassibile.

“Ti credi tanto bella e brava? Allora reagisci a questo, crucio!” disse lui e Nadia si sentì tirare i muscoli con una forza devastante, quasi che tutti fossero all’improvviso addormentati, ma oltre a quella sensazione sentiva ogni centimetro del suo corpo come percorso e tagliato da cocci aguzzi di bottiglia, si ritrovò a digrignare i denti dal dolore e compresi di essersi veramente affaticata troppo. Nadia sopportò il dolore per qualche secondo mentre Nikolaj rideva divertito, poi raccolse un sasso con dolore immenso e lo scaglio con forza mostruosa verso il ragazzo, si sentì rompere i muscoli dal dolore e il braccio rotto le iniziò a penzolare lungo il busto, davvero rotto e inutilizzabile. Nikolaj fu colpito alla pancia e l’incantesimo si perse nell’aria, subito dopo Nadia lo raggiunse e con fatica e gli occhi inondati di lacrime di dolore raccolse Nikolaj per il maglione e lo scagliò come il sasso di prima proprio verso il portale di pietra, quasi a volerlo buttare volontariamente dall’altra parte. Dominic lo raccolse, mentre il russo sembrava frastornato e incapace di intendere o volere, il francese invece lo raccolse, si rese conto che non aveva pezzi di scacchiera con lui e lo spinse di sua mano oltre il portale, Nikolaj scomparve sconvolto dal campo di battaglia. Dominic ritornò dunque a fissare Nadia che lo fissava in piedi, interamente coperta di polvere e sangue e con espressione dolorante sul viso, reagire alla magia Cruciatus le aveva rotto il braccio che penzolava lungo il suo busto. Nadia si vide rompere la spalla del top rosso con lo stemma di Durmstrang e con il braccio funzionante si tenne la spallina per evitare di ritrovarsi a busto nudo, i suoi occhi non chiedevano a Dominic di lasciarla passare e il francese si rese conto che Nadia avesse già i suoi pezzi e voleva passare ad ogni costo. Thomas intanto continuava ad osservare la scena aspettando il momento opportuno e proprio mentre si guardava intorno ecco che sotto il suo sguardo apparve la sagoma nascosta di Steven.

“Quel codardo si nasconde dietro i cespugli, patetico” pensò Thomas e dall’alto della sua posizione vide che intorno alla radura, sulla sinistra, anche la seconda ragazzina di Durmstrang osservava la scena silenziosa, nessun altro in vista, si chiese se gli altri si fossero ritirati o fossero arrivati addirittura prima di Marinette. Monica invece aspettava con ansia che Nadia andasse via da lì e passasse da quella maledetta porta di pietra, la conosceva troppo bene e sentiva di non volerla affrontare di nuovo, anche se sembrava messa male, forse Clopin ora l’avrebbe sconfitta, ma non ci voleva nemmeno pensare, voleva risolverla a modo suo e la sua maniera non voleva che quella ragazza fosse lì. Rarity si sentiva fuori luogo, ma si sentiva determinata a portare a Steven il re che si meritava, tuttavia entrambe le pedine erano state prese dal ragazzo con la scopa e Rarity non aveva minimamente l’intenzione di indagare su quali pedine avessero i due mostri davanti alla porta, si profittava una guerra tra i poveri non appena o Nadia o Dominic fosse passato da quella porta, tutti sembravano aspettare quello scontro. Dominic lasciò la posizione e si mosse verso Nadia, subito la ragazza, che sembrava una bambina davanti al fisico scultoreo del francese si mise sulla difensiva, ma Dominic si rese conto che se fosse stata in condizione gli sarebbe saltato sopra e si sarebbe direttamente proiettata oltre l’arco, dopotutto credeva di aver compreso come funzionasse quella ragazza e vederla in quello stato lo preoccupava, temeva per la sua vita. Nadia osservò l’avversario con paura e si mosse velocemente per colpirlo, ma Dominic le bloccò il pugno con il palmo della mano, il colpo che gli arrivò sul braccio era del tutto normale, Nadia aveva esaurito tutte le forze e osservò la ragazzina con un’espressione quasi sconvolta sul viso, sembrava quasi delusa dal suo corpo. I suoi occhi si stavano facendo senza speranza quando sentì la mano di Dominic raggiungerle la spalla. “Non sei un mostro, Nadia, non comportarti come tale e tieni chiusa la porta del tuo mana, altrimenti ti romperai ben più di quel braccio” le disse Dominic e Nadia alzò lo sguardo confusa, osservando il ragazzo più grande di lei che la osservava e quasi la capiva. Nadia comprese che lui aveva capito come funzionasse la sua magia e non aveva mezzi per ribattere, anche a volerlo, non l’avrebbe potuto colpire con forza sufficiente per abbatterlo, ma non aveva l’empatia necessaria per affrontarlo, non sapeva cosa dire, si sentiva stupida. La scena venne interrotta da una voce squillante. “Hey pelato! Tieni questo! Te lo regalo!” urlò Thomas e Dominic, alzando lo sguardo vide la Torpedo 88 che sfrecciava proprio verso il portale. Osservò la mano di Thomas scagliare il re nero verso di lui, Nadia approfittò della situazione per scattare oltre il corpo di Dominic e correre verso la porta. Il francese non si preoccupò della ragazzina di Durmstrang e proprio mentre la scopa velocissima lo superava, ecco che balzò per prendere al volo il pezzo. Nadia si sentì raggiungere da una folata di vento e questa volta fu Thomas che la superò velocissimo sulla sinistra scomparendo dentro il portale prima di lei. Nadia non ci pensò due volte e strisciò senza energie oltre l’arco di pietra. “Vingardium Leviosa!” urlò Rarity e il pezzo di legno volò altissimo lontano dalla mano di Dominic per ricadere lontano dall’arco di pietra. Dominic atterrando sulle forti e possenti gambe si voltò e incontrò lo sguardo determinato di Rarity.

“Hey! Ti trovo bene!” esclamò lei allegra e sempre inesorabilmente fuori luogo.

“E’ da tempo che premevo per testare le tue abilità magiche, non credere che ti sottovaluti” disse Dominic non rispondendo al sorriso, ma guardandola con rispetto.

“Io invece non ne ho affatto voglia! Ma non sempre abbiamo quello che desideriamo dalle situazioni che ci pone la vita, voglio dimostrarti che posso essere anche io una campionessa per Bauxbatons” replicò Rarity determinata e Dominic questa volta le sorrise, nessuno aveva ancora capito che aveva improvvisamente perso la capacità di fare magie e anche se ne conosceva la causa, non sapeva come curarlo al momento e anche se poteva definirsi uno stregone dalle capacità superiori era anche consapevole che sarebbe bastato uno schiantesimo per metterlo al tappeto, tutto il suo circuito di mana era paralizzato.

“Avanti darling!” urlò Rarity “Non posso mica tenerlo bloccato tutto il giorno!”

Steven si risvegliò da un sogno e si rese conto che quella era la sua occasione per entrare nella porta, anche se temeva ci fossero altri campioni in circolazione, ma tanto valeva tentare. Steven mise in moto le sue leve potenti, era dopotutto il più veloce della scuola, se non sulla scopa, lo era senz’altro alla maniera babbana. Steven sfrecciò lungo la spianata, i suoi occhi miravano al re nero che si era allontanato vertiginosamente dall’arco di pietra, era più vicino a lui che a Rarity e Thien. In quel momento vide la vittoria, vide i sessanta punti dorati balenargli in testa, era ormai in testa. “Certo che ti perdono, mio campione” gli sussurrava Annie nei suoi pensieri. “Non posso che concedermi spoglia al campione di Hogwarts” diceva invece Eris con voce suadente. “Idiota, guarda a sinistra!” gli urlava Trixie isterica. Gli urlava Trixie isterica. “Stupeficium!” urlò una voce lontana da lui. Steven era nel pieno della corsa e dei suoi film mentali che non si accorse della magia, si ritrovò per terra come un sacco di patate subito dopo. Dominic osservò la scena e dopo aver concesso un sorriso a Rarity si gettò correndo verso la porta, senza i suoi circuiti magici rischiava di perdere anche la sua regina, tanto valeva prendersi i venti punti sicuri che i era fino a quel momento guadagnato. Rarity lo fermò confusa, ma non ebbe il coraggio di schiantarlo alle spalle, ebbe però il coraggio di levitare il suo corpo fino a raggiungere prima della ragazzina di Durmstrang il re nero che giaceva per terra. “Darling, l’ho preso!” esclamò lei, ma quando si voltò verso Steven lo trovò a terra, probabilmente mezzo svenuto. Monica arrivò a dieci metri da lei, con la bacchetta stretta nel pugno e un’espressione determinata sul viso, questo si prospettava finalmente un duello alla vecchia maniera. Non c’era bisogno che si parlassero, Rarity si portò eccitata la bacchetta al viso, segno che sanciva l’augurio per l’avversario di un buon duello, come si faceva da galateo del buon duellante. Monica reagì allo stesso modo, annoiata, ma consapevole che anche se l’apparenza mostrava una stupidotta in minigonna, quella Rarity era una maga di rispettabile livello. “Spark Militum” esclamò Rarity e dalla sua bacchetta fuoriuscì una scarica elettrica che si diresse come un fulmine contro Monica che con un protego disperse le scintille. “Aguamenti!” disse quindi Monica e dalla bacchetta scaturì un violento turbine d’acqua che si diresse verso Rarity, la francese schivò con un levicorpus, ma la mossa fu per Monica prevedibile, quando ancora il getto d’acqua era a mezz’aria recitò un rapido “Wingardium Leviosa” e Rarity si ritrovò investita di acqua. La francese cadde a terra da diversi metri di altezza sbattendo il busto. Monica corse quindi verso Rarity, ma la francese, molto dolorante, colpì l’altra con un incantesimo “Confundus” che la lasciò intontita proprio davanti a sé. Rarity ebbe così qualche secondo per alzarsi, ma sentì un forte dolore alle costole e sentiva chiaramente bruciature derivate da tagli sulle cosce, le calze blu che indossava erano lacerate e le cosce ricche di liquido vermiglio erano nude. “Petrificus Totalus!” esclamò dolorante Rarity, ma Monica si era già ripresa e riuscì a proteggersi anche da quell’incantesimo, replicando con un “Nox” per farle apparire il buio davanti alla vista e accecarla momentaneamente. Rarity si ritrovò accecata e nel buio perse l’equilibrio, ma nemmeno Monica riuscì a vederla e il suo schiantesimo si perse nella terra. “Lumus!” urlò Rarity e Monica ebbe libero il campo per colpirla con lo schiantesimo decisivo, ma proprio mentre pensava di averla fatta finita ecco che invece che Rarity fu Steven a cadere a terra. Rarity reagì con paura, ma osservando Monica colta alla sprovvista urlò un pericoloso: “Bombarda Maxima!” e il terreno davanti a Monica esplose scaraventandola decine di metri lontano. Rarity usò un ulteriore Levicorpus per sollevare il corpo svenuto di Steven, ma si rese conto di essere troppo lenta e affaticata per raggiungere il portale senza che Monica la raggiungesse, così mise nella tasca di Steven il re nero e lo levitò velocemente oltre il portale di pietra. Lo schiantesimo di Monica si perse nell’aria dopo che Steven era già scomparso dall’altra parte del porta, le due si ritrovarono l’una davanti all’altra, sembravano davvero due nemiche pronte a darsi battaglia fino alla morte, ma entrambe, Rarity soprattutto erano eccitate per un duello che si era fatto interessante. “Confringo!” esclamò con forza Monica e Rarity fu costretta a proteggersi a fatica da un incantesimo che altrimenti l’avrebbe fatta esplodere.

“Sei idiota?! Potevi uccidermi!” urlò Rarity sconvolta.

“Allora dammi quello che hai, smetti di frignare e vattene via, non ho paura ad usare incantesimi pericolosi” replicò concentrata Monica.

“Questo dovrebbe essere un gioco, darling, che cosa ti salta in mente! Sei o non sei una duellante d’onore?”

“Ehm. Per me non è affatto un gioco e non so in che mondo tu viva, svampita, ma nei Tremaghi si muore, è già capitato. E poi che cosa sarebbe un duellante d’onore? Gli hai visti combattere gli altri campioni? Qui si è tutti contro tutti” spiegò Monica che provava quasi pena per Rarity e non le sembrava il caso di ignorarla, non era una macchina priva di empatia dopotutto.

“Io non voglio essere come gli altri! Che problema c’è ad essere gentile? Credi che io non sia capace di usare magie cattive? La bombarda che ti ho scagliato potevo tirartela in testa, ma io non voglio farti del male, Marica, siamo o non siamo signorine?” replicò Rarity ora offesa.

“Senti mi dispiace, francese, ma io voglio vincere, se non ti dispiace, vorrei concludere questo duello”

“Ah ma anche io voglio vincere! Buona fortuna allora!”

Monica roteò gli occhi e si posizionò determinata, poi un’idea le balenò sul visò e sorrise soddisfatta. “Stupeficium!” urlò Monica e Rairy parò senza timore, poi però la ragazza di Durmstrang era già pronta a colpire di nuovo. “Densaugeo!” urlò e Rarity sentì un forte dolore alla bocca poi i suoi incisivi crebbero a dismisura arrivandole fino al mento. Rarity sbiancò di paura e disperata si sentì quasi svenire, prima che Monica non la pietrificasse mentre era distratta. Monica guardò l’avversaria e pensò: “Con quelle carine è sempre una mossa decisiva”. Poi usò un “Finite Incantatem” sui denti della ragazza per pietà, le rubò dai vestiti i ben due pezzi della scacchiera e si diresse verso l’arco di pietra, prima di entrare attraverso il portale, lanciò un segnale di pericolo nel cielo per segnalare, di fatto, senza che lei potesse saperlo, che la prima prova fosse terminata.

 

 

Un boato assordante lo svegliò di soprassalto e non appena il suo udito fu nuovamente funzionante udì un grande vociare di folla, un rumore quasi da stadio, non era abbastanza lucido per reagire con intelletto, ma sembrava quasi che la folla acclamasse il suo nome. Si sentì prendere ai lati del suo corpo e sollevare da due mani possenti e calde.

“Hey ragazzo! Sei Lineker giusto? Bravo figliolo, hai concluso la prova!” la voce di Hagrid, il guardiacaccia, gli risuonò nella testa come un trombono e quando aprì gli occhi si ritrovò davanti la barba lurida del mezzogigante.

“Cosa è successo?” chiese Steven intontito.

“Beh io non so come funziona ora, ma penso che si puoi dire che hai vinto! O hai perso...Beh qualcuno è arrivato prima di te, ma la prova l’hai finita. Allora forse hai vinto, ma non sei arrivato primo...e nemmeno secondo...nemmeno terzo ripensandoci, ma ehi! Sei qui no?” le parole senza senso di Hagrid gli suonarono in testa e notò dietro le spalle del guardiacaccia che le tribune erano gremite e che stavano chiaramente esclamando il suo nome. Desiderava, ora meno confuso, sporgersi e salutare il suo pubblico, ma un flash accecante lo raggiunse in pieno volto. “Meraviglioso! Un tocco di classe apparire levitando dal nulla e cadere a terra come un sacco di pomodori! Veramente imbarazzante e goffo, ma che fa presa! Sicuramente un ragazzo coraggioso e anche carino” una voce fastidiosa, ma non fastidiosa perché troppo alta o dal tono distintamente strano, era una voce così viscida e allo stesso tempo stridente da dare il ribrezzo. Una donna riccia, bionda e di bell’aspetto apparve dal nulla accanto a Steven, dietro di lei un tizio aveva tra le mani una macchina fotografica magica, tutto sembrava così strano e cinematografico, sembrava davvero che fossero lì per lui. Accanto alla donna fluttuava un taccuino con una penna svolazzante. “Allora, Steven tesoro, quali sono le tue considerazioni a caldo, anzi...mhm...bollente, appena conclusa la prova?” chiese la donna e la penna scrisse ossessivamente senza bisogno di una mano per manovrarla. Steven la fissò confuso e quasi sgomento, ma ripresosi anche dagli schiantesimi sorrise inebetito e disse: “Beh, io sono modesto e non voglio attribuirmi nessun merito, ma sono fiero di come ho concluso la mia prova, tutto per il bene di Hogwarts, casa mia” Cazzata, cazzata, aveva concluso la prova in modo ignobile senza castare nemmeno un incantesimo, era un debole, scarso e inutile che era passato probabilmente solo grazie a Rarity, ma sentiva gli occhi di tutte quelle belle ragazze in tribuna e gli sembrava quasi uno spreco non mentire. “Oh che patriottismo! Ora va dagli altri campioni avremo modo di incontrarci prossimamente” disse la donna e gli ammiccò cosa che lo lasciò confuso, quella tizia era una psicopatica. Steven salutò il pubblico vincente ed entrò in una grande tenda dove i campioni che avevano già finito erano tutti presenti. Dominic era in piedi silenzioso con la schiena appoggiata ad un camino in pietra, non sembrava interessato a quanto i presenti si stessero dicendo, mentre Marinette parlava animosamente con Madame Maxime che sembrava elettrizzata vista la vittoria della sua studentessa, i dialoghi veloci in francese non facevano capire granché a Steven. Nikolaj invece rimaneva in un angolo deluso e furente, fissava Nadia come si fissa un nemico, se non ci fosse stato il preside in persona in quella stanza probabilmente si sarebbe fatto subito giustizia da solo, quella ragazza l’aveva dopotutto umiliato davanti a tutti gli altri campioni.

“Lineker” gli disse una voce che non voleva sentire sulla destra.

“Shelley” replicò Steven senza bisogno di voltarsi e trovò Thomas seduto su una poltrano con un sorriso vincente sul viso.

“Ti sei deciso a uscire da quel cespuglio vedo” disse infame Thomas e Steven comprese che Thomas sapesse che non aveva mosso un muscolo fino alla fine della prova.

“Ho tenuto le mie forze affinché passassero i più forti, ma là fuori ho fatto follie quando ormai te ne eri andato” mentì Steven orgoglioso.

“Mi stai dando del forte? Beh sono colpito, non hai mai ammesso la mia superiorità prima d’ora, ora ti manca solo dirmi che sono il giocatore di Quidditch migliore della scuola e il ragazzo più bello”

“Non ti allargare. Non mi riferivo a te, mi riferivo a quei due, il pelato e la ragazzina con il caschetto” replicò Steven scontroso.

Proprio in quel momento però la loro conversazione venne bloccata dall’intervento a voce potente di Aaron di serpeverde che a quanto pare aveva concluso la prova. Tuttavia era entrato dalla parte opposta della tenda e insieme a lui c’erano anche altri campioni. “E’ uno scandalo! Esigo che quella laida venga punita per ciò che ha fatto!” sbraitò furioso Aaron e si portò al centro della tenda indicando Marinette che reagì stupita e teatrale. I preside e gli altri campioni si avvicinarono confusi e curiosi.

“Signor Sanders, non le permetto di usare questo tono” internenne la McGrannit severa “Si spieghi in maniera civile”

“Questa…La mia avversaria ha utilizzato in maniera subdola una tecnica che vorrei fosse esaminata. Ha infatti messo fuori dai giochi sia me che i due campioni qui con me con del veleno” spiegò Sanders visibilmente contrariato e deluso, si vedeva chiaro che detestava l’idea di aver perso senza nemmeno combattere.

“Non vedo cosa ci sia di male” replicò con sguardo angelico e facendo spallucce Marinette “Ho semplicemente inumidito le mie labbra con del veleno di Rosa Bianca Polacca, la considero una strategia utilizzabile, non ho infranto nessuna regola, ho solo giocato le mie carte, non si vince di soli incantesimi e poi il veleno di quel fiore non ammazza nessuno, altrimenti dici che dovrei già essere ad Azkaban?” rispose fiera e ammiccante Marinette, tono superiore e sicura di sé. Aaron si mosse quasi per colpirla, ma il suo braccio venne fermato dallo sguardo aggressivo della McGrannit. Il serpeverde si guardò intorno nervoso e si allontanò furioso esclamando: “Schifosi pupazzi”.

“Hai usato le tue carte, signorina Pinard, nel caso una cosa non fosse ammessa l’avremmo segnalata e il veleno di quel fiore non è nella lista dei veleni mortali segnalati dalla sezione flora e fauna del Ministero della Magia, per questo la tua vittoria non è in discussione” disse dunque la McGrannit e Marinette ringraziò con un piccolo inchino la preside di Hogwarts.

“Che stronza” esclamò tra sé e sé Steven e si rese conto per quale ragione non fosse in grado di compiere incantesimi, quella Marinette era più furba di quanto pensasse e quella piccola avventura nel magazzino dei panni sporchi non era altro che una strategia per renderlo inutile alla prima prova. Marinette incrociò lo sguardo di Steven sorridendo e si passò la lingua sulle labbra con fare molto lussurioso, prima di mandargli un bacio all’aria sorridendogli divertita. Steven la fissò quasi sconvolto e poi voltò lo sguardo vergognandosi di sé stesso, si sentiva davvero un deficiente di prima categoria e dire che si era sentito un latin lover di prima classe ad aver rimorchiato la riccia francese e invece lei aveva rimorchiato lui e per giunta l’aveva pure infinocchiato ben bene, senza Rarity sarebbe persino morto. Gienah barcollò zoppicante verso di loro, si vedeva chiaramente in viso che si stesse vergognando.

“Non ce l’hai fatta vero?” chiese Thomas con tono leggermente infame.

“Mi sento troppo inutile per mentire al mio orgoglio. Ho incrociato la peggiore subito appena entrata nella foresta e la mia gamba a fatto crack, almeno questa volta mi farò bastare una pozione per far ricrescere le ossa, ma con questa frattura non è detto che guarirò entro la seconda prova. Sicuramente non giocherò a Quidditch” disse Gienah abbattuta, ma sincera e non troppo arrabbiata, sembrava quasi felice di parlare con Steven e Thomas.

“Stai certa che in campo non ti volevamo” replicò dunque Steven e riuscì a farla sorridere, era belle anche lei, belle forme, viso spettacolare, detestava il pezzo di ferro che portava al naso, ma non era troppo grave e detestava anche i capelli rosa, ma non era troppo inflessibile con i gusti, Annie era sicuramente meno bella di Gienah, ma per lui era la perfezione. Pensò al fatto che se non avesse già fatto una figura di merda con la serpeverde al secondo anno, ora come ora forse potrebbe riprovarci. Quei pensieri lo riportarono alla realtà, Rarity non era ancora tornata e iniziò a provare ansia per lei, se era uscito indenne da quello scontro lo doveva a lei, anzi se era uscito indenne dalla prima prova lo doveva a lei, le doveva la vita e non si sentiva abbastanza in pace con sé stesso, si sentiva in debito con lei, anche se l’aveva salvata un paio di volte anche lui.

“Io sono un grande stronzo e tu sei una delle poche ragazze che ne è consapevole, ma mi dispiace che tu non abbia potuto giocare le tue carte, davvero. Avrei preferito vederti qui con me vincente, al posto di questo idiota” disse Thomas sorridendo e Gienah arrossì leggermente, Thomas le piaceva troppo esteticamente per sindacare i suoi complimento, era davvero troppo bello, anche se non lo apprezzava come persona.

“Io non ho vinto, Thomas, ho solo una regina, il re nero è rimasto dietro a quello specchio” disse Steven, ma Thomas raccolse da terra una pedina e davanti a Steven gli mostrò un re nero fatto e finito.

“Dove l’hai preso?” chiese Steven confuso.

“Ti è caduto dalla tasca. Ti hanno fatto un incantesimo di memoria?” Steven spalancò gli occhi confuso, non doveva la vita a Rarity, non doveva la sua sopravvivenza, le doveva proprio la sua intera esistenza. La ragazza francese l’aveva fatto vincere, anzi, aveva condotto tutto il combattimento davanti all’arco di pietra solo per fargli ottenere il suo pezzo di legno e tutto questo per cosa? Perché l’aveva salvata contro Nikolaj? Perché si era preso uno stupeficium in faccia poco prima? O perché l’aveva baciata di nuovo? La risposta non era importante, Rarity aveva fatto tutto quello per lui e lui aveva fatto troppo poco per lei. Steven era consapevole di essere un egocentrico bastardo, ma non era un infame, detestava far star male Annie, anche se purtroppo spesso non si accorgeva di farla soffrire e così si era reso conto solo in quel momento che Rarity si era veramente innamorata di lui, sembrava davvero che quella ragazza avrebbe potuto fare qualsiasi cosa per lui, si sentì male al pensiero, non si sentì affatto degno. Monica entrò affaticata nella tenda, accompagnata dagli schiamazzi di Durmstrang. Steven la guardò spaventato, si mosse verso di lei e le chiese con voce forse troppo alta, tanto che tutti si voltarono: “Dov’è Rarity?” Monica reagì con quasi paura e fece un balzo dopo averlo percepito troppo vicino. La ragazzo li fissò storta e gli indicò fuori dall’entrata della tenda, poi si allontanò per raggiungere il preside, Nadia e gli altri ragazzi di Durmstrang. A sentire quella domanda di Steven, Thomas si sentì ribollire, non voleva nascondersi che Rarity fosse una sua preda, era la più bella tra le straniere ed era un trofeo di cui voleva vantarsi fino al settimo anno, ma l’inciucio con Steven era pericoloso e sentirsi superare da quel citrullo non era ammissibile. Quando Steven si voltò, per tornare alla posizione di prima, contro la parete della tenda, si ritrovò davanti gli occhioni azzurri di Rarity, anche senza il pesante trucco erano grandi e belli e quello che si trovò davanti era un bel sorriso sincero, sembrava felice, sembrava la persona più felice del mondo.

“Rarity...”

“Bravo darling, complimenti! Hai vinto la prova!” esclamò lei, sporgendosi per stringergli le mani, ma trattenendosi con vergogna all’ultimo.

“No io non ho vinto proprio niente” rispose perplesso lui “Tu piuttosto, avevi due pedine e...” ma Rarity alzò le mani vuote e sempre sorridente fece spallucce.

“Erano solo due pezzi di schacchi, che sarà mai! E poi detesto quel gioco, perdo sempre” disse lei. Era tenera, sincera e innocente, guardarla con quello sguardo fece esplodere il cuore di Steven, aveva perso per lui, Rarity aveva perso per lui, aveva scelto di far vincere uno sconosciuto, invece che entrare dritta in quella porta per seconda e ottenere persino dei punti bonus. Rarity invece ora si trovava a zero punti e tutto per un ingrato come Steven, per un ragazzo che fino a prova contraria non l’amava e anzi che l’aveva abbandonata su un divano sola per correre da un’altra, ma nonostante questo si trovava lì a sorridere. Steven la fissò senza avere parole da dirle, si vergognava ed era stupito a tal punto da non riuscire a parlarle, però una cosa era certa, desiderava baciarla di nuovo, ma non una o due volte, fino a quando la notte non li avesse detto di smettere.

“Ottimo!” La voce di Ruud distrusse l’immagine di Steven e risvegliò l’atmosfera. “Ora che siete tutti qui, vorrei che usciste insieme a me a salutare il pubblico mentre io aggiorno la classifica. Ci tengo a fare i miei complimenti a tutti i campioni, è stata una prova eccezionale” Le sue mani scure e forti iniziarono un applauso che Rarity continuò con verve, alla fine tutti nella tenda si applaudirono l’un l’altro più o meno convinti, prima di uscire a prendersi l’acclamazione del pubblico. La giornalista invadente iniziò a correre da una parte all’altra del prato, seguita dal fotografo, per scattare più immagini possibili, mentre i campioni si posizionarono in fila indiana su un piccolo palchetto di legno, insieme ai presidi e agli accompagnatori, mentre Ruud iniziò a intonare un discorso. Steven intanto alzò il braccio per salutare sugli spalti i suoi amici, ansiosi di conoscere i risultati, Pam sembrava quasi commossa, mentre Andrej pareva più felice di Steven stesso. Alvaro gli fece l’occhiolino e subito dopo incrociò lo sguardo con quello di Annie che non appena lo vide mutò la sua espressione, prima da allegra tifosa ora quasi da vedova, i due si fissarono per qualche secondo, poi lei senza dire una parola voltò lo sguardo, fredda, dura, ma Steven comprese che questo gesto le aveva fatto male, conosceva abbastanza bene la sua ex ragazza per capire che si sentiva imbarazzata e ora volesse lasciare quelle tribune. Era chiaro che quando Ruud avesse pronunciato il suo nome, Annie si sarebbe voluta sotterrare, gli occhi di mezza scuola si sarebbero fiondati su di lei. Ruud intanto concluse il suo discorso e con la bacchetta iniziò a scrivere nell’aria la classifica del Torneo Tremaghi aggiornata. Dal nulla apparvero scritte luminescenti e con voce possente l’organizzatore della manifestazione aggiornò i punteggi a gran voce, mentre il pubblico attendeva con impazienza.

 

Classifica

 

Marinette Pinard 75

Nadia Dumitrache 75

Monica Kyolanski 70

Thomas Shelley 70

Steven Lineker 60

Dominic Thien 20

Christopher Astal 10

Nikolay Ivanov 10

Charlotte Blanchard 0

Gienah Pheles 0

Aaron Sanders 0

Rarity Le Tissier 0

 

 

Al termine della lettura il pubblicò sollevò un boato, in particolare tra i ragazzi di Durmstrang nel vedere sia Monica che Nadia nelle prime posizioni, ma non si fece attendere la risposta di Hogwarts. Una marmaglia di bambinette corvonero esplose al nome di Thomas e il ragazzo mandò baci casuali alla tribuna, ma anche la casata di Hogwarts reagì con giubilo nel vedere Steven così in alto in classifica, Steven si sentiva molto meno esaltato dalla notizia. Ruud augurò una buona giornata al pubblico e consigliò ai campioni di godersi la serata e di festeggiare, perché notizie riguardo la seconda prova sarebbero arrivate a breve.

 

 

Strisciò veramente priva di forze, sentendosi sul punto di morire verso l’acqua del lago. Come un animale ferito si sdraiò sulla riva e bevve come una bestia l’acqua non particolarmente limpida del lago nero, senza però fare delle valutazioni di stile o pedigree. Elspeth si sentiva morire, non beveva sangue da troppi giorni e forse avventurarsi senza preparazione in quella foresta non si era rivelata una valutazione valida, sopratutto perché a quanto pare nessuno doveva trovarsi lì e quando quel demonio con il caschetto aveva visto una vampira non aveva avuto altro obiettivo se non sterminarla. I vampiri avevano una forza ben superiore a quella di un semplice mago, ma quella ragazzina non era umana, almeno non per Elspeth che, in quelle condizioni, non aveva potuto fare altro che scappare a gambe levate. Quella ragazzina l’aveva seguita per un intero giorno e l’avrebbe uccisa, fino a quando quasi dal nulla era scomparsa, correndo nel bosco nella direzione opposta alla sua. Non ci aveva fatto troppo caso, aveva solo ringraziato chissà quali dei per essere ancora viva e che quel diavolo avesse cambiato obiettivo, ma trovarsi senza energie sufficienti nemmeno per prendere il sangue a qualche lepre era davvero una condizione imbarazzante. Si mise seduta con forza e osservò davanti al suo sguardo la tomba bianca che troneggiava su una piccola penisola, un centinaio di metri davanti a sé, si domandò se fosse possibile morire di fatica appena prima di raggiungere il suo obiettivo, ma in quel momento non aveva la forza per alzarsi e rimanere a fissare quella dannata tomba era l’unica soluzione possibile. All’improvviso sentì dei passi e pensò che quella bastarda fosse tornata per farla fuori, ma non appena comprese di non essere sola si accorse anche che Oswald, il suo stregato aiutanto, l’avesse finalmente raggiunta.

“Ti aspettavo molto tempo fa, idiota” disse lei aspra e stanca.

“La foresta era stregata, per tre giorni niente poteva entrare o uscire, Hogwarts sta ospitando un Torneo Tremaghi” replicò Oswald trafficando in uno zaino.

“Nel XXI secolo fanno ancora queste pagliacciate?” Oswald tirò fuori dalla boccia una borraccia di cuoio, non appena sentì frusciare lo zaino, come una bestia famelica Elspeth gliela strappò dalle mani e bevve il contenuto con avidità disarmante, per poi alzarsi di scatto in piedi con nuova forza. “Amen!” urlò la vampira “Sarà vecchio di qualche giorno, ma dio penso sia il sangue più buono della mia vita! Mi sentivo morire, ma adesso finalmente prenderò quello che mi merito e quello che mi spetta”

Elspeth strinse per la camicia Oswald guardandolo con occhi estatici, lui non reagì, ormai perennemente sotto effetto della maledizione Imperius e lo tirò fisicamente appresso a sé per raggiungere la piccola penisola sulla quale si ergeva la tomba in marmo bianco. Tremava di eccitazione al solo pensiero di stringere ancora la sua bacchetta, i suoi occhi spalancati non avevano ancora ripreso la loro forma classica, sembrava sul punto che le cadessero dalle orbite, sembrava davvero come una bambina davanti ad un lecca lecca alla fragola. Con una magia di bombarda fece letteralmente volare il coperchio nel lago, si sentiva così euforica da non riuscire a trattenere la sua magia. Il corpo del vecchio era in ottimo stato, sembrava quasi dormiente, tra le sue mani la Bacchetta di Sambuco, la sua bacchetta, quella con cui per secoli aveva terrorizzato Ungheria, Polonia e Transilvania e con cui sperava di poter terrorizzare ancora l’intero mondo magico.

“E così sarebbe questo vecchio il più grande stregone di tutti i tempi?” chiese lei annoiata e perplessa “E’ brutto e logoro...Non ha l’aspetto di un campione, io invece sarei stata una meravigliosa più grande maga della storia della magia, bella e incantevole. Ma la mia carriera è stata stroncata sul nascere, che discordia!” Si apprestava a raccogliere la bacchetta con tono famelico e bava che le pendeva dai canini appuntiti, quando sentì una serie di voci farsi più vicini, sembravano appartenere a persone in forte movimento. “Qualcuno rovinerà la mia festa” disse Elspeth contrariata e prese di fretta la Bacchetta di Sambuco che avrebbe voluto celebrare con maggior enfasi e con un incantesimo di levitazione riportò il coperchio della tomba al suo posto. Le voci e i passi si fecero più insistenti. “Mi farò sentire, ti intanto non fare casini” disse Elspeth a Oswald e lo trasfigurò in uno scoiattolo, che si arrampicò sull’albero più vicino. Elspeth osservò nell’ombra della notte che un gruppo di persone con bacchette luminose si stava dirigendo proprio nella sua direzione, quindi si sedette su uno scoglio e trasfigurò le sue gambe nella coda di una sirena, per poi immergersi nel Lago Nero con un incantesimo testa bolla, scomparendo da chiunque la stesse cercando.

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Capitolo 15
*** Boys meet girls ***


Boys meet girls

 

 

L’atmosfera era caotica e tesa nello spogliatoio affidato ai ragazzi di Hogwarts, Aaron e Pam continuavano a litigare sugli schemi da usare nella partita contro Bauxbatons, lui insisteva su un pressing aggressivo per cercare di fare più centri possibili, mentre Pam si agitava per convincerlo a lasciare a lei il lavoro sporco del boccino e pensare invece a difendere i pali, in tutto questo Steven rimproverava Gienah e Thomas di non aver trovato un battitore in tempo, visto che nello spogliatoio erano soltanto in sei. “Vorresti dire che non sono abbastanza brava?! Ti ricordo che in 5 anni di Quidditch ho mancato il boccino soltanto tre volte!” esclamò Pam stringendo i pugni, l’energica grifondoro, nonché probabilmente la giocatrice più talentuosa della scuola era stata scelta in maniera democratica come cercatrice, dato che Aaron e Thomas non potevano accettare che uno dei due fosse cercatore e l’altro un semplice cacciatore. “Zitta meticcio. L’anno scorso ti sei fatta infinocchiare da quello scandalo di Shelley e l’ultimo ricordo che ho, è di te con la faccia nella sabbia del terreno di gioco” replicò Aaron posato e fissandola come sempre dall’alto al basso. “Forse perché non ricordi come te l’ho soffiato sotto il naso per ben 5 anni, siete sempre arrivati ultimi voi serpeverde, da quando ho memoria” “Non abbiamo bisogno di sollevare la coppa che voi meticci di Grifondoro e Corvonero vi passate di mano, sarebbe infettare le nostre sacre mani” Mentre i due continuavano a insultarsi, gli altri tre sembravano meno arrabbiati, ma molto più nervosi. “Sei un cazzo di incompetente, Shelley. Ti eri preso la briga di chiamare McLaughin come battitore e sei così pigro che non ti sei nemmeno alzato dal tuo culo per dirgli di giocare, senza battitori non abbiamo speranze” esordì Steven mordendosi l’unghia del mignolo. Thomas non rispose, rimaneva appoggiato con la schiena al muro scabro dello spogliatoio e si limitava a lanciare occhiate nervose al suo fastidioso interlocutore, apparentemente senza degnarsi del contenuto della conversazione. “Ci sarei io come battitrice” disse dunque Gienah, la cui ricrescita delle ossa non le permetteva ancora di giocare. Steven la ignorò completamente pur avendola ben sentita, era dopotutto estremamente scarsa e con il bolide avrebbe potuto seriamente ammazzare qualcuno, non solo sul campo, ma anche tra il pubblico. “Io mi sono sbattuto per trovare il cercatore e il portiere, se quelle sciacquette del terzo anno di corvonero ti occupano così tanto il tempo, tanto valeva stare con loro e non iscriversi al Torneo Tremaghi” “Io almeno ho delle ragazze che mi occupano il tempo. Tu invece sei capace solo di farti mollare, o sbaglio? E poi perché perdere il mio tempo con delle ex quando domani porto fuori a pranzo la mia nuova uscente?” “Uscente?!” “Tu stesso usi sempre questa parola, per descrivere le ragazzette di cui non te ne frega niente, beh per questa però potrei fare un’eccezione” continuò Thomas, mentre Steven schiumava di rabbia e invidia, gli occhi neri del ragazzo di corvonero erano ambiziosi e orgogliosi. “E chi sarebbe sentiamo? Non vorrai...” provò a replicare Steven, ma Gienah gli aveva prontamente tirato uno schiaffo sul collo. “Sarò anche una ciabatta a Quidditch, ma abbiamo una partita e dovreste essere compagni di squadra, tiratevi insieme che quei dieci punti mi servono” “Gienah ha ragione” intervenne Thomas “Ti chiedo scusa, ma parlare con questo primitivo, tira fuori il mio lato peggiore, la sua influenza è un male per questa scuola” “Ma come parli?!” esclamò Steven, mentre aveva le orecchie così rosse di rabbia da sembrare ammalato. All’improvviso Madama Bumb entrò nello spogliatoio generando subito nel rumoroso gruppo silenzio, ricordò alla compagine di Hogwarts che entro dieci minuti la partita sarebbe cominciata, quando però si appresto a lasciare la stanza dalla porta apparve Annie, vestita con la divisa viola delle case della scuola unite, il numero due sul petto e sulla schiena, la scopa da partita nella mano destra e la mazza da battitore nella sinistra. Steven incrociò i suoi occhi per qualche secondo e lei, senza arrossire o vergognarsi, spostò dignitosamente lo sguardo, per osservare lo spogliatoio sorpreso. “Annie! Mi guarderai le spalle anche oggi! Che sollievo” esclamò Pam e corse ad abbracciare la migliore amica, anche Alvaro, che era solito passare i pre-partita chiuso nelle sue cuffie con l’asciugamano ghiacciato sul collo in completo silenzio e che infatti non aveva ancora aperto la bocca fino ad allora, si alzò per stringere la mano alla ragazza. “Troppi meticci di Grifondoro, peccato che siamo davvero una formazione di falliti in serpeverde” disse sottovoce Aaron mostrandosi schifato alla presenza di Annie. Steven continuò a fissarla confuso, non sarebbe dovuta essere lì, i campioni di Hogwarts avevano deciso insieme che il battitore sarebbe stato Harry di tassorosso, sicuramente il più forte della scuola, ma Harry non si era presentato e, in quel momento, davanti a loro c’era Annie, che non era affatto una grande battitrice, era appena discreta e non aveva un grande controllo della forza, in più nessuno l’aveva menzionata e non poteva nemmeno sapere che avevano effettivamente bisogno di un battitore. Da quell’ultima volta non si erano più parlati, avevano avuto quell’ultimo litigio piuttosto pesante ed entrambi avevano iniziato a farsi i fatti loro, con i giorni Annie sembrava sempre più fredda rispetto a Steven, prima soleva mettersi a piangere quando lo incrociava per i corridoi, oppure arrossire quando incontrava i suoi occhi in Sala Grande o a lezione, sicuramente la cicatrice nel cuore della ragazza era ancora notevolmente aperta, ma negli ultimi giorni sembrava iniziare a superarla, senza avere bisogno di parlare con Steven e senza cercarlo, si limitavano ad ignorarsi. Steven stesso non sapeva che cosa provasse in quel momento, si sentiva lui lo stupido adesso, visto che Annie sembrava così dura e fredda, mentre a lui batteva il cuore come un tamburo, tuttavia si sentiva perso e senza forze, non aveva voglia di parlarle, né di cercarla, si sentiva impigrito e senza la necessità di provare a ricucire il rapporto con lei, anche se era sinceramente convinto che lei gli piacesse ancora, tuttavia non sentiva il bisogno di passare del tempo con lei, era diventato tutto piuttosto stagnante. “Che cosa ci fai qui, Annie?” chiese Steven quasi togliendosi un peso dalla gola, Annie lo guardò storto, ora il rossore sulle guance c’era ancora, ma sembrava meno intimidita, Annie detestava che si parlasse di lei in giro, era chiusa e riservata e la fama di avere un ragazzo come Steven era sempre stato un fardello con cui fare i conti, in quel momento però sembrava solo arrabbiata con lui. “Non mi parli da giorni ed è la prima cosa che vuoi dirmi?” replicò lei, chiaramente emozionata, forse anche pentita, ma sapeva come avrebbe dovuto reagire, era più forte di quanto Steven pensasse. Davanti a tutti aveva appena tirato fuori il fatto che si fossero mollati, tutti lo sapevano, come tutti sapevano non si parlassero, Annie però non aveva paura di discutere con Steven davanti agli altri che mantenevano un rispettoso e quasi religioso silenzio. Steven rimase confuso, avrebbe voluto dirle di tutto, che la amava e le chiedeva scusa, questo voleva dirle, da giorni ormai, ma la situazione accecava completamente il suo cuore, si sentiva stupido, ma non riusciva a fermarsi. “McLaughin dovrebbe essere qui, non tu, non ti avevamo scelta come battitrice” rispose Steven schietto. “Puoi dirmi che mi trovi scarsa, lo sai? Ti copro le spalle da cinque anni, ma puoi dirmi che ho sempre fatto un lavoro inadeguato” “Non intendevo questo, Annie...” provò a dire Steven, ma lei l’aveva già interrotto. “Beh tra scarso e insufficiente non trovo differenze, a quanto pare non mi trovo abbastanza per te nemmeno qui” disse Annie, rossa e con le lacrime agli occhi. I compagni di squadra stavano in silenzio, Thomas rimaneva con lo sguardo basso alla parete, ma sulle sue labbra si stringeva un sorriso maligno, Gienah osservava imbarazzata e con la voglia matta di andarsene, Pam e Alvaro erano sconvolti e tesi, i loro migliori amici si stavano per distruggere l’uno davanti all’altra, Aaron invece sorrideva divertito. “Perché non vai nello spogliatoio di Bauxbatons e non chiedi a Rarity di prendere il mio posto?” Steven spalancò gli occhi furioso, Annie aveva superato il limite della sua sopportazione, per la prima volta quella candida e gentile ragazza, sua amica da quando bevevano dal biberon, lo aveva fatto infuriare. “Forse dovrei farlo! Almeno lei sa stare su una scopa senza essere un pericolo per i suoi compagni di squadra” Questa volta fu Annie a lasciar cadere delle lacrime dalle guance, ma senza scomporre la sua espressione fiera. “Io ero venuta qui per dare una mano, Steven, ci provi gusto a spezzarmi il cuore?” chiese Annie con tono aggressivo, ma sinceramente triste, era a pezzi, era a pezzi da giorni dopotutto. Steven sentì un nodo alla gola e il bisogno di sedersi, avevano litigato ancora nel giro di pochi minuti, non sembravano essere più in grado di volersi bene, senza ferirsi, si chiese come avessero fatto a finire in questo modo. “Ti prego, Annie, vai via da qui, per favore” sussurrò Steven, platealmente afflitto, scostando lo sguardo dalla ragazza. Annie pianse ancora un paio di lacrime e fece per andarsene via, ma venne raggiunta sulla spalla dalla presa salda di Thomas. “Tu non te ne vai da nessuna parte” disse il ragazzo con voce ferma, guardandola negli occhi intensamente, Annie spalancò le iridi scure. Steven si voltò confuso e incrociò gli occhi con Thomas. “Ho chiesto io a Annie di venire qui, lo so benissimo che avrei dovuto chiedere a McLaughin, ma le vostre decisioni non mi interessavano e ho fatto di testa mia, dovrei chiedervi scusa forse, ma trovo Annie una battitrice migliore di Harry, credo nella sua forza e la voglio al mio fianco questo pomeriggio” Annie sentì il suo cuore fermare di battere e lo guardò incatenata ai suoi occhi, Steven invece si sentiva cadere in un baratro, che cosa cazzo stava dicendo quell’idiota? Era talmente furente e fuori posto allo stesso tempo che si sentiva seriamente un deficiente, troppo stanco quasi per capire le situazioni più basilari, ma sopratutto Thomas non avrebbe dovuto osar poggiare la sua schifosa mano sulla spalla di Annie, Annie era la ragazza che amava e non solo gli stava sfuggendo via forse per sempre, ma il suo peggior rivale, stava chiaramente facendo tutto quello per farlo incazzare e per umiliarlo davanti a tutti. “Se qualcuno ha qualcosa in contrario, lascerò il campo con lei e giocherete in cinque” concluse Thomas chiaro e conciso senza girare troppo attorno rispetto alla sua decisione. Si sentì il fischio aggressivo di Madama Bumb e Steven sfrecciò fuori dalla stanza, rompendo l’unione tra Annie e Thomas senza degnarli di uno sguardo e lasciando lo spogliatoio da solo per dirigersi al campo da gioco, senza dire nemmeno una parola. “Darling! Buona partita!” esclamò la voce fastidiosa di Rarity dal fondo del corridoio quando vide Steven allontanarsi, ma lui non rispose al saluto, voleva morto Thomas, si era riconfermato il suo nemico, il suo rivale, aveva protetto Annie solo per umiliarlo, proprio dopo un litigio spinoso tra i due, proprio mentre Annie lo stava odiando come non mai, proprio mentre si era mostrato un idiota e un insensibile, proprio mentre aveva trattato come non avrebbe voluto la sua ex ragazza, proprio mentre voleva uccidersi per essere un uomo di merda. Sentì Pam rincorrerlo per il corridoio. “Che cazzo ti è preso? Tu e Annie finirete per detestarvi” gli disse lei e lo spinse con le spalle contro il muro. Gli occhi neri della ragazza dai capelli corti e maschili lo fissavano apprensivi e quasi intimi, con i volti a poche dita di distanza, sembrava quasi sul punto di baciarlo. “Che cosa cazzo ti sta succedendo? Stiamo parlando di Annie, siete sempre stati amici, Steven” “Pensa a prendere quella palla d’oro” replicò Steven freddo e senza nessuna voglia di parlare, scrostandosi da Pam e volendo con la scopa fuori dal tunnel degli spogliatoi per ricevere da solo il boato del pubblico di Hogwarts. Poco dopo venne raggiunto dal resto dei giocatori. Accanto a Steven sfrecciò Thomas che prese la sua posizione centrale, i due si guardarono e Thomas, in posizione eretta sulla scopa sorrise fiducioso e orgoglioso, mentre Aaron occupò la fascia sinistra, Steven replicò viola di rabbia. Dietro di lui si posizionò Annie, mazza in pugno, pronta a difendere da sola la squadra, Gienah rimaneva a terra senza la possibilità di volare, ma con il numero tre dorato sulla schiena che segnalava il fatto che fosse un effettivo della formazione. Alvaro volò accanto a Steven. “Gioca per vincere, non per te stesso e la tua cazzo di rabbia, dammi la possibilità di offrirti una burrobirra” gli disse il suo caro amico sorridendo e stringendogli con forza il collo, Steven reagì con dolore, ma sorrise, sicuramente Orozco, tra tutti, sapeva come prenderlo al meglio, Steven era dopotutto troppo impulsivo e infantile. Quando il ragazzo ruotò lo sguardo si trovò davanti agli occhi una sorridente Rarity, con lei le cose andavano molto bene invece, non uscivano né si frequentavano, non sembrava quasi ci fosse il bisogno e sicuramente non si erano più scambiati baci, ma a volte si trovavano nel castello e chiaccheravano con semplicità, il fastidio che provava per la francese sembrava scomparso, aveva quasi voglia di passare il tempo con lei, ma non sapeva che cosa sarebbe potuta diventare, sentiva di provare molto poco per lei e i suoi sentimenti variavano troppo a seconda dei momenti. “Darling va tutto bene?” chiese Rarity preoccupata. “Dai Rarity non lasciarti distrarre da quel marpione e pensa a giocare” la voce di Marinette echeggiò dal fondo del campo, anche in questo caso non sembrava intenzionata a giocare, almeno in questo la mancanza di Gienah non sarebbe stato un fattore determinante, Bauxbatons, avrebbe giocato come contro Durmstrang con un cacciatore in meno. Steven squadrò Marinette dall’alto e la ragazza, che pochi giorni prima aveva stravinto la prima prova del Torneo Tremaghi si morse il labbro vogliosa, prima di fargli una linguaccia, Steven le fece il dito medio garbato, dopotutto l’aveva preso per il culo ben bene, quando avevano avuto quell’avventura nelle lavanderie e anche in quel momento si sentiva un vero idiota. Madama Bumb si mosse sul campo con la cassa delle palle da gioco. “Mi raccomando, voglio un gioco pulito” esordì lei, come in ogni partita, ormai era diventato un meme. I giocatori si prepararono e il baule si spalancò poco dopo, accompagnato dal boato del pubblico. Pam si lanciò con la scopa di scatto verso terra, osservando con la coda nell’occhio il boccino sfrecciare sul terreno, con una virata degna di Viktor Krum si stabilizzò a filo d’erba ed era quasi pronta a instaurare un nuovo record di presa del piccolo oggettino d’oro, dato che erano passati solo cinque secondi, tuttavia sentì un rumore sordo e fu costretta a virare vertiginosamente verso l’alto, quando un bolide si piantò nella sabbia sotto di lei, il boccino sfrecciò lontano, mentre Charlotte Blanchard, cercatrice per Bauxbatons rimaneva confusa ancora in cerca di capire dove fosse finito il boccino, non avrebbe lasciato che un’altra cercatrice la sconfiggesse, Nadia l’aveva umiliata e questa Pam sembrava persino più forte, non aveva mia visto uno scatto come quello da quando nella semifinale della coppa del mondo Florian, cercatore della Transilvania aveva raccolto l’oggetto dopo soli sette secondi, eliminando la Francia con un secco 150-0, la partita più corta della storia del Quidditch nel corso dei secoli. La pluffa fu raccolta da Steven che sfrecciò lungo la fascia, mosso in corpo da una rabbia iena, superò un intervento scomposto di Arthur Van Pelt e scagliò la pluffa sul cerchio lontano, ma all’improvviso lungo la traiettoria si interpose Rarity che prese la palla al volo stringendosi le braccia allo stomaco, un colpo devastante, tanto da preoccupare lo stesso Steven. Tuttavia la francese era già sfrecciata superando Thomas, in pochi secondi si ritrovò con solo Annie davanti, non appena la ragazza di Grifondoro vide il profilo leggiadro di Rarity, sentì le vene tingersi di sangue elettrico, il bolide venne colpito con il solo scopo di far male, dritto per dritto, il colpo fu velocissimo, ma troppo prevedibile e Rarity lo schivò, spostando il capo e segnò il punto sul palo vicino. Bauxbatons 10-0 Hogwarts. Pam si alzò in aria dopo aver perso di vista il boccino e rimase qualche secondo a prendere fiato, bestemmiando il cielo per aver fallito quel record, aveva ancora il cuore che batteva a mille al solo pensiero di una vittoria così rapida, tuttavia il battitore avversario era un vero animale, enorme, mostruoso, un colosso con una potenza terrificante. La pluffa finì nelle mani di Thomas che lanciò a Steven, il corvonero si mosse per completare il triangolo, ma Steven lo ignorò causando la rabbia di Thomas, venne poi raggiunto da un bolide e la pluffa finì nelle mani di Rarity, questa volta Orozco salvò la sua squadra dal secondo punto. “Sei idiota? Andavo a segnare, deficiente!” esclamò Thomas rivolto a Steven, mentre tornava indietro a ricevere da Orozco. Steven non rispose e osservò Annie, che sembrava del suo stesso stato d’animo, stavano giocando un’altra partita entrambi e non aveva ancora fatto un centro con quel bolide. I due si incontrarono e Annie lo fissò per qualche secondo, per un momento sembravano guardarsi sinceramente, poi Rarity gli sfrecciò davanti. “Che diavolo fai!” urlò Thomas, mentre Steven si era fatto saltare troppo facilmente. Annie rinvenne dal sonno e scagliò il bolide verso Rarity, la ragazza lo schivò e la palla colpì in pieno Steven alle sue spalle che cadde dalla scopa finendo con il sedere per terra. Rarity superò Orozco con una finta e scaricò ad Arthur che tirò violentemente. Thomas si immolò al centro del cerchio e rilanciò Aaron che superò i bolidi avversari per subire la parata miracolosa di Dominic, sicuramente il più forte giocatore degli avversari. La partita continuò in uno stallo, Steven continuava a fare schifo e Thomas era riuscito a segnare un solo gol, su rigore per giunta, mentre Rarity ne aveva segnati già otto, sembrava incontenibile e Annie non riusciva a fare proprio nulla, sembrava sull’orlo delle lacrime. Un tiro di Rarity venne respinto da Alvaro miracolosamente, ma sulla respinta la francese fu più veloce di Annie e colpì al volo con la sola forza del pugno, il tiro sembrò indirizzato a sinistra, ma questa volta fu la velocissima Pam a parare, che si disinteressò del boccino per strigliare i suoi. “Che orrore stiamo facendo ragazzi?! Siamo una squadra di scapestrati! Tirate fuori le palle” esclamò lei furiosa, l’unica in campo che sembrava dare l’anima, perché da diversi minuti anche Thomas e Orozco, i più motivati, sembravano aver perso verve. Pam volò davanti a Annie. “Coprimi le spalle, quei due mi stanno martoriando e se voglio sperare di battere quella là, ho bisogno di te, quindi pensa per un attimo a te stessa e a questa partita, cazzo!” Annie la guardò dispiaciuta, ma annuì agguerrita, Pam aveva ragione, Bauxbatons li stava umiliando. Thomas segnò ancora due gol, ma Rarity ne fece quattro nel giro di venti minuti, mentre il boccino sembrava più sfuggente del solito. Quando riapparve vicino alla porta di Bauxbatons Pam si lanciò all’inseguimento, questo era il momento decisivo per vincerla, Charlotte la tampinava senza mollarla, con i denti stretti e le mani sudate. Annie riuscì con un gran colpo ad abbattere un battitore degli avversari, ma il battitore colossale rimaneva ben saldo e costringeva Pam agli straordinari. Il boccino virò verso l’alto e Pam gli fu addosso, il battitore colossale caricò il colpo, proprio mentre Annie era distratta dal passaggio di Rarity, lasciando Pam completamente scoperta. Il toro colpì con violenza, mentre Charlotte era pronta ad avventarsi in seconda battuta sul boccino, Pam virò lo sguardo, ma troppo in ritardo perché il bolide non le finisse in testa, ci fu silenzio e subito dopo Pam sentì la sua mano stringersi sul boccino. La cercatrice si voltò per vedere Charlotte furiosa per essere stata nuovamente sconfitta, spostando poi lo sguardo verso il terreno vide Steven, in piedi sano e salvo, ma con la scopa ridotta in brandelli e sopratutto, con il bolide stretto nella mano. Pam gli sorrise, capendo che si era lanciato lungo la traiettoria per deviare il bolide pronto a spaccare la testa a Pam. Hogwarts vinceva 170 a 120, coronando una prestazione imbarazzante con la grinta bruciante di Pam Blake. Orozco scattò verso il suo capitano e le diede un forte bacio sulla fronte, un gesto propiziatorio che faceva all’inizio e alla fine di ogni partita, riconosceva che Pam fosse la fonte di tutte le loro vittorie. Pam però non ci fece troppo caso, si voltò per guardare Steven, fermo e cupo al centro del terreno, che fissava la sua scopa in pezzi, senza sembrare interessato o felice della vittoria, merito anche del suo gesto estremo. Pam si rese conto che il suo migliore amico stesse vivendo un momento particolare da diversi giorni e sentiva di non essersene curata a sufficienza, quasi l’amore non fosse un affare per lei, che era sempre stata educata a fare il maschietto, ma che maschio certo non era, si sentì inadeguata e poco empatica, anche se il suo amico aveva bisogno di lei e lei non c’era stata.

 

 

Harry sentì la porta aprirsi, si trovava in quella stanza ormai da parecchi giorni e non era successo proprio nulla, Glimmer non era più passata, di colombe nemmeno l’ombra e tutto sembrava estremamente vuoto e stagnante. In tutto questo però Harry non si era ancora stancato, era passato troppo poco tempo per cercare disperatamente la fuga o implorare la libertà, e sopratutto tutto questo era una splendida avventura, si sentiva nuovamente un guerriero in lotta per sé stesso e gli altri. Sicuramente fuori da quella cella stava succedendo qualcosa, avere Harry Potter prigioniero era già qualcosa di speciale e soddisfacente per dei terroristi, ma il segnale che tutto questo fosse senza utilità, segnalava che ci fosse qualcosa in movimento, là fuori e Harry aveva la sensazione che gli ingranaggi che si stavano muovendo fossero quelli del ministero. Harry si girò lentamente, aspettandosi di trovare Glimmer, forse sperandoci, non aveva dimenticato quelle labbra, non l’aveva dimenticata, anzi, sentiva di essersi dimenticato di Ginny, un po’ di arrabbiò con sé stesso per questo, ma percepiva quasi questa non fosse la sua vera vita, era la sua missione, per il matrimonio e la convivenza c’era tempo. Tuttavia voltandosi trovò un volto con cui non aveva ancora fatto i conti, capelli rossi folti e spettinati, occhi azzurri e stanchi, viso inebetito e fisico da battitore, anche se la pancia iniziava a farsi prepotente, quasi arrogante. Quello che era il suo migliore amico di proiettava davanti a lui, non si parlavano da diversi mesi e il silenzio che si creò fu la prova di questa distanza quasi incolmabile. Harry non aveva mai compreso che cosa avesse spinto Ron Weasley a gettare via la sua vecchia vita per entrare nelle Colombe Rosse, purtroppo non ne avevano parlato con lucidità e si erano abbandonati ad un solo litigio, poi si erano visti poche volte al ministero, quando Ron accompagnava Glimmer tra tribunali e uffici e lui si annoiava sulla sua scrivania e compilare rapporti su sparizioni e omicidi. Tra di loro si era creato silenzio e indifferenza, Ron non si era fatto vedere, né con lui, né con Hermione, Harry era invece troppo svogliato e deluso da Ron, per tentare di riportarlo da sua moglie e dai suoi amici, la situazione era diventata dolorosa in poche settimane e in quel momento Harry si sentiva estremamente fuori luogo, davanti a sé aveva un estraneo. Nessuno dei due sembrava riuscire a parlare, erano il poliziotto che squadrava il suo criminale, che lui stesso aveva provvisto a schiantare e a spingere in cella. “Sei ingrassato” disse Harry freddo alzandosi dalla sua sedia e bloccandosi davanti a Ron, rimanendo a debita distanza, sapeva l’amico essere armato. “Non sono più il ragazzino di un tempo, a sedici anni puoi mangiare come un bue e non mettere pancia, ora il mio appetito non mi è d’aiuto, miseriaccia” replicò Ron e Harry sentì il bisogno di sorridere, era ancora lui, non c’era dubbio, ma le sue idee erano cambiate di colpo, questa era forse la loro ultima occasione per chiarirsi. “Questo è per tutte le cioccorane che mi hai scroccato su quel treno” “Sei tu il ricco dei due, io ho solo scelto la carrozza giusta” I due sorrisero, quasi sentissero il bisogno di abbracciarsi, ma rimasero a distanza, sapevano di aver bisogno di quella conversazione, ma non sapevano cosa dirsi. “Coleridge diventerà ministro della magia” esordì Ron freddo e imparziale “In Wizengamot la sua nostra coalizione ha la maggioranza assoluta, questo pomeriggio verrà proposta una mozione di sfiducia all’intero governo, sarà l’inizio di una nuova era” “E sai anche di che colore sarà questa nuova era? Il rosso che vestite simboleggia il popolo emancipato o il sangue che avete sparso per le strade?” chiese Harry ritornando freddo e severo. “Se parli del sangue dei mangiamorte, quello è sangue che continueremo a versare, o almeno, sangue che dovrà gelare per sempre ad Azkaban. Non c’è fine alla caccia al fascista traditore” replicò Ron, le sue parole erano sincera, credeva in quello che diceva. “C’è differenza tra combattere la follia di Lord Voldemort e instaurare il terrore nella nazione, quanti mangiamorte pensate di catturare, sono sicuro che ne trovereste uno in ogni casa” “Il terrore è uno strumento, se sarà necessario li staneremo casa per casa, non capisci, Harry? Il mondo magico si sta emancipando! Siamo vissuti in millenni di storia in mano ai purosangue, in mano alle elite, anni di oppressione dei sangue sporco e del proletariato magico, ma quella che sta sorgendo, è un’alba rossa di diritti e uguaglianza” “Credi in un’utopia che non sarete in grado di realizzare, non sbagli Ron, non ti sbagli affatto, viviamo e vivevano nella disuguaglianza, ma posso ben prevedere, che finirete per massacrare civili innocenti e da auror e da uomo, non posso permetterlo” disse Harry. “Tu non capisci che il mondo non si crea dal nulla, bisogna distruggere per creare e mi è bastato poco tempo al ministero per comprenderlo, Coleridge mi ha aperto la mente, Glimmer mi ha dato il coraggio. Io e la mia famiglia abbiamo vissuto nella miseria per generazioni, mentre maghi senza onore si crogiolavano nell’oro senza meriti, la redistribuzione del capitale dovrebbe essere in mano ai lavoratori e chi non lo ammette rimane un fascista nell’inconscio” spiegò Ron, convinto delle sue idee, o così estremo dal giustificarle anche con la violenza. Harry stesso non riusciva a contraddirlo, aveva ragione, il mondo magico era iniquo, ma non era attraverso colpi di stato o violenza che le cose potevano essere cambiate, Glimmer avrebbe abbattuto la democrazia e avrebbe instaurato una dittatura del proletariato, Coleridge avrebbe governato come un tiranno. Avrebbe creato un’utopia funzionante? La risposta non era prevedibile, ma il rischio della morte di migliaia di persone era troppo inaccettabile e Harry era pronto a sfidare quelle colombe estremiste a costo della morte, non voleva un mondo dove il vicino di casa poteva denunciarti come un mangiamorte. “Ron come puoi ragionare in questo modo? Abbiamo combattuto Voldemort insieme, abbiamo combattuto per riformare il ministero, io sarei un fascista? Hermione sarebbe una fascista? Noi vogliamo quello che vuoi tu Ron, ma non tolleriamo la violenza, siete solo dei criminali e vederti accecato da queste modalità mi delude” “Hermione è la peggiore di tutte, si chiamano liberali, ma pensano solo a mantenere lo status quo, hanno fatto delle riforme, ma i poveri sono rimasti poveri e i mangiamorte sono rimasti impuniti, i Malfoy sono ancora in giro, ti rendi conto? Non hanno mai pagato per la morte di quelle persone, non hanno pagato per la morte di Fred e di Remus, Tonks, Sirius, Malocchio!” “E’ questo dunque...” sospirò Harry comprensivo, ma freddo “Lo fai per vendetta. Io ho vissuto di vendetta per molto tempo e per anni la vendetta mi ha dato la forza per continuare a lottare, per sfidare Voldemort e sconfiggerlo, ma ho capito presto che non era la vendetta a darmi ardore e impegno, erano l’amore per gli amici, per te, per Hermione, il desiderio di lottare perché voi steste bene, perché Ginny stesse bene, la vendetta genera solo ulteriore violenza”. Rimasero per qualche secondo in silenzio, poi Harry fece un passo verso l’amico. “Hermione ti ama, Ron. Non puoi immaginare quanto tutto questo l’abbia uccisa, sei andato via senza salutarla, senza abbracciarla, senza spiegarle nulla e le hai detto in faccia di non essere una politica diversa da Voldemort, solo perché non è una socialista. Tu stai pugnalando il suo petto ogni giorno con il tuo silenzio, lei sta soffrendo in quel ministero anche perché tu non sei a casa, insieme a lei. Prendi in mano la tua vita e dimentica tutto questo” disse Harry e si sentì piuttosto in colpa per il fatto di vedere Ginny da diverse settimane. “Non posso” replicò il rosso con schiettezza “Hermione rimarrà un’estranea fino a quando non riconoscerà la potenza del comunismo, il ministero aveva delle cose da cambiare e queste cose non sono cambiate, Hermione ha perso tempo ed è giusto che si faccia da parte” “Tu mi hai messa da parte” disse una voce alle spalle di Ron e Harry notò Hermione Granger spuntare da dietro la porta, sentì un rumore esplosivo e da una nuvola di fumo apparve anche Viktor Krum, in forma eccezionale, quasi monumentale. Ron si voltò spaventato e estrasse la bacchetta, scagliando uno schiantesimo contro Krum, che cadde intontito, Hermione non trovò il coraggio di rispondere, ma proprio sul punto di venire colpita ecco che la bacchetta di Ron cadde lontano e venne raccolta da una splendida ragazza da capelli rossi. “Riunione di famiglia, fratellone” esclamò Ginny grintosa entrando in scena “Ciao Harry, ricordati che dobbiamo parlare” Harry deglutì, era furiosa, sapeva bene quando la sua ragazza fosse incazzata. “Tu sei un idiota, Ron Weasley, un emerita testa di cazzo, ti darò una strigliata tale da farti diventare calvo” continuò Ginny, era identica a sua madre. Hermione invece rimaneva in silenzio, si andò a sincerare delle condizioni di Krum, che si alzò dolorante, poi diede un sorriso malinconico ad Harry, erano venuti a salvarlo, dopotutto Dean era riuscito a scappare da quel buco indenne. “Voi siete tutti dei traditori della vostra nazione!” esclamò incattivito Ron. “Ron...” sospirò Hermione e incontrando gli occhi di quello che era ancora suo marito per un attimo si ricordarono di essere una coppia, anche se forse non si amavano più. “Ron, fai quello che vuoi, io sono qui per Harry, non per te, non rincorro una causa persa, non verso lacrime per una causa persa” Ron la fissò confuso e Harry poté chiaramente vedere stesse soffrendo, la sua Hermione gli stava sfuggendo e non aveva pensato a lei abbastanza per troppi mesi, accecato dalla politica, la donna della sua vita era addolorata e sconfitta, ma il demente era solo lui, rimase in quella cella anche quando in silenzio l’intero gruppo di salvataggio uscì dalla stanza, nessuno lo salutò. “Hai tempo, Ron, non è finito niente” disse Harry e lanciò a Ron la bacchetta. Ron si inginocchiò al centro della stanza, solo, come era stato per mesi senza accorgersene, si porto le mani al viso e pianse.

 

 

 

“Intendo consegnarvi gli ultimi esami d’autunno che avete svolto, in previsione dei GUFO di fine anno e devo dire, con pacatezza, che siete delle assolute e senza dignità, capre. Di questo passo, l’esame di pozione lo passerete in quattro gatti, siete le due sezioni più squallide che mi siano mai capitate” esordì con gentilezza la Professoressa Samantha Indoh, per quanto fosse sensuale e le sue forme divine, non era certo una mollacciona, era dura, severa come una pietra e massacrava i suoi studenti senza pietà, sopratutto i Grifondoro. “Lineker, vieni e consegnare questo scempio” disse dunque lei, chiamando Steven alla scrivania. Steven scattò come una marmotta dal banco e trottò verso la cattedra con un sorriso inebetito, osservò con aria famelica la pelle pallida di Samantha, la sua unica dea, e non appena le gli indicò il plico di fogli, lui esordendo con un “E’ un onore, signorina Samantha” le baciò la mano con eleganza. Il pugno gli lasciò un livido viola sotto l’occhio, ma ne era valsa la pena e ritornò ai banchi soddisfatto, mentre Samantha digrignava i denti nervosa. “50 punti in meno a Grifondoro!” urlò lei. “Per 50 punti questo e altro” pensò Steven sbavando, mentre le compagne lo fissavano come fosse un maniaco sessuale. I maschi invece lo consideravano un eroe. Steven iniziò a consegnare le prove. Pam la mise nella sua cartella senza nemmeno guardarla, erano cinque anni che era abbonata al 2, non era certo pane per i suoi denti lo studio, anche se era sempre passata a fine anno. Andrej si stupì del suo 4, il voto più alto in tre anni, qualcosa di superlativo, Annie invece non ci vide niente di eccezionale, osservò con malinconia il suo 3 rosso enorme al centro del foglio e vide la sua media crollare, dopotutto lei e Steven studiavano sempre insieme, lei gli passava tutti gli appunti, ma lui le faceva i compiti di pozioni, lei non riusciva nemmeno a fare una spremuta, figurarsi creare un bezoar, Steven invece, per pura passione per la professoressa, non certo per la materia, era il migliore dell’intero quinto anno. Steven si sedette composto e osservò il suo splendido 10 sul suo foglio, completamente disinteressato al risultato, mise il risultato in cartella e si concentrò a fissare Annie, quasi sull’orlo del pianto, dopotutto senza di lui in pozioni non aveva speranze. Era intenzionato a parlarle, subito dopo la partita aveva deciso di chiudere definitivamente con il suo cervello malato di donne, Rarity non l’avrebbe più vista, così come Marinette, Penelope, Eris, Samantha, Gienah, Sasha, Annette, Barbara...in effetti erano più di quelle che pensasse, ma non era disposto a perdere la sua Annie, Annie era tutto per lui, anche se non era mai stata abbastanza, troppo timida, riservata, poco sexy e poco provocante, un vuoto che non era mai riuscito a colmare con lei, ma che aveva sempre avuto bisogno di riempire con altre avventure, tuttavia in quel momento Annie era l’unica cosa a cui riusciva a pensare, trovò vero il detto che diceva che le cose erano più belle quando non le si aveva, e Annie non era più sua. L’orologio della sala grande iniziò a battere violentemente il suo andazzo, segnale che l’ora era finalmente finita, Steven si risvegliò dal suo letargo, si addormentava in tutte le ore di pozioni, dopotutto era un genio, o almeno amava definirsi in questo modo, ma quando aprì gli occhi, Annie non era più due file davanti a lui. Si alzò dalla sedia e superò con un salto, quasi acrobatico, Pam, che si era accucciata per legarsi una stringa slacciata. Uscì dal sotterraneo di pozioni e vide il caschetto soffice di Annie salire, dandogli le spalle, per la rampa di scale, Steven si chiese curioso dove corresse così velocemente Annie e decise di seguirla con circospezione. Svoltò l’angolo del corridoio, fino ad arrivare davanti ad una piccola scala a chiocciola, intorno a lui non c’era anima viva, se non che il suo sangue iniziò a ribollire quando vide Annie parlare intimamente con Thomas Shelley. Annie sorrideva, un sorriso sincero come non lo vedeva da qualche settimana, era rossa in viso, come una bambina innamorata, come quando parlava con lui i primi giorni in cui avevano iniziato a stare insieme, era felice, era felice di essere lì a a parlare con Thomas. “Com’è andata la prova di pozioni?” le chiese Thomas, aveva il suo solito tono nobile e garbato, occhi seducenti e virili, Steven ascoltava in silenzio tombale, un sasso gli era appena caduto in testa. “Malissimo.” rispose Annie “Dopotutto sono una frana in quella materia” “Beh, io me la sono sempre cavata, la prossima volta ti porto a studiare sotto i ciliegi, così magari ti do una mano” “Te ne sarei grata, Thomas, sei sempre così gentile” “Ci hai pensato su invece? Perché per me sarebbe un vero onore, accompagnarti al ballo del ceppo” Ora del decesso 17:34, Steven si sentì uccidere. Annie arrossì come un blocco di lava, Steven la poté quasi sentire evaporare. “C-c-c-certo!” balbettò Annie commossa “Ancora non ci credo che tu me l’abbia chiesto. Sei così bello e potresti avere chiunque” “A me basterebbe avere te, per un secondo solo anche, non chiedo altro, solo passare del tempo con la ragazza più bella e dolce di Hogwarts” replicò Thomas. Cazzate, solo cazzate, se c’era un individuo che poteva definirsi sporco e lurido almeno quanto Steven, quello era Thomas, anzi, Steven almeno si sentiva sincero nel suo bisogno impellente di provarci con qualsiasi donna respirasse, Shelley invece era meschino, si nascondeva dietro i suoi bei toni, quando invece voleva solo divertirsi e spezzare il cuore a più tipe possibile. Steven non lo biasimava, anche se lo detestava, erano identici, ma non poteva permettere che Thomas uscisse con Annie, era chiaramente uno scacco diretto a lui, solo perché Rarity, la sua preda, era infatuata di Steven. Annie intanto era una pietra lavica senza intelletto, imbarazzata e infatuata allo stesso tempo, si era chiaramente innamorata di Thomas e Steven non poteva fare più di tanto. “Io, io, io...” balbettò Annie, ma Thomas le mise un dito sulla bocca, quasi per zittirla, prima di baciarla. Annie era un sasso pietrificato e non muoveva un muscolo, mentre Thomas la stringeva romanticamente. Steven scostò lo sguardo e si appoggiò alla schiena contro il muro, allontanandosi dai due, fissava il vuoto, perso rispetto ad una scena devastante, che cosa cazzo stava succedendo? Comprese che Thomas avesse iniziato a provarci con Annie non appena si erano mollati e che lei si fosse decisa solo a seguito del loro ultimo litigio, quasi che gli volesse dare un’ultima chance, Annie lo amava ancora, ma adesso chiaramente stava per promettersi ad un altro, che l’avrebbe trattata in modo forse ancora peggiore, ma in tutto questo lui non riusciva a fare niente. L’aveva persa, lo sapeva, ed era colpa sua, ma non poteva proprio fare niente, voleva andare da lei, spaccare il grugno a Thomas e dirle che la amava e desiderava prometterle il sole e la luna pur di stare con lei, ma era talmente stanco e triste che non riusciva quasi a stare in piedi. Barcollò lungo il corridoio del salone, allontanandosi il più possibile dai due, sembrò vagare con le mani in tasca per qualche strada deserta, i ragazzi intorno a lui non sembravano esistere. Si chiuse nel maglione a collo alto e uscì nel cortile, vedendo Rarity, circondata da una schiera di ragazzi che cercavano di provarci con lei nelle maniere più disparate. Si mosse deciso in quella direzione, cervello spento e istinto a mille, scostò con una spallata un ragazzetto del secondo anno, arrivando velocemente davanti alla francese. “Darling! Complimenti per la vittoria” esordì Rarity sorridendo emozionata. Lui la prese energico per la il bacino, la fissò virile negli occhi, con lei completamente rapita e senza dire niente le scambiò un bacio passionale che lei accolse senza esitazione. I ragazzi intorno a loro avevano le bocche spalancate e occhi invidiosi al centro della faccia, facce sconfortate e sbalordite. Steven e Rarity, davanti praticamente a tutta la scuola, rimasero attaccati per due minuti buoni, si sentiva quasi mancare il respiro. Steven mollò la presa, lasciando Rarity mezza morta e mezza viva con gli occhi chiusi e imbambolati. “Al ballo del ceppo tu vieni con me” disse lui fiero e con tono adulto. Rarity annuì persa e senza aprire gli occhi. La guerra era appena cominciata.

 

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