Lì, dove si è stati bene.

di Ritalyyz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Punto di (non) ritorno. (Prologo) ***
Capitolo 2: *** Rosa rossa. ***
Capitolo 3: *** Ferite aperte. ***
Capitolo 4: *** Tutto o niente. ***
Capitolo 5: *** Scorci di paradiso. ***



Capitolo 1
*** Punto di (non) ritorno. (Prologo) ***


Quanto le mancava.
Le faceva male il petto, a volte addirittura sembrava che stesse per perdere i battiti del cuore e di non riuscire più a sentire niente nella gabbia toracica.
Capitava poche volte ma restava sempre spiazzata, senza ossigeno, estraniata da quello che invece le succedeva intorno. 
Qualche volta pensava ad Alex. Durante una conversazione con Larry, al parco, davanti a un film d'amore, mentre era ubriaca. Le veniva in mente all'improvviso e cominciavano a bruciarle gli occhi e cominciava a sentirsi stanca. Insofferente in una vita che non aveva niente più da offrire, sterile e a tratti esasperante.
Se avesse avuto la possibilità, Piper si sarebbe tirata fuori e fuori sarebbe ripartita, con la sua Alex, il suo posto nel mondo. 
Si era così tanto illusa di trovare altri posti confortevoli che adesso si sentiva un apolide. Senza casa, senza riparo. 
I pensieri rimanevano pensieri e fin quando la mente riusciva ancora  a contenerli, poteva convincersi di stare bene, poteva  guardarsi allo specchio e non sentirsi vecchia e inutile. 
Ma poco alla volta, Piper cominciò ad avallare una certezza: senza Alex, il mondo le stava più stretto, le sembrava più insopportabile. 
E una sera di novembre, stordita dal vino, seduta ai piedi del divano di casa, con gli occhi piccoli e affossati, Piper maturò una decisione che non avrebbe più cambiato. Discutibile e compromettente. L'unica decisione consapevole di tutta la sua esistenza, plausibile e radicale.  
Presa da ubriaca perché da lucida diventava tutto difficile e distruttivo. Invece con la testa roteante e la vista sfuocata, e di nuovo con quel dannato bruciore negli occhi, tornare da Alex le sembrò una scelta non soltanto doverosa ma pure gratificante.
Era il suo punto di non ritorno.
Ed era anche punto di ritorno, da Alex.

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Capitolo 2
*** Rosa rossa. ***


4 MESI PRIMA

Quella mattina faceva caldo. Il sole, alto nel cielo, batteva sulla sabbia cocente e sui bagnanti in cerca di refrigerio. I bambini correvano sulla spiaggia e si tuffavano nell’acqua, alcuni si accoccolavano a riva, sulla sabbia bagnata, altri facevano capriole cercando consensi con lo sguardo malizioso e gli occhi vispi, altri ancora si fingevano pionieri del mare e catturavano sassolini che poi spacciavano per gemme.
 Piper era sdraiata all’ombra, con gli occhi chiusi e la salsedine sulla pelle. Il mare le faceva bene. L’odore salmastro penetrava nelle narici e arrivava al cervello, ostruendo pensieri e preoccupazioni. Larry l’aveva convinta ad andare in spiaggia dopo una lunga, pedante richiesta che anziché convincerla, l’aveva sfinita. Era stanca della loro relazione. Piper lo sapeva, si stancava facilmente e aveva costantemente bisogno di una via di fuga, di una seconda opzione, un modo per tagliare la corda quando si sentiva soffocare. Quella volta, però , Piper non aveva porte aperte e quelle poche che ancora rimanevano socchiuse conducevano all’estraniamento e alla solitudine perenne. E allora Piper si era adeguata a una vita tranquilla e stabile, senza emozioni forti e con poche finite certezze.
 Sulla spiaggia i rumori della gente cominciavano ad amplificarsi e ad urtarle i timpani. Si alzò piano, come se non le restasse niente da fare, come se fosse in cerca di qualcosa da ordinare, da sbrigare, da finire senza risultati fruttuosi.

-Tatuaggio?-

-Come scusi?-

Una donna grossa dal fisico da massaia e sudaticcia trascinava un vecchio telo pieno di arabeschi, disegnando solchi sulla sabbia. Si era fermata davanti a una donna bionda e magra.
Dall’espressione contorta e interrogativa di lei aveva ipotizzato che fosse straniera e che non capisse la sua lingua.

-Vuole un tatuaggio? Potrei farglielo se vuole-

Stavolta la massaia scandì bene le parole, con calma, gesticolando e mostrando il telo consunto.
Piper che si sentiva frastornata e confusa si ritirò nel silenzio, con lo sguardo assente, la testa vuota, i timpani ancora pieni di brusio. Aveva il volto contrito in una morsa di afflizione come se quella donna anziché proporle un tatuaggio le avesse serbato una tortura.
 Per Piper i tatuaggi erano affascinanti: non cambiavano mai, venivano assorbiti dalla pelle e restavano eterni, sfidando tempo e paure.
Instancabili, non potevano mai essere raschiati, più duraturi dei sentimenti e più indelebili dei ricordi.

-Posso tatuarle una rosa con tanto di stelo, che ne pensa?-

La donna insisteva e Piper ancora distante, si sforzò di focalizzare la sua attenzione su quelle parole che avevano l’intento di accattivarla.
Una rosa con tanto di stelo. Aveva detto la donna –omone.
Le bruciavano gli occhi. Forse era il sale o la sabbia. O forse era un ricordo. La rosa di Alex sull’avambraccio destro e sulla coscia sinistra, enorme. Rossa come il rossetto sbavato per un bacio frenetico. Indelebile come Alex, sempre dentro di lei, incapace di andare via del tutto, con lo stelo ancorato all’animo, impossibile da sradicare.
L’espressione che Piper assunse nei minuti dopo e nelle ore successive fu tutta di smarrimento. Solo pensare ad Alex le faceva male. Chissà, forse il dolore era davvero proiezione dell’inconscio.
 Il suo inconscio, come i suoi occhi, bruciava, ardeva di desiderio.
E sommessamente, Piper desiderò di voler di nuovo sbavare quel rossetto rosso ma fu un desiderio stroncato sul nascere, soffocato veloce.
Quando arrivò Larry, la tatuatrice era già lì per andarsene, convinta che quella straniera bionda non si sarebbe mai fatta tatuare niente perché forse aveva paura degli aghi. Mai avrebbe pensato che invece aveva paura dell’amore e che non era capace di ammetterlo.
Bastava solo fare qualche passo indietro e seguire i solchi sulla sabbia per tornare lì, dove si è sempre stati bene. 

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Capitolo 3
*** Ferite aperte. ***


La cena per il compleanno di Polly si tenne da Pete, nel grande e spazioso salone di casa sua. Arredato da una designer degli interni italiana, costava più dell'intera abitazione e vantava numerosi pezzi d'arte sparsi per l'intera parete metà porpora e metà bianca.
La cena fu servita nella parte di soggiorno destinata alle riunioni informali.
Erano tutti amici di Polly: qualcuno del college, qualcuno conosciuto tramite Pete, la sua migliore amica Piper, che da qualche tempo le lanciava occhiate furtive.
Non riusciva a spiegarsi perché ma da un giorno all'altro Piper aveva cambiato occhi, pelle, faccia.
Era diventata laconica, apatica, pungente nelle constatazioni e sardonica nei commenti. Intoccabile e inconsolabile, sembrava fuori da tutto, persino da se stessa.
Le portate erano numerose e la cena interminabile, tanto che a un certo momento, la bionda della Smith che si era presenta con una camicetta fucsia a point e pantaloni camoscio, era sgattaiolata in bagno e qualcuno giurava di averla sentita addirittura biascicare parole insensate nella via per la toilet.
Polly, preoccupata e incuriosita, aveva posticipato l'uscita della torta glassata a più piani e si era avviata in bagno. L'aveva trovata a terra, con la testa fra le mani, i capelli rovesciati sulla fronte e sul collo, tra le mani la schermata di un telefono.

-Che succede?-

La sua domanda, carica di retorica e di ovvietà, rimbalzò contro il vuoto, restando in bilico, ancora col punto interrogativo a mezz'aria.
Piper non disse niente e in quel silenzio, così assordante, Polly avverti tanta tenerezza e fragilità.

Dal salone proveniva il brusio delle chiacchiere, prima povere di contenuto poi ingigantite dall'accaduto, cosparse di malizia e invadenza.
Piper captava voci e suoni indistinti, frasi spezzate, cariche di civetteria. Si sforzò a lungo per dare corporeità alle voci, per costruirsi in mente volti e facce ma fu un lavoro stancante e infruttuoso.
A parte Larry, tutti quelli che sputavano sentenze oltre il muro doppio del salone non avevano faccia. I suoni erano emessi ed estinti nelle corde vocali di individui informi e immateriali, sconosciuti ed anonimi.
Eppure tra milioni di espressioni vocali variegate e indefinite, Piper ne avrebbe distinto una e una soltanto. Il timbro di Alex, le parole che uscivano rauche e sensuali, così dannatamente seducenti, il respiro cadenzato e regolare sul collo, smorzato dai baci lasciati qua e là sulla pelle.
Erano tutte percezioni di lei che Piper avvertiva chiaramente, tangibilmente. Le sembrava tutto così sciocco e stereotipato eppure proprio come nei film d'amore che guardava nelle sere d'inverno, lei riusciva a sentire Alex in mezzo alla gente, al loro vociare forte e fastidioso. In mezzo alla vita degli altri lei sapeva vivere solo quella di Alex. Incredibile ma vero.

 


La notte era tranquilla, senza stelle, con i lampioni alti che rasentavano il cielo e l’aria fresca che sferzava sulle braccia nude di Piper. Camminava piano come se avesse tutto il tempo del mondo, come se per lei le ore fossero solo convenzioni insignificanti, senza peso e senza senso. Aveva lasciato la casa di Pete da una buona mezz’ora, convinta di voler tornare a casa da sola.
Convinta di poter sistemare da sola i suoi casini, i suoi erroracci, le sue ferite troppo aperte e mai chiuse sul serio, ancora doloranti e sanguinose.
 Quando Polly , l’aveva trovata a terra sulle piastrelle fredde del bagno, Piper cercava di tamponare le ferite con un telefono e un numero ancora salvato in memoria.
Non l’aveva mai cancellato il numero di Alex. Non le era mai venuto di farlo, non l’aveva mai ritenuto importante o indispensabile. E ora quelle dieci cifre numeriche che ancora rimanevano nella sim, sembravano salvarla, sembravano proiettarla in un’altra vita, più buona, che era sempre stata sua e che lei stupidamente aveva rigettato.
 Non aveva risposto nessuno, si sentivano solo gli squilli, uno dopo l’altro, suono dopo suono. Era la chiamata di Piper al tempo per chiedere di poter assaporare ancora quella vita buona ma non c’erano repliche e non c’erano vite buone, non più almeno.
Quando aveva staccato si era sentita vuota, smarrita come sulla spiaggia mesi prima e incapace di riempirsi si era trascinata alla porta, aveva salutato tutti ed era finita in strada, dove nessuno poteva sapere delle sue messinscena per fingere di stare bene, dei suoi tradimenti, perché sì solo pensare ad Alex era un tradimento, dei suoi sentimenti tanto corrotti. Nessuno sapeva niente e a nessuno importava niente.
 Voleva essere invisibile e invisibile aggirarsi per il quartiere illuminato e pulito dell’alta borghesia newyorkese.
In quell’odore di alberi Piper avrebbe addirittura desiderato fondersi, esaurirsi, cominciare daccapo, incontrare un’altra donna che la avrebbe scombussolato cuore e mente e non lasciarla stavolta, non come aveva fatto la prima volta, tenersela stretta da perdere il fiato, tenersela aggrappata al cuore, per sempre.
E mentre Piper ci pensava, assorta, il telefono prese a squillare. Sobbalzò perché non si aspettava più nessuno a quell’ora, a quel punto. La schermata si era illuminata e mostrava un nome a caratteri neri. Il freddo le stava screpolando le labbra e sentì un brivido correrle veloce per la schiena. Le bruciavano gli occhi e le tremavano le mani.
Non per la temperatura, di questo ne era certa. 

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Capitolo 4
*** Tutto o niente. ***


Quando Piper aveva otto anni, andava in vacanza in una casa a picco sul mare. Una stradina battuta e stretta conduceva alla spiaggia: piccola e proporzionata, senza sassi, con la sabbia bianchissima da sembrare farina e con un'enorme scogliera bagnata dalle onde.
Molti coraggiosi si tuffavano dal punto più alto della sporgenza, squarciando la superficie dell'acqua e schiantandosi sulle barriere di pesci.
I bambini, incuranti dei rimproveri dei genitori, si scaraventavano nell'acqua, si facevano cinque metri nel vuoto, urlando a perdifiato, euforici e instancabili. 
Piper restava a riva, con i piedi sotto la sabbia, anche se avrebbe preferito metterci la testa. 
Non è che suo padre glielo avesse proibito ma Piper aveva paura di tuffarsi,una paura iniettata in ogni dove del corpo, paralizzante, umiliante che non le permetteva di muovere i muscoli e che le faceva arrossare la faccia. 
Vent'anni dopo Piper si rese conto che la paura non se ne sarebbe mai andata dal suo corpo. Era un verme che viveva dentro di lei e non si annientava ne deteriorava e mai l'avrebbe fatto. 
In tempi diversi, in situazioni diverse continuava a mancare il coraggio, la forza, la reattività. Vent'anni dopo Piper non smetteva di guardare i bambini tuffarsi dalla scogliera, di ripararsi dall'adrenalina e dall'energia che sprigionavano i loro corpi, come fossero mali da cui bisognava fuggire. 
Il telefono squillava, il nome era chiaramente visibile, quattro lettere nude e nere spiccavano su una schermata bianca. Chiamata in corso, insistente, urgente. Durò per un tempo che a Piper sembrò infinito.Restò con le mani ancorate al cellulare, dando ditate sullo schermo senza convinzione. Il suono si esaurì dopo cinque squilli. Non si era tuffata, nemmeno ci era salita sulla scogliera. Era rimasta ancora con i piedi sotto la sabbia color farina e la testa piena di timore. Anche se era stata Alex a precipitare, a urlarle la sua frenesia. Ed era stata proprio Alex a richiamarla e sarebbe bastato risponderle, dirle solo ciao. Invece il telefono rimaneva quello che era e le cose rimanevano come stavano. Da ventotto anni, ormai. 



Tornò a casa con un mal di testa atroce, con le gambe gonfie e stanche, la faccia arrossata dal freddo, gli occhi vitrei e spenti. Squadrò la stanza e poi si analizzò minuziosamente allo specchio dell'ingresso: le iridi azzurre azzurre che invadevano le pupille, i capelli biondissimi che le ricadevano sul collo, pallida da sembrare un cadavere, incapace di pensare lucidamente e di agire con cognizione. Aveva commesso tanti errori e quelli li ripeteva all'infinito,  e non riusciva a svincolarsi dai suoi sbagli e anzi ci rimaneva incastrata, lontana dal mondo sterminato intorno. Ora poteva decidere: tutto o niente. 
Andò a sedersi sul divano di pelle scuro, avvampata in volto, completamente scoordinata. Sentiva Larry dormire, la notte avanzare col buio, alcuni ragazzi del vicinato schiamazzare, il suo cuore sbattere nel petto con tanta veemenza da sembrarne fuoriuscire. Afferrò il pc abbandonato sul tavolino, digitò con i polpastrelli,  velocemente, prima che potesse ripensarci. La trovò. Trovò una sua foto: bella da morire, con due fori verdi che bucavano lo schermo, che incontravano i suoi azzurri, in una corrispondenza platonica. Lesse New York, avida di dettagli, cercando particolari che potessero aiutarla. Un grattacielo, un palazzo, una street view che le desse una qualche idea: la strada semivuota, un marciapiede diroccato, l'asfalto in costruzione, l'insegna ingiallita di un market affacciato sulla via ampia ed estesa. 
Tutto o niente. Si disse.
E se lo ripeté in mente un'altra decina di volte. 
Sradicarsi, abbandonarsi a quello che di bello poteva venire o restare, impantanarsi in quello che già c'era, finire in basso e non poterci risalire. 
Richiuse il pc. Prese dei soldi, scrisse un biglietto
"Sono fuori per qualche giorno"
con la calligrafia che faceva trapelare un'urgenza, un impegno improcrastinabile.
Fini fuori, in piena notte. 
Tutto. 
Decise. 
Chiamò un taxi e gli mostrò il palazzo, la via, il market, i graffiti sui muri, la dicitura ingiallita e vecchia. E quello gli chiese cosa dovesse farci in quel posto, in quel momento.
-Vado a riprendermi una vita che ho avuto solo a metà, vado a prendermi tutto-
Così disse e così si promise dentro. 

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Capitolo 5
*** Scorci di paradiso. ***


La strada che le si parava davanti era sterminata, quasi irreale.
Di giorno numerose file di bancarelle si disponevano su lunghi marciapiedi di cemento, bruciati dal sole e consumati dalle suole dei passanti. Era un posto rumoroso, costruito sulle storie della gente che calcava l’asfalto, sullo spazio che si estendeva a perdi occhio, sugli odori che si attaccavano addosso forti e pungenti.
Di notte invece tutto si esauriva, tutto si sfaldava, macinato dall’oscurità imperante.
Piper avanzava a tentoni, maledicendosi per l’avventatezza e l’imprudenza. E dentro fremeva, scalpitava impaziente.
Arrivò sotto il porticato di una costruzione, con i mattoni rossi e le finestre riverse sulla strada. Era la stessa che aveva visto su google maps, anche se più grande e svettante.
Se sullo schermo il mondo si appiattiva e si smaterializzava, da vicino la realtà si presentava in tutta la sua consistenza, senza filtri e senza modifiche. E Piper avvertiva la contingenza del reale avanzare, investirla di dubbi e preoccupazioni.
Per un momento pensò di scappare. Proprio di correre via, lontano, fin dove le gambe riuscivano a reggere e il cuore a pompare. Ma non si mosse. E fu un bell’atto di coraggio.
Scrutò a fondo i nomi sul citofono. E il suo non c’era. Vause, Alex, non esisteva.
Eppure lei esisteva, Piper ci aveva fatto l’amore, ci era andata a cena, si era svegliata trovandosela tra le lenzuola.
Alex respirava, dormiva, mangiava, da qualche parte in quel palazzo, ne era certa.
 La realtà incalzava però, pesante e dura.
A Piper non era dato saperlo. Se pure lei si trovasse lì, percorresse ogni mattina quel porticato, Piper aveva sciupato il sacrosanto diritto di saperlo e col tempo era diventata un’estranea, una sconosciuta.
Non aveva pretese né scuse né compromessi. Da quando era andata via, aveva perso tutto.
Ed era quella l’unica constatazione plausibile davanti ai nomi in grassetto sul citofono. Allora se ne andò perché era ciò che le riusciva meglio e ciò che rimaneva da fare.
 

 


Percorse velocemente la via del ritorno. Credeva davvero di poter annullare gli anni, colmare i vuoti, le mancanze, asciugare le lacrime che Alex aveva versato dopo il suo abbandono?
Era una lavativa, una comoda, un’illusa senza pudore. Si sentì sbagliata e meschina e pianse. Con le spalle a un muro di calce mezzo sgarrupato. Con gli occhi gonfi e la vista annebbiata.

-Piper?-

Una voce le arrivò ai timpani, flebile ma familiare.
Si ricordò i Natali a casa quando i suoi genitori non erano separati e suo padre non fingeva di essere impegnato in ufficio per scoparsi la segreteria. E si respirava bene, un bene da riempirsi i polmoni e da conservare per gli anni avvenire. Felicità condensata nell’aria, tra i canditi e le candele rosse.
Non riusciva a spiegarsi il perché di quel ricordo improvviso e fugace.
Rinvenne subito e si concentrò sulla voce.
Si voltò e smise di piangere. Si sentì la retina schiacciata dall’immagine statuaria di una donna, bella, bellissima, da mozzare il fiato. Come la prima volta che l’aveva vista, che si era smarrita nel verde delle iridi, tra le forme voluminose e accentuate, il seno prosperoso, la carnagione bianchissima, l’inchiostro indelebile sulla pelle. Non era cambiata.
Aveva sempre gli occhiali da segretaria con le lastre doppie che anziché invecchiarla le toglievano vent’anni e le labbra carnose cariche di tinta esagerata. Dio, quanto avrebbe voluto baciarla, toccarla, sentirsela sotto le mani e sfregare la pelle contro la sua. Si contenne.
Alex la osservava e non c’era rancore negli occhi, né sofferenza, né vendetta, esumava solo desiderio. Smaniava per averla.
Tutti quegli anni di separazione diventavano niente, si assottigliavano e morivano.
Alex si avvicinò, rapida, con la paura che gli eventi potessero abbatterle e dividerle di nuovo. Non dissero niente perché non c’era bisogno delle parole, erano i gesti, i movimenti, le mani a identificarle nel buio.
Fu un bacio passionale, senza ossigeno, con le lingue che rovistavano in bocca e si toccavano, con i corpi che si cercavano e aderivano.
Piper si ritrovò di nuovo in quella costruzione rossa, senza capirci niente, senza notare il citofono, i nomi, i graffiti sui muri.
C’era solo il suo viso. Perfetto, etereo.
Il paradiso, pensò, doveva avere un’anteprima su google maps. 

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